Black Hole

di starlight1205
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Victoria Street ***
Capitolo 3: *** Attesa ***
Capitolo 4: *** Notte stellata ***
Capitolo 5: *** Ora ci credi? ***
Capitolo 6: *** Calton Hill ***
Capitolo 7: *** Il Marchio Nero ***
Capitolo 8: *** Grimmauld Place n.12 ***
Capitolo 9: *** Loch Ness ***
Capitolo 10: *** Scommesse e accordi ***
Capitolo 11: *** Lo sciacallo ***
Capitolo 12: *** Dicembre ***
Capitolo 13: *** L'orologio da taschino ***
Capitolo 14: *** La Tana ***
Capitolo 15: *** Blackhole ***
Capitolo 16: *** Il divano e il Pallino Acido ***
Capitolo 17: *** Whisky Incendiario ***
Capitolo 18: *** Il telescopio ***
Capitolo 19: *** Naufragio nella nebbia ***
Capitolo 20: *** L'equilibrista ***
Capitolo 21: *** La crisalide ***
Capitolo 22: *** Un passo alla volta ***
Capitolo 23: *** Osmosi ***
Capitolo 24: *** La terza volta è quella buona ***
Capitolo 25: *** L’universo sta cercando di dirci qualcosa ***
Capitolo 26: *** Fuoco alle polveri ***
Capitolo 27: *** Fluttuare ***
Capitolo 28: *** L’isola felice ***
Capitolo 29: *** Il matrimonio ***
Capitolo 30: *** Shaftesbury Avenue ***
Capitolo 31: *** La porta chiusa ***
Capitolo 32: *** Il sogno ***
Capitolo 33: *** Vecchie conoscenze e nuove scoperte ***
Capitolo 34: *** La casa infestata ***
Capitolo 35: *** Radio Potter ***
Capitolo 36: *** Il primo appuntamento ***
Capitolo 37: *** Supernova ***
Capitolo 38: *** La vera storia di Benjamin Murray ***
Capitolo 39: *** Sparizioni ***
Capitolo 40: *** Divisi ***
Capitolo 41: *** Padre e figlia ***
Capitolo 42: *** Compiere una scelta ***
Capitolo 43: *** Villa Conchiglia ***
Capitolo 44: *** Il punto di fuga ***
Capitolo 45: *** Tamburi di guerra ***
Capitolo 46: *** La battaglia di Hogwarts - parte I ***
Capitolo 47: *** La battaglia di Hogwarts - parte II ***
Capitolo 48: *** La maledizione del Blackhole ***
Capitolo 49: *** Il buco nero ***
Capitolo 50: *** Fantasmi [Post credit scene] ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il cielo era grigio, opprimente e cosparso di nuvole scure e grevi di pioggia, tra le quali filtravano pallidi raggi di sole; in lontananza, oltre le colline ricoperte di erba secca, si scorgevano bagliori temporaleschi. Il vento soffiava forte portando già con sè un pungente odore terroso, sospingendo le nubi dense di umidità, eppure Lord Voldemort si sentiva bene. Quel clima che preannunciava una tempesta era sempre stato quello che prediligeva. Lo faceva sentire potente e il sentirsi potente era tutto ciò che da sempre aveva cercato.

Non ricordava da quanto tempo fosse affacciato alla terrazza del Malfoy Manor perso nei suoi pensieri di gloria, quando lo sentì. Un dolore sordo all’altezza del petto che gli lasciò sfuggire un gemito. Una fitta che svanì in fretta lasciando dietro di se un leggero bruciore che lo obbligò a portarsi una mano all’altezza del cuore, quasi a sincerarsi che il suo corpo fosse ancora tutto intero. 

- Mio signore, stai bene? - chiese Bellatrix Lestrange preoccupata muovendo un passo verso la terrazza per cercare di vedere il suo volto
- Sto bene, Bellatrix - rispose seccamente Lord Voldemort allungando un braccio verso di lei per evitare che si avvicinasse ulteriormente

Bellatrix si bloccò all’istante con lo sguardo fisso sul pavimento. Rispettosa nei confronti del suo signore, come era sempre stata.

- Chiedo perdono, mio signore - rispose con tono flebile e quasi infantile, mentre continuava a fissarsi la punta dei logori stivali neri.
- Puoi andare - la congedò Voldemort e guardando gli altri Mangiamorte presenti nella sala aggiunse - potete andare, tutti!

Si sentì uno tramestio, uno spostamento di sedie e degli obbedienti passi che portarono i presenti altrove. Voldemort, noncurante, era già tornato a fissare la nebbia pesante che avvolgeva la campagna scozzese pensieroso. Che cos’era quella fitta? Non ne aveva mai provate prima a sua memoria. Un flebile dubbio gli si insinuò nella mente. Non poteva essere. Nessuno sapeva. Per sicurezza doveva controllare. Bellatrix pendeva dalle sue labbra e non avrebbe esitato un secondo a fare ciò che le sarebbe stato ordinato. Non poteva perdere proprio ora che la vittoria era così vicina.

- Bellatrix... - la donna si era attardata ed era rimasta l’ultima Mangiamorte che stava ancora attraversando la grande sala da pranzo che l’avrebbe condotta al corridoio quando Lord Voldemort la richiamò. Si voltò di scatto, ebbra di gioia al pensiero che il suo signore avesse ancora bisogno di lei - ripensandoci, ho bisogno che tu faccia una cosa per me.
- Ma certo, mio signore, qualunque cosa - acconsentì servile.
- La coppa d’oro e rubini si trova ancora nella camera blindata dei Lestrange, vero? - chiese conferma lentamente Voldemort.

Bellatrix sgranò gli occhi. Fortunatamente era ancora a capo chino e il Signore Oscuro non parve accorgersi della sua reazione.

Voldemort fissò i capelli corvini della donna davanti a se e ordinò con tono duro, in attesa di una risposta affermativa : - Ebbene?

Solo allora Bellatrix alzò lentamente il capo per portare il suo sguardo ad intrecciarsi con quello del suo signore. Quello sguardo le provocò il solito miscuglio di emozioni: timore e venerazione. Lord Voldemort la stava osservando ancora in attesa di una risposta. Se ancora avesse avuto le sopracciglia, sicuramente sarebbero state aggrottate in un’espressione di sorpresa.

- Ricordo bene la coppa di cui parli - iniziò Bellatrix con tono incerto - ma purtroppo non credo sia più in possesso della famiglia Lestrange.

Lo sguardo del Signore Oscuro avrebbe potuto lanciare fiamme d’odio in quel momento e Bellatrix ne rimase totalmente ipnotizzata. Non si rese nemmeno conto che con un colpo di bacchetta Voldemort l’aveva scagliata dall’altra parte della sala fino a che la sua schiena non  sbatté violentemente contro la parete opposta e rimase sospesa ad almeno due metri da terra. In un batter d’occhio il viso del Signore Oscuro fu a pochi centimetri dal suo. La punta della bacchetta di legno di tasso le premeva sulla giugulare impedendole di respirare agevolmente.

- Che cosa hai detto? - ruggì Lord Voldemort mentre si avvicinava sempre più al suo viso.
- Rr...Rodolphus- balbettò Bellatrix impaurita non perché avesse paura che il suo signore le potesse fare del male, ma perché non voleva deluderlo. 

Voldemort si allontanò di scatto, con espressione di disgusto e lasciò cadere il corpo di Bellatrix che atterrò agilmente solo grazie a un incantesimo.

- Rodolphus cosa? In ogni cosa che non va per il verso giusto c’è sempre di mezzo quell’idiota di tuo marito- ruggì Voldemort furente mentre con impeto di rabbia faceva esplodere la credenza contenente l’argenteria di casa Malfoy. Bellatrix non poté fare a meno di immaginare l’espressione di suo cognato Lucius alla vista dei suoi bei piatti d’argento ridotti a pezzi sul pavimento. La frase del suo signore le diede coraggio e avanzò verso di lui.
- Si Rodolphus è un idiota - concordò con lui. Solitamente non avrebbe tentato di difenderlo. Non aveva mai provato il minimo trasporto verso quell’uomo che la sua famiglia le aveva fatto sposare per mantenere in vita la purezza di sangue della nobile casata dei Black - ma dopo i quindici anni che abbiamo passato dentro e fuori da Azkaban, la maggior parte dei beni della famiglia erano stati confiscati ed è stato costretto a vendere quasi tutto quello che ci era rimasto. Lo ha fatto per te, mio Signore! Non avremmo potuto aiutarti nella tua ascesa come stiamo facendo senza i soldi che abbiamo ottenuto... - Bellatrix stava cercando febbrilmente di spiegarsi ma Voldemort la zittí sollevando la mano che stringeva la bacchetta.
- Ringrazia che tuo marito sia ancora ad Azkaban, altrimenti sarebbe già morto - sibilò Lord Voldemort tra i denti mentre le dita si stringevano intorno alla bacchetta.

Bellatrix annuì lasciando intendere che, se così fosse stato, non avrebbe alzato una bacchetta per difenderlo.

- Se avessimo saputo che era così importante per il nostro Signore non l’avremmo venduta - cercò di scusarsi nuovamente Bellatrix. Avrebbe dato qualsiasi cosa affinché il Signore Oscuro si confidasse con lei, ma vedendo la sua espressione truce capí che non sarebbe successo, quindi terminò il discorso con quello che lui voleva sentirsi dire: - Mi farò dire da Rodolphus dove trovarla.

Lord Voldemort le sorrise lasciando scoperti i piccoli denti aguzzi e anneriti e inclinó leggermente il capo calvo da un lato e con voce flebile e infantile, quasi ad imitare quello tanto utilizzato dalla donna dai capelli corvini che aveva davanti, disse: - Certo che lo farai, cara Bellatrix. Tu la troverai e la porterai da me. Non mi hai mai deluso e non lo farai nemmeno stavolta, altrimenti non uccideró il tuo insulso marito di cui non importa a nessuno, ma ucciderò te.

Detto questo Lord Voldemort sparì in una nuvola nera oltre la balaustra della balconata. Non poteva più sopportare di trovarsi tra le stesse mura dei suoi inetti seguaci dopo ciò che era accaduto in quella giornata.

Bellatrix rimase qualche attimo a fissare la nuvola nera dissolversi e poi, a passo barcollante si incamminò verso la sala oltre il corridoio. Spalancò la porta del grande salone da ricevimento dove si trovava il gruppetto di Mangiamorte congedato poco prima e il suo sguardo famelico e carico di rabbia si posò su un piccolo omino paffuto dagli occhi acquosi. L’uomo aveva lo sguardo fisso sulle proprie mani appoggiate in grembo, che si sarebbe sicuramente torturato dal nervosismo se solo una delle due non fosse stata un pesante arto in ferro argentato. Non appena l’uomo capì che Bellatrix guardava nella sua direzione rabbrividí e cerco con gli occhietti da topo una via di uscita muovendo freneticamente lo sguardo verso le porte della sala. Ma era troppo tardi. Bellatrix Lestrange avanzava verso di lui con la bacchetta tesa e le labbra dischiuse. Era come se il tempo in quella stanza si fosse fermato. Nessuno osava muoversi o parlare per evitare un impeto di rabbia della squilibrata strega dai folti capelli neri. Quando Bellatrix fu di fronte a lui si fermò. Inclinò la testa verso destra e sussurrò con tono infantile : - Crucio!

L’uomo cadde a terra contorcendosi in spasmi di dolore. Bellatrix rimase a fissarlo per dei minuti che all’uomo parvero un’eternità, solo per il gusto di vedere il dolore scavare i suoi lineamenti. Quando finalmente abbassò la bacchetta per fermare l’agonia, si rivolse all’omino chinandosi per avere il viso di fronte al suo.

- In piedi, Codaliscia, si va ad Azkaban.

 

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Capitolo 2
*** Victoria Street ***


 

Edimburgo

 

- Prendo i caffè e arrivo!! - esclamò Diana dalla soglia del negozio mentre tentava di infilarsi un giubbotto di pelle nera e con l’altra mano tentava di afferrare la maniglia in ottone leggermente scrostata.

Un attimo dopo si era lasciata alle spalle il tintinnio della campanella che zia Karen aveva fatto installare sulla porta del negozio per annunciare visitatori dopo che nei quartieri vicini si erano verificati una serie di furti. Si incamminò lungo Victoria street spingendo le mani nelle tasche del giubbotto e sollevando le spalle per cercare di scaldarsi. Era estate, ma le temperature scozzesi non erano mai clementi neanche nel mese di luglio. Le dita della mano destra andarono automaticamente a chiudersi intorno alla superficie istoriata di un vecchio orologio da taschino che portava sempre con sé. Un vecchio portafortuna da cui faticava a separarsi.

La tavolozza di colori vivaci che era Victoria Street era ancora pressoché deserta. Le serrande dei negozi iniziavano ad essere alzate per metà, e dall’interno, iniziavano a sentirsi i rumori che preannunciavano l’inizio di una nuova giornata di lavoro. Era uno dei luoghi che Diana preferiva in assoluto a Edimburgo. Soprattutto in giornate come quella, in cui il cielo terso e azzurro si contrapponeva ai colori sgargianti dei negozi.

Percorse la via in discesa e dopo la curva, entrò nella caffetteria che faceva angolo con la piazza di Grassmarket.

- Buongiorno Lyall - salutò allegramente il ragazzo moro che stava dietro il bancone. Lui alzò la testa e il suo viso si aprì in un sorriso.
- Un caffè doppio e un cappuccino con latte di soia da portare via? - chiese conferma lui
- Come farei senza di te! - esclamò lei sorridendo a sua volta e sedendosi al bancone, appoggiando il mento sui palmi delle mani osservandolo mentre preparava la bevanda degli dei.
- È un po’ che non ti vedo con la tua amica logorroica - constatò Lyall mentre montava il latte.
- Aileen é in vacanza con i suoi genitori, ma tornerà la prossima settimana - spiegò Diana sorridendo.
- Ogni tanto tu e tua zia potreste anche berlo qui il caffè! - protestò Lyall dato che Diana stava già afferrando le tazze fumanti dalle mani del ragazzo.

Diana lasciò i soldi che gli doveva sul bancone, schizzò in piedi e appoggiandosi di schiena alla porta per aprirla senza utilizzare le mani occupate dalle tazze da asporto gli sorrise dicendo: - La prossima volta, promesso! - ben conscia che era una frase che aveva utilizzato già più di una volta. Non le piaceva molto fermarsi nella caffetteria affollata e spesso piena di turisti, ma preferiva di gran lunga sorseggiare il buon caffè nella tranquillità delle mura domestiche.

- Quando torna Aileen dobbiamo uscire tutti e tre insieme! - le urlò dietro Lyall sciacquando una tazza e buttandosi un canovaccio di traverso su una spalla ossuta, mentre lei chiudeva la porta dietro di sè facendo finta di non sentirlo.

Diana ripercorse velocemente la strada al contrario fino ad incontrare l’antica insegna verde azzurra, dove a caratteri neri e un po’ scrostati si trovava la scritta “Harvey’s- Oggetti d’epoca”.

Quando varcò la soglia del negozio, una donna da corti capelli biondi a caschetto aspettava con ansia il suo cappuccino, con i gomiti appoggiati al bancone e lo sguardo chino sul Times.

- Zia, sai che potremo anche farci il caffè a casa - sbuffò appoggiando le tazze sul bancone di legno scuro e indicando il loro appartamento che si trovava al piano di sopra del negozio - sicuramente risparmieremmo!
- Non sarà mai buono come questo - sentenziò Karen Harvey come se fosse la cosa più ovvia del mondo sorseggiando già il suo cappuccino e fissando i suoi occhi scuri nascosti da occhiali rettangolari in quelli di Diana - e poi non posso far iniziare male la giornata a Lyall privandolo della tua presenza! - aggiunse sogghignando.

Diana roteò gli occhi al cielo e sbuffò tra i denti: - Sei pessima! - Prese il suo caffè e mentre soffiava sulla superficie scura della bevanda creando nelle increspature nel liquido, sbirció il quotidiano oltre la spalla della zia.

- Qualche bella notizia? - domandò allungando lo sguardo sui titoli.
- Insomma... - constatò la zia pensierosa voltando la pagina per tornare alla prima per poi picchiettare con il dito indice sul titolo - ci sono stati altri furti e violenze nella nostra zona.
- Ancora negozi di antiquariato e oggetti preziosi - mormorò tra sé Diana leggendo l’articolo e poi per sdrammatizzare, visto lo sguardo preoccupato di zia Karen, aggiunse - Hai fatto proprio bene a mettere la campanella sulla porta. Quella sì che ci salverá!
- Ho fatto proprio bene a iscriverci a un corso di autodifesa l’inverno scorso! Quello sì che ci salverà - le rispose a tono la zia lanciandole il tappo di carta del caffè da asporto.

Diana corse verso il retro del negozio ridendo.

-Si si scappa pure, signorinella!- esclamò Karen in modo teatrale - visto che hai tanta voglia di correre, vai ad alzare la serranda. E’ ora di aprire!
 

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Capitolo 3
*** Attesa ***


 

- Dung, mi ripeti cosa facciamo qui? - domandò un ragazzo alto con un ciuffo di ribelli capelli rossi a braccia conserte al centro dell’appartamento dai mobili in stile vittoriano.

L’uomo che rispondeva al nome di Mundungus, per gli amici Dung, era un ometto basso e calvo che navigava in abiti sicuramente non della taglia corretta. Emanava un forte odore di tabacco e Whisky Incendiario e, in quel momento, era sul pavimento a quattro zampe con tutta la testa nascosta dall’anta della credenza in ciliegio. Per tutta risposta alla domanda del rosso emise una risata più simile ad un rantolo ed estrasse dal mobile una bottiglia impolverata.

- Merlino, Dung - sbuffò spazientito il rosso passandosi una mano tra i capelli - non sono neanche le 9.00 del mattino e già ti scoli Whisky?

Mundungus sollevò le spalle a mo’ di scusa e con voce roca come quella di chi non parla da molto tempo disse: - E’ whisky babbano, ma è meglio di niente.

- Mi vuoi dire che stiamo facendo qui? - chiese insistentemente il rosso innervosito mentre misurava a lunghi passi la moquette verdognola e sporca del salotto - altrimenti la prossima volta in missione ci vai da solo, visto che già nessuno vuole stare con te. In più sto perdendo tempo prezioso che avrei potuto impiegare in negozio e...
- Ma quanto parli, Weasley? - lo interruppe Mundungus mentre appoggiato alla parete con il gomito sollevato guardava fuori dalla finestra. Con la mano sinistra reggeva la bottiglia e di tanto intanto la portava alle labbra sorseggiando la bevanda ambrata.

Si voltò verso il ragazzo con i capelli rossi, che nel frattempo era ritornato al centro della sala, massaggiandosi una tempia. Ancora non riusciva a distinguere lui e il fratello e non ricordava neppure quale dei due fosse lì con lui quel giorno. Annotò mentalmente di evitare di sbronzarsi la sera prima di una missione. Per riacquistare lucidità decise di dare un ultimo lungo sorso di whisky. No, continuava a non ricordarsi proprio il nome del ragazzo. Per andare sul sicuro, il cognome sarebbe sempre andato bene.

- Senti, Weasley, mettiti comodo perché in questo appartamento ci passeremo un bel po’ di tempo io e te - e poi rigirandosi verso la finestra fece un cenno veloce con la mano al ragazzo affinché si avvicinasse.

Fred Weasley, con una falcata delle sue lunghe gambe, raggiunse la finestra a bovindo e spostò leggermente la tenda bianca. Non sapeva nulla sul perchè si trovassero lì. L’unico dettaglio che Malocchio aveva condiviso era che avrebbero dovuto tenere d’occhio qualcuno, ma essendo la prima volta che l’Ordine lo mandava in missione, nonostante le proteste di Molly Weasley, non aveva esitato ad accettare.

L’unica cosa che riuscì a vedere dall’altra parte della strada fu una minuta ragazza bionda con un giubbotto di pelle nera che entrava con due caffè in un vecchio negozio di antiquariato dalla vetrina verde acqua.

- Quella è Karen Harvey? - chiese Fred a Mundungus accennando con la testa al negozio dentro al quale la bionda era appena entrata.
- Ma no che non è Karen, scemo di un pel di carota! - esclamò Mundungus - quella è la nipote, mi pare si chiami Debby.

Fred lo guardò truce per l’insulto gratuito che si era appena guadagnato e non disse nulla a riguardo solo perché sotto sotto quell’ubriacone di Mundungus Fletcher gli piaceva.

- Ok... - proseguì Fred senza capire - quindi, perché siamo appostati in questo appartamento di fronte al negozio di questa babbana? - era abbastanza esilarante che Malocchio Moody avesse dato solo a Mundungus i dettagli della missione. Forse riteneva Fred ancora un ragazzino che nemmeno aveva completato la sua istruzione a Hogwarts. Odiava che la gente, e soprattutto un Auror come Malocchio Moody, potesse vederlo in quel modo, ma dall’altra parte non poté fare a meno di sorridere ripensando a qualche mese prima, quando lui e George avevano dato spettacolo con i Fuochi Forsennati Weasley e avevano abbandonato la scuola durante la presidenza filo-dittatoriale di Dolores Umbridge.
- A quanto pare, sono stati svaligiati un bel po’ di negozi di oggetti preziosi qua a Edimburgo e Malocchio ha pensato che sarebbe stato opportuno sorvegliare quelli non ancora derubati, quindi io e te stiamo qua, mentre Tonks e Lupin sorvegliano quello su Prince Street - spiegò alla spicciolata il mago calvo mentre roteando la bacchetta, eseguiva degli incantesimi di protezione sull’appartamento nel quale si erano introdotti. L’anziana donna che vi abitava era deceduta e Mundungus aveva sentito dire, origliando la conversazione al pub di sotto, che i figli non sarebbero venuti a sistemare l’appartamento per rimetterlo in vendita prima di qualche settimana.
- Ah e Malocchio ci ha preso per dei poziolotti babbani? - si indignò subito Fred.
- Ehi, pel di carota, poliziotti babbani a chi? - lo corresse Mundungus un po’ piccato - sembra che a derubare i negozi sia stata quella figlia di Salazar della Lestrange!

Fred si ammutolì all’istante nell’udire il nome della ben nota Mangiamorte e non trovò più obiezioni da fare.

Così si misero ad aspettare.

____________
Ciao!
Ho deciso di pubblicare insieme i primi due capitoli in modo da poter introdurre un po' i personaggi e permettere a chi ha voglia di leggere di farsi un po' un'idea. 
E' la prima volta che pubblico qualcosa e dopo mille ripensamenti e riletture mi sono finalmente decisa, quindi ci terrei veramente molto ad avere qualche commento (negativo, positivo...quello che vi pare!)
Intanto grazie a chi ha già letto e a chi ha commentato :)

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Capitolo 4
*** Notte stellata ***


Ciao! Da questo punto in avanti capiterà ogni tanto che spunti fuori qualche citazione a inizio capitolo: sono semplicemente frasi o canzoni che mi hanno particolarmente ispirata durante la scrittura e mi piaceva l’idea di condividerle con chi legge! Grazie ancora a chi ha letto, commentato e inserito la storia tra le preferite/seguite Se vi va lasciatemi un commento: il vostro parere mi fa sempre molto piacere Buona lettura :)

 

I know nothing without certainty

But the sight of stars makes me dream

(Vincent Van Gogh)

 

Qualche settimana dopo

 

Era una sera dall’aria tiepida per gli standard scozzesi e Diana si trovava nella sua camera da letto cercando di terminare la lettura di uno sgualcito volume sulle tecniche del restauro, ma non riusciva piú a concentrarsi. Era la quarta volta che rileggeva la stessa pagina, senza capirne il senso. Dopo tutto il pomeriggio china alla scrivania a studiare sentiva la necessità di sgranchire le gambe e distogliere lo sguardo dalle lettere stampate. Decise che la reazione dei manufatti lignei all’umidità avrebbe potuto aspettare il giorno dopo. Chiuse il libro e reclinò la testa all’indietro per sciogliere i muscoli del collo per poi tornare a soffermarsi sul poster dei Take That appeso sopra alla scrivania.

- Non mi guardare così - sibilò minacciosa al Robbie Williams su carta stampata che sorrideva sornione - sono ancora arrabbiata con te! - non riusciva proprio a perdonargli l’aver abbandonato il gruppo.

- Diana, stai di nuovo parlando con i poster? - la voce ironica di zia Karen la raggiunse dal soggiorno.

Diana sbuffò una risata e per farsi sentire esclamò: - Così mi fai sembrare matta, zia...  

- Solo sembrare? - la apostrofò di nuovo la zia con una risata.

Diana scosse la testa continuando a sorridere e si alzò in piedi stirandosi la schiena alzando le braccia verso l’alto. Si avvicinò alla porta finestra.

Lungo Victoria Street gli ultimi turisti usciti dai pub passeggiavano scattando fotografie prima di raggiungere i loro alloggi. Rimase per qualche minuto incantata a osservare una coppia che si era attardata a scambiarsi un romantico bacio. Diana distolse lo sguardo per posarlo sul piccolo telescopio appoggiato al piedistallo accanto alla pesante tenda di velluto color carta da zucchero.

Era molto che non lo utilizzava. Sorrise e infilandosi una felpa con la zip a coprire la t-shirt nera e i pantaloncini di jeans, agguantò il telescopio e uscí sul balcone.

Non ricordava il momento preciso in cui si era appassionata all’osservazione delle stelle. Era una cosa che aveva amato fin da bambina. Sua mamma le raccontava spesso storie di astri e pianeti che l’avevano sempre incuriosita e affascinata. Ricordava come uno dei momenti più felici il pomeriggio trascorso al planetario con i i genitori per il suo ottavo compleanno. Si era sentita cosi piccola e insignificante davanti all’immensitá del cielo, ma allo stesso tempo attratta e ammaliata dall’alone di mistero che avvolgeva quelle realtà così lontane. Diresse verso il cielo la vista del piccolo e rudimentale telescopio che si era potuta permettere. E di nuovo riapparve la stessa sensazione che per la prima volta aveva provato undici anni prima. Mentre si chinava per regolare il piedistallo all’altezza giusta, le sfuggì un piccolo sorriso. Per quanto piccola, insignificante e piena di problemi potesse sentirsi, c’era una cosa che il cielo stellato le avrebbe potuto sempre dare. Certezze. Qualunque cosa fosse accaduta era certa che il giorno dopo e il giorno dopo ancora la Luna, Venere e gli altri pianeti sarebbero stati lì ad aspettarla. Puntuali. Sempre presenti e immutabili nel tempo. Era sempre stata una persona insicura, costantemente alla ricerca dell’approvazione di qualcuno e l’unico momento in cui non si sentiva in dovere di dimostrare qualcosa era quando osservava il cielo.

Avrebbe potuto passare delle ore lì a scrutare la profondità del cielo estivo, ma fu interrotta da qualcosa. Un solletico al polpaccio nudo la costrinse ad abbassare lo sguardo sulla sua gamba.

Con orrore cacciò un urlo e iniziò a saltellare dando una sberla al ragno che le stava risalendo pigramente la gamba, ma nell’agitazione del momento, urtò il telescopio che prese a girare su stesso pericolosamente vicino alla ringhiera del balcone. Con un improbabile contorsione, Diana riuscì ad afferrarlo con la mano sinistra, mentre con la destra continuava a sfregarsi compulsivamente il polpaccio per scacciare la sensazione di quell’orrenda bestiaccia sulla pelle.

Stava sudando freddo. Sia per la paura dei ragni che per quella di rompere il suo amato telescopio.

Dopo aver rassicurato zia Karen, che si era precipitata a vedere che cosa fosse successo, si rimise all’osservazione. Ovviamente con tutto quel trambusto, la vista del telescopio era accidentalmente finita altrove e più precisamente era puntata sulle case di fronte.

Diana si chinò per risistemare la messa a fuoco quando un dettaglio la colpì. Il suo sguardo fu attratto dalla finestra della casa della signora Appleby, dall’altra parte della strada, che non solo aveva la luce accesa, ma una mano aveva scostato la tenda color crema e qualcuno la stava osservando.

Diana sollevò la testa dal telescopio e si sporse dalla ringhiera per vedere meglio. Sì, c’era decisamente qualcuno che la fissava dalla casa di fronte. Il tempo di sbattere le palpebre e quel qualcuno era sparito e la luce era spenta.

Diana aggrottò le sopracciglia, perplessa. La stanchezza dell’intera giornata di studio iniziava a farsi sentire.

Rientrò con in mano il telescopio e il suo piedistallo e trovò zia Karen accoccolata sul suo letto a leggere una rivista con in braccio Antares, il loro gatto grigio.

- Zia, che spavento! - trasalì Diana portandosi una mano sul petto - ma che succede stasera? Volete farmi morire di paura?

Per tutta risposta la zia scoppiò a ridere: - Finito il tuo appuntamento notturno con gli aracnidi?

- Simpatica - soffiò Diana tra i denti risistemando il telescopio e lanciando nuovamente un’occhiata alla finestra di fronte. La luce era ancora spenta. Pensierosa, si rivolse alla zia, mordendosi il labbro inferiore.

-  Ma...la signora Appleby è morta, giusto? - chiese incerta.

Zia Karen aggrottò le sopracciglia senza capire il nesso al discorso, ma le rispose - Si certo, qualche mese fa, perché?

Diana scrollò le spalle fingendosi noncurante e rispose - Prima mi è sembrato che la luce fosse accesa e che dentro ci fosse qualcuno...

Zia Karen non sembrò preoccuparsi e la tranquillizzó dicendo - Scott, mi ha detto che sarebbero venuti dei nipoti a sistemare la casa per rivenderla. Probabilmente sono arrivati.

La spiegazione di zia Karen era assolutamente plausibile e Diana non poteva di certo mettere in dubbio la parola di Scott, proprietario del pub che si trovava sotto la casa della signora Appleby e pettegolo di prima categoria, quindi si buttò sul letto senza ripensare all’accaduto, facendo scappare Antares, che lasciando controvoglia la stanza, si limitò a miagolare in segno di protesta.

 

Dall’altra parte della strada

 

Erano settimane che non succedeva assolutamente nulla. Se Fred Weasley avesse saputo che andare in missione per l’Ordine della Fenice sarebbe stata una tale noia, ci avrebbe pensato due volte prima di accettare. Si aspettava duelli con Mangiamorte e inseguimenti carichi di azione, invece si ritrovava il piú delle volte a rimpiangere le lezioni di Storia della Magia.

L’unica nota positiva era che aveva moltissimo tempo per collaudare nuovi prodotti da mettere sul mercato da TiriVispi Weasley e di provarli su Mundungus.

L’ometto pelato che, in quel momento, stava giocherellando con la bacchetta facendola roteare sul tavolo del soggiorno non era propriamente sempre di compagnia.

Qualche giorno prima Fred, per ravvivare una giornata particolarmente monotona, gli aveva gentilmente offerto una Crostatina Canarina, che Mundungus aveva accettato solo perchè l’aveva scambiata per un innocuo dolcetto al limone, ma che lo aveva prontamente trasformato in un grosso, gonfio e cinguettante canarino giallo per circa un’ora. Quando Mundungus era tornato normale aveva minacciato Fred di trasfigurarlo in una pianta grassa inveendo contro di lui, mentre si agitava per la stanza spargendo un po’ di piume residue per tutto il soggiorno. Fred era riuscito ad ammansirlo solo con la proposta di una bottiglia di Whisky Incendiario di prima qualità.

Dopo l’episodio della Crostatina, Mundungus cercava di stargli alla larga il più possibile, per evitare di diventare nuovamente cavia dei suoi scherzi. Essendo la situazione abbastanza tranquilla, spesso Mundungus si assentava per andare a ricavare proventi dai suoi traffici illeciti di calderoni e quando tornava, Fred si smaterializzava alla Tana o Diagon Alley. Aveva saputo che anche suo fratello George spesso si assentava per qualche missione. Pochi giorni prima, infatti, il gemello aveva accompagnato Malocchio Moody ad Azkaban per cercare di estorcere informazioni ai Mangiamorte ancora prigionieri.

Qualche settimana prima, invece, si erano trovati quasi tutti alla Tana per il compleanno di Harry; ovviamente lui, Ron e Hermione avevano intuito che qualcosa bolliva nel calderone, ma i membri dell’Ordine avevano ritenuto opportuno tacere alcune informazioni, soprattutto a Harry, ancora cosi instabile dopo la morte di Sirius Black.

Fred era seduto sulla finestra a bovindo e cercava di convincere il Detonatore Abbindolante che aveva tra le dita a muoversi nella direzione giusta. Il piccolo clacson nero con delle buffe e corte gambette, però continuava a voler fare di testa propria. Sbuffò posando il piccolo oggetto e scostò la tenda per controllare la situazione dall’altro lato della strada.

La nipote di Karen Harvey era sul balcone con un telescopio.

Buffo. Non sapeva che i babbani osservassero le stelle.

Tenevano ormai d’occhio il negozio Harvey da circa tre settimane e Fred aveva iniziato a provare un immotivato slancio di affetto verso Karen e la nipote. Forse era normale quando si osservava qualcuno giorno e notte affezionarvisi anche un po’. Era un po’ come guardare dei telefilm babbani e affezionarsi ai protagonisti senza veramente conoscerli. Nelle settimane precedenti, molte volte, per sfuggire alla puzza di tabacco e alcool di cui l’appartamento si era presto impregnato a causa della presenza di Mundungus, si era spesso fermato un po’ più del dovuto alla caffetteria in fondo a Victoria Street, quella che la nipote di Karen frequentava spesso. Solitamente, la ragazza entrava, prendeva il caffè cercando di declinare gli inviti del barista a fermarsi a conversare e poi se ne andava. Un paio di giorni prima, però, Fred era a capo chino a rimestare il suo cappuccino con umore più insofferente del solito, quando la piccola Harvey era entrata di filato dal barista, che era stato più sfacciato del solito proponendole un appuntamento. Fred aveva sollevato lo sguardo dalla sua tazza curioso di vedere la reazione della biondina, che si stava già allontanando dal bancone sbuffando e stringendo in mano due tazze. Era passata come una furia accanto al tavolo dove si trovava Fred, che era rimasto ad osservarla divertito. Gli era sembrata subito una di quelle persone divertenti da infastidire.

Aveva i capelli color miele un po’ spettinati e la frangia un po’ cresciuta era ravviata di lato, gli occhi erano di un verde brillante e a Fred parevano eccessivamente grandi per il piccolo viso della ragazza, ricordandogli immediatamente un Folletto della Cornovaglia. Fred aveva poi visto cadere dalla tasca della ragazza un vecchio orologio e, senza stare troppo a pensarci su, si era tuffato a raccoglierlo e l’aveva seguita fuori dal locale per restituirglielo. L’aveva fermata con una battuta sulle avances del barista e le aveva restituito l’orologio. La piccola Harvey era sembrata molto sollevata e al tempo stesso infastidita del fatto che Fred avesse origliato la sua conversazione e quindi, con un secco ringraziamento, si era ripresa il vecchio orologio e lo aveva piantato in asso in mezzo alla strada.

Improvvisamente Fred ritornò alla realtà perché la ragazza si era messa a saltellare e a urlare sul balcone senza un apparente motivo. Fred si irrigidì, allarmato, e scostò ancor di piú la tenda per vedere se ci fosse qualche pericolo all’orizzonte, non vedendo, peró, nulla di sospetto.

La situazione sul balcone di fronte si era tranquillizzata, ma Fred si rese conto raggelando, che lo sguardo della ragazza si era posato su di lui.

In quel momento qualcuno alle sue spalle gracchiò- Nox

La luce si spense e Fred si voltò lasciando andare la tenda. Il soggiorno era avvolto dalla penombra, ma attraverso la luce che filtrava dai lampioni a bordo strada riuscì comunque a distinguere la sagoma di Mundungus che si era alzato in piedi e brandiva ancora la bacchetta di salice nella mano destra.

- Almeno spegni la luce quando guardi fuori o ci vedranno - lo rimproverò pigramente Mundungus rimettendosi a sedere.
- Oh, giusto - rispose ironicamente Fred incrociando le braccia sul petto - e tu sei esperto di spionaggio?
- Più di te, sicuro - ribattè Mundungus stancamente.

In quel momento un sonoro e famigliare “Crack” lí avvisò che una figura si era materializzata nella stanza. Sia Fred che Mundungus si alzarono di scatto con la bacchetta puntata sulla figura pallida in piedi davanti a loro.

Il visitatore alzò le mani in segno di resa e, per evitare che pensassero fosse sotto qualche maledizione, si presentò dicendo - Sono Remus Lupin e quando c’è la luna piena mi trasformo in un lupo mannaro.

 - Merlino, Remus! - esclamò Mundungus spaventato passandosi una mano sulla fronte - non ti aspettavamo stasera!

- Ciao Remus! - lo salutò Fred contento di vedere una faccia che non fosse quella di Mundungus, anche se il suo ex professore di Difesa Contro le Arti Scure non aveva affatto una bella cera. Era pallido e profonde occhiaie scure gli solcavano il viso. Si passò una mano tra i capelli biondo cenere e si sedette sul divano in pelle marrone.
- Scusate per l’improvvisata, ma domani c’è la luna piena e mi sarebbe risultato un po’ difficile venire qui - si scusò Remus Lupin con un debole sorriso.
-Sei venuto a salvarmi da pel di carota? - chiese speranzoso Mundungus indicando Fred con il pollice.

Fred gli lanciò un’occhiata torva, ma prese la pluffa al balzo - Si Remus, non posso fare coppia con George? 

- Fred - iniziò Remus con tono tranquillo come se si trovassero ancora in classe e gli stesse spiegando come Schiantare un avversario - non mi sembra il caso che due ragazzi identici se ne vadano in giro nello stesso quartiere. Dareste troppo nell’occhio insieme e di certo vi fareste venire in mente qualche strana trovata delle vostre...

Fred sogghignò all’idea che non si sarebbe di certo annoiato in compagnia di suo fratello e riprese allargando le braccia e alzando il tono di voce - Ok, ma sono settimane che non succede nulla. Probabilmente i Mangiamorte non si faranno piú vedere. Non c’è nient’altro da fare?

Remus si sfregò febbrilmente la mano sul mento e sospirò dicendo - Il negozio che sorvegliavamo io e Ninfadora è stato attaccato poche ore fa da Yaxley e Travers.

Fred trasalì e immediatamente esclamò - Perché non avete inviato un Patronus per avvisarci? Avremmo potuto darvi una mano! Tonks sta bene?

- Non ne abbiamo avuto il tempo - spiegò Remus fiero del suo ex studente - siamo dovuti intervenire subito ed è stato comunque troppo tardi - abbassando lo sguardo aggiunse in tono triste - Noi stiamo bene, ma il babbano che si trovava nel negozio è morto.

Mundungus e Fred si scambiarono uno sguardo silenzioso.

 - Non sappiamo se hanno trovato quello che cercavano. Quando li abbiamo attaccati si sono dileguati e potrebbero non avere avuto il tempo. Io e Tonks rimarremo comunque a sorvegliare il negozio perché quando la situazione si sarà tranquillizzata potrebbero tornare a cercare qualcosa - con tono grave aggiunse - ma state pronti. Mancate solo voi.

Fred rimase qualche secondo in silenzio a fissarsi le mani che stringevano ancora la bacchetta. Il suo primo stupido pensiero fu che avrebbe voluto essere avvisato, che avrebbe voluto partecipare all’azione, ma lo scacciò subito. Una persona era morta. Babbano o mago era sempre una persona ed era accaduto a pochi isolati da lì. La situazione era seria. 

Dopo un’occhiata a Remus, attraversò il soggiorno velocemente e si diresse verso la porta d’ ingresso.

- Dove stai andando, Fred? - lo bloccò Remus frapponendosi velocemente tra lui e la porta.
- Ad avvisarle! - esclamò Fred d’istinto indicando la finestra e alludendo a Karen e alla nipote.
- No - rispose secco Remus - non possiamo.
- E allora aspettiamo che ci muoiano davanti agli occhi senza fare niente? - protestò Fred indignato. Non voleva avere sulla coscienza la morte di Karen e della nipote.
- Beh non potete nemmeno entrare in negozio e raccontare tutto! Sono delle babbane, per Godric! - esclamò Remus infervorandosi - e poi non spetta a noi sindacare gli ordini di Silente!

Fred tacque a sentire il nome di Albus Silente. Si fidava di lui, come tutti, ma era convinto che tutti potessero commettere errori. Merlino, quanto gli mancavano i bei tempi di Hogwarts in quel momento, quando l’unica preoccupazione era quale scherzo preparare per il giorno dopo o sopravvivere a una punizione di Gazza.

Mundungus era rimasto in silenzio fino a quel momento - Ragazzo, dobbiamo fare come dice Silente! - biascicò Mundungus afflosciando le spalle in atteggiamento remissivo.

Fred era contrariato. Strinse i pugni e serrò le labbra annuendo e tornò verso la finestra dando le spalle ai due uomini.

Il rumore che arrivò da dietro di lui gli rivelò che Remus si era smaterializzato.

Sul balcone di casa Harvey non c’era più nessuno e la finestra era chiusa. 

Rimase per lungo tempo a fissare il balcone deserto dell’appartamento di fronte riflettendo sul da farsi e sui sentimenti contrastanti che provava. Attenersi alle regole o fare di testa propria? Non ci fu bisogno di rimuginare ulteriormente. Mundungus e Remus potevano fare come meglio credevano, ma Fred Weasley non si era mai attenuto alle regole, quindi, perchè cominciare da quel momento?

 

 

 

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Capitolo 5
*** Ora ci credi? ***


La mattina successiva, quando Fred si svegliò, Mundungus era praticamente accasciato sul tavolo e russava sonoramente ancora avvinghiato alla bottiglia di Whisky Incendiario che aveva rimediato chissà dove. Fred roteò gli occhi al cielo e schioccò la lingua in segno di disapprovazione, perchè chissà da quante ore il negozio era rimasto privo di sorveglianza.

Dall’altra parte della strada, fortunatamente, sembrava essere tutto tranquillo. Erano quasi le dieci e il negozio di antiquariato Harvey, come ogni mattina, era già aperto.

Dopo essersi fatto una doccia e lanciando una rapida occhiata al mago ubriacone che non si era mosso di un millimetro, uscì a passo felpato dall’appartamento.

Si ritrovò in strada. La giornata era livida e un forte odore di umidità gli penetrò nelle narici. Iniziavano a scendere le prime pesanti gocce di pioggia, che in pochi istanti si trasformarono in scroscio abbondante. Fred attraversò la strada a passo svelto cercando di proteggersi dalla pioggia mettendosi una mano sopra alla testa ed entrò nel negozio di antiquariato senza esitazioni.

Il suo ingresso fu accompagnato dal vivace trillo di una campanella appesa sopra alla porta. Il locale era abbastanza grande e poco luminoso a causa della grande quantità di oggetti che ricoprivano ogni centimetro quadrato disponibile. Fred, per un attimo, ebbe la fugace impressione di trovarsi nella Stanza delle Necessità. Al piano terra era affastellata su mensole, scaffali e tavoli una moltitudine di oggetti tra i più svariati: candelabri e antichi calici, piatti e stoviglie, quadri e piccoli mobili intarsiati in legno, scrittoi decorati e strane sculture con piedistalli dalle forme animalesche. L’ambiente era coronato da un piccolo soppalco in legno che si affacciava sul piano inferiore e sul quale erano stipati ordinatamente libri dai dorsi antichi e ricoperti di polvere, oltre a un’altra enorme quantità di specchi, vasi, lampade a olio e vecchi orologi di tutte le forme e le dimensioni. Tutta la stanza emanava un forte odore di polvere. Alla sua sinistra si srotolava, invece, una scala in legno che probabilmente conduceva all’abitazione sopra al negozio.

Una voce dal retro esclamò - Arriviamo subito! - e poi aggiunse - Diana, vai tu per favore?

Da una porta sulla destra si sentì provenire uno sbuffo, un borbottio e un rumore di strumenti che venivano frettolosamente appoggiati da qualche parte. In quel momento Fred si rese conto di non sapere bene perchè si trovasse lì. Se pochi minuti prima recarsi al negozio e mettere in guardia Karen Harvey e la nipote gli era sembrata la cosa giusta da fare, in quel momento non ne era più tanto sicuro. Tutte le certezze che aveva avuto fino a quel momento si erano dissolte. Stava praticamente per infrangere lo Statuto di Segretezza. Ma ormai era troppo tardi per i ripensamenti. Avrebbe dovuto improvvisare dato che la ragazza bionda, che a quanto pare si chiamava Diana e non Debby come sosteneva Mundungus, era apparsa davanti a lui a capo chino mentre tentava di slacciarsi un grembiule bordeaux abbastanza sporco.

- Buongiorno, posso aiutarl...- si bloccò alzando la testa e spostandosi la frangia dagli occhi portando con sé una sgradevole folata di odore di solventi chimici.

- Ah...ancora tu? - constatò in tono acido riconoscendo Fred dopo l’incontro alla caffetteria.

Fred sfoderò il suo miglior sorriso a trentadue denti che solitamente recuperava dal repertorio solo per mamma Molly quando doveva farsi perdonare qualcosa e alzò la mano destra in cenno di saluto.

Diana alzò le sopracciglia in attesa che lui dicesse qualcosa, ma Fred si limitò a guardarsi intorno assumendo un’aria disinvolta. Mosse qualche passo nella stanza fingendosi interessato a un vecchio candelabro appoggiato su uno scaffale alla sua sinistra.

- Sei venuto a continuare a spiarmi?- sbottò Diana facendo trasalire Fred che aveva allungato una mano per afferrare il candelabro e rischiò di farlo cadere. Spiarla? Quindi lo aveva riconosciuto alla finestra, la sera prima? Oppure alludeva al fatto che avesse ascoltato la sua conversazione con il barista alla caffetteria?
- Oppure - proseguì Diana con tono di sfida avvicinandosi e mettendo a posto il vecchio candelabro in argento - vuoi distruggere il negozio?
- Sei sempre così amichevole con chi è gentile con te?- domandò Fred sorridendo così tanto da risultare inappropriato e passandosi una mano tra i capelli - non mi sembra tu sia stata così svelta a rispondere male al tuo amico barista.

Diana deglutì e sentì le guance arrossarsi davanti alla sfacciataggine di quel ragazzo. Non sapeva se ad irritarla di più fosse la sfacciataggine, i capelli rosso fuoco che non smetteva di toccarsi o quell’espressione di chi sembrava divertirsi un mondo a prendere in giro le persone.

Prima che Diana riuscisse ad imbastire una risposta coerente, Karen Harvey, preoccupata che potesse essere entrato un malintenzionato, arrivò dal retro bottega.

- Buongiorno - salutò educatamente ma con sguardo penetrante, come se volesse capire che cosa stesse accadendo.

Prima che Fred potesse ricambiare il saluto, si sentì un altro scampanellio che annunciava un altro visitatore, il quale rivolse alla proprietaria un timido saluto: - Ciao Karen!

- Che mi venisse un colpo, Mundungus Fletcher! Vecchia canaglia che non sei altro!  - esclamò Karen con tono di rimprovero anche se la sua espressione tradiva un sorriso.

Fred e Diana, contemporaneamente si voltarono l’una verso sua zia e l’altro verso il suo compagno di missione, senza capirci nulla.

Karen e Mundungus si stavano scambiando dei convenevoli, quando la donna si sporse verso Fred e chiese - Ehm...e tu sei?

Mundungus balbettò qualcosa di incomprensibile, mentre Fred rimase per un attimo impietrito a valutare il dà farsi.

Si avviò verso Karen e allungando la mano per presentarsi esclamò - Io sono Fred...

Karen gli sorrise amichevole e gli presentò la nipote che era rimasta a fissare la zia con un cipiglio interrogativo e le braccia conserte.

- Molto piacere, Diana! - esclamò Fred sorridendole in modo falso. Per tutta risposta la ragazza sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

Karen Harvey non riusciva a spiegarsi lo strano comportamento della nipote.

Il momento di imbarazzo venne interrotto da Mundungus che si schiarí la voce con un colpo di tosse e poi si rivolse a Karen.

- Karen...io, ehm...volevo soltanto metterti in guardia. Insomma, immagino tu abbia saputo che ci sono stati vari furti in negozi qui a Edimburgo...e...beh ecco io, volevo solo controllare che stessi bene e... - Mundungus farfugliava a bassa voce come a non volersi far sentire dai due ragazzi poco distanti.

Karen appoggiò le mani sul bancone di legno e lo interruppe domandando schietta : - Mi stai dicendo che i furti sono collegati al tuo mondo?

Mentre Mundungus annuiva a Karen, Fred e Diana tornarono a guardare la strana coppia con tanto d’occhi. Diana stava cercando di capire chi fosse quello strano uomo e cosa intendesse dire la zia con quella strana domanda. Fred, invece, sogghignava, perché a quanto pare Mundungus Fletcher e Karen Harvey, non solo si conoscevano, ma lei sapeva anche dell’esistenza del mondo magico. La situazione si faceva decisamente interessante.

Karen esaló un sospiro e si massaggiò una tempia lanciando uno sguardo alla nipote.

- Andiamo di sopra - sentenziò lasciando scorrere lo sguardo su tutti i presenti nella stanza - dobbiamo parlare - si avviò decisa verso la porta d’ingresso del negozio e ruotò il cartello di legno esponendo la scritta “TORNO SUBITO” verso l’esterno. Girò la chiave nella toppa due volte e fece segno di salire le scale in legno scuro.

Diana si stava domandando che cosa stesse succedendo. Seguí la zia al piano di sopra sui gradini scricchiolanti, mentre i due nuovi arrivati la seguivano.

- Zia, che succede? - provò a chiederle preoccupata per sondare il terreno - perché hai chiuso il negozio? 

Karen si voltò e sorridendo debolmente disse - Scusami Diana, ora ti spiego!

Una volta arrivati nel piccolo soggiorno, Karen fece segno a Fred e Mundungus di accomodarsi sul divano color senape, mentre lei si diresse in cucina a preparare del tè. Diana, invece, si issò con le mani e si sedette sopra il tavolo lasciando penzolare i piedi nel vuoto.

Fred notò che l’arredamento della stanza sembrava essere composto da un’accozzaglia di strani e consunti mobili provenienti dal negozio e che probabilmente nessun cliente si era dato la pena di acquistare. 

- Mundungus, che succede? - chiese Karen mentre tornava dalla cucina e disponeva delle tazze di ceramica fiorate in stile Wedgwood sul tavolino di vetro al centro del soggiorno.
- Già, Dung, che succede? - chiese Fred, allusivo, mentre si appoggiava i gomiti sulle ginocchia, in attesa di una spiegazione da parte dell’uomo.

Mundungus sembrava non sapere da che parte cominciare. I suoi occhi scuri saettavano su Karen e poi su Diana, senza capire se potesse parlare liberamente. 

- Dei maghi malvagi stanno cercando qualcosa - provò a dire mentre portava lo sguardo sulle proprie mani intrecciate in grembo - e ho pensato che potesse essere qualcosa che si trova nel tuo negozio. La notte scorsa é stato derubato il negozio di antiquariato su Prince Street e...un bab...un uomo ha perso la vita. Siamo qui per tenere d’occhio la situazione. Dobbiamo capire cosa cercano in modo da non farvi correre rischi. Colui-che-non-deve-essere-nominato è tornato e stavolta non si fermerá...

Karen e Diana lo fissarono incredule. Fred, con un sopracciglio sollevato, aspettava di sapere dove volesse andare a parare Mundungus.

- Che stai facendo, Dung? - sibilò Fred irrequieto. Anche lui aveva pensato di svuotare il calderone con le due donne, ma ora che era Mundungus ad aver preso l’iniziativa, cominciava a sentirsi agitato.

Mundungus lo guardò storto e lo rimbrottò dicendo - Pel di carota, siamo in questa situazione per colpa tua - e poi tormentandosi la tasca della giacca in cui teneva la bacchetta constatò - forse la tua non è una cattiva idea, dato che comunque Karen conosce giá il nostro mondo.

Fred assunse un’espressione sorpresa e rivolgendosi a Karen chiese - Lei è una strega?

- No - sentenziò Karen lanciando un’occhiata preoccupata alla nipote - sono una Maganò.

Per qualche attimo l’unico rumore all’interno dell’abitazione fu il fischio del bollitore che proveniva dalla stanza accanto, poi Diana scese dal tavolo con un tonfo e sbottò:

- Qualcuno vuole dirmi cosa sta succedendo? Che diamine di discorsi state facendo? Maghi e streghe? Se è uno scherzo non fa ridere per niente... - fece un sorriso scettico e poi, guardando la zia, proseguì - zia, siete impazziti? Tu sei che cosa? -  E non ottenendo risposta si diresse in cucina a spegnere il fornello facendo ondeggiare i lunghi capelli color miele. Era evidente che l’uomo piccolo e pelato aveva qualche rotella fuori posto. Non capiva che cosa volessero da loro e, soprattutto, sembrava che zia Karen le stesse nascondendo qualcosa.

Quando tornò in soggiorno con in mano la teiera, notò che sua zia e Mundungus stavano bisbigliando qualcosa, ma si interruppero non appena lei mise piede nella stanza. Karen là guardò dolcemente da dietro gli occhiali rettangolari e si batté i palmi delle mani sulle cosce come a darsi coraggio.

- Beh, Diana, pare che sia arrivato il momento che ti racconti tutto - prese coraggio zia Karen iniziando a tormentarsi una corta ciocca di capelli biondi, mentre Diana versava il tè per tutti e quattro.

Prima che la zia potesse iniziare a parlare, l’uomo di nome Mundungus iniziò a raccontare che la magia esisteva e che si studiava in una scuola di nome Hogwarts, di un mago malvagio di cui era proibito menzionare il nome e che anni prima aveva scatenato una guerra, aveva ucciso delle persone e odiava i babbani (Anche se sembrava un insulto, in realtà era la parola per indicare coloro che non avevano poteri magici). Ora quel mago che, per anni si era pensato fosse morto, era tornato e il mondo magico viveva nel terrore.

Quando Mundungus ebbe finito il racconto, Diana aveva gli occhi verdi spalancati e teneva tra le dita la tazza di tè ancora piena. Non riusciva a credere a una parola di quello che aveva detto quel pazzo con un’aria da ubriacone, ma zia Karen la guardava seria e incoraggiante. Il ragazzo dai capelli rossi nascondeva il suo ghigno dietro la tazza di ceramica, ma sembrava spassarsela un mondo. Diana gli avrebbe volentieri rovesciato l’intera teiera sulla testa per fargli sparire dal viso quell’aria da sbruffone.

Fred abbassò la tazza e rivolto a Mundungus, sempre con un sorriso stampato in faccia,  propose - Forse ci vorrebbe una dimostrazione pratica, piccola piccola...

- Fa come vuoi, Weasley... - si arrese Mundungus sbuffando - tanto fai sempre come ti pare...

Fred Weasley sorrise, se possibile, ancora di piú. Era palese che non vedesse l’ora di questa dimostrazione. Estrasse una bacchetta di legno dalla tasca dei jeans e, prima che Diana potesse fare qualsiasi cosa, la agitò verso pronunciando delle parole che lei non capì; dopo un attimo, la tazza di tè che Diana teneva ancora stretta tra le dita, si librò in aria, dove rimase pigramente a fluttuare.

Diana si mise a urlare, mentre Fred Weasley se la rideva di gusto chiedendole in tono sarcastico - Ora ci credi?

Diana gli fece una smorfia pensando che dovesse per forza esserci un trucco che lei non aveva capito. Si prese la testa tra le mani e appoggiò i gomiti sulle ginocchia sfregandosi gli occhi. Cominciava a sentire un inizio di mal di testa risalirle dalla nuca.

Fissò i suoi occhi in quelli della zia e si arrese chiedendo - Ok, mettiamo caso che io vi creda, cosa centriamo io e te in questa...cosa?

Fred si mosse sul cuscino del divano come per mettersi comodo, lasciando intuire che anche lui non conosceva quella parte della storia. In quel momento, Antares arrivò sbadigliando dalla camera da letto e, con un balzo, andò a posizionarsi sul divano accanto a Fred.

- Antares!! - sibilò Diana al gatto che non dava segno di darle retta - via di li!! - non voleva che quel pazzoide facesse roteare in aria il suo gatto come aveva fatto con la tazza di tè.

In tutta risposta il felino si acciambellò facendo le fusa, mentre Fred gli accarezzava la testa e guardava Diana con espressione di trionfo.

Zia Karen finalmente smise di tormentarsi con i denti le unghie della mano destra e iniziò a raccontare.

- Ecco, Diana, tu non hai mai conosciuto nonno William e nonna Rose, i miei genitori, ma loro erano maghi e provenivano da una famiglia di maghi a loro volta. Io e tuo padre, invece, siamo nati entrambi senza poteri magici. E’ stato un duro colpo per loro realizzare che entrambi i loro figli erano maghinò, ma lo accettarono. Quello che non accettò mai la realtà era tuo padre. Odiava il suo essere Magonò e non riusciva a sopportare me perchè ero come lui. Non so come abbia conosciuto tua madre, ma lei era una strega. Si sposarono e, dopo poco, sei nata tu. Inutile dire che tuo padre sperava con tutto se stesso che tu fossi una strega come lei. Ma come ben sai le cose precipitarono: tua madre morì, la tua lettera per Hogwarts non arrivò mai e tuo padre ne fu distrutto. Qualche settimana dopo bussò alla mia porta chiedendomi di prendermi cura di te per un periodo e...ora sei qui - concluse la zia con un’espressione triste nel ricordare il passato.

Diana la guardava in silenzio. La zia non le aveva raccontato nulla che giá non sapesse, a parte il risvolto magico, si intende. Sapeva che suo padre era caduto in una profonda depressione dopo la morte di sua madre e, per questo, non aveva potuto occuparsi più di lei.

Ma...sua madre una strega? Perchè non lo aveva mai saputo prima di allora?

Zia Karen proseguì il racconto - Il negozio apparteneva ai tuoi nonni, che vendevano oggetti magici e non. In Scozia il confine tra la magia e la realtà è stato sempre molto sottile e maghi e non maghi si sono sempre accettati di buon grado, fino all’arrivo di Tu-sai-chi. Ora gli unici prodotti magici che vendiamo, li vendiamo di nascosto e, la maggior parte, me li fornisce il nostro Fletcher. - indicò con la mano Mundungus e poi riprese - I tuoi nonni erano studiosi e collezionisti di vecchi manufatti magici. Presumo che i seguaci di Tu-Sai-Chi stiano cercando qualche oggetto tra quelli, ma non saprei quali nè per quale motivo.

Si rivolse a Fred e Mundungus concludendo il discorso - Ora devo riaprire il negozio, ma stasera posso farvi vedere i pezzi da collezione non in vendita. Magari riconoscete qualcosa che vi può dare qualche indizio.

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Ciao a tutti!
In questo capitolo finalmente i protagonisti si incontrano e si inizia a conoscere qualche dettaglio del passato.
Come sempre, attendo di sapere la vostra opinione! Fatemi sapere che ne pensate!
Intanto grazie a chi legge e commenta :)

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Capitolo 6
*** Calton Hill ***


And here I am

Pouring my heart onto these rooftops

Just a ghost to the world

That’s exactly 

Exactly what I need

From up here the city lights burn

Like a thousand miles of fire”

( “Anthem of our dying day” - Story of the year)

 

Fred e Mundungus erano rimasti per tutto il giorno al negozio e avevano risposto a tutti gli interrogativi di Diana sulla magia. Era stato particolarmente faticoso rimettersi al lavoro e passare la spatola sulla superficie di un vecchio tavolino su cui stava lavorando da giorni mentre cercava di metabolizzare le parole di zia Karen. E la cosa diventava ancora più difficile dato che quel Fred aveva continuato a ronzare avanti e indietro nel retrobottega toccando ogni strumento che gli capitava a tiro. Sembrava trovare estremamente divertente il farla innervosire.

Diana aveva esalato uno sbuffo esasperato, mentre con la coda dell’occhio vedeva il ragazzo appoggiato al muro che, come passatempo, faceva fluttuare in aria un seghetto affilato. 

- Mettilo giù- gli aveva ordinato Diana in tono perentorio mentre prendeva la carta vetrata - potresti farti male.

Fred si era limitato a scrollare le spalle con l’espressione di chi sembrava abituato a maneggiare oggetti pericolosi ogni giorno.

- Oh, beh fa come vuoi - borbottò Diana - non sarò di certo io a portarti all’ospedale quando ti sarai tagliato un dito!
- Dai, mi serve! - insistette Diana sempre più infastidita avvicinandosi a Fred e cercando di afferrare lo strumento per continuare a lavorare, ma ogni volta che tentava di chiudere le dita sul manico dello strumento, il ragazzo con una smorfia beffarda, lo allontanava di qualche centimetro.

Al terzo tentativo Diana aveva definitivamente perso la pazienza e sbottò : - Ti giuro che se lo riesco a prendere, ti faccio a fette!

Per tutta risposta, Fred si mise a sghignazzare urtando il tavolo da lavoro e facendo cadere pennelli, barattoli di vernice e scalpelli mandando Diana sull’orlo di una crisi isterica.

Dopo cena, proprio quando zia Karen voleva mostrare a Fred e Mundungus gli oggetti privati della famiglia Harvey, Diana sentiva solo il desiderio di uscire da quella casa. Il peso delle rivelazioni della giornata stava diventando asfissiante e la sua pazienza era stata decisamente messa a dura prova per rimanere ulteriormente tra le mura domestiche; così quando gli altri tre imboccarono la stretta scala che portava nel seminterrato del negozio, lei uscì dalla porta sul retro e iniziò a camminare. Durante la giornata c’era stato un temporale che aveva spazzato via le nuvole, lasciando solo un’aria fresca che odorava di umidità.

Sprofondò le mani nelle tasche della felpa blu e trovò il profilo metallico del suo orologio da taschino. Meccanicamente, lo estrasse dalla tasca e si infilò il vecchio oggetto al collo tramite la lunga catena di cui era provvisto. Era tutto così assurdo. Sua madre una strega? Non ricordava di averle mai visto fare magie. Lasciò che le sue gambe la portassero dove meglio credevano, mentre con la mente ripercorreva la giornata appena passata. Le sembrava di muoversi a tentoni in un sogno molto vivido. Come se stesse vivendo la vita di qualcun altro. Il giorno prima si preoccupava dello studio e di quanto Lyall, il barista, fosse appiccicoso e, invece, in quel momento, c’erano dei maghi fuori di testa pronti a uccidere che cercavano qualcosa nel loro negozio. Non era riuscita a parlare in privato con la zia, per chiarire la situazione e, al momento, non ne aveva nemmeno voglia. Non riusciva a non avercela con lei per le bugie che le aveva rifilato e le cose che le aveva nascosto in tutti gli anni passati a vivere sotto lo stesso tetto; inoltre, non riusciva a digerire il fatto che le zia avesse spiattellato la storia della loro famiglia a due estranei come se niente fosse.

Camminò per un tempo indefinito, perchè non riusciva a calmare gli interrogativi che le affollavano i pensieri. La sua mente non riusciva a svuotarsi. Per la prima volta in tutta la giornata, un brivido freddo le percorse la schiena. Aveva paura. Se quegli squilibrati che Mundungus Fletcher aveva chiamato “Mangiamorte” e quel Tu-sai-chi erano pronti a uccidere, come si sarebbero difese lei e zia Karen?

I suoi passi e il suo respiro si erano fatti più veloci perchè aveva accelerato il passo trasformando la sua camminata in una corsa. 

Voleva correre via da tutto e tutti.

Si fermò solo quando vide comparire il piccolo tempietto circolare. Il Dugald Stewart Monument. Era arrivata a Calton Hill. Mentre cercava di prendere fiato, le sfuggì un sorriso. Ormai era tarda sera e la collina era quasi deserta, ma l’angoscia che aveva provato fino a qualche minuto prima sembrava averla abbandonata. 

Lì si era sempre sentita al sicuro, forse perché trovarsi in cima a quell’altura le aveva sempre dato l’idea di essere un po’ più vicino al cielo. Scavalcò la recinzione in ferro battuto e si arrampicò per andarsi a sedere proprio dentro il monumento con le gambe a penzoloni dal basamento. Lo aveva già fatto migliaia di volte.

Inspirò profondamente il vento fresco che le scompigliava i capelli. La vista della città era qualcosa di unico, ma il motivo per cui andava in quel luogo era sempre stato al di sopra di lei. La collina era buia e le stelle erano cosi vivide e luminose, che allungando un braccio le sembrava quasi di poterle afferrare. Quando c’era qualcosa che non andava era lì che finiva per rintanarsi.

Stava respirando profondamente in contemplazione della volta celeste, quando un forte rumore secco alla sua destra, come di un grosso ramo che si spezza, la fece voltare di scatto.

Dove un attimo prima non c’era che la colonna di marmo, era comparsa una sagoma illuminata dalla luce della luna piena. Fred Weasley giocherellava con la sua bacchetta magica appoggiandosi con naturalezza alla colonna, con stampato in viso il solito sorriso beffardo.

- Siete sempre tutti così discreti voi maghi oppure sei tu ad essere particolarmente impiccione? chiese Diana ansimando dallo spavento.

Fred Weasley si andò a sedere di fianco a lei lasciando penzolare le lunghe gambe giù dal muretto di marmo -  E voi babbani siete tutti così incoscienti o sei tu ad essere stupida e ad andare in giro da sola di notte senza avvisare?

Diana lo guardò truce con le mani che le prudevano dalla voglia di buttarlo giù dalla collina. Oltre a essere stato una spina nel fianco per l’intera giornata, l’aveva anche seguita nell’unico momento di pace che era riuscita a ritagliarsi.

- Se accidentalmente tu dovessi precipitare di sotto - constatò Diana con finta tranquillità e sottolineando l’eventualità dell’azione - immagino che ti trasformeresti in una palla e  che rimbalzeresti senza nemmeno farti del male - indicò il declivio con tono deluso.

Fred scrutò dall’alto le pendici della collina con aria concentrata come se con lo sguardo stesse misurando l’altezza e poi rispose con aria molto seria: - No, di solito mi trasformo in un demone assetato di sangue che adora banchettare sui cadaveri di ragazze babbane...

Diana sbarrò lo sguardo spaventata e si allontanò un po’ dal ragazzo, fissandolo come se stesse per esplodere. Non riusciva proprio a capire se fosse serio o se la stesse, di nuovo, prendendo in giro. La cosa assunse un senso quando lui scoppiò in una fragorosa risata.

- Non sei affatto divertente, lo sai? - domandò Diana imbronciata.
- Strano - constatò lui continuando a sorridere e osservandola con uno sguardo obliquo  - perchè invece, solitamente, tutti mi trovano estremamente divertente!

Diana alzò gli occhi al cielo e prima di rispondere che lei non lo trovava affatto così spassoso come lui si credeva, Fred la interruppe: - Ok, tregua. Sono qui perché tua zia era preoccupata - Fred aveva iniziato a parlare con un tono quasi gentile.

Diana abbassò lo sguardo sulle sue Converse nere mordendosi il labbro inferiore e sentendosi in colpa. Troppo arrabbiata e confusa, non aveva assolutamente pensato a sua zia quando era uscita di soppiatto come una ladra.

- Come sapevi dove trovarmi? - chiese Diana in tono aspro.
- Sono un mago, no? - gonfiò il petto pomposamente Fred sogghignando, poi lasciò andare l’aria di botto sgonfiando il petto e aggiunse - scherzo, tua zia mi ha detto che probabilmente saresti stata qui.

Diana sorrise debolmente. Sua zia la conosceva bene.

- Perchè qui? - chiese Fred guardandosi intorno - è un po’ inquietante di notte...

Diana sollevò le spalle senza rispondere. Non aveva voglia di parlare con quel ragazzo che non faceva altro che irritarla.

- Ok non ne vuoi parlare - constatò Fred - beh devo dire che la vista della città è bella e...poi si vedono molto bene le stelle, immagino verrai per questo.

La ragazza si voltò a guardarlo stupita con un sopracciglio inarcato.

- Ti ho vista sul balcone con il telescopio! - esclamò Fred allargando le braccia, come se fosse la cosa piú ovvia del mondo.

Diana sollevò ancora di più le sopracciglia chiedendosi quando diavolo avesse potuto vederla e poi meravigliata chiese - Eri tu nell’appartamento della Signora Appleby?

- Chi?  - chiese Fred senza capire.
- Tu e Mundungus ci stavate spiando dall’appartamento di fronte al negozio - sentenziò Diana in modo severo incrociando le braccia sul petto, ormai sicura della propria intuizione.
- Oh...beh si - confessò Fred passandosi la bacchetta da una mano all’altra - ma non lo definirei “spiare”, direi che tenevamo d’occhio la situazione per essere pronti a intervenire.
- Guardoni e impiccioni...- borbottò Diana tra sè e sè ricominciando a fissare il panorama.

- Non sapevo che ai babbani interessassero le stelle... - cambiò argomento Fred visto che Diana era rimasta in silenzio.

- Chiamami ancora una volta babbana e ti lancio giù da Calton Hill, anche senza agitare quello stupido legnetto - lo redarguì minacciosa Diana alludendo alla bacchetta che Fred teneva ancora in mano.

Lui rise di gusto e aggiustò il tiro dicendo - Tecnicamente non so se sei da classificare come babbana o come Maganò...

- Perchè c’è differenza? - chiese Diana di colpo ansiosa di essere uno strano caso indefinito.
- Oh si! - esclamò Fred ridendo - i Maghinò sono brutti e antipatici come te! Tua zia deve essere un’eccezione dato che è proprio una bella... - non ebbe il fiato per terminare la frase dato che Diana gli aveva assestato una precisa gomitata tra le costole.
- Ripensandoci - constatò lui massaggiandosi il costato con una smorfia - più che una Maganò, per me sei più una sottospecie molto antipatica di Folletto della Cornovaglia. Fastidiosa e scorbutica allo stesso modo.

Diana non era certa di voler sapere che aspetto avesse un Folletto della Cornovaglia.

Fred, dando un’occhiata al suo strano orologio da polso, suggerì che sarebbe stato meglio rientrare, dato che la mezzanotte era già passata da un pezzo. Ripercorsero, insieme, la strada del ritorno allo stesso modo in cui avevano passato l’intera giornata: Fred faceva quello che gli riusciva meglio, ossia punzecchiarla e irritarla, mentre Diana rispondeva con occhiatacce e frecciatine caustiche.

Imboccarono Victoria Street, mentre Diana cercava di farsi spiegare come fosse fatto un Folletto della Cornovaglia, quando lui si bloccò aggrottando le sopracciglia e fissando un punto non ben identificato in mezzo alla via. Lo sguardo di Diana seguì quello di Fred verso l’alto, dove, in un bagliore, si stagliava un enorme teschio verdastro e luminescente dalla cui bocca strisciava fuori sinuosamente un minaccioso serpente dalle fauci spalancate.

- Che cosa cavolo è quello?? - boccheggiò Diana spaventata additando la strana forma perlacea che aleggiava proprio sopra casa sua.

- Cazzo...- sibilò Fred estraendo la bacchetta dalla tasca posteriore dei jeans.

Diana riabbassò lo sguardo sul negozio Harvey e quello che riuscì a intravedere fu solo una grossa nuvola nera, simile a una grossa quantità di fuliggine sfuggita da un camino, che si dirigeva verso la vetrina. Non doveva essere una strega per capire che quella strana nube era qualcosa di malvagio, di sinistro. Quel “qualcosa” si era spostato lasciando dietro di sè un sibilo inquietante che le fece accapponare la pelle. Un attimo dopo l’aria si riempì di un fragore metallico. D’istinto, Diana si schermò il viso con una mano e chiuse gli occhi per lo spavento. 

Quando li riaprì la vetrina era esplosa in pezzi. 

Nelle orecchie le risuonava ancora un fischio assordante, quando vide Fred sfrecciare di corsa verso il negozio.

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Ciao a tutti!
Vi lascio un nuovo capitoletto un po' di passaggio ma che mostra un po' di interazione tra i protagonisti e getta le basi per quello successivo
Spero di essere riuscita a non rendere i personaggi troppo piatti...!
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate! Sono sempre curiosa di sapere cosa ne pensate e ogni parolina che mi lasciate mi fa un immenso piacere!
P.S. Questa volta la frase è di una canzone che mi è subito venuta in mente mentre scrivevo questo capitolo! :)

 

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Capitolo 7
*** Il Marchio Nero ***


Fred stava correndo verso il negozio, ma sembrava che le gambe gli pesassero una tonnellata. Il Marchio Nero riluceva sinistro nel cielo di Edimburgo e qualche abitante babbano di Victoria Street iniziava ad affacciarsi al balcone con aria ingenuamente stupita nel vedere quella strana forma galleggiare per aria. Per un momento gli balenò in testa l’idea di evocare un Patronus per chiedere aiuto a Remus Lupin, ma uno sguardo al chiarore lunare gli ricordò che quella notte, l’uomo non avrebbe potuto aiutarli.

Quando finalmente giunse di fronte a quella che una volta doveva essere stata la vetrina, riuscì a intravedere Mundungus, pallido, tremante e con lo sguardo terrorizzato, che saliva dal seminterrato con la bacchetta stretta in pugno e tesa in avanti. Karen Harvey, avvolta in una vestaglia da notte azzurra, stava tentando di scendere da quello che rimaneva delle scale di legno, in parte distrutte dall’esplosione.

- Stai indietro, Karen - gracchiò Mundungus bloccando con un gesto la donna che con capelli scarmigliati e sguardo terrorizzato, cercava di recarsi al piano inferiore.

Fred oltrepassò quello che ormai era solo il ricordo della vetrina chinando il capo e sentendo scricchiolare i vetri rotti sotto le suole delle scarpe. Improvvisamente, si sentì un perfetto idiota. Aveva insistito tanto per partecipare a una missione dell’Ordine e in quel momento si sentiva incapace come un bambino del primo anno. Un respiro irregolare lo avvertì di una presenza alle sue spalle e con la coda dell’occhio vide che anche Diana lo aveva raggiunto. La ragazza si era portata una mano alla bocca per lo scempio a cui il negozio era ridotto e gli occhi verdi erano spalancati e più grandi che mai, mentre saettavano da Karen a Mundungus e, infine, su Fred, come se si aspettasse che lui risolvesse, in qualche modo, la situazione.

I quattro si stavano ancora scrutando l’un l’altro ammutoliti e sconvolti, quando una risata malvagia riecheggiò nell’ambiente e una nuvola di fumo nero si addensò al centro della stanza fino a plasmare le forme di una donna. Aveva lunghi capelli neri, la pelle diafana e uno sguardo folle negli occhi. Lo stesso sguardo che Fred aveva giá visto sui cartelloni appesi per Diagon Alley dal Ministero della Magia per segnalare i Mangiamorte fuggiti da Azkaban mesi prima.

Bellatrix Lestrange gli sorrise famelica leccandosi le labbra, come un gatto che sta per iniziare la caccia con il topo, e pigolò - Bene...bene! Tu devi essere uno dei cuccioli Weasley - poi il suo sguardo si posò su Diana per aggiungere - e con te c’è della feccia babbana!

Un lampo di luce rossa, accompagnato da una risata maligna, esplose dalla bacchetta della donna colpendo gli scaffali. Un fracasso infernale accompagnò la caduta del mobile che portò con sè piatti, vassoi e ceramiche che si infransero in mille pezzi sul pavimento.

Karen urlò. Diana emise un gemito scansandosi per non essere colpita e si avvicinò a Fred. Lui si aggrappò con tutte le forze alla sua bacchetta e cercò di rispondere al fuoco con i primi incantesimi che gli passavano per la mente. Un altro Mangiamorte doveva essersi unito alla lotta, perché Fred riusciva a vedere Mundungus scagliare incantesimi verso il retro del negozio. Karen era ancora immobile, addossata alla scala e nascosta dalle travi cadute a causa dell’esplosione, cercando di non farsi notare. Un altro scoppio proveniente dalla bacchetta di Bellatrix colpì lo scaffale alle spalle di Fred, che fece appena in tempo a lanciarsi su Diana per spingerla a terra per evitare che venisse colpita: ruzzolarono malamente sul pavimento ricoperto di cocci e vetri e si fermarono solo quando Fred urtò il bancone con la schiena, trattenendo un grugnito di dolore. Quando si rimise seduto appoggiando una mano a terra, la ragazza aveva gli occhi chiusi e un rivolo di sangue le scendeva lungo la tempia sinistra. 

- Merda... - soffiò tra i denti Fred cercando di rialzarsi mentre le schegge di vetro gli tagliavano il palmo della mano. Diana doveva aver battuto la testa contro qualcosa mentre lui cercava di metterla in salvo. Un altro incantesimo gli sibilò accanto all’orecchio sinistro e lo costrinse a correre al riparo dietro il bancone, trascinando Diana con sè, priva di sensi. Era quasi certo che la maledizione lanciata da Bellatrix Lestrange fosse una Maledizione Senza Perdono e, per un attimo, aveva temuto che Diana fosse stata colpita, ma scorrendo febbrilmente con lo sguardo il corpo della ragazza alla ricerca di qualche spasmo di dolore, non ne trovò.

Tirando mentalmente un sospiro di sollievo, Fred lasciò la ragazza nascosta dietro al bancone in mogano scuro e si spostò a testa bassa verso il centro della stanza, dove si rese conto che la situazione era cambiata. Mundungus non si vedeva da nessuna parte. Bellatrix aveva la bacchetta puntata su Karen, con un ghigno malefico a deformarle il viso mentre le ordinava di consegnarle qualcosa. Dal retro del negozio si riusciva a scorgere un bagliore di fiamme che portava con sè un acre odore di legno bruciato, segno che qualche incantesimo mal riuscito doveva aver appiccato un incendio. Proprio da quella zona del negozio proveniva l’altro Mangiamorte, che si stava avvicinando al bancone e al punto dove Diana era ancora riversa sul pavimento, immobile. Era distesa su un fianco, con un braccio allungato sotto il viso; i capelli biondi erano incrostati di sangue e anche la maglia bianca, che la ragazza indossava sotto alla felpa blu, era macchiata di sangue; il grosso ciondolo con una lunga catena che Diana portava al collo si era andato ad appoggiare sul pavimento riflettendo il bagliore rossastro delle fiamme che si stavano lentamente propagando. L’uomo che apparve alle spalle di Diana era il piú grosso che Fred avesse mai visto, dopo Rubeus Hagrid. Indossava un lungo soprabito nero teso sulle ampie spalle. I capelli erano radi e divisi in ciocche unte che gli scivolavano fino a metà schiena. Più che a un uomo somigliava di più a un grosso troll. Quando la luce della luna inondò il volto dello sconosciuto, quest’ultimo emise un ruggito animalesco scoprendo due enormi zanne al posto dei canini e enormi mani pelose con dei lunghi e affilati artigli. Fred capì perché gli aveva dato l’impressione di essere più bestia che umano. Un brivido gli gelò la schiena. Fenrir Greyback emise un altro ringhio di bramosia animale e si chinò a spostare la massa di capelli biondi della ragazza svenuta per scoprirle il collo candido.

Fred rimase impietrito. L’incendio si stava propagando sempre di più rendendo l’aria calda e irrespirabile. 

Avrebbe avuto bisogno di un grosso colpo di fortuna per riuscire a salvare sia Karen che Diana, visto che Mundungus sembrava essere sparito nel nulla.

Da bravo Grifondoro, si decise ad agire senza rimuginare ulteriormente. Urtò con una forte spallata l’unico scaffale pieno di ceramiche e coppe di cristallo rimasto in piedi facendolo precipitare in direzione di Bellatrix, che per la sorpresa dovette spostarsi di lato: questo lasciò per un attimo il campo sgombro e Fred, con un cenno del capo, intimò a Karen di scappare fuori dal negozio. L’impatto della sua spalla contro il legno e l’acciaio gli si riverberò nelle ossa fino a fargli digrignare i denti per il dolore. Il tonfo dello scaffale e degli oggetti che precipitavano e si infrangevano sul pavimento fece sollevare il viso deforme di Greyback, già pronto ad affondare le zanne nel collo di Diana, nella sua direzione. Fred lanciò l’ennesimo Schiantesimo che andò a segno colpendo l’orrendo lupo mannaro, distratto dal frastuono, al centro dell’enorme petto, facendolo barcollare e allontanare di qualche passo, intontito. Fred utilizzò i pochi attimi di stordimento di Greyback per precipitarsi verso Diana.

Karen non si vedeva da nessuna parte e Fred sperò che fosse riuscita ad allontanarsi quanto bastava per salvarsi, quindi prese Diana tra le braccia e si smaterializzò un attimo prima che Greyback si avventasse su di loro.

Un secondo dopo, i suoi piedi si appoggiarono sull’ultimo gradino del numero 12 di Grimmauld Place. Recitò la parola d’ordine e quando la porta si aprì, si trascinò nell’atrio sforzandosi di non accasciarsi a terra per lo sforzo della materializzazione congiunta.

Dalla cucina della dimora dei Black, si precipitarono nell’ingresso George, Molly e Bill Weasley, Fleur Delacour e Malocchio Moody.

- Freddie! - esclamò il suo gemello preoccupato.

Sua madre si portò una mano alla bocca soffocando un grido. 

Il dolore alla spalla destra e il peso della ragazza che teneva ancora tra le braccia lo fecero barcollare contro il muro. I piedi di Diana si appoggiarono a terra e la ragazza cercò di aprire debolmente le palpebre.

Fred lasciò scivolare la schiena contro la parete fino a ritrovarsi seduto e lasciò accasciare a terra anche Diana, che lentamente sembrava riprendere conoscenza. Sorrise debolmente ai membri dell’Ordine della Fenice che lo stavano fissando, sollevato all’idea che la ragazza fosse viva, anche se entrambi erano malconci e sanguinanti.

Un urlo belluino si levò da dietro una pesante tenda grigia e sporca dell’ingresso, facendo trasalire tutti quanti. Il ritratto della signora Black urlante fu subito messo a tacere da un colpo di bacchetta di Malocchio Moody. Molly Weasley guardando il figlio ai suoi piedi si chinò e chiese - Stai bene, Freddie?

- Si, mamma... - bofonchiò lui dolorante, ma esibendo un vistoso sorriso - mai stato meglio! - tenendo la mano sinistra sulla spalla dolorante e dando un’occhiata a Diana, che si guardava intorno spaesata.

Il cipiglio spaventato di Molly Weasley si fece piú dolce posandosi sul viso della ragazza dagli occhi verdi spalancati e con istinto materno le domandò - Stai bene, cara?- e poi rivolta a Fred domandò - é la ragazza babbana del negozio?

Per tutta risposta Fred annuì, mentre Diana, percorsa da un tremito, vomitava anche l’anima ai piedi della signora Weasley e poi si accasciava a terra di nuovo priva di sensi.

- Oh... - si lasciò sfuggire Bill Weasley e poi indicando Diana continuò - tutto normale dopo la prima Materializzazione.

- Beh... - constatò George Weasley sardonico mentre aggirava la pozza di vomito e con una mano aiutava il gemello a rimettersi in piedi - Cinquanta punti a Grifondoro e Pluffa al centro. Siamo riusciti a far vomitare una babbana nell’atrio della casa dei Black. Sirius sarebbe stato fiero di noi.
- Che è successo? - chiese Bill
- Devo tornare là - farfugliò Fred mentre il gemello lo rimetteva in piedi - ci hanno attaccati!
- Ma che stai dicendo? - domandò Malocchio burbero - non ti reggi in piedi!
- Dobbiamo trovare Karen e Mundungus! - esclamò Fred dolorante ma ben stabile su due piedi.

Malocchio Moody lo guardava senza capire, mentre l’occhio magico roteava incontrollabile. Di malavoglia dovette convincersi a prestare ascolto a Fred che continuava a fissarlo con aria determinata, perchè poco dopo assentì - E va bene...ma tu non vieni! George, Bill, andiamo a dare un’occhiata! - e poi rivolto a Fred e indicando Diana aggiunse - quando ritorno, facciamo i conti! - e prima che Fred potesse protestare, i suoi fratelli e il vecchio Auror zoppicante si smaterializzarono alla volta di Edimburgo.

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Ciao a tutti!
Finalmente sono riuscita a pubblicare! Tra il lavoro e la costante indecisione su questo capitolo, ci ho messo un po' più del previsto!
Quando l'ho scritto mi sembrava decente, ma, sinceramente, dopo la millesima rilettura e sistemazione, non ne sono più tanto convinta, quindi aspetto di sapere che ne pensate!
C'è un po' di azione e vengono introdotti un bel po' di altri personaggi: so che rispetto al canon c'è qualcosa di diverso, perchè in realtà Grimmauld Place, a questo punto della storia non viene più citata, ma nella mia mente aveva senso che continuasse a essere utilizzata data la missione in corso.
Vabbè, mi piacerebbe sapere che ne pensate :)
Intanto grazie a chi legge e lascia commenti!
Alla prossima :)

 

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Capitolo 8
*** Grimmauld Place n.12 ***


Malfoy Manor

 

Bellatrix Lestrange colpì l’alto cancello in ferro battuto con la bacchetta. I serpenti di metallo che lo adornavano presero magicamente vita e, strisciando e sibilando, fecero scattare la serratura aprendo un varco davanti alla donna. Fenrir Greyback la seguiva riluttante, a capo chino e di pessimo umore.

- Smettila di lamentarti, cane! - gli abbaiò contro Bellatrix incenerendolo con uno sguardo carico d’odio e poi, soffocando una risatina maligna, infierì - tutte queste scene solo perchè ti hanno rubato la cena da sotto il naso!

Greyback ruggì e le artigliò il collo con un movimento fulmineo - Taci, lurida...

- Fenrir, Bellatrix - li fermò una voce bassa ma autorevole - siete tornati, finalmente.

Il lupo mannaro lasciò immediatamente Bellatrix Lestrange ed entrambi caddero in ginocchio, come piegati contro la loro volontà da una forza invisibile, davanti all’alta figura ammantata di oscurità.

- Perchè ci avete messo tanto? - chiese con tono mellifluo e suadente Lord Voldemort mettendo la sua bacchetta sotto il mento di Bellatrix fino a farle sollevare il viso e incrociare i loro sguardi.
- Ci sono stati degli imprevisti, ma ho qui quello che mi avevi chiesto, mio Signore- cercò di spiegare Bellatrix sorridendo tronfia di orgoglio e porgendogli la piccola coppa che fino a quel momento era rimasta riposta nella tasca del mantello.

Voldemort la afferrò e rigirandola tra le mani, soddisfatto, fece rialzare Bellatrix. Posò il suo sguardo freddo su Fenrir Greyback, ancora inginocchiato e a capo chino.

- Per Salazar, Greyback - sussurrò Voldemort con tono disgustato - riesco a sentire la tua fame dai tuoi turpi pensieri. Vai a nutrirti, prima di far fuori qualche fedele amico... - e detto questo concesse all’immenso essere di alzarsi. Greyback non se lo fece ripetere due volte e, dopo un cenno di ringraziamento con il capo, corse verso la foresta a perdifiato.

Bellatrix rimase a fissare la figura del lupo mannaro che spariva tra gli alberi fino a che un profondo e lacerante ululato le confermò che Greyback aveva trovato la sua vittima per quella notte.

- Bellatrix - la apostrofò Voldemort e, porgendole nuovamente la coppa incastonata di pietre preziose, le ordinò - ora riportala al suo posto. Al sicuro.

Voldemort guardò Bellatrix smaterializzarsi verso Diagon Alley, soddisfatto. Nelle settimane precedenti aveva fatto un rapido controllo della maggior parte dei suoi Horcrux. Erano tutti intatti, ad eccezione dell’anello della sua famiglia. Quando era entrato nella vecchia dimora di sua madre, dove l’anello era rimasto nascosto per decenni, aveva subito fiutato l’assenza delle barriere magiche che aveva creato anni prima e aveva scoperto che l’anello non c’era piú. Probabilmente era stato distrutto quando lui aveva sentito quella strana fitta di dolore. Sogghignò perchè nonostante quella scoperta, tutti gli altri Horcrux erano salvi. La coppa, l’unico altro Horcrux che fino quel momento era mancato all’appello, stava tornando con Bellatrix al sicuro nella camera blindata dei Lestrange. Il medaglione era ancora al suo posto nella caverna. Il diadema di Corvonero era perduto e quindi nessuno lo cercava da anni; Nagini, infine, era sulla soglia del Malfoy Manor ad attendere il suo ritorno.

   

                                                                                               ———————

 

Quando Diana riprese lentamente conoscenza, si rese conto, senza aprire, gli occhi di trovarsi in un letto. Voleva svegliarsi e capire dove si trovasse, ma schiudere le palpebre le parve la cosa più faticosa del mondo. Riusciva però a sentire distintamente delle voci nel corridoio.

- Come Merlino ti è venuto in mente di portarla qui? - esclamò una voce burbera e piena di collera.
- Malocchio... - sembrava la voce di Fred, anche se non ne era certa - ci hanno attaccato. Bellatrix Lestrange e Fenrir Greyback. Mundungus é sparito, ma...Greyback stava per morderla e...

Diana non riuscì a distinguere le frasi che si susseguirono. Probabilmente i proprietari delle voci avevano deciso di spostarsi più lontano dalla camera in cui lei si trovava. Le sembrava di sentire ancora echeggiare nelle orecchie la risata maligna della donna che a quanto pareva si chiamava Bellatrix Lestrange.

Il solo ricordo dello sguardo squilibrato della strega le provocò un senso di nausea e di oppressione al petto. Si sollevò di scatto a sedere sul letto, con gli occhi spalancati, senza accorgersi di aver gridato. Non fu una grande idea. La stanza dalla tappezzeria consunta e grigiastra roteava sotto il suo sguardo e la testa le pulsava dal dolore. Portò istintivamente una mano alla tempia destra, dove le sue dita incontrarono una spessa fasciatura. 

Due donne aprirono la porta della stanza: la prima era una signora grassottella dai capelli rossi, mentre l’altra era una delle ragazze più belle che Diana avesse mai visto. Alta, bionda e dalla figura sinuosa.

- Cara, che succede?  - chiese gentilmente la signora grassottella appoggiandole premurosa una mano sul braccio - ti fa male la testa?

Diana si ritrasse spaventata. Chi erano quelle persone? Se avessero voluto farle del male? Non faceva che sentire quella maledetta risata nelle orecchie, mentre sprazzi di ricordi si affacciavano nella sua memoria.

- Fleur, per favore, chiama Fred... - chiese la signora grassottella alla super top model bionda, che uscí dalla stanza facendo mulinare la chioma bionda e perfetta, quasi muovendosi a passo di danza.

Dopo un attimo, Fred apparve sulla soglia della camera. Aveva un braccio al collo tenuto fermo da una grossa benda e zoppicava leggermente. L’espressione di Diana si distese lievemente nel vedere una faccia conosciuta, nonostante la faccia appartenesse a Fred Weasley. 

Il ragazzo si avvicinò lentamente al letto, rivelando un’altra figura dietro di lui. Diana sbatté le palpebre un paio di volte, perchè alle spalle di Fred c’era un altro Fred che però non aveva il braccio al collo. 

Diana ragionò velocemente e si convinse che il vederci doppio fosse sicuramente una conseguenza del trauma cranico che molto probabilmente aveva subito.

- Come ti senti? - chiese il Fred con il braccio al collo sedendosi sul suo letto e esibendo un sorriso tirato.

Diana notò che gli occhi del ragazzo non erano più baldanzosi e sfrontati come ricordava.

- Dove siamo? Cos’è successo?- gracchiò con la gola secca - dov’è mia zia?

Fred si voltò verso la madre e poi abbassò lo sguardo tristemente. Dietro alle lentiggini che gli coprivano il viso, era ancora più pallido di quanto la ragazza ricordasse

- Dov’è zia Karen? - chiese nuovamente a tono più alto sentendo l’agitazione crescere.
- Diana...io - cercò di scusarsi lui - non sono riuscito a portarla via con noi. Ci hanno attaccato, ricordi? Gli altri sono tornati al negozio per sistemare le cose, ma di lei e Mundungus non c’era traccia. Magari sono riusciti a scappare. Continueremo a cercarli e...

Diana fece per alzarsi. Avrebbe tanto voluto urlargli che era tutta colpa sua se si trovavano in quella situazione, se ne avesse avuto la forza, ma la testa prese nuovamente a girarle vorticosamente e dovette abbandonarsi sul cuscino, dove tutto si fece nuovamente nebuloso e scuro.

 

                                                                                         ———————

 

George Weasley era seduto sul divano dove suo fratello gemello era accasciato e con gli occhi chiusi, il braccio sano mollemente lasciato cadere verso il pavimento.

- Ehi- lo apostrofò George - non fare finta di dormire.

In tutta risposta Fred grugnì e cercò di scalciarlo via.

- Mi vuoi raccontare che è successo? - lo punzecchiò il gemello curioso.

Fred aprì un occhio e vide che al tavolo del soggiorno di Grimmauld Place n.12 era radunato quasi tutto l’Ordine al completo. Arthur Weasley era arrivato direttamente da lavoro poche ore prima insieme a Kingsley Shacklebolt. Un urlo della signora Black dal corridoio preannunciò l’arrivo di altri membri.

- Devono essere Tonks e Lupin - constatò Bill alzandosi per andare loro incontro.

Remus Lupin, pallido e dal colorito malsano, entrò in salotto seguito da una strega con il viso a forma di cuore e i capelli più spenti e scialbi di quanto Fred ricordasse.

- Per Godric! Che cos’è successo? - chiese l’ex professore di Difesa contro le Arti Oscure guardando Fred malconcio e riverso sul divano.

George mollò una gomitata nelle costole al gemello, facendogli più male del dovuto.

Fred si alzò in piedi a fatica e, avvicinandosi al tavolo, raccontò ai presenti quanto accaduto a Edimburgo. Dall’appostamento con Mundungus, alla rivelazione di Karen Harvey, fino all’attacco dei due Mangiamorte della notte precedente. Quando ebbe finito di raccontare, i genitori lo guardavano meravigliati, Malocchio Moody cercava di tenere fermo l’occhio metallico e di tenere a bada i suoi istinti omicidi nei confronti di Mundungus Fletcher; Bill e Tonks avevano uno sguardo preoccupato, Fleur si guardava le unghie della mano destra apparentemente disinteressata, mentre suo fratello George si congratulava con lui dandogli una pacca sulla spalla dolorante. 

-  Freddie... non ti permettere mai più di divertirti così tanto senza di me! - esclamò George ridendo.

Prima che Molly Weasley potesse incenerire entrambi i gemelli con lo sguardo, Remus Lupin prese la parola chiedendo a Fred delucidazioni.

- Mi stai dicendo che Fenrir Greyback era umano durante la luna piena? - chiese incredulo strabuzzando gli occhi.

Fred annuì e aggiunse - Si, ma non era neanche del tutto umano. Aveva le zanne e gli artigli e...

- Te lo avevo detto, Remus - si intromise con tono amaro Alastor Moody - riesce a dominare in qualche modo la trasformazione
- È per questo che l’ho portata qui! - sbottò Fred in direzione di Malocchio, che era ancora arrabbiato con lui per aver deciso di portare lì Diana - l’avrebbe morsa ed essendo notte di luna piena si sarebbe trasformata di certo!
- Hai rivelato il quartier generale!!!- gli abbaiò contro Malocchio con l’occhio che roteava in maniera sinistra e sputacchiando saliva - e ora dovremo modificarle i ricordi!
- Si...é l’unica soluzione - constatò Bill Weasley in accordo con il vecchio Auror, come sempre.
- Ascoltate... - cercò di controllarsi Fred - ci ho pensato per tutto il giorno. C’è sotto qualcosa. Mundungus e Karen Harvey si conoscono da tempo e lei conosce il mondo magico. Quando le acque si saranno calmate, magari riusciremo a capire insieme a loro che cosa stava cercando Bellatrix Lestrange. Se non scopriamo cosa cercano i Mangiamorte e perché, rimarremo sempre un passo indietro...
- Peccato che Karen Harvey e quell’ubriacone di Mundungus siano spariti nel nulla - sputò aspro Malocchio, prendendo però in considerazione la proposta di Fred.
- Vedrete che Mundungus ci darà notizie appena potrà- cercò di rincuorarli Tonks speranzosa.
 -Non so, Ninfadora... - constatò Kingsley con la sua voce profonda - e se li avessero fatti prigionieri?
 - Perchè avrebbero dovuto? - constatò Arthur Weasley pensieroso con una mano sul mento - insomma, di solito, Voi-Sapete-Chi manda Greyback perchè sa quanto è minaccioso e Bellatrix perchè é completamente folle...Lei non si sarebbe mai lasciata sfuggire un’occasione per uccidere dei babbani. 
- Dobbiamo scoprire se hanno rubato qualcosa dal negozio - constatò Remus Lupin passandosi una mano tra i capelli disordinati.
- Esatto! - constatò Fred in accordo con il suo vecchio professore - magari non hanno trovato quello che cercavano e hanno preso Karen per estorcerle informazioni...

Tutti quanti si ammutolirono per qualche secondo, fino a che Tonks, con tono grave e triste, non ruppe il silenzio dando voce a quello che tutti stavano pensando - Non si faranno problemi ad ucciderla se scopriranno che non ha informazioni utili per loro...

- Sono solo supposizioni! - batté un pugno sul tavolo Malocchio Moody irato e poi prese a strofinarsi l’occhio metallico con aria stanca - sentite, cerchiamo Karen e Dung. Dobbiamo capire se sono vivi. - poi si rivolse a Tonks e Bill - voi sorvegliate il Malfoy Manor, mentre Remus e Kingsley, voi terrete d’occhio Notturn Alley. Io tornerò ad Azkaban e poi al Ministero con Arthur per capirci qualcosa in piú...
- E noi? - chiesero Fred e George in coro desiderosi di rendersi utili.
-  Voi... - constatò Malocchio soffermandosi su Fred - resterete qui con Molly, la signorina Delacour e la signorina Harvey. Avete già fatto abbastanza danni!

Fred sbuffò contrariato e George aprì la bocca per protestare dato che lui di danni non ne aveva fatti.

Tutti i presenti si alzarono per dirigersi verso i luoghi a cui Malocchio li aveva destinati e Molly Weasley si mise a preparare qualcosa per la cena.

 - Ottimo - sbuffò George - andiamo a conoscere la nostra nuova amica babbana - e si diresse verso il piano superiore.

- Che bello...  - constatò Fred con tono atono seguendolo privo di entusiasmo.
- Dai! Cos’è questo tono? - chiese George ironico salendo le scale - prima che ricoprisse il pavimento di vomito, mi era sembrata quasi simpatica!
- Simpatica? - chiese Fred storcendo il naso e seguendo il gemello - preferisco uno Schiopodo attaccato ai...
- Fred Weasley!!! - lo rimproverò un ruggito della madre dal piano di sotto - il linguaggio!!!

George scoppiò a ridere e bussò alla porta della camera dove riposava Diana Harvey.

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Ciao!
Questo è un po' un capitolo di passaggio che non mi convince granchè(che strano eh...), ma cerca di tirare le fila di un po' di situazioni.
E' stato chiarito cosa cercavano i Mangiamorte e perchè (o almeno spero di esserci riuscita...) e si vede come ha reagito l'Ordine a quanto accaduto.
Fatemi sapere che cosa ne pensate :)
E ringrazio sempre chi impiega un po' di tempo per leggere questa storia e anche chi lascia pareri e commenti!
Spero di ritrovarvi anche nei prossimi capitoli!
A presto :)

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Capitolo 9
*** Loch Ness ***


Quando Karen Harvey aprì gli occhi, tutto intorno a lei era buio. Le ci volle qualche attimo per ricordare cosa fosse successo, ma non riuscì comunque a capacitarsi del motivo per cui fosse riversa nella ghiaia umida con come unica coperta un cielo nero illuminato solo dalla flebile luce lunare ricoperta da una densa nebbiolina. Quando si mise a sedere, la situazione non divenne più chiara: le faceva male ogni parte del corpo e l’unica cosa che riusciva a distinguere davanti a lei era una vasta distesa d’acqua nera. Si sistemò gli occhiali sul naso e con passo malfermo si avvicinò a un pontile di legno marcio che si protendeva verso l’acqua. Si imbatté in un cartello celeste che recava una scritta nera.

 Loch Ness

Con mano tremante si appoggiò al cartello e si guardò intorno. Mundungus Fletcher doveva averla smaterializzata da qualche parte per metterla in salvo da quei Mangiamorte. Le si formò un groppo in gola al ricordo della vista del suo amato negozio ridotto in mille pezzi e si guardò intorno alla ricerca di qualcuno o qualcosa. Un lamento soffocato la attirò oltre il pontile, in una piccola radura erbosa che digradava verso la riva del lago e avvicinandosi riconobbe una sagoma umana che si contorceva sofferente.

- Mundungus... - esalò portandosi una mano alla bocca e correndo verso l’uomo riverso nell’erba scura e impregnata di umidità.

L’uomo era riverso su un lato e si teneva con una mano la spalla destra, dove c’era una grossa ferita verticale.

- Karen... - ansimò dolorante - mi sono Spaccato...

Karen rimase per qualche secondo a fissare Mundungus immobile, senza capire cosa potesse fare per aiutarlo. Le tornò in mente un ricordo lontano di sua madre che le raccontava che nella smaterializzazione, se non ci si concentrava abbastanza, c’era il rischio di Spaccarsi, ossia che una parte del corpo rimanesse in qualche modo ancorata al luogo originario, provocando una profonda ferita. Si guardò intorno con aria preoccupata , in cerca di un riparo o di qualsiasi cosa avrebbe potuto essere loro utile. Poco lontano dal pontile notò una vecchia casupola, che probabilmente era stata una vecchia rimessa per le barche. Aiutò Mundungus ad alzarsi, passandosi un suo braccio intorno al collo e a fatica si diressero verso la piccola abitazione. 

La porta di legno impregnata di umidità era socchiusa e Karen e Mundungus barcollarono all’interno. Tutta la casa si articolava in un’unica piccola stanza dall’aria fatiscente intrisa da un penetrante odore di qualcosa di marcio. La credenza di una sporca cucina aveva le ante divelte dai cardini e gli interni erano vuoti, ad eccezione di un paio di topi che se la diedero a gambe nell’avvertire l’arrivo di nuovi ospiti.

Karen individuò un vecchio divano logoro e sporco e vi lasciò cadere Mundungus, il quale si lasciò scappare un grugnito di dolore nell’atterrare sulla spalla ferita.

- Dittamo... - sussurrò digrignando i denti dal dolore - mi serve del dittamo per la ferita.

E così indicò a fatica a Karen dove recarsi nel piccolo paese di Fort Augustus: nelle sperdute Highlands scozzesi non esistevano comunità interamente magiche o babbane, ma spesso, come a Edimburgo in passato, vi erano negozi all’apparenza babbani, che però vendevano sottobanco prodotti magici.

Era questo il caso del “The Millshop*”. 

Di conseguenza, Karen uscì nuovamente nella notte stringendosi addosso la leggera vestaglia azzurra ormai impastata di fango. Il negozio che Mundungus le aveva descritto era più simile a una piccola chiesa intonacata di bianco e rivestita da un tetto scuro e spiovente. Karen suonò il citofono riferendo chi la mandava e, poco dopo, un vecchio raggrinzito dai capelli argentati le aprì la porta sul retro senza fare domande sul suo strano abbigliamento e su quella richiesta di aiuto a notte fonda. Mentre la conduceva all’interno del negozio di souvenir e articoli da regalo e poi sul retro, l’anziano le raccontò di essere un vecchio mago e, una volta che lei gli mise in mano qualche falce d’argento presa dalla tasca della giacca di Mundungus, lui le ficcò in mano un paio di fiale di dittamo e le diede qualche dritta su come utilizzarlo. Si scusò per non poterla aiutare ulteriormente, giustificandosi con il fatto che erano tempi duri per i maghi che vivevano tra i babbani. Karen, preoccupata e infreddolita, non poteva di certo biasimarlo e, dopo averlo ringraziato, ripercorse la strada verso il lago con le fialette nella tasca della vestaglia.

Grazie al dittamo che Karen applicò più volte sulla ferita, nel giro di qualche giorno Mundungus si ritrovò a stare decisamente meglio, anche se per tornare a smaterializzarsi di nuovo ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo. Karen si era recata altre volte al “The Millshop” e aveva comprato un po’ di viveri e dei vestiti di ricambio, dato che non poteva di certo continuare ad andare in giro in vestaglia. Il decrepito commesso, che le aveva detto di chiamarsi Neil Robertson, si era rifiutato di prestare loro il suo altrettanto decrepito allocco dall’aria altezzosa per mandare un messaggio agli amici di Mundungus, perciò l’unica alternativa per avvisare che stavano bene era inviare un Patronus. O almeno era quello che le aveva comunicato Fletcher mentre insultava con improperi fantasiosi il vecchio Robertson per non aver prestato loro il suo gufo. In ogni caso, anche per il Patronus, avrebbero dovuto aspettare che Mundungus si fosse rimesso completamente, dato che si trattava di un incantesimo complesso che al vecchio mago, già in situazioni normali, riusciva difficilmente.

- Chissà se Diana sta bene... - sospirò Karen per l’ennesima volta guardando fuori dalla finestra della vecchia casupola con aria carica di preoccupazione. Mundungus riusciva ad emettere soltanto una debole nebbia argentea dalla bacchetta e lei stava cominciando a diventare irrequieta.

- Starà bene - bofonchiò Mundungus asciutto pescando delle patatine da un sacchetto con il braccio sano e poi, con la bocca piena, continuò - se sei certa che Weasley sia riuscito a portarla via, sono sicuro che stanno bene.
- Si, lo so - rispose Karen in tono seccato mentre si aggirava per la piccola stanza incapace di stare seduta - me lo hai già detto circa duecento volte, ma non ne abbiamo la certezza! Ma è mia nipote e mi preoccupo per lei! Ci deve essere un altro modo per far sapere che stiamo bene!
- No che non c’è - la rimbeccò Mundungus esasperato - qualsiasi altro modo è troppo rischioso. Non possiamo di certo prendere un treno o un manico di scopa! E’ già tanto che quel mostro di Greyback non sia riuscito a trovarci qui!

Karen rabbrividì al pensiero dell’orrenda creatura. Ovviamente ne aveva sentito parlare, ma trovarselo davanti era stata tutt’altra cosa. Si strinse nelle spalle, come per volersi riscaldare, e si decise a porre a Mundungus la domanda che le frullava in testa già da un po’.

- E’ normale che.. beh.. insomma che tu non riesca a evocare un Patronus? - chiese Karen titubante mordicchiandosi l’unghia del pollice.

In tutta risposta Mundungus grugnì e, tutto d’un tratto, sembrò trovare molto interessante il panorama del lago scuro oltre la finestra. Karen si avvicinò al piccolo mago in attesa di una risposta, a braccia conserte e labbra strette in un’espressione decisa.

- Non sono mai stato bravissimo nei Patronus... - confessò Mundungus a capo chino - mi dispiace...

Lo sguardo di Karen si addolcì e posò una mano sulla spalla di Mundungus.

- Lo so... - cercò di consolarlo con un sorriso imbarazzato - aspetteremo il tempo necessario. Se dici che Diana con Fred è al sicuro, mi fido.

Mundungus si alzò e dando un’occhiata alla propria spalla ancora fasciata sentenziò: - Tra un paio di settimane dovrei essere in grado di materializzarmi e potremo tornare indietro.

- Cosa pensi volessero da noi? - domandò Karen riferendosi all’attentato al negozio e ponendo un altro dei quesiti che la tormentava.
- Qualche oggetto di valore, immagino... - ipotizzò Mundungus in tono vago - ti ho venduto tanta di quella roba magica che non saprei...
- Ma che cosa se ne fa Bellatrix Lestrange di... - domandò Karen allargando le braccia, prima di interrompere la frase a metà, perchè Mundungus si era voltato verso di lei con uno scatto talmente repentino da fargli emettere un lamento di dolore - Ti ricordi quel calice con delle pietre preziose che ti ho venduto qualche anno fa?
- Si... - annuì Karen deglutendo senza capire dove Mundungus volesse andare a parare.
- Ecco..beh... - questa volta fu Mundungus ad essere a disagio - l’ho vinto a dadi contro Rodolphus Lestrange...eh...immagino che abbia mandato la moglie a riprenderselo. Dicono che sia molto antico e che sia appartenuto a Tosca Tassorosso...

Karen sbatté più volte le palpebre dietro agli occhiali rettangolari senza dire una parola. Per qualche secondo rimase ammutolita a fissare l’uomo di fronte a sé e poi sbottò irata: - Tu mi hai venduto un oggetto della famiglia Lestrange? Ma sei impazzito? Ma non ti è mai passato per l’anticamera del cervello che potesse essere pericoloso? Lo so anche io che con quella famiglia non è il caso di scherzare!

Mundungus si era fatto piccolo piccolo tornandosi a sedere sul divano e a ogni urlo di Karen sembrava rimpicciolirsi sempre di più. 

- Ma figuriamoci! - riprese a urlare Karen gesticolando freneticamente visto che Mundungus sembrava aver perso l’uso della parola - ti importa solo dei soldi e dell’whisky! Altrimenti non avresti messo in pericolo me e Diana in questo modo! - detto questo aprì la porta e la sbatté dietro di sé con un tonfo.
- Karen! Aspetta! - gridò Mundungus alla porta ormai chiusa, mentre attraverso la finestra incrostata di sporcizia intravedeva la sagoma della donna avviarsi furente e a passo di marcia verso il lago, come se volesse mettere più metri possibili tra loro.

 

*Il “The Millshop” esiste veramente ed è un negozio di souvenir ricavato da una piccola chiesa di Fort Augustus. Non so se nel retro venda sottobanco pozioni o oggetti magici, ma mi piaceva pensarlo :)

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Ciao!
Sono riuscita finalmente a pubblicare un nuovo capitoletto un po' corto, che però spiega dove erano finiti Karen e Mundungus.
Magari è un po' noioso e di passaggio, non so...sinceramente questa storia mi pareva decente, ma ora che sto pubblicando i capitoli sono in preda a mille dubbi e non ne sono più tanto convinta...
Comunque, mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate :)
Grazie a chi legge, inserisce questa storia nelle preferite/seguite e a chi trova sempre il tempo di lasciare un commento (per me significa molto!); un grazie speciale a @mynameissally, che è una superfedele commentatrice di ogni capitolo :)
A presto!
 

 

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Capitolo 10
*** Scommesse e accordi ***


 

Grimmauld Place, n.12

 

Diana mosse leggermente le palpebre. Si sentiva ancora vagamente intontita, ma il mal di testa sembrava migliorato. Aprì lentamente gli occhi ricordandosi di non alzarsi di scatto dal letto come la prima volta. Si portò una mano alla testa, dove la spessa fasciatura era stata rimpiazzata da un più piccolo e meno ingombrante cerotto. La stanza in cui si trovava sembrava non abitata da molto tempo. Le pareti erano rivestite da una tappezzeria giallastra e consunta che in certi punti si stava scollando e da poster e ritagli di giornali. Diana strabuzzò gli occhi, perchè avrebbe potuto giurare che un ragazzo in sella a una scopa su uno di quei poster si fosse mosso, ma probabilmente la botta in testa era solo stata più forte di quanto ricordasse. 

L’ambiente era tetro e inquietante: odorava di polvere e di muffa. 

Diana rabbrividì sotto le coperte.

Si voltò verso la finestra, da cui non vedeva luce entrare attraverso le pesanti tende marroni. Doveva essere pomeriggio inoltrato. Per quanto tempo era rimasta priva di sensi? Avrebbe preferito rimettersi a dormire, ma ogni dannata volta che chiudeva gli occhi rivedeva lo sguardo folle della donna dai capelli corvini e dell’altro individuo. Non capiva se fosse la realtà o il ricordo di un sogno, ma solo l’idea la terrorizzava. Un enorme creatura mostruosa che si avvicinava a lei, che non riusciva a muoversi nemmeno per scappare. Si sentiva inerme e il respiro le si bloccava nel petto.

Automaticamente, cercò con la mano l’orologio da taschino che portava ancora al collo come un ciondolo e lo strinse nella mano destra. Vi si aggrappò con tutte le sue forze come se il ciondolo potesse portarla in salvo, come faceva sempre da bambina, quando sentiva troppo la mancanza di sua madre.

Qualcuno bussò alla porta interrompendo il flusso dei suoi pensieri; il visitatore, senza aspettare una risposta, entrò nella stanza.

Diana si rigirò nel letto per vedere chi fosse il suo nuovo arrivato ed emise un profondo sospiro vedendo Fred sulla soglia. Dovevano averlo curato con la magia, dato che sembrava illeso.

-Ciao! - la salutò lui allegramente.

Per tutta risposta la ragazza, allungò una mano giù dal letto per afferrare una delle sue scarpe e lanciargliela contro - Vai via, Fred!

Quest’ultimo, con un movimento della bacchetta, bloccò la sua Converse nera a mezz’aria e la lasciò pigramente cadere per terra, poi si rivolse a qualcuno alle sue spalle, che Diana non riusciva a vedere, dicendo - Avevi ragione, è proprio simpatica....e comunque - tornò a rivolgersi a Diana - non sono Fred.

La ragazza allungò il collo perplessa e il vero Fred con fasciatura al braccio e andatura leggermente zoppicante la salutò dicendo - Ciao Folletto!

Diana aggrottò le sopracciglia perplessa e ricordò vagamente che Fred le avesse detto di avere molti fratelli, tra cui un gemello.

- Sono George - si presentò quest’ultimo esibendosi in un profondo inchino - al suo servizio, madamigella!
-Nella vostra famiglia siete tutti così cazzoni o solo voi due siete usciti cosi? - chiese Diana con fare scontroso mentre si rimetteva supina a fissare il lampadario impolverato appeso al soffitto.

Per tutta risposta George Weasley inarcò un sopracciglio con aria sarcastica e lanciò un’occhiata al fratello che con aria altrettanto sarcastica le rispose - Sta a te volerlo scoprire...

L’altra Converse fu scagliata verso Fred Weasley che ridendo la afferrò al volo con il braccio sano.

- Dai, scherzavo! Direi che ora che hai terminato le cose da lanciare possiamo avvicinarci... - constatò Fred muovendo un passo verso il letto - ti va di scendere a mangiare qualcosa?

Diana rispose che non aveva fame e si girò, avvolta nelle coperte a guardare la finestra dando le spalle ai gemelli.

- Mmh... - sentì un mugugno proveniente da una delle due teste rosse presenti nella stanza - dai, Georgie, andiamo... - e dopo qualche protesta da parte del gemello la lasciarono nuovamente sola.

Rimase lì, avvolta nella coperta a guardare la pioggia infrangersi sui vetri, fino a che questi divennero luminosi e poi di nuovo bui, segno che una giornata era passata.

Si sentiva sola, abbattuta e senza forze. Non si sentiva nemmeno in grado di piangere. Voleva solo rivedere zia Karen. Non le importava più che le avesse mentito. Voleva solo che stesse bene, che varcasse la soglia di quella stanza inquietante per riportarla a casa e continuare la loro vita. Chiusa lì dentro si sentiva inutile, impotente e spaventata.

Diana sentì un leggero bussare alla porta e roteò gli occhi al cielo, immaginando che fossero i gemelli che tornavano di nuovo alla carica, ma la porta in legno scuro rivelò un’alta figura dalla chioma bionda fluente che portava un vassoio tra le mani. 

- Magari non ti va di scendere, ma ho pensato che non puoi non avere fame - cinguettò la super top model bionda con un marcato accento francese mostrandole il contenuto del vassoio facendo capolino nella stanza.

Diana si mise a sedere e la vista dei panini e del succo d’arancia le fece brontolare lo stomaco dalla fame. Sorrise timidamente alla ragazza per ringraziarla e agguantò un panino dal vassoio che le aveva appoggiato sul comodino.

 - Io sono Fleur, comunque - si presentò lei con un sorriso sincero sedendosi in fondo al letto - come va la testa?

-Meglio... - bofonchiò Diana tra un boccone e l’altro e dando un’occhiata alla porta socchiusa, oltre la quale si sentiva provenire un gran baccano.
-Oh, non preoccuparti, Fred e George non ci sono - la rassicurò Fleur comprensiva - possono essere un pochino chiassosi e invadenti e...
-... e idioti! - terminò la frase Diana smettendo di masticare con espressione seria - ehm, avete notizie di mia zia? - chiese poi chinando lo sguardo sulle pieghe del copriletto.
-No - le rispose diretta Fleur - ma fidati che qui sei al sicuro e stiamo facendo di tutto per ritrovare lei e Mundungus. So che il tuo umore non è dei migliori, ma fidati. Vieni al piano di sotto con noi. I gemelli volevano solo distrarti un po’...credo...

Diana mandò giu l’ultimo boccone e guardò gli occhi celesti di Fleur e ammise - Forse sono stata un po’ maleducata con loro...

Fleur scoppiò a ridere con un suono melodioso e buttando la testa all’indietro disse - Oh..credimi, ogni tanto ci vuole che li rimetta al proprio posto!

Diana abbozzò un sorriso provando un’istintiva simpatia per la ragazza che aveva di fronte e sentendosi un po’ più a suo agio le chiese - Anche tu sei loro parente?

-Più o meno... - dichiarò lei debolmente e cercando di trattenere un sorriso mostrandole un piccolo anello con una pietra rossa sull’anulare sinistro - sono la fidanzata di Bill e ci sposeremo l’anno prossimo.

Diana non aveva idea di chi fosse Bill, ma le sembrò doveroso fare le sue congratulazioni tra un sorso di succo e l’altro.

-Visto che ti senti meglio...che ne dici di una doccia calda e poi magari ci raggiungi di sotto? - propose poi Fleur con un sorriso - ti lascio qualche mio vestito pulito da mettere.

Diana si limitò ad annuire perchè tutte quelle attenzioni le avevano provocato un improvviso groppo alla gola e si sentiva già la vista offuscata da lacrime di gratitudine che riuscì stoicamente a trattenere.

Dopo la doccia si sentì decisamente più rinfrancata. Gli abiti che Fleur le aveva lasciato non erano propriamente della sua taglia, dato che la francese era molto più alta di lei. Infilò una maglia nera un po’ troppo larga a cui arrotolò le maniche e un paio di jeans lunghi e larghi a cui fu costretta a fare un paio di risvolti in fondo. Si lanciò un’occhiata nello specchio opaco e deteriorato: sembrava una bambina che aveva rubato gli abiti alla madre. Con un pesante sospiro si decise a scendere al piano di sotto immaginando già le prese in giro con cui sicuramente l’avrebbero apostrofata Fred e George.

Il corridoio era tetro e ricoperto di arazzi pieni di polvere; quasi all’imbocco delle scale, Diana sobbalzò nel vedere la parete. Non c’erano più arazzi, ma teste impagliate di creature strane, che le davano i brividi. Velocemente si recò al piano di sotto, dove la signora Weasley si aprì in un sorriso sorpreso nel vederla comparire in cucina.

-Cara, come ti senti? So che hai già mangiato qualcosa, ma tra poco arriveranno tutti per la cena. Ti va ancora qualcosa?
-Certo, grazie - sorrise Diana - diciamo che ho un po’ di pasti arretrati da recuperare.

Nel frattempo Fleur le aveva raggiunte e, rassicurandola con un sorriso, agitò appena la bacchetta magica nella sua direzione e magicamente gli abiti che prima le erano abbondanti, le calzarono a pennello.

- Grazie - le sorrise educatamente Diana con espressione meravigliata davanti all’incantesimo.

Si creò un silenzio imbarazzante nel quale le tre rimasero a guardarsi con dei sorrisi di circostanza, ma il momento di quiete fu prontamente interrotto da un trambusto nell’ingresso che annunciava l’arrivo di qualcuno.

- Fa che non sveglino ancora il ritratto della signora Black... - borbottò tra sé la signora Weasley esasperata portando il pollice e l’indice a massaggiarsi le palpebre.

Diana non fece in tempo a domandarsi chi fosse la signora Black e perchè mai un ritratto avrebbe dovuto urlare, che due teste rosse fecero capolino in cucina.

-Buonasera madre! - salutò Fred in modo estremamente teatrale fingendo un baciamano a Molly Weasley - ottima giornata...come... - si bloccò a metà frase vedendo che all’interno della stanza c’era anche Diana.
- Chi è riuscito a fare uscire il Folletto della Cornovaglia dalla sua stanza? - chiese George indicandola sconvolto
- Io - sorrise Fleur con le braccia conserte e un’aria di superiorità.
- Avevo scommesso tutto sulla mamma! - si lagnò in tono tragico George
-Hai perso! - lo canzonò Fred con un sorriso
- Anche tu hai perso - gli fece notare George - anzi, tu proprio non facevi parte della sfida dato che hai scommesso su te stesso! Non è valido!

Diana non poté fare a meno di sbuffare una risata al comportamento dei due gemelli.

Fred si finse ancora più stupito e esclamò - Le avete fatto anche un Incantesimo Rallegrante? Perchè non è possibile che sia così sorridente di sua spontanea volontà...

- Fred! George! - esclamò Molly Weasley arcigna con le mani posate sui fianchi per difendere Diana - ora basta! Lasciatela un po’ in pace!

Diana stava già elaborando una rispostaccia da dare a Fred, ma un baccano e dei miagolii risentiti attirarono i presenti verso il soggiorno, dove un turbinio di pelo e lamenti si dimenava sul tappeto nero.

La signora Weasley agitò la bacchetta mormorando: - Arresto momentum! 

Solo mentre le due creature fluttuavano in aria come mosse a rallentatore, Diana riuscì a distinguerle.

- Antares! - esclamò correndo verso il suo gatto grigio che roteava in aria spaventato e prendendolo tra le braccia. 

L’altro essere era una delle creature più brutte che la ragazza avesse mai visto. Piccolo, dalla pelle color fango e rugosa, una piccola testa butterata sormontata da due orecchie lunghe e flosce, un enorme naso adunco che quasi sfiorava le labbra sottili dischiuse a urlare insulti tra i più fantasiosi contro i presenti.

Fred e George sogghignarono tra loro e poi il primo, in tono teatrale, esclamò:

- Diana, ti presento Kreacher, l’elfo domestico.

Diana inarcò le sopracciglia perplessa, mentre Kreacher si lamentava tirandosi le lunghe orecchie: - Oh se la padrona sapesse la feccia che entra nella sua dimora! - e detto questo cercò di nuovo di scagliarsi su Antares, che si trovava in braccio a Diana.

- Ehi, lascialo stare! - esclamò lei voltandosi per difendere il suo animale domestico mentre George acciuffava Kreacher e lo portava al piano di sopra - a proposito, come è arrivato qui Antares? - chiese Diana a Fred.
- Oh, lo ha portato George quando è tornato da Edimburgo dopo la ricognizione al negozio - spiegò Fred.

George tornò in soggiorno e continuò la spiegazione del fratello: - Si, non ha smesso un secondo di strusciarsi sulle mie gambe e quindi ho pensato di portarlo qui.

- Venduto... - sibilò Diana all’orecchio a punta e peloso di Antares, che noncurante continuò a  leccarsi una zampa come se nulla fosse accaduto.

 

Le settimane successive parvero a Diana come vissute attraverso una bolla che la separava dal mondo esterno. I giorni procedevano lenti e senza nessuna novità su zia Karen e Diana iniziava a sentirsi irrequieta. Si era ristabilita completamente dalla ferita alla testa e dalle altre contusioni, ma il suo sonno era ancora disturbato da incubi incessanti. Non faceva che rivedere il ghigno folle di Bellatrix Lestrange e lo sguardo feroce della bestia che era con lei. Non ne aveva parlato con nessuno, perchè non riusciva a capire se quelle immagini fossero frutto della sua fantasia o eventi realmente accaduti.

La vita a Grimmauld Place era abbastanza frenetica: ogni giorno c’era qualcuno che entrava, qualcuno che usciva, qualcuno che si fermava per cena e qualcuno rincasava a notte fonda. Sembrava che l’unica a rimanere immobile in quel caos fosse solo Diana.

Man mano aveva conosciuto tutti i membri dell’Ordine della Fenice, una specie di associazione segreta che cercava di opporsi a questo Tu-Sai-Chi di cui nessuno le voleva dire il nome: Kingsley Shacklebolt dalla voce profonda le incuteva tranquillità, Remus Lupin dallo sguardo malinconico, ma sempre con una parola gentile per tutti, Malocchio Moody le aveva fatto veramente impressione con tutte le sue cicatrici, l’occhio di vetro e la gamba di legno, Ninfadora Tonks con quell’espressione simpatica e i capelli sempre di un colore diverso ogni giorno. I membri dell’Ordine della Fenice erano stati gentili ad ospitarla a Grimmauld Place, ma Diana non vedeva l’ora di ritrovare zia Karen e tornare alla loro vita di sempre.

Inevitabilmente, però, la sua vita non avrebbe mai più potuto essere la stessa.

La rivelazione dell’esistenza della magia l’aveva riportata a rivangare vecchi ricordi dei propri genitori, che aveva tentato di dimenticare. Tanti interrogativi che si era sempre posta, assumevano tutt’altro significato. Ecco perché Daniel Harvey pareva sempre aspettarsi qualcosa da lei. Diana ricordava di aver passato la sua infanzia a cercare di rendere fiero l’altezzoso padre eccellendo a scuola con degli ottimi voti o nei vari sport al quale i suoi genitori decidevano di iscriverla. Era diventata una sfida cercare un gesto di gioia o di orgoglio del padre, ma questi non arrivavano mai. Nonostante Sarah Harvey non facesse che rincuorare la figlia dicendo che il padre era fiero di lei, Diana non riusciva a crederci. 

E ora tutto era chiaro.

Suo padre doveva sempre aver sperato che Diana fosse una strega, come la madre. Diana ricordava i suoi undici anni come uno dei periodi peggiori della sua vita: sua madre gravemente malata, che faticava a reggersi in piedi e il padre che la allontanava sempre più, fino a che, un bel giorno, Daniel Harvey, con delle profonde occhiaie scure e gli occhi colmi di lacrime le aveva annunciato, che sua mamma non c’era più e con la scusa dell’organizzazione del funerale, l’aveva temporaneamente lasciata a vivere da zia Karen. I giorni erano diventati settimane e poi mesi. Daniel passava per delle brevi e fredde visite, che diventarono sempre più rade, fino a che un giorno zia Karen, con il suo modo di fare schietto che Diana aveva imparato ad apprezzare, le aveva detto che da quel momento in avanti sarebbe vissuta con lei perché il padre non era più in grado di occuparsi della figlia.

Diana sorrise amaramente tra sé al pensare a come si era sentita. Orfana di non solo un genitore, ma due quasi in un colpo solo. Non riusciva a provare pena o nostalgia per quel padre che non riusciva quasi a considerare più come tale e che l’aveva abbandonata nel momento in cui avevano più bisogno l’uno della l’altra. 

In quel momento, a Grimmauld Place, l’avere sotto il naso, ogni giorno, uno dei probabili motivi per cui suo padre non le aveva mai voluto veramente bene, ossia la magia, la faceva soffrire.

Si alzò dal letto sul quale era rimasta a fissare il vuoto in preda ai propri pensieri mentre tormentava con le dita il suo ciondolo-orologio e si incamminò verso la stanza in fondo al corridoio. La porta era chiusa. Si fermò a fissarsi i piedi, esitando, ma alla fine bussò.

La porta si aprì da sola.

Diana sbuffò, mentre entrava nella camera solitamente occupata da Fred e George Weasley, dentro la quale, però, c’era solo George, chino alla scrivania a mescolare chissà quale intruglio dei suoi.

- Ciao Pixie! - la salutò voltando impercettibilmente la testa verso di lei - che ci fai qui?

Per tutta risposta, la ragazza si lasciò cadere su uno dei due letti con il copriletto rosso e oro, sbuffando. Nelle settimane passate a Grimmauld Place, Fred e George le avevano affibbiato una quantità di nomignoli impensabile, tra cui Pixie o Folletto della Cornovaglia, che Diana aveva scoperto essere sinonimi; la cosa non le aveva dato più di tanto fastidio, fino a che Tonks non le aveva mostrato un’immagine di quelle orrende creaturine. Quel giorno aveva dovuto sforzarsi per contenere i suoi istinti omicidi nei confronti dei gemelli.

- Fred non c’è? - chiese lei percorrendo con il dito il profilo dorato del copriletto e ignorando la domanda di George.
- È al negozio, perché? - chiese George distogliendo l’attenzione dalle sue fialette per guardare la ragazza in modo interrogativo.

Diana spesso dimenticava che quei due avessero un lavoro; stentava a crederci, ma avevano un negozio di trucchi e scherzi magici. Si era domandata più volte come potessero campare con un negozio che vendeva solo quel genere di articoli, ma i due gemelli si erano prodigati nelle spiegazioni assicurandole che in tempi di terrore per gli attentati dei Mangiamorte e il ritorno di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato, i maghi avevano un immenso bisogno di distrarsi e che, quindi, il loro negozio stava riscuotendo un enorme successo.

L’espressione perplessa di George era totalmente giustificata, dato che difficilmente Diana aveva volutamente passato del tempo con loro. In certi giorni condividevano lo stesso tetto, ma non è che avessero propriamente dei dialoghi, anche perchè Diana era fermamente convinta che non fosse possibile avere una conversazione seria con quei due. Di certo non aveva mai piú parlato di quello che era successo al negozio Harvey e Diana cercava di sviare ogni tentativo di Fred di parlarne. Aveva notato che spesso, quando non stava progettando qualche scemenza delle sue insieme al suo complice per eccellenza, il ragazzo la fissava come se lei fosse una bomba a orologeria pronta ad esplodere e questo non faceva altro che metterla a disagio. Dall’altro lato, una piccola parte della ragazza non riusciva a non avercela con lui. Ogni volta che lo guardava non poteva fare a meno di pensare che da quando Fred Weasley aveva varcato la soglia del negozio Harvey, la sua vita era praticamente andata a rotoli. 

- Volevo parlargli di una cosa... - asserì Diana con tono vago posando lo sguardo sulla finestra.
- Ma davvero?  - chiese George con tono di sfida incrociando le braccia sul petto - e di cosa?

Diana roteò gli occhi al cielo e si alzò spazientita per lasciare la stanza senza accorgersi che qualcuno si era materializzato nella stanza e lei ci aveva praticamente sbattuto il naso contro.

- Ehi - la rimproverò il nuovo arrivato - guarda dove vai, Folletto!

In tutta risposta, Diana strinse i pugni, alzò lo sguardo ad incrociare quello di un Fred Weasley appena arrivato e gonfiò leggermente le guance imbronciata al sentire per l’ennesima volta quello stupido soprannome.

- Oh, che paura! - esclamò Fred portandosi le mani sul volto ridendo.
- Eh si, dovresti averne - lo rimbeccò George ridendo mentre si rimetteva al lavoro sul suo set di fialette - Diana era appena venuta a cercare proprio te!

Fred tornò immediatamente serio e assunse un’espressione sconcertata.

- Si...ecco ti volevo parlare di una cosa... - cercò di dire lei imbarazzata allungando il collo verso George e aggiungendo - in privato.

Fred sgranò gli occhi e George lasciò cadere una fialetta che si infranse a terra in una nuvoletta di fumo verde acido. Con un colpo di bacchetta, George ripulí il danno e si alzò di scatto per lasciare la stanza con un sorriso beffardo in volto; arrivato quasi sulla soglia si fermò e dichiarò:

- Ragazzi, se dovete fare zozzerie usate protezioni e soprattutto non usate il mio lett...- si dovette interrompere a metà frase perché Diana gli aveva lanciato una precisa cuscinata dritta in faccia e poi lasciò la stanza ridendo.

Fred rise tra sè e sè mentre togliendosi la giacca e le scarpe si accomodava su uno dei due letti distendendo le gambe, accavallando un piede sull’altro e mettendo le mani dietro la nuca, chiese a Diana: 

- Allora, Pixie, sei venuta a dichiararmi tutto il tuo amore? 

Un altro cuscino piroettò per la stanza e finí in faccia a Fred Weasley, che mugugnò qualcosa sul fatto che la ragazza non facesse altro che lanciargli addosso oggetti.

- Pff... ti piacerebbe! - rispose a tono Diana, già irritata all’ennesima potenza per le solite battutine dei gemelli - ti volevo dire che ho intenzione di andarmene.

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Ciao a tutti!
Oggi vi lascio un capitolo un po' lunghetto, ma mi sembrava che dividerlo in due avesse un po' poco senso. 
Un po' di vita quotidiana a Grimmauld Place e si scopre qualcosina in più sul passato di Diana; i prossimi capitoli saranno un po' più avvincenti (o almeno spero...)
Fatemi sapere che cosa ne pensate :)
A presto!
P.S. Fleur non è proprio in linea con il personaggio come lo conosciamo ma è una scelta voluta...mi è sempre dispiaciuto un po' che fosse descritta come snob e un po' antipatica, quindi ho pensato che almeno con Diana avrebbe potuto andare d'accordo :) 

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Capitolo 11
*** Lo sciacallo ***


Fred Weasley difficilmente rimaneva senza parole, ma in quell’occasione non sapeva proprio cosa dire. Si era così abituato alla presenza della ragazza che non si aspettava proprio un’uscita del genere. L’idea che l’indomani non avrebbe avuto modo di infastidirla, come suo solito, gli provocò una strana sensazione. Quasi di smarrimento.

- Ohi, Terra chiama Weasley - esclamò Diana, che nel frattempo si era avvicinata ondeggiando una mano davanti alla sua faccia.
- E dove Merlino vorresti andare? - chiese Fred cominciando a comprendere l’assurdità dell’affermazione, mentre afferrava il polso di Diana per spostare la mano della ragazza che si muoveva freneticamente troppo vicino al suo naso.
- A casa mia - sentenziò Diana, come se fosse la cosa piú ovvia del mondo, divincolandosi dalla presa sul suo braccio e scoccando un’occhiataccia a Fred.
- A casa tua - ripeté lui tra sè e sè in tono pensieroso, come se volesse convincersi che ciò che la ragazza diceva avesse un senso, e poi sbottò - quella dove i Mangiamorte potrebbero trovarti e ucciderti in qualsiasi momento?

Diana si accigliò e poi provò a spiegarsi - Ascolta, tu non capisci, io devo andare a casa. Se mia zia dovesse tornare, verrà là e io ci voglio essere se torna a casa...

- Non ha senso! - esclamò lui infervorandosi e alzandosi di scatto dal letto come se, d’un tratto, stare seduti fosse diventata una tortura - lo sai che l’Ordine controlla casa tua. Se Karen dovesse tornare, lo sapresti subito. E’ un’idea davvero stupida, e lo sai anche tu...

Diana sbuffò incrociando le braccia al petto e scosse la testa, contrariata.

- C’è un’altra cosa... - proseguì Diana cominciando ad alterarsi - immagino che voi maghi possiate far apparire soldi dal nulla, ma noi comuni mortali non possiamo farlo e se il negozio continuerà a rimanere chiuso... - si interruppe per un attimo e con tono triste terminò - non so come potrebbe andare a finire...

Fred rimase un attimo a soppesare le parole della ragazza. Non l’avrebbe ammesso, ma, in parte, riusciva a capirla.

- Spiacente di deluderti, ma i maghi non possono far apparire soldi dal nulla - spiegò Fred con un sorriso cercando di distendere il clima di nervosismo che si era addensato nella stanza.

Diana ignorò la sua affermazione e riprese: - E poi se torno al negozio posso cercare di capire se quei due pazzi hanno effettivamente rubato qualcosa...

Fred iniziò a misurare la stanza a lunghi passi, passandosi una mano tra i capelli fiammeggianti.

- Si, ha senso! Verrò con te così...
- No - lo bloccò lei secca e vedendo l’espressione interrogativa di Fred aggiunse - so cavarmela da sola.

Fred unì i palmi delle mani e puntò entrambi gli indici verso di lei - Contro Bellatrix Lestrange? Se dovesse tornare cosa farai? Le lancerai un cuscino?

Diana gli rivolse una smorfia di disappunto, ma a Fred parve di scorgere un tremore scuotere le spalle della ragazza nel sentire menzionare il nome della Mangiamorte.

- Ma perché dovrebbe tornare?  - chiese Diana esasperata allargando le braccia. - se ha già trovato quello che cercava non ha senso che ritorni e se non l’ha trovato è perché non è nel mio negozio! 
- E tu vorresti correre il rischio? - chiese lui alzando il tono della voce - non so se lo hai capito, ma quella donna è pazza!

Diana scrollò le spalle contrariata e si voltò con il viso verso la finestra come a voler terminare la conversazione, ma Fred non aveva nessuna intenzione di lasciar perdere.

- Perché sei venuta a dire a me che te ne vuoi andare? Perché non ne hai parlato anche con gli altri? - chiese lui cercando di comprendere che cosa passasse per la testa di Diana, ma lei ormai gli dava le spalle e continuava a non rispondere alle sue domande.
- Allora? - la incalzò Fred allungando una mano sulla spalla della ragazza per farla girare verso di lui in maniera poco delicata. A quel contatto, Diana si voltò di scatto con lo sguardo risentito e finalmente ruppe il silenzio.
- Non penso che qualcuno in questa casa sia d’accordo sul fatto che io me ne vada - e poi tradendo un certo imbarazzo mentre giocherellava intrecciando le dita alla catena del ciondolo che portava sempre al collo - speravo che tu riuscissi in qualche modo ad aiutarmi ad andarmene di nascosto...
- Non se ne parla proprio! - esclamò Fred tra lo scandalizzato e il divertito - non ti aiuterò a metterti in pericolo e soprattutto non farò niente di nascosto dall’Ordine. Malocchio non mi ha ancora perdonato il fatto di averti portata qui! E poi..perchè dovrei?

Diana aprì la bocca per ribattere ma Fred la precedette e con tono duro continuò: - Non so se te lo ricordi, ma ti ho salvato da un lupo mannaro che altrimenti ti avrebbe trasformato nella sua cena! E tu, da quando sei qui, mi hai a malapena rivolto la parola e nemmeno mi hai ringraziato! Quindi, no, non ti faccio nessun favore!

Il petto di Diana si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro e della conversazione che si era ormai fatta incalzante e più simile a un litigio; aveva le labbra strette e gli occhi brillavano, tanto che Fred si domandò se avesse esagerato, visto che la ragazza sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.

- Grazie! E’ questo che vuoi sentire? -  sibilò Diana in tono velenoso e abbassando lo sguardo - grazie per aver salvato me e lasciato mia zia a morire -  rialzò lo sguardo torvo che, in quel momento era senza dubbio colmo di lacrime di rabbia.

Fred rimase basito per qualche attimo perché probabilmente Diana aveva centrato il punto. Si tormentava da settimane per non essere stato in grado di salvare sia lei che Karen. Aveva agito d’istinto cercando di portare in salvo almeno Diana, ma il senso di colpa non aveva tardato ad arrivare. Ecco perché anche lui aveva evitato di parlare seriamente con Diana il più possibile, nascondendosi dietro le prese in giro e i soliti scherzi. Ogni volta che posava il suo sguardo sulla ragazza si sentiva uno schifo. Non riusciva a guardarla senza pensare che a Karen fosse capitato qualcosa di brutto, soprattutto perchè non avevano notizie da Mundungus e non sapevano nemmeno se i due fossero insieme.

Siccome Fred era ancora ammutolito, Diana riprese la parola: - Non voglio più rimanere qui dentro e mi pare di capire che anche tu non mi voglia tra i piedi, quindi avevo semplicemente pensato che avremmo potuto trovare un accordo...

Prima che Fred potesse rispondere che la ragazza si sbagliava, una sagoma argentea trapassò la finestra facendo gridare Diana, che dallo spavento fece un balzo all’indietro urtando il letto di George e ricadendoci sopra con ben poca grazia femminile.

Quello che era appena entrato nella stanza era un Patronus: uno sciacallo argentato e luminescente. Si fermò sulla scrivania e, sedendosi compostamente, iniziò a parlare con la voce roca di Mundungus Fletcher:

- Weasley, io e Karen stiamo bene. Se sei a Grimmauld Place o non lo sei, volevo avvisarti che arriveremo domani mattina.

Fred sentì improvvisamente il rancore scemare nell’osservare il Patronus dissolversi in una nebbiolina argentea.

Diana si portò una mano sulla bocca, mentre la rabbia veniva rimpiazzata dal sollievo e le lacrime di rabbia che aveva trattenuto fino a quel momento, si trasformavano in lacrime di gioia.

L’indomani mattina l’Ordine al completo si fece trovare, in attesa.

Malocchio Moody batteva ritmicamente la sua gamba di legno sulla moquette fatiscente del soggiorno e quando, finalmente, Karen e Mundungus varcarono la soglia di Grimmauld Place, il suo occhio magico fece un giro completo a 360 gradi.

Karen si guardava intorno con la fronte aggrottata e un’aria perplessa, ma quando il suo sguardo si posò sulla nipote, il suo viso si distese e si aprì in un enorme sorriso, mentre Diana attraversava di corsa il corridoio d’ingresso per correre ad abbracciare la zia.

Fred si limitò ad osservare la scena, in piedi, al fianco di George, mentre il ritratto della signora Black si risvegliava e rivolgeva a tutti loro i soliti raffinati insulti a cui si erano ormai abituati.

- Bel lavoro, ragazzo - gli sussurrò all’orecchio Mundungus.

Fred, così assorto dalla tenera scena di riconciliazione tra zia e nipote, non si era accorto che l’uomo gli era scivolato accanto per posizionarsi tra lui e George.

- Pensavo te la fossi data a gambe quella notte - mugugnò Fred risentito dando una generosa pacca sulla spalla a Mundungus

- Oh, non è da me - bofonchiò Mundungus incassando il colpo e scoppiando in una risata rantolante - mi devi ancora una bottiglia di Whisky Incendiario, Weasley!

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Ciao!
Eccomi qui con un altro capitoletto, ancora un po' corto ma ricco di eventi, visto che finalmente Diana e zia Karen si ricongiungono e tutto è bene quel che finisce bene...(che dite?)
Il capitolo, essenzialmente, è corto in quanto il prossimo sarà ambientato un po’ più avanti nel tempo. Attendo con ansia i vostri commenti; sono sempre curiosa di sapere cosa ne pensate (visto che a me quello che scrivo convince sempre meno ahahah).
Ancora grazie a chi dedica anche pochi minuti del suo tempo per leggere e commentare :)
A presto!

 

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Capitolo 12
*** Dicembre ***


Dicembre 1996

 

Fuori dalla finestra, la neve vorticava fitta sospinta dal vento sferzante. Diana riusciva a sentire l’aria gelida penetrare tramite gli spifferi delle vecchie finestre ed era ben felice di trovarsi avvolta in un caldo maglione a sorseggiare un tè caldo. Nonostante il clima rigido, Victoria Street pullulava di gente intenta a fare compere natalizie.

Quando il vento soffiava forte, come in quel giorno, le sembrava ancora di sentire ancora un vago odore di bruciato, anche se ormai erano passati mesi dall’incendio che aveva distrutto parte del negozio Harvey. 

Lei e zia Karen, ogni tanto, ricevevano una visita da parte di qualche membro dell’Ordine della Fenice per accertarsi che fosse tutto a posto. Diana sapeva, inoltre, che la zia era rimasta in contatto con Mundungus Fletcher, che quando non passava di persona, le scriveva delle lettere, che venivano recapitate allo strano modo magico, ossia tramite gufi. Il risultato era che almeno una volta a settimana si trovavano un grosso barbagianni a picchiettare con il becco la finestra del soggiorno, mandando Antares in escandescenze e ricordando a Diana che quello che aveva vissuto non era solo un brutto sogno.

Lei e la zia, dopo aver riordinato e rimesso in sesto il negozio, avevano scoperto che Bellatrix Lestrange aveva rubato proprio la piccola coppa con delle pietre preziose che Mundungus aveva venduto a Karen tempo prima, ma nessuno sapeva spiegarsi il motivo. Remus Lupin, che era venuto a trovarle in una fredda giornata di ottobre, aveva detto che, insieme ad Albus Silente, una specie di stregone supremo, stava cercando di capire il motivo del furto e di ritrovare l’oggetto rubato.

Diana non aveva mai più rivisto i gemelli Weasley. Lei e Fred non avevano più parlato dopo il loro litigio e, anche se la faccenda si era risolta nel migliore dei modi, non avevano chiarito, forse perché nessuno dei due si era sentito in dovere di fare pace con una persona che non avrebbe mai più avuto modo di frequentare. Si erano limitati a salutarsi in maniera abbastanza distaccata, poco prima che Kinglsey Shacklebolt accompagnasse lei e zia Karen alla stazione ferroviaria per ritornare a Edimburgo, dato che entrambe si erano opposte fermamente ad un’altra materializzazione. 

Diana aveva comunque pensato a Fred più spesso di quanto avrebbe voluto, sentendosi un po’ in colpa e un po’ in debito nei confronti di quell’irritante ragazzo.

Inevitabilmente, le esperienze vissute e la scoperta del mondo magico avevano catapultato Diana in una nuova ottica: aveva scoperto troppe cose che le erano state tenute nascoste per troppo tempo e questo la faceva sentire spaesata e fuori luogo.

Molto lentamente, il rapporto con zia Karen stava tornando alla normalità, nonostante Diana fosse ancora risentita per le cose che la zia le aveva taciuto per anni. Erano sempre andate d’accordo, ma lo scoglio di bugie che si era creato tra loro era stato difficile da aggirare. Come se non bastasse, nel cuore della notte si svegliava spesso madida di sudore, in preda a incubi popolati dal ghigno malefico di Bellatrix Lestrange e dal ringhio di Fenrir Greyback. 

Era stanca e stressata; sobbalzava al minimo rumore e, quando la canna fumaria del loro camino si era intasata emettendo in soggiorno una grossa nuvola di fuliggine, aveva faticato a ritrovare la calma, troppo spaventata che un Mangiamorte potesse materializzarsi sul divano color senape.

- Verrai anche tu, Diana? - una voce la riscosse da i suoi pensieri.

Distolse lo sguardo dalla finestra e si voltò verso il suo letto, dove sulla trapunta blu scuro era sdraiata a pancia in giù a sfogliare una rivista la sua amica Aileen.

- Dove, scusa? - chiese Diana sbattendo le palpebre cercando di ritrovare il filo del discorso.
- Alla festa di Capodanno a casa di Reed! Te ne ho parlato due minuti fa? Mi stavi ascoltando? - chiese Aileen spazientita mettendosi una ciocca castana dietro le orecchie con un gesto secco.
- Scusa, mi ero distratta... - le disse Diana sedendosi sul letto e sfregandosi gli occhi - si certo che verrò. 
- Ci sarà anche Lyall... - Aileen le rivolse un sorriso malizioso e un’occhiata eloquente.
- Yeee - si limitò a dire Diana con un tono che invece esprimeva ben poco entusiasmo.
- Ma dai - protestò Aileen mettendosi a sedere sul letto a gambe incrociate - siete già usciti insieme tre volte e hai detto che è andata bene...
- Siamo usciti perchè mi ha sfinita a furia di chiedermelo e due volte su tre dovevi esserci anche tu ma ci hai dato buca per stare con Reed - le rispose Diana pungente.
- Avresti potuto inventare una scusa se non ti andava di stare sola con lui - ammiccò Aileen - quindi forse un pochino ti piace!

Diana evitò di rispondere ma rivolse una linguaccia all’amica.

- E poi ti ha anche portato a vedere le stelle cadenti! Che romantico! - Aileen proseguì con la sua orazione a sostegno di Lyall.

Diana sbuffò roteando gli occhi al cielo: - In realtà, siamo andati a una conferenza sulla cometa di Halle-Bopp all’osservatorio astronomico e si è pure addormentato!

Aileen mosse una mano come per scacciare una mosca: - Dettagli! Intanto accontenta tutti i tuoi noiosissimi hobby...

- Grazie, sei proprio un’amica - le rispose Diana ridendo.
- Dagli una possibilità! - la spronò Aileen con uno sguardo implorante e le mani giunte.

Diana mascherò uno sbadiglio e si stropicciò gli occhi - E va bene...

- Sicura di stare bene? - chiese l’amica dubbiosa mordendosi il labbro inferiore e scandagliando con lo sguardo il viso di Diana, alla ricerca di qualcosa che non andava.
- Si, sono solo stanca... - sbuffò Diana ben conscia di avere delle profonde occhiaie scure che non riusciva a camuffare neanche con il miglior correttore - sai lo studio, il lavoro e poi...il Natale non mi piace.
- Già... - constatò Aileen soppesando le parole dell’amica e chiudendo la rivista. Fortunatamente, Aileen la conosceva bene e sapeva quanto non amasse le festività natalizie. Non facevano altro che ricordarle i bei momenti vissuti con i suoi genitori.
- Aili, ora devo tornare di sotto al negozio - cercò di tagliare corto Diana guardando l’orologio e constatando che l’intervallo pomeridiano stava per concludersi.

Mancavano pochi giorni a Natale e in negozio c’era molto da fare, tra i vari ordini dei clienti e finire di sistemare l’archivio dei vecchi libri che si erano salvati dall’incendio.

Mentre scendevano le scale, Aileen sorrise e chiese: - Che mi dici del nuovo fidanzato di tua zia?

Diana mancò un gradino e si aggrappò al corrimano per non rotolare giù dalle scale.

- Coosa?
- Quello con cui è uscita a cena settimana scorsa... - spiegò Aileen ridendo
- Ma no quello è Mundungus - si tranquillizzò Diana - sono solo amici...

Aileen fece spallucce e continuò: - Sarà...ma a me non sembrava proprio fossero solo amici...

Al piano di sotto, zia Karen era al telefono con un cliente e si limitò a fare un cenno di saluto e un sorriso ad Aileen mentre lasciava il negozio. Diana si infilò il solito grembiule bordeaux, sfilando il ciondolo a orologio per lasciarlo penzolare sopra alla stoffa del grembiule, e si sistemò nel retrobottega a terminare il restauro di un vecchio scrittoio in legno che le stava dando parecchio lavoro da fare. Non riusciva proprio a renderlo simile al colore del legno originale. 

Sua zia e Mundungus? 

Era stata così concentrata su sè stessa da non accorgersi della cosa oppure era Aileen che, come sempre, vedeva coppie anche dove non esistevano?

Quella sera le avrebbe fatto qualche domanda per capirci qualcosa di più.

Aveva appena iniziato a lucidare per l’ennesima volta la superficie lignea, quando uno scampanellio annunciò dei visitatori e, siccome sentiva ancora zia Karen parlare al telefono, tornò verso l’ingresso per accogliere i clienti.

La stavano aspettando con aria annoiata e leggermente snob due persone che Diana immaginò essere padre e figlio. Erano entrambi biondi, portavano strani abiti scuri che sembravano appartenere ad un’altra epoca e si guardavano intorno come se fossero appena atterrati in una stalla ricoperta di sterco. Quello che doveva essere il padre aveva lunghi capelli biondi e un bastone da passeggio con una testa di serpente in argento a ricoprire il pomello. Diana, con occhio critico, si rese conto che doveva essere un pezzo di antiquariato molto raro. Il figlio, che non poteva avere più di sedici anni, invece, pallido e slavato, la fissava con un’espressione di disgusto dipinta in volto. Diana non si fece troppo problemi, dato che molto spesso la clientela ricca che frequentava il negozio Harvey aveva decisamente la puzza sotto il naso.

- Buongiorno, posso aiutarvi? - chiese educatamente Diana sorridendo ai due nuovi arrivati
- Lo spero - sentenziò glaciale il padre platinato mentre si scrollava un’abbondante quantità di neve dal cappotto e sospingeva il ragazzo verso di lei - su, Draco! Voglio andarmene il prima possibile.

Il ragazzo si fece avanti e, sempre con la sua espressione di disgusto, mostrò una fotografia che sembrava strappata da un libro di testo e in tono strascicato e di superiorità chiese: - Avete uno di questi?

Diana osservò la fotografia che il ragazzo le porgeva: raffigurava una specie di armadio in legno antico con dei grossi cardini in ferro battuto e grandi intarsi in legno. Sembrava essere molto antico e molto costoso.

- Non ho mai visto un armadio simile, ma...
- Draco, te l’ho detto che era solo una perdita di tempo - il padre interruppe Diana in malo modo.
- Ma.. - riprese Diana seccata dall’interruzione indicando la fotografia e scoccando un’occhiataccia all’uomo - abbiamo dei cardini come quelli.
- Oh.. - fece il ragazzo di nome Draco meravigliato - posso vederli?
- Si, certo - disse Diana gentile - ma devo avvisarvi che non sono in vendita. Sono molto antichi e li usiamo solo per le nostre riparazioni! Se vi interessa ve li posso ordinare, ma ci vorrà un po’ di tempo prima che ci vengano spediti...

Sparì nel retrobottega e, dopo aver frugato in una cassettiera, tornò davanti ai due altezzosi clienti con in mano quanto richiesto.

- Li compriamo - sentenziò Draco con sguardo febbrile senza aspettare che lei li tirasse fuori dal sacchetto.
- Ehm...no, come ti dicevo prima, questi non sono in vendita - cercò di spiegarsi Diana sollevando un sopracciglio perplessa, dato che le sembrava di essere stata abbastanza chiara.

Il padre, con un rapido movimento, svitò il pomello del bastone da passeggio e ne estrasse una bacchetta di legno, che puntò verso Diana. La ragazza indietreggiò istintivamente, ricordandosi immediatamente di Bellatrix Lestrange e sentendosi immediatamente la salivazione azzerarsi per la paura.

- Imperio - mormorò l’uomo e poi aggiunse: - Se mio figlio li vuole, tu glieli darai, stupida babbana. Ci darai quei cardini, senza fare storie!

Diana fu colpita una nuvoletta di fumo arancione e sentì un calore formicolante scorrerle dalla testa ai piedi, mentre un sapore dolciastro le pervadeva la lingua. Si sentì improvvisamente tranquilla e rilassata, senza capire esattamente la sua ubicazione nel mondo. Per qualche istante si sentì leggera e senza pensieri e non si rese nemmeno conto che stava insacchettando i cardini e li stava per porgere all’uomo. 

Battè le palpebre più volte. 

Il calore stava svanendo abbandonandola ad una sensazione di freddo e di sconforto, mentre lo sguardo si posava sulla propria mano che stava per consegnare la merce al cliente. La ritrasse immediatamente e, come risvegliandosi da un trance, in tono duro chiese: - Scusi, le ho detto che i cardini non sono in vendita! E la prossima volta, gli insulti se li tenga per lei!

Al sentire il tono di Diana, anche zia Karen era sopraggiunta a vedere se ci fossero dei problemi.

L’uomo biondo era rimasto incredulo a guardarla. Non aveva più la bacchetta tra le mani e Diana finì per domandarsi se quanto accaduto non fosse solo frutto della sua immaginazione.

- Andiamo, Draco - sibilò premendo una mano sulla spalla del figlio e lanciando un’occhiata a Diana dall’alto in basso, soffermandosi più del dovuto sul ciondolo che lei portava al collo - qui non hanno quello che cerchiamo.

Draco non sembrava essere d’accordo con il padre, ma chinò remissivo il capo e si fece traghettare fuori dalla porta del negozio, nella bufera di neve.

- Che grandissimi maleducati! - esclamò zia Karen furibonda seguendo con lo sguardo i due che lasciavano il negozio - ma come si permettono?

Diana si rese conto che la zia non aveva notato nulla di strano, ma lei era abbastanza certa che l’uomo che aveva appena lasciato il negozio Harvey fosse un mago. Un mago che aveva anche provato a farle un incantesimo. 

Istintivamente afferrò il ciondolo con la mano destra.

Era caldo. 

Abbassò lo sguardo sulla superficie bronzea del vecchio orologio da taschino e notò che da dietro il coperchio istoriato sembrava provenire un bagliore arancione. Più tardi avrebbe dato un’occhiata all’orologio a cui non cambiava la batteria da parecchio tempo.

Il pomeriggio proseguì come di consuetudine, con molti visitatori e turisti che entravano in negozio anche solo per dare un’occhiata o per scambiare qualche parola con zia Karen, che era sempre molto contenta di raccontare le storie che si nascondevano dietro gli oggetti che avevano in vendita. Era quasi ora della chiusura e zia Karen stava ancora raccontando a degli ignari turisti francesi la storia di un vecchio portagioie che si diceva fosse appartenuto alla regina di Scozia, Maria Stuart, quando Diana le fece un cenno e, togliendosi il grembiule, andò al piano di sopra per farsi una doccia. Sarebbe volentieri andata direttamente a dormire, dopo la pesante giornata. C’era stato così tanto da fare, che non si era nemmeno ricordata di riferire a zia Karen i suoi presentimenti sui due biondi clienti. 

Purtroppo, anche se il soffice piumone era allettante, Diana dovette costringersi a entrare in doccia e a pensare che cosa indossare. Infatti, quella sera, come tutti gli anni, lei e zia Karen erano invitate a cena al “The Bow Bar” di Scott Macdonald, dove ogni anno festeggiavano il Natale con i commercianti di Victoria Street. Era l’unica tradizione natalizia che Diana tollerava di buon grado, anche se quel giorno ne avrebbe volentieri fatto a meno.

Ci sarebbe stato anche Lyall. 

Diana ricordò le parole di Aileen e borbottò tra sè: - E diamogli una possibilità...

Mentre, usciva dalla doccia, sentì che anche zia Karen era salita al piano di sopra e aveva chiuso il negozio. Dopo una rapida occhiata al contenuto del suo armadio, scelse una gonna nera abbastanza corta e un maglione rosso a collo alto. Si asciugò i capelli, accese la radio e si infilò i vestiti canticchiando, mentre sentiva l’umore migliorare. 

Si stava truccando, mentre nella sua camera risuonavano le note di I can’t be with you, quando sentì dei pesanti colpi provenire dal piano di sotto.

Si fermò un secondo con la matita nera in mano a mezz’aria, in ascolto, e ruotando la manopola della radio, interruppe bruscamente Dolores O’Riordan che attaccava il ritornello.

Altri colpi.

Zia Karen era sotto la doccia e non diede segno di aver sentito qualcosa.

Antares, acciambellato ai piedi del letto, sollevò di scatto la testa e rizzò le orecchie, sull’attenti.

Diana si guardò intorno spaventata e, a passi furtivi, scese dalle scale.

Qualcuno stava bussando pesantemente sulla serranda abbassata del negozio.

Diana si immobilizzò e fece saettare lo sguardo sugli oggetti a sua disposizione, alla ricerca di qualcosa con cui avrebbe potuto difendersi. 

I colpi sulla serranda erano diventati ancora più insistenti e ravvicinati tra loro.

Diana afferrò un vecchio candelabro in ferro battuto. Non sapeva se sarebbe mai riuscita a colpire qualcuno con un candelabro, ma tenere qualcosa di pesante tra le mani, la faceva sentire leggermente più coraggiosa.

Si avvicinò lentamente all’ingresso principale per cercare di sbirciare dallo spazio tra la serranda e la vetrina chi fosse che insisteva per entrare dopo l’orario di chiusura, ma i colpi sulla serranda si erano ammutoliti e fuori dalla porta non vide nessuno.

Diana rimase un attimo a guardare fuori dal negozio in attesa che il misterioso e fastidioso visitatore si palesasse, ma non accadde nulla.

Con il cuore che galoppava per lo spavento, stava tornando al centro del negozio per poi tornare di sopra, quando i colpi ricominciarono, questa volta dalla porta sul retro. Era una semplice porta di legno a vetri, con una pesante tendina color crema che impediva ai visitatori di vedere l’interno del negozio.

Dietro la tenda, Diana riusciva a intravedere le sagome di tre persone. 

Inspirò profondamente e, mentre i colpi diventavano sempre più forti e venivano accompagnati anche da un vociare indistinto, si avviò a passo di marcia, sempre con il candelabro in mano, a vedere chi diamine fosse a essere così insistente.

Era a circa un metro dalla porta, quando riuscì a distinguere una frase di senso compiuto provenire dall’esterno da una voce spazientita che esclamò:

- Ora basta! Alohomora!

La porta si aprì con violenza e, prima che Diana potesse rendersene conto, il battente la colpì forte in pieno viso facendola atterrare malamente di schiena a terra. 

Il candelabro tintinnò cadendo sul pavimento. 

Mentre Diana tentava di puntellarsi su un gomito, tenendosi una mano sul naso che aveva iniziato a sanguinare, dal profilo della porta spalancata che incorniciava la tormenta di neve una furia dai capelli rossi irruppe nel negozio.

- Tu...tu sei qui... - constatò il ragazzo dai capelli rossi incredulo, chinandosi a terra al fianco di Diana e fissandola come se non credesse ai propri occhi - e stai bene...!
- Stavo meglio prima - grugnì lei dolorante cercando di arrestare il sangue che le scendeva abbondante dal naso, ma purtroppo non era quella la sua unica preoccupazione, dato che al momento un Fred Weasley decisamente arruffato, preoccupato, infreddolito e dal naso rosso quanto i suoi capelli, era chino sul pavimento del suo negozio.
- Scusa - le sorrise Fred porgendole un fazzoletto - è che non aprivi la porta e quindi ho dovuto usare le maniere forti!
- Ho notato - mugugnò Diana tamponandosi il naso con il fazzoletto.

Alle spalle di Fred, Diana riuscì a mettere a fuoco George Weasley e Mundungus Fletcher che si stavano chiudendo la porta alle spalle varcando la soglia.

- Oh no no - si lamentò Diana tornando lentamente in sè e scuotendo la testa come per scacciare via i tre nuovi arrivati - che cosa ho fatto di male? Che ci fate qui voi tre? 

George Weasley sogghignò scrollandosi la neve dai capelli con una mano e rivolgendosi al gemello esclamò: - Te l’ho detto che non l’avrebbe presa bene!

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Ciao :)
Questo capitolo è venuto fuori un po' più lungo del solito, perchè deve ammettere che mi sono divertita molto a scriverlo, quindi spero che anche a voi possa piacere!
E' passato qualche mese dagli ultimi eventi e vediamo un po' come procede la vita di Diana...ovviamente non si può mai stare tranquilli e soprattutto mai senza maghi in mezzo ai piedi :D
Fatemi sapere cosa ne pensate, dato che stranamente questo capitolo mi piace abbastanza :)
Intanto grazie a chi legge e commenta :)
P.S. La canzone che Diana ascolta alla radio è famosissima, ma per chi non la conoscesse e avesse voglia di sentirla è I can't be with you dei Cranberries.
P.P.S. La cometa di Halle-Bopp era perfettamente visibile a occhio nudo tra il 1996-1997..chi ha un po' di anni come me magari se la ricorda :)
Alla prossima!
S.

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Capitolo 13
*** L'orologio da taschino ***


Pesanti gocce scarlatte cadevano nel lavandino candido. 

Diana teneva le mani strette ai bordi del lavello con il capo chino per cercare di fermare il flusso del sangue che continuava a scorrerle dal naso. La testa e il naso, in corrispondenza del suo incontro ravvicinato con la porta del negozio, le pulsavano di un dolore sordo e, guardandosi allo specchio, constatò che un grosso bernoccolo le si stava gonfiando sulla fronte.

Si sedette stancamente sul water chiuso, tamponandosi il naso con la carta igienica.

- Diana? Tutto bene? - zia Karen fece capolino aprendo la porta del bagno, mentre dietro di lei, sbirciava la scena la testa rossa di Fred Weasley.
-Si... sto bene - mugugnò lei dolorante - ora vi raggiungo in soggiorno...

Fred sgusciò tra zia Karen e la porta e si infilò nel bagno avvicinandosi a Diana.

- Non devi fare così - la rimproverò Fred spingendole bruscamente la testa in avanti con una mano - chinati in avanti, altrimenti il sangue ti va in gola! Ne so qualcosa...ne ho prese parecchie di mazzate in faccia!
- Non abbastanza, forse... - commentò Diana sarcastica rivolgendo a Fred una smorfia che le fece storcere il naso per il dolore - e non mi toccare! - allungò una mano verso il basso per afferrare lo scopino del water e lo puntò contro Fred per allontanarlo.

Il ragazzo arretrò soffocando una risata.

- Fuori! - esclamò Diana ondeggiando lo scopino come uno scettro e facendo arretrare ulteriormente Fred - sciò! Fuori dal bagno! Hai già fatto abbastanza danni!

L’espressione di zia Karen, appoggiata allo stipite della porta, mutò repentinamente da preoccupata a divertita nel vedere la scena.

Una volta che Fred fu finalmente uscito dal bagno chiudendosi la porta alle spalle lasciando il posto a zia Karen, Diana si tranquillizzò e risistemò lo scopino.

Zia Karen si avvicinò e appoggiando dolcemente una mano sul mento di Diana, le fece sollevare il viso per controllare la botta.

- Non sembra rotto... - sentenziò infine la zia - hai preso solo una bella botta! Ci vuole un po’ di ghiaccio...e andiamo a sentire che ci fanno qui? - propose poi indicando la porta del bagno.
- Solo se prima mi dici che succede tra te e Mundungus - rispose Diana creando un rudimentale tampone con della carta igienica da infilare nella narice destra per fermare il sangue.
- Non succede proprio nulla - la tranquillizzò zia Karen con un sorriso già sulla via del soggiorno.

Diana si limitò ad osservarla poco convinta, ma la seguì fuori dal bagno.

Non sapeva se fosse stata colpa della vista del sangue o di Fred Weasley, ma si sentiva lo stomaco stretto in una morsa e il sangue pompare ritmicamente nelle orecchie.

In soggiorno Mundungus e George erano comodamente seduti sul divano a conversare; zia Karen si fermò in piedi davanti al divano a mordicchiarsi l’unghia del pollice, mentre Fred era in piedi a guardare fuori dalla finestra con uno sguardo estremamente concentrato, come se fosse deciso scovare qualcosa che non andava oltre l’orizzonte.

Quando Diana entrò in soggiorno, tutti si voltarono verso di lei: Fred emise un verso gutturale per trattenere una risata nel vedere il tampone che le fuoriusciva per metà dalla narice.

- Non ti azzardare a dire neanche una parola! - lo silenziò Diana con uno sguardo assassino mentre andava a rovistare nell’ultimo cassetto del freezer e si lanciava a peso morto sul divano di fianco a George.
- Ti trovo bene, Pixie! - la prese in giro quest’ultimo voltandosi verso di lei e schioccando la lingua.

In tutta risposta Diana fece capolino da sotto il pacchetto di piselli surgelati che si stava tenendo sulla fronte e sibilò: - Non ti azzardare nemmeno tu!

- Io? - chiese George fingendo un’aria innocente - è Fred che ti ha trasformato nella sorella antipatica di un unicorno - riprese indicando il bernoccolo di Diana - che colpa ne ho io?
- Sei suo fratello! Direi che basta e avanza - soffiò Diana tra i denti sentendo Fred ridacchiare sommessamente.
- Che cosa ci fate qui? E’ successo qualcosa?- chiese zia Karen dando un’occhiata all’orologio da polso e poi uno sguardo a Diana per mettere a tacere il battibecco che sicuramente sarebbe degenerato.
- Già - le fece eco Diana furibonda - che cosa ci fate qui? Non potevate avvisare? Io e la zia stavamo per uscire...
- Mi spiace... - si scusò Mundungus prendendo la parola schiarendosi la gola e indicando Fred con una mano inanellata - ma Weasley non ha voluto sentire ragioni. Gli ho detto che stavate bene, ma...

In attesa di una spiegazione, Diana e Karen si voltarono istintivamente verso Fred, che sembrava non sapere da che parte cominciare la sua spiegazione; alla fine si limitò a dire, in un tono un po’ troppo serio:

- Sarà meglio che rimandiate il vostro impegno.

Fred si accomodò sulla poltrona passandosi una mano tra i capelli spettinati, che Diana notò essere cresciuti molto. La luce della lampada a muro li illuminava di mille bagliori fiammeggianti. Mentre rifletteva, con lo sguardo rimasto fisso sulla chioma rossa del ragazzo, a Diana sembrò di rivivere la stessa situazione di qualche mese prima, quando tutti i presenti, ad eccezione di George, si erano trovati in quella stessa stanza. Era stato allora che Diana aveva scoperto l’esistenza del mondo magico e, ora sperava di non dover fare i conti con una nuova verità altrettanto sconvolgente. Non sapeva se sarebbe stata in grado di reggere altre notizie di quel calibro, ma d’altronde, immaginò che da quando nella sua vita si erano insinuate due facce lentigginose e insolenti, le sorprese erano sempre dietro l’angolo. Fred, dal canto suo, continuava a guardarla come se non credesse ai propri occhi. Come se si fosse aspettato di trovarla morta, o addirittura, di non trovarla proprio.

Fred si mise a raccontare che, in accordo con alcuni membri dell’Ordine della Fenice, era stato lanciato su Karen e Diana un incantesimo di tracciamento, in modo che potessero essere più facilmente controllate in caso di pericolo. Dalla tasca dei pantaloni estrasse un foglio di carta consunto e giallastro e aprendolo mostrò loro una mappa del negozio Harvey, che per lo stupore di Diana, si rivelò essere animata. Dopo che il ragazzo ebbe colpito la superficie della mappa con la sua bacchetta magica, sulla piantina del soggiorno comparvero delle figurine minuscole con dei piccoli cartigli che riportavano i nomi dei presenti e, quando Mundungus si alzò per utilizzare il bagno, sulla mappa, la figurina che lo rappresentava si mosse, come se fosse collegata ai movimenti del mago.

- Bella trovata, ragazzi! - si complimentò Mundungus in direzione dei gemelli, una volta tornato dal bagno.

Fred fece spallucce limitandosi a dire che avevano avuto l’idea da Remus Lupin e da una certa mappa di un malandrino.

- E poi - Fred concluse il suo resoconto - di punto in bianco sei sparita dalla mappa, come se non fossi mai esistita! E allora..beh, ecco l’Ordine ci ha mandato per controllare...

Sia George che Mundungus rimasero qualche secondo con le sopracciglia aggrottate in un’espressione leggermente contrariata.

- Ma voi maghi non avete idea di cosa sia la privacy? - sbottò Diana in tono velenoso sempre con il pacchetto di piselli surgelati appoggiato sulla fronte - nè io nè la zia abbiamo acconsentito a questa...sorveglianza!
- E voi babbani non avete idea di che cosa sia la gratitudine quando qualcuno si preoccupa per voi? - rispose risentito Fred - oppure sei solo tu che non sei in grado di ringraziare?

Diana si alzò in piedi di scatto facendo cadere a terra la confezione di piselli che si aprì riversando il suo contenuto sul tappeto del soggiorno.

- Ragazzi... - zia Karen cercò di calmare nuovamente le acque, mentre raccoglieva i legumi sparsi sul pavimento prima che Antares li facesse diventare il suo nuovo passatempo preferito. 

Diana era ancora in piedi a fissare Fred con astio. Non era mai stata una persona impulsiva o irascibile, ma lui e George riuscivano a mandarla in bestia come nessun altro e non ancora riuscita a capirne il motivo.

Diana si sentiva irrimediabilmente legata a Fred dopo tutto quello che avevano passato e non riusciva a sopportarlo. 

Non riusciva a sopportare di dovere la sua vita a qualcuno a cui non aveva nemmeno mai chiesto nulla. 

Non riusciva a sopportare di dovere la sua vita a qualcuno che conosceva a malapena.

Non ce la facevano a rimanere più di due minuti nella stessa stanza senza urlarsi addosso, quindi non riusciva proprio a comprendere perchè Fred Weasley si trovasse di nuovo nel soggiorno di casa sua, come se fosse preoccupato per lei.

Odiava sentirsi in debito con qualcuno e la sensazione era ancora più spiacevole dato che quel qualcuno era Fred Weasley.

- Ti sta sanguinando di nuovo il naso - constatò lui freddamente inclinando la testa di lato, ma continuando a scrutarla intensamente.

Diana cercò di pulirsi così rabbiosamente con il dorso della mano da provocarsi una fitta di dolore al setto nasale.

- Dai vieni qui - cercò di rabbonirla Fred esasperato brandendo la bacchetta.
- Nonono - Diana si allontanò spaventata - non mi puntare contro quella cosa!

Fred roteò gli occhi al cielo, ma George fu più veloce, si alzò dal divano con uno scatto fulmineo e, puntando la sua bacchetta sul naso di Diana, esclamò: - Epismendo!

Era evidente che tutti si aspettassero che accadesse qualcosa.

Il naso di Diana continuò a sanguinare imperterrito mentre lei era ancora immobile, con gli occhi serrati per la paura, ad attendere che il naso si sistemasse o che le spuntassero delle grossa corna verdi o qualsiasi altra cosa quell’incantesimo potesse far accadere.

- Georgie, ti conviene far dare una controllata alla tua bacchetta - commentò Fred ironico.

Diana si convinse ad aprire lentamente gli occhi.

George guardava critico la punta della sua bacchetta come se avesse qualcosa che non andava. Lo sguardo di Fred, invece, era posato su di lei. Il ragazzo, indicando il suo ciondolo, chiese: - E’ normale che il tuo ciondolo sia luminoso?

Diana chinò il capo e prese il ciondolo tra le mani. Era di nuovo caldo come quel pomeriggio e dal coperchio fuoriusciva un bagliore violetto.

- Oh... - esclamò lei - no, direi che non è normale, ma è la seconda volta oggi che sembra riflettere degli strani colori...
- La seconda? - chiese Mundungus di colpo interessato - perchè quando ti è successo?

E così Diana raccontò a tutti i presenti, compresa zia Karen che era ancora all’oscuro, della visita in negozio da parte dei due maghi dall’aria snob quel pomeriggio. Al termine del resoconto di Diana, i tre maghi di nuovo accomodati sul divano, la fissavano ad occhi sgranati. Poi, tutto d’un tratto, tutti e tre si misero a parlare contemporaneamente, tempestandola di domande.

- Che cosaaa?? - esclamò George indignato - Lucius e Draco Malfoy hanno portato i loro culi pallidi qui dentro?
- Ti ha puntato contro la bacchetta?? - continuò Fred con lo stesso tono del fratello.
- Ti ricordi che cosa ha detto? - chiese invece Mundungus 
- Io beh... ecco... - tentò di ricordare Diana imbarazzata da tutti quegli sguardi ansiosi puntati su di lei - ha detto qualcosa tipo Impervio...no Imparo...cioè sembrava che volesse che io facessi quello che diceva lui, ecco... ma chi sono quei due?
- Diciamo che sono amici dei Mangiamorte che si sono presentati qui ad agosto - spiegò Fred muovendosi sul divano come se fosse seduto su una roccia appuntita.
- Imperio? - chiese, invece Mundungus stupefatto.
- Ecco! Ha detto proprio quello! - esclamò Diana che finalmente era riuscita a fermare il sangue dal naso - e per un attimo mi sono sentita strana. Accaldata e confusa e stavo per fare quello che voleva lui, come se fossi in trance. Ma poi ho capito che gli stavo consegnando quei cardini e che lui non voleva nemmeno pagare e allora l’ho mandato al diavolo...e dopo che se ne sono andati il ciondolo era caldo e sembrava luminoso.
- Ti è mai capitato altre volte? - chiese zia Karen preoccupata sapendo che la nipote difficilmente si separava da quel ciondolo. Diana scosse la testa.

I tre maghi si stavano guardando tra loro attoniti e poi guardavano Diana senza parole.

- Che c’è? - chiese lei sbattendo le palpebre, a disagio per tutte quelle attenzioni.
- Tu hai resistito alla Maledizione Imperius - constatò George Weasley come se stesse constatando che Diana avesse scalato l’Everest a mani nude.
- Hai mandato al diavolo Malfoy? - chiese Fred sorridendo con aria di godimento.

Mundungus invece era rimasto in silenzio e fissava il ciondolo di Diana pensieroso.

- Posso vedere quel ciondolo? - chiese Mundungus.

Diana si sfilò la catena dal collo e porse il ciondolo al piccolo mago dal palmo della sua mano. Mundungus lo osservò per qualche secondo con espressione meravigliata.

- Dove hai preso quel ciondolo, ragazza? - chiese Mundungus perplesso.
- L’ho sempre avuto - disse lei con tono di chi spiegava l’ovvio - era di mia madre.

 

                                                                                       —————-

 

Fred non aveva mai visto niente di simile. Da ciò che ricordava delle lezioni di Difesa contro le Arti Oscure, pochissimi maghi erano in grado di resistere a una Maledizione Senza Perdono e dovevano avere una grandissima forza di volontà, oltre che essere estremamente dotati.

Com’era possibile che Diana, una babbana che non aveva un briciolo di magia, fosse riuscita a resistere alla Maledizione Imperius?

- Sembra quasi che quel ciondolo ti impedisca di subire degli incantesimi - suppose pensieroso George indicandolo - hai resistito sia all’Imperius che al mio incantesimo di guarigione.
- Hai mai visto qualcosa del genere? - chiese Fred a Mundungus Fletcher.
- Forse... - sussurrò quest’ultimo pensieroso.
- Che significa forse? - esplose Karen Harvey, che fino a quel momento era stata fin troppo silenziosa per i suoi standard - è un oggetto magico? Può essere pericoloso?
- Non lo so... - rispose Mundungus perdendo la pazienza - non sono un esperto, dovrei farlo vedere a Lupin...se me lo dai glielo mostrerò io...
- Non se ne parla proprio - si oppose seccamente Diana stringendo il ciondolo incriminato in mano -  E’ un ricordo di mia madre e non me ne separo mai! E come minimo tu lo rivenderesti al primo offerente!

Fred fece segno a Mundungus di lasciar stare, dato che la ragazza era irremovibile e perchè aveva già un’altra idea che gli ronzava in testa.

- Diana! - Karen rimproverò la nipote con uno sguardo ammonitore - non essere maleducata!

Diana, sempre stringendo forte il ciondolo nel pugno, facendo finta di non aver sentito il rimprovero della zia, confessò: - Temo che anche quel Malfoy lo abbia notato. Di certo ha notato che la sua maledizione non ha fatto effetto e poi ha fissato il ciondolo, quindi ho paura che abbia notato che era illuminato.

- Merda - sibilò Fred tra i denti alzandosi dal divano.
- Se Malfoy lo ha notato potrebbe correre a dirlo in giro e la voce potrebbe arrivare a... - continuò Mundungus con aria nervosa.

Fred si aggirava per il soggiorno pensieroso. Aveva perso dieci anni di vita quando aveva visto il cartiglio con il nome di Diana sparire dalla Mappa del Malandrino 2.0. Stava bevendo del succo di zucca nel magazzino di Tiri Vispi Weasley e, per poco, non si era strozzato quando il riquadro dove qualche secondo prima c’era il nome della ragazza era scomparso. Aveva recuperato George, intento a spiegare i portenti dei filtri d’amore a una coppia di non più giovani clienti, aveva mandato il suo Patronus a Mundungus e nel giro di qualche ora li aveva convinti (o obbligati, dipendeva tutto dai punti di vista) a smaterializzarsi con lui a Edimburgo. 

