Destino

di EllyPi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sogni ***
Capitolo 2: *** Brutte notizie ***
Capitolo 3: *** Eredità ***
Capitolo 4: *** Accoglienza ostile ***
Capitolo 5: *** Risveglio ***
Capitolo 6: *** Incontro ***
Capitolo 7: *** Erede di un destino crudele ***
Capitolo 8: *** Padre ***
Capitolo 9: *** Confronto ***
Capitolo 10: *** Imparare a conoscersi ***
Capitolo 11: *** Conciliare ***
Capitolo 12: *** L'Ordine dei Cavalieri ***
Capitolo 13: *** Viaggio ***
Capitolo 14: *** Il Consiglio degli Anziani ***
Capitolo 15: *** Ufficializzare ***
Capitolo 16: *** Maeve ***
Capitolo 17: *** Utile alleato ***
Capitolo 18: *** Eredità antica ***
Capitolo 19: *** Rivolte e rappresaglie ***
Capitolo 20: *** Chi è il nemico? ***
Capitolo 21: *** Fantoccio ***
Capitolo 22: *** Ostaggio ***
Capitolo 23: *** Il grande drago rosso ***
Capitolo 24: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 25: *** Attentato alla vita ***
Capitolo 26: *** Mandanti ***
Capitolo 27: *** Un piccolo passo in avanti ***
Capitolo 28: *** Primo incarico ***
Capitolo 29: *** Uova di drago ***
Capitolo 30: *** Nemici nell’ombra ***
Capitolo 31: *** Una casa per le uova ***
Capitolo 32: *** Promessa a due amici ***
Capitolo 33: *** Piccolo aiutante ***
Capitolo 34: *** Ricelebrazione ***
Capitolo 35: *** Una lady e il suo lord ***
Capitolo 36: *** Un anno dopo ***
Capitolo 37: *** In viaggio verso il Farthen Dûr ***
Capitolo 38: *** Orik ***
Capitolo 39: *** Un nuovo Cavaliere ***
Capitolo 40: *** Un drago selvatico ***
Capitolo 41: *** Inganni e alleati ***
Capitolo 42: *** Primo volo ***
Capitolo 43: *** L'idea di Murtagh ***
Capitolo 44: *** Cordoglio ***
Capitolo 45: *** Separarsi di nuovo ***
Capitolo 46: *** Maternità ***
Capitolo 47: *** Aiuto e segreti ***
Capitolo 48: *** L'astio di Roran ***
Capitolo 49: *** Premonizioni ***
Capitolo 50: *** Fratelli ***
Capitolo 51: *** Per la gioia della corte ***
Capitolo 52: *** Addestramento ***
Capitolo 53: *** Visita a Carvahall ***
Capitolo 54: *** Una lunga assenza ***
Capitolo 55: *** L'eccitazione di essere a casa ***
Capitolo 56: *** Cavaliere elfo ***
Capitolo 57: *** Appoggio fraterno ***
Capitolo 58: *** Sorellina ***
Capitolo 59: *** Doveri ***
Capitolo 60: *** In volo ***
Capitolo 61: *** Precauzioni ***
Capitolo 62: *** Imboscata ***
Capitolo 63: *** Delegazioni ***
Capitolo 64: *** Reclamare la sua vita ***
Capitolo 65: *** Una moglie forte ***
Capitolo 66: *** Proposta di fidanzamento ***
Capitolo 67: *** Notizie da Alagaesia ***
Capitolo 68: *** Una buona signora per il castello ***
Capitolo 69: *** Fantasmi ***
Capitolo 70: *** Dras-Leona ***
Capitolo 71: *** Tra le braccia del nemico ***
Capitolo 72: *** Doppiogiochiste ***
Capitolo 73: *** Esperienze di viaggio ***
Capitolo 74: *** Incontri marittimi ***
Capitolo 75: *** La fine dell'idillio ***
Capitolo 76: *** Ritorno ***
Capitolo 77: *** Hrothgar ***
Capitolo 78: *** Ombre su Aberon ***
Capitolo 79: *** Il segreto di Maeve ***
Capitolo 80: *** Errare ***
Capitolo 81: *** Angela ***
Capitolo 82: *** Segreto svelato ***
Capitolo 83: *** La spia ***



Capitolo 1
*** Sogni ***


“Che cosa faremo della prigioniera, Sire? La stiamo torturando ma da lei non vogliamo informazioni, non ci serve viva eppure non la stiamo uccidendo…” ebbe il coraggio finalmente di dire la figura alta e slanciata, esplicitando i suoi dubbi e i suoi timori che tanto lo tormentavano.  Cercando di non farle trapelare, le travestì in una frase di circostanza tra padrone e fedele servitore. In realtà ogni volta che pensava alla prigioniera avrebbe voluto urlare, non mantenere la calma fingendo distacco. La figura seduta al tavolo squadrò il ragazzo alto con occhi neri e vispi, replicando: “Ho in mente una festa per lei sgradevole, che la segnerà a vita.”
Se dimostrare apertamente le reazioni in volto non fosse stato rischioso, il ragazzo dagli occhi azzurro-ghiaccio avrebbe sfoggiato l’espressione più confusa di cui fosse stato capace. Ma non poteva. Con il re, tuttavia, non bisognava chiedere spiegazioni: adorava parlare con il suo servitore, per ottenere informazioni bastava aspettare.
Finalmente dopo un sorso di vino il re proseguì: “Ho intenzione di renderla una di noi, farla rimanere per sempre qui a corte, è una principessa dopotutto. É già educata alla vita nobiliare”

Da un lato sentire che la sua amata - segretamente - sarebbe rimasta per sempre a coorte rendeva il pensiero del futuro meno amaro. E al contempo aumentava il suo malessere. Sapeva che avrebbe significato costringerla ad una vita che non vorrebbe, in gabbia, prigioniera senza catene del nemico. Era nata principessa, ma aveva scelto di combattere l’oppressione di un tiranno ed essere libera, o morire tentando di esserlo. Non avrebbe mai accettato la sua vita a corte con Galbatorix. “Sono convinto che si toglierebbe la vita non appena avrebbe l’occasione” risposte il ragazzo.
“Non lo permetterei mai. Se si venisse a sapere che la sua vita è a corte l’esercito dei Varden si scioglierebbe in preda alla delusione e smarrimento per perdita del benamato capo.”

“Oppure ce li troveremmo sotto le mura, potendo così combatterli in aperta battaglia e sconfiggerli una volta per tutte” commentò il ragazzo pensando di aver intuito quale fosse il piano del suo tiranno.
“Esatto. In entrambi gli scenari ristabiliremo l’ordine e il benessere nel regno” rispose il re sorridendo. I suoi sorrisi avrebbero convinto chiunque a sposare la sua causa, o comunque a credere alle sue belle parole ma che altro non erano che delle menzogne camuffate. Ma il ragazzo lo sapeva, era abituato. Era già caduto nella sua trappola verbale una volta, e si era ripromesso di non commettere lo stesso errore una seconda volta.
“Non dovremmo smettere con le torture, dunque? Una principessa con cicatrici e denutrita non farà la sua figura a corte, e stenteranno a credere che si tratti di lei.” commentò il ragazzo, cercando di tornare sull’argomento che gli stava a cuore, più che il finto ordine millantato dal re.
“Sì, forse è vero. Ho intenzione di destabilizzare la forza d’animo della ragazza con un ultima tortura, forse la peggiore per una creatura che ha così a cuore la sua libertà”
Il re concluse la frase guardando il ragazzo che aveva di fronte con uno sguardo complice, maligno e divertito. Il cavaliere era molto confuso, forse più di prima.
Stavolta sta tramando qualcosa di grosso, Amico Mio… non mi piace come ti ha fatto sentire il suo sguardo e il suo tono di voce…, commentò una voce nella sua testa, nell’angolo più recondito e nascosto che erano riusciti a ritagliarsi di nascosto alle esplorazioni del re.
Lo so… temo per lei…

“Ora va’ a cambiarti, e indossa qualcosa di elegante dopo il bagno. Stasera sarà divertente” gli disse il sovrano, con lo stesso sorriso di prima. Il ragazzo rabbrividì e si costrinse ad uscire dalla sala, sotto gli sguardi d’odio a lui sempre riservati dagli altri nobili per essere il figlio di un Rinnegato, un nobile di alto rango, ma soprattutto per essere l’unico a sedere al tavolo del re, ad essere il più amato e fedele servitore reputato dal sovrano stesso. Se solo avessero saputo che il prezzo da pagare per essere lui era la perdita di libertà assoluta e forzata da un giuramento strappato grazie al suo Nome. Se solo avessero saputo che dannazione fosse essere tanto bello quanto carismatico da essere stato scelto per missioni segrete, segreti scomodi e torture da infliggere persino alla persona amata, le nobildonne non lo avrebbero guardato sempre con i loro sguardi civettuoli e invitanti alla fedifraghìa…

Ma lui era Murtagh Morzansson, bello e dannato, invidiato e odiato, servo fedele di un tiranno. Era nato da un seme maledetto, e non sarebbe potuto morire altrimenti…

 

Scese le scale che conducevano alla cella, come tante sere aveva fatto in compagnia del sovrano, anche se quella volta era solo. Gli era stata consegnata una sottoveste in seta gialla per rendere la prigioniera presentabile al cospetto del sovrano, e il compito di curarla era stato passato a lui dopo che l’addetto precedente era stato ucciso dalla stessa con un cucchiaio rubato ed affilato piantato nel collo del carceriere. Murtagh non poteva che essere orgoglioso di lei per questo, anche se temeva profondamente per le sicure ripercussioni del suo coraggioso gesto. Arrivò in fondo, aprì la cella trovando la prigioniera sulla sua pietra legata e addormentata. Doveva essere sprofondata in un sonno ristoratore dopo le ultime torture ed era tanto il bisogno di riposo del suo corpo da non farla risvegliare come al solito al rumore della pesante porta. Il cavaliere la scosse per destarla delicatamente, ma lei sussultò comunque e il ragazzo non la imitò per poco, nonostante si fosse spaventato per la reazione della bellissima ragazza. “Sei tu…” sussurrò lei cercando con i suoi occhi a mandorla e ambrati quelli del ragazzo. C’era sempre qualcosa di tenero nei suoi sguardi, ma mai di pietà nei suoi confronti. A volte erano tristi, come quelli dei cani al guinzaglio, ma di certo lo sguardo azzurro-ghiaccio del ragazzo non dimostrava altro. Le indicò senza lasciar passare troppo tempo la tunica, ma non parlò come al solito per non incorrere in punizioni del sovrano. Temeva più che punissero lei al posto suo per la sua insolenza nell’averle parlato, poiché lei avrebbe risposto. “Se posso… perché una tunica nuova?” chiese lei con un filo di timore nella voce. Un abito nuovo poteva voler dire che la guerra era persa, e che la sua prigionia fosse ormai inutile. Il cavaliere iniziò a slegarle i polsi e le caviglie, senza rispondere anche se avrebbe voluto urlare, piangere, morire pur di sottoporla a un imminente ma sconosciuto ultimo torto. Le prese le caviglie con una mano e le cinse le spalle con il braccio libero, mettendola delicatamente seduta e sorreggendola. Nonostante la sua forza di volontà e il suo orgoglio era senza forze, il corpo segnato dalle torture e magro, la sua pelle di un marrone un tempo caldo era smorta e giallastra. Quando vide nei suoi occhi che probabilmente la testa aveva smesso di girarle le prese una mano e l’aiutò ad alzarsi, le poggiò la veste pulita in mano e l’accompagnò verso il catino con l’acqua che qualcun altro aveva già riempito. Lei esitò, guardando prima la vasca e poi il ragazzo. Se fosse stata meno provata fisicamente sarebbe arrossita ma non le rimanevano forze e sangue per reazioni superflue come quella. Lui capì e sempre tenendole la mano voltò la testa. “Potrei ucciderti come la guardia” disse tornando in sè, recuperando un barlume di grinta leonina che non le era mai mancata. Lui la bloccò per un istante con la magia, facendole percepire che non era facile uccidere di sorpresa un Cavaliere dei Draghi. Lei più docile si spogliò sorreggendosi a lui, fece il bagno e si rivestì.

“Ho terminato, grazie per avermi aiutata” disse quando ebbe finito, accorgendosi di aver stretto la mano del cavaliere per tutto quel tempo, forse anche con forza mentre si alzava dalla vasca e si rivestiva. Ogni piegamento era un giramento di testa e la mano del cavaliere era salda, e la sua galanteria aveva fatto sì che non si voltasse minimamente a guardarla, nonostante sapesse delle sue occhiate furtive quando si erano incontrati nel Farthen Dur. La destò dai suoi pensieri tirandola delicatamente di nuovo verso il suo giaciglio di pietra. La aiutò a rimettere le gambe che le sembravano dei macigni sopra la tavola, e iniziò a legarle di nuovo le caviglie, quando fu fermato da un ordine del re: “Non serve, sarà necessario che la nostra ospite stasera stia in piedi”. Senza mostrare confusione ed esitazione slegò quel poco che era stato legato e la tirò in piedi, stavolta senza aspettare che finissero i capogiri. Nasuada cadde, e venne afferrata dal Cavaliere, che la tirò in piedi delicatamente e la sorresse per un gomito.

“Ripulita e con una veste non stracciata vedo la bellezza che decantano tutti di voi” disse il re con tono suadente. Le nobildonne della corte normalmente sarebbero quasi svenute ad un complimento in tale voce del re, ma la ragazza si accigliò. “Vorrei sapere il perché di tutto questo” disse infastidita lei. “Ho deciso di prenderti alla mia corte, principessa”

“Non ho intenzione di farlo. Preferisco rimanere qui nelle segrete piuttosto che comportarmi da dama beneducata sorridendo falsamente e gioendo ai vostri discorsi di pace utopica!” disse lei concitata. Se fosse stata in forma avrebbe urlato, ma quello che uscì fu poco più di un sibilo.
“Per accoglierti però devo darti un titolo. Perciò stanotte unirò te e il figlio del mio caro amico in matrimonio” concluse spostando lo sguardo su Murtagh e facendo il sorriso di chi ti fa un regalo, voluto o meno. Il ragazzo non riuscì a rimanere impassibile, aprì la bocca per dire qualcosa che non uscì, si guardò incredulo l’abito elegante che aveva indossato, senza sospettare nulla, diventando complice ignaro di un torto alla ragazza che amava. “Non ci sono testimoni, non è un’unione valida!” disse lei, il tono leggermente acuto e agitato, sentendosi come una tigre mentre la chiudono in gabbia. “Quale miglior testimone del sovrano del paese?! Nessuno potrebbe obiettare la validità della mia parola. Ora iniziamo: Murtagh prendile la mano sinistra nella tua”

La mano del ragazzo si mosse sotto l’impulso invisibile della magia del re, ma la ragazza non poteva sapere che lui era tanto incredulo quanto lei, non finché non fosse riuscito a proferire parola, ma ogni secondo era sempre più incredulo. Il re aveva legato loro i polsi con un nastro bianco, e stava già chiedendo al cavaliere di ripetere i voti nuziali, non avendo lui imparatoli a memoria. Il re fece pronunciare a forza i voti a entrambi, il volto di Nasuada era rossa di rabbia nel sentirsi le labbra muoversi e pronunciare frasi che mai avrebbe voluto pronunciare in prigionia. Aveva sposato una causa, ottenendo il posto di suo padre nonostante fosse una donna, la ascoltavano, avevano timore e soggezione di lei. Mai si sarebbe aspettata di essere costretta a sposarsi. Trattenne le lacrime che le gonfiavano gli occhi appena e lasciò che il re pronunciasse “Bene, miei cari. Ora siete uniti in matrimonio per il resto della vostra vita. D’ora in poi Nasuada apparterrà al mio fidato servo Murtagh figlio di Morzan.” prima di scoppiare in lacrime quando si rese conto dell’ultimo schiaffo morale, di essere possessione di un uomo secondo l’usanza della capitale. Almeno se si fosse sposata secondo le usanze del suo popolo avrebbe mantenuto la sua dignità da individuo, avrebbe avuto potere decisionale su se stessa e sulla sua casa. La capitale e in generale il Centro di Alagaesia - a differenza del Sud e del Nord - erano abitati da popolazioni patriarcali e le donne non erano nulla se non un possedimento capace di procreare eredi. Pianse, senza pensare al contegno, ma il re se n’era già andato lasciando loro il compito di consumare il matrimonio, ma nessuno dei due giovani sembrava propenso, l’una per la rabbia e la debolezza fisica, l’altro per l’incredulità e la delusione in sè stesso per non aver capito prima in cosa stava architettando il crudele sovrano nei confronti della povera ragazza. Nasuada cadde in ginocchio singhiozzando rumorosamente, destando Murtagh dal suo intorpidimento. Si abbassò e le mise un braccio attorno alle spalle. Lei alzò gli occhi, andando a incrociare i suoi. “Tu, lo sapevi?” chiese in un singulto. Lui scosse la testa e la fissò negli occhi con sguardo dolente, riuscendo sorprendentemente a farla calmare. Poteva ancora fidarsi di lui, non era partecipe di quell’affronto. “Mi dispiace” disse lui con voce roca, con un nodo alla gola dovuto alla vista della sua amata in lacrime disperate. Nei suoi sogni più reconditi in cui la sua mentre lo illudeva con un’utopica loro unione non v’era mai stato dolore. Ma la sua vita era dolore e dannazione perché lui era il figlio di Morzan, Cavaliere del drago Castigo e dalla spada rossa Miseria come il sangue…

 

Murtagh si risvegliò nel suo letto di paglia di colpo. Faceva spesso quel sogno. Il suo sonno era negli ultimi tempi tormentato dalla figura dell’unica ragazza che avesse mai amato e che aveva abbandonato.

 

Calmati…, intervenne il suo Compagno.

Non è facile…

Lo so, vorresti essere con lei, ma nessuno ci accetterebbe. E finirebbero con la sfiducia anche verso di lei… e tu la ami, non le toglieresti mai quello che ha ottenuto con tanto sangue e sofferenza…

No, non tornerò mai da lei in nome dell’amore che provo… lei non merita di stare con un uomo rotto e rinnegato…

 

Dopo la sconfitta del re era partito, per ritrovare se stesso, per lavare via le lordure della sua anima, per fare un favore a Nasuada e sparire dalla sua vita, con il suo nome dannato e le sue azioni maledette e i suoi voti nuziali strappati con la forza. Ansimava nel letto, sua moglie era il suo unico vero amore, l’unica persona capace di fargli mettere in secondo piano se stesso. Sua moglie ora era regina, aveva vinto la sua causa per cui era stata tanto coraggiosa e tenace, stava risistemando una nazione da troppo governata da un sovrano usurpatore. Era lontana, gli mancava così tanto, eppure sapeva che non esistere fosse un bene per Nasuada. Ma soprattutto era un bene che dopo la morte del re nessuno sapesse del loro matrimonio segreto.

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Capitolo 2
*** Brutte notizie ***


Si svegliò quella mattina, uscì dalla sua grotta e andò a lavarsi al ruscello. L’acqua fredda che sgorgava poco più a monte lo risvegliava per le giornate di lavoro dopo notti insonni, piene di incubi del fantasma della ragazza che ama. Indossò i suoi abiti da cittadino comune di un villaggio di montagna e si avviò verso il campo dove stavano facendo il raccolto per l’inverno. Non aveva mai vestito abiti comuni nella sua vita, era nato in una tenuta di proprietà di suo padre vicino a Dras’ Leona, con un titolo nobiliare probabilmente donato all’uomo che l’aveva generato dal tiranno Galbatorix. Non sapeva molto di suo padre, sapeva ancora meno di sua madre, poche notizie sulla sua provenienza nordica dategli dal suo fratellastro Eragon quando avevano scoperto la parentela. L’unica volta che aveva abbandonato la sua camicia era stata la sua fuga dalla Capitale, quando aveva incontrato il Cavaliere del drago blu, si era unito ai Varden e aveva incontrato la principessa Nasuada. L’unica persona che avesse mai amato oltre al suo drago Castigo. Prese la falce e iniziò il suo lavoro che sarebbe durato tutto il giorno e si abbandonò al movimento ritmico. Ma ormai la sua mente era tornata sui ricordi, aveva riaperto un vaso esplosivo…

Si chiese come stesse il suo fratellastro, se fosse riuscito a trovare un posto adatto a draghi e Cavalieri, anche se non aveva saputo di uova schiuse né di lui. In quel villaggio ci si dimenticava facilmente dei problemi, nessuno parlava di nulla se non di lavoro e di campi. Mai una notizia dal mondo esterno, né dalla capitale né dai territori sconosciuti. Ma Murtagh Morzansson aveva cose tremende da dimenticare, da elaborare per lasciarsi alle spalle. Forse non sarebbe bastata la sua vita pluricentenaria da Cavaliere per superare tutto. Arrivò ora di pranzo in quello che sembrò un baleno al ragazzo dagli occhi azzurro-ghiaccio. Poteva non essere nessuno lì, ma quegli occhi è difficile non notarli. Nessuno voleva sedere con lui, pensavano tutti potesse stregare con lo sguardo da stregone del Nord. Se solo fossero stati più colti da sapere che non si può maledire con gli occhi. O meglio, lui poteva, era un Cavaliere ma nessuno sapeva chi fosse prima di arrivare a Mrest o dell’esistenza di un drago rosso nelle grotte nelle montagne sopra al villaggio. Non gli dispiaceva la solitudine, aveva sempre Castigo nella sua mente. Era il moderatore di pensieri, la sua fonte di tranquillità quando era irrequieto a causa del suo passato. Non sarebbe mai sopravvissuto senza il suo drago. Si mise vicino ad un pozzo a mangiare la zuppa del giorno. Intorno non c’era nessuno.
“Fratello. Sei lì?” sentì una voce dire. Non c’era nessuno intorno, in più riuscì a percepire chiaramente una scia magica nei paraggi. Che cosa poteva essere?, si chiese.

“Murtagh.” di nuovo la voce. Non poteva essere, aveva usato il suo nome. Quasi era difficile rispondere a quel nome, voleva che non gli appartenesse più. Eppure rispose, come se tutti quei mesi passati in anonimato fossero stati spazzati via da un refolo di vento.
“chi..?” chiese, accorgendosi che la voce provenisse dal pozzo. Uno specchio d’acqua per la divinazione!

Si affacciò cercando di dimostrarsi disinvolto, timoroso che qualcuno potesse accorgersi del suo comportamento anomalo. Vide il volto di Eragon, con un filo di barba e il suo cuore perse un battito. “Eragon! Come mi hai trovato?” chiese sottovoce, anche se non riuscì a non celare la contentezza nelle sue parole. “Nelle nostre vene scorre se non lo stesso, parte del medesimo sangue. É stato difficile ma alla fine ce l’ho fatta a raggiungerti. Devo darti una cattiva notizia” disse il ragazzo con tono amaro.
“Cosa succede?” il suo cuore perse un battito.

Anche se Alagaesia dovesse tornare un regno governato da un tiranno non mi preoccuperebbe, anche se significherebbe che Nasuada è morta, pensò.
“So quanto tieni a lei…”, il cuore di Murtagh perse un battito per davvero a quella frase, “mi è giunta voce che Nasuada sta male. Dicono che non sopravviverà a lungo. Ecco io… ho pensato che…”, riferì il Cavaliere blu con dolore.

“Dove si trova?!” chiese Murtagh agitato. Parecchi dei presenti nella piazzetta si erano voltati a guardare un ragazzo parlare in un pozzo.
“Credo si trovi da nostro cugino Roran. Non so perché rifugiarsi da lui per una malattia. Quando gli pongo delle domande riguardo Nasuada non risponde. So solo che la sta assistendo Katrina.”

“Ma non è un medico. Rimanere nella capitale sarebbe stato più logico, vista la grande concentrazione dei migliori guaritori! Sarebbe stata anche più vicina per raggiungerla!”, si lamentò Murtagh.
“Fratello, ho promesso di non tornare più in Alagaesia, anche se si tratta di una carissima amica…”, iniziò l’immagine di Eragon ma venne interrotta da Murtagh: “Non importa, andrò io da lei, e farò del mio meglio per salvarla, a costo di scambiare la mia per la sua vita. Per il bene del paese e per la pace. É necessario che la nuova regina non muoia a meno di un anno dalla sua elezione. Parto ora, ci risentiremo fratello!”. Cercò invano di non dimostrarsi preoccupato ed eccessivamente legato alla regina, anche se credeva che già il fratellastro potesse aver intuito l’attrazione tra il Cavaliere rosso e la giovane donna dalla pelle d’ebano. Partì a falcate verso la montagna, avvertendo il drago con la mente nonostante Castigo avesse già percepito tutto, la preoccupazione, il calore nel cuore che non sentiva da tanto, la paura di perdere la sua amata…

 

Salì sul dorso di Castigo, dopo aver rimesso la pregiata sella sul suo Amico per la prima volta in tanti mesi. Volare invece era qualcosa che facevano quasi ogni notte, dopo ogni risveglio da un incubo del Cavaliere. Castigo lo cullava con il volo, gli infondeva ricordi rilassanti.

Quel volo però non fu rilassante, Murtagh era spaventato come non mai. Castigo non osava dirgli nulla, sapeva quanto fosse importante per un individuo come il suo Cavaliere rimuginare sulle sue sensazioni e sui sentimenti. Per troppo li aveva repressi, e da quando poteva essere libero di esprimersi e di sentire, si era ritrovato ad essere incapace di sopportare emozioni forti. Il drago lo aiutava ogni volta ad elaborare, ma stavolta sentì di doverne stare fuori.

 

Perché Roran?, chiese ancora Murtagh, stavolta al suo Compagno. Usavano ancora quello spazio recondito nella mente di entrambi per comunicare. Era stato il loro unico spazio veramente libero a disposizione ed era rimasto dopo la liberazione affettuosamente il canale principale per la loro comunicazione.
Non saprei… sono diventati amici durante la guerra, lo ha nominato Conte di Carvahall, Protettore del Nord… Oppure forse in nome della parentela con Eragon si sente più sicura là…

Lo stomaco del Cavaliere non era mai stato tanto in subbuglio, aspettavano loro sette giorni di volo con poche pause, oppure dieci riposando. Sapeva che Castigo avrebbe fatto il possibile per arrivare il prima possibile, ma non era invincibile nemmeno un drago. In più erano partiti senza provviste, senza un soldo.

Saremo costretti a fermarci a metà strada…, commentò Murtagh valutando le opzioni con il suo Amico.

Dove hai intenzione di fermarti? Là ci conoscono e nessuno vorrà aiutarci…

Andremo nel castello di mio padre e finalmente pretenderò ciò che è mio. Prenderò abiti, denaro, ci rifocilleremo nei miei possedimenti. Non potranno dire no al loro duca, commentò Murtagh scontento all’idea di tornare dopo tanti anni nel luogo di tanta sofferenza, anche se per arrivare da Nasuada.

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Capitolo 3
*** Eredità ***


La prima cosa che videro all’alba fu il lago di Dras’ Leona, poi la città. Infine su una roccia in una lingua sul lago le torri del castello di mattoni rossi di Morzan. Il castello era in realtà tutto scavato nella roccia, e ricoperto di mattoni rossi. Voci popolari della zona dicevano che il duca Morzan volesse rendere il castello rosso con una pittura al sangue, ma che Galbatorix lo avesse convinto a ricoprirlo di mattoni rossi all’esterno e arazzi vermigli all’interno, come ricordava Murtagh. Il castello era stato ricostruito pensando all’ingresso di un drago, perciò per Castigo non fu difficile atterrare al centro di quella che sembrava essere una piazza nel castello. Non c’era nulla di gradevole in quell’edificio, era incombente, opprimente e reso ancora più inquietantemente rosso dai raggi dell’alba sui mattoni già color sangue. Murtagh smontò dal drago, lasciandolo libero di andare a caccia nelle tenute del castello attorno al lago.
Bene, entriamo. Forza e coraggio, Murtagh…

Si stupì nel dirigersi verso il portone automaticamente, nonostante avesse vissuto solo tre anni della sua infanzia in quel luogo. Evidentemente le abitudini dell’infanzia non si scordano mai…
Bussò con il pesante anello d’oro raggirante una testa di drago. Ad aprire lo spioncino fu un vecchio, probabilmente faceva già il custode quando era bambino e dalla morte di suo padre non era mai stato sostituito, il re si occupava della gestione del castello in sua vece, anche se in realtà si limitava a riscuotere le tasse dei raccolti dei territori del castello e a mandare a deposito spade e armature nelle segrete. “Chi siete? Cosa volete, questo castello è ormai senza padrone” chiese l’anziano. Murtagh si passò una mano tra i capelli e sugli occhi, per riprendere un aspetto decente dopo il viaggio. “Sono Murtagh Morzansson, erede di questo posto. Aprite le porte e accendete i fuochi, ho bisogno di ripartire al più presto” disse Murtagh con un velo di amarezza nel proclamare il suo nome per reclamare la sua eredità.
“Ma certo. Quegli occhi non si scordano. Ma per sapere se siete veramente il piccolo Murtagh cresciuto fatemi vedere la…”
“Schiena con la cicatrice, certamente. É questa, inflittami dal mio stesso padre. Ora aprite e riportate alla vita questo posto, è più tetro di quanto non sia la struttura in sé.”, ordinò il ragazzo seccamente dopo essersi abbassato la camicia. Conosceva la gente del posto e i vecchi servitori di suo padre. La gentilezza e la permissività con loro non erano l’approccio corretto per governare un castello senza essere pugnalati alle spalle o derubati. Odiava tuttavia essere così. Eppure perché gli veniva tanto naturale? Era il sangue nelle sue vene, o ancora una volta le lezioni imparate da bambino a tornare a galla? Era come suo padre veramente dopotutto… tutti quei mesi a cercare di cancellare un’attitudine alla violenza e alla cattiveria innata. Eppure se si trovava lì era per salvare la sua amata, pronto a scambiare la sua vita per quella di Nasuada…

 

Camminando nella sala grande vide figure non più così giovani emergere timidamente dalle arcate della lunga stanza. In fondo, il trono su cui sedeva suo padre. Un trono per un duca era sempre stata un’idea che lo faceva ridere: non era un re. Suo padre amministrava territori, non governava. Anche se era quello che tanto bramava e invidiava al suo vecchio amico Galbatorix che si era preso il potere tutto per sé, lasciandolo con il titolo di duca e con missioni da servitore unico e fedele. Lo riconobbero subito, si inchinarono man mano che il Cavaliere percorse la sala.

“Ho bisogno di abiti nuovi da rappresentanza, fatemi strada nelle mie stanze” ordinò, dubitando della sua bontà a ogni parola pronunciata con tanta durezza. Una ragazza, forse la figlia di qualche servitore superstite lo accompagnò mandandogli continue occhiate. Era abituato e per nulla lusingato. La sua bellezza una volta da ragazzo di primo pelo lo rendeva il più desiderato della corte, dandogli a sua disposizione tutte le ragazze che volesse. Ma dopo aver incontrato Nasuada nessuna altra figura di sesso femminile gli era più interessata, nessuna che avesse anche solo risvegliato il suo interesse nell’altro sesso. Il suo rifiuto sarebbe stato per la ragazza una grande delusione, perciò tagliò corto intimandole di smetterla, notando una certa differenza nell’atteggiamento della ragazza, da loquace e pieno di sorrisini a diretto e timoroso.
“Queste mio signore erano le stanze di vostro padre. Nelle vostre ci sono solo vestiti da bambino”, disse lei incrociando i palmi in grembo e fermandosi davanti ad un’immensa porta di mogano intagliato. Era sua madre a cui piacevano le decorazioni pregiate e il legno che le ricordavano il Nord…

 

Entrò nella stanza che si ricordava a malapena siccome vi era entrato poche volte e di nascosto essendogli interdetto l’accesso, una di quelle fu la volta in cui salutò sua madre sul letto di morte.
Prese un profondo respiro e si mosse verso l’armadio dietro il letto, sperando non fosse quello di sua madre. Trovò degli abiti, la maggior parte erano rossi, ricamati con draghi e battaglie. Ne mise alcuni in una bisaccia che portò l’anziano custode senza che l’avesse espressamente ordinato lui, ma fu sorpreso dell’efficienza del servizio dell’anziano. Suo padre doveva essere un padrone veramente severo ed esigente nei confronti della sua servitù.
Si fece preparare il bagno e ordinò la cena. Castigo ritornò dalla sua caccia proprio mentre il Cavaliere consumava il suo pasto in silenzio. Era da un lato contento di possedere un luogo in cui le porte erano aperte per lui a tutte le ore e poteva ordinare cibo e bagni caldi a suo piacimento, ma al contempo l’eredità di suo padre era amara come il ricordo delle sue azioni.

Hai avuto una caccia fruttuosa?, chiese al suo Compagno

Certo, anche se vedo che al duca Murtagh invece basta aprire bocca per avere tutto quello di cui ha bisogno, commentò acido il drago. Non gli era mai piaciuta la vita di corte, da nobile anche se era nato nella capitale. Avrebbe preferito essere libero, essere legato a una persona semplice, libera di andare dove vuole senza dover badare all’etichetta o a infastidire questo o quel nobile.
Non durerà per molto, ripartiremo domattina. Odio essere qui tanto quanto te, Amico Mio.

 

Quella notte dormirono accanto nella corte del castello. Murtagh non aveva intenzione di dormire nel letto di suo padre, e dormire nel suo lettino da bambino essendo un ragazzo anche piuttosto alto sarebbe stato scomodo. In più sentiva il malumore del suo amico nel vederlo impartire ordini e stargli accanto sarebbe stata la dimostrazione migliore di preferire lui alla vita agiata.
 

Nasuada si addormentò sfinita dal pianto tra le braccia del Cavaliere, il nastro bianco che legava i loro polsi non era ancora stato sciolto. “Non verrò mai la su, sappilo. Rimarrò qui nelle segrete per il resto dei miei giorni. E non permetterò che nessuno mi ordini cosa fare.”, gli disse appena prima di addormentarsi in ammonimento. Aveva un’ammirazione per lei anche per questo: mantenere il suo orgoglio e la sua dignità a ogni costo.
Guardò il muro di fronte a loro della cella, pensando a quanto tutto quello successo nell’ora precedente fosse assurdo. Dov’era Castigo? Perché non aveva ancora commentato, magari con quei suoi commenti sarcastici al momento sbagliato? O perché non aveva cercato di riportarlo alla realtà, seppur crudele, di ciò che era successo? Era un uomo sposato. Già da qualche ora probabilmente. Fuori la neve cadeva lenta, rendendo tutto maggiormente fuori dal tempo, quasi un sogno. Magari lo era. No: lui era lì, sposato con la donna dei suoi sogni ma con una sensazione amara nel cuore e la totale assenza di felicità. Era stato vederla piangere? Averla delusa? Illusa? Condannata ad un destino ignobile dal momento del suo rapimento fino al resto della sua vita?

No, la sua vita non sarebbe potuta finire lì. Doveva fare qualcosa, doveva mettere fine a tutto quello, finire quello che Nasuada aveva iniziato e che non poteva portare a termine perché tenuta prigioniera. Doveva cercare di divinare Eragon e di far entrare i Varden nel castello, nella città…
Si alzò poggiando la ragazza sul suo giaciglio duro, anche se avrebbe preferito farla riposare di sopra in un letto comodo di piume. Ma lei aveva espresso il desiderio di rimanere lì, e avrebbe fatto di tutto per lei da quel momento in poi…

 


Un altro risveglio affannato dovuto ad un incubo. Di nuovo quella sera di quasi un anno fa. Perché continuava a sognare quell’evento? Era un segreto da cancellare, dimenticare. Nasuada non era sua moglie, il re era morto, l’unico testimone di un’unione sbagliata. Nasuada avrebbe dovuto scegliere di sposare il partito migliore, non un duca per giunta regicida e voltagabbana. La loro unione era impossibile tanto sbagliata. Eppure se fosse rimasto tutto com’era, se Nasuada fosse stata costretta ad accettare la vita coniugale con lui…
Questo posto è malato, rende deviati anche i miei pensieri. Dobbiamo andare, Castigo.

Ripartirono all’alba, con una bisaccia di viveri preparata durante la notte dalla servitù e una di abiti per Murtagh. Ancora quattro giorni di volo per arrivare a Carvahall da Nasuada.

Speriamo di fare in tempo…

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Capitolo 4
*** Accoglienza ostile ***


Quattro giorni di volo dopo iniziarono a vedere i monti in lontananza nella notte. Murtagh aveva tentato di divinare il cugino, ma nessuno aveva risposto alle sue preghiere di essere aggiornato sulla salute dell’amata. Aveva solo scorto una bambina un pomeriggio giocare davanti al focolare, ma non si era accorta di lui. Aveva capelli ricci e rossi, di un rosso brillante, più tendente all’arancione rispetto ai capelli rossi della capitale, che erano sempre più scuri e sembravano sangue. La vista della piccola lo aveva messo a disagio, come sempre tutti i bambini creavano in lui quella sensazione. Come poteva un essere capace di violenza e crudeltà generare delle creature così fragili e così a lungo? Almeno i cuccioli degli animali a pochi giorni dalla nascita, se non subito erano capaci di badare a se stessi, scappare se necessario, camminare e cercarsi da soli del cibo. I bambini no: ci volevano anni prima della piena maturazione, della completa indipendenza. E se nasci dai lombi dell’uomo più crudele di Alagaesia come Murtagh il tuo destino crudele è segnato dalla nascita.

 

Scorsero un villaggio finalmente nell’ultima vallata ai piedi dei monti Beor. Non poteva che essere Carvahall: aveva una piazza con quelle che sembravano due case nobiliari: una più vecchia e tradizionale, l’altra nuova e più signorile seppure poco decorata. Una era la casa di suo cugino e l’altra di un certo Horst, anche lui dopo l’esodo del villaggio aveva aiutato molto nella Resistenza Varden. Sorvolarono in cerchio la città, il sole stava già tramontando. Forse nessuno intento a consumare la cena si era accorto del grande rettile rosso che volava nel cielo del villaggio. Castigo, spazientito dall’inerzia del villaggio, emise un ruggito in cielo. Murtagh avrebbe giurato di aver sentito paura provenire dalle case di legno e tegole sottostanti. Atterrarono con una manovra tutt’altro che dolce nella piazza, e Castigo cresciuto come era dovette contorcersi per atterrare senza distruggere nessun edificio o la statua al centro in onore di Eragon.
Fu in quel momento che vide per la prima volta suo cugino. Era un uomo molto simile ad Eragon, con muscoli massicci da lavoratore, occhi chiari del Nord, anche se non si capiva al crepuscolo di che colore fossero, anche a causa delle pupille dilatate.

 

“Sono Murtagh, sono venuto qui perché tuo cugino Eragon stesso mi ha allarmato della condizione di salute della regina Nasuada. Ti prego di dirmi: è…?”, chiese il ragazzo dai capelli corvini, non finendo la frase perché al sol pensiero della morte della regina, di sua moglie, della sua amata, gli morirono le parole in bocca.
“Non è morta, se quello che sei venuto a reclamare è un trono, traditore”, sputò avvelenato Fortemartello. In altre condizioni un’insinuazione così grave gli avrebbe regalato una spada nel cuore, ma Murtagh era talmente preoccupato e spaventato per le sorti della ragazza dalla pelle d’ebano da non riuscire a provare altre emozioni.

“Mi dispiace, ma la mia era una domanda da amico.”, non andò oltre quel termine, anche se avrebbe voluto poter gridare i suoi sentimenti verso la giovane, “Ci tengo veramente a lei.”

“Lei non ha chiesto di te. Noi non abbiamo chiesto a Eragon di mandare un traditore in aiuto, nemmeno se fosse il guaritore più abile del regno. Non ammetto questa intrusione, vattene”, concluse Roran quasi infastidito, facendo per voltarsi e rientrare.

“Almeno informatemi sulle sue condizioni!”, supplicò Murtagh. Il cavaliere non aveva mai supplicato in vita sua, nemmeno durante le torture. Ma Fortemartello si limitò a lanciargli un’ultima occhiata infuocata prima di rientrare.

Non aveva mai parlato con Roran, non ne aveva avuto l’occasione durante la Guerra. Sapeva tuttavia quanto fosse un’uomo dai modi asciutti, un bravo combattente anche se senza formazione nell’arte del combattimento, un contadino innalzato di rango. Il suo comportamento tuttavia era oltraggioso e scortese. Tutta quella strada per non ricevere nemmeno una parola di aggiornamento sulle condizioni dell’amata.
Decise di scandagliare con la mente la casa alla ricerca della bellissima fanciulla. Quando la trovò, stava dormendo, ma venne pervaso da un dolore acuto al ventre e tanta stanchezza. Influenze intestinali erano capaci di uccidere, senza fare differenze tra uomini comuni e regine. Per la prima volta dalla sua - e di Castigo - prigionia si trovò ad asciugarsi le lacrime che gli rigavano il volto. Valutò tutte le possibilità che gli rimanevano: intrufolarsi nella dimora, irrompervi con la forza e minacciare il conte di fargli vedere Nasuada, aspettare e informarsi dalle voci in paese della salute della regina, anche se dubitava che l’ultima avrebbe avuto successo poiché nessuno voleva mai svelare segreti a Murtagh Morzansson, Traditore.

 

Dimostra chi sei, e che tieni a lei, Amico. , gli intimò il drago. Effettivamente era l’unico modo per dimostrare la sua lealtà verso la giovane, se non il suo amore

A falcate che gli permettevano le gambe lunghe arrivò alla porta e bussò nuovamente.

“Non ho intenzione di andarmene senza averla vista, o aver saputo almeno come sta”, urlò alla porta. Da dentro sentì del frastuono, due voci, una maschile e una femminile che sembravano in disaccordo, parlavano veloci e concitate, senza pause alla fine della frase dell’altro. Doveva essere Katrina, intenta a convincere il marito a non aprire. Fu sorpreso invece il Cavaliere nel realizzare che fosse stato il contrario, quando fu una ragazza bendola ad aprirgli la porta.

“In questa casa decido io chi fare entrare e chi no. Un uomo che chiede condizioni di salute di un’amica non può essere in mala fede. Devi però giurarmelo nell’Antica Lingua, senza scherzi siccome la sto studiando e non è più così facile fregarmi come all’inizio.”, disse lei dolce ma al contempo dura, come ci si rivolge ai bambini capricciosi. Murtagh giurò e venne lasciato entrare nella casa. Era ancora spoglia, ma almeno aveva un grande tavolo fatto a mano e un enorme focolare. Nasuada non doveva soffrire il freddo, almeno.

“Sei entrato in casa mia, almeno vieni avanti dall’ingresso.”, borbottò Roran senza guardarlo.

“Smettila, non ti ha fatto nulla personalmente.”, gli rispose Katrina.

“Come sta?”, ribadì Murtagh già stanco delle loro litigate di coppia e delle frasi di cortesia che si aspettava di lì a poco. Voleva arrivare al sodo.
Katrina si sedette al tavolo dove stavano cenando con una zuppa, gliene off una ciotola, che lui rifiutò con un gesto siccome la fame era l’unica cosa che gli mancava vista la tanta preoccupazione. “É stabile. Anche se dorme ormai da parecchi giorni. Il peggio è passato, deve riprendersi. La sua vita è stata in pericolo, devo ammetterlo, ma ora sembra riprendersi piano piano.” disse finalmente Katrina mescolando ormai senza appetito la minestra.

“Magari posso aiutarla con…”, iniziò il Cavaliere interrotto ancora una volta bruscamente da Roran: “Non ha mai chiesto di te, del tuo aiuto o della tua presenza”.

“Da quanto tempo è qui?”, chiese Murtagh rompendo il silenzio gelido che si era creato. Aveva capito di doverci andare piano con suo cugino, ottenere le informazioni boccone per boccone. Non era abituato a tanta resistenza nel dare informazioni, se non durante le torture che il re lo costringeva a infliggere a lei per sapere i movimenti dei Varden durante la Guerra.

I due si guardarono fugacemente, esitanti. “Da qualche mese, il castello di Illirea è in ristrutturazione, la corte della regina si è dispersa, chi è tornata nei propri castelli, chi è ospite da amici o parenti, come nel caso della nostra regina”, disse alla fine la ragazza.

“Ed era già malata quando è arrivata?”, chiese il Cavaliere incalzando

Un altro sguardo tra i due coniugi e una risposta affermativa esitante. Cosa nascondono quei due? O stanno solo proteggendo informazioni confidenziali sulla regina? È il caso che sveli i miei sentimenti per lei, la mia fedeltà cieca dettata dall’amore che provo?

Il drago rispose alla sua riflessione. Nessuno si fiderà mai della fedeltà che dici di avere, sarai sempre un traditore per loro. Non metterti in ridicolo, ti prego. Sei comunque Murtagh, Cavaliere del Drago, uomo d’Onore anche se nessuno lo sa, a parte Nasuada.

Una donna scese le scale frettolosamente, chiamando Katrina. Murtagh intuì che dovesse esserci qualcosa da nascondere. Esitò con lo sguardo su Murtagh per un istante prima di seguire la ragazza dai capelli rossi su per le scale dicendole una frase che lasciò il Cavaliere congelato: “I suoi occhi…”

“Lo so, andiamo, alla svelta.”, sussurrò Katrina alla sua compagna imboccando le scale, cercando di non essere sentita, ignara che fosse impossibile non essere uditi da un Cavaliere dei Draghi.

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Capitolo 5
*** Risveglio ***


Murtagh passò i giorni successivi nel villaggio, ad aiutare contadini a ricostruire parti ancora mancanti di case, a macellare animali essendo un abile cacciatore e avvezzo alla pulizia delle carni, a esplorare i boschi sul dorso del suo drago. Lo guardavano tutti in modo schivo, erano restii a farsi aiutare da un cavaliere traditore, ma come sempre si finisce per mettere da parte i sospetti trasmessi dalle voci di altri e accettare un aiuto. In più conoscevano quasi tutti sua madre. Aveva saputo più di lei da anziani superstiti, della sua vita semplice, di Garrow e del loro padre Cadoc, discendente dai protettori del Nord prima che il re li destituisse.

Solo la sera entrava nella casa del cugino, per ricevere aggiornamento sulla salute della regina. Con la mente ogni tanto la raggiungeva e negli ultimi giorni aveva iniziato a sentire il dolore che provava la ragazza scemare. Era più sollevato, non gli avevano permesso di vederla, di aiutarla con la magia, ma almeno stava migliorando vistosamente gli dicevano. Nella casa c’era sempre imbarazzo nel toccare la salute della regina, gli veniva risposto che non avrebbero permesso di farle visita prima che fosse lei stessa a domandare di vederlo coscientemente.

 

Non sanno che l’ho aiutata, che non potrei mai farle del male?

Forse non vogliono ammettere che non sei il capro espiatorio a cui addossare le colpe, ma solo un ragazzo sfortunato che è stato costretto dalla magia a fare quello che ha fatto. Le persone semplici non sanno come funzioni la magia, cosa sia capace di farti., commentò serafico il drago. Era saggio, ma a volte sapeva sbattere la verità in faccia al Cavaliere con tanta violenza da sembrargli di ricevere un pugno allo stomaco.

 

 

Preoccupazione a parte, la vita nel villaggio non gli dispiaceva. Era tranquilla, semplice. Tutto il contrario di quella a cui era abituato a corte, piena di intrighi, false promesse, tradimenti e imbrogli. Sembrava anche che gli abitanti non fossero più così ostili nei suoi confronti. Il proprietario della casa di fronte a quella del cugino, Horst, si era persino offerto di ospitarlo in casa sua quando una sera l’aveva visto accoccolarsi al fianco del suo drago per la notte. Era la prima nevicata dell’inverno, e faceva piuttosto freddo, ma Murtagh era abituato e accanto ad un drago non faceva mai così freddo. I figli del fabbro, due gemelli della sua età, erano molto affascinati da lui, dalla sua vita alla corte, dalla sua spada e dal suo drago. Murtagh arrivò quasi a pensare che potessero essere amici. Non che sapesse cosa fosse un amico, da bambino tutti volevano i suoi favori per il futuro, venivano cresciuti per sfruttarlo dai genitori, da adulto non poteva fidarsi di nessuno. L’unica persona che poteva pensare ad un amico era Eragon, che era stato prima suo compagno che fratellastro. E Nasuada non era sua amica, non provava per lei amicizia. Tanta ammirazione come donna forte, ma fondamentalmente amore.

 

Non si può fingere amicizia quando ciò che provi va ben oltre…

 

Castigo nemmeno era suo amico, era il suo Compagno di sventure. Era parte fondamentale della sua vita. Castigo non era nulla senza Murtagh e viceversa.

Roran provava visibilmente risentimento gratuito nei suoi confronti, come se fosse stato Murtagh a bruciare il suo villaggio e uccidere suo padre, costringendolo alla fuga. Katrina era visibilmente volenterosa di stringere un legame più forte con lui, era cordiale e lo salutava sorridendo quando lo vedeva per strada, ma si tratteneva a volte dall’essere più che cortese con lui. L’aveva sentita dire al marito che voleva fargli fare un giro del villaggio assieme alla loro figlia, ma Fortemartello aveva categoricamente proibito alla piccola Ismira di interagire in alcun modo con il Traditore.

Odiava quell’appellativo. Era così ingiusto e ancora una volta derivava da azioni che non aveva voluto compiere. Ma le aveva commesse. Almeno il nome di traditore poteva meritarselo, l’odio gratuito per il suo nome invece no. Era quello che gli aveva sempre pesato di più. Per presentarsi doveva per forza nominare suo padre, da emissario del re era solo Morzansson per ordine del sovrano stesso, come se Murtagh - chi fosse lui - non importasse, doveva essere l’ombra di suo padre. Stava pensando alla sua sfortunata vita nei boschi innevati, quando Castigo lo raggiunse con la mente: Si è svegliata, non potrai ancora vederla ma è sveglia e sta bene, ha detto Katrina.

Il cuore perse per la seconda volta un battito. Il nodo perenne nelle sue viscere si sciolse, iniziò a correre senza nemmeno accorgersene, ritrovandosi imbambolato sotto la finestra della stanza della sua amata, a guardare schiene di persone che passavano davanti alla finestra. Per la prima volta c’era movimento in quella stanza, concitazione. A stento sentì una mano sulla spalla e una voce che gli diceva “Alla fine tutto è finito bene. La nostra regina è viva. E anche tu sei salvo per un po’…”. Era Roran, Murtagh non capì perché dovesse essere salvo lui, quando era lei in pericolo. Il Cavaliere non si rese conto subito che era il primo momento in cui il cugino, forse sollevato dalla guarigione della sua amica, si era approcciato a lui senza astio, addirittura con un filo di scherzosità nella voce. Entrò in casa, e invitò anche il Cavaliere, che non si mosse. Castigo emise un ruggito di gioia, e il frastuono portarono proprio lei, vacillante ad affacciarsi alla finestra. E il cuore del cavaliere perse il terzo battito della sua vita.

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Capitolo 6
*** Incontro ***


La mattina dopo al suo risveglio l’aveva trovata alla finestra, che guardava assorta i boschi imbiancati dalla neve caduta la notte precedente. I loro occhi si erano incrociati quando si era accorta di movimento nella piazza del villaggio. Aveva sorriso, lui aveva risposto. Tutto era così delicato, come la neve fresca, da poter essere illusione della realtà. Ma il corpo e la mente del Cavaliere rispondevano, quello che i suoi sensi gli stavano presentando doveva essere tutto veritiero. Cercò allora di toccare con la sua mente quella della regina, ma la sentì ritrarsi e chiudersi. Forse è ancora troppo presto… dobbiamo darle tempo, si ritrovò a pensare il ragazzo. Il riverbero del sole aveva iniziato ad essere uno strazio per i suoi occhi chiari, perciò si avvicinò ai due gemelli figli di Horst che gli stavano offrendo la colazione.

Gli poggiarono in mano una ciotola di zuppa d’avena calda con pezzi di mela e cannella. “Allora, Murtagh. Il tuo compito di oggi sarà macellare il grosso cervo che hai catturato ieri. Si terrà una cena tutti assieme per festeggiare la guarigione della nostra amata regina!”, disse uno dei due allegro. Quei due gli piacevano veramente tanto. Finirono di ingoiare il contenuto della ciotola e uno dei due sparì su per le scale, probabilmente a riportare le terraglie alla madre, e l’altro sotto le scale a prendere il necessario per il lavoro del giorno. Horst si affacciò assieme a uno dei figli e lanciò una manciata di coltellacci al Cavaliere, che li prese al volo per il manico. Ormai facevano spesso quello spettacolo e la figlia minore dell’uomo rideva sempre di gusto nel vedere Murtagh non essere affettato da tutti quei coltelli. “Bei riflessi. Hai la stoffa del macellaio, ragazzo. Potresti anche rimanere qui se vorrai, abbiamo perso il nostro macellaio durante la Guerra, il padre di Katrina”, rise il fabbro. Era un uomo alto come lui, ma con spalle larghe il doppio delle sue e braccia così possenti da poter spezzare un albero senza problemi, ma aveva le gambe più sottili, il che lo rendeva meno spaventoso di quanto avrebbe potuto essere.
“Forse, quando sarò sicuro che la regina sarà guarita completamente e mi sarò assicurato che arrivi a Illirea sana e salva non mi dispiacerebbe. Si sta bene qui, è un posto tranquillo”, rispose cortese Murtagh.
“Anche troppo. Non succede mai nulla, e non abbiamo nemmeno ragazze qui. L’unica che c’era se l’è presa Roran e noi a venti anni siamo ancora senza una sposa. Tu invece nella Capitale avrai avuto la fila!”, si lamentò uno dei gemelli. Murtagh faceva fatica ancora a distinguerli.
“Beh, non sono mai mancate occhiate e inviti da molte dame. Ma nella Capitale spesso vogliono solo incastrarti e rubare il tuo denaro”, ammise il Cavaliere.

“Non ci hai mai detto: sei sposato? Promesso sposo? Una dama a cui hai rubato il cuore?”, lo incalzò l’altro gemello curioso. Murtagh per poco non si strozzò con la sua stessa saliva a quella domanda. I due si misero a ridere. “Tasto dolente, abbiamo capito”
“No, no. Nessun impegno…”, rispose il Cavaliere una volta scemata la tosse. Si accorse però che Horst lo aveva guardato accigliato. Che sapesse? Come faceva? Perché avrebbe dovuto dire una simile verità Nasuada? No, era semplicemente una sua impressione, era accigliato per altro, o magari solo pensieroso.

“Andiamo? Pensate che il cervo si spezzetti da solo per lo stufato?”, disse alla fine Murtagh dirigendosi verso il retro della casa in pietra del fabbro. I due fratelli lo seguirono e si misero al lavoro assieme a lui. Mezza giornata dopo la carne era nella paiolo enorme nel camino della dimora di Roran e Katrina. Murtagh era stato messo a mescolarlo, mentre tutti gli altri erano intenti a terminare i preparativi. Dalla finestra vedeva tavoloni disposti a U attorno ad una pila di rami e ramoscelli che cresceva sempre più per il fuoco, che avrebbe tenuto caldi i commensali. Dovevano cenare all’esterno, non essendo terminata ancora la sala comune del villaggio, che doveva essere annessa alla casa in cui si trovava il Cavaliere.
Hanno chiesto a me di accendere il fuoco stasera! , gongolò Castigo.

Beh, sei una pietra focaia di notevoli dimensioni, perché non sfruttarti?, scherzò il ragazzo.

Sciocco, io sono un drago non una pietra. Quelli sono - come li chiamate? - ah, sì, Gargoyles. Mi piace questa gente, ci sta accogliendo bene, dopo solo una settimana. È questa la sensazione di casa, Amico mio?, gli chiese il drago tornando serio, quasi malinconico.

Non lo so, immagino di sì. Non mi sono mai sentito a casa in vita mia…

Una porta al piano di sopra si aprì, Murtagh scattò in piedi. Non poteva che essere quella di Nasuada. Sentì dei passi esitanti lungo le tavole di legno del corridoio. Dove stava andando? Forse in bagno, e se dovesse svenire? Nonostante i divieti impostigli salì automaticamente le scale, trovandosela davanti di schiena, indossava solo una sottoveste bianca. Sempre in sottoveste l’aveva vista l’ultimo periodo in cui erano stati insieme, in cattività del re tiranno. “Nasuada, posso esserti di aiuto? Hai bisogno di qualcosa? Come stai?”, riuscì solo a dire. Entrambi erano immobili, congelati.

“Meglio, grazie, avevo solo voglia di provare a fare due passi”, disse voltando solo il collo. Perché non voleva voltarsi?
“Murtagh, dove sei? Ti avevamo lasciato alla guardia dello stufato! Se non dovesse essere buono sarà solo colpa tua!” sentì una voce giovane gridare dal piano inferiore. Siccome la ragazza non sembrava volersi muovere, lui iniziò a scendere le scale, lasciandole un ultima frase: “Torno ai miei doveri, se dovessi avere bisogno sarò qui sotto”.

Scese felice di averla vista, ma al contempo sconvolto dal suo comportamento. Perché non si era nemmeno voltata? Eppure alla finestra lo aveva salutato…

 

Lo stufato fu pronto, gli abitanti del villaggio furono invitati a sistemarsi in una coda davanti al paiolo, ognuno con la propria ciotola in mano. Il Protettore e il fabbro, in quanto uomini più importanti servivano il pasto che avevano offerto per la celebrazione.
“Dov’è vostra madre, mi sembra che manchi solo lei”, fece notare il Cavaliere rosso ai due gemelli che ormai ogni qualvolta si trovasse nella piazza del villaggio gli si avvicinavano immediatamente. La compagnia dei due ragazzi piaceva al Cavaliere, ed era visibilmente un pensiero ricambiato.

“Non parteciperà, deve badare alla nostra sorellina e alla regina se dovesse avere bisogno. È l’unica nel villaggio esperta in queste cose…”, rispose uno alzando le spalle.
“Non sapevo fosse una guaritrice” , osservò Murtagh.

“Infatti non lo è, ma è molto brava con i problemi da donne”, tagliò corto l’altro mandando una strana occhiata al gemello.

“In che senso problemi da donne?”, chiese confuso il Cavaliere. Effettivamente non aveva mai frequentato l’altro sesso abbastanza a lungo da saperne abbastanza, né era mai stato interessato ai libri sulla tematica femminile che il suo maestro gli aveva somministrato da ragazzino. Li aveva rifiutati con la scusa di non aver intenzione di diventare un guaritore, specialmente di avere a che fare con le donne. Ovviamente le obiezioni del suo maestro erano sensate, un nobile doveva avere in primis una cultura quanto più universale e ampia e secundis non perdeva mai l’occasione di ricordargli che avrebbe un giorno dovuto avere una moglie e dei figli per portare avanti la sua stirpe. Siccome Murtagh non aveva la benché minima intenzione di portare avanti un sangue marcio come quello di suo padre e il suo, era riuscito con questa scusante a non aprire mai nemmeno uno di quei volumi. In quel momento però avrebbe voluto sapere di più, potersi fare anche solo un’idea di cosa potesse aver afflitto la sua amata.

“Se non lo sai tu, perché dovrei saperlo io? È per questo che c’è nostra madre a badare alla regina e non noi e nemmeno tu”, serrò il discorso il secondo gemello sorridendo.

 

Nel frattempo i pochi bambini accorsero il più vicino possibile per vedere l’accensione del fuoco. A Murtagh spettava il compito di stare loro vicino, per evitare con la magia che una fiamma ribelle ustionasse uno dei pochi preziosi bambini del villaggio. Era un po’ a disagio, non aveva mai avuto a che fare con i bambini, sapeva solo che sono talvolta imprevedibili. L’accensione del fuoco fu un successo: rimasero stupiti sia piccini sia grandi dalla magnificenza del drago. Nessuno si fece male, fu contento il Cavaliere. Gli fu consegnata una ciotola con lo stufato e gli indicarono il suo posto d’onore, poi brindarono tutti alla guarigione della regina prima di iniziare il pasto.
Dall’alto lei guardava dalla finestra, ancora troppo debole per essere con loro.

Perdonami per oggi pomeriggio, ma al giusto tempo avrò il coraggio di parlarti… Devo ancora superare quanto mi è successo… È bello averti qui. , disse una presenza dolce nella sua testa. Murtagh fu rasserenato da quel suo contatto mentale, era stata colta alla sprovvista tanto quanto lui. Tra loro d’altronde non c’era stato nulla più se non qualche timida carezza, un bacio nella notte dei festeggiamenti per la Liberazione e un matrimonio forzato. Che strana ironia il destino. Unire due persone che provavano sentimenti l’uno per l’altra, in un momento infausto, quando ancora la timidezza tra i due amanti non era stata superata. Il risultato erano due estranei di fatto innamorati già uniti da un vincolo sacro che non avevano nemmeno il coraggio di parlarsi per esprimere legittimare a parole un sentimento condiviso.

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Capitolo 7
*** Erede di un destino crudele ***


La festa - se così si poteva chiamare - fu piacevole, Murtagh riuscì a chiacchierare in modo spensierato oltre che con i gemelli anche con il loro padre e con Roran che un po’ alticcio era stato molto disponibile nei suoi confronti al dialogo.

Si era conclusa però non troppo tardi, quando aveva ricominciato a cadere la neve e un vento gelido aveva spento il fuoco. Castigo era andato a caccia e non potendo riaccendere la legna bagnata avevano tolto tutto in fretta e si erano rifugiati nelle proprie case. Murtagh, non potendo dormire fuori, era stato accolto da Katrina in casa loro, in una comoda stanza spoglia ma con un camino acceso che emanava un calore piacevole. Grazie all’idromele fu facile per il Cavaliere addormentarsi.

Si risvegliò a metà della notte dopo aver avuto l’ennesimo incubo, nel corridoio sentiva una voce femminile cantare a bassa voce, e un bambino che piangeva. Il Cavaliere pensò si trattasse della figlioletta di Roran e della moglie, anche se non l’aveva mai sentita piangere così disperatamente, era una bambina di quasi un anno molto tranquilla solitamente. Evidentemente non quella notte, qualcosa doveva averla alterata, magari un mal di pancia.

All’improvviso, però, una conversazione insospettì il ragazzo. I protagonisti sibilavano all’altro accompagnati dal pianto della piccola.

“Non riesci a farlo smettere? Si sveglierà”, fece la prima voce, maschile - probabilmente di suo cugino. Lui era sveglio per un altro motivo, ma ora il pianto si faceva più forte ed effettivamente avrebbe potuto svegliare gli abitanti della casa, oppure gli ospiti, come la regina che ancora doveva riprendersi dalla sua malattia e riposare quanto più tranquillamente possibile.
Se ci fosse stato mio padre qui avrebbe già affettato la piccola. Mi chiedo ancora come io sia arrivato fino ai tre anni indenne con quell’insofferente pazzo…, pensò fra sé il Cavaliere, essendo Castigo ancora fuori a caccia molto lontano da lui.

“Non è a comando, come ben sai. Forse dovresti andare a chiamare la sua nutrice al posto di sgridarmi, Roran!”, rispose Katrina.
“O forse potrebbe pensarci la madre, dato che si trova in questa casa!”, la rimbeccò il marito. Effettivamente Murtagh si chiedeva perché avere una nutrice per una bambina quasi del tutto svezzata. Probabilmente Katrina non era più in grado di nutrire la sua bambina.

“Parla piano!”

Una porta si aprì, Murtagh riconobbe la posizione. Era quella di Nasuada, tre porte oltre la sua stanza. “Roran, Katrina. Datelo a me, si calmerà”, disse una voce a lui tanto familiare. A quel punto il Cavaliere era più confuso che mai. Si avvicinò piano alla porta, per udire meglio. Fruscii di stoffe, poi finalmente la bambina che smise di piangere. Anche se Murtagh fu più sicuro che fosse una bambina, avendo notato per la seconda volta che si riferivano al maschile alla creatura lamentosa. “Fa ancora male”, disse Nasuada piano.

“È normale, passerà con il tempo e il riposo”, rispose l’altra ragazza dai capelli rossi.

“Non siete ancora troppo debole per occuparvene?”, chiese Roran.

“Che il mio corpo voglia o no, è giunto il momento”, rispose la regina in un sussurro.

“Sembra che il nostro ospite non si sia svegliato anche con tutto questo frastuono”, sospirò sollevato Roran.
“Non ne sarei così sicura, i Cavalieri dormono sempre con un orecchio vigile sul mondo, e al minimo rumore si svegliano. Così mi diceva Murtagh in prigionia.”, rispose Nasuada con un tono risoluto ma al contempo sembrò velarsi di dolore verso la fine della frase. L’aveva segnata così tanto quel periodo? Lui aveva fatto il possibile per alleggerire la sua permanenza forzata nelle segrete del castello nero.
“E se così fosse?”, chiese Roran preoccupato.
“Affronterei quanto è successo, anche ora stessa. Se il momento dovesse essere questo, è giusto che si compia quanto è stato deciso dal Destino”, sospirò Nasuada.
Murtagh decise allora di ruotare il pomello di metallo della porta, deciso a rivedere la sua amata, chiederle cosa l’avesse affranta da averle quasi tolto la vita. Chiederle scusa per quanto le avesse fatto, di essere stato lontano da lei nel momento del bisogno, nonostante avesse giurato di proteggerla…

 

… e la rivide finalmente…

 

… con un neonato al seno…

 

… il volto smunto, il ventre leggermente gonfio…

 

Guardò prima lei, poi quello scricciolo che teneva tra le braccia. Lo stomaco gli si rivoltò, avrebbe voluto vomitare, invece si limitò a dire un freddo “Congratulazioni, vostra Maestà”.

Lei si fece scura in volto. “Grazie, ma avvicinati per parlare…”, mormorò indicando il piccolo con un cenno del capo. Più che parlare il Cavaliere voleva scappare, urlare. Non si sarebbe mai aspettato un tradimento da lei così presto. D’altronde sapeva che si sarebbe sposata prima o poi, per portare avanti il suo regno aveva bisogno anche di eredi e un’alleanza forte, di quelle che solo un matrimonio può garantire, ma non credeva che subito dopo averla lasciata libera di essere regina si fosse invece sposata e avesse già un figlio.

“Non so di cosa dobbiamo parlare, sinceramente”, rispose Murtagh, ormai con il dente avvelenato. Nasuada aprì la bocca per rispondere, sconvolta, quando il fagotto tra le sue braccia voltò la testa proprio a guardare verso il Cavaliere con i suoi occhi ancora ciechi azzurro-ghiaccio.

Murtagh si avvicinò in fretta alla creaturina, piegandosi sulle gambe per valutare meglio se il suo fosse stato un errore.  Non c’erano dubbi, quegli occhi…

 

… uno degli occhi di suo padre, il colore dei suoi

 

 

 

“Perdonami, ora voglio parlare… Lui è…?”, chiese guardando ora la regina negli occhi.
Lei annuì, quasi sull’orlo del pianto.

“Questa sì che è una sorpresa del destino!”, disse il ragazzo buttando fuori tutto il fiato che aveva. Nei momenti di forte stupore l’apnea riusciva sempre a bloccargli il vomito ansioso.

Si sedette accanto a lei , passandosi le mani sul volto e nei capelli, prendendosi il suo tempo, cercando di pensare, anche se tutto quello che c’era nella sua testa era vuoto e confusione.

“Scusate l’intromissione, ma percepisco che questa conversazione potrebbe altrimenti durare tutta la notte, o non incominciare e basta.”, disse Katrina dopo una decina di minuti di silenzio in cui il Cavaliere passava ciclicamente dal fissare il vuoto, a ingoiare saliva sembrando di voler parlare, a fissare di nuovo il vuoto non avendo trovato le parole o il coraggio per parlare.

“Lui è tuo figlio, Murtagh. Non ha ancora un nome, nessuno ci ha ancora pensato, siamo stati preoccupati a tenere in vita lui e la madre dopo la sua nascita, viste le complicazioni…” , aggiunse Roran forse più a disagio di lui.
Il Cavaliere alzò il capo e chiese: “Quali complicazioni? Era per questo che hai rischiato la vita, Nasuada?”

Lei annuì e le lacrime iniziarono a rigarle il volto. Cercava vistosamente di non piangere, di mantenere il suo solito contegno, anche se in quella situazione poteva non esserle facile, poteva non essere addirittura più padrona di sé. Anche nelle situazioni difficili Nasuada sapeva essere forte, il che l’aveva resa un ottimo partito per governare prima la Resistenza, poi il nuovo Regno.

“Sì, è stato tutto molto difficile sin dall’inizio… L’ho scoperto pochi mesi dopo la tua partenza. Ero  convinta di poter sistemare la questione, senza infangare la mia reputazione e senza doverti richiamare… So che sei partito per trovare te stesso, per ritrovare fiducia nella persona che sei… Ero costantemente a corto di energie, ma Katrina e Farica, la mia domestica, mi hanno dato una gran mano con tutti i rimedi che conoscessero. Quando ha iniziato ad essere evidente la mia condizione ho fatto sì che il castello fosse inagibile per lavori, e ho spostato la mia reggenza dal Protettore del Nord, di cui sapevo potermi fidare… Il viaggio è durato un’eternità, e durante esso ho iniziato a perdere sangue copiosamente… Ricordo poco da lì in avanti, se non del mio risveglio qui… Katrina, potresti continuare tu?”

“Certamente. Erano ad un giorno di viaggio da qui, quando ci informarono di un problema gravissimo alla regina e che domandavano guaritori e donne esperte dal nostro villaggio. Conoscendo la sua condizione capii che qualcosa non andasse a lei o al bambino, perciò a metà strada ci incontrammo. Nasuada aveva perso già moltissimo sangue, era senza sensi. Non sapevamo veramente se sarebbero sopravvissuti, quando ci accorgemmo che nonostante mancassero ancora circa tre mesi alla fine della gravidanza fosse in preda alle contrazioni. Mi dispiace dirlo ma il suo corpo stava espellendo il bambino morto nel suo grembo, mettendo in pericolo anche lei”, proseguì il racconto la ragazza bendola.
“Ma il bambino è qui tra le sue braccia!”, protestò Murtagh.

“Sì, durante il parto d’emergenza ci accorgemmo che erano due gemelli e uno era morto da mesi, ma aveva creato problemi al sangue a Nasuada, che alla fine è riuscita a portare avanti la sua gravidanza fino al settimo mese, mettendo al mondo uno solo dei bambini. Purtroppo è caduta in una specie di catarsi, probabilmente il suo corpo ne aveva bisogno per sopravvivere. Ha rischiato veramente molto per la vita del vostro bambino. Noi ci siamo occupati di loro fino al suo risveglio”

“Qualcun altro sa di lui?”, chiese il Cavaliere.

“Solo Horst e la moglie, e una nutrice che è sua nipote. Nessun altro, a parte Farica nella capitale, sa della sua esistenza. Nasuada ci ha pregato di mantenere il segreto e di trovarti, perciò abbiamo contattato Eragon perché ti mandasse qui”, concluse il racconto la moglie del Protettore.

“E sappiamo di quello che vi ha costretto a fare Galbatorix”, lo informò Roran.

Murtagh guardò Nasuada e le toccò la mente con la sua. Si riferisce alla nostra unione?, le chiese.
Sì, sono stata costretta a dire loro tutto. Tuo cugino non riusciva a capacitarsi di come potessi essere tu il padre dei miei figli… di mio figlio, rispose sommessa.

Mi dispiace moltissimo per quello che è successo… Se solo avessi saputo, sarei corso da te, ti sarei stato vicino… Quando eravamo prigionieri mi sono promesso che avrei dato la vita se necessario per te, le confessò.

Ho bisogno di sapere: avresti dato allora la vita per questo bambino?, chiese nella sua mente, ma si voltò per prendergli la mano. Roran si avvicinò di un passo, pronto a rispondere nel caso di una reazione inaspettata del Cavaliere. Nasuada alzò la mano verso il Conte, in segno di tutto bene.

“Non avresti dato: darò. Te lo prometto. Non erediterà il mio stesso destino crudele.” , giurò il Cavaliere.

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Capitolo 8
*** Padre ***


Nasuada e il piccolo ancora senza nome si ritirarono nella loro stanza, Katrina andò in cucina e portò alla ragazza dalla pelle d’ebano una tisana per aiutarla a dormire. Murtagh uscì, aveva bisogno di parlare con l’altra parte della sua coscienza, il suo drago.

Castigo era acciambellato nel centro della piazza, come ogni notte dopo la caccia.

Sento che sei piuttosto sconvolto, qualcosa non va?, gli chiese il saggio lucertolone rosso, come amava definirlo il Cavaliere.

Come non esserlo? Il mio più grande terrore è diventato realtà…, gli rispose accasciandosi accanto al suo muso enorme.

Non mi sembro morto ancora, commentò il drago sarcastico. Nei momenti giusti sapeva come  tirare su di morale il suo Compagno. Murtagh sorrise istintivamente, poi tornò serio in un istante, non appena la sua mente pensò di nuovo a quel neonato.

La seconda paura più grande, allora: stanotte sono diventato padre. , pensò trattenendo il respiro.

E perché ti spaventa? È una cosa normale, sentenziò il drago.

Per gli altri sì… Io… non avrei mai voluto che accadesse, non avrei mai voluto che esistesse al mondo una creatura che abbia me come padre, un ragazzo odiato in tutto il regno e che si trascina un destino a dir poco infausto! Ho troppa paura di diventare come Morzan… .
Castigo gli sbuffò aria calda sulla testa, arruffandogli i capelli corvini, che si era lasciato crescere. Era un gesto affettuoso per loro. Solo Castigo gli aveva riservato gesti di quel genere in tutta la sua vita, il suo drago era l’unica figura che tenesse a lui.

Quando ti chiamavano figlio di Morzan rispondevi prontamente che non è il figlio a scegliere il padre. Tu non sei come lui, lo hai dimostrato. Sei un uomo buono. Se non avessi salvato sua madre secondo quello che ti diceva il cuore il piccolo non sarebbe qui., lo rincuorò la creatura squamata.
Murtagh non era convinto. Tornarono violentemente a galla tutti i brutti ricordi della sua infanzia che aveva sempre cercato di reprimere, per ultimo il giorno in cui gli venne inflitta la sua cicatrice.
E se dovessi fargli del male, come mio padre ha fatto a me? Sono stato in Guerra, sono stato addestrato per la mia intera vita ad uccidere. Se dovessi farlo a mio figlio?, chiese Murtagh.

Semplicemente non lo farai. Lo so, conosco il tuo cuore. Uccideresti mai Nasuada? , lo incalzò il drago.

No, mai! , ammise Murtagh, con il cuore che sembrava essersi spostato nella sua mano per poterlo leggere, scrutare quello che si trovava al suo interno, sé stesso.

Allora non uccideresti tuo figlio. Voi umani avete un istinto protettivo nei confronti dei vostri cuccioli, e io so che Murtagh non potrebbe mai fare quello che suo padre ha fatto a lui, quello che ti ha costretto a patire per tutta la vita., concluse il drago.

Il Cavaliere rimase a guardare il cielo che dietro i monti schiariva piano. Cercò di meditare su quanto era successo, ripartendo dall’inizio, dall’incontro con Nasuada quando era nata in lui per la prima volta un interesse per una vita altra dalla sua. Quella ragazza così bella, ma soprattutto con un animo così profondo e coraggioso lo aveva lasciato senza parole in più di un’occasione quando lei portava libri salvati dalla censura del re al ragazzo nella cella per alleviare la sua prigionia. Non conosceva l’amore allora. Era solo un ragazzo nato da un uomo violento, crudele nei suoi confronti che aveva direttamente o indirettamente costretto la madre ad una fuga disperata per salvare il suo secondo figlio dal destino del primo morendo nel farlo e lasciando il piccolo Murtagh indifeso nelle mani del padre. Dopo la morte fortunatamente prematura del padre aveva vissuto a Gil’ead nella corte del re, a evitare intrighi e nobili che volevano sfruttare il suo rango e l’occhio di riguardo che il re in persona riservava a quel giovane ospite. Dopo la sua cattura solo Castigo era riuscito a fargli smuovere sentimenti che non aveva mai pensato di provare: paura quando il re li puniva, pietà per un essere che aveva scelto lui come Cavaliere, senza sapere della prigionia che sarebbe stata la sua vita, amicizia e riverenza per una creatura tanto saggia. Ripensò a quando aveva tentato la fuga e anche la vita piuttosto che rapire Nasuada come chiestogli dal re, ma era stato costretto a farlo con la forza, a portarla in cattività assieme a loro due sventurati. Ma l’ammirazione che provava per lei era maturato in un embrionale amore già, e vederla soffrire così tanto e resistere ad ogni costo alle torture del re aveva fatto sbocciare il sentimento. Il suo Vero Nome era cambiato grazie a loro, ora conteneva sia Libertà sia Amore, parole che Murtagh non avrebbe mai pensato potessero mai essere la sua Essenza. Ripensò a quella notte dolorosa in cui il re aveva voluto giocare con la sanità mentale del Capo dei Varden un’ultima volta unendo le loro vite. Murtagh avrebbe voluto che fosse andata in un modo differente, nonostante il suo amore. Aveva fatto di tutto per liberarla, rischiando la vita per mandare informazioni ai Varden, organizzare la via d’ingresso alla fortezza per il suo fratellastro. Ricordò la leggerezza la notte della Liberazione, i festeggiamenti, quel bacio che tanto aveva atteso, i loro corpi insieme. E la tristezza del risveglio la mattina dopo, della rivelazione che lui non poteva stare con lei, per il bene di entrambi. La partenza per ritrovare sé stesso, lavare via le sue colpe e le lacrime della ragazza alla notizia. Castigo intervenne nei suoi ricordi: Lo capisci ora che è lei il tuo destino? Lei ti ha salvato, ci ha salvati!

… forse non dovremmo più scappare e nasconderci allora?, chiese il Cavaliere.

Non credo, Amico mio. Lei e questo bambino possono essere la tua redenzione. Potremmo servire per una volta la giusta causa, proteggere questo regno, la nostra unica casa… , rispose il drago quasi in una supplica implicita per restare.

Continueranno a mandarci occhiate e a non fidarsi di noi, potrebbero addirittura  non fidarsi più di Nasuada! , si lamentò il ragazzo.

Dovrai solo dimostrare chi sei. Io so che rimanere è la strada giusta da percorrere.

 

L’alba arrivò, portando calma nel cuore del Cavaliere. Alriech e Baldor, i gemelli figli del fabbro, uscirono dalla loro dimora e raggiunsero allegri il ragazzo seduto accanto al suo drago.
“Notte brava, eh? Ti vedo stanco, Cavaliere.” , commentò il primo. Murtagh alzò lo sguardo su di loro, come se si fosse appena risvegliato da un sogno.
“Eccome, non ho dormito” , rispose sbadigliando.
“Pensavi ad una fanciulla?”, chiese Baldor malizioso. A Murtagh spuntò un sorriso amaro sulle labbra.
“In un certo senso.”

“Ma allora nel tuo cuore c’è qualcuno!”, rispose sorpreso l’altro gemello. Murtagh scattò in piedi.
“Credi che non sia capace di amare?”, sibilò il Cavaliere. Castigo ringhiò rumorosamente al suo Compagno, che sembrava non avere paura di lui. I due gemelli invece indietreggiarono intimoriti dalla grande bestia. Calmati, Murtagh. Ti ho detto prima che devi dimostrare chi sei, non scattare pensando che ti abbiano offeso! , lo schernì Castigo, snudando i denti.
Il Cavaliere chiuse gli occhi e fece un respiro profondo per calmarsi. Forse non è una buona idea rimanere…

Sta’ zitto. Odio quando ti comporti da stolto. Sei un Cavaliere dei Draghi e un ragazzo beneducato. Non prendere sempre tutto sul personale. Loro sono davvero tuoi amici. Solo conquistando le persone potrai pensare di essere accettato. , rispose il drago rosso stizzito da quel suo Compagno che a volte non sembrava proprio ascoltare. Nonostante il suo uovo si fosse schiuso due anni prima, il drago era stato messo al mondo da draghi selvaggi prima ancora che Galbatorix nascesse. E Castigo da dentro il suo guscio aveva sentito molte cose e ne sapeva ancora di più.

“Scusatemi” , disse il ragazzo più alto dei tre verso i due suoi amici.
“Capiamo, a volte anche noi litighiamo, specialmente quando uno dei due è nervoso.” , rispose Baldor alzando le spalle e facendo un sorriso.

Come potevano averlo accettato nonostante l’ostilità di tutti gli altri, compresi i loro genitori? Forse le generazioni più giovani sarebbero state più inclini a perdonare i suoi atti, o per lo meno a comprendere il motivo che lo aveva costretto a compiere simili gesti. Magari anche suo figlio un giorno avrebbe potuto non odiarlo come lui invece odiava Morzan…

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Capitolo 9
*** Confronto ***


Nel pomeriggio la regina volle che si convocasse il Cavaliere per trattare alcune questioni importanti. Nasuada aveva indossato un abito per la prima volta in più di un mese e Katrina le aveva lavato e acconciato i capelli leggermente. Si sentiva di nuovo capace di tenere testa al più grosso degli Urgali, nonostante fosse ancora debole nel corpo. Nella sala dei pasti della dimora di Roran Fortemartello si trovavano lui con la moglie, Horst e Elain e due specchi per la divinazione. Quando il Cavaliere entrò nella stanza, per ultimo come da cerimoniale in quanto convocato, si alzarono tutti in piedi. Murtagh fissò con i suoi occhi grigio-azzurri la regina, poi i presenti, salutandoli con un cenno del capo.

“Cavaliere, chiedo e te il favore in quanto unico mago in questa stanza di divinare il Cavaliere Eragon e Angela l’Erborista”, gli chiese con un tono che indicava più un ordine che una richiesta.

Il ragazzo annuì e sussurrò le parole nell’antica lingua necessarie per evocare l’immagine di una persona sugli specchi. Angela apparve subito, Eragon dopo alcuni istanti, probabilmente perché era intento a fare altro.

“Nasuada, come stai? E il tuo piccolo?”, chiese il Cavaliere più giovane cortesemente.
“Allora tu sapevi cosa stesse succedendo!”, s’intromise Murtagh.

“Sì, ma dovevo farti arrivare a Carvahall per certo, e non darti una spiegazione era questa mia certezza di buona riuscita della tua partenza!”, cercò di spiegarsi, inciampando nelle sue parole un paio di volte. Sembravano due fratellini che litigano, solo adulti.

“Per favore, non siamo qui a discutere di questioni omesse.”, spostò lo sguardo verso il Cavaliere rosso, “Siamo qui per sapere se rimarrai ad Alagaesia come Murtagh o se hai intenzione di andartene di nuovo sotto mentite spoglia.”

La sua voce era decisa, ma nel cuore ancora provava un dolore da quella ferita aperta che le era stata inflitta quasi un anno prima.

Castigo fuori ruggì, fu un ruggito spaventoso. “Scusatelo, è offeso da queste parole. Ci tiene a precisare che non siamo codardi. Ce ne siamo andati perché sapevamo di non essere i benaccetti nella capitale, così come in nessun altro luogo di questo regno”, rispose Murtagh reggendo lo sguardo della regina. Le piacevano i suoi occhi, erano gli unici che riuscissero a continuare a guardarla per tutta la conversazione, senza mai vagare imbarazzati altrove.

“Non era questo che intendevo dire, chiedo scusa. Non è mio diritto offendere una creatura tanto antica quanto un drago. Potresti riferirlo al tuo Compagno?”

“Lui sente tutto quello che le mie orecchie odono. Comunque ho intenzione di rimanere… e di stare accanto a mio figlio.”
Horst incrociò le braccia, alzando un sopracciglio in disappunto.

Muscoli sotto la mascella del ragazzo guizzarono per un istante. “So che nessuno si fida di me, e posso capire il perché. Non chiedo di perdonarmi. Nessuno, nemmeno Nasuada potrà mai perdonare un uomo come me. Sappiate però che tutto quello che ho fatto è stato sotto un giuramento strappato. Da quando sono nato ho dovuto subire l’interesse di altri in me solo per poter sfruttare le aspettative che avevo in quanto figlio di Morzan. Si aspettavano un guerriero spietato, un abile cacciatore, un Maestro della guerra, un comandante di eserciti, un Cavaliere dei Draghi. Tutto questo perché mio padre lo era stato prima di me. E lo sono diventato perché mi hanno cresciuto per essere quello, la mia intera vita. Così per colpa del mio Vero Nome sono diventato anche un traditore, come Morzan. Ma non avrei voluto nulla di tutto questo. Nessuno sa questo di me, non ho mai chiesto comprensione per la mia sventurata storia e perciò sono un reietto, io e il mio Compagno per colpa mia. Ma quando sono stato per poco libero dal mio nome ho potuto dimostrare chi sono. Non ho mai avuto interesse per il potere come mio padre. Ho sempre voluto essere me, Murtagh, un ragazzo a cui piace leggere libri e andare a caccia. Non tramare per conquistare troni o imparare ad usare la magia nera. Perciò quando dico che stavolta ho deciso di rimanere è perché ho capito che continuare a fuggire non ha senso, perché ad ogni mia riapparizione sarò sempre il figlio di Morzan, il traditore, il Regicida. Forse restare e servire la mia regina potrà essere la mia redenzione. E sì, stare accanto a mio figlio. Non posso pensare che possa mai sapere chi sono io per lui, ma sono un Cavaliere e per lo stesso sangue che gli scorre nelle vene un giorno lo sarà anche lui. Potrò insegnargli ad usare una spada, la magia, l’Antica Lingua. Non pretendo di essere suo padre, se si deciderà che non è questo il mio destino. Come Brom ha insegnato ad Eragon ad essere un uomo, un Cavaliere potrei fare lo stesso per questa creatura senza che sappia mai cosa ci lega. Una cosa è certa, per concludere,: non sono né il partito né l’uomo migliore per l’unione a cui io e la regina Nasuada siamo stati costretti. Accetterò la sua invalidità se dovesse essere ritenuta tale.”

Quando ebbe terminato il suo discorso si mise a sedere, anche senza permesso. Aveva appena messo a nudo la sua anima davanti a estranei, doveva sentirsi estremamente leggero e frastornato.

“Bel discorso. Ma delle belle parole non risolveranno questa situazione complicata” , intervenne Roran.

“Complicata? In che senso? Se devo essere un peso per la vostra politica perché richiamarmi allora? Perché chiedermi se restare?”, chiese il Cavaliere rialzandosi avendo ripreso un po’ di combattività.
“Perchè io ti amo, Murtagh. E non vorrei mai che venisse annullato il nostro matrimonio, per quanto sia stato forzato su di noi. E perché vorrei davvero poter crescere nostro figlio insieme…”, esplose la regina improvvisamente. Troppi giri di parole non avrebbero portato da nessuna parte e come tante altre volte tra lei e il Cavaliere sarebbe rimasto tutto in sospeso, non detto. Lei era sempre stata una donna forte e diretta, ma con il Cavaliere sentiva che nessuno dei due riuscisse ad esprimere quanto provasse in cuore. Sentiva che l’amore provato l’uno per l’altra fosse fortissimo, che potesse muovere le montagne, che avesse permesso ad entrambi di sopravvivere nelle situazioni più avverse, ma al contempo sapeva - sapevano entrambi - che i sentimenti non espressi li tratteneva a poco più che estranei, la loro relazione era inesistente. Se si voleva risolvere la questione era necessario che venisse detto quanto ci fosse da dire, e Nasuada prese l’iniziativa come era solita fare nella sua vita.

“A-Anche io…” , fu capace di rispondere lui solamente.

“Credo che sarebbe più saggio se mio fratello rimanesse sotto falso nome. Capisco i tuoi sentimenti, Nasuada, ma Murtagh rimane uno dei personaggi più diffidati. E ha ragione quando teme per l’amore dei tuoi sudditi nei tuoi confronti”, intervenne Eragon.

“Lo reputi tuo fratello? Ti sei forse dimenticato dove sei cresciuto, gli anni passati sotto lo stesso tetto?” , intervenne Roran stizzito.

“No, Roran. Tu sei stato il mio unico fratello per tutta la vita, di fatto. Non posso però dimenticare il legame di sangue che unisce me e Murtagh e non posso nemmeno fingere che non mi abbia aiutato e salvato la vita numerose volte. E io so cosa abbia passato in prigionia, cosa sia stato costretto a compiere per salvare il suo drago, che è la creatura più importante per un Cavaliere. Al suo posto avrei fatto tutte le azioni che lui ha compiuto.” fece una pausa “Nasuada, tu cosa pensi?”

“Te lo dirò non appena avrai risposto alla mia domanda, Eragon. Quando eri un bambino, un ragazzino e vivevi qui a Carvahall ti preoccupavi mai che sul trono sedesse Galbatorix?”

Eragon parve confuso dalla domanda. “Non capisco come questo si colleghi alla permanenza di Murtagh. Comunque no, sapevo solo che fosse un uomo cattivo e che tenesse soggiogati tutti. Sentivo molti nel villaggio lamentarsi del re perché pretendeva tasse molto alte per la guerra e che prelevasse i ragazzi appena diventati uomini”

Murtagh guardò la regina con sguardo acceso, aveva intuito la scappatoia.

“Si collega perché ho riflettuto molto su un suo eventuale ritorno, in quali vesti. Arrivavo sempre alla conclusione più scontata, ovvero che nessuno avrebbe mai accettato Murtagh Morzansson il Traditore, il Regicida. Nessuno avrebbe approvato la nostra unione, nessuno avrebbe accettato il nostro bambino ancora non nato come futuro re. Ma poi mi sono chiesta: chi è questo nessuno? Il popolo? No, perché come hai detto tu le loro vite andranno avanti alternandosi placide e laboriose a seconda delle stagioni, degli anni, e a loro andrà bene chi siede al trono, se io o mio figlio -il figlio di un Traditore - un giorno, purché la loro condotta sia giusta, venga mantenuta la pace e le tasse non li riducano alla fame. Nessuno sono i nobili a corte, che siedono con me alle riunioni amministrative e ai miei Consigli, che mangiano il mio cibo ai miei banchetti e alle mie feste. Loro, che a parte re Orrin e re Orik perché miei alleati precedenti, criticano tutte le mie mosse, tramano contro di me, non si fidano di una regina nuova che ha le loro richieste di potere poco a cuore. Sono sicura, amico mio, che se riapparisse Murtagh a corte come mio vassallo sarebbero molto più inclini all’ascolto e alla fiducia nei miei confronti.”

“Cercherebbero di usare Murtagh per manipolarti a loro favore”, si lamentò Roran.
“Come ho detto, sono sempre stato al di fuori degli intrighi di corte. Nessuna cospirazione, nessun segreto potrà mai interessarmi.”, si difese Murtagh apatico, probabilmente stanco di essere visto sempre come il cattivo della situazione.

“Attento Cavaliere che sei tu quello contro chi saranno ordite trame.” , lo ammonì Angela.

“Chi è costui?”, chiese il ragazzo dai capelli corvini.

“Dalle segrete di un castello riemergeranno ombre dal tuo passato che vogliono il tuo sangue”, profetizzò l’erborista.

Calò un silenzio gelido nella stanza. Murtagh aveva più nemici che amici, sarebbe stato difficile individuare qualcuno intento a tramare contro di lui.

“Grazie, Angela dell’ammonimento. Verrò a farti visita non appena potrò per studiare meglio la questione. Credo, tornando alla posizione di Nasuada, che abbia ragione. Li conosco molto bene, so cosa brama il cuore di ognuno di loro. Ma c’è un piccolo dettaglio: non ho alcuna intenzione di diventare re.” , confessò il ragazzo.

“Non lo diventerai, infatti. Io sono regina per elezione e tu non hai sposato una regina. Tu hai sposato Nasuada, Capo dei Varden, che è successivamente stata eletta regina. È fuori discussione che tu possa mai avere delle pretese sul mio regno o che tu possa interferire con le mie decisioni. Verrai nominato Cavaliere della regina, sarai mio ambasciatore per portare le uova di drago nelle città e nei villaggi di Alagaesia. Ti verrà affidato il compito, in accordo con Eragon, di seguire i nuovi Cavalieri nella prima fase del loro addestramento e di scortarli da tuo fratello nelle terre sconosciute quando li riterrai pronti. Sarai consigliere per la Difesa e per la Guerra, sperando non dovremo mai ricorrere al tuo aiuto per quest’ultima eventualità. Potrai tenere il tuo titolo di duca di Dras’ Leona e il castello di tuo padre rimarrà tuo possedimento.

E in ultimo verrà resa pubblica la nostra unione per poter permettere a tuo figlio il futuro per cui è nato. Vivrai perciò a Illirea con me, ti sarà dato libero accesso ai miei appartamenti e a tutte le aree del castello.” , elencò Nasuada poi congedando i presenti.

Se ne andarono tutti lanciando occhiate all’indietro all’unico che non si stava muovendo dalla sua sedia: Murtagh.

Quando furono usciti lui si alzò, le andò vicino piano e le prese il volto tra le mani.

“Ti amo come non ho mai amato nessuno. Da quando ti ho incontrata la prima volta non è passato giorno senza che io pensassi a te.”, sussurrò posandole un bacio sulle labbra.

Nasuada si sentì completa e leggera come mai prima. Sperò intensamente che potessero rimanere incastonati per sempre in quel momento perfetto. Ovviamente le cose perfette non sono mai destinate a durare in eterno e a interrompere quell’istante di gioia fu il pianto al piano di sopra del suo piccolo bambino dagli occhi di ghiaccio.

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Capitolo 10
*** Imparare a conoscersi ***


Nasuada si era staccata dal loro abbraccio allo scoppiare in un pianto fragoroso del loro bambino.

Si era avviata verso la porta, girandosi in segno al ragazzo di seguirla.

“Vieni con me, ti darò il permesso di conoscerlo, e forse potremo finalmente decidere un nome per lui, povero piccolo senza nome…” , lo invitò con un sorriso talmente dolce che il Cavaliere pensò che fosse una creatura mistica scesa sulla loro terra per rapirlo con tanta bellezza.

La seguì su per le scale di pietra, dentro la sua stanza dove nella culla il neonato sgambettante piangeva disperato. “Cos’ha?” , chiese preoccupato.

“Solo fame se siamo fortunati, altrimenti si tratta di coliche e sono meno simpatiche da fargli passare”, rispose prendendolo delicatamente tra le sue braccia e sedendosi sul letto.

Si abbassò la spallina dell’abito assieme alla manica, sfilandole per poter attaccare il neonato al suo seno. Il piccolo fece qualche smorfia che il ragazzo trovò quasi buffe, soprattutto dopo che a tanto pianto era corrisposta una poppata di pochi minuti dopo cui il piccolo era caduto in un sonno profondo con un sorriso beato da chi ha la pancia piena alla sua età.

Murtagh alzò la mano con il Gedwëy ignasia, la cicatrice dei Cavalieri, per toccare il neonato. Gli appoggiò il palmo dietro la testolina piena di sottili capelli scuri. Sentì immediatamente una connessione con quell’esserino, come era successo con il cucciolo di Castigo. Il cuore si riempì di quell’energia di connessione tanto preziosa, tanto da far quasi piangere il ragazzo sopraffatto da una tale forza. Nasuada gli poggiò la mano del braccio con cui non stava sorreggendo il piccolo sulla sua guancia. “Forse dovremmo decidere per lui un nome.” , suggerì sussurrando per non svegliare il piccolo.

“Mentre ero a Illirea pensavo di chiamarlo come mio padre ma non sono riuscita quando mi sono svegliata e ho conosciuto mio figlio. È così poco Ajihad” , continuò la regina scoppiando in una risata allegra solleticando il naso del suo bambino. Murtagh fu d’accordo che il bambino non avesse proprio l’aspetto per ereditare il nome del nonno materno. Erano così diversi…

“Di sicuro Morzan è fuori discussione” , sentenziò lui.
Nasuada fu d’accordo anche sul punto del Cavaliere. “Finiarel?”, propose.
“È un nome importante e bellissimo, ma credo che avrà bisogno anche di un nome umano, per essere accettato meglio nella capitale” , aggiunse il Cavaliere.

“Cadoc? Tornac come il tuo maestro?”

“Per quanto potessi stimare il mio maestro, ho già dato il suo nome al mio cavallo da guerra. Non sono sicuro di voler chiamare mio figlio come il mio cavallo. Cadoc era mio nonno ma non so nulla di lui, se non che io sono nato perché ha cacciato mia madre di casa quando scoprirono che fosse una strega, portandola a diventare la Mano Nera e conoscendo mio padre, perciò no.”

“Ruaidhrì*? Come il re rosso, ultimo re degli umani?”, propose lei.
Murtagh guardò il piccolo e annuì, era un nome adatto per un principe figlio del Cavaliere del drago rosso. Allungò la mano e gli accarezzò di nuovo la testolina, pronunciando un augurio nell’Antica Lingua.

“Vuoi tenerlo?” chiese la Regina dolcemente. Murtagh annuì e cercò il meglio che potè di imitare la posizione delle braccia della regina nel tenere il piccolo. Pensò che doveva essere una visione buffa: un ragazzo alto e forte totalmente irrigidito dal timore di far cadere un neonato. Era più piccolo di quanto non sembrasse, probabilmente a causa di tutte quelle coperte che lo avvolgevano contro il freddo dell’inverno, che mascheravano la sua nascita prematura e il suo minuscolo corpicino. Improvvisamente, nel cuore di Murtagh si riaccese lo stesso senso protettivo che aveva provato quando si era schiuso l’uovo di Castigo e il re minacciava di fargli del male se non gli avesse giurato fedeltà.

I bambini sono morbidi, i draghi no. Dovrai proteggere e custodire tuo figlio in maniera maggiore di come faresti con un cucciolo di drago. Detto questo, posso vedere con i miei occhi la creatura che tanto ti spaventa e conoscere sua madre? , intervenne il drago.

“Castigo chiede se può vedere Finiarel” , informò la ragazza il Cavaliere.

“Certamente, volentieri. Ma ti proibisco di portarlo a volare così piccolo! Ricordati che è nato tre mesi prima del tempo”, lo apostrofò mentre lo seguiva fuori dalla stanza.

Il Cavaliere era insicuro nell’andatura come un cortigiano costretto a prendere servizio la prima volta in una serata tutta bicchieri di cristallo e vassoi.

Finalmente la porta d’ingresso…, pensò Murtagh sfinito da quei pochi passi con un tesoro così prezioso e fragile tra le braccia.

Temeva di lasciarlo cadere e che quel sogno potesse infrangersi improvvisamente.

Nel vederli, l’enorme creatura squamata si abbassò al suolo per essere al loro livello. Tenne però il collo fieramente alzato per permettersi la vista dall’alto della creaturina.
Quale è il nome del figlio del mio Compagno?, chiese nelle menti dei genitori.

Finiarel Ruaidhrì, rispose Nasuada, lasciando che drago e Cavaliere entrassero nella sua mente, ovviamente limitati alla porzione adibita al dialogo. Il drago sbuffò aria calda sul piccolo da una distanza sufficiente per non scottarlo e lo benedì nell’Antica Lingua, poi spostò il grande collo davanti a Nasuada. Benedì anche lei, augurandole di crescere al meglio suo figlio e futuro re di tutta Alagaesia e di poter essere felice nella sua vita con il suo Compagno-di-cuore-e-di-mente.

 

 

In quel momento tutta la paura del futuro di Murtagh si disciolse. Sentì per la prima volta di essere nel posto giusto, al momento giusto. Si sentì contento di aver presentato suo figlio a una creatura tanto antica e potente come un drago, il suo Compagno, che aveva benedetto la vita di un futuro re. Si sentì orgoglioso per la prima volta di essere un uomo sposato, con la ragazza più forte e determinata di tutto il reame, una regina buona e coraggiosa; e si sentì fiero della giovane vita che avevano generato insieme ed era speranzoso, anzi ottimista, che Finiarel sarebbe stato destinato ad essere un re altrettanto saggio e amato come la madre, e come l’uomo di cui portava il secondo nome.

 

“Angela mi ha contattata poche ore prima la sua nascita, prima che cadessi in quel sonno profondo durato quasi una luna, per dirmi che le ossa di drago le avevano parlato, dicendole che sarebbe nato in quel giorno un bambino che tanto stavano aspettando, che sarebbe cresciuto per diventare un re buono e che avrebbe portato cento anni e più di pace e prosperità ad Alagaesia”, disse Nasuada con gli occhi imperlati di lacrime, come se fosse riuscita a provare i sentimenti del Cavaliere assieme a lui. “Non ci avevo dato peso, ma avevo deciso di chiamarvi comunque per farvi ritornare, e ora che siete qui al mio fianco, finalmente capisco le sue parole. Vi ringrazio per essere corsi da me, per aver deciso di rimanere al mio fianco e nella vita di questo bambino. Lui è veramente destinato alla grandezza!”, terminò stavolta con lacrime copiose che le bagnavano le guance. Il Cavaliere spostò il bambino su un braccio solo, come aveva visto fare alla regina per poter avere un braccio libero, e le cinse le spalle, baciandole la fronte.

 

 

 

*N.d.A.: la pronuncia è Roderic o Rodric alla maniera del Nord di Alagaesia

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Capitolo 11
*** Conciliare ***


“Ci stanno chiamando per la cena, Murtagh” , fu risvegliato il Cavaliere dal suo sogno ad occhi aperti dalla regina. Avevano guardato il tramonto seduti sulle scale d’accesso alla dimora di Roran con le teste accostate e il piccolo Finiarel che muoveva i suoi piccoli arti nella coperta ogni qualvolta si svegliasse. I suoi occhi ancora ciechi vagavano nel mondo cercando di carpirne qualche immagine senza successo, ma quando chiamato dalla madre si dirigevano istantaneamente verso la sua dolce voce e un appena accennato sorriso nasceva sulle sue labbra. Più che il tramonto il Cavaliere aveva lanciato occhiate al bimbo, a ogni suo movimento, a ogni suo sospiro. Lo aveva osservato, studiato, ma soprattutto ammirato.

Credo sia l’essere umano più bello che abbia mai visto, non trovi? , aveva chiesto al suo Compagno, che aveva sbuffato e risposto di sì per farlo smettere di ripeterselo e ripeterglielo. Siccome condividevano la mente era stanco di sentire pensieri ripetitivi ed estatici da un’ora buona.

 

“Certo, arrivo subito. Tu entra, ti raggiungiamo in un attimo.” , le disse vedendo i suoi amici, i gemelli, rientrare verso la loro casa.

“Non trattenerti troppo. Se mio figlio dovesse congelare ti farò uccidere all’istante.” , lo ammonì scherzosamente - ma non senza uno sfondo di verità - la ragazza salendo gli ultimi gradini.

Il ragazzo si avvicinò agli amici.

“Oggi devi essere stato molto occupato da non averci più raggiunto. O forse troppo adirato con noi per stamattina. Ci dispiace”, disse Albriech quando furono abbastanza vicini per parlarsi senza urlare.

“Nessun problema. Anzi, vi devo io delle scuse per non essere stato sincero del tutto ed essere scattato così con voi” , rispose il Cavaliere.

“Che hai lì?”, chiese Baldor quando notò il fagotto essendo ormai a quattro piedi di distanza.

“Ecco… non è vero che io non sia legato ad una donna. Lui è mio figlio, Ruaidhrì. Mio e della regina Nasuada…”

“Lo conosciamo, in realtà… nostra madre si è occupata di lui da quando è nato praticamente. È un gran rompiscatole, non dorme mai tutta la notte. Sono solo stupito che abbia un nome tanto scontato solo perché il padre è un individuo che si veste sempre di rosso. Avrei potuto darti qualche altro nome più originale…” , commentò allegro il giovane apprendista fabbro.

“In realtà il suo nome è Finiarel”

“Che sarebbe? Inventato? Meglio allora l’altro” , disse l’altro gemello con un grande sorriso sulle labbra.

“È Antica Lingua, un appellativo onorifico per un giovane di grandi promesse.”, sorrise Murtagh nel dirlo a voce alta.

“È un po’ presto - non credi? - per giudicare il suo valore” , commentò Baldor e Albriech gli lanciò un’occhiataccia. “Baldor, stai parlando comunque del tuo futuro re!” , lo rimproverò.

“Ad ogni modo, siamo contenti che sia venuto a dircelo non appena l’hai saputo, amico. E complimenti per tua moglie, è veramente una donna meravigliosa.” , terminò strizzandogli un occhio.

Era abituato ad essere geloso di Nasuada, sin da quando aveva poggiato i suoi occhi su di lei e non c’era ancora nulla tra loro: era una delle donne più belle di Alagaesia, la sua bellezza era decantata anche nel villaggio sperduto in cui si era rifugiato dopo la sua partenza. Ora era sua moglie, e non avrebbe permesso a nessuno di fare commenti inappropriati su di lei, perciò lo guardò per un attimo in risposta in modo severo, perché gli servisse come ammonimento.

Li salutò per dirigersi verso la dimora del cugino quando il piccolo iniziò a lamentarsi, forse per il freddo, forse per la fame, lasciando i gemelli a discutere se avessero o meno vinto - il Cavaliere rosso e la regina - il premio di coppia più bella di Alagaesia, se il premio fosse esistito.

 

 

Murtagh salì i gradini, entrò nella casa e trovò la famiglia del cugino seduta al tavolo davanti al camino, Nasuada nel posto d’onore riservato agli ospiti di rango più alto del conte, a capotavola. Murtagh in quanto nobile di rango maggiore, avrebbe seduto accanto a Katrina, alla destra della regina.

Si stupì di ricordare ancora così bene l’etichetta di corte e dei lignaggi sociali, dopo che in quanto primo e unico Cavaliere del re aveva potuto fare quello che gli andasse e sedersi dove volesse per tanto tempo. “Vedo che state prendendo confidenza tu e il piccolo…”, iniziò per poi interrompersi Roran, accorgendosi di non essere stato informato del nome del neonato.

“Finiarel Ruaidhrì.”, rispose Nasuada per lui.

Normalmente sarebbe spettato al padre, all’uomo più importante della famiglia comunicare il nome dell’erede, ma nel loro caso la regina aveva maggiore diritto di lui, che era solo un Vassallo e presto Emissario diretto della regina.

“Di un nome non conosco il significato, dell’altro invece sì e posso dire che sia un nome adatto al bambino.” , si complimentò Fortemartello a voce alta.

Poi si rivolse a Murtagh: “Prego, cugino, siediti alla nostra tavola e mangia con noi. Da quando sei qui siamo stati scortesi e non abbiamo condiviso il pane e il pasto con te.”

“Ti devo io delle scuse per aver riposato nella tua dimora senza che tu mi avessi offerto la tua ospitalità” , rispose cordialmente anche se in realtà sperava che i convenevoli finissero presto.

Il conte gli indicò il suo posto, che prese dopo aver lasciato il neonato all’unica domestica di Roran, che da quel che poteva vedere dal suo seno ingrossato era stata anche la nutrice di suo figlio fino al risveglio della regina.

“Se dovesse avere fame portalo qui da me, cortesemente. Una regina è tenuta a nutrire dal proprio seno suo figlio” , si raccomandò Nasuada con la ragazza, forse di un paio d’anni più giovane della regina, prima che uscisse. Murtagh questo dettaglio non lo conosceva, sapeva solamente che era ritenuto volgare per una nobildonna allattale il figlio. Lui stesso aveva avuto una balia, una madre di latte, perché Selena - in aggiunta ai compiti che le affidavano il re e Morzan, che l’avevano strappata dal figlio subito dopo la nascita - in quanto duchessa non avrebbe potuto nutrire il suo bambino. Ma Galbatorix non aveva né una moglie né figli, perciò non aveva mai imparato l’etichetta della vita di re e regine, solo come lui doveva rivolgersi a loro.

Murtagh si trovò a invidiare suo cugino per la sua vita da contadino, semplice e libera da tutte le costrizioni delle corti e dei ranghi nobiliari. Gli unici parenti che aveva potevano vantarsi di una vita sì povera ma - dal suo punto di vista - privilegiata: poter esprimere liberamente i propri sentimenti, vivere l’amore dei propri genitori senza regole di comportamento da rispettare, svegliarsi il mattino dovendo solo lavorare e coricarsi la sera stanchi per la fatica, mentre lui aveva dovuto da sempre, dopo la morte dei suoi genitori, avere un occhio vigile anche di notte contro cospiratori, uomini che lo volevano morto, nemici di suo padre.

Tra i pensieri del Cavaliere gli altri iniziarono a mangiare, lui li seguì non appena si accorse di essere l’unico fermo immobile.

“Ci sono giunte notizie che il castello è quasi pronto”, iniziò il discorso il cugino.

“Sì, non appena mi sarò ripresa un altro poco partiremo, altrimenti la mia assenza prolungata potrebbe destare sospetti”, rispose Nasuada guardando Murtagh di nascosto.

“Tra quanto tutto questo, all’incirca?”, chiese il ragazzo dai capelli corvini.

“Cinque giorni, forse una settimana. Dobbiamo considerare anche il tempo di viaggio.”

“Non ho visto nessuno della corte, sono tornati indietro lasciandoti qui?”, chiese il Cavaliere.

“Sono stata accompagnata fino a Therinsford, dove ci hanno raggiunto in delegazione con dei guaritori i nostri ospiti. Jormundur e Farica sono stati lasciati tornare alla loro dimora siccome sarei stata in buone mani.”

“Potremmo allora aspettare che tu ti rimetta perfettamente e tornare a Illirea volando”, propose il Cavaliere.

“Sarebbe la soluzione più veloce, se non fosse che Finiarel non può volare così piccolo.”, lo fulminò la regina con lo sguardo.

“Lo copriremmo bene e lo circonderei di incantesimi di protezione contro il freddo. Sarebbe meglio anche per lui essere in viaggio per il minor tempo possibile, piuttosto che venti giorni di cammino e accampamento nel bel mezzo di foreste e valli innevate!”, ribadì il Cavaliere la sua idea.

“Finchè sarò in vita sarà mio dovere - oltre governare questo regno - proteggere mio figlio, anche dalle idee potenzialmente letali di suo padre! Ricordati che non stai parlando di spostare la tua famiglia da ovest a est del paese, tua moglie e tuo figlio su cui hai pieni poteri, no: ti stai rivolgendo a una regina, a suo figlio e tuo futuro re!” , sentenziò lei come una leonessa protettiva.

“Ne sono consapevole… non volevo mancarti di rispetto. Voglio anche io che nostro figlio sia al sicuro. Non ti imporrò mai nulla, puoi starne certa.” , sospirò lui.

Intuire che Nasuada temesse per delle sue azioni sconsiderate come padre nei confronti del loro bambino lo feriva molto, ma al contempo poteva comprendere e, ancora una volta, immaginare che la colpa fosse dovuta a quell’uomo che era stato suo padre, che gli aveva scagliato la spada che adesso lui portava al fianco addosso quando era solo un innocente bambino.

Lo sguardo della ragazza si ammorbidì, poi per un secondo fece una smorfia di dolore, pentendosi della sua reazione. Cercò timidamente la sua mano sotto il tavolo per stringerla in segno di scuse. Lui non si ritrasse e la guardò con la coda dell’occhio, annuendo appena.

Portarono via la zuppa, per servire loro piccione ripieno di uvetta, prugne e mele.

“Spero vi piaccia, sono le prime prede che prendo come cacciatore. Io mi sono sempre occupato degli animali e dell’orto con mio padre, senza mai cacciare perché se ne occupava Eragon. Ora ho deciso di cimentarmi in suo onore. Volevo sorprendervi con un cervo o un capriolo almeno, ma con l’arco sono ancora poco pratico. Perciò sono riuscito solo a cacciare questi piccioni con la fionda.” , introdusse il pasto Roran con un sorriso imbarazzato. Cercava con la sua storia forse di cambiare argomento e rianimare la cena? Murtagh, cogliendo la palla al balzo iniziò con lui una conversazione cordiale sulla caccia, ponendo più domande e rispondendo poco a quelle del cugino, per non farlo sfigurare essendo lui un cacciatore più che esperto.

Roran, quando metteva da parte il risentimento ingiusto verso il Cavaliere, era un ragazzo simpatico, semplice ma molto intelligente. A Murtagh piacque molto e si ritrovò a pensare che avrebbe voluto sapere della sua esistenza prima, magari avrebbe anche convinto il suo maestro Tornac a fargli passare del tempo a Carvahall, a cacciare, ad allenarsi con la spada nei boschi, a risalire i corsi dei fiumi della montagna. Tornac forse avrebbe permesso un tale viaggio, magari anche una volta all’anno e Murtagh non avrebbe atteso altro… Ma il re non avrebbe mai permesso al giovane di abbandonare la corte, non gli permetteva nemmeno di tornare al castello di suo padre per verificare i suoi averi. E magari avrebbe anche messo a rischio la vita del fratello, tenuta nascosta alla conoscenza del re-tiranno per permettere al suo grande destino di avverarsi.

Scoprì che suo cugino aveva un anno di più del fratellastro di entrambi, perciò un anno in meno circa del Cavaliere rosso. Avrebbe voluto imparare l’arte orafa, ma non aveva mai potuto intraprendere l’apprendistato poiché non aveva mai imparato a leggere e a scrivere, se non dopo la sua fuga da Carvahall e aver preso parte alle fila dei Varden. Ora stava addirittura studiando con Katrina l’antica lingua per non essere due Conti e Protettori del Nord sprovveduti.

“Sono ammirevoli la tua volontà e la tua forza, cugino

Roran sembrò sorpreso di sentire quella parola e Murtagh si maledì per essersi lasciato scappare un termine così pericoloso se proferito dalla sua bocca, ma inaspettatamente la reazione di Fortemartello fu calma, cordiale. “Ti ringrazio. Devo ammettere invece che non mi dispiace la tua persona. Su di te ho sentito tante cattiverie, tante parole di orrori. Ho sperato tanto che la gente non collegasse te a me, non menzionasse mai la nostra parentela. Immagino ci sia della verità di base in quello che si dice, ma come te anche io sono stato costretto ad uccidere per salvarmi la vita. E non sei un uomo malvagio. Sei un ragazzo come me, come tutti in questa stanza nato durante la Guerra. Ci siamo arrangiati tutti, siamo sopravvissuti come meglio potevamo, magari approfittandoci della dipartita di altri a nostro favore. Ma siamo ora qui perché i nostri figli possano vivere in un tempo di Pace e crescere come persone migliori. Potrai chiamarmi cugino, e io chiamerò te cugino senza vergogna. E farò in modo di difendere il tuo Nome ogni qualvolta lo sentirò denigrare, è una promessa nel nome del Nord.”

La cena terminò e i quattro giovani si ritirarono per la notte. Roran e Katrina si fermarono al piano di sotto della dimora, probabilmente liberando il tavolo dal resto della cena, Murtagh e Nasuada invece salirono al piano sovrastante.

“Dormirai qui o con Castigo?”, gli chiese la ragazza dalla pelle d’ebano entrando nella sua stanza sentendo il figlio iniziare a piangere. Il Cavaliere la seguì fermandosi sulla porta, un po’ a disagio per non essere stato invitato ad entrare. La ragazza si sedette su una poltrona ricoperta di pellicce sotto la finestra per nutrire il bambino.

“Io non lo so… Non avrebbe senso per me rimanere qui per la notte quando fuori c’è il mio Compagno, a meno che tu non mi stia chiedendo di rimanere qui con te, con voi.”

“È esattamente quello che ti sto chiedendo, Murtagh. Hai deciso di restare accanto a tuo figlio, accanto a me. Sei a tutti gli effetti il mio consorte, non avresti limitazioni se volessi condividere il mio letto. Prima o poi dovremo rompere i muri di educazione che ci tengono così distanti anche se vicini.” , rispose sussurrando per non svegliare il piccolo che le si era addormentato tra le braccia con la pancia piena di nutrimento.

Si avvicinò per baciarla, un bacio dolce, non di quelli sensuali che sapeva sfoggiare, ma un bacio che incanalasse tutto l’amore che provava per la regina, delicato come le loro labbra a contatto.

“Rimarrò con voi questa notte e per sempre, è una promessa, Amore mio” , sussurrò il Cavaliere al chiaro di luna.

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Capitolo 12
*** L'Ordine dei Cavalieri ***


La mattina il Cavaliere si svegliò non all’alba come al solito perché, come gli avevano preannunciato i gemelli, il bambino si era svegliato ogni ora durante la notte. Ma non era arrabbiato, nemmeno scocciato. Non si era certo svegliato riposato - anche se normalmente non gli accadeva a causa degli incubi a metà della notte - ma almeno aveva tenuto lontano immagini non volute dal suo sonno per la prima volta in tanti mesi, se non forse anni. Guardò la figura addormentata accanto a lui, per un attimo fu stranito dalla sua presenza. Non si era mai risvegliato con nessuno nel suo letto, tantomeno lui in letti altrui. Le accarezzò i capelli castano scuro con delicatezza per non svegliarla. Aveva promesso di restare, di accettare e combattere per il suo matrimonio, per la sua famiglia, perciò sapeva di doversi abituare a non essere più solo, a condividere i suoi sentimenti, ad aprirsi verso altre due creature oltre a Castigo, a dimostrare loro i suoi sentimenti e specialmente l’affetto che provava e che sarebbe accresciuto. Certo, abituarsi ad un cambiamento così radicale e repentino non sarebbe stato facile, ma Murtagh sapeva in cuor suo la forza d’animo di cui era capace: si era opposto al Re Nero, alle sue Torture, alla sua coercizione usando il suo Vero Nome, aveva ordito un piano per salvare Nasuada dalla prigionia che gli sarebbe costata la vita se i Varden non fossero arrivati prima del previsto.

 

Veglierò su di te, ti proteggerò e farò in modo che la nostra vita insieme non sia per te una maledizione. Cercherò di essere il padre che non ho mai avuto per il nostro bambino, e un marito che ti ama veramente anziché interessato solamente al tuo potere!

 

Nasuada si mosse appena, poi aprì gli occhi ambrati a mandorla per guardarlo.

“Buongiorno” , gli sussurrò assonnata.

Non fece in tempo a rispondere al saluto che il piccolo si mise a piangere nuovamente. Il Cavaliere si alzò, prese il figlio tra le braccia delicatamente e ancora impacciato e lo portò alla regina, che se lo portò al seno.

“Buongiorno, Nasuada e piccolo Finiarel”, rispose finalmente sedendosi accanto a loro e godendosi gli ultimi momenti di silenzio prima dell’inizio delle loro attività del giorno.

Quando il piccolo fu sazio e si riaddormentò, Murtagh scese a prendere la colazione per entrambi riportandola nella stanza.

“Quale sarà la mia prima missione, dunque?”, chiese dopo aver ingoiato un cucchiaio di porridge.

“Tuo fratello ha lasciato una cospicua quantità di uova di drago in Alagaesia perché venissero trasportate di città in città nella speranza che nasca qualche altro Cavaliere. Dovrai recarti ad Ellesmera dopo che saremo tornati ad Illirea per fartene consegnare la metà da Arya. Poi dovrai accordarti con lei sulle città che batterai tu e quelle che saranno battute dagli elfi. Chiaramente tu non potrai occuparti delle città dei nani. Hanno memoria lunga e non ti accetterebbero mai per quello che hai fatto al loro re.”

“E credi che Arya accetterebbe di buon grado di consegnarmi delle uova di drago? Non ci siamo mai rivolti la parola, non mi conosce.” , espresse il suo timore il Cavaliere.

“Arya non è stupida, nemmeno diffidente. Sa che hai aiutato Eragon e tutto il resto nei tuoi confronti. Ti consegnerò tuttavia una lettera mandatami da tuo fratello stesso per permetterti di prendere la metà delle uova.” , lo informò placando in parte le sue preoccupazioni.

“Sa anche di noi?”

“No, nemmeno di nostro figlio. È tua discrezione dirglielo o meno, non cambierà il rapporto tra i nostri popoli o tra noi due regine.”

“Da dove partiremo a sottoporre le uova al tocco degli abitanti?”

“Partiremo da Illirea. Così potrai rimanere con noi per un periodo più lungo. Anche se quando il tempo verrà dovrai partire. Ci saranno occasioni in cui dovrai essere lontano per lunghi mesi. Purtroppo non ho alternativa se non affidarti questo compito. Sei un Cavaliere e potrai cercare di toglierti le colpe di tuo padre solo aiutando attivamente tuo fratello nella ricostruzione di un nuovo Ordine di Cavalieri. Il nostro mondo ne ha bisogno.”

“A volte mi chiedo se il mondo abbia veramente bisogno di noi. Se tutti avessero un drago, se potessero usare la magia, se tutti fossimo uguali allora non ci sarebbe il bisogno di Cavalieri a fare da moderatori. E allo stesso tempo se la magia scomparisse, se fossero davvero stati estinti i draghi nessuno avrebbe, ancora una volta, bisogno di Cavalieri.”

“Il mondo, Murtagh, ha bisogno di voi proprio perché anche chi voleva distruggere i Cavalieri ne era uno e non è riuscito ad uccidere né il proprio drago, né ha avuto la forza di distruggere le uova presenti. Nessuno in Alagaesia vorrebbe vivere in un mondo senza draghi e senza magia. Tu stesso pensi questo, ma saresti distrutto dalla morte del tuo Compagno. I Cavalieri sono un simbolo di unione di tutte le razze, perché non si fa distinzione tra elfi, umani, nani o Urgali. E sono al contempo simbolo di potere sulla natura, ma questo potere deriva dalle creature al fianco dei Cavalieri. Senza il proprio drago il Cavaliere sarebbe solo una creatura come un’altra. Invece è il compagno a conferire il potere all’altro. Ed è il drago a scegliere a chi legarsi. Perciò il Cavaliere è un prescelto, se un drago si lega a una creatura è perché quella creatura è giusto che sia un moderatore, che preservi la pace, la conoscenza.”

“E se una volta restituito l’Ordine dovesse esserci qualcuno che in modo stolto come Galbatorix e i Tredici volesse di nuovo annientarlo per avere tutto il potere?”

“È importante che venga restituito da te ed Eragon e che insegniate ai nuovi Cavalieri cosa succede se non si rispetta l’ugualianza, ma al contrario si cerca il potere personale. Il vostro insegnamento arriverà da chi ha sofferto per una tale ribellione in modo che la storia non si ripeta. Credi che non sappia che la tua vita si protrarrà senza fine, salvo che Castigo non perisca?”

Murtagh non voleva che Nasuada sapesse che era destinato da ormai due anni all’immortalità. Non voleva che vivesse con la consapevolezza che sarebbe invecchiata e poi morta, mentre lui sarebbe rimasto giovane almeno per tutta la vita che le rimaneva, e così suo figlio, destinato dal suo sangue ad essere un Cavaliere ed immortale.

“Sai dunque anche che Finiarel sarà un Cavaliere e che sarà anche lui immortale?” , le chiese rompendo il silenzio che la sua domanda aveva fatto dilagare nella stanza.

“Sì, e accetto tutto quello che verrà. Se il nostro destino ci porterà ad un certo punto a separarci non potremo opporci. Non esistono capi o ranghi tra i Cavalieri, e tu lo sai meglio di me, esiste solo una distinzione di anzianità, Cavalieri più esperti diventano mentori e maestri per i giovani, li plasmano, e io credo fermamente nel progetto di tuo fratello perché so che se sarete voi a plasmare i nuovi Cavalieri riporterete Alagaesia allo splendore. Murtagh, tu non sei nato per servire il Re Nero e soffrire, ti sei liberato a soli venti anni dall’oppressione. Il tuo destino è molto più grande di quanto tu non osi immaginare, e io lo so. Ma bisogna aspettare nella vita che il nostro tempo arrivi. Il tuo è cominciato meno di un anno fa, dovrai solo aspettare per vedere con i tuoi occhi.”

“Come fai ad esserne certa?”

“Mi ha fatto aprire gli occhi una persona che ti farò conoscere: l’ultimo Cavaliere superstite dell’Ordine dopo la morte di Oromis. Purtroppo non ha più un drago, ma non vede l’ora di incontrarti”

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Capitolo 13
*** Viaggio ***


Passarono i pochi giorni che separavano la regina e il Cavaliere dalla partenza alla volta della capitale. La sera prima della loro partenza la famiglia di Roran e quella di Horst si riunirono per un’ultima cena per salutare la coppia reale. Il Cavaliere fu molto stranito di essere al centro dell’attenzione nuovamente, dopo tanti mesi. Ma il clima non era di sottomissione e timore: c’era festosità nell’aria, goliardia e tanta, tanta libertà. Tutto quello che aveva temuto di non potere mai essere lo era diventato: era libero di essere il marito di sua moglie, padre dell’erede al trono, uomo d’onore della regina. E tutti quelli erano solo titoli, quello che stupiva il Cavaliere era l’amore che era libero di dimostrare alla sua famiglia e soprattutto semplicemente di provare. Per troppo tempo aveva represso ogni sentimento, tanto che prima di Nasuada non aveva mai amato nessuno. L’amore che aveva risvegliato in lui l’aveva reso libero e ora aveva votato la sua vita a restituirle il favore, non che pensasse di arrivare mai a ripagare il debito che aveva nei confronti della donna, comunque. Era così da lui pensare di non essere mai abbastanza!

Impara ad avere più fiducia in te stesso… Il tuo cuore è buono, l’ho capito dal primo incontro. , gli impartì scherzosamente la moglie. La regina si ritrasse dalla coscienza del marito, che aveva lasciato accesso solo a lei, l’unica che mai avesse fatto breccia nelle profondità del suo cuore e nella sua mente. Lui le strinse la mano in ringraziamento, spostando l’attenzione di nuovo alla conversazione che stavano avendo con Horst ed Elain.

“Certamente e molto volentieri porteremo con noi i vostri figli per un apprendistato! Anzi, per ringraziarvi saranno affiancati al mastro fabbro di Illirea in persona.”, sentì promettere la moglie. I genitori ringraziarono, anche se la madre aveva lo sguardo leggermente velato dalla tristezza.

“Crescono così in fretta. Sembra ieri che eravamo due giovani sposi, timorosi di come sarebbe stata la vita insieme, di cosa sarebbe successo. Ho l’impressione che quei due neonati che ho stretto per mesi a me siano cresciuti in una notte. Anche Hope già muove i suoi primi passi e fa i primi discorsi. E in men che non si dica sarà già pronta per crearsi una vita indipendente dalla nostra…” , mormorò guardando il piccolo Finiarel addormentato e sorretto da un braccio della madre. “Suvvia, mamma. Non staremo via per sempre!” , la rimproverò bonariamente Baldor.

“E per sdebitarmi pagherò io i vostri matrimoni se doveste trovarvi finalmente due ragazze alla vostra altezza” , disse il Cavaliere facendo loro un sorriso amichevole. I due s’illuminarono.

“Ben detto, amico. Ce lo devi per aver sopportato quel tuo marmocchio piagnucolone!” , si lamentò come qualche sera precedente Albriech. Scoppiarono a ridere, poi vennero chiamati al tavolo dalla padrona di casa.

Cenarono tutti assieme e l’atmosfera fu allegra, la stanza piena di parole concitate, discussioni che sbocciavano in una risata del possente fabbro, canzoncine di parole senza senso delle due bambine che si rincorrevano attorno al tavolo. Murtagh si fermò a guardarle, immaginando che un giorno anche suo figlio - e magari qualche altro fratellino - avrebbe riempito i loro appartamenti nella capitale di rumori bambineschi gioiosi. Un tempo quello che pensava di sentire la sera durante le sue cene in solitudine o con il re erano soldati nei cortili in addestramento, con i loro cozzare di spade e scudi, grugniti, urla. Mai si sarebbe aspettato di vedere cambiare quello scenario con uno più tranquillo, più… familiare. Ma il loro regno stava rinascendo, erano liberi e avrebbe dovuto arrivare a realizzare l’idea che fosse tutto realtà prima o poi. E come si può effettivamente pensare che si possa ripartire se non dai bambini, da generazioni pure, incontaminate, libere?

“Non ci pensare nemmeno, cugino. Non accetterò mai una tua proposta per far sposare mia figlia al tuo!” , lo ammonì Roran scherzosamente - ma pur sempre con uno sfondo di serietà - seguendo il suo sguardo. Il Cavaliere rise per il fraintendimento. “Sei fortunato: non abbiamo bisogno di suggellare accordi con il Nord grazie al ruolo che ricopri. Dai pure in sposa tua figlia a chi vorrai, oppure fa’ scegliere a lei quando sarà tempo, ti amerebbe sicuramente di più per questa tua decisione”.

“E cosa osservavi?” , intervenne Katrina.

“Riflettevo sulla fortuna che hanno i nostri figli, che cresceranno in un mondo migliore di quello in cui siamo nati noi”

La sua frase fece calare il silenzio, se non per le risate ignare delle bambine. I presenti si guardarono e annuirono, Elain si asciugò una lacrima di commozione.

“Scusatemi, non volevo incupirvi” , disse il Cavaliere alzando il calice per un brindisi alla loro nuova condizione. I commensali lo seguirono nel brindisi, terminando il loro pasto.

Il fabbro e la moglie si congedarono prima di tutti, lasciando un ultimo saluto e un augurio di buona fortuna ai due giovani coniugi. La tavola fu liberata velocemente e i rimasti si disposero attorno al grande focolare per discorsi di tarda serata. Finiarel fu portato alla madre urlante per la fame dalla ragazza che lo stava tenendo durante la cena, perchè lo nutrisse - armeggiando con l’abito elegante che indossava per liberare il petto - fino a sazietà quando il piccolo sprofondò in un sonno profondissimo tra le braccia tiepide per il calore del vicino fuoco che lo sorreggevano.

Passarono altre due ore all’incirca a raccontarsi aneddoti sulla guerra, sulla loro vita precedente e su quella nuova, i gemelli e il Cavaliere a punzecchiarsi. Mai aveva trascorso una così bella serata davanti ad un focolare, forse solamente assieme ad Eragon nel loro viaggio verso i Varden. Parlarono quindi di lui, come un eroe, poi come un fratello e un amico. Murtagh apprese tratti di lui che non aveva colto, tratti che solo in giovinezza e nella crescita assieme ad un’altra persona si possono osservare. A quanto pare il suo fratellino aveva sempre risentito la mancanza della madre che lo aveva abbandonato dopo aver appreso di non essere figlio di quelli che riteneva i suoi genitori. Ironico: Eragon aveva ritenuto di avere due padri, Garrow e Morzan, prima di scoprire che il terzo era quello vero, ma che era morto prima di poterlo chiamare tale; e lui che aveva sempre avuto l’ombra del suo a perseguitarlo, invece, si sarebbe ritenuto fortunato ad essere abbandonato piuttosto che sopportare quello che aveva dovuto sopportare quando era in vita e dopo la sua morte. E sua madre non aveva certo potuto impedirlo, anzi, in un certo senso lo aveva abbandonato anche lei al suo destino. Ma suo fratello non aveva idea di che razza di donna fosse in realtà Selena, di cosa fosse capace. Aveva dimostrato forse un po’ di amore verso i figli, ma non sufficiente per poterli salvare, non entrambi almeno. Turbato dai suoi pensieri, il Cavaliere scattò in piedi. “A domani, grazie per la serata.” , disse avviandosi verso la porta dopo essersi fatto mettere in braccio Finiarel con la scusa di portare il piccolo nella sua culla. Salì le scale in fretta, sentendo il silenzio di sbigottimento nella grande sala. Si avvicinò alla finestra, guardando verso l’enorme rettile nella piazza, che mosse il cranio in quello che sembrava un no.

Smettila di fuggire se vuoi essere felice!

Il Cavaliere si sdraiò sul letto in posizione fetale, gettando solo gli stivali a terra, il figlio accanto a lui. Aveva bisogno di dormire, di tornare lucido per la sua nuova vita, dimenticare sua madre, il suo maledetto padre.

“Murtagh, tutto bene? Perché sei fuggito in quel modo?”

Fu riportato alla realtà dalla voce di Nasuada che si avvicinava a lui, lo sguardo dolente e materno. Si sedette di fronte a lui e al piccolo, accarezzandogli i capelli.

Cosa non andava in lui? Perché era sempre fuggito in vita sua piuttosto che affrontare i problemi?

La regina si svestì velocemente, sdraiandosi al fianco del marito. Rimasero in silenzio per un lungo periodo, finché il ragazzo, attanagliato dal dubbio finalmente si espresse.

“Ho bisogno di sapere: se non fossimo stati costretti a sposarci, lo avresti mai fatto da libera?”

Lei non ci pensò nemmeno per un secondo, i lati della sua bocca piegati in una smorfia. “No. Non lo avrei mai fatto per quello che siamo, per quello che non abbiamo potuto essere: due ragazzi comuni innamorati, come Roran, come Katrina.  Mio padre non avrebbe mai permesso la nostra unione, nemmeno se lo avessi supplicato. Ma cosa importa il se? Io ti amo dal primo giorno, da quando ho incontrato il tuo sguardo fiero. Dicono che nel corso della nostra vita abbiamo due grandi amori. Uno è con cui ti sposi e vivi per sempre, colui che diventerà il padre dei tuoi figli, quella persona con cui avere il massimo rapporto, per stare il resto della vita accanto ad ella. Poi dicono che c'è un secondo grande amore, una persona per cui si perde la testa, con cui c’è una connessione particolare, ma a volte anche la forza di questa impedisce di raggiungere un lieto fine. Un certo giorno si smette di provare, arrendendosi e cercando l'altra persona, ma non è quello che si vuole, non si passerebbe una sola notte, senza pentirsi e pregare di riaverla indietro. Quello che ci è successo, Murtagh, ha permesso che tu possa essere entrambi per me e non solo l’amore proibito. Sei mio marito e non desidero altro francamente!”

Lui sospirò chiudendo gli occhi. Non si sarebbe mai aspettato che una risposta negativa avrebbe potuto alleggerirlo. Lui avrebbe risposto lo stesso, ma quello che aveva aggiunto lei aveva svoltato tutto. Lei era un’aggiunta alla vita che aveva svoltato la sua. Sorrise, sprofondando poco dopo in un sonno profondo.

 

La mattina si svegliarono comunque prima dell’alba nonostante la sera precedente avessero fatto baldoria in casa di Fortemartello. I due sposi si vestirono, la regina aiutata dal Cavaliere perché il cugino e la moglie non avevano servitù, fecero colazione in velocità e il ragazzo moro andò ad assicurare le sue bisacce al drago, che avrebbe viaggiato da solo per i primi giorni osservando la piccola carovana dall’alto. Circa un’ora dopo partirono sul dorso di cavalli freschi assieme ai gemelli. Roran li accompagnò fino al confine del villaggio - ormai una città - per poi salutarli e ritornare ai suoi doveri.

 

La sera si accamparono montando una unica tenda circolare per non sprecare calore e legna, sul tardi cenarono con uno stufato preparato dal Cavaliere di legumi e la carne fresca che avevano con loro. Finiarel, che non aveva smesso un secondo di piangere durante tutto il viaggio sul dorso del cavallo, si addormentò durante la cena improvvisamente e non si svegliò per tutta la notte, lasciando ai viaggiatori la possibilità di riposare in modo soddisfacente. La mattina ripartirono subito dopo il pasto del principe tutti avvolti in pellicce e mantelli in lana pesante per la neve che cadeva dalla notte precedente.

“Ci metteremo una vita se non si fermerà di nevicare! L’inverno è arrivato prima quest’anno!” , si lamentò Albriech. Effettivamente il secondo giorno riuscirono a percorrere solo la metà delle miglia del precedente. A Daret, Farica e Jormundur li aspettavano con la carovana con cui erano partiti un mese e mezzo prima dalla capitale. I due furono lieti di vedere la loro regina in salute così come il suo bimbo. Murtagh notò che tra i due servitori dovesse essere nato un sentimento durante la Guerra poiché i loro sguardi erano carichi d’emozione e i loro atteggiamenti erano molto delicati, quasi stucchevoli a tratti. L’uomo non fu a suo agio nel rivedere il Cavaliere - non che avessero avuto modo di incontrarsi per un tempo maggiore di pochi minuti quando scortava Nasuada nella sua cella nel Farten Dur - ignorandolo quando possibile. Eppure in loro presenza la regina si era come rilassata e nella loro tenda privata, in cui i governanti assistevano a cene e preparativi, spesso si lasciava sfuggire gesti d’attenzione nei confronti del marito, come scostargli le ciocche dal volto mentre si vestiva. Farica, dal suo canto, lo aveva accolto con il calore di una suocera, gli riservava attenzioni materne ma cortesi e per nulla invasive. Aveva persino discorso con lui, probabilmente per conoscerlo meglio, anche se il vero fulcro dell’attenzione dei due innamorati era diventato Finiarel, sempre in braccio a uno o all’altro quando la regina lo permetteva loro. Farica non era riuscita ad avere figli, diventando così prima la balia - ma non la madre di latte - poi la dama della figlia del capo dei Varden; Jormundur invece aveva tre figli deceduti per mano di Galbatorix assieme alla moglie quando aveva circa la stessa età del Cavaliere. Era comprensibile che appena la regina avesse bisogno di qualcuno che le liberasse le braccia dal figlio, loro accorressero per accudire un bambino anche se non proprio.

 

Quindici dopo furono a metà strada, si erano lasciati la neve alle spalle da due giorni poiché nel centro del paese il freddo tardava ancora ad arrivare. A venti e ancora un giorno di marcia dalla capitale, i primi fiocchi li raggiunsero cadendo sulle loro teste, costringendo la carovana a velocizzarsi cambiando tutti i cavalli con altri freschi e riposati. Finiarel, visibilmente stremato dalla scomodità di quel viaggio perché troppo piccolo per poter sopportare a lungo la lontananza dalle comodità di una dimora calda e accogliente, iniziò a non smettere un secondo di piangere durante tutto il giorno. Il gruppo di persone procedeva perciò in silenzio con le orecchie straziate dal suo pianto capace di mettere tutti in malumore. Il Cavaliere arrivò a chiedersi se fosse stato saggio fargli sopportare un così lungo viaggio. Probabilmente no, visto che anche i suoi genitori, esseri indegni di chiamarsi padre e madre, lo avevano sempre lasciato nella comodità del castello di Morzan, spostandosi senza di lui nelle missioni. Non che avere un bambino al seguito potesse essere utile agli scopi delle loro missioni, anzi sarebbe stato solo controproducente.

 

Finalmente, alla fine del ventunesimo giorno videro le torri di Illirea in lontananza. Non si fermarono quella notte, sfruttando il buio per rientrare nella città che sembrava non essersi accorta della mancanza della sovrana. Meglio essere ignari che pensare di essere abbandonati dopo nemmeno un anno senza un motivo dal capo della città, oltre che del regno.


Entrarono nel castello stremati. Furono assegnate una casupola a ciascuno dei gemelli accanto a quella del mastro-fabbro della capitale dopo di che la regina, il Cavaliere con il figlio si diressero verso i piani in alto del castello. Murtagh si chiese da quella notte in poi come sarebbe stato l’atteggiamento della servitù rimasta dal vecchio regno nel rivederlo, come lo avrebbero accolto i nuovi servitori un tempo dei Varden, dove avrebbe dormito, come avrebbe dovuto comportarsi nei confronti della regina e soprattutto di suo figlio, se con rispettoso distacco o se gli sarebbe stato concesso di avere un rapporto diretto con lui.
Almeno tu un posto in cui dormire lo avrai, posso almeno entrare nella città io? , lo interruppe Castigo, irritato dalla poca considerazione nei suoi confronti, animale magico e maestoso, dimenticato da fragili e stupidi umani. Murtagh sorrise per l’ennesima dimostrazione di permalosità del suo Compagno, chiedendo di lui alla regina.

“Oh, certo. Non mi sono dimenticata di lui, non potrei mai. Vieni, ti mostro un posto…” , rispose la ragazza prendendolo per al gomito e arrivando nei suoi appartamenti, in testa ad un’ala del castello. Una grande finestra ad altezza completa si apriva su un grande terrazzo coperto da un’enorme struttura in vetro e metallo collegata all’edificio di fronte a formare una galleria trasparente. Stupito dalla bellezza mai vista della struttura il Cavaliere non notò subito la scala che dal terrazzo scendeva direttamente a terra. “L’ho fatto costruire per te, in realtà. Speravo che saresti tornato un giorno per me e per il nostro bambino. Così ho pensato che una via diretta per raggiungere il tuo compagno e le nostre stanze sarebbe stata la soluzione migliore per il Cavaliere della regina. Castigo potrà vivere in questa galleria, è abbastanza grande per lasciargli lo spazio addirittura per duplicarsi di dimensioni se mai dovesse succedere”

Dopo un veloce contatto mentale il drago atterrò nello spazio verde davanti alla galleria per poi entrarci gongolando. Spostò il suo possente collo verso la regina, fissandola negli occhi.

Grazie, Nasuada. Sei un essere veramente grandioso, quel trono non avrebbe potuto essere di nessun altro! , disse Castigo con la sua voce profonda e maestosa prima di raggomitolarsi come un gatto per il riposo.

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Capitolo 14
*** Il Consiglio degli Anziani ***


In tarda mattina il ragazzo moro si svegliò riposato dal comodo letto di lana in cui era crollato prima dell’alba. Nasuada dormiva ancora sulla sua spalla, il piccolo Finiarel tra le sue scure braccia, essendo i genitori troppo stanchi per aspettare che si addormentasse in un nuovo letto per la prima volta con il rischio di impiegarci ore. Non riuscendo ad alzarsi senza svegliare i due, e non avendo nemmeno la libertà di riapparire a corte e girovagare per il Castello senza i permessi della sovrana, rimase a osservare i dettagli della sua nuova vita mentre con una mano seguiva delicatamente la forma della piccola testa del neonato. Pensò a quanto fosse già cresciuto quel minuscolo esserino che era Finiarel, nato prematuramente per colpa della morte del gemello che aveva alterato l’ambiente della sua crescita, fino alla completa inospitalità, portandoli al parto tre mesi prima del termine normale. Nonostante la metà del suo corpo stesse ancora nella mano della regina e invece il Cavaliere riuscisse a tenerlo completamente in una delle sue, con solo i piedini ad appoggiarglisi sull’avambraccio, era visibilmente più forte, tentava di usare le piccole braccia per farsi forza, fallendo quasi istantaneamente. Aveva anche sopportato un viaggio senza dimostrare malessere fisico, solo lamenti per i momenti dei pasti leggermente più lontani l’uno dagli altri e infine il logoramento comprensibile degli ultimi giorni. Osservò poi Nasuada al suo fianco, addormentata pacificamente su di lui, i lineamenti regali, la sua figura tornata ormai perfettamente come prima della gravidanza, la pelle soffice e scura, i capelli sparsi sul guanciale. Le carezze svegliarono il piccolo che aprì sul mondo gli occhi già così inspiegabilmente cromaticamente definiti ma ancora ciechi, emettendo qualche lamento.

“Non svegliare tua madre, piccolo. Hai riempito questo pancino nemmeno un’ora fa…” , lo supplicò cercando di prenderlo senza svegliare la moglie, invano perché il bambino scoppiò a piangere e la regina aprì gli occhi di scatto. Lei sorrise e si divincolò fino a trovarsi a sedere nel letto con il piccolo ancora tra le braccia. Lo attaccò al seno con la solita smorfia di dolore che scemava sempre in un sorriso nel vedere il piccolo prima nutrirsi come stesse morendo di fame, poi pigramente con le palpebre cadenti. “Ecco che lui torna a dormire, mentre noi non possiamo” , disse ridacchiando piano. Il Cavaliere si mise a sedere nel letto assieme alla regina.

“È una vera ingiustizia. Buongiorno, Nasuada”

“Buongiorno anche a te, Murtagh. Come ti senti?”

“Riposato” , rispose lui con semplicità.

“Non intendevo quello… Il tuo ritorno qui nella capitale, in questo castello, questo è quanto di cui mi preoccupo” , rispose alzandosi dal letto per riporre il bambino dormiente nella culla.

“Pensavo fossi sicura sul mio ritorno, sei stata tu stessa a convincermi! Hai per caso perduto le tue motivazioni ora che siamo effettivamente qui… insieme?” , chiese lui improvvisamente con tono distaccato. Lei negò con la testa, girando attorno al letto e sedendosi accanto a lui per baciarlo.

“Sai bene che il coraggio non mi manca, anche per le imprese che sembrano più disperate. Semplicemente temevo che questo posto potesse risvegliarti brutti ricordi. Eri prigioniero tanto quanto lo sono stata io…” , sussurrò fissandolo negli occhi a pochi pollici dal suo volto.

“Devo ammettere che un po’ questo luogo mi mette a disagio per tutti i ricordi, sì.” , rispose lui sospirando, poi improvvisamente cambiando espressione con un barlume nuovo negli occhi chiarissimi, “Ma il re è morto, e la nuova sovrana mi piace veramente moltissimo!”.

La tirò a sé improvvisamente, baciandole il collo e le spalle e ridendo di gusto per la felicità di trovarsi con lei. Gli sembrò di essere tornato indietro alla sua cella nel Farthen Dur, quando la bellissima ragazza dalla pelle d’ebano lo andava a trovare e intraprendeva con lui discussioni letterarie che spesso finivano in risate per una battuta di uno o dell’altro. Erano ora marito e moglie e avevano un bambino insieme. Lei si fermò a guardarlo, ansimante per il solletico, il silenzio che aleggiava tra di loro.

“Lo sai che non possiamo… È troppo presto per me.” , mormorò schiarendosi la gola imbarazzata. Murtagh invece non si scompose ma continuò a sorriderle per rimetterla a suo agio.

“Non era mia intenzione. Il tuo corpo ha già sofferto troppo negli ultimi mesi” , confermò mentre Farica faceva capolino nella stanza. “Buongiorno, spero siate riusciti a riposarvi a sufficienza per affrontare i vostri doveri della giornata”, disse con le mani conserte dietro la schiena, dopo aver solo accennato una riverenza vista l’età, continuando a squadrarli con sguardo duro di una madre pudica per farli staccare dal loro abbraccio, si recò a prendere subito un abito per la regina in una stanza accanto. Tornò e la tirò in piedi dolcemente ma con energia, iniziando a infilarle strato dopo strato di un suo meraviglioso abito viola. Murtagh si alzò anche lui per farsi un bagno e prepararsi alla giornata, anche se avrebbe preferito rimanere in quella tana serena.

“Vi faccio chiamare una cameriera, Cavaliere?” , chiese Farica prima che uscisse dalla stanza.

“No, grazie, preferirei continuare a vestirmi da solo come sempre.”

Si andò ad immergere in una tinozza di acqua calda appena riempita che riuscì a lavare via la stanchezza del viaggio più del sonno. Rimase immerso finché Nasuada lo richiamò preoccupata dalla stanza da letto. Si asciugò velocemente e si diresse verso le sue bisacce abbandonate accanto all’ingresso per prendere degli abiti eleganti cremisi appartenuti al padre poiché i suoi erano rimasti al castello - probabilmente spartiti tra la servitù con accesso alle sue vecchie stanze dopo la sua partenza - ma la regina lo precedette guidandolo verso il suo armadio. “Sono riuscita a salvare quasi tutti i tuoi abiti che hai lasciato qui. Ovviamente ho fatto apportare modifiche allo stemma del regno”. Murtagh li guardò e ne prese uno titubante. Avrebbe preferito, nonostante i suoi abiti fossero di una fattura impeccabile, bruciarli tutti e comprarne di nuovi come nuovo doveva essere lui. E come poteva esserlo con gli abiti donati da Galbatorix, o comprati con il denaro di suo padre?

Vestitosi, il Cavaliere seguì la sovrana in una visita guidata del nuovo castello. La ristrutturazione lo aveva tramutato in un luogo meraviglioso, per nulla tetro come se lo ricordava il giovane. La pietra resa scura dai lumi era stata ripulita rivelando un colore bianco candido con venature rosa, le tende che coprivano le finestre impedendo un tempo il passaggio della luce rimosse, gli arazzi con la storia di Alagaesia riappesi alle pareti, con i grandi draghi di stoffa impressi in danze colorate assieme ai loro compagni, tentativo visivo di cancellare l’ultimo secolo buio. Arrivarono alla sala del trono attraverso il lungo corridoio che esisteva già nella struttura, non intaccato per la sua funzione di incutere il giusto timore prima dei colloqui con i sovrani. Al ragazzo balenarono tutte le volte che fu costretto a percorrerla per vedere l’imperatore e scoprire quale sarebbe stata l’ennesima missione crudele affidatagli dal sovrano folle. La sala, scoperchiata dall’enorme Shruikan prima di morire, era stata coperta anch’essa con la stessa copertura che fungeva da casa per Castigo, in vetro e metallo.

“È meraviglioso qui, ora!” , esclamò il ragazzo.

La regina sorrise, andando a sedersi sul trono, sostituito con uno scranno più semplice rispetto a quello che aveva il tiranno ma coperto d’oro, che Murtagh riconobbe infine essere quello del capo dei Varden nel Farthen Dur, un dono dei nani probabilmente - vista l’abbondanza del metallo prezioso - . Non era più il trono che rendeva ciechi e folli i propri sovrani.

Nella stanza non vi era nessuno a parte un uomo alto e magro che indossava una tunica di un viola rossastro, una lunga collana dorata con numerosi medaglioni e un copricapo squadrato. Lui salutò la sovrana e il ragazzo moro piegando il capo. La regina rispose al saluto, mentre il Cavaliere rimase in silenzio ritto accanto alla sovrana, come era abituato a fare con il precedente.

“Bode, questo è Murtagh.” lo introdusse informandosi poi su un documento da recuperare. L’uomo lo estrasse da una tasca e lo porse alla regina senza perdere per un istante la postura fin troppo ritta. Lei lo lesse velocemente, corrucciando sempre più la fronte, poi sospirò porgendo al Cavaliere la pergamena. Lui la prese con sguardo interrogativo e lesse. Il documento, firmato e sigillato dal re Galbatorix in persona era la deposizione della loro unione.

“È ufficiale, mia regina” , confermò l’uomo guardando Murtagh intensamente negli occhi.

“Non capisco, non ero a conoscenza di questo suo registro…” , disse il ragazzo moro riconsegnando all’uomo la pergamena.

“Eppure, è logico che avesse istaurato un qualche modo per regolamentare e depositare le unioni tra i suoi nobili e servitori più importanti come voi, Cavaliere.” , rispose atono.

Perché Nasuada aveva fatto cercare l’esistenza del registro delle unioni del re nero? Aveva detto di sperare da quando aveva scoperto di essere incinta che lui tornasse, non potendo più ignorare l’unione con il Cavaliere risposandosi con un uomo più adatto.

Lei lo guardò in sottecchi riflettere, intuendo il possibile fraintendimento nel richiedere quel documento. Senza scomporsi l’uomo le porse un’altra pergamena e la regina parve più sollevata.

“Il Consiglio degli Anziani ha accettato la mia proposta, Murtagh, di renderti Cavaliere della Regina e mio emissario. La tua presenza qui è argomento chiuso ufficialmente.”

Lui sbuffò. Avrebbe voluto che la sua vita fosse libera da altri giuramenti, non dover più essere asservito a nessuno. La Libertà era l’unica ricchezza a cui aveva sempre anelato, aveva combattuto per Lei. Ma al contempo aveva giurato che avrebbe protetto Nasuada finchè gli fosse rimasto respiro nei polmoni, e lei era stata eletta regina. Non avrebbe mai potuto auspicare ad una vita tranquilla e defilata con la sua amata, non se ne era mai illuso, aveva piuttosto perso la speranza di avere una vita con lei totalmente. Ma ora, dalla scoperta che la donna, sua moglie, aveva messo al mondo suo figlio lo rendeva di nuovo soggiogato ad un padrone, anche se questo era l’Amore. “La libertà non è essere privi di un padrone, è poter scegliere quale servire” , disse lui prendendo la sua decisione definitiva. Bode lo guardò con sguardo interrogativo, mentre la regina - che lo comprendeva ormai appieno - si alzò di scatto dal suo trono, correndogli tra le braccia.

“C’è altro, Bode?” , chiese la ragazza senza distogliere lo sguardo dal marito.

“Sì, ci sarebbe la questione di come rendere pubblica la vostra unione, e della nascita di vostro figlio. Essendo un maschio potrebbe essere inserito nella linea di successione, ma nessun ufficiale ha assistito alla sua nascita, non potendo certificare che sia di fatto vostro.”

“Katrina, la moglie di Roran Fortemartello era presente, potrebbe scrivere una lettera di testimonianza. E anche Jormundur, che fa parte del Consiglio è a conoscenza di lui, lo ha visto crescere dentro di me.” , suggerì la regina voltandosi con un sospiro. Accogliere un bambino al mondo avrebbe dovuto essere un avvenimento gioioso per lei, non così complicato da rischiare la vita prima e doverlo riconoscere poi come suo erede, nonostante lo avesse evidentemente partorito da sé. L’uomo rifletté, poi si appuntò della lettera su un piccolo libro che estrasse dalla manica. “Vostra Maestà, volevo informarvi infine che il castello è stato ripulito da cima a fondo dagli incantesimi del Re Nero, e i suoi prigionieri liberati.” , concluse prima di essere congedato.

“Quali prigionieri?” , chiese il Cavaliere. La ragazza alzò le spalle.

“A quanto pare il re aveva un’altra prigione, di cui non eri a conoscenza, ai livelli più bassi di questo edificio.” , disse riflettendo. Prese a massaggiarsi le tempie.

“Hai detto che la mia presenza qui non è più un problema grazie al mio nuovo incarico. Ma per la nostra unione? È ufficiale, è vero, ma non vuol dire che sia accettata dal tuo Consiglio.” , si informò lui. Lei non smise il movimento rotatorio delle dita ai lati della testa, lo fissò solamente con i suoi occhi luminosi. “È quello di cui dovremo discutere oggi stesso, anzi tra poco.” , disse con voce rotta dal timore. Le porte della sala si spalancarono poco dopo, facendo entrare cinque individui anziani, tra cui Jormundur. Il Cavaliere piegò la schiena al loro cospetto, salutandoli nell’Antica Lingua, venendo però ignorato. “Miei Consiglieri, che venga aperta questa sessione straordinaria.” , annunciò la regina spostandosi assieme agli altri ad un lungo tavolo in legno. Bode riapparve da una porta che un tempo era utilizzato da lui per raggiungere il re più in fretta. Iniziò a scrivere incessantemente su un rotolo di pergamena, probabilmente era anche addetto a registrare le discussioni ufficiali del Nuovo Regno. Murtagh si spostò più vicino dietro alla regina, rimanendo in piedi poiché non v’era uno scranno per lui. Dei servitori portarono silenziosamente bevande e cibi leggeri che adagiarono al centro del lungo tavolo.

Un uomo, Falberd, incominciò a parlare estraendo una pergamena anch’egli. “All’ordine del giorno abbiamo questioni molto spinose, miei compagni. Vi prego di leggerle prima di discuterne assieme” , disse a voce alta passando poi il sottile foglio pieno di rune all’anziana al suo fianco. Man mano tutti si passarono la lista, leggendo gli argomenti. Un punto in particolare sembrava lasciare tutti sorpresi, visto gli occhi che si sbarravano nei membri. Nasuada aspettava con finta tranquillità nel suo posto, le braccia unite in grembo.

“Vostra Maestà, abbiamo accettato il ritorno del figlio di Morzan, ma non pensavamo di essere stati raggirati da voi.” , esclamò Sabrae - ultima a leggere il resoconto - con sguardo truce. Murtagh si trattenne dall’intervenire per il suo appellativo che non lo rappresentava.

“La cosa peggiore è che uno di noi era complice!” , gridò Umérth.

Jormundur si alzò dal suo scranno. “Io sono solo stato messo al corrente dello stato dei fatti prima di voi perché sono la Mano Destra della nostra amata regina, e perché mi occupo di lei dalla dipartita del padre come fosse mia figlia!” , tuonò con la sua voce possente.

“Sei dunque favorevole a questa unione, Jormundur?” , chiese un’anziana donna di nome Elessari. L’uomo alzò le spalle. “Non potevo oppormi all’unione dal momento che era già avvenuta quando ne ho scoperto l’avvenimento.”

Bode portò al tavolo il documento che era stato mostrato al Cavaliere e alla regina la mattina stessa, dopo un cenno della Mano Destra.

“Quello di cui discutiamo oggi, dunque, è se procedere con un annullamento o accettare i fatti per quello che sono?” , chiese Sabrae muovendo aria dall’odore di fiori marcescenti.

“Dimmi, mia cara, sarebbe una strada percorribile l’annullamento?” , chiese alla regina l’altra anziana. Murtagh capì che le stessero chiedendo in perifrasi se il matrimonio fosse stato consumato o meno. La giovane, interpellata per la prima volta, entrò nella discussione e scosse la testa. Le prime occhiate oblique iniziarono a cadere sul Cavaliere, come si aspettava.

“È stata una vostra iniziativa, figlio di Morzan?” , sibilò verso di lui Umérth.

“No, è stato Galbatorix. Il Cavaliere Murtagh non avrebbe mai osato chiedere la mia mano.” , intervenne Nasuada.

Ovviamente. Non sarebbe stato il partito migliore per una regina” , commentò l’uomo dai capelli di un bianco giallastro, segno che doveva aver avuto una folta chioma infuocata in gioventù.

“È pur sempre il duca di Dras-Leona” , intervenne Sabrae.

“Ma non è sufficiente per una regina. Solo un re potrebbe pretendere la mano della nostra sovrana” , protestò l’altro.

Entrambe le anziane alzarono un sopracciglio. “L’unico sarebbe Orrin, allora” , disse Elessari.

L’altra fece un movimento con la mano, come a scacciare l’idea, oltre a una risata sguaiata. “Orrin era un re, certo, ma non riuscirebbe a garantire una successione né per il suo, né per il regno di Nasuada. Sappiamo che il suo unico piacere sono le pozioni.”

“Almeno era dalla nostra parte durante la guerra! Si è sempre rivelato un alleato valido!” , lo difese l’altro. Nonostante Murtagh provasse gelosia verso quell’uomo che avrebbe potuto portargli via la stupenda regina, riteneva non fosse comunque corretto sparlare di lui in sua assenza.

“Orrin non ha mai chiesto la mia mano, nemmeno dopo l’incoronazione.” , ricordò la ragazza.

Jormundur sospirò. “Non siamo qui oggi a fare speculazione su quale sia il miglior partito per la nostra regina, che - se avesse potuto - avrebbe sicuramente scelto con saggezza l’unione migliore per il suo popolo.”

“Dovremmo mettere la questione ai voti, dunque?” , propose Falberd.

“No!” , si lasciò sfuggire la regina. I presenti si voltarono verso di lei, stupiti.

“Non prima di essere a conoscenza di tutte le implicazioni di cui tener conto per la vostra scelta, almeno.” , aggiunse la ragazza.

“Non capisco, c’è altro da sapere?” , chiese Elessari guardando Jormundur, che abbassò lo sguardo. Per la prima volta, gli occhi non capitavano sulla ragazza e vi sostavano fugaci per seguire l’etichetta di corte, ma iniziarono a studiare la figura di Nasuada da capo a piedi in cerca di indizi. Sabrae, fissando il suo seno, aprì la bocca. Si consultò con un’occhiata con l’altra donna. “Nulla che non si possa rimediare, così presto.” , disse con un sorriso finto.

Murtagh fu incredulo di quanto il Consiglio della regina cercasse di manipolarla, muoverla come una loro marionetta a loro piacimento, addirittura suggerendo di abortire la malintesa gravidanza.

“Il punto è che non sono incinta. Non più, almeno.” , precisò la regina con un velo d’ira.