Ripensandoci era come se avesse vissuto tutto il pomeriggio sotto un incantesimo velocizzante e, come spesso faceva, si domandò troppo tardi se fosse stata una buona idea. Diana voleva vivere la sua vita da babbana, ma inspiegabilmente si ritrovava invischiata in situazioni magiche più spesso di quanto tutti desiderassero e Fred non poteva non ritenersi responsabile. D’altronde erano lui e Mundungus che quella notte di luglio avrebbero dovuto sorvegliare il negozio e le due donne. Invece il negozio era andato distrutto, Diana era rimasta ferita e Karen dispersa con Mundungus per settimane. Avrebbe solo voluto rimediare agli errori che avevano fatto, anche se dubitava che Mundungus si facesse altrettanto remore.

Anche George non riusciva del tutto a capire il suo comportamento e suo fratello lo aveva sempre capito, ma d’altronde lui non era stato presente.

Non aveva visto il ghigno malefico di Bellatrix Lestrange.

Non aveva visto Greyback chinarsi per mordere Diana. 

Non si era sentito in dovere di aiutare chi i poteri magici non li aveva. Eppure George non si era fatto chiedere due volte di accompagnarlo a Edimburgo, ma aveva chiuso il negozio in anticipo e lo aveva seguito senza battere ciglio.

- Ok, allora verrai con noi - sentenziò Fred dopo un lungo silenzio passandosi una mano tra i capelli.

- Coooosa? - chiesero all’unisono Diana, Karen e George.
- Quel ciondolo ha qualcosa che non va e Malfoy lo sa. Non puoi rimanere qui! E se dovessero tornare? Già i Mangiamorte cercavano qualcosa qui e quando sapranno del ciondolo, non mi stupirei se fosse solo questione di tempo. Dobbiamo scoprire che cos’è, prima che a qualcuno venga voglia di metterci le mani!

Diana era molto seria e fissava Fred con espressione indecifrabile da dietro la frangia bionda. Sembrava stesse soppesando le parole di Fred e lui si aspettava già qualche oggetto scagliato verso di lui. 

Ma non accadde nulla. 

Nessun oggetto che volava verso di lui. Quindi continuò: - Per Natale, Lupin e tutti gli altri saranno da noi e a mamma non darà certo fastidio un’ospite in più...

Diana stava guardando Karen in una conversazione silenziosa, come se con gli occhi potessero comunicare tra loro.

- Diana, devi andare con loro - disse dolcemente Karen avvicinandosi alla nipote.
- No zia, non ti lascio da sola. E’ Natale! - si rifiutò Diana categorica.
- Potresti venire anche tu, Karen... - suggerì George.
- Ho ancora dei clienti da vedere nei prossimi giorni prima di Natale - si scusò zia Karen con aria triste - ma grazie per l’invito!
- Non può occuparsi Robert di questi clienti? - si lagnò Diana pestando un piede sul pavimento.
- Robert è partito per Roma ieri sera - spiegò Karen Harvey - ha raggiunto Benjamin per passare il Natale con lui!
- Robert e Benjamin Murray? - si intromise Mundungus curioso nella conversazione tra Diana e la zia.
- Si, a volte Robert mi dà una mano con il negozio - spiegò Karen a Mundungus - ma...
- Di chi state parlando? - chiese Fred senza capire dove stesse andando a parare la conversazione.
- Sono miei cugini e ogni tanto Robert mi aiuta con il negozio - sbuffò zia Karen e tagliando corto aggiunse - sta di fatto che preferirei che Diana venisse con voi!
- Ma zia - protestò Diana visibilmente preoccupata all’idea di andarsene - anche tu potresti essere in pericolo se resti qui da sola...
- Resterò io con lei - si offrì Mundungus con lo sguardo fisso sul pavimento - per controllare, si intende...

Diana aggrottò la fronte osservando Mundungus, ma Karen Harvey le rivolse uno sguardo eloquente che ebbe il potere di porre fine alle proteste.

Per convincere definitivamente una recalcitrante Diana, Fred fu costretto a proporsi di andare a prendere Karen alla vigilia di Natale per portarla alla Tana e passare le feste con la nipote e la famiglia Weasley al completo.

- E’ stata dura, ma ce l’abbiamo fatta a convincerti, Pixie! - esclamò Fred visibilmente sollevato mentre seguiva Diana in camera sua per fare i bagagli.
- Puoi anche non farmi da guardia del corpo - protestò lei mentre afferrava una grosso borsone e iniziava a impilarci dentro ordinatamente dei vestiti - non penso che Malfoy si sia nascosto sotto al mio letto con un coltello in mano.

Fred varcò la soglia della camera di Diana. Le pareti azzurrine erano ricoperte di poster di gruppi musicali o di fotografie. Fred non riusciva ad abituarsi al fatto che i soggetti delle fotografie fossero immobili e non interagissero con il mondo esterno come nel mondo magico.

L’aver scoperto che Diana stava bene e che a breve sarebbe stata perfettamente al sicuro alla Tana aveva alleviato la sua preoccupazione e alleggerito il macigno che gli sembrava di aver depositato in fondo allo stomaco.

Antares, che era acciambellato sulla sedia, drizzò leggermente le orecchie e puntò lo sguardo su Fred, che andò a salutarlo con un buffetto sulla testa. Probabilmente era l’unico in quella casa davvero felice di vederlo.

- Cavolo! Non ci sta più niente qui dentro! - esclamò Diana sforzandosi di chiudere la borsa stracolma di abiti senza avere successo.
- Tutte uguali voi femmine! - sorrise Fred picchiettando la bacchetta magica sul borsone della ragazza.
- Che stai...oh.. - esclamò Diana vedendo che la borsa non solo ora si chiudeva facilmente, ma sembrava quasi vuota.
- Incantesimo Estensivo - spiegò Fred scrollando le spalle - così potrai mettere nella borsa tutto quello che vuoi!

Diana sorrise debolmente con un’espressione di sincera meraviglia mentre continuava imperterrita a infilare vestiti nel borsone. Fred si domandò per quanto tempo sarebbe andata avanti a inserire vestiti, ma non disse nulla. Forse la ragazza si stava abituando alla magia o forse iniziava ad apprezzarla, perchè era la prima volta che non scappava o protestava di fronte all’uso di un incantesimo. Oppure iniziava a deporre l’ascia di guerra nei confronti di Fred...

- Sei sicuro che a tua madre andrà bene che io stia da voi? - chiese Diana incerta mentre fissava un maglione grigio e uno bianco per decidere quale dei due portare con sè.
- Ma si certo! Noi Weasley siamo abituati a cene con un sacco di invitati e persone stipate a dormire in sacchi a pelo nelle camere da letto! - la tranquillizzò Fred mentre osservava curioso i poster appesi al muro e realizzava che quella che stavano avendo era una delle poche conversazioni civili che erano riusciti a intavolare.

Diana si morse un labbro e si sistemò la frangia spettinata. Muoveva il peso da un piede all’altro, indecisa. Sembrava volesse chiedere qualcos’altro a Fred e infatti poco dopo domandò:

- Per andare a casa vostra ci smaterializzeremo?
- Ovviamente - rispose George che aveva fatto capolino nella stanza per vedere a che punto fossero i preparativi.

Diana, come risposta, emise un lamento soffocato - Tu che ci fai qui? - domandò rivolta a George.

- Ah, scusate...se volevate stare da soli era meglio chiudere la porta...

Fred scoppiò a ridere, mentre Diana stringeva le labbra e le guance le diventavano rosso fuoco.

- Fai un’altra battuta e ti ficco in gola una ciabatta! - sbottò Diana minacciosa stritolando una pantofola rossa e puntandola contro George.
- Sei tu che sei diventata rossa... - la prese in giro George ammiccando.

Diana voltò le spalle ad entrambi i ragazzi continuando a infilare oggetti nel borsone, con maggiore forza, segno che era di nuovo arrabbiata.

- Pensavo dovessi controllare mia zia e Mundungus in soggiorno - spiegò Diana a George.
- Dovevo controllarli? Non lo sapevo...
- Beh, è chiaro che non me la raccontano giusta...c’è qualcosa tra loro... - commentò Diana con una smorfia di disgusto.
- Tua zia e Mundungus? - esclamò Fred sorpreso - che schifo...
- Sono d’accordo - annuì Diana facendo un cenno d’assenso a Fred.
- Questa si che è una novità - commentò Fred sarcastico incrociando le braccia al petto e osservando Diana interessato.
- Quale? - chiese lei senza capire.
- Che tu sia d’accordo con me - rispose lui con un enorme sorriso - forse tra un po’ riuscirai anche ad ammettere che ti sono simpatico!
- Aspetta e spera - gli rispose Diana con un sorriso falso.
- Di che parlavate prima che arrivassi? - domandò George curioso sedendosi alla scrivania.
- Del fatto che Diana ha paura della materializzazione - rispose Fred in tono canzonatorio.
- Non è vero! - sbottò lei chiudendo finalmente la cerniera del borsone di scatto, ma poi tradendo una certa preoccupazione nella voce chiese - però se poi mi spacco come è successo a  Mundungus?
- Ma va! - cercò di rincuorarla George - non è possibile! Anche perchè viaggerai con i più simpatici...
- Belli - continuò Fred
- Famosi - riprese George
- Fred e George Weasley - terminò infine Fred mimando un’esplosione di fuochi d’artificio con le mani.
- E modesti anche... - bofonchiò Diana trattenendo a stento un sorriso.

Si guardò intorno come per sincerarsi di aver preso tutto il necessario: il borsone era a posto e sul letto era rimasto solo un libro; infine, lo sguardo le cadde sul telefono appeso al muro accanto al letto.

- Dovrei fare una telefonata prima di andare... - disse lei indicando la porta come se volesse rimanere sola.
- Ok - rispose semplicemente Fred sdraiandosi sul letto di Diana, mentre George usciva dalla camera ridendo sotto i baffi.

Diana guardò Fred con sufficienza e ripetè: - Ho detto che dovrei fare una telefonata!

Fred alzò la testa per guardare Diana negli occhi e, a sua volta, ripetè: - E io ho detto ok!

Diana emise un grugnito di disappunto iniziando a comporre il numero di telefono, mentre Fred sogghignava con la testa sprofondata nel cuscino e lo sguardo rivolto al soffitto.

- Ciao Lyall - disse Diana a bassa voce - no, lo so...non possiamo venire stasera...

Fred aguzzò l’udito per cercare di ascoltare anche la voce dall’altra parte del ricevitore, ma senza riuscirci.

- C’è stato un imprevisto...dei parenti della zia ci hanno invitato all’ultimo minuto e non abbiamo potuto rifiutare...

Ci fu un momento di silenzio e Diana si voltò verso Fred guardandolo infastidita, poi riprese: - Lo so, anche io volevo venire...ti chiamo quando torno, ok? Scusa...

La telefonata si concluse poco dopo.

Diana sbuffò riponendo la cornetta al suo posto sull’apparecchio.

- Che c’è? - chiese Diana spazientita.
- Alla fine hai ceduto... - commentò lui giocherellando con il segnalibro inserito nel romanzo che la ragazza aveva appoggiato sul letto.

Diana assottigliò lo sguardo e incrociò le braccia al petto, ma si limitò a guardarlo male.

- Ad uscire con il barista, intendo... - continuò Fred con un sorriso e continuando a giocherellare con il segnalibro - sei proprio prevedibile...
- E tu sei proprio un impiccione! - sbottò Diana cercando di afferrare il libro, ma Fred in quel momento sfilò il segnalibro dalle pagine e, con un ghigno malefico, fingendosi dispiaciuto, sussurrò: - Oops...non volevo!

Diana afferrò il libro, rossa in viso per l’esasperazione, e colpì Fred sulla testa sibilando in tono tagliente: - Oops, nemmeno io!

Fred scoppiò a ridere massaggiandosi la testa con una mano, mentre con l’altra afferrava il polso di Diana, che stava per colpirlo di nuovo con il libro.

Diana emise un grugnito di frustrazione, mentre cercava di liberarsi dalla presa e Fred non riusciva a smettere di ridere di gusto di fronte ai tentativi della ragazza di colpirlo.

Qualcuno si schiarì la voce con un colpo di tosse e fece voltare entrambi in direzione della porta.

- Ehm...ehm...andiamo? Ho una fame - propose George con un sorriso - avrete tutto il tempo che vorrete per continuare a fare... - si soffermò un attimo a osservare la scena - qualsiasi cosa stavate facendo.

Diana sbuffò irritata e bofonchiò: - Sarà il Natale peggiore della mia vita...

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Ciao!
Eccomi con un nuovo capitolo..è uscito fuori super lungo, perchè inizialmente era diviso in due, ma mi è sembrato che fosse meglio unirli dato che l'ambientazione è la stessa e che separati risultavano un po' insulsi.
Il risultato è un capitolo un po' deficiente...ma che ci volete fare, mi sono divertita troppo a inventarmi battutine idiote una dietro all'altra ahahah! Poi essendoci di mezzo Fred e George non è che possa andare diversamente...
Chissà come si prospetterà questo Natale alla Tana...
Fatemi sapere che ne pensate! Sono sempre super contenta di leggere i commenti :)
Vi lascio alla lettura!
Grazie ancora a chi legge e commenta :)
 

 

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Capitolo 14
*** La Tana ***


La smaterializzazione andò meglio del previsto anche se Diana rimaneva dell’idea che come mezzo di trasporto preferiva di gran lunga l’autobus. Quando, dopo un sonoro “crack”, era riuscita nuovamente ad avere i piedi appoggiati su qualcosa di solido, aprì gli occhi e si accorse di tenere entrambe le mani aggrappate all’avambraccio di Fred, così forte che le nocche erano sbiancate.

- Puoi anche smetterla di cercare di strapparmi un braccio - si lamentò lui sorridendo con aria estremamente soddisfatta - siamo arrivati!

Diana, maledicendosi per il suo stesso comportamento, staccò repentinamente entrambe le mani dal braccio di Fred come se si fosse improvvisamente ustionata e prese a fissarsi i palmi, imbarazzata.
Fred si massaggiò il braccio e, con tono tagliente, puntualizzò: - Menomale che non avevi paura...sei più bianca di un fantasma!

Un altro schiocco risuonò nell’aria invernale e George apparve al loro fianco.

Mentre la sensazione di nausea in fondo allo stomaco causata dalla materializzazione svaniva lentamente, Diana si accorse che erano apparsi in una vasta campagna ricoperta dalla neve dove, in lontananza, si scorgeva una grande abitazione sbilenca. Sul vialetto d’accesso c’era un grosso cartello a lettere in ottone, a malapena visibile a causa del buio della sera, che recitava “La Tana”.

Fred e George si incamminarono di buon passo e Diana cercò di star dietro alle lunghe falcate dei gemelli con in mano il suo bagaglio, che poteva anche essere mezzo vuoto a vedersi, ma era comunque incredibilmente pesante.

Quella che doveva essere la dimora della famiglia Weasley era la costruzione più bizzarra che Diana avesse mai visto. Era alta quanto un palazzo, ma non c’era un pilastro che fosse dritto; sembrava una casa sulla quale era stato poi deciso di costruire un’altra casa e poi un’altra ancora, il tutto senza consultare, probabilmente, nessuno che si intendesse di architettura, tanto che la casa sembrava rimanere in piedi per magia.

George aprì la porta di casa annunciando il loro arrivo e una Molly Weasley, ormai in vestaglia da notte, venne loro incontro.
- Cosa ci fate qui? - domandò sospettosa e poi, quando notò la presenza di Diana, si addolcì - Oh, cara! Che bello rivederti! Come stai? Entrate!

L’interno della casa era ancora più sorprendente dell’esterno. Era a tutti gli effetti una specie di antico cottage in stile inglese, con un grande tavolo in legno, una poltrona un po’ sfondata su cui era appoggiata una coperta lavorata a maglia; oltre la cucina, si intravedeva il soggiorno, illuminato da un fioco bagliore, con due grandi divani marrone scuro sfondati tanto quanto la poltrona. Sarebbe stato tutto nella norma, se non fosse stato per i piatti nell’acquaio che si stavano lavando, sciacquando e riponendo sullo scolapiatti in totale autonomia. O per la coperta lavorata a maglia che aveva magicamente preso vita e si stava autosferruzzando con due grossi ferri da calza. C’era un delizioso profumo di biscotti fatti in casa che fece venire a Diana l’acquolina in bocca, ricordandole che nella partenza improvvisata non aveva nemmeno cenato. Inebriata dal profumo di pasta frolla bruciacchiata era rimasta con lo sguardo fisso sui ferri da calza intenti a cimentarsi nel punto a maglia. 
Non riuscì a trattenere un sorriso perchè la casa dove si trovava sembrava davvero appartenere a un mondo fantastico che, fino a quel momento, non era ancora certa di apprezzare.

- Che cosa ci fate qui con Diana? Non che non sia contenta di vederla - riprese preoccupata la signora Weasley e poi rivolgendosi ai suoi figli - avevo capito che vi sareste fermati a dormire a Diagon Alley. E’ successo qualcosa?
- Dopo ti spiego, mamma - la liquidò Fred con un gesto della mano mentre cercava qualcosa nella credenza - Diana può rimanere da noi per le feste?
- Ma certo che può rimanere, George! - esclamò la signora Weasley come se Fred l’avesse offesa con quella domanda e scambiando un figlio per l’altro come spesso faceva - che bel pensiero che avete avuto ad invitarla! E tua zia non si unisce a noi? - chiese poi Molly Weasley direttamente a Diana, che era ancora imbambolata a guardarsi intorno con occhi sgranati.
- Oh, se per lei non è un problema, signora Weasley, mia zia ci raggiungerebbe alla vigilia di Natale - rispose educatamente Diana con un sorriso, senza distogliere lo sguardo dai piatti nel lavello che si stavano insaponando autonomamente.

L’espressione della signora Weasley si aprì in un dolce sorriso per esprimere il suo consenso all’arrivo di Karen Harvey, mentre Diana scorse con la coda dell’occhio Fred sbuffare e George roteare gli occhi al cielo, dato che la madre, per l’ennesima volta, aveva scambiato un figlio per l’altro.
- C’è qualcosa da mangiare? - chiese George mettendo fine alle chiacchiere di circostanza.

Diana pensò che quella fatta da George fosse la domanda preferita da porre alla signora Weasley, perchè il viso della strega da capelli rossi si illuminò, mentre iniziava a tirare fuori cibo da ogni dove, scusandosi anche con Diana per le poche portate disponibili dato che i due troll dei suoi figli non avevano nemmeno pensato di avvisarla che sarebbero arrivati con un’ospite. Ovviamente volle anche sapere se erano stati sempre quei due troll dei suoi figli la causa del grosso bernoccolo che aveva sulla fronte.
Quando Diana le raccontò come erano andate le cose, le risultò naturale descrivere l’accaduto come un incidente. A Grimmauld Place, aveva già visto la signora Weasley arrabbiarsi con Fred e George e non aveva creduto possibile che una donna tanto dolce e gentile si potesse trasformare in una specie di drago sputafuoco. Dato l’andamento della serata, l’unica cosa che non desiderava era altro trambusto e urla.
Fred si limitò a osservarla con le sopracciglia inarcate, mentre si riempiva il piatto di cibo.
Dopo che Diana mangiò due grosse e succose fette di arrosto e almeno cinque biscotti fatti in casa era piena da scoppiare. Fred e George, invece, sembravano non mangiare da dieci anni e si servirono almeno quattro giganti fette di arrosto a testa e si spazzolarono tutti i biscotti. 

La signora Weasley salì al piano di sopra comunicando che sarebbe andata a preparare la stanza per Diana e a cercare un particolare unguento da mettere sul suo bernoccolo, che a detta sua, faceva miracoli.
- La botta in testa è stata proprio forte... - constatò Fred allungandosi verso di lei dall’altro lato del tavolo.
Diana lo osservò con aria interrogativa.
- Sbaglio o mi hai appena difeso davanti alla mamma? - domandò lui, ancora perplesso.

Diana scrollò le spalle e distolse lo sguardo da quello di Fred per studiare la superficie del tavolo: - Solo perchè...in fin dei conti...beh... - si interruppe per un attimo perchè quello che stava per dire le suonava strano anche solo da pensare e poi riprese: - siete stati gentili a invitare qui me e la zia e a preoccuparvi per noi...
Sia Fred che George la guardarono increduli e poi si guardarono tra loro, sempre con la stessa espressione stupita.
- Beh, bastava dirlo che dovevamo prenderti a porte in faccia per renderti più o meno simpatica... - commentò George stirando la schiena e allungando le braccia verso l’alto.

Diana non potè fare a meno di ridacchiare di fronte alle espressioni ancora perplesse dei gemelli.
Fred, che aveva ancora la bocca piena, sbuffò a sua volta una risata sputacchiando briciole in giro ed esclamò: - Georgie, hai sentito anche tu qualcuno ridere? Ma non può essere stato il Folletto, lei non ride mai! E’ più musona di Mirtilla Malcontenta!
Diana non sapeva chi fosse questa Mirtilla Malcontenta, ma dal nome non doveva essere affatto una simpaticona, quindi alzò gli occhi al cielo.
Sciaaaf
Con un gesto fulmineo aveva agguantato la brocca piena d’acqua dal tavolo e l’aveva svuotata seccamente in faccia a Fred, seduto di fronte a lei. 
Lui era rimasto immobile, con gli occhi serrati per la sorpresa di quel gesto inaspettato.
 I capelli, ora di un rosso scuro, impregnati dall’acqua, gocciolavano sulla tavola. 
Diana si portò le mani alla bocca per soffocare una risata: era convinta che lui avrebbe fermato in qualche modo l’acqua con qualche incantesimo, invece, era riuscita a coglierlo di sorpresa.
George assunse un’espressione colpita e gonfiò le guance per trattenere una risata.
Fred stava riaprendo lentamente gli occhi e squadrò Diana con un’espressione indecifrabile.
- Questo è perchè hai insinuato che non sono divertente - si giustificò Diana sbattendo le ciglia in maniera angelica - e perchè mi hai quasi rotto il naso!

In quel momento, la signora Weasley tornò in cucina e notando la tovaglia ricoperta di briciole, impregnata d’acqua e un figlio grondante esclamò: - Oh, ragazzi! Ma non riuscite a rimanere due minuti senza combinare disastri!? Fred, perchè hai bagnato tuo fratello?
- Io sono Fred, mamma! - esclamò quest’ultimo cercando di strizzarsi i capelli e facendo gocciolare un’abbondante quantità d’acqua sul pavimento della cucina.
- Oh scusa! - e poi rivolta al fratello asciutto con tono esasperato - George! Perchè hai bagnato tuo fratello?
- Ma io non ho fatto niente - si lagnò George, per una volta innocente. 
Probabilmente, la fedina penale dei gemelli, macchiata irrimediabilmente da molte esperienze, non permise alla signora Weasley di credere che potesse essere stata l’unica altra persona presente nella stanza, che invece si limitava a guardare con angelica innocenza la scena.
- Mamma - Fred sfoderò un sorriso a trentadue denti alla signora Weasley - sei incantevole questa sera!
- E’ vero! - rincarò la dose George - questa vestaglia ti sta meravigliosamente!
La signora Weasley si limitò a sbuffare, probabilmente abituata ai tentativi dei gemelli di farsi perdonare gli innumerevoli disastri che erano soliti combinare.
Mentre Molly Weasley iniziava a sparecchiare la tavola con un colpo di bacchetta, Fred si voltò verso Diana - Sei morta - sillabò a bassa voce con un ghigno malefico, mentre si asciugava i capelli con un colpo di bacchetta.
- Fred, George - disse la signora Weasley mentre iniziava a sparecchiare - voi dormirete nella stanza di Ron insieme a lui e Harry.
- Perchè? - chiese George - non possiamo dormire nella nostra vecchia stanza? Ti ho detto che la vestaglia ti sta proprio bene?
- Si, me lo hai già detto! - lo liquidò la signora Weasley noncurante - ma la vostra stanza l’ho preparata per Diana e sua zia!
Fred sbuffò dicendo: - Addio sonni tranquilli!Harry parla nel sonno e Ron russa come un drago!

Dopo che Diana ebbe insistito più volte per aiutare Molly Weasley a rassettare la cucina, nonostante la strega le avesse spiegato che poteva benissimo occuparsene con la magia, George si offrì volontario per farle strada al piano di sopra e mostrarle la stanza. La signora Weasley rimase al piano di sotto ad aspettare il signor Weasley che era ancora di turno al Ministero della Magia. 
Mentre ripulivano la credenza, l’unica cosa che la signora Weasley le aveva permesso di fare, la donna le aveva raccontato che l’indomani sarebbero arrivati a casa per le vacanze anche i due Weasley più piccoli, che Diana non aveva ancora  avuto modo di conoscere, Ginny e Ron, e con loro si sarebbero fermati anche due amici: Hermione Granger e il famoso Harry Potter. Diana era molto curiosa di conoscerlo, dato che i gemelli le avevano raccontato tutte le peripezie che quel ragazzo aveva dovuto affrontare negli anni e, siccome credeva solo alla metà di ciò che Fred e George dicevano, non vedeva l’ora di appurare se ciò che le avevano raccontato fosse vero.
Diana seguì George su per la scala di legno scricchiolante. 

Fred non si vedeva da nessuna parte e questo non poteva essere un buon segno, perchè o stava già architettando la sua vendetta oppure si era offeso a morte. Diana non lo conosceva così bene da poter essere certa di una delle due opzioni.

George si fermò al primo piano e aprì la porta di una stanza nella quale si trovavano due letti ricoperti da delle trapunte colorate. Ai piedi di uno dei due letti c’era già il borsone di Diana, così lei si incamminò proprio in quella direzione, lasciandosi cadere sul morbido piumone, sazia e accaldata. Senza volerlo, si soffermò a pensare a Lyall. Sembrava veramente tanto dispiaciuto del fatto che Diana gli avesse dato buca quella sera. Diana si mordicchiò il labbro inferiore, sentendosi in colpa, perchè aveva sinceramente voglia di dare una possibilità al ragazzo. Avrebbe cercato di farsi perdonare una volta tornata a Edimburgo, dopo le feste natalizie. Una volta che quella strana parentesi della sua vita si fosse definitivamente chiusa e non avrebbe dovuto più inventare scuse dell’ultimo minuto per giustificarsi.
- Sei sicura di voler dormire con quel coso al collo? - chiese George pensieroso. Si era fermato sulla soglia della camera e, appoggiato a uno stipite con le braccia conserte,  alludeva al ciondolo di Diana.
- Si certo - rispose lei semplicemente - lo faccio sempre, perchè?
- Mmh...non so! Non ho mai visto nulla di simile...sembra una specie di amuleto stregato con un Sortilegio Scudo, ma è strano... - George continuava a fissare il ciondolo con espressione corrucciata.
Diana ovviamente non aveva idea di che cosa fosse un Sortilegio Scudo, quindi iniziò ad aprire il suo bagaglio alla ricerca del pigiama e dello spazzolino da denti.
- E poi che cosa Merlino ci vuole fare Malfoy con dei cardini di un vecchio armadio? - chiese George tra sè e sè cercando di dare un senso a tutti gli interrogativi rimasti irrisolti.
- Non ne ho idea... - alzò le spalle Diana - non ho avuto nemmeno il tempo di far vedere la fotografia dell’armadio a zia Karen, magari lei ne saprebbe qualcosa in più...
- C’è qualcosa che non torna... - borbottò George prima di ritrarsi per lasciare la stanza.
- Aspett... - Diana si alzò di scatto cercando di fermarlo per chiedere dove fosse andato a finire Fred, ma con un piede urtò il comodino facendosi anche parecchio male.
Distratta dal dolore al piede destro, Diana sentì un tintinnio e un rumore di vetri in frantumi e fece appena in tempo a scorgere una polvere scura, nera e lucente, spargersi sul pavimento.

Immediatamente, la stanza piombò nell’oscurità più totale. 
Le sembrava di essere sprofondata nella notte più nera. Non riusciva a vedere a un palmo dal naso.
- George!! - esclamò Diana con un leggero panico nella voce - che hai combinato??
- Non ho fatto nulla! - esclamò George con voce un po’ offesa - sei tu che sei aggraziata come un Erumpent e hai fatto cadere...
- Non vedo niente!! - strillò lei con fin troppa paura nella voce.

Sapeva che era sicuramente uno scherzo dei gemelli, ma l’idea di non vedere nulla di ciò che le stava intorno sommato allo stress e all’ansia che stava vivendo in quel periodo le fecero perdere il controllo. Sentiva il petto alzarsi e abbassarsi freneticamente per la paura e, nonostante continuasse a deglutire e inspirare aria, il nodo che le si era formato alla gola non accennava a sciogliersi.
- Dammi la mano - le ordinò la voce di George.
Diana fece come diceva e si sentì afferrare e trascinare oltre la soglia della porta, dove l’oscurità non era arrivata. Una volta sul pianerottolo, si rese conto che la mano che stava ancora stringendo era quella di Fred, mentre George osservava la scena sogghignando.
Diana respirò affannosamente guardandosi alle spalle e scrutando la camera avvolta dall’oscurità.
- Quando ha paura tende a saltarmi addosso - spiegò Fred al gemello, come se stesse rivelando un segreto di stato, abbassando lo sguardo sulla mano di Diana che stritolava ancora la sua.
- Sei un cretino! - sbottò Diana con il fiato corto lasciando di colpo la presa e dandogli uno spintone per allontanarlo.
- Sono innocente - esclamò Fred alzando le mani in segno di resa, ma con lo sguardo che trasudava tutto fuorchè innocenza.
- Che è successo? - chiese Diana decidendo di non soffermarsi ulteriormente sull’improbabile innocenza di Fred.
- Polvere Buiopesto Peruviana - sentenziò George fieramente - ne hai rovesciata un barattolo!
- Se ti interessa comprarla, possiamo farti un po’ di sconto! - propose Fred ridendo.
Diana sbuffò, irata e tremante: - Mi manderete al manicomio voi due!! - e si mise a percorrere il corridoio battendo i piedi, con lo spazzolino da denti in mano, e il sangue che ribolliva per la rabbia.

Due sonori “crack” le risuonarono nelle orecchie, mentre Fred e George, sghignazzanti,  si materializzavano uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, facendola trasalire.
- Dove stai andando? - le chiese George con voce troppo gentile perchè Diana ci potesse credere davvero.
- In bagno, a lavarmi i denti - spiegò Diana inarcando le sopracciglia e mostrando lo spazzolino da denti.
- Il bagno è di là - spiegò Fred prendendola per le spalle e facendola ruotare su sè stessa di 180 gradi e sospingendola verso una porta.
- Non spingermi - protestò Diana  voltandosi verso di lui - o ti infilo lo spazzolino...
Fred le rivolse uno sguardo eloquente per esortarla a continuare, ma Diana si limitò a stringere le labbra e mordersi la lingua per evitare di dare di matto, mentre sentiva il sangue affluirle alle guance.
- Ma vi divertite così tanto a darmi il tormento? - sbuffò Diana esasperata afflosciando le spalle ed entrando in bagno.
George si limitò a ridacchiare sparendo in un’altra stanza, mentre Fred imboccava le scale per tornare al piano di sotto dicendo: - Non sai quanto...

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Ciao!
Oggi vi lascio un capitolo un po' corto dove non succede granchè, ma dopo due capitoli super lunghi e densi, direi che ci può stare. Anche perchè l'arrivo alla Tana è sempre l'arrivo alla Tana :D
Non so se vi interessa, ma questo capitolo l'ho scritto con in sottofondo "Original Prankster" degli Offspring e mi è sembrata molto azzeccata :D (si, quasi sempre mi tengo la musica in sottofondo e questo si noterà sempre più andando avanti con la storia).
Se può interessare a qualcuno, volevo anche lasciarvi la foto di come mi immagino Diana quando la descrivo, ma sono un po' impedita, quindi aspetto suggerimenti ahahah :)
Grazie del tempo che dedicate alle cose che scrivo!
A presto :)
P.S. Nel prossimo capitolo vi prometto che verrà svelato il mistero del ciondolo di Diana :) P.P.S. Lo so che secondo i libri, in questo Natale, Hermione non ci sarà alla Tana, ma si fini della trama mi serviva che ci fosse!

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Capitolo 15
*** Blackhole ***


“Our hopes and expectations
Black holes and revelations”
(“Starlight”
- Muse)

Un po’ per il disagio del non dormire nel proprio letto e un po’ per lo spavento della Polvere Buiopesto, quella notte, Diana fece molta fatica a prendere sonno. 
Era rimasta per ore a rigirarsi nella soffice trapunta tempestandosi di domande e allontanando ancora di più il sonno.
Che cosa continuavano a volere da lei dei maghi poco raccomandabili?
Zia Karen era davvero al sicuro a casa con Mundungus Fletcher? 
Diana rabbrividì e cercò di non pensare ai due come una coppia, tentando di ignorare le perverse idee di Aileen.

Il vecchio orologio da taschino, che si trovava appoggiato sul comodino, era un altro grande mistero. 
Anche nel buio della stanza, riusciva a scorgere la decorazione del coperchio istoriato rovinato dalle troppe volte in cui, durante gli anni, lo aveva tenuto stretto tra le mani. 
Come se quel gesto avesse potuto portare indietro sua madre.
Da bambina, lo aveva trovato in un cassetto in camera di sua madre. Era rimasta totalmente affascinata da quel vecchio oggetto. Le sembrava così prezioso e antico allo stesso tempo, tanto da doverlo maneggiare con cura. 
Lo aveva fatto scivolare in tasca senza che suo padre se ne accorgesse, troppo sconvolto dalla perdita della moglie per rendersi conto di ciò che accadeva intorno a lui.
Troppo addolorato per comprendere la tristezza di una bambina, che ogni sera si addormentava con il vecchio orologio sul comodino o al collo perchè così forse la madre sarebbe stata più vicina.
Era una convinzione stupida, con il senno di poi, ma non aveva mai perso quell’abitudine neanche con il passare del tempo.
Sospirò pesantemente e allungò una mano verso l’orologio, accarezzando il coperchio con il pollice, cercando di carpire il segreto di quell’oggetto che da sempre considerava come un’estensione del proprio corpo.

La cosiddetta ciliegina sulla torta di tutta quella situazione surreale, era poi il fatto che, ancora una volta, si trovava sotto allo stesso tetto di Fred Weasley.
Dopo tutto ciò che era successo, l’idea che le sarebbe bastato attraversare un corridoio per trovarselo davanti, le faceva agitare convulsamente qualcosa in fondo allo stomaco.

Quando poi era riuscita finalmente a scivolare in un sonno agitato, questo era stato tormentato dai soliti incubi: risate malefiche, ringhi feroci, esplosioni e bagliori accecanti.

La mattina successiva Diana si svegliò a causa di un ticchettio insistente. Quando aprì le palpebre, la luce inondava già la stanza. 
Doveva essere mattina inoltrata. 

Il ticchettio non accennava a diminuire e sembrava provenire dalla finestra. Diana si puntellò su un gomito per vedere da che cosa fosse provocato e vide un grosso gufo grigio che picchiettava freneticamente il becco sul vetro per farsi aprire la finestra.
Diana era ormai abituata al bizzarro modo dei maghi di spedire messaggi, quindi sbuffando ruotò la maniglia, permettendo al pennuto di entrare. Dopo un astioso frullio di ali, il gufo le permise di sfilare dalla sua zampa il piccolo biglietto arrotolato, che in una grafia stretta e disordinata recitava:
Buongiorno Pixie!
Mi dispiace per l’incidente di ieri sera, ma quella che ti è stata gentilmente offerta come alloggio era la stanza mia e di George, perciò stai attenta, perchè la Polvere Buiopesto non è l’unica cosa che potresti trovare lì dentro.


Diana aggrottò le sopracciglia preoccupata e continuò a leggere

Oggi siamo in negozio tutto il giorno, ma so che verrà Remus per dare un’occhiata al tuo strano ciondolo.
Non sentire troppo la mia mancanza! Ci vediamo stasera!
Fred
P.S. Hai dormito bene nel mio letto?
P.P.S. Se vuoi rispondere ( e so che vuoi farlo) basta che scrivi una risposta e la leghi alla zampa di Loki. Lui saprà cosa fare!


Diana terminò la lettura con un’espressione sconvolta dipinta in volto e, inevitabilmente, lo sguardo si posò sul cuscino dove era stata sdraiata fino a qualche minuto prima. 
Stizzita, afferrò il cuscino e lo lanciò dall’altra parte della stanza, sperando che quel gesto le provocasse qualche tipo di conforto, ma non fu così. Anzi, si immaginò soltanto la risata sguaiata che si sarebbe fatto Fred Weasley nel vederla dare in escandescenze.
Mordendosi il labbro, recuperò un minimo di autocontrollo e una penna dal suo borsone e, in fondo al messaggio di Fred, scarabocchiò velocemente la sua risposta:

Nel tuo letto si dorme da schifo!
Non sentirò per niente la tua mancanza!
Diana


Con qualche difficoltà riuscì a legare il biglietto alla zampa del gufo Loki, che partì immediatamente per riportare la risposta al mittente. 
Diana riusciva quasi a immaginarsi l’espressione e la risata beffarda di Fred nel leggere il biglietto e l’espressione curiosa di George che allungava la testa per sbirciare la risposta arrivata via gufo.

A quel punto, dopo essersi infilata una felpa e un paio di jeans, decise di scendere di sotto.
Non appena sbucò dalle scale scricchiolanti al soggiorno, vide dei volti sconosciuti che si voltarono repentinamente a fissarla.
La luce del sole inondava il soggiorno e il tepore faceva sciogliere la neve che sgocciolava senza sosta dalle grondaie. Ancora una volta, un profumo di biscotti fatti in casa raggiunse le sue narici. 
Diana pensò che se avesse vissuto in pianta stabile con la signora Weasley avrebbe potuto diventare una palla di lardo in poco tempo.
- Buongiorno Signora Weasley - salutò educatamente e rivolse un sorriso imbarazzato ai quattro ragazzi seduti al tavolo della cucina.
- Diana, cara - Molly Weasley la accolse con calore, come sempre - hai dormito bene?
- Si, grazie! - mentì lei spudoratamente sperando che le profonde occhiaie scure che aveva notato riflesse nello specchio del bagno non rivelassero la verità: non aveva il coraggio di dire alla signora Weasley che aveva dormito a malapena.
- Lei chi è? - chiese un ragazzo dai capelli rossi con espressione scandalizzata a qualcuno di non ben identificato, riferendosi a Diana.
 La ragazza dai capelli castani al suo fianco gli mollò una gomitata nelle costole sorridendo e, salutandola, si presentò: - Ciao Diana, la signora Weasley ci ha parlato di te! Sono Hermione Granger!
- Oh! - esclamò Diana riconnettendo lentamente il cervello - siete arrivati dalla scuola di Magia, giusto?
Hermione annuì.
Diana notò il ragazzo dai capelli neri e gli occhi verdi nascosti dietro delle lenti rotonde.
- Allora tu devi essere Harry Potter... - constatò lei allungando la mano per presentarsi anche a lui.
In tutta risposta, Harry si passò una mano nei capelli come a volerli appiattire sulla fronte e rispose in tono privo di entusiasmo: - Già... - sembrava parecchio imbarazzato dal fatto che Diana lo avesse riconosciuto, ma le strinse la mano.
- Fred e George mi hanno parlato di te! - esclamò lei in tono allegro.
- Allora avranno detto sicuramente un sacco di cavolate, come al solito! - rispose prontamente una ragazzina dai capelli rosso fuoco - ah, io sono Ginny Weasley!
Diana strinse la mano anche a lei sorridendo e poi si soffermò sul ragazzo dai capelli rossi che la fissava ancora senza capire: - Tu devi essere Ron, allora!
- Si! - esclamò lui assumendo un’espressione decisamente più distesa - Fred e George ti hanno parlato anche di me?
- Oh...si...certo! - si mise al riparo Diana, perchè in realtà le avevano raccontato poco o nulla del fratello minore.
- Cosa ti sei fatta alla fronte? - chiese Ron in tono indiscreto indicando il bernoccolo sulla fronte di Diana.
- Tuo fratello Fred mi ha dato una porta in faccia... - rispose lei digrignando i denti solo al ricordo.

Ron sbuffò una risata sul cucchiaio ricolmo di latte e cereali spargendoli un po’ dappertutto e beccandosi uno sguardo carico di disgusto da parte di Hermione e un’occhiata torva da Diana.

La signora Weasley non permise altre chiacchiere, ma li mise subito al lavoro. Il giorno dopo sarebbe stata la Vigilia di Natale e dovettero aiutare a cucinare, sistemare il giardino e le camere per l’arrivo degli ospiti. 
Diana fu felice di avere da fare: non le pesava affatto faticare nelle faccende domestiche, perchè almeno evitava di tormentarsi con interrogativi per cui non aveva ancora una risposta. Inoltre, l’idea che quel pomeriggio Remus Lupin avrebbe potuto darle risposte in merito all’orologio, la faceva sentire parecchio nervosa.
L’unica cosa che migliorò decisamente il suo umore e che contribuì a non farla sentire una completa deficiente fu lo scoprire che Ron, Hermione, Harry e Ginny non essendo ancora maggiorenni, non potevano utilizzare la magia fuori da scuola, ma dovettero darsi da fare e affaccendarsi alla cara e vecchia maniera babbana, come Ron ci tenne a sottolineare, tra lamentele e sbuffi.
Harry e Ron studiavano Diana con aria sospetta mentre andavano avanti e indietro dal soggiorno al giardino, infagottati nei loro giubbotti e con i nasi rossi per il freddo.
Ginny ed Hermione, invece, furono decisamente più amichevoli: la prima aveva di certo ereditato il senso dell’umorismo dei gemelli, che però era mitigato da una sorta di contegno tutto femminile; Hermione si rivelò da subito come una ragazza studiosa e appassionata di libri. Non appena Diana raccontò dei vecchi manoscritti in vendita al negozio Harvey, Hermione si lanciò in una serie di domande da cui scaturì una lunga conversazione, da cui gli altri tre si tennero prontamente alla larga.

- Perchè è qui? 
Diana era in soggiorno a spolverare i piatti da utilizzare per la cena, quando sentì quella domanda provenire dalla cucina, dove Harry, Ron ed Hermione stavano sbucciando le patate.
- E’ qui perchè tua madre dice che è amica di Fred e George - rispose Hermione a bassa voce
- Ma è babbana - sibilò Ron - e poi non ho mai sentito Fred e George parlare di lei.
Diana alzò lo sguardo, già stupita di essere definita come un’amica dei gemelli.
Ron la stava osservando con in mano una patata mezza sbucciata, ma abbassò subito lo sguardo, non appena incrociò quello di Diana.
- E allora? - chiese Hermione inarcando un sopracciglio colpita da quell’affermazione - è un problema?
- No, affatto - rispose Harry con un’occhiata triste verso Diana, come se volesse scusarsi del poco tatto dell’amico. Ron si limitò a scuotere la testa, contrariato.

Diana afferrò la giacca dall’attaccapanni e uscì da casa per cambiare aria.
Ginny si trovava sotto al portico e stava armeggiando con un paio di stivaloni gialli di gomma, dopo aver rimpinzato di cibo le galline che stavano razzolando felici nel cortile.
Le voci di Harry, Ron ed Hermione si sentivano comunque abbastanza distintamente anche da fuori.
- Ronald, sei sempre il solito - sbottò Hermione arrabbiata - guarda che ti ha sentito!
Diana deglutì, a disagio, sentendosi improvvisamente fuori luogo e sorprendersi nel desiderare quasi la presenza di Fred e George. Almeno loro si erano approfonditamente impegnati perchè non si sentisse esclusa.
- Lascia perdere Ron - Ginny l’aveva raggiunta e si stava scostando una ciocca di capelli dal viso con un sorriso incoraggiante - tante volte non collega il cervello alla bocca.
Diana si limitò a scuotere la testa con un sorriso, mentre diceva: - Fa niente, dopo aver conosciuto Fred e George, direi che posso superare qualsiasi ostacolo!
Ginny scoppiò a ridere ed esclamò: - Vero? Lo dico sempre anche io!

Nel pomeriggio, ebbero il tempo di riposarsi: Harry e Ron iniziarono una partita agli scacchi magici, Ginny sfogliava pigramente una rivista sportiva seduta al tavolo della cucina, mentre Hermione, rannicchiata sulla poltrona, leggeva un grosso tomo che la ragazza le aveva riferito provenire direttamente dall’enorme e fornitissima biblioteca di Hogwarts. Diana avrebbe davvero voluto vedere quella grande distesa di libri, che Hermione le aveva descritto con dovizia di particolari.
Hermione, dal divano, lanciava di continuo penetranti occhiatacce a Ron nascondendosi prontamente dietro la copertina del grosso tomo. La cosa non passò inosservata a Diana, che dal tavolo della cucina, di fianco a Ginny, notava benissimo le smorfie della ragazza.
- Fanno sempre così... - le spiegò Ginny in un sussurro chinandosi verso di lei come se le stesse facendo una confidenza - lei è arrabbiata perchè lui si è messo con Lavanda e per ripicca è uscita insieme a uno che...insomma non è proprio il suo tipo...
- Non avevo capito che si piacessero... - ammise Diana ingenuamente. Di solito era Aileen a capire con uno sguardo gli interessi amorosi di chiunque le girasse intorno, mentre lei si limitava a fidarsi del sesto senso dell’amica.
- No? Ma dai è così scontato! Non fanno altro che litigare...
Diana aggrottò la fronte, perplessa, ma apprezzò comunque la conversazione con Ginny, che le si era rivolta come se fossero amiche da sempre, prendendosi, in autonomia, un po’ della confidenza che altrimenti Diana non le avrebbe mai dato.

Diana rimase per un po’ ad osservare la partita a scacchi, che era decisamente più violenta rispetto alle normali partite che conosceva: i pezzi, infatti, erano animati e suggerivano continuamente ai giocatori mosse o tattiche di gioco. 
Diana provò a fare qualche domanda sulle regole del gioco e questo parve sciogliere le riserve di Ron nei suoi confronti,  perchè iniziò a spiegarle le differenze tra gli scacchi magici e quelli babbani, lasciando intendere di essere molto esperto e appassionato di quel gioco.
Dopo che l’alfiere di Ron ebbe fatto in mille pezzi il cavallo di Harry, che si era poi educatamente ricomposto a bordo scacchiera tra i pezzi mangiati, Diana pensò che fosse meglio portarsi avanti con lo studio, quindi recuperò il libro sulle tecniche del restauro e, sedendosi al tavolo di fronte a Ginny, si immerse nella lettura.

- Ehm, Diana...
Dopo una mezz’ora buona, la voce di Harry Potter le fece alzare lo sguardo dalle pagine del libro.
- Posso chiederti come hai conosciuto Fred e George?
La partita a scacchi era finita. Harry la fissava timidamente da dietro gli occhiali rotondi. Ron, con la testa inclinata di lato, sembrava impaziente di sentire la risposta a quella domanda. Ginny aveva alzato lo sguardo dalla sua rivista e persino Hermione aveva chiuso di scatto il libro che stava leggendo per ascoltare. Improvvisamente, tutti e quattro sembravano non stare più nella pelle dalla curiosità di sapere che ci facesse lì.
Diana si alzò per andare sul divano accanto a Hermione e Ginny la seguì. 
Non aveva idea di quanto quei quattro ragazzi sapessero e quanto potesse rivelare loro. Nessuno le aveva detto di non parlare di quanto accaduto.
- Beh, diciamo che quelli che voi chiamate Mangiamorte si sono presentati nel negozio di mia zia qualche mese fa e hanno combinato un bel casino...quindi l’Ordine della Fenice ci sta proteggendo.
- Ma che centrano Fred e George? - chiese Ron impaziente di avere risposte, dato che ormai Diana si era conquistata il suo rispetto per le domande sugli scacchi che gli aveva rivolto.
- Fred e Mundungus Fletcher hanno evitato che ci facessero del male... - spiegò Diana raccontando del suo soggiorno a Grimmauld Place.
Questo parve attirare definitivamente le attenzioni di Harry e Ron, che iniziarono a tempestarla di domande, dimenticando ogni dubbio che avevano nutrito su di lei fino a quel momento.

                                                                             ——————

Quel 23 di dicembre il negozio TiriVispi Weasley fu preso d’assalto. Moltissimi studenti erano tornati a casa da Hogwarts per le vacanze natalizie e con i genitori si erano recati a Diagon Alley per le ultime compere o per godersi il clima natalizio.
Il negozio era stato addobbato con ghirlande, alberi decorati e bastoncini di zucchero che fluttuavano dal soffitto e l’incasso stava andando alla grande.
Fred e George avevano dovuto fare almeno due giri a testa nel magazzino per rifornire gli scaffali che si svuotavano alla velocità di una Firebolt in picchiata.
Fred aspettava con ansia la chiusura serale, dato che avrebbero chiuso il negozio e si sarebbero goduti qualche giorno di meritato riposo. 
Inevitabilmente, si era soffermato a pensare come se la stesse passando Diana, alla Tana con il trio impiccione.
Quando aveva spedito Loki con un biglietto per Diana, aveva sorpreso George studiarlo con una strana espressione di chi la sapeva lunga.

Intorno alle cinque di pomeriggio, mentre George si affaccendava convulsamente cercando di sistemare gli ordini arrivati via gufo, e di rispondere alle domande di tre ragazzini sulle Mou Mollelingua, Fred era rimasto impalato a fissare fuori dalla finestra del negozio.
George, dopo aver ficcato una caramella mou in mano ad ogni ragazzino, si avvicinò a Fred cercando di capire che cosa avesse catturato la sua attenzione. Lo sguardo di Fred era rimasto a osservare il manifesto animato appeso dal Ministero della Magia che raffigurava una ricercata Bellatrix Lestrange in preda a una risata silenziosa.
- Freddie - esordì George - perchè non inizi ad andare a casa? 
- Cosa? - si riscosse improvvisamente Fred.
- Finisco io qui, mi darà una mano Verity - disse allungando una mano ad indicare la commessa dai lunghi capelli castani che stava impacchettando con esperti movimenti della bacchetta una enorme pila di ordini da spedire via gufo.
Fred non se lo fece ripetere due volte e dopo aver ringraziato Verity e averle fatto gli auguri di Natale, si smaterializzò alla Tana.

Non sapeva se Remus Lupin fosse già arrivato prima di lui, ma in cuor suo sperava di no. Voleva esserci quando avrebbe esaminato il ciondolo di Diana, perchè era curioso di sapere di che cosa trattasse.
I suoi desideri furono in qualche modo ascoltati, perchè quando atterrò nel giardino della Tana, Lupin stava risalendo il vialetto d’ingresso avvolto in un logoro soprabito dal colore indefinito.
- Ciao Fred - lo salutò in tono allegro il suo ex insegnante.
Dopo essersi salutati, varcarono insieme la soglia ed entrarono in casa.
Il calore lo investì immediatamente. Anche se c’era stato il sole per tutto il giorno e la neve si era sciolta quasi del tutto, ora si gelava. Dopo essersi sfilato la giacca e averla gettata malamente sul divano, raggiunse il gruppetto raccolto sul divano e sul tappeto di fronte al fuoco del camino.

Harry, Ron e Hermione erano seduti sul tappeto a parlottare sommessamente, mentre Ginny stava evidentemente cercando di spiegare a Diana le regole del Quidditch.
Diana, i capelli biondi lucenti e ben pettinati, la ascoltava rapita con gli occhi sgranati e le labbra dischiuse in un’espressione stupita.
- Ecco! Fred e George erano i battitori della squadra di Grifondoro - spiegò Ginny con un sorriso e alzandosi per salutarlo.
Diana lo guardò fugacemente facendogli solo un timido accenno di un sorriso e distogliendo subito lo sguardo per riportarlo su Ginny e chiedere: - Quindi il battitore lancia le palle impazzite addosso alla gente? Ho capito bene?
Fred scoppiò a ridere lasciandosi cadere sul divano accanto a Diana e, inarcando un sopracciglio, esclamò: - Non so George, ma io le mie palle non le ho mai lanciate addosso alla gente!
Prima che Diana potesse protestare il suo disappunto di fronte alla battutaccia di Fred, Hermione lasciò cadere un grosso libro sul piede del ragazzo.
- Ahiiaaa Granger! - ululò lui - ma che ti prende?
Diana, Hermione e Ginny scoppiarono a ridacchiare.
- Ah...bene, voi tre avete fatto squadra? - constatò lui divertito tenendosi il piede colpito - ci mancava solo questa...
- Tu sei andato in missione con l’Ordine e non ci hai detto niente! - lo accusò Ron puntandogli un dito contro con espressione imbronciata.
- E quindi? - domandò Fred scrollando le spalle - non sapevo di doverti informare via gufo per ogni cosa che faccio!
- Ma come...sono tuo fratello! - protestò Ron con aria offesa.
- Si, ma ti ho già detto che non devi continuare a dirlo in giro! - lo prese in giro Fred, poi rivolse a Diana un’occhiata torva - devi imparare a non raccontare proprio tutto a loro tre.

Prima che Ron potesse rispondere male, Remus Lupin arrivò dalla cucina, dove si era soffermato a salutare la signora Weasley.
- Ciao ragazzi! - salutò varcando la soglia del soggiorno.
Lupin si sedette al tavolo e con sorriso comprensivo chiese: - Mi hanno detto che avevi qualcosa da mostrarmi, Diana...

Diana si alzò di scatto, ricordando a Fred un condannato al processo di fronte al Wizengamot, e si andò a sedere al tavolo vicino a Lupin, tirando fuori dalla tasca l’orologio e appoggiandolo sul tavolo con le labbra tirate in un’espressione ansiosa. Fred si sedette di fianco a Diana, mentre Harry, Ron, Hermione e Ginny si assiepavano intorno al tavolo. Diana raccontò nuovamente tutta la vicenda del ciondolo e quando arrivò a menzionare i Malfoy, Harry si lamentò in modo colorito per il fatto che nessuno lo avesse avvertito prima che Draco Malfoy si fosse recato a Edimburgo al negozio Harvey. Fred si ricordò che Draco era il peggior nemico di Harry dopo Tu-Sai-Chi e che, ultimamente, Harry sembrava essere ossessionato da qualsiasi cosa facesse il Purosangue platinato.
Remus Lupin aveva ascoltato il racconto con attenzione, porgendo qualche domanda di tanto in tanto. 

Alla fine del racconto di Diana, però, cadde il silenzio.

- Hai idea di che cosa possa essere? - Fred incalzò Lupin, dilaniato dalla curiosità.
- Si - rispose lui in tono preoccupato e con un’espressione molto seria dipinta in viso - è un Blackhole.
Nessuno dei presenti, Fred compreso, parve capire di che cosa Lupin stesse parlando. Solamente Hermione, si portò una mano alla bocca sconcertata.
- Quello è un Blackhole? - chiese avvicinandosi per osservare da vicino l’orologio istoriato - ho letto tutto sull’argomento!
- E ti pareva... - constatò Ron ridendo in modo ebete - a me sembra solo un vecchio orologio sgangherato...
- Mi volete dire che cosa diavolo è un Blackhole? - chiese Diana in tono alterato stringendo forte il bordo del tavolo con le dita - è una cosa brutta? E’ pericoloso?
- Scusa, Diana hai ragione... - la confortò Lupin - è un manufatto magico. Non so come tu ne sia venuta in possesso, ma è un amuleto molto potente. I Blackhole sono oggetti creati molti secoli fa e sono stati utilizzati da Maghinò e Babbani per proteggersi dalla magia. Ne sono rimasti pochissimi per quanto ne so e non ne sono stati più creati di nuovi almeno da un paio di secoli.
- Perchè? - chiese Ron - se permette di difendersi dagli incantesimi è utilissimo per i Babbani,no?
- Perchè - continuò Hermione in tono saccente - sono intrisi di Magia Oscura e quindi sono molto instabili e difficilmente controllabili.
- Ben detto, Hermione - la gratificò Lupin come se fossero ancora a Hogwarts - sapete cos’è un buco nero?
I ragazzi rimasero in silenzio. Ma prima che Hermione potesse aprire bocca, questa volta fu Diana ad intervenire battendola sul tempo:
- Si - sussurrò con lo sguardo fisso sul Blackhole - i buchi neri sono corpi celesti che assorbono e distruggono qualsiasi cosa gli si avvicini.
- Esatto! - le sorrise Remus Lupin - funziona più o meno allo stesso modo. Il Blackhole assorbe gli incantesimi che vengono lanciati contro la persona che lo indossa. Malfoy ti ha scagliato contro la Maledizione Imperius che stava per fare effetto, poi il Blackhole l’ha assorbita, ed essendo carico di magia, si è illuminato.

- Ecco perchè sei sparita dalla mappa! - esclamò Fred collegando gli avvenimenti - questo Blackhole ha assorbito l’incantesimo di tracciamento! E ancora prima, quando Bellatrix Lestrange ha distrutto il negozio Harvey, ero certo che ti avesse colpita con una maledizione, ma tu indossavi il ciondolo e non ti è successo nulla! - dopo un attimo di silenzio mentre sentiva i pensieri ronzare frenetici nella sua testa, chiese preoccupato -  Ma perchè sono instabili?
- Non può assorbire magia in eterno - spiegò Remus - ha un limite e, purtroppo, nessuno sa che cosa può capitare quando il Blackhole raggiunge il punto di saturazione della magia. Ogni manufatto è unico. So di alcuni Blackhole che si sono autodistrutti, mentre altri hanno semplicemente smesso di funzionare.

Diana era rimasta in silenzio a guardare il suo vecchio e fedele orologio. Poi i suoi occhi verdi avevano incontrato quelli di Fred.
Lo sguardo carico di preoccupazione della ragazza aveva colpito lo stomaco di Fred facendolo sentire vagamente a disagio.
- Diana, posso sapere una cosa? - chiese Lupin con il suo solito tono gentile.
La ragazza si limitò ad annuire, probabilmente scossa per le rivelazioni.
- Hai detto che tua mamma era una strega e che il ciondolo apparteneva a lei.
Diana annuì di nuovo. Gli occhioni verdi spalancati come quelli di un animale di fronte ai fari di un’automobile.
- Posso sapere come si chiamava tua madre?
- Sarah - mormorò Diana in tono rauco - Sarah McKinnon.

Il silenzio cadde sul soggiorno della Tana. Lupin sbattè più volte le palpebre, incredulo.

- La conoscevi? - chiese Diana confusa di fronte all’espressione di Lupin.
Tutti conoscevano la storia dei McKinnon. L’intera famiglia di maghi uccisa da Tu-Sai-Chi durante la Prima Guerra Magica.
- Si, non bene... - confessò Lupin sfregandosi le palpebre come se fosse improvvisamente molto stanco - sua sorella Marlene era una Grifondoro del mio stesso anno. Sarah era stata smistata a Tassorosso, due anni prima.
- La famiglia McKinnon non faceva parte dell’Ordine della Fenice originario? - chiese Harry prendendo la parola.
- Si, ma non Sarah - spiegò Lupin con sguardo velato nel ripescare i vecchi ricordi - dopo la scuola, Marlene mi disse che si era sposata con un babbano. Quando Voi- Sapete-Chi ha sterminato i McKinnon pensavo che...insomma, che anche Sarah fosse morta.
Diana prese la parola. Gli occhi verdi erano pieni di lacrime mentre diceva: - No, è morta quando io avevo undici anni, a causa di una malattia. Non mi ha mai parlato di altri parenti...
- Tua zia Marlene e i tuoi nonni furono uccisi da... - stava per raccontare Lupin
- Da Voldemort! - ringhiò Harry con astio - pochi giorni prima che uccidesse i miei genitori.

Ron sussultò nel sentire il nome che i maghi preferivano non pronunciare, Hermione si portò una mano alla bocca e Ginny osservava Diana con compassione. Fred si alzò in piedi.
Ci furono dei minuti di silenzio in cui nessuno seppe cosa dire. Una lacrima silenziosa era scesa a rigare la guancia pallida di Diana. 
Fred rimase a guardare la goccia scivolare sul collo della ragazza, senza sapere bene cosa fare o cosa dire. Percepiva i propri piedi fastidiosamente pesanti e ancorati al pavimento.
Incredibilmente, fu Harry ad avvicinarsi alla ragazza e ad appoggiarle una mano sulla spalla, come se qualcosa di quella rivelazione li avesse in qualche modo legati.
Diana si asciugò in fretta la lacrima sorridendo a Harry e scusandosi.
- Non possiamo semplicemente distruggerlo? - chiese Harry interessato.
- E’ quello che vorrei capire... borbottò Lupin tra sè e sè e poi rivolgendosi a Diana domandò: - Sai come tua madre è entrata in possesso dell’orologio? 
Diana scosse la testa e probabilmente Lupin comprese che per quel giorno, la ragazza aveva avuto fin troppe rivelazioni, quindi concluse il discorso dicendo: - Dopo le feste ne parlerò con Silente. Sicuramente ne sa più di me! Nel frattempo, rimarrai al sicuro alla Tana e cercherai di non farti colpire ancora da incantesimi!
- Questo non dipende da me... - sibilò Diana scoccando un’occhiata a Fred, che alzò le mani in segno di innocenza e si mise a camminare avanti e indietro nel soggiorno.
Infine si collocò alle spalle di Diana, appoggiando le mani sullo schienale della sedia della ragazza e osservando i lunghi capelli che la ragazza continuava a toccarsi nervosamente, mentre si voltava verso di lui con aria indagatrice come se non si fidasse di trovarselo alle spalle.

Lupin emise un lungo sospiro. Appoggiò i gomiti sul tavolo e si prese il viso tra le mani, sfregandosi gli occhi e tra sè e sè borbottò: - Non oso immaginare se Tu-Sai-Chi o i Mangiamorte venissero a sapere...
- Probabilmente, grazie ai Malfoy, già lo sanno... - constatò Fred assorto.
- Ma che se ne fanno di un Blackhole? - chiese Ron senza capire.
- Sei proprio una testa di Troll, Ronnino - lo blandì Fred - pensa ai Mangiamorte in possesso di un amuleto che permette di difendersi dagli incantesimi! Sarebbero nettamente in vantaggio in uno scontro...
- Per questo è fondamentale che Diana stia qui al sicuro! - sbottò Lupin lasciando cadere le braccia lunghe e distese sul tavolo con un tonfo e rimproverando Fred con lo sguardo.
- Non voglio che corriate pericoli per colpa mia... - pigolò Diana con lo sguardo spaventato.
- Sono anni che provo a farglielo capire... - sorrise Harry in modo amaro, solidarizzando con la ragazza - ma non c’è verso...
- Nessuno corre pericoli! - esclamò Fred - abbiamo già gli incantesimi difensivi più potenti intorno a casa a causa di Harry, quindi fa poca differenza quante persone ci sono da proteggere!
- Grazie, Fred...ora si che ci sentiamo meglio... - constatò Harry ironico riuscendo a stemperare la tensione e a provocare una risatina nervosa anche a Diana.

Quando Diana si alzò dal tavolo per tornare sul divano, lo sguardo le cadde sul libro che Hermione aveva fatto cadere sul piede di Fred. Era rimasto aperto su una pagina casuale sul tappeto del soggiorno.
- Hey... - disse Diana fissando le figure - questo l’ho già visto! - sollevò il libro mostrando la figura di un vecchio armadio.
Tutti la guardarono senza capire quindi Diana continuò: - E’ lo stesso armadio che mi ha fatto vedere Malfoy! Quello per cui voleva i cardini!
- Perchè Malfoy cerca dei cardini per un Armadio Svanitore? - chiese Hermione aggrottando le sopracciglia e iniziando a sfogliare febbrilmente le pagine del grande tomo.

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 Ehilà!
Non vi nascondo che questo capitolo sia stato un po' un parto, sia per l'ingresso in scena del magico trio sia perchè è decisamente fondamentale per la rivelazione del ciondolo di Diana e per la storia della sua famiglia che lentamente sta prendendo forma. Come avrete di certo capito, il Blackhole è totalmente di mia invenzione e non centra nulla con la saga. Mi sono detta...perchè non creare qualcosa di nuovo? Non so...mi sembrava che funzionasse abbastanza come idea, ma aspetto di sapere da voi come la pensate a riguardo. Non so cosa vi aspettavate e spero di non avere deluso le aspettative...
Attendo con ansia di avere qualche feedback da voi :) 
A presto :)

 

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Capitolo 16
*** Il divano e il Pallino Acido ***


Quella sera a cena, Diana mangiò poco e niente, per grande sconforto della signora Weasley. Lo spezzatino con le patate aveva l’aria di essere delizioso, ma un peso allo stomaco le impediva di gustarselo. Dopo aver sbocconcellato solo un po’ di pane e aver fatto rotolare una grossa patata al forno da una parte all’altra del piatto, chiedendo scusa, si congedò dal tavolo.
Mentre saliva le scale per recarsi al piano di sopra, aveva quasi la sensazione di sentirsi trapassare la schiena dallo sguardo di Fred, che l’aveva fissata preoccupato per tutta la cena. 
Non se ne curò più di tanto. 
Si sentiva troppo stanca e snervata dalle rivelazioni del pomeriggio. 
Non aveva le forze per sopportare le frecciatine di Fred, quindi aveva preferito rimanere in religioso silenzio durante il pasto. In realtà non aveva dato retta proprio a nessuno durante la cena, ma si era limitata a rispondere a monosillabi a qualunque domanda le venisse posta, mentre le conversazioni sfumavano in un rumore bianco che faceva da fastidioso sottofondo ai suoi pensieri troppo rumorosi.

Harry, Ron e Hermione, in più, si erano lanciati nelle più fantasiose congetture per immaginare che cosa volesse fare Malfoy con un armadio che era in grado di far sparire la gente, mentre la storia del Blackhole veniva riferita anche a George e al resto della famiglia Weasley, che si era persa la spiegazione di Lupin.

Si chiuse la porta alle spalle e, dopo essersi infilata il pigiama, si sdraiò nel letto, convinta che si sarebbe addormentata entro pochi minuti, ma, come la notte precedente, il sonno tardava ad arrivare.
Un Blackhole.
Come aveva potuto sua madre tenere un oggetto potenzialmente così pericoloso?
Come aveva fatto zia Karen a non saperne nulla?
Continuava a rimuginare sulle parole di Lupin e sui troppi tasselli del puzzle che ancora non riusciva a far combaciare.
Era stufa di scoprire aspetti del passato della sua famiglia un pezzo per volta.

Dopo essersi girata e rigirata nel letto per ore, si mise seduta, sprimacciando il cuscino contro la testiera del letto, e cercò di dedicarsi alla lettura.
Magari così il sonno sarebbe arrivato. 
Ma dopo aver riletto più volte la stessa pagina senza capire il senso di ciò che aveva davanti agli occhi, riappoggiò il libro sul comodino sbuffando.

Le voci dal piano di sotto erano cessate da un pezzo.

Diana, in un fruscio di coperte,  si alzò e sbirciò il panorama fuori dalla finestra.
Sui vetri iniziavano a formarsi tenui cristalli di ghiaccio che rilucevano illuminati da un obliquo spicchio di luna.
La notte era ancora più scura lì in campagna, rispetto ad Edimburgo, e le stelle scintillavano di una luce ultraterrena nel terso cielo invernale. 
Diana si ritrovò a pensare al suo telescopio. Se solo non fosse andato distrutto durante l’attacco al negozio...

D’un tratto, nel ripensare all’accaduto, la stanza le apparve incredibilmente piccola e soffocante. 
Le pareti sembravano stringersi in un distorto abbraccio che la lasciava senza fiato. 
Un calore fastidioso e soffocante prese a risalirle su per la gola fino a rendere sfocati i contorni del suo campo visivo. 
L’aria che respirava sembrava solida, vischiosa e, nonostante inspirasse a pieni polmoni, l’ossigeno sembrava non bastare. 

Si diresse di scatto alla porta della camera e, pur essendo ormai molto tardi, si diresse al piano di sotto, senza nemmeno preoccuparsi di non fare rumore.

La cucina era immersa nel buio e Diana dovette rimanere qualche minuto ai piedi delle scale per abituare la vista all’oscurità e per non andare a sbattere contro il primo spigolo, dato che in quella strana casa non sembravano esistere interruttori per accendere la luce. 
Quando finalmente riuscì a mettere a fuoco i mobili della cucina, era già riuscita a calmarsi un poco.
Il chiarore lunare filtrava dalle finestre del soggiorno e si infrangeva in un abbondante spiraglio di luce, che Diana seguì per arrivare alla porta d’ingresso per poi spalancarla e gettarsi nella pungente aria di dicembre.
Inspirò a fondo cercando di placare i battiti del suo cuore che si inseguivano galoppanti.
Il gelo, in pochi minuti, la fece tornare in sè prima di penetrarle con prepotenza nelle ossa. 
Uscire in pigiama non era stata una grande idea, ma era l’unico modo per sfuggire al panico e recuperare un po’ di autocontrollo.
- Ma sei matta? - chiese una voce impastata di sonno alle sue spalle mandando in frantumi i suoi tentativi di tranquillizzarsi e facendola trasalire.
Al diavolo calmare la tachicardia!
Alle sue spalle, dal profilo della porta spalancata, era comparso Fred, indossando un pigiama bordeaux, con i capelli rosso fuoco scompigliati e un’espressione assonnata e confusa.
- Mi tieni d’occhio anche di notte? - sibilò Diana in tono velenoso battendo i denti per il freddo.
- Beh, hai fatto più rumore di un Ippogrifo imbizzarrito - si giustificò Fred sorridendo - sono sorpreso di non trovare tutta la famiglia in piedi!
- Scusa...non volevo... - mormorò Diana ritornando a dargli le spalle e osservando l’erba ghiacciata brillare sotto al riflesso della luna - è che...non riesco a dormire.
- Già - constatò Fred sbadigliando - lo avevo intuito! E quindi hai deciso che morire congelata fosse una valida alternativa?
Controvoglia, Diana tornò dentro casa e richiuse la porta dietro di sè, subito investita dal calore del soggiorno.
Sentì il vecchio divano cigolare sotto al peso di Fred.
Istintivamente si voltò a guardare il ragazzo, che la stava invitando a sedersi al suo fianco.
Troppo stanca per opporsi, andò docilmente a sedersi alla parte opposta dello stesso divano su cui si era accomodato Fred, tenendo le distanze il più possibile.
Fred sogghignò dicendo: - Guarda che non mordo mica...
- Non si sa mai... - constatò Diana ironica, ma si rilassò leggermente raggomitolando le gambe sul divano e voltandosi di lato per tenere d’occhio Fred, sul lato opposto. Per lo meno, il convogliare tutte le sue attenzioni sul controllare le mosse di Fred aveva contribuito a calmarla ulteriormente.
Stranamente lui si limitò ad osservarla in silenzio.
Probabilmente, era solo a corto di parole perchè si era appena svegliato nel cuore della notte.
- Senti - iniziò Diana cercando di prevenire quanto sarebbe potuto accadere - se sei qui per fare qualche scherzo o prendermi in giro, sappi che non è serata...
- Non era mia intenzione - rispose semplicemente Fred.
- Ah no? - chiese Diana sorpresa - non so perchè non ci credo...
- Naah - negò lui evasivo - sarebbe come schiacciare un Vermicolo...
- Che cosa? - chiese Diana stranita. 
Non aveva capito una parola di ciò che Fred aveva detto.
-  Stai già uno schifo, non c’è gusto a prenderti in giro... - si spiegò meglio Fred.
- Grazie, tu si che sai tirare su il morale - rispose Diana con una punta di sarcasmo.
- Figurati, basta chiedere - e Diana riuscì a scorgere un sorriso sul viso del ragazzo.
Fred rimase ancora per un po’ in silenzio, come per valutare le parole giuste da dire e poi, di getto, domandò: - Si può sapere perchè fai così?
- Così come? - chiese Diana senza capire.
- Con me - cercò di spiegarsi lui.
Diana sbattè le palpebre, confusa.
- Sembra che tu ce l’abbia sempre con me... - constatò lui. E questa volta il sorriso era un po’ più spento.
- Io ce l’ho sempre con te, Fred, non è che sembra... - rispose ridendo Diana.
- Ma perchè? - chiese lui testardo.
- Non mi piaci - si giustificò lei in tono semplice, anche se sapeva che non era una risposta abbastanza esaustiva.
- Non è vero - scosse la testa Fred sorridendo e, allungandosi leggermente nella sua direzione, sussurrò - tu mi adori.
- Accendi la luce, Weasley! - sibilò Diana cambiando di colpo intonazione della voce.
 Aveva appena realizzato di essere al buio, nel cuore della notte, su un divano con Fred Weasley, che probabilmente stava già architettando l’ennesimo modo per mandarla fuori dai gangheri.
Fortunatamente, però, Fred non le diede ascolto, altrimenti avrebbe di certo notato il rossore che Diana sentiva colorarle le guance.
Udì solo un risolino provenire da Fred e nient’altro.
- E poi parli come se mi conoscessi... - borbottò Diana infastidita.
- Purtroppo no - sospirò lui - non è che tu mi abbia dato molto modo di farlo. Sei peggio di un Pallino Acido...
Diana aggrottò la fronte, confusa.
- Lascia stare, sono delle specie di caramelle così acide da bucarti la lingua...
- Oh...che brutta cosa...- commentò Diana immaginandosi la lingua con un grosso foro.
Poi forse per l’ora tarda o per l’oscurità che le dava coraggio o per l’idea di essere stata paragonata a una caramella corrosiva, Diana pensò che Fred meritasse delle scuse.
- Mi dispiace... - iniziò Diana in un flebile sussurro - di solito non sono così...antipatica! Diciamo che tutto quello che è successo negli ultimi mesi è stato abbastanza stressante per me. Sai non è semplice scoprire che esiste un mondo di cui non avevi idea, conoscere cose sulla tua famiglia che nemmeno immaginavi e che tua zia ti ha sempre mentito. Scusa se me la sono presa con te, ma insomma...non è facile vedere voi che fate magie schioccando le dita, mentre io non posso farlo. E pensare che mio padre mi odiava per questo...
Fred rimase un attimo in silenzio, mentre i suoi lineamenti si trasformavano in un’espressione stupita.
- Ma se sei la proprietaria di un amuleto magico di cui nessuno sapeva nulla? Hai stupito anche Hermione! E non penso proprio che tuo padre ti odi - Fred Weasley stava assurdamente tentando di confortarla.
- No, forse non mi odia. Per odiarmi dovrebbe considerarmi...invece mi ignora da anni, come se non esistessi. Non so nemmeno dove sia... - Diana si mordicchiò il labbro inferiore, domandandosi come mai fosse stato così semplice abbassare le difese e parlare civilmente con Fred di cose tanto personali di cui non ne aveva mai parlato nemmeno con Aileen.

Il buio aveva decisamente giocato a suo favore, perchè era assolutamente certa che, se quella conversazione fosse avvenuta alla luce del sole e a mente lucida, non avrebbe di certo preso quella piega così sincera. 
Diana sorrise nella penombra e poi, cavalcando l’onda di sincerità, proseguì: - Mi hai salvato la vita e non ti ho mai ringraziato veramente, perchè ero troppo arrabbiata. Non mi conoscevi neanche. Perchè l’hai fatto?
Nell’oscurità vide Fred alzare le spalle e dopo qualche secondo disse: - Eri in pericolo. Indifesa e svenuta ai piedi di un lupo mannaro. Avrei dovuto lasciarti lì? Probabilmente saresti stata indigesta anche per Greyback, ma non mi sembrava il caso di correre il rischio di scoprirlo...
- Perchè ti importa tanto conoscermi? - domandò Diana a bruciapelo - sono stata odiosa con te!
- Beh, di solito piaccio sempre a tutti - iniziò a spiegare Fred tornando a sorridere - quindi è...interessante conoscere qualcuno che non la pensa così!

Diana fu sorpresa da quell’affermazione e represse una risata nervosa.
Mentre si rannicchiava con le ginocchia al petto, tornò seria e, riprendendo il discorso precedente,  sospirò: - Mi sembra tutto così assurdo. Come se fosse solo un brutto sogno...a volte vorrei svegliarmi e non ricordare più nulla di tutta questa faccenda.
Fred si finse profondamente offeso: - E ti priveresti anche del ricordo di aver fatto la mia conoscenza??!
Diana si portò una mano al petto e aprì la bocca fingendosi scandalizzata: - Oddio, hai ragione...come potrei sopravvivere senza Fred Weasley che mi dà il tormento giorno e notte?!
Lui rise silenziosamente e poi schioccò la lingua ammiccando: - Sai che hai ragione? Se non ti impegni ad essere odiosa, sei quasi sopportabile! Oppure il mio travolgente senso dell’umorismo ti ha irrimediabilmente contagiata!
- Non sia mai - ridacchiò la ragazza.

Diana sentì che la tensione che aveva nel petto si stava lentamente sciogliendo. 
Lo stomaco era contorto in una strana sensazione. Probabilmente il digiuno e la stanchezza iniziavano a farsi sentire, ma non aveva voglia di tornare al piano di sopra.

Rimasero sul divano a parlare: Diana raccontò tante cose dei suoi genitori, di zia Karen, degli incubi che spesso aveva e di quanto si
sentisse spaventata da quello che le stava succedendo, mentre Fred le raccontò di Hogwarts, degli scherzi magnifici che aveva organizzato insieme a George, del loro negozio e di tante altre cose che Diana non aveva mai avuto il coraggio di chiedergli perchè si intestardiva ad essere troppo arrabbiata per interessarsi davvero a lui.

Diana rise di gusto. 
Rise così tanto da sentirsi le guance doloranti.  

Poi ascoltò di nuovo Fred che, raccontava di suo fratello Percy che non parlava più con la famiglia. Tutti cercavano di evitare di parlarne, ma in realtà ci stavano da schifo. 
Diana si stupì del fatto che Fred fosse in grado di intavolare anche conversazioni serie, cosa che fino a quel momento era sembrata impossibile.
Andarono avanti a parlare per ore, cambiando ogni tanto posizione sul divano e avvicinandosi perchè non potevano parlare tanto forte per non svegliare gli altri che dormivano, fino a che la voce di Fred iniziò ad arrivarle sempre più ovattata e le forze, man mano, la abbandonarono facendole ciondolare la testa dal sonno.
Fred allora smise di parlare e sorrise vedendo la testa bionda appoggiata alla sua spalla, mentre sentiva un vago calore risalirgli dalla nuca e un sorriso stampato in faccia che non accennava ad andarsene.
Diana aprì appena gli occhi, nel dormiveglia, ritrovandosi sdraiata con la testa sprofondata in un soffice cuscino, le parve di vedere Fred che le buttava sopra una coperta e si accoccolava seduto in fondo al divano , oltre i suoi piedi, con il collo appoggiato allo schienale e la testa reclinata all’indietro a guardare il soffitto, sorridente.

                                                                                 ——————

La mattina della Vigilia di Natale Diana fu svegliata da un flebile raggio di sole che filtrava attraverso la finestra.
Quando aprì gli occhi ci mise un un po’ a rendersi conto che non si trovava nella camera da letto, ma nel bel mezzo del soggiorno della Tana.
Prima che potesse riconnettere i suoi neuroni, mise a fuoco il tavolo della cucina dove George si stava spalmando con impegno una generosa quantità di marmellata su una fetta di pane tostato. 
George appoggiò la fetta di pane sul tavolo e si versò del caffè. 
Mentre si portava la tazza alle labbra, sollevò lo sguardo e incrociò quello assonnato di Diana.
- Buongiorno... - la salutò George a bassa voce in tono malizioso e soffocando a stento una risata. Sembrava avere davanti agli occhi una scena che lo divertiva un mondo.

Diana aggrottò le sopracciglia, senza capire cosa ci fosse di tanto divertente.
Il profumo del caffè la stava lentamente svegliando e abbassando lo sguardo vide un pallido braccio appoggiato sul suo fianco.
Si voltò lentamente e alle sue spalle vide Fred Weasley addormentato con un braccio abbandonato sopra di lei.
Di scatto si alzò, inorridita, dando uno spintone all’indietro a Fred, che capitombolò giù dall’altra parte del divano con un sonoro tonfo.
Fred, seduto sul pavimento e massaggiandosi la nuca, si guardava intorno spaesato, mentre George era in preda ad un attacco di ridarella.
- Sono abbastanza sicuro che questo fosse un divano ieri sera... - constatò Fred sbadigliando.
Il grosso divano marrone sulla quale si erano seduti la sera prima, infatti, non c’era più, ma era stato sostituito da un grande e morbido letto matrimoniale con dei soffici cuscini candidi.
George, che aveva ritrovato un contegno dopo aver riso come un matto alla faccia scandalizzata di Diana, si limitò a rispondere: - Si, ma ho pensato che un letto fosse più comodo di uno stretto divano...
Diana si limitò a fissare George con aria truce stringendo i pugni. 
Sentiva le guance in fiamme.
- Ehi, Folletto, rilassati! - la tranquillizzò George con aria noncurante, mentre sfogliava pigramente le pagine animate de “La Gazzetta del Profeta” - ho semplicemente trasfigurato il divano in un letto per farvi stare più comodi!
- Grazie Georgie - lo ringraziò Fred andando a sedersi al tavolo con lui come se fosse la cosa più normale del mondo - come mai sei già sveglio?
- Hai lasciato la sveglia in camera nostra...dovevi andare a prendere Karen stamattina, ricordi? - chiese George al gemello.
Fred si battè una mano sulla fronte sbadigliando e stiracchiandosi : - Puoi andare tu? Sono stanchissimo e mi fa male tutto...
- Va bene - acconsentì  George e poi, dando un’occhiata veloce a Diana - vi lascio soli! Magari avete voglia di abbracciarvi ancora un po’....
- George, ti uccido! - sbottò Diana girando attorno al tavolo, ma prima che potesse avvicinarsi a George, questo si era smaterializzato con un “crack”.

Diana rimase in piedi davanti al tavolo dove Fred era seduto a versarsi il caffè, tranquillo come se non fosse accaduto nulla.
- Dove...dove è andato? - ansimò Diana furente
- A prendere tua zia, immagino... - spiegò Fred tranquillamente indicandole la sedia di fronte a lui - così noi facciamo colazione...
Diana trascinò in un brusco movimento la sedia e si accomodò al tavolo di fronte a Fred con lo sguardo fisso nel vuoto.
- Dormito bene, Pixie? - chiese lui con un sorriso sornione e gli occhi vispi.
L’unica risposta che Fred ebbe fu un pezzo di pane tostato che lo colpì nell’occhio sinistro, ma mentre Diana, qualche minuto dopo, mescolava freneticamente la sua tazza di caffè, realizzò che quella era stata una delle prime notti in cui aveva fatto un sonno senza incubi.
- No, ho dormito da schifo - mentì spudoratamente Diana nascondendosi dietro la tazza di caffè.
- Mmh...a me non sembrava! - bofonchiò Fred poco convinto - hai russato come un Troll!
Diana sbattè la tazza sul tavolo. Indispettita, ma con l’accenno di un sorriso, sibilò: - Io non russo! - mentre Fred si scansava per non essere colpito da un altro pezzo di pane tostato.

Quando Ron e Harry scesero le scale e sbucarono in cucina seguiti da Hermione e Ginny, trovarono Fred che , con espressione trionfante, si ingozzava di pane tostato e Diana che sbocconcellava un biscotto fissando Fred come se volesse polverizzarlo con lo sguardo.
Fred si alzò per lasciare il posto ai nuovi arrivati che dovevano fare colazione e si spostò strisciando la sedia, al fianco di Diana, che istintivamente si irrigidì.
- Vi siete alzati presto... - constatò Ginny mentre allungava il barattolo di marmellata ad Hermione.
- Oh, si sai... - prima che Fred potesse dire qualunque cosa avesse intenzione di dire, Diana gli pestò un piede con forza da sotto il tavolo.
Ginny osservò il fratello con aria interrogativa per la frase lasciata a metà.
- Pixie, mi passi i biscotti? - chiese Fred rivolgendole un enorme sorriso e poi, picchiettandosi una mano sulla spalla, domandò sarcastico: - oppure hai voglia di farti un pisolino?.
Ricordandosi di essersi addormentata sulla sua spalla, la notte precedente, Diana si sentì avvampare, mentre le sue guance andavano lentamente in ebollizione.
Sbuffò e spinse il pacco di biscotti tra le braccia di Fred sibilando sarcastica: - Tieni! Abbracciatelo! Pervertito!
Fred si avvicinò a Diana vertiginosamente e, prendendola in giro, le sussurrò all’orecchio,: - Smettila di fare così, o qualcuno potrebbe pensare che stanotte io abbia deflorato la tua virtù...
- Perchè Fred dovrebbe abbracciare un pacco di biscotti? - domandò Ron confuso.
Diana si voltò appena verso Fred con le labbra strette. Gli appoggiò una mano sulla spalla e, allontanandolo, disse con un tono di voce un po’ troppo alto: - Il deflorare la mia virtù è una cosa che non ti deve neanche passare per l’anticamera del cervello!!
Ron, dall’altra parte del tavolo, quasi si strozzò con un biscotto e gli ci vollero parecchie pacche sulla schiena da parte di Harry per farlo
smettere di tossire, mentre Ginny ed Hermione indossavano dei fastidiosi sorrisetti furbi.

Quando la colazione fu terminata e gli animi furono sedati, Diana sentì delle voci provenire dall’esterno e, alzando lo sguardo sulla finestra, vide Karen e George risalire il vialetto della Tana.
Diana agguantò il proprio cappotto e uscì di casa, mentre Fred la seguiva a ruota.
- Zia! - esclamò Diana. 
Era sollevata all’idea di rivedere zia Karen, ma poi si ricordò del Blackhole e di tutto quello che la zia le aveva nascosto.
Karen Harvey stringeva un borsone in una mano e un trasportino con dentro un agitatissimo Antares nell’altra e chiacchierava con George Weasley come se lo conoscesse da sempre.
- Dobbiamo parlare - sentenziò Diana duramente. Non voleva più ricevere le notizie con il contagocce. Voleva sapere tutto.
- Ora? - bofonchiò zia Karen osservando Fred e George - posso almeno entrare e posare i bagagli?
- Dov’è Mundungus? - chiese Diana ignorando la domanda della zia e incrociando le braccia al petto.
George si offrì di prendere la valigia di Karen ed entrò in casa. Fred, invece, rimase fermo, indietro di qualche passo.
- A casa sua, immagino - rispose zia Karen con un sorriso - ma che succede?
Diana le riferì del Blackhole e zia Karen strabuzzò gli occhi incredula nell’ascoltare il racconto, mentre Antares miagolava senza sosta.
Diana afferrò il trasportino e lo ficcò malamente in mano a Fred, che era rimasto ad osservare la scena in piedi a braccia conserte come un arbitro: - Puoi portarlo dentro, prima che gli venga una crisi isterica?
Fred aprì la bocca per ribattere, ma poi si incamminò verso casa dicendo in tono amichevole ad Antares: - Anche tu non la sopporti, vero?
- Diana, ti giuro che non ne sapevo niente - commentò zia Karen, scossa da quanto appena saputo - lo sai che io e i tuoi genitori non ci frequentavamo molto...
Zia Karen sembrava sincera e Diana riuscì soltanto a deglutire e annuire, stringendosi le braccia intorno al corpo per scaldarsi.
- Com’è andata al negozio? - chiese Diana cambiando argomento - i clienti di Robert?
Robert Murray aveva acquisito il negozio su Prince Street, il cui precedente proprietario era morto durante lo scontro con i Mangiamorte durante l’estate.
- Oh, guarda! Un disastro! Robert mi ha rifilato i suoi peggiori clienti! - si lamentò zia Karen in tono colorito - spero davvero che lui e Benjamin ci portino qualche oggetto di valore dal loro viaggio in Italia! Qui com’è andata, invece? - chiese poi la zia indicando con un cenno la Tana - ora Fred ti dà ascolto, a quanto vedo...
- Ah si? Non me ne ero accorta... - commentò Diana sarcastica incamminandosi lungo il vialetto con la zia e poi, ripensando alla notte precedente, le sfuggì un sorrisetto e aggiunse - forse, però, siamo riusciti a stabilire una tregua...

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Ciao!
Oggi vi lascio questo capitoletto che, devo essere sincera, è uno di quelli che ho amato di più scrivere, soprattutto la prima parte!
Non succede granchè, ma ci voleva un confronto tranquillo tra Fred e Diana. Spero che a voi sia piaciuto. Che ne pensate? L'ascia di guerra sarà stata sepolta definitivamente oppure sarà solo una tregua?
Attendo con ansia un commentino o un parere!
A presto :)
 

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Capitolo 17
*** Whisky Incendiario ***



Fred aveva dormito si e no un paio d’ore quella notte, ma si sentiva inspiegabilmente energico quella mattina, nonostante il collo dolorante per essersi addormentato sul divano. Era contento di aver in qualche modo chiarito la situazione con Diana, anche se probabilmente, infastidirla era una delle cose che lo divertiva di più e non avrebbe smesso di farlo tanto presto.

Durante la mattinata, Fred e George avevano supervisionato Ron e Harry tagliare i cavolini di Bruxelles, mentre Karen e Diana cercavano di rendersi utili aiutando nelle faccende domestiche.

Nel pomeriggio, invece, quando tutti ormai avevano portato a termine i compiti che Molly Weasley aveva affidato loro, Ginny, vista la bella anche se fredda giornata, propose una partitella a Quidditch.
Così Fred, George, Harry, Ron, Ginny e Bill, appena arrivato insieme a Fleur, si incamminarono, manici di scopa in spalla, oltre la collinetta che si trovava dietro la Tana.
Diana, Hermione e Fleur li seguivano. 
Diana e Hermione erano abbastanza contrariate, perchè entrambe avevano insistito per rimanere in casa al caldo a leggere un buon libro, ma erano state praticamente costrette a uscire di casa.
Una volta arrivati al punto prescelto, Fleur fece apparire dal nulla tre comode poltroncine e un fuocherello portatile, intorno al quale le tre ragazze si accoccolarono per riscaldarsi nella giornata gelida.
- Pronta a salire su un manico di scopa? - chiese Fred con tono di sfida accovacciandosi di fronte a Diana per avere il viso all’altezza di quello della ragazza.
Diana interruppe la sua conversazione con Hermione, per girarsi verso Fred e rispondere: - Ma nemmeno per idea!
Fred rimase a soppesare la risposta di Diana, con la bruciante tentazione di farla salire a forza sul manico di scopa giusto per vederla strillare spaventata.
- Dai, Fred!! - lo richiamò Ron già a cavalcioni della sua scopa.
Fred montò in sella alla sua fedele Tornado e sfrecciò verso l’alto. L’aria gelida gli sferzava il viso, mentre realizzava quanto gli fosse mancato il senso di gioia che gli dava il volare su una scopa.
Lui e George iniziarono a colpire con le mazze da battitori le palline da tennis che Bill e Ginny lanciavano verso di loro. Dopo che George ebbe sparato una pallina con forza in direzione di Ron, Fred guardò verso il basso, dove Diana scrutava il cielo nella loro direzione, impressionata.
- Guarda che non scappa da nessuna parte, puoi anche smetterla di fissarla... - gli sibilò George, il naso rosso a causa del freddo. Aveva ancora stampato in volto quel sorriso di chi la sapeva lunga, come il pomeriggio precedente, in negozio.
- Non so di che cosa parli, Georgie... - gli rispose vago Fred tornando a guardare in direzione di Ginny.
In tutta risposta, George roteò gli occhi al cielo e scattò per colpire con la mazza la pallina scagliata indietro da Ron, che altrimenti avrebbe colpito Fred dritto in faccia.
Dopo aver rispedito la pallina al mittente, George si voltò nuovamente verso il gemello e, ammiccando, lo canzonò: - Sei distratto!
Fred, sbuffando, accelerò e si buttò in picchiata per andare a recuperare la pallina e per porre fine alle frecciatine del suo gemello.
Solo quando il sole cominciò ad abbassarsi sull’orizzonte, i ragazzi  e Ginny tornarono a terra per fare ritorno a casa.
Fred, con il naso e le mani insensibili a causa del freddo e la scopa in spalla, si accostò a Diana sulla strada per il ritorno.
- Allora? - chiese lui - che te ne pare del Quidditch?
- Ho avuto il mal di mare solo a guardarvi... - confessò lei stringendosi nel giubbotto per scaldarsi.

Sul vialetto d’accesso alla Tana c’erano due persone che parlottavano fitto tra loro: Arthur Weasley e Kingsley Shacklebolt.
- Ciao pa’! - lo salutò Ron.
- Sei tornato presto! - constatò George felice.
- Ciao Kingsley! Buon Natale! - lo salutò Harry sorridendo.
Le espressioni dei due uomini bastarono per far svanire i sorrisi dai volti dei ragazzi. Arthur Weasley sembrava stanco e preoccupato e anche Kingsley, di solito dall’aria imperscrutabile, appariva leggermente angosciato.
- Tutto a posto? - chiese Fred cercando di sondare il terreno.
- Devo andare...Buon Natale, ragazzi - si limitò ad augurare loro Kingsley smaterializzandosi in fretta e furia.
Rientrarono tutti alla Tana in attesa di spiegazioni da parte del signor Weasley, che però non arrivarono. In casa c’era un profumo delizioso e lo stomaco di Fred ruggì furiosamente, facendo le fusa al pensiero della quantità di cibo che li aspettava quella sera e nei giorni a venire.
Ognuno sparì nella propria camera per lavarsi e cambiarsi per la cena.

Quando Fred tornò al piano di sotto insieme a George, la cucina traboccava di pietanze dall’aria gustosa.
La tavola era apparecchiata con una tovaglia a quadrettoni scozzesi ed era imbandita di tutte le leccornie possibili: salsicce e torte salate, pollo arrosto e patate al forno, tacchino e salsa ai mirtilli e, in un angolo della cucina, erano già pronti i dolci: pudding, biscotti fatti in casa e una grossa crostata alle mele.
Stava per arraffare una patata al forno con le dita, incapace di resistere alla fame, quando sua madre apparve dalla cucina strillandogli come una banshee di lavarsi le mani e di aspettare che tutti gli ospiti fossero arrivati per mettersi a mangiare. Probabilmente l’avere a casa altre due nuove ospiti rispetto al solito, l’aveva messa sotto pressione, infatti, Molly Weasley gli apparve stanca e nervosa.
- Percy non verrà? - chiese George in un sussurro incerto, perchè non voleva turbare ulteriormente la madre.
- No - rispose seccamente Molly Weasley tirando su con il naso e facendo levitare un paio di brocche d’acqua verso la tavola.
- Dai mamma - cercò di risollevarle il morale Fred cingendole le spalle in un abbraccio - non abbiamo bisogno di quel musone...
- Pomposo...- continuò George sorridente affiancando la madre dall’altro lato.
- Noioso... - riprese Fred.
- Idiota di Percy - terminò George.
Molly Weasley, proruppe in un singhiozzo e corse verso la cucina per nascondere le lacrime a Diana e Karen che stavano scendendo le scale.

Prima di sentirsi uno schifo per aver provocato le lacrime della madre, già abbastanza suscettibile in quei giorni di festa, Fred alzò lo sguardo verso la rampa di scale. Karen aveva il caschetto biondo pettinato perfettamente e domato da un cerchietto; Diana, appena dietro alla zia, indossava un abito scozzese leggermente scollato che le arrivava appena sopra il ginocchio. 
- Carina la tovaglia che ti sei messa - la prese in giro George notando la somiglianza con il tessuto che ricopriva la tavola.
Diana si limitò a fargli un gestaccio in risposta, proprio mentre Harry e Ron entrarono in soggiorno sbellicandosi dalle risate alla vista di Diana con il dito medio alzato.
- Sono abbastanza sicuro che non fosse così maleducata prima di conoscerci - sibilò George a voce non troppo bassa a Fred.
- Già, abbiamo sicuramente avuto una cattiva influenza su di lei... - rispose Fred continuando a seguire Diana con lo sguardo. La ragazza, infatti, stava chiedendo a Karen se il vestito che indossava sembrasse effettivamente una tovaglia, mentre cercava di lisciare nervosamente il tessuto con le mani.
- Sisi se ti appoggiassi addosso dei piatti saresti proprio identica alla tovaglia - Fred si intromise nella conversazione tra Diana e la zia - una scozzese con un vestito scozzese? Che fantasia!
- Ma proprio tu parli di moda, Weasley? - chiese Diana imbronciata incrociando le braccia sul petto - ti sei lanciato nell’armadio a occhi chiusi?
- Perchè? - chiese Fred sorpreso guardando il suo maglione a losanghe grigie e viola indossato sopra a una camicia a righe arancioni e bianche - non è l’ultima moda babbana, questa?
- Non proprio... - soffocò una risatina Karen cercando di essere educata.
- Per niente! - esclamò Diana ridendo e spostando di lato i lunghi capelli biondi - mi sanguinano gli occhi solo a guardarti!

Quando tutti si sedettero a tavola, il signor Weasley, di malavoglia, spiegò il motivo della sua preoccupazione. Proprio quel giorno il Ministero aveva diramato la notizia che altri due maghi erano spariti senza lasciare traccia. Ormai le sparizioni dei maghi che si opponevano a Voldemort erano all’ordine del giorno, ma quando il signor Weasley raccontò che uno dei maghi di cui non si avevano più notizie era Garrick Olivander, il fabbricante di bacchette, tutti sollevarono lo sguardo sconvolti.
- Olivander? - chiese George perplesso - ho visto che il negozio era chiuso da qualche giorno, ma pensavo avesse anticipato le vacanze natalizie...
- A quanto pare no - sospirò il signor Weasley tagliando la salsiccia che aveva nel piatto - non si hanno sue notizie da una settimana.
- Ma...come farà chi dovrà comprarsi una bacchetta nuova? - chiese Harry turbato.
- Bisognerà rivolgersi a dei rifornitori - spiegò Bill servendosi le patate - e ovviamente il costo delle bacchette salirà alle stelle, dato che non ci si può servire direttamente dall’artigiano che le produce. Ollivander era una garanzia, adesso chissà ...
Quella notizia, oltre al realizzare che Percy aveva declinato nuovamente l’invito alla cena di Natale, mise tutti quanti di pessimo umore.
Diana cercava di capire qualcosa della conversazione in corso, mentre Karen osservava in silenzio le espressioni sgomente dei presenti, ma ormai l’argomento di conversazione aveva fatto precipitare in picchiata l’umore di tutti.
Fred e George cercarono di portare il discorso su argomenti meno seri, come il Quidditch o focalizzandosi nel prendere in giro Ron che si ingozzava di cibo, come se non mangiasse da anni. Per un po’ funzionò e il clima parve tornare festoso e caloroso, come ad ogni cena di Natale che si rispetti.

                                                                                        ---------

La cena fu molto strana.
Dopo l’arrivo di zia Karen alla Tana , Diana era riuscita finalmente a sentirsi un po’ più rilassata.
Anche se conosceva da poco la famiglia Weasley, Diana doveva ammettere che non ci si poteva trovare male in loro compagnia. Anche se erano maghi e spesso non capiva i loro discorsi, era sinceramente colpita dalla loro generosità e dalla loro gentilezza. Non riusciva a non provare una leggera invidia per la loro complicità, le battute che si scambiavano e le prese in giro tra fratelli che animavano la tavola. 
Invidiava la loro famiglia numerosa perchè era una cosa che a lei era sempre mancata.
Di certo, la famiglia Weasley non era perfetta.
Avevano i loro problemi, come tutte le famiglie, ma Diana avrebbe accettato di buon grado qualche problema pur di avere una famiglia come quella.

A tavola c’era così tanto chiasso che per farsi sentire bisognava praticamente urlare.
Nel soggiorno stipato di persone faceva così caldo che Diana si sentiva le guance andare in fiamme.

Quando Molly Weasley servì il dolce con un colpo di bacchetta, Diana si sentiva sazia, accaldata e con un principio di mal di testa, ma felice come non lo era stata da tempo.
Nonostante tutte le cose strane e sinistre che stavano accadendo nella sua vita, non riusciva a essere triste nel vedere Ron mangiare degli strani dolcetti che permettevano di riprodurre i versi degli animali e barrire come un elefante.
Non riusciva a non sorridere nel vedere Molly e Arthur Weasley tenersi per mano e guardarsi con un velo di tristezza negli occhi per l’assenza di Percy.
Non riusciva a non sorridere nel vedere Fred e George che facevano piroettare gli avanzi di cibo sopra la testa di Fleur. 
Non riusciva a non sorridere vedendo zia Karen, tutta eccitata, raccontare a Bill di certi strani oggetti che avevano al negozio.

Diana stava ridendo senza controllo per le bizzarre domande sulla tecnologia babbana con cui il signor Weasley mitragliava lei, Harry e Hermione, quando incontrò lo sguardo di Fred, che le sorrise a sua volta. Diana si sentì scaldare il petto da quel sorriso un più sincero e meno beffardo del solito.
Dopo aver mangiato il dolce, il signor Weasley aprì la credenza del soggiorno e mise al centro della tavola una bottiglia di vetro spesso che lasciava intravedere un liquido ambrato.
- Questo lo devi provare - le sussurrò all’orecchio Fred sorridendo. 
Diana trasalì chiedendosi in quale momento Fred fosse praticamente arrivato alle sue spalle senza che lei se ne accorgesse, ma il ragazzo le stava già versando due dita di liquido dentro un bicchierino dicendo - Whisky Incendiario!
- Cosa? - chiese Diana dubbiosa rigirandosi il bicchiere tra le mani.
- Non farti domande - la incalzò George che, come sempre, aveva raggiunto il gemello come se fossero una cosa sola - buttalo giù alla goccia!
E Diana lo fece. In un sorso buttò giù l’Whisky Incendiario. 
Per un attimo non accadde nulla, poi un calore rovente le risalì l’esofago tanto da farglielo bruciare. Spalancò gli occhi sentendosi il viso ancora più rosso di quanto già non fosse. Istintivamente, si toccò le orecchie per sincerarsi che non le stesse uscendo del fumo da lì. 
Era abbastanza certa di aver capito il motivo del nome “Whisky Incendiario”.
Fred e George si sbellicavano dalle risate, ma Diana, contagiata dal clima natalizio e contenta per l’arrivo di zia Karen, si rese conto di non riuscire più ad arrabbiarsi con loro e quindi si arrese scoppiando a sua volta in una risata.

Dopo cena, la signora Weasley aiutata da Fleur,  fece sparire piatti e stoviglie sporchi e li spedì ad autolavarsi nel lavandino, mentre tutti si trasferivano sul divano.
L’Whisky Incendiario e gli scherzi di Fred e George avevano contribuito a risollevare il morale collettivo, tanto che Ginny accese la radio su Radio Strega Network, un programma radiofonico magico, dove venivano trasmesse allegre canzoni di artisti come Celestina Warbeck o le Sorelle Stravagarie, che Diana non aveva mai sentito nominare.
- Oh, Celestina... - sospirò nostalgica la signora Weasley - quanti bei ricordi...
- Che schifo, mamma - la guardò disgustato Ron scoppiando a ridere.
- Oh Ronnino, non fare quella faccia! - lo prese in giro Fred - ormai si sa che ognuno di noi è stato concepito con una canzone della dolce Celestina in sottofondo!
I signori Weasley scoppiarono a ridere, ma non negarono.
Per accontentare tutti i presenti, Ginny cambiò stazione radio selezionando una frequenza babbana, dove stavano trasmettendo una vecchia ballata romantica, che fece subito strillare di gioia sia zia Karen che Molly Weasley.
- Oh Arthur - squittì la signora Weasley arrossendo e guardando il marito - ti ricordi questa canzone...eravamo così giovani!
Il marito le dedicò uno sguardo carico di amore e la prese per mano facendola ondeggiare a tempo di musica al centro del salone. Tutti quanti batterono le mani a tempo, felici. Fred e George fischiavano con le dita tra le labbra.
Anche Bill si alzò trascinando Fleur a ballare. Diana, Hermione, Ginny e Karen avevano uno sguardo sognante nel vedere la dolcezza che trasudavano i due futuri sposini, abbracciati stretti stretti.

Poi la canzone terminò e ne iniziò un’altra. 
Era un brano country-rock abbastanza ritmato che Diana riconobbe a causa dei gusti musicali retrò di zia Karen. Seppur datata, era una di quelle canzoni in grado di metterla di buonumore. Aveva una melodia allegra che cozzava tremendamente con il testo dalle parole angoscianti.
Diana non riusciva a non tenere il tempo picchiettando il piede a terra mentre batteva le mani e rideva nel vedere Arthur Weasley far roteare, ora, la moglie freneticamente.
Fred scuoteva la testa a tempo di musica tenendo il tempo tamburellando con una mano sulla coscia.
Il ragazzo guardò verso Diana sorridendo e lei continuò a sorridergli di rimando, perchè da qualche ora a quella parte non riusciva a fare altro.
Fred, allora, si alzò di scatto dal divano e una volta in piedi davanti a Diana, le tese una mano.
Diana fissò prima la mano tesa di Fred e poi il suo viso, prima di capire che la stava invitando a ballare.
- Oh nonono - scosse la testa Diana ridendo per l’imbarazzo.
- Daiii - la incitò lui. Il sorriso così ampio da creargli delle piccole rughe agli angoli degli occhi.
Diana si sentiva la vista leggermente annebbiata e faticava a mettere a fuoco i presenti nel soggiorno.
Tutti eccetto Fred.
E forse fu per quello che si lasciò convincere e afferrò la mano tesa davanti a lei per mettersi in piedi.
Forse era l’effetto dell’Whisky Incendiario o di Fred che le teneva la mano e la faceva volteggiare. 
La testa le girava facendola sentire vagamente fluttuante come un palloncino gonfiato con l’elio.
Sorrideva così tanto che ormai le guance avevano iniziato a farle male e probabilmente, da lì a poco, avrebbe avuto una paresi facciale.
Scoprì di essere pessima nel ballo: era sempre stata troppo rigida per permettersi di fare qualcosa del genere, ma, lì in mezzo a una folla di maghi con cui non aveva nemmeno troppa confidenza, realizzò che non le importava più perchè si stava divertendo.
Fred era portato per il ballo almeno tanto quanto lei e questo contribuì a farla sentire meno imbranata. 
Dopo l’ennesima giravolta, Fred la tirò a sè ridendo e iniziò ad ancheggiare in una maniera buffa, facendola scoppiare nuovamente a ridere in maniera irrefrenabile.
Il ritmo della canzone incalzava, facendo capire che era giunta quasi al termine. 
Mentre i Creedence Clearwater Revival cantavano che la fine sarebbe presto arrivata, Diana, invece, con il cuore che ormai batteva a tempo di musica, si accorse di desiderare che la canzone durasse ancora qualche minuto.
Quando, infine, la canzone echeggiò le ultime note, Fred fece piegare Diana all’indietro in un profondo casqué, tenendole la mano sulla schiena per sorreggerla.
Si guardarono: entrambi rossi in viso, con il fiatone e gli occhi luccicanti. La mano calda di Fred le irradiava un piacevole tepore sulla schiena attraverso il vestito, mentre l’altra mano, grande e un po’ sudata, teneva ancora quella di Diana. 
Per un attimo, entrambi rimasero immobilizzati in una sorta di fermo immagine di estrema serietà, poi Diana si morse il labbro inferiore per trattenere un’altra risata.
Allora, Fred la rimise in piedi con un po’ troppa forza, facendole scontrare il viso con il suo petto. Diana si scostò, ridendo imbarazzata, ma nessun altro sembrava aver notato più di tanto la scena, a parte George e zia Karen, seduti uno a fianco all’altro con espressioni eloquenti dipinte in volto.

Al piano di sopra, appoggiato sul comodino della stanza che Diana occupava alla Tana, il Blackhole si illuminava di bagliori intermittenti, attirando l’attenzione di Antares, che si era tenuto ben lontano dalla baraonda che si stava svolgendo al piano di sotto.

A parecchi chilometri di distanza, proprio in quel momento, Lucius Malfoy, inginocchiato davanti a Lord Voldemort, stava raccontando al suo padrone, la stranezza di qualche giorno prima. Di quella strana ragazza babbana che inspiegabilmente possedeva un Blackhole che le aveva permesso di resistere alla Maledizione Imperius.

Molto più tardi, quella sera, Diana tornò nella camera che condivideva con zia Karen. 
La zia era salita a dormire già da un po’, perciò Diana cercò di fare meno rumore possibile, mentre si sfilava gli stivaletti neri e l’abito.
- Bella serata, vero? - chiese di punto in bianco Karen puntellandosi su un gomito
- Zia! - sibilò Diana sobbalzando - pensavo dormissi!!
- Proprio una bella serata... - commentò zia Karen ripetendosi e assumendo un’espressione allusiva che le ricordò tanto quella di George Weasley.
- Si, mi sono divertita - rispose Diana in tono vago mentre si infilava il pigiama.
- Fred è proprio carino, non trovi? - chiese Karen con tono curioso e con un sorrisetto a incresparle le labbra.
- Mmh... - mugugnò Diana senza sbilanciarsi e rintanandosi sotto alle coperte - devo ammettere che è simpatico...
Karen guardò Diana di sottecchi, mentre la ragazza si voltava nel letto per dare le spalle alla zia.
- Secondo me anche lui ti trova...come hai detto tu? Ah, si...anche lui ti trova simpatica, secondo me... - scherzò Karen ridacchiando e riappoggiando la testa sul cuscino.
Diana, con lo sguardo rivolto alla parete sorrise nascondendo il viso tra le coperte, ma un attimo dopo, tornando seria, si rigirò verso la zia.
- Zia, non voglio che il mio...Blackhole venga distrutto! E’ una delle poche cose che ho che appartenevano alla mamma...
Zia Karen sospirò e in tono comprensivo disse: - Lo so e sono d’accordo con te, ma se quell’orologio può metterti in pericolo, distruggerlo, è l’unica cosa da fare! Sempre che riescano a capire come fare...
Diana sospirò a sua volta, poi scosse la testa, cercando di allontanare quei pensieri, visto che fino a dopo le festività di Natale non avrebbero avuto risposte.
- Ciondolo a parte, ti vedo abbastanza su di giri per essere una che odia il Natale... - la prese in giro zia Karen.
Diana si limitò a farle una pernacchia dicendo: - Buonanotte, zia!

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Ciao! 
Si lo so, in questo capitolo non succede nulla degno di nota e la parte iniziale non mi fa nemmeno impazzire, ma volevo inserire qualche scena di pace, tranquillità e clima sereno prima dei prossimi capitoli, che di tranquillo avranno ben poco!
Quindi vi tocca sorbirvi questo capitolo di gioia natalizia a fine settembre, mi spiace! :)
Vi lascio anche il link della canzone su cui Fred e Diana ballano. Se vi va ascoltatela, giusto per farvi capire che non è un lento da diabete che con loro centrerebbe poco e niente! 
https://youtu.be/zUQiUFZ5RDw 
Grazie ancora a chi legge e trova sempre il tempo per lasciarmi qualche commento sempre super apprezzato :)
Alla prossima :)

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Capitolo 18
*** Il telescopio ***


La mattina di Natale si alzarono tutti molto tardi. I ragazzi erano rimasti svegli a chiacchierare ancora per molte ore dopo che i signori Weasley, Bill, Fleur e Karen se ne erano andati a letto.
Fred, dal canto suo, una volta nel letto, nonostante si sentisse stanco e ancora sazio di cibo, faticò a prendere sonno. Ogni volta che chiudeva gli occhi continuava, inspiegabilmente, a sentir riecheggiare nelle orecchie la risata di Diana, mentre lo stomaco si accartocciava in una strana sensazione dolorosa. 
Aveva davvero mangiato troppo!
Il risultato fu che, sentendosi parecchio idiota, rimase a fissare le vecchie travi del soffitto fino a notte inoltrata, sorridendo tra sè e sè e ritrovandosi a escogitare nuovi scherzi e battute per sentirla ridere di nuovo.

La giornata scivolò pigramente tra l’apertura dei regali e qualche partita a scacchi magici o Sparaschiocco. Nessuno aveva veramente voglia di uscire all’aperto, dato che nonostante il sole, soffiava un forte vento gelido.
Era ormai pomeriggio inoltrato quando Fred si andò a sedere sul divano del soggiorno.
Diana era accoccolata davanti al camino intenta a leggere un grosso libro. Fred notò con piacere che indossava un maglione bordeaux con ricamata a filo d’oro una grossa “D”.
- Un maglione alla Weasley... - ruppe il silenzio lui facendo alzare lo sguardo alla ragazza dalle pagine del libro.
- Tua madre è stata carinissima... - constatò Diana arrossendo - io non ho fatto regali a nessuno!
- Ma che dici? La tua impagabile presenza supera ogni regalo materiale - sentenziò Fred con tono volutamente pomposo, cercando di rimanere serio di fronte all’espressione perplessa di Diana.
- Mi stai prendendo in giro? - chiese conferma lei chiudendo di scatto il libro.
- Ovvio - rispose Fred sorridendo - avevi dubbi?
- No, e quando mai? - Diana rivolse la domanda retorica stando al gioco.
- Storia di Hogwarts? - chiese Fred curioso cambiando argomento e occhieggiando la copertina del libro - seriamente?
- Me lo ha prestato Hermione... - fece spallucce Diana - ero curiosa di saperne di più sulla vostra scuola!
La signora Weasley andava avanti e indietro dalla cucina, prima con in mano un cespo di insalata e poi con delle patate che finirono a mezz’aria a sbucciarsi da sole.
- Qualcosa mi dice che stasera ci toccherà mangiare ancora... - constatò Diana con tono preoccupato massaggiandosi la pancia.

Il clima di gioia e di pace che il Natale aveva portato con sè durò fino a poco prima della cena, quando, inaspettatamente, si presentò Percy Weasley in compagnia di Rufus Scrimgeour, il Ministro della Magia.
Il gelo era calato sulla Tana, prima che Molly Weasley si precipitasse tra le braccia del figlio singhiozzando di sollievo. Percy, però, si rivelò distaccato e freddo, quasi quanto le espressioni che si dipinsero sui volti di Fred e gli altri Weasley e, nonostante, Scrimgeour si prodigasse a spiegare che era stato proprio Percy ad aver insistito per passare a salutare la famiglia, si capì presto che era stato il contrario.
Scrimgeour scandagliò con lo sguardo i presenti nella stanza e poi la sua attenzione fu catturata da Harry Potter; infatti, con la scusa di visitare il giardino, convinse Harry ad accompagnarlo in una passeggiata che si capì presto essere un pretesto per rimanere da solo con il ragazzo.
Fred si morse la lingua per evitare di dire cattiverie e improperi a Percy, che dritto come un manico di scopa, era in piedi in mezzo al soggiorno e si guardava attorno con aria di superiorità, mentre Molly Weasley tentava in tutti i modi di convincerlo a rimanere per cena. 
Fred incrociò lo sguardo dei fratelli. Anche George era molto serio e stringeva i pugni. Bill, a braccia conserte, studiava la scena. Ron, dal canto suo, aveva dipinta in viso una smorfia di disgusto, come avesse della Puzzalinfa sotto al naso.
Diana e Karen parlottavano in disparte con Hermione e Ginny, abbastanza a disagio, alzando di tanto in tanto lo sguardo su Fred e George.

Poi, dopo circa una ventina di minuti, Harry, con il naso rosso e con aria infastidita, rientrò in casa seguito da Scrimgeour. Il Ministro malcelava il suo disappunto quasi quanto Harry e porgendo i suoi auguri di Buon Natale, si smaterializzò seguito da Percy, che nemmeno si degnò di salutare.
Harry raccontò subito che Scrimgeour era venuto appositamente per ficcare il naso negli affari di Hogwarts e facendo molte domande in merito alle lezioni private che Harry faceva con il professor Silente. 
Percy non centrava nulla. Se fosse stato per lui, nemmeno sarebbe passato per Natale. Era tutta una messinscena per il Ministero e quando Molly Weasley lo realizzò, scoppiò a piangere a dirotto, mentre il signor Weasley le dava dei colpetti sulla spalle per cercare di calmarla.

A Fred bastò sentire un altro singhiozzo da parte della madre per dirigersi fuori di casa sbattendo la porta con un tonfo. Dopo poco George lo seguì sul porticato, fermandosi alle sue spalle in silenzio.
Fred non si voltò. 
- Freddie... - lo chiamò George alle sue spalle in tono incerto.
- Non ce la faccio a vedere mamma e papà stare male per quel coglione di Perce... - sibilò in tono velenoso Fred stringendo le mani a pugno.
- Lo sappiamo da anni che è un idiota... - spiegò George avvicinandosi. Il fiato che creava una piccola nube di vapore.
- Hai visto la sua faccia da damerino perfettino del Ministero? - digrignò tra i denti Fred, mentre si passava furiosamente una mano tra i capelli - gli avrei tanto voluto tirare un pugno!
George non ebbe nulla da dire a riguardo, forse perchè anche lui aveva avuto lo stesso desiderio.
- Freddie, torniamo dentro...si gela - cercò di convincerlo George dopo un po’ sfregandosi i palmi delle mani per scaldarle - e non parliamo più di Percy con mamma e papà, stanno già abbastanza da schifo!
- Va bene, ora arrivo... - gli rispose Fred sentendo il fratello richiudersi la porta di casa alle spalle.

Rimase a misurare a lunghi passi il porticato di legno scricchiolante, fino a perdere sensibilità alle mani a causa del freddo e a sbuffare nuvolette di vapore come un Dorsorugoso di Norvegia imbizzarrito. 
Mai nella sua vita aveva avuto tanta voglia di picchiare Percy come in quel momento: era sempre stato il figlio perfetto che Molly Weasley propinava a lui e George come esempio da seguire e forse per questo era sempre stato una delle vittime preferite per i loro scherzi. Fred e George non potevano essere più diversi da lui: Percy era serio, studioso, educato, desideroso di entrare a lavorare al Ministero della Magia, Prefetto e poi Caposcuola a Hogwarts, mentre Fred e George erano casinisti, burloni e con la voglia di studiare sotto alla suola delle scarpe. 
Il loro rapporto si era sempre limitato a uno scherzo e un battibecco dopo l’altro e quasi sentiva la mancanza del Percy Caposcuola che li bacchettava anche per l’ossigeno che respiravano.
Ma da quando Percy aveva voltato le spalle alla famiglia solo per diventare il leccapiedi del Ministro della Magia, non riusciva a perdonarlo. Non riusciva più a far finta di niente di fronte ai genitori che soffrivano per quella situazione. 
Tutti ne soffrivano, lui compreso.

- Fred? - una voce alle sue spalle lo fece trasalire. Era così preso dai suoi pensieri da non aver nemmeno sentito la porta aprirsi dietro di sè. 
Si voltò verso l’ingresso di casa: vide Diana che si stringeva le braccia intorno al corpo per scaldarsi e lo fissava con un’espressione preoccupata. Aveva qualcosa di diverso. Forse si era truccata gli occhi di nero e le iridi verdi risaltavano più del solito. Oppure erano i capelli biondi che ricadevano in morbide onde, mentre solitamente erano lisci come spaghetti. 
Fred rimase in silenzio, analizzando i suoi pensieri e realizzando di trovarla più carina del solito.

- Fred? - ripetè la ragazza muovendo un passo verso di lui - tutto a posto?
- Si... - le rispose lui guardandosi i piedi - è che i giorni di Natale sono un po’... - non riusciva a trovare le parole giuste per descrivere come si sentiva.
- Già - gli sorrise Diana posizionandosi al suo fianco come se volesse fargli capire che sapeva esattamente come lui potesse sentirsi - ma Ron si è appena messo a raccontare del regalo che gli ha fatto una certa Lavanda...
Fred non potè fare a meno di sorridere al tentativo di Diana di distrarlo.
- Oh e sarebbe?
- Una specie di collana enorme e pacchiana con scritto “I love you” - Diana non riuscì a trattenere una risata e poi, tirandolo per la manica del maglione, insistette - devi vederla!
Diana gli stava sorridendo incoraggiandolo a rientrare.
Fred sgranò gli occhi e scoppiò a ridere dicendo: - Hai ragione, non me la posso perdere!
Diana rise di gusto insieme a lui e quindi Fred la seguì dentro casa.

La situazione durante la cena non migliorò più di tanto, perchè anche se Molly e Arthur Weasley sembravano più distesi, Remus Lupin non portò con sè buone notizie, se non ulteriori resoconti di maghi spariti e Mangiamorte in libertà che si davano alle più sfrenate attività.
- Hanno ricominciato la caccia al babbano... - confessò Lupin mentre si serviva dell’insalata.
- Che cosa? - chiese Hermione facendo tintinnare la forchetta sul piatto.
- Che...cos’è la caccia al babbano? - chiese Harry in tono spaventato.
- Era una pratica barbara in voga durante la prima ascesa di Voldemort...i Mangiamorte scelgono una vittima e la torturano. Inutile dire che la migliore in questa attività era Bellatrix Lestrange...

Sulla tavola calò il silenzio.
Diana, seduta accanto a Fred, deglutì guardando Karen e strinse la mano intorno al Blackhole che portava di nuovo al collo.
Inutile dire che al termine della cena, l’umore di tutti era ancora ai minimi storici. Anche Fred non aveva le forze di fare il giullare per risollevare gli animi, perciò mentre tutti davano una mano a sparecchiare, dichiarò a voce alta: - Beh...penso che sia arrivata l’ora di dare il nostro regalo a Diana!!
Di scatto, George e Bill si diressero verso la porta seguiti da Fleur.
Diana li guardò uno a uno senza capire.
- Cosa? - esclamò la ragazza sorpresa spalancando gli occhi - non mi sento tanto tranquilla nell’accettare un regalo da parte vostra...
- Pixie - la rimproverò Fred con disappunto - così ci offendi...!
- Non si rifiuta mai un regalo - rincarò la dose George - quindi...
- ...andiamo!- la sospinse Fred mettendole in mano la giacca e spingendola fuori di casa - il tuo regalo è nel capanno degli attrezzi.
 
                                                                                                 --------

- Mi sembra un’imboscata più che un regalo - si lamentò Diana preoccupata mentre George la guidava fuori da casa e Fred le teneva le mani a coprirle gli occhi.
- Smettila, Pixie! - la rimproverò Fred premendole le mani ancora di più sulle palpebre.
- Mi stai facendo uscire gli occhi dalle orbite, cretino! - si agitò lei continuando a camminare in modo un po’ barcollante.
 Le risatine di Bill e Fleur li seguivano poco lontano.
- Non farla tanto lunga! - la rimbrottò George tirandola per un braccio per farla andare nella direzione giusta - ti fidi di noi?
- Assolutamente no! - esclamò lei inciampando - e poi mi avete già detto che il regalo è nel capanno, quindi perchè non devo vedere?
- Perchè è divertente! - ridacchiò George.
- Siamo quasi arrivati! - la rincuorò Fred.

Percorsero gli ultimi metri che mancavano alla rimessa in silenzio. Gli unici rumori erano lo scricchiolio dell’erba ghiacciata sotto ai loro piedi e gli sbuffi di Diana, stufa di non vedere dove stesse andando.
Qualcuno, probabilmente Bill dato che ne Fred ne George mollarono la presa su di lei, aprì la porta cigolante del capanno.
Finalmente Fred le tolse le mani dalla faccia e Diana si guardò intorno cercando di mettere a fuoco qualcosa. 

E poi lo vide. Tra la miriade di pezzi di ricambio per auto, tostapane smontati, cavi elettrici e frullatori, c’era un telescopio color ottone brillante.
Diana rimase senza parole per qualche secondo. 
Aveva la gola improvvisamente secca, mentre gli occhi presero a pizzicarle e cercava le parole adatte da dire.
Si voltò a guardare i presenti. Bill cingeva la vita di Fleur con un braccio ed entrambi sorridevano, George, fermo alla sua destra, si era appoggiato alla cornice della porta e la guardava con un sorriso sghembo.
Alla sua sinistra, Fred, invece, la osservava serio e concentrato come se volesse decifrare quello che Diana stesse pensando.
- Non dovevate...- pigolò Diana imbarazzata.
- Ti piace? - chiese Fleur in tono apprensivo.
- Certo!! - si affrettò a dire Diana perchè il suo silenzio forse era stato male interpretato - è un regalo bellissimo! 
- Qualcuno ci ha detto che il tuo si era rotto... - spiegò Bill spingendo le mani nelle tasche dei jeans.
George si chinò per sussurrarle all’orecchio in tono malizioso: - E’ stata un’idea di Freddie. Dovresti ringraziare lui.
Diana rimase in silenzio con lo sguardo fisso su Fred, la cui espressione si stava trasformando in un ampio e caldo sorriso.
- Beh... è di seconda mano, ma Bill si è accertato che fosse in ottimo stato... - spiegò Fred - ti va di provarlo?
Diana annuì con vigore, mentre sentiva un’enorme sorriso allargarsi sul viso, così Fred si avvicinò al telescopio e lo prese facilmente dal trepiedi per portarlo fuori in giardino.

Mentre seguiva Fred nel prato, George la superò facendole prima un’occhiolino e poi una serie di gesti piuttosto sconci.
Fred non diede segno di aver visto la scena e Diana non rispose alla provocazione, troppo presa dal suo nuovo regalo.
- Vabbè... - continuò George rivolgendosi a Bill e Fleur in tono sempre più sarcastico visto che nessuno gli dava corda - questi due non ci danno più retta! Torniamo a casa...
Diana era già china sul telescopio a regolare la messa a fuoco e l’altezza del trepiedi come se l’oggetto le appartenesse da sempre. Quando rialzò la testa George, Bill e Fleur si stavano lentamente incamminando verso la Tana.
- Forse non è la sera più adatta per provarlo... - constatò Fred alzando lo sguardo sul cielo ricoperto di nuvole.
- Già... - si costrinse ad essere d’accordo Diana con tono deluso mentre accarezzava con un dito la superficie in ottone lucido del suo regalo, ammaliata.

Diana seguì Fred mentre riportava il telescopio nel capanno e, mentre si trovava sulla soglia, a voce bassa, chiese: - Perchè?
Fred si voltò a guardarla con aria interrogativa, perciò Diana ripeté: - Perchè il telescopio?
- Perchè il tuo si è rotto e mi sentivo un po’ responsabile... - ammise Fred grattandosi la nuca.
- Ah, quindi è solo per mettere a tacere il tuo senso di colpa? - domandò Diana con tono severo incrociando le braccia sul petto.
- Hai perso di nuovo l’uso della parola “grazie”? - chiese Fred offeso.
Diana dischiuse le labbra per ribattere, ma Fred, in tono incalzante, proseguì: - Sei proprio incapace di accettare un gesto carino nei tuoi confronti? Povero il tuo fidanzato barista che dovrà sopportarti! Scusa, non mi ricordo il suo nome! Sai...non ne parli mai! 
- Si chiama Lyall e non è il mio fidanzato! - sibilò Diana iniziando ad arrabbiarsi.
- Giusto...e chissà di chi è la colpa! - rispose Fred in tono pungente e allusivo.
- Scusa, ma che vorresti dire? - domandò Diana portandosi i capelli dietro le orecchie con un gesto secco mentre sentiva la rabbia ribollire oltre misura.
- Che continui ad impegnarti per essere odiosa - sbottò Fred esasperato - pensavo avessimo superato questa fase!

Diana incassò in silenzio e lo fissò risentita.
Avevano fatto grandi passi avanti in quei giorni e ora erano tornati ad azzuffarsi come le prime volte in cui si erano conosciuti. In cuor suo, Diana sapeva che la colpa non era di Fred e che lui aveva ragione. 
Lei non faceva altro che nascondersi dietro all’antipatia e alle risposte caustiche, perchè era più facile rimanere arroccata e protetta nel suo alto castello, piuttosto che abbassare il ponte levatoio e far entrare qualcuno nella sua vita. Perchè far entrare qualcuno nella sua vita voleva dire abbassare le difese, affezionarsi e poi soffrire, perchè inevitabilmente quel qualcuno, alla fine, se ne sarebbe andato. Perchè tutte le persone a cui aveva voluto bene, presto o tardi, se ne erano andate. 
Sua madre era morta.
E suo padre l’aveva abbandonata come se lei valesse meno di niente.

Rimasero per un po’ a studiarsi in silenzio e poi Fred, con due veloci passi, si portò esattamente di fronte a lei. 
Alzando lo sguardo per incrociare quello di Fred, esalò un sospiro vibrante nel rendersi conto che lui si trovava esattamente a pochi centimetri da lei. Pericolosamente pronto all’assedio per abbattere le mura del castello.
Diana sentiva il cuore batterle all’impazzata contro la cassa toracica e il respiro corto, ma non riusciva a indietreggiare. Continuava a sostenere lo sguardo di Fred senza dire nulla, per cercare di capire che intenzioni avesse il ragazzo. 
All’esterno il vento aveva ricominciato a soffiare, dando vita a dei suoni sinistri. Spifferi gelidi avevano iniziato a insinuarsi nel vecchio capanno. L’aria gelida riportò Diana alla realtà e a chiedersi il motivo per cui stavano di nuovo litigando. Non lo ricordava più. Non le pareva più così necessario mantenere le barriere alzate. Almeno non con Fred.

- Grazie... - sibilò debolmente Diana annientata, abbassando lo sguardo insieme al ponte levatoio, mentre l’ultimo baluardo difensivo capitolava sotto l’assalto di Fred Weasley - grazie del regalo...
- Diciamo che ero abbastanza sicuro che ti fosse piaciuto, ma volevo sentirtelo dire - le sorrise Fred beffardo e poi, tornando improvvisamente serio, sollevò la mano destra in uno strano gesto, ma si bloccò con la mano a mezz’aria. Le sopracciglia aggrottate e lo sguardo attento, in ascolto.
Diana rimase perplessa a fissare la mano di Fred a metà strada tra i loro visi.
Un gesto congelato per sempre nel preludio di una carezza che non sarebbe mai arrivata a destinazione.

E poi anche Diana percepì qualcosa.
Un rumore sibilante, prima a basso volume, sembrava avvicinarsi sempre di più.
- Che cos... - stava per chiedere Diana, ma le parole le morirono in gola, perchè Fred, in un rapido movimento, l’aveva strattonata per un braccio, trascinandola verso la parete e coprendole la bocca con una mano per farla stare zitta.
Diana rimase in ascolto, con il respiro affannato dalla paura e il cuore che le martellava violentemente contro le costole. 
Nonostante il pericolo imminente, la sua mente registrò che la sua schiena premuta contro il petto di Fred sembrava pizzicare a quel contatto come se fosse appena caduta in una distesa di ortiche. 
Cercò di sgusciare dalla presa di Fred, che allentò la presa, facendole però segno di restare in silenzio e di seguirlo fuori dal capanno, mentre Diana, lentamente, realizzava di aver già sentito quel rumore inquietante e sinistro.

In quel momento tre scie di fumo nero troppo famigliari sibilarono e sfrigolarono come impazzite sopra la campagna intorno alla Tana, per poi avvolgersi in spirali intorno all’abitazione.
Diana rabbrividì e diede un’occhiata a Fred che era rimasto immobile con lo sguardo fisso su casa sua.
Un’esplosione di vetri infranti comunicò che una finestra era stata distrutta.
Una seconda esplosione in giardino e alte fiamme rosse e gialle si avvolsero in cerchio intorno alla Tana.
Una risata maligna risuonò nell’aria e Diana sentì dei brividi di paura percorrerle la schiena, mentre sentiva lo stomaco chiudersi in una morsa e il sapore della bile risalirle in gola.
Una figura riuscì a insinuarsi nello stretto varco tra le fiamme e allontanarsi dalla Tana, seguita a ruota da qualcun altro.
- Harry!! No!! - sentirono la voce di Remus Lupin urlare.
- Anche i ragazzi sono la fuori! - strillò Molly Weasley.
Le fiamme si erano richiuse non permettendo a nessun altro di lasciare il perimetro di fuoco.
- Merda, Harry!- sibilò Fred tra i denti, iniziando a muoversi preoccupato.
Bill, Fleur e George, ancora a metà strada tra il capanno e la Tana, deviarono all’inseguimento di Harry e quella che doveva essere Ginny Weasley, dietro di lui.
Fred rimase fermo anche se il suo corpo già sembrava fremere per andare incontro all’azione e sembrava combattuto sul da farsi. Infine sussurrò: - Stammi dietro - e prendendo Diana per mano la trascinò di corsa in direzione di Harry e Ginny.

L’erba alta frusciava intorno a loro, mentre la risata maligna si spegneva per lasciare spazio a una cantilena inquietante e infantile. 
Quella voce, ormai, Diana la conosceva alla perfezione, perchè era la stessa voce che popolava i suoi incubi da qualche mese.
Da qualche parte, non lontano tra l’erba, si udì Harry ruggire di dolore e frustrazione.
Era angosciante sentire grida e scoppi senza riuscire a capire da che parte i nemici sarebbero potuti arrivare.
Fred deviò verso il punto in cui doveva trovarsi Harry. Avrebbero già dovuto raggiungere Bill, Fleur e George, ma i tre ragazzi non si vedevano da nessuna parte. 

L’erba era troppo alta.
Diana continuava a correre tenendo la mano di Fred, ma ora le scie di fumo nero tornarono visibili sopra le loro teste e i sibili divennero così forti da far fischiare le orecchie.
Diana aveva ormai il fiatone e sentiva la mano scivolare sudata dalla presa di Fred.
Un sibilo penetrante proprio alle sue spalle, la fece voltare indietro di scatto, spaventata.
Fortunatamente, alle sue spalle non c’era nessuno, ma inciampò in qualcosa. 
Perse l’equilibrio e lasciò andare la mano di Fred cadendo sul terreno duro e gelido.
Per inerzia, Fred aveva corso ancora un paio di metri prima di fermarsi e voltarsi indietro preoccupato e non si era reso conto che alle sue spalle si era materializzato qualcuno.
Quando Diana aprì la bocca per gridare a Fred di guardarsi le spalle, era troppo tardi.
Bellatrix Lestrange, i capelli spettinati e selvaggi, un’espressione folle e un ghigno malefico, era già dietro di lui e gli aveva puntato la bacchetta alla giugulare, ridacchiando eccitata.
- Weasley - pigolò la Mangiamorte sporgendo il labbro inferiore come una bambina capricciosa e poi leccandosi le labbra - ci rivediamo.
Fred deglutì a fatica e poi gridò: - Diana, scappa!! 
Ma Diana non riusciva a muoversi. 
Era a malapena riuscita a mettersi in piedi sulle gambe traballanti. Non era di certo in grado di correre di nuovo.
- Nonono - Bellatrix spinse ancora più a fondo nella pallida pelle del collo di Fred la punta della bacchetta e lo rimproverò con voce infantile e poi rivolta a Diana ridacchiò dicendo: - Fai un passo e Weasley muore.
Diana rimase impietrita cercando di ragionare. Il petto che si alzava e abbassava in un respiro irregolare. Fred la guardava allarmato cercando, con sguardo eloquente, di convincerla a darsela a gambe.
- Brava, bambina - si complimentò Bellatrix con un sorriso che non preannunciava nulla di buono - ora dammi quel medaglione che hai al collo.
Da lontano si sentivano scoppi di incantesimi e urla. Harry e Ginny dovevano lottare contro qualcuno. Oppure erano George, Bill e Fleur.
Diana andò istintivamente a cercare il Blackhole con mano tremante. 
Non riusciva a pensare lucidamente.
Ma se era l’unico modo per salvare Fred...
Lei non era una valorosa Grifondoro come i Weasley.
Non avevi altri modi per difendersi e aiutare Fred, se non consegnare il ciondolo.
Bellatrix sbuffò annoiata e in tono impaziente disse: - Accio Blackhole!
Diana abbassò lo sguardo e vide il Blackhole sollevarsi dal suo corpo, come se una forza magnetica lo attirasse verso Bellatrix Lestrange. Quando si era ormai staccato dal suo petto di circa venti centimetri, ricadde appoggiato sul suo maglione.
Il medaglione era rovente. Diana lo poteva sentire attraverso la stoffa.
E poi accadde qualcosa.

Diana sentì il calore irradiarsi dal Blackhole in tutto il suo corpo come se le stessero versando addosso lava bollente. Un formicolio si dipanò dal petto fino alla punta dei piedi e delle mani.
Clang
Il coperchio istoriato dell’orologio da taschino si spalancò di scatto. 
Le lancette dell’orologio ruotavano impazzite come l’ago di una bussola troppo vicino ad un magnete.
Diana si sentì come se il suo corpo fosse percorso da una scarica elettrica. Si sentiva leggera, senza peso e, quando chinò lo sguardo per osservarsi i piedi, comprese il motivo di quella sensazione.
Il suo corpo stava fluttuando a circa un metro da terra, ma incredibilmente non aveva più paura.
Si sentiva forte e sicura di sè come non lo era mai stata.

Fred la stava guardando con gli occhi spalancati, incredulo e anche Bellatrix Lestrange sembrava stupita. Così tanto, che abbassò impercettibilmente la bacchetta e Fred riuscì a gettarsi di lato per sfuggire alle grinfie della donna.
E poi dal quadrante dell’orologio esplose un fascio di luce azzurra che colpì Bellatrix Lestrange e la scagliò a parecchi metri di distanza.

Diana ricadde a terra, madida di sudore e con la nausea. I muscoli scossi da spasmi incontrollabili. Non riusciva a capire cosa fosse successo. Tutta la forza che aveva percepito pochi istanti prima sembrava essere svanita nel nulla facendola sentire improvvisamente svuotata.
Fred le fu accanto: - Stai bene?
- Credo di si - disse Diana debolmente cercando di mettersi in piedi e trattenendo un conato di vomito - tu? - chiese poi lei preoccupata.
- Grazie a te, si - replicò lui aiutandola a rimettersi in piedi sorridendo - ma che è successo?
- Che è successo? -  la voce allarmata di George echeggiò quella del gemello. Lui, Bill e Fleur erano sbucati dall’erba alta ed erano seguiti da Remus Lupin e Arthur Weasley.
- Stiamo bene - rispose Fred - Bellatrix Lestrange è da qualche parte laggiù - aggiunse poi indicando vagamente il punto dove Diana aveva scagliato la donna.
Bill e il signor Weasley si diressero verso quel punto con le bacchette in posizione difensiva.
Remus Lupin osservò con aria grave il Blackhole che emanava ancora un lieve alone di luce azzurrognola e poi sparì di nuovo nell’erba alla ricerca di Ginny e Harry.
Fred stava cercando di tenere Diana in piedi e George di farsi spiegare cosa fosse successo, quando le tre scie di fumo nero ripresero a sibilare nel cielo. Prima di sparire definitivamente, un’esplosione colpì nuovamente la Tana, che questa volta iniziò a prendere fuoco.
-Molly!!! - gridò il signor Weasley guardando la casa prendere fuoco.
I Mangiamorte erano spariti nel nulla, ma avevano colpito la dimora della famiglia Weasley.

Tutti quanti, il signor Weasley in testa, si misero a correre per ritornare alla Tana.
Diana non sapeva con quale forza riuscisse ancora a muovere le gambe. Sentiva i muscoli doloranti come se avesse corso una maratona.
- Zia Karen - farfugliò Diana con il fiato corto, cercando di star dietro a Fred - zia Karen è la dentro!
Fred, con le gambe molto più lunghe delle sue, accelerò la corsa e la lasciò indietro. Bill e George scattarono avanti con lui.
Quando Diana raggiunse la Tana, le fiamme erano ormai divampate e l’aria era satura di odore di legno bruciato.
Molly Weasley, Ron ed Hermione ansanti e pieni di fuliggine erano riusciti a scappare nel giardino.
- Dov’è zia Karen?? - gridò Diana in tono isterico quando si accorse che era l’unica persona a mancare all’appello.
Non fece in tempo a ripetere la frase, perchè Fred si era già infilato dentro la casa in fiamme.
Diana non ci pensò due volte e lo seguì.

L’aria era rovente e quasi irrespirabile.
- Karen!!! - sentiva Fred urlare tra un colpo di tosse e l’altro, mentre con degli incantesimi cercava di spegnere le fiamme.
- Zia!! - urlò anche Diana con gli occhi che le lacrimavano per il fumo acre e i polmoni alla bruciante ricerca di ossigeno.
Nessuno rispose.
Poi Diana raggiunse Fred all’imbocco delle scale che portavano al primo piano.
Il ragazzo era accovacciato a terra a osservare qualcosa.
Le fiamme non sembravano aver danneggiato più di tanto quella zona.
Quando Fred si accorse della presenza di Diana alle sue spalle provò a dire: - No, aspetta...stai indietro! - ma Diana gli si avvicinò con passo malfermo.

Sentì il sangue trasformarsi in ghiaccio tagliente nelle vene. 
La gola secca e dolorante come se avesse ingoiato schegge di vetro.
Lo stomaco pesante, come se fosse fatto di piombo, sembrava essere sprofondato quasi all’altezza delle caviglie facendole perdere l’equilibrio.
La testa le sembrava sul punto di scoppiare, mentre un dolore lancinante sembrava scavarle una voragine nel petto.
Non ricordava di aver urlato, ma sentiva la gola bruciare e farle male.
Non ricordava di essere caduta in ginocchio, ma Fred la stava stringendo tra le braccia per cercare di portarla fuori.
Ricordava soltanto zia Karen riversa per terra, con una trave a schiacciarle il corpo, una profonda ferita sanguinante alla tempia che inzuppava i capelli biondi e gli occhi vitrei. 
Spalancati e senza vita.

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Ok, penso che dopo questo capitolo mi odierete....
La prima parte non è granchè, ma mi serviva per dare un po' di spessore a Fred e non farlo sempre sembrare uno che scherza e basta.
Per quanto riguarda la seconda parte, mi sono permessa di utilizzare una scena dei film che nei libri non esiste (cruciatemi pure per questo XD), per il semplice fatto che l'ho sempre trovata una scena di grande impatto, anche se nei film non aveva molto senso...e quindi ho cercato di darle un po' più di senso collegandola a questa storia.
Fatemi sapere cosa ne pensate, perchè le scene d'azione mi mettono sempre parecchia ansia!
Cosa pensate che possa accadere ora? 
Attendo con ansia di leggere che ne pensate!
A presto :)

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Capitolo 19
*** Naufragio nella nebbia ***


Harry Potter era avvolto nel suo sacco a pelo sul pavimento del capanno degli attrezzi del signor Weasley, ma del sonno non ne vedeva nemmeno l’ombra. 
L’adrenalina scorreva ancora nelle sue vene, mentre rivedeva nella sua mente l’attacco dei Mangiamorte. Nonostante il signor Weasley lo avesse rassicurato che la Tana sarebbe stata rimessa in sesto in poco tempo, Harry non poteva evitare di sentirsi in colpa per aver attirato un pericolo tanto grande.
Ron, al suo fianco, stava già russando profondamente; Hermione, dall’altro lato, aveva il viso completamente seppellito dal sacco a pelo e si riusciva a scorgere solo parte della sua capigliatura arruffata. Ginny era distesa poco lontano da Hermione, con gli occhi spalancati a fissare un punto impreciso.

Dalla parte opposta della piccola rimessa, Diana era seduta con le gambe rannicchiate contro il corpo e la schiena appoggiata alla parete: lo sguardo perso nel vuoto, i capelli biondi arruffati e spenti dal grigio della polvere. Il viso striato dalla fuliggine nera era pallido e gli occhi verdi sembravano più grandi e assenti che mai.
Harry non potè evitare di ripensare a sè stesso dopo la morte di Sirius e a come il dolore assumesse una forma diversa per ogni persona: lui avrebbe voluto uccidere, fare del male a Bellatrix Lestrange, mentre Diana si era ripiegata su sè stessa, tanto da non sembrare nemmeno completamente cosciente di ciò che accadeva intorno a lei.
Molly Weasley, con aria stanca e preoccupata, stava applicando un unguento contro le scottature sulla mano di Fred, il quale si era probabilmente ustionato nell’entrare nell’abitazione in fiamme, mentre George, inseparabile dal gemello, osservava la scena.
Il signor Weasley, Bill, Fleur e Lupin stavano ancora cercando di rimettere in sesto la casa e occuparsi di Karen Harvey.
Con la mano bendata e medicata, Fred si avvicinò a Diana, lasciandosi scivolare seduto al suo fianco. 
Harry realizzò di aver visto i gemelli così seri e silenziosi solo in poche occasioni.
Molly Weasley appoggiò una coperta sulle spalle di Diana sfregandole le mani sulle spalle per scaldarla o darle conforto. 
La ragazza si limitò a ringraziare con tono assente.
L’adrenalina, che lasciava spazio alla tristezza, e il calore del sacco a pelo presero lentamente il sopravvento e, finalmente, Harry Potter scivolò in un sonno agitato.

Si ritrovò in un grande soggiorno scuro e fiocamente illuminato, ad osservare dall’alto di una scalinata un gruppo di maghi: alcuni erano seduti lungo una tavolata nera, mentre altri sembravano essere appena arrivati, ancora con indosso cappotti bagnati e delle espressioni perplesse di chi non si aspettava di essere convocato la sera di Natale. Si guardavano tra loro con muti interrogativi dipinti in volto, senza che nessuno avesse il coraggio di chiedere perchè si trovassero lì.
Riconobbe la famiglia Malfoy e altri Mangiamorte che aveva già visto sulla Gazzetta del Profeta o alla battaglia dell’Ufficio Misteri.
La luce tremolante di una delle torce appese al muro illuminò il viso di Draco Malfoy che, con una smorfia spaventata in viso, osservava la scena premuto tra il padre e la madre.

Bellatrix Lestrange era riversa sul pavimento e dietro di lei si trovava Fenrir Greyback. Alle loro spalle, tra tutti i presenti, l’attenzione di Harry fu catturata da una figura incappucciata che non riuscì a riconoscere, in piedi accanto a Codaliscia.
- L’ho portata via appena in tempo... - stava cercando di spiegare Greyback, puntando lo sguardo in quello di Harry.
- Che cosa è successo? - chiese lui con la voce di Voldemort in tono tranquillo, anche se poteva percepire la rabbia ribollire.
Bellatrix si alzò a fatica e, con la testa bassa, raccontò l’accaduto. 
- Quindi non solo non hai catturato Harry Potter, come ti avevo chiesto, ma non sei riuscita nemmeno a rubare un oggetto a una sporca babbana? - sbottò Harry in tono disgustato stringendo le dita bianche intorno a una bacchetta che non era la sua.
- Mio signore... - mormorò Bellatrix in tono sottomesso - la potenza di quel Blackhole è...è più di quanto ci aspettassimo.
Il grido di Voldemort che lanciava la Maledizione Cruciatus riempì il soggiorno, mentre una collera non sua riempiva la testa di Harry. Gli parve di osservare per un tempo infinito Bellatrix soffrire e non si sorprese nel sentirsi soddisfatto nell’assistere alla scena.
- Siete inutili - sibilò Voldemort in preda all’ira e mettendo finalmente fine all’agonia dei suoi sottoposti.
- Mio signore, la prossima volta... - cercò di rimettersi in piedi Bellatrix in una smorfia dolorante.
- Non ci sarà una prossima volta! - abbaiò Voldemort con gli occhi dardeggianti.
Si voltò verso lo sconosciuto incappucciato che aveva assistito, come tutti, alla scena e in tono mellifluo sibilò: - Vieni avanti.
Lo sconosciuto, sempre con il volto coperto, si avvicinò a Voldemort chinando leggermente il capo. 
- Portami quel Blackhole, non mi importa come. - gli ordinò seccamente Voldemort.

Harry, dilaniato dalla curiosità, avrebbe voluto vederne il viso, ma l’uomo non si abbassò il cappuccio, limitandosi a rispondere, con voce profonda e dal leggero accento scozzese:
- Sarà fatto, mio Signore
Voldemort, e Harry con lui, inclinò la testa di lato soppesando le parole dello sconosciuto e poi si voltò lasciando scorrere lo sguardo sui presenti, soffermandosi sullo sguardo acquoso di Codaliscia e, infine, su quello grigio e spento di Draco Malfoy.

A parecchi chilometri di distanza, Harry Potter si svegliò di soprassalto, madido di sudore e con la cicatrice a forma di saetta sulla fronte che pulsava di dolore.
Mentre cercava di calmare il respiro che gli si era affannato nel petto, il suo sguardo saettò su Diana.
Si era spostata da Fred e George, i quali si erano inevitabilmente addormentati, e continuava a fissare il vuoto con aria assente, mentre Harry Potter si rendeva conto che, per una volta, forse non era stato lui ad attirare le disgrazie come , invece, solitamente accadeva.


                                                              ————-
 
                                                                    “And the shadow of the day,
                    will embrace the world in grey
                             (“Shadow of the day” - Linkin’ Park)



Il giorno in cui si svolse il funerale di zia Karen fu il più freddo di tutto l’inverno.
Era passato qualche giorno da Capodanno, ma se nessuno glielo avesse rammentato, Diana non avrebbe saputo dire che giorno o che ora fosse e nemmeno su quale pianeta si trovasse.
Galleggiava in una specie di nebbia condensata nell’incoscienza a partire dalla sera di Natale.
Da quando zia Karen...
Era come se tutto intorno a lei si muovesse troppo piano o troppo velocemente perchè lei vi potesse prestare attenzione.
In quei giorni aveva dormito pochissimo e la stanchezza iniziava a impossessarsi di lei, facendola sentire vagamente scollegata dalla realtà.

Il cielo era terso, ma gli algidi raggi di sole di gennaio non erano affatto sufficienti per riscaldare nè quella giornata nè il cuore raggrinzito e pesante di Diana Harvey; anzi, quei raggi di sole così luminosi e insolenti non facevano altro che cozzare con l’umore tetro di Diana come un terribile ossimoro.
Diana stava camminando alla volta del Dean Cemetery con lo sguardo basso sui propri piedi per evitare di incrociare nuovamente occhi tristi e pieni di compassione.
Qualcuno camminava appena dietro di lei, in silenzio, mentre il resto dei presenti era rimasto un po’ distaccato.
Una volta raggiunto il cancello del cimitero, Diana si fermò spingendo le mani in fondo alle tasche del giubbotto per riscaldarle e affondando mento e naso nella pesante sciarpa di lana.
Fred si fermò di fronte a lei con un’espressione indecifrabile e un orrendo berretto di lana calcato sulla testa. Diana apprezzò ogni singolo attimo di quel rispettoso silenzio e si rese conto che Fred era sempre piuttosto taciturno da quando zia Karen era morta, come se per una volta, non fosse a suo agio. Come se non sapesse gestire una situazione che non si poteva affrontare e risolvere con una risata e una scrollata di spalle.

L’aria era così gelida e sferzante che ad ogni respiro il petto di Diana bruciava a causa dell’ossigeno ghiacciato che le raggiungeva i polmoni con la violenza di una lama.
Forse non era colpa del freddo.
Forse era solo l’atto di respirare che era diventato semplicemente meno naturale di prima, come se tutto intorno a lei fosse cambiato e, tutto d’un tratto, si trovasse su un pianeta estraneo dall’atmosfera tossica.

Due uomini raggiunsero Fred e Diana.
- Diana, se vuoi rimanere da noi, sai che non c’è nessun problema - Robert Murray, affaticato dalla strada in salita, parlava con voce affannata, mentre si allentava la sciarpa marrone dal collo.
- O se preferisci che veniamo noi al negozio... - propose Benjamin Murray, mentre la solita espressione seria si smussava un po’ facendo trapelare una forzata empatia alla quale Diana non era abituata.
- Non voglio tornare al negozio - sentenziò Diana in tono secco e con una voce che non sembrava più nemmeno la sua.
Se avesse messo piede al negozio Harvey, ogni oggetto, ogni angolo e ogni odore le avrebbe urlato in faccia l’assenza di zia Karen e lei non era affatto pronta ad affrontare la crudele realtà.
Benjamin si ammutolì e si limitò ad annuire, riacquistando il suo contegno altezzoso da cui difficilmente si separava.

Fred faceva rimbalzare lo sguardo tra i due fratelli Murray, soppesandoli con espressione dubbiosa.
Benjamin e Robert, pur essendo fratelli, non potevano essere più diversi.
Robert era di media statura e dalla corporatura un po’ appesantita, i capelli iniziavano a diradarsi e a ingrigirsi sulle tempie, nonostante non avesse ancora quarant’anni.
Benjamin, invece, poco più che trentenne, sembrava uscito da una rivista di moda: alto, snello, con i capelli e la barba scuri sempre perfettamente curati e un perenne sguardo di superiorità.

- Ma Diana, siamo tuoi parenti... - protestò Robert boccheggiando scandalizzato, come se Diana avesse pronunciato un’eresia.
Diana, dal canto suo, nemmeno si prese la briga di rispondere; stava osservando l’espressione di Fred, corrucciata nello scrutare le mani di Benjamin Murray che stringevano un’inconfondibile bacchetta magica.
- Sei un mago? - Diana soffiò quella domanda dimenticandosi del fatto che Benjamin le avesse sempre incusso un certo timore e che avessero ben poca confidenza.
- Si, lo siamo entrambi, sia io che Robert... Diana, ma...- ammise Benjamin in tono titubante, mentre con gli occhi scuri cercava manforte nel fratello.
- Ma nessuno si è preso il disturbo di dirmelo...come sempre... - Diana terminò la conversazione in tono stanco, perchè il solo muovere le labbra per parlare le provocava un’enorme spossatezza.
Aveva notato che Robert e Benjamin parlavano con i signori Weasley e Lupin come se li conoscessero, ma non aveva dato troppo peso alla cosa, troppo concentrata su sè stessa.
Non aveva le forze per arrabbiarsi per l’ennesima verità che scopriva, anche perchè l’unica persona con cui avrebbe dovuto arrabbiarsi era zia Karen e, in quel momento, le sembrò terribilmente inappropriato.

Uno scoiattolo attraversò a balzelloni il cimitero avvolto in un’ultraterrena serenità e si fermò a scrutare la scena, come se volesse esaminare le intenzioni di quegli strani umani con le facce tanto tristi.

Poco dopo o molto dopo, Diana si ritrovò a fissare una buca scavata nel terreno e una bara di legno scuro.
Il tempo scorreva in maniera discontinua. 
C’erano momenti in cui era lì, presente, e altri in cui la sua mente sembrava scivolare agilmente in un luogo sicuro e ovattato dove ogni respiro non le sconquassava il petto dal dolore. 
La bara in legno scuro era stata calata nella buca e ora la terra ricadeva a coprirla.
Diana si ritrovò a pensare quanta fatica fosse stata fatta per scavare quella profonda buca in una giornata così fredda. Il terreno ghiacciato era probabilmente più duro del marmo.
Si soffermò a osservare un ciuffo d’erba imperlata di brina ai suoi piedi, ammirando i decori cristallizzati che il ghiaccio creava sulle foglie verdastre illuminate dai freddi raggi di sole.
I colori di quella giornata, fastidiosamente e scandalosamente accesi, sembravano sbeffeggiare il dolore di Diana e rendevano inappropriati gli abiti neri che la tradizione la costringeva ad indossare.
Era buffo e stupido e insensato indugiare su dettagli tanto insignificanti di fronte a un orrore grande come la morte, ma era l’unico modo che Diana avesse trovato per provare a rimanere sana di mente.
Si domandò come fosse morire.
Se lo era domandato quando sua madre era morta: si era chiesta come fosse spegnersi lentamente, perdere ogni speranza e ogni forza, sapendo che l’inevitabile fine sarebbe giunta.
E se lo stava domandando di nuovo: si stava chiedendo come fosse morire di una morte violenta. Essere ignari e in salute, mentre un attimo dopo, in uno schiocco di dita, la vita veniva portata via senza che nessuno potesse fare qualcosa per evitarlo. 
Com’era stato per zia Karen? Si era resa conto di ciò che stava accadendo oppure la vita dentro di lei si era spenta in un battito di ciglia?
Sospirò profondamente mentre il suo fiato si condensava in una nuvoletta e poi rabbrividì, cercando di allontanare ancora una volta l’ondata di realtà che altrimenti avrebbe rischiato di travolgerla. La sua mente non faceva altro che condurla verso quel rifugio caldo, surreale e lontano dal dolore, navigando nel mare dell’incoscienza.

Qualcuno le avvolse un braccio intorno alle spalle.
Non poteva essere nessun altro se non Fred.
- Hai freddo? - chiese lui con un tono così serio e composto da risultare inquietante.
- No, sto bene - mentì Diana irrigidendosi e registrando mentalmente la pesantezza del braccio del ragazzo sulle sue spalle.
Come se il sentire freddo potesse ancora essere considerato un problema. O sentire il caldo. O sentire qualsiasi cosa.
- Mamma e papà dicono che puoi rimanere alla Tana se vuoi... - disse lui.

Lo sguardo di Diana era fisso sulla fotografia di zia Karen sorridente, provvisoriamente appoggiata sul cumulo di terra che ormai copriva la bara, in attesa che venisse posta la lapide.
Prima sua madre e poi zia Karen.
A quanti funerali ancora avrebbe dovuto assistere?
Si era aspettata di piangere. Di disperarsi di fronte a quel dolore. 
Ma non ci era riuscita. 
I suoi occhi sembravano prosciugati, come se il dolore della perdita avesse deciso di privarla anche delle lacrime.

- Non mi sembra il caso che rimanga ancora da voi - Benjamin Murray si era inserito nella conversazione con lo sguardo assottigliato e le labbra strette come se stesse studiando a fondo Fred Weasley.
- Immagino che sia Diana a dover decidere - rispose seccamente Fred con un sorriso di sfida e sostenendo lo sguardo di Ben.
- Scusa... - rispose Ben in tono educato - so che sei un figlio di Arthur, ma faccio fatica a ricordare il tuo nome...siete così numerosi...
- Fred - si limitò a sibilare quest’ultimo a denti stretti.
- Ok, Fred... - proseguì Ben noncurante passandosi una mano guantata tra i capelli neri - non credi che Diana debba stare con quello che...resta della sua famiglia?

Diana era rimasta in silenzio, perchè era di nuovo su quella barchetta sperduta in mezzo all’oceano di nulla dove la sua mente continuava a farla naufragare.
Le voci di Fred e Benjamin le giungevano ovattate e lontane, come se non stessero parlando di lei, ma entrambi la stavano osservando come se si aspettassero qualcosa. Una risposta, forse.

- Scusa, Ben - sospirò debolmente Diana - per il momento starò alla Tana, se i signori Weasley sono d’accordo.
Sgusciò dal braccio di Fred che ancora le cingeva le spalle e disse: - Vorrei rimanere due minuti da sola con...la zia - indicò il cumulo di terra.
Ben si allontanò subito lasciandole la sua privacy.
Fred sembrava restio a lasciarla sola, ma poi seguì Ben per raggiungere Robert, George, Bill e il resto della famiglia Weasley all’ingresso del cimitero.
Diana rimase sola in piedi a fissare la foto di zia Karen sorridente sentendo solo, da lontano, la voce di Ben borbottare a Fred: - Non può rimanere alla Tana! Non è sicuro...

Mentre la voce di Ben si perdeva nel vento gelido e il mondo intorno a lei scoloriva lentamente in una nebbia grigia e incolore, non potè impedirsi di rievocare dei ricordi. 
Zia Karen che si addormentava al suo fianco nelle notti in cui la nostalgia per sua madre era troppo forte.
Zia Karen che le insegnava come tenere in mano un pennello o uno scalpello.
Zia Karen che le spiegava come distinguere un oggetto di valore autentico da un’imitazione.
Zia Karen che le faceva ascoltare quelle stupide e vecchie canzoni degli anni ‘80 che però poi aveva imparato a memoria e amato.
Di quelle sere in cui ordinavano la pizza e la mangiavano sprofondate nel divano a guardare un film.
Mentre le sembrava di rivivere una domenica pomeriggio in cui zia Karen, sotto la doccia, cantava a squarciagola Total Eclipse of The Heart, il dolore al petto si addensò sempre di più come una nube temporalesca.

Se all’inizio il dolore era composto da fitte intermittenti, ora era continuo e lancinante.
Diana si strinse entrambe le braccia intorno al petto, in un solitario abbraccio, per evitare che il suo corpo si sbriciolasse in brandelli e, dopo un ultimo sguardo alla foto di zia Karen si congedò da lei e si incamminò verso l’uscita del cimitero per raggiungere i Weasley.
Non si accorse nemmeno di Mundungus Fletcher, defilato sotto ad un grosso abete dai rami spioventi, che tristemente osservava la scena.

Voltò le spalle al cimitero grigio, dall’erba una volta verde e ora grigia come ogni colore intorno a lei.
Voltò le spalle a zia Karen. 
Avrebbe voltato le spalle al mondo intero, se avesse potuto.
Ma forse bastava voltare le spalle alla sofferenza per evitare di andare in pezzi.
Si limitò ad incamminarsi come una sonnambula verso quel puntino lontano: quel rifugio creato dalla sua mente per darle conforto.
Perchè era l’unico modo per non provare più dolore.
Per non vedere più i colori e immergersi, trattenendo il fiato, nella nebbia grigia e incolore che era diventata la sua esistenza.
Per non provare più nulla.

                                                
Once upon a time, I was falling in love 
                                                  Now I’m only falling apart”
                                                (“Total Eclipse of the Heart” - Bonnie Tyler)
                                                  
 

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Ciao!
Con un po' di ritardo rispetto al solito, ma sono tornata con un nuovo capitolo!
Triste e doloroso, ma mi sembrava doveroso!
Spero di aver stuzzicato un po' la curiosità con la prima parte, mentre nella seconda parte si sono palesati finalmente Benjamin e Robert...li avevo già citati qua e là, ma se non ve li ricordate è normale...sono i cugini di Karen e quindi parenti di Diana (giusto per rinfrescare la memoria...)
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate!
Grazie a chi trova sempre il tempo di passare di qua e lasciare un commento :)
A presto!                                       

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Capitolo 20
*** L'equilibrista ***


Fred sospirò sollevando lo sguardo dalla prima pagina de “La Gazzetta del Profeta”, chino sul bancone del negozio TiriVispi Weasley, per osservare una Diagon Alley spoglia e pressochè deserta.
Molti negozi erano chiusi e i proprietari indagati o per essere in combutta con i Mangiamorte oppure perchè schierati contro di essi. I pochi passanti per le strade si muovevano veloci e ansiosi, come per cercare di passare il minor tempo possibile all’aperto. Gli attentati ai danni di babbani erano sempre più frequenti e solo l’influente presenza di Albus Silente evitava lo scoppio di una guerra civile nel mondo magico.

L’attentato alla Tana e la morte di Karen Harvey avevano contribuito a gettare ulteriore sconforto e angoscia sulla famiglia Weasley e sui membri dell’Ordine della Fenice.
Diana aveva passato i primi giorni dopo la morte di Karen in un mutismo e in una calma surreale. Era sempre chiusa in camera, non voleva vedere nessuno e mangiava a malapena. 

Nei pochi momenti in cui si erano trovati faccia a faccia, Fred aveva avuto sempre la sgradevole sensazione di essere molto simile a uno di quegli equilibristi babbani che doveva rimanere in bilico su una corda tesa nel vuoto.
Non sapeva come muoversi per non cadere. Un solo passo falso e avrebbe rovinato tutto.
Eppure, da quando conosceva Diana, gravava su di lui un estraneo senso di responsabilità, come se una forza superiore gli suggerisse costantemente di impegnarsi a fare qualcosa per aiutarla. 
Ma la pazienza non era una delle sue virtù. E neanche camminare in bilico su una corda.
Quel continuo annaspare in una situazione così nuova e dolorosa, non faceva altro che ricordargli quanto poco sapesse nuotare nel mare in tempesta che era la triste realtà.
Lui era bravo a far ridere, a creare scompiglio. A correre a perdifiato a passo impetuoso e non a entrare in punta di piedi. Una delle poche cose che sapeva fare bene era far ridere la gente e Diana, secondo lui, aveva un immenso bisogno di ridere e distrarsi.
Quindi, le rare volte in cui lei usciva dalla sua stanza, era tornato a punzecchiarla con le solite battute per farla reagire, ma non era servito a nulla, se non a farla praticamente barricare in camera una volta per tutte.
Si era sentito uno schifo totale, quando aveva realizzato che ogni tentativo era stato vano.
- A volte mi sembri Ron - lo aveva rimproverato Bill con un sospiro, davanti alla porta chiusa della stanza di Diana, dove entrambi si erano incrociati - ognuno ha i suoi tempi! Non continuare a insistere con lei...

Allora, lentamente, tutti erano tornati alla loro routine quotidiana cercando di lasciare a Diana il tempo di metabolizzare il lutto: Harry, Ron, Hermione e Ginny erano tornati a Hogwarts, mentre Fred e George erano tornati a Diagon Alley anche se erano più le sere che passavano alla Tana che nel loro appartamento sopra al negozio.
La madre aveva raccontato loro che la ragazza si alzava, mangiava, dormiva e rimaneva la maggior parte del tempo a fissare il Blackhole con sguardo perso.

Remus Lupin, come promesso, stava approfondendo le sue ricerche sui Blackhole e sembrava aver scoperto una gran quantità di cose estremamente interessanti: purtroppo ci si era messa di mezzo la luna piena e nessuno, ormai, si fidava a scrivere informazioni così importanti via lettera, perciò avevano dovuto rimandare l’incontro con l’ex professore di Difesa contro le Arti Oscure.

Nonostante Diana avesse espresso il desiderio di rimanere alla Tana, la sua permanenza a casa Weasley non era durata più di qualche giorno. L’idea di Benjamin Murray che il luogo non fosse più sicuro non era poi così sbagliata: i Mangiamorte sarebbero potuti tornare da un momento all’altro e l’idea più sensata era quella di trasferire la ragazza altrove.
La scelta era ricaduta su Villa Conchiglia: una sera, mentre consumavano silenziosamente la cena, Bill aveva preso la parola comunicando alla famiglia che lui e Fleur sarebbero partiti il giorno dopo. Fleur avrebbe dovuto occuparsi di un lavoro da interprete per la Gringott per qualche giorno, mentre Bill avrebbe iniziato a sistemare la casa in cui sarebbero andati a vivere dopo il matrimonio che si sarebbe svolto da lì a pochi mesi.
L’idea di cambiare aria e soprattutto non avere sempre davanti agli occhi il luogo dove la zia aveva perso la vita non poteva che far bene a Diana. O almeno era quello che tutti speravano.
Fred non era pienamente d’accordo e, senza nemmeno accorgersene, si era ritrovato a stringere la mano intorno alla bacchetta nervosamente mentre Bill spiegava le sue ragioni. Non riusciva ad immaginare di tornare alla Tana e non trovarla. Aveva, però, dovuto arrendersi quando anche Diana, in silenzio fino a quel momento, non si era rivelata d’accordo con Bill.
- Verremo a trovarti tutti i giorni, vero Freddie? - aveva detto George in uno slancio di affetto mentre salutava Diana.

Almeno George era riuscito a dire qualcosa, invece Fred era rimasto a corto di cose sensate da dire e si era limitato ad annuire, perchè forse, per non peggiorare le caduta, era meglio rimanere immobili, trattenendo il fiato, aspettando il momento più opportuno per continuare a camminare su quella corda tesa sul precipizio.
Mentre Fleur aiutava Diana a raccogliere le sue cose, Bill aveva preso da parte Fred e George con la tipica aria seria da saggio fratello maggiore che solo raramente sfoderava: - Forse è meglio evitare di...soffocarla...lasciatele il suo spazio!
- E tu che ne sai di queste cose? - aveva chiesto Fred in tono sarcastico incrociando le braccia al petto chiedendosi quando il fratello fosse diventato lo stregone supremo della sensibilità.
- Con Fleur va d’accordo - aveva constatato Bill indicando le due ragazze - lasciate che magari ci parli lei per un po’...sai tra donne si capiscono...

Fred sospirò di nuovo, mentre sfogliava le pagine del quotidiano del mondo magico senza leggere veramente, troppo preso dai suoi pensieri. Erano passati più di due mesi. Aveva mandato qualche gufo per avere notizie, ma aveva ottenuto solo risposte da parte di Bill e mai da parte di Diana.
Il fratello maggiore lo confortava dicendo che sembrava lentamente migliorare, che il cambiamento sembrava averla fatta stare meglio e che non era il caso di continuare ad assillarla. A Fred non sembrava di aver assillato mai nessuno, ma dopo un paio di risposte vaghe da parte di Bill quando aveva espresso il desiderio di passare per una visita a Villa Conchiglia, si era addirittura domandato se non gli stessero nascondendo qualcosa. 

George scese dal piano superiore strusciando i piedi sui gradini della scala a chiocciola e grattandosi la nuca. Aveva i capelli arruffati, gli occhi che stavano aperti a malapena e la tipica espressione di chi si era appena svegliato.
- Ma che ore sono? - biascicò mascherando uno sbadiglio - perchè non mi hai svegliato?
- Sono le 11 - rispose Fred sorseggiando un bicchiere di succo di zucca e, allungando la mano per indicare il negozio deserto, aggiunse - non è che i clienti si spingano per entrare, oggi...
George sbadigliò senza ritegno appoggiando i gomiti al bancone e il mento sulle mani.
- Che hai fatto ieri sera? - si informò Fred sfogliando le pagine del giornale con aria noncurante.
- Sono andato a Hogsmeade con Lee e Angelina - spiegò George massaggiandosi le tempie - penso di aver perso una qualche scommessa per cui ho dovuto bere una bottiglia di Whisky Incendiario da solo, ma non ne sono tanto sicuro...ah - si interruppe indicando Fred con entrambi gli indici ma senza sollevare il mento dalle mani - sai chi è arrabbiato con te?
Fred alzò le sopracciglia in attesa.
- Angelina - sentenziò George - ci è rimasta male che non sei venuto, ha bevuto e le è presa la sbronza triste. E anche Lee, per non sentirsi l’unico sobrio, ha alzato un po’ il gomito, ma sai com’è...
- Che ha fatto stavolta? - chiese Fred senza riuscire a trattenere un sorrisetto nel ricordare che Lee Jordan era totalmente incapace di reggere l’alcool.
- Ho un vago ricordo di lui a quattro zampe per le vie di Hogsmeade che imitava la capra di Aberforth...ma potrei sbagliarmi...- scoppiò a ridere George.
- Ammettilo, avete bevuto peggio di Mundungus Fletcher solo perchè non riuscivate a sopportare la mia assenza... - sospirò Fred in tono teatrale.
George scrollò le spalle e rilanciò: - Se fossi venuto con noi, magari ti saresti divertito e ti saresti fatto evanescere quel muso lungo che hai sempre! E poi magari avresti potuto chiarire con Angelina...
- Io non ho nulla da chiarire con Angelina e non ho il muso lungo - replicò Fred rabbuiandosi tutto d’un tratto.
- Beh, non puoi continuare a tenere il culo su due manici di scopa diversi... - George inclinò la testa e, appoggiando un fianco al bancone, appellò una tazza di caffè che sfrecciò a tutta velocità dal piano di sopra - e si, sembri Mirtilla Malcontenta!
- Io non tengo il culo da nessuna parte! - si spazientì Fred un po’ offeso per essere stato paragonato al fantasma più piagnucolone di Hogwarts.
- Beh, prima uscivi con Angie ogni tanto...
- Non mi ricordo nemmeno l’ultima volta in cui siamo usciti - ammise Fred - è stato una vita fa...
- Beh, certo poi hai conosciuto Diana! - affermò George allusivo mescolando il caffè.
Fred si limitò a osservare il fratello: sapeva benissimo dove stesse andando a parare quel discorso.
George emise uno sbuffo: - Comunque Angelina ha detto che oggi sarebbe passata. Aveva una gran voglia di farti una delle sue ramanzine tipo quelle che ci faceva quando era Capitano della squadra...
Fred finse di accasciarsi sul bancone privo di sensi evitando così di rispondere all’implicito riferimento a Diana celato nella conversazione: - Nooo, ti prego!
George sorrise dietro alla sua tazza di caffè con aria di superiorità e, battendogli una mano sulla spalla per confortarlo, disse: - Non è colpa mia, se hai una passione solo per le donne che ti bacchettano dal mattino alla sera... - e poi con una smorfia disgustata constatò - che strana perversione!
Fred si limitò a sbuffare una risata e sparì nel magazzino.

Il pomeriggio si trascinò pigramente portando con sè qualche sporadico cliente.
Il discorso con George non aveva fatto altro che ricordargli da quanto tempo non vedesse Diana e quanto fosse stufo di aspettare impotente che qualcuno si degnasse di dargli notizie. 
Il rimanere immobile sulla corda tesa si stava rivelando un’impresa più lunga e ardua del previsto. Era già incredibile che fosse stato in grado di pazientare fino a quel momento.
Era tardo pomeriggio quando con un sonoro sbuffo fece posare la penna che in totale autonomia stava trascrivendo numeri sui libri contabili e guardò George che riforniva gli scaffali di merce, roteando la bacchetta e facendo impilare ordinatamente pacchi e scatole.
- Voglio andare a Villa Conchiglia - sentenziò Fred serio, dando sfogo ai pensieri che turbinavano nella sua mente da tutto il giorno.
- Freddie... - lo ammonì George altrettanto serio mentre un pacco di Bolle Bollenti fluttuava a mezz’aria tra loro - non so se è una buona idea...
- Perchè no? - chiese Fred scontroso - non posso andare a trovare mio fratello, la mia futura cognata e una mia amica?
George alzò gli occhi al cielo: - Lasciala in pace, per l’amore di Godric! Quando sarà pronta per parlare...
- Sono passati mesi! - lo interruppe Fred con tono nervoso - e poi non eri tu che volevi andarla a trovare tutti i giorni?
- Si ma forse Bill ha ragione...in più ha detto che ultimamente sta meglio - cercò di dire George.
- Ok, allora lo voglio vedere con i miei occhi! - continuò testardo Fred.
George gli si avvicinò e, in silenzio, gli appoggiò una mano sulla spalla per poi stringergliela.
- Sono solo un po’ preoccupato - scrollò le spalle Fred fingendo disinteresse come se stesse parlando del tempo piovoso della Gran Bretagna.
- Lo so - gli rispose George, che probabilmente aveva già capito il suo stato d’animo - e va bene... mi destreggerò da solo in questa folla di gente! - indicò il negozio di nuovo vuoto.
Fred si sentì leggermente meglio dopo aver avuto l’approvazione di George in quello che stava facendo, ma un attimo prima che si smaterializzasse, George lo bloccò, improvvisamente angosciato.
- E se arriva Angelina che faccio?
- Non so...fingiti me? - propose Fred sorridendo - non sarebbe la prima volta...
- Ah ah - George emise una risata forzata - spiritoso! Se se ne accorge mi stacca la testa, poi ti viene a cercare e la stacca pure a te! A volte è peggio di mamma!
- Merlino, Bellatrix Lestrange è una Puffola Pigmea a confronto! - lo prese in giro Fred fintamente spaventato portandosi una mano davanti alla bocca, poi tornando serio: - parlaci tu per me, sei bravo in queste cose! Grazie! - detto questo si smaterializzò mentre George sbuffava, ansioso come in poche altre occasioni.


“Tonight, I throw myself into
And out of the red 
Out of her head, she sang
Come down and wast away with me
Down with me”
(“Everlong” -
Foo Fighters)


Villa Conchiglia si trovava su un promontorio ventoso poco lontano dalla cittadina di Tinworth, in Cornovaglia.
Fred non ci era mai stato prima, quindi si materializzò nella periferia del paesino per proseguire a piedi verso la stretta stradina che si inerpicava su per la collina, verso l’oceano.
L’aria salmastra e umida gli sferzava il viso e faceva frusciare l’erba verde e bagnata. Le nuvole spesse e gonfie di pioggia si rincorrevano velocemente nel cielo grigio acciaio.
Un cottage isolato, con il tetto che sembrava composto di cangianti squame di pesce, apparve alla sua vista. 
Fred capì esattamente perchè Bill e Fleur avessero scelto quel posto: gli unici rumori che si udivano erano lo stormire dei gabbiani e l’infrangersi violento delle onde contro il promontorio roccioso. Vivendo lì non sembrava possibile che altrove ci fosse una guerra sul punto di esplodere.

Quando raggiunse il vialetto di Villa Conchiglia, notò che non solo il tetto sembrava essere fatto di scaglie di pesce, ma tutta la casa pareva provenire direttamente da un regno sottomarino.
Dopo aver bussato, la porta si aprì rivelando il viso pallido e perfetto di Fleur Delacour.
- Ciao Fred - lo salutò lei per niente sorpresa di trovarlo lì - alla fine sei venuto.
Lo fece entrare scusandosi del disordine, dato che la casa era ancora in fase di risistemazione. Era appartenuta a una vecchia zia di Molly Weasley, ma ora era disabitata da decenni. Alcuni mobili erano ancora coperti da lenzuola e c’erano scatoloni disseminati qua e là sul pavimento.
- Come sta? - chiese Fred guardandosi in giro.
Fleur sorrise debolmente sistemandosi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio: - Ha dei piccoli miglioramenti, ma è dura. Quando si allena con Bill sembra un po’ più...presente, ma poi torna nel suo mondo...
- Si allena con Bill a fare cosa? - chiese Fred strabuzzando gli occhi senza capire.
- Vieni - lo esortò Fleur facendo segno di seguirla in veranda e poi lo ammonì in tono serio: - Puoi provare a non farla arrabbiare come tuo solito? E’ ancora abbastanza difficile...
Fred stava per aprire bocca per protestare, ma Fleur lo stava già conducendo fuori dal giardino, sulla punta più estrema del promontorio: parecchi metri più in basso c’era una piccola spiaggia di sabbia chiara e sterpaglie nascosta tra le rocce, dove Fred riuscì a scorgere due persone.
Strinse le palpebre per mettere a fuoco, ma faticava a tenere gli occhi aperti a causa di una tagliente folata di vento.

La chioma rossa raccolta era sicuramente quella di suo fratello Bill, mentre la lunga coda bionda doveva essere di Diana. Ma c’era qualcosa di strano in lei: indossava dei pantaloni aderentissimi color cuoio e una camicia bianca di qualche taglia più grande.
Fred non sapeva che cosa ci fosse di diverso in lei, ma riusciva a percepire anche a metri di distanza un nuovo modo di muoversi e camminare. Come se fosse più sicura di sè e più determinata di quanto non fosse prima. Lei e Bill si giravano intorno studiandosi come due animali pronti ad azzannarsi, fino a che lui non si avventò su di lei con il braccio teso per colpirla con un pugno.

- Ma che cosa sta... - trasalì Fred sguainando la bacchetta.
Fleur lo bloccò con una mano e gli fece segno di tacere e Fred, brontolando contrariato, capì il perchè.
Diana aveva schivato il pugno con una prontezza di riflessi che Fred era certo di non averle mai visto e aveva atterrato Bill con uno sgambetto.
Poi Bill si rialzò e ricominciarono a cercare di colpirsi l’un l’altro, fino a che Diana sfoderò dalla mano qualcosa di luminoso.

Da lontano Fred non riusciva a capire cosa fosse. Sembrava una pietra luminosa attaccata a una catena, che Diana prese a far roteare intorno alla catena stessa, creando un vortice azzurro e luminoso che si ingrandiva sempre di più.
Era il Blackhole. 
Fred lo capì quando Diana si sollevò di qualche metro da terra e indirizzò il vortice verso Bill liberandoglielo contro, mentre con violenza riatterrava al suolo, Bill si smaterializzò in fretta e furia, riapparendo alle spalle di Diana.
Un boato basso e vibrante, come quello di una debole scossa di terremoto, sembrò emanare dal punto in cui Diana era atterrata fino a raggiungere Fred in cima alla scogliera.
Bill aveva perso l’equilibrio ed era finito a gambe all’aria sulla spiaggia.
Fleur non sembrava particolarmente impressionata, come se avesse assistito a quella scena innumerevoli volte.
Bill si rialzò ridendo, soddisfatto e cercò di ripulirsi gli abiti pieni di sabbia, mentre alzando la testa notò Fred e Fleur sul promontorio a qualche metro sopra di loro. Tornò serio immediatamente e si avvicinò a Diana per indicare Villa Conchiglia ed entrambi risalirono il declivio per tornare a casa.
Il vento sibilava aggirandosi tra le rocce e facendo frusciare i bassi cespugli.

- Che cos...ma che... - Fred si voltò verso Fleur senza parole, in attesa di una spiegazione.
- Ha chiesto lei a Bill di insegnarle a difendersi per essere pronta in caso ci sia un altro attacco. Odia sentirsi indifesa e quindi l’unico modo era allenarsi...fisicamente. Poi Lupin e Malocchio hanno scoperto che può usare il Blackhole. Sta ancora imparando ad usarlo...è un oggetto strano...
- Come è possibile? - chiese Fred boccheggiando stupito - Lupin e Malocchio sono stati qui? Perchè non mi avete detto nulla?
- Se avrà voglia te lo spiegherà lei - tagliò corto Fleur, perchè Bill e Diana erano praticamente arrivati.
Erano entrambi madidi di sudore e impolverati: i capelli biondi di Diana erano vistosamente cresciuti e alcune ciocche ribelli sfuggivano dalla lunga coda di cavallo, le guance erano rosse per lo sforzo e gli occhi sembravano luccicare. Fred non aveva visto male: i pantaloni che indossava la ragazza erano veramente parecchio aderenti e gli rivelarono subito che Diana era decisamente più magra di quanto ricordasse.

- Ciao Pixie - gracchiò Fred cercando di sorridere, con la gola secca e lo stomaco che fece una capriola fissando gli occhi in quelli di Diana.
Per un attimo Fred si convinse che avesse funzionato. Che il tempo passato avesse in qualche modo guarito la sua apatia verso il mondo intero. Poi lei lo guardò negli occhi, che tornarono spenti e inespressivi come se non fosse passato nemmeno un giorno dalla morte di Karen Harvey.
- Ciao - lo salutò in tono atono come se lo avesse visto fino a qualche minuto prima.
Nessuna emozione la attraversò. Nessuna gioia. Nessuna rabbia.
Lo superò come se niente fosse e si incamminò da sola verso Villa Conchiglia.
- Fleur aveva ragione - Bill lo salutò con una pacca sulla spalla per poi risistemarsi l’orecchino a forma di zanna che portava sempre - continuava a dirmi che un bel giorno ti saresti presentato qui e devo dire che hai resistito più di quanto pensassi!
Fred non riusciva a capire come mai tutti si aspettassero che si presentasse lì.
Era ormai tardo pomeriggio, quindi Bill lo invitò a fermarsi per cena.

La cena in realtà fu solo la conferma di ciò che Fred aveva presunto nei primi minuti insieme a Diana. La ragazza, infatti, non lo degnò di uno sguardo, ma mangiò a testa bassa, in silenzio e con sguardo assente. Rispondeva a monosillabi a qualsiasi domanda con una calma innaturale che iniziò a infastidire Fred, che avrebbe tanto avuto voglia di prenderla per le spalle e scuoterla fino a farla tornare in sè.
Cominciava ad arrabbiarsi perchè quei mesi non erano serviti a niente. Non era cambiato nulla.
Dopo l’ennesima domanda a cui Diana rispose degnandolo della stessa considerazione di cui avrebbe degnato un Vermicolo, Fred, che ribolliva ormai di rabbia, si alzò di scattò dalla sedia facendola strisciare forte sul pavimento di legno e uscì sul patio sbattendo violentemente la porta dietro di sè, facendo vibrare i vetri delle finestre.
Da fuori, sbirciò l’interno del soggiorno: Diana non sembrava nemmeno essersi accorta che lui avesse lasciato la stanza. Sbuffò esasperato e impotente passandosi una mano tra i capelli.
- Freddie... - lo ammonì Bill raggiungendolo sul patio - puoi stare calmo?
- Tanto nemmeno si rende conto che sono qui... - sbraitò Fred arrabbiato.
- Ma si che se ne rende conto! Non è mica stupida! - cercò di spiegare Bill con aria compassionevole.
- Voi continuate ad assecondarla e basta! - abbaiò Fred ancora più irato nel vedere la pietà scolpita sul viso del fratello - le voglio parlare! Da solo!
Bill lo fissò in silenzio, con le labbra strette, come a soppesare le sue intenzioni, e poi gli concesse: - Va bene, ma prima datti una calmata!
In risposta Fred grugnì che era stufo di sentirsi dire da tutti che doveva calmarsi.
Una volta imbrigliata a fatica la rabbia, Fred tornò in casa, mentre Bill faceva segno alla fidanzata di lasciare la stanza insieme a lui.

Diana stava lavando i piatti e li stava riponendo nello scolapiatti. Non dava segno di aver compreso di essere rimasta sola con lui nella stanza.
Fred, in piedi, guardava le spalle esili della ragazza che doveva alzarsi in punta di piedi per riporre i piatti nella parte più alta della credenza.
- Dai a me, ti dò una mano - si propose allungando una mano per prendere il piatto e sorridendole.
Diana gli passò il piatto noncurante, senza nemmeno alzare gli occhi per guardarlo.
- Diana, possiamo parlare? - tentò di dire lui con il tono più calmo del suo repertorio, anche se dentro sentiva la rabbia ribollire a fuoco lento.
- Mmhh... - lo assecondò lei.
- Come stai? - chiese Fred deciso a partire con domande semplici.
- Bene - rispose Diana in tono asciutto.
In tutta risposta, Fred le tolse i piatti dalle mani e la prese per le spalle facendola voltare verso di lui. Forse così avrebbe avuto la sua completa attenzione.
- Ho visto che hai imparato a usare il Blackhole...vuoi raccontarmi come ci riesci? - provò a chiedere lui sorridendo incoraggiante.
- No - rispose secca lei tornando a fissare lo sguardo altrove.
- Guardami negli occhi - le ordinò lui in un tono più duro di quanto avrebbe voluto, con la rabbia che gli risaliva dallo stomaco come lava da un vulcano in eruzione.
Diana alzò lo sguardo sul viso di Fred, ma non sembrava vederlo. 
Fred le scrollò leggermente le spalle e ripetè: - Guardami!
Lei continuò a fissarlo con espressione sconfitta, dicendo in tono inespressivo: - Ti sto guardando.
Poteva anche guardarlo, ma di certo non riusciva a vederlo.

Fred, come se si fosse scottato, si allontanò di scatto da lei perchè sentiva la rabbia risalire a fiotti brucianti. Si infilò una mano tra i capelli mordicchiandosi il labbro inferiore, indeciso sul dà farsi. 

La corda tesa sotto ai suoi piedi aveva preso ad oscillare vertiginosamente.
Non sapeva come farla reagire. Come riportarla indietro da quel luogo lontano dove sembrava essersi rifugiata.

Soffocò un’imprecazione e la guardò. Era ancora lì, in piedi nel bel mezzo della cucina con quei pantaloni troppo aderenti e l’abbondante camicia bianca che le era scivolata un po’ da una spalla, lasciando intravedere la pelle pallida e le ossa un po’ troppo sporgenti. Lo sguardo ancora fisso su un punto imprecisato. 

Nonostante tutto, Fred fu colpito di non aver mai realizzato di trovarla bella fino a quel momento. 
Fino a quel momento in cui oggettivamente non era bella affatto.

Questa improvvisa consapevolezza portò il vulcano all’eruzione e la rabbia esplose in lapilli di collera prima ancora che se ne rendesse conto. Il suo campo visivo si colorò di rosso. Sentiva i nervi a fior di pelle, mentre il suo cuore sembrava deciso a galoppare fuori dal petto.
Perchè non reagiva?

Attraversò la stanza come una furia, verso Diana. Le prese il viso tra le mani con irruenza e, prima che lei potesse ritrarsi, premette le sue labbra su quelle delle ragazza.
Per qualche secondo Diana rimase immobile, inerte, ma poi Fred sentì il corpo della ragazza irrigidirsi e fremere sotto le sue mani.
Con il suo corpo la spinse con la schiena contro la parete, senza interrompere il contatto tra le loro labbra. 
Il fuoco era divampato. 
L’equilibrio dimenticato.
La corda tesa era solo un filo nero a dividere il cielo dall’abisso in cui stava precipitando in caduta libera.
Diana dischiuse leggermente le labbra e lui, impetuoso, insinuò la lingua tra le labbra della ragazza, perchè si era reso conto che lei stava ricambiando il bacio.
Si sentiva come se nel suo stomaco fosse esplosa un’intera confezione di Fuochi Forsennati Weasley.
Si sentiva come se un Bolide lo avesse colpito in testa e ora stesse precipitando in picchiata in sella a un manico di scopa, con il cuore in gola, il sangue che gli rombava nelle orecchie e lo stomaco sottosopra.

Le sensazioni durarono troppo poco. 
I Fuochi Forsennati si spensero e la discesa in picchiata terminò con una brusca frenata, perchè sentì le mani di Diana spingerlo indietro e il contatto tra le loro labbra si interruppe.
Si guardarono per qualche secondo in silenzio: entrambi ansimanti e con il respiro corto. Fred le sorrise, perchè gli occhi di Diana erano tornati vivi, anzi scintillanti dallo stupore.
Fred sentiva un sorriso compiaciuto increspargli le labbra, quando inaspettatamente un pugno lo colpì sulla mascella.

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Ehilà!
Sono viva e vegeta e vi ho lasciato questo nuovo capitolo!
Non vi sto neanche a dire la fatica che ho fatto per renderlo più o meno decente e trovare l'ispirazione (sono in un periodo in cui mi sembra di non riuscire a mettere in fila due parole sensate).
La prima parte non mi convince granchè, ma volevo dare un'idea della vita quotidiana dei gemelli :D 
La seconda parte...ditemi voi perchè l'ho riletta talmente tante volte da farmi venire la nausea perchè ci trovavo sempre qualcosa che non andava!
Prima che pensiate che mi sono completamente rincitrullita, nel prossimo capitolo faremo un passettino indietro e ci sarà un po' di spiegazione!
Grazie a chi segue la storia e chi trova sempre il tempo di lasciarmi la sua opinione!
A presto :)
P.S. Chi avrà colpito Fred? Si accettano scommesse ;D

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Capitolo 21
*** La crisalide ***


                                                “I think I need help
                                                ‘Cause I’m drowning in myself
                                                It’s sinking in
                                                I can’t pretend that I ain’t been through hell”

                                                (“Help” - Papa Roach)


Diana Harvey non era mai stata una persona che esternava i propri sentimenti. 
Trovava difficile dare sfogo alle proprie emozioni anche negli insignificanti momenti di vita quotidiana. Ad esempio, non aveva mai pianto davanti a un film: nemmeno davanti a “Ghost” con al fianco Aileen che singhiozzava senza sosta; non era capace di dire “ti voglio bene” o abbracciare la gente, come facevano la maggior parte delle ragazze. Forse il suo comportamento era frutto di tutto il dolore che aveva già dovuto provare dalla morte della madre. Oppure era stata la totale sfiducia nelle persone che le era derivata dall’abbandono del padre ad averla fatta chiudere come un riccio per difendersi. 

Forse era per quel motivo che, quando aveva visto il corpo di sua zia disteso in maniera scomposta sul pavimento della Tana, non riusciva a credere ai propri occhi. Le era sembrato un brutto sogno. Uno scherzo di pessimo gusto. Qualcosa di sbagliato.
Aveva urlato quasi sperando che così zia Karen si sarebbe potuta risvegliare.
Oppure sperava che il grido avrebbe risvegliato lei stessa dall’incubo in cui sembrava essere scivolata. 
Ma la scena era rimasta vivida e dolorosamente reale: zia Karen immobile e con gli occhi spalancati.
Solo quando Fred aveva tentato di sollevarla e portarla di peso fuori dall’abitazione in fiamme aveva capito che non c’era più niente da fare.

Era rimasta in uno stato di semi incoscienza per qualche giorno. 
Il giorno del funerale era solo un susseguirsi di scene sfocate e sconnesse.
Il dolore era troppo grande per comprenderlo, per viverlo. 

Zia Karen era tutto quello che rimaneva della sua famiglia e ora non c’era più. Era sola al mondo. Non c’era più nessuno dalla sua parte.
Questa presa di coscienza l’aveva colpita violentemente, come una frustata, il terzo giorno dopo il funerale di zia Karen, mentre avvolta in una coperta, fissava la neve vorticare nel giardino della Tana, mentre Fred Weasley bussava insistentemente alla porta chiusa della sua camera senza ricevere una risposta.

Non era riuscita a versare una lacrima. Neanche quando era da sola nella sua camera. Era fuggita da ogni abbraccio, da ogni parola di conforto che le era stata offerta, perchè se si fosse lasciata andare sapeva che sarebbe crollata in mille pezzi. Se si fosse fatta sopraffare dal dolore, avrebbe dovuto ammettere la realtà delle cose.
Così si era costruita una barriera. Una protezione per la sua mente da tutto il male e il dolore che la circondava.
Percepiva i tentativi di Fred di avvicinarsi a lei, di distruggere il bozzolo che si era creata e sapeva, dentro di sè, che probabilmente lui ci sarebbe riuscito a polverizzare le sue difese, perchè lo aveva già fatto prima. O almeno ne era già a buon punto prima che avvenisse l’attacco all Tana.

E così aveva accettato di andare a Villa Conchiglia. Lì, la sua crisalide di bugie sarebbe stata al sicuro. Bill e Fleur non si sarebbe permessi di scuoterla dal suo torpore. Non come avrebbe fatto Fred.

Pochi giorni dopo l’arrivo a Villa Conchiglia, Remus Lupin, pallido e con la solita espressione stanca, si era materializzato nel vialetto mentre Diana, accoccolata su una vecchia sedia a dondolo in vimini recuperata tra i cimeli nella cantina, osservava le onde infrangersi sulla scogliera senza che i suoi pensieri avessero una direzione precisa.
- Ho un po’ di notizie... - aveva iniziato a dire Lupin afferrando una sedia e trascinandola per accomodarsi di fronte a Diana, mentre Bill, in piedi accanto alla porta, ascoltava interessato. Fleur non era ancora rientrata dal suo breve viaggio di lavoro.
La vecchia valigetta di pelle rovinata e stinta si era aperta e Lupin ci aveva infilato la mano fino a che il braccio non vi era sparito dentro fino al gomito, estraendo un paio di volumi dalle pagine ingiallite.
Bill si era avvicinato incuriosito e anche Diana aveva allungato impercettibilmente il collo per sbirciare i libri, risvegliandosi il minimo indispensabile dalla sua apatia.
- Non sono riuscito a parlare con Silente - Lupin, sospirando, si era messo a sfogliare le pagine di un libro dalla copertina grigia - sapete in questo periodo è un po’...occupato...con tutto quello che sta accadendo!
- Che hai scoperto? - lo aveva incalzato Bill raccogliendosi i capelli rossi in una coda.
Lupin, in tutta risposta, aveva smesso di girare le pagine del volume e, ruotando il libro verso di loro, aveva indicato un’immagine animata, come di consuetudine nel mondo dei maghi.
Un uomo sospeso a mezz’aria che teneva in mano oggetto dal quale fuoriusciva un raggio di luce azzurra e lo indirizzava verso una strana creatura che veniva scagliata all’indietro.
Un’immagine tremendamente famigliare, anche se l’uomo sembrava brandire quello che indubbiamente era un Blackhole decisamente con maggiore cognizione di causa di Diana. Come se stesse usando un’arma.
- Si può usare per...attaccare? - aveva chiesto Bill perplesso mentre si chinava per osservare meglio la figura.
- A quanto pare si...ma ci vuole molto allenamento e si deve instaurare una specie di connessione con l’oggetto...una volta che il Blackhole e il possessore sono in sintonia è possibile che si riesca a utilizzare come lui - aveva picchiettato l’indice sulla figurina dell’uomo sul libro e osservava Diana con aria indagatrice.
- E’ già successo - Diana aveva parlato dopo così tanto tempo chiusa nel silenzio che quasi aveva faticato a riconoscere la sua stessa voce - anche se io non l’ho fatto apposta. Anzi penso che il Blackhole abbia fatto tutto da solo...
- E’ vero - aveva annuito Lupin pensieroso - questo mi fa pensare che il collegamento si sia creato quasi inconsapevolmente. Forse perchè lo possiedi da anni o perchè era della tua famiglia. Questo non lo so...l’unica cosa che sappiamo e che sapevamo già è... - e in quel momento si era interrotto con uno sguardo preoccupato che si era spostato da Diana a Bill - ...che è rischioso. La magia con cui è creato è oscura e instabile, per quanto si possa imparare a dominarla, non sappiamo se ci sono...ehm, effetti collaterali.
- Questi libri non dicono nulla su come distruggerlo? - aveva domandato Bill afferrando l’altro libro e iniziando a sfogliarlo.
Lupin non aveva fatto in tempo a rispondere, perchè Diana, incredibilmente cosciente e presente, aveva esclamato scandalizzata: - Non voglio distruggerlo! Voglio imparare a usarlo, come lui - aveva indicato il libro che Lupin teneva ancora aperto, alludendo al misterioso e antico possessore di un altro Blackhole.
- Ma... - aveva iniziato a protestare Bill - se ti dovesse succedere qualcosa...
- Non ho più granchè da perdere - aveva risposto Diana amaramente.
- Forse dovresti parlarne con Robert e Benjamin... - aveva ipotizzato Lupin in tono accomodante e con un sorriso tiepido.
- Non voglio parlare nè con Robert nè con Benjamin nè con nessun altro. Voglio difendermi. Io non posso agitare una bacchetta come fate voi...senza il Blackhole non sono niente.
Nessuno era riuscito a trovare niente da obiettare in risposta, perchè raramente Diana era stata così risoluta in quei giorni in cui aleggiava grigia e tetra come lo spettro di sè stessa. Così Lupin se ne era andato, promettendo di tornare se avesse scoperto altro.

- Ok, se sei proprio decisa a fare...questa cosa...ti posso dare una mano - aveva detto Bill con espressione molto seria.
Diana si era costretta a sorridere al primogenito Weasley perchè gli era davvero grata per quello che lui e Fleur stavano facendo già solo ospitandola lì e occupandosi di lei.
- Ehm... - aveva continuato Bill un po’ a disagio, con la stessa espressione di chi camminava titubante su una lastra di ghiaccio - non vuoi scrivere a Fred...e George?
- No - aveva risposto Diana in tono risoluto alzandosi in piedi - altrimenti verrebbero qui e...
- Lo sai che prima o poi Fred verrà comunque, vero? 
Diana si era limitata ad annuire a labbra strette, sperando solo che quel momento potesse essere posticipato il più possibile. Ci avrebbe pensato a tempo debito: non era ancora pronta a fronteggiare la consapevolezza di provare dei sentimenti. Gioia. Rabbia. Dolore. Non avrebbero fatto altro che indebolire la barriera che si era costruita e siccome Fred, normalmente, era in grado di farglieli provare tutti nel giro di cinque minuti, era meglio tenersene lontana.

Dopo il rientro di Fleur, Diana era sprofondata nella lettura dei libroni che Lupin le aveva lasciato affinchè si documentasse il più possibile sull’argomento Blackhole.
- Ok... - aveva detto Bill un giorno sfregandosi i palmi delle mani mentre scendevano verso la spiaggia - penso che dovremo cominciare da un po’ di allenamento fisico...può sempre essere utile e i maghi non se lo aspettano...insomma, non sono abituati a lottare in quel senso...
Diana aveva inarcato un sopracciglio senza capire.
Bill aveva indicato la parte finale della spiaggia con un sorriso: - Vediamo chi arriva per primo là in fondo - e poi si era messo a correre verso il punto indicato evitando le onde che cercavano di lambirgli i piedi. Diana non aveva potuto fare altro che cercare di stargli dietro, con la milza in fiamme e il fiato corto.
Iprimi giorni erano stati i più duri e Diana si sentiva una completa incapace. 
Non riusciva a percorrere la spiaggia senza fermarsi almeno un paio di volte, piegata in due per lo sforzo.
Oltre alla corsa, Bill le aveva proposto altri esercizi che le provocavano dolori in parti del corpo che nemmeno sapeva di avere. La sera si addormentava stremata con i muscoli che sembravano gelatina. E poi man mano era diventata più veloce, più resistente e i muscoli le facevano sempre meno male. Mangiava poco e aveva perso parecchio peso. A volte, durante gli allenamenti, la testa le girava forte e si sentiva sul punto di svenire, ma non lo aveva mai detto a Bill, perchè sicuramente avrebbe interrotto il suo addestramento.

Invece, Fleur Delacour si era autoeletta a sua guida spirituale.
- Diana, lo sai che se vuoi parlare di come ti senti...con me lo puoi fare... - le aveva detto Fleur più o meno per la centesima volta da quando si trovavano a Villa Conchiglia.
- Si, ma non ho voglia di parlare e non ho niente da dire - aveva risposto Diana fotocopiando la stessa frase che aveva usato ogni volta che le era stata posta la precedente domanda.
Siccome, forse anche Fleur stava iniziando a gettare la spugna con lei, si era limitata a cambiare argomento con uno sbuffo.
- Ti devi concentrare - le aveva detto, mentre Diana fissava il Blackhole con astio, come se così sperasse di attivarlo, ma il vecchio orologio era immobile e inerte appoggiato sulle sue gambe incrociate sul legno umido del patio di Villa Conchiglia - libera la mente.
- La fai facile - si era lamentata Diana sbuffando e sfregandosi gli occhi per la stanchezza, mentre si rimetteva il Blackhole al collo.
- Prova a chiudere gli occhi...magari aiuta - Fleur aveva fatto spallucce mentre sorseggiava una tazza di tè - sai, i Babbani fanno una cosa che si chiama yoga, dicono che aiuta a liberare la mente e concentrarsi...hai mai provato?
- A fare yoga? - aveva chiesto Diana storcendo il naso - no, l’ho sempre trovato piuttosto noioso...e tu?
- Ho provato e secondo me ti aiuterebbe... - aveva continuato Fleur con l’aria di chi la sapeva lunga - chiudi gli occhi e focalizzati solo sui rumori della natura...
Non molto convinta, Diana li aveva chiusi, lasciando che il rumore delle onde e del vento entrassero dentro di lei e si muovessero a tempo con il suo respiro. Stava per spazientirsi e sentirsi una completa deficiente, quando aveva sentito qualcos’altro: un ronzio basso e vibrante che le aveva ricordato le fusa di un gatto. Sembrava provenire da dentro di lei e riecheggiare nella sua testa.
- Ho sentito qualcosa... - aveva boccheggiato Diana stupita riaprendo gli occhi e chinando lo sguardo sul ciondolo che emanava un leggero alone azzurrino che era sparito quasi subito.
Fleur le aveva sorriso incoraggiante.
Dopo vari tentativi che le avevano provocato parecchi mal di testa, con gli occhi chiusi, lasciava che il rumore del Blackhole le invadesse la mente e il corpo, fino a che non aveva riconosciuto la medesima sensazione di quando Bellatrix Lestrange aveva cercato di rubarglielo: un calore e un formicolio che si dipanavano dal ciondolo in ogni parte del suo corpo.
All’inizio, l’unico effetto che riusciva a produrre era un bagliore fioco e intermittente, ma dopo sforzi, sudore e emicranie, il Blackhole emanava una sorta di raggio di energia. Controllarlo, però, era un altro paio di maniche.
Il più delle volte si attivava senza che lei lo volesse: i tentativi erano brancolanti, perchè nè lei, nè Bill, nè Fleur sapevano come procedere. Seguendo l’istinto, Diana aveva provato mentalmente a riportare il calore che il Blackhole elargiva al suo corpo verso l’oggetto stesso. La cosa sembrava funzionare, perchè con i denti stretti  per lo sforzo, un raggio ben definito era scaturito dal vecchio orologio. 

Durante un allenamento con Bill, un fascio di energia aveva colpito il braccio del ragazzo lasciandogli una piccola bruciatura. Lo sforzo l’aveva sfinita e fatta cadere carponi con lo stomaco ribaltato dalla nausea, mentre cercava di scacciare dalla mente il ricordo del gufo dei gemelli che quella mattina aveva consegnato un’altra lettera a lei indirizzata che, come al solito, non aveva nemmeno voluto aprire, lasciando a Bill l’incombenza di rispondere.
Siccome Diana, mortificata, si era prodigata in una serie di scuse a non finire, Bill aveva fatto apparire una specie di fantoccio con cui avrebbero potuto allenarsi senza doversi preoccupare di fare del male a qualcuno.
Avevano provato ancora e ancora, fino a che Diana non aveva vomitato in mare, con la fronte imperlata di sudore e il corpo scosso da brividi.

- Prova a tenerlo in mano invece che al collo - le aveva suggerito Bill un pomeriggio in cui Diana era riuscita abbastanza agevolmente ad attivare il Blackhole a suo piacimento, colpendo senza problemi il fantoccio di legno che era già tornato illeso grazie ad almeno una decina di incantesimi.
- Ed esattamente cosa dovrei fare? - aveva chiesto Diana con il fiato corto mentre teneva il Blackhole per la catena - oscillarlo davanti a un nemico e ipnotizzarlo? - ma nel frattempo stava già cercando di convogliare il formicolio nel braccio destro, avvolgendo le dita meccanicamente intorno alla catena e facendo ruotare l’orologio su sè stesso.
Il bagliore azzurro si era liberato forte, deciso e con portata maggiore rispetto a quanto aveva fatto fino a quel momento, tanto da far barcollare all’indietro Diana, stordita da quell’improvvisa ondata di potenza.
Al quarto tentativo, Diana era riuscita a indirizzare l’abbondante flusso di energia verso il promontorio roccioso e un masso grande quasi quanto Villa Conchiglia si era staccato con un enorme frastuono, cadendo in mare.

Si era quasi sentita bene nel vedere i progressi che stava facendo.
Era una strana sensazione quella di riuscire a controllare un potere soprannaturale. Si sentiva come se dentro al suo petto si accendesse una luce, calda e scoppiettante, e a lei bastasse seguirla per sapere che direzione prendere. Lentamente, l’usare il Blackhole era diventato meno faticoso e sempre più naturale, come riprendere ad andare in bicicletta dopo tanto tempo.

Una sera, sepolta dalle pesanti coperte, si era ritrovata assurdamente a pensare che cosa avrebbe pensato di lei suo padre, vedendola padroneggiare la magia. Non era la magia dei maghi, ma era sempre qualcosa di...speciale. Quel pensiero, come un uccello in volo, era arrivato e se ne era andato, senza suscitarle nessuna nostalgia verso Daniel Harvey.
Controllare il Blackhole riusciva a farla sentire più sicura e in grado di controllare un po’ di più anche i propri timori. Ora non solo era in grado di difendersi, ma poteva attaccare. Non era più solo una ragazza qualunque, indifesa e spaventata. Solo quel pensiero le dava la forza per alzarsi ogni giorno e per mettere qualcosa sotto ai denti per mantenersi in vita.
Solo gli allenamenti davano un senso alla sua esistenza. Solo quello riusciva a farle sentire qualcosa. Il resto del suo corpo era insensibile. La sua mente impenetrabile, ormai corazzata da una crisalide resistente. Non sentiva più niente. Nessun’emozione. Il suo corpo era solo un involucro che proteggeva la sua mente troppo fragile dal dolore che altrimenti avrebbe minacciato di distruggerla.
Fino a quando non era arrivato Fred Weasley.

Quando il ragazzo era apparso insieme a Fleur in cima alla scogliera, era stato come cercare di vedere il cielo da sott’acqua. L’immagine era confusa e irreale. Quando lui l’aveva salutata e le aveva fatto delle domande era stato come sentire una voce provenire da molto lontano.
Ma quando, nella cucina di Villa Conchiglia, Fred l’aveva presa per le spalle e aveva iniziato a metterla alle strette era stato come trovarsi all’epicentro di un terremoto: la sua protezione, la sua crisalide aveva vacillato, incrinandosi.
Diana aveva sperato che lui lasciasse perdere. Che si arrendesse. Che la lasciasse vivere addormentata nel suo torpore anestetizzato.
Ma non si ricordava che Fred Weasley era più testardo di un mulo.

E poi Fred l’aveva baciata. 
Le labbra calde e furiose avevano aggredito le sue. Il calore si era irradiato in ogni parte del suo corpo. 
Un formicolio le aveva percorso i muscoli, come quando si rimane troppo a lungo seduti e il sangue smette di circolare e poi, improvvisamente, riprende a scorrere.
Era come tornare a respirare a fondo dopo aver passato troppo tempo in apnea, quando i polmoni bruciano per l’ossigeno che bramavano. 
Era come una medicina amara che però portava alla guarigione. 
Era come un corpo morto che ritorna in vita.
Si era ritrovata a ricambiare il bacio sentendosi finalmente pienamente cosciente di tutto ciò che la circondava e anche di cose che prima non aveva mai nemmeno notato: Fred era sempre stato così alto? La luce del sole aveva sempre illuminato i suoi capelli in quel modo? L’aria umida della Cornovaglia era sempre stata così piacevole?
Il suo corpo premuto tra la parete e il petto di Fred sembrava trovarsi perfettamente a proprio agio in quella posizione che nemmeno aveva mai osato immaginare.
La sua lingua si era lasciata travolgere da quella di Fred. 
Le mani del ragazzo sul suo viso erano come un salvagente che la trascinava brutalmente verso la riva.
Il suo corpo si era rivitalizzato senza che lei lo volesse e stava rispondendo d’istinto.
La sua mente ci aveva impiegato un attimo in più per diventare consapevole di ciò che stava succedendo.

E così Diana aveva allontanato Fred. 
Aveva interrotto bruscamente la connessione tra i loro corpi, perchè sentiva di nuovo la consapevolezza di ciò che la circondava. 
Era riemersa dalla sua bolla protettiva. 
Aveva spezzato il bozzolo della crisalide.
E il dolore era divampato. Così forte. Così prorompente e inaspettato l’aveva travolta come il primo momento in cui aveva visto zia Karen senza vita.
I lembi della voragine nel suo petto si erano riaperti lacerando le cuciture che ci aveva messo così tanto per creare. Ma Diana non voleva più soffrire. Non voleva più sentirsi impotente. Voleva aggredire il dolore. Prenderlo a pugni.
Quando aveva messo a fuoco il viso di Fred, di fronte al suo, che la guardava con gli occhi lucidi come quelli di un ubriaco e le labbra dischiuse, aveva capito che la sua crisalide era andata definitivamente in frantumi. 
Il pugno aveva colpito la mascella del ragazzo di fronte a lei prima ancora di rendersene conto.

- Ma sei impazzita? - chiese Fred incredulo massaggiandosi la guancia e toccandosi il punto in cui Diana lo aveva colpito - ma tutti quelli che ti baciano li tratti così? 
Diana lo fissò. Sentiva gli occhi pieni di lacrime e le nocche doloranti per l’impatto.
Le lacrime. Da dove erano arrivate?
Il dolore era lì, acciambellato comodamente sopra il suo petto ad impedirle di respirare.
Diana corse fuori di casa, inspirando freneticamente dal naso alla ricerca di ossigeno. Doveva allontanarsi da Fred, doveva proteggersi. Ma, dopo tanto tempo, sentiva finalmente le lacrime rompere gli argini e inondarle il viso.
Sull’estremità della scogliera che si protendeva aspramente verso il mare agitato, Diana si fermò di scatto senza nemmeno ricordare quando e come fosse arrivata in quel punto.
La punta delle scarpe sporgeva nel vuoto.
Sentiva Fred dietro di lei trattenere il respiro, spaventato. 
Diana, allora, con un profondo respiro tremante ritornò sui suoi passi, si voltò verso Fred e scoppiò in un pianto disperato e da troppo tempo represso. 
I singhiozzi le scuotevano il petto. 
Urlò. 
Urlò fino a che la gola non le fece male. I capelli, prima raccolti in una coda, si erano sciolti e il vento li scuoteva fino a frustarle il viso. 
Cadde in ginocchio e continuò a urlare fino a che la sua voce non si perse nell’ululato furioso del vento.
Pesanti gocce di pioggia avevano iniziato a cadere dalle gonfie nubi che si stavano addensando sopra il promontorio.
Il Blackhole iniziò ad emettere bagliori intermittenti come quelli di una lampadina sul punto di fulminarsi e poi, mentre Diana dava sfogo al suo dolore, il coperchio dell’orologio si aprì rilasciando improvvisamente un’onda d’urto che creò un cerchio nel terreno e avrebbe sbalzato Fred all’indietro di qualche metro, se solo lui, prontamente, non avesse sfoderato la bacchetta per evocare un incantesimo di protezione.
Fred rimase in piedi a fatica. Le scarpe avevano lasciato dei solchi nel terreno dove era stato sospinto all’indietro dall’onda di energia. 
Quando Diana riaprì gli occhi Fred era ancora di fronte a lei. Impietrito, ansimante e con la bacchetta ancora sollevata in posizione difensiva. Probabilmente pensava fosse pazza e pericolosa. Probabilmente a breve sarebbe scappato a gambe levate.
Invece, mentre Diana si copriva il viso con le mani, incapace di fermare le lacrime, sentì altre due mani, che ormai conosceva bene, scostarle le sue e due braccia forti e calde la avvolsero per rimetterla in piedi. 
Per rimetterla al suo posto nel mondo.

                                                                                          -------------


Fred sentiva le orecchie fischiare e la testa girare, mentre il petto si sollevava e si abbassava in un respiro irregolare. Non sapeva esattamente cosa fare, mentre vedeva Diana andare alla deriva nel dolore davanti ai suoi occhi.
L’unica cosa sensata che era riuscito a fare era stata abbracciarla e riportarla in casa, dato che la pioggia era aumentata d’intensità e li stava velocemente inzuppando.
Fred, con il braccio destro a cingere Diana, sentiva le spalle della ragazza sussultare ad ogni singhiozzo sotto al suo tocco.
Passarono davanti a Fleur e Bill, che con delle espressioni preoccupate, erano in piedi davanti alla finestra del soggiorno, cosa che fece intuire che stessero osservando la scena attraverso i vetri.
- Che è successo? - chiese Fleur preoccupata.
- Diana, stai bene? - le si era accodato Bill facendo un passo verso di loro.
Diana annuì cercando di frenare le lacrime, senza successo.
- Voglio..voglio andare in camera mia - sussurrò Diana tirando su con il naso rumorosamente.
Fred lasciò la presa sulle spalle di Diana, che si guardò intorno con aria spaesata per poi puntare lo sguardo in quello di Fred.
- N-non v-vieni? - farfugliò lei smarrita, asciugandosi gli occhi e il viso con la manica della camicia e tornando a osservare Fred timidamente.
Lui cercò di non indugiare sulla camicia bianca e bagnata della ragazza e, con un sorriso, rispose: - Certo!

Salirono le scale di legno ingrigito dalla salsedine: lei gli faceva strada e lui la seguiva titubante, mentre il temporale fuori infuriava e il mare in tempesta plasmava suoni inquietanti.
Una volta entrati in stanza, Diana si sedette sul letto, nuovamente disciolta in un pianto che non accennava a fermarsi.
Fred rimase in piedi.

Di solito, le ragazze in sua compagnia ridevano. Di certo non scoppiavano in un pianto irrefrenabile, quindi non sapeva esattamente cosa fare. Forse l’idea migliore era lasciare che si sfogasse, anche perchè a furia di piangere in quella maniera, si sarebbe presto prosciugata. Quante lacrime poteva contenere un corpo così piccolo?

Si accomodò sul letto di fianco a Diana con una delicatezza che non gli apparteneva: come se avesse paura di rompere qualcosa. Se avesse spostato il ginocchio verso destra di mezzo centimetro avrebbe sfiorato quello della ragazza.
Diana continuava a singhiozzare senza sosta e, in un gesto decisamente non da Diana, si chinò ad appoggiare la testa sulla spalla destra di Fred per poi nascondere il viso nel suo maglione, andando a mescolare le lacrime con la pioggia che già lo inzuppava.

Gli spifferi si insinuavano gelidi e violenti tra i vecchi infissi in legno, mentre Bill e Fleur, al piano di sotto, si affaccendavano a chiudere tutte le finestre.

Per contrasto, secondo Fred, nella stanza faceva, invece, parecchio caldo.
- Scusa - bofonchiò Diana con il viso ancora sepolto dalla stoffa - mi dispiace.
- Va bene... - si schiarì la voce Fred - non c’è bisogno di scusarti...
- Si, invece - si disperò lei riprendendo a singhiozzare - sono stata orribile, imperdonabile, una stronza colossale...
Fred non sapeva se Diana si stesse riferendo al fatto che per mesi non si fosse fatta sentire o se invece si riferisse al pugno che gli aveva dato pochi minuti prima, ma preferì evitare di chiedere perchè lei sembrava già abbastanza inconsolabile. Si limitò a darle dei colpetti sulla schiena: aveva visto suo padre farlo con sua madre quando lei piangeva per Percy.
Parve funzionare, perchè il pianto, lentamente, rallentò.
Allora, Fred si issò con entrambe le mani per spingersi indietro sul letto e appoggiare la schiena alla testiera in ferro battuto. Diana lo seguì poco dopo, rannicchiandosi e appoggiando la testa sul suo petto.
Faceva davvero davvero caldo.

- Ehm... - si scusò Fred facendola sollevare - scusa, mi tolgo il maglione...è bagnato e mi dà fastidio...
Diana si alzò per il tempo necessario a Fred per sfilarsi il maglione e rimanere a mezze maniche per poi tornare nella posizione precedente.
Rimasero così: lui sdraiato con le spalle appoggiate alla testiera del letto in ferro battuto e lei raggomitolata sul suo petto a piangere tutte le lacrime che non era riuscita a versare nei mesi passati.
Fred la lasciò sfogare perché non sapeva bene che altro potesse fare per lei.
Non riusciva a vederla in viso, ma dopo parecchio tempo, i singhiozzi si fecero più bassi e radi e il suo respiro si fece regolare. Fred si mosse in avanti quel tanto che bastava per accorgersi che Diana si era addormentata. 
Si arrischiò ad accarezzarle i capelli biondi e umidi scostandoli dal viso: un gesto che non si sarebbe mai sognato di fare se Diana fosse stata sveglia.
Rimase a guardarla, preoccupato, fino a che non sentì le palpebre pesanti.

Fred si svegliò qualche ora dopo con il collo dolorante e la spalla che si trovava sotto al corpo di Diana priva di sensibilità. Fuori era notte fonda e Diana dormiva ancora.
Lentamente Fred si mosse e cercò di sgusciare dalla stretta della ragazza. Aveva di nuovo caldo e voleva scendere a bere un bicchiere d’acqua, ma Diana sussultò, strinse le mani alla sua maglietta e con la voce impastata di sonno, mugugnò: - Non andare via...
- Vado solo di sotto a prendere un po’ d’acqua... - la rassicurò lui sorridendo - ne vuoi un po’?
Diana sollevò appena la testa per guardarlo negli occhi. Aveva il viso chiazzato di rosso e gli occhi gonfi per le troppe lacrime versate, ma abbozzò un sorriso e annuí.

Quando Fred lasciò la stanza, Diana si raggomitolò in attesa. Si strofinò gli occhi rossi e congestionati e con le dita si sfiorò le labbra ripensando a quello che era successo poche ore prima. La mano destra le faceva ancora parecchio male.

Fred scese le scale cercando di riacquistare la sensibilità a tutti gli arti. Bill e Fleur si erano addormentati sul divano, completamente vestiti. Lui era seduto con il collo reclinato all’indietro sullo schienale, mentre lei si era sdraiata con la testa appoggiata sulla gamba del futuro marito. 
Prese la brocca d’acqua e due bicchieri cercando di non fare rumore e risalì al piano superiore, sentendo i muscoli piacevolmente contratti in una strana sensazione di leggerezza.
Fred spinse la porta socchiusa con una spalla e tornò nella stanza di Diana, facendo sobbalzare la ragazza seduta a gambe incrociate sul letto.
Rimasero svegli per un po’ a parlare evitando di portare l’argomento su quanto accaduto tra loro, come se parlarne avesse potuto cancellare le sensazioni che entrambi avevano provato.

- Sembra che tu e il Blackhole siate tipo...collegati? - ipotizzò Fred ricordando quello che era successo in cima alla scogliera - com’è possibile?
- Si...Non so come sia possibile, ma ora lo sento... - spiegò Diana giocherellando con la coperta. Sembrava essere sollevata nel parlare di un argomento neutro come il Blackhole.
- E’ per questo che ora lo riesci ad usare? - chiese Fred, curioso appoggiando il bicchiere sul comodino - come funziona?
- Non è che si sappia molto, ma quello che abbiamo capito è che se vengo colpita da un incantesimo diventa più potente. Come se si caricasse...tipo un parafulmine...
Fred la guardò perplesso perchè non aveva idea di che cosa fosse un parafulmine.
- Quando è carico - continuò Diana - lo percepisco: è caldo ed emette un suono...particolare...poi lo riesco ad indirizzare dove voglio.
- E quanto dura questa carica?
- Boh...dipende, abbastanza per lottare per un bel po’...man mano si affievolisce, anche se non svanisce mai del tutto!
Diana raccontò anche tutte le altre cose che Lupin aveva scoperto e Fred cercava di assimilare le nuove informazioni con un’espressione concentrata.

- Dovremmo distruggerlo - sentenziò Fred a denti stretti dopo che Diana gli aveva detto di sentirsi sempre stanca e spossata dopo aver usato il vecchio orologio.
- No! - sbottò Diana contrariata - è l’unico oggetto che mi rimane della mia famiglia ed è anche l’unica arma che ho per difendermi.
Fred sollevò il labbro in una smorfia per costringersi a non replicare.
Diana sprofondò con la testa nel cuscino, mentre la tempesta fuori dalla finestra sembrava essersi placata.
- Fred - iniziò a dire lei con voce triste fissando il soffitto - mi dispiace davvero per non aver risposto alle vostre lettere e per essere sparita...
- Non avevo mai visto morire una persona - rispose di getto Fred con lo sguardo basso. Era la prima volta che parlava davvero di come si era sentito vedendo Karen Harvey morta.
Diana parve attraversata da una scossa nel capire a chi Fred si riferisse: - Io si - rispose continuando a studiare con concentrazione il soffitto.
- Tua madre? - chiese Fred sedendosi sul letto, perchè Diana non aveva mai raccontato molto della sua vita.
La ragazza annuì e sospirò profondamente, girandosi su un fianco con il viso rivolto verso il muro perchè era più facile rivelarsi senza guardare Fred direttamente in viso.
- Era ammalata - spiegò Diana al muro più che a Fred - ogni giorno era sempre più debole, fino a non riuscirsi ad alzare più dal letto. E’ stato orribile...vederla andarsene...lentamente senza poter fare nulla...
Fred si distese al suo fianco, osservando a sua volta il soffitto.
Visto che sembravano essersi avventurati nel territorio inesplorato delle confidenze, Fred disse: - Pensavo ti volessi buttare dalla scogliera, prima...
- Ho avuto paura anche io... - ammise Diana.
Se si fosse azzardato ad abbracciarla si sarebbe beccato un altro pugno? Si maledisse mentalmente. Da quando si faceva tutte quelle domande? Scrollò la testa e la abbracciò.
Lei si irrigidì facendogli temere il peggio, ma un sorriso che Fred non poteva vedere fece capolino sul suo viso, dopo tanto tempo.
Con un brivido, si rilassò appoggiando la schiena contro il petto di Fred e chiuse gli occhi.

L’alba era passata da poco quando la porta della stanza si aprì di botto.
- Merlino, ma ormai è un’abitudine! - borbottò George irrompendo nella stanza e vedendo Fred e Diana che dormivano abbracciati e siccome i due non accennavano ad aprire gli occhi, con un sorriso furbo e con un colpo di bacchetta aprì le tende facendo entrare la luce del sole proprio sui loro visi.
Fred si svegliò per primo schermandosi gli occhi e mugugnando tutto il suo disappunto. Diana si sollevò su un gomito guardandosi intorno con i capelli ridotti ad un’arruffata balla di fieno.
- Buongiorno Freddie! Pixie, è bello rivederti! - esclamò George sorridendo - non sia mai che dormiate ognuno nel proprio letto, eh!
- George, puoi evitare di urlare? Ho un mal di testa... - si lamentò Diana ficcando la testa sotto al cuscino e poi con la voce ovattata che arrivava attraverso l’imbottitura, continuò - non sia mai che tu ti faccia i cazzi tuoi!
- Delicata sempre come un Erumpent - la prese in giro George - vedo che il tuo principe azzurro ti ha fatta tornare in te!
Un cuscino piroettò per la stanza colpendo George.
Fred sorrise perchè forse, lentamente, le cose sarebbero tornate alla normalità.
Lui e George uscirono dalla stanza lasciando Diana a riposare ancora un po’ e scesero al piano di sotto, dove Bill Weasley aspettava ai piedi delle scale con un’espressione corrucciata da fratello maggiore e le braccia conserte.
- ‘Giorno, Billy - lo salutarono in coro i gemelli con aria angelica.
- Allora? - chiese lui con una certa curiosità.
- Allora cosa? - chiese Fred lanciando un Incantesimo di Appello in direzione dei biscotti appoggiati alla credenza e lasciandosi cadere sulla sedia della cucina.
- Che è successo ieri sera? - chiese Bill puntando un dito contro Fred e poi verso le scale per incolpare Diana. Il fratello maggiore prese a massaggiarsi il collo con una smorfia dolorante.
- Che hai fatto al collo, Bill? - chiese Fred cercando di cambiare argomento e fingendo un esagerato interesse per il malessere del fratello.
- Mi sono addormentato sul divano - si lamentò lui con un sorriso sofferente - non sono mica più giovane come un tempo!
- Non preoccuparti, Bill - Fred gli diede una fraterna pacca sulla spalla indicando sè stesso e George - saremo le stampelle della tua vecchiaia!
Bill roteò gli occhi al cielo prima di rispondere alla pacca fraterna colpendo con un altrettanto fraterno ceffone la nuca di Fred.
- Già, Freddie, che è successo ieri sera? - chiese George riportando l’attenzione sulla domanda principale.
- Tu da dove sei arrivato, tra l’altro? - domandò Bill perplesso come se si accorgesse solo in quel momento della presenza di George.
- Esatto, Georgie... - constatò Fred con aria interessata - che ci fai sveglio alle sei del mattino?
- Beh, mi sono accorto che non sei rientrato e mi sono preoccupato - scrollò le spalle George e poi punzecchiando le costole del gemello con la bacchetta riprese - ma non cambiare argomento!
Fred si limitò a raccontare del crollo emotivo di Diana senza soffermarsi sui particolari.
In quel momento, Fleur uscì dal bagno e raggiunse la cucina: - Ciao ragazzi - salutò i gemelli prima di scoccare un bacio a Bill e sparire al piano di sopra.
George scrutò il gemello mentre si ingozzava di biscotti e domandò: - Che hai fatto alla faccia? -  notando il livido che si stava formando sul suo viso.
- Oh - rispose Fred noncurante - Diana mi ha dato un pugno...
- Cosa? - esclamò Bill incredulo.
- E perchè? - chiese George senza capire.
- Perchè l’ho baciata - alzò le spalle Fred massaggiandosi il punto in cui Diana lo aveva colpito e poi rivolto a Bill - a proposito, il tuo allenamento ha funzionato alla grande, perchè mi ha fatto davvero male...
Bill e George si scambiarono uno sguardo. Bill soffocò una risata portandosi una mano a coprirsi la bocca, mentre George scoppiò sguaiatamente a ridere.
- L’ho fatto solo per farla reagire - si giustificò Fred vedendo le espressioni allusive dei fratelli - sapevo che si sarebbe arrabbiata!
- Menomale che non hai usato questo metodo quando eri a scuola per far arrabbiare Gazza - esclamò Bill ridendo.
- Bill - lo richiamò all’ordine Fred mettendogli una mano sulla spalla come per rivelare una scomoda verità - io e George siamo quelli simpatici, tu sei quello bello! Cerchiamo di mantenere i nostri ruoli!
- Dai, Freddie...raccontala a qualcun altro questa - lo blandì George riferendosi al precedente discorso e rubandogli il contenitore di biscotti dalle mani chiedendo poi - e il crollo emotivo lo ha avuto prima o dopo che le infilassi la lingua in bocca?
Fred puntò lo sguardo in quello identico del gemello e con la bocca piena di biscotti bofonchiò: - Dopo...
- Ah beh, allora è vero che baci da schifo! - lo prese in giro George, mentre Bill guaiva dalle risate.
- Pensa per te, Mollelingua! - lo prese in giro Fred per sviare l’attenzione da ciò che era successo e per appellare di nuovo il contenitore dei biscotti - quella Corvonero che ti sei portato al Ballo del Ceppo non ha fatto altro che raccontare a tutta Hogwarts che la tua lingua le è arrivata fino a qua - terminò la frase indicando un punto imprecisato alla base della gola.
- Non chiamarmi più così! E’ successo secoli fa!- lo fulminò con lo sguardo George cercando di trattenere il sorriso, perchè Bill era piegato in due dalle risate, mentre il contenitore dei biscotti sfrecciava avanti e indietro tra i due gemelli.

- Che succede? - chiese Diana scendendo l’ultimo gradino e raggiungendo la cucina con un sorriso sulle labbra nel vedere i tre fratelli ridere e scherzare.
Fred, preso alla sprovvista si voltò per guardarla, e il contenitore dei biscotti lo colpì in testa facendo ridere ancora di più Bill e George. 
Un’altra risata, inaspettata, si unì alle loro.
E allora anche Fred, massaggiandosi la testa, sorrise perchè forse qualcosa di buono era riuscito a farlo.



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Allora... questo capitolo super lungo spero che vada a risolvere un po' di questioni sul Blackhole! Vi avevo promesso un passo indietro e infatti si è visto ciò che ha passato Diana! Come ogni capitolo in cui si parla del Blackhole sono sempre super dubbiosa di aver fatto le cose per bene...ma mi direte voi! Finalmente si sta sciogliendo il clima cupo e triste e già a fine capitolo c'è un po' di allegria :) 
Attendo con ansia di sapere che ne pensate e spero di non aver annoiato con questo mega capitolo (erano due inizialmente, ma poi mi sono accorta che che avrebbe avuto poco senso)!
Grazie di cuore a chi segue questa storia e trova sempre il tempo per un commento ❤️
A presto :)

 

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Capitolo 22
*** Un passo alla volta ***


Era ormai primavera inoltrata quando Diana si era rivelata pronta per tornare a Edimburgo.

- Sei sicura? - le aveva chiesto Fred quando Diana gli aveva esposto i propri propositi una sera in cui lui era passato a Villa Conchiglia dopo il lavoro.
- No - aveva ammesso lei - ma ci voglio provare. Non posso rimanere per sempre a Villa Conchiglia...
- Uno dei Murray rimarrà con te per aiutarti...da quello che dice Bill hanno gestito loro il negozio fino ad ora...

Diana aveva alzato gli occhi al cielo per mascherare il senso di angoscia che le stritolava lo stomaco all’idea di tornare a casa. Aveva paura di crollare di nuovo. Aveva paura che la nostalgia per zia Karen potesse sopraffarla, proprio quando stava lentamente elaborando il dolore, ma dall’altra parte, sentiva anche il desiderio di tornare lentamente alla vita di tutti i giorni.

Quando Diana e Fred si materializzarono in un vicoletto nei pressi di Victoria Street e imboccarono poi a piedi la strada, lei aveva un groppo ben piantato all’altezza della gola.
Il sole faceva risplendere i colori sgargianti delle vetrine esattamente come Diana li ricordava.
L’insegna del negozio Harvey era lì ad aspettarla, scrostata come sempre.
Aveva guardato Fred che la fissava incoraggiante.

Non avevano parlato più del bacio che c’era stato. Diana aveva evitato il discorso come la peste, perchè non sapeva esattamente come affrontarlo e lui non era più tornato sull’argomento. 
Forse se ne era pentito. 
Oppure pensava che lei fosse troppo fuori di sè per ricordarsene. 
O magari si era preso solo gioco di lei. 
Sarebbe bastato parlarne per scacciare tutti quegli interrogativi, ma Diana si sentiva già abbastanza affaticata, come se negli ultimi mesi non avesse fatto altro che percorrere una corsa ad ostacoli. Inoltre, non era ben consapevole di cosa provasse esattamente per Fred: la sua vita nell’ultimo periodo era stata così un’accozzaglia di sensazioni che faceva fatica a distinguerne una dall’altra. 
Forse si era solamente affezionata a Fred perchè era nel posto giusto al momento giusto. 
Forse si sentiva legata a lui perchè era stata l’unica ancora a cui aggrapparsi.
Era assurdo prendere la rincorsa senza sapere dove fosse diretta.

Un passo alla volta: questo le avrebbe suggerito sua madre.
Diana sospirò pensando che, invece, zia Karen le avrebbe suggerito l’esatto contrario.

- Chissà quale dei due Murray mi sono guadagnata... - borbottò Diana cercando di sbirciare oltre la vetrina stipata con un’enorme quantità di oggetti e confinando in un angolino i dubbi che le aggrovigliavano i pensieri.
- Perchè fa differenza? - domandò Fred ingenuamente.
- Robert è ok - spiegò Diana muovendo il peso da una gamba all’altra per trovare il coraggio di entrare - Ben è...insomma, non abbiamo molta confidenza...
Fred mosse velocemente una mano, come per scacciare un insetto, e sorrise: - Beh, ma qual è il problema? Prendilo a pugni se non ti va a genio! - e poi con aria allusiva aggiunse - Ormai sei diventata piuttosto brava!

Diana arrossì violentemente perchè era la prima volta che Fred faceva anche solo vagamente allusione a ciò che era accaduto tra loro.

Un passo alla volta.
Se lo ripeteva mentalmente come un mantra per calmarsi.

Diana inspirò profondamente e deglutì prima di spingere la maniglia in ottone del negozio e sentire il suono della campanella appesa alla porta che la scaraventò con forza indietro nel tempo.

Era tutto come una volta. 

L’odore di solvente chimico e di libri antichi le aveva accarezzato i sensi e l’immagine di zia Karen intenta a leggere il quotidiano o a sorseggiare un caffè aveva preso forma nella sua mente facendole riempire gli occhi di lacrime.
Era tutto uguale, ma, allo stesso tempo, diverso, perchè al posto di zia Karen, dietro al bancone di legno si trovava, invece, Benjamin Murray, con i capelli scuri pettinati all’indietro e una barba non rasata da qualche giorno. Al loro ingresso, l’uomo aveva alzato gli occhi scuri dal foglio che stava leggendo per osservare la porta d’ingresso.

Diana era abbastanza certa di poter contare sulle dita di una mano le conversazioni che aveva avuto con Ben in tutta la sua vita. Robert aveva sempre vissuto a Edimburgo, mentre Ben era sempre stato in viaggio: quello che sapeva di lui lo doveva ai racconti di zia Karen e di Robert e alle foto che lui periodicamente inviava. 
Benjamin in posa davanti agli scavi dei Fori Imperiali a Roma.
Benjamin di fianco a un sarcofago egizio o Benjamin, cappello in testa e mani sporche, chino a scavare qualche tesoro in una necropoli azteca.

- Diana - esclamò Ben sgranando gli occhi e incurvando appena le labbra nella sua massima versione di un sorriso - non sapevo che...cioè sei tornata!
- Si, ehm... mi sono decisa e ho preferito cogliere l’occasione, prima di cambiare idea...
Ben annuì impercettibilmente e sollevò una mano in una specie di cenno di saluto verso Fred. Da ciò che Diana ricordava, il loro primo incontro al cimitero non era stato particolarmente piacevole.
- Vado di sopra a posare le mie cose... - si congedò Diana incamminandosi verso il piano superiore. Fred la seguiva in silenzio e anche Ben si incamminò su per le scale dietro di loro.

Ad ogni gradino sentiva il cuore sprofondare pesante verso il basso per la voglia di piangere.
- Ti sei guadagnata il Murray antipatico - le sussurrò Fred cercando di non farsi sentire da Ben e cercando di sdrammatizzare.
Una volta raggiunto il soggiorno, però la voglia di piangere fu velocemente spazzata via da ciò che le si presentò davanti.
- Ma che Merlino è successo qui dentro? - sbottò Fred stranito osservando la stanza.

L’appartamento, un po’ come il negozio, non era mai stato particolarmente ordinato, ma la situazione sembrava di gran lunga peggiorata: il tavolo era ricoperto di vecchie lampade, calici polverosi, vecchi utensili arrugginiti, stampe e francobolli e, come se non bastasse, l’intero pavimento era disseminato da statue di tutte le dimensioni, piccoli mobili e tavolini impilati l’uno sull’altro e vecchi strumenti musicali. Nell’angolo del soggiorno accanto alla finestra, era comparso un vecchio pianoforte a coda.
- Ehm - tossicchiò Ben grattandosi la nuca a disagio - se avessi saputo che saresti arrivata oggi, avrei cercato di mettere un po’ in ordine...proprio ieri ho concluso delle trattative con un paio di collezionisti che avevano fretta di liberarsi di tutta questa roba e...insomma, era un’occasione unica!
Diana, allibita e a corto di parole, cercò di fare lo slalom in punta di piedi per raggiungere la propria stanza per evitare di far cadere qualcosa. Fred la seguì cercando di mettere i piedi negli stessi punti in cui era passata Diana, come se attraversassero un campo minato.

La camera di Diana era più o meno come lei la ricordava, ad eccezione degli oggetti che sembravano essere sorti come funghi anche lì.
Fred soffocò una risata nel vedere la statua di un enorme ghepardo di bronzo seduto proprio di fianco al letto di Diana.
- Che sobrietà - Fred aveva una mano davanti alla bocca per mascherare il sorriso, mentre Diana guardava con una smorfia di sdegno un paravento dai disegni orientali che copriva la porta finestra.
- Ben - chiamò Diana alzando il tono di voce per farsi sentire e tornando verso il soggiorno, sempre con Fred che la seguiva- è troppo chiedere perchè c’è la statua di un ghepardo di fianco al mio letto?
Agitando la bacchetta freneticamente, Ben stava cercando di liberare almeno il tavolo e le sedie del soggiorno.
Diana, ancora in attesa di una risposta, allargò le braccia per il disappunto e urtò una vecchia lampada con una piantana fatta di foglie bronzee, che Fred riuscì ad afferrare al volo per non farla schiantare sopra ad uno scaffale colmo di vasi dalle forme strane.
- Si, ecco sto cercando di catalogare e fotografare tutto prima di spostare gli oggetti nel seminterrato - si giustificò Ben e poi con un’occhiata quasi implorante aggiunse: - magari ti va di darmi una mano...
Uno scampanellio dal piano di sotto richiamò Ben, che, prima di imboccare le scale disse: - Ah...e appena puoi chiama la tua amica Aileen! Passa di qua ogni giorno a farmi domande e non so più che inventarmi...è abbastanza...insistente!

Diana sbuffò lasciandosi cadere sul divano, mentre con una smorfia di dolore sfilava la statuina di un elefante in ceramica da sotto il cuscino e rimpiangeva già la pace di Villa Conchiglia.
Aileen avrebbe voluto una spiegazione per la sua sparizione durata mesi e Diana non aveva idea di che scusa sufficientemente plausibile inventarsi.
- Sarà un’allegra convivenza quella con Murray - constatò Fred sghignazzando - ha sempre quell’espressione di chi ha cacca di drago sotto il naso! Mi ricorda un po’ Percy... - e poi tornando serio e assottigliando gli occhi in un’espressione decisamente diabolica aggiunse: - se vuoi posso mettergli una confezione di Pasticche Vomitose nel caffè!
- Grazie Fred, ma forse non è il caso - rispose Diana immaginandosi Ben vomitare in stile “L’esorcista”e poi continuò: - Sarà una tortura....e ancora devo parlare con Aileen! La situazione evolverà da “tortura” a “bagno di sangue” alla velocità della luce!
- Ma non è la tua migliore amica?
- Appunto! Sarà arrabbiata! Sono sparita per mesi senza dare notizie! Mi farà a pezzi e danzerà sui resti del mio cadavere! - proruppe Diana in tono melodrammatico.
Fred scoppiò a ridere guardando uno dei numerosi orologi che ticchettavano in soggiorno: - Devo tornare a lavoro, oppure sarà George a ballare sul mio cadavere! I cappelli Scudo stanno andando a ruba e dobbiamo metterci a produrne altri il prima possibile! Fammi sapere come va con la tua amica, fifona! - si alzò dal divano con una strana espressione indecisa e poi si smaterializzò in fretta e furia prima che Diana potesse rispondergli. 

La stanza era scivolata velocemente nel silenzio e Diana, un po’ delusa dalla fuga di Fred, e per evitare di sprofondare nella tristezza e nei ricordi, si decise a telefonare a Aileen.
- Pronto, Aileen...sono Diana - emise velocemente non appena sentì la voce dell’amica dall’altro capo del ricevitore.
- D-diana? - Aileen sembrava non credere alle proprie orecchie.
- Scusami - si limitò a dire semplicemente.
- Sei a casa? Stai bene?- chiese Aileen in tono freddo.
- Si... - Diana non sapeva bene che dire.
- Arrivo tra mezz’ora - Aileen chiuse la telefonata senza aggiungere altro.

Ciò che più spaventava Diana era rimanere sola e con le mani in mano con come unica compagnia lo sciabordio dei suoi pensieri, quindi si avviò subito a sistemare i suoi bagagli per poi passare a sistemare la propria camera. Avrebbe voluto tanto essere come l’appartamento in cui si trovava: talmente pieno di oggetti da essere irriconoscibile. Lei, allo stesso modo, avrebbe voluto essere talmente piena di cose da fare da non avere il tempo di pensare. 

- Diana sei qui? - la voce di Aileen la richiamò verso il soggiorno.
Aileen, stranita e con i capelli più corti di quanto Diana ricordasse, si guardava intorno allibita dalla quantità di oggetti sparsa ovunque.
Prima che l’amica potesse parlare, Diana si avvicinò a lei e le lanciò le braccia al collo stringendola in un abbraccio per farsi perdonare per il suo comportamento.
Aileen ricambiò l’abbraccio stringendola a sè, mentre Diana tirava su con il naso e cercava di frenare le lacrime: - Ma chi sei tu che piangi e mi abbracci? Che ne hai fatto della mia amica? - chiese Aileen cercando di farla sorridere, mentre poi con tono più serio disse: - Mi dispiace per Karen...
- Mi dispiace per essere sparita - Diana sciolse l’abbraccio.
- Sappi che sono arrabbiata con te - la minacciò Aileen puntandole un dito contro, ma aprendosi già in un sorriso comprensivo - ma ora mi devi raccontare tutto e...soprattutto perchè non mi avevi mai detto che Benjamin Murray è un figo stratosferico??
Diana scoppiò a ridere sentendo la tristezza e l’angoscia scivolare via, grata che le cose con Aileen non fossero poi cambiate così tanto.
Si sdraiarono sul letto di Diana e, mentre Aileen avvolgeva la propria sciarpa sul collo del ghepardo di bronzo sostenendo che così sarebbe stato più elegante, Diana si inventò un tragico incidente stradale che aveva tolto la vita a zia Karen.
- E quindi sono rimasta con i Weasley... - terminò il racconto Diana.
- ...Che sono quei parenti dove sei andata a passare il Natale? - si informò Aileen
- Non proprio parenti - la corresse Diana - direi amici di famiglia della zia.
- E quindi ora vivrai con Benjamin? - Aileen ne sembrava entusiasta.
- Già - constatò Diana con ben poco entusiasmo - sarà imbarazzante...
- Per toglierti dall’imbarazzo, posso sempre auto invitarmi a cena da voi tutte le sere - si offrì l’amica con un sorriso malizioso.
- Si, sarà proprio per togliermi dall’imbarazzo... - Diana sorrise scuotendo la testa perchè Aileen era incorreggibile.

Dopo i primi imbarazzi creati dalla convivenza con un estraneo, Diana e Ben erano riusciti a instaurare una sorta di precario equilibrio. Ben era così taciturno da far apparire Diana una chiacchierona, ma se si sapeva come prenderlo, non era poi così male.
Ad esempio, Diana aveva imparato che era meglio non rivolgergli la parola prima che avesse assunto la sua dose di caffeina giornaliera: quando Fred si era presentato di prima mattina per restituire Antares, rimasto fino a quel momento alla Tana, e aveva iniziato a parlare a macchinetta, Ben aveva serrato le labbra e aveva trucidato Fred con uno sguardo omicida, mentre probabilmente si tratteneva dallo Schiantarlo. 

Ben, infatti, sopportava a stento Fred e George che, da parte loro, lo avevano già eletto a nuova vittima preferita per i loro scherzi, giustificandosi dicendo che avevano sempre bisogno di nuove cavie su cui testare i loro prodotti: quindi, nonostante Diana si fosse rivelata contraria, le Pasticche Vomitose erano già finite più volte nel caffè di Ben, che ormai, per evitare spargimenti di sangue, preferiva fare colazione alla caffetteria o sparire nell’istante stesso in cui le due teste rosse facevano irruzione in casa; i gemelli gli avevano già sostituito un paio di volte la bacchetta con una di quelle finte in vendita al loro negozio e Ben, nel semplice gesto di accendere la luce, si era ritrovato tra le mani un pollo di gomma al posto della solita bacchetta.

Infine, una sera, Diana si era quasi strozzata con il bicchiere d’acqua che stava sorseggiando nel notare Ben seduto a suonare il pianoforte con un foglio appiccicato alla schiena con scritto “Sfilatemi il manico di scopa che ho nel didietro”, soprattutto perchè Fred e George erano stati lì quella mattina e ciò significava che Ben aveva gironzolato tutto il giorno per il negozio con quel cartello appeso alla schiena. Quando se ne era reso conto, nessun incantesimo era stato in grado di staccarlo ed era stato costretto a buttare maglietta e cartello: Fred e George si erano rammaricati molto nel non poter vedere la scena dal vivo.

Le uniche chiacchiere che Ben gradiva erano quelle del fratello e Diana, spesso, aspettava con ansia l’arrivo di Robert per riempire i vuoti silenzi che aleggiavano in casa, altrimenti riempiti solo dalle note di musica classica provenienti dal vecchio pianoforte.

L’unica cosa di cui Diana e Ben avrebbero parlato per ore senza intervallarsi con silenzi imbarazzanti era l’arte, perchè gli aneddoti che Ben conosceva sembravano non esaurirsi mai. Aveva visitato moltissimi luoghi e Diana si abbeverava dei suoi racconti: di quando aveva visitato i templi indiani, di quando era entrato all’acropoli di Atene o di quando aveva scoperto tesori di valore inestimabile nei vari scavi archeologici a cui aveva preso parte. 

Se Diana non lo avesse visto utilizzare più volte la magia, non avrebbe mai immaginato che avesse potuto essere un mago. Ben e Robert si erano adattati benissimo alla vita tra i babbani e si erano rivelati molto diversi dalla famiglia Weasley, che sembrava quasi vivere in un mondo parallelo.

Per Diana, il ritorno alla vita normale era stato difficile: Ben le aveva fatto capire senza troppi giri di parole che le era praticamente vietato uscire di casa da sola per evitare che potesse correre pericoli, quindi non faceva altro che rimanere in casa, aspettando che fossero Fred e George o Aileen a passare del tempo con lei. Il suo umore ne aveva risentito parecchio: c’erano già giorni più difficili di altri in cui sentiva maggiormente la mancanza di zia Karen, se poi ci aggiungeva il fatto che non poteva lasciare le quattro mura dell’appartamento o del negozio, la situazione non faceva che peggiorare.

Diana sospirò e uscì dal bagno per dirigersi verso la sua stanza, dove sul letto trovò Aileen ad aspettarla.
- Da dove sei entrata? - chiese Diana sobbalzando e scandagliando la stanza con lo sguardo per cercare il Blackhole.
- Mi ha fatto entrare Darth Vader - rispose semplicemente Aileen limandosi un unghia.
- Chi? - domandò Diana stranita notando l’orologio sul comodino e avvicinandosi per afferrarlo e infilarselo al collo.
- Benjamin - spiegò Aileen con uno sbuffo annoiato - si veste sempre di nero e un po’ me lo ricorda...
- Ma non era un figo stratosferico? - la prese in giro Diana.
- Si, lo pensavo prima di scoprire quanto è noiooooso! - Aileen roteò la lima per le unghie per dare maggiore enfasi al suo discorso e poi aggiunse: - sai...potremo uscire! Stiamo sempre da te...
Diana sospirò: - Te l’ho già detto! Benjamin è molto...protettivo nei miei confronti! Non vuole che esca da sola con te! Non dopo l’incidente di zia Karen...
- Ma che pensa che possa succedere? Glielo hai detto che io ho fatto arti marziali da piccola?
- Si, ma...
- Glielo chiederò io! Non potrà dirmi di no! Ho già preso i biglietti del cinema per quel nuovo film con Leonardo Di Caprio!- e uscì a passo di marcia dalla stanza per dirigersi in cucina e perorare la propria causa.

- No - rispose Ben con aria imperscrutabile, dopo che Aileen gli ebbe esposto la sua richiesta; nel frattempo, l’uomo girava le manopole del forno con la stessa concentrazione di un pilota che cercava di far atterrare un aereo nella tormenta.
- Ma signor Murray - protestò Aileen sfoderando il suo sguardo più innocente - la prego!
- Aileen, puoi anche pregarmi in ginocchio, ma la risposta sarà sempre no!
- E se Lyall venisse con noi? - propose Aileen di getto.
Diana guardò storto l’amica cercando di capire come le fosse venuta un’idea del genere, visto che lei e Lyall non si erano ancora parlati da quando Diana era ritornata a Edimburgo.
- Lyall? - Ben armeggiava ancora con il forno, tanto che Diana, mossa a pietà, lo fece spostare per accenderlo in un gesto veloce - non lo conosco...quindi no!
Aileen stava per mettere il broncio e Ben frenò ulteriori proteste dicendo: - Per quello che mi riguarda potrebbe anche venire a prendervi Leonardo Di Caprio in persona e la risposta sarebbe comunque no!

Un rumore che Diana e Ben riconobbero all’istante si propagò dal piano inferiore, prima che una voce chiamasse: - Pixie? Murray? Dove siete? Qua è buio, per Merlino...Lumos!
Ben sbuffò e borbottò tra sè - Certo che è buio...il negozio è chiuso...
Diana sbarrò gli occhi e superò Aileen di corsa, prima che l’amica, con espressione perplessa, si avvicinasse alle scale.
- Freeeed! - lo salutò Diana con tono esageratamente alto chiudendosi la porta alle spalle e in faccia ad Aileen e correndogli incontro giù per le scale - spegni quella cosa!

Fred Weasley, infatti, saliva le scale con la bacchetta alzata come una torcia ad illuminargli il viso sorridente.
Diana si fermò davanti a lui e gli prese la mano per che teneva la bacchetta per abbassargliela e nasconderla dietro la schiena del ragazzo.
- Spegnila e comportati da persona normale! C’è Aileen!
- Nox - sussurrò Fred che con aria risentita proseguì- ma per chi mi hai preso? Mi comporto sempre da persona normale! E non c’è mica bisogno di saltarmi addosso, cioè, ok che non sai resistermi, però controllati! - e scoppiò a ridere.
Diana alzò gli occhi al cielo sbuffando e si morse un labbro dubbiosa, ma condusse Fred in casa.
- Ciao Weasley - lo salutò Ben roteando gli occhi al cielo - anche oggi qui? E io che speravo ti avessero rapito gli alieni...
Fred gli rivolse un falso sorriso dicendo: - Naaah, come faresti senza di me, Murray? Chi ti attaccherebbe messaggi d’amore sulla schiena?
Ben, che aveva in mano un cucchiaio di legno, lo puntò verso Fred con espressione minacciosa.

Diana si mise tra i due per evitare che iniziassero a battibeccare e presentò Fred e Aileen.
- Finalmente ti conosco! - le sorrise Fred - Diana mi parla sempre di te!
- Ah si? - cinguettò Aileen lanciando un’occhiata interrogativa a Diana - strano perchè invece di te non mi ha mai parlato!
Diana si grattò una tempia, preoccupata per come potesse andare a finire quell’incontro, mentre Fred la guardava storto.
L’espressione di Aileen si illuminò repentinamente, mentre affiancava Fred prendendolo per un braccio e lo trascinava davanti a Ben. 
Lo stomaco di Diana si ribaltò in un’acrobazia nell’osservare la scena.
- Signor Murray, e se Fred venisse con noi al cinema ci lascerebbe andare?
Ben soppesò le parole di Aileen e osservando Diana espirò: - Se ci tenete così tanto e se a Fred va di accompagnarvi...
- Certo! - esclamò Fred sorridente - non sono mai stato al cinema!
Aileen si voltò ad osservarlo stranita, mentre Diana sgranava gli occhi in quella che sperava fosse un’espressione eloquente e che parve funzionare perchè Fred corse ai ripari: - Volevo dire che non sono mai stato al cinema...qui a Edimburgo!
Aileen non parve convinta, ma emise un gridolino di gioia e tornando a rivolgersi a Ben esclamò: - Grazie signor Murray! Posso abbracciarla?
- No - rispose categorico Ben facendo due passi indietro e facendo ridere Diana per l’espressione spaventata che assunse - beh, visto che voi uscite, ne approfitterò anche io per...ehm...fare delle commissioni.

All’uscita dal cinema, a fine film, Diana e Aileen erano ancora in lacrime.
- Piantatela di piangere! - sbuffò Fred divertito.
- Io sto piangendo per l’adattamento cinematografico moderno che ha completamente snaturato l’opera shakespeariana! - esclamò Aileen adirata.
Fred arricciò il naso in una smorfia confusa e osservò Diana in cerca di aiuto.
- Lascia perdere - farfugliò Diana asciugandosi le lacrime - Aileen studia recitazione ed è un po’ paranoica quando qualcuno le tocca il vecchio William...

Dopo aver discusso in lungo e in largo di come avrebbero potuto salvarsi Romeo e Giulietta, Aileen fu accompagnata a casa e Diana e Fred tornarono al negozio Harvey.
- Ben non è ancora rientrato... - constatò Diana vedendo che mancava il giubbotto di Ben dall’attaccapanni dell’ingresso.
- Aspettiamolo! - propose Fred lanciandosi sul divano.

Diana si lasciò cadere sul divano mentre uno strano sollievo la pervadeva. La serata era andata bene, ma era rimasta sempre preda dell’ansia che Fred si lasciasse sfuggire involontariamente qualche affermazione ambigua sul mondo magico, quindi ora che erano soli si sentiva decisamente più rilassata.

- Perchè hai quella faccia da pesce lesso? - domandò Fred - stai ancora pensando a quel cretino di Romeo che si suicida pensando che Giulietta sia morta?
- No - ammise Diana rendendosi conto che loro due finivano sempre a parlare su un divano nel cuore della notte - stavo pensando che sei l’unico con cui riesco a parlare senza dovermi preoccupare di stare attenta a ciò che dico.
Fred la osservò e sembrava sinceramente sorpreso di quel discorso così sincero.

Era la verità: Aileen era la sua migliore amica, ma non poteva rivelarle l’esistenza del mondo magico e del Blackhole o l’avrebbe solo messa in pericolo; Ben non era propriamente una persona con cui si sarebbe confidata e, inoltre, lui non sapeva tutto. Non sapeva che Diana fosse in grado di utilizzare il Blackhole e, per il momento, lei preferiva che ne rimanesse all’oscuro. 
Se qualche mese prima le avessero detto che il suo unico confidente sarebbe stato Fred Weasley, si sarebbe messa a ridere di gusto.
E invece, non faceva altro che aspettare di trovarsi sola con lui per sentirsi veramente sè stessa.

Sorrise al vuoto che li separava e abbassò lo sguardo, perchè prima o poi ci sarebbe stato anche un altro discorso da affrontare e cioè che c’era ben altro oltre il vuoto tra loro, ma Diana, per quanto si sentisse più incline alle emozioni di quanto non fosse mai stata, non si sentiva di certo pronta ad affrontare gli strani sentimenti contrastanti che provava. 
E se avesse rovinato tutto? 
E se lui si fosse fatto solo una grossa risata senza prenderla sul serio?

Un passo alla volta: si ripeteva mentalmente.

- L’ho sempre saputo che prima o poi mi avresti adorato, tranquilla...dovevi solo arrivarci da sola! Certo che ce ne hai messo di tempo! Sei proprio tarda!- scherzò Fred interrompendo i suoi monologhi interiori.
Il cuscino del divano lo colpì in faccia un attimo dopo, posticipando ogni discorso serio che si era affacciato nella mente di Diana. 
- Raccontami ancora della faccia di Murray quando ha visto il foglio che gli abbiamo attaccato sulla schiena!

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ciao!
Voi direte: ci hai messo dieci giorni a scrivere questa mezza cagata? Ebbene si!
Settimana scorsa mi sono fatta ispirare da un negozio di antiquariato in cui sono entrata a curiosare :)
vabbe baggianate a parte che non importano a nessuno, questo capitolo mi serviva per tirare le somme di un po' di situazioni lasciate in sospeso...tipo Fred e Diana, Diana e Aileen e soprattutto per farvi un po' conoscere meglio il personaggio di Benjamin Murray...essendo un OC ci tenevo a descrivervelo in maniera decente! Poi mi direte voi!
giurin giurello che il prossimo capitolo sarà meno aria fritta e torneremo sulle vicende principali!
a presto! 
P.S. In questi giorni mi è preso anche il raptus di dare il titolo ai capitoli quindi troverete un titolo per tutti i vecchi capitoli già pubblicati! :)

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Capitolo 23
*** Osmosi ***


La mattina successiva, Diana dormiva ancora beatamente quando Aileen fece irruzione nella sua stanza e tirò indietro con un gesto secco le coperte.

- Tu-mi-devi-raccontare-tutto! - esclamò tutto d’un fiato scrollando Diana per farla svegliare.
- Ehi - protestò Diana cercando le coperte a tentoni, senza aprire gli occhi, e domandandosi perchè in quella casa tutti entrassero e uscissero a proprio piacimento tranne lei.
- Sono le undici e sei ancora a letto, tra l’altro completamente vestita come ieri sera - constatò Aileen con una mano sul mento e un tono da investigatrice - quindi ne deduco che tu e lo spilungone rosso abbiate fatto le ore piccole!
- Ben è rientrato alle due di notte e Fred ha aspettato con me che rientrasse - sbadigliò Diana mettendosi seduta - siamo rimasti sul divano a chiacchierare...posso tornare a dormire ora? - e agguantò le coperte per rifugiarsi nel tepore che le era stato così bruscamente strappato - è domenica!
- Che carino - commentò Aileen con un sorrisetto che si spense subito per lasciare spazio a una determinata furia, mentre nuovamente tirava via con uno strattone le coperte - e perchè io non so niente di questo Fred mentre lui sembrava sapere tutto di me? 
Diana, rassegnata, scrollò le spalle buttando le gambe giù dal letto e assumendo un’espressione disinteressata.
- E’ un amico e gli ho parlato di te - rispose semplicemente Diana ben sapendo che quella spiegazione non sarebbe mai bastata.
- Giusto e per la proprietà transitiva avresti dovuto fare lo stesso con me... - Aileen incrociò le braccia al petto - a meno che non ci sia sotto qualcosa! E a giudicare da come lui ti guardava ieri sera direi che c’è sicuramente sotto qualcosa...
- Perchè come mi guardava ieri sera? - squittì Diana in un tono un po’ troppo acuto e balzando in piedi come una molla, improvvisamente agitata.
Aileen ridacchiò: - Come uno che ieri sera sul divano non avrebbe voluto solo chiacchierare...
- Ma va, che stai dicendo! - Diana si mise a trafficare sulla scrivania spostando senza un preciso motivo la lampada e il portapenne come se, improvvisamente, la cosa fosse di vitale importanza - ti sei sicuramente immaginata tutto...
- No, lo sai che io in queste cose ci azzecco sempre! - protestò Aileen con sufficienza - e poi come ti chiama? Pixie...perchè sei la sua fatina...che teneeeero!
- Dio, Aileen smettila...non lo intende in quel senso... - cercò di spiegare Diana alzando gli occhi al cielo mentre sentiva le guance diventare roventi e meditava di nascondersi nell’armadio per sfuggire al terzo grado dell’amica.
- Quando pensavi di dirmelo che state insieme? - la incalzò Aileen ancora con le braccia incrociate e una mano che tamburellava sull’avambraccio con impazienza.
- Ma non stiamo insieme! Non so più come dirtelo! - esclamò Diana esasperata - non è successo niente! 

Aileen continuava a scrutarla minacciosa con le braccia conserte e uno sguardo che avrebbe fatto crollare anche il peggiore bugiardo.
- Ok, mi ha solo baciata una volta - Aileen sgranò gli occhi e allargò le braccia incitandola a continuare - ma era per farmi arrabbiare! Sai a lui piace fare scherzi, io mi arrabbio, lui si diverte ancora di più...insomma le cose vanno così... - spiegò Diana agitando una mano con la stessa noncuranza con cui avrebbe fatto la lista della spesa.
Non le sembrava il caso di soffermarsi su ulteriori dettagli, come il fatto che avessero dormito insieme: Aileen avrebbe trasformato il tutto in una questione di stato.

- Ti ha baciata?? E non mi dici niente?? E da quanto vanno avanti questi “scherzi”? - Aileen sottolineò l’ultima parola con delle virgolette immaginarie.
Diana si avvalse della facoltà di non rispondere mentre accendeva il mangianastri a tutto volume e la solista delle 4 Non Blondes urlava il ritornello di  “What’s up” coprendo le domande di Aileen.
- Non ti sento, Aileeeeen! - gridò Diana alzando ancora la musica e cercando di darsela a gambe.
- Ehi, dove stai andando? - gridò Aileen vedendo Diana uscire dalla stanza - non puoi sganciare questa bomba e pensare di non spiegarmi niente! 
- Oooh...senti, Benjamin mi sta chiamando! Deve avere proprio bisogno di me! - le urlò Diana dal corridoio.
- Non ti libererai di me - strillò Aileen ridendo e inseguendola in soggiorno.

Diana corse a nascondersi dietro il divano ridacchiando e sentendo il cuore farsi un po’ più leggero mentre una giornata grigia si colorava pian piano di tante sfumature.
- Ci ha messo la lingua? - Aileen non era intenzionata a interrompere l’interrogatorio.

Prima che Diana potesse rispondere, Ben comparve dalla cucina con uno sguardo scocciato e con le sopracciglia inarcate: - Chi ha messo la lingua dove?
Robert si affacciò dalla cucina poco dopo, sorridendo.
Aileen aprì la bocca per rispondere, ma Diana gliela tappò prontamente con una mano dicendo: - No, ma che lingua, Ben...avrai capito male! - sorrise a Robert, sinceramente contenta di vederlo - Ciao Robert!
Ben non parve convinto, ma scrollando le spalle tornò verso la cucina mentre Diana e Aileen, amichevolmente, si insultavano a gesti.
Robert rivolse uno sguardo eloquente alle due ragazze e in silenzio mimò il gesto di cucirsi le labbra, facendole sorridere.
                                                

I mesi di maggio e giugno, Diana li passò tra lavoro e studio, intervallati dalle visite di Fred, George e di Aileen.
Un bel giorno, l’amica si presentò insieme a Lyall, sentenziando che non se ne sarebbe andata fino a che lui e Diana non avessero fatto pace. 
Prima che si complicasse tutto con una serie di appuntamenti andati male, Lyall e Diana erano stati amici e lei sentiva davvero il bisogno di avere qualcun altro al suo fianco per non perdere ogni briciolo di sanità mentale.
Lyall si rivelò un po’ più permaloso di quanto Diana ricordasse, ma sembrava essersi davvero lasciato alle spalle la loro non-storia mai decollata, anzi le aveva anche raccontato di uscire con una ragazza. Non sembrava essere una cosa seria, ma Diana ne era stata enormemente sollevata.
Dopo tre o quattro sere passate tutti e tre insieme in camera di Diana, Aileen era riuscita addirittura a fare al ragazzo una specie di lavaggio del cervello per cui anche Lyall, ora la assillava con domande su Fred.

Una sera di fine giugno, Diana si trovava in camera sua. Stava guardando un film in TV sgranocchiando dei pop corn, raggomitolata sul suo letto con al fianco Antares, che guardava interessato il sacchetto frusciante. Il suo prolungato soggiorno alla Tana in compagnia di Molly Weasley gli aveva fatto prendere peso e ora Diana lo stava tenendo a dieta.
- Antares, hai già mangiato...non guardarmi così - Diana gli diede una grattatina tra le orecchie, mentre il gatto la scrutava con aria supponente.

Da dietro la porta chiusa, le parve di sentire Ben parlare con qualcuno, quindi spense la TV e restò in ascolto, interessata.
Antares drizzò le orecchie e osservò la porta.
Prima che Diana riuscisse a cogliere qualche parola, la porta della sua stanza si aprì lentamente e con un cigolio sinistro, lasciando insinuare il viso di Fred che indossava la sua miglior faccia da schiaffi.

Diana, per poco, non si ribaltò dal letto dallo spavento e esclamò: - Non ti hanno insegnato a bussare?
- Si, ma sarebbe stato molto meno divertente - le rispose Fred entrando in camera e richiudendosi la porta alle spalle.
- Avrei potuto essere nuda! - ipotizzò Diana scandalizzata dall’intrusione a sorpresa.
- Sarebbe stato ancora più divertente - sghignazzò Fred.
Diana raddrizzò la schiena guardando male Fred e cercando di darsi un contegno. 
Tutto il contegno che si poteva avere indossando un pigiama con dei gattini che indossavano occhiali da sole.

Tra l’altro, la sua stanza era un vero caos, quel giorno. 
Sulla scrivania aveva lasciato aperti i vari libri sulle pagine che aveva finito di consultare, un romanzo che stava leggendo era aperto sul letto con un angolo della pagina ripiegato per tenere il segno e sul comodino c’era il catalogo di una vecchia mostra artistica che Ben le aveva prestato.
Fred non parve notare nulla di tutto ciò, ma spostò il libro aperto, la spinse malamente di lato, sdraiandosi sul letto al suo fianco e facendo scappare Antares, che miagolò indispettito.

- Che stai facendo? - sibilò Diana imbarazzata, irrigidendosi e raggomitolandosi verso la parte più esterna del letto.
- Mi riposo - le rispose lui con gli occhi chiusi e le braccia dietro la nuca, a suo agio come se si trovasse a casa propria. Sempre tenendo gli occhi chiusi, Fred sorrise: - E non mi guardare così! Ho dormito più volte con te che con mia sorella!
- Hai gli occhi chiusi! Non puoi sapere come ti sto guardando! - si imbronciò Diana e, senza ottenere una risposta, riprese seccata: - E comunque ti stavo guardando male perchè hai messo le scarpe sul letto! - nel frattempo, stava cercando di spingergli giù le gambe dal letto senza successo, dato che le suole sporche stavano lasciando dei segni sulla coperta azzurro cielo.
Fred sbuffò contrariato prima di togliersi le scarpe scalciandole sul pavimento e poi, aprendo gli occhi e sfoderando un sorriso a trentadue denti, chiese - Meglio? 
Diana alzò gli occhi al cielo, ma sorrise.

Fred si voltò ad osservare il catalogo appoggiato al comodino, lo afferrò e lo aprì in una pagina casuale: - Chi è questo? - domandò indicando una pagina.
Diana si sporse verso di lui per vedere meglio: - “L’autoritratto” di Van Gogh...
- E perchè si è fatto un ritratto quando aveva mal di denti? - chiese Fred perplesso, sottolineando la presenza della benda bianca sul volto dipinto.
- Non aveva mal di denti - ridacchiò Diana - si era tagliato un orecchio dopo aver litigato con Gauguin...
Fred le rispose con un’espressione dubbiosa mentre appoggiava di nuovo il libro sul comodino: - Un altro giorno mi spiegherai se è normale per i babbani tagliarsi parti del corpo mentre si litiga...
- Ok...invece, tu anche oggi hai fatto a pugni con i vestiti nel tuo armadio? - chiese ironica Diana cambiando argomento e notando la camicia scozzese verde e rossa che sbucava da sotto il cardigan marrone con una greca nera orizzontale e dei pantaloni marroni.
- Non mi sembri proprio nella posizione di dare consigli di moda, oggi - rispose a tono Fred sogghignando e indicando il pigiama con i gattini di Diana.

La ragazza arrossì violentemente e per distogliere l’attenzione dal suo pigiama domandò: - Come mai George non c’è?
- Siamo gemelli, ma non siamo mica siamesi... - si fece più serio e aggiunse - comunque aveva da fare, non ho ben capito cosa o con chi...ci sarà di mezzo qualche ragazza, non so... - poi cambiando repentinamente argomento chiese: - Come va con Indiana Jones?

Diana sbuffò una risata, perchè anche Fred non aveva tardato ad affibbiare un nomignolo a Ben dopo che facendo zapping si erano imbattuti ne “I predatori dell’arca perduta” e che Diana ebbe spiegato in cosa consistesse il lavoro di Ben.
- Mmh...solito... - bofonchiò Diana - guarda che non è male se lo conosci bene...magari se la smettessi di fargli scherzi...
- Piantala! Ti ho visto che ridevi l’altro giorno quando gli ho incollato le dita ai tasti del pianoforte! - poi tornando serio le domandò: - Ti va di allenarti?
Diana inarcò un sopracciglio interrogativa.
- Con il Blackhole - specificò lui.

Diana aveva espresso più volte la sua nostalgia per gli allenamenti con Bill e Fred si era già offerto più volte volontario per sostituire il fratello.
- Ne abbiamo già parlato... - sbuffò lei ripensando a quando lo aveva quasi lanciato giù da una scogliera - non vorrei farti male.
- Ti sei proprio affezionata a me, allora, Pixie - esclamò lui con espressione soddisfatta, prima che la carta appallottolata del pacchetto di pop corn lo colpisse sul naso.
Diana si alzò in piedi di scatto e con espressione di sfida sbottò: - Va bene, accetto, Weasley! Mi è venuta un’inspiegabile voglia di farti del male!
- E quando mai... - Fred sghignazzò iniziando a rimettersi le scarpe.
- Mi cambio e scendo - gli comunicò lei mentre già apriva l’armadio per cercare dei vestiti comodi.
- Ok - le rispose Fred, in piedi in mezzo alla stanza a sfogliare il romanzo che poco prima si trovava sul letto di Diana  - io aspetto qui.
Diana lo guardò in modo eloquente, prima di spingerlo fuori dalla camera con Antares che lo seguiva miagolando, sperando in una razione extra di cibo.
Da dietro la porta chiusa sentì Fred ridere e dire ad Antares: - Andiamo di sotto, grassone!

Diana sorrise tra sè e sè mentre si toglieva il pigiama: nonostante lei e Fred continuassero a battibeccare per ogni cosa, lui riusciva sempre a risollevarle il morale. 
C’erano giornate più difficili di altre. Giornate in cui non riusciva a fare altro che pensare a quanto le mancasse zia Karen, ma poi Fred o Aileen o Lyall passavano a trovarla e tra una risata e l’altra si accorgeva che tutte le giornate brutte finiscono per dare spazio a un nuovo giorno.
Era questo a cui pensava tutte le sere prima di addormentarsi, con un debole sorriso che le affiorava sulle labbra.
Lentamente aveva iniziato a rendersi conto di desiderare di passare più tempo con Fred. 
Che le sue visite durassero più a lungo. 
Quando a causa del lavoro, lui non riusciva a passare a trovarla, Diana, senza volerlo, sentiva il proprio umore precipitare in picchiata.
Ovviamente, non aveva mai rivelato nessuna di queste sensazioni al ragazzo, perchè ammettere che si era affezionata a lui, le faceva paura, perchè alle poche persone a cui teneva erano capitate solo cose brutte. 
In più, Diana non era mai stata in grado di parlare dei propri sentimenti: l’idea di andare da Fred e dirgli “Ehi, dobbiamo parlare di quello che è successo tra noi” la spaventava a morte. Si immaginava già la scena di lui che scoppiava a ridere o la prendeva in giro e lei che, come risultato, si sarebbe sotterrata la testa come uno struzzo. 
Desiderava ardentemente che ci fosse un altro modo perchè lui capisse cosa le passava per la testa.
Un modo meno imbarazzante.
Perchè non si poteva semplicemente comunicare tutto con una stretta di mano?
O per osmosi: come aveva studiato a scuola durante le lezioni di chimica.

Quando Diana si presentò in soggiorno, indossando un paio di jeans e una maglietta nera, Ben si stava alzando dal pianoforte per mettersi la giacca.
- E’ di sotto - si limitò a comunicarle fissandola intensamente - visto che uscite, vado anche io a...
- ...fare delle commissioni - terminò per lui Diana sbuffando e domandandosi che diamine di commissioni avesse da fare Ben di sera, ma non fece altre domande perchè lui non avrebbe fatto altro che risponderle in maniera evasiva, come ogni volta.

Diana raggiunse Fred al piano terra, mentre lui era chinato a ingozzare di croccantini Antares, che in visibilio, si strusciava sulle gambe del ragazzo con aria trasognata.
- Anche i gatti non possono resistermi - si giustificò lui sorridendo.
- Finchè li rimpinzi di cibo fino a scoppiare... - commentò Diana togliendo dalle mani di Fred la busta di croccantini prima che Antares varcasse la soglia del Nirvana.

Diana si aggrappò all’avambraccio di Fred, in attesa della solita sensazione di nausea provocata dalla materializzazione.
Apparvero su una collina deserta e disabitata fuori Edimburgo e mentre si incamminavano in una zona un po’ più riparata, Diana ruppe il silenzio dicendo: - Ben mi ha guardata in modo strano quando sono uscita...
- Sarà perchè gli ho detto che ti portavo fuori per un appuntamento - alzò le spalle Fred sorridendo.
- Coooosa?? - esclamò lei sgranando gli occhi e fermandosi di colpo.
- Dai Pixie, cosa gli potevo dire? Che ti portavo su una collina appartata e buia ad allenarci con un manufatto oscuro? Sarebbe stato molto più equivoco... - rise lui.
Diana si limitò a scrollare la testa senza dare la soddisfazione a Fred di vederla andare fuori di testa: - Dai muoviamoci che ti faccio nero!

Non usava il Blackhole da parecchio tempo e sentire ancora quel potere percorrerla come una scossa elettrica la faceva sentire stranamente euforica. Se poi poteva fare il culo a Fred, tanto meglio.
Lui non era bravo nella lotta come Bill Weasley, ma era comunque un valido avversario e compensava con la rapidità nell’usare gli incantesimi e con la materializzazione. Un momento era in un punto e un attimo dopo se lo trovava alle spalle, senza nemmeno rendersene conto.
Dopo svariati tentativi, Diana non era ancora riuscita a colpirlo. 
Iniziava ad avere la vista sfocata e digrignava i denti per lo sforzo: era decisamente fuori allenamento.
L’espressione divertita di Fred non faceva altro che innervosirla e deconcentrarla.
- Non vorrei farti troppo male - la prese in giro lui alzando la bacchetta per scagliare quello che ormai Diana conosceva abbastanza bene come uno Schiantesimo.

Il lampo di luce rossa esplose verso Diana, che srotolò la catena e pose sulla traiettoria dell’incantesimo il vecchio orologio, che sfrigolando e vibrando assorbiva la forza dello Schiantesimo emanando un raggio di luce e deviando al suolo ciò che rimaneva dell’incantesimo lanciato da Fred
Il terreno tremò leggermente e l’onda d’urto si riverberò nell’aria estiva facendo barcollare Fred, che assunse un’espressione sorpresa. Diana ne approfittò per colpirlo con un raggio di energia abbastanza potente, tanto che lui dovette usare un incantesimo di protezione che si sfaldò poco dopo, dandogli il tempo di smaterializzarsi alle sue spalle.

- Non male, Pixie - si complimentò lui ansimando e sorridendole.
Quando tornarono a Edimburgo, Victoria Street era insolitamente silenziosa e vuota per una sera d’estate. Il cielo era chiazzato di nuvole che lasciavano intravedere qualche stella solitaria e velata.
- Non pensi sia strano che nessuno sia ancora venuto a cercare il Blackhole? - chiese Diana pensierosa - insomma, dopo il sogno di Harry pensavo che...
- Si è strano - constatò Fred interrompendola e pensando che sarebbe stato meglio non raccontarle ciò che Harry aveva visto in sogno qualche mese prima - ma magari Harry si è sbagliato, oppure Tu-Sai-Chi è impegnato con altro...

Si riusciva ad intravedere una luce accesa attraverso la porta sul retro del negozio Harvey.
- Ma che... - domandò Diana a Fred facendogli notare la stranezza. 
- Sarà solo Ben che è rientrato e che ti aspetta sveglio... - cercò di convincersi Fred, ma nella mano destra teneva già la bacchetta pronta.
Lui entrò per primo e Diana lo seguì.

Ben Murray, avvolto nella solita maglietta nera, era appoggiato al bancone con aria preoccupata e al suo fianco c’era George Weasley, pallido e serio.
- Che succede? - chiese Fred al gemello in tono sospettoso per poi posare lo sguardo su Ben.
- Ginny ha mandato un gufo da Hogwarts - gli spiegò asciutto George limitandosi a fare un cenno di saluto a Diana.
C’era proprio qualcosa che non andava se George non si perdeva in battutine idiote.
- Harry e Silente hanno lasciato la scuola stasera. Il Marchio Nero è comparso sopra a Hogwarts - continuò George torcendosi le mani, nervoso - Ginny ha radunato il vecchio Esercito di Silente, ma non credo possa bastare...
Fred sgranò gli occhi, iniziando a tamburellare nervosamente un piede sul pavimento.
- Dobbiamo andare a dare una mano - convenne Ben serio appoggiandosi con entrambe le mani al bancone.
- Si - le voci di Fred e Diana risuonarono in coro e i due ragazzi si guardarono. Fred, a dire il vero, la fulminò con lo sguardo. Diana aveva parlato senza pensare. Voleva aiutare e fare la sua parte. Anche Ben la stava guardando senza capire.
- Dove vorresti andare, scusa? - le chiese Ben incredulo.
- Posso dare una mano, Ben! - protestò Diana stringendo il Blackhole.
Ben abbassò lo sguardo sulle mani di Diana e poi tornò a guardarla negli occhi con aria confusa.
- Lo posso usare! Mi sono allenata...
- Perchè non me lo hai detto? - sbottò Ben nel tono più duro che Diana gli avesse mai sentito usare nei suoi confronti.
Diana cercò Fred e George con lo sguardo e poi alzò le spalle perchè non aveva una vera e propria risposta.
- Io vado, Freddie - disse George con determinazione tirandosi fuori indenne dalla discussione.
Fred guardò Diana e poi, con aria combattuta disse: - Vengo con te, Georgie! - si rivolse poi a Ben: - Tu resta con Diana.
Ben lo guardò storto e aprì la bocca per rispondere, perchè non era abituato a sentirsi dire cosa fare, specialmente se quel qualcuno era uno che a stento sopportava.
- Voglio venire con voi, Fred! - esclamò Diana con voce tremante.
- No - rispose secco Fred - è pericoloso! Devi rimanere al sicuro, qui con Ben!

Diana si limitò a osservare Fred con sguardo penetrante. Non era più indifesa. Ma era davvero pronta a combattere contro qualcuno che l’avrebbe colpita per farle male sul serio e non solo per allenamento? 
Non ne era certa. 
Non voleva creare altri problemi. 
Non voleva che qualcun altro si facesse male per colpa sua. 
La paura che Fred e George rischiassero la vita le attanagliò le viscere. Il solo ricordo di quando il Marchio Nero era comparso proprio lì, quasi un anno prima, le fece venire la pelle d’oca. Con lo sguardo cercò gli occhi di Fred. Non aveva il coraggio di chiedergli di restare, quindi si limitò a fissarlo in una muta richiesta, carica di tristezza e preoccupazione, serrando le labbra.

- Ci sono i miei fratelli. Devo andare - si giustificò lui passandosi una mano tra i capelli in preda all’angoscia.
- Dai.. - cercò di mettergli fretta George nervoso, dandogli una pacca sulla spalla.
- Dammi due minuti - sussurrò Fred al gemello accennandogli con il capo l’espressione spaventata di Diana.
George fece due passi indietro e si avvicinò a Ben guardando di sottecchi la scena.

Diana continuava a guardare Fred, immobile come una statua, mentre sentiva le lacrime pizzicare e un groppo alla gola. 
L’idea che potesse succedere qualcosa di brutto le diede una spinta di coraggio che non credeva di possedere: - Fred, aspetta io...ti devo parlare...
- Devo andare...parliamo quando torno, ok? - la interruppe lui in tono combattuto facendo un mezzo passo verso Diana, ma lei fu più veloce.
Con una piccola corsa si slanciò verso Fred e, sollevandosi sulle punte dei piedi, gli gettò le braccia al collo, stringendolo in un abbraccio. 
Probabilmente, lui rimase sorpreso dal gesto, perchè per un attimo restò immobile, con le braccia lungo i fianchi, prima di avvolgerle intorno alla vita esile di Diana e di stringerla a sè, appoggiando il mento sulla sua tempia.
In quel momento, Diana avrebbe voluto essere stata meno codarda e aver avuto il coraggio di affrontare prima il discorso in sospeso tra loro.
Ma non c’era più tempo.
- Non provare a non tornare - lo minacciò debolmente Diana con il viso premuto contro la clavicola di Fred. Avrebbe voluto dire molto altro, ma si limitò a una vuota intimidazione per non sprofondare nell’angoscia.
Istintivamente si limitò a stringerlo più forte, come se per osmosi lui potesse capire quello che provava. Forse funzionò, perchè sentì il ragazzo chinarsi a sorridere tra i suoi capelli e mormorare: - Ti prometto che tornerò a tormentarti.
Un colpo di tosse e una risatina alle spalle di Fred fece sciogliere il loro abbraccio.
George, in tono ironico, stava dando un colpetto con il gomito a Ben e disse: - Non capisco tutta questa preferenza, dal momento che siamo identici.
Diana gli fece un gestaccio prima di esclamare: - Torna tutto intero anche tu, George!
E poi li guardò smaterializzarsi: entrambi avevano il solito sorriso spavaldo, stavolta velato dalla preoccupazione. 

Diana era rimasta con lo sguardo fisso nel punto in cui Fred e George erano spariti per un po’ di tempo.
- Beh - tossicchiò Ben alle sue spalle - visto che stanotte di dormire non se ne parla, vado a preparare il caffè, ti va?
- Si, grazie, Ben. Una tanica, direi! - e lo seguì al piano di sopra sentendo il viso contrarsi in un sorriso forzato.
- Anche Robert sta andando a Hogwarts - sospirò a fatica Ben mentre mescolava la sua tazza di caffè con sguardo assorto, seduto sula poltrona.
Diana si morse un labbro aggiungendo mentalmente alla lista delle persone di cui preoccuparsi il nome di Robert Murray e si sentì terribilmente in colpa, perchè se non fosse stato per lei, anche Ben sarebbe stato di sicuro in viaggio verso Hogwarts insieme al fratello.
- Se la caveranno - cercò di tirarla su di morale Ben e cercando di convincere anche sè stesso - tutti quanti.

Rimasero svegli tutta la notte. 
Non appena Diana tentava di alzarsi per prendere altro caffè, Ben agitava la bacchetta per far sfrecciare una nuova tazza verso di lei, come se sapesse in anticipo cosa lei volesse fare.
Il divano si fece improvvisamente scomodo e quindi Diana si andò ad appollaiare sul tavolo del soggiorno, mentre Ben prendeva il suo posto sul divano; poco dopo Diana era seduta sul pavimento a gambe incrociate e Ben era in piedi a scrutare fuori dalla finestra.
 La stanza avvolta dalla luce soffusa si riempiva lentamente di sospiri e sbuffi d’impazienza, mentre entrambi tornavano a sedersi l’uno sulla poltrona e l’altra sul divano, uno di fronte all’altra.
- Diana - Ben spezzò il silenzio carico di tensione - perchè non mi hai detto che riesci ad usare il Blackhole?
Diana spostò lo sguardo sul pavimento mordendosi un labbro: - Non lo so...non c’è un vero motivo!
Ben non sembrava soddisfatto della risposta: - Avresti dovuto dirmelo...
- Ok, va bene! - scattò Diana già nervosa per l’attesa priva di notizie da parte di Fred e George - mi dispiace, va bene? - e prese a mordicchiarsi l’unghia del pollice, un gesto che aveva ereditato da zia Karen.
- Stai tranquilla, quei due se la caveranno - provò a confortarla Ben con l’espressione di chi quasi desiderasse il contrario.
Diana emise un sospiro profondo mentre si appoggiava allo schienale del divano e domandò: - Ben, sai qualcosa dei Blackhole?
Ben si sporse in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia e inclinando la testa di lato come se stesse decifrando un’iscrizione di geroglifici: - Qualcosa - rispose asciutto.
- Tipo? - lo incalzò Diana sempre più nervosa.
- Tipo che non è una buona idea ciò che stai facendo...
- Si lo so - sbottò Diana - è pericoloso, potrei farmi male e blablabla...me lo hanno già detto! Dimmi qualcosa che non so.
- Non so cosa sai perchè con me non parli! - Ben aveva trasformato il solito tono di voce basso e imperturbabile in una specie di ruggito che era esploso prima che Diana se ne rendesse conto.
L’esclamazione vibrò e aleggiò nell’aria, lasciando Diana stupita.
- Non è semplice parlare con te... - ammise Diana - e non pensavo ti importasse...
Ben si limitò ad osservarla con gli occhi neri e profondi, mentre si passava una mano tra i capelli con aria tormentata.
Diana, seduta sul divano color senape, rimase a fissare Ben Murray, pensierosa.
- Vedrai che anche Robert starà bene! Se vuoi raggiungerli...io...me la posso cavare da sola per qualche ora! - provò a dire Diana allungando una mano e appoggiandola sul ginocchio di Ben per confortarlo.
Per osmosi.
- No - sentenziò Ben alzandosi di scatto - non puoi rimanere qui da sola - e poi prese a camminare avanti e indietro nel soggiorno, tanto che Diana pensò che a un certo punto avrebbe scavato un solco nelle assi del pavimento.
Quell’abbozzo di conversazione rimase mutilata e incompiuta a penzolare tra loro.

L’orario di apertura del negozio arrivò in un lampo insieme alla consapevolezza che non avevano ancora nessuna notizia da Hogwarts.
Vagando come una sonnambula, Diana scese ad alzare la serranda.
Rimase a guardare Victoria Street inondata dalla luce del mattino, come se si aspettasse di vedere Fred risalire sorridente la via. 
Si sentì attraversata da un brivido quando si rese conto che avrebbe dato qualsiasi cosa perchè quella visione fosse realtà.

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Buonasera ;)
Complice dei giorni tranquilli sono riuscita a scrivere un bel po'!
La prima parte è ancora un po' spensierata, mentre la seconda ci riporta di nuovo alle vicende principali e a guai in vista!
Ditemi che ne pensate...a me sembrava decente, ma come sempre dopo l'ennesima rilettura fino a farmi venire la nausea, non ne sono più molto convinta...
A presto :)
  P.S. https://youtu.be/6NXnxTNIWkc per chi non la conoscesse, al link c’è la canzone che copre le domande di Aileen :)

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Capitolo 24
*** La terza volta è quella buona ***


Il doppio “crack” della materializzazione risuonò nelle vie deserte del villaggio di Hogsmeade, mentre Fred sentiva ancora lo sguardo preoccupato di Diana pungergli addosso.
La notte era scura e l’aria era carica di tiepida umidità. 

Fred non potè fare a meno di notare subito l’inquietante teschio che si stagliava nel cielo, sopra al profilo del castello di Hogwarts, in lontananza. Trovava estremamente strano il fatto che pochi secondi prima stesse stringendo Diana tra le braccia, mentre in quel momento si avviava verso Hogwarts, senza sapere cosa avrebbe trovato una volta giunto a destinazione.
Deglutì e, in cerca di conforto, chiese al fratello: - Dici che Tu-Sai-Chi è lì?
- Non so... - si limitò a rispondere George guardando preoccupato in direzione della scuola - Bill ci aspetta alla Testa di Porco, muoviamoci.

Si incamminarono lungo la via principale per raggiungere il sudicio pub, che si trovava al limitare del villaggio, in silenzio.
- Merlino, siete più dolci della cioccolata di Mielandia - esclamò di punto in bianco George ridendo e alludendo all’abbraccio di poco prima rompendo il silenzio assordante e carico di tensione.
- Siamo amici - sbuffò Fred alzando gli occhi al cielo e spingendo la pesante e appiccicosa porta del pub.
- Ok - acconsentì George con aria di chi stava assecondando un folle - sei amico anche di Hermione, ma non ti ho mai visto sbrodolarle addosso così.
- Io non stavo sbrodolando! - esclamò Fred contrariato.

Un odore pungente di Whisky Incendiario, di muffa e di qualcosa di marcio li investì. L’interno del pub era deserto, ad eccezione di una snella figura dai capelli rossi legati in una coda seduta al bancone di legno lercio e del vecchio Aberforth che trafficava con dei boccali vuoti.
- Beh, non ti ho mai visto baciare Hermione per farla arrabbiare! - continuò George con aria serafica.
- Georgie, se non la smetti ti affatturo i peli del naso e te li faccio crescere quanto la barba di Hagrid! - lo minacciò Fred.

Non appena li sentì battibeccare, Bill Weasley si voltò verso di loro, trangugiò tutto d’un fiato l’Whisky Incendiario rimasto nel suo bicchiere, e alzandosi sentenziò: - Andiamo! - e poi si rivolse al vecchio barista - Facci gli auguri, Ab!
Il vecchio proprietario del locale si limitò a emettere un grugnito di disapprovazione.

Uscirono a passo svelto dal locale, dirigendosi verso Mielandia, il negozio di dolci. Il passaggio segreto che si trovava nella cantina del negozio, li avrebbe condotti dritti dritti al castello senza che nessuno se ne accorgesse.
- Diana sta bene? - si preoccupò Bill mentre Fred faceva scattare la serratura del negozio con un fluido movimento della bacchetta.
- Oh si... - rispose George al posto del fratello sogghignando - non vede l’ora che Freddie torni a casa a sbaciucchiarla un po’!
Bill ridacchiò nervosamente.
- Ti metterò una Caccabomba nel letto, la prossima volta che ti porti a casa una ragazza...  - sentenziò Fred sorridendo in modo inquietante a George e assaporando giá la vendetta - a proposito...dov’eri stasera?
George assunse una strana espressione evasiva che Fred riconobbe come la propria quando voleva distogliere l’attenzione da qualche danno che aveva combinato.
- Con Angelina... - tossicchiò George coprendosi la bocca con una mano.
- E basta? - domandò Fred stranito.
- Si, beh sai...dopo che qualche tempo fa è passata in negozio, ogni tanto ci siamo visti...per te è un problema?
- No, affatto - rispose prontamente Fred, realizzando che tra tutti i pensieri che aveva in testa, Angelina che usciva con suo fratello era decisamente tra gli ultimi della classifica.
Una volta scesi nella cantina di Mielandia, si infilarono nella botola per procedere lungo il tunnel umido e in discesa: Bill era davanti, Fred lo seguiva e George chiudeva la fila.

- Mi vuoi dire perchè ancora non vi siete messi insieme, tu e Diana - indagò George tallonandolo e, prima che Fred potesse protestare, lo bloccò: - e non provare a dirmi ancora che siete amici, perchè tanto non ci credo. Ti ricordo che ti conosco da prima che nascessimo! Sei praticamente...ossessionato da lei!
Fred sbuffò, continuando a camminare, ma voltandosi indietro per vedere George: - A parte il fatto che non sono ossessionato...E poi boh, che ne so...hai presente quando ti sembra che l’universo stia cercando di dirti qualcosa?
George inarcò le sopracciglia grattandosi una tempia: - E a te cosa sta dicendo l’universo? - poi si mise una mano dietro un orecchio e disse: - Ah..si, ecco lo sento anche io! Sta dicendo... - fece una pausa restando in ascolto e poi riprese - che sei un deficiente!
La voce di George rimbombò nel tunnel facendo ridere anche Bill, che stava ascoltando interessato il discorso.
- No...a me sta dicendo che forse non è una buona idea - sospirò Fred - ogni volta che siamo lì per...insomma per fare progressi, succede qualcosa di tragico! Prima la morte di Karen, e ora l’attacco a Hogwarts...la prima volta poteva essere una coincidenza, la seconda volta sfortuna...
- La terza magari è quella buona, no? - si intromise Bill incoraggiante, mentre George annuiva con vigore.
- Esatto! Che può succedere? Nella peggiore delle ipotesi potreste solo far eruttare un vulcano, far colpire la Terra da un meteorite oppure far fidanzare la Umbridge con Tu-Sai-Chi...
In risposta, Fred alzò le mani in segno di resa e, con espressione spaventata e disgustata dall’ultima eventualità, aggiunse: - E va bene...pensiamo a sopravvivere stanotte, poi le parlerò!
Bill gli rivolse un pollice alzato verso l’alto e aggiunse: - Male che vada ti stende con un altro pugno...
- Confortante... - commentò Fred sarcastico - tu si che sai come incoraggiare, Bill...

Il tunnel si inerpicò in salita, man mano che i tre si avvicinavano al castello, e quando sbucarono dalla gobba della statua della strega orba, al terzo piano, si resero conto che la scuola non era affatto come la ricordavano. 
Sembrava esploso il caos. Molti studenti correvano per i corridoi spaventati e risuonavano scoppi di incantesimi e piccole esplosioni. Altri studenti si aggiravano ignari, cercando di capire che cosa stesse succedendo.
La prima faccia nota che comparve fu quella della professoressa McGranitt che trafelata corse loro incontro dicendo: - Weasley, Weasley e Weasley. Non pensavo di dire mai una cosa del genere, ma sono contenta di rivedervi. 
Fece loro cenno di seguirla su per le rampe di scale e, quasi correndo, si diresse verso il corridoio che portava all’ufficio di Albus Silente.
Lì la battaglia infuriava.

Neville Paciock era riverso sul pavimento, boccheggiante, mentre Ron duellava con un Mangiamorte e cercava di difendere il povero Neville; Ginny stava schivando gli attacchi di Alecto e Amycus Carrow, che Fred riconobbe alle foto segnaletiche che da tempo popolavano le prime pagine de “La Gazzetta del Profeta”. In fondo al corridoio, Fred riuscì a scorgere Tonks che respingeva gli attacchi di un Mangiamorte biondo, mentre Lupin e Robert Murray tentavano di tenere a bada Fenrir Greyback.
Bill si slanciò subito di corsa verso Lupin, mentre Fred si affiancò a Ron.

- Sono arrivati i rinforzi, Ronnino! - lo apostrofò Fred ridendo e lanciando uno Schiantesimo. George arrivò alle spalle di Ginny deviando una Maledizione Senza Perdono indirizzata sulla sorella e, schiena contro schiena continuarono a combattere.
Anche se la battaglia infuriava, sentirono distintamente dei rumori e poi la porta dell’ufficio di Silente si spalancò. Ne uscirono Piton e Draco Malfoy: il primo aveva lo sguardo impassibile, come sempre, mentre il secondo era visibilmente scosso. Non scosso quanto Harry Potter, che apparve subito dopo alle loro spalle. 

Harry era furente e tremante e gridava a chiunque passasse di fermare i Mangiamorte, ma tutti i seguaci di Voldemort sembrarono battere in ritirata non appena videro Piton affrettarsi per lasciare la scuola.
Harry filò dietro ai Mangiamorte e Fred, George e Ginny lo seguirono appena riuscirono a prendere fiato, giusto in tempo per vedere la capanna di Hagrid andare in fiamme, mentre Piton, Malfoy e gli altri Mangiamorte si smaterializzavano, ormai lontani dai confini della scuola.
Ginny si avvicinò a Harry, il quale era sorretto da Hagrid. Harry aveva il viso e la maglietta ricoperti di sangue e sembrava sconvolto. Continuava a ripetere che qualcuno era precipitato dalla Torre di Astronomia.
Fred allungò il collo verso il punto che Harry stava indicando.

Una piccola folla sembrava essersi radunata lì, con in testa la professoressa McGranitt, che si teneva una mano sul petto e l’altra a coprirsi il viso.
Man mano che si avvicinavano al gruppetto assiepato nel cortile, la scena assumeva sempre meno senso. Tutti si bloccarono come congelati in un momento di puro terrore.
Un corpo era malamente riverso sulle pietre del cortile. La veste bianca macchiata di sangue, i lunghi capelli argentei sparsi, gli occhiali a mezza luna frantumati a pochi metri dal corpo, gli occhi azzurri sbarrati in un’espressione di mortale incredulità.
Fred sentì il sangue gelarglisi nella vene e cercò George con lo sguardo. Anche il gemello sembrava pietrificato dalla paura.

Albus Silente era morto.
Ma l’orrore non era terminato.
Lupin e Robert Murray stavano arrivando in cortile sorreggendo un corpo apparentemente privo di sensi. Era difficile riconoscere a chi appartenesse il viso sfigurato e coperto di sangue.
- E’ stato aggredito da Greyback - ansimò Murray passandosi il braccio del ferito intorno alla spalle per non farlo scivolare.
Fred sentì Ginny ghermirgli l’angolo della camicia per rimanere in equilibrio. Sotto la luce delle torce che illuminavano fiocamente il cortile di Hogwarts si scorgevano dei lunghi capelli rossi e un orecchino a forma di zanna, fin troppo familiari.
Profondi tagli grondanti sangue deturpavano il viso privo di sensi di Bill Weasley.
Quel Bill che poche ore prima camminava e rideva nel tunnel insieme a lui.
Fred si protese subito verso il fratello maggiore, mentre George prendeva il suo posto al fianco di Ginny e le avvolgeva un braccio intorno alle spalle. Dietro di lui, sentì Ron, che li aveva raggiunti in cortile, trattenere il fiato. Robert si scansò prontamente lasciando a Fred la presa sul fratello e, con Lupin, si diressero in infermeria.
Fred seguiva Lupin come un’automa, dal cortile, al corridoio e infine all’infermeria.
Ogni tanto si arrischiava a lanciare un’occhiata alle ferite sul viso del fratello, senza soffermarsi più di tanto sul sangue che scorreva copioso.
Quando finalmente lui e Lupin depositarono Bill sul letto, Fred si sentì stranamente stanco e svuotato.
George era già alle sue spalle, mentre anche gli altri ragazzi feriti, piano piano sciamavano in infermeria in un basso ronzio di bisbigli e sussurri indistinti.

L’alba era già passata da un pezzo quando Madama Chips abbandonò il capezzale di Bill, disteso sul letto dell’infermeria, per dirigersi a curare gli altri studenti, che per fortuna avevano riportato solo danni superficiali.
Arthur e Molly Weasley erano arrivati insieme a Fleur e si erano assiepati intorno al letto dove si trovava il primogenito Weasley.
Ron, Harry, Hermione, Ginny e Neville erano sui loro letti dell’infermiera, mentre Madama Chips si affaccendava da uno all’altro per prestare loro le cure e medicare le ferite.
Lupin, Tonks e Robert Murray stavano parlottando in tono basso e grave. Fred si avvicinò abbastanza per cogliere qualche stralcio di conversazione.
- Torno a Edimburgo - stava dicendo Robert con la fronte imperlata di sudore e la camicia una volta bianca, ora intrisa di sangue - devo avvertire Ben e Diana, saranno preoccupati...
- Vengo con te - sospirò Fred passandosi una mano sporca sul viso.
- Non vuoi rimanere con Bill? - domandò Robert perplesso e triste allo stesso tempo.
Fred scosse la testa: - Tornerò più tardi. Ho bisogno di una pausa...
In quel momento avrebbe voluto essere ovunque tranne che a Hogwarts. 
Magari a breve si sarebbe svegliato e si sarebbe accorto che stava vivendo solo uno spaventoso incubo. 
Albus Silente non poteva essere morto. 
Perchè se fosse stato davvero morto, significava che non c’era più nessuno a frapporsi tra loro e Lord Voldemort. 
Che Harry era in pericolo mortale. 
Che Hermione e tutti i Nati Babbani sarebbero stati perseguitati. 
Che Diana e tutti coloro che non avevano poteri magici avrebbero potuto essere torturati solo per divertimento. 
Che lui e tutta la sua famiglia sarebbero stati bollati come traditori del proprio sangue, schierandosi in difesa di Harry.

Robert e Fred raggiunsero a piedi i confini del territorio di Hogwarts e poi si smaterializzarono.
Comparvero al centro del negozio Harvey. 
Un trambusto dal piano di sopra e subito qualcuno si precipitò frettolosamente giù per le scale. 
Ben Murray, di solito dalla tenuta impeccabile, sembrava non aver chiuso occhio quella notte e aveva i capelli spettinati e il viso stanco.
Fred guardò con insistenza le scale alle spalle di Ben, aspettandosi di vedere qualcun altro corrergli incontro.
Alzando appena il mento in direzione della porta d’ingresso, Ben gli indicò la posizione dell’unica persona che gli interessava vedere.
Fred si voltò e vide Diana, che alzava la serranda del negozio e, dandogli le spalle, scrutava nervosamente Victoria Street con espressione preoccupata, così si diresse verso di lei, mentre Robert raccontava l’accaduto al fratello che ascoltava battendo ritmicamente le dita sul bancone di legno.
- Pixie - esordì lui alle spalle della ragazza con la bocca impastata dalla polvere respirata durante la battaglia. Lo sguardo annebbiato fu catturato dai lunghi capelli biondi sparsi sulle spalle e illuminati dalla luce del mattino.
Diana trasalì e si voltò a guardarlo. 
Quando il suo sguardo si posò sul viso di Fred, la ragazza portò una mano tremante a coprirsi la bocca, mentre gli occhi verdi lo percorrevano dalla testa ai piedi come a sincerarsi che fosse illeso.
Fred riuscì a cogliere fugacemente il proprio profilo riflesso nella vetrina del negozio. 
Non ricordava dove avesse lasciato il maglione, ma la camicia era strappata in più punti e al centro del petto c’era una grossa chiazza di sangue scuro per aver trasportato Bill in infermeria; i capelli e il viso erano ricoperti dalla polvere provocata dalle esplosioni degli incantesimi e sentiva il sangue gocciolare caldo da una piccola ferita alla nuca che non si era nemmeno accorto di avere. Lo sguardo che la sua immagine gli restituì era stralunato, stanco e spaventato.
Prima che Diana potesse chiedergli qualunque cosa, Fred la afferrò per un polso e la attirò a se per stringerla in un abbraccio. 
Aveva sentito le gambe improvvisamente pesanti nel vedere lo sguardo angosciato di Diana e continuò a tenerla stretta tra le braccia trasferendo il peso su di lei per tenersi in piedi. Per aggrapparsi e per non annegare nella sensazione di angoscia che gli si era annodata nel petto.
- Fred, che è successo? - mormorò lei spaventata tra le sue braccia mentre guardava il sangue inzuppargli il colletto della camicia e barcollava leggermente - st-stai bene?
Fred annuì e cercò di sorridere, mentre controvoglia scioglieva la presa su di lei.
Diana aveva due profonde occhiaie scure sotto agli occhi verdi. Probabilmente non aveva chiuso occhio tutta la notte. Si staccò leggermente da lei cercando di ricomporsi e, conducendola dentro al negozio, notò che si era mordicchiata le unghie e la pelle intorno alle dita fino a farsi sanguinare.
Le sorrise debolmente, sollevato per essere riuscito ad uscire indenne dalla battaglia.
Perchè mentre scagliava incantesimi a destra e a sinistra tra le mura del castello, pensava solo a riprendere il discorso che era rimasto in sospeso tra lui e Diana. Qualsiasi fosse l’argomento di cui lei volesse parlare. E se lei avesse cambiato idea, avrebbe parlato lui, come aveva promesso ai suoi fratelli.
Rimase a guardare Diana in silenzio, ripensando a Bill privo di sensi.
Probabilmente lei stava iniziando a pensare che lui avesse battuto la testa da qualche parte e avesse subito qualche danno irreversibile al cervello, perchè sentì la piccola mano della ragazza scivolare nella sua e stringerla con forza, come per dargli coraggio. 
Fred provò l’insensato impulso di baciarla.
Si morse il labbro inferiore per trattenersi, perchè Robert stava facendo un resoconto di quanto accaduto quella notte al fratello.
- Bill è stato aggredito da Greyback - riuscì finalmente a dire Fred amaramente, inserendosi nella conversazione.
Diana si portò una mano alla bocca. Greyback era un lupo mannaro e tutti sapevano che cosa poteva succedere se si veniva morsi.
- Sembra che non abbia subito danni permanenti, ma è presto per dirlo - continuò Fred con lo sguardo fisso sul pavimento. 
La mano di Diana era particolarmente morbida e tenerla nella sua lo faceva stranamente sentire calmo, anche mentre parlava di suo fratello aggredito da un lupo mannaro.
- Gli altri stanno bene? - lo incalzò Diana preoccupata dando un’occhiata alle loro mani strette l’una nell’altra, ma rinsaldando la presa - Harry? George?
Fred annuì e poi con la voce impastata e guardando prima Robert, Ben e, infine, Diana disse: - Stanno tutti bene, ma Silente è precipitato giù dalla Torre di Astronomia. 
Ben, che probabilmente aveva già appreso la notizia dal fratello poco prima, sembrava ancora sotto shock.
- Silente è morto - ripeté Robert Murray in tono lugubre - non c’è più nessuno che apertamente si opponga a Voi-Sapete-Chi.

Le parole di Robert si erano fatte strada nel petto di Fred scavando una caverna nel quale rimasero a echeggiare al pari di quanto avrebbero fatto in una stanza vuota.
Seguì un lungo momento di silenzio in cui nessuno riuscì a parlare, perchè tutti si stavano già domandando che cosa sarebbe accaduto dopo.
Nessuno aveva mai considerato una tale eventualità.
Nessuno aveva mai preso in considerazione l’ipotesi che in quella guerra non ci sarebbe stato Silente a guidarli.
Diana, che conosceva Silente solo per sentito dire, li guardava con aria triste e preoccupata.
Fred prese a disegnare dei piccoli cerchi con il pollice sopra il dorso della mano di Diana, mentre continuava a fissare il pavimento sentendosi assurdamente in pace con il mondo.

- Forse Scrimgeour riuscirà a resistere... - Ben cercò di riporre la speranza nel Ministro della Magia, mentre si sfregava gli occhi con le dita.
Robert scosse la testa demoralizzato dicendo: - Ben, è solo questione di tempo prima che il Ministero venga controllato da Tu-Sai-Chi...
Un pesante e freddo silenzio si depositò su tutti loro, ricoprendo la stanza come un’abbondante coltre di neve e cristallizzando le espressioni di Robert, Ben e Diana in maschere di angoscia e sconforto.
Fred teneva ancora stretta la mano di Diana nella sua, quando uno scampanellio annunciò il primo visitatore della giornata.

Robert si gettò addosso velocemente un incantesimo per rimuovere il sangue che ancora gli macchiava la camicia, voltandosi di spalle alla porta.
Fred si mise al riparo nel retro del negozio, trascinandosi dietro Diana, visto che la ragazza non accennava a lasciar andare la sua mano.
- So che volevi parlarmi prima che andassi via - iniziò a dire Fred concitato, prima che gli passasse il coraggio - ma devo prima dirti io una cosa...
Diana, in tutta risposta, afferrò un fazzoletto e cercò di ripulire il collo di Fred dal sangue, poi annuì, seria, e cercò di protestare: - Si però...
La ragazza si interruppe perchè la voce di Ben fece sobbalzare entrambi: - Che cosa ci fai qui? - il tono era aspro e sferzante, carico di un disprezzo che un cliente qualunque, neanche il più maleducato, mai si sarebbe meritato.

Sia Diana che Fred si sporsero dal retro per vedere chi si fosse meritato di essere apostrofato in quel modo, mentre Fred le toglieva dalla mano il fazzoletto per tamponarsi la nuca.
Lei si irrigidì appoggiando una mano allo stipite della porta aperta e spalancò gli occhi, mentre la mano che ancora era in quella di Fred, tremò come se fosse stata attraversata da uno scossa elettrica.
La ragazza aveva lo sguardo fisso sull’uomo che aveva varcato la soglia del negozio e che si guardava intorno come se si trovasse in un negozio di caramelle.
- Chi è quello? - chiese Fred sottovoce, esasperato dall’ennesima interruzione, mentre iniziava davvero a pensare che l’universo stesse cercando di urlargli qualcosa.
Diana non rispose, ma trascinò Fred con sè fuori dal retro e di nuovo al centro del negozio, proprio di fronte allo sconosciuto che aveva turbato la mattinata di tutti i presenti.

Era un uomo sulla cinquantina non tanto alto, dai capelli biondi striati di grigio e una barba ben curata, nonostante i fili argentei che la screziavano di grigio. 
Quando la sua espressione si aprì in un sorriso imbarazzato, Fred percepì qualcosa di famigliare. 
Un sorriso che aveva già visto. 
Gli occhi verdi dell’uomo si posarono su Diana, mentre lei aveva ormai conficcato le poche unghie che le erano rimaste nel dorso della mano di Fred.
Fred abbassò lo sguardo su di lei e notò quanto gli occhi di Diana somigliassero paurosamente a quelli dell’uomo che li  osservava sorridente.
- Ciao, piccola D - la salutò lo sconosciuto con un tono di voce che trasudava un’insensata confidenza.
Lei, d’altro canto, sembrava essere stata colpita da un incantesimo Pietrificus. 

Ben aveva la mascella contratta e gli occhi neri che guizzavano da Diana al nuovo arrivato.
Robert sembrava voler dire qualcosa, ma le parole rimasero irrimediabilmente incagliate nella sua gola: il risultato era che aveva già aperto due volte la bocca senza emettere alcun suono.
La neve calata poco prima con la notizia della morte di Silente, si era tramutata velocemente in una spessa e scivolosa lastra di ghiaccio.

Siccome nessuno accennava a proferire parola, Fred salutò l’uomo: - Buongiorno, lei è? - quando però la domanda aveva lasciato le sue labbra, Fred si era reso conto di conoscere già la risposta.
L’uomo allungò la mano per stringere quella di Fred dicendo: - Sono Daniel Harvey, il padre di Diana.

Fred Weasley riuscì solo a pensare che, sì, l’universo stava in tutti i modi cercando di fargli capire qualcosa e che, a differenza di quanto Bill potesse pensare, la terza volta non era affatto quella buona.

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ciao!
Oggi vi lascio un capitolo un po' cortino, ma abbastanza denso. 
Mi ha dato parecchio filo da torcere perchè questa settimana ho avuto ben poca ispirazione, ma in fin dei conti mi sembra accettabile! Il prossimo è già a buon punto e sarà parecchio lungo...potrebbe arrivare anche prima del previsto (sempre che non decida di cancellare di nuovo tutto come ho fatto con questo XD)
Ad ogni modo, la parte che riguarda Hogwarts ho deciso di non dilungarla molto perchè sono tutti fatti ben noti e non volevo annoiare (tra l'altro Fred e George ufficialmente non ci dovrebbero nemmeno essere...a dire la verità non sono citati, quindi ho fatto di testa mia...).
Vi aspettavate il ritorno del padre dell'anno? Immagino di si....ma che ne pensate?
fatemi sapere!
e grazie di cuore per tutti i commenti!
a presto!

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Capitolo 25
*** L’universo sta cercando di dirci qualcosa ***


Piccola D.

Il solo sentire il suono di quelle due parole fu come essere risucchiata in un viaggio nel tempo con destinazione la sua infanzia. 
Le sembrava di essere stata trasportata bruscamente in una vita precedente che ormai non le apparteneva più.
A quando sua madre era ancora viva e la famiglia Harvey era ancora unita. 
A quando si allungava in punta di piedi per afferrare il barattolo di marmellata all’albicocca e il padre, sorridendo le diceva: - Attenta, Piccola D.
A quando cadeva e suo padre era pronto a prenderla tra le braccia e confortarla, con quel suo tono gentile.
Erano ricordi così lontani che, da tanto tempo ormai, erano stati confinati in un piccolo angolo della sua memoria e, lì, erano stati abbandonati a ricoprirsi di polvere. Come se non fossero i suoi.

Piccola D.
Era così che la chiamava.
Prima.
Poi sua madre si era ammalata e suo padre era diventato quasi uno sconosciuto per lei.
Ma ora il suono di quelle parole quasi dimenticate era stato come una violenta frustata al suo cuore.

Daniel Harvey, dopo quasi dieci anni di silenzio e assenza, era lì, davanti a lei e le sorrideva.
Diana sentiva gli occhi di tutti puntati addosso, mentre l’unico rumore era il ticchettio del vecchio orologio appeso alla parete dietro al bancone del negozio.
Dato che il silenzio regnava ancora, Daniel si avvicinò a Diana con la mano tesa. Per abbracciarla, probabilmente.
Diana si ritrasse bruscamente, con lo sguardo fisso sulla mano tesa verso di lei.
Che cosa ci faceva lì? E che cosa si aspettava? Che lei gli corresse incontro felice, come se niente fosse accaduto?
Fred, istintivamente, si mosse verso di lei.

- Sono io, Diana... - cercò di dire Daniel Harvey con gli angoli della bocca incurvati lievemente verso il basso in un’espressione triste.
- Lo vedo - rispose Diana cercando di mantenere un tono di voce impassibile - che cosa ci fai qui?
- Ho saputo di Karen...possiamo parlare? - chiese Daniel Harvey con aria supplicante.
Fred la guardò in modo eloquente, come a chiederle il permesso di schiantare Daniel, ma Diana annuì al padre. Le labbra strette in una linea dura per trovare la forza di parlare.

- Fred... - riuscì ad articolare con la gola secca - va tutto bene...ci vediamo più tardi?
Non voleva che lui assistesse a un altro dramma famigliare.
Per un attimo, Fred rimase perplesso e, restituendole uno sguardo vacuo, rispose: - Non me ne vado.
- Per favore... - lo pregò lei in tono abbattuto - è tutto a posto...ci sono Ben e Robert. Vai a riposare...sarai esausto.
Fred lasciò scorrere lo sguardo tra Robert e Ben e, quest’ultimo gli fece un cenno di assenso con il capo. 
Un ringraziamento o un invito ad andarsene.
Fred sospirò, annuì e, chinandosi, le bisbigliò all’orecchio: - Mandami a chiamare da Ben con un Patronus, se hai bisogno. - e sparì nel retro per smaterializzarsi.

Ben Murray si affiancò a Diana e sguainò la bacchetta in un inaspettato movimento fulmineo puntandola verso Daniel e cogliendo di sorpresa i presenti.
- Benjamin - lo salutò in modo educato Daniel fissando con aria glaciale la bacchetta puntata sul suo petto - non è necessario alzare la bacchetta su un Magonò.
- Non si sa mai - rispose Ben con mano e voce tremanti di rabbia.
- Ben - lo richiamò all’ordine Robert, pacifista come sempre - diamo a Daniel il tempo di spiegarsi, prima di trarre conclusioni.
- Zia Karen è morta mesi fa - sputò Diana con rabbia - perchè sei tornato ora? Dove sei stato tutto questo tempo?
- L’ho saputo solo poche settimane fa... - Daniel sembrava in difficoltà - prima...ho avuto dei..contrattempi...

- Contrattempi? Non hai mai chiamato. Non mi hai degnata di una telefonata. Di una lettera. In tutto questo tempo. In dieci anni! - sbottò Diana furente allontanandosi indietro di un passo - e ancora prima non mi degnavi di uno sguardo. Non ho bisogno di te! 
Daniel abbassò lo sguardo velato dalla tristezza a fissarsi le punte dei piedi e poi mormorò tristemente: - Sei arrabbiata e lo capisco. Ne hai tutte le ragioni, ma sono qui per chiederti scusa. Per farmi perdonare e magari recuperare un po’ del tempo che abbiamo perso.

Prima che Diana potesse aprire bocca di fronte a quelle parole che non si sarebbe mai aspettata di sentire, Ben proruppe in una risata amara, di scherno, e con tono di sdegno abbaiò: - Sei tornato solo per il negozio, vero, Danny? Ora che Karen è morta sarebbe tuo, brutto stronzo!

Diana fissò Ben. Non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere da parte dell’imperturbabile, austero e rigido Ben Murray.
- E’ vero? - chiese Diana debolmente tornando a guardare il padre - il negozio è tuo?
- Legalmente, sì - spiegò Daniel Harvey - ma non sono tornato per questo...
- Beh, Daniel, devi ammettere che è abbastanza strano... - Robert stava cercando di far ragionare tutti quanti e far mantenere la calma.
- A chi vuoi darla a bere? - continuò a incalzare in tono velenoso Ben, i denti stretti in una smorfia spaventosa.
- Potrei dire lo stesso di te, Benjamin - cercò di rispondere a tono Daniel - sparisci per anni e poi ti fai vivo giusto in tempo per mettere le mani sul negozio della mia famiglia! Che tempismo!
Ben rise amaramente cercando con lo sguardo il fratello.
- Danny... - si intromise Robert - noi volevamo solo aiutare Diana e lo abbiamo fatto volentieri! Sei ingiusto!
- Oh, ma certo! Che due buoni samaritani che siete diventati! Credi che non sappia che tu - Daniel indicò Ben con la mano destra - sei un avido ladro menefreghista e che tu - indicò poi Robert - sei solo un inutile uomo senza spina dorsale?
In un batter d’occhio Ben, il viso distorto in una maschera di rabbia e lo sguardo carico di disgusto, afferrò Daniel per il bavero della giacca e con l’altra mano, gli puntò la bacchetta alla gola : - Ripetilo, sei hai le palle, Harvey!

- Ora basta! - gridò Diana con le lacrime agli occhi e facendo voltare i tre uomini verso di lei - smettetela subito! Ben, abbassa la bacchetta! Daniel, non azzardarti a parlare a Ben e Robert in questo modo!
La parola “papà” le era morta sulle labbra ancora prima che dalla sua bocca fosse uscito un suono. Era come sparita dal suo vocabolario.
Daniel Harvey parve solo lievemente turbato di essere stato chiamato per nome.
Ben sembrò tornare in sè e riacquistare lentamente lucidità, mentre Daniel Harvey si sistemava il bavero della giacca. Ben lasciò andare Daniel e guardò Diana confuso chiedendo: - Tu vuoi far finta di niente e permettergli di riprendersi questo posto?
- No - sbottò Diana - voglio solo che la smettiate di fare i bambini!
Daniel Harvey la guardava con espressione indecifrabile.
- Mi devi una spiegazione - sibilò Diana.
- Grazie, Piccola D - le sorrise Daniel. Sembrava un sorriso sincero e gli occhi parvero quasi lucidi di lacrime per quella che poteva essere una possibilità di spiegarsi. Poi Daniel si rivolse ai fratelli Murray e con un’espressione di trionfo annunciò: - Visto che sono tornato, potete anche fare le valigie...
- Col cavolo! - sbottò Diana freddamente - Ben rimarrà qui e dovrai chiedere scusa, per le cose che hai detto.
Daniel Harvey aprì la bocca per parlare, ma la richiuse immediatamente.
- Queste sono le condizioni - sentenziò Diana con un distacco che non credeva di riuscire a mantenere in quella situazione - prendere o lasciare.
Robert le appoggiò una mano sulla spalla stringendo appena la presa, fiero di come lei fosse stata in grado di fronteggiare la situazione.
Daniel Harvey annuì impercettibilmente e, di malavoglia, allungò una mano verso Ben per stringergliela in gesto di scuse.
Ben sorrise soddisfatto e stritolò in una morsa la mano di Daniel Harvey.
Robert sorrise a Daniel battendogli una mano sulla spalla: - E’ bello rivederti, Danny...

Più tardi, con una tazza di tè tra le mani e seduta sul divano, Diana fissava suo padre accomodato sulla poltrona di fronte a lei, senza riuscire a capacitarsi di averlo in carne ed ossa davanti a sè.
- Diana, dì qualcosa, per favore... - cercò di dire lui grattandosi il mento, a disagio.
- Non so cosa dire - ammise lei guardando fuori dalla finestra per ricacciare indietro le lacrime e sentendo Ben trafficare in cucina, dove probabilmente si trovava solo per avere una scusa per origliare la loro conversazione, dato che non sapeva cucinare nemmeno con la magia.
- Ascolta, sei scossa...lo capisco - provò a confortarla lui - possiamo parlare più tardi se preferisci...
- Preferirei non parlarti proprio - rispose gelida Diana - non l’ho fatto per dieci anni e...guarda un po’, sono viva lo stesso!
- Ok... - si limitò a rispondere Daniel con lo sguardo posato sulle mani intrecciate sul suo grembo - me lo merito...
- Non avrei dovuto permetterti di rimanere....- sospirò Diana tra sè e sè stringendo le dita intorno alla tazza e poi sollevando lo sguardo e cercando di risultare minacciosa domandò: - Perchè sei tornato?
- Per stare con te...appena ho saputo di Karen... - suo padre si prese la testa tra le mani - era mia sorella! Appena ho saputo quello che le è successo, non ho fatto altro che pensare a te.
- E in tutti gli altri anni a me non ci hai pensato? - sbottò Diana furente.
- Ho sbagliato, ma non volevo... - il padre si rabbuiò - non potevo permettere che ti succedesse qualcosa per colpa mia. Tu forse non ti ricordi quello che...
- Ricordo abbastanza - lo interruppe Diana caustica alzando una mano per evitare che il padre rivangasse situazioni che preferiva restassero sepolte.
- Io non ero in me, Piccola D...stare con Karen era la scelta migliore per te. Dopo la morte di tua madre...ho avuto dei problemi...
- Di che tipo? - si informò Diana in tono asciutto.
- Alcool, esaurimento nervoso, depressione...per tutto questo tempo sono stato a Londra, in un centro di recupero - Daniel abbassò lo sguardo come se si vergognasse di quanto aveva passato - non ero in grado di prendermi cura di te e mi vergognavo troppo per ammettere i miei problemi...ma ora, dopo tanto tempo, sto meglio...e non vedevo l’ora di tornare da te.

Diana si limitò a fissarlo intensamente. Non sapeva se credergli o no. Lo aveva odiato per così tanto tempo che venire a conoscenza del reale motivo per cui suo padre non era stato al suo fianco, la faceva sentire da schifo.
- Zia Karen non mi ha mai detto nulla... - ammise Diana amareggiata. Sentiva le mani tremare e la voce dal tono instabile.
- Le ho chiesto di non farlo - rispose prontamente Daniel - non volevo che tu avessi un’idea sbagliata di me...

Diana si limitò a fare una smorfia a quella confessione, perchè in tutta la sua vita si era comunque fatta un’altra idea altrettanto sbagliata. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani e deglutì il macigno che sembrava aver preso residenza nel suo petto: - Come hai saputo della zia? - Diana non voleva arrischiarsi a rivelare qualcosa, ma voleva che fosse suo padre a parlare. 
- Me lo hanno detto i dottori che mi seguivano... - spiegò Daniel. Sembrava davvero triste e abbattuto per zia Karen - è stata Karen a rivelarti l’esistenza del mondo magico? - si informò poi lui curioso.
- No - rispose secca Diana - è una lunga storia...perchè tu e la mamma non mi avete mai detto nulla? - la domanda fuoriuscì a bruciapelo.
Daniel Harvey si passò una mano ad accarezzarsi la barba: - Io e tua madre avevamo deciso di non dirti nulla fino a che non avessi manifestato qualche tipo di magia...
- Tu mi odiavi! - lo freddò Diana sbattendo la tazza sul tavolino e alzandosi di scatto. Il Blackhole sbucò fuori dai suoi capelli che fino a quel momento lo coprivano - non puoi tornare qui e pensare di farmi pena e che tutto sia sistemato!
- Lo hai tu, quindi... - constatò Daniel meravigliato alzandosi in piedi per vedere meglio il ciondolo e evitando il resto del discorso che Diana stava cercando di intraprendere.
Diana fece un passo indietro, portando una mano a coprire il ciondolo.
Suo padre sapeva qualcosa del Blackhole?
- E’ un ricordo di mamma - rispose asciutta lei senza sbilanciarsi - non pensavo che te ne ricordassi...
Daniel Harvey si strinse nelle spalle: - E come potrei? Gliel’ho regalato io!
Suo padre sorrise teneramente come se stesse rivedendo un’immagine davanti ai suoi occhi: - Mi ricordo come se fosse ieri, quando lo ha trovato tra i cimeli che un vecchio collezionista mi ha venduto! Tua madre aveva una vera e propria ossessione per gli orologi! Li adorava...di tutte le forme e le dimensioni! E poi aveva quella passione per l’astronomia che ti aveva trasmesso! Ti ricordi quella volta in cui siamo andati tutti e tre insieme al planetario? Eri così contenta...
Diana sentì le lacrime pungere nel ricordare il sorriso di sua madre e la giornata felice del suo ottavo compleanno, ma cercò di non farsi intenerire dalle parole di Daniel. 

Suo padre aveva almeno una vaga idea di ciò che sua madre aveva sempre avuto per le mani?
Si morse la lingua per non tempestarlo di domande.
Nonostante le rivelazioni di suo padre, non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine di lui che si era costruita durante gli anni e non riusciva a fidarsi del tutto delle parole di Daniel Harvey.

Quella sera, nonostante la paura, l’angoscia e la preoccupazione di quello che sarebbe potuto accadere dopo la morte di Albus Silente. dato che i Mangiamorte potevano ormai agire indisturbati, Diana aveva solo voglia di aprire la porta e scappare.
Non riusciva a stare in casa con Ben, Robert e suo padre, che si fissavano come dei lupi pronti ad azzannarsi.
Nessuno sembrava aver voglia nè interesse nel darle una spiegazione in merito al malcelato cattivo sangue che pareva scorrere tra i tre e Diana era stufa di essere imbottita di menzogne.
Le rivelazioni di suo padre l’avevano stancata più di quanto già non avesse fatto la notte insonne passata ad aspettare notizie da Hogwarts.
La situazione era troppo assurda e il clima era diventato tanto teso che l’aria all’interno dell’appartamento sembrava densa e irrespirabile.

Aileen non rispondeva al telefono e Diana non aveva il coraggio di essere così egoista da volere che Fred tornasse di nuovo da lei. Non dopo la nottata che doveva aver passato e non dopo quanto accaduto a Bill. 
Così compose il numero di Lyall.
- Harvey - la salutò lui allegro e meravigliato dall’altro capo della linea.
- Hai da fare? - indagò Diana con un tono che le uscì piuttosto intimidatorio.
- Mmh...no! - rispose Lyall perplesso da quella richiesta - Connie è uscita con un paio di amiche...perchè?
- Ti prego, usciamo! - lo implorò Diana - non fare domande!
- Ehm...ma tu mica non potevi usc- 
- Lyall! - Diana lo interruppe con evidente urgenza nel tono di voce.
- Ok, ok ti vengo a prendere - si arrese l’amico chiudendo la telefonata.

Diana si infilò dei pantaloni, una camicetta e le scarpe da ginnastica, recuperò una borsetta a tracolla, agguantò il giubbotto di pelle e scivolò silenziosa per le scale per sgattaiolare dalla porta sul retro, mentre sentiva le voci di Ben e suo padre, piuttosto concitate, provenire dal seminterrato.
Poteva benissimo immaginare la scena senza nemmeno vederla: Ben e Daniel che si fronteggiavano e Robert in mezzo che cercava di dividerli e tenerli buoni.
Raggiunse a passo svelto il punto in cui Victoria Street si tuffava in Grassmarket Square, dove Lyall la aspettava sulla vecchia auto di suo padre.

- Questa si che è una sorpresa, Harvey! - la apostrofò lui ridendo - non eri agli arresti domiciliari?
- Ti prego, Lyall - si lamentò Diana sbattendo la portiera - andiamo, prima che Ben si accorga che non ci sono. E’ stata una giornata surreale.
- Tu hai sempre giornate surreali! - la rimbrottò Lyall, mentre spingeva il piede sul pedale dell’acceleratore.
Diana ruotò la manopola del finestrino e l’aria fresca le scompigliò i capelli.
- Non voglio crearti problemi con Connie - Diana mise subito le mani avanti dato che la nuova ragazza di Lyall era già  diventata famosa per le scenate di gelosia che spesso gli faceva da quando aveva scoperto che lui passava la metà del suo tempo con lei e Aileen.
- Tranquilla - la confortò Lyall ingranando la marcia - Connie se ne farà una ragione...sembravi abbastanza disperata!

Lyall parcheggiò lungo il fiume e si rintanarono in un pub di Leith che avevano già frequentato un paio di volte, molto prima che Diana fosse prigioniera tra le mura di casa sua.
Sembrava una vita precedente: una vita dove la magia non esisteva, dove zia Karen era viva, dove lei non aveva idea di chi fosse Fred Weasley e una vita di cui suo padre non faceva parte.
- Cosa vuoi bere, Harvey? 
- Qualcosa di forte - borbottò Diana appollaiandosi sull’alto sgabello: i gomiti appoggiati al bancone a reggersi la testa e i piedi a penzoloni nel vuoto.
- Addirittura - commentò Lyall stupito e ordinando due birre.

Il locale era gremito di gente: Diana storse solo lievemente il naso all’idea che le sarebbe rimasta addosso la puzza di fumo almeno per una settimana, una volta uscita di lì.
Diana si affrettò ad afferrare il proprio bicchiere e a bere a generose sorsate, come se stesse trangugiando una medicina da finire il prima possibile.

- Ehi, vacci piano, spugna! - la blandì Lyall sempre più stupito - da quando bevi?
Diana si limitò ad alzare le spalle e fermò la barista, oltre al bancone, per ordinare del whisky.
Lyall continuava a guardarla con disapprovazione, mentre Diana pensava che rispetto al Whisky Incendiario, quello babbano era nulla. 
Il solo stare lì, fuori di casa, la fece già sentire meglio. In mezzo a tutta quella gente che rideva e parlava forte sollevando i boccali di birra, tra quelle pareti di legno scuro e con musica rock in sottofondo, i suoi problemi sembravano meno tragici di quanto fossero realmente.
Raccontò a Lyall di suo padre, sfogando tutta la rabbia per quel ritorno inaspettato. Andò avanti a parlare per parecchio tempo, mentre Lyall la fissava prima sbalordito, poi triste e poi arrabbiato. Raccontò di quanto si sentisse oppressa dalle regole di Ben e dalle cose che tutti sembravano continuare a nasconderle.
- Daniel non può tornare così e pensare che si possa riprendere dal momento in cui se ne è andato... - Diana stava blaterando per la decima volta quella frase dopo parecchi bicchieri di whisky, quando l’espressione di Lyall mutò nuovamente e il suo sguardo fu catturato da qualcosa alle spalle di Diana. 
Qualcosa che si trovava più o meno vicino alla porta d’ingresso del pub.
- Alto, capelli rossi e vestiti di pessimo gusto - sussurrò Lyall sogghignando e allungando la testa per vedere meglio - ci scommetto che è quel Fred che ancora non mi hai presentato...

Diana si voltò di scatto verso l’ingresso del locale sentendo l’whisky che aveva tracannato sciabordare nel suo stomaco, mentre il volume della musica si alzava e iniziavano le prime note di una vecchia canzone degli Eagles.
Fred Weasley era in piedi e si guardava intorno spaesato tra la calca che affollava il pub, allungando la testa in cerca di qualcuno.
Indossava una maglietta arancione che faceva a pugni con la felpa gialla, i pantaloni color marrone chiaro e i capelli rossi. Diana, leggermente brilla, riuscì solo a pensare che Fred aveva l’incredibile talento di riuscire a vestirsi sempre in modo orrendo. Nonostante tutto, non riusciva a non trovarlo sexy mentre si passava una mano tra i capelli e la sua espressione si rilassava nel notare Diana, prima di avviarsi nella loro direzione. 
Sexy? Scosse la testa, stranita e si ritrovò a sorridere per allontanare quel pensiero perverso. L’alcool stava davvero iniziando a fare effetto.
- Che ci fai qui? - chiese Diana rigirando tra le mani il bicchiere vuoto. Era il terzo o il quarto? E le birre quante erano state? Aveva perso il conto.
- Sono venuto a vedere se stavi bene... - spiegò Fred alzando la voce e chinandosi verso di lei per sovrastare il volume di “Heartache Tonight” - Ben era preoccupato...
- Sto benissimo - ridacchiò Diana - stavo solo brindando con il mio amico Lyall al ritorno del mio amato padre!
- Sei ubriaca - constatò Fred cercando di nascondere un sorriso.
- Ma che dici!! - esclamò lei con un tono di voce assurdamente acuto per farsi sentire - mi gira solo un po’ la testa!
Si alzò per dare prova del fatto che le gambe la reggessero, ma inspiegabilmente i suoi arti non collaboravano a dovere. La cosa la fece ridere a crepapelle, mentre dovette aggrapparsi a Fred per rimanere in piedi.

- Come hai fatto a trovarci? - chiese Lyall sinceramente stupito, dato che Diana gli aveva detto che Fred non era di quelle parti.
- Oooh, Fred è un mago - ridacchiò Diana estremamente divertita.
- Si, sono un mago a trovare le persone - si mise al riparo Fred, dando una gomitata a Diana per farla tacere, e sorrise affabilmente a Lyall dicendo: - Ti spiace se te la porto via?
Lyall si limitò a sorridere e a fare i pollici in su con entrambe le mani per dare il suo consenso.

Diana, però, in preda ad un attacco di ridarella, non aveva voglia di tornare a casa. Si sentiva incredibilmente euforica e non riusciva a smettere di ridere, anche se l’unica cosa che dentro di lei aveva voglia di fare era mettersi a piangere.
- Non voglio andare a casa! - lo pregò Diana spingendo in fuori il labbro inferiore in un’espressione che avrebbe dovuto essere convincente - rimani qui con noi, Freeeed!
Fred sospirò e tirò uno sgabello verso di sè per accomodarsi di fianco a Diana, che soddisfatta per averlo convinto, ordinò da bere anche per lui alzandosi in piedi. Quando Lyall si alzò per salutare degli amici, Fred le si avvicinò prendendola per un braccio.
- Mi sono smaterializzato così tante volte per cercarti che mi è venuto mal di testa... - la rimproverò lui con un sibilo - non farlo più! Ben era indeciso se ammazzare me, te o tuo padre...

Diana gli sorrise senza effettivamente capire perchè tutti si agitassero tanto: era lì e stava bene. Non era successo niente.
- Ora tu e Ben siete diventati amici? - blaterò Diana osservando uno dei bicchieri vuoti che aveva davanti a sè con le labbra bloccate in una smorfia di eccessivo disappunto.
Fred alzò gli occhi al cielo e domandò: - Come è andata con tuo padre? Anche lui era piuttosto preoccupato...
Diana agitò una mano limitandosi a evitare di rispondere, mentre si rimetteva a sedere e quasi finiva a gambe all’aria mancando lo sgabello e scoppiando a ridere.

Mentre Fred sorseggiava whisky babbano con un’aria disgustata, la musica degli Eagles fu rimpiazzata da una canzone dei Kiss.
Diana iniziò a tamburellare le dita sul bancone a tempo di musica, mentre l’alcool trascinava via con sè il ricordo della giornata che stava terminando e del fatto che suo padre fosse di nuovo nella sua vita.
Eppure non riusciva a sentirsi triste: agguantò il bicchiere vuoto e iniziò a cantare a squarciagola tenendolo in mano come un microfono e scuotendo la testa.
- Harvey, reggi l’alcool peggio di una tredicenne - commentò Lyall ridendo, mentre si accendeva una sigaretta - la prossima volta che ci sarà il karaoke, non voglio sentire scuse!
- Se hai tanta voglia di dare spettacolo, perchè non vai qui sopra? - propose Fred con aria diabolica indicando il bancone del pub.
Diana prese a ridere come se lui avesse detto qualcosa di estremamente divertente: - Siii, ceeerto! Ma sei matto?
- Ah, giusto! Non lo faresti mai perchè sei troppo noiosa! - la punzecchiò Fred con un sorrisetto di sfida.

Diana strinse lo sguardo per scrutare il viso sorridente di Fred, sentendo l’alcool nel suo stomaco vorticare come acqua di mare in tempesta: - Lo pensi tu - l’alcool rispose al posto di Diana e prese possesso delle sue gambe facendola arrampicare e mettere in piedi sul bancone con aria di chi avesse vinto la sfida più importante della propria vita.
Lyall scoppiò a ridere e i baristi iniziarono a protestare, mentre Diana si godeva "Rock and Roll all Nite" scuotendo la testa a ritmo di musica, perfettamente a suo agio in cima al bancone, mentre continuava a fissare Fred, che a sua volta la osservava dal basso in alto, sinceramente stupito.
Come se la vedesse per la prima volta.
Diana vedeva vorticare i presenti nel pub. Riusciva solo a distinguere la sagoma di Lyall che seduto al bancone si teneva la testa tra le mani ridendo sommessamente e quella di Fred, che la guardava con un’espressione sorpresa e divertita allo stesso tempo.
Si sentiva troppo stordita dall’alcool per provare il minimo imbarazzo.

- Ehi - protestò il proprietario del locale, furente, stringendo una mano intorno al polpaccio di Diana - scendi subito o chiamo la polizia!
Fred si alzò di scatto dallo sgabello e Diana si sentì afferrare per le gambe, per poi ritrovarsi di traverso su una spalla di Fred, con il sedere per aria e la testa verso il basso, mentre lanciava dei gridolini di protesta alternati a risatine idiote. 
Inspiegabilmente, il proprietario del locale che aveva cercato di afferrarla, si teneva la mano destra con una strana espressione dolorante, senza che nessuno lo avesse sfiorato.

- Freeed! Mettimi giùù - continuava a non riuscire a smettere di ridere.
- Ce ne andiamo..ce ne andiamo! - Fred borbottò trafficando con la mano dentro alla tasca della felpa, mentre il proprietario, ripresosi dalla fitta di dolore alla mano destra, rimaneva magicamente con la mano incollata alla cornetta del telefono senza riuscire a sollevare il ricevitore.
Diana scoppiò a ridere barcollando, mentre Fred la rimetteva a terra ghignando.
- Pixie, ricordami di farti bere più spesso! Diventi sorprendentemente simpatica dopo due bicchieri! - la prese in giro Fred.
- Quando vuoi, Weasley - gli rispose lei sentendosi particolarmente audace mentre sollevava un bicchiere vuoto verso di lui e gli faceva un occhiolino - intanto...scommessa vinta! - aggiunse mimando il gesto di depennare una voce da un immaginario elenco.
Fred si limitò a guardarla con un sopracciglio inarcato in un’espressione interessata, mentre Diana salutava Lyall e usciva dal locale.

- Puoi farmi il piacere di non andartene in giro da sola? - domandò Fred strattonandola per un braccio, mentre Diana cercava di attraversare la strada - dopo tutto quello che è successo oggi, ci manca solo che tu finisca sotto un auto...
- Oh...e va bene, papà! - esclamò Diana ridendo istericamente con la bocca impastata dall’whisky, ma quando pronunciò quella frase che doveva essere solo uno scherzo, la risata le morì sulle labbra. Non la pronunciava da anni e ora le suonava strana. Distorta. Sbagliata. Sbagliata come il fatto che suo padre fosse tornato prepotentemente nella sua vita. Tanto sbagliata da non essere riuscita a dirla al suo vero padre, quel pomeriggio.
- Ecco, magari non chiamarmi, papà... - sorrise Fred passandosi una mano sul viso esasperato.
- Non pensavo di chiamare ancora qualcuno papà, a dire il vero... - ammise Diana tristemente guardando Fred negli occhi e sentendo tutta l’euforia rimpiazzata da un’enorme ondata di tristezza che si infrangeva su di lei come le grosse e impetuose onde dell’oceano a Villa Conchiglia. In quel momento avrebbe fatto carte false per andare di nuovo a rintanarsi nel vecchio rifugio sicuro che era stata per lei quella casa.
Mise a fuoco il viso di Fred di fronte a lei, cambiando subito idea. 
No, non sarebbe più tornata a crogiolarsi nel dolore. 

Doveva essere parecchio tardi perchè dal pub cominciavano a riversarsi fuori un po’ di persone che, allegre, canticchiavano il ritornello di "I'm gonna be (500 miles)", le cui note arrivavano fino in strada.
A fatica, Diana increspò le labbra in un triste sorriso e Fred, stranamente a corto di parole, si limitò ad avvolgerle un braccio intorno alle spalle e a scompigliarle i capelli con aria comprensiva.
- Ti accompagno a casa, dai - si offrì lui con un caldo sorriso che smosse di nuovo l’whisky nel suo stomaco creando un’onda su cui Diana avrebbe potuto tranquillamente fare surf.
- Si però camminiamoooo - ridacchiò Diana mentre sentiva l’alcool parlare al suo posto - se ci smaterializziamo potrei vomitare anche il pranzo di Natale.
- Che schifo - constatò Fred ridendo mentre Diana si abbandonava di peso contro di lui.
La ragazza sentiva la testa vorticare furiosamente, ma camminare era estremamente difficile, quindi fu anche estremamente naturale che lei si scostasse per afferrare la mano di Fred e appoggiare la spalla di tanto in tanto contro il braccio del ragazzo come per mantenersi in equilibrio sulle proprie gambe. Fred la osservò dall’alto in basso indugiando sulle loro mani con un sorrisetto vagamente compiaciuto.

- Come sta Bill? - si informò Diana, dopo un po’ che camminavano in silenzio.
- Bene, è stato portato al San Mungo, l’ospedale dei maghi...io e George siamo passati prima ed era sveglio. Non dovrebbe aver subito la trasformazione, ma si saprà con certezza solo alla prossima luna piena - spiegò Fred in tono incolore osservando l’asfalto che sfilava sotto i loro piedi.
Diana annuì mentre la città di Edimburgo scivolava come uno sfondo teatrale tra loro. 

- Tu...come stai? - tentò Fred incerto - non sembri molto...in te.
- Era quella l’idea - ammise Diana con il viso ancora contorto in un sorriso che sfumava in una smorfia - non essere in me.
- E’ andata così male con tuo padre? - si informò Fred con tono tranquillo.
- Possiamo, per favore, non parlare di mio padre? - lo pregò Diana con aria sofferente - questa sera non ci voglio pensare!

Fred annuì e abbandonò l’argomento.
Il cielo era scuro e coperto di nubi che non lasciavano intravedere le stelle.
I lampioni gettavano su di loro una fredda luce elettrica che si riversava in nebulosi aloni a forma di cerchio sul marciapiede.
Con la coda dell’occhio, Diana guardò in direzione di Calton Hill, ricordando il giorno in cui aveva conosciuto Fred e tutto ciò che era capitato successivamente.

Fred continuava a essere silenzioso e dopo un po’ domandò: - Tu pensi mai che l’universo abbia qualcosa da dirti?
Diana lo guardò perplessa per quella domanda così stranamente seria.
Sembrava che lui si aspettasse una risposta sincera e lei non si sentiva abbastanza lucida per inventarsi una bugia.
Non davanti a Fred, con una notte insonne alle spalle e con l’alcool che le scorreva nelle vene.
- Si, nell’ultimo anno mi ha praticamente urlato continuamente “Diana sei una sfigata” - rispose prontamente lei come se stesse indicando una scritta immaginaria che aleggiava tra loro.
- Dai, ero serio! - sorrise Fred scuotendola un po’ per la mano che ancora stringeva per esortarla a dire la verità.
- Tu non sei mai serio - si imbronciò Diana dandogli un colpo con la spalla facendolo barcollare.

Per prendere tempo e per dare corda alla sensazione di euforia ed elettricità che sentiva nell’aria, Diana propose: - Facciamo una gara! Chi arriva primo là in fondo! - e indicò un punto in fondo alla via.
- Pixie, hai già perso! Posso smaterializzarmi là in un secondo... - le ricordò Fred con aria di superiorità.
Diana si fermò, lasciando andare la mano di Fred e si posizionò di fronte a lui, mentre con serafica tranquillità gli sollevava il cappuccio della felpa e ne prendeva i legacci stringendogli il cappuccio intorno alla testa, scoppiando poi a ridere nel vedere l’espressione di Fred: un misto tra confusione e sopportazione.
- E no, devi correre! Così non è mica valido! - continuò Diana imperterrita, come se vincere quella corsa fosse diventato il suo nuovo obiettivo nella vita.
- Non ti inseguirò, sappilo - protestò Fred cercando di risistemarsi il cappuccio della felpa.
- Neanche se ti rubo qualcosa di cui non puoi fare a meno? - lo sfidò Diana sentendosi sempre più audace.
Fred parve leggermente confuso e non si accorse che lo sguardo di Diana aveva puntato la bacchetta magica che si intravedeva dalla tasca della felpa. 
Con un gesto veloce, Diana gli rubò la bacchetta dalla tasca e prese a correre ridacchiando.
- Ehi! No! Diana, che fai? - protestò lui un po’ agitato e costringendosi a rincorrerla - ridammela!
- Prendimi, se ci riesci! - gli gridò Diana voltandosi indietro e continuando a ridere, mentre le sembrava di volare sopra quel marciapiede e sentiva Fred raggiungerla.
Dopo poco sentì un “crack” che conosceva bene e due braccia, che conosceva ancora meglio, afferrarla da dietro, mentre lui, con un sorriso di sfida annunciava: - Presa! E’ stato un gioco da ragazzi... - e le sfilava la bacchetta dalle mani.
- Hai barato! - si accigliò Diana.
- Non avevi comunque speranze!- si vantò Fred con un sorriso obliquo.
- Forse perchè volevo farmi prendere - rispose di getto Diana, prima di rendersi conto di non aver collegato il cervello alla bocca, ipnotizzata dal sorriso di Fred che continuava a provocare eventi atmosferici catastrofici nel suo stomaco.
Fred sorrise senza dire nulla. Sembrava che volesse lasciar parlare Diana come per vedere fino a che punto si sarebbe spinta. 

- Non voglio più camminare - si intestardì Diana di punto in bianco sbattendo un piede per terra e girando intorno a Fred. Si allontanò di qualche passo per prendere la rincorsa e aggrapparsi alle sue spalle con le braccia e avvolgendo le gambe intorno alla vita di Fred, che barcollò un po’ per la sorpresa ma la afferrò prontamente per le cosce.
- Pixie, sei molesta! - commentò lui ridendo e tenendola per le gambe - oltre che pesante come un Erumpent.
In risposta, gli arrivò uno scappellotto sulla nuca seguito da una risata.
- Prova a smaterializzarti e ti vomito qui dentro - lo minacciò Diana indicando il cappuccio della felpa di Fred.
- E tu provaci e ti faccio cadere - le rispose Fred facendo finta di lasciarla andare per riprenderla un attimo dopo, mentre Diana gridava e rideva esageratamente, prima di posizionare le mani a coprire gli occhi di Fred.
- Pixieee, non vedo niente! - esclamò lui muovendo la testa e cercando di sottrarsi alle mani che gli oscuravano la vista - se vado contro a un palo per colpa tua..
Diana lasciò la presa ridendo e si abbandonò con la testa appoggiata alla spalla di Fred.

Dopo qualche metro che passò ancora trasportata sulla schiena di Fred Weasley, Diana si rese improvvisamente conto della presenza delle mani di Fred sulle sue gambe.
Delle proprie braccia avvolte intorno al suo collo.
Della punta del proprio naso che sfiorava i capelli rossi.
Del proprio mento appoggiato tra la spalla e il collo del ragazzo.
Del proprio cuore che batteva così forte da spingerla a domandarsi se anche Fred riuscisse a sentirlo attraverso gli strati di stoffa che separavano i loro corpi.
Così si divincolò per scendere e proseguire a piedi, sentendosi repentinamente una totale idiota. 

Continuarono a camminare fino all’imbocco di Victoria Street. 
- Sei diversa stasera - Fred commentò la cosa come se ne fosse infinitamente affascinato e allo stesso tempo spaventato.
- Sono ubriaca e non ho dormito - si limitò a rispondere lei - questa mattina cosa dovevi dirmi?
Fred sospirò e, scuotendo la testa, disse: - Lascia perdere...tanto domani mattina nemmeno te lo ricorderesti...

Era ormai tarda notte e la strada era deserta.
- Fred... - sospirò Diana cercando di dare un senso alla strana tensione elettrica che sentiva nel petto - vuoi davvero sapere cosa mi dice l’universo? 
Molto probabilmente, Fred aveva ragione: difficilmente si sarebbe ricordata qualcosa di quanto accaduto quella sera. Si sentiva già sufficientemente galleggiare come se le varie parti del suo corpo non fossero collegate a dovere.
Lui annuì e si strinse nelle spalle, corrucciando leggermente le sopracciglia, quasi preoccupato.

Diana si accigliò, mentre giocherellava con la tracolla della borsa. 
Senza un preciso motivo, si mise a scendere e salire dal gradino che portava all’abitazione di Scott McDonald, perdendo puntualmente l’equilibrio. Si aggrappò a Fred e finalmente si mise in piedi sul gradino.
Con la mano destra, come per misurarsi, indicò la sua testa e poi quella di Fred dicendo: - Siamo alti uguali così...
Fred inarcò le sopracciglia, divertito, come se si stesse godendo uno spettacolo particolarmente avvincente.
- Vabbè, meglio così...perchè devo dirti cosa mi dice l’universo - sussurrò lei sentendosi il cuore galoppare trainato dalle redini della sbronza che aveva irrimediabilmente in circolo - però è un segreto...
Afferrò la felpa di Fred per attirarlo a sè e avvicinò le labbra al suo orecchio per sussurrare: - L’universo mi dice continuamente che non posso più stare senza di te - si ritrasse ridacchiando e sentendo le guance farsi più rosse che mai.
Fred la osservava con gli occhi leggermente sgranati e un sorriso estatico.
- Sei proprio ubriaca - si limitò a rispondere Fred con uno sguardo ipnotico che sembrava alternarsi tra i suoi occhi e le sue labbra.
- E a te cosa dice l’universo? - si informò Diana trattenendo il fiato in attesa della risposta, mentre il suo cuore correva ormai a briglie sciolte.
Fred scrollò appena le spalle e rispose: - Pensa che...anche a me ripete la stessa identica cosa che dice a te...
Diana ebbe la strana e assurda sensazione di sentire il proprio cuore battere in ogni parte del corpo, come se fosse diventato improvvisamente troppo grande e avesse bisogno di più spazio, oltre al solito che occupava nella cassa toracica. 

- Diana! - una voce ruggì sopra le loro teste facendo sobbalzare e allontanare entrambi.
Erano praticamente davanti al negozio Harvey e Ben, era affacciato al balcone con aria furente - vieni subito in casa!
- Arrivo - Diana si rattristò e scese dal gradino, mentre il cuore tornava bruscamente delle sue normali dimensioni.
Fred aveva stretto le labbra in una morsa per lanciare a Ben uno sguardo carico di rancore, mentre l’uomo tornava in casa senza nemmeno ringraziarlo per aver vagato per tutta Edimburgo per riportare Diana a casa.

Diana era già quasi sulla soglia del negozio, quando tornò sui suoi passi.
Con un saltello tornò sul gradino e avvicinò pericolosamente i loro visi.
Il cuore che tornava a battere ritmicamente in ogni angolo del suo corpo.
La luce elettrica del lampione sopra di loro, per magia, si spense. 
Incoraggiata dall’oscurità, Diana sospirò: - Grazie per essere sempre nel posto giusto al momento giusto - poi si protese verso di lui per lasciargli un bacio sulla guancia e aggiungere - Buonanotte, Fred.
Prima che lui potesse dire qualcosa, Diana sfrecciò giù dal gradino e rientrò in casa con un’espressione sognante e il cuore in gola, mentre la luce elettrica del lampione si riaccendeva proiettando un alone di luce sulla mano di Fred ancora protesa leggermente in avanti nel gesto di afferrare qualcosa che gli era appena sfuggito dalle dita.

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Ehilà! 
Spero tutto bene dopo questo capitolo super lungo!
Settimana scorsa ho detto che ero a buon punto e invece ho praticamente riscritto metà capitolo per almeno cinque volte prima di esserne più o meno convinta!
Che ne dite del ritorno di Daniel? E di questa Diana ubriaca un po' meno Diana del solito?
Mi dispiace avervi fatto una specie di scherzone finale con il bacio sulla guancia, ma il primo vero bacio (non contando quello a Villa Conchiglia) con lei ubriaca, mi sembrava poco poetico XD
Se vi va, fatemi sapere che ne pensate!
Grazie ❤️
A presto :)
P.S. Sono abbastanza sicura di tenere il sabato come giorno di pubblicazione dato che ultimamente va a finire che pubblico sempre in questo giorno!

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Capitolo 26
*** Fuoco alle polveri ***


Le settimane successive alla morte di Albus Silente e al ritorno di Daniel Harvey furono caratterizzate da uno strano senso di angoscia e di aspettativa.

L’intero mondo magico era teso in un clima di spasmodica attesa.

Gli avvenimenti e le notizie erano sempre più sinistri. I Mangiamorte ormai agivano senza freni e stavano iniziando a insinuarsi nel Ministero della Magia. Era già stato comunicato che Severus Piton avrebbe assunto la carica di Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e che altri noti seguaci di Voldemort erano stati inseriti nel corpo insegnanti. 

Diana era venuta a conoscenza di tutto ciò tramite il quotidiano del mondo magico che tutti i giorni veniva recapitato a Ben tramite gufo, ma ormai gli eventi inquietanti non riuscivano più a passare inosservati neanche agli occhi del mondo babbano. Le prime pagine del “Daily Mirror” e del “Times” non facevano altro che riportare notizie di sparizioni di persone, esplosioni di ordigni e attentati, tanto che l’opinione pubblica era ormai fermamente convinta che fosse in atto un accanito attacco dell’IRA, il gruppo terroristico che da tempo spaventava l’intero Regno Unito. 

Nonostante i motivi non fossero esattamente gli stessi, anche l’atmosfera all’interno del negozio Harvey era altrettanto tesa.

Diana era concentrata nello stringere in una pinza una minuscola pietra colorata da incollare sulla cornice di un vecchio specchio che stava aggiustando, china sul tavolo da lavoro situato nel retro del negozio. La porta aperta per tenere d’occhio la situazione le mostrava Ben, di spalle, curvo sul bancone a trascrivere codici da una pila di cataloghi impolverati. Il silenzio e la pace che riempivano il negozio si erano presto interrotti con l’arrivo di Daniel Harvey dal seminterrato, che portava con sè una grossa scatola piena di altri oggetti di piccole dimensioni.
- Ben...e questi? - aveva domandato Daniel mostrando la scatola - non erano catalogati da nessuna parte! Non puoi lasciare degli oggetti così senza che siano registrati!

Diana aveva sbuffato mentre la pietruzza verde le scivolava dalla pinza e rotolava sul tavolo.
Era sempre così da quando Daniel era tornato: lui assillava Ben per ogni virgola fuori posto all’interno del negozio e, di riflesso, Ben diventava sempre più nervoso e intrattabile. Daniel Harvey, nel frattempo, non faceva altro che tentare di riconquistare la fiducia della figlia, rendendo Diana ancor più circospetta e fredda nei suoi confronti.

- Fallo tu, visto che sei tanto bravo - la voce di Ben, inasprita dal fastidio, aveva raggiunto Diana e aveva portato con sè anche il diretto proprietario, che era entrato nella stanza sbattendo la porta dietro di sè proprio nel momento in cui Diana aveva riacciuffiato la piccola pietra - non lo sopporto! - aveva sbottato Benjamin sbattendo entrambi le mani aperte sul tavolo dove Diana lavorava, facendo volare le piccole pietre dappertutto.

Diana, esasperata, aveva appoggiato la pinza per sollevare lo sguardo e distendere la schiena dolorante.
- Lascialo perdere - aveva sbadigliato Diana massaggiandosi il polso destro, rimasto troppo tempo in tensione - lo fa apposta per farti perdere le staffe...
Ben aveva inarcato un sopracciglio, stupito: - Hai preso sorprendentemente bene il suo ritorno...mi aspettavo che andassi un po’ fuori di testa...
- Lo yoga allora serve a qualcosa - aveva commentato Diana alzandosi per raccogliere dal pavimento le pietre sparse un po’ ovunque - dovresti provare anche tu!
Ben aveva storto il naso e poi aveva cambiato argomento: - Gli hai detto del Blackhole? - aveva indagato abbassando il tono di voce.
- A Daniel? No - aveva risposto prontamente Diana sistemandosi i capelli - perchè? Secondo te...dovrei? Lui sa cos’è?
Ben aveva scrollato le spalle e aveva stretto i denti: - Per ora eviterei.
Diana aveva scrollato le spalle a sua volta mentre diceva: - Comunque voi due non me la raccontate giusta e quindi fino a che uno dei due non si deciderà a dirmi perchè state sempre a battibeccare, io vi terrò d’occhio...
- Ma te l’ho già detto...cose di quando eravamo ragazzi! - Ben l’aveva liquidata in fretta - un po’ come fate tu e Fred...
Diana aveva mugugnato che non era propriamente la stessa cosa. 

Il clima tra Diana, Ben e Daniel era così teso da sembrare una polveriera nella quale la prima scintilla avrebbe dato fuoco alla miccia.
La frase di Ben aveva, però, inevitabilmente indirizzato l’attenzione di Diana su un altro problema.

Fred Weasley era più o meno sparito dai radar di Diana, tanto che la ragazza non aveva fatto altro che ripercorrere i nebulosi ricordi dell’ultima sera in cui si erano visti per cercare di ricordare se avesse inavvertitamente fatto o detto qualcosa che avesse in qualche modo potuto offenderlo. Ci aveva pensato Lyall a ricordarle il fatto che fosse salita in piedi sul bancone di un pub proprio davanti agli occhi di Fred. Quando alla sua memoria si era affacciata un’immagine di lei aggrappata alle spalle di Fred come un koala, Diana avrebbe colpito volentieri uno spigolo con la fronte per dimenticarsene e, imbarazzata a livelli stratosferici, aveva subito accartocciato il foglio di carta su cui era intenta a scarabocchiare una lettera per il ragazzo, per sincerarsi, almeno, che stesse bene.
Dopo circa una settimana, in cui Diana era divisa tra l’ansia per non avere notizie di Fred e il nervosismo per il clima che continuava ad aleggiare tra Ben e Daniel, Robert Murray, che aveva preso parte a un incontro con i membri dell’Ordine della Fenice, le aveva assicurato che Fred stava bene e che erano tutti molto presi dall’organizzazione del trasferimento di Harry Potter alla Tana per l’imminente matrimonio di Bill e Fleur.