“Dèi, speriamo che non sia sopravvissuto!” , si lasciò scappare Umérth in un sussurro. Murtagh allora sguainò la spada. “Non osate mai più augurare la morte a mio figlio!” , sibilò indicando tutti i Membri con la punta rossa di Acciaioluce.

“Murtagh, metti via la tua arma.” , gli ordinò la moglie - forse ancora sua per poco -.

“Quindi è un maschio? Avremmo tra le mani l’opportunità di avere già l’erede per il trono di Alagaesia e vorremmo non sfruttarla?” , riflettè Elessari.

“E sarebbe il figlio della regina che ha liberato il paese da un tiranno e dell’uomo più ricco di esso.” , precisò Jormundur.

“E sarebbe il nipote di Morzan! Io voto a favore dell’annullamento. Il Cavaliere potrà prendersi il suo bastardo e crescerlo come crederà.”, tuonò Umérth. Il ragazzo moro era pronto a decapitarlo all’affronto successivo nei suoi confronti. Nessun altro si mosse.

“Siete tutti a sfavore? Per un neonato? Non lo accetterebbero mai, e il nome Morzansson finirebbe per infangare anche la nostra regina, per la cui costruzione di benevolenza nel popolo lavoriamo ogni giorno!” , predicò l’uomo guardando i colleghi negli occhi.

“Il Cavaliere Murtagh ci permetterebbe di avere la nobiltà di Alagaesia, una volta fedele al re, dalla nostra parte finalmente! Potremmo davvero pensare di governare questo paese senza dover prima scovare le trame ardite contro di me e il mio regno!” , intervenne Nasuada con il suo tono da capo. Le due anziane alzarono il mento, incuriosite dal suo punto.

“Ma metterebbe il popolo e i nostri alleati dai tempi dei Varden contro di voi!” , terminò l’anziano con voce stridula, esalando la sua ultima vena di combattività della giornata. Si lasciò cadere sullo scranno, prendendo un grappolo d’uva di fronte a lui.

“Il popolo è interessato al mantenimento della pace e della prosperità, non a chi condivide il mio talamo. Sarà nostro compito, miei Consiglieri, mantenere le nostre alleanze dimostrando chi è veramente Murtagh - se vorrete votare contro l’annullamento della nostra unione - , e instaurarne di nuove con chi governa, di fatto, il mio paese in mia vece: i nobili.”

Il voto, con sollievo del Cavaliere, fu a sfavore della menzione. Nasuada avrebbe continuato a farlo sentire vivo, a renderlo un uomo migliore, a donargli la gioia di vivere. Per sempre, nel suo cuore, e finché avrebbe avuto vita la donna, al suo fianco.

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Capitolo 15
*** Ufficializzare ***


Il Consiglio aveva ascoltato la sovrana, aveva dimostrato fiducia in lei e nella sua certezza della bontà del ritorno del Cavaliere. Murtagh aveva giurato fedeltà alla regina davanti a tutti loro, sempre con un lieve sapore dolceamaro nell’abbandonare la sua libertà completa che aveva guadagnato dalla morte del re. Le giurò fedeltà nell’Antica Lingua, in lingua comune e in lingua umana per rimarcare la sua completa lealtà a lei e alla sua causa. Giurò di difendere la sua vita e proteggerla dai cospiratori come Cavaliere della Regina, di impegnarsi per ristabilire l’Ordine dei Cavalieri dei Draghi, di scortare le uova nel paese per permettere la nascita di nuove figure come la sua. Divenne Maestro dei Cavalieri grazie ad una lettera inviata dal fratellastro. Gli fu affidato l’ufficio di Maestro della Difesa del paese. Il contratto che gli avrebbe permesso di rimanere al fianco della moglie e del figlio, e che avrebbe reso più solido il loro matrimonio, fu redatto davanti agli Anziani. Il Cavaliere fu costretto a impegnare tutto il suo patrimonio nell’unione, in modo che venisse amministrato dalla regina. Non fu affatto turbato da quella clausola: nonostante avesse ereditato il ducato del padre dopo la sua morte, una volta raggiunta la maggiore età, era sempre stato il re a gestire i suoi territori come riteneva opportuno, sfruttando e regalando ai suoi nobili il prezioso liquido prodotto dai fertili terreni attorno al lago. Furono scritte numerose lettere in cui si annunciava il matrimonio dei due giovani avvenuto sotto l’Impero del Re Nero, ma ritenuto valido, indirizzate alla nobiltà di tutta Alagaesia e a cui il ragazzo moro avrebbe aggiunto in dono quaranta otri del pregiato vino dai suoi possedimenti che sarebbero stati recapitati assieme a ciascuna missiva. La regina tuttavia non inserì la propria dote - che sarebbe stato l’intero paese - nel contratto, ma al contrario fu costretto a giurare nuovamente nelle tre lingue di non pretendere mai il suo trono, nemmeno in caso di morte della ragazza. Murtagh accettò tutte le condizioni della loro unione senza fiatare, ma con la consapevolezza che un altro uomo al suo posto - non smosso dall’unica volontà di rimanere accanto alla propria amata a qualsiasi costo - avrebbe obiettato per l’evidente svantaggio. Firmato il contratto, venne il momento di notificare ufficialmente al mondo l’esistenza di quel piccolo bambino che era Finiarel. La regina chiese che fosse portato dai genitori, per vedere la somiglianza almeno con uno di loro - il Cavaliere, anche se il bambino dimostrava di giorno in giorno, essendosi spostato dal clima freddo, di aver ereditato un po’ del calore nella pelle della madre, rendendola colore di una mandorla decorticata e tostata - e Farica arrivò una decina di minuti dopo con il piccolo in braccio, che fece sollevare suoni stupiti negli anziani con la sua dolcezza. Sabrae si alzò in piedi e mosse qualche passo verso il neonato, per vederlo meglio, con le mani unite e strette al petto non più sodo. Il bambino era sveglio ma tranquillo, gli occhi ciechi che vagavano per la stanza seguendo le voci. Fu adagiato tra le sottili braccia della madre, sopra alle cicatrici in rilievo. Umérth prese una pergamena. Iniziò a redigere il documento, facendolo firmare prima a tutti i membri del Consiglio.

“Vostra Maestà, presentate dunque il vostro figlio maschio primogenito e legittimo al nostro cospetto?” , chiese una volta terminata l’impostazione generale del certificato e assumendo un tono ufficiale. Nasuada confermò. “Proferite dunque il suo nome completo perché io possa registrarlo.” , continuò l’uomo. Murtagh poggiò una mano sulla spalla della ragazza, guardando il figlio dall’alto. “Lui è Finiarel Ruaidhrì Murtaghsson” , proferì lei, ma l’uomo anziano lanciò un’occhiata a Jormundur esitante. L’altro riportò la schiena in posizione eretta, da piegata sul tavolo com’era, e si rivolse alla sovrana. “Ritengo che sia meglio usare il vostro patronimico, mia regina.”

La ragazza scosse la testa. “Non posso cambiare le usanze del paese a mio scopo!” , fece notare.

“Perché non aggiungerlo e utilizzare entrambi?” , suggerì il ragazzo moro intervenendo. I primi sguardi furono di fuoco per aver parlato in un Consiglio tanto prestigioso senza essere interpellato, poi si fecero pensierosi. Essendo il silenzio troppo prolungato, decise di terminare il suo pensiero, essendo già stato additato come maleducato: “Se vostri signori sono d’accordo, il piccolo si chiamerà Finiarel Ruaidhrì Ajihad Nasuadasson Murtaghsson. In questo ordine.”

Umérth non aspettò che gli altri colleghi approvassero, scrisse il lungo nome in bella calligrafia sul documento, ritenendolo adatto. Nasuada guardò il marito con occhi lievemente imperlati di lacrime. Grazie… Anche se nessuno lo chiamerà mai con il tuo nome o con quello di mio padre, mi hai fatto un immenso dono! , gli disse nell’angolo della coscienza del Cavaliere che le lasciava sempre aperto al dialogo.

“L’erede è nato il trentunesimo giorno del decimo mese del calendario” , aggiunse Jormundur, perché venisse terminata la redazione, e i genitori potessero firmare il documento, prima la regina e poi il marito, passandosi il bambino per permettere all’altro la sottoscrizione. Finiarel era ufficialmente l’erede al trono della madre, anche se non ancora legittimato dall’Ufficiale del regno. Un controsenso totale, ma la politica - e i neogenitori lo sapevano bene - era spesso esentata da averne uno. “Lunga vita alla regina e al futuro re!” , augurarono con un grido i consiglieri all’unisono. La regina fece una riverenza col capo per accogliere la loro benevolenza. Prima che potessero passare all’argomento successivo, il bambino iniziò a piangere così violentemente che la regina dovette aggiornare la sessione, salutando gli anziani mentre usciva già dalla stanza, seguita dal marito. A passo più che sostenuto raggiunse le stanze reali, i tessuti del suo prezioso abito che svolazzavano dietro di lei. Non appena fu entrata pregò il Cavaliere che le allentasse il corpetto il più velocemente possibile.

“Nasuada, che succede? Ti senti male?” , le chiese preoccupato. Lei attaccò il piccolo ancora urlante al seno, non appena questo fu libero. Sul volto crebbe una smorfia di dolore profondo, non lieve come durante il mese precedente. “Stupide usanze dei popoli stanziali!” , imprecò lei mettendosi a sedere nel punto più vicino alla caraffa di acqua del salottino.

“Di cosa stai parlando?” , chiese il ragazzo più confuso che mai. Lei alzò allora lo sguardo, accorgendosi di lui con lo scemare del dolore. “Non l’ho allattato per troppo tempo, stavo per esplodere dal dolore! E immagino lui dalla fame, il mio preziosissimo bambino…” , mormorò sfiorandolo con la punta del naso. Murtagh continuò a non capire, e decise che quel pomeriggio si sarebbe recato alla biblioteca a prendere quel tomo sulla medicina femminile che tanto aveva rifiutato da ragazzino. Il suo maestro aveva avuto ragione, in fin dei conti. Lui una moglie l’aveva presa infine, che gli aveva già donato un meraviglioso bambino. Era bene che imparasse di più sull’altro sesso, per poter stare accanto alla consorte maggiormente.

“Dovrò procurarmi dei nuovi abiti che non mi costringano così tanto, vorrai assistermi questo pomeriggio? Ho bisogno di consigli da un esperto di comportamento e abbigliamento, altrimenti sarò costretta ad adottare le usanze del mio popolo…”

Murtagh annuì, sarebbe comunque riuscito a fare un salto alla biblioteca. “Cosa hanno di tanto strano le usanze del tuo popolo?”

Aveva letto un trattato sulle popolazioni nomadi del sud, ma la sua mente non gli aveva rimandato nulla di particolarmente inusuale riguardo alla puericultura, anche vista la generale peculiarità delle altre, secondo un uomo cresciuto tra le usanze centenarie e rigide della nobiltà di Alagaesia.

La regina gli lanciò una brevissima occhiata maliziosa. “Non penso tu possa accettare che io assolva ai miei compiti con una tunica senza sostegni e corsetti, specialmente una da puerpera: con un seno sempre scoperto…”

Lui sgranò gli occhi chiari. “Non sarebbe consono per una regina, in effetti…” , confermò il ragazzo. Quando il bambino fu sazio, la regina si rivestì e ordinò che venisse portato loro un pasto per spezzare la fame prima della cena. Jormundur arrivò poco prima del pasto. “Complimenti, vostra maestà, vi siete dimostrata una sovrana forte e determinata come sempre!” , riferì impettito dall’orgoglio l’anziano. Si sistemò in un angolo, delle pergamene in mano. Aspettò che i due ragazzi finissero il pasto composto da affettati e verdure di campo trattate con aceto e miele, prima di iniziare a leggere altri resoconti che non erano stati trattati quel pomeriggio nel consiglio, riguardo a qualche piccola ribellione sventata. Nasuada parve contrariata. “E sono state sedate senza consultarmi?” , chiese perentoria. L’uomo annuì. “Spero non ci sia stato troppo spargimento di sangue. Non posso permettere di spendere le mie risorse per creare le condizioni per la pace se i miei soldati sradicano i problemi con l’acciaio.”

“Mia Signora, era necessario. La rivolta era per la riscossione della percentuale di raccolto per la scorta del regno!” , giustificò l’altro.

“Creare nuove vedove e orfani non migliorerà la condizione di questo paese!” , tuonò lei svegliando Finiarel. Presero a sussurrare, o meglio sibilare, mentre il principe si calmava.

“D’ora in poi città e villaggi non dovranno più pagare una cifra prestabilita. Durante il raccolto ci sarà un emissario della corona che verificherà l’ammontare del grano prodotto, egli calcolerà il cinque percento del totale che dovrà essere versato nella cassa del regno. Se al termine dell’anno non si saranno verificate carestie o raccolti malandati, verranno ridistribuiti.”

“Mi sembra una decisione molto saggia, Nasuada.” , commentò Murtagh. Lei lo ringraziò con una riverenza del capo.

“La ridistribuzione avverrà il terzo mese dell’anno, in coincidenza della fine dell’inverno e fortunatamente con la caduta dell’Impero.” , terminò lei.

L’uomo fece una riverenza. “Redigerò un documento entro un’ora, maestà. E una volta apposto il vostro sigillo, farò in modo che venga recapitato in tutti i centri abitati del regno.”

“Molto bene, puoi andare.”

Jormundur uscì, la regina si alzò allora dal tavolo. Murtagh la imitò, prendendola per il gomito come si conveniva dalle coppie sposate. Finiarel fu affidato a Farica, e i due si diressero in basso negli ambienti dove il sarto di corte confezionava le sue creazioni per la nobiltà. L’uomo dai capelli castano scuro fu molto sorpreso di ricevere la regina nel suo laboratorio.

“Come posso servirvi, vostra maestà?” , chiese l’uomo inforcando due fili di metallo a sorreggere altrettanti pezzi di vetro sferici. Murtagh aveva già visto quegli oggetti, ma non sapeva a cosa servissero. Evidentemente erano una moda passata proprio dai sarti nelle corti nobiliari.

“Mi servono degli abiti adatti al mio nuovo stato, se non siete troppo occupato.” , rispose la regina poggiando un sacchetto di monete d’oro sul tavolo, pagamento anticipato e simbolo di richiesta di discrezione. L’uomo annuì prendendo un nastro a cui erano cucite ad intervalli regolari piccole linee, uno strumento di misura del mestiere che conosceva molto bene, essendo i suoi abiti da sempre creati apposta per il Cavaliere. Mentre l’uomo si avvicinava alla sovrana, una ragazza - le cui deboli rughe attorno agli occhi e alla bocca rivelavano ad osservatori attenti che era ormai una donna - si affrettò nella stanza, con pregiati tessuti tra le braccia.

“Non serve lo spazio per far crescere nulla, ho anzi bisogno che sia largo sul seno, e che io possa in qualche modo slacciare il corpetto dal davanti.” , precisò la regina mentre veniva misurata, con particolare attenzione al suo ventre. L’uomo fece una veloce riverenza. “Perdonate il fraintendimento, mia signora. Mi capitano molto più frequentemente nobildonne che vogliono nascondere segreti, rispetto a madri premurose come voi!” , tentò goffamente di giustificarsi.

L’assistente, che si era recata in una stanza laterale della bottega, ritornò in quel preciso istante accorgendosi dei due ospiti. Fece una profonda riverenza verso la regina che, seppur in sottoveste, non si era tolta la corona d’oro e rubini. Poi il suo sguardo cadde sul ragazzo moro, e i suoi occhi castani divennero due pozze liquide immense. Nasuada, che se ne era accorta, chiese: “Murtagh, vi conoscete per caso?”. Lui fu risvegliato da quella strana situazione in cui veniva fissato da una sconosciuta, e scosse la testa in negazione. Il suo nome le fece cadere il bicchiere in cui teneva gli aghi, un vero disastro. Si lanciò a terra per raccoglierli prima che si sparpagliassero ovunque, ma ormai la bottega era un’esplosione di piccoli fili in acciaio acuminati. Il sarto imprecò in mezzo ai denti, continuando il lavoro sulla regina. Il ragazzo, desolato per la reazione che la donna aveva avuto vedendolo, pronunciò alcune parole nell’Antica Lingua perché tutti gli aghi versati si alzassero da terra e tornassero dentro al bicchiere. “Vi ringrazio, Cavaliere” , mormorò lei tenendo lo sguardo fisso sulla cicatrice sulla sua mano. “E io vi prego di scusarla, non ha mai svolto questo mestiere, l’ho accolta dopo la guerra… e la perdita di entrambi i suoi figli” , intervenne il sarto, tornando dietro il tavolo con la pregiata stoffa imbastita per l’abito della regina.

Nasuada le sorrise. “Non c’è nulla di cui doversi scusare. Come vi chiamate?”

Lei alzò lo sguardo. “Maeve figlia di nessuno.”

“Vorresti aiutarmi a rivestirmi, Maeve? Purtroppo la mia dama di corte si sta occupando di nostro figlio, mio e del Cavaliere.” , le chiese gentilmente la sovrana. La ragazza annuì, andando dietro alla donna dalla pelle d’ebano. Ben presto, l’abito fu nuovamente sigillato sul bellissimo corpo di Nasuada. “Hai detto che avevi due figli?” , chiese prima di andarsene. Maeve annuì. “Due bellissimi bambini, morti uno a tre anni e l’altro dopo la nascita per colpa dei soldati del re. E con loro mio marito, così mi ritrovo sola e lontana da casa.” , rispose iniziando a lacrimare. Murtagh sentì una stretta al cuore per la storia, immaginava la ragazza dalla pelle d’ebano al posto dell’altra, con il piccolo Finiarel esanime tra le braccia, la propria vita stroncata in battaglia e in lascito solo una vedova a doverlo seppellire assieme al figlio…

“Forse saresti più portata allora ad aiutare la mia ancella nel duro compito di crescere nostro figlio. Domani, se lo vorrai, potrai recarti da Murtagh che vaglierà se sarai adatta.” , le propose con un ultimo sorriso materno. Poi si rivolse al sarto: “La sua giornata lavorativa ve la rimborserò personalmente.”

“Vi ringrazio, vostra maestà. Non mancherò.” , rispose debolmente lei, totalmente incredula.

Murtagh prese la moglie sotto il braccio e tornarono ai piani superiori del castello, ormai orario di cena per loro e per il neonato, cercando di non lanciare occhiate dietro di lui a controllare se la donna ancora lo fissava.

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Capitolo 16
*** Maeve ***


Quella notte, il Cavaliere faticò a riposare per colpa degli incubi frequenti e ricorrenti, che si interrompevano durante i risvegli di soprassalto per poi riprendere immediatamente quando egli si ricoricava chiudendo gli occhi. Il pensiero di una nuova figura che non aveva testato e studiato in tutti gli angoli più reconditi dell’animo accanto al figlio, lo doveva turbare così profondamente da tramutarlo in tutti i mostri più terribili e spaventosi di Alagaesia conosciuti che volevano uccidere il principe. Solo quando il piccolo pretese il pasto a due ore da quando i genitori si erano coricati e poi a quattro e a sei ore di distanza, venendo portato nel letto dei genitori dall’ancella, il padre era tranquillo, riuscendo a dormire profondamente anche se per poco. Quando il mattino arrivò, Murtagh stava fissando il suo Compagno rosso librarsi nel cielo già da due ore. Farica, con due scure occhiaie per il sonno costantemente interrotto dal neonato, fece capolino per svegliare la regina. Il Cavaliere le fece cenno che si sarebbe occupato personalmente di farla alzare, così la donna indietreggiò. Spostandosi piano nel letto, si accovacciò al suo fianco. La moglie dormiva sul fianco voltata verso il centro del letto, un braccio sotto la testa: la stessa posizione che aveva assunto per allattare comodamente il bambino un’ora prima. Murtagh le avvolse un braccio sul fianco rivolto al soffitto, posandole un bacio sulla guancia morbida. Lei si riscosse lievemente, iniziando a stiracchiare man mano gli arti. Anche lei poggiò il braccio attorno alla vita del Cavaliere, aprendo piano gli occhi ambrati. Lui le sorrise baciandole le morbide labbra e tirandola a sé in modo che fosse racchiusa dal suo abbraccio. “Buongiorno, amore mio.” , le sussurrò spostandole i capelli sulla testa lievemente con la voce. Lei rispose lasciandogli un bacio sotto il mento, unico punto che poteva raggiungere, poi sospirò e si tirò in piedi. “Forse potresti dormire un po’ di più, delegando qualche altro compito ai tuoi consiglieri.” , le suggerì vedendo i profondi cerchi neri anche sotto i suoi occhi. Lei scosse la testa, sbadigliando. “Sono i miei doveri, dovrei dormire ancora meno per terminare tutte le mansioni del giorno…” , mormorò alzandosi in piedi. Murtagh la imitò, iniziando a vestirsi. Sentendo rumori dalla stanza, Farica tornò dentro per preparare la regina alla giornata. Una volta vestiti ebbero tempo per spezzare il digiuno con calma, mentre la ragazza leggeva già le prime pergamene, prima che il principe si svegliasse nuovamente. Un’ora dopo il suo pianto provenne dalla culla, la madre allora lo prese e lo attaccò al seno con la solita smorfia di disagio, poi lo lasciò nelle braccia del padre e si diresse verso la sala del trono. Il Cavaliere avvolse il figlio che dormiva tranquillo in una coperta in broccato molto raffinata e in numerosi altri incantesimi di protezione, spinto dall’inquietudine della notte precedente. Come sta il tuo cucciolo? , gli chiese il drago sentendo la sua apprensione.

Buongiorno, amico mio. Mio figlio sta bene, diventa più forte ogni giorno. , gli rispose con un sorriso.

Presto potremo portarlo con noi in volo? , chiese l’altro riversando nell’umano un’ondata di speranza.

È ancora troppo presto, temo. Se tutto fosse andato come dovuto, lui starebbe crescendo al sicuro nel grembo di Nasuada per un mese ancora. , spiegò al Compagno.

Per quanto tempo covate i vostri cuccioli? , chiese curioso.

Gli umani non covano i cuccioli, le madri crescono i propri bambini nel loro grembo per nove mesi. , rispose Murtagh indossando un mantello e uscendo per incontrare la ragazza che doveva valutare.

Castigo? , lo chiamò mentre si dirigeva in basso nella struttura.

Sì, Murtagh?

Mi aiuterai a valutare questa donna che mia moglie vorrebbe che aiutasse nell’accudire Finiarel? Sei chi di quanto più mi fidi… , gli domandò rimandandogli tutto l’affetto che provava per il rettile.

Allora avevo ragione io: voi umani covate eccome i vostri cuccioli! , gli fece notare. Murtagh soppesò la possibilità di non darla vinta al drago, ma non trovando mozioni contrarie ammise: Se così vuoi definire ‘crescere un figlio’ allora sì. Vuoi ora rispondere alla mia domanda?

Il drago ridacchiò nella sua mente. Molto volentieri! Non permetterò che il tuo anatroccolo-senza-penne venga messo nelle mani sbagliate!

Hai paragonato mio figlio a un anatroccolo? , esclamò Murtagh inorridito.

Sì, per comunicare usa dei suoni simili allo starnazzo delle anatre. , commentò serio.

Non farti sentire mai da Nasuada in certi sproloqui o ci caccerà nella grotta da cui siamo ritornati! , gli intimò prima di troncare la conversazione quando la donna comune fece una riverenza al suo cospetto. “Buongiorno, Maeve.” , la salutò facendo un cenno con il capo verso l’esterno. Silenziosamente, la ragazza lo seguì nel giardino, fino al cospetto dell’immenso drago rosso. Nel vederlo, i suoi passi suonarono più lenti e incerti alle orecchie del Cavaliere. Il suo timore avrebbe permesso di leggere meglio le sue intenzioni anche senza invaderle la mente, atto che non era sicuro la moglie avrebbe apprezzato. Murtagh si voltò verso di lei proprio sotto al collo del rettile, la ragazza immobile a sei piedi da loro. “Ti ho portata qui perché il bambino che potresti dover accudire è il figlio di un Cavaliere e per tanto la tua vita incontrerebbe per la prima volta questi meravigliosi animali.” , le spiegò. Lei annuì lanciando uno sguardo fugace alla montagna rossa.

“Mio signore, io…” , disse lei balbettando con un forte accento del nord che non aveva fatto sentire prima, “Cercherò di non avere timore del vostro Compagno.”

Io sono Castigo, giovane Maeve. , le toccò la mente il drago. Lei non parve sconvolta da quel contatto, o forse il suo autocontrollo era davvero ottimo. Murtagh ne fu contento, doveva avere anche polso. “So che è doloroso per te, ma devo sapere di più dei tuoi figli, per poter decidere se sei adatta a accudire non solo il figlio di un nobile, ma il principe e futuro re di Alagaesia.” , le disse andandole vicino e porgendole la mano per sedersi su una panca in pietra solitaria. Si accomodò sistemandosi l’abito e sospirando. Lanciò un’occhiata al piccolo tra le braccia del padre, il suo sguardo si velò di cupezza. “Come ho detto, ho avuto due bambini anni fa. Mio marito era un soldato, ed è stata la rovina della mia famiglia.” , disse con dolore.

“Cosa gli è accaduto?”

“Dopo la nascita del nostro primogenito fu ferito, riuscendo a trascorrere due anni in congedo. Alla fine di quei due anni arrivò anche il piccolo. Mio marito tentò di rimanere con noi ancora, ma nonostante lo supplicassi di non imbrogliare il re, lui non volle sentire ragioni, ignorando ogni missiva dall’esercito o fornendo spiegazioni vaghe per la sua assenza protratta. Un giorno vennero a prelevarlo a casa e al suo rifiuto giustiziarono i miei bambini e lui per ultimo. Io mi salvai solamente perché ero andata a far visita a mio fratello…”

“Mi dispiace moltissimo per i tuoi figli.”

“Si chiamavano Miwyn ed Eridor. Avevano rispettivamente tre anni e pochi mesi.” , sussurrò in lingua nordica gettando il volto tra le mani piangendo. Il ragazzo moro dovette costringersi a non piangere anche lui. Le poggiò una mano sulla spalla, infondendole calma con un incantesimo. Lei rialzò la testa, fissandolo negli occhi chiari. Un brivido corse lungo la schiena del Cavaliere quando il vento gli portò alle narici l’odore della ragazza. Sapeva di averlo già odorato su qualcuno in un tempo molto lontano, ma non ricordava chi. “Grazie per aver risposto alle mie domande. Non riporterò più l’argomento in superficie, è una promessa.” , le disse con delicatezza nella lingua nordica, che aveva studiato da bambino per volere della madre. Una lingua e la magia, quelli erano stati il suo unico lascito. “Parli la lingua? Dal vostro accento avrei detto che proveniste dalla capitale.” , commentò lei stupita. Lui annuì e decise di rispondere alla sua domanda, per quanto potesse essere doloroso per ripagare l’onestà della ragazza nel raccontare la sua storia. “Credo che tu sappia che io sono il figlio del primo e ultimo dei Rinnegati…” , le disse in lingua comune. Lei confermò con il capo leggermente. “Non molti sanno invece che mia madre era dell’estremo nord, e che ha voluto che suo figlio ereditasse armi per governare sui territori del proprio padre e sul nord, in cui la lingua antica sopravvive ancora. Conosco la lingua, ma sono nato e cresciuto tra il lago di Dras-Leona e la capitale, proprio nel cuore del paese.”

Lei annuì con vigore, a indicare che aveva compreso. “E vostra moglie?” , chiese con curiosità.

“Nasuada viene dal profondo sud, dai territori al di fuori di questo regno dove i suoi antenati si spostavano costantemente accumulando enormi ricchezze e cultura.” , raccontò poi si interruppe per analizzare un pensiero improvviso. “Forse sarà necessario che ti venga insegnata la sua lingua, dal momento che anche quella verrà tramandata a nostro figlio.” , riflette con lei ad altra voce. Lei acconsentì all’idea. “Sarà un re capace di governare su tutti i popoli di umani e contrattare abilmente con le altre razze. Ha due genitori illuminati da una grande intelligenza.” , commentò con orgoglio. Decise allora di metterla alla prova come balia poggiandole il bambino tra le braccia. Lo cullò dolcemente e con abilità. Quel mestiere le si addiceva decisamente più della sarta.

Che ne pensi di lei, Castigo? , interpellò l’amico saggio.

Mi sembra una brava donna. Ma non sono adatto a dirti se saprà covare il tuo cucciolo al meglio… , commentò senza emozione. Doveva averlo annoiato la sua modestia di donna comune.

A quello ci penserò io, tu cerca di carpire il suo cuore. Sei il più abile in questo… , gli rispose focalizzandosi come un gatto sul bambino in braccia estranee che si era lamentato brevemente.

Castigo iniziò a fissarla incuriosito. Con un gesto esperto lei se lo passò su una spalla e gli massaggiò la schiena, facendolo smettere.

Certo che sono il più abile. Io sono stato il primo a vedere del buono in te, figlio di Morzan. Non mi sarei preso il disturbo certo di schiudermi per qualcuno con il cuore non nobile! , commentò acido fermandosi a guardarlo con un occhio enorme accigliato prima di ricomporsi, Perciò il mio verdetto è che anche il suo cuore è buono, e se la cava bene con l’anatroccolo-senza-penne. , dichiarò il rettile.

Castigo… cosa ti ho detto prima riguardo le similitudini sul principe? , lo riprese. L’altro sbuffò una nube scura dalle narici.

“È molto piccolo, da quanti giorni è nato?” , commentò lei nel frattempo con esitazione.

Il padre scosse la testa. “Non è più un neonato. Il mondo si è dischiuso per lui ormai due lune fa.”

La ragazza addolcì lo sguardo riportando il piccolo sugli avambracci. “È nato prematuramente?”

Murtagh annuì con dolore. Temeva sempre che quell’evento infausto potesse avere effetti negativi sulla salute del piccolo. E probabilmente sarebbe stato così se la madre non fosse stata una regina che, per quanto sempre occupata a risanare un regno, poteva offrirgli un nutrimento ricco ogni giorno e una dimora calda e sicura. “Forse allora dovremmo riportarlo all’interno. Non fa freddo qui ancora e lui è ben coperto, ma mi avete portata all’esterno ormai più di un’ora fa.” , suggerì alzandosi in piedi con ancora il bambino stretto al petto, il tono indaffarato di una madre.

“Nasuada ha molti nemici ancora tra i seguaci del Re Nero, e io altrettanti tra i suoi alleati. I suoi amici sono i miei nemici. Perciò avrò bisogno di più di una conversazione con te per capire se non sarai un pericolo per il nostro futuro re. Spero tu capisca…” , le comunicò grevemente spezzando la sua contentezza. Lei annuì, riconsegnando al genitore il piccolo fagotto e abbassando il capo per il rifiuto. Mentre si dirigevano all’ingresso del castello in silenzio, Murtagh sentì di aver commesso un errore. Per quanto non volesse scegliere un’altra persona da avvicinare al suo fragile tesoro, questa figura era necessaria per alleggerire il carico a Farica e a preparare una persona per il giorno in cui la donna già matura fosse venuta a mancare. “Maeve!” , la chiamò mentre lo superava e si allontanava. Lei si voltò, gli occhi colmi di lacrime. “Ti prego di non reputarmi pazzo, perché non lo sono. Sto solo cercando di proteggere la mia famiglia.” , disse a mezz’aria. Lei fece una smorfia confusa, e riprese il suo percorso. “Ferma!” , le gridò. “Vieni con me ai piani superiori. Verrai osservata ancora per qualche tempo ma potrai iniziare a prendere confidenza con mio figlio.” , la implorò. Lei sorrise debolmente, poi alzò la gonna e corse da lui per raggiungerlo.

“Vi sono immensamente grata, Cavaliere.” , esclamò seguendolo su per le scale.

Murtagh guardò il bambino assopito nella coperta.

Guardami, figlio mio. Un tempo ritenevo che fosse impossibile cambiare, ero certo che sarei morto come il bastardo che riusciva solo a finalizzare l’auto conservazione. La mia unica priorità era salvare me stesso, prendermi cura di me. Ammiravo e odiavo al contempo - per il ricordo costante della mia codardia - il coraggio di tua madre, di tuo zio Eragon. Non capivo come potessero mettere gli altri prima di loro, sempre. Eppure prima ha fatto breccia Castigo, poi tua madre nel mio cuore. Improvvisamente, i bisogni di quell’impotente creatura in cattività venivano prima dei miei. Se la mia mente non voleva cambiare, il mio cuore la costrinse a farlo. Me ne sono andato in un’ultima ondata di egoismo, ma al bisogno sono corso da tua madre e da te, abbandonando quel sentiero definitivamente. Ho messo la famiglia davanti a me, e mi sono reso conto che finché avrò respiro per il resto della mia vita vorrò proteggervi e mettervi primi. Addirittura oggi ho messo i bisogni del regno di tua madre davanti ai miei dubbi, alla mia riflessione da padre apprensivo. Sono forse davvero un utile alleato nel governo? Se non fossi odiato da una moltitudine di persone cui il mio nome fa torto o a cui io di mio pugno ho recato danno, potrei forse essere un buon re, in un altro mondo, in un’altra vita? Possiedo davvero un briciolo di nobiltà? , pensò toccando la soffice coscienza del principe.

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Capitolo 17
*** Utile alleato ***


Nel giorno dell’udienza con i nobili, Nasuada scelse di indossare un abito assolutamente meraviglioso. Nemmeno tutti i presenti messi assieme avrebbero potuto risplendere più di lei nel tessuto giallo e dorato. La regina uscì dalla loro stanza per prima, assicurandosi una protezione totale per il piccolo negli appartamenti solo con la governante in prova Maeve e Farica. Murtagh arrivò solo dopo e coloro che avevano richiesto un incontro con la regina erano già ammassati nella grande sala. Mai l’aveva vista così affollata ai tempi di Galbatorix. Al suo fianco sulla porta apparve una figura: una bambina dagli occhi viola lo osservava, una folta frangia sulla fronte e un’espressione triste in volto. Dimostrava all’incirca tredici anni. “Sento la vostra confusione. Noi ci siamo già incontrati, Cavaliere.” , disse con una voce da donna adulta totalmente in dissonanza con il suo aspetto. “Elva.” , la chiamò il ragazzo ricordando la battaglia della Liberazione contro Galbatorix. “Sei qui per proteggere Nasuada da me?”

“No. Il dolore che le hai causato è svanito con il tuo ritorno. Ora… prova qualcos’altro al suo posto. Dovrò studiarla meglio tale sensazione.” , rispose enigmatica.

“Veglierai anche su suo figlio, ora che ne possiede uno?” , si affrettò a chiederle il Cavaliere.

Lei annuì e proseguì dentro alla sala. “Anche te.” , concluse talmente flebilmente che persino lui fece fatica a udirla. Murtagh squadrò i volti presenti. Lord Marmaduc di Teirm, Lady Lorana di Feinster, il Protettore Orrin da Aberon, Lord Jesmond da Dauth e tutti gli altri erano presenti. Nasuada sedeva sul suo trono dorato, le mani giunte in grembo e la schiena ben ritta e l’acconciatura elegante. I suoi orecchini di diamanti che indicavano il suo titolo di sovrana scintillavano più delle torce. La sua corona con rubini sembrava andare a fuoco. Elva era in piedi al suo fianco.

Un volto gli si approcciò sorridendo. Brividi corsero lungo la schiena del Cavaliere. Fece per abbracciare l’altro come un vecchio amico, ma di piacere nel rivedere quella canaglia non v’era traccia. Murtagh aveva scoperto a sue spese che era colui che gestiva la più grande rete di spie per il tiranno su tutto il territorio dell’Impero. “Mi devi un gran favore, Wisgarus, per avermi tradito.” , sibilò Murtagh al suo orecchio. Non utilizzava il suo tono assassino da parecchio tempo e gli suonò innaturale, come se il ragazzo dalle cui labbra non usciva altro non esistesse più. Come se fosse stato solo un incubo. L’altro ghignò, per nulla spaventato. La sua nuca era rasata fino alle basette, coperta parzialmente da una scodella di capelli castani che gli arrivavano a coprire la punta delle orecchie. L’orecchino di smeraldo brillò alla luce delle torce. “Io non ti ho tradito. Ho detto che ti avrei ospitato nella mia casa, non che non avrei detto al mio re dove ti trovassi. Sono venuti a cercarti, lo sai? Galbatorix ha sempre tenuto a te come un figlio.”

“Non dire sciocchezze! Quel pazzo mi voleva solamente per fare di me… quello che poi ha fatto di me, il suo burattino.”

“Hai avuto quel che ti meritavi, figlio di Morzan. Hai tradito il tuo re, tuo padre.” , rispose con cattiveria uno dei più alti lord di Furnost. Murtagh si scostò per guardarlo negli occhi. “Non parlare di lui in questo modo. Potrebbe costarti la testa.”

Wisgarus rise allegramente con estremo fragore. Dall’esterno doveva sembrare davvero che due conoscenti si fossero ritrovati dopo tanto, troppo tempo. Lady Mauld si accostò, prendendo il gomito del marito. Indossava un orecchino di smeraldo e un altro di ambra, indicante la sua provenienza dalla città sul lago Leona. “Che piacere rivederti, Murtagh.” , disse con falsità. Il Cavaliere le baciò la mano con volto statuario, senza emozioni. “A chi siete fedeli ora, voi e le vostre spie?” , chiese in un sussurro a meno di un pollice dalla mano non più soffice. Gli occhi grigi della dama lo squadrarono. “Abbiamo qualche scelta? La nostra regina non sembra che interessata ai pezzenti e alle donne senza onore del paese, non certo a noi. Eppure ha dimostrato di saper usare la forza e di avere sufficiente fegato per tenerci in pugno.”

“Parole sagge le vostre, lady Mauld. Tuttavia Nasuada ha incaricato me di udire le vostre richieste oggi. Con il vostro permesso, è tempo di iniziare con i colloqui. Vi attenderò quando sarà il vostro turno.” , disse terminato Murtagh, mentre si distanziava con sguardo di fuoco. Camminò in mezzo ai presenti, che si scostavano al suo passaggio come fosse appestato. Salì sulla piattaforma e un araldo chiamò il primo lord. I primi furono il governatore di Teirm e la lady sua moglie. Si avvicinarono, il crisopale alle orecchie dei due ben in mostra, più un corallo nel secondo lobo della dama. La città era lo sbocco sul mare più importante per la capitale e il centro del paese. “Lord Marmaduc Marlonsson, benvenuti al mio cospetto. Imagino abbiate qualche richiesta da farmi.” , disse Nasuada con un lieve sorriso sulle labbra. L’uomo che altri non era che un mercante elevato a lord, fece un inchino piuttosto rozzo. 

“Vostra maestà, il commercio non può continuare ai ritmi correnti. La richiesta di merci è scarsa. I mercanti che popolano la mia città stanno per insorgere. Molte navi sono state bruciate per l’onerosità del loro mantenimento, la flotta è ridotta alla metà.”

Murtagh sapeva che in realtà avevano ordito di nasconderle al Dente di Squalo nel caso avessero dovuto ribellarsi alla giovane regina. Nessun mercante brucerebbe mai la propria nave. 

“Vostra Grazia?” , la chiamò Murtagh. Lei si finse sorpresa del suo intervento. 

La mattina presto il Consiglio e Nasuada lo avevano istruito sulle manovre necessarie per il paese, e il suo compito era ingraziarsi i nobili di Alagaesia la cui fedeltà alla nuova regina era ancora incerta. E Teirm era un punto nevralgico, dovevano ottenere il favore dei governatori. “Sì, Cavaliere?”

“Conosco bene il ducato attorno al lago Leona. Propongo che vengano aboliti i dazi in entrata e uscita da esso per tutte le navi che porteranno un documento firmato da lord Marmaduc in persona per cinque anni.”

“Aumentare il traffico fluviale sarebbe ottimale per la nostra economia, ma prima di arrivare al lago da Teirm si devono attraversare i monti della Dorsale. Molte navi chiamerebbero gli Urgali.” , obiettò in extremis l’uomo dagli zigomi appuntiti. I suoi occhi erano di un verde così caldo da sembrare gialli. “Come proponi di risolvere la questione?” , lo interrogò la regina. Murtagh guardò la donna al fianco del lord. Lunghi capelli castano chiaro incorniciavano un viso pallido come i suoi occhi azzurri. “La lady tua moglie proviene da Narda, e tuo fratello maggiore era andato in marito alla figlia del governatore di Kuasta.” , iniziò il giovane dai capelli corvini. “Lady Maghenyld sarà contenta di sapere che in cambio di un contingente in protezione da sud del varco nella Dorsale, sarà estesa anche a loro la mia proposta riguardo i tributi, e così sarà lieto anche lord Colart da Narda.”

Un uomo in età piuttosto avanzata si fece avanti. “Aye, Cavaliere. In nome della città di Narda la tua proposta è ragionevole. Anche i nostri mercanti hanno iniziato a provare la penuria di commercio.”

Nasuada si alzò in piedi. “Farò inviare un falco a lady Maghenyld perché le venga parlato di questo accordo, e per sincerarmi della condizione dei suoi commercianti.”

Lord Colart sbuffò. “Quella vecchia non ha certo problemi, essendosi alleata con voi ben prima di noi. Ha avuto la strada spianata per molto tempo con i Varden.”

Murtagh sbarrò per un attimo gli occhi, così come lord Marmaduc. Il suocero aveva appena tradito che la penuria non derivasse in realtà dalla scarsità di commercio, ma dall’ostilità verso la nuova sovrana, mentre disprezzava l’anziana donna per il suo potere. “Padre!” , lo rimproverò bonariamente la figlia, ormai non più giovane. Murtagh la ricordava durante la sua ultima visita alla corte del re prima di andare in sposa al lord di Teirm, quando lui era appena stato portato a Uru’baen dopo la morte dei suoi genitori. La donna si avvicinò al padre e lo prese per mano, portandolo fuori dalla sala del trono. Lord Marmaduc si scusò e si congedò. “Non appena avremo una risposta da Kuasta, l’accordo verrà suggellato.” , lo assicurò la regina con un cenno benevolo del capo. Hai un’ottima mente per il governo, Murtagh. Ti faccio i miei complimenti. Non saresti stato un re incapace. , si congratulò Nasuada posando gli occhi sulla sua schiena. Lui le rivolse uno sguardo obliquo, voltandosi appena. L’ultima carica che avrebbe desiderato in vita sua era quella di re. 

La regina si sistemò sul suo trono, mentre l’araldo faceva avanzare un lord di età avanzata, il capo senza capelli e il ventre prominente. Murtagh lo riconobbe, era uno dei lord minori alla corte di Galbatorix, sempre scontento e intento a ordire trame per ottenere qualche pizzico di terra in più per le sue casse malandate. 

“Lord...? Posso chiedervi cosa siete venuti a domandarmi?” , proruppe Nasuada con eleganza, seduta ben ritta e con sguardo neutro ma molto attento.

“Sono venuto per un tradimento che il Cavaliere sta ordendo verso di voi, mia regina! Guardate!” , disse prendendo una pergamena e sventolandola in aria. Il ragazzo moro la prese al volo, strappandogliela dalle mani. Era una richiesta - firmata a suo nome - di una riunione di lord nel suo castello a Dras-Leona per discutere del governo della nuova sovrana. Questa è la M che mio padre utilizzava nei documenti, la riconosco… 

Murtagh sgranò gli occhi, passando la pergamena subito alla moglie, che lesse alzando un sopracciglio.

 

“Purtroppo, questa non è la mia firma. Deve essere stata falsificata. Controllerò personalmente i miei servitori nel castello, specialmente quelli con l’accesso ai documenti di Morzan, perché questa è più simile alla mia che alla sua, di firma. Poi, non avrei motivo di ordire trame contro mia moglie, l’unica che mi ha accolto non come un Traditore, ma come un Cavaliere che sono.” , rispose il giovane moro guardando prima l’uomo poi la ragazza dalla pelle d’ebano. 

“Stai mentendo! Non ci si può fidare del segugio di Galbatorix! Rimarrai sempre suo fedele!” . tuonò il lord. Dietro di lui voci lo iniziarono a incolpare di essere stato istruito per un piano estremo, in caso di sua morte, per sovvertire nuovamente il trono e uccidere chi vi avrebbe seduto dopo di egli. “È per quello che il re li ha costretti al matrimonio! Io ho saputo di questo suo pensiero!” , aggiunse una voce dal fondo, nascosta dalle altre figure. Un codardo sicuramente.

Elva fece un passo avanti e un lampo viola squarciò il cielo all’esterno. Murtagh si voltò a guardarla, stupito per la potenza che una bambina avesse emanato. Grugniti e smorfie di dolore dilagarono nella sala. “Voltati, Cavaliere!” , gli intimò in un sussurro secco. 

Il ragazzo moro vide dinnanzi a lui la folla dei presenti premersi le orecchie e stringere gli occhi. In un battito di ciglia, tutto fu finito. Lord e lady tornarono eretti, alcuni ansimanti. Elva scese i pochi gradini, sistemandosi davanti a lui. “Quello che vi ho mostrato è il dolore che questo sventurato ha provato nell’esatto momento in cui un giuramento gli è stato strappato. Ora non avete più motivo di dubitare delle sue parole. Non fingerete più di non sapere. L’ignoranza non sarà più ammessa alla corte della mia regina!” , gridò la bambina con la sua voce di donna, guardando a destra e a sinistra i presenti uno ad uno negli occhi. Brividi corsero lungo la schiena del Cavaliere. Come aveva fatto ad avere i suoi ricordi? Che li avesse solo creati come illusione per difenderlo, e difendere il regno di Nasuada?

Cavaliere, io ho la maledizione di poter vedere gli animi delle persone, le loro sofferenze. Quello a cui hanno assistito non è altro che la verità, e non avrei potuto creare nulla di altrettanto orribile. Quel dolore era ben oltre ogni immaginazione, emanava pesantemente da te quando l’ho rubato, quel giorno di un anno fa. , disse la sua voce severa nella sua mente. Murtagh tentò di ritrarsi dentro le sue mura, ma esse erano già sollevate. Come ci riesci? È stato Eragon a darti questa abilità? , le chiese sbigottito.

Sì. Ma nella tua vita hai già incontrato un dono come il mio, e lo rincontrerai. Ma sarà più forte perché in essi è innato, a differenza che in me. Dovrai imparare a sfruttarlo e a proteggere chi lo porta dalla maledizione della vista. , lo ammonì prima di uscire dalla sala. Tutti fissarono la strega-bambina come fosse un demone. 

Nessuno osò più farsi avanti quel giorno. O meglio, nessuno che avesse assistito all’episodio precedente. Un ultimo lord avanzava lentamente per incontrare la giovane regina nel corridoio al di fuori della sala, attraverso la porta, in mezzo a quel mare di persone.
L’anziano avanzò fragile verso il Cavaliere, il corpo esile che si affidava totalmente a un lungo bastone in legno. Murtagh guardò la regina scuotendo la testa. Lei lo osservò incuriosita, facendogli poi un cenno con il capo per farlo proseguire, gli orecchini pendenti si mossero in cerchio sbattendo contro la sua pelle ritmicamente per qualche istante prima di fermarsi. Tornò a focalizzarsi sull’anziano, e con lui gli altri lord e le loro lady in quel luogo. Un mormorio si levò dal fondo della sala del trono man mano che egli avanzava, il tono di chi avesse visto riemergere un fantasma dalle fondamenta di un castello abbandonato da secoli. Impietosito dalla lentezza, il ragazzo accorse a porgergli il gomito. Il vecchio lo guardò fino al petto, dove il suo collo gli permetteva di arrivare con lo sguardo, poi accettò appoggiandosi al giovane. Proseguirono con minore lentezza e decisamente più sicuri. “Non vi conosco” , iniziò con educazione il ragazzo. 

“Nemmeno io, giovanotto. Sono venuto qui a cercare aiuto dalla regina dopo che il mio territorio è stato ceduto in parte a un conte, per suo stesso errore.” , rispose con la calma e la pacatezza tipica di un anziano che ha visto molto del mondo, arrivando al compromesso di non esserne più stupito di nulla. 

“State parlando del Nord, dunque.”

“Sì, ma se le mie orecchie non mi ingannano, il vostro accento non è riferibile ad alcuna parte di Alagaesia.” , commentò il vecchio sorridendo davanti a sè.

“Non sbagliate, mia madre proveniva dal nord, ma io sono nato nel cuore del paese, tra nobili di ogni provenienza. Perciò il mio accento è molto poco pronunciato, anche per mio esercizio costante. La regina deve dunque ancora ascoltare la vostra richiesta?”

L’altro scosse il capo, ridacchiando. “Ho già avuto il piacere di incontrare la regina. È una giovane meravigliosa e molto comprensiva!”

Confuso dalla sua permanenza, Murtagh gli chiese: “Avete sostenuto un così lungo viaggio nuovamente per un’ulteriore richiesta?”

“Quante domande, giovanotto!” , si lamentò l’anziano, “In ogni caso, no: ho avuto il piacere di rimanere alla corte in attesa di conoscere una persona.”

Murtagh si zittì dopo la sua lamentela, anche per riflettere sulla risposta subito successiva che era stata estremamente laconica. Solitamente i nobili adoravano raccontare i loro segreti e le loro faccende agli altri, ma non l’anziano alla sua sinistra. Arrivarono al cospetto della regina, finalmente. Lei si alzò dal trono qualche attimo prima, sistemandosi la gonna vaporosa. Si mise le mani giunte in grembo, annunciando l’arrivo delle pietanze per il pasto. La folla raggiunse soddisfatta dalla giornata i grandi tavoli alla fine della sala, lasciando le tre figure e Jormundur a fianco alla regina sole e libere di parlare senza essere udite. “Faithrì, finalmente ci rincontriamo! Sono passati troppi mesi dall’ultima volta che mi avete allietata con le vostre storie di tempi antichi!” , lo salutò ammaliante la regina. 

“Vostra maestà, è un onore. Devo ringraziare questo giovanotto per la galanteria, prima che raggiunga gli altri lord.” , rispose l’anziano tentando un inchino, poi voltandosi leggermente verso Murtagh. “Non dovete ringraziare, è un mio dovere da Cavaliere essere un galantuomo.”

Al vecchio si spalancarono gli occhi azzurri, velati da una patina biancastra tipica dell’età avanzata. “Dovete essere Eragon! È un piacere fare la vostra conoscenza!” , esultò l’uomo inchinandosi stavolta profondamente davanti a lui. Murtagh guardò la regina preoccupato. Lei scese i pochi gradini sinuosamente, prendendo il braccio del marito. “Flaithrì, ricordate? Mio marito non è Eragon Ammazzaspettri, ma suo fratello.”

Il vecchio si passò le mani sugli occhi, come se potesse strofinare via l’usura dei suoi occhi. “Quindi è questo il padre di quella creaturina tanto viva che cresceva dentro di voi, il vero figlio di Morzan?” , chiese l’anziano. Murtagh fu sorpreso che avesse avuto accesso ai dintorni stretti della regina, specialmente durante la gravidanza che aveva tenuta segreta ai più. Ma prima, fu seccato di essere identificato inizialmente per suo padre e non per chi fosse personalmente. “Sì, mio lord. Posso dunque chiedervi se siete un fedele servitore di mia moglie?” , parlò il Cavaliere. 

“Lo sono diventato, dopo che mi ha rivelata la tua identità, nipote.”

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Capitolo 18
*** Eredità antica ***


Nipote? Cosa significa?” , sussurrò Murtagh per non essere udito. Nasuada gli poggiò delicatamente una mano sul petto, in segno di doversi calmare perché non vi fosse motivo di tanta agitazione. “Significa, Murtagh, che il tuo sangue proviene da lui, prima che da tuo padre.”

Il ragazzo fece un passo indietro, pronto a scappare. La regina lo trattenne con fermezza a un braccio. “Lui quindi è mio nonno dalla parte di Morzan, sostieni?” , sibilò lui. Lei annuì gentilmente. “Il padre di tuo padre, amore mio.” , confermò lei. Sentirla riferirglisi in quei toni lo rassicurò che almeno lei si fidasse ciecamente di quell’anziano. “Non sapevo mio padre avesse un padre.”

“Tutti lo hanno. Io purtroppo sono colui che ha generato quel mostro di Morzan.” , intervenne Flaithrì con tono per la prima volta diverso dall’impassibilità. Era dolente.

Murtagh rise piano, amaramente. “Come avete potuto lasciare che un soggetto come Morzan sopravvivesse fino a quello che ha fatto?”

La regina li invitò a sedere nel salotto contiguo, per permettere al vecchio di raccontare.

Dovrai spiegarmi perché ha voluto risvegliare in me questo dolore, Nas. Non ti credevo capace di tale crudeltà. , le ruggì inviandole occhiate di fuoco durante il breve tragitto. Lei ignorò impassibile i suoi sguardi. Non lo avrei fatto se non avesse espresso il desiderio di conoscere il suo unico nipote, Murtagh. Lascia che sia lui a spiegarti. , rispose lei con pazienza. 

Con un gemito soffocato, Flaithrì si sedette su uno scranno, piantando il bastone in mezzo alle gambe e sorreggendovisi con entrambe le braccia. 

“Il vostro nome è di nobile estrazione.” , commentò Murtagh rompendo il nuovo silenzio per primo. “Anche il tuo, giovanotto. Sei già un uomo?” , rispose ponendo una domanda che fece sorridere involontariamente il Cavaliere. “Aye. E anche da qualche anno.”

“Sembri molto giovane, o è il tuo Compagno ad aver preservato il tuo aspetto?”

“Sono in questo mondo da già venti soli.”

L’anziano scoppiò in una risata interrotta da colpetti di tosse. “Giovane, troppo giovane.” , commentò rivolgendosi alla regina, “Siete sicura delle vostre intuizioni?”

“Non mettete in dubbio la mia parola, Cavaliere.” , lo ammonì bonariamente la regina. Pareva come se fosse lei la nipote, vista la confidenza che sembravano aver istaurato. Nel sentire il termine ‘Cavaliere’, Murtagh ricordò delle parole di Nasuada, a Carvahall. Era dunque lui quello senza drago che voleva incontrarlo ardentemente. “Come potete essere mio nonno?”

“Avendo generato tuo padre non basta?” , gli chiese sospirando il vecchio.

Murtagh annuì. “Ho una domanda che devo porvi seduta stante.”

“Dimmi, giovanotto.”

“È sempre stato pazzo?” , chiese il ragazzo, il cuore palpitante nel petto per l’ansia che gli nasceva ogni qualvolta si parlasse di suo padre.

“Non è mai stato pazzo. Oserei dire incline alla violenza sin dalla nascita.” , gli rispose, “Morzan era il mio figlio minore. La sua sete di essere l’unica pupilla dei miei occhi è cominciata dal momento in cui ha iniziato a lottare per vedere la luce. Mentre veniva al mondo, mi dissero successivamente quando io e la madre - la principessa Aslaug di Ceunon - non riuscimmo più ad avere figli, riuscì a renderla sterile. Era un atto totalmente involontario all’epoca, ma era solo un preludio di quanto doveva venire dopo.”

“Non mi ha mai parlato di avere un fratello. Non che parlasse con il proprio figlio di tre anni, comunque.”

Flaithrì alzò le spalle leggermente, il gesto gli costò fatica. “Suo fratello maggiore, Balder - a cui demmo il nome con il significato di principe nonostante non avessimo più il titolo da mio padre - era più grande di lui di due anni. Crebbero uniti, ma tuo padre fu sempre geloso della attenzioni che rivolgevo al mio erede primogenito. L’aspetto di Balder era più gradevole e le sue maniere impeccabili costantemente, rendendolo il preferito sia di sua madre sia il mio. Tuttavia non trattammo mai diversamente Morzan, che ci rese molto fieri quando fu scelto - mentre il fratello no - da un drago, divenendo Cavaliere come suo padre e come suo nonno prima di lui.”

“Quindi nelle mie vene non scorre il sangue di Cavaliere ereditato solo da mio padre come credevo?”, lo interruppe incredulo Murtagh. L’anziano lo squadrò scuotendo il capo.

“Le generazioni vanno ben oltre al bisnonno di mio nonno, ma all’epoca non tutti i figli di Cavalieri divenivano Cavalieri a loro volta. La certezza si ebbe solo quando nacque il mio bisnonno, figlio di due Cavalieri, Muirgen la sirena - che non era una vera sirena, ma era chiamata così per la sua voce melodiosa e la bellezza ammaliante - e Herroz il possente. All’epoca erano i regnanti del Nord, i re - fu mio padre a dover deporre la sua corona, tenendo solamente il castello e i terreni - .”

“I re del nord sono miei antenati?” , chiese ancora più sorpreso. Aveva sempre creduto che suo padre fosse un lord per nomina del Re Nero, o al massimo fosse un nobile di bassissimo rango poi innalzato dal suo amico folle. 

“Sì, nipote. Il mio nome è la prova. Il re dei principi, avrei dovuto essere, ma il mio titolo era stato ceduto in cambio della possibilità di portare avanti il nostro sangue, generando Cavalieri. Agli elfi non piaceva che potesse essere deciso per nascita, poiché la scelta non ricadeva su di loro. Ma mio padre, Herrik di Therinsford, braccio destro di Vrael, rinunciò a tutto per l’Ordine dei Cavalieri. Quello che tuo padre ha fatto di tutto per distruggere.” , concluse con amarezza.

“Cosa è successo a Balder? È stato ucciso durante la Caduta?”

Fu Jormundur a rispondere. “Morzan uccise il fratello maggiore per invidia, dopo che anche egli fu scelto da un drago, seppur in età adulta - aveva ventidue anni all’epoca - , sperando di poter avere non solo il titolo di Cavaliere, ma anche riprendersi la corona del Nord. Successivamente, fu Galbatorix a fargli spostare l’obiettivo alla corona di Angrenost - o Ruaidhrì in lingua umana - e avere tutto il paese, non solo il Nord.”

Flaithrì annuì. “Mi rifiutavo di accettare che Morzan potesse essere la mano dietro l’uccisione di Balder, il suo stesso fratello. Pensai più volte di ucciderlo, fu lo stesso Vrael a ordinarmelo. Ma non ci riuscii mai. Era pur sempre mio figlio. Una notte mi feci coraggio e andai nella sua stanza, qui in questo stesso castello. Mi scoprì e con la magia nera che gli aveva insegnato Galbatorix riuscì a sconfiggermi e a indebolirmi. Mi pensò morto e mentre si recava a uccidere il mio drago fuggii aiutato da Oromis. Persi il mio Compagno, Alastair, e mi rifugiai nel mio nascondiglio, dove sono rimasto fino a quando mi è giunta la voce della sconfitta di Galbatorix.”

“Perché siete qui? Non penso solo per un pezzo di terra strappatovi.” , chiese Murtagh stringendo gli occhi. 

“No, infatti. Ho udito anche voci su un figlio di Morzan, un Cavaliere che serviva il Re Nero come il padre. Non potevo credere che mio figlio, un uomo così spregevole, avesse generato un erede.”

“Eppure, eccomi. Non sono lusingato nell’essere visitato come un fenomeno da baraccone solo per la mia reputazione. Soprattutto perché tutto quello che ho fatto è stato perché sotto un giuramento rubato!” , sbottò Murtagh con rabbia crescente. Nasuada gli andò accanto, prendendogli una mano tra le sue. 

“Essendo impotente nella mia vecchiaia, non sarei mai venuto rischiando che fossi veramente come Morzan, mi avresti ucciso appena dopo essermi rivelato. Quale utilità avrebbe avuto, allora, un secolo di vita in segreto? Poco dopo incontrai il nuovo Protettore del Nord per la questione dei territori e mi disse che la regina aveva deciso di fidarsi di te. Solo allora ho deciso di incontrare Nasuada con la scusa dei terreni ceduti senza il mio consenso. Speravo di trovarti qui, ma mi disse che te ne eri andato. Avrei fatto lo stesso se non avessi percepito la presenza di tuo figlio nel grembo della regina.”

Nasuada si inginocchiò davanti a lui, incrociando le loro mani dopo aver poggiato il bastone a terra con delicatezza. Non aveva mai visto la ragazza inginocchiarsi con affetto accanto a un anziano. D’altronde, l’unico uomo della sua famiglia che aveva conosciuto era il padre, ma non li aveva mai visti assieme, genitore e figlia. Forse avrebbe assistito a una scena di affetto simile, se non più forte, sapendo Nasuada fedele e devota ad Ajihad oltre alla stessa conoscenza del padre. “Dal nostro incontro voluto dal Destino, lord Flaithrì mi è stato accanto come se fosse mio nonno. Serbo per quest’uomo un affetto sincero, nato vedendolo attento e interessato alla crescita del suo pro-nipote.” , disse la regina con un sorriso verso Murtagh. “Alzati, mia cara. Non è appropriato per una sovrana inginocchiarsi davanti a un uomo anziano e di rango inferiore.” , la rimbeccò dolcemente lui, sfiorandole la guancia. Lei gli porse nuovamente il bastone, prendendo poi la gonna e alzandosi lentamente. “Se non fosse minatorio per la solidità del mio governo, vi ridarei il vostro titolo.” , gli disse dolcemente la regina. Lui scosse la testa.

“E cosa dovrei farci? Alla mia età non potrei mai governare i principi cocciuti del Nord.” 

“La nostra regina farà un ottimo lavoro, anche sui vostri territori e con quei principi, mio lord.” , assicurò Jormundur. Murtagh si sporse in avanti. “Se non sono indiscreto, posso sapere la vostra età?”

Flaithrì si grattò la testa. “È difficile tenere il conto quando non hai motivo per farlo. Tuttavia… ritengo di aver superato le trecento estati basando il calcolo sui principali fatti avvenuti.”

I presenti rimasero senza parole. L’anziano si alzò barcollando, andando di fronte al nipote. Gli poggiò una mano scarna e piena di macchie sulle sue. “La tua vita finché sarai accanto al tuo drago sarà ben più lunga della mia. Nessun Cavaliere è mai morto di vecchiaia, nemmeno gli umani. Ma questo non lo sa nemmeno di per certo Eragon I.”

Jormundur guardò di sfuggita Nasuada. Tutti stavano pensando lo stesso: che ne sarebbe stato di lei, mortale, accanto a un essere la cui vita era potenzialmente senza termine?

Lei si alzò di scatto, sentendosi gli occhi addosso. “Se volete scusarmi, sono fin troppe ore che un figlio è lontano dalla propria madre. E vice versa.” , disse congedandosi. Nessuno osò fermarla, e nulla riuscì a frenare i pensieri e le speculazioni del giovane Cavaliere. Come avrebbe reagito alla sua morte? Come avrebbe potuto guardare suo figlio negli occhi, anche lui immortale, lui che gli avrebbe sempre ricordato della madre, della sua amata regina?

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Capitolo 19
*** Rivolte e rappresaglie ***


Il ragazzo vide finalmente i cancelli del castello della capitale. Aveva viaggiato a lungo, era stremato dalla stanchezza e dalla fame. Purtroppo, non aveva certo potuto tardare la partenza per cercare dei viveri per il viaggio. Strattonò la bambina al suo fianco, che dormiva letteralmente in piedi. Era notte e due soldati facevano la posta davanti all’arco in pietra che fungeva da soglia. I cancelli erano stati rimossi con il nuovo governo della regina. Vedremo se è davvero così magnanima come si è autoproclamata…

Proseguì barcollando verso i soldati, forse eccessivamente perché venne fermato con due lance puntate al cuore. “Via di qua se sei in cerca di qualcuno con cui attaccare briga. Questa è non solo la dimora della nostra regina, ma anche la sede del governo di Alagaesia.” , tuonò una delle due. La bambina prese a piangere. “Sta’ zitta!” , le intimò con un sibilo, tornando a rivolgersi alle guardie poi. Alzò le mani lasciando quella della piccola, in segno di pace. “Sono un fuggitivo, chiedo udienza con la regina.”

Loro si guardarono in modo incerto. “Le udienze sono terminate. Dovrete attendere tre giorni per la prossima.” , disse infine una. La bambina smise di piangere per un secondo, guardando il ragazzo negli occhi come se fosse stata tradita. Riprese subito dopo a piangere, ancora più violentemente. “Questa piccola è orfana, vi prego.”

Spazientita, una guardia roteò la lancia e gli diede un colpo con la parte lignea, per allontanare l’ospite. Il ragazzo arretrò ma non cadde. 

“Sai quanti orfani ci sono nel paese dopo la guerra? Se sei venuto solo per chiedere un rifugio per lei devi rivolgerti a una casa per orfani. Un’idea sempre della nostra gentile sovrana per togliere tutti i piccoli dalle strade.” , lo informò ammirante. L’altro annuì, poi si mosse per tornare nella piccola casetta di legno. 

“No!” , gridò il ragazzo. Dall’altra parte del passaggio arrivarono altre due guardie della posta, attirate dal trambusto. 

“Che succede?” , chiesero.

“Nulla, questo ragazzo non sa che farne di quella bambina.”

“Ci sono le case per orfani, glielo avete già detto? Fatela controllare prima, se è la figlia di una meretrice potrebbe avere qualche malattia…”

Le due guardie della posta esterna annuirono facendo tintinnare gli elmi. 

“Vi prego, il mio villaggio è stato raso al suolo dai vostri soldati. È colpa della regina se abbiamo perso tutto!” , piagnucolò il giovane.

“Raso al suolo? Di che cosa stai parlando, giovanotto? Questo è un periodo di pace!” , esclamò la guardia proveniente dall’interno. Il più anziano dei quattro dall’aspetto della sua pelle. 

“Uomini armati ci sono piombati addosso mentre i genitori del villaggio protestavano perché la regina voleva togliere loro i figli per mandarli in una scuola!” , spiegò il ragazzo. Uno dei quattro prese immediatamente una pergamena e appuntò qualcosa. Gli porse la pergamena. “Ecco… credi che questo resoconto sia sufficiente per spiegare quanto successo?” , gli chiese. Lui guardò ai segni sul supporto, senza comprenderli poiché non sapeva leggere né scrivere. Annuì comunque e l’uomo legò la stringa di testo alla zampa di un corvo che fece volare oltre le mura verso il castello.

“Che altro è successo?” , lo incalzò il più anziano. 

“Nulla, sono stati tutti passati a fil di spada, mia madre, mia zia, il capo villaggio. Solo io e questa bambina siamo sopravvissuti.” , raccontò mentre la rabbia ammontava al suo volto e così le grida, “Voglio spiegazioni da colei che ha mandato dei soldati a sterminare persone comuni!”

Un guanto di ferro gli coprì la bocca. “Ora non peggiorare la tua situazione. Non devi accusare la nostra regina. Non la Salvatrice di popoli.”

Mentre il vapore del respiro si dipanava di fronte a lui in piccole nuvolette, una quinta guardia corse da loro a cavallo. “Soldati, avete ancora voi l’ospite con la bambina?” , chiese nel buio delle torce. “Eccoli.” , disse l’uomo che gli impediva di parlare spostandosi da davanti a loro. La bambina era accovacciata a terra, la testa in mezzo alle ginocchia. Fortunatamente non piangeva più. “Salite su, la regina ha acconsentito a vedervi.” , ordinò loro. La bambina si alzò di scatto in piedi. “La regina in persona?” , chiese il ragazzo. L’uomo annuì e tese loro una mano per aiutarli a salire, dopo che le altre guardie li ebbero perquisiti a fondo in cerca di armi. “Dovete averla colpita molto con la vostra storia, da farle ritardare l’orario in cui si corica per voi.” . Il giovane fece montare prima la bambina, poi con uno slancio si fece forza sulla mano del soldato.

Ben presto la porta delle mura si fece piccola dietro di loro. Si mossero al trotto attraverso magnifici giardini e fossati colmi d’acqua. Nulla di spaventoso, tuttavia. La bambina in mezzo al soldato e al ragazzo si osservava attorno estasiata. Mai avrebbe potuto vedere un castello di quelli delle sue fiabe se non fosse stato perdendo la sua famiglia e la sua casa. Il Destino aveva un senso dell’umorismo davvero macabro. 

Un uomo li attendeva all’ingresso di quella che sembrò un castello nel castello. La fortezza! Verrò portato addirittura vicino a dove vive la regina!

“Mio signore Jormundur, vi porto i bambini di cui parlava il messaggio.” , annunciò la guardia smontando da cavallo e prendendo, senza domandare alcunché al suo accompagnatore, la bambina per posarla a terra. L’uomo anziano annuì mentre il ragazzo smontò anch’egli. Ben presto il soldato sparì, lasciandoli soli con l’imponente figura. Li perquisì nuovamente. 

“Venite, non possiamo tardare.” , disse avvicinandosi appena alla porta. I piedi scalzi della bambina si mossero automaticamente come durante il sonno precedente e così ormai anche quelli del ragazzo. Seguirono l’uomo su per molte scale e corridoi, il percorso sembrò quasi più lungo dell’intero viaggio. Gli ultimi istanti prima di una meta sono sempre i più lunghi. 

Passarono un’ultima posta dove furono perquisiti nuovamente fino ad una sala ottagonale di piccole dimensioni, con numerosi divani e un caminetto. L’uomo li annunciò dietro di loro al vuoto, poi sparendo. La bambina era come pietrificata, respirava a fatica. Gli cercò la mano per la prima volta di sua iniziativa e camminò vicino al suo fianco. Dietro di loro un suono strozzato li fece sussultare. Si voltarono vedendo una ragazza molto bella su un divanetto accanto alla porta. Dovevano non averla notata perché coperta dall’apertura di essa. Due occhi a mandorla e lievemente rivolti all’insù si alzarono dal bambino molto piccolo che teneva tra le braccia. Lunghi capelli pieni di boccoli di un castano pressoché nero le cadevano sulle spalle. Indossava una sottoveste piuttosto spessa, e al di sopra un mantello chiuso attorno alla vita. Doveva avere un paio d’anni in più del ragazzo. Lei si alzò finalmente quando il bambino si fu addormentato. “Vostra Maestà?” , chiese il giovane infine notando due orecchini lucenti ai suoi lobi. Anche la sua bellezza gridava nobiltà, doveva per forza essere la Salvatrice. Lei fece un debole sorriso, poi tornò seria come se si fosse ricordata di qualcosa di spiacevole. “Sono proprio io, Nasuada. E voi dovreste essere i superstiti?” , chiese con una voce calda ma decisa.

Il più grande dei due annuì. “Veniamo da un villaggio a nord di Marna, che ora non esiste più per colpa vostra.”

Lei parve sorpresa da quelle parole. “Per colpa mia, dite?”

Il giovane annuì seguendo con i suoi occhi verdi la regina mentre si spostava di fronte alla porta. 

“Da quanto mi è stato riferito vi stavate ribellando alle mie manovre per risanare questo paese e abbattere l’ignoranza.” , iniziò spostandosi i boccoli dietro la schiena con uno slancio. Dalla porta entrò una figura estremamente alta vestita di tutto punto. Si spostò accanto alla ragazza scura. 

“Questa, vostra maestà non è un motivo valido per sterminare tutti gli abitanti di un calmo villaggio.” , le ribadì con determinazione il ragazzo. L’altro, dai capelli lunghi e corvini e occhi azzurro-ghiaccio chiarissimi, lo squadrò con una punta di ammirazione nel disappunto per l’insolenza. La mano destra della regina, di per certo, anche vista la vicinanza con la ragazza a cui stava in piedi come una statua.

“È corretto quanto dici. Tuttavia, non ho dato nessun ordine di pulizia verso chi protesta contro le mie decisioni. Dovrei sterminare tutto il paese, altrimenti.” , pronunciò lei con tono dolce. Il ragazzo aprì la bocca incredulo per quanto venisse da dire, ma quel turbine di parole non trovò un ordine, morendogli in bocca. Deglutì e chiuse le palpebre un paio di volte. “Forse qualcuno per voi!” , protestò allora. 

Lei guardò obliquamente il ragazzo alto al suo fianco, poggiandogli una mano su un avambraccio. “Sarai tu a occuparti di indagare che ogni soldato obbedisca solo ai miei ordini, e che i miei ufficiali e comandanti non prendendo decisioni senza consultarmi.”

Lui annuì. La sovrana si strinse il neonato al petto, come temesse che lo portassero via.

“Voglio offrirvi del cibo e un riparo, mi sembrate molto stanchi.” , disse a un tratto andando a bussare a una delle porte dietro di lei. Una donna di mezza età si affacciò, prendendo l’ordine sussurrato dalle labbra carnose della regina.

Il ragazzo alto si spostò alle loro spalle e uscì, tornando con abiti puliti semplici ma di ottima fattura. Li consegnò al giovane e alla bambina, tendendole infine la mano. Lei esitò guardando il suo accompagnatore negli occhi verdi. Lui annuì perché si fidasse, non avevano altra scelta. La regina si era dimostrata gentile come ne parlava il popolo, ma non potevano sapere se avesse dato ordini alla donna che sgozzassero i sopravvissuti durante il sonno. La bambina allora prese la mano del nobile dai lunghi capelli, stringendo gli abiti con l’altro braccio al petto. 

“Io sono Murtagh, non dovete avere timore.” , disse loro. 

Il ragazzo impallidì: quella sarebbe davvero stata la loro fine. Il Cavaliere rosso, seguace e carnefice per Galbatorix, stava per portarli via e probabilmente farli sparire nel nulla. Non che nessuno avrebbe reclamato le loro vite essendo tutti i loro cari morti. La regina strinse ancora di più il suo bambino, pensierosa. “Murtagh è libero dai giuramenti del Re Nero, non vi farà del male. Vuole solo concedervi un bagno caldo dopodiché vi faremo mangiare un pasto corroborante che sarà diventato pronto.”

Bello da togliere il fiato, il giovane dai capelli corvini giurò qualcosa in una lingua sconosciuta. 

“Vi ho dato la mia parola di Cavaliere. Ora seguitemi per favore.” , disse ancora dopo un attimo di silenzio dei due. La bambina allora si mosse con lui, ignara di chi fosse. La regina notò il ragazzo invece ancora immobile e gli andò accanto. Il suo profumo di oli era piacevole. Così vicina poté vedere il piccolo tra le sue braccia: aveva la pelle meticcia e capelli neri, più scuri di quelli della madre. Gli prese la mano. “Murtagh è mio marito, se io posso fidarmi di lui, anche tu puoi fidarti. Va’ da lui e scoprirai che è diverso da quanto raccontano le storie sul suo conto.” , gli sussurrò.

Il ragazzo espirò sonoramente, poi si scostò da lei e uscì dalla stanza. Il Cavaliere lo aspettava con la bambina ora in braccio a metà del corridoio. Accanto a lui era apparso l’uomo che li aveva scortati in precedenza e guardava il Cavaliere con durezza. Chiaramente non dovevano andare d’accordo. “Oh! Eccoti finalmente! Andiamo, la tua sorellina si è addormentata.”

“Non è mia sorella. Proveniamo solo dallo stesso villaggio...” , mormorò seguendolo dentro una stanza dalle pareti a volta e una vasca in pietra quadrata  abbastanza grande per quindici persone. Aveva già visto quel genere di stanze in un posto in cui acqua calda emergeva dal suolo.

Una giovane li aspettava in un angolo. Il Cavaliere le andò vicino, mettendole la bambina tra le braccia con delicatezza. “Alfhild, occupati tu di lei.” , disse alla domestica. Lei annuì e alzò gli occhi sul ragazzo castano. “Lui?”

Murtagh lo guardò con i suoi occhi chiarissimi. “Sarà in grado di lavarsi da solo. Lascia che assista, però: ha paura che li togliamo di mezzo.”

La mandibola del ragazzo si separò dalla mascella. Come faceva a saperlo?

Come se avesse letto anche quello nella sua mente alzò le spalle e uscì. La ragazza bionda svestì la bambina che si era portato dietro per tutte quelle miglia e l’immerse nella vasca, tenendola nella parte con l’acqua più bassa. Con il tepore, la piccola aprì lentamente gli occhi, strofinandoseli. La ragazza rise leggermente. “Brava così, mi risparmierai la fatica di lavarti gli occhi!”

Lui allora si svestì rimanendo fuori dalla portata della vista della ragazza e si infilò nella vasca. Dovette trattenersi dal gemere di piacere per il peso che l’acqua toglieva al suo corpo e alla temperatura perfetta di quello specchio artificiale. 

“Io sono, come avete già udito, Alfhild. Voi, invece come vi chiamate?” , disse la bionda versando acqua sui capelli castani della bambina con una brocca che teneva appoggiata sul bordo di pietra. Lui si strinse nelle spalle. “Ti ha chiesto il Cavaliere di estorcerci informazioni?”

Lei lo guardò per un istante, poi tornò al suo lavoro. “Non posso certo mentirti che se mai doveste dirmi qualcosa lo andrei a riferire alla mia regina, ma lei non mi ha domandato nulla. È una donna dolce e una madre amorevole per il suo bambino - che tra l’altro è il nostro futuro re - .”

Il ragazzo allora espirò mentre si immergeva completamente nell’acqua. Rimase in apnea per qualche istante e riemerse, per trovare la ragazza di fronte a lui. Sobbalzò e lei ridacchiò. 

“Ti volevo porgere solo il sapone.” , disse muovendo il parallelepipedo bianco nella sua mano tesa. Lui si avvicinò al bordo per prendere l’oggetto, iniziando a passarselo su tutto il corpo. Alfhild tornò dalla bambina castana che era fuori dalla vasca avvolta in panni candidi di lino. Le sfregò i capelli e glieli pettinò, vestendola poi con gli abiti portati dal Cavaliere. Lui colse la distrazione per uscire dall’acqua e asciugarsi in fretta, indossando casacca e brache che gli calzavano piuttosto bene. La giovane andò da lui, spingendolo a sedere a terra per strofinare anche i suoi capelli.

“Sono Samra.” , mormorò mentre gli scuoteva vigorosamente il capo. Lei si fermò per un istante.

“Piacere di conoscerti, Samra.”

“E lei è-”

“Roseia, me lo ha già detto.” , lo interruppe, “Che cosa eri al tuo villaggio?”

Lui esitò. “Un semplice figlio di contadini.”

La vide sorridere sinceramente. “Io sono nata in questa città e abbandonata per le strade. Non ho mai visto la campagna.”

“È veramente tranquilla la vita là.” , ebbe il tempo di risponderle prima che il Cavaliere tornasse nella stanza. Si fermò sull’uscio, le mani incrociate dietro la schiena. “Il vostro pasto è pronto se avete ancora fame nonostante la stanchezza. Grazie Alfhild, puoi andare.”

La ragazza bionda annuì guardando per un ultimo istante il suo nuovo conoscente, uscendo poi ubbidientemente. Roseia si avvicinò al ragazzo terribilmente alto con felicità, lo stomaco brontolante che si udiva chiaramente. Le posò una mano sulla testa e con la magia le sollevò piccolissime goccioline d’acqua dai capelli, lasciandoli asciutti. “Ecco fatto, così non ti verrà un malanno. Andiamo.”

Samra quella volta li seguì senza farsi attendere, fino alla stanza dove la regina li aveva accolti e in cui era stato spostato un tavolo. Al di sopra, zuppa fumante emanava un profumo più che invitante. “È stufato di cervo e chiodi di garofano, spero vi piaccia.” , commentò la regina sedendosi di fronte alle due ciotole vuote già posizionate per loro, facendo un cenno perché si accomodassero. Anche il suo stomacò brontolò dopo che ebbe il suo naso sentito l’odore di quel cibo così prezioso e delizioso. Si sedettero ringraziando e la donna di mezza età che aveva raccolto l’ordine della regina in precedenza servì loro la zuppa. Nella stanza erano presenti solo i due ospiti, la donna, la regina, il Cavaliere e l’uomo che li aveva scortati. 

La sovrana spezzò subito il pane come tradizione per gli ospiti ma ne offrì comunque una pagnotta intera e fresca ciascuno. 

“Roseia e Samra, giusto?” , iniziò la ragazza dalla pelle scura mentre mangiavano quanto più civilmente potessero, nonostante la fame estrema.

Il ragazzo annuì, spezzettando una metà della pagnotta nel sugo caldo e speziato. Doveva esserci stato messo del vino visto il colore violaceo. 

“Domattina finirete il vostro resoconto, nel frattempo volevo chiedervi piuttosto cosa hai intenzione di fare.”

Lui alzò le sopracciglia. “Vostra maestà, cosa intendete? Sono prigioniero?”

La regina ridacchiò, il suo volto iniziava a mostrare i segni della stanchezza. “No, assolutamente. Il vostro villaggio è stato sterminato e immagino anche le vostre case bruciate. Alfhild mi ha riferito che sei un contadino, ma anche con un pezzo di terra che hai ereditato dai tuoi genitori per via della loro morte, non avrai un tetto sotto cui ripararti. Non posso lasciarvi andare di nuovo via a piedi e senza protezioni, nelle condizioni in cui siete arrivati.”

Lui ringraziò di cuore, ingoiando un altro boccone. Si rese conto di quanto fosse effettivamente gentile quella ragazza che aveva un così totale potere nelle sue sottili mani.

“Ho giurato di proteggere ogni singolo uomo o donna o bambino sotto il mio dominio e ho intenzione di farlo anche con voi. Poi, Roseia non è tua parente... dovrebbe finire in una casa per orfani.” , introdusse guardando la bambina. Lei alzò lo sguardo dal pasto, i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime. La regina allora allungò una mano per prendere una piccola delle sue in conforto. “Non ti costringerò, piccola. Ma Samra dovrà acconsentire a una proposta fatta da una cara ragazza.”

Tornò a guardarlo con serietà. “Alfhild ha avuto pietà della bambina che hai salvato portando con te e ha chiesto di occuparsi di lei. Anche la nostra aiutante è un’orfana e non vorrebbe che questa bambina soffrisse la solitudine come ha sofferto lei. Anche se le case per orfani che ho istituito sono meglio della vita di strada, nulla è come l’amore di un genitore, anche se non naturale.”

Samra annuì. “Roseia potrà vivere con lei. Però... vorrei che non dovesse spendere il suo stipendio per una bambina che ho portato io. Manderò dei soldi quando avrò trovato un altro terreno da coltivare.”

Nasuada lo guardò confusa. “Non era dei tuoi genitori la vostra fattoria?”

Lui scosse il capo. La regina si mise due dita sulla tempia allora. “Potrei darti io un lavoro. Sai occuparti degli animali?”

Aye, mia Signora.”

Lei rilassò lo sguardo. “Bene, allora ti affiderò la casa attigua alle scuderie reali. Dovrai rimetterla in sesto con il tempo e nel mentre ti occuperai del benessere dei nostri cavalli.”

Samra annuì alla proposta.

Il Cavaliere fece un passo avanti verso la ragazza, sfiorandole il braccio. Il ragazzo dagli occhi verdi dovette sforzarsi di accettare che la confidenza fosse dovuta al loro matrimonio, per quanto sembrasse poco probabile l’unione. Come poteva la regina dei ribelli aver sposato il Cavaliere al servizio del Re Nero? 

“Roseia quindi verrà solamente scaricata sulle spalle di Alfhild? Quella ragazza lavora sodo, ma non può permettersi di mantenere una bambina già così cresciuta! Non possiamo nemmeno pagarla semplicemente di più, è ancora un’aiutante semplice...” , fece notare con serietà, le palpebre che lasciavano intravedere solo un filo delle sue pupille chiare.

Samra allora alzò gli occhi, colto da un moto caldo nel petto. “Se Vostra Maestà me lo permetterà vorrei sposare Alfhild. È stata così gentile con me.”

La regina e il Cavaliere lo guardarono allibiti per un istante, poi solo la ragazza addolcì lo sguardo. “Sono così candide e facili le scelte di chi non è costretto per il proprio sangue!” , mormorò con sorpresa. Lui guardò il Cavaliere in modo interrogatorio, ma lui non evase il dubbio sulla frase della regina. Non capì cosa volesse dire. Cosa era ‘candido’ in ciò che aveva detto? 

Gli era sembrato solo il suo dovere per ripagare la bella ragazza del suo gesto.

L’uomo più anziano uscì e tornò con la serva bionda. Nasuada si alzò a prenderle la mano. Le parlò nell’orecchio come un’amica e a un tratto la chioma chiara ondeggiò in su e in giù. 

La regina si voltò a guardarlo di nuovo. “Ha accettato, domani oltre a dirci il resto della vostra storia faremo gli accertamenti per la possibilità dell’unione.”

Lui annuì sorridendo debolmente. Finì il pasto e assieme alla bambina furono scortati in stanze piccole ma dai comodi letti. Nessuna guardia fu posta direttamente fuori dalle loro stanze, a indicare che la regina non aveva cattive intenzioni con loro. Non che alcun dubbio fosse rimasto nei loro cuori, visto quanto aveva fatto per loro in poco più di un’ora da quando li aveva accolti.

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Capitolo 20
*** Chi è il nemico? ***


“Dovresti dormire.” , impartì secco il Cavaliere. 

Nasuada si fermò per guardarlo malamente poi riprese a misurare la stanza a passi decisi.

“Nas.”

La giovane regina si batté i pugni sulla parte esterna delle gambe, esasperata. “Non puoi impedirmi di preoccuparmi per il mio popolo!” , gli rispose con astio, indicandolo con il dito.

Lui si alzò dal letto fluidamente, andando a posizionarsi a un pollice soltanto da lei, l’indice che gli premeva sul petto. “Non puoi stare sveglia tutta la notte a pensare! Non ne sappiamo nulla di questa situazione e privarti del sonno e della lucidità non gioverà certo a trovare una soluzione!”

Lei si morse il labbro con rabbia. “Devo fare qualcosa! Un centinaio di persone sono state macellate da qualcuno che utilizza il mio nome impropriamente, non posso dormire tranquillamente nel mio letto aspettando che vengano a prendermi con torce e scuri! Domattina quando indirò il Consiglio dovrò avere già un piano.”

Lui sospirò e le prese la vita. “Ascolta il mio consiglio. Sono l’unico amico che hai qui, che ha a cuore la tua salute.”

Gli occhi ambrati si velarono di acqua che poi la regina ricacciò. “Tu sei più che un amico, Murt.”

Il Cavaliere annuì. “Lo so, e per questo non voglio importi nulla ma... so che un po’ di riposo sarebbe meglio per te e per il regno.”

La regina si arrese un poco, guardando l’alto Cavaliere sedersi sul bordo del letto con sguardo invitante. I cuscini sembravano ancora più comodi di tutte le altre sere in cui si era accinta a coricarvisi sopra. “Se la metti sotto questi termini, allora...” , disse spostandosi le mani sulle clavicole, sfilandosi le spalline che reggevano l’abito leggero. Murtagh la guardò finalmente sollevato e quando fu in sottoveste la tirò tra le sue braccia completamente, baciandole i capelli.

La regina si ritrovò seduta sulle sue gambe, la stessa appoggiata al suo petto. Decise di nasconderla nella sua camicia per qualche istante. 

Improvvisamente, un ruggito provenne dall’esterno della stanza. I due sposi si voltarono si scatto, vedendo la coda di Castigo guizzare. Si alzarono velocemente, maledicendo la loro tendenza a dimostrarsi affetto aggrovigliandosi. 

Murtagh spalancò la finestra ad altezza di persona, uscendo sul grande terrazzo coperto dalla struttura in vetro e metallo. Scese le scale, percorrendo i gradini a due a due, con grande velocità, mentre la moglie cercava la sua vestaglia. Il drago era accucciato a terra non comodamente come sarebbe stato normale di notte, ma come un gatto che osserva uno stagno pieno di pesci. Il collo era steso sul manto erboso per tanti piedi, il capo premuto a terra. Murtagh corse da lui, quando notò che il movimento che il suo Compagno aveva avuto, simile a un colpo di tosse, era in realtà un rigurgito. 

Un falco dalle piume nere era a pochi pollici dalle fauci del rettile, le ali spezzate. Respirava pesantemente, probabilmente pensava che quella sarebbe stata la sua fine. Murtagh notò che aveva un biglietto legato a una zampa. Prese delicatamente l’animale con le mani, sfilando prima la pergamena arrotolata e poggiandosela stretta tra il polsino della blusa e il braccio.

Da che direzione è giunto? , chiese al suo Compagno. 

La stessa direzione da cui sono venuti i vostri ospiti, Amico mio. Potrai dire a tua moglie di smettere di arrovellarsi in quel modo, la risposta è arrivata prima ancora delle domande. , rispose seraficamente chiudendo poi gli occhi infastidito per il mancato riposo.

Ti ringrazio per averlo fermato.

Se mai i draghi non dovessero servire più so che sarei un bravo maestro della corrispondenza. Sarei comunque valido l’enorme quantità di cibo che dovete procurarmi... , rispose con più acidità del solito. Murtagh lo guardò in obliquo. Di che vai blaterando, lucertolone?

Castigo alzò il collo e morse l’aria, come se avesse davanti l’oggetto del suo malcontento, ma non rispose. Allora il suo Compagno-di-cuore-e-di-mente decise di comportarsi come tale, cercando di fargli sputare il rospo. Gli si appoggiò di peso al fianco, il falco tra le sue mani lanciò un verso spaventato. Castigo... Castigo il grande e potente drago dei vulcani? Castigo lo spezza catene? Castigo il drago libero? , tentò con la tecnica che prevedeva infastidire il rettile chiamandolo più volte finché non si decideva a parlare.

Castigo!

Va bene. , cedette dopo poco. Spostò una pupilla su di lui, osservandolo con la coda dell’occhio. 

Ho sentito delle voci oggi... Si lamentavano che la regina spendesse troppi soldi per mantenere un animale enorme come me, per giunta pericoloso e senza utilità in questo periodo di pace.

“Merda!” , esclamò il ragazzo ad alta voce, proprio mentre Nasuada scendeva velocemente le scale, tenendosi chiusa la vestaglia con una mano. “Che è successo?!” , chiese sussurrando per non svegliare nessuno nelle finestre sopra le loro teste. 

Murtagh spostò le dita di una mano premendosi le palpebre sugli occhi. “In questo periodo sento che stia per andare tutto a rotoli...”

“In che senso? Spiegati meglio!”

Per prima cosa le passò la pergamena, poi si permise un lungo sospiro.

“Prima l’accusa di tramare contro di te attraverso un incontro segreto, chiesto attraverso un messaggio a mio nome ma non firmato da me - per giunta dopo il mio ritorno, quando nessuno se non il tuo Consiglio si è minimamente opposto - , ora il paese si sta risollevando e qualcuno protesta contro di te, sterminando gente onesta, e infine chi si lamenta della presenza inutile di Castigo!”

La regina alzò il capo, sbattendo le palpebre. “Chi osa lamentarsi di Castigo?”

Il Cavaliere scrollò le spalle. “È stato lui a sentire una conversazione.”

Mia regina, è la verità, tuttavia devo precisare che non si stavano lamentando di me in particolare. Sembrava che l’odio verso il genere dei draghi, e i Cavalieri che solcano i cieli assieme a loro, fosse perpetrato con le parole di quegli individui - frasi di cento anni fa, frasi di giusta amarezza dovute alla guerra che Galbatorix e i Tredici hanno portato - . Eppure non comprendo come si possa parlare così, ora che la pace è finalmente presente anche grazie a noi! , le spiegò Castigo, faticando a trovare le parole giuste per tradurre le sue sensazioni. Nasuada si avvicinò e passò una mano affusolata sul suo muso. “Eragon ha commesso un grave errore ad andarsene.” , mormorò. 

I presenti annuirono d’accordo. “Negli ultimi cento anni i Cavalieri non hanno fatto altro che portare distruzione. Ora che potremmo restituire l’Ordine per quello che era - la salvezza dell’umanità - , lui se n’è andato e Arya si è rintanata nella sua foresta. Hanno condannato le persone a continuare a temerci o detestarci!” , ragionò con rabbia ad alta voce. Nasuada inspirò. “Resta nelle tue mani, figlio di Morzan, quel compito allora. Ma non sei solo, come sempre avrai il mio influente supporto.”

L’altro espresse il suo dissenso con un ringhio basso. “Non capisci? Se tu dovessi perdere il favore del popolo per questo individuo che uccide persone in tuo nome, io tornerò a non essere ben accetto per via di mio padre e della mia schiavitù al Re Nero! Lo sai meglio di me che un re - o una regina nel tuo caso - non è nulla senza delle alleanze forti. Se io non dovessi più essere visto come tale, saremmo finiti entrambi - per non parlare poi di nostro figlio! Che ne sarebbe di lui? - .”

“Hai ragione, ma non perderò improvvisamente il favore del popolo e dei nobili per una rappresaglia. Leggi qua.” , gli rispose passandoli la pergamena. Lèsse velocemente il messaggio, rimanendo con una forte sensazione amara in bocca, come avesse mangiato veleno.

“Credi che si tratti dunque di un evento singolo?” , chiese alla moglie ridandole il piccolo messaggio. Lei si morse il labbro. “Potrebbe, oppure no. Ciò che credo è che dovremo indagare su quel corvo, da dove è venuto e chi l’ha mandato.”

Lo prese dalle sue mani, lasciando la vestaglia, che svolazzò nella brezza notturna dietro di lei mentre saliva le scale. 

 

La mattina, Samra fu scortato nello studio della regina, dove il falco nero era rinchiuso in una gabbia su un piede, che dondolava pericolosamente mentre l’animale sbatteva le ali freneticamente. La ragazza dalla pelle d’ebano e il Cavaliere erano già nella stanza, intenti a discutere. Samra s’inginocchiò a terra, ringraziando per il trattamento che avevano ricevuto. Nasuada si alzò in piedi nel suo meraviglioso abito color giada e gli andò di fronte. Con due dita lo invitò ad alzarsi, scortandolo senza toccarlo a una delle sedie attorno alla scrivania in rovere.

“Ieri notte abbiamo ricevuto un messaggio con quel falco riguardante quanto successo al tuo villaggio.” , disse passandogli gentilmente il piccolo rotolo di pergamena. L’altro lo prese, scrutando con timore negli occhi verdi il materiale, senza srotolarlo. “Mia signora, io non posso leggerlo...” , mormorò.

“Giusto, perdonami. Murtagh, potresti leggerlo tu ad alta voce?”

Il Cavaliere gli prese senza essere sgarbato la pergamena dalle mani e le sue labbra si mossero assieme alle sue pupille. “Gli abitanti del villaggio si sono ribellati al potere della corona, ma io ho agito da giustiziere e ho riportato il favore per la mia liberazione e quella di mia moglie.

Alzò poi gli occhi azzurro-ghiaccio sul giovane ospite. “Questo è il messaggio di chi ha rivendicato quel gesto: ora hai la certezza non sia stato un ordine di mia moglie.”

Samra annuì con veemenza. “Non dubiterò più di voi, mia regina!” , rispose guardando la sovrana non direttamente negli occhi ambrati ma sulla punta del naso. Le sue labbra perfette si tirarono in un sorriso leggero. “Molto bene, Samra. Ora vorrei sapere se hai visto l’esercito che ha attaccato il tuo villaggio natale.” 

Il ragazzo abbassò gli occhi, giocherellando con le dita con i lacci di cuoio della casacca nuova che gli avevano fornito. Cercò nei ricordi tutto ciò che potesse recuperare, rimanendo in silenzio così a lungo che il Cavaliere temette che fosse diventato muto.

“Non era un esercito.” , proruppe infine, “solo un piccolo contingente di uomini, forse venti.”

Murtagh incrociò le braccia al petto. “Solo venti uomini hanno raso al suolo un villaggio? Sei sicuro?”

Il più giovane annuì. “Per quanto in minoranza numerica, tutti i nostri uomini erano riuniti nella grande casa del capo villaggio a discutere sulle riforme della regina. Erano disarmati, se non per le poche asce e attizzatoi che sono riusciti a recuperare nella casa di Ingo Bohrsson.”

“Hai notato stemmi o colori delle loro armature?” , domandò ancora Nasuada.

Samra rifletté ancora. “Non indossavano armature o elmi, solo vestiti con placche in duro cuoio, come tegole in ardesia per le case, ma sul corpo. Erano completamente nere.”

Mentre terminava il discorso il Cavaliere toccò ancora il braccio della moglie, come la sera precedente, con confidenza. “Lo sapevo che si tratta di seguaci di Galbatorix che tentano di ribaltare il tuo potere!” , disse interrompendosi per emettere una risata amara e singola, come un colpo di tosse, “Come se destituendoti potessero riportare in vita il loro re.”

La regina lo guardò dritto in volto. “Dicevi di sapere di chi si tratta.”

L’altro alzò le spalle. “Sono tanti i lord ancora fedeli al Re Nero, non che credessero nella sua utopica visione del mondo. Stanno portando avanti il suo piano escogitato in caso della sua morte perché temono che l’equilibrio possa ancora ribaltarsi, e che un suo fedele possa tornare sul trono. In quel caso loro dovranno dimostrare di aver svolto il loro compito per non morire: i lord della sua corte erano come ratti in gabbia.” , disse stringendo il pugno finché la sua mano non sbiancò completamente. 

“Anche voi siete un lord, Cavaliere?” , s’intromise timidamente Samra. Murtagh si voltò di scatto a guardarlo, ma non era arrabbiato. “Il duca di Dras-Leona.” , confermò seccamente.

Nasuada si batté l’indice su una tempia. “Samra ha ragione!” , esclamò.

Il ragazzo spalancò gli occhi verdi. “Mia Signora, io non ho insinuato nulla...”

“Anche tu eri un lord alla sua corte a tutti gli effetti, Murtagh, e il suo unico Cavaliere, il suo braccio destro. Perché tu non dovresti essere a conoscenza dei dettagli di questi piani?” , ragionò la ragazza dalla pelle d’ebano. Il Cavaliere sbuffò premendosi le dita sugli occhi. “Abbiamo ragionato per tutta la notte, Nas. Davvero non ti seguo.” , ammise.

Lei si slanciò per prendergli le mani con sguardo vispo, come una volpe davanti a una gallina. Il diamante al suo orecchio ondeggiò, accecando per un attimo Samra. “Qualcuno non si fidava di te abbastanza da svelarti i piani per dopo la morte del re, nonostante tu fossi uno dei lord. In effetti dubito che tutti i fedeli a Galbatorix di un tempo siano compromessi. Coloro di cui chi ha architettato tutto non poteva fidarsi è stato tagliato fuori!”

Il Cavaliere guardò fuori dalla finestra, a disagio. “Nessuno si fidava di me, tranne il re... Non credo che sia stato lui a creare i piani, a questo punto.”

“Molto bene. Cerca di pensare allora a chi potesse volersi mettere in mostra nel caso il potere si fosse nuovamente ribaltato.” , lo incalzò la regina. Samra li guardò esterrefatto tanto gli sembrarono arguti. A un tratto il Cavaliere annuì. “Penso possa essere stato lord Uthgard: è il conte di alcuni territori dentro e fuori la città di Dras-Leona e mi ha sempre guardato in malo modo per aver rifiutato di cedergli dei terreni che prima che fossero di mio padre erano di suo padre. Era in carcere non so per quale motivo quando il re è caduto, il che corrisponderebbe al biglietto e a quell’invito che è circolato tra i nobili tempo fa a mio nome. Ha cercato di togliere di mezzo te e me al contempo!”

La regina sorrise soddisfatta. “Samra, ti ringrazio per il tuo tempo. Sei congedato.”

Il contadino si alzò e fece un breve inchino prima di andarsene, scorgendo il Cavaliere che estraeva il falco dalla gabbia.

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Capitolo 21
*** Fantoccio ***


Murtagh e Castigo seguirono il falco dall’alto per tutta la mattina. Con un sorrisetto, il ragazzo lo guardò virare bruscamente chiudendo le ali e riaprendole solo dopo essersi girato perpendicolarmente alla traiettoria che stava seguendo, proprio verso il lago di Leona.

È l’ultima volta che quell’antipatico mi attraverserà la strada! , pensò stoicamente, leggermente infastidito di doversi allontanare di un paio d’ore in volo da Illirea per quel vecchio stupido. Gli tornò in mente quando era poco più che un bambino, intento ad allenarsi con la spada assieme al suo maestro Tornac. Il figlio maggiore del lord lo aveva gettato a terra con superbia, intromettendosi nella lezione con il maestro di spada, offendendolo e dandogli del bastardo. Il più piccolo dei figli di Uthgard, lui realmente illegittimo, lo aveva aiutato ad alzarsi per simpatia. Erano diventati quasi amici lui e Wisgard - di qualche anno più grande di Murtagh - , ma la loro amicizia era durata ben poco quando quest’ultimo era stato mandato a Furnost e legittimato come lord nella casata ormai senza eredi. Anni dopo quello che credeva un amico lo aveva tradito, ma Wisgard non era più il bambino simpatetico della sua sfortuna, era un ragazzo ambizioso che aveva avuto la fortuna di essere legittimato in una famiglia che non lo vedeva ogni giorno come bastardo, e non avrebbe mai permesso di perdere quella fortuna per coprire un fuggitivo. Sorvolò il lago e la città di Dras-Leona, il porto nella sua proprietà. Si spostò sempre seguendo il falco verso il maniero situato proprio tra le proprietà di Murtagh e quelle di lord Uthgard. Scese velocemente dalla sella, correndo all’interno con la spada sguainata, trovando solo la servitù. 

Uscì all’esterno con impetuosa rabbia, quando un vecchio lo raggiunse, il volto coperto da un cappuccio. Gli disse di aver visto lord Uthgard dirigersi verso il tempio situato ai limiti della proprietà, così velocemente che Murtagh non ebbe nemmeno il tempo di ringraziarlo per l’informazione, che egli lo aveva superato e proseguito lungo la sua strada per non essere scoperto - dal resto della servitù probabilmente - . Cercò tra le morbide colline versi di quel luogo, finché in mezzo a due non vide il tetto triangolare di un tempio, scorgendovi anche i capitelli di alcune colonne. Stringendo più saldamente il pomolo di Zar’Roc abbassò una mano e si spostò il mantello in avanti, coprendosi quanto più possibile il corpo e il capo con il cappuccio. Camminò incantando perché i suoi piedi non emettessero rumore, seguendo i sentieri e immergendosi in più chiazze boschive di piccole dimensioni, e proprio fuori all’ultima trovò il tempio. Era creato in pietra grigia e porosa e dall’aspetto trasandato nessuno doveva più utilizzarlo per pregare gli dèi da molti anni. Il che lo rendeva un perfetto luogo per tramare contro di lui e la sua nuova famiglia, che si era creato con dolore e sacrificio. Cercò delle finestre, ma come v’era da aspettarsi da quel genere di edifici non ve n’erano se non in alto per filtrare la giusta luce per l’atmosfera che doveva istillare timore verso le divinità e al contempo misticità verso i misteri di ogni religione. Murtagh disprezzava ogni divinità a cui gli umani, gli elfi, o i nani avessero dato un nome, ma peggio ancora reputava il Destino, un burattinaio crudele e con un pessimo senso dell’umorismo. Sospirò prima di entrare in uno dei luoghi che più detestava e aprì lentamente la porta di legno a due battenti, che scricchiolò fastidiosamente per le sue orecchie ipersensibili. I suoi occhi dovettero abituarsi alla quasi totale assenza di luce all’interno, ma comunque impiegarono meno tempo di un normale essere umano, giusto in tempo per vedere una figura che sfuggiva dietro l’altare. Corse dietro all’uomo incappucciato, ma non trovò nulla al di là della grande statua della dea Matr. Fece un passo avanti dallo stupore, fermandosi quando le sue orecchie percepirono uno dei suoi stivali emettere un rumore diverso dall’altro. Si guardò in basso, oltre le lunghissime gambe e scorse la figura di una botola stringendo le palpebre per vedere più acutamente. Non perse tempo a cercare un anello per aprire il coperchio, infilando la punta di Zar’Roc e usandola come leva, alzando il legno quanto bastasse per infilarvi sotto le dita e spalancare l’accesso a una rampa di scale. Là sotto era ancora più buio di quanto si sarebbe aspettato, tanto che non riuscì nemmeno lui a vedere quanti gradini v’erano prima di un livello stabile, perché solo i primi quattro erano notabili. Aprì il palmo destro con cui non utilizzava la spada e creò un fuoco incantato, sapendo mentre scendeva velocemente, per non dare troppo vantaggio al fuggitivo, di essere impossibilitato a combattere se non con la spada, ma tutte le altre armi non avrebbe potuto estrarle. Scese per quelli che dovevano essere cinquanta piedi, trovandosi in un corridoio dall’odore di muffa e salsedine. Alla fine, si percepiva anche odore di qualcos’altro. Di ossa, come. Amplificò il fuoco mentre progrediva, rendendosi conto di trovarsi un una grande cripta.

Si coprì il naso con il mantello, nel caso qualche corpo fosse stato sepolto troppo recentemente così da non ammalarsi, e progredì oltre i corpi correndo e correndo. Due sale più avanti riuscì a udire nuovamente i passi in corsa del fuggiasco oltre ai propri, aumentando il proprio ritmo. Non si trovava più in una cripta, perché le pareti erano nuovamente intatte dalle nicchie destinate ai corpi della famiglia nobile, ma in una serie di altri corridoi. Riuscì a ridurre ancora di più la distanza con lord Uthgard, quando si trovò in una grande camera con il soffitto a volta, la figura che lo precedeva era ferma in piedi davanti all’unica altra uscita. “Lord Uthgard, fermatevi! Nel nome della regina Nasuada io-” , gridò ma fu interrotto da una folata di vento magico che spense il suo fuoco. Non che fosse più forte della sua magia, ma riuscì a coglierlo di sorpresa. Da quando Uthgard è un mago?! , si chiese riaccendendo il fuoco, mentre la figura riprendeva a correre e un pesante cancello cittadino interrompeva il passaggio in cui era svanito. Corse in avanti e iniziò a incantare perché il cancello si alzasse, quando inciampò in qualcosa e cadde in avanti sui gomiti, escoriandosi le braccia e le ginocchia come un bambino. Si guardò indietro quando anche l’inciampo si lamentò, illuminando il volto leggermente tumefatto di lord Wisgarus. “Tu, verme di un lord falso!” , gli sibilò contro. Wisgarus sembrò ghignare anche con un morso tra le fauci e una grande benda attorno al capo che gli copriva la bocca e una parte del naso.

Si avvicinò a lui, poi guardando verso la grata alzata, indeciso sul da farsi. Gli occhi di Wisgarus però non erano vittoriosi come suo solito, erano nuovamente quelli di odio verso il mondo di quando era bambino. Lo tirò in piedi, e allungò una mano per bloccare il fuggitivo per poi raggiungerlo, quando sentì la magia rimbalzare nella volta. Si ricordò delle speciali pietre che costituivano il fondo delle valli attorno al lago Leona, compreso il castello di suo padre, che impedivano un ottimale uso della magia e dei collegamenti mentali. Cercò infatti di verificare di percepire ancora Castigo, ma era rimasto tagliato fuori dalla mente del rettile.

“Maledizione!” , gridò slegando la benda e il morso del lord un tempo suo amico, “Chi è stato a lasciarti qui?!”

Wisgarus abbassò il capo, scuotendolo in segno che non avrebbe mai parlato. Murtagh gli sferrò un pugno sullo zigomo, facendolo sanguinare, ma nemmeno il dolore lo spezzò. Non si stupì, d’altronde quel gesto era stata una speranza vana anche per il Cavaliere che sapeva che Wisgarus proprio come lui, non si sarebbe certo fatto piegare dal dolore fisico, essendo stato torturato in miriadi di modi sin dall’infanzia. 

Lo guardò indifeso e sporco di sangue, probabilmente il suo, un’armatura di cuoio nera addosso. Sapeva che Wisgarus era stato incastrato, essendo stato trovato bendato e legato, e anche che era stato il suo stesso padre naturale a usarlo come pedina sacrificabile. Eppure, Uthgard era scappato proprio come voleva, e lui era stato rallentato dalla poca umanità che gli rimaneva, vedendo un altro umano legato a terra.

La sua mente ragionò sul fallimento di quella missione, quando il piano del lord gli fu chiaro. Prese Wisgarus e lo strattonò più dritto perché stendesse le gambe e prese a trascinarlo nella direzione da cui era venuto. Accorgendosene, l’altro si divincolò e tentò persino di morderlo per fuggire, ma la presa del Cavaliere non lo abbandonò. 

“Ti prego, Murtagh, tu sai che io non c’entro con questa storia!” , supplicò con un tono che mai aveva udito uscire dalla sua bocca. Il più alto si bloccò e lo prese nella pettorina sotto il mento. “Dimmi allora chi è il mandante!”

“Non posso! Ho giurato nell’Antica Lingua e poi mi è stato rimosso il ricordo perché tu non potessi recuperarlo con la forza dalla mia mente.” , disse strattonandosi all’indietro. Murtagh lo lasciò, riprendendogli il gomito e costringendolo a proseguire. “Da quando tuo padre è un mago? Come sapeva che sarei riuscito a prendere i tuoi ricordi usando la mente?”

Il lord sospirò. “Lui non è mio padre, lord Ranulf lo è, e tu lo sai.”

Murtagh ringhiò come un drago ma con le sue corde vocali da umano, abitudine che aveva acquisito da quando si era legato a Castigo. “Ti ho conosciuto ben prima che venissi adottato, e non puoi fingere di essere stato generato dai lombi di Uthgard e come io da quelli di Morzan, nonostante Tornac sia stato un padre per me più del Rinnegato. Perciò rispondimi, o userò contro di te quel poco che ho ereditato da mio padre in termini di tecniche di tortura.”

Wisgarus tirò su col naso, come se avesse pianto fino a quel momento, anche se non era il caso. “Le spie di Galbatorix che gestivo hanno ottenuto da lui una specie di addestramento, basato anche sugli avvertimenti contro le abilità di voi Cavalieri. Tu in particolare sei stato una parte molto consistente del nostro studio, Murtagh. Quanto a perché mio padre sappia usare la magia... beh quello non lo credevo possibile. Ma quando mi ha portato qui qualcosa brillava come pulsando nella sua tasca. Una luce rossa.”

Il Cavaliere rimase zitto per molte iarde, a ragionare su quale degli Eldunarì - perché altro non poteva essere se non il cuore magico di un drago - Galbatorix avrebbe potuto nascondergli. 

“Sai che probabilmente la tua vita ha preso una svolta sfortunata, da quando ti sei messo contro mia moglie?” , lo incalzò, “Ho cercato di avvertirti quando ti sei presentato alla corte.”

Wisgarus scrollò le spalle. “Non ho mai avuto scelta. Il mio vero padre e il lord che mi ha adottato erano fedeli seguaci di Morzan prima e Galbatorix poi. Io non ho potuto fare altro che seguire le loro orme e fare quello che era destinato per me.”

Finirono il percorso di ritorno in silenzio totale, tanto che sembrò a entrambi che le pareti coperte di cadaveri ormai ridotti solo alle ossa fossero più loquaci di loro, bisbigliando tra una nicchia e l’altra. Salirono le scale, e Murtagh si fermò per richiudere il passaggio con la magia, poi trascinò il prigioniero fino all’enorme drago, che gli ruggì contro con ira, le sue fauci che si dispiegarono a pochi pollici dal suo volto: una visione che avrebbe decisamente spaventato anche il più duro dei lord di Alagaesia. Mentre Wisgarus era bloccato sul posto, Murtagh frugò nelle bisacce e tirò fuori la branda per feriti che aveva sempre con sé, montandola a terra e costringendovi sopra il prigioniero. Legò le catene che gli tenevano unite le mani e i piedi al metallo che faceva da corpo principale dell’oggetto d’emergenza, poi lo legò al sottopancia di Castigo e spiccò il volo nuovamente con destino Illirea.

 

Arrivarono prima alle prime luci dell’alba grazie alle poderose ali del drago cremisi, atterrando direttamente nella fortezza. Quando le zampe del rettile toccarono il prato, Murtagh notò una strana folla di anziane lady e mogli di mercanti da tutta Alagaesia - anche se considerando la rapidità della missione dovevano essere già in città quando erano state richiamate al castello - . Un piccolo contingente di soldati guidati da Jormundur si avvicinarono a lui mentre separava la branda divenuta uno strumento di reclusione improvvisata dal sottopancia della sella di Castigo. 

“Lord Murtagh, ci avete riportato chi ha ucciso tutte quelle innocenti e oneste persone?” , gli chiese una voce in lontananza urlando. Il Cavaliere si voltò dopo aver tirato in piedi Wisgarus e averlo consegnato alle guardie, vedendo Elessari emergere e sbracciare verso di lui dal gruppo di comari. Sorrise tra sé e annuì vistosamente alla donna. Sapeva che quelle donne - no, non erano solo donne si accorse guardando la piccola folla con più attenzione - avrebbero trasmesso in tutto il paese tranquillità nella popolazione e fiducia nel nuovo Cavaliere di Nasuada, che un tempo era stato il più rispettabile Eragon, per aver acciuffato il pericoloso vendicatore.

La Consigliera avanzò con velocità, fino a raggiungerlo. Guardò Jormundur con sguardo compiaciuto, mentre l’altro Consigliere scosse il capo, probabilmente non d’accordo su come aveva gestito la notizia alle spalle della regina, perché Murtagh poteva tirare a indovinare - correttamente - che la ragazza dalla pelle d’ebano non fosse a conoscenza del suo modo di “aiutarla” senza previa richiesta esplicita da parte della giovane.

“Molti lord e le loro mogli sono preoccupati per i loro villaggi o le loro città. Chi è stato a turbare la quiete della pace?” , chiese voltandosi verso il prigioniero. Jormundur socchiuse gli occhi con odio, poi fece un cenno alle guardie perché facessero riemergere il prigioniero dallo scudo umano che avevano creato attorno a lui. Elessari si portò le mani alla bocca. “Lord Wisgarus, non posso crederci!” , esclamò allontanandosi di qualche passo.

Murtagh capì che stava già arretrando per tornare a dare l’informazione succosa agli altri esseri che si nutrivano di pettegolezzo come lei, perciò la congedò con un gesto della mano.

Slacciò la sella a Castigo, lasciandolo libero di riposare o volare dove desiderasse, mentre lui aveva un prigioniero da chiudere in una cella. Fece un passo avanti, scivolando su qualcosa di umido. Con un verso disgustato, si scrollò il vomito dalla suola dello stivale, vedendo Jormundur indicare lord Wisgarus con il pollice con la solita apatia nei suoi confronti, quando non era invece odio. “Non deve aver apprezzato il volo su quel tuo rettile.”

“Castigo non è ‘mio’, è più vero il contrario come dimostra la cicatrice sulla mia mano che solo io dei due ho. Ora portiamo Wisgarus dentro.”

Lo trascinarono per una delle uscite delle guardie, giù fino alle segrete, dove però Murtagh ne fece allestire una perché fosse più confortevole, scegliendola in modo che avesse luce diretta dall’esterno. Alla fine, il prigioniero fu spinto all’interno e lui piroettò un paio di volte su sé stesso, incredulo per tutte quelle comodità. Si avvicinò alla porta metallica, guardando il Cavaliere.

“Vi ringrazio, lord Murtagh, per questo trattamento. Non me lo merito.”

Il più alto ma il più giovane guardò verso Jormundur poi di nuovo al nobile. “Devi ringraziare Nasuada, anzi il suo defunto padre per avermi dimostrato che si può essere evitare sofferenza a un prigioniero prima di averlo giudicato.”

Sentì lo spostamento d’aria di una mano che faceva per appoggiarsi sulla sua spalla, ma che veniva ritirata prima che ci riuscisse. Il Cavaliere si sarebbe voltato verso il Consigliere, se non fosse stato per Wisgarus che confessò: “Ma non è il mio caso... Io sono colpevole!”

Il giovane dai capelli corvini scosse il capo. “Immagino che allora potrò riferire a mia moglie direttamente queste tue parole.”

L’altro annuì con veemenza, e si portò quasi a dire altro, ma poi di trattenne, accasciandosi sul letto. “Ci rivedremo alla sentenza, allora. Mi godrò il collo finché sarà ancora attaccato alle mie spalle.”

Murtagh rise per niente divertito, ma con un leggero sentimento di astio nei suoi confronti. “Non ci sarà spargimento di sangue, per quanto vorrei ucciderti con le mie stesse mani per avermi tradito e avermi consegnato al Re Nero... Per tua fortuna Nasuada non prende ordini da me, e così permetterà alla popolazione di tornare a vivere tranquilla.”

“Verranno dietro te, lo sai vero?” , sussurrò l’uomo in ultimo, quando già il Cavaliere si era voltato. Piegò il capo oltre la spalla come un felino scattante, ma l’altro non ripeté e fece finta di non sapere nulla dell’improvvisa reazione del Cavaliere.

 

Murtagh raggiunse Nasuada direttamente al Consiglio, anticipato da Jormundur. Tutti erano già presenti, compreso suo nonno. 

Durante il tragitto il Cavaliere aveva spiegato al Consigliere dettagliatamente che Wisgarus fosse solo una pedina di suo padre, ma che non vi erano a quel punto motivi evidenti per imprigionare anche lord Uthgard. Gli aveva specificato anche i retroscena della sua gioventù e i rapporti con il prigioniero, il suo tradimento e la sua fedeltà a Morzan, la sua rete di spie. 

Tutto quello perché gli altri Consiglieri erano infastiditi se il giovane interveniva durante le loro sessioni, perciò sarebbe toccato a Jormundur riportare tutto a suo nome, come se lui non fosse presente nella stanza. La regina rimase in silenzio per tutto il consiglio, guardando pensierosa le lettere che aveva scritto di proprio pugno per i maggiori lord di Alagaesia, informandoli dell’accaduto a lord Wisgarus e per spaventare coloro che potevano essere segretamente coinvolti nella rete di dissidenti al suo governo. 

“Anche la lady sua moglie va incarcerata! Sarà sicuramente stata coinvolta!” , sbraitò Umérth a un tratto verso Sabrae che sosteneva la necessità di interrogarla prima.

Nasuada non sembrò notarli perché fu l’unica a non sussultare per il tono improvvisamente troppo impetuoso di voce. Si copriva gli occhi per la disperazione a tratti, oppure si poggiava il mento sul pugno e sospirava lentamente, tutto mentre il consiglio procedeva nei suoi battibecchi.

“Lord Wisgarus e lady Mauld hanno un figlio, mia regina. Cosa ne sarà di lui?” , le disse a un tratto Elessari - la più informata sulle vite dei nobili di Alagaesia - . Sentendosi nominare la regina tornò in sé. Alzò il capo dalle pergamene di scatto, il volto sconvolto. “Un figlio?!” , chiese in un soffio, speranzosa di aver capito erroneamente.

“Il piccolo lord Derrel.” , precisò Umérth.

Flaithrì appoggiò il bastone dorato allo scranno, per avere entrambe le mani libere. Le mise a triangolo davanti al cuore. “Il bambino non ha colpe per i reati dei genitori.”

La regina addolcì lo sguardo su di lui, pensando al proprio marito. “Non possiamo perciò condannarlo a una vita di reclusione solo per loro, sono d’accordo.”

Il nobile più anziano si leccò le labbra. “No, è corretto e sperabile che decidiate diversamente.”

“Cosa intendete, lord Flaithrì?” , chiese Elessari civettuola.

L’anziano sospirò. “Mio padre e i miei antenati hanno sempre avuto una corona sulla testa e perciò hanno dovuto governare i loro vassalli in modo esemplare per mantenere il potere su tutti loro. Avevo un amico quando ero bambino: pensavo fosse un qualche mio cugino lontano rimasto orfano, perché veniva trattato come un lord - e si riferivano a lui come tale - ma viveva con noi al castello reale, senza che si vedessero mai i suoi genitori, né che si nominassero mai. Così un giorno andai nella sala del trono di mio padre quando stava curando il proprio Compagno magico. Sapevo che l’avrei colto in un momento di contentezza e che sarebbe stato più disponibile a darmi spiegazioni. Così quel giorno seppi la verità per quanto dura: mio padre aveva strappato il mio piccolo amico ai suoi genitori che avevano cospirato contro di lui e avevano mandato dei sicari per ucciderlo, così erano stati privati del loro titolo - entrambi ma non il loro erede - che venne ritenuto troppo innocente per via dell’età per essere coinvolto, così divenne un ostaggio, un protetto di mio padre. Lo crebbe come se fosse stato suo nipote e poi lo rispedì a casa sua una volta raggiunta la maggiore età per governare la contea della sua famiglia.”

La giovane regina lo guardò con un barlume di speranza, voltandosi poi verso Bode. “Sarebbe legale una mossa simile oggi, con le regole del regno unitario?”

L’ufficiale annuì brevemente. Bode alzò poi una mano, puntando solo l’indice verso il soffitto. “Le soluzioni permesse sono due: adottare il figlio di un dissidente per rettificarlo, o accoglierlo come protetto e allontanarlo dalle idee contrastanti della famiglia d’origine.”

Sospirando Nasuada si abbandonò allo schienale del suo scranno, una mano premuta sul cuore.

Elessari si piegò in avanti sul tavolo. “Non sarebbe utile alla vostra immagine, mia regina, adottare il figlio di lord Wisgarus. Inoltre, se lo adottaste ora ci sarebbero in futuro problemi per la vostra successione, perché lord Derrel è nato prima del principe Ruaidhrì. La riforma della successione non è ancora stata approvata, perciò la regola della consanguineità non avrebbe valore.”

Aye, è la verità.” , confermò Umérth. 

“Sono d’accordo anche io. In più sono la regina e non posso adottare tutti i bambini, nobili o non, che rimangono senza genitori per qualche motivo. Diverrà protetto di mio marito e me, e manterrà il suo diritto a succedere al padre.” , concluse Nasuada guardando il Cavaliere che era ritto al suo fianco. Lui le rispose con un impercettibile cenno del capo.

“Come pensate di gestire la sua rieducazione, vostra maestà?” , chiese Falberd allora.

Murtagh si mise una mano sul cuore, piegando il busto, in segno di volersi intromettere nel Consiglio. Nasuada gli diede il permesso di parlare.

“Credo che solamente fornendogli i migliori maestri e tenendolo lontano dai genitori non sarà abbastanza. Mi occuperò io della sua rieducazione.” , disse formalmente.

Alcuni dei consiglieri risero, fulminati da Nasuada. Umérth si alzò in piedi. “Sinceramente, Cavaliere, non siete l’uomo giusto per rieducare nessuno.”

Flaithrì alzò le mani lentamente, zittendo gli altri con la sua presenza antica. “Lasciamo da parte le sue colpe per questa volta, siccome non hanno motivo di essere inserite nel discorso che stiamo svolgendo. Credo che proprio perché abbiamo un Cavaliere con noi il bambino possa essere avviato ai principi sacri dell’Ordine. Basterà questo a redimere le colpe additate al bambino per le azioni dei genitori.”

Umérth sbatté la mano sul legno del tavolo con rabbia. “Le azioni del passato del Cavaliere sono deplorevoli! È sempre necessario considerarle!”

Nasuada alzò la voce, stanca dei battibecchi del suo Consiglio. “Ora basta! Siccome io potrei solo contribuire a quel bambino con lezioni su come dirigere una nazione che perciò sono inutili a un lord di rango minore, ritengo che insegnargli il rigore dell’Ordine e farlo viaggiare assieme a mio marito incontrando quanta più popolazione del regno sarà decisamente più utile per lui.”

“Ma, mia regina, ... !” , si lamentò Umérth. Gli altri consiglieri distolsero lo sguardo da lui, togliendogli l’appoggio. Nasuada alzò un sopracciglio. “Lord Umérth, vi consiglio di gestire meglio le vostre parole, mi sembra che non abbiate più il supporto e la popolarità degli altri Consiglieri... Rischiereste continuando in questo modo di non essere scelto per il prossimo mandato di sovrintendente. Mettete da parte l’odio per il Cavaliere una volta per tutte, non vi sta portando da nessuna parte.”

Colpito nell’orgoglio, l’uomo abbassò gli occhi e incrociò le braccia. Rimase così immobile nello scranno da parersi fondere nel legno.

La ragazza dalla pelle d’ebano si voltò verso Bode, chiedendogli di preparare il documento che attestava la sua volontà di prendere il piccolo lord Derrel come suo protetto fino alla maggiore età. 

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Capitolo 22
*** Ostaggio ***


Lord Ranulf e lady Ankerita, i genitori adottivi di lord Wisgarus, arrivarono quattro giorni dopo l’avviso della sua prigionia a Illirea, seguiti da lord Uthgard senza un invito della regina. Murtagh aveva avvertito la moglie della probabilità che il nonno naturale del figlio di Wisgarus si presentasse come se fosse ancora suo diritto parlare per l’ostaggio. D’altronde, il bambino era non solo il figlio del suo bastardo, ma anche della sua pro-nipote, la nipote di sua sorella. Ormai grazie alle voci dei salotti dei nobili e nei mercati l’identità dell’assassino di un intero villaggio era stata resa pubblica. Samra e Roseia erano stati informati, ma il nome di chi aveva distrutto le loro famiglie non li aveva sollevati, né aveva ridato loro madri, padri e fratelli. Tuttavia il matrimonio tra Alfhild e Samra era stato celebrato mentre Murtagh era lontano ed era stato quello a migliorare le loro vite nuovamente, ridando una madre a Roseia e qualcuno che volesse genuinamente bene al ragazzo dagli occhi verdi. 

Murtagh e Nasuada aspettavano i lord e le loro lady nella grande sala del trono, Wisgarus era ritto in piedi su un lato di quel luogo tenuto da una guardia, il suo sguardo perso nel vuoto. Faceva tanta pena al Cavaliere, ancora di più alla regina. Lui poteva capire come era essere sempre il capro espiatorio di tutti gli intrighi, di tutte le trame. Guardò al piccolo bambino tra le braccia della madre - lady Mauld e il piccolo Derrel erano giunti a Illirea due giorni prima, dopo aver appreso la notizia del padre e marito, andandosi a consegnare alla regina volontariamente per non peggiorare la loro situazione. - , intento a giocare con il pizzo della sua giacca-soprabito corta. Lui sarebbe stato distrutto come Wisgarus a sapere che il proprio figlio sarebbe divenuto un ostaggio, ma almeno la regina poteva assicurargli una vita agiata e priva di pericoli.

Ranulf avanzò lentamente nella sala del trono, la moglie al gomito. Entrambi non distolsero nemmeno un secondo lo sguardo dal figlio adottivo, finché non furono ai piedi della piattaforma e si inginocchiarono davanti alla regina su entrambe le gambe in segno di estremo dispiacere per le azioni del figlio. Nasuada si alzò dal trono, scendendo i pochi gradini. Prese Ankerita per la mano, tirandola in piedi, il marito la seguì poco dopo. In silenzio fece cenno loro che andassero ad abbracciare la famiglia per l’ultima volta e così i due anziani fecero, stringendo Wisgarus e il bambino, il lord lasciò cadere silenziosamente persino qualche lacrima. 

Ranulf prese il volto del figlio tra le mani, unendo le loro fronti. “Se solo avessi saputo, figlio mio, che il tuo vero padre ti stava assoggettando e bistrattando come faceva con te da piccolo, avrei ribaltato il mondo pur di averti al sicuro nella tranquillità della nostra casa!” , gli disse con un lamento lunghissimo dopo. Il figlio scosse il capo sospirando. “Non avresti potuto fare nulla.”

Il padre e la madre adottivi di Wisgarus erano stati interrogati e ritenuti innocenti - per quanto aver frugato nelle loro menti potesse essere inutile, visto quanto aveva svelato il lord nella cripta al Cavaliere riguardo alla capacità di alterazione della mente del capo del gruppo di dissidenti - .

Un pugno forte bussò alla grande porta della sala che era stata chiusa per permettere il saluto privato della famiglia prima dello scioglimento e un prepotente Uthgard apparve con il mantello svolazzante dietro di lui. Nasuada si spostò al centro della sala, fermando la sua avanzata con la sua presenza che metteva inquietudine a chiunque. “Lord Uthgard, a cosa devo l’onore di avervi qui?” , gli chiese fintamente sorpresa, non nascondendo la lieve sfumatura di scherno.

“Avete condannato il sangue del mio sangue alla reclusione a vita e non dovrei essere qui ad accusarvi di esservi semplicemente sbarazzata di un lord che non è notoriamente in linea con il vostro pensiero per il governo di questo paese?”

La regina rise leggermente, tornando a sedere sul suo trono. “A chi fareste ricordo, all’autorità suprema che si dia il caso sia io stessa?”

Il lord allora perse un po’ del fervore, guardando al bambino davanti alla madre. Lo indicò con l’indice. “Se mio figlio non può essere salvato, voglio riavere indietro almeno Derrel!” , tuonò.

Il Cavaliere fece un passo avanti senza dimostrare emozioni, le mani giunte dietro la schiena. “Lord Derrel non è imparentato con voi e nemmeno lord Wisgarus, perché dunque siete qui?”

Murtagh, il boia della reputazione dei nobili d’Alagaesia. , commentò Castigo con un leggero tono di rimprovero, Continua così e non avrai più alleati.

Non ho bisogno di Uthgard come alleato, preferirei morire e lasciare mio figlio orfano piuttosto che dover fingere buoni rapporti con lui! , rispose seccamente.

Uthgard aprì la bocca per dissentire, rendendosi poi conto di aver sempre negato la paternità del bambino che si portava dietro in ogni suo movimento e che aveva ceduto alla prima occasione.

Nasuada unì gli indici sotto il suo mento, facendosi pensierosa. Alzò poi il capo, guardando l’uomo direttamente negli occhi. “Lady Ankerita e lord Ranulf sono stati interrogati, risultando innocenti al nostro giudizio. Perché mentre siete qui non ci lasciate fare lo stesso con voi, per dissipare i sospetti che mi sono sorti verso di voi?” , stoccò con le sue lame verbali la giovane.

Lord Uthgard sussultò, guardandola inorridito. “È stato vostro marito a dire che io non v’entro nulla con questa storia.”

La regina alzò le spalle leggermente. “Lord Wisgarus è stato ritrovato grazie al falco che aveva inviato proprio nella vostra proprietà.” , disse facendo il volto innocente, “Io non ero presente alla corte quando si insinuava che lui fosse vostro figlio, perciò non posso fare collegamenti certi e basati sulla mia conoscenza diretta, d’altronde. Vorrei però dormire sicura questa notte e sarà così solo se voi ci concedeste di interrogarvi.”

L’uomo scosse il capo con durezza, poi s’inchinò come se avesse fretta e uscì chiedendo il congedo, che la regina concesse con la sua espressione permissiva. 

Quando fu scomparso dalla vista della regina, lord Ranulf si fece avanti, piegandosi a metà davanti alla ragazza dalla pelle d’ebano. “Vostra maestà, vi prego di terminare per noi l’attesa dilaniante e di dirci se potremo riportare nostro nipote con noi a Furnost.”

Il volto divino della giovane s’incrinò. “Sono spiacente ma la scelta mia e del mio Consiglio è volta a tenere vostro nipote qui alla corte come mio protetto.”

“V-vostra maestà!” , esclamò Ankerita, “Cosa significa?!”

Nasuada si alzò e prese a misurare la piattaforma con i suoi passi. “Significa che non verrà incarcerato come i genitori, ma non potrà mai più vederli per la sicurezza del paese.”

La lady si spostò le mani ai fianchi, accigliata. “Perché allora non può tornare nel suo territorio natale con noi?!” , le chiese con decisione di un’anziana che non si sarebbe lasciata atterrare da una ragazza. Non subito, almeno. La giovane scese i gradini e le spostò le mani tra le sue. “Perché il paese non può avere figli di dissidenti che vagano liberamente nei territori dove la rivolta al mio potere è nata. Dobbiamo fare in modo che non diventi come i suoi genitori.” , le spiegò con calma. La donna prese a piangere, finalmente, liberando tutta la tensione. Il marito andò a sorreggerla, circondandole le spalle con un suo braccio. “Ankerita, non c’è modo di riportate Derrel a casa.” , le disse tristemente, allora Nasuada alzò un palmo richiamando la loro attenzione. “Sarete tuttavia liberi di visitarlo quando vorrete, ma sempre qui a Illirea e sotto la supervisione dei miei uomini, se non la mia direttamente.” , li informò. Un lieve cenno di sollievo distese i lineamenti dell’anziano. Andò ad abbracciare per l’ultima volta in nipote e così fece la nonna, mentre il Cavaliere avanzava verso i prigionieri e il bambino.

“Vieni, lord Derrel.” , gli disse con tono deciso anche se cercò di non suonare perentorio. Il piccolo si asciugò le lacrime, obbedendo educatamente. Quando gli fu davanti, sotto gli sguardi preoccupati dei parenti e dei genitori, gli poggiò entrambe le mani sulle piccole spalle, inginocchiandosi su una gamba per essere al suo livello e non incutergli timore inutile. “D’ora in poi rimarrai qui alla capitale con noi e potrai diventare il mio scudiero.”

Il bambino sospirò ripetutamente in preda a singhiozzi silenziosi. “I-io non ho mai maneggiato scudi!” , si lamentò con la sua voce sottile.

La regina si avvicinò, sfiorandolo con un sorriso incoraggiante. “Non dovrai veramente tenere gli scudi a mio marito, Derrel. Lo seguirai nelle sue mansioni perché tu possa imparare a essere un lord più che capace quando un giorno sarai tu a dover succedere tuo padre a Furnost.”

“Vivrai qui nel castello della regina e potrai anche diventare amico del tuo futuro re, nostro figlio.” , aggiunse il Cavaliere mettendo enfasi nella frase, per sembrare invitante agli occhi del bambino.

Lui si asciugò le lacrime e indicò il ragazzo. “Potrò vedere il drago?”

Il nonno e la madre risero debolmente in lontananza. Murtagh annuì e gli scompigliò i capelli. “Quando vorrai, anche questa sera stessa.”

Derrel sorrise ampiamente, convinto come solo un bambino poteva essere della prospettiva della sua nuova vita a corte. Nasuada suonò un campanello e da una porta dietro il trono emerse la sua governante. “Lei è Farica, sarà lei a scortarti nella tua nuova stanza, dove conoscerai i tuoi nuovi servitori.”

Il bambino parve eccitato per il cambiamento. Guardò il padre e la madre sorridendo, ma questo scomparve dal suo volto nel vederli mesti, alcune lacrime che disegnavano strade luminose sulle loro guance.

Murtagh spinse gentilmente il bambino verso Farica, che lo accompagnò fuori verso i suoi appartamenti.

Wisgarus guardò da lontano il Cavaliere. “Ora sarai contento che esiste un altro bambino come eri tu, abbandonato da tutti in balìa della corte.”

Murtagh sentì un pugno invisibile allo stomaco. Si alzò in piedi scuotendo il capo. “Ti sbagli. Lui non sarà solo. Lo farò sentire apprezzato e non verrà mai abbandonato a sé stesso come ero io. Te lo prometto.”

Il prigioniero scosse il capo, guardandosi gli stivali per nascondere le lacrime. “Spero che la tua parola valga più della mia quando si tratta di tenere al sicuro un ospite.”

Il moro annuì, poi Nasuada ordinò finalmente che i prigionieri venissero portati nella torre dove avrebbero trascorso i loro restanti anni di vita. Spiegò il resto degli arrangiamenti che aveva fatto per provvedere alla buona crescita del bambino e per la sua cura ai nonni, congedandosi dopo circa un’ora di domande e risposte. Camminò velocemente verso il proprio talamo, prendendo le vie secondarie del castello, nascoste per lo più alla vista degli abitanti. Quando arrivò davanti al materasso, il Cavaliere la vide buttarsi di faccia sul materiale che già stava singhiozzando. Le andò vicino, abbracciandole la schiena mentre lei sussultava per i singulti. Dopo svariati momenti si voltò sull’orecchio destro a guardarlo. “È in momenti come questo che rimpiango di non aver lasciato il trono a Orrin!” , mormorò tornando a piangere rumorosamente.

“Lo so, amore mio.” , sussurrò ripetutamente lui accarezzandole i capelli morbidi e castano scuro.

La lasciò sfogare, tirandola tra le sue braccia, premendosi il suo capo al petto come facevano a turno con il principe, finché non si addormentò sfinita. Avrebbe voluto riuscire a imitarla, ma non era la sua indole lasciarsi le situazioni che lo turbavano alle spalle e basta. No, lui aveva bisogno di rimuginare. Osservò in silenzio il sole salire e abbassarsi all’orizzonte, ignorando i lamenti del proprio stomaco, finché non arrivò il buio, ma il turbamento non fu sciacquato via assieme alla luce del sole. 

Finiarel era stato probabilmente affidato a una balia, sempre e comunque sotto la supervisione di Farica, per quella metà giornata dopo che la regina era stata vista dai Falchineri in guardia al di fuori della stanza rinchiudervisi dentro, il volto mai così sconvolto. Qualcuno bussò alla porta, chiedendo se la regina e il marito volessero che venisse preparato loro del cibo, ma Murtagh non aveva fame e Nasuada era completamente fuori gioco. Rifiutò sapendo che anche nel mezzo della notte ci sarebbe stato cibo per loro, se lo avessero richiesto.

Il Cavaliere perciò si svestì, sfilando anche il pesante abito alla moglie senza che lei si muovesse minimamente, poi si ributtò a letto e chiuse gli occhi sbuffando. 

Attese che il sonno lo cogliesse per superare quel giorno infausto, con la speranza di risvegliarsi in uno nuovo in cui avere la calma di potersi godere la compagnia del proprio bambino.


______________________________

Ciao appassionati del Ciclo dell'Eredità come me! Grazie per aver letto questo capitolo e gli altri. 
Se vi sentite di dirmi qualcosa su questo o gli altri capitoli siete liberissimi di farlo oppure anche di darmi delle dritte o farmi qualche domanda se ci fosse qualcosa di poco chiaro, siccome è la prima volta che scrivo qualcosa di mio.

Questi capitoli un po' più relativi alla politica cercherò di pubblicarli con più frequenza e mi scuso per essermi assentata tanto, ma lo scorso capitolo è stato proprio difficile da scrivere. Sentitevi liberi di tartassarmi di messaggi se solvessi assentarmi di nuovo, così che avrò uno sprono a  sbrigarmi con i capitoli intermedi (sì, perché gli ultimi nove almeno li ho già pronti da almeno qualche mese)!

Ancora grazie e alla prossima,
EllyPi

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Capitolo 23
*** Il grande drago rosso ***


Si girò e si rigirò nel letto, pensando alle immagini di un figlio strappato ai genitori, all’aspetto che più gli lasciava amarezza in bocca, ovvero che né lui - un Cavaliere -  né la moglie - la regina di Alagaesia e anche Regina Suprema - avevano potuto impedirlo o avrebbero rischiato la faccia e il loro ruolo, e magari la situazione si sarebbe ribaltata verso di loro: il piccolo Finiarel strappato ancora in fasce dalla madre e dal padre, i due ragazzi innamorati esiliati oltre i confini dei regni. Che fosse quello che voleva dirgli Wisgarus prima che abbandonasse la sua cella? Aveva cercato di non spingerlo ad azioni stupide per incastrare lord Uthgard e non lui, nonostante fosse stato ritrovato proprio nel luogo della combutta, salvando la nuova famiglia del Cavaliere per ripagarlo in qualche modo di averlo venduto al re? O lo stava mettendo in guardia che lui era solo una pedina in una partita a scacchi con figure ben più forti ancora in gioco, che sarebbero arrivati per tendere uno scacco al “re”?

Si rigirò bruscamente sul lato, trovandosi Nasuada rannicchiata in una posizione molto simile a quella del loro piccolo bambino quando dormiva, le sopracciglia aggrottate anche nel sonno.

Le lasciò un bacio sulla guancia voltandosi poi sulla schiena a osservare la tenda che copriva il letto a baldacchino. Un drago era ricamato nel pesante tessuto.

Il fiato gli si mozzò quando si ricordò di ciò che aveva detto al piccolo lord Derrel. Non era stata una vera e propria promessa, ma al bambino doveva sicuramente essere sembrata tale. Si sfilò dal letto trattenendo il fiato e si avvicinò alla finestra, trovando la luna ancora nel cielo. Si buttò addosso degli abiti pregiati ma semplici, lasciando un messaggio alle guardie poste fuori dal talamo reale sulla sua direzione e poi scivolò tra i corridoi incerto se avrebbe trovato il bambino ancora sveglio o meno. Probabilmente no: era un bambino dopotutto e i bambini hanno notoriamente meno resistenza degli adulti. Ma la sua mente lo smentì subito, facendo riaffiorare la notte del suo arrivo in quello stesso castello, la voce del re che gli esprimeva il suo dolore per la perdita del padre, senza nemmeno nominare sua madre. E quel letto, così grande e così scomodo, tutte le volte che vi si era rigirato dentro. 

Arrivò finalmente agli appartamenti di lord Derrel, vegliati da quattro guardie all’esterno, due dei suoi nonni e due Falchineri. Dall’interno un lamento infantile si levava forte e chiaro nel silenzio della notte, due altre voci che discutevano animatamente ma comunque con tono contenuto per non richiamare troppa attenzione nella notte verso di loro.

Le guardie della moglie lo fecero entrare con un suo sguardo, trovandosi due stanze dopo nell’anticamera della stanza da letto. I coniugi Ranulf e Ankerita erano in piedi a qualche palmo dalle guardie poste anche all’interno, che avevano incrociato le lance per impedire il passaggio, e stavano cercando di convincerle a lasciar vedere loro il nipote.

Murtagh si schiarì la voce, facendoli smettere. Ankerita si voltò, la sua lunga treccia non più legata al capo in una crocchia ma lasciata libera sulla spalla. Indicò la porta con rabbia, le sopracciglia aggrottate e le labbra ridotte a due fili circondati di solchi nella pelle.

“Non è riuscito ad addormentarsi.” , disse la donna, in un duro tono di rimprovero al nuovo arrivato, colui che aveva preso il bambino come protetto e che lo aveva già abbandonato ad addormentarsi sfinito per il pianto, non certo accudito e coccolato.

Il Cavaliere sospirò lentamente. “Nemmeno io.” , sussurrò soltanto, perché nessuno avrebbe avuto a cuore la condizione del suo sonno davanti a quella del piccolo.

Lei si posizionò su una poltrona sfinita, guardando le due guardie con astio. “Non mi lasciano entrare per alleviargli questo stravolgimento alla sua giovane vita! Cavaliere, datemi retta almeno voi! È meglio se un suo familiare dormirà con lui questa notte almeno...”

Murtagh si inginocchiò davanti a lady Ankerita, prendendole le mani. “Non è saggio per voi rimanere qui, non dopo le accuse a vostro figlio e a sua moglie. Vi avranno anche giudicati innocenti, ma questo non vuol dire che gli sguardi di tutti non siano ancora su di voi e su vostro nipote. Potreste rovinargli la reputazione e il futuro.” , le ribadì, come già era stato messo in chiaro con entrambi, al termine dell’interrogatorio, ma comunque con tono rilassato anche se lui non lo era per nulla, in realtà.

Lei piegò il capo, guardandolo senza più speranze con occhi circondati da rughe ancora abbastanza sottili. “Mio lord, tu sai quanto non siamo mai stati dalla parte di vostro padre e del re. Non vogliamo altro che tranquillizzare nostro nipote, il nostro erede. Tra qualche giorno torneremo alla nostra dimora. Lasciateci solo qualche giorno perché si ambienti qui con l’aiuto della nostra presenza!”

“Lo so, ma da oggi ho promesso che me ne sarei occupato io. È meglio che vi congediate per ordinare che vengano preparati i vostri bagagli, ogni momento in più con lui è un torto al bambino.” , le soffiò quanto più dolcemente riuscì, nonostante il cuore che gli sembrava aver smesso di battere.

Lord Ranulf la prese per le spalle, tirandola verso la porta d’uscita dell’anticamera del piccolo Derrel. Lei si divincolò, sfuggendo dalle mani del marito, ma quando incontrò gli occhi costernati del Cavaliere non tornò indietro per combattere, abbassando invece il capo e uscendo in silenzio.

Murtagh fece cenno alle guardie perché lo lasciassero passare, entrando in una calda e accogliente stanza da letto. Eppure, il lord bambino era seduto al centro del giaciglio con le gambe strette al petto, grandi lacrime che gli scendevano dalle guance. Si guardava intorno come se fosse circondato da invisibili soldati vogliosi di ucciderlo.

“È vero che mia madre e mio padre non verranno più a prendermi e che dovrò vivere qui per sempre?” , chiese sussultando quando lo vide. Ecco che si era accesa in lui la rivelazione che non fosse solo un breve viaggio di affari dei genitori e che la sua vita non sarebbe più stata la stessa.

Il Cavaliere annuì. “Eri stato informato di questo, lord Derrel.” , gli ricordò con cautela, avanzando lentamente nella stanza. Il bambino non indietreggiò, perciò lui riuscì a giungere fino al fianco del letto. Il piccolo tirò su con il naso. “Anche se hanno fatto delle brutte cose io voglio stare con loro. Anzi, io preferirei essere con loro ora!” , gridò stringendo i pugni. Murtagh si sporse in avanti e gli coprì la bocca d’istinto, poi la tolse subito sentendo il piccolo irrigidito sotto le sue dita e nessuna aria uscire dalla sua cavità orale. 

“Perdonami, ma la tua famiglia è in una situazione poco piacevole. Siete accusati di crimini che hanno comportato ai tuoi genitori una condanna a vita, ma mia moglie ha deciso di risparmiarti e farti vivere al sicuro qui con noi.”

Il piccolo socchiuse gli occhi, guardando al muro di fronte a lui. “Nemmeno i miei nonni rimarranno? O finiranno in prigione anche loro?” , chiese con la voce rotta da un’altra ondata di pianto. Murtagh gli circondò le spalle con un braccio e quel gesto che aveva visto fare agli adulti parve rassicurarlo, non sentendosi più totalmente succube di quel ragazzo che lo imprigionava anche se di fatto senza sbarre nel castello di Illirea. “No, loro saranno liberi di visitarti qualche volta, ma per la maggior parte del tempo dovrai dimostrarti fedele alla corona come loro dicono di essere. Non sarà una brutta vita: avrai molto più agio rispetto al tuo castello e i migliori maestri a disposizione. E potrai vivere a contatto con un drago!” , gli disse sfoderando per ultimo il suo asso nella manica.

Il piccolo sbarrò gli occhi. “Pensavo mi aveste mentito!”

Il Cavaliere gli mostrò il palmo argentato, poi voltandolo verso l’alto perché lo prendesse. “Ho solo dovuto attendere a mia moglie, ma appena ho potuto sono corso da te. Se ritieni che sia tardi potremo andare da lui domattina...” , gli disse rallentando le parole progressivamente, facendolo pendere dalle sue labbra. Appena ebbe terminato, infatti, il piccolo stese le gambe e saltò sul sedere nel letto. “Assolutamente no, Cavaliere! Io sono sempre pronto a conoscere un drago!” , esclamò rotolando giù dal letto. Lui ritirò la mano che il bambino non aveva afferrato, leggermente contrariato anche se non poteva biasimarlo per non essersi consegnato completamente a quello che poteva rivelarsi il suo aguzzino. Vide il bambino infilarsi in velocità gli stessi abiti che aveva indossato il giorno corrente, non essendoci il baule con gli altri in vista. Probabilmente una delle domestiche doveva avergli creato una sorta di armadio altrove, dato che lui era un lord e non avrebbe mai dovuto vestirsi da solo in vita sua, secondo le usanze nobiliari.

Si voltò verso di lui e annuì con il capo, in segno che era pronto. Il Cavaliere gli assicurò un mantello alle spalle e poi si chiuse bene il proprio, guidando il bambino verso i giardini della fortezza. Mentre percorrevano il lungo lato del castello, con le tante finestre strette e alte che sembravano osservare il Cavaliere in modo inquisitorio, il bambino continuava a osservare la torre in silenzio, poi avanti a sé quando si accorgeva di essere stato visto dal suo accompagnatore.

“È là che verranno tenuti i tuoi genitori per il resto dei loro giorni.” , gli disse a un tratto seccamente. Il bambino sospirò sonoramente, guardandolo dal basso. “Potrò mai rivederli?”

Il Cavaliere pregò qualsiasi divinità esistesse davvero che il bambino non gli avesse fatto quella domanda. Come avrebbe potuto spiegargli che anche una singola e innocente visita alla propria madre e al proprio padre sarebbe potuta costargli il futuro? E il bambino voleva avere un futuro senza i genitori? Proprio come Murtagh, era stato messo il retaggio del padre sulle sue spalle da portare avanti, che lui lo avesse voluto o no. 

“Sai, Derrel, anche io quando ero solo un bambino sono stato portato qui perché venissi cresciuto come il degno erede di mio padre. Mio padre era un uomo malvagio senza dubbio, ma io sono stato allevato da un maestro che mi ha permesso di essere me stesso, di diventare chi volevo perché lui non si aspettava altro da me se non che mi comportassi da vero uomo.”

Il bambino sbarrò gli occhi. “Anche i vostri genitori sono stati catturati?”

Murtagh scosse il capo. “I miei genitori sono morti quando avevo tre anni.”

“Mi dispiace.” , disse automaticamente il bambino.

Il ragazzo piegò il capo. “No non lo sei. Perché credi che io stia facendo questo a te per un qualche legame con una mia vendetta.”

Derrel tacque guardando in basso, allora Murtagh gli sfiorò la spalla. “Non sono stato io a prendere tuo padre. È stata la legge.”

Il piccolo indietreggiò. “Non ho tre anni, lord duca! Io so che mio padre non è un uomo cattivo e che la legge è vostra moglie!” , gridò. Quella volta lo lasciò fare, aveva finalmente scoperchiato il suo risentimento e Murtagh lo avrebbe lasciato sfogare tutto.

“Perché mio padre non è un uomo malvagio! Non avevate diritto di togliermelo!” , gridò ancora.

Poi rimase a respirare guardando fisso il vuoto per lunghi istanti, finché i suoi occhi non tornarono al Cavaliere. Questo scosse il capo. “Lord Wisgarus ha ordinato che un intero villaggio di innocenti lavoratori venisse macellato perché si ribellavano alla corona. Non era suo diritto intromettersi per farci un ‘favore’.” , gli spiegò dopo aver ricevuto uno sguardo d’ira ma che, al contempo, supplicava che la verità venisse finalmente a galla.

Derrel strinse le labbra e le sue narici si dilatarono un paio di volte. Murtagh lo osservò zitto, i piccoli occhi che si muovevano frenetici sul selciato a destra e a sinistra.

“Quindi mio padre è un assassino?”

No, Derrel. Tuo nonno lo è, tuo nonno è un essere orribile che ha tentato di sabotare la corona e pur di non essere scoperto ha sacrificato per la seconda volta suo figlio. Wisgarus non ha mai avuto colpe se non nascere al di fuori del matrimonio di suo padre, e Uthgard lo ha comunque sempre incolpato di tutto, quando la colpa era propria, tanto da venderlo come un capo d’allevamento. Eppure, non ha mai allentato il giogo su di lui...

La coscienza di Castigo venne in suo aiuto. Ciò che è stato non può essere cancellato. Ma puoi migliorare la vita di questo bambino. Tu sai che se suo padre era ancora assoggettato a lord Uthgard sarebbe stata solo questione di anni prima che estendesse i suoi tentacoli anche sul piccolo Derrel.

E come dovrei fare? , inquisì sentendo le speranze abbandonarlo.

Il rettile sospirò. Sii per lui una guida come Tornac è stato per te. Se arriverà anche solo ad avere una punta della stima e dell’affetto che ritrovo nella tua mente per quell’uomo per te, avrai avuto successo.

Una lacrima minacciò di cadere dai suoi occhi quando Castigo nominò il nome del suo maestro, di suo padre.

Temo di non riuscirci. Tornac mi ha abbandonato prima che potessi diventare un uomo capace di ispirarne altri. Io non ho nessun diritto di guidare Derrel nella crescita e pensare di essere una figura positiva nella sua vita!

Il rettile sbuffò così sonoramente che Murtagh riuscì a udirlo anche a quella distanza. Ogni uomo con una storia ha il diritto di insegnarla a qualcun altro. Se pensi a Tornac, cosa aveva lui da insegnarti se non come uccidere un uomo con un solo e preciso colpo di spada? Perché lui era un maestro d’armi scelto dal re tra i suoi più promettenti caporali. Eppure ti ha insegnato a essere l’uomo che lui non era e che sperava tu fossi, ma di questo tu non te ne sei mai accorto. 

Stai per caso dicendo che Tornac era un uomo malvagio? , gli chiese offeso.

Non era certo un uomo senza peccato, è questo che sto dicendo. E lo stesso vale per te. Nessuno, nemmeno un essere nato immortale come me è perfetto. Ma Tornac ha avuto il diritto di essere una guida, un maestro per te perché non era un bugiardo.

Murtagh imitò un colpo di risata di scherno nella sua mente, perché l’altro potesse capire quanto ritenesse non veritiere le sue parole. Stai dicendo che era un uomo che cercava di inculcarmi nozioni che non gli appartenevano veramente, non è una perifrasi per dire che è un bugiardo?

Perché lui ha cambiato sé stesso mentre cresceva te! Essere degli educatori per qualcuno - anche nel caso dei genitori - è una condizione bivalente: la lezione è impartita a chi la emette e a chi la riceve. Anche tu hai imparato a fidarti di più grazie a tuo figlio, chiediti cosa potrà insegnarti Derrel oltre a cosa potrai insegnare tu a lui.

Voglio che sia libero dall’oppressione di suo nonno! E che non faccia la fine di suo padre! , ruggì il Cavaliere. Dal rettile arrivò un’ondata di orgoglio. Non potrà avere migliori maestri di noi, allora. Vieni a introdurmelo, ti prego. 

Il bambino si era calmato quando Murtagh fu tornato in sé, o per lo meno si era rassegnato dopo il tacito assenso dell’altro. Il Cavaliere gli prese le spalle. “Devi fidarti di me e della mia parola che cercherò sempre di fare i tuoi interessi migliori, lord Derrel.” , gli disse infine, riprendendo a camminare. Non udì in un primo momento i passi del bambino dietro di lui, ma dopo lunghi istanti alcuni incerti si mossero fino a una corsa per raggiungerlo. Almeno si fidava di lui per andare in giro per il castello con uno sconosciuto.

“Dopo questa notte, Derrel, voglio che tu non ti muova dalla tua stanza senza domandarlo a me o a mia moglie. La corte è piena di serpi pronte a pugnalarti nell’ombra.”

Il bambino annuì con occhi stranamente tranquilli.

Murtagh piegò il capo di lato per guardarlo. “Mi sarei aspettato la tua diffidenza nei miei confronti dopo averti ricordato di essere cauto.”

Il bambino alzò le spalle. “Mio padre mi ha detto che si fida di voi. È ciò che mi basta per fidarmi.”

Il Cavaliere avrebbe voluto ribadire che non era assolutamente un buon punto, ma avrebbe aspettato di guadagnarsi genuina stima dal bambino prima di fargli vedere come sia necessario essere cauti sempre e verso chiunque. Talvolta anche la propria famiglia.

“Siamo quasi arrivati.” , disse invece svoltando l’angolo. 

Quando il bambino vide il drago, esclamò esterrefatto. “È più grande di quanto immaginassi!”

Fece un passo avanti, poi esitò guardando il suo accompagnatore. “Posso... toccarlo?”

Gli tese la mano e il bambino l’accettò con una punta di diffidenza. “D’ora in poi sarai il mio scudiero per le questioni che riguardano l’Ordine dei Cavalieri come già ti ho detto. Starai a stretto contatto con Castigo, perciò è certo che potrai toccarlo.”

Avanzarono piano, non per la reazione dell’animale - che essendo intelligente non avrebbe mai fatto nulla per smarrire un bambino. - ma per la paura pulsante del piccolo lord. Quando furono abbastanza vicini, il grande capo del drago si spostò loro di fronte. “Una cosa che devo dirti prima che tu lo offenda, è che è sempre un drago a doverti rivolgere la parola per primo, salvo tu non sia il suo Cavaliere.”

Il bambino annuì, poi aggrottò le sopracciglia. “Come fa a comunicare un drago? Che verso fa?” , gli chiese con argutezza.

Fu Castigo stesso a rispondergli. Cucciolo di umano, io sono Castigo. Noi draghi non ‘facciamo un verso’, comunichiamo direttamente con le menti e con i cuori degli altri esseri. Qual è il tuo nome?

Il bambino saltò indietro al primo contatto mentale, chiudendosi le orecchie con le mani in un primo momento, poi abbassandole lentamente quando la voce non fu fermata da quel gesto.

Castigo ridacchiò solamente rivolgendosi al suo Compagno. È sempre quella la reazione di voi umani! Siete molto buffi. La cosa più triste è stato non vedere te sconvolto per nulla, il nostro primo dialogo... , disse divertito.

Murtagh roteò gli occhi. Io sono il figlio di un Cavaliere, non sei certo stato tu il primo drago che ha toccato la mia mente. Se l’animale di mio padre fosse ancora vivo forse potrebbe condividere con te la mia paura quando mi ha parlato la prima volta. Posso assicurarti che non sei nemmeno un quarto spaventoso quanto lui. E la sua voce... suonava come artigli stridenti sulla roccia.

“Derrel, magnifico animale.” , rispose il bambino nel frattempo molto timidamente.

Il drago si avvicinò ad annusarlo, poi tornò a indietreggiare. La tua anima è candida. , sentenziò infine. Murtagh allora annuì al bambino. “È la sua approvazione.”

Derrel fece un piccolo salto di gioia, avvicinandosi poi all’enorme corpo del drago. Gli girò un paio di volte attorno, spostando la testa freneticamente per cogliere tutti i dettagli.

“Sapevo che i draghi erano rinati, ma mai mi sarei aspettato di vederne uno da così vicino!” , sospirò tra sé. Murtagh lo guardò incuriosito su di lui. Sapeva chi fosse suo padre, ma non era mai venuto a conoscenza che Wisgarus avesse avuto un erede. D’altronde non era da biasimare per non averlo informato, la loro amicizia si era incrinata e definitivamente interrotta anni prima.

“Quanti anni hai, lord Derrel?” , gli chiese a un tratto, la voce calma e finalmente distesa per davvero. Il bambino piegò il capo, guardandolo come se non fosse ovvio. Il Cavaliere però rimase in silenzio, lievemente a disagio perché non era capace di capire l’età di un bambino. 

Derrel si piantò i pugni sulle anche e disse infine: “Sette.”

Murtagh annuì, indicandogli l’enorme rettile. “Pensa che lui ne ha appena due.”

Il bambino rise, mentre il drago sbuffò contrariato di essere stato usato per far ridere un cucciolo di umano. “È piuttosto scontroso, anche!” , notò con voce spensierata. Riprese a camminargli attorno, mentre il ragazzo lo osservava attentamente. 

Castigo sbuffò fumo, alzandosi sulle zampe a guardarlo minaccioso. Derrel corse dietro le gambe del Cavaliere, facendolo sorridere. Si sentiva impacciato con lui, ma un qualche istinto che pensava di non avere gli stava dicendo timidamente cosa fare con il bambino. Gli prese la mano gentilmente, facendolo uscire dal nascondiglio. “Non ha intenzione di mangiarti. Vedi, i draghi non mangiano gli uomini anche se potrebbero vista la stazza. Si è offeso per ciò che gli hai detto.” , gli spiegò tranquillamente, facendo tornare normale il respiro affannato del suo protetto. 