Dopo aver avuto la conferma che il motivo dell’assenza di Fred non fosse collegato al suo pessimo comportamento da ubriaca, Diana si decise a prendere carta e penna e raccontargli come andasse la sua vita con Daniel Harvey; Ben e Robert le avevano ripetuto più volte di evitare il più possibile di utilizzare la posta, che poteva essere intercettata facilmente, ma d’altronde stava solo raccontando di un rapporto difficile tra una normale ragazza e suo padre. Daniel Harvey, infatti, sembrava fermamente deciso a cercare di concorrere per la carica di padre dell’anno, riempiendo Diana di attenzioni e tentando prepotentemente di riallacciare i rapporti con lei, tanto che a Diana risultava difficile non lasciarsi andare alla consapevolezza che nonostante lo nascondesse piuttosto bene, una parte di lei non poteva che essere compiaciuta delle attenzioni che finalmente il padre le concedeva.

Robert Murray aveva accettato di buon grado il ritorno di Daniel, perchè in fondo era un uomo gioviale e accomodante, a differenza del fratello minore che, ogni volta che puntava lo sguardo sul cugino, rischiava di spaccarsi le mandibole da quanto forte stringeva i denti; Daniel Harvey contribuiva a fare la sua parte immischiandosi negli affari del negozio e mettendo in cattiva luce tutto ciò che Benjamin facesse, tanto che stare con loro due era decisamente estenuante.

Benjamin, preso singolarmente, era diventato molto più sciolto con Diana; dopo tanti mesi vissuti insieme in pianta stabile, avevano finalmente imparato a conoscersi e a spalleggiarsi l’un l’altro e, senza troppe parole, riuscivano a comprendersi molto più di quanto avessero mai fatto prima.

Diana aveva più o meno esultato di gioia quando un gufo aveva picchiettato alla finestra della sua camera per recapitare ben due buste. La prima ad essere scartata fu quella di Fred: era piuttosto breve e concisa ed esprimeva un po’ di dubbi in merito allo strano comportamento di Ben e Daniel, senza dilungarsi più di tanto.  La lettera si concludeva solo con la frase “Passo a prenderti alla sera del 25 luglio per il matrimonio”. La seconda, invece, era una bella busta argentata con dei ricami floreali in rilievo che, con una scrittura elegante e riccioluta, le comunicava proprio di essere invitata al matrimonio di Fleur Delacour e Bill Weasley. 

La sera del 25 luglio, Diana stava studiando con espressione concentrata l’abito che aveva scelto per il matrimonio, che si trovava appeso all’anta del suo armadio, in attesa di essere riposto nella valigia. Non era decisamente il suo genere, ma Aileen, che aveva aiutato Diana nella scelta, aveva sentenziato che le stava divinamente e che non le avrebbe permesso di uscire dal negozio in cui si trovavano se l’amica non lo avesse comprato, perciò non aveva avuto molta scelta. Sospirò pensando che ormai era troppo tardi per scegliere un altro abito, quindi afferrò il vestito bordeaux per riporlo con cura nella valigia, scuotendo la testa tra sè e sè al pensiero di quanto sarebbe stata impacciata tra scollature e tacchi e alle grosse risate che inevitabilmente si sarebbero fatti Fred e George; nonostante tutto, non vedeva l’ora di tornare alla Tana e abbandonare per qualche giorno il negozio e i propri problemi.

- Posso? - Daniel Harvey bussando delicatamente sulla porta socchiusa fece capolino nella stanza di Diana.
- Si... - sospirò Diana stancamente lasciandosi cadere sul letto al fianco della valigia.
- Tutto pronto? - chiese lui sorridendo. Era da quando era tornato che cercava in tutti i modi di interessarsi a Diana e alla sua vita, perchè voleva a tutti i costi recuperare il tempo perso. Quell’atteggiamento era fastidioso e inappropriato. Diana lo trovava un interessamento forzato perchè di certo non si potevano recuperare dieci anni in tre settimane. Si era però ripromessa di dargli una chanche, perchè le era sembrato sinceramente dispiaciuto e, nonostante si convincesse del contrario, l’assenza di suo padre nella sua vita era sempre stata una lacuna incolmabile.
Quindi gli rispose con un sorriso forzato: - Si, dovrei aver preso tutto.
- Quale dei tanti Weasley si sposa? - le chiese per l’ennesima volta Daniel, pur di trovare qualche pretesto di conversazione.
- Bill - gli rispose Diana, mentre con la mente passava in rassegna le poche scarpe eleganti che possedeva per cercare di abbinarne un paio al vestito. 
Daniel Harvey, nonostante fosse notoriamente un Magonò, conosceva molto del mondo magico, soprattutto gli alberi genealogici delle famiglie Purosangue, che erano sempre stati la sua ossessione.

- E il ragazzo che era qui quando sono arrivato? Era un Weasley anche lui, giusto? - si interessò Daniel sorridendo.
Diana annuì riponendo nella valigia dei sandali neri, dai vertiginosi tacchi che non ricordava nemmeno di avere. Probabilmente anche quelli dovevano essere stati una scelta di Aileen. Già si vedeva ruzzolare giù dalle scale della Tana o prendersi una bella storta a una caviglia.
- E’...il tuo ragazzo? - chiese Daniel grattandosi la nuca a disagio, ma curioso allo stesso tempo.
Diana gli scoccò un’occhiata sbieca e frettolosamente rispose: - No...siamo solo amici - e poi in tono tagliente aggiunse - e se anche lo fosse non mi sentirei di certo pronta a parlare con te dell’argomento.
Daniel parve vagamente ferito dalla stilettata morale, ma incassò stoicamente.

- Ascolta - iniziò Diana chiudendo le cerniere della valigia - io lo so che stai cercando di recuperare il tempo che abbiamo passato separati, ma non è facile! Non si possono recuperare così dieci anni...
- Lo so e ti ho già detto che mi dispiace... - ammise Daniel abbassando lo sguardo sul pavimento - non possiamo semplicemente lasciarci il passato alle spalle?
- Sarebbe bello... - sospirò Diana in tono triste - ma non è così semplice dimenticare quanto sono stata male per la tua...partenza - la parola abbandono le sembrava più appropriata, ma anche decisamente più tagliente.
- Mi spiace - Daniel le rivolse quel sorriso così simile al suo - ma non puoi impedirmi di continuare a provare a sistemare le cose tra noi! So essere piuttosto...testardo! Da qualcuno avrai preso...
Diana si limitò a sbuffare in aria la frangia bionda, pensando che, se fosse stato per lei, avrebbe ereditato quanto meno possibile da Daniel Harvey.
- La mamma mi manca tanto... - mormorò Diana con lo sguardo abbassato sul pavimento pensando che sua madre avrebbe voluto vederli, per una volta, uniti.
Daniel inspirò profondamente prima di dire: - Anche a me...

Dal soggiorno, ad interrompere quel momento di nostalgia, si sentì una voce allegra esclamare un “ciao Indiana Jones”, mentre la voce profonda e annoiata di Ben rispondeva un “ciao Fred”.
- Indiana Jones? - chiese Daniel alla figlia cercando di trattenere un sorriso.
Diana non potè fare a meno di sorridere: - Gli ho fatto vedere troppi film e ora è assolutamente convinto che Ben sia una specie di archeologo o avventuriero come lui...
Daniel scoppiò in una sonora risata prima di scoccare un occhiolino a Diana e asserire: - Mi sembra proprio simpatico questo Fred! Se mai sarete più che amici, sappi che io approvo...
Daniel e Diana, che trascinava la valigia ormai completata, si diressero in soggiorno, prima che Fred potesse chiedere a Ben come avesse recuperato l’Arca dell’Alleanza e che Ben lo mandasse al diavolo.
Diana si sentì assurdamente agitata nel trovarsi di fronte Fred Weasley, sorridente come sempre.
- Buonasera Signor Harvey -  salutò Fred educatamente e aggiungere rivolto a Diana: - Ciao Pixie! Pronta a smaterializzarti verso l’infinito e oltre?
- Ti prego, Diana - Ben congiunse le mani in una supplica - smettila di fargli vedere film! E’ diventato insopportabile!
Diana scoppiò a ridere pensando a tutte le sere passate a dar fondo al catalogo del Blockbuster con Fred, eccitato come un bambino, che si meravigliava continuamente di come si muovessero le figure all’interno del televisore.



Nonostante al matrimonio di Bill e Fleur mancasse ancora una settimana, alla Tana, i preparativi erano già in pieno svolgimento.
L’ampio giardino era decisamente più ordinato e curato di quanto Diana ricordasse: l’erba era di un verde brillante e tagliata da poco e, proprio vicino alla grande quercia secolare che delimitava la proprietà dei Weasley, sorgeva un grande tendone bianco, dentro al quale sarebbe stata allestita la cerimonia.

Hermione Granger aveva raggiunto la Tana qualche giorno prima di Diana e non appena la incrociò nel soggiorno, la salutò con un sorriso enigmatico, prima di trascinarla nella camera che avrebbero entrambe condiviso con Ginny, dato il sovraffollamento a cui la Tana sarebbe stata sottoposta in quei giorni. Diana salì velocemente le scale cercando di sorvolare il fatto che proprio lì qualche mese prima aveva trovato il corpo senza vita della zia. Sembrava passato un secolo e nemmeno un minuto, contemporaneamente, a quel dolore sempre pronto a riaccendersi quando meno se lo aspettava. 
- Harry arriverà domani - le spiegò con il suo solito tono da maestrina Hermione, mentre le mostrava in quale letto avrebbe dormito - abbiamo organizzato il suo trasferimento nei minimi dettagli. Spero che tutto vada nel verso giusto...
- Già... Fred mi ha accennato qualcosa mentre venivamo qui - confessò Diana mentre apriva il suo bagaglio per appendere almeno l’abito che avrebbe indossato alla cerimonia per evitare che si stropicciasse. L’indomani era previsto l’arrivo di Harry alla Tana, ma come le aveva spiegato Fred, siccome Harry, per il mondo magico, era ancora minorenne, non era possibile smaterializzarlo senza che il Ministero lo venisse a sapere, ma sarebbero stati costretti a utilizzare altri mezzi di trasporto. Inoltre, essendo Harry Potter il giurato nemico di Lord Voldemort, il trasferimento doveva avvenire in gran segreto e con le più alte misure di sicurezza possibili.

- Ti ha detto anche della Polisucco? - chiese Hermione inarcando le sopracciglia, sorpresa.
- Della Poli-che? - domandò Diana senza capire.
Hermione sorrise debolmente: - Lo immaginavo che avesse omesso questo particolare...
- Sputa il rospo, Hermione! - le ordinò Diana con tono che non ammetteva repliche.
- Beh...per depistare Tu-Sai-Chi in caso venisse a sapere del trasferimento, abbiamo pensato di far si che ci siano sette Harry Potter domani sera a partire da Privet Drive, in modo che i Mangiamorte, se mai dovessero esserne informati, si trovino in difficoltà.
- Molto furbo! - ammise Diana interessata - e questo clonare Harry si può fare con un incantesimo?
- No, con la pozione Polisucco - spiegò Hermione come se stesse ripetendo una lezione - sei persone dovranno bere la pozione Polisucco per prendere le sembianze di Harry.

Diana la fissò per un attimo in silenzio, sentendo gli ingranaggi del suo cervello lavorare a pieno ritmo per collegare tutte le nozioni.

- Io, Ron, Fred, George e Fleur ci siamo offerti volontari...non so chi sarà il sesto Harry! Immagino Mundungus Fletcher, se Malocchio è riuscito a convincerlo - snocciolò velocemente i nomi Hermione, mentre Diana strabuzzava gli occhi nell’immagazzinare tutte quelle informazioni.
Con perfetto tempismo, Fred entrò nella stanza seguito da George.
- Ciao Pixie! - la salutò allegramente quest’ultimo.

- Vi siete offerti volontari??? - sbottò Diana sconvolta guardando i presenti a turno e soffermandosi maggiormente su Fred, mentre gli puntava contro un dito in maniera accusatoria - avevi omesso questa parte nella tua spiegazione!
Fred alzò le spalle con espressione colpevole: - Si, beh te ne volevo giusto parlare - e poi guardando storto Hermione - grazie tante, Granger! Mai una volta che ti fai gli affari tuoi!
- Oh, Fred - esclamò lei alzando gli occhi al cielo - non farla tanto lunga!
- Dai, Granger! Hai fatto abbastanza danni per oggi - la incalzò George in tono ironico prendendola per un braccio - perchè non lasciamo soli Romeo e Giulietta e andiamo di sotto?
- George - attaccò Hermione con tono soave - tu sai che fine hanno fatto Romeo e Giulietta? In tal caso, io non li lascerei soli...
George si limitò a scrollare le spalle con un sorriso genuinamente ignaro.
- Tranquilla, Hermione...qua può finire solo con Giulietta che si trasforma nel tirannosauro di “Jurassic Park” e sbrana il cadavere di Romeo - sibilò Diana tenendo lo sguardo inchiodato su Fred, mentre George si chiudeva la porta alle spalle ed Hermione, che lo seguiva, scoccava a Diana uno sguardo colpevole.

- Questo finale è decisamente diverso da quello che ricordavo - ammise Fred fingendosi pensieroso - e sicuramente più sanguinolento, povero Romeo! Morto e mangiato da un t-rex... - Fred finse di rabbrividire prima di scoppiare a ridere.
- Forse è quello che Romeo si merita per non aver parlato dell’assurdo piano che aveva in mente! - sbottò Diana furibonda e con tono allusivo, senza riuscire a tenere a freno la lingua e poi, esasperata, strinse i pugni esclamando: - sei proprio un...un...aah non mi vengono nemmeno le parole per insultarti! - Diana afferrò una scarpa dalla valigia e gliela lanciò contro in preda alla collera.
- Su, Pixie, lanciarmi contro le scarpe è una cosa così prevedibile che mi fa quasi tenerezza... - Fred le rivolse pigramente un sorriso obliquo mentre con un movimento fluido scansava il lancio e si issava a sedere sul davanzale della finestra - e Giulietta non è mai stata violenta con Romeo.
Diana evitò di soffermarsi a pensare che, aldilà di tutto, Romeo e Giulietta fossero, per prima cosa, innamorati.

- Tu ti trasformerai in Harry Potter - constatò Diana cercando di ritrovare il lume della ragione e notando l’espressione di Fred farsi seria e leggermente ansiosa nell’udire le sue parole.
- Già, ma tranquilla non rimarrò per sempre basso e scheletrico. Tempo un’ora e tornerò bellissimo e prestante come sono ora! - spiegò Fred ammiccando e cercando di sdrammatizzare - non c’è bisogno di infervorarsi così...
La seconda scarpa che Diana stava togliendo dalla valigia colpì Fred allo stinco sinistro.

- Ahia! - si lamentò lui massaggiandosi il punto colpito - puoi smetterla di lanciarmi oggetti addosso? Sei irritante!
- E tu sei un idiota! E’ pericoloso! E se ti colpiscono? E se ti fanno del male? - domandò Diana angosciata mentre sentiva il sangue salirle al cervello.
Fred le sorrise dolcemente mentre scendeva dal davanzale e si accingeva ad abbracciarla: - Sei così carina quando ti preoccupi per me...
- Carina, un corno! - sbottò lei spingendolo indietro - Avresti dovuto dirmelo!
- Te lo sto dicendo ora! - rispose Fred tentando di mantenere la calma.
- Non me l’hai detto tu - sbottò Diana - l’ho saputo da Hermione! Non è propriamente la stessa cosa...
Fred si passò una mano tra i capelli prima di allargare le braccia, sconcertato: - Beh lo hai saputo, comunque! - e, siccome l’espressione di Diana era ancora furibonda, continuò in tono tagliente: - e poi qual è il problema? Mi sembri perfettamente a tuo agio tra le cose non dette...

Diana percepì i propri occhi spalancarsi, mentre la conversazione virava su una piega che si sarebbe dovuta aspettare: non solo a casa sua la situazione era simile a quella di una guerriglia, ma anche quella con Fred era rimasta per troppo tempo silente come delle braci quasi spente su cui, però, bastava soffiare affinchè si riaccendessero in una fiamma bruciante. Aveva completamente perso le staffe, perchè si stava sentendo spaventata e impotente come quando Fred e George erano partiti per Hogwarts. Ricordava perfettamente come l’aveva abbracciata Fred al suo ritorno, l’espressione sconvolta che aveva dipinta in volta e ricordava anche perfettamente come si era sentita vacillare nel vedere quanto anche Fred fosse spaventato.

- Ci sono cose che non serve dire - si infiammò Diana senza mollare il colpo e poi, alzando la voce di nuovo, sbottò - oddio, ma perchè non capisci??
- Io non capisco?? - esclamò Fred alzando a sua volta la voce - e come faccio a capirti? Sei matta da legare! 
- Ah, sono matta se ti chiedo di non andare a farti ammazzare?? - sbottò Diana muovendo un passo verso di lui.
- Non lo faresti... - mormorò Fred arrabbiato e confuso - non hai il diritto di dirmi quello che posso o non posso fare!

Diana rimase in un attonito silenzio, mentre sentiva bruciare il desiderio di urlare e vedendo che Fred si avvicinava alla porta, si affrettò a dire: - Ehi! Non ti azzardare ad uscire da questa stanza! Non abbiamo finito!
Fred si bloccò con un miscuglio di strane emozioni ad attraversargli lo sguardo: rabbia, amarezza e, in trasparenza, quasi impercettibile, una punta di speranza.

- Tu mi hai baciato a Villa Conchiglia - quelle parole fuoriuscirono di slancio dalle labbra di Diana, come frecce scoccate da un arco rimasto con la corda tesa troppo a lungo - perchè?
Inaspettatamente visto il risvolto della conversazione, Fred scoppiò in una risata amara coronata da uno sguardo stupito.

- Forse sei tu l’idiota che proprio non capisce - esclamò lui in risposta e, utilizzando la stessa frase di Diana, aggiunse in tono eloquente - ci sono cose che non serve dire. Dopo tutto questo tempo, ancora non hai capito? - esclamò Fred - dopo tutto quello che ho fatto per te!?
- Peccato che nessuno te lo abbia mai chiesto di fare qualcosa per me! - gridò Diana spostandosi con rabbia la frangia dagli occhi. 

Non appena Diana terminò la frase, si accorse di aver passato il limite.
- Fred, io non volevo... - cercò di scusarsi Diana.
Ma Fred con sguardo ferito, aveva già lasciato la stanza.
Diana lo seguì fuori dalla stanza, mentre Ron, Hermione e Ginny, che casualmente passavano in corridoio, si dileguavano velocemente ognuno in una stanza diversa. Fred stava già trottando frettolosamente giù per le scale, quando qualcuno si piazzò di fronte a lei bloccandole il passaggio.

- George, fammi passare! - lo pregò Diana in tono urgente e cercando di scansarlo - devo parlare con Fred...
- Direi che per oggi avete parlato abbastanza! - George, scuro in viso, la esortò a tornare indietro verso la camera.
- Avete origliato? - Diana assottigliò lo sguardo in un’espressione minacciosa ricordando come il corridoio le fosse sembrato stranamente affollato.
- Non è che si potesse propriamente evitare la cosa! Penso vi abbiano sentiti anche dall’altra parte del mondo...- spiegò George incrociando le braccia al petto e scrutandola con aria piuttosto seria - lascialo stare prima che domani sia troppo incazzato con te e faccia qualche idiozia. Di certo non lo dirà a nessuno, ma siamo tutti piuttosto preoccupati perchè tutto fili liscio domani...
Diana deglutì a vuoto sentendosi una vera idiota: Fred, probabilmente, era già nervoso per la missione a cui dovevano prendere parte e di certo lei non aveva contribuito a farlo rilassare. Si lasciò cadere sul letto tenendosi la testa tra le mani e sibilò a sè stessa: - Sono una deficiente!
- E’ piacevole quando ogni tanto ammetti la verità - rispose prontamente George sorridendo, ancora in piedi di fronte a lei - sei stata orribile, come sempre!
- Ma... ma - Diana si era lasciata sfuggire un paio di lacrime mentre George girava il coltello nella piaga - se gli dovesse succedere qualcosa...io...
- Non succederà nulla! - la rincuorò George sciogliendo le braccia conserte - domani sera chiarirete e, forse se ti impegni a non essere stronza, vivrete per sempre felici e contenti! E ora scusa, ma vado a recuperare Freddie - indicò il giardino attraverso la finestra da dove si poteva scorgere Fred camminare a passo di marcia con Bill alle calcagna che cercava di parlargli.

George lasciò la stanza e Diana lo sentì dire: - Aaah, come fareste senza di me...

L’indomani a colazione, Fred e George lasciarono la cucina della Tana non appena Diana vi mise piede e restarono fuori tiro per l’intera giornata, intenti a definire i dettagli della missione che avrebbe avuto luogo quella sera.
Diana si rintanò in camera con Ginny, che cercava di nascondersi da Fleur, per la quale non provava una grande simpatia.
- Non sei preoccupata per stasera? - chiese Diana alla più piccola di casa Weasley, chiudendo momentaneamente il libro che stava leggendo.
- Si, certo - sospirò Ginny sistemandosi una ciocca di capelli rosso fuoco dietro l’orecchio - come potrei non esserlo? La maggior parte della mia famiglia e il ragazzo che mi piace da sempre rischieranno la vita.
Diana si maledì mentalmente per aver fatto una domanda tanto idiota proprio a Ginny Weasley, soprattutto dato che sapeva bene della relazione che aveva avuto con Harry e che ancora non si era propriamente conclusa.

- Perchè hanno tutti questo desiderio di correre incontro al pericolo? - borbottò tra sè e sè Diana voltando una pagina del libro, stizzita.
- Siamo Grifondoro - rispose semplicemente Ginny, come se quella fosse l’unica spiegazione plausibile.

Con l’avvicinarsi della sera, Diana si sentiva sempre più in colpa per aver discusso con Fred e, nonostante George glielo avesse praticamente vietato, sperava di riuscire a parlargli prima della partenza della missione.
Quando lei e Ginny scesero al piano di sotto, tutto l’Ordine della Fenice era pronto e i presenti stavano disquisendo i dettagli del piano. Diana si stupì di trovare un magro, pallido e puzzolente Mundungus Fletcher vicino all’orologio a pendolo. Il mago la fissò per un istante prima di puntare altrove lo sguardo, in imbarazzo. Non si era fatto più vivo, nemmeno per la morte di Karen Harvey.
Malocchio Moody, nel frattempo, dirigeva le operazioni spiegando i mezzi di trasporto che avrebbero utilizzato e con chi avrebbero fatto coppia i presenti durante la missione.

Fred era appoggiato al bracciolo del divano marrone con la bacchetta tra le mani e alzò appena lo sguardo su Diana quando la vide arrivare, per poi tornare a guardare Moody con espressione neutra. George era in piedi a braccia conserte al fianco del gemello e si limitò a lanciarle un’occhiata di ammonimento e ad alzare appena il palmo della mano come a intimarle di fermarsi.

- Tutto chiaro? - domandò Malocchio terminando la descrizione delle operazioni.
Un mormorio di assenso, teste che annuivano e sedie strisciate sul pavimento chiusero il discorso.
Mentre tutti uscivano in silenzio in giardino, Molly Weasley abbracciò prima il marito e poi Fred, George, Bill e Ron: tra i singhiozzi, intimò a tutti di stare attenti.
Due orrendi cavalli alati neri e scheletrici erano legati al porticato: Bill issò Fleur su uno dei due, mentre Kingsley Shacklebolt ed Hermione si avvicinavano all’altro.
Tutti gli altri stavano montando in sella ai propri manici di scopa. Diana intravide Fred parlottare con Arthur Weasley, con il quale avrebbe viaggiato, e si diresse verso di lui.
- Signorina Harvey, indietro! - le ringhiò Malocchio Moody, ma Diana non lo degnò di uno sguardo, mentre raggiungeva Fred che era già in sella alla propria scopa.
- Fred... - lo chiamò debolmente tirandolo per la manica della giacca.
George, poco distante e al fianco di Remus Lupin, le fece segno di lasciar perdere scuotendo con vigore la testa.
Fred abbassò lentamente lo sguardo sulla mano di Diana posata sul suo braccio e si scostò leggermente, dicendo in tono triste: - Devo andare.

Si diede una spinta con i piedi e si librò in aria, sparendo nella notte con tutti gli altri membri dell’Ordine.
Diana rimase in giardino a fissare il cielo coperto di nubi fino a che non li vide sparire, inghiottiti dalle tenebre.
Cacciò indietro le lacrime e deglutì il groppo che le annodava la gola. Si voltò verso Ginny, ritta in piedi al suo fianco a guardare intensamente il cielo, e verso la signora Weasley che piangeva silenziosamente.
- Torniamo dentro, ragazze... - disse lentamente Molly Weasley tirando su con il naso.

Passarono la sera in silenzio. Le tazze di tè che Ginny aveva preparato rimasero piene sul tavolo senza che nessuna di loro riuscisse a mandare giù qualcosa nello stomaco.
Diana continuava a maledirsi per avere trattato male Fred e per non essere riuscita a chiarire prima della partenza. E se qualcosa fosse andato storto? E se gli fosse accaduto qualcosa e l’ultima cosa che avevano fatto era urlarsi assurdità? Diana scosse la testa per cercare di scacciare quel pensiero e prese a torturarsi le unghie con i denti, mentre con lo sguardo analizzava febbrilmente il giardino in attesa che qualcuno facesse ritorno.

- Ti piace proprio, eh? - ruppe il silenzio Ginny con un mezzo sorriso, non appena Molly Weasley lasciò la stanza.
- Che? - domandò Diana riscuotendosi dai suoi pensieri senza capire.
- Mio fratello - spiegò Ginny
Diana inarcò le sopracciglia, perchè il termine mio fratello era un po’ troppo vago per una che di fratelli ne aveva sei.
- Fred - rise nervosamente Ginny alzando gli occhi al cielo con un’espressione fin troppo simile a quella dei gemelli, come se la cosa fosse ovvia e non avesse bisogno di spiegazione.
Diana tirò bruscamente a sè la tazza di tè ormai fredda e prese a guardare il liquido scuro come se fosse la cosa più interessante del mondo, mentre sentiva le guance accaldate e mormorava abbastanza forte da farsi sentire da Ginny: - Già...
Un bagliore arancione e un forte tonfo annunciarono che qualcuno era appena atterrato nel giardino della Tana.

- Harry! Sei quello vero? Che cos’è successo? Dove sono gli altri? - gridò la signora Weasley già sulla soglia di casa seguita da Ginny e Diana.
- Come sarebbe? Gli altri non sono ancora tornati? - chiese il vero Harry Potter con il fiatone. Alle sue spalle si ergeva quello che, dai racconti di Fred e George e dall’enorme stazza, doveva essere Hagrid.
Ginny scosse la testa, pallida e tremante.
- I Mangiamorte ci stavano aspettando - spiegò Harry con il senso di colpa che si percepiva dalla voce - non so cosa è successo agli altri...
Diana posò lo sguardo sugli oggetti disseminati per il giardino: Passaporte, le aveva spiegato Ginny. Oggetti tramite i quali tutti si sarebbero teletrasportati alla Tana. Fissò intensamente la vecchia scarpa da tennis che avrebbe già dovuto trasportare a casa Fred e il signor Weasley, desiderando intensamente che si illuminasse e li risputasse subito in giardino.

Un bagliore si accese a poca distanza e Remus Lupin apparve sorreggendo un’alta figura dai capelli rossi, svenuta e con il viso ricoperto di sangue.
Diana, per un momento, sentì il cuore smettere di battere. 
Era Fred?
Scacciò all’istante quel pensiero, mentre Harry aiutava Lupin a portare in casa il suo compagno di missione, George.
Quando lo adagiarono sul divano e la luce lo illuminò, Ginny trattenne il fiato e Diana si portò una mano a coprirsi la bocca sentendosi lo stomaco accartocciato: gli mancava un orecchio e il lato della faccia e il collo erano ricoperti di sangue fresco.
Mentre intorno a loro si scatenava una furiosa discussione sull’accaduto, Diana si accovacciò accanto a George e alla signora Weasley che con mani tremanti stava cercando di fermare l’emorragia.
Anche Hermione e Kingsley avevano fatto ritorno.
Diana respinse un conato di vomito quando Molly Weasley le passò un asciugamano intriso di sangue rosso vivo, mentre dall’esterno dell’abitazione si alzava un gran baccano.

- Ti dimostrerò chi sono, Kingsley, solo dopo aver visto mio figlio! Adesso fatti indietro, se ci tieni alla pelle! - era la voce del signor Weasley, che un attimo dopo irruppe in salotto seguito da Fred: entrambi erano pallidi e tremanti, ma illesi.
Per un attimo, Diana sentì il sollievo sciogliersi come neve al sole nel constatare che Fred era tornato sano e salvo, ma le bastò vedere l’espressione del ragazzo per sentirsi di nuovo da schifo. Fred si precipitò al capezzale del fratello, sconvolto, e Diana si alzò in piedi e si allontanò per lasciargli il posto.
Anche Bill, Fleur, Tonks e Ron avevano ormai fatto ritorno e si erano stipati intorno a George.
- Abbiamo perso Malocchio - disse amaramente Bill con la voce rotta e il viso attraversato dalle profonde cicatrici lasciate dall’aggressione di Fenrir Greyback - Mundungus era terrorizzato e quando ha visto Voi-Sapete-Chi si è smaterializzato e...Malocchio è caduto dalla scopa!
- Andiamo a prenderlo! - sbottò Harry preoccupato indicando l’ingresso di casa.
- E’ troppo pericoloso per te, Harry! - spiegò Bill a labbra strette - Malocchio è morto! Non c’è più niente che possiamo fare!
- Qualcuno deve aver rivelato il piano. Non potevano sapere...Deve essere stato Mundungus a tradirci... - borbottò tra sè e sè Remus Lupin.

Un silenzio innaturale calò sulla stanza. 
L’unico rumore era il pianto sommesso della signora Weasley, china al capezzale del figlio ferito.
Per Diana era troppo. C’era troppo dolore in quella stanza, perciò si alzò per scappare fuori dal soggiorno della Tana, con una mano tremante a coprirle le labbra.

Una volta giunta sul porticato, chiuse gli occhi per tentare di calmarsi lasciando che la fresca aria estiva le asciugasse il sudore; ma tutto quello che riusciva a vedere, come cucita all’interno delle proprie palpebre era l’immagine di George sanguinante con un enorme foro scuro al posto dell’orecchio o Malocchio Moody che precipitava dalla scopa.
Non potè fare a meno di piegarsi in due sul prato e vomitare. L’ansia accumulata durante la serata e la vista di tutto quel sangue erano stati un mix letale per il suo stomaco. Alzò lo sguardo pulendosi le labbra. Il cielo si era in parte rasserenato e, tra le nuvole grigiastre, si intravedeva qualche stella, ma per la prima volta in tutta la sua vita, Diana non riuscì a sentirsi al sicuro, come si era sempre sentita quando osservava il cielo.
Rimase seduta sui gradini d’ingresso cercando di tenere a bada la bile che minacciava di risalirle su per l’esofago.

- Tutto bene? - domandò una voce alle sue spalle.
Era Harry.
- Sisi... - cercò di dire Diana pulendosi freneticamente le labbra - tu?
Harry si sedette accanto a lei sui gradini e sospirò profondamente.
- E’ tutta colpa mia - sibilò lui tra i denti - non sarebbe successo se...
Diana alzò lo sguardo verso Harry e disse: - No Harry, non è colpa tua...
- Non avrei dovuto permettergli di prendere parte a questa follia...a nessuno di loro - sibilò Harry quasi parlando più a sè stesso che con Diana.
- Eh...sono d’accordo... - sospirò a sua volta Diana ripensando ai suoi vani tentativi di far desistere Fred.
- Se trovo Mundungus... - Harry, frustrato, emise quella mezza minaccia.
- Mettiti in coda perchè ci sono già io che gli voglio fare un culo grande come una casa - borbottò Diana truce.
Harry scosse la testa con un debole sorriso: - Comunque, poco fa George era sveglio...
Diana tornò a fissare gli occhi verdi dietro alle lenti rotonde e subito domandò: - Come sta?
- Mah...direi abbastanza bene... ha già detto che almeno adesso nessuno avrà più difficoltà a distinguerlo da Fred!
Diana si voltò a sbirciare verso il soggiorno aprendosi in un nervoso sorriso.

Passò molto tempo prima che Diana trovasse il coraggio di rientrare in casa. 
Harry era già rientrato da un pezzo, quando Diana si avvicinò alla porta finestra.
La luce soffusa proveniva solo dalla lampada accanto all’orologio a pendolo, tra la cucina e il soggiorno, e illuminava debolmente la stanza ormai vuota, ad eccezione di George di nuovo addormentato e disteso sul divano, e Fred, seduto sulla poltrona con la fronte appoggiata alle mani giunte, come raccolto in una preghiera silenziosa.
Diana scivolò dentro casa e, siccome Fred non accennava ad averla sentita, imboccò le scale per andare a letto.

La Tana era avvolta dal silenzio. 
Diana si infilò in bagno dove si spazzolò energicamente i denti e si sciacquò il viso per osservare poi il proprio riflesso nello specchio con disgusto. 
Era stata orribile con Fred e avrebbe dovuto rimediare.
Di certo non era il momento adatto, ma dopo quanto accaduto non si sentiva più in grado di rimandare il chiarimento in attesa di un momento migliore.
Con un profondo respiro per darsi coraggio si preparò a soffiare sulle braci spente e scese le scale per dirigersi ancora una volta al piano di sotto per dare fuoco alle polveri.

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Buonasera :)
Posso dirvi una cosa? Questo capitolo mi fa davvero pietà...è tutta settimana che provo a dargli senso, ma niente...meglio di così non ci riesco a sto giro! Mi spiace, dovete sorbirvelo così...prometto che il prossimo sarà un po' meglio :D
Se vi va fatemi sapere come è sembrato a voi...il litigio mancava da un po' e prima o poi si doveva arrivare a un confronto o almeno il primo round...
A presto! :)

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Capitolo 27
*** Fluttuare ***



Think about it, there must be higher love
Down in the heart or hidden in the stars above
Without it, life is wasted time
Look inside your heart, I’ll look inside mine
(Higher Love -
Steve Winwood)
 

Il tempo aveva degli strani modi di scorrere: Fred Weasley se ne era reso conto una volta varcata la soglia di casa.
C’era uno stupido detto: Il tempo vola quando ci si diverte
Di conseguenza, quando si sta da schifo sembra rallentare.

Ecco perchè quando Fred aveva visto suo fratello con il viso ricoperto di sangue disteso sul divano gli era sembrato che il tempo si fosse bruscamente fermato.
Aveva faticato a trovare la forza per mantenersi in piedi, mentre sentiva dolori intermittenti in parti casuali del corpo, come se la sofferenza di George fosse la sua.
I contorni della stanza si erano fatti sfocati e tremolanti.
Sapeva che intorno a lui c’erano altre persone, ma lui riusciva a vedere solo George. 
Come ipnotizzato, le sue gambe lo avevano portato spontaneamente a inginocchiarsi di fronte al fratello, che per fortuna, dopo poco, aveva lentamente ripreso i sensi deliziando i presenti con una delle sue solite battute.
Fred aveva sempre trovato divertente ogni parola che usciva dalla bocca del fratello, ma quelle erano state in assoluto quelle più aveva apprezzato.

L’emorragia era stata fermata e George esibiva una vistosa benda a fasciargli la testa e la ferita.
Pian piano, tutti erano scivolati silenziosamente fuori dalla stanza come comparse senza nome. 
Bill e Remus erano andati a cercare il corpo di Malocchio, mentre Tonks era tornata a casa dei genitori e Kingsley aveva ripreso il suo incarico di guardia del corpo al primo ministro babbano.

Fred immaginò che tutti gli altri fossero andati a letto, dato che il soggiorno era improvvisamente vuoto.
Era strano perchè ripensandoci era abbastanza certo di non aver visto nessuno lasciare la stanza, ma forse era solo perchè non aveva mai distolto lo sguardo dal gemello, troppo preoccupato per lui.

Anche Harry era salito in camera, prima di lanciare uno sguardo colpevole verso George, di nuovo addormentato, e poi osservando fugacemente Fred.

Nessuno si era sentito in grado di far salire George al piano di sopra, men che meno Fred, che perciò si era seduto sulla grande poltrona al fianco del divano con la fronte appoggiata sulle mani intrecciate, lanciando di tanto in tanto occhiate al fratello, come per sincerarsi che stesse bene.

Era stato Piton a colpire George con una maledizione, gli aveva detto Remus Lupin.

Fred digrignò i denti passandosi convulsamente una mano a sfregarsi gli occhi, mentre guardava George sprofondato nel sonno.
Invece, del sonno lui non ne vedeva nemmeno l’ombra. L’adrenalina dello scontro e la paura gli martellavano ancora nel petto.
Chiuse gli occhi, ancora con la fronte appoggiata alle proprie mani, mentre sentiva qualcuno entrare in salotto e salire con passo felpato al piano di sopra. Rimase nella stessa identica posizione, senza preoccuparsi troppo di scoprire chi fosse ad aggirarsi per la casa.

Gli era sembrato così surreale volare con la sua scopa in mezzo a uno stormo di Mangiamorte che non faceva altro che lanciare maledizioni contro lui e il padre. Solo a chiudere le palpebre gli sembrava di trovarsi ancora in volo con gli incantesimi che gli fischiavano nelle orecchie e le esplosioni che rimbombavano nel petto.
Lo aveva visto. 
Aveva visto Voldemort fluttuare per qualche secondo in aria come un enorme pipistrello dagli occhi rossi e penetranti. Solo uno sguardo fugace era stato in grado di farlo sentire come uno studente del primo anno, spaventato e impotente.
Si era aggrappato alla sua bacchetta come a un’ancora e aveva iniziato a lanciare incantesimi per uscire indenne da quell’inferno. 
Rabbrividì perchè il ripensarci non faceva altro che farlo sentire peggio.

Riuscì a sentire distintamente i passi di qualcuno che, ora, scendeva le scale a passo deciso, facendo scricchiolare le assi di legno. Fred aprì gli occhi e sospirò guardando il fratello che, ancora addormentato, non aveva mosso neanche un muscolo; alzò lo sguardo appena in tempo per vedere una chioma bionda sparire in cucina.
Dopo aver quasi affrontato Voldemort, fronteggiare Diana avrebbe dovuto essere una passeggiata, quindi si strofinò i palmi delle mani sui pantaloni e si alzò per raggiungere la cucina, dalla quale proveniva un tramestio di stoviglie poco rassicurante.

- Che stai facendo? - Fred ruppe il silenzio in tono serio e Diana, che cercava qualcosa in un’anta della cucina, sollevò repentinamente la testa per voltarsi verso di lui, colta di sorpresa.
Gli occhi verdi sgranati e le guance un po’ arrossate corredate da un’aria decisa.
- Ho sete e sto cercando un bicchiere - rispose semplicemente Diana scrutandolo intensamente come se stesse cercando di capire se fosse ancora arrabbiato.
Fred mosse la bacchetta e un bicchiere sfrecciò fuori dalla credenza, mentre la brocca gli andava incontro per riversare poi l’acqua autonomamente, galleggiando a mezz’aria tra loro due.
Quando il bicchiere fu pieno, la brocca tornò docilmente al suo posto e Diana afferrò il bicchiere.
- Grazie - mormorò lei abbassando lo sguardo.

Fred si appoggiò alla credenza con la schiena e rimase in silenzio a guardarla.
Ci era rimasto troppo male per come Diana lo aveva trattato. Era abbastanza certo di non meritarsi tanta ingratitudine. Aveva fatto cose che non avrebbe nemmeno mai pensato di fare. 
All’inizio era solo generosità dettata dal fatto che fosse una babbana finita per sbaglio intrappolata in un labirinto di sfortunate circostanze. 
Era stato così naturale sentirsi in dovere di proteggerla.
All’inizio era solo una sfida infastidirla e farle scherzi, ma poi, senza che nemmeno se ne rendesse conto, era diventato altro. 
Lì, in piedi nella cucina della Tana, gli tornò alla mente tutto ciò che avevano passato. Momenti belli e brutti. Una scena si susseguiva velocemente all’altra come in un film babbano di quelli che Diana gli aveva fatto vedere. 
Loro due seduti in cima a Calton Hill.
Lui che la portava tra le braccia fuori dal negozio Harvey.
Loro due che ballavano alla vigilia di Natale. 
Lei che lo salvava da Bellatrix Lestrange con il Blackhole.

Le scene si inseguivano a ritmo sempre più veloce nella sua mente.

Un bacio.
Un pugno.
Un abbraccio.
Una mano stretta nella sua.
Le mani di Diana a coprirgli gli occhi nella notte di Edimburgo.

Erano come fotogrammi a velocità sovrumana, come quando Diana schiacciava i tasti del telecomando per riavvolgere il nastro delle videocassette.
Aveva desiderato quel momento da così tanto tempo: loro due soli, con l’occasione e la tranquillità necessaria per parlare. 
Parlare.
Di cosa avrebbero dovuto parlare esattamente?
Nemmeno lo ricordava più.
Non pensava di dover spiegare perchè l’avesse baciata a Villa Conchiglia.
Era così ovvio.
Quindi rimase in silenzio, tamburellando le dita sul ripiano della cucina e osservando Diana con più distacco possibile, in attesa che fosse lei a porre rimedio a quella situazione in cui li aveva irrimediabilmente impantanati.

- Ho avuto paura che fossi tu... - Diana infranse il silenzio con un flebile sussurro, guardandolo negli occhi.
Fred riemerse dai suoi pensieri e la guardò, interrogativo.
- Quando ho visto George ferito, per un attimo ho avuto paura che fossi tu... - spiegò Diana continuando a fissarlo così intensamente da farlo sentire a disagio.
- Non sei la prima a confonderci - cercò di sdrammatizzare lui.
- Non scherzare - lo ammonì prontamente Diana severa e poi, come se un’invisibile barriera di ghiaccio fosse stata abbattuta, si sciolse nel farfugliare frasi sconnesse - ero terrorizzata... se ti fosse successo...se fossi morto...e se le ultime cose che ti avevo detto erano cattiverie che non pensavo...io...

- Quanto melodramma! - la interruppe Fred stirando le labbra in un sorriso - quindi, mi stai chiedendo scusa, Pixie?
Diana lo guardava con gli occhi verdi carichi di rimorso: - Si, sono stata orribile! Pensavo di impazzire qui ad aspettare che tornassi...volevo parlarti prima che partiste per la missione. Se ti fosse successo qualcosa...io...io...
- Dovevo dirtelo - ammise Fred passandosi una mano sul collo - dovevo immaginarlo che ti saresti arrabbiata e anche preoccupata! Non ci ho pensato, davvero...
- Beh, si...dovevi aspettartelo! - annuì Diana un po’ più sicura di sè una volta scoperto che anche Fred si stava scusando - soprattutto perchè mi era sembrato di averti già detto che non posso più stare senza di te... - Diana gli aveva rivolto un mezzo sorriso e uno sguardo furbo da sotto la frangia bionda, mentre scagliava quella frase tra loro come uno Schiantesimo.

Fred buttò fuori la poca aria che aveva nei polmoni in un unico lungo respiro.
- Non pensavo che te ne ricordassi... - confessò Fred stupito sia dal fatto che Diana ricordasse i dettagli di quella sera sia dal fatto che fosse andata dritta al punto così rapidamente e inaspettatamente da lasciarlo senza fiato.
- Weasley di poca fede - ridacchiò Diana. Aveva iniziato a guardarsi intorno come se cercasse qualcosa e, infine, si avvicinò alla credenza e alla cassetta di frutta appoggiata sopra, iniziando a tirare fuori le mele una dopo l’altra per svuotare la cassa di legno.

Fred inarcò un sopracciglio: - Hai fame? - chiese un po’ confuso.
Diana non rispose, ma una volta svuotata la cassetta, la posizionò sul pavimento a testa in giù davanti a Fred per poi salirci sopra in piedi.

- Così siamo alti uguali... - Diana si mise una mano sulla testa nel tentativo di misurarsi con Fred e, con improvvisa determinazione, incurvò appena le labbra in un sorriso allusivo.
Fred la guardò dolcemente sorprendendosi nel sentire un brivido di eccitazione percorrergli la spina dorsale nel comprendere che Diana stava cercando di replicare la stessa scena di quella sera a Edimburgo in cui lui l’aveva accompagnata a casa ubriaca e di quando si erano fermati a parlare sotto a quel lampione proprio davanti al negozio Harvey.

Quante volte si era chiesto come sarebbe andata se Benjamin Murray non li avesse interrotti quella notte?
Almeno un milione.
Se lo era domandato anche lei?
- Mmh... mi sembra di aver già vissuto questa scena...- sorrise Fred stando al gioco, mentre lo sguardo e le scuse di Diana spazzavano via gli ultimi granelli di risentimento.
Gli occhi verdi di Diana erano pericolosamente alla sua altezza e dannatamente vicini.
- Me la ricordavo un po’ più buia Victoria Street... - sussurrò Diana in tono eloquente, dando un’occhiata alla luce accesa sopra di loro.
- A questo si può rimediare subito - rispose Fred in un soffio, agitando la bacchetta mentre il buio anneriva  il profilo di Diana riducendola a una sagoma scura di fronte a lui.

Non appena la luce si spense, Fred aveva già proteso una mano in avanti a mezz’aria tra loro, soffermandosi per un attimo nel ricordare di aver già fatto un gesto del genere, mesi prima nel capanno di suo padre, la sera in cui Karen Harvey era morta.
Come sarebbe andata quella volta se non fossero arrivati i Mangiamorte?
Si era domandato anche quello per circa un milione di volte.
Questa volta, però, non c’era nessuno ad interromperli e le sue dita arrivarono a destinazione sfarfallando una carezza sulla guancia di Diana, come a volerne disegnare i contorni, incerte e quasi in spasmodica attesa che succedesse, di nuovo, qualcosa di brutto.
Diana sospirò appoggiando la sua mano sopra quella di Fred, per evitare che lui la allontanasse.
Non appena le dita di Diana avevano sfiorato le sue in un permesso implicito, Fred si stava già inconsciamente sporgendo in avanti con il corpo e incurvando le spalle verso il basso come attratto da un forza magnetica, quando le labbra della ragazza si appoggiarono sulle sue in un perfetto incontro a metà strada che poteva solo lasciare presagire che quello fosse in realtà il momento più giusto di tutti gli innumerevoli momenti sbagliati che avessero mai avuto a disposizione. 

Fred sentiva già il cuore partire al galoppo, quando Diana interruppe il contatto tra loro allontanandosi quanto bastava per guardarlo negli occhi.
Anche nell’oscurità riusciva a percepire perfettamente lo sguardo emozionato di Diana, il respiro corto e la mano tremante ancora stretta nella sua e sapeva che quell’espressione era l’identico riflesso di quella che aveva anche lui dipinta in volto.

- Sarebbe dovuta andare così... - mormorò lui sfiorando le labbra di Diana con le sue.
Sentì Diana sorridere sulle sue labbra e allungare una mano per appoggiarla delicatamente sulla sua nuca provocando una cascata di brividi scroscianti verso il basso, mentre le dita della ragazza affondavano tra i suoi capelli. 
Bastò una leggera pressione della mano sulla sua nuca perchè Fred, con un veloce movimento, calciasse via la cassetta della frutta sotto ai piedi di Diana per far precipitare la ragazza tra le sue braccia, mentre lei emetteva un gridolino di sorpresa e lui la afferrava per la vita per unire di nuovo le loro labbra, che subito si dischiusero per cercare quello che per tanto tempo si erano entrambi negati, mentre Fred le faceva riappoggiare lentamente i piedi per terra.

Se la prima volta che si erano baciati aveva sentito una confezione intera di Fuochi Forsennati esplodergli nello stomaco, ora si sentiva ancora più felice di quando aveva sollevato la Coppa di Quidditch al cielo. Era così felice che la paura che sentiva torcergli le viscere fino a pochi minuti prima era magicamente svanita. In quel momento si sentiva invincibile, come se potesse essere in grado di uccidere Lord Voldemort a mani nude.
Se la prima volta in cui si erano baciati era stato come un salto nel nell’ignoto, ora si sentiva galleggiare leggero verso l’alto.
Il fuoco era divampato.
L’equilibrio diventava un concetto totalmente insulso quando, finalmente, si spiccava il volo.
L’abisso nel quale era irrimediabilmente precipitato durante il loro primo bacio era solo un piccolo e insignificante buco nero, visto dall’alto.

Lui continuò a baciarla per tutte le occasioni in cui avrebbe voluto farlo, ma non ne aveva avuto il coraggio.
Lei continuò a baciarlo sentendosi una vera idiota perchè aveva dovuto provare il terrore di averlo perso per trovare il coraggio di agire.
Continuarono a baciarsi aggrappandosi l’uno all’altra: la mano di Fred che saliva e scendeva lentamente ad accarezzarle la schiena e i capelli, con inculcata in mente l’insensata convinzione che lasciando la presa, lei sarebbe fuggita via. Diana, però, non stava assolutamente scappando, ma aveva allacciato entrambe le mani dietro al collo di Fred, come se potesse avvicinarlo ancora di più in quel bacio.

Diana poteva anche aver riappoggiato fisicamente i piedi per terra, ma continuava a sentirsi fluttuare leggera mentre il suo cuore palpitava in ogni angolo del suo corpo e il suo stomaco si esibiva in un tuffo carpiato.
Si sentiva volare sempre più in alto, ma era sempre lì. 
Nella cucina della Tana, tra le braccia di Fred Weasley, che da quando lo aveva conosciuto non aveva fatto altro che trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
Fred, che anche se nessuno glielo aveva mai chiesto, non aveva altro che salvarla.

- Voi lo sapete che ho perso un orecchio, ma ci sento benissimo e, soprattutto, vi vedo anche se avete spento la luce?

La luce si riaccese e Diana e Fred si staccarono l’una dall’altro per voltarsi verso il soggiorno, frastornati, mentre riemergevano bruscamente dall’universo parallelo nel quale si erano momentaneamente teletrasportati. Nessuno dei due si era ricordato che George dormiva ancora sul divano: Fred rivolse al gemello un sorriso trionfante, mentre Diana cercava di nascondere il viso nel petto di Fred per l’imbarazzo.

- Alla buon’ora! - esclamò George ridendo e lasciandosi cadere un cuscino del divano sulla faccia, da cui, però, sbucò poco dopo dicendo: - andate in camera, altrimenti sarò costretto a cavarmi gli occhi oppure ad auto-obliviarmi per dimenticare quello che ho visto!
Fred scoppiò a ridere e osservò Diana, rossa in viso e con i capelli spettinati, che cercava di sistemarsi la frangia, ridendo a sua volta. 
Si morse un labbro indeciso: certo che avrebbe voluto chiudersi in camera con Diana per almeno due settimane per recuperare tutto il tempo perduto, ma George...aveva rischiato la vita quella notte e Fred non poteva separarsi dal gemello. Diana sembrò leggergli quasi nella mente e, prendendolo per mano, lo trascinò in soggiorno, di fronte al divano su cui George si era messo seduto.

- E come faresti senza occhi e senza un orecchio? Sentiamo... - domandò Diana ridendo e mettendosi le mani sui fianchi - ammettilo che non vedevi l’ora di vedere questa scena!
- Ma sentila! - esclamò George in modo teatrale parlando direttamente con Fred, che soddisfatto, era tornato a sedersi sulla poltrona - ora che ha raggiunto il suo obiettivo se la tira pure!
Fred si allungò in avanti per tirare Diana a sè e farla sedere sulle sue gambe, mentre sentiva un sorriso ebete continuare a contrargli le guance come una smorfia involontaria.
- Quando mi dedicate un monumento? - si informò George sorridendo a entrambi.
- Ah e poi sarei io quella che se la tira? - chiese Diana ridendo e raggomitolandosi tra le braccia di Fred.
- Ce l’hai già un monumento, Georgie - rispose Fred indicandosi con aria di superiorità e cingendo Diana tra le sue braccia - ne vuoi un altro?
- Eccolo, l’altro che proprio non se la tira - borbottò Diana con un sorriso e facendo finta di alzarsi aggiunse: - se continuate così mi tocca andarmene perchè lo spazio, qui, lo occupa tutto il vostro enorme ego!
Fred, in tutta risposta, le avvolse un braccio intorno alla vita per riportarla al punto di partenza. Quando la testa bionda fu di nuovo appoggiata sul suo petto, lui sussurrò: - Vuoi già scappare via?
Diana gli rivolse un semplice sorriso, prima di accoccolarsi ancora di più tra le sue braccia per far capire che non aveva nessuna intenzione di muoversi da lì e sporgendo le gambe aldilà del bracciolo della poltrona su cui erano seduti, mentre Fred giocherellava con i suoi capelli.
Entrambi continuavano a cercarsi con lo sguardo e con le mani come per sincerarsi che ciò che era accaduto fosse davvero, finalmente, reale. 
- Pace fatta? - chiese George con aria ironica  - vissero per sempre felici e contenti? Dovevo proprio perdere un orecchio per farvi mettere insieme?
- Un martire per la causa... - constatò Diana ironica.
- Un che? - chiese Fred senza capire, mentre George assumeva il suo stesso sguardo interrogativo.
- Un martire...gente che si faceva torturare per ciò che amava...di solito la religione - spiegò Diana perplessa che non conoscessero il significato di quella parola.
- Aaah - annuì George folgorato dalla rivelazione indicando il gemello - come Freddie che si è martoriato di seghe mentali per mesi prima di decidersi a darmi retta! E menomale perchè il prossimo livello era passare da quelle mentali a quel-
- Georgie! - lo interruppe Fred con sguardo eloquente per zittire il fratello - la pozione che mamma ti ha dato per farti dormire sta avendo degli evidenti effetti collaterali!
Diana ridacchiava sussultando tra le sue braccia.

Rimasero tutti e tre in silenzio per qualche minuto, fino a che George non riprese la parola tornando serio - Mi hanno detto di tuo padre...
Diana sospirò mentre intrecciava le dita a quelle di Fred.
- Lui e Ben litigano ancora? - si informò Fred cauto spostandosi quanto bastava per vedere il viso di Diana.
- Ogni volta che si trovano nella stessa stanza - sbuffò Diana e poi si raddrizzò lasciando improvvisamente la mano di Fred - sapete una cosa? Mio padre ha detto che è stato lui a regalare il Blackhole a mia madre!
- Ma lui sa cos’è? - chiese Fred riacciuffando la mano di Diana e risalendo ad accarezzarle un braccio.
- Non lo so... - ammise Diana un po’ distratta dalle dita di Fred sulla sua pelle - Ben dice che è meglio evitare il discorso per ora...ma io non mi fido! Soprattutto di mio padre! Ho trovato il nome dell’ospedale dove si trovava e credo che gli farò una telefonata, giusto per avere qualche certezza! Voi credete che sia una coincidenza che sia tornato proprio ora e che tutto d’un tratto si ricordi di avere una figlia che già prima considerava a malapena? Io no...

- Beh... - constatò George pensieroso - è tuo padre e quindi è normale che voglia stare con te! Ti vuole bene!
Diana mise su una smorfia per poi scuotere la testa, contrariata: - Mio padre non è mica Arthur Weasley! Voi...non sapete...
- Cosa? - chiese di getto Fred.
- Lascia stare - Diana si afflosciò con aria malinconica contro il suo petto e appoggiò la testa sulla sua spalla, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo. Il respiro di Diana contro la sua pelle fece perdere facilmente a Fred il filo del discorso.

- Ti fa male? - chiese Diana a George con tono preoccupato, mentre alludeva al suo orecchio.
- Non molto - ammise George sfiorandosi la benda con le dita - ho solo un po’ di mal di testa...
Fred rabbrividì nel ripensare all’accaduto e Diana parve accorgersene perchè strinse le labbra e appoggiò una mano sul suo ginocchio.
- Per Godric, però non fate quelle facce! - George interruppe il momento di serietà per rivolgersi a Diana - questa situazione non può che essere un vantaggio per te! Almeno adesso non potrai baciare me per sbaglio!
- Almeno adesso è noto a tutti chi è il gemello più bello! - rispose a tono Fred sogghignando, mentre Diana guardava ora uno ora l’altro e intervallava il tutto scuotendo la testa divertita.
- Ma piantala! Sono più bello di te anche con un orecchio solo! - attaccò di nuovo George.
- Chissà cosa ne penserà Angelina, mio caro Lobo Solitario! - continuò Fred stringendo Diana tra le sue braccia.
- Chi è Angelina? - domandò Diana interessata.
George sbuffò e Fred rispose al suo posto: - La sua ragazza...
- Ma davvero?? - esclamò Diana sorpresa nell’apprendere la notizia - e perchè non l’ho mai vista? 
- A parte che non è la mia ragazza - rispose George meno disinvolto quando si trattava di parlare di lui - e non l’hai mai vista perchè, antipatica come sei, l’avresti fatta scappare a gambe levate!
Diana gli rivolse un dito medio alzato e una linguaccia: - Verrà al matrimonio di Bill e Fleur?
- No, è in vacanza con la sua famiglia...- George terminò la conversazione dicendo - vado di sopra! Il divano è tutto vostro! - accarezzò il tessuto marrone come se dovesse convincerli ad acquistarlo - Buonanotte! - e con andatura sorprendentemente decisa si avviò verso la scala che conduceva al piano superiore scoccando occhiatine maliziose.
- Aspetta - disse Fred iniziando a ridere, facendo bloccare George e osservando Diana - Pixie, ora Georgie non è praticamente uguale a quel pittore babbano senza un orecchio!?
Diana scoppiò a ridere per scoccargli un bacio sulle labbra, colpita dal fatto che se ne ricordasse, mentre George scuoteva la testa e spariva al piano di sopra imitando dei conati di vomito.

Diana si raddrizzò per guardare Fred tornando seria e assumendo un’espressione severa.
- Che c’è? - chiese lui già con il cuore che scricchiolava per il timore di aver fatto qualcosa di male.
- Beh, ma lo lasci andare di sopra da solo così? - domandò Diana scandalizzata indicando le scale su cui George era appena sparito - non vuoi stare con lui??
Il cuore di Fred emise uno scricchiolio di assestamento prima di tornare a battere normalmente, mentre il sorriso si allargava nuovamente sul suo viso e, di getto, afferrava il viso di Diana per attirarla a sè in un altro bacio.
- Domani sono tutto tuo! Promesso! - le sorrise Fred, felice che Diana avesse in qualche modo compreso il suo bisogno di stare con George.
- Solo domani? - lo prese in giro Diana facendogli una linguaccia - speravo in qualche giorno in più...
- Sei proprio stupida - ridacchiò Fred, mentre entrambi si alzavano dalla poltrona e si dirigevano al piano di sopra.
Diana si fermò davanti alla porta chiusa della stanza che avrebbe condiviso con Ginny e Hermione e si alzò sulle punte dei piedi per baciare nuovamente Fred, che la strinse a sè e, prima di fluttuare verso la sua stanza, sussurrò: - Grazie.
Diana sorrise e fluttuò, a sua volta, nella sua stanza mormorando: - Buonanotte, Fred.
- Buonanotte, Pixie - la voce arrivò distesa in un sorriso dal fondo del corridoio.

Nei giorni successivi i preparativi per il matrimonio si fecero ancora più forsennati e frenetici che mai.
L’arrivo dei genitori e della sorella di Fleur spedì Molly Weasley sull’orlo di una crisi di nervi e solo l’aiuto combinato di Hermione, Ginny e Diana nelle faccende domestiche le evitò un crollo nervoso. L’interno del tendone venne lentamente allestito con fiori bianchi che fluttuavano pigramente, mentre i tavoli venivano ricoperti da candide tovaglie e un piccolo palco fu montato per far si che tutti potessero vedere i due sposi.
Per evitare spiacevoli sorprese l’Ordine aveva deciso che Harry bevesse una generosa quantità di Pozione Polisucco e assumesse le sembianze di un babbano dai capelli rossi a cui Fred e George avevano sottratto una ciocca di capelli, durante una spedizione al villaggio vicino.

Nel trambusto e nel traffico che contraddistingueva la Tana, era praticamente impossibile rimanere da soli in una stanza per più di due minuti e quindi, Diana e Fred si erano dovuti accontentare di briciole di tempo raggranellate a fatica: un incontro in corridoio o un bacio in giardino a tarda sera.
Non avevano detto niente a nessuno di quanto accaduto tra loro, ma, magicamente, tutti sapevano già ogni cosa.
La privacy, alla Tana, era un concetto conosciuto solo per sentito dire.

Remus Lupin aveva suggerito che anche Diana si camuffasse, perchè i suoi capelli biondi erano piuttosto vistosi e volevano evitare che l’attenzione si focalizzasse su di lei, quindi il giorno prima del matrimonio la ragazza si era rinchiusa in bagno con Hermione, Ginny e Fleur affinchè le applicassero una tinta per capelli babbana, vista l’impossibilità di utilizzare la magia su di lei.

Fred sentiva risate e strilli eccitati provenire da dietro la porta del bagno dove le quattro ragazze si erano rinchiuse ormai da ore.
- Tu sarai la sorella di Harry! - spiegò Hermione con il suo solito saccente - che prenderà le sembianze di Barny Weasley
- Barny Weasley? - la voce di Diana sembrava perplessa - e chi sarebbe?
- Un cugino inventato! E anche tu dovrai presentarti come nostra cugina! - esclamò Ginny ridendo - per presentarti come cognata dovrò aspettare un po’.
- Ginny, direi! - esclamò la voce di Diana - non ti pare di correre un po’ troppo?? Accontentati di Fleur come cognata!
Fred rise tra sè e sè fissando la porta del bagno chiusa e immaginando l’espressione schifata di Ginny in risposta alla frase di Diana.
- E poi com’è possibile che sappiate già tutto? - domandò Diana esasperata.
- Ron vi ha visti davanti al capanno ieri sera - iniziò a elencare Ginny - e io vi ho visti staccarvi di botto in corridoio l’altro giorno.
- Ginny, hai guardato tu il tempo di posa della tinta? - si informò Hermione in tono pratico.
- Non è importante, Hermione - la rimproverò Ginny che sembrava ansiosa di parlare d’altro.
- Si che è importante! - si fece sentire Fleur.
- Fleb- Fleur - si corresse subito Ginny in tono pungente - tu hai applicato tante tinte per capelli babbane?
- Ginny, non vorrei trovarmi pelata... - piagnucolò Diana preoccupata - Hermione, mi sembri quella più affidabile!
- Grazie!! - esclamarono quasi all’unisono Ginny e Fleur in tono ironico.
- No..beh...nel senso che è che più affidabile sulle cose non-magiche... - si spiegò subito Diana per sedare gli animi.
- Non è una tinta vera - spiegò Hermione - quando laverai i capelli verrà via e torneranno come prima...
Fred si decise ad aprire la porta del bagno con un tonfo.
- Freeeed! - esclamò Ginny - che ci fai qui? Non puoi assolutamente entrare! - la sorella cercava invano di spingerlo fuori dal bagno.
- Ah no? E se mi scappa dove la faccio? Sul tuo letto?
Fleur assunse un’espressione disgustata, mentre Hermione si copriva la bocca per mascherare una risatina e Diana rideva senza preoccuparsi di nasconderlo, riservandogli uno sguardo smagliante.
- Stringi le gambe e pensa ad altro - suggerì Ginny - fuori! Aria! Non puoi vederla, se la tinta viene male sarà colpa tua! - e lo spinse fuori chiudendogli la porta in faccia.

Fred rimase a fissare la porta con espressione idiota, sentendosi davvero strano di fronte allo sguardo che Diana gli aveva rivolto. 
In quei giorni si sentiva più iperattivo del solito. Non riusciva a stare fermo più di cinque minuti nella stessa stanza se Diana non era lì. Era inquieto. La sera andava a letto con un sorriso stupido aspettando il giorno successivo, senza riuscire davvero a riposare. Il solo continuare a pensare a Diana lo faceva sentire un cretino fatto e finito, ma non riusciva a farne a meno. Era maledettamente più forte di lui.
George ormai passava la metà del tempo a guardarlo scuotendo la testa con rassegnazione, come se fosse una causa persa, e prendendolo in giro.

- Dai, adesso le fai anche gli appostamenti fuori dal bagno? - domandò proprio la voce esasperata di George vedendolo fermo in corridoio e probabilmente con una faccia da scemo visto che si era perso di nuovo nei suoi pensieri - Sei da ricovero al San Mungo!
Fred si limitò a sorridere mentre seguiva il gemello e scuoteva la testa, sentendosi fluttuare sempre più in alto e sentendosi anche sempre più idiota.

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Buon sabato!
Io, povera illusa, pensavo che questo capitolo fosse facile...e invece è stato più o meno un parto plurigemellare! 
Ditemi voi come vi sembra...spero di aver partorito una cosa diabetica al punto giusto XD Finalmente ho lasciato a Diana e Fred il tempo che si meritavano....e, niente finalmente ce l'hanno fatta!
Attendo con ansia una vostra opinione perchè io sono sempre più dubbiosa....-_-'
Alla prossima!
Grazie davvero di cuore a chi continua a seguire questa storia ❤️ 
P.S. Nel prossimo capitolo tornerà anche il Blackhole, non me lo sono dimenticato!
P.P.S. Quasi sicuramente non riuscirò a pubblicare sabato prossimo...se tutto va bene potrei riuscirci domenica, ma non contateci troppo perchè mi aspetta una settimana da panico!
 

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Capitolo 28
*** L’isola felice ***


Diana Harvey era distesa a pancia in giù sul letto che occupava alla Tana. I gomiti puntellati sul materasso, le mani unite di fronte a sè e lo sguardo catturato dalla treccia rosso fuoco appoggiata sulla sua spalla sinistra fino a sfiorare il tessuto colorato delle lenzuola.
Non si era ancora abituata a tutto quel rosso.
Eppure la tinta era venuta piuttosto bene: il fatto che la colorazione non fosse permanente, però, le aveva fatto tirare un grosso sospiro di sollievo.

Quella sera avevano festeggiato il diciassettesimo compleanno di Harry, nonostante quest’ultimo si fosse opposto con tutte le sue forze dato che era di un umore tetro da quando avevano appreso della morte di Malocchio Moody. I signori Weasley, però, non avevano voluto sentire ragioni, dato che il traguardo sanciva il raggiungimento della maggiore età per il mondo magico. La serata si era svolta nel migliore dei modi, fino a quando non c’era stata un’altra improvvisa visita del Ministro della Magia, Rufus Scrimgeour, che per fortuna era venuto da solo e non in compagnia del suo assistente Percy Weasley.

Scrimgeour si era recato alla Tana appositamente per leggere il testamento di Albus Silente che, con sorpresa di tutti, aveva deciso di lasciare in eredità degli oggetti a Ron, Harry e Hermione senza un apparente motivo. 

Il risultato era che Hermione si trovava a gambe incrociate sul proprio letto a scrutare intensamente la copertina del vecchio libro che Silente le aveva lasciato, mentre Ginny cercava invano di attirare l’attenzione di entrambe le sue compagne di stanza per imbastire una qualche conversazione. Diana, però, era troppo distratta dal ricordo di poche ore prima: Fred che si chinava per sussurrarle all’orecchio Ci vediamo al capanno quando tutti sono andati a dormire. Il respiro caldo sul suo collo, mentre il ragazzo pronunciava quelle parole, le dava ancora i brividi e le fece sorgere un sorrisetto insieme a un probabile rossore sulle guance.

Aspettava con ansia che Ginny ed Hermione si decidessero ad andare a dormire, ma purtroppo, entrambe le ragazze sembravano sveglissime.

- Diana, perchè stai ridendo da sola? - indagò Ginny con aria sospettosa infilandosi il pigiama.
- Io...non-non sto...ridendo? - tentò di dire Diana in un balbettio sconclusionato, colta di sorpresa.
- Stai di nuovo progettando di sgattaiolare fuori per incontrarti con Fred, pensando che noi non ce ne accorgiamo? - Ginny inarcò le sopracciglia mentre le sorrideva in maniera molto simile a quanto avrebbe fatto lo stesso Fred.
Diana sentì tutto il sangue che aveva in corpo risalirle alle guance, mentre Hermione mascherava una risatina.
- Oh dai, continuate a guardarvi come due che hanno bevuto un filtro d’amore! - esclamò Ginny pressandola perchè raccontasse qualche dettaglio in più.
- Oh, Diana...non ti ha dato un filtro d’amore, vero? - scattò Hermione preoccupata, accigliandosi all’affermazione di Ginny.
Diana si limitò a scuotere la testa sorridendo.

Si sentiva sempre distratta in quei giorni. Nonostante tutte le cose a cui pensare, non riusciva a smettere di pensare a Fred. Aveva la testa così tra le nuvole da aver addirittura perso l’appetito: le sembrava di essere affamata, ma dopo due forchettate del delizioso cibo preparato da Molly Weasley, si sentiva già sazia.

- E cosa fai ancora qui? - Ginny la esortò a uscire dalla stanza ridendo e indicando la porta.
- Ma... - provò a dire Diana senza sapere bene che cosa dire nè perchè la sua coscienza la inducesse a protestare.
- Vaiii - continuò Ginny con tanta determinazione da impersonare quasi una Molly Weasley in miniatura.
Diana uscì di corsa dalla camera con un sorriso che le illuminava il viso.

Era bello per una volta concentrarsi su qualcosa che non fosse la guerra, la paura o l’angoscia, ma preoccuparsi delle stesse cose di cui si preoccupavano tutte le ragazze della sua età. Era bello far finta di non avere un padre che era appena ripiombato nella sua vita dopo anni di assenza.
Trovarsi alla Tana era un po’ come trovarsi in un’isola felice sperduta in mezzo all’oceano con sottofondo il solo rumore delle onde, lontano dal mondo e dai suoi problemi che ormai, per Diana, avevano soltanto il volto e la voce di Daniel Harvey. 

Dalla stanza di Fred e George scoppiettavano ancora parecchi rumori e risate, perciò Diana si avviò verso il giardino e attraversò il prato per andarsi a sedere sugli sgangherati gradini di legno dell’ingresso del capanno del signor Weasley.
Nonostante fosse tarda sera, l’aria estiva era ancora intiepidita dai roventi raggi di sole che in quei giorni non davano tregua.
In attesa di Fred, Diana si mise a giocherellare pigramente con la catenella del Blackhole per farlo ricadere nel palmo della sua mano.
Ormai erano passati mesi dal sogno di Harry. Non aveva fatto altro che aspettarsi che qualcuno tentasse di mettere le mani sul suo prezioso oggetto. Invece, non era accaduto nulla. Tutto ciò era molto strano, ma magari Fred aveva ragione. Harry poteva essersi sbagliato.
Chiuse gli occhi, concentrandosi sul silenzio che contraddistingueva la vita di campagna, fino a che il ronzio del Blackhole non diventò l’unico rumore fuori e dentro la sua testa.
Quando riaprì gli occhi, una famigliare luce blu fuoriusciva dal coperchio aperto del vecchio orologio. Diana stava tentando di allenarsi di nuovo a contenerne la potenza a suo piacimento.
Con il ritorno di suo padre, aveva cercato di indugiare il meno possibile sul Blackhole, per evitare che lui facesse ulteriori domande, data l’espressione interessata che aveva manifestato non appena lo aveva visto. Ogni volta che Diana aveva tentato di approcciare una conversazione per sondare il terreno, Daniel non aveva fatto altro che eludere le sue domande, come d’altronde faceva sempre anche Ben. Dopo il suo breve soggiorno alla Tana, quegli interrogativi irrisolti sarebbero balzati in cima alla sua lista di cose da fare insieme al bruciante desiderio di scoprire se davvero suo padre avesse detto la verità in merito ai problemi di salute che lo avevano tenuto lontano per anni.
Il bagliore bluastro continuava ad intensificarsi e riabbassarsi seguendo il ritmo della volontà di Diana, quando una sagoma scura uscì da casa per muoversi a passo svelto nella sua direzione.
Diana spense il Blackhole, mentre una sensazione di magnetica tensione la rimetteva in piedi con un sorriso stampato in volto.

- Dalla tua espressione mi sa che ti aspettavi qualcun altro... 
Diana rimase un attimo perplessa nel sentire una voce diversa da quella di Fred, ma, mentre la tensione si affievoliva, si rilassò: - Ciao Bill...che ci fai qui?
- Potrei farti la stessa domanda - le sorrise lui accendendo la punta della sua bacchetta con un incantesimo per gettare una fioca luce tra loro.
Diana mosse il piede destro avanti e indietro con aria vaga, mentre Bill scoppiava a ridere di gusto.
- Non riuscivo a dormire e ho visto una luce famigliare dalla finestra... - iniziò a dire Bill con sincerità.
- Io aspettavo Fred - rispose di getto Diana con altrettanta sincerità, sorridendo.
- E chi l’avrebbe mai detto... - sghignazzò Bill allusivo, mentre la luce della bacchetta faceva risaltare le cicatrici biancastre lasciate sul suo viso da Greyback.
- Ehi - protestò Diana prendendolo in giro - non fare il simpaticone solo perchè domani ti sposi...non sarà che non riesci a dormire per quello?
Bill deglutì e alzando le spalle ammise: - Credo di si...sono un po’ nervoso! Cioè...mi sposo con Fleur Delacour che è tipo...
- La più bella ragazza del mondo - terminò per lui Diana.
- Già - sospirò Bill con sguardo malinconico - e io sono solo un cretino sfigurato da un lupo mannaro. Pensa, che lei ha detto che sarebbe rimasta con me anche se mi fossi trasformato!
- Non avevo dubbi! - rispose Diana sorridendo, sinceramente felice per la coppia che, finalmente, l’indomani sarebbe riuscita a coronare il proprio sogno.

Bill Weasley continuava a sembrare parecchio ansioso, mentre osservava il prato scuro con aria assorta e con le labbra serrate.
- Sai che cosa si può fare per scaricare il nervosismo? - propose Diana, mentre Bill la guardava con aria interrogativa. Come risposta, Diana agguantò il Blackhole con aria battagliera.
- Un duello nel cuore della notte in nome dei vecchi tempi? - domandò Bill con un sorriso mentre faceva apparire qualche lanterna galleggiante intorno a loro per illuminare la zona e spegnere la punta della bacchetta - ok, ci sto!
Prima di liberare l’onda di energia che sentiva crescere dentro di sè, Diana confessò: - Bill...io non ho mai ringraziato abbastanza te e Fleur per quello che avete fatto per me...senza di voi io... - un lampo di luce rossa proveniente dalla bacchetta di Bill le sfiorò un braccio - ehi! Non ero pronta! - si lamentò Diana.
- Diana, basta chiacchiere - le sorrise Bill con la bacchetta alzata e un piede in avanti, in posizione difensiva, mentre con la mano sinistra la incitava ad attaccare - non serve ringraziare! Dai colpisci!
- L’hai voluto tu! - Diana sorrise mentre ruotava l’orologio e Bill schivava prontamente i suoi attacchi, uno dopo l’altro.

Un altro lampo di luce rossa arrivò dall’alto, mentre Diana era inginocchiata per scansare un precedente incantesimo; lei allora roteò l’orologio sopra la testa creando una sorta di cupola protettiva azzurrina sulla quale il bagliore rosso si schiantò facendo tremare i contorni del suo campo visivo.
- E questa novità? - ansimò Bill sorpreso mimando con la mano la forma della cupola.
- Mi sono allenata anche senza il mio maestro! - rispose Diana altrettanto affaticata, ma con un sorrisetto compiaciuto.
Un’altra raffica di incantesimi cadde verso Diana come grandine, cogliendola di sorpresa, tanto che la concentrazione per utilizzare il Blackhole svanì e dovette ricorrere ai pronti riflessi che aveva imparato ad affinare. Arretrò a passo svelto facendo una specie di slalom tra la pioggia di incantesimi che Bill le spediva contro, mentre la treccia le rimbalzava ritmicamente sulla spalla.
Una volta fuori tiro, Diana raccolse i pensieri, mentre Bill partiva di nuovo all’attacco: un incantesimo si sfaldò contro il raggio azzurro del Blackhole, mentre Diana correva incontro a Bill in scivolata sul prato per cercare di atterrarlo con uno sgambetto.

- Se lo azzoppi, domani come ci arriva all’altare? 
Nessuno dei due aveva sentito Fred materializzarsi di fianco a Diana, che si sbilanciò all’indietro per effetto dell’ultima ondata di energia del Blackhole e cadde all’indietro nell’erba.
- Ci hai messo un secolo - lo rimproverò Diana, mentre Fred la rimetteva in piedi ridendo - e quindi ho pensato di aiutare Bill a scaricare un po’ di tensione.
Bill si ripulì i pantaloni e con un sorriso nervoso e il fiato corto annunciò: - Beh...visto che Fred è arrivato, vi lascio soli... buonanotte e...grazie Diana! - prima di andarsene diede un pugno affettuoso alla spalla di Fred accompagnato da uno sguardo eloquente.
- Sicuro di non voler continuare? - domandò Diana ansiosa di ripagare la gentilezza che Bill le aveva sempre riservato.
Bill scosse la testa: - Tranquilla...andrò a rompere le scatole a Charlie!
L’unico fratello Weasley, ad eccezione di Percy, che ancora Diana non conosceva era arrivato qualche giorno prima dalla Romania per fare da testimone a Bill.
Fred avvolse un braccio intorno alle spalle di Diana, mentre entrambi guardavano Bill tornare verso casa. Il primogenito Weasley, a metà strada, si voltò indietro dicendo: - Non fate tardi...
- Non siamo noi che domani ci sposiamo! - gli gridò dietro Fred sghignazzando, mentre Bill tornava improvvisamente serio nel ricordare cosa lo aspettava il giorno successivo.

- Dove eri finito? - domandò Diana sgusciando dalla presa di Fred.
- Io e George stavamo architettando delle cose... - rispose lui vago mentre si picchiettava un dito sulla tempia - grandi progetti!
- Ma smettila! - Diana si mise a ridere spintonando Fred e si rimise a sedere sui gradini di legno. Il ragazzo la imitò accomodandosi al suo fianco.
- Che vuoi fare? - chiese Fred con un sorriso e sfoderando già la bacchetta - vuoi provare a battere me visto che Bill ha gettato la spugna?
In risposta, Diana si sporse in avanti per baciarlo e quando si separò da lui, Fred, con aria ironica, rispose: - Ok, per me va benissimo anche questo - e si riavvicinò per unire nuovamente le loro labbra riponendo la bacchetta in tasca.

La mattina del matrimonio, quando Diana aprì la porta della stanza per scendere al piano di sotto, venne quasi investita da dei vestiti che sfrecciavano avanti e indietro nel corridoio e Ron che li inseguiva ululando parolacce. 
- Buongiorno, Ron - biascicò Diana stropicciandosi gli occhi e guardando a destra e sinistra nel corridoio come per attraversare una strada trafficata onde evitare di essere colpita da oggetti volanti.
Ron, arruffato ed esasperato, la guardò come se avesse avuto un’illuminazione divina e prendendola per un braccio esclamò: - Ho bisogno di te!
Diana si lasciò trascinare lungo il corridoio da Ron con aria perplessa. Era ancora mezza addormentata e non capiva dove il ragazzo la stesse portando. Aveva bisogno di lei per cosa? Lei aveva bisogno di un caffè e di mettere qualcosa sotto i denti.
- Ron... - lo pregò Diana in un brontolio mentre il suo stomaco implorava cibo - posso aiutarti dopo aver fatto colazione?
- No è urgente! - Ron si bloccò nel corridoio per guardarla negli occhi - mi devi dare una mano a tenere buoni Fred e George!
Diana guardò Ron sbigottita, mentre il ragazzo si passava una mano tra i capelli rossi, sempre più esasperato. La situazione era abbastanza ridicola e, infatti, Diana scoppiò a ridere.
- Io...dovrei...tenere...buoni...Fred e George? - chiese a fatica tra le risate - se mi spieghi come si fa, magari...
- Ma tu sei bravissima!! Quando sbatti le ciglia, Fred ti ubbidisce sempre! - esclamò Ron sbuffando e cimentandosi in quella che doveva essere un’imitazione di Diana che sbatteva le ciglia - mi hanno fatto un incantesimo all’armadio e ora tutti i miei vestiti stanno volando per tutta casa e anche fuori da casa.
Proprio in quel momento, Diana posò lo sguardo fuori dalla finestra del corridoio dove un paio di calzini e delle mutande sventolavano in aria, come delle bandiere.
- Visto! - esclamò Ron vedendo la propria biancheria intima svolazzare e mettendosi una mano sul viso per l’imbarazzo, mentre le sue orecchie assumevano una sfumatura rosso fuoco - intendevo proprio tutti i vestiti!
Diana scoppiò in una risatina incontrollata, immaginandosi l’espressione di disappunto di Hermione se si fosse trovata davanti quella scena.
- Oh, dai Ron! Li conosci da quando sei nato! Sarai sicuramente in grado di gestire la situazione! - lo rincuorò Diana.
- Mi manca Percy - borbottò Ron mentre cercava di acciuffare i pantaloni che gli roteavano sopra la testa - almeno prima era lui il bersaglio preferito dei loro scherzi.

Diana rimase a osservare Ron e poi, mossa a pietà, aggiunse: - E va bene...ci posso provare, ma non garantisco nulla!
Ron esultò vittorioso e la seguì mentre raggiungeva la stanza di Fred e George.
Bussò alla porta e proprio Fred venne ad aprire: la testa rivolta all’indietro, mentre rideva, probabilmente insieme a George.
- Ciao rossa - la salutò tornando serio non appena si accorse chi c’era davanti alla soglia e rivolgendole uno sguardo così intenso che Diana si sentì barcollare.
- Oh...ehm, ciao... - Diana boccheggiò cercando di ritrovare un minimo di autocontrollo - Fred, per favore...potresti smettere di far volare i vestiti di Ron?
- Ma è così divertente - sghignazzò Fred mentre Ron apriva la finestra per cercare di acciuffare le proprie calze.
- Sarà molto meno divertente quando a vostra madre verrà una crisi isterica - sbuffò Diana sentendo già la signora Weasley strillare contro Ginny al piano di sotto.
Il nominare Molly Weasley parve sortire l’effetto desiderato.
- Mmh...ok - constatò Fred con aria di chi non era per niente convinto - però voglio qualcosa in cambio - la prese per la vita e la trascinò dentro la stanza per incollare le labbra sulle sue.
- Aiuto! - esclamò George disgustato - fatemi uscire! Che schifo! - e si affrettò a correre fuori dalla stanza lasciando la porta spalancata, mentre tutti i vestiti di Ron tornavano in casa per avvolgersi in un turbine vorticante intorno al proprio padrone per poi ricadere a terra seppellendolo sotto strati di stoffa.
- Freeed! - lo rimproverò Diana mentre vedeva Ron lungo e disteso in corridoio e Harry giungere in suo soccorso.
- Che c’è? Hai solo chiesto di smettere di farli volare e io l’ho fatto...- si giustificò lui con espressione furba, mentre Ron cercava di rimettersi in piedi.
Diana ridacchiò, conscia di aver fatto abbastanza: - Scendo a fare colazione e a vedere come mai tua madre urla...di nuovo! Il che è strano visto che tu e George siete qui - aggiunse notando proprio George uscire dal bagno.
- Vedi - rispose Fred con un finto sguardo innocente - non è mica sempre colpa nostra...

Anche al piano di sotto la situazione era piuttosto caotica.
La cucina e il soggiorno erano invasi di pacchetti di ogni dimensione e la signora Weasley e la signora Delacour sfrecciavano avanti e indietro alla stessa velocità raggiunta poco prima dai vestiti di Ron al piano di sopra.
- Ginny, perchè hai spostato i pacchetti dal divano? - strillò la signora Weasley come se fosse una questione di vita o di morte. Quando notò Diana, la sua espressione si addolcì per dirle: - Buongiorno cara, se vuoi fare colazione, il caffè è pronto e ci sono dei biscotti... - tra le mani teneva festoni da appendere e, sbuffando, riprese: - Ho ancora così tante cose da fare...
- Grazie, signora Weasley - le sorrise Diana avvicinandosi alla caffettiera - le do una mano io, poi...
Molly le sorrise, grata, prima di sparire in un’altra stanza a cercare il signor Weasley.

Mentre Diana si gustava una tazza di caffè fumante con lo sguardo assonnato fisso sul giardino, Fred sbucò ridendo insieme a George in cucina, le teste vicine a confabulare.
- Vedrai quando scoprirà la Caccabomba nell’armadio! - stava sussurrando Fred al gemello soffocando un’altra risata, poi posò lo sguardo su Diana.
- Buongiorno Pixie! - la salutò lui allegro e, come se non l’avesse vista pochi minuti prima, si avvicinò a lei e, togliendole la tazza dalle mani, le diede un bacio sulle labbra. Diana rimase immobile, spalancando gli occhi per la sorpresa.
- Ma...George...- Molly Weasley era entrata in cucina proprio in quel momento lasciando cadere per lo stupore una serie di festoni da appendere all’ingresso - io pensavo che..tuo fratello...insomma...
- Buongiorno mamma, sono Fred - la tranquillizzò allegramente lui indicandole l’orecchio che ancora possedeva e bevendo il caffè dalla tazza di Diana.
Molly Weasley sembrò tirare un sospiro di sollievo.
Diana, invece, con il viso in fiamme, cercò di riacciuffare la sua tazza dalle mani di Fred, borbottando: - Da come è iniziata la giornata, tu dovresti berti una camomilla, altro che caffè...
- Quella la lascio per te... - le sorrise Fred strizzandole l’occhio - magari più tardi ne avrai bisogno...

Dopo la colazione, una Molly Weasley fuori dai gangheri costrinse i gemelli a raccogliere senza la magia tutti gli oggetti di Ron che avevano ripreso a galleggiare pigramente per casa e siccome il suo sguardo era così minaccioso, mentre sbraitava con le mani sui fianchi, nemmeno Fred e George osarono obiettare. Ron era sceso poco dopo, seguito da Harry, e lasciandosi stancamente sedere al tavolo aveva mandato definitivamente fuori di testa Molly Weasley domandando se Percy avesse accettato l’invito al matrimonio.
Il pianto isterico in cui era scoppiata la signora Weasley poteva essere interpretato solo come una risposta negativa. I singhiozzi disperati andarono avanti a lungo, tanto che, ancora nel pomeriggio, si potevano sentire fin nella stanza in cui Diana, Hermione e Ginny si stavano preparando per la cerimonia.

- Mi sta da schifo questo abito - sbuffò Diana per la quarta volta mentre dalla finestra vedeva già i primi ospiti che arrivavano, accolti da Fred e George, dritti in piedi all’imbocco del vialetto che indicavano dove andare. Intorno al tendone bianco era schierato già da qualche ora un folto gruppo di maghi che si guardava intorno sospettoso. Fred si voltò e, notandola affacciata alla finestra, le rivolse un sorriso che le fece venire istantaneamente voglia di aprire la finestra per abbassare la temperatura nella stanza.

- Non è vero! - esclamò Ginny in modo diretto mentre con le mani si lisciava l’abito grigio argento - ti sta benissimo! 
- Chi sono quelli? - chiese Diana cambiando argomento e indicando gli uomini intorno al tendone.
- Auror, per la maggior parte - rispose Hermione mentre trafficava con la sua borsetta a tracolla abbinata all’abito rosso - sono una specie di polizia magica che va a caccia di maghi oscuri. Data la presenza di Harry, Scrimgeour ne ha dislocati qui un po’ per la sua protezione.

Diana si specchiò per l’ennesima volta soppesando le parole di Hermione.
Il vestito bordeaux era molto carino: le arrivava appena sopra le ginocchia e aveva una scollatura un po’ troppo profonda per i suoi gusti, ma tutto sommato non era male. Le spalline sottili si incrociavano sulla schiena lasciandola per lo più scoperta, il che era una benedizione dato il caldo afoso della giornata.
I suoi nuovi capelli rossi erano sciolti a ricadere sulla schiena con la frangia, diventata lunga, pettinata in un ciuffo laterale.
Il Blackhole era appeso al suo collo, come sempre, e penzolava placidamente proprio al centro della scollatura.
- Non so...c’è un po’ troppa pelle esposta per i miei gusti... - constatò Diana per niente convinta e mettendosi di profilo per osservare il riflesso della sua schiena pallida.
- Piantala! - la zittì Ginny - dai scendiamo! - esclamò poi eccitata girando su sè stessa e facendo aprire il vestito in una ruota.

Diana prese la propria borsetta infilandola a tracolla e seguì Ginny ed Hermione fuori dalla stanza.
- Oh, ehm...non andiamo a trovare Fleur? - propose Diana sentendo la voce della futura sposa dal corridoio con un tono quasi isterico.
Ginny inarcò le sopracciglia indispettita da quell’intenzione e Hermione fece praticamente finta di non aver sentito.
- Ginny, ma sei la sua damigella... - la rimproverò Diana.
- Non per mia scelta - rispose Ginny imbronciata - se vuoi ti aspettiamo di sotto...
Diana varcò la soglia della stanza di Fleur: la ragazza andava avanti e indietro, avvolta in un semplicissimo abito bianco, mentre la signora Delacour la tallonava agitando la bacchetta per cercare di acconciarle i capelli.
- Diana! - Fleur la accolse con un sorriso agitato e fermandosi di botto, così che la madre, con un colpo di bacchetta e tirando un sospiro di sollievo, riuscì a raccogliere le ultime ciocche di capelli che ancora sfuggivano dallo chignon.
- Sei bellissima, Fleur! - le sorrise Diana.
- Ce n’est pas vrai! - si imbronciò lei nervosa - sembro grassa! E se a Bill non piaccio?
- Stai scherzando, vero? - domandò Diana - a Bill piaceresti anche con addosso un sacco dell’immondizia!
Fleur, inaspettatamente, si sporse per abbracciarla dicendo: - Avresti dovuto essere tu, la mia demoiselle insieme a Gabrielle...
Diana sorrise ricambiando l’abbraccio: - Ma no, Ginny ne è così felice...
Fleur la guardò con aria di chi non ci credeva per niente, ma poi sorrise.
- Vedrai che oggi andrà tutto alla perfezione - cercò di rassicurarla Diana - raggiungo Ginny e Hermione, mentre finisci di prepararti! Non fare aspettare troppo Bill!

Scese velocemente le scale per raggiungere le due ragazze che la aspettavano con aria ansiosa e tutte e tre si diressero all’aperto.
Camminare con i tacchi nella terra morbida non era propriamente semplice, ma Diana fu distratta dall’atmosfera di cui il giardino era pervaso. L’intero camminamento di pietre chiare che portava dall’ingresso della Tana a quello del tendone era incorniciato da lanterne fluttuanti.
- Vedi quelle? - chiese Hermione a Diana indicandole degli insetti che volteggiavano sul prato - sono lucciole incantate. Quando calerà la sera si illumineranno. E’ stata una mia idea...
- Molto romantico... - constatò Ginny sbattendo le ciglia e intrecciando le mani e poi, assumendo un tono di voce parecchio acido, aggiunse - potrei vomitare.
Diana non potè fare a meno di sorridere di fronte all’espressione di Ginny, ma rimase molto colpita dagli svariati utilizzi della magia.
- Diana! - una voce profonda la fece voltare verso il gruppo di maghi che si aggirava intorno al tendone.
- Ben! - esclamò lei sentendo il viso aprirsi in un sorriso - che ci fai qui? Non sapevo che venissi...
- Do una mano - ammise lui alzando le spalle - quasi non ti riconoscevo con questi capelli...
Per l’occasione, Ben Murray aveva abbandonato i soliti abiti totalmente neri, per una camicia bianca su cui spiccava un papillon nero, mentre la giacca dello stesso colore era appoggiata sul suo avambraccio. 
- L’intento era quello... - spiegò Diana sorridendo mentre salutava con la mano Robert Murray, intento a conversare con uno strano mago interamente vestito di verde bottiglia.
- Dai Diana, entriamo! - la sospinse Hermione indicando il tendone e scoccando un’occhiata torva a Ben.
- A dopo... - la salutò Ben lasciando in sospeso la frase come se avesse voluto aggiungere altro.

In fondo al vialetto, Diana scorse Fred e George, di spalle, che stavano cercando di cimentarsi nella lingua francese per guidare un gruppetto di parenti di Fleur verso i tavoli a cui erano destinati. Provò l’improvviso impulso di attraversare il giardino di corsa e raggiungere Fred, ma si limitò a seguire Hermione e Ginny.
L’aspetto interno del tendone era decisamente migliore rispetto all’esterno.
I tavoli erano riccamente decorati e una passerella rossa portava al piccolo podio su cui si sarebbe tenuta la cerimonia. Un delicato profumo di fiori le invase i sensi.

Un ragazzo dai capelli rossi dal naso schiacciato e grassottello che Diana era certa di non aver mai visto prima, la raggiunse a passo spedito: - A quanto pare oggi siamo fratelli... - sbuffò nervosamente appiattendosi i capelli sulla fronte in un gesto famigliare.
- Ah, eccoti fratellino - Diana salutò Harry con un sorriso, riconoscendolo.
- Miseriaccia - esclamò Ron cercando di allargarsi il colletto della camicia e apparendo al fianco di Harry - fa più caldo che nell’aula di Divinazione!
- Non farla tanto lunga, Ronald! - lo rimbrottò Hermione guardandosi intorno estasiata.
- Her....Hermione - balbettò lui fissandola come in trance - sei...bellissima!
- Sempre questo tono sorpreso! - bofonchiò Hermione alzando gli occhi al cielo per celare il rossore sulle guance provocato dal complimento di Ron.
- Andiamo a bere qualcosa - propose Diana adocchiando un tavolo con delle bevande - Ron ha ragione, si muore di caldo oggi!
Mentre sorseggiava dell’acqua fresca con al fianco Ron ed Hermione che battibeccavano come al solito, una voce allegra alle sue spalle chiese: - Ciao, ci conosciamo? 
Era un ragazzo dalla pelle scura, i capelli raccolti malamente in una massa di treccine e un sorriso smagliante. Indossava un elegante abito grigio chiaro.
- Non credo... - ammise Diana cercando aiuto con lo sguardo, ma Harry era intento a fissare Ginny con sguardo adorante e Ron ed Hermione erano troppo occupati a bisticciare.
- Piacere, Lee Jordan - si presentò lui allungando la mano.
- Diana...Weasley - esitò per un attimo Diana in imbarazzo, mentre il nome del ragazzo riecheggiava nei meandri della sua memoria. Era certa che Fred e George lo avessero menzionato più di una volta.
- Ovviamente... - Lee sorrise in modo amichevole soffermandosi a guardare i suoi capelli rossi - sei una cugina? Non mi pare di aver sentito mai parlare di una Diana...
- Oh...abito mooolto lontano...- cercò di dire Diana a disagio indicando Harry per sviare le domande - e quello è mio fratello Barny!
Siccome Lee Jordan la squadrava poco convinto, Diana avvicinò alle labbra un altro bicchiere in cui nascondere il viso. Bevve tutto d’un fiato per poi aprirsi spontaneamente in una smorfia. Quella non era affatto acqua.
Lee scoppiò a ridere: - Non avevi mai bevuto Idromele?
- Io...si certo...tutti i giorni...- bofonchiò lei tossendo, mentre Lee Jordan continuava a ridere.

- Buonasera cugina - la salutò una voce alle sue spalle calcando un po’ troppo la “c” dell’ultima parola - vedo che hai fatto la conoscenza del buon caro Jordan!
Fred era apparso alle sue spalle e, in maniera poco “cuginesca”, le aveva passato un braccio intorno alle spalle, osservandola con la coda dell’occhio con un angolo delle labbra sollevato nel principio di un sorriso. Diana strabuzzò gli occhi, mentre qualcosa dentro il suo stomaco, si contorceva furiosamente. 
Fred indossava una camicia bianca con dei disegni psichedelici che le facevano venire il mal di testa solo a guardarla e sopra di essa un gilet giallo canarino con una cravatta dello stesso colore. Almeno i pantaloni erano di un normale color marrone scuro.
- Weasley! - esclamò Lee dandogli una pacca sulla spalla e guardandosi intorno - dov’è George?
- All’ingresso del tendone - rispose Fred indicandogli il punto in cui George, attorniato da un gruppo di bionde ragazze stava raccontando per l’ennesima volta come aveva perso l’orecchio - insieme alle cugine Veela di Fleur.
- Ah beh... le Veela mi chiamano - si giustificò Lee con un’espressione da pesce lesso - è stato un piacere, Diana! Fred, tu non vieni?
- Mmh..si vi raggiungo dopo - lo liquidò Fred, mentre Lee si allontanava e le biondine si sbracciavano nella loro direzione per salutare Fred.
- Le bionde ti chiamano... - sibilò Diana in tono velenoso agguantando un altro bicchiere di quell’Idromele parecchio forte e fissando con astio le ragazze bionde e perfette che sembravano uscite da una sfilata di moda.
Fred sbuffò infilando due dita nel colletto della camicia e allentandosi la cravatta, mentre guardava Diana con sguardo penetrante.
- Sei gelosa, cuginetta? - chiese lui beffardo prendendo un bicchiere a sua volta.
- Io? - squittì Diana in modo un po’ troppo acuto cercando di indossare un falso sorriso.
Fred si sporse pericolosamente verso di lei con espressione furba e le sussurrò all’orecchio: - Ormai dovresti sapere che preferisco i Folletti della Cornovaglia alle Veela...a proposito - abbassò lo sguardo per lasciarlo scorrere su e giù su Diana - che...eleganza!

Diana si sentì avvampare. Immediatamente, l’aria all’interno del tendone si era fatta ancora più calda. 
Mentre Fred si ritraeva, per buttare giù una sorsata dell’Idromele nel suo bicchiere, Diana sorrise portando l’attenzione sul terribile look del ragazzo: - Beh...si sai com’è, siamo a un matrimonio! Almeno non mi sono messa un gilet giallo!
- Ti piace? -  chiese Fred fiero gonfiando il petto per mettere in mostra il gilet.
- Ti devo rispondere? - chiese lei senza riuscire a evitare di sorridere, perchè Fred era una causa persa in quanto a gusto estetico - hai proprio un talento nell’abbinare i vestiti in modo assurdo...
- Beh, è comunque un talento! - ammiccò lui alzando il bicchiere verso di lei come per fare un brindisi -  e non posso mica essere perfetto!
Diana si limitò a ridere, anche se la tentazione di rovesciargli in testa la grossa bacinella contenente l’Idromele era molto forte, ma forse la doccia fredda sarebbe servita di più a lei che a Fred.
- Certo che potevi risparmiarti la scenetta davanti a tua madre... - lo rimproverò Diana ripensando a quella mattina - ha rischiato il collasso...
- Ma va - rispose Fred agitando una mano come a voler scacciare una mosca - mia madre ti adora, penso che sarebbe stata più felice solo se mi fossi messo a baciare Harry Potter! Ha rischiato il collasso perchè pensava fossi George...
Diana sorrise tra sè ripensando all’accaduto e si sentì arrossire di nuovo al pensiero. 
- Quindi, a quanto pare, se lo aspettavano tutti tranne me e te... - confessò Diana ancora basita dal fatto che tutti sembravano aver colto ciò che aleggiava tra loro già da molto tempo.
- Parla per te - la rimbeccò Fred ridendo - io lo sapevo che prima o poi avresti ceduto al mio fascino.
- Fred...vuoi che ti ficchi la testa nella bacinella di Idromele? - lo minacciò Diana facendogli una linguaccia.
- Non riesco a capire tutto questo tuo costante desiderio di farmi del male... - constatò Fred continuando a ridere.
- Qualcuno deve tenere a bada il tuo ego smisurato - lo rimbeccò Diana con un sorriso.
- Oh, beh...intanto questo ego smisurato ti ha conquistata...o sbaglio? - domandò lui con un sorrisetto di chi la sapeva lunga, mentre continuava a blaterare di altre cose smisurate, oltre all’ego. 
Diana mise a tacere Fred con un’occhiataccia, visto che l’ambiente cominciava ad affollarsi. 

Lasciò vagare lo sguardo sull’interno del tendone, scoprendosi emozionata per l’imminente matrimonio. Tutti chiacchieravano allegramente: Ron ed Hermione, finalmente, stavano chiacchierando tranquillamente, Harry stava parlottando con una strana ragazza bionda dagli occhi stralunati, Lee e George stavano cercando di intrattenere le Veela con degli incantesimi.
Era una serata piacevole dove tutti cercavano di divertirsi e non pensare a quello che stava già accadendo al di fuori di quella piccola isola felice.
Poi l’ingresso del tendone si aprì facendola ricredere su quanto aveva appena solo osato pensare. 

Daniel Harvey, con un sorriso in volto, era appena entrato, seguito a ruota da Ben Murray che invece aveva il viso contratto in una smorfia contrariata.
- Merda! Che diamine ci fa qui mio padre?- sbottò Diana appoggiando con forza il bicchiere sul tavolo e facendo voltare Fred verso l’ingresso del tendone.
Sia Diana che Fred si incamminarono incontro a Ben, che aveva ormai superato Daniel.
- Che ci fa qui? - sibilò Fred con aria minacciosa a Ben prendendolo per un braccio - nessuno dell’Ordine ne è stato informato.
- Tu lo avresti lasciato al negozio da solo? - gli rispose Ben con aria di superiorità guardando con sdegno la mano di Fred che stringeva ancora il suo avambraccio - io no di certo! Non mi fido di lui. E lasciami andare, Weasley!
Fred strinse le labbra lasciando andare l’avambraccio di Ben e asserì: - Neanche io mi fido.
Ben annuì in risposta, dando un’occhiata indagatrice a Diana che fissava la scena: - Volevo avvisarti prima, quando eravamo fuori dal tendone...
Diana fece un cenno con il capo a Ben per ringraziarlo della sua premura.
- Parlate pure come se io non fossi qui, mi raccomando - si lamentò con un sorriso insofferente Daniel Harvey, per poi voltarsi verso Diana e dire: - Sei splendida, tesoro!
Diana si limitò a stringere le labbra in una linea sottile e a stritolare la tracolla della sua borsetta, mentre Ginny correva verso di loro invitandoli a prendere posto perchè la cerimonia stava per iniziare.
Con l’arrivo di Daniel Harvey, la sua isola felice di pace e serenità stava già svanendo piano piano nel nulla.

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Ciao! Il mio impegno di oggi è durato meno del previsto e quindi sono contenta di riuscire a rispettare il mio sabato di pubblicazione :D
E' un po' un capitolo di passaggio quindi non mi fa saltare dall'entusiasmo, ma avevo in mente un po' di situazioni divertenti e, soprattutto, volevo che Diana avesse modo di confrontarsi sia con Bill che con Fleur, data l'importanza che hanno avuto per lei.
Al prossimo giro, invece ci tuffiamo nella trama, promesso!
Intanto, se vi va, fatemi sapere che ne pensate!
Grazie!
A presto!
Sere

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Capitolo 29
*** Il matrimonio ***


Diana andò a prendere posto su una sedia tra Harry e Fred, lasciando scorrere lo sguardo sulla passerella rossa che portava al piccolo altare, dove già si trovava Bill Weasley, elegantissimo nel suo abito blu scuro e con l’ansia disegnata in viso, mentre al suo fianco il fratello minore Charlie cercava di distrarlo con un sorriso.
Diana lasciò scivolare lo sguardo tra i presenti per fermarlo bruscamente sul lato opposto, dove suo padre sedeva accanto a Robert; Benjamin, probabilmente, era ancora all’esterno a pattugliare il perimetro della Tana.
Strinse le labbra contrariata voltandosi verso George e Lee Jordan che parlottavano alle sue spalle e, nel farlo, incrociò lo sguardo di Fred che, più serio che mai, allungava il collo per cercare qualcuno.
- Che c’è? - sussurrò Diana tirandolo a sè per la manica della camicia.
- Dov’è Ben? Tu lo vedi? - Fred continuava a muoversi inquieto sulla sedia, come se si trovasse su una roccia appuntita, mentre, nuovamente, il suo sguardo saettava tra i presenti.
- Non so...sarà fuori con gli Auror - spiegò Diana senza capire perchè Fred si agitasse tanto - ma perchè?
- Robert non ci ha detto che sarebbe venuto...per di più insieme a tuo padre! - mormorò Fred scocciato da quell’imprevisto.
Diana si mordicchiò l’interno della guancia, pensierosa, perchè non sapeva esattamente come rispondere nè cosa pensare dell’intera faccenda. Senza davvero volerlo,  aveva abbassato le difese con Benjamin, nonostante tutte le sue stranezze, e odiava doversi ricredere sulle persone.

Una piacevole e raffinata melodia attirò l’attenzione di tutti i presenti verso l’ingresso del tendone, al principio della passerella, dove Fleur e il signor Delacour si trovavano.
Se Diana non l’avesse vista poco prima, probabilmente sarebbe rimasta abbagliata dalla bellezza disarmante che la ragazza riusciva ad emanare anche indossando il vestito bianco semplicissimo con una sfumatura argentata simile a quella dei suoi capelli raccolti in un morbido chignon. Fleur incedeva sulla passerella con una grazia ultraterrena e Diana notò il volto coperto di cicatrici di Bill illuminarsi e distendersi alla vista della sua futura sposa.
Gli sguardi dei due sposi si specchiavano l’uno nell’altro facendo evaporare le presenze degli ospiti in un inutile e insignificante nebbiolina.

Diana lasciò andare un sospiro emozionato mentre stringeva tra le dita l’orlo del proprio vestito per evitare di mettersi a piangere e fare un pasticcio con il trucco che aveva sul viso. Da quando era diventata così emotiva? 
Sbuffò e rivolse lo sguardo verso l’alto per trattenere le lacrime.
Fred, per niente commosso e spalleggiato dal gemello, fece un fischio in direzione del fratello sull’altare, guadagnandosi una gomitata nelle costole da parte di Diana.
- Quando mi sposo io, non voglio nessuna di queste assurdità... - le sussurrò lui all’orecchio chinandosi verso di lei e massaggiandosi il fianco.
- Mmh... - gli diede corda Diana con lo sguardo che seguiva la figura Fleur che aveva quasi raggiunto l’altare  - perchè me lo stai dicendo?
- Boh...così... - le rispose Fred con nonchalance, aggiustandosi la cravatta.

La cerimonia in sè fu molto breve: dopo aver pronunciato le promesse, il mago che officiava dichiarò Bill e Fleur marito e moglie e la coppia fu avvolta da una spirale di stelle d’argento per suggellare il romantico momento, prima di scambiarsi un tenero bacio.

Per magia, le sedie sparirono, i tavoli si riempirono di pietanze invitanti, mentre dei vassoi argentati galleggiavano su e giù sfilando tra i presenti per offrire cibo e bevande.
Un gruppetto di invitati si mosse per andare a congratularsi con i due sposi, mentre il volume della musica si faceva leggermente più alto.
Fred era andato a recuperare Ginny nei pressi dell’altare, così Diana si avvicinò istintivamente a George e Lee che chiacchieravano.

- Secondo me non è una buona idea... - stava dicendo George con espressione dubbiosa, mentre Lee sbuffava in risposta.
- Cosa non è una buona idea? - chiese Diana inserendosi nella conversazione tra i due ragazzi, ma continuando a cercare di tenere d’occhio suo padre nella folla.
- Che Lee chieda a una cugina Veela di Fleur di ballare... - rispose George indicando il gruppetto fatto di gambe slanciate e sorrisi smaglianti - dovresti trovare qualcuno...più alla tua portata!
Lee si rabbuiò guardando male George, mentre Fred e Ginny li raggiungevano.
- Ginny! - esclamò Lee cogliendo di sorpresa la ragazza - vuoi ballare?
Ginny lanciò un’occhiata malinconica in direzione di Harry che parlottava, come sempre, con Ron e Hermione, ma poi, senza particolare entusiasmo, accettò prendendo la mano di Lee e seguendolo al centro del tendone dove Bill, Fleur e qualche altra coppia avevano già aperto le danze.
- Jordan... - iniziò a dire Fred incrociando le braccia al petto.
- Ti teniamo d’occhio - terminò George rincarando la dose e assumendo la stessa posa di Fred, mentre Ginny alzava gli occhi al cielo annoiata.

Diana acchiappò un bicchiere da uno dei vari vassoi volanti, ridendo di quel moto di protezione dei gemelli nei confronti della sorellina, che stava volteggiando tra le braccia di Lee.
Fred inarcò un sopracciglio e, sorridendo e alludendo al bicchiere tra le mani di Diana, domandò: - Vuoi finire di nuovo ad arrampicarti da qualche parte a cantare?
- Solo se mettono musica decente!- rispose Diana con un sorrisino - Celestina Warbeck non invoglia a scatenarsi...
- Non dirlo a mia madre - ghignò Fred mentre la sua attenzione veniva attratta da qualcosa che Diana non riuscì a vedere - e nemmeno a zia Muriel - aggiunse poi Fred indicando con la mano una signora avvolta in un abito blu notte. Indossava uno strano cappellino di quelli che Diana aveva visto solo addosso alla Regina Elisabetta e stava canticchiando tra sè e sè le parole della canzone che faceva da sottofondo, prima di rimettersi a scrutare gli invitati con aria di superiorità e disapprovazione, come aveva fatto fino a quel momento.
- Sono abbastanza certa di aver visto un cappello identico a quello nel seminterrato del negozio Harvey... - constatò Diana sorridendo e osservando il copricapo piumato e di pessimo gusto.
- Stai insinuando che nostra zia sia un pezzo d’antiquariato? - George schioccò la lingua trattenendo una risata.
- Ma no...io... - balbettò Diana consapevole che la frase potesse risultare equivoca e vagamente offensiva.
- Ti do dieci galeoni se glielo vai a dire - propose Fred con aria di sfida allungando già la mano verso Diana per suggellare l’accordo.
Diana sbuffò ridendo e, mettendo le mani sui fianchi, rispose: - Pff... Fred, non me ne faccio niente dei vostri strani soldi!
Fred si piegò verso di lei con aria furba e con una contro proposta già pronta: - Oh, beh, vorrà dire che ti pagherò in natura...
Diana sussultò avvampando, mentre Fred scoppiava a ridere.
- Vi ho già detto che fate schifo? - la domanda retorica di George lasciò le sue labbra contemporaneamente alla smorfia di eccessivo disgusto.
- No, oggi non ce lo avevi ancora detto - trillò Diana in maniera serafica, ormai abituata ai commenti di George - e comunque non hai il diritto di lamentarti dopo aver fatto tanta fatica per vederci insieme! 
Fred annuiva energicamente per darle ragione.
- Quasi vi preferivo quando litigavate - terminò il discorso George con un’altra smorfia di disappunto, mentre Ginny e Lee tornavano verso di loro. Lei aveva un colorito pallido e gli occhi sgranati in un’espressione che implorava aiuto, mentre si andava a posizionare di fianco a Diana.
- Peccato che tu non voglia più ballare...- constatò Lee con delusione.
Ginny gli rivolse un sorriso di circostanza, mentre si massaggiava una tempia: - Mi hai fatto fare così tante giravolte che mi viene da vomitare...

- Lee, perchè non balli con Diana? - propose di getto George con un sorriso diabolico.
Diana si voltò verso George a ritmo rallentato, prendendosi tutto il tempo necessario per fulminarlo con lo sguardo.
- Oh..ti va? - domandò Lee speranzoso e già con un sorriso stampato in viso.
- No, ehm...io sono negata nel ballo - cercò di declinare l’invito Diana mentre tentava di chiedere aiuto a Fred con lo sguardo. 
- Cara cugina... - iniziò Fred sogghignando appoggiandole una mano sulla schiena per convincerla - non deludere il nostro Lee...

Diana esitò per un attimo e quell’attimo fu fatale, perchè Lee Jordan la trascinò sulla pista da ballo iniziando a decantare le proprie eccelse doti nella danza.
Mentre appoggiava una mano sulla spalla di Lee, Diana gettò un’occhiata minacciosa a Fred e George che ridacchiavano e confabulavano tra loro. La mano di Diana appoggiata sulla spalla dell’ignaro ragazzo si trasformò in un dito medio rivolto ai gemelli, intanto che lei, prontamente, assumeva un’aria vaga e disinvolta.
Riuscì a distinguere nitidamente la risata di Fred, mentre Lee Jordan la guidava in una specie di valzer con la mano appoggiata sul suo fianco.
- Diana, segui me, altrimenti continuerai a pestarmi i piedi - la rimproverò Lee facendola lentamente ondeggiare a ritmo di musica e cercando di correggere i suoi scoordinati movimenti, ma sussultò e incespicò nei suoi stessi piedi barcollando vistosamente e rischiando di trascinare Diana a terra, già instabile sui tacchi a spillo.
- Ma ch... - Lee sembrava confuso mentre sia lui che Diana abbassavano lo sguardo sui piedi del ragazzo.
I lacci delle sue scarpe erano magicamente annodati tra loro limitando nettamente i movimenti. In perfetta sincronia, Diana e Lee guardarono verso i gemelli proprio nel momento in cui Fred, trattenendo le risate, nascondeva la bacchetta dietro la schiena.
Lee si chinò per risistemarsi le scarpe e Fred li raggiunse: - Caro Lee, che peccato per questo inconveniente...intrattengo la tua ballerina mentre ti ricomponi!- battè una mano sulla spalla dell’amico in un gesto di conforto, prese Diana per mano e la tirò a sè per appoggiarle una mano su un fianco.

- Non potevi semplicemente chiedermi di ballare come tutte le persone normali? - domandò Diana imbronciata per la scampata figuraccia con Lee mentre Fred le faceva fare una giravolta.
- Che noia che sei... - si lamentò Fred ridendo attirandola a sè e nascondendo una mano sotto ai lunghi capelli per accarezzarle la schiena scoperta, mentre sembrava interessato ad osservare qualcosa alle sue spalle.
L’aria calda all’interno del tendone parve raggiungere improvvisamente la temperatura della superficie del Sole e Diana inspirò dal naso in cerca di ossigeno.
Inaspettatamente Fred si chinò verso di lei e sussurrò - Arrivo subito! Devo andare a preparare i fuochi d’artificio! 
Diana, accaldata e vagamente su di giri, annuì guardando Fred fare un cenno ad Hermione e sparire con lei fuori dal tendone.
Non aveva la più pallida idea di cosa Fred stesse parlando. 
Tra tutti i preparativi era certa che non fossero previsti dei fuochi d’artificio. 
E poi da quando Hermione aiutava Fred a preparare i fuochi d’artificio? 
Fred sembrava essere distratto già da un po’...
Diana arricciò il naso indispettita dai troppi dettagli che non le tornavano. 

Nell’attesa si avviò nuovamente verso il tavolo delle bevande. Quell’Idromele che aveva bevuto poco prima non era affatto male!
Suo padre e Ben non si vedevano da nessuna parte e lei non sapeva se quello fosse un bene o un male.
Un vassoio fluttuante le sfilò davanti al naso e Diana fu lesta ad arraffare due tartine, dato che la fame iniziava a farsi sentire.
Altri due bicchieri di Idromele scivolarono nella sua gola, nell’attesa che Fred facesse ritorno, mentre Diana iniziava a sentire la testa leggera nell’osservare gli invitati muoversi a tempo di musica. Aveva la vaga intenzione di andare a cercare Harry e Ron che aveva intravisto seduti a un tavolo, ma sentendosi le gambe malferme e i piedi doloranti, voleva evitare di finire lunga e distesa in mezzo alla pista da ballo.

- Ti lascio sola mezz’ora e ti ritrovo a bere da sola come Mundungus Fletcher - esclamò Fred sogghignando, pulendosi le mani sporche nel gilet, mentre Hermione tornava a raggiungere Harry e Ron.
- Spero almeno di non assomigliargli - si limitò a rispondere lei spostandosi i capelli sudati che le si appiccicavano alla schiena nuda.
- Guarda, solo perchè solitamente hai i capelli biondi, altrimenti sareste due gocce d’acqua...
Fred si guadagnò un’altra gomitata prima che Diana sbuffasse - Fa caldo, mi gira la testa e non vedo mio padre da nessuna parte.
Fred sospirò e propose: - Dai, usciamo a prendere una boccata d’aria e vediamo se tuo padre è in giardino.

Diana lo seguì barcollando. Dopo tutto quello sgambettare sulla pista da ballo, i piedi le facevano davvero male. Sentiva il cinturino dei sandali tagliarle la caviglia ad ogni passo e le piante dei piedi irrigidite dal poco utilizzo dei tacchi alti che faceva nella sua vita.
Fuori dal tendone e con l’avvicinarsi della sera, l’aria si era fatta più fresca e Diana inspirò a pieni polmoni per schiarirsi la mente e le idee.
- Dai vieni - la incitò Fred, qualche passo più avanti - non vorrai rimanere qui impalata di fronte a questi idioti del Ministero!
Diana, infatti, si era fermata proprio davanti agli Auror che scrutavano il cielo e la boscaglia.

Si chinò a slacciarsi i sandali e, dopo averli sfilati, li prese in mano e trotterellò di corsa per raggiungere Fred. Era un vero sollievo sentire l’erba umida e fresca sotto ai suoi piedi doloranti.
Si fermarono vicino alla quercia che delimitava la proprietà della famiglia Weasley. 
Fred si appoggiò con la schiena al vecchio tronco.
Diana gli si parò davanti sentendosi dipinta in volto un’espressione idiota, mentre lo guardava con la testa leggera e lo stomaco accartocciato. 
- Questo vestito... - iniziò a dire lui sprofondando le mani nelle tasche mentre non le staccava gli occhi di dosso - è interessante...
- Smettila di prendermi in giro... - si lamentò Diana chinandosi a controllare compulsivamente di non avere nulla fuori posto.
- Ma perchè dovrei prenderti in giro? - domandò Fred sorridendo e alzando gli occhi al cielo.
- Mmh...perchè prendi in giro sempre tutti, forse? - rispose a sua volta Diana sorridendo.
Fred si limitò ad alzare le mani in segno di resa, senza smettere di sorridere e poi aggiunse: - Ti giuro che era un complimento! 
- Ti sei sporcato il gilet... - mormorò Diana schiarendosi la voce e cambiando argomento.
Fred abbassò lo sguardo sulle ditate scure che avevano rigato la stoffa gialla e sorridendo si sbottonò il gilet: - Meglio, tanto non ti piaceva, no? - lo sfilò e lo lasciò cadere sulle radici della quercia.
- Non che la camicia sia meglio... - constatò Diana emettendo una risatina frivola.
- Ah..ho capito... - appurò Fred con sguardo malizioso mentre le dita indugiavano attorno ai primi bottoni della camicia - è tutta una tattica dire che i miei vestiti sono orribili, così hai la scusa per farmeli togliere...
- Oh... io...no... - Diana balbettò imbarazzata sentendo di nuovo le guance in fiamme. Deglutì sentendosi la gola arsa dalla sete e la testa che vorticava; intanto, Fred ridacchiava rimettendo le mani nelle tasche dei pantaloni.

Poi, lentamente, con un ronzio iniziarono ad accendersi una decina di lucciole magiche. Poi altre e altre ancora fino a che almeno un migliaio di flebili lucine fluttuanti illuminava il prato alla luce del tramonto.

- Tu...tu centri qualcosa con queste? - farfugliò Diana incredula indicando le lucciole che pigramente svolazzavano loro intorno. Era abbastanza certa che Hermione le avesse spiegato che dovevano accendersi con il buio, mentre, al momento, il sole non era ancora tramontato e, oltre a loro due, non c’era nessun altro a godersi quello spettacolo.
- Beh...potrei aver chiesto a Hermione di anticipare un pochino l’ora "x"... - ammise Fred alzando le spalle, con le mani affondate nuovamente nelle tasche dei pantaloni - non è niente di che...

Ecco dove era sparito poco prima. Non centravano nulla i fuochi d’artificio.
Qualcosa di simile a delle farfalle nel suo stomaco fece un salto triplo e Diana fu certa che l’Idromele che si era scolata centrasse ben poco.

- No, è bellissimo... - sussurrò Diana con la voce arrochita dall’emozione e non riuscendo a distogliere lo sguardo dai puntini luminosi.

L’aria crepitava, pervasa dalla magia, e in lontananza si sentiva il frinire delle cicale, mentre il prato illuminato iniziava a specchiarsi nelle stelle che cominciavano a spuntare nel cielo sfumato di indaco dalla luce rosso fuoco del tramonto.
La musica giungeva flebilmente ad accompagnare il brusio dei piccoli insetti e Fred la tirò a sè per farle fare un’altra giravolta come se non avessero mai smesso di ballare.

Diana lasciò cadere i sandali che teneva ancora in mano e, improvvisamente, si slanciò verso Fred per baciarlo. Si alzò sulle punte dei piedi per attirarlo a sè e far scontrare i loro corpi e le loro labbra. Sembrava che lui non aspettasse altro, perchè barcollò a malapena sotto l’impeto di Diana, lasciandosi sfuggire un basso suono gutturale di approvazione. Diana sentiva la testa girare sempre più forte, quindi chiuse gli occhi e si lasciò andare alle labbra che andavano a combaciare perfettamente con le sue, mentre le farfalle nel suo stomaco roteavano così forte che sembravano essersi infilate dentro a un frullatore.
Sentiva i polpastrelli di Fred sfiorarle la schiena mentre i brividi si rincorrevano veloci lungo la sua spina dorsale.
Mentre continuavano a baciarsi, il palmo della mano di Fred si appoggiò sulla sua schiena per scivolare poi su un fianco; il pollice a sfiorare la stoffa del vestito al di sotto del suo seno destro.
Con un impeto che non sapeva assolutamente di possedere, Diana spinse Fred a urtare con la schiena il tronco dell’albero. 
Si separarono il tempo necessario perchè Diana potesse intravedere lo sguardo stupito di Fred. Il sorriso obliquo e compiaciuto che le rivolse appena dopo fu come un chiaro invito a riprendere quanto lasciato a metà.  Diana afferrò il viso di Fred per piegarlo nuovamente alla sua altezza e unire nuovamente le loro labbra, mentre la mano di Fred tornava sulla sua schiena per stringerla a sè.
La mano sinistra, invece, in un rapido movimento che la colse impreparata, le afferrò una coscia per sollevarla e tentare di avvicinare ulteriormente i loro corpi già sufficientemente avvinghiati, mentre le dita smaniose risalivano la sua coscia al di sotto del vestito.
Diana aveva perso totalmente il senso del tempo e dello spazio, quando si staccò da Fred per respirare. Lui la guardava ansimante e con gli occhi scintillanti di un’eccitata euforia.

- Merlino, Pixie, ti farò più spesso sorprese se la reazione è questa - esalò lui passandosi una mano tra i capelli e lasciandosi scivolare seduto per terra con un enorme sorriso stampato in viso.
Diana sorrise, mentre si accoccolava tra le sue gambe, sorridente, accaldata e senza fiato.
- Oddio... - mormorò ridacchiando tra sè con una mano a coprirsi la bocca - qualcuno avrebbe potuto vederci e avrebbe potuto pensare che stessi baciando tua cugina!
- Shh... - la zittì lui facendola voltare e spostandole la mano per baciarla di nuovo - non preoccuparti, l’incesto tra i maghi Purosangue è ben accetto!
- Sei proprio un cretino - rise Diana dandogli una piccola e innocente sberla sul petto.
- Adesso ci credi se ti dico che il vestito ti sta bene? - chiese Fred appoggiandole il mento sulla spalla, abbracciandola da dietro.
- Forse... - gli rispose lei sorridendo enigmatica.

Si lasciò andare tra le braccia di Fred appoggiando la testa sul suo petto riempiendosi gli occhi della bellezza del giardino invaso dal brusio dei piccoli insetti luminosi. Sarebbe stato bello rimanere così per sempre: felici e senza pensieri. Si sentiva come se quello fosse sempre stato il posto giusto in cui doveva stare.
- Non ho tanta voglia di tornare a Edimburgo - ammise Diana assumendo un’aria imbronciata. Fred le stava accarezzando dolcemente un braccio e i loro visi erano così vicino che Diana avrebbe potuto contare tutte le lentiggini che ricoprivano il viso del ragazzo, quando sentirono un rumore.
Una voce maschile li riscosse dalla loro bolla di euforica serenità facendo sporgere a entrambi le teste oltre il tronco della quercia, verso la campagna.
Non era una voce qualunque.
Era quella di Daniel Harvey.

Per un attimo Diana pensò che suo padre li avesse visti, ma l’attenzione e il tono arrabbiato non erano indirizzati a loro. 
Daniel Harvey stava spintonando Ben Murray, puntandogli un dito contro, mentre quest’ultimo, più alto di almeno una spanna, torreggiava su di lui con aria furente e la mascella contratta.

- Oh, merda... - sibilò tra i denti Diana osservando la scena e sfregandosi gli occhi spazientita - non di nuovo!
- Ma che stanno facendo? - mormorò  Fred irrigidendosi e cercando di alzarsi con il chiaro intento di andare a frapporsi tra i due.
- Aspetta - lo bloccò Diana con una mano sul petto e facendogli segno di rimanere in silenzio.
Entrambi si rimisero in piedi, ma restarono nascosti dietro il grande tronco del vecchio albero.
- Sono usciti dal perimetro degli incantesimi difensivi... - bisbigliò Fred innervosito - dobbiamo avvisare gli Auror. Ben dovrebbe saperlo visto che...
Le voci prima indistinte dei due uomini si alzarono di volume, lasciando intuire la maggior vicinanza al nascondiglio di Diana e Fred.

- Mi avrai anche trascinato qui, ma non puoi controllare ogni cosa che faccio, Benjamin! - la voce di Daniel trasudava rancore da ogni sillaba.
- Scommetti? - rispose Ben con un sarcasmo pungente che solo raramente utilizzava - credi che non abbia capito cosa stai cercando di fare?
- Io? - sbottò Daniel scandalizzato colpendosi il petto - stavo solo cercando il bagno! Mi devi controllare anche lì?
- Danny - sibilò Ben chinandosi leggermente in avanti per guardarlo negli occhi - non te lo ripeterò un’altra volta. Lascia Diana fuori dai tuoi sporchi giochetti!
- E’ mia figlia! - la risposta arrivò come una frustata - non le farei mai del male!
Benjamin si sciolse in una risata amara alzando gli occhi al cielo: - Chissà perchè non ci credo...
- Lo sai che non volevo farle del male quella volta... - Daniel abbassò lo sguardo e il tono di voce.
Diana guardò Fred che ascoltava la conversazione accigliato.
- Danny, io c’ero...so che cosa ho visto! - lo accusò Benjamin furibondo - per me ci saresti dovuto marcire in quel manicomio in cui ti avevo lasciato!
Questa volta fu il turno di Daniel di scoppiare a ridere: una risata tagliente e aspra.
- Benjamin, potrai anche prendere in giro quel demente di tuo fratello, ma io non ci casco nella tua messinscena! So esattamente dove te ne vai quando sparisci per ore! Tu terrai d’occhio me, ma fidati, la cosa è reciproca!
La figura snella e slanciata di Ben fu attraversata da un forte tremore, mentre la sua espressione si rabbuiava così tanto da renderlo spaventoso. Temibile. 

Fred si irrigidì al fianco di Diana, che afferrò la sua mano per tenerlo fermo.

Di colpo, lo sguardo di Ben si caricò di sofferenza e dolore, come se fosse stato colpito da un’improvvisa rivelazione con la violenza di un fulmine, mentre apriva e chiudeva le dita della mano destra in uno spasmo incontrollato. Come compiendo uno sforzo sovrumano, Ben si chinò verso Daniel muovendo le labbra in una frase che Diana e Fred non riuscirono ad afferrare.
Daniel Harvey finse noncuranza, ma era evidente che qualsiasi cosa gli avesse sussurrato Ben fosse andata a scalfire la sua solita facciata serena e gioviale.
Lo sguardo era annebbiato da un’intestina apprensione.
Poi, con un sonoro “crack”, Ben si smaterializzò.
A passo svelto, Daniel, con espressione preoccupata e senza notare Diana e Fred, rientrò nel perimetro degli incantesimi di protezione e tornò verso il tendone dove la festa stava continuando.

Diana osservò il viso di Fred, corrucciato e concentrato ad interpretare quanto avevano appena visto e sentito.
- C’è qualcosa che non va - enunciò Fred spazzolando con la mano l’erba dal vestito di Diana - dobbiamo avvisare mio padre e gli altri.

I sandali neri e il gilet giallo rimasero abbandonati ai piedi della quercia a guardare i due ragazzi correre verso il tendone.

Diana sentiva un principio di nausea. Il discorso tra Ben e suo padre le aveva fatto venire la pelle d’oca: era assolutamente certo che entrambi nascondessero molto di più di quanto anche lei stessa potesse sospettare. 
Nascondevano qualcosa e non era sicuramente qualcosa di buono. 
Ben più di tutti si era comportato in maniera alquanto sospetta. Di colpo, l’idea di aver condiviso la stessa dimora con lui per mesi le provocò un peso allo stomaco. In fondo alla gola sentiva già l’amaro sapore della delusione, maledicendosi per essersi fidata di lui anche quando ogni dubbio le gridava di non farlo.

Una volta varcata l’apertura del tendone, l’aria calda e soffocante li investì e Diana si sentì barcollare.
- Vado a cercare mio padre! Vedi se riesci a trovare Remus, Tonks o qualcun altro, ok? - Fred le lasciò la mano sparendo tra la folla festante alla ricerca di Arthur Weasley.
- Pixieeee - una voce le perforò un timpano seguita a ruota da un braccio sudato che le avvolse le spalle - com’è andata la vostra fuga romantica??
- George - lo salutò Diana un po’ schifata e cercando di sgusciare dall’abbraccio soffocante - hai bevuto più di me...
- Sicuramente - ridacchiò lui - ma era l’unico modo per sopportare zia Muriel che mi faceva notare quanto fossero asimmetriche le mie orecchie, visto che voi due mi avete abbandonato e Lee si è messo a ballare di nuovo con Ginny. E poi Ron ha più o meno avuto una crisi isterica, perchè Hermione si è messa a ballare con Viktor Krum e...
Diana ridacchiò nervosa ascoltando solo a malapena il riassunto di George, mentre con lo sguardo cercava Fred, il signor Weasley o qualsiasi altro membro dell’Ordine tra la gente.
- Scusa, George...hai visto Tonks o Remus? - cercò nuovamente di liberarsi dal braccio appoggiato sulle sue spalle, ma ottenne solo un pericoloso faccia a faccia con l’ascella sudata di George Weasley.

In quel momento, qualcosa di grosso, argenteo e luminoso attraversò la tenda. 
Il bagliore assunse la forma di una lince, che aggraziata e leggiadra si fermò al centro della zona trasformata in una pista da ballo. 
Fu come se l’aria si fosse congelata in un’angosciante attesa. 
Tutti si voltarono a guardare il Patronus, paralizzati dalla paura.
Le chiacchiere scemavano e la musica si era interrotta.
Poi la lince parlò con la voce profonda di Kingsley Shacklebolt.

Il Ministero è caduto. Scrimgeour è morto. Stanno arrivando.

Per qualche istante la folla continuò a rimanere immobile come in un sinistro fermo immagine e Diana riuscì a mettere a fuoco tra la folla il viso pietrificato dalla paura di Fred, dalla parte opposta del tendone.
I loro sguardi si incrociarono, mentre Diana, istintivamente, andava ad afferrare il Blackhole con la mano destra. Fred scosse impercettibilmente la testa a quel gesto; il suo sguardo si spostò alla destra di Diana, per intercettare quello di George. Diana non ci capì granchè ma i due gemelli sembravano immersi in una sorta di conversazione silenziosa in una lingua solo a loro conosciuta, perchè George stava annuendo al fratello, mentre le sue dita già si chiudevano meccanicamente intorno al polso di Diana.

Poi il panico esplose.

La folla, come una rumorosa onda impazzita, iniziò a spintonarsi per raggiungere le uscite del tendone e Diana sentì la presa di George scivolare dal suo braccio.
Diana si sentì sballottare a destra e sinistra, mentre la sua visuale veniva coperta da spalle e schiene di maghi che cercavano di mettersi in salvo. Qualcuno le pestò i piedi nudi e dovette soffocare un urlo di dolore, mentre una suola le schiacciava l’alluce destro. Tentò di alzarsi in punta di piedi per cercare di vedere la testa di George, accanto a lei poco prima, ma senza vederlo da nessuna parte.
Un forte rumore simile a quello di una fiamma che brucia un enorme foglio di carta e un acre odore penetrante riempirono l’ambiente, perchè al di fuori gli incantesimi di protezione stavano andando in frantumi. 
Uno dei vassoi fluttuanti vorticava impazzito e avrebbe probabilmente decapitato una robusta strega con uno strano cappello verde acido, se Diana non l’avesse spinta a terra. Urla e scoppi di incantesimi si moltiplicavano, mentre iniziavano a materializzarsi delle sinistre figure incappucciate che portavano delle maschere argentate a celare interamente i loro lineamenti.
Una tovaglia e una parte del tendone cominciarono a prendere fuoco, mentre le persone che ancora si trovavano all’interno urlavano e continuavano a cercare di mettersi al riparo.
Diana aiutò la strega robusta ad alzarsi, mentre il suo sguardo si andò a posare su tre figure defilate sul lato del tendone. Erano Harry, Ron e Hermione.
Harry allungò una mano verso di lei, ma Hermione lo strattonò per la manica della camicia.
I capelli rossi di Harry stavano lentamente tornando scuri, mentre i vestiti si svuotavano rivelando una figura molto più magra di quella di Barny Weasley: gli effetti della Pozione Polisucco stavano irrimediabilmente svanendo.
Hermione strinse le labbra in una sottile linea e lanciò a Diana un’occhiata carica di senso di colpa, prima di prendere sia Ron che Harry per mano e smaterializzare tutti e tre.

Diana, spaventata, si guardò intorno per cercare Fred, George o qualsiasi altro volto conosciuto: Tonks stava tentando di domare le fiamme; Robert Murray accompagnava fuori dal tendone un paio di anziani maghi dall’aria atterrita e Lupin duellava contemporaneamente con due figure mascherate. 
Fleur aveva trasfigurato l’altrimenti scomodo abito da sposa in un paio di pantaloni e una t-shirt per muoversi più velocemente e stava combattendo con uno degli intrusi; mentre un’altra figura cercava di attaccarla alle spalle, uno dei tavoli era arrivato alla velocità di un proiettile per spingere fuori tiro il mago dietro di lei. L’uomo fu atterrato e rimase privo di sensi e Diana osservò il punto da cui il tavolo era partito: Bill aveva ancora la bacchetta puntata per difendere Fleur a distanza, mentre duellava con quella che doveva essere una donna mascherata.
Le dita di Diana stavano cercando sicurezza nel Blackhole quando qualcuno le allontanò la mano dall’orologio afferrandola per un braccio e trascinandola all’esterno.

- Non usare quell’affare, per l’amore di Godric - le gridò George lasciando andare il suo braccio per risistemarsi la fasciatura intorno alla fronte, mentre gli incantesimi sibilavano intorno a loro.
- Perchè? - gridò lei cercando di sovrastare il frastuono inspirando a pieni polmoni - posso aiutare!

Il giardino della Tana era disseminato da tavoli e sedie con le gambe all’aria, i vassoi continuavano a vorticare come ghigliottine impazzite e le lucciole, che fino a poco prima erano state un romantico sfondo a una serata perfetta, sfrecciavano avanti e indietro ronzando così forte da sembrare sul punto di fondersi. 
Charlie Weasley con la bacchetta alla mano, dirigeva lingue di fuoco a destra e a sinistra per tenere lontani i Mangiamorte; Molly Weasley cercava con lo sguardo i figli respingendo gli incantesimi che sfrecciavano tra loro. Diana continuava a scrutare con apprensione il giardino in cerca di Fred e di Daniel Harvey.

George puntò la bacchetta davanti a sè per esclamare: - Protego! - una luce rossa esplose per andare a creare uno scudo intorno a loro e a respingere gli incantesimi che continuavano a essere scagliati senza sosta -  Si certo, aiuterebbe sicuramente a farti ammazzare.
Diana sfilò dal collo il ciondolo e lo avvolse intorno al polso, imbronciata e testarda. Il Blackhole vibrava debolmente, mentre iniziava a illuminarsi di una flebile e intermittente luce azzurra.

- Diana! - ruggì George notando con la coda dell’occhio il Blackhole illuminarsi mentre teneva il braccio con la bacchetta teso in avanti, pronto ad ogni evenienza - Fred mi ammazza se ti succede qualcosa...
- Ah si? Perchè invece a me darebbe una pacca sulla spalla se ti lasciassi perdere un’altra parte del corpo? Non te ne rimangono molte... -  urlò Diana di rimando dando uno spintone a George e togliendolo dalla traiettoria di un’incandescente lingua di fuoco di Charlie deviata da uno dei Mangiamorte, mentre il Sortilegio Scudo evocato poco prima si dissolveva in una nuvola di scintille rossastre.
George barcollò per mantenere l’equilibrio, mentre Ginny correva verso di loro seguita dalla ragazza bionda e stralunata che, con un veloce movimento della bacchetta, pietrificò una delle sinistre figure incappucciate che le stava inseguendo. George si voltò a guardare Ginny, mentre un’altra figura minacciosa lanciava un’incantesimo per colpirlo alle spalle. Diana, con uno scatto, corse davanti a George gridando: - Giù!! - roteò il Blackhole deviando l’incantesimo al suolo, mentre Ginny, prontamente, avvolgeva sè stessa, George e la ragazza bionda con un altro incantesimo difensivo. La terra tremò mentre una fascio di luce azzurra proruppe fuori dall’orologio da taschino e atterrò due dozzine di persone attorno a loro, creando un cerchio di erba bruciata intorno a Diana, che ne occupava il centro. Anche Ginny, George e la bionda erano stati spinti indietro di qualche metro, ma erano illesi. 

- Merda... - sibilò George aggiustandosi nuovamente la fasciatura - mai una volta che dai retta a qualcuno.
- Grazie Diana, per avermi salvato il culo - gli fece il verso lei, ansimante ed euforica per il risultato.
L’euforia durò ben poco, perchè almeno quattro Mangiamorte stavano avanzando verso di loro.
- Di là - sbottò George sbrigativo spingendo lei e Ginny in direzione della Tana - Luna, sta giù! - aggiunse poi in direzione della ragazza bionda che guardava il cerchio lasciato dal Blackhole nel terreno con aria incredula.
- Dov’è Fred?? - gridò Diana mentre correva e George la seguiva voltandosi continuamente all’indietro per lanciare incantesimi alle loro spalle.

Avevano raggiunto il portico della Tana.
- Dentro - ordinò George ansante spingendo in casa Ginny, Diana e la ragazza di nome Luna.
- Noo! - gridò Ginny scalciando la porta, mentre Diana le dava manforte.
George brandì la bacchetta per sigillarle dentro con un incantesimo, ma Diana riuscì a sgattaiolare fuori prima che la porta si chiudesse a chiave di scatto.
- Per Merlino, Diana! - proruppe George arrabbiato stringendo la bacchetta - se non ci ammazzano i Mangiamorte, giuro che ti uccido io...

Diana era rimasta impietrita a osservare febbrilmente il giardino alla ricerca di Fred. Il respiro irregolare le faceva alzare e abbassare velocemente il petto. Era ormai calata la sera. L’aria risuonava di urla e scoppi di incantesimi, mentre ovunque c’erano maghi che duellavano e corpi riversi al suolo. 
Dov’era Fred? Dov’era suo padre? 
Doveva trovarli. 
Daniel Harvey non era in grado di difendersi. 
Dove era andato Ben?

Dei capelli rossi in movimento e una camicia inconfondibile, attrassero la sua attenzione: due figure ammantate di nero fronteggiavano Fred proprio nei pressi del capanno del signor Weasley.
Diana prese a correre in quella direzione: - Vado da Fred! - gridò a George, che stava tentando di respingere gli attacchi di un Mangiamorte particolarmente agguerrito. 
Mentre correva a perdifiato per raggiungere il capanno, il tetto di legno prese fuoco e una luce rossa schiantò Fred contro la porta del capanno che esplose in una miriade di schegge di legno, mentre la figura del ragazzo spariva all’interno della piccola costruzione.
Diana sentì il cuore balzarle in gola per l’angoscia, ma cercò di concentrarsi e facendo vorticare il Blackhole atterrò uno dei maghi, prima che potesse varcare la soglia del capanno; l’altro mago, purtroppo, era già entrato.
Diana si precipitò dentro la rimessa dove Fred e l’altro mago stavano lottando corpo a corpo, le bacchette finite chissà dove.
La tentazione di utilizzare di nuovo il Blackhole era forte, ma Fred era troppo vicino e rischiava di colpire anche lui. 
Si guardò febbrilmente intorno per cercare qualsiasi arma utile lì dentro, fino a che il suo sguardo non si soffermò sul suo telescopio dorato.
Non ci pensò due volte: lo staccò dal piedistallo e lo brandì per colpire con forza la nuca del mago che ormai stringeva l’avambraccio intorno alla gola di Fred.
Il suono sordo dell’ottone contro il cranio rimbombò nelle orecchie di Diana e il corpo dell’uomo si afflosciò come un sacco vuoto liberando Fred dalla morsa in cui era stretto.

- Bell’uso che fai dei miei regali - gracchiò Fred con sarcasmo ansimando e massaggiandosi la gola.
L’aria nel capanno si stava facendo rovente a causa del tetto in fiamme.
- Usciamo di qui - intimò Diana tossendo, con cucita addosso una terribile sensazione di deja vu.
Fred si chinò a raccogliere la sua bacchetta dal pavimento e una scopa dalla rimessa e schizzarono veloci fuori dal capanno.
Lee Jordan, in fondo al prato, stava avendo la peggio contro un avversario decisamente violento: faticava a reggersi in piedi e sanguinava abbondantemente da una gamba, tanto che il tessuto grigio chiaro dei pantaloni era zuppo di sangue. George, ancora sul portico della Tana, aveva finalmente atterrato il suo nemico e si guardava intorno ansimando.
- Vai da George - le ordinò Fred saltando in sella alla scopa - vado ad aiutare Lee e torno da voi!
Prima che Diana potesse protestare, Fred aveva già calciato il suolo erboso per sfrecciare a tutta velocità in soccorso dell’amico in difficoltà.

Diana raggiunse George, proprio mentre una figura femminile si parava di fronte a loro per puntargli contro la bacchetta.
- Cruciooo - gridò la voce femminile con tono folle.
A Diana sembrò quasi di sentire la maledizione colpirla, ma era solo il terrore a scorrerle nelle vene come veleno.
Di riflesso, George, al suo fianco, esalò un lacerante urlo di dolore, mentre cadeva carponi, con il corpo contorto dagli spasmi di dolore.
- Noooo - gridò Diana tremando e srotolando il Blackhole. Lo sguardo annebbiato dalla paura e dalle urla di George che le pulsavano nei timpani - Smettila! Subito!

La strega continuava a tenere la bacchetta puntata su George, lasciandosi scappare qualche risolino eccitato.
Diana sentì la pelle accapponarsi al suono di quella risata che avrebbe riconosciuto tra altre mille.
Era Bellatrix Lestrange.

- Dammi il Blackhole, stupida feccia babbana - gridò Bellatrix Lestrange in tono acuto mentre George continuava a contorcersi nel prato - mi sono stufata di ripetertelo!
Diana stava già roteando il Blackhole, quando un lampo di luce rossa colpì la Mangiamorte alle spalle, facendole interrompere la maledizione che stava torturando George.

- Prenditela con me, zia Bella - la voce di Tonks fece voltare la Mangiamorte, che lasciò perdere Diana per un attimo, per dare retta a chi l’aveva attaccata alle spalle.
- Ho appena visto Fred - gridò Tonks scagliando incantesimi verso la Mangiamorte - ha detto “Protocollo Weasley” - ansimò rivolgendosi a George - ha detto che tu avresti capito!
Diana, senza capire, si chinò su George per aiutarlo a rialzarsi, mentre sentiva Ginny continuare a battere istericamente i pugni sulla porta a vetri sigillata, implorandoli di farla uscire per dare una mano.
- Andiamo da Fred - ansimò Diana dilaniata dalla preoccupazione e porgendogli la mano per aiutarlo.

George, dolorante e con lo sguardo esausto, si aggrappò al suo braccio per rimettersi in piedi. 
Poi tutto si fece nero. 
Diana sentì il corpo comprimersi e la consueta stretta allo stomaco che ormai sapeva ricondurre alla smaterializzazione.

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Ciao! Chiedo scusa per questo giorno di ritardo, ma tra l'influenza, la corsa agli ultimi regali di Natale e questo capitolo decisamente movimentato, sono andata un po' per le lunghe! Le scene di azione mi mettono abbastanza ansia da prestazione, però, stranamente, stavolta sono abbastanza soddisfatta...però fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!
Vi avviso gia che con il prossimo capitolo arriverò a gennaio a causa di una mini vacanza :D 
mi spiace un po' lasciarvi con questo mega cliffhanger finale, però nelle prossime settimane sarà davvero difficile che riesca a revisionare i prossimi capitoli!
che vi aspettate? Dove saranno finiti Diana e George?
io intanto vi ringrazio per seguire ancora questa storia e vi auguro Buon Natale, buon anno e buon tutto! ❤️
a presto!

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Capitolo 30
*** Shaftesbury Avenue ***


Quando Diana Harvey riaprì gli occhi si sentì pervasa dalla solita sgradevole sensazione di nausea post-materializzazione. 
Il freddo e ruvido asfalto si fece concretamente solido sotto ai suoi piedi nudi, mentre dei fari di automobile la abbagliavano e tre o quattro clacson strombazzavano in modo insolente, facendola sobbalzare, più confusa che mai.

Dove diavolo erano finiti?
Uno stridio di freni. 
Un forte odore di gomma strinata.
Uno spostamento d’aria le fece svolazzare i capelli davanti al viso e un’automobile inchiodò pochi centimetri dietro di lei, mentre George, stringeva ancora le dita intorno al suo braccio.

Si erano appena materializzati in mezzo a una strada. O meglio, in mezzo a un trafficato incrocio di città.
Diana si voltò e appoggiò le mani sul cofano dell’auto nera che le sfiorava le gambe, mentre il conducente, un uomo di mezza età dall’aria furente e incredula, stava inveendo e gesticolando contro di loro, facendogli cenno di togliersi dalla strada.
Cercò George con lo sguardo: anche lui sembrava sorpreso quanto lei del luogo dove inaspettatamente si erano ritrovati.
Diana, prodigandosi in svariati gesti di scuse, sgusciò tra le auto e gli automobilisti impazziti che inveivano e suonavano il clacson seguita da George, per raggiungere il marciapiede a passo svelto.

- Stai bene? - domandò Diana preoccupata nel notare il colorito pallido di George e ricordando la sofferenza che solo pochi minuti prima aveva solcato il suo viso. Poteva ancora sentire risuonare in testa le urla strazianti dovute alla Maledizione Cruciatus, la cui formula magica era stata una delle prime che Bill le aveva insegnato a conoscere proprio perchè era una tra le maledizioni più pericolose e anche più utilizzate dai Mangiamorte.
- Si - annuì George accennando un sorriso per sottolineare il fatto che davvero stava bene.
- Ok, ma che cavolo hai fatto? - sibilò Diana ancora con il cuore in gola per la paura e per la fuga, incurante del fatto che molti passanti si fossero fermati a fissarli incuriositi - dove siamo?
Qualche minuto prima si trovavano nel giardino della Tana a fronteggiare Bellatrix Lestrange e in un battito di ciglia erano finiti chissà dove.
- Non lo so... - sospirò George guardandosi intorno spaesato mentre si grattava la nuca e assottigliava lo sguardo per capirci qualcosa - ecco perchè sconsigliano la materializzazione se si ha bevuto un po’ troppo...devo raccontarlo a Freddie..
- Sul serio? - lo interruppe Diana esasperata incrociando le braccia sul petto e guardandosi intorno - peccato che lui non sia qui, perchè tu hai avuto la brillante idea di teletrasportarci in mezzo a Piccadilly Circus! - aveva riconosciuto la statua di Eros al centro della piazza.
- Ehi - protestò George - ho solo seguito il piano! 
- Il piano? - chiese Diana inarcando un sopracciglio e battendo ritmicamente un piede a terra in attesa di una spiegazione - quale piano? 
- Sì, papà ci aveva già detto da un po’ di tempo di stare pronti a qualsiasi evenienza e di dividerci per non essere dei bersagli facili! Dovevamo trovarci al nostro negozio. Era lì che volevo materializzarci...- spiegò George stropicciandosi gli occhi e poi mugugnò: - Merda, non berrò mai più...
- E vi faceva schifo rendermi partecipe di questo piano? - si lamentò Diana esterrefatta e siccome George non la degnava di una risposta, proseguì con tono pungente - il piano era che io e te scappassimo e lasciassimo Fred da solo?
- No, il piano era che tu scappassi con Fred, ovviamente! - sospirò George spazientito - ma visto che quando è scoppiato quel...caos, tu eri con me, era più logico che andasse così!
- E mio padre? - Diana aveva alzato il tono di voce carico di frustrazione per essere stata tenuta all’oscuro dei piani dei gemelli - a lui non ci avete pensato? 
George si limitò a osservarla con aria di chi non aveva preso in considerazione quel dettaglio.
- Ci avrà pensato Robert... - tentò di dire George - sai com’è, non era previsto che tuo padre fosse presente, quindi scusa se non lo abbiamo calcolato! Comunque, sbrighiamoci a raggiungere il negozio! Sicuramente, Fred sarà già lá...

Diana si guardò intorno: fortunatamente Piccadilly Circus era sempre così affollata di turisti e passanti che l’attenzione dei pochi che si erano accorti della loro comparsa era stata subito distolta dalle quotidiane stranezze a cui i londinesi erano probabilmente già abituati. 
Due o tre frettolosi pedoni, infatti, li avevano già urtati, mentre cercavano di raggiungere a passo svelto le loro destinazioni. 
- Spostiamoci da qui - sentenziò Diana in tono duro spingendo George verso un lato del marciapiede per evitare di intralciare il passaggio - prima che ci portino in un manicomio.
- Un mani-che? - chiese George stranito.
- Un posto dove rinchiudono i matti - spiegò Diana cercando di stare attenta a dove metteva i piedi - sai non è normale andare in giro per Londra scalzi!
- Aahh...quindi siamo a Londra? - esclamò George sollevato e sorridente - ottimo! Perchè anche il nostro negozio è a Londra!
Diana si passò una mano sul viso, troppo esasperata per arrabbiarsi con un George Weasley mezzo ubriaco.
- Dov’è il negozio? - chiese Diana cercando di essere il più paziente possibile.
- A Diagon Alley - rispose prontamente George, come se si aspettasse che Diana sapesse dove fosse, ma lei si limitò a guardarlo con espressione interrogativa.
- Il Paiolo Magico? - tentò George massaggiandosi le tempie come se stesse cercando di azzeccare le risposte di un quiz a premi - non lo so, non conosco la Londra babbana...adesso mi concentro e proviamo a materializzarci...
- Neanche per sogno - sibilò Diana allontanando la mano di George che stava già tentando di afferrarla per la smaterializzazione - non voglio finire in Cambogia!
George si limitò a guardarla confuso e poi stringendo gli occhi come se stesse facendo un grande sforzo, aggiunse: - Charing Cross Road...mi pare si chiami così la via dove si trova il Paiolo Magico! E’ un vecchio pub. Da lì si accede a Diagon Alley!
- Ok ok... - cercò di ragionare Diana, spostandosi verso il centro del marciapiede e rimanendo per un attimo in pensiero a fissare i cartelloni pubblicitari animati con George alle calcagna.
Posò lo sguardo su una coppia di mezza età che uscendo dal vicino teatro, stava passeggiando tenendosi a braccetto.
- Scusate - chiese Diana educatamente, avvicinandosi e sperando che i due non notassero i suoi piedi nudi - mi sapete indicare la strada per Charing Cross Road?
La donna si soffermò a guardare i suoi capelli scompigliati, per far scivolare lo sguardo giudicante verso il basso sul vestito macchiato e sui piedi scalzi e per tornare poi ad alzare lo sguardo alle spalle di Diana, facendola voltare spaventata. La ragazza aveva i sensi ancora all’erta per lo scontro avvenuto poco prima e aveva temuto di trovarsi un nemico alle spalle.
Alle sue spalle, però, qualche metro più indietro e confuso tra la folla, c’era solo George che, con aria particolarmente convinta, sembrava essersi messo a parlare con la colonnina di un parchimetro.
- Oh - si scusò Diana tirando un sospiro di sollievo e tornando a guardare la donna con un finto sorriso - non fate caso a mio cugino, siamo stati a una festa in maschera e ha alzato un po’ troppo il gomito...
La donna guardò perplessa quello che doveva essere il marito prima di indicare una via alla loro sinistra dicendo: - Dovete andare fino alla fine di Shaftesbury Avenue e poi girare a destra...
- Grazie! Grazie mille! - sorrise Diana cordialmente, mentre con la coda dell’occhio vedeva George tentare di arrampicarsi sul parchimetro.
Si allontanò dalla coppia e si destreggiò tra un gregge di ragazzi ammassati davanti a un semaforo in attesa di attraversare la strada per acciuffare George per un braccio dicendo: - Andiamo!!

Si incamminarono velocemente lungo Shaftesbury Avenue, mentre George ridacchiava tra sè e sè.
- Smettila - lo ammonì Diana con sguardo severo - avevamo già attirato troppa attenzione senza che tu ti mettessi a flirtare con un parchimetro. E mi hai fatto prendere un colpo! Pensavo che quel vostro...Voldemort mi fosse comparso alle spalle da come ti guardava male quella signora!
- Stavo flirtando con cosa? - chiese George registrando solo una piccola parte di tutto ciò che Diana aveva detto e non facendo caso al fatto che lei avesse nominato il nome del mago che loro preferivano evitare di menzionare - pensavo fosse un telefono...
Nonostante, l’ansia e i nervi a fior di pelle, Diana non riuscì a non scoppiare a ridere.
Procedevano a passo svelto lungo la strada assiepata di persone che andavano in tutte le direzioni.

- Qualcuno ci segue - bisbigliò George di punto in bianco scrutandosi intorno furtivamente.
- George, hai bevuto... - cercò di zittirlo Diana, guardandosi però alle spalle nervosamente.
- Ti dico che ci sono due tizi là in fondo...guarda, ma non voltarti! Prima non c’erano!
- Come faccio a guardare senza voltarmi se sono dietro di noi? - chiese Diana iniziando a perdere la pazienza, mentre con un veloce movimento voltava la testa verso il punto che George le aveva indicato.
- C’è pieno di gente! Come fai a dire che qualcuno ci segue? - domandò Diana scettica, ma allungando inconsciamente il passo.
George, che sembrava riacquistare lentamente lucidità, si voltò all’indietro e commentò: - Ok, stanno praticamente correndo per raggiungerci...
Diana si girò indietro velocemente, giusto in tempo per accorgersi del riflesso del lampione che illuminava la maschera d’argento calata sul viso delle due figure a cui probabilmente George si riferiva.
- Merda... - sibilò Diana con l’adrenalina che prese a pulsarle nelle vene insieme alla paura - Via! Via! Corri! 

Diana scattò di corsa urtando e dividendo una coppia di fidanzati che si tenevano per mano, mentre George la seguiva facendo lo slalom tra un gruppetto di ragazzi vocianti.
Diana si voltò appena in tempo per vedere la vetrina di una caffetteria che avevano appena superato esplodere in mille pezzi con un boato fragoroso.
La gente urlava e cercava di proteggersi dai frammenti di vetro.
Una giovane madre stava cercando di rassicurare una bimba che piangeva spaventata.
Un anziano signore con una guancia sanguinante si stava rimettendo in piedi a fatica, aiutato da due ragazzi dallo sguardo atterrito.

Prima di farsi prendere totalmente dal panico, un pensiero si affacciò alla mente di Diana e si trasformò in una domanda.
Perchè scappare?
Non era più indifesa come quella gente spaventata e confusa.

Diana frenò bruscamente la sua corsa per evitare di schiacciare i frammenti di vetro e si fermò.
- Diana? - George si era fermato qualche metro più avanti e, con il fiato corto e l’aria ansiosa, le faceva segno di sbrigarsi a raggiungerlo.
La strada si era surrealmente svuotata dopo l’esplosione e i pochi rimasti allo scoperto tentavano convulsamente di mettersi al riparo, troppo terrorizzati per ragionare.
Diana, però, si era già voltata per tentare di affrontare i due Mangiamorte che, evidentemente, avevano trovato il modo di raggiungerli e trovarli anche a chilometri di distanza. 
Il Blackhole era già nella sua mano destra.

- Questa è un’idea di merda! - le gridò George tornando sui suoi passi per raggiungerla proprio mentre anche le altre due figure mascherate si fermavano a qualche metro di distanza, di fronte a loro.
Uno dei due, con un movimento della bacchetta accompagnato da un ringhio feroce, fece esplodere un tombino che prese il volo verso l’alto come una palla di cannone, mentre un violento getto d’acqua fuoriusciva inondando la via.
L’acqua gorgogliante e maleodorante arrivò a lambire i piedi di George, che in posizione difensiva con la bacchetta sguainata, aspettava la prossima mossa dei due avversari.
Diana decise di non indugiare oltre e cercò di svuotare la mente per attaccare, mentre dal Blackhole fuoriusciva un’onda azzurra, frastagliata e devastante che andò a conficcarsi nel manto stradale vibrando e stridendo.

Un frastuono sinistro seguì l’esplosione di energia e l’asfalto colpito dal Blackhole prese a tendersi e a scricchiolare aprendosi in una grossa faglia con tanta forza che un idrante a lato della strada esplose colpendo i due inseguitori con un violento getto d’acqua.
Un auto che si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato andò a urtare un lampione che in un rumore sferragliante si piegò in avanti per cadere proprio accanto ai due Mangiamorte, che furono costretti ad arretrare per mettersi in salvo, mentre anche Diana e George venivano colpiti dal getto d’acqua proveniente dall’idrante impazzito.

- Ok, ora che non abbiamo assolutamente attirato l’attenzione, possiamo andarcene? - la incalzò George con pungente sarcasmo mentre la afferrava per un braccio per darsela a gambe.
Diana si rimise velocemente al collo il Blackhole e annuì, consapevole di essersi lasciata prendere un po’ troppo la mano.
Correva ansimando per tenere il passo di George che non accennava a lasciarle andare il braccio.
Non aveva il coraggio di voltarsi indietro per vedere il casino che aveva combinato.

Un lampo di luce rossa seguito da un rumore sordo separò bruscamente i due ragazzi, mentre George, con un grugnito di dolore, veniva scagliato dall’altra parte della strada.
Per lo spavento, Diana gridò, ma un forte colpo sulla schiena le fece fuoriuscire bruscamente tutta l’aria dai polmoni facendola rimanere repentinamente senza fiato, mentre cadeva rovinosamente sul marciapiede scivoloso a causa dell’acqua che continuava a scorrere dalle varie tubature esplose.
Qualcosa di grosso, pesante e fastidiosamente caldo l’aveva atterrata al suolo. 
La guancia premuta sull’asfalto le bruciava per l’escoriazione che probabilmente si era procurata nella caduta.
Prima che potesse anche solo pensare di fare qualsiasi cosa, sentì il peso sopra di lei affievolirsi, rimpiazzato subito da un’enorme mano che la fece voltare bruscamente per poi stringersi con forza intorno al suo collo e sollevandola di peso. La sua schiena, già dolorante, urtò una superficie dura con tanta violenza da mozzarle, ancora una volta, il respiro in gola.

Senza più la maschera a celarne i lineamenti bestiali, Fenrir Greyback, ringhiante e famelico, la teneva sollevata con la schiena contro la vetrina di uno dei numerosi teatri che popolavano Shaftesbury Avenue, stringendole i luridi artigli intorno al collo. Diana lo aveva visto nei suoi incubi peggiori, oltre che nelle immagini animate de “La Gazzetta del Profeta” che Ben leggeva ogni mattina. Dal vivo, però, era ancora peggio di quanto avesse potuto immaginare, soprattutto perchè ormai Diana sapeva che cosa fosse in grado di fare il crudele lupo mannaro.
Diana cercò di tirargli calci, di muovere le braccia, di graffiarlo o di fare qualsiasi cosa per liberarsi, ma era tutto inutile. La presa del lupo mannaro intorno al suo collo sembrava fatta di acciaio e non accennava ad indebolirsi, mentre lo sguardo crudele della bestia lasciava presagire che la ragazza si sarebbe presto trasformata nella sua cena.
La gente che si trovava all’interno del teatro chiedeva aiuto urlando, totalmente presa dal panico alla vista di quello che stava accadendo.
George sembrava sparito nel nulla e Diana sperò che stesse bene e che, almeno lui, fosse riuscito a mettersi in salvo.

- Dammi quello stupido aggeggio - ruggì Greyback. Era così vicino al suo viso che Diana poteva sentire il suo alito fetido odorare di sangue e carne morta.
La ragazza Iniziava a rantolare in cerca di aria, mentre lo sguardo cominciava a farsi annebbiato e perdeva il contatto con la realtà. Prima che un alone nero le calasse sul campo visivo, le parve di sentire qualcun altro avvicinarsi.
- Sei in debito con me, stronzo - sembrava che la voce ruvida di Greyback si stesse rivolgendo a un’altra persona presente sulla scena.

Diana non riusciva nemmeno più a tossire alla ricerca di ossigeno. Sentiva solo un torpore e un’infinita stanchezza, mentre la testa ciondolava, troppo pesante per riuscire a mantenerla diritta.
L’ossigeno nei suoi polmoni stava brutalmente terminando e Diana stava perdendo lentamente i sensi, scivolando in un mondo ovattato e lontano.

- Ehi, testa di Troll! -  una voce famigliare, remota e gracchiante come se fuoriuscisse da una radio dalle casse mal funzionanti, la raggiunse a malapena.
Greyback parve irrigidirsi, ma Diana non era più certa di essere ancora in sè, mentre la mano intorno al suo collo continuava a stringere anche gli ultimi residui di vita da respirare.
Poi l’orrendo lupo mannaro emise un ruggito di dolore e Diana sentì l’aria rientrare violentemente nei polmoni, mentre cadeva al suolo tossendo e qualche frammento di vetro le graffiava le braccia. 
Si portò istintivamente la mano destra alla gola: l’ossigeno che si faceva strada verso i polmoni lasciava dietro di sè un dolore bruciante nel riportarla alla coscienza di sè. Con estrema fatica, Diana sollevò lo sguardo in direzione del suo presunto salvatore.

George Weasley, i capelli rossi scuriti dall’acqua e la benda allentata e gocciolante, era in piedi con la bacchetta ancora puntata su Greyback che era riverso a terra con l’ampia schiena così tempestata di frammenti di vetro da sembrare quella di un gigante porcospino.
- Stai bene? - chiese George tirandola in piedi.
Diana annuì e si sentì ancora meglio quando si rese conto che George era illeso, così prese a guardarsi intorno. 
La gente fino a quel momento barricata all’interno degli edifici iniziava a riversarsi in strada spaventata e ad affacciarsi dai balconi e dalle finestre dei palazzi.
Diana e George ripresero a correre per allontanarsi dal caos che si era inevitabilmente creato.
- Dov’è l’altro? - gracchiò Diana sempre osservando la strada che ora si stava riempiendo di urla e di curiosi.
- L’altro? - chiese George senza capire - c’era solo Greyback con te...
Diana rimase perplessa perchè era convinta ci fosse qualcun altro insieme a Greyback, ma aveva praticamente perso i sensi, quindi poteva anche essersi sbagliata.
- Erano in due all’inizio e sono sicura che Greyback stesse parlando con qualcun altro a un certo punto... - continuò a dire Diana mentre il fiato si faceva corto per la corsa.
George scrollò le spalle come per dire che l’importante era che fossero vivi.
La schiena le faceva male e sentiva la gola bruciare a ogni respiro. I capelli fradici grondavano acqua e residui di tinta rossa, tanto che ormai qualche ciocca bionda si riusciva ad intravedere.
Una volante della polizia arrivò a sirene spiegate derapando in mezzo alla strada; a poca distanza la seguivano un paio di camion dei pompieri e un’ambulanza.

Diana e George si infilarono all’ultimo momento in Charing Cross Road, sfuggendo alla polizia che bloccava tutti i passanti di Shaftesbury Avenue.
- Di là - esclamò George sistemandosi la benda zuppa d’acqua e indicando l’insegna sudicia e scolorita di un vecchio pub che Diana altrimenti non avrebbe mai notato.
L’interno del pub era buio, cupo e deserto ad eccezione del barista pelato e con una brutta gobba sulla schiena che li accolse con uno sguardo in tralice, mentre i due ragazzi grondavano acqua sporca sulla moquette del suo locale.
- Signor...Weasley? - domandò l’uomo perplesso e spaventato, riconoscendo George - che sta succedendo?
- Ciao Tom - salutò George educatamente - ti conviene chiudere stasera. C’è in giro brutta gente...
- Come sempre ultimamente - constatò tristemente il barista asciugando i bicchieri con un gesto della bacchetta e facendoli riporre al loro posto sulle mensole alle sue spalle.
Diana sorrise educatamente, mentre George la sospingeva verso la porta sul retro del locale. C’erano solo quattro grossi bidoni della spazzatura addossati a un muro vecchio da cui spuntavano parecchie erbacce.
George picchiettò con la bacchetta un paio di volte sul muro di mattoni che delimitava il vecchio cortile e per magia i mattoni iniziarono ad animarsi e spostarsi creando uno stretto passaggio.
- Benvenuta a Diagon Alley - esclamò George fiero, mentre la invitava ad oltrepassare ciò che restava del muro.

Diana rimase per un attimo interdetta perchè aldilà del muro c’era una lunga via dalle vetrine sporgenti e colorate che le ricordò immediatamente Victoria Street. O almeno, doveva essere stata molto simile a Victoria Street molto tempo prima, perchè era come se la maggior parte dei negozi fosse chiusa da tempo.
Un’aria di abbandono e di incuria faceva svolazzare qua e là fogli di giornale accartocciati.
Manifesti segnaletici animati erano appesi dappertutto e riportavano i volti dei Mangiamorte ricercati dal Ministero. Diana riconobbe lo sguardo folle di Bellatrix Lestrange, l’espressione animalesca di Fenrir Greyback le era ormai ben troppo famigliare e il viso snob e altezzoso di Lucius Malfoy.
A passo incerto, seguì George, guardandosi intorno incredula, mentre sentiva le pietre che ricomponevano il muro, ormai alle sue spalle, sfregare tra loro per andare a richiudere il passaggio.
Un vecchio negozio con la porta sprangata da assi di legno e le finestre in frantumi recava l’insegna “Olivander” e a Diana tornò immediatamente in mente il fabbricante di bacchette di cui la famiglia Weasley le aveva parlato tempo prima.

George si fermò poco più avanti e con tono sollevato annunciò: - Eccoci arrivati!
Era fermo davanti al negozio più bizzarro ed eccentrico che Diana avesse mai visto. Le vetrine tondeggianti sporgevano verso la strada ed erano contornate da dei profili color arancione acceso, mentre all’interno si potevano scorgere strani prodotti e insegne animate che li pubblicizzavano. Per la maggior parte, si potevano vedere delle immagini animate dei gemelli che sembravano testare i prodotti in vendita per spiegarne l’efficacia: Fred che, sorridendo e addentando un dolcetto, si trasformava in un grosso canarino; George che masticava una strana caramella e poi vomitava in un secchio dorato con stampata una grossa “W”; Fred che indossava un grosso cappello colorato e qualche secondo dopo sia il cappello che la sua testa sparivano; George che innescava con la magia un grosso fuoco d’artificio che esplodeva trasformandosi in un grosso drago che sputava lingue di fuoco.
Come se non bastasse, in cima alla vetrina centrale c’era una sorta di statua animata che avrebbe dovuto rappresentare un gemello Weasley che alzava e abbassava il cappello in segno di benvenuto, ammiccando in direzione dei visitatori.

- Voi...siete matti - soffiò Diana incredula ammirando la gigantografia di quello che poteva essere benissimo sia Fred che George - e megalomani.
Quando varcarono la soglia, a Diana sembrò di essere entrata nel paese dei balocchi. Gli allegri scaffali colorati erano stracolmi di dolciumi dagli involucri sgargianti, scherzi e giocattoli per tutti i gusti e le età. Come se non bastasse, anche dal soffitto pendevano degli strani oggetti rumorosi e svolazzanti.
Uno scalpiccio concitato dal piano di sopra le fece alzare lo sguardo sulla scala a chiocciola scarlatta, mentre Fred si precipitava giù facendo i gradini tre alla volta.

- Per Merlino - esalò con aria sollevata alternando lo sguardo angosciato tra Diana e George - state bene? 
Diana annuì, ammutolita, perchè Fred aveva raggiunto l’ultimo gradino. Aveva un labbro gonfio con una grossa crosta di sangue raggrumato e la manica della camicia era tanto zuppa di sangue da nascondere gli orrendi disegni psichedelici.
Diana si lanciò tra le su braccia incurante del fatto che fosse ancora impregnata di acqua che con alta probabilità proveniva dalle fogne di Londra.
Fred la baciò con urgenza prendendole il viso tra le mani, mentre Diana sentiva il sapore ferroso del sangue sulla lingua.
Il ragazzo si staccò tenendole sempre il viso tra le mani, ma allontanandola di pochi centimetri, per guardarla negli occhi e asserire con sguardo preoccupato: - Stai bene? Stai bene...?
Diana annuì, mentre Fred le sfiorava con il pollice la guancia che si era ferita quando Greyback l’aveva spinta a terra. Il taglio sul labbro di Fred si era riaperto e il sangue rosso vivo riluceva sinistro sulle sue labbra.
- Georgie... - Fred chiamò a sè il gemello per mettergli una mano sulla spalla - tutto a posto?
George annuì mettendosi le mani sui fianchi e ridendo disse: - Sto bene, per me niente lingua in bocca, grazie! - e detto questo salì le scale a chiocciola lasciando una scia d’acqua dietro di sè.

- Tu stai bene? - domandò Diana guardando preoccupata il sangue che sporcava la camicia di Fred - io volevo tornare da te, ma George ha detto che eravate già d’accordo di trovarvi qui e...
- Sto bene, è solo un taglietto - la bloccò Fred serio e alludendo al braccio sanguinante. Era così pallido che le lentiggini sul suo viso risaltavano ancora di più - che vi è successo?
- Non so come sia possibile, ma ci hanno inseguiti... - gracchiò Diana con lo sguardo fisso su Fred che tentava di tamponarsi il labbro con un fazzoletto - Greyback stava per strozzarmi - aggiunse poi mentre mostrava a Fred il collo dolorante e il ragazzo sgranava gli occhi nell’udire il nome del lupo mannaro - e un tombino è esploso - terminò poi strizzandosi i capelli sul pavimento, mentre Fred con un colpo di bacchetta ripuliva la piccola pozza d’acqua formatasi ai piedi di Diana; il ragazzo si passò, successivamente, una mano sul viso per poi aggrapparsi con entrambe le mani al corrimano della scala a chiocciola così forte che Diana poteva vedere le nocche sbiancare.
- Fred? - cercò di dire Diana titubante appoggiandogli una mano sull’avambraccio.
Lui aveva lo sguardo abbassato sul pavimento e non accennava a mollare la presa sulla ringhiera della scala.
- Avrei dovuto proteggerti... - sospirò Fred infilandosi una mano tra i capelli e tirandoli così forte da ridurli in un arruffato cespuglio rosso - sono corso da Lee e ti ho lasciata sola! Sono un idiota!
- Non mi hai lasciata sola! - lo corresse Diana in tono dolce cercando di confortarlo - c’era George con me! E poi, ormai so difendermi anche da sola!
Prima che Fred potesse continuare a crogiolarsi nel suo senso di colpa, dal piano di sopra arrivò un mezzo grido seguito da una risata mentre George faceva capolino all’imbocco della scala chiedendo con aria scandalizzata: - Cosa ci fa Lee a dormire mezzo nudo sul mio letto?
Fred cercò di sorridere e fece segno a Diana di seguirlo su per le scale, mentre spiegava: - Ci siamo smaterializzati quando Tonks mi ha detto che Harry, Ron e Hermione erano riusciti a fuggire, le ho detto di avvisare George e che lui avrebbe saputo cosa fare, ma Lee è stato schiantato e quindi l’ho portato qui. Non sta dormendo, è svenuto! E non ha i pantaloni perchè ha un’orrenda ferita sul polpaccio. La maggior parte del sangue che ho addosso è suo...

Nel frattempo erano arrivati al piano superiore, dove c’era un piccolo spazio con una scrivania sommersa di scartoffie, mentre pacchi di ogni colore e dimensione riempivano quasi ogni centimetro quadrato del pavimento e degli scaffali in legno scuro. In un angolo c’era un soffice divano bordeaux, mentre dietro di esso si intravedeva una piccola cucina.
George si era puntato la bacchetta addosso e un soffio di aria calda gli stava asciugando i vestiti, mentre raccontava a Fred l’accaduto.
- Gli Obliviatori avranno una notte impegnativa... - commentò George con voce tetra e un’espressione grave che contagiò istantaneamente anche Fred, mentre il primo iniziava una dettagliata telecronaca delle vicende che li avevano visti come protagonisti.
- Mi raccomando, non tralasciare il fatto che ci stavi provando con un parchimetro... - sorrise Diana tremante, perchè l’adrenalina che fino a quel momento l’aveva tenuta reattiva, stava lentamente abbandonando il suo corpo.
Si scoprì che anche Fred non aveva idea di cosa fosse un parchimetro, ma scoppiò comunque in una nervosa risata quando Diana gli raccontò la scena con dovizia di particolari.
Diana rabbrividì, mentre George raccontava al gemello di essere stato colpito dalla Maledizione Cruciatus e delle peripezie con i Mangiamorte su Shaftesbury Avenue.
Fred la osservò con la coda dell’occhio, mentre ascoltava attentamente il resoconto di George e chiese: - Tutto a posto, Pixie?
Diana annuì e rispose: - Si...vorrei solo farmi una doccia e mettermi qualcosa di asciutto...
- Si, forse è meglio - constatò Fred con un sorriso poco convinto - non avete un odore propriamente gradevole...

Fred le fece cenno di seguirlo in una delle due stanze: c’era un letto matrimoniale con un copriletto bordeaux e dorato che recava un grosso leone rampante; l’armadio scuro aveva un’anta a specchio, mentre sopra al letto e sull’altra parete c’erano poster animati di squadre di Quidditch, con giocatori che sfrecciavano in sella alle loro scope. Sulla scrivania era ammonticchiata un’enorme quantità di oggetti: pergamene e piume, un pacchetto di biscottini gufici, un kit di pozioni e una gabbia dove, con la testa sotto l’ala, stava dormendo il gufo Loki.
- Ti prendo degli asciugamani - disse Fred premuroso sparendo dalla camera. Sembrava intenzionato a farsi perdonare il fatto di non essere stato al suo fianco a fronteggiare i Mangiamorte, anche se Diana non ne capiva il bisogno. Lei e George erano vivi, illesi e tutto si era concluso nel migliore dei modi.
Diana si avvicinò alla parete e guardò le fotografie animate che tappezzavano quella zona: Fred e la famiglia Weasley in Egitto; Fred, George, Harry, Ron e altre tre ragazze con le scope in mano e la divisa di Quidditch di Grifondoro; Fred e George che tenevano seduto Harry sulle spalle, mentre sollevava un grosso trofeo dorato; c’era poi una fotografia con una moltitudine di studenti in divisa scolastica, tra cui Diana riconobbe, oltre a Fred e George, Harry, Hermione, Ron, Ginny e Luna, la ragazza bionda e stralunata; infine, sul comodino Diana notò una piccola foto appoggiata. Non aveva una cornice, non sembrava essere mai stata appesa, ma aveva gli angoli leggermente arricciati e la superficie vagamente ondulata come se fosse stata a lungo tenuta in mano. 
Diana la prese in mano per vedere chi fosse il soggetto della fotografia.
Erano loro due: Diana e Fred.
Diana sorrise, colpita, perchè non sapeva nemmeno dell’esistenza di quella foto. 
Erano loro due che ballavano alla Vigilia di Natale, nel soggiorno della Tana. Il Fred della foto la faceva volteggiare sorridente, mentre la Diana della foto, sorridente ed emozionata si muoveva impacciata tra le sue braccia. Sembrava quasi appartenere a una vita precedente, ma Diana non potè non ricordare l’emozione e l’euforia che aveva provato quella sera.

- Ecco - Fred tornò con degli asciugamani colorati e degli abiti ripiegati su un avambraccio.
Diana si voltò con la foto tra le dita e, sorridendo, la mostrò a Fred - Non sapevo di questa foto...
- Oh... si ce l’ha fatta Ginny. Ha pensato che fossimo...carini... - ammise Fred sorridendo senza nascondere una piccola smorfia di dolore per il labbro ferito.
- Già... - concordò Diana con aria sognante ricordando la magia di quella sera e seguendo Fred che le stava mostrando la strada verso il bagno, passandole gli abiti e gli asciugamani.
Diana appoggiò gli asciugamani sul mobile in legno chiaro, mentre continuava a sentire la presenza del ragazzo alle sue spalle.
- Ehm... - balbettò Diana imbarazzata indicando il retro del vestito - mi daresti una mano?
Fred si avvicinò e con una mano le raccolse i lunghi capelli bagnati un po’ rossi e un po’ biondi per scostarglieli e scoprire la schiena per sciogliere i fiocchi che chiudevano l’abito. Diana lo sentì inspirare aria profondamente, per poi trattenere bruscamente il respiro.

- Che c’è? - domandò Diana preoccupata alzando lo sguardo sullo specchio davanti a lei per vedere il viso di Fred e trattenendo il vestito sul seno per evitare che le scivolasse a terra, una volta slacciato. Era pallido e aveva le labbra serrate in una morsa, mentre continuava a fissarle la schiena.
Fred sollevò lo sguardo per incrociare il suo nel riflesso dello specchio e, sempre con un’espressione molto seria e lo sguardo più duro della pietra, la fece voltare leggermente affinchè lei stessa potesse vedere la propria schiena nello specchio.
Diana trattenne il fiato, perchè i capelli appoggiati sulla spalla lasciavano intravedere un grosso segno rossastro proprio al centro della sua schiena. 
Greyback.
L’aveva colpita alla schiena quando l’aveva spinta a terra e poi l’aveva sbattuta contro la vetrina.
A Diana parve quasi di sentire ancora il peso del lupo mannaro schiacciarla contro l’asfalto bagnato togliendole il fiato.
- Ti fa male? - le parole rotolarono pesanti fuori dalle labbra di Fred, mentre le sfiorava il punto dolorante con il dorso della mano.
- Un po’... - ammise lei cercando di non sobbalzare al contatto. Faceva parecchio male, ma Fred sembrava già sul punto di esplodere, quindi non era il caso di versare altra benzina sul fuoco.
Si stava per voltare per guardare Fred negli occhi, ma la propria immagine riflessa nello specchio attirò nuovamente la sua attenzione.

C’era qualcos’altro che non andava. 
Rimase impietrita e incredula a fissarsi, maledicendosi per non essersene accorta prima, mentre un senso di disorientamento le artigliava lo stomaco rendendola instabile sulle gambe.
- Che succede? - chiese Fred allarmato sorreggendola per un braccio.
- Fred... - mormorò lei senza fiato con lo sguardo perso mentre si toccava il collo irrimediabilmente nudo - il Blackhole non c’è più. Me lo hanno preso.

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Ciao e buon anno a tutti/e :)
Sì, lo so oggi non è sabato...ma durante le vacanze di Natale tutti i giorni sono uguali, no? :P
Scherzo, questo capitolo era già pronto e ho fatto solo qualche ritocco quindi, eccolo qua!
Come vi sembra? Anche oggi azione e colpi di scena (o almeno spero!)
Come prenderà Diana la sparizione del Blackhole? 
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto!
Sere

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Capitolo 31
*** La porta chiusa ***


Un silenzio innaturale e sinistro calò come brina a ghiacciare l’atmosfera all’interno del piccolo bagno.
Fred si sentì attraversato dall’ennesimo brivido della giornata, mentre sbatteva le palpebre per riprendersi dalle parole di Diana.
- Greyback ti ha preso il Blackhole?- domandò Fred con aria sconvolta scrollando un’attonita Diana per le spalle.
Lei si limitò a fissarlo senza proferire parola, ipnotizzata dalla consapevolezza di non avere più il vecchio orologio con sè.
- Ti può essere caduto mentre venivate qui? - la incalzò nuovamente Fred con una seconda, lieve, scrollata di spalle.
- Io...non lo so...lui lo voleva... - balbettò Diana con lo sguardo perso nel cercare di ricordare come e quando potesse aver perduto il suo inseparabile Blackhole - ma poi George lo ha attaccato...è successo tutto in fretta...Non me sono accorta!
Fred lasciò la presa su Diana e si appoggiò con entrambe le mani al lavandino domandandosi se quella giornata avrebbe mai visto una fine, dato che gli eventi continuavano a colpirli come una pioggia di meteoriti. Non riuscì a trattenere un verso molto simile a un ruggito di frustrazione, mentre stringeva le dita sul bordo di ceramica.
- Vado a cercarlo - sentenziò infine cercando di raggiungere la porta del bagno.
Non ce la faceva proprio a starsene fermo in casa senza tentare di porre rimedio a quanto accaduto.
- Chi vai a cercare? - esclamò Diana preoccupata e minacciosa allo stesso tempo - Greyback? 
- Non lo so - sbottò Fred spazientito e inquieto - il Blackhole, Greyback...tutti e due! Non lo so, ok?
- Vengo con te - si offrì Diana seguendolo e risistemandosi in qualche modo il vestito slacciato per metà.

Fred sentiva il sangue ribollire per la rabbia. 
Durante l’attacco alla Tana, l’aveva persa di vista e poi l’aveva lasciata per aiutare Lee.
Greyback avrebbe potuto uccidere Diana e lui non c’era.
Si era ripromesso di proteggerla e tenerla al sicuro e aveva fallito.
E il Blackhole era sparito.
Non poteva andare peggio di così.

- No, tu resti qui!- ordinò Fred con un tono più tagliente di quanto avrebbe voluto, voltandosi di scatto per bloccare Diana con il proprio corpo, evitandole di varcare la soglia del bagno.
- Il Blackhole è mio, perciò vengo anch’io! - scattò Diana iniziando ad arrabbiarsi.
Fred scosse la testa con vigore, imperterrito nella sua posizione, e esclamò: - Tu non esci da questa stanza! Greyback avrebbe potuto morderti, te ne rendi conto? - emise un grugnito lamentoso perchè il solo pensarci gli faceva perdere le staffe - o ucciderti!
Diana rimase a fissarlo, forse cominciando a comprendere quanto lei e George fossero stati fortunati, e Fred approfittò di quell’attimo di incertezza per fare due veloci passi all’indietro oltre la soglia del bagno e per chiudere con rabbia la porta, lasciando Diana all’interno.
Per un attimo aveva visto solo lo sguardo profondamente sconvolto e offeso di Diana, prima che la porta di legno chiaro si frapponesse con forza tra loro.
- Colloportus! - risoluto, pronunciò l’incantesimo e sferrò un calcio alla porta per tentare di sfogare la collera.
Dall’altra parte, sentì Diana prendere a pugni la porta e gridare, ma almeno l’incantesimo sigillante l’avrebbe tenuta dove doveva stare. Al sicuro.
- Freddie? - domandò George facendo capolino dalla sua camera, lo sguardo preoccupato che si alternava tra Fred e la porta del bagno - che significa?
- Glielo hanno preso, George - esclamò Fred sfilandosi in un secco movimento la camicia insanguinata per mettersi una maglietta, muovendosi da una stanza all’altra in maniera convulsa - le hanno preso il Blackhole. Vado a cercarlo!
- Ok... - cercò di dire George in tono tranquillo, come per convincerlo a calmarsi - vengo con te!
- No - rispose Fred bruscamente puntando la bacchetta sulla ferita che aveva sul proprio braccio per fermare il sangue - resta qui con Diana!
George annuì, a labbra strette e poi, cercando di sovrastare le urla di Diana che li raggiungevano da dietro la porta del bagno, tentò: - Ok, ma almeno falla uscire...
- No - gridò Fred accecato dalla rabbia. Aveva già raggiunto l’imbocco delle scale, ma tornò indietro appositamente per lanciare un’occhiata penetrante al fratello - e non ti azzardare ad aprire quella porta!
- Freddie, calmati... - provò nuovamente a dire George, ma la voce del gemello si perse alle sue spalle, perchè lui stava già scendendo le scale di corsa.

Diana continuava a picchiare freneticamente i pugni sulla porta chiusa, tanto da farsi male alle nocche, mentre sentiva le voci di Fred e George parlare concitate in soggiorno.
- Fred, fammi uscire! - gridò per l’ennesima volta, senza ricevere una risposta e aggredendo la maniglia in ottone, senza successo.
Riprese fiato e sentì Fred alzare la voce contro George, prima che la casa sprofondasse in un desolato silenzio.
- Fred? - riprovò a dire Diana, cercando di sembrare convincente, mentre la gola le bruciava per aver gridato troppo a lungo.
Nessuna risposta.
- George? - tentò nuovamente, appoggiando l’orecchio alla superficie lignea per provare a cogliere qualche suono.
Dei passi si muovevano incerti avanti e indietro fuori dalla porta.
- George! - sbottò Diana sentendo le lacrime pungere per la frustrazione e ricominciando a prendere istericamente a pugni la porta - so che sei lì! Apri!
Dopo qualche attimo di silenzio, la raggiunse la voce di George.
- Io ti apro la porta, ma tu mi prometti di calmarti e di non fare la pazza, ok?
- Va bene - concesse Diana, esausta, appoggiando la fronte contro il legno.
Uno scatto la fece spostare e la maniglia si abbassò, mentre lo spiraglio della porta che si apriva lentamente rivelava il viso dubbioso di George.
Diana si precipitò fuori dalla stanza spingendo George di lato per raggiungere la porta che l’avrebbe condotta giù dalle scale e poi in strada.
Afferrò la maniglia, ma la porta sembrava chiusa a chiave, quindi si voltò a osservare George, profondamente offesa per esserci cascata.
- Credevi davvero che fossi così stupido? - domandò George inarcando le sopracciglia.
- Fammi uscire! Voglio andare con Fred! - gridò Diana oltraggiata.
- No! E’ pericoloso e senza di me non puoi uscire da Diagon Alley! - la prese per le spalle e la condusse, tranquillamente, verso il divano - quindi adesso tu ti siedi qui e fai la brava, intesi? E non farti venire altre strane idee, perchè non ci metto niente a bloccare tutte le finestre!
Diana sbuffò impotente e si lasciò cadere pesantemente sul divano.
- Che succede? - la voce di Lee Jordan li raggiunse allarmata, mentre il ragazzo zoppicante, che indossava dei pantaloncini, si trascinava in soggiorno.
George fece sedere Lee su divano e, mentre cercava di cicatrizzare la ferita di Lee con svariati incantesimi, si mise a riassumere gli eventi della serata.
Diana, incapace di riascoltare la cronaca della propria stupidità, si alzò dal divano sentendo lo sguardo di George controllarla ferocemente.
- Vado solo a farmi una doccia - borbottò lei contrariata, lasciando la stanza per chiudersi, questa volta volontariamente, in bagno.
Mentre si sfilava con gesti secchi e rabbiosi il vestito per infilarsi sotto al getto di acqua calda, stringeva i denti per evitare di cedere alle lacrime e alla disperazione.
L’acqua calda sembrò acquietare un poco la sua rabbia cocente nei confronti di Fred e la delusione e l’amarezza per essere di nuovo inerme come una neonata, la travolsero come una valanga.
Che cosa sarebbe successo se, effettivamente, i Mangiamorte e di conseguenza Lord Voldemort fossero entrati in possesso del Blackhole?
Si sentiva incredibilmente svuotata, ma allo stesso tempo la stessa identica persona di quando il Blackhole era ancora appeso al suo collo.
L’acqua tinta di rosso dal colore che grondava dai suoi capelli scivolava come sangue sul candido piatto della doccia, facendola riflettere su quanto lei, George e tutte quelle ignare persone fossero stati in pericolo. E a quanto lei fosse stata avventata ad utilizzare il potere del Blackhole con il rischio di fare del male a qualcuno a sua volta.
L’espressione preoccupata di Fred si affacciò nuovamente tra i suoi pensieri, facendole stringere lo stomaco.
Forse si era solo spaventato all’idea che le accadesse qualcosa di brutto.
Chiuse il getto d’acqua e si avvolse in uno dei due asciugamani per tamponarsi i capelli con l’altro.
Si sentiva irrimediabilmente dilaniata dallo sconforto e dalla rabbia.
Una volta asciutta, agguantò una maglietta blu che Fred le aveva appoggiato sul mobile.
Era enorme e probabilmente apparteneva proprio a lui.
Con uno sbuffo contrariato, Diana se la infilò constatando che quella bastava a farle praticamente da mini abito, quindi, ancora stizzita e frastornata, fece sbucare i capelli dal collo della t-shirt e si diresse nuovamente in soggiorno per prendere posto sul divano accanto a Lee Jordan.
Incrociò le braccia al petto, ben decisa a rimanere trincerata in un luttuoso silenzio, mentre si domandava se sarebbe riuscita ad essere altrettanto equilibrata una volta che Fred avesse fatto ritorno.
Lee si lasciò sfuggire un lamento dolorante e lo sguardo di Diana si posò sul viso sofferente del ragazzo.
- Ti fa male? - domandò preoccupata.
- Non smette di sanguinare - rispose per lui George arrivando dalla cucina con delle bende e delle garze.
- Faccio io - si propose Diana allungando una mano per offrirsi di aiutare Lee. Forse in quel modo sarebbe riuscita a non autoflagellarsi mentalmente.
George annuì e le passò le garze, mentre Diana si alzava e faceva appoggiare a Lee la gamba su una sedia per chinarsi a ripulire la ferita.
- Non ti fa senso? - domandò Lee, che invece sembrava sul punto di vomitare, ritraendosi sofferente.
- No - rispose Diana sentendo la rabbia e la frustrazione scemare lentamente ogni volta che sfregava delicatamente la garza sul polpaccio del ragazzo - io e zia Karen, in negozio, ci siamo tagliate un sacco di volte mentre riparavamo qualche mobile e quindi ho dovuto imparare ad arrangiarmi.
Lee si limitò ad osservarla in silenzio, perchè non poteva avere idea di chi fosse zia Karen nè di che negozio parlasse, ma si rilassò leggemente e si lasciò bendare la gamba, mente George osservava la scena a distanza, in piedi accanto alla finestra in attesa che Fred tornasse.

Nel frattempo, Fred ripercorse a passo svelto la strada di cui George gli aveva parlato, ma una volta arrivato all’incrocio tra Charing Cross Road e Shaftesbury Avenue, dovette fermarsi perchè la via era completamente allagata e la polizia babbana aveva transennato la zona per evitare che frotte di curiosi si avvicinassero, mentre altri bizzarri poliziotti con strane tute tentavano di fermare l’acqua che continuava a fuoriuscire dalle tubature danneggiate. Le sirene andavano avanti ad ululare nella notte, mentre la folla che si era inevitabilmente schiacciata sulle transenne, guardava impressionata la voragine apertasi al centro della strada. 
Anche Fred rimase immobile e stupito di fronte al disastro e a quanto Diana fosse stata in grado di fare. Deglutì a disagio nel constatare che, una volta rientrato a casa, con o senza Blackhole, sarebbe stata tranquillamente in grado di ridurlo in poltiglia per averla chiusa dentro al bagno.
Fred meditò per qualche minuto di lanciare qualche incantesimo per farsi largo tra la folla, ma c’erano troppe persone che avrebbero potuto vederlo.

Stava per tornare mestamente sui suoi passi, quando la sua attenzione fu catturata da una figura tra la folla che guardava con aria assorta il manto stradale squarciato. Giubbotto di pelle e anfibi non erano parte del suo solito abbigliamento, i capelli scuri non erano ordinati come al solito e lo sguardo nero come la pece era fisso a terra. 
Era chiaro che avesse tentato di mimetizzarsi al meglio tra i babbani, ma Fred lo riconobbe subito. 
Era Benjamin Murray.
Fred ricordò prontamente l’espressione crudele che aveva presto trovato spazio sul viso di Ben durante la conversazione tra lui e Daniel origliata durante il matrimonio.
Il bisogno di saperne di più lo spinse a dirigersi verso il mago.
Tentò di farsi spazio tra la folla per aggirare la zona transennata e raggiungere Ben, senza interrompere il contatto visivo con lui come per tenerlo inchiodato dov’era.
Stava per raggiungerlo quando un baffuto poliziotto babbano lo bloccò con una mano sul petto.
- Ehi, dove sta andando, giovanotto? - il tono di voce alto e autoritario attirò l’attenzione di Ben e gli fece sollevare lo sguardo ad incrociare quello di Fred, ormai a pochi metri di distanza - da qui non si passa!
Fred spinse di lato il poliziotto per raggiungere Ben, ma era troppo tardi. 
Ben Murray, con la solita espressione impenetrabile e con un secco rumore, si era già smaterializzato senza che qualcuno lo notasse.
Fred digrignò i denti per la frustrazione e sbuffò, mentre il poliziotto lo tratteneva per un braccio con una presa ferrea.
- Dove credeva di andare così di fretta da spintonare un agente? - lo apostrofò severamente il poliziotto baffuto, mentre Fred continuava a guardarsi intorno agitato - ora, con calma, risponderà alle mie domande. Cominci con il farmi vedere i suoi documenti!
Fred rimase ad osservare la mano dell’uomo protesa verso di lui.
- I documenti? - domandò Fred perplesso.
- Si, i suoi documenti! - lo incalzò l’arcigno poliziotto agitando la mano e facendo fremere i baffi per il disappunto - me li dia! Subito!
- Ok ok - brontolò Fred esitante, ma per niente intimorito, infilando una mano nella tasca dei pantaloni - li prendo subito! - aggiunse, lasciando appositamente cadere dalla tasca un Detonatore Abbindolante, custodito fino a quel momento solo per movimentare il matrimonio di Bill e Fleur. Il piccolo aggeggio sgambettò velocemente in mezzo alla folla, prima di mettersi a strombazzare, a emettere fumo rosso e giochi di luce stroboscopici, mandando velocemente i presenti nel panico e distogliendo da lui l’attenzione del poliziotto quanto bastava per un’agile e insospettabile fuga a ritroso verso Diagon Alley.

Per lo meno la passeggiata notturna era servita a schiarirgli le idee, anche se nel profondo sentiva una grande voglia di riempire di botte Benjamin Murray.
Improvvisamente, lo investì un senso di nausea per quello che aveva fatto a Diana e per aver alzato la voce anche con George.
Quando aveva visto il livido sulla schiena della ragazza aveva sentito le tempie pulsare e le mani fremere per il desiderio di fare del male a Greyback e non aveva capito più nulla.
Si era comportato come uno stronzo chiudendola nel bagno. 
Probabilmente anche lei stava da schifo per non avere più il Blackhole.
E George, come al solito, era riuscito a mantenere la mente un po’ più lucida rispetto a lui. 
Sperò solo che il fratello non lo avesse ascoltato e le avesse aperto la porta, anche se probabilmente questo non avrebbe diminuito la rabbia della ragazza.
Quando rientrò al negozio, controllando che nessuno lo avesse seguito, si addentrò in soggiorno a testa bassa e titubante.
Alzò lentamente il capo e i suoi occhi incrociarono quelli di Lee Jordan che lo aspettava guardingo, seduto sul divano e con la gamba bendata distesa su una sedia.
George era in piedi accanto alla finestra e non appena lo sentì rientrare, si avvicinò a lui con uno sguardo triste e preoccupato.
Diana era raggomitolata sul divano: i capelli bagnati erano tornati biondi e indossava solo una grossa maglietta che lasciava le cosce parecchio scoperte. La cosa che fece più preoccupare Fred, però, fu l’espressione che la ragazza assunse repentinamente alla sua vista: le labbra si contrassero per la rabbia e gli occhi verdi dardeggiarono una volta posatisi su di lui.
Come Fred già immaginava, il fatto che George l’avesse liberata non era bastato affatto a calmarla.
Fred osservò fugacemente il gemello che si giustificò subito dicendo: - Non potevo lasciarla chiusa lì dentro.
Fred annuì con il senso di colpa che gli martellava le tempie e prontamente rispose: - No, hai fatto bene, Georgie!
Infine, con un profondo respiro per infondersi coraggio, si rivolse a Diana.
- Pixie... - tentò di imbastire delle scuse, ma Diana, incenerendolo con un’occhiata fiammeggiante, si alzò di scatto dal divano per rifugiarsi in camera, sbattendo la porta con un tonfo.
Fred la seguì e, senza bussare, aprì con forza la porta: - Senti, mi dispiac- ma dovette interrompersi perchè lo schiaffo lo colpì in pieno viso. 
- Non farlo mai più! Hai capito? - lo aggredì inviperita. Diana tentava di spingerlo fuori dalla stanza, tra le lacrime, mentre Fred sentiva il taglio sul labbro riaprirsi per la seconda volta quella sera e la guancia bruciare dal dolore.
Diana, frustrata e affranta per non riuscire a smuoverlo di un millimetro, lasciò perdere e andò a raggomitolarsi sul letto cercando accuratamente di evitare di guardarlo negli occhi e di coprirsi quanto più poteva le gambe con l’ampia maglietta blu.
- Scusami, sono stato uno stronzo. Non dovevo chiuderti in bagno - snocciolò frettolosamente le scuse Fred, sperando di porre rimedio a quanto aveva fatto. Diana era rannicchiata in un angolo del letto con il viso arrossato e umido di lacrime, chiusa in un religioso e offeso silenzio.
- Pixie, per favore... - cercò di convincerla a dire qualcosa, mentre si sedeva cautamente sul letto davanti a lei - dammi un altro schiaffo, me lo merito. Quando ho visto cosa ti aveva fatto... quel...quel... - Fred non riusciva a trovare l’insulto più calzante per descrivere il lupo mannaro e per sfogare il suo senso di impotenza - Greyback... io non ci ho visto più. Non so se riesci a capire quanto sei stata in pericolo e cosa avrebbe potuto farti...
- Lo hai trovato? - si limitò a domandare Diana tirando su con il naso e riferendosi al Blackhole.
Fred scosse la testa ripulendosi dal sangue caldo che sentiva colare dal labbro.
- Scusa per lo schiaffo... - mormorò Diana asciugandosi gli occhi, mentre in modo inaspettatamente dolce, si protendeva verso di lui e con le dita gli sfiorava le labbra, inclinando leggermente la testa di lato e scrutandolo con aria concentrata.
Fred chiuse gli occhi, non sapendo cosa aspettarsi, e inspirò dicendo ironicamente: - Pugni, schiaffi, ormai sono abituato...però questa volta me lo sono meritato!
Quando riaprì gli occhi, Diana lo stava ancora studiando circospetta.
- Che c’è? - chiese lui teso, mentre lei gli accarezzava delicatamente la guancia schiaffeggiata poco prima.
Diana sospirò: - Non riesco a capire se ho voglia di picchiarti o di baciarti... - le sfuggì un altro sospiro di rassegnazione e aggiunse - è piuttosto frustrante...
Fred le scoccò un’occhiata furba tirando un sospiro di sollievo: - Posso consigliarti la seconda opzione?
Diana si aprì in un debole sorriso e Fred riuscì a sentirsi meglio nel vederla decisamente più calma di quanto si aspettasse.
- Promettimi che non lo farai mai più! - lo minacciò debolmente Diana.
Fred annuì con aria contrita: - Scusami, davvero...non lo farò più!
Diana sembrò calmarsi ulteriormente.
- Devo dirti una cosa - sentenziò Fred serio. Aveva fretta di archiviare tutte le cose negative accadute quella sera per potersi lanciare sul letto e non pensare a nulla almeno per le successive otto ore.
- Anche io - rispose Diana con lo sguardo basso e la voce ridotta a un sussurro incerto.
Fred distese la mano in avanti in un muto gesto per invitarla a parlare per prima.
- Insieme a Greyback c’era qualcun altro - iniziò a dire Diana tristemente - nè io ne George siamo riusciti a vederlo in faccia. Avevo quasi perso i sensi, ma sono abbastanza sicura di conoscerlo e...
- Era Benjamin - terminò per lei Fred decidendo di non tirare troppo per le lunghe la faccenda, ma notando come lo sguardo di Diana si fosse immediatamente velato di stupore e amarezza.
- C-cosa? - farfugliò Diana stravolta da quella notizia - sei s-sicuro?
Fred assentì gravemente: - Era in mezzo alla folla di gente su Shaftesbury Avenue ed è scappato appena mi ha visto, quel figlio di una banshee!
Diana rimase sconcertata a fissarlo mentre assimilava le sue parole. Con un gesto meccanico, la ragazza afferrò il cuscino dal letto e cominciò ad accarezzare la federa con le mani in gesti rapidi e uguali tra loro, come se rendere liscio il tessuto spiegazzato potesse in qualche modo tranquillizzarla.
- Non può essere - mormorò Diana con tono spento e assente - Ben...insomma, lui è Ben! 
- Si, penso sia proprio quello il problema... - commentò Fred con una punta di sarcasmo - insomma, quando ha parlato con tuo padre è stato parecchio strano e anche prima è sempre stato piuttosto misterioso!
- Ma abbiamo vissuto insieme per mesi! - Diana stava ragionando ad alta voce - Avrebbe potuto prendere il Blackhole o farmi del male in qualsiasi momento se avesse voluto! Non ha senso...
- E allora perchè scappare? - Fred rivolse la domanda che, a parere suo, inchiodava Ben all’interno della più netta cornice di colpevolezza.
- Ci deve essere un’altra spiegazione... - si intestardì Diana con lo sguardo fisso sulle lenzuola - dobbiamo tornare al negozio e parlare con lui e con Robert! Dobbiamo cercare mio padre e capire se stanno tutti bene!
- Domani penseremo a tutto, ok? - cercò di tranquillizzarla Fred con un sorriso rassicurante.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, fino a che Diana, sollevando lo sguardo per incontrare quello di Fred, domandò: - Non c’è speranza di poter recuperare il Blackhole, vero? - il tono di voce era incredibilmente rassegnato.
Fred sospirò profondamente e, di malavoglia, rispose: - Se lo hanno preso i Mangiamorte, credo sia estremamente difficile...però ci possiamo provare!
Diana, gli occhi sgranati in una perenne espressione di incredulità, parve vacillare appena sotto il peso di quella presa di coscienza. Con dei movimenti lenti e controllati, scostò il cuscino per riappoggiarlo sul letto e si portò entrambi le mani ai lati della testa per massaggiarsi le tempie, mentre lo sguardo ricadeva di nuovo verso il basso.
- Per favore, almeno tu, puoi essere sincero con me?
Fred sobbalzò nel sentire una richiesta così schietta e struggente e subito si difese dicendo: - Io non ti ho mai raccontato bugie....
Diana annuì sorridendo appena: - Non ho detto che lo hai fatto. Ti ho chiesto di non farlo mai! Ci hanno già pensato in troppi a mentirmi...
- Non lo farò - rispose Fred più serio che mai - promesso!
Diana parve rinfrancata da quel giuramento e rilassò le spalle.
- C’è una cosa che devo chiederti su tuo padre... - Fred indugiò mentalmente sul discorso tra Ben e Daniel che poche ore prima avevano ascoltato, cogliendo al volo l’opportunità di parlare con una Diana così ragionevole.
Lei rimase in curiosa attesa.
- Lui...ehm... - Fred non sapeva bene come formulare la domanda senza sentirsi un idiota insensibile, ma aveva bisogno di sapere - ti ha mai fatto del male? Fisicamente, intendo...
Lo sai che non volevo farle del male quella volta
La frase di Daniel Harvey gli ronzava in testa da ore e più ci pensava più assumeva sempre maggior senso: spiegava di certo il motivo per cui Diana fosse sempre così restia a fidarsi delle persone, alla poca dimestichezza che aveva con il contatto fisico e soprattutto avrebbe spiegato il motivo per cui Diana preferisse tenere le distanze da suo padre.
Diana si accigliò e prese a mordicchiarsi l’unghia del pollice: - No...
La risposta della ragazza non era stata per niente convincente, ma prima che Fred potesse ripartire all’attacco, Diana lo interruppe di netto: - Parliamo d’altro, per favore! Ho bisogno di distrarmi...
Fred, anche se poco convinto, esibì un sorriso, lieto di poter tornare a sguazzare nell’ambito che gli era più congeniale, e aprendo le braccia, annunciò: - Sei fortunata, cara Pixie, perchè qui davanti hai il re delle distrazioni!
Diana inarcò un sopracciglio: sembrava combattuta tra il mantenere un certo contegno e tra lo scoppiare a ridere.
Fred non poteva forzarla a parlare, ma di certo, poteva provare a risollevarle il morale.
- Questa è la mia camera - sentenziò Fred aggirandosi per la stanza e indicando lo spazio intorno a sè come per condurre Diana in un tour guidato in cui ogni tanto si era imbattuto per la Londra babbana.
- Si, lo immaginavo - rispose Diana con un piccolo sorriso che faceva capolino sul viso.
- E questo è il mio letto - continuò Fred con uno sguardo furbo mentre si chinava per accarezzare le lenzuola.
- Ma non mi dire... - Diana iniziò a stare al gioco, fingendosi sorpresa, e Fred si sentì ancora meglio.
- Sai che cosa si fa nei letti? - domandò Fred muovendo le sopracciglia in un gesto allusivo.
- Si dorme - rispose prontamente Diana sorridendo innocentemente e infilandosi sotto alle lenzuola per voltare le spalle a Fred - buonanotte!
- Ma...come? Buonanotte? - cercò di articolare lui stupito, mentre Diana ridacchiava coprendosi con il cuscino per cercare di non farsi sentire.
Dopo essersi sfilato gli abiti per indossare il pigiama, raggiunse Diana, che ancora gli dava le spalle facendo finta di dormire, sotto alle lenzuola per abbracciarla e farla voltare verso di lui.
- Ehi, non mi guardare così - lo ammonì prontamente Diana scrutandolo attentamente e cercando di mantenersi impassibile.
- Così come? - tubò Fred sbattendo le ciglia in maniera angelica.
- Con quel sorrisetto lì di chi si è fatto già duecento viaggi mentali!
- Devi ammettere che è piuttosto semplice farsi viaggi mentali quando sei in un letto con una ragazza che nemmeno indossa i pantaloni... - rispose Fred allusivo indicando la sua maglia che la ragazza indossava.
Diana si alzò a sedere di scatto con gli occhi sbarrati, come se stesse realizzando solo in quel momento la situazione in cui si trovavano.
Fred scoppiò a ridere sinceramente divertito: - Merlino, Pixie, rilassati...mica è la prima volta che dormiamo insieme! E poi ormai mi pare che abbiamo una certa confidenza...
Diana stava cercando di non arrossire, ma ebbe ben poco successo, quindi borbottò: - Visto che abbiamo una certa confidenza...potresti smetterla con quello stupido soprannome?
Fred la afferrò per un braccio per riportarla sdraiata al suo fianco: - Visto che abbiamo una certa confidenza, posso fare quello che voglio.
- Figuriamoci se mi dai ascolto! - bofonchiò Diana issando bandiera bianca.
- Questo non è vero! Io ti do sempre ascolto - protestò Fred fingendosi offeso.
- Forse quando dormi... - concesse Diana con un sorriso - da sveglio, invece, sei un tormento...
- Però ti piace essere tormentata - la punzecchiò Fred con un sorrisetto malizioso.
- Lo fai perchè, in fondo, a te piace essere rimproverato! - rispose a tono Diana.
- Da te, si - ammise Fred facendole l’occhiolino - sei così sexy quando mi sgridi!
Diana parve imbarazzarsi un po’ a quell’affermazione, ma si schiarì la voce per assumere un tono autoritario: - Fred Weasley, adesso vai a dormire! E domani sistemi la tua stanza, altrimenti, a letto senza cena!
Fred finse di essere percorso da un brivido di eccitazione e, con un sorriso obliquo, rispose in tono concitato: - Oh, si ti prego, continua! 
- Sei proprio scemo - lo liquidò Diana tappandogli la bocca con una mano per soffocare sul nascere la sua risata, ma finendo per infilargli un dito nell’occhio.
- Oh si, gli insulti e le maniere forti! Meglio ancora! - continuò a recitare Fred, incapace di smettere di ridere di fronte alle facce di Diana e fingendosi nuovamente elettrizzato, mentre lei, nell’imbarazzato tentativo di zittirlo, si protendeva verso di lui.
- Beh, devi ammettere che almeno siamo una bella coppia! - constatò Fred notando quanto gli facesse assurdamente piacere pronunciare quella frase.
Diana, un po’ a disagio, sorrise e, come per provare come suonasse detto da lei, ritraendosi, ripetè con aria sognante: - Una bella coppia...
Fred lasciò scivolare una mano ad accarezzare una coscia di Diana, ma la ragazza, prontamente, lo bloccò scostandogli la mano: - Che stai facendo?
- Mi faccio perdonare? - tentò Fred con un enorme sorriso.
- Non credo proprio - lo stroncò Diana in tono lapidario ed esausto.
- Sei perfida! - si lagnò Fred in tono tragico coprendosi il viso con le mani.
- Così impari - ridacchiò Diana con superiorità.
Il sorriso della ragazza fu presto prosciugato da un’estrema serietà, mentre, stancamente, appoggiava la fronte contro quella di Fred: - Che succederà, ora? 
Fred intuì che il tempo di scherzare era di nuovo finito, perciò sospirò: - Non lo so...forse ora che hanno ciò che cercavano, sarai finalmente al sicuro...
- Lo spero - ammise Diana con un sospiro tremante, mentre si voltava per appoggiare la schiena contro al petto di Fred e raggomitolarsi contro di lui.
Fred vedeva solo la cascata di capelli biondi a pochi centimetri dal suo naso; la strinse a sè, come se in quel modo avesse potuto proteggerla.
- Hai paura? - le sussurrò Fred tra i capelli.
- No - rispose lei senza voltarsi, ma sembrando quasi sorpresa dalla sua stessa affermazione - non se sono con te.
Fred sorrise e sentì il petto bruciare per quella dichiarazione di incondizionata fiducia.
Diana intrecciò una mano alla sua e Fred spense la luce con la bacchetta per far sprofondare la stanza nell’oscurità.


Fred avrebbe voluto dormire per settimane, ma qualcuno non era della sua stessa opinione. 
Quel qualcuno stava bussando insistentemente alla porta, tanto che i ritmici colpi rimbombavano nella sua testa.
Diana, altrettanto infastidita, stava mugugnando qualche insulto, mentre si girava a pancia in giù e metteva la testa sotto al cuscino. La maglietta che Fred le aveva dato da indossare come pigiama si era arrotolata durante la notte fino a salire e lasciare il sedere mezzo scoperto, perciò lui dovette esercitare molto del suo poco autocontrollo per concentrarsi su qualcosa che non fosse Diana.
- Siete svegli? - chiese Lee da dietro la porta.
- Siete nudi? - alla voce di Lee si aggiunse quella di George.
- Si - rispose Fred sperando che li lasciassero in pace.
- No - rispose invece Diana improvvisamente sveglia e con gli occhi sbarrati.
- Sono un po’ confuso... - ammise George ridendo e aprendo la porta, mentre Fred tirava il lenzuolo a coprire lui e Diana.
Lee entrò nella stanza zoppicando e si sedette sulla sedia, mentre George si lanciava a peso morto sopra al letto.
- George, che cosa stai facendo? - brontolò Diana schiacciata per metà dal peso di George.
- Vi disturbo, mi pare normale! - le sorrise George.
- Si, questo era evidente - si imbronciò Diana raggomitolandosi contro Fred.
- Pff - sbuffò George - non farla tanto lunga! Ci sono ragazze che pagherebbero fior fior di galeoni per essere al tuo posto in questo momento!
Diana sgusciò di lato e si sedette sul letto a gambe incrociate guardandosi intorno con i capelli arruffati, mentre Fred scoppiava a ridere davanti all’espressione assorta della ragazza.
- Beh, dovranno farsene un ragione perchè almeno un gemello ora è occupato! - e si lanciò ad abbracciare Fred che la accolse tra le braccia compiaciuto, sotto lo sguardo incredulo di Lee Jordan.
- Ma non eravate cugini?? - sbottò sconvolto quest’ultimo.
- Non davvero, Lee... - spiegò Fred sorridendo.
- Beh, potevate dirmelo prima! - esclamò il ragazzo quasi schifato da sè stesso - stavo per provarci con la tua ragazza!
Fred scoppiò a ridere, seguito a ruota da Diana, e rispose: - Farò finta di non aver sentito! - e poi tornando serio e rivolgendosi a George domandò: - Ci sono notizie da casa? 
- Si, mamma ha mandato un gufo! Stanno tutti bene...Ron, Harry ed Hermione, ovviamente...
- Se ne sono andati - completò la frase Diana e siccome i gemelli la guardavano con gli occhi sgranati continuò - oh, beh ho sentito Harry e Hermione parlarne! Stavano pianificando da settimane di andare via a cercare qualcosa...Harry sta cercando qualcosa per uccidere Voi-Sapete-chi...
- Oh, beh...almeno loro fanno qualcosa. - ammise Fred in tono burbero sollevando il cuscino per appoggiarci il collo. L’idea di non poter fare nulla e lo stare fermo ad aspettare lo metteva di cattivo umore.
- Sei preoccupato per Ron? - chiese Diana premurosa vedendo lo sguardo torvo di Fred.
- No! Se è con Harry e Hermione starà bene - constatò Fred - sono più svegli di lui, lo terranno al sicuro...
- Sei cattivo - Diana lo guardò con aria truce - povero Ron!
- Tadadan - George mimò un rullo di tamburi e esclamò - ecco a voi, Diana, la paladina dei deboli!
- Siete due idioti! - si imbronciò Diana - è vostro fratello! Sono preoccupata io per loro tre e voi due ve ne fregate.
- Ma no che non se ne fregano - intervenne Lee Jordan per difendere i suoi amici.
Diana continuò la sua recita da imbronciata, fino a quando Fred non iniziò a tormentarla facendole il solletico tanto che lei, esasperata, dovette alzarsi in piedi, in preda alle risate, mentre cercava conforto con lo sguardo in direzione di Lee Jordan, che però si limitò ad alzare le spalle, rassegnato.
- Che facciamo, quindi? - chiese Diana ai tre ragazzi. 
Sembrava volersi tenere occupata con dei progetti per evitare di soffermarsi a pensare su ciò che le era stato portato via.
- Colazione? - propose Lee Jordan speranzoso.
- Che facciamo in senso più ampio... - spiegò Diana sorridendo a Lee - dopo colazione!
- Cerchiamo i Murray e il Blackhole - digrignò i denti Fred con aria assassina. Non aveva mai provato troppa simpatia per Ben e non vedeva l’ora di dimostrare a tutti che aveva sempre avuto ragione a non fidarsi di lui.
- Sì - annuì Diana guardando fuori dalla finestra - e anche mio padre! L’ospedale in cui si trovava è qui a Londra e potrei farci un salto per capirci qualcosa in più! 
- Ottimo - concordò George unendo le mani in un’espressione di soddisfazione - sembrerebbe che abbiamo un piano d’azione! Lee quando te ne vai? - aggiunse poi guardando l’amico.
- Oh, grazie, George! Non vedi l’ora di cacciarmi? Sei un amico! - rispose acido Lee incrociando le braccia al petto con aria di rimprovero - ti ricordo che i miei genitori sono babbani. Li ho convinti a stare con mia zia in America, per tenerli fuori dai guai, quindi io sarò dei vostri!
- Beh, almeno non mi farai fare continuamente il terzo incomodo! - George rise dando una pacca sulla spalla a Lee mentre indicava Diana e Fred.
Fred sentiva già l’ umore migliorare all’idea di avere una missione da programmare.
- Vado a preparare la colazione - si offrì Diana gettando le gambe fuori dal letto per dirigersi a piedi scalzi verso la cucina.
- No, Pixie, fa niente, lascia stare - cercò di fermarla Fred, ma la ragazza era già sparita nell’altra stanza e, dai rumori provenienti dalla cucina, Diana sembrava armeggiare con una grande quantità di pentole.
- Ahia! - esclamò improvvisamente Diana.
Fred si passò una mano tra i capelli, mentre George e Lee ridevano e la ragazza tornava verso la stanza tenendosi un dito, dolorante.
- Fred, il tostapane mi ha morso! - si lamentò Diana perplessa.
Lui si limitò a osservarla con un sorriso enigmatico.
- Non dirmi che è normale - domandò Diana speranzosa.
- Si, ogni tanto capita da quando ci ha messo le mani papà - le rispose Fred.
- Qua dentro ci sono un po’ di cose che mordono, effettivamente... - cercò di essere d’aiuto Lee Jordan - fossi in te, starei lontana anche dalla pattumiera, dal forno, dal terzo cassetto,...
- I tostapane babbani non mordono? -  George interruppe l’elenco di Lee.
- No, non sono mica cani! - spiegò Diana esasperata tornando verso la cucina.
- Andiamo di là - propose Fred - prima che faccia esplodere qualcosa...
- Ho trovato delle brioches - la voce di Diana trillò felice - sembrano buone, anche se sono di due colori diversi...
Fred sbarrò gli occhi e quasi inciampò nelle lenzuola per la fretta di raggiungere la cucina in tempo per evitare che Diana addentasse una delle Merendine Marinare: - No, Pixie, ferma! Quelle no!
Lee e George sbucarono in cucina ridendo.
- Ci sono parecchie cose da evitare, oltre al tostapane! - si scusò Fred facendo sparire le Merendine Marinare in un cassetto.
George annuì e, lanciando a Diana un quadernetto, annunciò: - Carissima, ti conviene iniziare a prendere appunti!

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Ehilá!
Ciclicamente devo avere un capitolo che mi fa pietà...e a sto giro tocca a questo qui! Da qualunque lato lo guardi e, nonostante lo abbia riscritto circa cinque volte, continua a non convincermi più di tanto, perche c'erano veramente tante situazioni e stati d'animo! Spero che il risultato non sia disastroso come sembra a me! 
Se pensate che la reazione che Diana ha avuto in merito alla sparizione del Blackhole sia troppo pacata per i suoi standard, lo capisco...e nel prossimo capitolo verrà approfondito il motivo della sua reazione...
Se vi va, fatemi sapere che ne pensate!
a presto!
P.S. Vi avviso già che non riesco a garantire un giorno fisso di pubblicazione, perchè gennaio, ahimè, si prospetta pieno di impegni e non voglio farvi leggere cose buttate lì proprio ora che siamo nel vivo della trama, cercherò di non farvi aspettare troppo, ma se non mi vedete, non allarmatevi! :)

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Capitolo 32
*** Il sogno ***


Lord Voldemort era seduto sullo scranno intarsiato dall’alto schienale rivolto verso le fiamme che crepitavano nel camino. Era rimasto solo nella stanza, perchè nessun altro riusciva a sopportare il tepore del focolare. Era estate, ma lui, come un rettile, sentiva sempre il bisogno di avere una fonte di calore accesa. Nagini, così simile a lui, era attorcigliata intorno alle sue caviglie e aveva il muso appoggiato sulle sue ginocchia, docile come un gattino. 
Voldemort accarezzò la pelle fredda e squamosa, senza distogliere lo sguardo dalle fiamme danzanti.

Albus Silente era morto. 
Il Ministero della Magia era caduto. 
Eppure il giovane Potter continuava a sfuggirgli e lo stesso faceva quella stupida babbana proprietaria del Blackhole, solo perchè i suoi inetti scagnozzi non erano in grado di catturare il primo nè di sfilare uno stupido ciondolo a una sudicia essere inferiore.

Nagini sollevò impercettibilmente la testa per osservare la porta chiusa della vasta stanza e Lord Voldemort scivolò con naturalezza a leggere la mente del serpente. 
Nagini, con i suoi sensi sviluppati, aveva già captato che qualcuno fosse di ritorno e che stesse risalendo le scale del Malfoy Manor per raggiungerlo.
Voldemort picchiettò le lunghe dita pallide sul bracciolo della sedia e si voltò a guardare la porta, che poco dopo si aprì rivelando tre figure.
- Mio signore - dissero tutti e tre a capo chino.
Voldemort li accolse con un cenno della mano e, contenendo a stento lo sdegno che provava nei loro confronti, con un movimento silenzioso e fluido, si alzò.
- Lo avete preso? - domandò a voce bassissima.
- Potter è fuggito - disse Bellatrix Lestrange alzando appena lo sguardo per cercare di incrociare il suo, mentre Voldemort sentiva già montare la collera nell’udire sempre la solita risposta negativa - ma...
- Ma ho il Blackhole, mio signore - si fece avanti l’altro uomo porgendo l’orologio da taschino.
Voldemort sentì i muscoli contrarsi in una smorfia che forse, tempo prima, avrebbe potuto essere un sorriso, mentre osservava il vecchio orologio da taschino, compiaciuto, non tenendo minimamente in considerazione colui che glielo stava porgendo.
- Ricordati che senza di me non avresti preso un bel niente, schifosa sanguisuga - dichiarò con rabbia Fenrir Greyback.
Voldemort alzò la mano per zittire Greyback e continuò a osservare l’orologio da taschino, senza decidersi ad afferrarlo.
- Codaliscia - ordinò Voldemort. 
Anche se non lo vedeva, poteva percepire la presenza del vile servo che attendeva i suoi ordini fuori dalla porta della stanza. 
Riusciva a fiutare l’odore della sua paura, mentre gli sembrava di vederlo torcersi le mani per l’angoscia.
Codaliscia apparve, pallido e tremante, tormentandosi la mano argentata, proprio come Voldemort aveva immaginato.
- Prendi il Blackhole e andiamo a fare una chiacchierata con il nostro ospite - sentenziò Voldemort.

Si smaterializzò all’interno delle celle umide e fredde al di sotto del Malfoy Manor, dove raggomitolato in un angolo e coperto di stracci, si trovava un anziano uomo magro, emaciato e dai capelli grigi incrostati di sporcizia. Non appena percepì la sua presenza, il vecchio parve farsi ancora più raggrinzito e un moto di terrore gli attraversò il viso, mentre si appiattiva contro alla parete di mattoni umidi.
Alle sue spalle, Voldemort sentì Codaliscia entrare nelle segrete, aprendo le sbarre cigolanti.
- Ho il Blackhole, Olivander - annunciò Lord Voldemort tetramente soddisfatto.
Il fabbricante di bacchette sbattè più volte le palpebre per metterlo a fuoco, come se vedesse la luce dopo tanto tempo passato al buio, e aprì e richiuse la bocca senza emettere alcun suono, mentre il suo sguardo si alternava tra Voldemort e Codaliscia che, con espressione riluttante, reggeva il Blackhole nella mano argentata.
- Da domani vi metterete al lavoro -  Lord Voldemort impartì l’ordine in tono perentorio.
Nessuno osò fiatare, perciò Voldemort continuò: - Olivander, ti è ritornata la memoria in merito alla Bacchetta?
- Io...Io...- balbettò Olivander non smettendo di tremare.
Voldemort emise un basso ringhio e esclamò: - Legilimens!
In un attimo fu proiettato all’interno della mente di Olivander, ordinata e tremendamente simile al suo negozio di Diagon Alley, se non per la differenza che lì, al posto delle bacchette, l’uno sull’altro erano stipati i suoi ricordi. 
Sinuosamente, strisciò tra gli scaffali fino ad avvicinarsi al reparto che lo interessava mentre ciò che cercava affiorava dai ricordi nebulosi come un galleggiante.
Si ritrasse bruscamente dalla mente polverosa dell’uomo, che rimase a terra, scosso da tremiti e tenendosi la testa tra le mani.
Un fruscio delle vesti scure e Voldemort lasciò la cella, incrociando Bellatrix che lo aspettava fuori dalle segrete, in attesa di ordini.
- Starò via per un po’. Chiamatemi solo se ci sono notizie degne della mia presenza.

 


Diagon Alley



Le gocce scivolavano silenziosamente sul vetro appannato, mentre il cielo fuori dalla finestra pareva aver risucchiato ogni colore distendendo una coltre grigia e nebbiosa sul quartiere magico.
Diana Harvey faticava a credere che quella che si stagliava davanti a lei fosse parte della città di Londra.
La ragazza appoggiò il palmo della mano sul vetro come a cercare di afferrare una di quelle gocce, ma riuscì solo a sentire la superficie fredda della finestra, mentre vedeva i passanti muoversi furtivi lungo la strada, guardandosi intorno più volte come per controllare di non essere seguiti.
Le gocce di pioggia continuavano a rincorrersi lasciando delle umide scie dietro di loro, come piccole stelle cadenti.

Si sentiva strana.
Come se si trovasse in riva al mare con i piedi che, mentre l’acqua si ritraeva, affondavano sempre più nella sabbia bagnata, in attesa che un’onda la colpisse nuovamente.
Ma quell’onda non arrivava mai.
Non aveva più con sè il Blackhole, eppure era riuscita caparbiamente a contenere la propria disperazione, consapevole che l’indomani sarebbe esplosa, tornando ad essere devastata e senza speranza, proprio come dopo la morte di zia Karen. 
Invece, l’indomani era di nuovo lì, in piedi e in angosciosa attesa della tempesta che minacciava continuamente di raggiungerla senza, però, colpirla mai.
Inaspettatamente, una piccola parte di lei si era sentita sollevata, libera.
Ormai, nessuno le avrebbe dato più la caccia.
Era tornata ad essere una persona normale.
Anche Fred e George erano sembrati sorpresi dalla sua reazione così pacata: di tanto in tanto, Diana li coglieva ad osservarla di sottecchi come se si aspettassero che da un momento all’altro andasse fuori di testa.
Il vero motivo per cui Diana non aveva perso la testa era che, in realtà, si sentiva ancora esattamente identica a quando possedeva il Blackhole. Non si era nemmeno accorta di non averlo più fino a che non si era guardata allo specchio.
Le sembrava ancora di sentire il leggero ronzio vibrante emanato dal ciondolo, esattamente come se lo avesse ancora al collo.
Le pareva quasi di percepirne ancora il potere, ma probabilmente era soltanto una sua suggestione mentale. Più volte, per abitudine, aveva portato la mano al collo ad afferrare il ciondolo, per poi sentirsi smarrita nel ricordare che quello non c’era più.
Lei non aveva mai voluto dei poteri magici, anzi, fino all’anno precedente non sapeva nemmeno dell’esistenza della magia, ma da quando aveva imparato a padroneggiare il Blackhole era cambiata: le sue insicurezze, che prima sembravano insormontabili, si erano lentamente appianate, lasciando spazio a un coraggio che non credeva di avere. Da quando conosceva Fred e la famiglia Weasley era cambiata: si era aperta ad un mondo che all’inizio le era solo sembrato ignoto e spaventoso e che al momento, invece, era tutto ciò che ancora la teneva in piedi.
E ora era tornata ad essere solo la babbana indifesa.
Era tremendamente semplice riuscire ad affrontare con razionalità i suoi timori e le sue ansie durante il giorno; nel buio della notte, invece, era tutta un’altra faccenda, perchè gli incubi non avevano tardato a raggiungerla.

Strofinò i palmi delle mani l’uno contro l’altro.
Era passata più o meno una settimana dal loro arrivo a Diagon Alley e, ad eccezione della prima notte in cui era crollata addormentata ed esausta, tutte le altre notti erano state costellate da sogni inquietanti e sconnessi. La maggior parte delle volte udiva la risata maligna di Bellatrix Lestrange riecheggiarle in mente o le sembrava di sentire le grinfie di Greyback stringersi sul suo collo, tanto da svegliarsi con il respiro mozzato per il terrore. 
C’erano poi altri sogni, sfocati e confusi: esplosioni, incantesimi, lei che si affannava a cercare una nebulosa figura dai capelli rossi, percependo un retrogusto di pericolo.
Proprio quella notte, si era svegliata di soprassalto, madida di sudore, mentre Fred, al suo fianco, dormiva, ignaro degli incubi che continuavano a tormentarla.
Il battito del suo cuore le rimbombava ancora nelle orecchie nel rivivere il vivido sogno che per la prima volta le aveva fatto visita. 

Si trovava all’interno di casa sua, l’appartamento al di sopra del negozio Harvey, ma c’era qualcosa di strano, perchè i mobili non erano disposti come ricordava.
Non c’era il divano color senape.
Non c’era il tavolino di vetro al centro del soggiorno.
Non c’era la televisione nell’angolo accanto alla cucina.
Non c’era nemmeno il pianoforte a coda di Benjamin e persino la prospettiva da cui assisteva alla scena nel sogno sembrava ribassata e distorta. 

Si era incamminata, come se le sue gambe fossero malferme, tra le varie stanze, mentre l’immagine del corridoio sfarfallava come quella di una vecchia tv con l’antenna mal sintonizzata, in cerca di qualcosa, fino a che, quasi davanti alla porta della stanza degli ospiti, i suoi piedi non avevano slittato su qualcosa di viscido e lei non era caduta rovinosamente a terra.
Era decisamente un sogno, perchè non aveva sentito nessun dolore nel atterrare malamente sul pavimento di legno. 
Aveva abbassato la testa per appoggiare le mani a terra e rimettersi in piedi quando un moto di terrore le aveva strizzato lo stomaco nel realizzare che ciò che le aveva fatto perdere l’equilibrio fosse una grossa e tiepida macchia scarlatta.
Aveva sollevato i palmi delle mani e il grido di orrore le si era strozzato in gola nel realizzare che quello che le grondava dalle mani fosse sangue.
Aveva alzato lo sguardo sulla porta aperta per metà vedendo altre chiazze di sangue.
Proprio quando, tremante e nauseata, si stava sporgendo per aprire maggiormente la porta, un bagliore azzurro l’aveva accecata
impedendole di vedere l’interno della stanza.
Poi il corridoio e lo spazio attorno a lei si erano dissolti in una nebbia vorticante, mentre lei si sentiva solo cadere nel vuoto con il peso del terrore a spingerla sempre più verso l’abisso.


Si era svegliata di soprassalto con ancora cucita addosso quella terribile sensazione di caduta verso il basso, totalmente presa dal panico e madida di sudore.
Era rimasta sveglia per parecchio tempo a rimuginare su quello strano incubo, senza avere il coraggio di svegliare Fred.
I timpani le dolevano e fischiavano mentre il cuore le rimbalzava nel petto, il respiro non accennava a rallentare e, compulsivamente, si osservava i palmi delle mani per cercare una traccia del sangue che, fino a pochi attimi prima, sembrava ricoprirle.
Aveva dovuto reprimere un conato di vomito nel ricordare la vischiosa sensazione delle mani imbrattate.
Fissava le sue mani tremanti, accaldata dall’orrore di quell’incubo, mentre i contorni del suo sguardo si offuscavano di piccole macchie scure.
Inspirare.
Espirare.
Inspirare.
Espirare.
Le piccole macchie scure parvero dileguarsi in una lenta retromarcia e il suo respiro rallentava la sua corsa.
Si era appoggiata allo schienale del letto e si era soffermata ad osservare Fred dormire. La fioca luce proveniente dalla strada si diffondeva nella stanza attraverso la finestra priva di imposte illuminando appena il viso del ragazzo: la bocca semiaperta, una mano infilata sotto al cuscino e i capelli rossi arruffati.
Diana aveva sentito il respiro calmarsi lentamente, mentre contemplava il viso di quello che era diventato il suo ragazzo.
Sentiva ancora una stranza sensazione allo stomaco nel realizzare che lei e Fred Weasley stessero davvero insieme.
Non lo aveva preventivato.
Ancora riusciva a ricordare il fastidio che, inizialmente, il ragazzo le provocava solo rivolgendole una battuta o aprendosi in un sorriso, mentre, in quel momento, si accorgeva che senza vedere quel sorriso si sarebbe sentita vuota.
Nonostante le terribili circostanze che aveva dovuto affrontare, non riusciva a non ritenersi fortunata per aver trovato Fred e per averlo avuto sempre al suo fianco. Non riusciva ad immaginare come avrebbe potuto fare senza di lui.

La luce che attraversava le finestre era aumentata.
La mattina era sempre più vicina e con la sua luce estiva riusciva a rendere meno spaventoso il ricordo della notte.

Si era ormai del tutto tranquillizzata ed era scivolata tra le lenzuola al fianco di Fred per cercare di riaddormentarsi, pensando già a quale battuta il ragazzo si sarebbe inventato se si fosse svegliato e se l’avesse sorpresa a fissarlo.
Sicuramente qualcosa sul fatto che lui fosse bellissimo e che lei non fosse in grado di staccargli gli occhi di dosso.
Diana aveva sorriso a quell’eventualità e aveva chiuso gli occhi, mentre il sogno, che era sembrato così dannatamente reale, sbiadiva e si faceva nebuloso fino a svanire nel nulla.

- Pronta, Pixie? 
La voce di Fred la riportò alla realtà e Diana distolse lo sguardo dalla strada per voltarsi e incontrare lo sguardo del ragazzo che, appoggiato allo stipite della porta della camera, le sorrideva a braccia conserte. Quel giorno, stranamente, Diana era riuscita a convincerlo ad indossare una semplice (e triste, a detta di Fred) t-shirt blu.
Diana annuì, gli andò incontro sfiorandogli la mano con le dita e lui, prontamente, le afferrò la mano per stringerla nella sua.
Il suo sguardo si posò nuovamente sulla sua mano libera dalla stretta di Fred e, istintivamente, strofinò il palmo sui pantaloni. L’idea delle mani sporche di sangue la fece rabbrividire, facendola sentire quasi una novella Lady Macbeth.
Rabbrividì una seconda volta nel ricordare un pomeriggio in cui aveva aiutato Aileen a memorizzare le battute dell’opera shakesperiana, quando la sua migliore amica aveva provato proprio la parte della donna in preda al suo folle delirio.

La ferita di Lee Jordan non aveva permesso spostamenti prima di quel momento, ma quella mattina lui e George si erano recati a Edimburgo per cercare di scoprire qualcosa in merito alla famiglia Harvey-Murray. 
Fred si era opposto al fatto che Diana li accompagnasse, come lei, invece, avrebbe voluto, sostenendo che sarebbe stato troppo rischioso, e Diana, di contro, si era opposta al fatto che Fred agisse nuovamente senza calcolarla, perciò, il compromesso aveva fatto ricadere la scelta su Lee e George.
- Sono tornati? - chiese Diana a Fred.
Uno schiocco rispose implicitamente alla sua domanda e i due ragazzi comparvero in mezzo al soggiorno.
- Allora? - domandò Diana ansiosa di avere qualche risposta.
- Il negozio era chiuso - spiegò George - siamo entrati per cercare qualche indizio, ma non c’era nulla di strano e quindi siamo andati sul negozio di Princes Street, come mi avevi detto, e abbiamo trovato Robert.
L’espressione di Fred mutò nell’udire quel dettaglio: - E? - incalzò il fratello affinchè parlasse, mentre anche Diana si avvicinava in attesa di delucidazioni.
- O finge di non sapere nulla, e nel caso finge molto bene, oppure davvero non ne sa niente! - George si lasciò stancamente cadere sul divano e, rivolgendosi a Diana, proseguì - sembrava davvero preoccupato per te, per Ben e anche per tuo padre! Mi ha tempestato di domande pensando che ne sapessimo qualcosa in più!
- E non sa dove sia Ben? - domandò Fred a braccia conserte e con lo sguardo assottigliato.
- Dice di no - Lee Jordan scrollò le spalle rivolgendosi a Diana - certo che hai proprio una strana famiglia...
- Che gli hai detto di me? - si informò Diana ignorando totalmente il commento di Lee.
- Gli ho detto che stai bene - continuò George - dovevi vederlo! Era fuori di sè! Mi sa che è dimagrito pure di qualche chilo! Mi ha chiesto di fargli sapere qualcosa su Ben e Daniel e gli ho detto di fare lo stesso...sai, se fosse lui ad avere informazioni per primo!
- Beh, ora saprà che Diana è con noi - constatò Fred tra sè e sè - non possiamo rimanere qui...
Diana si accigliò. Il suo inconscio le diceva che Robert era innocuo, ma stava prendendo troppe cantonate per fidarsi ancora del suo intuito.
- Se Robert facesse la spia con qualcuno, ci metterebbero poco a capire che sei qui oppure alla Tana - continuò a ragionare Fred camminando avanti e indietro per il soggiorno, mentre Lee, George e Diana lo seguivano con lo sguardo.
Si fermò davanti a Diana e sentenziò: - Facciamo questa cosa e poi troviamo un altro posto dove stare.
- Potremmo provare da me - propose Lee Jordan - in un quartiere babbano dovremmo stare tranquilli!
- Buona idea - annuì Fred dando una pacca sulla spalla all’amico - grazie Lee.

I quattro ragazzi raccolsero velocemente le proprie cose e Fred e George chiusero il negozio.
Diana si infilò le scarpe e disse: - Ok, sono pronta! Possiamo andare!
Fortunatamente, Molly Weasley era riuscita a farle avere la sua valigia rimasta alla Tana, altrimenti avrebbe dovuto indossare magliette di Fred per il resto dei suoi giorni. 
- Diana Harvey, mi concederebbe l’onore di appoggiarsi al mio braccio per eseguire l’incantesimo di smaterializzazione? - chiese Fred in finto tono formale piegando il braccio ad angolo retto in attesa che lei vi si aggrappasse e abbassandosi in un profondo inchino.
Diana sbuffò una risata mentre afferrava il braccio di Fred e rispose: - Credo che sia la prima volta che mi chiami “Diana Harvey”...
In tutta risposta, lui si limitò a farle un occhiolino, mentre George alzava gli occhi al cielo spazientito e borbottava: - Quante smancerie...
- Sei solo invidioso - lo punzecchiò Lee con una risatina.
- Invidioso? - rispose George scoppiando in una scandalizzata risata - e di cosa? Di mio fratello che si è totalmente rimbambito? No, grazie!
Tre sonori crack risuonarono e i quattro ragazzi apparvero in una tranquilla strada della periferia di Londra, disseminata di villette azzurrine tutte identiche, perfette e squadrate con i loro giardini dal prato curato e verde.
- Fate presto, Romeo e Giulietta - sentenziò George con sarcasmo guardando il fondo della via alberata, trascinando la valigia di Diana e caricandosi un grosso zaino sulla spalla.
Diana roteò gli occhi al cielo: - Ancora con questi Romeo e Giulietta...
- Ci vediamo dopo - si mise in mezzo Lee con uno zaino in spalla e l’altro in mano.

Diana e Fred si congedarono da Lee e George, che si diressero in fondo al viale alberato, verso casa Jordan.
Diana prese la mano di Fred intrecciando le sue dita a quelle del ragazzo, mentre si incamminavano verso la fermata della metropolitana più vicina. 
Si sentiva un po’ stupida, ma quando la sua mano si trovava racchiusa in quella di Fred le sembrava che tutto andasse meglio. Si sentiva un po’ più forte. Si sentiva come se avesse potuto affrontare qualsiasi cosa insieme a lui.
Avevano deciso di muoversi il più possibile con mezzi babbani per evitare di dare nell’occhio e arrivare al Bedlam Royal Hospital, dove il padre di Diana era stato negli anni precedenti. Avrebbero iniziato a cercare qualche indizio da quel luogo, ossia l’unico che Diana potesse ricondurre al padre.
Fred si era detto d’accordo al mescolarsi tra i babbani, ma continuava a guardarsi attorno con la bocca spalancata, stupito dalle varie tecnologie. Prima era stato rapito dalle insegne luminose alle fermate degli autobus e poi aveva avuto una specie di shock di fronte ai tornelli della metropolitana che sembravano, a parer suo, aprirsi per magia.
- Per favore, calmati - sibilò Diana sorridendo mentre Fred si chinava a osservare attentamente la fessura dove si inseriva il biglietto della metropolitana - oppure quando saliremo sulle scale mobili ti verrà un infarto! Sembri tuo padre...
Fred la guardò torvo, ma poi si aprì in un sorriso stupito nel vedere le persone trasportate verso l’alto dai gradini in movimento.
Una volta saliti sul vagone, la situazione non migliorò, perchè Fred continuava a guardarsi intorno come se avesse avuto un’apparizione divina.
Fortunatamente, il viaggio fu abbastanza breve e riemersero presto in superficie.

Il Bedlam Royal Hospital era una costruzione cubica, grigia e triste conficcata tra altri edifici altrettanto tristi e spenti. Aveva smesso di piovere, ma le pareti dell’edificio squadrato erano ancora lucide e scintillanti.
L’ingresso era spoglio, con delle poltroncine in pelle scura che probabilmente non vedevano una bella ripulita da molto tempo. Diana arricciò istintivamente il naso all’odore di disinfettante che la colpì una volta varcata la porta girevole. Fred si limitò a voltarsi indietro e ad osservare la porta con curiosità.
Un via vai di pazienti e personale medico affollava l’atrio, mentre il telefono della segretaria nascosta dietro una grossa scrivania non smettava di squillare insistentemente. 
Si diressero proprio verso l’impiegata che con il ricevitore telefonico schiacciato tra l’orecchio e la spalla, li scrutava con aria scocciata già solo per il fatto che si trovassero lì.
La donna aveva continuato a studiarli, mentre si avvicinavano, poi si era spinta gli occhiali sul naso con un rapido gesto e, ruminando freneticamente una gomma da masticare, era tornata a rivolgere lo sguardo sui fogli sparpagliati disordinatamente sulla scrivania.
Diana e Fred si fermarono di fronte al bancone, ma la donna non rialzò nemmeno la testa e finse seraficamente di non vederli. Aspettarono educatamente che concludesse la telefonata prima di rivolgerle la parola.
La targhetta appuntata sulla sua camicetta beige recava a caratteri neri il nome Patricia, sotto al logo dell’ospedale.
- Buongiorno, Patricia - salutò cordialmente Fred in tono affabile - speravamo che lei potesse darci una mano...
Patricia sollevò lo sguardo quando si sentì chiamare per nome e poi, continuando a masticare il suo chewing-gum, posò lo sguardo su Fred, mentre afferrava un raccoglitore ad anelli color verde scuro.
- Buongiorno - salutò Diana sorridendo - mi chiamo Diana Harvey, mio padre è stato un vostro paziente fino a poche settimane fa e mi chiedevo se fosse possibile visionare la sua cartella clinica!
- No - rispose seccamente Patricia facendo scattare bruscamente gli anelli del raccoglitore  - per visionare le cartelle cliniche è necessario un permesso. Se vuoi fare richiesta - continuò prendendo un foglietto striminzito da un cassetto e sventolandoglielo sotto al naso - devi compilare questo e poi ti faremo sapere.
Diana guardò il foglietto e poi tornò a guardare Patricia: - Ma io sono sua figlia... - tentò di dire, come se quello potesse garantirle un permesso speciale.
- E quindi? - domandò Patricia in tono acido agitando una mano a mezz’aria e tornando a spingersi gli occhiali sul naso.
Diana incrociò lo sguardo di Fred, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, e tornò a rivolgersi a Patricia, non riuscendo a mascherare il fastidio che quella donna le provocava: - Ok, mi dia una penna, così le compilo il foglio!
Patricia spinse verso di lei una penna e Diana inserì i propri dati sul modulo, mentre Fred sbirciava da sopra la sua spalla.
- Hai un anno più di me? - domandò Fred sconvolto prendendole il foglio dalle mani.
- Fred, non è il momento - lo zittì Diana con un’occhiataccia, riprendendosi il modulo, mentre Patricia osservava interessata i due ragazzi. Diana tornò a rivolgersi proprio alla scorbutica segretaria: - Ecco fatto - e con un sorriso le porse il modulo.
Patricia lo osservò per un attimo e poi lo gettò in cima a una pila di scartoffie.
- Ehm, aspettiamo qui? - domandò Diana dubbiosa indicando la sala d’attesa.
- Per due settimane? - chiese Patricia con un sorrisetto velato da un’inaspettata ironia.
- Due settimane? - Diana quasi si strozzò con la sua stessa saliva nell’assimilare le parole della donna.
Si voltò a guardare Fred. 
Non avevano così tanto tempo a disposizione.
- Suvvia, Patricia - provò a dire Fred appoggiandosi al bancone con i gomiti e passandosi una mano tra i capelli - sono sicuro che un’impiegata capace e con la sua esperienza potrà benissimo fare in modo che la cosa sia velocizzata...possiamo... - si bloccò stranamente a corto di parole.
- Possiamo pagarla! - azzardò Diana di getto.
Patricia, lo sguardo aggrottato dietro alle lenti cerchiate di bianco, osservò prima Fred e poi Diana e rispose: - Se non ve ne andate, chiamo la sicurezza. 
Diana si rabbuiò. Non pensava che le avessero negato la possibilità di visionare dei documenti riguardanti suo padre e non voleva rinunciare all’idea di scoprire qualcosa in più su Daniel Harvey; d’altra parte, aspettare due settimane era parecchio rischioso.
Guardò allarmata Fred, che però sembrava aspettarsi una reazione del genere e, facendo scivolare dalla tasca la bacchetta, mormorò: - Confundus
Patricia rimase cristallizzata in un’espressione ebete per poi sorridere in modo vacuo e alzarsi dalla scrivania mormorando che aveva un urgente bisogno del bagno.
- Eravamo d’accordo di non attirare l’attenzione... - guardandosi intorno per vedere se qualcuno li avesse notati, Diana ammonì Fred che stava di nuovo nascondendo la bacchetta nella tasca.
Fred alzò le spalle rispondendo allegramente: - Avresti dovuto vedere me e George l’ultima volta che abbiamo voluto attirare l’attenzione! Abbiamo fatto comparire una palude in un corridoio a scuola...mi hanno detto che nessuno è riuscito a farla sparire per settimane e che i professori dovevano traghettare gli studenti con delle barche per portarli a lezione!
Diana sbattè le palpebre di fronte a quella notizia, sforzandosi di immaginare almeno vagamente la scena, mentre faceva il giro dietro alla scrivania per aprire i cassetti alla ricerca di qualsiasi informazione utile.
C’erano poche cartelle cliniche, ordinate scrupolosamente in ordine alfabetico, ma il nome Harvey non era riportato da nessuna parte.
- Qui non c’è nulla... - sbuffò Diana mentre rovistava freneticamente.
- Forse dovremo cercare qui - propose Fred facendo roteare tra le mani una chiave con la targhetta “Archivio”; si era allungato con il busto oltre la scrivania per afferrare la chiave.
Diana gliela sfilò dalle dita con un sorriso e si incamminò nel corridoio alla ricerca degli uffici.

Il corridoio era deserto, visto che la zona riservata ai pazienti si trovava nell’ala opposta della struttura.
- Grazie amore mio - la prese in giro Fred fingendo una voce femminile e seguendola lungo la sfilata di porte chiuse - sei proprio bravo, bello, affascinante e...
- Shhh - lo zittì Diana mettendogli una mano sulla bocca e spingendolo nella rientranza del corridoio che si apriva alla loro destra.
- Pixie - mugugnò lui da dietro il palmo della sua mano e poi in tono malizioso aggiunse - non sai proprio resistermi! Possiamo benissimo fare queste cose a casa più tardi...
- Ho sentito un rumore, scemo - e infatti poco dopo una donna che spingeva un carrello per le pulizie si fece avanti lungo il corridoio opposto.
Rimasero schiacciati nella rientranza ad aspettare che l’inserviente terminasse lentamente il giro.
- Hai davvero un anno più di me? - tornò alla carica Fred inarcando un sopracciglio.
Diana roteò gli occhi al cielo e si rimise a tenere d’occhio la donna delle pulizie mormorando: - Piantala! Tecnicamente sono pochi mesi! Sono nata a novembre! - e siccome Fred stava per aprire bocca per ribattere, Diana lo silenziò tappandogli nuovamente la bocca con una mano.
Una volta che la donna ebbe lasciato la zona, si rimisero cautamente alla ricerca dell’archivio.
- E’ divertente! - riprese a dire Fred sorridendo - sembriamo due agenti sotto apertura!
- Copertura - lo corresse Diana alzandosi sulle punte dei piedi per sbirciare dal riquadro trasparente delle varie stanze che si susseguivano nel corridoio - agenti sotto copertura! Non so come hai fatto ad andare in missione con l’Ordine...
Fred aveva fatto scattare la serratura di una porta smaltata di blu con la magia, si era infilato nella stanza e ne era riemerso con aria soddisfatta facendole cenno di entrare e dicendo: - Forse perchè sono bravo?
Diana lo seguì all’interno della stanza.
Quello davanti a loro era decisamente un archivio.
Gli fece una linguaccia per poi aprirsi in un sorriso: - Potevamo anche evitare di prendere le chiavi, visto che ci sei tu... -  Fred gonfiò il petto con aria di superiorità e poi scoppiò a ridere.
Cominciarono ad aprire gli schedari alla ricerca della lettera “H”. Il lavoro durò molto più del previsto, perchè la sola lettera occupava almeno tre cassetti stipati di cartelline, ma dopo circa quindici minuti, Diana intravide una cartelletta dalla copertina marrone sgualcita con indicato il nome di Daniel Harvey: si inginocchiò sul pavimento per consultarla e Fred la imitò.
La cartellina si aprì scricchiolando e Diana iniziò a scorrere a fatica le sottili pagine che sembravano quasi essersi appiccicate tra loro, come se qualcuno non le sfogliasse da molto tempo.
- Non è possibile... - esalò incredula tenendo gli occhi incollati alle pagine ingiallite.
- Cosa? - chiese Fred allungando la testa per leggere.
- Qui...dice che mio padre è stato dimesso nel 1990! Ma non è possibile. Lui ha detto di essere stato dimesso pochi mesi fa... - Diana cercava di dare un senso a quello che aveva davanti - deve esserci un errore!
- Oppure non ti ha detto la verità - concluse Fred.
- E anche questa, effettivamente, non sarebbe una novità - brontolò Diana continuando a fissare la pagina, come se si aspettasse che, da un momento all’altro, le parole stampate mutassero in ciò che si era aspettata di leggere - ma se non è stato qui, allora dove è stato per tutto questo tempo?

Fred scosse la testa con aria vacua, mentre Diana iniziava a tempestarsi di domande. 
Aveva accettato il fatto che Daniel non fosse mai tornato da lei perchè c’era qualcuno che glielo impediva, ma ora tutti i suoi timori di bambina abbandonata erano tornati a percuoterla con forza.
Nessuno aveva impedito a suo padre di tornare da lei.
Non era recluso nè prigioniero.
Semplicemente non aveva voluto tornare da lei.
E le aveva anche rifilato l’ennesima bugia.

- Guarda qui - Fred picchiettò con l’indice un punto della pagina risvegliandola dai suoi pensieri - c’è un indirizzo di riferimento! Ti dice qualcosa?
Diana lesse l’indirizzo indicato da Fred. 
N.1 Caochan Ruadh, Drumnadrochit.
- No... - ammise Diana sforzandosi di ricordare qualcosa in merito a quel luogo dal nome così bizzarro.
No, era certa di non averlo mai sentito nominare prima.
Diana percorse la pagina con lo sguardo un’ultima volta per fermarsi in fondo.
- Sempre peggio - sussurrò indicando la parte terminale del foglio, perchè nello spazio apposito e riservato alla firma di una persona di riferimento presente al momento delle dimissioni, spiccava il nome di Benjamin Murray.
Mentre entrambi ancora fissavano la cartella clinica increduli, dei passi echeggiarono nel corridoio.
- Oh oh...credo che Patricia abbia finito la sua visita al bagno... - sussultò Fred rimettendosi in piedi.
- Ma... - cercò di protestare Diana contrariata.
- Andiamo! - Fred le prese la cartella appoggiata sulle ginocchia e la rimise al suo posto chiudendo il cassetto con un rapido gesto, mentre anche Diana si rimetteva in piedi.
Nel corridoio, Patricia camminava lentamente guardandosi intorno con aria stupita come se vedesse il posto dove lavorava per la prima volta e accarezzando le pareti con aria rapita.
- Arrivederci, Patricia - la salutò con la mano Fred sorridendo con la sua miglior faccia da schiaffi, mentre la superavano per raggiungere l’uscita - è stata veramente gentile!
- Arrivederci, ragazzi! - si sbracciò lei sorridendo - è stato bello avervi qui a cena! Tornate presto!
Diana, divertita da quell’affermazione fuori contesto, si voltò per osservare nuovamente la donna prima di infilarsi nella porta girevole automatica: Patricia stava girando su sè stessa con aria estatica e osservava il soffitto.
- E’ normale che si comporti così? - domandò Diana perplessa - sembra ubriaca...
- Si si! Perfettamente nella norma - la liquidò Fred con un sorriso, mentre Patricia incespicava nei propri piedi ridendo - almeno credo...

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Buonasera!
Sono tornata! Vi chiedo scusa, ma queste settimane sono state deliranti e la concentrazione che questa parte della storia merita è andata a farsi benedire! So che sembra che a ogni capitolo ci siano sempre più misteri, ma giuro che a tempo debito tutto sarà svelato (sperando che nel frattempo non vi rompiate le scatole di questa storia..XD)
A parte questo, ho cercato di portarmi abbastanza avanti con i capitoli in modo da cercare di non lasciarvi senza mie notizie per così tanto tempo :)
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate! 
A presto! P.S. Non so per quale problema di Efp, la numerazione dei prossimi due capitoli è sballata. L’ordine di lettura corretto è il seguente: - “La casa infestata” - “Vecchie conoscenze e nuove scoperte”

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Capitolo 33
*** Vecchie conoscenze e nuove scoperte ***


When enemies are at you door 
I’ll carry you way from war
Give me reasons to believe 
That you would do the same for me”

(“Gone, gone, gone” - Phillip Phillips)

 


Durante tutto il viaggio di ritorno a bordo del vagone sferragliante della metropolitana, Fred studiò l’espressione di Diana e cercò di sondare il suo umore, dato che la ragazza era sprofondata in uno strano e inquietante mutismo.
- Mio padre è un bugiardo - sentenziò Diana con aria stanca stringendo le mani appoggiate sui propri jeans prima di iniziare a campare ipotesi - che cosa diamine ha fatto per tutti gli altri anni? Perchè non mi ha detto la verità? E Benjamin? Perchè tutti non fanno altro che mentirmi? - aveva sbottato l’ultima frase alzando il tono di voce, tanto che la signora seduta di fronte a loro, intenta nella lettura di una rivista, aveva sollevato lo sguardo su di loro, improvvisamente interessata.
Fred ovviamente non aveva una risposta a tutti quegli interrogativi. Si limitò a stringere la mano di Diana, sperando che almeno quel gesto potesse darle un minimo conforto. 
- Non lo so...- confessò Fred posando lo sguardo sulle porte del vagone che si stavano aprendo automaticamente.
Diana si alzò in piedi e gli indicò la loro fermata.
- Abbiamo già circa duecento cose da scoprire - commentò Diana passandosi stancamente una mano sul viso.
Lasciarono il vagone per dirigersi verso la scala mobile, facendo lo slalom tra i pendolari che sgomitavano per infilarsi il più velocemente possibile nel treno affollato per accaparrarsi dei posti a sedere.
- Ogni volta che scopriamo una cosa, ne saltano fuori almeno altre dieci senza una risposta! E io mi sto stancando! - Diana riprese il dicorso che era stato interrotto da un gruppetto di ragazzi che si era insinuato tra loro per raggiungere di corsa il treno in partenza.
Fred aprì la bocca per parlare, ma Diana continuò imperterrita il suo monologo.
- Non riesco a non pensare che il Blackhole sia in qualche modo collegato a Ben e a mio padre...
- E come potrebbe? - Fred riuscì a inserirsi nel discorso di Diana.
- Non lo so - sibilò lei tra i denti, come se stesse compiendo un grande sforzo per rimettere insieme gli sconnessi pezzi del puzzle che non sembravano mai combaciare - è una sensazione! Non deve avere per forza senso! Mi viene il mal di testa a furia di pensarci...

Fred cercò di distrarla con qualche battuta e vuote chiacchiere, mentre tornavano in superficie e  camminavano a passo spedito verso casa Jordan.
Una volta arrivati davanti alla villetta ordinata e ben tenuta, Fred bussò un paio di volte, fino a che la porta non si aprì in uno spiraglio lasciando intravedere il viso serio di Lee.
- Cosa hai appeso sul soffitto della sala comune di Grifondoro al quinto anno? - domandò Lee con apprensione e non accennando ad aprire del tutto la porta.
- Le mutande di Baston - rispose Fred sogghignando al solo ricordo dei boxer con i Boccini d’oro appiccicati con un Incantesimo di Adesione Permanente e l’espressione di Oliver Baston mentre minacciava di cacciarlo dalla squadra di Quidditch.
- Ah, siete voi... - sospirò Lee rilassando le spalle e facendoli entrare tranquillamente in casa  - ci avete messo secoli!
- Lee, devi cambiare domanda di sicurezza - suggerì Fred con un sorriso entrando in soggiorno - praticamente lo sapeva tutta Hogwarts delle mutande di Baston.

L’interno dell’abitazione rispecchiava perfettamente l’esterno per l’ordine che regnava sovrano: rispetto alla Tana, quella casa sembrava uscita da una rivista di moderni arredamenti babbani; i mobili laccati di bianco davano la sensazione di trovarsi quasi dentro a un ospedale; non c’era un oggetto fuoriposto e anche la distanza tra i pochi soprammobili sembrava essere stata misurata con millimetrica precisione.
Fred scrollò la testa nel confrontare inevitabilmente quella casa con la Tana, dove la confusione, il disordine e il baccano la facevano da padrone.
Non avrebbe scambiato le due abitazioni per nulla al mondo.
Anche Diana si guardava intorno con curiosità: aveva il naso leggermente arricciato in un’espressione adorabile a metà tra interesse e timore; se Fred aveva imparato a conoscerla almeno un po’, anche lei non poteva amare quel tipo di abitazione fredda e asettica, considerando che il negozio Harvey era una specie di accozzaglia di vecchi mobili e strani oggetti, tanto da poter benissimo fare concorrenza all’interno del capanno di Arthur Weasley.

George era seduto al tavolo in vetro del soggiorno chino a leggere qualcosa che attirava completamente la sua attenzione.
- Ehi - Fred lo salutò con un cenno del capo.
George alzò lo sguardo su di lui. Le labbra strette e lo sguardo corrucciato, mentre spingeva verso Fred la sua lettura. Era una copia de “La Gazzetta del Profeta” e il solo vedere la prima pagina fece ridurre gli occhi di Fred a due fessure. 
- Ma quello è Harry?! - esclamò Diana sbalordita fissando la pagina dove troneggiava una foto segnaletica di Harry Potter con scritto sopra, a caratteri cubitali: “Undesirable N.1” - che significa?
- Significa che il Ministero è fottuto - spiegò Fred strisciando la sedia sul pavimento in un suono raschiante e sedendosi accanto al fratello.
- Hanno iniziato il censimento dei Nati Babbani... - annunciò Lee con tono grave mentre con rabbia puntava lo sguardo fuori dalla finestra.
- Cosa? - esclamarono in coro Fred e George strabuzzando gli occhi.
- C’era da aspettarselo... - continuò Lee in tono amaro.
- Che vuol dire? - chiese Diana allarmata, lo sguardo smeraldino che cercava quello di Fred, in cerca di una spiegazione.
- Ti convocano al Ministero - spiegò Lee con lo sguardo duro e i pugni stretti - ti fanno domande sulle tue origini per sapere se ci sono altri maghi in famiglia. E’ tutta una farsa, perchè in realtà già lo sanno, ma è un pretesto per far si che si vada al Ministero. Ti fanno una specie di processo per toglierti la bacchetta, perchè dicono che non siamo veramente...maghi. I Nati Babbani non potranno nemmeno tornare ad Hogwarts quest’anno! Mi hanno anche licenziato. Hanno paura e hanno preferito darmi il ben servito...

L’aria si fece immediatamente pesante. Fred cercava di non pensare ad intere famiglie distrutte e separate da quelle stupide ideologie da psicotici Purosangue. Che cosa avrebbero fatto allora ai babbani come Diana? Li avrebbero calpestati come dei Vermicoli?

- Come sai queste cose? - chiese Diana. Gli occhi tristi e la fronte aggrottata come se soffrisse nell’ascoltare le parole di Lee.
- Lee lavorava per “La Gazzetta del Profeta” - spiegò Fred sbrigativo - giornalista e cronista sportivo.
Lee si muoveva avanti e indietro nel soggiorno scorrendo tra le mani un piccolo plico di buste.
- Voi due avete scoperto qualcosa? - chiese George cercando di cambiare argomento, mentre lo sguardo occhialuto di Harry nell’immagine sul giornale non smetteva di fissarli.
Raccontarono brevemente la loro avventura al Bedlam Royal Hospital e Diana, infine, domandò: - Lee, non è che per caso hai una cartina geografica della Gran Bretagna?
- Mmh...penso di si... - rispose Lee ancora assorbito dalla lettura della posta - vado a vedere... - e sparì al piano di sopra per tornare poco dopo con un vecchio atlante geografico dalla copertina verde.
Diana aprì il libro sul tavolo con un tonfo e iniziò a sfogliare freneticamente le pagine. Fred e George, alzatisi in piedi, sbirciavano alle sue spalle, confusi e incuriositi.
- L’ho trovato! - esclamò Diana dopo qualche minuto mentre con il dito indicava trionfante un punto sulla cartina - Drumnadrochit!
- Cos’è? - chiese George senza capire e facendole una smorfia - un incantesimo?
- E’ un paese - rispose Diana con un’altra smorfia per George continuando a tenere il dito premuto sul punto all’estremo nord della Gran Bretagna - in Scozia!

Rimasero in silenzio a fissare tutti e quattro la cartina geografica fino a che Fred interruppe il silenzio proponendo con tono ovvio: - Beh, andiamoci, no?
Diana lo fissò soppesando la sua proposta e mordicchiandosi il labbro inferiore: - Dici che è una buona idea? E se ora ci abitasse qualcuno? Insomma...la cartella clinica di mio padre risale ad anni fa!
- Secondo me vale la pena provare - rispose George guardando Diana e poi Fred e infine Lee - potrebbe essere lì!
- Si, anche perchè non abbiamo niente di meglio da fare... - continuò Fred percependo nel fratello la stessa urgenza di doversi tenere occupati con qualcosa da fare per non impazzire.
Lee sospirò allargando le braccia e inserendosi nella conversazione: - Di certo qui non possiamo stare! Dobbiamo andarcene il prima possibile - agitando una delle buste, in tono amaro aggiunse: - Mi hanno già convocato al Ministero due volte mentre non c’ero! E’ solo questione di tempo prima che mi vengano a cercare perchè non mi sono presentato!
Fred, George e Diana rimasero a fissare per un attimo Lee Jordan, senza riuscire a dire nulla di sensato.
- Va bene - Diana annuì con convinzione - come ci arriviamo in Scozia?
Fred e George si guardarono pensierosi.
- La materializzazione? - azzardò George.
- Potrebbe non essere sicura per i Nati Babbani - constatò Lee molto preoccupato - potrebbero aver trovato un modo per tracciare gli spostamenti...
- Automobile? -  propose Diana.
- Hai un’automobile e non ce l’hai detto, Pixie? - chiese George con sguardo omicida.
- No, in realtà, ma... - stava per protestare Diana con tono battagliero.
- In realtà - proseguì Lee grattandosi la nuca - i miei hanno un’automobile...
- Perfetto! - Diana unì le mani sorridendo vittoriosa a George - possiamo partire?
I tre ragazzi rimasero fermi a guardarsi senza muoversi.
- Che c’è? - chiese Diana.
- Io non la so guidare - ammise Lee portandosi una mano sotto al mento come se stesse valutando come risolvere un enorme problema.
- Io non molto - disse George incrociando le braccia, mentre tutti si voltavano a fissare Fred.
- Ehi - disse lui alzando le mani - io ho guidato solo l’auto volante di papà a quattordici anni! Non è che sono esperto...
Diana rimase a fissarlo con un’espressione strana: probabilmente indecisa se mettersi a ridere o mettersi le mani tra i capelli, mentre bofonchiava frasi sconnesse tra le quali Fred riuscì solo a comprendere auto volante e quattordici anni.
- Dammi le chiavi, Lee - Diana prese in mano la situazione roteando gli occhi al cielo - sembra che l’unica a sapere che cosa sia una leva del cambio sono io...
- Tu guidi? - domandò Fred sconcertato.
- Si io guido, Fred - rispose Diana con aria di sfida e sollevando il mento mentre Lee le consegnava il mazzo di chiavi - ti pare così strano? Non è il momento di fare il maschilista...
- Quante altre cose mi nascondi, Pixie, oltre alla tua età? - la prese in giro Fred, mentre Diana riprendeva a studiare la cartina geografica - e poi io non faccio...quello che hai detto!

Lee e George iniziarono a caricare i bagagli e qualche provvista in auto, andando avanti e indietro dal garage.
Visto che Diana non lo aveva degnato di una risposta, Fred si mise a guardare con aria assorta la pagina del giornale ancora aperto sul tavolo al fianco dell’atlante geografico.
- Hai guidato una macchina volante a quattordici anni? - Diana si era spostata ed era in piedi di fronte a lui con le braccia incrociate sotto al seno, il tavolo a dividerli. Aveva indossato un’espressione da ramanzina che ben presto fu rimpiazzata da un sorrisetto.
- Si, ti pare così strano? - domandò Fred prendendola in giro e utilizzando la stessa frase che Diana gli aveva rivolto poco prima.
- Un pochino - ammise lei aggirando il tavolo, avvicinandosi e rimanendo in piedi di fronte a lui, con lo sguardo sollevato verso l’alto per incrociare il suo - ma sembra eccitante...
- E io che pensavo che volessi rimproverarmi... - le sorrise Fred allusivo.
- Era proprio quello che avevo in mente - sorrise di rimando Diana avvicinandosi ulteriormente a lui senza smettere di guardarlo negli occhi.
Fred sentì il cuore accelerare il battito e si aprì in un sorriso malizioso, sciogliendo le braccia incrociate della ragazza per avvicinarla e baciarla.
- Giusto, perchè sai che mi piace essere rimproverato... - sussurrò staccandosi dalle labbra di Diana quanto bastava per parlare.
Diana riavvicinò le loro labbra con impeto, alzandosi sulle punte dei piedi e premendo il suo corpo contro quello di Fred; mentre una scarica elettrica sembrava percorrerlo, lui, con un rapido gesto, le afferrò da dietro le gambe per metterla a sedere sull’immacolato tavolo del soggiorno di casa Jordan, mentre Diana gli allacciava le braccia dietro al collo per essere sollevata.
- Se vuoi - propose Fred sorridendo tra un bacio e l’altro - posso sempre far volare anche la macchina di Lee! E’ una cosa gravissima che merita un graaaaande rimprovero...
- Ma non dovevamo evitare di attirare l’attenzione? - gli ricordò Diana ridacchiando, mentre Fred si chinava per baciarle il collo.
Diana emise un sospiro tremante piegando il collo sotto alle labbra di Fred: - Stiamo ancora parlando di rimproveri? - mormorò a fatica.
- Per Merlino, ragazzi! - la voce scandalizzata di Lee li interruppe bruscamente, mentre il ragazzo entrava in soggiorno coprendosi gli occhi con le mani - non sul tavolo di casa mia!
Diana scese di scatto dal tavolo risollevando la spallina della canottiera nera che indossava e che era scivolata verso il basso, avvampando. Mentre, Fred rideva della situazione e del viso di Diana, rosso come il fuoco e sprofondato a cercare qualcosa nello zaino per nascondere l’imbarazzo, si udì un rumore secco provenire dall’ingresso dell’abitazione.

Lee, Diana e Fred si irrigidirono istantaneamente alzando lo sguardo verso quel punto.
- George, sei tu? - chiese Fred incerto e sporgendo la testa verso l’atrio, dato che l’unico che non si trovava li con loro era il gemello.
- Che c’è? - chiese George arrivando dalla cucina con in mano dei panini e altro cibo.
- Se tu sei qui, chi ha fatto rumore nell’ingresso? - domandò Lee in tono irrequieto.
Come in risposta alla domanda di Lee, dei forti colpi rimbombarono sulla porta di casa e una voce  maschile esclamò: - Signor Jordan?
Lee rimase come congelato sul posto guardando spaventato Fred e George, altrettanto immobili. Diana aveva cominciato a mordicchiarsi le unghie, lo sguardo fisso sulla porta.
- Signor Jordan! - riprese la voce maschile alzandosi di un’ottava - sono un funzionario del Ministero, la prego di farci entrare!
- Merda - sibilò Lee angosciato.
- Facciamo finta di niente - propose Diana a bassa voce e con lo sguardo tormentato - se ne andranno!
- No, vado io ad aprire - si offrì Fred e indicando Diana e Lee disse: - voi due nascondetevi!
- Freddie, non so se è una buona idea... - cercò di dire George guardando prima il fratello e poi la porta che tremava sotto i colpi insistenti del funzionario.
- Vado io - disse Diana sgusciando tra i gemelli e avvicinandosi all’ingresso - non sanno chi sono!
- No, Pixie... - stava per dire Fred allungando il braccio per far cambiare idea a Diana, ma era troppo tardi, perchè la ragazza stava già aprendo la porta di casa.
Fred, George e Lee si rintanarono in tutta fretta in un angolo nascosto del soggiorno, cercando di ascoltare.
- Perchè deve fare sempre di testa sua? - domandò George in un esasperato sussurro.
Fred si limitò a grugnire un verso di disapprovazione e fece segno agli altri due di rimanere in silenzio.

- Buongiorno - salutò cordialmente Diana. 
Fred riusciva a vederla di spalle, in piedi sulla soglia.
- Buongiorno... - sentì la voce del funzionario vacillare incerta - lei è?
- Mi chiamo Jessica Kane, in che cosa posso esserle utile? - Diana continuò in tono educato.
Fred non riusciva a vedere il funzionario, ma lo sentì trafficare nelle tasche del mantello e recuperare delle pergamene, mentre tra sè e sè borbottava: - Kane...Kane...non ho nessuna informazione su questo nome...lei è...Come mai si trova a casa del signor Jordan?
- Sono babbana - ammise Diana prima di intrattenere l’uomo raccontando che era la fidanzata di Lee e prodigandosi in un lungo e dettagliato resoconto di come si fossero conosciuti. Fred riuscì a trattenere a stento una risatina mentre guardava Lee che attonito fissava il pavimento, in ascolto di tutte quelle bugie che lo vedevano come protagonista.
Il funzionario sembrò rivolgersi a qualcun altro. 
Il fatto che fosse venuto con un collega non era una cosa positiva.

- Dolores, qui c’è solo una babbana... - cercò di dire l’uomo per interrompere le chiacchiere di Diana.
Fred e George, chini e raggomitolati dietro il mobile del soggiorno, si guardarono sgranando gli occhi. 
- Quella Dolores? - sibilò Fred con aria assassina.
- Non lo so... - gli rispose il fratello cercando di sporgersi oltre il mobile per controllare - non vedo...
- Sta giù! - sibilò Lee strattonando il braccio di George e facendogli perdere l’equilibrio. George barcollò appoggiandosi alla credenza, ma urtò un soprammobile che cadde a terra andando in frantumi.
Fred si morse il labbro mentre chiudeva istintivamente gli occhi come se così avesse potuto evitare quello che sarebbe successo da lì a poco.
Diana si voltò di scatto verso di loro, mentre l’inconfondibile vocetta di Dolores Umbridge diceva: - Non mi sembra che tu sia sola in casa, mia cara...
- Oh, è solo il mio gatto - mentì spudoratamente Diana riuscendo sorprendentemente a mantenere la calma - combina un sacco di disastri.
- Per sicurezza vorrei dare un’occhiata - il tono della Umbridge trasudava falsità.
Fred riusciva facilmente a immaginare il suo finto e zuccheroso sorriso.
- Non credo sia necessario, signora - la fermò in tono duro Diana - le ripeto che sono sola in casa e non ho piacere che degli estranei entrino senza il mio consenso.

Fred chiuse di nuovo gli occhi e trattenne il fiato, in attesa. George aveva ragione, perchè Diana doveva fare sempre testa sua? Non aveva idea di chi avesse davanti e della cattiveria di cui potesse essere capace quella donna.
Dolores Umbridge si schiarì la gola con un piccolo colpo di tosse.
Il tonfo sordo e l’urlo soffocato fecero riaprire istantaneamente gli occhi a Fred.
Il funzionario, chiaramente visibile dopo aver praticamente fatto irruzione in soggiorno, aveva spinto con forza Diana contro la parete dell’ingresso ruggendo: - Fatti da parte, stupida!
Come una molla, Fred balzò in piedi fuori dal suo nascondiglio e, puntando la bacchetta verso l’uomo, gridò: - Non la toccare!
Sentiva la mano destra tremare per la rabbia, mentre vedeva l’uomo allentare la presa su Diana per prestargli attenzione e Dolores Umbridge, tossicchiando, si faceva largo sulla soglia.
La donna aveva la stessa espressione di deliziata cattiveria che Fred aveva imparato a odiare.
Riuscì a percepire George e Lee posizionarsi alle sue spalle, entrambi con le bacchette pronte.

- Mmh... - sospirò la Umbridge, come se avesse davanti qualcosa di estremamente interessante, per poi scoprire i denti in un sorriso inquietante che illuminava sinistramente il suo viso da rospo - ci rivediamo, Weasley! Se devo essere sincera, non accompagno mai le ispezioni, ma vista la faccia tosta del signor Jordan nel non presentarsi al Ministero, ho preferito passare a dare un’occhiata personalmente! - squittì una risatina infantile e aggiunse -  Che colpo di fortuna! Non è bello rivedersi?
Fred digrignò i denti mentre sentiva George irrigidirsi al suo fianco. Il solo udire il tono di voce mieloso gli aveva fatto ricordare tutte le ingiuste e sadiche punizioni a cui la donna li aveva sottoposti ai tempi del loro ultimo anno a Hogwarts. Torse automaticamente la mano destra, perchè gli sembrava quasi di risentire la punta della piuma d’oca penetrargli nella pelle e incidere le frasi che la donna si divertiva a far loro trascrivere fino a che il concetto non fosse penetrato.

- Fatevi da parte e lasciateci prelevare Jordan - sbottò il funzionario con rabbia e sputacchiando saliva.
Aveva un viso dalla mascella squadrata accentuato dal rigido taglio di capelli che lo faceva sembrare una grossa spazzola.
- Altrimenti? - domandò Fred con tono duro, mentre con la coda dell’occhio teneva sotto controllo Diana che stava lentamente scivolando verso la soglia di casa, dato che tutta l’attenzione dei due visitatori era focalizzata su loro tre. Non aveva la minima idea di cosa la ragazza avesse intenzione di fare.
La Umbridge squittì una risatina acuta ed eccitata mentre sfoderava la bacchetta: - Altrimenti verrete puniti, signor Weasley. Ormai dovreste saperlo... Bombarda!
L’incantesimo esplose e Fred fece appena in tempo a gettarsi di lato, mentre la credenza scoppiava in pezzi.
- Viaaa - urlò Lee coprendosi il capo per proteggersi dai frammenti - la porta sul retro! - e schivando gli incantesimi si diresse di corsa nell’altra stanza. Fred e George lo seguirono, mentre sentivano sibilare maledizioni e la Umbridge, incollerita, si faceva avanti lungo il corridoio.


                                                                                            °°°°°°°°°°°°°


Diana non riusciva a credere al sangue freddo che era riuscita a mantenere.
Era stata impulsiva e sciocca. Se ne era resa conto. Ragionava ancora come chi non potesse essere colpito da un incantesimo.
Semplicemente non aveva pensato al fatto che non ci fosse più il Blackhole a proteggerla.
Aveva agito d’istinto. 
Passare troppo tempo con dei Grifondoro spavaldi doveva averle dato leggermente alla testa. Per tutto il tempo in cui aveva tentato di intrattenere i due funzionari del Ministero della Magia, aveva percepito lo sguardo di disapprovazione di Fred. Ma era stufa di essere la babbana indifesa da proteggere. Così mentre nessuno l’aveva più degnata di uno sguardo solo perchè era “una stupida babbana”, si era resa conto di avere ancora in mano le chiavi della macchina di Lee. Era scivolata silenziosamente fuori di casa. Fred l’aveva notata e Diana sperava che avesse capito cosa avesse intenzione di fare. 
Aprì il garage e posteggiò velocemente la vecchia Ford Orion rossa della famiglia Jordan nel vialetto posteriore, mentre un’esplosione proveniente dal soggiorno la fece sobbalzare e stringere le mani sul volante per lo spavento.
Lee spalancò la porta sul retro e caracollò fuori guardandosi le spalle, mentre Diana gli faceva cenno di muoversi.
George corse fuori di casa seguito da Fred, mentre Lee si era già seduto sul sedile del passeggero di fianco a Diana.
George aprì con violenza la portiera lanciandosi sul sedile posteriore.
Fred, invece, procedeva lentamente. Troppo lentamente. 
Aveva le mani sopra la testa e un’espressione sconfitta e bruciante di rabbia, mentre dietro di lui avanzava la donna che sembrava una grossa rana trionfante e vestita di rosa: Diana si rese conto che teneva la bacchetta puntata alle spalle di Fred.

- Oh, adesso basta! - sibilò spazientita spegnendo il motore della macchina e schiaffeggiando il volante.
Sentiva i palmi delle mani sudati e brucianti, mentre una sensazione di coraggiosa rabbia le artigliava lo stomaco.
- Nononono - iniziò a cantilenare Lee con le mani intrecciate e lo sguardo spaventato.
- Cosa fai? - domandò George cercando di riemergere dagli zaini caricati sul sedile posteriore.
Diana non sapeva esattamente cosa stesse facendo, ma scese dall’auto sbattendo la portiera. Sia la donna simile a un rospo che Fred guardarono nella sua direzione, mentre il ragazzo le rivolgeva lo sguardo più torvo che le avesse mai riservato.
- Vai via - le sibilò Fred con gli occhi che dardeggiavano di rabbia.
- Te lo scordi - gli rispose Diana, mentre sentiva il sangue ribollire e una leggera brezza scompigliarle i capelli.
La donna spinse maggiormente la bacchetta contro la schiena di Fred tanto da provocare al ragazzo un grugnito di dolore.

Un ronzio le echeggiava nelle orecchie.
La rabbia e l’impotenza la stavano probabilmente portando sull’orlo della pazzia, perchè le sembrava di percepire la rassicurante vibrazione del Blackhole. 
Come se ancora lo avesse appeso al collo.
Come se non le fosse mai stato portato via.
Il tonfo di due portiere le comunicò che George e Lee erano scesi di nuovo dall’auto.

- Cosa pensi di fare? - l’uomo del Ministero le era apparso davanti con il viso deformato da una risata di scherno.
- Lasciatelo andare - sbottò Diana con fierezza. Si rese conto di aver praticamente gridato, perchè sentiva il sangue rombarle così forte nelle orecchie da percepire a fatica la propria voce.
Nonostante avesse ancora la bacchetta della donna puntata alla schiena, Diana vide Fred aprirsi in un minuscolo e orgoglioso sorriso.
- Toglila di torno! - abbaiò la donna con la sua voce acuta e gli occhi spalancati per sottolineare la perentorietà del proprio ordine al suo sottoposto - dobbiamo portarli al Ministero! Si sono opposti a un’ispezione!
L’uomo dai capelli a spazzola strinse le dita con forza intorno al polso di Diana e tentò di spostarla di lato, mentre allo stesso tempo teneva la bacchetta puntata su Lee e George, pronti a intervenire.
- Lasciami!! - Diana gridò con tutta la voce che aveva, buttando fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni e tentando di divincolarsi convulsamente dalla presa dell’uomo e finendo per sferrargli una gomitata nello stomaco.
Fred gridava insulti verso l’uomo e prima che Lee e George potessero approfittare della distrazione dell’avversario, quest’ultimo, sbuffando come un rinoceronte per l’affronto subito, ruotò il polso per puntare la bacchetta su Diana ed esclamare: - Pietrificus Totalus!

Diana sentì le membra farsi improvvisamente fredde e pesanti, mentre gli arti cessavano di rispondere alla sua volontà.
Incrociò lo sguardo con quello indignato di Fred che tentava in tutti i modi di liberarsi dalla donna che ancora lo teneva in pugno.
Il rombo violento che le risuonava nelle orecchie fino all’istante precedente, cessò di colpo facendola precipitare in un silenzio sovrannaturale.
L’apparente congelamento provocato da quell’incantesimo, si dileguò all’istante e fu rimpiazzato da un prepotente formicolio che si trasformò presto in una sensazione di bruciore come se la sua pelle fosse stata attraversata da fastidiose punture d’insetto.
Un tremito la scosse dalla testa ai piedi.
Gli sguardi di tutti erano puntati su di lei, increduli e spaventati.
Il bruciore si fece più intenso e rovente fino a che un’onda d’urto dai contorni azzurrini esplose: non più dal Blackhole, ma da ogni parte del suo corpo lasciandola con un dolore acuto, come se mille coltelli l’avessero trapassata. Mentre stringeva i denti cercando di arginare quell’energia inaspettata, riuscì solo a sentire Fred gridare a Lee e George di mettersi al riparo.
Intravide Fred buttarsi a terra e gli altri due ragazzi nascondersi dietro l’automobile, mentre i due funzionari venivano sbalzati all’indietro.

Diana si ritrovò piegata sulle ginocchia con le mani affondate nell’erba verde e fresca di casa Jordan, incredula e ansante. Non sapeva che cosa fosse successo nè tanto meno come fosse stato possibile, ma si sentiva svuotata, sudata e dolorante.
- Pixie - mormorò Fred rimettendola in piedi - stai bene?
Ci volle qualche secondo prima che Diana riuscisse a mettere a fuoco il volto lentigginoso e preoccupato, lo sguardo burrascoso e le labbra strette di Fred che si schiudevano lentamente per dire - Guido io, dai...
- No, ce la faccio - protestò Diana barcollando - muoviamoci!
Fred non sembrava convinto, ma le lasciò aprire la portiera del guidatore.
Risalirono in macchina veloci, Diana al volante e, questa volta, Lee e George sul sedile posteriore.
Il motore rombò mentre Diana girava la chiave nel quadro. Il funzionario era disteso malamente nel prato privo di sensi, ma la rospa rosa si era rimessa in piedi e, con il viso ridotto a una maschera di rabbia e sdegno, cercò di avvicinarsi alla macchina ripulendosi il tailleur con gesti secchi e sprezzanti.
Fred e George tirarono giù di buona lena i finestrini dell’auto, mentre Fred sibilava: - Vecchia stronza...
- Ehi, che volete fare? - domandò Diana voltandosi indietro, ma con il piede già pronto a premere l’acceleratore.
- Stupeficium!! - i due gemelli sporgendosi entrambi dai finestrini avevano pronunciato il medesimo incantesimo che con doppia forza raggiunse il gonfio petto della donna che ruzzolò nel prato di casa Jordan, finalmente, priva di sensi.
Lee, con aria esasperata, aprì per l’ennesima volta la portiera e si precipitò in giardino per chinarsi prima sulla donna e poi sull’uomo, sempre con la bacchetta alla mano, mentre Fred e George, troppo inebriati dal successo, festeggiavano con grida di gioia, insulti verso la strega e si battevano il cinque vittoriosi.
Lee rientrò velocemente in macchina e Diana, occhieggiando con agitazione lo specchietto retrovisore, chiese: - Allora possiamo partire??
- Si si - rispose stancamente Lee Jordan e poi, rivolgendosi ai gemelli, aggiunse: - Sono andati a ripulire i vostri casini...come sempre!
- Oh, ma dai, Lee! - protestò Fred con aria afflitta mentre Diana dava finalmente gas - ora non ricorderanno nulla di questa seconda uscita di scena trionfale!
- Dovresti ringraziarmi! Almeno non avremmo mezzo Ministero alle calcagna oppure a indagare sulla vostra famiglia! 
L’ultima affermazione sembrò placare definitivamente le rimostranze di Fred e George.

Mentre si dirigevano verso la periferia di Londra, Fred rivolse uno sguardo a Diana.
- Sei stata... - si bloccò a metà frase e Diana si voltò leggermente per guardarlo. I capelli rossi scompigliati dal vento che si insinuava dal finestrino abbassato.
- Sei stata un’idiota - terminò la frase George al posto del gemello infilando la testa tra i due sedili e sporgendosi tra loro.
- Si - ammise Fred - sei stata un’idiota, ma... - si morse un labbro mentre lasciava in sospeso la frase come per cercare la frase giusta da dire - ma sei stata fantastica! Come cavolo hai fatto?
George grugnì un commento e sbuffò alzando gli occhi al cielo prima di lasciarsi ricadere all’indietro tra i sedili.
- Pensavo fossi babbana... - la testa di Lee prese il posto di quella di George tra i due sedili - che cos’era quella luce azzurra?
Diana strinse le dita sul volante. Si sentiva ancora troppo incredula, dolorante e spossata per trovare le forze di spiegare a Lee tutte le vicende di cui ancora non era stato messo al corrente.
- Non lo so... - ammise lanciando un’occhiata preoccupata a Fred - non l’ho fatto apposta!
- E’ stato come quella volta a Villa Conchiglia... - disse Fred pensierioso appoggiando il gomito sull’interno della portiera - ma più forte...
- Si, ma all’epoca avevo il Blackhole! 
- Quindi hai quello strano potere anche senza il Blackhole? - la testa di George era tornata a sporgere tra i sedili spingendo indietro quella di Lee.
- I poteri? Il Blackhole? Ma di cosa parlate, ragazzi? - li incalzò Lee senza capire mentre spingeva George per trovare spazio.
- Non lo so...non credo sia una cosa che riesco a controllare... - le parole uscivano a fatica dalle labbra di Diana. 
Si sentiva la gola secca e gli occhi le bruciavano per la stanchezza.
- Quindi, stiamo ben attenti a non farla arrabbiare - Fred le sorrise e cercò di mettere fine alle domande, mentre si immettevano nella superstrada che li avrebbe portati verso nord.

Era ormai tardo pomeriggio e pian piano si erano lasciati alle spalle la città per procedere tra campi verdi punteggiati da pecore e piccoli villaggi. 
Una volta scemata l’adrenalina dello scontro, George e Lee si erano lentamente assopiti sui sedili posteriori e il viaggio era proseguito per un po’ in silenzio, fino a quando Fred non si era messo a raccontare tutti gli scherzi che lui e George avevano organizzato contro la professoressa Umbridge, ossia la rospa vestita di rosa.
Diana non riusciva a godersi l’esilarante racconto di Fred, perchè non smetteva di pensare a chi o cosa avrebbero trovato una volta raggiunto l’indirizzo trovato all’ospedale.
- Tutto a posto? - Fred aveva interrotto il proprio monologo per scrutarla in modo indagatore - ti senti bene?
- Si... - sospirò Diana mentre imboccava la superstrada - mi domando se finalmente avremo delle risposte...su Ben, suo mio padre...
Fred strinse la mano intorno alla maniglia interna della portiera.
- So che Ben non ti piaceva molto - continuò Diana osservando Fred con la coda dell’occhio - ma...insomma, non credi che se avesse voluto farmi veramente del male avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento? Abbiamo vissuto insieme per mesi...
Fred strinse le labbra e tenne lo sguardo fisso davanti a sè: - E allora perchè scappare da Shaftesbury Avenue?
Diana si limitò ad alzare le spalle perchè non aveva una risposta e perchè avevano già affrontato quel discorso. Ogni volta che scoprivano qualcosa, le sembrava di affondare ancora di più nelle bugie come se si trovasse all’interno di una palude fatta di sabbie mobili.
- Magari tuo padre si trova dove stiamo andando... - ipotizzò Fred.
Diana non aveva valutato quell’opzione e non era sicura di desiderare che fosse così.
Da quando Fred le aveva chiesto se suo padre le avesse mai fatto del male, non aveva smesso di rivangare il passato per cercare di ricordare se fosse successo qualcosa del genere, soprattutto dopo quello strano sogno che aveva fatto, in cui aveva la fastidiosa sensazione che suo padre centrasse qualcosa.

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Ehilà!
Lo so che questo capitolo getta altra carne al fuoco, ma questa "svolta" era nella mia mente fin dall'inizio, quindi perchè non usare la simpaticissima Dolores Umbridge per far scaturire questo "potere" che Diana sembra avere anche senza Blackhole? Giuro che anche questo avrà una spiegazione...un po' più avanti però :D (si lo so, non mi sopportate più XD)
A parte questo mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate :)
Nel prossimo capitolo, ve lo anticipo già ci sarà la prima risposta ai milioni di interrogativi con cui vi ho tartassato fino a questo momento :)
Grazie a chi continua a leggere, seguire e commentare questa storia ❤️
A presto!
P.S. Vi lascio il link della canzone iniziale: io la adoro e la trovo perfetta per Diana e Fred 😍
https://youtu.be/oozQ4yV__Vw



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Capitolo 34
*** La casa infestata ***


La vecchia Ford Orion rossa scivolava rapida lungo la superstrada.
Il sole si immergeva sempre di più oltre la linea dell’orizzonte illuminando il cielo di una luce rossastra.
L’estiva aria tiepida portava con sè uno sfuggente profumo di erba appena tagliata riempiendo l’abitacolo dell’automobile di una pigra tranquillità.
Diana inspirò profondamente sentendosi sfinita, ma in pace.
Era come se quella strana onda di potere avesse alleviato le sue inquietudini e i timori che fino a quel momento le ribollivano a fuoco lento sotto pelle, lasciandola galleggiare in una stanca serenità, il che non aveva il minimo senso, perchè avrebbe dovuto essere razionalmente spaventata da quanto le era accaduto poco prima.
Invece, si sentiva stupidamente sicura e protetta dalla consapevolezza di non essere ancora una volta indifesa: l’unico pensiero che serpeggiava insidioso nella sua mente era quello di non essere in grado di controllare quello strascico di potere che il Blackhole sembrava aver incredibilmente lasciato su di lei.

Era ormai calata l’oscurità quando si fermarono per mangiare e riposare in una stazione di servizio nei pressi di Birmingham.
La mattina successiva, Diana si svegliò a causa delle prime luci dell’alba che filtravano attraverso i finestrini. Non si sentiva affatto riposata e avvertiva tutto il corpo dolorante come se fosse stata investita da un treno. Dormire curva sul sedile di un’auto non aveva di certo conciliato un sonno ristoratore. Quando uscì dalla vettura per sgranchirsi la schiena e le gambe e respirare aria pulita, si sentiva barcollante, stordita e con un gran mal di testa che le martellava le tempie.
Fred si offrì cavallerescamente di guidare al posto suo e Diana non ebbe la forza di opporsi: il dolore alla testa era troppo forte. Fortunatamente la stazione di servizio dove si erano fermati per la notte, era dotata di una piccola farmacia, così fecero scorta di antidolorifici. Diana buttò giù due pastiglie e si raggomitolò con gli occhi chiusi sul sedile del passeggero anteriore, in attesa che il mal di testa le lasciasse tregua.
Quando riaprì gli occhi realizzò di essersi riaddormentata e, fortunatamente, il mal di testa era svanito. Sbattè le palpebre colpite dai raggi del sole, ormai, alto nel cielo. 
Doveva aver dormito per qualche ora.
Fred teneva il volante con la mano destra, mentre con la sinistra tamburellava allegramente le dita sulla leva del cambio.
- Stai guidando - constatò Diana con lo sguardo annebbiato e la voce impastata di sonno.
- Ah, eccoti di nuovo tra noi! - Fred le rivolse un luminoso sorriso continuando a tenere d’occhio la strada - come va la testa?
- Meglio - lo liquidò Diana ripetendo poi con aria incredula e vagamente spaventata - tu-stai-guidando. Perchè?
Fred alzò le spalle: - Beh, qualcuno doveva farlo, no? Sono anche bravo, vero, ragazzi? - aggiunse poi voltandosi verso i sedili posteriori.
Anche Diana si voltò all’indietro: Lee aveva un leggero colorito verdastro, ma alzò una mano con il pollice verso l’alto, mentre George si teneva con entrambe le mani alla maniglia interna della portiera e stirò le labbra in un sorriso forzato per poi articolare solo una parola con il labiale: - Bravissimo...
Diana ridacchiò tornando a guardare la strada, ma in quel momento, un’altra auto proveniente da un incrocio inchiodò a pochi metri dalla loro suonando selvaggiamente il clacson. Fred procedette serafico, sorridendo e sporgendo un braccio fuori dal finestrino in segno di saluto.
- Fred - disse Diana con lo sguardo terrorizzato fisso davanti a sè  - non ti stava salutando...
- Ah no? - chiese Fred stupito - e allora perchè ha suonato il clacson?
- Ha suonato il clacson perchè sei passato con il semaforo rosso... - mormorò Diana passandosi una mano sugli occhi sconsolata - forse è meglio che torni a guidare io...
- Noooo - protestò Fred aggrappandosi al volante come se temesse che qualcuno potesse portarglielo via - starò attento! Promesso! 
Lee iniziò a proporre di mettere un po’ di musica e George si sporse tra i sedili per mettere per primo le mani sull’autoradio, ma Lee lo tirò all’indietro per le spalle e finirono a prendersi amichevolmente a pugni sui sedili posteriori.
- Bambini, ora basta - li rimproverò Fred con l’aria di superiorità conferitagli dal suo posto di guidatore.
Un ceffone sulla nuca da parte di suo fratello gli fece quasi sbattere il naso sul volante. Fred, con espressione diabolica, staccò entrambe le mani per voltarsi e smanacciare a vuoto all’indietro per vendicarsi.
- Freeeed - ululò Diana sporgendosi verso di lui per afferrare il volante e rimettere in carreggiata l’auto che aveva preso a  sbandare furiosamente - non puoi lasciare il volante così!

Dopo che l’ordine fu ristabilito all’interno dell’abitacolo e la radio accesa su una stazione che aveva messo d’accordo tutti quanti, Diana si rilassò sul sedile, la testa appoggiata al finestrino a guardare i prati e le case sfrecciare uno dopo l’altro. Le note di Buddy Holly dei Weezer riecheggiavano nell’auto, Diana senza scarpe e gambe incrociate sul sedile canticchiava le parole della canzone, Fred tamburellava le dita sul volante a ritmo di musica. George, disteso a pancia in su sul sedile posteriore, aveva abbassato completamente il finestrino per sporgere i piedi scalzi all’aria aperta; di conseguenza, un contrariato Lee Jordan era stato strettamente relegato sul lato opposto e minacciava in modo colorito di lanciare le scarpe dell’amico fuori dall’altro finestrino.
Diana inspirò l’aria umida che entrava dallo spiraglio abbassato del finestrino e sorrise. Avrebbe voluto possedere la magia solo per congelare quel momento di quotidiana serenità in un fermo immagine. Guardò Fred concentrato alla guida, sentendo gli angoli della bocca incurvarsi in un piccolo sorriso. 
La melodia dei Weezer terminò lasciando spazio a Back for good dei Take That e Diana si lasciò scappare un gridolino di apprezzamento prima di alzare il volume e mettersi a cantare anche quella canzone, mentre raccontava ai ragazzi di quanto fosse stata triste quando Robbie Williams, in assoluto il suo preferito, aveva deciso di lasciare la band.
Parlare di qualcosa di normale come la musica le evitava di preoccuparsi per ciò che avrebbero potuto trovare una volta arrivati a destinazione.
- Cosa potrà mai avere più di me, questo Robbie? - domandò Fred in tono melodrammatico con una mano sul cuore.
- Sicuramente, la patente - rispose prontamente Diana ridendo e contagiando nella risata anche George e Lee, mentre Fred recitava alla perfezione la parte dell’offeso.

Dopo parecchie ore, parecchie frenate, parecchie canzoni e parecchi battibecchi tra i quattro ragazzi, Lee li costrinse a un paio di fermate perchè la guida di Fred gli aveva fatto venire la nausea, scambi alla guida e strade imboccate per errore perchè George aveva guardato la cartina al contrario per metà del viaggio, incontrarono un logoro cartello ad accoglierli nella località di Drumnadrochit.
Si fermarono a chiedere indicazioni a un anziano signore che segnalò loro dove trovare l’indirizzo che stavano cercando.
La Great Glen Way li condusse fuori dal paese srotolandosi tra bassi arbusti e chiazze di vegetazione, tanto che George iniziò a lamentarsi che quel vecchio signore li avesse appositamente indirizzati fuori strada, quando trovarono il bivio indicato dall’anziano.
Svoltarono a sinistra e imboccarono una stradina più stretta della precedente che si snodava in mezzo a bassi cespugli di erica, mentre in fondo alla strada iniziava a prendere forma una grande casa dalle pareti color carta da zucchero invase da abbondanti tralci di edera infestante.
Diana, che aveva ripreso la guida, premette lentamente il freno fermandosi davanti alla villa. 
Non aveva un giardino e nemmeno una recinzione. 
Sembrava semplicemente appoggiata sul manto erboso come se fosse sorta direttamente dal terreno duro e inospitale delle Highlands scozzesi.
- Sembra disabitata... - Diana inclinò la testa di lato scrutando le finestre rotte, le pareti disseminate da macchie scrostate e il tetto spiovente caratterizzato dalla mancanza di qualche tegola qua e là. Il cielo era tornato grigio e il sole si era nascosto dietro l’impervia e verde collina che faceva da sfondo all’abitazione.
- Sembra... - constatò Fred con aria esperta brandendo la bacchetta e scendendo dall’auto - potrebbe essere un’illusione...
Scesero tutti e quattro: Fred e George in testa con le bacchette pronte in mano, Lee che si guardava intorno titubante e Diana che non riusciva a distogliere lo sguardo dalla facciata poco rassicurante.
Si fermò davanti alla buca delle lettere: doveva essere stata dello stesso colore azzurro della casa, ma uno strato di sporcizia impediva di capire se ci fosse scritto il nome del proprietario. Diana passò una mano sulla superficie smaltata per cercare di rimuovere la polvere che la copriva e apparve un nome.
McKinnon
- Ragazzi - sibilò Diana in tono urgente facendo bloccare Fred davanti alla porta d’ingresso - questa casa... apparteneva alla famiglia di mia madre!


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- Mmh... - mugugnò Lee con sguardo rapito dalla facciata della malridotta abitazione - ricordatemi chi o cosa dovremmo trovare qui...
Fred abbassò lo sguardo su Diana, in piedi tra lui e George, impegnata ad osservare la casa con la fronte solcata da una piccola ruga e le sopracciglia ravvicinate in un’espressione indecisa.
- In teoria, questo posto dovrebbe essere quello dove mio padre è venuto a vivere una volta uscito da quell’ospedale... - rispose Diana osservando le erbacce che sbucavano tra i gradini di legno e i vetri delle finestre attraversati da crepe simili a complicati ricami.
- Che posticino adorabile - commentò Fred con ironia incrociando le braccia al petto e abbassandosi per dare una leggera gomitata a Diana.
- La Stamberga Strillante a confronto è un hotel di lusso - continuò George spalleggiando il gemello nell’alleggerire la tensione e sgomitando Diana dal lato opposto.
- La cosa strillante? - Diana arricciò il naso in una smorfia voltandosi verso Fred come ogni volta in cui si imbatteva in qualche riferimento al mondo magico che non riusciva a comprendere.
- E’ una casa infestata - rispose subito George evasivo - un po’ come questa...
- No dai, nessuno dice che questa sia infestata - si mise in mezzo Fred vedendo l’espressione preoccupata di Diana e poi con un sorriso furbo, aggiunse - però potrebbe...
- In questo caso, entri tu per primo! - Diana, con un balzo, si nascose prontamente dietro a Fred che scoppiò a ridere, osservando la casa con sospetto.
- E se dentro ci fosse tuo padre con un’ascia in mano pronto a farmi a fette? - domandò Fred fingendosi terrorizzato.
Diana si mordicchiò un labbro ancor più titubante dopo quell’affermazione.
- Ecco perchè devi entrare per primo - scherzò George.
- Quindi? - domandò Lee in tono pratico - entriamo?
Siccome nessuno si decideva a fare il primo passo, Diana appoggiò le mani sulla schiena di Fred per spingerlo a varcare la soglia, dicendo: - Su su, valoroso Grifondoro! Avanti!
Fred si avvicinò per primo alla porta, mentre Diana aveva fatto scivolare la mano nella sua, stringendogliela con forza per l’apprensione; George e Lee erano dietro di loro con la bacchetta pronta e lo sguardo attento.
Dopo che Lee ebbe lanciato un paio di incantesimi per rivelare la presenza di trappole o persone indesiderate, finalmente certi che la casa fosse vuota, entrarono aprendo la porta cigolante.

Era una vecchia casa che a Fred ricordò un po’ Grimmauld Place: tappezzerie e arazzi polverosi, un grande scalone e un enorme numero di stanze che si affacciavano sulla grande sala. Sembrava meno pretenziosa della dimora dei Black e più simile ad una casa di campagna con grandi finestre per cercare di intrappolare la poca luce di cui la Scozia era così avida, soprattutto nella stagione invernale.
Nonostante l’aspetto esteriore la presentasse come piuttosto malandata, l’interno non era affatto così disastroso, anzi, era sorprendentemente decente nonostante la polvere, qualche infiltrazione d’acqua qua e là e un costante odore di umido e muffa. 
Il soggiorno era ampio e con due grossi divani in pelle nera sistemati accanto a un camino.
Diana lasciò andare la mano di Fred e si avvicinò a uno dei divani, passando un dito ad accarezzare la superficie liscia e lasciando una linea più scura che portò via con sè il sottile strato di polvere.

- Questa non è vecchia polvere... - mormorò Diana tra sè fissandosi i polpastrelli sporchi.
- Cioè? - domandò Lee incuriosito.
- Ne so abbastanza di oggetti polverosi - ammise Diana scrollando le spalle - e questa non è polvere accumulata in anni! La quantità, la consistenza...no, questa casa sarà disabitata da qualche mese! Non di più!
Fred si soffermò a guardare interessato la ragazza, mentre esponeva l’interessante teoria.
Decisero di dividersi: Fred agguantò Diana per mano e si diressero al piano superiore, mentre George e Lee si decisero ad a dare un’occhiata al pianoterra.
Esplorarono in modo guardingo le varie stanze. Man mano Fred agitava la bacchetta per mormorare un Reparo per sistemare le finestre rotte e Diana perlustrava con lo sguardo ogni stanza come se si aspettasse davvero di veder spuntare suo padre da dentro un armadio con un’ascia in mano. Dopo aver percorso ogni metro quadro si ritrovarono in salone con il naso all’insù per osservare il soffitto dove era raffigurata la volta celeste.
Diana guardava sopra la sua testa meravigliata e affascinata.
- Sai, a Hogwarts c’è un particolare incantesimo nella Sala Grande per cui il soffitto sembra il cielo -  sorrise Fred non smettendo di scrutare l’intrico di costellazioni - un po’ questo dipinto me lo ricorda...! Quindi non eri l’unica in famiglia con la fissazione per l’astronomia...
- No - rispose Diana in un soffio con lo sguardo ancora incollato al soffitto - era mia madre ad esserne appassionata e, con i suoi racconti, ha trasmesso questo interesse anche a me! E dopo la sua morte, amare quello che amava lei, era un modo per sentirla più vicina...
Fred abbassò lo sguardo dal soffitto: ancora non sapeva bene cosa dire di fronte a quei sentimenti di dolore e nostalgia che ormai Diana esprimeva senza farsi più alcun tipo di problema. Ci pensò lei stessa a tirarli fuori da quel momento di stasi dicendo: - Ok, dobbiamo cercare degli indizi su mio padre...se lui ha vissuto qui, ci sarà qualcosa che può esserci utile, no?
Fred annuì, mentre Lee e George li raggiungevano da quella che doveva essere la cucina.
- Mettiamoci comodi - sentenziò George lasciandosi cadere a peso morto sull’ampio divano sollevando una nuvola di polvere  - pare che questa sarà la nostra dimora per un po’.

I ragazzi passarono le prime settimane a rivoltare come un calzino ogni angolo della casa alla ricerca di qualsiasi cosa potesse essere utile, ma ci volle parecchio tempo. Le stanze erano molte e affastellate di soprammobili e oggetti, come se le persone che vi avevano vissuto fossero semplicemente sparite da un giorno all’altro. Diana era determinata a scoprire quanto più possibile sulla sua famiglia, stava sveglia fino a notte fonda a scrutare ogni cassetto, ogni scaffale e ogni ripiano alla ricerca di indizi. Si svegliava prima di tutti la mattina per esplorare la piccola biblioteca polverosa che si trovava nel seminterrato. Per quanto Lee, George e soprattutto Fred tentassero di aiutarla e di collaborare, persero ben presto la loro buona volontà.
Si erano immaginati di vivere chissà quali avventure e di scoprire verità sensazionali, ma lo scartabellare fogli e lettere non era affatto un lavoro eccitante, soprattutto perchè tutto ciò che riuscirono a scoprire fu che la casa apparteneva ai nonni materni di Diana, dove avevano vissuto fino alla morte. In qualche modo poi, Daniel Harvey aveva ereditato la dimora e ci si era stabilito dopo aver finito la sua riabilitazione: quello doveva essere il motivo per cui la casa era stata dotata di tecnologie babbane come l’elettricità. Dopo aver esplorato l’interno della grande abitazione, le colline, le pianure circostanti e dopo aver cavalcato l’onda dell’entusiasmo per trovarsi in un luogo nuovo, scivolarono in una noiosa routine che non faceva altro che renderli nervosi e irritabili, dato che l’attività più avventurosa era rappresentata dal recarsi al supermercato per sgraffignare provviste utilizzando sempre qualche trucchetto o incantesimo per evitare di dover pagare con soldi babbani che nessuno di loro possedeva.
La sola a non darsi per vinta era Diana.
L’unico momento in cui Fred riusciva ad ottenere la sua attenzione era quando si offriva di aiutarla a cercare indizi tra le pagine ingiallite dei vecchi libri o nella corrispondenza del padre. 

- Non so che cosa speri di trovare... - sbuffò Fred frustrato, mentre sfogliava svogliatamente un plico di lettere. Alzò lo sguardo sul vecchio orologio appeso al muro che erano riusciti a rimettere in funzione. Erano quasi le due del mattino e Diana era ancora china a spulciare le vecchie lettere sbiadite.
- Nessuno ti obbliga ad aiutarmi - scattò subito Diana, nervosamente, come sempre da quando si trovavano nella dimora dei McKinnon.
- Ho solo chiesto cosa speri di trovare - continuò Fred stoicamente. Era ormai ampiamente abituato alle frecciatine pungenti della ragazza.
Diana alzò lo sguardo dal foglio. I capelli biondi erano disordinatamente raccolti in uno chignon, gli occhi verdi erano cerchiati da occhiaie scure e si stava mordicchiando il labbro inferiore, pensierosa.
- Non so - rispose Diana evasiva sistemandosi i ciuffi di capelli sfuggiti alla rudimentale pettinatura - qualsiasi cosa che possa essere utile.
- Dovremmo riposare - suggerì Fred incoraggiante. Lui sicuramente aveva voglia di sdraiarsi e di dormire. Gli occhi gli bruciavano per aver letto fino a quell’ora solo con la luce di una vecchia lampada da tavolo e sentiva le spalle doloranti per essere stato curvo a leggere, cosa che addirittura dubitava fosse successa ai tempi di Hogwarts.
- Mmhh - mugugnò Diana riabbassando lo sguardo sul tavolo - tu vai a dormire, se vuoi...io resto ancora un po’.
- Resto anche io - sospirò Fred massaggiandosi gli occhi e appoggiando il mento sulle mani intrecciate. Se fosse andato a dormire senza Diana, sicuramente lei non si sarebbe fatta problemi a rimanere sveglia tutta la notte.
- Dovremmo provare a utilizzare di nuovo quella specie di potere che hai... - tentò di dire Fred per l’ennesima volta da quando erano arrivati in Scozia.
Per la milionesima volta, Diana gli rispose che non era quella la sua priorità.
- Ma non sei curiosa di capire che cosa puoi fare? - cercò di stuzzicarla Fred.
- Mmh...si tipo fare del male a qualcuno? - domandò Diana assorta mentre fissava una lettera particolarmente malconcia e poi aggiunse: - Ti ho già detto che non è una cosa che riesco a controllare e finché non ne sapremo di piú...
- Ovvio che non la sai controllare se mai ti eserciti... - la interruppe Fred, convinto di essere nella ragione.
- Fred - esordì Diana puntando lo sguardo nel suo e stringendo le palpebre in maniera minacciosa - ho detto no.
Fred si limitò a emettere uno sbuffo, lasciò vagare lo sguardo sulla miriade di fogli sparsi alla rinfusa sul tavolo e allungò una mano per mischiarli come se fossero le carte di un gioco da tavolo.
Diana gli rivolse un’occhiataccia, ma rimase in silenzio, mentre Fred pescava casualmente un foglio nel mucchio creatosi e lo portava davanti a sè per leggerlo sbattendo le palpebre per mettere a fuoco i caratteri.
8 novembre 1987

Caro Daniel,
Spero che tu, Sarah e Diana stiate bene. Il mio viaggio sta procedendo e sto visitando e studiando moltissimi luoghi insoliti. 
Spero di riuscire a tornare per il prossimo mese!
Riguardo a ciò che mi hai chiesto nella tua ultima lettera in merito all’orologio da taschino, sto cercando di scoprire quanto più possibile, ma non è semplice. Tutto ciò che la gente sa sono leggende e niente più, ma sono fiducioso. 
Avrai mie notizie molto presto.
Ben


- Ehi - si rianimò Fred raddrizzandosi di scatto sulla sedia - ho trovato una lettera di Ben!
Diana puntò lo sguardo stanco in quello di Fred, mentre lui le passava la breve lettera. Diana scorse velocemente il testo e, una volta terminata la lettura, prese a frugare compulsivamente nel mucchio di lettere borbottando tra sè e sè: - Di che parla...deve esserci un’altra lettera di Ben...
- Parla del Blackhole, secondo te? - chiese Fred aiutandola nella ricerca.
Diana annuì e gli fece un piccolo sorriso, mentre le loro mani si sfioravano, entrambe impegnate a scartabellare la montagna di lettere.
Nella biblioteca avevano trovato parecchi libri che parlavano dei Blackhole, molti dei quali erano gli stessi che Lupin aveva prestato a Diana per documentarsi sull’argomento.
Tutto ciò non faceva altro che confermare il fatto che Daniel Harvey sapesse molto bene che cosa fossero i Blackhole e che cosa fosse il vecchio orologio da taschino; il fatto che chiedesse notizie a Ben aveva assolutamente senso, dato che nei suoi viaggi e nei suoi studi, il cugino doveva aver avuto modo di conoscere un sacco di strani oggetti e leggende.
Diana e Fred rimasero svegli ancora per un’altra ora abbondante, ma tra tutte le lettere abbandonate sul tavolo, quella trovata da Fred sembrava essere l’unica scritta da Benjamin Murray.

                                                                                           °°°°°°°°°°°°°°°

I giorni si trascinavano uno dopo l’altro, tutti uguali e monotoni.
Diana aveva trovato un altro paio di lettere scritte da Ben, ma erano tutte molto brevi e si limitavano a riportare poche informazioni, se non il fatto che Benjamin, non solo conoscesse i Blackhole, ma che i particolari manufatti magici fossero uno dei principali argomenti dei suoi studi. Questo non aveva fatto altro che rendere Diana ancora più nervosa e intrattabile, tanto che ormai George la evitava come la peste e Lee si teneva a debita distanza da quando, in un momento di estrema frustrazione da parte della ragazza, un libro era stato scagliato per la stanza e aveva rischiato di colpirlo in testa. Anche Fred si teneva in disparte per cercare di evitare l’ennesima discussione.

Una notte di fine settembre scoppiò un violento temporale. Fred, che dormiva in una delle camere all’ultimo piano, si svegliò di soprassalto per il rombo di un tuono che sembrò squarciare il cielo. La pioggia scrosciava impetuosa sul lucernario situato sul tetto a spiovente della stanza e il vento sibilava avvolgendo con furia la vecchia casa scricchiolante.
L’altro lato del letto era vuoto. Come sempre. Diana ormai dormiva sul divano della biblioteca o del soggiorno, come se il salire al piano di sopra a dormire non facesse altro che togliere tempo alla sua ricerca. Fred spinse le gambe fuori dal letto e a piedi scalzi si diresse verso il piano inferiore. Una delle imposte sbatteva furiosamente a causa del vento e di certo non sarebbe riuscito a riaddormentarsi con quel rumore, quindi si mise alla ricerca della finestra da chiudere.
Una flebile luce proveniva dal soggiorno, dove una testa bionda era riversa sul tavolo inondato di libri e scartoffie. Diana si era addormentata con la testa sul tavolo, la guancia appiccicata a una piccola montagna di buste e i capelli biondi a coprirle gran parte del viso.
Il camino era illuminato fiocamente dalle ultime braci ormai sul punto di spegnersi.
La persiana del soggiorno continuava a sbattere senza sosta, ma Diana respirava regolarmente, profondamente addormentata. Fred richiuse a fatica la persiana a causa del forte vento e si avvicinò a Diana per svegliarla, ma il suo sguardo si posò su uno dei libri che Diana ancora doveva consultare. Sporgeva abbondantemente dall’angolo del tavolo, rischiando di cadere. Fred lo spinse all’interno del tavolo e le sue dita incontrarono un foglio infilato tra le pagine come un segnalibro, così incuriosito lo aprì in quel punto.
Sembrava essere un antico tomo che trattava di leggende e manufatti magici. Il capitolo contrassegnato era dedicato ai Blackhole e il foglio inserito tra le pagine era indubbiamente una vecchia lettera.
Fred riconobbe la calligrafia aristocratica e antiquata di Benjamin Murray ancor prima di incontrare il nome del mittente. La lettera era più lunga delle precedenti e quindi Fred si sedette silenziosamente sul divano a leggere, dato che ormai era perfettamente sveglio.

Man mano che proseguiva nella lettura, gli sembrava che qualcosa di freddo e viscido si fosse annidato all’interno del suo stomaco facendo crescere in lui sdegno e incredulità in egual misura.
Fred strinse le dita sul foglio ingiallito, e interruppe la lettura per osservare Diana, ancora profondamente addormentata.
Voltò il foglio per cercare altre informazioni, ma s’imbattè solo nel retro ingiallito e chiazzato della vecchia lettera.
Represse a fatica l’istinto di svegliare subito Diana per mostrarle il contenuto della lettera.
La sola idea di far leggere a Diana quelle parole, gli provocò un dolore al centro del petto. Gli sembrava già di vederla: rannicchiata a leggere con le lacrime agli occhi e una mano stretta al petto per impedirsi di andare in mille pezzi.
Fred si alzò dal divano e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza.
Sospiró profondamente, passandosi una mano tra i capelli e poi sul viso, guardando Diana dormire indeciso sul da farsi.
Rimase per un po’ dritto in piedi in mezzo al soggiorno con la lettera ancora in mano a valutare i pro e i contro. Non era da lui. Solitamente avrebbe agito d’istinto, senza pensare alle conseguenze. Sarebbe stato infinitamente più semplice, anzichè arrovellarsi sull’ignoto a piedi nudi nel cuore della notte, ma l’ultima volta che aveva agito d’istinto aveva chiuso Diana in un bagno e si era ritrovato con un senso di colpa che bruciava più del ceffone con cui la ragazza lo aveva gentilmente omaggiato.
Con un altro profondo sospiro, ripiegò il foglio e lo infilò nella tasca dei pantaloni del pigiama.
- Pixie... - mormorò in un fil di voce chinandosi su di lei e scostandole i capelli dal viso - andiamo a dormire dai...
Diana, senza aprire gli occhi, arricciò le labbra in una smorfia imbronciata.
Fred emise un debole sospiro accompagnato da un sorriso, poi prese Diana tra le braccia per portarla a letto. Mentre la ragazza gli appoggiava la testa sulla spalla e salivano al piano superiore, Fred decise che l’indomani a mente lucida, avrebbe deciso cosa fare.
Il giorno dopo, però, non ebbe il coraggio di dire nulla a proposito della lettera.
Non lo fece nemmeno il giorno successivo e neanche in quelli che seguirono. 
Ogni giorno si convinceva che quello successivo sarebbe stato quello in cui avrebbe detto tutto, ma quando la mattina del giorno dopo arrivava, non faceva altro che rimandare il momento della verità. Ogni giorno tentava di vivere come se quella lettera non fosse mai esistita, ma sfortunatamente, quello stupido foglio intriso di inchiostro esisteva, insieme al suo contenuto. 
Ormai passava ogni attimo a lambiccarsi per trovare le parole giuste per parlare a Diana di quella lettera che come un tarlo si nutriva di ogni suo pensiero. 

Anche in quel momento, mentre si trovava accanto alle rovine del vecchio castello che si specchiava nel lago a poca distanza dal cottage dei McKinnon, con le mani affondate nella tasca della felpa, sentiva il peso tagliente del foglio contro i polpastrelli. Lo portava sempre con sè per evitare che Diana potesse trovarlo.
- Ti ho cercato dappertutto! - George apparve alle sue spalle sollevato e con il fiato corto.
- Volevo uscire un po’ da quella casa - ammise Fred con le dita che continuavano a tormentare l’angolo del foglio nascosto nella tasca.
- Già - concordò George sedendosi sopra a un masso e respirando a pieni polmoni - Diana sembra quasi di buonumore oggi. Pensa che stava addirittura cucinando e chiacchierando con Lee...
- Menomale - Fred buttò lì velocemente una risposta, perchè tutti i suoi pensieri lo impegnavano così tanto da togliergli ogni voglia di conversare.
- Si può sapere che hai? - sbottò di colpo il gemello - puoi darla a bere agli altri, ma non a me. Ti si è annodata la bacchetta?
Fred si passò una mano tra i capelli, indeciso se rivelare o no al fratello quanto avesse scoperto. George lo fissava, in attesa. Lui e suo fratello si erano sempre detti tutto, perciò senza indugiare ulteriormente, estrasse il foglio ormai stropicciato dalla tasca e lo allungò al gemello.
George, con sguardo stranito, prese il foglio e iniziò a leggere. I suoi occhi scorrevano avanti e indietro stringendosi e spalancandosi man mano che continuava la lettura, fino a che abbassò il foglio e puntò lo sguardo incredulo in quello di Fred.
- Lei non lo sa...? - si limitò a domandare George, anche se quello che uscì dalle sue labbra non era un vero e proprio interrogativo.
Fred scosse la testa.
- Ovvio che non lo sa... - George si rispose da solo in un cupo borbottio scalciando un sasso con un piede e restituendo il foglio - Freddie, dovresti...
Il sasso atterrò nell’acqua con un tonfo liquido che riecheggiò tra le vecchie pietre muschiate delle rovine adagiate sul pendio erboso.
- Si, lo so cosa dovrei! - rispose seccamente Fred ripiegando la lettera in tasca - ma non ci riesco!
George lo guardava, ma non sembrava comprenderlo.
- E’ già stata così male - provò a spiegarsi meglio Fred - prima sua madre, poi sua zia... poi suo padre che è tornato e...non me la sento di farla soffrire di nuovo...
George gli mise una mano sulla spalla e lo guardò con espressione comprensiva: - Ma non saresti tu a farla soffrire - puntualizzò.
Fred si limitò a scrollare le spalle contrariato.
- Se non ricordo male, le avevi fatto una promessa... - gli fece notare George.
Fred deglutì a disagio. Era proprio quello ciò che lo faceva stare peggio: l’aver promesso a Diana di non nasconderle nulla.
- Se dovesse scoprirlo - continuò George stringendo le labbra - ti farà nero...
- Lo so - ammise Fred passandosi una mano tra i capelli e scrutando il lago alla ricerca di un suggerimento su come comportarsi - glielo dirò! Devo solo decidere come e quando...
George aprì la bocca per continuare il suo elenco di consigli, ma Fred lo bloccò con un gesto della mano: - Non farti venire l’idea di dirle tu qualcosa o di parlarne con Lee! Lo sai che lui si lascerebbe sicuramente scappare qualcosa!
- No! No! Figurati - riprese George con un lieve sorriso - lascio a te l’onore...
Fred scosse la testa e strinse le labbra, sempre più contrariato, prima di incamminarsi nuovamente verso la casa seguito dal gemello.


                                                                          °°°°°°°°°°°°°


Un pomeriggio piovoso di fine ottobre, Diana stava consultando uno degli innumerevoli volumi dei McKinnon, mentre Fred e George, pigramente, cercavano di fare una partita a scacchi babbani incantati affinchè agissero come quelli magici, senza prestarvi però, particolare impegno.
L’umore dei ragazzi non aveva fatto che peggiorare, logorato dalla noia e dall’inedia. Sicuramente il restare rinchiusi tra quelle quattro mura non aveva giovato né a Fred né a George, i quali si trovavano a loro agio solo affaccendati o con qualche progetto da mettere in atto. 
L’unica valvola di sfogo era quella di punzecchiarsi a vicenda. Fred era diventato di umore ancora più provocatorio e velenoso che mai e non risparmiava frecciatine o battibecchi con nessuno, in particolare con Diana.
George non faceva altro che incalzare Fred con occhiate eloquenti e, non appena si trovavano da soli, si intestardiva continuamente a chiedergli se finalmente avesse parlato con Diana della lettera, innervosendo ancora di più il fratello.
Lee, l’unico che sembrava conservare una parvenza di sanità mentale, stava sfogliando un quotidiano babbano che avevano sgraffignato in paese e che recava un grande titolo che recitava “Ondate di freddo anomalo” mentre più in basso si poteva leggere “Esplosioni e terrore: l’Ira colpisce ancora?”. In fondo alla pagina, invece, c’era un altro articolo intitolato: “Continuano le indagini sulla morte di Diana Spencer, principessa di Galles”.
Ormai anche il mondo babbano si stava rendendo conto che qualcosa di strano stava accadendo.
Per una strana deformazione professionale, quando andavano in missione nei paesi circostanti, Lee non faceva altro che cercare riviste per cercare di tenersi aggiornato su quanto succedeva nel mondo reale.
Lee rimpiazzò il quotidiano con una copia de “Il Cavillo”.
- E quello dove lo hai preso? - domandò Fred indicando la rivista.
- Mmmpf... - mugugnò Lee - sono abbonato, anche se ancora per poco, credo...
- Perchè? - si incuriosì George.
- Quel pazzo di Xeno Lovegood sta proprio dando i numeri - bofonchiò Lee girando le pagine con sdegno - mette in giro la voce che l’incidente a Lady Diana a Parigi sia opera dei Mangiamorte...
Fred emise un sonoro sbuffo che si trasformò in una specie di pernacchia, mentre la sua torre veniva amabilmente distrutta dalla regina di George.
La quotidiana pioggia scozzese sgocciolava sui vetri e il ritmico ticchettio delle gocce d’acqua gli metteva sonnolenza.
- Che noia - sbuffò George sbadigliando e lasciandosi cadere sul divano accanto a Lee.
- Pff - mugugnò Fred lanciando un’occhiata obliqua a Diana che non aveva alzato il naso dalla pagina del libro che stava leggendo. Trovava inquietante il numero di ore che la ragazza passava a leggere, immobile e immersa nel suo mondo. Gli ricordava Hermione ai tempi di Hogwarts, in Sala Comune seppellita da pile di libri quasi più alte di lei, da cui sbucava solo la sua chioma di capelli crespi. Trovava snervante il fatto che Diana dedicasse tanto tempo ai libri senza preoccuparsi di quanto lui si sentisse inutile e ingabbiato tra le mura di quella casa. 
Quindi quando dischiuse le labbra per parlare pregustava già il sapore del veleno che sentiva il bisogno di sputare fuori. Sapeva già ancor prima di parlare che avrebbe sbagliato, ma lo fece comunque.
- Lì fuori c’è una guerra e noi siamo rintanati qui come topi... - soffiò rabbioso tra i denti riponendo la scacchiera su una mensola con un colpo di bacchetta.
Con la coda dell’occhio intravide Diana chiudere con così tanta forza il grande librone che, per un attimo, la sua frangia bionda svolazzò. Dopodiché, la ragazza spazientita, strisciò la sedia con forza per allontanarsi dalla stanza e scese nel seminterrato della vecchia casa sbattendo i piedi con estrema enfasi.
La soddisfazione che Fred aveva provato esternando la sua frustrazione evaporò subito come acqua nel deserto, lasciandolo piú assetato e inappagato di prima.
- DAI, PIXIEEEE! SCUSAMIIII! - gridò Fred rivolto verso l’imbocco delle scale senza muoversi dal divano - NON VOLEVOOOO! CHIEDO UMILMENTE PERDONO!!
- Vai, adesso è il momento! - sibilò George dandogli una gomitata indicando le scale con sguardo eloquente.
- No! Non è affatto il momento! - rispose Fred con un’occhiata altrettanto eloquente -  è già incazzata come un Troll di montagna!
- E di chi è la colpa? - George gli rivolse ironicamente una domanda retorica, guadagnandosi una smorfia come unica risposta.
- Il momento per cosa? - si interessò Lee scocciato alzando lo sguardo dal giornale che ancora teneva tra le mani.
Nè Fred nè George lo degnarono di una risposta, così Lee chiuse definitivamente il giornale sospirando e, prima di seguire Diana al piano di sotto, fece notare: - Vado a sistemare i vostri casini, come sempre...
- Perchè io devo essere sempre messo in mezzo? - si lamentò George, mentre Lee spariva giù dalle scale.
Fred affondò istintivamente la mano nella tasca e ne estrasse la lettera: con sguardo assorto la dispiegò e la rilesse per l’ennesima volta, quasi sperando che con il passare del tempo, l’elegante grafia di Benjamin Murray si fosse trasformata in un semplice resoconto di viaggio.
Purtroppo, le parole ordinate e perfette erano ancora lì, immutate, e recitavano lo stesso identico messaggio.
 
17 luglio 1989

Daniel,
Sai che non sono mai stato d’accordo sul fatto che tu abbia dato il Blackhole a Sarah senza prima aver fatto le dovute ricerche e ora ho la prova che ciò che stai facendo non solo non è sicuro, ma altamente pericoloso.
Ho scoperto che i Blackhole per i maghi sono nocivi: a lungo andare si trasformano in parassiti della magia, si nutrono di essa fino a risucchiarne ogni singola goccia dal mago che lo possiede, insieme alla sua linfa vitale. 
Per questo devi assolutamente riprenderti il Blackhole e toglierlo a Sarah prima che sia troppo tardi! 
Non è un oggetto con cui scherzare! E’ molto più pericoloso di quanto pensassimo! 
So che hai sempre desiderato la magia, ma mettere in pericolo Sarah ne vale davvero la pena? Ragiona, per favore!
Sto iniziando anche a temere che quei malesseri di Sarah di cui mi hai parlato possano essere collegati al Blackhole!
Attendo con ansia tue notizie, sperando vivamente che tu mi dia ascolto!
Cercherò di tornare il prima possibile a Edimburgo!
Ben



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Ciao!
Eccomi tornata a tormentarvi con questa storia :D
Spero che questa lettera finale sia riuscita nell'intento e cioè di dare un senso agli eventi del passato e a fornire altre conoscenze sul Blackhole(nel dettaglio ci sarà poi un capitolo appositamente dedicato, tra non molto....ma siccome questa è anche una love story dovrete sorbirvi anche Diana e Fred! XD)
Fred riuscirà a trovare il coraggio di mostrare la lettera a Diana? E lei come la prenderà?
Fatemi sapere che ne pensate perchè mi ci sono arrovellata abbastanza per cercare di far quadrare tutto!
a presto e grazie a chi legge e commenta!
P.S. Ci troviamo temporalmente tra l'agosto e l'ottobre del 1997 quindi la morte di Diana Spencer mi sembrava un fatto di cronaca decisamente attuale all'epoca!


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Capitolo 35
*** Radio Potter ***


Diana percorreva a passo di marcia lo spazio tra gli scaffali colmi di volumi polverosi, sbuffando sonoramente per la rabbia che sentiva gonfiarsi e dilatarsi nel petto.
L’eco dei suoi passi rimbombava sul pavimento di legno.
Quando Fred sfogava la sua frustrazione in quel modo non riusciva proprio a reggerlo: a nessuno piaceva quella strana situazione di reclusione forzata.
Diana si sentiva già abbastanza in colpa per aver trascinato in quell’avventura i tre ragazzi in un momento in cui ognuno avrebbe dovuto restare accanto alle rispettive famiglie, quindi trovava davvero spiacevole quando Fred, preso dal nervosismo, si lasciava scappare quei commenti che non facevano altro che accrescere il clima di tensione già ad alti livelli.
Restare in quella casa era come rimanere in una bolla lontana dal mondo che deformava la realtà come uno specchio convesso: di qualunque guerra o fatto di cronaca si parlasse, tutto assumeva una dimensione distante e surreale.
Continuò a camminare avanti e indietro con lo sguardo rivolto verso l’alto alla schiera di volumi perfettamente impilati quasi fino al soffitto cercando di calmarsi.

Quella vecchia biblioteca polverosa e stantia era diventata quasi subito la sua stanza preferita dell’intera casa.
L’odore di carta stampata che i vecchi libri emanavano le ricordava tremendamente il negozio Harvey e, di conseguenza, zia Karen. Le sembrava quasi di poterla vedere muoversi tra quegli scaffali e allungarsi in punta di piedi per raggiungere gli scaffali più alti anche senza l’uso della scala, come aveva sempre fatto.
Una fitta di nostalgia le si impigliò in un imprecisato punto tra la gola e il petto: avrebbe dato qualsiasi cosa per riabbracciare zia Karen e parlare con lei dei mille dubbi e interrogativi che la attanagliavano.
Si fermò accanto allo sgangherato pianoforte a coda: ne accarezzò il legno scuro che una volta doveva essere stato lucido e poi le sue dita scivolarono distrattamente a pigiare un paio di tasti, giusto per riempire il denso silenzio che permeava la stanza.
Inevitabilmente, le note gravi dei tasti che rieccheggiavano nel seminterrato le ricordarono Benjamin Murray: non riusciva a non provare un moto di tristezza e amarezza nel ripensare a lui.
Sì, le aveva mentito e Fred era ormai fermamente convinto che fosse invischiato in loschi traffici, eppure una fioca fiammella di tenue speranza baluginava ancora nei pensieri di Diana. Il suo inconscio continuava ad intestardirsi nel credere impossibile il fatto che Ben volesse, in qualche modo, farle del male.
Il pianoforte era l’unico oggetto che Benjamin aveva portato con sè una volta trasferitosi a vivere all’appartamento sopra al negozio Harvey e, su consiglio della stessa Diana, lo aveva collocato accanto alla finestra del soggiorno, proprio alle spalle del divano color senape. 
Se chiudeva gli occhi le sembrava ancora di trovarsi lá, affondata nella poltrona a bere una tazza di the con Antares sulle ginocchia, con le dita di Ben che si muovevano rapide sui tasti per suonare una melodia.
Ricordava perfettamente una delle prime sere che lei e Ben avevano passato sotto lo stesso tetto: lei chiusa nella sua camera, arrabbiata con il mondo e con quel semi estraneo con cui era costretta a dividere la sua vita. 
Poi lui si era messo a suonare e allora, come un topolino incantato da un magico flauto, Diana era uscita dalla sua stanza per accoccolarsi sul divano, cullata dalle note di Rocketman. E anche se fino a quel momento si erano forse scambiati si e no quattro parole, Ben aveva alzato la testa dai tasti bianchi e neri per incrociare il suo sguardo. Diana aveva sentito le labbra stirarsi involontariamente in un sorriso, mentre le note della canzone scioglievano lentamente l’avversione che provava per lui.
Solo il ripensare a quel momento di pace, riuscì ad attutire il suo risentimento nei confronti di Fred.
Sospirò.
In un momento come quello, avrebbe fatto carte false per avere un’amica con cui parlare e confidarsi. Aileen doveva essere preoccupata e arrabbiata per la sua ennesima fuga: una volta tornata a Edimburgo, avrebbe dovuto fare nuovamente i conti con lei e scegliere quale bugia propinare all’amica per tirarsi fuori indenne dalle domande che sicuramente sarebbero sorte spontanee.

Le urla di Fred che si scusava dal piano di sopra la costrinsero a riaprire gli occhi e a ripiombare bruscamente nella realtà.
Il pensiero di Ben, di Aileen, di zia Karen e persino di Antares, le aveva stretto il petto in una morsa malinconica, stemperando sempre di più la rabbia nei confronti di Fred. 
Si mordicchiò il labbro inferiore nel constatare che il clima di tensione causato dall’obbligata convivenza aveva influito negativamente sugli umori di tutti; il suo stato d’animo, inoltre, era di certo peggiorato anche a causa degli incubi che ormai le facevano visita incessantemente.
Aveva anche smesso di dormire insieme a Fred per evitare che lui si accorgesse dei suoi continui risvegli nel cuore della notte o del suo sonno perennemente agitato.
L’incubo delle mani insanguinate, infatti, si era riproposto altre volte e, insieme a lui, si era fatto frequente un altro sogno.
Non riusciva a mettere a fuoco un luogo preciso nè qualcuno accanto a lei, ma tutto ciò che ricordava era la presenza di un alone fatto di energia e luce azzurognola che si dipanava da ogni cellula del suo corpo, formicolando e stridendo in un famigliare ronzio che si faceva largo sotto la sua pelle bruciandola di dolore, fino a esplodere con la stessa potenza con cui aveva colpito i due funzionari del Ministero.
Una volta che quell’esplosione era terminata, lasciandola senza fiato e con il cuore galoppante, non aveva avuto nemmeno il tempo di godersi la fine di quel supplizio che le erano sfilate davanti agli occhi immagini raccapriccianti: Lee, George e Fred riversi al suolo, apparentemente privi di vita. 
La consapevolezza di essere stata lei, insieme a quel suo strano e imbizzarito potere ad aver provocato quell’orrore, l’aveva risvegliata di colpo lasciandola tremante e ansante a domandarsi che cosa le stesse accadendo.
Probabilmente, l’incubo era solo la proiezione dei suoi timori, la paura di perdere le poche persone a cui teneva, in particolare Fred, eppure, si era sentita così atterrita all’idea di poter anche inconsciamente fare del male a qualcuno da essersi progressivamente allontanata dal ragazzo, che invece doveva aver accolto quel distacco in tutt’altro modo, visto l’umore velenoso che ormai sfoggiava in qualsiasi momento. Fred non doveva aver compreso nulla di tutti i pensieri che vorticavano nella mente di Diana, ma si era malamente adeguato alla freddezza a cui la ragazza lo aveva relegato.

Leggeri tonfi di passi echeggiavano dalle scale di legno, ma non potevano appartenere a Fred, che di solito aveva ben poca delicatezza e scendeva i gradini così velocemente che Diana si stupiva ogni volta di come riuscisse a rimanere in piedi. Se avesse sceso lei i gradini quattro alla volta, come minimo, sarebbe ruzzolata per una rampa intera rompendosi qualche osso.
- Ehi - il sorriso candido di Lee sbucò tra gli scaffali rivelando il proprietario dei passi uditi poco prima.
- Ehi - gli fece eco lei in tono privo di entusiasmo fingendo di cercare con grande interesse qualcosa su una mensola.
Lee, silenziosamente, si mise ad osservare gli scaffali al suo fianco, come se aspettasse il momento giusto per parlare.
Diana doveva ammettere di essersi subito trovata a suo agio con lui: essendo quello che i maghi chiamavano “Nato Babbano” non gli doveva spiegare ogni modo di dire o espressione colloquiale che utilizzava come, invece, doveva fare con Fred e George. Poteva tranquillamente parlare di film e musica senza che nessuno le chiedesse come si muovessero le figure all’interno dello schermo di un televisore o con quale incantesimo funzionasse un walkman. 
- Non capisco perchè fa così! Nessuno lo costringe a rimanere qui con me!- sbottò Diana in tono tagliente mentre con un dito lisciava il dorso di un libro dalla copertina marrone scuro.
- Lo sai com’è...come siamo - sospirò Lee, cercando di fare da paciere allo stesso modo in cui già si era impegnato in quell’ingrato compito durante le ultime settimane - Grifondoro iperattivi. Se non abbiamo nulla con cui tenerci occupati diventiamo odiosi!
Diana strinse le labbra realizzando che anche lei non era stata propriamente simpatica e affabile da quando si erano nascosti in quel posto.
Lee le diede una leggera gomitata e sorridendo ipotizzò : - Credo si senta solo un po’ trascurato...
Diana trasalì mentre la colpiva la consapevolezza di aver dedicato tutto il suo tempo a scoprire ogni piccolo dettaglio sulla sua famiglia, senza grandi risultati fino a quel momento, se non che suo padre e Ben si scambiavano qualche lettera parlando del Blackhole.
- Sono sicuro che conosci meglio di me il modo più efficace per farlo sfogare... - continuò Lee con un’altra leggera gomitata a cui si aggiunse un tono piuttosto malizioso.
Diana avvampò e distolse prontamente lo sguardo da quello di Lee, farfugliando: - C-cosa? - e poi, con tono eccessivamente acuto, pigolò - ma che dici??
Lee Jordan sbattè un paio di volte le palpebre e poi, incredulo, rimase a bocca aperta.
- Voi due non avete ancora... - si bloccò per fare un gesto eloquente con la mano destra.
Diana scosse con vigore la testa mentre si sentiva sprofondare nella vergogna nell’affrontare quella conversazione.
- Per le mutande di Merlino! - esclamò Lee scandalizzato portandosi una mano al petto come se stesse avendo un attacco di cuore - e perchè no?
- Shhh - Diana cercò di fargli abbassare la voce colpendolo su un braccio e guardandosi intorno furtiva come se si aspettasse che Fred e George potessero sbucare tra uno scaffale di libri e l’altro.
Lee la esortò con lo sguardo a dargli una risposta.
- Stiamo davvero facendo questo discorso? - brontolò Diana coprendosi il volto accaldato con le mani a causa dell’imbarazzo ed evitando di guardare Lee negli occhi.
- Ehi, mica sono tuo padre - rispose ironico Lee, ma siccome Diana aveva allargato le dita ancora posizionate sul proprio volto per fulminare il ragazzo con lo sguardo, corresse subito il tiro - scusa, pessimo paragone! Ma...perchè non vuoi?
- Non è che non voglio - ammise Diana riportando le braccia lungo i fianchi e fissando concentrata il pavimento come se fosse la cosa più interessante del mondo - ma sai com’è, non è che ci siano state poi così tante occasioni! Succede sempre qualcosa e non facciamo altro che fuggire di qua e di là!
- Beh, ora siamo qui e avete praticamente una casa tutta per voi! - cercò di convincerla Lee.
- Si certo, con te e George dietro la porta ad origliare - borbottò Diana rabbrividendo alla sola idea dei due ragazzi muniti di Orecchie Oblunghe e appostati dietro la porta a cercare di intercettare ogni minimo rumore.
Lee scoppiò in una fragorosa risata: - Nonostante questa immagine sia molto realistica, esiste un incantesimo per evitare che si possano sentire i rumori provenienti da una stanza, se è questo che ti preoccupa...
- E perchè non me lo ha mai detto nessuno? - esclamò Diana sgranando gli occhi e irrigidendo la schiena.
- Scusa, sai, ma a volte noi maghi diamo per scontata qualche cosina... - confessò Lee grattandosi la nuca e continuando a ridere dell’espressione improvvisamente interessata di Diana - ma sono sicuro che Fred lo conosce molto bene...
- A volte vi strozzerei... - sibilò Diana minacciosa e poi aggiunse in tono amaro - non voglio sapere perchè Fred lo conosce bene...
Lee le sorrise grattandosi la nuca, a disagio, e probabilmente maledicendosi per essersi lasciato scappare un po’ troppi dettagli che avrebbe fatto meglio a tenere per sè.
- Oh, no non è come pensi! - cercò di rimediare Lee in tono concitato - sai quando provavano i loro prodotti...per non farsi scoprire dalla signora Weasley...
Diana aggrottò le sopracciglia e storse le labbra in un’espressione di sufficienza per soppesare le parole di Lee, che come sempre, faticava a tenere la bocca chiusa.
- E poi, come vedi, ultimamente non è che le cose tra noi due vadano benissimo... - Diana, con aria triste, lanciò un’occhiata verso le scale desiderando che Fred la raggiungesse e sospirò - se ci troviamo all’interno della stessa stanza non facciamo altro che litigare! - prese un libro da uno scaffale e lo strinse al petto.
- Mmh... - mugugnò Lee fingendosi pensieroso prima di aprirsi in una risata sciocca - pensa allora quanto potreste essere focosi in altri momenti...non so se mi spieg-ooouch!
Lee dovette interrompersi perchè Diana gli aveva colpito la spalla con il libro che teneva tra le mani, mentre aveva gli occhi sgranati e le guance di nuovo roventi per i pensieri che, dopo la frase del ragazzo, si erano inevitabilmente affacciati all’anticamera del suo cervello.
- Sembri George - lo rimproverò Diana in tono sibillino e rimettendo a posto il libro, mentre tentava di riacquistare un contegno - a proposito, non farti venire in mente di dire a Fred che abbiamo fatto questo discorso - lo incalzò Diana minacciosa - o mi prenderà in giro fino alla morte!
- Va bene! - promise Lee.
- Ripensandoci... - Diana si accigliò nuovamente - non dirlo neanche a George, perchè lui mi prenderebbe in giro ben oltre la morte!
- Va bene! - ripetè Lee scoppiando a ridere.
Diana deglutì, sperando vivamente che quella conversazione restasse privata, anche se faticava a credere alle promesse di Lee, di cui ormai conosceva molto bene la parlantina senza freni.
Dopo aver affrontato l’iniziale imbarazzo, però, si sentiva rinfrancata dalla chiacchierata e il suo umore era decisamente migliorato, tanto da essersi praticamente dimenticata del piccolo screzio avuto con Fred.
- Quindi Fred è di pessimo umore per quello? - si informò Diana timidamente, ma determinata a scoprire quanto più possibile sullo strano comportamento del suo ragazzo.
Lee scrollò le spalle in modo evasivo: - Può essere... se ci aggiungi il fatto che poi siamo chiusi qua dentro con ben poco da fare! Quando Fred e George si annoiano, sanno diventare parecchio creativi nel dare vita a nuovi passatempi.

Diana soppesò le parole di Lee con estrema serietà e poi, cercando di cambiare argomento disse:
- Devo farti vedere una cosa -  gli indicò un punto in fondo alla vecchia libreria, dove, sopra ad una vecchia cassapanca in legno intarsiato, si trovava una specie di ammasso di cavi polveroso che la ragazza aveva scoperto durante le numerose ore passate in quella stanza.
Lee si avvicinò scrutando prima l’oggetto e poi Diana con aria interrogativa.
Lei spostò una matassa di cavi e arricciò le labbra per soffiare via il pesante strato di polvere in una piccola nuvoletta grigia che fece tossicchiare Lee.
- E’... - chiese lui incredulo e iniziando ad aprirsi in un sorriso.
- Una vecchia radio - terminò Diana per lui sorridendo - pensavo volessi vederla. E’ un pezzo veramente antico e probabilmente di grande valore...
- E’ una signora vecchia radio - esclamò Lee eccitato trascinando una sedia per accomodarsi e avere il viso all’altezza giusta per studiare ogni dettaglio del vecchio oggetto, felice come un bambino la mattina di Natale.
Lee rimase in estasi per parecchio tempo a guardare la radio, sfiorandola con reverenza solo ogni tanto e cercando di ruotare le manopole per accenderla.
- Ci ho già provato... - spiegò mestamente Diana - non funziona, purtroppo!
Lee, con una nuova scintilla nello sguardo, osservò il retro della radio e poi dichiarò con determinazione: - Penso che potrei rimetterla in funzione!
Diana sorrise, felice sia per aver trovato un oggetto che sembrava davvero appassionare il nuovo amico sia per avere la remota possibilità di ascoltare della musica.
- Tutto bene laggiù?? - la voce di Fred li raggiunse da in cima alle scale.
- Arriviamo, gelosone! - gli gridò Lee di rimando scuotendo la testa con un sorriso - non te la ruba nessuno la ragazza!


Così la radio divenne il nuovo passatempo dei ragazzi. 
Più che un passatempo, Lee aveva eletto il rimettere in funzione l’oggetto a sua missione personale. Era sgattaiolato nei paesi vicini a cercare pezzi di ricambio e utensili per portare a termine il proprio progetto e lui, Fred e George passavano ore e ore chini sull’oggetto polveroso armati di cacciaviti, batterie, cavi e spine.
Avevano addirittura trasferito la radio in soggiorno, perchè, secondo Lee, sarebbe stato più semplice agganciarsi alle frequenze radiofoniche.
Fred e George sembravano capire relativamente poco di antenne e microfoni, ma ascoltavano rapiti Lee e si impegnavano per rendersi utili. 
Sicuramente il nuovo intrattenimento aveva contribuito a risollevare gli animi dei tre ragazzi e anche Diana riusciva a sentirsi maggiormente ottimista vedendoli così presi ed entusiasti della nuova occupazione. Era come se le tensioni che si erano addensate tra loro in quelle settimane si fossero dissolte come per magia. 
Come se non fossero mai esistite.
- Papà potrebbe urlare di gioia - esclamò Fred con lo sguardo luccicante e una ditata di polvere sulla guancia, mentre faceva levitare un cacciavite per passarlo a Lee con un po’ troppo entusiasmo, tanto che l’utensile andò a conficcarsi con la punta nella parete opposta.
- Ehii - lo sgridò Lee con un cavo elettrico stretto tra i denti, una pinza nella mano destra e una forbice nell’altra - stavi per cavarmi un occhio! Quante volte devo dirti...
- Niente cacciaviti volanti, Weasley! - terminò la frase George con le mani sui fianchi e lo sguardo minaccioso, in una perfetta imitazione di Lee Jordan che fece ridacchiare Diana, la quale osservava la scena da lontano, nascosta dietro alla copertina di un librone che stava spulciando alla ricerca di informazioni utili.
- Passami il cavo giallo, Fred - ordinò Lee perentorio tendendo la mano verso di lui.
- Eccolo, capo! - Fred eseguì l’ordine portando la mano destra alla fronte nell’imitazione di un saluto militare.
- George, unisci quei cavi!
- Sissignore, ma come facc...ahiaaaa - gridò George con una smorfia di dolore e tenendosi un dito - ho preso la scossa, Jordaaan!
Diana continuava a ridere con il viso nascosto dietro alla copertina del libro.
- Hai preso la scossa, perchè hai messo il cavo lì e non dove ti ho detto! - Lee indicava la maniera corretta di collegare i cavi, mentre sgridava George che si ritraeva spaventato dallo scatenato Jordan. Fred, imperterrito, invece, stava facendo levitare tutti gli utensili sopra alla testa di Lee in una coreografia danzante.
- Oh, andate a farvi un giro - sbottò Lee esasperato schivando con la testa una pinza che stava sfrecciando vicinissima al suo orecchio sinistro e ridendo perchè Fred e George avevano evidentemente raggiunto il loro limite di attenzione per quel giorno.
Fred, congedato da Lee Jordan, raggiunse Diana e sbucò con un’espressione buffa da dietro la copertina del libro che lei stava ancora reggendo verticalmente sul tavolo dicendo: - Ciao Pixie! Il generale Jordan ci ha concesso una pausa!
- Ciao soldato Weasley- lo salutò Diana incapace di trattenere un sorriso - tu non hai preso la scossa?
In tutta risposta, Fred si lanciò a terra agitandosi e contorcendosi, come se fosse stato effettivamente attraversato dalla corrente elettrica, per scoppiare poi a ridere mentre Diana strillava per lo spavento e si precipitava verso di lui.
- Sei un idiota! - lo rimproverò Diana ridendo e tempestandogli il petto di frenetiche sberle - mi hai fatto prendere un colpo!
Dopo che Fred ebbe ricevuto la sua dose quotidiana di rimproveri, Diana domandò: - Ancora non ho capito perchè non l’avete riparata con la magia...
Fred scrollò le spalle: - Lee ha detto che sarebbe stata un’esperienza indimenticabile ripararla come fanno i babbani!
- Ragazzi! - esclamò Lee con gli occhi luccicanti e aria trionfante - ci siamo!
Calò per un attimo un silenzio carico di aspettativa. 
Lee ruotò la manopola della radio, mentre Fred e Diana attraversavano la stanza di corsa e George caracollava verso di loro. 
La radio emise dei suoni scomposti e gracchianti mentre Lee sistemava la frequenza, ma quella che risuonò poco dopo era l’inconfondibile voce di Liam Gallagher.
Fred sollevò Diana tra le braccia per la gioia come per festeggiare una grande vittoria, mentre George riempiva Lee di pugni amichevoli che furono ricambiati da una serie di spintoni altrettanto calorosi.
- Freeed! Mettimi giù! - Diana si strinse alle spalle di Fred mentre lui girava su sè stesso sempre più velocemente, fino a che non perse l’equilibrio e lasciò cadere entrambi sul divano sopra a Lee e George. 
Ridevano tutti e quattro come matti, mentre le note di She’s electric riempivano il soggiorno facendo da sfondo al buonumore ritrovato dopo molte settimane di musi lunghi, tristezza e nervosismo.
Diana e Fred ridevano con le mani che si sfioravano e lo sguardo complice come non succedeva da tempo.
La musica terminò poco dopo per lasciare spazio alla voce nasale di una giornalista che snocciolava in tono annoiato le notizie del giorno riportando, inevitabilmente, tutti quanti alla realtà.
Ovviamente le notizie erano sempre più preoccupanti, anche se provenienti dal mondo babbano.
Le sparizioni di persone aumentavano sempre più e nemmeno la cronaca riusciva a spiegarsene il motivo. Il colpevole ricorrente individuato dall’opinione pubblica era sempre l’IRA, ma era più difficile trovare una spiegazione per quelli che venivano definiti spettacoli pirotecnici fuori controllo che invece, Fred aveva interpretato come duelli tra maghi.
Le ondate di maltempo non preoccupavano più di tanto fino a che un numero spropositato di trombe d’aria distrusse parecchie zone dove secondo Lee abitavano parecchi maghi.
- Se solo anche la gente là fuori potesse divertirsi... -  Fred si lasciò sfuggire un sospiro malinconico ascoltando l’elenco di notizie nefaste della giornata.
Diana, la mano stretta a quella di Fred, sbattè le palpebre mentre un’idea le attraversava la mente.
- Ragazzi, la radio! - sbottò Diana indicando l’oggetto in questione.
Tre paia di occhi la fissarono confusi.
- La radio non si ascolta e basta! Si può usare anche per comunicare!
- Che genio - commentò George guadagnandosi un pugno ben assestato sulla spalla da parte della ragazza.
Fred sgranò gli occhi. Sembrava aver capito ciò che volesse dire Diana.
- Potremo parlare noi! - propose Fred - Lee, si può fare?
- Si certo che si può fare - rispose prontamente Lee grattandosi il mento, assorto - ci servirà un po’ di attrezzatura: microfoni, cuffie... - poi con lo sguardo illuminato dal nuovo progetto aggiunse - Potremmo raccontare le notizie del mondo magico!
- Oppure sollevare soltanto il morale con qualche battuta! - propose Fred con un sorriso - In questo direi che siamo bravi!
Diana non poteva che essere pienamente d’accordo.
- Si e come la chiamiamo? Radio Potter? - domandò George sarcastico.
- Non essere scemo - Lee assestò all’amico un pugno sulla spalla.
- Ehi basta violenza, voi due! - rise George dandosela a gambe e additando Diana e Lee.
- No, Radio Potter è perfetto! - esclamò Diana sorridente e interrompendo le lamentele di George - chi meglio di Harry può essere un simbolo di speranza?
Fred la guardò con un sorriso traboccante di entusiasmo prima di stamparle un bacio sulle labbra.
- E Radio Potter sia - annunciò Fred in modo teatrale allargando le braccia come per presentare un ospite d’onore ad un’immaginaria platea di spettatori.
- Guarda che il nome “Radio Potter” l’ho inventato io, non lei! - protestò George indicando Diana.
- Dai, Georgie, non essere geloso! - lo canzonò Fred abbracciando la ragazza - se ci tieni tanto, dopo bacio anche te!
George si limitò ad omaggiare il gemello con una smorfia disgustata.
Lee stava già scrivendo un elenco di tutto quello di cui avrebbero avuto bisogno per mettere in atto il loro progetto e poco dopo lui e George sparirono in paese per cercare l’attrezzatura più adatta.

Diana e Fred rimasero soli nell’ampio soggiorno illuminato da una rara giornata di sole, ad ascoltare le canzoni susseguirsi una dopo l’altra, inebriati dal sottofondo musicale.
- Sono stata orribile ultimamente... - Diana provò a scusarsi attorcigliando una ciocca di capelli con le dita.
- Solo ultimamente? - chiese Fred ridendo, ma avvolgendo già Diana in un abbraccio.
- Scusa - Diana abbassò lo sguardo al pavimento per un fugace attimo mentre deglutiva sonoramente. 
Tornò ad osservare Fred: i capelli rossi lucenti a causa dei raggi del sole che si diffondevano dall’ampia finestra.
Deglutì di nuovo, mentre sentiva la gola farsi più asciutta nel constatare che fossero soli in quella grande casa.
- Mmhh - mormorò Fred afferrandole la mano che ancora stava tormentando nervosamente la ciocca di capelli - anche io non sono stato proprio di ottimo umore...mi dispiace!
Diana gli sorrise avvertendo l’iniziale imbarazzo appianarsi e svanire lentamente.
Fred, però, non sembrava della stessa idea perchè prese a passarsi una mano tra i capelli, mentre il suo sguardo si posava ovunque fuorchè su Diana.
Lei studiò minuziosamente ogni suo gesto, non potendo evitare di ripensare al discorso avuto con Lee qualche tempo prima. 
Si era inavvertitamente lasciato sfuggire qualcosa a riguardo?
Diana doveva aver assunto un’espressione vacua mentre un vago calore le risaliva dal collo alle guance nell’immaginare che Fred fosse a conoscenza della sua conversazione con Lee.
- Devo dirti una cosa...
La voce di Fred era seria e la riscosse dai suoi pensieri: - Oh...ehm, si? - balbettò lei cercando di riprendersi.
- Ascolta, io non so come dirtelo... - Fred sembrava in difficoltà, mentre dischiudeva le labbra in maniera incerta.
Diana percepì un principio di panico farsi largo dentro di lei all’idea che Fred stesse per affrontare quel discorso e desiderò con tutta sè stessa di soffocare Lee Jordan.
- Senti - lo bloccò con un’urgenza sottolineata anche da un secco gesto della mano - perchè non parliamo più tardi?
Un caldo raggio di luce autunnale fendeva la stanza gettandosi sul divano scuro e riscaldandolo con un morbido tepore.
Fred inarcò un sopracciglio, senza capire, ma prima che potesse fare domande, Diana si era già alzata in piedi per muoversi avanti e indietro per la stanza, irrequieta.
- Dobbiamo sbrigarci a preparare qualcosa per cena! Andiamo di sopra!

Quando Lee e George fecero ritorno, Diana e Fred si trovavano in cucina.
Lei era intenta a mescolare con estrema concentrazione una zuppa dal colore poco invitante, mentre Fred la osservava affaccendarsi con aria perplessa.
Quando la ragazza smise di rimestare la brodaglia, incrociò lo sguardo malizioso di Lee, mentre George squadrava Fred in maniera eccessivamente severa.
Lee aveva una piccola borsa contenente cavi elettrici, trasformatori, batterie e utensili vari e sotto al braccio teneva un paio di quotidiani, invece, George reggeva in mano due grandi buste dall’aria pesante.
- Allora...voi due avete parlato? -  domandò George in tono pungente, mentre appoggiava rumorosamente le due buste sul tavolo.
Diana impallidì all’idea che anche George fosse a conoscenza del famoso discorso e si maledisse interiormente per la ventesima volta in quel pomeriggio per essersi confidata con Lee.
Fortunatamente, Fred lanciò al gemello un’occhiata tagliente che mise fine alle domande, così Diana si spostò per sbirciare il contenuto delle borse: c’erano dei viveri e una grande quantità di alcolici.
Diana si accigliò in un muto interrogativo in direzione di George che si giustificò subito: - Ehi, dobbiamo festeggiare Radio Potter!
- Non è ancora nata Radio Potter - protestò Diana rimarcando il concetto.
- No, è vero - Fred era prontamente intervenuto a dare manforte al fratello - però è nata l’idea, quindi questa potrebbe essere...un’inaugurazione? 
- Un battesimo? - propose Lee con un sorriso a trentadue denti mentre già tirava fuori dalla busta vodka, whisky e vino e alzava le bottiglie verso il cielo come degli ambiti trofei.
- Ti prego - la implorò George a mani giunte - devo ingurgitare una grande quantità di alcool per sopportare le violenze a cui tu e Jordan mi sottoponete costantemente!
Diana scoppiò a ridere spingendo indietro George e guardò i tre ragazzi che per la prima volta dopo tanto tempo sfoggiavano un enorme sorriso e uno sguardo gioioso. Chi era lei per impedire un po’ di sano divertimento?
- Oooh...e va bene! E vada per i festeggiamenti... - parlò con il tono di chi stesse facendo una grande concessione, mentre già due braccia ben note la sollevavano di nuovo in aria, esultanti.


- Pixie! - la voce di Fred era leggermente distorta da una nota alcolica - vieni a vedere!
Lee e Diana si trovavano in cucina a preparare dei panini, la zuppa era stata prontamente messa da parte di fronte a pietanze molto più appetitose.
Quando tornarono in soggiorno, udirono prima una sequenza di ritmici tonfi e poi si trovarono davanti la scena di Fred e George posizionati ai lati della stanza, impegnati in quella che sembrava una partita di tennis.
Al posto delle racchette, però brandivano due padelle.
- Te l’ho detto che la noia li rende creativi... - ridacchiò Lee Jordan osservando l’espressione allibita di Diana.
- Interessante... - riuscì ad articolare Diana prima di scoppiare a ridere - e tutte quelle palline dove le avete prese? - domandò indicando un mucchietto di sfere rosa.
- Sono uova! - spiegò Fred allegro facendo un balzo e allungandosi per ribattere un lancio piuttosto insidioso.
- Trasfigurate perchè non si rompano! - aggiunse fieramente George esibendosi in un complicato tiro di rovescio.
Diana e Lee seguivano con movimenti del capo lo scambio di battute e di lanci tra i due gemelli.
Dopo parecchi tiri, un tonfo diverso dai precedenti bloccò l’improvvisata partita.
- Oh - constatò Fred preso da un attacco di ridarella nel guardare l’uovo rotto e spiaccicato sulla superficie della sua racchetta - mi sa che su qualche uovo la trasfigurazione non è riuscita tanto bene...qualcuno vuole una frittata per cena?
Diana esalò un profondo sospiro di sopportazione di fronte alle risate dei tre ragazzi.