Derrel alzò il mento verso il capo del drago, facendo un timido passo in avanti. “Mi dispiace averti offeso, signor drago.” , mormorò. Castigo rimase fermo e minaccioso qualche istante ancora, poi si abbassò nuovamente con il ventre a terra. Allungò il collo ripiegandolo perché il piccolo avesse le sue narici davanti al piccolo petto. Murtagh si piegò sui calcagni e gli fece vedere come accarezzarlo. “È come un gatto enorme: gli piace essere grattato ed è piuttosto permaloso.” , gli spiegò. So che stai cercando di impressionare affabilmente il bambino, ma ti piacerebbe se fossi io a renderti lo zimbello della situazione? Potrei prenderti per i piedi e usarti come pendolo... , chiese il drago con acidità al suo Cavaliere, mentre le mani del bambino lo toccavano timidamente. I grandi occhi di rubino si allargarono come pozze profonde, quando le dita piccole si infilarono tra le sue scaglie a toccare la parte morbida di pelle sottostante. Iniziò a muovere la coda a destra e a sinistra proprio come un felino in estasi. 

Lord Derrel ridacchiò e il drago strinse gli occhi per un attimo ancora, non riuscendo poi più a resistere al trattamento del piccolo nuovo amico.

Dei passi alle loro spalle li fecero immobilizzare, ma la figura sottile di Nasuada fece capolino dal drago con un sorriso. Il bambino s’inchinò prontamente, mentre il marito rimase a guardarla imbambolato. Si accostò al suo protetto, prendendo a grattare il drago come lo aveva osservato fare da lontano. Castigo fu molto più docile con lei da subito, adorando la ragazza dalla pelle d’ebano. Poi si fermò e sfiorò la spalla del bambino con le sue dita lunghe e affusolate.

“Hai conosciuto Castigo, vedo.” , disse con calore. 

“Sì, mia regina. È stato molto gentile da parte di vostro marito farmi incontrare un animale tanto maestoso.”

Lei chiuse gli occhi con un sorriso, il volto estremamente rassicurante. “Parli come un bambino più grande di quello che sei. La tua educazione è impeccabile.”

Murtagh non riuscì a vederlo nel buio, ma il bambino era sicuramente arrossito per il complimento. Nasuada accarezzò un’ultima volta Castigo, poi fece un passo indietro verso il grande scalone.

“So quanto possa essere difficile addormentarsi la prima notte in un luogo lontano da casa, ma la disciplina va mantenuta e tu d’ora in poi sei sotto la mia guida. Perciò saluta il Compagno di mio marito e torna nella tua stanza. Domani alla luce del sole potrai incominciare a osservare quelli che saranno i tuoi compiti come scudiero del Cavaliere Murtagh.” , gli impartì con dolcezza, salendo i gradini. Il lord bambino annuì e s’inchinò a lei nuovamente anche se non lo stava osservando. Murtagh prese una sua piccola spalla tra le sue dita. “Andiamo, ti accompagnerò io indietro ai tuoi alloggi. Domani Castigo sarà ancora qui.”

Derrel lo seguì docilmente, visibilmente contento di aver avuto la possibilità di incontrare un drago, anzi, persino di accarezzarlo. Una volta nel suo letto, si appoggiò ai cuscini ancora con un accennato sorriso sulle labbra, trapassando ancora prima che il Cavaliere avesse superato la porta della stanza da letto. Si voltò verso una delle guardie all’esterno prima di dirigersi verso il suo talamo: “Porta un messaggio da parte mia a lord Ranulf e a sua moglie, rassicurandoli che il nipote si è addormentato serenamente.”

Aprì la porta decorata della stanza da letto reale, trovando il letto sfatto ma Nasuada non era in esso. Voltò il capo verso la porta che si apriva verso l’ala in cui vi era la stanza del principe, ma una figura nera gli saltò al collo con un gemito. Il profumo di sua moglie spazzò via ogni suo timore di un’aggressione alla sua persona. Le circondò la vita con le mani, sentendola sospirare profondamente. “Ti sei comportato in modo esemplare con il nostro piccolo ospite.” , mormorò con occhi lucidi scivolando di nuovo a terra. Lui si scostò per togliersi gli stivali, ma lei lo seguì come un’ombra per la stanza, cercando contatto con lui appena possibile. Quando fu di nuovo pronto per coricarsi, l’anticipò e le prese le mani. “Non permetterò che Derrel riviva la mia storia. Non m’importa se non ha il mio sangue, d’ora in poi baderò a lui come fosse mio figlio.”

Lei ricambiò lo sguardo pregno che lui le ebbe riservato qualche istante prima, stringendo di più le loro dita. “Tornac sarebbe fiero di te. Ne sono sicura, anche se non l’ho mai conosciuto.”

Murtagh annuì per un istante adombrandosi, poi la trascinò nel letto sfinito da quella giornata. Finalmente sarebbe riuscito ad addormentarsi come era stato per il piccolo protetto.

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Capitolo 24
*** La quiete prima della tempesta ***


“Il popolo è spaventato, dovete dare loro qualcosa che si aspettano da una regina e che riesca a distogliere i pensieri dal loro timore, anche solo per poco.” , consigliò Elessari mentre prendeva il gomito alla giovane e bellissima regina. Quella mattina il sole cercava di fare capolino tra le nuvole. Aveva piovuto tutta la notte, e una leggera nebbia aleggiava sulla città.

Sabrae dietro di loro annuì in assenso a quanto detto dall’altra.

“Io so essere un buon Capo, meno una regina carismatica, perché mio padre mai ha pensato che sarei potuta arrivare così in alto da sedere sul trono, perciò non mi ha mai fornito l’educazione necessaria... Qualche consiglio, mie dame?” , disse Nasuada seriamente. 

Elessari si fermò un attimo, toccandole i capelli castano scuro, pressoché neri, che le ricadevano sulle spalle, quel giorno. “Una regina deve essere generosa, con il suo oro ma soprattutto con le sue benedizioni. Deve avere un gran cuore e molta attenzione ai suoi sottoposti. Se aveste un re il vostro compito sarebbe tamponare il sangue che egli farebbe scorrere, ricostruendo quello che viene distrutto. Una buona regnante sa ascoltare la sua gente, e dimenticare la volontà dei singoli per raggiungere un bene totale.”

Sabrae tornò a camminare pari alle altre due. “Ciò che vogliamo dire, vostra maestà, è che siete già perfetta così. Se il popolo ha paura per le minacce alla vostra persona, una distrazione non farebbe altro che far dimenticare il sentimento per poco tempo, dopo di che tornerebbe ancora più forte.”

Elessari la fulminò con lo sguardo. “Tuttavia non è una soluzione da escludere in questo caso.”

Farica sospirò dietro di loro, facendole voltare stizzite. Nasuada la guardò incuriosita. “Ti prego, Farica. Parla liberamente se hai qualcosa da dire.”

La dama piegò il capo da un lato. “Il popolo non gioisce delle feste a corte, degli intrighi dei nobili, né delle notizie su di voi che a volte i vostri servitori pensano di servire loro. La gente comune vuole sentirsi sicura nelle proprie case, e che il loro raccolto non venga bruciato o saccheggiato.”

“Sono tutte ovvietà, signora Farica.” , disse Sabrae, lo stesso tono che si usa per rimettere al proprio posto un bambino altezzoso.

Nasuada alzò una mano, zittendola. “La mia dama non ha concluso.”

Farica le fece un cenno di ringraziamento. “Le persone vogliono fidarsi del loro vicino, sapere chi sono i viaggiatori e gli sconosciuti sotto i mantelli. Credo sia il momento di smettere di ritardare il censimento.”

“Penseranno proprio che è la regina ad avere il polso di ferro, in quel modo!” , esclamò la donna che profumava di fiori marcescenti.

Nasuada invece fece un sorrisetto. “Se noi ribelli abbiamo potuto organizzarci fino a combattere Galbatorix apertamente è solo grazie all’ignoranza del popolo che lui faceva dilagare. A parte le sue spie, nessuno sapeva di avere una speranza, o una minaccia. Le persone potrebbero davvero sentirsi più sicure in questo modo! Al contempo il calcolo delle tasse sulle famiglie potrebbe essere più equo. Ora si basa solo sulla quantità del raccolto, ma non tiene conto delle bocche che rimangono da sfamare ai contadini.”

Elessari alzò un sopracciglio. “Questo potrebbe anche incentivare il ripopolamento del paese.”

Sabrae strabuzzò gli occhi. “Quindi risponderemo ancora una volta con una manovra politica?!”

Nasuada alzò l’indice vicino alla sua tempia, le braccia incrociate al petto. “Daremo questo e un motivo al popolo per svagarsi: diffondete la voce che a un anno dalla caduta di Galbatorix si terranno delle celebrazioni in grande stile, e che il cibo in tutte le città e i villaggi di Alagaesia saranno pagate dalle mie casse personali. E che saranno sicure, perché ci saranno ufficiali dell’esercito dei Varden inviati con contingenti in base al numero di abitanti, in ogni località.”

“Vostra maestà, dovete essere cauta a parlare di pagare a tutti i vostri sudditi il cibo di tasca vostra, anche se solo per un giorno. Diremo semplicemente che non saranno utilizzati le tasse in quel modo, ma che i tributi continueranno a servire alla ricostruzione del paese.”

“State praticamente dicendo che sarà mio marito a pagare per i festeggiamenti...” , precisò Nasuada.

Le due Consigliere alzarono le spalle insieme. La giovane sospirò.

“È molto più difficile rendere felici tutte queste persone, rispetto ai pochi che erano i Varden.”

Elessari le accarezzò la guancia. “Imparerete con il tempo a non voler soddisfare tutti, noi Consiglieri compresi.”

Prese quella volta il gomito di Sabrae e se ne andò con questa, dopo aver rivolto una riverenza alla sovrana. Farica allora avanzò verso la ragazza che aveva accudito per tutta la vita. “Non le ho mai capite... A volte sembrano essere dalla tua parte, altre sembrano volerti far sbagliare solo per il puro divertimento di vederti fallire, ogni tanto.” , commentò tra i denti. Nasuada si sfiorò le cicatrici sugli avambracci pensierosa. Le sembrava davvero di non avere più figure importanti da muovere, come se le fossero rimaste solo delle pedine da muovere di un piccolo passo in avanti, in attesa di essere mangiate dall’opinione del suo popolo.

“Andiamo, ho qualcosa di cui discutere con Murtagh.”

Si alzò il bordo del vestito e prese a percorrere velocemente i corridoi, cercando suo marito.

Lo trovò nella libreria, intento a leggere un libro con il principe sdraiato sul suo petto, piegato all’indietro perché non dovesse sorreggere il piccolo, ma in modo che questo fosse saldamente appoggiato a lui. Dormiva sulla pancia, le piccole braccia ripiegate sotto di sé, i pugni in bocca. Maeve sedeva con un altro libro, su una panca più distante, ma non troppo per non sentire il principe nel caso si fosse messo a piangere.

“Guarda chi è venuta a vederti, piccolo: tua madre in persona!” , disse in un sussurro eccitato Murtagh, piegandosi verso l’orecchio del bambino. Un occhio azzurro-ghiaccio si aprì verso di lei, come avesse capito le parole del genitore. Poi, come un gatto dormiente ma sempre vigile, lo richiuse e sospirò stiracchiandosi, poi crollando nuovamente nel sonno.

Maeve chiuse il libro di scatto, alzandosi per rimetterlo al suo posto, timorosa che sarebbe stata ripresa dalla regina o dalla governante più adulta. S’inchinò e scomparì assieme a Farica, dopo che Finiarel fu affidato a loro.

Murtagh allora prese la mano a Nasuada e si piegò in avanti con estrema lentezza per baciarla. Dopo aver posato le labbra sulla pelle sottile e soffice del dorso scuro, alzò le pupille verso di lei guardandola con intensità. “Nasuada sono alcuni mesi che abbiamo resa pubblica la nostra unione, ma io ho pensato che potremmo organizzare una vera e propria cerimonia di ricelebrazione dopo il mio ritorno da Ellesméra... Sarà utile per scoprire chi tra i nobili cerca di minarti.”

Nasuada lo fissò con le labbra separate, gli occhi che si spostavano sul suo volto freneticamente.

Anche lui ha percepito la situazione disastrosa politica che dilaga ultimamente... È molto premuroso da parte sua essere disposto a mettersi in mostra per aiutare la mia immagine!

“Stai per bocciare la mia proposta perché non ti sembra adeguata o ragionevole, vero?” , le chiese lui con timore. Lei scosse il capo con fermezza, buttandosi tra le sue braccia calde.

“Non c’è una vera e propria motivazione valida per ritenerla una cattiva idea, a parte il costo monetario... In realtà per la nobiltà sarà un’occasione per sentirsi onorati dal mio invito - e per l’altro motivo che hai citato tu - ...” , disse lei tornando a guardarlo in volto. Lui sorrise debolmente.

“Sarai disposta a dimostrare davanti a tutti loro quanto tu mi ami?” , la sfidò scherzosamente.

Lei ridacchiò. “Non lo faccio già?”

Murtagh scosse il capo con il volto fintamente offeso. “Non tanto quanto saremo liberi di fare quel giorno. Il nostro amore sarà il fulcro dell’evento! Non sarà un solo bacio o qualche sguardo intenso a bastare ai nostri ospiti!”

Nasuada piegò il capo di lato, gli occhi ambrati che rilucevano la luce proveniente dalle grandi finestre. Murtagh osservò come si fosse rilassata, come ciò le facesse dimostrare finalmente la vera giovane età, che sembravano tutti dimenticarsi, compreso lui a volte. La prese per la vita, facendola volteggiare in aria per qualche volta. 

“Ti amo, Murt!” , esclamò lei in poco più di un sussurro, l’aria che faticava ad entrarle nel petto per i vortici che il marito le faceva disegnare in aria. “Anch’io, Nas.” , la imitò lui nella sofficità del tono, rimettendola a terra. 

La giovane regina gli mise la mano sinistra sul petto con improvvisa serietà. “Lo sai che io sono una regina e tu un duca, vero?”

Lui sorrise e annuì, piegandosi con vigore a baciarle le labbra, guardandosi prima intorno per verificare che non fosse entrato nessuno. Lei non si scompose. “Sei perciò conscio che oltre all’immane quantità di preparativi da iniziare istantaneamente a organizzare, sarà un matrimonio estremamente regolamentato e che non potremo comunque essere noi stessi?”

Il Cavaliere rimase per un istante in silenzio, poi alzò le spalle. “Potrò dichiararti tutto il mio amore con una promessa scritta di mio pugno, questa volta?”

Con il nostro matrimonio, saranno già due occasioni per i miei sottoposti di svago... Spero davvero che tutto questo funzioni!

Lei annuì debolmente.

“Allora è questo quanto mi basta! Seguirò obbedientemente tutte le altre regole, se potrò esprimerti il mio affetto e baciarti pubblicamente ogni volta che vorrò.” , esclamò lui con estrema enfasi, che Nasuada smorzò abbassando gli occhi, quando lui cercò di incrociarli con i propri.

Le scostò un ciuffo dal viso con delicatezza. “A cosa stai pensando?”

La ragazza dalla pelle d’ebano si morse il labbro. “Io sono la regina e sicuramente ci saranno pretese da parte degli ufficiali della legge perché si tenga tutto come da tradizione...”

Murtagh alzò un sopracciglio. “Non avevo intenzione di pretendere altrimenti... Io non sono nessuno per stravolgere le regole!” , rispose scherzando, ma Nasuada ancora una volta non accennò a distendersi.

Gli circondò la mascella con le mani tiepide. “Non abbiamo saputo resistere l’uno all’altra, bruciando qualsiasi virtù rimasta intatta fino alla fine della guerra... Non dovremo organizzare solo decorazioni e cosa offrire ai nostri ospiti, quanto più urgentemente come fingere alla consumazione!” , gli spiegò grevemente.

Lui sbarrò gli occhi. “Ma Nasuada se noi due abbiamo già un figlio, come possono pretendere la tua virtù?”

Lei incrociò le braccia. “Per altro non mi sono certo disonorata! Eravamo marito e moglie quando è successo!” , si lamentò, “Sarà una richiesta ipocrita! Sanno benissimo tutti di Finiarel ormai!”

Murtagh le cinse le spalle in modo supportante. “Credo di conoscere un modo per ingannarli...”

La regina capì e lo squadrò disgustata. “Siamo due individui onesti, eppure perché siamo entrambi a conoscenza di questo inganno?” , rifletté ad alta voce.

Il marito le sfiorò la guancia con tristezza. “Per quanto mi riguarda, un tempo non ero onorevole quanto ora... Un giorno avrò il coraggio di raccontarti come mi sono liberato della sposa che voleva propinarmi il re.”

Nasuada sospirò. “Alla fine è comunque riuscito ad arrangiare il tuo matrimonio contro il tuo consenso...”

Lui annuì. “Ma questa volta, per tua fortuna, è andata in porto la cerimonia...” , disse laconicamente. La regina lo guardò confusa, ma lui spostò il capo altrove, evadendo il suo sguardo inquisitorio. 

Incrociò poi le loro dita. “Possiamo ritardare quanto vorrai, anche se io terrei che la ricelebrazione si tenesse a un anno dal nostro matrimonio, perché in quella data ci sia qualcosa di positivo da ricordare per gli anni a venire. Qualcosa che possa cancellare la tristezza di aver sposato la donna che amo più di ogni altro essere umano in una squallida cella!”

Lei poggiò il capo sul suo braccio. “A me va bene. Sono ancora spaventata, ma... so che andrà bene. Con te al mio fianco non devo avere paura.”

Fu il turno del ragazzo per guardarla in modo indagatorio. “Di cosa?”

Lei alzò entrambe le sopracciglia in modo molto allusivo. 

“Oh.” , esclamò l’altro, “Non devi preoccuparti. Possiamo aspettare di più, allora. Finché non ti sentirai pronta e non vorrai essere intima con me.”

“Non è che tu improvvisamente mi repella, anzi: il tuo aspetto convincerebbe chiunque ad abbandonarsi al desiderio della carne con te. Però io... ho ancora paura di provare dolore. Perdonami.”

Le baciò i capelli in più punti, ancora euforico. “Non devi scusarti, Nas. Quando mio padre mi ha squartato la schiena con la sua spada, mi sono rifiutato di alzarmi anche solo dal letto per molti mesi dopo la mia guarigione. Ero troppo spaventato di soffrire, ed è perfettamente normale. Aspetteremo che svanisca la tua paura, oppure se non dovesse mai andarsene non ne faremo un grosso problema. Ciò che voglio è passare la vita con te e con il piccolo.”

Nasuada si rilassò. “Dimmi dov’è l’inganno, Cavaliere!” , ridacchiò.

Lui alzò le spalle. “Ti amo: è un’arma a doppio taglio...”

La ragazza gli posò entrambi i palmi sul petto. “A me va bene, allora. Mi prenderò questo rischio.” , commentò lasciandogli un lungo bacio sulle labbra, dovendosi alzare sulle dita dei piedi per raggiungerlo. Quando si separarono fece strisciare le mani sul tessuto del suo farsetto senza maniche, dal petto su fino alle spalle, poi giù lungo i lati delle sue braccia, sulla camicia candida e più voluminosa, infine arrivò a prendergli le mani.

“Vado a mandare gli inviti.” , gli disse guardandolo negli occhi. Lui annuì, incrociando le loro dita ancora per un istante, poi si staccò e la seguì fuori.

Si diressero verso il suo studio, dove la regina prese subito a compilare alcune pergamene, a consultare alcuni registri, mentre il marito occupava il tempo nel modo che più preferiva: leggere.

Dopo alcune ore, Nasuada passò a Murtagh con titubanza il resoconto delle spese che avrebbe dovuto sostenere, sia per la cerimonia sia per la festa per la Liberazione. 

Gli occhi chiari del ragazzo si mossero velocemente a destra e a sinistra, le sue labbra che sussurravano calcoli matematici, seguendo le cifre con attenzione. Quando posò il quadrato di supporto sottile per le rune sul legno del tavolo, aveva la gola secca.

“So che è parecchio oro che dovrai sborsare.” , disse lei sondando il terreno.

Il Cavaliere si morse il labbro, picchiettando con l’indice e il medio sulla pergamena. Stranamente, quando alzò il volto su di lei era sereno, quasi divertito.

“Per diciotto anni è stato Galbatorix a sfruttare il mio denaro per i suoi scopi. Sono più contento ora, di poter contribuire al sostegno di un governo che appoggio sinceramente.”

Nasuada sorrise radiosa alle sue parole. Si sporse in avanti, prendendogli la mano.

“So che dovrei essere imparziale in quanto Cavaliere, ma... ho un altro modo per dare il mio aiuto alla tua causa, a modo mio.” , continuò lui con serietà.

La ragazza dalla pelle d’ebano alzò le sopracciglia sorpresa. “Certo, ti ascolto. Dimmi pure.”

“Vorrei occuparmi della ricostruzione del villaggio di Samra. Non dovrebbe volerci molto e lo farei in tuo nome, ovviamente.”

Nasuada rimase colpita dal gesto generoso di cui si era offerto. “Mi sembra un’ottima idea, mio Cavaliere. Quando ritornerai dalla tua prima missione potrai occupartene.”

Murtagh sgranò gli occhi. “È già il momento di partire?”

La moglie si alzò in piedi, girando attorno al tavolo per stagliarglisi di fronte. Gli indicò il cielo sopra la città, di cui dalla fortezza si godeva una vista meravigliosa. “È ora di prendere le uova da Arya. I cieli di Alagaesia sono stati vuoti per troppi anni.”

Le appoggiò il capo al fianco, essendo lei in piedi accanto a lui, seduto. Nasuada gli circondò la nuca con una mano, per ricambiare il suo tocco affettuoso, massaggiandogli la cute. 

“Sono d’accordo. Non possiamo aspettare che nostro figlio diventi il primo Cavaliere.” , concluse Murtagh con un sorrisetto.

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Capitolo 25
*** Attentato alla vita ***


Dopo il solito volo di ricognizione serale Murtagh tornò a terra. Era diventata una necessità dopo gli ultimi avvenimenti e la sensazione di strisciante pericolo che non aveva abbandonato il Cavaliere da quando la tranquillità della vita a corte era stata incrinata. Quando lui non poteva stare accanto alla regina, Elva lo sostituiva. Scese dal suo compagno, fermandosi un istante accanto al suo immenso corpo rosso. Sembra tutto tranquillo questa sera! , commentò il rettile saggiando l’aria più vicina al terreno con la lingua. Murtagh guardò alla città dall’alto della fortezza. Piccole luci dei fuochi nelle case la facevano sembrare un prato pieno di lucciole. Da quando quei due bambini sono arrivati qui altri due villaggi sono stati o assaltati dai mercenari o repressi da un contingente non agli ordini di Nasuada. Non sono tranquillo, né per lei né per nostro figlio. Se il popolo dovesse insorgere, che ne sarebbe di loro?
Il drago sbuffò fumo per un istante, pensieroso. Immagino che li faresti salire sul mio dorso e ce ne andremmo lontano, magari da Eragon. Forse sarebbe la tua occasione di poter vivere una vita tranquilla e defilata con Nasuada...
Per quanto mi piaccia come idea, lei è l’unica che possa governare questo paese senza che ritorni nel baratro. A cosa sarebbe servito uccidere Galbatorix se non sarà migliorata la vita degli abitanti di Alagaesia? Mi chiedo anche a cosa sia servito imprigionare Wisgarus, privando suo figlio dei genitori, quando le soppressioni sanguinose non si sono fermate...
L’enorme capo del drago si spostò su e giù in conferma. Ti sei innamorato della donna sbagliata per le tue aspirazioni di vita, allora. Non avrai tranquillità al fianco di una regina. , commentò poi con durezza.
Murtagh lo bruciò con lo sguardo. Non posso comandare il mio cuore. E tu, non hai scelto il Cavaliere sbagliato per le tue, di aspirazioni di vita?L’altro ridacchiò con i gemiti gutturali di drago. Hai ragione, umano. Però io o scelto te e tu hai scelto quella ragazza, perciò non possiamo farci nulla ormai. 
Murtagh annuì. Non è solo una questione di amore, Castigo. Lei è la mia famiglia assieme a te e al piccolo. È mio figlio, capisci? Lui è parte di me... ‘Sarò sempre fedele solo a me stesso’, questo è quello che ho pensato fino a qualche mese fa. Poi mi sono reso conto di quanto sia bello avere qualcun altro a cui voler bene: tu, Nasuada, mio figlio...
Castigo gli diede un colpetto, sbilanciandolo in avanti. Murtagh guardò il suo compagno sorpreso, ma lui indicò un punto con un cenno del capo. La porta, notò il ragazzo. Gli diede un buffetto allora, prima di rientrare. Sulla porta i soldati lo fermarono per le notizie sull’esterno.
“È tutto tranquillo, sembra, in città. La popolazione dorme, se non per chi deve impastare il pane o pescare i pesci.”
”L’obiettivo?” , chiese Jormundur alle spalle dei soldati che gli impedivano l’ingresso. Si avvicinò con il suo nero mantello. Murtagh lo salutò con un cenno del capo.
“Comandante, il soggetto è fermo nell’albergo dove ha soggiornato. Non si è mosso. Potrebbe non essere un pericolo per la nostra regina.”Jormundur si grattò la barba. “Se non andrete a controllare, Cavaliere non possiamo saperlo. Dovrete pedinarlo domani, dobbiamo scoprire se sta ordendo qualcosa di losco. Siete stato voi a nominarlo tra i seguaci del re anche dopo la sua morte...”
Murtagh sospirò costernato. “Il mio ruolo non mi permetterebbe di indagare per la sicurezza di una regina, lo sapete.” , gli impartì guardando le due guardie, “Dovremmo essere più discreti quando mi chiedete di trasgredire i principi del mio Ordine. Non tutti sarebbero disposti a farlo, nemmeno per la regina, al mio posto. Dovreste almeno garantirmi una certa riservatezza e protezione.”
L’uomo annuì. “So che se non fosse per l’amore che dite di provare per lei, non trasgredireste le regole.”
Murtagh alzò le spalle. “Già, ma sembra che tutti pensino di potermi sfruttare solo perché sono potente e sono diventato un Cavaliere già trasgredendo dal primo momento il mio Ordine e le sue regole morali. Nessuno lo avrebbe chiesto a Eragon, al mio posto.”
“Dal mio canto, potreste trasgredirle anche tutte per dimostrare che il matrimonio che ho convinto il Consiglio a mantenere sia effettivamente, politicamente e per l’incolumità della nostra regina, la miglior soluzione. Ma d’ora in poi cercherò maggiore segretezza, per non screditare l’Ordine che rappresentate. Il popolo non ha grande stima in quelli come voi, se non per Eragon perché è un eroe. Spero per la sorte del nostro adorato principe che a lui sarà riservato l’apprezzamento di suo zio, non quello di suo padre.”
“Voglio redimere le mie colpe a tutti i costi, ma non ammetterò di infangare il lavoro di mio fratello, né lasciare in eredità a mio figlio una reputazione infangata come è stato per me.” , concluse Murtagh. Annuì alle guardie, indicando loro di aver terminato, e le superò camminando per i corridoi. Arrivò dopo diverso tempo agli appartamenti reali, affamato e stanco. Si tolse il mantello e lo lanciò lontano, noncurante. Maeve arrivò silenziosamente e lo raccolse, piegandolo con attenzione. Poi prese un vassoio, posandogli una zuppa d’orzo ancora tiepida davanti con un sorriso. Lui la guardò interdetto per un attimo.
“Grazie.” , mormorò stupito per il gesto gentile.
Lei sembrava addirittura anche più felice di Farica, di averlo alla corte.
La ragazza fece ondeggiare i capelli scuotendo il capo. “È mio dovere prendermi cura della vostra famiglia e anche voi ne fate parte, nonostante vi sminuiate sempre.”
Lui mangiò con lentezza, perché non gli venissero i dolorosi crampi che lo attanagliavano ogni volta riempisse lo stomaco troppo velocemente, quando moriva di fame. A metà del pasto, sentì il pianto del proprio bambino in lontananza. Non era il solito pianto affamato, era molto più forte e persistente. Guardò la ragazza terrorizzato. “Cos’ha?”
Lei alzò le spalle. “Può darsi che abbia solo male alla pancia, è normale nei bambini così piccoli. Deve diventare ancora forte e a volte anche il nutrimento di sua madre è difficile per lui da digerire.”
Murtagh si alzò, ormai senza appetito e perché la zuppa si era già raffreddata completamente. “Io ho sempre sofferto molto per ciò che mangiavo, nonostante io sembri forte e invincibile. Mio padre mi riteneva un debole anche per questo. Mi dispiacerebbe aver trasmesso a mio figlio proprio la fallacia delle mie interiora.” , commentò distrattamente.
Maeve lo guardò con dolore mentre se ne andava, la voglia di ribadire e di rassicurarlo, ma lui non le diede il tempo di proferire parola.
Raggiunse l’anticamera del loro talamo, il pianto del bambino ancora forte oltre la porta intagliata. Bussò leggermente per annunciarsi. “Murtagh?” , chiese Nasuada.
“Sì, sono io. Sono tornato.”
“Raggiungici, te ne prego.”
Quando entrò, vide la moglie seduta sul bordo del letto, già indossava solo la veste da notte bianca. Muoveva il torso a destra e a sinistra, cullando il bambino che si dimenava tra le sue braccia.
Si tolse gli stivali lasciandoli accanto alla porta e le andò vicino silenziosamente. Le baciò la tempia, sedendosi accanto a lei.
La ragazza lo guardò con disperazione, gli occhi ambrati e lucidi. “Puoi fare qualcosa per lui? Nemmeno il guaritore è riuscito a calmarlo con un massaggio al ventre. Mi ha somministrato delle erbe perché il mio latte possa alleviargli il dolore, ma non ha ancora mangiato da allora.” , lo supplicò. Murtagh annuì, facendosi passare il piccolo. Se lo poggiò sulle gambe e gli mise una mano sul ventre. Percepì un calore provenire da lì, segno che effettivamente doveva essere quello a tormentarlo. Si concentrò per farlo andare via, cantando l’unica nenia che ricordava sua madre cantargli quando era bambino. Al termine della seconda volta che la cantava daccapo, il piccolo smise di piangere e iniziò a osservarlo con occhi tranquilli. Nasuada espirò sollevata. Accarezzando il capo al suo bambino, si fece più vicina al Cavaliere. Gli poggiò il capo al braccio e lui la fece scivolare al di sotto di esso, potendole circondare le spalle. Si piegò piano per non sbilanciare il bambino a baciarla sulle labbra. Lei rispose con amore e gratitudine.
“Ti amo.” , sussurrò Murtagh staccandosi da lei prima che non gli fosse più possibile fermarsi.
Nasuada gli rivolse un ultimo sguardo pieno di calore, prima di prendere il bambino tra le braccia per lasciare il marito alzarsi. Si andò a svestire, indossando una casacca chiara e un paio di brache di lana per la notte poi la raggiunse nel letto. Nel frattempo, Nasuada si era accomodata ancora con il figlio tra le braccia, appoggiata ai cuscini. Il padre osservò con curiosità il bambino, che con le piccole dita e straordinaria forza, per la sua età, stava cercando di svestire la madre. “Credo abbia fame.” , commentò quando Finiarel riuscì a sfilare la manica dalla spalla della regina. Il tessuto si afflosciò in basso, mettendo in mostra la porzione del seno superiore, da sotto la clavicola. Quando più pelle fu scoperta, la testa del bambino si fiondò in avanti, a bocca aperta. Allora Nasuada annuì al commento del ragazzo e liberò completamente il seno. Con versetti di sollievo, il piccolo mangiò a sazietà, dopo tante ore in cui il dolore gli aveva inibito la fame. Si addormentò e continuò a succhiare nel sonno per diverso tempo, poi finalmente la sua testa si divelse all’indietro, completamente trapassato. Nasuada allora si alzò per portarlo nel suo letto attraverso la porta interna della stanza, seguita da Murtagh, mentre gli batteva la schiena per evitare che si soffocasse per il rigurgito del latte appena ingerito. Posò il piccolo sul materasso della piccola culla, lasciandogli un bacio soffice sulla guancia e muovendo per poco il giaciglio. Murtagh osservò la stanza nel buio, illuminata solo dal candelabro appeso accanto alla porta. Era tutto tranquillo, tutto sicuro, eppure la sensazione che qualcosa non fosse al suo posto non lo abbandonava. La stessa, costante sensazione non lo abbandonava ormai da una settimana.
Nasuada lo fece sussultare quando lo andò a prendere per il braccio, per riportarlo a letto. “Murtagh! A cosa stavi pensando?” , gli chiese vedendolo anche impallidire.
“A nulla, controllavo la sua stanza.”
La regina si morse il labbro. “Qualcosa non va?”
Murtagh scosse il capo, evasivo. Non voleva preoccuparla per una sensazione. Le posò una mano alla base della schiena, nella curva del suo corpo che pareva essere stata creata apposta per la dimensione della sua mano, sospingendola dolcemente in avanti. Raggiunsero nuovamente il letto, sistemandosi uno accanto all’altra. “Grazie per aver curato Finiarel, mi ha molto sollevata sentirlo smettere di piangere.” , gli sussurrò abbracciando il guanciale sotto di lei. Murtagh le sfiorò una guancia.
“È anche mio figlio, Nas. Il suo pianto mi stava straziando il cuore. Vi proteggerò per sempre.”
Si avvicinò a lei per circondarla con le sue braccia prima di crollare nel sonno per la stanchezza.


Un fruscio quasi impercettibile fece aprire gli occhi di scatto al Cavaliere. Guardò la stanza con attenzione, che sembrò completamente vuota e inerte. Nasuada dormiva tenendo la sua casacca stretta in uno dei suoi pugni, i boccoli che le coprivano il volto e che si alzavano leggermente a ogni suo respiro. Le spostò i capelli dal viso e le aprì una per una le dita senza svegliarla, liberandosi dalla sua morsa. Si alzò e andò a controllare, nel gruppo di stanze attigue, il figlio che, stranamente, era sveglio e sgambettante.
Gli mise un dito in un palmo rivolto al soffitto, che il piccolo strinse, tirando le falangi nella umida bocca senza denti.
“Che fai sveglio, figlio mio?” , gli chiese, comunque sapendo che non avrebbe ricevuto risposta.
Il piccolo - piccolissimo - lo fissò con i suoi occhi identici, e così chiari che erano illuminati perfettamente dalla luce della luna. Improvvisamente li spostò sulla finestra alle spalle del Cavaliere, che parve vedere un’ombra attraversarla, nel riflesso delle iridi di ghiaccio. Si voltò di scatto, non trovando nulla. Avendo ritirato la mano bruscamente, il piccolo scoppiò a urlare spaventato. Con paura che Nasuada si svegliasse, lo prese in braccio, cullandolo come meglio riuscì. Il piccolo si quietò, ma la figura sottile di lady Furianera entrò nella stanza comunque dopo solo qualche istante. Li guardò con un sorriso assonnato, avvicinandosi. Abbracciò il Cavaliere, appoggiando il capo alle sue braccia.
“Torniamo a dormire? Stanotte il piccolo può rimanere con noi...” , propose sbadigliando.
Murtagh annuì e le passò il bambino. Anticipò madre e figlio per controllare fuori, con la coda dell’occhio per non farla preoccupare, a tutte le finestre che superavano. Ancora una volta, tutto era tranquillo. Si sistemarono nel letto, il ragazzo con sollievo di aver visto con i propri occhi che fosse tutto calmo. Nasuada nutrì ancora una volta il principe, prima che scoppiasse a piangere per la fame, con il sarcasmo nero del Destino, sicuramente appena riaddormentati. Mentre guardava il piccolo mangiare tranquillamente, osservando la madre negli occhi, e con una manina disegnare intricati disegni ritmicamente in aria, un refolo d’aria fredda lo raggiunse. Alzò lo sguardo verso la finestra a figura intera, dalla parte del letto della moglie e che dava sul terrazzo, trovandola aperta leggermente, e una figura scura con una lunga lama ricurva - quanto un avambraccio - si lanciò sulla donna. Con le braccia impegnate a tenere il bambino, non poté afferrare l’arma che nascondeva sempre nel letto.
“C’è una daga sotto il mio cuscino!” , sussurrò al marito, ma lui non ebbe il tempo di cercarla. Preferì invece passare all’azione.
Murtagh saltò su di lei a farle scudo, venendo trafitto da parte a parte sul fianco destro, in un punto fortunatamente non letale. Castigo ruggì ai piedi della terrazza, facendo voltare l’aggressore appena, lasciando comunque al Cavaliere qualche secondo, che non aveva avuto prima, per riflettere. Murtagh, che succede? Sento che sei ferito! 
Un attentato... alla regina... Ho... ho una daga lunga infilata... nell’addome! Sto bene... non morirò per... questa ferita. Non è grave...
Ma se a stento riesci a pensare fluidamente! , protestò il drago, non ricevendo più risposta dal Compagno.
Nasuada urlò aiuto, mentre Murtagh la scavalcava completamente, riuscendo a bloccare la figura con le mani, non essendo lo sconosciuto riuscito a estrarre la lama dal corpo del Cavaliere in tempo per l’offesa di quest’ultimo. Mentre il ragazzo si lanciava ancora più in avanti, per afferrare l’uomo, due guardie entrarono nella stanza.
“Va’ da loro!” , ruggì alla moglie alla sue spalle, ma lei si era già prontamente alzata e diretta verso gli uomini armati, il bambino che urlava nuovamente tra le sue braccia, stavolta per il trambusto.
Vide gli abiti dell’uomo: era di certo un mercenario.
Fece forza sui polsi dell’altro che aveva afferrato in aria e lo spinse via, ma il movimento si bloccò a metà per una fitta proveniente dalla lunga lama ricurva. L’uomo allora riuscì a liberare un arto e sfilò un pugnale corto da un fodero nascosto nel farsetto. Tenendolo saldamente fece per conficcarglielo nel collo, ma Murtagh alzò un braccio offrendo nuovamente un altra porzione del corpo al posto di un colpo letale. Stanco della lotta fisica e impari perché lui era disarmato e senza protezioni, lo lanciò dall’altro lato della stanza con la magia. Lo seguì con uno slancio, cadendo a cavalcioni sul suo tronco. Gli immobilizzò le gambe con i suoi stinchi e la gola con il braccio sano. “Sei riuscito a... infilzarmi ben bene... complimenti.” , mormorò prima di strappargli le difese magiche e immobilizzarlo completamente con una sola parola. Le guardie gli si affiancarono, puntando le loro spade alla gola dell’uomo. Murtagh alzò il braccio con il pugnale ancora conficcato. “Non uccidetelo... Voglio interrogarlo.” , disse affannosamente, notando però la distrazione che era il suo braccio sanguinante per i due uomini sotto le armature. Si scostò dal mercenario, alzandosi in piedi lentamente per controllare Nasuada e suo figlio. Controllò toccando il corpo della moglie in più punti per verificare che il sangue fosse il proprio, scoprendo con sollievo che almeno lei era indenne. Passò poi al bambino, che a parte un bagno, non aveva bisogno di altre cure. “Murtagh, quelle armi...” , gli ricordò Nasuada con lucidità. Lui annuì perché si era accorto che fossero incantate e forse anche avvelenate. “Andrò da Castigo dopo... ho bisogno della sua magia...per curarmi.”
Lei gli sfiorò il fianco. “Credevo potessi guarire anche le ferite più mortali senza problemi.”
Lui fece un sorriso sornione. “È così e in battaglia l’ho dimostrato ampiamente, tuttavia... non è un problema guarire un’altra persona... guarirsi da soli quando devo ricostruire le mie interiora è diverso... ho bisogno di essere quanto più vicino alla mia fonte di magia.” , le rispose alzando le spalle e digrignando i denti per la fitta al fianco, “Ma entro metà della notte... sarò tornato come prima!”
Lei annuì, poi voltandosi per il rumore dei passi di Jormundur. L’anziano lo squadrò da capo a piedi, soffermandosi sulle armi nella sua carne con orrore, poi guardò il resto della scena dentro la stanza. “Che è successo qui?”
“Capitano, quest’uomo si è infiltrato nel castello e ha attentato alla vita della nostra regina. Murtagh Morzansson l’ha difesa facendole da scudo.” , riportò uno dei due uomini armati.
Jormundur annuì al giovane, che però lo guardò duramente. Gli si accostò per potergli sussurrare all’orecchio. “La stanza è protetta con forti incantesimi, così come il mio corpo... eppure sono stato trafitto... È un mercenario, deve avere un padrone... che è in grado di usare la Magia Nera per spezzare i miei incantesimi... sempre che non fosse stato istruito da Galbatorix stesso. Aveva... piani per una sua eventuale morte... per vendicarsi su chiunque avesse osato rubargli la corona.” , ansimò leggermente per tendersi verso l’altro ma mantenere la distanza. Jormundur annuì, dando l’ordine alle due guardie che portassero il prigioniero nelle segrete.
“Verrò anch’io.” , decretò d’improvviso il Cavaliere.
Nasuada lo guardò preoccupata. “Cosa hai intenzione di fare? Sei gravemente ferito!”
Murtagh scosse il capo. “Ho visto di peggio di questo, Nas... Dovresti saperlo, perché anche tu ne hai avuto un assaggio.” , le rispose seguendo le guardie. Nasuada strinse il figlio a sé, guardando il letto schizzato di sangue. Farica venne lasciata passare dall’ordine dell’amato Consigliere, essendo tutto tranquillo nuovamente. Prese la regina e la portò in un’altra stanza da letto, cambiandole la veste da notte e rimanendo con lei a massaggiarle lo scalpo finché non si fu addormentata, il neonato con lei tra le sue braccia.

Arrivarono alle segrete con lentezza per evitare un’eccessiva perdita di sangue da parte del Cavaliere. L’uomo non tentò di ribellarsi e non sembrò conoscere la magia per rompere l’incantesimo immobilizzante. Lo misero dentro una cella, legandolo ad una sedia per le torture. Murtagh gli andò di fronte e si sfilò con un unico e fluido gesto la daga dal braccio, riempiendolo di gocce cremisi. Quando riaprì gli occhi, fece in modo che vedesse la facilità con cui la ferita si rimarginava con la sua sola forza del pensiero. L’uomo s’impaurì come anticipato dal Cavaliere e prese a piangere. “Domattina mi dirai chi ti ha mandato.” , sibilò Murtagh al mercenario.
“Nessuno, è stata solo mia l’iniziativa.” , piagnucolò l’altro.
Murtagh fece un ghigno. “Ho torturato... abbastanza persone da sapere che questa frase... è usata come prima da chi ha altri da coprire... Scoprirò chi sei... e chi ti manda, mercenario di morte.” , gli disse in preda al fuoco proveniente dal suo fianco. Lanciò la daga in un angolo della stanza, facendola rimbalzare pericolosamente per un po’ di tempo, anche se non v’era nessuno da colpire oltre a loro due. Si fece seguire dalle guardie, uscendo. Chiuse personalmente la serratura e poggiò la mano destra senza il segno argenteo da Cavaliere sulla grata. Sentì una forza oscura, che da tanto non evocava, sigillare la stanza. Nemmeno il re avrebbe potuto scappare da lì. Si staccò dal metallo freddo guardandosi di sfuggita il palmo: un segno identico al Gedwëy Ignasia ma completamente nero, come la caverna più buia esistente sulla terra, sparì poco dopo. Al contempo il segno argentato sulla sua mano sinistra pulsò in segno di pericolo. Murtagh pensò a tutte le volte che lo aveva trovato divertente. La Magia Nera che proveniva dagli spettri che Galbatorix gli aveva insediato nel corpo veniva individuata da quella di Castigo, segnalandone il pericolo. Automaticamente si portò una mano sulla nuca, sentendo la ciocca di capelli che aveva tagliato di recente bruciare nei suoi pochi pollici di lunghezza. I soldati lo riscossero, preoccupati per il suo pallore. Lui li tranquillizzò e si congedò per raggiungere Castigo. 

Si gettò a terra accanto al suo ventre caldo, strappando la casacca dalla V all’altezza dello sterno. Fu coperto da una sua ala dopo avervi infilato sotto la testa. Avevi ragione, Murtagh. C’era qualcosa di fuori posto stasera!
Non preoccuparti... sto bene... Sai che questa ferità sarà... una passeggiata per noi...
Mise entrambe le mani sull’elsa dell’arma e iniziò a tirare. Un gridò gli fuggì dalla bocca quando alla prima applicazione della forza tirante, l’arma non si mosse. “Merda, quanto odio le armi ricurve!” , imprecò.
Jormundur si schiarì la gola oltre l’ala del drago.
Castigo liberò leggermente la vista sull’uomo. Murtagh lo fissò impassibile dal basso, pensando a quanto solo in addestramento con la spada avesse assunto quella posizione di inferiorità con il suo maestro Tornac, e poi durante le torture del re quando lo faceva picchiare forte a terra con la magia. L’anziano che tanto lo detestava avrebbe potuto tentare di ucciderlo, in quel momento. Si sarebbe tolto di mezzo finalmente il figlio di Morzan. Ma avrebbe anche eliminato il più potente mago di Alagaesia e il nuovo Regno non poteva permettersi una tale perdita. O forse sì.
“Lasciate che vi aiuti a estrarla.” , gli disse inginocchiandosi. Murtagh sbuffò e provò a tirare un’ultima volta, ma il dolore fu atroce e l’arma non si mosse. Non aveva il controllo nel dolore per direzionare la forza tirante. Così si mise in ginocchio di fronte al Comandante e Consigliere della moglie, il suo secondo padre di fatto. Lui prese con una mano l’arma e l’altra gliela posò su una spalla. Iniziò a tirare con decisione e a muovere il polso per indirizzare la lama perché uscisse. Murtagh si morse la lingua per tutto il processo, grugnendo ogni volta che la lama iniziava a muoversi perché Jormundur tirava in una direzione diversa. Alla fine la lama fu estratta completamente con una cascata di sangue. Murtagh si lanciò indietro attorno al suo drago, premendo sulla ferita in quel modo sia sull’addome con una mano, sia sulla schiena con il suo stesso peso corporeo. Jormundur non si mosse e Castigo decise stranamente di non mandarlo via, lasciandolo assistere. Intonando di nuovo la nenia di sua madre a denti stretti, iniziò a incantare partendo rimarginando gli organi interni, poi i muscoli e infine la pelle. Quando poté rilassarsi, la luna era sparita e il cielo era indaco. “Quanto è passato?” , chiese all’uomo, che si era seduto a gambe incrociate. Lui guardò il cielo. “All’incirca quattro ore.”
Murtagh annuì, spingendosi sul drago per alzarsi in piedi.
“Le avevo detto che avrei fatto ritorno molto prima.” , commentò tra sé con disappunto.
Vide Jormundur annuire anch’egli e alzarsi di scatto, per poi andarsene senza rivolgergli più la parola. Il Cavaliere lo guardò appoggiandosi all’enorme testa del drago. Mi odia completamente, quell’uomo...
Castigo fece un basso ringhio. Non sai quanto ti odi io per non essere venuto qui immediatamente a curarti!
Quel mercenario era importante che venisse trattenuto e assicurato in prigione, devo scoprire di più su chi lo manda. , protestò il ragazzo.
Castigo morse l’aria a qualche pollice dalla sua testa, minaccioso, ma il ragazzo non si mosse per abitudine. Lo avrà mandato Galbatorix per finire di rovinarci le vite! , ruggì.
Murtagh sospirò guardando le prime linee arancioni all’orizzonte.

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Capitolo 26
*** Mandanti ***


Entrò nella loro stanza da letto dalle lunghe scale che portavano alla terrazza, dove l’assalitore doveva essere arrivato scendendo dai tetti. Murtagh era sicuro che Castigo avrebbe altrimenti fermato l’intruso, mentre gli girava intorno per arrivare alla scalinata, perciò l’alto era l’unica altra via di accesso alla terrazza. Guardò le guglie, vedendo con la sua vista acuta alcuni fili su una di esse. Strinse l’elsa dell’arma ricurva che lo aveva trafitto, con rabbia. Nasuada era stata fortunata che il primo attacco alla sua vita era avvenuto al suo ritorno. Se la immaginò sola, con entrambi i suoi bambini ancora in grembo, malferma sulle gambe a dover combattere con un mercenario dotato di un’arma incantata, capace di trafiggere le barriere magiche. Sarebbe stata la fine della pace e della prosperità che era l’obiettivo della giovane per il paese. Aprì la finestra con la magia senza fatica, essendo gli incantesimi i suoi a tenere fuori i nuovi possibili intrusi e malintenzionati. Il letto era sfatto, ancora come la sera prima. Il suo sangue macchiava le lenzuola in alcuni punti. Prese la camicia del giorno precedente e l’infilò, poi si recò nel guardaroba a prendere abiti per la caccia - quelli in pelle trattata, che rendeva possibile togliere qualsiasi macchia di sangue - , anche se quel giorno non si sarebbe allontanato dalle segrete del castello. Sgattaiolò nella stanza da bagno, riempiendo la tinozza con acqua che riscaldò in fretta con un fuoco rinforzato dalla magia, poi s’immerse per lavarsi via l’incrostazione marrone di sangue. Osservò la pelle tornata perfetta sia sul braccio sia sul ventre, con un sorrisetto. Devo ringraziare Morzan per questo... Quel dannato almeno mi ha lasciato in eredità la magia, per curarmi e difendere chi amo molto più efficacemente di un comune mortale. Era ancora l’alba, perciò la regina avrebbe dormito ancora per circa una mezz’ora. Decise di pulirsi approfonditamente, sentendosi sporco, contaminato. Si strofinò sotto ogni unghia meticolosamente e si risciacquò i capelli più volte. Infine si abbandonò nel tepore dell’acqua, chiudendo le palpebre. 

Sentì dei passi leggeri alle sue spalle, che lo fecero ritornare in sé dal dormiveglia. Conosceva quei piedi delicati. Due braccia sottili lo circondarono da dietro, unendosi sul suo petto. Con le mani giocherellò con le due monete al collo, quella d’oro e quella più piccola argentata. “So che mi hai sentita, Cavaliere.” , sussurrò la voce calda di Nasuada. Lui annuì debolmente, aprendo gli occhi.
“Ci ho messo più del previsto, ma ho fatto un lavoro da maestro!”
Lei gli baciò la guancia dalla stessa posizione, poi sciolse le mani e gli piroettò accanto. Indossava una veste da notte blu e pulita. Lui si alzò a sedere nella vasca, indicandosi il punto dove la lama si era conficcata nella sua pelle. La regina addolcì lo sguardo quando non vide nessuna differenza rispetto a due giorni precedenti, come se non fosse mai stato trafitto. “Sono sempre così affascinata dai risultati che la magia riesce a ottenere.” , commentò inginocchiandosi accanto alla tinozza ovale. Appoggiò entrambi gli avambracci sul bordo e sopra ancora il mento. Murtagh sospirò. “Se fossi diventata la moglie di Orrin come era logico che fosse, sarebbe arrivato a spiegarti questi segreti, un giorno, forse...”
Lei chiuse gli occhi obliqui, appoggiando l’orecchio sulle braccia conserte. “Orrin non sarebbe riuscito a salvarmi ieri sera...” , mormorò quasi fosse un segreto, “Jormundur ti è molto grato di questo.”
Lui sbuffò non d’accordo, allora lei tornò dritta. “Non è facile per lui accettare che, quella che ritiene una figlia, sia sposata con un uomo che lui teme possa farle del male, ma gli stai dimostrando il perché io mi sia sempre fidata di te.”
“È semplice il motivo: perché ti amo sinceramente! E sei stata l’unica persona, oltre a me stesso e alla mia enorme coscienza rossa e squamata, che io sia mai riuscito ad amare. Ti ho fatto del male, è vero, ma era l’unica scelta per evitare la tua morte.”
Lei annuì cupa. “Lui non ti ha mai giudicato per tuo padre, sai? La sua rabbia è dovuta solo alle tue colpe in guerra.”
Murtagh annuì. “Lo so questo. Però non capisco perché io sembri essere l’unico a non essere stato perdonato dalla tua Assoluzione.”
Lei si morse il labbro. “Un gesto politico non è detto che sappia istaurare nelle altre persone la tranquillità di sapersi accanto a un criminale di guerra. È per questo che ho fatto di tutto per togliere dalle armi i soldati di Galbatorix... Ora la maggior parte sono contadini sotto nuova identità, specialmente coloro negli alti ranghi. Tu sei un nome, Murt, più grande di qualsiasi generale che si sia arreso: eri il Cavaliere del re! Ho faticato molto a convincere chi conosceva di te che non fossi fuggito per contrattaccare in nome del tuo sovrano.”
Lui la guardò in obliquo. “Come ci sei riuscita, dunque?”
Lei sospirò. “Ho messo tuo fratello in mezzo. All’inizio non voleva, ma poi... quando gli ho detto del piccolo che cresceva nel mio grembo e che era anche tuo figlio, si è convinto.”
“Perciò devo ringraziare ancora una volta il mio fratellino, eh?” , disse sarcasticamente mentre si alzava e usciva dalla vasca. Nasuada gli passò un telo asciutto, osservando la cicatrice sulla sua schiena muscolosa. Rimase immobile mentre si vestiva, guardando il suo corpo perfetto. Notò non avesse cicatrici nuove, rispetto a quell’unica volta quando aveva misurato la sua pelle con le sue dita, imprimendosela in mente. Non fece in tempo a distogliere lo sguardo quando lui si voltò, e lei arrossì. Il Cavaliere sbuffò. “Non serve che tu faccia la timida con me. Sappiamo che non lo sei.”
Lei tornò a guardarlo allora. “È che ti stavo fissando, studiando... Non è educato, ti chiedo di perdonarmi.”
Lui alzò le spalle. “Puoi studiarmi quanto vuoi: sei mia moglie, Nas.”
Lei alzò un sopracciglio. “Non ti stavo studiando in quel modo... Mi stavo più di tutto chiedendo cosa avessi fatto durante la tua assenza.”
Lui finì di abbottonarsi la casacca guardando la moglie con il capo piegato da un lato, cercando di carpire cosa le passasse per la mente.
“Ho provato a essere un comune essere umano, tutto qui.”
Nasuada si alzò e avanzò, prendendogli le mani. “Noi... non potremo mai essere comuni.”
Lui fece un sorrisetto amaro, guardando altrove. “Lo so, ho provato a mimetizzarmi con un gruppo di braccianti agricoli e mi è quasi sembrato di essere come loro... ma ogni sera, al mio ritorno nella grotta in cui Castigo si nascondeva per permettermi di essere libero, capivo sempre di più quanto io non possa più essere una persona normale, dal giorno in cui il suo uovo si è schiuso. Perché io fossi un uomo come ero un tempo, lui doveva rinunciare alla sua vita, e quando me ne sono accorto, non ho esitato alla prima occasione di essere nuovamente un Cavaliere, a salire sul suo dorso e tornare da te.”
“Non hai esitato ad accorrere per salvarmi?” , chiese stupita.
Lui le prese la vita, guardandola negli occhi. “Per te mi butterei davanti a ogni singola spada sguainata, prenderei tutte le pugnalate destinate a te...”
Lei sospirò. “Per quanto mi sia sempre convinta che non sono una donzella da proteggere, mi hai dimostrato di avermi salvata senza che nemmeno te lo chiedessi - e numerose volte - , Murt. Ti ringrazio per quello che hai fatto la scorsa notte per me. In cambio ti prometto che inasprirò la lotta perché tu venga accettato, perché tu viva veramente come un uomo libero!”
“Cosa significa?” , chiese lui con voce tremante.
Lei gli appoggiò il capo al petto. “Farò un’assoluzione pubblica per le tue personali colpe. Purtroppo dovrai prima occuparti dell’uomo nelle segrete e scoprire chi lo ha mandato per uccidermi. Racconterò quanto hai fatto ieri notte alla città di Illirea e la voce si spargerà. La gente saprà che sono in pericolo, ma che con te al fianco non dovrò temere.”
Lui si staccò piano, irrigidito dalle sue parole. Temeva che un gesto tale solo per lui l’avrebbe potuta rendere impopolare con i suoi sudditi.
Come se gli fosse entrata nella mente gli rispose: “Non preoccuparti per me, ho ancora tante manovre politiche per rendere il mio popolo fiero di avermi come loro sovrana. Ma le tue parole mi hanno fatto capire quanto tu sia disposto a mettere te stesso da parte per me e siccome io ti amo davvero, Murtagh, è ora che anche io prenda apertamente le tue parti.”
Un nodo gli si formò alla gola, tanto che dovette uscire di corsa dalle loro stanze per non scoppiare a piangere. Nasuada rimase ferma nella stanza, inizialmente impietrita per la brusca reazione, poi un sorriso dolce le illuminò il volto. Si spostò nel salottino dei suoi appartamenti e si sistemò la sottoveste, infilandosi sopra una vestaglia.
A gran voce poi chiamò Jormundur, che accorse seguito da due Falchineri. “Mia Signora.” , dissero inchinandosi. Lei li rassicurò che andasse tutto bene e che non fosse in pericolo, prima di guardare solo il suo Consigliere negli occhi. “Murtagh si è appena recato nelle segrete a interrogare il prigioniero. Seguitelo e chiedete a Jarsha di chiamare Bode. Non iniziate prima del suo arrivo. Tutto ciò che scoprirete voglio che venga trascritto.”

Nelle segrete la luce della mattina non filtrava, perciò era ancora abbastanza buio, rendendo l’atmosfera più pesante di quanto già non facessero l’odore acre e i muri di pietra scura e incrostata di fumo di candele e lanterne. Murtagh camminò fino alla cella, quando Bode lo raggiunse correndo, seguito dopo lunghi istanti da Jormundur e alcuni Falchineri. Murtagh lo guardò con un sopracciglio chiaro. “Cosa fate qui, lord Jormundur?”
L’anziano piegò il capo di lato, spostando le iridi prima al suo fianco poi al suo braccio. Un barlume balenò nei suoi occhi, poi l’anziano tornò ad assumere il suo solito sguardo serio e imperscrutabile. “Ordini della regina.” , sentenziò seccamente.
Un uomo nella caratteristica armatura nera estrasse una chiave da una sacca, accostandosi al Cavaliere per aprire la cella.
Entrarono tutti assieme, sotto lo sguardo spaventato dell’aggressore, che tremava come una foglia al vento di tempesta. Una delle guardie della prigione quella volta, portò all’interno un tavolino con un rotolo di cuoio, che srotolò, mostrando numerosi attrezzi di tortura: pinze per estrarre i denti, chiodi e martelli, coltelli affilati, aghi spessi e alcuni sottili, e decine di altri ancora.
“Tu, resta.” , gli intimò Murtagh mentre s’inchinava e senza voltargli le spalle usciva. L’uomo si bloccò, tirandosi dritto in piedi.
“Prendi due cinture e slega le mani dell’uomo.” , impartì all’uomo, voltandosi verso l’altra guardia all’esterno della cella, “Tu, invece, porta qui lo scranno da tortura.”
Ben presto, il mercenario era stato spostato su una vecchia sedia tarlata e incrostata di ogni secrezione umana nominabile, le mani legate ai braccioli e i piedi alle due gambe anteriori della seduta. Si rivolse a una delle due guardie, lo sguardo iniettato di furia: “Prendi le pinze, inizieremo dalle unghie.”
Jormundur mise una mano sulla spalla di Murtagh. “Non gli è ancora stata fatta nemmeno una domanda...”
Il prigioniero colse l’occasione per obiettare a sua volta: “Milord non è giusto che io venga torturato! Dovreste punire il mio padrone.”
Il Cavaliere grugnì. “Ci dirai il suo nome?”
Il mercenario scosse lentamente la testa, l’attitudine che si era tramutata in quella dei condannati a morte di pura rassegnazione. Murtagh allora gli prese le guance in una mano, piegando il suo capo all’indietro perché lo guardasse negli occhi.
“Fai parte dello stesso esercito di mercenari che ha sterminato il villaggio?”
“Sì.”
“Dove sono i tuoi compagni?”
L’uomo scoppiò in lacrime. “Morti... tutti morti...”
Jormundur sussultò al fianco del Cavaliere. “Per quale motivo?” , intervenne.
Il mercenario si voltò verso di lui. “Il padrone non ci ritiene più utili. Li ha uccisi come pagamento, con un’unica parola, salvando solo me per affidarmi l’ultimo mio compito.” , mormorò a fatica, come stesse sopportando il peso di tutti i suoi commilitoni morti sulla propria schiena.
“Dicci il nome del tuo padrone!” , gridò il Cavaliere, la reazione dovuta alla pietà che l’uomo stava esercitando su di lui. Doveva mantenere la sua rabbia elevata, o si sarebbe spezzato. Era stato Galbatorix a spiegargli come resistere durante una tortura. Senza i suoi insegnamenti, non avrebbe mai potuto torturare Nasuada impassibile, per poi alleviarle il dolore la notte di nascosto, riuscendo così a posporre la data della sua morte. Doveva molto agli insegnamenti di Galbatorix, ma si corrucciava spesso sulla loro validità anche in quel nuovo mondo, libero dalla sua ombra. Però la forza è la forza, non importa il metodo per rimanere forti quando è necessario esserlo, giusto?
Il mercenario sospirò. “Non posso.”
“Unghia.” , si limitò a dire Murtagh. L’uomo legato sussultò, iniziando ad ansimare man mano che lo strumento di ferro si avvicinava alla sua mano.
“Almeno abbiate la decenza di impugnare voi il ferro della mia morte!” , si lamentò il prigioniero.
Il Cavaliere sbiancò. “Il tuo padrone ti avrebbe ucciso se fossi ritornato da lui, ma ora sei qui a rimproverare le mie maniere?!”
“Siete un farabutto proprio come il mio padrone... credevo che le voci sul vostro conto fossero sbagliate, ma siete il vero erede del mio mandante!” , disse il prigioniero prima di scoppiare a piangere come un bambino.
La guardia guardò Murtagh, che annuì. Ai lamenti del pianto si aggiunsero le grida di dolore e il sangue.
“Avrei dovuto mirare al vostro mostruoso figlio!” , lo sbeffeggiò il carcerato.
Jormundur afferrò con una velocità sorprendente il braccio del Cavaliere, mentre già stava estraendo Zar’roc. “Calmatevi, sta cercando di essere ucciso in fretta, senza parlare.”
Murtagh annuì, nascondendo i pochi pollici di lama rossa nel suo fodero nuovamente. “Unghia.”
Un altro grido di dolore si levò e rimbombò lungo il corridoio di pietra spoglio, come se i fantasmi dei prigionieri morti nei secoli avesse risposto al lamento di un altro sciagurato come loro.
“Dove è la sede del tuo padrone? Quale sarà la prossima mossa per destituire la regina Nasuada?”
Il mercenario si sputò addosso sangue misto a saliva, dovuto al morso che si era inflitto all’interno della guancia mentre veniva seviziato dalla guardia, che piangeva silenziosamente mentre svolgeva il suo lavoro. “Io sono solo un semplice soldato, come pensate che io possa sapere le strategie del mio padrone?! Inoltre lui mandava nel nostro accampamento un suo emissario, non ho nemmeno mai visto il suo volto...”
“Quindi il tuo padrone è un lord, se si serve di sottoposti per celare la sua identità, non è così?”
“Vi ho detto che non lo so!”
Bode si appuntò la deduzione del Cavaliere assieme al resto, fuori dalla porta della cella, emettendo un rumore stridulo con la penna sulla pergamena.
“Non sei molto d’aiuto, mi sto stancando di te. Quanto vi ha pagato?” , disse con tono estremamente minaccioso il giovane moro.
“Non ci ha pagato se non un anticipo d’ingaggio. La quota tuttavia erano diecimila galeoni d’oro.”
I presenti esclamarono stupiti, tranne il Cavaliere. Questo strinse le labbra, richiamando Bode all’interno. “Sì, milord?”
“I galeoni sono la moneta utilizzata per i commerci via nave, o in tutte le città attorno al lago Leona più importanti. Forse arriveremo a smascherare Uthgard.”
“Eccellente deduzione, Cavaliere. Come pensate di fare a trovare le prove che schiacceranno lord Uthgard? È un uomo molto scaltro.”
“L’attatto al villaggio è accaduto qualche tempo addietro ormai. Quando sono arrivati i resoconti della situazione economica dei lord fedeli a mia moglie?”
Gli occhi del notaio brillarono. “L’altro ieri, milord.”
“Mandateli a mia moglie perché li controlli personalmente, diecimila galeoni sono sufficienti per comprare un castello diroccato.”
L’uomo annuì e tornò al suo alto leggio mobile, posto davanti allo stipite della porta, esternamente.
Quando Murtagh si voltò, il prigioniero invece stava scuotendo il capo, come in trance.
“Perché state negando con la testa?” , gli domandò infastidito.
“Non lo troverete mai in quel modo. L’unica volta che ho incontrato il lord - o così pensavo - ho udito la voce minacciosa e potente di una donna provenire dalla figura scura che comunicava con l’emissario usuale.”
Jormundur strinse i pugni. “Non esistono registri dei movimenti monetari delle lady. Affidare a una di esse la resistenza alla nuova corona è stata una mossa molto scaltra. Non saremo mai capaci di rintracciarla, specialmente perché lord Uthgard, il nostro principale sospettato, non ha più una moglie ormai.”
Murtagh si lasciò scappare un gemito di sconforto. Si avvicinò all’orecchio del Consigliere. “Se Nasuada ordinasse che anche i loro averi venissero registrati e inviateli, sarebbe una grave offesa per i lord... Credete che Elessari possa occuparsene in modo indiretto?” , sussurrò perché solo lui potesse udirlo.
Jormundur piegò il capo leggermente di lato, per scostarsi da lui e al contempo per indicare la sua incertezza. “È molto abile a ottenere segreti da molti, ma sono sicuro che se si trovasse nel salotto della Lady-dissidente, questa le mentirebbe per coprire l’operato della società segreta.”
Murtagh sospirò. “Credete di riuscire a scoprire invece il vero padre del prigioniero?”
Il Consigliere si immobilizzò. “Per quale motivo lo chiedete?”
Il ragazzo gli indicò l’uomo legato allo scranno, allora Jormundur lo osservò studiandolo e capì il motivo della richiesta del giovane.
Il mercenario era pallido per la perdita copiosa di sangue, seppur dalle dita. Doveva essere uno di quei cavalieri - poi divenuto mercenario, grazie alle sue doti di combattimento insegnategli da bambino dal padre penitente, perché il lord che lo aveva generato non voleva ammetterlo tra i propri soldati di rango maggiore, deludendo come accadeva spesso le aspettative di grandezza di un semplice figlio illegittimo, che si riteneva speciale per il trattamento di riguardo che aveva ricevuto per qualche anno - di sangue bastardo che in battaglia morivano perché la più piccola delle ferite non si arginava mai, destinandoli a morte certa.
“Uthgard stesso ha molti più figli illegittimi di quanti possiamo conoscere. Potrebbe essere questo a incastrarlo.” , aggiunse Murtagh.
Jormundur uscì per riferire a Bode della ricerca.
“Qual è il tuo nome?” , chiese intanto al prigioniero.
“Huilielm.”
“Dove sei nato?”
L’uomo fece un ghigno, poi una smorfia di dolore per lo sforzo che gli era costata quella dimostrazione di scherno. “Dras-Leona, nel ducato non nella città. Proprio come voi, Cavaliere.”
Murtagh sbiancò. Cercò Jormundur al suo fianco, ma non era ancora ritornato.
Guardò il soldato che aveva torturato il mercenario fino a quel momento. “Passa ai denti.” , gli ordinò. Riluttante, questo cambiò pinza e costrinse il prigioniero ad aprire la bocca. Con un ululato, un piccolo oggetto biancastro volò dall’altro lato della cella.
“Fermati, Cavaliere!” , tuonò una voce alle sue spalle. Il mercenario espirò sollevato, mentre Murtagh si voltava verso l’ingresso della cella. Con sorpresa, vide suo nonno sulla soglia, le sopracciglia aggrottate. Si stava reggendo in piedi solo sulle due gambe con una forza interiore sfoderata per la prima volta e di cui il nipote non credeva fosse capace, il bastone invece puntato verso di lui.
“Che cosa state facendo qui?” , gli chiese in un sibilo.
Il bastone roteò e batté a terra la punta di metallo che lo proteggeva dall’usura, facendo dolere le orecchie del Cavaliere. Si premette le due cartilagini abbastanza appuntite, stringendo gli occhi per qualche istante. Flaithrì avanzò ad afferrargli il braccio e Murtagh fu costretto a riaprire le palpebre. L’anziano era visibilmente piuttosto infuriato. “Un Cavaliere non tortura nemmeno il peggiore dei criminali! Non saresti diverso dall’uomo che ti ha tenuto in cattività per un anno della tua giovane vita!” , lo rimproverò con una voce profonda ma forte, che fece tremare l’animo al più giovane.
“Lo sto facendo perché hanno tentato di uccidere mia moglie!” , si difese, ricevendo invece uno schiaffo ben assestato. Fortunatamente, le sue difese magiche rallentarono la forza dell’urto, altrimenti quello sarebbe stato un colpo capace di rompergli la mascella. Dovette trattenere la risposta iraconda, limitandosi a guardare in basso remissivamente, come da giovane faceva davanti ai rimproveri di Tornac. Eppure, si rese conto, man mano che trascorrevano gli istanti, che suo nonno avesse ragione. Come le legnate ricevute dal suo maestro erano per il suo bene, anche Flaithrì lo aveva fermato prima che si macchiasse di un omicidio inutile. Si voltò verso le guardie e i Falchineri, facendo un cenno della mano veloce. “Abbiamo finito con lui. Chiamate un carceriere e fatelo pulire dal sangue. Quest’uomo non ha informazioni utili per noi.”
I soldati lo guardarono scontenti e alcuni preoccupati, ma poi uscirono loro malgrado dalla cella, senza ribattere all’ordine.
Flaithrì incrociò le braccia al petto annuendo debolmente. “Sono qui a vegliare si di te. Ricordatelo  per il resto dei miei giorni, ragazzo. Voglio aiutarti ad avere la vita migliore che tu possa avere, senza che tu divenga miserabile come tuo padre. Non sono riuscito a fermare lui, ma mi assicurerò di svolgere al meglio la mia opera con te.”
Murtagh annuì, mentre Flaithrì dispiegava le braccia, invitandolo in un abbraccio. Il giovane trattenne il fiato per qualche istante, poi, lievemente stranito si accostò a lui. Spiccava oltre la sua testa di molto, per via della curvatura della schiena dell’anziano, tuttavia le braccia di suo nonno erano ancora accoglienti e piacevolmente calde. Murtagh strinse con forza gli occhi, per non piangere. Suo padre lo aveva odiato, e aveva creduto di essere solo al mondo, finché il Destino non gli aveva mandato un pezzo fino ad allora perduto della sua strana famiglia.
“Grazie, nonno.” , mormorò appena, senza accorgersi inizialmente di essersi lasciato scappare quelle due semplici parole. Eppure, sentì le braccia dell’anziano avvicinarlo di più a sé, il suo volto pallido e rugoso che s’insinuava più a fondo tra il suo petto e l’arto superiore.
“Se avessi saputo della tua esistenza, avrei voluto crescerti personalmente alla morte di mio figlio, al posto di Galbatorix.”
“Non siate triste per me, in tutti quegli anni ho avuto un uomo onorevole come guida. Il maestro Tornac.”
“Non avresti voluto crescere con me, stai dicendo? Se avessi avuto la scelta, tuttavia capisco che non saresti stato certo che avresti accettato di vivere dal padre di tuo padre, un uomo che non hai mai conosciuto. E che avrebbe potuto essere anche peggio di Morzan...”
Il ragazzo si zittì per un istante, spaventato di averlo ferito.
“Non è quello che intendevo, nonno. Quello che volevo dirvi è che la mia crescita è stata meno infelice della mia infanzia con Morzan. E che una ragazza veramente meravigliosa mi rimprovera spesso di pensare inutilmente a come il passato sarebbe potuto essere diverso, quando non possiamo fare nulla per cambiarlo.” , gli spiegò con un lungo respiro profondo, “Per quanto riguarda il futuro, io sono più che grato che siate qui per me e la mia famiglia. Se anche non condividessimo il sangue, sarei onorato di avere un Cavaliere e un uomo così ammirabile come voi come guida.”
Si staccarono dopo poco, e il Cavaliere notò che l’anziano aveva una traccia lucida sulla guancia, una lacrima solitaria caduta. Lui gli strinse la mano con forza, rimanendo in silenzio, probabilmente per rincuorare più sé stesso che il giovane, poi uscì per ritornare in superficie, alle sue stanze calde.

Prima di seguirlo, Murtagh decise di tornare a porgere una visita al suo vecchio amico Wisgarus, cercando di farlo parlare come non aveva fatto in precedenza. Forse, sapere che un mercenario era stato catturato gli avrebbe fatto perdere totalmente le speranze, svelando l’identità degli artefici di quei disordini. Camminò a lungo, sempre seguito da Jormundur e dal notaio, fino alla porta degli appartamenti-cella del lord e sua moglie. Fece aprire la feritoia, e al rumore Wisgarus si avvicinò ciondolando. “È un nuovo giorno, Wisgarus.”
L’altro annuì. “Abbiamo delle finestre, fortunatamente. Ti devo ringraziare per questo trattamento ancora una volta.”
Murtagh troncò i convenevoli. “Abbiamo catturato un mercenario, pagato dal tuo stesso padrone.”
Wisgarus sospirò sonoramente, non lasciandolo terminare. “Murtagh, non avrai nessuna confessione da me.”
Il Cavaliere lo guardò allibito. “Per quale motivo?! Sto proteggendo personalmente tuo figlio e ormai tu hai già perso tutto! Non hai motivo per coprire chi è a capo del movimento per la destituzione di Nasuada!”
L’altro rise con amarezza. “Non avrai una confessione da me perché morirei mentre nella mia mente si starebbero formando le parole del tradimento! Sono stato costretto a un giuramento, Murtagh, un giuramento imprescindibile.”
Il giovane dai lunghi capelli corvini espirò con frustrazione. Sapeva benissimo la forza di un giuramento imposto dal Re Nero. Tuttavia gli sembrò strano che la clausola del tradimento fosse la morte diretta. In fondo, lui stesso aveva infranto il giuramento e non era perito, e se Galbatorix non fosse morto, lo avrebbe torturato a vita, ma mai lo avrebbe tolto di mezzo immediatamente. A Galbatorix piaceva giocare con i suoi sottoposti. Era un uomo paziente e sadico, tuttavia non sapeva spiegarsi chi altri dall’indole opposta al re ma parimenti malvagio avesse potuto fargli proferire un giuramento tanto potente. Appoggiò una mano alla porta metallica che impediva l’accesso alla torre-prigione, annuendo con il capo. Si volse lentamente, strisciando silenziosamente per il corridoio.
“Una cosa posso dirtela: non è un movimento per la restaurazione del vecchio sovrano! Se vorrai tenere al sicuro mio figlio e il tuo marmocchio dovrai cercare in meandri ancora più oscuri del passato!” , gridò infine Wisgarus mentre le guardie chiudevano la piccola finestrella.


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Ciao! Scusate l'attesa, ma questo capitolo è stato per me un parto. Prometto che presto torneranno capitoli in cui si parlerà meno 'politichese' e saranno più carini, ma nel frattempo devo anche andare avanti a costruire la storyline delle avversità contro cui i nostri eroi dovranno confrontarsi!
Mi impegnerò ad aggiornare presto, nel frattempo fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e come sempre della storia so far!

Un bacione,
EllyPi

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Capitolo 27
*** Un piccolo passo in avanti ***


Il Consiglio si era riunito di prima mattina, per decidere i movimenti della regina per la sua apparizione pubblica. La discussione si era animata praticamente da subito.
Jormundur incrociò le braccia al petto. “Non sappiamo chi altro sia colpevole di volervi uccidere, maestà. Ritengo che spostare il principe con voi sia pericoloso.”
Falberd annuì d’accordo.
Elessari si alzò in piedi. “Sono passati molti mesi dall’incoronazione della nostra signora. Possiamo presentare ufficialmente il principe come suo erede. Galbatorix è stato l’unico sovrano a non presentare il proprio erede pubblicamente - perché non ne avrebbe avuta intenzione alcuna se avesse avuto un figlio - . Ma il suo governo è durato cento anni e nessuno ricorda più come erano i costumi prima di lui. Dobbiamo staccare il governo di Nasuada da lui, anche riportando in auge vecchie tradizioni.”
Sabrae si morse un labbro non più pieno. “Questa volta, lady Elessari, io sono d’accordo che sia pericoloso.”
“Ci sarà Murtagh!” , s’intromise la giovane regina.
“Sarete lì per raccontare la sua storia, perciò non servirei al popolo l’occasione di associare un traditore al nostro futuro re. Non ora che il Cavaliere sospetta che il mercenario catturato sia un figlio illegittimo di Morzan.” , disse duramente Umérth.
“Abbiamo già escluso questa pista. Huilielm e Murtagh sono molto diversi in aspetto e i discendenti del nostro collega Flaithrì non sono affetti dal sangue debole di molti altri lord. Il mercenario avrà mentito per destabilizzare il Cavaliere.” , precisò Jormundur sbuffando.
“Ciò che sarà l’apparizione pubblica della regina è un’assoluzione, non un semplice racconto...” , ricordò loro Elessari, reindirizzando il discorso sull’argomento originario e più importante.
Flaithrì alzò una mano, zittendo tutti. “Non vorrei e non potrei esercitare il mio diritto parentale sul principe - in quanto sangue del mio sangue, ma che anche io ritengo non scorra nelle vene del mercenario catturato - ma se la madre del piccolo non fosse la regina, intercederei per far sì che rimanesse al sicuro. In vista di ciò che è accaduto recentemente, più che all’effettiva pericolosità di onesti cittadini, s’intende.”
Nasuada espirò, dovendo accettare la maggioranza della volontà del Consiglio.
Lady Elessari, che non si era rimessa a sedere, parlò nuovamente. “Allora lasciate almeno che si annunci pubblicamente della ricelebrazione del matrimonio della regina e del Cavaliere. Ignoreremo l’esistenza dell’erede fino al prossimo che la coppia darà al regno. Ovviamente coloro che già sanno della sua esistenza verranno sollecitati a soprassedere sulle date divergenti della sua nascita.”
“Non abbiamo altro denaro da spendere per corromperli!” , protestò Umérth.
Nasuada s’impettì stizzita. “Non ho intenzione di corrompere nessuno.”
“Allora sappiate che sarò io stessa, maestà, a ordire alle vostre spalle per il bene di questo paese!” , sbraitò l’anziana.
“Parlate con cautela di ordire alle sue spalle in questo periodo, lady Elessari!” , gridò Falberd.
La regina si coprì gli occhi con le mani, sbattendole poi sul tavolo. “Ora basta! Vi ringrazio per il lavoro estenuante che mettete nel coprire il mio errore, ma vi chiedo di non accusarvi a vicenda. Se lady Elessari crede che lavorare sulla mia immagine in modi alternativi sia benefico, che faccia. E se voi altri volete proteggere mio figlio, così sia, non lo porterò con me. Lo affiderò a Elva e Angela mentre io e il Cavaliere saremo lontani.”
La guardarono tutti zittiti, sorpresi per il suo atteggiamento assecondante.
“Vorrei ora che mettessimo insieme le competenze di tutti voi per preparare un discorso, che sia il migliore che io possa tenere tra qualche ora nella piazza, vi prego.”
“Certo mia Signora. Lavoreremo giunti per voi, come abbiamo sempre fatto.” , pronunciò Umérth commosso. Non si era mai lasciata imbastire nulla da altri, dando sempre fiducia solo alle parole partorite dalla propria mente. Ma in un compito arduo come governare un regno, lei non era più abbastanza da sola. Aveva dei Consiglieri e doveva sfruttarli per il bene del suo regno.

 

Quando il discorso fu pronto, prima del mezzogiorno, andò a cercare Murtagh che quel giorno aveva il principe affidato. Lo trovò ai piedi di Castigo, intento a indicare alcuni elementi del paesaggio e a nominarli subito dopo nell’Antica Lingua.
“Lo so quello che stai per dirmi: ‘Non è troppo presto per lui per insegnargli una seconda lingua, quando non ha ancora detto la sua prima parola in lingua comune?’.” , l’anticipò e imitò con affetto il Cavaliere.
Lei finì di avvicinarsi, facendogli poi capire di desiderare le sue labbra.
Lui alzò un sopracciglio. “Mia Signora, la tua mattina è stata proficua per giustificare un umore così buono?”
“Mi dipingi come una persona scontrosa così.” , ridacchiò lei.
Il giovane si piegò un poco, premendo le labbra sul suo collo scuro. Il bambino tra le sue braccia le afferrò i capelli quando li vide passare davanti agli occhi chiari.
Quando i due ragazzi fecero per staccarsi, la regina si lamentò leggermente. Abbassarono entrambi gli occhi, vedendo il bambino che sorrideva senza denti.
“Ti capisco, Fin, anche a me piace tanto la tua mamma. Ma esattamente come me, è importante che tu impari a lasciarla andare.”
“Anche tu sei di buon umore. ‘Fin’ sarebbe il soprannome che hai scelto per lui?” , commentò Nasuada mentre sfilava la ciocca scura dal pugno del piccolo.
Si tirarono dritti, e il Cavaliere fece spallucce. “È una splendida giornata e non ho i tediosi conti del mio ducato da attendere.” , disse solleticando il naso al figlio, “Grazie per l’occasione di legare con il mio bambino. Il mio piccolo, cocciuto e determinato ‘Fin’.”
“Hai dunque scoperto che è un gran permaloso, e che si lamenta appena uno gli toglie le piene attenzioni?” , continuò mettendosi i pugni sulle anche.
Il marito scosse il capo con decisione. “Credo sia permaloso solo se sua madre decide di metterlo al secondo posto.”
“Oh, dèi, in quel modo non avrà mai un fratellino.” , disse lei ridacchiando. Si bloccò alla fine della frase, rendendosi conto di cosa avesse detto. Osservò il marito in attesa di una sua reazione.
Il Cavaliere la guardò senza espressioni, prima di allontanare la direzione del suo sguardo lentamente, deglutendo. Nasuada si morse la lingua per essersi lasciata trasportare dall’ironia.
A un tratto lui scrollò le spalle. “Tanto oggi verrò lapidato pubblicamente, non avrà più un padre da stasera.”
Nasuada aprì la bocca per risollevargli il morale, quando Farica arrivò a passo di carica dai due sposi. “Mia regina, principe, Cavaliere.” , li salutò, “È pronto il vostro pasto, dopodiché dovremo prepararvi subito per l’apparizione.”
La giovane sospirò, prendendo il gomito del marito, sfiorando il bambino appoggiatovi sopra. Si spostarono all’interno, dove pranzarono con un silenzio pesante che aleggiava su entrambi, solo il principe che emetteva versetti dalla sua culla. Nasuada stava ripetendo nella sua mente il discorso che avrebbe dovuto riproporre alla popolazione di Illirea, mentre Murtagh chissà cosa stava pensando. Forse alla sua frase nel giardino. Fu il primo ad alzarsi e andare a cambiare gli abiti semplici che aveva indosso, per entrare nelle casacche ricamate con gli animali-simbolo del suo Ordine.
Farica diede un colpetto alla spalla della regina, spronandola a dirigersi verso il suo guardaroba, mentre Maeve rimaneva con il principe. Le acconciò i capelli velocemente ma ottenendo comunque un risultato sorprendentemente elaborato. Poi le poggiò le dita intrise di oli essenziali di rosa sul collo, appena sotto le orecchie. Si alzò per prendere l’abito, quando il marito della ragazza apparve sulla porta con il principe, appoggiandosi allo stipite, per il saluto al piccolo prima della loro assenza. Murtagh aveva lo sguardo scuro, le labbra tese. Farica tirò Nasuada in piedi, infilandole la gonna sulle gambe, poi fece passare il corpetto sul suo busto. Il Cavaliere smise di fissare oltre il vetro della finestra, andando da lei senza parlare.
Le prese la mano, premendosi il figlio al petto con l’avambraccio dell’altro arto, le sopracciglia che piegavano verso gli occhi, vicino alle tempie.
“Sei sicura di quello che stai per fare? Ti prego, se non la ritieni una buona idea, non mettere a repentaglio la tua reputazione!” , disse finalmente.
Nasuada strattonò i lacci che Farica le stava stringendo al corsetto, perché la lasciasse andare da lui. Lo raggiunse, attendendo che lui si piegasse, per baciarlo con trasporto.
“Ti ho già detto che lo farò. Stai tranquillo, non andrà male.” , gli rispose quando si separarono. La domestica tornò a fiondarsi sul suo compito, trascinandola per le spalle nuovamente vicino alla specchiera. Quando ebbe finito, prese la ragazza dalla pelle d’ebano e il Cavaliere per i gomiti, trascinandoli come una madre arrabbiata all’esterno. Sistemò anche i capelli di Murtagh, poi li lasciò per qualche istante a salutare il loro bambino, per recarsi a cambiare il proprio abito con uno adatto per stare al fianco di Jormundur.
Qualcuno andò a bussare al Talamo. Era una guardia, che invitò attraverso il legno la regina e il marito a recarsi nel salottino, dove la scorta li attendeva di già.
Sospirando, Nasuada accettò il gomito del Cavaliere per uscire. Sentiva l’ansia e una sana dose di paura iniziare a bollire in lei.
Raggiunsero il punto di ritrovo, dove trovarono le persone che avevano richiesto per la protezione del principe. Farica e Jormundur arrivarono subito dopo la coppia reale.
Elva stava guardando Maeve con occhi penetranti, studiandola con le sopracciglia aggrottate, come non le piacesse. La domestica spostò il capo altrove, sudando freddo.
La strega piegò il capo di lato. “Non dovete nascondere la vostra paura. È normale che quella sia la reazione, la prima volta che mi vedete.”
La donna castana si sforzò di spostare gli occhi caldi e rassicuranti su quelli viola e unici, ma non riuscì a dimostrarsi a suo agio, perciò Nasuada invitò lei anziché Farica a seguirli nella città.
Tiranna avanzò e fece un inchino alla regina. “Penserò io a proteggere il principe con i miei incantesimi.”
Angela emise una risata secca. “Ci siamo io ed Elva a proteggere il marmocchio.”
Farica le scoccò un’occhiata di rimprovero, poi prese il piccolo dalle braccia del padre, posandogli un bacio sulla fronte.
Nasuada guardò tutti negli occhi. “Fate in modo che non gli succeda nulla, il modo lo lascio a voi da decidere. Ho fiducia nelle vostre capacità.”
Prese il Cavaliere a braccetto e uscirono senza aggiungere altro, seguiti da Maeve.
Viaggiarono in un piccolo convoglio di carrozze fino alla piazza prestabilita, dove un palco era stato allestito per lei. Al suo arrivo, molte mani si levarono dalla folla già riunita, per salutarla con affetto reverenziale. Scesero dalla carrozza dietro il palco e Jormundur ripeté loro per l’ennesima volta ciò che dovevano fare e non fare sulla piattaforma sopraelevata. I due sposi annuirono come due scolari ubbidienti, poi s’incolonnarono e salirono le strette scale, venendo accecati dal sole del primo pomeriggio. La folla acclamò la regina, meravigliosa nel suo splendido abito giallo, splendente più dei gioielli che indossava.
“Popolo della città di Illirea, grazie per essere accorsi per udire le mie parole. È sempre un onore per me sapere che i miei compatrioti sono disposti ad ascoltarmi.” , cominciò a gran voce, aiutata a essere udita da un incantesimo del Cavaliere, attivato senza rompere il silenzio che precedette le sue parole.
“Non siamo nemmeno sicuri che siate nata in Alagaesia!” , gridò la prima delle voci che le avrebbero dato contro durante quel discorso. Ma Nasuada era preparata a resistere.
“Oggi sono qui per raccontarvi ciò che mi è successo ultimamente.”
“Se non aveste rovinato questo paese con le vostre rivolte, molti non sarebbero morti!” , gridò con rabbia un’altra persona. Le guardie fecero un passo avanti verso la folla, ma Nasuada fece loro un cenno perché non intervenissero.
“Non voglio nascondervi che la mia vita è in pericolo, come potevo immaginare dal momento stesso in cui ho succeduto il mio predecessore alla guida di questo paese. Sapevo che non sarebbe stato facile, ma ho accettato perché ho a cuore Alagaesia e le condizioni di vita dei suoi abitanti più della mia stessa. Perciò gli attentati a essa che si sono verificati ultimamente, compresa la notte scorsa non mi spezzeranno, voglio assicurarvi di questo. Tuttavia, esiste un gruppo di dissidenti organizzato e istituito da Galbatorix stesso prima della sua morte, che ha minacciato non solo me, ma anche le vite del mio popolo.”
La preoccupazione dei suoi sostenitori - che con suo sollievo non erano pochi - si levò con diversi gemiti di compassione. Il volto di Murtagh, al limitare del suo campo visivo si fece teso, a quel punto del discorso.
“Voglio raccontarvi però la storia del mio protettore.”
I presenti iniziarono a vociare, speculando sull’identità della nobile figura.
“Questa è la storia di un bambino, che ha aspettato nell’ombra per diciotto anni, immaginando ciò che avrebbe voluto cambiare nel mondo, per cancellare le ingiustizie e la violenza di cui anche lui era vittima in prima persona. Questo bambino, orfano e solo nel mondo, non ha lasciato che il suo spirito perisse, pensando che cambiare il mondo fosse il lavoro della sua vita. Ha atteso, studiato strategie ed è cresciuto immensamente in intelligenza e forza, finché la sua possibilità di essere il guerriero che avrebbe ricostruito Alagaesia dalle sue ceneri non è diventata realtà, quando un drago si è schiuso per lui.”
“È l’Ammazzatiranni!” , urlarono alcune voci nell’ombra.
“Purtroppo, la libertà che gli era stata negata sin dalla nascita si ridusse ancora di più, quando fu costretto da un potere più grande del suo a combattere per chi aveva portato la distruzione che mi ha preceduta. Ma non si è lasciato spezzare, come me, dal Destino, combattendo a rischio della propria vita per liberare questo paese dalla piaga di Galbatorix. Questo Cavaliere combatte tutt’ora per voi, altresì è impegnato nella ricostruzione di Alagaesia. Questa è la storia del Cavaliere Murtagh e del suo drago Castigo.”
La gente nella piazza prese a mormorare, poi a muoversi come una gigantesca onda. Vide molti appiattirsi verso gli edifici che limitavano lo spazio aperto in cui si trovavano lei e loro, poi tornare al centro. Sapeva cosa stava per accaderle, ma non si tirò indietro.
“Qui e oggi voglio ringraziare quest’uomo per i suoi servigi alla corona, ma soprattutto alla pace in Alagaesia. Io assolvo pubblicamente Murtagh Morzansson delle sue colpe, perché possa usare il suo potere e la sua forza d’animo per combattere finalmente la battaglia che ha sperato da sempre!”
Il Cavaliere rosso si affiancò a lei, inginocchiandosi e rimanendo fermo come gli era stato imposto dal Consiglio che aveva organizzato tutta quell’esibizione. Un cavolo volò dalla folla, colpendo Nasuada alle costole. I suoi polmoni si svuotarono, ma lei non vacillò. Mise entrambe le mani sulle spalle del ragazzo, rimanendo anche lei immobile come una statua, mentre entrambi venivano ricoperti di frutta e verdura marcia, proveniente dalle bancarelle dei mercanti che - avendo udito dell’Assoluzione, avevano deciso di sfruttarlo per vendere i loro beni - circondavano la folla. I Falchineri salirono sul palco, pronti a portare via la regina, quando lei fece loro cenno negativo con il capo. Posò il bacio della regina sulla fronte del giovane moro - sporcandosi le labbra di disgustosi succhi acidi della frutta stantia - , tornando poi a fronteggiare la folla. “La mia fiducia risiede in quest’uomo, ed è meritata dalle sue azioni. Possa riportare valore all’Ordine dei Cavalieri dei Draghi di cui fa parte. Possa essere lo scudo del nostro popolo.”
Piombò loro addosso la varietà più grande di prodotti avariati e puzzolenti, assieme alle grida e ai fischi, ma nessuno dei due evitò la rabbia degli abitanti della città. Nasuada piegò solamente le iridi verso Elessari, che annuì duramente, spingendola a resistere per ottenere il risultato che tutti si aspettavano, ma che soprattutto Murtagh meritava.
Fece un passo avanti, arrivando al bordo del palco, sull’ultima asse di legno issata sull’impalcatura di metallo. Nel suo cuore, sapeva di poter dire altro al di là di ciò che aveva concordato con i Consiglieri.
“Ascoltatemi! Forse pochi di voi sapranno che è stato lo stesso Cavaliere Murtagh a salvarmi la vita, seppur con gli unici mezzi a lui a disposizione. È stato lui a togliere le barriere difensive a Galbatorix, aprendo la strada all’Ammazzatiranni per attaccarlo e dargli il colpo di grazia. Se non fosse stato per quest’uomo non saremmo oggi liberi dall’oppressione del Re Nero.”
I suoi sostenitori s’inginocchiarono a lei, venendo presi di mira anch’essi dall’ira degli oppositori.
Rimasero immobili ancora a lungo, finché gli occhi vigili del Cavaliere rosso non individuarono alcuni individui completamente vestiti di nero, con i volti nascosti dai cappucci. Si alzò in piedi, mentre Nasuada gli scoccava un’occhiata di supplica di non muoversi, ma le prime pietre furono già scagliate verso la regina e verso le persone in ginocchio nella piazza. Murtagh sibilò alcune parole, mentre Castigo virava velocemente e planava appena sopra gli edifici sulla piazza, minacciosamente. Si assicurò che un bagliore del colore delle squame del suo drago venisse prodotto come scintille, quando uno dei duri oggetti lanciati colpiva la sua barriera invisibile. Afferrò Nasuada per le spalle, tirandola in basso, facendole ulteriore scudo con la sua schiena. Fortunatamente niente poteva oltrepassare la barriera, perciò quando Jormundur fu al fianco della giovane, lui saltò giù dalla piattaforma per mettere in salvo le persone attaccate ma non ferite, sotto l’impalcatura. Le guardie avevano nel frattempo preso a inseguire gli assalitori, disperdendoli per le calli e le strade della città. Quando tornarono a mani vuote, facendo rapporto a Jormundur che era in piedi accanto al Cavaliere, la piccola folla emerse dal palco.
“Tornate alle vostre case. Vi faremo scortare dai soldati.” , disse l’anziano Consigliere voltandosi verso i volti sporchi.
Una donna avanzò. “Verremo protetti nelle nostre case da soldati? Potrebbero tornare a finire il loro lavoro.”
Fu Murtagh a fare un passo in avanti. “Se assegnassimo dei soldati alle vostre dimore daremmo il messaggio che solo coloro che supportano la nostra regina sono degni di protezione. La politica della nostra sovrana è invece proteggere tutti, in modo eguale.”
“Sono belle parole, ma non ci proteggeranno.”
Il Cavaliere fece una risata secca. “Le parole, se usate nel modo corretto, possono essere la protezione maggiore esistente.”
La donna lo guardò senza capire, mentre Nasuada si spostava accanto al Cavaliere. “Mio marito provvederà ad apporre un sigillo magico su tutte le case di Illirea, perché nessun intruso possa venire e fare del male a voi o alle vostre famiglie.”
La folla scoppiò in applausi e commenti d’approvazione. La stessa donna che aveva parlato, però, era ancora lievemente scettica. “Non potreste apporre il sigillo sulle nostre persone? Saremo protetti nelle nostre case, ma non all’esterno, come è successo quest’oggi. Vi prego, Cavaliere!”
Lui si mise una mano sul cuore. “Io non sono una divinità. Non ho il potere di scegliere chi vive e chi muore, e non voglio più farlo - non ora che non sono più costretto a uccidere contro la mia volontà, sotto impulso di Galbatorix - . Proteggerò la popolazione nelle loro case, ma all’esterno dovrete salvaguardarvi da soli, perché la mia magia di singolo non può aiutare decine di migliaia di persone. Una tale richiesta magica arriverebbe a consumare il mio corpo in pochi giorni, dopo di ché non sarete protetti né nelle vostre case né all’esterno.”
Finalmente la figura femminile accettò le sue parole, inchinando il busto in avanti. “Accettiamo il vostro aiuto che potete darci, allora.”
Murtagh annuì, guardando il cielo. Alzò le mani e strinse gli occhi, pronunciando le parole necessarie per apporre la sua protezione alla città. Il cielo si fece rossastro, poi tornò normale.
Pallido per lo sforzo, tornò a guardare la piccola forza, rivolgendo loro un cenno del capo. Nasuada lo andò a sorreggere, passandosi un suo braccio sulle spalle, poi ordinò alle guardie di organizzare la scorta dei suoi protetti. In lontananza i Consiglieri e i pochi paggi salirono sulle carrozze per tornare al castello. Jormundur prese l’altro braccio del Cavaliere sulle sue spalle, e i tre riuscirono così a salire nella carrozza più grande e decorata. Maeve, che li aspettò davanti alla portiera, percorse il tragitto assieme a loro, tamponando il volto della regina per rimuovere i residui di cibo marcio che le incrostavano i lineamenti.

 

Elessari bussò alla porta degli appartamenti della regina, trovandola già perfettamente ripulita nel salottino assieme al marito e al principe, attaccato al suo seno scuro. S’inchinò a loro, quasi toccando il pavimento con la fronte, rialzandosi con un gran sorriso. Nasuada si voltò verso di lei, con un sopracciglio alzato per la dimostrazione di rispetto. “A cosa devo l’onore di avervi nei miei appartamenti, lady Elessari?”
L’anziana si andò a sedere sulla panca accanto alla regina, a sua volta seduta accanto al Cavaliere. Lanciò uno sguardo al bambino dalla pelle di mandorla, che si copriva la bocca mentre si nutriva, con una manina. Gli mostrò il suo rispetto nonostante fosse un bambino ancora piccolissimo, poi alzò gli occhi sui genitori.
“Ottime notizie, mia Signora. Abbiamo sperato che le vostre parole sortissero un effetto positivo sulla popolazione, e così è stato!”
Nasuada sussultò e il piccolo tra le sue braccia si mise a piangere, perché perse dalla bocca il seno della madre. Murtagh mise le mani avanti prontamente, indicando alla moglie di potersi occupare di lui, così da lasciarla libera di ascoltare la Consigliera. Il moro si alzò, salutando Elessari, per dirigersi verso la stanza del piccolo, con questo sdraiato verticalmente sul suo petto.
“Davvero? Volete dire che anche il popolo ha accettato il perdono di Murtagh?” , le chiese Nasuada quando fu scomparso oltre ad alcune porte.
La donna annuì, facendosi però poi scura in volto. “Il Cavaliere dovrà continuare a lavorare duramente per migliorare ulteriormente la sua immagine. Almeno però ora la strada della sua totale redenzione sarà sì in salita, ma meno ripida. Tuttavia, mia regina, vengo a riportarvi le parole riferitemi da Elva, che sostiene che i sentimenti della popolazione verso di voi siano mutati leggermente.”
“In che senso?”
“Alcuni vi ammirano perché avete dimostrato di aver dato una seconda possibilità a ognuno, dai soldati costretti ad arruolarsi per l’esercito imperiale dal Re Nero, attraverso la minaccia di morte, al suo Cavaliere. C’è chi sta diffondendo una strana voce - ma che ritengo molto utile per i nostri scopi - in cui si sostiene che vostro marito sia stato legato al drago rosso forzatamente, dalla magia nera del re, e per questo le sue azioni deplorevoli sono state dettate non da un veleno innato nella sua mente, ma dalla coercizione del legame mentale con l’animale di Galbatorix.”
“Ottime notizie, avete detto?! È tutto terribile quanto mi dite!” , protestò Nasuada, “Per quanto non sapremo mai se una delle due ultime uova di Galbatorix stesse aspettando proprio Murtagh per schiudersi, lui era di fatto predestinato a divenire un Cavaliere! Quella storia non è veritiera...”
“Come avete appena detto, non sapremo mai la verità, e così chi crede a questa storia.”
“Se dovesse intaccare l’immagine di Murtagh? Ho la sensazione che quella spiegazione lo renda un Cavaliere di secondo valore rispetto a Eragon, per cui l’incantesimo di Arya ha reso possibile che si schiudesse l’uovo di Saphira, che era decisamente destinata a lui...”
Elessari scosse il capo. “È il mio compito regolare la vostra immagine, quella di vostro marito e un giorno quella di vostro figlio. Fidatevi di me, è questo che vi chiedo.”
“Molto bene. Cosa pensa il resto della popolazione dopo l’assoluzione?”
L’anziana sospirò. “Pensano che li abbiate messi in pericolo. Se gli attacchi fossero stati solamente diretti alla vostra persona avrebbero continuato a vivere ciecamente le loro vite, ma da quando si è saputo di quel villaggio raso al suolo... Pensano che le vostre riforme dovrebbero fermarsi, perché non ci siano proteste e così che nessuno venga macellato per aver espresso la propria opinione. Pensano che le loro vite non erano in pericolo sotto il governo di Galbatorix, perché lui puntava alla stabilità del suo regno, non a stravolgerlo.”
Nasuada strinse i pugni. “Non hanno avuto diritto di esprimere mai un briciolo di dissenso verso Galbatorix, che non aveva certo a cuore la stabilità delle vite della popolazione di Alagaesia, quanto a reprimere ogni forma di ribellione! Non voglio che la libertà di espressione - anche di dissenso - venga loro tolta di nuovo dopo così poco!”
Elessari fece un inchino con il capo. “Lavorerò assiduamente per questo, vostra Grazia.”
La ragazza dalla pelle d’ebano si buttò indietro sullo schienale imbottito. “Quindi non dovrei più lavorare a migliorare questo paese, secondo il popolo?”
La donna alzò un sopracciglio. “Se posso darvi la mia opinione, il vostro cammino é in salita tanto quanto quello del Cavaliere, per quanto godiate già di una fetta ben più ampia di assensi rispetto a lui. Tuttavia non dovete - e non mi siete mai sembrata il tipo - demordere.”
Nasuada si alzò in piedi di scatto, sentendo la forza dentro di sé rigenerata. “No, avete ragione, lady Elessari. Risanerò ciò che deve essere risanato. Io non indietreggerò mai da una sfida!”
L’anziana la guardò per un attimo stupita e al contempo ammirante, poi annuì e si alzò anch’ella. Fece un inchino e chiese di potersi congedare. Nasuada le annuì, senza mai spostare gli occhi dalla porta dietro cui era sparito Murtagh. Avrebbe sistemato le cose per entrambi. Il suo compito era stato, d’altronde, ricostruire l’ordine in Alagaesia dal giorno in cui era stata eletta Capo dei Varden. Quando con un rumore secco le porte intarsiate dei suoi appartamenti si furono chiuse, corse dietro al Cavaliere. Lo trovò seduto sulla poltrona, intento a cullare il principe tra le braccia. Sentendo il fruscio dell’abito della moglie, si fermò. Le sorrise, poi si alzò per poggiare il piccolo al centro della sua culla. Poi andò a prendere le mani di Nasuada. “Ti ho sentita urlare prima, qualcosa non va?”
La ragazza dalla pelle d’ebano scosse con veemenza il capo. “Ero solo sconvolta dalle notizie. Positivamente, intendo.”
Lui si lasciò sfuggire un mezzo sorrisetto sollevato, che fece sciogliere il cuore della regina. “Ti ringrazio per il tuo gesto.” , mormorò timidamente.
Nasuada gli strinse per un attimo le mani, poi si sporse in avanti, congiungendo i loro petti. “Ti amo.” , gli disse semplicemente.
Quella volta, Murtagh sorrise completamente, piegandosi poi a baciarla, mentre si spostavano arrancando per non cadere, nel corridoio e fino alla loro stanza da letto, dove nessuno sarebbe venuto a disturbarli. “Hai terminato i tuoi doveri per oggi?” , si assicurò lui.
La ragazza sorrise, chiudendo la porta che dava alle stanze attigue. “Sì, sono tutta tua.”
Il Cavaliere la guardò piegando il capo, gli occhi che gli brillavano particolarmente. “Oh...”
Nasuada andò da lui, poggiandogli le mani sul petto. “È tutto quello che hai da dire, Cavaliere?”
Murtagh scosse il capo, deglutendo. “Ti amo.”
“Molto meglio.” , scherzò alzandosi in punta di piedi per baciarlo. Non lo avrebbe mai costretto a proferire i suoi sentimenti, ma quelle sue brevi parole impacciate la fecero tornare indietro di qualche anno, al loro primo incontro, quando lei si era sforzata di sembrare sicura di sé, davanti all’unica persona capace di averle fatto andare gli organi interni in poltiglia. Eppure allora non si era resa conto che era più che semplice interesse, verso il ragazzo dai capelli corvini e quei meravigliosi occhi azzurro-ghiaccio, lei era stata attratta da lui a prima vista.
La regina tornò al momento presente, seguendo i movimenti del giovane, strofinando i loro volti assieme, unendo i loro profumi in una fragranza unica e piacevolissima.
Sentiva la punta delle sue spalle e delle orecchie bruciare, nonostante fossero libere da stoffa o dai capelli. Lui abbassò il volto, spostando le mani attorno alle guance scure, poi chiuse gli occhi, per baciarla con trasporto.
Nasuada si staccò dalle sue labbra che sapevano di estate, mettendo le mani sulle sue spalle e facendo forza per saltare, circondando il suo busto con le sue gambe lunghe, scure e sottili che emersero quando la gonna si divelse all’indietro. Lui l’aiutò spostando le sue forti mani sul suo bacino, tirandola verso di sé in un gesto fluido e sincronizzato perfettamente, meglio dei migliori danzatori elfici di Ellesméra. Si fermò per un istante a guardarla negli occhi prima di chiudere le palpebre e posare nuovamente le labbra sulle sue, annaspando l’aria tra le sue narici e le guance soffici della ragazza, dal profumo minerale di quella polvere rosata che le applicavano per darle ancora più vivacità, ma che a lui gli ricordavano l’unica notte accaldata che avevano trascorso assieme. Fece scivolare le sue labbra sul suo collo mentre lei giocava con i capelli sulla sua nuca, il capo riverso all’indietro. La strinse di più a sé e le sue dita sfiorarono i lacci del suo corpetto. Automaticamente prese ad armeggiarvi e presto riuscì a liberarla da quella costrizione, lasciandola solo con il tessuto più morbido dell’abito vero e proprio. Fece qualche passo verso il letto, piegandovisi sopra per adagiarvela con delicatezza. Si sdraiò accanto a lei in diagonale sul materasso, sfiorandole la guancia con la mano con cui non si spingeva leggermente più in alto della superficie morbida. La vide seguire e cercare il movimento come un gatto, poi si fece più vicina a lui. Gli allentò i lacci della casacca in lino, poi sbottonò il farsetto al di sopra. Lui rimase senza indumenti nella parte superiore del corpo, mentre le sfilava le maniche dalle spalle per liberare la parte di lei che più amava: la curva che andava da dietro l’orecchio fino alla punta di appoggio della clavicola, poco prima della spalla.
Lasciò una fila di baci giù verso la spalla e poi di nuovo verso l’orecchio, spostandosi ancora dopo sulle labbra perfettamente disegnate, quasi spigolose sui due archi superiori. La sentì sorridere, anche se timidamente, mentre la baciava.
Mentre le sfilava le maniche completamente dalle lunghe braccia notò come fosse calma, nonostante di fatto non avesse molta esperienza a letto. Il suo corpo non era contratto e rigido come le altre nobildonne che aveva disonorato in gioventù. Ricordò come non lo fosse stata nemmeno la prima volta.

Nella caverna, sullo sperone dove Nasuada lo aveva raggiunto, scappando dall’accampamento nella città semi-distrutta, le sue dita sottili guidarono quelle del Cavaliere mentre allentava il suo abito, strato dopo strato. Rimase in sottoveste e lui la tirò a sé con un impeto di fuoco, sfiorandole il corpo attraverso il tessuto, che era setoso quanto i capelli della giovane, come avrebbe voluto ma non aveva mai potuto fare nella cella di Uru’baen. Notò come lei sembrasse a suo agio e fosse calda e rilassata, come appena uscita da un bagno corroborante. La guardò negli occhi e lei ricambiò con una luce viva e ardente.
“Non hai paura?”
Non ci fu bisogno di specificare nulla di quanto stava per accadere, i loro corpi parlavano per loro, ma le loro menti non erano di certo contrariate. Forse una voce in un angolo ancora urlava che fosse un errore per entrambi, per la reputazione della ragazza e per il cuore del giovane che aveva bisogno di andarsene, senza lasciare fili a tirarlo indietro. Gli occhi chiari di Murtagh la guardavano adorante, e al contempo lievemente spaventato di non essere alla sua altezza. Nonostante non avessero avuto la conversazione, il Cavaliere era certo dell’integrità del Capo dei Varden, perché nessuno più di lei era ligia alle regole, talvolta trascurando troppo i suoi bisogni, e perciò oltre alla gratitudine dell’affetto che lei gli stava dimostrando cedendosi per primo a lui, le sue viscere erano strette da paura genuina, le ginocchia gli avrebbero tremato se non si fosse sforzato di sembrare sicuro per Nasuada.
Lei scosse il capo, senza il minimo bisogno di pensarci. “Non mi farai del male, non più.”
Le loro labbra tornarono a unirsi, mentre anche gli ultimi indumenti di entrambi scivolano sulla roccia, la passione che li consumava. “Tu sei capace di infondermi la forza che mi serve, Murtagh.” , la sentì mormorare tra un bacio e l’altro.

Chiuse gli occhi mentre la ragazza dalla pelle scura gli circondava il collo con le sue braccia ora scoperte, l’abito arricciato sopra al seno e dietro la schiena. Rispose circondandola anche lui, ma per continuare la sua opera lenta per sfilarle l’abito senza sgualcirlo - o Nasuada lo avrebbe fatto esiliare perché gli indumenti confezionati per lei dalla sua incoronazione non erano certo facilmente sostituibili, vista la fattura sublime - . Riuscì a ripiegarglielo fino alla vita, poi si alzò su un braccio e lo sfilò con un unico gesto dalle sue gambe, alzandole con l’altro arto il bacino, lasciandola con una gonna bianca legata in vita a un altro corsetto. Sbuffò leggermente infastidito, mentre lei gli passava un palmo sul petto in un movimento che gli avrebbe pettinato i peli che erano assenti per via della trasformazione del suo corpo di Cavaliere in un essere più simile a un elfo che a un umano. S’insinuò sotto la gonna, afferrando il bordo di una delle calze che le coprivano le gambe fino a metà coscia.
Nasuada saltò indietro, ansimante di paura. Murtagh si mise prontamente a sedere, guardandola dispiaciuto. “Perdonami, sono andato troppo oltre.”
Lei nascose il volto nel materasso, inspirando a fatica ma profondamente. Avrebbe voluto scomparire rimanendo sola, o essere riuscita a spingersi fino in fondo con lui. In ogni caso, non farlo sentire in colpa era l’importante in quel momento, come poteva percepire che lui provasse dal loro legame mentale aperto. Voltò il capo verso di lui costringendosi, poi allungò una mano per afferrarne una chiara delle sue. Lui strinse le dita con maggior vigore, per infonderle forza. Capì senza bisogno di parlare e le rivolse un sorriso timido. Si sporse in avanti, tirandola tra le sue braccia e rimanendo perfettamente immobile in quell’abbraccio, inspirando il suo profumo che si levava dai suoi capelli castano scuro.
“Mi dispiace, Murt. Credo di essere rotta.”
Lui scosse il capo, sfregando la guancia glabra sul capo della moglie. “Hai subito un trauma, e va bene che tu stia cercando di sfuggire a ciò che ti riporta alla mente ricordi spaventosi...” , la rassicurò sussurrando leggermente, “Hai me accanto, un marito del tutto atipico e che ci tiene a farti sapere che non ti costringerà mai a nulla!”
Rimasero in silenzio per qualche istante, ancora ansimanti per i baci frenetici, cercando di allungare i respiri per calmarsi. Si guardarono imbarazzati, arrossendo contemporaneamente.
Riuscì a farla sorridere e il cuore del giovane si sciolse di contentezza. Nasuada gli prese una ciocca corvina tra le dita, inanellandola sull’indice. “A piccoli passi, Cavaliere, guarirò. Per me, voglio guarire: la regina Nasuada non può essere rotta!”
“Anche se tu fossi rotta, ti amerei lo stesso. Ma di sicuro ti amerò di più se davvero deciderai di fare qualcosa per te stessa, questa volta, indipendentemente dal risultato.”

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Capitolo 28
*** Primo incarico ***


Murtagh stava infilando con distrazione i suoi abiti eleganti nelle bisacce, in preparazione al viaggio. Ogni capo che egli lanciava all’interno della sacca in pelle, la domestica della moglie lo estraeva per piegarlo minuziosamente e riporlo all’interno, perché non fosse inutilizzabili all’arrivo. La sua presenza era praticamente passata inosservata dal ragazzo moro che aveva la mente altrove, alla spiacevole serie di avvenimenti degli ultimi giorni. Rappresaglie su rivolte scoppiate in alcuni villaggi sparsi per il paese erano state rivendicate quella volta, una missiva era arrivata a tranquillizzare la sovrana attestando che si trattasse di un ‘alleato' segreto della loro causa. La voce si era sparsa, aumentando il malcontento nei sostenitori della tranquillità che doveva essere preservata, attraverso l’inerzia del regno precedente. Il Cavaliere stentava a credere alla posizione del popolo che dimostrava così poca lungimiranza verso il cuore della nuova sovrana per i suoi sottoposti, la sua sincera cura per il loro benessere. Come potevano ostinarsi a negare i miglioramenti verificatisi già in così pochi mesi di reggenza? L’inquietudine aumentò al ritorno del pensiero del nuovo ‘alleato’. Sicuramente doveva trattarsi di un ex generale dalla mente deviata, pensò il Cavaliere. Doveva essere individuato e fermato. Nasuada aveva cercato di ridurre al minimo gli omicidi commessi dal regno verso i suoi cittadini, affermando che fosse compito di questo proteggerli e non togliere loro la vita. La pena di morte era stata limitata a casi di grave tradimento o di strage. Ma il nuovo soggetto stava invece passando a fil di spada chiunque organizzasse una protesta o una rivolta, stroncandola prima ancora che arrivasse la voce alla corte. Questo confondeva l’opinione che il popolo aveva sulla giovane regina, si iniziava a dire che ciò che lei comandava venisse ignorato dai suoi stessi soldati. Per questo, due sere prima un attentato alla sua vita era stato sventato dal Cavaliere stesso. La cattura dell’intruso, un mercenario con un padrone segreto, prima che potesse offendere la regina gli aveva salvato la vita ma aveva messo a dura prova il sonno del marito, e la sua lucidità mentale. In aggiunta, il momento prescritto per lui di partire alla volta di Ellesméra, per recuperare la parte delle uova destinate agli umani e nani, era arrivato. Si sarebbe allontanato dalla moglie e dal figlio per la prima volta dalla scoperta di quella nuova dimensione che era la sua famiglia, e ciò lo divorava dentro come i brucotarli. “Murtagh, non avete preso la tiara dei Cavalieri che vi ha mandato vostro fratello.” , gli ricordò la donna con le mani unite in grembo.
Lui si voltò verso di lei di scatto, spaventato dalla sua presenza. “Farica! Cosa ci fai qui?” , chiese.
Lei ridacchiò andando a posargli una mano sulla fronte, alzandosi in punta di piedi. “Figliolo, siete molto provato. Perché non provate a riposarvi prima della partenza? Vi sveglierò prima di cena.” , suggerì con tono materno.
Lui sospirò. Era davvero stanco, ma non riusciva a dormire nemmeno sforzandosi. Gli mise in mano una boccetta di un estratto di erbe per il sonno che teneva sempre nel grembiule. Lei lo spinse sul giaciglio, togliendogli gli stivali e gli porse un calice di vino.
“Nel vino?” , chiese lui sorpreso.
Lei annuì. “Il gusto non è dei migliori. Il vino oltre a coprire il sentore amaro aiuta ad avere un sonno senza incubi.” , gli spiegò. Alzò anche i piedi ora nudi sul letto, sistemandosi più comodamente. Ingoiò velocemente la bevanda, che era disgustosa nonostante il nettare rosso e dolce, e si abbandonò al cuscino. Il sonno arrivò poco tempo dopo e fu senza incubi some promesso. 
 

“Murtagh!” , tuonò una voce nella stanza. Lui si risvegliò di soprassalto, la luce all’esterno era sparita. Nasuada lo osservava con le mani avvolte sulle ossa del bacino e lo sguardo accigliato.
Si stropicciò gli occhi e si mise a sedere.
“Nonostante Farica ti abbia chiamato, non ti ho visto arrivare a cena.” , gli fece notare con un velo di preoccupazione, “Credevo ti avessero avvelenato.”
Lui alzò lo sguardo, forse la domestica non le aveva riferito del liquido che gli aveva somministrato. I loro occhi rimasero giunti per un lungo momento, preoccupati per l’altro. Anche Nasuada aveva dunque fatto crollare il muro di sicurezza per mostrare il timore per le loro vite.
“No, sto bene. Mi sono fatto dare un sonnifero.” , spiegò velocemente lui, alzandosi in piedi. Si infilò gli stivali e le andò di fronte, prendendole il volto tra le dita. “Non è accaduto nulla di cui dobbiamo preoccuparci. Siamo protetti dai più potenti incantesimi che ho tramato io stesso... Nessun intruso potrà più romperli. Anche mentre sarò via, tu e il piccolo sarete al sicuro.” , le sussurrò piegandosi a baciarla.
Lei fece cadere le spalle in avanti e con loro la tensione.
“Andiamo ora a cena, Nas. Dovrò partire subito dopo.” , le disse prendendole il gomito. Si spostarono nella piccola saletta privata per la cena in cui Jormundur e tre Falchineri guardavano il tavolo al centro della stanza, dai quattro angoli di essa.
Farica corse da lui, lo sguardo dispiaciuto. “Come vi sentite? Mi avete fatta preoccupare, figliolo!” , gli disse usando quell’appellativo che da un mese gli aveva imposto. A lui non dispiaceva, tuttavia, perché gli ricordava il rapporto che aveva avuto con il suo fedele servitore Tornac, un padre per lui. Prese la mano della governante con galanteria e la baciò. “Ti ringrazio per l’affetto e la preoccupazione che ne deriva. Mi sento molto meglio dopo questo pomeriggio.” , pronunciò con la sua voce melliflua. Nasuada lo guardò e non potè far altro che ridacchiare al grugnito di disapprovazione del membro del Consiglio, e marito di Farica. Si sedettero al tavolo, il cibo era già davanti a loro. Mangiarono in silenzio, il loro umore e gli osservatori abortivano ogni voglia di scherzare. Quando la regina fu sazia, il cibo venne sparecchiato. Lei si alzò, prendendo il figlio dalla domestica e avvicinandosi al Cavaliere, che fissava il vuoto innanzi a sé. Un borbottio del principe, che tentava di esprimersi con dei versetti, così sostituendo il pianto come unico mezzo, lo fece voltare. Nasuada torreggiava su di lui con sguardo dolente, il bambino dalla pelle abbronzata - non dal sole ma dal sangue della madre - che protendeva le braccia verso di lui.
“Oh, piccolo.” , mormorò con il cuore spezzato prendendolo tra le braccia e stringendolo a sé, una mano dietro la sua testa piccola e dai capelli soffici, “Non imparare a parlare mentre sono via, ti imploro… Vorrei essere qui con te quando ti sentirai pronto a dire qualcosa!”
“È troppo piccolo per parlare. Forse alla prossima missione, o tra due, se ne riparlerà. Quando tornerai, lo trovai solo più cresciuto…”
Vide Nasuada però guardare altrove, probabilmente per non scoppiare a piangere, come lui sapeva che non si sarebbe mai permessa che accadesse. Non davanti alle guardie e Jormundur, di per certo. Murtagh tese una mano e lei si avvicinò di un passo, permettendogli di avvolgerle il braccio attorno alle spalle e tirarla a sé. Le baciò i capelli stringendola forte. Jormundur a poca distanza fece qualche colpetto di tosse finta e il Cavaliere lo fulminò con lo sguardo assassino, facendolo smettere definitivamente.
“Sii forte e stai in guardia.” , si raccomandò sciogliendo il loro abbraccio.
“A presto, Cavaliere.”
“Ti amo, Nas.”
“Anch’io, Murt.”, rispose lei in un sussurro, riprendendosi il bambino tra le braccia.
Murtagh si rassicurò un’ultima volta con Jormundur e il capo dei Falchineri perché tenessero al sicuro la sua famigliola. Uscì a malincuore, scendendo le scale con le bisacce sulle spalle, dato che nessuno aveva sufficiente coraggio nell’issarle sul rettile rosso. Davanti a Castigo, che lo aspettava nel giardino interno della fortezza, trovò il piccolo Derrel, tremante di paura ma anche di euforia all’idea di volare e intento a fissare l’enorme animale.
L’armatura di Castigo era disposta sul manto erboso e Baldor lo attendeva a braccia incrociate, in silenzio a fianco a Derrel.
“Amico! Come mai l’armatura?” , chiese al ragazzo, facendo trasalire sia il bambino sia quest’ultimo.
Il fabbro alzò le spalle. “Ordini di tua moglie.”
Vuole proteggerci, ha paura che ci attacchino in viaggio. , lo informò il Compagno.
“Allora dovremo ubbidire.” , sospirò Murtagh.
Issò le bisacce sulla sella fissandole con cura, poi spese del tempo a coprire il drago con la sua armatura scintillante. Baldor gli passava man mano i pezzi, dimezzando i tempi. Derrel rimase a guardare con sguardo acuto, registrando ogni movimento.
Il Cavaliere lo notò e indirizzò gli occhi sul bambino, brevemente. “Molto bravo, Derrel, ad aver osservato questo processo: la prossima volta potrei chiedere a te di issare le bisacce sul mio Compagno. A proposito, voleremo entrambi sul suo dorso.”
Il bambino fece un cenno del capo al rettile, poi spalancò la bocca all’ultima parte della frase del moro. “Davvero?”
Murtagh annuì con un sorriso incoraggiante. “Sei il mio aiutante per l’Ordine, ricordi? Castigo può tranquillamente sopportare entrambi, è il drago più robusto che esista. Inoltre, viaggiare sul suo dorso ci permette di essere più veloci. Hai viaggiato molto in vita tua?”
Il piccolo scosse il capo e il ragazzo tornò a fissare cupamente il Compagno. Gli passò una mano sul collo. “Viaggiare è emozionante, ma quando un viaggio dura troppo diventa estenuante. Per questo avere la velocità di un drago è un’ottima cosa. Ci permette di scegliere liberamente quanto prolungare il viaggio.”
Si avvicinò al bambino, prendendolo per le ascelle. Salì sulla zampa di Castigo e lo issò sulla sella, arrampicandosi ancora per fissargli i lacci alle piccole gambe. Gli illustrò un po’ i movimenti di base, tornando poi all’armatura.
Una volta terminato, Murtagh ringraziò il suo amico e iniziò a salire sul suo Compagno, quando il fabbro lo bloccò per un braccio.
Lo tirò con forza, la stessa che aveva il padre. I loro volti erano a un palmo di distanza. “Ho trovato una donzella che penso di voler sposare.” , lo informò con serietà. Non c’era contentezza nella sua voce.
“Sono felice per te. Manterrò la mia promessa, sarà un matrimonio in grande stile.” , rispose Murtagh deglutendo.
L’amico lo fissò negli occhi, e quella volta la preoccupazione si mostrò pienamente. Murtagh sentì un calore nel petto per la dimostrazione del fabbro.
“Vedi di ritornare. Sei uno dei pochi amici che ho qui, figlio di Morzan.”
“Anche tu… E tornerò, figlio di Horst. Te lo giuro.”
L’altro lo lasciò andare e si allontanò, salutando prima lord Derrel. Quando fu all’interno al sicuro dal turbine delle poderose ali, Castigo spiccò il volo alla volta di Ellesméra. 

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Capitolo 29
*** Uova di drago ***


Come si aspettavano, arrivati alla Du Weldenvarden furono costretti a scendere, non potendo sorvolarla senza prima un permesso. Non ti lascio andare da solo, ti staccheranno la testa. , sentenziò Castigo dopo una ventina di minuti in cui fissavano immobili il muro d’alberi che segnava l’ingresso alla foresta elfica. Murtagh osservò con maggiore intensità le cortecce, in attesa di movimenti. Possibile che ancora non fossero arrivati a respingere il Cavaliere rosso?

Non puoi sorvolarla e sei decisamente troppo grande per arrivare fino a Ellesméra senza abbattere tutti gli alberi lungo il percorso. O rimanervi incastrato se questi dovessero essere incantati e impossibili da smuovere…

Castigo sbuffò, colpito nel profondo dal commento del Compagno. Stai dicendo che la mia forma non è semplicemente splendida?

No, Castigo, non ho detto questo. Sei l’animale più bello che esista, ma sei anche il drago più grande che ci sia in Alagaesia… I passaggi angusti non sono quindi più alla tua portata.

Gli diede un buffetto alla schiena col muso. A me sembra solo che tu abbia usato parole differenti per lo stesso concetto.

No- , iniziò Murtagh, per essere interrotto da un fruscio tra le fronde. Derrel saltò dietro le gambe del Cavaliere. Quello che sembrò un giovane elfo, dall’aspetto di un ragazzo, dalla chioma colore dei raggi del sole e gli occhi verde smeraldo apparve loro dinanzi. Indossava anche un’armatura di splendida fattura, dorata. “Cavaliere, la nostra regina ci ha ordinato di non uccidervi.” , gli urlò, ma la sua voce sembrò più un verso di una canzone che una distaccata informazione. Era molto tempo che non aveva a che fare con gli elfi. In realtà, erano assieme ai nani l’unica razza che aveva frequentato poco nella sua vita, essendo oppositori alla fazione che era costretto a servire. Alla corte di Galbatorix vi erano un paio di elfi - traditori dal tempo in cui il suo stesso padre aveva voltato le spalle all’Ordine - , gli altri erano solo meticci e se possibile addirittura più disprezzati di lui. “Sono lieto di sentirlo. Dovrò ringraziare mio fratello per l’annuncio.”

L’elfo incrociò le braccia al petto. “Fratellastro, Eragon non condivide con voi il sangue del Rinnegato.” , precisò con durezza. 

Murtagh annuì, guardando il suo Compagno, che aveva emesso un ringhio spaventoso in sua difesa, facendo pigolare Derrel di paura. Posò al bambino una mano sulla schiena e lo guardò negli occhi, annuendogli per indicargli che Castigo non volesse mangiarselo. Con più coraggio si spostò di nuovo al suo fianco, e l’elfo guardò anche il bambino studiandolo al pari del Cavaliere.

“È vero, ma non siamo qui a disquisire della fedifraghìa di mia madre, oltre a quella di mio padre - anche se non verso il suo matrimonio - . Quali altri ordini ha dato la regina Arya? Potrò sorvolare la foresta fino a Ellesméra o dovrò proseguire a piedi?”

L’elfo biondo si voltò leggermente all’indietro, come se stesse ascoltando una musica inaudibile. 

Osservando bene, Murtagh scorse un occhio verde-dorato grande quanto uno specchio per la divinazione tra le fronde, che non poteva essere di nessun altro se non di Fìrnen. L’elfo tornò a rivolgersi a lui, e sembrava arrabbiato.

Per l’età degli elfi, doveva essere effettivamente giovane e con il sangue ancora eccessivamente caldo, anche se poteva avere raggiunto già cento anni umani. “Potrete volare, ma solo preceduti da Fìrnen e non potrete allontanarvi.” , comunicò loro, sparendo nella boscaglia in un’onda luminosa di capelli dorati. Murtagh corse sul dorso del suo Compagno, assieme al suo assistente, assicurandosi alla sella, appena in tempo per vedere il rettile verde spiccare il volo e allontanarsi al di sopra degli alberi. Con un balzo, Castigo lo raggiunse ancor prima di iniziare a sbattere le ali per trovare la sua quota. Attraversarono una barriera magica senza essere respinti, che fece vibrare i loro tre corpi. Derrel si mise a ridere per la sensazione nuova.

È un piacere osservare le tue squame lucenti, Castigo. , si rivolse per primo a loro il verde, che era più piccolo e più giovane. 

I tuoi artigli sono molto affilati, Fìrnen. Ti ringrazio per averci permesso di volare sopra la vostra foresta. , gli rispose con le usanze dei draghi Castigo, e Murtagh quasi non lo riconobbe. Anche se non era mai diventato uno dei Rinnegati, temeva che il destino del drago di suo padre potesse essere inflitto anche al suo Compagno, facendo tornare anche lui alla sua forma più animalesca. Non osare nemmeno pensarlo! Tu attiri la sfortuna, Murtagh! , lo ammonì solamente rivolgendosi al proprio Cavaliere. 

Ecco, questo è il mio Castigo! Non questo bravo draghetto educato...

Il rosso emise una nuvola di fumo, una dimostrazione di essere contrariato. Nulla di nuovo, perché Castigo era un essere alquanto permaloso. A Uru’Baen ho imparato molto più rispetto verso i miei superiori di quanto tu possa mai sperare di avere, ragazzino! Credi che Shruikan apprezzasse la goliardia o permettesse toni non sottomessi in sua presenza?!

Murtagh rimase zitto, capendo di dover lasciare il tempo al suo Compagno di calmarsi, prima del loro arrivo a Ellesméra. Se per la sua ira avessero combinato qualche guaio, intaccando i rapporti tra gli elfi e gli umani, Nasuada non sarebbe certo stata contenta, al suo ritorno. Volarono per ore prima di vedere le strutture in legno costruite sugli alberi, interi palazzi che cingevano le cortecce. Murtagh esclamò stupito, non avendo mai visto la capitale elfica, ne aveva solo sentito parlare nei suoi studi giovanili. Frugò e prese un taccuino dalle bisacce, schizzando quanto vedeva, per mostrarlo al figlio una volta tornato alla capitale, ora che stava iniziando a vedere il mondo e non solo la luce e i colori. Derrel si sporse per la prima volta oltre la sella, con scomparsa paura, per osservare quel panorama meraviglioso.

“Vi ringrazio, Cavaliere per avermi portato in viaggio con voi!” , esclamò ancora estasiato.

Murtagh abbassò il taccuino, rischiando di commuoversi. Un bambino lo aveva ringraziato, quando lui gli aveva strappato i genitori. Non riuscì a rispondere, perciò il piccolo tornò a pensare a chissà cosa, forse a riflettere cupamente sulle proprie parole, se avessero offeso in qualche modo il Cavaliere. Ma il moro si accorse del suo muso lungo, e lo circondò con le braccia da dietro, per sorreggerlo dalle piccole scosse del volo, ma sapendo che l’altro avrebbe interpretato il gesto come paterno.

Ben presto atterrarono, slacciando velocemente per l’eccitazione i lacci dalle loro gambe, e Murtagh iniziò a volteggiare su se stesso, una volta toccata terra con i propri piedi, per osservare quei così particolari edifici. Era un panorama unico, meraviglioso.

“Cavaliere, ben arrivato.” , una voce disse alle sue spalle. Un altro elfo, dai capelli corvini e gli occhi azzurri, che avrebbe potuto essere scambiato per il suo gemello se non fosse stata per la sua trasformazione non ancora completata, era in piedi con le mani giunte in grembo. Si piegò di lato per poter scorgere meglio anche il bambino dietro Murtagh. “Ben arrivato anche a voi, lord bambino.”

Derrel piegò il busto in avanti prontamente, un sorriso eccitato stampato sul volto.

Con lui i viaggi saranno molto allegri... , commentò Castigo, la sua voce un misto tra il contrariato e il divertito.

“Grazie, anche a nome di Derrel, il mio aiutante in nome dell’Ordine. Potresti indicarmi la strada per il palazzo dove governa la vostra regina?” , gli chiese il Cavaliere, riponendo il taccuino all’interno del suo farsetto. L’elfo annuì e gli fece cenno di seguirlo. 

Rimani qui e non combinare guai. , disse al rettile cremisi, ripetendo poi lo stesso comando anche al bambino. Si appuntò mentalmente che avrebbe dovuto insegnargli al più presto a utilizzare la sua mente per proteggerla e comunicare con loro.

Stavo giusto per dire a te di non combinare guai e di non allontanarti dalla tua guida. , commentò divertito l’animale. Si scambiarono un’ondata di affetto attraverso il legame, poi si separarono. Murtagh e l’elfo camminarono in mezzo a edifici sospesi, alcuni erano simili a giardini pensili ma al posto dei fiori e piante contenevano solo alberi da frutto e cavoli. Iniziarono a salire per delle scale, fiancheggiando tronchi ed edifici. Alla sommità delle scale, si trovarono davanti a quello che doveva essere il palazzo, vista la meraviglia che era quell’edificio, composto da rami e vetri talmente trasparenti da rilucere perfettamente la luce, come le ali di una libellula.

“Da questa parte, la regina vi attende.”

La porta non era presente, solo un enorme arco - che sarebbe potuto essere attraversato anche da Castigo senza problemi - separava l’interno dall’esterno. Arya sedeva su un trono di legno chiaro con lo sguardo spento, in una seconda sala, quella volta dotata di una porta che però era aperta. Murtagh aveva saputo dal fratello che l’elfa aveva accettato il trono per rispettare i suoi doveri verso il popolo, ma non aveva mai anelato alla vita da sovrana. Il contrario della propria moglie, che aveva sempre sognato di poter sedere sul trono di Alagaesia per risollevare la nazione. Nel vederli si alzò, la tunica argentata frusciò a terra mentre li raggiungeva a metà della loro avanzata. Murtagh si inchinò profondamente al cospetto della regina, che congedò in breve l’elfo. Con estrema sorpresa del ragazzo, gli poggiò entrambe le mani sulle spalle. 

“Alzati, Murtagh. Sei qui in veste di Cavaliere, e i Cavalieri non si inchinano l’un l’altro.” , gli disse senza traccia di astio nella voce. Lui si drizzò, guardandola negli occhi verdi dall’alto. 

“È un piacere conoscerti, finalmente. Sei fuggito dopo la Liberazione, prima che potessi rivolgerti la parola per più di qualche battuta, come nel Farthen Dur.”

“Perché avresti dovuto voler conoscere un uomo senza una causa da combattere prima, e traditore poi, come me?” , le chiede studiandola guardingo. 

Lei gli sorrise enigmatica. “Ho potuto vedere come ti sei ribellato al Re Nero, Murtagh, e non sono molto incline di mia predisposizione a farmi influenzare dal pensiero altrui nel giudizio. Avrei voluto sentire da te direttamente cosa avessi da dire riguardo tutta la faccenda.”

Lui la ringraziò con gli occhi, ma non ebbe il coraggio di rispondere. Rimase in silenzio abbastanza tempo, poi notò il tatuaggio indaco sulla spalla. “Avevo bisogno di lavare via la rabbia.” , mormorò con la voce rauca a un tratto, troncando di netto il discorso. Dopo gli ultimi avvenimenti, l’ultima cosa che voleva aggiungere alla negatività era il dolore del ricordo del passato. Lei annuì. Stavano già crescendo a piacersi, riuscivano a leggere quanto poco l’altro apprezzasse le chiacchiere inutili.

“A cosa sei fedele ora, se posso domandartelo?” , gli chiese porgendogli un calice di liquore elfico. Murtagh rifiutò, nonostante non fosse ritenuto cortese, ma non esagerava mai con l’alcool, se non quando era troppo debole e cadeva inesorabilmente nei suoi artigli inibitori per il dolore, così dolci ma al contempo falsi. “Alla Libertà.”

“Mi sarei aspettata una risposta differente.”

Lui alzò un sopracciglio. “‘A me stesso’ , forse?”

La regina annuì lentamente, studiandolo con un luccichio negli occhi di chi pensava di aver intuito un grande segreto. 

Murtagh sospirò. “Un tempo, forse. Ma questo era prima di Castigo e-” , si bloccò. 

Arya aggrottò le sopracciglia, curiosa. 

“Comunque sia… ora sono ritornato e sono qui per aiutarti in nome del popolo umano a ricostruire l’Ordine dei Cavalieri.”

Lei appoggiò il calice con un movimento sinuoso, quasi più rilassato. “Sono felice di sentirlo. Le uova sono ventisei, verranno spartite in due parti uguali numericamente. Per vicinanza noi testeremo le nostre tra il popolo elfico e gli Urgali, gli umani tra voi stessi e i nani.”

“E se nessuna dovesse schiudersi?”

“Dopo una decade le scambieremmo.”

“Non faremmo meglio a testare i bambini abili e portarli al cospetto delle uova, come nel Vecchio Ordine?”

Arya scosse la testa. “Sai meglio di tutti quanta diffidenza ci sia nei popoli per i Cavalieri, non permetterebbero mai che i loro preziosi bambini vengano studiati dalla magia.”

Aveva ragione. “E sia. Posso vederle?”

La regina acconsentì e lo accompagnò in quella che sembrava la biblioteca, una stanza inondata dalla luce calda del sole, adatta per custodire delle uova. Murtagh esclamò quanto più silenziosamente riuscì nel vedere le pietre colorate. Anche il suo Compagno le vide attraverso i suoi occhi e gli trasmise una vampata di calore, l’equivalente della sua estrema gioia per quella visione. Non ci estingueremo!

No amico mio, Eragon ha detto che non sono le uniche queste. E se anche foste gli ultimi rimasti, Saphira sceglierebbe uno di voi per portare avanti la specie. 

Fìrnen vuoi dire. Ho avuto l’impressione dopo la Liberazione che Saphira non provi nulla più della pietà per me. E questo era prima ancora che il terzo uovo si schiudesse, e noi eravamo gli unici individui della nostra specie rimasti, all’epoca… , si lamentò il drago. Murtagh provò tristezza per l’amico squamato - che fece di tutto per nascondere da lui per non infierire sul suo animo inquieto sull’argomento - perché sin dalla prigionia aveva espresso curiosità per la dragonessa e un genuino desiderio di voler continuare l’esistenza dei draghi, ed era sempre incredulo quando l’umano gli rispondeva che dal canto suo questa speranza era per il contrario, ossia che il suo sangue morisse con lui. Eppure la situazione si era ribaltata: Murtagh aveva una moglie e un figlio, mentre Castigo era passato in secondo piano al drago smeraldo, perdendo ogni sua possibilità di avere dei cuccioli. Fino a quel momento. Non disperare, guarda invece quante sono! Non sarai più solo, dal momento saremo noi a formare metà dei cuccioli in queste uova quando si schiuderanno! , gli disse cercando di risollevare il morale al gigante rosso. 

Arya attendeva pazientemente che il Cavaliere tornasse a rivolgerle la sua attenzione. “Perdonami, mia regina, per la mia inerzia di questi momenti, stavo mostrando questa straordinaria distesa dinnanzi a me a Castigo.” , le disse facendo il primo passo verso le uova. Assieme girarono tutto attorno alla struttura, simile a un tavolo foderato con sponde. 

“Come farò a sceglierle?” , le chiese in un sussurro, in preda all’estasi. 

Gli prese la mano con il segno argenteo dei Cavalieri e la poggiò delicatamente sulla superficie di un uovo marrone dalle venature dorate. “Potrai testarle velocemente. Quelle che ti colpiranno e riterrai adatte a umani e nani potrai trasferirle in quel baule e portarle a Illirea.”

Murtagh espanse la sua coscienza alle pietre, toccando di sfuggita le menti dei cuccioli in attesa di qualcuno a cui legarsi. Riuscì a individuare con chiarezza alcune pietre che gli mandavano silenziosamente la propria volontà di legarsi a un essere umano, alcune addirittura a nani. Prese due pietre verdi, una chiara e una scura come le fronde dei pini, una viola, una dorata e tre rosse come le squame di Castigo, una bianca perlescente e bellissima, due blu come il cielo di notte. Passò il palmo sopra all’ultima rossa rimasta e il braccio cominciò a solleticargli. 

“So che è l’ultima di questo colore ma… devo averla.” , la informò con circospezione, continuando a lanciare occhiate furtive alla pietra, che Arya notò. 

“Come mai tanto interesse per quell’uovo rosso? È per caso collegato a Castigo?” , gli chiese mentre glielo metteva in mano. Il formicolio al braccio sinistro continuò. 

“Non c’entra con lui. È una sensazione personale.”

Gli occhi felini dell’elfa lo scrutarono, mettendolo sotto pressione. 

“C’è una cosa che non ti ho detto ancora… So che potrebbe sembrare da pazzi ma sento che questo uovo è destinato a… mio figlio.” , le confessò a bassa voce. 

Lei aprì la bocca. “Tu hai un figlio?! Dov’è adesso? Eragon ne è a conoscenza?” , lo riempì di domande lei. Senza scomporsi, poggiò la pietra cremisi nel baule che gli era stato fornito. “Sì, ho un figlio, molto piccolo. Ha appena compiuto tre mesi e si trova con sua madre al sicuro. Eragon sa tutto.” , rispose con calma. 

Arya sfoderò un enorme sorriso. “È meraviglioso! Un bambino!” , esclamò per poco non urlando, “Perdona l’emozione, ma non è una notizia che si sente tutti i giorni qui. Il nostro popolo è… quasi sterile, crediamo.”

“Magari con queste nuove circostanze…” , provò lui con poca convinzione. 

La regina infatti lo fermò scuotendo il capo. Ci fu una pausa di silenzio tra i due, ma nessuno era a disagio.

Infine lei lo guardò obliqua, gli occhi pieni di un doloroso dubbio. “Nasuada lo sa? So che non sei obbligato a dirle tutti i tuoi segreti, ma… in lei ho notato un interesse particolare per te…”

Con sorpresa lui la fissò di rimando, intensamente. “È stata la prima a scoprirlo… dato che è anche suo figlio.”

“Non può essere!” , gridò strabuzzando gli occhi. 

“Voleva che fossi io a scegliere se svelarti il nostro segreto o meno.” , cercò di spiegarle. La regina si mise entrambe le mani sulla bocca. 

“E secondo le vostre usanze sarebbe l’erede al trono?” , chiese dopo un po’ di tempo che le servì per elaborare la notizia, un sorriso a piena bocca le illuminava il volto. Murtagh annuì. “Siamo stati costretti a sposarci da Galbatorix appena prima della sua caduta. Io non sapevo che fosse incinta quando me ne sono andato.”

“Come può avere già tre mesi? Ne sono passati nove precisi dalla Liberazione. Non è il tempo esatto della gestazione di voi umani?”

“Sono tornato quando Eragon mi ha chiamato per dirmi delle condizioni della regina. Ha rischiato la vita per mettere al mondo il piccolo.”

Murtagh si adombrò e Arya capì di dover abbandonare quell’argomento, ma prima lo andò ad abbracciare. Murtagh aspettò impietrito che quel contatto terminasse, per poi prendere il restante numero di uova che doveva trasportare con sé, una nera e quella marrone. 

“Verrò a conoscerlo presto con piacere, allora. Com’è?” , gli chiese ritrovando l’euforia della notizia della giovane vita. 

Murtagh sorrise. “È un bambino molto determinato e forte, come Nasuada del resto. Purtroppo assomiglia a me in aspetto, non ha ereditato la bellezza esotica della madre. Solo un po’ di calore nella pelle.”

“Com’è? Avere un figlio intendo…” , ribadì lei con una punta di tristezza. Se il suo popolo fosse stato veramente sterile avrebbe visto più elfi morire dei nati, e non avrebbe mai sperimentato quella gioia personalmente. Il Cavaliere rosso si strinse nelle spalle. “Una sfida, piuttosto spaventosa se devo essere sincero. Eppure totalmente meravigliosa. Quando verrai a Illirea potrai passare tutto il tempo che vorrai con lui e averne la prova da te.”

“Sono lieta di vederti finalmente più sereno.” , gli disse dopo una lunga pausa di silenzio, avvicinandosi al ragazzo e poggiandogli una mano su una spalla, “Non osare mai pensare di non meritarti questa felicità, Murtagh. Nel Farthern Dur le persone iniziavano a vederti per quello che sei veramente, e anche stavolta dovrai solo dimostrare di meritare la loro benevolenza.”

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Capitolo 30
*** Nemici nell’ombra ***


Una figura incappucciata camminò dentro a un vecchio castello diroccato. Il suo passo era sicuro, come se lo conoscesse. Che ne è stato della nostra gloria, del nostro potere?
Si aspettò che una voce rispondesse, ma solo il silenzio dilagò immobile come sempre. Lunghe gambe ripresero ad avanzare, su per numerose scale in pietra sconnessa fino ad una sala con un focolare. “Brisingr.” , mormorò una voce piena di determinazione, la voce di un guerriero. 
Una luce si accese nell’incavo nel muro spesso, rivelando un grande tavolo con numerose sedie divelte e impolverate. Un nuvolo di pipistrelli si levò per l’apertura nel tetto crollato. 
Stupidi castelli! Basta qualche anno di mancata manutenzione e crollano inesorabilmente. Quell’Ajihad era promettente come gestore di questo posto, prima che tradisse il mio amico.
Gli tornò alla mente il volto della principessa delle popolazioni nomadi che avevano rapito e tenuto in quel castello prima di scortarla da Galbatorix perché la prendesse in moglie. Eppure, quella creatura così bella da sembrare una divinità era stata convinta dall’uomo dalla carnagione d’ebano a fuggire assieme a egli. L’inseguimento era costato la vita al Cavaliere elfo, anche se nessuno conosceva le vere circostanze della sua morte.
Stupido Enduriel, il tuo drago è sempre stato di gran lunga più sveglio di te.
Dei passi risuonarono alle sue spalle. La figura incappucciata scoprì il capo, lampi di luce proiettati sulla pupilla grigio-azzurra. I capelli corvini sembrarono andare a fuoco per il colore che assunsero. Il colore del suo drago. Il colore del sangue che le sue spine avevano fatto sgorgare dai fianchi dei loro nemici. 
“Vi ho aspettato a lungo, padrone.” , disse la figura dai capelli rossi naturali.
L’altra, decisamente più alta - quasi quanto un elfo - , annuì. “Sono venuto a riprenderti. Non dovrai più vivere qui nascosto. Ti riporterò a casa e insieme faremo di te un Cavaliere come è tuo destino.”
L’uomo dai capelli rossi e le orecchie appuntite scoppiò a piangere. “Padrone! Siete sempre stato più magnanimo di mio padre. Avrei scambiato volentieri il posto con l’altro per essere io vostro figlio!” , disse cadendo in ginocchio davanti alla figura dal mantello cremisi.
“Aiutami nel mio obiettivo e sarai ricompensato. Sono decadi che parliamo di questo piano, è il momento di agire!” , tuonò la voce. L’altro si tirò in piedi, smettendo di piangere per la commozione. “Enduriel, Galbatorix, Ajihad, Nadara… sono tutti morti. Tutti quelli che avevano conosciuto, non ci saranno più d’intralcio.” , pronunciò l’uomo alto con emozione nella voce.
Aye, mio padrone.” , confermò l’uomo dai capelli di fuoco, stringendo a sé un vaso di vetro.
L’uomo dai capelli corvini ed estremamente lucenti, tanto da riflettere come uno specchio il movimento delle fiamme, notò quell’oggetto.
“Cosa hai lì, figlio del mio amico?” , gli chiese alzando un sopracciglio che sembrava l’ala di un gabbiano. Il fulvo spostò la giara con cautela di fronte all’uomo alto, mostrando un feto dentro un liquido giallastro. L’uomo dai capelli rossi sorrise alla sua reliquia, mentre l’altro distorse il naso.
“Che diamine stavi combinando mentre aspettavi il mio ritorno?” , esclamò con disprezzo, temendo che fosse diventato folle nell’attesa.
L’altro lo guardò confuso. “Non sono pazzo, padrone. Ho ritrovato questo nel bosco al nord seguendo l’obiettivo.”
Le pupille dell’alto fioccarono velocemente sul volto pallido del mezz’elfo. “Lo hai incontrato?”
L’altro scosse il capo, poi un sorriso sadico si allargò sul suo volto. “No, padrone. Però ho scoperto qualcosa di molto interessante... Questo è un gemello ucciso dall’altro nel grembo di sua madre, la regina, che è stato seppellito nel bosco in gran segreto.”
L’uomo dai capelli corvini strinse le labbra. “Perché uno dei figli della giovane regina sarebbe stato seppellito nel bosco in segreto?”
Il fulvo rise. “Non è ovvio? Questo bambino è del Cavaliere rosso!”
L’altro sussultò per la notizia. “Il Cavaliere e... la regina?”
Il mezz’elfo annuì compiaciuto dalle notizie che aveva portato al padrone. “Sono passati solo sette mesi dalla morte di Galbatorix... Un informatore mi ha detto che sono stati sposati dal re in persona.”
Una pupilla chiara fissò il fuoco distrattamente. “Una notizia a dir poco stupenda. Questo rende il piano ancora più semplice se Murtagh è il re.”
Una donna apparve dietro al mezz’elfo. I suoi capelli castani sembravano più scuri nell’ombra. Lanciò una breve occhiata all’uomo alto. “La notte non durerà ancora a lungo. Dobbiamo raggiungere Dras-Leona senza essere visti.” , comunicò con distacco.
Posò per un attimo lo sguardo sulla reliquia, alzando il labbro superiore a snudare i denti. “Che diamine...?”
“Parla piano, moglie. Ti spiegherò di chi è il sangue di quel bambino strada facendo. Dovremo rivedere il piano...”
Lei incrociò le braccia. “Perché a me?”
“Perché sarai tu ad avere un ruolo attivo e non il figlio del mio amico. Tuttavia entrambi sarete i miei occhi alla capitale...”
“Alla capitale? Siamo venuti da quel posto puzzolente, dovremmo ritornarci?!”
L’uomo alto la ignorò per avvicinarsi al mezz’elfo. Gli posò una mano su una spalla per un istante.
“Ora andiamo, Ailill, questo posto mi disgusta.” , disse seccamente la figura slanciata voltandosi su sé stesso con un turbinio del mantello. Il mezz’elfo seguì fedelmente l’altro all’esterno, dove tre cavalli da guerra neri come la notte  senza stelle li attendevano. La donna fu l’ultima ad abbandonare la stanza, prima di aver spento le fiamme con lo sguardo e la rabbia che le bruciava dentro. 
Riporterò in vita il ricordo, e la paura! Le persone si prostreranno ai miei piedi con terrore negli occhi! Galbatorix sarà stato uno stupido a farsi sconfiggere, ma io non sarò sprovveduto. Sono il mago più potente di questo regno, e il trono sarà mio!

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Ciao!
Siamo al capitolo 30, che volevo servisse a ingranare la marcia per la storia. Ecco allora un capitolo, ambientato poco tempo prima il tempo della mia fan fiction, all'incirca al momento del ritorno di Murtagh, in cui si presenta chi ordisce contro la nostra coppia preferita. È il ricordo fisso di uno dei personaggi di questo capitolo, per questo è scritto tutto in italic. Spero vi piaccia!
Fatemi sapere cosa ne pensate, e ricordate che le critiche (costruttive) sono sempre ben accette!

EllyPi.

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Capitolo 31
*** Una casa per le uova ***


Murtagh atterrò a Illirea un giorno dopo aver lasciato Ellesméra, senza soste. Scese dal dorso del drago con Derrel tra le braccia, talmente stanco e non abituato ai ritmi di un viaggio veloce, da non essersi riscosso con il brusco atterraggio. Stava piovendo pesantemente, un temporale che preannunciava l’arrivo della primavera. Chiamò quanto più piano possibile qualcuno per portare il bambino all’interno, ma non rispose nessuno, la sua voce coperta dallo scroscio della pioggia. Vide la luce di alcune candele nella biblioteca e la figura di Maeve passare davanti alla finestra. Allungò la mente per chiederle di scendere, ma rimase impietrito quando vi trovò un muro praticamente invalicabile. Si morse il labbro per la stranezza, ma si riscosse per muoversi al più presto verso l’interno, o il lord avrebbe preso un raffreddore di quelli forti. Mentre percorreva i corridoi, la domestica castana apparve da dietro un angolo come un fantasma. Era abituato alla presenza di scorciatoie nei muri, ma non sapeva lei ne fosse a conoscenza. Forse, d’altronde, era stata Farica a istruirla su come muoversi più velocemente quando chiamata dai suoi padroni, si tranquillizzò Murtagh.
“Bentornato, Cavaliere.”
Gli sorrise senza dire null’altro o dimostrarsi agitata - segno che il Cavaliere interpretò come mancanza di segreti da nascondere - , allungando le braccia coperte da una cappa in lana asciutta, presa per Derrel. Murtagh glielo passò lentamente, attento a non disturbarlo, poi le sussurrò di riportarlo nel suo letto. Lei fece una riverenza, poi sparì nell’oscurità dei corridoi.
Il ragazzo dai capelli corvini tornò all’esterno, per estrarre il baule dalla sacca spaziale. Castigo nel frattempo si era riparato sotto la struttura di vetro e metallo fatta costruire da Nasuada, gongolando perché poteva asciugarsi e non svegliarsi l’indomani umido.
Salì lo scalone con il baule appoggiato sulle spalle. Bussò alla porta-finestra della stanza da letto, chiusa meccanicamente, oltre che dai suoi incantesimi. Fu Nasuada ad accorrere, rimanendo sorpresa a guardarlo, con occhi sbarrati. Le indicò i capelli fradici per farla riprendere, così la regina lo fece entrare. Gli saltò al collo con un gridolino, sfregando il capo al suo.
“Mi sei mancato!”
Lui ridacchiò. “Sono stato via davvero poco!”
Lei allentò la presa, scivolando a terra. “Sì, ma sei stato via così tanti mesi prima di tornare!”
Murtagh annuì, indicando poi il baule appoggiato a terra. “Ho recuperato le uova.”
Lo aprì, mostrandogliele. Nasuada rimase senza parole per molti istanti, davanti alle uova di molti colori, le mani premute sulla bocca. S’inginocchiò davanti al baule, sfiorandole con le dita tremanti. “Sono bellissime. Non ne avevo mai vista una, prima d’ora.” , mormorò infine.
Murtagh si inginocchiò accanto a lei, posandole un bacio veloce sul collo. “Per te, mia regina.”
Lei scosse il capo, con un sorriso. “No, appartengono al popolo. A proposito: avete discusso tu e Arya di quale sarà il tuo dominio?”
Il Cavaliere annuì, incupendosi leggermente. “Arya insiste perché sia io a recarmi dai nani, per pura questione di vicinanza.”
Nasuada rimase pensierosa qualche tempo, poi scrollò le spalle. “Non possiamo ribadire, perciò dovrai fare in modo che i nani ti lascino entrare nelle loro città.”
“Sì, ma l’hai detto tu stessa che non potranno mai perdonarmi.”
La regina espirò a lungo, cercando di rilassarsi. Lo fissò negli occhi poi. “Tu sei un Cavaliere al pari di Arya o Eragon. Che piaccia o no a Orik, tu sei la scelta della regina degli elfi e la mia.”
Incrociò le braccia, tamburellandosi un dito sulla pelle. “Se tu volessi chiedere a Eragon di intercedere un’altra volta per te...”
Il ragazzo sospirò. “E va bene, contatterò Eragon.”
Nasuada annuì, poi un barlume di curiosità le illuminò visibilmente il volto. “Perché credi che ad Arya interessi la vicinanza dei popoli?”
Murtagh fece spallucce. “Se la razza umana non comprendesse anche me, si potrebbe dire allora che il nostro popolo è quello che va completamente d’accordo con gli abitanti delle montagne. È già meno vero nei confronti degli elfi, visti con un occhio sempre di timore, o per gli Urgali, ritenuti primitivi.”
“Questo è vero. Come ti è sembrata, ora che l’hai conosciuta meglio?”
Il Cavaliere rimase in silenzio per un istante, in cerca di parole per descrivere il loro incontro strano. “Può sembrare enigmatica probabilmente a un occhio esterno, ma io ho capito subito che ha un grande macigno sulle spalle. Forse il suo stesso popolo? Non so per quale motivo, ma... mi ha fatto una domanda sulla mia fedeltà che non mi sarei mai aspettato di sentire da un altro Cavaliere come me, specialmente uno che millanta di non farsi vincere dai pregiudizi sentiti da bocche altrui. Era una domanda che mi sarei aspettato in guerra.”
“Intendi che ti ha chiesto se sei più fedele a me, in quanto regina del tuo popolo oltre che a leader che hai scelto tu autonomamente, o all’Ordine?”
Murtagh annuì. “Ma non sembrava una domanda solo rivolta a me. Pareva come se... lo stesse chiedendo anche a sé stessa.”
“Sì, beh, Arya ha sempre avuto una morale ferrea riguardo all’importanza di seguire il suo popolo. Hai notato il suo tatuaggio?”
Murtagh scosse il capo.
“Sì chiama Yawë, è un simbolo elfico.”
“Eragon aveva un anello con lo stesso simbolo, di Brom.” , si ricordò Murtagh.
La moglie annuì. “È un simbolo che indica la fedeltà assoluta al popolo elfico. Chi lo ha è legato dall’onore ma soprattutto dal dovere al popolo elfico. Ho sempre pensato che Arya si sarebbe tirata indietro per colpa di quella stupida tradizione prima o poi, pur di preservare il suo popolo. Dobbiamo fare in modo di non metterla mai alle strette.”
“Non mi è sembrata, tuttavia, una persona disonorevole.”
La regina rise. “Non intendevo dire questo. Come tu sai bene, Murt, a volte un giuramento può rivelarsi una lama a doppio taglio.”
Il Cavaliere annuì serio, fissando le pietre traslucide e colorate. “A parte questa stranezza, so di poter collaborare proficuamente con lei.”
Nasuada gli baciò la tempia soddisfatta, rialzandosi. Si mise una cappa sulle spalle. “Andiamo, ora ti mostrerò dove terremo le uova.”
Lo portò nelle profondità del castello, vicino alla Volta, dove un tempo i draghi si rifugiavano a riposare in quella grotta naturale. In una stanza attigua - a cui si accedeva da un arco, visibilmente ricavato di recente nella roccia, di cui lui non ricordava - , il calore del sottosuolo saliva, rendendo l’aria calda e sulfurea, perfetta per tenere le uova dei grossi rettili alati. “Che ne dici?” , gli chiese con un sorrisetto.
Murtagh non riuscì a rispondere. Sistemò le uova nella stanza, fermandosi poi a guardarle. “È il posto perfetto per loro.”
Nasuada si appese al suo braccio. “Sì, Cavaliere. Questo è il tuo passato e il tuo futuro, la tua vera eredità.”
“E pensare che Castigo dormiva nella Volta, quando eravamo schiavi. Eravamo totalmente ignari di questo posto.” , mormorò estasiato Murtagh.
“Perché Galbatorix voleva farti credere che essere un Cavaliere fosse qualcosa di unico ma in negativo, come se pochi dovessero soffrire una tale sfortuna. Come se solo lui, che possedeva le uniche tre uova rimaste, disponesse della vita di quegli animali e dei loro Compagni.”
Nasuada non poteva sapere, salvo che Arya le avesse raccontato dove avesse ritrovato l’uovo di Fìrnen, che Galbatorix teneva veramente le uova nella sala del tesoro, che non conteneva ori o gemme preziose, ma le spade di tutti i Cavalieri uccisi dai Tredici, e qualche reliquia magica rara. Il tesoro del re precedente era, a tutti gli effetti, più un museo della morte e della disperazione che era riuscito a ottenere con una guerra sanguinosa.
La guardò con gli occhi leggermente lucidi e la ragazza dalla pelle scura si sporse, per circondargli la guancia con la mano sottile e nodosa. “È tardi, e la stanchezza ti sta provando, Amore mio.”
Lui confermò con il capo, stringendola per un istante nel suo abbraccio caldo. Le poggiò una guancia sui capelli, respirandole l’odore.
Quando fu tornato in sé, tornò dritto e le prese la mano, trascinandola all’esterno e poi su per le scale, fino alla loro stanza da letto.
“Va’ a farti un bagno, ho chiesto a una domestica di prepararti dell’acqua calda. Nel frattempo io invierò a Eragon un messaggio, dicendogli che hai le uova.”
Murtagh esitò. “Non potresti chiedergli di intercedere?”
Nasuada si poggiò i pugni sulle anche. “No, Cavaliere. Voglio che tu parli con tuo fratello!”
Lui sospirò, spostandosi nell’altra stanza e immergendosi nella vasca da bagno. Il calore sciolse la stanchezza e i dubbi. L’intercessione era a suo favore, perciò era suo dovere come minimo pregare Eragon di fornirgliela.