- E se poi con questa storia della radio riuscissero in qualche modo a rintracciarci? - farfugliò Fred molto più tardi, meditabondo e decisamente alticcio, mentre camminava avanti e indietro sul divano con una bottiglia in mano schivando Diana che vi era seduta sopra e lo guardava ridacchiando come se lui stesse facendo qualcosa di estremamente divertente e degno di tutta la sua ammirazione.
- Potremo usare una parola d’ordine! - propose Lee sdraiato sul pavimento con lo sguardo rivolto al soffitto.
- Come quelle della Signora Grassa! - si riscosse George staccando le labbra dal suo bicchiere di carta solo per pronunciare quella frase.
- Non è carino che la chiamiate “Signora Grassa” - commentò Diana arricciando le labbra in una smorfia di disappunto - insomma, se anche è un po’ sovrappeso, non è bello farglielo notare!
- Ma si chiama così! - rispose George ridendo e porgendo a Lee un altro bicchiere pieno, mentre Diana si domandava se nel mondo dei maghi fosse normale chiamarsi in quello strano modo.
Lee avvicinò il bicchiere alle labbra e distorse il viso in una smorfia disgustata.
- George, che cavolo ci hai messo qui dentro?
- Un po’ di questo...un po’ di quello... - alzò le spalle George indicando la fila di bottiglie sul tavolo.
Lee strabuzzò gli occhi: - Guarda che non siamo a Pozioni! Non è che se mischi alcolici a caso il risultato è migliore!
George si limitò a muovere una mano in gesto di noncuranza verso le proteste di Lee.
Fred, che continuava imperterrito la sua maratona sul divano, si fermò improvvisamente colpendo con una ginocchiata la testa di Diana.
- Ahiaaa - si lamentò lei gettandosi sdraiata tragicamente sul divano con il viso coperto dai folti capelli biondi.
Fred franò sopra di lei in una profusione di scuse intervallate da risatine: - Scusa Pixie, non volevo...ahahaha! Dai non ti ho fatto male!
- Si invece! - si lagnò Diana cercando di fingersi offesa, ma faticando a rimanere seria.
Fred le si avvicinò per osservare il punto che erroneamente aveva colpito, appoggiandole una mano sulla guancia - fammi vedere dove ti ho fatto male!
Diana rimase immobile mentre Fred le squadrava con concentrazione una tempia e sbattè le ciglia, attratta da quella vicinanza improvvisa.
Istintivamente si sporse in avanti per baciare Fred e lui si sdraiò praticamente sopra di lei per assecondarla con trasporto.
- Ehm...ehm... - tossicchiò George schiarendosi la voce - noi siamo ancora qui! Così per dire...nel caso non ve lo ricordiate!
Nè Diana nè Fred gli diedero retta.
- George, io ho sonno - sentenziò Lee in tono eloquente alzandosi in piedi di scatto.
- Ma non puoi lasciarmi qui con questi due! - protestò George in tono drammatico.
Diana si staccò da Fred per osservare la scena di Lee che tirava George per un braccio per convincerlo ad andare a letto.
Dopo vari tentativi e proteste, finalmente i due ragazzi sparirono al piano di sopra.

Diana sospirò imbarazzata perchè Fred la osservava con aria furba.
- Andiamo fuori - propose Diana alzandosi rapidamente prendendo con una mano una bottiglia di vino rosso già aperta e con l’altra una pesante coperta che si drappeggiò sulle spalle.
- Ma come fuori? Pixie! - si ribellò Fred rimanendo seduto sul divano e prendendo Diana per i fianchi per riportarla verso di lui nel tentativo di farle cambiare idea - fuori fa freddo!
- Ma smettila! - Diana in una manovra dettata dalla poca lucidità, si infilò la bottiglia di vino aperta di traverso sotto l’ascella per tirare Fred per un braccio fino a farlo alzare in piedi e trascinarlo all’aperto.
- George e Lee sono andati a letto! Siamo soli e tu... - Fred si lamentò rabbrividendo per il freddo una volta che ebbero raggiunto il porticato - tu vuoi uscire!
Diana si avvicinò al corrimano per appoggiarvi sopra la bottiglia e riuscendo, incredibilmente, a non rovesciarne nemmeno una goccia, poi con entrambe le mani si risistemò la pesante coperta fin sopra la testa.
- Ma si sta così bene qui!
- Per forza, tu sei al caldo! - protestò Fred afferrando un lembo di tessuto - prestamene un po’!
Diana si avvolse ancora più a fondo nella coperta e rivolse a Fred uno sguardo innocente sbattendo le ciglia.
- Non fare così - la ammonì Fred in un rauco sussurro.
- Così come? - cinguettò lei in tono frivolo - è la mia normale espressione che ho sempre!
- Sei sempre bellissima! - mormorò Fred prendendola per i fianchi da sotto alla coperta, ancora drappeggiata sulle spalle della ragazza, per avvicinarla a sè.
- E tu sei cieco come una talpa! - Diana rispose con scetticismo al complimento.
- Ci vedo benissimo! E comunque la normale espressione che hai sempre è questa - Fred assunse un’aria severa con le labbra strette e lo sguardo cupo, in quella che doveva essere un’imitazione di Diana.
- Non è vero! - protestò lei colpendolo scherzosamente.
Indietreggiando si avvicinò pericolosamente al corrimano, urtando la bottiglia di vino rosso aperta che cadde rovinosamente sulle assi di legno chiaro del porticato infrangendosi in pezzi, mentre una chiazza scarlatta si allargava colorando il pavimento e attraendo l’attenzione di Diana, che rimase a fissarla, ipnotizzata.
- Che disastro - ridacchiò Fred - vado a prendere la bacchetta e sistemo tutto!
Il ragazzo sparì all’interno dell’abitazione.

Diana rimase a fissare la pozza rossastra con il buonumore che sfumava in una sensazione di disagio, mentre il ricordo del suo incubo ricorrente le si avviluppava con prepotenza alla mente.
Con mani tremanti, si chinò a cercare di raccogliere i vetri rotti per porre rimedio quanto prima a quell’immagine inquietante e spazzarla via il più velocemente possibile da davanti ai suoi occhi.
Un bruciore tagliente al palmo della mano glielo fece voltare verso l’alto, mentre si rendeva conto di essersi stupidamente tagliata con un frammento della bottiglia.
Il palmo era percorso da un piccolo taglio, dal quale il sangue aveva preso a fuoriuscire copioso, sporcandole in fretta la mano.
Un conato di vomito le strinse lo stomaco, mentre la vista sfarfallava di fronte a quei dettagli che non facevano altro che rendere ancor più reale il suo incubo facendole rivivere il medesimo orrore e la stessa paura.
Il respiro si fece più rapido, inseguito immediatamente dal battito del suo cuore, così prepotente da farle fischiare le orecchie in un ronzio ben conosciuto.
Abbassò di nuovo lo sguardo sulla mano insanguinata e tremante, mentre le sembrava di vedere un alone azzurrino scintillare e crepitare intorno ai suoi arti.
Fred tornò sul porticato proprio in quel momento.
- Pixie - la rimproverò lui preoccupato nel vedere il sangue - ma perchè hai toccato i vetri rotti? Con la bacchetta ci avrei messo un attimo!
Diana non rispose, continuando a fissarsi il palmo della mano, pallida e inorridita dal ricordo dell’altro sogno in cui un bagliore azzurro colpiva Fred con violenza.
Lui, ignaro di tutti i pensieri che la tormentavano, agitò la bacchetta: la bottiglia si ricompose e la macchia svanì.
Diana tamponò il sangue con la coperta e farfugliò frettolosamente: - Io...io..vado a dormire! 
Si precipitò di corsa al piano superiore, cercando di calmarsi, ma la sensazione di angoscia la seguì anche mentre si allontanava da Fred per fuggire dal terrore di potergli fare del male.
Quandò spalancò la porta della camera, però, il ragazzo era già all’interno della stanza a braccia conserte ad aspettarla con aria preoccupata.
Diana storse istintivamente il naso fronteggiando la dura realtà nella quale Fred Weasley poteva raggiungere qualsiasi angolo della casa prima di lei utilizzando la materializzazione.
- Che sta succedendo? - chiese lui con aria comprensiva conducendola verso il bagno.
Diana deglutì e poi, con la mano colpita dal getto d’acqua fredda che portava via con sè le ultime tracce di sangue, mormorò: - Fred, credo che tu abbia ragione...forse è arrivato il momento di provare ad utilizzare il potere che il Blackhole ha lasciato su di me..

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Ehilà :)
Sì, lo so in questo capitolo non succede praticamente niente, ma che ci crediate o no, un pochino il canon lo seguo...e va da sè che Radio Potter a un certo punto doveva saltar fuori!
Come al solito i capitoli di passaggio mi mettono ansia (io sto sempre lì a immaginarmi che voi diciate "ma a me di leggere di Fred e George che giocano a padel che mi frega?" XD, ma la mia mente malata a sto giro ha partorito queste cagate e, ahimè, vi tocca sorbirvele XD)
A parte questo, come vedete, Fred ci ha provato a parlare a Diana della lettera, ma lei ha decisamente frainteso -_-' XD
In questo periodo sono super stanca e nonostante abbia riletto almeno cento volte il capitolo, spero di non aver fatto qualche strafalcione !
Alla prossima :)

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Capitolo 36
*** Il primo appuntamento ***


“ Waiting for the end to come
Wishing I had strenght to stand
This is not what I had planned 
It’s out of my control
Flying at the speed of light
Thoughts were spinning in my head
So many things were left unsaid
It’s hard to let you go”
(“Waiting for the end” - Linkin’ Park)



Fred Weasley osservava impaziente il prato incolto e umido che si estendeva intorno a casa McKinnon.
Il piede sinistro tamburellava ritmicamente sul pavimento, in attesa.
Aveva il viso così vicino alla finestra del soggiorno da aver creato una macchia appannata sulla vetrata di fronte a sè.
La sua attenzione, però, non era focalizzata nè sull’erba illuminata da dei tiepidi raggi di sole nè dai rami del grande abete che si innalzava a pochi metri dalla villa, ma era interamente concentrata nel trovare un modo per parlare a Diana della lettera di Benjamin Murray.
Aveva rimandato il momento il più possibile, continuando a fingere di non aver trovato quello stupido pezzo di carta, ma non riusciva a non sentirsi inquieto ed avvilito nel realizzare quanto stesse proseguendo a sbagliare nel tenere la bocca chiusa sulla questione.

- Pixie! - chiamò Fred voltandosi verso le scale che portavano al piano superiore  - sei pronta? Non dobbiamo mica andare a fare una sfilata di moda!
- Arrivoooo - la voce di Diana gli rispose con esasperazione, mentre trotterellava giù dalle scale.
Fred si voltò istintivamente verso il rumore dei passi.

Quel giorno Diana aveva raccolto i capelli in una coda di cavallo che oscillava ancora a destra e a sinistra per la corsa giù dalle scale, portava ripiegato sull’avambraccio un capo d’abbigliamento mentre con una mano tormentava il palmo dell’altra, ancora fasciato con una benda dopo il taglio che si era procurata raccogliendo stupidamente i cocci della bottiglia rotta qualche giorno prima.
Fred le sorrise, mentre una fitta di dispiacere gli affondava nello stomaco all’idea di ciò che si era ripromesso di compiere.
Diana sbuffò scrutando con sdegno il maglione verde brillante nelle proprie mani e poi rivolse un’occhiata a Fred, imbronciandosi.
- Non potevi scegliere un colore più normale? - si lamentò lei.
- Ma se ho scelto questo colore proprio perchè si intona ai tuoi occhi!  - la prese in giro Fred conoscendo ormai l’avversione di Diana per i capi dai colori troppo sgargianti.
Qualche giorno prima, infatti, Fred e George erano andati in missione per recuperare dei capi invernali per tutti, dato che nessuno aveva previsto che si sarebbero fermati così a lungo lontani da casa.
Diana gli scoccò un’occhiata sbieca mentre con aria rassegnata faceva sbucare la testa dal collo del maglione, riducendo la propria acconciatura ad una massa arruffata.
- La tua splendente bellezza illumina comunque ogni angolo di questa casa - continuò Fred con tono ironico, mentre Diana si chinava per infilarsi le scarpe - e..ahia!
Diana gli aveva lanciato addosso una scarponcino.
Lee Jordan salì energicamente dal seminterrato trasportando con l’uso della magia altra attrezzatura utile per Radio Potter, per la quale stavano effettuando le prove generali.
- Bel maglione, Diana! - le sorrise Lee soffocando una risata.
Lei si limitò a guardarlo male da sotto la frangia troppo cresciuta, mentre si risistemava la coda e si chinava a raccogliere lo scarponcino usato come arma.
George raggiunse il soggiorno poco dopo commentando: - Diana, finalmente ti sei messa qualcosa di decente!
Fred ghignò nervosamente, mentre Diana, chinata, stringeva i lacci delle scarpe con un gesto secco.
- Questo lo chiami decente? - sbottò Diana istericamente di fronte alle prese in giro, rimettendosi in piedi e tirando la stoffa del maglione tendendola con eccessivo risentimento - è un colore orrendo! Ho già perso almeno quattro diottrie solo nel guardarmi allo specchio!
- Cos’è che ha perso? - domandò George confuso avvicinando la testa a quella di Fred.
- Non ho capito... - rispose Fred scrollando le spalle con serafica tranquillità, come se Diana non si trovasse in quella stanza con loro - saranno cose babbane che non si ricorda dove ha messo...
Diana roteò gli occhi al cielo.
- Beh, il maglione si può trasfigurare in qualsiasi colore tu voglia... - si intromise Lee con il cipiglio di chi sottolineava un’ovvietà.
Diana, in atteggiamento volutamente intimidatorio, strinse le palpebre voltandosi verso Fred: - Quando ti ho chiesto se tu potessi farlo diventare di un altro colore mi hai detto che non era possibile!
Il ragazzo si stava già sbellicando dalle risate, seguito a ruota dal fratello.
- Freeeeed! - lo rimproverò Diana esasperata.
- Eddai, Pixie! E’ troppo divertente prenderti in giro! 
- Giuro che un giorno o l’altro te la faccio passare io la voglia di prendermi in giro - lo minacciò Diana avvicinandosi risentita con un dito già teso in atteggiamento accusatorio e pericolosamente vicino al naso di Fred.
- Uuuh... - Fred schioccò la lingua dando una gomitata complice al gemello - siamo già alla parte dei rimproveri! E’ quella che preferisc- dovette interrompere la frase a metà perchè Diana si stava già sbracciando mentre saltellava per prenderlo a sberle con tanta energia che Fred fu costretto ad arretrare di qualche passo.
- Andate a fare i piccioncini? - si informò George notando che Fred aveva appena lanciato un Incantesimo di Appello verso la propria giacca.
- Pff, piccioncini... Diana si è decisa a usarmi come cavia per sperimentare il suo potere - spiegò Fred con tranquillità - se non dovessi tornare, almeno sapete il perchè...
George sollevò appena l’angolo delle labbra e rivolse a Fred una pacca sulla spalla: - Ti ho voluto bene...
Fred si finse estremamente addolorato, mentre George gli reggeva il gioco nel fingersi altrettanto distrutto dal dolore.
- Avete mai pensato di fare gli attori? - li schernì Diana, mentre a braccia conserte di fianco a Lee Jordan aspettava la fine di quell’improvvisato teatrino - E comunque io non ti userò come cavia per un bel niente!
Fred si irrigidì staccandosi dal gemello, sporgendo il labbro inferiore in un’espressione mirata a intenerire il cuore di pietra di Diana: - Cosa? Non mi vuoi proprio usare per niente di niente?
- NO! - si indignò Diana di fronte a quell’idea, allacciandosi la giacca.
- Oh...- rispose Fred con tono deluso e poi, con un guizzo allusivo nello sguardo, aggiunse: - che peccato!
- Ciao ragazzi - esclamò Diana con enfasi salutando George e Lee e tirando Fred per la manica del giubbotto - lo porto a fare un giro perchè sta diventando scemo!
- No, tranquilla era già così! - intervenne con noncuranza Lee Jordan già affaccendato intorno alla radio - solo che gli sbavavi troppo addosso per accorgertene!
Diana rivolse a Lee una smorfia, mentre Fred apriva la porta di casa e scambiava una lunga occhiata con George.
Fred non fece nemmeno in tempo ad afferrare la mano di Diana che lei aveva già iniziato a correre su per la collinetta verdeggiante alle spalle di casa McKinnon, ridendo per la gioia di trovarsi all’aria aperta.
Lo sguardo di Fred fu catturato dall’ipnotico movimento della coda bionda che ondeggiava al ritmo della corsa di Diana, sentendo il petto scaldarsi da un buonumore così inappropriato da farlo sentire in colpa.
Dopo qualche metro lei si voltò indietro per guardarlo e per esortarlo a raggiungerla: il viso arrossato con un enorme sorriso e gli occhi verdi luccicanti per l’entusiasmo.
- Muoviti, Weasley! - lo incalzò Diana riprendendo a correre e a ridere.
Fred si incamminò dietro di lei, infilando le mani in tasca e sorridendo amaramente nel sentire una nuova fitta di dolore all’idea di cancellare quel momento di spensieratezza.
 
°°°°°°°°°°°°

Prima di varcare la soglia di casa, Diana aveva colto un fugace ma eloquente scambio di sguardi tra i due gemelli: aveva rinunciato da parecchio tempo a cercare di comprendere quello strano e muto linguaggio allo stesso modo in cui aveva gettato la spugna di fronte al tentativo di mettersi in mezzo a quelle strane conversazioni silenziose dalle quali anche Lee Jordan sembrava essere estraneo.
Aveva indugiato più del solito sulle inusuali espressioni dei due fratelli che non erano sorridenti o progettanti qualche nuovo scherzo, ma particolarmente serie; Fred, nonostante cercasse di mascherarlo, aveva irrigidito le spalle in una posizione che tradiva parecchio nervosismo dopo l’occhiata che George gli aveva rivolto.

Diana e Fred camminavano una accanto all’altro lungo il sentiero che si inerpicava tra la vegetazione.
- Tu ti approfitti sempre della mia ignoranza sulla magia! - si lamentò Diana scherzosamente e pestando i piedi sul terreno più del dovuto a causa del colore del maglione che ancora la infastidiva.
- Ma non è vero! - Fred tentò di rabbonirla avvolgendole un braccio intorno alle spalle per attirarla a sè e rivolgendole uno dei suoi sorrisi beffardi che lasciavano intendere proprio l’opposto di quanto si impegnasse a dichiarare. 
Diana tentò di divincolarsi senza troppa dedizione, fingendosi più offesa di quanto non fosse in realtà  e notando quanto il sorriso di Fred fosse però caratterizzato da una leggera tensione che impediva alla sua solita ironia di dilagare fino al suo sguardo furbo.
Il vento autunnale iniziava a portare con sè aria più fredda che preannunciava l’inverno, ma il sole era ancora tiepido quando non giocava a nascondersi dietro a spesse nubi scure. 
Arrivati in cima alla collina, Fred aveva già il giubbotto ripiegato su un avambraccio, un sorriso vagamente più rilassato e le guance arrossate per la camminata.
- Eccoci! - esclamò Fred indicando a Diana la distesa di acqua scura increspata in grandi cerchi dal soffio del vento.
Quel tratto di lago era circondato da qualche albero chino a specchiarsi nella superficie liquida e da bassi cespugli che iniziavano a perdere le foglie, trasportate inevitabilmente ad appoggiarsi sull’acqua. A fare da sfondo al lago, c’era un ammasso di pietre ingrigite dal tempo e che moltissimi anni primi doveva essere stato un maestoso castello: ora non ne restava che una piccola porzione, ma già così si era investiti da un senso di imponenza e di vertigine che fece subito pensare a Diana a come sarebbe stato suggestivo trovarsi di fronte al maniero al suo massimo splendore.
- Mi dici che ti succede? - domandò Diana curiosa di sapere cosa avesse il potere di scalfire il perenne sorriso di Fred Weasley.
- Hai...insomma avuto altri incubi? - si informò Fred passandosi una mano tra i capelli e scrutando l’orizzonte.

Qualche giorno prima, Diana si era finalmente decisa a parlare con lui del sogno delle mani insanguinate: si era sentita sollevata di un enorme peso nel rivelare almeno una parte dei suoi tormenti, nonostante non avesse trovato il coraggio di affrontare anche l’altro incubo.
Si sentiva colpevole già solo per l’aver sognato l’eventualità di fare del male a Fred da non riuscire a raccogliere le forze per raccontare anche quell’episodio.

- No... - rispose sinceramente Diana sfregando le mani sugli avambracci come per scacciare una sensazione di gelo - però ho sempre lo sgradevole presentimento che mio padre centri qualcosa con quel sogno! Lui non è presente, ma è come se io sapessi che lui c’era... Sembra tutto così vivido che a volte mi sembra di aver vissuto realmente quel momento! E quella strana energia che il Blackhole sembra aver lasciato su di me non fa altro che mettermi inquietudine...
Fred lasciò cadere il giubbotto a terra e si sfregò i palmi delle mani con espressione determinata, mentre abbassava lo sguardo su Diana: - Dai, prova ad usarla su di me!
- E se ti faccio male? - Diana si mordicchiò il labbro inferiore, improvvisamente titubante.
- Con il Blackhole mi hai mai fatto male? - domandò Fred in tono calmo e ragionevole.
Diana scosse la testa: - No, ma era diverso...
- No, era la stessa identica cosa! Dai, fai almeno un tentativo! - la esortò lui con decisione e sfoderando già la bacchetta.
Diana sbuffò, consapevole che quando Fred si metteva in mente qualcosa era impossibile fargli cambiare idea. Chiuse gli occhi borbottando: - Ci provo, ma stai più indietro, per favore! 
Siccome non aveva sentito Fred spostarsi, riaprì gli occhi e, con tono supplichevole, implorò -  Ti prego, Fred! Non voglio farti del male...
Il ragazzo, poco convinto, annuì e si allontanò di qualche passo, in modo che Diana potesse tornare a chiudere nuovamente gli occhi.
Una volta isolata nel buio della sua mente provò a replicare la concentrazione che aveva sempre cercato di allenare con il Blackhole, ma la cosa si rivelò molto più complicata.
Il Blackhole era sempre stato una presenza solida e concreta nella sua mente e nelle sue mani, un qualcosa che poteva afferrare; invece, quel ronzio residuo e impalpabile che il magico oggetto si era lasciato dietro come la scia di una cometa sembrava evaporare sotto al suo immaginario tocco ogniqualvolta si accingesse ad afferrarlo per farlo suo.
Digrignò i denti artigliando la stoffa dei suoi jeans con le unghie per lo sforzo di acciuffare qualcosa di inconsistente ed effimero.
- Succede qualcosa? - si accertò Diana emettendo un sibilo a denti stretti, senza riaprire gli occhi.
- Mmh.. no - rispose Fred assorto - però forse potrei darti un aiutino...
Diana spalancò gli occhi di scatto: - Che cavolo vuoi fare?
- Beh, potrei provare a colpirti con un incantesimo... - azzardò Fred indietreggiando di un passo come se avesse paura che Diana avrebbe potuto aggredirlo per aver osato fare una proposta del genere - uno piccolino...che non fa male!
Diana schioccò la lingua per esprimere flebilmente il proprio dissenso: - Io non so se...
- Con quell’imbecille del Ministero ha funzionato... - continuò Fred sicuro della propria idea - e poi io starò pronto a difendermi!
Diana lo scrutò attentamente, mentre percepiva una sgradevole sensazione di disagio davanti alla potenziale realizzazione di uno dei suoi peggiori incubi.
Fred aveva già la bacchetta puntata verso di lei, in attesa di un cenno di assenso.
Diana osservò la punta legnosa per la prima volta puntata contro di lei.
Deglutì un nodo di incertezza.
- Se va tutto bene non ti succederà nulla - spiegò lui in tono tranquillo - se va male, beh...galleggerai per aria, ma poi ti faccio scendere subito....ok?
Ammutolita, Diana non potè fare altro che annuire, perchè anche se era infinitamente spaventata, era allo stesso tempo dannatamente curiosa di sapere se potesse essere in grado di governare quello strano potere.
- Levicorpus! - la voce di Fred la raggiunse insieme a una strana sensazione di improvvisa leggerezza che le fece provare l’impulso di osservare i propri arti, angosciata dal fatto che potessero essere evaporati come per magia. 
Fortunatamente, le sue braccia e le sue gambe erano ancora al proprio posto.
L’imprecisato sentore di essere più simile a un palloncino che a una persona si dissipò mentre ancora si fissava incredula i palmi delle mani, già pervasi da un famigliare chiarore azzurrino.
Diana sentì il cuore battere a ritmo accelerato per il timore di quello che sarebbe potuto accadere; cercò aiuto con lo sguardo verso Fred che la scrutava con concentrazione, facendole segno di mantenere la calma e spostandosi ancora di qualche passo all’indietro per evitare che lei si agitasse ulteriormente.
Diana esalò un profondo sospiro e si tuffò ad occhi chiusi nella profondità di quel principio di formicolio che aveva preso a risalirle lungo le braccia, le gambe, il busto e il collo, lasciando dietro di sè un calore che sembrava essere fatto di piccole lingue di fuoco.
- Ok, Pixie... - la voce di Fred sembrava più lontana che mai - stai andando bene...credo! Tutto a posto?
Diana aprì gli occhi mentre il suo personale incendio interiore si faceva strada lungo il collo per avvolgerle la testa, tanto da farle bruciare gli occhi.
Quando i suoi occhi incrociarono quelli di Fred, lui si irrigidì, meravigliato: - Ouhhh....
- Che c’è? - domandò Diana con tono intriso di panico, mentre gli occhi avevano preso a lacrimarle e tutto nel suo campo visivo assumeva una sfumatura azzurra e perlacea.
- I tuoi occhi - mormorò Fred impressionato - sono diventati...azzurri e luminosi!
Di fronte a quella rivelazione, Diana percepì la propria concentrazione afflosciarsi come un sacco repentinamente svuotato; le lingue di fuoco si ritrassero fino a sparire come se qualcuno vi avesse gettato addosso una secchiata di acqua gelida.
Diana rimase a fissarsi le mani tremanti ombreggiate ancora da un leggero sfavillio soprannaturale.
- E’ stato fighissimo! - esclamò Fred esprimendo un misto di entusiasmo e apprensione.
- Riproviamo? - domandò Diana con determinazione.
Dopo vari tentativi in cui Diana riuscì a gestire più o meno bene l’ondata di energia provocata dall’incantesimo, la stanchezza cominciò a prendere il sopravvento.

- Direi che per oggi può bastare! Ho bisogno di sedermi... - asserì faticosamente sentendo le ginocchia cedere e asciugandosi il sudore dalla fronte con la manica della giacca.
Si adagiò a terra incurante dell’erba umida e Fred si sedette accanto a lei continuando a scrutarla.
- Sta funzionando esattamente come con il Blackhole... - ragionò il ragazzo ad alta voce - assorbi l’incantesimo e poi ti carichi! Come è possibile?
- Forse è uno degli effetti collaterali... - bofonchiò Diana con la gola secca.
- Cosa? 
- Lupin aveva detto che si poteva instaurare una sorta di connessione con il Blackhole, ma aveva parlato anche di effetti collaterali... - spiegò Diana amaramente portandosi le ginocchia al petto e appoggiandovi sopra il mento, visibilmente preoccupata delle possibili conseguenze.
- Beh, a me sembrano degli effetti collaterali con i controcazzi! - esclamò Fred galvanizzato da quella teoria.
Diana non potè fare a meno di sorridere: - Se tua madre ti sentisse parlare in questo modo!
- Non si stupirebbe neanche più - ridacchiò Fred con aria di chi la sapeva lunga.

Rimasero in silenzio per un po’ ad osservare l’acqua scura e torbida del lago gorgogliare, seduti sul prato, l’uno accanto all’altra.
Fred era tornato a indossare quell’inconsueta espressione di impazienza, mentre iniziava a tamburellare un piede sul terreno.
- Sarà quel famoso mostro? - ruppe il silenzio Fred con un sorriso indicando le bolle che increspavano la superficie del lago.
Diana si limitò a ridacchiare mentre spiegava a Fred che il mostro di Loch Ness era una leggenda.
- Beh, anche i maghi per te erano una leggenda... - puntualizzò Fred fissando l’acqua scura sempre con la medesima aria tesa.
- Vero - ammise Diana cercando di alleggerire quella strana e incomprensibile situazione - ma poi sei arrivato tu....Ci pensi mai a come sarebbe andata se non avessi mai attraversato Victoria Street per dirmi che dei maghi fuori di testa avrebbero cercato di uccidermi? - domandò stringendo le palpebre dato che un raggio di sole aveva eluso una nuvola per illuminarle con insolenza il viso.
Fred rimase stranamente in silenzio e deglutì. Diana poteva vedere il suo pomo d’Adamo muoversi su e giù, a disagio.
- Certo che ci ho pensato - rispose lui a bassa voce appoggiando i gomiti sulle ginocchia con una desueta rassegnazione.
- Probabilmente sarei morta - constatò Diana amaramente con un brivido che le percorreva la schiena nel ricordare l’attacco al negozio Harvey da cui si erano salvati per un pelo.
- Oppure i Mangiamorte avrebbero semplicemente rubato quello che stavano cercando e la vostra vita sarebbe proseguita come se niente fosse accaduto... - Fred parlava in tono monocorde come se rivelasse una cosa che in realtà lo aveva sempre tormentato.
Diana rimase a guardarlo sbigottita.
- Non puoi rimproverarti per questo - lo ammonì Diana in tono severo - quante volte sarei morta senza di te?
Fred sorrise amaramente e rispose a sua volta con una domanda: - E quante volte non avresti rischiato di morire senza di me?
Diana scosse la testa e afferrò una mano di Fred, mentre con un’occhiata severa diceva: - Smettila!
- Non avresti preferito continuare ad uscire con il normalissimo Lyall? - la punzecchiò lui ironico.
- Ma nemmeno per sogno! - sbottò Diana indispettita dal ricordo di quando lei e il barista pensavano ancora che tra loro potesse esserci qualcosa in più dell’amicizia.
Fred alzò gli occhi al cielo sorridendo, mentre Diana si lanciava di peso sopra di lui facendolo ricadere di schiena sul prato con un grugnito.
- Non è che adesso hai paura di me? - Diana sondò il terreno puntellandosi su un gomito per guardare il ragazzo in viso e cercare di capire cosa non andasse.
- Pfff - sbuffò lui in risposta sghignazzando - paura di te? Ma se sei alta quanto uno gnomo!
Diana gonfiò le guance con aria offesa prima di utilizzare un tono di tagliente ironia: - Ti faccio il culo quando mi pare, Freddie!
Fred si morse il labbro inferiore per evitare di ridere di nuovo e rispose con lo stesso tono: - Non vedo l’ora, Pixie!
- Oh, stai zitto... - mormorò lei chinandosi in avanti.
Avvicinò le loro labbra in un bacio, mentre Fred le appoggiava una mano sulla nuca attirandola maggiormente a sè. Le dita del ragazzo, in un attimo, risalirono ad agganciarsi ai capelli raccolti nella coda e a sfilare l’elastico che fino a quel momento li stringeva, facendoli ricadere come un sipario dorato ad incorniciare i loro visi ancora uniti dal bacio sempre più appassionato.

- Non cambierei nulla di tutto quello che abbiamo passato - mormorò Diana poco dopo, mentre riprendeva fiato con la testa appoggiata al petto di Fred, dove poteva distintamente sentire il battito forte e preciso del suo cuore farsi più accelerato dopo le sue parole.
Anche il cuore di Diana martellava con forza le costole, mentre il sangue le rombava nelle orecchie con un ronzio vibrante.
Questa volta il Blackhole non centrava nulla.
Diana era certa che quella fosse solo pura e semplice felicità.
- Non vorresti neanche un normale appuntamento? Una cena come vogliono tutte le ragazze? Fiori, cioccolatini? - la tormentò Fred tornando a sorridere.
- Beh...si, ovvio - ammise Diana giocherellando con uno stelo di erba secca - senza cioccolatini e fiori, però, ti prego!
Fred la osservò senza capire.
Le nuvole si muovevano rapide nel cielo sopra di loro.
- Come minimo, il tuo mazzo di fiori sarebbe incantato da qualche magia e si metterebbe a schizzare acqua da tutte le parti...
- Mi hai dato una nuova idea... - sogghignò Fred divertito da quella prospettiva.
Diana sbuffò una risata: - Non ti ci vedo proprio con cioccolatini e fiori...
Fred inclinò la testa di lato, soppesando le parole di Diana: - No, nemmeno io! Dai - si rianimò pulendosi una mano sporca di terra nel maglione marrone scuro - quando tutto questo sarà finito dove vuoi andare?
Diana rimase un po’ spiazzata dalla domanda e non ebbe subito una risposta pronta. Provò a cambiare discorso, ma Fred era irremovibile come se i programmi che stavano ipotizzando si sarebbero realizzati il giorno successivo.
- Mi raccomando, scegli bene perché deve essere memorabile! - la ammonì Fred.
- Sai...hanno in programma la costruzione di una nuova attrazione a Londra...si chiamerà London Eye e sarà una enorme e altissima ruota panoramica...ecco, vorrei che andassimo lì per il nostro primo appuntamento! Anche se forse ci vorrà un po’ di tempo prima che sia pronta...
- Ok, Pixie, non so esattamente cosa sia una ruota panoramica, ma per me va benissimo! 
Diana rise di gusto per mettersi poi a spiegare in che cosa consistesse l’attrazione.
- E tu, invece? - chiese Diana timidamente - cosa fanno i maghi al primo appuntamento?
Fred scrollò le spalle: - Pff...di solito vanno ad Hogsmeade.
- Cos’è Hogsmeade? - domandò Diana curiosa.
- Un villaggio interamente magico che si trova vicino a Hogwarts! Ci si va in gita! Non è male! C’è Mielandia che è un negozio di dolci, i Tre Manici di Scopa è una specie di pub...ma il mio negozio preferito è sempre stato Zonko! E’ il negozio di scherzi a cui io e George ci siamo ispirati per aprire il nostro... - spiegò Fred con entusiasmo.
Diana sorrise nel sentire parlare di quello strano luogo che per lei sembrava uscito da un libro fantasy.
- Mi piacerebbe andarci! - annunciò Diana appoggiando di nuovo la testa sulla spalla di Fred.
- Ok, allora prima che venga pronta la nostra ruota panoramica, ti porterò a Hogsmeade! - si illuminò Fred.
- Si certo, la stanno giusto costruendo per noi! - ridacchiò Diana e poi tornando seria aggiunse: - Comunque, credo che sia questo il nostro primo appuntamento...
- Immagino di si - concordò Fred - perchè non va bene?
- E’ perfetto - rispose semplicemente Diana accoccolandosi contro di lui, mentre la ronzante felicità tornava a pervaderla.

Rimasero distesi per parecchio tempo a fare progetti intervallando le chiacchiere con dei frequenti baci, a guardare le nuvole assumere forme diverse a causa del vento, incuranti dell’umidità che si stava ormai infittendo, fino a che Fred non si alzò per dirigersi verso la riva del lago.
Diana stava osservando uno stormo di corvi volteggiare intorno all’unica torre del castello rimasta eretta, fantasticando al pensiero di un normale appuntamento come due normali persone, mentre Fred, in piedi sotto i rami di un albero, lanciava pigramente dei sassi nel lago cercando di fare più di un rimbalzo sulla superficie.
Di tanto in tanto lui si voltava per guardarla e sorriderle.
Diana non poteva fare altro che sorridere a sua volta, sentendosi perfettamente in pace con il mondo e continuando a far volare l’immaginazione verso un’improbabile appuntamento a cena con lei e Fred elegantemente vestiti e divisi da un tavolino illuminato da una candela. 
Sarebbe stata davvero una giornata perfetta se non fosse stato per lo strano umore altalenante di Fred: nonostante lo mascherasse piuttosto bene, continuava ad esserci qualcosa di inusuale nel modo in cui osservava Diana, le sorrideva o nel modo in cui sembrava trattenere il fiato prima di parlare.

- Fred, è tutto a posto? - provò a insistere Diana socchiudendo gli occhi per osservare la sagoma del ragazzo di spalle, illuminato dagli obliqui raggi di sole.
Lui si voltò scrollando la testa e stringendo le labbra come se fosse sul punto di confessare una delle sue malefatte.
- C’è una cosa che ti devo dire... - soffiò a fatica il ragazzo guardandosi i piedi e rigirandosi un sasso nella mano con nervosismo.

L’aria si fece improvvisamente più fredda, mentre una nuvola transitava davanti al sole gettando lunghe ombre sul lago. Diana sfregò le mani tra loro per scaldarle, mentre, inspiegabilmente, il suo fiato si condensava in una nuvoletta di vapore davanti ai suoi occhi.
Guardò la scena stranita, perchè era impossibile che improvvisamente facesse così freddo.
Anche Fred rabbrividì guardandosi intorno spaesato, lasciando cadere nel lago anche l’ultimo sasso che ancora teneva tra le dita, il quale rimbalzò con un secco rumore molto diverso dai precedenti tonfi acquosi.
Diana si alzò di scatto e raggiunse Fred che fissava il lago con il viso deformato da una strana smorfia di incredulità e paura.
Il ciottolo era rotolato sulla superficie del lago senza affondare perchè la grande massa d’acqua, ora percorsa da venature chiare e perlacee, si stava trasformando in un’enorme lastra di ghiaccio.
- Ma che sta succedendo? - domandò Diana spaventata stringendosi nelle spalle nel vano tentativo di scaldarsi, anche se il freddo pareva esserle penetrato dentro alle ossa come se si trovasse dentro una cella frigorifera.
- Merda - sibilò Fred, più pallido di quanto Diana lo avesse mai visto e con lo sguardo assottigliato rivolto verso la sponda opposta del lago.
Diana strinse le palpebre per capire cosa lo avesse spaventato, ma la sponda del lago le appariva deserta come lo era stata da quando vi avevano messo piede. 
Nonostante fossero soli, era chiaro che qualcosa stesse accadendo. Sembrava che anche il sole si stesse lentamente spegnendo, mentre il freddo non faceva che aumentare.
Il vento era diventato gelido e sferzante: Diana iniziava a sentire la punta del naso e le guance intorpidite.
Le mani e i piedi le bruciavano per la temperatura che ormai doveva essersi avventurata ben al di sotto dello zero.
Gli steli d’erba cristallizzati dalla brina erano frustati dalle violente folate di vento. 
- Li vedi? - domandò Fred con una cautela simile a quella di chi avesse davanti un animale feroce pronto ad attaccarlo. La bacchetta era stretta nella mano tremante.
- V-vedo cosa? C-cosa dovrei v-vedere? - chiese Diana battendo i denti e guardandosi febbrilmente intorno per capire di che cosa stesse parlando Fred.
Le parole le uscirono a fatica dalle labbra insensibili per il freddo. Continuava a guardarsi intorno, angosciata, domandandosi chi o cosa non riuscisse a vedere, ma l’unico dettaglio che riuscì a cogliere fu un rumore prima flebile e che si faceva via via più intenso, come se qualcosa si stesse avvicinando.
Era una specie di basso respiro metallico, un rantolo soffocato che non fece altro che accrescere la quantità di brividi che già la percorrevano sia per il freddo che per l’inquietudine.
Fred sembrava aver perso l’uso della parola, mentre, immobile e con la bacchetta stretta in mano, fissava intensamente un punto di fronte a sè.
- Fred - provò a dire Diana prendendolo per un braccio - andiamo v... - ma le parole le morirono in gola, perchè oltre al gelo pungente, si sentì lambire la gola e poi lo stomaco e, in breve, ogni parte del corpo da una disperazione senza fine, da una tristezza incolmabile, da un terrore primordiale.
Senza una precisa motivazione, nella sua mente prese forma una domanda.
Perchè preoccuparsi di scappare quando era chiaro che non ci fosse via di fuga?
Il congelato torpore la invase del tutto, mentre le sembrava di non avere più nemmeno una goccia di sangue allo stato liquido all’interno del corpo.
Dato che comunque non era in grado di vedere quella strana cosa invisibile, serrò le palpebre, sempre più impaurita.
Non appena i suoi occhi si chiusero, fu risucchiata dalla visione di una scena sfocata e tremolante.

Davanti a sè aveva una porta aperta per metà: lo spiraglio lasciava intravedere un letto dove Daniel Harvey era chino al capezzale di Sarah McKinnon, sdraiata e morente. Diana tentò di aprire la porta e di entrare, ma la maniglia sembrava allontanarsi sempre di più facendola sbuffare per la frustrazione.
Diana fu come riportata indietro, all’inizio del medesimo corridoio che terminava con la medesima porta socchiusa, ma c’era qualcosa di diverso e famigliare allo stesso tempo. 
Sul pavimento le dava il bentornato la solita macchia di sangue sulla quale scivolava terrorizzata nei suoi incubi.
Diversamente dalle altre volte, però, udì la propria voce agire in totale autonomia e chiamare con tono acuto e infantile: - Papà? Papà, dove sei? 
Poi tutto accadde con la stessa sequenza che già conosceva: le mani insanguinate, la porta che si apriva e un bagliore accecante che la colpiva.


La scena vorticò e mutò in un’altra che, sfortunatamente, Diana conosceva fin troppo bene.

Il soggiorno della Tana quasi distrutto dalle fiamme. 
Zia Karen era riversa a terra, senza vita.
Diana provò lo stesso dolore e la stessa incredulità che erano scaturiti in lei anche la prima volta che aveva vissuto quel momento.
Diana si precipitò verso di lei sentendo le lacrime spingere per uscire, mentre scuoteva il corpo della zia. Come in un incubo, gli occhi di zia Karen presero vita in una sinistra scintilla inquietante, mentre si rimetteva in piedi, come uno zombie, e con lo sguardo tagliente, più morto che vivo, sibilava: - Sei stata tu! E’ solo colpa tua....
- No - mormorò Diana con le mani a coprire la labbra e le lacrime che le rigavano il viso.


La figura di zia Karen si dissolse come per magia e una famigliare luce azzurra invase la scena, facendosi più intensa fino a trasformarsi in un’esplosione abbagliante.
Il penetrante bagliore le fece bruciare gli occhi tanto da farglieli lacrimare e quando riuscì faticosamente ad aprirli tutto ciò che le apparve fu la figura Fred Weasley, pallido, esangue e privo di vita come nei suoi peggiori incubi. Al suo fianco, entrambi senza vita, George e Lee.

Un urlo straziante lacerò il silenzio.
Diana ci mise un po’ a capire che l’urlo proveniva da lei.

Quando riaprì gli occhi si ritrovò riversa sul duro terreno gelato riconoscendo a malapena la riva del lago.
Era madida di sudore gelido, con lo sguardo annebbiato dalle lacrime, le tempie doloranti, la gola in fiamme e il corpo scosso da tremori violenti.
Fred era ancora in piedi, ma barcollante, mentre tentava ancora di respingere quel qualcosa che Diana non riusciva a vedere. 
Una sottile nebbiolina argentea fuoriusciva a piccoli sbuffi dalla bacchetta magica del ragazzo, ma dopo poco si ritraeva svanendo in fili di fumo grigiastri.
- Diana - udì Fred chiamarla con una voce che le giunse attutita come se lei fosse un pesce rosso in un acquario e a dividerli ci fosse una lastra di vetro. 
Fred aveva teso la mano verso di lei.
Diana cercò di puntellarsi con i gomiti al suolo per sfuggire a quell’orrendo buco nero di disperazione che cercava di attrarla e risucchiarla con sè.
Non potevano scappare. 
Diana guardò nuovamente Fred e, come una scossa elettrica, la attraversò la consapevolezza che non sarebbero sopravvissuti. Che sarebbero morti lì. Sopraffatti da qualcosa di invisibile e letale che non erano in grado di fronteggiare.
Era come se da un’enorme e immaginaria clessidra scivolassero sempre più debolmente gli ultimi granelli di sabbia che li avvisavano che il tempo a loro disposizione fosse agli sgoccioli.
- Pixie - sentì nuovamente la voce di Fred chiamarla. La sua mano ora sembrava molto più vicina. Forse se fosse riuscita ad allungare il suo braccio, sarebbe riuscita ad afferrarla. Diana affondò i denti nel labbro inferiore per lo sforzo e spinse il suo braccio verso Fred, dove trovò la mano gelida del ragazzo ad afferrare la sua.
- Aiutami - la pregò lui battendo i denti per lo sforzo e per il freddo - sono troppi...
- Che cosa devo fare? - chiese lei in un flebile sussurro, l’unica voce che era riuscita a tirare fuori, mentre sentiva il risucchio di morte portarla sempre più sull’orlo dell’incoscienza.
Troppi? A che cosa si riferiva Fred?
Anche la sua mente sembrava ormai così ovattata dal freddo da non riuscire più a formulare un pensiero coerente.
- Pensa a un ricordo felice - anche la voce di Fred era poco più di un sussurro ormai.

Un ricordo felice? 
Che senso aveva?
Ne aveva mai avuti? 
In quel momento le sembrava di no.

Sentì le dita di Fred stringersi più forte intorno alle sue, mentre le forze la abbandonavano.

I granelli all’interno del corpo della clessidra erano quasi terminati.

Dipanò a fatica il groviglio disordinato a cui era ridotta la sua memoria. 

Una sera sul divano della Tana a parlare tutta la notte con Fred. 
Un bacio sotto alla quercia nel giardino dei Weasley.
La gioia di quando avevano rimesso in funzione la radio e i sorrisi radiosi di Fred. Di George. Di Lee.
La scena che si era immaginata di lei e Fred che uscivano a cena e poi passeggiavano mano nella mano davanti a una ruota panoramica alta quanto il Big Ben stava sfumando sempre più fino a 
diventare irrealizzabile.

Non aveva senso.
Tutto quanto non aveva più senso, perchè l’oblio era troppo vicino e la morte dietro l’angolo.

Riaprì gli occhi con un sforzo sovrumano e mise a fuoco il volto di Fred. Il viso pallido, il naso arrossato per il freddo, le labbra screpolate dal gelo. Gli occhi scuri erano semichiusi dalle palpebre che si erano fatte pesanti. Anche lui stava per cedere. 
Non era sicuramente il momento adatto, ma Diana si ritrovò a domandarsi se Fred fosse sempre stato così bello o se lo stesse notando solo in quel momento perchè era diventata consapevole del fatto che sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto il suo viso. Le loro dita erano ancora intrecciate, quando dalle labbra della ragazza scivolarono fuori le uniche parole sensate che i suoi pensieri erano riusciti a plasmare.
- Ti amo - mormorò Diana sperando che lui potesse sentirla, perchè se quello doveva essere un addio, non potevano separarsi senza che lui lo sapesse. 
L’espressione sofferente e moribonda di Fred parve distendersi, mentre pronunciava una formula magica e un grosso animale argenteo e poco aggraziato scaturiva con un vigoroso balzo dalla sua bacchetta.
Diana si afflosciò senza forze nell’erba pungente e coperta di brina. 
Si sentiva esausta e con il corpo scosso da tremiti incontrollabili.
Rimase distesa con la guancia appoggiata sull’erba: il prato non era più gelido e duro, ma fangoso e morbido.
Non faceva più così freddo.
Riaprì appena le palpebre e, nonostante la vista sfarfallante, le parve che il magico animale riuscisse a proteggerli aggirandosi loro intorno in una corsa baldanzosa composta di goffi movimenti.
Sarebbe stato bello se fosse riuscito a salvarli.
Una flebile speranza si accese come una tiepida scintilla nel suo petto.
Fred aveva appoggiato la schiena al tronco dell’albero per reggersi in piedi e riprendere fiato.
Il suo sguardo esausto incrociò quello di Diana aprendosi in uno stanco sorriso.
Erano vivi.
Fred era vivo.
Diana esalò un sospiro di sollievo crogiolandosi nel tepore del disgelo provocato dalla scintilla che si era lentamente trasformata in una tenue fiammella.
Poi tutto si fece nebuloso e nero, mentre perdeva i sensi.

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Ehilà!
Vi chiedo scusa per questo ritardo, ma due settimane di trasferta lavorativa hanno messo a dura prova la mia ispirazione!
Come vi avevo accennato, questi capitoli continuano a concentrarsi su Diana e Fred mentre si godono la relativa tranquillità a casa McKinnon; moooolto relativa oserei dire vista la capatina dei Dissennatori 😅, ma questo episodio mi serviva per sbloccare ancora una volta Diana, che ormai lo avrete capito meglio di me, non si dà una mossa a meno che non abbia la strizza XD
Prometto che il prossimo è l'ultimo capitolo del filone romantico!
Grazie a tutte le persone che stanno leggendo e che seguono ancora questa storia! ❤️
A presto!

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Capitolo 37
*** Supernova ***




 "You make me feel
Like my troubled heart is a million miles away
You make me feel
Like I’m drunk on stars and we’re dancing out into space”

( “Celestial” - Ed Sheeran)

- Ti dico che saranno stati una ventina, George! - la voce di Fred trasudava rabbia e stanchezza contemporaneamente.
- Ok ok, ci credo! - sbottò George frettolosamente - il freddo si è sentito fino a qua! 
- Orribile... - commentò Lee con la voce interrotta da quello che sembrava un brivido - ecco il motivo delle ondate di gelo di cui parlavano i giornali...erano loro..
- Ma che cosa diamine ci facevano qui dei Dissennatori? - domandò George in tono preoccupato.

Ancor prima di aprire gli occhi, Diana udì distintamente le voci dei tre ragazzi parlare come se lei non si trovasse a condividere la loro stessa stanza.
Quando si decise a riaprire debolmente gli occhi, l’unica cosa che riuscì faticosamente a mettere a fuoco fu lo schienale in pelle nera del divano del soggiorno. Qualcuno doveva averla avvolta in una pesante coperta che emanava un forte odore di stantio come se fosse rimasta per anni chiusa in un armadio umido.
Nonostante il lieve tepore emanato dal grezzo tessuto, Diana faticava comunque a riacquistare sensibilità a mani e piedi.
Si aggrappò al bracciolo in pelle per sollevarsi e sbirciare appena oltre lo schienale: Fred, George e Lee erano in piedi intorno al tavolo a scrutarsi l’un l’altro con espressioni tormentate e sguardi cupi.
- Potrebbe averli mandati qualcuno...oppure sono semplicemente liberi di nutrirsi senza restrizioni e sono arrivati qui per caso...non lo so...per essere sicuri dovremmo iniziare a difendere il perimetro con degli incantesimi - Fred ragionò in tono grave sedendosi sul bordo più esterno della sedia, come per poter essere pronto a scattare in piedi alla prima evenienza, e sfregando i palmi delle mani l’uno contro l’altro - siamo stati degli idioti a non pensarci prima! Potrebbero tornare...
- Potrebbe raggiungerci anche qualcosa di peggiore dei Dissennatori... - asserì Lee pensieroso e con uno sguardo di chi si preparava al peggio.

Per un attimo, i tre rimasero in silenzio, mentre sui loro visi calava lo spettrale timore di quale altra nuova minaccia avrebbe potuto raggiungerli.
- Ma si può sapere cosa siete andati a fare così lontano da casa? - domandò George al gemello in tono irritato, come se non fosse la prima volta che provasse a estorcergli una risposta.
- Te l’ho già detto! Diana voleva provare il suo potere e poi volevamo stare un po’ da soli... - Fred si strinse nelle spalle.
- Almeno le hai detto quella cosa? - chiese George abbassando la voce ma emettendo un sibilo tagliente.
- Non ne ho avuto il tempo - rispose seccamente Fred stringendo lo sguardo come per concludere velocemente quella discussione.
- Quale cosa? - Lee si inserì nella conversazione - di che state parlando?
Diana aguzzò l’udito e allungò il collo restando in curiosa attesa di carpire qualche dettaglio in più di ciò di cui i ragazzi stavano disquisendo.
- Di niente, Lee - Fred pose fine alle domande con lapidaria perentorietà - non è il momento!
Ci fu una pausa silenziosa in cui Fred e George si fissarono, mentre Lee squadrava prima un gemello e poi l’altro.
Diana sentì una delusione pungente stringerle la gola nel sentirsi esclusa, come Lee, da quella complicità segreta.
- Ok, andiamo a occuparci degli incantesimi difensivi - propose George in un sospiro carico di arrendevolezza incamminandosi verso l’esterno. Lee si voltò per seguirlo e incrociò lo sguardo di Diana che faceva ancora capolino da dietro lo schienale del divano.
- Diana, sei sveglia! - esclamò Lee aprendosi in un sorriso sollevato.

Fred alzò la testa e scattò in piedi. In un attimo era già al suo fianco.
- Come stai? - domandò preoccupato, chinandosi su di lei con un’apprensione degna di Molly Weasley.
- Ho freddo - gracchiò Diana con la gola secca e raggomitolandosi più a fondo nella coperta.
- Anche io - la confortò Fred con un sorriso tirato - è normale...
- Andiamo, Freddie...dobbiamo fare questa cosa ora! - lo incalzò George indicando la porta d’ingresso.
Fred, di malavoglia, stava per alzarsi e seguire il fratello, quando Lee intervenne: - Per gli incantesimi difensivi possiamo iniziare anche in due, George! Fred può raggiungerci più tardi, no?
George rimase a guardare prima il fratello e poi Diana e lentamente, anche se in modo titubante, annuì: - Ok - e si diresse a lunghi passi fuori di casa.
Fred si limitò a fare un cenno di ringraziamento con il capo a Lee, prima che anche lui seguisse George oltre la soglia di casa.
- Vai pure con loro - mormorò Diana a bassa voce - io...io vorrei farmi una doccia calda.
- O..ok - Fred sembrava estremamente a disagio - ti accompagno di sopra - e, avvolgendole un braccio intorno alla vita con un rapido gesto, smaterializzò entrambi sulla soglia del bagno.
Non appena la presa di Fred si allentò, Diana si appoggiò istintivamente allo stipite della porta perchè la testa le girava troppo dopo quel repentino spostamento.
Si sentiva smarrita e infreddolita, mentre le tornavano in mente labili sprazzi di quanto accaduto quel pomeriggio. 
Avvertì un brivido scendere giù per la schiena nel rammentare la sensazione di terrore provata.
Fred la scrutava a labbra strette e con occhiate ansiose che però erano molto abili nel non incrociare il suo sguardo; il ragazzo, infatti, dopo aver appurato che Diana fosse illesa, aveva di nuovo assunto quello strano comportamento che aveva sfoggiato durante l’intera giornata.
- Che cos’era quella cosa invisibile? - chiese lei appoggiando la fronte allo stipite per cercare di bloccare la testa che vorticava, mentre sentiva le gambe trasformarsi in gelatina.
- Erano Dissennatori - spiegò Fred grattandosi la nuca, mentre lo sguardo saettava a destra e a sinistra senza posarsi su Diana - sono...creature orribili. I bab...insomma, i non maghi non possono vederli, ma li percepiscono. Siamo...insomma, ci siamo salvati appena in tempo...ancora poco e...
- E ci avrebbero uccisi - terminò la frase per lui Diana entrando in bagno con passo instabile e lasciandosi cadere, senza forze, seduta sul bordo della vasca da bagno.
- Più o meno... - concesse Fred in un tono sbrigativo di chi non voleva addentrarsi in dettagli molto più lugubri.
Diana si alzò per ruotare il rubinetto della doccia e fece scorrere l’acqua affinchè diventasse calda, poi si sedette nuovamente sul bordo della vasca da bagno rialzando lo sguardo verso Fred che era ancora in piedi a fissare il pavimento con la bacchetta stretta tra le mani.
- Vado a vedere se George e Lee hanno bisogno di me - tagliò corto il ragazzo uscendo dal bagno e chiudendosi la porta alle spalle. 
Forse era solo una sensazione, ma ebbe l’impressione che Fred avesse fretta di allontanarsi da lei.

Diana, tremante come se avesse la febbre alta, si spogliò velocemente e si infilò sotto il getto di acqua calda, sperando che il calore contribuisse a farla sentire meglio e che potesse sciogliere il ghiaccio che sembrava esserle penetrato fino a farle stridere le ossa. 
L’acqua bollente scivolava sui suoi capelli e le incorniciava il viso. 
Si strofinò energicamente il bagnoschiuma sul corpo e lo shampoo nei capelli con l’intenzione di riattivare la circolazione sanguigna e di lavare via le incrostazioni di fango che si era ritrovata nei capelli.
Reclinò la testa all’indietro e chiuse gli occhi godendosi la cascata fumante lambirle le spalle e la schiena.
Improvvisamente, con la velocità di un missile, le scene causate dall’attacco dei Dissennatori si fecero di nuovo vivide dietro alle sue palpebre chiuse, come se le stesse vivendo nuovamente per la prima volta.
Sua madre.
Suo padre
Zia Karen.
L’esplosione azzurra e....Fred.
Aprì di scatto gli occhi, sentendo il respiro appesantirsi e il cuore accelerare il battito.
La doccia e l’intero bagno erano talmente avvolti dal vapore da farle mancare l’aria.
Appoggiò entrambi i palmi delle mani sul vetro appannato con lo sguardo chino sui propri piedi interrogandosi su quanto accaduto e cercando di ritrovare un briciolo di autocontrollo.
Di colpo ruotò il rubinetto interrompendo il flusso d’acqua e, uscendo dalla doccia, agguantò un asciugamano nel quale si avvolse velocemente per la paura di disperdere il poco tepore che era riuscita a immagazzinare.
Anche dopo essersi asciugata i capelli e aver indossato il pesante pigiama di flanella a quadrettoni, non riusciva a scacciare quella sensazione di gelo pungente accompagnata da una tremenda inquietudine causata dalle spaventose e confuse visioni.
Quando zampettò furtiva fuori dal bagno, la casa era stranamente avvolta da un denso silenzio e dalla finestra si intravedeva l’oscurità illuminata dalla luna e punteggiata di stelle.
Non era certa di che ore fossero. 
Non aveva fame, perciò si diresse con passo incerto verso la propria camera da letto chiudendosi la porta alle spalle per infilarsi rapidamente sotto alla pesante trapunta.
Il lucernario situato sul soffitto spiovente della stanza inquadrava una porzione di cielo stellato: Diana aveva scelto quella stanza proprio per quella particolare caratteristica, ma quella sera, nemmeno la compagnia degli astri le era di conforto perchè la sua mente continuava a scivolare involontariamente verso i ricordi di quel pomeriggio.
Oltre alla terrificante esperienza con quei Dissennatori invisibili, non riusciva a mettersi l’animo in pace per l’altalenante comportamento di Fred.
Dopo essersi rigirata più volte sotto alla frusciante trapunta, si alzò per avvicinarsi al camino di pietra per aggiungere un pesante ciocco di legno e ravvivare le pigre braci, sperando che quel gesto potesse infonderle nuovo calore, dato che quello acquisito con la doccia bollente sembrava essersi già volatilizzato.
Rimase inginocchiata sul tappeto logoro in una scomoda posizione a fissare la legna crepitare e sibilare, protendendo le mani verso le fiamme per scaldarsi.

Aveva fatto qualcosa di male che aveva in qualche modo offeso Fred?
Diana sgranò gli occhi a disagio nel ricordare un altro dettaglio di quel pomeriggio.
Si passò convulsamente una mano sul viso con l’intenzione di togliersi di dosso l’imbarazzo.
Gli aveva detto Ti amo ...
Era quello il motivo per cui il ragazzo aveva iniziato ad essere così a disagio?
No. 
Diana rammentò che già da prima Fred sembrava nervoso e inquieto.
Poco prima che arrivassero quei Dissennatori, Fred era stato sul punto di dirle qualcosa e tramite la conversazione origliata in soggiorno era divenuto chiaro il fatto che i due gemelli nascondessero qualcosa che George voleva che Fred le dicesse.
Diana percepì una fitta di dolore, mentre un timore strisciante si faceva largo tra i meandri dei suoi pensieri, nutrendosi voracemente di ogni recondita insicurezza.
Forse Fred voleva lasciarla?
Quella teoria avrebbe spiegato lo strano umore che il ragazzo ultimamente aveva.
E lei cosa aveva fatto? Gli aveva detto che lo amava...
Percepì i lembi di un’astratta ferita aprirsi con un dolore sempre più acuto e bruciante, mentre il timore si faceva sempre più definito e si leccava i baffi nel fagocitare la sua parte più ragionevole, lasciandola in balia di pensieri negativi.
Era ovvio che lui fosse a disagio dopo quelle parole, se la sua intenzione era quella di mettere fine alla loro relazione.
Diana si maledì per essere stata tanto sciocca e per avere abbassato le proprie difese rendendosi vulnerabile.
Come aveva fatto ad essere così idiota da essersi fatta abbindolare così da un bel sorriso, da quegli occhi espressivi, da quel ciuffo di capelli rossi, dalla faccia tosta e dalle battutine ironiche?
Nel rielencare mentalmente tutti quelle qualità di Fred, esalò un sospiro rassegnato perchè, dopo avercela messa tutta per andarci con i piedi di piombo, aveva finito per innamorarsi come una cretina fatta e finita.
Fred si era preso gioco di lei fin dal primo momento in cui si erano conosciuti, quindi magari tutta quella relazione, per lui, era solo un grande e divertente scherzo con cui passare il tempo.
Era stata così ingenua e inesperta da non rendersene conto?
Diana digrignò i denti per la cocente delusione, mentre sentiva crescere un moto di irritazione e frustrazione verso sè stessa e verso la propria ingenuità.
Aveva sempre fatto fatica ad esprimere i propri sentimenti e proprio quando si era decisa a dichiararli apertamente aveva ricevuto solo una sonora porta sbattuta in faccia. Quella fastidiosa sensazione di amarezza bruciava ferocemente di vergogna il suo rimasuglio di orgoglio ferito.
Eppure Fred l’aveva salvata più volte, l’aveva seguita in un’avventura assurda e pericolosa.
Ricordava perfettamente lo sguardo del ragazzo tormentato dalla preoccupazione al rientro al negozio TiriVispi Weasley dopo la lotta con i Mangiamorte su Shaftesbury Avenue.
Non sembrava lo sguardo di chi volesse solo scherzare...

La porta alle sue spalle si aprì lentamente in uno scricchiolio interrompendo quelle controproducenti torture mentali alle quali Diana si stava auto sottoponendo.
- Ah, sei qui - mormorò Fred in tono spossato e per niente sorpreso, entrando e chiudendo la porta dietro di sè.
Diana si voltò impercettibilmente a guardarlo: aveva il naso e le guance arrossate dal freddo come chi aveva passato parecchio tempo all’aperto e lei dovette adoperare molta concentrazione per evitare di soffermarsi sul fatto che anche così lo trovasse così maledettamente Fred Weasley da doversi trattenere dall’alzarsi, correre tra le sue braccia e baciarlo.
- Ma quanta legna hai messo nel camino? - domandò Fred accaldato infilando un dito nel collo del maglione per allargarlo - sembra di entrare dentro un calderone!
- Io sto gelando - dichiarò tetramente Diana distogliendo lo sguardo per tornare a osservare le fiamme.
Le guance le bruciavano per la vergogna della dichiarazione di quel pomeriggio, mentre sentiva lo stomaco contorcersi per l’angoscia.
Fred si avvicinò cautamente al camino.
L’attenzione di Diana fu catturata dal movimento del ragazzo che si sfilava il maglione, rivelando parte del suo addome pallido.
Diana si morse un labbro con determinazione e tornò frettolosamente a fissare le fiamme con tanta dedizione da sentire gli occhi bruciare per il calore, mentre Fred si risistemava la maglietta bianca a mezze maniche, lanciava il maglione sul letto e si sedeva a gambe incrociate accanto a lei.
Avrebbe dovuto essere arrabbiata con lui e invece non poteva fare a meno di pendere dalle sue labbra come una tredicenne.
Si arrischiò a concedergli una fugace occhiata e rimase incantata dai bagliori che il fuoco gettava sui capelli rossi del ragazzo.
Avrebbe dovuto sentirsi offesa o ferita? Arrabbiata?
Fred si passò una mano tra i capelli e Diana non fu più certa di niente.
 - Abbiamo controllato tutti i dintorni. Se ne sono andati... - spiegò lui.
Diana annuì tentando di aggrapparsi alla propria volontà di ferro per non vacillare ulteriormente.
- Sei sicura di avere freddo? - domandò Fred in tono ingenuo sporgendosi in avanti e inclinando la testa per osservarle il viso - hai le guance così rosse...
- Si! No! Cioè, sto bene, grazie! - rispose Diana mentre le parole dai significati opposti si accavallavano le une sulle altre in un ridicolo tentativo di mantenere una parvenza di sanità mentale.
Sto bene, grazie
Poteva dire una frase più deficiente di quella?
Fred corrugò la fronte, confuso e protese una mano verso il suo viso per appoggiargliela sulla fronte:      
 - Sicura che non ti stai ammalando?
Diana si ritrasse istintivamente mentre sentiva il cuore batterle furiosamente nel petto e si indignò: - Non fare finta che ti importi di me!
Fred parve ancora più confuso di prima: - Pixie, ma che stai dicendo?
- Pixie, ma che stai dicendo? - lo scimmiottò Diana con una smorfia provocatoria - guarda che non sono mica nata ieri! Ti sei divertito a prendermi in giro per tutto questo tempo?
- Ma io... - Fred, frastornato, tentò di contraddirla, ma Diana riprese a correre come un treno ad alta velocità.
- Ma tu... un bel niente! Oggi quei Dissennatori mi hanno fatto vedere delle cose! Delle cose orribili! E poi era tutto così freddo, così senza speranza che io...io...pensavo che saremmo morti! 
Fred continuava a scrutarla aprendo e richiudendo la bocca cercando il momento opportuno per parlare.
- E io ci sono cascata come una deficiente! - Diana sentiva l’irritazione crescere ad ogni parola - Pixie di qua...Pixie di là! Sei bellissima, non posso stare senza di te...! Aaah, ma come cavolo ho fatto a crederti!?
- Pixie...
- Sono una cretina! Una deficiente! Una...
- Pixie...
- Prova a chiamarmi così un’altra volta e ti strappo la lingua! - lo minacciò Diana con un’occhiata truce.
Inspiegabilmente, Fred contrasse le labbra in un sorriso e le appoggiò entrambe le mani sulle spalle.
- Tu sai che stai dicendo cose senza senso, vero? - chiese Fred divertito.
- Ma come ti permetti?  - Diana si divincolò ancora più irritata da quella reazione.
- Diana, che succede? Perchè sei così agitata?
- Perchè ho capito cosa mi volevi dire - sbottò Diana velocemente, perchè forse era meglio mettere fine quanto prima a quella lenta tortura.
Fred si irrigidì e impallidì assumendo, d’un tratto, un’espressione colpevole: - Tu...hai capito? C-cosa?
- Che mi vuoi lasciare! - mormorò Diana abbassando lo sguardo sulle proprie mani intrecciate che si tormentavano convulsamente.
Fred si rilassò emettendo un lungo sospiro; sbattè le palpebre, perplesso, e con un gesto separò le mani di Diana che ancora si torturavano.
- Ora ti puoi calmare e mi vuoi dire da dove ti sono uscite tutte queste sciocchezze? - continuò Fred parlandole lentamente come se fosse una bambina di tre anni un po’ dura di comprendonio.
Diana si sentì sprofondare nell’imbarazzo per quell’impulsiva scenata isterica. D’un tratto la stoffa del tappeto si era fatta tanto interessante da catturare il suo sguardo. 
Avevano vissuto un’esperienza terribile con i Dissennatori e lei si stava comportando come una bambina capricciosa.
 - Scusa...io, beh io oggi ti ho detto che ti amo e...se per te non è così fa niente, va bene lo stesso! Non c’è bisogno che ti comporti così e mi allontani! Ho corso troppo! Non avrei dovuto...
Fred buttò fuori l’aria dal naso in un sospiro e poi scoppiò a ridere rivolgendo lo sguardo al soffitto.
Una sberla lo colpì sulla nuca.
Ma perchè doveva sempre ridere? E soprattutto perchè era così maledettamente bello mentre lo faceva?
- Ahia!
- Se ridi un’altra volta di me ti strappo i capelli!
- Sì, però, non si può fare niente o mi strappi parti del corpo! Ti sembra una cosa tenera da dire al tuo ragazzo? - si lamentò lui massaggiandosi la nuca con una smorfia dolorante.
Diana lo scrutò con astio.
- Perchè devi ridere di ogni cosa? - chiese Diana spazientita.
- Non è colpa mia se sei buffa! - si giustificò prontamente Fred con una scrollata di spalle.
- Ti sembra una cosa tenera da dire alla tua ragazza? - Diana gli fece eco con un tono carico di acidità.
Il ragazzo si limitò a ridacchiare sommessamente, coprendosi la bocca con una mano in un vano tentativo di nascondersi.
Diana sbuffò roteando gli occhi al cielo per l’impossibilità di dare un senso a quella conversazione.

- Fred, ho avuto davvero paura che oggi...- Diana rabbrividì nel ricordare il gelo, la sensazione di disperazione e di terrore provocate dai Dissennatori.
- Pensi davvero che io ti voglia lasciare? - la interruppe lui con determinazione, sciogliendo le gambe incrociate e distendendone una sul pavimento, mentre l’altra rimase rannicchiata contro il corpo.
L’espressione perennemente beffarda di Fred si era addolcita in uno sguardo tenero.
Qualcosa dentro lo stomaco di Diana si agitò in maniera convulsa mentre sentiva capitolare la poca forza di volontà che era riuscita a racimolare.
Diana strisciò con piccoli movimenti le ginocchia sul tappeto per avvicinarsi a Fred, tenendo il fondoschiena appoggiato sui propri talloni.
- Spererei di no - confessò Diana a disagio - ma sì, ho avuto paura che tu mi volessi lasciare...
- Non ci ho mai pensato nemmeno per un secondo - rispose prontamente Fred protendendosi in avanti.
Diana percepì il proprio cuore mancare un battito prima di riprendere a martellare contro la gabbia toracica.
- Davvero? - Diana soffiò quella domanda puntellandosi sulle ginocchia e staccando il fondoschiena dai talloni per ergersi al di sopra di Fred, che fu costretto a inclinare la testa verso l’alto per guardarla, mentre lei gli allacciava le braccia intorno al collo.
Lui annuì con un sorriso e con lo sguardo totalmente rapito da Diana; sollevò un braccio per accarezzarle una guancia e affondare la mano tra i capelli biondi, facendoli sfilare tra le dita per tutta la lunghezza, abbandonandoli per far scivolare la mano sul fianco della ragazza.
- Sei bellissima - mormorò lui continuando a fissarla intensamente.
Diana fu percorsa da un tremito, mentre il cuore minacciava di bucarle il petto.
La paura provata quel pomeriggio si stava lentamente affievolendo lasciando dietro di sè uno strascico di turbinante trepidazione.
- Fred, ho addosso un pigiama di flanella che non è nemmeno della mia taglia - rispose Diana cercando di stemperare l’imbarazzo e l’ansia con dell’ironico scetticismo mentre lui le cingeva i fianchi per attirarla a sè.
- Potresti sempre togliertelo... - propose Fred in tono allusivo giocherellando con i primi bottoni della casacca del pigiama di lei e finendo per sbottonare il primo.
Diana si accorse di aver trattenuto il fiato.
Fred aveva ragione: in quella stanza iniziava davvero a fare molto caldo.
Diana emise un sospiro vibrante e subito si affrettò ad inspirare. 
Probabilmente non riusciva a ragionare perchè non c’era abbastanza ossigeno da respirare in quella stanza dal clima tropicale.
Con audacia, Fred si avventurò a slacciare anche il secondo bottone, sorridendo con malizia come se si aspettasse di essere fermato da un momento all’altro.
Totalmente in preda ad una magnetica attrazione, invece, Diana si protese in avanti per baciarlo con urgenza, mentre tutto il suo sangue sembrava andare in ebollizione e convergere verso il centro del suo corpo come per placare il tormento interiore provocato dalle visioni dei Dissennatori.
Fred emise un grugnito di soddisfazione, mentre Diana lo spingeva all’indietro e finivano entrambi sdraiati sul tappeto.
Le loro labbra si erano presto dischiuse e le loro lingue si cercavano furiose per unirsi in una danza appassionata.
Le mani di Fred percorrevano instancabili il corpo della ragazza che premeva sopra al suo.

- Pixie - riuscì a dire lui a fatica tra un bacio e l’altro - possiamo spostarci sul letto?
Diana, con il fiato corto, si ritrasse cercando di risistemarsi nervosamente i capelli spettinati e sfiorandosi le labbra arrossate, ma annuì, desiderosa di riprendere quanto interrotto come se ogni impetuoso bacio fosse in grado di allontanare sempre di più il terrore che ancora le annodava il petto.
Come se l’amore potesse in qualche modo ergersi vittorioso al di sopra della morte e della disperazione.
Fred si alzò tenendola per mano e guidandola verso il letto, lentamente, come se un gesto improvviso avesse potuto interrompere la magia di quel momento.
Si lasciò cadere seduto sul letto e attirò nuovamente Diana a sè.
Lei si mordicchiò il labbro inferiore, mentre nel goffo tentativo di sistemarsi febbrilmente i capelli, la casacca abbondante del pigiama scivolava di lato lasciando una pallida spalla scoperta.
Fred avvertì un improvviso guizzo di eccitazione attraversarlo nel rendersi conto che non ci fossero nient’altro che dei leggeri lembi di stoffa a separare i loro corpi.
In un attimo, entrambi cedettero nuovamente alla frenesia che li aveva completamente carpiti poco prima. Diana, totalmente annebbiata dal desiderio, stava dimenticando ogni dubbio, ogni interrogativo e ogni timore e si era arrampicata sul letto per finire a cavalcioni sopra a Fred, che, ancora seduto, assecondava ogni suo movimento invitandola a spingersi oltre.
Una mano si era insinuata sul fianco della ragazza, al di sotto del pigiama, mentre l’altra continuava, imperterrita e frettolosa a slacciare i rimanenti bottoni.
Non appena anche l’ultimo bottone fu slacciato, Fred percepì Diana trattenere il respiro, allora lui allungò la mano verso il letto per afferrare la bacchetta e spegnere la luce, lasciando come unica fonte luminosa quella delle fiamme che crepitavano nel camino dall’altra parte della stanza.
La penombra li avvolse.
Mentre le lingue di fuoco gettavano ombre lunghe sulle pareti spoglie, Fred stava per liberarsi di nuovo della bacchetta, quando Diana, con un improvviso movimento, chiuse la propria mano intorno a quella di lui che reggeva ancora l’arma.
Lo sguardo impaziente di Fred si fece confuso. 
- Puoi-chiudere-la-porta-e-fare-quell’-incantesimo-per-non-fare-sentire-i-rumori? 
Diana aveva posto l’interrogativo parlando velocemente e senza nemmeno riprendere fiato, come se se ne vergognasse terribilmente.
Fred si limitò ad inarcare un sopracciglio e sollevare l’angolo delle labbra con aria furba, prima di eseguire quanto richiesto dalla ragazza.
Diana tese le labbra in un sorriso sentendosi percorsa da un brivido.
Fred lasciò cadere la bacchetta tra le lenzuola e con un gesto deciso si ritrasse per sfilarsi la maglietta bianca.
- Hai ancora freddo? - chiese Fred con una sottile vena d’ironia riappoggiando una mano sul collo di Diana per accarezzarle una guancia con il pollice, mentre il suo sguardo si muoveva rapido tra gli occhi della ragazza e il pigiama slacciato che lasciava intravedere il solco tra i seni.
Lei non riuscì ad emettere nessun suono sensato. La sua voce sembrava essersi annidata in qualche luogo nascosto, mentre i suoi occhi guizzavano timidamente sul corpo di Fred. 
Non ricordava nemmeno più che cosa fosse il freddo. 
Se fosse riuscita a ragionare  si sarebbe imbarazzata fino alla punta dei capelli per la situazione in cui si trovavano, invece, riuscì solo a realizzare che il suo pigiama pareva essersi trasformato in una gravosa armatura di cui non vedeva l’ora di liberarsi.
Mentre Fred, in attesa di una risposta, la spogliava con lo sguardo, lei riuscì solo a scuotere la testa.
Deglutì a vuoto un paio di volte per cercare di ripristinare la salivazione che si era totalmente azzerata.
Il suo cuore era lentamente sprofondato verso il basso e palpitava in una zona ben diversa dal solito, parecchio al di sotto dell’ombelico.
La mano di Fred scivolò agilmente dal collo alla spalla di lei, insinuandosi al di sotto della casacca per sfilarla e lasciarla cadere a terra.
Prima che Diana potesse sentirsi in imbarazzo per l’improvvisa nudità, si ritrovò vestita delle mani di Fred che la accarezzavano, mentre le loro labbra si erano già unite di nuovo.
Diana rabbrividì e non a causa del freddo, mentre sotto al tocco di Fred la sua pelle sbocciava e si ramificava in un’ondata di fremiti che fiorirono presto come i primi germogli primaverili.
Si ritrovò presto distesa con la schiena sul materasso e con le dita affondate tra i capelli fiammeggianti, mentre ogni bacio si faceva sempre più audace.
Fred si divincolò a fatica per far scivolare le labbra più in basso, lungo il collo, la clavicola e sempre più giù verso le curve dei seni.
Diana serrò le palpebre ed emise un gemito involontario, che però ebbe come risultato quello di infiammare ancor di più Fred che risalì repentinamente a riappropriarsi delle sue labbra facendo scontrare volutamente il proprio bacino con quello di Diana che, di riflesso, inarcò la schiena per cercare di placare il turbine rombante che pulsava furiosamente nel suo basso ventre.
A quel punto, Diana non era più certa di essere in sè.
Una mano di Fred le aveva velocemente abbassato i pantaloni, e lei per incoraggiare quel movimento, affondò una mano tra i capelli rossi strattonandoli sulla nuca e morse il labbro di Fred facendogli emettere un gemito, poi gli scostò la testa con la mano sempre ancorata ai suoi capelli per piegargli il collo in modo da riuscire a lasciare una scia di baci alternati a piccoli morsi in quella zona.
Lo sentì sospirare profondamente sotto alle sue labbra fino a che lui non si scostò per guardarla.
I capelli rossi erano arruffati a causa delle mani di Diana che ci si erano più volte infilate e gli occhi brillavano per l’eccitazione.
Dal soffitto, la finestra riversava un freddo baluginio stellare sulla stanza e sulla pelle pallida di Fred.

Gli ultimi indumenti che ancora li dividevano precipitarono in fretta sulle assi del pavimento come stelle cadenti.
Il silenzio pervase la stanza illuminata solo dalle fiamme che scoppiettavano nel camino facendo danzare le loro ombre sulle pareti e conferendogli un aspetto un po’ sinistro. L’unico suono oltre ai rami del grande abete che frusciavano sotto il soffio del vento era quello dei loro respiri.
Diana percepì ogni parte del suo corpo riscaldarsi più di quanto avessero fatto la doccia bollente o il fuoco scoppiettante, mentre sentiva le guance contrarsi in un sorriso involontario e il cuore minacciava di esplodere.
Un ridacchiare eccitato riempì la stanza come vapore, mentre i due ragazzi sparivano al di sotto delle coperte.
I dubbi, le paure, la guerra e il mondo esterno ormai erano solo un’eco lontano. 
Era come se l’intero universo fosse evaporato e si fosse trasformato in quattro pareti e un letto: tutto ciò che per loro, al momento, contava.
Diana lasciò che le loro labbra si separassero per qualche attimo per incatenare i suoi occhi a quelli di Fred, che sopra di lei, si prese un momento per osservare i capelli biondi della ragazza aperti a ventaglio sul cuscino a formare una criniera color grano che gli rammentò l’aureola di un angelo.
Sopra di sè, Diana vedeva il viso di Fred, raggiante e incorniciato dal profilo del lucernario: il suo viso disseminato di lentiggini sfumava e si confondeva nel cielo nero illuminato da una moltitudine di stelle che si stagliava alle sue spalle
Per un fugace attimo, lo sguardo di Fred si velò della stessa tensione di quel pomeriggio, il quale sembrava un momento ormai lontano e surreale.
- Fred... - sussurrò Diana improvvisamente preoccupata, appoggiandogli una mano sul petto - c’era qualcosa che dovevi dirmi?
Lui continuò ad osservarla come affascinato dalla leggera smorfia di angoscia che faceva arricciare il naso della ragazza, dagli occhi verdi che lo fissavano emozionati e intimoriti da sotto le ciglia che si muovevano suadenti e dalle labbra che continuava a torturarsi con i denti come se stesse per essere sottoposta a una terribile prova che la rendeva più nervosa del dovuto.
- Anche io ti amo... - mormorò lui.
In quel momento, Diana si domandò che cosa fosse la paura, il terrore, la morte, la guerra e il mondo reale.
Niente di tutto ciò sembrava reale ad eccezione di loro due.
Si riavvicinarono lentamente, facendo sfiorare i loro nasi.
I pensieri tormentati di Diana erano totalmente sbiaditi grazie alle labbra di Fred che incontrarono di nuovo le sue per poi deviare lungo il suo collo lasciando una scia di baci.
Mentre i loro corpi si fondevano l’uno nell’altro per diventare una cosa sola, Diana pensava solo a quanto le sembrasse assurda la visione dei Dissennatori in cui Fred giaceva al suolo senza vita.
Il ricordo era diventato sfocato e frammentato come un sogno ore dopo il risveglio. 
Irreale di fronte alla sensazione di invincibilità che si propagava splendente da ogni cellula del suo corpo.
Mentre i respiri si inseguivano rapidi, le loro dita si intrecciavano furiosamente contro il materasso, i loro occhi luccicanti, emozionati e ubriachi di gioia, si specchiavano, Diana aveva totalmente dimenticato la sensazione di gelo. Anzi, in quel momento, la stanza era satura del calore proveniente dal camino e dal corpo rovente di Fred premuto contro il suo.

Fred, con la coda dell’occhio, osservava i propri pantaloni malamente abbandonati sul pavimento, come se fossero illuminati da un grande fascio luminoso perchè nella tasca posteriore riposava pigramente quella lettera, che gli toglieva il sonno da giorni e che occupava tutti i suoi pensieri.
Era così felice, in quel momento, da sentire solo vagamente il senso di colpa ghermirgli la nuca e quasi strattonarlo all’indietro. 
Avrebbe dovuto dirglielo.
Avrebbe dovuto trovare il coraggio di farlo prima di quel momento.
Dopo quella dichiarazione d’amore in piena regola non avrebbe dovuto continuare a mentire, ma era giusto rovinare un attimo tanto perfetto e agognato a lungo?
Poi le dita di Diana rimpiazzarono gli artigli del suo rimpianto, attraendolo di nuovo verso di lei. Verso le sue labbra. E fu tremendamente facile abbandonarsi e dimenticare ogni cosa, navigando a vele spiegate verso il piacere e la felicità.

Inizialmente, tutto ciò che Diana aveva percepito era stata una flebile fitta di dolore alimentata anche dalla tensione che non faceva altro che irrigidirla e tenderla come una corda di violino; man mano, però il dolore era lentamente scemato ed era stato rimpiazzato da una sensazione sempre più piacevole.
Ad ogni onda che la travolgeva, Diana sentiva di avvicinarsi un po’ di più alle stelle che li osservavano come mute spettatrici.
Si sentiva ormai così vicina al cielo da poterle afferrare.
Si sentiva così al di fuori di sè da sentirsi più parte di esse che con i piedi per terra. 
Fred continuava a muoversi in lei cercando di registrare mentalmente ogni dettaglio di quella notte, fino a che non sentì il corpo di Diana contrarsi intorno a lui.
Fu allora che Fred si sentì frammentare in mille pezzi come una stella morente che esplodeva in una supernova. 

Molto più tardi, Fred era sdraiato e puntellato su un gomito a reggersi la testa, il viso rischiarato da un sorriso estatico mentre Diana abbandonata sul cuscino studiava il suo sguardo con un enorme sorriso che non accennava ad andarsene, sentendo il proprio corpo galleggiare leggero, le gambe indolenzite e i muscoli piacevolmente tremanti.
Fred affondò la testa nel cuscino e si sdraiò supino, mentre Diana si raggomitolava contro di lui appoggiandogli la testa e una mano sul petto.
- Oggi pomeriggio - esordì Diana di punto in bianco voltandosi appena per guardare Fred in viso - che cos’era quell’animale argentato?
Fred si riscosse a fatica dal piacevole torpore in cui era scivolato, mentre con una mano accarezzava i morbidi capelli di Diana e intanto fissava le fiamme che crepitavano debolmente nel camino.
- Era il mio Patronus - rispose Fred semplicemente - serve per scacciare i Dissennatori.
Con un dito Diana disegnava pigramente dei piccoli cerchi sul suo petto mentre parlavano.
- Che animale era? - domandò Diana con curiosità.
- Una iena*, credo... - spiegò Fred - perchè?
Diana si strinse nelle spalle: - Era buffo!
Fred le appoggiò teneramente un dito sulla punta del naso: - Lo sai che senza di te non sarei riuscito ad evocarlo?
- Pff - sbuffò Diana ricordando ciò che le era stato raccontato in merito a quel particolare incantesimo - non mi sembri uno che possa essere a corto di ricordi felici...
- No, hai ragione - ammise Fred sfiorandole il braccio con una carezza - ma i Dissennatori erano davvero molti e tu mi hai dato una bella spinta!
- Almeno sono stata utile in qualcosa! 
Rimasero in silenzio a contemplarsi e a godersi quel momento, fino a che Fred non arricciò le labbra in un piccolo sorriso.
- E ora perchè ridi? - chiese Diana con rassegnazione.
- Stavo ripensando a quando mi hai minacciato dicendo - cercò di imitare la voce di Diana - il deflorare la mia virtù non ti deve passare nemmeno per l’anticamera del cervello - la frase si spense mentre Fred sogghignava.
- Dai! - Diana scoppiò a ridere smanacciando debolmente verso Fred per farsi giustizia, ma finendo per intrecciare le dita a quelle di lui e per sopprimere le sue risate con un bacio.
- Chi è stato a parlarti del Muffliato? - domandò Fred curioso riferendosi all’incantesimo insonorizzante.
- Non lo saprai mai - Diana ridacchiò mimando il gesto di cucirsi le labbra per custodire il segreto.

Nel cuore della notte, con la schiena di Diana appoggiata sul suo petto e il naso sepolto dai capelli biondi che gli facevano il solletico, Fred riuscì solo assurdamente a pensare che non avrebbe più avuto problemi nel trovare un ricordo felice abbastanza potente per evocare un Patronus.
Invece, fuori dalle mura di casa McKinnon, purtroppo, il mondo reale continuava tristemente ad esistere con tutti i suoi tormenti e la sua malvagità.
La guerra e la paura non riuscivano a scalfire il personale universo che Diana e Fred si erano abilmente costruiti e in cui si erano rifugiati quella notte.
I due ragazzi, ignari e arroccati nel proprio mondo, non potevano sapere che fuori da quelle mura ci fosse una persona che da settimane era sulle loro tracce e che non si sarebbe data per vinta fino a che non avesse stanato il loro nascondiglio.

---------
*Ho cercato nel web e sul Patronus di Fred ho trovato informazioni non del tutto precise, quindi ho scelto quest'opzione che, a parere mio, calza alla perfezione!

Ehilà!
Sopravvissuti/e a questo capitolo? 
Io a stento XD Sinceramente scrivere questo tipo di scene mi è risultato estremamente difficile tanto che per un bel po' ho meditato di eliminarla, ma poi mi sono incaponita a superare questa nuova sfida anche se le scene spicy non le sento affatto nelle mie corde!
Ditemi voi come vi sembra il risultato perchè per il momento questo è davvero il capitolo che mi ha fatto penare più di tutti ahahah
Vabbè a parte ciò, con il prossimo capitolo ci sarà parecchia carne al fuoco e finalmente tanti tanti interrogativi avranno una risposta :)
Se vi va va fatemi sapere i vostri pareri (negativi o positivi, eh...non mi offendo mica!) e intanto grazie a chi continua a seguire la storia!
A presto :)

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Capitolo 38
*** La vera storia di Benjamin Murray ***


Benjamin Murray si trovava nella periferia della Londra babbana.
La luce della sera disegnava lunghe ombre sul selciato, mentre poche vie lo separavano dalla sua meta. 
Diede un’occhiata al suo orologio da polso e, sbuffando, si rese conto che era ancora troppo presto per entrare in azione, così, per ingannare il tempo, cominciò lentamente a camminare in direzione del Bedlam Royal Hospital. Diana gli aveva fatto parecchie domande in merito al ricovero di suo padre ed era assolutamente plausibile che si fosse recata a cercare informazioni presso il vecchio ospedale.
Mentre i suoi piedi incedevano sul marciapiede ancora umido per l’ultimo scroscio di pioggia, si strinse nella giacca.
Nonostante la studiata lentezza con cui si era mosso, arrivò ben presto di fronte al grigio edificio le cui finestre erano ancora illuminate, segnale che le attività, all’interno erano ancora in pieno svolgimento.
Sospirò e lanciò un altro sguardo al quadrante dell’orologio.
Era presto.
Aspettare non sarebbe stato un problema.

Sin da quando era bambino ed era stato smistato nella casa di Serpeverde una volta arrivato a Hogwarts, Benjamin Murray era stato una persona paziente e caparbia.
Era stato paziente e non si era curato di tutti i pregiudizi nascenti riguardo a coloro che vestivano i colori verde e argento.
Aveva studiato e lavorato sodo per scrollarsi di dosso le voci, i sussurri e i pettegolezzi che lo volevano come un seguace dell’Oscuro Signore solo perchè era costretto a dividere le aule, la Sala Comune e il dormitorio con quelli che poi si sarebbero pomposamente fatti chiamare, una volta fuori dalla scuola, Mangiamorte.
Quante volte aveva condiviso il tavolo di pozioni con Barty Crouch Jr e Regulus Black, sentendoli sussurrare cattiverie sui Sanguesporco, mentre lo scrutavano con diffidenza.
Quante volte li aveva sentiti mormorare di sogni di gloria e di un un ideale mondo in cui i babbani erano sottomessi come schiavi. 
Non condivideva le loro arcaiche ideologie sulla purezza del sangue e ammirava certi aspetti della vita babbana, così normale per lui, che aveva in famiglia ben due cugini Maghinò.
Per questo era sempre stato solo e senza amici: nessuno dei suoi altezzosi compagni aveva il coraggio di avvicinarsi a un ragazzino con una tale parentela di dubbia provenienza e tutti si domandavano ancora come avesse fatto a essere smistato nella casa di Serpeverde.
Eppure qualcosa in comune con quei maghi snob ce l’aveva per forza o si sarebbe trovato a dormire in una delle torri più alte del castello e non negli umidi sotterranei sprofondati al di sotto del livello del Lago Nero.
Era ambizioso e l’essere stato messo da parte da tutti aveva fatto scaturire in lui un bruciante desiderio di riscatto. Di dimostrare che lui non era quello che tutti credevano fosse. 
Non era come suo fratello maggiore Robert: lui era un leale e gioviale Tassorosso, generoso, affidabile e sempre pronto a spalleggiare il fratello minore anche quando veniva preso di mira dai compagni di scuola più insolenti.
Benjamin voleva di più. Voleva essere visto per quello che era veramente e non come un qualunque rappresentante della casa di Salazar Serpeverde.
A causa degli interessi e della professione di parte della sua famiglia, era sempre stato appassionato di storia e di archeologia e soprattutto del legame tra la storia magica e quella babbana e di come spesso i due mondi corressero su due binari differenti che finivano per incrociarsi in determinate occasioni storiche.
Per questo, dopo aver conseguito i M.A.G.O., aveva deciso di viaggiare, di lasciarsi alle spalle i preconcetti che lo avevano inseguito per tutti gli anni a Hogwarts e cercare reperti, antichi pezzi intrisi di magia e riconducibili ai grandi eventi della storia babbana e magica che avrebbero testimoniato che lui ce l’aveva fatta a non essere come tutti gli altri.
Tra gli studi che aveva affrontato, alcuni manufatti magici in particolare avevano attirato la sua attenzione, proprio perchè nemmeno il mondo magico ne conosceva a fondo il potere e la storia: i Blackhole.
Erano oggetti leggendari e quasi scomparsi dalla circolazione che non affascivano solo lui, ma erano anche il chiodo fisso di suo cugino, Daniel Harvey.
A maggior ragione, Daniel, essendo un Magonò che non aveva mai accettato del tutto la propria condizione, desiderava con tutto sè stesso trovare un rarissimo Blackhole: si diceva che quei particolari manufatti potessero conferire poteri anche a chi non possedeva la magia, ma nessuno di sua conoscenza ne aveva mai avuto la prova tangibile ed era proprio questo che Benjamin cercava di scoprire.
Benjamin aveva da sempre intrattenuto una fitta corrispondenza con il cugino per informarlo di ciò che man mano scopriva e quando, invece, era stato il cugino a comunicargli di aver finalmente trovato, tramite i suoi traffici di oggetti magici e non, quello che a tutti gli effetti sembrava essere un Blackhole, Ben si era quasi sentito mancare per l’emozione di avere finalmente, potenzialmente, sottomano uno di quei mitici oggetti.
La difficoltà nel trovarli e nel riconoscerli era insita nel fatto che fossero comunissimi oggetti su cui erano stati applicati complicati incantesimi di magia oscura su cui ancora non era riuscito a fare chiarezza. Forse, studiandone uno da vicino, avrebbe potuto finalmente districare il mistero della creazione dei Blackhole ed essere ricordato per sempre come il maggiore studioso della materia. 
Appena aveva potuto, si era recato a Edimburgo per vedere di persona il vecchio orologio da taschino che Daniel gli aveva descritto dettagliatamente per lettera.

[Febbraio 1988]

- Dallo a me, Danny - aveva detto Benjamin prima di partire nuovamente per l’ennesimo viaggio.
- No - aveva risposto di getto Daniel, quasi oltraggiato da quella richiesta e stringendo nel palmo della mano l’orologio, come se fosse un tesoro da custodire gelosamente.
- Ascolta, non ne sappiamo ancora abbastanza - aveva sibilato Benjamin tentando di convincerlo - e se fosse pericoloso?
Daniel aveva scrollato le spalle mentre con aria assente fissava l’orologio nella sua mano.
Una voce femminile li aveva raggiunti dal soggiorno.
- Amore, sei a casa?
- Sì, sono in cucina, tesoro! - aveva esclamato in risposta Daniel alzando la voce per farsi udire dalla moglie.
Sarah McKinnon in Harvey, i corti capelli castani spettinati, un’espressione affaticata e una busta della spesa per ogni mano, era entrata in cucina.
- Ciao Benjamin - lo aveva salutato caldamente appoggiando le buste a terra e sfilandosi il giubbotto.
- Ciao Sarah - aveva risposto Benjamin sforzando un sorriso, ancora teso per la conversazione con il cugino - come stai?
- Bene - aveva sorriso lei sfoderando la bacchetta e iniziando a dirigere latte, yogurt e frutta verso il frigorifero e pane, cereali e biscotti verso la dispensa - starò meglio quando la spesa sarà sistemata, visto che tra cinque minuti devo letteralmente volare a prendere Diana a scuola! - aveva sorriso scherzosamente a Daniel per aggiungere - quello sfaticato di mio marito non mi dà mai una mano!
- Scusa, tesoro! Io e Benjamin ci siamo persi in chiacchiere! 
Sarah aveva abbassato lo sguardo sulla mano di Daniel e incuriosita aveva esclamato: - Che bello questo orologio, Dan! 
Daniel era parso solo vagamente preso in contropiede di fronte a quella frase, ma poi il suo sguardo era stato attraversato da un lampo di consapevolezza.

- Oh, no! - si era lamentato lui con espressione contrita - mi hai scoperto! Era il regalo che volevo farti per il tuo compleanno!
Benjamin aveva assistito, impotente, alla scena allargando gli occhi per cercare di comunicare in silenzio con il cugino, in modo da dissuaderlo in ciò che sembrava aver intenzione di fare.
- Gli ho fatto mettere anche questa catenella in modo che tu lo possa portare come una collana! - aveva continuato Daniel, ormai porgendo l’orologio a Sarah.
Lo sguardo della donna si era illuminato di sincera meraviglia e si era lanciata tra le braccia del marito per scoccargli un bacio sulle labbra come se le avesse regalato un diamante dal valore inestimabile.
Benjamin, contrariato, aveva distolto prontamente lo sguardo.

Sarah, con un sorriso sfavillante, aveva afferrato l’orologio e se lo era infilato al collo, ammirandolo rapita: - Beh, grazie amore per questo regalo in anticipo! Lo adoro!
- Sarah, io... - Benjamin non era riuscito a frenare la lingua senza sapere bene che cosa fare o cosa dire.
Sarah aveva alzato lo sguardo su di lui, in attesa, mentre Daniel, a braccia conserte, inarcava le sopracciglia per capire che cosa avesse intenzione di dire Benjamin.
Benjamin avrebbe tanto voluto gridare che Daniel fosse la più grande carogna mai esistita sulla faccia della terra, perchè sapeva che, una volta regalato il medaglione alla moglie, Benjamin non avrebbe avuto il coraggio di farselo restituire.
- Dimmi, Ben - lo aveva esortato Sarah dolcemente e osservandolo con i suoi grandi occhi color nocciola.
- Oh, beh...allora buon compleanno! - Benjamin le aveva sorriso falsamente.
Sarah lo aveva ringraziato e, felice del suo nuovo regalo, si era diretta a prendere Diana a scuola.
Non appena la donna aveva lasciato la casa, Benjamin si era avventato sul cugino.
- Ma cosa ti viene in mente? - aveva ringhiato minaccioso e a denti stretti, puntandogli un dito contro.
- Ben, tu non capisci - aveva iniziato a dire Daniel allontanando Ben che torreggiava su di lui - ho sentito delle voci a riguardo...
- Quali voci? - Benjamin aveva raddrizzato la schiena, improvvisamente interessato.
- Dicono che il Blackhole possa conferire la magia a chi non ce l’ha! Certo, non è la vostra stessa magia - aveva sospirato Daniel, carico di invidia - ma è qualcosa di potente! E sai come si fa?

Benjamin era rimasto in silenzio, carico di aspettativa, perchè era proprio ciò che stava cercando di scoprire da mesi.
- Il Blackhole instaura una connessione con un mago o una strega - aveva rivelato Daniel con lo sguardo totalmente ammaliato dalla propria sete di potere - e assorbirà una piccola parte della sua magia e poi la conferirà a me quando me lo riprenderò.
Benjamin aveva inarcato un sopracciglio con estremo scetticismo: - E questa dove l’hai sentita?
- In uno dei miei ultimi giri a Notturn Alley - aveva spiegato Daniel in modo evasivo.
- Ti prego, Danny! Non ti metterai a credere alle chiacchiere della gentaglia che bazzica quel quartiere?!
- Se tu non ci vuoi credere, affari tuoi! Intanto, almeno io ho scoperto qualcosa di utile, anche senza andarmene in giro per il mondo! - lo aveva apostrofato in tono tagliente Daniel.
- E allora perchè non lo hai dato a me? - aveva chiesto Benjamin scandalizzato dal fatto che il cugino avesse preferito dare il Blackhole a Sarah, ignara di ogni aspetto di quella storia, piuttosto che a lui.
Daniel aveva riso di quella domanda: - Si, così saresti fuggito con il mio Blackhole! Bel tentativo, Ben, davvero! Ti credi davvero così furbo? Fidati, non lo sei!
Benjamin aveva deglutito il bolo di rabbia che gli si era annodato in gola e aveva stretto le mani a pugno per le parole irrispettose che Daniel gli aveva rivolto.
- E se fosse pericoloso? - aveva domandato Benjamin con sospetto e con la stessa cautela che riservava ad uno scavo archeologico - per Sarah, intendo!

- Ma no - lo aveva rincuorato Daniel con un sorriso compassionevole, come se si stesse preoccupando per niente.
- Non venirmi a dire che non ti avevo avvisato - lo aveva minacciato Benjamin puntando un dito contro il cugino prima di smaterializzarsi fuori dalla stanza e di lasciare la Scozia.


Nonostante gli screzi, la sete di conoscenza di Benjamin era troppo forte per farsi da parte, quindi continuò a intrattenere una fitta corrispondenza con Daniel per rimanere informato sul Blackhole.
Fu proprio grazie alla corrispondenza con Daniel e con Karen che Benjamin venne a conoscenza dei problemi di salute di cui Sarah Harvey aveva iniziato a soffrire. Quello che era sembrato un iniziale malessere passeggero caratterizzato da una profonda stanchezza si era trasformato in pochi mesi in una grave malattia che l’aveva portata ad una precoce e straziante morte.
I medici babbani non erano stati in grado di diagnosticare nessuna patologia e non erano riusciti a dare una spiegazione al quadro clinico della donna che, fino a pochi mesi prima, godeva di ottima salute.
Quando Benjamin tornò a Edimburgo per stare vicino alla sua famiglia, la trovò profondamente cambiata rispetto a quanto ricordasse.
Diana era diventata un’atterrita e insicura ragazzina di undici anni profondamente segnata dalla morte della madre, ignara dell’esistenza del mondo magico e che, non ricevendo la propria lettera per Hogwarts, aveva dimostrato di aver ereditato l’assenza di magia dal padre. 
Daniel era fuori di sè dal dolore: non riusciva a darsi pace per la morte di Sarah e si era trincerato nella sua sofferenza escludendo totalmente la figlia che non riusciva a capire cosa avesse fatto di male per meritarsi un trattamento simile.
Karen e Robert cercavano affannosamente di fare da mediatori, di occuparsi di Diana e di rimettere in piedi Daniel, che scivolava sempre più spesso in atteggiamenti sconvenienti a causa dell’alcool di cui aveva iniziato ad abusare.
Benjamin ricordava esattamente il momento in cui, qualche tempo dopo il funerale di Sarah, fu svegliato nel cuore della notte dal telefono che squillava in maniera persistente. 

[Gennaio 1990]

Le grida sconvolte di sua cugina Karen gli avevano quasi perforato i timpani attraverso il ricevitore telefonico.
Si era smaterializzato sul retro del negozio Harvey in un lampo: nell’ingresso, Karen aveva fatto sedere Diana sul bancone del negozio e le stava tamponando la fronte. Karen si era voltata verso di lui e, solo in quel momento, era riuscito a scorgere Diana: gli occhi verdi erano sbarrati dal terrore, aveva un’espressione vuota e incredula sul viso, le mani e i capelli biondi erano sporchi di sangue e una ferita le solcava il sopracciglio sinistro.
Sentiva il petto abbassarsi e alzarsi velocemente per la foga e la rabbia che iniziava a ribollire dentro di lui.

Karen gli aveva intimato di calmarsi con un rapido gesto della mano per evitare che la ragazzina si spaventasse ulteriormente e gli aveva indicato con un cenno del capo il piano superiore.
Come in un tetro film dell’orrore di cui era lo sfortunato spettatore, Benjamin si era precipitato verso l’appartamento.
Il soggiorno era in perfetto ordine.
Aveva chiamato Daniel, ma nessuno aveva risposto, così si era incamminato lungo il corridoio dove una chiazza di sangue, su cui qualcuno era evidentemente scivolato, gli indicava l’esatta ubicazione del cugino.

Aveva sfoderato la bacchetta e aveva aperto lentamente la porta senza riuscire ad immaginare a cosa si sarebbe trovato di fronte.
Daniel Harvey era accovacciato sul pavimento della sua camera con la testa tra le mani.
Altre chiazze di sangue costellavano il pavimento di legno scuro e, in un angolo c’era il vecchio orologio da taschino, abbandonato a terra come spazzatura. Poco lontano, un vecchio martello rotto gli aveva fatto desumere che Daniel avesse tentato di distruggere il Blackhole, senza riuscirci.
- Sono stato io... - aveva mormorato in un soffio Daniel passandosi una mano sul viso e appoggiandosi debolmente alla parete con la testa.
L’altra mano premeva su una ferita all’addome per cercare di fermare il sangue che scorreva copioso
.
Benjamin, tra le dita del cugino, aveva intravisto un grosso frammento di vetro che era ancora dolorosamente conficcato nella carne: solo allora Benjamin si era reso conto di quanto facesse freddo in quella stanza e che parte della finestra era andata in frantumi.
- Sono stato io... - aveva ripetuto Daniel con la testa che ciondolava.
- Brutto pezzo di merda - era riuscito a sillabare Ben con il petto che si alzava e si abbassava per lo sdegno - che cosa le hai fatto? E’ solo una bambina! Le hai messo le mani addosso?! - non si era nemmeno reso conto di aver sollevato di peso ciò che restava di Daniel per sbatterlo con forza contro il muro.
- No no Ben, non sono stato io... - la voce di Daniel era ormai poco più di un sussurro, mentre le palpebre sfarfallavano e perdeva i sensi.

- Sei un bugiardo del cazzo! Lo hai appena ammesso! - aveva scrollato con forza il cugino, ma quello si era afflosciato a terra, svenuto.
Nel frattempo, Robert aveva varcato la soglia della stanza, trafelato e sconvolto.
Benjamin era immobile come una statua: alternava solo lo sguardo tra le sue mani tremanti, il Blackhole abbandonato sul pavimento e Daniel Harvey disteso sul pavimento.
- Non può restare con Diana e Karen - era riuscito ad articolare Robert con il fiato corto di fronte a quella scena.
- No - aveva risposto Benjamin risoluto, cercando di ragionare sulla cosa migliore da fare e osservando il vecchio orologio con crescente timore.


E così fu Ben a portare Daniel in una centro di recupero per proteggere Diana e Karen.
Quando Daniel, durante il viaggio in ambulanza, aveva ripreso i sensi non aveva fatto altro che ripetere “Non volevo...è stato il Blackhole...”
Non era stato in grado di dire altro e Ben non era sorpreso, perchè sapeva quanto Daniel, da un po’ di tempo a quella parte, facesse uso di sostanze stupefacenti e di alcool.
Quando Benjamin era tornato al negozio, aveva cercato dappertutto il vecchio orologio, senza riuscire a trovarlo e aveva dovuto presto rassegnarsi al fatto che Karen o Robert, ignari, lo avessero per sbaglio venduto insieme ai vari oggetti che si trovavano al negozio Harvey.
Fu semplice abbandonare Daniel in quell’ospedale e dimenticare l’orrore dipinto negli enormi occhi verdi di Diana e di Karen. Robert, empatico per natura, era rimasto con loro, mentre Benjamin era tornato a fuggire e ad immergersi in estenuanti viaggi di lavoro.
Il vedere come Daniel non fosse stato in grado di distruggere il Blackhole aveva acuito il suo desiderio di sapere sempre di più su quell’oggetto così spaventoso e affascinante allo stesso tempo.
Aveva fatto ritorno in Gran Bretagna solo parecchi mesi dopo, su esortazione di Robert, il quale aveva ricevuto comunicazione dall’ospedale in cui si trovava Daniel che il paziente aveva concluso il proprio percorso di riabilitazione ed era perfettamente in salute e idoneo a tornare alla vita quotidiana.


[Novembre 1990]

Benjamin si trovava seduto su una lurida poltroncina in pelle con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani a reggersi il mento, mentre lo sguardo era abbassato sul pavimento immacolato su cui era appoggiato un borsone appositamente incantato con un Incantesimo Estensivo per contenere gli oggetti personali di Daniel Harvey.
La sala d’attesa del Bedlam Royal Hospital era impregnata dello stesso odore di disinfettante che gli aveva artigliato la gola la notte in cui Daniel era stato ricoverato, facendo tornare vividi i ricordi.
Le porte a vetri del reparto si erano aperte e un’infermiera tarchiata dai capelli di un biondo slavato aveva accompagnato da lui Daniel Harvey.
- Ciao Ben - lo aveva salutato il cugino allargandosi in un sorriso incerto.
Portava i capelli corti e la barba curata; aveva perso qualche chilo, ma tutto sommato sembrava essere davvero in salute.
- Ciao - si era costretto a rispondere Benjamin, ma, man mano che Daniel si avvicinava, sentiva crescere il disgusto nei confronti dell’uomo.

Karen si era rifiutata categoricamente di avere di nuovo tra le mura di casa il fratello con il rischio che potesse fare del male a lei o a Diana; dopo una feroce litigata tra lei, Benjamin e Robert, nessuno dei tre si era sentito di addossarsi la responsabilità di occuparsi di lui.
Karen aveva sentenziato che, per quanto la riguardava, per lei il fratello era come morto.
Robert non aveva una vera e propria opinione a riguardo, ma se se ne fosse occupato lui, Daniel avrebbe potuto frequentare il negozio Harvey in qualsiasi momento, ma quell’opzione era fuori discussione.
Benjamin aveva proposto di portare con sè Daniel nei suoi viaggi, in modo da poterlo tenere lontano dal resto della famiglia, ma allo stesso tempo di poter controllare che non finisse nuovamente schiavo delle cattive abitudini in cui era incappato nel periodo precedente al ricovero.

Ma lì, in quella sala d’attesa spoglia e davanti al sorriso di Daniel che sembrava comportarsi come se nulla fosse accaduto, Benjamin aveva repentinamente cambiato idea.
- Venga, signor Murray - l’infermiera bionda lo aveva invitato ad avvicinarsi a una scrivania - deve mettere un paio di firme per le dimissioni.
Benjamin si era avvicinato al modulo che la donna gli stava indicando e, senza nemmeno prendersi la briga di leggerlo, aveva apposto velocemente la propria firma.
- Molto bene - aveva sorriso l’infermiera - signor Harvey, ci vedremo una volta alla settimana per gli incontri di supporto. Arrivederci.
- Andiamo a casa? - aveva proposto Daniel indicando a Ben l’uscita dell’ospedale.

Benjamin aveva stretto i denti tanto da farsi male e gli aveva fatto strada lungo il corridoio, in silenzio.
- Come stanno Diana e Karen? - aveva domandato Daniel una volta che furono in strada - non vedo l’ora di riabbracciarle...
Benjamin si era bloccato di colpo in mezzo al marciapiede e, sentendo la rabbia risalire, aveva sibilato a denti stretti: - Non le riabbraccerai, Danny.
Il cugino lo aveva guardato: lo sguardo attraversato da un velo di confusione.
- Mentre tu eri in ospedale, ho messo insieme i pezzi e ho fatto altre scoperte! E’ stato il Blackhole a uccidere Sarah! Tu hai sempre saputo che sarebbe potuta andare così! E te ne sei fregato! Che razza di... - la sua voce tremava per il disgusto che sentiva corroderlo da dentro come un acido che scavava un solco profondo nella sua pelle - sei un mostro! Sei...non penserai che io ti permetta di avvicinarti ancora a Diana e a Karen!
Daniel aveva sorriso a disagio, ma era chiaro che Benjamin ci avesse preso in pieno.
- Glielo hai detto? - aveva mormorato Daniel in un filo di voce.
- Non l’ho detto a nessuno! - aveva sbottato Benjamin - e non ho intenzione di farlo a patto che tu sparisca dalla mia vista e te ne stia lontano dalla nostra famiglia! Oppure tutti verranno a sapere che sei un lurido assassino!
- Ma io, dove... - aveva tentato di protestare Daniel smarrito.
- Non mi importa! - aveva sibilato Ben puntando un dito contro Daniel e trascinandolo minacciosamente in un vicolo deserto - non mi importa niente di te! Per quello che vale puoi anche morire e non mi importerebbe niente! E nemmeno a tua sorella importerebbe!
- Ma Diana...
- Diana, per uno strano meccanismo psicologico, non ha ricordi di quella notte ed è meglio che rimanga all’oscuro! Non credi di averla fatta già soffrire abbastanza?
Daniel aveva deglutito, senza sapere cosa dire.
- Sparisci dalle nostre vite se ci tieni alla pelle! E non azzardarti a tornare!- lo aveva minacciato Ben prima di smaterializzarsi e abbandonare il cugino nel bel mezzo della Londra babbana, senza un posto dove andare.


Era stata una scelta crudele ed egoista, Benjamin ne era sempre stato consapevole, ma non voleva ridurre la sua carriera e la sua esistenza a fare da balia a Daniel Harvey.
Aveva ripreso i suoi viaggi per cercare di lasciarsi tutto alle spalle: i drammi, i problemi famigliari.
La ricerca di fonti concrete sui Blackhole lo portò a incrociare il suo cammino con un intelligente studioso che, come lui, era desideroso di mettersi alla prova e di stupire il mondo magico: Quirinus Raptor.
Lo ricordava solo vagamente ai tempi della scuola, quando era solo uno scheletrico Corvonero brufoloso e balbuziente: ora era un giovane e stimato professore con una cattedra di Babbanologia alla scuola di Magia di Hogwarts con la passione smodata per le antiche leggende.
In entrambi ardeva il fuoco della conoscenza e del desiderio di rivalsa nei confronti di chi non faceva altro che sottovalutarli e trattarli come perdenti.
Dopo un sodalizio accademico che provocò in entrambi una reciproca ammirazione, si decisero a mettersi alla ricerca di informazioni sui Blackhole insieme, addentrandosi nelle foreste della penisola balcanica, dove si diceva vivessero i massimi esperti sull’argomento e dove le prima leggende a riguardo avevano visto la luce.
Quello che all’epoca Benjamin Murray non sapeva era che Quirinus Raptor stava solo sfruttando le sue vaste conoscenze per raggiungere il suo vero scopo: trovare ciò che si diceva rimanesse di Lord Voldemort, dopo che Harry Potter, il bambino che era sopravvissuto, inspiegabilmente, lo aveva sconfitto.
Quando, esplorando una sinistra foresta, nel tronco marcio e distrutto di un vecchio albero trovarono annidato un grosso serpente che sembrava molto più intelligente dei suoi simili, Benjamin non si preoccupò più di tanto: nei suoi viaggi si era imbattuto in così tante strane creature, che ben poco riusciva a stupirlo. Iniziò, però, a meravigliarsi, quando la grossa anaconda si rivelò in grado di penetrare nelle loro menti, insinuando in loro immagini confuse che li convinsero ad usare la Legilimanzia sullo strano rettile per saperne di più.
Ciò che Quirinus sospettava sin dall’inizio si rivelò realtà: Lord Voldemort, uno dei maghi più malvagi e potenti del suo tempo, era vivo. Frammentato, moribondo, ridotto a una specie di parassita che doveva aggrapparsi ad altri esseri per sopravvivere, ma vivo. Insieme a quella scoperta, Benjamin ne fece un’altra altrettanto sconvolgente: si vociferava infatti di una strana leggenda per cui Lord Voldemort avrebbe potuto sconfiggere Harry Potter solo con l’aiuto di un babbano che possedesse i poteri del Blackhole.
La gioia di Quirinus era stata incontenibile. Il suo entusiasmo lo aveva portato a figurarsi scenari in cui i due amici trionfanti riformavano l’esercito del Signore Oscuro e venivano acclamati come coloro che lo avevano riportato in vita. Loro due: i reietti, coloro che ai tempi di Hogwarts nessuno degnava di uno sguardo, i perdenti.
Benjamin aveva tentato di metterlo in guardia, di farlo ragionare e convincerlo a riflettere prima di agire, perchè nei suoi vaneggiamenti, Quirinus, somigliava così tanto a Barty e Regulus ai tempi della scuola, da mettergli i brividi.
Quei due vecchi compagni Serpeverde, tra l’altro, non avevano fatto una bella fine: Regulus Black era morto tragicamente in circostanze misteriose, mentre Barty Crouch, come tanti altri Mangiamorte, era rinchiuso ad Azkaban.
Nonostante le iniziali remore, Benjamin non era riuscito a non cedere ai sogni di gloria e di rivalsa promessi da Voldemort. Quirinus bramava talmente tanto il potere che, quando il Signore Oscuro si era proposto di traslocare la propria mente dal serpente per prendere dimora in una forma umana, si era quasi prostrato a lui dalla gioia.
E così, Benjamin aveva visto quel minuscolo frammento che ben poco aveva di umano, annidarsi nel corpo dell’insospettabile professor Raptor. Con orrore, aveva assistito a quel volto serpentino prendere forma sulla nuca del fidato amico e prendere possesso della sua mente.
I primi tempi erano stati terribili: il corpo di Quirinus sembrava rigettare il nuovo ospite come un organo trapiantato; il giovane uomo era scosso da spasmi, tremori, febbre altissima, tanto che Benjamin, una notte accampati in una grotta buia e umida, aveva temuto che l’amico non ce la facesse.
Poi tutto si era stabilizzato: i due, uomo e mostro, erano entrati in sintonia, in simbiosi, tanto che era bastato poco affinchè Voldemort prendesse il sopravvento sulla coscienza di Raptor e che lo controllasse, nonostante il professore tentasse una vana resistenza.
Non avevano più bisogno di Ben, ma Ben non riusciva ad abbandonare l’amico. 
Voleva proteggerlo. Controllare che Voldemort non prendesse troppo il sopravvento per trascinarlo in una zona oscura da cui non sarebbe più riuscito a fare ritorno.
E così rimase al suo fianco.
Nella ricerca dell’Elisir di Lunga Vita. 
Del sangue di unicorno. 
Della pietra filosofale. 
Nella rapina alla Gringott.
Ogni volta si diceva che lo faceva solo per aiutare Quirinus. 
Che lo faceva solo perchè la sua mente non venisse corrotta interamente.
Dopo ogni creatura morta si ripeteva che quella sarebbe stata l’ultima volta.
Dopo ogni omicidio giustificava il sangue sulle proprie mani come un’uccisione in meno commessa dall’amico.
Fino a che tutto non divenne una routine e i sogni e le aspirazioni di Voldemort, intrappolato in un corpo non suo, divennero anche quelle di Benjamin.
Fu il primo che Voldemort, tramite Raptor, ammise nella sua rinnovata cerchia di servitori e marchiò come suo nuovo adepto.
Il tatuaggio nero che gli oscurava l’avambraccio non faceva altro che ricordarglielo.

Tutto cambiò e precipitò dopo che Quirinus venne sconfitto e ucciso da Harry Potter.
Quando apprese la scioccante notizia, Benjamin si trovava in Sudamerica e, distrutto e sconvolto dal dolore, si nascose perchè sapeva che Voldemort avrebbe potuto cercarlo per poter reclamare nuovamente il suo aiuto. Non si sentiva abbastanza forte per sobbarcarsi quella nuova responsabilità.
Non riusciva ad avercela con nessuno se non con sè stesso per ciò che era accaduto. Per aver lasciato che il Signore Oscuro corrompesse con tale facilità la sua mente e quella dell’amico.
Per sfuggire al senso di colpa, continuò a viaggiare senza fermarsi mai ed evitando accuratamente di tornare a Edimburgo, nonostante le continue lettere di Karen e Robert.
Ben cercò di allontanarsi da quel lato della sua vita e di dimenticare quanto era accaduto, fino a che, anni dopo, una notte di giugno il suo braccio prese a bruciare come non aveva mai fatto prima.
Il Marchio si era fatto più nitido, nero come la pece, e il serpente aveva iniziato a strisciare intorno al teschio provocandogli conati di vomito e tremori per il dolore, fino a che non si era arreso e la sua forza di volontà aveva ceduto il passo all’antica ricerca di potere; quindi con il viso celato da una sottile maschera argentata si era materializzato in un grande cimitero.
In cerchio, intorno a una grossa lapide, c’erano altre figure nere e argentate come la sua.
Nomi che ricordava dai tempi della scuola.
Sguardi che saettavano su di lui perchè non sapevano chi fosse nè quanto fosse stato importante per Lord Voldemort, quando tutti loro lo avevano dato per morto.
Al centro del cerchio il corpo di un ragazzo riverso con gli occhi spalancati vestiva i colori di Tassorosso. La sua vista gli strinse lo stomaco mentre pensava, istintivamente, a Robert.
Intrappolato da un incantesimo e incatenato a una lapide, Harry Potter, ferito e sanguinante, vedeva il Signor Oscuro risorgere e prendere possesso nuovamente del proprio corpo.
Nessuno sapeva di Ben, che aveva vissuto tra i Babbani e lontano dal proprio fratello, che invece, per  quanto ne sapeva, era corso in aiuto dei seguaci dell’Ordine della Fenice.

Le azioni successive erano state come un susseguirsi di coincidenze fortuite: Lucius Malfoy che scopriva che proprio Diana, la figlia di Sarah e Daniel Harvey, possedeva il Blackhole e che casualmente era lontana parente di Ben. Ben che convinceva l’ingenuo fratello a rilevare il vecchio negozio appartenuto a Karen, deceduta in circostanze misteriose.
Quando Benjamin aveva scoperto che Karen era morta accidentalmente in una spedizione dei Mangiamorte per recuperare il Blackhole, aveva rischiato di perdere definitivamente la testa.
Aveva fatto di tutto affinchè Voldemort affidasse a lui il compito di occuparsi del Blackhole.
Non sapeva nemmeno spiegarsi il motivo per cui si fosse offerto volontario: sapeva soltanto che voleva evitare che accadesse qualcosa a Diana, soprattutto dopo l’accidentale morte di Karen che non era riuscito in alcun modo ad impedire. 
Forse occupandosi personalmente del Blackhole avrebbe potuto recuperare il vecchio orologio senza che a Diana venisse torto un capello.

Portami quel Blackhole! Non mi importa come
Erano quelle le parole che il Signor Oscuro gli aveva rivolto la notte stessa in cui Karen aveva perso la vita.

Era stato semplice entrare nelle grazie dell’Ordine della Fenice e nominarsi protettore della giovane Diana Harvey.
Durante i mesi di convivenza aveva tenuto d’occhio ogni mossa della bambina che un tempo conosceva e che ora era diventata una giovane donna. Non era stato semplice: Diana era riservata e sospettosa nei suoi confronti e lui, di certo, non era empatico come Robert o chiacchierone come Karen. Ciò che voleva fare non era solamente presentarsi a Lord Voldemort con un Blackhole, ma voleva essere certo che il vecchio orologio funzionasse prima di fare mosse avventate e di mettere a dura prova la poca pazienza del Signore Oscuro.
Lentamente, lui e Diana erano riusciti a trovare un equilibrio e quando Diana gli aveva confessato di riuscire a utilizzare il Blackhole, Benjamin aveva finalmente intravisto in lontananza il riverbero luminoso della gloria che da sempre aveva sognato. 
Anche se Diana non gli aveva mai mostrato il Blackhole in azione, l’aveva sentita parlare con Fred Weasley e l’aveva spiata più volte mentre si allenava.
Aveva visto che cos’era in grado di fare ed era certo che fosse Diana la babbana di cui parlava la leggenda del Blackhole. Con lei al suo fianco, Lord Voldemort sarebbe stato definitivamente in grado di sconfiggere Harry Potter. 
A Benjamin non importava che quel ragazzo sopravvivesse o no: gli importava soltanto che Diana fosse al sicuro e della gloria che sarebbe a lui derivata per l’aiuto fornito nell’ascesa del Signore Oscuro. Era certo che Voldemort lo avrebbe generosamente ricompensato.
Quindi aveva preso tempo con Voldemort, spiegando che il Blackhole era ormai in suo possesso, ma che sarebbe stato nettamente più semplice se Diana avesse collaborato spontaneamente e che di certo questo avrebbe portato a loro maggiori vantaggi.
Il Signore Oscuro aveva accettato di buon grado solo perchè era troppo impegnato a mettersi sulle tracce di Harry Potter e a ricercare la leggendaria Bacchetta di Sambuco.

C’era solo un noioso dettaglio a infastidire i progetti di Benjamin e quel dettaglio si chiamava Fred Weasley.
Quel borioso e pieno di sè pel di carota con la battuta sempre pronta e la lingua tagliente era costantemente in mezzo ai piedi di Diana e, di conseguenza tra quelli di Ben, che non riusciva a spiegarsi come la ragazza riuscisse a sopportarlo.
Inspiegabilmente, Diana non solo sopportava Fred, ma ne era totalmente affascinata. Non lo diceva apertamente, ma Ben era ormai in grado di leggerla come un libro aperto: vedeva i suoi occhi verdi sbattere le ciglia e le sue guance diventare rosse mentre Fred Weasley faceva lo spaccone.
Vedeva come si apriva in un sorriso felice quando quell’idiota veniva a farle visita.
Fred, probabilmente, ricambiava l’antipatia di Ben, perchè quando non si inventava qualche scherzo per infastidirlo all’inverosimile, si limitava a guardarlo storto o ad esprimere le sue riserve con la ragazza.
Ben era convinto che sarebbe riuscito a convincere Diana a dargli ascolto, nonostante la famiglia Weasley fosse sempre pronta a mettere le grinfie su di lei.
E poi Daniel era riapparso dal nulla e Ben era stato travolto da tutti i ricordi e da tutta la rabbia che aveva riposto in un angolo della sua memoria.
Perchè quel giorno aveva rivisto in Diana lo stesso sguardo della bambina spaventata con le mani ricoperte di sangue e aveva capito che, nonostante non lo avesse mai voluto, si era affezionato a lei.
Avrebbe voluto raccontarle ogni cosa, ma questo lo avrebbe reso complice, se non colpevole quanto il cugino, della sofferenza della ragazza. Forse sarebbe riuscito a convincerla a stare dalla sua parte, perchè era certo che Daniel fosse tornato per prendere il Blackhole: lo conosceva troppo bene per fidarsi di lui e credere che fosse tornato solo per riallacciare i rapporti con la figlia che non vedeva da anni.
Tutti i suoi piani di rivelare la verità a Diana erano andati in fumo quando Fred Weasley aveva invitato la ragazza al matrimonio del fratello perchè non si era potuto opporre senza destare sospetti.
L’unica cosa che avrebbe potuto fare era pattugliare il perimetro della Tana insieme agli Auror inviati dal Ministero e portare Daniel con sè per tenerlo d’occhio.
Era certo che il cugino stesse tramando qualcosa e l’unico modo per evitare sorprese era non perderlo di vista: aveva il vago timore che Daniel fosse in qualche modo venuto a conoscenza dell’antica leggenda riguardante Voldemort e il Blackhole e voleva essere sicuro che Daniel non si fosse cacciato in ulteriori guai.
Dopo gli eventi del passato, era impossibile fidarsi di Daniel Harvey.
Benjamin sapeva bene che nel giorno del matrimonio tra Bill Weasley e Fleur Delacour i Mangiamorte avessero in programma l’assalto finale al Ministero e che se Rufus Scrimgeour non si fosse piegato al volere di Lord Voldemort sarebbe capitolato.
Durante i festeggiamenti aveva cercato di torchiare Daniel per tentare di fargli confessare il vero motivo per cui era tornato e di capire se fosse a conoscenza della leggenda del Blackhole, ma era stato tutto inutile, perchè poco dopo aveva sentito l’avambraccio bruciare e aveva dovuto smaterializzarsi in fretta e furia al Ministero della Magia ad aiutare i loschi compagni.
Quando era tornato alla Tana, non c’era più traccia di Diana, di Fred e di Daniel, così aveva seguito le tracce dei suoi malvagi alleati che stavano seminando il panico tra le strade di Londra, ed era arrivato in tempo per assistere a ciò che temeva.
Daniel Harvey, in piedi accanto a Fenrir Greyback che stava per uccidere Diana. Questo poteva solo significare che Daniel, di nascosto, stesse collaborando con Lord Voldemort convinto di essere lui il babbano di cui la leggenda del Blackhole narrava.
Ben aveva sentito la rabbia montare e stava per brandire la bacchetta per difendere la ragazza, quando un altro Weasley, questa volta il gemello di Fred, si era lanciato all’attacco e lo aveva preceduto.
Un’esplosione di vetri infranti lo aveva quasi tramortito e quando si era ripreso un folto gruppo di curiosi si spintonava per vedere cosa fosse accaduto. Aveva osservato da lontano la scena, cercando febbrilmente informazioni fino a che non aveva visto Fred Weasley incedere furibondo verso di lui.
Si era smaterializzato appena in tempo per non far saltare la propria copertura.

Da quel momento era sempre rimasto un passo indietro a quel pallone gonfiato dai capelli rossi che tentava in tutti i modi di proteggere Diana.
Aveva cercato disperatamente di mettersi sulle loro tracce, ma senza riuscire nel proprio intento; parallelamente, cercava di scoprire anche dove si nascondesse Daniel Harvey, senza cercare di destare sospetti negli altri Mangiamorte e far capire loro che lui sospettasse della collaborazione del cugino con il Signore Oscuro, il quale, per ragioni che Benjamin non comprendeva, non si era sentito in dovere di dargli alcuna spiegazione.
La pazienza era una delle doti di Benjamin: conosceva bene la delicatezza e la reverenza con cui disseppellire un antico tesoro durante uno scavo archeologico. Un’esitazione o una mossa troppo avventata avrebbero potuto mandare in fumo un lavoro di anni interi.

Il rintocco proveniente dalle campane della chiesa poco lontana lo riscosse.
Era ora di agire.
Attraversò la strada per infilarsi nella porta girevole che lo avrebbe condotto all’interno del Bedlam Royal Hospital ormai quasi deserto e prossimo all’orario di chiusura delle visite.
Una donna procedeva verso di lui ancheggiando su dei vertiginosi tacchi a spillo e portando sotto al braccio una pila di documenti.
Benjamin lesse velocemente la targhetta con il nome “Patricia” appuntata sulla camicetta della donna.
Urtò la donna con la spalla, la quale barcollò e lasciò cadere i fogli che si sparsero sul pavimento in linoleum.
- Oh, mi scusi! - le sorrise Benjamin educatamente e chinandosi ad aiutare la donna che già si stava affaccendando per raccogliere i documenti, scocciata e ansiosa di terminare la propria giornata lavorativa.
- Non fa niente... - borbottò la donna impilando i fogli il più in fretta possibile.
Benjamin ricordava molto bene l’antipatica e onnipresente impiegata dell’accettazione che lavorava lì fin dai tempi del ricovero di Daniel.
Se Diana era stata a cercare informazioni presso l’ospedale, Patricia non poteva non esserne al corrente.
Benjamin diede una rapida occhiata alla sala d’attesa deserta e, infine, sfoderò la bacchetta dalla tasca dei pantaloni puntandola contro Patricia mormorando: - Legilimens!

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Ehilà! Eccomi tornata!
Vi chiedo scusa per questo immenso ritardo ma è stato un periodo un po' difficile in cui il tempo e la voglia di scrivere se ne sono andati! In più questo capitolo non è stato affatto semplice da partorire XD
Io spero davvero che ciò che ho scritto sia sensato (a me pare di sì, ma aspetto di avere le vostre opinioni)!
Come preannunciato, oggi niente Diana e niente Fred, ma solo Benjamin e, finalmente, i fatti del passato che vengono alla luce!
Fatemi sapere che ne pensate, perchè questo capitolo è ovviamente fondamentale per lo svolgimento dei fatti e per la storia di Benjamin!
A presto :)
 

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Capitolo 39
*** Sparizioni ***


“And if there’s no tomorrow
And all we have is here and now
I’m happy just to have you
You’re all the love I need somehow”

(“Breathless” - The Corrs) 


Diana Harvey, estremamente assonnata, aprì lentamente gli occhi e stirò la schiena aprendosi in un sonoro sbadiglio, mentre il freddo le pungeva le braccia nude che sbucavano dalle pesanti e calde coperte.
Il mese di novembre aveva da poco lasciato spazio a quello di dicembre. Le giornate si erano accorciate così tanto da essere composte solo da una misera manciata di ore di luce. 
Il sole aleggiava basso sull’orizzonte e aveva perso la forza necessaria per riscaldare e far svanire la densa nebbia delle Highlands scozzesi.
Il clima era sempre più impregnato di una fitta e gelida umidità che si insinuava in ogni spiffero di casa McKinnon.
Diana si voltò istintivamente verso destra in un gesto che si era presto trasformato in una piacevole abitudine.
Infatti, dall’altro lato del letto, Fred Weasley dormiva con la bocca semi aperta, un braccio infilato sotto al cuscino mentre l’altro braccio era abbandonato pesantemente sopra alla vita di Diana.
Lei sorrise felice, avvolta in una bolla di surreale beatitudine. 
Tornò a guardare sopra di sè e mise a fuoco il cielo incorniciato dal lucernario: sopra di loro si stagliava l’ennesima giornata grigia e incolore, attraversata da nuvole gonfie e minacciose. 
Diana arricciò nuovamente le labbra in un sorriso e affondò le braccia sotto alle coperte tirandole fin sotto al mento tornando a crogiolarsi nel calore.
Avrebbe volentieri passato l’intera giornata nel letto.
Rivolse un’altra occhiata a Fred, ancora placidamente addormentato, i capelli spettinati e una rara espressione innocente che solo durante il sonno acquistava una minima credibilità.
Doveva essere tarda mattinata, perchè lo stomaco di Diana emise un cavernoso brontolio, reclamando ferocemente la colazione.
Si avvicinò a Fred sfiorandogli il collo con la punta del naso e sussurrò: - Buongiorno...
Nessuna risposta se non il regolare respiro del ragazzo.
Diana storse il naso indispettita e spinse il proprio corpo contro quello di Fred.
Lui sorrise nel sonno, prima di emettere un grugnito, voltarsi a pancia in su e stringere Diana a sè.
- Ah, quindi sei sveglio! - constatò lei avvolta dalle braccia cosparse di lentiggini.
- No, sto dormendo - mugugnò Fred continuando a tenere gli occhi chiusi, ma non accennando ad allentare la presa su di lei.
Diana accarezzò con un piede la gamba di Fred partendo dal basso per risalire sinuosamente verso l’alto. Quel gesto parve sortire l’effetto desiderato perchè lui si decise finalmente ad aprire gli occhi.
- Mmh... - dichiarò Diana con aria allusiva - a me sembri mooolto sveglio!
Lo sguardo inizialmente assonnato di Fred fu subito rimpiazzato da una scintilla di furbizia.
- Buongiorno, Pixie - il ragazzo sbirciò appena verso il basso - toh, che coincidenza! Dove sono i tuoi vestiti? Un mago molto esperto deve averli fatti evanescere ieri sera...
Diana finse di guardarsi intorno in cerca di qualcosa: - Ah sì? E chissà dove è andato questo mago esperto...non vedo nessuno!  - e poi con una studiata delusione aggiunse - Qua ci sei solo tu!
- Ah-ah-ah! - Fred intonò una finta risata - ci siamo svegliati con la battuta pronta!
Diana sfoderò una linguaccia come risposta.
- Sembrerebbe che questo esperto mago ti abbia proprio fatta divertire! - proseguì Fred con un sorriso obliquo guadagnandosi prontamente un’occhiataccia. Imperterrito, il ragazzo mimò un finto microfono con la mano destra che posizionò davanti al viso di Diana come se la stesse intervistando: - L’unica babbana che abbia mai brandito una bacchetta magica ha qualche dichiarazione da rilasciare?
Diana aggrottò la fronte senza capire.
Lei non aveva mai brandito una bacchetta! Sì, una volta aveva raccolto la bacchetta di Fred dal pavimento, ma che cosa diamine centrava in quel momento?
- Cos..? - domandò Diana confusa allungando il collo e cercando con lo sguardo la bacchetta magica di Fred, appoggiata, come sempre, sul comodino accanto al letto.
- Nonono - la redarguì all’istante Fred con aria maliziosa - non parlavo mica di quella bacchetta!
Un lampo di consapevolezza balenò nella mente di Diana che sgranò gli occhi e rispose: - Io mi sarò anche svegliata con la battuta pronta, tu invece con battute scadenti e doppi sensi di pessimo gusto!
- Ahi! - Fred si portò una mano al petto simulando una fitta al cuore - così mi ferisci!
- E’ la verità! - cinguettò Diana punzecchiandolo e cominciando a ridacchiare; quando Fred prese a farle il solletico, lei cominciò a muoversi convulsamente tra le lenzuola in preda alle risate.
Lo stomaco di Diana si fece sentire brontolando tanto sonoramente da interrompere la lotta. Fred sospirò e si mosse per cercare di alzarsi dal letto: - Forse è meglio scendere di sotto! Mi sa che è quasi ora di pranzo!
In tutta risposta, Diana si abbarbicò al braccio del ragazzo e, cercando di dissuaderlo, implorò: - Noooo! Dai, restiamo ancora un po’ qui!!
Fred si bloccò per osservarla: - Ma hai fame e...
Diana lo interruppe issandosi a cavalcioni sopra di lui in un repentino gesto: - Ho detto no! - impartì l’ordine dall’alto della sua posizione di trionfo.
Fred piegò le labbra in un sorriso compiaciuto mentre il suo sguardo percorreva il corpo nudo di Diana: - Oh, beh...se insisti così, non posso di certo contraddirti...
- Infatti... - mormorò lei chinandosi già verso il viso del ragazzo per circondarlo con le proprie mani e far incontrare le loro labbra nel primo di una lunga serie baci.
- Avete... Radio Potter... questa mattina? - domandò Diana tra un bacio e l’altro, muovendosi lentamente e scostandosi i capelli che le ricadevano sul viso.
Lui non rispose, ma continuò a baciarla con trasporto accarezzandole la schiena.
- Fred? - lo richiamò Diana con un mezzo sorriso allontanandosi quanto bastava per guardarlo negli occhi.
- Eh? - si riprese lui sbattendo le palpebre - scusa, ma sai com’è...non stavo pensando a Radio Potter in questo momento!
La risatina di Diana fu interrotta da un paio di colpi alla porta chiusa.
- Piantatela di accoppiarvi come due Puffskein in calore, per la barba di Merlino! - la voce di George li raggiunse.
- Abbiamo la puntata di Radio Potter tra un’ora! - li incalzò la voce già ansiosa di Lee Jordan.
- Va beneeee - gridò Fred cercando di liquidare in fretta i due disturbatori per tornare il prima possibile alla precedente occupazione.
- Ah, e per la cronaca, Freddie, ti sei dimenticato il Muffliato questa notte! - sghignazzò la voce irriverente di George per poi prodigarsi in quella che doveva essere una fedele imitazione di una serie di gemiti e gridolini - si è sentito tutto!
Diana crollò di peso su Fred e seppellì il viso nell’incavo del suo collo per l’imbarazzo.
- Ma come hai fatto a dimenticarti? - lo rimproverò Diana senza la forza di arrabbiarsi davvero.
- Può succedere! E’ colpa tua! Mi distrai!
Diana sbuffò una risata e fece per scendere dal letto, ma Fred la bloccò tempestivamente trattenendola per un polso.
- Dove stai andando? 
- A vestirmi - brontolò Diana contrariata - o quei due butteranno giù la porta!
- Abbiamo ancora un’ora di tempo... - constatò Fred riportando Diana sopra di sè - impiegherei il tempo in maniera...più costruttiva!
- Sono d’accordo! - acconsentì al volo Diana ridacchiando e sparendo velocemente sotto alle lenzuola.


Quando alla diretta di Radio Potter mancavano circa venticinque minuti, Diana, con un sorriso da un orecchio all’altro, si sporse per cercare con lo sguardo i propri indumenti che ricordava di aver lasciato abbandonati sul pavimento.
- Naah, non li troverai! - si affrettò a dire Fred con un sorrisetto di superiorità - evanescere significa che...puff, sono spariti! Andati! Per sempre!
- Oh, beh prenderò quelli nell’armadio - lo liquidò Diana ben decisa a non concedere a Fred alcuna soddisfazione per il primo scherzo andato a segno della giornata.
- Chissà se ne troverai ancora.... - rispose lui portandosi la mano sotto al mento in una posa pensierosa.
- Freeed! - si lamentò Diana preoccupata e iniziando ad annaspare tra le lenzuola perchè sapeva che sarebbe stato perfettamente in grado di far sparire il suo già scarso guardaroba, solo per divertimento.
- Su, dai! E’ solo uno scherzo innocente! - si giustificò Fred con aria di chi, invece, era assolutamente colpevole.
Il cuscino di Diana atterrò sulla faccia del ragazzo con un tonfo: - Ma perchè lo hai fatto? E non rispondermi perche è divertente!
Fred scostò il cuscino per posizionarlo dietro alla testa e per sollevarsi seduto contro la testiera del letto, incrociando le braccia al petto e assumendo un’espressione di sfida, rispose: - Perchè è divertente!
Diana gli sfilò con stizza il cuscino da sotto la testa, già esasperata a neanche un’ora dal risveglio.
Fred la attirò tra le sue braccia e, come se stesse confessando un misterioso segreto, mormorò: - In realtà li ho fatti sparire perchè così dovrai rimanere per il resto dei tuoi giorni in questo letto con me!
Diana si voltò appena per osservare Fred, mentre un sorriso involontario le si disegnava in viso.
- Già, peccato che dobbiamo scendere al piano di sotto... - sottolineò Diana con pungente sarcasmo.
- Sbagliato! - la corresse Fred con aria saccente - io devo scendere! Tu puoi aspettarmi qui! Ancora meglio se senza vestiti! Tanto ci metterò pochissimo!
- Ma non penso proprio! - protestò Diana - Cosa avrei fatto di male per meritarmi una punizione del genere?
- Ah, ora si dice punizione? - chiese Fred sogghignando e avvicinando già le sue labbra a quelle di Diana - non mi sembravi così contrariata poco fa!
Lei lo assecondò rispondendo prontamente a quel bacio per poi staccarsi ed osservarlo sbattendo le ciglia e tubando con voce innocente: - Freddie, fai riapparire i miei vestiti? - terminò la frase con un’ultima, nonchè tattica, sequenza di battiti di ciglia.
Lui rimase a fissarla con uno strano e stupido sorriso, prima di farsi serio e asserire:
- Ti ho detto che non posso!
- Molto bene, allora scenderò di sotto così - esordì Diana cercando di districarsi dal groviglio di coperte.
- Non ci pensare neanche! - sbottò Fred raddrizzando la schiena e trucidandola con lo sguardo.
Diana rimase a fissarlo, indecisa, e poi, una volta in piedi, raccolse la pesante felpa blu scuro di Fred dal pavimento.
- Bene, allora prenderò i tuoi e ci resterai tu, da solo, nel letto per il resto dei tuoi giorni! - si infilò l’enorme felpa che le arrivava quasi alle ginocchia e lasciò di corsa la stanza ridacchiando e tenendo tra le mani gli altri abiti del ragazzo per dirigersi verso il bagno, godendosi la soddisfazione di essere riuscita a uscire vittoriosa dalla beffa di Fred.
- Io non ho problemi a fare la diretta di Radio Potter nudo come un Vermicolo! - la ghignante voce di Fred la inseguì dalla stanza in cui il ragazzo era rimasto.
- Nemmeno io! - gli gridò Diana dal corridoio.

In quell’ultimo mese, la routine a casa McKinnon era stata così piacevole da far scivolare ogni preoccupazione in secondo piano.
Diana aveva ormai scartabellato ogni lettera di suo padre e spulciato ogni polveroso libro che si trovava nella vecchia biblioteca, gettando successivamente la spugna visto che i risultati sperati non arrivavano.
Fred e George, eseguendo una complicata sequenza di materializzazioni per evitare pedinamenti sgraditi, si erano assentati per qualche giorno per tornare alla Tana e tranquillizzare i signori Weasley sul fatto che stessero bene. 
Vista l’assenza di risultati nella ricerca, Diana aveva anche azzardato l’ipotesi di far ritorno a Diagon Alley, ma i gemelli, appoggiati dai genitori, avevano insistito per rimanere a casa McKinnon affinchè sia Diana che Lee potessero rimanere fuori tiro da Mangiamorte e Ministero.
Per il resto, le giornate erano scandite dalla preparazione delle puntate di Radio Potter e da allenamenti per i poteri di Diana. Ormai, la ragazza riusciva a padroneggiare piuttosto bene il potere del Blackhole: anche senza essere colpita da un incantesimo, infatti, era in grado di ripescare l’energia che albergava dentro di lei e indirizzarla a suo piacimento. 
Non si erano più verificati episodi in cui il potere sembrava prendere il sopravvento su di lei e questo contribuiva a farla sentire più tranquilla; inoltre, Fred pareva essersi lasciato alle spalle nervosismo e tensione ed era tornato di buonumore e vivace come era sempre stato.
Diana, però, non poteva fare a meno di ripensare piuttosto spesso alle visioni dei Dissennatori e ai sogni che erano stati in grado di farle rivivere, domandandosi se tutto ciò avesse un senso.

- Fred si è già riaddormentato? 
La domanda improvvisa la colse di sorpresa facendola trasalire e facendola aggrappare alla maniglia della porta del bagno che aveva ormai raggiunto.
I vestiti di Fred che ancora teneva in mano si sparsero sul pavimento.
- George! - esclamò Diana con una mano sul cuore notando il ragazzo comparso alle proprie spalle - mi hai spaventato da morire!! 
Lui ghignò osservando l’abbigliamento che la ragazza sfoggiava e lei si affrettò a raccogliere gli abiti abbandonati a terra.
- No, comunque è sveglio - rispose Diana riprendendosi dallo spavento solo per trasalire di nuovo nel sentire la voce di Fred esclamare un “Accio vestiti” mentre gli indumenti che teneva in mano sfrecciavano via dalla sua presa per svolazzare verso il proprio padrone.
- Odio la magia - brontolò Diana esasperata e delusa per la breve durata della sua effimera vittoria.
- Fred non ha mai dormito così tanto come in questo periodo... - ragionò George facendosi serio e lanciando un’occhiata alla porta in fondo al corridoio - è quasi mezzogiorno!
- Sarà stanco... - Diana scrollò le spalle senza capire quale fosse il problema.
George tornò a guardarla e scosse la testa sogghignando: - Già...e chissà perchè! Sessioni notturne di allenamento con il tuo potere?
- Intensissime! - rispose Diana con aria di sfida per mettere a tacere George e per evitargli il lusso di crearle qualsivoglia imbarazzo.
Insoddisfatto dall’inaspettata reazione di Diana, George si dilettò in una nuova sequenza di gemiti e finte effusioni amorose con lo stipite della porta del bagno.
- Sei proprio scemo. - si limitò a dichiarare Diana in tono annoiato, incrociando le braccia al petto, mentre George, sempre più indispettito dal comportamento di Diana, spariva in bagno chiudendo la porta dietro di sè.
- Dì a Fred di muoversi! - le gridò George da dentro la stanza.
- E tu smettila di usare le Orecchie Oblunghe sulla porta della nostra camera quando non sai che fare! - rispose Diana tornando sui propri passi. 
In camera, Fred era seduto sul letto e si stava infilando i jeans.
- Sono anche stato generoso e non mi sono ripreso la felpa - inarcò le sopracciglia alludendo all’unico capo di abbigliamento che Diana indossava.
- Non avresti potuto comunque farlo, visto che gli incantesimi su di me non funzionano! - lo bacchettò Diana rivolgendogli una smorfia.
- Peccato... - constatò Fred infilandosi la maglietta - i tuoi vestiti comunque sono al loro posto nell’armadio! Come al solito, ci caschi sempre!
Diana lo fulminò con lo sguardo e si scagliò scherzosamente su di lui, ma Fred fu lesto nel tenerla a bada, mentre con un sorriso obliquo le comunicava in tono tetrale: - Sono atteso di sotto! Quindi, sei d’accordo sul restituirmi la felpa e aspettarmi qui senza vestiti?
- Col cavolo che sono d’accordo! - sbottò Diana stringendosi addosso la felpa prima che al ragazzo venisse qualche strana idea.
Fred lasciò la stanza scoccandole un’occhiata eloquente: - Bugiarda!
Diana fu percorsa da un brivido lungo la schiena di fronte all’occhiata di Fred, ma si diresse verso il bagno sorridendo e borbottando tra sè: - Idiota...


Quando Diana raggiunse i ragazzi in soggiorno era vestita, ma indossava ancora la felpa di Fred sfoggiandola come un ambito bottino di guerra.
Ancora prima di mettere piede al pianoterra, aveva sentito la voce di Lee impartire ordini perentori.
Erano tutti seduti al tavolo del soggiorno: George stava sistemando un plico di appunti recuperando con la magia dei fogli che erano finiti sul pavimento, Lee sembrava avere almeno tre paia di braccia perchè cercava contemporaneamente di collegare cavi, infilarsi le cuffie, e tenere sveglio Fred, il quale sembrava essere scivolato in una profonda sonnolenza.
I tentativi di Lee non riscossero molto successo, perchè Fred si era accasciato con la testa appoggiata sulle mani e aveva richiuso gli occhi.
- Guarda come lo hai conciato! - George, sogghignando, indicò il fratello che non riusciva a tenere gli occhi aperti.
- Io non centro niente - rispose Diana candidamente e si voltò per afferrare il bollitore fumante che nessuno si era dato la pena di togliere dal fornello. Si morse un labbro osservando di sottecchi Fred che si reggeva la testa insonnolito, mentre Lee gli metteva delle ingombranti cuffie sulle orecchie e spingeva un grosso microfono verso di lui.
Diana versò l’acqua bollente in una tazza e osservò il filtro colorare il liquido trasparente con ampie volute color dell’ambra. Avvolse la ceramica con le mani per scaldarle e si lasciò sfuggire un sorriso ripensando a poco prima. 

Una mano aggrovigliata nei capelli fiammeggianti mentre l’altra si stringeva con forza intorno a un lembo del lenzuolo.
La schiena inarcata per fare combaciare i corpi a sciogliersi uno nell’altro.

Vagamente accaldata, nascose il sorriso malizioso dietro la tazza fumante, continuando a osservare Fred con il mento appoggiato sul palmo della mano e la testa ciondolante, che la stava fissando in modo eloquente, come se anche la sua mente fosse attraversata dai medesimi pensieri.
Lee agitò la bacchetta per dare il segnale di messa in onda.
Diana fu bruscamente riportata alla realtà. 
Fred, a sua volta, si drizzò di scatto seduto sulla sedia, mentre Lee gli assestava un calcio sugli stinchi.
Diana si avvicinò alla grande finestra del soggiorno e si lasciò cullare dalle battute dei ragazzi: in una mano stringeva la tazza di thè e nell’altra un pacco di biscotti al cioccolato che appoggiò distrattamente sul davanzale.
Ne pescò uno e se lo ficcò in bocca, affamata, lasciando vagare lo sguardo sulla colline sfumate dalla nebbia senza vederle davvero.
Una folata di vento frustò il grande abete situato all’imbocco del vialetto di casa McKinnon che, prendendo ad ondeggiare, attirò la sua attenzione.
Diana mise a fuoco l’orizzonte che si ingrigiva nella foschia e, oltre l’albero, nella nebbiolina bassa e densa, le parve di scorgere una figura scura e dritta in piedi.

Il respiro le si fermò in gola e quasi si strozzò con il biscotto che ancora stava masticando.
Deglutì e con mani tremanti appoggiò la tazza al davanzale accanto al sacchetto di biscotti per stringere le palpebre e avvicinarsi alla finestra.
Sbattè un paio di volte le palpebre, ma la collina le apparve deserta.
Forse era stata solo la sua immaginazione, ma Diana sentiva il battito accelerato, il respiro in gola e le mani sudate che non accennavano a smettere di tremare.
E se qualche Mangiamorte li avesse trovati?
Oppure poteva essere qualche viscido funzionario del Ministero della Magia ad essere sulle loro tracce?
Si rilassò leggermente nel ricordare che, se anche ci fosse stato qualcuno ad aggirarsi intorno all’abitazione, gli incantesimi difensivi lanciati dai ragazzi non avrebbero permesso a nessuno di oltrepassare la proprietà.

Prima che Fred notasse la sua agitazione e si preoccupasse per nulla, Diana nascose le mani tremanti nella grossa tasca al centro della felpa e si voltò nuovamente verso i tre ragazzi che avevano messo in piedi una specie di buffo teatrino in cui prendevano in giro Lord Voldemort e i Mangiamorte.
La sua mano destra, affondata nella tasca, incontrò qualcosa: un foglio spiegazzato e consunto che sembrava essere passato di mano in mano e riletto più volte.
Lo estrasse dalla tasca e lo dispiegò per leggerlo. 
Mentre i suoi occhi viaggiavano per tutta la lunghezza del foglio il tempo parve dilatarsi fino a fermarsi.
Un bruciante formicolio la avvolse e un senso di nausea le ribaltò, improvvisamente, lo stomaco.
Terminata la lettura, Diana abbassò la mano che stringeva la lettera e puntò lo sguardo in quello di Fred. 
L’espressione del ragazzo si trasformò da ironica a mortalmente seria per poi farsi atterrita nel comprendere cosa stesse accadendo.
Era come se un enorme masso fosse affondato nello stomaco di Diana, mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime e stringeva le labbra per trattenere il pianto e la rabbia che minacciavano di travolgerla da un momento all’altro.
George diede una gomitata al fratello che probabilmente, per lo shock, aveva saltato la battuta che gli spettava recitare, ma vedendo lo sguardo di Fred fisso su quello di Diana, alzò a sua volta la testa per scrutare il foglio che la ragazza teneva tra le mani.
Diana percepiva il sangue affluire verso le guance; un calore disturbante risalirle la colonna vertebrale, mentre il masso nello stomaco sprofondava sempre di più trascinandola a fondo con sè.
Fred era come pietrificato: la bocca semiaperta, come se volesse dire qualcosa e la mano destra ancora inceppata nel movimento che stava per compiere.
Diana abbassò lo sguardo sulle proprie mani tremanti che ancora stringevano convulsamente il foglio, incredula, e senza trovare parole coerenti da dire per dare un senso alla collera e al dolore che si dibattevano furiosamente dentro di lei tanto da provocarle una forte fitta di dolore alle tempie.
Lee Jordan sembrava l’unico a non essersi accorto di nulla e continuava a intrattenere i radiospettatori con la sua allegra parlantina.
Improvvisamente, le quattro mura di quella casa si fecero troppo strette e gli sguardi di Fred e George puntati su di lei troppo fastidiosi da sopportare, così Diana girò i tacchi e, aprendo la porta d’ingresso con un tonfo, uscì di casa.
Fred, in un rapido movimento, si tolse le cuffie per seguirla, mentre Lee si accorgeva finalmente di quanto stesse accadendo e George scuoteva la testa con l’espressione di chi si aspettava che prima o poi sarebbe andata in quel modo.

- Pixie, fermati...io posso spiegarti... - cercò di dire Fred inseguendo convulsamente Diana che, in preda all’ira, si allontanava come se volesse mettere più metri possibili tra loro due.
- Spiegarmi cosa? - sbottò Diana in tono velenoso voltandosi di scatto con le guance ormai rigate da lacrime che si sarebbe volentieri risparmiata di versare e riservandogli uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo - da quanto tempo hai questa lettera? Abbiamo smesso di cercare nella corrispondenza di mio padre da settimane! Cosa aspettavi a parlarmene??? - mentre parlava agitava il foglio per enfatizzare le proprie accuse.
Fred non rispose ma, a disagio, si mise a osservare le proprie scarpe come se improvvisamente  fossero diventate la cosa più interessante del mondo.
- Da un po’ - rispose amaramente - ho provato a parlartene, ma io...
- Tu cosa? - ululò lei in tono isterico con lo sguardo rivolto al cielo - non ho dormito per settimane per cercare informazioni su mio padre e ora scopro che tu sapevi che...oddio...che mio padre probabilmente ha ucciso mia madre? - la voce le vibrò nel petto nel dichiarare ad alta voce quelle parole, come se quell’azione le rendesse più vere e reali.
Siccome Fred non accennava a darle una risposta, Diana continuò: - Non era abbastanza importante perché lo sapessi? Oppure hai deciso di non dirmi nulla perchè altrimenti sarei stata troppo distrutta per scopare con te?
L’ultima frase di Diana parve colpire Fred come una coltellata, perchè il ragazzo assunse un’espressione sofferente e svuotata come se qualcuno gli avesse tolto tutta l’aria dai polmoni.
- Mi fidavo di te, Fred - Diana continuò a inveire con cattiveria alzando di nuovo gli occhi verso il cielo per trattenere altre lacrime che minacciavano di abbattersi su di lei come le acque di un fiume in piena - tutti mi hanno mentito e ormai dovrei esserci abituata...ma tu...pensavo che non fossi come gli altri!
- Io volevo solo proteggerti - mormorò Fred ferito, lo sguardo abbassato perchè non riusciva a guardarla in viso senza sentirsi in colpa.
- Proteggermi da cosa? - gridò Diana  - dovevi solo dirmi la verità! Me lo avevi promesso! O te ne sei dimenticato?
Fred deglutì, scosse la testa e allungando una mano verso di lei disse: - Volevo proteggerti perchè...ti amo...
Diana fissò con aria glaciale prima la mano tesa del ragazzo e poi il suo viso: - E come posso credere a quello che dici, dopo questa? - sventolò ancora una volta il foglio spiegazzato.
Fred mosse un passo verso di lei con lo sguardo addolorato e le labbra strette per la tensione.
- Non ti avvicinare - lo gelò Diana ritraendosi, tremante e sconvolta.
- Pixie, ti prego - tentò di avvicinarsi lui parlando con tono carico di senso di colpa - ho sbagliato, mi dispiace, ma...
- Fred, stammi lontano! - sibilò Diana a denti stretti, perchè percepiva già un famigliare ronzio farsi largo dentro di lei e aumentare velocemente d’intensità.
I contorni della figura di Fred, stagliata di fronte a lei, si tinsero di un ben noto bagliore azzurrognolo, mentre il sangue le fischiava impetuoso nelle orecchie.
Fred inclinò impercettibilmente il collo arricciando le labbra in una strana smorfia spaventata.
Successivamente, Diana lo vide fare una cosa che non aveva alcun senso. 
Lentamente, come a rallentatore, Fred sollevò il braccio per puntare la bacchetta davanti a sè, continuando a fissarla con un’assurda espressione intimorita e spostando un piede davanti all’altro per assumere una posizione difensiva.
Istintivamente, lei trasalì e si guardò alle spalle. 
Doveva esserci qualcuno o qualcosa se Fred si comportava così. 
Ma alle sue spalle non c’era assolutamente nulla se non il soffio del vento e l’erba umida.
Ci mise più del dovuto a rendersi conto che la bacchetta fosse puntata contro di lei.
- Che stai facendo? - mormorò Diana sentendo il corpo andare in frantumi, mentre anche mettere in fila delle parole sensate si trasformava in uno sforzo senza eguali.
- Calmati, Pixie - sussurrò lui senza distogliere lo sguardo dal suo e stringendo le dita intorno alla bacchetta ancora tesa.
Quell’ultima frase fu pari allo sventolare un drappo rosso davanti agli occhi di un toro già inferocito e Diana non fu più in grado di trattenersi.
Una potente aura azzurra esplose dal suo corpo. Diana tentò di frenarla, di contenerla, ma questo non fece altro che contribuire a dilaniarla dal dolore come se fosse stata lacerata in brandelli.
- Noooo - gridò Diana con la voce rotta e tentando di allontanarsi da Fred, ma senza riuscirci.
Le sue gambe sembravano saldamente e inesorabilmente ancorate al terreno.
Mentre il bagliore azzurro detonava, Fred gridò: - Protego!
Una bolla rossa esplose dalla sua bacchetta e lo avvolse fronteggiando il bagliore azzurro.
Durò un attimo.
Poi con un raschiante sfrigolio, la bolla azzurra fagocitò con violenza quella rossa e scagliò Fred all’indietro. 
Parecchi metri più indietro rispetto a quanto fosse mai riuscita a fare prima di allora e con molta più forza di quanta ne avesse mai sprigionata prima.
Il ragazzo atterrò scompostamente contro il muro scrostato di casa e con un tonfo sordo si accasciò a terra senza più muoversi. 
George e Lee corsero fuori di casa un attimo dopo per capire che cosa stesse accadendo, mentre Diana, a metri di distanza, osservava la scena con una mano a coprirsi la bocca spalancata.
La vista le si offuscò e tremolò a causa delle lacrime che la travolsero come una piccola barca nel bel mezzo di un mare in tempesta.
Sentiva le forze scemare e le ginocchia dare segni di cedimento, ma allo stesso tempo si sentiva pietrificata in quella posizione di orrore e disprezzo verso stessa.
Le sembrava di vedere la scena da molto lontano, come se fosse di fronte ad una scena di un film d’azione alla tv.
Avvertì un dolore profondo torcerle le viscere per ciò che aveva fatto e l’occhiata che George le lanciò poco dopo, mentre si chinava sul corpo privo di sensi di Fred, non fece altro che farla sentire peggio.

Non riusciva a sopportare la vista del viso di Fred con gli occhi chiusi, come nei suoi peggiori incubi. Non riusciva a sopportare lo sguardo di George carico di rabbia bruciante. 
Non riusciva a sopportare gli occhi di Lee, tristi e compassionevoli allo stesso tempo. 
Così cercò di smuovere le gambe che parevano essersi trasformate in pesanti blocchi di granito e si mise a correre.
Corse a perdifiato per lasciarsi alle spalle tutto: il dolore che bruciava così forte nel suo petto, le bugie che Fred le aveva rifilato, la delusione e il disgusto per sè stessa.
Ad ogni rapida falcata le gambe sembravano farsi più leggere.
E se il suo incubo ricorrente non fosse stato altro che un avvertimento? Che sarebbe stata lei a fare del male a Fred? Che il suo potere avrebbe finito per fare del male a chi le stava accanto?

Sentiva George e Lee chiamarla a gran voce per convincerla a tornare indietro, ma i suoi piedi non accennavano a fermarsi. Si muovevano in un ipnotico e frenetico movimento, mentre il cuore le rimbalzava in gola ad ogni passo. 
Doveva allontanarsi prima di fare ancora del male a qualcuno.
Oltrepassò con un balzo le due pietre incrociate che Lee aveva collocato per segnalare il punto in cui terminavano gli incantesimi difensivi e proseguì a correre, anche se sentiva la milza pulsare ormai dal dolore.
Continuò a muovere un passo dopo l’altro per risalire la collina; solo una volta arrivata in cima rallentò leggermente per guardarsi indietro e riprendere ossigeno, totalmente dimentica di quella strana sagoma intravista poco prima fuori da casa.
Avendo lo sguardo rivolto a casa McKinnon e il pensiero indirizzato a Fred, non prestò attenzione a dove andava e finì a sbattere contro qualcosa, cadendo all’indietro nell’erba umida e fredda.

- Diana - una voce profonda le fece alzare la testa, mentre una cascata di brividi le rotolava giù per la schiena.
Benjamin Murray avvolto in un pesante mantello nero da mago torreggiava su di lei con la solita espressione imperturbabile.
Un ciuffo di capelli neri era sfuggito alla sua solita perfetta pettinatura e la barba era un po’ più lunga di come l’aveva sempre portata.
- B-Ben? - mormorò lei incredula e con il fiato corto - che ci fai qui?
Lui si piegò sulle ginocchia per abbassarsi e per avere il viso alla sua stessa altezza.
Allungò una mano avvolta da un guanto nero verso di lei per aiutarla ad alzarsi: - Diana, sei sconvolta...che succede?
Lei, intontita dal dolore, dal pianto e dalla corsa, allungò la mano per afferrare quella di Ben.
Entrambi si rimisero in piedi.
- Qualcuno ti ha fatto del male? - domandò lui preoccupato appoggiandole entrambe le mani sulle spalle e scrutandola con gli occhi scuri come se volesse leggerle la mente.
Ben compiva ogni gesto con una calma e una lentezza che rendevano solo più inquietante la situazione.
Oppure era Diana a percepire ogni movimento rallentato e ovattato dal dolore che le pulsava sordo in ogni cellula del corpo, troppo frastornata per cogliere davvero un sentore di pericolo.
Diana si limitò a scuotere la testa, mordendosi il labbro mentre una lacrima la tradiva rotolando giù lungo la guancia fino a insinuarsi nel collo della felpa di Fred che ancora indossava.
Una goccia formata di acqua, sale, senso di colpa e paura.
Da lontano, le voci di George, Lee e Fred echeggiavano il suo nome e si facevano via via più vicine.

La voce di Fred.
Quindi Fred stava bene. 

Diana sentì un nodo allentarsi e sciogliersi nel suo petto. Il sollievo le fece affiorare nuove lacrime agli occhi. Tirò su con il naso e cercò di asciugarsi gli occhi con la manica della felpa. 
Non si sentiva comunque in grado di affrontare ciò che Fred aveva fatto.
La lettera.
Il panico la assalì e prese a fissare Benjamin con astio: anche lui sapeva e anche lui non aveva detto nulla addirittura per anni.
- Che cosa ci fai qui? - sibilò Diana cercando di domare il ronzio che aveva cominciato di nuovo a risuonare dentro di lei.
- Ti stavo cercando - spiegò Ben con un sorriso teso - temevo ti fosse accaduto qualcosa!
Diana riportò lo sguardo sul foglio che ancora stringeva tra le dita: - Sei solo un altro schifoso bugiardo!
- Cosa? - chiese lui confuso.
Diana alzò lo sguardo per incontrare gli occhi neri come la pece dell’uomo che aveva davanti e si accorse di non riuscire a distinguerne l’iride dalla pupilla. 
- Dianaaaa - la voce di Fred era carica di frustrazione mentre il ragazzo compariva in cima alla collina.
Gli occhi color nocciola si trasformarono rapidamente in due fessure nell’accorgersi della presenza di Ben e la mano scattò meccanicamente tesa in avanti brandendo la bacchetta nella loro direzione.
Una nausea improvvisa colse Diana sia nel notare un rivolo di sangue tingere il collo candido di Fred che nel rivedere la scena di pochi minuti prima. La bacchetta di nuovo puntata contro di lei.
- Tu - il tono di Fred era tagliente e velenoso, mentre fissava Ben - Diana, allontanati da lui, per favore.
Ma Diana rimase immobile.
Le sue gambe e il suo cuore presero a vacillare.
Le poche certezze a cui si era appigliata le scivolavano tra le dite come granelli di sabbia.
Ridere, scherzare e fare l’amore con Fred nel letto illuminato dal lucernario le sembrava un ricordo surreale ed appartenente a un’epoca remota.
Benjamin sguainò a sua volta la bacchetta per puntarla contro Fred.
Nell’assistere a quella scena, Diana si riscosse e, istintivamente si posizionò nel bel mezzo della traiettoria di entrambe le bacchette.
- Diana, per favore...! Non fare stupidaggini! - la implorò Fred, mentre la mano che teneva la bacchetta tremava appena e il suo sguardo si addolciva in una supplica.
Diana si voltò in maniera impercettibile verso di lui, guardandolo solo con la coda dell’occhio, indecisa sul da farsi.
Sapeva che, come sempre, se si fosse soffermata troppo su di lui, non sarebbe più riuscita a pensare lucidamente e la sua volontà sarebbe capitolata.
In un attimo, prima che potesse decidere in che modo agire, si sentì afferrare l’avambraccio dalla mano guantata di Benjamin e avvertì la compressione della materializzazione mentre dinanzi a lei lo sguardo battagliero di Fred si faceva vagamente perso. Quando il ragazzo scattò in avanti con il braccio teso per tentare di fermarli, Benjamin aveva già smaterializzato entrambi.

Dopo un attimo, il corpo di Diana ritrovò la terraferma e i suoi piedi incontrarono il terreno molto più duramente di quanto avessero mai fatto in una materializzazione congiunta con Fred Weasley.
Se Benjamin non avesse mantenuto salda la presa sul suo braccio, di certo lei avrebbe perso l’equilibrio cadendo rovinosamente al suolo.
- Lasciami - sibilò velenosa cercando di sgusciare dalla stretta dell’uomo, senza successo, mentre la rabbia ricominciava a ribollire e il ronzio a farsi sentire.
- Diana, calmati! - ringhiò Benjamin mentre la strattonava rudemente - ti devi calmare!
- No, tu mi devi lasciare! Dove mi hai portato? - sbottò Diana - che cosa vuoi?
Benjamin strinse i denti in un’espressione spazientita.
Diana continuava a cercare di divincolarsi come un animale spaventato e vide Ben trafficare con la mano al di sotto del mantello.
Prima che potesse rendersene conto, con uno strattone, lui la tirò a sè facendo cozzare la schiena della ragazza contro al suo petto.
Qualcosa di bianco calò a coprire la visuale di Diana, mentre un fazzoletto le veniva premuto con forza su naso e bocca.
Una zaffata di odore dolciastro e nausante le inondò le narici e le ottenebrò i sensi.
Prima di perdere qualsiasi connessione con la realtà e con il proprio corpo, Diana pensò stupidamente che quella mattina sarebbe stato davvero meglio non alzarsi da quel letto illuminato dal lucernario.

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Ehilà!
Eccomi tornata con un nuovo capitolo! Direi che la questione della lettera è stata affrontata nel peggiore dei modi da Diana e Fred, ma insomma, così doveva andare...e il caro Benjamin è riuscito finalmente a scovare il nascondiglio dei protagonisti!
Se vi va , fatemi sapere che ne pensate visto che in questo periodo sono in preda a dubbi di ogni tipo e ciò che scrivo mi fa sempre più schifo XD
Che vi aspettate? Ben dove avrà portato Diana? Che intenzioni avrà?
A presto :) e grazie a tutte le persone che continuano a seguire questa storia ❤️

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Capitolo 40
*** Divisi ***


"Everything’s so blurry and everyone’s so fake
And everybody’s empty and everything is so messed up
Preoccupied without you, I cannot live at all
My whole world surrounds you, I stumble and I crawl”

( “Blurry” - Puddle Of Mudd)



Tutto intorno a Fred Weasley era dannatamente sfocato.
I profili degli alberi che sbucavano dalla nebbia, il prato umido sembrava tremolare sotto ai suoi occhi e persino la punta della sua bacchetta sembrava ondeggiare in un vorticoso movimento confuso.

C’era un’unica certezza nitidamente e dolorosamente scolpita nella sua mente: Diana non c’era più. Fred aveva assistito alla sua sparizione impotente e frustrato.
Benjamin Murray gliel’aveva portata via da sotto il naso senza che lui fosse riuscito a fare qualcosa per evitarlo.

Si sentiva avvolto da uno strano torpore come se, improvvisamente, il suo corpo e la sua mente fossero stati bruscamente scollegati.
Il suo braccio era ancora dolorosamente teso e con l’estremità della bacchetta rivolta verso il punto in cui, pochi attimi prima, si trovavano Diana e Benjamin.
Il suo sguardo era fisso e incollato ai ciuffi di erba umida ancora schiacciati dalle suole delle scarpe di Diana.
Un senso di vertigine gli schiacciò lo stomaco riportandolo lentamente alla realtà, mentre una folata di vento gelido lo faceva rabbrividire.
Le sagome scure degli alberi che si stagliavano verso il cielo ripresero la consueta solidità, la sua presa sulla bacchetta si fece di colpo reale, mentre gli sembrava di riappoggiare i piedi al suolo dopo una serie di pericolose manovre in sella ad un manico di scopa impazzito.
Nonostante l’iniziale sollievo, il suolo gli apparve di una consistenza differente rispetto a quanto ricordasse.
L’aria che inspirava aveva incredibilmente un sapore diverso e pesante.

Sospirò profondamente.
Diana non c’era più.

Nulla di tutto ciò sarebbe successo se lui avesse dato retta a George e avesse parlato subito a Diana della lettera.
Ripose la bacchetta in tasca e si passò una mano tra i capelli, sbuffando per la frustrazione e con lo sguardo che vagava oltre l’orizzonte fosco e tetro.
Si sentiva stordito come se fosse stato colpito in testa da un Bolide.
Si massaggiò la nuca e, mentre le sue dita tastavano un doloroso bernoccolo, ricordò di avere preso seriamente una bella botta in testa.

Come aveva potuto pensare che omettere la conoscenza della lettera potesse essere una buona idea?

In preda alla frustrazione sferrò un calcio ad un sasso, sperando che quel gesto potesse farlo in qualche modo sentire meglio e aiutarlo a sfogare la collera che galoppava sempre più ferocemente al ritmo del battito del suo cuore.
La vista del sasso che rotolava giù dalla collina, però, non gli infuse alcun tipo di conforto.
Si voltò, sempre più indignato, e prese a camminare con foga verso casa McKinnon.

Dove poteva averla portata Benjamin?
Che intenzioni aveva?
Diana stava bene?
Lei lo aveva colpito.
Era la prima volta che il potere del Blackhole sfuggiva a Diana con così tanta ferocia e violenza.
Fred era certo che lei non lo avesse fatto volontariamente e che lo avrebbe perdonato per la bugia sulla lettera.
Doveva solo trovarla e chiederle scusa.
Sì.
Tutto sarebbe andato per il verso giusto.

Mentre discendeva la collina a lunghe e rapide falcate, incrociò George e Lee che trafelati correvano nella sua direzione.
- Stai bene? - boccheggiò George con gli occhi che percorrevano la figura di Fred per controllare che fosse davvero tutto intero.
- Che è successo? - esclamò Lee trafelato guardandosi intorno - dov’è Diana?
Fred non si fermò e continuò la sua maratona verso casa, costringendo gli altri due ad accelerare il passo per stargli dietro.
L’aria ghiacciata di dicembre gli sferzava il viso così duramente da fargli lacrimare gli occhi. 

Da quanto tempo era fuori al freddo?

Emise un sospiro che prontamente si condensò in una nuvoletta di vapore.
- Dov’è Diana? - sbottò George superandolo e parandoglisi davanti per costringerlo a dargli una risposta.
- Benjamin l’ha portata via - sibilò Fred con rabbia scansando il gemello per continuare a camminare e si sfregò frettolosamente gli occhi brucianti.
Avrebbe potuto materializzarsi dentro casa in un attimo, ma sentiva l’impellente necessità di camminare, di muoversi. Di fare qualcosa. Stare fermo non era un’opzione da prendere in considerazione.
Era già rimasto immobile di fronte al rapimento di Diana e ora non sarebbe rimasto immobile ad aspettare che qualcuno le facesse del male.
- Cosa? - esalò George incredulo - Benjamin era qui?
Lui e Lee ripresero ad inseguirlo fino a quando tutti e tre non raggiunsero il portico di casa McKinnon.
- Ti vuoi fermare e ci vuoi dire che cosa cavolo è successo? - esclamò George iniziando ad innervosirsi per la situazione, dato che Fred si stava dirigendo come una furia verso la porta d’ingresso senza degnarlo di una risposta.
- No! Non mi fermo! - gridò Fred dando un calcio alla porta ancora chiusa e voltandosi a guardare il gemello che lo scrutava preoccupato - Devo trovarla! Devo trovarla e… - la mano si aggrappò alla maniglia della porta e si strinse ad essa senza abbassarla - … e spiegarle che non volevo nasconderle niente!
George lo fissò con una compassione che gli diede quasi fastidio e aprì bocca per parlare, ma Fred lo interruppe con decisione:
- Se devi dirmi che tu me lo avevi detto, non è il momento giusto!
George scosse la testa e alzò entrambe le mani in segno di resa con l’intenzione di aggirare il litigio che si sarebbe potuto scatenare.
- Ragazzi, non ci sto capendo un accidente… - si intromise Lee Jordan confuso facendo rimbalzare lo sguardo tra i due gemelli.
Fred sbuffò indispettito e per niente desideroso di raccontare tutte le vicende a Lee. Avrebbe lasciato l’incombenza a George.
Si materializzò in camera, appellò uno zaino e aprì l’armadio facendone sbattere malamente le ante.
Iniziò a ficcare i vestiti nello zaino, un po’ con la magia e un po’ con gesti secchi e meccanici, appallottolando magliette e maglioni e sbuffando con impazienza.
La rabbia e la camminata lo avevano surriscaldato così velocemente che, in quel momento, nella foga e nel trambusto stava addirittura sudando.
Cercava di focalizzare la propria attenzione su qualcosa che non fosse l’idea di Diana tra le mani dell’imprevedibile Benjamin Murray.
Gli abiti di Diana, accuratamente riposti nell’armadio ancora aperto, sembravano fissarlo con insistenza come per sottolineare grottescamente il fatto che lei, lì, non ci fosse più.
Tutto, in quella stanza, urlava nitidamente il nome di Diana.
Afferrò le ante in legno scuro e le richiuse con violenza in faccia a quegli sfacciati vestiti, ma anche quel gesto non servì a nulla.
Diana non c’era più e non era colpa di un ammasso di stoffa.
La colpa era solo sua.
Cercò di scacciare in fretta ogni pensiero.
Chiuse con uno scatto la cerniera dello zaino ormai pieno e se lo issò su una spalla per lasciare velocemente la stanza.
- Dove stai andando? 
George lo bloccò sulla soglia della camera costringendolo ad indietreggiare di un passo.
- A cercarla - si limitò a rispondere lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
- Dove? - lo incalzò il gemello incrociando le braccia al petto come se volesse metterlo alla prova - e soprattutto…ci vai da solo?
Fred scrollò le spalle perchè non aveva minimamente pensato a un piano d’azione.
In realtà, i suoi pensieri assomigliavano solo ad un groviglio di idee sconnesse.
Lo zaino parve farsi improvvisamente più pesante.
Fred guardò George senza rispondere, così quest’ultimo roteò gli occhi al cielo nervosamente e poi dichiarò: - Aspettiamo che faccia buio, per sicurezza, poi torniamo a Edimburgo a parlare ancora con Robert. Potrebbe sapere qualcosa! Lee sta già raccogliendo le nostre cose e io vado a controllare i dintorni! Vorrei evitare che qualcuno ci segua…
Fred riuscì solo ad annuire, annientato dalla consapevolezza che il piano di George fosse sensato.

Così, finalmente, si fermò.
Si sfilò lo zaino dalla spalla abbandonandolo con un tonfo sordo sul pavimento e si lasciò cadere seduto sul letto ancora disfatto da quella mattina.
La testa gli faceva male e sentiva il sangue ronzargli nelle orecchie.
Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si chinò in avanti tenendosi la testa tra le mani, massaggiandosi le tempie, fissando il pavimento e cercando di non cedere alle ondate di preoccupazione e senso di colpa che minacciavano di travolgerlo.
Doveva trovarla, chiederle scusa e tutto sarebbe andato per il verso giusto.
 