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Capitolo 32
*** Promessa a due amici ***


Roran e Katrina furono i primi a scendere dalla carrozza, tirandosi dietro la bambina dal capo di fuoco, che camminava ancora meglio della volta precedente che Murtagh l’aveva vista. Dopo di loro, apparvero da un’altro carro coperto e decorato, Elain e Horst, che sembrava un gigante ripiegato in una scatola minuscola. Infatti, una volta toccato il terreno, la sua testa spiccava completamente oltre l’altezza della carrozza. Nasuada avanzò prontamente per salutarli, andando prima dal conte, poi dalla moglie, attendendo che si svolgessero i rituali soliti a cui si era abituata da quando era stata nominata regina. Elain l’accolse quasi come una madre: la prese per le spalle delicatamente, poi si scostò all’indietro per vederla per intero. “Vostra maestà, si vede che siete ritornata in salute!”
Nasuada la ringrazio con delicatezza, ma le punte delle sue orecchie erano quasi viola dall’imbarazzo. Fortunatamente, solo il Cavaliere riuscì a notare quel dettaglio, conoscendola meglio di tutti, poiché il pigmento nella pelle copriva la reazione piuttosto bene.
Murtagh si fece avanti anche lui, salutando il cugino, che lo abbracciò senza eccessivo calore, ma comunque familiarmente, poi la moglie. Scompigliò i capelli rossi alla bambina con un sorriso, prima di andare davanti al fabbro e alla consorte. Horst lo braccò in una stretta, che quasi lo soffocò. “Carvahall è rimasta ormai senza le braccia forti e laboriose dei miei figli, e devo dire che anche le vostre non mi dispiacevano.”
Murtagh ridacchiò tra sé a quell’impacciata dimostrazione di affetto, ricambiando la nostalgia per il villaggio. Elain lo salutò di cuore, diventando poi paonazza quando Murtagh le baciò la mano.
“Bene, da questa parte.” , pronunciò Nasuada.
Mentre si dirigevano in uno dei salotti privati della regina, Elain sospirava estasiata entrando in ogni corridoio. Evidentemente non era mai entrata in un castello, men che meno in quello reale.
Si accomodarono accanto al camino, che aveva solo qualche residuo di brace per scaldare i freddi muri di pietra. Elain sedeva accanto al marito, la mani giunte che tremavano leggermente per l’emozione. Roran sorrise loro. “Non dovete essere così preoccupati, perché sono i vostri figli a chiedervi l’approvazione per i loro matrimoni.”
Horst alzò il capo, guardandolo duramente. “Sono più emozionato in questo giorno, di quello di tantino anni fa in cui ho chiesto la mano di Elain a suo padre. Quando verrà il tuo turno di vedere tua figlia sposarsi, capirai il groviglio che è il mio stomaco ora.”
La moglie gli accarezzò una guancia. “Siamo tesi di non piacere a quelle due giovani donzelle.”
Murtagh si mise una mano sul cuore. “Non vi conosco a fondo, e nemmeno da molto, ma siete due persone stupende. Anche se non doveste piacere alle amate dei vostri figli in un primo momento, voglio rassicurarvi che arriveranno ad apprezzarvi immensamente.”
“Ti ringrazio, Cavaliere.” , rispose Horst, poi scattando in piedi quando una guardia bussò alla porta, annunciando attraverso il legno i gemelli con le due ragazze.
Anche Elain si alzò, più lentamente, sistemandosi l’abito. Nasuada aspettò con grande rispetto a permettere di entrare ai due fabbri, che la madre le facesse un cenno di essere pronta.
Albriech e Baldor fecero capolino, con due grandi sorrisi. La sala era grande, ma sembrava gremita al loro arrivo. Forse era dovuto all’energia che emanavano i giovani, dovuti all’emozione di essersi innamorati.
Si inginocchiarono davanti alla regina, ringraziando Murtagh per la disponibilità, poi al conte con la moglie. Roran li abbracciò entrambi come fratelli, poi si presentò con meno irruenza alle due spose.
Infine, i due si spostarono di fronte ai genitori, le due giovani subito dietro.
“Madre, padre, chiedo la vostra benedizione per la mia sposa.” , disse Baldor, piegando il capo davanti ai genitori, la ragazza dai lineamenti unici accanto a lui. Aveva i capelli quasi più scuri di Murtagh, per quanto possibile, la pelle lievemente abbronzata, sovrastata da due occhi sottili e appuntiti, le iridi nere come la pece. Come il lui era stato ammaliato dall’esoticità dei lineamenti della regina, rimase colpito anche da quelli della sposa del suo amico.
Horst emise un grugnito, facendo alzare di scatto il capo della giovane, con il volto colmo di consapevolezza di non aver incontrato l’approvazione del padre del suo amato.
Appena il fabbro se ne accorse, si sbrigò a dire: “Figlio mio, hai la benedizione di tuo padre per il matrimonio.”
La ragazza espirò sonoramente, e il futuro marito le saltò al collo. Murtagh tossì leggermente, facendoli tornare composti, come si addiceva alla corte.
“Come vi chiamate?” , chiese Elain.
“Mizuki.” , rispose mormorando.
Baldor si tirò dritto. “I genitori della mia amata vorrebbero incontrarvi.”
Horst alzò le sopracciglia sorpreso. “Certamente. Si trovano in città al momento?”
Il figlio annuì. “Sono mercanti di ceramiche, per questo non sono potuti essere qui al vostro arrivo. È in questo momento della giornata che si può vendere in maggior quantità.”
“Tuo padre ha spento la fucina per recarsi qui.” , commentò burbero il fabbro.
Albriech si staccò dal fianco dell’amata per accorrere in aiuto del gemello. “Padre, non era intenzione dei genitori di Mizuki offendervi. Anzi, so che vi è un regalo per voi di scuse per l’assenza.”
La giovane dagli occhi affilati annuì, voltandosi indietro per fare cenno a un servitore. Questo sparì fuori dalla stanza, poi il rumore di un carretto da interni - con le ruote lignee foderate di cuoio - si udì. Questo ritornò lentamente con un servizio finissimo di terraglie, smaltate di rosso cremisi.
Elain passò le dita sugli oggetti, scuotendo il capo. “Non posso accettare.”
“Perché?” , chiese Baldor.
“Non abbiamo bisogno di tutto questo, siccome le cerimonie verranno completamente coperte finanziariamente dal Cavaliere Murtagh. Sono numerosi pezzi, e preferirei li teneste voi, per condividerli con gli ospiti della vostra casa, e con la famiglia che tuo fratello, Baldor, si farà.”
“Sono d’accordo con tua madre, figliolo.” , aggiunse Horst, voltandosi poi verso Mizuki, “Spero che il malinteso che il mio commento ha provocato sia risolto.”
Mizuki annuì, facendo sussultare i capelli corvini sulla sua schiena.
Il ragazzo girò attorno al carro, abbracciando i genitori. “Vi voglio bene.” , sentì Murtagh uscire in un sussurro dalle labbra di Baldor. Sorrise involontariamente, stringendo una mano della moglie tra le sue. Nasuada alzò il mento verso il suo volto, rispondendo al sorriso.
Il marito si piegò vicino al suo orecchio. “Mi sento sollevato di non aver dovuto subire questa ansia anche per il nostro matrimonio. Beh, non che se avessi chiesto a tuo padre la tua mano, me l’avrebbe concessa.”
Nasuada perse il sorriso. “Se le cose fossero andate diversamente dopo la battaglia del Farthen Dur, e tu avessi dimostrato il tuo coraggio, dichiarandoti a me, mio padre avrebbe accettato.”
“Dici sul serio?”
La regina annuì quasi impercettibilmente. “Ovviamente se fosse stato in vita per vedermi rapire da te, e poi voler diventare mio marito una volta terminata la guerra - ipoteticamente - non avresti avuto alcuna speranza.”
Il Cavaliere si morse il labbro. “Non ti avrei domandato di spendere la vita con me, dopo la guerra.”
“È comprensibile.” , disse tornando di umore neutro, “Mi hai messo curiosità: avrei io incontrato i gusti di tuo padre e di tua madre?”
Murtagh fissò la moglie negli occhi. “Nello stesso modo con cui Galbatorix provava ammirazione per te, così sarebbe stato per mio padre. Mia madre... non so cosa avrebbe pensato lei. Nè so che tipo di donna avrebbe sperato di vedermi al fianco.”
“Avrebbe guardato alla tua sicurezza d’immagine, ma anche alla tua felicità, come ogni madre.”
Il marito scrollò le spalle, tornando a guardare dritto davanti a sé.
Albriech fece un cenno alla propria amata, perché lo raggiungesse. Mise nel mentre le mani sulle spalle del gemello, da dietro. “Fratello, ti chiedo ora di lasciare a me l’onore di presentare la mia sposa ai nostri genitori.”
Baldor annuì e assieme alla giovane esotica indietreggiarono di qualche passo.
“Miei amati genitori, vi presento oggi la giovane che vorrei sposare, perché possiate valutarla.” , disse in tono formale Albriech.
Elain annuì, chiedendo anche alla seconda ragazza il proprio nome.
“Rowena.”
La giovane scelta dal gemello più grande era una tipica giovane di Alagaesia, proveniente dalla capitale. Aveva lunghi capelli di castano chiaro, ben acconciati, e un vestito che indicava una provenienza agiata. Siccome i due fabbri avevano spesso a che fare con il mondo dei mercanti, probabilmente anche la seconda sposa proveniva da una famiglia di ricchi venditori. Gli occhi verdi della giovane incontrarono quelli dei suoceri.
“Per evitare quanto successo con Mizuki, mi limiterò a darti la mia benedizione, figliola.” , proferì Horst, ancora molto emozionato.
Elain annuì, poi sorrise alle due giovani, rassicurandole di avere anche la sua approvazione.
Nasuada chiamò una serva, sentendo i convenevoli giungere al termine. La chioma bionda di Alfhild fece capolino inchinandosi.
Avanzò come da ordine della sovrana fino alle due ragazze, scortandole all’esterno. Murtagh le salutò tutte e tre con attenzione.
“Conoscete bene il Cavaliere?” , sentì Rowena domandare alla bionda.
Questa sorrise loro. “Come voi, sono stata fortunata di ricevere la sua protezione. Anche il mio matrimonio è stato organizzato da lord Murtagh.”
I due gemelli si voltarono verso il Cavaliere e la moglie, facendo una riverenza. “Vi ringraziamo nuovamente per averci donato una vita piena di possibilità. Siamo onorati di avere Sua Maestà che ci governa e ci protegge, e anche dell’amicizia del Cavaliere del Drago.”
Murtagh avanzò, abbracciandoli. “È un onore per me poter essere chiamato ‘amico’ da voi.”
Albriech e Baldor si staccarono, richiamati dal padre. “Andiamo, giovanotti, dovete farmi vedere la fucina di Illirea.”
“Andate.” , li incitò il Cavaliere, con una pacca sulla spalla di uno, ricordandosi subito di mostrare affetto anche all’altro. Si domandò come fossero riusciti i loro genitori a raddoppiare sempre le loro dimostrazioni d’affetto.
I gemelli uscirono assieme ai genitori, lasciando i due cugini e le due donne nella stanza. Katrina prese tra le braccia Ismira, guardandosi intorno in attesa di cosa fare.
Nasuada si staccò dal marito, prendendo il gomito della fulva. “Permettimi di mostrarti le vostre stanze.”
Prima di uscire, Katrina fece una riverenza ai due uomini.
Roran si grattò la nuca, imbarazzato dalla rigidità dei comportamenti da tenere a corte. “Allora, cugino, che cosa fa un lord nella capitale?”
“Amministrare il patrimonio, aiutare la regina nelle decisioni, scrivere missive... Ci sono anche attività divertenti però, come allenarsi nella scherma o cavalcare fuori la città.”
Essendosi scoperto appassionato di cavalli, Roran drizzò le orecchie - anche se per quanto la sua fisiologia glielo permise - . “Mi mostrerai le scuderie?”
Murtagh alzò l’indice. “Abbiamo un’ultima commissione prima, poi il matrimonio sarà organizzato per intero.” , pronunciò orgoglioso, superando il cugino e aspettandolo dopo qualche piede, facendosi seguire.
Lo portò nella bottega di un sarto, tappezzato dei più bei tessuti esistenti. Roran si guardò intorno entusiasta.
“Credi ci sia qualcosa che possa piacere a tua moglie?” , chiese al conte, con un sorrisetto sornione sul volto.
“Non ci provare a insinuarlo. Katrina non si può comprare.”
Murtagh roteò gli occhi. “Scusa, stavo solo pensando che Ismira è purtroppo nata prima che mia moglie cambiasse la legge, introducendo la successione per assoluta primogenitura.”
Roran si accigliò. “Pensa alla tua, di famiglia.”
Da una tenda, apparve un anziano dall’aspetto rispettabile, con un sorriso da mercante sul volto. Il Cavaliere sfilò dal farsetto un pezzo di pergamena, porgendolo all’uomo. Questo lo prese con mani piene di macchie dell’età, poi si irrigidì. Alzò lentamente gli occhi sul ragazzo moro.
“Milord, l’ordine è stato bloccato.”
“Come, bloccato? Il matrimonio è tra pochissimo!” , chiese Murtagh stupito.
L’uomo annuì, facendogli vedere di sfuggita la nota proveniente dalla banca di Dras-Leona, che dichiarava che non avrebbe spedito il denaro richiesto. Murtagh imprecò, mentre Roran sbiancò per la situazione spiacevole. “Diamine, è la seconda volta che succede. Si può sapere chi è l’incompetente che apre le mie missive? Non sanno che sono il loro lord?!”
Roran fece un passo avanti. “Sono un lord da meno di un anno, ma i terreni che tua moglie mi ha garantito hanno dato molto frutto, perciò posso pagare io.”
Murtagh sbatté una mano sul bancone, davanti al sarto. “No, non va assolutamente bene! Controllo ogni luna la situazione economica del ducato, e potrei ricomprare tutta Alagaesia se volessi! Perché i lavoratori della banca non hanno inviato i soldi, mi chiedo!”
“Pare che sia arrivato un contrordine, milord.” , disse mestamente il sarto, inforcando delle stanghette di metallo con due vetri incastonati, in corrispondenza degli occhi.
Murtagh alzò un sopracciglio. “Un contrordine? Io sono il lord, a parte mia moglie nessuno amministra i miei terreni!”
“Forse dovresti calmarti e chiedere alla regina Nasuada.” , propose Roran mettendogli una mano sulla spalla. Murtagh fece un respiro profondo, calmandosi. “Sì, forse c’entra lei. In tal caso non posso farci nulla. Userò questi.”
Sfilò dalla cintura una sacca di monete d’oro, tutti i suoi contanti, per aprirla davanti all’artigiano.
Questo fece un inchino. “Milord, con questi potremmo pagare l’intero matrimonio, non solo il pizzo surdano per gli abiti!”
Roran impallidì. “Credo, cugino, che sia un po’ troppo addirittura il pizzo surdano. Albriech e Baldor non distinguerebbero la differenza dal lino alla canfora!”
Murtagh alzò un sopracciglio. “Ho promesso loro un matrimonio per cui non avrei badato a spese.”
Il castano chinò il capo in avanti, scuotendolo leggermente. Sospirò, poi tornò ad alzarlo. “Capisco che tu sia l’uomo più ricco di questa terra, ma ci sono modi migliori dove spendere i tuoi soldi. Basteranno tessuti pregiati, ma non eccessivi. Hai già fornito loro un futuro di benessere, pagando il loro apprendistato. Sono sicuro che non pretendano da te un matrimonio regale.” , gli batté più volte la mano che non aveva tolto dal suo farsetto sulla spalla, “A quello già ci sta pensando tua moglie per voi, com’è giusto che sia.”
Ridacchiarono insieme, poi Roran tornò serio. “Pensa piuttosto a comprare loro una casa più grande, con ciò che risparmierai.”
Murtagh annuì. “Va bene, investimento sul loro futuro. Quante camere pensi che serviranno loro? Sei, sette?”
“Sono gemelli, se si mettessero a sfornarne a loro volta, si troverebbero pieni di marmocchi in brevissimo tempo!”
Il Cavaliere si adombrò, voltandosi con lentezza verso il sarto. Contò alcune monete, porgendogliele con freddezza. “Mettetevi al lavoro, create gli abiti più belli per questa cifra. Le spose arriveranno nel pomeriggio.”
“Sì, milord.” , mormorò l’uomo, lievemente spaventato. Prese velocemente i soldi, poi sparì nel retrobottega.
Roran si morse il labbro. “Mi dispiace, cugino.”
Murtagh scosse il capo. “Non preoccuparti, ora siamo pari.” , disse superandolo e uscendo.

Il giorno del matrimonio doppio era finalmente arrivato. E per Murtagh, quello era il secondo matrimonio a cui assisteva, escluso la triste cerimonia che lo aveva unito alla futura regina di Alagaesia, in una squallida cella che odorava di sangue.
Fu Nasuada a svegliare Murtagh, con un bacio sul collo e una risatina eccitata. “Alzati e risplendi, Cavaliere.”
Mh, non è il caso di tenere tutta questa euforia per quando sarà la nostra ora?” , si lamentò lui, alzandosi piano a sedere. La sera precedente lui e Roran si erano fermati nello studio del Cavaliere per parlare a quattr’occhi da cugini, anche se alla fine avevano solo parlato di caccia, la nuova passione di Fortemartello. Questo aveva portato con sé una buona bottiglia di whiskey, e le parole erano state accompagnate da almeno due bicchieri a testa. Sinceramente Murtagh non ricordava come fosse tornato nel suo letto - non ricordandoselo - , anche se non era di certo arrivato nemmeno lontanamente vicino al suo limite.
Nasuada si alzò da letto, mentre Maeve entrava nella stanza, dopo Farica, con un’espressione torva ma al contempo preoccupata in volto. I suoi occhi castani non si spostavano dal Cavaliere, tanto che questo temette che Nasuada si sarebbe ingelosita.
“Ringrazia Maeve di averti riportato qui ieri notte, quando barcollavi per i corridoi al buio, perso.” , disse con sarcasmo la regina, mentre abbandonava la sua veste da notte a terra, per scavalcarla in tutta la gloria del suo corpo scuro e nudo.
Ma il Cavaliere non ci prestò troppa adorazione, perché era intento a non morire di vergogna sotto agli occhi di Maeve. Certo che anche lei si trovava in giro per il castello non certo a un’ora consona per una signora.
“Lasciate che vi prepari un bagno rinvigorente, mio signore. Il vostro colorito è verdognolo...” , disse proprio la domestica castana, sparendo nella stanza da bagno prima che lui potesse trovare la forza di ringraziarla, mordendo il suo orgoglio.
Si sfilò da letto per immergersi nell’acqua tiepida, un vero toccasana per la mattina dopo una nottata alcolica. Quando si sentì di nuovo in forze per alzarsi, uscì e si vestì almeno degli indumenti che gli erano stati preparati dalla domestica.
Notò che fossero abiti nuovi, di un meraviglioso color pavone, in velluto, dai ricami arabeschi cremisi. Tolse l’umidità dai capelli con la magia, tornando poi nella stanza da letto. La regina, già pronta, si alzò dallo sgabello di fronte alla specchiera per andare a studiare la sua figura.
“Ti stanno molto bene questi abiti.”
“Sono lusingato.” , rispose arrossendo. Poi si guardò intorno. “Dove sono le tue dame?”
La regina alzò le spalle brevemente, allungando le mani sullo strato più esterno dell’abbigliamento del marito, per finire di chiuderlo. “Siccome saremo occupati tutto il giorno, ho permesso loro di prendersi un giorno di libertà.”
“Oh, non ho nemmeno potuto ringraziare Maeve.”
La giovane dalla pelle scura si fermò per un istante, stringendo ancora un bottone tra le dita sottili. “Promettimi che non tornerai più in quelle condizioni.”
“Nas, io n-”
“So che non eri ubriaco come già ti ho visto, e sono anche consapevole che sia stata la goliardia creatasi tra te e tuo cugino - che tra l’altro sono più che contenta che tu voglia frequentare, essendo uno dei miei uomini più fedeli - a farti alzare il gomito un po’ troppo. Ma ricordati che hai una facciata molto instabile da mantenere. Non pretenderò altro che perfezione da te, nelle situazioni ufficiali d’ora in poi. Stai per diventare pubblicamente mio marito, perciò tutte le parole sbagliate o le tue azioni fraintendibili si ritorceranno su di me, hai capito?”
“Certo, Amore mio.”
La giovane si rilassò, tornando al lavoro.
Mentre gli abbottonava il farsetto, il sorriso non abbandonò il volto di Nasuada per un secondo.
Murtagh si inanellò un ricciolo della regina su un indice, piegandosi per darle un bacio sulla fronte.
“Se ti muovi, non riuscirò a terminare di allacciare questa fila interminabile di bottoni!” , si lamentò lei.
Il marito fece un sorrisetto. “Ecco perché di solito non sei tu a vestirmi.”
Lei alzò gli occhi, l’espressione contrariata. “Non lasci nemmeno le domestiche aiutarti...”
Murtagh alzò le spalle. “Di solito non permetto che nessuno mi tocchi. A parte te, s’intende.”
Nasuada si sciolse in un breve sorriso, tornando ad armeggiare con le dita sottili. Lo vide sospirare più volte, come se fosse agitato.
“Come ti senti?” , gli chiese gentilmente.
Il marito si morse il labbro, nascondendo il turbinio di emozioni che gli distorcevano il volto in mille espressioni. “Per cosa?”
“Beh, i tuoi amici stanno per sposarsi, sei felice, o preoccupato, o magari ti senti leggero?”
Murtagh rimase a lungo in silenzio. “È strano per me. Condivido la loro felicità, ma al contempo è strano pensare che loro siano effettivamente miei amici. Insomma... che abbiano visto del buono in me, come te o Eragon.”
Arrivata in fondo al farsetto, Nasuada si posò le mani ai fianchi, osservando per un attimo la sua opera, compiaciuta. Poi alzò gli occhi sul marito. “Molte persone hanno già visto la vera natura del tuo animo, e molte - sono sicura - lo vedranno in futuro. Il fatto che tu abbia degli amici sinceri è solo il primo indicatore per la mia previsione.”
Ricevette un bacio sulle labbra morbide. “Ti ringrazio.”
“Devi ringraziare loro, non me.”
Murtagh confermò con il capo, porgendole poi il gomito. “Sei pronta ad andare, mia promessa sposa - già mia moglie, tuttavia - ?”
Nasuada accettò il suo braccio, seguendolo fuori dal castello, fino a un piccolo edificio coperto di edera. Lì avrebbero celebrato l’unione, mentre i festeggiamenti si sarebbero spostati nel castello. Quando la regina e il Cavaliere arrivarono - assieme a una scorta di dieci guardie a pochi passi sempre da loro - tutti erano già presenti, perciò la cerimonia iniziò in pochissimo. Murtagh non riuscì a staccare gli occhi dalle due coppie nemmeno per un secondo, nonostante la donna che amava al suo fianco continuasse a guardarsi intorno piacevolmente sorpresa. “Hai avuto un ottimo gusto, ti porgo i miei complimenti.” , gli disse persino, a un tratto.
“Non stupirti: devo avere gusto nobile per poter sperare che i miei regali ti piacciano, mia regina, siccome sarò costretto a fartene per sempre.” , le rispose simpaticamente, tornando però subito a osservare i suoi amici. Da quando gli era possibile essere felice per i traguardi degli altri quasi più dei propri? Forse solo quando Eragon sconfisse Galbatorix, lui fu capace di provare per la prima volta quel sentimento.
È questa l’amicizia, umano-spilungone. , puntualizzò Castigo.
Ma è diverso questo sentimento da ciò che provo per te, che sei il mio più prezioso amico...
Il drago rise. Ciò che proviamo l’uno per l’altro è più vicino all’amore fraterno che all’amicizia. Solo, non abbiamo mai potuto provare null’altro per avere un termine di paragone, prima della nostra libertà. Perciò ti amo, sacco-di-pelle mio.
Murtagh avrebbe voluto tirargli affettuosamente Zar’roc in quel momento, ma poi capì che avesse ragione. Ti amo anch’io, lucertolone troppo cresciuto.
Sta’ zitto e presta attenzione: ormai è il momento dell’unione col nastro! , troncò il discorso Castigo, con un forte imbarazzo che emanava da lui - forse per il nomignolo datogli dal Compagno, o più probabilmente perché gli aveva risposto a quelle due semplici ma enormi parole - . Murtagh spostò gli occhi dalla finestra composta da un mosaico di vetri colorati, per tornare a guardare i suoi amici. Avevano già le mani giunte alle spose, e Horst ed Elain si stavano accostando al celebrante, con due nastri in mano, uno ciascuno. Padre e madre legarono i polsi delle due coppie di sposi, pronunciando apertamente la loro benedizione. Poi, i due gemelli si voltarono verso la folla, davanti cui erano in piedi anche i genitori delle spose, che a turno baciarono il relativo genero sulla fronte, come da tradizione. Perciò è così una cerimonia completa... , pensò con rammarico Murtagh. Piegò il capo su Nasuada per un secondo, osservando che anche lei aveva provato la tristezza di non avere suo padre a benedire la sua unione. Il Cavaliere non rimpiangeva certo che i propri genitori non avrebbero potuto partecipare alla cerimonia, ritenendole due persone orribili, ma anche a lui come a sua moglie avrebbe recato immenso onore e piacere avere il saggio Ajihad a legare i loro polsi.
Si voltò verso i suoi amici appena in tempo per fare loro un cenno di assenso, mentre questi uscivano da quel luogo di raccoglimento. Nasuada riprese il gomito del marito, premendosi a lui. “È stata una cerimonia molto intima, ma estremamente commovente.” , gli disse sofficemente. Nonostante le sue parole, però, il suo volto non tradiva tutto il coinvolgimento che aveva espresso verbalmente.
Murtagh sorrise leggermente, sfiorandole la guancia con la mano libera, senza stupirsi del suo contegno anche in quell’occasione. “Abbi pazienza ancora un poco e potrai partecipare in prima persona alla cerimonia più emozionante della tua vita.”
Nasuada annuì, poi spingendolo appena per seguire Baldor e Albriech, che stavano sbraitando allegramente per invitare tutti a consumare un pasto con loro, per festeggiare.
Il gemello maggiore si voltò per cercare gli occhi dell’amico Cavaliere nella folla, e quando lo trovò, gli fece un ghigno sornione. “Ovviamente anche tu, lord Murtagh, sei invitato. Goditi la festa come se fosse stata possibile solo grazie al tuo contributo.” , scherzò.
Il giovane accettò con il capo, anche se non aveva intenzione di ritornare ai suoi doveri quel giorno. Seguirono la piccola folla di persone nel castello in una processione, mentre dai lati delle mura il resto degli abitanti che si era raccolto lanciava petali di fiori agli sposi, congratulandosi.
“È bello vedere il castello così in festa.” , commentò Nasuada mentre camminavano.
Il marito annuì, lanciando un’occhiata dietro alle guardie che li scortavano. Sarebbe stato impossibile nascondere la partecipazione della regina al matrimonio di due semplici fabbri.
“Sto pensando che anche tu abbia appena realizzato che verrò invitata a presenziare a tutti i futuri matrimoni della mia corte.” , intervenne la giovane dalla pelle d’ebano.
Murtagh scrollò le spalle, poggiando la mano del braccio libero su quella della moglie, intenta a stringergli l’altro bicipite. “Finché i tuoi sottoposti vorranno festeggiare ed essere benedetti da te, potrai ritenerti soddisfatta del tuo operato. Non credere che i lavoratori di Galbatorix gli chiedessero di essere presenti alle loro nozze - anche perché avrebbe significato morire proprio prima del matrimonio per mano inviperita del re - !”
Sorrise compiaciuta, prima di affrettare il passo. Si sedettero a tavola, in un posto d’onore proprio accanto a Katrina e Roran, che stavano combattendo contro una crisi capricciosa della figlia. Nasuada guardò la bambina con dolcezza, come se avesse compassione di un cucciolo così piccolo costretto per ore a rimanere in mezzo al rumore e alla folla di persone sconosciute.
Mangiarono e brindarono portata dopo portata, fino al momento dei balli. Guardò volteggiare i suoi amici con le spose, poi i loro genitori e infine Katrina e Fortemartello, che era terribilmente impacciato. Percepire tutta quella familiarità e goliardia in quella sala era come una notte di sonno ristoratrice per il Cavaliere, solo non a livello fisico, ma spirituale. Finalmente gli sembrò di fare le esperienze di vita che da giovane gli erano state impedite dal suo nome: anche se aveva partecipato a molte feste, tutti lo evitavano, oppure si approcciavano a lui solo per chiedere favori.  Ma quando arrivò per l’ennesima volta a rimpiangere di non essere nato al posto di Eragon, potendo così vivere a Carvahall una vita comune e allegra, si alzò dal tavolo senza dire nulla, per fare due passi da solo nei corridoi.

Eragon...

Chissà se Roran gli ha detto del matrimonio dei suoi due amici d’infanzia.
L’enorme rettile rosso si svegliò in quel momento. Sicuramente.
E se si fosse dimenticato? Non è certo una notizia che possa essere omessa. Albriech e Baldor sono amici da quando erano neonati di mio fratello!
Il drago sbuffò. Perché allora non lo contatti tu? Se anche dovesse saperlo, potrai sfruttare l’occasione per parlare con tuo fratello. Non mi sembra che tu avessi problemi a parlare con lui.
Murtagh rivide le immagini che il suo Compagno era andato a ripescare dalla sua memoria, sorridendovi con nostalgia. Stava camminando da tempo. Decise allora di andare a visitare suo figlio, che gli stava mancando. Lo prese dalla sua culla, spostandoselo in braccio. Era sveglio e sgambettante, ma già quando arrivarono davanti allo studio del padre, i suoi occhi erano vacui e le palpebre sbattevano lentamente.
Ripensò di nuovo a suo fratello minore, a quanto gli mancasse. E quanto si sentisse la sua mancanza in un momento di raccoglimento come un matrimonio. Guardò la porta in legno che lo separava dalla stanza in cui trascorreva la maggior parte del tempo delle sue giornate. E si accorse che se le sue gambe lo avevano portato lì - dove vi era lo specchio incantato, ovviamente da lui, più potente di tutto il castello - , era perché il suo cuore voleva parlare nuovamente con il Cavaliere azzurro. Ma se fosse stato occupato? Murtagh non avrebbe mai voluto disturbarlo.
Dovrei contattare Eragon per chiedergli un favore, e al contempo ho maggiormente bisogno di parlargli, ora che sono libero di farlo.
Castigo cercò di arginare la sua negatività, come suo solito. La tua paura è irrazionale. Eragon ha dimostrato di voler allacciare un rapporto con te, non ha certo finto di non conoscerti, dopo la guerra!
Murtagh sedeva davanti allo specchio ormai da quasi un’ora, quando dei passi dietro di lui lo fecero voltare di scatto. Il bambino tra le sue braccia pigolò per il movimento brusco, facendo anche una smorfia scontenta molto buffa. Roran guardò il cugino con il capo piegato di lato.
“Che ci fai qui? La festa aspetta anche te.” , lo rimproverò.
Murtagh si sistemò meglio il bambino tra il braccio e il petto, perché si rese conto che gli stesse scivolando. Roran si spostò accanto a lui, osservandolo con i pugni sulle anche. “Dopo un anno che fai il padre, ancora non hai capito come si tiene un bambino?!” , disse esasperato.
Il Cavaliere fece spallucce. “Non è passato un anno ancora. E Nasuada mi ha detto che ognuno ha il suo innato modo di tenere un bambino, non penso il mio sia sbagliato.”
“Ismira inventa scuse migliori delle tue. Ogni quanti istanti devi risistemarlo?” , indagò con un sopracciglio alzato l’altro.
Murtagh sospirò. “Spesso, a dire il vero. È così piccolo per le mie braccia.”
Roran allargò le sue, facendogli capire che non fosse una questione di dimensioni. “Mia figlia, una volta tra le mie braccia, potrebbe rimanerci fino a farmele andare in cancrena.”
“Tua figlia non è uno scricciolo come Ruaidhrì.” , protestò Murtagh.
Il conte gli andò a sedere accanto, spostando indietro le carte sulla scrivania. Tese poi le braccia.
“Posso?” , chiese indicando con il mento il piccolo.
Il Cavaliere annuì, allentando la presa perché le mani di Fortemartello potessero cingere il principe e sollevarlo. Si spostò il capo del bambino nell’incavo di un braccio, chiudendo poi gli avambracci attorno al piccolo. Il principe sembrò subito a suo agio, tanto da sorridere con la sua bocca sdentata. Murtagh aggrottò le sopracciglia, ruggendo scontento.
Roran ridacchiò. “Vedi? Se vuoi posso insegnarti. È vero che non esiste un modo perfetto per tenere un bambino, ma tu eri troppo rigido, e non cingevi bene tuo figlio.”
L’altro gli fece un debole sorriso, guardandolo di sottecchi. “Ti ringrazio, Roran.”
“Non preoccuparti, cugino, per così poco! Torniamo alla festa?” , disse saltando leggiadramente, per la stazza, giù dalla scrivania. Murtagh rimase immobile, allora l’euforia di Fortemartello scemò. “Che cosa ti turba? Che ti ho dimostrato di essere - come è normale che sia perché lo sono diventato prima - un padre lievemente più esperto? Non credo di essere in alcun modo migliore di te, stai tranquillo.”
Il Cavaliere scosse il capo. “No, vedere i figli di Horst sposarsi mi ha fatto pensare che Eragon non ci sarà per loro, così come non ci sarà a condividere la gioia del mio - anche se secondo - matrimonio.”
Roran tornò a sedersi accanto a lui, passandogli nuovamente il figlio. Sorrise brevemente quando lo vide stringerlo nel modo più comodo per il piccolo. “Ben fatto” , commentò.
Si voltò poi verso lo specchio. “Eri qui per contattarlo?”
Murtagh annuì. “Non ho ancora trovato il coraggio per farlo. È passato quasi un anno dal nostro ultimo vero contatto. Ho paura che non voglia essere disturbato.”
Roran rise seccamente. “Non m’importa cosa sta combinando. Anche io è molto tempo che non vedo la sua faccia deturpata dagli elfi, e non ti nascondo che ora - qui, davanti a quello specchio, con un mago al mio fianco - non vedrei l’ora di parlare con lui.”
Murtagh fece un’espressione colpita. “Se tu senti questa necessità, posso contattarlo.”
“E la tua, di necessità?”
Il Cavaliere si fece cupo. “Sei suo fratello più di me, è giusto che ti permetta di parlare con lui.”
Roran roteò gli occhi. “Intanto sei tu - tecnicamente - suo fratello più di me, perché non mi sembra di essere stato partorito da mia zia Selena come voi due. E secondo, perché non decidi di ascoltare anche le tue necessità e parlare assieme con Eragon?”
Murtagh emise un lungo sospiro. “Dici che voglia parlare anche con me?”
Ricevette un colpo alla nuca da Fortemartello. “Smettila, o giuro che ti faccio nero. Eragon è la persona con il cuore più grande che esista, sono arcisicuro che parlerebbe con te anche se fossi davvero il Traditore di cui tutti parlano senza sapere la verità!”
Il più vecchio ingoiò sonoramente la saliva, poi spostò il bambino in verticale, premendoselo al petto, per avere un braccio libero.
Passò la mano sinistra, con la cicatrice argentea, pronunciando le parole necessarie per vedere Eragon. La superficie riflesse un bagliore rossastro, che gli occhi del principe catturarono, facendogli emettere un sorriso.
“Gli piace la magia. Dici che diventerà un mago?” , commentò Roran colpito dalla reazione del piccolo, che vedeva nello specchio.
L’immagine di Eragon non apparve subito, facendo sospirare il moro.
“Un Cavaliere di per certo.” , rispose seccamente al cugino, “Lasciami concentrare, Roran.”
Il castano incrociò le braccia al petto, fingendosi offeso per essere stato zittito. “Durante la guerra, girava voce che tu fossi il più grande mago mai esistito dopo il re. Ora ti vedo avere problemi a divinare Eragon.”
“È protetto da delle barriere, e questo specchio non ha il collegamento con quello di mio fratello, perché è appena stato regalato a mia moglie!” , sbottò Murtagh.
“Beh, trovalo prima! Non lo metterai di certo in pericolo cercandolo con la magia, superando le sue barriere...”
Il moro strinse il pugno con il Gedwëy Ignasia, determinato. Con un bagliore nero, la sua mente viaggiò oltre Alagaësia, ben oltre i suoi limiti normali, trovando Eragon. Finiarel percepì la loro presenza, divincolandosi. Murtagh lo strinse senza farlo cadere, anche se inconsciamente. Riaprì gli occhi, che aveva chiuso per evitare che il cugino vedesse gli effetti degli spiriti su di lui, e si allontanò dalla superficie che si stava increspando finalmente, per tornare accanto a Roran. Questo stava sorridendo come un bambino meravigliato, più di quello vero, tra le braccia del proprio padre.
L’umano dall’aspetto di elfo alzò gli occhi dalla scrivania a cui era seduto, alzandosi di scatto in piedi quando vide le figure che lo avevano divinato.
Eragon guardò i due uomini con gli occhi lucidi. “È davvero bello vedervi entrambi e... insieme.”
Roran lo imitò, scoppiando però a piangere completamente.
Murtagh guardò il fratello minore, in cerca del suo aiuto. Eragon aveva gli occhi sbarrati, ma quando incrociò quelli dell’altro Cavaliere, si riscosse, per poi fargli un cenno.
Il consorte della regina prese lentamente ad accarezzare la schiena del cugino, confortandolo. Roran si voltò, appoggiandogli il capo nell’incavo del collo, dalla parte opposta del principe. Murtagh rimase impietrito ancora una volta al suo contatto così familiare, ma pian piano si sciolse. 
Roran Fortemartello è un gran tenerone... , pensò tra sé, con un sorrisetto sghembo sulle labbra.
È solo abituato a esternare i suoi sentimenti, mentre tu no. Anche tu sei capace di scioglierti come burro al sole, quando in balia di sentimenti forti. , lo rimbeccò bonariamente Castigo.
È grazie a te se provo emozioni e sentimenti.
Castigo gli inviò un’ondata di orgoglio. È grazie a me, come però al fatto che sei stai crescendo, e che finalmente hai la possibilità di farlo in libertà.
Roran tirò su col naso, riprendendosi. Eragon stava pazientemente aspettando una reazione da suo fratello e dal suo fratello-cugino.
Quando si staccò dalla spalla di Murtagh, si asciugò le lacrime dagli occhi, guardando fisso nello specchio con una tale intensità da poterlo rompere, avesse avuto abilità magiche.
“Anche per noi, davvero.”
“Già, fratellino.” , aggiunse in un sussurro Murtagh.
Eragon addolcì lo sguardo. “Ne avete fatta di strada in meno di un anno. Sono davvero orgoglioso di voi.”
Roran gli circondò le spalle con un braccio, come fossero grandi amici, tirando su col naso. “Tuo fratello non è poi così male... Un po’ troppo sempre triste, ma sa anche essere molto gioviale.”
Murtagh si grattò il mento, sfuggendo altrove con lo sguardo.
“Andiamo, Murtagh, non hai nulla da dirmi di Roran, ora che vi siete conosciuti e - da quanto vedo - vi piacete anche?” , protestò Eragon.
Il maggiore guardò il cugino dritto negli occhi. “Sono davvero onorato di averlo incontrato. E poi, gli devo in parte la mia felicità.”
Eragon sorrise caldamente. “Mi siete mancati.”
“Entrambi?” , chiese Murtagh con titubanza.
Il castano dai lineamenti di un elfo, annuì con veemenza. “Sì, fratello. Vi ho osservati grazie agli specchi spesso. Mi dispiace di non avervi mai contattato, ma qui le ore sono diverse da quelle in Alagaësia. Quando lì è notte, qui è mattina.”
Roran incrociò le braccia, arrossendo lievemente. “Quindi ci hai praticamente osservati dormire con le nostre spose?! Inquietante, devo dire...”
“Perdonatemi.” , ridacchiò imbarazzato il Cavaliere azzurro, grattandosi la nuca.
Roran piegò il capo di lato. “E tu, che cosa stai combinando?”
Eragon sorrise eccitato. “Costruendo la mia casa e quella dei Cavalieri. Sto fondando il futuro.”
L’altro indicò l’unico bambino nella stanza, infervorato. “Che cosa credi che stiamo facendo noi qui? Anche i nostri figli sono il futuro, e tu non ci sarai per loro.”
Il Cavaliere azzurro fece un sorriso agitato. “Non sto dicendo di essere l’unico a-”
Murtagh ruggì piano, facendo tacere entrambi. “Non ho intenzione di litigare, la prima volta in mesi in cui ho l’occasione di parlare a cuore aperto con mio fratello.”
Roran ed Eragon si scusarono, ma Murtagh si alzò in piedi, guardando l’altro Cavaliere intensamente per un istante. “Volevo dirti che oggi Albriech e Baldor si sono sposati, ma soprattutto che ti ho pensato, e che mi manchi.” , disse piano, quasi mormorando, poi uscì senza attendere una risposta del fratello, sentendosi nudo ma leggero. Tornò alla festa, dove Nasuada lo attendeva con un sorriso, appena accortasi del suo arrivo. Si affiancò a lui, lasciando che Murtagh la prendesse sotto la protezione del suo braccio, facendole appoggiare la testa sul suo pettorale.
Elain li raggiunse con un riverenza, Horst al suo fianco che non perdeva mai di vista i figli. “Eccovi!” , lo accolse con giubilo, “Finalmente ho l’occasione di ringraziarvi per tutto questo. I miei figli non potevano nemmeno immaginare di ricevere un tale trattamento da voi.”
Murtagh alzò le spalle. “Ho promesso loro un matrimonio in grande. Sono io onorato di essere stato invitato.” , disse con serenità, “Eragon porta i suoi auguri ai vostri figli.”
Era un’innocente bugia, ma il Cavaliere era sicuro, che se avesse lasciato il tempo a Eragon di rispondergli, avrebbe espresso il suo desiderio di fortuna e felicità per i due amici d’infanzia.
Elain sorrise, poi spostando gli occhi sul principe. Murtagh glielo passò, leggendole nello sguardo la voglia di stringerlo.
“Come sei cresciuto, piccolo!” , disse quasi in lacrime, rivedendo il neonato che aveva accudito mentre la madre era incosciente. Finiarel le prese l’indice, portandoselo nella cavità orale e succhiandolo con vivacità. La donna si voltò verso il marito. “Hai visto, Horst?”
Lui annuì seccamente, anche se stava visibilmente cercando di trattenere l’emozione. “Sono felice che sia sopravvissuto: era un gran rompiscatole, ma era anche dolcissimo sin dai primi giorni.”
Nasuada si attaccò al braccio del marito, un sorriso orgoglioso in volto. “Avrà preso da suo padre quel tratto, io non ero certo una bambina dolce.”
Murtagh ignorò il suo commento, ricevendo dalla regina un’occhiata preoccupata. Era rimasto fisso alla frase del fabbro, in cui gli sembrò di udire nuovamente le parole di uno dei due gemelli, di molti mesi prima, pronunciate a Carvahall. Fece un cenno veloce del capo ai due anziani, congedandosi per dirigersi verso gli amici, con parecchia fretta.
Li trovò seduti al tavolo assieme alle mogli, i garzoni della bottega tutt’attorno ad ascoltare per l’ennesima volta la storia del pellegrinaggio fino ai Varden.
Quando lo videro, gli uomini che non lo conoscevano, si zittirono, ricomponendosi anche per come sedevano. Erano visibilmente tesi. Anche le due fanciulle, le spose, avevano subito la stessa influenza della sua aria seriosa.
Ma Albriech scoppiò a ridere, vedendoli così impacciati. Lui e il fratello erano già piuttosto alticci. “Suvvia, non morde!” , disse ridendo sguaiatamente.
“Eccoti, Cavaliere!” , lo accolse il gemello.
Murtagh fece un cenno del capo ai presenti, in saluto, che ricambiarono con rigidità. Lo guardavano in volto solo furtivamente, come intimoriti dalla sua fama.
“Mizuki, Rowena, finalmente potete conoscere il nostro amico Murtagh. È un tipo silenzioso, ma vi assicuriamo che è molto divertente quando si apre.”
Le due giovani trovarono il coraggio di alzare gli occhi fino a incontrare quelli del Cavaliere.
“È un piacere finalmente potervi rivolgere la parola.” , disse la giovane dai lineamenti esotici, educatamente.
“Il piacere è mio. Ho atteso a lungo che i miei due amici trovassero finalmente due giovani adatte al loro cuore d’oro.”
“Siete davvero amico di mio marito, dunque?” , chiese timidamente Rowena.
Murtagh guardò i gemelli, che gli sorrisero in modo incoraggiante. “Decisamente. Mi hanno accettato come un loro compaesano, e siamo divenuti amici.”
Un Albriech non più così lucido, alzò il calice di vino. “Dovete sapere che la madre di Murtagh proviene dal nostro stesso villaggio. E anche che abbiamo salvato la vita di suo figlio, del principe ereditario di Alagaesia.”
Balder roteò gli occhi.
Il Cavaliere, nonostante si fossero rivolti a lui in modo fin troppo familiare, era grato della loro semplicità, perché loro erano genuinamente i suoi unici amici.
Mizuki alzò gli occhi a forma di mandorla su di lui. “Sono sorpresa di come il marito della regina abbia così tanto in comune con i nostri sposi.”
“Certo, io sono un lord tutt’altro che simile agli altri. Mia madre era una normale figlia di contadini, mentre mio padre era un Cavaliere dei Draghi, un duca e un principe. Ma non è grazie alle mie origini materne che ho incontrato questi due giovani. È solo grazie a mio fratello, Eragon. Loro erano suoi amici, prima di esserlo con me.”
“Voi siete il fratello dell’Ammazzatiranni?!” , esclamò la prima giovane.
“Ve l’avevamo detto che Murtagh è un pezzo grosso.” , si lamentò Baldor. Il moro fu piacevolmente sorpreso di scoprire che i suoi due amici non avessero mai cercato di impressionare le due giovani con la loro vicinanza all’eroe di guerra e Cavaliere dei draghi Eragon, o a lui che - per quanto fosse anche un Traditore - era il marito della regina. Ma doveva aspettarselo dai due giovani più puri e innocenti che avesse mai conosciuto.
Murtagh prese le loro coppe, facendoli lamentare. “Avete bevuto abbastanza, le vostre spose vi troveranno insopportabili già la prima sera dopo le vostre nozze, e non è certo una partenza ottimale.”
“Ma il tuo vino è cento volte meglio della birra o dell’idromele. Capisco perché solo i nobili possono permetterselo, è troppo buono!” , piagnucolò uno dei due.
Il moro scosse il capo lievemente, poi si concentrò per far svanire un poco gli effetti dell’alcol sui due amici, perché si riprendessero. Si toccarono la testa, come più leggeri.
“Il vino da’ alla testa meno della birra, anche.”
I garzoni risero allegramente, tornando a sciogliersi nonostante la presenza del Cavaliere.
“Ho già pensato di riempirvi la cantina della vostra casa di otri di questo stesso vino, come ultimo regalo per le vostre nozze.”
Albriech alzò il capo di scatto sull’amico alto. “Ma la nostra casa non ha una cantina!”
Con un sorrisetto allusivo, Murtagh passò loro una pergamena arrotolata, il documento di acquisto a loro nome di una grande casa appena fuori dalle mura del castello di Illirea.
I gemelli saltarono in piedi, abbracciandolo, e facendogli versare il contenuto dei due calici sul farsetto. “Murtagh, non avresti dovuto! Hai già fatto così tanto per noi!” , biascicò uno dei due, nascondendo il volto sulla sua spalla.
“Sembra una scusa per restituirmi una dimora che non apprezzate, ma che non avete ancora visto...” , scherzò il moro.
Baldor gli diede un colpo, amichevolmente. “Non stiamo rifiutando un dono, amico. Stiamo solo cercando di esprimerti la nostra sincera felicità di averti conosciuto, e dirti che a noi basta sapere di aver conquistato il tuo affetto, senza tutti questi regali che non potremo ricambiare!”
Murtagh sorrise, stringendoli ancora con gli avambracci - avendo le mani occupate dalle coppe - , poi si staccò, mostrando la macchia rossa sui suoi abiti costosi. Per fortuna, i loro erano intatti.
“Vado a ripulirmi, perdonatemi.”
Lo guardarono dispiaciuti, mentre si allontanava nuovamente dalla festa, senza nemmeno essersi trattenuto per divertirsi. Si sedettero accanto alle mogli.
“Ora ho potuto vedere che si tratta di un vostro sincero amico, anche se sembra essere bloccato da una permanente tristezza.” , commentò estasiata Mizuki, parlando a bassa voce, credendo di non essere udita.
Murtagh si morse il labbro, continuando a camminare.
Roran apparve al suo fianco, facendolo fermare. Guardò il farsetto imbevuto di vino, con un sopracciglio alzato. Si piegò poi di lato, sussurrandogli all’orecchio: “Eragon mi ha lasciato detto per te, che non devi azzardarti a farti scrupoli per contattarlo. Ha inoltre asserito che gli faccia piacere parlare con il suo ‘fratellone’.”
Murtagh annuì mentre l’altro avanzava verso i compaesani, chiedendosi se fosse una menzogna bianca come quella che aveva imbastito lui prima, o se si trattasse dell’effettiva verità. D’altronde, Roran aveva usato il suo appellativo datogli proprio da Eragon.

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Capitolo 33
*** Piccolo aiutante ***


Erano passati alcuni giorni dal matrimonio dei gemelli, durante i quali però l’euforia nel castello non era diminuita, perché si avvicinava quello della regina con il Cavaliere.

Horst ed Elain erano ripartiti per Carvahall dopo aver aiutato i figli con le spose a stabilirsi nella nuova casa, e la madre aveva trascorso i soliti momenti a valutare l’abilità delle due giovani in casa. Elain era una donna dall’animo buono, perciò si era fatta amare da subito anche dalle due.

Fortemartello e Katrina, invece, si erano trattenuti a corte, per il secondo evento a cui erano chiamati a partecipare.

Tra una visita al sarto e l’altra, Murtagh aveva avuto tempo da trascorrere da solo - non avendo altre mansioni da concludere - , che aveva però occupato per avviare Derrel come suo aiutante. Al loro primo addestramento, però, si era reso conto di non avere l’approvazione del fratello.

Così, quel pretesto fu lo sprono necessario per avere la forza di contattare Eragon.

Si mise davanti allo specchio nel momento della mattina di maggiore tranquillità, e dopo lunghi momenti nel silenzio dell’alba, pronunciò le parole che gli avrebbero permesso di parlare con il suo fratellino. 

“Ah, Murtagh!” , lo salutò l’umano dall’aspetto di elfo, alzando gli occhi dalla camicia che si stava slacciando di dosso.

“Sì, il tuo ‘fratellone’ è tornato a contattarti.” , rispose ancora lievemente imbarazzato l’altro.

“Roran ti ha recapitato il messaggio, vedo.” , commentò contento Eragon.

Il fratello maggiore annuì lentamente. “È stato utile dirmi di poterti contattare. È un periodo pieno di avvenimenti questo e lo scorso.”

“Oh, davvero?” , chiese sorpreso, “Di che tipo?”

“Dal matrimonio dei figli di Horst al mio incontro con Arya.”

Il minore fece un sorriso grandissimo. “Ho saputo che ti sei recato a prelevare le uova. Ora che le hai viste, non convieni con me che è grandioso?!”

Murtagh scrollò le spalle, senza mostrare troppo entusiasmo, per lui troppo precoce. “Almeno i nostri tre Compagni non si sentiranno soli, quando le prime uova si saranno schiuse.”

“Oh, ciò che forse non ti ho detto è che io qui conservo anche moltissime altre uova di draghi selvatici. Una si è recentemente schiusa.”

A quel punto, il maggiore fu colpito dalla gioia, dimostrandolo con un sorriso timido. “Questo sì che mi ha dato la speranza... Per quanto le uova di drago sopravvivano per millenni, non avevo davvero creduto nella speranza di rivedere i cieli di Alagaesia pieni di rettili colorati, fino alle tue parole.”

“Già, è fantastico.”

Murtagh alzò un braccio, interrompendo il loro dialogo spensierato. “Ora basta parlare di frivolezze. L’altro giorno, assieme a Roran è scoppiato il fervore, perciò ho sentito il bisogno di andarmene, anche senza-”

Eragon si grattò il naso con il dorso della mano, come infastidito dal ricordo. “Già, una grave mancanza la tua, Murtagh! Oltre a non esserti trattenuto per raccontarmi cosa sta succedendo a Illirea attualmente, non mi hai nemmeno mostrato tuo figlio! A stento riuscivo a vederlo, tra le tue braccia. Sembrava davvero un bambino bellissimo, non hai di che vergognarti di lui, né dei tuoi sentimenti.” , lo rimproverò, anche se non troppo duramente.

Murtagh alzò un sopracciglio. “Non mi vergogno affatto di lui. Forse sono un po’ troppo protettivo nei confronti del piccolo, ma non è questo di cui voglio parlarti. Né del fatto che mi manchi.”

Eragon percepì la tensione nel tono dell’altro, perciò lasciò decadere lo scontento per non aver potuto parlare di cose leggere con lui, e che nemmeno quel giorno sarebbe stato il caso di una chiacchierata tra fratelli. Almeno gli aveva dimostrato affetto con quell’ultima, seppur breve, frase.

“Dunque di cosa si tratta?”

Deglutendo seriamente, Murtagh parlò: “Io e Nasuada abbiamo dovuto prendere un Protetto, Derrel, che si da il caso sia un bambino. Siccome dobbiamo occuparci della sua educazione finché non sarà maggiorenne, beh... ho pensato che... seguirmi nei miei doveri per restituire l’onore all’Ordine possa sortire lo stesso effetto sul suo, corrotto dalle azioni di suo padre. Non voglio che come è stato per me, lui viva sempre con le colpe di Wisgarus proiettate su di lui. Però tu sei il nostro Capo, e...”

Fece una lunga pausa, non sapendo come proseguire. Per Murtagh non vi era bisogno di domandare nulla. Come lui era diventato un Cavaliere a tutti gli effetti senza sottostare e superare un addestramento ufficiale come Eragon, così nella sua opinione, anche Derrel aveva ogni diritto di seguirlo nei suoi spostamenti e collaborare per far rinascere i guerrieri di Alagaesia anche senza avere un Compagno-di-Cuore-e-di-Mente.

Eragon alzò un sopracciglio. “Hai il mio benestare, se è quello che mi stai chiedendo. Un tempo l’Ordine dei Cavalieri aveva aiutanti anche non legati ai draghi, perciò Derrel potrà seguirti senza problemi.”

“Ma...?” , lo incalzò Murtagh sospirando.

Eragon sorrise. “Niente ‘ma’... solo che non mi sarei mai aspettato che ti saresti occupato tu di lui. È pur sempre un bambino...”

Il maggiore incrociò le braccia. “Ormai ho abbandonato l’idea di stare alla larga dai piccoli umani, visto quanto è successo mesi fa.”

Il minore annuì. “Sì, sarebbe strano se continuassi a ignorare tutti gli altri bambini a parte il tuo. Sei piuttosto bravo con loro, devo dire.”

Murtagh lo guardò allibito. “Io non credo, non ho mai avuto a che fare con uno prima di mio figlio, perciò ne dubito altamente.”

Eragon sospirò: quel battibecco non sarebbe mai riuscito a vincerlo. “Vorrà dire che sei uno che impara in fretta.”

Murtagh rimase in silenzio qualche istante, poi lo guardò di sottecchi. “Ci sono cose che devo ancora imparare, tuttavia. Come a trattare con il popolo dei nani senza essere ucciso per maleducazione.”

Eragon strabuzzò gli occhi. “Perché vorresti trattare con i nani?!”

“Arya ha deciso che portare loro le uova sarà mio compito. Dovrò entrare nei loro territori, ed essere un perfetto ospite, dato che di certo non parto ben accetto.”

Il minore sorrise delicatamente. “Se vorrai, potrò insegnarti tutto ciò che ho imparato della loro cultura.”

“Ti ringrazio!” , esclamò il Cavaliere rosso. Avrebbe avuto tempo da trascorrere con Eragon, seppur a distanza, e avrebbe anche imparato la cultura di uno dei popoli che rimaneva più oscuro a Galbatorix, tanto che nella sua biblioteca solo quindici volumi si potevano trovare riguardanti gli abitanti delle gallerie delle montagne.

“Ah, un’ultima cosa: se non ti reca disturbo, avrei bisogno che tu ragionassi con re Orik per permettermi di essere il Cavaliere designato. Le buone intenzioni di imparare la loro cultura immagino non basteranno a lasciarmi entrare.”

“No, non mi disturba, perciò lo farò. Per te, Murtagh, farei questo e altro!”

Guardò in un punto oltre la stanza in cui era, congedandosi poi dal fratello. “A presto, fratellone. Devo andare. Spero di essere contatto da te presto, magari dopo la cerimonia del tuo matrimonio.”

“Certo, a presto, fratellino.”

Murtagh interruppe il contatto con un sorriso involontario stampato sul volto, e il cuore leggero.

Tornò all’esterno, dove Derrel lo aspettava, seduto su un prato al sole, godendosi il calore. Quando vide la sua ombra sul manto verde, alzò gli occhi su di lui, mostrando tutta l’agitazione per la possibilità di non partecipare più alle missioni del Cavaliere. Evitandogli ulteriore paura, Murtagh si sforzò di sorridergli, ricercando nella sua mente le sensazioni piacevoli di aver rivisto Eragon, e il bambino lo imitò subito. Saltò in piedi, voltandosi verso Castigo, accucciato poco dietro. Gli urlò la sua contentezza, ma il drago aprì un enorme rubino sul cucciolo d’umano, sbuffando aria calda e tornando poi a dormire, senza dire nulla.

Fermò l’euforia esplosiva mettendogli una mano su una spalla, ancora con il sorriso stampato in volto, come se fosse indelebile. “Mio aiutante?” , lo richiamò Murtagh.

Derrel si impettì, molto contento come indicava il luccichio nei suoi occhi, annuendo perché gli fossero trasmessi gli ordini.

Ti prego di lavar via in un bambino così piccolo quei gesti da soldato. , intervenne Castigo con tono disgustato.

Se non fosse diventato il mio aiutante sarebbe di sicuro stato destinato alla carriera militare, come figlio di un nobile minore. , lo giustificò l’umano.

Questo lo so! Sono nato in un mondo in cui solo altri tre esemplari della mia specie vivevano, un mondo governato e deciso da esseri bipedi come te. Conosco le vostre società, e trovo stupido che un bambino così piccolo venga avviato a combattere e a obbedire ordini beceri dei suoi superiori senza mai poter disobbedire! , sentenziò acido l’altro.

Murtagh spostò lo sguardo sul suo Compagno, perdendo il sorriso. Anche per lui stesso era stato così. Era stato costretto a prendere in mano una spada che era pressoché appena fuori dall’età dei lattanti, e gli erano stati insegnati concetti come l’ubbidienza e il rigore a suon di legnate, dai suoi maestri. E tutto sotto l’occhio critico di Morzan, pronto a rincarare la dose delle punizioni se riteneva quelle dei maestri leggere. Ovviamente dopo che questi erano stati puniti dal Padrone, non avevano più intenzione di essere permissivi con l’Erede, perciò anche per il più piccolo errore, Murtagh veniva aspramente colpito o aggredito verbalmente. Scosse il capo, scacciando il secondo periodo più nero della sua vita con amarezza, ripensando a che razza di infanzia suo padre gli avesse donato.

Non permetterò che l’educazione di Derrel continui sulla strada che i suoi genitori gli avevano fatto intraprendere. Non lo renderò un soldato per l’Ordine, è una promessa. Derrel crescerà nella libertà e nell’intelletto che sono propri di un Cavaliere, anche se non ha un drago suo.

Castigo sbuffò, rilassandosi vistosamente di più sull’erba. Voglio che sia lo stesso con tuo figlio.

Murtagh strinse un pugno al petto, il giovane lord che attendeva guardandolo nella sua battaglia interiore, perdendo sempre più la posizione rigida.

Né io né Nasuada permetteremmo mai che nostro figlio abbia un’infanzia orribile come è stata la mia. Lo avvieremo alla scherma, ma giuro sulla mia stessa vita che ogni insegnamento che gli sarà impartito sarà per il suo bene, e somministrato con metodi che Tornac approverebbe.

Il rettile aprì appena un occhio. Tornac era un uomo giusto, ma ti ha preso a legnate parecchie volte, come posso vedere dai tuoi ricordi.

Murtagh scoppiò a ridere, facendo impallidire Derrel, che ancora stava cercando di carpire i sentimenti del suo Protettore, il cui volto mutava espressione di istante in istante, mentre intratteneva il dibattito con il suo Compagno.

Mi meritavo le sue punizioni. Ero un ragazzino ribelle e stupido, a volte, e non perché fossi nato in quel modo. Tornac mi ha dimostrato come avrei dovuto reagire alla vita, anche se con i suoi metodi. Ti prometto che non punirò fisicamente né mio figlio né Derrel.

Castigo si rotolò sulla spalla opposta, spostando il capo lontano dai due umani. Lo hai promesso, Murtagh-sacco-di-pelle. Se dovessi mancare alle tue parole, ti mangerò personalmente.

D’accordo.

Il Cavaliere spostò l’attenzione allora sul suo Protetto, ritrovando un cenno di sorriso nel vederlo più rilassato sulle sue gambe. “Bene, lord Derrel, possiamo iniziare la nostra prima lezione.” , introdusse con tono leggero.

Il bambino fremette di gioia. “Perciò Eragon Ammazzatiranni ha accettato me come membro dell’Ordine?”

Murtagh gli poggiò una mano sulla spalla, mentre si sedeva sull’erba coperta di rugiada. “L’Ordine è composto dai Cavalieri, dai loro Compagni e dagli Antichi, che sono i draghi che decidono assieme al nostro Capo. Tu sei al momento il mio scudiero, un libero collaboratore dell’Ordine.”

Gli occhi del bambino brillarono, nonostante gli fosse stato rifiutato il titolo di Membro dell’Ordine. Derrel era evidentemente orgoglioso di avere semplicemente a che fare con i draghi, gli animali magici che avevano aiutato a liberare il suo mondo da Galbatorix. Murtagh si accorse in quel momento che i bambini, proprio come lui quando ne era uno, sognavano ancora i draghi con emozione, e non con paura. Eppure, avrebbe giurato che, dopo le gesta di suo padre e degli altri dodici Rinnegati, i draghi occupassero gli incubi di tutti i cuccioli di Alagaesia.

Abbiamo dimostrato la nostra vera natura durante la Guerra. , confermò Castigo.

“Tu aiuterai a mantenere la libertà e l’armonia tra i popoli di questa terra, Derrel, assieme a me e a Eragon.” , gli disse mentre anche il bambino lo imitava, sedendosi di fronte a lui.

“Perciò quale sarà il primo insegnamento?” , chiese lui mordendosi il labbro per l’inevitabile paura che attanaglia chiunque davanti a una nuova sfida.

Murtagh rilassò il volto, perché anche il corpo teso del bambino lo imitasse di riflesso.

“Ti insegnerò a difendere la tua mente.” , disse sporgendosi per circondargli le spalle con un braccio. “Difendersi con la spada può salvarti la vita, ma difendere la tua mente ti aiuterà a non compiere per tua mano azioni che non vorresti mai compiere.”

Il bambino annuì piano, digerendo quelle parole. “Perciò è questo ciò che è successo quando siete diventato il Cavaliere del re?”

Murtagh annuì al suo ragionamento. “Scoprire il mio Vero Nome ha permesso al re di avere me e Castigo in pugno, legnandoci con fili invisibili con cui poteva comandarci. Purtroppo, anche se la nostra mente era forte, conoscere il Vero Nome di qualcuno è l’ultima possibilità per averlo in pugno. Solo cambiando sé stessi, e con il proprio animo anche il Nome, si ci può liberare dalle grinfie di tale coercizione, perciò non è qualcosa che posso insegnarti. Ma nel mondo che siamo chiamati a proteggere, io e te insieme, non dovrebbe più esservi nessuno che utilizzi un tale modo abominevole per controllare un individuo.”

“Tutti hanno un Vero Nome, o solo i Cavalieri?”

Murtagh ridacchiò. “Tutti, e conoscendo l’Antica Lingua e sé stessi si può arrivare a scoprire. Un giorno ti racconterò a cosa è servito a mio fratello scoprire il suo Vero Nome, quando passeremo alle lezioni di storia dell’Ordine.”

Derrel strinse i pugni con decisione. “Se non devo temere che mi venga rubato il mio Vero Nome, allora voglio mettermi subito all’opera, e imparare a proteggere la mia mente.”

Il Cavaliere gli scompigliò i capelli, chiudendo gli occhi e spostandosi più lontano, per potersi concentrare. “Fa’ come me e cerca di percepire la tua mente, probabilmente per la prima volta, coscientemente.”

Aprì un solo occhio, vedendo il bambino aggrottare le sopracciglia mente diventava conscio di una parte di sé che aveva sempre data per scontata. “La percepisci?”

Derrel annuì, stringendo anche le labbra per la forza di volontà richiesta.

“Bene, ora immaginati di dover costruire un muro invalicabile. Io proverò a superarlo e tu dovrai rimandarmi indietro nella mia mente.”

Lo guardò concentrarsi, poi vide la scena attraverso gli occhi di Castigo, trovandola dolce e familiare quasi. Si chiese come sarebbe stato il suo rapporto con il proprio figlio, un giorno in futuro. Avrebbe accettato di seguirlo in missione, un padre che spesso era assente nella sua vita, e che non era presente nemmeno il momento della sua nascita? Avrebbe desiderato essere un Cavaliere come lui, o piuttosto seguire le orme della madre e governare il regno?

“Fatto.” , gli annunciò Derrel dopo lunghi istanti. Murtagh allora usò un tentacolo della sua mente, nemmeno troppo potente, per raggiungere quella del bambino. Vi trovò un muro che superò abbastanza facilmente, venendo inondato delle sensazioni vivide di una giovane creatura. Rimase non più del tempo necessario, poi tornò indietro, chiudendosi dietro il proprio fortino. Il Protetto aprì gli occhi con un sorrisetto. “Ce l’ho fatta?” , chiese con entusiasmo.

Il Cavaliere scosse il capo lentamente, allora il bambino mise il broncio. 

“Cosa ho sbagliato?”

Il moro si sporse per arruffare i corti capelli del lord. “Non hai sbagliato nulla, anzi sei riuscito a creare un muro al primo tentativo. Però non è stato sufficiente a tenermi fuori dalla tua mente, perciò hai fallito il tuo compito.” , gli disse dolcemente, “Non demordere. Ci riuscirai.”

Il bambino alzò gli occhi nei suoi, sporgendosi con uno slancio ad abbracciarlo. Murtagh lo strinse a sé, contento che il bambino non avesse più paura o risentimento verso di lui.

Farò di te un grande uomo, come avrebbe voluto tuo padre. Non deluderò lui, ma soprattutto te! , gli disse sfruttando il canale mentale. Il bambino percepì ancora più intimità nelle sue parole: gli adulti erano capaci di pronunciare menzogne a parole con leggerezza, ma nella mente i dialoghi arrivavano corredati dai veri sentimenti di chi li produce. Strinse con più forza le braccia attorno al collo del Cavaliere, in ringraziamento.

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Capitolo 34
*** Ricelebrazione ***


La mattina della cerimonia Murtagh e Nasuada si svegliarono addirittura prima che la servitù li andasse a chiamare, a causa del gran frastuono proveniente da tutto il castello, in subbuglio per i preparativi. Il ragazzo moro andò a bussare alla porta della camera della regina, anche se erano stati costretti a non vedersi fino alla cerimonia, partendo dalla notte precedente quando Farica aveva insistito perché dormissero in stanze separate. La ragazza dalla pelle d’ebano si alzò velocemente, scansando le coperte e prendendo una vestaglia per coprirsi, andando alla porta comunicante con la stanza in cui aveva dormito il Cavaliere. “Nasuada, sei sveglia?” , chiese lui in un sussurro. Lei appoggiò il volto alla porta toccandogli la mente con la sua, chiedendo il permesso di entrare. Il ragazzo spalancò la sua coscienza e la ragazza come ogni volta - conoscendo l’importanza che aveva la mente per Murtagh - fu onorata nell’essere l’unico essere umano libero di connettersi con lui, entrò con molta riverenza e rispetto, aspettando che fosse lui a parlarle per primo. Spero di non averti disturbata nel sonno. , disse finalmente lui interrompendo il silenzio e la loro distanza. 

Il suo cuore iniziò a palpitare. No, non mi hai disturbata affatto. Ero già sveglia e, se devo essere sincera, è perché un po’ di agitazione si sta facendo largo in me… , rispose lei condividendo con lui non solo quelle parole, ma anche le sensazioni che la tormentavano. 

Lo sentì sospirare, segno che anche lui provasse lo stesso. Non pensavo sarebbe stato così, alla fine tu sei già mia moglie da tempo. Eppure sono anch’io così trepidante… , confermò lui.

Forse è a causa di tutte queste stupide precauzioni a cui ci stanno sottoponendo. Per colpa di questa etichetta non ho potuto vedere il mio bambino da ieri pomeriggio! , si lamentò lei.

Stai tranquilla, lo rivedremo presto, spero… , la consolò lui e Nasuada si rese conto che il Cavaliere era tornato nemmeno un giorno prima dalla prima missione che gli aveva affidato, scortando Arya per la cerimonia dopo che - sorprendentemente - questa aveva accettato di parteciparvi, ed era lontano da qualche giorno dal figlio; il pomeriggio precedente l’elfa aveva conosciuto Finiarel e poi era stato prelevato dalla regina senza che il padre potesse rincontrarlo.
Sentirono le porte delle due stanze aprirsi contemporaneamente e i due giovani si staccarono dalla porta che comunicava tra le due. Farica entrò nella stanza della regina, con il volto per nulla sorpreso nel vederla già sveglia. Era stata sposata, anche se non aveva avuto figli, perciò aveva già provato la sensazione di una ragazza la mattina delle sue nozze. O come nel suo caso, della seconda cerimonia per ufficializzare il matrimonio. Ci sarebbero stati i sovrani delle altre razze d’Alagaesia, oltre ai nobili umani che avevano però già accettato il ritorno di Murtagh, forse più che la sua elevazione a regina: lei, una ribelle. Eppure temeva per Orik più di chiunque altro, che potesse opporsi alla cerimonia stessa invece che presentare i suoi risentimenti in forma di dubbio sulla sua unione antecedentemente alla celebrazione. Farica le pettinò a fondo i capelli e le fece un bagno nel latte di vacca primipara come da tradizione, per il rituale augurale di fertilità delle nobilspose. La regina di fronte alla vasca piena di liquido bianco storse il naso, pensando al povero cucciolo che non aveva potuto ricevere il latte dalla madre per permettere a lei un bagno nel suo nutrimento. 

“Era davvero necessario anche questo? Insomma, io… noi un figlio già lo abbiamo” , chiese più al vento che all’ancella, sapendo che la risposta avrebbe vertuto sull’importanza del rispetto delle tradizioni per una regina. Infatti, fu semplicemente ignorata dalla donna che le tamponava il corpo con un panno in lino. La cosparse di acqua di rose per profumarla e le infilò la sottoveste in tessuto d’oro zecchino, che era fredda e le fece venire la pelle d’oca, come le cotte di maglia che indossava quando ancora la guerra era quotidianità. Maeve entrò silenziosa nella stanza con un vassoio, annunciandole la colazione, con un sorriso materno destinato solo alla regina. Le posò davanti cinque grandi melograni, numero scelto dal parente dello sposo più prossimo: il nonno di Murtagh, Flaithrì - che aveva cercato di scrutare le stelle, arrivando due sere precedenti a quella cifra, ridicola secondo la regina che era fermamente convinta che non sarebbe mai riuscita a partorire tutti quei bambini, nonché Murtagh sembrasse propenso a voler accudire un piccolo esercito di figli - . Sospirò e, lasciata sola, si mise a togliere i chicchi dal frutto per mangiarli. Avrebbe avuto fino al pomeriggio per terminare, perciò si dedicò a quel compito lungo e minuzioso per ingannare il tempo e l’ansia crescente. 

A metà del suo pasto - qualche ora dopo - le portarono l’abito per la cerimonia coperto da un telo purpureo, che non lasciava intravedere nulla. Aveva sempre amato i begli abiti, e ogni qualvolta il padre le facesse in dono uno nuovo, era sempre trepidante nello scoprire il tessuto, il colore, il taglio, i ricami o le pietre di cui era adorno. Sapeva che non avrebbe potuto procedere alla fase successiva della sua preparazione senza prima aver terminato la colazione, perciò si velocizzò notevolmente con i melograni. 

Farica tornò nella stanza per aiutarla con l’abito, ma si resero conto entrambe che fosse necessario che il principe fosse nutrito dalla madre quando, dopo averle infilato il corsetto e aver stretto i lacci in seta, il suo seno una volta piccolo come due mele straboccò al di sopra. La balia le portò il bambino intorno a mezzogiorno, che si nutrì a sazietà ma non si addormentò con la pancia piena, come non faceva più ormai da qualche mese, da quando era capace di rimanere sveglio parecchie ore, compresi dopo i pasti. Gli permisero di rimanere sul letto della regina, o meglio quello della stanza in cui l’avevano confinata per la notte precedente, a pronunciare i suoi discorsi incomprensibili di versetti. Le riassicurarono il sostegno per il suo busto, stavolta riuscendo a entrarci con comodità. Tre diverse sottogonne le furono allacciate alla vita e agganciate al corpetto attraverso dei piccoli ganci in metallo. Maeve le apprettò il bordo delle sottogonne con bianco d’uovo, perché durante il cammino non si piegassero antiesteticamente verso l’interno, intralciandole i passi. Le due ancelle le infilarono sopra la testa un indumento con corpetto inserito dentro due strati di tessuto, che scendevano poi fino ai piedi, perché non ci fosse uno stacco tra i due pezzi. L’abito, capì la regina, doveva essere dunque di un tessuto sottile, forse seta, incapace di perdonare sottovesti con interruzioni e cuciture troppo spesse. Le fecero indossare un abito dorato anch’esso, con ricami in filo d’oro rosso, e al disopra una tunica di un tessuto mai visto, ma che la fece quasi svenire dalla bellezza. Era color porpora con riflessi iridescenti dorati, talmente sottile da far trasparire la figura della domestica che lo estrasse dalla copertura. 

“Ti piace?” , le chiese Farica. 

La regina annuì solamente, trattenendo l’euforia per quel meraviglioso pezzo che si sarebbe aggiunto al suo guardaroba. Indossato sopra il precedente abito dorato, le sembrò di essere fatta di tramonto liquido, di luce. Capì come doveva sentirsi Castigo quando il sole colpiva le sue squame, facendole accendere come di luce propria. La regina si sentì degna di sposare nuovamente un Cavaliere del Drago. 

“Dovrò ringraziare Arya dopo per questo abito, è semplicemente perfetto!” , sussurrò la regina guardandosi allo specchio. Le acconciarono i capelli in riccioli fissati alla testa, come un nido soffice per uccelli, e vi incastonarono le spille dorate appartenenti a sua madre, Nadara, stranamente sopravvissute ai numerosi spostamenti dei Varden. Per ultimo, Maeve le applicò un filo di trucco per accentuare le gote rosate abbastanza velocemente, poiché era già metà pomeriggio. Un’altra ora di sole e si sarebbe ricongiunta con Murtagh. Arya arrivò da lei poco tempo dopo, a prendere il bambino che avrebbe accudito durante tutta la festa. Lo alzò dal materasso con gridolini innamorati, poi lo sistemò tra le sue braccia, dando allora piena attenzione alla sposa.

“Stai d’incanto, Nasuada.” , si complimentò guardandola da capo a piedi. 

La regina umana sorrise all’altra, rabbrividendo quando una veloce immagine di quanto anche Murtagh sarebbe stato bellissimo le balenò in mente. “Devo ringraziarti per la gentilezza tua e del tuo popolo: questo abito, le porte dei miei appartamenti… Non potrò mai ripagarti abbastanza!”

Nasuada aveva le lacrime agli occhi per tanta genuina bontà nei suoi confronti. Arya si sistemò Finiarel meglio a sedere su un suo avambraccio, lasciandogli un bacio e una parola elfica sussurrata, e poggiò la mano del braccio libero sulla spalla della donna dalla pelle scura. “Nonostante il mio popolo e il tuo fossero alleati, non avremmo mai sconfitto Galbatorix senza di te, il nostro Capo indomabile e senza paura. Non saranno dei doni a ripagarti per la tua forza e la libertà che ci hai donato.”

La ragazza arrossì per la prima volta davanti ad un altro sovrano, ma Arya era una sua amica di vecchia data, non una regina in quel momento. 

“Sono lusingata, amica mia!” , esclamò la giovane abbracciando l’altra donna e facendo attenzione al proprio figlio. Arya ricambiò per quanto possibile il gesto, rimanendo ferma per qualche minuto, i loro cuori che battevano erano gli unici suoni oltre al debole canto spensierato del bambino. La regina degli elfi allora si staccò, ricordandole che fosse quasi finita l’ora a loro disposizione. “Andiamo, Nas? Jormundur ti attende già qui fuori, l’ho incrociato venendo da te.”

La ragazza rimase congelata nei suoi pensieri, lo stomaco ancora in subbuglio.

“Forza, amica mia. Dopo aver messo per tutta la vita gli altri davanti alla tua persona, ora è il tuo momento per essere felice.” , la incalzò l’elfa. La regina si riscosse, poi uscì dalla stanza.  L’uomo anziano si inchinò con un complimento, prendendola per il gomito. Camminando lentamente a causa del peso estremo del suo abito e della corona con grossi rubini, arrivarono nella sala da ballo del castello, poche persone erano raggruppate attorno all’anziano membro del Consiglio, Umérth, che avrebbe celebrato l’unione della ragazza con il suo amato per la seconda volta. Eragon era stata la prima scelta come ufficiante, ma il Cavaliere azzurro, che aveva giurato di non ritornare più nel paese natale, aveva rifiutato a malincuore. Camminando tra i commenti estasiati alla sua vista, la regina arrivò di fronte al ragazzo che era già suo marito, ma che le aveva proposto la cerimonia in corso per coronare l’amore, che era sbocciato negli ultimi mesi tra loro, non nel segreto di una cella ma davanti alle persone più care per i due giovani - e tutti gli altri che lady Elessari aveva ritenuto opportuno invitare - . Jormundur lasciò la sposa al cospetto dell’amato, annunciandola e facendone le veci, acconsentì al matrimonio. Murtagh, che indossava un abito dorato come il suo ma senza l’elemento viola della regalità, per rimarcare la sua mancata pretesa al ruolo di principe consorte, era vistosamente radioso. I suoi ormai lunghi capelli neri erano portati lontano dal volto da due trecce intricate alle tempie e unite dietro la nuca da una spilla argentata, il volto perfettamente rasato era stato ammorbidito da qualche trattamento per la pelle, rendendola luminosa quanto gli occhi azzurro-ghiaccio. Accanto a lui, suo nonno si reggeva letteralmente al suo gomito, gli occhi dello stesso colore che la guardavano con orgoglio del nipote da poco conosciuto, le pellicce che coprivano voluminose un corpo reso scarno e ricurvo dalla vecchiaia - ma che sembrava fatto per indossare abiti di ottima qualità, come quello rosso scelto per l’occasione in un lucido broccato - , ma che ancora conservava la caratteristica ed elegante statuarietà che aveva ereditato prima il figlio poi il nipote. L’anziano saggio annunciò il Cavaliere e acconsentì all’unione. L’officiante chiese a Nasuada di poggiare entrambe le mani su quelle di Murtagh. Notò con piacere che indossava l’anello dorato con un grande rubino che aveva fatto creare per lui per quel giorno. Nell’alzare le braccia, le maniche di tessuto viola svolazzarono all’indietro, lasciando emergere quelle sottostanti dorate, che si andarono ad accostare a quelle del ragazzo. Regina e Cavaliere ripeterono i loro voti nuziali senza mai staccare lo sguardo dalle pupille dell’altro, scrutando l’interno dei rispettivi animi e giurandosi anche non verbalmente sincero amore eterno. Umérth legò i loro polsi con un nastro bianco, che era stato Derrel a porgergli, dichiarandoli uniti in matrimonio per la seconda volta. I due sposi si voltarono verso gli ospiti, che si accalcarono davanti a loro. Dal loggiato della sala, scesero anche i nobili da tutta Alagaesia che avevano preteso di assistere al matrimonio reale. Arya con l’erede al trono andò a baciare sulla fronte i due sposi come da usanza elfica, poi Roran e Katrina andarono a inchinarsi al loro cospetto, rinforzando il giuramento di proteggere il nord in vece della sovrana, la piccola Ismira che guardava tutta quella gente con grandi occhi sbarrati dal fianco della madre. Dopo di loro fu l’ex-re Orrin a inginocchiarsi nel nome del Surda, ormai solo una regione e non un regno indipendente. Gli sguardi d’odio che lanciò al Cavaliere furono però nulli se paragonati a quelli del re dei nani, Orik. Egli non si era opposto infine alla cerimonia, ma si rifiutò di rivolgere la parola al giovane umano. 

“Mia amica di lunga data, ti auguro una discendenza forte per il tuo regno e che la tua vita possa essere lunga e priva di pericoli” , le disse facendo ondulare la sua barba rossa adornata di piccoli pendenti d’oro. 

“Ti ringrazio, Orik. È importante per me il tuo appoggio. Murtagh saprà dimostrare anche al tuo popolo che i suoi errori non erano dettati dal suo cuore, ma da un controllo esterno. È un alleato importante per la pace…” , rispose la donna con un sorriso caloroso. Lui grugnì guardando un’ultima volta il Cavaliere in cagnesco, poi si spostò da parte.

Angela si fece spazio a gomitate verso la sua regina, seguita da Elva. Murtagh fece un inchino col capo verso la strega-bambina dagli occhi ametista, le sarebbe per sempre stato debitore - anche se lei aveva rifiutato che lui la ripagasse spezzando la sua maledizione - poiché aveva usato il timore reverenziale della corte per convincerli che, come lei, il Cavaliere non dovesse essere temuto, ma potesse essere la miglior opzione averlo dalla propria parte. Lei in risposta chiuse e riaprì le palpebre lentamente, come un gatto sornione. 

“Davvero una bellissima coppia!” , sentenziò l’erborista spumeggiante come sempre. Prese una moneta dal vestito, porgendola al Cavaliere. “L’ho incantata personalmente il giorno della nascita di vostro figlio. È tra le prime monete coniate durante il nuovo regno, l’anno di passaggio a una nuova vita per tutta Alagaesia, e per voi due e il piccolo principe. Che possa proteggervi tutti e guidarvi luminosa su un cammino di verità e saggezza…” , spiegò terminando con il suo augurio. Nasuada fu sorpresa da quel regalo e rincuorata per la sicurezza del figlio, per cui andò ad abbracciare la donna bionda. Quest’ultima rimase congelata. “Nasuada, mia regina… vi ho fatta preoccupare eccessivamente?” , esclamò iniziando a strofinarle la schiena. 

La regina si scostò, ancora con il sorriso nonostante lo sguardo ora preoccupato del marito. “No, no! Sono solo sollevata che tu abbia pensato a come proteggere la mia famiglia, mi avevi molto preoccupata con il tuo ammonimento riguardo le trame verso Murtagh! Ho temuto per la sua vita, e quella di nostro figlio…” , rispose la regina. 

L’erborista parve ricordarsi di quelle sue parole improvvisamente. “Elva mi ha rassicurata che il nostro principe sarà al sicuro!” , riferì guardando la bambina, che annuì in conferma. Detto quello, le due se ne andarono. I nobili iniziarono a salutare la loro regina e il marito, poi terminato il corteo ipocrita, fu servita la cena. Un banchetto non eccessivamente opulento fu servito ai presenti, la regina non aveva mai amato la vita troppo eccessiva per lei a spese del suo regno, quando persone fuori dal suo castello rischiavano di morire di fame senza l’utilizzo di quante più risorse per creare opportunità lavorative. Numerosi brindisi con l’ottimo vino offerto da Murtagh furono alzati in suo onore, dimostrando quanto fosse amata ormai anche tra i suoi nuovi nobili, grazie al marito e ai suoi regali senza dubbi. Un’ora dopo l’orchestra iniziò a suonare musica dal ritmo più incalzante, segnando l’inizio delle danze. Il Cavaliere fu il primo ad alzarsi, porgendo la mano alla moglie. “Mi concederesti il primo ballo?” , le chiese con un sorrisetto a cui era impossibile resisterle. Si alzò mettendo la sua mano nell’altra e seguendolo al centro della sala. Aveva preso lezioni di ballo da piccola, ma non aveva mai danzato veramente, la guerra era scoppiata e nel Farthen Dur non vi erano stati balli. Sistemò le braccia come insegnatole e si lasciò guidare da quello che scoprì essere un impeccabile ballerino, forse favorito dalla vita di corte e l’allenamento nell’arte di danzare con una lama. Roran e Katrina li seguirono subito dopo e ancora successivamente Jormundur e Farica, che aveva indossato un abito ricamato semplice ma molto elegante per l’età della donna. Orrin e la dama che lo accompagnava si spostarono sulla pista ma non per ballare: il protettore sguainò la spada, facendo immediatamente bloccare il Cavaliere. Ma la spada non fu usata per offendere, se non moralmente il ragazzo, poiché venne appoggiata di piatto sulle palmi e l’uomo si inginocchiò davanti alla ragazza, per una richiesta di matrimonio. 

“Oh, mio caro Orrin! Accetto la vostra protezione e acconsentirò a sposarvi!” , esclamò la giovane, facendo rialzare il protettore. Per la prima volta l’attenzione della regina si spostò su di lei, osservandola. Qualche anno più grande di lei, la ragazza aveva una chioma piena di boccoli castani dai riflessi ramati, occhi castani screziati di verde, come due stagni di palude. Intorno lunghe ciglia rendevano lo sguardo dolce, forse un po’ incosciente della complessità del mondo. L’abito era arancione, molto raffinato pensò la regina, e il tessuto sottile lasciava indovinare forme di una giovane ancora acerba, le cui curve erano già sviluppate, eppure era evidente che il suo corpo non avesse ancora assolto alle sue funzioni principali, crescere un figlio dentro di sé, né era stato denutrito e torturato dalla guerra come invece era stato per Nasuada. Venne destata dalla sua osservazione inquisitoria, sulla validità di essere sposa per il suo amico di lunga data, dallo stesso che la chiamava. “Chiedo la tua benedizione, Nasuada.” , la supplicò lui vedendola immobile. Lei lasciò la sicurezza delle braccia del marito per dirigersi verso l’uomo nuovamente in piedi accanto alla ragazza. “E la mia benedizione avrete d’ora in poi. Sarò inoltre felice di celebrare la vostra unione, se me lo permetterai.” , rispose la regina con un sorriso che tardava timidamente a spuntarle sulle labbra, ma che infine arrivò, sollevando la ragazza che la scrutava trattenendo il fiato. 

“Vi ringrazio infinitamente, vostra Magnificenza!” , squittì l’altra. 

Il ballo riprese lentamente poco dopo, Murtagh che continuava a fissare Orrin. “Murtagh, lascia perdere!” , sospirò lei cercando i suoi occhi. 

“Non comprendo perché un tale gesto proprio ora. Lo ha sicuramente fatto per schernirmi.” , mormorò lui senza muovere le labbra, ma modulando la voce abbastanza forte perché potesse essere udito dalla moglie. Lei gli andò più vicina, facendogli percepire la sua presenza maggiormente. “Non importa, è sconvolto perché le sue inerzia ed esitazione hanno fatto sì che perdesse la mia mano e che tu potessi avere un’opportunità.” , gli sussurrò. 

“Appunto. Non puoi pretendere che io non sia geloso di lui…”

Lei sorrise nel sentirlo per la prima volta esternare la paura di perdere la sua moglie. “Eppure guardaci, Murtagh! Ci siamo noi due al centro dell’attenzione oggi!” , lo rincuorò. 

Al tavolo, Orik si alzò e chiese alla regina elfica di ballare. 

“Spero la tua intenzione non sia di chiedermi la mano…” , scherzò lei verso il compagno di battaglia. 

Lui rise fragorosamente. “No, pömnuria Drottning.” , rispose lui sforzandosi di parlare la lingua dell’altra. 

“L’unica parola che avrebbe confermato che non hai determinate intenzioni non era nell’Antica Lingua. Sarò perciò costretta a rifiutare, per la mia sicurezza e inoltre devo badare a lui.” , fece notare lei poi portando il bambino all’altezza degli occhi del nano, che grugnì. “E chi sarebbe?” 

L’elfa lanciò un’occhiata alla coppia felice, seguito dall’altro sovrano. “Il bastardo del Cavaliere rosso?” , chiese con un velo di disgusto nella voce. 

Arya lo fulminò con lo sguardo. “Frena la lingua, non è un bastardo. Un giorno dovrai intrattenere delle trattative con lui come re degli umani…” , lo ammonì ritirandolo a sé. 

Orik era rimasto a bocca aperta. “Perché non ne sono stato avvisato? Evidentemente sono stato l’unico, anche il capo del popolo Urgal lo saprà…” , si lamentò teatralmente. 

Arya roteò gli occhi. “Nessuno era stato avvisato, nemmeno io. Nasuada e Murtagh sono stati costretti a sposarsi dal Re Nero, e il loro matrimonio era valido, anche quando Finiarel è nato, ma hanno preferito tacerne l’esistenza a quante più persone fino ad oggi. La notizia si diffonderà a macchia d’olio e la presenza di un erede non desterà sospetti sulla sua legittimità, a questo punto.” , narrò. 

Orik parve contrariato. “Non capisco come Nasuada possa essersi fidata di lui sin dal primo giorno nel Farthen Dûr, anche dopo che lui stesso l’ha rapita e torturata, a tal punto da sposarlo e mettere al mondo suo figlio, il nipote di Morzan!” , sospirò mettendosi a sedere e vuotandosi una coppa di vino. Arya fissò il bambino e rispose, senza distogliere lo sguardo da quel concentrato di dolcezza. “Murtagh è molto diverso dal padre, ho avuto modo anch’io di verificare questo dettaglio. Lui è stato una vittima del Fato fino alla morte del tiranno, lo stesso che ha costretto la nostra amica comune a sposarlo. E da quanto ho capito delle usanze umane, dalla nascita del loro bambino non è più possibile ignorare l’unione, seppur avvenuta in segreto e obbligata. I loro stessi genitori sono tutti stati costretti a sposarsi nell’ombra, per quanto Morzan e Selena si possano biasimare per la vita a cui hanno abbandonato il figlio.” 

Orik fu ammutolito, la sua combattività smorzata. Rimase a fissare il vetro soffiato del contenitore nella sua mano. 

Ormai raggiunta la tarda serata, i membri del Consiglio degli Anziani suonarono una campanella, facendo fermare la musica e le danze. Nasuada guardò Murtagh negli occhi, improvvisamente lo stomacò tornò a rovesciarsi. Lui le accarezzò la guancia, toccandole la mente. Lei lo lasciò entrare. Non temere, andrà tutto bene. 

Furono incolonnati in un corteo, gli anziani solamente davanti a loro, i nobili e parenti a seguire. Lentamente arrivarono sino alla porta della stanza che sarebbe da quella sera stato ufficialmente il loro talamo. Marito e moglie furono separati in due anticamere utilizzati come guardaroba dai due giovani, dove vennero svestiti e ispezionati da due membri del Consiglio assistiti da un ufficiale del regno. Deglutendo vistosamente, Nasuada aspettò rigida che finissero di studiarla, come un capo di bestiame, sperando che i cambiamenti del suo corpo dovuti alla gravidanza non si notassero eccessivamente. Fortunatamente, fu Elessari a controllarla, lei non aveva mai avuto figli e non sapeva nel dettaglio quali mutazioni avesse subito la carne di una madre. Eppure lei sapeva di Finiarel, e al contempo era una delle poche del Consiglio ad avere a cuore la sua ascesa, l’aveva sempre aiutata con le sue parole, spalleggiata in innumerevoli occasioni. La fece sdraiare infine su una panca in legno con una leggera imbottitura, per controllare la sua purezza. Mentre la ragazza sudava freddo, la donna dimostrò la sua fedeltà sistemandosi proprio in mezzo alla visuale dell’ufficiale e la femminilità della ragazza. Sfilò velocemente una piccola vescicola dalle pieghe dell’abito e le fece un lieve cenno di rilassarsi e cercare di non battere ciglio, mentre faceva scivolare dentro di lei poco in profondità e con estrema delicatezza ma velocità la membrana ripiena di sangue. Passandole una camiciola in lino la fece alzare, sentenziando che fosse una donna virtuosa. Sapeva di esserlo, anche se la sua virtù era già stata ceduta al marito per portare al mondo il piccolo bambino che dormiva con l’ancella Maeve, ma non avrebbe importato a nulla se fosse stato portata a galla la sua conoscenza del ragazzo. I due sposi furono riuniti ai due lati del letto, assieme a una schiera di persone ad assistere all’atto. Con sollievo della regina furono tirate delle sottili tende prima che venissero denudati anche delle vestaglie sottili e spinti nel letto. Fece per rintanarsi sotto il lenzuolo, quando le fu proibito di farlo. Nasuada fissò il gruppo di persone attraverso le tende, scorgendo comunque le figure, alcune erano presenti ma il loro sguardo cercava di vagare altrove senza essere notati, altre avevano occhi che sembravano non sbattere nemmeno le palpebre. Murtagh le prese il volto tra le mani, spostandosi come aveva fatto l’anziana poco prima a coprire la visuale dal pubblico, per farle distogliere l’attenzione e metterla più a suo agio. Le diede un bacio dolce sulle labbra e poi sul collo, quando fu lui ad essere ripreso. “Cavaliere, i preliminari non sono permessi con una nobildonna. Avete un compito da assolvere, che è consumare questa unione e concepire un erede se sarete baciati dal Destino, non state giocando.” , precisò l’ufficiale. Murtagh sbuffò, evidentemente anche lui lievemente in imbarazzo, nonostante stesse cercando di risultare disinvolto perché la compagna si trovasse confortevole più in fretta. Le sussurrò qualche parola nell’Antica Lingua all’orecchio, che lei riconobbe: le stava giurando che non le avrebbe fatto male. Lei si rilassò visibilmente sotto al marito a quelle parole, lui sapeva quanto fosse spaventata di provare lo stesso dolore avvertito durante il parto in tutto il fisico, ma in particolare alla sua femminilità. I loro corpi divennero con cautela del ragazzo uno solo, entrambi percepirono la vescicola esplodere e il sangue animale colare all’esterno. Assicurata una macchia sul lenzuolo da mostrare il mattino successivo, i due ragazzi iniziarono ad amarsi, trovandosi costretti in quella danza di cui la regina aveva timore, ma che trovò invece indolore, solo inizialmente fastidiosa come la loro prima volta. Avendo regolamentato un atto primitivo, animalesco ma estremamente piacevole in qualcosa di rigido e formale, i due sposi come i presenti furono logorati dall’ora più lunga delle loro vite. Flaithrì tossì, facendo sobbalzare i presenti, e i due sposi si domandarono se fosse un messaggio velato di accorciare i tempi di quella tortura o se fosse solo l’età. Nasuada prese il volto del marito tra le mani di sua spontanea volontà, una delle poche azioni che le era permesso compiere, iniziando a fissarlo intensamente negli occhi, comunicandogli il suo amore. Lui rispose allo sguardo, smettendo di fuggire sull’arredamento come aveva fatto precedentemente. Sembrò ai due giovani che tutti gli altri sparissero, rimanendo soli nella stanza finalmente con l’amato che tanto avevano anelato. Nasuada prese ad accarezzargli il petto senza essere vista, lui rispose spostando le braccia e mettendo le mani accostate al busto della moglie, sfiorandola con i pollici. Il tempo divenne indefinito così come l’imbarazzo. Tutto quello che provavano era immenso amore per l’altro. Murtagh si piegò a baciare la moglie sulle labbra mentre con un sospiro strozzato e un secondo più lungo mise termine alla loro prima notte di nozze. Un applauso si levò dai confini della stanza, riportandoli alla realtà. Il Cavaliere si abbassò sulla moglie, poggiandosi sugli avambracci, per far scudo di lei con la sua figura e la sua schiena larga. In fretta i presenti si dileguarono, e all’esterno fu apposto il sigillo alla porta del loro talamo di inaccessibilità totale, se non all’ancella della regina. Con un altro bacio, il Cavaliere si separò da lei, spostandosi dal suo lato del letto. Alzò le lenzuola perché lei vi si andasse a nascondere sotto e accanto a lui. Murtagh allora frugò tra le lenzuola, alla ricerca di qualcosa. Con suo sollievo, trovò la vescichetta vuota vicino alle ginocchia della regina. La prese e la bruciò con una parola direttamente sul suo palmo, per cancellare tutte le prove del loro inganno. Si distese nuovamente accanto alla regina, prendendola tra le braccia e baciandola con il trasporto che aveva dovuto trattenere. Lei rispose, poi sbadigliò. Farica entrò senza far rumore, chiudendo le tende pesanti del letto con uno sguardo soddisfatto verso i due ragazzi, che la guardavano invece imbarazzati. 

“Buonanotte, Amore mio” , le augurò lui spegnendo la candela sul piccolo mobile accanto al letto. Lei augurò un buon riposo al marito, sistemandosi accanto a lui e sprofondando ben presto nel sonno.

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Capitolo 35
*** Una lady e il suo lord ***


Farica spalancò le tende del baldacchino, inondandoli di sole dorato. Murtagh tirò a sé la ragazza dalla pelle d’ebano per baciarle la fronte, senza aprire le palpebre. Lei protestò, essendo così beatamente addormentata da un’intera notte come non le accadeva dalla nascita del figlio. Il marito si sporse maggiormente verso di lei, spostando le labbra sul suo orecchio e sussurrandole nell’Antica Lingua un augurio di felicità e saggezza per il suo compleanno. Nasuada spalancò allora gli occhi, alzandosi a sedere premendosi il lenzuolo sul petto. “Come sai che oggi…? Non te l’ho mai detto!” , chiese con confusione. Murtagh non rispose, ma sfilò da sotto il lenzuolo un cofanetto verde bosco profilato in oro, porgendoglielo con sguardo compiaciuto per aver colto la regina di sorpresa. La domestica le poggiò una cappa in seta sulle spalle, porgendole i suoi auguri e incitandola poi ad aprire il regalo che aveva in mano. Solo aprendo la scatola lignea leggermente, uno spiraglio di luce s’insinuò al suo interno, facendo rilucere quelli che Nasuada riconobbe essere diamanti purissimi. “Murtagh, non era necessario!” , esclamò sussurrando, ora osservando bene il collare tempestato di quelli che sembravano un migliaio di diamanti di diverse dimensioni, da alcuni piccoli come gocce di rugiada ad altri grandi come acini di uva spina. 

Lui si alzò sui gomiti, spostandole i capelli con una mano ed estrema delicatezza. “Non solo ti dovevo un morgengabe da, beh… un anno. Ma sapevo che oggi sarebbe stato il tuo giorno e una regina si merita un dono alla sua altezza. O nel tuo caso, della tua bellezza!” , le spiegò con tono calmo ma leggermente suadente. Si alzò finalmente a sedere, prendendo il gioiello tra le mani con cautela e poggiandoglielo sulla pelle scura. Il contrasto lo faceva brillare ancora di più. Era il gioiello più bello che avesse mai visto, di fattura nanica senza dubbio. L’aspetto più sorprendente era appunto non il valore immane del pezzo, quanto la difficoltà a cui doveva essere andato incontro per commissionarlo a uno dell’astiosa razza senza ricevere rifiuti. “Oh, ma questo regalo mi farà cambiare completamente i piani sull’abbigliamento che avevo scelto per questo giorno! Farica, ti prego di andare nel mio armadio e scegliere un abito adatto a questa meraviglia!” , commentò Nasuada con emozione. La dama uscì e rientrò con un abito differente da quello già preparato in un angolo della stanza. Interruppe i dialoghi dolci dei due coniugi, costringendoli ad alzarsi per essere lavati dopo la notte precedente. In realtà sapevano entrambi si trattasse di una scusa tradizionale per prendere il lenzuolo e stenderlo in bella mostra fuori dalla finestra del loro talamo. Noncurante di essere visto in tutta la sua grazia dalla domestica, Murtagh fu il primo a separarsi dalle lenzuola di seta per andare alla ricerca di una tunica nella stanzetta attigua, il suo guardaroba. Farica prese a rifare il letto, osservandolo furtivamente. Quando uscì dalla stanza, ridacchiò e fece un commento rivolto alla regina sulla sua ottima scelta di tenersi il Cavaliere come marito. Nasuada arrossì pesantemente ma ridacchiò con lei, chiudendosi la cappa leggera con la cintura in raso, cucita tra due strati di tessuto, in vita. A letto rifatto e i due sposi coperti, vennero scortati nella stanza da bagno dove vennero lavati e rivestiti. Farica assicurò il nuovo gioiello della regina al suo collo sottile, poi li informò che erano attesi alla colazione con i più importanti lord e le loro lady del paese, a cui si aggiungevano anche Arya e Orik. Il capo del popolo Urgal e lo stesso per i gatti mannari non avevano partecipato alla cerimonia e non avrebbero presenziato nemmeno alla colazione. Se fosse stato il loro matrimonio ufficialmente, sarebbe risultato scortese, al punto di rischiare un incidente diplomatico. Nasuada fu presa al gomito, guardando lei e il marito allo specchio. Anche quel giorno erano stupendi, anche se non come il giorno precedente: Nasuada indossava un abito viola dai ricami in rilievo color vinaccia, il regalo del marito al collo e la sua grande corona sul capo. I suoi capelli erano stati intricatamene acconciati, come si conveniva alle donne sposate e come lei li portava spesso dal ritorno di Murtagh. Non sempre comunque, poiché la sua dama ascoltava sempre il suo desiderio di tenerli sciolti quando questo veniva presentato - nonostante le sue proteste talvolta sull’inappropriatezza - e nessuno avrebbe potuto contraddire la regina per un dettaglio così inutile quanto i capelli. Murtagh nel suo abito blu notte trapuntato le poggiò le labbra sulla tempia più vicina. “Andiamo, o saremo in ritardo.” , le sussurrò staccandosi. Uscirono dal loro talamo, osservando il sigillo apposto la notte precedente. Con immensa gioia della regina, che aveva solo intravisto il figlio nel giorno precedente, Maeve li raggiunse con il principe e lo riconsegnò alla madre. Con un mugolio di gioia Nasuada strinse il figlio a sé sistemandoselo poi nell’incavo del collo perché addormentato. “Ti ha recato fastidio?” , chiese alla domestica più giovane. Lei scosse il capo con veemenza, gli occhi ancora pieni di gioia dal momento in cui era arrivata. “È stato calmo la maggior parte della notte. Ho dovuto chiamare la balia solo tre volte.” , li informò. 

“Sembra che gli piaccia di più il latte di sua madre, o che voglia trascorrere più tempo con noi la notte…” , mormorò Murtagh con sarcasmo, solleticando con un dito il suo cucciolo appena sveglio, “Ehi, piccolo, sono ufficialmente - e questa volta nessun cavillo burocratico potrà smentire quanto sto per dirti - il tuo papà!”

Nasuada ridacchiò. “Nasuadasson e Murtaghsson, sei contento?”

Il bambino non rispose ovviamente, ma li guardò con i suoi occhi chiarissimi e un sorriso sulle labbra, dopo aver fatto un lunghissimo sbadiglio.

Farica tornò con una tisana calda per Nasuada, facendo un sospetto cenno al Cavaliere. La regina la prese in mano con circospezione, perdendo il sorriso. L’odore di erbe pungente che proveniva dal decotto le era sconosciuto. “Di cosa si tratta?” , chiese riluttante. 

“Bevi, figliola. È per il tuo bene.” , le rispose la dama anziana con sguardo materno. Anche Maeve aveva negli occhi lo stesso misto di apprensione e benevolenza materna. 

“Non sono una bambina, non berrò qualcosa di cui non mi è comunicato l’effetto. Potrebbe essere veleno!” , protestò con caparbietà. 

Murtagh sospirò al suo fianco, spazientito. “Bevi e te lo diremo.” , contrattò lui. 

Lei scosse la testa, porgendogli la bevanda. “A. Cosa. Serve?” , scandì lei testarda. 

“Bene, te lo dirò.” , cedette il ragazzo con uno sbuffo, “L’ho ordinata per te vista la facilità con cui hai concepito due bambini, un anno fa.”

Nasuada separò leggermente le labbra, espirando sorpresa come da un pugno allo stomaco. Le parole le morirono in gola. Prese il contenitore con il liquido, ingollandolo in un fiato ma comunque con delicatezza nelle maniere. Soddisfatte, le due domestiche si congedarono dopo che la più giovane ebbe recuperata la tazza vuota. Nasuada rimase pietrificata su due piedi, anche mentre il marito si accostava per baciarla sulla fronte, sollevato per la sua mansuetudine improvvisa. 

“Sei scontento di avere un figlio?” , gli chiese di getto. 

Lui indietreggiò sorpreso. “No!”

“E allora perché?” , sbottò lei. 

Dispiaciuto le accarezzò una guancia, fissandola negli occhi con dolore. “Hai rischiato di morire! E se quella semplice tisana avesse anche solo una probabilità di evitarti di nuovo di soffrire, io sarò contento di aver provato anche questa strada. Non voglio sacrificare la tua vita per crearne una nuova…”

Nasuada comprese la sua preoccupazione, che reconditamente condivideva lei stessa, e si sporse per baciarlo come ringraziamento per l’attenzione. Lui ricambiò, poi fece per prendersi il figlio e uscire dagli appartamenti, con la ragazza sotto braccio. Lungo i corridoi incontrarono Roran e Katrina mentre si dirigevano alla colazione, in ritardo per un capriccio della figlia. “Buongiorno, lord Fortemartello. Lady Katrina.” , li salutò Nasuada. 

Roran salutò, poi diventando paonazzo, probabilmente pensando a ciò a cui aveva dovuto assistere la notte precedente. Guardò in basso verso la bambina dai capelli fulvi nelle sue possenti braccia, cercando di ricomporsi. La giovane moglie fece una riverenza alla regina e al suo lord, seguita poi finalmente dal marito. Ismira si protese verso il cugino tra le braccia del genitore, chiamandolo. Finiarel iniziò ad aprire gli occhi e finalmente diede retta all’altra infante. Con occhi chiari e sbarrati Ismira si aggrappò alla giacca soprabito del padre sporgendosi a vedere oltre la madre, nonché Protettrice del Nord. 

“Piccolo!” , gridò la bambina con allegria, indicandolo. 

“Miri, lui è Ruaidhrì. Ti ricordi di lui?” , le chiese la madre passandole il palmo lungo i capelli uguali ai propri. 

“Roì” , ripetè la piccola soddisfatta. 

Murtagh accelerò il passo con le lunghe gambe, andandosi a fermare davanti al cugino, bloccandogli la via. Nasuada e i due coniugi si arrestarono a osservare il comportamento tra i due bambini. La più cresciuta chiamò il principe battendogli con l’indice su una spalla, avvicinata da Fortemartello. 

Finiarel si ritrasse, quasi volendo scomparire tra le braccia del padre. 

“Permetti?” , gli chiese Katrina. Il Cavaliere annuì senza sapere cosa aspettarsi. 

La donna fulva allora prese con sicurezza il bambino dalle braccia del ragazzo, poi avvicinandolo alla propria figlia. 

Fuori dalla sicurezza dell’abbraccio dei genitori, il piccolo fu costretto a trovare il coraggio di affrontare la cugina, che dimenava le braccia verso di lui. Ismira fu finalmente appoggiata tra gli arti superiori della madre, vicinissima al principe che sgranò gli occhi esterrefatto, iniziando a tremare. D’improvviso la bambina lo abbracciò e Finiarel scoppiò in una risata fragorosa, perché solleticato dai capelli dalla creatura più grande. Con sorpresa della regina e del Cavaliere, il piccolo erede di Alagaesia iniziò a giocare con la cuginetta, borbottando spensierato. 

“Sembrano andare d’accordo.” , commentò Roran con un sorriso caldo.

Nasuada si strinse le mani al petto, godendosi la vista per quanto possibile. Sapeva di non essere pronta ad avere un altro figlio, e con lei anche Murtagh, ma vedere il principe allegro con un altro essere simile a lui fece sperare alla regina che presto Finiarel non sarebbe stato più solo. Purtroppo, però, a parte Ismira, il castello non aveva molti altri bambini che vi abitavano stabilmente, perciò il principe era destinato a rimanere solo, se i suoi genitori non avessero provveduto a donargli qualcuno con cui crescere assieme.

“Ti dispiacerebbe tenerlo per questa mattina, Katrina?” , domandò Nasuada alla fulva, riscuotendosi. Questa annuì, guardando per un istante il marito. “Potremo badare a un bambino ciascuno, non ci saranno problemi.”

Le due coppie ripresero la loro strada verso la sala da ballo, dove trovarono i maggiori nobili del paese raccolti, assieme ad Arya e Orik. All’arrivo della regina e del Cavaliere, un grande fragore di applausi si levò dai presenti. Roran e Katrina sfruttarono il momento per occupare i loro posti vicino a Orrin e alla futura sposa, che lanciarono loro occhiate disgustate. Erano entrambi i Protettori di due territori che avevano sempre avuto l’indipendenza da Alagaesia, perciò lo stesso ruolo verso la corona, con gran fastidio di Orrin che un tempo era un re, mentre il titolo nobiliare di Fortemartello era quello di semplice conte.

Murtagh e Nasuada si andarono a sedere assieme a capotavola, rimanendo in piedi il tempo per ringraziare tutti della loro presenza.

Lady Elessari si alzò in piedi, sbattendo un cucchiaio sulla coppa di metallo. “Un brindisi alla nostra lady e al suo lord. Possa la regina regnare a lungo e darci molti eredi.”

Nasuada fece un cenno di ringraziamento del capo, anche se velatamente triste, alzando la sua coppa in aria. Murtagh la imitò, sporgendosi poi verso di lei e baciandola.

“Lunga vita alla regina!” , gridarono in coro i lord e le lady presenti.

Dire che erano una coppia meravigliosa, avrebbe significato sminuirli: insieme erano perfetti. Erano evidentemente completamente a loro agio insieme, si muovevano come in una danza dalla coreografia perfetta, mai collidente. Murtagh rappresentava l’opposto di Nasuada, ma nessuno avrebbe completato meglio la mela dell’altro.

La colazione filò liscia come acqua. Nessuno litigò per opinioni contrastanti, e i due bambini presenti non fecero troppo chiasso. Anzi, le loro risate spensierate resero l’ambiente molto più leggero. La presenza del bambino meticcio stupì molti lord, che sapevano non potesse appartenere alla prole di Fortemartello - che contava solo Ismira - , perciò coloro che capirono che si trattasse del principe iniziarono ad abituarsi a lui, alla sua presenza e al suo aspetto unico, che sicuramente avrebbe facilitato il riconoscimento del rampollo reale in futuro.

Roran tentò di intrecciare un dialogo anche con l’ex-re, Orrin, ma questo lo troncò subito, come non avesse alcuna intenzione di parlare con lui. Tutto quello che faceva era sorridere alla promessa sposa quando questa si rivolgeva a lui, per poi tornare a fissare con astio la coppia reale, talvolta anche il bambino dalla pelle di mandorla tra le braccia di Katrina.

“Non mi piace.” , sibilò lei, avvicinandosi all’orecchio del marito.

Roran scrollò impercettibilmente le spalle. “È un lord come un altro, e noi dobbiamo ancora imparare come partecipare ai giochi di potere. Siamo ancora troppo inesperti.”, sospirò costernato, “Abbiamo già avuto a che fare con lui ed era un re, al tempo. Se non ha ordinato che le nostre teste venissero tagliate dai nostri colli quando ne aveva pieno potere, dunque ora possiamo stare tranquilli.”

La ragazza fulva si morse il labbro inferiore. “Nasuada ci ha sempre protetti, per quanto i suoi metodi a volte sembravano duri.” , gli ricordò.

Lord Orrin infilzò con tanta forza un pezzo di mela nel suo piatto da trapassarla, producendo un forte rumore metallico. Katrina impallidì. “Ti posso assicurare che mi sembra diverso dalla Guerra.” , sussurrò ancora al marito, stringendogli un braccio.

Il piccolo Finiarel aveva preso a frignare, interrompendoli, allora Katrina aveva fatto un cenno a Nasuada, mentre si alzava per riportarglielo, ma la regina l’aveva fulminata con lo sguardo. La contessa si sedette nuovamente sul suo scranno, seguendo la direzione dello sguardo della regina, che le indicò cosa fare con il piccolo. Una domestica castana era in piedi in un abito di buona fattura - segno che lei non era una semplice serva, ma il suo rango era ben più alto - assieme a Farica. La giovane contessa dai capelli rossi iniziò a fissarla con intensità, finché questa non lo notò, e si avvicinò velocemente.

“Io sono Maeve, per servirvi.” , disse con un inchino del busto.

“Il bambino ha bisogno della sua balia. Riportatelo per favore nelle sue stanze.”

La donna annuì, tendendo le mani e prendendo con un sorriso caldo il principe tra le sue braccia - che non si irrigidì nell’essere posato al petto della donna, segno che già era abituato a lei - , poi si congedò. I Protettori guardarono Nasuada, che fece un quasi impercettibile segno di assenso col capo, poi addolcendo per un istante lo sguardo in ringraziamento.

Roran si tornò a voltare verso la donna che si allontanava, studiandola. 

Katrina lo imitò. “Che c’è?”

“Non so perché ma mi ricorda Eragon.”

La moglie sospirò, giocando con il cerchio d’oro che aveva al dito, regalato dall’Ammazzatiranni. “Tutto ti ricorda Eragon. Ti manca ancora di più da quando lo avete rivisto con lo specchio.”

Roran annuì tristemente, guardando poi Ismira. “Si sta perdendo molto.”

“Potresti sempre chiedere a Murtagh di scortarti da Eragon.”

“È volare di nuovo su una di quelle bestie squamate?! No, per favore, il mio stomaco non è così forte.”

La moglie lo squadrò contrariata. “Da oggi ti chiamerò allora ‘Debolmartello’.”

“Mantello.” , ripeté la piccola tra le braccia della madre. 

Roran scoppiò a ridere. “È ‘martello’, non ‘mantello’.”

“Dove Roì?”

“È andato a mangiare qual-”

La ragazza fu interrotta dall’arrivo di Murtagh, che si spostò dietro i loro scranni con lentezza. Notarono che Nasuada si era spostata accanto a un anziano, seduto nella parte del tavolo assieme a tutti gli altri lord più longevi.

“Venite, devo presentarvi qualcuno.” , impartì Murtagh con un tono che non ammetteva repliche.

Lo seguirono dalla regina, titubanti perché avrebbero sicuramente dovuto parlare con lord di più alto rango del loro, poi Murtagh aiutò l’anziano a voltarsi verso di loro, muovendo lo scranno dall’alto schienale, con tale facilità come se il lord non avesse peso alcuno. Roran da vicino riuscì a notare come sembrasse il più vecchio di tutti gli altri anziani, addirittura messi assieme.

“Milord.” , lo salutarono i due sposi, inchinandosi.

L’anziano sorrise, mostrando una bocca con pochi denti rimasti. “Lord Roran, che splendida moglie che avete! E quella bambina è davvero dolce.”

Fortemartello alzò un sopracciglio quando dimostrò di poter ancora vedere, nonostante i suoi occhi avessero una patina bianca così spessa da coprire quasi del tutto quel grigio-azzurro particolare. Alzò il capo su Murtagh, che gli annuì brevemente. “Lui è mio nonno Flaithrì, lord di Therinsford.”

Roran sbiancò. “Mi dispiace per quanto accaduto per i terreni, io non sapevo vi fosse ancora il lord di Therinsford.”

Flaithrì scacciò le sue parole con la mano. “Non importa, sono quisquilie. Grazie a voi sono riuscito a incontrare mio nipote per la prima volta.”

Fortemartello si grattò la nuca con imbarazzo. “Se non volete, dunque, indietro i vostri terreni, cosa posso fare per voi?”

L’anziano alzò il mento. “Prima di tutto volevo conoscere l’uomo le cui gesta con un martello sono ormai leggendarie.” , disse con un sorriso ammirante, “Poi, pronunciarvi la mia fedeltà, lord Protettore.”

Roran si congelò. “Voi state giurando fedeltà a me?”

Flaithrì si voltò verso il nipote. “Non mi hai, dunque, portato l’uomo che avevo domandato?!”

Murtagh alzò le mani, sulla difensiva. “Lui è mio cugino Roran, senza dubbi alcuni, nonno.”

Fortemartello s’intromise, allora. “Perdonatemi, milord, ma la mia esclamazione era riferita alla vostra nobiltà. Non siete voi il principe delle storie per bambini che circolano nel Nord?”

Flaithrì fece un sorriso sghembo. “Sì, sono io, ma il sangue reale non mi impedisce di giurare fedeltà al Protettore anche della mia casa. In più come saprai, sono un principe senza un trono, il che fa di me un lord inutile senza una causa a cui devolvermi.”

Nasuada s’intromise per risistemare la situazione. “Sono sicura che lord Roran accetterà la vostra fedeltà, fornendogli i vostri uomini per proteggere le vostre case, mentre io qui farò buon uso dei vostri consigli, milord.”

Flaithrì le prese la mano con calore, sorridendole. Nasuada ricambiò con una tale dolcezza che solo con il suo piccolo le aveva visto sfoggiare.

“Accetto la vostra fedeltà, principe Flaithrì di Therinsford.” , concluse Fortemartello, terribilmente a disagio, a quel punto.

Mentre tornavano alle loro sedute, Murtagh camminando accanto al cugino, quest’ultimo lo guardò di sottecchi. “Non mi avevi detto di essere oltre che un duca, un principe.”

Murtagh piegò il capo da un lato. “Già, in effetti non ti ho spiegato una cosa: Morzan non era esattamente in buoni rapporti con suo padre.”

“Questo non spiega perché il tuo titolo sia comunque solo di duca.”

“Perché Morzan era il figlio minore, e ha deciso di staccarsi dalla casata di suo padre, prendendo poi il ducato di Dras-Leona dal re, quando i principi non avevano più valore sotto l’autorità di Galbatorix, anzi, erano ai suoi occhi solo un pericolo. La loro nobiltà, come sai, non è revocabile come quella degli altri lord investiti. E dunque è per questo che, nonostante io non sia mai stato riconosciuto nella linea ereditaria dei principi del Nord, mio nonno ha potuto riconoscermi.”

Il cugino alzò le spalle. “Gira che ti rigira, alla fine il titolo di tuo figlio è comunque di principe, quindi immagino che tu sia soddisfatto.”

Murtagh sospirò, prendendogli il braccio per terminare la loro camminata. Nasuada e Katrina, nel frattempo, continuarono ignare di aver perso i mariti nella grande sala.

“Non m’importa il titolo di Nasuada o di mio figlio, o il mio! Io la amo sinceramente, e avrei fatto di tutto per stare con lei anche se non avesse avuto il rango sufficiente per sposarmi. D’altronde sono considerato da tutti un uomo spregevole, che non è capace di rispettare le regole...” , sbuffò, “Non ti ho fatto conoscere Flaithrì per vantarmi davanti a te della mia discendenza!”

“E allora perché?”

“Perché sarà sempre un tuo alleato, grazie a me, grazie a mia madre e al sangue che condividiamo. Nasuada ti avrà reso un conte e il Protettore del Nord, ma agli occhi dei nobili, tu sei una nullità senza degli alleati potenti.”

Il castano s’irrigidì. “Hai fatto tutto questo per me?”

Murtagh si voltò verso i muri della sala, per evitare lo sguardo del cugino. “Sì, come tu hai sempre servito Nasuada, salvandole anche la vita.”

“Nasuada ha salvato la mia vita e quella della mia gente, è per quello che ho iniziato a servirla. Solo dopo ho capito di non poter più avere una Signora altra da lei.”

Il Cavaliere mise una mano sulla spalla a Roran. “Siccome io servo lei, allora servirò anche te con i mezzi a mia disposizione. La disputa dei terreni per Flaithrì era già bella che conclusa, ma era importante riportarla a galla perché ti giurasse pubblicamente fedeltà.”

Fece voltare entrambi verso i lord, seduti al lungo tavolo, tenendo le loro teste vicine. Ne indicò alcuni con il mento, e Roran vide il movimento con la coda dell’occhio. “Percepisci la loro tensione? Sono venuti qui per festeggiare ieri, e lo stesso pensavano sarebbe stato stamattina, mentre invece ora dovranno rivalutare i loro piani per minare il tuo controllo su di loro.”

Osservò Doneuuald di Ceunon, che stava spostando il cibo nel piatto senza mangiarlo, mentre di solito era capace di ingozzarsi fino a star male; lord Colart di Narda che stava animatamente discutendo con la moglie Orella di Petrovya; Dederic di Gil’ead invece era l’unico che non toglieva mai lo sguardo da Fortemartello. La moglie di questo, assieme alla lady di Ceunon, si erano sfacciatamente spostare a parlare con lord Flaithrì, che annuiva distrattamente alle loro parole, mentre leggeva un libro.

“Ora siete due contro tre, non uno contro tutti. Ma anche se in inferiorità numerica, Flaithrì vale come quindici. Capisci ora?”

Roran annuì. “Ti ringrazio.”

Murtagh lo sospinse via, prima che fosse troppo tardi, e i lord scoprissero il suo inganno. Tornò verso il suo posto d’onore, piegandosi prima di sedersi a baciare Nasuada.

“Dove eri finito?”

Lui alzò le spalle. “A parlare con mio cugino di caccia.”

Nasuada alzò un sopracciglio, ma non indagò oltre quando vide due figure femminili avvicinarsi.
Sorrise loro caldamente, accogliendole.

Angela e Elva finirono di avvicinarsi alla coppia reale con aria solenne. Nasuada perse il suo sorriso, che aveva stampato in volto dal risveglio. “Qualcosa non va, mie dame?” , chiese loro.

Le due scossero le chiome bionda e corvina. “Siamo giunte a darvi una notizia, vostra maestà.”

La giovane dalla pelle d’ebano guardò Elva, che le aveva rivolto la parola, stupita. “Una notizia?”

La strega-bambina, che non dimostrava più l’aspetto di una bambina, annuì con secchezza. “Partiremo oggi stesso per abbandonare Illirea.”

Anche Murtagh le guardò esterrefatto a quelle parole. “Avevate detto che avreste aiutato anche voi a proteggere mia moglie! Mi avete avvisato di trame contro di noi, e già due volte siamo stati colpiti in così poco tempo!”

Angela alzò una mano, a volerlo fermare. “Non andremo lontane da Illirea, al massimo un’ora a cavallo. Ci insedieremo mantenendo un profilo basso in uno dei borghi al di fuori delle mura esterne.”

Nasuada le prese la mano. “Posso sapere il motivo di una vostra decisione? Vi ho in qualche modo offese?”

Fu Elva a scuotere il capo, abbassando lo sguardo. “Vedervi creare una famiglia mi ha fatto ricordare che invecchierò più velocemente di qualsiasi altro umano, facendomi al contempo desiderare una famiglia mia. Ma rimanendo qui mio marito o i miei figli saranno sempre guardati di sottecchi perché legati alla strega-bambina.”

Gli occhi di Nasuada s’inumidirono. “Hai la mia benedizione, Elva. So che sarai sempre pronta a proteggermi, ma non sei un mero pezzo di un’armatura senza sentimenti... Sei un essere umano quanto me ed è tuo diritto poter avere una vita al di fuori dal guardarmi.”

Le due donne annuirono, Elva tirò anche su col naso, poi fecero una riverenza e se ne andarono.

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Capitolo 36
*** Un anno dopo ***


Dopo l’assoluzione pubblica di Murtagh, la popolarità della giovane sovrana era lievemente diminuita, costringendola a vivere reclusa nella fortezza, costantemente sotto osservazione delle guardie, o di Murtagh quando era nella capitale. La cerimonia dell’unione reale aveva quietato gli animi nei nobili, ma non aveva avuto l’effetto sperato sulla popolazione rurale, anzi, nessuno era nemmeno minimamente contento del suo matrimonio, secondo le voci raccolte e riportate dalle mille orecchie di lady Elessari. Eppure, un anno era già passato dalla morte di Galbatorix e Nasuada si sarebbe aspettata di aver ottenuto molto di più nella ricostruzione di quel paese per quella data, ma invece era addirittura meno popolare dei primi mesi dopo la sua elezione, perciò le mura delle città di Alagaesia avevano ripreso a chiudere i cancelli la notte e i coprifuoco erano stati riapplicati per la sicurezza della popolazione, contro i manifestanti violenti. O peggio, il loro nemico sconosciuto che turbava i momenti di riflessione della regina.

Ciò che la faceva più arrabbiare, era la gioia che avevano riservato tutti alla notizia del matrimonio di Orrin. Persino sapere che lei lo avrebbe celebrato non li aveva scossi, come invece temeva. L’ex-re si era velatamente fatto beffa di lei, per la sua superbia che l’aveva portata a essere per la prima volta impopolare. Era riuscito a guardarla dall’alto in basso, lui un Protettore e lei una regina, qualche giorno prima di ripartire per Aberon. Ma ormai era troppo tardi per sposarlo, un uomo che non aveva mai perso il suo fascino agli occhi delle folle, e nulla se non i festeggiamenti diffusi in tutto il paese per la Liberazione, potevano risollevare l’opinione riguardo la regina nella popolazione. Eppure, non avrebbe saputo l’esito delle previsioni di Elessari, fino alla fine di quella giornata.

Murtagh si era svegliato sentendosi leggero, quella mattina, mentre Nasuada era più scontrosa che mai. Lui aveva aperto gli occhi al fruscio della sottoveste della regina, che stava cercando di svolgere il bozzolo che le si era creato intorno per colpa del sonno agitato. Le prese il polso, fermandola. “Buongiorno, Amore mio. Lascia che ti aiuti.”
Lei non rispose, se non con un sospiro stizzito - anche se lui riuscì a capire al volo che non fosse diretto a lui personalmente, o al suo comportamento - . Ridacchiò appena, mentre sfilava i piedi dalle lenzuola, l’unica cosa rimastavi sotto grazie al risvolto sotto il materasso, poi circondò la moglie con le braccia, sollevandole il busto di peso, per liberare il telo bianco.
“Notte tormentata?” , le chiese lasciandole un bacio mentre ancora era prigioniera del bozzolo, “Spero non sia stata colpa mia o di mio figlio.”
Lei scosse il capo, ancora senza sciogliersi dal suo mutismo.
Qualcuno bussò alla porta. Nasuada sfruttò l’occasione per liberarsi dalle braccia del marito, saltando fuori dal giaciglio e lasciandolo con il broncio scocciato sul volto. Corse alla porta, affacciandosi.
“Mia regina, volevo informarti che i preparativi per i festeggiamenti sono pronti in tutto il paese.” , disse la voce profonda di Jormundur.
Murtagh si alzò a sedere incuriosito, non essendosi mai recato il Consigliere in persona a informare la regina di qualcosa.
Si mosse silenziosamente per la stanza, andandosi ad accostare alla giovane dalla pelle d’ebano. Ricevette un breve sguardo torvo dall’uomo anziano, che non condivideva ancora il desiderio del Cavaliere di dormire ogni notte assieme alla regina, nonostante gli appartamenti reali prevedessero la stanza per il consorte come di consuetudine accanto al Talamo.
“Festeggiamenti?” , chiese il giovane.
“Sì, gli elfi ci hanno gentilmente concesso una sostanza che produce fuoco, scoperta dal loro illustre fabbro per sbaglio.”
“Perciò si accenderanno dei falò nel regno, per festeggiare la morte di Galbatorix?”
“No, ci saranno degli spettacoli di luci nel cielo, grazie alla sostanza elfica. Non ne so molto, immagino che dovremo attendere stasera per goderne.”
Murtagh sorrise radiosamente. “Sarà sicuramente una giornata memorabile in tutto il paese.”
A quelle parole, la regina s’irrigidì. Voltò i tacchi e si diresse nel suo guardaroba, chiamando le sue ancelle a gran voce.

Il Cavaliere guardò interrogativamente il Consigliere, chiedendogli silenziosamente la sua opinione.
“La nostra regina ha troppo a cuore i suoi sottoposti per accettare di non poter fare del bene per ogni singolo, perciò si comporta così. Anche quando doveva scontentare qualcuno al tempo dei Varden, si comportava come era richiesto logicamente, ma in privato poi si lasciava tormentare dal senso di colpa.”
“Come può credere di poter fare del bene a tutti?!” , esclamò Murtagh.
Jormundur avanzò di un passo, poggiandogli una mano sulla spalla. “Non è stupida, come ben sapete. Il suo punto debole è avere un cuore capace di ospitare ogni singola persona di questo paese.”
Il giovane sospirò. “Immagino che stiate per dirmi che il mio compito come marito è supportarla quando il suo cuore è ferito dal disappunto di non aver potuto accontentare tutti.”
Il Consigliere gli serbò un timidissimo sorriso, annuendo. “Avete lo stesso difetto, perciò ora andate da lei.”
“Io non-”
“Avete smorzato per molti anni la vostra capacità di amare, o meglio vi siete convinto di non volerlo più fare, ma la natura di un individuo non si può cambiare. Ho capito tutto questo del figlio di Morzan quando avete accompagnato Eragon da noi Varden, nonostante sapeste che sareste stato imprigionato anche solo per portare il nome di vostro padre. E anche se poi siete stato costretto a passare dalla parte del re, avete cercato di salvare la vita di Nasuada, di evitarle dolore fisico e mentale con la vostra alleanza. Siete rimasto per lei e per il principe quando i vostri occhi urlavano la paura di essere rimesso in gabbia.”
Il giovane abbassò il capo, sentendosi nudo, anche se almeno i calzoni li indossava. Si portò una mano al fianco, percependo la pelle di consistenza diversa rispetto a quella che ricopriva tutto il resto suo corpo, in corrispondenza della fine della cicatrice. Rabbrividì. “Se dunque abbiamo la stessa debolezza, come potrò aiutarla?”
“È difficile aiutarsi da soli, e vedere il problema in primo luogo. Dall’esterno è più facile, perciò anche se potenzialmente entrambi potreste commettere e ricommettere gli stessi errori, riuscirete a tenervi lontano da quel precipizio a vicenda. È quello che dovrai fare con lei oggi: mostrarle coloro che invece hanno avuto la vita migliore grazie all’instancabile lavoro della regina Nasuada.”
Murtagh annuì, poggiando la sua mano su quella dell’uomo. Si fissarono per lunghi momenti negli occhi, poi il giovane si voltò per prepararsi alla sua missione.
Chi avrebbe potuto utilizzare per una tale dimostrazione?

Si andò a lavare il torso e il volto, vestendosi da solo come al solito, con il suo miglior abito per quel giorno.
Chiese alla servitù dove fosse la regina, non avendola trovata nel suo guardaroba. Con sua fortuna, gli venne detto che stava attendendo la colazione nello studio.
La raggiunse con passo felpato, macchinando come avrebbe potuto migliorarle la giornata.

La giovane era seduta alla scrivania, senza carte di fronte a lei, intenta a fissare il vuoto mormorando qualcosa.
Dèi, la tensione la sta dilaniando…
La coscienza dell’enorme drago rosso di fece presente. Sono d’accordo con il Consigliere bipede: se la tua Compagna-di-Cova dovesse ammalarsi nella mente e poi di conseguenza nel corpo e doversi ritirare dal potere, ora che il vostro cucciolo non può ancora succederla e nemmeno tu per via delle nostre colpe, questa terra cadrebbe nel baratro.
Murtagh sospirò, facendolo così piano però da non essere udito dalla moglie. E cosa mi suggerisci di fare?
Il drago rosso fece una lunga pausa di riflessione, dando anche all’umano il tempo per pensare. Dovresti comprendere cosa, in cuor suo, la turbi di più.
Il moro roteò gli occhi tra sé. Non poter rendere la vita migliore a tutti i suoi sudditi, no?
Castigo fece una risata stizzita. Quella è la facciata, ma non sai cosa si nasconde dietro di quello di così grosso da poter destabilizzare una donna come Nasuada. Ha resistito alle torture mentali di Galbatorix quasi senza aiuto!
Murtagh spalancò gli occhi, colpito dalle parole del suo Compagno.
Si mosse di qualche passo, arrivando alla scrivania. La sua presenza si fece palese tutto fuorché dolcemente, perché sbattè lo stivale attorno a una gamba del mobile ligneo, producendo un gran tonfo. Nasuada alzò gli occhi, poi gli fece un cenno del capo.

“Non mi hai atteso per la colazione.” , iniziò lui.
La giovane assunse per qualche istante un’espressione dispiaciuta, ma un altro mostro più grande tornò a prendere tutta la sua attenzione: le sopracciglia della regina si unirono, formando piccole rughe nella pelle della fronte. “Sei ancora in tempo, non mi è ancora stata portata.” , gli disse comunque.
“Se non ti dispiace la mia presenza, gradirei consumare la colazione con la mia bellissima moglie.” , le disse dolcemente. Ma la giovane non era dell’umore giusto per usare questi toni frivoli. “Sono tutti i giorni al tuo fianco, non siamo due sposi che trascorrono solo qualche istante assieme. Questa notte hai dormito nel mio letto, se non sbaglio…”
Murtagh annuì, girando attorno al tavolo, per esserle dietro le spalle. “Sì, e non era certo questo il tuo umore… Ho sbagliato in qualcosa, o ho fatto qualcosa che non ti è piaciuto?”
“Stai facendo allusioni sessuali a una regina?” , le chiese atona. Un po’ quel tono spaventò il giovane, ma questo si sforzò di non vacillare davanti il malumore della moglie.
“Non mi permetterei mai, davanti a una fanciulla che ha ceduto la sua virtù solamente meno di un mese fa…” , scherzò. Nasuada emise un colpo di risata, guardandolo negli occhi, poi scosse il capo e prese un’altra pergamena. Si strofinò la nuca con una mano sottile e poca gentilezza, gemendo leggermente per il dolore.
Murtagh le mise una mano alla base del collo, massaggiandole la pelle scura sotto i capelli. “Vuoi dirmi per quale motivo, in questo giorno, mi stai evitando?” , le chiese facendo finta di non avere già precedentemente avuto degli indizi sul motivo del suo malumore, “Ti ho per caso offesa?”
La giovane scosse il capo con forza, con gli occhi lucidi dal dispiacere. “No! Non voglio che tu pensi questo…”
“E allora si può sapere il motivo del tuo turbamento?” , la punzecchiò.
Nasuada affondò il volto tra le mani, senza piangere tuttavia. Deglutì pesantemente, facendo una lunga pausa di silenzio. “Ho fallito per la seconda volta...” , disse con la voce ridotta a un cigolio, tanto che persino il marito ebbe difficoltà a udirla.
Murtagh le avvicinò il volto prontamente per guardarla negli occhi, cingendole le spalle con un braccio. “Quando mai tu avresti fallito?”
La sentì sospirare pesantemente. “Questo dovrebbe essere il momento in cui abbandoni l’ironia per consolarmi. Oppure, se tu non dovessi sapere come consolarmi ora, potresti usare il tuo fiato per aiutarmi a trovare una soluzione, piuttosto che dire cose così scontate.”
Il marito emise un ringhio basso, lievemente ferito dalle parole della donna. Ma capiva che non avesse intenzioni cattive nel proferirle, le erano probabilmente uscite di getto, perché le aveva internalizzate da bambina, e in quel momento doveva assolvere il compito datogli da Jormundur. No, dal suo ruolo di consorte. Le prese le mani, tirandole a forza via dal suo bellissimo volto, ma senza farle male. “No, ora voglio sapere quando ritieni di aver fallito, dannazione! Non conosco persona che possa vantare gesta più grandi delle tue...” , le disse duramente, fissandola negli occhi ambrati.
Ricevette uno sguardo d’odio in risposta, oltre a parole ancora più dure delle sue: “Eragon vanta più vittorie delle mie. Mentre io ero legata a una lastra di pietra in una cella a lordarmi il corpo con i miei stessi escrementi, lui ha ucciso Galbatorix assieme a te. E ora... non sono nemmeno riuscita a guadagnarmi la fiducia del mio popolo. Come posso pensare di governarlo, se le persone mi odiano?!”
Murtagh grugnì. “Nasuada, non azzardarti mai più a parlare in questo modo! Galbatorix era un uomo che governava un impero senza che nessuno gli fosse davvero fedele, compreso il sottoscritto! In un solo anno tu hai già migliorato molto la condizione delle persone, ma dall’alto del tuo castello non puoi vederlo!”
La porta di servizio dello studio si aprì, rivelando il capo biondo di Alfhild. Appena vide la regina e il marito con i volti a un palmo l’uno dall’altro, roteò sui suoi talloni, mormorando qualche scusa lasciata a metà per l’imbarazzo, finché Murtagh non le impedì di andarsene con prontezza, chiamandola perentoriamente per nome, anche se a lei non serbò alcuna durezza nel tono. La bionda si voltò, sistemandosi le mani giunte in grembo, come era costume per i servitori del castello posizionarsi, in attesa di ordini.
“Alfhild?” , la richiamò il Cavaliere.
“Sì?”
“Non eri qui per portare la colazione alla regina?”
La giovane impallidì, correndo alla porta e tirando all’interno un carrellino. Il giovane le andò vicino nel frattempo, prendendo il suo posto. “Lascia fare a me, è pesante.”
Lei arrossì per la galanteria del Cavaliere, seguendolo per almeno posare il vassoio di fronte alla ragazza dalla pelle d’ebano. Quando il profumo di pino della bionda inondò le narici dell’altra, Nasuada parve risvegliarsi dal suo stato catatonico dovuto al tormento.
Guardò la domestica con calore, posando le dita scure sul dorso della mano bianca. Imbarazzata, Alfhild la ritrasse, poi scusandosi con un inchino.
“Non devi preoccuparti, è colpa mia per averti toccato così repentinamente.” , la rassicurò la regina.
La giovane fece spallucce, chiedendo poi di congedarsi, trattenendo a stento uno sbadiglio.
“Ah, Alfhild?” , la chiamò ancora Murtagh, mentre usciva. Per la seconda volta, la bionda si voltò, in faccia stampata un’espressione molto confusa.
“Sì, milord?”
“Togliti il grembiule, prendi Samra e Roseia e recatevi dalla tua famiglia. Quest’oggi è la festa di tutto il paese, e tu come tutti gli altri inservienti che hanno ancora dei cari da cui tornare, dovreste essere esentati dall’obbligo di lavorare.”
“Ma, milord, se tutti si assenteranno dal castello, chi vi aiuterà? E le guardie, anche loro possono prendere congedo?” , protestò la giovane con sincera preoccupazione.
Murtagh sorrise caldamente. “I Falchineri rimarranno a proteggere la famiglia regnante, sta’ tranquilla che domani, al tuo ritorno, ritroverai ancora la tua buona regina ad aspettarti.”
Nasuada si unì al sorriso, rinforzando le parole del marito.
“Per il resto, sopravvivremo una giornata senza servitù: abbiamo sopportato la scomodità della vita da campo, in guerra, perciò siamo capaci persino di cucinare qualcosa da noi stessi. Ti ringrazio per quanto hai dimostrato di averci a cuore, ma anche tu hai diritto al riposo. Beh, in realtà dovresti riposare comunque di più, nella tua condizione.”
La giovane si passò le mani attorno alla sporgenza rotonda, con un sorriso. “Potrei effettivamente giovare di un giorno di riposo in più. Sia io sia Samra abbiamo lavorato molto più duramente da quando abbiamo appreso di questo piccolo, perciò un giorno di pausa non ci manderà in rovina.” , rifletté. Si voltò verso la regina, inchinandosi profondamente. “Miei lord, accetto la vostra magnanimità e andrò a festeggiare questo giorno con la mia famiglia, portando anche mio marito e nostra figlia con noi. Vi ringrazio.”
“No, siamo noi a ringraziare te per il tuo lavoro instancabile. E non potremo mai ripagarti abbastanza per aver adottato quella bambina. Ti ammiro molto, Alfhild.” , intervenne Nasuada, poi lasciando che la ragazza si congedasse.
Quando la bionda fu fuori, Murtagh si voltò con un sopracciglio alzato, verso la moglie. “Allora? Sei ancora sicura di essere un pessimo sovrano, un fallimento?”
“Sì.” , rispose velocemente Nasuada. Il marito sbiancò, ma la regina gli poggiò il capo su una spalla. “Ma ti ringrazio per avermi aperto gli occhi sul fatto che, per quante persone io non sia ancora riuscita a raggiungere, ci sono molte persone come quella ragazzina a cui io abbia toccato il cuore.”
Murtagh incrociò le sue dita con quelle di Nasuada, con un sorriso timido ma dolce sulle labbra, che non voleva andarsene. “Quando Samra è arrivato qui - mi ha svelato lui - , è rimasto stupito da quanto ti lodassero le persone di questa città, e i soldati all’esterno del castello. Ovviamente gli abitanti di Illirea sono i primi a beneficiare per vicinanza delle tue misure migliorative, ma pian piano le condizioni anche dei villaggi più estremi dei tuoi territori si risolleveranno, e sarai la regina più amata della storia del trono che occupi.”
La giovane sospirò. “Angela ha predetto questo per nostro figlio. Non posso pretendere, d’altronde, di rubargli questo primato. Una madre non dovrebbe provare invidia per la nomea del proprio figlio.”
Il marito ridacchiò un attimo, concedendosi una tregua da quel discorso serio. “Ciò che Angela ti ha detto la notte in cui è nato Ruaidhrì mi auguro si avveri, un giorno. Ma non potrà mai essere un re che saprà donare cento anni di prosperità e pace al nostro paese, se sua madre prima di lui non gli avrà lasciato un sentiero ben spianato, o un campo fertile su cui seminare il suo governo. Tu sei altrettanto importante, ed è giusto che provi a cambiare quanto più questo paese prima che sia il turno di nostro figlio farlo, anche provando rabbia e sconforto davanti alle difficoltà.”
Nasuada guardò il Cavaliere con accondiscendenza. “Mi sono illusa che sarebbe stato un percorso in discesa, dopo essere riuscita a liberare questo paese dalla tirannia. Credevo bastasse la mia buona volontà e la mia forza, ma non è stato così.”
“Io ho creduto che con la volontà sarei potuto per sempre rimanere libero dalle grinfie del Re Nero, ma non è stato così… Ci sono forze più grandi di noi che non possiamo controllare. E fa male sapere di essere impotenti ma, come durante la Liberazione, l’unione farà la forza contro i nostri nemici.”
“Galbatorix sembrava un nemico invincibile, eppure alla fine è morto! Se queste persone sono suoi seguaci, organizzati da lui prima di morire, potremmo ritrovarci come topi in trappola, soccombere e far ricadere di nuovo tutto nel caos…” , rifletté con timore la regina.
Il giovane le poggiò il mento sul capo, stringendola più forte a sé. “Non potremo mai vivere senza questa paura. Ma possiamo lottare, dobbiamo farlo. Tu sei stata la mia forza per ricominciare a reagire alle brutture della tirannia di Galbatorix, ora voglio esserlo per te.”
La giovane si rivoltò verso di lui in uno scatto, rompendo l’abbraccio. Lo guardò con emozione negli occhi, poi lo abbracciò di nuovo, più strettamente. “È davvero importante sapere di avere una colonna a cui poggiarsi! Per tutta la vita ho avuto mio padre, mi sono fatta forza con la sua forza; poi è mancato e ho dovuto alimentare da sola questa forza. Questa nuova posizione mi sta destabilizzando ogni giorno di più, ed è rincuorante sapere di non dover essere la mia e la tua forza assieme.”
Murtagh grugnì leggermente in dissenso. “Non è che uno deve essere la forza per sé e il proprio sposo, capisci… siamo uniti per essere una forza unica e bilaterale. Oggi, come sempre, io servirò a tirarti fuori dai tuoi turbinii di pensieri bui.” , la circondò a sua volta con le braccia forti, “Ma mi sembra di averti già - direttamente o indirettamente - esposto questo concetto…”
“Un matrimonio è pazienza, Cavaliere.” , gli ricordò con una risatina.
“Dunque sarò la tua colonna, il tuo scudo e la tua spada e avrò pazienza, moglie cara. Ah, e sarò la spugna per i tuoi timori, i malumori, la preoccupazione; di modo che tu possa essere la regina decisa e impavida di cui questo paese ha bisogno.”
“Questa conversazione è stata migliore dei nostri voti nuziali. Che vergogna.” , scherzò fingendosi preoccupata.
Il Cavaliere annuì, sospingendola in piedi. “Ora, al lavoro, mia regina! Questo paese non migliorerà da solo.” , la spronò.
La giovane si sistemò il vestito, poi si sedette alla scrivania, finendo velocemente il cibo che aveva lasciato, per tornare alla sua mappa e alle sue pergamene. Prese il modellino di un cavaliere con due soldati ai piedi della cavalcatura - rappresentanti i loro nemici - e li nascose dietro il calamaio, lontano dai suoi pensieri. Murtagh prese il vassoio lasciato dalla giovane Alfhild, sparecchiando ciotole e posate e congedandosi per riportare tutto nelle cucine.

Di ritorno trovò Farica intenta a dare ordini a due giovani garzoni intenti ad appendere grandi festoni vegetali e floreali. Lo fermò prendendolo per l’avambraccio. “Se non siete con lei deduco si sia un poco rincuorata.”
Il giovane espirò. “È stato un lungo discorso, ma alla fine è arrivata a patti con il fatto di poter essere una buona regina anche con dei problemi sul suo territorio. Nei Varden erano davvero tutti così d’accordo da non arrivare mai a destabilizzarla?”
La donna diede l’ultimo ordine, poi lo prese a braccetto, guidandolo verso il porticato. “No, le trame per il potere e i disaccordi v’erano anche all’epoca, ma la nomina a regina e credo anche la maternità l’hanno lievemente destabilizzata.”
“Come è normale.”
“Come è normale.” , disse d’accordo la dama da compagnia, “Stavolta però ha un nuovo alleato, in cui io e mio marito riponiamo tutta la nostra fiducia perché possa aiutarci a sostenerla, in un modo in cui due genitori non potranno mai fare.”
Il Cavaliere comprese l’importanza del suo ruolo di innamorato ancora di più. “Potete essere certi che non l’abbandonerò mai.”
Farica gli sorrise, lasciandogli il gomito.
Il giovane la salutò con un baciamano, dirigendosi poi verso il proprio figlio. Lo prese con sé dalle braccia della balia e si spostò dal suo Compagno.

Osservarono, i tre assieme, la vitalità del castello per le decorazioni e i festeggiamenti di quel giorno importante per tutti, e al Cavaliere ancora sembrava surreale che la regina potesse non accorgersi del suo ruolo fondamentale ora per la vita pacifica di Alagaesia.
Quando il piccolo ebbe fame, lo riportò nelle stanze reali, dove venne nutrito e messo a riposare, dando così tempo al Cavaliere di librarsi sul dorso della Montagna Rossa, sulla città e verso le campagne.

Si riposò al sole, poi tornò indietro quando udì in lontananza le trombe che annunciavano l’arrivo della regina degli elfi. Nel tempo che impiegò ad arrivare nella fortezza, anche il re dei nani e il Capo degli Urgali erano giunti alla corte per i festeggiamenti. Il Kull era visibilmente a disagio in quel luogo, visto che si guardò intorno con circospezione fino a incontrare la figura della regina Arya, da cui non distolse più lo sguardo per tutta la serata che seguì.
Vi fu una cena, a cui Murtagh partecipò mantenendosi quanto più in disparte, o solo intrattenendo quelle poche conversazioni con i nobili o i regnanti di altri popoli che lo interpellarono. Arya fu rapita - e, con sfortuna del padre, rapì a sua volta - per tutto il tempo il neonato rampollo umano, lasciando Nasuada al centro di nugoli di persone che vollero complimentarsi e parlare con lei. Murtagh la vide serena, come se il dispiacere che aveva provato quella mattina non l’avesse mai sopraffatta a tal ammontare.

Vennero portate numerose casse dal popolo elfico, contenenti oggetti sconosciuti ai più, probabilmente gli strumenti con cui avrebbero realizzato lo spettacolo luminoso promesso.
Il Kull fissò gli scrigni con avidità inizialmente, poi con uno strano sguardo deluso. Arrivò anche a chiedere al Cavaliere Rosso in persona se potesse mostrargli le uova di drago che sapeva custodisse nel castello, ma proprio in quel momento vennero richiamati tutti sui terrazzi che si aprivano dalla sala da festa per lo spettacolo.
La regina dalla pelle scura si affiancò al marito con delicatezza, lasciando che lui la guidasse all’esterno su un terrazzo in v’erano da soli, e attesero al chiaro di luna.

Al primo scoppio rumoroso, Nasuada sussultò spaventata, premendosi una mano delicata sul cuore. “Diamine, sembrava un colpo di cannone!” , imprecò a denti stretti.
Murtagh ridacchiò, spostando una mano sulla parte bassa della schiena della donna, coperta dallo stupendo abito, proprio mentre le prime scintille si libravano nel cielo. “È sempre polvere da sparo, vostra Grazia regina Salvatrice.” , confermò dietro le loro spalle l’emissario elfico.
Entrambi gli sposi attesero ed esclamarono stupiti, poi guardandosi per un istante negli occhi. Il Cavaliere si piegò in avanti, dando un bacio sulle labbra carnose della moglie, noncurante dell’osservatore. “Tutto questo è grazie a te. Non è mai stato festeggiato nulla sotto il dominio di Galbatorix.” , le mormorò.
In quell’istante, Castigo sfrecciò in alto da sotto la sua copertura, per volare dall’alto quello spettacolo nuovo anche per lui. In realtà, soprattutto per lui che, a parte Finiarel, era il più giovane essere di quella variopinta famigliola. L’elfo benedì l’animale magico nella sua lingua, e poi di nuovo assicurò parole lusinghiere alla regina.
Seppure dall’alto del castello, riuscirono comunque a udire un’esclamazione provenire dalle persone riunite nelle piazze della grande città. Nasuada sorrise appena, cercando la mano del marito.
“Voglio che per loro ci siano molti altri momenti di celebrazione, in futuro. I miei sudditi meritano di essere felici, perché senza di loro non sarò mai nulla...”
Murtagh annuì contento, piegando il capo per poggiarlo su quello della moglie, accorgendosi però che lei stava sgattaiolando via. “Ehi, dove vai di tutta fretta?!” , le urlò, la voce coperta in parte dagli scoppi di quella polvere scoperta dagli elfi.
“A lavorare per la mia gente. Voglio presentare loro al più presto una misura capace di migliorare la vita a molte persone.”
“Oh, e di che cosa si tratta?” , riuscì a chiederle nel silenzio tra uno scoppio e l’altro.
“Non lo so ancora, per quello dovrò lavorare giorno e notte. Non attendermi sveglio...” , terminò con un sorriso radioso in volto.

Il Cavaliere sospirò, tornando a voltarsi verso la balaustra di pietra.
Cercò di godersi lo spettacolo, ma l’assenza di Nasuada gli aveva rovinato abbastanza l’umore. Decise di spostarsi nello studio per dedicarsi ai suoi doveri anch’egli, passando prima da Maeve a riprendersi il principe.

Quella sera Murtagh contattò perciò Eragon come le sere precedenti, per le lezioni sulla cultura nanica, nonostante all’esterno dopo la fine dello spettacolo, canti e ballate si levassero da ogni angolo della città. Lo attese davanti allo specchio con il piccolo Finiarel tra le braccia, come la prima sera in cui si erano dati appuntamento, proprio il giorno dopo la Ricelebrazione. Non era stato per lui il momento migliore per incominciare le lezioni, avendo avuto Eragon per lui in serbo un letterale bombardamento di domande - come era tipico del suo carattere curioso e sempre entusiasta - .

Finiarel Ruaidhrì emise un gridolino tra le braccia del genitore, mettendosi un pugno interamente nella bocca rosa e sempre resa luminosa dalla saliva che ne bagnava l’entrata.
“Stai per sentire la voce di tuo zio - mio fratello - , piccolo. Se questa sera puoi essere accoccolato tra le mie braccia è solo grazie a lui. È stato Eragon, in un certo senso, a farci incontrare. E - si può affermare con certezza - è sempre grazie a lui se io ho incontrato tua madre.” , gli spiegò pazientemente, mentre il neonato era focalizzato sull’arduo compito di mangiarsi da solo.
Il Cavaliere rosso sbuffò, fingendosi contrariato per lo scarso interesse del figlio, per poi avvicinarsi al suo artefatto magico. Vi tolse il drappo rosso che lo copriva, osservando per qualche istante la superficie, vedendo sparire la sua immagine assieme al bambino, che quella volta con grandi occhi azzurro-ghiaccio osservò il processo rapito.
Il fratello si palesò nello specchio, già con un sorriso sul volto. Probabilmente stava aspettando il contatto del maggiore, visto che sedeva appoggiato alla scrivania, le braccia incrociate al petto per evitare di torturarsi le unghie.
“Eccolo, il novello sposo! Congratulazioni, fratellone.” , lo salutò con un tono gioviale.
“Ti ringrazio.” , Murtagh arrossì leggermente, abbassando lo sguardo, “Perdonami se ieri sera non ho potuto contattarti, Eragon.”
Il fratello scosse il capo. “Mi avevi avvertito, e sono consapevole che avessi dei doveri da assolvere.”
Anche Eragon arrossì subito dopo, rendendosi conto di cosa avesse implicato nelle sue parole. “Ti prego di scusarmi, io...”
“No, è tutto a posto. Nulla più mi farà imbarazzare, dopo la notte scorsa.”
Il minore si morse un labbro, dispiaciuto. “Almeno ora sei ufficialmente sposato con la donna che ami.”
Murtagh annuì con un grande sorriso, poi alzando un po’ le braccia, mostrando il figlio, spostando l’argomento, nel frattempo, su uno più gioioso.
Eragon fece un versetto strozzato ma al contempo acuto, esclamando tutto il suo stupore. “Murtagh è bellissimo, e ti assomiglia così tanto!”
Il maggiore fece un sorrisetto, con aria colpevole. “Nasuada non fa che incolparmi di questa cosa, ripetendomi le tue stesse parole.”
“In effetti dopo averlo messo al mondo, deve essere lievemente frustrante per una madre non riconoscersi nel proprio figlio.”
Murtagh si morse il labbro. “Immagino allora che nostra madre guarderebbe te con occhi più soddisfatti, visto che le assomiglieresti, se fosse viva.”
“Tu... te la ricordi abbastanza da dirmi che le assomiglio?”
Il maggiore esitò un attimo, prendendo a sfiorare il figlio con l’indice, cercando di tranquillizzarsi. “No, in realtà. Ma ricordo i suoi capelli, e che i suoi occhi erano castani e caldi. Selena era tutto l’opposto di Morzan con me, e con te provo le stesse sensazioni di quando lei era con me: e siccome di tutto ciò che è stato mio padre tu sei il contrario, perciò sì, le assomigli, direi...”
“Beh, mi sembra anche ovvio, non essendo figlio di Morzan...”
“Però, fratellino, ciò che voglio dirti è che assomigli a nostra madre quasi più che a tuo padre.” , commentò timidamente Murtagh, con timore di risvegliare il dolore in Eragon, nominandogli Brom.
“Immagino tu possa dirlo, avendolo conosciuto.”
“Per poco, purtroppo.”
“Sì, è così. Sono fiero di essere suo fi-”
Gli occhi castani dell’umano dall’aspetto di elfo scattarono in quelli del fratello, attraverso lo specchio. Quella volta era lui a temere di aver risvegliato in Murtagh un dolore forte.
Ma il maggiore guardò il figlio, con occhi dolci. “Mi auguro che un giorno lui possa essere fiero di me. So che è improbabile, ma poter stringere mio figlio - un letterale futuro -  tra le braccia, mi spinge a essere positivo, o per lo meno speranzoso.”
“Io sono fiero dell’uomo che sei ora, fratello.”
Murtagh sospirò. “Chi sono io, ora?” , chiese laconicamente.
“Permetti che lo scopra anche io? Ho qualche domanda per te, che non ho ancora potuto farti dal tuo ritorno. O meglio, dalla Liberazione.”
“Allora mi auspico che servano anche a me per schiarirmi le idee, perché è sempre stato impossibile schivare la tua raffica di domande, fratellino.”
Risero brevemente assieme, disturbando appena il sonno del principe.

Ma alla fine, dopo che Murtagh ebbe pazientemente risposto a ognuna, arrossendo involontariamente - anche se le non tutte le domande vertevano strettamente sul matrimonio - , avevano iniziato con le basi della cultura dei nani, stemperando pian piano l’imbarazzo del maggiore, che a metà lezione era nuovamente lucido e focalizzato sulle nozioni. Aveva fatto lui stesso molte domande, lasciando ogni volta Eragon con un sopracciglio alzato, nella scoperta che anche Murtagh gli assomigliava - in fondo - sotto quell’aspetto. Avevano già intravisto questo legame caratteriale durante il loro viaggio, ma non lo avevano potuto approfondire per l’arrivo ai Varden, e l’imprigionamento del figlio di Morzan.
“Murtagh?!” , lo salutò sorpreso il Capo dell’Ordine. Al contatto, nello specchio era apparso l’elfo dalla pelliccia blu, che era subito andato a chiamare Eragon, come da richiesto dal Cavaliere rosso.
“Buona sera, fratellino. Spero di non averti disturbato nei festeggiamenti.”
Eragon si grattò la nuca, con movimenti lenti e leggermente impacciati. Doveva aver bevuto, anche se non era completamente ubriaco. Murtagh ridacchiò.
“No, no, fratello! Non avendo idea di come festeggiare la vittoria di un anno fa - diamine, è già trascorso un anno! - , siccome sono inoltre qui e solo con alcuni elfi, abbiamo solo condiviso un poco del loro liquore. Ma non abbiamo certo indetto una festa in grande, come puoi immaginare!” , rispose con il tono di un bambino colto in flagrante dal genitore, che cerca di scusarsi.
“Avresti avuto tutti i motivi per voler festeggiare la tua più grande vittoria, fratellino, non devi vergognarti di aver messo da parte per un attimo il tuo ruolo di Capo. In fondo, non abbiamo ancora Cavalieri da addestrare, perciò potrai dormire sonni tranquilli che né io né Arya ci metteremo in ridicolo.”
“Già, anche tu non sai davvero come festeggiare... Stai lavorando anche stasera, quando dovresti celebrare il giorno in cui hai riguadagnato la libertà.” , lo rimproverò Eragon, suonando davvero poco credibile. Murtagh fece un sorriso timido.
“Ogni giorno vissuto liberamente è un’ode alla libertà. Non mi serve un giorno preciso. Le celebrazioni sono più mirate al popolo, per dimostrare loro che la regina che li governa non li tiene per le redini come faceva Galbatorix.”
“Parole veritiere, le tue.” , disse sospirando, mettendosi a sedere alla sua scrivania. “Perciò, stasera, di cosa vorresti sentirmi parlare?”
“Dato che siamo in tema... forse dei costumi celebrativi dei nani?”
“Mettiti comodo, allora, hanno parecchie feste e tradizioni a riguardo.” , lo avvertì sarcasticamente il castano, poi sfoggiando un caldo sorriso fraterno, che voleva ringraziare il maggiore del tempo trascorso assieme, anche se a distanza. Ogni loro incontro, d’altronde durava sempre più del tempo necessario alla trasmissione delle nozioni. Eragon si soffermava sempre a fargli domande sulla vita in Alagaesia, con gli occhi incupiti dalla nostalgia, e Murtagh rispondeva con calma, anche se sapeva di rubare tempo che avrebbe potuto trascorrere con Nasuada o il loro bambino, quando non lo portava con sé al cospetto dello specchio. Ma Eragon era suo fratello, anche lui parte della sua famiglia, e non sarebbe riuscito a metterlo in secondo piano nemmeno con un impeto di forza di volontà.


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Angolo dell'autrice: come il titolo del capitolo, eccomi qui con un nuovo pezzo di questa storia, dopo una marea di tempo dall'ultimo aggiornamento. Mi scuso per questo, e rinnovo l'impegno di portare a termine questa storia (perché comunque, a parte capitoli "difficili da scrivere" come questi, la storia ha già un capitolo finale e tutta la parte centrale, salvo appunto qualche ostacolo che funge da ponte tra poter continuare a postare e fermarmi, assieme ovviamente alla vita fuori da questa piattaforma che è sempre imprevista e frenetica).
Ditemi cosa ne pensate di questo capitolo infinito, e con la narrazione che salta indietro e poi di nuovo nel presente come mi piace fare e farò ancora nei capitoli, in futuro.

A presto, 

EllyPi

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Capitolo 37
*** In viaggio verso il Farthen Dûr ***


Dopo i festeggiamenti, durante i quali il re del popolo nanico, con cui il Cavaliere della regina aveva tentato di aprire un dialogo neutro e quanto più cordiale, era rimasto a corte senza mai degnare Murtagh della sua parola, fu il momento del giovane di visitare il Farthen Dur per scortare le uova di drago in cerca di Cavalieri. Era teso come non mai per la missione, tanto da essersi spinto a lasciare un documento ufficiale in quanto duca di Dras-Leona per il figlio, nominandolo erede di tutta la sua fortuna ancor più ufficialmente, nascosto nel cassetto della scrivania della consorte.
La moglie lo aveva ammonito di non dimostrarsi mai scortese con un sovrano che, per vendetta, avrebbe potuto anche condannarlo a morte, avendolo solo e senza nessuno che gli proteggesse le spalle nel suo regno. Orik era un sovrano saggio sì, ma pur sempre rancoroso quanto tutti gli altri suoi simili, gli aveva spiegato. Ovviamente da bambino gli erano state raccontate storie antiche riguardo le vendette epiche dei nani, ma Eragon non ne aveva più accennato nelle sue lezioni dunque se non fosse stata per la conoscenza lunga della regina del popolo che per lungo tempo li aveva ospitati, Murtagh avrebbe potuto rischiare davvero un incidente diplomatico.

La mattina della partenza designata, si vestì con lentezza, quasi fosse riluttante a far iniziare la nuova giornata. Gli fu portato suo figlio dalla domestica castana, che aveva un’aria ancor più mesta di lui. Lo fissò tutto il tempo, rovinandogli il momento con il principe.
“Maeve, perché quella faccia?” , le chiese a un tratto, stanco dell’umore nella stanza.
Lei alzò le spalle. “I nani sono pericolosi, e temo per la vostra incolumità, visto il vostro passato.”
Le posò il bambino tra le braccia. “Me lo sarò meritato, dovesse accadermi qualcosa. Aiuta mia moglie a crescere il principe, se dovesse succedermi qualsiasi cosa.”
Come una madre con il figlio testardo s’impuntò. “Lo farò, come se fosse sangue del mio sangue… Ma non parlate così, non potete permettere vi accada qualcosa! Non dopo avervi trovato!”
“Avermi trovato?” , le chiese confuso.
“Sì… non avrei mai pensato che, conoscendovi, poteste essere un padrone così onorevole.” , gli spiegò con aria strana, probabilmente dovuta all’imbarazzo della confessione.
“Ah, sì, non perdi mai occasione di ricordarmelo, ma ancora non riesco a crederci… Perdonami la fretta, è giunta l’ora di salutare anche la mia amata.” , le rispose congedandosi sbrigativamente e con distacco dovuto dalla preoccupazione. La mise da parte quanto meglio riuscì nel breve tragitto che lo condusse alla stanza dove si trovava la giovane e bellissima regina.

La trovò che non era intenta a lavorare, ma a guardare fuori dalla finestra, assorta nei suoi pensieri. “Mia adorata compagna di vita, sono venuto a salutarti prima della partenza.”
La regina annuì poi si alzò, andandogli di fronte per abbracciarlo. “Fa’ buon viaggio e porta rispetto a Orik e al suo popolo. Ma ancor di più alle loro usanze.”
“Sarà fatto.”
Si staccarono dopo una breve stretta ancor più intensa, fissandosi in silenzio negli occhi e proclamandosi il loro amore senza parole.
“Vado.” , si costrinse a dire a un tratto, separando i loro corpi.
Nasuada afferrò il braccio del marito impedendogli di staccarsi completamente, mordendosi il labbro.
Murtagh si piegò su di lei, guardandola negli occhi. “Sei così preoccupata per me?” , le chiese facendo un sorriso caldo, “Non mi accadrà nulla grazie a mio fratello e ai suoi insegnamenti, che impediranno incidenti diplomatici tra me e i nani. Anche grazie ai tuoi avvertimenti, anch’essi saranno fondamentali.”
Doveva fare forza alla moglie, ma ancor di più a sé stesso. Magari, davanti alla montagna che era il regno dei nani, sarebbe arrivato a credere anche lui alle sue stesse parole.
“No… vorrei piuttosto chiederti un favore.”
Un sopracciglio corvino si alzò sulla fronte del Cavaliere. “Un favore?”
Nasuada annuì.
“Ma certo, Amore mio! Qualunque cosa per te.” , si sbrigò a specificare il giovane.
“Ti ringrazio in anticipo. Vorrei che tu portassi gli ossequi a mio padre. Sarei voluta venire con te, ma il mio ruolo non mi permette di partire per una cosa tanto futile.”
Le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Porterò l’amore di figlia devota a tuo padre.”
“E…” , deglutì, “Anche tutto il resto.”
Murtagh sapeva cosa intendesse: il loro matrimonio a cui lui non aveva potuto acconsentire, la nascita del primo e unico erede del Capo dei Varden. No, anzi, il giovane aveva intuito lo stretto legame tra Ajihad e Nasuada, un tale affetto che lui non aveva mai sperimentato con Morzan né sua madre, perciò sapeva che la giovane desiderava raccontargli di aver trovato un marito capace di trattarla umanamente, che non la reputava rimpiazzabile e un mero strumento per il proprio albero genealogico. E raccontare - come avrebbe fatto una giovane e fiera Nasuada - delle sue conquiste, del suo regno, della pace che aveva portato in Alagaesia.
Annuì, lasciandole una carezza attorno al volto. Poi si piegò per darle un ultimo bacio.
“Contatterò Orik tutte le sere, per accertarmi dei buoni rapporti tra i miei emissari e il suo popolo.” , lo rincorse con la sua voce calda, mentre staccava le ultime dita della sua mano scura.
Murtagh ridacchiò candidamente. “Ti ringrazio, mia regina, per il tuo costante interesse nel benessere del tuo Cavaliere.”
Si guardarono un’ultima volta negli occhi con intensità, senza però contatto fisico. “Possa la tua missione compiersi senza intoppi, e ti auguro di poter tornare con un Cavaliere.”
“Potrebbe essere presto, ma lo spero anche io.”
Uscì dalla stanza, costringendosi a non mandare tutti i piani del viaggio all’aria per rimanere con lei. Non poteva, aveva il compito di redimersi come Cavaliere, anche a costo di abbandonare per qualche tempo la moglie. Incontrò un gruppo di uomini nella Volta, poi preparò le bisacce per la partenza. Per ultimo scortarono il suo compagno di viaggio umano.
“Buondì, Derrel. Pronto a partire?”
Il lord bambino gli fece una riverenza. “Sì, e sono contento che mi portiate con voi anche questa volta…”
Fece una pausa di esitazione, allora il Cavaliere percepì il timore dell’altro di essere messo da parte, vista la mancata preparazione alla missione, rispetto alla precedente.
“Voglio giusto scusarmi con te per le poche attenzioni prestateti da me e la regina in questo periodo.”
Derrel si mise le mani dietro la schiena, congiungendole. “So che è stato un periodo pieno di impegni per il regno. Così mi hanno riferito i miei servitori.”
“Ti prego davvero di scusarci.”
Il bambino sorrise sinceramente. “Non dovete preoccuparvi, milord. E nemmeno la regina: sono onorato di aver potuto assistere al vostro matrimonio, rivedendo i miei nonni seppur a distanza.”
“Mi dispiace ma non abbiamo potuto farvi incontrare in segreto, né farvi parlare durante l’evento. Troppi occhi sono ancora sulla vostra famiglia, Derrel.”
“La strega Elva mi ha rincuorato che li avrei un giorno rivisti, e che mi avreste permesso di scegliere il mio futuro, una volta divenuto un uomo.”
Murtagh lo guardò con concerno. “E ti è sembrata sincera?”
Il piccolo si morse il labbro, estraendo un sigillo dalla tasca della giacca che lo copriva, per mostrarlo al Cavaliere. “Mi ha dato questo.”
Il Cavaliere annuì, scrollando di dosso l’inquietudine leggera che il nome della strega dagli occhi viola sapeva incutergli.
“Sei pronto a volare su dil dorso Castigo?” , domandò al bambino con entusiasmo.
Questo sbarrò gli occhi, iniziando dopo qualche istante di silenzio a tremare - o forse fremere per l’eccitazione - . “Davvero? Avevate detto avremmo viaggiato via terra…”
Gli scompigliò i capelli, rimettendoglieli però al loro posto quanto meglio riuscì. “Ho cambiato idea, e immagino ti sarebbe piaciuto più così seguirmi.”
Derrel annuì con forza.
Murtagh gli posò una mano dietro le spalle, guidandolo verso l’uscita della grotta. Arrivarono al cospetto di Castigo, e drago e bambino si salutarono con un inchino solenne.
“Non farti intimorire dall’altezza di questo precipizio, le ali di Castigo sono le più forti che esistano in tutta Alagaesia.”
Il bambino annuì stringendo i denti. Stava visibilmente cercando di essere forte. “Bravo, lord Derrel. Tuo padre e tua madre sarebbero fieri di te in questo momento.”
Gli tese la mano, poi lo aiutò a salire sulla sella del drago, legando strette le cinghie. Lasciò che anche lui le controllasse da sé, voltandosi verso Jormundur. Gli fece un cenno affermativo, poi anche lui si fissò in sella.
“Lascio Nasuada nelle tue mani.” , gli disse in ultimo a bassa voce.
“Per servirla, sempre.”
Possiamo partire? , chiese impaziente come un bambino il drago cremisi. Murtagh confermò.
Spiccarono poi subito il volo con un balzo. Derrel non urlò e l’adulto gli circondò il busto con le braccia. Tornerò, e un giorno mio figlio sarà allo stesso posto di questo bambino… Finiarel diverrà il più bel decenne del regno.
Castigo sbuffò al suo orgoglio di padre eccessivo.

 

Volarono per un giorno intero, fermandosi a metà giornata per mettere qualcosa sotto i denti, specialmente per il bambino che Murtagh portava con sé. Avere non un solo compagno ma due era di giovamento, come quando viaggiava con Eragon e il suo cavallo Tornac, ma che questo nuovo compagno fosse un bambino complicava leggermente la logistica del viaggio, che non era esattamente veloce. E il popolo dei nani si trovava di per certo nel punto più lontano verso cui avessero viaggiato assieme, lui e Derrel.
A notte inoltrata, si accamparono. Scaricarono le uova, e Murtagh lasciò che il bambino assistesse all’incantesimo di protezione dai ladri che vi appose per la notte: Derrel doveva capire la preziosità reale di quelle uova.
Come si aspettava, lo inondò di domande sui Cavalieri - che prima di Eragon e del ritorno dei pochi draghi esistenti, erano solo leggende e storie distorte - .
“Perché dobbiamo portare in giro le uova? A vostro fratello Eragon è apparso l’uovo di Saphira per magia!” , chiese intelligentemente.
Murtagh annuì pazientemente all’osservazione, ma precisò: “Fu un incantesimo ben riuscito di Arya, l’altro Cavaliere vivente a oggi oltre me e mio fratello. All’epoca non lo era, il suo Compagno l’attendeva ancora proprio accanto all’uovo di Saphira.”
“E perché non ha preso il suo uovo ed è diventata lei il primo Cavaliere?”
Murtagh ci pensò su qualche istante. “Credo che Fìrnen non la ritenesse ancora pronta, e che quindi il loro legame non si fosse ancora creato così saldamente da essere lui il primo uovo a schiudersi. Un drago può attendere per molto tempo, anche se il suo Cavaliere gli è vicino già da tempo.”
“Se è il drago a scegliere - e quindi ad attendere - il proprio Compagno, lord Murtagh, nei due scorsi secoli in cui vi erano delle uova ma nessuno ne veniva in contatto, questi cuccioli hanno atteso - magari invano - l’arrivo dell’altra metà del loro Essere?” , lo interrogò ancora il bambino, curioso come un gatto.
Il Cavaliere annuì. “Non tutte le uova ritrovate dal mio fratellastro erano ancora viventi. Da quel che sappiamo un drago può attendere tutta la vita il suo Compagno, e se questo dovesse morire prima di essersi legato all’altro, il cucciolo nell’uovo può scegliere se spegnersi anch’esso, oppure schiudersi per divenire un drago selvatico, o ancora scegliere di attendere se dovesse mai riaccendersi in lui la certezza che la sua anima gemella sia rinata.”
Derrel annuì, finendo la sua cena, ma i suoi occhi brillavano ancora - avidi di conoscenza - .
Murtagh non aveva mai avuto troppa pazienza nella sua vita. Sopportazione sì, ma la pazienza non gli era certo stata donata - siccome Morzan ne era totalmente privo - .
Dunque si sforzò di non troncare la conversazione nonostante la cena fosse finita, spendendo Derrel a dormire. Sono il suo tutore ora… devo preoccuparmi della sua crescita, anche in conoscenza, perciò devo imparare la virtù della calma. , si rimbeccò.
Non ti farebbe male, hai anche un tuo cucciolo che un giorno potrebbe diventare loquace come questo! , confermò con tono leggermente acido il suo Compagno.
Ti infastidisce questo bambino?
Castigo scosse il grande capo. Io sono un drago, ho atteso il tuo arrivo per secoli, e poi ancora la tua crescita: quando eri un bambino il re ti portava a vedere il suo tesoro, e io potevo così imparare a conoscere chi fosse il figlio di Morzan.
Murtagh alzò un sopracciglio. Tu paziente?!
Sarà stata la tua influenza a farmela perdere. Le nostre menti e i nostri esseri si sono uniti, ricordi? Io sono te e tu sei me. Devi ringraziarmi, dunque, per quel poco di miglioramento che hai visto in te… è in maggior misura grazie al sottoscritto. , rispose beffardo l’altro.
Il Cavaliere ridacchiò. È anche merito tuo se rido a questo umorismo e al contrario non me ne ho più a male.
Castigò imprecò sui suoi antenati. Ogni tanto mi metti i dubbi che tu sia mentalmente più instabile di quello che, persino io, riesco a percepire.
Non è colpa mia se ci siamo legati quando ero mentalmente nel punto più nero della mia esistenza! , ribatté l’altro, leggermente divertito dal cipiglio del rettile.
Derrel li stava guardando ancor più curioso. “State comunicando mentalmente?” , chiese a un tratto, forse spazientito.
Stavo riprendendo il mio Cavaliere, giovane Derrel. , rispose Castigo entrando nella sua mente, Gli stavo ricordando di quando anch’io ho atteso che lui diventasse sufficientemente maturo per legarmi a lui. Noi draghi ci leghiamo a un determinato animo, ma al contempo cerchiamo maturità. Nessun animale magico si legherebbe mai a un essere neonato, codipendente e che metterebbe in pericolo entrambi.
Il bambino corrucciò le labbra. “Dunque i draghi si schiudono e subito divengono adulti? Non come gli anatroccoli?”
Sì, anche noi nasciamo cuccioli pressoché indifesi. Ed è per questo che il nostro compagno deve essere già capace di badare a noi.
“Dunque cercate maturità perché alla nascita tornate deboli?”
Non è corretto insinuare che da esseri intelligenti e ricettivi, al momento della nascita, perdiamo il nostro intelletto! Nell’uovo siamo dotati non di coscienza, ma di… istinti magici fortissimi, ecco. , ribatté Castigo sbrigativamente. Spostò l’enorme occhio rubino sull’umano adulto, invitandolo a riassumere il ruolo di interlocutore con il bambino.
Il giovane dai capelli corvini si trattenne dal ridere in faccia al suo Compagno, per essere stato smontato nella sua saggezza da un bambino così piccolo. Castigo lo percepì e gli palesò tutto il suo risentimento.
“Vedi, Derrel, gli unici esseri che su questa terra sono indifesi totalmente siamo noi bipedi - umani, elfi, nani, Urgali, e persino il Popolo Grigio - alla nascita. Questo perché non siamo dotati di forza straordinaria o altre armi se non la nostra testa.” , disse poi al bambino picchiettandosi la tempia con un dito, “Ci vuole tempo per imparare a parlare, a camminare, a fare qualsiasi altra mansione che ci tolga energia dal pensiero. Ed è perciò che il Destino ci ha permesso di lasciare quei compiti ai nostri genitori da espletare per noi, per molti anni, e a noi di imparare a pensare. Anche i draghi sono così, anche se la loro crescita avviene molto più velocemente se le metti a confronto. E in nome di questa somiglianza, millenni fa, abbiamo stretto un’unione tra bipedi e draghi di comune aiuto.”
Il bambino annuì. “Anche i gatti mannari sono intelligenti.”
Murtagh perse il sorrisetto sicuro. “Sì.”
“Ma non si sono legati magicamente a nessun altro essere.”
Vivono assieme ai bipedi, e con la magia possono assumerne le sembianze. Perciò sì, anche per loro vale lo stesso. Solo, con nessun legame necessario. , tagliò corto Castigo, con un tono così asciutto che invitò Murtagh a concludere le spiegazioni per la serata.
Si alzò sulle lunghe gambe, accogliendo l’invito del Compagno e sistemò velocemente le vettovaglie e i suppellettili che avevano estratto dalle bisacce. Poi stese le coperte, e vi aiutò Derrel all’interno: I sarti di corte avevano insistito per cucirne due assieme su tre lati, per accogliere più confortevolmente i due viaggiatori.
Prese il proprio sacco e si sistemò accanto al bambino, tenendo le braccia fuori. Le allungò dopo istanti di silenzio in cui ponderò le sue azioni, per tirarlo a sé e chiuderlo in un abbraccio alla schiena. Lo sentì sospirare e rilassare i muscoli, proprio come Castigo da cucciolo, quando dormiva acciambellato e spaventato nella sua stanza di Uru’Baen.
“Presto arriveremo a Tronjheim, e vedrai molto altro di quello di interessante che c’è su questa terra!” , gli sussurrò.
“Non vedo l’ora! Grazie, lord Murtagh, di farmi partecipare alla vostra missione di far rinascere l’Ordine dei Cavalieri.” , biascicò il bambino mentre scivolava nel sonno.
Murtagh sorrise involontariamente. “È un onore per me imparare grazie a te molto altro. Ah, da domani chiamami solo ‘Cavaliere’, d’accordo?”
Derrel annuì, poi sbadigliò sotto la volta piena di stelle.

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Capitolo 38
*** Orik ***


Arrivarono dopo qualche giorno nel Farthen Dur, atterrando all’alba, seguendo alcune luci di grandi torce poste sulla sommità della montagna, probabilmente apposta per loro.
Alcune guardie erano appostate a quell’apertura, e appena li videro, s’impettirono ancor di più, per incutere più soggezione ai nuovi arrivati. Eppure, Derrel era poco più basso di loro, già alla sua età. Iniziarono a smontare dal dorso di Castigo, liberando bisacce e la pesante cassa contenente le uova.
Huaaa, sono davvero piccoli i nani!” , mormorò il bambino.
Murtagh fulminò con lo sguardo Derrel per l’impudenza. Gli dispiacque, perciò si promise di scusarsi con lui in separata sede e spiegargli il motivo del rimprovero non verbale, ma non poteva permettere di iniziare quella visita con il piede errato.
Persino il commento di un cucciolo di umano avrebbe potuto essere ritorto contro di lui.
Il giovane si mise una mano sul cuore, piegandosi in avanti in saluto. “Io sono il Cavaliere Murtagh. Chiedo udienza al vostro re e ospitalità per il tempo necessario a testare il vostro popolo con le uova di drago al mio seguito. Mi manda Eragon Bromsson, Cavaliere dei draghi e membro onorario del vostro popolo.”
Le guardie si scambiarono un’occhiata, digrignando i denti. Una sparì attraverso una porta più piccola intagliata nell’enorme portone - che avrebbe potuto far passare anche un drago di dimensioni più piccole di Castigo attraverso di essa - , poi tornò con aria insoddisfatta.
S’inchinò al cospetto di Murtagh. “Il re vi permette il passaggio.”
“Vi ringrazio.” , disse facendo per issarsi il baule con le uova sulle spalle.
Un nano fece un movimento, a disagio, e sparì attraverso un tunnel laterale.
“Aspettate!” , gli ordinò. Rimasero fermi in piedi, le gambe del Cavaliere che presero a tremare leggermente sotto il peso immane del baule: ogni uovo di drago aveva il peso di un bambino umano di circa dieci estati. Con sua delizia, il nano ritornò con un carretto, anche questo coperto in foglia d’oro e incastonato di gemme. Orik aveva organizzato il suo arrivo perché fosse confortevole, in vero costume nanico, nonostante lui si comportasse come un sovrano scorbutico con l’umano.
Poggiò la cassa, aiutato dalle guardie, che aprirono il portale dopo aver verificato la presenza delle uova all’interno del contenitore.
“Deduco che ci sarà dunque concesso il colloquio con il re…” , disse Murtagh con nonchalance.
“Sì. Ci occuperemo noi di scortare il lord umano nei vostri appartamenti, perché il re desidera vedere solo uno di voi umani per volta, quest’oggi.” , illustrò una guardia coperta da un’armatura dorata di squisita fattura, di sicuro dalla funzione solamente decorativa.
Murtagh ringraziò, affidando loro anche i suoi bagagli scarni.
Prese il bambino per una spalla. “Comportati bene mentre attendi il mio ritorno.”
Derrel sospirò. “Credevo di essere parte della delegazione dell’Ordine dei Cavalieri, non di dover badare alle nostre cose.”
Il Cavaliere gli sorrise. “Lo sarai, te lo prometto. Ma prima devo incontrare il nostro ospite e sistemare alcune questioni burocratiche da adulti.”
Il piccolo annuì comprensivo, prendendo a seguire le guardie cariche delle loro bisacce.
Ne apparvero altre da oltre il portale, chiedendogli di avanzare. Presero a tirare il carretto per numerosi cunicoli che si fecero man mano più illuminati da torce d’oro che sembravano sole liquefatto.
Davanti alla sala del trono, dovette oltrepassare un’ennesima porta completamente ricoperta di un mosaico di pietre preziose rappresentante la montagna-città dei nani.
Lo fecero entrare, annunciandolo, e subito vide il re sul suo trono illuminato da un’apertura nella roccia sopra di lui. Era abbigliato nel colore regale dei nani, il grigio scuro, con preziose pietre cucite sulla fascia che gli circondava le spalle, stringendo la pelliccia che gli faceva da mantello.
Era più agghindato di quando lo aveva rivisto alla corte della regina Nasuada, probabilmente per sovrastare Murtagh, che nei suoi abiti da Cavaliere - per quanto pregiati e ricamati - risultava piuttosto semplice.
“Re Orik, grazie per avermi accolto nella vostra bellissima città. I miei complimenti: lo sfarzo che dimostrate è degno del vostro onore millenario.” , si congratulò come gli aveva suggerito di fare Eragon. Murtagh si accorse che in piedi aveva gli occhi all’altezza di quelli del re. Quello poteva essere un affronto, però purtroppo non gli era possibile modificare la sua altezza eccessiva, ereditata da Morzan, per non far sfigurare il re dei nani.
Sta’ calmo, Orik non vorrebbe mai ritrovarsi in guerra con tutti i popoli di Alagaesia per aver ucciso un Cavaliere perché lui si è sentito sminuito nel suo ruolo da una quisquilia come la tua statura. , lo tranquillizzò Castigo, che stava vedendo tutto attraverso il Compagno.
Non ci sarebbe alcuna guerra per me… Verrebbe di sicuro liquidato come un incidente, verrebbe trovato un nuovo marito per Nasuada - di sicuro più benvoluto del sottoscritto - e mio figlio diventerebbe il figlio cadetto di mia moglie. , lo interruppe l’umano, mentre Orik aprì la bocca per parlare.
Sei paranoico. Non ti accadrà nulla, finché avrai Eragon e Nasuada dalla tua parte. Ora ascolta attentamente il re, se non vuoi davvero fare una pessima figura. , lo rimbeccò il drago.
“Ecco arrivato al mio cospetto il messaggero della mia amica, l’uomo che non ha nemmeno la spina dorsale per pretendere il titolo di re, dopo aver sposato la regina. Figlio di Morzan, mi chiedo come tu sia riuscito a generare quel principe - che, per via della sua orrenda somiglianza a te, non si può nemmeno dire non sia tuo per metà - , senza palle.” , lo accolse con tono passivo-aggressivo Orik, alzando gli occhi in quelli dell’umano - non come si dovrebbe guardare con stima il Compagno-di-Cuore-e-di-Mente di un drago, ma come si studia con sufficienza l’ultimo dei reietti di Alagaesia - . Murtagh trattenne l’ira, sorridendogli invece.
Non dovresti ribattere all’uomo che ti odi di più in Alagaesia…
Dovrei lasciare che mi insulti e basta? In questa stessa montagna sono stato imprigionato, la prima volta che venni qui, solo per essere stato riconosciuto. Per le colpe di mio padre, prima ancora che io ne avessi commesse di mie! , si lamentò con tono acuto.
Bene, ed è proprio perché alla tua seconda visita hai delle colpe gravi quanto questa montagna, che dovresti cercare di usare la diplomazia. Sei un lord, sei abituato a difenderti cortesemente da tutta la vita.
“Non posso pretendere il trono per me, poiché nessuno vorrebbe vedere il figlio di Morzan, appunto, con una corona in testa.” , si concesse di ribattere, con pacatezza tuttavia.
“Ho incontrato tuo padre, e mi duole dire che abbia generato uno smidollato che di lui ha ben poco. La sua sete di potere, se fosse stata trasmessa anche a te, non avrebbe guardato in faccia nessun giudizio altrui. Non era certo un burattino di Galbatorix come lo sei stato tu.”
“Mio padre ebbe la fortuna di non essere mai costretto attraverso al suo Vero Nome a compiere tutti i desideri del re.” , ammise, “Era suo servo, sì, ma non suo schiavo come sono stato io.”
Orik fece un gesto con la mano, scacciando le sue parole. “Sempre a giustificarti, figlio di Morzan.”
Certo che è davvero odioso con quel suo tono. , si concesse il rettile rosso.
Forse se glielo dicessi tu - un rispettabile drago - capirebbe di esagerare, persino se il capro espiatorio della sua cattiveria repressa è il figlio di Morzan. Farebbe meno male una stilettata!
Castigo ridacchiò. Proponigli di essere trafitto, magari si tranquillizzerebbe definitivamente. Ci penserò io a guarirti.
Se non avessi un figlio a cui pensare, non esiterei a proporre tale resa dei conti. Ma non voglio rischiare.
Sii convincente come sa essere una meretrice conscia di non essere attraente fisicamente. , gli consigliò.
Seppur schifato dai toni del drago, Murtagh tornò a concentrarsi sul re dei nani. “Chiedo scusa, Maestà. Spero un giorno di potervi convincere della bontà delle mie intenzioni.”
“Vedremo. Ora abbiamo ben altro di cui occuparci. Le uova sono giunte con voi?” , rispose seccamente il nano.
Murtagh indicò il baule con un gesto ampio di braccio. Il nano posizionato di fianco al baule lo aprì per permettere al re di vedere il contenuto. Il sovrano si alzò con lentezza, si avvicinò e si protese sul baule, poi annuì soddisfatto tornando verso il suo trono.
“Dunque sarai mio ospite, anche se controllato dai miei migliori soldati ogni istante, per evitare altri affronti al mio popolo.”
Il giovane moro piegò il busto in avanti. “I miei ringraziamenti. Impiegherò qualche giorno al massimo per testare il vostro popolo, ma è compito vostro indire un’udienza per tutti gli abitanti di Tronjheim, poiché vengano al cospetto delle uova.”
Orik acconsentì. “Serve altro all’emissario dell’Ordine dei Cavalieri?”
“Avrei una richiesta personale, Vostra Maestà.” , disse il giovane dai capelli corvini.
Il re terminò il suo tragitto in silenzio, addirittura rallentando per quanto possibili di più il passo. “Una richiesta personale?” , si assicurò di aver udito bene il nano, parlando oltre la spalla, noncurante della maleducazione di quell’atteggiamento.
“Sì, magnanimo sovrano.”
Il più basso si sedette sul trono abbandonandosi ed emettendo un rumore secco, come di un sacco lanciato sopra una pila di suoi simili. Schioccò le dita per sollecitare il moro a parlare, così Murtagh non perse la sua occasione. “Richiedo un unico accesso al cimitero reale.” , disse con delicatezza, per non sembrare sfrontato.
Ma Orik scattò comunque in piedi nuovamente, estremamente infuriato, come indicavano le vene che si erano ingrossate sulla sua fronte bianca. “Osi tu, Regicida, voler entrare nel luogo dove mio padre riposa per l’eternità?”
Il Cavaliere si inginocchiò per la prima volta dall’incontro col sovrano, abbassando anche gli occhi sul pavimento. “Non intendo mancare di rispetto a un luogo sacro. È stata la regina Nasuada a domandarmi di portare gli ossequi al suo defunto padre.”
Il nano rimase in silenzio per un istante, probabilmente interdetto sul da farsi. Non poteva - nonostante non avrebbe certamente voluto dare accesso all’omicida del precedente re al luogo del suo riposo - rifiutare una richiesta tale della salvatrice di Alagaesia.
Rimase in silenzio qualche istante solamente, poi con sorpresa di Murtagh acconsentì.
“Ma vedi di recarti subito nel cimitero, le sue porte al tramonto vengono sigillate, e in più questa sera arriveranno tutti i miei sudditi, e indirò un banchetto per celebrare i Cavalieri dei Draghi che ci hanno liberati dalla schiavitù di Galbatorix.” , lo ammonì e squadrò con supponenza, alle ultime parole, come se volesse escluderlo da coloro a cui si riferiva, ovvero Eragon e Arya - seppur lei all’epoca non fosse ancora un Cavaliere - .

 

I nani coperti di armature lo lasciarono solo davanti a una statua. Il silenzio in quel luogo era strano, quasi inquietante. Murtagh si sentì come se le statue lo stessero osservando. Si fece coraggio, avanzando fino a incontrare la scultura del padre di Nasuada. Sfoderò la spada, piegandosi a terra e sporgendo la lama in avanti, appoggiata sui palmi, effettuando un saluto militare di rispetto. “Capo Ajihad, mi prostro a voi, per dimostrarvi la mia sincera fedeltà.” , ripeté come aveva fatto centinaia di volte, però con Galbatorix, ogni volta però sforzandosi. Quella fu l’unica volta che riuscì spontaneamente a piegarsi davanti a un comandante militare, che non fosse Nasuada.
Dopo lunghi istanti, rinfoderò Zar’roc, rimanendo tuttavia in ginocchio. Alzò gli occhi sulla statua dell’uomo che una volta aveva la pelle d’ebano, ricordandosi la sua figura chiaramente, nonostante avesse incontrato più volte la principessa in sua vece.
“Mio signore, sono venuto a dirvi che vostra figlia - che vi ama immensamente - ha compiuto la missione che avete iniziato prima di lei.” , prese un profondo respiro, ricacciando la voce che gli urlava di non essere stupido a credere che una statua di pietra lo avrebbe udito, “E anche a riportarvi gli ultimi accadimenti.”
Si fermò, quando un sasso si staccò dal soffitto di pietra, cadendo davanti al Cavaliere.
Guardò in alto, verso l’apertura circolare da cui filtrava la luce del sole. Vide l’ombra scura di Castigo bloccare per un istante la luce. Tranquillizzato che il soffitto avrebbe retto al passaggio del drago, tornò a rivolgersi alla statua, che teneva tra le mani un cofanetto di metallo, dentro cui Murtagh sapeva esserci conservate le ceneri del suo padre acquisito.
“La pace è stata ottenuta, finalmente. E il giovane Cavaliere in cui avevate posto la vostra fiducia, ci ha liberati dalla schiavitù di Galbatorix. Quel giovane, devo dirvelo, è mio fratello. Non un figlio di un Traditore come me, ma del vostro caro amico Brom e di mia madre Selena.”
Rise tra sé seccamente. “Sono sicuro che per la vostra indole, avreste dato comunque fiducia a lui così come a me, prima di scoprire della sua vera paternità.” , alzò il palmo con la cicatrice argentata, mostrandola agli occhi di pietra della statua, “Anche io lo sono diventato, alla fine. I figli si sono trasformati nei padri, e io ho dovuto combattere Eragon e compiere atti indicibili.”
Spostò lo sguardo a destra, alla statua proprio accanto, di Hrothgar. Le sue mani fremettero, inumidendosi di sudore, ma al posto di quella sostanza trasparente, gli sembrò nuovamente di essere tornato indietro alle battaglie, quando il sangue che gli copriva i palmi era così tanto da rendere scivolosa l’elsa di Zar’roc. “Mi dispiace...” , mormorò ricacciando le lacrime.
Abbassò il capo, passandosi la mano tra i capelli per tranquillizzarsi. “Tornando a vostra figlia... Lei è oggi la migliore dei sovrani che Alagaesia abbia mai avuto, ne sono sicuro. Ha a cuore il benessere dei suoi sottoposti, e lavora instancabilmente per risanare le voragini causate da Galbatorix.”
Rise amaramente tra sé. “Ma come lo so io? Beh, vostra figlia ha ereditato da voi la fiducia nella bontà nascosta nelle persone e, come voi, mi ha accettato dopo aver avuto la dimostrazione che avevo a cuore la sua causa.”
Prese il cordone al suo collo, estraendolo dalla casacca. Le monete luccicarono alla luce del sole.
“C’è anche un’altra verità da svelarvi: oltre alla fiducia, vostra figlia mi ha fatto il dono di innamorarsi di me, quando anche in me nasceva quello stesso sentimento. Così siamo arrivati a stare insieme, nonostante le avversità del Destino. Spero possiate proteggere, detto questo, nostro figlio, vostro nipote.”
Un fruscio a qualche statua di distanza lo fece bloccare. Guardò oltre le gambe di pietra di Ajihad, non vedendo nulla. Espirò a lungo, rendendosi conto di essere troppo teso, pieno di timore che qualcuno ascoltasse le parole dettate dal suo cuore, al suo padre di legge.
“Siccome voi non eravate presente al nostro matrimonio, io sono venuto qui oggi per giurarvi che proteggerò vostra figlia e il nostro piccolo a costo della mia vita, e quella del mio Compagno.”
Ci fu silenzio, e un altro sasso cadde dal soffitto. Riabbassando gli occhi, li fece fermare in quelli di pietra del Capo dei Varden, che pareva ora lievemente indurito nei lineamenti. “Lo so che non avreste mai voluto che vostra figlia sposasse un uomo deplorevole e dalla cattiva reputazione, ma ormai ciò che è accaduto non può essere cambiato.” , emise un colpo di risata, “È stata lei a inculcarmelo in testa, quando non volevo accettare di averle rovinato la vita per una seconda volta, ma Nasuada non ha intenzione di smettere di lottare nemmeno ora che si potrebbe pensare che abbia raggiunto l’apice della sua vita.”
Spostò le monete dentro la casacca, riavvicinandole al suo cuore. “È un portento, e l’ammiro moltissimo. La amo così tanto che sarei disposto a perderla, se lei mi chiedesse di abbandonarla.”
Una voce in lontananza, femminile, gli rispose: “Se anche questa donna vi ama come voi amate sinceramente lei - come mi fa capire il tono emozionale della vostra voce - , non vi chiederà mai di abbandonarla.”
Murtagh scattò in piedi, sporgendosi oltre le statue più frontali, per scoprire se si trattasse di un fantasma o di una persona vivente. Di sicuro, vista l’inflessione della lingua nanica in quella comune che aveva udito, si doveva trattare di un membro del popolo delle montagne. Non per suo sollievo, una giovane nana in carne e ossa era raggomitolata dietro una statua. Se fosse stato un fantasma, avrebbe riportato le sue parole intime nella tomba con sé, ma i vivi erano più problematici riguardo la discrezione nel rivelare gli altrui sentimenti.
“Che cosa ci fate qui?” , le chiese.
“Mi nascondo. Una bestia squamata mi cerca.”
Murtagh piegò il capo di lato. “Il mio drago non è a caccia di nani, ve lo assicuro.”
“Non sto parlando di draghi, ma di un-” , lo corresse, ma fu interrotta da un’ombra che si proiettò su di loro, oscurando anche tutte le statue di quell’enorme cimitero di figure in pietra.
Come ha fatto Castigo a entrare per quell’apertura senza rompere il soffitto?! , si chiese Murtagh, sfoderando Zar’roc istintivamente e stagliandosi prontamente davanti alla figura.
Non è mia la colpa, io sono fermo esattamente dove mi hai lasciato! , protestò il rettile rosso.
Se non sei tu, allora che razza di-?
“Cavaliere, il Fanghur sta atterrando!” , lo richiamò l’essere femminile.

Un tonfo fece rimbombare la stanza, comprese le orecchie del giovane umano. Sapendo di non poter attendere che i suoi sensi si ristabilissero, perché un animale non avrebbe certo atteso i suoi comodi prima di attaccare, alzò la lama rossa, incontrando i denti del rettile. Dalla polvere alzata spuntava una testa triangolare - più simile a quella di un serpente rispetto a quella dei draghi, ma anche molto più piatta e senza corna - aperta sui due. Il colpo aveva fortunatamente bloccato in diagonale la bocca dell’animale, incastrandosi tra i denti superiori e quelli inferiori. Il Fanghur non riusciva a chiudere o aprire la bocca per liberarsi. I suoi occhi giallo-verdastri, l’unica parte colorata di quel corpo grigio e sinuoso, come una biscia, si mossero sull’umano che con tutta la sua forza lo premeva lontano, attraverso la spada.
Hai davvero incontrato un Fanghur! , esclamò Castigo, vedendo la scena attraverso gli occhi del suo Cavaliere.
Se oserai mai più prenderti gioco di mio figlio quando si incanta a osservare le novità per lui del mondo, Castigo, giuro che cercherò un modo per rompere il nostro legame! , sbraitò Murtagh mentre si dimenava per allontanare il rettile, Sei o non sei un drago, ovvero il più importante degli animali magici? Non puoi intervenire e quietare questa bestia?!
Il drago rimase in silenzio un istante, forse colpito nell’orgoglio. Non posso, i Fanghur hanno vissuto in queste montagne per cento anni, mentre quelli della mia specie venivano decimati e poi ridotti a un numero che si potesse contare sulle dita di una vostra mano... Anche facendo ricordo alle vecchie leggi, Amico mio, lui probabilmente non mi ascolterebbe, perché la mia autorità non mi precede, e in più non posso recarmi da te per incutergli timore con la mia stazza. , mormorò infine. Murtagh strinse leggermente le labbra, rattristato assieme al suo Compagno: non solo era praticamente solo al mondo, ma la sua autorità era valida ancora solo negli esseri intelligenti e pensanti.
L’altro rettile, simile a un serpente con zampe, si era liberato della spada scattando all’indietro, mentre il Cavaliere teneva Zar’roc saldamente nelle sue mani. Sono intelligenti?!
Dall’occhio accecato dalla furia animalesca non si sarebbe potuto evincere questa sua caratteristica, che probabilmente sarebbe potuta costare la vita a un avversario meno esperto di Murtagh.
Sono un ramo parallelo dell’evoluzione di noi draghi, perciò qualcosa di ammirevole devono averlo. In più Eragon ci ha insegnato che un clan di nani li alleva come animali-guida. , ragionò Castigo con lucidità, mentre il Compagno menava fendenti in aria, cercando di colpire l’essere molto veloce che aveva di fronte.
Il Cavaliere si voltò appena per attirare l’attenzione della nana, che tremava dietro di lui. “Questo Fanghur credi che sia stato inviato dal Dûrgrimst Fanghur?”
Lei annuì in fretta, stringendosi i pugni sotto al mento all’ennesimo attacco, che Murtagh rallentò con la magia. Almeno, il rettile non ne era immune.
“Lo hanno mandato per uccidermi, perché ho rifiutato un invito a cena della moglie del loro capo.” , gli spiegò la nana.
Murtagh sgranò gli occhi allibito per la permalosità dei clan nanici, mentre si chiedeva dove fosse posizionato il cuore di quel rettile lungo. Forse, dietro le zampe anteriori, che doveva essere un posto riparato dai colpi e all’incirca a metà del corpo, per servirlo piuttosto bene con il sangue pompato dall’organo.
Così, dopo la sua breve valutazione, Murtagh parò un altro colpo delle fauci del Fanghur, ferendolo all’occhio sinistro. È la tua occasione! , gli suggerì Castigo.
L’umano corse quando più velocemente poté, ritrovandosi dietro la zampa del rettile, mentre questo cercava di arrotolarsi per vederlo con l’occhio destro, l’ultimo rimastogli.
Alzò la lama rossa, che luccicò alla luce che filtrava dal soffitto, come se stesse supplicando il suo possessore di farle assaggiare il sangue dell’avversario.
Un gesto secco, e il rettile emise un sibilo lunghissimo mentre rimaneva immobile, in preda all’irrigidimento dovuto al dolore in tutto il corpo. Poi, si accasciò per terra in mezzo ai rottami di pietra delle statue distrutte, le ceneri tenute negli scrigni sparse ovunque. Murtagh si voltò indietro, controllando velocemente che la statua di Ajihad fosse ancora in piedi, come fosse stato il proprio, di padre.
La nana si alzò sulle sue gambe, correndo da lui. Si rigettò in ginocchio davanti ai suoi stivali, mentre ancora Murtagh stava scrollando il sangue dalla lama cremisi.
“Vi ringrazio, mio salvatore!”
“Non c’è bisogno di ringraziarmi.” , disse distrattamente, mentre si voltava verso l’entrata del cimitero. “Dove diamine sono andate le guardie che mi hanno scortato?!” , imprecò tra sé.
Immaginandosi che si stessero solo nascondendo impaurite, poco dopo il ritorno della quiete, i nani in armatura fecero capolino con il volto bianco, infatti.
“Siamo qui!” , gridò loro, muovendo un braccio oltre le statue, per farsi vedere.
Si tirarono dritte, impietrendosi nuovamente, poi corsero da lui. “Chi c’è con voi, figlio di Morzan?”
A quel nome, la donna impallidì. Il giovane umano cercò di tranquillizzarla, facendole vedere i palmi disarmati.
“Una donna del vostro popolo.” , disse loro senza urlare, essendo ormai già giunti al loro cospetto. Quando i loro occhietti porcini si posarono sulla nana, sbiancarono, iniziando a parlare tra loro in modo concitato, come stessero valutando un grave problema.
“La conoscete?” , chiese interrompendoli Murtagh.
Loro scossero il capo, poi tirando la nana in piedi. Si parlarono in nanico velocemente, senza che Murtagh potesse comprendere con la sua rudimentale conoscenza di quella lingua impossibile.
Nel mentre, il Cavaliere si accucciò accanto al capo del Fanghur, dispiaciuto per averlo ucciso, in fondo. Non so come sia riuscito mio padre a uccidere dei draghi… Mi dispiace aver tolto la vita a questo rettile solo perché assomiglia vagamente a loro.
Castigo cercò di rincuorarlo mandandogli un sentimento di supporto.
“Dobbiamo recarci dal re, immediatamente, prima che scoppi una guerra tra clan.” , lo informò una guardia. Murtagh sospirò, allargando le braccia a indicare di non potersi certo opporre. A quel punto, desiderava solo ricongiungersi con Derrel, per tranquillizzarlo di non averlo abbandonato e per assicurarsi del suo buon trattamento da parte degli ospiti.
Si mossero per i tunnel scavati e illuminati, la nana che non si muoveva dal suo fianco di un solo pollice, finché Murtagh non tornò per la seconda volta quel giorno nella sala del trono.
“Vostra Maestà, v’è un problema.” , disse in tono formale un nano corazzato, inchinandosi al re.
Il nano sul trono si sedette più dritto, vedendo l’essere femminile. “Ovvero?”
La guardia si avvicinò strisciando sulle ginocchia, salendo poi i gradini, fino a parlare in un corno che il re estrasse all’arrivo del sottoposto, con la parte più sottile nel suo orecchio, di modo che potesse udire solo lui. Murtagh riuscì a percepire le parole in nanico, capendone solo alcune, che assieme però non erano sufficienti a formare un discorso sensato.
“Lasciateci soli, devo interrogare il figlio di Morzan da me, per verificare che le due versioni coincidano.” , ordinò il sovrano, allora le guardie si inchinarono e si congedarono. La nana uscì dalla sua posizione semi-nascosta dietro le gambe del suo salvatore, osservando il nano dal basso con la piccola bocca deformata nella forma di puro stupore. Forse era la prima volta in cui si trovava di fronte al capo di tutti i loro clan.
Re Orik fissò senza riuscire a proferire parola la nana, mentre il Cavaliere sgranava gli occhi, percependo la tensione di attrazione tra loro.
Questo è degno di essere raccontato a Nasuada! , gongolò Castigo.
Shht, devo concentrarmi a capire questa lingua difficilissima! Sta’ in silenzio, per favore.
“Come ti chiami?” , chiese il sovrano infine, trovando un po’ di coraggio. In confronto al tono che aveva riservato a Murtagh, nel riferirsi alla nana, sembrava un bambino impaurito, quando sgridato dal padre.
“Nepenthe, vostra Maestà.”
Orik sbiancò sentendo il nome, che evidentemente nella sua lingua aveva qualche significato particolare, poi saltò giù dal trono, dimostrando la sua prestanza fisica.
Murtagh osservava i due con le braccia conserte, internamente solleticato dall’idea che Orik non fosse solo il burbero re che aveva conosciuto.
Il nano dalla barba rossa le volteggiò piano attorno, un paio di volte, studiandola. Infine alzò gli occhi sul Cavaliere. Murtagh tornò dritto.
“Sei sicura di essere stata salvata da quest’umano?”
La nana annuì delicatamente. Orik sbuffò, confondendo Murtagh. Eragon aveva giustamente saltato le tradizioni di corteggiamento e innamoramento dei nani, non dovendosi lui sposare con un essere femminile dell’altra razza.
“Questo fa di te una protetta del Cavaliere.” , le confermò grevemente. Murtagh deglutì per il tono che aveva usato, più che per aver compreso veramente le implicazioni della cosa.
Orik gli andò di fronte. “Per il nostro popolo l’onore è tutto, e la protezione è sacra.”
“Anche per noi umani, vostra Maestà.” , gli rispose il Cavaliere con sincerità, seppur confuso e voglioso di sapere quale sarebbe stata la sua - la loro - sorte.
Orik scosse il capo, facendo tintinnare il metallo intrecciato nella barba, e al contempo sbiancare il Cavaliere. Perché lo stava contraddicendo?
Si spostò lentamente sul suo trono, nuovamente. Prese la sua spada, mettendola in verticale, con la punta che toccava appena la piattaforma, scavata in un blocco di puro oro, come il trono.
“Normalmente salvare una fanciulla significa doverle continuare a donare protezione per il resto della vita, attraverso il vincolo del matrimonio.”
Murtagh per poco non si mise a ridere. Se anche il suo popolo avesse avuto quella stupida usanza, un soldato o un cavaliere avrebbero dovuto avere infinite mogli. O forse, nel popolo nanico era talmente una rarità, da poter imporre questo genere di rituale in seguito a un salvataggio senza incorrere nella poligamia imposta.
L’umano piegò il capo di lato. “Io una moglie già ce l’ho. E il mio popolo non ammette io ne prenda un’altra.”
“Nemmeno il nostro, non siamo rozzi selvaggi, a differenza di quanto ti sia sempre stato inculcato dalla tua ignorante madre! Quello che ti sto imponendo, Cavaliere, è di proteggerla per sempre.”
Murtagh ignorò l’offesa a lady Selena, e si mise una mano sul cuore, avanzando di un passo. “Se permettete, vostra Maestà, posso domandarvi se la protezione può essere trasmessa?”
Un bagliore illuminò gli occhi di Orik. Questo annuì con forza.
Murtagh prese la mano della nana, guardandola dall’alto negli occhi. “Io dovrò abbandonare queste montagne al più presto, e voi dovreste seguirmi a Illirea, la capitale degli umani. Se trovassimo qualcun altro dall’onore intaccabile che possa proteggervi qui a Trondheim, cosa ne pensereste?”
Lei rimase un attimo allibita, quando Murtagh spostò il volto su Orik. Questo stava sorridendo compiaciuto - ma la sua espressione tornò seria quando anche l’essere femminile lo guardò - .
“Mio re, chi potrebbe proteggermi? Ormai sono l’obiettivo designato dei Fanghur.”
Orik sbatté una mano sul pettorale coperto di metallo, producendo un gran frastuono che rimbombò nella sala. “Chi ha forza e onore maggiori del vostro re? Dirò al clan Dûrgrimst Fanghur di tenere a bada le loro bestie, o la mia ira ricadrà su di loro. Vi prometto, giovane creatura, di avere per sempre a cuore l’obiettivo di evitare che tale scempio accada di nuovo, e che la vostra vita in particolare non sia mai più messa in pericolo.”
La nana emise un gridolino di giubilo, lusingata. Si voltò verso il Cavaliere. “Accetto la nuova protezione che mi offrite, Cavaliere dei Draghi.”
Murtagh annuì con un raro sorriso, poi si bloccò colto da un pensiero: tra tutte le tradizioni naniche trasmessegli da Eragon, non v’era di sicuro nulla riguardo la situazione in cui si trovava.
Si schiarì la voce e alzò il capo per guardare il re. “Perdonate la domanda, re Orik, ma temo di non essere preparato a quanto dovrò fare in seguito. Nepenthe è dunque già vostra protetta?”
Orik arricciò il naso e socchiuse gli occhi. “Sì, anche se probabilmente il clan dei Fanghur è ancora sulle tracce di questo splendido essere.” , rifletté andandosi a sedere sul trono.
Si grattò il mento con la mano tozza, pensando avidamente.
“Questa sera annuncerò ufficialmente di aver salvato e preso come protetta Nepenthe, durante il banchetto che abbiamo organizzato mentre eri a parlare con la statua di un morto - sì, lo ritengo alquanto patetico, Cavaliere - per la popolazione nanica che sarà tutta riunita.”
Murtagh si trattenne dal digrignare i denti. “Non sarebbe opportuno che mi venga riconosciuto il merito del salvataggio, Maestà? In segno di riconoscenza e ammenda verso il popolo nanico.”
Orik sgranò gli occhi e spalancò la bocca. “Credi davvero, figlio di Morzan, che basti questo a vendicare la morte di mio padre?!”
Il Cavaliere esitò. “Non intendevo questo. So che non potrete mai perdonarmi, ma so altresì che la perdita del vostro re è questione personale per ogni membro del popolo, dunque speravo di dimostrarmi così voglioso di lavorare per ottenere il vostro perdono.”
Nepenthe prese la gonna tra le dita e fece una riverenza per introdursi cortesemente nel discorso. “Sire, pensate di dimostrare perdono verso coloro del clan Dûrgrimst Fanghur che hanno mandato quella bestia a uccidermi o rapirmi?” , chiese impudentemente al sovrano.
Orik alzò le spalle. “Non posso iniziare una guerra interna, perciò immagino di sì.”
Un luccichio brillò negli occhi della nana. “Dunque dovreste dimostrarvi ugualmente disposto alla giustizia anche verso un Cavaliere dei Draghi.”
Il re sospirò a lungo, non contento di certo, ma colpito dal colpo della donna. “Allora annuncerò pubblicamente il fatto per quanto accaduto realmente.”
“Vi ringrazio, Meastà.” , dissero assieme l’umano e la nana.
Orik, scontento come un bambino, li congedò.

 

Murtagh si guardò intorno negli appartamenti che gli avevano riservato, in un dedalo di cunicoli reali, abbastanza isolato. Erano i soli abitanti, e Castigo aveva spazio sufficiente per sé in una grotta calda quanto il cuore di un vulcano.
Stai bene qui? , gli chiese quando lo vide, con affetto come sempre materno.
Il drago annuì, aprendo gli occhi color rubino sulla nana. È stato per salvare lei che mi hai scambiato per un serpente volante? , chiese con la sua solita punta di acidità dovuta al suo animo permaloso.
Sì, e ti chiedo scusa.
Vedrò se accettare.
La nana aveva seguito Murtagh senza paura, forse perché già la vita l’aveva rischiata per quel giorno. S’inchinò al drago, come aveva sentito di dover fare nelle leggende antiche che si tramandavano fortunatamente in ogni popolo di Alagaesia ancora.
“Nepenthe, questo è uno degli unici tre draghi viventi su questa terra: Castigo.” , lo presentò.
“Nome interessante.” , commentò lei prima di presentarsi.
Si scambiarono qualche battuta che Murtagh non ebbe interesse di ascoltare, avendo assistito centinaia di volte alle presentazioni del suo drago.
“Ti spiegherò il suo nome assieme alla mia storia - alla mia vera storia, in caso dovessi aver già udito delle voci false sul mio conto - , se vorrai ascoltarla. Ma prima ho bisogno di rinfrescarmi, il viaggio è stato lungo.”
E vorrei contattare mia moglie per non farla stare in pensiero, ora che sono giunto in casa del mio più grande nemico…
Lei annuì, seguendolo di nuovo per i cunicoli, le guardie una decina di piedi sempre dietro di loro.
La stanza era semplice ma ben arredata, con una tenda che divideva due locali. Dietro d’essa, spuntò Derrel. Corse incontro al Cavaliere, abbracciandolo alle gambe. “Cavaliere Murtagh! Pensavo vi fosse accaduto qualcosa di grave, e di non poter mai più venire in missione con voi! Mi è giunta voce dopo il pasto che foste stato attaccato…” , piagnucolò dispiaciuto.
Murtagh gli poggiò le mani sulle spalle. “Sono un Cavaliere, non è così facile scalfirmi!” , lo rincuorò, ma il suo tono di voce suonò troppo freddo per la stanchezza, e il bambino si staccò da lui di scatto, rimanendo ritto e timoroso in attesa di ordini.
Gli presentò Nepenthe, poi si sforzò di raccontargli quanto accaduto, facendo tornare la luce negli occhi del bambino.
“E il re? Com’è?”
“Potrai chiederlo a Nepenthe, che è sicuramente più avvezza al suo sovrano del sottoscritto.” , si rivolse poi a entrambi, “Perdonatemi, ma ho delle urgenti mansioni burocratiche da espletare.”
Lasciò il bambino e la nana a parlare, lei doveva essere l’equivalente di una ragazza un poco matura umana. Li sentì parlare affiatati, attraverso la tenda.

 

Tornò da loro dopo aver parlato con Nasuada attraverso lo specchio, decisamente di umore migliore. “Scusatemi: la regina Nasuada, mia moglie, attendeva ancora nostre notizie. Non è bene far attendere una regina.”
“Quindi voi siete il marito della Regina Suprema?” , chiese in un sussurro Nepenthe dopo essersi fermata a ragionare su quel nome, incredula.
Murtagh annuì.
“Sapevo il nostro re fosse coraggioso, ma mai mi sarei immaginata che avrebbe avuto l’ardire di tenere testa così a un individuo più potente di lui.”
Il sopracciglio corvino del Cavaliere si alzò sulla sua fronte. “Più che tenere testa, mi sta sfidando. Come sai, io sono anche il figlio di Morzan e colui che ha ucciso Hrothgar. Orik sta cercando di farmi perdere la pazienza, per avere un pretesto per uccidermi e vendicarsi finalmente. Una motivazione che nemmeno mia moglie potrebbe mai rimproverare.”
La donna scosse il capo. “Noi nani non dimentichiamo, ma non siamo così banali. I pensieri che descrivete sono tipici degli umani, dettati dal loro rancore e dall’ira che ribolle dentro di loro - e lasciatemelo dire, che con gli umani ho convissuto fino alla fine della Guerra - .”
Murtagh fece spallucce. “Non sto insinuando che Orik sia una persona spregevole, ma ha sicuramente una dose sufficiente di rancore nei miei confronti da volermi stuzzicare, se non offendere.”
Derrel s’intromise. “Lord Murtagh ha salvato la mia reputazione, non è un uomo che abbia a cuore i dissapori.”
“Ti ringrazio, Derrel, per le tue parole lusinghiere. Tuttavia non ho bisogno di essere difeso. Ho le mie colpe, e Orik ha il suo odio giustificato.”
Nepenthe annuì. “Vi comprendo, mio salvatore, ma vi assicuro che il nostro re oggi mi è sembrato assolutamente di buon umore.”
Il Cavaliere strabuzzò gli occhi, trattenendosi da scoppiare a ridere. “Se lo dite voi, dolce dama, vi crederò.” , concluse lui invece, molto diplomaticamente.
Si alzò, incitandoli a iniziare i preparativi per la festa.
Vestì se stesso e successivamente il suo piccolo aiutante, che bonariamente lo lasciò armeggiare con tessuti e bottoni. Gli donò una spilla con un drago, rendendo il bambino contento e orgoglioso come non mai.
Quando entrambi furono pronti, andò oltre la tenda per richiamare Nepenthe, che nel frattempo aveva ricevuto degli abiti da festa regalati dal re in persona, siccome i propri erano rimasti nella sua casa natale. O nella sua grotta, per quanto ne sapesse Murtagh di abitazioni naniche. Con curiosità osservò gli indumenti cerimoniali da festa del popolo ospite, rimanendo stupito di quanti pochi strati di tessuto avessero i loro abiti. Tuttavia, i tessuti erano di fattura elfica, lucidi e vistosissimi. Alle maniche e sulle estremità della gonna, aveva dei pizzi surdani.
“Siete molto bella, Nepenthe.” , si complimentò con lei.
Per quanto non fosse certamente di suo gusto, era innegabile che quella nana era delicata ancora e quindi meno diversa da un’umana.
Lei ridacchiò. “Aspettate di vedere se mi dovesse crescere la barba!” , rispose lei imbarazzata.
Murtagh rimase lievemente allibito per i gusti nanici, ma d’altronde conosceva un elfo che per vanità si era trasformato praticamente in un lupo dal pelo blu. Ed era altresì vero che non sapeva cosa pensassero gli altri popoli delle pratiche e dei gusti estetici umani, dunque scacciò il pregiudizio e le mise una mano sulla schiena - non riuscendo a prenderla a braccetto per colpa della differenza eccessiva di altezza tra i due - e l’accompagnò all’esterno, Derrel al suo fianco dall’altra parte.

 

Il raduno per la festa fu indetto in un luogo che, una volta giuntovi, fece perdere un battito al cuore del Cavaliere: si trattava del luogo dove aveva visto per l’ultima volta Ajihad e Nasuada che li salutava, anni prima. Il luogo da cui si diramava il tunnel in cui era stato tradito e rapito dai Gemelli. Rispetto all’ultima volta che lo aveva visto, però, v’era stata eretta un’enorme statua d’oro del Capo dei Varden. Fu felice per l’amata, perché suo padre era ricordato tanto quanto era apprezzato. V’era una distesa di tavolate e un brulichio di nani da mettere prurito, le luci delle torce calde che mettevano aria di feste estive. La scorta l’annunciò, portando Murtagh e Derrel al tavolo del re, che era rialzato. Fecero salire il bambino, e poi indicarono a Murtagh il suo posto d’onore, accanto a Castigo, abbastanza in disparte. Derrel si bloccò allora.
“Anche il Cavaliere Murtagh è un lord.” , fece notare, “Merita di sedere assieme a noi anch’egli.”
Il silenzio divagò al tavolo per qualche istante, nessuno che riusciva probabilmente a trovare parole sicure per indicare che l’adulto non fosse benaccetto.
“È giusto il mio collocamento, Derrel. Il mio titolo non ha un corrispettivo tra i nani.” , disse allora, con un sorriso caldo ma finto.
Il bambino avanzò, seppur doveva aver compreso che se il titolo di Murtagh non aveva corrispettivo tra i nani, allora nemmeno il proprio. “Va’.” , lo spronò Murtagh, per poi fare una riverenza accennata e dirigersi verso il suo Compagno, che gli era mancato.
Finalmente sei qui per un po’ di conforto… , lo salutò con affetto.
Castigo sbuffò. Vorrei avessi più a cuore te stesso. Non potranno sempre metterti i piedi in testa tutti in questo modo.
Murtagh sospirò amareggiato. Non questa sera, Amico mio… Non ho intenzione di pensarci nuovamente.
Ricevette un buffetto delicato al petto dal grande muso cremisi.
Si sedette al suo tavolo, già imbandito con pietanze naniche e idromele di tre tipi diversi, osservando i piccoli esseri divertirsi e iniziare la festa.
In realtà al suo arrivo doveva essere già iniziata, perché la musica aleggiava nell’aria e poteva udirla già dalla stanza che gli avevano dedicato, mentre si preparava per l’evento.
Alcuni individui erano anche già alticci, e si arrampicavano ai tralicci che coprivano il corridoio tra le tavolate e fungevano da sostegno per candelabri sospesi d’oro massiccio.
Assaggiò qualche cibo, trovandoli gradevoli anche se piuttosto speziati rispetto alle pietanze umane che, in confronto ancora al cibo elfico che era totalmente scondito, tendevano a essere semplicemente più salate o acetate.
A Castigo erano stati destinati un cinghiale e un cervo interi, oltre a una botte di birra intera.
Non ho mai provato l’ebrezza dell’alcol se non attraverso i tuoi sensi, Murtagh. , sentenziò fiondandosici a capofitto, dopo che l’umano l’ebbe avvertito di non esagerare con l’alcol.
E va bene, un barile non dovrebbe sorbire troppo danno sulla tua mole di peso.
Stai dicendo che sono grasso? , scherzò il rettile.
Murtagh si voltò per squadrarlo con estrema lentezza dalla testa alla punta della coda. Beh, non si può certo dire che tu sia piccolo…
Il drago gli ringhiò. Sai cosa è piccolo, Murtagh? Il tuo c-
Non è assolutamente vero! , l’interruppe il Cavaliere arrossendo.
Vuoi fare a gara? Tiralo fuori! , lo sfidò il drago, alticcio.
Il Compagno roteò gli occhi. Come puoi pensare che il mio gingillo possa competere con il tuo? È la proporzione che conta!
Castigo snudò i denti in quello che sembrò un sorriso di scherno. Vincerei comunque.
Non importa la tua opinione, ma quella delle donzelle.
Il drago ridacchiò di gusto, facendo voltare tutti per un istante, anche se tornarono ben presto alla loro goliardia, visto che il ringhio non era stato seguito da nessun pericolo o attacco da parte del rettile. Credo che nessuna si sarebbe mai lamentata del tuo ‘gingillo’, per paura di essere impalata su una forca - che forse avrebbero sentito meglio - .
La mano del giovane andò d’istinto sul pomolo di Zar’Roc, che però non poté snudare - nemmeno per schernire il Compagno - . Nasuada è l’unica che sia onesta con me e non si è mai lamentata.
Forse perché non aveva termini di paragone prima di te e del tuo ‘gingillo’.
Smettila di chiamarlo con quel tono, mi metti a disagio! , sbottò, E comunque non sono certo il più dotato d’Alagaesia, ma anche durante la valutazione alla nostra prima notte di nozze ufficiale, erano tutti piuttosto soddisfatti.
Ritorniamo al mio punto: chi mai oserebbe dare contro al figlio di Morzan e marito della loro regina?
Murtagh aggrottò le sopracciglia. Lo chiederò a Nasuada personalmente, al nostro ritorno.
Potresti pentirtene…
Sta’ zitto. , sibilò il giovane.
Non lo farò, perché sono l’unico che abbia il diritto di distruggere la tua autostima e riderne di gusto.
Il Cavaliere si voltò per guardarlo nell’occhio in cagnesco. Dovresti aiutarmi ad avere più autostima, non il contrario!
Il drago alzò le spalle. Lo faccio, quando serve. Ma quando serve a me divertirmi con te, colgo l’occasione come ora di poterti torturare senza che tu possa chiedere aiuto piagnucolando alla tua mogliettina.
Quindi ammetti di aver paura di Nasuada? , chiese sornione il giovane.
Nepenthe si avvicinò a lui, interrompendo il battibecco mentale, dopo averlo osservato da lontano con circospezione tutta la sera. “Siete il mio salvatore, non credete che i miei simili vorranno conoscervi?”
Murtagh si grattò la nuca. “Non credo proprio.”
La nana pestò i piedi, per poi allungargli la mano. “Andiamo, la mia famiglia vuole conoscervi.”
L’umano lanciò la spugna e la seguì verso un gruppo di nani di ogni età che la salutarono, vedendoli avvicinarsi. Contrariato, Murtagh fu presentato alla famiglia di Nepenthe, in piedi accanto a uno dei tavoli lunghi più vicini a quello del re - che era stato lì posizionato strategicamente da Orik, che aveva interesse palese verso la nana - , piuttosto centralmente dove sia stava svolgendo il festeggiamento più vivo.
Il padre e la madre della nana gli offrirono doni d’oro che lui fece di tutto per rifiutare cortesemente, non volendosi approfittare di loro. “Non bisogno di oro, siccome ho sempre goduto di un possedimento piuttosto fruttuoso.”
Il nano dalla barba grigia storse il naso. “Il vostro oro è di minore qualità rispetto al nostro! Questo che vi offro Cavaliere, è purissimo e viene coniato direttamente in miniera!” , sentenziò porgendogli un baule d’oro.
Murtagh scosse il capo, ma testardamente gli anziani gli impedirono di rifiutarsi ulteriormente.
“Padre, la mia salvezza non ha valore, per questo il mio salvatore non può accettare.” , intervenne la nana più giovane in suo soccorso. Il genitore s’illuminò e si quietò.
“Un uomo degno della nostra gratitudine eterna.” , esclamò con voce possente la madre di Nepenthe. Murtagh notò fosse un essere molto elegante, abbigliata in un abito di velluto color terracotta, decorato con gioielli con smeraldi enormi, il tutto sormontato da capelli riccissimi e più scuri addirittura di quelli del Cavaliere, per quanto possibile. Nonostante fosse lontana dai canoni di bellezza del giovane umano, la trovò nobilmente bella. Aveva la stessa fiera bellezza di Nasuada, ma di cui poche altre nobili erano dotate.
Colse l’occasione per farle i complimenti e ingraziarsela. Anche il padre della sua protetta era un individuo dai capelli castani, anche se dai riflessi rossi, accentuati ancor di più dalle torce.
Dietro di loro, era seduta in modo estremamente posato un’altra nana dai capelli così biondi da sembrare quasi bianchi, così come le ciglia e le sopracciglia stranamente non si scostavano da quella chiarezza. Notando il suo sguardo incuriosito, Nepenthe gli presentò la sorella, ma il suo tono tradiva una leggera tristezza. “Lei è la mia sorellina, Alba.”
Nell’udire il suo nome, la giovane bionda alzò gli occhi e Murtagh notò vagassero quasi completamente ciechi, come quelli di suo nonno Flaithrì. Aveva le pupille di un azzurro tendente al viola, talvolta al rosso, che gli fecero ricordare un bambino che aveva incontrato quando anche lui ne era uno.
“È un piacere, salvatore di mia sorella, conoscervi. Perdonate se non sono capace di guardarvi negli occhi, ma i miei non funzionano poi così bene.”
Si sporse per prenderle la mano. “Conosco la vostra condizione e posso donarvi occhi più acuti, se vorrete.”
Lei si bloccò per qualche istante, grandi lacrime che minacciarono di riversarsi. Eppure, quando il Cavaliere iniziò a pensare che avrebbe accettato, Alba scosse il capo. “Non avrò bisogno di vedere il mondo, se mia sorella non sarà più vicina a me.”
La madre annuì con tristezza. “Nepenthe è sempre stata la persona che più si è curata di lei, dopo di me. Sarà diverso ora, senza di lei.”
Murtagh comprese e si scusò per l’impudenza.
Gli venne offerto da bere, ma fu l’unico dei cinque che non toccò la bevanda. Genitori e Nepenthe, invece, l’ingollarono velocemente.
Questa diede un bacio alla sorella sulla guancia, poi chiese la possibilità di congedarsi.
“Dovrai chiederla al tuo salvatore, d’ora in poi.” , le ricordò la madre.
Nepenthe annuì lievemente triste, poi s’attaccò al Cavaliere e lo portò in una camminata in cui salutò trionfante chi incontravano. Completarono il giro, poi si sedettero come una doppietta al tavolo riservato alla nana dal re in persona.
“Dunque ora sposerai re Orik, secondo le vostre usanze?” , le chiese rompendo il silenzio.
La nana, già alticcia di alcol, aggrottò le sopracciglia. “Non così facilmente! Dovrà conquistarmi, anche se è un re. Anzi, proprio perché è un re!” , biasciò.
Murtagh ridacchiò. “Mi sembra giusto… beh, andrò a cercare da bere.”
Nepenthe non ebbe la lucidità per indicargli il tavolo più vicino - che era davvero vicino - per colpa dell’alcol, perciò il Cavaliere fu lieto di potersi liberare delle troppe attenzioni che aveva già ricevuto - positive e negative - .
Vagò fingendo agli occhi di tutti di avere qualcuno da rintracciare nella folla a ogni costo, fino a trovare un posto dove riposare le sue lunghe gambe. Conversò brevemente con Castigo, siccome venne interrotto nuovamente: Orik in persona lo raggiunse. Aveva un piccolo otre di vino in mano.
Murtagh sedeva sul basamento dell’enorme statua di Ajihad, con lo sguardo in alto verso il suo volto severo ma giusto.
“Finalmente posso guardarti negli occhi, Cavaliere.” , gli disse disgustato, “Pensavo di rivederci di più tuo padre, ma i tuoi occhi non sono orrendi come i suoi…”
“Oltre alla cattiveria che emanavano, erano anche orribilmente policromi, me li ricordo bene.” , confermò apatico il Cavaliere.
“Sì, beh, comunque quel colore non dovrebbe stare nelle pupille di un essere vivente. È innaturale. Il cielo e gli zaffiri sono blu, inanimati e perciò freddi…”
Murtagh si ricordò di non aver mai visto un nano dotato di occhi celesti. Si chiese se esistesse qualcuno con quella caratteristica.
“Mi dispiace vi infastidiscano. Esattamente come la mia presenza.” , scoccò una frecciatina l’umano. Orik sorprendentemente non si offese.
Prese un sorso della bevanda e si sistemò accanto a lui. “Ecco, così non dovrò vederli, ma potrò comunque udire quanto hai da dire, Cavaliere.”
Murtagh apprezzò avesse usato con lui quell’appellativo onorifico con tono neutro, per una volta.
Vide con la coda dell’occhio Orik guardarsi intorno, forse in cerca di qualcosa di frivolo di cui dialogare. Tuttavia Murtagh non si spiegava ancora perché il re si fosse scomodato proprio per attendere un po’ del tempo dell’umano, seppur suo ospite onorifico e degno del tempo del sovrano.
“Ti piace come ho risistemato il regno?”
“Non sono un architetto, perciò non posso giudicare espertamente. Ad ogni modo sì, apprezzo lo sfarzo e i monumenti atti a ricordare la battaglia che si è combattuta qui.” , rispose con cautela il giovane.
“Oh sì, la battaglia che si combatté qui fu epica. All’epoca stavamo tutti apprezzando la tua presenza, figlio di Morzan...”
Il giovane alzò un sopracciglio, pronto a udire nuove parole di scherno nei suoi confronti, a cui non avrebbe potuto rispondere a tono, ma solo con finta cortesia e compostezza. Sua madre sarebbe stata fiera di lui per il contegno che aveva imparato ad avere negli anni.
Orik inspirò a fondo prima di continuare, facendo addirittura un piccolo sussulto mentre i suoi polmoni spingevano fuori l’aria che si sarebbe trasformata in parole: “Voglio proprio sapere se tu non sia riapparso per ricominciare il ciclo tutto daccapo… Farti accettare e poi pugnalarci tutti alle spalle di nuovo, intendo…”
Nel suo tono lo scherno era stato sostituito da un inquietante timore.
Il moro scosse il capo. “Non ho modo di dimostrarlo, ma non sono qui per tradirvi. Non esiste più un padrone che mi possa far compiere atti indicibili, anche contro la mia volontà.”
“Bene. Ricordati che la tua libertà è un dono - perché se stesse a me decidere, ti avrei già rinchiuso in gabbia per non liberarti mai più - , e la fiducia va ripagata con la fedeltà.”
“È il posto giusto per non dubitare nemmeno di un secondo che la mia vita ora sia meglio di quanto non sia mai stata.”
“Spiegati meglio.” , lo incalzò Orik.
“In questo luogo mi è stato fatto dono di fiducia la prima volta, seppur sapendo che razza di uomo mi abbia generato. È stato uno dei pensieri che mi ha addolcito gli incubi per tante notti, assieme al volto di Nasuada, che più di tutti - oltre a Eragon - ha deciso di valutarmi ancor prima di giudicarmi.”
Indicò poi la caverna che aveva concluso la sua permanenza tra i Varden per sempre.
“Qui è dove sono stato rapito, e l’orrore è poi iniziato nuovamente. Anzi no, peggio di quanto non sia mai stato prima…” , confessò al sovrano, “Ho maledetto la mia esistenza, ho sperato di morire per molto tempo, eppure il Destino mi ha mantenuto in vita… Forse perché dovevo espiare le mie colpe soffrendo come un cane, per poi poter risalire verso la superficie.”
Orik gli porse il suo vino. “Per dimenticare il dolore.”
“Perché?”
“Perché cosa?” , chiese confuso il re.
“Perché, seppur mi odiate, mi state offrendo un sollievo per il dolore.”
Orik inspirò a lungo aria dal suo minuscolo naso a patata. “Ricordo lo sguardo triste del giovane Murtagh. Ricordo lo sguardo colpevole del giovane Murtagh dopo la Guerra, persino attimi dopo aver ucciso mio padre.” , deglutì, “E quello sguardo mi tormenta. Vederti mi mette a disagio da sempre, seppur io ti odi per quello che hai fatto a Hrothgar e a Nasuada.”
Un pensiero gli balenò in mente. Si voltò per guardare l’altro dritto in volto, infuriato. “Sono stato colto da un dubbio: hai per caso ucciso anche Ajihad?”
Murtagh sobbalzò stupito dell’accusa, poi piegò le spalle in avanti e scosse il capo. “Non lo avrei mai fatto. Non a Nasuada. L’ho amata dal giorno in cui è venuta a visitarmi in quella cella per la seconda volta, poi la terza e così via. Non me lo sarei mai immaginato da lei! Una principessa che veniva a trovare sinceramente un reietto come me.”
Orik espirò a lungo, abbandonando la schiena attorno all’oro della statua. “Questa tua risposta ha placato in parte il mio risentimento.”
“Vi ringrazio.”
Il nano scosse il capo. “No, io ringrazio te. Mi hai tolto alcuni pensieri che mi tormentavano la notte. Non avrei potuto dormire sonni tranquilli temendo ancora che Nasuada condividesse il letto con l’assassino di suo padre.”
“Non avrei mai osato uccidere un uomo come Ajihad. Avrei piuttosto sacrificato la mia vita, in nome di quel barlume d’amore verso Nasuada che era appena nato.”
Il re scacciò le sue parole con la mano tozza e callosa. “L’hai già detto, e non posso verificare quanto dici. Ma mi rincuora sapere della tua innocenza, almeno.”
“Io invece sono rincuorato di poter ritornare a Illirea sapendo che mi odiate un po’ meno.”
Il più basso rise di gusto. “Non esagerare, ragazzo. Il fatto che non ti odi di più non significa che ti odi di meno.”
Murtagh annuì. “Ho commesso io un errore di interpretazione.”
“Della lingua comune?” , rise ancora il re, alzando le spalle e bevendo un sorso profondo di alcol che si era portato con sé. “Mi fai ridere, Morzansson.”
Il giovane si alzò in piedi, stanco. “Vi ringrazio per le parole, ma ho bisogno di sgranchirmi le gambe.”
L’altro non fu contento. Gli afferrò la mano, per trattenerlo. “Ascoltami bene, Cavaliere: sì, sto cercando di istigarti a sfoderare la tua vera natura mentre sei qui, perché preferisco che tu ti mostri per quello che sei veramente ora, piuttosto che un giorno, magari da solo nel letto della mia amica Nasuada, e che rimandi questa terra nel baratro.” , confessò con lo sguardo ardente.
Il giovane lo fissò di rimando con occhi sbarrati. “Io… non devo dimostrare la mia sete di sangue, perché non c’è mai stata: è per questo che a Uru’Baen venivo torturato e mosso a piacimento nel corpo da Galbatorix in persona! Io non amavo la mia vita prima, non l’ho nemmeno mai sopportata!” , si lasciò scappare una lacrima tra i sussurri, che asciugò in un baleno con la mano libera, “Non avrete da me nulla se non mansuetudine, perché questo è ciò che sono sempre stato, la mia vera natura, sin quando da bambino ho sopportato il dolore della ferita inflittami da mio padre, continuando a fingere di lodarlo con i miei precettori.”
“Quindi ciò che sei non è un uomo mansueto, ma una foglia che si abbandona al vento e lo asseconda!” , l’accusò l’altro.
“Se così volete definirmi lo accetterò. Ma io credo di essere ben diverso da una foglia in balia degli altri: io sono malleabile come l’acciaio, ma difficile da spezzare ed estremamente duro. E soprattutto l’arma migliore che gli esseri intelligenti abbiano mai forgiato, per questo tutti cercano di piegarmi al loro servizio. Ma io sono fedele a me stesso, come la spada che è fedele solo all’uomo che la impugna, alla fine.”
“È anche la migliore arma per offendere, una spada.”
“Dipende da come viene usata. Ora sono libero, e ho acquisito l’impugnatura della mia stessa forza, della mia stessa pericolosità, giurando di utilizzarla per difendere la stabilità e la libertà dei popoli di Alagesia. Anche diventando io stesso schiavo di nuovo di un giuramento.”
Il re lo fissò a lungo negli occhi, poi si alzò in silenzio, scuotendo il capo. Lo superò, in direzione del suo palco rialzato. “I tuoi occhi, Murtagh, continuano a inquietarmi come la prima volta: la tristezza e la determinazione che si combattono perennemente mi spiazzano.” , decretò allontanandosi definitivamente.
Il giovane, rimasto solo, espirò sonoramente. Si accorse che le mani gli tremavano leggermente.
Che diamine mi succede quest’oggi? , sbuffò tra sé.
La sua coscienza rossa e squamata gli offrì il suo sguardo saggio: Ti sei confrontato con il tuo più grande nemico, Murtagh. Non rimproverarti per le tue reazioni corporee…
Il giovane scrollò le spalle. Non è certo Orik il mio più acerrimo nemico. Egli è morto da tempo ormai.
Vide l’enorme capo voltarsi verso di lui, per permettere a grandi occhi di rubino di trafiggerlo con la loro eloquenza. Il nemico che combatterai ora e per sempre, mio Amico-a-due-gambe, è la paura. Non che sia solamente una tua prerogativa combatterla, ma tu vieni bloccato da essa ancor prima di poter agire, di poter sfruttare le tue abilità per sopravvivere. Sei potente nel corpo e nella forza di volontà, mia Altra-Metà, ma a volte lasci che la paura ti renda più impotente del bambino che hai generato, al momento della sua nascita prematura.
Il Cavaliere fu colpito da quelle parole, cominciando davvero a comprendere le sue emozioni che quel viaggio gli aveva suscitate.
Vagò per un tempo indefinito, i suoni ovattati e le orecchie che fischiavano leggermente per colpa dei pensieri rumorosi.
Incappò nel suo protetto, che era intento a litigare con un nano, da quel che sembrava.
Murtagh accorse prima che fosse troppo tardi e accadesse un incidente diplomatico - e non per colpa sua - .
“Buonasera, mastro, posso aiutarvi? Mi sembrate infastidito dal comportamento di lord Derrel.”
Il nano annuì con ampi gesti. “Oltraggiato, addirittura.”
“Per quale motivo?” , chiese il Cavaliere guardando prima l’essere basso e poi il piccolo umano.
“Non ha assaggiato alcuna mia pietanza, preparata appositamente per lui, da almeno due portate!” , piagnucolò con forte accento nanico che marcava la sua pronuncia della Lingua Comune.
“È un bambino ancora, dovete scusare se il suo stomaco non può contenere tutte le vostre prelibatezze.” , lo giustificò il Cavaliere.
Il nano alzò un sopracciglio, poi indicò un bambino del loro popolo. “Lui non ha lo stomaco sufficiente per contenere tutto quello che vi abbiamo offerto, ma vista la stazza dei vostri bambini, dovrebbe essere capace di mangiare quanto un nano pressoché adulto.” , sentenziò l’essere barbuto.
Murtagh si ritrovò spiazzato. D’altronde aveva ragione, anche se ricordava la fame che aveva quando era un ragazzo: molto più forte e insaziabile di quella di cui era dotato ora, siccome le energie derivate dal cibo dovevano servigli a crescere definitivamente.
“Le vostre proporzioni sono corrette, tuttavia un ragazzo ha più appetito di un adulto, e anche se il mio compagno è già cresciuto quanto un vostro giovane nano, vi assicuro che ha uno stomaco piuttosto contenuto.”
Il cuoco sbuffò, abbandonando un po’ di cipiglio. “È tutto pelle e ossa, in effetti.”
Indicò una coscia di cinghiale sfilacciata. “Almeno finite quella. I sacrifici dei nostri coabitanti di questa montagna non devono andare sprecati.”
Murtagh giurò che si sarebbero impegnati, ma il nano non se ne andò finché anche lui non si fu seduto per mangiare. In effetti, aveva solo spiluccato le pietanze portategli al suo tavolo isolato, dando a Castigo i suoi avanzi.
Trovò delizioso quel cibo, decisamente più elaborato di quello riservato a lui.
“Allora, Derrel, ti stai godendo la serata?” , chiese piano al bambino.
Questo scrollò le spalle, spostando il cibo nel suo piatto, non riuscendo proprio più a ingoiare null’altro.
“È stato tutto decisamente… interessante.”
Il Cavaliere gli circondò le spalle con un braccio. “Avevi mai partecipato a un evento ufficiale, prima? Magari con i tuoi genitori?”
Derrel scosse il capo.
“Mi dispiace non esserti stato vicino, allora.”
Il bambino sorrise. “Re Orik è stato molto gentile con me. Aveva ragione Nepenthe.”
Come no…
Gli occhi del bambino s’illuminarono a un pensiero. “Abbiamo anche ballato, io e lei!”
Murtagh gli sorrise di rimando. “È di tuo gradimento?”
L’altro scosse prontamente il capo.
“Il ballo, intendo.”
“Oh!” , esclamò arrossendo il piccolo, “Sì, credo che in futuro - se dovessi partecipare ad altre serate come questa - non mi dispiaceranno, finché ci saranno musica e qualche ballo.”
“Molto bene!”
Finito un po’ del cibo nel piatto dell’adulto, il nano gli versò un boccale enorme di una qualche bibita alcolica tipica. “Bevete e vi lascerò stare. Avrete reso onore alla mia ospitalità.”
Murtagh bevve quasi in un solo sorso, seppur senza sembrare rozzo, la bevanda, che in realtà scivolò giù piuttosto facilmente.
Un’altra canzone suonò, e Derrel scattò in piedi per ballare. Il protettore gli fece cenno affermativo col capo, che prese a girargli per l’alcol.
Il vorticare dei ballerini lo infastidì. Si coprì gli occhi con una sola mano, inspirando con forza. Forse si addormentò anche per qualche istante, perché il ballo gli sembrò cortissimo e al contempo infinito.
Al termine si alzò, cercando di non barcollare, udendo le risa del suo drago nel vederlo così. Raggiunse Derrel senza sembrargli minaccioso, e lo richiamò con sé.
Nepenthe, che teneva ancora strette tra le sue mani quelle del bambino, s’intromise.
“Lo riporterò io indietro sano e salvo. Ve lo prometto, Cavaliere!”
Murtagh sospirò, non avendo voglia di controbattere, e accettò. Poi si diresse, seguendo la folla che stava già defluendo dalla grande stanza, verso i suoi appartamenti.
Si spogliò e buttò sul letto, borbottando per le dimensioni di questo. Trovò comodo solo appoggiare il collo alla testiera in legno, e le braccia aperte su questa, come una croce.
Il sonno lo colpì istantaneamente, tanto che non riuscì a contattare Nasuada.

 

 

Murtagh si risvegliò con un gran mal di testa, maledicendo la serata precedente. Oltre all’alcol che gli aveva procurato la testa pesante, essere più alto di un umano medio di parecchio, non aveva aiutato con il mal di schiena: aveva dormito nella più assurda delle posizioni in quel letto creato per esseri alti la metà - se non un terzo - di lui. La nana, ufficialmente una sua protetta, apparve da dietro la tenda che divideva quella stanza da una attigua. Il Cavaliere arrossì vedendola.
“Buongiorno, Cavaliere” , lo salutò allegramente.
Murtagh si tirò la coperta verso i piedi, per meglio coprire il suo corpo nudo. “È già ora di ripartire?”
La giovane annuì e al suo fianco apparve Derrel, già vestito di tutto punto per il viaggio. “È presto, milord, ma dobbiamo accompagnare la nostra ospite dal re.”
“Perché non te ne occupi tu, mentre io vado a recuperare le uova?” , gli suggerì.
Nepenthe sbatté i tacchi a terra. “Perché voi siete il mio protettore!”
Murtagh sospirò. “Non ho proprio voglia di vedere il re anche oggi… In più siete già più protetta del re che mia.”
La giovane sospinse Derrel oltre la tenda, percependo il malumore dell’umano adulto. Si avvicinò poi al letto, sedendosi accanto a lui. “Cosa vi turba, Cavaliere?”
“Vorrei non essere mai giunto qui.” , rispose laconicamente, “Questo posto mi porta a galla brutti ricordi.”
“L’ospitalità del mio popolo non è stata degna della prigionia sotto il governo di Ajihad?” , scherzò lei. Murtagh si morse il labbro. “È stata molto calorosa. Forse anche più di quanto non mi aspettassi e non meritassi.”
“E quindi se non siete scontento delle cure del popolo nanico, cosa è andato storto nella vostra permanenza? Vi sto tediando con la mia presenza? O facendo sprecare tempo prezioso?”
“No, è che…” , fece una lunga pausa in cui espirò più volte tutta l’aria che aveva in corpo, “Ho iniziato a ricevere il perdono per le mie colpe dalle persone da cui più lo anelo - e non solo ora, ma da quando ho deciso di rivestire i panni di Murtagh Morzansson - , ma non da Orik.”
La nana lo guardò seriamente. “Avete ucciso senza motivo suo padre.” , disse lucidamente, ma senza risentimento nel tono.
“Non fu senza motivo, in realtà. A ogni modo non mi avrebbero compreso, se avessi detto che il re si aspettava da me una dimostrazione di forza degna del suo precedente Cavaliere fedelissimo, il suo stesso figlio. Fino ad allora mi riteneva capace di eseguire solo le sue imposizioni magiche, perché al mio primo incarico non feci altro che fuggire davanti alla realizzazione delle atrocità che avrei dovuto compiere.”
La nana annuì. “Sono a conoscenza della vostra storia - e posso comprendere i motivi delle vostre azioni, seppur non perdonarle - , ma vi assicuro che re Orik non vi sta prendendo di mira - almeno senza un motivo, a differenza di quanto non abbiate fatto voi con suo padre -"
Murtagh emise un colpo di risata. “Mia moglie mi ha detto lo stesso dopo averla torturata e fatta soffrire, nonostante l’amore che provassi per lei.”
“Stavo dicendo:” , continuò lei fingendo di non essere stizzita di esser stata interrotta, “…per rendere la vostra vita un inferno, quanto più sta cercando di capirvi, Cavaliere.”
I loro occhi s’incrociarono per qualche istante, intensamente. Ci fu un lungo e pregno silenzio, in cui il giovane capì che nonostante fosse tornato prima di aver guarito le sue ferite e sapesse che avrebbe dovuto farlo da sé - sostituendo il tempo - , avrebbe dovuto continuare a soffrire: in modo diverso, meno violento e ingiusto, eppure la sofferenza sarebbe stato il sale che avrebbe bruciato la sua carne, ma che l’avrebbe anche resa insensibile via via, fino a curarla definitivamente. Era un pensiero amaro, ma estremamente lucido, privo di paura al pensiero del percorso della sua guarigione.
Il moro sbuffò, tirandosi in piedi finalmente e prendendo a vestirsi. “Ti ringrazio, Nepenthe. Se c’è una cosa che avere una presenza femminile stabile al mio fianco mi ha insegnato, è che è giusto ascoltare voi donne: quello che avete da dire è estremamente lungo e tortuoso, ma anche estremamente vero e importante.” , disse con lusinga.
Lei scosse il capo. “Non avete capito nulla, allora.”
“Come?!”
“Non è perché sono una ‘donna’ che fa di me un essere più saggio. È vero che sin dall’infanzia sono le nostre madri che ci mostrano la via del mondo, e lo fanno accompagnandoci, non gettandoci in pasto al Destino come i nostri padri, ma la nostra saggezza risiede solamente nel poter riflettere ed esprimere il nostro pensiero senza temere di risultare deboli.” , sospirò seria, “Voi uomini siete incastrati in un’armatura che vorrei poter vedervi abbandonare, prima o poi. Anche Orik, a esempio, vi ha raggiunto ieri sera per dirvi di sicuro di più delle parole dure che mi riferite esservi scambiati. Avete intenzioni da agnelli, ma alla fine vi comportate come arieti.”

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Capitolo 39
*** Un nuovo Cavaliere ***


Quando uscì dai tunnel nella montagna, scegliendo appositamente di percorrere a ritroso la strada che anni prima aveva completato assieme a Eragon e Saphira, la vista della vallata fu la goccia che fece traboccare il vaso di quel miscuglio di emozioni che era stato quel tuffo nel passato. Si asciugò le lacrime che gli imperlavano i lati degli occhi velocemente, i passi a breve distanza l’uno dall’altro di Orik che risuonarono dietro di lui. Ben presto, anche il carretto che trasportava il baule di uova li raggiunse, e Castigo dal cielo, richiamato dal suo Compagno attraverso il legame mentale. I nani, che trainavano e indirizzavano i muli che guidavano il carretto, si abbassarono bruscamente, i residui di paura ancora dalle battaglie della Guerra.
Castigo atterrò infine abbastanza lontano, per tranquillizzare anche la popolazione che si era affacciata alle aperture nella roccia, in alto verso la vetta della montagna.
Murtagh ruppe quel momento sospirando, poi voltandosi indietro per afferrare il baule con le proprie mani, emettendo un lieve grugnito quando lo fece ondeggiare fino a portarselo, con un unico fluido movimento, su una spalla. Orik si strofinò la barba sotto il naso, nascondendo l’imbarazzo del momento. “Dove andrai adesso, Cavaliere?” , chiese monotono.
Il più alto tentò di fare spallucce, ma non riuscì. Decise allora di parlare. “Continuerò il mio viaggio verso e attraverso il Surda, poi di nuovo alla volta della capitale, se non dovessero schiudersi uova. Mi ritirerei fino al prossimo viaggio da mia moglie e mio figlio.”
Orik incrociò le braccia tozze al petto. “Ti chiedo di portare i miei saluti a Nasuada.”
Murtagh annuì, continuando a percepire un fremito da dentro una delle uova. Come era possibile che nonostante la vitalità del cucciolo non si era più percepito, una volta aperto il baule? Era comprensibile che non si fosse schiuso, non avendo trovato il proprio Compagno, ma addirittura arrestarsi in quel modo sembrava inusuale.
“Al prossimo incontro, re Orik. Spero che la fortuna ti assista con quella fanciulla.”
Il nano rise di gusto. “La proteggerò, puoi stare tranquillo.”
Murtagh prese a camminare, cercando di muoversi quanto più cautamente possibile, per non rischiare di spezzarsi una caviglia nel terreno sconnesso sotto il peso del baule.
Orik si circondò la bocca con le mani. “La prossima volta potrai portare tuo figlio a vedere una davvero bella città!” , gli urlò in giocoso scherno.
Senza voltarsi, staccò un braccio dal suo carico, sventolandolo in aria per fargli cenno affermativo.
Incantò il baule perché viaggiasse seguendoli senza scossoni, e in uno spazio invisibile, poi spiccò il volo assieme al suo compagno.
Mi sembra che il nano sia meno ostile nei tuoi confronti. , commentò Castigo.
Mi sono comportato in modo esemplare, portando i miei ossequi a suo padre. Ma la cosa più stupefacente è che ho probabilmente trovato una moglie per il re!
Mai nulla per me... , protestò Castigo scherzando.

 

Visitarono alcuni villaggi, facendo toccare a tutti i ragazzi a disposizione le tre uova, con particolare attenzione a quella verde, che nuovamente si immobilizzava all’apertura del baule.
Solo nella cittadina di Cithrí, quell’abitudine dell’uovo non si ripeté. Murtagh allora domandò un incontro con il capo del villaggio, un ricco uomo dalla pelle di intermedio tono, coperto di oro e seta gialla, perché avvisasse per il giorno successivo tutta la popolazione di dover partecipare alla Cerimonia, organizzando i proprietari di bottega e i pescatori per poter essere testati per primi.
Nel sentire che il primo nuovo Cavaliere si sarebbe rivelato nella sua città, dandogli maggiore prestigio di per certo, l’uomo si rivelò molto accondiscendente. Murtagh sapeva che la sua sensazione al braccio sinistro avrebbe potuto essere solo una rimembranza errata, ma si ricordava chiaramente il momento in cui l’aveva ricollegata alla premonizione della schiusa del suo drago, decidendo di fidarsi anche quella volta dei suoi sensi. Probabilmente un essere comune non provava lo stesso, ma lui in quanto figlio di un Cavaliere - di una stirpe in realtà - aveva già in sé la magia che lo collegava ai draghi, rendendolo particolarmente ricettivo.
Attraversò la città in fermento, vedendo i soldati bussare alle case, urlando indicazioni e segnando eventuali esigenze. Tornò da Castigo, nello spiazzo erboso che avrebbero usato come letto, e preparò la cena. Si mise a osservare le stelle, sfiorandosi la moneta che aveva al collo, l’amuleto portafortuna ricavato da un pezzo d’oro coniato l’anno della nascita del figlio. Avrebbe avuto bisogno di tutta la fortuna, perché nonostante il braccio non gli desse riposo, la sua mente gli rimandava tutti gli scenari peggiori che avrebbero potuto accadere se l’uovo non si fosse schiuso, nonostante le sue promesse al capo di quel luogo.

 

L’alba filtrò attraverso le sue palpebre, il sole in quel luogo era forte e insopportabile già dalle prime ore del giorno. Si andò a lavare al fiume, poi si vestì con i migliori abiti ricamati con draghi che aveva con sé. Le persone meno colte avrebbero potuto scambiarlo per il re, agghindato in quel modo. Invece, il tanto odiato figlio di Morzan, stava sfilando per le strade della cittadina in pieno sole, come mai aveva avuto il lusso di poter fare. Si era sempre dovuto nascondere e questo cambiamento - che potesse essere sempre benaccetto o meno - era solo da attribuire alle doti di Nasuada. Lo aveva salvato anche da quella che gli era sempre sembrata l’inevitabilità di dover abbandonare il suo nome, celarlo e nasconderlo, rendendolo invece libero di ripulirlo per poi in un futuro sfoderarlo con orgoglio. E ogni volta che i suoi occhi ambrati si posavano sul bel Cavaliere, non vi era dubbio sulla buona riuscita di quel processo.
Alzò il mento come avrebbe fatto lei, issando il baule con le uova su un carro dorato che lo attendeva in una piazza, assieme al capo di Cithrí.
La prima folla era già accalcata nella piazzetta, sotto una piattaforma. Col carro issarono il baule su di essa, con l’aiuto di alcune guardie della corona scelte dal capo in persona.
Persona dopo persona, le uova vennero timidamente toccate da tutti i presenti, sotto lo sguardo di alcuni curiosi assonnati, affacciati alle finestre dei palazzi che davano sulla piazza.
Quando una donna, il cui volto tra la miriade di persone che Murtagh vide quel giorno non riusciva a ricordare già dopo averla osservata allontanarsi, si presentò assieme alle sue figlie, uno dei soldati si mosse a disagio al limitare del campo visivo del Cavaliere, catturando la sua attenzione. E il formicolio al braccio riprese. Guardò alla pietra verde, senza però notarvi movimento.
“Tu.” , lo chiamò atono, ma cercando di non suonare intimidatorio.
Il soldato fece un passo avanti. “Cavaliere, è tutto in ordine nella piazza, come posso aiutarvi?”
Murtagh guardò di sfuggita la pietra, mordendosi il labbro. “Voi soldati non siete stati sottoposti alla Prova.” , ragionò.
L’uomo alzò le spalle, sotto il cuoio indurito. “No, ma siamo tutti uomini adulti, che senso avrebbe?”
“Io sono divenuto Cavaliere all’età di diciotto anni, non esiste un limite massimo d’età per un drago.”
Il soldato rise. “Dovrebbero esserci invece, nessuno è più agile e fresco dopo le prime venti estati. Se fossi in loro, cercherei carne fresca.”
“Cercano un Compagno, non certo cibo tenero e delizioso.” , sbottò freddamente Murtagh.
Indicò poi il baule. “Toccate anche voi le uova, ora.”
“Perché?” , chiesero i soldati in coro, spaventati.
“La folla sarà tranquillizzata nel vedere voi soldati sottoporvi alla Prova come loro. Non è la stessa sensazione, in guerra, se il Generale scende in campo con le truppe?”
Il primo soldato interpellato, il più anziano, annuì seriamente. “Andrò io per primo.”
Murtagh avrebbe voluto rispondere affermativamente, se non fosse stato per una fitta così forte al braccio da raggiungergli il cuore. La vista si fece grigia, poi bianca e infine nera per qualche istante, mentre le orecchie gli fischiavano.
Quando riacquistò la vista, il soldato stava fissando con occhi sbarrati in basso, dentro il baule.

 

Un cucciolo di drago era acciambellato nel liquido che lo accoglieva nel suo uovo, ora sbriciolato sul tessuto pregiato. Di un verde bocciolo come l’uovo, il piccolo osservava il mondo con due occhi dello stesso colore, spaventato. Il suo futuro Cavaliere era interdetto, e fissava l’esserino e la sua mano, mentre con l’altra si stringeva il polso per attutire il bruciore, che Murtagh conosceva bene. Esclamò e saltò in piedi, accostandosi al soldato dai capelli rossi.
“Come ti chiami?”
“Sol-… soldato Reenan, Cavaliere.” , gli rispose lasciando il labbro inferiore tremare.
“Non sei più un soldato, ma un Cavaliere anche tu, in addestramento.” , gli disse con quanto più tatto riuscì a trovare in corpo.
Il fulvo sbiancò. “Non posso essere un Cavaliere… Ho una famiglia!”
Murtagh sapeva che si sarebbe presentato quel problema, assieme al tentativo di far ritornare i Cavalieri dei Draghi. Soprattutto sottoponendo chiunque, senza limitazioni, alla Prova.
E il primo cucciolo si era schiuso per un soldato, un padre di famiglia da quanto aveva udito.
Gli mise una mano sulla spalla. “Anche io ho un figlio e una moglie, ma essere un Cavaliere non mi impedisce di vederli. Anzi, li rende orgogliosi della missione che sono chiamato a servire.”
Uno dei suoi compagni si fece avanti, dandogli una pacca rinforzante su una spalla. “Sei fortunato, soldato! Non dovrai più mangiare cibo triste e passare lunghe notti di veglia.”
Murtagh avrebbe avuto da ridire, ma si trattenne, perché quelle parole strapparono un sorriso al fulvo. Il moro gli posò una mano su una spalla. “È una bella vita quella che ti aspetta davanti.”
Vivrai in eterno, con tutto ciò che questo comporta. Vedrai morire tua moglie e i tuoi figli, vedrai guerre e paci fatte, sovrani succedersi e capricci di nobili…
Non farti prendere anche tu dalla disperazione, essere Cavalieri è un onore, è essere liberi da spazio e tempo. , lo ammonì Castigo, fremente di gioia.
“Va’ a casa e avverti tua moglie di essere stato promosso, e che andrai a conoscere la regina e il Cavaliere Eragon.”
Reenan annuì ancora incredulo, poi corse via, facendo pigolare il cucciolo verde tra le braccia di Murtagh. Si infilò il mantello, e gli altri soldati issarono il baule sulla cavalcatura con cui era giunto.
Si avvicinò al bordo della piattaforma, alzando il cucciolo oltre la testa, sulle mani giunte.
“Una nuova generazione di Cavalieri sta rinascendo per proteggere la vostra libertà e le vostre vite. Abbiate pazienza e fiducia che questo mondo non tornerà un mondo cupo come era solo un anno fa.” , gridò trattenendo le lacrime di commozione.
La folla esultò, mentre il giovane moro fece cenno ai soldati di disperdere i presenti e rinviarli alle loro case.

 

Arrivò finalmente alla sua tenda, seguito da alcuni soldati che scortavano il baule con le rimanenti uova, il piccolo draghetto ingiustamente rinchiuso in una gabbia da uccelli: aveva incontrato l’amministratore della città in cui il primo uovo si era schiuso e avevano pranzato assieme - siccome l’uomo aveva insistito di volerlo ringraziare per aver dato risalto alla sua città prima di tutte le altre d’Alagaesia, anche se Murtagh non aveva meriti di per sé, perciò si era ritrovato costretto ad accettare - , ma il neonato rettile aveva subito spaventato l’ospite, perciò una guardia aveva afferrato una gabbia e aveva cercato di rinchiudere il drago. Murtagh lo aveva prontamente bloccato con la magia, sgridandolo aspramente, ma l’amministratore lo aveva persuaso subdolamente ad accettare di riporlo dentro una gabbia per sicurezza del drago e degli abitanti della città.
Dunque il Cavaliere rosso non aveva tardato a terminare il pranzo quanto prima possibile, rimettendosi in viaggio in direzione del suo accampamento.
L’enorme drago rosso, che lo aveva osservato dal cielo per tutta la prima metà della giornata, atterrò davanti a lui appena ebbe lo spazio per farlo, quasi bisarcionando il Compagno da cavallo.
Scese imprecando tra sé, anche perché il traghetto si stava pericolosamente dimenando per la paura nella gabbia, rischiando di spezzarsi le ali.
Il rettile rosso ringhiò, quando lo vide. Liberalo subito! , ordinò.
“Che succede?” , si udì provenire dalla tenda, dalle giovani e spaventate labbra di lord Derrel.
Le guardie lo tranquillizzarono come poterono.
Castigo, calmati! Sai che non ho voluto io che venisse rinchiuso. Ora lo libererò, e farò in modo che non venga mai più messo in gabbia…
La mente dell’enorme animale pulsava di risentimento - non verso il suo Compagno, ma verso il Re Nero, che lo aveva tenuto in cattività sin dalla sua nascita, per coercizzare il giovane Murtagh a compiere ciò che Galbatorix voleva da lui - , le immagini che i suoi giovani occhi avevano registrato che riaffioravano come un fiume in piena.
Murtagh usò la magia per tranquillizzare il piccolo traghetto verde, osservandolo con attenzione per la prima volta: era meno spinoso di Castigo alla sua stessa giovanissima età, e aveva occhi languidi, quasi vacui. Di sicuro non avrebbe incusso paura, una volta adulto, come Castigo.
Quando ebbe visto che il cucciolo ancora senza nome era ritornato completamente quieto, infilò la mano nella gabbia, prendendolo sull’avambraccio e poi piegandosi sui talloni per metterlo a terra. “Va’ a incontrare il tuo maestro, piccolo.” , disse con orgoglio, sentendo qualche lacrima riempirgli le palpebre inferiori.
Castigo si accucciò e il piccolo color bocciolo si zampettò vicino, istintivamente curioso di vedere un suo simile. Il rettile rosso si commosse anche’egli, dopo aver annusato il cucciolo.
I draghi stanno tornando, non siamo noi gli ultimi tre esemplari viventi!
Murtagh asciugò le proprie lacrime, voltandosi verso le porte della città, chiedendosi se mai Reenan sarebbe ritornato dal suo Compagno.
Tornerà, questo cucciolo è parte di lui, ormai. , lo rincuorò Castigo dopo qualche istante di silenzio.
Il Cavaliere si riscosse, voltandosi verso la tenda. Fece un cenno verso i soldati della regina, che si erano distaccati dal contingente della città per badare a lord Derrel, per concedere loro del riposo. “Lord Derrel?”, lo chiamò.
Il bambino rispose come gli aveva insegnato: chiedendogli, prima di uscire allo scoperto, chi lo cercasse. Lo anticipò entrando nella tenda per primo, e il bambino corse verso di lui emozionato.
“Potrò vedere il cucciolo di drago?” , gli chiese con mal celata emozione.
Murtagh annuì, abbassandosi sui calcagni. Il draghetto che aveva recuperato da Castigo saltò giù dalle sue braccia, pigolando all’essere umano per lui di nuova conoscenza, in saluto.
“Ha un nome con cui possa chiamarlo?”
Murtagh si morse il labbro. “Il suo Cavaliere è andato a salutare la sua famiglia, capisci che non sia un tuo giocattolo?”
Il bambino annuì leggermente stizzito.
“Molto bene. Potrai tenergli compagnia e insegnargli i nomi degli oggetti in questa tenda, se vorrai.”
“Quanto mancherà il suo Cavaliere?”
Murtagh non seppe rispondere, stupito dalla domanda candida del bambino. Un adulto sapeva che l’abbandono era una possibilità da considerare certamente, mentre un bambino non ne era capace. Anche lui stesso, si ricordò, che aveva continuato a chiedersi quanto sarebbe stata lontana sua madre quella volta, dall’ultima che l’aveva vista partire. Eppure Selena non era mai tornata, e il piccolo Murtagh non aveva accettato questa realtà nemmeno quando il re aveva gli comunicato che entrambi i suoi genitori fossero morti. Gli ci erano voluti anni per comprendere di essere stato abbandonato. Prese il necessario per preparare la cena: carne secca che tagliò in pezzi, mettendoli in acqua e spezie a cuocere sulle braci lasciate accese dai soldati.
Guardò intanto il bambino giocare con delicatezza con l’animale, cercando di smuovere gli istinti di questo, muovendo una mano nascosta sotto il tappeto. Ogni volta che questo saltava, palesemente senza sufficiente forza per raggiungere l’obiettivo, Derrel rideva di gusto.
Murtagh gli passò dietro dirigendosi alla sua branda, accarezzandogli la testa di capelli scuri con affetto.
Cercò di immaginarsi la gioia che avrebbe provato vedendo anche suo figlio giocare così con un drago: due cuccioli - uno di Cavaliere e uno di drago - crescere insieme, con spontaneità e magia - sia metaforica sia fisica - . Gli avrebbe giovato allo spirito, ne era certo.
Prese una pergamena e scrisse qualche pensiero, come era solito fare quando si sentiva ispirato.
Scrivere lo aiutava a pensare, a comprendere le sue emozioni e fissarle sulla carta.
Nel frattempo dentro la tenda la luce del sole che filtrava dal tessuto si fece via via più fioca, finché non scomparve completamente, lasciando il fuoco come unica fonte di illuminazione.
Murtagh scattò in piedi, percependo una presenza all’esterno della sua tenda.
“Sta’ qui, Derrel. Di tanto in tanto, accudisci alla cena, senza bruciarti.” , gli disse con decisione. Il bambino annuì, stringendo al petto il cucciolo di drago con più forza, ma senza fargli male. Il piccolo pigolò contento di quell’abbraccio materno.
Il Cavaliere scostò la tenda, uscendovi solo con la metà destra del corpo, stringendo con la sinistra già Zar’ Roc a sé. Ma non vi fu bisogno di sfoderarla, siccome riconobbe subito il neo-Cavaliere, anche senza la divisa da soldato.
“Reenan, bentornato. Speravo di rivederti qui, ma stavo perdendo la fiducia, in realtà.” , lo salutò.
Reenan sospirò. “Volevo fingere non fosse mai accaduto - che quel drago si schiudesse davanti a me - , ma è successa una cosa così strana…” , spiegò alzando le spalle più volte, come a voler scrollare un pensiero, “Sentivo la tristezza come di un bambino, la sensazione di abbandono. Poi ho visto l’enorme occhio rosso del vostro drago, come se vi fossi io di fronte a esso.”
“È il legame con il cucciolo. Si crea alla sua schiusa ed è inscindibile.” , illustrò Murtagh.
“Io non ho mai chiesto questo…”
“Nessuno può scegliere di diventare Cavaliere o meno.”
Gli fece un gesto di invito all’interno della tenda, proprio mentre il cucciolo di drago squittì di gioia, sentendo il suo Compagno avvicinarsi.
Il piccolo era sfuggito a Derrel, e li attendeva a un piede dall’entrata, pestando alternatamente le zampe a terra, facendo le fusa.
“Oh, immagino lui sia il nuovo Cavaliere.” , mormorò il bambino che era in ginocchio, proteso verso l’animaletto.
“Immagini bene, Derrel. Lui è Reenan, tornerà con noi a Illirea.”
Il nobile bambino sorrise. “Avrò qualcun altro a farmi compagnia.”
Murtagh gli fece cenno di alzarsi e di raggiungerlo. Lo tenne premuto alla sua gamba in modo protettivo, mentre introduceva i due sconosciuti.
Stranamente, il bambino gli strinse la mano senza timore, forse perché Murtagh gli aveva detto che sarebbe divenuto anche lui un Cavaliere a tutti gli effetti, un giorno.
Un pensiero balenò in testa al moro. “Dove si trova la tua famiglia? Ti hanno accompagnato?”
L’adulto scosse il capo. “No.” , rispose laconicamente, ingoiando saliva ripetutamente.
“Non hanno accettato la notizia?” , chiese cautamente Murtagh.
Reenan scosse nuovamente il capo, alzando poi le spalle. “Mia moglie è stata di supporto come sempre. Come una moglie deve essere.”
“Lascia che ti offra da bere mentre aspettiamo che la cena venga pronta.” , suggerì Murtagh cercando di sembrare quanto più conviviale gli riuscisse.
Reenan accettò, prendendo della birra in un boccale di legno.
I due adulti si sedettero su due ceppi di legno coperti con dei tappeti, in un angolo della grande tenda. Il piccolo rettile verde zampettò subito verso il suo Compagno, pigolando insistentemente finché questo non lo accarezzò. Allora si quietò, balzandogli in grembo. Reenan sorrise involontariamente.
“È sparita la sensazione ora?” , s’informò Murtagh vagamente.
L’altro annuì. “Lui - se è un lui - sta bene?”
Con intensità, il Cavaliere rosso fissò il draghetto, percependo subito la potente emanazione della sua contentezza. “Sì, si è quietato finalmente.”
Reenan sospirò, stranamente fin troppo a lungo per trattarsi solamente di apprensione per il neonato.
“Io sono Murtagh, ti chiedo perdono per non essermi ufficialmente presentato dopo… gli sconvolgimenti di oggi - per te, ovviamente, così come per me: non avrei mai aspettato un uovo si schiudesse così presto - .”
Gli mostrò il palmo con la cicatrice a favore della luce del fuoco. “Sono un Cavaliere, anche se non da molto tempo, seppur mi sembri una vita.”
Reenan la percorse istintivamente con le dita, per poi toccare la propria, per verificare che fossero identiche in consistenza.
Quando realizzò, impallidì. “I-io cosa sono, q-quindi?”
“Un Cavaliere in addestramento. Ti fornirò io le basi, poi ti accompagnerò da Eragon, nel luogo dove ha deciso di crescere con creature come noi.”
“Quanto ci vorrà?”
Murtagh alzò le spalle. “Il tempo che Eragon e gli Antichi riterranno sufficiente. Io e lui abbiamo completato il processo di addestramento in modi poco ortodossi e velocizzati, per via della situazione che dilagava in Alagaesia, perciò non posso fornirti una stima certa.”
“Che cosa fanno i Cavalieri?”
“Difendono questo mondo con mezzi superiori alla mera violenza o forza fisica.”
“Intendete con la magia?”
Derrel drizzò la testa. “Oh, sì! Il Cavaliere Murtagh è il miglior mago che esista al mondo!”
Murtagh liquidò le lusinghe, e entrambi tornarono a occuparsi di ciò che stavano facendo precedentemente.
Il neo-Cavaliere alzò un sopracciglio guardando al bambino di meno di dieci anni che mescolava assorto la zuppa. “È vostro figlio?” , chiese a Murtagh.
“‘Tuo’, te ne prego, io e te un giorno piuttosto prossimo saremo pari. Comunque, no, lui non è mio figlio. È il mio Protetto.”
Reenan strinse le labbra in una riga sottilissima, turbato. “È da irresponsabili portarsi per il paese un Protetto, per giunta un bambino! Sarete in grado di proteggerlo veramente se qualcuno dovesse tendervi un’imboscata?!” , sibilò.
Murtagh si protese in avanti, perché stavano parlando sottovoce, per non turbare il bambino. “È più sicuro con me che alla corte. Io e mia moglie abbiamo a cuore la sua vita, ma di nessun altro possiamo dire lo stesso. Nasuada è occupata con il governo e la segretezza impedisce a Derrel di stare con lei. Mentre molti hanno reverenzialmente premura della vita del futuro re di Alagaesia, non si può dire lo stesso per lui, lasciandolo in balìa degli eventi di corte. In più mi sono promesso di insegnargli la libertà, e solo lavorando per l’Ordine dei Cavalieri un uomo si può chiamare veramente ‘libero’.”
“Perciò non gli ordineresti mai di rimanere al tuo fianco a combattere?” , lo sfidò.
Il Cavaliere rosso scosse il capo, con sorpresa dell’altro. “Sarei io a rimanere a difendere la sua, o in casi estremi, a permettergli di avere il tempo di scappare dai pericoli e mettersi in salvo.”
L’altro guardò la sua pinta di birra con curiosità. “Quindi è questa la vita di un Cavaliere, morire per gli altri? Non sono sicuro di volerlo fare, allora. Ho una famiglia da difendere, sempre e comunque.”
“Anche io. Ma non ti verrà chiesto di combattere in una fazione. Non sei un soldato per l’esercito dei Cavalieri. L’esempio dei Cavalieri degli ultimi secoli non corrisponde a ciò che detta il codice morale dell’Ordine, temo. Io e mio fratello abbiamo combattuto in due fazioni, al posto di essere senza parti. Noi Cavalieri stiamo cercando di ripristinare la vecchia gloria e i vecchi compiti dell’Ordine. Difenderemo la pace e gli oppressi in molti modi, per ultimo la violenza.”
“Detto dal figlio dell’uomo che ha aizzato una guerra tra i suoi stessi compagni, finché non si sono distrutti e non hanno dilaniato il mondo come era, non ha molta credibilità.”
“Mio padre mi ha fatto il favore di morire ai miei tre anni, perché io potessi ribellarmi al suo scempio.” , mormorò Murtagh prendendo il primo sorso della sua birra. Storse il naso perché lui preferiva da sempre e di gran lunga il vino - purtroppo, ‘da vero figlio di suo padre’ - .
“A proposito, immagino tu sappia che il mio ruolo a corte è di Primo Cavaliere della regina Nasuada.” , aggiunse.
Il fulvo annuì. “Ho udito dal mio superiore che la nuova sovrana abbia un Cavaliere al suo servizio, un Cavaliere che è più di un servitore…” , gli rispose con lieve imbarazzo nella voce, roteando il boccale per mescolare la birra.
“Sì, sono suo marito, per quanto strano suoni… E nostro figlio è il futuro re di Alagaesia.”
Reenan sbarrò le palpebre. “Un figlio? Mi è giunta voce del matrimonio della nostra regina solo un mese fa…”
Murtagh fu indeciso se rivelare la verità o se mentirgli, minando così l’immagine della moglie. Espirò. “Il nostro matrimonio è stato imposto da Galbatorix, altrimenti Nasuada non avrebbe mai sposato il figlio di Morzan.” , gli spiegò una volta che ebbe trovato un accordo con sé stesso.
“No, infatti, fino a ora non riuscivo a spiegarmelo.” , finì in un sol sorso la bevanda, “Questo mi preoccupa, per l’incolumità della regina e ora della mia.”
“È conosciuto a pochi il giuramento strappatomi dal re, che mi costringeva con la magia a compiere atti indicibili come suo servitore.” , gli spiegò Murtagh, “Ma non è nella mia indole la crudeltà. Purtroppo per i miei genitori, io non ho ereditato quasi nulla da loro.”
Reenan rise amaramente. “È quello che direbbe chiunque prima di tagliarti la gola nel sonno.”
“Ma non lo farò: sei un Cavaliere dell’Ordine a cui appartengo. Il lavoro che svolgo quotidianamente è incontrarvi e avviarvi al nostro stile di vita.”
“Che sarebbe uccidere la gente al servizio di una causa maggiore - che dite di non avere, ma che di fatto esisterà sempre - , allora? Diventare dei regicidi come voi ed Eragon siete?” , sbottò il fulvo, ormai alticcio.
Murtagh rimase impassibile all’affronto, facendo diminuire nell’altro la sicurezza. “In guerra ci siamo macchiati di crimini gravi, ed eravamo coadiuvati dal pensiero che il fine giustificasse i mezzi, ma non sempre è così. Dunque ora, in questo periodo di pace, vorrei che i Cavalieri tornassero al loro compito di moderatori, non di soldati dai poteri sovrannaturali.”
Reenan tirò su col naso. “Siamo uomini, o elfi, o nani, o Urgali… possiamo fingere che risolveremo i conflitti pacificamente, ma quando la diplomazia non avrà effetto, torneremo alle armi come abbiamo sempre fatto. È per questo che girate accompagnati da una spada anche in tempo di pace.”
Il moro sospirò alla ragionevolezza dell’altro. “Sei un soldato, è inutile cercare di convincerti del contrario.”
“E dirmi di essere libero di scegliere di diventare un Cavaliere: se non dovessi accettare, che ne sarebbe di quel cucciolo?”
Murtagh fece un lungo silenzio. “Io… vorrei cambiare il mondo, davvero.”
“Nessuno ne è capace. È un’opera enorme persino per il vostro drago.”
Eppure mio padre e i suoi complici ci sono riusciti…
Castigo gli inviò l’odore delle mattine di sole, dopo la pioggia notturna. Hanno mandato tutto nel baratro perché esistessero cocci da ricomporre a nostro piacimento. Magari tu e io non riusciremo a cambiare il mondo, ma è l’unione a fare una vera forza.
“Se fosse per me, chi non desidera in cuor suo di entrare nell’Ordine, può vivere con il proprio drago in libertà.”
“Non sarebbe pericoloso per l’immagine di voi Cavalieri? Cosa direbbe la gente se vi lasciaste scappare dei membri preziosi, se lasciaste il potere di un drago libero di autogestirsi?”
Murtagh si morse il labbro. “Servirebbe a insegnare alla gente comune come si possa di nuovo convivere con i draghi, ora che sono ritornati. Ma gli Antichi non condividono con me questo pensiero.”
“Ovviamente no: a loro servono membri tra le loro fila per chiamarsi di nuovo un Ordine.” , spiegò, “Quando ho udito quale sarebbe stato il mio compito per questo giorno, avrei voluto rifiutare. Sin da quando siete ricomparsi, ho sperato di non dover incrociare mai la via con uno di voi.”
Murtagh strabuzzò gli occhi. “Per quale motivo, se posso chiedere, ti creiamo questo rigetto?”
Reenan sospirò. “Rifletti sulla parola che usate a definire un gruppo di Cavalieri: Ordine. Sono stato un soldato per necessità, mai per vocazione. Esattamente come voi non siete Cavalieri per vocazione, perché siete stati reclutati attraverso un uovo di un animale magico a compiere il vostro destino.”
“È corretto, ma non vedo il punto di tanto odio, se per te siamo come soldati.”
“Perché vivrete in eterno! Prima la mia vita avrebbe avuto un termine, avrei trovato la pace, invece ora dovrò continuare a servire una causa in cui non credo per sempre!”
Murtagh fece un sorrisetto sghembo, guardandolo intensamente negli occhi. “Non credi alla nostra causa perché non la conosci. Eragon non la conosceva, ma ha lottato secondo gli insegnamenti del Cavaliere suo padre. Io ho sempre vissuto conoscendo i vecchi motivi che muovevano l’Ordine, quelli che Galbatorix e Morgan hanno sempre tentato di cancellare, perciò è stato più facile crederci, ma non ti posso dire che fino alla morte di Galbatorix anche io li rinnegavo perché li credevo irrealizzabili.” , spiegò sentendo le lacrime ammontargli agli occhi, “Eppure, se nessuno vi crede e combatte perché tali ritornino realtà, resteranno effettivamente solo idee tediosamente utopiche.”
Il fulvo grugnì. “Dovrei odiarvi di meno, dopo che vedo che ti brillano gli occhi solo perché hai sempre segretamente sognato di diventare Cavaliere e ora lo sei?”
L’altro si bloccò scioccato.  “È vero, per quanto lo negassi, ho sempre voluto diventare Cavaliere, perché ho udito storie delle loro grandi gesta, e avrei voluto diventare un eroe come loro.”
“Alla fine, sei diventato un eroe?”
“Non posso reputarmi tale. L’unico che posso chiamare eroe è Eragon, perciò questa conversazione credo dovresti averla con lui.”
Se la tua passione non lo ha convinto, Eragon non avrebbe nulla da dirgli.
Magari qualche sciocchezza pacata trasmessagli a Ellesméra.
Castigo rise.
“Il tuo drago non è d’accordo.” , puntualizzò Reenan lucidamente.
“Non curarti di lui. Se odi noi Cavalieri, perché sei qui?” , cambiò tattica Murtagh.
L’altro fece un’espressione offesa. “Mia moglie rigira le questioni in suo favore allo stesso modo.”
Risero assieme, casualmente.
Reenan fissò il fondo del suo recipiente per bevande. “Non so perché sono venuto da voi. Forse perché ho continuato a fare il mio dovere come sempre.”
“Posso farti una domanda personale?” , esordì Murtagh con tono solenne, allora.
L’altro gli diede il permesso annuendo col capo.
“Hai mai avuto un desiderio in vita tua?” , fece una pausa, “Qualcosa che hai desiderato per più di un solo istante.”
L’altro emise un colpo di risata. “Diventare qualcuno di speciale.”
Murtagh alzò un sopracciglio, sorpreso, ma si voltò verso Derrel per nascondere la sua reazione.
“Ma immagino di averlo messo da parte da quando ho trovato moglie e ho messo su famiglia.” , si affrettò ad aggiungere il neo-Cavaliere.
Il moro si schiarì la gola. “Immagino che ti senta come se il Destino ti abbia giocato un bello scherzo.”
Il fulvo sospirò in conferma.
“Sono dispiaciuto solo per la mia prole, che non avrà più un padre. Mia moglie, per quanto ci amiamo, è stata sollevata della notizia.”
Murtagh strabuzzò gli occhi, quella volta ignorando di essere visto.
“Non sembri un uomo cattivo o disattento, da essere un pessimo marito.” , disse diplomaticamente Murtagh.
Reenan fece un sorrisetto, seppur velato di tristezza. “Promettimi di insegnarmi anche come usare così bene le parole, te ne prego.”
“Lo giuro.”
“Ecco, il suo sogno era divenire una sarta - di quelle che creano meravigliosi e preziosi abiti per le lady del Surda - e aver contratto matrimonio le ha impedito di farlo: anche se non le ho mai impedito come marito di inseguire il lavoro dei suoi desideri, non l’ho nemmeno mai inviata a bottega, lasciandola a casa a gestire le nostre figlie. Ora, avendola nominata autonoma di decidere per sé e per le bambine, mi ha informato di voler lavorare perché il suo sogno divenga realtà, così come il mio.”
Fissò il vuoto a lungo. “Ho sbagliato, anni fa, a svelarle quale fosse il mio…”
Murtagh gli posò la mano sulla spalla. “Coraggio, Reenan. Nessun sogno va taciuto. Diventerai qualcuno di speciale, qualsiasi forma vorrai far assumere a tale frase.”
Reenan tirò su col naso. “Quale era il tuo sogno?”
“Non diventare come mio padre.”
“Non è un sogno!”
Murtagh annuì con forza. “Se avessi conosciuto Morzan, capiresti.”
L’altro si morse il labbro. “Ti chiedo perdono.”
“Nessun bisogno di farlo.”
“Si è realizzato?”
“Si sta realizzando ora, giorno dopo giorno…”
Il silenzio aleggiò a lungo. Derrel dovette sentirsi a disagio, perciò li richiamò per la cena, anche se questa avrebbe necessitato di qualche tempo di cottura ancora.

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Capitolo 40
*** Un drago selvatico ***


Mentre si allenava con il nuovo Cavaliere con la spada nel loro piccolo accampamento, un soldato fece in modo di entrare nel campo visivo di Murtagh. Alzando un avambraccio, fermò l’uomo dalla chioma rossa. Questo gettò la spada, piantandola nella terra. Era un combattente già piuttosto abile con la spada. Non raffinato o uno spadaccino istruito da tutta la vita a quell’arte come il moro, ma come soldato aveva combattuto per diversi anni, dunque sapeva rispondere piuttosto bene ai colpi di Murtagh. Derrell, poco più che un bambino e aiutante del Cavaliere della regina durante i suoi viaggi per l’Ordine, sbucò da dietro il soldato, correndo verso i due. Fece una velocissima riverenza poi si accostò al Cavaliere, che si piegò perché il bambino potesse sussurrargli all’orecchio. Reenan si avvicinò di un passo, curioso dopo che lo sguardo di Murtagh si fece scuro. Poco dopo, il moro si riassicurò la lama rossa alla cintura con un gesto fluido. “La regina mi reclama per questioni urgenti. Riprenderemo più tardi.” , disse seguendo il bambino nella propria tenda. Lo specchio incantato con l’immagine della ragazza dalla pelle d’ebano era ritto da solo sul tavolo in legno scomponibile, che lo seguiva da sempre nei suoi viaggi assieme alla tenda.
“Grazie, Derrell, puoi andare.” , disse al bambino mettendosi a sedere sulla sedia traballante dai piedi incrociati, la seduta e lo schienale composti da una striscia di tessuto purpureo. Si inchinò all’immagine sulla superficie argentea. “Nasuada, come stai?” , le chiese preoccupato. Lei scrollò le spalle in modo lieve. “Continuano a visitarmi ogni giorno, sperano tutti che mi venga detto di portare in grembo un erede per Alagaesia…” , gli riportò seccata come se stesse rivivendo quei precisi momenti fastidiosi delle sue giornate. Murtagh rimase impassibile, sapendo fosse una speranza vana.
“Potresti sempre ordinare loro di smetterla, sei la regina. Di’ ai tuoi Consiglieri che chiamerai i guaritori se ne sentirai la necessità, per essere controllata.” , suggerì. Lei non parve soddisfatta della risposta, perciò passò subito all’informazione per il marito. “Hai per caso intravisto un drago oltre a Castigo e…?” , gli chiese bloccandosi perché non ricordava il nome del drago verde schiuso da poco.
“Odhràn” , completò lui.
“…Odhràn, dunque, nel protettorato del Surda?” , concluse la regina.
Murtagh scosse la testa aggrottando la fronte. “Da chi hai sentito la suddetta voce?”
“Orrin.” , gli rispose lei con confusione nella voce. L’informazione sembrava collidere con i fatti. Nessun drago si era aggirato in Alagaesia che loro non sapessero. “Arya sa qualcosa della faccenda?”
“No, Orrin mi ha contattata poco fa chiedendo espressamente il tuo intervento!” , esclamò la regina. Murtagh scoppiò a ridere, ma smise quando capì che la moglie era seria. “Di me, l’uomo che lui accusa di avergli rubato la tua mano?!” , chiese incredulo.
La moglie annuì piano. “Dice che un drago ha sterminato due greggi di capi d’allevamento e ha distrutto numerose fattorie al di fuori delle mura di Aberon. Temono per la città, per le persone. In città non vi è cibo se non le persone per un drago!”
Castigo! , chiamò il suo Compagno-di-cuore-e-di-mente. Il drago rispose prontamente.
Dimmi per favore che un drago non si mangerebbe mai un essere umano… , lo supplicò.
Offeso, il drago rosso rispose: Umano, elfo, nano, Urgal, gatto mannaro che sia la mia specie non mangia altri esseri coscienti. Le bestie sono un’altra faccenda!
Nemmeno un drago selvatico o comunque cresciuto lontano da altri della vostra specie? , chiese l’umano per avere ulteriore certezza.
Saphira è cresciuta credendo di essere l’unico drago, senza una guida,  eppure non si è mai mangiata Eragon o Brom… , puntualizzò scocciato.
Grazie, grazie! Mi hai molto sollevato! , rispose con leggerezza tornando a rivolgersi alla moglie. “Castigo conferma che sia una sciocchezza pensarlo. Un drago non farebbe mai un gesto simile.”
La regina sospirò anch’ella sollevata. “Potresti comunque recarti a controllare?”
Murtagh le sorrise ammaliante. “Questo e altro per mia moglie!”
Ridacchiando prese in braccio il figlio, facendolo entrare nell’immagine. “Di’ a tuo padre di comportarsi giudiziosamente. Soprattutto con Orrin, che è un amico di lunga data della tua mamma.” , chiese al piccolo con voce dolce e lievemente preoccupata.
Murtagh grugnì leggermente al nome del Protettore. “Te lo prometto, figlio mio.”
“A rivederci presto, papà” , lo salutò in nome di entrambi chiudendo il contatto.
Con l’amaro in bocca per aver rivisto il suo piccolo ma non averlo potuto stringere, si recò all’esterno, cercando Reenan. L’uomo si trovava in piedi accanto a Castigo e Odhràn che era grande quanto un secchio per il latte, intento a sbattere freneticamente le ali per spiccare il volo. Quando fallì, l’umano dai capelli fulvi scoppiò a ridere. Si avvicinò ai due rettili e al suo allievo. “Tutto bene a Illirea, Ebrithil?” , gli chiese vedendolo rabbuiato. Murtagh annuì. “Abbiamo una missione da compiere, io e Castigo, stanotte.”
Il rettile rosso si alzò impettito.
“Quale? Non posso esservi utile? Non so usare la magia ancora, ma con la spada me la cavo!” , si propose Reenan. Il Cavaliere più giovane in età gli poggiò una mano su una spalla. “Sei più di un bravo spadaccino, Cavaliere. Purtroppo non è una missione che richieda l’uso di un’arma, quanto di una cavalcatura che sappia tenere testa a un drago che spaventa Aberon.”
Ripresero l’addestramento e cenarono attorno al fuoco assieme a Derrell, che aveva preparato un’ottima zuppa di orzo e carote come insegnatogli dal Cavaliere il viaggio precedente. Quando fu alta la luna in cielo, Murtagh dismise i due perché andassero a coricarsi, mentre lui si avvicinava ad Aberon assieme al suo Compagno.
La notte era serena e luminosa e un forte vento soffiava a loro favore. Arrivarono due ore prima del previsto. Scese dal dorso del rettile rosso fuori dalle mura, presentandosi a mani alzate alla posta. I soldati lo perquisirono e lo identificarono grazie alla lama rossa che portava al fianco.
“Cavaliere, il re ha richiesto il vostro arrivo prima dell’alba.” , confermò seccato un ufficiale.
“Sono arrivato a dorso del mio Compagno, ma dubito che in luce del motivo per cui sono stato chiamato potrò volare fino al castello.”
Le due guardie semplici alla posta annuirono, sparendo tra le imponenti mura della città. Tornarono con un cavallo veloce e gli misero in mano le briglie senza troppi complimenti. Murtagh salì sul dorso con un gesto fluido e fece avanzare il destriero, che obbedì subito, segno che era una bestia intelligente. Lo fece voltare indietro prima di sparire nelle strade della capitale.
Squadrò gli uomini con ferocia. “Ricordatevi di non chiamarlo mai più così. Alagaesia non avrà un re finché il figlio della nostra regina non la succederà. Ora Orrin non è altro che un Protettore.” , li ammonì e spronò il cavallo al galoppo.
Arrivò al castello in un’ora circa, tanto grande era quella città. Alzò Zar’roc in alto e la sua lama scintillò in rosso, facendolo riconoscere. I portoni della fortezza si aprirono, facendolo entrare.
Un uomo gli si avvicinò con la stessa espressione paternalistica e superiore che aveva Jormundur a Illirea. “Sono Kapeta, il Comandante delle truppe di questo castello.” , disse con sufficienza. Murtagh sbuffò, era davvero il Jormundur surdano.
“Onorato di conoscervi, io sono il Cavaliere Murtagh. Vi prego di scortarmi subito dal Protettore.” , rispose con cortesia. L’uomo gli scoppiò a ridere in faccia, mentre smontava da cavallo.
“Il re non può ricevervi ora, è impegnato.”
Murtagh strinse i pugni. “Protettore. E non posso ritardare l’inizio dell’investigazione. Domani ogni traccia potrebbe essere spazzata via dal fiume di gente che vive in questa città.”
L’uomo rise ancora, più forte. “Non è colpa mia se siete giunto qui in anticipo. Il re è occupato e non vi riceverà finché non avrà terminato.”
Murtagh strinse i muscoli della mascella, guardando altrove per calmarsi. Una figura passò davanti a una finestra - che vista la posizione nell’edificio doveva appartenere agli appartamenti regali, che godevano solitamente della migliore vista sulla città - illuminata dalle luci di poche candele, in alto. Murtagh fece un ghigno.
“Il Protettore non è sposato ancora, non sarebbe saggio far scoppiare uno scandalo proprio ora.” , lo minacciò. L’uomo fece per schiaffeggiarlo, ma il Cavaliere bloccò il suo avambraccio a mezz’aria. “Ragazzino, ti stai prendendo gioco di me? Non m’importa se sei un Cavaliere perché hai ancora addosso l’odore del latte di tua madre e non prenderò ordini da un poppante.” , gli disse con rabbia. Murtagh scosse il capo. “Portatemi dal Protettore, so che non sta dormendo.” , mentì dietro la facciata di sicurezza che aveva eretto.
L’uomo deglutì sonoramente, arretrando di un passo. Guardò alla finestra illuminata, poi fece un cenno del capo all’interno. Ogni volta che l’uomo tentava di fermarsi per annunciare il suo arrivo, il ragazzo prendeva a giocare con il pomolo con il rubino di Zar’roc, spaventando l’uomo e portandolo a continuare e ignorare le guardie di posta. Avrebbe fatto in modo di prendersi una piccola rivincita sul comportamento del Protettore alla Ricelebrazione del matrimonio, cogliendolo impreparato al suo arrivo. Con quello stratagemma si fece portare fino all’anticamera del letto del re. Kapeta lo annunciò e l’ex-re all’internò esultò spaventato. Un fruscio di stoffa dopo, la porta si aprì per far uscire il lord, ma rivelò anche una presenza femminile nel suo letto, come il ragazzo si immaginava. Murtagh rimase molto sorpreso di trovarlo perfettamente abbigliato per la notte e, per quanto fosse riuscito a intravedere, anche la figura femminile. Spostò lo sguardo dal legno al Protettore, con un lieve ghigno sul volto. L’altro si spostò prontamente da lì, andando verso i divani. Visibilmente teso, ordinò una coppa di vino per entrambi. “Spero ti piaccia quanto ho ordinato.”
Murtagh si andò a sedere di fronte a lui, le spalle alla porta. “Preferirei mantenere un tono formale tra noi, lord Protettore. Noi non siamo mai stati amici o compagni d’armi, né abbiamo condiviso la stessa balia o donna, il che ci rende perfetti sconosciuti.”
Il re si morse la punta di un dito, sorridendo colto dal sarcasmo. “Se di Nasuada ve ne fossero due, allora sì che non avremmo condiviso la stessa donna...”
Murtagh si sporse in avanti, offeso. “Voi non avete mai nemmeno avuto l’onore di avvicinarmi a mia moglie quanto sia stato per me, perciò non mettetela in mezzo! Oppure dovrei dubitare della vostra conoscenza di cosa significhi veramente ‘condividere una donna’?” , sibilò. La sua offesa non era stata nemmeno paragonabile a quella ricevuta, però Orrin si dimostrò altezzoso come si era sempre stato, squadrandolo con astio.
Il vino arrivò e venne posato davanti a loro, dovendo far riprendere loro contegno. Murtagh si tornò ad appoggiare allo schienale, le braccia conserte. Orrin gli porse la coppa dorata.
Alzò il contenitore per un brindisi. “A tua moglie.” , disse prima di berne metà.
“Alla vostra futura moglie, piuttosto. A proposito, dove si trova ora?”, rispose il ragazzo moro. Bevve un sorso del suo vino, che gli bruciò la gola per la secchezza di esso. Almeno quello prodotto dai terreni di Morzan è più gradevole...
Il Protettore lo guardò in cagnesco per avergli rigirato contro l’offesa, quella volta con una stoccata potente. Ben ti sta, nobile dei miei stivali. Prima offendi Nasuada non chiedendole la mano - come se ti fosse dovuta anche la vita con lei solo per i tuoi natali - e poi ti rivolgi verbalmente a lei come una lurida puttana dei bassifondi, quando un altro uomo te la soffia via... Dimostrerò ogni giorno che è stata fortunata ad avere me come marito, non questo presuntuoso!
Castigo gli intimò di calmarsi attraverso il loro legame mentale, allora il moro inspirò a lungo, ritrovando un po’ di contegno.
“Perché chiedi di una dama non sposata? Hai intenzione di disonorarla? Io conosco la tua reputazione, Murtagh...” , chiese Orrin riportandolo alla realtà. Murtagh alzò le spalle.
“Dovreste essere diretti a Illirea per il matrimonio, ecco perché. È indisposta, la tua promessa sposa?”
“No, è in questo castello con me, al sicuro dalle mani di uomini capaci di avere anche dieci donne per sé a notte.”
Murtagh fece una risata secca. “Quel numero mi lusinga, ma è un po’ sovrastimato. Per quanto apprezzassi la compagnia delle donzelle di corte non ho mai amato chi accettasse di trascorrere tempo con il figlio di Morzan solo per denaro. E sarebbe stato impossibile trovare dieci donne oneste disposte a condividere il mio letto. Sapete quanto siano gelose le donne.”
Orrin lo guardò con eloquenza. “Nasuada sa di tutto questo, di che razza di marito sei?! Sa per caso di quante delle nobili alla sua corte sia tu la causa del loro disonore, dei loro matrimoni di ripiego?!”
Murtagh alzò una mano bruscamente, fermandolo. “Tutto questo è stato prima di avere interessi per lei. Ho cercato di rimediare alla mia gioventù non condannando nessuna di quelle lady a un destino infelice per colpa mia, ma non c’è più stata una donna nella mia mente - o nel mio letto - oltre a Nasuada e mai più ci sarà.”
Orrin fece per ribattere, ma il rumore di un chiavistello alle spalle del Cavaliere lo fece zittire, e il secondo si voltò. La promessa sposa del Protettore fece capolino dalla stanza dell’uomo, brevemente, perché quando vide il marito della regina, chiuse la porta di scatto.
“Lady Muirne!” , la salutò Murtagh prontamente mentre lei spariva. Un momento di silenzio aleggiò, in cui la giovane stava sicuramente valutando se fingere di non trovarsi nella stanza da letto del Protettore ma fomentare il pettegolezzo, o se uscire e cercare di sistemare la situazione con le fluenti e stordenti parole di una lady. Scelse la seconda, perché nonostante le occhiate contrariate di Orrin la porta si riaprì e una figura in veste da notte con un soprabito s’insinuò all’esterno. Fece un cenno del capo al Cavaliere. “Siete venuto a liberarci dal drago?” , iniziò con quella che sarebbe stata una cascata di domande. Orrin l’invitò ufficialmente a sedersi con loro e lei si avvicinò, sedendosi lentamente sulla panca. Fu mentre si appiattiva la veste da notte che il giovane notò una rotondità, che non aveva visto alla Ricelebrazione, sul suo ventre. Guardò senza parlare Orrin, che rispose con uno sguardo duro, di chi minaccia lo scopritore di uno scomodo segreto, di morte. Murtagh tornò a guardare la giovane, sorridendole gentilmente. “In realtà il vostro promesso sposo non mi ha ancora detto per quale motivo mi ha convocato, forse potreste dirmelo voi. Sembrate già così vicina a quest’uomo da essere stata informata dei problemi di quello che sarà presto anche il vostro protettorato.”
Lei cercò di guardare altrove per non arrossire. “Ecco, eravamo intenti a pranzare assieme quando la notizia è arrivata. Abbiamo dovuto interrompere i preparativi per la partenza. Non pensate che sia stata una vera sventura?”
Murtagh prese la coppa dal tavolino e bevve un altro sorso, poi pentendosene per il sapore che non era certo migliorato. “Sono sicuro che la partenza è stata messa in secondo piano per l’amore del popolo di mia moglie e che il ritardo non sarà poi tanto grave.”
Orrin tossì alla sua frase. “In realtà, Cavaliere, ti chiedo di iniziare a cercare quanto prima. Un drago non è qualcosa che mi faccia dormire la notte.”
Certo, un drago non lo fa dormire... con forme morbide e calde braccia accoglienti. Ma soprattutto niente ali...
“Dite che sia stato un drago, anche se non ci sono draghi in Alagaesia se non quelli legati ai Cavalieri, che come sapete non sono bestie e non distruggerebbero mai delle fattorie senza il permesso del proprio Compagno. E siccome il drago del mio protetto non sputa fuoco ancora, Saphira è lontana assieme a Eragon e Fìrnen si trova a Ellesméra assieme ad Arya, non vedo quale altro drago potesse essere stato. Magari qualcuno arrabbiato con i contadini di quelle terre.”
Il Protettore lo guardò con un sopracciglio alzato. “Non potrebbe essere stato il tuo di drago?”
Murtagh posò il calice di scatto. “Non ammetterò un’offesa tale. E inoltre Castigo non è certo un drago di dimensioni normali capace di nascondere un gesto tale. Ci sarebbero stati numerosi testimoni ad Aberon, centinaia se non migliaia.”
Orrin si alzò in piedi, imitato da Murtagh. “Allora va’ a indagare. I terreni con i capi danneggiati si trovano proprio oltre alla porta sud, come se il drago fosse arrivato dalle montagne.”
“Molto bene, posso avere il permesso di interrogare la popolazione che vive nelle vicinanze, in cerca di testimoni?”
Il Protettore fece un ghigno. “Negato, non voglio che turbi la mia gente. Poi cosa speri che ti dicano? Hanno già riferito di aver visto un drago!”
Murtagh fece un cenno stizzito con il capo, poi uscì come un vento da est da dove era arrivato, senza attendere Kapeta. L’ultima cosa che udì alle sue spalle, era un rimprovero della lady al suo lord per non averle permesso di parlare di più con il Cavaliere, che se ne andava con una notizia fresca sulle labbra. Scrollò quel pensiero dalla sua mente, aveva altro di cui occuparsi al momento per risparmiare tempo e dirigersi al più presto dalla sua famiglia.
Arrivando alle mura della capitale, consegnò alla posta la cavalcatura che il Protettore gli aveva fornito. Sentì i doppi portoni aprirsi a un comando delle guardie dalla parte interna della città. Ringraziando con un cenno del capo le riluttanti sentinelle, prese a camminare lungo il muro di mattoni verso la soglia più esterna. Castigo lo aspettava all’esterno, la lingua che guizzava nell’aria per captare odori e sensazioni del mondo esterno. Uscito dalla città, le pesanti porte si chiusero dietro di lui. Quell’Orrin è ancora convinto che ci sia un drago qui, eh? , lo incalzò il rettile cremisi. Murtagh non rispose alla provocazione, ma si guardò intorno studiando il paesaggio e le fattorie distrutte in lontananza che aveva già visto all’arrivo. Con la luce dell’alba vide che non c’erano tracce di fuoco. Drago o no, qualcosa turba questa città. Tanto da tenere il Protettore qui, nonostante tutto quello che ha da perdere. , commentò l’umano a un tratto.
Cosa vuoi dire? Credi davvero che ci sia un drago? Non ci sono altri della mia specie se non io, Saphira, Fìrnen e Odhràn… , gli chiese il possente animale. Murtagh lo guardò malizioso. Orrin doveva partire già tre giorni or sono per la capitale, dove Nasuada avrebbe celebrato l’unione tra lui e la sua promessa sposa. Avevano fretta quando l’hanno contattata, mi ha riferito. La cerimonia è stata organizzata in gran velocità… , gli riportò.
Perché tu sei qui e perciò non avresti potuto partecipare? È questo che stai insinuando? , cercò di cavare un ragno dal buco Castigo, essendo il suo Cavaliere molto criptico nelle spiegazioni. L’altro sospirò, scuotendo la testa. Credo invece che ci sia l’onore dell’ex-re in gioco. E che un ritardo nella partenza non si sarebbe mai verificato, se non per il bene del suo popolo… , rifletté con un ghigno. Il Compagno rimase in silenzio, muovendo di scatto la testa verso un avvallamento in lontananza, prendendo a fissarla. Cosa hai visto?
Credo tu abbia ragione, Murtagh. , gli disse distrattamente, mentre era ancora intento a sferzare l’aria con la lingua. Il ragazzo sgranò gli occhi. So che non è il momento, ma… cosa hai detto?! Mi hai per caso dato ragione?! , gongolò mentre si arrampicava sul suo dorso. Un occhio enorme si spostò su di lui in un guizzo e le palpebre si chiusero in una fessura, in uno sguardo di scherno.
Sono costretto a darti ragione una seconda volta, anche per dirti che non è davvero il momento per scherzare, stupido! , gli ruggì.
Cosa hai percepito? , gli chiese ignorando la sua stizza. In risposta, ricevette una sensazione di aria che gli sembrò provenire dalla sua stessa lingua, pur sapendo che non fosse possibile. Dopo poco la sua mente collegò quel sapore a un odore che lui aveva già percepito numerose volte: quel distinto profumo di aria che si trova al di sopra delle nuvole, e una punta di zolfo. Era l’odore che aveva già percepito nella mente di Castigo, come un ricordo primordiale. Quello doveva essere l’odore di un drago. Esterrefatto, guardò istintivamente in aria. Forse non si tratta di un uragano ad aver distrutto quelle fattorie e non un vicino invidioso a far sparire le greggi… Eppure perché non ci sono tracce di fuoco?
Durante la caccia non sputiamo fuoco, le nostre abilità non si limitano ad arrostire animali! Resta da capire il perché delle abitazioni distrutte… , commentò il rettile rosso.
Non è necessario che mi spieghi la caccia nella vostra specie, amico mio. Sei parte integrante di me, so tutto sul vostro conto. Se solo Orrin mi avesse dato la possibilità di parlare con i contadini che vivevano in quelle case… , sospirò Murtagh.
Ti è stato riferito che sostengono di aver visto un drago! , lo rimbeccò Castigo. Il suo malumore era crescente.
Lo so, ma almeno avremmo potuto sapere di più sul suo aspetto, la sua grandezza… potrebbe essere un drago giovane. , suggerì il Cavaliere. Castigo fu colpito da quell’insinuazione, esortandolo a continuare.
Se non sapesse ancora sputare fuoco? Pensaci: le case sono distrutte, forse con un colpo di coda. Potrebbe quindi essere un drago giovane, di piccole - o al massimo medie - dimensioni. , ragionò con lui il ragazzo. Castigo annuì con l’enorme capo. Forse si è sentito attaccato e ha distrutto le case dei fattori che lo hanno sorpreso. , completò con perspicacia. Murtagh confermò con il capo di condividere la sua ipotesi.
Castigo! , esclamò Murtagh a un tratto.
Cosa pensi? Forza, dimmelo! , rispose il Compagno impaziente.
Ricordi quello che ci aveva detto Eragon quando lo abbiamo divinato, tempo fa? , gli domandò colto da un’epifania. Un ricordo venne condiviso tra i due naturalmente, senza che nessuno lo andasse a cercare. Castigo ruggì. L’uovo che si era schiuso! Come abbiamo fatto a non pensarci?! , commentò sentendosi limitato nella sua intelligenza superiore di drago dal costante inseguire le questioni degli umani nell’ultimo anno. Un’ombra sopra le loro teste, che scurì al passaggio le nuvole che coprivano il cielo, interruppe il battibecco fraterno che ne era nato. Con un balzo, Castigo spiccò il volo. Pochi minuti dopo fecero breccia nel manto soffice di acqua sospesa, come entrando in un altro mondo. Il mondo dei draghi. Già abbastanza avanti a loro, finalmente lo videro: le squame color ambra rilucevano il sole facendolo sembrare fuoco puro, addirittura più di quando Murtagh aveva osservato le scaglie del proprio compagno illuminate dalla luce. Comparati, Castigo era più simile alle braci. La figura era come previsto abbastanza piccola, ma estremamente agile nel movimento in aria, grazie alle dimensioni. È una femmina. , comunicò Castigo sondando l’aria con il muscolo tra le sue fauci. Un debole ruggito provenne dall’animale, prima che con uno scatto delle ali cambiasse direzione tornando indietro verso di loro. Castigo non si mosse, nonostante le preghiere di Murtagh, mentre la dragonessa ambrata si appropinquava minacciosamente con le fauci spalancate, arrivando infine a collidere con loro. Il rettile rosso non perse quota, ma al contrario usò le possenti ali per alzarsi più in alto. L’altra lo stava ferocemente mordendo al collo, ma senza ancora riuscire a scalfire le sue durissime squame. Castigo provò a comunicare con ella, ma si ritirò poco dopo contrariato. Seppure non ne esistono più, parla innatamente la lingua dei draghi selvatici. , mormorò.
Non riesci a comunicare? I tuoi genitori erano draghi selvatici anche loro! , chiese Murtagh. Castigo disse di non essere troppo fluente, non avendo nessuno dopo la sua schiusa con cui praticare l’idioma dei suoi genitori, poi con uno strattone si staccò dalla dragonessa. Lei rimase a fissarli, ruggendo. Nell’Antica Lingua, Murtagh li introdusse. Lei parve tranquillizzarsi. Forse abbiamo trovato un metodo per dialogare con lei…
Cosa vuoi fare ora, dunque? Imprigionarla? , suggerì Castigo.
Murtagh rise in scherno. No, solo dirle che non può distruggere le abitazioni degli umani e terrorizzare le loro città. Siamo Cavalieri, è nostro compito proteggere la pace di Alagaesia.
Ripetè lo stesso messaggio alla dragonessa.
Quale diritto avete su questa terra? , rispose lei a entrambi, sorprendendoli perché li aveva compresi e aveva dimostrato di conoscere la lingua elfica.
Siamo stati delegati dal Nuovo Ordine dei Cavalieri. , la informò Castigo, sfoderando anche la sua perfetta conoscenza della lingua.
Quelle parole non hanno valore per me, dette da un drago che è meno drago di me! , rispose con testardaggine.
Castigo le ruggì. I vostri istinti impulsivi hanno fatto sì che nascesse l’Ordine! Il caos e la guerra regnavano sovrani tra la nostra specie e gli umani, gli elfi e i nani.
La dragonessa emise un suono cristallino, una risata probabilmente.
Castigo sbuffò fumo dalle narici, offeso.
Ora capisci com’è avere a che fare con Nasuada e la sua caparbietà tutti i giorni… , commentò Murtagh piano. Il drago cremisi lo zittì anche nella sua mente.
Qual è il tuo nome? , tentò il rettile di maggiori dimensioni.
Gintaré. , rispose frustando l’aria con la coda.
Si è degnata di rispondere, oltre a ribattere con superbia a tutto ciò che diciamo. Le piaci, forse. , disse sarcasticamente il ragazzo rivolto solo al rettile cremisi. Castigo ringhiò al suo Cavaliere, ma la dragonessa selvaggia tornò in posizione di difesa. Anche il più imponente si sistemò in aria meglio, in modo da sprecare meno energie.
Guarda, Amico mio, come sbattono le sue ali! , gli fece notare Murtagh. Acuti occhi cremisi fissarono due paia di ali muoversi freneticamente nell’aria. E faticosamente.
Era un esemplare giovane, di piccole dimensioni e in una corrente contraria.
Improvvisamente, chiuse le ali e si lasciò cadere nel vuoto, oltre le nubi. Castigo si gettò all’inseguimento ma senza risultare imperioso. Non doveva spaventarla.
La videro riaprire le ali giusto in tempo per atterrare sulle zampe al suolo. La montagna cremisi atterrò sufficientemente lontano da lasciarle la sicurezza di poter scappare e donandole perciò tranquillità. Chiuse le meravigliose ali ambrate e alzò il collo.
Dèi, sono tutte così altezzose le dragonesse?! , commentò Murtagh osservandola.
Non ne ho mai vista una oltre a Saphira... beh, ora ho visto questa, ma è poco che la osservo per poterla capire a fondo...
Gintaré stava anch’essa osservando il drago rosso. Dopo lunghi istanti li contattò nuovamente, stavolta per un commento positivo. Il primo, ma comunque un buon segno.
Sei un esemplare molto grande e forte. , disse la sua voce calda ma giovane, anche se senza emozioni in essa.
È un modo per farti delle avance? Sta dicendo che i vostri cuccioli avrebbero più possibilità di sopravvivenza con te come sire?! , chiese Murtagh solamente al suo compagno, vendicandosi scherzosamente dei continui commenti su di lui e la regina, e su quanto fosse fragile il principe.
Quando avrò dei cuccioli lo saranno, vista la mia stazza e la mia discendenza dai draghi dei vulcani. Tuttavia non sta avanzando complimenti con secondi fini, sciocco.
Murtagh alzò gli occhi al cielo e decise di sciogliere i lacci della sua sella.
Che stai facendo?! , lo rimproverò il drago cremisi. Ignorandolo, scese dal suo dorso e tolse completamente la sella dall’enorme animale squamato. Poi prese la sua spada e la lanciò lontana, ancora nel fodero.
Murtagh, perché ci stai rendendo impotenti a reagire se dovesse attaccarci?!
L’umano non rispose, ma prese a camminare verso la dragonessa, le mani alzate al cielo.
“Meravigliosa dragonessa Gintaré, io e il mio Compagno non vogliamo farti del male.” , disse amplificando la sua voce nel vento con la magia.
La creatura ambrata piegò il capo di lato e guardò la sella abbandonata. Perché hai fatto tutto questo, umano? Non hai paura che possa divorarti?
Murtagh guardò indietro verso Castigo, poi di nuovo la dragonessa.
Per dimostrarti che nemmeno il mio Compagno è mio schiavo. E non siamo qui per catturarti. Vogliamo solo che tu smetta di spaventare questa città e di mangiare i loro capi d’allevamento.
Per la prima volta, la dragonessa non ebbe reazioni forti. Rimase semplicemente ad ascoltare.
Quindi quel tuo drago è libero di fare ciò che vuole e volare dove desidera? , chiese confusa.
Castigo scattò in aria con un balzo, comprendendo il piano di Murtagh. L’umano allora alzò le spalle e annuì innocente. Anche la dragonessa lo seguì, dopo aver ben saggiato l’aria con la lingua viola. L’umano si sedette sotto un albero, attendendo il loro ritorno e pensando a come poter concludere la contrattazione. Ma non ve ne fu bisogno, perché Castigo tornò a terra da solo. Il Compagno scattò allora in piedi, riprendendo la sua spada e la sella velocemente.
Dov’è la dragonessa? Che è successo là su?! Mi hai tagliato fuori... , chiese al rettile.
Castigo rise gutturalmente, irritando il suo Compagno.
Ho risolto io, non devi preoccuparti di essere sempre tu l’eroe. Gintaré è ora diretta verso la foresta degli elfi. Sicuramente là sarà meglio accettata da loro.
Il moro guardò l’animale con la bocca spalancata. È stato davvero così semplice?! È un argomento veramente debole!
L’altro sbuffò. Le ho detto che troverà più cibo perché gli elfi non mangiano animali e perciò saranno tutti per lei. Inoltre le ho detto che sarà più vicina a non uno ma due draghi, contando Fìrnen, e così non sarà sola.
Murtagh picchiò con aria soddisfatta il fianco del suo Compagno. Fìrnen si è accompagnato a Saphira, perciò Gintaré potrà essere tutta tua! , gongolò ma l’altro aveva già chiuso la propria mente al Cavaliere, aspettandosi un commento acerbo da parte sua.