                                                                                       
      °°°°°°°°°°°°


Quando Diana Harvey riaprì gli occhi, si rese conto di trovarsi in un posto freddo, umido e nauseabondo.
Sentiva sgocciolare le infiltrazioni d’acqua lungo le pareti di pietra.
Era raggomitolata nell’angolo di una stanza e sentiva il corpo dolorante e anchilosato come se si trovasse da ore nella stessa posizione. 
Era strano perchè l’ultima cosa che ricordava era di essersi smaterializzata insieme a Ben e poi il nulla.
Aveva la testa dolorante e si sentiva confusa e spaesata.
I suoi occhi si abituarono lentamente all’oscurità che pervadeva l’aria e scrutò guardinga il luogo in cui si trovava: sembrava una vasta cella di pietra con il pavimento ricoperto da uno sporco strato di paglia; dalle pareti grondava un leggero strato di umidità che impregnava tutto l’ambiente; uno squittio sommesso la avvertì della presenza di qualche topo. Rabbrividì all’idea degli orrendi roditori che zampettavano, mentre cercava di mettersi in piedi a fatica, perchè si accorse di avere mani e piedi legati da pesanti catene che, benchè piuttosto lunghe, la tenevano ancorata al muro.
Non c’erano finestre.
Quella gelida e buia stanza sembrava trovarsi a metri sotto terra.
Provò a richiamare il potere del Blackhole, ma sentiva soltanto un enorme vuoto dentro di lei.
Si lasciò scivolare con la schiena lungo la parete fredda e si mise seduta tenendosi la testa tra le mani, mentre le catene tintinnavano sinistramente.

Era successo tutto in così poco tempo che faticava a rimettere insieme i tasselli della sua memoria.
La lettera.
Fred.
L’esplosione del suo potere.
Ben.
E ora dove si trovava? 
Dov’era Ben?

Un isterico singhiozzo le fece sobbalzare il petto e proruppe in un gemito soffocato mentre si copriva il viso con le mani, ferita e angosciata.
Doveva trovare un modo per uscire da quel luogo.
Chiuse gli occhi e cercò di calmare il respiro e di recuperare nuovamente l’energia che era annidata dentro di lei, ma era troppo spaventata e tormentata per concentrarsi, così la sua volontà andò impietosamente a scontrarsi di nuovo con una parete di nulla cosmico.

- Non è possibile uscire di qui - una voce remota la raggiunse facendola sobbalzare per la sorpresa.
Non aveva visto nessuno a dividere la cella con lei, ma a quanto pareva non era sola.
- Chi...c’è? - chiese in tono flebile e spaventato allungando il collo per cercare di capire da che parte provenisse la voce.
- Solo un prigioniero come lei - rispose debolmente la voce che sembrava appartenere ad un uomo anziano.
- P-prigioniero? - Diana si guardò intorno incredula mentre un vecchio dai capelli argentati vestito di una tunica logora sbucava dall’oscurità in fondo alla cella.
- Come definiresti qualcuno rinchiuso tra quattro mura? - domandò l’anziano incedendo verso di lei con l’andatura lenta e affaticata di chi non era più abituato a camminare.
- No, ci deve essere un errore... - si intestardì Diana agitandosi, mentre il suo sguardo saettava dalle pareti di pietra alle sbarre che chiudevano la cella e il suo cervello realizzava che le parole dell’uomo corrispondessero alla dura verità.
Improvvisamente, le quattro pareti parvero stringersi intorno a lei mozzandole il respiro in gola.
L’anziano le rivolse un sorriso appena accennato accompagnato da uno sguardo carico di compassione.
Diana deglutì a disagio sentendo il respiro farsi più affannoso nel notare che l’uomo, a differenza sua, non portava nessuna catena e poteva muoversi liberamente nella cella.
- Lei chi è? - chiese Diana cercando di calmarsi, ma con le tempie che iniziavano a pulsare di dolore.
- Non credo che lei mi conosca - rispose lui appoggiandosi alla parete di pietra umida di fronte a lei - il mio nome è Olivander.
Diana sollevò lo sguardo e di scatto domandò: - Il fabbricante di bacchette?
Olivander si aprì in un sorriso spossato e, al tempo stesso, sorpreso: - Non ricordo di averle mai venduto una bacchetta...e io ricordo ogni bacchetta che ho venduto! - si fece pensieroso come se stesse compiendo un grande sforzo nel tentare di ricordare chi si trovasse davanti - quindi come fa a conoscermi?
- Ho visto il suo negozio a Diagon Alley - mormorò tristemente Diana ricordando le vetrine in frantumi e le assi di legno che sprangavano la porta d’ingresso - mi chiamo Diana Harvey!
Se l’espressione di Olivander si era fatta nostalgica e malinconica nell’udire la menzione al proprio negozio, quando Diana si era presentata, il fabbricante di bacchette aveva raddrizzato velocemente la schiena e aveva preso ad osservarla con maggiore interesse di quanto avrebbe riservato ad una normale nuova compagna di cella.
Diana lo scrutò attentamente, in attesa che l’uomo dicesse qualcosa, ma visto che lui non si arrischiava a proferire parola, fu Diana a domandare: - Dove siamo?
Prima che l’anziano potesse concederle una risposta, si udì il raschiare di un chiavistello che scattava e uno spiraglio di luce perlacea illuminò fiocamente la cella.
La luce proveniva da una porta in cima a una scalinata. Il chiarore fu presto oscurato da una figura incorniciata dal profilo della soglia, che prese a scendere le scale.
Diana si avvicinò alle sbarre fino a quanto le catene glielo consentivano, socchiudendo le palpebre.
Fu avvolta da un misto di timore e curiosità nel cercare di riconoscere l’identità della persona che stava scendendo lentamente le scale.
Si aggrappò alle sbarre arrugginite e premette la fronte contro di esse per dare una risposta agli interrogativi che la attanagliavano, mentre il suo sguardo si abituava lentamente alla luce.
Benjamin Murray era avvolto da un pesante mantello nero bordato di calda pelliccia e la osservava con il mento leggermente sollevato nella sua consueta espressione di superiorità.
Diana non lo aveva mai visto indossare abiti da mago e rabbrividì nel constatare quanto sembrasse, allo stesso tempo, uguale e diverso dall’uomo che conosceva.
- Ben? - esalò allontanando il corpo dalle sbarre, ma tenendole fermamente tra le mani.
Ben si limitò a squadrarla con gli occhi neri e con aria indecifrabile.
- Ben - lo implorò Diana mentre un nodo di disperazione le saliva su per la gola e le dita tremanti stringevano convulsamente le sbarre di ferro - che ci faccio qui? Fammi uscire!
- Non credo sia possibile - rispose lui in tono gelido ma provando a confortarla con un freddo sorriso, mentre appoggiava una mano avvolta da dei guanti in pelle nera sulle sue, attraverso le sbarre.
- C-cosa? - sussurrò lei spalancando gli occhi e sussultando al tocco della mano dell’uomo sulla sua - Perchè? Dove siamo? Fred sta bene?
- Non ne ho idea - le rivolse solo una smorfia di disgusto, come se avesse ingoiato un boccone di un cibo andato a male, e interruppe bruscamente il contatto tra le loro mani arricciando le labbra per rispondere con sdegno solo all’ultima della serie di domande - e non mi importa.
Diana sbattè le palpebre, sconcertata.
Ben si limitò a fissarla dilatando appena le narici per esprimere il proprio disinteresse per le sorti di Fred Weasley.

Doveva per forza trattarsi di un brutto sogno. Non poteva essere vero.
Le sembrava così assurdo che quella mattina si fosse svegliata felice tra le braccia di Fred.
I sorrisi e i baci erano solo un ricordo lontano, disgraziatamente spazzati via dalla scoperta di quella maledetta lettera che aveva irrimediabilmente fatto precipitare la situazione.

Si affondò le mani tra i capelli, premendosi le dita sulle tempie martellanti.
Ben, impassibile, agitò appena la bacchetta e fece comparire sul pavimento della cella due vassoi con del pane e una ciotola piena di un liquido fumante.
- Mangiate qualcosa - ordinò in tono perentorio a lei e ad Olivander.
Olivander si avventò fulmineo verso il vassoio, ma Diana rimase immobile e in tono duro chiese: - Perchè?
Ben non sembrava intenzionato a risponderle, quindi Diana afferrò velocemente il vassoio rimasto e lo scagliò contro le sbarre esplodendo in un urlo carico di frustrazione.
Il vassoio rimbalzò indietro con un fragore metallico e cadde malamente sul pavimento della cella, mentre il liquido caldo e fumante andò a schizzare Benjamin. L’uomo, in un batter d’occhio, attraversò le sbarre che al suo passaggio svanirono per magia, ed entrò nella cella con aria furente spingendo Diana con la schiena contro la parete.
- Non farlo mai più - la minacciò lui con una mano che le premeva una spalla contro il muro con troppa forza.
Diana strinse le labbra con la schiena inchiodata alla parete umida dallo sguardo penetrante e oscuro. Avrebbe dovuto essere terrorizzata eppure continuava a nutrire la speranza che ci fosse un errore. Che Ben avesse già avuto centinaia di occasioni per farle del male prima di quel momento.
- Diana, per favore - la stretta sulla sua spalla si allentò un poco - fidati di me, ok?
- Ah sì certo, dovrei fidarmi di uno che mi ha sbattuto in una cella? - sbottò Diana con voce velenosa liberandosi dalla stretta di Ben - dovrei fidarmi di uno che mi ha sempre mentito?
Ben si passò stancamente una mano sul viso, esasperato, mentre con un colpo di bacchetta si ripuliva la veste nera che grondava zuppa fumante.
- Finchè ci sono io non hai nulla da temere - Ben cercava assurdamente di rassicurarla, ma Diana si sentiva solo più confusa che mai - ma non potrò essere sempre qui, quindi comportati come si deve e fai quello che fa il signor Olivander, mi hai capito? 
Diana lanciò un’occhiata all’anziano fabbricante di bacchette che si era tenuto in disparte a consumare il proprio pasto come se nulla stesse accadendo.
I pensieri nella sua testa si inseguivano in un confuso vortice sforzandosi di collegare i fatti per capire cosa ancora le sfuggisse.
- Dov’è mio padre? - mormorò Diana a voce bassissima.
Pronunciare la parola padre le provocò un conato di vomito e le appesantì la lingua in una sgradevole sensazione.
- Non lo so - rispose Ben abbassando a sua volta il tono di voce - è quello che sto cercando di scoprire. Temevo che ti trovasse prima di me.

Diana inarcò un sopracciglio e lo scrutò con crescente sospetto: Benjamin sembrava sincero.
Ma allora perchè lei si trovava in una cella?

- Ho scoperto la verità sulla mamma... - confessò Diana in un soffio che le provocò un acuto crampo allo stomaco - ecco perché stavo scappando...
Benjamin scoccò un’occhiata eloquente in direzione di Olivander che, nonostante stesse finendo di trangugiare avidamente la propria zuppa, sembrava trovare molto interessante il discorso che si stava svolgendo lì accanto.
- Non è il momento di parlarne - Ben, in tono lapidario, pose fine a quello che era sembrato il principio di una conversazione e si allontanò per passare nuovamente attraverso le sbarre magiche e tornare al di fuori della cella.
- Che cosa? - Diana si infuriò a tal punto da dimenticare, per un attimo, la paura e tornò a ghermire le sbarre che si riconsolidarono sotto al suo tocco - invece mi devi una spiegazione!
- Ti ripeto che non è il momento! - le ringhiò indietro Ben in modo intimidatorio.
In quel momento, un’altra figura si affacciò in cima alle scale e prese a scendere lentamente i gradini con passo traballante accompagnato da delle risatine che immersero rapidamente Diana in un ansioso timore.
- Bene bene - constatò la nuova arrivata con un ghigno folle rigirandosi la bacchetta tra le dita e osservando Ben e Diana - che bella riunione di famiglia! Ho interrotto qualcosa? 
- No, Bellatrix - rispose prontamente Ben contraendo le guance in una smorfia che non riuscì a mascherare il fastidio e la tensione per quel nuovo arrivo.
Olivander si mosse convulsamente verso il fondo tenebroso della cella come se volesse confondersi alla parete di pietra per nascondersi dalla strega. Anche Diana, istintivamente, si scostò dall’ingresso per mettere più metri possibili tra lei e quella perfida donna.
- Mi era sembrato di sentire dei toni...accesi! - continuò lei imperterrita senza smettere di ridacchiare con disprezzo.
- Ti ho detto che è tutto a posto! - ribadì Ben in tono austero e misurato - non c’è bisogno che tu mi tenga d’occhio.
- Ero solo preoccupata per te! - squittì Bellatrix con insulsa falsità.
Bellatrix Lestrange che si preoccupava per qualcuno?
Se non fosse stata così spaventata, Diana si sarebbe potuta mettere a ridere per quell’affermazione; invece, mosse velocemente lo sguardo avanti e indietro tra la Mangiamorte e Ben.
- Stai dalla loro parte... - esalò Diana dando voce ai dubbi che la tormentavano da quando aveva messo piede in quella sudicia prigione.
- Finalmente ci sei arrivata! - pigolò Bellatrix eccitata come se stesse scartando un regalo di compleanno in anticipo.
Benjamin si limitò a guardare Diana con aria grave e vagamente colpevole, prima di imboccare le scale seguito da Bellatrix Lestrange.
- Perchè?? Sei uno schifoso bugiardo! - gli gridò dietro Diana sentendo la vista offuscarsi a causa di un’ondata di lacrime calde e brucianti, ma la sua voce si perse echeggiando tra le pietre umide, mentre la porta in cima alle scale si chiudeva con un tonfo metallico facendo sprofondare la stanza nelle tenebre.
Un rivolo di freddo la scosse in un tremito.
Si sentiva spossata da tutte quelle rivelazioni.
Aveva freddo.
Si strinse nella felpa di Fred che ancora indossava e ne sollevò il cappuccio per coprirsi la testa, mentre si sedeva a terra e si raggomitolava abbracciandosi le ginocchia per cercare di scaldarsi.
Olivander la fissava in silenzio.
Inspirò profondamente.
Tutto era sfocato e confuso.
I suoi ricordi.
I suoi sentimenti.
Le sue certezze.
Appoggiò la testa alla parete alle sue spalle, affondò le mani nella tasca e incontrò ancora una volta il foglio spiegazzato e consunto che Fred le aveva nascosto.
Sospirò pesantemente, dilaniata dalla rabbia nei confronti di Fred che veniva ciclicamente inglobata da un pungente senso di nostalgia. Cercando di ingoiare le lacrime, chiuse gli occhi e immaginò di trovarsi tra le braccia di Fred e che nulla di quanto accaduto fosse reale.
Sperò di dormire e di sognare un letto illuminato da un lucernario e il sorriso beffardo di una ragazzo dai capelli rossi.
 
       
                                                                                               °°°°°°°

Benjamin Murray strinse le labbra e si impegnò ad assumere la sua consueta aria di indifferenza e superiorità, mentre la porta delle segrete di Villa Malfoy si chiudeva alle sue spalle.
Si scostò il mantello a causa del repentino cambiamento di temperatura tra i sotterranei e il piano nobile della lussuosa dimora, dove i camini scoppiettavano inondando di calore le stanze.
Bellatrix lo seguiva a breve distanza con espressione troppo circospetta.
Benjamin si costrinse ad ignorarla e proseguì a camminare rapidamente lungo il corridoio, varcando la soglia dell’ampio e vuoto soggiorno.
- Dove sono tutti? - si decise a domandare Benjamin voltandosi verso Bellatrix che ancora si trovava alle sue spalle.
Un rumore simile a uno squittio proveniente dalla parte opposta della stanza attirò l’attenzione di entrambi: Peter Minus, con le spalle incurvate in un atteggiamento remissivo e intimorito, li scrutava torcendosi le mani. Si schiarì debolmente la voce e rispose:   - Al Ministero, a cercare Harry Potter...
- O a dare la caccia ai babbani - terminò Bellatrix con aria sorniona, leccandosi le labbra.
Benjamin tornò a concentrarsi sulla donna: - Dov’è Daniel?
- Chi? - chiese lei senza capire.
- Daniel Harvey - ripetè Benjamin iniziando a perdere la pazienza e tentando di non darlo a vedere per non scatenare inaspettate reazioni nella strega.
- Ah, il Magonò! - ridacchiò Bellatrix - non ne ho idea!
Benjamin strinse i denti contraendo le guance in una smorfia di disappunto: - Ha il Blackhole ed era con Greyback l’ultima volta che l’ho visto! Quindi deve essere per forza stato qui!
Bellatrix scosse la testa e le spalle con noncuranza: - Ti ho detto che non ne ho idea! Non mi interessano i loro affari!
Benjamin buttò fuori l’aria tra i denti in un silenzioso ringhio: non avrebbe avuto risposte da Bellatrix Lestrange.
Si riavvolse nel mantello e si diresse verso la scalinata in marmo che conduceva verso lo spazioso giardino della villa.
- Dove vai? - lo incalzò Bellatrix cercando di seguirlo - il Signore Oscuro vorrà vederti quando tornerà...
Benjamin le avrebbe volentieri risposto che non erano affatto affari suoi ciò che combinava, ma voleva anche evitare di trovarsi una Maledizione Cruciatus tra capo e collo, quindi rispose in tono burbero: - A cercare Daniel e poi il Signore Oscuro. Nel frattempo, non toccate la ragazza o ve ne pentirete.
- Pensi di farmi paura? - sghignazzò Bellatrix incredula.
- No - rispose Benjamin parlando con tranquillità - volevo solo ricordarti che al Signore Oscuro serve che lei sia viva e sana, quindi non azzardarti a toccarla.


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Ehilà :)
Eccomi di nuovo a tormentarvi! Chiedo scusa per questa assenza alle poche persone che stanno seguendo la storia, ma ero un po' bloccata e ogni cosa che scrivevo mi faceva pietà (credo che la cosa si veda anche da questo capitolo, ma sono riuscita a dargli più o meno un senso...)
E' un po' più corto rispetto agli ultimi standard ma non volevo appesantire troppo la situazione visto che già per i contenuti non è un Carnevale di Rio XD (come d'altronde saranno i prossimi....)
Come vedete, lentamente ci stiamo riavvicinando alla trama principale!
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate! Probabilmente la storia sta diventando pallosa perchè vedo che commenti e views sono diminuiti drasticamente, quindi anche i commenti negativi sono ben accetti, come sempre :)
A presto!
 

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Capitolo 41
*** Padre e figlia ***


I giorni scivolavano lenti e inesorabili con lo stesso monotono suono delle gocce di umidità che imperlavano le pareti della cella e rimbombavano nella mente ferita di Diana.
Cercava di mantenersi sana di mente, ma la cosa le risultava molto difficile. 

Ben era un Mangiamorte?
Lui e suo padre erano complici?
Fred stava bene?

Dentro alle pareti di quella maledetta cella, le preoccupazioni, le paure e gli interrogativi sembravano dilatarsi e gonfiarsi a dismisura, togliendole il sonno e distorcendo la realtà in una versione alterata.

Suo padre aveva ucciso sua madre.
Lo aveva fatto volontariamente o era stato un incidente? Ben lo aveva avvertito tramite quella lettera...e suo padre aveva proseguito imperterrito.
Benjamin sapeva ogni cosa ed era rimasto zitto.

Quei pensieri non le lasciavano tregua: oltre alla fame e al freddo che pativa tra quelle mura, si torturava con quelle domande fino a farsi venire il mal di testa.
Il potere del Blackhole sembrava essere svanito: ogni volta che tentava di concentrarsi le tornava in mente l’esplosione con cui aveva colpito Fred e un senso di orrore e disgusto la bloccava in uno stato d’impotenza. 
L’ormai famigliare ronzio era ridotto ad un flebile e quasi impercettibile sussurro.
Non riusciva a sentire nulla se non la fame, che le faceva gorgogliare dolorosamente lo stomaco vuoto, e il freddo gelido e strisciante che le si insinuava nelle ossa come se si trovasse continuamente di fronte ad un esercito di Dissennatori.
L’unica cosa che era certa di sapere era che Fred le mancava terribilmente.
Le mancava il suo sorriso, le sue battute e persino i suoi scherzi che, di solito, non facevano altro che mandarla su tutte le furie.
I ricordi dei momenti passati insieme la riscaldavano di un effimero sollievo destinato a trasformarsi subito in amare fitte di dolore nel domandarsi se lui, George e Lee stessero bene e fossero al sicuro.
Ogni volta che si ritrovava a pensare a Fred e a quanto le mancasse, avvertiva un miscuglio di sentimenti contrastanti: senso di colpa, risentimento e tristezza.
Fred aveva mentito e non aveva mantenuto fede alla promessa che le aveva fatto e quella consapevolezza la faceva soffrire molto più di quanto non potesse farlo la mancanza di cibo, il freddo o la paura.
Eppure la nostalgia sembrava scavarle una voragine nel petto ad ogni respiro a dispetto di ogni razionale ragionamento che il suo cervello potesse partorire.

Il giorno e la notte si confondevano in un unico intricato groviglio e lo scorrere del tempo era scandito solo dalla consegna dei pasti che si materializzavano in totale autonomia all’ingresso della cella: nessuno si era più preso la briga di scendere nelle segrete, fatta eccezione per un piccolo uomo con una mano argentata che veniva a prelevare puntualmente il signor Olivander per condurlo fuori dalla cella per quelle che sembravano delle ore.
Diana aveva provato più volte a fare domande al carceriere, a implorarlo di farla parlare con Ben, ma tutto ciò che aveva ricevuto era stata una totale indifferenza celata dietro gli occhietti azzurri e acquosi.
- Murray non è qui - si limitava a rispondere l’uomo con dissimulato fastidio per cercare di porre fine alle insistenti richieste di Diana.

L’unica novità durante quelle giornate interminabili e quelle notti insonni fu rappresentata dall’arrivo di un nuovo prigionero.
Diana e Olivander avevano da poco consumato uno dei pasti, quando la porta in cima alle scale si era aperta con un clangore metallico, attirando la loro attenzione e facendoli sporgere verso le sbarre per cercare di capire cosa stesse accadendo.
Un uomo alto e dai lunghi capelli scuri che Diana non aveva mai visto prima di allora, spintonava con malagrazia una ragazzina giù dalle scale, tenendole la bacchetta puntata tra le costole.
Le torce ai lati dell’ingresso della cella si accesero inondando di una danzante luce giallastra l’ambiente cupo e illuminando i due nuovi arrivati: Diana notò che l’uomo aveva una profonda cicatrice su una guancia.
Mentre, il suo sguardo si abituava lentamente alla luce, le sbarre sparirono per il tempo necessario affinchè la ragazza venisse sospinta verso di loro e subito riapparirono, mentre l’uomo, senza dire nemmeno una parola, già saliva le scale per tornare sui propri passi.
Diana stava ancora fissando con astio le sbarre quando una voce femminile dall’aria trasognata la riscosse: - Io ti conosco...
Diana si voltò ad osservare la ragazza: era bionda con dei lunghi capelli mossi e gli occhi azzurri spalancati nello scrutare l’ambiente circostante.
- Eri al matrimonio di Bill Weasley! - continuò la ragazza con voce più sorpresa che spaventata - ci hai protetto con quello strano incantesimo...avevi i capelli rossi però!
- Luna? - azzardò Diana nel ricordare la stramba amica di Ginny Weasley che aveva cercato di aiutare durante l’attacco alla Tana - come…come sei arrivata qui?
Olivander, nel frattempo, aveva ascoltato interessato il dialogo tra le due ragazze.
- Signor Olivander? - domandò Luna in tono nebuloso.
- Signorina Lovegood - annuì lui con tono stanco prima di mettersi a enunciare le caratteristiche della bacchetta che aveva probabilmente venduto alla ragazza.
Diana sospirò battendo nervosamente il piede sul pagliericcio.
Luna raccontò velocemente di essere tornata a casa per le vacanze di Natale e di essere stata rapita dai Mangiamorte a causa del lavoro del padre, il quale gestiva una rivista apertamente schierata contro le nuove posizioni del Ministero e di Voldemort. 
Diana ricordò di aver sentito Lee parlare de “Il Cavillo” e di quanto fossero pericolose le notizie che il direttore si azzardava a riportare.
L’arrivo di Luna Lovegood portò con sè un leggero miglioramento: nonostante la ragazza fosse molto particolare e Diana non capisse la maggior parte delle stranezze di cui blaterava, era comunque una presenza che emanava ottimismo e buonumore, anche rinchiusa in una cella a metri sottoterra.
L’unico modo per passare il tempo e per evitare che la sua mente impazzisse alla ricerca di risposte o si torturasse con teorie assurde, era intrattenere una conversazione con Olivander e Luna.

Un giorno in cui Diana si sentiva più triste e scoraggiata del solito iniziò a fare domande all’anziano fabbricante di bacchette. 
Stavano mangiando, ognuno addossato a un angolo della cella. 
Quella notte, Diana non aveva chiuso occhio. Riversa sullo scomodo pavimento aveva fissato le pietre umide fino a che queste non avevano lentamente preso le sembianze del viso sorridente di Fred e poi di quello di sua madre. 
Il pensiero di suo padre che uccideva lentamente sua madre le provocava dolorosi crampi allo stomaco. L’idea che l’avesse guardata morire, mentre il Blackhole le risucchiava le forze fino a prosciugarla le faceva digrignare i denti per la rabbia e il disgusto che provava verso quell’uomo assurdamente imparentato con lei.
- Dove va tutte le volte che la portano fuori dalla cella? - chiese Diana mentre si passava una mano tra i capelli biondi ormai incrostati di sporcizia.
- Li aiuto con un lavoro - rispose in un sospiro Olivander.
- Non dovrebbe farlo - lo rimproverò Diana in tono rabbioso - io non aiuterei mai le persone che mi tengono prigioniera!
- Pensa che abbia scelta, signorina Harvey? - le domandò severamente Olivander sollevando lo sguardo verso di lei.
Diana deglutì. 
No, non aveva scelta. Nessuno ce l’aveva.
- Come hai fatto al matrimonio a lanciare quell’incantesimo senza usare la bacchetta? - chiese Luna interessata inserendosi nella conversazione.
- Luna, te l’ho già detto - sbuffò Diana - non ho una bacchetta perchè sono babbana e non ho lanciato nessun incantesimo!
- Non sapevo che i Weasley avessero parenti babbani... - constatò Luna adombrandosi.
- Infatti non sono loro parente... - ammise Diana in un borbottio, giocherellando con un chiodo arrugginito che stava cercando di sfilare da giorni da una fenditura tra le pietre sconnesse della parete - sto...insomma, stavo... - tentennò indecisa sulle parole da pronunciare - con Fred Weasley...
Sperò che Luna non fosse il tipo di persona da domande indiscrete, ma la ragazza la smentì prontamente chiedendo: - Nel senso che Fred Weasley è il tuo ragazzo?
Diana avvertì di nuovo quell’accozzaglia confusa di sentimenti contrastanti nell’udire quella domanda, ma rispose: - Più o meno sì...
Luna non indagò oltre, ma rimase a studiarla con gli occhi chiari velati da un’ombra di curiosità, prima di riscuotersi e domandare: - Ma avevi un medaglione quel giorno! Non ho mai visto un oggetto simile...
Diana sgranò gli occhi nel constatare la facilità con cui Luna Lovegood passasse da un argomento all’altro senza alcuna apparente connessione logica.
- Era un Blackhole - si rassegnò a spiegare in tono mesto: il solo menzionare il suo vecchio orologio, le provocò una dolorosa fitta al petto.
Quante notti lo aveva stretto tra le mani per trovare la forza di andare avanti dopo la morte di sua madre, di zia Karen…
Luna parve spalancare ancor di più gli occhi azzurri e Olivander raddrizzò la testa in uno scatto improvviso per guardarla.
- Lo sapevo che esistevano! - soffiò Luna estasiata.
- Questo spiegherebbe perchè lei è qui - constatò invece Olivander facendosi pensieroso.
- In che senso? - domandò Diana sospettosa.
Olivander abbassò la voce come se temesse che qualcuno potesse sentirli: - E’ questo che mi fanno fare quando mi portano fuori dalla cella! Mi fanno lavorare su un Blackhole per cercare di capire come estrarre la magia che possiede!
- Il Blackhole è qui? - sibilò Diana agitandosi - Un orologio da taschino? Estrarne la magia? E’ possibile??
Olivander si limitò ad annuire e a farle cenno di tacere, perchè l’uomo che Diana aveva scoperto chiamarsi Codaliscia era appena apparso davanti alla porta della cella e stava facendo scattare il chiavistello per portare il fabbricante di bacchette con sè, come accadeva quasi ogni giorno.
Olivander, remissivo, stava già seguendo il carceriere fuori dalla prigione, ma Codaliscia alzò una mano per fermarlo ,e per la prima volta, si rivolse a Diana: - Oggi sono venuto a prendere te.
Diana, esasperata dalla fame, dalla reclusione e dall’assenza di risposte, strinse i pugni in un impeto di coraggio e sbottò ferocemente: - Non verrò da nessuna parte se prima non mi fate parlare con Ben.
Quel piccolo omino dall’aria viscida non riusciva a incuterle nessuna paura.
Codaliscia, sbuffando e assumendo un sorriso crudele, la colpì con un rapido e preciso manrovescio sul viso con la mano argentata. 
Il dolore la raggiunse bruciante e improvviso, mentre perdeva l’equilibrio e si ritrovava riversa a terra con il sapore del sangue a riempirle la bocca e le orecchie che fischiavano.
Diana lo squadrò con rabbia sputando il sangue e ripulendosi le labbra con la manica della felpa.
- Alzati e seguimi - ordinò lui strattonandola in piedi con la mano argentata per condurla fuori dalla cella e poi lungo un corridoio tetro che si snodava come un serpente nelle viscere di quel luogo inquietante.
Il penetrante odore di muffa e umidità le intasava le narici mescolandosi al sapore ferroso del sangue mentre varcavano la soglia di un’ampia stanza piena di oggetti stravaganti.
In mezzo a fiale e ampolle dall’aspetto sinistro, strani e antichi strumenti astronomici, calderoni ribollenti e vetrine stipate di ingredienti inquietanti e viscidi si stagliava la figura che Diana aveva meno voglia di vedere in assoluto.
Bellatrix Lestrange si voltò a guardarla con sufficienza mentre Codaliscia spingeva Diana in mezzo alla stanza per dileguarsi velocemente.
Diana rimase paralizzata sul posto, terrorizzata dall’imprevedibile follia di cui ormai era certa che la strega fosse capace. Bellatrix, però, si limitò a fissarla, annoiata, lasciandola in una spasmodica e inquietante attesa, come se si divertisse ad osservare il terrore che era in grado di provocare.
Un cigolio alle spalle di Diana annunciò l’arrivo di un nuovo ospite.
Diana si voltò e non appena i suoi occhi incrociarono quelli del nuovo arrivato, avvertì il sangue ghiacciarsi nelle vene e, subito dopo, iniziare a ribollire per la rabbia.
Bellatrix si riscosse e, con il viso deformato da un sorriso disgustato, asserì: - Bene, ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare!

                                                                                  °°°°°°


Come ogni giorno, Daniel Harvey era seduto nell’angusta stanza nella quale era stato relegato all’interno del Malfoy Manor.
Non era una cella con sbarre alle finestre, ma era comunque una prigione.
Non poteva muoversi liberamente nè lasciare quella stanza spoglia senza essere accompagnato da qualcuno, ma forse, da una parte era meglio così dati gli individui che si aggiravano per quella signorile dimora.
Nonostante fosse più o meno certo che nessuno gli avrebbe fatto del male, era comunque un Magonò che si aggirava all’interno del covo dei Mangiamorte per eccellenza, dove gli ideali della purezza di sangue erano sempre il metro di giudizio primario.
Si sentiva come una pecora braccata dai lupi, pronta ad essere divorata al primo passo falso.
Quando Peter Minus, meglio noto come Codaliscia, lo scortava per le ampie e scure stanze della villa, percepiva gli sguardi carichi di disprezzo che ogni mago o strega gli riservava. Lo ritenevano uno schifoso essere inferiore, indegno e deplorevole quanto un grosso scarafaggio.
Ad ogni affilata occhiata, Daniel deglutiva e abbassava il suo sguardo, pregustando e assaporando il momento in cui finalmente avrebbero smesso di guardarlo così.
Il momento in cui si sarebbero accorti che lui era il tassello fondamentale per la vittoria del Signore Oscuro.
Oh, sì, dopo li avrebbe guardati lui dall’alto in basso.
La sola idea di scrutare con superiorità quegli stupidi purosangue che per tutta la vita lo avevano fatto sentire inadeguato e sbagliato lo faceva fremere di gioia.
Non era affatto colpa sua se era nato Magonò.
Quando i poteri del Blackhole sarebbero stati suoi, si sarebbe tolto le sue piccole soddisfazioni.
E il primo con cui avrebbe cominciato sarebbe stato Benjamin Murray.
Era già stata una soddisfazione vedere l’uomo che anni prima lo aveva cacciato dalla propria casa, cercarlo assiduamente mentre in realtà Daniel era nascosto proprio al Malfoy Manor.
Aveva sparso false tracce qua e là in vari luoghi per far sì che Benjamin rimanesse fuori dai piedi per un po’, in modo che lui potesse lavorare tranquillamente sul Blackhole.
In fondo, al Signore Oscuro non importava chi fosse il babbano della leggenda del Blackhole.
A lui importava solo di sconfiggere Harry Potter e di prendere completamente il potere sul mondo magico, ma Daniel Harvey non aveva migliore occasione per ottenere ciò che aveva da sempre desiderato.
La magia.
L’unica cosa che non aveva mai potuto avere e che invece aveva bramato con tutto sè stesso.

Era dolorosamente ironico il fatto che l’unico ostacolo fosse rappresentato da sua figlia.
Daniel Harvey, purtroppo, non era mai riuscito a volerle davvero bene.
Non si era mai sentito tagliato per fare il padre, ma aveva amato sua moglie Sarah, la quale aveva desiderato così tanto un figlio tanto che Daniel aveva ceduto per farla felice.
Non aveva mai voluto prendere in considerazione la possibilità di tramandare ad un eventuale discendente la sua totale mancanza di magia, ma Sarah gli aveva fatto cambiare idea.
Lo ameremo comunque che sia mago o babbano, gli aveva detto Sarah accarezzandosi il pancione.
E lui per un po’ ci aveva provato a crederle, anche se sepolta nelle profondità del suo animo coltivava la presunzione che quella piccola bambina dai capelli biondi sarebbe diventatata una piccola e coraggiosa Grifondoro o un’intelligente e brillante Corvonero.
Invece, Diana non era niente.
Era banalmente e tristemente identica a lui.

- Sei pronto? 
La voce di Codaliscia seguita da un colpo alla porta lo riscosse dai suoi pensieri facendolo alzare di scatto.
La porta si aprì e il suo ormai personale carceriere rivolse solamente una fugace occhiata indagatoria prima a lui e poi all’interno della stanza, poi gli fece cenno di seguirlo lungo il corridoio, poi giù dalle scale e attraverso il dedalo di corridoi e porte alle quali ancora non si era abituato.
- Lei è già nel laboratorio - esordì Codaliscia in tono asciutto senza nemmeno guardarlo.
Daniel sbattè le palpebre, sorpreso da quell’affermazione.
- Diana? - si accertò Daniel continuando a seguire l’uomo nella discesa verso i sotterranei.
Come risposta ottenne solo un lieve cenno di assenso con il capo.
- Benjamin? - sondò il terreno Daniel con tono titubante.
- Non ci sono novità su di lui - spiegò Codaliscia con voce leggermente più tremante man mano che si avvicinavano alle segrete.
Daniel annuì soddisfatto.
Per una volta ogni cosa sembrava andare nel verso giusto.

Si arrestarono di fronte ad una vecchia porta in ferro arrugginato che aveva tutta l’aria di essere anche parecchio pesante; attraverso una piccola grata al centro poteva intravedere qualcuno muoversi all’interno della stanza.
Si avvicinò.
Diana si guardava intorno con gli occhi verdi spalancati, il viso smunto e scavato, i capelli arruffati erano spenti e sporchi. Tutta l’attenzione di sua figlia era rivolta verso la figura di Bellatrix Lestrange che si aggirava con aria annoiata per l’ambiente, toccando senza motivo un’ampolla o un libro solo per il gusto di far innervosire chi aveva di fronte.
Daniel avvertì una leggera stretta allo stomaco nell’osservare il profilo di Diana, così simile a quello della defunta moglie.
Non voleva farle del male.
Non era di certo un sadico malato di mente.
Voleva solo prendersi quel potere che sua figlia non aveva mai nemmeno voluto.
Codaliscia aprì la porta ed entrambe le figure femminili all’interno si voltarono verso di loro.

Daniel raddrizzò la schiena assumendo un’aria stoica e indifferente, mentre sia sul viso di Diana che su quello di Bellatrix si disegnava la medesima espressione di disgusto.
- Bene, ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare!

                                                                           
°°°°°°°°°


- Che ci fai qui? - Diana Harvey udì la propria voce sibilare minacciosa, mentre il suo corpo si irrigidiva in un’involontaria posizione difensiva.
Daniel Harvey era in piedi di fronte a lei.
Suo padre era pallido e i capelli biondi striati di grigio erano più corti di quanto ricordasse. Le sorrise mellifluo, tanto da provocarle un conato di vomito e domandò: - Non sei contenta di rivedermi?
Diana non rispose, ma si limitò a stringere i pugni conficcandosi le unghie nei palmi per la tensione.
La sua lingua sembrava paralizzata e il suo cervello anestetizzato dall’odio che si ingrossava come un’impetuosa e tempestosa onda.
L’uomo prese a muoversi nella strana stanza come se la frequentasse abitualmente e iniziò a trafficare con i libri sulla scrivania.
Sia Diana che Bellatrix tenevano gli occhi incollati su Daniel Harvey: la prima sospettosa e circospetta, la seconda annoiata e con aria di superiorità.
- Che ci fai qui? - ripetè Diana in tono acuto, mentre sentiva le mani tremare per il disgusto.
Daniel la degnò a malapena di uno sguardo e riprese a trafficare con le pagine di un vecchio libro.
Diana setacciò con lo sguardo la superficie del vecchio tavolo e sentì il fiato mozzarsi nel petto nel notare il Blackhole malamente appoggiato tra un’ampolla e un sacchetto di cuoio dall’aria logora e sporca.
- Sono qui per aiutarti - rispose Daniel con un luccichio sinistro nello sguardo senza distogliere lo sguardo dalle pagine del libro come se fosse intento a leggere gli ingredienti di una ricetta.
Se Diana non fosse stata così invasa dalla rabbia nei confronti del padre, si sarebbe di certo messa a ridere.
- Tu? Aiutarmi? - commentò in tono disilluso la ragazza e poi, con aria pensierosa quasi come se stesse parlando tra sè e sè, domandò - Ben... dov’è? Lui ha detto che ti stava cercando...Gli hai fatto del male?
Daniel scrollò le spalle tenendo il segno con un dito puntato ancora sulla pagina e alzò lo sguardo carico di risentimento:
 - Evidentemente non ha pensato di cercare nel posto più ovvio. Tipico...
Bellatrix accennò un sorriso che subito si tramutò in una smorfia di disgusto, come se anche trovare vagamenti divertenti le parole di un Magonò potesse essere considerata un’onta da cui purificarsi il prima possibile.
- Tu - Diana si rivolse a Bellatrix senza pensare quanto fosse rischioso - eri dalla parte di Benjamin e ora stai con lui? - indicò il padre con sdegno.
Bellatrix fu percorsa da un brivido e sibilò: - Io non sto dalla parte di nessuno, stupida bambina! Io sono fedele solo al Signore Oscuro e lui ha i suoi buoni motivi per avere dei dubbi su Murray visto il tempo che ci ha messo per portarti qui! Tuo padre, pur essendo uno schifoso Magonò, è stato decisamente più utile…
Diana si morse la lingua per zittirsi, visto che Bellatrix la fissava minacciosa e con lo sguardo assottigliato.
Daniel Harvey allungò finalmente le mani sul vecchio orologio da taschino per afferrarlo e Diana, di fronte a quel gesto, si sentì sprofondare nell’angoscia e nello sdegno.
- Che vuoi fare? - boccheggiò costernata.
- Una cosa semplice semplice - spiegò candidamente Daniel - voglio il potere del Blackhole, ma per una strana coincidenza quel potere è legato a te. Voglio spezzare il legame che il Blackhole ha con te per trasferire il potere a me.
Diana sgranò gli occhi e aprì la bocca senza emettere alcun suono, sentendosi quasi violata internamente di fronte a quell’eventualità.
- Esiste una leggenda che narra che il Signore Oscuro potrà sconfiggere Harry Potter con l’aiuto di un babbano che abbia ricevuto i poteri dal Blackhole. E ho intenzione di essere io quel babbano. Quindi, se sarai collaborativa sarà una cosa rapida...se invece opporrai resistenza... - inclinò il capo di lato con espressione triste - beh, sarà una cosa un po’ meno rapida!
- E come pensi di farlo? - soffiò Diana inquietata e ipnotizzata dalle parole del padre.
Daniel Harvey aveva appeso il Blackhole ad un gancio di metallo appeso all’alto soffitto.
Bellatrix Lestrange agitò la bacchetta per far comparire una grossa e spigolosa sedia di legno scuro.
- Siediti - Daniel Harvey indicò con gentilezza la sedia.
Diana rimaneva in piedi solo grazie al disprezzo che provava per l’uomo che aveva contribuito a metterla al mondo e non accennò a muovere un muscolo.
- Ho detto “ Siediti” - ripetè duramente Daniel e questa volta la strattonò malamente per un braccio per farla sedere.
Non appena fu fatta gentilmente accomodare, per magia, dalla sedia comparvero due manette che le bloccarono i polsi ai braccioli e altre due le scattarono intorno alle caviglie per incatenarla a quella che sembrava essersi trasformata in un’arma di tortura medievale.
Diana si agitò con un ringhio, mentre il metallo freddo le affondava nella poca carne che le era rimasta.
Bellatrix Lestrange ridacchiò e si avvicinò al viso di Diana, tanto che la ragazza poteva sentire l’alito caldo sul proprio collo e vedere la folle luce maligna che animava lo sguardo della strega.
- Ti colpirò con così tanti incantesimi che il tuo stupido potere non potrà farci un bel niente!
Diana deglutì a vuoto per cercare di ripristinare la salivazione del tutto azzerata per il terrore, si ritrasse dalla donna rintanandosi contro lo schienale della sedia e spostò lo sguardo verso suo padre come a cercare un ultimo barlume di umanità, ma lui si limitò a scrutarla con indifferenza.
- Diana - il padre le parlò con tono di rimprovero - è davvero una cosa semplice! Tu verrai colpita dall’incantesimo, l’energia fuoriuscirà da te, colpirà l’orologio e il gioco sarà fatto. Il potere tornerà al suo posto e tu sarai libera.
Diana serrò le labbra e sollevò il mento: non avrebbe permesso che ciò accadesse.
Non avrebbe fornito a Voldemort un’arma letale per uccidere Harry Potter.
Diana prese un profondo respiro e chiuse gli occhi proprio un attimo prima di udire Bellatrix Lestrange pronunciare la formula del primo incantesimo.
Il formicolio la invase.
Doveva evitare che il suo potere esplodesse.
Il latente ronzio si impennò come attraversato da una corrente elettrica ad alto voltaggio e azzerò ogni altro rumore nella stanza.
Doveva resistere.
Strinse i denti fino a farsi male, serrò gli occhi tanto da vedere piccoli ghirigori danzanti all’interno delle palpebre e ghermì i braccioli della sedia conficcandovi dentro le unghie.
Doveva resistere.
Pensò a Fred scaraventato contro ad una parete da un’esplosione di luce azzurra.
E resistette.

Nelle settimane successive, Diana fece molta fatica a distinguere ciò che era reale da ciò che non lo era.
Ogni giorno era uguale al precedente.
Incatenata alla grossa sedia, veniva colpita da un incantesimo dopo l’altro. 
Dolore. 
C’era solo quello.
Taglienti fitte che si susseguivano una dopo l’altra conficcandosi in ogni parte del suo corpo come lame affilate.
Ogni volta che un incantesimo la colpiva cercava di focalizzarsi su altro per non pensare al potere del Blackhole che minacciava di sopraffarla.
Solitamente era a Fred che pensava.
Il solo ricordare di quanto il potere del Blackhole fosse instabile e pericoloso per le persone che le stavano vicino e che amava le dava la forza di trattenersi e di tenere a bada la dirompente energia.
Non era una passeggiata, perchè il trattenere l’energia era più doloroso e faticoso che mai, ma era incredibilmente riuscita nel proprio intento.
Ricordava il ghigno perfido ed eccitato di Bellatrix Lestrange farsi sempre più frustrato e nervoso di fronte ad ogni tentativo fallito di estorcere la magia racchiusa in lei, anche se questo rendeva sempre più caparbia e folle la strega.
Diana cercava di sopportare le costanti torture fino a quando le forze non la abbandonavano in uno stato di semi incoscienza e allora si risvegliava priva di forze, spossata e scossa da tremiti e conati, nel buio della cella con solo Luna Lovegood a scostarle i capelli incollati alla fronte imperlata di sudore.
Ben sembrava essere sparito.
Se lui fosse stato lì non avrebbe mai permesso che le facessero del male.
Ne sei sicura? Sembrava chiedere una vocina nella mente di Diana.
No, non ne era più sicura.


Dopo l’ultimo attacco di Bellatrix che la lasciò senza fiato e riversa con la testa ciondolante, ma stranamente cosciente, la sentì dire:
- Non funziona - conosceva ormai a memoria la vocetta infantile e lamentosa della strega.
- Dobbiamo provare ancora - sbottò Daniel Harvey cocciuto - deve funzionare!
- Forse non funziona perchè dobbiamo provare qualcosa di nuovo! Un incentivo… - Diana mise a fuoco a fatica il profilo di Bellatrix, la bacchetta all’angolo delle labbra, mentre la fissava pensierosa per poi aprirsi in un sorriso sadico aggiungendo - Scommetto che se ci fosse qui uno di quei due suoi amichetti rossi potremmo ottenere qualche risultato...
In un riflesso incondizionato, Diana aveva rialzato la testa e sgranato gli occhi con orrore. 
L’idea che potessero fare a Fred, George o chiunque altro quello che stavano facendo a lei le fece artigliare il bracciolo di legno della sedia con le unghie già spezzate e sanguinanti, come faceva ogni volta che si aspettava un nuovo attacco di Bellatrix.
Il pensiero di Fred che si contorceva per il dolore sotto lo sguardo di suo padre e Bellatrix, le fece raddrizzare con fierezza la schiena in una posizione che sperava incutesse timore.
- Avanti! Perchè non provi ancora? - sibilò a fatica con la lingua gonfia dai morsi che si era procurata per sopportare il dolore - sono pronta.
Poteva sopportare altra sofferenza, se questo poteva risparmiarla a Fred.
Che cos’era solo un’altra fitta di dolore?
E poi un’altra e un’altra ancora…
Bellatrix rimase immobile a fissarla, la bacchetta abbassata.
- E’ tutto qui quello che sai fare? - gridò Diana per provocare l’ira della donna e distrarla da quella perversa idea.
Bellatrix sorrise grottescamente e poi si rivolse a Codaliscia, che, come sempre, era in piedi accanto alla porta - Manda qualcuno a cercare i due Weasley e specifica che li voglio vivi.
Codaliscia annuì e sparì in un sonoro schiocco.
- No - mormorò Diana con il capo chinato a guardarsi le caviglie nude lacerate dalle catene - no..no...
- Oh, ma non sei felice di rivederli? - squittì eccitata Bellatrix - ci divertiremo tutti insieme! 


Ogni giorno che passava senza che Fred, George o qualcun altro di sua conoscenza venisse fatto prigioniero per Diana era una vittoria.
Anche se ogni giorno significava altra sofferenza per lei.
Da quanto tempo era prigioniera?
Non sembrava più fare così freddo nel sotterraneo.
Quel giorno Bellatrix era stata chiamata ad assolvere ad altri incarichi durante una delle loro intense sedute e aveva fatto scortare Olivander, che spesso era obbligato a frequentare il laboratorio, in cella. Diana era rimasta sola con il padre.
- Perchè? - aveva sbottato Diana contorcendosi dolorante sulla scomoda sedia.
Daniel Harvey aveva sollevato lo sguardo e si era avvicinato alla figlia con aria grave: - Tesoro, ricordati che tutta questa sofferenza te la stai causando da sola! Credi che mi faccia piacere vederti così?
Diana sorrise amaramente con una smorfia, a causa del labbro gonfio e spaccato che pulsava dal dolore a causa di un nuovo sfogo del suo carceriere : - Beh, vedendo l’impegno che ci metti, direi di si...
Daniel scosse la testa come quando da bambina doveva insegnarle a non sporgersi troppo oltre la ringhiera del balcone e rispose: - Ho voluto questo potere da tutta la vita e ora...ce l’hai tu! Non ti sembra tremendamente ingiusto? Voglio liberarti da questo peso! So che è troppo per te da sopportare!
Diana, il capo inclinato per scrutare con attenzione il volto del padre e per soppesare le sue parole, disse: - Non ho mai detto che non lo riesco a sopportare...
- Certo che no - rispose in tono accondiscendente Daniel passandosi una mano tra i capelli - sei orgogliosa e testarda e non lo ammetteresti mai! Non ci vorrà molto prima che tu faccia del male a coloro che ti stanno intorno - si leccò le labbra pensieroso e proseguì: - Non ci vorrà molto prima che, volendo o non volendo, tu faccia del male a Fred...
Diana lo fulminò con lo sguardo e poi, maledicendosi per essersi lasciata scappare una reazione, mise su l’espressione più indifferente che potè.
- O forse è già successo... - ipotizzò Daniel Harvey con il ghigno di chi aveva centrato il bersaglio.
- Quello che succede tra me e Fred non ti riguarda - le parole le uscirono veloci, come il getto di veleno sputato dalle fauci di una vipera.
- Pensaci, Piccola D - riattaccò Daniel con voce suadente ignorando le domande di Diana - potresti essere una ragazza normale che non deve aver paura di uccidere il proprio ragazzo dopo una litigata e io potrei portare sulle mie spalle questo peso per aiutare il Signore Oscuro.
- Perchè? - domandò nuovamente Diana - perchè senti tanto il bisogno di aiutarlo? Da quello che mi hanno detto lui non esiterebbe un secondo a schiacciarti come una mosca! Non abbiamo magia dentro di noi. Quelli come noi, per lui sono solo esseri inferiori.
- Lui ha bisogno di me per vincere la sua battaglia - sentenziò Daniel Harvey raddrizzando le spalle come se dovesse tenere in equilibrio sulla testa una pesante corona.
- Ha bisogno di te? - Diana si lasciò sfuggire una risata amara che le estorse un gemito di dolore - e te lo ha detto lui?
- No - rispose Daniel con espressione furente - ma ho stipulato un accordo! Lui sapeva già della leggenda! Mi è bastato mettermi in contatto con alcuni suoi stretti…collaboratori per fargli sapere che potevo entrare in possesso del Blackhole! Greyback mi ha aiutato a consegnarglielo e ora non posso deluderlo!
- Perchè hai... fatto quello che hai fatto a mamma? - Diana aveva deciso di cambiare argomento dato che il padre era più convinto che mai di dover aiutare Lord Voldemort.
L’uomo parve rabbuiarsi e appoggiò i palmi delle mani sulla superficie lignea del tavolo dicendo:
 - Non ho mai voluto farle del male. Io la amavo. Volevo solo assorbire una piccola parte della sua magia. Quindi le ho regalato l’orologio - lo sfilò dal gancio appeso al soffitti e lo mostrò a Diana - Benjamin, quell’idiota, ha provato a mettersi in mezzo e a farmi cambiare idea, ma sotto sotto era anche lui curioso di scoprire se avessi ragione. 
Daniel Harvey aggirò il tavolo e si sedette su di esso lasciando penzolare le gambe nel vuoto, in un’abitudine che Diana si accorse di aver ereditato da lui e, istantaneamente, si ripromise di non sedersi mai più sopra ad un tavolo.
- Quando tua madre ha iniziato a stare male io davvero non ho pensato che fosse il Blackhole il problema. Abbiamo fatto decine di visite dai migliori medici del paese, ma nessuno riusciva a spiegarsi il suo malessere. Quando Benjamin mi ha esposto i suoi sospetti, non gli ho creduto. Pensavo fosse solo un subdolo tentativo di togliermi il Blackhole. 
Diana deglutì a vuoto, mentre a disagio si muoveva ancora incatenata alla sedia. Istintivamente, aveva irrigidito le gambe fino a sentire le catene tendersi e affondarle dolorosamente nella carne già martoriata; il sangue caldo aveva iniziato a colarle lungo la caviglia destra.
- E quando ho cominciato a valutare che forse Ben aveva ragione, era troppo tardi. - fece una pausa carica di quella che sembrava nostalgia - Tua madre se ne è andata e mi sono sentito un verme. Ho cercato di rimediare. Ero sconvolto e ho cercato di distruggere quell’orologio, ma non ci sono riuscito!
Si passò una mano tra i capelli.
- Non me lo aspettavo! Io non volevo farti del male…
Diana inclinò la testa di lato per decifrare le parole del padre.
- Cosa? Di che cosa stai parlando?
- Quel bagliore è esploso dal Blackhole - sospirò Daniel - e ti ha colpito. Io sono rimasto ferito e Benjamin è arrivato appena dopo pensando che io ti avessi fatto del male…
Le parole di Daniel Harvey rimbombarono nella mente di Diana in un’eco lontana e metallica portando con sè scene sconnesse tenute insieme dal ricordo di qualche sogno e di una terrificante visione dei Dissenatori.
Le mani insanguinate.
L’esplosione di luce.
Tutto assumeva un senso.
Ma allora perchè lei non ricordava nulla?
Daniel parve rispondere a quell’implicita domanda dicendo: - Hai battuto la testa e hai perso i sensi per un po’…forse è per quello che non hai mai ricordato nulla di quell’episodio…
Padre e figlia si stavano ancora studiando in silenzio, quando dal piano superiore si udì un rimbombo di passi e voci concitate.
Era la prima volta che accadeva.
Le urla e gli schiamazzi non facevano che aumentare di volume e attirarono anche l’attenzione di suo padre, che adocchiò con un rapido movimento il soffitto.
- Che succede? - chiese Diana preoccupata, lo sguardo che si alternava tra il padre e il soffitto ammuffito.
Daniel scrollò le spalle e con un ghigno sarcastico ipotizzò: - Magari hanno trovato Fred e suo fratello…
Istintivamente, Diana percepì il proprio viso deformarsi in un ringhio rabbioso, mentre le catene tra le sue caviglie tornavano a tendersi affondando nella carne.
Il sangue caldo prese a sgorgare in un bruciore intenso.
La guardia dai capelli scuri e la cicatrice sulla guancia si materializzò nella stanza con uno schiocco.
- Devo riportarla in cella, Harvey! E anche tu devi tornare nella tua stanza! - l’uomo sembrava agitato mentre si guardava intorno ansioso di raggiungere il piano di sopra - Arrivano nuovi...prigionieri.
Con un colpo di bacchetta, liberò polsi e caviglie della ragazza così improvvisamente che Diana trasalì nel sentire il sangue tornare a scorrere normalmente nelle estremità ormai intorpidite.
Altri prigionieri?
Quasi le mancò la terra sotto i piedi mentre si alzava e la attraversava il pensiero che potessero essere davvero Fred e George. 
Esalò un respiro cercando di calmarsi, mentre il nuovo carceriere la conduceva lungo il corridoio e poi verso la loro cella.

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Ehilà!
Eccomi con un nuovo capitolo di angoscia e sofferenza XD
Anche questo capitolo è stato un po' uno scoglio da superare e spero di aver fatto quadrare tutto e che quasi tutti i tasselli stiano andando al proprio posto, ma questo sarete voi a dirmelo! 
Spero di riuscire a pubblicare i prossimi capitoli con un po' più di rapidità dato che sono riuscita a portarmi avanti, ma non prometto nulla perchè ogni volta che dico così succede puntualmente qualche sfiga XD
A presto e grazie per chi continua a seguire questa storia!
Se vi va, fatemi sapere che ne pensate :)

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Capitolo 42
*** Compiere una scelta ***


Benjamin Murray si materializzò ai piedi di un’alta e frastagliata cima montuosa con i piedi che affondavano nella neve fresca bagnandogli fastidiosamente le caviglie. 
Era ormai primavera inoltrata: non si aspettava di trovare la neve.
Soffocò un’imprecazione tra i denti già stretti per il gelo avvolgendosi nel nero mantello.
Con la bacchetta nella mano destra, pronto ad ogni evenienza, si guardò attorno: il piccolo spiazzo tra le vette fredde e inospitali sembrava deserto.
Iniziava a sospettare di aver sbagliato luogo, soprattutto dopo tutte le peripezie che aveva dovuto affrontare per cercare Daniel; suo cugino, infatti, pareva essere sparito nel nulla.

Benjamin aveva setacciato ogni luogo che potesse essere in qualche modo collegato a Daniel: era tornato al Bedlam Royal Hospital e ad Edimburgo, aveva bazzicato pericolosamente per settimane a Notturn Alley per cercare di riallacciare i contatti con la gente che Daniel frequentava, ma ogni diceria o voce su di lui lo riportava penosamente in un vicolo cieco tanto da fargli perdere la pazienza.
Così aveva abbandonato la ricerca del cugino per rintracciare Lord Voldemort. Non poteva rimandare ulteriormente quel momento senza destare altri sospetti; anzi, probabilmente il Signore Oscuro avrebbe voluto da lui parecchie spiegazioni in merito a tutto il tempo che ci aveva messo a farsi vivo.

Il suo sguardo si posò su una rientranza tra le rocce e, contemporaneamente, il Marchio Nero sul suo avambraccio prese a formicolare. Evidentemente era nel posto giusto.
Si avviò verso la piccola grotta e chinò il capo per passare dall’ingresso incorniciato da pietre smosse e radici di alberi congelate.
- Benjamin…
Una voce che conosceva bene lo accolse rimbalzando sulle pareti e dandogli la sensazione che lui fosse ovunque, annidato in ogni roccia.
- Mio Signore - rispose Ben di riflesso guardandosi intorno e cercando di capire da che punto della caverna provenisse la voce.
Una strana onda d’inquietudine gli lambì lo stomaco.
Prima che i suoi occhi si adattassero del tutto all’oscurità, sentì qualcosa strisciare ai suoi piedi e, subito dopo, udì un sibilo serpentesco.
Nagini sembrava attenderlo appositamente per fargli strada, perchè dopo averlo squadrato per un attimo, si diresse verso la profondità della grotta buia.
Benjamin seguì Nagini tra i massi congelati e dovette farsi luce con la bacchetta per vedere dove metteva i piedi. Continuò a camminare senza perdere di vista il corpo squamoso del grosso serpente fino a quando la grotta non si allargò un poco e Nagini si fermò ai piedi di una figura che li attendeva.
Lord Voldemort era in piedi con le mani unite e le punte delle dita che si toccavano, in attesa e con un’espressione indecifrabile.

Era in collera con lui?
Era deluso?
Era sollevato?

Benjamin sospirò perché era in grado di interpretare simboli geroglifici, antiche rune e lingue morte, ma non era mai stato in grado di decifrare i pensieri criptici del Signore Oscuro, quindi si limitò ad abbassare impercettibilmente il capo in una forma di saluto reverenziale, mentre una sensazione di angoscioso timore gli attanagliava la gola, come ogni volta in cui si trovava al cospetto di Lord Voldemort.
- Benjamin - Lord Voldemort inclinò leggermente il capo e, senza tradire alcuna emozione, disse: 
- Finalmente. Immagino tu abbia notizie per me…
Benjamin annuì, rabbrividendo. 
- Ebbene? - domandò Voldemort stendendo una mano in avanti come per esortarlo a parlare.
- Ho catturato la ragazza, mio Signore - rispose Ben riabbassando lo sguardo sul terreno gelato e roccioso con il fiato che si addensava in una nuvoletta di vapore - come mi avevi chiesto. E sono più che convinto che sia lei la babbana di cui parla la leggenda.
- Bene - si limitò a rispondere Voldemort misurando la caverna a passi lenti e controllati che contribuirono ad accentuare la tensione di Ben - ci hai messo parecchio tempo, ma ce l’hai fatta. Onestamente, iniziavo a dubitare di te visto che la missione era terribilmente semplice...
- Io... - stava per giustificarsi Ben sollevando il capo per scrutare gli occhi rossi di Lord Voldemort.
- Abitavi con lei! - lo accusò con tono sferzante Voldemort - doveva essere facile come bere un bicchiere d’acqua!
- Volevo solo essere sicuro di non compiere un errore - spiegò Benjamin a denti stretti, ben attento ad ogni parola che pronunciava.
Lord Voldemort assottigliò le labbra in una specie di ghigno che lasciò intravedere i piccoli e inquietanti denti aguzzi.
- Lo so, lo so, Benjamin - sibilò Voldemort in tono mellifluo e controllato - eppure, mi chiedo se tu non abbia appositamente preso tempo! Sai, tutta quest’attesa mi ha dato modo di pensare se io mi possa davvero fidare di te…
Benjamin sgranò gli occhi per la sorpresa di fronte a quella pericolosa insinuazione che non poteva presagire nulla di buono.
- Ma, mio Signore..io…certo che ti puoi fidare di me! - Benjamin stava arrancando cercando di sembrare convincente e non spaventato come in realtà era.
- Certo certo, lo so - lo mise a tacere Voldemort con un sorriso enigmatico.
- Farò qualunque cosa…
- Bene - Voldemort lo scrutò con una gioia maligna nello sguardo - era proprio ciò che volevo sentire! Direi che possiamo procedere con la prossima mossa, allora…
Benjamin sbattè le palpebre in attesa di ordini, mentre desiderava con tutto sè stesso dei guanti soffici in cui affondare le dita delle mani rigide e gelate o di trovarsi sotto una calda coperta davanti ad un fuoco scoppiettante.
- Uccidila - ordinò Voldemort con un ghigno malvagio ed eccitato a deformargli i lineamenti disumani.
Ben rimase immobile e perplesso a quell’ordine che per la sua mente non aveva alcun senso.
- Ucciderla? Ma, mio Signore - provò a dire in cerca di spiegazioni - io pensavo che la volessi al tuo fianco...la leggenda...
- Sì, sì - lo liquidò velocemente lui - ma ora ho trovato finalmente la Bacchetta di Sambuco. La bacchetta più potente di tutti i tempi con cui non avrò nessun problema a polverizzare Harry Potter. Non mi serve più nessun aiuto, men che meno da una… - fece una pausa e poi terminò con superiorità - …babbana.
Lord Voldemort parlava con disprezzo e distacco, come se stesse parlando di un insetto particolarmente disgustoso che bisognava eliminare senza farsi troppe remore. Benjamin conosceva bene il mago che aveva davanti a sè e non avrebbe dovuto stupirsi di fronte a quella richiesta. Gli aveva già chiesto di uccidere molte persone e lui lo aveva fatto senza obiettare. Senza farsi problemi. Ma questa volta un flebile dubbio si insinuò nella sua mente: stava facendo la cosa giusta?
Voldemort lo stava studiando con aria indagatoria, in attesa di una risposta.
Benjamin percepì i tentativi di Lord Voldemort nell’insinuarsi nella sua mente, così deglutì e con estrema fatica cercò di chiudere la propria mente da quell’assedio, mentre nelle orecchie risuonava un’eco minacciosa.
Uccidila e non avrò più alcun dubbio
Benjamin non sapeva dire se quelle parole fossero frutto dei suoi timori o se fossero davvero un ultimo avvertimento.
- Sarà fatto - mormorò chinando lo sguardo al suolo, dove Nagini, acciambellata, lo scrutava con i suoi guardinghi e penetranti occhi gialli.
Senza aspettare di essere congedato, voltò i tacchi e si diresse verso l’uscita della caverna per cercare di mettere più metri possibili tra lui e Voldemort prima che quest’ultimo potesse capire quanto lo avesse turbato e destabilizzato la richiesta avanzata poco prima.
Proseguì a piedi verso una direzione casuale, evitando di smaterializzarsi subito.
Il cielo era di un biancore livido e la neve aveva preso a cadere a fiocchi grossi e pesanti. Camminò fino ad avere i piedi zuppi e gelidi, stringendosi addosso il mantello per difendersi dalle raffiche di vento gelido.

Uccidere Diana. 
Era evidente che Voldemort volesse metterlo alla prova per saggiare definitivamente la sua fedeltà.
Uccidere Diana.
Come avrebbe potuto farlo?
Provò ad immaginarsi la scena: lui che puntava la bacchetta verso di lei che, con gli occhi verdi sgranati e pieni di paura, lo fissava spaventata. 
Oltre alla paura, però c’era altro. Delusione. 
Sarebbe stato in grado di tradire una delle poche che persone che forse gli aveva voluto bene?
Deglutì.
Scosse il capo per mettere da parte, momentaneamente, quei pensieri e si smaterializzò.

                                                                                  
°°°°°


Malfoy Manor


Dopo che la guardia con la cicatrice aveva interrotto la conversazione tra Diana e suo padre, era giunto anche Codaliscia. 
Sui volti degli uomini c’erano delle strane espressioni di confusione, agitazione e angoscia che Diana non sapeva bene a cosa imputare. 
La ragazza fu condotta velocemente lungo il solito tetro e umido corridoio da ben due guardie, mentre suo padre fu scortato in fretta e furia fuori dal laboratorio delle torture da Codaliscia, che lo condusse lungo le scale che probabilmente portavano al piano superiore.
Il trambusto continuava a risuonare dai piani superiori: mobili che venivano spostati, rumori confusi e voci tonanti, ma indistinte.
Diana continuava a sforzarsi di interpretare quei rumori, di cercare di cogliere una qualche frase di senso compiuto che potesse in qualche modo darle un’idea di ciò che stava accadendo.
Aveva avuto l’impressione che le guardie fossero particolarmente tese e nervose.
Quando Diana fu sospinta giù dalle scale e verso la cella, si rese conto con orrore che oltre a Luna e ad Olivander c’era qualcun altro.
Si morse un labbro, sempre più nervosa nel rendersi conto che avevano spostato tutti i prigionieri in una nuova cella più grande: non c’erano più sbarre magiche a dividerla dal corridoio, ma una pesante porta di legno con una stretta feritoia.

Un ragazzo alto, dalla pelle e i capelli scuri, stava stringendo Luna in un abbraccio, mentre una specie di piccolo gnomo con un ghigno inquietante osservava la scena e parlottava con Olivander.
Tutti i presenti si voltarono verso di lei.
Gli occhi di Luna si spalancarono, se possibile ancora di più del solito, per il sollievo che fosse tornata. Obbligate a passare il tempo insieme, le due ragazze non avevano potuto evitare di legarsi l’una all’altra.
Una volta appurato il fatto che non conoscesse i due nuovi arrivati, Diana, con sollievo, si mosse lentamente zoppicando per lasciarsi scivolare lungo la parete per mettersi seduta. La caviglia destra pulsava terribilmente e il sangue continuava a sgocciolare dalla ferita provocata dalle pesanti catene che ogni giorno la bloccavano a quella maledetta sedia.
- La ferita sulla caviglia si è riaperta - constatò Luna in tono dolce, ma pratico, avvicinandosi.
- Già - bofonchiò Diana stringendo i denti - sai che novità! Sarà almeno la terza volta che si riapre…
Sospirò e osservò i nuovi volti che la scrutavano incuriositi, ma silenziosi.
- Chi siete? - domandò piano Diana tenendosi la caviglia dolorante e lanciando un’occhiata verso il soffitto, da dove le voci non facevano che aumentare d’intensità e volume - che sta succedendo?
- Lui è Dean Thomas - spiegò Luna con il suo solito tono calmo e sognante - eravamo a scuola insieme. Invece lui - indicò lo gnomo come se fosse normale trovarsi davanti creature simili - si chiama Unci-Unci ed è un folletto.
- Ci hanno catturati insieme a Harry, Ron e Hermione - spiegò in tono concitato il ragazzo di nome Dean Thomas, che aveva una spessa crosta di sangue secco sopra a un sopracciglio e si premeva una mano sul costato mascherando una smorfia di dolore.
Diana, dimenticando il dolore alla caviglia, per la sorpresa scattò in piedi come una molla e sbottò:    
 - Harry, Ron e Hermione sono qui? Stanno bene?
Il ragazzo di nome Dean annuì preoccupato e perplesso da quella reazione.
Diana aguzzò l’udito in direzione delle scale, da cui proveniva un baccano crescente, e barcollò. 
Una fitta di dolore le mozzò il fiato: aveva appoggiato il peso sulla caviglia dolorante e la gamba aveva ceduto.
Due mani la ripresero al volo per aiutarla a non afflosciarsi sul pavimento sporco.
- Ehi, tutto a posto? - le chiese Dean Thomas sostenendola e aiutandola a sedersi.
Diana grugnì un sorriso, mentre distendeva la gamba bruciante di fronte a sè: - Grazie.
Rivolse uno sguardo obliquo a Dean e si ritrovò a pensare istintivamente a Fred: - Scommetto che sei un Grifondoro, vero?
Dean inclinò la testa da un lato, stranito, e rispose: - Si...come fai a...?
Diana sorrise nervosamente e si limitò a rispondere: - Ne ho conosciuti un po’...
- Come conosci Harry, Ron e Hermione? - si accigliò Dean incrociando le braccia al petto e scrutando Diana dall’alto in basso con aria indagatoria - non mi sembra di averti mai vista ad Hogwarts...
- E’ una storia lunga - ammise Diana cercando di ripulire il sangue che sgorgava dalla sua gamba ricacciando indietro un conato di vomito nel vedere la carne martoriata e gonfia intorno allo squarcio. Rabbrividì anche solo nello sfiorare la ferita aperta.
- E’ la ragazza di Fred Weasley - rispose per lei Luna in tono frettoloso - è babbana.

Dean stava ancora guardando Diana come se gli avessero appena detto che dall’indomani il mondo sarebbe girato al contrario, quando con un tonfo la porta della cella si aprì e due figure furono scagliate senza troppe cerimonie sul pavimento lercio. Nello stesso momento, dal piano superiore si levò un terribile urlo, echeggiato subito da un ruggito che, invece, proveniva da uno dei due nuovi arrivati.
- HERMIONE! - gridò una voce rimbombando tra le pietre.
- Zitto - disse un’altra voce - Ron, dobbiamo trovare il modo...
- HERMIONE!HERMIONE!
- Ci serve un piano, piantala di urlare...dobbiamo liberarci di queste corde...
- Harry? Ron? - Diana sussurrò rimettendosi faticosamente in piedi sorretta da Dean.
- Siete voi? - le fece eco Luna avvicinandosi all’ingresso della cella.
Sotto la luce fioca delle torce, un’incredula Diana mise a fuoco i due prigionieri: Ron Weasley, più alto di quanto ricordasse e con i capelli rossi scuriti dalla sporcizia e uno zigomo sanguinante; quello che doveva essere Harry aveva i lineamenti deformati da un gonfiore diffuso su tutto il viso come se fosse stato punto da una dozzina di api, ma quando gli occhi verdi scintillarono, Diana non ebbe alcun dubbio sulla sua identità.
- Luna? - esalò Harry incredulo.
- D-Diana? - balbettò Ron sorpreso.
Diana barcollò verso i due e lanciò le braccia al collo di Harry per stringerlo in un abbraccio; fece per salutare Ron ma si bloccò, improvvisamente in imbarazzo, mentre lui si guardava intorno alla ricerca di qualcosa.
- Fred è qui? - domandò subito Ron con aria speranzosa scrutando il fondo della cella come sperando che il fratello maggiore sbucasse fuori da un momento all’altro.
Diana scosse la testa e non riuscì a frenare un paio di lacrime mentre si gettava tra le braccia di Ron. Lui le cinse goffamente le spalle e domandò: - Ma sta bene, giusto?
Diana soffocò un singhiozzo sulla spalla di Ron, così il ragazzo la allontanò lentamente per guardarla in viso e ripetè: - Sta bene, vero?
Diana si asciugò frettolosamente le lacrime con il dorso della mano e sospirò: - Non lo so…sono qui dentro da un’eternità…
L’espressione di Ron si incupì e aguzzò l’udito verso le voci che risuonavano dal piano superiore, mentre il suo corpo si irrigidiva nel sentire lo straziante grido di una voce femminile.
- Hermione - sibilò Ron allontanando Diana. Il viso del ragazzo era una maschera di sofferenza, come se fosse lui ad essere torturato - Io...devo fare qualcosa o Bellatrix la ucciderà...
Luna liberò Harry e Ron dalle funi che li legavano con l’aiuto del vecchio chiodo arrugginito che Diana era riuscita a staccare dalla parete, mentre la voce di Hermione continuava a implorare aiuto.
Diana rabbrividì mentre le urla la attraversavano e rimbombavano dentro di lei come una cassa di risonanza. Ron andava avanti e indietro impotente per la cella con i pugni chiusi in un modo così simile a Fred che Diana sentì il cuore rimpicciolirsi fino a farle male. 
Harry, preso dal panico, aveva tirato fuori dalla tasca una specie di piccolo borsellino da cui stava estraendo svariati oggetti, facendo cadere a terra quello che sembrava un frammento di specchio.
- CRUCIO! - dal piano di sopra la voce folle di Bellatrix si udì forte e chiara mentre veniva subito inseguita dalle urla di dolore di Hermione.
- Aiutaci - Harry, in ginocchio, sembrava implorare il frammento di specchio che ora teneva tra le mani - siamo nella cantina di Villa Malfoy, aiutaci!

Diana non riusciva più a ragionare con quelle urla folli: la testa le pulsava, la caviglia emanava fitte di dolore e la pelle si accapponava ad ogni urlo di Hermione; le sembrò addirittura di intravedere un paio di occhi azzurri nel frammento di specchio di Harry. Probabilmente stava diventando pazza!
Si sentiva debole e scossa da così tanti brividi da battere i denti. Per non perdere l’equilibrio, si aggrappò a Dean Thomas, ancora accanto a lei, mentre lo sguardo sfarfallava facendole sbattere velocemente le palpebre per mettere a fuoco il braccio di Dean che la teneva in piedi.
- Forse è meglio se ti siedi… - consigliò Dean continuando a tenerle saldamente una mano - credo che tu abbia la febbre…scotti…
In tutta risposta, Diana si limitò ad emettere un grugnito e a lasciare la mano di Dean come se il ragazzo avesse appena detto un’enorme stupidaggine.
- Sta arrivando qualcuno - disse Olivander, che fino a quel momento non aveva proferito parola.
Si sedettero tutti docilmente, in attesa, mentre Lucius Malfoy entrava nella cella con aria guardinga e  con la bacchetta tesa e prelevava il folletto per portarlo al piano di sopra.
La porta si era appena richiusa, quando si udì uno schiocco che fece sobbalzare tutti quanti.
Era apparso un esserino piccolo e magro vestito di stracci.
- Dobby! - esclamò Ron guadagnandosi una gomitata da Harry che gli fece segno di abbassare la voce.
Era un elfo domestico. Diana notò l’enorme somiglianza con Kreacher, l’elfo che aveva conosciuto a Grimmauld Place, anche se Dobby sembrava infinitamente più gentile e amichevole. Soprattutto perchè sembrava venerare Harry Potter e perchè si offrì di portarli in salvo materializzandoli altrove.
- Era così semplice? - sibilò Diana con ironia mentre tentava di non cedere alle ondate di bruciore provenienti dalla caviglia - bastava smaterializzarsi?
- Gli elfi praticano un diverso tipo di magia - spiegò dolcemente Luna - possono aggirare le barriere imposte dai maghi…
Harry fece un gesto spiccio con la mano per far avvicinare tutti a lui e per sottolineare il fatto che non fosse il momento di perdersi in chiacchiere.
Non avevano molto tempo prima che qualcuno tornasse di nuovo a controllare la cella o a prelevare qualche altro prigioniero.
Diana zoppicò verso il centro della cella aiutata da Dean.
- Bene, Dobby, voglio che tu prenda Luna, Dean, il signor Olivander e Diana e li porti...li porti da... - Harry si interruppe non sapendo bene che cosa dire.
- Da Bill e Fleur - concluse Ron impaziente perchè le voci al piano di sopra si erano placate - a Villa Conchiglia, vicino a Tinworth!
- E poi torna! - continuò Harry in tono concitato - puoi farlo?
L’elfo annuì e stava già allungando le mani per stringere quelle di Dean e Luna, ma entrambi presero a protestare perchè volevano rimanere ad aiutarli a liberare Hermione. 
Harry riuscì a convincerli spiegando che poi sarebbe stato molto più complicato per Dobby smaterializzare un così grande numero di persone in una volta sola.
- No, io non vengo - Diana si ritrasse mentre Dobby si avvicinava a lei - devo prima fare una cosa.
Harry la fulminò con lo sguardo: - Diana, per favore. Non ti reggi in piedi!
- Dobby - chiese Diana non calcolando minimamente le parole di Harry - riesci solo a farmi uscire dalla cella e portarmi là? - indicò con una mano la porta chiusa oltre la quale sapeva snodarsi il corridoio che portava al laboratorio delle torture.
L’elfo annuì mentre la fissava con i suoi enormi occhi.
- Perfetto! Prendo una cosa e... - Diana cercò di raccogliere le forze.
- Ci troviamo al piano di sopra - concluse Ron ansioso di mettere in salvo Hermione, mettendo a tacere anche le flebili proteste di Harry.

Diana afferrò la manina di Dobby e un attimo dopo si ritrovò libera. Osservò Dobby tornare in cella e lo sentì scomparire con Dean, Luna e Olivander. Mentre qualcuno si precipitava a controllare la cella, Diana imboccò a passo vacillante il corridoio, voltandosi indietro solo per fare un sorriso sofferente a Harry che sbirciava fuori dalla feritoia con aria preoccupata.
Percorse il corridoio lentamente sia per non fare rumore sia perchè mettere un piede davanti all’altro era diventato estremamente difficile. 
Le gambe sembravano più pesanti del piombo e la caviglia destra emanava fitte lancinanti di dolore che riuscì a sopportare solo stringendo i denti e pensando che a breve, finalmente, sarebbe uscita da quella prigione.
Dovette fare qualche sosta durante il tragitto per appoggiarsi al muro e riprendere fiato.
Quel corridoio non le era mai sembrato così lungo, ma non se ne sarebbe andata di lì senza il Blackhole.
Raggiunse la porta del laboratorio e sbirciò all’interno della stanza: era deserta. Tutti dovevano trovarsi al piano di sopra a presenziare alla tortura di Hermione come se fosse una cerimonia a cui non si potesse mancare.
Diana strinse i pugni per trovare la forza di non pensare a cosa stessero facendo alla povera ragazza.
Trascinò i piedi fino al tavolo da lavoro e dovette appoggiarsi di peso alla superficie di legno per non perdere l’equilibrio.
Sperò solo che suo padre non avesse portato il Blackhole con sè, altrimenti tutta quella fatica sarebbe stata inutile.
Respirò a fondo cercando di spostare il peso sulla caviglia sana e si mise freneticamente a spostare i fogli e le pergamene per cercare il Blackhole. Urtò una pila di libri con troppa foga e l’orologio ricadde tintinnando a terra e rotolò tra le scatole abbandonate sul pavimento.
Diana soffocò un’imprecazione e si chinò per cercare di recuperarlo: sentiva rivoli di sudore freddo colarle lungo la schiena, la testa vorticare e lo sguardo annebbiato.
Appoggiò le ginocchia sul pavimento e si mise seduta per riprendere fiato.
Tremava come una foglia e si sentiva febbricitante e senza forze.
Si rannicchiò con la schiena appoggiata ad una gamba del tavolo: la nuca appoggiata al legno e gli occhi chiusi. 
Doveva solo riposare un attimo e poi si sarebbe alzata.
Le serviva solo poco tempo per riprendere le forze…

- Diana - una voce la chiamò mentre due mani le scuotevano le spalle - Diana, svegliati!
Svegliarsi?
Ma lei non poteva essersi addormentata!
Come aveva fatto ad addormentarsi?
Quanto tempo era passato?
Le grida dal piano superiore sembravano essersi placate definitivamente.
- Diana - ripetè la voce maschile, mentre una mano le scostava i capelli dalla fronte appiccicati alla fronte madida di sudore.
Aveva già sentito quella voce. 
Apparteneva a qualcuno che conosceva.
- Fred? - mormorò flebilmente con la voce impastata di speranza.
Aprì a fatica gli occhi e vide solo una grossa macchia nera.
Sbattè un paio di volte le palpebre e finalmente mise a fuoco la figura di fronte a lei.
Benjamin Murray era chinato di fronte a lei con il viso pallido e solcato dalla preoccupazione. I capelli neri erano spettinati e le sue mani che le scostavano i capelli erano così gelide da farle accapponare la pelle.
- Dobbiamo andare via - sibilò Ben mentre cercava di rimetterla in piedi.
- Non riesco... - Diana indicò le proprie gambe che ormai non collaboravano più - non riesco a muovermi.
Ben occhieggiò la porta preoccupato e poi il suo sguardo guizzò sulla caviglia sanguinante e sulla pelle tesa e rossa intorno alla ferita.
Sbuffò nervosamente e poi si rimise in piedi per chinarsi di nuovo: infilò una mano sotto alle ginocchia di Diana, con l’altra le cinse le spalle e la sollevò senza troppi sforzi.
- Non voglio tornare in cella, brutto-schifoso-mostro - si agitò Diana realizzando solo in quel momento chi avesse davanti, iniziando a tempestare di pugni il petto di Ben e a scalciare l’aria come un puledro imbizzarrito.
Una fitta di dolore particolarmente violenta le strappò un gemito e la convinse ad utilizzare solo le mani per cercare di difendersi da Ben.
- Non ti sto riportando in cella, Diana - sibilò Ben cercando di schivare i colpi, ma beccandosi una gomitata sul mento - ti porto via di qui! Stai ferma!
- Dove sei stato? Perchè mi hai messo qui? Mi hai lasciato qui a morire! - le parole fluivano sconnesse insieme a tutta la rabbia che stava provando, ma Ben non sembrava intenzionato a darle una risposta.
- Da che parte stai? - domandò con tono bruciante Diana, perchè era quello che, in fondo, voleva sapere.
Ci fu un attimo di silenzio carico di tensione e di aspettativa.
- Dalla tua - rispose semplicemente Ben e poi domandò: - Dove sono andati gli altri?
Diana rimase un attimo a soppesare le intenzioni di Ben, mentre uno scalpiccio preannunciava l’arrivo di qualcuno.
Si sentiva così stanca.
- Diana, stanno arrivando, per favore... - la implorò Ben stringendo la presa sulle sue gambe per sottolineare l’urgenza della sua richiesta.
Così, lei annientata e spossata si limitò a dire: - Villa Conchiglia - e sparirono in uno schiocco, mentre Diana, esausta, appoggiava la testa alla spalla di Ben e richiudeva gli occhi abbandonandosi alla più totale incoscienza.

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Ehilà!
Non so bene cosa pensare di questo capitolo...stranamente, non mi aveva fatto penare tanto nella scrittura e non avevo grandi dubbi, quindi da vera paranoica quale sono, mi sono fatta venire i dubbi sul perchè non avessi dubbi -_-' XD Ha senso? Ovviamente no, ma questo è ormai il mio livello di disagio XD
A parte questo, non ho molto da dire...vi aspettavate questa decisione da parte di Ben? Credo che fosse ormai abbastanza scontata...
Vabbè, se vi va fatemi sapere che ne pensate :)
A presto :)

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Capitolo 43
*** Villa Conchiglia ***


Quando Diana Harvey riaprì gli occhi si sentiva stordita, frastornata e dolorante come se le sue ossa si fossero rotte e autonomamente riassestate.
Era sdraiata su un soffice materasso e le coperte le erano state rimboccate fino al mento.
Una flebile luce filtrava dalla finestra e un forte vento ululava intorno al luogo in cui si trovava, producendo suoni sinistri, simili ai lamenti di un animale ferito.
Il solo poter udire finalmente dei suoni e dormire su un letto le fecero pensare che si trovasse all’interno di un bellissimo sogno.
Mosse lentamente le gambe facendo frusciare le lenzuola fresche e pulite e, subito, una leggera fitta di dolore le attraversò la caviglia facendole serrare i denti.
No, non era un sogno o altrimenti si sarebbe svegliata!
Sollevò appena le coperte per sbirciarvi al di sotto: la felpa di Fred, che aveva indossato per tutto il periodo di prigionia, era sparita ed era stata rimpiazzata da un leggero pigiama beige che profumava di agrumi. 
Dopo quelli che dovevano essere stati mesi, si sentiva finalmente pulita e profumata.
Si passò una mano tra i capelli aspettandosi di incontrare il groviglio sporco e spettinato a cui si era dovuta abituare, ma invece le sue dita incontrarono solo delle ciocche lucide e morbide.
Sbattè le palpebre e si ritrovò a stirare le labbra in un sorriso nel riconoscere la stanza che aveva occupato a Villa Conchiglia: si portò una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo di sollievo.

- Ti fa male qualcosa? Stai bene? 
Diana trasalì e il singhiozzo trattenuto ruppe definitivamente gli argini quando si accorse della presenza di Fleur Delacour appollaiata accanto al letto: gli occhi celesti pieni di preoccupazione, i biondi capelli fluenti raccolti in una coda e il viso pallido e perfetto segnato dalla stanchezza.
Un attimo dopo anche Bill Weasley era accorso nella stanza.
Diana non riuscì più a frenare le lacrime, mentre tentava faticosamente di puntellarsi su un gomito.
- Dovresti stare giù… - consigliò Fleur dolcemente, ma la aiutò a posizionare un cuscino dietro alle spalle per rimanere con il busto eretto.
- Sei al sicuro - cercò di confortarla Bill con un ampio sorriso, sedendosi lentamente ai piedi del letto e appoggiando una mano sulla sua gamba sana attraverso la coperta - è tutto a posto.
Diana annuì cercando di asciugarsi le lacrime, il petto che sobbalzava per il respiro irregolare e gli occhi che scrutavano la stanza.
- Dove sono gli altri? - chiese preoccupata nel domandarsi se Harry, Ron ed Hermione fossero riusciti a fuggire illesi da Villa Malfoy.
- Nelle loro stanze - rispose Fleur - stanno tutti bene...più o meno - scambiò uno sguardo triste con il marito e strinse le labbra in un’epressione compassionevole che Diana non riuscì a decifrare.
- Diana - iniziò Bill facendosi serio e mettendosi una ciocca dei lunghi capelli rossi dietro un orecchio - ho provato a contattare Fred per dirgli che stai bene e che sei qui, ma…
Diana si irrigidì e strinse la coperta tra le dita, attendendo con ansia la continuazione della frase troncata a metà: - Ma..?
- Ma è molto difficile e soprattutto pericoloso - spiegò Bill in un sospiro carico di preoccupazione - è rischioso inviare posta via gufo o pensare di comunicare tramite un Patronus. Se Fred e George sono nascosti potrei rischiare di far scoprire il loro rifugio…Dobbiamo stare molto attenti!
Diana annuì mestamente e prese a torcersi le mani in preda all’angoscia, anche se capiva perfettamente le parole di Bill.
- Ma secondo voi…sta bene, vero? - sussurrò flebilmente scrutando prima Bill e poi Fleur in cerca di conforto.
I due coniugi si scambiarono uno sguardo d’intesa e d’incertezza.
- E’ stato qua per un po’ con George e Lee - spiegò Fleur versando un bicchiere d’acqua con un elegante movimento con la bacchetta magica - era...vraiment trist!
- Ci ha detto che avevate litigato - Bill tagliò corto - ma non hanno mai smesso di cercarti…
Diana deglutì allungando la mano tremante per prendere il bicchiere d’acqua che Fleur stava facendo levitare verso di lei.
Probabilmente Fred, George e Lee erano ben nascosti: Diana riusciva benissimo ad immaginarli immersi in una puntata di Radio Potter come li aveva visti fare innumerevoli volte.
- Dobbiamo avere pazienza - continuò Bill - appena la situazione si stabilizzerà troveremo il modo di fargli avere nostre notizie.
Diana annuì nuovamente con estrema e calcolata calma.
Bill e Fleur la osservavano con concentrazione come se si aspettassero che lei andasse fuori di testa da un momento all’altro.
- Dov’è Ben? 
I suoi ricordi frammentati si stavano pian piano ricomponendo: Benjamin l’aveva salvata!
- E’ di sotto - Bill aveva indurito lo sguardo nel sentire nominare Murray - incatenato. Volevamo aspettare che ti svegliassi per parlare con te e con lui...
- Incatenato? - Diana aggrottò le sopracciglia senza capire - no, lui mi ha salvato! Mi ha portato via da Villa Malfoy!
- E’ un Mangiamorte, Diana... - dalle labbra di Bill uscì un sussurro con un retrogusto di sentenza - è già stato rischioso il fatto che sia venuto qui! Potrebbe rivelare che Harry si trova qui e mettere tutti in pericolo!
- Sono sicura che non lo farà! Voglio parlargli! - affermò Diana risoluta cercando di lanciare le gambe fuori dalle coperte - e voglio vedere Hermione! Come sta?
Fleur la bloccò all’istante con dei modi che le ricordarono quelli di Molly Weasley: - Hai avuto la febbre altissima e la ferita che hai la caviglia ha fatto infezione! Non puoi andartene in giro! Hermione sta bene!
Fleur le fece bere a forza qualcosa con uno strano sapore che le fece sentire subito le palpebre pesanti e poco dopo lei e Bill lasciarono la stanza raccomandandole di riposarsi.

La febbre tornò e la lasciò a bruciare e delirare per giorni. 
Non riusciva a mangiare nulla. 
Scivolava a intermittenza tra uno stato d’incoscienza e l’altro. 
Alternava momenti in cui batteva i denti per il freddo ad altri in cui le coperte sembravano avvilupparsi al suo corpo come mostruosi tentacoli che non facevano altro che trascinarla in un torpore febbricitante.
Un giorno aprì gli occhi e vide Fred, bello, allegro e sorridente esattamente come lo ricordava, seduto al bordo del letto; mentre Diana si allungava per raggiungerlo, la figura del ragazzo evaporò come per magia per trasformarsi in quella di Daniel Harvey, che la osservava con un ghigno sinistro dipinto in volto.
Diana si ritrasse subito con ribrezzo, prima che la figura si trasformasse nuovamente in una spaventosa creatura con un mantello nero e senza volto. Paralizzata dal terrore, riuscì solo a trovare la lucidità necessaria a coprirsi il viso con le lenzuola, prima di ricadere nuovamente nell’oblio, mentre una voce lontana e inconsistente come se fosse smarrita nel vento, pareva chiamare insistentemente il suo nome.
Non ne era certa, ma le sembrò la voce di Benjamin Murray.

Quando finalmente la febbre si abbassò e riuscì a riacquistare un briciolo di consapevolezza, si svegliò madida di sudore, senza forze e con una guancia incollata al cuscino. 
Si sentiva la gola ardere per la sete come se avesse ingoiato una manciata di sabbia rovente.
Per sua grande sorpresa, su una poltrona avvicinata al letto dormiva Ben: il capo reclinato e le mani intrecciate in grembo; il sole che filtrava pallido attraverso le imposte creava dei giochi di luce sulla sua pelle pallida facendolo sembrare più giovane di quanto non fosse.
In quel momento era molto difficile credere che potesse davvero essere una persona malvagia.
Senza che ci fosse una connessione logica, Diana ricordò di quando Benjamin suonava Rocketman al pianoforte in quell’appartamento che era stato di Diana e zia Karen, ma che lentamente era diventato un po’ anche di Benjamin.
Ricordò di come si fosse sentita improvvisamente in pace.
Lo stesso senso di pace che provava assurdamente anche in quel momento.

- Quando hai iniziato a delirare hai fatto più volte il suo nome e lui mi ha quasi ammazzato per venire di sopra a vedere come stavi - l’inaspettata voce di Bill la fece voltare verso il fondo della stanza, dove il ragazzo era seduto con i piedi appoggiati alla scrivania - quindi abbiamo dovuto trovare un compromesso! Credo si senta in colpa…
Non si era accorta che ci fosse qualcun altro nella stanza oltre a lei e Benjamin.
Bill si avvicinò allungandole un bicchiere d’acqua e le spiegò velocemente che non avevano avuto nessuna novità da parte di Fred.
Diana cercò di domare il timore e di reprimere l’angoscia.
I Mangiamorte potevano averlo trovato e catturato come aveva ordinato Bellatrix Lestrange?
Interruppe i propri interrogativi perchè Ben si era svegliato e la osservava con aria preoccupata. Diana non vedeva catene intorno ai suoi polsi.
- Come stai? - chiese lui aprendosi in uno stanco sorriso e raddrizzando la schiena per sgranchire il collo e le spalle.
- Sono qua fuori se avete bisogno - Bill fece un cenno del capo a Ben; quest’ultimo ricambiò e il maggiore dei Weasley lasciò la stanza. 
Diana immaginò di essersi persa qualcosa perchè i due si erano appena guardati quasi con reciproco rispetto. In più, era abbastanza certa che Bill Weasley non l’avrebbe mai lasciata da sola in una stanza con qualcuno che avesse potuto farle del male. In qualche modo, Ben doveva aver trovato il modo di conquistarsi la fiducia di Bill.
- Quindi sei un Mangiamorte - appurò Diana studiando con concentrazione la trama della coperta, incapace di sostenere lo sguardo di Ben, ma in attesa di una spiegazione.
- Già - rispose semplicemente lui in tono asciutto.
Tra loro era sempre stato così. Non erano necessari grandi giri di inutili parole.
- E perchè sei qui, allora? - domandò Diana in tono sferzante - Perchè mi hai salvata?
Ben sospirò alzando le spalle e sfregandosi l’avambraccio: - E’ complicato.
Diana inarcò le sopracciglia in un’espressione che non ammetteva repliche e quindi Ben, con lo sguardo fisso sul pavimento, iniziò a raccontare.
Le raccontò tutto. 
Di come aveva incontrato il Signore Oscuro. 
Di come era diventato un Mangiamorte. 
Di come era diventato una spia per lui infiltrandosi nell’Ordine della Fenice. 
Le raccontò della leggenda del Blackhole e di come suo padre pensasse di essere il babbano prescelto.
- Sì, so della leggenda - sibilò Diana con rabbia ricordando le parole del padre - Daniel si è premurato di raccontarmela senza tralasciare nessun dettaglio!
- Daniel era a Villa Malfoy? Quindi collabora con il Signore Oscuro? - domandò Ben in un soffio e stringendo le mani attorno ai braccioli della poltroncina su cui era seduto - Come ho fatto ad essere così stupido e non pensarci prima?
Diana annuì: - Chi credi si sia impegnato così tanto per farmi questo? - gli indicò il labbro gonfio e la caviglia fasciata.
- E’ stato lui? - sibilò Benjamin a denti stretti, tentando di controllare l’ondata di rabbia che minacciava di travolgerlo.
- Tecnicamente sono stati Bellatrix e quel…Codaliscia - Diana rabbrividì nel nominare i suoi due aguzzini.
- Li avevo avvertiti di non toccarti! - Benjamin si alzò in piedi di scatto, stringendo le mani a pugno - la pagheranno...
Diana non sapeva bene come interpretare quel moto di protezione nei suoi confronti.
- Ben, mi hai portato via - Diana parlò con tranquillità - sto bene!
Benjamin si aggirava per la stanza con espressione tormentata, ma Diana voleva saperne di più.
- E se ora sei qui...perchè lo hai tradito? - si interruppe perchè c’erano ancora parecchie cose che non riusciva a comprendere.
- Diana, il Signore Oscuro è tante cose, ma di certo non è comprensivo e nemmeno caritatevole. Daniel non capisce a che gioco pericoloso sta giocando. Lui lo ucciderà non appena si renderà conto che non gli servirà a nulla. Io sono stato uno sciocco. Gli ho detto che eri tu la babbana della leggenda perchè speravo di renderlo fiero di me, ma quando ho capito cosa voleva che facessi...io non potevo... - mentre parlava continuava a sfregarsi con forza l’avambraccio - sei innocente...non ti meriti questo. Come Karen non si meritava di morire...Come ho potuto essere così stupido? Come ho potuto non prevedere cosa avrebbe voluto che facessi….
Benjamin si lasciò cadere di nuovo sulla poltrona prendendosi la testa tra le mani e affondando le dita tra i capelli.
Non aveva completamente risposto alla domanda di Diana, ma era indubbiamente uno dei discorsi più sinceri che avessero mai avuto
Dichiarazioni d’affetto o abbracci sarebbero stati enormemente fuoriluogo.
Erano bastate la verità e poche parole per rivelare che Ben, Mangiamorte o no, fosse più umano e con più cuore di suo padre.
Diana si issò faticosamente a sedere e si lasciò sfuggire un gemito di dolore, perchè anche il costato le faceva parecchio male senza che si ricordasse di essere mai stata colpita in quel punto.
Ben si protese istintivamente in avanti come per poterla aiutare, ma Diana lo bloccò con un gesto della mano.
- Perchè non mi hai detto la verità su Daniel e su quello che ha fatto a mia madre? - domandò una volta sistematisi di fronte a lui.
Benjamin sospirò appoggiando i gomiti sulle ginocchia e passandosi una mano tra i capelli.
- Vuoi la verità? - mugugnò lui a testa bassa.
- Beh, a questo punto mi pare ovvio! - esclamò Diana con tono di rimprovero.
- Mi vergognavo - snocciolò velocemente Ben - mi vergognavo per non aver fatto nulla per impedire la morte di Sarah e mi sentivo terribilmente in colpa! Se ti avessi detto la verità, avrei dovuto raccontarti anche la verità su di me con il rischio di essere smascherato…
Diana continuava a scrutarlo con circospezione.
- Per quello che vale, ho cercato di dissuadere Daniel, ma dall’altra parte ero così…curioso di scoprire se tutto ciò che avevo ipotizzato sui Blackhole fosse reale!
Si passò nuovamente una mano tra i capelli scuotendo la testa.
- Posso capire se tu…sarai arrabbiata con me…
Diana scrollò le spalle cercando di assimilare le parole di Ben e si limitò a rispondere: - Mi hai salvato e hai scelto la parte giusta con cui schierarti. E’ già qualcosa.
Benjamin le sorrise e si rilassò appoggiandosi allo schienale della poltrona.
Con uno sbuffo affaticato, Diana si rimise sdraiata e chiuse gli occhi.
Il sonno non tardò ad arrivare.

Ci volle ancora qualche giorno affinchè Diana fosse abbastanza in forze per lasciare la sua stanza e quando lo fece, scoprì che tutti i fuggitivi da Villa Malfoy erano ancora a Villa Conchiglia a riprendersi dalla prigionia.
Tutti ad eccezione dell’elfo domestico Dobby che aveva eroicamente perso la vita nel portare in salvo Harry, Ron ed Hermione.
Diana trovò Harry accovacciato sulla spiaggia di fronte a casa tra le sterpaglie a fissare il vuoto. Man mano che si avvicinava si rese conto che quella che Harry scrutava con intensità era una lapide rudimentale con inciso sopra il nome dell’elfo domestico.
- E’ morto per salvarci - le spiegò Harry in tono tetro rigirandosi tra le dita un piccolo oggetto - Bellatrix Lestrange lo ha colpito con questo…
Diana arricciò istintivamente le labbra in una smorfia nell’udire di nuovo il nome di quella donna in grado di provocare solo morte e sofferenza.
Harry le porse l’oggetto che aveva tra le mani: era un piccolo pugnale, così piccolo che sembrava impossibile che potesse fare del male a qualcuno. Ma Diana pensò che anche Dobby fosse molto piccolo. Si sentì enormemente triste mentre un dolore le scivolava nella pancia, perchè quella piccola creaturina aveva dato la vita per salvare non solo i propri amici, ma anche persone come lei che nemmeno conosceva. 
Un pizzicore le fece bruciare gli occhi, mentre i contorni della lapide sotto cui giaceva Dobby si facevano tristemente acquosi.
Dei passi ovattati dalla sabbia raggiunsero Harry e Diana annunciando l’arrivo di Ron e Hermione alle loro spalle.
- Harry... - iniziò Hermione appoggiandogli una mano sulla spalla - la Pozione Polisucco è quasi pronta, dobbiamo prepararci...
- Cosa? - l’attenzione di Diana fu catturata dal nome “Polisucco” - che avete intenzione di fare?
- Diana - spiegò Harry mesto - dobbiamo sconfiggere Tu-Sai-Chi e l’unico modo è trovare degli oggetti che lui...ha stregato e sono quasi certo che uno di questi si trovi alla Gringott.
- Nella camera blindata dei Lestrange - terminò Ron affondando le mani delle tasche con lo sguardo assorto che fuggiva oltre l’orizzonte.
Diana fece rimbalzare lo sguardo tra i tre ragazzi. Aveva capito la metà delle cose che le avevano comunicato, ma solo vedendo le loro espressioni dure e tese capì che qualsiasi cosa avessero intenzione di fare fosse pericolosa. Molto pericolosa.
- Di chi dovete prendere le sembianze? - chiese Diana, dato che l’unica cosa che aveva imparato era che la Pozione Polisucco serviva a trasformarsi in una persona a proprio piacimento - e che cos’è questa Gringott?
- La Gringott è la banca dei maghi - spiegò Hermione mentre si metteva una ciocca di capelli dietro all’orecchio rivelando una lunga cicatrice rossastra sull’avambraccio, poi assumendo una smorfia di disgusto, aggiunse - io mi trasformerò in Bellatrix Lestrange per poter entrare nella sua camera blindata e Unci-Unci verrà con noi per aiutarci ad entrare…
Diana si alzò di scatto realizzando quanto fosse pericoloso quello che avevano intenzione di fare. Una fitta le attraversò la caviglia non ancora del tutto guarita. Lanciò un’occhiata a Ron che assunse l’espressione sconfitta di chi aveva provato a farle cambiare idea senza ottenere nessun risultato.
L’indomani mattina fu molto strano e inquietante trovare una sosia perfettamente identica a Bellatrix Lestrange in piedi al centro del soggiorno.
- Fate attenzione - li ammonì Diana mordicchiandosi l’interno della guancia con preoccupazione, mentre Harry, Ron, Hermione e Unci-Unci si radunavano per la smaterializzazione.
- Non preoccuparti per noi - le sorrise Hermione con le labbra screpolate di Bellatrix.
Diana non riuscì a reprimere un brivido nel ritrovarsi faccia a faccia con la strega che l’aveva tormentata per mesi, pur sapendo che quella che aveva davanti non fosse davvero lei.
Harry, Ron, Hermione e Unci-Unci sparirono con tre schiocchi, mentre Bill Weasley con una mano sulla tempia e gli occhi assottigliati borbottava tra sè e sè quanto fosse una follia quella che i tre avevano in mente di compiere.

Quel pomeriggio Diana uscì sul patio in legno dove trovò Ben a sorseggiare una tazza di caffè con il signor Olivander, pallido e emaciato, a godersi i rari e tiepidi raggi di sole primaverile della Cornovaglia.
Tutti trattavano Benjamin con freddezza e circospezione, indecisi se fosse il caso di fidarsi di lui oppure no e quindi lui cercava di tenersi lontano dagli sguardi giudicanti che irrimediabilmente confluivano sempre verso di lui.
Diana, invece, passava tutto il tempo possibile all’aperto. Dopo i mesi trascorsi rinchiusa in una cella, l’idea di vedere attorno a sè quattro pareti le metteva sempre una certa angoscia.
- Ben, dov’è il Blackhole? - chiese Diana ricordandosi il motivo per cui era voluta uscire da sola dalla cella a Villa Malfoy.
Lui appoggiò con un movimento elegante la tazza sul tavolo per guardarla perplesso sbattendo le ciglia scure.
- Il Blackhole?
- Sì - insistette Diana - quando sei venuto a prendermi...io ero andata a cercarlo e...
Ben chinò il capo al pavimento fatto di assi di legno un po’ sconnesse e ammise: - Diana, non lo sapevo...io non ce l’ho. Sai com’è...ero abbastanza preoccupato di farci uscire vivi da lì!
Diana sentì le spalle afflosciarsi per la delusione. Non sapeva se avere il Blackhole con sè avesse potuto darle un vantaggio su suo padre, ma l’idea che lo avesse ancora lui la fece sentire sporca, come se lui si fosse impossessato di qualcosa di intimo che le apparteneva.
- Oh, beh... - cercò di dire scrollando il capo e deglutì a disagio - fa niente…
- Diana, cosa ti hanno fatto Daniel e Bellatrix mentre non c’ero? - le dita erano ancora strette intorno al manico di ceramica della tazza.
Diana si sfregò le mani sugli avambracci e lanciò un’occhiata fugace ad Olivander che sembrava sonnecchiare sulla poltroncina in vimini.
 - Cercavano di estrarmi la magia del Blackhole…
Ben sgranò gli occhi: - Cosa? Che vuoi dire?
- Io riesco a difendermi dagli incantesimi come se avessi il Blackhole sempre con me…deve aver lasciato il suo potere su di me! - si battè una mano sul petto come ad indicare un punto preciso in cui il potere potesse essere nascosto -  E’ possibile, Ben?
Lui, in tutta risposta, si fece pensieroso e, quasi sotto shock, mormorò: - Non lo sapevo, ma evidentemente sì, è possibile…
- Lei mi colpiva perchè speravano di far esplodere l’energia, ma credo di essere sempre riuscita a trattenermi…
Olivander sembrò risvegliarsi perchè tossicchiò schiarendosi la voce: - Purtroppo sono costretto a smentirla, signorina Harvey.
Sia lei che Ben si voltarono di scatto verso l’anziano seduto stancamente su una poltrona.
- Che vuol dire? - sibilò Ben in tono tagliente e con gli occhi ridotti a due fessure. Quando assumeva quell’espressione Diana era soltanto contenta di non essere una sua nemica, perchè incuteva parecchio timore.
- Quando...lei era svenuta e con la guardia abbassata il Blackhole si è illuminato e suppongo che quindi suo padre sia riuscito, almeno in parte, nel proprio intento. Non ne sono certo...subito dopo mi hanno fatto rientrare in cella e non c’è stato modo di verificarlo.
Ben si alzò di scatto stringendo tra le mani la balaustra di legno umido del patio, il capo chino e le labbra serrate.
- Questa non ci voleva - sibilò tra i denti con rabbia per sbottare poi contro Olivander - Cosa aspettava a dircelo?
Olivander si limitò a scrollare le spalle con noncuranza, tornando ad assumere uno sguardo perso e velato. La prigionia sembrava averlo messo duramente alla prova.
- Non ci voleva - ripetè Ben guardando Diana che, a braccia conserte, fissava le onde del mare infrangersi sulla spiaggia.
- E da quando le cose vanno per il verso giusto? - chiese lei in un tono ironico che le ricordò ciò che avrebbe detto Fred se fosse stato lì. 
Istintivamente strinse le mani a pugno sentendo riaffiorare lentamente deboli ondate di energia che si abbarbicavano alle sue braccia come viticci di una pianta rampicante.
Abbassò lo sguardò sulle proprie mani che emanavano un flebile chiarore azzurrognolo sempre più nitido, mano a mano che riusciva ad attingere al potere.
Si sentì sollevata nel riuscire finalmente dopo mesi a sbloccare quel potere che sembrava svanito e, soprattutto, a constatare che l’energia del Blackhole fosse ancora dentro di lei a dispetto di ciò che affermava Olivander.
Ben incrociò il suo sguardo e, incredulo e affascinato, domandò: - Come ci riesci?
- Non ne ho idea - rispose Diana sorridendo a stento per lo sforzo di mantenere la concentrazione.
Era decisamente fuori allenamento: la prigionia aveva messo a dura prova anche lei.
- Come è possibile? - domandò nuovamente Ben in tono incalzante a Olivander e chinando il viso per specchiarlo in quello solcato di rughe dell’anziano fabbricante di bacchette.
- Il potere del Blackhole ormai è dentro di lei - sussurrò Olivander con gli occhi semichiusi come se stesse recitando una vecchia profezia.
- Ma se il potere è dentro di lei - domandò Ben speranzoso - allora significa che Daniel non riuscirà mai ad utilizzarlo, giusto?
- Non lo sappiamo - sospirò Olivander - come sa anche lei, signor Murray, l’argomento è spinoso. 

Il vento si placò per un attimo e Olivander reclinò la testa sullo schienale per chiudere nuovamente gli occhi come se quella conversazione lo avesse stancato enormemente.
Ben rientrò in casa per parlare con Bill Weasley e Diana rimase a guardare le onde sciabordare sulla riva mentre una lama di dolore affondava lentamente nel suo petto. Irrazionalmente, il suo pensiero e i suoi timori non erano indirizzati verso se stessa o verso ciò che suo padre stesse tramando, ma la sua preoccupazione era rivolta verso Fred. 
Dov’erano lui, George e Lee?
Stavano bene?
Uno stormo di gabbiani gracchiava volando sopra le scogliere, il vento si era alzato di nuovo sollevando piccole nubi di sabbia chiara, frustando le sterpaglie e portando con sè una zaffata di odore salmastro.
Diana si sentì piccola e sola di fronte all’oceano.
Harry, Ron e Hermione erano riusciti nel loro intento nel penetrare alla Gringott senza essere catturati?
Strinse le labbra e prese a torcersi le mani per l’inquietudine.
Il suo pensiero, involontariamente, virò di nuovo verso Fred sentendo il cuore stringersi in una morsa a causa della nostalgia. A volte quasi faticava a rievocare alla mente i lineamenti del ragazzo, ma quel giorno il viso sorridente di Fred risplendeva nei suoi ricordi chiaro e definito, facendole sentire le gambe tremanti e lo stomaco sottosopra come dopo il loro primo bacio.
Perchè Bill non riusciva a mettersi in contatto con lui?
Il sole si stava già avvicinando alla distesa luccicante dell’oceano, quando le parve di sentire uno schiocco risuonare nell’aria tiepida.

Diana sobbalzò e si guardò intorno.
Sembrava che qualcuno avesse calpestato un grosso ramo secco.
Un altro schiocco.
Poteva essere il rumore di due materializzazioni o era la sua mente a giocarle brutti scherzi?
Diana si voltò verso le alte sterpaglie e mosse qualche passo nella direzione da cui le era sembrato di sentire i rumori, con tutti i sensi in allerta.
Avrebbe dovuto entrare diretta in casa a cercare aiuto prima che potesse accadere, di nuovo, qualcosa di spiacevole, ma si sentiva attratta dall’insensata curiosità di scoprire se i suoi pensieri corrispondessero alla realtà.
- Diana, che succede? - Ben era uscito nuovamente di casa e con un’espressione guardinga scrutava la spiaggia in cerca di qualcosa - che cos’è stato? Ho sentito dei rumori…
Diana scrollò le spalle perchè non ne aveva idea e fece cenno a Ben di tacere. A passi lenti e silenziosi scese i gradini del patio, mentre Benjamin, con la bacchetta alla mano, la seguiva.
- Stai indietro - sibilò lui superandola ed esortandola a proteggersi dietro di lui.
Diana sbuffò di fronte a quell’insulso istinto protettivo nei suoi confronti e si limitò ad ignorarlo, mentre alzava gli occhi al cielo. Quando riabbassò lo sguardo sulle sterpaglie, in lontananza, riuscì a scorgere un’alta figura dai capelli rossi.
Istantaneamente il suo petto parve tendersi come un elastico fatto di speranza, mentre la sua totale attenzione veniva catalizzata da quella sagoma appena comparsa.
Si portò una mano tremante a schermarsi la vista abbacinata dai bassi raggi del sole al tramonto, mentre il ragazzo si avvicinava a passi svelti.
Poco più indietro rispetto al ragazzo, Diana notò una figura femminile, anch’essa dai capelli rossi.
Sentiva il cuore martellarle furioso nel petto.
La sensazione di tensione cresceva man mano che le due figure si facevano più vicine, fino a che l’elastico teso che aveva preso residenza nel suo torace si afflosciò di scatto mentre riusciva finalmente a mettere a fuoco i nuovi arrivati a Villa Conchiglia.
- Diana, che cosa diamine ci fai qui con lui? - sbottò la voce incredula di George Weasley mentre puntava la bacchetta contro Ben. Ginny Weasley, alle spalle del fratello maggiore, osservava la scena con aria guardinga assumendo di riflesso una posizione difensiva.

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Ciao :)
Eccomi di nuovo qui! Un capitolo un po' di passaggio ma che era necessario per riallacciare un po' le fila della trama principale e il ricongiungimento di alcuni personaggi!
Pensavate che fosse Fred a spuntare a Villa Conchiglia e invece vi ho fatto un altro scherzone XD
Nel prossimo capitolo, torneremo da lui, non temete! E faremo anche un passettino indietro per riallacciarci all'arrivo di George e Ginny (sì, messo così sembra campato per aria, ma avrà un senso, prometto!ahahah)
E niente...alla prossima!
A presto :)
P.S. La fine è sempre più vicina...penso che tra sei/sette capitoli ci saluteremo :(

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Capitolo 44
*** Il punto di fuga ***


“Love is our resistance
They’ll keep us apart, and they won’t stop breaking us down
Hold me
Our lips must always be sealed”

(“Resistance” - Muse)


Subito dopo che Diana era sparita dalla collinetta vicino a casa McKinnon, Fred, George e Lee si erano dati alle ricerche della ragazza tornando ad Edimburgo in cerca di notizie; purtroppo, come le precedenti volte, Robert Murray non era stato di nessun aiuto, continuando a ripetere di non sapere nulla nè su Diana nè su Benjamin.
Successivamente, si erano diretti a Villa Conchiglia sperando che Bill e Fleur potessero avere qualche aggiornamento, ma nessuno sembrava sapere dove potesse essere finita Diana. 
Nemmeno Bill che aveva aggiornamenti costanti da parte dell’Ordine della Fenice.
I tre ragazzi si erano fermati per un po’ a casa del fratello, ma Fred non riusciva a restare fermo semplicemente ad aspettare sapendo che Diana fosse prigioniera da qualche parte là fuori.
Radio Potter era l’unica cosa che riusciva a distogliere Fred dai propri pensieri; la preparazione della trasmissione radiofonica unita al travolgente entusiasmo di Lee erano una delle poche cose positive di quel periodo tormentato da eventi tragici.
Quando era trapelata la notizia che lui e George erano ufficialmente ricercati dai Mangiamorte, si decisero a fare nuovamente i bagagli per cercare un nascondiglio ed evitare quindi di mettere in pericolo Villa Conchiglia e i suoi abitanti.
Bill li aveva quindi indirizzati verso un rifugio sicuro già occupato in precedenza da Remus Lupin, sperduto nelle campagne inglesi.
Proprio lì, il loro ex professore li aveva raggiunti insieme a Kingsley Shacklebolt per partecipare come ospiti ad una puntata di Radio Potter.
Le notizie di sparizioni di Nati Babbani e oppositori erano sempre più preoccupanti.
Le uccisioni dilagavano e il clima di terrore aveva ormai raggiunto livelli di tensione altissimi.
Ginny era tornata a casa per le vacanze di Pasqua e li aveva raggiunti al rifugio raccontando delle punizioni e del clima di terrore che gli studenti dovevano subire ad Hogwarts dai Mangiamorte ormai ampiamente infiltrati nel corpo insegnanti.

Quel giorno era particolarmente grigio e ventoso.
Fred osservava le nubi rincorrersi nel cielo attraverso la finestra della piccola casa, domandandosi se Diana stesse bene. 
Ogni giorno passato rinchiuso e nascosto gli sembrava un terribile affronto alla ragazza. Se fosse stato per lui, avrebbe passato ogni attimo a setacciare febbrilmente ogni casa e ogni bosco per cercarla. Tutti non facevano altro che ripetergli che agire in quella maniera non avrebbe fatto altro che cacciarli in guai ancora più grandi, ma almeno avrebbe fatto qualcosa e non sarebbe stato con le mani in mano a logorarsi nell’attesa di novità su Diana.
Lee era uscito per raccogliere notizie come faceva ogni giorno in modo da avere aggiornamenti attendibili da comunicare via radio.
George e Ginny stavano con espressioni inquiete e meste sul rigido divano blu scuro, mentre Kingsley e Lupin parlottavano a bassa voce senza che Fred riuscisse a capire cosa stessero dicendo.
I due uomini gli rivolgevano di tanto in tanto delle occhiate fugaci.
- Che c’è? - scattò Fred con nervosismo intercettando gli sguardi.
- C’è una voce che gira da un po’… - esordì in tono pacato Remus Lupin puntando i suoi occhi su Fred, valutando se fosse pronto ad udire le sue parole.
- Ah si? - domandò Fred con un’innaturale calma a celare la tensione che sentiva crescere - e quale?
Lupin si limitò a occhieggiare il viso impenetrabile di Kingsley e poi scambiò uno sguardo preoccupato con George e Ginny.
Fred percepì la propria agitazione crescere: sembrava che tutti fossero già a conoscenza di quella notizia tranne lui. Rivolse al gemello uno sguardo accusatorio come per punirlo per non aver condiviso con lui quel qualcosa che aveva l’aria di essere parecchio importante.
- Dicono che Benjamin Murray stia dalla parte di Voi-Sapete-Chi - disse Kingsley velocemente e con la sua voce profonda.
Fred si sentì mancare la terra sotto i piedi.
Aveva sempre sospettato che Benjamin nascondesse qualcosa e che non fosse la brava persona che Diana si ostinava a difendere, ma addirittura che fosse dalla parte di Voldemort…?
E se fosse stato vero…come era possibile che nessuno di loro, e lui per primo, si fosse accorto di nulla? 
Avrebbe dovuto tenerlo d’occhio fin dal principio. Non avrebbe dovuto fidarsi neanche all’inizio…
- Avrei dovuto saperlo - sussurrò con lo sguardo perso e il pensiero rivolto altrove - avrei dovuto saperlo - ripetè alzando la voce e sbattendo un pugno sul tavolo tanto forte da provocarsi una fitta di dolore alla mano.
Si alzò di scatto e calciò la sedia con forza gridando: - Avrei-dovuto-saperlo!
Anche George e Ginny si alzarono di scatto per raggiungerlo con il chiaro intento di calmarlo, mentre Lupin metteva mano alla bacchetta. Kingsley parve rimanere immobile ad osservare la scena.
Prima che Fred potesse demolire il soggiorno della piccola abitazione, Lee fece irruzione nella stanza, trafelato con in mano un foglio di giornale e portando con sè una folata di aria umida e carica di pioggia.
- Ragazzi, avete visto...- si interruppe quando notò la sedia a terra, Fred in piedi rosso di rabbia con Lupin a tenerlo d’occhio e George e Ginny assiepati intorno a lui - ma che succede qui?
- Nulla - tentò di dire Lupin dolcemente ma tenendo sempre lo sguardo incollato su Fred come se in quel modo potesse tenerlo buono - hai qualche notizia, Lee?
In tutta risposta, Lee Jordan distese il foglio di giornale sul tavolo in modo che tutti i presenti lo potessero vedere. Fred si sporse leggermente perchè, nonostante le novità fossero quasi sempre negative, non riusciva a tenere a bada la curiosità.
La prima pagina de “La Gazzetta del Profeta” del 1 maggio 1998 riportava la notizia di un’incursione e di una rapina alla Gringott, ma ciò che attirò la sua attenzione fu la grande immagine di copertina che raffigurava un vecchio e ammaccato drago sul cui dorso erano facilmente riconoscibili Harry, Ron e Hermione.
Ginny, schiacciata tra lui e George per vedere la pagina di giornale, si irrigidì aggrappandosi al bordo del tavolo continuando a fissare l’immagine di Harry, Ron ed Hermione in sella al drago.
- Harry ha rapinato la Gringott? - domandò Lupin incredulo avvicinandosi maggiormente all’immagine come se sperasse di essersi sbagliato e che, vedendola da vicino, la fotografia sarebbe mutata in una versione differente.
- Che cosa fighissima! - si lasciò sfuggire George guadagnandosi una gomitata e un’occhiataccia da Ginny.
Se Fred non fosse stato ancora frastornato a causa della notizia riguardante Benjamin Murray, avrebbe concordato certamente con il gemello.
- E’ una notizia di poche ore fa - snocciolò Lee trattenendo a stento l’eccitazione e inziando a girare intorno al tavolo, incapace di stare fermo - sembra siano diretti verso nord. Sono stati avvistati a nord di Edimburgo...
- Stanno andando a Hogwarts? - sussurrò Kingsley lasciandosi cadere su una sedia, lo sguardo spaesato e perplesso che cercava conferme in quello di Lupin - ma perchè?
- Dobbiamo andare anche noi - rispose Lupin pensieroso - quando la notizia si spargerà, Voi-Sapete-Chi non si farà sfuggire l’occasione di attaccare Harry.
Kingsley e Lupin si alzarono per partire, ma Fred rimase immobile a fissare il vuoto tentando ancora di digerire le ultime novità.
- Freddie, andiamo - cercò di convincerlo il gemello confuso dal suo comportamento.
- Io non vengo - sbottò Fred in tono secco - io vado a Villa Malfoy!
- E perchè? - rispose Lupin strabuzzando gli occhi per la sorpresa di fronte a quell’affermazione.
- Se Benjamin Murray sta con i Mangiamorte, potrebbe aver portato Diana lì! E’ da mesi che si vocifera che sia il nuovo covo dei seguaci di Voi-Sapete-Chi, ma è sempre stato troppo pericoloso avvicinarvisi! - si spiegò Fred in tono concitato - Magari ora che Harry sta andando a Hogwarts, tutti andranno lì e Villa Malfoy potrebbe rimanere senza protezioni...sarà un gioco da ragazzi entrare…
L’idea che, dopo molto tempo, le probabilità di ritrovare Diana si fossero improvvisamente alzate, lo faceva scalpitare per l’impazienza di agire.
Lupin afflosciò le spalle lanciando un’occhiata sbieca a George che alzò le mani come per affermare di non essere affatto d’accordo con Fred.
- Oppure - si intromise Lee - se Benjamin è davvero un Mangiamorte potrebbe andare a Hogwarts e portare con sè Diana…
Fred sbattè le palpebre perchè non aveva preso in considerazione quell’eventualità.
- Pensaci, Freddie - si accodò George - se Diana era davvero prigioniera a Villa Malfoy è perchè in qualche modo la ritengono utile! Pensi davvero che se ne andranno tutti e la lasceranno lì come se niente fosse?
Fred tentennò perchè le parole di George avevano perfettamente senso, ma non poteva rischiare di lasciarsi sfuggire l’occasione di andare a controllare. Se fossero andati direttamente a Hogwarts, sarebbe stato complicato muoversi poi verso Villa Malfoy.
- Ok, facciamo così - propose frettolosamente Fred, agitato dall’impellente desiderio di riabbracciare, finalmente, Diana - io vado a Villa Malfoy e se non la trovo verrò a Hogwarts, va bene?
Lupin strinse le labbra in una smorfia: ovviamente non era d’accordo. Fred strinse le labbra e incrociò le braccia al petto in un cipiglio irremovibile.
- Va bene - concesse infine Lupin - ma non andrai da solo! Lee, vai con lui.
Lee non sembrava particolarmente entusiasta della proposta, ma annuì: - Collego al volo la radio…i nostri ascoltatori devono sapere che Harry sta andando a Hogwarts! - e detto questo sparì nell’altra stanza per dedicarsi al rapido annuncio.
- Io vado ad avvisare Bill e Fleur - si propose George e poi osservando la sorella minore aggiunse: - Porto Ginny con me!
- Io voglio andare a Hogwarts! - mise subito in chiaro le cose Ginny con tono battagliero.
- Si, poi vediamo… - la liquidò frettolosamente George con un’espressione pensierosa dato che Molly Weasley non sarebbe stata per niente felice di quella decisione.
Kingsley annuì e disse: - Io vado ad avvisare Molly e Arthur...e tu, Remus...?
- Devo andare ad avvisare Tonks...lei deve sapere...poi verrò a Hogwarts.

Il clima di lugubre pesantezza che li aveva avvolti per giorni era stato ravvivato da quella notizia, la quale aveva presto portato con sè nuove preoccupazioni e angosce per ciò che sarebbe potuto accadere.
La tensione fu definitivamente smorzata dai rumori di smaterializzazione che si susseguirono uno dopo l’altro, mentre tutti i presenti raggiungevano le proprie mete.
Lee e Fred furono gli ultimi a muoversi.
Fred si affacciò alla stanza adiacente dove Lee stava raccattando velocemente la sua attrezzatura.
- Hai fatto? - si informò Fred tamburellando le dita sullo stipite della porta con insofferenza.
- Quasi - sbuffò Lee cercando di fare il più in fretta possibile, ma facendo cadere per terra un plico di fogli che si sparsero un po’ dappertutto - magari se tu mi dessi una mano…
- Lee, per Merlino! - esclamò Fred allargando le braccia per il disappunto - lascia stare quella roba e andiamo! Non credo ci servirà ancora!
Lee incassò il colpo e parve farsi improvvisamente triste all’idea di separarsi dalla sua amatissima radio. Nonostante il bruciante desiderio di precipitarsi a Villa Malfoy, Fred si sentì a disagio per aver alzato la voce con Lee, quindi cercò di rimediare dicendo: - Beh, se ci dovesse servire possiamo sempre tornare a prenderla…
Lee annuì e smise di cercare di raccogliere i fogli.
- Fred...se dovessimo incontrare Murray a Villa Malfoy... - provò a intavolare un discorso Lee, mentre strisciava un piede sul pavimento in movimenti circolari.
- Ci penseremo quando saremo là - Fred bloccò subito il discorso sul nascere, soprattutto perchè nella sua mente non aveva ancora preso forma un vero e proprio piano. 
Voleva soltanto trovare Diana e accertarsi che stesse bene.
Poi avrebbe pensato a Benjamin Murray.
Con due rapidi schiocchi, i due ragazzi sparirono in un turbinio, abbandonando l’abitazione nella penombra e con la porta spalancata.



 

Villa Conchiglia


- Ma perchè tu e tuo fratello dovete sempre puntare la bacchetta contro di me? - sospirò Benjamin Murray con un mezzo sorriso mentre alzava gli occhi al cielo. Lo aveva detto con aria quasi annoiata, come se fosse ormai abituato ad essere sempre considerato il colpevole.
- Diana, che ci fa lui qui? - chiese nuovamente George sempre immobile in posizione difensiva mettendosi di sbieco per proteggere Ginny che però aveva già sguainato la bacchetta.
- So parlare sai? Puoi anche chiedere a me! - ringhiò Ben arricciando le labbra con aria di sfida e mostrando i denti - Oppure hai paura, Weasley?
Diana si sentiva pietrificata, incredula e senza parole per l’apparizione di George. 
Perchè Fred non era con lui? Gli era successo qualcosa?
- Ginny, vai in casa! - ordinò George furente e, scoccando un’occhiata esaminatrice a Diana, aggiunse: - Porta dentro anche Diana!
- Ma, io… - tentò di protestare Ginny.
George le rivolse un’occhiata talmente torva da riuscire a convincere la sorella, la quale si avvicinò a Diana per prenderla per un braccio.
- Stupeficium! - sbottò la voce rabbiosa di George non appena Ginny fu sufficientemente lontana.
- Protego! - abbaiò prontamente la voce di Ben.
I due incantesimi esplosero simultaneamente dalle bacchette in due zampili colorati pronti a scontrarsi.
Il crepitio della magia risvegliò Diana dai suoi pensieri e, senza nemmeno quasi rendersene conto, il ronzio del Blackhole si fece spontaneamente strada dentro di lei. 
Doveva evitare che quei due si facessero del male! 
Si liberò dalla presa di Ginny per avvicinarsi a George e Benjamin.
Un’enorme bolla azzurra fuoriuscì da lei e inglobò con forza i due fasci di luce colorati degli incantesimi per scoppiare con fragore e scagliare George a sinistra e Ben a destra, sollevando due nuvole di sabbia.
- Mettete via le bacchette! - sbottò Diana a pugni stretti, mentre cercava sia di domare l’esplosione di energia per evitare ulteriori danni sia di verificare che George e Ben fossero illesi.
George, a terra, si puntellò sui gomiti per sputare una boccata di sabbia e la guardò poco convinto.
- Ben sta dalla nostra parte... - spiegò lei con voce tremante avvicinandosi al ragazzo e tendendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. Il potere del Blackhole parve ritrarsi lentamente.
- Pfff...e tu ci credi? - chiese George in uno sbuffo afferrando la mano di Diana e rimettendosi in piedi.
- Sì - sentenziò Diana seria. La mano era ancora stretta a quella di George che, invece scrutava oltre la testa di Diana il punto in cui si trovava Ben, in piedi a spazzolarsi la maglietta nera dalla sabbia. 
- Posso spiegarti - aggiunse Diana tentando di sembrare sufficientemente persuasiva.
George non era ancora del tutto convinto, ma annuì, stringendo le labbra.
Nel vedere quell’espressione identica a quella di Fred, Diana avvertì qualcosa sciogliersi dentro di lei: la tensione nel petto aveva lasciato il posto a un dolore sordo e martellante.
Si slanciò a circondare il busto di George in un abbraccio e affondò il viso nella sua maglietta, chiudendo gli occhi. Non aveva mai abbracciato George prima di allora, ma fu una sensazione così strana che Diana si lasciò sfuggire un singhiozzo mentre stringeva la presa e nascondeva il proprio viso per l’imbarazzo.
Se quando aveva abbracciato Ron nei sotterranei di Villa Malfoy le era sembrato di stringere a sè una piccola parte di Fred, ora, essere tra le braccia di George era una vera e propria illusione di avere finalmente Fred accanto a lei.
Eppure Fred non c’era.
George le cinse delicatamente le spalle e poco dopo la allontanò per guardarla con un sorriso obliquo: - Diana, lui sta bene.
Erano bastate tre parole perchè il singhiozzo si frantumasse nel suo petto e un sorriso umido di lacrime si aprisse sul suo viso. 
- E’ andato a Villa Malfoy a cercarti - spiegò George con un sorriso rassicurante.
- Cosa? - domandò Ben che nel frattempo li aveva raggiunti strofinandosi con la mano l’avambraccio destro sopra la manica della maglietta.
- Stanno andando tutti a Hogwarts - continuò George ignorando Ben - Harry, Ron e Hermione stanno andando lì. Devo avvisare Bill e...
- Cosa?? - ripetè nuovamente Ben artigliando ora la stoffa scura che ricopriva il proprio braccio e una smorfia di sofferenza disegnata in volto.
- Sono stati alla Gringott, per quanto ne sappiamo...cercavano qualcosa per fermare Voi-Sapete-Chi - Diana snocciolò le poche informazioni che avevano.
- Weasley - sibilò Ben - spiega!
- Spiega tu, pezzo di stronzo - abbaiò di rimando George, fulminando Ben con uno sguardo tagliente - l’hai portata via! Sei...
Si interruppe perchè una smorfia di dolore aveva deformato il viso di Ben, che come in preda a una tortura, aveva sollevato con un rapido movimento la manica della maglietta per lasciare scoperto l’avambraccio pallido dove un tatuaggio nero come la notte e raffigurante un teschio ed un serpente, il quale aveva iniziato ad attorcigliarsi su sè stesso, come se avesse improvvisamente preso vita. 
Diana aveva già visto quel simbolo. Lo aveva visto anni prima stagliato nel cielo sopra al negozio Harvey, dopo l’attentato che lo aveva quasi distrutto.
- Merda, Diana - sbottò George strattonandola per portarla dietro di lui come se avesse paura che Ben detonasse come una bomba - è un Mangiamorte, cazzo!
- Si lo so, George - sbuffò Diana per niente sorpresa - possiamo per favore darci una calmata?
- Lui ci sta chiamando - sibilò Ben sofferente tenendosi il braccio destro come se bruciasse - sta andando a Hogwarts...
- Oh, fantastico! Sarà proprio una bella rimpatriata - commentò George acidamente - spiegate in fretta, perchè non possiamo fare tardi all’appuntamento con i suoi amichetti!
Ben si limitò a fulminarlo con lo sguardo.

L’esplosione e il trambusto avevano attirato sulla spiaggia anche Bill, Fleur, Dean e Luna, i quali si erano avvicinati a Ginny che stava velocemente effettuando il resoconto dell’accaduto.
Diana e Ben aggiornarono velocemente George su quanto accaduto a Diana e del suo periodo di prigionia, mentre George, dal canto suo, mise al corrente gli altri dei piani di Fred, Lee, Lupin e Kingsley.
- Quindi tuo padre ora può usare il Blackhole? - chiese George confuso.
- Non lo so... - ammise Diana - di certo non è da sottovalutare! Non vede l’ora di dare prova di sè! E’ convinto di dover aiutare Voi-Sapete-Chi ad uccidere Harry!
George sospirò guardando Diana con estrema serietà.
- Se tutti i Mangiamorte stanno andando a Hogwarts, dobbiamo partire subito - sentenziò Bill con aria decisa - i nostri avranno bisogno di tutto l’aiuto possibile.
Ben, Fleur e George si rivelarono d’accordo.
- E tu, Murray? - chiese George in tono freddo e tagliente - non è che cambierai di nuovo idea?
Ben strinse le labbra e mostrò i denti in un’espressione feroce, ma Diana gli scoccò un’occhiata ammonitrice che gli fece deglutire gli insulti che l’uomo doveva aver già pronti sulla punta della lingua.
- Ok - Ben ignorò George e guardando Diana aggiunse: - Vai dentro e chiuditi in casa con Olivander. 
- Ginny, vai con Diana - si intromise Bill in modo sbrigativo.
- Non penserete che io resti qui, vero? - chiese Diana inarcando le sopracciglia e incrociando le braccia sul petto.
- Non esiste proprio, Bill! - sbottò Ginny con rabbia cercando manforte in George con lo sguardo.
- Io... - Ben tentò di raddrizzare la schiena per guadagnare autorità, mentre Bill cercava di far ragionare la sorella minore. 
Diana riuscì distintamente a cogliere la frase “Mamma stacca la testa a me e a George se ti permettiamo di venire…” 
- Se Fred è a Hogwarts, io vado a Hogwarts! - sentenziò Diana con sicurezza - in più, là ci sarà mio padre che va assolutamente fermato!
L’idea di avere finalmente la certezza che Fred stesse bene e soprattutto di poterlo rivedere a breve l’aveva infiammata di una nuova determinazione.
L’idea di dover affrontare nuovamente suo padre, invece, le torceva le viscere in una sensazione di dolorosa sofferenza, ma cercò di mettere momentaneamente da parte quella sensazione per concentrarsi su un problema alla volta.
- Non essere stupida - la rimproverò Ben con sufficienza - vedrai Fred più tardi quando avremo sistemato questa faccenda!
- Col cavolo! - sbottò Diana stringendo i pugni, mentre un ben noto ronzio cresceva d’intensità sfumando il suo campo visivo di azzurro - Daniel ha il mio Blackhole! E poi non crederai che io possa restare qui ad aspettare che tutti voi andiate a farvi ammazzare!?
- Non è compito tuo occuparti di Daniel! - sibilò Ben.
- Invece si! - sbottò Diana esasperata.
Ginny stava sbraitando e pestando i piedi per convincere Bill a lasciarla partire.
George scosse la testa con un sorriso di fronte all’espressione contrariata di Ben.
- Diana, ma... - Ben tentò di sfoderare la sua espressione più cattiva - io non so se tu…
- Io vengo con voi - tagliò corto Diana scostandosi un ciuffo di capelli dal viso con fermezza.
- Ok - si arrese Ben con un sorriso sofferente.
- Se va Diana vengo anche io! - esclamò Ginny furente raggiungendola e posizionandosi di fianco a lei come se fossero una cosa sola - Tutta la mia famiglia sta andando lì! Come faccio a rimanere qui senza fare nulla?
Diana le rivolse un’occhiata d’intesa e annuì per dimostrarle il suo appoggio.
George e Bill si guardarono con rassegnazione, decisamente angosciati per la ramanzina che sicuramente si sarebbero sorbiti dai genitori per essersi lasciati convincere.
Dean e Luna erano in disparte con Fleur che cercava di spiegare quanto potesse essere pericoloso quello che li aspettava.
- Allora? Andiamo? - incalzò Diana afferrando il braccio di Ben per indurlo a smaterializzarsi.
- Va bene! Va bene! - capitolò definitavamente Benjamin con espressione afflitta - però, puoi aggrapparti all’altro braccio? 
Diana si accorse di aver stretto proprio il braccio coperto dal Marchio Nero, così si ritrasse e annuì spostandosi dall’altro lato.
La stretta allo stomaco compresse il suo corpo ancor prima di vedere svanire il promontorio di Villa Conchiglia.

Quando appoggiò i piedi nuovamente al suolo, si trovavano al limitare di un piccolo villaggio britannico. Il paesino era composto di stradine costellate da basse casette di pietra con grandi finestre e fiori sui balconi; i negozi, però, recavano strane insegne che poco avevano a che fare con i negozi tipici inglesi. 
Il sole era tramontato e l’oscurità abbracciava il selciato grigio, le serrande abbassate e le finestre chiuse in un clima di serpeggiante inquietudine.
- Dove siamo? - chiese Diana tentando di placare la tensione che le strisciava sotto pelle.
- Hogsmeade - spiegò George mentre guardava oltre il villaggio, verso la collina alle sue spalle.
Improvvisamente, il ricordo di un pomeriggio in cui lei e Fred erano distesi in un prato a parlare di un fantomatico primo appuntamento le attraversò la mente, serrandole la gola per il pungente senso di nostalgia.
Fred stava bene, si autoricordò.
Anche tutti gli altri osservavano la collina oltre il villaggio, ma Diana non riusciva capire che cosa stessero guardando, dato che lei vedeva solo una zona disabitata e disseminata di rovine.
- Che cosa vedi? - le domandò Ben stirando le labbra in un sorriso e indicando la collina.
- Tipo una zona di lavori in corso? - chiese lei senza capire e assottigliando lo sguardo - perchè che cosa dovrei vedere?
- Lì c’è Hogwarts - si intromise Ginny indicando la collina - il castello, non lo vedi?
Diana scosse la testa, a disagio. Era un po’ stufa di non vedere cose che invece tutti gli altri vedevano. Doveva decisamente iniziare a frequentare gente normale!
- Sembra tutto tranquillo… - constatò Bill scandagliando il villaggio con lo sguardo alla ricerca di potenziali pericoli.
- Troppo - commentò Ben pensieroso.
- Quindi? Andiamo? - propose Diana impaziente.
- Passiamo da Mielandia? - George indicò una delle tante stradine che si diramavano tra le case.
Non appena si mossero per seguire le indicazioni di George, un suono acuto e penetrante risuonò con ferocia facendoli trasalire.
Istintivamente, Diana si tappò le orecchie con le mani: - Che cavolo è??
- Incanto Gnaulante - sibilò Ben cercando un riparo con lo sguardo - è un allarme! Dobbiamo toglierci dalla strada, ora!
- Via via! - ruggì Bill per sovrastare il fischio sempre più prepotente - andiamo alla Testa di Porco! Aberforth ci darà una mano! - e li indirizzò verso un locale dall’aria sudicia e dimessa, più simile ad una stalla che a un pub, sia per le fattezze che per l’odore di sterco che li accolse una volta varcata la soglia. 
Il vecchio barista dai lunghi capelli argentei si spostò da dietro il bancone e con aria seccata fece posare due bicchieri che si stavano asciugando in autonomia.
- No! Non di nuovo! - sbottò con aria burbera.
- Buonasera Ab! - lo salutò Bill con il fiatone per la corsa, mentre il suono penetrante, finalmente si placava - non di nuovo? In che senso?
- Potter è arrivato insieme a quelli che erano con lui alla Gringott… - spiegò velocemente l’uomo di nome Aberforth.
Ginny sorrise sollevata distendendo il volto teso e Diana sospirò per il sollievo nel sapere che stessero bene.
- …e quello uguale a te - Aberforth indicò George in maniera accusatoria con la mano - è arrivato dieci minuti fa insieme ad un altro ragazzo! Hanno fatto un baccano infernale! Petardi e fuochi d’artificio! Mi sembrava Capodanno…! I Mangiamorte non li hanno acciuffati per un pelo!
Diana sorrise, elettrizzata e sempre più impaziente all’idea che Fred fosse stato lì proprio pochi minuti prima. Non sapeva il perchè, ma immaginava loro due come piccoli puntini rossi su una cartina geografica che si avvicinavano sempre di più e quell’idea le stringeva lo stomaco in una sensazione piacevole e dolorosa allo stesso tempo.
- Entrata in scena alla Weasley - spiegò George con aria orgogliosa - un marchio di fabbrica!
Diana non potè trattenere una risatina nervosa.
- Su muovetevi! - li incalzò Aberforth indicando un quadro alle sue spalle, ma tenendo d’occhio l’ingresso del locale - arriveranno a minuti a controllare, quei grandissimi figli di…

Diana osservò con attenzione il quadro alzandosi sulle punte dei piedi per vedere meglio.
La giovane ragazza raffigurata si mosse per rimpicciolirsi come se si stesse dirigendo verso un punto all’interno del dipinto fino a sparire.
Diana rimase ipnotizzata ad osservare la scena.
Si lasciò sfugire un Ooooh di meraviglia nel notare l’arrivo di un’altra figurina nel quadro che diventava man mano più grande, come se colui che era raffigurato si stesse avvicinando. 
Diana strinse lo sguardo fino a che il personaggio del ritratto si delineò in un ragazzo alto che si muoveva a passo zoppicante. Aveva un’occhio nero e un sopracciglio lacerato da un taglio profondo e rimarginato male e li salutava come se fossero amici.
Lo sfondo del quadro si dilatò e acquisì tridimensionalità come in un gioco prospettico trasformandosi in un corridoio di pietra.
Diana sgranò gli occhi di fronte a quello che sembrava un ben riuscito trucco di magia, mentre una spiacevole sensazione di nausea le ribaltò lo stomaco nel vedere quello stretto corridoio buio simile a quelli che percorreva a Villa Malfoy.
- Ehi! Quanta gente! -  il ragazzo li salutò con un sorriso sporgendosi dalla cornice - venite! Harry è arrivato! Ciao Luna! Ciao Dean! Ciao Ginny! George, Fred è arrivato poco fa insieme a Lee!
- Ciao Neville! - rispose Luna e poi con aria sognante aggiunse - è bello vederti!
- Su su! Muovetevi! - li incalzò frettolosamente Aberforth invitandoli a entrare nel tunnel.
Dean, Luna e Ginny passarono per primi e raggiunsero il ragazzo di nome Neville, poi passò George che si voltò per fare cenno a Diana di seguirlo, infine rimasero a chiudere la fila Ben, Bill e Fleur.
- Sto entrando in un quadro… - borbottò sarcasticamente Diana tra sè e sè per calmarsi - tutto normale…
George, al suo fianco, ridacchiò.
La voce di Neville rimbombava nel corridoio raccontando agli amici tutto ciò che era successo a Hogwarts in loro assenza.
Diana inspirò ed espirò ritmicamente attirando l’attenzione di George.
- Che succede? - chiese lui aggrottando le sopracciglia.
- Ho un problemino con gli spazi stretti e chiusi, ultimamente… - spiegò Diana deglutendo, a disagio.
- Chi è la ragazza bionda? E quello con i capelli neri che sembra incazzato con il mondo intero? - chiese Neville a Ginny e Luna.
Le risposte delle ragazze si aggrovigliarono in un bisbiglio indistinto in cui Diana riuscì solo a carpire il nome di Fred.
Sorrise e abbassò lo sguardo per osservarsi i piedi sentendosi la gola secca, più agitata che mai.
La nausea sembrava essersi placata.
Per la fretta di partire non si era nemmeno guardata allo specchio.
Si tastò i capelli raccolti in una treccia per sincerarsi di essere in ordine e presentabile; il semplicissimo maglioncino blu abbinato ai jeans le sembrò dannatamente ordinario.
A metà del lungo corridoio di pietra, Diana si fermò di colpo con l’assurda e improvvisa sensazione di non doversi trovare affatto lì.
- Che c’è? - chiese Ben da dietro di lei, mentre anche George si fermava per capire che cosa stesse succedendo.
- Io-io non dovrei essere qui! - Diana spalancò gli occhi - ho un sacco di cose da fare! - cercò di girare i tacchi per tornare sui propri passi, ma Bill la fermò prendendola per le spalle.
- Che succede? - domandò George preoccupato.
- Credo sia l’effetto che Hogwarts fa sui Babbani! Ci sono incantesimi difensivi potentissimi per tenerli alla larga! - spiegò Benjamin.
George si avvicinò a Diana con aria comprensiva: - Diana, stiamo andando da Fred! Ti ricordi? Non vedevi l’ora!
Diana sbattè le palpebre cercando di assimilare le parole di George.
Fred. Stavano andando da Fred.
Si rilassò e mormorò: - Fred…- parve riscuotersi da quella strana sensazione di inadeguatezza e aggiunse - si, è vero! Andiamo! Che ci facciamo qui impalati??
- Visto! E’ stato semplicissimo! - George rise roteando gli occhi al cielo.

Finirono di percorrere gli ultimi metri del corridoio buio.
Ad ogni passo Diana sentiva una crescente tensione unita al desiderio di lasciare quell’angusto spazio.
Avrebbe rivisto Fred.
Come sarebbe stato?
Fino a quel momento non si era soffermata a pensare che l’ultima volta in cui si erano visti avevano litigato pesantemente.
E dopo?
Cosa li aspettava a Hogwarts?
Suo padre sarebbe stato lì?
Si fermarono davanti ad una porticina che si aprì in un cigolio, Diana chiuse gli occhi per un attimo e inspirò ossigeno per calmarsi, tirando compulsivamente verso il basso l’orlo del suo maglioncino. Quando riaprì gli occhi si trovò davanti ad un’enorme stanza gremita di oggetti fino all’alto soffitto, piena di persone che vociavano, strepitavano e si spingevano per vedere chi fossero i nuovi arrivati.
C’erano arazzi colorati appesi alle pareti di legno scuro, scaffali colmi di libri e alcuni manici di scopa appoggiati disordinatamente in un angolo.
Diana riuscì a notare con la coda dell’occhio una grossa e vecchia radio simile a quella assemblata da Lee Jordan a casa McKinnon.

- Ciao! Ciao! - George salutava tutti con un sorriso o una pacca sulla spalla e tutti lo guardavano adoranti come se fosse una celebrità.
Harry, Ron e Hermione erano al centro della stanza ancora intenti a rispondere alle domande dei presenti: quando si accorsero del loro arrivo, Harry mise su un’espressione di rimprovero e disapprovazione, mentre Hermione fece un timido cenno di saluto con la mano.
Ron, invece, si allargò in un enorme sorriso e si voltò verso il fondo della stanza esclamando in tono eloquente: - Fred, vieni a vedere chi è arrivato!

All’improvvviso, Diana sentì le ginocchia tremare, mentre il cuore iniziava a pompare sangue sempre più velocemente.
Tutto il chiasso che riempiva l’ambiente parve farsi improvvisamente ovattato.
La massa di gente sembrò congelarsi come uno sfondo inanimato.
Era come se ogni linea prospettica che componeva l’universo andasse magicamente a convergere in un unico punto di fuga, al centro del quale comparve Fred Weasley.
Il cuore di Diana mancò un battito, o forse due.
Fred era lì ad una manciata di metri da lei ed era esattamente come lo ricordava.
I due immaginari puntini rossi disegnati sull’ipotetica cartina geografica erano così vicini da potersi sfiorare.
I capelli rossi di Fred erano un po’ spettinati come se ci avesse compulsivamente passato le mani; il viso contratto in una smorfia preoccupata si rilassò non appena posò lo sguardo su di lei.
Diana gli sorrise a sua volta, in preda ad un tumulto di emozioni che le annebbiava la vista.
Fred si diresse verso di lei a passi veloci e Diana attraversò lentamente lo spazio che li divideva per andargli incontro a passo barcollante e malfermo, come se fosse appena scesa dalle montagne russe.
Ad ogni passo tornarono a vorticarle in mente un milione di domande.
Lui ce l’aveva ancora con lei?
Era felice di vederla?
Le era mancata come lui era mancato a lei?
Voleva ancora stare con lei?
Quando Diana si fermò esattamente di fronte a Fred, il vortice di domande si calmò improvvisamente lasciandola con la mente svuotata, come se avesse attraversato un tornado per fermarsi nell’occhio del ciclone.
I suoi occhi saettavano da quelli del ragazzo di fronte a lei, alle sue labbra, ai suoi capelli per riempirsi lo sguardo di più dettagli possibili.
Diana non riusciva a parlare: le sembrava di avere un nodo alla gola e il respiro affannato.
- Merlino, Pixie! - esclamò Fred continuando a sorridere con gli occhi accesi dall’emozione - sembra che tu abbia visto un fantasma! Non sei contenta di vedermi?
- Scemo! - riuscì a borbottare Diana con voce rotta, tirando su rumorosamente con il naso, accennando a colpire debolmente Fred su un fianco.
Lui parve prevedere la sua mossa e alzò un braccio per fermare la mano di Diana con la sua.
Diana si sentì pervadere da un brivido mentre Fred stringeva la sua mano accarezzandone il dorso con il pollice e riabbassandola lentamente lungo il corpo.
- Non sei contenta di vedermi? - ripetè Fred con le labbra arricciate in un sorrisino e gli occhi che non accennavano a interrompere il contatto visivo con quelli di Diana.
Nonostante l’evidente emozione, c’era un velo d’imbarazzo a dividere i due ragazzi: Fred sembrava in attesa di avere una risposta alla domanda che, invece, a Diana pareva più che ovvia.
- C-certo che sono contenta di vederti - mormorò Diana destreggiandosi nello scompiglio di emozioni, con voce tremante, concentrata sulla sensazione delle loro dita ancora intrecciate.
A quel punto, Fred la attirò a sè per stringerla in un abbraccio e Diana seppellì il volto nel suo petto stringendo la stoffa del giubbino tra le dita e sgretolandosi in un singhiozzo.
Le braccia di Fred intorno alle sue spalle erano così solide e reali.
Aveva sognato quel momento.
Ogni notte passata nei sotterranei di Villa Malfoy aveva cercato conforto nel ricordo di quella sensazione.
Ogni giorno aveva vissuto nel tormento che gli succedesse qualcosa o che venisse catturato dai Mangiamorte.
- Non volevo mentirti - udì la voce di Fred rimbombargli nel petto mentre vi era ancora appoggiata - davvero! Mi dispiace! Non volevo che stessi ancora male per la tua famiglia!
Era così bello sentire di nuovo la sua voce!
Diana sgusciò controvoglia dall’abbraccio per osservarlo: era tornato ad essere serio e con le sopracciglia corrugate per l’attesa di una risposta.
- Lo so - rispose Diana. Sorrise tra le lacrime che cercava di asciugarsi freneticamente e allungò una mano verso Fred in un movimento incerto.
Voleva abbracciarlo di nuovo.
L’iniziale tensione che era calata su di loro sembrava dissiparsi lentamente, come se non ci fossero stati mesi e chilometri a dividerli.
- E tu non sei contento di vedermi? - con una leggera ironia Diana cercò di alleggerire il momento per evitare di scoppiare nuovamente a piangere come una fontana.
- Mmmh - Fred si portò una mano sotto al mento fingendosi pensieroso - No! Non tanto!
Diana aprì la bocca, quasi offesa per quella risposta, mentre Fred scoppiava a ridere.
Un attimo dopo, in un battito di ciglia, Diana si ritrovò le labbra di Fred sulle sue, una mano sulla guancia e l’altra dietro le schiena. Il petto che premeva contro al suo.
Sospirò sulle sue labbra dischiudendole, rilassandosi come se riprendesse ossigeno dopo una lunga immersione subacquea.
Ogni problema parve farsi piccolo, lontano e inconsistente.
La paura di Daniel Harvey e di ciò che li aspettava svanì come uno sbuffo di vapore.
Diana si alzò sulle punte dei piedi per approfondire quel bacio, per far aderire i loro corpi già incollati.
I due immaginari puntini rossi disegnati sull’ipotetica cartina geografica si erano ormai confusi per diventare un unico luminoso punto.
Intrecciò le mani dietro al collo di Fred per attirarlo a sè con l’intenzione di far durare quel bacio per sempre.

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Ehila :)
Non riesco a capire se questo capitolo sia decente o no...che novità XD
Ci tenevo che l'incontro tra Diana e Fred fosse un minimo emozionante, ma anche "giusto per loro",infatti l'ho riscritto trecento volte perché non mi convinceva mai!
A parte questo, Diana è arrivata a Hogwarts: mi sono presa la libertà di pensare che i babbani non vedano Hogwarts ma che, una volta superati gli incantesimi difensivi, ci possano fisicamente arrivare! E quindi....eccoci qua, sempre piu vicini alla Battaglia di Hogwarts!
A presto! Se vi va fatemi sapere che ne pensate :)

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Capitolo 45
*** Tamburi di guerra ***


"If you wanna fight 
I’ll stand right beside you
The day that you fall
I’ll be right behind you
To pick up the pieces

(“ The heart never lies” - McFly)

 

Ad un certo punto, a malincuore, Fred Weasley fu costretto a porre fine a quel tanto agognato bacio per riprendere fiato, senza curarsi minimamente delle parecchie decine di occhi curiosi fissi su lui e Diana.

Tutta l’agitazione e l’impazienza che lo avevano animato nei mesi passati svanirono, i tormenti, alimentati dal senso di colpa, erano scemati lasciando il posto ad un’eccitata euforia.
L’angoscia che si era trascinato con sè da Villa Malfoy, che lui e Lee avevano trovato deserta, non aveva fatto altro che aumentare al pensiero di cosa potesse essere accaduto a Diana e, finalmente, era stata spazzata via nel momento in cui se la era ritrovata davanti, viva e vegeta, nella Stanza delle Necessità. Per un attimo, Fred aveva pensato che fosse stata la Stanza stessa ad evocarla, come se conoscendo i suoi desideri avesse intuito che Diana fosse ciò di cui aveva più bisogno.

La ragazza lo scrutava con gli occhi verdi scintillanti, cercando di scostarsi una ciocca di capelli dalla fronte con un gesto imbarazzato.
Fred inspirava con concentrazione ogni suo dettaglio: i capelli biondi appoggiati sulla spalla sinistra in una treccia, il profilo del naso leggermente arrossato, gli occhi spalancati per l’emozione sembravano così grandi da potercisi immergere e le labbra erano distese in un sorriso che aveva voglia di baciare di nuovo.

- Stai bene? - si sincerò Fred senza riuscire a smettere di sorridere e di sentirsi assurdamente su di giri come se si fosse scolato un’intera bottiglia di Whisky Incendiario.
Non sapeva bene se quella sensazione di spavalda elettricità fosse dovuta al ricongiungimento con Diana o se invece fosse causata dall’imminente scontro per la difesa di Hogwarts, ormai all’apparenza inevitabile.
Diana annuì rifugiandosi di nuovo tra le sue braccia con l’aria di chi non avesse intenzione di separarsi da lui.
Fred la strinse a sè con un sorriso disegnato in viso assaporando la concreta e piacevole sensazione di averla di nuovo tra le braccia. Anche se non aveva in mano la bacchetta, gli sembrava di poter fronteggiare qualsiasi nemico senza la minima traccia di timore.
Lentamente, i visi e gli sguardi di cui non si erano curati fino a quel momento, tornarono a farsi nitidi e reali.

- Dove sei stata? - sussurrò Fred con la gola secca, senza capire come avesse fatto la ragazza a raggiungere Hogwarts.
In realtà, in quel momento, si rese conto di capire ben poco di qualsiasi altra cosa che non fosse Diana.
- A Villa Malfoy e poi a Villa Conchiglia - spiegò Diana velocemente - sono arrivata qui con George e… -  si interruppe a causa delle voci delle altre persone sempre più ad alto volume; in particolare, quella di Harry si distingueva ben al di sopra delle altre.

Fred, sempre con Diana stretta tra le braccia che osservava Harry cercando di capire che problema avesse, lasciò vagare lo sguardo per la stanza: George gli rivolse un sorriso compiaciuto, Lee si stava sbracciando per salutare Diana con un sorriso a trentadue denti, Ginny, accanto a Luna e Dean Thomas, osservava Harry emozionata, come se lo vedesse per la prima volta.
Harry, Ron e Hermione sembravano assediati da un altro manipolo di studenti desiderosi di rendersi utili. Harry sembrava particolarmente seccato e disorientato.
- Allora qual è il piano, Harry? - stava domandando George, mentre Diana e Fred si avvicinavano al gruppetto che si era creato intorno al prescelto.
Harry boccheggiò, estremamente a disagio, mentre si guardava intorno incredulo e si sistemava gli occhiali sul naso: - Non c’è un piano!
- Improvvisiamo, allora? E’ il mio piano preferito - dichiarò Fred sogghignando e sentendosi ancora più euforico mentre stringeva la mano di Diana nella sua.
Subito dopo i suoi occhi cercarono quelli della ragazza che si era già voltata verso di lui: sembrava che entrambi non fossero in grado di rivolgere l’attenzione altrove.
Harry roteò gli occhi al cielo.
Fred ridacchiò davanti all’espressione di Harry e fu allora che la sua attenzione fu attirata da qualcuno vicino all’ingresso della stanza.

Si irrigidì mentre un’ondata di rabbia si abbatteva furiosamente sul suo sorriso trascinandolo via.
Come aveva fatto a non notarlo prima?
Benjamin Murray, avvolto nei suoi soliti abiti neri, era in piedi con le braccia incrociate, sfoggiando una delle sue espressioni impenetrabili e uno sguardo scuro e tagliente rivolto proprio nella loro direzione.
Fred sentì la testa svuotarsi, mentre a malapena riusciva a distinguere la voce di Diana dire ad Harry che doveva parlargli di una cosa importante.
Con quale coraggio Benjamin si presentava lì dopo ciò che aveva fatto?
Diana intercettò gli sguardi che i due si stavano scambiando e mormorò preoccupata: - Fred…
Ma Fred non potè udire il resto della frase di Diana, perchè era già partito a passo spedito verso Benjamin. 
Ogni pensiero razionale sembrava svanito.
L’uomo lo vide avvicinarsi e rimase immobile ad aspettarlo con una rilassata aria di sfida.
- Cosa-cazzo-ci-fai-qui? - ringhiò Fred con rabbia.
Era arrivato faccia a faccia con Benjamin e, senza nemmeno rendersene conto, aveva sguainato la bacchetta per puntargliela alla gola mentre con l’altra mano lo teneva con una spalla inchiodata al muro per impedirgli di scappare.
- Ciao Fred - si limitò a rispondere Ben scoprendo i denti in un ghigno a metà tra il divertito e l’annoiato e muovendo appena la spalla per tentare debolmente di interrompere quel contatto sgradito.
- Fred, fermo! - Diana si precipitò a frapporsi tra loro con apprensione.
- No! - ruggì Fred accecato dalla collera cercando di far spostare Diana.
Come faceva Diana a difenderlo ancora?
- Tutto a posto? - anche George si era avvicinato con la bacchetta alla mano, pronto ad agire per aiutare il gemello, ma parlando con voce calma per distendere il clima di tensione.
Probabilmente, mezza Stanza delle Necessità aveva smesso di assediare Harry, Ron ed Hermione per aguzzare la vista in direzione del loro diverbio.
- Ve l’ho detto che voi due puntate sempre la bacchetta su di me… - sorrise Benjamin alzando le braccia in segno di resa - inutilmente, tra l’altro…
- Non muoverti! - lo minacciò Fred affondando appena la punta della bacchetta nella pelle pallida del collo di Benjamin per indurlo a stare fermo e stringendo le dita sulla sua spalla rafforzando la presa.
- Fred, smettila! - esclamò Diana con tono di rimprovero - Ben mi ha salvata! Mi ha portato via da Villa Malfoy!
Fred allentò impercettibilmente la presa su Benjamin cercando di interpretare il senso delle parole di Diana.
- Cosa? - domandò confuso, mentre la sua rabbia si dibatteva furiosa cercando freneticamente un punto di sfogo.
- E’ qui per aiutarci! - spiegò Diana cercando di calmarlo e appoggiandogli una mano sul braccio che teneva la bacchetta per convincerlo ad abbassarlo.
- E tu ti fidi? - Fred non riuscì a trattenere un sorriso sprezzante prima di cercare con lo sguardo anche l’appoggio di George che osservava la scena in silenzio - Ti ricordo che se non ti ci avesse portato lui a Villa Malfoy, non avrebbe nemmeno dovuto salvarti!
Diana abbassò lo sguardo, tentennando per l’evidente impossibilità di contraddirlo.
Benjamin rimaneva in silenzio, senza dire nulla nè per difendersi dalle accuse nè per discolparsi.
- Ora ci diamo tutti una calmata, ok? - si intromise Bill Weasley con tono pratico, abbassando con mano ferma la bacchetta di Fred e allontanandolo da Benjamin - C’è già Harry che sta dando di matto…
George si limitò ad annuire e, più che le parole di Bill, fu il gesto del gemello a convincerlo a contenere la collera.
Fred, amareggiato per non aver potuto sfogare la propria rabbia, si voltò verso il punto in cui Harry sembrava sul punto di esplodere di fronte a tutte le domande che gli altri studenti gli stavano rivolgendo.

- Che ci fate tutti qui? - sbottò Harry contrariato guardandosi attorno e sfregandosi la cicatrice sulla fronte - è una follia...
- Siamo qui per combattere, no? - si inserì coraggiosamente Dean Thomas, seguito a ruota da altre voci che si rivelarono d’accordo con lui.
Harry era ancora stranito, fino a che Ron non si mise a parlottare al suo orecchio.
- Harry, ci possono aiutare... - provò a convincerlo anche Hermione.
Un gruppetto di ex studenti di svariate case aveva raggiunto la Stanza delle Necessità e il brusio delle voci sempre più concitate si era alzato di volume.
Nel frattempo, Fred continuava a sferzare Benjamin con occhiate che sperava fossero sufficientemente minacciose.
Harry, Ron e Hermione parlottarono ancora per un po’ e alla fine Harry si decise a coinvolgere tutti nel piano che non era un piano. Dovevano fargli guadagnare tempo mentre lui andava alla ricerca di un oggetto misterioso apparentemente nascosto nel castello e indispensabile affinchè lui potesse per lo meno pensare di poter fronteggiare Voldemort.
Prima che Harry si allontanasse, Diana lo richiamò in tono urgente. Sembrava impaziente di comunicargli qualcosa, ma Harry la liquidò dicendo che avrebbero parlato più tardi.
Quindi sparì con Luna Lovegood sotto al Mantello dell’Invisibilità e scivolarono entrambi fuori dalla Stanza delle Necessità, per recarsi alla Torre di Corvonero, dove sembrava potersi trovare ciò di cui Harry aveva bisogno.

L’atmosfera crepitante di tensione ed eccitazione parve placarsi con la momentanea uscita di scena di Harry Potter.
- Io torno alla Testa di Porco per dare una mano agli altri che arriveranno - sentenziò Benjamin e poi, lanciando un’occhiata tagliente verso Fred, aggiunse: - visto che qui non sono gradito…
Fred ridusse le labbra ad una stretta linea sottile nel trattenersi dal colpirlo solo perchè Diana, accanto a lui, gli aveva afferrato la mano per stringerla come per trasmettergli la volontà di non rispondere alla provocazione.
- Oh, certo…oppure se la darà a gambe - commentò acidamente Fred a volume abbastanza alto da farsi sentire.
Diana aumentò la stretta sulla sua mano in un muto rimprovero.
- Aberforth non glielo permetterebbe… - rispose Bill sempre con il chiaro intento di pacificare gli animi.
Benjamin osservò Diana con aria preoccupata e poi sparì nel corridoio che lo avrebbe ricondotto a Hogsmeade.
Dopo l’uscita di scena di Harry e di Benjamin, la stanza era presto piombata in brusio agitato.

- Ho bisogno di sedermi - asserì Diana con voce stanca, spostando il peso da un piede all’altro - questa caviglia non è ancora guarita del tutto…
Fred abbassò lo sguardo per osservare la gamba di Diana e poi le indicò un divano sgombro in un angolo piuttosto tranquillo della stanza.
- Che ti è successo? - domandò cercando di riacquistare lucidità mentre si dirigevano verso il divano color cuoio - di che dovevi parlare con Harry?
- Mio padre - sbuffò Diana lasciandosi cadere di peso sul divano - mio padre è la risposta ad entrambe le domande!
Fred si accomodò accanto a Diana mentre lei iniziava a raccontare ciò che le era accaduto durante i mesi di prigionia.
Diana sembrava soffrire solo nel ripercorrere mentalmente le torture che le avevano inflitto, così Fred la strinse a sè in un abbraccio, sperando di poterle infondere un minimo conforto e di placare la rabbia che gli mordeva lo stomaco all’idea di Daniel Harvey che faceva del male alla propria figlia, all’idea di Bellatrix Lestrange che si divertita a torturare la gente e che tutto quel dolore fosse stato causato da Benjamin Murray. 
Digrignò i denti, maledicendosi per non avergli almeno assestato un liberatorio pugno sul naso.
- …quindi mio padre pensa che il Blackhole sia una specie di arma segreta e pensa di essere colui che potrà contribuire alla sconfitta di Harry… - terminò Diana sospirando - ecco cosa dovevo dire ad Harry…
- Sì, direi che è una questione della massima importanza… - commentò Fred in tono serio.
- Appena ritorna gliene parlerò… - rispose Diana passandosi una mano sul viso.

Rimasero per qualche minuto in silenzio: lei raggomitolata tra le braccia di Fred con la schiena appoggiata al suo petto e le mani intrecciate; poi la ragazza si voltò per rivolgergli uno stanco e preoccupato sorriso.
Fred sospirò cercando di godersi il più possibile quel momento di relativa e calma felicità, perchè era chiaro che sarebbe durato poco.
Entro breve tempo Hogwarts si sarebbe probabilmente trasformata in un campo di battaglia.
Se era vero ciò che Diana diceva su suo padre, quell’uomo sarebbe sicuramente giunto al castello per cercare di aiutare i Mangiamorte e trovare lì la propria figlia sarebbe solo stato ciò che desiderava. Avrebbe potuto completare l’opera e assorbire definitivamente i suoi poteri per poi dedicarsi ad aiutare Voldemort a sconfiggere Harry.
Hogwarts era l’ultimo luogo dove Diana avrebbe dovuto trovarsi.
- Pixie - Fred parlò in un sospiro tormentato continuando a stringerla a sè - per quanto sia contento di vederti e di sapere che stai bene…devi andartene! Non puoi restare qui!
Diana sbattè le palpebre perplessa per quelle parole: - Ma che stai dicendo? E dove dovrei andare??
- In un posto sicuro! Lo scontro stasera sarà inevitabile e non voglio che ti succeda niente!
- Se lo scontro è inevitabile, allora voglio dare una mano! - sbottò Diana alzandosi in piedi e iniziando a infervorarsi - non so se ti ricordi, ma è altamente probabile che mio padre sia qui e che abbia il Blackhole! Dobbiamo assolutamente evitare che si avvicini a Harry!
- Proprio per questo te ne devi andare! - Fred cercò di mostrarsi irremovibile alzandosi a sua volta per fronteggiare Diana, torreggiando su di lei in tutta la sua altezza.
- Benissimo! - Diana strinse le labbra per la rabbia, sollevò la testa per sostenere lo sguardo di Fred e si portò le mani sui fianchi per assumere una posa inflessibile - allora tu vieni con me!
Fred aprì la bocca per ribattere, ma Diana lo zittì continuando a parlare.
Gli sembrava di rivivere la discussione che avevano avuto alla Tana il giorno prima della missione dei Sette Potter con la Pozione Polisucco.
- Non puoi! Giusto? - lo anticipò Diana in tono affilato - è questo che volevi dire?
Fred annuì perplesso: - Sì, perchè…
- Perchè qui c’è la tua famiglia! - con tono pungente Diana terminò nuovamente la sua frase come se gli stesse leggendo nel pensiero - allora puoi capire perchè anche io non posso andarmene! Perchè qui ci sei tu! E tante altre persone a cui voglio bene…
Fred sentì la propria ferma decisione vacillare di fronte alla telepatia che Diana stava dimostrando.
- In più - Diana tornò di nuovo all’attacco per argomentare le motivazioni valide per restare a Hogwarts - posso aiutarvi a combattere! Lo sai benissimo quanto posso essere utile!
- E’ pericoloso! - esclamò Fred con una smorfia contrariata all’idea di Diana in pericolo mortale, mentre le appoggiava le mani sulle spalle per cercare di farle capire quanto fosse preoccupato.
- Ma non posso nemmeno tornare indietro! Hogsmeade è piena di Mangiamorte che non ci hanno catturati per un pelo! - ribattè prontamente Diana.
Fred afflosciò le spalle e sospirò perchè non riusciva a trovare nessuna risposta valida per controbattere, dato che le parole di Diana erano più che sensate.
- Va bene! Va bene! - si arrese Fred allargando le braccia.
Diana gli scoccò un sorrisetto vittorioso e un’occhiata vagamente sorpresa per essere riuscita ad averla vinta così in fretta.
Si erano appena ritrovati dopo mesi e Fred non aveva voglia di passare quel momento a discutere.
- Come hai potuto pensare che me ne sarei andata lasciandoti qui nel bel mezzo di una potenziale battaglia? - Diana lo colpì sul petto con rimprovero.
- Infatti, come ho fatto essere così stupido… - Fred roteò gli occhi al cielo sogghignando e tornando a sedersi sul divano.
- Non-ridere! - lo minacciò Diana mentre Fred la prendeva per mano per tirarla verso di sè.
- Altrimenti? - Fred inarcò un sopracciglio per rivolgerle un sorriso obliquo.
Diana avvampò scivolando dal piedistallo di determinazione sul quale si era rifugiata durante la breve discussione e Fred la attirò definitivamente a sè per farla sedere sulle proprie gambe.
- Mi immaginavo già un lunghissimo elenco di rimproveri… - le sussurrò all’orecchio sorridendo - sai…mi sono mancati parecchio…
Sentì Diana deglutire e sorridere: - Forse sono un po’ fuori allenamento…
- Possiamo sempre recuperare… - rispose Fred allusivo scostando la treccia di Diana per sfiorarle il collo con le labbra - Harry potrebbe metterci un sacco di tempo a trovare quel…quel che deve trovare!
Diana fa percorsa da un brivido prima di domandare: - Stiamo ancora parlando di rimproveri?
Ridacchiarono entrambi con i visi e le labbra vicine.

- Cip cip cip - la voce ironica di George li raggiunse facendoli separare - vi ho trovati seguendo il vostro cinguettio, piccioncini…
Fred alzò lo sguardo: suo fratello era in piedi di fronte al divano; poco dietro di lui, faceva capolino il sorriso di Angelina Johnson.
Dopo che Fred ebbe salutato l’amica e presentato le due ragazze, George riferì che un po’ di gente aveva ormai raggiunto la Stanza delle Necessità.
- Ho bisogno di una mano - concluse George con aria preoccupata.
Fred lo invitò a parlare con un gesto eloquente della mano, proprio mentre una voce femminile dall’altra parte della stanza esclamava distintamente - Sei minorenne! Non lo permetterò! 
George sospirò riportando ad alta voce ciò che Diana e Fred avevano già capito: - Sono arrivati mamma e papà!
Tornarono tutti e quattro verso la parte centrale della stanza, seguendo il suono della voce della signora Weasley.
Ginny Weasley stava tentando di liberarsi dalla stretta della madre.
- Anche Diana è qui! Hai visto? - esclamò Ginny indicando la ragazza non appena la vide, mentre Diana trasaliva nel timore di essere trascinata in mezzo al litigio.
- E non dovrebbe essere qui nemmeno lei! Nessuno di voi dovrebbe! - si rivolse con aria minacciosa proprio a Fred e George - cosa vi è saltato in mente a voi due di portarvela dietro?
- Mamma - iniziò Fred sfoderando il suo miglior sorriso - non ci crederai, ma questa volta, io non centro niente!
La madre scosse la testa, esasperata e senza tenere minimamente conto delle sue parole.
Fred si voltò verso Diana che osservava la scena a disagio: - Assurdo! Non mi crede…
- Eh…chissà perchè? - constatò Diana con sarcasmo sollevando le sopracciglia e incrociando le braccia al petto.
Mentre Ginny continuava a tentare di convincere Molly Weasley, Fred si accorse che erano arrivati anche Lupin e Kingsley, i quali stavano discutendo animatamente con Arthur Weasley, e che, nel frattempo, Luna e Harry avevano fatto ritorno.
Insieme ad Angelina erano arrivati anche Oliver Baston, Katie Bell e Alicia Spinnet; praticamente l’ex squadra di Quidditch di Grifondoro al completo!
Proprio in quel momento ci fu un tonfo e qualcun altro varcò la porticina d’ingresso perdendo l’equilibrio e cadendo a terra.

Percy Weasley si rimise goffamente in piedi sistemandosi gli occhiali dalla montatura di corno sul naso.
Fred trasalì nel trovarsi di fronte il fratello maggiore e, istintivamente, cercò George con lo sguardo.
Tutti erano in silenzio, attoniti e senza parole.
Molly Weasley aveva la bocca semiaperta come se volesse parlare ma le parole non arrivassero.
Arthur Weasley sbatteva ripetutamente le palpebre, incredulo.
Ginny aveva smesso di divincolarsi dalla stretta della madre e osservava Percy con aria corrucciata e circospetta.
Ron ed Hermione non si vedevano da nessuna parte.
Diana alternava lo sguardo tra Fred e George, estremamente preoccupata per l’agghiacciante silenzio e per l’eventuale reazione a quell’inaspettato arrivo.
- Sono in ritardo? E’ già cominciato? L’ho saputo solo ora e…
Un denso alone di disagio avvolgeva l’intera famiglia Weasley che, dopo mesi, si trovava inaspettatamente davanti Percy.
Lupin e Fleur cercarono di colmare l’imbarazzo con delle chiacchiere.
I Weasley si stavano ancora mutamente scrutando quando Percy, per sovrastare le voci di Lupin e Fleur, ruggì: - Sono stato uno scemo! Un idiota! Un imbecille tronfio…
- Un deficiente schiavo del Ministero, rinnegato e avido di potere - concluse Fred prendendo in mano la situazione, visto che nessun altro membro della famiglia aveva ancora trovato il coraggio di proferire parola.
Nonostante tutta la sofferenza che l’addio di Percy alla famiglia aveva provocato, il fatto che nel momento del bisogno lui fosse arrivato a Hogwarts non era cosa di poco conto. E non era di certo quello il momento per rivangare vecchi dissapori.
Percy si limitò ad annuire con il senso di colpa che traspariva dal suo sguardo.
- Beh, non potevi dirlo meglio di così! - dichiarò Fred e allungò la mano verso il fratello maggiore.
Fu allora che Molly Weasley scoppiò in lacrime per gettarsi ad abbracciare il figlio.

Diana fece un paio di passi indietro come per lasciare un momento di privacy ai soli membri della famiglia e si avvicinò a Dean Thomas che parlottava animatamente con Neville, Seamus Finnigan e Harry.
 

                             °°°°°°°°°°


- Si combatte - aveva dichiarato tetramente Harry, che era da poco rientrato dal giro di perlustrazione del castello - ho incontrato la McGranitt! Stanno facendo evacuare gli studenti più piccoli e stanno organizzando le difese del castello!
Uno sapore di eccitazione e timore pervase l’aria.
Diana Harvey rabbrividì al concretizzarsi dell’imminente battaglia e l’amico di Neville e Dean, di cui non conosceva il nome, la squadrò sospettoso, percorrendo la sua figura dall’alto in basso.
Era evidente che morisse dalla voglia di chiederle chi fosse e cosa ci facesse lì.
Diana colse l’occasione di parlare finalmente con Harry.

- Ascoltami - cominciò tirandolo per una manica per farlo avvicinare a lei e allontandolo dagli amici - mio padre probabilmente verrà qui! E’ convinto di essere il protagonista di una specie di profezia per cui un babbano con il potere di un Blackhole possa in qualche modo aiutare Tu-Sai-Chi a sconfiggerti…
Harry sbattè le palpebre dietro alle lenti rotonde.
- Tu pensa solo a trovare questi oggetti da distruggere… io cercherò di tenertelo lontano e riprendere il Blackhole prima che possa causare danni!
- Diana, non... - provò a protestare Harry con apprensione.
Lei, in tutta risposta, fece un gesto secco con la mano per zittirlo.
- Ci ha già provato Fred! Non me ne vado! E’ una cosa che riguarda anche me!
Nel frattempo, si erano riavvicinati al gruppetto di Neville e Dean.
- Dobbiamo pattugliare tutte le entrate del castello - ragionò Neville con determinazione battendosi un pugno sul palmo dell’altra mano - i passaggi segreti! Il ponte! Proveranno entrare da ogni angolo!
- Potremmo andare noi al ponte - propose il ragazzo che Diana non conosceva.
- Mi sembra una buona idea… - la voce profonda di Kingsley Shaklebolt si inserì nella conversazione.

Diana stava cercando di seguire il discorso che prevedeva piani d’attacco ed esplosioni di ponti, contemporaneamente osservava la famiglia Weasley accogliere nuovamente il figlio che per tanto tempo aveva voltato loro le spalle e lanciava qualche occhiata ad Harry che però non le sembrava particolarmente spaventato dalle sue parole.
Sorrise nel notare Fred e George affiancare il fratello maggiore: Fred gli aveva appoggiato una mano sulla spalla mentre George parlottava con un mezzo sorriso che preannunciava l’arrivo di qualche tagliente battuta; la signora Weasley era riuscita a lasciare la presa su Percy solo per rimproverare nuovamente Ginny; il signor Weasley, Bill e Fleur sorridevano silenziosamente.
Ora che aveva ritrovato Fred, Diana non riusciva a non sentirsi vagamente intimorita di fronte a ciò che avrebbe potuto accadere.
Cosa avrebbe fatto se si fosse trovata davanti suo padre?
Sarebbe stata in grado di fronteggiarlo?
Istintivamente, strinse i pugni e contrasse la mascella nel ricordare per l’ennesima volta tutto il dolore che quell’uomo aveva inflitto prima a sua madre, poi a lei e che aveva intenzione di infliggere anche ad Harry Potter.