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Capitolo 41
*** Inganni e alleati ***


Dopo aver notificato il compimento della missione al Protettore del Surda, fu il tempo di riprendere il viaggio verso Illirea, e Orrin convinse Murtagh a scortare lui, la moglie e le loro famiglie fino alla capitale, così da poter procedere con l’unione.
Mentre si allenava assieme al suo protetto, arrivò Kapeta a cavallo.
Oh, meraviglioso, ci sarà anche lui durante il viaggio...
Lo guardò altezzosamente dal dorso del suo destriero, trottando in cerchio attorno al campo di battaglia, che avevano utilizzato per numerosi giorni i due Cavalieri.
“Potreste coprire la vostra orrenda schiena, Regicida?” , sentenziò al terzo giro, il volto disgustato. Reenan guardò di sottecchi il proprio maestro, sconvolto. Murtagh scosse il capo, tornando ritto dalla posizione di difesa per raccogliere la sua casacca.
Se l’infilò sulla testa, e quando riemerse dal bordo della scollatura, vide le carrozze di Orrin uscire dalla città. Diede allora indicazioni a Reenan e a Derrel di aiutarlo a smantellare il loro campo, così che quando li ebbero raggiunti, anche loro erano pronti a ripartire.
Storcendo il naso, rimasero a guardare Orrin assieme alla vecchia madre della sua promessa sposa, scendere da una carrozza di puro oro. Murtagh si avvicinò loro, facendo una riverenza.
“Lady Merwenna, è un mio onore rivedervi!”
La donna annuì, facendo ondeggiare il rubino indicante la sua provenienza, nell’orecchio opposto all’ematite del marito, poi si voltò sentendo un altra porta scricchiolare, lasciando scendere dal mezzo di trasporto anche lord Glarald di Therinsford e la figlia Muirne, con due pesanti occhiaie viola sotto gli occhi color palude.
I genitori della sposa si rivelarono cortesi con lui, e apparentemente senza fingere, probabilmente per la discendenza di Glarald dal cugino di suo nonno Flaithrì e la provenienza di Merwenna dalla città che anche lui chiamava ‘natale’, nonostante fosse di fatto venuto al mondo a Dras-Leona.
Murtagh guardò Orrin, che osservava a sua volta trattenendo il respiro la giovane lady, in realtà in modo piuttosto improprio.
Mise una mano sulla spalla di Reenan. “Questo è il primo nuovo Cavaliere di Alagaesia, il suo drago è nato dalle uova che non appartenevano a Galbatorix”
Presentato, Reenan fece una profondissima riverenza, ricevendo poi un’occhiata di rimprovero dal maestro. I Cavalieri non si inchinano così a fondo. Noi non abbiamo re o regine a cui siamo asserviti. Noi serviamo solo la Giustizia.
Perdonami, maestro. È l’abitudine, vedrò di sradicarla.
“Lord Murtagh, non vedo l’ora di incontrare anche un mio antenato. Ho udito che lord Flaithrì sarà a Illirea quando arriveremo, è corretto?” , chiese Glarald.
Murtagh si riscosse, annuendo. “Ormai sarà la sua casa, più calda per le sue ossa antiche rispetto al nord. Ha intenzione di trasmettere la sua eredità a mio figlio, il suo pro-nipote, perciò vivrà con noi il resto della vita che gli rimane.”
Guardarono in basso a Derrel. “Lunga vita alla regina e al principe.” , gli augurarono, ma il bambino rimase interdetto.
“Miei lord, lui non è mio figlio, ma lord Derrel di Furnost. Incontrerete la mia famiglia alla capitale. È meglio metterci in viaggio.”
Lady Merwenna acconsentì subito, evidentemente non aveva più rivisto la sua città natale dopo essere andata in sposa al lord di Therinsford.
Reenan guardò Murtagh, poi al piccolo Derrel. “Non abbiamo cavalli e il mio Compagno è ancora troppo piccolo per essere cavalcato. Come dovremmo muoverci?”
Murtagh guardò Castigo. Ti faresti cavalcare da un altro Cavaliere?
Tu ti fidi di lui, io allora di rimando.
Murtagh annuì al suo Compagno, ringraziandolo. Spartì le direttive al bambino e al suo allievo, poi prese il drago verde-baccello tra le braccia e andò a vicino a Kapeta. Alzò un sopracciglio quando il generale lo guardò, bastando a spiegare tutta la situazione. Con uno sbuffo, questo scese dal suo cavallo, lasciando il posto a Murtagh con sua grande rivincita verso l’arroganza dell’uomo. Kapeta si andò a sedere accanto al cocchiere della carrozza del suo padrone, e finalmente partirono.

 

Il viaggio fu più lungo del previsto, anche calcolando un drago incapace a volare, vista la grande quantità di soste effettuate durante il giorno. Le più lunghe erano i pasti, quando i servitori preparavano pranzi e cene a un grande tavolo di ebano proprio come fossero in un castello, con portate multiple e ore dopo ore di discussioni. Fortunatamente, la notte riuscivano a recuperare la strada non percorsa durante le ore di sole. Il sesto giorno, Murtagh decise di tentare un gesto necessario ma molto rischioso - perché se Orrin l’avesse scoperto parlare da solo con la sua futura moglie, lo avrebbe sicuramente denunciato e gli avrebbe tolto Nasuada - . Cercò con la magia due tipi di radici nel sottosuolo mentre tutti cenavano, assentandosi per andare a scavare dove le aveva percepite, tornando poi con il suo bottino legato nella sacca alla cintura, ben nascosto sotto il farsetto.
“Muirne, figliola, mangia!” , la supplicò Glarald vedendola giocare con il cibo nel suo piatto, pallida e tremante per le poche energie rimaste nel suo delicato corpo. Quando il buio fu calato, andò a rovistare nelle bisacce di Castigo prima che ripartisse, prendendo la teiera e bollendovi dentro dell’acqua. Tagliò la radice di colore giallo, dall’odore pungente e la lasciò infondere nel liquido.
Che stai combinando? , gli chiede il piccolo rettile verde, osservando con curiosità l’interno dello strumento in rame con beccuccio.
Un infuso per la nausea.
Castigo alzò il capo. Non ti senti bene con la pancia, Murtagh? Forse sarebbe meglio ricorrere alla magia...
Non è per me. , spiegò seccamente mentre versava il decotto dentro un calice che si era procurato dal tavolo di nascosto, scottandosi le dita nonostante i calli. Si alzò e sgattaiolò verso la carrozza di Muirne, il draghetto dietro che lo seguiva. Bussò lievemente alla porta, vedendo il padre della ragazza ancora passeggiare con la moglie al limitare del bosco, due guardie con loro. La giovane fece capolino, sbiancando nel vederlo. Lui si mise l’indice sulle labbra, porgendole la coppa. “Bevete questo, vi aiuterà con la nausea.” , la istruì, estraendo poi dalla tasca l’altra radice e porgendogliela, “E domattina date questo alla vostra dama, dicendole di farne bollire una piccola quantità nel latte. Vi darà più energie.”
Muirne sgranò gli occhi, e quasi piangendo accettò il suo aiuto.
La salutò con un cenno del capo, sparendo dietro le carrozze verso il suo cavallo, Odhràn dietro di lui come un anatroccolo.
Con la salute di lady Muirne che sembrava migliorata d’improvviso la mattina dopo, il viaggio si fece ancora più celere, e ben presto arrivarono a Illirea.
I forestieri vennero ospitati nel palazzo del fratello di lady Merwenna, mentre Murtagh tornò al castello assieme a Reenan e Odhràn. Nasuada fu così lieta di conoscerli, ma il più contento fu proprio il principe, che adorò il drago verde grande tre volte il cucciolo di umano.
Mentre la regina tenne il suo incontro privato con il nuovo Cavaliere per conoscere lui e la sua storia, Murtagh portò il cucciolo di drago e suo figlio nel giardino, per giocare assieme.
Rideva in modo così spensierato, che il padre non riuscì nemmeno a svolgere il suo dovere, ossia togliere la sella al proprio Compagno, ma rimase invece a guardarlo in silenzio tutto il tempo.
L’uomo fulvo riapparve senza fare rumore svariato tempo dopo, sorridendo al bambino.
“Tuo figlio, maestro, è davvero un bambino bellissimo.”
“Merito di sua madre, devo ammettere.” , gli rispose sorridendo, prendendo il principe in braccio.
Il nuovo Cavaliere se lo fece passare, e il padre del piccolo osservò l’altro con titubanza, scoprendo invece che fosse più bravo di lui in quel compito.
“Mi avevi detto di aver visto poco le tue figlie, durante i tuoi anni di soldato.” , commentò con sarcasmo mentre l’altro faceva finta di lanciare in aria il piccolo, facendo sbiancare il padre di questo, al contempo. Quando smise, stringendoselo di nuovo al petto, il Cavaliere rosso espirò così sonoramente da far spuntare un sorrisetto divertito sul volto di Reenan.
“Tenere un bambino è qualcosa che ti rimane dentro, non lo si scorderà mai.” , disse con una punta di tristezza. Murtagh gli andò a mettere una mano sulla spalla. “Ti sarà dato il permesso di andarle a visitare, ogni tanto.”
L’altro annuì, ridando il figlio al padre. “Tua moglie ti cerca per i preparativi del matrimonio.”

 

La regina fu molto più allegra dal ritorno del marito con il nuovo Cavaliere, e organizzò il matrimonio, che sembrava impossibilmente vicino per avere tutto ciò che Orrin richiedesse, in modo instancabile. Odhràn arrivò finalmente a quella fase della sua crescita in cui duplicò nel giro di qualche giorno le sue dimensioni, potendo essere cavalcato da Reenan.
Ogni nuovo sole lui e il maestro si libravano nei cieli di Illirea per fare pratica, spingendo il giovane rettile sempre in voli un po’ più lunghi, poi liberavano ogni sensazione negativa che avevano accumulato gettandosi nel vuoto e ridendo nel vento, per planare a pochi piedi dai tetti del castello. Il drago verde era agile e molto intelligente, perciò Castigo era un maestro molto fiero, addirittura più di Murtagh nei confronti di Reenan.
Il giorno della cerimonia, Nasuada era sulle nuvole per la felicità dell’unione del suo amico. Indossò un abito rosso di squisita fattura, ma non uno dei suoi più belli, dicendo di non voler far sfigurare la sposa. Costrinse poi il marito a indossare un abito blu notte per lo stesso motivo, acconciandogli i capelli personalmente, tra un bacio e l’altro.
Furono i primi, per la sua euforia, a recarsi nella grande sala dove avrebbero celebrato e festeggiato l’unione. Videro i lord invitati riunirsi nella sala, volto dopo volto, abito luccicante dopo abito luccicante, orecchini con pietre da tutta Alagaesia. Infine arrivarono gli sposi.
Trionfante, Orrin entrò da solo - essendo orfano - , lady Muirne con il padre dietro. La mascella di Nasuada si separò dalla mandibola quando vide l’abito della sposa, così stretto e rivelatore. Guardò Murtagh, che le rivolse un’espressione che la rimproverava di riprendere il suo contegno, allora la sua bocca si spostò in un sorriso finto che non perse per tutto il tempo.
Pronunciato il giuramento, diede il via alle danze, potendosi avvicinare nuovamente a Murtagh, che aveva assistito in prima fila, al fianco di lord Flaithrì.
Nasuada prese il braccio del marito con una stretta ferrea e si accostò a lui talmente tanto da premere le sue costole alla schiena dell’altro, dietro le loro braccia giunte.
“Lady Muirne è incinta, posso chiaramente vederlo.” , disse furiosa attraverso i denti serrati in un sorriso, per tutti coloro che la osservavano in continuazione - ed essendo la regina, erano veramente tanti, e sapevano come non farsi vedere da lei, rimanendo anonimi - .
“Ho cercato di dirtelo dopo la mia visita ad Aberon, ma non hai colto.” , rispose lui pacatamente, imitandola nel discorso in mezzo ai denti.
Le dita scure strinsero per un istante ancora la presa. “Ho rischiato di essere io al suo posto, lo capisci? Se fosse successo a me prima di sposarlo sarei stata rovinata!” , esclamò calmandosi, “Non mi sarei mai aspettata un comportamento tanto stupido da Orrin! La guerra lo ha cambiato decisamente in peggio...”
Murtagh sospirò, passandole il dorso della mano sulla sua attorno al suo bicipite, per rincuorarla.
“La gente non penserà a quanto vieni da dire, piuttosto che tu potessi essere a conoscenza di questo problema e che li abbia aiutati a insabbiare il misfatto con questo matrimonio organizzato e subito celebrato, piuttosto che denunciare la loro morale deviata rispetto alle regole.”
Il Cavaliere spostò le iridi chiarissime in basso su di lei e vide la paura nei suoi occhi ambrati per un istante, che la ragazza fece prontamente sparire.
“Cosa dovrei fare, mio lord degli intrighi di corte?” , chiese lei con tono furbo.
“Mi piace questo soprannome, Nas.” , ridacchiò lui guardando la coppia volteggiare al centro della sala e poi riprendendo il suo stoicismo, “Le alternative sono due: rovinare completamente la reputazione di Orrin, o oscurare la sua luce come la luna durante un eclissi.”
“La prima mi sembra ragionevole, ma per nulla intelligente. Se perdessimo l’appoggio del Surda saremmo perduti. Cosa proponi - concretamente - per la seconda?”
“Qualcosa di eclatante... forse potresti scoprirti incinta e tutte le attenzioni si poserebbero su di te e il principe che staresti per dare al tuo regno.” , disse atono guardando fisso verso la pista da ballo.
La moglie lo studiò con sorpresa, ma si smorzò tutta quando vide che stesse ragionando strategicamente, quasi si fosse dimenticato che il bambino che proponeva avrebbe dovuto essere anche in parte suo. Tornò a guardare gli sposi con un leggero amaro in bocca, perché suo marito le diceva sempre di amare il proprio figlio, ma quella era già la seconda volta che le dimostrava invece di voler evitare nuovamente la paternità.
Nel frattempo la musica terminò, e un brusio di applausi si levò dai lati della sala. Murtagh si voltò prontamente verso di lei, prendendole una mano e baciandola, osservando i suoi occhi ambrati con intensità suadente. “Mi concederesti questo ballo, luce dei miei occhi?”
“Sarà il migliore della tua vita, Cavaliere.”
Lui alzò un sopracciglio, facendo un leggero inchino davanti a lei, prendendole poi una mano nel suo palmo e poggiandole la sua altra nell’incavo della schiena. Con un passo deciso, la guidò verso il centro della sala, dove danzarono con molta più energia - seppur senza risultare sgraziati o esagerati - della stessa ricelebrazione del loro matrimonio, non staccando le iridi da quelle dell’altro per l’intera durata del valzer. Quando la musica si arrestò per cambiare brano, rallentarono ansimanti. Murtagh baciò la fronte della moglie lievemente, essendo proibito dimostrarle affetto più ardente in quella occasione, poi staccandosi da lei.
Un servitore si avvicinò con un vassoio ricoperto di calici di vino d’oro. Il Cavaliere ne prese uno, voltandosi poi nuovamente verso la regina. “Ne desideri uno, mia adorata moglie?”
Nasuada scosse prontamente il capo, e il servitore si illuminò per qualche istante. Quando se ne fu andato, Murtagh l’osservò con un appena accennato sorrisetto. “Hai deciso di dare pubblicamente via al mio piano?”
Lei si avvicinò a lui più del permesso dal decoro, tanto da avere i loro petti premuti assieme, un gesto d’intesa tra i due sposi chiaramente visibile a spettatori esterni. “Sto salvando la reputazione di un alleato.”
Il bel giovane alzò un sopracciglio. “Spero che lui sia altrettanto disponibile a ricambiarti il favore, se mai dovesse servirti.”
Nasuada annuì, scostandosi da lui per osservare Orrin e la moglie che si dirigevano verso il lato della sala. La regina sbuffò ancora, cercando di non farsi vedere. “Lady Muirne è stanca. Conosco la sensazione, ma non può permettersi di ritirarsi dal centro dell’attenzioni.”
Murtagh le sfiorò la guancia con la mano, poggiando la coppa di vino intatta sul vassoio di un servitore di passaggio. Prese un profondo respiro, come se qualcosa gli costasse molta fatica. “Vorrà dire che è ora di cambiare le coppie. Come regina e membro di una famiglia di origini reali, ballerai con lui.” , mormorò con voce inquietantemente fredda, controllata. Si voltò verso Orrin, lanciandogli per un istante un’occhiata eloquente. Infatti, l’ex-re si staccò dalla moglie e si avvicinò alla regina. Le prese la mano, baciandole il dorso. “Mia regina, posso avere l’onore di danzare con voi?”
Nasuada guardò Murtagh, ma lui non disse nulla, né fece espressioni alcune, allontanandosi solamente dal centro dello spazio da ballo per cercare un’altra dama adatta al suo lignaggio. Adocchiò lady Lorana in lontananza, la duchessa di Feinster. Fortunatamente, accanto a lei vi era una ragazza dall’aria annoiata. A grandi falcate le raggiunse, inchinandosi al loro cospetto. Lorana lo guardò con un grande sorriso. “Lord Murtagh! Siete stupendi voi e vostra moglie!” , disse con sincerità, mangiucchiando un boccone del cibo che aveva collezionato dai vari vassoi in mano ai servitori sparsi per la sala. Ingoiò con un rumore secco, guardando il Cavaliere con sguardo inquisitorio.
Lui allora si decise a rivolgersi alla ragazza con la stessa pietra all’orecchio della duchessa di Feinster.
“Milady, avreste l’onore di concedermi il prossimo ballo?” , le domandò porgendole la mano.
La ragazza rimase interdetta, guardando subito Lorana, allora Murtagh abbassò prontamente l’avambraccio, per non rischiare una brutta figura in caso di rifiuto.
Lorana tamburellò con il dito sul suo bastone, da poco aggiunto come accessorio alla sua solita figura, sempre uguale a parte il colore degli abiti che variava dal marrone al vinaccia passando per il nero e il blu scuro. “Mia nipote Ezefrina è nubile e promessa a lord Geuffroi.”
Murtagh fece un cenno affermativo con il capo. “Non sapevo che la vostra casata si stesse preparando a un matrimonio.”
Lorana si strinse il petto con una mano, con forza incredibile. Lady Ezefrina le prese il gomito con occhi lucidi. La nonna respirò allora profondamente, riprendendo il suo contegno. Guardò nuovamente Murtagh negli occhi, intensamente. “La sorella maggiore di Ezefrina è deceduta prematuramente poco prima del matrimonio, perciò abbiamo riarrangiato con la mia unica erede rimasta, perché la mia casata non muoia.”
“Oh, sono dolente per quanto venite da dirmi.”
Lorana ed Ezefrina lo guardarono con gratitudine. Poco dopo un lord si accostò alle due, osservando malamente il Cavaliere. “Milord, vi prego di allontanarvi dalla mia promessa sposa.” , disse con freddezza, ma nessun astio. Murtagh indietreggiò, guardando stranito l’uomo sulla quarantina - sicuramente che non era riuscito a sposarsi prima della guerra, o forse era un secondogenito rimasto anch’egli senza fratelli maggiori, e non poteva più esentare dal mercato dei matrimoni politici perché il compito di produrre un erede era passato a lui - , promesso a una fanciulla appena divenuta donna, visto il suo aspetto.
L’anziana Consigliera di Nasuada accorse in salvataggio del Cavaliere, staccandosi da lord Flaithrì, con cui stava parlando.
Elessari lo portò lontano, fino al terrazzino attiguo. Guardarono per un istante in silenzio la città davanti a loro, poi Murtagh le sussurrò: “Vi ringrazio per ciò che avete fatto per Nasuada, per la cerimonia.”
L’anziana socchiuse lentamente gli occhi, sospirando. “Era naturale che lo facessi.”
“Perché?”
Elessari piegò il capo verso di lui, poi con un sorrisetto gli avvolse le braccia sul suo muscoloso, appoggiato al parapetto. “Perché Nasuada è l’unica che posso accettare di veder ottenere ciò che io ho sempre voluto.”
“La corona di Alagaesia?”
La Consigliera rise di gusto. “No, giovanotto. Quello è l’unico gioiello che non vorrei mai - nemmeno se costretta - per i doveri che comporta, che sono più che i benefici...”
Murtagh trattenne il fiato per qualche tempo, intento a pensare. “E dunque cos’altro ha lei che vi è mancato?” , la incalzò a spiegare infine, sentendola in silenzio.
Un sorriso disilluso le incrinò il volto. “Il potere, e la libertà di gestirlo. Pensavo di poter arrivare nel posto di Ajihad, come Capo della ribellione, trasmesso a Nasuada in seguito, perché tra i Varden ero riverita per la mia forza, al contempo temuta perché nessuno sapeva nulla del mio passato. Fino al giorno in cui un altro fuggiasco non portò il nome di mio marito, e la notizia che si fosse risposato.”
“Siete stata ripudiata, dunque?”
Lei rise seccamente. “Anche voi siete subito saltato a quella conclusione, come tutti... No, io sono fuggita a Galbatorix, unendomi ai Varden. Non ho sopportato di prendere parte nella lotta in una fazione che non ho mai sentito mia, e mio padre prima di me, anche se la mia nuova famiglia era fedele al re. Mio marito allora mi ha dichiarata morta, e a me andava bene così, permettendomi di non essere ricercata.”
“Mi dispiace per le mie parole, allora. E dunque ora vostro marito è qui?”
Lei annuì con durezza. “È rimasto ‘nuovamente’ vedovo. Si troverà un’altra sposa molto giovane a breve, vedrete.” , disse con astio affrettandosi però poi a sorridere, “Poco male, l’ho sempre odiato. Immagino sia lo stesso anche le fanciulle - appena delle donne - che gli sono passate sotto mano dopo di me.”
Spostò i suoi occhi sulle mani del Cavaliere, studiandole. “Invidio davvero molto Nasuada, anche se mi ha soffiato dopo suo padre il ruolo che poteva essere mio. Eppure, l’ho anche aiutata a ottenerlo, quando mi sono resa conto che lei aveva l’appoggio di suo padre, mentre io non l’ebbi mai dal mio. Un padre che non l’aveva ritenuta una sfortuna dalla sua nascita, un padre fiero di lei, tanto da non costringerla a sposarsi una volta raggiunta la maggiore età.”
“Lord Ajihad era un grande uomo.”
“Non era un lord.” , puntualizzò la donna, “La madre di Nasuada era una nobile, una principessa. Ma questo già lo sai, ve ne avrà parlato vostra moglie. Ho visto i vostri sguardi, l’altra notte... Voi non siete due giovani costretti in matrimonio, che hanno trovato un briciolo di affetto verso l’altro solo perché entrambi prigionieri dello stesso uomo, vero?”
Murtagh deglutì. “Siamo stati costretti a sposarci.” , rispose con tono controllato.
Elessari strinse di più la presa, contrariata dalla sua risposta evasiva. “Nasuada non ha convinto il Consiglio a mantenere il vostro matrimonio solo perché è troppo ossequiosa delle leggi, e io ne sono sicura. Lo ha fatto perché vi ama, e voi amate lei.”
Il ragazzo sorrise leggermente. “È così.”
La donna gli diede un paio di colpetti al bicipite con le dita. “Avevo ragione: Nasuada ha proprio tutto ciò che le serve per ribaltare il mondo, incluso un marito che la ama davvero, capace di supportarla e lasciarla libera di svolgere il suo dovere.”
“Sarò sempre in questo modo verso di lei.” , confermò Murtagh.
Le braccia dell’anziana sciolsero la presa sul suo, poi si allontanò. “Vale lo stesso per me, dunque.” , sussurrò prima di sparire all’interno, “Ma sappiate che se mai non doveste mantenere la parola, cospirerei per farvi sparire: un torto a Nasuada vale doppio per me, per quello a cui ho rinunciato per lasciare il posto a lei. Non vi perdonerei mai se doveste rendere vani i miei sacrifici.”
Castigo sfrecciò nel cielo davanti a lui ormai solo, liberamente.
Ho una proposta per te...
Murtagh alzò un sopracciglio, che il drago non poté vedere vista la lontananza. Sarebbe?
Beh, intanto felice ricorrenza-annuale-della-tua-nascita! Volevo chiederti se ti andasse di portare il tuo cucciolo a volare per la prima volta sul mio dorso.
Gli occhi del Cavaliere brillarono di desiderio. Si voltò per ritornare all’interno, intenzionato ad attendere la fine della festa per domandare a Nasuada di poter volare con Finiarel.

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Capitolo 42
*** Primo volo ***


Un gorgoglio disturbò l’udito fine del Cavaliere in una mattina perfetta, dopo una notte che si era conclusa con un sonno estremamente ristoratore. Mosse appena il capo sul cuscino di piume, sentendo sotto la guancia i capelli morbidi di Nasuada. Aprì leggermente gli occhi, osservando il suo fianco scoperto fino alle anche, la pelle scura e lucente, il solco leggero della sua spina dorsale poco scostato dal petto nudo del giovane. Con il braccio che la cingeva a metà-busto, la tirò a sé, lasciandole un bacio nell’incavo del collo. Lei inspirò sonoramente, incrociando i loro polpacci. Improvvisamente, la luce della stanza si fece rossa. Murtagh alzò lo sguardo verso la finestra a figura intera, che dava sulla terrazza dal lato del letto della moglie. La testa di Castigo la copriva per intero, un grande occhio scrutava il suo Compagno all’interno.
Castigo! Non puoi guardare una regina in questo stato… , lo rimproverò tirando le lenzuola all’altezza delle loro spalle con un unico gesto fluido. Il movimento d’aria creò una leggera folata fresca, che fece svegliare Nasuada.
Andiamo, Murtagh… Ho avuto la sensazione di parti di lei attraverso la tua mente che d’altri solo vostro figlio conosce!
Nasuada, ancora connessa alla sua mente, arrossì immediatamente.
Vedi? Come non riesci a schermare la tua mente a me, non riesci nemmeno con lei… , incalzò il rettile. Anche Murtagh arrossì, a quel punto.
Cosa vuoi? Che ci fai qui? , gli chiese con acidità per stemperare l’imbarazzo. Castigo ridacchiò per la pessima reazione del Compagno. Sono venuto a ricordarti che oggi è il tuo giorno!
E dovevi venire fin qui, nonostante a quanto dici di aver assistito stanotte, per ricordarmelo? , sbottò il ragazzo. Il lucertolone-troppo-cresciuto annuì con l’enorme testa, facendo riflettere guizzi bianchi di luce dalle sue squame su tutte le pareti. Spostò l’enorme occhio poco più in giù, guardando Nasuada. Devo riscuotere una promessa fatta dalla tua Signora. , annunciò con tono di sfida. Lei sostenne lo sguardo, poi scoppiò a ridere. Si alzò noncurante che il drago la vedesse nuda - tanto ormai il suo corpo non era più un segreto - e infilò la sottoveste in seta abbandonata a terra, uscendo dalla porta comunicante con altre due stanze più piccole, una occupata da Finiarel. Ancora addormentato, lo riportò nel talamo e lo mise in braccio a Murtagh.
“Promessa mantenuta.” , esclamò guardando il drago con un sopracciglio alzato, impressionata dal suo coraggio. Nemmeno Castigo osava contraddirla o mettere in dubbio la sua parola, solitamente.
Molto bene, mi hai provato anche questa mattina che sei degna di fiducia. , commentò ironico poiché non v’era più nulla che dovesse dimostrare Nasuada, nemmeno a un drago. Era un portento ed era una verità condivisa da tutti ormai. Murtagh gongolò nel vedere la regina tenere testa e scherzare con il rettile. Ah, e dato che sei qui… Ho io una promessa da farti proclamare, oh magnifico drago! , aggiunse lei con tono di comando ma anche sufficiente accondiscendenza.
Castigo annuì per farla proseguire.
Prometti che non succederà nulla a mio figlio. , gli impose.
Sei sicura che tuo padre non ti abbia generata con una della mia specie? , esclamò Castigo con ammirazione per il temperamento.
Non avendo ricevuta una risposta precisa, si voltò verso il marito.
“Garantisco io per lui.” , fu costretto a dire per lo sguardo intenso della ragazza, che lo fissava senza lasciargli scampo.
Grazie, Castigo, per aver scaricato il barile a me... Ora se dovesse tornare anche solo un po’ spettinato, la colpa sarebbe mia! , commentò al Compagno con leggera rabbia.
È il tuo, di cucciolo. , lo rimbeccò il rettile con frustrazione.
Nasuada alzò i lati della bocca in un sorrisetto soddisfatto. Murtagh si tirò a sedere meglio che potè, avendo un braccio impegnato a reggere il principe, e si sporse verso la regina, baciandola con trasporto, cercando di farle dimenticare il timore per le sorti del figlio in volo.
Vi aspetto qui sotto! , sbuffò Castigo chiudendo lui il Compagno fuori dalla sua mente. La ragazza poggiò al Cavaliere una mano sul petto, spingendolo via. “Prima che cambi idea e sia costretta a rimangiarmi la parola e darla vinta a Castigo, va’!” , gli disse facendolo alzare da letto. Murtagh appoggiò il bambino sul materasso accanto alla madre, che gli riempì la pancia mentre il Cavaliere si vestiva quanto più in fretta potesse, sfrecciando all’esterno dopo aver abbigliato anche il principe e aver lasciato un bacio sulle spalle nude, per via del taglio dell’abito, alla moglie.
“Figlio mio, questo sarà il nostro primo volo assieme!” , gli annunciò trattenendo le grida e salendo sul dorso del drago cremisi. Sono così euforico per questo! , commentò al Compagno mentre si cingeva le gambe con i lacci in cuoio. Oh, me ne sono accorto la notte scorsa della tua euforia dopo che la regina ha acconsentito a farti volare con Finiarel per la prima volta… , commentò l’altro trattenendo a stento le risatine.
Piantala di riportare a galla la cosa… Non accadrà più! , sbottò Murtagh.
Davvero riuscirai a resistere alla carne, Cavaliere? , lo interrogò malizioso il rettile.
Sei impossibile! Non intendevo quello… Allora, partiamo o no? Devo attendere che mio figlio diventi un uomo?!
Castigo sfogò tutte le risa che aveva e poi spiccò il volo.
Inizia sorvolando appena le mura del castello, voglio osservare che la sua reazione non sia di paura… , istruì il Compagno. Dopo un primo giro, Murtagh percepì il figlio perdere l’irrigidimento e rilassarsi un po’ al sicuro tra le sue braccia. Man mano che si libravano al di sopra delle nuvole il sole riscaldava piacevolmente la pelle del ragazzo che teneva stretto a sé il bambino di quasi un anno. Quando raggiunsero quota il drago cambiò la sua posizione e iniziò a cavalcare le correnti parallelamente alla superficie terrestre. Il piccolo prese ancora più coraggio e staccò le mani dal collo del padre, sporgendo il capo oltre il corpo del rettile cremisi. Murtagh poteva vedere il riflesso della capitale scorrere nei suoi occhi chiarissimi e limpidi, come sfere cristalline. Il piccolo guardò interrogativo il padre nei suoi e ricevette in risposta uno sguardo rassicurante. Gli fece capire di volersi voltare, così Murtagh fece scorrere le sue mani sul suo torso per ruotarlo. Sopraffatto dalla vista, il piccolo si appiattì sul suo petto per un istante, poi riprese pian piano la posizione eretta. Indicò le torri più alte del castello sotto di loro mugugnando e poi sorridendo. “Sì, la giù è la nostra casa, piccolo mio.” , gli gridò per coprire il rumore del vento. Castigo sbatté le ali per salire di corrente e il principe prese a imitarlo. Il tuo anatroccolo-senza-penne ride di me? , sbuffò il drago. No, Amico mio, è il suo modo per dirti che ti ammira… Quanti bambini della sua età possono ritenersi fortunati da volare su un animale maestoso come un drago?
Castigo ci pensò su. Tuo padre aveva un drago.
Sì, è vero. Ma ne serbo solo un ricordo, dopo la Revoca dei Nomi era più bestia che drago e non amavo la furia di quando s’imbizzarriva…
Finiarel improvvisamente scoppiò a borbottare, come se volesse intraprendere una conversazione con loro. Quando imparerà a parlare? , si chiese il Cavaliere cambiando argomento dal proprio padre.
Dagli tempo, è solo un cucciolo…
In lontananza, una figura verde spiccò il volo. Un dito chiaro puntò al drago del colore di un baccello. In breve, Odhràn li raggiunse, il Cavaliere Reenan sul suo dorso. Lo salutò con un ampio movimento del braccio.
Argetlam, oggi sei libero di fare quello che più il tuo cuore chiama. , annunciò all’uomo più anziano toccandogli la mente. Questo aggrottò le sopracciglia.
Perché, Maestro? , chiese guardando poi il piccolo tra le braccia del padre, Capisco... è una ricorrenza oggi? Il tuo primo matrimonio con la regina? Il compleanno del piccolo?
Murtagh annuì. La ricorrenza della mia sventurata nascita.
Reenan spronò Odhràn a iniziare a separarsi dal rettile rosso. Vedrai che quel piccoletto saprà risollevarti l’umore. Ti attenderò domattina nel campo di addestramento, se non sarai troppo stordito dalla baldoria dei festeggiamenti...
Quali festeggiamenti?! , chiese Murtagh stupito, ma Odhràn si era già lanciato in picchiata verso il suolo. Tu ne sai qualcosa, Castigo? Sai quanto detesti le sorprese...
Il drago scosse l’imponente capo. Sorvolarono completamente la città, fino a superarla. Poco fuori Illirea, Castigo si diresse allo sperone roccioso e solitario dove erano soliti recarsi per isolarsi dal Re Nero. Per tutto l’atterraggio, Finiarel non fece altro che ridere e borbottare. Diventerà un grande Cavaliere il tuo anatroccolo-senza-penne. , commentò il drago mentre Murtagh smontava con attenzione dal suo dorso. Il commento venne completamente ignorato dalla stretta al petto che il giovane moro provava nel rivedere la rupe piatta che si slanciava sulla pianura centrale di Alagaesia. Castigo sbuffò fumo e saggiò l’aria con la lingua, poi si sdraiò a terra violentemente, risvegliando il Compagno. Perché proprio qui? , gli chiese con gli occhi lucidi di lacrime.
Non ti ricordi? Questo é stato il nostro primo e vero posto di libertà, in cui potevamo essere solo Castigo e Murtagh...
Il ragazzo sorrise, iniziando involontariamente a piangere in silenzio. Il bambino pigolò quando una lacrima gli cadde in testa. Menò le manine in aria per attirare l’attenzione del genitore. Murtagh lo guardò, interrompendo i singhiozzi. Come era arrivato lì, dopo un anno, con suo figlio tra le braccia? E perché quella rupe era riuscita a farlo crollare, quando si aspettava di bruciare d’ira?
Castigo fece un rumore simile a un guaito, facendo voltare il Cavaliere. Si andò a sedere sotto al suo collo, premuto sull’addome caldo.
Il drago sbuffò di nuovo, guardando al panorama. Murtagh... ti ho portato qui per chiederti di accettare il mio aiuto, ancora una volta. , proruppe infine.
Per cosa, Amico mio?
Castigo gli arruffò il lunghi capelli con un soffio. Non c’è nulla di più importante al mondo per me di questo stupido-umano-spilungone...
Questo lo so, e anche tu per me, lucertolone.
Il drago lo guardò in obliquo. No.
No? , chiese confuso Murtagh. Castigo fece una pausa, poi continuò a spiegare il suo punto.
Come noi due siamo una cosa sola, anche la tua famiglia umana lo deve diventare... Ma siamo tornati troppo presto, stai solo reprimendo la rabbia, l’odio, la paura...
Sei stato tu a pregarmi di restare con Nasuada, a Carvahall. , gli ricordò.
Sì, e voglio che sia così, perché lei è l’unica che può darti quello di cui hai bisogno oltre a me. Ma per restare senza essere divorato dentro, devi continuare il processo di guarigione che avevamo intrapreso, non fingere di aver perso la tua occasione. Permettimi di aiutarti...
Come pensi di ricucire le mie ferite? E le tue? , chiese dubbioso.
Non possiamo scappare, dobbiamo analizzare quello che è successo, i momenti più dolorosi. Ogni volta che sfiori tua moglie tornano nella tua mente le immagini dei ferri roventi, il suo volto sofferente. Non possiamo rimanere avendo paura costante di rompere le cose che tocchiamo! , lo supplicò.
Hai anche tu paura di rompere qualcosa? Che cosa?!
La nostra libertà, la prospettiva di poter essere felici per la prima volta in questo posto, ora e una volta che saremo guariti!
Murtagh scosse il capo, poco convinto. Hanno fatto del male a noi e di conseguenza, feriti e spaventati, abbiamo fatto del male ad altre persone... Io ho paura di cosa potremo risvegliare, tutto qui...
Tu non faresti mai del male a Nasuada o al vostro cucciolo. È ora di affrontare l’inevitabile.
Lei ha già compreso, cos’altro potrebbe mancarmi da lei? , domandò evasivamente l’umano.
Io... penso di aver individuato cosa ti manchi da lei. Non certo l’affetto, o l’amore. Tu vuoi il suo perdono, non è così?
Murtagh rimase in silenzio, colpito al cuore come da una lama. Gli tornò in mente la sua frase, così diretta ma così dolorosa. Strinse Finiarel a sé maggiormente, riprendendo a piangere a dirotto. “Posso capire, ma non perdonare.” , ripeté tra i singhiozzi.
Castigo annuì con l’enorme capo, indicandogli di aver trovato il nodo da sciogliere. Parla con lei di quella faccenda. , lo pregò.
Supplicarla di perdonarmi dopo tutto quello che ha fatto la farebbe solo allontanare...
Il drago sospirò. Ti ama.
“Questo non significa che allora debba annullarsi per me, per le mie suppliche, dimenticare il dolore che le ho causato!” , sbraitò il Cavaliere.
Il piccolo tra le sue braccia pigolò spaventato. Murtagh allora fece un respiro profondo, cercando di controllare la rabbia.
Gli sorrise, ma stringendo gli occhi le ultime lacrime che si stavano formando tra le sue palpebre caddero nuovamente sul piccolo, però stavolta su una sua manina protesa in aria.
Non ti sto chiedendo di scegliere di annullare tua moglie, di giocare con i suoi sentimenti e i suoi sensi finché non ti avrà perdonato. Ti sto chiedendo di supplicarla di velocizzare il suo processo di guarigione, per te - per noi - , per il vostro futuro insieme.
Il giovane guardò l’orizzonte. Solo il tempo laverà via il dolore, e questo è vero anche per lei. Se la nostra guarigione dipenderà dalla sua, allora ci toccherà attendere…
Castigo ruggì nelle loro menti, per non spaventare ulteriormente il piccolo principe. Tu. Non. Stai. Pensando. Lucidamente. , Ultimamente! , scandì con ira il rettile.
Credi che non sia un pensiero lucido concludere di doverle lasciare il suo tempo per guarire, per poi curare le nostre ferite?!
Il drago si alzò in piedi. È esattamente l’apoteosi della stupidità, quanto dici! Io per primo, un anno fa, credevo che l’unico modo per ritrovare noi stessi sarebbe stato isolarci e guarirci a vicenda. Ma ciò che possiamo fare noi due -  le nostre coscienze unite - è solamente dare aria a un fuoco che continuerà a bruciarci.
Il moro si morse un labbro.
Pensaci: in quanti modi, da quando siamo stati costretti a tornare, Nasuada ti ha già aiutato a guarire? Il tempo trascorso da soli, nascosti, a cercare di dimenticare noi stessi, è solo servito a spegnere momentaneamente il dolore, la rabbia, il rancore, l’odio. Eppure una volta rivestiti i nostri panni, tutto è riaffiorato, dolente come prima!
Anche Murtagh scattò in piedi, dopo aver adagiato il figlio a terra, su un cumulo di coperte che si trovavano nelle bisacce del drago. Si voltò a confrontare il Compagno. Tu solo conosci il mio intero Essere, sai benissimo cosa ho provato, come io so cosa tu hai provato. Credi che sia stata lei o forse solamente l’altro tempo trascorso fino a ora, a far progredire il processo di guarigione?
L’altro scosse l’enorme drago. Stupido, stupido, stupido umano spilungone! È inutile che cerchi di nasconderlo - a me, che condivido ogni tuo singolo sentimento  - , per cercare di non evadere la mia richiesta e lasciare alla tua amata il privilegio di essere l’unica a poter prendersi il tempo necessario ai suoi bisogni; io ho percepito sin dal primo momento, in quella cella, come il suo tocco fosse come luce alla sommità di un pozzo profondissimo. Lei ti ha salvato, in passato, ricordi?
Una lacrima solitaria tracciò una linea luminosa sulle guance pallide del Cavaliere. Annuì, asciugandosi gli occhi con i dorsi delle mani, silenziosamente come un bambino durante la predica del padre.
Lei era l’unica che potesse salvarti, ma è ancora oggi vero. , continuò Castigo sfruttando il silenzio del Compagno per farsi ascoltare, Se il Destino ha voluto che ti innamorassi proprio di lei, è perché la persona amata è unica proprio perché non ti completa, ma ti da qualcosa che solo lei può dare. E Nasuada può curare cambiare la tua vita, una volta per tutte, in meglio.
Murtagh strinse i pugni. Di questo ne sono consapevole.
Allora chiedile quel qualcosa di esclusivo in più, oggi!
Il giovane scosse il capo, sospirando. Pretendere qualcosa da lei significherebbe doverle dare altrettanto in cambio. Cosa posso dare io a lei, in più?
Il drago espirò frustrato nel sentire l’altro rigirare a proprio favore il suo discorso. Le hai dato un figlio…
Murtagh rise in scherno. Un qualsiasi altro uomo avrebbe potuto darle un figlio.
Castigo ruggì. Non usare quel tono superbo con me! Ho usato tuo figlio come simbolo! Nasuada ha sempre avuto potere e rispetto, ma tu le hai da subito dato familiarità più che reverenza!
L’umano annuì per dargli ragione, tornando serio.  È stata reciproca, sin da subito, la voglia di entrambi di trovare nell’altro un confidente, un amico intimo…
Quel ‘più’ che sei per lei è proprio questo: sei l’unico con cui possa abbandonare la corazza, l’unico che possa sorreggerla quando è nuda e pura.
Anche con Finiarel. , puntualizzò il moro.
No, una madre non può mai essere sé stessa con il proprio figlio. Lo deve educare, perciò è necessario che nasconda certe sue debolezze, o certi suoi sentimenti esplosivi. E anche se volesse essere totalmente sé stessa con il suo cucciolo, non ti toglierebbe il tuo ruolo di compagno di vita, perché il cucciolo è al mondo solo grazie a entrambi.
Murtagh annuì nuovamente, senza aggiungere altro. Avevano realizzato entrambi che il drago avesse ragione su ogni suo punto.
Rimase qualche istante a godersi il silenzio, e le emozioni - seppur negative - che erano succedute alla discussione con la propria metà.
Dopo un lungo momento d’inerzia, mosse qualche passo, per riprendere tra le braccia il figlio, con qualche versetto di gioia. Se lo sistemò nell’incavo del collo, immaginando di abbracciarlo come avrebbe fatto con sua madre.
In quel giorno e in quel momento, si concesse anche di ripensare ai propri genitori. Si chiese se meritassero anche loro il suo perdono, arrivando però alla conclusione di non poter assolutamente dimenticare il dolore che Morzan gli aveva inflitto e l’odio che provava nei suoi confronti. Lui era un bambino, e non era capace di odiarlo ancora. Trovò ingiusto che lui, la vittima, non disponesse dei mezzi per provare rimorso verso un uomo così malvagio e cattivo persino col proprio figlio.
Per quanto a sua madre, rifletté a lungo su cosa rappresentasse per lui. Era stata il mezzo della sua prigionia, ma aveva anche sempre cercato per quanto possibile di proteggerlo dal mondo in cui lo aveva deposto senza rendersene conto.
Però, lei aveva scelto alla fine di abbandonarlo. Lui, che avrebbe dato la vita quando si era ritrovato in estrema difficoltà, per Nasuada e Castigo.
Era diverso da entrambi i suoi genitori.
Forse perché era cresciuto senza di loro?
Come sarebbe cresciuto il suo piccolo se lui non fosse ritornato?
Sarebbe cresciuto con un altro padre? Nasuada avrebbe permesso a un altro uomo di crescere con familiarità suo figlio? Finiarel avrebbe sperimentato forse una madre e un padre assenti, distaccati?
E se, in un’altra possibilità, lo avesse trovato per affidargli il bambino e crescerlo lui da solo, cosa avrebbe potuto trasmettergli?
Pensò al villaggio, alla grotta dove Castigo si nascondeva. Avrebbero vissuto in povertà, forse ogni tanto avrebbe potuto far volare il proprio figlio - finché la sua mente fosse stata abbastanza giovane da non ricordare di un drago legato al padre, rischiando di esporre la sua vera natura al resto degli abitanti di Mrest - sulle ali di Castigo, di notte.
Sarebbe stata una vita infelice, in fin dei conti: non avrebbero potuto essere liberi di essere loro stessi.
Strinse le dita nel tessuto che ricopriva la minuscola schiena, con determinazione. Sono dove ero destinato a essere.
Guardò con intensità il proprio Compagno, che ricambiò con uno sguardo altrettanto vivo. Sei nel posto giusto.
Si affrettò sul suo dorso, issando sé stesso e il bambino in sicurezza. Lanciò nuovamente gli incantesimi che impedivano al freddo di uccidere il suo piccolo essere, e incitò Castigo a riprendere il volo.
Volarono instancabilmente tutto il giorno, fino a villaggi che non era convinto di poter raggiungere in una sola giornata. Il vento che gli annodava i capelli non lo infastidiva nemmeno più, se quello era un effetto collaterale della libertà.

 

 

La domestica castana lo attendeva ai piedi dello scalone, con le mani unite in grembo e l’espressione tranquilla, che non perse nemmeno durante l’atterraggio dell’enorme rettile cremisi.
Quando Castigo fu fermo, avanzò verso il Cavaliere, con un’inusuale aura neutra. Forse stava contenendo l’emozione per il compleanno del suo padrone perché le era giunta voce quanto lui odiasse quel giorno dai domestici che servivano nel castello da prima del cambio di Regno.
“Cavaliere, bentornato. Posso essere informata della salute del giovane erede al trono?”
Il giovane padre fece un cenno col capo di saluto e al contempo rassicurazione. “La vita del principe è stata risparmiata da suo padre, il figlio di Morzan, ancora una volta.” , le rispose con una punta di acidità riservata a sé e non alla donna.
Lei sembrò dispiaciuta terribilmente, per un secondo. E poi quasi colta dal rimorso.
“Perdonami, Maeve, non era mia intenzione rimproverarti, siccome non hai colpe.”
La domestica scrollò le spalle. “Il sangue detta la parentela tra le persone, ma è la storia della loro relazione - come queste sono cresciute per essere più o meno simili - a dettare la familiarità.”
Murtagh aggrottò le sopracciglia, lievemente rincuorato dalle parole sagge della donna.
“Vi prego di seguirmi, vostra moglie vi attende ufficialmente.” , lo informò poi.
Seguì Maeve con riluttanza, ricordandosi delle parole di Reenan di quella mattina. Nasuada gli aveva organizzato una festa, e proprio lui non ne era in vena.
È colpa mia, ma tu vedi di tirarti su. Fossi in tua moglie ti lascerei, quando fai il debole. , lo rimproverò Castigo.
Murtagh lo allontanò dalla sua mente, chiudendolo fuori, ora arrabbiato con il rettile rosso.
La governante castana lo portò fino ai loro appartamenti, allora il giovane si lasciò scappare un gemito appena percettibile di sollievo, seppur lo sconforto di quella ricorrenza non lo abbandonasse ancora. Almeno non era una celebrazione in grande - con tutti i nobili della corte, peggio ancora di Alagaesia - , in cui avrebbe dovuto fingere di sorridere ed essere felice per ore e ore, forse fino al mattino dopo. Quello che voleva era solamente rimanere solo con la moglie, confrontarla riguardo al tarlo istallatogli dal suo Compagno.
Quando la porta a doppio battente e intarsiata si aprì, Murtagh vide il salottino pieno di candele accese in un sentiero che lo indirizzava al salotto principale. La governante gli prese il mantello, per evitare che si bruciasse al passaggio, e sparì assicurando di alzare anche la propria gonna.
Sospirando, il ragazzo seguì il sentiero di luce, trovandovi alla fine Farica, che si prese il principe, poi sparì dopo aver lasciato un bacio di auguri sulla guancia del padre del piccolo.
Murtagh bussò alla porta decorata, che si aprì al tocco delle sue nocche, perché appena accostata. Nasuada era nella stanza, in un abito quasi più bello di quello del loro matrimonio in grande. Come poteva essere così dannatamente bella? Se mai avesse dovuto iniziare a predicare una nuova religione, di sicuro avrebbe plasmato la dea su sua moglie.
Si riscosse dalla sua estasi, focalizzandosi sulla cena imbandita per loro due soli. La ragazza dalla pelle d’ebano gli andò incontro, accogliendolo con un grande sorriso, tutto per lui.
Cerca di rimanere lucido. Avrai tempo più tardi per saltarle addosso. , gli ricordò Castigo, che aveva colto la distrazione per rifarsi strada nella coscienza del Cavaliere.
La vuoi smettere?! Che ti succede?
Il drago sbuffò, inviandogli l’immagine delle dragonesse che aveva incontrato nella sua breve vita, di cui nessuna aveva dimostrato interesse per lui.
Fantastico, è la stagione degli amori, per voi draghi?
L’altro ridacchiò. Magari ti farà bene.
Come potrebbe giovarmi la tua irrequietezza? Tieni a bada i bollenti spiriti, prima che i tuoi istinti mi portino a saltare addosso a una qualsiasi donna che non sia mia moglie. Non vorrei rischiare di dover chiedere perdono non solo per le torture e il rapimento, ma anche per l’infedeltà.
Giusto.
Il drago si ritrasse in un angolo della coscienza del moro, lasciandolo libero di osservare attentamente la meraviglia che aveva a un palmo da lui.
Alzò le sue mani, lasciando che la ragazza vi poggiasse le proprie, poi le strinse con affetto.
“Buon compleanno, Amore mio.” , gli disse sporgendosi allora per baciarlo.
Murtagh si abbassò lentamente mentre riceveva ciò che gli veniva porto - non perché non volesse un bacio della giovane donna, siccome non ne avrebbe mai rifiutato nemmeno uno, anche fosse stato il loro ultimo, ma perché avrebbe preferito che lei non scoprisse mai la data della sua nascita, per poterla non festeggiare - con riserbo.
“Non è andata la tua giornata come speravi?” , gli chiese, accorgendosi del suo atteggiamento insolitamente schivo.
Murtagh alzò le mani, dividendole forse troppo bruscamente da quelle della moglie. “Finiarel sta bene.”
“Questo già lo so, ma non ti stavo facendo il terzo grado di interrogatorio, puoi stare tranquillo. Ho abbastanza fiducia in te da affidarti la mia vita e quella di nostro figlio.”
“Vuoi sapere perché sembro rotto come un vaso?!” , chiese lui stanco di girare attorno al nocciolo del suo malumore.
Lei lo fissò negli occhi dopo un breve silenzio, prendendogli di nuovo le mani sulle sue, come quando avevano pronunciato le promesse di fiducia e sincerità per l’altro. “Sì, voglio sapere se ho sbagliato a voler comunque festeggiare il tuo compleanno.”
Lui sospirò, guardando altrove, in cerca delle parole giuste. Quando credette di averle trovate, tornò a spostare le iridi azzurre in quelle della regina, che lo attendeva calmamente. “Hai detto ‘comunque’, perciò già sai tutto… Sì, non è una ricorrenza che amo ricordare.”
“Nemmeno ora che la tua vita è cambiata, stravolta nel profondo?”
È brava con le parole. , si complimentò il drago rosso notando l’effetto che avevano sorbito quelle poche sillabe sul suo Compagno.
Ovviamente, lei è una leader di popoli. La sua dialettica è la migliore di Alagaesia.
“Preferirei semplicemente che non ne facessimo una questione così enorme.” , le rispose alla fine.
Nasuada si allontanò da lui per prendere due coppe di vino già riempite, porgendogliene una. “Allora vorrei che brindassimo al fatto che sei di un anno più maturo.” , disse con un sorriso dolce, alzando la sua coppa. Murtagh non poté non ridacchiare, bevendo un sorso di vino assieme a lei. Non era il suo solito vino portato da Dras-Leona, segno che lo avesse ricercato apposta tra i vigneti di Alagaesia per eguagliarne la qualità ma variare il sapore per le loro bocche, per una volta. “Alle mie ventun estati. Possa vederne altrettante, immagino...” , brindò.
“Mi auguro tu possa vederne dieci volte tante, Amore mio.”
Solo se accanto a te. , pensò il Cavaliere. Non le rispose ad alta voce, o altrimenti avrebbe dovuto affrontare anche il discorso riguardo la sua immortalità, e della mortalità invece della donna che amava. Avrebbe voluto poter studiare un modo per legare la sua vita alla propria, ma sapeva che il desiderio della moglie era vivere una vita piena, e alla fine perire come tutti gli esseri umani.
Nasuada lo guidò al tavolo per mano, dove già la prima portata era servita di forte ai due posti apparecchiati. Sul tavolo vide solo le sue pietanze preferite, probabilmente memorizzate nei mesi trascorsi dalla sua amata, proprio per poterle riproporre nelle occasioni speciali, sperando di dimostrargli l’apprezzamento per lui.
“So già quanto mi ami, Nas, ma non c’era bisogno di tutto questo, davvero! Specialmente perché la maggior parte dei miei cibi favoriti a te disgustano completamente.” , le disse con sguardo dolce, le palpebre che erano pesanti d’emozione, come di solito per tutti prima di addormentarsi accanto alla propria persona preferita.
“Per te mangerei anche le zampe di gallina in umido!” , si difese alzando le mani sottili accanto alle spalle. Lui mimò un conato di vomito, avendogli nominato in assoluto il piatto che più detestavano, quella volta entrambi in accordo. Ridacchiarono assieme, prendendo a mangiare, Nasuada leggermente nauseata, visto il colorito verdognolo.
“Tutto bene, Amore mio?” , chiese notando la reazione.
Lei alzò la testa di scatto dal piatto, ma con il sorriso sul volto. “Non vorrei farti preoccupare, ma è da metà mattina che ho un forte sentore di nausea, come se avessi ricevuto un pugno alla pancia, e ne stessi risentendo i postumi oggi.”
“Abbiamo fatto parecchia baldoria ieri, al matrimonio. Forse allora potresti ordinare del cibo che ti aggradi, piuttosto che patire anche mangiando i miei cibi preferiti. Veniamo da luoghi diversi, con pietanze e tradizioni diverse. È normale che anche i nostri gusti siano abituati a cose differenti.”
“È il tuo compl-” , protestò, bloccandosi subito, già mentre riceveva un’occhiata obliqua ma non cattiva dal marito, come di scherno per aver rinominato la ricorrenza.
Terminata la cena, in cui chiacchierarono in modo calmo e familiare, senza più nominare il compleanno mai, Nasuada si alzò dalla sua sedia, camminando fino dietro a quella del marito. Gli poggiò le dita sottili sulle spalle, piegandosi un poco per sfiorargli quasi un orecchio con le labbra. “Ti andrebbe di goderti il fresco della sera, sulla nostra terrazza?” , gli chiese con tono mellifluo.
Murtagh notò come fosse la prima volta che gli chiedeva di trascorrere del tempo con lui in quel luogo aperto, sicuramente il più piacevole oltre ai giardini in tutta la fortezza. Eppure, fino alla Ricelebrazione del loro matrimonio, Nasuada aveva sempre evitato di sostare per troppo tempo lì con lui, poiché le finestre degli alloggi riservati ai nobili più importanti vi erano proprio di fronte. Con orgoglio, accettò. Prese la sua mano che gli offrì, poi invertendole perché quella più delicata della moglie fosse dentro alla sua. Sulla terrazza, lontano dall’area individuata all’incirca per il passaggio al grande scalone, erano stati posizionati due grandi scranni in metallo. Murtagh li guardò con curiosità, mentre Nasuada si accomodava sul primo.
“Li hanno realizzati Albriech e Baldor?” , le chiese con sicurezza.
Lei fece un sorriso, sfiorando un bracciolo con le lunghe dita. “Sono stati molto bravi a realizzarle. È stato il loro regalo per le nostre nozze, mi hanno riferito.”
“Oh, perciò non sei stata tu a commissionarle?” , chiese timidamente, perché emozionato di aver ricevuto il suo primo regalo da degli amici.
Si sedette accanto alla moglie, che si stava mordendo il labbro mentre decideva la risposta. “Avevo già pensato di aggiungere un salottino per noi, qui fuori, ma loro mi hanno anticipato.” , disse infine, con eccessiva cautela nel tono. Dal suo scranno si sporse per baciarla, tranquillizzandola. “Sono felice che finalmente stiamo mostrando apertamente che il nostro matrimonio non sia stato solamente un’imposizione, ma che dietro ci siano fortunatamente anche dei sentimenti. Non è un privilegio di tutti i nobili.”
Nasuada gli prese una mano, stringendola con calore. “Ti amo.” , gli spiegò semplicemente.
A quelle parole, Murtagh avrebbe voluto sciogliersi sul pavimento, totalmente estasiato, ma le parole di Castigo ritornarono prepotentemente nella sua mente. Perciò scattò in piedi, allontanandosi di qualche passo, per appoggiarsi sulla balaustra. Nasuada lo imitò preoccupata, andandogli vicino e guardandolo con apprensione. “Murt, c’è qualcosa che ti ha turbato?”
C’era eccome, qualcosa che lo tormentava. Ormai da un anno, da quando per la prima volta si era ritrovato libero - con alcune limitazioni, tra cui sua moglie e suo figlio - di scegliere la strada da percorrere nella sua vita. Lo turbava aver avuto bisogno di guarire, di aver pensato che la solitudine potesse essere la via corretta per tornare in pace con il mondo, quando invece era stato catapultato alla realizzazione che solo la vicinanza con persone che lo amano avrebbe potuto salvarlo completamente. Eppure, la persona più importante per lui di queste era sì la più capace di aiutarlo, ma anche un costante ricordo delle atrocità che aveva inflitto a esseri come lui.
Lui finalmente inspirò a lungo, preparandosi a parlare, venendo travolto dall’inquietudine che stava ricacciando fino a quel momento, in una battaglia silenziosa dentro di sé. “Ho bisogno di sapere se potrò mai ricucire le ferite che ti ho inflitto.”
La regina s’irrigidì, improvvisamente diventando fredda e distaccata. Le interiora del Cavaliere si rivoltarono, per poco non facendolo rimettere la cena.
“Murtagh,” , si rivolse a lui infine, bruscamente, “perdoneresti mai Galbatorix?”
Ci fu un lungo silenzio, interrotto solo da un rapace notturno.
Il Cavaliere abbassò il capo e poi lo scosse a destra e a sinistra, ma Nasuada fece qualcosa di inaspettato: lo spinse sulla balaustra di pietra che delimitava a semicerchio metà della terrazza della stanza della regina. Lui perse l’equilibrio, cadendovi sopra quasi a sedere.
“Non volevo ucciderti!” , lo tranquillizzò alzando le mani, quando lui la fissò esterrefatto. Poi lei spostò le mani sulle sue guance e si accostò al suo petto. “Non ho finito il mio ragionamento, prima. Stammi bene a sentire, Cavaliere:” , disse con una luce negli occhi determinati. Lui deglutì ma rimase ad ascoltare, il cuore che palpitava.
“Ho pensato molto alla prigionia, dopo la Liberazione...” , riprese a parlare mentre lo accarezzava con un pollice sul volto, “Quello che ho detto allora... non vuol dire che sia per sempre. Sei stato tu a dimostrarmi per primo che si possa cambiare!”
Lo fissò intensamente negli occhi chiari, resi del colore della luna dalla luce fioca. “Io stessa ti ho fatto giurare che mi avresti piuttosto tolto la vita, che sopravvivere alla guerra come schiava di Galbatorix, eppure se fossi morta allora, non avrei te, la corona e nostro figlio.” , disse con tono di confessione, poggiando la fronte per un istante sotto il suo mento. Ispirò profondamente mentre il marito rimaneva immobile, impietrito. Quindi anche lei aveva avuto i suoi dubbi se accettare o meno di perdonarlo. Strinse gli occhi con amarezza, ripensando a quale portento di donna avesse tra le braccia: certamente Nasuada aveva ragionato e ragionato sul passato, sul loro rapporto, sul perdonare un uomo che l’aveva prima torturata e poi lasciata sola con un bambino in grembo, ignorando che anche lei, in quel momento di cambiamento così radicale potesse aver bisogno del supporto dell’unico uomo che amasse dalla morte del proprio padre. Ovviamente aveva dovuto decidere se lui fosse per lei un mostro completo o solo un fallimento di uomo, uno sciagurato senza speranze.
“Io... sono più che felice della mia vita ora, e di dove ci abbia portato il Destino.” , concluse con le lacrime che le illuminavano le iridi.
A quelle parole, Murtagh le passò le braccia attorno alla vita, stringendola forte. La ragazza prese un respiro profondo, alzando di nuovo gli occhi. “Pensavo che non sarei mai riuscita a perdonarti, anzi, - non riuscita - ma che non avrei mai dovuto perdonarti, anche se ne avessi sentita la necessità. Poi ho realizzato che tu non sei stato Galbatorix per me, è stato il re a torturarmi, a giocare con la mia mente! È lui che non potrò mai perdonare veramente, così come non potrai tu.” , gli disse velocemente e con talmente tanto trasporto che la frase terminò con le loro labbra che si univano.
Quando si separarono, lei rimase in punta di piedi, i loro petti uniti assieme. “Non sarebbe giusto non perdonarti per aver cercato di salvarmi... Tutto ciò che volevo era arrivare a liberare Alagaësia da Galbatorix e senza la tua decisione di risparmiare la mia vita, non avrei potuto vedere il mio sogno realizzarsi!” , gli sussurrò con voce rotta dal nodo nella sua gola.
Lui sospirò. “Hai realizzato anche il mio, di sogno. Ho sempre voluto vivere in un mondo libero da uomini terribili come mio padre e il re che ha servito, costringendo poi me a terminare il suo compito di Primo Aguzzino.”
Lei lo guardò con un sorrisetto, due lacrime solitarie che le rigavano le guance. “Non era dimostrare al mondo il tuo valore personale, senza le ombre dei tuoi genitori?”
Lui annuì. “Quello sta a me realizzarlo e a nessun altro. Ma non sarebbe mai potuto diventare realtà in un mondo in cui Galbatorix regnava su di noi.”
Nasuada allora si staccò appena, chiudendogli le mani nelle sue, per quanto riuscisse, vista la differenza di dimensioni. “Io ti ho perdonato, Murtagh, per il dolore che sei stato costretto a infliggermi per mantenermi in vita. Solo la morte di Hrothgar non posso dimenticare e assolverti - personalmente e pubblicamente - , ma tu capisci più di tutti che è necessario assumersi le proprie colpe, se comprovate.”
Lui annuì. “Volevo solo che capissi che non ti avrei mai voluta far soffrire, tuttavia il mio titolo di Regicida non potrà mai levarmelo nessuno.”
La giovane fece un cenno del capo, comprensiva. “Murtagh, posso sapere un’ultima cosa...?”
Spiazzato, lui scrollò le spalle, ormai totalmente aperto al dialogo.
“Tu sei felice a rimanere qui con me, tanto quanto lo sono io? Vorrei che entrambi fossimo felici, nella vita, ora che possiamo esserlo.”
“Non v’è altro posto dove vorrei essere, né altra persona che vorrei accanto. Ovviamente ho ancora molto da risanare nel mio animo, ma so di poterlo fare solo con te affianco.”
Nasuada aprì la bocca per parlare, ma Farica corse all’esterno con il principe in braccio. La madre piroettò con prontezza felina su sé stessa, guardando verso il figlio già preoccupata.
La dama però sorrise ai due. “Vostro figlio ha parlato.” , annunciò dolcemente.
Nasuada afferrò una mano di Murtagh, tirandolo verso il bambino.
“E cos’ha detto?” , chiese alla sua governante.
La donna alzò le spalle. “‘Mamma’, ovviamente. Ma subito dopo ha chiamato anche suo padre, come non volesse farvi un torto, Cavaliere.”
Alla fine, questo è stato quanto di più vicino a un ‘compleanno perfetto’ potessi immaginare...
Castigo fece pressione nella sua mente, perciò Murtagh lo fece entrare. Ovviamente, ti sei confrontato con la donna che ami su una questione che ti tormentava da un’estate, il tuo cucciolo si è accorto di te per la prima volta, e  - innanzi a tutto quello - continui a essere la creatura più fortunata di Alagaesia ad avere me come Compagno-di-cuore-e-di-mente!
Sei davvero impossibile! , mormorò il Cavaliere, correndo all’interno assieme alla sua famigliola, con le lacrime agli occhi.

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Capitolo 43
*** L'idea di Murtagh ***


Reenan si stava rivelando un allievo provetto: attento e curioso durante le lezioni teoriche e volenteroso e caparbio durante gli allenamenti magici, per non parlare della sua maturità emozionale e comportamentale che il suo maestro - alle prese altrimenti con un lattante e un lord bambino - apprezzava sinceramente.
In un paio di mesi, aveva imparato a maneggiare la magia basilare alla perfezione e il suo drago color bocciolo era cresciuto già alla metà del suo potenziale.
Volava con Castigo mentre gli umani praticavano il Rimgar con dedizione tutti i giorni, e stava accucciato nel prato della fortezza assieme a loro pazientemente, a osservare il suo Compagno formulare incantesimi e dialogare nell’Antica Lingua con Murtagh o talvolta Trianna.
Era capace ma testardo, probabilmente una caratteristica dovuta alla sua vita dura nell’esercito. Fortunatamente, Murtagh aveva assaggiato la medesima vita e sapeva come spezzare certe abitudini con pazienza. Erano divenuti più uniti, e talvolta il fulvo si confidava con il giovane riguardo i suoi timori per la nuova vita e l’altro faceva del suo meglio per alleviare la sua cupezza.
Senza mai dare a vedere quanto i dubbi del neo-Cavaliere lo attanagliassero ancora, rispetto al futuro dell’Ordine e come loro sarebbero stati accettati dalla popolazione.

 

Per tutta la notte il Cavaliere rosso aveva ragionato su una sua idea, la più gloriosa che gli pareva di aver sempre avuto - oltre al progetto non ancora realizzato di montare una specie di carrozza senza le ruote sul dorso di Castigo, per farvi viaggiare Nasuada e il principe - . Era un giovane dalla mente da sempre vivace e attiva, tanto che se il re non lo avesse praticamente costretto a intraprendere la carriera militare e compiere l’eredità del padre Morzan, gli sarebbe piaciuto aprire una bottega da inventore, piena di marchingegni e alambicchi per pozioni alchemiche.
Fu a colazione che decise di non intraprendere la routine che dall’arrivo di Reenan era stata ripetuta religiosamente ogni giorno. Gli aveva comunicato di avere delle importanti questioni burocratiche da svolgere, importanti per la sicurezza della corona - che era suo compito proteggere tanto quanto addestrare il nuovo Cavaliere - , e che lui avrebbe avuto un giorno di libertà. Reenan aveva protestato, viste le precedenti altre giornate di libertà che Murtagh gli aveva concesso, in corrispondenza del matrimonio di Orrin e del festeggiamento del suo compleanno, ma questo era stato irremovibile.
Avevano tuttavia rotto il digiuno della notte tutti insieme, come sempre, e Derrel si era spostato in un angolo a lustrarsi gli stivali diligentemente, come il Cavaliere gli chiedeva sempre di fare per essere presentabile in ogni momento.
“Mia regina, avrei una proposta.” , proruppe a un tratto il giovane dai capelli corvini, alzando il capo dalla sua bevanda calda.
La giovane fece un’espressione sorpresa, poggiando il suo decotto contro la nausea che quella mattina le contorceva leggermente le viscere.
“Illustramela pure.”
“Abbiamo recentemente saputo di altri atti di scherno alla corona. Sono stanco di non reagire e fingere che tutto sia saldo. La situazione potrebbe sfuggirci di mano se non agiamo.”
Reenan annuì. “Ho parlato, con il permesso del mio maestro, con alcuni miei compagni d’armi e sospetto che l’esercito sia in parte stato utilizzato per compiere tali atti.”
La giovane regina alzò le spalle. “Me lo ero immaginata. Anzi, sarebbe stato strano pensare che abbiano impiegato solamente mercenari, dato che avremmo potuto rintracciarli e pagarli perché parlassero e passassero dalla nostra parte.”
Mescolò con il cucchiaio la bevanda, senza emettere tintinnii. Poi lo estrasse e lo posò sul piattino. “Il problema è individuare chi ci sia a capo. Nonostante tutti gli sforzi, non abbiamo null’altro che sospetti e ipotesi.”
Chiese che venisse sparecchiata la tavola per meglio discutere della questione.
Quando i servitori furono usciti, si schiarì la voce e si protese sulla superficie lignea ricoperta di una lastra di vetro, poggiando i gomiti e il mento sui dorsi delle mani.
“Sicuramente ci sarà qualcuno tra i generali che appoggia la ribellione, ma sono certa che la ribellione stia partendo dalla nobiltà. Sono loro d’altronde, ad amministrare l’esercito localmente in mio nome. Così è estremamente poi incolparmi di uccidere ingiustamente i miei sudditi.”
Murtagh annuì. “È proprio in quest’opzione che si va a inserire la mia idea.”
La moglie spostò le iridi su di lui, felinamente. “Ti sto a sentire.”
“Ho pensato di istituire nuovamente ciò che un tempo era la normalità tra la nobiltà, ma che Galbatorix ha fatto cadere in disuso, per via dello scarso valore che dava a tali riunioni.”
La giovane voltò il capo, il sopracciglio alzato, segno che non sapeva di cosa si trattasse.
“È stato mio nonno a raccontarmelo. Suo padre e i loro padri prima avevano dei momenti di svago in cui la nobiltà s’incontrava.” , cercò di spiegare trovando le parole giuste.
“Abbiamo già numerosi eventi in cui tutti i nobili di Alagaesia si ritrovano qui a corte.”
“Già, ma per tenere sott’occhio la nobiltà i miei antenati separavano i mariti dalle loro sagge e protettive mogli, e organizzava delle attività ludiche per soli uomini e per sole donne. Ovviamente so che sei molto occupata, quindi non potrei mai chiederti di incontrarti con le lady per trascorrere ore e ore in discorsi frivoli. Dunque propongo di istituire il Gruppo esclusivo di ricreazione dei lord d’Alagaesia, in cui io mi impegnerò a monitorare movimenti sospetti tra i lord.”
Lei emise un sospiro lunghissimo. “Ti apprezza solamente la nobiltà che un tempo era fedele a Galbatorix, e nemmeno tutti per giunta. Chi credi che accetterà?”
Aprì gli occhi, guardandolo supplicante. “Non metterti in ridicolo! Nel tuo sangue scorre nobiltà antica, tuo figlio è il futuro re d’Alagaesia e non abbiamo ancora stabilizzato la sua figura, specialmente la questione che anche se la regina non è un Cavaliere, questi le ronzano intorno come mosche. Uno di loro, un giorno, mi succederà!"
Il marito scacciò le sue parole con una mano. “Sei stata aiutata a sconfiggere Galbatorix e a liberare i popoli d’Alagaesia grazie a un Cavaliere! Gli elfi hanno una regina che è un Cavaliere… è inevitabile che il nostro posto stia accanto ai regnanti, perché il nostro compito è supportare la pace.”
Reenan annuì d’accordo.
“A ogni modo, ti dimostrerò che la mia idea è sensata.” , disse il moro strisciando la sedia sul pavimento per alzarsi in piedi.
Murtagh avvicinò il suo protetto, proponendogli di prendere parte alla sua idea.
Con occhi brillanti, il bambino accettò.
Guardò per un istante dispiaciuto Reenan, che gli scosse il capo comprensivo.
Tornò dalla moglie, mentre ancora il bambino gioiva tra sé dell’attenzione del Cavaliere. “Visto? Ho già qualcuno a supportarmi.”
“Ti ricordo che lord Derrel è il figlio di un nemico della corona.” , disse iniziando a irritarsi, alzandosi in piedi per uscire dalla stanza.
“Appunto. Se suo padre o suo nonno avevano dei complici, saranno spinti a voler trovare un momento per avvicinarlo, magari pensando di poterlo usare come pedina contro di noi.” , le parlò alle spalle.
Nasuada strinse i denti, voltando solo il capo. “Se dovesse succedere? Lord Derrel vive in appartamenti non lontani dai nostri!”
Murtagh seguì e raggiunse la moglie, poi si poggiò al muro con l’anca di fronte a lei per bloccarle il passaggio, incrociando le braccia e piegando il capo di lato. “Non permetterò che accada.” , la rassicurò, “Sarà un’occasione ricreativa, in cui lascerò tutti abbassare la guardia, tranne il sottoscritto.”
La moglie scosse la testa. “Non posso fidarmi delle parole di un uomo, soprattutto quando promette di rimanere vigile accanto ad alcol, giochi d’azzardo e - immagino -  qualche puttana.”
“Sei gelosa?”
Nasuada lo guardò allibita. “Non credo di dover essere gelosa delle attenzioni di una donna che ha interesse in un uomo solo per denaro.”
“La maggior parte delle lady mogli dei lord cercano il miglior partito proprio per denaro.”
La moglie alzò una mano per schiaffeggiarlo, poi si fermò. “Credi che sia semplice essere una donna?! Dici che la libertà sia il tuo unico desiderio: immagina ora di non poter nemmeno possedere del denaro! Di appartenere a un uomo, secondo le leggi di questo posto infame!”
Murtagh si avvicinò ancor di più, fino a torreggiare su di lei. “Non ho mai insinuato questo. So benissimo la vita a cui la maggior parte di voi è costretta.” , le rispose con calma, prendendole il volto tra le mani.
Nasuada piegò leggermente le spalle in avanti, volendosi sciogliere al suo tocco. “Mi hai fatto ricordare di dover inasprire la mia richiesta per cambiare le leggi a favore delle lady e le donne di tutta Alagaesia.”
Murtagh le sorrise con calore. “Perfetto: entrambi lavoreremo parallelamente a risolvere due gravi problemi del nostro popolo.”
La regina annuì, poi inasprì lo sguardo, puntando un dito al petto del marito. “Lo hai detto tu stesso: non abbassare la guardia.”
“Te lo prometto. E ti prometto anche che non ci saranno signore nel nostro gruppo. I lord avranno tutto il tempo di intrattenersi con loro prima o dopo i nostri incontri.”
Un sopracciglio scuro si alzò sulla fronte color ebano. “Vedremo per quanto riuscirai a mantenere la tua parola.” , commentò con durezza, “Dove hai intenzione di tenere i vostri incontri?”
“Qui al castello, sfruttando i momenti in cui le visite del resto dei nobili sono più numerose.”
La moglie giunse le mani, spostandosi verso uno scrittoio, da cui prese una penna e una pergamena. Li poggiò sul petto del giovane. “Dovrai fare richiesta ufficiale. L’attendo più tardi sul tavolo del mio Consiglio.”
La mascella del Cavaliere cadde verso il basso. “Sei davvero così arrabbiata con me?”
La giovane scosse il capo. “Noi lady possiamo unirci in quanti gruppi esclusivi vogliamo, non è dunque che tu voglia fare lo stesso a lasciarmi contrariata.”
“E allora cosa?”
“Che tu abbia un’ottima idea, eppure decida di non salvaguardare la sicurezza della tua famiglia.”
“Credi che sia un’ottima idea?” , gongolò lui.
Lei dovette annuire, poi sfogò la frustrazione con un ruggito. Ogni tanto il marito usciva dal suo stato di apatia non per essere affettuoso o amorevole con lei, quanto sembrava voler fare di tutto per infastidirla. “Ultimamente hai avuto solamente ottime idee, Murtagh.”
Lui la fissò intensamente. “Hanno abboccato al nostro comportamento da qualche tempo?”
La moglie sospirò. “Un guaritore ha fatto l’errore di non confermare né negare che possa nascere un secondo erede di Alagaesia.”
Murtagh alzò le sopracciglia. “Aspetta… Non ha negato? Vuoi dire che ci possa essere una probabilità che tu sia…?”
“Hai paura a dirlo?”
“No, no! Mi chiedo solo come sia possibile…”
La regina emise un unico colpo secco di risata. “Come sia possibile? A questo punto dipende tutto solamente dai tuoi lombi.”
“E dalla possibilità che tu possa non poter più generare dopo quanto successo durante il parto di Finiarel…”
Gli occhi di Nasuada divennero pozzi di sconforto. Il marito lo notò, prendendola subito tra le braccia. “Non avrei dovuto dire una cosa tanto crudele, perdonami.”
Lei si staccò con freddezza. “Non importa. Capisco da dove provengano le tue parole.”
Lui le circondò una guancia con la mano. “Non fare così… Sono desolato, davvero! Mi dispiace averti ferita, ma non devi pensare che per me risulti un problema se dovessi risultare sterile.”
Lei aprì la bocca per dire altro, ma si bloccò, mangiandosi le parole. Deglutì e si ricompose.
“Nas, dimmi quello che ti salta in mente, te ne prego!”
Lei scosse il capo, con un sorriso falso. “Devo andare, si è fatto tardi.”
Gli posò un bacio sulla guancia, più frettoloso del solito, e uscì dalla stanza.
Murtagh rimase imbambolato a fissare il corridoio, in collera con sé stesso.
Reenan si avvicinò lentamente, poggiandogli una mano sulla spalla massiccia.
“Sai, sei il mio maestro per quanto riguarda il mondo dei Cavalieri, ma prima mentre ascoltavo il battibecco con tua moglie non ho potuto che realizzare quanto tu sia appena un uomo.”
Murtagh si voltò per squadrarlo oscuramente. “Il mio matrimonio è solamente affar mio.”
“Certamente, ma lascia che un uomo che ha passato già una decade con la propria consorte ti dia qualche consiglio.”
Il moro sospirò. “Quale sarebbe il tuo consiglio? Stiamo a sentire…”
“Se non vuoi ferire tua moglie, specialmente quando è visibilmente in stato alterato, dovrai imparare a ragionare nella tua mente e non a voce alta, o a vagliare bene le tue risposte.”
“Questo già lo so.”
“Ah sì? Non mi è parso allora che tu l’abbia messo in pratica, prima.”
“Ho sbagliato!”
“E hai ferito tua moglie, su una materia piuttosto delicata per loro.”
Il moro sbuffò. “Lei crede che io non sia intenzionato ad avere altri figli.”
Il fulvo si schieri la gola, imbarazzato. “Dipende forse da cosa le hai dimostrato in camera da letto…”
Murtagh alzò il mento con orgoglio. “Ho fatto il mio dovere per soddisfare mia moglie.”
“E le richieste dei suoi Consiglieri? Ho udito, da quando sono qui, già numerose volte richieste di un secondo erede.”
Il più giovane si grattò il naso con il dorso della mano, sentendo tutto il corpo iniziare a prudere come ogni tanto gli capitava. “Ho fatto il mio dovere anche per accontentare loro, anche se non da subito… Ho paura per l’incolumità di Nasuada.”
“Forse lei ha percepito la tua paura come rifiuto di diventare padre.”
“Certamente! E vorrei che continuasse a essere così, in tal modo non si aspetterà da me altri figli e non dovrà partorirli.”
Reenan si morse il labbro, ragionando sul pensiero dell’altro. “Eppure mi hai detto prima di non essere più stato cauto, ultimamente.”
Murtagh scosse la testa. “È che lei… ha un effetto diverso su di me rispetto a tutte le altre donne o lady che ho portato nel mio letto.”
“Credo che tu una famiglia con lei la desideri ardentemente.”
“Non voglio vederla soffrire per colpa mia…”
Reenan l’abbracciò all’improvviso. “Ascoltami: continuare a fingere con lei, o lasciarla con i suoi dubbi non le eviterà di soffrire. Anzi, soffrirà giorno per giorno, quando in qualche ora partorirebbe un altro figlio. Non le stai facendo un favore, tenendoti tutto dentro.”
Murtagh annuì, sfregando i due capi assieme. Reenan si staccò allora da lui, tenendo i palmi sulle spalle del più giovane e guardandolo fisso negli occhi chiari. “Cerca ora di trovare un modo per tirarle su il morale.”
“Ho altro da fare, devo intercettare i lord che sono ancora qui dal matrimonio di Orrin e invitarli.”
Il fulvo aggrottò le sopracciglia. “Avrai tempo per farlo anche se accontenterai tua moglie. Anzi, ti aiuterò io a spargere la voce, di sicuro l’invito di un Cavaliere sarà gradito, anche se non sono un lord.”
Il giovane annuì. “Ti ringrazio.”
Reenan spostò una mano sulla nuca di Murtagh, tirandolo a sé e unendo le loro fronti. “Questo e altro per te. Hai svoltato la mia vita per far divenire realtà il mio sogno, anche se ho perso la mia famiglia.”
“Mi dispiace ancora, per quello.”
Si separarono, il fulvo alzando le spalle. “Ti sto conoscendo a fondo e scoprendo quanto preziosa sia la tua persona. Vorrei poterti aiutare, anche con qualche piccolo gesto, a far sì che anche i tuoi sogni siano più vicini ad avverarsi.”

 

Trascorse il resto della mattinata a scrivere il programma del suo club da presentare al Consiglio e istruire Reenan su come attrarre i lord e farli aderire al suo progetto, dopo di che si ritirò per pranzo nel suo studio, per cercare di capire come far ritornare il buonumore alla meravigliosa regina.
Un regalo? , si domandò.
Castigo gli inviò una sensazione contrastata. Non le hai donato nulla nemmeno per aver partorito il tuo primo e unico figlio…
Non sapevo dell’evento! Non è che io potessi andare in giro con uno smeraldo della dimensione adatta a una regina in tasca, a Mrest! , si giustificò sulla difensiva, E non è che non le abbia mai donato nulla!
Castigo sbuffò. A ogni modo, un regalo dopo aver litigato risulterebbe davvero un gesto ruffiano.
Hai ragione.
Prese a strapparsi le piccole porzioni di pelle attorno alle unghie.
Il fuoco stava morendo, si accorse. Allora, al posto di ravvivarlo con la magia, si alzò e prese un lungo ferro leggermente ricurvo in fondo, spostando le braci. Eseguì il movimento ritmicamente, come quando aveva utilizzato la falce - seppur per una manciata di mesi - nel villaggio ai piedi della Dorsale in cui si era rifugiato.
Pensò e ripensò, ma fu quando il ferro colpì la pietra del caminetto, ricoperta di due ali di metallo, che ebbe un’idea. Fu più un ricordo, ma che poteva fornirgli un dono come veicolo della persuasione ad abbandonare il conflitto.
Corse fuori dal castello, facendo tappa nella stanza del tesoro, dove custodiva alcuni suoi preziosi personali, fino alla bottega dei suoi due unici amici - forse Reenan avrebbe potuto essere aggiunto alla lista, presto - .
Il primo dei gemelli era piegato su una fornace, intento a forgiare esattamente ciò di cui aveva bisogno.
“Dove sono i migliori fabbri della città?” , li chiamò con tono allegro.
Albriech si tirò dritto, guardando in controluce con occhi ridotti a fessure chi vi fosse sul suo uscio. Quando riconobbe il Cavaliere, un gran sorriso gli illuminò il volto chiaro anche se arrossato dal calore. “Murtagh, qual buon vento ti porta qui?”
“Sono venuto a sapere quanti piccoli sono in opera con le vostre mogli.”
Il giovane si grattò la nuca imbarazzato. “Eh, ci stiamo lavorando, ma sembra essere un compio più arduo del previsto. Non possiamo essere tutti come te, Cavaliere, che ci sei riuscito letteralmente al primo tentativo.”
Murtagh si avvicinò per dargli una pacca su una spalla, per poi stringerlo a sé. “Vedrai, in men che non si dica, avrete la casa piena di bambini, che faranno così tanto baccano da sovrastare quello delle fornaci e delle incudini.”
L’altro fece una smorfia sarcastica. “Essere padre significa non avere più un buon udito? Il principe è così loquace?”
Murtagh si adombrò un istante. “Sai com’è lui… è nato prematuro, ha iniziato a parlare da qualche giorno solamente.”
Albriech gli strinse la spalla tra le dita. “È il mio turno consolarti: vedrai che crescerà per diventare forte come te. Un giorno ti dimenticherai di quanto fosse uno scricciolo alla sua nascita... magari diventerà anche alto come te.”
Il più vecchio si morse un labbro. “Gli auguro di no, o dovrà farsi fare i letti su misura.”
Risero assieme, poi il fabbro gli domandò come potesse aiutarlo.
Murtagh gli mise in mano le pietre più grandi che aveva ereditato dal padre, ricaricate di energia. “Vorrei realizzarci una spada, per mia moglie.”
“Una spada per una donna, eh?” , chiamò il gemello, “Dobbiamo realizzare una spada per la nostra regina - ci credi? - . Faremo in modo che non abbia più bisogno di te o delle sue guardie.”
“No, beh, lasciatemi ancora qualche utilità.” , protestò scherzosamente Murtagh, mostrando i palmi sulla difensiva.
Baldor gli lanciò un’occhiata pregna. “Le servi ancora in camera da letto, a meno che tu non voglia riprodurre anche i tuoi gioielli di famiglia in duro ferro.”
“No, no…”
“D’accordo. Per quando ti serve?” , cambiò discorso l’altro.
“Diciamo… tra un paio d’ore?”
I due fabbri si guardarono allibiti. “Stai sfruttando la nostra bontà e l’amicizia che intercorre tra noi, Murtagh! La prossima volta vedi di giungere qui con anticipo!” , lo strigliò il maggiore.
Il Cavaliere alzò le spalle, poi uscì fingendo di scappare da un attacco dei due gemelli che non arrivò mai.
Andò a cercare Maeve, che sapeva non doversi occupare del principe in quel momento.
La trovò che stava piegando con ammirazione e cura i suoi abiti.
“Chissà perché ti trovo sempre in mezzo alle mie cose, Maeve.”
Lei si voltò lentamente, con l’espressione stranamente dura. “Mio signore, non sto facendo nulla di male. Anzi, occuparmi della vostra famiglia è mio dovere. E dunque anche assicurarmi che i vostri abiti siano riposti squisitamente, per non sgualcirne la fattura.”
Il giovane le andò vicino, più mesto - come un bambino ripreso dalla propria madre - . “Ti chiedo perdono.”
Lei alzò le spalle. “Ho sempre servito uomini, lord Murtagh, ma credevo voi foste diverso.”
“Io sono diverso!” , si difese con tono leggermente acuto.
La donna lo superò, un sopracciglio alzato sulla fronte. “Sarà… Io mi occupo di voi perché vi ho a cuore come se fossi vostra madre.”
Il giovane uomo sospirò. “Non so se mia madre mi avrebbe riverito come tu fai.”
Lei fece una smorfia sarcastica. “Sono stupita che non abbiate detto ‘servito’”.
Murtagh rifletté tra sé un istante. “Non sarebbe stata tenuta a servirmi. Lei era una nobildonna, seppur di nomina.”
“Avrebbe comunque continuato ad aiutarvi con i lavori manuali che le sarebbero stati permessi di svolgere, allora. Non voglio offendere voi o lei, ma credo che una persona di umile estrazione non perda mai certe abitudini.”
Lui annuì, avanzando a prenderle la mano. “Non mi hai offeso, né mia madre. In più non la ricordo nemmeno, dunque mi è difficile sapere cosa l’avrebbe scalfita.” , sospirò colto da un pensiero, “Talvolta usi con me toni più confidenziali e altri ufficiali, vorrei che potessi arrivare a termini con il tuo cuore e decidere se essere più o meno vicina a me, senza che io ti ordini come appellarti a me.”
La donna addolcì lo sguardo. “Vedo in voi mio figlio, perciò mi è difficile non sbagliare a utilizzare la lingua. Però a volte devo ricordarmi che non è bene troppa vicinanza tra noi…”
“Capisco.” , disse con tono distaccato per nascondere i suoi sentimenti contrastanti. Voleva avere anche lui, in un angolo recondito del suo cuore, una figura materna come era divenuta Farica per Nasuada. Eppure, un altro lato di lui ancora non si fidava di Maeve, o non si sarebbe mai fidato appieno come invece si fidava della sua collega più anziana.
“Siete giunto qui per chiedermi qualcosa?” , gli ricordò lei.
Lui si riscosse, annuendo. “Volevo che venissi con me a scegliere il tessuto per completare un regalo per mia moglie, ma in base a quanto hai detto prima non sono più sicuro di voler sfruttare l’attaccamento materno che provi per me.”
Maeve, stranamente, s’illuminò. “Questo posso farlo! Servirà qualcuno con un po’ di gusto femminile, no?” , rispose caldamente. Protese il gomito perché glielo prendesse.
Si recarono nella bottega del sarto dove si erano incontrati e trascorsero il tempo che aveva indicato ai due fabbri a comporre una meravigliosa scatola per contenere l’arma. Maeve si era dimostrata possiede ottimo gusto in materia di stoffe, addirittura sofisticato per il suo rango.
“So che siamo qui per vostra moglie, ma questo tessuto sarebbe perfetto su di voi!” , disse mostrandogli una stoffa azzurra dai motivi argentati.
Lui arrossì. “Dici?”
“Sì, fossi in voi mi farei fare la più bella camicia che i lord d’Alagaesia abbiano mai visto.”
Lui cedette, acquistando anche la stoffa per sé.
“Hai visto qualcosa che potrebbe piacerti? Presto ci sarà un evento a corte, potrei farti realizzare un abito più sfarzoso di quelli che vesti solitamente.”
Lei scosse il capo. “Non vorrei che a corte si iniziasse a vociferare che il marito della regina faccia dei regali a una serva, per giunta anziana.”
“Non abbiamo mai dato modo di pensare che tu sia la mia amante.”
“Allora continueremo a non dare alle comari di che parlare.”
Quando ebbero finito, chiamò una guardia perché la scortasse nuovamente al castello.
“Ti ringrazio, il tuo aiuto è stato prezioso.”
Lei fece un sorriso caloroso. “Ringrazio io voi, è stato come andare a comprare un dono per mia nuova, se avessi avuto ancora i miei figli, e fossero arrivati a sposarsi.”

 

Si fece annunciare dalle guardie, che lo lasciarono entrare senza attendere il permesso della regina. Marito e moglie si guardarono a lungo, lui speranzoso e lei decisa e accigliata.
Gli andò incontro, emettendo rumore ritmico con i tacchi sul pavimento di pietra, camminando dritta e regalmente come solo lei sapeva fare.
Con il volto che non lasciava trapelare nessuna emozione, gli riconsegnò la pergamena che aveva redatto. “Il tuo club è stato approvato dal Consiglio.” , lo informò per poi ammonirlo: “Ma non voglio che l’ordine del mio castello venga minato.”
“Certo, te lo prometto!” , le rispose preso in contropiede. Cercò di prenderle la mano, assieme alla pergamena, e quando ci riuscì Nasuada alzò un sopracciglio.
“Che stai facendo?” , gli domandò stoica come sempre.
“Vieni con me, ti ho portato una cosa.” , la supplicò.
Nasuada sospirò, poi annuì nonostante i sentimenti che visibilmente combattevano in lei.
Si lasciò però guidare fino alla saletta con i divani attigua alla sala del trono, in cui Murtagh aveva posizionato al centro il suo regalo.
La lasciò per sistemarsi dietro il baule che poteva contenere un violino, o una spada. Conoscendo il marito, Nasuada indovinò cosa vi fosse all’interno.
Il coperchio si aprì, mostrando una vera e propria opera d’arte della forgiatura.
“Ho già tante armi, inclusa una daga che apparteneva a mio padre, uno dei coltelli usati nella Prova dei Lunghi Coltelli, un pugnale che mi hai donato tu stesso…” , commentò lei neutra.
“Vero, ma questa è una vera e propria spada. Ricordo un’indomita principessa che si era rifiutata di scappare con donne e bambini per difendere il proprio padre e il proprio popolo tra gli arcieri.” , le raccontò con affetto, “Quella stessa ha sempre avuto armi considerate adatte alla protezione di una signora.”
Lei annuì mordendosi il labbro. “Anche in battaglia, Ho sempre impugnato archi, daghe o spade rubate a qualcuno. Non ho mai avuto la mia personalissima spada, che non fosse simbolica e senza taglio.”
Lui le fece cenno verso l’oggetto con un sorrisetto sornione. “Con questo non potrai più lamentarti di dover sempre chiedere al tuo Cavaliere di difenderti…”
La regina osservò la scritta incisa con la magia dal Cavaliere, poco prima di consegnarle il dono:
Per sempre la tua spada per proteggere la nostra famiglia.
Sorrise, poi la levò dalla scatola, soppesandola. “Penso di riuscire a impugnarla. È più di un anno che non impugno una spada, ma credo di saperlo ancora fare.”
“Sicuramente, ho visto la tua pericolosità con un solo cucchiaio, perciò temo i colpi della tua spada.”
Lei sospirò. “Quando hanno attentato alla nostra vita, quella sera, ho avuto paura e mi sono immobilizzata.”
“Può capitare. Se vuoi potremmo lavorare sui tuoi riflessi, per farli tornare come quelli di una volta.”
Le dita scure si strinsero sull’impugnatura con decisione. “Anche meglio.”
Fissò il marito negli occhi con decisione.
“Ti aiuterò.”, le promise, “Beh, vogliamo provarla?”
Lei si posizionò in posizione d’attacco, lasciando che lui sfoderasse la lama rossa.
“Dimentico sempre che tu impugni la spada a sinistra. Rende meno facile il combattimento.”
Lui scrollò le spalle. “Uso la mano sinistra per qualsiasi cosa… E mi da un vantaggio con la spada, di sicuro.”
“Anche tuo padre era mancino?”
Lui si morse il labbro. “Non lo so… Ma non m’importa.”
Nasuada annuì riprendendo la sua posizione. “Diamo il via alle danze?”
Murtagh alzò una mano per bloccarla. “Prima di iniziare il duello, vorrei chiederti se volessi farmi l’onore di cenare con me, dopo la battaglia.”
Lo guardò lievemente confusa, mentre i ricordi del momento a cui il Cavaliere aveva fatto riferimento, ritornavano alla luce. Quando furono chiari, lei spalancò occhi e bocca. “Avevi accettato!” , mormorò poi tra sé arrossendo.
“Pensi che avrei mai rifiutato?”
“Dipende: ti riferisci all’invito proveniente dalla figlia di Ajihad o quello di Nasuada?”
“Al tuo, Nas, ovviamente.”
Lei scoppiò a ridere di gusto, sinceramente colpita dal ricordo. “Non abbiamo mai avuto l’onore di cenare assieme quella volta.” , ragionò, “La volta dopo che abbiamo cenato assieme, eravamo già marito e moglie, con un figlio.”
“Abbiamo bruciato le tappe. Avevi intenzione di corteggiarmi, all’epoca, lady Nasuada?”
Lei alzò le spalle. “Avevo un interesse genuino per te, perciò immagino che lo avrei fatto. Avrei infranto i ruoli di genere anche quella volta. Speravo di fare di te mio marito, per dimostrare al resto dei Varden che se io mi fidavo abbastanza da prenderti in camera da letto, allora anche loro potevano fidarsi. Penso ora che la fine sia stata sempre la stessa, anche se con un percorso diverso.”
Lui abbandonò le braccia lungo i fianchi, lasciando che la punta della spada sfiorasse il pavimento. “Mi avevi sconfitto, quella volta nella mia cella, rischio di fare una pessima figura di nuovo con un’avversaria così.”
Lei addolcì lo sguardo, avvicinandosi a lui. Poggiò la lama sul cuscino su cui era giunta, poi prendendo la mano sinistra del marito e guidandola in alto, in modo da far corrispondere la punta rossa di Zar’Roc con il suo fodero.
Lentamente, la lama trovò il fondo, fermando la sua corsa. “Abbiamo deposto le armi da poco, Murt. Non voglio più che ci siano scontri tra noi, perché non siamo più nemici di due fazioni opposte.”
Lui annuì, piegandosi a baciarla. La giovane non si scostò, segno che aveva davvero perso ogni residuo di arrabbiatura.
“Quindi cenerai con me?” , le chiese sollevato, una volta che si furono separati.
Lei si morse il labbro. “Questa sera stessa terrai il primo incontro del tuo gruppo, non credo sia una buona idea mancare.”
Lui si adombrò. “Hai ragione… come sempre.” , rispose arrabbiato con sé stesso.
Gli posò un altro bacio, delicato e guaritore. “Domani sera, e tutte le sere che verranno, sarò lieta di accettare la tua cena.”
“Penserò a cosa farti preparare.”
Lei sorrise alzando il mento per fissarlo negli occhi, giocosa. “Io so cosa ti avrei fatto trovare, quella volta.”
“Qualcosa di prelibato di sicuro.”
Lei alzò le spalle. “O qualcosa di disgustoso… ora conosco i tuoi gusti, per fortuna.”
Murtagh s’illuminò. “Anche io i tuoi.”
“Molto bene. Ora va’ a prepararti.” , lo invitò sistemandogli i pochi gioielli che aveva sul corpo, “Dovrai spiccare più di qualsiasi altro lord in quanto marito della regina e primo possessore di club per soli uomini. Ci sarà anche Orrin, e so che tenterà di sopraffarti nello sfarzo.”
“M’abbiglierò come se dovessi sedurre te, mia regina.” , le rispose mellifluamente.
Lei arrossì e non rispose, mettendosi la mano invece sulle labbra, come a voler nascondere un pensiero scabroso.

 

Il bambino e il Cavaliere si guardarono allusivamente, dopo il lungo tempo che avevano trascorso in silenzio a fingere di avere pensieri per la testa con cui occupare il tempo, altri che l’assenza di tutti gli invitati.
Derrel abbassò il capo, sospirando. “Non credo che nessuno verrà mai, finché sarò presente io.”
Murtagh gli posò una mano sulla spalla, piegandosi per guardarlo negli occhi. “Sei il primo membro del mio ‘Gruppo esclusivo di ricreazione dei lord d’Alagaesia’, se non ci fossi tu, sarei stato solo come un cane.”
Rimasero in silenzio per qualche momento, finché Murtagh non prese a misurare il salone a falcate. Stanco persino di camminare, si andò a riposare vicino al caminetto.
Qualcuno bussò alla porta, allora Murtagh e Derrel scattarono in piedi. Il Cavaliere andò ad aprire, trovandosi un nugolo di servitori pieni di bevande e vassoi di cibi di rinfresco tra le mani. “Oh, credo non ci sia bisogno di tutto ciò. Non siamo in molti, basterà un vassoio e una brocca di vino.” , pronunciò dispiaciuto.
Il primo servitore in fila sbatté le palpebre confuso. “È la regina a mandare tutto quanto. Dice che arriveranno altri ospiti, Cavaliere.”
“No, la sua previsione - e la mia - si sono rivelate errate.”
Prese dalle mani dell’uomo col cappello il vassoio, poggiandolo da sé su un tavolo. Derrel lo imitò con una caraffa di vino.
“Milord?” , lo chiamò una donna.
“Sì?”
“Che cosa ne dobbiamo fare di tutto questo cibo, dunque?” , chiese con leggero rimprovero nel tono. Il giovane sospirò e si scostò dalla porta. “Apparecchiate pure come ordinatovi dalla regina.”
Velocemente, lo superarono e montarono cavalletti su cui poggiarono i vassoi lungo i muri e tra i tavoli, le bevande su di questi ultimi.
Rapidi come erano giunti, s’inchinarono e abbandonarono i due lord a loro stessi.
Murtagh prese un grappolo d’uva, sprofondando su una poltrona, accanto a dove era seduto Derrel.
Il bambino lo guardò. “Lord Murtagh, posso chiedere una cosa?”
“Un’altra?”
L’altro ridacchiò. “Che cosa si fa in un gruppo esclusivo di ricreazione?” , chiese con curiosità.
“Si parla di cose da uomini, si gioca a dadi, si scrivono poesie per le proprie mogli.”
“Io non sono ancora un uomo.”
“Ma rappresenti la tua casata, perciò non preoccuparti di non appartenere qui. Io ho piacere della tua presenza.” , gli disse suadente.
Un brusio li interruppe.
Il Cavaliere si alzò, avvicinandosi alla porta nuovamente, tendendo l’orecchio.
Le voci si avvicinavano progressivamente, perciò Murtagh si decise ad aprire, trovandosi molti lord camminare verso il salone, intenti in conversazioni gioviali e grasse risate. Un buon segno. Orrin era in prima fila, e fu il primo ad alzare gli occhi chiari sul lord di Dras-Leona.
“Lord Murtagh, abbiamo incontrato vostra moglie e ci ha informati che abbiate deciso di intraprendere la strada di un nuovo progetto molto ambizioso.”
Murtagh, dopo un primo istante in cui rimase interdetto, annuì. “Vorreste unirvi al primo Gruppo esclusivo di ricreazione dei lord d’Alagaesia?”
Il Protettore fece una finta pernacchia con le labbra. “Sono già stanco della lady mia moglie, non mi permette un attimo di rimanere solo. Farei di tutto pur di avere un valido motivo per non averla sempre attorno!”
“È un gruppo di soli uomini.” , confermò il Cavaliere, affabile. Si fece di lato, lasciando che i lord entrassero nel salone.
Stava quasi per chiudere la porta che notò una figura emergere dalla curva del corridoio di fronte.
Nasuada gli sorrise velocemente e Murtagh ricambiò lusingato della sua intercessione.
Si salutarono con un cenno della mano, poi il moro chiuse la porta, tornando dai propri ospiti.

 

La serata fu piacevole, goliardica a tratti. Vide i lord di ogni rango urlarsi dietro a dadi, ridere assieme a battute d’umorismo scontato, e altri confabulare velocemente - sfruttando i momenti d’ilarità altrui, pensando di non essere visti dal Cavaliere rosso, che fingeva di essere abbastanza alticcio per non essere considerato un pericolo - . Soddisfatto, riaccompagnò Derrel nei suoi appartamenti, dopo averlo risvegliato da che si era addormentato su un divano imbottito, e si diresse verso la sua camera da letto. Trovò Nasuada nel talamo nuziale, vestita solamente di una sottoveste in seta sotto le lenzuola del medesimo materiale, intenta a nutrire il figlio al seno.
“Non dire a Umérth che mi hai vista allattare Finiarel, al vostro prossimo incontro.” , gli sussurrò senza alzare gli occhi dal proprio pargolo.
“Come sai che alla fine si sono uniti anche loro?”
“È stato Jormundur a dirmelo.”
“Lui non si è unito.”
“Gliel’ho vietato io: avrebbe impedito la buona riuscita del tuo piano. Tutti sanno che sia il padre adottivo della regina.”
Murtagh annuì, iniziando a svestirsi. Quando ebbe finito, anche di lavarsi il torso nel catino nella stanza, si andò a sdraiare accanto alla giovane. Le posò un bacio sotto il mento dal basso, che lei gli lasciò darle.
“Ti volevo ringraziare per avermi portato i nobili.” , proruppe lui.
“Non devi farlo.” , gli rispose con calore. Tutto il nervosismo della mattina sembrava essere svanito.
“Devo, perché grazie a te ho già potuto vedere alcune manovre losche.”
“Ah si?”
Murtagh annuì, abbracciandole le spalle con affetto. “Non credo siano i burattinai delle rivolte, perché si trattava di lord davvero di poco rilievo, ma terrò d’occhio le loro mosse.”
“Posso metterti a disposizione degli uomini perché li seguano nei loro territori.”
“Ti ringrazio, magnanima regina.”
Riuscì a farla ridere. Staccò nel mentre il bambino dormiente dal suo seno, rivestendosi. Si alzò per affidarlo a Farica, allora Murtagh l’anticipò, aprendole la porta galantemente.
“Non saluti tuo figlio?” , chiese Nasuada con tono di sfida, “Il tuo unico erede?”
“Il tuo unico erede, essendo il principe.” , puntualizzò prima di piegarsi a posare un bacio al lattante.
Farica roteò gli occhi, attese qualche momento e li salutò, sparendo nel corridoio buio.
Nasuada si chiuse in un gesto fulmineo la porta a doppio battente dietro, guardando il marito con occhi giocosi. Murtagh capì che si fosse risvegliata la giovane leonessa in lei.
Si andò a sdraiare nuovamente a letto, a braccia aperte come se fosse immerso in acqua, gli occhi saldamente chiusi. “Vieni o no?” , la chiamò.
In punta di piedi, Nasuada si avvicinò al suo lato del letto, poi saltandogli addosso e stringendolo in un abbraccio. Prese ad annusargli il collo e il petto sonoramente.
“Nessun odore femminile estraneo.” , confermò soddisfatta.
Murtagh ridacchiò aprendo gli occhi e prendendole una ciocca di capelli tra le dita. “Non esiste donna che possa interessarmi, oltre a te.”
La giovane alzò il mento gongolante. “Sarà meglio per te così.”
La tirò a fianco a lui, stringendola tra le sue braccia, quella volta.
Giocarono come felini e si coccolarono a lungo, fino poi ad addormentarsi sereni.



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Angolino dell'autrice

Ciao a tutti, rieccomi! Sto cercando di essere più costante nella pubblicazione dei capitoli, perché siamo già a 40 e rotti, ma la storia è ancora lunga!
Fatemi sapere cosa ne pensate, se ci sono errori o momenti che non vi sono chiari.
Le recensioni mi sono sempre molto utili, o i vostri messaggi personali!

A presto!

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Capitolo 44
*** Cordoglio ***


Murtagh si svegliò quella mattina, percependo che la donna al suo fianco fosse tormentata.
Non era abituato a svegliarsi con qualcuno a fianco, in passato, e tantomeno a percepire come prima cosa il suo sconforto o il suo dolore.
Fece i suoi calcoli, scoprendo che quel giorno non era uno come altri.
Aprì gli occhi, trovando la giovane rannicchiata in posizione fetale con la schiena rivolta verso di lui. Si alzò a sedere, strisciando fino a toccarla. L’osservò dall’alto per cercare di capire cosa la tormentasse.
Il materasso era umido, forse di sudore o forse di lacrime, ma in quel momento Nasuada non stava piangendo. Batteva i denti, tremando ogni tanto e sospirando pesantemente.
Lei unì i pungi sul cuore, sempre in silenzio, gli occhi chiusi e il capo piegato in avanti, come se fosse in raccoglimento. Il giovane trovò la sua posizione così in contrasto con il carattere della giovane da non riuscire a prevedere cosa le stesse prendendo. Forse nausea, o del dolore fisico.
Le domandò se provasse male, e lei annuì, poi scosse il capo per correggersi.
“Cosa ti turba?”
Ricevette il silenzio in risposta. Non in modo rude o punitivo, ma visto quante volte la moglie aprì la bocca per parlare, poi deglutendo e basta, Murtagh capì che avesse un nodo in gola.
“Sei commossa?” , le domandò incerto.
Nasuada scosse il capo, facendo sparire le labbra carnose all’interno della bocca, per non lasciare altre lacrime entrarvi. Tirò su col naso, a un tratto, rompendo il silenzio a fatica: “Perché dovrei essere commossa?!”
“È l’anniversario della nascita di nostro figlio, del principe di Alagaesia.”
La regina sbiancò, guardando al bambino molto piccolo che era accoccolato al suo fianco, in mezzo alle sue braccia, proprio sotto i pugni della donna. Pensò a lungo a qualcosa, scuotendo il capo ritmicamente, come se stesse parlando tra sé, e le due parti fossero in disaccordo.
“A cosa stai pensando?” , la interruppe il marito, appoggiandole una mano sul fianco protettivamente. Nasuada continuò a fissare il vuoto.
“Alla morte.”
“Alla morte?!” , esclamò il Cavaliere, confuso e stupito.
“È la prima cosa che ho pensato questa mattina quando mi sono svegliata, ancora prima di gioire della vita del mio altro bambino, che oggi ha visto un’estate.” , pianse Nasuada stringendosi di più a lui, facendolo sciogliere di tristezza. Controllò che non stesse stringendo troppo il bambino e quando vide che nonostante il tremore e il dolore la donna avesse mantenuto comunque il suo tocco delicato, si sdraiò nuovamente accanto a lei, premendo il petto sulla sua schiena.
“Non sarà per sempre così, Amore mio.” , le promise accarezzandole i capelli.
“Come lo sai?” , gli chiese, alzando il volto per guardarlo negli occhi azzurro-ghiaccio, seppur torcendo il collo dolorosamente.
“Ho perso l’unica persona come un padre per me, durante la fuga da Uru’Baen, ricordi?”
Lei annuì. “Tornac?”
Le posò un bacio sulla fronte. “Allora mi ascolti quando parlo.”
“Sempre.”
“Bene, allora sta’ a sentire quello che ho da dirti: non starai per sempre sveglia la notte a singhiozzare fino a non riuscire a respirare*, non sentirai per sempre il nodo alla gola che ti perseguita ora, come se il cordoglio fosse una roccia che non può essere smossa, perché può esserlo!”
“Ma per ora è così, e fa così male! Anche respirare è qualcosa che devo ricordarmi di fare talvolta...”
Le accarezzò la guancia una sola, lunga volta. “È perfettamente normale, ma quelle ondate di dolore diventeranno meno violente, e più rade. Riuscirai a rimanere salda sui tuoi piedi mentre queste ti attraverseranno, senza sbatterti a terra come una conchiglia inerme. Riuscirai a dire il suo nome senza piangere, e sarai triste ma non distrutta.”
Oltre i loro corpi avvinghiati, Finiarel prese a borbottare, allungando una manina in alto, verso il volto della madre, perché ignorato. Nasuada allora lo tirò più su, appoggiandoselo nell’incavo del collo.
“Mm... aa... maaa”
“E sai quel’è la cosa più incredibile?” , continuò Murtagh, mettendo l’indice nel palmo del bambino, lasciando che questo lo stringesse nelle sue dita color mandorla, iniziando a spostargli il braccino su e giù nel seguire il suo movimento, e al contempo abbracciando la moglie. La regina lo guardò, senza riuscire a sorridere. Almeno, però, non singhiozzò mentre il figlio dimostrava di volerla chiamare.
Nasuada scosse il capo alla domanda del marito.
“Arriverai di nuovo a gioire dei raggiungimenti altrui, più che pensare solo a cosa tu hai perso. Ma per ora, non c’è modo di velocizzare il cordoglio.”
“È diverso per una madre... con mio padre è stato diverso.”
“Indubbiamente: è un’esperienza unica per tutti, perché ognuno affronta il dolore e lo gestisce in modo differente. Ma tra qualche anno potrai fare le mie stesse promesse a qualcuno, che come te non ci crederà. Solo allora, capirai le mie parole.”
“Chi aveva fatto a te questa promessa?” , gli chiese asciugandosi gli angoli degli occhi.
“La moglie di Tornac, quando mi sono recato a casa sua, proprio dopo essere uscito dalla città. Le dissi della morte del marito, piangendo tutta l’acqua che avevo in corpo, e mi stupii quando lei accettò il dolore molto più tranquillamente di me, e non solo per via dell’età. Lei abitava - forse ancora ci vive - in un villaggio appena fuori Uru’Baen, quando perse i suoi figli.”
“Perciò anche Tornac e quella donna sapevano cosa volesse dire il dolore di perdere un figlio?”
“Cecilla sì, mentre Tornac no, perché i ragazzi li aveva solo adottati, come era stato per me. Ma credo avesse comunque sofferto molto.”
“Accetterò la promessa di quella donna, allora.”
Murtagh si voltò sulla schiena, guardando il baldacchino sospirando. “Avremo mai, in questa famiglia, un compleanno che non coincida con brutti ricordi del festeggiato?” , sbuffò tra sé.
Nasuada si spostò una mano sulla bocca, riprendendo a piangere, quella volta silenziosamente.
“Mm... aa... maa?” , la chiamò Finiarel, preoccupato.
La regina rallentò il ritmo del pianto, guardando il suo cucciolo. Se lo portò più vicino al mento e quindi alle labbra, stringendolo forte - anche se, però, senza rischiare di nuocergli - . Gli posò le labbra calde e umide sulla fronte della tonalità media dei genitori.
“La tua mamma starà bene, ha solo bisogno di provare il dolore che per tanto, troppo tempo ha nascosto dentro.” , gli promise.
Murtagh le sistemò i capelli dietro l’orecchio. “È forte sì, ma poi è anche fragile…” , la lesse come un libro aperto.


Riuscirono a uscire dal letto, eventualmente.
La giornata trascorse tranquillamente, a parte i festeggiamenti che tennero Murtagh, Nasuada, Farica, Jormundur e Maeve per la cena in segreto, per gioire - chi ci riuscì - del dono di quella piccola vita che aveva svoltato quelle degli altri.
Murtagh osservò la moglie vagare tra i partecipanti della festicciola con il figlio tenuto eretto al fianco, un braccio che lo sorreggeva, e l’altro che lo cingeva costantemente per ripararlo, il volto non allegro come ci si sarebbe aspettato dalla madre di un bambino sano che superava il primo periodo più critico della sua vita. Ma almeno non era in lacrime. Osservò la sua figura sottile, che nessuno avrebbe detto avesse cresciuto e prodotto un bambino così sano e forte, la sua schiena ritta nonostante il peso del principe quando questo si gettava in avanti per afferrare gli oggetti o i cibi sulla tavola o sul mobilio. I suoi capelli erano lucenti come sempre e nell’acconciatura articolata sembravano serpenti vivi alla luce delle torce.
La maternità le donava, anche se quelle poche volte che si era permesso di immaginarsi il loro futuro, l’aveva visionata un filo più in carne, ancor più raggiante e contenta.
Per lo meno, era lieto di non averle sorbito l’effetto contrario.
Spostò lo sguardo sullo specchio che sovrastava un mobile, la cornice era dorata e decorata.
Si guardò negli occhi, fermandosi a studiare anche sé stesso. Aveva i capelli più in ordine che mai, le occhiaie erano pressoché invisibili - nonostante non avesse mai il privilegio di dormire mai tutta la notte - , il suo volto era pallido come sempre ma non dal colorito smorto, come se anche la sua pelle, come quella del bambino, si fosse mescolata leggermente con quella calda della giovane regina. Ma le sue iridi furono il dettaglio che più lo stupì: erano chiarissime come sempre, ma non più slavate e fredde come il ghiaccio. Erano brillanti, quasi come quelle di Castigo, che sembravano rubini.
Anche a lui la paternità aveva giovato, si rese conto. Glielo aveva già fatto notare numerose volte il suo Compagno, ma non aveva mai accettato che fosse realtà.
Sentì l’urgenza di avvicinarsi alla moglie, al figlio. Piegò il torso per baciarlo sulla testolina coperta di capelli morbidissimi, un toccasana per le sue labbra.
“Ti ringrazio, piccolo mio.” , sussurrò pressoché impercettibilmente, sorridendo.

 

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*N.d.A.: alcune frasi sono riprese da tweet di una donna, @clairemackint0sh, che ho ritenuto molto calzanti per questo capitolo, che tra l’altro hanno ispirato.

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Capitolo 45
*** Separarsi di nuovo ***


La porta dello studio si aprì piano e il Cavaliere rosso si affacciò nella stanza. “Disturbo?” , chiese cortesemente. La regina negò con la testa e con un gesto della mano lo fece entrare, invitandolo. Vide il ragazzo avanzare, per poi trovarsi di fronte a lei, con le mani intrecciate dietro la schiena in attesa di ordini. Finì di firmare un paio di pergamene, sentendo il suo emissario fremere dall’impazienza. “Murtagh, ti ascolto” , gli disse finalmente la regina alzando lo sguardo.

“Ritengo che Reenan abbia terminato l’addestramento con me. Ti chiedo il permesso di accompagnarlo da Eragon, se non hai altri piani per il tuo Cavaliere, mia regina.” , proclamò con tono ufficiale. Lei sospirò: era partito appena due mesi prima per un’altra Cerimonia delle Uova, e già era costretto a lasciarli nuovamente. Ma era necessario che tutti rispettino i propri doveri perché il regno andasse avanti, compreso suo marito. “Tu sei rappresentate in Alagaesia dell’Ordine dei Cavalieri, oltre ad Arya che ha il tuo stesso ruolo tra il suo popolo di elfi, e hai il compito di aiutare attivamente a ricostruirlo. Perciò se questo è quello che è necessario fare, sei libero di andare a portare il nostro primo nuovo Cavaliere da tuo fratello. Gli ho fatto preparare abiti adatti al suo ruolo da portare con se, come regalo da parte di tutto il regno, già da quando è arrivato. Dobbiamo svestirlo dei suoi panni da uomo comune e rivestirlo di splendore come un vero Cavaliere.”, gli pose la pergamena con l’ordine di abiti in seta, altri in lana lavorata di colore verde, pelle dello stesso colore e stivali nuovi. Lui la prese, annuendo con lo sguardo improvvisamente mesto. Nel vederlo così la regina scattò in piedi e si trovò dall’altra parte della scrivania così velocemente da dover aver corso probabilmente, a un palmo da lui. Il Cavaliere la guardò dall’alto dei sei piedi abbondanti negli occhi, con uno sguardo che la donna trovò estremamente intenso. Gli prese la mano libera senza smettere il contatto visivo. “Ti amo, Murtagh. Sai che non vorrei che tu andassi, non così presto.” , gli sussurrò sentendo le prime lacrime che non avrebbe lasciato però caderle dagli occhi. Lui si infilò la pergamena nella sacca attaccata alla cintura e con le mani libere circondò la vita della regina, piegandosi a baciarla con la stessa intensità di chi da l’ultimo bacio all’amata. Diventava sempre così, più avido, prima di partire, meno dolce e timido con i suoi baci di quando ritornava o sapeva di rimanere con lei per un periodo lungo.

“Lo so, anch’io. Non vorrei lasciarti - e nemmeno nostro figlio - ma devo. Cercherò di metterci il minor tempo possibile.”

La regina gli appoggiò le testa sul petto abbracciandolo, con un lunghissimo sospiro, che le produsse un rantolo quando arrivò in profondità nei suoi polmoni.

“Nasuada, tutto bene? Stai reagendo in modo molto più emozionale di quanto mi sarei aspettato… Qualcosa non va?” ,  le chiese accarezzandole i capelli dolcemente. Lei si gelò a quella domanda. “No, sono solo triste di doverti stare lontana ancora” , mormorò.

“Starò via un mese al massimo. Faccio tutto questo per poter stare con te il resto del tempo!”

Aveva ragione, sarebbe stato un viaggio breve: il neo Cavaliere Reenan era un uomo adulto, più vecchio di suo marito addirittura, e non sarebbe stato necessario perciò rimanere all’Accademia per il suo adattamento, eppure quella notizia era arrivata come un pugno allo stomaco. Voleva che rimanesse, che potesse sapere da lei in persona la grande notizia, non appena si avrebbe avuto la certezza di tale. Avrebbe voluto averlo accanto la notte perché potesse lavarle via i pensieri e le inquietudini come solo lui sapeva fare, ma avrebbe invece dormito sola - se mai fosse riuscita ad addormentarsi - nei giorni che aveva davanti.

Si staccò a forza da lui, consigliandogli di andare a ritirare gli abiti per Reenan per poterglieli dare prima della loro ultima cena al castello. Lui uscì lasciandole un bacio sulla fronte e una stretta allo stomaco.

Bussarono alla sua porta nuovamente, quella volta fu Farica a presentarsi da lei che con il suo solito fare di una donna laboriosa la prese per le spalle, staccandola a forza dalle pergamene quasi come Finiarel dai suoi giocattoli, portandola nelle sue stanze per una bella strigliata per la cena. Si lasciò andare nella vasca di acqua calda, sentendo le sue viscere rilassarsi finalmente.

“Come sei stata oggi?” , le chiese. Era la sua domestica da quando era arrivata, orfana di madre, nel Farthen Dur con suo padre, era stata per lei quanto più ci sia di simile ad una madre adottiva.

La regina scosse la testa: “Non molto bene, in più Murtagh partirà domattina di nuovo”.

La donna, ormai sulla cinquantina, le iniziò a massaggiare lo scalpo con le mani, per lavarle i capelli ma al contempo massaggiarla. “Non è il caso di dirglielo?” , suggerì esitante ma con tono materno. La regina sospirò. “Non ne sono sicura nemmeno io”

“Non ho mai avuto figli, ma non serve un gran maestro per capirlo. Soprattutto perché siete entrambi giovani e in salute.”

La regina sospirò, combattuta sul da farsi.

Finirono il bagno, Farica rimase in rispettoso silenzio per lasciare la ragazza prendere una decisione. La portò nella stanza con tutti i suoi abiti, aiutandola a vestirsi con un meraviglioso abito verde - scelto apposta per salutare il Cavaliere del drago verde Odhràn - con scollo a barca e inserti dorati nelle maniche e nella gonna.

“Oh! Quell’abito ti sta d’incanto, Amore mio” , esclamò il Cavaliere rientrando nelle loro stanze, sudato dall’allenamento con il suo allievo. Farica fece una piccola riverenza di rispetto, continuando a stringere i lacci dell’abito della ragazza dalla pelle d’ebano, che si irrigidì per lo stomaco improvvisamente rivoltatolesi. Il Cavaliere si accorse visibilmente della reazione della moglie, aggrottando le sopracciglia. “Andrò a fare un bagno, ma quando sarò tornato pretendo di sapere cosa non vada!” , disse dirigendosi verso la stanza con la vasca in legno. Nasuada guardò la sua dama, che annuì e le diede una leggera spinta con una mano su una spalla, in segno di dover andare e vuotare il sacco. “Gli parlerò, tu prepara Ruaidhrì intanto”

“Certamente. Sii coraggiosa perché sono sicura che ne sarà felicissimo” , le disse uscendo. La regina si guardò nello specchio, il suo volto era contratto in una brutta smorfia di ansia.

Prese un profondo respiro ed entrò nella stanza dove il marito stava facendo il bagno senza servitù, come suo solito. Gli sorrise sedendosi sullo sgabello lasciato accanto alla vasca da Farica, piena di nervosismo a tal punto da doversi impedire di tremare.

Lui rispose al sorriso in modo dolce, prendendole la mano. “Qualsiasi cosa ti turbi o sia successa, io ti sarò accanto.”

Lei rimase in silenzio per un attimo, in cerca delle parole giuste, di come iniziare il discorso.

 

Ma cosa è più diretto e meno dispendioso di sono incinta?

 

Non trovando altro, modo pronunciò quelle due parole a mezza voce, ma non sufficientemente piano perché lui non potesse percepirle con l’udito sopraffino da Cavaliere, fissandolo negli occhi, il cuore palpitante d’incertezza riguardo la reazione del bellissimo ragazzo moro. Il loro primo figlio era nato senza averlo desiderato e dopo Finiarel non avevano mai parlato di allargare la famiglia e, nonostante il Cavaliere amasse alla follia il principino e lo dimostrasse apertamente, non era sicura che fosse nei suoi piani.
“Ne sei assolutamente certa, stavolta?!” , le chiese sbarrando gli occhi e sedendosi nella vasca per essere più vicino a lei, formando onde d’acqua che si riversarono sul pavimento. Lei si alzò l’orlo del vestito perché non toccasse terra, prendendosi il suo tempo, soppesando le parole.

“Nessun guaritore mi ha ancora visitata, ma personalmente lo sono: dai nostri ultimi incontri non è ancora apparso il mio sangue di donna.” , mormorò sorridendo imbarazzata, non avendo mai parlato con nessuno altro da Farica delle sue funzioni corporee, specialmente non con Murtagh che, nonostante fosse suo marito, era stato un bel giovane poco più che conoscente fino a dopo la guerra, quando si erano abbandonati l’uno all’altra infrangendo l’aura di statuarietà del ragazzo. Eppure dal suo ritorno, lei sentiva di poter affrontare con lui qualsiasi argomento, ma si era sempre trattenuta senza motivo razionale dal riversargli addosso la sua femminilità, fatta di fluidi, movimenti d’animo e corporei, disagi e sofferenze. Fino a quel momento, e i come la faceva sentire intimamente connessa con lui!

Lui sembrò pensare per un istante alle sue parole, poi sorrise, un sorriso così grande da scioglierle la morsa allo stomaco che l’aveva attanagliata.

“È una notizia grandiosa!” , esclamò lui con voce così alta da sembrare un grido.

“Sei… Sei assolutamente certo di esserne felice?” , chiese lei.

Murtagh rise di gusto. “Perché non dovrei? Sono sposato con il mio unico amore e il nostro - ora posso dirlo! - primogenito è un bambino semplicemente perfetto: intelligente, gentile, anche se un po’ testardo a volte. Con la prospettiva che questa creaturina possa somigliargli anche solo minimamente, sarà una gioia ogni giorno essere suo padre!”

“E se non dovessi riuscire a metterlo al mondo vivo, come il gemello di Finiarel?” , chiese la regina con voce tremante, adombrandosi.

“Sarò qui con te il maggior tempo possibile, e prometto che non accadrà nulla né a te ne al piccolo. È per questo che non sembri felice?”

Lei confermò con il capo. Lui uscì dalla vasca, si avvolse un panno per asciugarsi attorno al corpo e l’abbracciò, baciandole i capelli. “Non preoccuparti di quel bambino mai nato, pensa a nostro figlio a cui hai dato la vita e che stai crescendo come la migliore madre al mondo!” , le disse con sguardo dolce, lo stesso che aveva assunto con lei da quando era tornato, di marito e padre amorevole. Rimasero abbracciati qualche minuto, poi si staccarono per finire di prepararsi per la serata. Il Cavaliere si vestì in fretta senza mai staccare lo sguardo dalla moglie, che fissava la specchiera ma senza accennare ad applicare un leggero trucco come aveva detto che avrebbe fatto, perciò lui chiamò Farica. L’ancella accorse con in braccio il principe, vestito nella sua piccola casacca ricamata in oro e rosso e brache di pelle fatte apposta per le sue piccole gambe. “Mmm…amma” , pronunciò il piccolo sporgendosi verso la regina, che si illuminò nel vederlo. Lo prese tra le sue braccia dalla pelle scura e calda, sistemandoselo seduto in grembo.

“Potresti aiutare mia moglie a terminare di prepararsi?” , chiese a Farica gentilmente. Lei annuì e si mise all’opera sulla sovrana, che giocherellava con il figlio, lasciandosi docilmente rendere presentabile. Murtagh finì di vestirsi, indossando le scarpe in cuoio e scegliendo tra i gioielli d’oro quali indossare per il suo rango, adornando il suo corpo solo dei pezzi minimi richiesti, come suo solito: l’anello con un rubino rosso, lo stesso che indossava sempre al cospetto degli altri nobili dalla ricelebrazione del loro matrimonio; una tiara sottile e una spilla con un drago a reggergli la cappa in seta vermiglia foderata di pelliccia, un orecchino d’ambra per indicare la sua provenienza. Si voltò verso la specchiera alla quale la moglie era seduta, per controllare con i suoi occhi se l’ancella avesse terminato. Nasuada era voltata verso di lui ad attenderlo con un grande sorriso e un lieve rossore sulle guance dato dal trucco, e ciglia rese più nere e lunghe da una pasta a base di carbone; Farica al suo fianco in piedi. La donna gli si avvicinò, facendogli i complimenti per l’aspetto regale. “Posso?” , gli chiese a un palmo da lui. Il ragazzo annuì e la governante gli prese i due ciuffi che gli incorniciavano il volto e li arrotolò attorno ai suoi indici, per rendere i boccoli, che gli si erano formati lasciando i capelli asciugarsi all’aria calda proveniente dal focolare, più definiti. “Ora siete perfetto, Cavaliere”

Lui arrossì, poi guardò la moglie sussurrando: “No, lei è perfetta.” .

Farica gli poggiò una mano su una guancia maternamente, avendolo preso a cuore e adottato, anche se non di fatto, come la regina anni prima. Poi li lasciò, uscendo silenziosamente dalla stanza. “Possiamo andare?” , chiese alla moglie andandole vicino. Lei annuì, porgendogli il bambino e alzandosi dallo sgabello imbottito. Nasuada fu presa al braccio, come indicava l’etichetta di corte, e si lasciò guidare verso la sala grande. Appena i due Falchineri videro la coppia reale appropinquarsi alle porte suonarono due corni per annunciarli. Da dietro le porte si udì il brusio scemare fino ad interrompersi, al che i due battenti furono spalancati, lasciandoli entrare.

Una grande tavolata era stata allestita in fondo alla sala, i nobili con i loro abiti colorati e impreziositi da ricami in filo d’oro erano in piedi attorno al primo nuovo Cavaliere nei suoi splendidi abiti commissionati dalla regina, ma appena i due sposi entrarono nell’ambiente tutti si avventarono su di loro come mosche sul cibo, per saluti e baciamano melliflui alla regina da parte degli uomini e le loro mogli invece al cospetto del bellissimo Cavaliere rosso, sperando di essere fortunate a tal punto da ricevere un sorriso o un complimento da lui, che invece si limitò a baciare educatamente tutte le loro mani e a salutarle una per una per nome, mai scomponendosi dal distacco che manteneva sempre in situazioni ufficiali. Ciascuna delle mogli, ricevuto il loro saluto dal bel e misterioso Cavaliere, si presentarono alla regina per una riverenza.
Finita la sfilata dei nobili fu Reenan ad avvicinarsi alla regina, i capelli chiari acconciati alle tempie con trecce sottili. Lo aveva incontrato spesso durante la sua permanenza nel castello per l’addestramento, quando Murtagh aveva dovuto interrompere le loro sessioni per comunicare urgentemente con lei facendosi seguire dall’uomo; avevano cenato privatamente insieme qualche volta, nelle poche occasioni importanti lui era sempre stato presente. Non era un uomo stupido, era anzi molto saggio e sveglio anche grazie alla sua esperienza da soldato, seppure nell’esercito del Re Nero. Si inchinò a lei - in quanto Cavaliere non era tenuto a baciarle la mano -.

“Vi ringrazio per il regalo che mi avete fatto recapitare dal mio maestro. E per la vostra ospitalità e gentilezza che mi avete dimostrato finora e sin dal primo momento in cui ho messo piede nel vostro castello.” , disse l’uomo.

Nasuada gli sorrise. “Sono lieta che vi piaccia. Inutile anche esprimervi quanto sia fiera dell’abilità e tenacia dimostrata in questi mesi. Sono consapevole che mio marito possa non essere il maestro che un Cavaliere novizio speri di avere.”

“Mi sono ricreduto completamente su Murtagh, mia regina.” , confermò l’uomo dall’abito verde.

Castigo e Murtagh sono stati per noi insegnanti fondamentali. Non dimenticheremo mai il loro aiuto per diventare Cavalieri secondo i principi dell’Ordine. , s’intromise il rettile dello stesso colore steso nella sala con attorno una nuvola di giovani ammiranti.

Fu servita loro la cena e i presenti si spostarono al tavolo, regina e Cavalieri interruppero il loro colloquio di cortesia. Reenan si accomodò accanto alla lady di Kuasta, una donna nata molti anni prima della guerra, come denotavano i capelli grigi. Il lord suo marito era morto da tempo e lei non era già più fertile allora, perciò non si era mai risposata, diventando una donna molto potente, quasi come Lady Lorana. I suoi figli erano conoscenti d’infanzia di Murtagh, trovandosi i loro castelli nei territori del ducato di Morzan e ora del Cavaliere rosso.

Il ragazzo sedeva silenzioso alla sinistra della regina, consumando qualche boccone controvoglia. Iniziò ad osservare per ore ogni espressione che i nobili rivolgevano al Cavaliere del drago verde, la loro gioia nel parlare con lui. Reenan era un uomo molto affabile, d’altronde. Tutto il contrario di Murtagh, ombroso e proveniente da un padre odiato in tutto il regno. Mai i nobili alla corte di Galbatorix erano stati felici di rivolgergli la parola, erano spaventati dal suo aspetto, dalla sua altezza, dalle sue spalle larghe nell’armatura scintillante. Eppure andavano da lui per le loro trame, sperando che di poterlo utilizzare per far arrivare al re i loro desideri. Avrebbero cercato di sfruttare un altro Cavaliere, di corromperlo? L’Ordine dei Cavalieri come era prima che Morzan lo facesse cadere sarebbe tornato in auge? Sarebbero stati i suoi membri in cerca dell’assoluzione delle proprie mire, dei propri obiettivi o avrebbero collaborato? Sarebbe stato Eragon un capo con il polso di ferro? O talmente carismatico da incantarli con i suoi ideali ingenui di ragazzino che aveva ascoltato favole da un vecchio cantastorie?

Murtagh decise in quel momento che se quella pace non fosse durata avrebbe preso la moglie e il figlio e avrebbe viaggiato con loro, combattendo solo per proteggere le loro vite. Avrebbe anche potuto uccidere il suo stesso fratello se si fosse rivelato in torto, se fosse impazzito come Galbatorix o fosse diventato un capo irremovibile e cieco come Vrael.

Improvvisamente, al tavolo calò il silenzio. Nasuada sedeva sul suo scranno, il capo riverso in avanti e il mento appoggiato alla spalla. “La regina sta male?” , esclamò lady Lorana, la governatrice di Feinster.

Murtagh poggiò il bicchiere di scatto sul tavolo, un forte rumore disturbò il silenzio, ma la regina non si riscosse. Si alzò dal suo posto e accorse dalla moglie, inginocchiandosi accanto a lei per vederla in volto. Lo prese tra le sue mani, notando che il colorito non era cambiato.

“La regina è stata avvelenata!” , gridò un altro lord, palesemente ubriaco, aumentando l’agitazione nella sala. Murtagh iniziò ad annaspare, la moglie non rispondeva al suo tocco. Eppure lei respirava ritmicamente e anche piuttosto profondamente, sembrava così serena. Un guaritore accorse, sistemandosi accanto alla sovrana. Nasuada venne scossa da Murtagh con più forza per le spalle, tanto che aprì gli occhi ambrati in due spiragli. Il marito allora scattò in piedi. “Presto, visitatela!” , gridò verso l’uomo con la tunica verde dei guaritori. Le ispezionò gli occhi per vedere se fossero vacui, facendo ritrarre la regina che sembrava infastidita da un’invasione così improvvisa nei confronti del suo corpo. Passò poi al polso. “Avete sensazione di nausea, Vostra Maestà?” , le chiese. La ragazza annuì quasi impercettibilmente, ancora bloccata tra le mani del curatore che le premevano in vari punti del corpo. Poco dopo la lasciò voltandosi verso i presenti, in piedi attorno al tavolo in ansia.

“Non è stata avvelenata, forse non ha digerito la cena ed è svenuta.” , annunciò. Sospiri di sollievo si levarono nella sala. Murtagh sapeva che alcuni erano falsi, provenienti da lord che avevano finto di sostenere la nuova regina, come avrebbero fatto con qualsiasi sovrano per proprio rendiconto. Il Cavaliere si voltò verso la moglie che si guardava intorno confusa, tirandola lentamente in piedi.

“La regina si ritirerà ora, si è già fatto tardi.” , annunciò prima di portarla fuori, senza che potesse ribattere di avere le forze per rimanere e attendere la fine della serata. Una volta nelle loro stanze, Murtagh chiuse la porta, sbattendovi la schiena contro ed espirando sonoramente. Nasuada era in piedi in mezzo al salottino, lo sguardo dispiaciuto.

“Che ti è successo? Sono morto di paura!” , le chiese dopo qualche istante, alzando gli occhi imperlati di lacrime.

Lei alzò le spalle, e gli occhi si riempirono di lacrime anche alla giovane. “Non saprei. Credo di essermi addormentata. O di essere svenuta come dice il guaritore, anche se non ho visto nero né ho sentito il capo vorticare.”

Il Cavaliere le andò vicino, baciandole la fronte e ispirando il suo odore. “Come potrò partire dopo quanto successo stasera?”

Lei non rispose, poiché sarebbe stata solamente una e poco gradita: il dovere lo chiamava.

Le prese la mano, scortandola nel loro talamo. Le tolse delicatamente i vestito, sorreggendola preventivamente per la vita in caso un altro attacco si fosse presentato. Si sdraiarono nel letto, rifiutando di vedere il primogenito per evitare che la madre fosse turbata nelle emozioni eccessivamente. Poggiando il capo al petto del marito sentì un movimento improvviso al basso ventre, come se il piccolo avesse percepito la presenza di suo padre. Spostò una mano istintivamente, ma il movimento era già cessato.

La mente le tornò indietro di quasi un anno e mezzo e una lacrima le scivolò sulla guancia.

 

Seduta sul suo nuovo trono, Nasuada ascoltava distrattamente un resoconto di Jormundur. Quella mattina Farica aveva lanciato un’insinuazione che l’aveva lasciata sconvolta, tanto da farle promettere che non ne avrebbe parlato con l’uomo che ora aveva di fronte e che avrebbe potuto farla scalzare dalla sua nuova posizione, se preso da troppa preoccupazione per quella che era per lui una seconda figlia. “Qualcosa non va, mia regina? Sei troppo silenziosa.” , la riscosse la voce dell’uomo maturo. Lei alzò il capo e la sorpresa procurò un sussulto al suo basso ventre, una sensazione che le fece salire la nausea. ‘Come se un corpo esterno fosse presente dentro di lei’: così l’aveva descritta Farica qualche ora in precedenza, quando la regina era sbiancata e aveva riportato la strana sensazione. Farica non sapeva nulla. Nessuno sapeva degli avvenimenti dell’ultimo periodo della sua prigionia, e ciò che era accaduto subito dopo, quando ormai entrambi erano liberi. Solo lei e un meraviglioso giovane, disperso chissà dove nelle terre di Alagaesia, intento a lavare via la sua rabbia e le sue colpe.

“No, ho solo riposato poco questa notte.”

“E quelle precedenti, apparentemente, mia signora. Farica mi ha riferito che ultimamente ti è faticoso svegliarti la mattina e che sei sempre stanca nelle tue giornate.”

“È più impegnativo governare un paese rispetto ai Varden” , concordarono assieme.

“Vorresti forse valutare allora di cercare un marito?”

“E cedere la mia corona? Mai!” , rispose dura. Perché da quel momento non aveva solo da proteggere il ruolo per cui era nata e aveva tanto combattuto, e aveva sacrificato il suo unico amore, Murtagh. C’era molto probabilmente qualcosa d’altro, qualcun altro.

Jormundur sospirò. “Potremmo trovare per te un uomo capace di dare al regno degli eredi e che possa accettare un accordo in cui rinuncia alla corona. Il popolo, d’altronde è grato a te per averli liberati da Galbatorix, e a nessun altro. Se Eragon fosse rimasto, sarebbe stato l’unico a poter essere accettato come re al tuo fianco, con una corona sulla sua testa.”

Nasuada alzò un sopracciglio. “Si può fare?”

“Inviare una proposta di matrimonio a Eragon? Se volesse accettare di tornare…”

Scosse la testa con veemenza. “No, avere un marito senza che sia re.”

L’anziano la fissò con intensità. “Sì, potremmo arrivare a un accordo tale. I tempi sono mutevoli, nessuno si appiglierà alle tradizioni con rigidezza. Non avremmo mai potuto eleggere la nostra regina altrimenti.”

“Quanto tempo ci vorrebbe per trovare un pretendente?” , chiese lei con entusiasmo. Non avrebbe potuto vivere con Murtagh, d’altronde. Sapeva in cuor suo però di dover proteggere la vita che cresceva nel suo grembo. Suo figlio, e il figlio del Cavaliere rosso. Gli avrebbe dato un altro padre, ma il suo piccolo avrebbe ereditato la sua corona.

“Quattro mesi, altri due per il matrimonio se volessimo svolgere la cerimonia in fretta.” , ruppe la sua emozione l’uomo. Nasuada si rabbuiò, confondendo l’anziano. Erano già passati cinque mesi dalla Liberazione e sapeva che la creatura nel suo ventre era per forza lì dallo stesso tempo. Si sarebbe iniziato a vedere in un mese, al massimo. Avere un figlio fuori dal matrimonio avrebbe condannato la creatura a una vita di scherni, perché le persone avrebbero calcolato in base alla sua nascita il tempo del suo concepimento, pensando che il padre potesse essere se non il Re Nero in persona, il suo Cavaliere del drago cremisi. Non avrebbero sbagliato, in tal caso, ma il bambino non poteva essere il figlio di Murtagh. Si ritrovò a maledire la segretezza di quel matrimonio. Se Galbatorix avesse fatto scherno pubblico di lei, almeno il piccolo che cresceva ignaro dentro il suo grembo avrebbe ufficialmente avuto un padre, per quanto egli fosse odiato. In un lampo congedò le guardie, rimanendo sola con Jormundur. Sempre più confuso, l’uomo salì i gradini della piattaforma, inginocchiandosi al suo fianco. “Qualcosa ti turba, mia cara?”

“Mi sono immischiata in una situazione pericolosa.” , sospirò lei.

“Come tuo consigliere, tenterò di risolverla.” , la incitò a vuotare il sacco con tono paterno.

I suoi occhi ambrati brillarono delle prime lacrime. “Non voglio un marito. Non vorrei un marito qualunque, almeno. Solo per coprire una brutta situazione, un uomo non si merita di non sapere la verità, di averla taciuta fino al resto dei suoi giorni.”

“L’amore, Nasuada, è un lusso per pochi.”

Quella sua frase la stupì. Sapeva forse dei suoi sentimenti per il bel giovane?

“Lo so, ma prendere in giro una persona non sembra una scelta giusta nei suoi confronti, chiunque  questa sia.”

“Magari impareresti ad amare questa persona.”

Scuotendo la testa prese la mano dell’uomo. “Non amerò mai qualcuno che non è nessuno per me se non una mera copertura per mio figlio.”

Come uno schiaffo in pieno volto, lo sguardo dell’uomo di abbassò sul suo grembo. “Sei stata stuprata?”

“No, sarebbe stato più semplice in quel caso.”

“E chi, dunque?”

“Murtagh, mio marito.”

Il sangue nel volto dell’uomo corse via facendolo impallidire. Nasuada si sentì sollevata nell’averlo svelato almeno a qualcuno, oltre alla carta che raccoglieva le sue parole la sera, i suoi pensieri. Avrebbe fatto di tutto per il suo bambino, per il suo bene. Anche ritrovare Murtagh e affidarglielo, se necessario. Ma doveva fare tutto quello in segreto, compreso mantenere tale la gravidanza e la nascita del nipote di Morzan. Conciliare il dovere verso il suo regno e le sue convinzioni morali ma al contempo verso la nuova vita che stava creando. Forse non sarebbe mai stata felice senza il suo amore, senza suo figlio. Aveva la corona e tutto ciò che lei e suo padre avevano sperato, eppure era così egoistico pensare di avere anche la libertà di crescere suo figlio senza il bisogno di un marito?

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Capitolo 46
*** Maternità ***


Come un genitore arrabbiato, Jormundur si riscosse dalla prima confusione dovuta alla notizia, avvicinandosi alla porta della sala del trono della regina, indicandola con sguardo minaccioso. La giovane si alzò dal suo scranno, seguendo l’uomo silenziosamente all’esterno, fino ai suoi appartamenti. Era sicura che avrebbe voluto trascinarla via, ma che non lo avesse fatto per non mettere a rischio la sua immagine di regina, se fosse stata portata fuori dal suo studio da un uomo anziano, pronto a sgridarla, come se lei fosse una qualunque donna del regno.

Quando le porte degli appartamenti di Nasuada si aprirono di scatto, Farica era intenta a sistemare e lucidare i gioielli appartenuti a Nadara e Ajihad, ereditati dalla loro unica figlia. Si tirò dritta, osservando la giovane e il proprio marito confusa, che si dirigevano in un sospetto silenzio verso un salotto privato. “Chiudete le porte e non origliate.” , ordinò la regina con tono mesto alle guardie.

Quando furono soli, Jormundur prese una sedia e la spostò in centro alla stanza, sedendovi sopra la regina, prendendola per le spalle. Prese poi altre due sedie, una per sé e l’altra per la moglie. “Farica, vieni.” , le impartì perentoriamente.

La domestica si sedette di fronte alla sua figlia adottiva, con sguardo preoccupato. “Che sta succedendo?” , chiese con cautela.

“Nasuada sostiene di essersi sposata, senza il consenso di nessuno, con un uomo scelto da lei!” , sbraitò il Consigliere.

La regina impallidì, mentre Farica distorceva il volto in un’espressione preoccupata.

“Lascia che ti spieghi!”

L’uomo scattò in piedi, prendendo a camminare furiosamente per la stanza, cercando di stemperare l’ira. “Cosa dovresti spiegarmi?! Hai detto che il tuo sposo è il Cavaliere rosso, il Regicida!”

La giovane si morse il labbro, annuendo lentamente. Farica spostò gli occhi dal marito a lei, sbarrandoli incredula. “Come è possibile che tu abbia sposato il Cavaliere rosso?”

“Il figlio di Morzan! Il ragazzo che ha quasi ucciso Eragon, rischiando di mandare in fumo tutte le nostre speranze, colui che ha tradito i Varden per diventare lo scagnozzo del re...” , rincarò Jormundur, stringendo così forte i pugni da farsi sbiancare le mani completamente, lasciando solo le macchie di vecchiaia a fare contrasto.

“Jormundur, calmati. Ci deve essere una spiegazione...” , gli impartì la moglie con forza. L’anziano si fermò di colpo, inspirando a fondo, poi si tornò a sedere di fronte alla regina.

“Voglio sapere come tu e il figlio di Morzan siete arrivati a sposarvi.” , le ordinò serrando la mascella, “Non mi sembra che ti abbia corteggiata, quando ancora cercava di ottenere la nostra fiducia, nel Farthen Dur, così a lungo da farti promettere la mano, così da sposarti una volta riavutati tra le sue grinfie.”

“No, è vero, non siamo mai stati promessi sposi né fidanzati.” , soffiò Nasuada con rimorso.

La sua dama le prese le mani nelle sue, maternamente. “È stato il re, vero?”

Jormundur, che già aveva valutato quella possibilità - tacendola perché ritenuta troppo ignobile per essere anche solo pronunciata ad alta voce- , sbiancò.

“È stato lui a costringerci a sposarci. Murtagh non c’entra nulla, ve lo giuro! Quella sera era ignaro quanto me dei piani del re che aveva in serbo per noi - e lo so perché nei suoi occhi ho letto solo rimorso, dopo la cerimonia - .”

Il Consigliere si spostò a sedere sul bordo della sedia, sporgendosi in avanti per sussurrare. “Quindi i nobili fedeli al re avranno assistito, giusto?” , chiese con timore, ma quando la regina negò col capo, lui si accasciò indietro sullo schienale, lievemente sollevato.

“È stato tutto orchestrato in segreto, così che io potessi apparire alla corte una volta già divenuta la moglie-oggetto di Murtagh. Credeva che il suo governo sarebbe durato in eterno, e mi voleva tra i suoi giocattoli umani.” , spiegò loro, a stento trattenendosi da scoppiare in lacrime.

Farica le baciò la tempia, sporgendosi in avanti, proprio come faceva quando era bambina e tornava nelle sue stanze piena di ferite dovute agli allenamenti con i pugnali.

Jormundur allungò una mano, tirando a forza la moglie a sedere. “Non abbiamo terminato. Voglio sapere che cosa ti ha fatto il figlio di Morzan!”

Nasuada alzò i palmi, come a volersi difendere, e con lei Murtagh. “Nulla, davvero! Si è realmente comportato in modo onorevole con me, anche quando ero già sua moglie.”

“Come è possibile?!” , sbraitò l’anziano.

“Perché credo mi ami.” , mormorò la giovane, prendendo a torturarsi le unghie.

Credi?! Il figlio di Morzan non è mai stato amato da nessuno, perciò non è capace di provare amore!” , urlò più forte l’altro.

Nasuada piegò le spalle in avanti. “Invece ne è capace: mi ha salvata per ben due volte, perciò sono sicura che anche lui riesca a provare sentimenti onorevoli nei confronti di altri, che non siano lui o il suo drago!”

“Ti ha salvata? Come?” , chiese Farica confusa.

“Galbatorix voleva uccidermi, non rapirmi e basta dalla mia tenda, durante la Guerra. Non sarei oggi qui, se lui non avesse convinto il re a risparmiarmi. È vero, mi ha messa nella condizione di essere prigioniera e torturata, ma mi ha permesso di avere un futuro. Poi, per ripagare le mie sofferenze, aveva orchestrato la mia fuga, se non fosse giunta la resa dei conti con Galbatorix prima. Mi è stato accanto quando pensavo di perdere il controllo, impedendomi di cedere e giurare fedeltà a Galbatorix.”

“Non devi difendere chi ti ha fatta soffrire, solo perché ti ha anche mostrato un po’ di pentimento. Se ti avesse davvero amata, ti avrebbe lasciata andare, sparendo dalla tua vita, senza la condanna di dover partorire e crescere suo figlio.” , la rimbeccò Jormundur.

Farica si coprì la bocca con le mani, per qualche istante. “Nasuada, c’è la possibilità che tu sia incinta?!”

“Ha confessato a me di esserlo.” , l’anticipò il Consigliere.

Nasuada sospirò, abbassando il capo sulla piccola sporgenza che si era formata sul suo ventre altrimenti vuoto, terribilmente magro. “Sarebbe così terribile volere questo bambino, anche se è il figlio di Murtagh?” , chiese alla sua domestica.

Questa la guardò con intensità, poi spostò il capo sul marito. Questo scosse la testa debolmente, allora Farica scoppiò a piangere, non sapendo come aiutare la ragazza che era come una figlia per lei. Nasuada sbiancò, sporgendosi a prenderle le mani. “Farica, perché ti disperi così? Sono io quella che si è andata a immischiare in questa brutta situazione, non tu. Tu non c’entri nulla. Mi hai sempre insegnato il modo corretto di comportarmi, quando io ho deliberatamente scelto di seguire il cuore, e non la mia mente.”

Jormundur la guardò in obliquo. “Da ciò che dici, posso dedurre che la creatura non è stata concepita come normalmente avviene in ogni matrimonio: durante la prima consumazione o in uno degli incontri di dovere tra due sposi.”

La regina guardò i genitori adottivi, abbassando poi il capo. “Hai capito bene: è colpa solamente mia se ora mi ritrovo in questa situazione. Il matrimonio non è stato consumato sotto il governo di Galbatorix. Sono stata io a raggiungere Murtagh dopo che mi disse di voler andare via per sempre, volendo davvero poter sperimentare cosa voleva dire essere sposata con lui, con il ragazzo che sono certa di amare.”

Per la prima volta nella sua vita, Farica la schiaffeggiò. Ovviamente fu uno schiaffo così delicato che a stentò Nasuada lo percepì, reduce delle torture del re e delle lame affilate della Prova dei Lunghi Coltelli. “Me lo merito. Perdonami, Farica, per averti delusa.” , mormorò la giovane dalla pelle d’ebano.

La donna prese poi a scuotere il capo a ripetizione, mormorando parole così piano da non poter essere udite. Jormundur l’accolse tra le sue braccia, rassicurandola con le sue grandi mani che le sfregavano la schiena. In quel momento la regina si lasciò sfuggire qualche lacrima. Sapeva di non poter mai avere Murtagh indietro, nonostante si era immaginata timidamente di averlo come marito, prima che il re lo rendesse realtà. Sapeva che sarebbe stato capace tanto quanto Jormundur di consolarla, di starle accanto e supportarla. Voleva quel matrimonio, voleva Murtagh indietro. Voleva poter stringere il loro bambino tra le braccia, insegnargli a fare il padre, aiutarlo a convivere con le sue emozioni, senza reprimerle.

Guardò i due sposi, con decisione negli occhi. “Io metterò al mondo questo bambino.” , comunicò loro. Farica si staccò dalle braccia di Jormundur, come colta da un sogno a occhi aperti. Le sue pupille di un colore caldo erano vacue, ma posate su di lei.

“Non è sbagliato desiderare di avere un figlio, Nasuada. Io stessa ho sempre voluto sperimentare la maternità, ma non mi è mai stato donato questo onore dal Destino. Ora che tu ne hai la possibilità, non posso consigliarti di sbarazzarti di lui.” , mormorò la donna, inginocchiandosi di fronte a lei, e prendendole le mani con foga tra le sue. Erano calde e rassicuranti, come i suoi occhi, finalmente. Nasuada capì che era preoccupata per lei, forse anche un po’ triste, ma non arrabbiata.

“Faremo in modo di tenere nascosta la situazione, perché tu possa avere il bambino. Però... non voglio illuderti dicendoti che potrai crescerlo. Sei una regina e sai da tutta la vita quali vincoli ha l’esistenza di una lady.”

“Lo so, Jormundur. Tutto ciò che voglio è voler arrivare a vedere il volto di mio figlio, per riuscire ad accantonare la mia illusione di ragazza di poter avere l’amore e il potere. So di doverlo poi abbandonare, possibilmente affidandolo a Murtagh. È tutto ciò che chiedo: conoscere il massimo dell’espressione che il mio amore con il Cavaliere potrà mai raggiungere, per poi lasciarmi alle spalle tutto quello che non potrò mai avere.”

Farica abbandonò la fronte sulle sue ginocchia. “Ti aiuteremo, Nasuada, perché sei nostra figlia e ti sosterremo per sempre.”

 

Murtagh stava dormendo, ormai da ore, beatamente accanto a lei. Spostò una sua mano scura nel palmo abbandonato in mezzo a loro, incrociando le loro dita. All’inizio era solo lei a stringere la mano del Cavaliere, ma poco dopo anche lui arricciò le falangi, sfiorandole il dorso della mano. Alzò gli occhi su di lui, scoprendo che le sue labbra si erano tirate in un debole sorriso.

“Siamo insieme, alla fine.” , sussurrò leggerissimamente, ma non abbastanza perché Murtagh non l’udisse. Aprì gli occhi chiari, sbarrandoli poi quando si accorse che lei fosse sveglia.

“Non ti senti ancora bene?” , le chiese, con estrema preoccupazione.

Nasuada sorrise in modo rassicurante, il sangue che le sembrò diventare qualche grado più caldo nelle sue vene. “Sto bene. Anzi, sto benissimo.”

“Sono felice di sentirlo.” , soffiò lui, richiudendo gli occhi e al contempo facendosi più vicino a lei. Spostò una mano, quella che già non era incrociata con quella della regina, sul suo fianco, cingendolo protettivamente. “Vuoi che rimanga sveglio con te?” , le domandò ancora, anche se con la voce impastata già dal sonno.

“No, riposati. Domani dovrai partire per rivedere tuo fratello.”

Nasuada gli liberò il volto dal capelli, con la punta del dito indice, mentre lui sorrideva di nuovo. Usò le sue ultime forze per piegarsi e lasciarle un bacio dove credeva - a occhi chiusi - di trovarvi le sue labbra, finendo però per poggiarlo sulla punta del naso scuro.

“Sono felice che tu sia la mia famiglia, Murt.”

“Anch’io, Amore mio.”

Finalmente, anche Nasuada sbadigliò stanca, trovando la tranquillità per mettersi a dormire, racchiusa nelle braccia dell’unico ragazzo che avrebbe mai voluto che la toccasse.

Il mio sogno è divenuto realtà. Anche io posso essere felice dopo tutta la sofferenza e la disperazione. E con me, anche Murtagh.

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Capitolo 47
*** Aiuto e segreti ***


Per parlare del problema, Nasuada e i suoi genitori adottivi si erano ridotti a doversi incontrare nelle segrete del castello, proprio dove il suo amore per Murtagh aveva assunto carattere di certezza. Ma ciò che doveva essere definito, ancora, era il destino di suo figlio. Un bambino senza padre, un bambino che avrebbe rovinato la reputazione della madre dal suo essere illegittimo e figlio di un disonorato. Aveva iniziato a percepire i suoi movimenti qualche giorno dopo aver svelato la sua condizione a Farica e Jormundur, ed era costantemente costretta a ricordarsi di non dover sembrare incinta: nessuno sfioramento al ventre, nessuna menzione alla sua nausea o cambiamento della forma fisica, nessun rifiuto a cibi offertole. Solo il vino erano riusciti a eliminare, con la scusa plausibile di bisogno di lucidità - per il lavoro sfiancante di risollevare un paese dopo una guerra totale - .

“Domani sarà il giorno designato del contatto di Eragon.” , annunciò la regina allusivamente.

“Non osare dirglielo.” , la bloccò Farica.

Nasuada la guardò allibita. “È suo fratello minore, sangue del suo sangue.”

Fratellastro! Eragon non condivide sangue con Morzan. Eragon è figlio del nostro fondatore Varden, Brom.” , precisò l’anziano con astio: ancora l’attaccamento della regina a Murtagh e a quello che sarebbe diventato suo figlio, lo turbava.

Nasuada sospirò. “Proverò a domandargli un favore: proverò a chiedergli di reclamare il bambino come suo.”

Jormundur scosse duramente il capo. “Coloro che vi hanno visti assieme tra le fila dei Varden hanno potuto evincere la vostra amicizia e fedeltà, ma Eragon non ha mai serbato quel tipo di interesse in te da poter portarvi a generare un figlio assieme - seppur consci di trasgredire le regole di matrimoni e buona creanza, eccetera eccetera… - .”

La giovane sospirò. “Non posso trovare un marito ora - perché è troppo tardi - , ma mi proibite anche di salvarmi la reputazione con i vostri divieti!”

Per la prima volta, Farica assunse uno sguardo assassino. “Tuo padre ha sempre cercato di salvaguardare la tua reputazione, seppur non dandoti in sposa a nessun uomo, perché sperava che il giorno in cui avresti potuto sposare un uomo potente sarebbe arrivato. E ora che è giunto, scopriamo che ti sei rovinata con le tue stesse mani!”

Le sue grida rimbombarono nei corridoi, ma fortunatamente si smorzavano nei numerosi tunnel ciechi delle segrete.

“Avete ragione, ma oltre a Orrin, solo un Cavaliere sarebbe appropriato per una regina!”

Jormundur scosse la testa. “Un tempo forse - prima che i Cavalieri perdessero la testa e ci facessero collassare in un baratro orrido - una regina e un Cavaliere sarebbero stati la coppia più auspicabile. Ora, l’unico Cavaliere che il popolo accetterebbe è partito.”

“Lasciate che gli chieda di aiutarmi, allora! Se lo sposassi e lui continuasse a vivere lontano, potrei non dover dividere il mio governo con lui e mio figlio avrebbe il padre che gli spetta!”

La donna più anziana si prese il mento tra le dita. “Potrebbe anche funzionare. Ma resta il problema del bambino. Nasuada, ti prego, sbarazzatene!”

Lacrime amare si formarono sulle rime cigliari della regina. “No… è l’unica cosa che mi resta di Murtagh.”

“Ora basta!” , sbraitò il Consigliere, “Non andremo da nessuna parte discutendo così! Farica, smetti di provare a inculcarle del senno, quando potrebbe ordinarci di farle mettere al mondo quel bambino!”

La donna annuì al marito e si spostò al suo fianco, cercando di infondergli calma.

Jormundur alzò il capo, fissando di nuovo la regina con astio. “Hai abbandonato il senno per cadere nella seduzione del figlio di Morzan perché nessuno ancora ti aveva chiesta in sposa?”

La giovane sbatté entrambe le mani sulla pietra che fungeva da piano d’appoggio, sentendo il suo corpo che stava cambiando e diventando più morbido ondeggiare al movimento. “Il mio orgoglio non è mai stato ferito perché a diciassette estati non avevo ancora ricevuto una richiesta di matrimonio - o così credete, perché mio padre ha fatto in modo che coloro che accennassero alla cosa fossero spaventati e non nominassero l’argomento mai più - . Non ho cercato un uomo perché temevo che non ne avrei mai avuto uno, perché una volta eletta regina avrei potuto scegliere chi più mi avrebbe aggradata.” , spiegò con durezza, “Io amo Murtagh esattamente come voi due vi amate.”

I due si guardarono per un istante, istintivamente. “Non dire sciocchezze. A malapena conosci il figlio di Morzan oltre la mera cortesia. Vi siete spinti una volta - come sostieni - a cedere alla carne, ma non fa di voi due amanti. Siete solo due ragazzini stupidi.” , spiegò il Consigliere.

Farica iniziò a strapparsi la pelle attorno alle unghie, fino a farle sanguinare. “Se vorrà avere il bambino, l’aiuteremo. Io non ho mai avuto figli, potrei crescerlo io fingendo che sia uno dei figli dei tuoi figli, Jormundur.”