Fred alzò la testa con una punta di apprensione in viso che si dileguò non appena incrociò lo sguardo di Diana. Le fece cenno di raggiungerlo.
- Scusate… - Diana si allontanò da Dean e gli altri ragazzi per dirigersi verso Fred.
- Dove sei sparita? - chiese lui con un sorriso da un orecchio all’altro - devo presentarti mio fratello!
Diana arrossì e alzò timidamente la mano per salutare Percy che, nervosamente, si sistemava di nuovo gli occhiali sul naso.
- Ehm… - tossicchiò quest’ultimo e poi azzardò - credo di averti già vista, qualche Natale fa quando sono passato insieme al Ministro…
Diana annuì e allungò una mano per stringere quella sudaticcia di Percy: - Sono Diana!
- Io sono Per… - si dovette interrompere perchè Fred si era insolentemente intromesso dando una gomitata al fratello maggiore.
- Lui è il miglior Prefetto…
- Ma che Prefetto!? Caposcuola! - lo corresse prontamente George dando una gomitata a Percy dal lato opposto a quello dove si trovava Fred.
- Giusto! Il miglior Prefetto Caposcuola che Hogwarts abbia mai avuto! - ghignò Fred con ironia.
Percy roteò nervosamente gli occhi al cielo e in tono pomposo dichiarò: - Oh, piantatela! E’ un momento di estrema serietà!
- Pff - Fred sbuffò - che noia, Perce! Ci sei già tu ad essere serio! Qualcuno deve pur ravvivare gli animi, no? - e si riavvicinò a Diana per passarle un braccio intorno alle spalle e per stringerla a sè.
Lei non potè fare altro che sorridere.
- Che si diceva da quelle parti? - domandò Fred chinando il capo per guardare Diana in viso per poi accennare al gruppetto di ragazzi al quale lei si era momentaneamente affiancata poco prima.
- Stanno decidendo come difendere il castello. Loro - indicò con la mano Neville, Dean e l’altro ragazzo - andranno vicino ad un ponte! E poi parlavano di passaggi segreti…
Fred e George si scambiarono una vispa occhiata d’intesa.
 - Vai a recuperare Lee - propose Fred al gemello - i passaggi segreti sono roba nostra…
George annuì, evidentemente galvanizzato da quella prospettiva, e sparì nella folla per andare a cercare Lee.
- Pixie, tu verrai con noi, ovviamente - sottolineò Fred.
Diana si mordicchiò il labbro, indecisa e poi disse: - Io pensavo di andare al ponte, invece…
Fred strabuzzò gli occhi: sembrava frastornato all’idea di non averla accanto.
- Sei matta? 
Diana scosse la testa: - Fred…io ho…ehm…ultimamente ho un po’ di problemi con gli spazi chiusi…
L’idea di trovarsi in un angusto corridoio simile a quello che aveva attraversato per arrivare ad Hogwarts le faceva già sudare i palmi delle mani e le stringeva la gola rendendole il respiro affannoso.
- Preferirei stare all’aria aperta… - continuò Diana - e poi in una battaglia io sarei costantemente occupata a preoccuparmi che tu stia bene e…tu faresti lo stesso!
Fred, a malincuore, si vide costretto ad annuire.
- E non voglio che ti succeda qualcosa solo perchè sei distratto a…non so, a preoccuparti perchè io sono inciampata! - ipotizzò Diana perchè la cosa poteva essere altamente probabile.
Fred scosse la testa con vigore, ma Diana lo anticipò ancora una volta: - Ricordati che sono io quella su cui gli incantesimi non fanno effetto! Nessuno è più al sicuro di me!
Prima che Fred potesse rispondere, Diana si alzò sulle punte dei piedi per baciarlo con trasporto.
- Lo sapevo che avresti capito! - gli sussurrò Diana quando si separarono.
- In realtà non mi hai dato nemmeno il tempo di rispondere - sospirò Fred senza distogliere lo sguardo dalle sue labbra - questo è chiaramente un tentativo di corruzione! Ma se nello spazio chiuso ci fossi io con te? Non sarebbe d’aiuto?
- Non lo so… - Diana si mordicchiò l’unghia del pollice - vorrei evitare di avere una mezza crisi isterica mentre ci sparano addosso maledizioni!
Fred sospirò, palesemente contrariato.
Diana si voltò per fare un cenno a Dean Thomas: - Vengo con voi al ponte, va bene?
Il ragazzo annuì avvicinandosi insieme all’amico; squadrò Fred e poi domandò: - Ma non è il caso che tu resti qui…?
- Sono abbastanza brava a far esplodere cose….- si vantò Diana abbozzando un sorriso e Fred annuì per darle ragione - potreste avere bisogno di me!
L’amico di Dean la guardò come se fosse un’apparizione divina, mentre apriva la bocca in un’espressione adorante: - Tu sei brava a far esplodere cose? Chi sei?
- Diana Harvey - si presentò finalmente lei con un sorriso stringendogli la mano.
- Seamus Finnigan - rispose lui continuando a pendere dalle sue labbra estasiato.
- Finnigan! - lo richiamò all’ordine Fred schioccandogli le dita davanti agli occhi - a cuccia!!
Diana e Dean ridacchiarono di fronte a quel moto di gelosia, ma l’ironia si spense in fretta di fronte alla voce di Harry che li trafisse come una ventata d’aria gelida.
- Andiamo!

                                                                                              °°°°°°°°°°

Lentamente tutti i presenti sfilarono uno ad uno per abbandonare la Stanza delle Necessità.
Se quello fosse stato un film, in sottofondo ci sarebbero stati tamburi di guerra, ma invece, l’unico rumore era il ritmico battito di passi di un gruppo di ragazzi e una manciata di adulti pronti a difendere il Mondo Magico. 
Fred Weasley scendeva lentamente i gradini: George era al suo fianco, mentre Diana procedeva davanti a lui al fianco di Luna Lovegood.
Fred si concentrò sulle spalle di Diana e sul suo viso rivolto verso l’alto per osservare ogni angolo del castello così nuovo e assurdo per lei.
I corridoi erano deserti e una lama di paura gli affondò nella pancia nel ricordare i tempi felici in cui aveva percorso quegli stessi corridoi con il fiatone per sfuggire all’ennesima punizione di Gazza.
Il silenzio rimbombava sinistro nei loro passi.
Tornò a osservare il profilo di Diana per calmare la nascente ed inquietante sensazione di aver sbagliato a lasciare che la ragazza rimanesse a Hogwarts.
Era babbana: non avrebbe mai dovuto essere lì.
Tutti si spingevano e tentavano di affacciarsi alle balconate per cercare di guardare fuori. 
Si aspettavano forse di vedere i Mangiamorte arrivare con uno striscione e dire “Ehi, siamo arrivati! E’ qui la festa?”

Fred si affacciò ad una delle balconate per osservare il paesaggio, ma non vi trovò nulla di diverso rispetto a ciò che ricordava.
Il Lago Nero era disteso placidamente al solito posto e da lì riusciva a scorgere la capanna di Hagrid stagliarsi al limitare della Foresta Proibita.
Le serre di Erbologia erano immutate e il campo da Quidditch, che aveva attraversato in sella alla sua scopa con sole, pioggia e vento, era solo un po’ più malridotto di quanto ricordasse, come se non fosse utilizzato da tempo.

Un sospiro carico di tensione al suo fianco lo fece voltare per trovarsi faccia a faccia con George.
Appoggiò i palmi delle mani sulla balaustra di marmo, mentre i membri dell’Ordine e i professori, con le bacchette rivolte verso l’alto, lanciavano i più potenti incantesimi difensivi che si stavano unendo in sfumature luminescenti a coprire lo sfondo del cielo che preannunciava una tempesta.
- Tutto bene? - gli domandò George a bruciapelo dandogli una leggera gomitata.
Fred annuì, ma sentiva un groppo in gola pesante come un macigno.
Come se dovesse accadere qualcosa di brutto.
Si voltò e alle sue spalle, indietro di qualche passo, c’era Diana che li osservava: le braccia conserte e la treccia bionda che le ricadeva sulla spalla.
Anche George si voltò e alternò lo sguardo tra Diana e Fred, sospirò e battè le mani sulla balaustra:
 - Non metteteci troppo! Ti aspetto alla statua della Strega Orba - e mentre passava diede una pacca amichevole alla spalla di Diana, che invece prese il posto di George lungo la balconata.
Gli incantesimi difensivi si stavano ancora fondendo in un’unica cupola luminosa che avrebbe dovuto proteggerli, sfrigolando e crepitando come ciocchi di legno in un ampio camino.
Diana scrutava il cielo, impressionata e si guardava intorno a bocca aperta.
- Bello, vero? - chiese Fred schiarendosi la gola secca.
Diana appoggiò la mano sulla balaustra. Fred notò che le loro mani avrebbero potuto sfiorarsi da quanto erano vicine.
Uno strano silenzio si dilatò tra loro. Entrambi stavano pensando a cosa li aspettava quella notte.
- Mi prometti che starai attento e che non farai niente di stupido? - chiese di getto Diana con lo sguardo preoccupato, mentre spostava la mano per appoggiarla sul dorso di quella di Fred.
- Ti prometto che tornerò a tormentarti - rise Fred ricordandosi di aver già utilizzato quella frase una volta. 
Stupidamente, ogni volta che teneva Diana per mano si sentiva euforico in un modo inquietante date le circostante in cui si trovavano. 
Ruotò la mano per intrecciare le sue dita a quelle di Diana e poi aggiunse - Lo stesso vale per te, visto che di solito sei la regina delle idee stupide!
Diana si lanciò ancora una volta tra le sue braccia e Fred pensò che avrebbe dato ogni cosa per rimanere così e dimenticarsi di ogni battaglia, di ogni guerra.
Si baciarono come se fosse la prima e l’ultima volta, fino a rimanere senza fiato.
- Pixie… - sussurrò prendendole il viso tra le mani - fai quello che devi al ponte e…poi torna dentro, ok? Stai fuori dai guai, per favore…
Diana si morse un labbro come se il peso e la serietà di quelle parole l’avessero fatta barcollare.
- Su, non fare quella faccia! - cercò di sdrammatizzare Fred per minimizzare la tensione - ci togliamo questa battaglia dalle palle e domani dormiamo fino a mezzogiorno, poi ti porto a Hogsmeade! Che ne dici?
Diana sbuffò un sorriso e poi in tono allusivo disse: - Tra tutte le cose che ho pensato…beh, dormire non era tra quelle…
Fred le rivolse un sorriso malizioso mentre inarcava un sopracciglio: - Merlino, ho avuto davvero una pessima influenza su di te…
Diana ridacchiò nervosamente prima di afferrarlo per il bavero della giacca e avvicinare nuovamente le loro labbra.
Un colpo di tosse dall’ingresso della balconata li fece separare.
- Diana, vieni con noi al ponte? - domandò la voce di Seamus Finnigan. Dietro di lui Neville scalpitava e dava indicazioni agli altri studenti.
- Arrivo subito, Seamus - rispose Diana con un sorriso; tornò a guardare Fred in silenzio, come se volesse ritardare il più possibile il momento della loro separazione.
Si allontanò lentamente, quasi a rallentatore, fino a che il braccio di Fred non si tese per trattenere ancora un attimo le dita di lei, che infine, scivolarono dalla sua presa.
- Diana - la incalzò di nuovo Seamus Finnigan con tono urgente - dobbiamo proprio andare al ponte, ora...
Diana annuì e con un ultimo sguardo carico di un turbine di sentimenti contrastanti si congedò da Fred per seguire Seamus, Dean e Neville.
- Finnigaaaan! - la voce di Fred li fece fermare all’imbocco delle scale mentre additava Seamus con lo sguardo assottigliato - giù le zampe, intesi?

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Buonasera!
Domanda semplice: secondo voi questo capitolo mi piace? Ovviamente no, ma ormai questo è un must!
Ho cercato di far quadrare il più possibile la storia canon con tutto ciò che mi sono inventata io e spero che abbia un minimo senso! Oggi un po' di momenti teneri tra Diana e Fred, ma dal prossimo ci gettiamo a capofitto nella Battaglia di Hogwarts e siamo sempre più vicini alla fine della storia :(
Che vi aspettate che succeda in battaglia? :D
Se vi va fatemi sapere!
A presto :)

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Capitolo 46
*** La battaglia di Hogwarts - parte I ***


Daniel Harvey fissava affascinato il ponte malmesso che portava a Hogwarts da dietro le file di seguaci di Lord Voldemort tra i quali si era confuso per raggiungere la scuola di magia.
Il profilo del castello si stagliava nella notte buia e le finestre illuminate rilucevano come tenui e baluginanti fiammelle.
Daniel immaginò che proprio dietro a quelle finestre i professori e forse anche qualche studente stessero freneticamente organizzando le difese contro l’imminente attacco che i Mangiamorte si preparavano a sferrare.

Esalò un sospiro carico di emozione, inspirando l’odore di erba umida, e sorrise senza distogliere lo sguardo dalle linee scure che componevano il castello.
Alzò una mano e prese a giocherellare con l’orologio da taschino appeso al suo collo per stemperare il nervosismo.

Finalmente, dopo tanti anni e dopo tanta fatica, sarebbe riuscito a varcare la soglia della scuola di Magia di Hogwarts.
Uno dei suoi sogni più grandi fin da quando era solo un bambino stava per diventare realtà.
Sapeva di rischiare molto a trovarsi lì, ma era l’unica e l’ultima opzione che aveva a disposizione.
Dopo tutte le scelte fatte durante la sua vita, giuste o sbagliate che fossero, non poteva più lasciar perdere. 
Non quando mancava così poco per poter ottenere ciò che aveva sempre desiderato.

Da quando Diana era riuscita a fuggire da Villa Malfoy insieme ai suoi amici, la situazione era precipitata.
Lord Voldemort, una volta tornato alla dimora dei Malfoy, non aveva degnato Daniel di uno sguardo e si era diretto subito a Hogwarts una volta che era stato chiaro dove Harry Potter fosse diretto.
Daniel aveva tentato di farsi largo tra i Mangiamorte, ma un paio di guardie gli avevano semplicemente comunicato che il Signore Oscuro non aveva più bisogno di lui e che doveva ritenersi fortunato ad essere libero di andarsene sulle proprie gambe.
Daniel si era quasi sentito male nell’udire quelle parole.
Non poteva essere!
L’idea di rinunciare al potere che aveva sempre voluto e che era così vicino a possedere lo aveva fatto fremere di rabbia e impotenza, ma era riuscito a rimanere lucido e ad ideare un piano.
Era riuscito a corrompere un paio di Ghermidori promettendo loro ricchezze di ogni genere se lo avessero aiutato a raggiungere Hogwarts: i due lo avevano guardato con sospetto e timore di quanto avrebbe potuto accadere loro se si fosse saputo che avrebbero aiutato un Magonò, ma si erano presto lasciati convincere dalla promessa di una lauta ricompensa.
Lord Voldemort non avrebbe dovuto trovare Daniel o lo avrebbe ucciso nel peggiore dei modi; ma se solo lui fosse riuscito a impadronirsi del tutto del potere del Blackhole, forse il Signore Oscuro lo avrebbe risparmiato. Se fosse riuscito a dimostrargli la sua fedeltà e a fare la sua parte, sarebbe stato sicuramente ricompensato a dovere!

Daniel chinò il capo e abbassò lo sguardo: strinse con crescente tensione il vecchio orologio da taschino nel pugno tanto da farsi male. 
Durante uno degli ultimi tentativi di estorcere a Diana il potere del Blackhole, era sembrato che l’orologio si fosse improvvisamente rianimato, illuminandosi e riprendendo magicamente a funzionare, ma Daniel si era presto accorto che, poche ore dopo, le lancette si erano nuovamente fermate e che il Blackhole non si degnava di rispondere alle sue volontà come, invece, si sarebbe aspettato.

Doveva fermare Diana prima fosse troppo tardi.
Non poteva permettere che lei proteggesse Harry Potter.
Non poteva permettere il rischio che Voldemort uscisse sconfitto da quella battaglia.
Doveva impadronirsi una volta per tutte del potere del Blackhole.
Ad ogni costo.

Deglutì sonoramente pensando a che cosa lo avrebbe aspettato una volta varcata la soglia del castello.
Doveva trovare Diana.
E poi doveva trovare Benjamin.
Era sicuro che, in qualche modo, il cugino fosse coinvolto nella fuga di Diana da Villa Malfoy e Daniel voleva sapere, una volta per tutte, da che parte stesse Benjamin.
Tra le mura del castello lo avrebbe trovato a difendere Diana oppure a combattere alleato con i Mangiamorte?
E Robert? Anche lui avrebbe raggiunto Hogwarts?

Daniel sospirò nuovamente di fronte a tutti quegli interrogativi.
L’idea di fare del male alla sua famiglia e alla sua unica figlia non lo facevano saltare per la gioia, ovviamente! Non era certo un mostro! 
Si torse nervosamente la mano che ancora stringeva il Blackhole con quella libera e cercò di concentrarsi sulle chiacchiere del gruppo di Ghermidori davanti a lui.
Le voci sfumavano nella flebile brezza serale senza che Daniel riuscisse veramente ad udirle, troppo preso dai suoi pensieri com’era.

Se solo Diana avesse dato ascolto alle sue parole, non si sarebbero mai trovati in quella situazione! 
Alla fine, la colpa era solo di sua figlia! 
Non si era di certo divertito a infliggerle tutta quella sofferenza! Aveva dovuto! Aveva provato a convincerla con le buone maniere, ma sua figlia era cambiata. Non era più la bambina insicura che ricordava e se per ottenere il potere del Blackhole, Daniel avesse dovuto spingersi oltre, non si sarebbe fatto remore in quel momento, quando ormai era così vicino ad ottenere tutto ciò per cui aveva sempre lottato.

Cercò di mettere da parte quei pensieri una volta per tutte e strinse ancora di più la mano intorno all’orologio che portava al collo come un amuleto, perchè dei mormorii sommessi dalle prime file di Mangiamorte davanti a lui avevano attirato la sua attenzione.
Qualcuno stava indicando il prato nel parco del castello e qualcun altro borbottava di aver colto dei movimenti.
Daniel assottigliò lo sguardo, alzandosi in punta di piedi per ergersi al di sopra della barriera di teste e spalle, e distinse quattro figure incedere a passo svelto nell’erba scura per dirigersi proprio verso il ponte.
Lasciò andare il Blackhole e affondò la mano destra nella tasca dei pantaloni, proprio dove si trovava l’unico altro oggetto che poteva garantirgli la sopravvivenza in quella notte.


                                                                       °°°°°°°°°


Diana Harvey aveva seguito Dean, Neville e Seamus giù per rampe di scale di pietra consumata che sembravano interminabili.
I tre ragazzi parlottavano tra loro elettrizzati di tattiche di guerra, incantesimi ed esplosioni, ma lei aveva la testa altrove e riusciva a malapena ad avere la concentrazione necessaria per mettere un piede davanti all’altro.

Da quando erano piombati in quel castello invisibile aveva provato un tumulto di emozioni.
Aveva ritrovato Fred e ripensando al momento in cui si erano rivisti si sentiva ancora scombussolata e vagamente confusa.
L’angoscia della battaglia che stavano per affrontare si stava insinuando strisciante nel suo stomaco demolendo lentamente il buonumore ricostruito tramite il ricongiungimento con Fred.
Diana non aveva mai davvero preso parte ad un combattimento se non si teneva conto dell’attacco alla Tana durante i festeggiamenti per il matrimonio di Bill e Fleur o dell’inseguimento dei Mangiamorte nel centro di Londra, ma in quei casi aveva agito puramente d’istinto, senza avere il tempo di riflettere su quanto avrebbe potuto accadere.

Sospirò profondamente, osservando i larghi corridoi che stavano percorrendo e gli alti soffitti simili a quelli di antiche cattedrali gotiche. Le immense volte e gli ampi spazi non riuscivano ad essere così opprimenti quanto lo erano stati il corridoio percorso per arrivare a Hogwarts da Hogsmeade o l’affollata Stanza delle Necessità, ma Diana percepiva comunque l’impellente bisogno di trovarsi all’aria aperta.
Si era già rimboccata le maniche e spostata immaginari capelli dal viso circa duecento volte sentendosi accaldata, infastidita e nervosa.
Dopo tutto il tempo passato rinchiusa nella cella del Malfoy Manor, gli spazi chiusi le provocavano una spiacevole sensazione di reclusione e di ansia, tanto da indurla a separarsi da Fred pur di non rimanere troppo a lungo tra quattro mura.

Improvvisamente, un tramestio roboante alle sue spalle la fece voltare: la rampa di scale che avevano appena superato si era staccata dal muro per ruotare su sè stessa e ricollegarsi ad un’altra rampa, creando così un percorso alternativo che impediva di tornare immediatamente sui propri passi.
Nessun altro parve sorpreso da quel cambiamento, così Diana rimase a fissare la scala senza riuscire a credere ai propri occhi per poi distogliere lo sguardo solo per osservare incredula i personaggi raffigurati nei quadri parlare tra loro, spaventati e angosciati per l’imminente battaglia come se fossero loro stessi a doverne prendere parte in prima persona.
- Tutto bene? - domandò Dean Thomas affiancandosi a lei con aria comprensiva e rivolgendole un caldo sorriso.
Diana annuì frastornata.

Lei non era mai stata coraggiosa.
Lei era la ragazza che scappava urlando da un balcone perchè vi aveva incontrato un ragno.
Eppure tutto era cambiato in così poco tempo.
Da quando aveva il potere del Blackhole le sembrava di poter superare qualsiasi ostacolo.
Anche se aveva dovuto provare il lancinante dolore per la perdita di zia Karen; anche se aveva dovuto fare orribili scoperte sulla propria famiglia; anche se aveva dovuto subire le peggiori torture mentre era reclusa a Villa Malfoy, era ancora lì. 
Stanca, spaventata e traumatizzata, ma ancora in piedi.
Aveva fronteggiato i Mangiamorte alla Tana e poi su Shaftesbury Avenue senza pensarci due volte.
Con il potere del Blackhole si sentiva in grado di fronteggiare qualsiasi nemico.
Oppure era stato Fred Weasley a renderla un’impavida e sfrontata aspirante Grifondoro?
Ormai quella sensazione di spaurito coraggio era così radicata in lei da non riuscirne più a distinguere la fonte principale. 
Non avrebbe mai immaginato di essere in grado di trasformarsi in un’audace guerriera pronta a correre verso il pericolo.

- Stupidi Grifondoro, cosa mi avete fatto… - borbottò sarcasticamente Diana tra sè e sè mentre si concentrava sulla schiena di Neville e, insieme ai tre ragazzi, varcava il portone d’ingresso del castello per tuffarsi nella frizzante aria serale.
- Ehi - sbottò Neville voltandosi verso di lei - piano con gli insulti!
- Oops - si scusò Diana portandosi le mani a coprirsi la bocca nel rendersi conto di aver collezionato un’enorme figuraccia e infilandosi tra Neville e Seamus - non era riferito a voi, davvero!
Neville si limitò a scrutarla con ben poca convinzione.

Attraversarono un cortile lastricato in pietra e circondato da un portico molto simile ad un antico chiostro e poi deviarono nel prato umido che, a sinistra, digradava dolcemente verso un lago dalla superficie così scura e densa da sembrare una distesa di petrolio.
Svoltarono a destra e procedettero velocemente in direzione di un vecchio ponte di legno dall’aria malmessa.

L’aria primaverile era carica di umidità e, ad ogni passo, la caviglia di Diana emanava deboli fitte di dolore ricordandole i “bei momenti” passati in compagnia di Daniel Harvey e Bellatrix Lestrange.
Il silenzio era lambito solo dal fruscio dell’erba alta provocato dai quattro che si avvicinavano sempre più al limitare dei confini del parco di Hogwarts.
Diana inspirò il profumo di erba umida e scrutò fugacemente il cielo in cerca di conforto: delle nubi grigie striavano il cielo di chiazze più chiare tra le quali faceva capolino il famigliare chiarore delle stelle.
Solo allora, Diana si voltò per cercare di ammirare il castello esternamente, cosa che precedentemente non le era riuscita a causa degli incantesimi difensivi che impedivano alle persone prive di magia come lei di vedere la scuola.
La famosa Hogwarts di cui Fred e George le avevano tanto parlato si stagliava imponente davanti a lei. Imponente e in grande pericolo. 
- Woooow - esclamò Diana ammaliata dalle altissime torri e dalle numerose finestre illuminate, sentendosi quasi oppressa dalla solennità che l’antico castello sprigionava.

- Perchè sei qui? - domandò di punto in bianco Neville in tono un po’ acido e rivolgendole un’occhiata indagatrice - sei babbana! Non ha assolutamente senso! Quindi…chi sei davvero?
- Te l’ho già detto. Sono Diana Harvey - rispose semplicemente lei sbuffando in aria il ciuffo di capelli biondi che le ricadeva sulla fronte per guardare Neville negli occhi. Non aveva assolutamente voglia di raccontare la storia delle sue disavventure a quel ragazzo appena conosciuto.
- E stai con Fred Weasley - continuò Seamus con aria scettica come se stesse commentando un fatto logicamente inspiegabile.
- E sei brava a far esplodere cose - terminò infine Dean con un sorriso incoraggiante mentre si fermava proprio all’imbocco del ponte.
- Visto! - esclamò Diana con un nervoso sorriso e allargando le braccia - sapete già tutto di me!
Neville alzò gli occhi al cielo e poi prese a esaminarla come per cercare di capire se avesse una qualche arma segreta nascosta nelle tasche dei jeans: - E come potresti aiutarci a far esplodere qualcosa? Sentiamo!
Diana scrollò le spalle e con aria enigmatica si limitò a rispondere: - Ehm…non è semplice da spiegare…forse è meglio che ve lo mostri….

Mentre Neville, Seamus e Dean si aspettavano una qualche dimostrazione, un brusio proveniente dall’altra parte del ponte mise tutti quanti sull’attenti: Seamus strinse le labbra per l’angoscia, Dean affondò prontamente la mano nella tasca in cerca della bacchetta, mentre Neville assottigliò lo sguardo oltre il ponte facendo segno agli altri di rimanere in silenzio.
L’intera area intorno al castello, ponte compreso, era avvolta da potenti incantesimi difensivi. Ovviamente anche quella era un’altra cosa che Diana non era in grado di vedere, ma i tre Grifondoro le avevano assicurato che fosse così. 

In quel momento, dalla parte opposta del ponte era apparsa una piccola folla. Oppure era sempre stata lì ad aspettarli e i quattro ragazzi non se ne erano accorti, troppo impegnati a interpretare il motivo della presenza di Diana a Hogwarts.
Un’accozzaglia di maghi sporchi e con abiti laceri scrutava con aria famelica i quattro ragazzi come se fossero ambite prede da divorare in un sol boccone.
Diana mise a fuoco l’uomo che si trovava in testa al gruppo e un brivido le scivolò lungo la schiena, mentre anche una parte del coraggio che aveva orgogliosamente raccimolato, scemava in un tremito confuso. 
Fenrir Greyback le fece un cenno di saluto con l’enorme mano artigliata incurvando le labbra in una smorfia sinistra e snudando le zanne parlò: - Ciao biondina. Forse questa sarà la volta buona in cui potrò assaggiarti...

La voce dura come pietra grezza di Greyback echeggiò nelle orecchie di Diana fomentando un crescente ronzio: lei strinse i pugni mentre luminescenti scintille azzurre presero a crepitare tra le sue dita come se tutto il suo corpo fosse attraversato da corrente elettrica.
Seamus, al suo fianco, parve molto impressionato, ma sembrava troppo spaventato da Greyback per rivolgerle delle domande. Neville rivolse al gruppo di Mangiamorte una serie di coloriti insulti e poi, con l’aria di chi rassicurava più sè stesso che i propri compagni, aggiunse: - Tranquilli, finchè gli incantesimi difensivi resisteranno non potranno fare un passo verso di noi! Ooouh - si interruppe e si stupì nel notare l’alone azzurrino contornare le mani di Diana - per Godric, che stai facendo?
Proprio in quel momento, un lampo di luce squarciò il cielo sopra le loro teste e prese a crepitare al di sopra della cupola di protezione degli incantesimi, come una lama che cercava di affondare nelle loro difese.
- Già…finchè gli incantesimi resisteranno... - bofonchiò Diana con sarcasmo e con gli occhi colmi di apprensione rivolti al cielo.
Si scostò nervosamente i capelli dal viso, inspirando l’aria fresca per tentare di mantenere la calma.
Dentro di lei presero ad dibattersi convulsamente il desiderio di fuggire a gambe levate da Fred e il bruciante desiderio di farla pagare a Greyback, a Bellatrix Lestrange e, soprattutto, a Daniel Harvey.
- Merda - borbottò Neville scrutando il punto sopra di loro da cui provenivano gli incantesimi che cercavano di abbattere le difese del castello - stiamo pronti al peggio...quando è il momento vi darò il via, intesi?
Diana non sapeva esattamente che cosa avrebbero dovuto fare al “via” di Neville, ma Seamus sfoderò la bacchetta insieme ad un sorriso estatico, Dean rimase indietro di qualche passo, e allora Diana mosse un paio di passi sul ponte per dirigersi verso i Mangiamorte.
- Ferma qui - la trattenne per una spalla Neville indicandole in modo spiccio il punto a qualche metro dai loro piedi, dove probabilmente terminavano le difese - che ti salta in mente?
Diana si divincolò dalla presa sulla sua spalla.
- Ti conviene stare più indietro se non vuoi che ti faccia male! - Diana gli scoccò un’occhiata e gli rivolse un sorriso obliquo mentre sentiva il corpo vibrare come una cassa di risonanza, le orecchie invase dal ronzio dell’energia che le scorreva nelle vene e che cercava di concentrare nelle sue mani.

Era abbastanza forte?

- Vieni via dal ponte! - le intimò Neville con urgenza, cercando di convincerla a tornare sulla terra ferma.
Un boato squassò il cielo, il terreno tremò e il ponte prese ad oscillare pericolosamente.
Diana barcollò e lei e Neville dovettero aggrapparsi al corrimano per non cadere, mentre scaglie di incantesimi protettivi andati in frantumi fluttuavano pigramente su di loro come morbidi fiocchi di neve luminescenti. 
Greyback, dall’altra parte del ponte, ruggì per l’eccitazione e di rimando Neville lanciò un grido, mentre strattonava indietro Diana affinchè entrambi tornassero ad appoggiare i piedi al suolo.
Seamus stava per puntare la bacchetta verso il basso per tentare di colpire le fondamenta del ponte, quando un lampo di luce rossa proveniente dal gruppo in avvicinamento, lo colpì facendolo atterrare malamente nel prato, mentre la sua bacchetta roteava per aria per finire qualche metro alle sue spalle.
Con la coda dell’occhio Diana vide Dean correre preoccupato verso l’amico.
Neville cercava di respingere gli incantesimi scagliati sia contro di lui che contro Diana con abili movimenti della bacchetta.
Ovviamente, il ragazzo non poteva sapere che la magia non aveva alcun effetto su di lei.

I Mangiamorte si erano ormai avventurati oltre la metà del ponte; i volti simili a maschere sogghignanti e spiritate, sicuri di avere facili avversari da fronteggiare.
Il ronzio intermittente nel petto di Diana la fece pericolosamente dubitare della propria forza e del proprio coraggio.
E poi tra le maschere confuse e sconosciute distinse il ghigno di Daniel Harvey mentre i suoi freddi occhi verdi si posavano su Diana facendola immediatamente fremere dal disgusto, come se qualcosa di viscido e nauseabondo le fosse stato appena versato addosso.
La rabbia dentro di lei si impennò con prepotenza come un cavallo imbizzarrito.

- Colpiscimi! - gridò a Neville, in preda al tormento di non riuscire a sprigionare potenza sufficiente per arginare i nemici.
Il ragazzo, deviando l’ennesimo incantesimo, annaspò senza fiato e senza comprendere la richiesta di Diana: - Cosa?
- Ho detto Colpiscimi! - ripetè Diana con urgenza facendogli un cenno anche con la mano per sottolineare il concetto - Muoviti!
Neville, estremamente confuso, la fissò corrugando la fronte; fortunamente, Dean aveva abilmente aiutato Seamus a recuperare la propria bacchetta ed entrambi si erano uniti alla lotta, altrimenti, lo sgomento di Neville di fronte all’esclamazione di Diana li avrebbe resi velocemente dei comodi bersagli da colpire.
- Neville! - ruggì Diana sperando di risultare abbastanza autoritaria e convincente - se non mi colpisci, passeranno il ponte ed entreranno!
Lui deglutì e annuendo con aria titubante fece un passo indietro posizionandosi alle spalle di Diana.
Dean e Seamus erano ancora impegnati a respingere gli avversari.
- Indietro voi due! - sbottò Diana smanacciando per attirare la loro attenzione.
I due ragazzi si voltarono con espressioni confuse e si decisero a lasciare il ponte solo quando anche Neville li esortò a seguire lui e Diana.
Senza le difese magiche, in quattro, non sarebbero mai riusciti a fermare tutti quei nemici!

Prima che Diana potesse voltarsi per incalzare di nuovo Neville, udì il ragazzo pronunciare una formula magica e, subito dopo, una lama di dolore parve trapassarle le scapole precisa come una coltellata.
Fu un attimo: il dolore si affievolì quasi subito per irradiarsi in un formicolante calore ronzante che esplose dalle mani di Diana in una feroce bolla azzurra.
L’ondata di energia travolse i nemici più vicini respingendoli con la forza di un’onda d’urto.
Il ponte scricchiolò, vacillò e lentamente prese a ripiegarsi su sè stesso.
Diana fu sbalzata all’indietro dalla sua stessa energia ed atterrò malamente all’indietro sul prato ruzzolando addosso a Neville.
Il ponte, con un rumore infernale di calcinacci e legno, cadde rovinosamente nella valle trascinando con sè un considerevole numero di Mangiamorte.
Diana, il fiato corto e il respiro irregolare, rimase con lo sguardo fisso e vacuo chiedendosi se suo padre fosse tra coloro che erano precipitati nel burrone. Non sapeva bene come sentirsi di fronte a tale eventualità.
Seamus, Dean e Neville, estremamente impressionati, alternavano gli sguardi tra i rimasugli del ponte che ancora si trascinavano nello strapiombo e Diana a carponi nel prato che tentava di riprendere fiato.

- Forteee!- esclamò Seamus sgranando gli occhi ed emettendo un fischio di approvazione - sei matta da legare!
- Andiamoo! - li spronò Neville rimettendosi in piedi e additando i primi maghi che iniziavano a materializzarsi sul terreno erboso a pochi metri da loro - dobbiamo rientrare al castello!! Ora!

Diana non aveva nemmeno avuto il tempo di riprendere fiato, ma fu velocemente rimessa in piedi da Dean.
Iniziarono a correre nuovamente verso il castello: lei e Seamus davanti, mentre Neville e Dean nelle retrovie lanciavano incantesimi all’indietro per rallentare l’avanzata dei nemici. 
Diana correva più veloce che poteva, anche se la sua caviglia le stava praticamente gridando la propria disapprovazione e la sua milza stava già implorando pietà.
Si voltò per sincerarsi che i ragazzi fossero ancora interi e quello che vide le ghiacciò ogni goccia di sangue nelle vene.
Per la paura, le parve che lo stomaco fosse sprofondato al livello delle ginocchia e fu molto difficile non arrestare il movimento delle proprie gambe.

Un tumulto di strane e mostruose creature si stava dirigendo minacciosamente verso di loro e verso Hogwarts.
Creature gigantesche e sgraziate con mazze in mano simili a orrendi orchi.
Diana rabbrividì per la repulsione quando si accorse di un brulicante mucchio di enormi ragni zampettanti che mai si sarebbe immaginata di fronteggiare nemmeno nei suoi peggiori incubi.
Una sensazione di gelo la avvolse dalla testa ai piedi, mentre il fiato immediatamente si condensava.
Anche se non li poteva vedere, ricordava benissimo la sensazione di terrore che i Dissennatori erano in grado di incutere.
Senza volerlo, le sue gambe avevano rallentato l’andatura come se i muscoli si fossero improvvisamente intorpiditi a causa del gelo pungente.
- Non fermarti! - esclamò Dean prendendola per un braccio e esortandola a continuare la corsa.
Diana strinse i denti cercando di resistere perchè non voleva affatto rievocare i tremendi ricordi che aveva dovuto rivivere al primo incontro con quelle creature agghiaccianti.  
Tornò a guardare verso il castello pensando a Fred e cercando di sfuggire alle grinfie glaciali che la tallonavano.
La situazione all’interno delle mura non doveva essere migliore di quella all’esterno perchè man mano che si avvicivano, li accolse il susseguirsi di boati di vetri infranti, bagliori, incantesimi e urla, inequivocabili segnali che parecchi Mangiamorte erano già riusciti a penetrare all’interno della scuola.
Diana affondò i denti nell’interno della guancia per lo sforzo della corsa che si sommava al precedente sforzo dovuto all'utilizzo del potere del Blackhole e scrutò con preoccupazione i fiotti di luce intermittenti che esplodevano riflessi nelle vetrate.
La battaglia era definitivamente cominciata. 
E lei doveva trovare Fred e sperare che Daniel Harvey fosse precipitato nel burrone e restasse il più lontano possibile da Harry Potter.

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Ehilá!
Dopo ere geologiche torni finalmente a pubblicare! Chiedo scusa alle poche persone che seguono la storia, ma tra vacanze, il caldo e la poca concentrazione non riuscivo proprio a far lavorare il cervello! XD
In più ho modificato circa diciotto volte questo capitolo e alla fine ho deciso di dividerlo in due parti altrimenti sarebbe uscito lunghissimo e pesante! La bella notizia è che i prossimi due capitoli sono quasi pronti, quindi se non mi cade un meteorite in testa questa settimana, dovrei pubblicare il prossimo week end :)
a presto ❤️
                                                                                    

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Capitolo 47
*** La battaglia di Hogwarts - parte II ***


Benjamin Murray si era lasciato alle spalle la Stanza delle Necessità e si era immerso nella penombra silenziosa e confortante che permeava lo stretto corridoio che lo avrebbe ricondotto alla Testa di Porco.
Con la testa bassa e a denti stretti, procedeva velocemente cercando di mettere più metri possibili tra lui e Fred Weasley.
Non ce l’aveva più fatta a sopportare quello sguardo carico di rancore per ciò che aveva fatto a Diana.
Non che gli importasse più di tanto del giudizio di Fred Weasley in sè, ma la luce collerica negli occhi del ragazzo non aveva fatto altro che risvegliare il sopito senso di colpa di Benjamin per averci impiegato così tanto tempo a comprendere che stesse sbagliando anche solo a pensare di consegnare Diana al Signore Oscuro; inoltre, setacciando Hogsmeade, sperava di trovare Daniel prima di chiunque altro per fargliela pagare per tutta la sofferenza che aveva causato.
Delle voci e dei passi concitati gli fecero sollevare lo sguardo dal pavimento per puntarlo di fronte a sè.

Arthur e Molly Weasley stavano camminando agitati e a passo svelto per raggiungere Hogwarts e, non appena si resero conto di chi stava procedendo loro incontro, Arthur si voltò all’indietro per scambiare uno sguardo preoccupato ed eloquente con un’altra figura di cui Benjamin non si era accorto fino a quel momento.
Robert Murray, con un’espressione stupita, impallidì nel trovarsi di fronte il proprio fratello.
I tre rallentarono l’andatura fino a fermarsi davanti a Benjamin, che fu costretto a fare altrettanto.
- Ehm…Robert hai bisogno di aiuto? - si offrì generosamente Arthur Weasley, tradendo però un certo disagio nello sguardo velato dall’apprensione.
- Grazie, Arthur - si limitò a rispondere Robert senza staccare gli occhi da Benjamin - voi andate pure avanti, qui ci penso io!
Arthur si attardò per tenere d’occhio la situazione e, infine, a labbra strette annuì; Molly, invece, sembrava non vedere l’ora di raggiungere Hogwarts e i suoi figli e, quindi, si limitò a squadrare Benjamin con una generosa dose di muta disapprovazione.
Benjamin non era ancora riuscito a proferire parola, ma si limitava a scrutare Robert con nervosismo.
Suo fratello gli sembrava invecchiato rispetto all’ultima occasione in cui avevano avuto modo di vedersi, ossia al matrimonio di Bill Weasley e Fleur Delacour; sicuramente Robert era dimagrito di qualche chilo, perchè gli abiti gli cadevano addosso più abbondanti di quanto Ben ricordasse.
- Ben… - sospirò Robert, mentre la sua voce rimbombava nell’angusto corridoio mescolandosi ai passi di Arthur e Molly che si allontanavano fino a perdersi nel vuoto.
Robert teneva stretta in mano la bacchetta, puntata però verso il pavimento come per poter essere pronto ad utilizzarla in qualsiasi momento. 
Benjamin provò una spiacevole stretta allo stomaco nel rendersi conto che suo fratello sembrasse sospettoso e preparato a difendersi da un suo eventuale attacco.
- Ciao Rob - riuscì ad articolare Benjamin con la gola secca.
Anche se si era aspettato di incontrare Robert quella notte, non si sentiva effettivamente pronto a dargli le spiegazioni che sicuramente il fratello avrebbe voluto.
Molly e Arthur dovevano aver ormai raggiunto la Stanza delle Necessità.
- Dove stavi andando? - indagò Robert circospetto - stavi scappando?
- No! - rispose frettolosamente Ben - io stavo solo tornando alla Testa di Porco…insomma, ho pensato che magari Aberforth potrebbe aver bisogno d’aiuto per gestire le persone che arriveranno e i Mangiamorte che pattugliano il villaggio…
Robert si limitò ad annuire: - Vengo con te.
Benjamin vacillò leggermente al suono di quelle parole, perchè significava avere a disposizione del tempo per rispondere alle domande che quasi poteva intravedere affollare la mente di Robert.
- Va bene.
Fecero qualche passo l’uno a fianco all’altro, in un silenzio carico di tensione.

- Lo fai per tenermi d’occhio, vero? - Benjamin ruppe il silenzio in tono amaro.
- Ben, che fine avevi fatto? - sbottò Robert in tono frustrato ignorando la domanda che gli era stata posta - non credi di dovermi dare delle spiegazioni? 
- Io… - provò a dire Ben senza sapere bene da che parte iniziare.
- Tu non hai idea di come sia stato questo periodo! Sei sparito senza lasciare un messaggio o senza degnarti di mandare uno straccio di notizia! Diana è sparita per mesi! E le voci che circolavano su di te!? Mi sono sentito un idiota! Non sapevo nulla e non potevo nemmeno smentire quelle voci perchè non sapevo un accidente! - si sfogò Robert gesticolando e agitandosi.
- Robert - Benjamin tentò di arginare lo sproloquio del fratello - hai ragione! Avrei dovuto darti mie notizie! Ma…
- E’ vero quello che dicono? Stai dalla parte di Tu-Sai-Chi? - lo incalzò Robert osservandolo con aria affranta.
Benjamin lo sapeva che prima o poi quella domanda sarebbe arrivata.
Sospirò tra i denti per trovare il coraggio di intavolare un discorso sensato.
- Ho sbagliato - riuscì solo ad ammettere mentre rallentava il passo fino a fermarsi - e sto cercando di rimediare.
Robert si fermò a sua volta e osservò Benjamin con uno strano cipiglio sospettoso e compassionevole allo stesso tempo.
- Va bene - sospirò Robert a bassa voce dandogli una leggera pacca sulla spalla - va bene…
Benjamin si sentì sollevato per come Robert aveva preso la notizia.
- Tu non sei arrabbiato? - domandò Benjamin incredulo.
- Certo che sono arrabbiato! - esclamò Robert mentre la pacca sulla spalla si faceva un po’ più pesante - se dici che stai cercando di rimediare, mi fido!
Di fronte al sorriso di Robert, Ben non potè fare altro che sorridere a sua volta. 
Non aveva idea di quello che sarebbe successo quella notte e a quali pericoli sarebbero andati incontro, ma l’idea di essere riuscito a chiarire sia con Diana che con Robert lo faceva sentire leggero e in pace con sè stesso. 
Affrontare il Signore Oscuro e i suoi vecchi alleati non sembrava più così spaventoso ora.
- Ecco…visto che ci siamo, prima di gettarci nella mischia, dovrei aggiornarti su un paio di cose… - annunciò Benjamin con una smorfia, mentre si passava una mano tra i capelli scuri - Diana aveva il Blackhole ed è riuscita a sfruttarne il potere, ma Daniel glielo ha preso per consegnarlo al Signore Oscuro con il quale deve aver stretto qualche accordo. Lei ha comunque il potere del Blackhole, che Daniel vuole a tutti i costi. Diana sta bene ed è qui e probabilmente anche suo padre verrà qui stanotte per aiutare il Signore Oscuro ad eliminare Harry Potter…
Robert boccheggiò confuso di fronte alla moltitudine di informazioni e sgranò gli occhi: - Diana è qui? Ma è impazzita? Dobbiamo assolutamente riportarla a casa!
Benjamin scosse la testa: - E’ troppo tardi…non credo sia fattibile uscire da Hogwarts ora! In più lei non vuole andarsene…ah, ecco dimenticavo un dettaglio… - fece una pausa e roteò gli occhi al cielo per esprimere tutto il proprio dissenso - Si è messa insieme a Fred Weasley!
- Sì, lo immaginavo… - rispose Robert per niente sorpreso di fronte quell’ultima notizia - ma il fatto che sia qui è una follia! Non dovrebbe!
Benjamin allargò le braccia con rassegnazione: - Se vuoi provare tu a farle cambiare idea, magari avrai più fortuna! Ci abbiamo provato tutti, ma è irremovibile!
- Appena raggiungiamo il castello sarà la prima cosa che farò! Ma…i Blackhole…esistono? - domandò Robert che sembrava metabolizzare lentamente tutte le nozioni che Benjamin gli aveva riversato addosso - e Daniel è alleato con Tu-Sai-Chi??
- Certo che i Blackhole esistono! - ribattè Benjamin vagamente offeso per quell’insinuazione inaspettata - Non dirmi che anche tu credevi fossero solo una leggenda?
Robert scrollò le spalle con un sorrisetto di scuse e Benjamin scosse la testa alzando gli occhi al cielo di fronte alla poca fiducia che il fratello aveva nutrito in merito alle sue teorie e i suoi studi.
- Dobbiamo fermare Daniel prima che sia troppo tardi - asserì Benjamin tornando serio e affondando le mani nelle tasche - darò un’occhiata a Hogsmeade, tanto i Mangiamorte non si stupiranno più di tanto nel trovarmi lì se dovessero incontrarmi…
Robert annuì.

Avevano ripreso a camminare ed erano ormai giunti alla porta che si apriva sul pub di Hogsmeade.
- Starai attento, vero? - si sincerò Robert preoccupato.
Prima che Ben potesse rispondere, un vociare indistinto li raggiunse dal corridoio che si erano appena lasciati alle spalle, come se una mandria di studenti stesse lasciando il castello per andare in gita scolastica.
- Ma che succede? - borbottò Robert perplesso.
- Credo stiano cercando di mettere in salvo gli studenti - ipotizzò Ben e infatti, poco dopo, iniziarono a intravedersi le prime teste arruffate di ragazzini in pigiama, frastornati e spaventati, mentre davanti a loro, con la bacchetta sollevata, camminava il Professor Lumacorno.
- Professore, che sta succedendo?
- Ci sarà una battaglia?
- E’ vero che Harry Potter è arrivato ad Hogwarts in sella ad un drago?
Le voci dei ragazzi assediavano il vecchio professore di Pozioni in attesa di risposte.
- Ragazzi, calma… - Lumacorno tentava di destreggiarsi tra le mille domande - sì, Harry Potter è arrivato in sella ad un drago…
- Ed è vero che il drago ha bruciato Hogsmeade ed Harry Potter ha lanciato galeoni nelle campagne? - chiese un ragazzino biondo saltellando per l’eccitazione.
- No, Edward - rispose stancamente Lumacorno massaggiandosi stancamente una tempia per l’assurditá della domanda.
- Mi chiamo Elliott, professore… - lo corresse il ragazzino corrucciando lo sguardo.
Lumacorno lo ignorò e il suo viso si aprì in un’espressione sorpresa nel rendersi conto di non essere l’unico adulto in quel corridoio: - Benjamin e Robert Murray! Mi ricordo di voi come se fosse ieri! Benjamin come vanno i tuoi viaggi? E’ molto che non ho tue notizie! E Robert? I tuoi affari come procedono?
Benjamin abbozzò un sorriso tirato e tentò di liquidare in fretta Lumacorno: - Buonasera Professore, mi scusi ma devo scappare! - e indicò l’uscita del corridoio con una certa urgenza, come se avesse un importante incarico da portare a termine.
I ragazzini continuavano a chiacchierare e a strepitare e le loro vocette stridule risultavano ancor più acute in quello stretto tunnel.
Prima che Lumacorno potesse protestare di fronte a quella rapida uscita di scena, Benjamin aggiunse: - Però Robert resterà a darle una mano! - diede un paio di colpetti sulle spalle del fratello per spingerlo in avanti verso il professore e il gruppo di ragazzini dagli sguardi curiosi.
Benjamin passò per primo dal ritratto dando le spalle al fratello, ma lo sentì esclamare: - Ben, stai attento!
Benjamin sorrise di fronte a quelle parole e, senza voltarsi, mormorò tra sè: - Stai attento anche tu, Rob…


                                                                                            °°°°°°°




Fred Weasley era rimasto a sporgersi oltre la balconata affacciata sul parco di Hogwarts per osservare dall’alto Diana che seguiva Seamus, Neville e Dean fendendo l’erba debolmente illuminata dal riverbero degli incantesimi che si riflettevano sulla superficie del Lago Nero.
Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla figurina bionda che si allontanava sempre di più.
Man mano che Diana si allontanava da lui sentiva il cuore rimpicciolirsi.
Era sbagliato. 
Lei non avrebbe dovuto essere lì. 
Anche se ormai era consapevole che Diana fosse perfettamente in grado di difendersi da sola, era anche certo che se le fosse successo qualcosa, non sarebbe mai riuscito a perdonarsi per aver acconsentito a farla rimanere ad Hogwarts.

- Ho incrociato George di sotto e mi ha detto che ti devi muovere a raggiungerlo - una voce seria e dal tono vagamente aristocratico lo fece voltare, mentre Fred sentiva già i capelli rizzarsi sulla nuca per il disappunto.
- Non prendo ordini da te, Mangiamerda - gli rispose Fred sentendo le labbra arricciarsi istintivamente in un ringhio nel trovarsi davanti Benjamin Murray - sei già tornato da Hogsmeade? Oppure Aberforth ti ha preso a calci nel didietro e ti ha rispedito qui? 
In tutta risposta, l’uomo alzò entrambe le mani in segno di resa e, rivolgendogli un amaro sorriso, constatò: - Beh, questo credo di essermelo meritato! E sì, sono già stato a Hogsmeade! Gli studenti sono stati evacuati, il villaggio è deserto e anche Aberforth è venuto a Hogwarts! E per tua informazione, non mi ha preso a calci! Contento?

Fred scrutò Benjamin con estrema serietà e soppesò le sue parole rimanendo in silenzio.
L’astio nei suoi confronti non se ne era andato, eppure non aveva potuto fare a meno di notare che Benjamin sembrasse già una persona diversa da quella che Fred aveva quasi aggredito nella Stanza delle Necessità. 
Il consueto sguardo tormentato era più limpido, aveva messo insieme più frasi di senso compiuto e non le solite risposte fatte di sbuffi e monosillabi che solitamente gli riservava e, mentre parlavano, gli aveva addirittura rivolto un sorriso! 
Fred non sapeva nemmeno che quell’uomo fosse in grado di sorridere!

- Se sei venuto qua perchè ti aspetti un ringraziamento per aver salvato Diana puoi anche ficcartelo in quel... - Fred non vedeva l’ora di sfogare la rabbia trattenuta, soprattutto considerando il fatto che in quel momento erano soli. Nessuno si sarebbe frapposto tra loro se avesse deciso di tirargli un pugno. 
Fred sorrise tra sè e sè nell’immaginare quella soddisfacente scena nella sua mente.
- No - lo bloccò Ben con espressione sofferente - sono venuto qui per…ringraziarti… - pronunciò l’ultima parola con fatica, come se ogni sillaba pesasse una tonnellata.

Fred rimase senza parole, sentendo improvvisamente la rabbia affievolirsi di fronte a quelle parole.
Ben approfittò del suo silenzio per continuare con aria tormentata: - Tu l’hai sempre protetta e sei sempre stato al suo fianco, come in realtà avrei dovuto fare io. Ma l’ho capito un po’ troppo tardi...
- L’hai portata via - sibilò Fred stringendo i pugni e fissando Ben con intensità nel ricordare la sensazione vertiginosa di vuoto che aveva provato su quella collina poco distante da Casa McKinnon - la volevi consegnare a Tu-Sai-Chi. L’hai lasciata a Villa Malfoy con suo padre! Hai visto che cosa le hanno fatto?
- Ho sbagliato e credimi...sto cercando di rimediare - ammise Ben tormentando la stoffa della sua maglietta nera e abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Era evidente che gli costasse parecchio ammettere le proprie colpe.
- Ho voglia di darti un pugno - confessò Fred in tono secco e sentendosi stupido per averlo detto e per non aver agito direttamente.
- Plausibile - rispose Ben con un ghigno di sfida osservando con curiosità le mani di Fred ancora strette a pugno, come se non si aspettasse niente di diverso da lui.
Fred scosse la testa come per scacciare quel pensiero perchè per quanto già pregustasse il rumore delle sue nocche che impattavano con il naso di Murray, nella sua mente aveva appena preso forma l’espressione di Diana che disapprovava quell’idea. Si limitò a sospirare e chiedere con tono carico di sarcasmo: 
- È per questo che sembri quasi…rilassato? - Fred non riusciva a tenere a bada la curiosità di fronte al repentino cambiamento nell’atteggiamento di Benjamin Murray.
- Forse provare a fare la cosa giusta fa sentire in questo modo… - ipotizzò Benjamin come se fosse un’eventualità mai presa in considerazione prima - E poi ho incontrato Robert e abbiamo parlato….
- Per Merlino! Basta così! - lo interruppe Fred in tono scandalizzato indicando prima sè stesso e poi Benjamin - non siamo amici! Cos’è questa confidenza? E non guardarmi così! - aggiunse dato che Benjamin lo osservava con lo sopracciglia aggrottate in un’espressione stupefatta.
- No, ma stai scherzando? - Ben sembrava sconvolto e quasi oltraggiato da quella prospettiva tanto quanto Fred e rincarò la dose agitando le mani per scacciare quell’ipotetica amicizia con aria disgustata - Mai!
- Ah ecco! Ora ti riconosco! - Fred non potè fare a meno di sghignazzare per il ritorno ai rispettivi ruoli.

Benjamin, per la prima volta da quando Fred lo conosceva, era sembrato sincero e deciso a schierarsi dalla parte giusta in quella guerra, quindi avrebbe fatto lo sforzo di tollerarlo, soprattutto perchè anche Diana, inspiegabilmente, sembrava tenere parecchio a quel suo strano parente.
Di certo non avrebbe, però, smesso di punzecchiarlo e prenderlo in giro! 
Si diresse verso le scale per raggiungere George e Ben lo seguì.

- Posso continuare a chiamarti Mangiamerda? Trovo che ti doni… - gli domandò Fred ironico.
Benjamin strinse le labbra e assottigliò lo sguardo: - Se ti dicessi di no?
- Ovviamente lo farei comunque! - rispose di getto Fred.
- Ovviamente… - borbottò Ben con un sorriso spazientito e poi, roteando gli occhi al cielo, sospirò: - Cerca di non farti ammazzare, Weasley!
Fred rimase inizialmente stupefatto per quelle parole, ma stemperò subito l’incredulità con il solito sarcasmo: - Perchè altrimenti ti mancherei troppo, Mangiamerda?
- Non a me, pel di carota!
- Pel di carota? - chiese Fred inarcando le sopracciglia - che originalità! Mi aspettavo qualcosa di più fantasioso, Mangiamerda
- Non ti sembra di iniziare ad abusare leggermente di questo termine? - sibilò Ben con la pazienza già evidentemente messa a dura prova.
- Per niente! - Fred gli rivolse un falso sorriso a trentadue denti - anzi, ho appena cominciato, Mangiamerda!
Ben fu costretto a sbuffare e ad alzare nuovamente gli occhi al cielo.

Mentre battibeccavano e continuavano quel botta e risposta, scesero le scale per ritrovarsi all’imbocco del terzo piano dove un folto gruppo di persone osservava qualcosa al di fuori dalle ampie finestre. 
C’era tutta la famiglia Weasley al completo, ad eccezione di Ron, che certamente era a rischiare la vita da qualche parte insieme ad Harry e Hermione. Fred individuò anche Tonks, Lupin, Lee, Kingsley e Robert Murray. Quest’ultimo corse loro incontro non appena li vide arrivare.
- Tutto a posto a Hogsmeade? - chiese Robert a Benjamin con preoccupazione e poi aggiunse - Ciao Fred!
Benjamin annuì e Fred ricambiò il saluto con un cenno della mano.
- Dov’è Diana? - domandò poi Robert guardandosi intorno come se, giustamente, si aspettasse di trovarla accanto a Fred.
- E’ fuori nel parco… - rispose Fred con aria vaga, mentre si grattava la nuca.
- MA COME FUORI NEL PARCO? - tuonò la voce del solitamente serafico e pacifico Robert Murray.
- CHE COSA?? E SOPRATTUTTO CON CHI? - gli fece eco la voce di Benjamin mentre i suoi occhi dardeggiavano per la rabbia riducendosi a due fessure - MA CHE TI DICE IL CERVELLO, WEASLEY?

Fred non ebbe il tempo di dare una spiegazione, perchè l’aria fu riempita improvvisamente da un rumore assordante proveniente dall’esterno che fece tintinnare le vetrate e le armature disposte lungo il corridoio. 
Il pavimento parve tremare come se fosse in corso un terremoto.
Fred, con l’angoscia che ormai si era impossessata di lui muovendolo come un burattino, si precipitò alla finestra tra George e Lee: - Cos’è stato?
Lee, che aveva il naso spiaccicato contro la vetrata per cercare di vedere qualcosa, si voltò verso di lui con aria grave dicendo: - Gli incantesimi difensivi hanno ceduto. Il ponte è crollato.
Fred si sentì improvvisamente instabile sulle gambe, mentre si avvicinava ulteriormente alla vetrata per cercare di vedere qualcosa oltre la finestra.
Il ponte era sparito.
Prima di perdere definitivamente la testa, fortunatamente, riuscì a scorgere nell’oscurità quattro figure darsela a gambe per raggiungere il castello. 
Fred non riuscì a capire subito il motivo di quella forsennata corsa, ma poi un’imprecazione gli rimase intrappolata tra i denti.
Una moltitudine di Mangiamorte, giganti, troll, ragni dalle dimensioni di mucche e Dissennatori stava attraversando il parco per raggiungere Hogwarts.
Di fronte a quelle spaventose apparizioni si sparse una specie d’isteria generale. Tutti iniziarono ad agitarsi e a parlare contemporaneamente per proporre come predisporre il contrattacco, producendo solo una gran confusione. Fu Kingsley a prendere in mano la situazione mettendo a tacere tutti quanti e iniziando a impartire ordini ai presenti con una calma innaturale. Il tono di voce rincuorante ma autoritario fu velocemente in grado di infondere tranquillità, speranza e, soprattutto, la lucidità necessaria affinchè tutti tornassero a occuparsi dei compiti precedentemente assegnati e a precipitarsi alle proprie posizioni. 
- Spero che Harry si muova a fare quello che deve - piagnucolò Lee rigirandosi la bacchetta nella mano destra, mentre si asciugava spasmodicamente il palmo sudato della sinistra nei pantaloni.
Fred udì le parole di Kingsley senza ascoltarle davvero. Era troppo preoccupato per Diana, quindi, come se avesse le ali ai piedi, si fiondò verso le scale per raggiungere la Sala d’Ingresso.
- Dove vai? - esclamò Kingsley - devi pattugliare i passaggi segreti come stabilito!
- Prima devo andare da Diana! - urlò di rimando Fred cercando di correre di sotto, prima che qualcuno lo afferrasse per un braccio costringendolo a fermarsi.
- Fred, di sotto c’è la McGranitt per difendere il portone d’ingresso. Fai come ti ha detto Kingsley! - lo apostrofò suo padre, senza allentare la presa sul suo braccio - Diana è in buone mani!
Fred strinse duramente le labbra, mentre cercava di divincolarsi, ma in quel momento una serie di esplosioni e vetri infranti anticiparono l’arrivo di nuovi ospiti all’interno del castello.
E nessuno di loro era gradito.

Il caos esplose tra incantesimi scagliati alla cieca, fumo, detriti e urla e il gruppo fu obbligato a sparpagliarsi per cercare riparo e organizzare le difese.
Fred fu costretto ad abbassarsi e schermarsi gli occhi con un braccio per proteggersi da una nuvola di affilati frammenti di vetro. Si aspettava già il tagliente bruciore che qualche scheggia avrebbe causato, ma il dolore non arrivò.
Riaprì gli occhi e realizzò con stupore che i frammenti di vetro erano stati trasfigurati in un nugolo di farfalle variopinte che svolazzava frenetico tra lui e suo fratello Percy, il quale teneva ancora saldamente la bacchetta puntata verso di lui con un piccolo sorriso soddisfatto ad animargli il viso pallido.
- Grazie, Perce - sussurrò Fred ancora stupito dalla prontezza del fratello e dal suo moto di protezione, domandandosi come avesse fatto a ritrovarsi accanto a Percy.
Una maledizione sfrecciò tra loro e sibilò con insolenza riportandoli alla triste realtà, mentre le farfalle si disperdevano spaventate lungo il corridoio.
- Dobbiamo trovare un riparo! - si limitò a dire Percy con la solita aria saccente che non lo abbandonava neppure nelle situazioni d’emergenza.
- Io non voglio nascondermi! - ribattè Fred piccato dall’eventualità di non partecipare alla battaglia, mentre con sguardo ansioso cercava George senza riuscire ad individuarlo nella confusione causata dalla battaglia.
Percy respinse un altro incantesimo senza capire esattamente da che parte provenisse e alzando gli occhi al cielo rispose: - Un riparo da cui contrattaccare!
- Oh! - comprese Fred mentre con un incantesimo staccava dalla parete un grande ritratto con una massiccia e pesante cornice per lasciarlo cadere con un grave tonfo sulla testa di un Mangiamorte che stava duellando con Lee Jordan, mandandolo al tappeto - come da bambini quando giocavamo a fare la guerra…
- Grazie, Fred! - gli urlò Lee per sovrastare la baraonda e guardando soddisfatto il proprio avversario privo di sensi - sei un amico!
Fred si limitò ad alzare il pollice verso l’alto in direzione di Lee, perchè Percy lo stava già trascinando dietro ad una pesante armatura.
Si accovacciarono a terra vicini per rimanere protetti da una raffica di zampilli colorati provocati dalle maledizioni che rimbalzavano da ogni angolo.
- Io non ho mai giocato a fare la guerra! - gridò Percy per sovrastare il baccano che li avvolgeva. Aveva un’aria vagamente scandalizzata, mentre cercava di tenere d’occhio l’armatura dietro al quale si erano riparati e che fungeva da baluardo difensivo.
- Sì che ci hai giocato Perce! Solo che tu eri tu la vittima su cui provavamo le nostre tattiche! - esclamò Fred in risposta.
Percy Weasley si sistemò gli occhiali storcendo il naso e tentò di mantenere un certo contegno di fronte a quella rivelazione.
Fred si sporse di poco oltre l’armatura borbottando tra sè e sè: - Dove cavolo è finito George? - ma un incantesimo sibilò così vicino ai suoi capelli da farlo ritrarre immediatamente, facendolo appiattire contro la parete.
- Ok… ok…ragioniamo! Organizziamoci! - recitò febbrilmente Percy rigirandosi nervosamente la bacchetta nella mano destra e trattenendo Fred con l’altra mano come se volesse mantenerlo al sicuro e ben aderente alla parete per evitare che venisse colpito.

Fred, ignorando il tentativo di Percy, si sporse nuovamente oltre l’armatura quel tanto che bastava per sbirciare ciò che stava accadendo nel corridoio davanti a loro. 
I suoi genitori erano in prima linea insieme a Lupin, Tonks, Kingsley e Fleur a fronteggiare un manipolo di Mangiamorte tra i quale Fred riuscì a riconoscere i fratelli Carrow, Yaxley e Dolohov, mentre ancor più in fondo al corridoio i fratelli Murray e Bill stavano cercando di arrestare l’ingresso di un combattivo gruppo di acromantule che tentava ferocemente di insinuarsi attraverso una vetrata andata in frantumi; anche Ginny e Luna si erano unite alla battaglia e se la stavano cavando egregiamente nel trattenere un Mangiamorte. 
Fred lanciò un’altra occhiata alla madre che probabilmente era troppo impegnata in un duello e non si era ancora accorta che Ginny aveva lasciato la Stanza delle Necessità nella quale era stata relegata.
Finalmente, con un sospiro di sollievo, riuscì a scorgere George che si era riparato insieme a Lee dietro ad un muretto dall’altra parte del corridoio a causa dell’ennesima esplosione.
Il combattimento imperversava e l’Ordine della Fenice era in netto svantaggio numerico, dato l’attacco combinato dei Mangiamorte e delle creature magiche provenienti dalla Foresta Proibita.
Fred cominciò a frugarsi febbrilmente nelle tasche dei pantaloni.
- Giusto! Organizziamoci! - concordò con il fratello e iniziò a passare una serie di oggetti nelle mani di Percy: due Fuochi Forsennati Weasley, un sacchettino di Polvere Buiopesto, un cappello Scudo appositamente rimpicciolito e due Caccabombe.
Percy scrutò esterrefatto quel mucchio di oggetti riempirgli le mani.
- Da dove esce tutta questa roba? Ti sei fatto un Incantesimo Estensivo alle tasche dei pantaloni? - cercò di ironizzare il fratello.
- Ovviamente - rispose Fred come se fosse la cosa più scontata del mondo - perchè tu non lo fai? 
- Io…ehm…era una battuta! - balbettò Percy preso in contropiede - effettivamente non ci avevo mai pensato…potrebbe essere utile!
- Una battuta? - domandò Fred sbigottito - Merlino, Perce! Ma allora è arrivata la fine del mondo!
Percy gli rivolse una smorfia e si limitò ad ignorare il commento di Fred: - Di certo non mi sarei portato dietro fuochi d’artificio e Caccabombe!
- Ehi! - lo blandì Fred riprendendo in mano uno dei cilindri esplosivi e agitandolo sotto al naso del fratello - queste sono Detonazioni Deluxe! Non guardarle come se fossero cacca di Doxy!
- Va bene! Va bene! - lo frenò Percy in fretta e furia ficcandosi in tasca la Buiopesto e il Cappello Scudo, mentre un boato rimbombava tanto forte da far tremare il pavimento.
- Andiamo, Perce! - Fred si alzò in piedi con la bacchetta in mano e tendendo la mano libera al fratello maggiore per aiutarlo a rimettersi in piedi - hanno bisogno di noi! Magari puoi attaccare con le tue battute micidiali! I Mangiamorte non avranno scampo…

Cercarono di approfittare di un momento di relativa tregua.
Percy si rimise in piedi e annuì continuando ad ignorare le frecciatine sarcastiche di Fred, mentre anche George e Lee li raggiungevano schivando e parando incantesimi che avevano ricominciato ad abbattersi senza sosta per tutto il corridoio.
Un gelo sovrumano penetrò velocemente nell’ambiente come se fosse improvvisamente arrivato l’inverno. Il senso di terrore e infelicità dilagò tra loro insieme alla consapevolezza che anche i Dissennatori si erano uniti alla lotta.
Fred lanciò un’occhiata carica di preoccupazione alla rampa di scale che portava al piano terra pensando a Diana.
Da un lato sperava di vederla apparire per sincerarsi che fosse illesa, ma dall’altro desiderava che rimanesse al sicuro per non dover fronteggiare di nuovo i Dissennatori che l’avevano così tanto sconvolta.
- Dammi una mano! - gridò a Percy, ancora al suo fianco, indicandogli le scale occupate dai Dissennatori - devo andare a cercare Diana!
Mentre Percy immobilizzava abilmente due Mangiamorte, lo guardò per un attimo come se fosse pazzo.
- Non dovevamo dare una mano qui? - chiese Percy occupandosi di legare i due Mangiamorte pietrificati, mentre Fred schiantava un’acromantula che era riuscita ad entrare indenne e si avvicinava schioccando le mandibole con aria affamata.
- Sì, ma prima ho bisogno di trovare Diana! - si impuntò Fred con testardaggine, mentre il freddo glaciale gli faceva battere i denti.
George, al suo fianco, roteò gli occhi al cielo mentre disarmava un Mangiamorte: - Che ci vuoi fare? E’ diventato un romanticone!
Fred gli scoccò un’occhiata torva.
- Ma sulle scale ci sono i Dissennatori! - esclamò Lee con la fronte imperlata di sudore e il fiato che si condensava in una nuvoletta.
Un Patronus saltellante simile ad una capra si frappose tra loro e le orrende figure incappucciate tentando di tenerle a bada.
- Allora? Mi date una mano? - la voce burbera di Aberforth li fece voltare - Non vi hanno insegnato niente a scuola?
Il burbero barista della Testa di Porco muoveva la bacchetta in ampi movimenti per direzionare il proprio Patronus come un direttore d’orchestra.
Fred, mosso dalla determinazione di raggiungere Diana, agitò la bacchetta per far apparire la goffa iena argentea che fu presto affiancata dal coyote di George, come se anche i loro Patronus fossero inseparabili.
I Dissennatori arretrarono lentamente lasciando la scala sgombra.
In quel momento, Harry caracollò con foga nel corridoio in tutta fretta con un’espressione tesa ed estremamente seria.
- Bella serata! - urlò Fred ad Harry con un enorme sorriso e con l’intento di distendere gli animi; in risposta, Harry abbozzò un minuscolo e nervoso sorriso prima di riprendere la sua corsa lungo il corridoio.

- Dai, Fred! - lo spronò George indicandogli la rampa di fronte a loro - le scale sono libere.
Fred, George, Lee e Percy si avventurarono verso le scale con le bacchette tese e i sensi in allerta.
- Oh! - esclamò Percy frenando la discesa e, dato che era il primo della fila bloccando anche tutti gli altri - le scale non sono affatto libere…
Un grugnito e dei pesanti tonfi non fecero altro che confermare le parole di Percy, mentre un enorme Troll di montagna si faceva largo verso di loro fendendo l’aria freneticamente con la propria mazza grande quanto una quercia secolare.
- Merda! - sibilò Lee impaurito.
- Dai, Jordan! - lo esortò George con la consueta aria canzonatoria un po’ meno disinvolta del solito - siamo quattro contro uno!
- Giusto! - rincarò la dose Fred scansando la mazza oscillante del Troll e appiattendosi contro il muro - se ce l’hanno fatta Harry, Ron ed Hermione al primo anno possiamo farcela anche noi!
- Ma loro avevano Hermione! - protestò Lee lanciando una serie di incantesimi contro la creatura senza provocare alcun danno.
- Beh… - constatò George scambiando uno sguardo complice con Fred - noi abbiamo Percy! Un secchione ciascuno!
Fred intercettando lo sguardo del gemello si tastò la tasca dei pantaloni: - E poi abbiamo le Detonazioni Deluxe!
Sorrise a George e innescò il fuoco d’artificio, intercettando lo sguardo elettrizzato di Lee e quello preoccupato di Percy.
- Dai, muoviti! - esclamò George mentre il Troll veniva colpito da una miriade di scintille colorate e ruggiva per il disappunto - vai a cercare Diana! Qua ci pensiamo io e Lee!
Fred era decisamente restio a dividersi da George, ma quella era la sua occasione per dirigersi finalmente al piano inferiore, così annuì.
- Vengo con te! - si offrì volontario Percy seguendolo.
L’ultima scena che i due fratelli videro prima di sparire giù dalle scale fu quella di un coloratissimo fuoco d’artificio che colpiva il fondoschiena dell’enorme creatura strappandole l’ennesimo ruggito.

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Eccomi qua!
Sono riuscita ad essere puntuale nella pubblicazione come avevo promesso! :)
In questo capitolo, ci siamo addentrati ancor di più nella battaglia seguendo altri due personaggi!
Non volevo ripetere tutta la battaglia di Hogwarts per filo e per segno, quindi ho preso qua e là delle situazioni e, come al solito, ho fatto di testa mia, sperando che tutto ciò abbia un senso XD
Per ora, direi che va ancora tutto bene, ma...nel prossimo capitolo vi consiglio di tenervi forte :D
A presto :)
P.S. Grazie a chi continua a seguire questa storia e alle nuove persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite!
 

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Capitolo 48
*** La maledizione del Blackhole ***


These violent delights have violent ends,

And in their triumph die 

Like fire and powder,

Which as they kiss consume”

(“Romeo and Juliet” - Act 2, Scene 6 - William Shakespeare)

 

 

 

Diana, ansante e con la milza in fiamme, aveva varcato la soglia del castello insieme a Dean, Seamus e Neville, mentre una donna dall’aria severa e gli occhiali rettangolari li attendeva per chiudere il portone con espressione grave.

Diana si appoggiò le mani sulle ginocchia, piegandosi in avanti per riprendere fiato dopo la corsa a rotta di collo attraverso il parco di Hogwarts con una sfilza di ripugnanti creature alle calcagna.

La donna agitò la bacchetta facendo frusciare la sua veste verde scuro come foglie al vento.

Diana cercò di inspirare ossigeno e diede un’occhiata alla porta che si era richiusa in un pesante tonfo, sperando che tutto ciò potesse servire davvero a qualcosa vista l’orda che si stava dirigendo all’assalto del castello.

- Professoressa… - ansimò Neville.

- Il ponte… - farfugliò Dean lanciando occhiate ansiose al portone d’ingresso, oltre il quale si udivano rimbombare rumori poco rassicuranti.

- Abbiamo dovuto! - esclamò Seamus, concitato e senza fiato, cercando di giustificare le loro azioni.

- Bel lavoro - si complimentò la donna aprendosi in un austero sorriso che Diana immaginò non si vedesse molto spesso sul suo viso.

I tre ragazzi parvero tirare un sospiro di sollievo nell’avere l’approvazione della donna, dando a Diana l’idea che fosse una di quelle persone che era meglio non farsi nemiche.

- Grazie, professoressa McGranitt - bofonchiò Seamus sorridendo e tenendosi un fianco per riprendere fiato - in realtà il merito è di Diana...

La professoressa McGranitt si limitò a squadrarla con aria imperscrutabile prima di rivolgerle un impercettibile cenno di assenso con il capo.

Dal piano di sopra arrivavano scoppi e boati, mentre qualcuno o qualcosa cercava con tutte le forze di abbattere il portone di legno che scricchiolava sotto la raffica di colpi.

- Non so quanto reggerà! - constatò Diana con aria critica osservando il legno incrinarsi.

- Non molto… - rispose la professoressa McGranitt stringendo le labbra in una dura linea di determinazione.

Un altro paio di persone raggiunsero la sala d’ingresso: una donna tarchiata e grassotella e un omino talmente piccolo da poter facilmente essere scambiato per un folletto.
I due si affiancarono alla professoressa McGranitt, entrambi con le bacchette tese in avanti.
Un frastuono infernale rimbombò sopra le loro teste e, di riflesso, tutti quanti sollevarono lo sguardo al soffitto.

- Che cosa cavolo sta succedendo di sopra? - soffiò Diana tra i denti senza staccare lo sguardo dal soffitto con il timore che potesse crollare da un momento all’altro.

- Andate! - la professoressa fece loro un cenno con il capo invitandoli caldamente ad allontanarsi dall’ingresso.

- La festa è di sopra, ragazzi! - esclamò Neville con un largo sorriso e strattonando Seamus per trascinarlo con lui verso le scale.

I tre Grifondoro si mossero verso la prima rampa e Diana li seguì. Dopo lo sforzo e la corsa sentiva ancora la milza dolorante, ma procedette stoicamente su per le scale, seguendo i rumori che si facevano via via più assordanti e accompagnati da grida. Sul secondo pianerottolo dovette fermarsi per riprendere fiato.
Quando rialzò lo sguardo, i suoi tre compagni erano spariti.

- Ragazzi?? - gridò Diana mentre il panico le rendeva la voce leggermente più acuta - dove siete?

Il pavimento tremò per un forte boato e la sua voce si perse nel riverbero dell’esplosione facendola sentire improvvisamente sola e impaurita; poco dopo, la rampa di scale su cui Diana si trovava prese a muoversi raschiando e ruggendo e, mentre la ragazza si aggrappava spaventata al corrimano, si saldò in un punto completamente diverso da quello di partenza, impedendole così di raggiungere i tre Grifondoro che sembravano aver continuato a camminare senza accorgersi della sua assenza.

- Oh, fantastico! - mugugnò guardandosi intorno e rabbrividendo, con le mani ancora saldamente strette intorno al corrimano di pietra.

Che cosa c’era di meglio del ritrovarsi sola e senza fiato in un castello magico sotto attacco?
Il sarcasmo con cui stava affrontando la situazione era l’unico modo per mantenere una parvenza di lucidità mentale e per non lasciarsi sopraffare dal panico.

Diana si affrettò ad abbandonare le scale prima che queste potessero decidere nuovamente di iniziare a ruotare su loro stesse e imboccò uno stretto corridoio debolmente illuminato.
Procedette lentamente chiedendosi se ci fosse un modo per raggiungere Dean, Seamus e Neville e, soprattutto, se i tre ragazzi si fossero accorti della sua sparizione.

Il corridoio sembrava deserto.

Doveva trovare Fred, ma quel castello le dava l’idea di essere una specie di enorme labirinto; inoltre, lui aveva parlato del compito di pattugliare dei passaggi segreti quindi l’impresa di ricongiungersi poteva rivelarsi più ardua del previsto.
Sperava con tutta sè stessa che Daniel Harvey fosse rimasto bloccato dal crollo del ponte: senza di lui tra le mura di Hogwarts, aveva sicuramente un problema in meno di cui occuparsi e, soprattutto, Harry poteva agire indisturbato nella sua missione di sconfiggere Voldemort. 

Diana stava sbirciando furtivamente oltre un angolo per sincerarsi che anche la zona in cui doveva avventurarsi fosse sgombra, quando le torce che illuminavano fiocamente il corridoio si spensero tingendo di nero l’ambiente circostante.

A Diana sembrò di sprofondare in quella fitta oscurità mentre il cuore le balzava in gola per lo spavento.

Non aveva udito nessun rumore! C’era qualcuno, oltre a lei, in quel corridoio?

Tutti i suoi sensi erano in allerta e il confortante rumore del Blackhole ronzava debolmente nelle sue orecchie facendo da sottofondo a quell’improvviso e inquietante silenzio.

- Bene...bene! Chi abbiamo qui? - una voce ruvida e fredda come il suono di due pietre sfregate l’una contro l’altra le fece accapponare la pelle fino alla punta dei piedi.

Il corridoio era ancora immerso nella più totale oscurità e Diana, spaventata, girò più volte su sè stessa per tentare di capire da dove provenisse la voce, sentendo il panico attorcigliarsi pesantemente alla sua spina dorsale.

Poi lo vide, illuminato dalla luce della luna che filtrava da una vetrata rotta.
Il luccichio del chiarore lunare che si specchiava nelle zanne di Fenrir Greyback. Zanne che, Diana si rese orribilmente conto, grondavano sinistre gocce di sangue.

Diana strinse i pugni e socchiuse gli occhi per cercare di concentrare di nuovo la sua energia, ma il ronzio del Blackhole si era fatto discontinuo e altalenante, come se il panico che affiorava dentro di lei andasse in qualche modo a disturbare il suo potere come un’interferenza alle frequenze di una radio.

Si guardò febbrilmente le mani tremanti in cerca di un rassicurante bagliore azzurrino percependo l’agitazione crescere.

Niente.

Un moto di terrore le sferzò lo stomaco nel realizzare di essere sola e inerme di fronte ad un feroce lupo mannaro che sembrava non vedere l’ora di trasformarla nel suo spuntino.
Fenrir Greyback incedeva verso di lei a passo lento e con un’espressione divertita.

Perchè proprio quando Diana ne aveva bisogno il suo potere decideva di prendersi una pausa?

L’unica cosa che poteva fare, visto che sembrava non avere alcun modo per difendersi, era fuggire.
Perciò si voltò e iniziò a correre.
Non sapeva bene dove stesse andando.
Pensava solamente a mettere più metri possibili tra lei e quell’orrenda e famelica creatura; così, guidata solo dall’istinto di sopravvivenza, non si rese conto che i rumori della battaglia e gli scoppi d’incantesimi si erano fatti più nitidi e distinti.
Si accorse di correre proprio verso il pericolo quando dovette scansare una coppia di maghi intenti a duellare e, per il repentino cambio di direzione, si schiantò contro un’armatura facendola franare al suolo in un fragore metallico.

Fenrir Greyback era ancora alle sue calcagna e ruggiva per il disappunto, accelerando il passo per raggiungerla.
Quell’inseguimento sembrava non aver fatto altro che risvegliare e fomentare il suo istinto da cacciatore.

Diana strinse i denti per cercare la forza di correre più velocemente; attraversò l’ennesimo corridoio di corsa e dovette aggrapparsi al muro per non scivolare sulle pietre rese lisce dal tempo.
Riuscì a infilarsi in un altro corridoio che si rivelò molto più ampio dei precedenti e soprattutto disseminato di persone.
Lì la battaglia impazzava furiosa: una parte del muro era franata lasciando intravedere il parco del castello, vari corpi, sia di maghi che di ragni giganti, giacevano a terra morti o privi di sensi e l’aria era impregnata di un acre odore di bruciato.
Arthur Weasley stava combattendo contro un uomo biondo e Lupin contro una donna dai capelli neri. Diana si insinuò di corsa tra loro e continuò a correre, ignorando gli avvertimenti di Lupin che la esortavano a trovare un riparo. Sentì distintamente la voce di Bill Weasley reclamare vendetta e quando si voltò vide il ragazzo avventarsi su Greyback per fermare l’inseguimento.
Diana, accaldata e sudata, ringraziò mentalmente il suo salvatore e ne approfittò per riprendere fiato alzando lo sguardo sull’ennesimo lungo corridoio di pietra che si snodava davanti a lei, per mettersi alla ricerca di una particolare testa rossa.

Fred Weasley, sfortunatamente o fortunatamente tenendo conto tutti i punti di vista, non si vedeva da nessuna parte.

Luna Lovegood e Ginny Weasley, la quale doveva essere riuscita a sfuggire alle grinfie della madre, stavano brillantemente tenendo a bada un mago dall’aria feroce.

- Ginny! - Diana chiamò la ragazza sperando di non causare danni nel distrarla momentaneamente dal duello - dov’è Fred?

- Era sceso di sotto a cercarti insieme a Percy, George e Lee! - le gridò Ginny parando un lampo di luce rossa con un rapido movimento del polso - non vi siete incrociati?

- No! - sbottò Diana costernata e iniziando a maledirsi per aver avuto la malsana idea di separarsi da Fred.

Lanciò una rapida occhiata al corridoio da cui era venuta: non c’era modo di tornare indietro da quella parte. Sarebbe dovuta passare tra una dozzina di persone che combattevano ferocemente con il rischio di creare solo ulteriore scompiglio.

- C’è una scala lì in fondo! - Luna le indicò la parte opposta da cui Diana era venuta, apparentemente libera. Diana annuì di rimando e si diresse con circospezione verso il punto indicato da Luna.

Ma quella zona del castello non era affatto libera.

Man mano che incedeva, delle figure presero forma davanti a lei.

L’iniziale sollievo nel rivedere Robert Murray dopo tanto tempo, scemò non appena Diana si rese conto che l’uomo stava fronteggiando Bellatrix Lestrange. La strega combatteva con una brutalità e una violenza che avevano già messo a dura prova il povero Robert, il quale respirava affannosamente tentando, invano, di colpirla e di tenerle testa.
Alle spalle di Robert, invece, Benjamin Murray si teneva di tanto in tanto la mano sulla spalla sinistra, probabilmente ferita, ma continuava a scagliare incantesimi contro un altro Mangiamorte incappucciato che era in netto svantaggio e che continuava a rivolgere a Ben velenosi improperi sperando di poterlo deconcentrare per trarne vantaggio. Lui, però, sembrava impossibile da scalfire e, con una smorfia di dolore nel tastarsi la spalla sanguinante, deviò l’ultimo incantesimo del suo avversario colpendolo con un fascio di luce rossa che mandò il nemico a sbattere con violenza contro la parete di pietra sollevando un esiguo nugolo di polvere.
L’uomo incappucciato rimase a terra privo di sensi.

Diana si accorse di aver trattenuto il fiato durante tutto il duello, infilandosi le unghie nel palmo della mano per la tensione.
Esalò un mezzo sospiro di sollievo nel realizzare che almeno uno dei due avversari era stato messo al tappeto e quello fu l’errore che rivelò definitivamente la sua presenza.

- Oh, ma questa è proprio una riunione di famiglia, allora! - squittì eccitata Bellatrix nel notare l’arrivo di Diana con la coda dell’occhio - Ti sono mancata?

Diana sentì una rabbia mista a terrore montare dentro di lei nell’udire la voce che per tanto tempo l’aveva tormentata.
Benjamin si girò di scatto verso di lei con il viso corrucciato per la disapprovazione. 

- Diana, che ci fai qui? Vai via! - le intimò in un ruggito sofferente, mentre con la bacchetta tentava di auto guarirsi la ferita, la quale però non sembrava affatto intenzionata a rimarginarsi.
Ora che il combattimento con il suo avversario era terminato, Ben non sembrava più tanto stabile sulle proprie gambe, ma continuava a stringere la bacchetta con determinazione, pronto ad intervenire per aiutare il fratello.
Quest’ultimo si voltò quanto bastava per incrociare lo sguardo di Diana e rivolgerle uno stanco sorriso dietro ad un velo di sudore. 

- Diana, vai vai da qui! - esclamò Robert concitato, ripetendo le parole del fratello minore.

Bellatrix Lestrange, con la malefica cattiveria che la contraddistingueva, non si lasciò scappare l’opportunità di usare a proprio vantaggio quell’attimo di distrazione dei due fratelli Murray.

Avada Kedavra!

Diana non aveva mai sentito pronunciare quell’incantesimo, ma era bastato il suono inquietante delle parole pronunciate dalla voce infantile di Bellatrix per farle tremare le ginocchia dal terrore.
Prima che potesse domandarsi quale effetto potesse causare quel particolare maleficio, un violento fascio di luce verde colpì in pieno petto Robert Murray.

L’espressione dell’uomo si cristalizzò in un muto fermo immagine.

A Diana parve che il mondo fosse improvvisamente rallentato.

Il corpo di Robert parve metterci secoli a raggiungere il suolo, tanto che lei ebbe il tempo di distogliere lo sguardo per osservare Benjamin.

I rumori della battaglia sembravano svaniti.

Il viso di Benjamin si trasformò in una maschera di dolore nel precipitarsi verso il corpo del fratello che cadeva a terra con un tonfo scomposto.

Quando Ben si inginocchiò accanto a Robert scuotendolo, chiamandolo per nome e appoggiandosi la testa del fratello sulle gambe, Diana comprese a che cosa servisse l’incantesimo di Bellatrix Lestrange, perchè Robert aveva dipinto in volto lo stesso sguardo vitreo che la ragazza aveva già visto sul viso di zia Karen.

Era morto.

Diana sentì le ginocchia cedere e le pareti vorticare tremolanti intorno a lei, ma si ostinò a rimanere in piedi; lo stomaco si era trasformato in ghiaccio nell’udire la voce carica di sofferenza di Benjamin, il quale aveva abbandonato ogni forma di contegno, dilaniato dalla perdita del fratello maggiore.

Bellatrix Lestrange, incredibilmente, si fermò per osservare con fierezza il proprio operato, come una bambina orgogliosa dei compiti eseguiti a casa senza nessun errore.

- Murray - pigolò con voce falsamente pietosa e sporgendo il labbro inferiore in avanti - hai tradito il tuo Signore…pensavi davvero di cavartela così in fretta morendo per primo?

Benjamin sollevò verso Bellatrix un viso privo di lacrime: lo sguardo nero come la pece attraversato da ondate di risentimento e collera.

Diana sentiva il ronzio nelle sue orecchie prendere il sopravvento su ogni rumore e sensazione.

Pensava di non poter odiare ancora di più quella donna.
Aveva ucciso Robert.
Aveva provocato la morte di zia Karen.
Aveva distrutto il negozio Harvey.
L’aveva torturata per mesi.

Diana strinse i pugni e sputò: - Sei…sei una… - non sapeva nemmeno come apostrofare la strega; le parole incespicavano sulla sua lingua, ostacolate dal disgusto e dall’odio che si dibattevano dentro di lei.

- Ah - Bellatrix si voltò a guardarla con un sorriso sadico che lasciò scoperti i denti storti e ingrigiti e si scostò la matassa di capelli corvini aggrovigliati - sei ancora qui? Fai la coraggiosa solo perchè gli incantesimi sembrano non aver effetto su di te quindi ti lascerò per ultima…
Benjamin sembrava pietrificato accanto al fratello, incapace di rimettersi in piedi e di combattere.
Bellatrix sorrise leccandosi le labbra e puntò la bacchetta su Benjamin con un folle ghigno a deformarle il viso.

- Soffrirai, Murray! Nessuno tradisce il Signore Oscuro e resta impunito!

Diana con un rapido movimento involontario si frappose tra Ben e Bellatrix e intimò all’uomo: - Ben, alzati!
Ma lui non parve udirla: continuava ad alternare lo sguardo confuso tra Bellatrix, Diana e il corpo di Robert.
Prima che la strega potesse scagliare altri incantesimi, un frastuono esplose dal fondo del corridoio, tanto che Diana, Bellatrix e persino Ben si voltarono in quella direzione.

Una serie di scoppi, una densa nuvola di fumo e fiotti di scintille riempirono buona parte della zona e dalla nube comparve di corsa Fred Weasley con il viso e capelli sporchi di fuliggine, tossendo e ridendo con qualcuno alle sue spalle.

- Hai visto come si è incazzato quel troll quando quella Detonazione Deluxe lo ha colpito nel didietro? - ma il sorriso e le parole gli morirono in gola quando mise a fuoco la scena che aveva davanti a sè, mentre si costringeva a frenare la corsa con una scivolata.

Diana sorrise per il conforto che l’arrivo di Fred le aveva provocato, mentre entrambi si percorrevano con lo sguardo per sincerarsi che l’altro fosse illeso.
Fred lasciò scivolare lo sguardo sulla bacchetta di Bellatrix Lestrange puntata su Diana e si fece sfuggire un sibilo di terrore che si spense debolmente nel notare il corpo esanime di Robert e Benjamin ancora chino su di lui.
Diana e Fred si fissarono in silenzio e prima che uno dei due potesse dire qualcosa, alle spalle di Fred comparve Percy Weasley che andò a sbattere contro la schiena del fratello minore.

- Perce, ma che cazz - si lamentò Fred, ma dovette interrompersi perchè un attimo dopo l’intero corridoio era piombato nel buio più totale.

Non era solo buio, ma era come se denso fumo si fosse intessuto all’oscurità stessa impedendo di vedere a un palmo dal naso.
Diana continuava a sbattere le palpebre con la convinzione che questo avrebbe aiutato a far abituare più in fretta i suoi occhi alla dilagante oscurità, ma senza successo.
Aveva già avuto una volta la stessa identica sensazione. Alla Tana, in camera di Fred e George, quando…

- Oh, per Merlino penso mi sia caduta la Buiopesto che mi hai dato - constatò la voce mortificata di Percy.

- Ma non mi dire! Non me ne ero proprio accorto! - commentò ironico Fred e Diana si sentì assurdamente confortata dal fatto che lui fosse in grado di ridere e scherzare anche in una situazione come quella. Tutto sembrava relativamente meno tragico insieme a Fred.

Diana cercò a tentoni la parete per tenersi in piedi perché il conforto era durato troppo poco.

Dov’era Bellatrix? Perchè non stava attaccando?

- Ben? - chiamò Diana preoccupata.

Dall’oscurità la voce di Ben la raggiunse da un punto diverso da quello che si aspettava e un susseguirsi di lampi di luce e zampilli di incantesimi illuminarono fiocamente il corridoio buio delineando solo i contorni delle figure di Benjamin e Bellatrix intente a duellare a pochi metri da Diana.

- Pixie? - ruggì la voce di Fred, irta di preoccupazione.

Prima che Diana potesse rispondere l’aria esplose di incantesimi e urla.
Diana non sapeva chi stesse attaccando chi. 

Ben esalò un grido feroce, mentre la risata di Bellatrix Lestrange risuonava malefica e inquietante.
La voce di Fred evocò un incantesimo di protezione, ma poi si spense nel fragore di un’altra esplosione, mentre nuove voci annunciavano l’arrivo di altre persone.

Erano nemici o alleati?

Se precedentemente Diana aveva avuto paura, ora quello che le aveva ghermito le viscere era terrore allo stato puro.

- Freeeed! - gridò talmente forte da farsi male alla gola mentre le unghie incontravano le pietre sulla parete - stai bene??

Nessuna risposta.

- Freed! - accecata dal buio Diana urlò di nuovo con la gola in fiamme e ogni muscolo teso come una corda di violino.

- Pixie - la voce di Fred era più lontana di quanto si aspettasse - sto bene, ma… - si interruppe e si udì un grugnito seguito da un’esplosione di luce - sono un tantino occupato…
Fred si rivolse a qualcuno, probabilmente Percy: - Spostati da lì, da questa parte si vede un po’ meglio…

- Non si vede un accidente nemmeno qui, Fred! - grugnì la voce di Percy accompagnata da una serie di incantesimi.

- E di chi è la colpa? - lo rimbrottò Fred con la voce venata dallo sforzo della lotta - Pixie, vieni verso di noi, ok? Segui la mia voce…

Diana annuì e, cercando di calmarsi, si diresse verso il punto in cui doveva trovarsi Fred.

- Se vai avanti a parlare forse è più semplice… - gli gridò Diana tenendo a bada a fatica il panico.

- Giusto, hai ragione! Non ci avevo pensato! - rispose Fred e Diana immaginò il suo viso sorridente che di riflesso fece sorridere anche lei; così mentre Fred cercava di guidarla con la propria voce, Diana si diresse a tentoni verso quella che sperava fosse la parte giusta, ansiosa di uscire da quella nuvola di oscurità.

Il profilo della parete che stava seguendo con le dita per avere almeno una vaga idea di dove si trovasse si interruppe: alla sua sinistra si dovevano probabilmente intersecare due corridoi.
L’oscurità sembrava più rarefatta e ora Diana vedeva abbastanza nitidamente delle sagome muoversi: erano Fred e Percy.
Sorrise affrettando il passo verso di loro, ma dovette fermarsi di botto mentre qualcuno alle sue spalle le avvolgeva con forza un braccio intorno alla gola, strattonandola indietro tanto da farle male e da mutilare l’urlo a metà della sua gola, riducendolo a un singulto informe.

- Piccola D - una voce le sussurrò all’orecchio facendola rabbrividire.

Non era una voce qualunque.
Solo una persona la chiamava Piccola D.

- Lasciami - sibilò Diana iniziando a dibattersi con forza per liberarsi da quella stretta senza però ottenere alcun risultato.

La schiena premuta contro il petto di Daniel Harvey le provocava un senso di disgusto talmente acuto da farle ribollire il sangue per il disprezzo e l’odio che provava per lui.

- LASCIAMI! - gridò con tutto il fiato che aveva in gola, prima che una mano le tappasse rudemente la bocca.

- Pixie? - la voce di Fred attraversò l’oscurità facendosi carica di preoccupazione - che succede?

Diana prese ad agitarsi sempre di più mentre Daniel Harvey la trascinava fuori dalla zona resa impraticabile dalla Polvere Buiopesto.

- Diana? - la voce di Fred era più lontana ma sempre più atterrita dall’assenza di risposte da parte della ragazza.

Diana mugugnò, si agitò e tentò addirittura di mordere le dita di suo padre che premevano sulle sua labbra.

- Sta ferma! - la zittì lui stringendo ancor di più la presa e trascinandola definitivamente fuori dall’oscurità.

Diana battè più volte le palpebre per abituarsi ad avere di nuovo la vista.

- Il tuo ragazzo ti sta chiamando - la provocò Daniel in tono sbeffeggiante - vuoi davvero che venga qui così potrò fargli del male?

Diana si afflosciò istantaneamente nell’udire quelle parole e smise di agitarsi.

- Ecco brava… - e lentamente lasciò la presa sulla sua bocca.

Diana rimase in silenzio, angosciata ad osservare la coltre di buio che affollava il corridoio davanti a loro con il petto che si abbassava e si alzava per lo sforzo, mentre la sua mente cercava freneticamente di mettere insieme un piano, un’idea o qualsiasi cosa servisse ad evitare l’ennesima tragedia.

- Tu non gli farai del male - riuscì solo ad ansimare Diana.

- No, a quello ci stai già pensando tu… - rispose Daniel divertito.

- Cosa? Che stai dicendo? - sibilò Diana senza capire e con gli occhi che cercavano convulsamente di dare un senso alle parole di Daniel Harvey.

- Te lo avevo già detto…voglio solo aiutarti! Dammi il potere del Blackhole!

- No! - sbottò Diana riprendendo ad agitarsi.

Dalla parte opposta del corridoio, alla spalle di Daniel e Diana, si udirono scoppi e un forte boato, tanto che suo padre si voltò repentinamente verso quel punto, trascinandola con sè in quella bieca giravolta.
Diana non riuscì a capire da dove fossero arrivati, ma davanti a loro erano appena comparsi Bellatrix e Benjamin alle prese con un duello serratissimo, che terminò poco dopo con uno scoppio di luce che mandò Bellatrix a terra e priva di sensi.
Solo allora, Benjamin parve mettere a fuoco la scena che aveva di fronte: affaticato dalla lotta, si puntellò una mano su un fianco per riprendere fiato; un’espressione sofferente fece da preludio alla macchia di sangue che si stava allargando sotto alla mano premuta sulla stoffa della sua maglietta.
Diana trattenne il fiato.

- Lasciala, Daniel - ruggì Benjamin puntando la bacchetta verso Diana e suo padre, che ormai la teneva davanti a sè come se fosse uno scudo umano.

- Minacciami pure, Ben! - sogghignò Daniel tracotante - ma non puoi farmi nulla visto che mia figlia mi proteggerà da qualsiasi incantesimo mi spedirai contro!

Benjamin grugnì per il disappunto e Diana prese a dimenarsi di nuovo.

- Smettila! - sibilò Daniel al suo orecchio e strattonandola bruscamente contro di sè - dammi il potere del Blackhole e basta! Te lo ripeto per l’ennesima volta! Sto cercando di aiutarti! Di aiutare Fred!

Diana cercò Ben con lo sguardo: era ancora di fronte a loro, a pochi metri di distanza, con la bacchetta tesa e un’espressione concentrata.

- Che stai dicendo, Daniel? - domandò con calcolata gentilezza Ben, parlando come ad un serial killer di cui non era prevedibile la mossa successiva.

- Finirà allo stesso modo…come tra me e Sarah… - bofonchiò Daniel con la voce incrinata - come avete fatto a non averlo ancora capito?

Benjamin guardò Diana e lei si sentì raggelare da quell’occhiata che non sembrava affatto incredula di fronte a quelle parole, ma piuttosto pareva che Ben stesse velocemente riflettendo su ciò che Daniel asseriva con convinzione.

- Ti stai inventando tutto solo perchè vuoi il potere del Blackhole! - sbottò Diana riprendendo ad agitarsi.

- Sì, voglio il potere del Blackhole, ma non mi sto inventando nulla! - rispose suo padre e poi riprese - Ben, da te proprio non me lo aspettavo! - ghignò come se avesse appena scoperto un succulento pettegolezzo di cui parlare - e tu, Piccola D, pensavo che ormai ti fosse chiaro…

- Che cosa? - esalò Diana terrorizzata dalla risposta che suo padre le avrebbe dato.

- Che ormai il Blackhole sei tu! - esclamò Daniel con ovvietà.

Nonostante fosse ancora saldamente trattenuta dalla stretta di Daniel, a Diana parve improvvisamente di cadere.
Di perdere ogni contatto con il suolo, con la realtà e con la gravità terrestre.
Ogni suo muscolo parve trasformarsi in gelatina mentre lei piroettava in un ghiacciato abisso di terrore e consapevolezza.
In un buco nero che era dentro di lei e che ora sembrava inghiottire con violenza ogni sua certezza.
Tutto ciò che era rimasto erano solo terrore, oscurità e tasselli di memoria scomposti che lentamente andavano a combaciare per rivelare un’orrida verità che aveva sempre avuto davanti agli occhi senza davvero vederla.

 

Sua madre che era morta a causa del Blackhole che aveva lentamente risucchiato la sua magia e la sua vita.

Diana che ereditava i poteri del Blackhole e che diventava in grado di padroneggiarli pur non avendo l’amuleto con sè.

Diana che, a conti fatti, era davvero diventata un Blackhole.

Sospirò tremante nel ricordare le parole che George le aveva rivolto a casa McKinnon.

Fred non ha mai dormito così tanto come in questo periodo.

E poi, tremolanti e confusi, si affacciarono i ricordi di una ragazzina che vedeva sua madre spegnersi lentamente: troppo stanca per alzarsi dal letto.

 

Diana sbattè le palpebre mentre sentiva le viscere salire verso l’alto in netta contrapposizione al suo corpo che invece pareva ormai impegnato in una caduta libera.

Era questo che sarebbe accaduto?

A Fred Weasley era riservato lo stesso orribile destino che aveva dovuto subire Sarah McKinnon?

- N-non è possibile… - farfugliò Diana cercando Benjamin con lo sguardo, in attesa che lui smentisse quelle parole, ma lui era come pietrificato nella stessa sua posizione con la bocca semiaperta per l’impatto con quella rivelazione.

- Ma che Merlino sta succedendo qui? - una voce concitata per la lotta li raggiunse.

L’oscurità della Polvere Buiopesto si era finalmente rarefatta rivelando le devastazioni della battaglia: alcune pietre staccate dalle pareti costellavano il corridoio impolverato, qualche corpo era riverso a terra, ma Diana non riuscì a distinguere le loro identità perchè era troppo concentrata sull’arrivo di Fred; alle sue spalle i combattimenti non erano affatto terminati, dato che Percy Weasley stava tenendo egregiamente a bada un avversario magro e dai lunghi capelli scuri che scagliava fatture verso di lui con ferocia.

- Fred, vai via di qui! - gridò Diana spaventata da quello che sarebbe potuto accadere, da quello che Daniel Harvey, instabile e folle, avrebbe potuto fare.

Fred, la bacchetta tesa e gli occhi spalancati dalla paura, rimase immobile e scosse la testa con determinazione.

- Piccola D - riattaccò Daniel con voce suadente - dammi il potere del Blackhole e non gli succederà nulla!

Fu allora che Diana riuscì a notare con la coda dell’occhio ciò che Daniel Harvey teneva nella mano destra.
Una pistola orrendamente puntata verso Fred che, invece, fissava l’oggetto con spaventata curiosità.

- Così tu potrai provocare la morte di Harry Potter? - sibilò Diana tremante dalla rabbia e dall’orrore - non esiste!

Ragionò velocemente, investita da una nuova lucidità.
Suo padre aveva una pistola ma non le avrebbe fatto del male: aveva bisogno di lei.
Suo padre non aveva il potere del Blackhole come, invece, immaginava Olivander, quindi era vulnerabile.
L’unica idea che Diana ebbe, per quanto azzardata, fu quella di muovere di scatto la testa all’indietro in un movimento secco e improvviso per colpire Daniel Harvey che ancora la stringeva a sè.
Un’acuta fitta di dolore le trafisse la nuca e percepì uno scricchiolio di ossa frantumate, mentre la parte posteriore della sua testa impattava con il naso di suo padre, che di riflesso mollò la presa su di lei grugnendo per la botta.

Diana, finalmente libera, cadde in avanti perdendo l’equilibrio.

Fu in quel momento che accaddero più cose contemporaneamente.

Fu quello il momento in cui tutto precipitò.

Daniel Harvey aveva uno sguardo folle con il naso rotto da cui il sangue sgorgava in fiotti rosso rubino e il volto deformato da un ghigno; l’orologio da taschino di Diana era pigramente appeso al suo collo.

Fred stava per attaccarlo quando Daniel Harvey puntò la pistola contro di lui.

Diana trattenne il fiato.

Benjamin stava scivolando lentamente al fianco di Fred.

Nessuno aveva più preso in considerazione Bellatrix Lestrange, fino a quel momento riversa al suolo priva di sensi.

Fino a quel momento.

La voce femminile e gracchiante congelò il tempo e lo spazio mentre risuonava tra le pietre e gli scoppi degli incantesimi che continuavano a piovere tra i vari schieramenti ancora in lotta lungo il corridoio.

Avada Kedavra!

Diana non sapeva se la maledizione di Bellatrix Lestrange fosse indirizzata a Fred o a Benjamin, ma si slanciò per frapporsi ad essa con foga e decisione, come se fosse nata per evitare quella orribile fatalità.
Contemporaneamente, il proiettile esplose senza che Diana fosse in grado di comprendere se avesse colpito qualcuno oppure no.
Quando la maledizione mortale colpì Diana in pieno petto, le urla strazianti di Fred e Benjamin ruggirono quasi all’unisono, contornate dalla risata maligna di Bellatrix.
In un attimo tutto parve farsi bianco, etereo e inconsistente tanto che Diana pensò davvero di essere morta e che il potere del Blackhole non avesse funzionato.

Poi la sentì.

L’energia bruciante e violenta che come lava incandescente risaliva ruggendo da dentro di lei.
Diana si strinse istintivamente le mani al petto come se quel gesto potesse in qualche modo arginare il potere che sentiva lottare per esplodere.
Fitte di dolore la percorrevano da capo a piedi tanto che rimanere in piedi le sembrò un’impresa titanica.
Voleva evitare che l’energia fuoriuscisse, ma quell’incantesimo era troppo potente per poterlo contenere.
Cadde in ginocchio e il potere del Blackhole si liberò dal centro del suo petto più forte che mai, esplodendo in una nitida bolla azzurra.

Benjamin, come un indemoniato, si era gettato contro Bellatrix.

Fred, alle spalle di Diana, si schermò il viso con un braccio, accecato dal bagliore improvviso.

Diana, con la fronte imperlata di sudore e digrignando i denti per lo sforzo, riuscì ad indirizzare l’ondata di energia verso Daniel Harvey.
Il coperchio dell’orologio da taschino ancora al collo di suo padre si spalancò e le lancette presero a roteare impazzite, mentre il Blackhole sembrava quasi riconoscere la famigliare fonte di energia.
Daniel sorrise, convinto che finalmente il potere del Blackhole stesse tornando al suo posto e che Diana glielo stesse consegnando.
Diana rabbrividì nel rendersi conto di ciò che stava potenzialmente ed erroneamente alimentando.

E poi le lancette rallentarono fino a fermarsi.

L’orologio da taschino esplose come una bomba, spingendo Daniel a urtare la parete opposta e a ricadere a terra in un tonfo.

Benjamin era finalmente riuscito ad atterrare Bellatrix Lestrange e ad imprigionarla con delle corde magiche.

L’ondata di energia accumulata dentro a Diana, però, non sembrava scemare nonostante fosse riuscita in parte a dirigerla verso suo padre; anzi, il bruciante formicolio della sua pelle si stava intensificando come se il potere dell’incantesimo volesse farsi largo nel suo corpo per fuggire da lei in un dilaniante dolore.
Diana ricadde in ginocchio per lo sforzo e intravide Fred muoversi verso di lei.

- Stai indietro! - gli ringhiò minacciosa per evitare che venisse colpito.

Il ragazzo arretrò di un passo, indeciso su come comportarsi.

L’implacabile ronzio del Blackhole si era fatto così forte e fastidioso da essere quasi insopportabile.
Diana, in preda a degli spasmi violenti, si tappò le orecchie con le mani perchè non voleva più sentire quel rumore che come un martello pneumatico sembrava farsi largo nella sua testa per raggiungere e distruggere il suo cervello.
La sua concentrazione si ritrasse, schiacciata sotto al gravoso peso di quell’incantesimo, ed esplose in una seconda violenta detonazione che Diana, alla cieca, riuscì solo a indirizzare verso l’alto per evitare di colpire Fred o Benjamin.
Il riverbero dell’esplosione si spense in un boato che fece tremare il soffitto, il pavimento, le pareti e anche il cuore di Diana.
Finalmente, la sofferenza era cessata come se avesse espulso l’ultimo corpo estraneo ancora intrappolato dentro di lei.
Fred, che fino a quel momento era rimasto bloccato sul posto con un’espressione fatta di estrema sofferenza per non poter raggiungere Diana, si slanciò verso di lei per stringerla in un abbraccio.

- Stai bene? - domandò spaventato senza accennare a diminuire la presa su di lei.

Diana non aveva nemmeno le forze per articolare una risposta sensata: la sua lingua sembrava essersi incollata al palato, impedendole di parlare; le sue gambe tremavano così tanto che dovette lasciarsi cullare dalle braccia di Fred per non accasciarsi a terra.
Sembrava che il Blackhole avesse risucchiato ogni grammo di forza presente dentro di lei lasciandola vuota, stanca e intontita.

Affondò il viso nel petto di Fred e chiuse gli occhi.

Uno strano ronzio era tornato flebilmente a fare da sottofondo; Diana riuscì a coglierne una diversa sfumatura, come se, incredibilmente, quel rumore non provenisse più da dentro di lei ma da un punto ben al di sopra di lei e Fred.
Il rumore si intensificò.
Non era il ronzio del Blackhole: era un basso rombo vibrante che in pochi secondi si fece assordante.
Prima che Diana e Fred potessero avere il tempo di sollevare le loro teste, udirono un grido sconclusionato di Benjamin e la voce spaventata di Percy Weasley che intimava loro di spostarsi.
Il soffitto, esattamente nel punto che Diana aveva colpito con l’energia del Blackhole, collassò su sè stesso investendoli con una nuvola di polvere, detriti e pietre che presero a piovere su di loro come una pioggia di meteoriti.

Le braccia di Fred si strinsero convulsamente intorno a lei.

Un bagliore azzurro esplose.

Poi il mondo si trasformò in dolore e oscurità.

Il soffitto trascinò con sè la parete di pietre che si abbattè su di loro e, come le quinte di un sipario teatrale, si chiuse su Diana Harvey e Fred Weasley.

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Ehm...come va? Cosa posso dire se non "aspettate almeno la fine della storia per farmi fuori"? XD
Spero di aver spiegato più o meno decentemente ciò che avevo in mente e sono super curiosa di sapere che ne pensate!
Ci risentiamo settimana prossima (spero) per l'ultimo capitolo di questa storia!
A presto :)

 

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Capitolo 49
*** Il buco nero ***


Diana Harvey si aggirava incorporea e senza peso nell’erba umida senza produrre alcun rumore.
Conosceva quel luogo.
Le lapidi di pietra grigia conficcate nel terreno.
Un confortante silenzio innaturale.
Un senso di malinconica pace la avvolse in silenziose spire, mentre riconosceva l’ormai famigliare cimitero.
Si avvicinò con rapidi passi al punto in cui sapeva trovarsi la lapide dedicata a zia Karen.
Al suo fianco sorgeva la tomba di Robert Murray.
Non sapeva perchè, ma sentiva premere su di lei un’inspiegabile urgenza.
Come se dovesse sbrigarsi ad andarsene e come se non dovesse trovarsi in quel luogo.
Il cielo dalle sfumature violacee e surreali come un quadro espressionista sembrava gravare su di lei rendendole ogni passo più difficoltoso.
Il terreno fangoso e scivoloso non faceva altro che ostacolare la sua andatura disturbando quell’inspiegabile premura.
La sensazione di triste pace che l’aveva rassicurata, si dileguò non appena Diana posò lo sguardo sulle due lapidi.
Le lettere parvero mescolarsi come per magia facendola affondare in un acquitrino d’inquietudine.
Diana sentì il proprio respiro mozzarsi e il cuore martellarle nel petto quando le lettere smisero di vorticare per formare due nuovi nomi e rimpiazzare quelli precedenti.
Un urlo le lacerò il petto, mentre il cielo si colorava di viola e poi si incupiva fino a diventare nero come petrolio; le lapidi parvero tremare e il terreno vibrò fino a sfaldarsi e perdere consistenza sotto ai suoi piedi.
Un rombo basso e minaccioso, simile ad un tuono, echeggiò sopra la sua testa, mentre pesanti gocce di pioggia cominciavano a cadere diventando tanto fitte e battenti da sembrare solide.
Diana si rese conto con orrore che ciò che precipitava dal cielo non erano più gocce di pioggia e nemmeno grandine.
Erano pietre. Pesanti e affilate.
Con il panico che le serrava la gola cercò di ripararsi la testa con una mano e si guardò intorno alla ricerca di una via di fuga, ma una pietra delle dimensione di un mattone la colpì sul braccio destro strappandole un lamento sofferente.
Sembrava che i suoi piedi stessero sprofondando lentamente in una palude che le impediva di muoversi.
Una voragine scura come la notte si spalancò sotto di lei risucchiandola nel vuoto e facendola precipitare in un orrendo buco nero senza fine.
Mentre precipitava riusciva solo a percepire un senso di nausea crescente, ad udire il proprio urlo permeare il buio e davanti ai suoi occhi non faceva altro che rivedere i due nomi dolorosamente scolpiti sulle due lapidi.

Diana Harvey
Fred Weasley

 

Quando si svegliò di soprassalto, stava ancora urlando.
Aveva la gola talmente secca che si morse la lingua nel tentativo di zittirsi.
Con il fiato corto, la lingua dolorante e il cuore che sbatteva contro le costole tanto forte da farle male, cercò di riacquistare un briciolo di autocontrollo districandosi dalle lenzuola umide di sudore.
Il braccio destro le doleva e formicolava ferocemente come se fosse stato davvero colpito.

Era solo un sogno.

Eppure i nomi sulle lapidi…

Si alzò di scatto dal letto per cercare di scrollarsi di dosso il senso di appiccicoso panico che non sembrava intenzionato a scemare nemmeno dopo il risveglio.
Tesa come una corda di violino, uscì dalla stanza e per poco non gridò nell’andare a scontrarsi con un trafelato e preoccupato George Weasley che stava venendo dalla direzione opposta.
Per lo spavento, Diana si ritrasse con un balzo, orripilata.

- Hai gridato! - esclamò lui con apprensione da dietro il viso pallido e le occhiaie scure - che succede? Stai bene?

- Sì! Sto bene! Scusa…- Diana cercò di tranquillizzare anche sè stessa oltre al ragazzo che aveva di fronte e poi, come un fiume in piena, sfociò in una cascata di domande - Hai avuto qualche notizia? E’ cambiato qualcosa? Lui sta bene?

George, ancora in piedi, nello spazio tra la sua stanza e quella dove si trovava Diana, afflosciò le spalle e scosse la testa tornando ad immergersi in un’apatica tristezza: - Tutto come sempre.

Diana trasse inconsciamente un sospiro di sollievo e annuendo tornò sui propri passi, perchè quell’incubo le aveva fatto temere il peggio.

 

La Battaglia di Hogwarts era stata vinta.
La guerra nel mondo magico era finita da più di un mese.
Avevano perso delle persone.
Remus Lupin.
Ninfadora Tonks.
Robert Murray.
E tanti altri maghi e streghe che Diana nemmeno conosceva.

 

Diana aveva dei vaghi ricordi.
Sprazzi di memorie talmente confusi da mescolare incubo e realtà.
Sangue.
Pietre.
Urla.
Dolore.
Benjamin Murray che scostava le macerie con il viso ridotto ad una maschera di sofferenza.
Un penetrante fischio nelle orecchie che le impediva di udire le parole che l’uomo le rivolgeva.
George Weasley con il viso rigato da un pianto silenzioso che stringeva al petto il corpo privo di sensi del gemello.
Daniel Harvey ferito che veniva scortato da degli strani uomini con una strana divisa.
Buio.
E poi un letto d’ospedale e un’accecante biancore.
Il fischio era cessato, ma il dolore no.

- Dov’è Fred? - aveva chiesto in un flebile sussurro a chiunque fosse in ascolto.

- E’ vivo - le aveva risposto la voce tremante di Benjamin Murray prima di essere trascinato via da tre uomini in divisa.

Diana aveva cercato di gridare, di alzarsi, di trattenere Benjamin.
Un dolore acuto le aveva trafitto il braccio destro ed era scivolata di nuovo in un incosistente oblio, aggrappandosi alle parole di Benjamin.

 

Diana era stata dimessa dall’ospedale un paio di settimane dopo la battaglia: era acciaccata, malconcia e con un braccio ingessato, ma era viva.
Fred Weasley, invece, non aveva più ripreso conoscenza, aveva un gamba rotta, una ferita alla testa, ma era vivo.
Per poter andare più facilmente avanti e indietro dall’ospedale, Diana si era temporaneamente trasferita a Diagon Alley e divideva l’appartamento con un distrutto George Weasley.
Entrambi erano logorati da quella situazione di equilibrio precario appeso ad un filo, nel quale bastava l’arrivo di un gufo per ribaltare le sorti di giornate ansiose e nervose.
Chiunque avrebbe pensato che quel dolore comune li avesse potuti unire, invece ognuno si era isolato nella propria sofferenza.

Diana si sentiva sprofondare ogni giorno di più in un bruciante senso di colpa.
Non avrebbe mai dovuto andare ad Hogwarts.
Se fosse rimasta al suo posto, probabilmente, nessuna tragedia si sarebbe consumata.
Quasi temeva il confronto con George, troppo terrorizzata all’idea che lui, arroccato nel proprio dolore, le imputasse la colpa di quanto accaduto al gemello.
George, dal canto suo, si crogiolava nell’egoistica idea di essere l’unico ad avere il diritto di stare male per la sorte del fratello e che nessun altro potesse soffrire quanto lui. Dormiva e mangiava a malapena e passava la maggior parte del suo tempo in ospedale, al capezzale del fratello, lasciando il negozio, che ormai aveva riaperto i battenti, nel caos più totale. Nonostante l’aiuto di Lee Jordan e della ragazza di nome Verity che lavorava già come commessa da parecchio tempo, ogni giorno c’erano file di clienti che reclamavano prodotti non ancora riassortiti o che si lamentavano per il troppo tempo di attesa alla cassa.
Ogni tanto Diana aveva provato a improvvisarsi cassiera e a dare una mano, ma non riusciva ancora a capirci un granchè delle strane monete magiche e non aveva fatto altro che combinare un sacco di disastri con i resti, quindi si limitava a rifornire gli scaffali di merce con il vecchio e sano metodo babbano, sempre sotto la supervisione di un nervoso Lee.
Nessuno di loro aveva davvero la concentrazione necessaria per dedicarsi al lavoro.

 

- Sicura? - chiese George in tono stanco affacciandosi alla stanza di Fred.

Diana annuì.

- Oggi vieni in ospedale? - domandò George in tono atono e cambiando argomento.

- Certo… - sospirò Diana cercando di tenere sotto controllo i battiti del suo cuore, ancora accelerati per l’incubo da cui si era appena svegliata.

- Mi faccio una doccia e poi andiamo, ok?

Diana si limitò ad annuire di nuovo, mentre cercava con tutta sè stessa di scacciare le orribili immagini appena vissute.
Con il flebile rumore del getto d’acqua in sottofondo, Diana si abbandonandò stancamente sul letto sfatto con aria inespressiva.
Sul comodino, la foto di lei e Fred che danzavano nel soggiorno della Tana attirò la sua attenzione affondando una morsa di nostalgia in un punto non ben preciso al centro del petto.
Era stata molte volte a trovare Fred in ospedale: lui giaceva immobile in una stanza bianca come se fosse addormentato e, nonostante, tutta la sua famiglia si ostinasse a fargli visita, a parlargli o tenergli la mano non vi era stato nessun cambiamento nella sua condizione e Diana faceva fatica a rimanere immobile ad osservarlo senza poter fare nulla per aiutarlo.
Non riusciva a smettere di pensare che fosse tutta colpa sua.
Se lei non fosse stata a Hogwarts, probabilmente non sarebbe accaduto nulla a Fred.
E nemmeno a Robert Murray.
L’aspetto più frustrante della faccenda era che nessuno sembrava incolparla per quanto accaduto, ma addirittura i Weasley sembravano riconoscenti per il fatto che Diana si trovasse insieme a Fred durante la battaglia.
Percy Weasley, che aveva assistito alla scena, non faceva altro che ripetere che senza di lei, Fred sarebbe sicuramente morto.
Eppure Diana non ci credeva: se lei non fosse stata a Hogwarts, Fred non avrebbe mai raggiunto quel dannato corridoio per cercarla.
Insieme al bruciante senso di colpa, Diana era perennemente accompagnata da troppi interrogativi irrisolti ad affollarle la mente e troppe poche persone con cui potersi confrontare.
Daniel Harvey era incredibilmente sopravvissuto all’esplosione del Blackhole ed era stato rinchiuso ad Azkaban.
Benjamin Murray, pur essendosi redento e pur avendo combattuto contro i Mangiamorte, aveva subito la stessa sorte del cugino: purtroppo, secondo la legge magica, l’essersi pentito non bastava a porre rimedio a tutti i crimini perpetrati in passato.
Per questo, qualche settimana prima, Diana si era recata a parlare con l’unica persona che pensava potesse esserle d’aiuto.

 

Quel giorno il cielo era azzurro, ma chiazzato da delle passeggere nuvole chiare e Diana Harvey aveva dovuto farsi largo tra la folla che gremiva Diagon Alley.

George e Lee le avevano assicurato di non aver mai visto così tanta gente a popolare il quartiere magico: sembrava che i maghi non vedessero l’ora di stare liberamente all’aria aperta, attardarsi per strada a chiacchierare oppure assaporare un gelato ad uno dei numerosi tavolini del locale di Florian Fortebraccio.

La guerra era finita ed ogni pretesto era buono per festeggiare.

Diana aveva incrociato la fila di persone che già si accalcava fuori dalla porta d’ingresso del negozio TiriVispi Weasley: i bambini si agitavano impazienti di entrare e forse già consci del fatto che i loro genitori dal rilassato sorriso sarebbero stati inclini a comprare loro qualsiasi diavoleria avessero loro chiesto.
Diana si era lasciata alle spalle la folla vociante per fermarsi davanti al negozio di bacchette di Olivander.
Aveva esitato per un attimo, ma poi si era decisa ad entrare.

- E’ aperto? - aveva chiesto con aria titubante spingendo la porta cigolante e notando che l’interno del negozio era ancora spoglio e dimesso.

- L’apertura è prevista per domani - una voce l’aveva sferzata con un tono di rimprovero.

Il signor Olivander era apparso poco dopo con un’espressione scocciata che subito si era tramutata in una maschera d’incredulità nel riconoscere l’identità della visitatrice.

- Signorina Harvey…

- Buongiorno, disturbo?

- No! No! - si era affrettato a rispondere Olivander spostando le varie polverose scatole che erano malamente impilate sul bancone e sembravano dover crollare da un momento all’altro. 

A Diana avevano tristemente ricordato il disordine del negozio Harvey.

Dopo essersi scambiati dei rapidi convenevoli e dopo che Diana si era informata sullo stato di salute dell’anziano fabbricante di bacchette, la ragazza aveva deciso di passare subito al nocciolo della questione.

- Signor Olivander, ho bisogno di chiederle il suo parere in merito alla faccenda del Blackhole…

- Oh… - si era meravigliato lui innervosendosi - non ne so molto, ma spero di poterle essere d’aiuto!

Diana si era avvicinata al bancone e vi aveva appoggiato i gomiti unendo le mani davanti a sè e intrecciando nervosamente le dita. 
Aveva una grande paura e, allo stesso tempo, un grande desiderio di avere delle risposte, così aveva raccontato ogni cosa ad Olivander.

- Quindi il Blackhole è stato distrutto? - aveva domandato Olivander a racconto concluso.

In tutta risposta, Diana aveva estratto dalla tasca i resti del vecchio orologio da taschino: il coperchio non si chiudeva più ed era annerito e incrinato, il vetro del quadrante era andato in frantumi e le lancette erano immobili.

- E il suo potere…?

Diana si era concentrata per dare prova che l’energia del Blackhole fosse ancora dentro di lei ed aveva emanato un leggero bagliore azzurro dalla mano sinistra.
Olivander aveva osservato la scena con concentrazione, in silenzio.

- Secondo lei mio padre può avere ragione? - lo aveva incalzato Diana in tono ansioso - Sono davvero io il Blackhole?

- Io…non… - Olivander aveva boccheggiato a disagio, come se non avesse voluto prendersi la responsabilità delle proprie parole - Io credo che il signor Murray sia la persona più indicata con cui discutere questo argomento…

- Ma il signor Murray si trova ad Azkaban! - aveva sbottato Diana disperata - Quindi mi dica cosa ne pensa! La prego! Lei è l’unica persona che abbia un minimo di conoscenza della materia e io non so a chi altri rivolgermi!

Olivander sospirò e annuì.

- Secondo lei posso davvero fare del male a Fred come sostiene mio padre? - aveva domandato Diana velocemente.

- Il signor Weasley ha mai toccato il Blackhole? - aveva chiesto di rimando Olivander indicando ciò che rimaneva dell’orologio da taschino.

Diana era rimasta immobile a fissare l’orologio, sbattendo le palpebre e cercando di ricordare: - Io…no! Non penso… - sussurrò flebilmente passando in rassegna i ricordi per essere certa di ciò che stava dicendo.

- Ne è sicura? - l’aveva incalzata Olivander come se quella risposta fosse stata di vitale importanza.

- Io… - Diana si era interrotta perchè un ricordo le si era affacciato alla mente talmente bruscamente da lasciarla senza parole.

Era una scena che sembrava appartenere a una vita precedente, eppure in quel momento era nitida e perfettamente scolpita davanti ai suoi occhi.

Diana Harvey che usciva da una caffetteria a Victoria Street e un Fred Weasley ancora a lei sconosciuto la seguiva fuori dal locale tendendo una mano per consegnarle l’orologio da taschino che le era erroneamente scivolato dalla tasca a causa della fretta con cui aveva lasciato il locale.

La scena era svanita e Diana aveva messo a fuoco nuovamente il viso stanco e serio del vecchio fabbricante di bacchette.

- Sì… - aveva squittito Diana a fatica e poi, cercando di riprendersi, aveva aggiunto: - Sì, lo ha toccato! Ma è stato molto tempo fa! Non era ancora successo nulla! E perchè mi fa questa domanda?

Olivander si era appoggiato al bancone come se avesse dovuto tenere una lezione di storia:

- Signorina Harvey, non deve mai dimenticare lo scopo per cui i Blackhole sono stati creati…

Diana lo aveva fissato ammutolita, così Olivander aveva continuato: - Sono armi di difesa con cui i babbani si sono sempre protetti dalla magia! Quindi per un Blackhole il mago rappresenta il nemico e se il signor Weasley è entrato in contatto con esso…temo che suo padre possa aver ragione…

Il buco nero dentro di lei si era dolorosamente riaperto e aveva preso a vorticare su sè stesso con tale velocità da farla sprofondare di nuovo nell’angoscia e nel senso di colpa allo stesso modo in cui si era sentita la prima volta che aveva udito quelle parole.

- I Blackhole non erano altro che oggetti volti a tenere separati maghi e babbani…è indubbio che lei ne abbia incredibilmente assorbito i poteri, ma tutto ciò è una forzatura. Il potere del Blackhole non fa altro che mantenere ben distinta la linea di demarcazione tra… 

Diana aveva smesso di ascoltare.

La conferma di ciò che suo padre aveva asserito era dolorosamente impressa davanti ai suoi occhi.

Prima di annegare definitivamente dentro quel pozzo di torbido rimpianto, Diana era riuscita con fatica a ricomporsi e a balbettare:
- Gr-Grazie signor Olivander… le auguro una buona giornata! - e poi era fuggita dal negozio cercando di lasciarsi alle spalle le parole del fabbricante di bacchette e quella terribile verità che invece non avrebbe fatto altro che seguirla ovunque fosse andata.

 

Dopo aver parlato con Olivander, Diana era sprofondata in uno stato di shock misto a terrore.
Era davvero diventata uno strano manufatto magico vivente che non poteva vivere a stretto contatto con Fred Weasley?
Avrebbe messo in pericolo solo lui o qualunque mago le stava intorno?
La conversazione con Olivander non aveva fatto altro che gettarla in pasto a nuovi famelici interrogativi.
Non ne aveva parlato con nessuno. Nemmeno con George.
Come avrebbe potuto?
Cosa avrebbe dovuto fare?
I dubbi la attanagliavano costantemente e il senso di colpa non faceva altro che trascinarla in un incubo ad occhi aperti. Diana aveva quasi perso il conto degli innumerevoli momenti in cui si era lasciata prendere dal panico ed era assurdamente arrivata a desiderare che Fred non si risvegliasse mai dal limbo al quale era stato grottescamente confinato.
Sarebbe stato infinitamente più semplice per lei, perchè così non sarebbe stata costretta a compiere una scelta.
Puntualmente, dopo quei pensieri scoppiava in pianti disperati, maledicendosi per aver avuto anche solo il coraggio di pensare atrocità di quel calibro; quindi si limitava ad ingoiare le proprie lacrime e ad addormentarsi dicendosi che dal giorno successivo non avrebbe più osato essere così meschina e debole.
Puntualmente, il giorno dopo, quei pensieri non facevano altro che riaffacciarsi, spingendola sempre più in basso in una caduta senza fine nel profondo buco nero sempre pronto a risucchiarla dentro di sè.

 

La brusca interruzione del flusso d’acqua proveniente dal bagno, riportò Diana alla realtà.

Si alzò dal letto e si sfilò il pigiama per cambiarsi, saltellando goffamente per la stanza per infilarsi i jeans il più velocemente possibile; stava per perdere l’equilibrio, quando il suo sguardò si posò sul davanzale della finestra.
Vi era appollaiato un grosso e altezzoso allocco dall’aria supponente di chi si trovava lì da parecchio tempo e, per sottolineare il concetto, l’animale diede una sonora beccata al vetro per esortare Diana ad aprirgli la finestra.
Era Hermes, il gufo di Percy Weasley, e quella che portava legata alla zampa sinistra era indubbiamente una busta color verde acqua.
Diana caracollò per la stanza per aprire la finestra e slegò rapidamente la busta dalla zampa del pennuto che volò in casa per raggiungere il trespolo vuoto di Loki e affondare il becco nel mangime con sdegno.
Con mani tremanti, Diana riuscì ad appurare che il logo nell’angolo della lettera recava il simbolo dell’ospedale San Mungo: un osso incrociato con una bacchetta.
Sentì gli occhi inumidirsi istantaneamente per le lacrime e il respiro affannarsi.
Avrebbe dovuto aspettare George, ma le sue dita avevano già strappato la carta per estrarre un foglio dove erano scritte solo quattro parole.
Diana si precipitò verso la porta del bagno ancora chiusa e la spalancò incurante. George, fortunatamente vestito, si stava tamponando i capelli con un asciugamano. Si bloccò nel vedere Diana irrompere nella stanza.

- Diana, ma che cavolo… - si interruppe nel notare il suo viso rigato di lacrime e poi la busta scartata nella sua mano destra - che è successo??

Diana sorrise tra le lacrime e, incapace di parlare, gli passò il biglietto ormai umido sul quale era scritto: “Fred si è svegliato”.

Diana si sentì ancora una volta risucchiata da quell’orrendo buco nero che minacciava di distruggerla, ma si aggrappò con tutte le forze ai bordi di quel pozzo senza fine per cercare di mantenersi a galla, perchè il momento che aveva in egual misura desiderato e temuto era giunto.

 

La lucidità necessaria per affrontare la situazione era svanita tanto che Diana non era nemmeno stata in grado di opporre resistenza ad un euforico George Weasley che la afferrava per un braccio per smaterializzare entrambi in fretta e furia al San Mungo. In circostanze differenti, si sarebbe tenuta ben lontano da eventuali pericolosi contatti fisici con un mago, come aveva già fatto nelle settimane precedenti, ma quella era una situazione diversa.

Fred si era svegliato!

Non appena apparvero in un vicolo deserto, Diana si divincolò con repulsione dalla presa sul suo braccio, squadrando George con la circospezione di chi si aspettava di vederlo andare in fumo o rotolare a terra sofferente.

Non accadde nulla di tutto ciò.

George le scoccò un’occhiata indecifrabile e uscì rapidamente dal vicolo per attraversare una strada trafficata oltre la quale l’unica costruzione degna di nota era un grande magazzino in mattoni rossi dall’aria triste e desolata: le vetrine per metà ancora allestite con manichini abbigliati con vestiario di dubbio gusto erano ricoperte da cartelli che promettevano una temporanea chiusura per ristrutturazione dell’edificio.

La prima volta che erano stati all’ospedale San Mungo, Diana era rimasta parecchio impressionata dal fatto che avessero dovuto attraversare una vetrina nel pieno della trafficata Londra babbana e che nessuno dei passanti avesse mai notato la stranezza di persone che venivano risucchiate da un edificio quasi fatiscente.
Quel giorno, nemmeno ci fece caso.
Seguì George nell’atrio dell’ospedale, poi in un corridoio e infine in un ascensore, senza riuscire a mettere a fuoco nè l’ambiente circostante nè i propri confusi e vorticanti pensieri resi affannati dal tumulto di emozioni che si dibattevano dentro di lei.
Quando le porte dell’ascensore si aprirono, lo stretto corridoio azzurrino era costellato di persone.
George, sorridente e impaziente, si infilò quasi di corsa nella stanza di Fred, lasciando indietro una frastornata Diana che salutò con un cenno imbarazzato Harry e Hermione, i quali sembravano aver voluto lasciare un momento di privacy esclusivo per la famiglia Weasley.
Molly Weasley con il viso stanco e ancora umido di lacrime di gioia, sporse la testa fuori dalla stanza da cui già si sentivano provenire delle risate.

- Diana, cara…perchè non entri?

Diana annuì e con passo malfermo varcò la soglia con il cuore che batteva all’impazzata e le mani sudate.

La stanza era assiepata di teste rosse: c’erano Ginny e Ron seduti su un paio di poltroncine intenti a chiacchierare con Bill, Charlie e il signor Weasley, George e Percy erano in piedi ai lati del letto e talmente chini su Fred da celarne la vista.
Fu Bill il primo a notare il suo arrivo e si schiarì subito la gola con un secco colpo di tosse, tanto che George e Percy si spostarono aprendosi come le tende di un sipario teatrale, rivelando l’unico protagonista della scena.
Fred Weasley era semi sdraiato con la schiena appoggiata ad un paio di cuscini, i capelli rossi lunghi e spettinati, la carnagione pallida faceva risaltare le lentiggini, ma aveva stampato in viso un meraviglioso sorriso che parve addirittura allargarsi nel notare l’arrivo di Diana.
Prima che lei si potesse sciogliere nell’ennesimo pianto della giornata, Fred, senza smettere di sorridere, la salutò: - Ciao Pixie!
Diana, con lo sguardo sfocato dalle lacrime e il cuore che sembrava esplodere di gioia, riuscì a raggiungere il letto a tentoni, domandandosi come avesse potuto desiderare che quel momento non giungesse mai.

 

- Potresti anche sederti qui… - Fred si spostò di lato nel letto per farle spazio, invitandola ad avvicinarsi a lui.
Era passata circa una settimana dal risveglio del ragazzo e Diana era nervosamente seduta con le gambe raggomitolate sulla poltroncina accanto al letto.
Il cielo era grigio e aveva piovuto per l’intera giornata; oltre le ampie finestre dell’ospedale, i rami degli alberi ondeggiavano piegati dal vento del temporale estivo.

- Non voglio che tu stia scomodo - rispose prontamente Diana con l’intenzione di mantenere le distanze e lanciando un malinconico sguardo sulla città di Londra evitando di soffermarsi sul punto in cui fervevano i lavori per la costruzione del London Eye.

Fred corrugò la fronte contrariato e mise il broncio: non era di certo abituato a rimanere relegato in un letto e, nonostante stesse bene, i Medimaghi continuavano a volerlo tenere sotto stretta osservazione; di conseguenza, l’umore del ragazzo era sempre più annoiato e insofferente.

- Per una volta in cui siamo soli… - constatò Fred in tono lagnoso appositamente studiato per intenerire Diana.

- Non è colpa mia se hai un centinaio di parenti e amici che ogni giorno devono venire a trovarti - sospirò Diana con un sorriso teso.

- Non è colpa mia se tutti mi amano! - si giustificò Fred con ironica superiorità.

Diana roteò gli occhi al cielo: era una tortura mantenere le distanze e rimanere trincerata in un contegno che credeva di aver abbandonato già da tempo. 

Il suo sguardo si posò con nostalgia sulla mano di Fred abbandonata sul letto e cercò di tenere a bada l’impellente desiderio di stringerla nella sua.
Fred seguì il suo sguardo e assunse un’espressione interrogativa.
Prima che il ragazzo potesse formulare qualsiasi domanda, Diana si alzò di scatto con aria evasiva: 

- Sai che faccio? Andrò dai Medimaghi a chiedere un paio di cuscini in più per te! E’ assurdo che non te li abbiano ancora portati dopo che li abbiamo già chiesti due volte! E poi vado a prendere un caffè e…

- Pixie - la frenò Fred confuso - è già andato George a prenderti un caffè…sarà qui a momenti!

- Oh, sì! Giusto! - ammise Diana a disagio - Andrò comunque a cercare i Medimaghi per i cuscini… - e senza guardare Fred uscì dalla stanza.

Mentre percorreva il corridoio verso la stanza in cui erano soliti trovarsi i Medimaghi, trasse un profondo sospiro per calmare l’inquietudine che la attanagliava ogni giorno.
Era convinta che Fred avesse iniziato a sospettare che qualcosa non andasse in lei e le era preso il panico.
Non era pronta per affrontare la situazione e da brava codarda quale era non faceva altro che tergiversare.
Si fermò con le nocche a mezz’aria nell’atto di bussare alla porta quando udì delle voci provenire dall’interno della stanza.

- Hai visto le analisi del paziente della 217? - chiese una voce femminile.

Diana abbassò la mano e aguzzò l’udito nel sentir parlare della camera di Fred.

- Non ho mai visto nulla del genere… - continuò la voce femminile.

- Gli incantesimi hanno funzionato? - domandò una voce maschile - Ora dovrebbe essere pulito…

- Si certo che hanno funzionato - rispose la donna - ma non ho mai visto una così alta concentrazione di Magia Oscura! Ha rischiato di non svegliarsi più, lo sai? Che tipo di maledizione può averlo colpito per ridurlo così?

Diana trattenne il fiato e deglutì a disagio.

Un sospiro: - Non ne ho idea, ma il signor Weasley è tra i feriti della battaglia di Hogwarts! Dicono che abbia affrontato Bellatrix Lestrange in persona! Tutti sanno che spietate atrocità era in grado di compiere quella pazza…

Un tramestio di sedie riscosse Diana che prontamente tornò verso la stanza 217, mordicchiandosi compulsivamente l’unghia del pollice.
La Magia Oscura e le atrocità di cui parlavano i medici le aveva provocate lei.
Lei e il suo potere.
Lei e la sua incapacità di prendere una decisione.

 

- Dove sono i cuscini? - domandò Fred non appena la vide tornare a mani vuote.

Diana non riuscì a formulare una frase di senso compiuto, troppo turbata dalle parole che aveva appena udito.

- Pixie? Hai di nuovo litigato con gli infermieri?

- No…io…no! - rispose Diana cercando di dissimulare lo sconforto.

Fred si raddrizzò per mettersi seduto sul letto: - E’ da giorni che sei strana…

- Ma no! - Diana scosse la testa con vigore - Ti sbagli!

In un guizzo improvviso che Diana non aveva preventivato, Fred slanciò le gambe dal letto per alzarsi e fermarsi a pochi centimetri da lei; Diana, di riflesso, aveva fatto un balzo all’indietro allontanandosi il più possibile da lui con le mani tremanti per lo spavento.

- Lo vedi! - esclamò Fred con tono di rimprovero e con uno sguardo circospetto che tentava di analizzare il comportamento di Diana - non è normale! Credi che non mi sia accorto che mi tieni a distanza?

- Fred…io… - balbettò Diana portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio - non dovresti alzarti dal letto…

Fred la ignorò sistematicamente, ma il suo sgaurdo si addolcì lievemente, mentre piegava la testa di lato e ipotizzava: - E’ per tuo padre? Per quello che ti ha fatto? Per la battaglia? E’ collegato al fatto che non volevi stare negli spazi chiusi? Non capisco…

Diana boccheggiò senza trovare una risposta sensata e infine si arrese: - Fred, siediti…devo dirti una cosa…
Non si aspettava che il ragazzo le ubbidisse, invece, lui incredibilmente, le diede ascolto sedendosi rigidamente come se il letto fosse irto di spine e con un’espressione preoccupata.
Diana tornò ad occupare la poltroncina accanto al letto e tormentandosi una ciocca di capelli con le dita esalò: - Ho venduto il negozio Harvey.

- Oh - rispose Fred rilassando leggermente le spalle - ok…? Cioè, va bene…perchè?

Diana scosse la testa tristemente: - Era un capitolo che andava chiuso…Robert non c’è più, Ben è ad Azkaban e io non me la sento di gestirlo da sola….Ho contattato Mundungus che si è occupato di vendere la maggior parte della merce, mentre il padre di Lyall si è preoccupato di trovare un acquirente adeguato.

Fred annuì: - E casa tua?

- Ho venduto anche quella…

- Oh… - ripetè Fred aprendosi in un sorriso diffidente - ok, fantastico! Puoi stare con me e George!

Diana pose subito fine all’allegria affermando in tono lapidario: - Non credo che sia il caso.

Fred sbattè un paio di volte le palpebre: sembrava confuso e desideroso di avere una spiegazione in merito a quel comportamento, ma allo stesso tempo sembrava anche intimorito dall’eventuale reazione di Diana se l’avesse messa troppo alle strette.

- Non capisco… - ammise lui passandosi una mano tra i capelli - abbiamo vissuto insieme per mesi e non mi è mai sembrato che ti dispiacesse o che fosse un problema. 

- No, non lo è, ma… - Diana si morse un labbro cercando di mantenersi lucida e di non capitolare di fronte allo sguardo ferito di Fred - io sono stanca di tutto questo…

Lui non parve capire, ma si limitò a scrutarla come se lei stesse parlando un’altra lingua.

- Ti sei stancata di me?

- No! - esplose Diana esasperata - sono stanca di perdere le persone a cui tengo! Mia madre, zia Karen, Robert, Benjamin….vuoi aggiungerti a questo elenco? Tutte le persone che mi stanno vicine rischiano la vita! Non voglio stare con te con il perenne timore di poterti fare del male! Hai visto quello che è successo a Hogwarts!?

Il peso che gravava su di lei parve farsi leggermente meno oneroso nel portare alla luce i pensieri celati fino a quel momento.

- Ho visto che mi hai salvato la vita! - esclamò Fred scattando in piedi - se tu non ti fossi presa la Maledizione Mortale al posto mio...

- Smettila! - lo interruppe Diana con un grido e con le lacrime a riempirle gli occhi - Smettila! - si prese la testa tra le mani affondando le dita tra i capelli - Non ho salvato nessuno! 

- Sì, invece! - gridò Fred frustrato - Percy mi ha detto che se non fosse stato per te che hai creato una specie di barriera con il tuo potere, il muro ci sarebbe crollato addosso e uccisi entrambi…

- Percy non capisce un cavolo, allora! - esclamò Diana mentre due lacrime bollenti rompevano gli argini - Non ti ha detto che sono io stata io a far crollare il soffitto!? Se non fossi stata lì non sarebbe mai successo, Fred! Tu non saresti mai finito in un letto d’ospedale se non fosse stato per me!

- E’ stato un incidente! Non lo hai fatto apposta!

- E quanti incidenti ancora devono accadere per convincerti che stare con me non è buona idea?

- E’ questo che stai facendo? Mi stai lasciando? - chiese conferma Fred a denti stretti e con lo sguardo velato da tristezza e confusione.

- Non voglio vivere con altri incidenti sulla coscienza! - concluse Diana asciugandosi le lacrime con il dorso della mano - non posso stare con te con la consapevolezza che potrei farti del male in qualsiasi momento! - si battè una mano sul petto per sottolineare l’imprescindibile presenza del potere del Blackhole.

Fred si passò una mano sul viso e alzò lo sguardo verso l’alto come per cercare un suggerimento sul da farsi, poi, velocemente si avvicinò a Diana, che di riflesso arretrò fino ad avere le spalle al muro.

- Cosa posso fare per farti cambiare idea? - domandò Fred. I suoi occhi erano tristi e speranzosi, ma provò comunque a incurvare le labbra in un sorriso obliquo e ad avvicinare lentamente una mano al viso di Diana. 

- Non puoi - rispose Diana in affanno per quell’improvvisa vicinanza che, nonostante tutto, le faceva battere il cuore per l’emozione e ribaltare lo stomaco per il terrore - Per favore, Fred… - lo supplicò tremante per la tensione e sgusciando fuori da quella situazione - M-mi dispiace - singhiozzò tra le lacrime.

- Se ti dispiace, non farlo! - esclamò Fred allargando le braccia nel vano tentativo di trattenerla.

Diana si limitò a scuotere la testa, incapace di parlare a causa dei singhiozzi che le scuotevano il petto.
Fred si limitava a guardarla senza emettere alcun suono.
Lo sguardo del ragazzo bastava e avanzava per farla sentire da schifo: tristezza, rabbia, delusione e frustrazione.
Diana agguantò la propria borsa e sgusciò velocemente fuori dalla porta, incapace di reggere quello sguardo per un altro minuto.

- Dove stai andando? - gridò la voce di Fred.

Diana si precipitò alle porte dell’ascensore, premendo freneticamente il pulsante, guardandosi le spalle con la paura che il ragazzo avesse deciso di seguirla.

- Signor Weasley! - la voce di un Medimago sovrastò quella di Fred - dove diamine crede di andare?

- Io devo… - tentò di protestare Fred.

- …tornare a letto immediatamente! 

Le proteste di Fred si spensero mentre spariva dal campo visivo di Diana a causa del Medimago che lo spingeva nella stanza.
Le porte dell’ascensore si aprirono e comparve George Weasley con in mano due tazze di caffè.

- Diana?! Che succede? - domandò preoccupato notando le sue lacrime - Fred sta bene?

Diana, presa dal panico non rispose, imboccò le scale e scese i gradini più veloce che poteva.

No, Fred non sta bene e la colpa è solo mia
Era questo che avrebbe voluto rispondere a George.

Tra il suo precario equilibrio e lo sguardo offuscato dalle lacrime, fu un miracolo l’arrivare sana e salva al pianoterra e senza incontrare altri membri della famiglia Weasley.
Uscì di filato dall’ospedale per riversarsi in strada sotto una pioggia battente.
Si guardò intorno, frastornata e senza riuscire a mettere a fuoco nulla se non il proprio tagliente dolore.
Mosse pochi e malfermi passi per appoggiarsi con la schiena al tronco di un albero, incurante di sporcarsi o del fatto di essere ormai completamente zuppa di pioggia, e strinse la propria borsa al petto.
Le fitte gocce di pioggia le pizzicavano il viso già arrossato e irritato dal pianto che non accennava a fermarsi.

- Diana! Che è successo?

La ragazza si irrigidì, mentre George Weasley camminava verso di lei.

- No! - sbottò lei convulsamente - non cambierò idea! E non mi importa se tu, Fred e tutta la vostra famiglia mi odierete! Anzi, avreste già dovuto odiarmi da parecchio tempo…

- Che stai dicendo? - sbottò George senza capire e allungando una mano verso di lei per cercare di appoggiarla sulla sua spalla.

- Non mi toccare! - Diana quasi gridò mentre scansava prontamente quel gesto e, mantenendo le distanze, mormorò: - L’ho lasciato…

George strabuzzò gli occhi, sferzato da quella notizia.
Diana, di nuovo scossa dai singhiozzi, abbassò lo sguardo sui propri jeans ormai intrisi d’acqua, mentre rivoli di pioggia gelida si insinuavano lungo la schiena facendola rabbrividire e un leggero mal di testa le appesantiva le tempie.

- So che non lo capirete… - mormorò Diana - ma l’ho fatto per lui…è giusto così!

George si limitò a studiarla rabbuiandosi: - A me sembra che tu lo abbia fatto per te! Per avere la coscienza pulita e per non sentirti più in colpa!

Diana scosse la testa e osservò George: - Può essere…ma è così che deve andare…è l’unico modo…

George aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo come se non trovasse le parole giuste da dire.

Diana gettò uno sguardo verso l’alto in direzione della finestra dietro la quale sapeva trovarsi la stanza di Fred.
Lui era lì con una mano che batteva freneticamente la vetrata, le labbra che si muovevano in concitate parole e suppliche che Diana non poteva udire.
Anche George sollevò lo testa verso Fred.
Diana sentiva rimbombare nel petto ogni colpo di Fred sulla finestra.
Le orecchie le fischiavano.
Distolse lo sguardo e scosse la testa asciugandosi un misto di lacrime e pioggia dal viso.
Sollevò appena il mento in un cenno di diniego verso George e poi gli voltò le spalle dirigendosi verso un punto non ben identificato.
Il buco nero dentro di lei era pronto ad inglobarla. A masticarla. A distruggerla.
Ma Diana, retta e fortificata dalla consapevolezza di aver preso finalmente la decisione giusta, aggirò la voragine oscura per proseguire a camminare sotto alla nebulosa e fitta pioggia londinese.

 

[Fine?]


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Eccoci qui.
Siamo giunti alla fine di questo lungo viaggio :(
Come vedete, Fred è sopravvissuto anche se la sua strada e quella di Diana hanno dovuto separarsi...ve lo aspettavate? 
Vedete il fantastico punto di domanda di fianco alla parola "fine"? Beh...significa che forse dovrete sopportare ancora me, Diana e Fred! Non so se ha senso e non so quante persone ci saranno ad aspettare qualcosa che li riguarda, ma così mi gira XD
Per un po' mi riposerò e farò la lettrice, ma, come direbbe il caro Fred, "tornerò a tormentarvi" XD
Intanto voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno accompagnato in questo viaggio: chi ha aggiunto la storia tra le seguite e preferite, chi ha speso tempo per leggere e soprattutto per commentare! In particolare un mega grazie di cuore va Jamie_Sand che ha seguito questa storia quando era ancora solo un timido prologo (mi ricordo ancora l'emozione della prima recensione ricevuta!) e che mi ha accompagnato in tutto questo tempo! Grazie a tutti coloro che hanno lasciato una recensione: Hikari91, Autumn Wind e RaBlack (non so se siete in pari con la storia o se ci siete ancora, ma comunque grazie!) e grazie a coloro che si sono aggiunti da poco come PrimPrime e Mokochan e grazie a tutti coloro che arriveranno a questo punto tra mesi o anni!
❤️
A presto :)
Sere

 

 

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Capitolo 50
*** Fantasmi [Post credit scene] ***


“Now the day bleeds into nightfall
And you’re not here 
To get me through it all”
(“Someone you loved” - Lewis Capaldi)

 

 

Natale 1998

 

 

La coltre di neve aveva ricoperto il paesaggio con il suo manto freddo.
I rami degli alberi spogli e spettrali erano imperlati da un’aura cristallina, resa traslucida dalla luce del tramonto.

Le finestre della Tana erano appannate da una patina nebbiosa per la brusca differenza di temperatura tra il rigido clima invernale e il fastidioso calore di una stanza riscaldata dalle fiamme di un vivace camino, enfatizzato dalla presenza di troppe persone gremite in uno spazio ridotto.
Il dolce profumo di torta fatta in casa si era fatto strada dalla cucina fino ad invadere il soggiorno.
Gli addobbi erano ovunque e l’entusiasmo dei signori Weasley era alle stelle: finalmente, la guerra nel mondo magico era finita e tutta la famiglia era riunita per festeggiare il Natale.
Se il Natale precedente era stato rappresentato da angoscia, pessime notizie e umore cupo, quel Natale voleva esserne diametralmente l’opposto.

Come da tradizione, Fred e George avevano preso di mira Ron e Percy per i propri scherzi: il primo si era ritrovato chiuso in bagno per metà pomeriggio e la sua bacchetta era stata abilmente nascosta in soffitta, mentre il secondo aveva dovuto combattere gli evidenti effetti provocati dalla masticazione di una Mou Mollelingua. Non appena la lingua di Percy era tornata delle sue normali dimensioni, il ragazzo aveva sfoderato la solita aria impettita per borbottare come un calderone in ebollizione che i prodotti in vendita da Tiri Vispi Weasley fossero al limite della legalità e domandandosi come Fred e George riuscissero a venderli senza incappare in decine di restrizioni ministeriali.
Gli sproloqui di Percy erano stati particolarmente divertenti, tanto che Fred aveva passato gran parte della giornata posizionato alle spalle del fratello maggiore per imitarlo e fargli il verso, tanto da far ridere Bill e George fino alle lacrime e assumendosi costantemente il rischio di beccarsi una fattura tra capo e collo da parte di una furibonda Molly Weasley, che già da quella mattina reclamava un aiuto in cucina da parte dei figli.

Sempre per seguire la tradizione, un piccolo gnomo pietrificato osservava inerme la tavola imbandita dalla sommità dell’ingombrante albero di Natale, al di sotto del quale si trovava già un nutrito mucchio di regali impacchettati con carte dai colori sgargianti.

- Fred, vuoi ancora un po’ di arrosto? - domandò Molly Weasley facendogli levitare sotto al naso un ampio vassoio ricolmo di fette di carne che avrebbero sfamato un’intera città.
Fred Weasley allungò le gambe sotto al tavolo colpendo erroneamente lo stinco di Ron, sospirò e scansò il vassoio con la mano, spingendolo verso Percy, seduto alla sua destra: - No, mamma, sono pieno da scoppiare!
Percy cercò di sottrarsi con un po’ troppa foga dal vassoio, come se si aspettasse nuovamente un altro scherzo. Ron, la bocca troppo piena per formulare una frase di senso compiuto, si limitò ad emettere un grugnito dolorante.
- Perce… - Fred gli battè amichevolmente una mano sulla spalla con un sorrisetto pungente ad animargli il viso - Rilassati!
- Si, certo! Magari se tu non fossi seduto accanto a me, riuscirei a rilassarmi! - mugugnò Percy esasperato scrutando il viso di Fred con i sensi in allerta e cercando di capire se dietro quel gesto si stesse celando l’ennesima presa in giro.
- Così mi offendi! - recitò Fred sghignazzando e portandosi una mano al petto come se fosse stato colpito al cuore da una feroce coltellata.
Molly Weasley sembrava aver preso il rifiuto di Fred alla seconda porzione di arrosto come un’offesa personale e il vassoio tornò a fluttuare insistente davanti al naso di Fred, il quale fu costretto a rivolgere una lieve smorfia di disappunto alla madre. Fortunatamente fu Ron a salvarlo da quella scomoda situazione, sporgendosi dall’altro lato del tavolo per afferrare il vassoio con aria famelica e riempirsi il piatto per quella che doveva essere almeno la terza volta.
Mentre la sua risata si smorzava in un sorriso malinconico, Fred sollevò lo sguardo per incrociare quello astioso e pieno di risentimento dello gnomo pietrificato in cima all’albero di Natale, il quale cozzava in maniera parecchio disarmonica con la tunica dorata che lo avevano costretto ad indossare.
Fred si sentì quasi in colpa per averlo colpito con il solito incantesimo che ogni anno gli spettava come un rito.
Non aveva mai provato il minimo rimorso per quel gesto prima di allora, ma in quel momento riusciva quasi a capire la povera creatura.
Immobile ad assistere ai gioiosi festeggiamenti e alla vita che procedeva inesorabile intorno a lui.

Harry e Ginny erano impegnati in una fitta conversazione sul Quidditch con Bill, Angelina e George.
Arthur Weasley ascoltava con un sorriso tirato il monologo con cui Percy stava intrattenendo lui, Fleur, Hermione e Audrey, la sua ragazza.
Tra un boccone e l’altro, Ron cercava di inserirsi senza troppo impegno nella conversazione sportiva dei fratelli.
All’appello mancava solo Charlie, il quale li avrebbe raggiunti per Capodanno.

Una volta che anche la crostata di mele fu divorata, tutti issarono bandiera bianca, sazi e incapaci di continuare a mangiare; gli avanzi di cibo sparirono dai piatti e Fred, come se stesse assistendo ad un film di cui già conosceva il finale, notò suo padre alzarsi da tavola per prendere la consueta bottiglia di Whisky Incendiario.

- Questo lo devi provare - le aveva sussurrato Fred all’orecchio sorridendo.
Diana era stata scossa da un sobbalzo, sorpresa per l’arrivo di Fred alle sue spalle, mentre lui stava già versando il liquido ambrato in un bicchiere.
- Cosa? - aveva domandato Diana arricciando il naso in una smorfia dubbiosa e rigirandosi il bicchiere tra le mani.
Non farti domande - si era intromesso George - buttalo giù alla goccia!
Diana aveva bevuto tutto d’un fiato e poi aveva spalancato gli occhi, facendosi rossa in viso e assumendo una smorfia per l’inaspettato sapore del Whisky Incendiario.
Fred era scoppiato a ridere e quando, inaspettatamente, anche Diana si era lasciata andare ad una risata, lui si era sentito leggero e soddisfatto come se fosse riuscito a portare a termine una missione considerata impossibile.

 

Il ricordo, com’era arrivato, svanì.

Fred si spinse bruscamente all’indietro con la sedia per alzarsi, producendo un fastidioso rumore che si perse tra le chiacchiere concitate e allegre, ma che attirò l’attenzione di George, seduto alla sua sinistra, il quale si voltò appena nella sua direzione per osservarlo con lieve apprensione.

- Dove vai? - lo fulminò subito Molly Weasley come se alzarsi da tavola prima del tempo fosse un crimine punibile con la detenzione ad Azkaban.
- Mamma, voglio solo provare a vedere se mi funzionano ancora le gambe dopo tutte queste ore seduto e la pancia così piena - si giustificò Fred e per sottolineare il concetto si battè una mano sullo stomaco con aria affaticata. Prima che Molly Weasley potesse protestare, George si lanciò a raccontare un episodio particolarmente divertente avvenuto in negozio per distrarre la madre; Fred, così, ebbe il campo libero per dirigersi verso l’ingresso.
La bacchetta nella mano destra, un incantesimo di appello mormorato tra i denti e, in un attimo, il suo giubbotto si fece largo tra la montagna di cappotti ammucchiati sull’appendiabiti per finirgli tra le mani.
Fred indossò la giacca e si diresse all’esterno, sentendo l’aria ghiacciata schiaffeggiargli le guance con insolenza.

Nessuno sembrava essersi accorto del suo malinconico stato d’animo, ma Fred non se ne curava più di tanto. Era dannatamente bravo a fingere che andasse tutto bene: bastava mettere su un sorriso e qualche risata, imbastire le solite ironiche battute e sfoderare qualcuno dei migliori scherzi del suo repertorio.
Sembrava che tutti si fossero dimenticati che proprio quel giorno, due anni prima, nel loro soggiorno fosse morta una persona e che un’altra mancasse irrimediabilmente all’appello.
Era lui stesso il primo a sapere quanto fosse maledettamente più semplice fingere di non vedere il dolore piuttosto che affrontarlo, lavando via i tristi ricordi con risate e scherzi.

Fred mise via la bacchetta e affondò le mani nelle tasche del giubbotto camminando lentamente nel giardino della Tana.
La neve era già così ghiacciata che i suoi piedi non affondarono nemmeno nel prato, ma si limitarono a produrre un rumore raschiante ad ogni suo passo.
Una volta arrivato davanti al capanno degli attrezzi di suo padre, come ipnotizzato, fece scattare il chiavistello arrugginito e vi entrò senza indugio.
Un miscuglio di strani odori lo accolse: prodotti chimici babbani, ingredienti per pozioni, muffa e umidità.
Si appoggiò al tavolo da lavoro disseminato di strani utensili guardandosi i piedi, mentre il fiato si condensava in un alone nebuloso.
Quando alzò la testa, un impolverato telescopio in ottone attirò la sua attenzione come se fosse colpito da un luminoso raggio di luce, riportandolo bruscamente indietro nel tempo.

Grazie - aveva sussurrato Diana debolmente, abbassando lo sguardo - grazie del regalo…
- Diciamo che ero abbastanza sicuro che ti fosse piaciuto, ma volevo sentirtelo dire - le aveva sorriso Fred beffardo, ma era tornato subito serio, mentre la sua mano si sollevava in un gesto automatico per avvicinarsi al viso di Diana che lo scrutava perplessa.
La mano ferma a mezz’aria in un gesto congelato per sempre nel preludio di una carezza che non sarebbe mai arrivata a destinazione.

Una lama di nostalgia gli perforò lo stomaco, riportandolo alla realtà.
Rimase a fissare la superficie dorata senza vederla davvero, mentre la sua mente si appigliava ad un milione di ricordi.
Un rumore proveniente dall’abitazione gli fece sollevare lo sguardo e, attraverso la porta spalancata del capanno, vide George in piedi sotto al portico della Tana.
Si guardarono negli occhi e poi Fred, senza dire nulla, si smaterializzò.
Era bastato un lieve cenno con il mento da parte di suo fratello, appena prima che il suo corpo fosse compresso nella solita sensazione, per fargli capire che George non lo avrebbe seguito.
Suo fratello sapeva già perfettamente dove sarebbe andato.

 

Il Dean Cemetery era silenzioso, freddo e spettrale.
Fred si aggirò quieto tra le lapidi e si fermò per scostare la neve dalla superficie di marmo per farne sbucare i nomi di Robert Murray e Karen Harvey.
Si guardò intorno e, constatando di essere solo, agitò la bacchetta per fare apparire due identici mazzi di fiori che andarono ad adagiarsi lievi sulla coltre di neve in corrispondenza delle rispettive lapidi.
Dopodichè, a passo svelto, si lasciò alle spalle il cimitero per muoversi verso Victoria Street.
Vi era tornato così tante volte da conoscerne ormai a memoria ogni dettaglio ed ogni angolo.
Si aspettava che ad accoglierlo ci fosse il solito cartello con scritto “VENDESI” appeso sulla porta di quello che un tempo era il negozio Harvey, ma così non fu.
Il cartello era stato rimpiazzato da uno nuovo con scritto “PROSSIMA APERTURA”.
Un brivido di emozione lo travolse nel notare che l’insegna del negozio, per quanto deteriorata e lasciata all’incuria, fosse ancora lì.

Che lei fosse tornata?

Un debole barlume di speranza si era acceso, rischiarando improvvisamente i suoi pensieri.

Istintivamente, Fred alzò la testa per scrutare la finestra di quella che era stata la camera da letto di Diana Harvey.

La luce era spenta e il vetro opaco, ma una bruciante curiosità lo stava ormai divorando, quindi si diresse a passo svelto nella via parallela a Victoria Street per raggiungere il retro del negozio.

Un rapido movimento della bacchetta e la porta si aprì con un sinistro cigolio.
Purtroppo, la nuvola di polvere che l’apertura della porta aveva provocato, non andò ad avvalorare la sua teoria: il negozio era desolato e tristemente abbandonato a sè stesso.
Fred salì comunque le scale con determinazione guardandosi intorno alla ricerca di un segno, di un oggetto fuori posto che gli comunicasse che qualcuno fosse passato di lì, ma anche l’appartamento era deserto e spoglio.
La curiosità che lo aveva spinto a commettere quello che sicuramente doveva essere un reato stava lentamente lasciando il posto a una dilagante malinconia.
Accese flebilmente la punta della bacchetta per accertarsi di non tralasciare nessun dettaglio e si mosse con attenzione cercando di non far scricchiolare le assi del pavimento.
Gettò un’occhiata alla strada attraverso la finestra.
I turisti non abbandonavano Victoria Street nemmeno a Natale e nemmeno con un freddo glaciale, ma sciamavano pigramente per la via come grossi insetti intirizziti, fermandosi di tanto in tanto per scattare qualche fotografia.

Fu un attimo.

Prima non c’era e poi era lì.

Una ragazza bionda dall’aria particolarmente famigliare stava osservando il negozio con aria afflitta.

In un attimo, il cuore di Fred si fece strada verso la sua gola in una galoppata inferocita e la mano che stringeva la bacchetta tremò tanto da fargliela scivolare a terra, gettando nuovamente l’appartamento nell’oscurità.
Fred soffocò un’imprecazione tra i denti, dilaniato tra l’insopportabile idea di gettarsi in strada a inseguire quella che probabilmente era solo una sconosciuta o una proiezione della sua mente e il cercare la propria bacchetta finita chissà dove.
Si massaggiò le palpebre chiuse con pollice e indice per convincersi di non aver solo immaginato quella ragazza.

Riaprì gli occhi.

No, non l’aveva immaginata.

Era ancora lì.

Aveva aperto un ombrello nero per ripararsi dalla neve che aveva iniziato a cadere.

Fred si precipitò giù dalle scale facendo i gradini quattro alla volta con il cuore che gli martellava nelle orecchie tanto forte da non distinguere più nessun altro rumore se non quello del proprio impetuoso battito accelerato.
Quando trafelato e in preda all’emozione, si ritrovò su Victoria Street, si rese amaramente conto che la ragazza era svanita come un fantasma.
Fred si guardò intorno spaesato e confuso, mentre i passanti lo osservano straniti.
- Diana!? - esalò senza fiato facendo voltare un gruppetto di turisti giapponesi che si limitarono a scrutarlo come se fosse matto.
Eppure gli era sembrato davvero che fosse lei, fasciata in un cappotto nero e con i capelli biondi che sbucavano da un berretto di lana.
Un’automobile nera partì dal fondo della via lasciando dietro di sè una nuvola grigiastra di gas di scarico.
Come a coronare l’ironia della sorte, Fred si rese conto di trovarsi proprio di fronte all’abitazione di Scott Mcdonald.

Fred, vuoi davvero sapere cosa mi dice l’universo?
Diana aveva afferrato la sua felpa per attirarlo a sè e gli aveva avvicinato le labbra all’orecchio per sussurrare: - L’universo mi dice continuamente che non posso più stare senza di te - si era ritratta ridacchiando, le guance rosse e gli occhi scintillanti e Fred aveva pensato che non fosse mai stata così bella.

Era stato un idiota ad illudersi che lei fosse tornata.
Gli sembrava addirittura di sentire il suo delicato profumo alla vaniglia.
Gli sembrava addirittura che la neve, su quel gradino, fosse più calpestata di quanto non fosse poco prima.
Forse erano solo i suoi ricordi ad averlo reso particolarmente nostalgico ed incline al melodramma.

In fondo, perchè sarebbe dovuta tornare?

Sospirò profondamente.

E se anche fosse tornata…ormai lo aveva lasciato…

Fred scosse la testa passandosi una mano tra i capelli umidi per i fiocchi di neve e percepì l’emozione scemare di colpo per trasformarsi in un cocente senso di rabbiosa delusione.
Con un senso di impotenza ad attanagliargli le viscere, tornò sui propri passi per recuperare la bacchetta e per fare, poi, ritorno a casa.

 

 

 

°°°°°°°°°

 

 

Diana Harvey non avrebbe voluto tornare ad Edimburgo, ma la sua amica Aileen avrebbe passato qualche giorno insieme ai propri genitori e si era impuntata affinchè anche Diana andasse con lei, perchè, secondo la logica della famiglia Campbell, era fuori discussione che lei passasse il Natale da sola.

- E dimmi, tesoro - chiese il signor Campbell alla figlia, mentre infilzava una patata al forno con la forchetta - come sta andando il corso di recitazione?
- Benissimo! - cinguettò felice Aileen con gli occhi che scintillavano per l’emozione - stiamo organizzando uno spettacolo e forse stavolta non farò solo la comparsa! Ma ci pensi, papà? Diventerò un’attrice!
- È fantastico! - si illuminò la signora Campbell, fiera dei piccoli successi della figlia.
Diana, lo sguardo abbassato sul proprio piatto ancora pieno per metà, sorrise debolmente.
- E tu, Diana? - la interpellò il signor Campbell pulendosi i baffi con un tovagliolo - Aileen mi ha detto che hai ripreso l’università! Restauro, vero?
- Esatto, signor Campbell! - rispose educatamente Diana raddrizzandosi sulla sedia - i corsi sono interessantissimi e ci sono un sacco di laboratori per fare pratica!
- Beh, quella direi che non ti manca affatto! - esclamò il signor Campbell con il chiaro intento di farle un complimento.
- Sono un po’ fuori allenamento, ultimamente… - ammise Diana spostando lo sguardo malinconico verso la finestra e cercando di reprimere l’ondata di tristezza in arrivo. Con la coda dell’occhio riuscì a cogliere l’eloquente espressione della signora Campbell che intimava al marito di cambiare argomento per evitare che lei si intristisse troppo.

A fine serata, mentre la madre di Aileen riportava in cucina il pudding avanzato, Aileen si sporse verso Diana per sussurrare: - Tutto a posto?
- Sì, certo! - Diana si mordicchiò l’interno della guancia, indecisa - Se non ti dispiace, vorrei passare al cimitero da zia Karen…
- Ma certo, Diana! - si era intromessa la madre di Aileen con un sorriso solidale mentre tornava dalla cuicina; aveva poi afferrato le chiavi della macchina dalla mensola accanto all’ingresso per porgerle alla figlia dicendo: - Prendete l’auto! Fuori si gela!

Il viaggio in macchina verso il Dean Cemetery fu più lungo del previsto a causa della neve e del ghiaccio.
Diana si addentrò nel cimitero buio, mentre Aileen la seguiva a pochi passi di distanza come se volesse lasciarle la propria privacy.
Diana riconobbe immediatamente le tombe di Karen e Robert e aggrottò le sopracciglia nell’osservarle: erano le uniche a cui la neve era stata spazzata e due bei mazzi di rose bianche identici erano appoggiati su ciascuna tomba.

- Qualcuno è stato qui… - borbottò Diana perplessa e con uno strisciante senso d’inquietudine.
- Un fantasma? - ironizzò Aileen arrivando alle sue spalle e spingendo le mani nelle tasche della giacca per scaldarsi.
- Non essere stupida… - la rimproverò Diana in tono severo e con un’occhiata torva.
- Scusa, pessima battuta…
Aileen soppesava le rose con sguardo assorto: - Credi che Benjamin…?
Diana scosse energicamente la testa: - No, non può essere stato lui… - si guardò intorno come se l’inaspettato visitatore potesse ancora essere in agguato nel buio e poi aggiunse: - Andiamo via!
- Ma…siamo appena arrivate! - protestò Aileen contrariata per essersi dovuta avventurare al freddo e al gelo per una visita durata una manciata di minuti, mentre Diana la strattonava per la manica del giubbotto per convincerla a raggiungere l’uscita del cimitero il più in fretta possibile.

Una volta sedute nell’abitacolo dell’auto dei Campbell, Diana tirò un profondo sospiro di sollievo, mentre Aileen le rivolgeva domande incalzanti su cosa le fosse preso per fuggire via così.

Non poteva essere stato lui.
Magari era solo qualche conoscente di zia Karen.
Magari era stato Lyall oppure Scott McDonald.

- Scusa… - soffiò Diana torcendosi le mani gelide e sentendosi stupida - mi sono fatta prendere dall’emozione…
Aileen le sorrise con una fastidiosa aria compassionevole, mentre girava la chiave dell’auto nel quadro.

Una vocina nella testa di Diana, però, continuava a metterla in agitazione.
E se invece fosse stato lui?
L’agitazione aumentò esponenzialmente.

Diana si mordicchiò il labbro inferiore, pensierosa e indecisa se scappare a gambe levate oppure correre a Victoria Street come se un magnete la stesse attraendo con inspiegabile forza verso quel punto.
- Possiamo solo… - Diana aveva quasi paura a pronunciare quelle parole ad alta voce - passare da Victoria Street?
Ecco lo aveva detto! 
- Certo… - rispose Aileen titubante e lanciandole un’occhiata indagatoria mentre rallentava per fermarsi ad un semaforo.
Aileen si destreggiò nuovamente nel traffico di Edimburgo e si fermò con le quattro frecce lampeggianti all’angolo con Grassmarket Square.
- Ti aspetto in auto, però….qui non c’è un posteggio neanche a pagarlo! Pensi di metterci molto? - domandò l’amica aggrottando le sopracciglia come se stesse cercando di capire il motivo di quella sosta.
- Grazie Aileen! No, faccio in fretta!

Diana scese dall’auto e Aileen le allungò un ombrello perchè qualche sporadico fiocco di neve aveva già ripreso a scendere dal cielo nuvoloso e scuro.
Diana si calcò il berretto di lana in testa, si strinse nel cappotto nero senza aprire l’ombrello e si inerpicò lungo la via in salita facendo attenzione a non scivolare sul ghiaccio.
Quando il negozio Harvey si mostrò alla sua vista, il suo stomaco si contrasse in una morsa dolorosa.
Scott McDonald non doveva essere in casa, perchè le luci erano spente, così Diana si posizionò in piedi sul gradino davanti alla sua abitazione, in modo da poter osservare il negozio.

- E a te cosa dice l’universo? - si era informata Diana trattenendo il fiato in attesa della risposta, mentre il suo cuore correva ormai a briglie sciolte.
Fred aveva scrollato appena le spalle e aveva risposto: - Pensa che… anche a me ripete la stessa identica cosa che dice a te…

Diana sentiva ancora il cuore battere forte dall’emozione al ricordo di quella sera e di quelle parole.
Quel momento era così vivido nella sua memoria che quasi le sembrava di vedere il sorriso di Fred, di potersi sporgere verso di lui e baciarlo come avrebbe dovuto fare quella sera; di udire il suono della sua risata. Le sembrava addirittura di percepire quel lieve profumo di biscotti fatti in casa tipico della Tana mescolato agli strani odori delle pozioni che il ragazzo maneggiava a lavoro.

La neve aveva preso a scendere più fitta.
Diana aprì l’ombrello per proteggersi dai fiocchi di neve che le si stavano incastrando tra i capelli inumidendoli.
La morsa di nostalgia le fece alzare lo sguardo alla finestra di quella che era stata la sua camera da letto, dove le parve di scorgere una flebile luce soffusa e una sagoma indistinta ferma dietro al vetro.
Diana sbattè le palpebre con il cuore in gola.
Si era già fatta fregare una volta da un ragazzo che la osservava da dietro una finestra.
In un attimo, la luce si spense.

Diana sbattè di nuovo le palpebre più velocemente, come per potersi capacitare di ciò che i suoi occhi avevano messo a fuoco.
La sua mente le stava sicuramente giocando dei brutti scherzi!
Lui non poteva essere lì! Come avrebbe potuto entrare?
Diana si maledì mentalmente e si ricordò che Fred era un mago pronto a buttare giù porte senza alcun problema.

Rimase pietrificata: la sua mente le gridava di andarsene perchè non aveva senso rivederlo e perchè si sarebbe solo fatta del male, ma ogni fibra del suo corpo formicolava per la curiosità di sapere se Fred fosse davvero lì, a pochi metri da lei.
L’angoscia del non sapere come comportarsi prese il sopravvento su di lei.
Le mani gelide iniziavano a sudare.
I brividi le percorrevano la spina dorsale.
Gli occhi le pizzicavano per le lacrime.
E da vera codarda quale era sempre stata, voltò velocemente i tacchi per trotterellare a passo malfermo verso l’auto di Aileen.
Richiuse l’ombrello, aprì la portiera con eccessiva foga, si lanciò sul sedile del passeggero spargendo neve dappertutto e sbattè la portiera con un tonfo.

- Diana?! - esclamò Aileen spaventata - stai bene? Sei pallida…sembra quasi tu abbia visto un fantasma!
- Partipartiparti! - la incalzò Diana agitandosi sul sedile e senza nemmeno prendere fiato.
- Ok, va bene! Calmati! - Aileen le rivolse un’occhiata risentita e mise in moto l’auto cercando di farsi largo tra pedoni e veicoli per immettersi nella carreggiata.

Diana scoccò un’ultima fugace occhiata a Victoria Street e lo vide.

Fred Weasley era in piedi nel bel mezzo della via che si guardava intorno spaesato, passandosi una mano tra i lunghi capelli rossi e con il petto che si abbassava e si rialzava freneticamente come se avesse corso, mentre i passanti lo superavano osservandolo con aria incuriosita.

Perchè era lì?
L’aveva vista?

Una piccola parte di lei era segretamente contenta, perchè se lui era lì, allora non l’aveva dimenticata.
Non si era già trovato un’altra ragazza come Diana stupidamente aveva temuto.

Ma che senso aveva esserne felice quando comunque loro due non avrebbero mai più potuto stare insieme?

Diana, improvvisamente abbattuta, si appoggiò tristemente al sedile.
Due lacrime le rigarono silenziosamente le guance, mentre Aileen partiva e Fred sembrava notare l’automobile mettersi in movimento.

 

 

°°°°°°°°

 

 

Quando Fred Weasley rincasò era molto tardi.
L’appartamento a Diagon Alley era avvolto dall’oscurità.
Fred identificò la sagoma del fratello che dormiva nella stanza accanto alla sua e zampettò il più silenziosamente possibile per cercare di non svegliarlo.

- Due passi per sgranchire le gambe, eh? - lo apostrofò con tono accusatorio la voce di George - mamma e papà stavano per chiamare gli Auror!
Fred sobbalzò e si fermò davanti alla stanza del gemello togliendosi la giacca umida e ripiegandola sull’avambraccio.
George si puntellò su un gomito e illuminò la stanza con la luce della bacchetta magica, seguendo ogni gesto di Fred con lo sguardo.

- Edimburgo? - ipotizzò il gemello.
- Edimburgo - si limitò a confermare Fred muovendo le dita delle mani intirizzite dal freddo per riacquistarne la sensibilità.

George sospirò e si mise a sedere sul letto.

- Si sono arrabbiati così tanto? - si informò Fred mascherando una smorfia di disagio e riferendosi ai genitori.
- Non tanto - rispose George stringendo le labbra e osservandolo con compassione - lo sanno…
- Sanno cosa? - domandò Fred appoggiandosi stancamente allo stipite della parte e incrociando le braccia al petto.
- Che stai ancora male per lei - andò subito dritto al punto George.

Fred raddrizzò le spalle per darsi un tono, quando invece, dentro di sè, si sentiva ironicamente messo a nudo.

- Lei? Lei chi, Georgie? Io sto benissimo! Ho solo portato un mazzo di fiori a Karen… - si affrettò a giustificarsi Fred fingendo la più totale indifferenza, anche se sentiva un vago dolore irradiarsi al centro del petto.
George sbuffò roteando gli occhi al cielo, spazientito: - Sì, come no… - si rimise sdraiato e spense la bacchetta bofonchiando: - Buonanotte, Freddie…

Fred rimase fermo, immobile, ad osservare il buio di fronte a sè perdendo la cognizione del tempo e dello spazio.

- George… - mormorò Fred infrangendo il silenzio con un impeto di sincerità - penso di averla vista…ed era così reale! Ho pensato davvero che fosse lì! E poi è sparita come un fantasma! Dici che sto impazzendo?

Fred fece una pausa in attesa di una risposta da parte del gemello, ma tutto ciò che ebbe fu solo un lento e regolare respiro.

George si era addormentato.

Fred abbozzò un malinconico sorriso e si diresse mestamente verso la propria camera sussurrando tra sè e sè: - Buonanotte, George…


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Buonasera!
Pensavate di esservi liberati di me? E invece no XD
"Black hole" si è conclusa esattamente un mese fa e nei giorni scorsi, complice il tempaccio e un'ondata d'ispirazione, mi è saltato in mente questo tristissimo capitolo post titoli di coda! Ormai lo sapete che nelle cose tristi ci sguazzo allegramente e quindi...eccolo qua!
A risentirci! (Non sia mai che mi vengano altre botte d'ispirazione xD)
❤️

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