L’uomo spalancò la bocca. “I miei figli sono morti da troppo tempo perché qualcuno possa scambiare un neonato per mio nipote!” , tuonò puntando un dito prima verso la moglie e poi verso la regina, “Non osate mai più chiamare in causa i miei figli.”

Nasuada strinse i pugni. “Vedo l’amore che serbi ancora per loro. Capisci ora perché voglio fare di tutto per far nascere questo bambino?”

L’uomo la superò, fermandosi alla base della scala. “Non cadrò nella tua trappola. Io ho avuto anni per amare i miei figli, mentre quel bambino non è nulla se non un ammasso di carne. Se vorrai amarlo, fallo. Io non ho più niente da dire per farti tornare il senno. Per la prima volta, mi hai deluso, Nasuada.”

 

Non dormì quella notte, ancora una volta. Pensò a cosa avrebbe potuto dire a Eragon, un discorso che non la mettesse in cattiva luce nel raccontare la verità. Ma nulla pareva espletare quel compito, e lei si era ritrovata a pensare a quanto profondamente stupida era stata. E quanto crudele fosse stato anche il Destino, a donarle un figlio l’unica volta che si era unita carnalmente al Cavaliere. Nella sua testa vorticavano sempre gli stessi pensieri, e il volto di Murtagh. S’immaginò persino l’aspetto del bambino, a un tratto. Il suo sangue era puro, perciò s’immaginò una sua versione in miniatura, ma con la pelle più chiara come Murtagh.

“Buondì amica mia. Tutto in ordine in Alagaesia?”

Nasuada alzò le spalle, riscuotendosi dal suo torpore. “Più o meno come l’ultima volta che ci siamo sentiti.”

“Sono contento. Come sta procedendo la conquista della fedeltà della nobiltà che apparteneva a Galbatorix?”

La giovane espirò a lungo, la nausea che ammontava in lei un po’ per il suo stato e un po’ per il pensiero della difficoltà a farsi giurare fedeltà dai sostenitori del Re Nero.

“Capisco… Elessari ti sarà d’aiuto, dalle solo tempo.”

“Sì, anche se ultimamente sto cercando di evitarla.”

Eragon alzò un sopracciglio. “Come mai?”

“Vorrei che evitasse di notare certe differenze in me.”

Il Cavaliere le sorrise caldamente. “Non preoccuparti, Nas, la corona non ti ha cambiata per nulla ancora. Forse sono la preoccupazione e l’amore che metti nella tua mansione a farti percepire una versione distorta di te stessa, ma ti assicuro che non vedo differenze in te!”

Lei si sforzò di sorridere. “E il tuo viaggio, come procede?” , cambiò discorso.

“Abbiamo trovato un posto per stabilirci e stiamo già pianificando l’architettura dell’Accademia.” , spiegò il castano con passione.

“Hai deciso di chiamarla così, dunque?”

“Affermativo, un giorno farò recapitare una scorta da te e ti farò giungere a vederla di persona.”

“È un luogo sicuro?”

“È una pianura con boschi e grandi distese di prati… non abbiamo incontrato forme di vita oltre ad animali.”

Gli sorrise, quella volta sinceramente. “Mi fa piacere sentirlo.”

“C’è altro su cui vorresti che ti facessi un resoconto?”

“Vorrei chiederti di Murtagh.”

Il castano fu stupito dell’argomento. “Perché mai il tuo interesse si posa su di lui? Ha creato scompiglio in Alagaesia in qualche modo?”

La giovane si fece seria ma paonazza. “Sono incinta di suo figlio.” , bisbigliò.

Eragon sbarrò gli occhi, così come la bocca, svariati istanti dopo. “Incinta, Nasuada?” , balbettò, “Come ha potuto farti anche questo?!”

La giovane regina si rattristò. “Non pensare anche tu che mi abbia presa contro il mio volere, te ne prego! Io amo Murtagh, e questo errore è stato compiuto da entrambi liberamente. E anche molto stupidamente, col senno di poi…”

Eragon sibilò. “Ricordo i suoi racconti di tutte le donne che abbia avuto in gioventù: anche con te avrebbe potuto essere cauto, per lo meno!”

Nasuada alzò le spalle. “Non è successo, e ora tra qualche mese partorirò suo figlio.”

Gli raccontò brevemente come fosse accaduto.

“Che cosa hai intenzione di fare?”, sussurrò allora il giovane dall’aspetto di elfo.

“Fuggire, quando sarà il momento. E incontrarlo per chiedergli di occuparsene.”

“Come intendi farlo? Murtagh se n’è andato senza lasciarci il minimo indizio sulla sua destinazione!”

“Ho bisogno che tu lo rintracci e lo convinca a incontrarsi con me.”

Eragon annuì, deglutendo sonoramente per il nervosismo. “E se non dovesse decidere di crescerlo?” , la interrogò, “Non voglio sparlare di mio fratello, ma non mi sembra molto propenso a voler essere padre, dopo la sua esperienza con il suo…”

“Capisco, ed è per questo che ho bisogno di un tuo consiglio. A chi altri potrei chiedere?”

“Roran.” , rispose di getto il più giovane. “Ma non so se accetterebbe mai il figlio di Murtagh.”

“È suo cugino, e potrei ordinarglielo come regina.”

Eragon alzò un sopracciglio. “Roran non vuole essere solo una tua pedina per il resto dei suoi giorni. Se vorrai che ti aiuti, dovrai convincerlo ad aiutarti di sua spontanea volontà.”

“Mi giudicherà e sbatterà la porta in faccia!”

Il volto di Eragon si fece dolente. “Nasuada, ti sei andata a mettere in questo guaio con le tue stesse mani, e per giunta mi stai dicendo che ti sei andata a infilare di tua spontanea volontà e con lucidità nel giaciglio di mio fratello… Nemmeno io riesco a non giudicarti per questo! Una persona rispettabile come la Nasuada che conosco non avrebbe mai permesso ai sentimenti di accecarle la ragione in tal modo!”

“Non ero lucida per colpa della prigionia, delle torture mentali di Galbatorix… Ma non posso nascondere almeno a voi, le persone che mi amano e mi conoscono intimamente - tu, Farica e Jormundur - , che una parte di me lo volesse davvero, di conoscere Murtagh carnalmente. Volevo solo un bacio da lui inizialmente, ma la situazione è sfuggita di mano.”

“Murtagh ha il suo fascino, è indubbio.” , la giustificò Eragon, che era rimasto inizialmente ammaliato anch’egli dal giovane e misterioso sconosciuto.

“Non lo ha usato su di me, te lo giuro su mio padre. Lui era contrario, all’inizio.”

Il Cavaliere alzò un sopracciglio, poco convinto. “Eppure alla fine ha ceduto, si è preso ciò che - per quanto non abbia un vero valore nel definire una persona - per una regina e una nobildonna è la tua Virtù.” , commentò duramente - probabilmente arrabbiato col fratello - , “A meno che tu non avessi già degli amanti di cui non sono a conoscenza, tra i Varden, e che il tuo onore fosse già ormai compromesso…”

Nasuada squittì alterata: “Eragon, parlami come un mio amico, non come un patriarca! Ho commesso un errore rispetto alle convenzioni - lo ammetto - ma non mi hai lasciato dire che io e Murtagh siamo stati sposati dal re. Forse era un ultimo disperato tentativo di farlo rimanere.”

“Ma ora nessuno sa del vostro matrimonio, ma tutti sapranno che hai avuto un figlio senza un marito!” , sbraitò il giovane. Inspirò a lungo per calmarsi, coprendosi gli occhi con una mano. “Perdonami. Ho reagito in modo eccessivo, e non sono certo d’aiuto rivangando concetti che già sai, meglio di me - come purtroppo ogni donna è costretta a tenere sempre a mente -.”

Nasuada annuì. “Ho bisogno del tuo aiuto, per organizzare l’incontro con Murtagh, da Roran.”

L’altro fece due conti. “Dovresti essere incinta da circa cinque mesi, secondo il tuo racconto.”

“Sei. Abbiamo poco tempo prima che io inizi a mostrare la mia condizione.”

“Posso proporti di trovare una scusa per ritirarti da corte per qualche mese, per portare a termine la gravidanza e partorire in segreto?”

“Potrebbe essere una buona idea! Avevo valutato di sfruttare il tesoro di Galbatorix per far ricostruire edifici rovinati dalla guerra, e anche il castello ha bisogno di una tale operazione.” ,  rifletté, “Ma dove potrei andare? Da Orrin lo escluderei.”

“Neanche da Orik, per quanto il Farthen Dur sia il luogo più sicuro per un neonato e dove nasconderlo… ma non se quel neonato condivide il sangue di colui che ha ucciso il padre dell’attuale re.”

“Arya potrebbe ospitarmi, ma non credo che vorrei lasciare mio figlio nelle mani di un popolo che non è stato delicato in passato con i pochi bambini umani che hanno avuto a mano.”

Il Cavaliere si morse il labbro, cercando di darle torto anche se non esisteva un argomento a sfavore di quanto detto dalla regina. “Potrebbe trovare una madre umana per il bambino.”

“Lo terrebbe per se, lo sappiamo entrambi.”

“Lo sospetto, anche se non posso esserne certo.”

La ragazza espirò costernata. “Rimane davvero solo Roran, vero?” , propose nuovamente.

Eragon fece spallucce. “Ho aiutato lui a nascondere lo stesso disonore, per-”

“Non parlare di disonore, te ne prego! Non anche tu…”

“D’accordo. A ogni modo Katrina sarà disposta ad aiutarti, senza ombra di dubbio.”

Nasuada drizzò le spalle, sollevata. “Rimane il problema del futuro del bambino.”

“Sapranno accogliere anche lui o lei, se Murtagh dovesse rifiutarsi e fuggire di nuovo. In estremo potrei occuparmi io di lui, è pur sempre il figlio di un Cavaliere.”

“Già, sarebbe la scelta migliore… Diventerà Cavaliere, già lo so.”

Eragon la guardò confusa. “Come puoi esserne certa?”

Nasuada gli rispose vagamente, e la cosa infastidì il Cavaliere. “Ho incontrato una persona che mi ha predetto il suo futuro e ciò che avverrà.”

“Come ha fatto a esserne certa?” , chiese ricevendo il silenzio in risposta. “Non può aiutarti a nasconderti, questa persona?”

“Non posso nascondermi, sono la regina!” , ribatté Nasuada, “Ho bisogno di qualcuno di altolocato da cui ripararmi, ma ho già valutato Roran come opzione migliore.”

Eragon annuì. “Rimango a disposizione per crescere tuo figlio, se rischiasse di essere abbandonato. Io stesso sono stato abbandonato, non vorrei che un’altra creatura crescesse senza un padre.”

“Credevo i tuoi zii ti avessero cresciuto come figlio loro.”

“Mi hanno svelato chi fossi veramente quando ero poco più che un bambino. Per anni sono cresciuto nella disillusione di non essere stato desiderato dai miei genitori.”

“Tua madre, proprio come mi ritrovo io in questa situazione, doveva nasconderti per non darti un futuro più infelice di quello che già non hai avuto…”

Il Cavaliere si asciugò una lacrima. “Ti aiuterò, perché capisco la gravità della situazione dal tuo punto di vista, Nasuada, ma non posso non essere profondamente triste per tuo figlio.”

“Spero io per prima che possa crescere con me, ma devo organizzarmi per lo scenario peggiore! Non pensare che io non desideri questo bambino, vederlo crescere, essere sua madre a tutti gli effetti!” , protestò Nasuada.

“Avresti dovuto scegliergli un padre migliore. Murtagh non potrà mai darti le sicurezze che cerchi… Tuttavia proverò a contattarlo. A presto, amica mia.”

Eragon troncò il contatto così duramente da lasciare la regina a bocca aperta. Ma come biasimare la reazione di un ragazzo che aveva subito la stessa possibile sorte del bambino non ancora nato della regina?

Quando il contatto fu terminato, la giovane fissò per qualche istante il vuoto, poi fiondò il volto tra i palmi e scoppiò in un pianto sonorissimo.

 

Nasuada trascorse le notti successive a fissare la tenda del baldacchino del letto, con le mani appoggiate alla sporgenza sul suo ventre. Cresceva in fretta, forse più velocemente di un bambino normale: da che era invisibile la sua condizione, in meno di due settimane si era creata una collina grande come un melone estivo, di quelli con la corteccia bianca e l’interno arancione e dolcissimo. Era frutto dei lombi di un Cavaliere, poteva forse aspettarsi altrimenti?

Anche il volume del suo seno era aumentato di colpo, costringendola a stringerlo nei vestiti dolorosamente.

Farica la sgridava tutte le mattine, perché non dormiva. “Farai del male al tuo bambino, rischiando di perderlo. Allora tutti i nostri sforzi di nasconderlo e trovargli un futuro lontano da questo castello non saranno stati ripagati.” , la rimproverava.

Quel giorno si alzò apatica come sempre, ultimamente, e la sua dama la vestì in silenzio ma con le lacrime agli occhi. Nasuada avrebbe voluto urlarle di smetterla di compatirla e soffrire in silenzio, ma si trattenne perché sapeva che avrebbe avuto bisogno della sua rabbia per confrontarsi con Roran. Avevano organizzato un incontro di persona.

 

Camminò nei corridoi con un nodo alla gola, scendendo fino al suo studio - una stanza di sconosciuto utilizzo originario, prima del crollo della maggior porzione del castello di Uru’Baen - , dove le venne consegnata la colazione, che rimase intonsa.

Roran e Katrina arrivarono nel suo studio a metà mattina, freschi di viaggio.

“Maestà, come procede il governo? Vedo che non avete appetito.” , notò la giovane fulva.

Nasuada colse l’occasione e li invitò a seguirla: “Sì, sono molto occupata e ho costantemente la mente occupata dalle mie molte mansioni. Vi prego dunque - per non perdere ulteriore tempo - di seguirmi nella sala del tesoro. Vi consegnerò il compenso per i servigi di Roran, così che possiate utilizzarli per governare al meglio il Protettorato.”

La seguirono leggermente interdetti verso le viscere del castello.

Quando le porte della sala piena di oro si chiusero, Nasuada indicò un baule d’oro. “Invierò tutto quanto vedete di restante nel tesoro di Orik, ma questo sarà vostro per un servigio che vi richiedo molto speciale.”

Roran alzò un sopracciglio. “Se Nasuada è arrivata a dovermi corrompere si tratta di qualcosa di pericoloso.”

La regina si morse un labbro. “Questo oro è per pagare il vostro silenzio.”

I due sposi si guardarono preoccupati. “Immagino che prima di poter accettare non saremo tenuti a sapere di cosa si tratta, siccome vuoi pagare il nostro silenzio…”

Nasuada annuì.

Katrina si mise una mano sul cuore. “Ci hai sempre aiutati, in cambio solo dei nostri servigi, perciò stavolta mi sento di voler ricambiare il favore.”

Anche Fortemartello allora annuì, incrociando le braccia per prepararsi al peggio.

La giovanissima regina inspirò a lungo. “Ho bisogno di essere ospitata da voi, tra qualche mese, e di giungere da voi quanto più in sordina possibile - ma a quello penserò io - .”

La fulva sorrise sollevata. “Per quanto la nostra dimora sarà un obiettivo sensibile per la prima volta, non penso ci siano grossi problemi da parte nostra tali da costringervi a negarti l’ospitalità.”

“Bene, voi dovrete però mettere a disposizione le levatrici migliori di cui Carvahall dispone.”

Come se avesse ricevuto un pugno in pancia, Roran si piegò in avanti. “A chi serviranno?”

“A-abbiamo solo Gertrude abile in queste faccende, a Carvahall.” , aggiunse preoccupata la fulva.

“Andrà bene, ha già fatto nascere due bambini sani da quando la conosco. La levatrice è per me.”

“Per te?”

La contessa emise un colpo di risata nervosa. “Non sto davvero capendo, Nasuada… Perché ti serva una levatrice devi aver prima contratto matrimonio e concepito un bambino.”

La regina si appiattì la voluminosa gonna sulla sporgenza. “Fatto. E fatto anche ciò che dici per secondo.”

L’uomo aprì la bocca, ma non emise suono a lungo.

“Mi sembrava strano che tu fossi uscita dalla prigionia di Galbatorix tutta intera - e integra - .” , commentò impallidendo, “Ti prego di non dirmi se quel bambino è il figlio di Galbatorix, ma solo di togliermi la vita qui, seduta stante!”

Nasuada si ricompose scuotendo il capo. “Galbatorix non ha lasciato figli su questo mondo, attualmente vivi o in futuro, da quel che so. No, il bambino è di tuo cugino Murtagh.”

Stranamente, Fortemartello non s’infuriò, né si dimostrò inorridito. “Devo dire che sono sollevato nell’udirlo.” , aggiunse dopo qualche istante.

La regina gli rispose apaticamente: “Sei il primo a dirlo.”

“Non ho avuto il piacere - o il dispiacere - di conoscerlo, ma ricordo la tristezza di Eragon quando si nominava - l’altro - suo fratello… Ci ha visto del buono in lui, e io ho cieca fiducia nel giudizio del mio fratellino.”

Katrina si morse il labbro. “Nasuada, ti ha fatto del male?”

La regina alzò le spalle. “Era costretto dal re a torturarmi fisicamente, ma questo bambino… è imbarazzante da dire così schiettamente, ma sono stata io a cercarmelo.”

I due sposi annuirono comprensivi. “Eragon non è tipo da pettegolezzo, ma come se avesse saputo che tutto questo sarebbe successo, subito dopo il tuo salvataggio ci ha svelato di averti vista sorreggere Murtagh con affetto.”

“Sì, io provo… affetto per lui.” , disse bloccandosi nel rivelare i suoi veri sentimenti, “Ed è per questo affetto che vorrei mettere al mondo suo figlio e affidarglielo. Ho bisogno di voi per organizzare l’incontro con lui.”

“E sei certa che accetterà di crescere il bambino? Non lo farà in due con la stessa spada che lo ha quasi ucciso in mano a suo padre?” , insinuò Roran. Il suo tono non conteneva cattiveria gratuita verso un giovane che non conosceva, ma anzi era velato da apprensione, forse nei confronti del nascituro.

La giovane guardò il pavimento a lungo. “Non posso conoscere il futuro, ma di certo senza un marito non posso crescere personalmente mio figlio.”

Roran si allungò a prenderle la mano, da amico. “Ti aiuteremo. A costo di crescere noi il bambino, e di tenerlo nascosto nell’isolatezza di Carvahall, se lui non dovesse volerlo con sé.”

La moglie lo fissò brevemente. “In realtà sarebbe più saggio costringerlo a crescere una creatura così fragile nel calore di un piccolo villaggio. È più sicuro.”

“Ne parleremo tra di noi, ora il nostro compito è sostenere la nostra amica.”

La regina scoppiò a piangere per la prima volta davanti a Fortemartello e alla moglie. La presero nelle loro braccia, lasciando che si sfogasse.

A un tratto, Katrina invitò con lo sguardo il marito ad andarsene. Roran si staccò, prendendo a esplorare i tunnel corti ma numerosi pieni di tesori.

La fulva chiuse un baule, sedendovici Nasuada sopra. Si posizionò accanto a lei, le mani calde sopra le ginocchia della ragazza dalla pelle scura. “Raccontami, quanto tempo fa l’hai scoperto?”

Per la prima volta, Nasuada fu libera di parlare della sua condizione serenamente, senza timore dei giudizi dell’interlocutrice. Pian piano il suo umore migliorò, ritrovando la forza.

Quando ebbe raccontato tutto a Katrina, si accordarono riguardo il suo trasferimento e si spostarono a pranzo, finalmente riuscendo a mangiare.

Anche io, Nasuada, ho bisogno a volte solo di essere rassicurata e ascoltata come se fossi una bambina, ancora…

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Capitolo 48
*** L'astio di Roran ***


Durante la breve permanenza nella capitale di Fortemartello e la fulva moglie, l’umore e la salute di Nasuada migliorarono lievemente, anche se assieme a maggiore forza fisica assimilata riuscendo a mettere qualcosa nello stomaco, il suo bambino rigettava quasi subito ogni pietanza. Katrina e Farica avevano stretto un rapporto quasi d’amicizia durante le loro scampagnate nei primi appezzamenti di bosco che circondavano il limitare della capitale, alla ricerca segretamente di erbe e radici che potessero aiutare le nausee della regina.

Al contempo, Roran ed Eragon stavano collaborando per rintracciare e inviare un messaggio al Cavaliere rosso, senza molto successo. O almeno, questo non aveva mai dato cenno di aver percepito i loro contatti magici, o i corvi di Roran.

Non era facile, d’altronde, contattare un uomo che aveva deliberatamente fatto perdere le tracce sue e di un immenso drago, mantenendo l’identità falsa che stava vestendo, con alta probabilità.

Sera dopo sera, corvo dopo corvo, di Murtagh non v’era traccia.

Ma i due cugini erano piuttosto frustrati, tanto da essere spinti a non gettare la spugna solamente in nome della regina.

Eragon aveva escogitato un incantesimo per poter rendere visibile sul supporto cartaceo di Illirea ciò che scriveva lui sul proprio, in qualsiasi momento. Era più immediato e conveniente dei contatti allo specchio incantato: in primis, forniva loro segretezza poiché non rischiavano di essere origliati e mettere a repentaglio la reputazione di Nasuada; e per secondo permetteva loro con lo stesso metodo di tentare di raggiungere uno stesso supporto dove erano percepite le rare scie magiche di Murtagh. Eppure, lui non aveva mai risposto.

 

Tranne un giorno: Roran aveva appena terminato di scrivere distrattamente con la sua calligrafia poco aggraziata sulla carta il nome del cugino, in una dimensione così minuscola, che a stento era riconoscibile rispetto ad alcune macchie d’inchiostro senza alcun senso.

In una calligrafia pomposa e riccioluta, cinque parole erano apparse sul supporto trasparente:

 

Perché si chiede di lui?

 

Trafelato, Roran fece chiamare Trianna perché gli aprisse una comunicazione attraverso lo specchio con Eragon, per evitare di confondere Murtagh ovunque si trovasse, davanti al suo foglio. Si chiese se fosse necessario scrivere che si trattasse di Nasuada in persona, ma lo ritenne troppo rischioso.

 

La corona è in pericolo.

 

Si limitò a scrivere Fortemartello, mentre attendeva ancora la maga.

Tamburellò con le dita sulla carta, attendendo fremendo una risposta. I suoi occhi scandagliavano freneticamente la superficie, per non perdersi nulla.

 

Il governo è saldo?

 

Finalmente aveva risposto, nuovamente. Forse, sarebbero riusciti ad avere un dialogo con il Cavaliere rosso. Richiamò una guardia, chiedendo anche che venisse scortata la regina da lui per un colloquio privato urgentissimo. Lei avrebbe capito e sarebbe corsa, quelli erano gli accordi.

 

Sì.

 

E la salute della regina è buona?

 

Il cuore di Roran sussultò. Murtagh stava conversando con lui, e pergiunta abbastanza a lungo! Aveva persino chiesto della regina, segno che aveva a cuore la sua persona. Lei diceva che lui provasse affetto per lei, come era vero il contrario, anche se Fortemartello si era permesso di riservarsi dei dubbi.

 

Sono dunque io ritenuto il pericolo per la corona, allora?

 

No. Al contrario, è richiesto un vostro incontro con la regina.

 

Scrisse quelle parole di getto, per evitare che l’interlocutore perdesse interesse o fiducia nella conversazione. Ma sorbirono l’effetto contrario, perché alcune dure parole apparvero prima che il taccuino prendesse fuoco per via di una forza invisibile:

 

In tal caso non v’è bisogno della mia presenza. Vi prego di non disturbarmi mai più, a meno che la vita della regina non sia realmente in pericolo.

 

L’ultima parte del messaggio aveva tuttavia lasciato un barlume di speranza ancora nel combattente. Forse Murtagh non aveva accettato al primo tentativo, ma non aveva lasciato intendere di non curarsi più della sorte di Nasuada. Roran ridacchiò anche se costernato: aveva conosciuto prima la scrittura del cugino rispetto alla sua personalità, ma già aveva potuto evincere una dose di testardaggine equiparabile a quella di Eragon, e alla propria.

 

La regina apparve in quel momento, senza Trianna al seguito, come se sapesse che già non v’era più bisogno dell’intervento urgente della maga.

“Sei riuscito a parlare con lui?” , sussurrò la giovane turbinando accanto a Fortemartello con il cuore sensibilmente palpitante. Il suo profumo inebriò il giovane uomo.

“Solo per qualche istante.”

Gli occhi di Nasuada si illuminarono. “Ha detto che verrà?”

Lui scosse il capo, dolente.

La regina si andò a sedere in silenzio, allora, con lentezza. Come se la sua mente fosse troppo occupata nel pensare alle prossime mosse per farla camminare propriamente.

“Gli hai svelato qualcosa?”

“Avevamo concordato di non farlo.”

“Forse avresti dovuto.”

Il tono della giovane non fu accusatorio, ma le sue parole infastidirono comunque l’amico. “Ho eseguito i tuoi ordini!”

“Lo so, e ti ringrazio. Ma abbiamo perso forse l’unica occasione che avremo.”

“Mi occuperò io del bambino, se non dovesse presentarsi suo padre a reclamarlo.” , proclamò solennemente lui, tra i denti.

Nasuada lo guardò duramente. “Non è a conoscenza di doverlo reclamare, sai anche tu che è impossibile che accada che si presenti alla tua porta.”

“Meglio così, forse.”

La rabbia era ammontata completamente al cervello di Fortemartello, colpendolo in ritardo rispetto alla reazione del cugino. Se Nasuada diceva che l’amasse, allora perché aveva osato rifiutare di rivederla? Lui non avrebbe mai pensato di negare a Katrina nulla. Aveva persino fatto di tutto per salvarla da quelle bestie immonde. E suo cugino? Aveva rapito e torturato Nasuada, simulando di amarla, ingannandola. E lei era caduta nella sua trappola.

Ma cosa voleva da lei? Non di sicuro un figlio, o sarebbe rimasto al suo fianco per strapparglielo.

Voleva solo giocare con lei?

“A cosa stai pensando?” , lo interruppe Nasuada.

“A che uomo orrendo sia mio cugino.”

La giovane aprì la bocca, scoppiando a piangere come se avesse ricevuto uno schiaffo. “No, non lo è.” , sussurrò alzandosi dopo lunghi singhiozzi.

Gli puntò il dito contro. “Alla fine anche tu sei arrivato al punto di giudicarlo senza conoscere lui e le sue motivazioni!”

Roran scattò in piedi, prendendole il polso. “Non osare insinuare che sia un uomo di corte vedute!”

La regina non rispose, ma il suo sguardo parlò per lei. Il conte ci lesse quello che mai lei aveva osato dirgli apertamente: di ritenerlo solamente un contadino, un sempliciotto, incapace di equiparare un Cavaliere di animo nobile come Eragon o uno di nobili natali come Murtagh. I suoi occhi lo etichettavano come la pecora nera della covata, lo scarto, secondo Roran.

La lasciò andare disgustato, voltandole le spalle.

Si poggiò alla scrivania, indicandole la porta all’indietro. “Non pensare che dopo il nostro litigio non ti aiuterò, ma non osare nemmeno lasciarti sfiorare dal pensiero che potrò mai perdonare Murtagh, o accettarlo.”

La giovane dalla pelle d’ebano rise istericamente, esageratamente.

“Per quale motivo?” , chiese con un sorriso allibito stampato sul volto, che l’altro non vide.

“Non è riuscito a dimostrarmi di tenere a te. Non quanto noi che siamo rimasti, che siamo qui.”

Nasuada si prese i gomiti nelle mani scure, proteggendosi in un abbraccio. “Nemmeno se te lo dimostrasse?”

“Non avrà occasione di dimostrarmelo.”

La regina batté i tacchi. “L’odio è solo amore inespresso, Roran!” , gli impartì, “Tu e Katrina potete tornare a Carvahall, la vostra presenza qui non è più necessaria. Ci vedremo tra qualche mese per la mia visita.”

Fortemartello si voltò. “Solo tu poi avere l’ardire di amare un soggetto simile! E poi…ci dismetti così?” , esclamò, “Chi ti aiuterà?”

“Eragon. Chiederò esclusivamente a lui di contattare il Cavaliere rosso, d’ora in poi.”

La superò a grandi falcate, dirigendosi all’esterno per cercare la moglie e fare i bagagli.

 

 

Nasuada contattò Eragon in lacrime, sotto lo sguardo confuso e contrariato di Trianna, non appena ebbe visto scomparire la corta carovana di Fortemartello.

Quando il volto familiare di Eragon apparve, la regina congedò bruscamente la strega, forse eccessivamente, tanto che il Cavaliere si permise di rimproverare la giovane dalle pelle d’ebano.

“Ultimamente sono un casino…” , mormorò tra sé rimproverandosi.

“Lo capisco, la situazione non è delle migliori. Dov’é Roran? Ho visto che Murtagh ha risposto e conversato con lui, ma non sono riuscito a vedere che le ultime risposte.”

“Se n’è andato.”

“Oh. Volevo parlargli di quanto mio fratello gli avesse scritto prima che me ne accorgessi. E anche di altro…”

Nasuada alzò un sopracciglio al tono sospetto del castano. “L’ho fatto fuggire io dalla frustrazione. Le mie emozioni sono ingestibili ultimamente come ti ho detto… Di cos’altro volevi parlare con lui?”

Eragon esitò. “Non… Ho letto una frase che non suonava affatto da Murtagh. Ovviamente Roran non può aver avuto il mio medesimo dubbio, non avendo mai conosciuto mio fratello. Volevo avvertirlo di prestare attenzione, se mai Murtagh dovesse contattarlo nuovamente.”

“Credi ci sia qualcuno che si spacci per lui? Chi?” , chiese allibita la giovane.

“Non saprei, ma è solo un sospetto che potrebbe rivelarsi insensato. A ogni modo, se Roran non è più con te, ti abbandonerò e cercherò di contattarlo. A presto.”

Nasuada acconsentì. “Ti prego di porgergli le mie scuse. Ho davvero superato ogni limite. State cercando tutti di aiutarmi e non ho fatto altro che comportarmi da bambina con tutti.”

“Vorrei dire che sia colpa della gravidanza, ma credo che la tua prepotenza sia dovuta alla paura del futuro.”

La giovane annuì, permettendosi di versare l’ultima lacrima. Si promise che sarebbe tornata forte. Per sé, per il paese e per suo figlio - o figlia - .

 

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Capitolo 49
*** Premonizioni ***


Ogni viaggio deve cominciare con un saluto dolente, talvolta con un addio. Quella mattina la corte della roccaforte nel castello di Illirea era gremito di persone disposte attorno ai due rettili che rilucevano come pietre preziose ai raggi di un sole ormai più freddo per l’arrivo dell’inverno. Le campane della città suonavano senza sosta in festa, nell’aria il vociare era euforico per la partenza del primo Cavaliere del Nuovo Ordine verso l’Accademia fondata da Eragon, il liberatore di popoli.  Reenan aspettava la partenza accanto al suo Compagno, vestito di meravigliosi e pregiati abiti dello stesso colore delle squame di quest’ultimo. Attorno a lui, un corteo di nobildonne e uomini che vorticavano per porgergli gli ultimi auguri, le benedizioni, le loro speranze nella figura onorifica. Per ultima si aggiunse la famiglia reale con al seguito i membri del Consiglio degli Anziani. Flaithrì, ultimo superstite dell’Ordine, sedeva su uno scranno in legno scuro coperto da numerose pellicce, il suo volto tirato in un sorriso colmo d’orgoglio. Murtagh guardò la folla e i sorrisi sinceri di chi si rivolgeva al Cavaliere, gli stessi che aveva visto anni prima rivolti al giovane e promettente Eragon al suo arrivo tra i Varden. Sapeva di non poter sperare mai che venisse amato e ammirato così, almeno finché sarebbero vissuti ancora i nati sotto il regno del Re Nero. Nasuada gli strinse la mano attorno all’avambraccio più forte, facendolo voltare verso di lei. Un sorriso enorme faceva risplendere i suoi bellissimi lineamenti, ed era tutto per lui. Si spostò di fronte a lei, baciandola avidamente anche se in pubblico - tutti erano, d’altronde, impegnati a dare piena attenzione all’uomo dai capelli rossi e il suo drago verde bocciolo - . “Mi mancherai terribilmente, Amore mio” , le sussurrò tenendo le loro fronti congiunte. Lei si scostò e lo guardò da capo a piedi, come a volerselo imprimere per l’ultima volta nella mente. Vestito di un abito bianco, dai ricami rappresentanti rami spogli color cremisi sulla casacca, i capelli lasciati sciolti dietro le spalle, una sottile tiara con due draghi sulle tempie e un altro a fermare il mantello, il Cavaliere rosso era indubbiamente bello da togliere il fiato, una bellezza regale ma austera come quella degli elfi. Non sarebbe stato arduo ricordarlo in quella veste. “Ti aspetteremo trepidanti tutti e tre.” , gli sussurrò prima di dargli un ultimo fugace bacio.

Lui si abbassò poi sui talloni per salutare il figlio, che aveva compiuto un anno da ormai qualche mese. Finiarel, appeso per una manina a un braccio della madre - non camminando ancora -, si protese verso di lui. “Papa” , borbottò con la sua voce acuta e che sembrava sempre felice, ignara della separazione imminente.

“Non crescere troppo in mia assenza, promesso? E proteggi tua madre e il tuo fratellino in mia vece, figlio mio” , si raccomandò accarezzandogli il volto delicato.

Gli baciò la fronte e si diresse verso il suo drago, lanciando un’ultima occhiata alla sua famiglia. Reenan lo imitò e montò Odhràn, spiccando il volo. Volarono per tutto il giorno accampandosi fuori la città di Furnost. Castigo avrebbe potuto continuare almeno un altro giorno e mezzo senza soste, ma il giovane drago verde era cresciuto in stazza ma aveva ancora muscoli da cucciolo, soggetti al logoramento del volo ancora.

Maestro e allievo si stesero attorno al fuoco e ai loro Compagni.

L’uomo dai capelli rossi, nonché il più adulto dei due, sembrava guardare a Sud molto di frequente. “Se lo desideri potremmo prendere la strada più lunga e più sicura per un giovane drago come Odhràn, passando sui Monti Beor e non sul deserto.” , propose Murtagh.

L’altro si illuminò. “Passeremmo per Petrovya?” , si informò l’ex-maniscalco. L’altro annuì.

“Potrai visitare la tua famiglia se vorrai” , gli concesse con un sorrisetto.

“Sono sei mesi che non vedo mia moglie e le mie figlie!” , disse pregustandosi il momento.

“Le rivedrai domani stesso, se partiremo all’alba.”

L’altro annuì, guardandolo con sguardo colmo d’affetto. “Grazie, Murtagh-elda. So che io ti rallento negli spostamenti e che vorresti tornare al più presto dalla regina e da tuo figlio. Apprezzo questo dono che mi stai porgendo, non lo dimenticherò!”

L’altro si strinse nelle spalle. “È questo il mio dovere, non posso tirarmi indietro - così come non potrai nemmeno tu da quando il tuo Compagno ti ha scelto -. Ma se posso rendere felice un uomo lo farò. I miei figli e mia moglie dovranno solo attendere qualche giorno in più, nulla di insopportabile.”

“I miei auguri per il nascituro, dunque!” , commentò l’uomo sdraiandosi. Murtagh ringraziò, ma l’altro era già sprofondato nel sonno, così decise di imitarlo e porre fine a quella giornata.

All’alba ripartirono, dopo aver indossato abiti più leggeri per le temperature più clementi del territorio del Surda. A metà pomeriggio arrivarono nella cittadina natale del Cavaliere più maturo, venendo accolti con calore, stavolta anche Murtagh fu salutato e gli furono rivolte parole di rispetto. “Allora, la vuoi vedere la tua famiglia o no?”, lo incalzò il più giovane vedendolo trattenersi troppo a lungo con gli abitanti e il loro capo. Se fosse stato lui al posto dell’altro si sarebbe liberato al più presto delle persone per correre dai suoi cari.

L’altro annuì e si congedò man mano da tutti coloro che gli si approcciavano, dirigendosi verso est. Si voltò a guardare il suo maestro. “Non vieni?” , gli chiese stupito.

“È il tuo momento con la tua famiglia, è meglio che tu vada da solo.” , gli rispose calmo.

L’altro non fu contento della risposta, perché spostò i pugni sui fianchi. “La regina e tu mi avete ospitato nella vostra dimora, mi avete fatto giocare vostro figlio! Lascia che stanotte ti ospiti io, è una casa molto più umile, lo ammetto, ma Yara sarà contenta di vedere con i suoi occhi l’uomo che mi ha strappato da lei.”

Il moro alzò le spalle. “Non ho altri argomenti da obiettare: ti seguirò.”

Percorsero numerose strade contorte ma sempre ampie circondati da una fervente attività produttiva nelle piccole botteghe, fino a fermarsi davanti a un edificio dalla facciata di malta verde. Prima che potesse bussare, la porta si aprì e una donna dalla pelle scura come quella di Nasuada - ma dagli occhi non ambrati come la moglie, ma neri, dal costato e fianchi larghi -  lasciò cadere un vaso a terra, spalancando la bocca. “Reenan, sei davvero tu?” , sussurrò. Il marito annuì, prendendola per la vita e tirandola a sé. Quando si staccarono, la donna - che aveva notato anche l’altro ragazzo - li invitò ad entrare. Salirono per delle scale in pietra e molto strette, il più giovane sbatté più volte alle travi in legno il capo, fino a una cucina dall’aria calda e secca.

“Padre è tornato!” , gridò una bambina di circa sette anni in direzione di due porte chiuse da una tenda ciascuna. Di una bellezza meticcia, la bambina aveva capelli rossi e occhi arancioni brillanti e caldi, come ambra liquida; la sua pelle era abbronzata naturalmente, l’esatta media delle tonalità dei genitori. Si ritrovò a domandarsi se il suo secondo figlio avrebbe ereditato i colori della madre, o se invece il suo maledetto sangue così forte lo avrebbe fatto somigliare al primogenito e a lui, suo padre, solamente. Altre tre bambine accorsero nella stanza, la più grande doveva avere dodici anni, la più piccola - che rapì lo sguardo del Cavaliere rosso con la sua dolcezza - doveva averne al massimo due. Il padre le abbracciò una per una, per ultima la piccola di casa, poi si voltò verso il ragazzo. “Yara, figlie mie, lui è Murtagh. Mio maestro e Cavaliere del Drago.” , lo presentò Reenan alla famiglia.

“È un piacere, Cavaliere. Spero che mio marito non vi abbia infastidito con la sua testardaggine, e al contempo mi auguro che voi lo stiate trattando bene” , disse la donna - che doveva avere poco meno di trenta anni, vista la pelle ancora liscia e i capelli di colore pieno e intenso - con voce grintosa. Come la regina, forse, doveva provenire da una tribù di nomadi, in cui le donne erano sicuramente più libere e fiere di quelle a cui era stato abituato per tutta la vita.

“Sul trattamento ricevuto da noi, solo vostro marito potrà riportarvi un giudizio. Potete stare tranquilla, tuttavia, perché non mi ha recato disturbo, è un allievo che impara in fretta, e molto giudizioso.” , disse il ragazzo alzando leggermente gli angoli della bocca. Yara abbassò gli occhi arrossendo, sentendosi rivolgere con una tale eleganza verbale per la prima volta.

“Chi sarebbe noi? Da dove venite, Cavaliere? Avete una famiglia ad aspettarvi?” , gli chiese la donna, con sorpresa dell’ospite, riprendendo le sue faccende.

“Davvero non sapete chi sono?” , chiese sbigottito. La donna lasciò per un attimo gli utensili e gli si avvicinò a guardarlo, poi scosse la testa.

“Murtagh-elda è il marito della nostra amata regina, colui che ha generato il nostro futuro re.” , rispose per lui Reenan, lanciandogli un’occhiata pregna. Esisteva qualcuno al mondo, dunque, che non sapeva dell’esistenza del figlio di Morzan, Traditore, Regicida e per ultimo Impalmatore di regine.

La donna sbarrò gli occhi, affrettandosi a fare una riverenza, facendosi seguire dalle figlie Con un cenno. Murtagh alzò la mano, per fermarle. “Io non sono il re, potete rimanere alzate.”

“Perdonatemi, sono stata scortese. Prego, sedetevi!” , lo invitò notando la rigidità della situazione, che doveva essere molto diversa dall’atmosfera domestica a cui era abituata. Il Cavaliere più giovane si sedette, anche se non era a disagio essendo stata la sua intera vita una rigida recita di ruoli, e anche la sua famiglia aveva tante regole da seguire, perfino i suoi rapporti con la moglie e il figlio erano regolamentati da un’etichetta ferrea.

“Lehana, vai al pozzo a prendere dell’acqua per il nostro ospite.” , ordinò la madre alla figlia maggiore, mettendole in mano un altro vaso profondo in sostituzione di quello rotto all’ingresso.

La ragazza si legò i capelli in una treccia e uscì di casa, ritornando poco dopo con il liquido nel contenitore. Mentre la madre e le figlie maggiori preparavano la cena, la minore - che non aveva staccato gli occhi ambrati dall’ospite nemmeno per un secondo - gli si avvicinò. Dall’altro lato del tavolo, Reenan osservava la scena con un sorrisetto cucito sul volto. Murtagh guardò la bambina a un piede dalle sue ginocchia e le sorrise lievemente. Lei si prese il bordo della casacca che indossava sul vestito di piccole dimensioni, iniziando a contorcersi, con un sorriso imbarazzato.

“Come ti chiami, piccola?” , le chiese dolcemente.

“Amberose Yarasdaughter” , rispose candidamente lei, appoggiandosi alle sue ginocchia con le mani, e il volto sopra a esse. Murtagh frugò in una sacca, estraendo una manciata di monete. Proferì qualche frase nell’Antica Lingua e il metallo nelle sue dita si fuse e andò a formare un piccolo drago. La bambina spalancò gli occhi e il Cavaliere la prese sulle sue gambe. “Forza, soffia per vederlo volare.” , la incitò. La bambina riempì i polmoni e soffiò, mentre il Cavaliere pronunciò silenziosamente un’altra frase per animare la statuina, che aprì le ali e iniziò a volare per tutta la stanza. La piccola balzò a terra, iniziando a seguirla ovunque.

“Vedete di non finire come noi, Cavaliere. Quattro figli sono tanti, fatelo per vostra moglie, almeno!” , si raccomandò la donna sventolando un mestolo in aria, dopo aver visto il sorriso sul volto del ragazzo.

“Troppo tardi, Yara. Presto Alagaesia avrà un altro principe, e tra dieci anni, chissà, forse ne avremo addirittura dodici, di questo passo.” , rise il marito. Murtagh arrossì e distolse il capo, senza rispondere alla provocazione. Reenan nel frattempo stava osservando ogni pollice della sua casa, riportando alla luce tutti i ricordi. La figlia di mezzo, Wisteria, lo andò ad abbracciare, facendogli vedere i suoi progressi con il cucito. Murtagh notò che fosse piuttosto brava e che i suoi pizzi fossero di grande valore, in stile surdano.

“Siamo riusciti a trovare un compratore per quello che crea tua figlia, Reenan. Devi essere fiero di lei.” , disse la moglie, aggiungendo le ultime erbe allo stufato.

Il fulvo annuì. “Sono fiero di ciascuna di voi, tu per prima.”

La moglie portò in tavola la cena ridacchiando e servendola ai presenti, l’ospite per primo.

“Non è quello a cui siete abituato, sono spiacente. Purtroppo senza mio marito a lavorare nella bottega abbiamo perso numerosi clienti data l’inesperienza dell’apprendista.” , si scusò mescolando la zuppa di legumi e verdure.

“Nella vita non ho mai sofferto la fame, è vero. Sono nato in un castello e alla morte dei miei genitori portato alla corte del Re Nero, ma il trattamento che mi riservavano era pur sempre quello di un reietto. Mi sono cibato di molte zuppe come la servitù, per mia scelta: volevo sparire ed essere nessuno come i servitori. Non mancava mai la mia razione, certo, per ordine del re, ma nessuna prelibatezza era destinata a me, se non ai banchetti. Vi ringrazio per questo pasto, e non dovete scusarvi.”, rispose grevemente il ragazzo, prendendo il primo cucchiaio. Dopo la cena andarono a coricarsi, Murtagh occupò la stanza vuota della casa, segno che prima che l’Ordine strappasse un padre di famiglia al suo lavoro, la loro condizione economica non fosse così disagiata. Sentì dei rumori provenienti dalla stanza dei due sposi che lui riconobbe senza esitazione, rumori di due amanti tenuti separati per tanto tempo. Si voltò nel letto, pensando alla sua di amata, e al piccolo che cresceva nel suo ventre, di cui era venuto a conoscenza da qualche giorno. Cercò di immaginarselo, e le immagini arrivarono senza esitare, come un sogno a occhi aperti. A fianco al fratello maggiore, entrambi i suoi figli erano fieramente in piedi attorno alla madre seduta sul suo trono, gli sguardi ardenti degli occhi del minore di colori diversi, uno azzurro come i suoi e l’altro ambrato come quello della madre. Il giovane dai capelli corvini mosse il capo per guardarlo, e il rossore della luce della torcia si spostò dall’iride castano, rivelandosi invece un occhio nero. Morzan lo guardava negli occhi, con un ghigno malefico in volto. Suo figlio - dall’aspetto di suo padre - prese una mano della regina, aiutandola ad alzarsi dal trono con delicatezza e riverenza verso la propria madre, poi andò a sedervisi, mostrando i denti in segno di sfida. Prese un pugnale dalla cintura e guardò con ferocia quel giovane che Murtagh riconobbe senza difficoltà essere Finiarel.

Il Cavaliere si pressò le dita sugli occhi, a scacciare quell’immagine. Cosa era stata quella immagine? Una previsione del futuro? Sarebbe successo tutto nuovamente? Avrebbe messo al mondo un figlio malvagio e assetato di potere a tal punto da uccidere il fratello, come era successo a suo nonno, il padre di Morzan? Cosa avrebbe fatto lui? Avrebbe ucciso suo figlio, avrebbe avuto il coraggio di porre fine alla vita del sangue del suo sangue? Aveva biasimato Flaithrì per non aver agito contro il figlio, ma non comprendeva ancora. Non aveva mai avuto sospetti o dubbi nei confronti del primogenito, ma ora si trovava a sperare che quel secondo bambino non vedesse mai la luce.

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Capitolo 50
*** Fratelli ***


La mattina, il nuovo Cavaliere salutò a malincuore la famiglia e ripartì assieme al suo maestro alla volta dell’Accademia.

Venti giorni dopo, avevano superato i confini del paese, vagando nel cielo e seguendo un fiume, unica indicazione che avevano per raggiungere Eragon. I territori sotto di loro erano verdi, infinite pianure fertili in cui sorgevano distanti villaggi fortificati da tronchi di legno appuntiti. Le persone che scorsero durante i voli a quota minore non erano diversi dal popolo di Alagaesia, la maggior parte aveva capelli biondi o rossi, ma avevano anche visto intere comunità di individui dalla pelle colore delle mandorle. Man mano che superavano quel mare d’erba seguendo il fiume, gli incontri si facevano sempre più rari, fino a scomparire. Un giorno dopo arrivarono all’Accademia. Era ancora composta da un edificio con una grande cupola in vetro al centro, e le fondamenta in pietra bianca per altri tre erano state piantate. D’istinto, Murtagh pronunciò alcune parole nell’Antica Lingua, immaginando un vento fortissimo capace di rallentare la loro avanzata. Con un ringhio, Castigo neutralizzò la sua magia con la propria. Sei impazzito? Volevi uccidermi? , sbraitò nella mente del suo Cavaliere. Era iracondo.

No! Assolutamente no!

Murtagh prese un profondo respiro, e l’aria d’alta quota scese nel suo petto bruciando per la bassa temperatura. Poi un altro. Scosse il capo. Ti chiedo scusa, ma ho avuto paura., disse infine.

Paura di cosa?

Di non essere accettato., soffiò Murtagh.

Indulgenza e comprensione riempivano le parole del drago come sempre.

Sei stato nominato Cavaliere del Drago a tutti gli effetti, hai - abbiamo - tutto il diritto di giungere qui. , cercò di ragionare il drago.

Nonostante gli sforzi, Murtagh ricominciò a respirare affannosamente. Castigo, io… sono rotto irrimediabilmente, mentre per te… c’è speranza.

Quella volta, Castigo virò le ali, sistemando le membrane perpendicolarmente alla corrente che il suo muso spezzava. Con un sussulto, arrestò il volo, iniziando a scendere in picchiata.

È questo che stai insinuando? Vuoi morire?

Murtagh non riuscì a rispondere, troppo traumatizzato dai pensieri autodistruttivi che la sua mente partoriva.

D’accordo, allora sappi una cosa: io mi sono legato a te, e solo la morte potrà recidere il nostro legame. Ma io non ho intenzione di sopravviverti.

Reenan, che doveva aver notato il brusco cambiamento di direzione di Castigo, virò il volo di Odhràn a fatica e si misero all’inseguimento dei loro maestri.

Che succede? Maestri, state bene? , chiese nelle menti di entrambi, preoccupato che avessero avuto un malore.

Un’altra crisi del mio Cavaliere. Proseguite pure, ormai la destinazione è a portata d’occhio. , impartì Castigo.

Il cuore di Reenan si strinse. Era stato un soldato, e in parte aveva sperimentato le brutture della vita da militare. Ciò che non comprendeva del tutto, perché non gli era stato inflitto sulla propria pelle, erano i motivi delle crisi disabilitanti di Murtagh. Per lui, quell’individuo, poco più che un uomo fatto e compiuto, aveva il potenziale di rimettersi completamente e in fretta - proprio come tipicamente tutti i giovani - , persino dalle torture e la manipolazione che gli aveva svelato di aver subito. In quel frangente, s’insinuò il dubbio che l’ostinazione del suo maestro per poco non più imberbe a non svelargli i dettagli delle torture, nascondesse un muro invalicabile. Li osservò precipitare, quasi fino al terreno, e si permise di pensare per un istante che sarebbe stato meglio per Murtagh, Castigo e per tutti che le loro vite fossero finite lì.

Spronò Odhràn a proseguire e il drago a malincuore lo assecondò. Castigo era l’unico esemplare della sua specie che avesse mai incontrato, e gli era grato per avergli insegnato molto. Eppure, nonostante la pazienza e il fare accogliente della Montagna Rossa, aveva sempre avuto l’impressione che con lui nessuno avrebbe mai potuto stringere un vero e proprio legame, se non il suo sventurato Cavaliere.

Prima che potessero atterrare all’Accademia, da lontano un’ombra azzurra si avvicinò veloce, fino ad affiancarli. Il giovane drago verde chiaro ruggì  nel vedere un altro suo simile. Con un colpo di ali, accelerò per atterrare di fronte agli altri due. Sinuosa, e con molte meno spine del suo maestro  Castigo, sembrava vento sublimato in un animale magico.

Il drago rosso nel frattempo, aveva virato il volo, evitando uno schianto contro il terreno per un soffio, riuscendo nel suo intento di spaventare e risvegliare il suo Cavaliere. Con gli artigli aveva arrestato il movimento, creando profondissimi solchi. Sbuffò e prese fiato: quelle manovre erano sempre pericolose, anche per un drago esperto in volo come lui.

Murtagh?, chiamò con apprensione.

Stirò e piegò il collo per vedersi con la coda dell’occhio il dorso su cui era seduto a cavalcioni il suo umano-spilungone. Stai bene?

Starò mai bene?, fu la domanda di Murtagh. Dal suo tono ironico ma disilluso, Castigo capì che fosse tornato in sé.

Il drago gli inviò un’ondata di affetto incondizionato. Sì, che starai bene. Ne sono convinto.

Cercò un’immagine di Nasuada con il cucciolo di umano tra le braccia, la più commovente secondo i suoi canoni di drago, e la condivise con Murtagh.

Guariremo con loro e per loro.

Ho pensato che morire sarebbe stato meglio che affrontare di rivedere Eragon e gli Antichi! , esplose in in piagnucolio di vergogna Murtagh.

Tsk! Se ti sentisse Essie di Sigling* penserebbe che sei un truffatore. Glielo consigliasti tu stesso: a volte, restare e affrontare i problemi è l’unica possibilità.

Murtagh inspirò a lungo. Giusto. Né Eragon né gli Antichi ci faranno del male. Ci avrebbero già tolti di mezzo alla Liberazione, se non ci avessero voluti più in vita, no?

Esatto!, esclamò Castigo con tono di lode, nascondendo i propri timori che permanevano. Ma non potevano permettersi di dimostrarsi impauriti o ancora rotti, per quanto lo fossero.

Erano benvenuti, credeva il drago, affinché si fossero dimostrati equilibrati, calmi, sicuri. Tutto ciò che loro non erano. L’unica costante sua e del suo Cavaliere era la potenza.

Eragon ti aspetta.

Andiamo, non dobbiamo tardare., confermò il Cavaliere. Raggiunsero dopo un brevissimo volo l’Accademia. La osservarono incuriositi e ammirati, persino. Atterrarono tenendosi leggermente in disparte, cauti e all’erta.

Saphira era ritta di fronte a Odhràn, ma al loro arrivo i suoi occhi di zaffiro li studiarono felini.

Eragon non era sul dorso della dragonessa, notò Murtagh.

Benvenuti in questo nostro santuario, Cavalieri. Reenan e Odhràn, è un piacere conoscervi. In voi gli umani e le altre razze hanno riposto le loro speranze per un futuro migliore. Qui imparerete da chi è venuto prima di voi - e di noi - quello che significa essere un Cavaliere del Drago, perché un giorno il nostro Ordine possa aiutare la nostra terra madre a prosperare. , disse Saphira con la sua voce calda e materna. Reenan e Odhràn salutarono la dragonessa nell’Antica Lingua. Il Cavaliere rosso avvertì una coscienza familiare approcciarsi e si voltò di scatto dalla direzione di provenienza della pressione. Si sporse per vedere, oltre il collo possente del proprio Compagno, Eragon camminare con tranquillità verso i nuovi arrivati, seguito da un elfo dalla pelliccia blu. Reenan smontò, allora Murtagh lo imitò seppur sforzandosi. Respira.

Eragon non si fermò davanti al nuovo Cavaliere, ma andò di fronte al fratellastro, guardandolo negli occhi intensamente. Era scontento di vederlo?

L’aspetto del castano non era cambiato molto da quando era partito, la sua trasformazione in elfo era completata, tanto da renderlo ora alto poco meno di Murtagh. Quest’ultimo trattenne il fiato, irrigidendo i muscoli del corpo, come in preparazione a un attacco o alla fuga.

Eragon non lo colpì, né con le armi, né con le parole. Allargò invece le braccia con lentezza e lo salutò con una parola melodiosa per Murtagh: “Fratello!”. Come se un vento avesse spazzato via le nubi nel cielo della mente di Murtagh, lui s’illuminò.

Il più grande unì il suo petto a quello dell’altro, stringendolo forte. “È bello rivederti, Eragon.” , rispose in un sussurro.

Si staccarono, anche se il maggiore sperò ormai che non dovesse per forza accadere. Si guardarono negli occhi con intensità nuovamente, poi Eragon andò a stringere la mano all’uomo dai capelli rossi. “Ben arrivato, Reenan. D’ora in poi sarò io il tuo maestro. Vivrai qui e diventerai un Cavaliere a tutti gli effetti, terminato il tuo addestramento.”

Murtagh arretrò fino ad appoggiarsi al corpo di Castigo, che si stava annusando con Saphira. La testa era leggera, come se stesse per svenire.

Blodgarm si fece avanti perché Reenan lo seguisse nei suoi nuovi alloggi. Per Murtagh ed Eragon era tempo di dirigersi verso lo studio del più giovane, o qualsiasi altro luogo, per raccontarsi quanto successo i quei mesi, in quell’anno. La stanza-studio provvisoria di Eragon era una stanza quadrata, con un tavolo al centro e pergamene appoggiate negli angoli in disordine.

“Come ti sembra?” , chiese il castano rompendo il ghiaccio.

“Il tuo studio? Disordinato. Per il resto… un posto tranquillo, si respira aria di libertà qui.” , rispose con sincerità l’altro. Eragon alzò un sopracciglio: “La tua considerazione non è conclusa, intendo bene?” .

“Non capisco perché tu te ne sia andato da Alagaesia, ancora. Il regno ha bisogno di te per non cadere nel caos” , lo supplicò l’altro, senza perdere tempo in chiacchiere cortigiane inutili.

Il giovane parve stupito. “Nasuada ha difficoltà a mantenere la pace? Il suo governo non è saldo?”

Murtagh scosse la testa. “In realtà sta riuscendo meglio di quanto pensasse lei stessa. Dobbiamo gestire pochissime rivolte, i tentativi di assassinio sono ormai praticamente nulli. Ma tu sei l’uomo che ha liberato il popolo! Vogliono continuare a sentirti vicino, per proteggerli!”

“Per questo sto lavorando ogni giorno per ricostituire l’Ordine. I Cavalieri una volta terminato l’addestramento torneranno in Alagaesia per proteggere e preservare la sua pace.” , lo rassicurò l’altro, invano.

“Quanto tempo dovremo aspettare? Alagaesia ha bisogno del suo Cavaliere!” , insistette il moro.

Eragon gli andò vicino, mettendogli una mano sulla spalla. “Non tornerò, fratello, è il mio destino.”

“Il destino è solo una sciocchezza!” , sputò l’altro parole amare, pensando alla sua vita e a tutto quello a cui aveva creduto fino a tre anni prima.

“Alagaesia ha te, tu sei il suo Cavaliere e un uomo più che valoroso, Murtagh.” , gli rispose con sguardo dolce il minore.

“È già tanto che sopportino la mia presenza, non sono certo felici che io sia lì! Preferirebbero che fosse il contrario, io esiliato per sempre e tu con loro.” , ringhiò l’altro.

“Da quanto so hai aiutato Nasuada a rafforzare la sua alleanza con i nobili di Alagaesia. Sei inoltre il mago più potente che esista, un maestro nell’arte del combattimento, il che ti rende molto utile per difendere la vita della regina.” , gli disse l’altro in tono lusinghiero.

Murtagh non fu scosso. “Mi temono, talvolta li sento bisbigliare che sono sicuri che io stia ordendo qualcosa contro la regina, che io possa arrivare addirittura a sgozzarla la notte, lei e il principe. Si dimenticano addirittura che sia mio figlio, e che dunque non gli torcerei mai nemmeno un capello.”

“Se io tornassi sarebbe più facile convincerli della tua buonafede, perché io ho fiducia totale in te.” , ammise il giovane. Per Murtagh fu come ricevere un pugno allo stomaco. Se aveva così tanta fiducia in lui, perché non lo aveva difeso, prima di andarsene?

O forse l’aveva fatto, ma le canzoni dei bardi sono difficili da sradicare.

“Allora torna, Eragon! Fallo per me, potremmo allacciare un rapporto che ci è stato impedito!” , lo supplicò l’altro.

Il Cavaliere azzurro scosse il capo. “Dimentichi che anche tu eri partito per ritrovare te stesso?”.

Murtagh scosse a sua volta la testa, facendolo continuare: “Non hai potuto ritrovare te stesso con i tuoi tempi, sei dovuto ritornare per la vita di Nasuada e di tuo figlio. Forse non sarebbero bastati secoli per rimarginare le tue ferite, ma ritornare forzatamente dalla tua amata, sono sicuro che abbia accelerato il processo. Ora devi solo dimostrare ai suoi sudditi e agli altri popoli in Alagaesia chi sei veramente. Ricordati che io e Nasuada ti agevoleremo sempre in questo. Non esiteremmo mai a dimostrarci certi nei tuoi confronti.”

Murtagh distolse lo sguardo, gli occhi colmi di lacrime pronte a traboccare. Eragon gli andò vicino, abbracciandolo nuovamente. Aspettò che tornasse in sé, che riprendesse la sua stoica fierezza prima di porgergli la domanda che attendeva da molto tempo sottoporla al fratello. “Vorrei che una volta l’anno tu rimanessi qui per un periodo a insegnare la magia ai Cavalieri, come solo tu puoi.”

Il maggiore rifletté un attimo. Gli avrebbe sicuramente strappato del tempo da passare con la sua famiglia. Eppure sapeva che, in caso di minaccia più grande, i soli insegnamenti di Eragon sarebbero stati insufficienti per i nuovi Cavalieri. Lui solo, anche se per colpa del pazzo Galbatorix, era in grado di padroneggiare la magia perfettamente, anche quella nera.

“D’accordo, fratello. Ma sarò io a decidere quando raggiungerti e quando tornare da Nasuada. La mia famiglia è l’unica cosa che mi rende stabile mentalmente.”

Eragon annuì, poi il suo sguardo si fece pensieroso per qualche istante.

“È passato un anno dalla nascita di Finiarel, quando vi deciderete ad allargare la famiglia? Alagaesia non ha bisogno di altri eredi?” , gli chiese con un sorrisetto.

“Se non fosse già in opera, ti risponderei di pensare a trovarti una compagna, fratellino, non all’eredità di Nasuada.” , rispose l’altro con una falsa acidità nel tono. Era stata una domanda candida, di un fratello che ha visto l’altro cambiare positivamente grazie al figlio, e che si chiedeva quando un’altra gioia così grande si sarebbe aggiunta alla sua vita. Murtagh non aveva, purtroppo ed erroneamente, mai parlato con la moglie di avere dei figli o di allargare la famiglia, era successo naturalmente tanto era il desiderio l’uno dell’altra e vice versa.

“Lo sapevo. Te lo si legge in faccia!” , lo prese in giro il minore.

Murtagh spalancò la bocca. “Cosa, mi si legge in faccia?”

“Quell’espressione da padre in divenire, è inconfondibile: un misto tra apprensione perenne e chi ha un segreto che non vede però l’ora di sventolarlo in giro, al primo che lo interroghi sull’argomento. Anche Roran l’aveva prima che mi desse la grande notizia.” , spiegò Eragon.

Che fosse vero? Che la paternità lo avesse reso più espressivo, meno imperscrutabile?

Sì, Murtagh. Spesso mi ritrovo a scuoterti perché guardi rimbambito tuo figlio fare cose normali. , gli confermò il Compagno con il suo solito tono infastidito dalla sua umanità.

Il moro scoppiò a ridere. “È bello davvero rivederti. Prima che tu fossi mio fratello di fatto, eri l’unico amico che io abbia mai avuto davanti a Castigo, in prigionia avrei dato la mia vita per tornare indietro al nostro viaggio…” , confidò fissando il pavimento. Il minore gli andò accanto, abbracciandolo per la terza volta. “Costruiremo un rapporto, fratello. E come ho detto a Roran io ci sarò sempre per te o la tua famiglia, è una promessa.” , sussurrò il castano fissando l’altro negli occhi chiari. Murtagh annuì.

“Ora raccontami cosa è successo in questi quasi tre anni in Alagaesia” , chiese il maestro Cavaliere.

Murtagh si sistemò a sedere, cercando di dare un senso a tutti i fatti avvenuti perché non sembrassero solo un resoconto.

Gli raccontò delle voci che udiva anche in un villaggio alle estremità del paese riguardo la giovane regina che aveva a cuore solo il suo popolo, che aveva ritirato tutte le tasse per la guerra, per i commerci e l’agricoltura, imponendo solo una percentuale del raccolto annua per istituire un fondo in caso di carestia, delle scuole aperte in tutto il paese per fornire un anno d’istruzione minimo e obbligatorio a tutti i bambini, e la possibilità agli adulti di imparare a leggere e a scrivere la sera. Calcò molto sull’importanza che condivideva di incentivare l’educazione del paese, per avere un popolo meno assoggettabile. Gli raccontò dell’introduzione delle punizioni sulla profanazione della servitù nelle case nobiliari e nei castelli, per salvaguardare le giovani lavoratrici. Spiegò del censimento degli orfani di guerra mandati nelle corti e famiglie nobiliari come attendenti, e della reversibilità dello stipendio di soldati dei mariti defunti alle vedove. Unitamente, Alagaesia aveva visto il terreno non più martoriato dalle battaglie, ma fiorente con raccolti mai così abbondanti da un centinaio di anni, grazie anche alle stagioni che erano state più clementi.

“E le persone che conoscevo? Come stanno?” , lo interruppe il fratello minore, forse un po’ annoiato dalle manovre amministrative della moglie. Murtagh alzò le spalle. “Stanno tutti bene, tuo cugino Roran al nord se la cava egregiamente come Protettore, è stimato e amato anche lui quanto la regina di cui fa le veci. Katrina sta bene, è incinta del loro secondogenito, quasi al termine in questo momento, ma immagino tu lo sappia già. Ismira è un tornado di vivacità, ogni volta che mi capita di vederli facendo una deviazione dalla Du Weldenvarden, è sempre più viva, è fuoco come i suoi capelli. Alagaesia ha un unico nuovo Cavaliere in questo momento, Reenan che ti ho portato, e solo la dragonessa selvatica che proviene dalla tua scorta di uova si aggira nel paese assieme a Castigo e Fìrnen, ma non l’abbiamo ancora mai vista in un posto stabile. Arya è sempre molto indaffarata con il suo popolo, è molto cordiale con me, ma a tratti si chiude in sé stessa trattando tutto il mondo con freddezza.” , raccontò il maggiore, fermandosi a vedere la reazione del fratello nel nominare l’elfa. Eragon piegò solo leggermente gli angoli della bocca. “Mi dispiace per lei.” , mormorò. Murtagh annuì. “Da sola, non deve essere facile gestire un popolo. Sono sempre meno, le nascite si pensa siano un argomento chiuso ormai. Abbiamo provato a proporle di legalizzare i matrimoni anche con elfi nella legge umana, ma lei non ha ancora affrontato l’argomento. Eppure, ogni volta che vede mio figlio i suoi occhi diventano avidi, come se volesse rubarlo.”

“Orik?” , chiese il giovane. Murtagh lo guardò piegando di lato il capo con un sopracciglio alzato.

“Ho ucciso il suo re e padre adottivo, non ci parliamo molto. Ha smesso di odiarmi pochi mesi fa, quando, durante la ricelebrazione del nostro matrimonio, Arya deve averlo convinto non so con quali strani sortilegi. Non andiamo d’accordo, ma per lo meno non manderebbe più spie ad uccidermi lasciando due bambini orfani.”

Eragon ridacchiò, non percependo l‘indizio del fratello riguardo la condizione della moglie. Il suo fratellastro tra i nani era a volte cocciutamente comico. “Stai lasciando alla fine i più importanti, non è così?” , lo interpellò il castano.

Murtagh fece spostare lo sguardo sull’arredamento in modo fintamente vago. “Solo la più importante! La tua regina sta bene, come abbiamo appena saputo - entrambi in pratica - sta crescendo mio figlio nel suo grembo, oltre ad accudirne un altro, governare un regno e sopportare l’odio gratuito nei miei confronti. Devo dire che come per Arya non è facile per lei. Eppure, se la cava egregiamente.”

Eragon sorrise felice. “Stai per diventare nuovamente padre?! Che ottime notizie mi porti! E tu? Come stai?”

La domanda sorprese Murtagh. “Me lo stai chiedendo davvero?” , chiese strabuzzando gli occhi.

L’altro annuì serio. Il maggiore rifletté. “Mi sento leggero, libero veramente. E con me anche Castigo. Nonostante siamo tenuti a prestare servizio all’Ordine e al Regno, in realtà non ci sta dando noia o peso alcuno. Alla fine torno sempre a casa nella mia tana sicura, in cui c’è la mia famiglia.” . Alla fine del resoconto sulla propria salute mentale, il Cavaliere rosso aveva un gran sorriso sulle labbra. Accorgendosi della sensazione meravigliosa, chiese al fratello stupito: “Come ci sei riuscito?!”

Eragon si alzò con un sorrisetto. “Basta farti esternare le cose, fratello.” , rispose battendogli la mano sul petto con vigore e affetto, prima di uscire.

 

 

*personaggio ripreso dalla pubblicazione dell’autore originale del Ciclo dell’Eredità, La forchetta, la strega e il drago

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Capitolo 51
*** Per la gioia della corte ***


Farica riscosse gentilmente la spalla di Nasuada, richiamandola al mondo reale da quello dei sogni. La regina aprì gli occhi di scatto, poi sbattendo le palpebre lentamente, confusa e assonnata. Si tirò a sedere lentamente, guardando alla sua sinistra, cercando il marito. Non trovandolo, sospirò. “È partito...” , mormorò tra sé.

Sentì poi le dita calde di Farica spostarle alcune ciocche di capelli dal volto. “Tornerà presto, stai tranquilla.” , la consolò.

Nasuada annuì, alzando gli occhi sulla porta che univa quella stanza all’ala privata in cui dormiva il principe. “Non ha fame, ancora?”

La governante esitò. “Lo abbiamo già nutrito con una passata di mela cotta. L’ha mangiata con voracità.” , disse lievemente dispiaciuta.

La regina sospirò, sfiorandosi il seno. Murtagh era lontano, e in coincidenza della sua lontananza anche il figlio aveva deciso di velocizzare il suo svezzamento.

Farica l’abbracciò, vedendo la sua espressione contrariata. “Il Cavaliere sarà presto qui, a godersi la sua famigliola, e il vostro piccolo sta solo crescendo... è normale che prima o poi avrebbe smesso di bere esclusivamente il tuo latte.”

Nasuada annuì, sfregando il capo contro quello della dama da compagnia. “Devo cercare di essere positiva, per il piccolo in arrivo.”

La donna quasi anziana si scostò. “A proposito, mi sono permessa di chiamare un guaritore.”

La giovane dalla pelle d’ebano si toccò di riflesso anche il basso ventre. “Credi che non stia bene?”

Farica rise piena di tenerezza. “No, Nasuada, il piccolo sta sicuramente bene nel tuo grembo, ma è ora che un guaritore certifichi la tua condizione. Lo hai già detto al Cavaliere, ma se fosse stata invece una vera indigestione? Credo che sarebbe davvero contrariato se, al suo ritorno, non trovasse nessun bambino in crescita dentro di te.”

La regina si morse il labbro. “No, credo di essere davvero in attesa di un piccolo. E poi Murtagh non sarebbe tipo da punirmi perché non sono incinta.”

L’altra scattò in piedi. “Scopriamolo, allora, di per certo se puoi gioire o no!”

Passò una vestaglia alla sovrana, cingendole le spalle, poi spalancò la porta intarsiata, facendo entrare il personale guaritore di Nasuada, anche lui ammesso all’interno del Talamo.

S’inchinò, quasi toccando il pavimento con la fronte. “Come posso servirvi, vostra Maestà?”

Farica ridacchiò, dando un colpetto alla spalla di Nasuada, infondendole coraggio.

La giovane deglutì. “Mi sento...” , si fermò per riformulare. Non poteva fornire al medico una diagnosi. “Ultimamente non sono al massimo delle mie forze.”

A dar maggior risalto alle sue parole, uno sbadiglio la colse prima che potesse camuffarlo. Il guaritore mise la sua borsa di pelle a terra, spalancandola in caso di necessità. Poi si lavò le mani e le labbra, prima di avvicinarsi alla regina, rispettosamente.

Le poggiò la bocca sulla fronte, costatando che non fosse febbricitante. Si lavò ancora le labbra e le mani, poi prese un taccuino. “Mia Signora, avete ancora avuto dolori di stomaco e mancamenti come un paio di sere or sono?”

Nasuada scosse il capo. “Non ho dolori di stomaco, piuttosto mi sento gonfia qui.” , disse spostando il lenzuolo e i lembi della vestaglia, premendo delicatamente sul suo grembo. Un sopracciglio del guaritore si alzò per la posizione sospetta.

“Le vostre urine sono torbide, per caso?”

Nasuada esitò, allora Farica si piegò sotto al letto, porgendo il pitale al guaritore. “Verificate voi stesso.”

L’uomo prese il contenitore, immergendovi una bacchetta metallica, poi tornò alla regina. “Confermo che sono torbide, vostra Maestà.”

La regina fece un cenno col capo, non sapendo cos’altro aggiungere.

L’uomo le si avvicinò al busto, sfilando la vestaglia dalle sue spalle. Appoggiò le mani sul petto della giovane, fin dove era ritenuto accettabile essere toccata da un guaritore, e lei sussultò quando le toccò la parte superiore del seno, gonfio e teso.

“Vi ho fatto del male?”

Nasuada annuì piano. “Appena, però.” , aggiunse infine.

Le spostò una mano sul basso ventre, sul lieve gonfiore, facendosi pensieroso. Corse alla sua borsa, prendendo un calibro. Aspettò che la regina alzasse un braccio, per misurarle lo spessore delle ossa con tanto di pelle sopra. “Avete avuto il vostro sangue, vostra Maestà?”

La ragazza scosse il capo, cercando di non arrossire.

“Da quanto tempo?”

“Dalla nascita del principe è accaduto solo una volta, proprio il mese dopo il matrimonio.”

“Lo ricordo, vi ringrazio della risposta.”

Dalla stanza attigua, il principe prese a piangere. Maeve bussò alla porta, allora Farica si affacciò, prendendo il bambino per portarlo alla madre.

“Attenderò che sia nutrito prima di continuare.” , disse il guaritore alla regina con un sorriso, facendo un passo indietro, vedendola esitare sul da farsi.

Si scoprì il seno, cercando di attaccarvi il figlio. L’uomo nel mentre osservava i due, attentamente.

Il bambino succhiò per qualche minuto pigramente, poi si staccò dalla madre con una smorfia di disgusto.

Il guaritore sospirò, tornando dritto. Ripose il calibro, incrociando le braccia al petto. “Vostra Maestà?” , la richiamò. Nasuada alzò gli occhi, annuendo.

“Da quanto il principe si comporta così?”

La giovane aggrottò la fronte, pensando. “Quattro, forse cinque mesi. Prima lo faceva raramente, ma ora preferisce il cibo solido al mio latte.”

Farica asserì cosa mangiasse il piccolo reale, seguito da un cenno del capo.

Il guaritore le spiegò allora la situazione secondo lui: “Dunque, mia regina, potreste sentirvi gonfia perché starebbe dopo tanti mesi per tornarvi a trovare il sangue di donna, e la sua assenza potrebbe essere comprovata dalla vostra magrezza. Però, dopo aver visto il comportamento del principe e avervi soccorsa alla cena di saluto del Cavaliere Reenan, con i sintomi che avete dimostrato allora, io ritengo che dobbiate prestare attenzione.”

Il sorriso sul volto di Farica scomparve. “Per quale motivo?”

L’uomo fissò Nasuada negli occhi, dopo essersi brevemente recato a controllare dentro al pitale. “Dovrete prestare attenzione alla vita dentro di voi, Maestà.” , concluse con un sorriso.

“Sono dunque incinta?” , chiese la regina.

Il guaritore annuì, poi venne congedato. Appena gli chiuse la porta alle spalle, Farica corse ad abbracciare la giovane che era come una figlia per lei.

Prese poi sulle gambe il principe, facendolo trovare all’altezza del grembo della madre. Si avvicinò al suo orecchio, stendendogli anche un braccio piccolo e coperto da abiti deliziosamente minuscoli, per ultimo l’indice. “Principe Ruaidhrì, lì c’è il tuo prossimo fratellino.”

Nasuada sorrise fino a farsi dolere le guance, per la felicità che finalmente aveva raggiunto il massimo, con la scomparsa del dubbio.

Il bambino si sporse in avanti, fissando curioso la direzione del suo dito puntato.

“Ecco, così.” , gli fece vedere come accarezzare la piccolissima sporgenza, la domestica.

“Mama!” , esclamò con la sua vocina, voltandosi verso il volto di Nasuada. Si tirò a sedere, prendendolo a sé, mentre Farica le intimava di stare attenta a non sforzarsi.

Maeve bussò alla porta, osservando poi la giovane con occhi dolci, colmi d’orgoglio materno, lo stesso che Nasuada poteva leggere in Farica ogni volta che incrociava lo sguardo di questa. “Mia Signora, è giunto Jarsha all’entrata degli appartamenti, dice che i Membri del Consiglio sono già riuniti e vi stanno attendendo.”

Le due donne si alzarono in piedi, Farica di scatto e Nasuada più lentamente - attenta a non urtare nulla - . “Mi sto vestendo. Ti prego di non dirgli cosa mi ha trattenuto, solo di rimandarlo indietro con l’assicurazione che attenderò la seduta.”

“Molto bene, mia Signora.” , disse attraversando il legno, scomparendo con il rumore dei suoi tacchi, facendo scomparire forzatamente il sorriso, subito oltre la porta.

La domestica più anziana vestì la regina in fretta, lasciandole i capelli sulle spalle sciolti ma ben pettinati, o avrebbe tardato ancor di più. Mentre le circondava il collo con la collana di diamanti regalatale da Murtagh, la guardò nello specchio con aria materna.

“Lo dirai al Consiglio, oggi? Non posso più tacere a mio marito la verità. Jormundur mi chiede costantemente della tua salute...”

La giovane si morse il labbro, stringendo il figlio, che aveva seduto sulle gambe, come faceva da bambina con le sue bambole di pezza imbottite di ovatta. “Potrei, ma non voglio che la voce si sparga troppo.”

“Se vi fosse lady Comare qui, ti direbbe quanto è importante che tutti sappiano con anticipo dell’arrivo di un erede per il trono.”

La ragazza annuì. Lady Elessari avrebbe proprio detto lo stesso, per poi occuparsi attivamente perché la notizia arrivasse anche al più lontano dei contadini del suo regno. “E va bene, almeno a loro lo dirò…” , sospirò pesantemente, “Temo per ciò che dirà Jormundur alla notizia.”

Farica emise un suono contrariato, che richiamò gli occhi azzurro-ghiaccio del principe su di lei. “Ti sei dimenticata quanto ami il tuo piccolo? Cosa pensi che possa dire, questa volta?”

“Non so, non accettare un altro nipote di Morzan, a esempio?”

“Sciocchezze. Jormundur ha compreso il valore di quel giovane che tu hai tanto insistito di imparare a conoscere. Devo ammettere che avessi ragione. È davvero un ragazzo speciale."

Con un colpetto sulla spalla, Farica le indicò di aver finito, facendola alzare. Le baciò la fronte, augurandole forza e coraggio per assolvere il suo compito.

Nasuada raggiunse il Consiglio a metà mattina, ormai terribilmente in ritardo. Mentre si sedette sul suo scranno, sentì gli occhi indagatori dei Consiglieri su di lei. Sicuramente volevano sapere con chi si fosse trattenuta, non essendo Murtagh a Illirea, o dove si fosse recata.

“Vi sentite bene, Maestà? Siete verdognola in volto.” , le chiese Umérth.

La regina annuì in fretta, mettendo poi gli avambracci sul tavolo. Non avrebbe rivelato il suo stato come prima cosa, rischiando di trovarsi poi a non prestare attenzione per nulla per via della testa leggera. “Quale è l’argomento del giorno?”

Nasuada ascoltò con attenzione le decisioni da prendere, le premesse raccolte da ciascun consigliere e le loro prime proposte. Partecipò anche con le proprie idee e inquietudini, quando qualcosa non la convinceva, fino al pranzo. I domestici portarono sei vassoi di argento con i pasti già porzionati, in modo da non rischiare di sporcare le pergamene, che non dovevano nemmeno essere sparecchiate e ridistese dopo il pasto, solo per permettere ai bisogni umani dei Consiglieri di essere soddisfatti.

La nausea stava uccidendo Nasuada, che si mise in bocca appena qualche boccone, non toccando il vino. Fortunatamente, lady Elessari fu intenta a parlare con lord Flaithrì per tutto il pranzo, non accorgendosi di quell’indizio che avrebbe sicuramente smascherato la regina.

Nonostante non avesse mangiato molto, quando i vassoi furono portati via, gli occhi già le si riaprivano a stento, a ogni battito di ciglia. Lottò contro sé stessa, finché non udì più nulla di ciò che i suoi più fidati uomini stessero dicendo.

“Il Consiglio è aggiornato.” , proferì Umérth a voce piuttosto alta, con tono ufficiale. I primi scranni dei Consiglieri esausti iniziarono a strisciare sul pavimento di pietra, per permettere ai Membri di alzarsi e ritornare ai loro appartamenti. Nasuada, che stava sonnecchiando - senza essere riuscita a combattere il sonno conciliato dalle parole fitte ma pacate di quel giorno - , si svegliò di colpo. Flaithrì le fece un sorriso dispiaciuto, come se temesse che il suo sonno fosse dovuto da qualche pericoloso scompenso. Era, invece, dovuto solo a un innocente e piccolo bambino. Si ricordò di dover dare la notizia, così che le volte successive in cui si sarebbe addormentata ai Consigli - anche se sperava che non accadesse più - non l’avrebbero silenziosamente giudicata come una sovrana sfaticata.

“Aspettate!” , proruppe la giovane regina con tono allarmato.

I Consiglieri la guardarono con curiosità, Umérth con una punta di scetticismo. Credeva forse che lei avrebbe avuto il coraggio di aggiungere la sua opinione a sessione finita, così sfacciatamente?

Nasuada si alzò in piedi, le mani che le tremavano leggermente. Era la prima volta che si trovava a svelare una tale notizia al Consiglio, che contava ora anche il nonno di Murtagh, ancora all’oscuro.

“Devo consegnarvi un segreto.” , proferì cercando di far riemergere la sua forza.

Venne osservata di rimando con intensità. “Di che cosa si tratta, Maestà? Problemi nel regno? O ci portate notizie del vostro Cavaliere, che avete tanto a cuore?” , chiese preoccupato Jormundur.

“Lei e lei soltanto.” , precisò a bassa voce qualcun altro.

Nasuada scosse il capo, poi sorridendo debolmente. Si sforzò di tornare seria, temendo che avrebbe potuto essere presa per debole per la sua reazione ebete. “Tra qualche mese non potrò attendere ai Consigli per qualche giorno.”

“E che genere di segreto è, Maestà? Dovrete partire per un viaggio?” , le chiese Falberd prontamente.

Elessari nel frattempo, si alzò in piedi come lei, le mani giunte sul cuore e gli occhi sbarrati. Lo scranno cadde con un frastuono a terra, zittendo altre domande dei rimanenti cinque Membri. “Non ditemi che siete incinta!” , squittì l’anziana.

Il silenzio calò per un istante, finché Nasuada non annuì con forza.

“Ma è meraviglioso!” , gridò l’anziana, lanciandosi al collo della sua collega.

Jormundur, invece, aggrottò le sopracciglia. Falberd e Umérth si congratularono senza particolare gioia nel tono. Probabilmente il commento precedente di scherno proveniva da uno di loro.

Nasuada guardò Flaithrì, che non si era ancora mosso dal suo scranno. Stava fissando la superficie del tavolo ben lucidata, mormorando alcune parole tra sé. La regina avrebbe pagato oro per avere in quel momento l’udito sopraffino del marito, per carpire le sue parole, cercando di prepararsi alla sua reazione. “Lord Flaithrì, vi sentite bene?” , trovò il coraggio di chiedergli.

Lui alzò il capo di scatto, annuendo con veemenza. “Sono molto felice per voi, Maestà.” , rispose con voce tremante. Sicuramente avrebbe voluto, se fossero stati soli loro due, esprimere anche il suo orgoglio per suo nipote, ma era meglio trattenersi da nominare Murtagh al Consiglio.

 

Fece il possibile per ritagliarsi un paio d’ore dal lavoro per recarsi dall’un tempo Cavaliere.

Camminò per i corridoi, quasi correndo, con le dame dietro che le intimavano di non correre, per il bene del suo bambino, ma Nasuada non le udì, le orecchie che le fischiavano dopo aver bruciato per l’imbarazzo per tutto il giorno.

Le guardie aprirono le grandi porte davanti a lei, lasciandola entrare nelle stanze di lord Flaithrì.

Lo trovò intento a dormire su una sedia imbottita, un libro come sempre sulle gambe che tentava di leggere nonostante gli occhi pressoché ciechi.

Una dama provò a scuoterlo, ma questo non diede segni di vita. I fischi nelle orecchie della giovane regina ricominciarono, per il timore che ammontava che potesse essere morto pacificamente nel sonno.

Si sfilò come un fulmine uno specchietto dal corsetto e si sporse per posizionarlo sotto le narici dell’anziano. Piccole nuvole di condensa si formavano e sparivano ritmicamente.

Sollevata, Nasuada congedò la serva: “Penserò io a svegliarlo.”

Gli posò prima una mano sulla spalla, richiamandolo e riscuotendolo, ma i suoi gesti non sorbirono alcun risultato. Ridacchiò al candore della vecchiaia, pensando amaramente poi che non avrebbe mai potuto vedere il proprio padre invecchiare, essere un nonno esemplare e amorevole per i suoi bambini.

Decise di circondare l’anziano con le braccia, cullandolo maternamente e ondeggiando da un piede all’altro, come se avesse un bambino di una decina d’anni d’età tra le braccia.

Flaithrì aprì gli occhi azzurri e patinati, lentamente, come faceva il suo bambino la mattina quando lo portavano da lei ancora addormentato. Gli occhi che non si sarebbe mai immaginata che avrebbe ereditato, per via del suo sangue puro dei nomadi. Si staccò velocemente da lui, ma senza sembrare brusca. Si sistemò la gonna, come se fosse appena giunta da lui dopo aver camminato a lungo per i corridoi del castello, poi si sedette nell’altra poltrona.

Un sorriso tese le labbra rugose e violacee dell’anziano. “Chiedo perdono, vostra Maestà. Devo essermi addormentato mentre voi avreste avuto bisogno di me, tanto da venire di persona da me per riprendermi.” , si scusò sofficemente. Non aveva tono dispiaciuto o falso, ma sincero come quello di un bambino.

“In realtà mi sono liberata per venire a fare due chiacchiere.”

Lui parve sorpreso. “Qualcosa vi turba?”

Lei prese a giocherellare con il bordo del corsetto. “No, volevo parlarvi in privato di questa gravidanza.”

Flaithrì si fece serio come non mai. “Vi hanno detto che ci sono problemi?”

Con un’alzata di spalle, lei negò.

“Se il bambino è sano, come possono le mie parole esservi d’aiuto?”

Nasuada si morse il labbro. “Beh, una benedizione di nonno per questa creatura non sarebbe sgradita.” , gli rispose imbarazzata, “E poi, volevo conoscere i vostri sentimenti a riguardo. Prima ho notato commozione ma controllo.”

Le circondò la nuca con una mano scheletrica, rugosa e piena di macchie, tirandola a sé. Le baciò la fronte, scoppiando a piangere per la gioia. Nasuada sorrise per la reazione: nemmeno Murtagh aveva reagito con così tanta emozione.

“Sono felice che tu e mio nipote avrete la possibilità di avere un secondo figlio. Non solo perché così saprò che il mio sangue sarà ereditato da un’altra creatura in più, ma anche perché sono fiero di entrambi come genitori. Non avrei potuto certo essere così fiero con mio figlio Morzan, e forse nemmeno con Balder, siccome è sempre stato fin troppo rigido e asciutto.” , rivelò commosso, “Tu e Murtagh siete degni genitori del futuro di Alagaesia.”

Nasuada scoppiò in lacrime anch’ella. “Credevo che non avrei più potuto avere figli, proprio come la vostra deceduta sposa.”

Il pianto dell’anziano si fermò improvvisamente, alla frase della giovane. Le prese una mano con forza. “Lasciate che le mie parole vi giungano familiarmente come se avessimo la confidenza di tutta una vita: non voglio che voi, mia cara, vi colpevolizziate per quanto accaduto al vostro primo bambino, il gemello del nostro meraviglioso principe.” , sospirò a lungo, “Quando mia moglie si rivelò sterile dopo aver messo al mondo Morzan, ero davvero infuriato con lei. Ma col tempo sono arrivato a patti con me stesso, convincendomi che non fosse colpa sua. E lo stesso varrebbe per voi: se anche foste stata incapace di avere altri figli, non dovreste piangere per questo.”

Si asciugò le lacrime col dorso della mano. “Non in un momento così di gioia, almeno. Non servirà a rendere il bambino forte.”

La giovane non riuscì a dire nulla, lasciando spazio alle parole di saggio conforto dell’anziano.

“Sono rimasto solo.” , le raccontò intimamente, “Ho visto morire mia moglie, poi mio figlio e al contempo il mio Compagno. Ho scoperto poco dopo che anche Morzan, nonostante mi avesse deluso come uomo e come figlio, fosse perito per mano di Brom, il padre dell’altro figlio di sua moglie, una donna che non ho mai avuto l’onore di conoscere e valutare… Fino a te e Murtagh.”

Si sporse, riponendo il libro, per prendere il the ormai freddo nella tazza bianca e dorata. Ingollò un sorso, per idratarsi la gola.

“Mi avete dato di nuovo calore, il calore di avere una famiglia. Una famiglia accogliente, ho imparato negli anni, non deve per forza essere numerosa. Per quanto la mia famiglia biologica fosse ristretta in numero, alla corte di Therinsford v’era sempre qualche parente lontano, qualche lord stretto in amicizia con mio padre. Quando sono diventato Cavaliere ho avuto moltissimi fratelli e, ancor più importante, un’enorme estensione della mia coscienza. Poi ho avuto una famiglia tutta mia di sangue, nuovamente. È stato un periodo sicuramente di difficile gestione, ma piacevole. Ho perso anche quella, in un battito di ciglia. Per mano del mio stesso figlio.”

Indicò un ritratto che era appeso sul camino, Nasuada non seppe dire da quanto, non avendo udito che lo avesse richiesto. Murtagh era ritratto nel giardino della fortezza, assieme a Castigo e tra le braccia custodiva goffamente il fagotto del suo primogenito.

Nasuada osservò le sfumature del cielo, dell’erba, e le sembrò tutto troppo reale per essere stato un dipinto. Capì che fosse un Fairth enorme quando realizzò che mai Murtagh avesse posato per giorni col bambino in braccio all’esterno. Ne ebbe la certezza quando scorse sé stessa seduta poco dietro, con un meraviglioso abito che si ricordò aver indossato solamente una volta. Smise di piangere a dirotto, sorridendo appena per la dolcezza dell’anziano nell’aver scelto di fissare un suo sguardo su un supporto eterno, e di appendere il risultato nei suoi appartamenti.

“Murtagh sono sicuro che comprenderebbe immediatamente le mie parole. Mi ha raccontato di essere sempre cresciuto solo con un paio al massimo di persone fidate intorno a lui, di non aver avuto bisogno di cercare espansivamente altre persone di cui fidarsi poi da perdere. Ovviamente il Destino trova sempre il modo di farci piombare dei nuovi amori nelle nostre vite, ma la cerchia di persone a noi care rimarrà sempre ristretta. Solo chi è solo apprezza le poche persone che uno può sperare di avere attorno nella vita, ma deve fare tesoro del poco che ha.”

La giovane si schiarì la gola. “Anche io capisco. Siamo sempre stati solamente io e mio padre, circondati da un turbinio di persone, ma queste non rimanevano mai nelle nostre vite. Farica e Jormundur sono stati un’eccezione, così come Arya e Orik. Per ultimi il Destino mi ha donato Eragon e Murtagh.”

Flaithrì annuì. “Non è quella che definirei una cerchia ristretta d’amicizie e amori, ma vedo che empatizzi con il mio pensiero.”

Si sporse in avanti a prenderle anche l’altra mano tra le sue, quella volta con delicatezza. “Che vi dia ora la possibilità di avere un nugolo di bambini o meno, ciò di cui devi fare tesoro è dell’amore non che potresti ricevere, ma di quello che già hai a disposizione.”

Sfilò una mano per poggiarsela sul ventre. “Dunque spero che questo bambino arrivi a vedere la luce e conoscere la sua famiglia.”

L’anziano sorrise. “Se mai i tuoi Consiglieri o qualche nobile dovesse in futuro turbarti col pensiero di dover produrre altri eredi contro il volere del Destino, rinviali a me: avrei sicuramente qualcosa da dire loro.” , le promise con solennità, “Un re non ha bisogno di venti principi pronti a succederlo, ma di uno buono a governare con freschezza e rispetto.”

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Capitolo 52
*** Addestramento ***


Murtagh si svegliò quella mattina, riposato e felice per aver rivisto Eragon, il suo fratellino combinaguai. Sperava di poter trascorrere del tempo con lui ancora, per poter recuperare qualche momento da fratelli che non avevano mai potuto avere.

Cavaliere, potresti recarti da noi? Saprai come trovarci, abbiamo installato in te la conoscenza. Porta anche il tuo Compagno-di-cuore-e-di-mente. , gli disse con solennità la voce di Umaroth. Con titubanza si lanciò fuori dal letto, indossando gli abiti ufficiali anche se aveva visto Eragon e gli elfi in vesti molto semplici. Il suo farsetto cremisi era lucente come le squame del suo drago, un effetto dato da fili estratti dalla madreperla e incantati per essere resistenti come un’armatura. Indossò al di sotto brache marroni di cuoio e stivali abbinati al farsetto, poi assicurò Zar’roc al suo fianco. Castigo, dove sei? , chiese mentre usciva dall’edificio in cui avevano arrangiato una stanza per lui. Sopra la sua testa volò un’ombra enorme cremisi, facendosi localizzare. Ben svegliato, Amico mio.

Buongiorno, dobbiamo andare. , tagliò corto Murtagh.

Lo so, sento tensione in te. Hai paura che ci puniscano per le nostre azioni? , gli chiese mesto il rettile tre volte più grande della dimensione che sarebbe dovuto essere senza gli incantesimi del Re Nero. Lo temo sempre.

Salì sul suo dorso e seguì una sensazione alla base del suo collo, fino a una collina poco più bassa di una montagna. All’ingresso v’era un’armatura in metallo scintillante, probabilmente Acciaioluce, osservò il ragazzo. Questa si mosse e una voce lo invitò ad entrare. Sorpresi di scoprire che dentro non vi fosse un essere in carne e ossa, rimasero immobili. L’essere uscì e uno scintillio provenne dal suo interno mentre era ancora all’ombra proiettata dalla terra. Un Eldunarì! Che stregoneria è mai questa? , esclamò il ragazzo. Castigo schioccò la lingua per saggiare l’aria.

Infine, Murtagh scese dal dorso e seguito dal drago s’insinuò dentro una grande stanza scavata nella roccia sotto il manto erboso visibile dall’esterno. Grandi colonne sorreggevano il tetto, e puntini luminosissimi si spostavano nell’aria. Murtagh le riconobbe perfettamente. I Cuori dei cuori dei draghi che avevano perso il corpo, ma non la loro essenza. Vieni avanti, ragazzo. , chiamò una voce. Si mossero insieme dietro l’armatura animata fino a trovarsi al cospetto di un globo luminoso bianco. Io sono Umaroth, drago di Vrael, capo dell’Ordine prima del tuo fratellastro-di-madre. , gli parlò la voce. In confronto a quel tono così anziano e saggio, Castigo pareva avere una voce da bambino. Il drago cremisi annuì con l’enorme capo. Murtagh attese di sapere quello che si aspettavano da loro. Stai svolgendo un importante lavoro per la costruzione dell’Ordine. Vogliamo ringraziarti e darti qualche nozione che né l’educazione voluta da tuo padre né da Galbatorix ti hanno fornito, se sarai pronto ad accettarle. , concluse un altra essenza di colore viola. Il ragazzo espirò sollevato.

Nessuno lo avrebbe messo sotto processo in quel giorno. Volete dunque che io completi il mio addestramento? , chiese con entusiasmo. Gli sembrò di tornare il giovane ragazzo sempre curioso di apprendere nuove nozioni, divorare libri su libri della biblioteca e cimentarsi in sfide con il suo maestro d’armi ben oltre la sua portata.

Non possiamo insegnarti ad essere un Cavaliere più di quanto tu già non abbia imparato negli anni da te, con dolore e sofferenza. Non c’è incantesimo o mossa di spada che ti sia sconosciuta perciò non ti ripeteremo questo. , spiegò Umaroth.

Lusingato, Murtagh chiese di proseguire.

Cavaliere, il tuo addestramento sarà doloroso. Dobbiamo avvertirti. , s’insinuò Glaedr senza risentimento nei suoi confronti.

Castigo ringhiò. C’è davvero bisogno di aggiungere altra sofferenza alle nostre giovani vite? Desidero la pace quanto voi, ma non abbiamo avuto esperienza d’altro dalle nostre nascite.

Murtagh si voltò per poggiargli una mano sul muso. La sofferenza a volte è solo ciò che viene prima della felicità. , lo confortò rivolgendosi solo a lui.

Che differenza ci sarebbe tra loro e Galbatorix allora?

Lo farebbero per il nostro bene. La conoscenza è dannazione, ma al contempo il dono più grande che possano farti.  , gli rispose il ragazzo con una lacrima che gli cadde lungo la guancia chiara. Castigo sbuffò dalle narici e poi chiuse gli occhi lentamente, annuendo in accordo con il suo Cavaliere. Si tornò a voltare verso il punto bianco. Umaroth-Elda, ho intenzione di accettare il vostro addestramento!

Una vena di ilarità e anche orgoglio venne dalle coscienze antiche. Hai accettato senza nemmeno sapere a cosa sarai sottoposto. Sarà doloroso e forse quel termine risulterà riduttivo a ciò che ti faremo provare. Ma se supererai questo addestramento avrai superato una prova che nemmeno Galbatorix ha superato.

Murtagh guardò al suo amico di sottecchi, dolente per ciò che li attendeva. L’incantesimo di empatia?

Glaedr gli annuì. Ti consiglio di non provare a opporre resistenza.

L’armatura di metallo chiuse la porta con un incantesimo alle spalle del ragazzo.

Inizieremo con l’omicidio con le armi. Per voi esseri bipedi sembra essere qualcosa che vi sconvolge profondamente quando accade le prime volte, ma poi sembrate assuefarvi e non provare più dolore. Ma ogni vita che si prende ha un prezzo e oggi, figlio di Morzan, pagherai per le tue colpe e quelle di tuo padre.

Murtagh annuì, tendendo i muscoli come quando il tono di Galbatorix diventava minaccioso e lui percepiva che lo avrebbe colpito.

Chiuse gli occhi e quando li riaprì vide quelli policromi di suo padre torreggiare sul suo corpo, i suoi capelli sfiorargli il viso. La lama rossa di Zar’roc scagliarsi davanti a lui per sfiorargli la gola, nel riflesso vide la sua immagine, un giovane bello da mozzare il fiato. Le orecchie gli fischiarono ma non riuscirono a carpire altri rumori oltre allo straziante ruggito di un drago rosso. Morzan era tornato in vita e lo aveva ingannato, arrivandogli così vicino da poterlo uccidere? Riuscì però a leggere le sue labbra: “Slàn leat, Baldor.”

Si ricordò allora perché fosse lì, lui non era Murtagh, o meglio non nel suo corpo. Poi un breve bacio freddo da parte della lama e un bruciore atroce, che lui conosceva già. Sentì soffocare nel suo stesso sangue, o meglio quello di suo zio, le sue interiora ritorcersi nella consapevolezza di morire. Ma peggio, la sua mente era dilaniata dalla paura e dal dolore di un altro essere, che riconobbe essere un drago. I suoi occhi vagarono all’orizzonte, scorgendo un’ammasso di squame rosse gettarsi a terra per il dolore. La figura di Morzan che saliva su di esso e alzava la lancia elfica creata per uccidere gli animali magici. Un dolore atroce alla sua mente, come se gli avessero strappato entrambe le braccia, lo percorse. Il dolore del drago svanì infine in un istante, poi si fece largo il proprio. Fu talmente atroce da provocargli spasmi in tutto il corpo, prima che tutto divenisse nero. Riaprì gli occhi e si trovò al buio. Era morto dunque? Un fruscio gli fece voltare il capo di lato. Vide la manica della sua camicia da viaggio. Si alzò a sedere, notando un fuoco da campo semi spento davanti ai suoi piedi, il cavallo da guerra grigio legato a un albero. “Tornac?”

L’animale iniziò a scalpitare. Murtagh si alzò in piedi, facendo per prendere Zar’Roc dal fianco, trovandovi solo la sua vecchia spada in metallo semplice. Poi un colpo lo mandò a terra. Si ritrovò improvvisamente nell’altro essere, a osservare sé stesso dall’alto, a premergli la gola con forza. Vide sé stesso divincolarsi, poi prendere un pugnale con un movimento fulmineo, il volto rosso e gonfio, gli occhi lucidi di liquidi. Poi un dolore acuto al ventre più volte, le mani del ragazzo diciottenne che pugnalavano con rabbia l’uomo sopra di sé. Un pensiero nella sofferenza arrivò, una donna dai capelli castani e occhi verdi e una bambina per mano, un altro in grembo. Nasuada... Con un grido, il mondo roteò e si ritrovò a pancia in su, a cercare aria che sembrava non voler entrare più nei suoi polmoni. A che serve l’aria a un moribondo? Di nuovo il Murtagh diciottenne e fuggitivo attaccò, lo sguardo da fiera ferita e lo colpì con un gesto fluido e veloce al cuore, facendo diventare tutto nero.

Ansimando aprì gli occhi. Un soffitto di pietra lo sormontava e anche un pavimento, vista la durezza del supporto alla sua schiena. Stava urlando, si rese conto, e ansimando terribilmente.

Il collo di Castigo si alzò dal pavimento, due grandi rubini che lo osservavano liquidi, come se avesse pianto.

Una luce rossa gli si parò davanti. Calmati. Io sono Alastair. Tu hai conosciuto il mio Cavaliere.

Il ragazzo alzò gli occhi e annuì. Flaithrì, mio nonno, si trova a Illirea con la regina...

Pensò a lei, poi a Finiarel e al suo soffice corpo, ai suoi piccoli abbracci timidi. Smise di ansimare, prendendo aria, e finalmente fuori dal sogno questa ubbidì e gli riempì il petto. La luce rossa si mosse leggermente. La tua sofferenza per oggi finisce qui. Non dovrai parlare con nessuno del tuo percorso.

Murtagh si alzò lentamente a sedere, frastornato come dopo una sonora legnata del suo maestro Tornac. L’armatura con dentro l’Eldunarì lo tirò in piedi. Castigo era sdraiato a terra come era lui, lo sguardo ora vacuo. Che gli è successo? , chiese ai Cuori dei Cuori.

Ha visto il suo Cavaliere morire e poi è morto nei ricordi di un altro di noi. Si riprenderà... , lo tranquillizzò Alastair.

Murtagh si avvicinò a lui, accoccolandosi al suo fianco. Al suo tocco, Castigo sembrò tornare in sé, i suoi occhi tornarono rubini luccicanti. Sbuffò, abbandonato sul pavimento, sfinito anche lui.

La luce bianca si avvicinò. Questa è stata la prova più facile di quelle che vi spetta. Solo il primo omicidio di Morzan e il tuo, Murtagh. Domani dovremo affrontare gli altri, poi tutte le altre sofferenze che avete provocato. Ho un’ulteriore quesito: hai nominato un nome mentre resistevi, chi è questo individuo? , chiese Umaroth.

Murtagh deglutì. Nasuada: è mia moglie, la madre dei miei figli.

Sentì la coscienza del drago bianco allarmarsi. Figli? I Cavalieri non dovrebbero avere figli!

Il puntino rosso gli si parò di fianco. Comandante, ricordi che lui è un discendente di Herrick il nordico?

L’altro confermò.

Ebbene, il tuo Cavaliere si è accordato con lui perché deponesse la sua corona per poter portare avanti la sua stirpe nobile. , gli ricordò Alastair.

Umaroth parve uscire dal suo stato confuso. Certo, Murtagh figlio di Morzan, figlio di Flaithrì, figlio di Herrick, figlio di Angust, figlio di Herroz e Muirgen. L’unica stirpe di Cavalieri che il nostro Ordine ha permesso...

Esatto, Umaroth. Lui ha il diritto di avere dei figli. , ribadì pacatamente Alastair. Murtagh rimase stupito dalla confusione che sembrava avere il drago bianco, appuntandosi mentalmente che avrebbe chiesto spiegazioni a Eragon.

Umaroth - il suo Cuore dei Cuori - si spostò più vicino al ragazzo. Come si chiamano i tuoi figli?

Murtagh deglutì sollevato. Finiarel e... beh l’altro non è ancora nato.

Molto bene, Finiarel figlio di Murtagh, figlio di Morzan, figlio di Flaithrì, figlio di Herrick, figlio di Angust, figlio di Herroz e Muirgen; d’ora in poi lo ricorderò perché il suo sangue possa essere trasmesso ai figli dei suoi figli.

Dubbioso se si sarebbe veramente ricordato, lo ringraziò.

 

Il secondo giorno si svegliò dolorante, come se fosse stato calpestato da una pioggia di massi staccatisi da una montagna. Aveva già provato nella sua vita la terribile sensazione di una parte di un uomo che moriva in lui, una delle più grandi torture del re che gli avesse inflitto, quando lo aveva utilizzato per spazzare via i maghi infiltrati dei Varden, sfruttando però il loro potere per la sua causa. Aveva compiuto atti abominevoli e il peggio era la sensazione di dolore atroce che aveva provato, assieme a coloro a cui aveva rubato il dono della magia. Castigo toccò dolcemente la sua mente, consigliando di scacciare il ricordo.

Si lavò velocemente e si iniziò a vestire, quando una voce lo chiamò allo specchio. Con un leggero sorriso si voltò per trovare quell’essere divino che era Nasuada.

“Mia regina!” , la salutò facendola sorridere. La ragazza passò una mano sulla testa abbandonata nell’incavo del suo collo del principe, intento a cercare di far stare l’intero pugno nella sua bocca.

“Non vuoi salutare il tuo papà?” , gli chiese gentilmente. Il piccolo si limitò a osservare direttamente con occhi luminosi e azzurro-ghiaccio quelli del genitore lontano.

Nasuada tornò allora a rivolgersi al marito. “Quando ripartirai?”

Lui si morse il labbro. “Ecco... so che non è il momento giusto per dirti una cosa simile - ora che abbiamo appena scoperto del piccolo che cresci nel tuo grembo - però... non lo so. Gli Anziani hanno in serbo per me un addestramento di cui non sono tenuto a far parola con nessuno e non mi hanno detto quando terminerà.”

La regina abbassò lo sguardo per un istante, rattristata, poi lo fissò con intensità. “Va bene. Sei un Cavaliere e come tale devi rispondere a quanto gli Antichi vogliono per te. Io - noi - resisteremo aspettando il tuo ritorno.”

“Prometto che tornerò prima dell’arrivo del piccolo!” , si affrettò a precisare lui.

La moglie sembrò sollevata. “Molto bene. Volevamo solo assicurarci che stessi bene e che fossi il benaccetto lì. Ah, e dirti che Roran mi ha contattato poco fa: si sono accorti - anche se devo dire con ben poca tempestività - che Katrina è nella mia stessa condizione notevole. Partorirà tra un paio di mesi.”

Murtagh rimase in silenzio per un momento. “Sono felice per loro.” , riuscì solo a dire senza emozioni, avendo già saputo della notizia da Roran mesi prima, che gli aveva domandato di riportarla a Eragon. Si stupì di non averlo raccontato già a sua moglie.

Un cenno del capo secco provenne dalla sovrana, che evidentemente si era fatta scontenta di qualcosa. “Ti vedo pensieroso, avrai altro a cui pensare rispetto alle chiacchiere da comari. Ti auguro allora una buona giornata, Murt.”

“Anche a voi, Amori miei.” , sussurrò, il contatto ormai già troncato dalla moglie.

Prese i due anelli di cuoio che si infilò uno per braccio e attorno alla testa, a cui poi fissò un mantello. Si buttò nuovamente sul letto per infilarsi gli stivali, maledicendo il tempismo del Destino. E il suo stoicismo. Nasuada si aspettava da lui una parola in più di conforto, una domanda aggiuntiva sulla sua salute, un commento per la notizia eccitato. E invece nulla, lui era stato zitto a pensare. Come suo solito. Non lo sorprendeva che fosse stata lei per prima a svelargli i suoi sentimenti, mentre ancora lui cercava di decidersi se fosse il caso di iniziare a trovare le parole per comunicarle di amarla o meno. Doveva cercare di starle più vicino anche a distanza, aprirsi con lei anche a parole perché sapeva che Nasuada era una persona che preferiva dimostrare il suo affetto con le parole - da brava leader - mentre lui era più fisico, preferiva piccoli gesti ben calcolati e riservati solo a coloro che amasse. Per quanto un linguaggio totalmente non appartenente al suo essere, avrebbe dovuto tentare di farlo proprio per lei.

Fu distolto dai pensieri dal drago di suo nonno che lo rimproverava per il ritardo. Si affrettò all’esterno, salutando Eragon e Reenan con la mano mentre correva nella collina scavata.

Aprì la grande porta, trovandosi con sorpresa in un anticamera di un castello che non riconobbe. Nell’aria aleggiava odore di sangue, dietro di lui lo seguì una balia bagnata - letteralmente, visti gli aloni scuri sul tessuto del vestito sul suo seno che si formarono, quando un bambino iniziò a piangere in lontananza - mentre si spostava verso l’altra porta, un camino con poche braci che bruciavano che rendeva quel posto tetro come una cripta. Varcò la soglia, trovando lady Selena - sua madre - nel grande letto a baldacchino, due scure occhiaie intorno agli occhi castani. Era già entrato in una visione! Improvvisamente, si trovò a guardare Morzan dall’altro lato della stanza, i suoi occhi policromi e il volto contratto in un’espressione dura. Con un indice e nessuna parola dolce da riservare alla madre del suo unico figlio, fece spostare la balia dentro la stanza, da dietro le sue spalle. L’attenzione si spostò sul piccolo volto di neonato nelle coperte, due occhi di ghiaccio che si muovevano lentamente tra la madre e i rumori in fondo alla stanza.

“Consegna mio figlio alla sua balia, Selena.” , impartì la voce forte di Morzan. Le sottili braccia di sua madre si strinsero con più forza - anche senza stringere eccessivamente - attorno al neonato. “Posso occuparmi io di lui. Ho ancora tempo prima di dover tornare a Uru’Baen.” , protestò una voce che gli avrebbe provocato i brividi di nostalgia se fosse stato nel suo proprio corpo. Murtagh - quello neonato della visione - prese a piangere, diventando tutto rosso, allora il Cavaliere fece sbattere di piatto la lama rossa, che teneva stranamente sguainata per quell’occasione normalmente gioiosa, sullo stipite in pietra intarsiata della porta, facendo sussultare la ragazza. La balia protese le mani, spostando freneticamente gli occhi sul suo padrone e sulla sua sposa, con espressione supplicante verso la sua lady, ma Selena non accennò a volersi separare dal proprio bambino. Dalle viscere sentì lo stomaco minacciare di volersi vuotare per la paura dell’ira del Rinnegato. Il volto dell’uomo si privò della rabbia, tornando serio, terribilmente freddo, quasi. Murtagh si ricordò improvvisamente quanto cambiasse in materia di istanti l’umore del proprio padre, rendendolo l’essere più temibile che avesse mai conosciuto.

“Da’ l’erede alla balia.” , impartì nuovamente con tono perentorio. Selena prese a piangere ma consegnò comunque il bambino all’altra ragazza, che immediatamente seguì il Rinnegato all’esterno, lasciandola sola. Un urlo straziante si levò dalla sua gola e le lacrime caddero nei palmi, abbandonati sul risvolto del lenzuolo. La consapevolezza che il proprio figlio non era più suo e di non poterlo proteggere dal momento in cui si era separato da lei, pervase la neo-madre. Il cervello prese a pulsare per la magia che ribolliva nelle sue vene, e il cuore si strinse in una morsa che fu impossibile sciogliere. Fu come se Morzan avesse piantato una mano nel suo petto per schiacciare il nucleo vitale della strega. Pianse, si lamentò a lungo. Per ore e ore, finché non chiuse gli occhi, sentendosi come morta. Quando li riaprì vide un soffitto decorato a mosaico, così come le pareti fin dove gli occhi riuscirono a giungere. Qualcosa bloccava la sua testa, e un dolore pulsante dilaniava la carne del suo corpo. Ma il dolore nella pelle non durò tanto, perché chiuse gli occhi e si trovò in una meravigliosa tenuta di campagna. Vide sé stesso avvicinarsi con aria tranquilla, come mai aveva avuto. Sentì uscire dalle sue altre-labbra il nome di sua moglie, in lontananza quattro bambini che giocavano sotto un porticato di una grande magione. Il dialogo terminò, senza che nemmeno prestasse attenzione alle parole dette, e una mente che lui riconobbe toccò quella della sognatrice. Fu riportato nuovamente nella stanza, sulla pietra dura della cella. Quella era stata una delle visioni che Galbatorix aveva usato per spezzare Nasuada? Rabbia intensa provenne da Murtagh e al contempo dal corpo di Nasuada, in cui si trovava. La giovane prese a singhiozzare amaramente, a piangere con lamenti lunghi e strazianti. Sentì la delusione di non essere morta, la paura di perdere tutto ciò per cui aveva combattuto se si fosse abbandonata anche solo per un istante, lasciando che il re penetrasse nella sua mente. Una figura alta entrò nella cella, slegandola perché si alzasse a sederlesi accanto, protetta nelle sue braccia. Si ricordò di quel momento, di quanto si sentisse vile a torturarla, mentre lei pensava che fosse meglio non vivere piuttosto che essere sottoposta a quella cattività. Prometto che farò il possibile perché sia valsa la pena sopravvivere, e che la tua vita possa essere vissuta quanto più appieno il Destino ci permetta!

Il Murtagh del ricordo non fece nulla, se non parlare con lei per allietarle la prigionia per quel poco tempo che era concesso loro. Sentì la ragazza ringraziare il nome di un dio, che lui non aveva mai sentito nominare, per il compagno che aveva trovato e della fiducia che sapeva di poter riporre nello sfortunato quanto lei. Un nodo alla gola si sarebbe formato nel corpo di Murtagh, quando si accorse di cosa stava per accadere dopo. Vide sé stesso avvicinarsi a lei, chiudere gli occhi e posare le sue labbra su quelle di Nasuada in quell’unica volta in cui l’iniziativa di accelerare il loro rapporto era partita da lui. Sentì il cuore della ragazza sciogliersi, ma poi le sue viscere si contorsero. Era sbagliato, quel bacio era sbagliato. Non che non lo amasse, ma non poteva permettersi di abbandonarsi ai sentimenti, non verso colui che comunque l’aveva fatta soffrire così tanto, aveva tradito i Varden anche se non per propria volontà. La sentì pensare che lei avrebbe certamente preso la sua stessa vita - fosse stata al posto del ragazzo - prima che i gemelli arrivassero alla loro destinazione per riportarla da Galbatorix.

All’epoca non l’avrei mai fatto, mai! Nemmeno per la meravigliosa principessa che aveva parlato con me nella cella, che mi veniva a visitare... pensavo che la mia vita fosse troppo importante per perderla!

Una voce calda seguì il suo pensiero e per la prima volta non fu solo in quella sofferenza. Pensavi giustamente che fossi troppo importante per morire, Murtagh. , lo ammonì Castigo, È solo grazie a quel tuo chiodo fisso che sei riuscito a tenerti saldo fino alla mia schiusa.

Il ricordo scomparve nuovamente tra le lacrime di Nasuada dal sapore dolce amaro. Quando li riaprì, percepì di nuovo la stretta al cuore che aveva provato nel corpo di sua madre. Nella tenda, Nasuada e Farica stavano piangendo insieme. La regina stava cercando di farsi forza, ma ogni volta che i suoi occhi si posavano sul fagotto tra le sue braccia, con una piccolissima creatura priva di vita, doveva trattenere da maledire Murtagh e strapparsi la pelle dalle ossa per il dolore - non fisico, anche se pure quello non le lasciava tregua - . Il suo bambino era morto e presto anche lei lo avrebbe raggiunto. Si sentiva derubata - del suo piccolo e della felicità che non aveva più potuto avere da quando era stata strappata dall’ignarità dell’infanzia - e affranta dalla consapevolezza che non avrebbe mai provato la maternità, perché la morte l’avrebbe raccolta prima che potesse lei donare la vita a un suo figlio. E allora continuò a singhiozzare piano, soffrendo il lutto del proprio bambino, del piccolo che scalciava la notte, e di giorno faceva il bravo, così che i pochi a conoscenza della situazione non credessero che fosse un principe scalmanato.

Una contrazione fece stringere le palpebre con forza alla ragazza e quando li riaprì, si trovò davanti alla bocca della valle che era accesso alla montagna dei Varden. Un altro acuto dolore fece piegare la figura in due. Di chi è questo ricordo?

Due mani scure afferrarono un braccio un poco più chiaro, come una mandorla, tirando la ragazza. “Principessa Nadara, andiamo! Siamo quasi arrivati!” , disse una voce calda ma decisa, che Murtagh conosceva. Il capo dell’uomo si voltò all’indietro, lasciandolo soffermare un istante sul volto di un giovane Ajihad, fluenti capelli neri che volavano nel vento, in un pennacchio salvato da quelli rasati ai lati della testa. Poi un dolore inusuale per una donna in travaglio alla spalla, preceduto da un fischio. La ragazza inciampò, cadendo sul ventre gonfio. Gli organi interni dolsero pericolosamente quando vennero schiacciati dalla creatura che tentava di nascere. La giovane principessa sentì la morte sul collo, quando dalle nuvole che viaggiavano veloci, scorsero l’enorme drago rosso seguito da uno argentato.

“Enduriel e Morzan sono qui. Veloce, mia stella del mattino!” , sibilò Ajihad. Ma lei non riuscì a muoversi. La freccia venne estratta dall’uomo, e la figura di Trianna sbucò dai cespugli. Un incantesimo, che Murtagh riconobbe fungere a renderli invisibili e non far fuggire i loro suoni, venne proferito. Il dolore continuò a dilaniare la povera principessa e le sue energie defluirono velocemente dal corpo. L’ultima cosa che vide fu una daga lucente, poi il buio. La coscienza di Murtagh vagò nel nero assoluto, totalmente distrutta dalla consapevolezza che anche la morte della madre di Nasuada fosse da attribuire a suo padre.

Una bambina fu svegliata dalla sua governante, il volto familiare e caldo di Farica, con una tartelletta per una persona alle nocciole e decorata con mirtilli. Ajihad, qualche anno più vecchio e il capo rasato perfettamente, entrò nella stanza bussando. Il giovane cuore saltò nel petto della bambina, che a sua volta si buttò tra le braccia del padre. “Buon compleanno, bambina mia.”

La piccola Nasuada si fece mettere a terra, divorata da una questione.

“Oggi è la ricorrenza della mia nascita, il che vuol dire che è anche quello della morte di mia madre. Potrò andare a visitare il suo giaciglio eterno?” , chiese con una voce acuta ma decisa.

L’uomo dalla pelle d’ebano s’irrigidì e scosse il capo. Le mancava avere una madre che tutti gli altri bambini avevano, era come se un pezzo di lei non fosse mai esistito, come se fosse nata monca. Si sentiva sbagliata, crudele per aver ucciso sua madre per poter vivere. La bambina prese a piangere disperatamente, nascondendo il volto nella tunica del padre.

Ajihad prese a consolarla, finché non divenne tutto offuscato dalle lacrime, poi nero. La consapevolezza che la tristezza di quella bambina, che sarebbe diventata poi la sua amata, e l’essere umano per cui lui avrebbe provato i sentimenti più forti e genuini della sua vita, fosse dovuta al senso di colpa per un crimine non commesso, lo turbava profondamente. Avrebbe voluto essere da lei, per abbracciarla, confortarla e sussurrarle parole di rassicurazione, svelandole che non aveva ucciso sua madre per nascere, ma era stato una terribile coincidenza.

“Mi dispiace! Mi dispiace moltissimo!” , Murtagh stava urlando. Tornando pian piano in sé, con un formicolio in tutto il corpo, quella volta, e si trovò tremante tra le braccia di suo fratello minore.

Eragon stava guardando in cagnesco il Cuore dei Cuori di Glaedr, davanti a lui. “Non è giusto punirlo così! Nella sua vita ha sofferto abbastanza da aver ripagato tutte le sue colpe!” , disse con tono di capo al drago, pensando l’altro ancora trapassato. Il puntino luminoso rosso, Alastair, si spostò sul volto del maggiore con preoccupazione famigliare, come il giorno precedente.

Stai bene, ragazzo? , gli chiese. Murtagh annuì, costringendosi a smettere di tremare con respiri profondi, come gli aveva insegnato tanti anni prima il suo maestro Tornac. Eragon spostò il capo su di lui espirando sonoramente, quasi in sincronia con il fratello. “Stai tranquillo, li convincerò io che non è il caso di metterti a processo, non permetterò che-”

“N-non mi stanno punendo, fratellino.” , lo interruppe Murtagh con voce rauca, alzando una mano debolmente per accarezzargli una guancia. Il minore lo guardò esterrefatto, mentre Umaroth si spostava davanti al Capo dell’Ordine. Eragon Bromsson, per quanto tu sia il leader dei nuovi Cavalieri, devi lasciare che il Destino di tuo fratello si compia. Non intralciare la sua strada e in cambio ti darò la mia parola che non gli farò del male.

“Lascia che sia così.” , confermò Murtagh sentendo la testa leggera.

Eragon si passò una mano sugli occhi, come a voler nascondere le lacrime sulle pupille.

“Io mi fido di voi, tuttavia questa terra - sappiamo sia io sia voi - vi annebbia, talvolta. Vi prego di non esagerare, per non rischiare di perdere il controllo.” , proferì il castano con voce flebile.

Murtagh si alzò a sedere scostandosi un po’ dal suo abbraccio per guardarlo comodamente. “Perché, che succede qui?” , lo interrogò interessato a un argomento che lo distogliesse dal dolore provato fino a quel momento.

Eragon si morse il labbro. “A volte sembra che questa terra rigetti la nostra magia e quella degli Antichi. Non è come Alagaesia dove tutto è intriso dell’essenza dei draghi, qui è come se ci fosse un altro tipo di magia, che collide con la nostra.”

Murtagh espanse per un istante la sua coscienza. “Non sento differenze.” , ammise infine.

L’altro ridacchiò senza felicità, una reazione nervosa del Cavaliere azzurro. “È troppo poco tempo che siamo qui per capire i segreti di questo angolo di mondo e il perché tu ti sia trovato a tuo agio dal primo momento. Un giorno forse potrò darti una spiegazione, fratello.”

Il maggiore annuì, prendendo la mano del minore e aiutandosi in piedi. “Vieni, è ora di cena. Rimani con me questa sera per il pasto.” , gli disse Eragon con voce soffice, stringendo di più il suo palmo. Murtagh allargò gli occhi. Aveva davvero passato l’intera giornata dentro quella volta degli Antichi?

Accettò con veemenza, seguendolo nei suoi appartamenti ancora improvvisati. Cenarono in silenzio, poi fermandosi a condividere una pinta di idromele e parlando di Roran, e dell’intenzione del maggiore di andare a fargli visita sulla via del ritorno a Illirea. Eragon si dimostrò estremamente contento all’idea che il fratello maggiore avesse intenzione di stringere il rapporto più civile - se non addirittura fraterno - con il cugino possibile.

 

Per numerosi giorni, le giornate del Cavaliere rosso si ripeterono identiche, occupate dall’addestramento con gli Antichi e le loro visioni di dolore e distruzione. Alla sera contattava Nasuada, quando Eragon non era costretto a portarlo nel suo letto, dopo averlo trovato svenuto nella Volta delle Anime, quella ricostruita nella nuova terra. Vide gli orrori che aveva causato personalmente, provò l’esperienza della morte numerose volte, così come la perdita di figli, mariti, padri, madri e fratelli. Un giorno, vide la distruzione del villaggio natale di Eragon, la morte di suo zio e padre Garrow, la fuga che gli lasciò il vuoto di non aver potuto piangere la sua famiglia.

Quando riaprì gli occhi, trovandosi seduto accanto Eragon stesso, con un sorriso dolce e comprensivo, gli saltò al collo e piansero insieme, come avrebbero fatto se avessero potuto essere fratelli dal primo giorno.

 

Quando gli Antichi ritennero sufficiente il numero di visioni sottoposte a Murtagh, passarono alla seconda parte dell’addestramento. La mattina dopo si risvegliò nel proprio letto, accanto a Eragon, che era intento a stringere un Fairth della loro madre. Era ancora vestito come il giorno precedente e dormiva in una posizione che doveva essere scomodissima, pur di non invadere la metà letto dell’altro. “Il mio fratellino.”

Murtagh sorrise, lasciandogli un bacio sulla tempia, poi si alzò. Si guardò nello specchio di sfuggita, vedendo profonde occhiaie dovute alla disidratazione del pianto, e al poco sonno. Prima di piangere con Eragon per la seconda volta, avevano cenato e parlato assieme a lungo, ben oltre la metà della notte. Alla fine erano crollati uno accanto all’altro.

Uscì lasciando la porta aperta, perché il minore potesse capire che era già uscito, dirigendosi verso la collina scavata. Prima di arrivarvi, incontrò Reenan sul dorso di Odhràn.

“Qualcosa non va?” , gli chiese avvicinandosi, dopo aver visto il nuovo Cavaliere spronare il Compagno, che si levò di poco da terra, poi planando poco più avanti, ansimante.

Il fulvo scrollò le spalle. “Il mio Compagno deve essere stanco oggi, oppure potrebbe essere dovuto all’aria. Sta per arrivare un temporale.” , disse alzando il capo al cielo. Era effettivamente plumbeo, come se dovesse cadere il finimondo in acqua e vento.

Non alzarti in volo, oggi, ti prego. , si rivolse paternamente a Castigo. Il drago rosso sbuffò in risposta come un bambino, scocciato, ma infine gli promise che non avrebbe rischiato il suo ‘gran bel paio d’ali’.

Murtagh ridacchiò al suo umorismo unico, varcando la soglia del luogo delle sue lezioni. Alastair lo andò a salutare come ogni giorno, seguito da tutti gli altri Eldunarì degli Antichi.

Murtagh si sedette a terra con le gambe incrociate, avendo già praticato il Rimgar di tutti i livelli per sciogliere corpo e mente in preparazione alle visioni. Ma gli venne comunicato che non ne avrebbe ricevute. Con un sopracciglio alzato, guardò la corazza metallica portargli una pila di libri.

“Maestri, cosa dovrei cercare in questi?”

Umaroth si spostò davanti a lui. Questi sono libri di filosofia dei Cavalieri, la base del codice di comportamento morale. Ora che hai compreso a quanto le tue scelte - dettate dalla tua personale morale - hanno portato, ti chiediamo di imparare la nostra morale.

L’umano si grattò il mento. “Galbatorix mi ha già fatto imparare tutto questo.”

Glaedr rise nella mente di tutti. Come può un essere così deviato averti chiesto di imparare il codice di comportamento di un Ordine che ha tradito in tutto e per tutto?!

Felisan, il drago del maestro del Re Nero, parlò per la prima volta. Galbatorix a suo tempo era un gran cultore di filosofia.

Il punto luminoso dorato aumentò la potenza della sua radiazione luminosa, per colpa dell’ira. Stai forse difendendo il tuo più grande fallimento?!

Il tuo Cavaliere quando era in vita non faceva lo stesso con Morzan? , lo rimbeccò Felisan.

Glaedr inondò tutti con il ricordo di un ruggito. Oromis aveva ancora nel cuore la ferita aperta del suo allievo più brillante, ma non ero certo io a difenderlo! Tu, Felisan, stai apertamente prendendo le parti di Galbatorix...

Umaroth li zittì. Non siamo qui a battibeccare sulle parole dei nostri defunti Compagni. Siamo qui per assolvere un nostro compito, ovvero rendere un Cavaliere migliore dei suoi predecessori questo ragazzo. Se avremo successo con lui, potremo perdonarci le nostre sviste con Galbatorix e Morzan.

Molte voci si unirono, a nominare gli altri Cavalieri Rinnegati che facevano parte della massa dei fallimenti dell’Ordine.

Cancellerò il mio fallimento con Formora, Haema e Lizseris. , disse con determinazione Arnassus.

Io con Enduriel... , lo seguì Rorinda con la sua voce calda ma potente.

E io con Thrasos. , fu Unnaen a dire.

Glolorna, Norlanis, Bausan e Renoirim sono i nomi del più grande errore mio e del mio Cavaliere. , pronunciò grevemente Ymruth.

Il mio fu Kialandí. , disse Mellien.

Io e il mio Cavaliere abbiamo fallito con Glaerun e Volodar. , concluse Soarroag.

Murtagh attese in silenzio, finché Umaroth non si spostò come faceva quando voleva rivolgersi a lui, davanti al suo naso. Bene, Cavaliere, noi Antichi siamo pronti. Hai dunque asserito di conoscere la filosofia dei Cavalieri, perciò d’ora in poi ti consegneremo un enigma morale dopo l’altro, e tu dovrai darci una risposta in base ai doveri di Cavaliere.

Non dovrò dunque studiare nuovamente tutti quei volumi? , chiese con coraggio. Per quanto non avesse mai disdegnato la lettura, quello che voleva era ritornare da Nasuada e dai suoi piccoli.

Non se ci dimostrerai di possedere la morale. Ovviamente potrai sbagliare inizialmente, perché è veramente arduo scindere la propria riflessività dalla filosofia dell’Ordine, nel compiere una decisione. Ma se ogni volta esorterai ad alta voce il principio che dovrebbe muovere le tue decisioni, noi potremo evincere la tua conoscenza  - o meno - . Ti senti pronto a iniziare?

Il giovane annuì, sistemandosi più comodamente in posizione di meditazione, per rilassarsi al massimo. Di sicuro, la notte parzialmente in bianco precedente non avrebbe reso quel giorno l’ideale per cominciare quel tipo di prova, ma la sua determinazione era più alta che mai.

Unnaen, l’Eldunarì verde bosco, si andò a posare sul palmo più in alto, rivolto al cielo, che aveva in grembo. Quando Murtagh lo strinse, la prima visione arrivò. La voce del drago lo guidava, mentre velocemente osservava la situazione. V’erano due eserciti schierati in formazione a cuneo, Nasuada di fronte ad Arya. Per chi ti schiereresti, Cavaliere? Con Arya, un tuo collega, o con la regina Nasuada, la sovrana della razza a cui appartieni?

Murtagh sorrise a occhi chiusi, trovando la scelta molto facile.

Con nessuna delle due. , proferì con sicurezza, Dovrei prima convincere Arya a non prendere parti in quanto Cavaliere, o per lo meno a non scendere in battaglia con il suo drago, dopodiché dovrei provare a far ragionare mia moglie.

L’Eldunarì di Unnaen si alzò dalla sua mano, soddisfatto, e la visione s’interruppe. Murtagh guardò il punto luminoso bianco nella collina scavata. “Immagino che anche questa volta la difficoltà andrà ad aumentare progressivamente.”

È corretto. Procediamo?

“Sì.”

Fu Mellien, con la sua luce rossa, a creargli un’illusione. Quella volta ebbe difficoltà estrema a rispondere. Gli chiesero di scegliere tra Castigo e suo figlio.

Murtagh stava annaspando per la difficoltà. Come dovrei fare a scegliere tra il mio drago - una parte di me - e mio figlio, che è anche lui parte di me? Dovrei scegliere Castigo perché senza di lui una parte della mia coscienza verrebbe irrimediabilmente lacerata, rischiando di farmi impazzire; o dovrei scegliere mio figlio, perché lui possa vivere una vita piena, mentre suo padre è destinato alla perdizione e alla morte, rispettando così il ciclo della natura? Forse potrei morire io...

La coscienza del drago s’indispettì. Non puoi aggiungere una terza scelta.

C’è sempre una terza scelta! , gridò l’umano.

Rimase ad arrovellarsi sullo stesso dilemma per tutto il giorno, finché Mellien non si allontanò da lui, interrompendo la visione. Avrai tempo ancora per pensarci. Non credevamo che questo ti avrebbe creato tanti problemi.

Murtagh scattò in piedi. Io so che il vostro stupido codice prevede di salvaguardare la vita di noi Cavalieri, in quanto prescelti, ma nel mio caso la vita di mio figlio sarebbe quella di un altro Cavaliere, per giunta che sarebbe più amato di me: il figlio di Morzan...

Alastair gli si parò davanti. Miei colleghi, vi prego di smetterla per oggi. Lasciamogli la notte per riflettere. Domani, qualsiasi sia la tua scelta, potrai comunicarcela.

Il giovane annuì, dirigendosi verso l’uscita, ma il drago rosso di suo nonno non lo abbandonò. Ascolta, figliolo, per quanto abbiano a cuore il codice morale, questo non è legge assoluta, ed è per questo che essi sono divisi nella strutturazione dell’Ordine. Una scelta è una scelta, e nessuno può avere le risposte per i dubbi della vita. Perciò non temere troppo, siccome non è perché sei il figlio di Morzan, o l’ex-burattino di Galbatorix, che la tua morale sia opposta alla nostra. Fai affidamento a quello che crede il tuo cuore, e non avrai rimpianti.

Il Cavaliere annuì, lievemente più speranzoso. Poi s’incamminò per cenare con i suoi simili, sperando di staccare un po’ la mente da quell’enigma.

 

Quel giorno, Murtagh si svegliò e preparò all’allenamento, come ogni sole da un lungo periodo. Fuori dalla sua stanza, gli elfi incantatori stavano erigendo un edificio con la pietra bianca di quel luogo, perpendicolarmente all’unico già per metà costruito. Eragon lo salutò porgendogli in mano una ciotola di porridge con mele. La neve era caduta per l’intera notte e aveva reso quel luogo una distesa infinita di bianco. Solo le punte delle montagne si scorgevano a sud. “Fratello, posso sapere cosa fate tu e gli Antichi nella Volta?” , chiese come ogni giorno da quando si era accorto della strana routine del maggiore. Questo anche quel giorno scosse la testa. “Quando saranno loro a darmi il permesso.” , rispose come sempre. Il minore finì la sua colazione e si allontanò per recarsi da Reenan, per la sfida di quel giorno. Ormai le lezioni erano concluse, perciò ogni giorno gli aspettava un’occasione per mettere in pratica gli insegnamenti e la sua forza. Murtagh ingollò l’ultimo cucchiaio di zuppa calda d’avena e camminò lentamente dentro la collina scavata. Castigo lo aspettava all’interno raggomitolato come un gatto, non in piedi come solito. Il moro guardò al puntino bianco con fare interrogativo, mentre tutti erano fermi, e nessuno era ancora entrato nella sua mente.

“Sono pronto, maestri.” , disse loro spezzando il silenzio. Ricevette in risposta sensazioni di ilarità. Murtagh si mise sulla difensiva, non amava essere preso in giro, ne aveva avuto abbastanza nell’infanzia.

Finalmente, Umaroth parlò: Cavaliere, ieri sei svenuto per la fatica mentale, prima che riuscissimo ad annunciarti la fine dell’addestramento.

Murtagh si sentì sollevato. Il giorno prima era stato il tempo più lungo in cui gli avevano somministrato l’incantesimo d’empatia unitamente a un enigma, tanto che alla fine il suo corpo e la sua mente non avevano più retto, ed era trapassato.

Ora, Argetlam, sei un Cavaliere di cui non avremo più motivo di dubitare. Se tuo padre è stato un nostro grave errore di valutazione, tu sarai per noi una certezza. , gli disse Glaedr, il Compagno del maestro di Morzan.

Il ragazzo abbassò il capo in una riverenza. Vi ringrazio per queste parole. Non fallirò dove mio padre ha tremendamente rovinato tutto. , rispose cercando di sciogliere il nodo alla gola. Tanto orgoglio nell’essere nominato Cavaliere a tutti gli effetti gli era nato solo il giorno della Liberazione. In quel momento, però, lui era un uomo nuovo. Un Cavaliere di cui fidarsi: un fratello, un padre, un amico, un uomo libero di seguire i propri principi. E quei principi avevano infine coinciso con quelli dell’Ordine, che aveva astratto dai libri della biblioteca del re.

Giovane umano, noi crediamo nelle seconde opportunità e nella possibilità di redenzione più di qualsiasi altro essere al mondo. , riprese Umaroth. Castigo alzò il capo per ascoltarlo con attenzione. Vorremmo offrirti il posto che sarebbe spettato a tuo padre, se non avesse intrapreso una strada contraria a noi.

Non capisco, cosa avreste offerto a Morzan? , chiese Murtagh.

Tuo padre era il più promettente dei Cavalieri all’epoca, perciò avremmo offerto a quel giovane il ruolo di Secondo alla guida dell’Ordine.

Murtagh rimase in silenzio per lo stupore, non sapendo cosa rispondere.

In realtà, conoscendoti, tu superi di gran lunga Morzan come Cavaliere in abilità, senza contare la tua personalità decisa. La tua mente è forte e determinata, segnata da convinzioni sane e irremovibili. , aggiunse Umaroth per spezzare il silenzio.

Il ragazzo allora parlò. Sono davvero lusingato dalle vostre parole, ma non ho idea di cosa sia un Secondo per l’Ordine.

I draghi risero brevemente. Continuerai nel lavoro che già stai portando avanti, cercare nuovi Cavalieri per le nostre uova. Tuttavia avresti voce in capitolo nella loro educazione e nel giudicarli in caso di sanzioni per le loro ribellioni. E saresti tu, infine, a sostituire Eragon se dovesse mancare o rifiutare il suo ruolo.

Murtagh sobbalzò. Io? Non sarebbe dunque meglio il Cavaliere Arya?

Glaedr gli si mosse attorno in un vortice dorato. Abbiamo scelto te, vedendo il tuo animo. Questo nuovo Ordine avrà Murtagh come Secondo o nessuno, finché non troveremmo qualcuno di egualmente adatto.

Con un moto di orgoglio Murtagh accettò.

 

 

Uno di fronte all’altro, Eragon e Murtagh stavano per salutarsi per la prima volta dopo un anno di lontananza. Il Capo fu il primo a farsi avanti, abbracciando il fratello maggiore.

“Fa’ buon viaggio, Murtagh.” , gli disse con emozione, poi avvicinandosi e avvicinandosi, fino a posargli le labbra sulla guancia bianca. “E da’ questo a tuo figlio da parte mia.”

Murtagh rimase a toccarsi il punto dove era stato baciato, sbalordito. Il minore lo stava guardando lievemente a disagio, temendo di essersi spinto troppo oltre. Accortosene, Murtagh addolcì lo sguardo, riprendendolo tra le sue braccia. “Lo farò, fratellino. E ti saluterò Nasuada, parlando di te al piccolo nel suo grembo, in attesa entrambi di conoscerlo.”

Eragon arretrò, salutandolo un’ultima volta con la mano, mentre lo osservava montare su Castigo. Saphira gli diede un colpetto col muso, in saluto.

“Alla prossima. Prenditi cura di voi Cavalieri tutti. E cerca di scoprire cosa c’è in questa terra. Sai che potrai sempre tornare indietro se dovessi scoprire qualcosa di preoccupante…” , gli gridò il maggiore mentre prendeva il volo.

“Tu abbi cura della gente di Alagaesia per me, fratellone!”

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Capitolo 53
*** Visita a Carvahall ***


Murtagh ripartì dall’ennesima fermata del suo viaggio di ritorno dalle terre oltre Alagaesia.

Seguì la Grande Dorsale verso nord per raggiungere la sua ultima tappa: Carvahall. 

Finalmente vide i tetti della cittadina, antecedentemente un villaggio semplice, la sede del conte e Protettore: Roran Fortemartello. Vide la sua grande casa in pietra accanto a un’altra identica perpendicolare, la casa del fabbro. In breve tempo atterrarono nella piazza centrale, dove tutte le persone si erano disposte sul perimetro dopo aver notato l’ombra enorme della montagna rossa.

La donna bionda e anziana fu la prima ad andargli incontro cordialmente. “Cavaliere, qual buon vento vi porta qui?” , gli chiese Elain portando una gran pila di lenzuola verso la casa del loro uomo più importante. Sembrava indaffarata, così Murtagh prese senza dire nulla a seguirla. “Stavo ritornando a Illirea dopo essermi recato da Eragon e sono venuto qui per congratularmi con Roran e Katrina per... è un bambino o una bambina?” , chiese rendendosi conto di non essere per nulla informato sugli ultimi avvenimenti. La donna sorrise dolcemente. “Non lo sappiamo ancora. Ma siete capitato a pennello, Cavaliere: Katrina è entrata in travaglio stamattina.”

“Che tempismo!” , mormorò con sarcasmo il giovane.

La donna salì i primi gradini della casa a cui erano arrivati, riuscendo a guardarlo negli occhi dallo stesso livello. Gli mise una mano sul gomito ripiegato sul petto. “Non pensiate di essere troppo. Katrina sarà sollevata di avere un guaritore nel villaggio con abilità magiche, nel caso estremo che... beh... un parto non è mai qualcosa di cui si sia sicuri della ben riuscita.”

Murtagh annuì. “Sarò qui nei pressi della casa ad attendere, allora. Non esitate a venire a chiamarmi in caso di bisogno.”

La donna lo guardò sollevata, salendo l’ultimo gradino. “Potete andare ad attendere assieme a Roran, se vi aggrada. Si trova sul retro della casa.” , concluse con un cenno del capo, “E quando avremo un nuovo bambino in questa città verrò da voi perché mi raccontiate come se la passano i miei figli a Illirea.”

Si voltò ed entrò nella dimora. Murtagh lasciò Castigo libero di andare a cacciare i cervi che tanto adorava, sulle montagne, vedendolo trepidante. Poi, girò attorno alla casa, trovando Roran che camminava nervosamente in cerchio.

“Ci verrà un solco.” , commentò quando gli fu abbastanza vicino da non dover urlare.

Fortemartello alzò il capo di scatto, riportato nel loro mondo da quelle poche parole. “Murtagh? Che ci fai qui?”

L’altro alzò le spalle. “Ho dovuto controllare una cosa nel mio ducato - ma ciò non importa ora, perciò te lo risparmierò - e ho seguito la Dorsale fin qui per benedire tuo figlio.”

All’ultima parola Roran trasalì.

“Diamine, sei teso come una molla.” , commentò Murtagh mettendogli una mano sulla spalla con confidenza, “Cosa stai facendo qui? Non dovresti essere con lei?”

Un’occhiata di fuoco non la risparmiò nessuno al Cavaliere rosso. “Solo perché ce l’ho messo io lì non vuol dire che voglia vedere come ne esce.”

Murtagh dovette trattenersi da scoppiare nell’ilarità che quelle parole gli avevano scosso, perché non gli sembrava consono ridere del cugino, appena rivistolo.

“Accidenti... siamo proprio tutti così, noi uomini - tanto impassibili a ucciderne altri sul campo di battaglia e poi ci sciogliamo come burro al sole per dei bambini - ?”

Riuscì a far ridere il cugino. “Se vuoi, puoi assistere tu. Ti farai le ossa per quando toccherà a te. Se dovessi tentennare quando starà partorendo, anche minimamente, sono sicuro che Nasuada ti spedirebbe fuori dalla stanza e dalla sua vita immediatamente. La nostra regina non ha tempo per i deboli, al suo fianco.”

Murtagh sospirò, seguito dal cugino quando dall’interno trapelò un gemito smorzato dalla pietra.

Roran si gettò a sedere a terra. “Spero che finisca presto di soffrire.”

Il maggiore lo guardò obliquo senza rispondere e si andò a posizionare accanto a lui. “Come lo chiamerete?” , gli chiese cambiando argomento.

Fortemartello cercò di appiattire la forma di cupola che il tessuto dei suoi pantaloni aveva assunto, all’altezza delle rotule. “È abbastanza ovvio: Garrow se dovesse essere un maschio e Marian come mia madre se fosse una bambina.”

Un basso ruggito di dissenso venne dal petto del Cavaliere. Roran si voltò a guardarlo. “Cosa sei ora, un drago?!”

Murtagh ignorò il commento, guardandolo duramente. “Se posso darti un consiglio: ora sei un conte e potresti scegliere un nome più adatto al tuo rango. Qualcosa che richiami nobiltà solo a udire il nome del figlio di Fortemartello, primo generale della regina Nasuada durante la Liberazione.”

Il più giovane lo osservò sconcertato. “E quali sarebbero questi nomi?”

“Sei tu il padre, sceglili tu! O preferiresti che Nasuada inviasse un nome che ritiene appropriato per ogni figlio di un suo vassallo? Non sarebbe un po’ eccessivo?” , si lamentò Murtagh.

Roran lo supplicò con lo sguardo, avendo capito che il cugino avesse ragione con la sua insinuazione. “Io sono nato semplice contadino, non so come gli altri conti chiamino i propri figli... Ovviamente risparmiami la lista dei nomi che vorresti usare per il nascituro di Illirea, non voglio che i nostri figli condividano pateticamente lo stesso nome, oltre allo stesso anno di nascita per la seconda volta. Sembrerà che ci stiamo copiando...”

L’altro scosse il capo guardando l’erba. “I nomi per mio figlio sono già fuori portata per un conte, ruotando tutti attorno al tema di... beh un giorno poter diventare re. Da ragazzo ho conosciuto numerosi conti ormai morti, ti nominerò quelli di coloro che avevano un significato astratto e rassicurante per la popolazione, proprio come è bene che sia per il figlio del Protettore del nord.”

“Ti ringrazio!” , mormorò in mezzo ai denti Roran, stringendo gli occhi a un altro urlo della moglie, dimostrando quanto fosse giovane a discapito delle sue sembianze di uomo maturo.

“Ardghal, Nuada, Fearghal, Seanàn...” , elencò distrattamente il maggiore senza perdere tempo, per distrarlo.

L’altro rimase in silenzio lunghi istanti, a ponderare i significati. “Credo di aver scelto. Ne hai qualcuno da proporre anche per una bambina?”

“Bene. Sì, ne ho alcuni: Alys, Devona, Morrighan, Neala.”

Roran rimase ancora in silenzio, per un tempo più lungo. Non fece tempo a rispondere che un ennesimo, ma lunghissimo, urlo squarciò la quiete. I due si guardarono preoccupati, scattando in piedi.

Elain aprì la porta del retro della casa, con Ismira in braccio, ansimando. Guardò il Protettore e sorrise. Bastò quello per far correre Roran dentro, a perdifiato. La donna bionda non lo seguì, ma lanciò un’occhiata pregna al Cavaliere. Lui si batté le mani sui pantaloni per togliere le foglie e i fili d’erba e la raggiunse per il loro aggiornamento. Si sistemarono attorno al camino, su due scranni leggermente imbottiti. La donna - con gli abiti ancora inquietantemente impregnati di sangue e altri fluidi rossastri - prese a far saltellare la figlia del Protettore sulle sue gambe, poi guardò l’ospite. “Come procede l’apprendistato dei miei figli?”

Murtagh si abbandonò sullo schienale. “Stanno per terminare il loro apprendistato di perfezionamento. Se lo vorranno potranno rimanere e prendere il posto del fabbro della regina, oppure tornare qui e rendere questa città un vero polo della forgiatura di armi pregiate.”

“State montando la storia oppure sono davvero così bravi?” , chiese dubbiosa.

L’altro alzò entrambe le sopracciglia. “Hanno il talento di Horst e la fortuna di aver ereditato anche la sua struttura fisica, e hanno avuto un maestro d’eccellenza. Solo il fabbro elfico Rhunön potrebbe avere ancora qualcosa da insegnare loro.”

La donna sorrise caldamente. “Forse la vita nella capitale porterebbe loro maggiore fortuna rispetto al nostro villaggio appena divenuto una città.”

L’altro annuì. “In più mi auguro che presto incomincino una famiglia loro.”

Elain sospirò. “Lo auguro a entrambi. Insomma, hanno pochi mesi in meno di Roran e lui ha già due figli!”

Murtagh alzò le spalle con rassegnazione. “In questa parte di Alagaesia la maggiore età è considerata il raggiungimento delle sedici estati. Dove sono nato io invece è diciotto. Non sono in ritardo i vostri figli, Elain.”

Lei sorrise guardando Ismira. “Non ho fretta di diventare nonna, perché so che saremmo lontani, io e i miei nipoti. Auguro loro solo la gioia di avere delle piccole creature che li amino incondizionatamente.”

Murtagh si adombrò. Lui era l’esempio vivente che i figli non amano a qualunque condizione i propri genitori, solo perché tali. La vita è uno scambio dal suo inizio, e per dare amore il Cavaliere sapeva che era necessario prima riceverne, e verso di lui da parte di Morzan non era mai stato così. Ebbe in un lampo l’immagine dell’unica volta che suo padre lo aveva abbracciato: era stato il suo primo giorno di allenamento con l’arco e il maestro si era complimentato personalmente con il padrone. Colto da un moto d’orgoglio - certo non da amore per quel piccolo essere dai capelli corvini e arruffati, che era lui da bambino - la sera lo aveva braccato, mentre correva in giro con un modello in argento di un drago, e stretto al petto. Si ricordò di essere rimasto irrigidito per tutto quel contatto, non che le braccia di Morzan sembrassero altro che catene di una gabbia, e infine ricordò lo scatto d’ira che il Rinnegato aveva avuto, rendendosi conto che il proprio figlio non era stato genuinamente contento del suo primo gesto paterno.

Roran scese le scale, interrompendo i pensieri del Cavaliere e il resoconto all’anziana. Prese la figlia tra le braccia e invitò il Cavaliere a salire con lui, il moro accettò con sollievo, siccome una vista dolcissima lo avrebbe presto distratto dal ricordo di suo padre. “Hai intenzione di far conoscere il neonato a tua figlia così presto?” , chiese Murtagh seguendo il cugino. 

Lui annuì deciso. Aprì la porta di legno lentamente, perché lo scricchiolio del legno e dei cardini non disturbasse chi vi riposava oltre. La ragazza fulva era semi-sdraiata nel letto, un fagotto di coperte tra le braccia. Fortemartello poggiò la bambina dallo stesso colore di capelli accanto alla madre, circondandoli tutti con le possenti braccia. “La mia famiglia.” , mormorò.

La ragazza spostò lentamente il fagotto verso la bambina e il marito lasciò la presa per permettere loro di muoversi e respirare. Ismira rise guardando la creaturina. 

“Piccolo!” , lo indicò con sguardo intelligente. Il padre le accarezzò i capelli.

“Il tuo fratellino è finalmente arrivato, Miri.” , le spiegò e lei fece un salto da seduta, ricadendo sul sedere ben protetto dalla stoffa per piccoli umani.

Murtagh incrociò le braccia al petto, trattenendosi dal sorridere come un ebete. La ragazza fulva alzò gli occhi su di lui, come se il suo sforzo di rimanere impassibile avesse attirato invece l’attenzione su di sé.

“Benedici la nostra famiglia, Argetlam.” , chiese Katrina con voce rotta dalla fatica.

Murtagh esitò. “Non ho mai benedetto nessuno se non mio figlio… credo sarebbe meglio chiederlo a Eragon”

“Non è qui, e anche tu sei un Cavaliere.”

Il moro annuì e si avvicinò al letto, unendo le mani sul cuore augurò fortuna e felicità ai quattro. Al termine della benedizione, si accorse di avere un gran calore nel petto, probabilmente di felicità familiare per gli unici suoi parenti, oltre a Eragon e a suo nonno, rimastigli.

“Grazie, cugino.” , disse Roran commuovendosi quando il piccolo si mosse leggermente nella sua coperta, come a gioire per la benedizione. Murtagh si ricordò dei convenevoli. Si piegò in avanti, piegando un braccio dietro la schiena e l’altro sul petto. “Porgo i miei primi saluti al lord di Carvahall e prossimo Protettore del Nord.” , proferì con tono ufficiale.

Katrina sorrise ampiamente. “Ti ringrazio, duca.”

“Come si chiama, così che io possa riportare la notizia a Nasuada?” , s’informò il Cavaliere.

Roran gli lanciò uno sguardo complice. “Fearghal Roransson.”

Murtagh spostò le labbra da un lato del volto. “Non dovrei impicciarmi, ma proporrei Fearghal Garrow. Due nomi suonano più nobili.”

Katrina spalancò la bocca. “Ecco di chi è la colpa di quell’orrendo nome!” , sospirò guardando poi il marito, che annuì in risposta. Le diede un bacio sulla fronte, poi girò attorno al letto per tornare dal cugino, che fremeva visibilmente per tornare dalla moglie e dal figlio. Dai figli, era più corretto.

Fece un passo avanti e prese la mano della ragazza abbandonata sul lenzuolo, portandosela alle labbra. Un veloce bacio e tornò alla consona distanza dalla lady. “Ancora i miei complimenti, contessa. La regina sarà molto lieta della notizia.” , la salutò spostandosi sulla porta anticipato da Fortemartello. Scesero le scale in silenzio, fino all’ingresso. 

“Sicuro di non voler rimanere?”

Il moro annuì, rivolgendogli un sorriso di decisione.

“Sicuro sicuro?” , gli ribadì con esitazione. Sembrava davvero che desiderasse che rimanesse.

“Sì, non voglio turbare ancora questo momento per la tua famiglia.”

Roran scrollò le spalle. “In realtà mi sei stato d’aiuto, prima.”

Il Cavaliere gli posò una mano sulla spalla, facendo un gran rumore, ma non del male. “Mi fa piacere. Un Cavaliere deve essere sempre pronto ad aiutare il prossimo. Ed è proprio per quello che devo tornare dalla mia regina, per aiutarla con il regno e… beh, con quella creatura così vivace che è suo figlio.”

“Fa’ buon viaggio, allora, Murtagh.” , gli disse con leggerezza Roran. Il cugino annuì, scendendo i gradini su cui aveva osservato il proprio figlio a lungo. Si chiese se sarebbe mai riuscito a portare il secondogenito in quel luogo così calmo e familiare, poi si ricordò del dono per suo cugino.

Rovistò in una tasca, estraendo a fatica un cofanetto che aveva scavato personalmente e decorato, porgendolo a Roran. Il cugino lo prese curioso, rendendosi conto solo dopo che fosse un regalo. Aprì la bocca quando vide altri due anelli d’oro e due catene dello stesso materiale. 

“Murtagh...” , incominciò, ma l’altro alzò una mano per fermarlo.

“Sono in debito con voi a vita per aver salvato mia moglie e mio figlio da morte certa. Perciò dopo che Eragon si è lasciato scappare con me quale fosse stato il suo regalo per le vostre nozze, ho deciso di replicarlo, modificando l’incantesimo per includere i vostri figli, così che possiate sempre sapere se sono al sicuro. Non è originale, ma sono sicuro che vi sarà gradito.”

Il castano annuì con veemenza, chiudendo il cofanetto e premendoselo al petto. “Grazie, cugino.” , soffiò avvicinandosi per abbracciarlo. Murtagh lo lasciò fare, attendendo che fosse l’altro a separarsi, dopodiché salì sul suo Compagno.

Una volta sul dorso di Castigo, Roran lo salutò con la mano. “Porta i miei auguri anche alla regina Nasuada. Vorrei restituirti il favore e venire a visitare il tuo secondo figlio, quando sarà nato. Non farti uccidere nel frattempo, Cavaliere!”

Il più vecchio alzò le spalle e prese il volo assieme all’enorme rettile rosso alla volta di Illirea.

Finalmente torneremo a casa!


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Ciao a tutti! Colgo l'occasione del posting di questo capitolo di incontri famigliari per augurarvi buon natale (a chi lo festeggia) e un ottimo anno nuovo a tutti! A presto e spero di poter continuare ad aggiornare la storia con questa costanza!

A presto,
EllyPi

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Capitolo 54
*** Una lunga assenza ***


La figura elegante sedeva davanti alla finestra del proprio studio, con un bambino in braccio. Questo iniziò a scuotere le gambe freneticamente, calciando l’aria, quando un anziano gli passò davanti, per prendere in mano la propria tazza di bevanda alle erbe calda. Una mano della ragazza si spostò velocemente sulla piccola collinetta che era spuntata dal suo corpo, per proteggerla dall’irruenza del primogenito. Il cucciolo di umano mormorò qualcosa, poi si voltò di scatto verso la finestra per osservarla con i grandi occhi di ghiaccio.

“Che c’è là fuori, piccolo?” , gli chiese l’anziano. La testolina piena di capelli corvini e arricciati alle punte dei ciuffetti, si voltò di scatto verso la voce. Puntò verso la finestra, con un dito più chiaro della carnagione della madre, e mormorò qualcosa di incomprensibile. D’altronde non riusciva ancora a usare la parola se non per richiamare i suoi genitori. Thud.

Improvvisamente anche la regina si allarmò, si alzò appoggiandosi il figlio a sedere sull’osso dell’anca e si diresse verso la finestra. Thud.

Attese a lungo nel silenzio, spezzato ritmicamente da suoni sordi.

Finalmente, dopo svariati minuti, all’orizzonte spuntò una stella rossa, illuminata da un’eruzione di fuoco. “Murtagh, è di ritorno!” , esclamò la ragazza verso l’anziano. Il drago si fece sempre più vicino, fino a coprire l’intera finestra. Murtagh salutò con un braccio la moglie e il figlio mentre atterrava, scorgendoli in una delle stanze ancora illuminate.

Farica si affrettò nello studio. “Mia signora, tuo marito è atterrato nella fortezza!” , esclamò ansimando. La giovane regina la invitò a sedersi assieme a loro, versandole del liquido bollente nella preziosa tazza che le avevano portato in più, in caso il principe avesse preteso un po’ di tisana per lui. Era in quella fase in cui adorava togliere il cibo dalla bocca della madre, solo perché la vedeva mangiarlo, e nella sua giovane mente si creava la voglia di assaggiare tutto, perché doveva essere buono, se colei che lo aveva nutrito dal suo corpo si cibava di tali altri elementi solidi. Perciò, quando era lontana dagli sguardi della corte, concedeva al suo piccolo parte della sua cena o delle sue bevande. Le tisane o i decotti di erbe gli piacevano sempre molto, e una tazza in più veniva sempre fornita dalle cameriere assieme alla bevanda.

La dama accettò e si sedette accanto al nonno del consorte reale. Qualche tempo dopo, un giovane dai lunghi capelli corvini e gli occhi chiari fece la sua apparizione sulla porta, senza essere annunciato, vista l’ora tarda.

“Cosa fanno mia moglie e soprattuto mio figlio ancora svegli nella notte?” , chiese fingendosi serio. Il silenzio si consolidò nella stanza.

La ragazza si avvicinò piano a lui, come se si trattasse di una visione che sarebbe svanita lasciando solo malcontento. Eppure, lui era tornato davvero. Murtagh tese un braccio e le poggiò una mano sulla guancia, fissandola con amore ardente.

“Sono a casa, Nas.” , le sussurrò.

A quelle parole, lei si fece avanti completamente, buttandosi tra le sue braccia. Le posò le labbra sui capelli, poi si staccò per vedere il bambino che si lamentava tra loro. Seduto al fianco della madre, si teneva aggrappato al tessuto - dotato di un lieve sostegno tra due strati di stoffa - sul seno della regina. Il piccolo aveva smesso da poco di nutrirsi esclusivamente dal petto della madre, ma il secondo che cresceva tranquillamente nel suo grembo aveva fatto sì che il volume del suo seno non diminuisse, rimanendo un facile appiglio per il principe.

Finiarel lo fissò a lungo, titubante, poi allargò le narici quando il profumo famigliare del padre gli arrivò al naso.

“Papa!” , disse in mezzo a risate e gridolini, nell’incrociare gli occhi con quelli del genitore. Murtagh tese le mani per prenderlo, così Nasuada allentò la presa del braccio che gli cingeva la schiena, perché il piccolo passasse al padre. Il Cavaliere lo prese per le ascelle e tese le sue lunghe e forti braccia in avanti, osservando il bambino. “Come sei cresciuto, piccolo! Dici ancora solo ‘mamma’ e ‘papà’? Nient’altro?” , gli chiese come se potesse rispondergli.

Finiarel si limitò a riprendere a sgambettare in aria, rimanendo in silenzio. Così il padre se lo portò al petto, e il piccolo abbandonò la testa rotonda su di esso, come se dovesse crollare a dormire. Gli posò il bacio da parte di Eragon, anche se non riuscì a raggiungere la guancia paffuta del principe.

“Che fate ancora svegli?” , chiese allora Murtagh alla moglie, quella volta seriamente. La bella giovane alzò le spalle appuntite e il marito notò che avesse perso peso anziché il contrario, come ci si sarebbe aspettati dalla sua condizione.

“Non ti senti bene?” , le chiese preoccupato, seguendo con un dito la sua clavicola che spuntava dall’abito semplice che aveva, che le cingeva le braccia e il torace ma non le spalle. Forse quel bambino stava davvero già minando la vita della madre.

Lei esitò un attimo. “Credevo che non avrei mai sopportato nausee peggiori che per la prima gravidanza, ma mi sbagliavo. Non riesco letteralmente a tenere nulla nello stomaco, e dormire la notte è uno strazio. Ovviamente poi quando arriva il giorno non vorrei che fare altro.”

Lui espirò, poi le passò un braccio dietro le spalle. “Troveremo un incantesimo per alleviarti questa sofferenza. Sembra che non faccia altro che infliggerti pene e poi alleviarle per quanto possibile.” , disse in un soffio sulla sua fronte, fingendo di baciarla per assicurarsi intimamente della sua salute.

“Non essere sciocco, marito. Una gravidanza non è paragonabile a una tortura con ferri roventi.” , lo rincuorò lei. Nei suoi occhi chiari si leggeva chiaramente cosa avrebbe voluto rispondere - ‘Ma partorire con dolore e rischiare la morte sì…’ - ma che tacque per non spaventarla. Sapeva del trauma che le era nato con l’arrivo del piccolo erede della corona e anche che se avesse voluto che il secondogenito nascesse senza ripercussioni sulla madre o su di esso, avrebbe dovuto fare di tutto perché la regina trascorresse una gravidanza quanto più serena.

Le diede una spinta leggera verso la dama di compagnia. “Iniziate a dirigervi verso i nostri appartamenti. Io arriverò non appena avrò salutato mio nonno.” , disse alla moglie e alla domestica, che annuì e lo sostituì nel circondare le spalle alla ragazza dalla pelle d’ebano. Una volta uscite, si andò a sedere accanto all’anziano dopo avergli fatto un’ampia riverenza perché la vedesse. “Figliolo, bentornato.” , lo salutò con la sua voce calda e familiare Flaithrì. Murtagh ringraziò, guardandolo con tutta la preoccupazione che aveva tenuta celata alla moglie. “Come è stata la salute della regina in questo periodo?” , chiese a lui la verità. L’uomo fece spallucce. “Non ha mentito né sminuito nulla nel suo racconto, poc’anzi.” , rispose con sicurezza, “Forse solo ha tralasciato di essersi addormentata un paio di volte durante i Consigli… ma siamo tutti vecchi là, perciò è stata scusata - soprattutto quando ha dovuto dare l’annuncio del bambino, la seconda volta che è capitato - .”

Murtagh strinse le labbra. “E come hanno preso la notizia?” , chiese titubante.

“Come avrebbero dovuto prenderla? Lei è la regina, e dopo un anno dall’aver rischiato di morire per mettere al mondo un erede per il regno, ha già dimostrato di non aver perso la sua fertilità.” , Flaithrì gli rivolse un sorriso sghembo e dai pochi denti, “Sinceramente, figliolo, nessun uomo di governo disprezzerebbe mai un ennesimo erede, anche se doveste avere già sedici o più figli!”

“Già, sono tutti molto bravi a pretendere da lei di governare questo regno e al contempo di avere dei figli… Se solo sapessero quanto tutto questo le costa.”

Flaithrì gli posò una mano rugosa su un avambraccio, non avendo la forza per raggiungere le sue spalle che superavano la sua testa, tanto la sua schiena si era incurvata.

“Stanno ripagando tua moglie per quella che credono sia stata la sua arroganza, non cedendo il suo trono a un re. Pretendono da lei ora un lavoro da uomini e da donne, da una sola persona.”

“Forse dovrebbe allora dedicarsi solo al governo per dimostrarsi migliore di un uomo.” , rispose con rabbia il giovane.

“Calmati, hai visto ancora troppe poche estati per non infervorarti su una questione di così poco conto! Nasuada sta già dimostrando di essere meglio di qualsiasi uomo perché sta governando il paese e sta assolvendo a ciò che solo una donna può riuscire. Date un altro paio di eredi - contando anche questo bambino -  al trono e la smetteranno, il loro orgoglio allora sarà seppellito sotto la sabbia.”

Murtagh esalò. “Non è così semplice come a dirsi, non possiamo scegliere se avere un erede o una figlia che per loro non ha alcun valore…”

“Non disperarti, l’ho visto nelle stelle.”

“Non posso credere in queste cose… tuttavia so che siamo giovani e avremo ancora molti anni per assolvere ai nostri doveri verso il regno. Vorrei solamente non far soffrire Nasuada più del necessario!”

Suo nonno lo guardò obliquo. “Questo è perché avete sufficiente libertà. L’unico mio figlio che si è sposato - o meglio, era quello che credevo fino ad aver saputo della tua nascita, e quindi del matrimonio di tuo padre - fu Balder, con una ragazza davvero deliziosa, la principessa Órlaith del Surda. Erano una coppia semplicemente perfetta. Come mio erede, gli fu imposto di continuare la linea. Lei rimase gravida subito dopo il matrimonio in grande stile, ma perse il bambino pochi mesi dopo. E così successe volta dopo volta finché non morì un anno e mezzo dopo. Aveva solo diciassette anni. La vicenda distrusse mio figlio, che si rifiutò di prendere un’altra moglie. E quella fu la fine della mia stirpe, credetti, essendo l’altro mio figlio, Morzan, entrato nell’Ordine dei Cavalieri e senza alcuna intenzione di chiedere un permesso a Vrael per sposarsi e mettere su famiglia. Anche se alla fine sei comunque arrivato tu, nipote.”

“Mi dispiace molto, padre.” , disse il ragazzo sentendo la storia tragica dello zio, che non era solo stato macellato da Morzan alla fine, ma aveva sopportato dei terribili sensi di colpa per aver contribuito alla morte della moglie. “A proposito di storie del passato, ho un dubbio che mi è sorto durante questi mesi, in cui gli Anziani mi hanno fatto pensare a mio padre quasi ogni giorno.” , continuò dopo un momento il giovane.

“Spero di poter essere utile per dissiparlo.” , lo incoraggiò. Murtagh deglutì nervosamente.

“Ecco… io ero troppo piccolo per partecipare all’ultimo commiato di Morzan quando morì. Tuttavia mi chiedevo dove fosse sepolto…”

Flaithrì alzò un sopracciglio. “Non avrai intenzione di iniziare ora ad andare a piangere sulla tomba di tuo padre scomparso, figliolo?!” , gli chiese di rimando con una punta di acidità e sarcasmo.

“No, ma durante il ritorno ho fatto una deviazione al castello nel ducato a Dras-Leona e… c’è un grande mausoleo, ma tutte le tombe sono vuote, intonse, mai utilizzate.” , spiegò il giovane con un nodo allo stomaco. Flaithrì sospirò leggermente. “Se non è qui a Illirea perché il suo amico Galbatorix lo avesse vicino anche da deceduto, il suo corpo sarà rimasto a marcire dove il padre del tuo fratellastro lo ha trafitto. Non si sarebbe comunque meritato un luogo di riposo dove qualche malato avrebbe potuto recarsi in pellegrinaggio per osannarlo. Meglio che non esista una sua tomba, figliolo! Lascialo nelle fosse comuni o a essere concime per i campi…” , osservò l’anziano con amarezza. La ferita dell’uccisione di Balder era ancora aperta. “Hai ragione, padre.”

L’anziano scosse il capo leggermente, poi gli sorrise. “Ora va’ da tua moglie” , gli suggerì.

Murtagh si alzò, aiutando anche il nonno. “Non prima di averti scortato nella tua stanza. Così non arriverai all’alba!” , gli rispose con un sorriso. Lui prese il suo gomito e fece un ringhio finto, ridacchiando subito dopo. Con il forte nipote arrivarono presto negli appartamenti reali, dove in un’ala appartata v’erano quelli dell’anziano. Murtagh lo accompagnò fino al letto, lasciandogli un bacio sulla fronte come un devoto nipote. Poi si diresse verso il talamo suo e della regina.

Nasuada lo attendeva seduta sul letto, una mano premuta sulla fronte e il gomito dello stesso braccio appoggiato a una coscia. “È solo un altro momento di nausea intensa, non preoccuparti.” , gli disse prima che potesse aprire bocca. Lui si svestì in fretta e si infilò a letto, sporgendosi dal suo lato per snodare quel groviglio di arti che era sua moglie, facendola sdraiare accanto a lui, ma con il busto abbastanza elevato rispetto alle gambe perché evitasse di vomitare per la posizione orizzontale. Con titubanza, le poggiò una mano sul basso ventre, trovandovi con piacevole sorpresa una piccola sporgenza rotonda. “Si muove già?” , chiese sentendosi stupido. Lei lo guardò dall’alto, incerta sulla serietà della domanda.

“Non ne so molto di queste cose, perdonami. Non potrò mai ripagare di essermi perso la crescita di nostro figlio nel tuo grembo e tutte le cose che avrei potuto aver già imparato…” , si affrettò a spiegare lui. Lei strinse le labbra duramente, poi sorrise abbandonando la rabbia. “Si è mosso solamente qualche volta e molte poche da quando te ne sei andato… Che è successo in questi mesi?”

“Gli Anziani hanno voluto terminare il mio addestramento da Cavaliere. Ora sono ufficialmente il Secondo al comando.” , gli spiegò lui. Nasuada saltò sul posto per l’emozione, premendosi le mani sulla bocca.

“È meraviglioso che ti riconoscano in questo modo!” , bofonchiò attraverso le dita sottili e scure. I suoi occhi ambrati brillarono di un fuoco che il Cavaliere aveva già visto: fuoco di vittoria, di orgoglio. Lo osservò in silenzio per lunghi istanti, studiando ogni centimetro del suo corpo. Erano trascorsi lunghi mesi senza l’altro.

La giovane fece un profondo inspiro e poi espirò, sbollendo l’eccitazione. Lui le annuì. Non avrebbero rischiato di fare del male al piccolo che dovevano crescere, per colpa del loro sangue caldo. Erano giovani, irruenti ma spesso quel difetto portava a errori stupidi.

Così la ragazza si sistemò accanto a lui nuovamente, la nausea dissipata dalla felicità della notizia. Si addormentarono abbracciati, senza riuscire a spegnere le candele sui tavoli da notte accanto al letto, stremati dalle chiacchiere incessanti riguardo l’addestramento di Murtagh. Ci sarebbe stato tempo per raccontare ogni dettaglio delle prove e della permanenza, ma entrambi si erano scelti come compagni di vita, e prima ancora come amici - anche nella cella, ai loro primi incontri nel Farthen Dur, trascorrevano lunghe ore a raccontarsi delle loro vite, o dei loro pensieri - , dunque uno serbava genuina voglia di condividere con l’altra i suoi giorni trascorsi lontano, e l’altra era contenta di essere l’unica a raccogliere tali informazioni instancabilmente.

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Capitolo 55
*** L'eccitazione di essere a casa ***


Subito dopo il suo ritorno, gli fu comunicata la data della prossima missione, perciò Murtagh decise che avrebbe trascorso i due restanti mesi accanto alla moglie e al figlio, godendosi appieno la famiglia. Il bambino, quello non ancora nato, aveva preso a dimostrarsi più vivace, scalciando e muovendosi spesso nel grembo della regina, e ogni volta Murtagh impallidiva dalla preoccupazione, quando la ragazza si fermava improvvisamente o si piegava in due per il lieve dolore, o solo per lo stupore.

La nausea forte era praticamente scomparsa dal suo ritorno, perciò Nasuada aveva potuto riprendere a mangiare qualcosa in più, perdendo l’aspetto scheletrico che aveva.

Nonostante gli incubi lo attanagliassero ogni notte, svegliando anche Nasuada per l’irruenza dei suoi movimenti, Murtagh era al settimo cielo da quando era tornato.

Aveva persino creato un rituale, che consisteva nel provare a far accarezzare il grembo della madre al principe, ogni mattina quando lo andava a prendere dalla sua camera. Dopo Finiarel, era il suo turno di accostarsi alla creaturina, impedendo alla madre di prepararsi, costringendola a riposare di più. Con l’udito finissimo, era persino riuscito a percepire un frenetico battito di quello che capì essere il cuore del figlio, scoppiando a piangere dall’emozione forte. Nasuada era contenta della felicità del marito, a volte estrema come la sua preoccupazione per lei, e al contempo le sembrava di avere due bambini da accudire, prima ancora che il secondogenito nascesse: Murtagh a volte rimaneva imbambolato, attardandosi nei preparativi, oppure non rispondeva alle domande postegli, perché intento a vagare con la mente riguardo al carattere del nascituro. Talvolta lo trovava a parlare con il principe, istruendolo troppo prematuramente sui suoi compiti da fratello maggiore. Eppure, non aveva trovato il coraggio di rimproverarlo: non poteva impedirgli di essere felice, e nemmeno pensava fosse giusto farlo.

La notizia del piccolo della famiglia aveva addirittura aiutato il Cavaliere a stringere definitivamente il rapporto con Flaithrì. Il principe nordico si era dimostrato anche più galante - di quanto già non era di sua natura ed educazione - in quella condizione della regina, e non perdeva un’occasione durante i Consigli di chiedere a Nasuada della sua salute, e di quella del piccolo. A differenza di tutti gli altri cortigiani, le attenzioni sue e degli altri membri del Consiglio erano sinceramente rivolte a lei. La avevano sostituita in alcune mansioni di minor conto, per darle più tempo per rimanere con Murtagh e il principe, mentre ancora era figlio unico. Persino Falberd, il più schivo di tutti i Consiglieri, era felice per la regina, quando la coglieva ad accarezzarsi distrattamente il ventre credendo di non essere vista. Certo, per lui come per Jormundur e Umérth era ancora difficile accettare che quel bambino fosse in parte del famigerato Cavaliere rosso, ma la contentezza della giovane - che la rendeva radiosa - aveva aiutato a mettere il loro risentimento da parte. La notizia dell’arrivo del secondo bambino, aveva inoltre stranamente creato uno strano rapporto tra i Membri e il principe ereditario: mentre solitamente e in precedenza, quelle poche volte che Nasuada lo aveva portato con sé nelle sessioni - ricevendo occhiate contrariate, come se il bambino non fosse ben accetto, proprio come suo padre - il principe era dovuto rimanere rigorosamente sulle sue gambe tutto il tempo, senza potersi avvicinare a nessuno dei sei, ma da quando aveva detto loro di averne un altro in grembo, i Consiglieri tentavano di sgravarla del peso dell’altro, tenendo il maggiore a turno. Jormundur era quello che più di tutti era abituato a Finiarel, accudendolo assieme a Farica in privato, e anche colui che meno aveva paura a dimostrarsi contento di avere un piccolo cucciolo d’uomo al collo, che gli sbavava o che gli faceva versetti nelle orecchie. Ma d’altronde aveva cresciuto tre figli, perciò era abbastanza abituato. Anche Flaithrì era abile a tenere il piccolo, ma la sua parentela finiva sempre a farlo scoppiare a piangere per l’emozione, perciò Elessari si doveva riprendere il principe, lasciando calmare l’anziano pluricentenario.

 

 

Quella mattina, Murtagh raggiunse silenziosamente Nasuada nella stanza da bagno, trovandola ancora svestita davanti allo specchio. Piccole gocce illuminavano la sua pelle come diamanti, nella luce di un giorno d’inverno stranamente più caldo e soleggiato. Aveva le mani premute sul basso ventre, e aveva le sopracciglia aggrottate.

“Per me quella è una bella sporgenza, sì.” , le disse con un sorriso, facendo percepire la sua presenza. Nasuada trasalì spaventata, voltandosi per guardarlo poi oltre la spalla.

Mh, a me sembra solo gonfiore. Ieri non era così grande, e sono sicura che non lo sarà nemmeno domani, quando il mio corpo avrà smaltito la tensione accumulata.” , mormorò tornando a scrutarsi nello specchio. Murtagh prese un telo da bagno, e si accostò a lei dietro, lasciandole un bacio sul collo. Le poggiò le mani sul ventre, sistemandosi prima la stoffa sotto un braccio, sorridendo nello specchio perché potesse vedere la sua felicità.

“È bellissima.”

Nasuada fece una smorfia scontenta. “Ti dico che non è così visibile.”

La prese per le spalle, facendola girare verso di sé, poi la coprì per asciugarla con il telo. “È perché sei una figura minuta... Se fossi io quello che porta in grembo un bambino, la mia pancia sarebbe enorme già, ma comunque proporzionata a me.”

Lei sorrise al pensiero, e Murtagh la imitò spensierato. Le premette il telo sul corpo per tamponarla, mentre Farica li raggiungeva, essendo passato il tempo solito del bagno della sovrana. Quando vide il Cavaliere lo salutò con calore.

“Hai visto, figliolo, come cresce?”

Murtagh annuì alla donna matura, che era contenta come se fosse stata la vera nonna del piccolo. Lei aiutò la regina a vestirsi, sotto l’occhio vigile del Cavaliere, e quando fu pronta, lui la prese sotto braccio, dirigendosi verso la biblioteca. Avevano tutto il giorno da trascorrere assieme, e non avevano intenzione di sprecarne nemmeno un istante.

Quando arrivarono nella biblioteca privata del Cavaliere, una semplice stanzetta separata da un semplice cancello da quella principale e in cui i volumi riguardavano principalmente i Cavalieri dei draghi, sulla scrivania era apparecchiata una colazione con i fiocchi, solo per loro due. Nasuada su voltò verso il marito, con un sopracciglio alzato e l’aria divertita. “Nessuno ti ha mai detto che non si mangia in prossimità dei libri?”

Murtagh alzò le spalle. “Non si dovrebbe nemmeno usare la luce delle candele, se è per quello. Il fuoco è il peggior nemico dei libri.”

“In realtà è l’umidità.”

Il Cavaliere roteò scherzosamente gli occhi, trascinando poi la moglie all’interno. “Andiamo, il fatto che tu sia la regina dovrebbe servire a trasgredire le regole - tra l’altro imposte da te - ogni tanto...” , la supplicò facendole gli occhi dolci.

La regina sospirò con il sorriso però sulle labbra, sedendosi al tavolo.

Murtagh ravvivò il fuoco nel caminetto, aumentando il calore nella stanzetta, poi si spostò al tavolo, rimanendo in piedi come un servitore. “Milady, cosa gradite?”

Nasuada si grattò il mento, fingendo di pensare. Aveva il colorito verdognolo, segno che era in preda alle nausee quel giorno, però si sforzò di assecondare il marito. Indicò le piccole noci tonde, e Murtagh gliele servì con complicità. “Lo sai che non resisto alle nocciole.”

“Sì, lo so. Ed è un peccato che il tuo medico ti abbia impedito di mangiarne tante per colpa del bambino.”

Nasuada si adombrò. Nei mesi precedenti aveva avuto le interiora talmente in subbuglio - prima e dopo aver scoperto di essere incinta - che riusciva a mangiare solo la frutta secca. Non che fosse così male, piacendole tanto ed essendo abbastanza nutriente. Però, avendone abusato, arrivò a grattarsi talmente vistosamente, che Farica le chiamò il guaritore un giorno e questo le diede la peggiore delle notizie: avrebbe dovuto cercare di evitare di mangiarne ancora, o per lo meno ridurne drasticamente il consumo. Murtagh e le sue ancelle, però, non erano stati così d’aiuto, perché cercavano sempre di rubarne dalle cucine un poco per portarlo alla loro Signora, credendo di farle un piacere.

“Se per il futuro di tuo figlio il guaritore mi ha impedito di mangiarne, perché tu invece continui a propinarmi le nocciole?” , lo interrogò lievemente stizzita. Murtagh le servì altro cibo, prendendone un po’ da tutti i vassoi, di modo da comporle un piatto quanto più completo possibile, poi si sedette al suo posto. “Cosa ti ha detto che accadrebbe se tu continuassi a mangiarne?”

“Ha detto che se la madre si gratta per un cibo potrebbe trasmettere al bambino un’allergia.”

Murtagh rise di gusto, riempiendosi il proprio piatto. “Allora mangia tranquillamente, perché non accadrà. Sono dicerie…”

“E se accadesse davvero?”

Il Cavaliere appoggiò le posate sul tavolo. “Sarebbe davvero la cosa più terribile avere un figlio allergico alle nocciole?! Tra tutti i mali e i problemi che potrebbe avere nostro figlio, pensi a quello come evento peggiore?” , chiese lievemente scocciato.

La regina ridacchiò, facendolo rilassare nuovamente. “Stavo solo scherzando. Il peggio sarebbe poi non poterle gustare con lui.”

Il giovane s’infilò una fetta di mela in salsa di senape in bocca. “A me non piacciono molto... Vorrà dire che mi occuperò io del mio figlio minore, mentre tu e Finiarel vi riempite la pancia, di nascosto dal cuoco di corte, di nocciole. Ma non permetterò alle domestiche di coprirvi con le loro scuse, quando vedrà il suo buon cibo ritornargli indietro intonso perché vi sarete rovinati l’appetito. Gli unici diligenti, allora, saremo stati io e questo bambino.”

La ragazza dalla pelle d’ebano non poté che ridere a crepapelle, dovendosi addirittura tenere la pancia. Quando riaprì gli occhi, Murtagh aveva la fronte aggrottata.

“Cosa c’è ora?” , gli chiese con calma, ricomponendosi.

“Non dovresti ridere così forte. I tuoi muscoli addominali si stringono sul bambino.” , disse preoccupandosi troppo come solito. Lei rimase congelata per qualche istante, incerta su cosa dire. Nasuada allora decise di prendere a mangiare, facendolo contento in quel modo, senza aggiungere altro per non peggiorare la situazione. D’altronde, le risa le avevano aperto un po’ lo stomaco, risistemando il groviglio che era prima la sua pancia.

Anche Murtagh tornò dunque a mangiare, felice finalmente di vederla con appetito in corpo.

I loro caratteri, in fondo erano simili: entrambi permalosi, dall’ira che era facile loro accendere in qualche istante appena, eppure erano anche generosi e attenti - per non vedere l’altro arrabbiato o triste, erano capaci spesso di mettere da parte il proprio sconvolgimento per risistemare l’umore al consorte - . Nasuada serbava forse più orgoglio, ammettendo i suoi errori con maggiore difficoltà, ma aveva l’abilità di amare il compagno, vedendo attraverso le crepe del suo animo, persino nei difetti peggiori. In realtà non credeva Murtagh avesse dei difetti, ma solo che si comportasse in un certo modo d’istinto - plasmatosi per curare i traumi e le ferite subite in passato - , talvolta ferendola. Lui, dal canto suo, era molto silenzioso, e riusciva a estorcere pensieri e problematiche che turbavano la regina anche solo con uno sguardo, o con il suo tocco ben piazzato.

Si sarebbe detto di loro essere una coppia perfetta, se lui non fosse stato il Cavaliere del tiranno Galbatorix e lei la regina liberatrice, due previ nemici.

Da quando era tornato, era riuscito a calmarla ma al contempo a irritarla spesso come nessun altro: era protettivo e ansioso con lei e con il primogenito più di quanto non fosse mai stato.

Si chiese se fosse dovuto a quanto subito durante l’addestramento morale che gli avevano somministrato gli Anziani.

Tra un pensiero e un altro, si accorse di aver terminato tutto il suo cibo.

Murtagh si alzò e la raggiunse, baciandole la tempia. “Sei stata bravissima.”

“Non v’è bisogno di farmi tali complimenti, non sono una bambina!” , ridacchiò.

Lui alzò le spalle con sguardo neutro. “Ho a cuore la vostra salute, e averti vista al mio ritorno più magra di prima mi ha messo un po’ di paura, non te lo nascondo.”

“Lo so, e ti ringrazio per la tua apprensione. È un bellissimo simbolo di amore, ma voglio rassicurarti che starò bene. Sfortunatamente, la tua assenza è coincisa con le nausee più forti mai sperimentate. Ora, con il tuo aiuto e quello della natura, riprenderò le forze.”

Il giovane sospirò, guardando la moglie con occhi lucidi dall’alto. “Voglio crederti, ma se dovessi notare un solo altro peggioramento allora interverrò.”

“Ti ringrazio, spero non ce ne sia bisogno.”

Strisciando la pesante sedia, Nasuada si alzò, stiracchiandosi la schiena. “È proprio una bella giornata oggi. Sono felice di poterla trascorrere con te e Fin.” , disse allegramente, sporgendosi per ricambiare il bacio.

Il volto del giovane si distese, percependo il buonumore della compagna. “Sono già più rilassato, dopo il viaggio.”

“Potrebbe giovare a entrambi, dunque, un giorno di fuga dai nostri doveri.”

Murtagh voltò il capo di scatto senza rispondere proprio mentre qualcuno bussò su uno scaffale della biblioteca del castello. Maeve fece capolino, tenendo tra le braccia il principe che era visibilmente appena sveglio, gli occhi gonfi e i capelli corvini e pieni di boccoli scompigliati.

Il padre si avvicinò al cancello, aprendolo - anche se non lo aveva fissato con la chiave - e facendosi passare il piccolo con sguardo dolce.

“Buondì mio sole.” , lo salutò accarezzandolo.

L’infante pigolò stiracchiandosi, poi con le braccia aperte si gettò a stella sul petto del padre, facendo sorridere la domestica con affetto.

“Non ha fatto alcun capriccio stamane, quando l’ho lavato e abbigliato.” , rendicontò la donna dai capelli castani.

“Ti ringrazio, Maeve.”

“Posso sparecchiare la scrivania, milord?”

Murtagh annuì, spostandosi per lasciarla entrare. Prima di superarlo, lasciò una carezza al bambino, poi si fiondò a riposizionare piatti e argenteria sul vassoio con cui il cibo era stato trasportato in primo luogo fino alla biblioteca.

Con una forza notevole, sollevò il vassoio con una pila ordinata di avanzi e stoviglie che scricchiolò pericolosamente, poi scomparì con una riverenza del capo.

“Continuo a chiedermi quali lavori abbia dovuto svolgere dal precedente padrone… Ha la forza di sollevare un cadavere umano senza battere ciglio.” , commentò tra sé la regina, poi riscuotendo il capo e avvicinandosi al marito che sorreggeva il figlio.

Quando la vide incrociando i suoi occhi ambrati, mentre sfregava la fronte ridendo tra sé sul petto del padre, il bambino la chiamò.

“Buongiorno, piccolo mio.” , si sporse a baciarlo, “Stai crescendo diventando proprio un bravo bambino.”

“Composto e intelligente come sua madre.” , commentò il giovane dall’alto delle sue lunghe gambe, “Spero che anche suo fratello sia come lui.”

La regina si portò le mani sulla sporgenza, sentendo la punta delle orecchie bruciare. “Lo spero anch’io.”

La prese sotto braccio, spostando il bambino primogenito dall’altro lato del corpo, premendoselo al torso.

“Vogliamo proseguire la nostra giornata?”

“Volentieri. Quali attività pensavi di proporre alla tua regina?”

Lui scosse il capo. “Non alla regina, ma alla mia meravigliosa moglie.” , disse con un sorrisetto che si spense leggermente, “Se non fossi in una condizione notevole, ti avrei portata sul dorso di Castigo fino a Dras-Leona.”

“Non pensavo quel luogo fosse piacevole per te.”

“Se evitiamo il castello di mio padre, il lago è davvero un luogo incantevole.”

“Appena sarà nata questa creatura ti prometto che ti permetterò di portarci in viaggio lì.”

Si spostarono lungo i corridoi, fino al ballatoio più alto della biblioteca, che conduceva a un salottino dove sicuramente prima che venisse chiusa, i nobili si rifugiavano per i corteggiamenti più intimi.

Mise a sedere Nasuada tra le sue gambe, poi Finiarel sull’anca. La mia intera famiglia in un solo punto. , pensò sofficemente, baciando prima la regina poi il bambino sul capo.

Inviò a Castigo quell’immagine, includendolo nel pensiero. Se fosse stata estate, Murtagh avrebbe preferito andare a rifugiarsi accanto alla pancia del rettile, ma nonostante il calore emesso da questa, la regina e i due bambini non potevano rimanere fermi all’aria fredda dell’inverno, nonostante la giornata non fosse rigida come le precedenti.

Il bambino prese a scalciare allora il genitore lo appoggiò a terra, sulle ginocchia. Prese a gattonare piuttosto incerto per la stanza, tirandosi in piedi a volte con le braccia per osservare sulle mensole alla sua altezza.

Nasuada si appoggiò il mento sul palmo della mano, giocherellando con le dita contro i denti mentre sorrideva alla vista del figlio.

“È diventato molto forte, non trovi?”

Murtagh osservò il bambino poi lei, con meraviglia. “Sì.”

Perse il sorriso, tornando dritta per voltarsi verso il giovane con aria indagatrice. “Sei asciutto, dal tuo ritorno.” , gli fece notare.

Lui alzò un sopracciglio. “Sono qui con voi oggi…”

“Sì, ma è come se avessi la mente altrove.”

Pian piano, il lattante arrivò ad arrampicarsi tra le ginocchia dei genitori. Nasuada lo prese tra le braccia, posandogli un bacio di rassicurazione - più per sé che per il piccolo, che stava bene - prima di posarlo sull’altro divano. Il bambino sbadigliò, osservando il soffitto placidamente. La madre prese un carillon dall’unica tasca dell’abito, roteando la rotella e aprendolo sulla scrivania.

Finiarel prese a emettere versetti ritmici, come se stesse imitando la nenia o cantandovi sopra.

Con un sospiro soddisfatto, la madre tornò accanto al marito. Gli fece cenno di appoggiare il capo sulle sue gambe e lui si sistemò come da volere della regina.

Con le mani che disegnavano intricate strade tra le radici dei capelli corvini, Nasuada tornò alle sue domande.

“Cosa ti turba?”

“Nulla.”

“Murtagh.”

“Davvero!” , si lamentò in un sussurro lui, sospirando. “È solo che non vedevo l’ora di ritornare da te, da Fin, e ribaltare il mondo per farvi sentire che con la mia presenza è meglio rispetto alla mia assenza, ma la tua condizione e questo freddo-"

“Quindi se l’idea che ti eri fatto del ritorno è stata infranta è colpa mia?” , chiese sibilando la giovane.

Il marito aprì gli occhi per fissarla dal basso. “Non volevo dire questo. Intendevo che ho messo troppo tempo a immaginare attività che avrei dovuto rendermi conto che per un infante e una gestante sarebbero estreme.”

“Volare su Castigo non è estremo. Forse percorrere mezza Alagaesia e ritornare in giornata sì, ma apprezzo il pensiero. Avresti voluto mostrarmi un luogo che per te è importante e apprezzo il pensiero più di ogni altra dimostrazione esagerata di affetto.”

Un timido sorriso si fece largo sulle labbra rosa di Murtagh. “Ti ho però preparato un pranzo…diverso dal solito.”

Nasuada gongolò. “Sai che prendermi per la gola è il modo migliore per farmi tua.”

Lui alzò un sopracciglio, facendo un’espressione furbetta.

“Oh, mi ero scordata di dirti che il guaritore ha decretato che il bambino è fuori pericolo.” , gli raccontò la giovane cambiando discorso.

Murtagh voltò il capo verso il busto della giovane, posandole un bacio sul ventre. Si fermò con il naso ancora premuto sul tessuto.

La giovane rimase a fissarlo curiosa.

Il bel Cavaliere si alzò prima lentamente su un gomito, poi a sedere, sporgendosi verso di lei per baciarla.

Il loro figlio li interruppe starnutendo e poi sbadigliando sonoramente. “È ora del riposino.” , commentò il padre osservandolo per qualche istante, in attesa che le braccia di Morfeo lo cogliessero.

Quando il bambino tornò ad addormentarsi, il giovane andò a sistemarlo meglio sul divano, coprendolo con il suo farsetto con le maniche.

Rabbrividì, allora andò a scaldarsi le mani davanti al caminetto.

Nasuada posò i guanti sul bordo del divano, andandolo silenziosamente ad abbracciare da dietro.

Lui sospirò, ma non infastidito. Era come se il suo sospiro fosse in realtà un respiro controllato, strozzato.

Si voltò lentamente, prendendole le mani e liberandosi dal cerchio che lo circondava.

Si fissarono a lungo negli occhi, nel silenzio della biblioteca rotto solamente dal crepitio del fuoco.

Con un gesto fluido sollevò la giovane, riportandola al divano.

La fece sdraiare sulla schiena, appoggiandosi con un ginocchio al mobile e con l’altra gamba a terra, torreggiando su di lei.

Si passò una mano tra i capelli velocemente, spostandosi i ciuffi dagli occhi a dietro il capo, poi si piegò, il volto a un palmo da quello della regina.

Le sfilò la corona, appoggiandola con solo una mano accanto ai guanti, senza mai spostare lo sguardo dagli occhi ambrati.

Lei alzò le mani, prendendo a disegnare con gli indici gli stessi disegni immaginari precedenti, solamente quella volta sul suo petto, attraverso il tessuto.

Tornò a spostare lo sguardo in alto, poi il capo raggiungendogli solamente il collo possente e chiaro.

“È per questo che ci hai portati qui?” , sussurrò la giovane sfiorandogli il collo con le labbra.

Lui deglutì. “Il mio intento era trascorrere una giornata tranquilla e…”

“Piacevole?” , gli suggerì con malizia.

Lui deglutì nuovamente. “Sì, possiamo dire che una giornata piacevole potrebbe essere desiderabile per entrambi… Insomma, credo - non potendo parlare per entrambi con certezza - ” , sussurrò.

Lei sorrise caldamente al suo comportamento impacciato, sporgendosi a baciarlo con trasporto. “Sì, una giornata piacevole gioverebbe a entrambi… Potresti scioglierti un po’ con me, come eri prima di partire.”

“Ogni volta che me ne vado, temo di tornare e ritrovarvi distanti. Che vi siate accorti che non avete bisogno di me.”

Gli lasciò una scia di baci, facendolo tremare leggermente. “È solo nella tua testa, perché ti assicuro che il tempo trascorso senza di te, è come una piccola tortura.”

“Ho scelto di fare di te quella persona che tra tutte è la tua preferita, la persona con cui condividi tutto, compreso il sangue nei figli che ne deriveranno… Credi che senza di te io sia più contenta?” , gli chiese fingendo un tono allibito.

Lui strinse le palpebre, non con astio, ma con ardore. “Ti amo."

“Anch’io!”

 

Udirono rumore di passi decisi - quasi affrettati - lungo il corridoio, interrompendoli. Ansimanti, si separarono verso i due braccioli del divano opposti, risistemandosi lui i capelli e lei la camiciola sotto il corsetto.

Maeve entrò nella stanzetta, osservando prima i due poi il principe. S’irrigidì percependo di aver interrotto qualcosa.

“Mi dispiace avervi interrotti…” , mormorò voltandosi.

Murtagh scattò verso di lei. “Resta!” , disse talmente forte da sembrare un mezzo grido, “Dicci quello per cui sei giunta…”

La donna tornò a guardare i due sposi, roteando sui tacchi lentamente. Fece una lunga pausa, poi parlò: “Il pranzo che avete richiesto, Cavaliere, è pronto.”

“È già metà del giorno?” , chiese lui vagamente.

La castana alzò un sopracciglio, i muscoli della mascella che pulsavano sotto la pelle o per l’imbarazzo o forse perché era contrariata dalla vista. “Capisco che possiate essere stati distratti in altre attività, ma è già ben oltre mezzodì.” , puntualizzò con rigida serietà.

La regina finì di sistemarsi, alzandosi in piedi. Si avvicinò al figlio, prendendolo tra le braccia e lasciandogli un bacio.

“Nasuada, da’ il bambino alla sua governante.” , le disse il Cavaliere, sistemandosi i capelli nel riflesso del pugnale corto che aveva con sé in difesa, al posto dell’ingombrante Zar’Roc.

Maeve sbiancò a quelle parole, tanto che la giovane dalla pelle d’ebano corse da lei a circondarle le spalle con un braccio, pensando stesse avendo un mancamento, anche se sembrava più traumatizzata che dolente.

Murtagh la guardò confuso e preoccupato. “Maeve, che ti succede?”

La donna inspirò, poi scosse il capo. “Nulla, ho solo mancato di vedere per qualche istante, come se fossi stata accecata.”

“Da qualcosa?”

La donna sorrise per rasserenare i coniugi. “Forse dalla mancanza di sonno. Il principe stanotte ha avuto il suo parecchio tormentato.”

“Avresti potuto svegliarmi! Magari con sua madre si sarebbe tranquillizzato e avresti potuto riposare di più.” , protestò Nasuada.

Maeve le poggiò una mano sull’avambraccio scuro, coperto di cicatrici. “Non volevo disturbarvi, dovete riposare per quel che riuscite, per far nascere il vostro secondo bambino.”

La giovane addolcì lo sguardo, protendendo il figlio verso la donna. “Ti prego di riportarlo sano e salvo - se dovessi sentirti nuovamente debole, ti prego di chiedere aiuto alla guardia che ti scorterà - nella sua stanza e di riposarti con lui. Io lascerò che sia mio marito a guidarmi verso il luogo da lui scelto per il pranzo.”

Maeve accettò il bambino ringraziando.

Quando fu fuori dalla stanza, Murtagh si piegò a parlare nell’orecchio della moglie. “Ti sei fidata a lasciarle nostro figlio anche se l’abbiamo vista stare male?” , chiese sorpreso.

“Non stava male. È stato il tuo ordine a non piacerle.” , gli rivelò la giovane.

“Come fai a esserne sicura?”

“Sono una donna, conosco certi sguardi e certe reazioni.”

Il giovane sospirò.

“È normale che ti sia difficile capirlo. Non hai avuto tua madre con cui fare pratica per prima.”

Lui annuì. “Tu e le poche serve che ho avuto siete le prime donne che mi sia curato di voler comprendere, in effetti.”

Gli posò una mano scura sul bicipite, battendo piano ripetutamente. “Avrai tempo per impratichirti, Amore mio.”

Murtagh ritrovò il luccichio negli occhi chiari. Le infilò la mano sotto il braccio, ritrovandosi a tenerla per il gomito. “Vogliamo andare?”

Lei annuì facendo ondeggiare i luccicanti orecchini. “Inizio ad avere fame.”

“Che parole soavi per le mie orecchie!”

 

Davanti al luogo prescelto, Nasuada ridacchiò. “Mai mi sarei immaginata che avremmo pranzato nel vivaio.”

“Non nel vivaio.” , puntualizzo Murtagh facendoli voltare verso l’edificio più piccolo con la base in mattoni rossi, “Nella limonaia.”

“Ne avevo una nel Farthen Dur, crescendo. Ho imparato a impollinare i fiori.” , gli raccontò con nostalgia mentre muovevano i primi passi verso l’interno. Dieci guardie erano appostate intorno al piccolo edificio.

“L’uomo impollina i fiori?”

La regina annuì. “Sai, in una montagna non ci sono api. Dovevamo fare noi il lavoro degli insetti, o portarli dall’esterno quando erano insostituibili. A turno noi bambine venivamo assegnate alla limonaia, tra i vari mestieri che era richiesto imparassimo per divenire ottime lady, e lì imparavamo a crescere quei preziosissimi frutti dorati.” , gli spiegò, “È da quel momento della mia vita che è nata la mia passione per il colore giallo. È la vita, anche per chi vive nascosto sotto la terra.”

“Come risolvevate l’assenza di luce?”

“Nel Farthen Dur filtra più sole di quanto si potrebbe credere. Mi piacerebbe ritornarci assieme, se mai dovesse essere possibile, per mostrarti ciò che ti sei perso mentre eri chiuso in quella cella.”

Varcarono la soglia salutando con un cenno del capo le guardie.

La regina inalò il profumo degli agrumi con un sorriso. “Non avrò la nausea, durante questo pranzo!” , esclamò compiaciuta.

Il marito le strinse un braccio attorno alla vita, posandole un bacio. “Volevo portarti qui già da stamattina, ma avrei rovinato la sorpresa.”

Lei ridacchiò. “Anche stasera mi presenterai una cenetta qui?”

Lui si morse il labbro. “Purtroppo stasera abbiamo l’evento nella dimora di lord Armin, ricordi?”

Nasuada mise un broncio scherzoso. “Vero, la mia mente gravidica me lo aveva fatto scordare.”

“Perciò goditi gli unici momenti di intimità, perché stasera avremo gli occhi addosso come sempre.”

“Ah già, Elessari avrà sicuramente già sparso la voce.”

Si staccò da lei, andando a sedersi sul cuscino posizionato al limite della tovaglia di pizzo surdano. Le tese poi la mano e quando le dita scure furono nel suo palmo, la tirò gentilmente a sé, posizionandola a sedere accanto a lui.

Prese un calice di cristallo decorato, scelto per adattarsi perfettamente all’ambiente della limonaia. Con un cucchiaio d’argento le portò un boccone di tortino al limone e verdure alla bocca. “È talmente buono che mi sono venuti i brividi!” , esclamò la giovane estasiata.

“Non ti ho mai vista così emozionata per il cibo.”

“Perché qui il cibo è diverso da quello a cui sono abituata.”

Lui le riservò uno sguardo sornione. “Sicura?”

Alzò il coperchio dall’unico vassoio, la portata principale. Le rivelò del riso bianco sormontato da riso allo zafferano, pollo arrostito e frutta secca.

“Farica ha spiegato la ricetta al cuoco.”

Prese un cucchiaio, riempiendolo per metà della pietanza. Lo avvicinò alla bocca della giovane, che si lasciò somministrare il boccone.

“Ti ringrazio.” , proferì la giovane dopo aver ingoiato, protendendo la mano per prendere un cucchiaio. Murtagh scosse il capo. “Faccio io.”

Lo accontentò nel desiderio d’imboccarla, permettendole così di trascorrere un pranzo pieno di chiacchiere fitte, che le sembrarono riunirli dopo tanto tempo separati, in cui la regina rise e gesticolò liberamente. Per tanto tempo non si era sentita così libera, notò.

 

Un poco di riso cadde dal cucchiaio, andando a infilarsi proprio nella scollatura dell’abito che indossava. Murtagh la guardò prima costernato, poi fu colto da un barlume.

Fece uno dei suoi sorrisetti timidi ma sornioni, dopo di che si assicurò guardando all’esterno di non essere osservato e si abbassò con il capo per usare la lingua per recuperare i chicchi fuggiaschi. Un gemito leggero scappò alla regina, sorpresa da quel gesto.

Dal basso, alzò gli occhi chiari in quelli ambrati, con aria innocente.

Nasuada alzò un sopracciglio, senza però riuscire a impedire gli angoli delle sue labbra di alzarsi.

Il Cavaliere le posò le mani sulla vita, stringendo delicatamente per tenerla ferma, poi prese come precedentemente a risalire verso il suo collo, e infine verso le labbra carnose e rosse.

 

Si rotolarono sulla coperta baciandosi con passione. Nasuada atterrò sulla schiena con un leggero tonfo, mentre il giovane si ritrovava a cavalcioni sul suo bacino.

Jormundur batté i tacchi degli stivali assieme, sull’entrata. “Cavaliere, spero non stiate cercando di soffocare la nostra regina.” , proruppe minacciosamente.

Con un gesto fluido, il giovane scavalcò Nasuada, sistemandosi a sedere su un fianco accanto a lei, con aria vaga. “No, come potete vedere sta bene.”

L’uomo si schiarì la gola. “La prossima volta che decidete di saltarvi addosso, fatelo in un luogo che non abbia solamente pareti di vetro e in cui siete sorvegliati da guardie.”

“Da guardie eccessivamente apprensive, aggiungerei.” , commentò Murtagh in sua difesa.

“Svolgono un lavoro eccelso. A proposito di lavoro, non siete riuscito a produrre un altro erede di già?”

Nasuada arrossì.

“Sì.” , rispose tra i denti il Cavaliere.

“Allora trovatevi un’amante ed evitate di mettere in pericolo la regina!” , tuonò roteando su sé stesso l’anziano.

Murtagh rimase a bocca aperta, con ciò che voleva ribattere mortogli in gola.

La ragazza si tirò a sedere. “Lo ha detto sul serio?!” , sibilò.

“È il tuo patrigno, sta a te valutare le sue parole.”

Nasuada strinse gli occhi. “Nonostante sappia che mi farebbe male vederti con un’altra donna, lo ha suggerito apertamente.”

“Forse perché sa che non lo farei mai… Di trovarmi un’amante, dico.”

Lei lo squadrò in obliquo. “O forse perché ha notato gli sguardi di alcune lady che sembrano spogliarti nudo.” , sussurrò.

Lui alzò un sopracciglio. “Cosa?” , fece finta di non aver udito.

Lei scosse il capo, alzandosi in piedi e sistemandosi la gonna. Inspirò e poi guardò il marito.

“Andiamo? È ora di ritirarci nei nostri appartamenti. Sta scomparendo il sole.”

“È inverno, il sole ci abbandona presto.” , confermò lui alzandosi.

Le poggiò la cappa con la pesante pelliccia sulle spalle, stringendo la giovane a sé per qualche istante e infilandovi le mani al di sotto, per raggiungere la sua schiena e sfregarla ritmicamente, producendo calore che sarebbe servito loro una volta usciti dalla calda serra.

Si spostarono all’esterno a braccetto, nonostante la giovane avesse visibilmente un cruccio in testa. Il sole stava tramontando all’orizzonte, in mille sfumature di rosso, poi arancio e infine rosa e azzurro. Il loro respiro si condensava in nuvolette che poi sparivano nel fresco dell’aria.

“È stata una giornata meravigliosa, quanto questo cielo.” , commentò il Cavaliere.

La giovane alzò il capo per guardarlo negli occhi neutralmente. “Sì, il riposo è utile talvolta.”

“Solo il riposo? Non anche la mia presenza?” , indagò lievemente offeso, anche se nascose il suo sentimento con un tono sarcastico.

Numerosi personaggi che incontrarono nei corridoi s’inchinarono a loro con particolare premura, alcune lady si staccarono dai mariti per chiedere una benedizione alla regina per essere fortunate come lei - che ovviamente Nasuada diede loro - , lanciando in ultimo occhiate civettuole al Cavaliere. La ragazza dalla pelle scura sembrava ogni volta stringerlo con più forza, come avesse paura di perderlo. Quando l’ennesimo gruppo di persone a passeggio si furono allontanate, Murtagh abbassò il capo verso l’orecchio della moglie.

“Qualcosa ti turba, Amore mio?”

Lei scosse duramente il capo, troncando bruscamente così il tentativo del Cavaliere.

 

Ritornarono nei loro appartamenti per prepararsi all’evento che li attendeva quella sera.

Nasuada scivolò nella vasca che le avevano preparato, tiepida per non nuocere al suo piccolo. Murtagh la seguì in silenzio, chiedendosi perché lo stesse ignorando. Si svestì e s’infilò nella vasca con lei, di fronte, con la fronte aggrottata.

“Vuoi dirmi cos’hai?” , proruppe vedendola mantenere lo sguardo sui muri della stanza, per evitare il suo. Nasuada era una persona diretta con tutti, tranne che con il marito. Stranamente, preferiva tenersi spesso i risentimenti e i malumori dentro.

“Nulla.”

“Non è vero.”

Si sporse in avanti per prenderle le mani, ma lei si voltò sul fianco, appoggiando la testa sul bordo del catino, sopra il dorso della mano.

“Nas?”

“Non ho nulla. Lavati o saremo in ritardo.”

Lui inasprì il cipiglio, prendendo ad accarezzarle il corpo lentamente. La sentì sciogliersi sotto il suo tocco, ma al contempo lo sguardo sempre determinato s’inasprì diventando arcigno.

“Andiamo, so come farti parlare…” , le sussurrò sporgendosi su di lei, fino a parlarne nell’orecchio.

“Lasciami riflettere e tutto passerà.”

Lui piegò il capo di lato, scontento ma allo stesso tempo incendiato di determinazione. Seguì il suo fianco scuro fino all’anca con le dita, poi distese la mano e con tutto il palmo e la parte interna delle dita le percorse il basso ventre tondeggiante, sentendo la sua pelle morbida attraverso l’acqua. Arrivò in basso fino al suo obiettivo, massaggiando le labbra setose con delicatezza. Spostò la bocca dall’orecchio al collo della giovane, fino alla clavicola e giù alla spalla, sentendo il suo respiro farsi lievemente differente nel ritmo. Le baciò il seno, guardandola negli occhi fino a percepire con la mano un liquido differente dall’acqua rendere le dita vischiose al passaggio delle carezze.

“Ti aiuta a riflettere?”

Lei deglutì e annuì, guardandolo per la prima volta con la coda dell’occhio.

Con la mano posizionata tra le gambe scure iniziò a esplorare l’intimità della giovane.

 

Nasuada si appoggiò al petto del giovane, respirando affannosamente ma con un sorriso che tentava di nascondere sulle labbra rosa. “Non voglio sapere dove hai imparato certe cose.” , disse schiarendosi la gola.

Lui le spostò i capelli dal viso con sorriso sornione. “Ho ancora altri assi nella mia manica.”

“Sei fortunato che io abbia giocato a carte con molti uomini, nelle tende degli accampamenti dei Varden, e che quindi comprenda le tue parole figurate.”

“È anche per questo che amo avere un’ ex-condottiera come moglie: oltre a essere molto colta, non sei un soprammobile dalle buone maniere e dai sorrisi forzati.”

Lei gli schizzò poca acqua con una mano. “Puoi dirlo forte.”

Lui aprì la bocca, prendendo aria e le parole della moglie alla lettera. Lei si sporse dal suo petto per tappargli la bocca, ridacchiando.

Anche lui fece altrettanto.

“E io sono fortunata ad avere un marito permissivo. Che sappia essere un vero compagno, non solo legalmente.”

Fece scivolare le braccia attorno alla vita scura della donna, sottile come sempre, se non per la sporgenza della gravidanza sul davanti. Le baciò il collo, sospirando e poi sorridendo.

“Cosa sorridi?” , gli chiese confusa.

“Ce l’ho fatta, nonostante le tante interruzioni a renderti la giornata piacevole!” , le rispose spostandosi in bocca la cordicella che fungeva da collana e mordicchiandola nervosamente.

La giovane lo guardò ammirante. “Sei così affascinante, Murtagh…”

Le riservò uno sguardo serio. “Spero tu sia onesta.”

“Certo che lo sono! Se non avessi avuto un titolo, avrei chiesto la tua mano il momento stesso in cui ti ho visto!” , si fermò a riflettere, “Anzi, di per certo dopo il nostro primo dialogo privato.”

“Per davvero ho questo effetto su di te?”

La donna alzò il mento con orgoglio. “Dici che dovrebbe essere lo stesso per te, se è vero.”

Si piegò a baciarla con trasporto, abbracciandola con le sue forti braccia da dietro. “È bello averti di nuovo tra le braccia.”

Farica apparve sulla soglia, bussando sullo stipite. “Capisco che tua moglie ti sia mancata, Cavaliere, ma è ora di proseguire con i preparativi per la serata.”

Con un sospiro silenzioso, che solo la giovane poté sentire, Murtagh si staccò da Nasuada, alzandosi dalla vasca con lentezza, tenendo lo sguardo fisso in quello della domestica, che educatamente non lo squadrò nel suo vestito di nascita.

 

 

Si recarono nella grande sala da ballo del palazzo cittadino di lord Armin, dove era stata allestita una festa per il compleanno della moglie. Ovviamente, mentre procedevano in silenzio, salutando i nobili che incontravano nel percorso, in ritardo come loro, Murtagh imparò mentalmente la via di fuga, scandagliando con la magia l’edificio per assicurarsi che la regina fosse al sicuro.

Nessuno stava danzando, nonostante la musica, ma erano invece divisi un gruppetti, intenti a parlare fittamente. In un angolo della stanza era addirittura allestito un tavolo per il gioco d’azzardo, con una piccola folla raccoltavi intorno, intenta a sperare la sorte o la sfortuna dei contendenti. La regina e il marito si spostarono nella sala, evitando di venire inglobati da quei gruppi di discussione politica, essendo la regina davvero poco in vena di disquisire nel suo giorno di riposo. Rimasero sempre insieme senza mai staccarsi, scambiandosi complimenti e parole dolci. Smettevano solo quando qualcuno, incrociandoli, li salutava.

Nasuada si piegò a un tratto un poco di lato, facendo una smorfia.

“Amore mio, state bene tu e il bambino?” , le chiese il marito.

Aspettò che la fitta terminasse, per tornare dritta e fiera come se nulla fosse accaduto, sorridendogli con calore. “È tutto a posto. Tuo figlio sta solo cercando di trovare una posizione comoda, come vorrei fare io con queste scarpe.”

Si sbilanciò su una gamba poi sull’altra, battendo il tacco sul pavimento.

“Ma sono le tue scarpe preferite!” , protestò Murtagh.

Nasuada fece spallucce. “Mi distruggono i piedi. Non che le mie gambe diano una sensazione migliore...”

L’alto Cavaliere si piegò per trovarsi all’altezza delle orecchie della moglie, con le labbra. “Permetti che ti allevi il dolore?”

La giovane ridacchiò. “Non chiedo altro, mio guaritore personale.”

Murtagh annuì, poggiandole le mani sulla vita, poi facendo scorrere di più le braccia, cingendola completamente nel suo abbraccio. Rimasero qualche istante fermi, mentre la regina sentiva un flusso caldo pervaderle tutto il corpo, rinvigorendola e facendo scomparire il tedio a gambe e piedi. Quando si staccarono, lei sorrideva estasiata, quasi.

“Ti ringrazio.”

Lady Linyeve si spostò davanti alla regina in quel momento, con l’aria dispiaciuta. “Vostra Maestà, la festa non è di vostro gradimento? Vi vedo qui, accanto a vostro marito, senza che abbiate mosso un solo passo verso la folla di lord e lady che non vedono l’ora di avervi tra loro.”

Nasuada scosse il capo prontamente. “È un’occasione celebrata al meglio. Avevo solo bisogno di riposare le gambe, dopo la giornata di oggi.” , mentì, essendo stato uno dei rari giorni in cui non aveva percorso miglia e miglia di corridoi del castello, o si fosse arrovellata su calcoli e strategie.

“Capisco.” , disse mentre richiamava un servitore con un vassoio. Nasuada sbiancò.

Quando il ragazzo vestito nei colori della casata le fu vicino, la lady prese due coppe, porgendole a marito e moglie. Entrambi scossero il capo gentilmente.

Lady Linyeve allora fece uno sguardo civettuolo. “Non per essere impudente, vostra Maestà, ma posso sapere perché rifiutate il vino che vi ho offerto?”

Murtagh si schiarì la gola, guardando prima Nasuada in modo intenso - consigliandole di vuotare il sacco, anche senza parlare - , poi l’altra donna. “Non è il caso di tenerlo nascosto ancora, non credi, moglie adorata?”

La lady fremette, mentre la regina sfoderava un sorriso finto, anche se dall’esterno non doveva sembrare tale. “Non vorremmo oscurarvi in questo vostro giorno, ma il motivo per cui mi sto privando del simbolo della vostra ospitalità è perché sto correntemente adempiendo al compito - molto delicato, come sapete - di donare un erede al trono.”

Linyeve fremette, come scossa da un brivido, tanto che il vino ti riversò in grosse gocce sul pavimento di pietra lucida. “Vostra Maestà, avreste dovuto dirlo subito! Mi sarei presa ancora più cura di voi! E non preoccupatevi di me, io non sono che la moglie di un vostro vassallo!” , squittì mentre richiamava agitata la servitù. Diede disposizioni di spostare alcuni mobili da salottino accanto al grande camino, perché potesse sedervi la regina, non trattenendo i servitori un secondo in più del tempo per dare loro ordini, stizzendosi visibilmente alla lentezza con cui alcuni si stavano allontanando, per colpa di null’altro se non l’età.

Si piegò in avanti, per essere più vicina alla sovrana. “Chi altro lo sa?”

“Nessuno prima di questa sera.” , mentì nuovamente Nasuada, quando sapeva bene che i tentacoli di Elessari potevano già essersi allungati in ogni dove di Alagaesia. Forse però, avendo saputo della condizione così presto, aveva atteso anche lei un momento in cui poteva ritenersi più sicura che il suo pettegolezzo non rischiasse di essere seguito dopo da quello di un aborto spontaneo del piccolo principe. Nasuada abbassò il capo verso il ventre, la cui sporgenza non si vedeva minimamente attraverso l’abito - non che vi fosse granché da vedere anche da svestita, quando nella vasca da bagno controllava la crescita del suo piccolo - , con un nodo alla gola. Quanto tempo doveva ancora trascorrere prima della nascita? Quanti mesi aveva ancora, prima di arrivare al parto, in cui avrebbe temuto giorno e notte per la sua vita e quella del piccolo? Avrebbe rischiato di morire nuovamente, o la presenza di Murtagh - con annesse incredibili abilità magiche di guarigione - le avrebbe risparmiato la sofferenza, quella volta?

“Ehi, Amore mio, stai bene? Sei pallida.” , la riportò alla realtà il marito. Sentendosi chiamare in un modo così intimo, capì che dovevano essere nuovamente rimasti soli. Vide, infatti, la lady padrona di casa già immersa in una fitta conversazione con altre donne della sua età, che lanciavano occhiate alla regina stupite. Si chiese come avrebbero colto la notizia le lady più giovani, invece, che sembravano sempre essere arrabbiate con lei, quando la incontravano in situazioni ufficiali. Perché le loro madri o le loro nonne non le erano ostili quanto loro? Quale torto involontario aveva inflitto alle lady più giovani?

“Nasuada, mi stai facendo preoccupare.” , la riscosse ancora il marito.

La regina alzò finalmente il capo su di lui, tirando il volto in un sorriso. “Sto bene, ho solo avuto un’altra fitta.”

“Posso?” , le chiese separando appena una mano dal fianco.

La ragazza dalla pelle d’ebano annuì.

Fu quando, finalmente, Murtagh trovò il coraggio di ascoltare il suo bisogno - di controllare in pubblico che il suo bambino fosse ancora al suo posto e che non stesse torturando eccessivamente sua madre - , che la folla esclamò di giubilo, e il Cavaliere poté provare una parte della paternità che gli era fino ad allora mancata. Nasuada piegò il capo di lato con dolcezza - dimenticandosi improvvisamente delle sue inquietudini - , fissandolo negli occhi intensamente, accorgendosi del luccichio in quelli dell’altro, dovuto alle lacrime. Gli prese la seconda mano, spostando anche quella sul suo ventre. In quel momento, stranamente, entrambi riuscirono a percepire il movimento del piccolo. Solitamente quando la regina diceva di sentirlo muovere, il Cavaliere non riusciva a percepirlo con la mano, oppure era il contrario. Raramente avevano avuto entrambi l’onore di connettersi al nascituro, come in quell’istante.

Si guardarono ancor più intensamente negli occhi, sorridendo timidamente ma con una tale spontaneità da sembrare fuori luogo in quel contesto fatto di mascheramenti e moine. Ma sicuramente, Murtagh stava offrendo un’ottima impressione di padre amorevole, capace di smentire ogni dubbio di chi si ostinava ancora a dubitare di lui come marito e genitore.

Con un gran frastuono, una lady dai lunghi capelli castani fece cadere la sua coppa di vino. I due sposi si voltarono a guardarla stupiti, ma questa non si scusò, ma anzi osservò per qualche istante il Cavaliere in cagnesco.

Le sue dame, o le sue amiche, la imitarono solidali.

Nasuada sospirò. “Dovrebbero sentirsi rappresentate da una regina della loro età - più o meno - sul trono, ma invece non riesco davvero a farmi amica le lady più giovani di Alagaesia!” , si lamentò in un sussurro che solo il marito poté udire, “Sono il futuro del mio governo, del governo di mio figlio!”

“Le lady più giovani sono solo invidiose. E temo di aver fornito io loro quel che può sembrare un motivo per invidiare la lady mia moglie.” , sospirò Murtagh, “In passato mi era arduo capire il sottile limite tra farsi accettare e sembrare in fase di corteggiamento con una lady.”

Si affrettò a prendere il gomito della moglie e a tirarla più a sé dolcemente. “Ma sono cambiato, da quando ti conosco.”

Nasuada lo guardò per un istante con distacco. “Per quanto una donna non possa far altro che sperare di mantenere l’amore e l’apprezzamento da parte del proprio marito, almeno io ho in più la certezza che non troverai certo unione più interessante di quella con una regina.”

Murtagh sbatté le palpebre, un misto fra allibito e dispiaciuto. “Sai che il mio amore per te va oltre ogni imposizione e istituzione giuridica…”

La regina alzò il mento, attendendo protesa che lui si abbassasse al suo livello. Gli posò le labbra sulla fronte ubbidientemente. “Lo so, e voglio ritenermi la donna più fortunata che esista. Ma azzardati a mettermi in secondo piano rispetto a un’altra donna e ti scatenerò tutti i Cavalieri viventi contro.”

“Chiaro, Vostra Maestà. Vi prometto che non accadrà mai.” , ridacchiò Murtagh fingendo un tono spaventato.

Nasuada annuì con decisione, sfregando i loro capi assieme come due leoni. “Io sono una regina: non posso permettermi che mio marito mi tradisca. Specialmente non dopo averti pubblicamente fatto da garante della tua fedeltà alla corona e alla mia stirpe.”

“Non desidero altro che essere tuo per il resto dei miei giorni… È vero che con alcune delle lady a corte di sono sentite corteggiate da me - e alcune lo sono state davvero, finché non sono riuscito a portarmele a letto, non lo nego - ; ma con nessuna di esse ho mai dubitato di voler trascorrere anche un solo giorno della mia vita. Con te é stato diverso sin da subito: quando ti ho vista avrei voluto chiedere la tua mano all’istante, se non sapeste già la mia vera identità.” , disse lui in un soffio, osservandola con grandi occhi imperlati di lacrime sincere.

“E non voglio solamente essere il tuo consorte, il sire dei principi di Alagaesia… io voglio che la nostra sia una famiglia, una famiglia vera come entrambi non abbiamo mai potuto avere: voglio abbracciare la paternità ed essere il miglior padre possibile per i nostri bambini, quanti il Destino vorrà donarci - non farò più nulla, te lo giuro, per impedire il suo corso - , e ancor prima voglio essere un marito esemplare, un compagno di vita come è Castigo per me.”

Nasuada gli sorrise caldamente, tirandolo in basso in un abbraccio, la testa del Cavaliere poggiata sul suo cuore palpitante.

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Capitolo 56
*** Cavaliere elfo ***


Un mese dopo il ritorno di Murtagh la notizia che anche il Cavaliere scelto tra le fila del popolo elfico era pronto per spostarsi dal Capo dell’Ordine, arrivò. Il ragazzo moro fu tutt’altro che contento di leggere la fine del rotolo di pergamena attaccato al piede di un falco bianco, appartenente ad Arya personalmente. Nonostante fossero già arrivati a bussare alla loro porta, Murtagh scacciò l’uccello e tornò a insinuarsi tra le lenzuola, lasciando che la regina appoggiasse il capo sul suo petto.

Lui sospirò. “Dovrò nuovamente partire e stare lontano dalla mia famiglia.” , mormorò accarezzandola con la punta delle dita una spalla. Lei lo circondò con le braccia scure e sorprendentemente lunghe e sottili, sfregando la guancia contro di lui tristemente. Nessuno dei due parlò per qualche istante.

“Dobbiamo essere forti, me lo hai detto tu stessa. Se voglio vivere la mia vita con te e Finiarel - e ora anche questo bambino - devo sopportare anche la distanza.”

Lei annuì debolmente, alzandosi a sedere. Si poggiò entrambe le mani sul ventre, letteralmente duplicato in dimensione nell’ultimo periodo, tanto da essere ormai grande come un melone giallo.

“È che... non mancherà molto alla sua nascita, vorrei che tu fossi qui in quel momento... Sento ogni giorno il timore crescente che mi attanaglia.”

Lui sfiorò il suo bambino - ripensando alla visione per un istante - , ancora dentro alla persona che lui amava di più al mondo. “Ti prometto che ci sarò, a qualsiasi costo.” , le disse facendo un sorriso quando un sussulto provenne dalla creaturina.

“Che gli è successo?” , esclamò spaventato, ritraendosi.

Nasuada sospirò. “Nulla, anzi, ci dimostra di essere vivace.”

Gli occhi di Murtagh si fecero più lucidi. Spostò la mano che aveva ritirato sul ventre di Nasuada, accarezzandolo. Il piccolo ancora si stava muovendo, tanto che gli sembrò di ricevere un calcetto dove aveva posato il palmo. “Ehi, piccolo, comportati bene.”

La regina ridacchiò, finalmente perdendo l’aria mesta. “Non è ancora nato e già gli impartisci lezioni di etichetta?!”

Un sorrisetto distese anche il volto di Murtagh. “È necessario partire da subito. L’educazione si inizia a imparare appena nati.”

Farica bussò e fece capolino, osservando la giovane ancora nel letto, preoccupata. “Mia regina, ti chiamo un guaritore? Non stai bene, o è il bambino?”

Nasuada negò, alzandosi dal giaciglio. La domestica appese l’abito a un gancio sul muro, aiutando la regina a uscire dalla veste da notte. Prese un corpetto e iniziò a poggiarglielo sul busto, al di sopra della tunica corta intima dalle spalline sottili, accorgendosi con un sorriso che iniziasse a diventare troppo stretto per la condizione della ragazza dalla pelle scura.

“È giunto il momento di andare a prendere i corsetti per la maternità!”, esclamò emozionata, uscendo per recarsi nel guardaroba. Si udì il rumore di un baule che veniva aperto. Murtagh si alzò da letto incuriosito e prese a vestirsi, per avere un motivo per avvicinarsi alla moglie. Vide la governante tornare con una striscia di tessuto intervallata da ossa di cavallo che si arrestavano per lasciare una parte centrale sgombera. Indossatolo, le si adattava perfettamente alla sporgenza senza comprimerla, mentre le segnava comunque il bel punto vita. Farica si voltò a guardarlo. “Che ve ne pare?!” , esclamò.

Lui sorrise appena. “Non ci sarà bisogno di parole per dire a chi ancora non ha ricevuto la notizia, che la regina aspetta un erede: basterà guardarla.”

In poco tempo anche l’abito purpureo fu sigillato al suo corpo, senza il secondo corsetto come strato più esterno. Una fascia dorata fu utilizzata per rimarcare la forma sinuosa femminile, legata un poco sotto il seno della regina. Nasuada si guardò in uno specchio, con serietà. “Già, questa cintura richiama l’attenzione proprio qui...”

La sua domestica le rispose con un risolino contento, facendole roteare gli occhi scontenta. Maeve bussò alla porta, annunciando la colazione. I due sposi uscirono, dirigendosi nella stanza circolare al centro degli appartamenti. Nel vedere la regina, la servitù le riservò un inchino più profondo, e le servette iniziarono a spettegolare civettuole, cambiando registro e mormorando in modo cadenzato i loro auguri e complimenti per il principe che doveva nascere, quando la coppia passava loro vicina.

Furono esortati da Jormundur a terminare in fretta, perché il Cavaliere era già stato avvistato alcuni villaggi di distanza da Illirea.

“Di già?!”, bofonchiò Murtagh con la bocca piena di cibo, che prese a ingurgitare più velocemente, come se quello con più bisogno di cibo fosse lui e non la moglie.

Ricevette un rimprovero da Maeve per le maniere, ma subito la dama fu invitata a riprendere la compostezza con un’occhiataccia della regina. “Nonostante l’impudenza, Maeve ha ragione, Murtagh. Il Cavaliere potrà essere accolto dai nostri rappresentanti se non avrai finito il pasto per rompere il digiuno.”

“Chiedo scusa per le scarse maniere, Maeve. Mia madre mi ha sicuramente insegnato in modo migliore, finché era in vita.”

La domestica ebbe un moto d’orgoglio, riservandogli per un istante uno sguardo deciso, come se fosse possibile che lei conoscesse l’educazione che lady Selena aveva riservato a suo figlio.

“Non penso abbia insegnato a uccidere a suo figlio di tre anni, perciò qualcosa altro dovrà avermi iniziato a inculcare.” , concluse Murtagh poggiando il tovagliolo sul tavolo, togliendoselo dalle gambe.

Maeve aprì la bocca o per parlare, o perché era stupita.

“Pensavo di averti detto che mia madre era un’assassina di professione…” , le disse distrattamente.

La domestica deglutì rumorosamente, richiudendo le labbra.

“È una dura verità, ma cos’altro dovremmo aspettarci dalla donna che ha deciso di sposare Morzan?” , commentò con tono di lezione.

“Rimuginare sul tipo di genitori che hai avuto non ti aiuterà di certo ad accettarti per la persona che sei, Murtagh. È inutile che cerchi di convincerti di essere come loro, quando la tua mela è rotolata ben lontano dall’albero da cui è caduta.” , s’intromise e lo rimbeccò la moglie.

“Mi aiuterà a essere un padre migliore per i miei figli. Ora devo andare.”

Superò la regina e la domestica, lasciandole a guardarsi dispiaciute.

 

Arrivò da Castigo in fretta, inquietato dal futuro del figlio ancora non nato, dalle ombre che i suoi terribili nonni proiettavano su di lui.

Gli diede un buffetto, lasciandogli soffiare aria sulfurea sui suoi capelli corvini, affettuosamente.

Buongiorno, Amico mio. , lo salutò il rettile.

Buongiorno.

Sei riuscito a dormire?

Sì, perché tu no?

Castigo fremette. Non molto, dall’agitazione.

Di incontrare un altro tuo simile?

L’enorme capo rosso e squamato si spostò su e giù.

Oh, è brutto non dormire per l’agitazione. , concordò l’umano.

Ti capita ancora spesso?

Ho ricominciato, dal sogno…

Rimasero in silenzio a lungo, udendo gli uccelli cinguettare e il restante brulicare di rumori dovuti al risveglio della natura.

Allora? , ricominciò Castigo nell’attesa.

Allora cosa?

Quando si schiuderà il tuo cucciolo?

Murtagh ridacchiò. Non si schiudono i nostri bambini, quante volte te lo devo ripetere?

Finché avrò vita.

Spero di non avere figli che devono ‘schiudersi’ fino ad allora…

Dipende da te e la tua cara mogliettina. Siete incandescenti come il mio fuoco assieme. , commentò snudando i denti in un sorriso il drago.

Nasuada non sarà fertile per sempre, e con un po’ di attenzione possiamo fare il nostro dovere quando costretti e per il resto del tempo non soffrire ulteriormente. , gli spiegò con calma, calciando l’aria con il tacco degli stivali.

Siete strani voi umani!

Murtagh alzò le spalle. L’ho letto in un trattato medico antico riguardante l’altro sesso. Immagino sia per questo motivo che alcune mogli vengono ripudiate per trovarne di più giovani e capaci di generare, tra i nobili.

Inspirò l’aria del mattino. Sono sempre stato lieto di non dover prendere parte al mercato dei matrimoni. Il re tentò di farmi sposare, appena divenuto uomo, ma non avrei sopportato di sentire la pressione di dover portare avanti l’eredità di Morzan.

Castigo l’osservò in silenzio con occhi espressivi e penetranti.

È vero, i miei figli ora sono i nipoti di Morzan, ma è la corona di Nasuada che ci è richiesto di assicurare. È una prospettiva molto meno nera. , fu spronato senza bisogno di parole a continuare.

Il drago annuì. Per fortuna tua, come Cavaliere ti è stato semplice generare due cuccioli.

Murtagh si morse il labbro. Non è così semplice come sembrerebbe a dirsi… Io sono lontano per mesi a volte, e Nasuada non è sempre fertile - l’ho sempre letto in quel trattato - .

Anche lei va in calore?

Il giovane rabbrividì. Castigo, lei non è una bestia! È potenzialmente fertile tutto l’anno, ma ciclicamente ha dei momenti in cui è difficile se non impossibile concepire…

Per te e da te scorre la magia, dovresti non avere alcun problema!

Gli diede un buffetto sulle scaglie. Ti ringrazio per la fiducia, ma non è tanto mio o di Nasuada il problema, quanto il tempismo. A ogni modo, io che non avevo intenzione di riprodurmi mi ritrovo ad avere - quasi - due figli…

Non sei contento? , gli domandò la sua coscienza rossa, percependo i suoi sentimenti dolce-amari.

Murtagh sospirò. Dovrei esserlo? , si chiese facendo una pausa, Mio figlio mi rende felice, è vero, ma ho paura che il secondo sia la mia rovina, la rovina di Nasuada, la rovina di suo fratello…

Non l’hai ancora conosciuto. È presto per giudicare. , gli ricordò Castigo.

Vero, ma ho fiducia delle parole di Flaithrì. La sua storia mi è di monito.

Il rettile morse l’aria in mezzo a loro, minacciosamente. Ti è mai sorto il dubbio che se fosse stato un padre migliore per tuo padre, allora Morzan avrebbe potuto compiere azioni meno deplorevoli?

Murtagh sgranò gli occhi. Morzan detestava suo padre, ma perché aveva rinunciato alla corona del Nord…

Se potessi, dovresti udire anche il suono della sua campana.

L’umano strinse i pugni. Non andrei a parlare con Morzan di doti genitoriali in famiglia!

Certo, capisco il tuo punto, ma cerca di non vedere tutto o bianco o nero. Aspetta di vedere prima cosa ne sarà del piccolo, poi e solo poi penserai ai provvedimenti da prendere.

Murtagh sbuffò. E tu dovresti essere il grande rettile saggio?!

Il drago ruggì spaventosamente nelle loro menti, per non spaventare tutto il castello e Illirea. Abbassa la cresta, sacco-di-pelle-e-ossa!

L’umano fece un gesto in aria, indicando di voler abbandonare la lite. Ben presto, dalle torri d’avvistamento, il Cavaliere in arrivo fu visto in cielo e la scorta di elfi via terra arrivò al suono delle chiare trombe al portale del castello.

Dal basso del giardino enorme, finalmente anche i due compagni in attesa videro la piccola stella luminosa avvicinarsi.

Il Cavaliere espanse la coscienza, sondando la magia e le difese dei loro futuri ospiti.

È un’altra dragonessa. , commentò Murtagh al suo Compagno, voltandosi per guardarlo con un sopracciglio alzato.

Non mi emoziono soltanto a vedere un individuo della mia specie dell’altro sesso...

Ah no? Ogni volta che vedevi Saphi-

Non osare nemmeno insinuarlo, sacco-di-pelle-e-ossa! Ammiravo Saphira per il suo coraggio e dove fosse riuscita ad arrivare senza la guida di centinaia di draghi, come avrebbe avuto a disposizione se si fosse schiusa prima della Caduta. , lo interruppe bruscamente il drago cremisi arrabbiato.

Attesero pochi istanti ancora, dopo i quali i rumori secchi del battito delle ali della dragonessa si poterono udire abbinati al movimento. Il sole s’oscurò brevemente, poi con una manovra elegantissima, la dragonessa fu a terra. Murtagh notò che fosse grigia, talvolta argentea. Era sinuosa e snella, elegante anche se meno di Saphira.

E meno di Gintaré. , sentì Murtagh il commento del Compagno.

Ridacchiò. Ah sì? Trovi che sia più bella?

È un crimine?

No, ma forse dovresti corteggiarla, prima che un altro drago te la rubi…

Castigo si voltò indietro per guardarlo in cagnesco. Solo perché gli esseri femminili della tua razza ti sbavano dietro e cadono ai tuoi piedi alla prima tua parola, non vuol dire che io voglia essere così poco accurato nella scelta!

Murtagh fece l’ultimo sorrisetto. Alla fine ho sposato la donna più bella d’Alagaesia, dovresti fidarti dei miei consigli.

Sarò influenzato dai tuoi gusti raffinati, allora. , gli concesse il rettile rosso, prima di tornare a voltarsi verso gli ospiti.

Nel frattempo, l’elfo era smontato. S’inchinò al cospetto di Castigo, e la dragonessa fece altrettanto.

L’umano fece un passo avanti per introdursi.

“Io sono Murtagh e questo è il mio Compagno: Castigo.”

“Ailton, e lei è Skye.” , rispose l’orecchie-a-punta indicando la dragonessa colore del fumo. Per la prima volta, la voce dell’essere di razza elfica non gli suonò immediatamente altezzosa. Una piacevole sorpresa, indubbiamente.

“Hai fatto buon viaggio?”

Aye, Murtagh-Elda.”

“I tuoi compagni?” , chiese indicando con il mento il gruppetto di elfi a piedi che si stavano appropinquando loro.

“Alagaesia è un luogo tranquillo, ora. Non siamo incappati in nessun imprevisto.”

L’umano annuì, udendo delle trombe suonare.

Nasuada apparve, preceduta e seguita dalla scorta di Falchineri, in uno dei suoi abiti più belli, di colore purpureo, le mani giunte sotto il ventre abbastanza sporgente. Era radiosa e regale come sempre, tanto che nemmeno la sua nuova forma riusciva a farle perdere il portamento elegante e ritto.

Quando la vide, Ailton fece un inchino profondissimo. “Mia Regina la Suprema, vi ringrazio di essere giunta fin qui a conoscermi, vista anche la vostra condizione.”

Nasuada gli porse una mano, sorridendo. “Alzati, Cavaliere. Ricordo di te, tra le fila dei Varden e devo dire di essere contenta che il tuo coraggio sia stato premiato con l’onorificenza di diventare un Cavaliere dei Draghi.”

Il Cavaliere tornò in piedi, con il volto compiaciuto. Nonostante avesse probabilmente più di cento anni, il suo aspetto era dolce e morbido come quello di un bambino. Era anche più basso del resto dei suoi simili, quanto Eragon quando si era legato a Saphira. “Davvero vi ricordate di me?”

“Ailton, giusto?” , confermò Nasuada.

L’elfo annuì, facendo sobbalzare i capelli castani e arricciati in morbidi boccoli.

Con un ampio movimento di braccio, Nasuada indicò Murtagh col palmo verso l’alto. “Hai già fatto conoscenza con il Secondo dell’Ordine?”

Murtagh fu lieto di essere presentato dalla regina con il suo nuovo titolo.

Aye, Vostra Maestà.” , si voltò verso l’altro Cavaliere, “Non sapevo del vostro ruolo, chiedo perdono per non essermi rivolto a voi con il rispetto necessario.”

Murtagh fece un cenno del capo. “Non preoccuparti, Cavaliere. Rivolgiti a me come a un fratello.”

Ailton vibrò per un istante, tradendo un’espressione di paura. Poi tornò a nascondere il concerno dietro una maschera di cortesia.

“Il nostro Capo si fida di me a tal punto da nominare il Traditore e il figlio del primo e ultimo dei Rinnegati suo Secondo. Dovrai serbare a lui i tuoi dubbi.”

Nasuada gli lanciò con la coda dell’occhio uno sguardo di disappunto. “Eragon ha avuto l’intelligenza di dare al vostro Nuovo Ordine un sostituto in caso di sua mancanza tra i Cavalieri più forti di cui Alagaesia disponga e abbia mai incontrato. Siamo tutti onorati che Murtagh Morzansson abbia sposato la causa giusta.” , disse con determinazione tornando a voltarsi verso il nuovo arrivato.

Perché oggi sei così cinico? , aggiunse solamente nello spazio dedicato alle loro menti unite.

Ogni tanto fa bene, per non dimenticarmi chi sono.

Nasuada non aggiunse altro, roteando gli occhi velocemente.

“Letteralmente, Vostra Maestà.” , scherzò l’elfo con una punta di astio che non sfuggì né alla giovane né al suo sposo.

Nasuada rise delicatamente fingendo di non aver percepito nulla. “Vogliamo dunque accogliere il nostro ospite nel castello?”

Murtagh annuì, mostrando la via all’elfo, mentre Castigo prendeva il volo assieme alla dragonessa grigia, per andare a rifugiarsi nella Volta dei Draghi, che veniva utilizzata da lui poche volte, e spesso quando altri suoi simili venivano a fargli visita.

L’ospite parve non essere piacevolmente sorpreso della ristrutturazione del castello di Illirea, da cui la giovane regina aveva deciso di rimuovere ogni traccia degli orrori di Galbatorix. O se non tutti, almeno quanti più possibile.

Pranzò assieme alla regina e al Cavaliere, quella volta estremamente lieto di non vedere carne alla loro tavola.

A un tratto, il Cavaliere rosso estrasse un piccolo oggetto di metallo che era legato ai suoi vestiti da una catenella. Lo aprì, fissando l’interno per qualche istante con attenzione, smettendo di mangiare addirittura.

Appoggiò il triangolo di stoffa sul tavolo, dopo essersi pulito le labbra dai residui eventuali di cibo, alzandosi con celerità. “Vostra Maestà, il dovere mi chiama.”

“Di che si tratta?” , lo interrogò preoccupata la regina.

Il moro scrollò le spalle. “Nulla di grave, una questione da Cavalieri. Probabilmente tra poco verrai informata comunque, siccome le vie di informazione che non viaggiano con la magia sono lievemente più lente.”

Si avvicinò per baciarle il dorso della mano, indirizzandosi poi verso la porta. “Se è una questione da Cavalieri, non sarebbe richiesta anche la presenza di Ailton?” , lo fermò.

Murtagh si voltò indietro, guardando per qualche lungo istante l’elfo.

“Non ho ancora testato la sua preparazione - per quanto immagino che Arya sia stata un’eccelsa maestra - , perciò preferirei risolvere questa questione da solo, senza rischiare di peggiorarla.” , concluse infine.

“Davvero scortese da parte tua, Murtagh-Elda.” , commentò tra i denti il nuovo arrivato.

“Preferiresti venire?” , gli domandò con un sospiro.

“Dipende, sono necessari due Cavalieri?”

“Uno è sufficiente, specialmente con la mia esperienza.” , gli rispose confuso l’umano, “Vuoi assistere in ogni modo, Ailton Shur’tugal?”

“Ho affiancato ampiamente la nostra regina nella risoluzione di battibecchi. È il momento di assistere la Regina Suprema.”

Murtagh annuì e superò la porta, permettendosi di roteare gli occhi quando non poté essere visto.

“I Cavalieri non dovrebbero affiancare i sovrani.” , commentò infine Nasuada alzandosi in piedi a pranzo terminato.

“Sono estasiato dal vostro operato, regina Nasuada!” , le spiegò con fervore, “Anche se sono stato chiamato a servire neutralmente i popoli, non posso negare di essere affascinato dal modo egregio in cui state risollevando Alagaesia dopo centinaia di anni così bui!”

La giovane fu lusingata dalle sue parole, tanto che gli offrì di seguirla nel suo studio. Dietro di loro, i Falchineri li seguirono in ogni momento come sempre. Nasuada notò che l’elfo lanciava occhiate indietro verso di loro con ansia.

“Sta’ tranquillo, servono per proteggermi quando il mio Cavaliere non è con me.” , gli spiegò per poi correggersi, “Il Cavaliere Murtagh che vive a Illirea qui a palazzo, intendevo.”

“Sono a conoscenza delle dicerie: oltre a essere stato al servizio di Galbatorix, ora ha scelto di giurare fedeltà alla nuova regina, anche se non potrebbe.”

La giovane strinse le labbra. “Anche Eragon mi giurò fedeltà, all’epoca. Il giuramento non è stato revocato. Ma loro sono Cavalieri di un’epoca diversa, perciò fanno eccezione alle regole. Sono loro, però, che si impegnano a voler restituire l’Ordine come era, e avviare Cavalieri secondo le regole antiche.”

“Perché voler tornare alle regole antiche, dunque?” , rifletté vagamente l’altro.

“Perché è ciò per cui servono i Cavalieri. Si erano quasi estinti perché avevano iniziato a servire un re, una visione unica del mondo. Non avevano regole diverse e separate da quelle di un soldato di cavalleria. Se oggi i nuovi Cavalieri servissero una regina o un re a loro scelta, si parlerebbe di loro come esseri assoggettati. La bellezza dei Cavalieri sta proprio nella loro libertà da giuramenti temporali.”

“Siete fiera dell’Ordine, lo percepisco.”

“I Varden hanno vinto la guerra grazie al Cavaliere azzurro e al Cavaliere rosso, perciò sono grata della loro fedeltà alla causa della guerra. Ma se non si fossero reinventati e non avessero scelto di occuparsi di crescere una nuova generazione di Cavalieri, questa era sarebbe solamente un seguito di quella precedente. Io credo nei Cavalieri come erano un tempo, e spero che anche Murtagh - quando non sarò più in vita io e i nostri figli - possa arrivare a seguire solamente la libertà dell’Ordine, e non un giuramento a un re o una regina.”

Fece una pausa per riprendere fiato.

“Capisco che possa essere difficile per lui ora, essendo sin da bambino stato cresciuto sapendo di dover servire qualcuno e il suo ideale - in libertà potendo scegliere quello che più si avvicina al proprio - . Ma quando tutto ciò che rimane come strascico del mondo come era sotto Galbatorix sarà scomparso, me compresa, lui potrà finalmente dimenticarsi di dover servire un potere temporale. È il bello dell’immortalità, non trovi?”

Ailton abbassò gli occhi per un istante. “Siete davvero brava con le parole, come vi descrivono.”

Con un sorriso Nasuada gli annunciò di essere giunti nel suo studio. “Oggi non vedrai incontri con cittadini o risoluzioni di dispute, temo. Per quello avresti dovuto seguire il Cavaliere Murtagh.”

“Nessun problema, Vostra Grazia. Il Cavaliere si occupa di risolvere le dispute anch’egli.”

“Dove credi che sia, ora?” , ridacchiò la giovane entrando nella stanza e avvicinandosi alla scrivania. Prese una pergamena sigillata, l’aprì e la lesse velocemente. “Infatti, si trattava di un piccolo battibecco in una città non troppo distante da qui.”

I Falchineri li lasciarono soli, chiudendosi la porta alle spalle. Ailton tirò un respiro di sollievo.

“Non sono così spaventosi.” , lo rincuorò la regina.

“Non sono solamente abituato a tutte quelle persone armate che mi seguono alle spalle… e che mi osservano.”

“Non saresti resistito un giorno, nell’esercito.”

Risero fragorosamente assieme.

Allo specchio che si trovava sulla scrivania, il volto di Murtagh apparve. Chiamò piano il nome della regina, che si illuminò vedendolo. Prese lo specchio tra le mani delicate, tendendole davanti alla sua figura minuta.

“Volevo solamente informarti, mia regina, che la mia missione è compiuta. Tornerò brevemente.” , le disse con tono ufficiale ma leggermente scherzoso.

Nasuada lo ringraziò, chiudendo il contatto subito dopo avergli augurato un viaggio sicuro. L’elfo al limitare del suo campo visivo fremette. Entrò la domestica castana, annunciando di aver portato  una bevanda fresca.

In fretta, Ailton si avvicinò alla regina inginocchiandosi su una gamba sola. “Vostra Maestà, presto: ditemi se il Cavaliere rosso vi tiene in un qualche modo soggiogata!”

Nasuada ritirò la mano di scatto, mentre Maeve faceva cadere e infrangere la brocca d’acqua fresca che stava portando loro. “Non osare nemmeno insinuarlo!”

“Maestà, potete rivelarmelo! Io e la regina Arya vi aiuteremmo a liberarvi.”

Con sguardo duro, Nasuada arretrò persino. “È stata lei a mandarti a chiedermi tali sciocchezze?!” , tuonò.

Il Cavaliere si fece piccolo nelle spalle, scuotendo il capo. “Mi è sembrato strano che la regina Arya chiedesse al Cavaliere rosso di scortarmi da Eragon e che mi chiedesse di portarvi i suoi privati saluti… Temevo volesse inviarmi perché avreste rivelato a me se foste stata in pericolo, visto che eravamo pressoché sconosciuti.”

“Perché Arya è mia amica! E lei sa di potersi fidare a inviare il suo primo Cavaliere con Murtagh fino ai territori oltre i confini! Non v’erano piani oscuri dietro la sua richiesta, se non quello che l’ha trattenuta a Ellesméra.” , spiegò la giovane, terminando con un ruggito di frustrazione.

“Sono tremendamente dispiaciuto.”

“Dovreste delle scuse al Cavaliere Murtagh, non a me.”

“Lui non sa nulla, e non andrò certo a rivelargli di aver dubitato di lui ancor prima di essere scortato sano e salvo all’Accademia di Eragon.”

“Perché immagini che sia consapevole che tacitamente molti facciano lo stesso?” , lo incalzò la giovane dalla pelle d’ebano, sbattendo un pugno sulla scrivania.

Ailton rimase senza parole, fissando la giovane in volto.

“Murtagh è rimasto in silenzio fin troppo tempo, e tuttora stenta a credere di potersi difendere. Per quanto sia lui un Cavaliere forte e armato di una spada micidiale, sono io a doverlo difendere con le mie parole. Con la mia fiducia.” , sbottò duramente, “E ti do la mia parola che con lui come guida, arriverai senza nemmeno un capello fuori posto oltre i confini.”

Jormundur bussò alla porta, allora il nuovo Cavaliere tornò ritto in piedi in un angolo. “Mia regina, Orrin è qui.”

“Per conoscere il nostro ospite?” , chiese confusa la sovrana.

L’anziano scosse il capo con un’espressione triste. “Vuole parlare con voi di una scemenza, a mio parere.”

“Lasciate che sia la regina a definire la mia richiesta!” , tuonò la voce dell’ex-re all’esterno.

Con violenza, scostò di lato il Consigliere e piombò nello studio della regina.

“Orrin.” , lo salutò con un sospiro la giovane dalla pelle scura, “Qual buon vento ti porta qui?”

“Sono venuto a discutere l’indipendenza del Surda.”

Le sue parole furono come il definitivo pugno allo stomaco della regina, che fece traboccare il vaso della sua sopportazione.

“L’indipendenza?” , chiese con tono canzonatorio, “Del Surda? Un territorio che tu hai accettato di annettere per la prima volta al resto del regno umano d’Alagaesia?”

“Sì, il territorio che per centinaia di secoli è stato della mia famiglia, di cui siamo stati i re.”

“Hai abbandonato tu il titolo.”

“Perché tu non volevi un rivale!”

“Un rivale?!” , sibilò la giovane, “Il Surda e i Varden sono sempre stati alleati!”

“No, senza il supporto del Surda, i Varden non sarebbero stati che un gruppo di ribelli organizzati. Vi abbiamo fornito fondi e armi.”

“E di questo abbiamo già ampiamente discusso e ho pubblicamente ringraziato la tua gente dopo la Liberazione.”

“Esatto: la mia gente.”

“Sei un surdano! Fai parte di loro, perciò è la tua stessa gente. Ma non sei più il loro re perché hanno votato per l’annessione - i tuoi stessi lord, ricordi? - e in più Alagaesia non poteva avere un’imperatrice nuovamente, dopo la morte di Galbatorix!”

“Imperatrice e Regina Suprema mi sembrano la stessa cosa. La mia corona non avrebbe equivalso la tua nemmeno tra migliaia di anni.”

“Non dire sciocchezze! Se Galbatorix non ha mai annesso il Surda è perché per quanto si fosse nominato autonomamente imperatore, lui era più che altro il re di un popolo impaurito. Elfi, nani e il Surda hanno sempre continuato ad avere loro re e regine perché di fatto non avevano mai accettato un’unità sotto un despota.”

Puntò un dito verso di lui con rabbia. “Chi rappresenta la tua gente ha votato per me. Tu stesso hai votato per me come vostra regina!”

“Voglio che avvenga un’altra votazione. Questa volta che chiami in causa tutti gli abitanti del Surda.” , si ostinò Orrin.

“Non vinceresti mai. La tua gente, così come la mia sta prosperando. Per chiedere il voto per la secessione del Surda dovrei fare votare l’intera popolazione umana d’Algaesia perché sia giusto. Credi di essere così popolare ovunque?”

Il Protettore sbiancò. “Solo i surdani dovrebbero votare…” , balbettò, “È una questione che riguarda loro.”

“Riguarda tutto il popolo d’Alagaesia. Se concedessi loro questo, anche il Protettorato del Nord potrebbe chiedere la medesima deroga. Poi? Cosa ne sarebbe di Alagaesia? Del commercio libero e diffuso? Senza dazi e che ha tanto giovato alla vostra economia?”

Orrin fece un sorrisetto beffardo. “Anche sotto il dominio di Galbaorix il commercio tra il Surda e l’Impero era fiorente. Ce la caveremmo egregiamente ancora.”

“Non stai pensando alla tua gente!” , tuonò Nasuada prima di calmarsi con un sospiro, “Cos’è che vuoi veramente, eh?”

“Il mio titolo.” , sibilò l’uomo tra i denti.

“Sei stato tu a rinunciarvi. Che figura faresti se nemmeno un anno dopo ti mostrassi ad aver fatto un errore?”

“La mia gente ha sempre amato il loro re!”

“È giusto, portava loro prosperità e sicurezza. Ma ora i doveri della tua famiglia li hai ceduti a me. Di tua spontanea volontà.”

“Durante la spartizione dei titoli e degli onori è parso che Fortemartello avesse più importanza di me! Un conte!”

“Per questo ti ho proposto di diventare Protettore del Surda, come lui lo è del Nord.”

“I miei figli ora non hanno più il titolo di principi.”

La giovane ticchettò con le dita sul tavolo. “Se vuoi, questo potrò rivederlo. Potrò ridare alla tua discendenza il titolo massimo di principe.”

“Lo faresti davvero?” , chiese l’uomo scoppiando quasi a piangere.

Nasuada strinse le labbra, notando che fosse abbastanza alterato dall’alcol da presentare richieste infantili e scoppiare in lacrime in preda alle emozioni per amore di un titolo familiare.

“Lo farò, e magari un giorno i nostri discendenti arriveranno a unire le famiglie. Sarà il ringraziamento più grande degli sforzi del Surda durante la Guerra.”

L’uomo si avvicinò alla coppa di vino che Maeve aveva versato in precedenza per il Cavaliere Ailton, scolandola in un solo sorso. “Accetto.”

“Ne parleremo domani. Voglio che tu ti riprenda dall’ebrezza e che ti presenti in tutta la tua lucidità.”

Aye, Maestà.”

S’inchinò rischiando di perdere l’equilibrio, poi uscì barcollando lievemente.

La giovane regina si voltò verso il nuovo Cavaliere. “Ti prego di lasciarmi sola. Devo redigere dei documenti per domani.”

“Maestà, io sono qui per-"

“È un ordine, Ailton.” , lo interruppe seccamente la giovane, “Non ci sono altre cose qui che richiedano il tuo aiuto.”

Il Cavaliere annuì, poi seguì il Consigliere fuori dallo studio, in silenzio pesante.

Nasuada si abbandonò al suo scranno, emettendo un lamento di sconforto. Maeve le andò silenziosamente vicino, poggiandole incerta una mano sull’avambraccio. “Maestà, state bene?”

Nasuada riaprì gli occhi, annuendo. “In giornate come questa, mi chiedo se io abbia intrapreso il cammino corretto…”

“Di aver preteso la corona?”

“No, a non aver spedito mio figlio una volta nato a Murtagh, per poi fingere che il nostro matrimonio non fosse mai avvenuto, per prendere un altro marito che in molti avrebbero accettato.” , le rivelò pentendosene subito dopo. Alzò gli occhi in quelli castani della dama, cercando l’astio nei suoi confronti per aver detto un tale abominio. Stranamente, Maeve aveva un’espressione complice e comprensiva.

“Non deve essere stata semplice la tua vita, prima, se non mi odi per aver sperato di aver avuto una vita diversa, per una volta.”

“No, non lo è stato. Anche io ho sperato spesso che non fosse andato tutto come è accaduto. Ma l’importante è continuare a lottare. Per noi stesse, e per i nostri amati.” , le dispensò la donna matura. Avrebbe potuto essere sua madre, essendo visibilmente più giovane di Farica. Nasuada spostò il suo palmo sul dorso chiaro della mano di Maeve. “Ti ringrazio delle tue parole.”

“Spero di essere sempre di conforto a Vostra Maestà, come se fossi sua madre.” , arrossì pesantemente, indietreggiando, “Chiedo perdono.”

“Non importa. Stavo pensando giusto che potreste essere mia madre.”

Maeve ingoiò la saliva, come se si fosse trattenuta da aggiungere altro, poi si riscosse. “Volete che vi riaccompagni nei vostri appartamenti? È quasi ora del servizio della cena.”

Nasuada accettò, alzandosi e prendendola per il gomito. Camminarono assieme fino alla parte più sicura ma privata della fortezza, da cui proveniva odore di cibo. Maeve inspirò col naso. “Mhhh, che ottimo profumo!”

Nasuada rallentò appena il passo, lo stomaco che le si era invece ritorto. “Credo che farò fatica questa sera a mangiare. L’odore mi da il voltastomaco.”

La donna le sorrise, accarezzandole i capelli. “Vi ordinerò un decotto di zenzero.”

“Non come quello che mi avete somministrato complici tu e Murtagh dopo la Ricelebrazione, vero?”

La dama scosse il capo, con la bocca spalancata in un’espressione di stupore. “No, no! Non ho cura di perdere il collo perché ho somministrato un abortivo alla nostra regina.”

Nasuada allora le concesse di procedere con un cenno del capo.

Si sedette sola al tavolo della cena, su cui era posizionato un vassoio d’argento. Si sarebbe immaginata di terminare la giornata con una grande cena festosa in compagnia della delegazione elfica, di Arya, di Murtagh e del nuovo Cavaliere, in occasione dell’arrivo di questo, e invece l’unico che poteva tenerle compagnia era probabilmente intento a testare il nuovo arrivato in preparazione magica o con la spada.

Talvolta la vita di una regina era così affollata di persone che avrebbe voluto partire senza rendere noto il suo destino, e altre era totalmente solitaria. Due facce della stessa medaglia altrettanto vere, altrettanto reali.

 

Quando il giovane rientrò nel Talamo reale, Nasuada scattò in piedi, correndo letteralmente a saltargli al collo. Lui rimase irrigidito all’inizio per lo stupore, poi si sciolse e la circondò con le braccia. Curvò la parte alta della schiena per appoggiarle una guancia sui capelli. Respirò a fondo il suo profumo, prima della partenza.

“Buonasera. Posso sapere se qualcosa ti ha turbata?”

Lei tirò su col naso. “Ti amo.”

“Ti amo anch’io, ma vorrei sapere se qualcosa non va… Altrimenti continuerò a preoccuparmi.”

Lei annuì, staccandosi per guardarlo negli occhi dal basso. “Devo dirti una cosa…”

Lui sbiancò. “Se il bambino non è mio, non voglio saperlo.”

“No, diamine! Anzi, sì, lo sei suo padre!”

Stranamente, ridacchiò. “Non farti sentire ancor prima che nasca usare certi termini.” , le impartì scherzosamente.

Nasuada sospirò. “Possiamo parlare seriamente?”

Le accarezzò una guancia. “Giornata impegnativa? Se non sei in vena di scherzare con me, deve essere davvero stata terribile. Lascia che ti faccia un massaggio.”

La giovane lo guardò piena di desiderio. “Più tardi.”

“È già estremamente tardi.”

“Vero, ma ho bisogno di parlare con te solamente di una cosa.”

“D’accordo, sono tutto orecchie.” , le concesse con un sorriso colmo d’amore.

Nasuada a volte non comprendeva come potesse passare da essere la persona più cupa e pensierosa che avesse mai incontrato, a quella più felice e spensierata in momenti assolutamente casuali.

“Allora? Come si chiama?” , l’incalzò con un sorriso a trentadue denti, visto il silenzio.

“Chi?”

“Il padre di tuo figlio, no? Voglio sapere chi devo sfidare per avermi rubato la moglie.” , continuò con tono ovvio ma giocoso.

Nasuada emise un ruggito basso. “Smettila! Se dovessero per sbaglio udirti le orecchie sbagliate, la mia reputazione sarebbe rovinata - e quella di tuo figlio - per sempre! Per un tuo scherzo, per giunta!”

“D’accordo, la smetterò, ma ora calmati.”

La moglie avrebbe voluto arrabbiarsi ancor di più a quelle parole che tanto la infastidivano, ma non se lo permise. Inspirò.

“Oggi ho trascorso tempo sola con Ailton… prima che Orrin si presentasse con l’ennesima sua richiesta per schernirmi.” , gli introdusse.

“Quindi devo immaginare che sia stato quest’ultimo a tormentarti così.”

“No, cioè sì… ma non per faccende che non sia riuscita a dismettere egregiamente.” , rispose con una punta di soddisfazione.

“Ailton ti ha turbata?!” , chiese conferma il Cavaliere, con aria sorpresa, “Mi è sembrato - oltre ad Arya - l’unico essere del popolo elfico che non ritenga di avere già la ragione in suo pugno.”

L’occhio destro della regina tremolò. “Invece mi ha dimostrato di peccare anch’egli di parecchia superbia.”

“In che modo?”

“Appena siamo rimasti soli - no, Maeve era con me e può testimoniare - ha tentato di estorcermi la verità che lui si aspettava di udire!”

“Non ho bisogno di testimoni, mi fido delle tue parole.” , la tranquillizzò, “Di che genere di verità parli?”

“Pensava che tu mi tenessi in una gabbia di vetro, essendo mio marito.”

Sospirando, Murtagh alzò le spalle. “Non posso dire che sia un pensiero che non mi aspetti di vedersi verificare in almeno la metà delle persone che mi incontrano come tuo marito.”

“È esattamente ciò che ho rimproverato al nuovo Cavaliere!” , esclamò, “Non ti fa arrabbiare?!”

Lui scosse il capo neutralmente. “Se nasci figlio di Morzan ci fai l’abitudine.”

“Smettila. Se nasci figlio di Morzan allora dovresti fare tutto il contrario di ciò che hai sempre fatto!”

“Sì, appunto. Ciò che ho sempre fatto nel buio dell’oblio, quando pochissimi sapevano la mia identità o della mia esistenza. Ciò per cui si ricordano di me è ciò che ho fatto alla luce: ovvero essere il degno figlio di mio padre.” , le poggiò una mano dolcemente sul grembo, “Vorrei davvero che potessi crescere i nostri bambini senza la mia ombra, ma non è possibile…”

“Perché l’ho scelto - l’ho altamente voluto - io! Credi che ribaltare l’ordine d’Alagaesia fosse cosa di poco conto? Eppure me ne sono fatta carico, mi sono resa simbolo di ribellione, di vento di novità. Anche con te. Il mio sogno è che un giorno il tuo nome possa essere Murtagh il Redento, non Murtagh il Regicida, il Traditore.”

“Io vorrei essere Murtagh e basta…”

Gli accarezzò una guancia, e lo vide appoggiarvi il peso del capo volentieri. “Con il tempo, sarai solamente Murtagh.”

Un guizzò gli balenò negli occhi chiari. “Anzi, voglio essere Murtagh, padre di re Finiarel il Grande, il Magnanimo, il Colto.” , disse in un sussurro, come se temesse che alzare troppo il tono avrebbe impedito al destino di realizzarsi come da sue speranze, “E di questo bambino, il suo altrettanto grande fratello.”

Nasuada si morse un labbro. “Non abbiamo parlato di nomi. Non voglio che ancora una volta rimanga innominato per giorni, se non mesi.”

“Giustissimo.” , disse facendole cenno con la mano di sedersi assieme sui due scranni imbottiti, di fronte al caminetto.

“Quali nomi ritieni siano adatti al tuo principe secondogenito?” , cominciò slacciandosi la camicia utilizzata quel giorno. Rimase a petto nudo, piegato in avanti e poggiato con i gomiti sulle gambe. Nasuada lo trovò talmente bello da dimenticarsi di respirare per qualche istante.

“Come l’altra volta che abbiamo avuto questa conversazione, ti proibisco di chiamarlo Morzan.”

Si sporse per afferrarle le gambe, portandole sulle sue e massaggiandole i dorsi dei piedi scuri.

“Sarà compito tuo compilare i registri. Sei suo padre.” , gli disse senza riuscire a risultare perentoria, sciolta sotto il movimento dei suoi pollici.

“E tu sei la regina… non spetta a chi ha il titolo più alto?”

“Quando mai una donna ha avuto il titolo più alto del marito?” , lo punzecchiò.

“È successo. Sovente, ma è successo.”

“D’accordo, ma voglio che sia tu a ufficializzare la nascita, anche in caso io non dovessi essere cosciente per farlo.”

Lui scosse il capo. “Farò di tutto per evitare che accada.”

“Lo farai?” , lo reindirizzò lei dal divagare. L’altro annuì.

“Proporrei il nome di qualche valoroso combattente dei Varden.”

“Eragon? Roran? Sono entrambi anche tuoi parenti.”

Lui scosse il capo nuovamente. “‘Roran’ non è un nome adatto a un principe. ‘Eragon’ non va bene per un bambino destinato a divenire Cavaliere, e che sarà immortale come suo zio.”

“Hai ragione… Kellan? Liam? Rhys? Fallon? Allerick?”

“Sono tutti nomi adatti, ma nella mia lingua nativa - e vedo con piacere che ti sei informata - . Hai qualche proposta nella tua?”

Nasuada spostò la bocca a destra e sinistra per pensare qualche volta. “Khrysaor, Amari, Andras, Zion, sono alcuni tra i miei favoriti.”

“Ti prometto che cercherò il loro significato per prenderli in considerazione.”

Vi fu un attimo di silenzio.

“E se…” , iniziò timorosa la regina, schiarendosi la voce che le stava morendo in gola, “dovesse essere una bambina?”

Murtagh rizzò la schiena, appoggiandosi all’indietro sullo schienale. Scosse un paio di volte il capo, portandosi alla bocca il pugno, nascondendo un sorrisetto alla moglie.

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Capitolo 57
*** Appoggio fraterno ***


Murtagh, il nuovo Cavaliere di razza elfica e i due rettili alati furono presto in viaggio. Ailton, dopo il rimprovero della regina Nasuada, sembrò non dimostrare più dubbi verso la nuova fedeltà del Cavaliere rosso, perciò la sua compagnia a quest’ultimo non dispiacque, nemmeno in viaggio. Gli raccontò del suo clan, e della differenza e origine di ciascuno degli esistenti tra il popolo degli orecchie-a-punta, facendo per molti momenti accantonare al moro la preoccupazione della lontananza da casa. Castigo, invece dal suo canto, non sembrò davvero essere interessato in modo particolare alla dragonessa grigia, lasciando incompiuto al suo Cavaliere il compito di trovargli una compagna-di-cova. A metà del viaggio, infatti, un’ombra ambrata si affiancò ai due draghi, curiosa di incontrare Skye.

Agli occhi di Murtagh fu palese che il suo Compagno avesse un debole vistoso per la dragonessa selvaggia. Quando il moro le propose di accompagnarli fino all’Accademia, Castigo si lamentò senza motivo con lui, mentre la Gintaré accettò.

Ma la sua presenza rimase tale fino a un litigio tra le due dragonesse, a un giorno di viaggio dal luogo dove risiedeva Eragon. Apparentemente o Skye era attratta leggermente da Castigo, oppure era gelosa del suo rapporto con la dragonessa ambrata. A ogni modo, arrivarono a litigare e la selvaggia salutò la Montagna Rossa e il suo Cavaliere poi scomparve tra le nubi, lasciandoli nuovamente soli a terminare una giornata di viaggio che sembrò essere infinita.

Ma all’alba gli edifici bianchi si stagliarono davanti al sole nascente, facendo accelerare il volo sia di un Murtagh che non vedeva l’ora di tornare a casa e conoscere il suo figlio minore, sia di un eccitatissimo Ailton che finalmente avrebbe conosciuto l’eroe della Liberazione.

 

Non vi fu bisogno di annunciarsi, perché piccolo come una formica, videro l’umano dall’aspetto di elfo uscire dall’edificio bianco ormai completo, che li salutava con ampi archi disegnati dalle sue braccia in aria.

Iniziarono le manovre di discesa, Ailton mentre ancora prestava attenzione a non distruggere gli edifici che erano in costruzione, Murtagh che osservava i progressi di quel posto. Ormai le fondamenta e i primi strati di tutti gli edifici erano ben visibili.

Eragon allargò le braccia accogliente, mentre smontavano dai draghi.

“È un piacere rivederti, Eragon.” , lo salutò Murtagh con un lieve inchino.

“Anche per me, fratello!” , lo andò ad abbracciare con tale calore, che lasciò Ailton a bocca aperta per qualche istante, finché Castigo non frustò la coda in aria per richiamarlo alla compostezza, probabilmente. Murtagh poteva aver accettato le parole del Cavaliere riferitegli dalla moglie, ma Castigo serbava un po’ più rancore.

Terminato il saluto familiare, il Capo si voltò verso il nuovo arrivato. “Ti do il benvenuto nella tua nuova e perpetua casa. Qui terminerai l’Addestramento e diverrai a tutti gli effetti un Cavaliere.”

Ailton si presentò con una riverenza.

“Siccome Arya non è qui ad accompagnarti e certificare l’Addestramento Primario, hai già ricevuto il benestare del mio Secondo?”

L’elfo scosse il capo. “Murtagh-Elda è stato occupato con la regina Nasuada per la maggior parte del tempo.” , spiegò con un tono lievemente offeso.

“Abbiamo duellato di spada e lanciato qualche incantesimo assieme, ma non ci siamo spinti oltre. Mi fido del lavoro svolto da Arya e in più sapevo che avremmo ripetuto tutto daccapo una volta giunti qui.” , si giustificò Murtagh.

Eragon non lo rimproverò, invece invitandoli all’interno per colazione. Apparve correndo Blodgharm, che si affiancò al nuovo arrivato. Ailton lo squadrò lievemente sorpreso.

“Io sono Blodgharm, ti prego di seguirmi, Cavaliere.”

“Non sarà il maestro Eragon a mostrarmi questo luogo?” , chiese contrariato il neo-Cavaliere.

“Il nostro Capo e il suo Secondo come ogni volta che si rincontrano devono avere tempo di discutere del futuro di questo Ordine, perciò sono io l’amministratore e la guida durante questi momenti. Eragon d’altronde non può fare tutto.”

Mise un braccio attorno alle spalle del nuovo arrivato, sospingendolo verso l’edificio bianco. Eragon si voltò verso il fratello e fece un cenno del capo. “Anche se Blodgharm ha ragione sui nostri doveri, questi possono attendere. Vieni, non abbiamo ancora consumato la colazione.”

“Facciamo in fretta, non ho molto tempo stavolta.” , concesse il maggiore, seguendolo.

“Come sta tua moglie?” , chiese Eragon mentre si dirigevano verso la mensa.

“Meglio dell’ultima volta che l’ho rivista. Era dimagrita, durante la mia assenza.”

Il castano si morse un labbro, emettendo un leggero verso di concerno. “Stavolta farò in modo di rispedirti da lei in fretta. Dammi solo la dimostrazione delle abilità di questo Cavaliere e ti lascerò andare.”

Murtagh sospirò. “Dovrebbe farlo Arya.”

“Non andiamo sul discorso…”

“Certo che no, lei è intoccabile.” , sibilò il maggiore, avendo comunque cura di tenere un tono abbastanza forte da essere udito.

“Murtagh!” , lo rimproverò duramente il più giovane.

L’altro si voltò a riservargli un’occhiata di fuoco. “Non è così? E non perché è una regina…”

“Quanto tempo manca al parto?” , riprese Eragon, cambiando argomento.

Il maggiore scosse il capo alla mancata opportunità di affrontare le mancanze dell’Elba verso l’Ordine. “Non saprei. Un mese, forse…”

“È davvero vicina al parto!” , esclamò allegro.

“Già, e io sono qui… Dopo che l’ultima volta ha partorito con due mesi d’anticipo, io sono lontano da lei sperando che questa volta porti a termine la gravidanza per poter tornare in tempo da lei.” , commentò amaramente l’altro, superandolo ed entrando da solo nella stanza.

“Aspetta!” , ordinò Eragon al vuoto lasciato dal Cavaliere rosso.

Si affrettò nella stanza per parlargli, trovandolo già intento ad aggiornare Reenan.

Sconsolato, Eragon s’andò a sedere accanto all’elfo dalla pelliccia blu e il nuovo arrivato, che sembrava già a suo agio accanto al suo simile.

Eragon afferrò un tozzo di pane duro come pietra - ancora non avevano ben calibrato la ricetta, e consumavano prove su prove di pagnotte troppo dure o dalla mollica ammassata - , prendendo a spezzettarlo nell’acqua. Quando ebbe ottenuto una specie di budino, vi tagliò dentro della frutta conservata e dei pezzi di formaggio di capra provenienti dalle razioni inviate quella volta da re Orik. Il gusto era forte come i cibi nanici che ricordava.

Lanciò occhiaie sfuggenti a Murtagh, che lo osservava di ritorno con durezza. Prima lui, poi gli elfi che aveva accanto, come se lo stesse giudicando per aver tradito sé stesso, la sua razza, la sua famiglia.

Troverai un momento per parlargli, nei prossimi giorni. , lo rassicurò Saphira.

Mi dispiace quando le mie parole lo feriscono, ma ho dovuto difendere Arya.

La dragonessa gli inviò un sentimento di dissenso. Non v’era nulla per cui difenderla. Murtagh non ha offeso Arya-Drottning.

Con un sospiro, Eragon si alzò, prendendo il suo pranzo con sé per terminarlo dalla sua dragonessa. La trovò a fianco a Castigo, intenti a fare ciò che sembrava giocare.

Si interruppero subito, osservando il bosco con aria imbarazzata.

Castigo, posso parlare con te? , chiese alla Montagna Rossa dopo avergli riservato una riverenza.

Non vedo perché rifiutare.

Vuole parlare del tuo Cavaliere. , lo ammonì Saphira.

Il rettile rosso sussultò, come se avesse voluto alzare le spalle.

Eragon si sedette a gambe incrociate.

Giocherellò un poco con la sua zuppa, poi tornò ad alzare il capo. Sai per caso cosa è cambiato in Murtagh dall’ultima volta che ci siamo visti? Era sereno e aperto al dialogo, mentre ora mi sembra di rivedere il ‘vecchio Murtagh’, silenzioso e cupo come me lo ricordavo.

È un periodo complicato per la vita del mio Compagno , ammise il drago stiracchiandosi, Si è ritrovato a fare il padre, come ben sai.

Eragon annuì. Mi sembra però che se la cavi alla grande. Ma anche l’altra volta stava già crescendo Finiarel e sapeva che ne avrebbe avuto un altro…

Devo dire che è proprio ciò che gli serviva, anche se non vuole ammetterlo! Eppure, in cuor suo non avrebbe voluto sposare le imposizioni della vostra razza di dover continuare a produrre cuccioli. Teme che prima o poi, qualcosa possa andare storto e ritrovarsi più misero di prima. Ora, nella sua mente, ha trovato una stabilità che non vorrebbe disturbare.

Quindi non desiderava questo bambino? , chiese Saphira.

Castigo mosse il capo con forza. Non si è mai soffermato a pensarci, ma sa che la compagnia di un’altra creatura gli gioverebbe ancor di più. E assieme a lui, anche il regno di Nasuada.

E allora cosa lo turba così tanto? Se non vuole scappare, non capisco quale problema vi sia. , domandò nuovamente l’umano dall’aspetto di elfo.

Castigo sospirò. Le ombre del passato di Murtagh non possono essere comprese da chi non ha avuto come padre Morzan e poi come tutore Galbatorix.

È ancora tormentato dalla loro paura? , chiese stupito Eragon, Sappiamo tutti che non è destinato a divenire come suo padre nemmeno se lo volesse più di ogni altra cosa!

Castigo gli lanciò un’occhiata obliqua per un istante. Su questo avrei da ridire, Cavaliere. “Volere è potere” dite voi, no?

Morse l’aria per stemperare gli istinti ferini. Tuttavia non è il timore di diventare come Morzan a spaventarlo così tanto, ormai. Ma il timore che il passato si ripresenti alla sua porta.

Si alzò sulle zampe. Vorrei che fosse lui a confessarti tutto, però. Ti prego di scusarmi.

Nessun problema. Ti ringrazio per aver parlato con me.

Castigo fece un cenno d’assenso col capo, facendo poi un balzo per spiccare il volo e fuggire dal confronto, come il suo Cavaliere faceva a volte.

L’osservò salire in cielo e planare su e giù nelle correnti di vento, rimanendo però più o meno nello stesso punto, tanto che la sua ombra si faceva solamente più grande o più piccola.

Forse, le inquietudini del fratello facevano lo stesso: fluttuavano, a volte incutendo ombre più grandi e a volte minori, a seconda della loro lontananza, ma comunque erano sempre con lui, lo seguivano come un falco su una preda.

Finì di mangiare con voracità, alzandosi poi per andare a parlare con Murtagh.

Lo cercò nella sala comune, ma Reenan lo informò che si trovasse già assieme ad Ailton sul campo d’addestramento.

Trovò i due viaggiatori che discutevano assieme pacatamente, probabilmente delle regole dell’Accademia imposte da Eragon.

“Ah, eccolo arrivato!” , esclamò Murtagh nel vederlo. Stranamente, il suo tono era affabile e caloroso come se non avesse serbato risentimento verso il fratello minore fino a poco prima.

“Eragon-Elda, sono pronto a dimostrarvi la mia preparazione di base.” , lo accolse Ailton.

“Molto bene. Immagino di non doverti interrogare sulla lingua dei tuoi antenati.” , cominciò terminando di percorrere la distanza che li separava.

“Lasceremo di verificare quanto avrai internalizzato la filosofia del’Ordine a domani. Ora vorrei vedere come te la cavi con il Rimgar e con la spada.”

Ailton parve stupito, ma acconsentì col capo.

“Difendersi è importante, ma ciò che vuole testare è la tua elasticità e fluidità fisica.” , gli spiegò Murtagh con tono pacato.

Eragon confermò con un cenno del capo. “Mostrami la danza con la spada che Arya ti ha insegnato, dunque.”

Blodgharm portò un fantoccio di rami e foglie, posizionandolo su un palo piantato a terra. “Questo sarà l’altro tuo compagno di ballo. Mi scuso se sarà rigido come un pezzo di legno.”

Il nuovo arrivato fu messo a suo agio grazie alla risata che gli suscitò quella battuta.

“Siccome non ho avuto tempo di verificare in modo soddisfacente la tua preparazione a Illirea, assisterò anch’io alle prove.” , annunciò all’elfo Murtagh.

Eragon annuì, confermando la sua approvazione.

Con un cenno lievemente agitato, Ailton alzò la spada. Non aveva ancora una spada da Cavaliere, dovendosela ancora guadagnare terminando l’Addestramento.

Grazie al suo occhio esperto, Murtagh lo avvertì di non rovinare troppo quel bel pezzo d’acciaio realizzato dal fabbro elfico.

Con un barlume, Ailton alzò le braccia sulla testa e spostò una gamba in avanti, nella posizione del guerriero. Da lì prese a danzare con l’acciaio. Si rivelò capace di praticare tutti i livelli del Rimgar, e alcune figure intermedie di scherma cavalleresca.

“È bravo con la spada!” , commentò Murtagh euforico.

Eragon annuì, stringendo il pomolo di Brisingr. Un’idea gli balenò in mente. Si voltò verso il maggiore con un sorrisetto fintamente malvagio, sfoderando la lama azzurra. “È tanto tempo che noi non tiriamo con la spada assieme.”

Murtagh scosse il capo, incrociando le braccia. “Non vorrai metterti in ridicolo?”

“Sono migliorato! Ho molto più tempo di allenarmi di te a Illirea.”

“Questo è vero, anche se Reenan è stato un ottimo compagno di scherma. A ogni modo non sono sicuro di voler incrociare la spada nuovamente con chi amo.”

“Andiamo, stavolta sarà solo amichevolmente.”

“Me lo prometti?”

Il tono di Murtagh suonò quello di un bambino timoroso. Il cuore di Eragon si strinse di compassione. Annuì, allora l’altro sfoderò la lama rossa come il sangue.

“Cavaliere, ottima dimostrazione!” , intervenne Blodhgarm, “Mentre ti riposi, potrai assistere a un breve duello amichevole tra il Capo e il Secondo dell’Ordine.”

Ailton annuì, camminando velocemente fuori dal campo d’addestramento, con la stessa grazia di un ballerino professionista. Si posizionò accanto all’elfo dalla pelliccia blu, bevendo acqua fresca che questo gli offrì dopo averla fatta giungere lì in una brocca dalla mensa con la magia.

“Non si vede una simile cosa dalla Guerra.” , gli annunciò euforico. “Per quanto non mi sia mai interessato al combattimento quanto alla bellezza, ho sempre ammirato la tecnica ferina del figlio di Morzan in battaglia.”

Ailton annuì distrattamente. “Hai apprezzamento per il Cavaliere Murtagh nonostante tutto quello che abbia fatto.”

“Eragon lo ha scelto come suo Secondo, e ha superato un addestramento con gli Antichi. Non è facile entrare nelle loro grazie o ricevere un perdono, dunque gli credo quando sostiene che le sue azioni passate fossero indotte e imposte.”

Nel mentre, Eragon e Murtagh si erano allontanati da loro per sicurezza, sistemandosi al centro del terreno d’addestramento. Alzarono le spade.

“Niente magia.” , chiese Eragon come condizione. L’altro fece finta di sbuffare ma accettò.

“Niente colpi fatali.”

“Non cercherei di uccidere il mio fratellino dopo aver detto di non voler duellare con te, perché sei sangue del mio sangue.”

“D’accordo, allora sta’ in guardia.”

Eragon fu il primo a menare un fendente, che Murtagh parò con un rumore metallico senza difficoltà.

La loro battaglia era come sempre ad armi pari, tanto che durò così a lungo che Reenan si aggiunse a loro dopo aver preparato la cena, come da suo turno.

“Avete intenzione di continuare a lungo?” , sbuffò con un urlo diretto ai due fratelli.

Murtagh rise, rinfilando la sua arma, Zar’Roc, nel fodero per primo. Eragon lo imitò, avvicinandosi a lui.

Ansimante, gli batté una mano sulla spalla. “Anche se non abbiamo decretato un vincitore, sei ancora tu a prevalere, fratellone.”

Murtagh sorrise. “Te l’avevo detto che non sono diventato un grasso topo da biblioteca, mentre sono rimasto a vivere a Illirea.”

Vi fu un silenzio duraturo, mentre gli osservatori si dirigevano all’interno per la cena.

“Già… vorrei sapere di più della tua vita là. Come va, insomma…” , gli rivelò con dolcezza, in un filo di voce.

Murtagh s’irrigidì. “Normale.” , disse semplicemente in un soffio, andandosene, “A domani, fratellino. Si è fatto tardi.”

Eragon rimase a fissare il vuoto, vedendo suo fratello sparire dietro agli edifici bianchi. Avrebbe voluto urlargli di non andare, o avrebbe saltato la cena, ma sapeva che Murtagh non avrebbe mangiato quella sera, per colpa dei pensieri che gli affollavano rumorosi la mente. Pensieri che lui si sforzava morbosamente di immaginare, ma che con rabbia si ritrovava ad accorgersi di non poter sapere di per certo, finché non sarebbe stato l’altro stesso a rivelarglieli.

 

Lo incontrò di nuovo la mattina dopo, ma Murtagh non volle parlare. Si ritrovarono a osservare compiacenti le abilità di Ailton, senza che il maggiore si aprisse con il minore. In silenzio, per la maggior parte del tempo. A metà del pomeriggio, interrompendo le noiose prove sul nuovo arrivato per entrambi, Murtagh propose che Reenan e Ailton si conoscessero ufficialmente, per iniziare a essere compagni come l’Ordine prevedeva.

I due Cadetti Cavalieri sembrarono andare d’accordo, senza che vi fosse tra loro diffidenza interrazziale. Con gioia di Eragon almeno loro erano fraterni l’uno con l’altro, a differenza di lui e Murtagh. Si promise che, fosse cascato il mondo, il giorno dopo lo avrebbe fermato per parlargli per bene.

 

Si svegliò prima di tutti, praticamente correndo nella mensa per consumare la colazione. Come si aspettava, trovò Murtagh che scacciava la sonnolenza con un decotto bollente e del cibo dolce.

“Buongiorno, fratellone.”

“Buongiorno, fratellino.”

Il suo tono prometteva che avrebbe permesso qualche parola, se non volontariamente almeno per colpa della lentezza della sua mente dopo una notte in cui probabilmente non aveva dormito molto.

“Riposato bene?” , gli chiese sedendosi accanto a lui.

Murtagh scosse il capo, facendo ondeggiare i lunghi capelli corvini e lucenti.

“Immaginavo.”

“Perché?” , scattò il maggiore, alzando il capo.

Eragon squadrò il fratellastro maggiore, sul volto dipinta un’espressione di preoccupazione. “Mi sembri turbato, Murtagh.”

“Tutto regolare.” , mentì sensibilmente il Cavaliere rosso, tornando al suo cibo. Eragon gli posò una mano sulla spalla.

“Dunque dimmi, fratello: come stanno Nasuada e il figlio che ancora deve mettere al mondo? So che l’hai contattata ogni mattina dal tuo arrivo qui.” , lo incalzò il castano con calore.

L’altro scrollò le spalle. “Stanno bene entrambi, anche se sono preoccupato per il bambino.”

“Come mai? Non da segni di essere vivace, nel grembo di sua madre?” , chiese con crescente concerno il fratello minore.

“No, no, anzi sotto quell’aspetto è un bambino che sa essere composto ma al contempo vivace. Il problema sono i sogni che ho avuto su di lui…”

“Sogni? È normale, mi ha sempre detto mia madre - anzi, mia zia Marian - , avere dei sogni in cui ci si immagina il proprio figlio. È meno frequente nei padri, certamente, ma non impossibile che si verifichino. Soprattutto perché ha un genitore che, beh, è impregnato di magia da sempre…”

Il maggiore dei due rabbrividì involontariamente.

“Sì, Eragon, lo sogno quasi ogni notte. E temo che sarà somigliante a mio padre. Non potrei sopportare di vivere e crescere l’immagine sputata di Morzan.”

Eragon impallidì. “Non avrai intenzione di uccidere tuo figlio se dovesse nascere con l’aspetto simile a Morzan, vero?!”

Murtagh scosse il capo con veemenza. “No! Non è questo che intendevo... ho visto immagini di distruzione provenire da quello che sarà mio figlio, una volta adulto… Come se possa essere la reincarnazione di Morzan, la rovina di sua madre e suo fratello maggiore.”

L’altro si spostò una mano sul cuore, ricevendo un’occhiata torva dal più vecchio.

“Eragon... Non crederai certo che lo avrei fatto?” , lo interrogò.

“Scusami davvero, Murtagh, ma non capisco come il tuo stesso padre possa averti aperto la schiena in due con la sua spada, per cominciare! Tuttavia, come potrebbe un bambino cresciuto nell’amore di una famiglia accogliente, divenire come il tuo genitore?”

“Capisco i tuoi dubbi, ma né io né mio figlio diventeremo come Morzan. Non gli farei mai del male solo per un sospetto.”

“Insomma, fratellone, non volevo dubitare del tuo buon cuore! Hai dimostrato di essere diverso da tuo padre, é solo che… gli scatti d’ira possono colpire alla cieca chiunque.”

Murtagh si pizzicò il ponte del naso con le dita, scostando la mano del fratello dalla sua spalla. “No, ho capito... La tua paura mi ferisce un poco, ma è giustificata. Alla fine conoscendo il padre di Morzan non posso certo dire che sia provenuto da una casa violenta e piena di soprusi, e che quindi potesse giustificare le sue azioni di padre e marito. Perciò non posso che dubitare io stesso che rimarrò per sempre un buon genitore per Finiarel e questo bambino.”

L’altro sospirò a lungo. “Non volevo ferirti, nemmeno poco come dici di esserlo. Non dovrei avere questi dubbi nei tuoi confronti, fratello.”

“È normale, Eragon: se dopo la battaglia del Farthen Dur non fossi stato catturato e costretto a passare dalla parte del re, tradendovi in ogni modo possibile, i miei giuramenti di alterità caratteriale dall’uomo che mi ha generato avrebbero un fondamento. Ma i miei gesti traditori mi hanno smentito ancora una volta, istillando in tutti coloro che mi conoscono il dubbio che io non sia davvero la persona che dimostro di essere quando il mio stato non è alterato. Tutti si aspettano di vedere il sanguinoso Cavaliere rosso emergere, eventualmente. Forse anche la mia stessa moglie...”

Il Capo dell’Ordine scosse il capo con veemenza, facendo un salto sulla panca verso l’altro, per cercare contatto con il fratello. “Nasuada non ha dubitato di te nemmeno quando sei riapparso in sella a Castigo, con lo stemma del re sul petto. Non ha dubitato di te quando l’hai rapita, o dopo la Liberazione. Non ha nemmeno mai dubitato che tu potessi essere un buon padre per suo figlio, quando mi ha chiesto di cercarti per ritornare dal piccolo che portava in grembo.”

“Anche Nasuada non è infallibile.”

“Smettila, Murtagh! Ci deve essere una spiegazione per quei tuoi sogni. Potrebbero essere simbolici, o avere un rimando a qualcosa di non così ovvio.” , sbottò il castano.

Il moro scrollò le spalle. “Smettiamo entrambi allora, con i dubbi!” , disse con durezza, “Infatti sono tutti solo timori, i miei. Non ho piantato un pugnale nel ventre di mia moglie perché questo bambino ha diritto di nascere, e che io lo conosca a fondo prima di giudicarlo, o prima di tentare di raddrizzarlo.”

“Giusto, non lasciare che chi non ti ha amato ti allontani da chi ti amerà sicuramente.”

Sospirò. “Hai detto che dovremmo smettere entrambi, tu di autocommiserarti e avere paura ancor prima che le cose avvengano, e io… posso sapere cosa ho fatto per infastidirti e far sì che tu non voglia parlare con me, come invece hai fatto alla tua scorsa visita?”

Murtagh scosse il capo. “Il mio malumore forse mi ha portato a chiudermi in me stesso. Ti chiedo perdono, fratellino.”

Sorrise debolmente. “A volte sei piuttosto insistente, ma per il mio bene.”

“Anche per il mio, devo ammettere. Temevo che proprio quando il nostro rapporto fraterno poteva essere al suo culmine, tu avessi deciso di volermi allontanare dalla tua vita perché per te, per i tuoi figli, io non posso esserci.”

“Non dire sciocchezze! So che se dovessi avere bisogno, tu ci saresti sempre.”

“Per te e per loro. E parlami, dannazione, come hai fatto l’ultima volta!” , lo supplicò.

“Sono trascorsi due mesi. Altri due mesi…” , disse con tono assorto l’altro, all’improvviso.

“Il tempo trascorre inesorabilmente… Ma due mesi da che evento in particolare?”

Murtagh scosse la testa, tornando ritto nelle spalle.

“Voglio esserci per lei.” , decretò il maggiore stringendo un pugno e alzandosi in piedi.

“Di cosa stai parlando?” , chiese confuso l’altro, strabuzzando gli occhi castani.

Murtagh guardò nervosamente verso la cappa appesa a un gancio, a sua volta affisso al muro bianco. “Ha già rischiato la vita per mettere al mondo nostro figlio la prima volta, ma ciò non vuol dire necessariamente che il secondo parto sarà più sicuro. Devo fare in modo di esserle accanto, quando arriverà il momento.”

Eragon si rilassò comprendendo finalmente il ragionamento dell’altro. Si alzò anch’egli, poi sospinse lontano il fratellastro, che lo guardò prima sorpreso poi leggermente torvo. “Perché lo hai fatto?”

“Lo sai, perché.”

Murtagh abbassò il capo, per nascondere la risatina sarcastica. “No, non lo so… Sei deluso da me, forse? D’altronde sto insinuando di voler partire in anticipo per tornare da mia moglie, eludendo i miei doveri verso l’Ordine.”

Eragon gli alzò il mento con un dito, avvicinandosi di un passo. “L’ho fatto perché hai ragione. L’amore verso la tua famiglia è ciò che ti caratterizza. Sei sempre stato fedele e deciso, Murtagh, perciò non sarò io a farti cambiare l’animo per i miei comodi.”

Il maggiore rimase impietrito per qualche istante. “Ma gli Antichi?”

“Ci penserò io a calmarli. In cambio, però, ti chiedo di contattarmi non appena la tua creatura sarà nata, per farmela conoscere.” , fece una lunga pausa che seguì un sospiro, “Pagherei per avere quello che tu hai. È l’ultimo stralcio della mia vita umana di cui potrei non voler del tutto privarmi…”

“D’accordo, ti contatterò il giorno successivo alla nascita del principe - per accertarti che tutto vada a buon fine - . Sei suo zio, dopotutto. È giusto che tu voglia conoscerlo.” , il moro deglutì, “La tua paura è fondata, fratellino. Ma nella vita non bisogna mai dire mai.”

Eragon sorrise caldamente seppur stringendosi nelle spalle, spingendo il fratello poi ancora una volta, invitandolo a partire. Murtagh non se lo fece ribadire di nuovo, lasciandogli un bacio sulla guancia e un abbraccio, prima di volare all’esterno, e poi letteralmente verso Alagaesia, sulle ali di Castigo. Il minore rimase lì fermo a guardarlo con i brividi, pensando a chi Murtagh Morzansson fosse diventato, nei suoi momenti non bui. O forse lo era sempre stato, e lo stava solo tirando fuori. Compiaciuto, pensò che fosse in parte anche merito suo.



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*Angolino ino ino ino dell'autrice*

Ciao a tutti! Buon anno nuovo! Spero stiate bene, e che vi stia piacendo quello che ho pubblicato finora.
Volevo avvertirvi di non perdervi il prossimo capitolo, perché un avvenimento importante si sta avvicinando, come potete immaginare!
Stay tuned!

A presto,
EllyPi

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Capitolo 58
*** Sorellina ***


La giornata fu lunga e stremante per la regina, ormai alla fine della gravidanza del loro secondo bambino. O meglio il terzo, se fosse riuscita a mettere al mondo la prima volta entrambi i piccoli che crescevano dentro di lei, ma uno dei due era morto nel suo grembo, facendo nascere prematuramente l’altro. Le avevano detto che era normale per una primipara, il suo corpo non era mai stato sottoposto a tanta pressione, a tanti cambiamenti, specialmente perché al posto di uno lei portava due piccoli vicino al suo cuore. Cercò di non pensare al piccolo nato morto. La rendeva molto triste e troppo spesso si incolpava di qualcosa che era normale. Moltissimi bambini non arrivano mai a nascere… Tu non sei e non sarai l’unica. Hai un bambino meraviglioso, presto due. , si rassicurò mentre tornava nelle sue stanze. Sapeva che il piccolo Finiarel, di un anno, era intento a legare con suo padre dopo il suo ultimo viaggio, durato meno di due mesi, ma nella vita di un bambino così piccolo significavano cambiare radicalmente, rischiando di perdere il legame con la figura assente. Nasuada era dolente ogni volta che lo vedeva partire, salutare il figlio chiedendogli di non dimenticarlo, ma doveva farlo, doveva dimostrare di essere un uomo fedele alla regina, il vassallo migliore che potesse avere un sovrano.

La gioia più grande era vederlo tornare, riabbracciare Finiarel tenendolo sospeso in aria i primi tempi davanti a sé, per valutare la vistosa crescita durante l’assenza, mentre dall’ultimo periodo, in cui il principe aveva mosso i primi passi, il rito prevedeva farlo camminare per la stanza, osservare la sua stabilità e successivamente la sua abilità di parola. Arrivò all’ingresso dei suoi appartamenti, dei loro, che comprendevano quell’intera ala del castello. Sentì ridacchiare suo figlio e una voce maschile che gli suggeriva di fare piano, probabilmente le stavano tendendo o un agguato o le stavano preparando una sorpresa.

Ruotò la maniglia della porta a doppio battente intarsiata con una fenice e un drago, regalo di Arya a nome del popolo elfico per le sue nozze, o meglio la rivelazione della sua unione con il Cavaliere avvenuta precedentemente sotto il regno di Galbatorix.

“Finiarel?”, chiamò il bambino come ogni sera la regina, entrando nell’anticamera.

Come si immaginava, padre e figlio avevano qualcosa in serbo per lei. Fu però una meravigliosa scoperta: Murtagh tratteneva per le spalle il principe che, non appena fu lasciato dal padre, corse verso la madre senza inciampare. Si arrestò con le piccole braccia allargate afferrando la gonna del vestito della regina e sbattendo poco delicatamente contro le sue gambe.
I genitori sorrisero, e mentre il piccolo si risistemava sulle sue gambe ritrovando l’equilibrio, si scambiarono un saluto mentale per non distogliere l’attenzione dal principe.
Ciao, Murt. È bello averti di nuovo qui…

Ciao, Amore mio. Non vedevo l’ora di tornare. Ce l’ho fatta come promesso, hai visto?

Sì, e te ne sono grata perché so che tu e Castigo avrete tirato il viaggio allo stremo pur di arrivare in fretta.

Ci sono qui io ora, a cercare di dissipare la tua paura per quello che verrà.

Ti amo., concluse lei con gli occhi umidi. La sua condizione la faceva essere molto più emotiva del solito. Non avrebbe rischiato di commuoversi per un gesto gentile, normalmente. Sarebbe stata grata ma non avrebbe versato lacrime inutili: le lacrime erano per i morti, e basta.

“Da quanto riesci a correre in giro, piccolo principe?” , chiese al figlio accarezzandogli i capelli corvini. Dire che era un Fairth del padre sarebbe stato impreciso. Erano talmente identici da poter credere di vedere Murtagh sotto gli effetti di un incantesimo ringiovanente - ma dopo un’estate trascorsa a giocare all’aria aperta, acquisendo una bella abbronzatura - .

“Da oggi. Arrivare prima mi ha permesso di farlo camminare tanto per le stanze che conosce e prendere confidenza con gli spazi e i suoi piedini. La corsa l’ha aggiunta lui, non era stata messa in previsione!” , disse sorridendo il Cavaliere.

Avanzò finalmente anche lui, allora il piccolo si spostò alle sue gambe, tenendosi saldamente ai tessuti di entrambi, prima di lasciare quello dell’abito della madre, come una scimmia che salta di liana in liana. Murtagh gli fece un ultimo complimento, poi spostò entrambe le mani sul ventre gonfio della moglie, addolcendo ancora di più lo sguardo. Ormai grande come un cocomero, la sua pelle era tesa, il volto e i piedi gonfi. Nei loro sguardi si leggeva la consapevolezza che sarebbero stati in tre ancora per poco, ma che erano più che eccitati all’idea di conoscere il piccolo. “Sei bellissima.” , si complimentò in un sussurro.

Nasuada arrossì pesantemente, incrociando le braccia in modo protettivo sotto il seno.

Il ragazzo moro annusò poi nell’aria, distogliendo la sua attenzione dalla moglie.

“È ora di cena! Andiamo, figlio mio, sto morendo di fame. Tua madre farà meglio a seguirci se non vuole ritrovarsi vedova e con due figli orfani di padre”, disse massaggiandosi la sua pancia teatralmente e dirigendosi verso la sala dei pasti privata della famiglia reale. Terminò la frase già nella stanza in cui era stato servita la cena. Nasuada ondeggiò dietro di loro, seguendo il figlio che aveva iniziato a correre sulla scia dei passi del padre. Si sedette al suo posto a capo del tavolo, con accanto Murtagh che si sistemò il piccolo sulle ginocchia, allontanando i coltelli dalla sua portata. Si leggeva nei suoi occhi azzurro-ghiaccio quanto avesse imparato ad amare quel bambino, anche se ogni tanto erano tristi, oppure più probabilmente spaventati di non fare il meglio per quella piccola creatura e, non avendo avuto un padre, le rivelava di avere periodicamente la paura di non sapere come esserlo a sua volta, o peggio di diventare come Morzan. Lei lo capiva, faceva la madre senza mai averne avuta una, ma almeno aveva avuto un padre amorevole, a differenza del suo compagno i cui genitori erano morti molto presto. Sapeva però come fosse un buon padre, e lo rincuorava dicendogli che stesse facendo un ottimo lavoro con il piccolo Finiarel Ruaidhrì, e subito il cielo chiaro dei suoi occhi perdeva le nuvole, tornando sereno.

Quella sera la contentezza del ritorno assieme alla consapevolezza di non poter essere lui quello spaventato, poiché sapeva che la regina iniziava a sentire il timore per il parto - che potesse andare qualcosa storto come la volta precedente - , avrebbero fatto sì che non avrebbe cenato assieme agli occhi tristi di Murtagh, ma assieme alla sua versione migliore e più piacevolmente di compagnia.

“Niente Cavalieri da Feinster?”, si informò la regina tra un boccone e l’altro della cena. Mangiava molto lentamente poiché la fame le era scemata gradualmente con la crescita del suo ventre, non avendo molto spazio per il cibo, dovendolo lasciare al nascituro.

Fortunatamente no, oserei dire. Questa volta speravo proprio che non si schiudessero uova. I Cavalieri possono aspettare. Tu, Finiarel e il piccolo che sta per nascere no. Non sarei mai arrivato così velocemente purtroppo con un Cavaliere alle prime armi e un drago nemmeno in grado di volare. E poi lo avrei dovuto inserire a corte, introdurlo a te e magari ad un neonato. No, meglio così, voglio concentrarmi sulla nostra famiglia per questo tempo.”, rispose dopo aver ingoiato il boccone che stava masticando. Il bambino sulle sue gambe continuava nel mentre a mettersi piccoli pezzi, afferrati dal piatto del Cavaliere, in bocca. Sembrava apprezzare una torta ripiena di verdure e carne, in particolare.

Nasuada guardò il marito, colta dalla realizzazione che non poteva fisicamente essersi recato oltre i confini d’Alagesia e poi fino a Feinster, in così poco tempo. Era tornato prima per lei. Un po’ la faceva sentire apprezzata e speciale addirittura più di sapersi essere la figura più importante del paese, e dall’altra la sua negligenza la irritava. La sua presenza dipendeva dal compimento dei suoi doveri, d’altra parte. Murtagh pulì il volto del figlio con il proprio triangolo di stoffa. “Ecco, da bravo principe. Devi imparare ad essere pulito mentre mangi, non vorrai mica fare sfigurare tua madre e tuo padre al tuo primo banchetto ufficiale?” , gli disse lasciandogli una carezza sulle guance nemmeno troppo paffute.

“E tu, come stai? Hai avuto qualche segnale dell’avvicinarsi del parto?” , le chiese voltandosi finalmente a guardarla, prestando tutta l’attenzione alla moglie. Nasuada si riscosse dai suoi pensieri, riassumendo il suo volto illeggibile.

“No, ma grazie per avermelo ricordato, dopo essere riuscita a toglierlo dalla mia mente per ben mezz’ora!”, scherzò la regina.

“Non ho notizie di mia moglie e della sua condizione perché a causa della distanza preferisco non parlarne - per evitare di rimarcare troppo l’argomento e rischiare di causare maggiore preoccupazione di quella che già non è comprensibile che tu abbia - , perciò almeno ora che sono qui vorrei sapere come state, per cortesia!” , si lamentò lui.

“Hai ragione. Stiamo bene, il piccolo cresce e scalcia. A volte mi sembra di essere diventata talmente grossa da non avere più l’attenzione dei miei interlocutori.”

“È solo una tua impressione. Sei sempre tu, sempre bellissima” , la rassicurò alzandosi a baciarla.

Jormundur nell’angolo si schiarì la voce, come ogni volta che i due sposi si mostravano minimamente affetto. Murtagh si staccò divertito da quel semplice accostamento di labbra che era stato il loro bacio e si portò il bambino all’altezza delle spalle, che gli cinse il collo con le braccia. Nessuno stava più mangiando.

Aiutò Nasuada al alzarsi, con la mano che non sorreggeva la schiena del principino, per evitare che cadesse, nonostante lui fosse aggrappato alla sua casacca. “È ora di dormire per Finiarel.”, sentenziò dirigendosi verso la stanza del piccolo, mentre lui sbadigliava dolcemente. Ricevette un bacio dal padre.

“Anche per due genitori provati da una lunga giornata” , aggiunse la regina.

Fecero estremamente piano ad aprire la porta che portava alla stanza del piccolo, perché si era già addormentato nel tragitto, in braccio al padre, forse per la corsa del pomeriggio e forse aiutato dalla pancia piena di torta di carne e verdure. Venne posato delicatamente nel letto con sponde in legno, e madre e padre gli posarono un bacio sulla fronte, dandogli poi un ultimo augurio per una notte serena, dopo di che uscirono accostando la porta.

Murtagh lanciò in pochissimo tempo i vestiti del viaggio, in duro cuoio color vinaccia, sulla poltrona dello scrittoio appartenente alla moglie. Si tolse anche il resto degli indumenti, rimanendo a dorso nudo.

“Ti proibisco di lavorare stasera, quello non ti servirà” , disse sorridendole scherzosamente, anche se lo aveva fatto per coprire la noncuranza con cui aveva abbandonato gli abiti in disordine, quella sera. Si spostò verso il catino, per rinfrescarsi il collo, e le sorrise ancora - addirittura più caldamente di prima, per quanto possibile - attraverso lo specchio. Qualcuno era tornato di buon umore, o lo era diventato rivedendo la propria famiglia, notò la regina. Gli chiese poi di aiutarla a uscire dal vestito e lui armeggiò per un po’ con fili e gancetti del corsetto sostenitore - creato apposta per lei per quella sua condizione - lasciandole baci di tanto in tanto sulla schiena e sulle spalle. “Sono tornato dalla più bella delle mogli.” , mormorò sfiorandole la pelle, bloccandosi appena. Alzò le mani per difendersi, ancor prima che lei pensasse di attaccarlo per quanto detto. “Non che io ne abbia altre, sparse per Alagaesia! Ti giuro che le mie assenze sono dovute solamente all’assoluzione delle tue richieste.” , si giustificò ridacchiando tra sé.

“Come mai così allegro?”, gli chiese voltandosi verso di lui e infilandosi la camicetta per la notte. Lui le prese il volto tra le mani, le toccò la mente con la sua e le fece vedere tutti i momenti del viaggio in cui aveva pensato alla sua famiglia, al loro incontro, al loro bambino tra le braccia. “Tu sai il perché” , concluse con quella frase che era diventata una scherzosa ricorrenza, lasciandole il volto si avvicinò al letto per poi lasciarsi cadere come senza vita a braccia alzate.

La regina lo seguì, si sistemò sotto le lenzuola e sulla spalla del marito, che intanto si era sistemato in modo consono al decoro della corte, sui cuscini e sotto i sottili tessuti in seta. Quella notte non avrebbe dovuto sistemare i guanciali sotto il suo ventre e tutt’attorno, per dormire comodamente, perché suo marito era lì con lei, ad accarezzarle la pancia gonfia appoggiata sul suo torso.

 

“Credi sarà una bambina o un bambino?” , le chiese a un tratto, nel buio della notte, mentre le disegnava cerchi con l’indice sul grembo teso.

“Non saprei, ma non tarderemo a scoprirlo” , rispose senza fiato a causa di una contrazione. Erano incominciate appena si era distesa a letto per riposare. Fortunatamente erano ancora molto lontane l’una dall’altra, ma Murtagh era già andato ad avvertire i guaritori e le levatrici perché stessero in allerta quella notte, poi era tornato da lei per accarezzarla e tranquillizzarla.

Il suo abbraccio stava riuscendo abbastanza bene a far sì che il panico, dovuto al pensiero che potesse uccidere suo figlio nel suo grembo un’altra volta, non l’attanagliasse.

Non accadrà, ci sono qui io…, continuava a ripeterle il Cavaliere ogni qualvolta tornasse sullo stesso pensiero oscuro. Gli occhi del marito, però, erano colmi di preoccupazione che a Nasuada non sfuggì. Si focalizzò sugli esercizi di respirazione elfica, finché il sonno non la colse, mentre Murtagh le raccontava come si immaginava il piccolo. Quando si accorse del suo lieve respiro pesante, fece un sorrisetto e tacque, rimanendo semi-sveglio per aiutarla in qualsiasi modo, in caso di bisogno. Alla fine anche lui crollò, pensando di avere bisogno in seguito delle forze per rimanere sveglio con la moglie, quando il piccolo avrebbe deciso di arrivare.

 

 

La notte riuscirono a dormire abbastanza bene, svegliati ogni due ore circa da una contrazione. Solo arrivati in prossimità dell’alba incominciarono a ravvicinarsi, fino ad essere a qualche minuto l’una dalle altre. Murtagh andò a chiamare Farica perché si occupasse di svegliare tutti quanti avrebbero dovuto assistere per legge al parto reale, e le diede l’incarico di portare Finiarel, non appena si fosse svegliato, da loro, o di destarlo nel caso il parto fosse in procinto di terminare. Il suo bambino non sarebbe più stato il piccolo della famiglia, pensò Nasuada stupita mentre si accarezzava distrattamente il ventre gonfio. La dama andò ad allertare i guaritori e le levatrici, che raggiunsero l’anticamera del talamo reale assieme ai primi nobili e cortigiani con rango maggiore. Le più alte figure giuridiche del regno erano anche loro assonnate ma presenti. Non essendo permesso loro l’ingresso per nessun motivo in quella stanza, il Cavaliere accompagnò la moglie fuori dal Talamo, in una delle tante vuote dei loro appartamenti, e la folla esultò nel vederla emergere in quello stato che avrebbe fortunatamente dato un erede al regno, poi li seguì dentro in una vociferante processione. Regina e marito aspettarono, ignorando gli spettatori nella stanza - quasi duecento persone tra nobili, giuristi e levatrici - , parlando di governo e aggiornandosi sugli ultimi mesi passati separati, che il parto entrasse piano piano in una fase attiva. Il loro primo bambino era nato in circostanze d’emergenza e segrete, perciò Nasuada dovette trattenersi quanto meglio potè dal sembrare infastidita dalle figure che si avvicinavano, alzandole le lenzuola appoggiate sul suo ventre - alcune addirittura la camiciola da notte - , a cui non era abituata. Vennero bruciati incensi e proferiti auguri perché partorisse un erede forte e degno di succederla. Alcuni scranni furono portati all’interno per permettere ai lord e alle lady più anziane di sedersi, sistemati proprio in prima fila. Flaithrì venne accompagnato da Maeve e si sedette accanto a lady Lorana, che si lamentava di quanto stesse durando quel parto. Come si immaginava, l’attenzione era totalmente incanalata sulla creatura dentro di lei, il ruolo che aveva già prima di nascere, e di lei solo Murtagh e le levatrici si curavano. Ma questo le bastava, perché il Cavaliere era sdraiato sul fianco assieme a lei nel letto, e la teneva stretta tra le sue braccia nella parte superiore, lasciandole baci e parole dolci all’altezza del collo.

Quando il momento più importante del parto arrivò, Farica scomparve dal suo fianco per andare a svegliare il principe. Non essendo stato presente nessun ufficiante di giustizia alla nascita del futuro re di Alagaesia, si era accordata con loro per ‘legittimare’ il suo arrivo attraverso quello del secondo bambino. Finiarel fu messo nelle braccia del padre e finalmente a Nasuada venne suggerito che era tempo di iniziare a spingere, seguendo le contrazioni che le mozzavano il respiro.

Ad ognuna la regina poteva vedere il volto del marito contrarsi, impallidire, poi fingere un sorriso incoraggiante all’incrociarsi dei loro sguardi, anche se i suoi occhi tradivano tensione. Nella sua testa tutto vorticava, e fortunatamente il mondo si muoveva troppo velocemente per lasciare spazio alla preoccupazione per la sorte del suo bambino o la sua, o per accorgersi del fastidioso vociare dei troppi presenti e del pianto imitativo e nervoso di Finiarel, nel vedere sua madre soffrire e lacrimare, anche se involontariamente, per lo sforzo. La pressione e il dolore che derivavano dal parto e da quella situazione la stavano dilaniando, ma presto avrebbe stretto suo figlio tra le braccia, il suo prezioso pargolo. Si fece forza, spronandosi da sola a resistere fino alla fine, a stento udendo le frasi di Murtagh pronunciate ad alta voce, quasi gridando.

In fondo non stava andando male, le avevano detto. E quello lo aveva sentito chiaramente, come un segnale degli dèi, facendo accantonare ancora di più la preoccupazione.

“La regina sta per partorire!” , gridò la levatrice più esperta, emergendo dal telo bianco posto sopra di lei. I presenti si strinsero, accalcandosi a poca distanza per permetterle di completare il lavoro ed evitare che l’erede soffrisse di qualche complicanza - perché la donna in carico di prendersi cura di lui appena dopo la nascita, non aveva spazio sufficiente per medicarlo e separarlo dalla madre - .

Due ore e mezza dopo essere entrata in fase attiva del parto, nella stanza si udì un vagito di un neonato. Nasuada, stremata dalla notte di travaglio, si lasciò cadere sui cuscini dietro di lei, il Cavaliere prese ad accarezzarle i capelli con la mano libera, gli occhi lucidi di commozione. La folla si sporse per vedere e, con paura crescente della regina, le loro facce si trasformavano tutte da speranzose a... contrariate? Non riuscì a vedere bene, perché lo sguardo le si annebbiò per la fatica e il sudore, ma il suo cuore prese a battere così velocemente per la paura, che temette si sarebbe fermato, e così sarebbe stata la sua fine. Iniziarono a medicarla con un fungo raccolto dal grano - capace di far accelerare le contrazioni dopo il parto e così evitare un’emorragia che l’aveva quasi uccisa dopo la nascita del suo primogenito - e a lavare la bambina e, quando fu pronta, Murtagh si rifiutò di essere il primo a tenere in braccio la piccola, dicendo che spettasse di diritto alla regina. Aveva gli occhi lucidi, i capelli scompigliati per tutte le volte che vi aveva passato nervosamente le mani in mezzo, ma era visibilmente radioso, non sembrava arrabbiato. Le venne così appoggiata sul seno una tenera creatura rossa e scalciante. Il Cavaliere allora si avvicinò, le posò un bacio sulla bocca e benedì poi la neonata nell’Antica Lingua, sussurrando così vicino da sfregare le loro labbra assieme, senza separare le loro fronti per qualche istante lungo ed emozionante. Vedere sua figlia, nata perfettamente sana e forte tra le sue braccia, fece commuovere anche la regina, oltre al Cavaliere.

Ce l’aveva fatta: la loro bambina stava bene, mentre il loro primo bambino cresceva in salute e in intelligenza ogni giorno di più. Non aveva ucciso la piccola, il suo corpo aveva collaborato bene.

Ti avevo detto che non eri sbagliata, Amore mio. , la rassicurò il marito, nel privato delle loro menti. Quando la levatrice si scostò da lei, prendendo tra le braccia solamente panni appena rosati - indicanti che non aveva perso eccessivo sangue - e consegnandoli alla più giovane di loro, andando a ritirarsi in un angolo, Murtagh sospirò sollevato e il suo volto si fece meno pallido. Nasuada alzò appena gli occhi dalla neonata, per guardare gli altri due membri della sua famigliola. Finiarel piangeva ancora, ma nonostante il rossore del pianto, era perfetto quanto suo padre, e ora quanto la piccola.

“È bellissima.” , continuava a ripeterle Murtagh, senza riuscire a smettere di guardarle entrambe.

I loro capi si unirono di nuovo, e la moglie usò il suo come un gatto per accarezzare il marito, avendo le braccia occupate.

“Sei contrariato?” , gli chiese in un sussurro, a un tratto.

Lui capì si riferisse alla bambina, e scosse il capo con forza, accarezzandola con le dita libere.

“Non potrei mai, è splendida quanto te.”

“Avrei detto che è bella quanto suo padre.” , mormorò Nasuada con un sorrisetto. Non sapeva se lasciarsi sopraffare dal pianto o se scoppiare a ridere, tanta era la gioia in quel momento.

L’ufficiale si avvicinò per ispezionare la piccola, decretando che fosse una bambina perfettamente formata, poi guardando il primogenito sistemò la questione in sospeso, convenendo che fossero vistosamente e indubbiamente fratelli. Si congedò poco dopo con un sorriso e un complimento. Nasuada scoppiò in lacrime copiose.

 

La piccola e la regina smisero di piangere assieme, una volta che si furono calmate, una avendo superato la propria paura e l’emozione iniziale, l’altra essendo attaccata al seno della madre per il suo primo pasto.

Murtagh era seduto accanto alla moglie nel letto e guardava la figlia rapito, come aveva guardato di nascosto, quella sera, al tramonto, Finiarel sulle scale della casa del cugino Roran, quasi due anni prima. Un raggio di sole dell’alba illuminò la stanza, attraverso le finestre di vetro decorato al piombo. Nasuada alzò il capo, guardando a destra e a sinistra, in un sospiro meravigliato. Era proprio una mattina perfetta. La bambina si mosse placidamente tra le braccia della giovane dalla pelle scura, come a godersi il lieve tepore maggiore che la luce aveva portato con sé, poi sorrise per la prima volta, precocemente.

“Benvenuta a questo mondo, piccola Órlaith*” , la salutò la regina sfiorandole le guance con la punta delle dita. Murtagh guardò fuori dalla finestra sorridente, e in lontananza Castigo ruggì nel cielo avendo saputo mentalmente la notizia della nascita, dal Compagno. I nobili intanto intrapresero il loro corteo di congratulazioni e auguri falsi alla bambina - essendo che tutti avrebbero preferito un altro erede maschio - , a cui i coniugi risposero con sorrisi di cortesia e formule eleganti, sopportando quella sofferenza finché l’ultimo non fu uscito, lasciandoli finalmente soli con la nuova nata. Solo Flaithrì si era inchinato a loro e sincere lacrime di gioia avevano ticchettato sul pavimento. Teneramente, non era riuscito a dire nulla: ci aveva provato, ma tutto quello che era uscito dalle due labbra increspate era un mugugno indistinto, poi un lamento seguito da altre lacrime di gioia, talmente fitte che non gli lasciavano vedere nulla. Elessari l’aveva scortato fuori, sorridendo a tutti denti alla coppia reale.

Finiarel, che non aveva compreso perché un risveglio così improvviso, per poi essere catapultato in una stanza piena di gente euforica e la madre urlante e sofferente, continuava a frignare in braccio al padre premendogli la testolina sulla spalla. Nel silenzio della stanza, si udiva solo lui. Allora Nasuada si maledì per non averlo quasi notato, dal suo arrivo. Non gli aveva rivolto nemmeno una parola di conforto, non lo aveva rassicurato di stare bene. Aveva avuto in mente solo la seconda nata.

Nasuada, mia regina, smettila con questi pensieri. Il tuo cucciolo più grande sta bene. , l’ammonì Castigo, poi congratulandosi.

Murtagh fece sussultare il principe tra le sue braccia leggermente, cullandolo.

“Finiarel, smetti di piangere, calmati… va tutto bene. Vieni a conoscere la tua sorellina.” , gli disse con tono rassicurante, facendolo voltare verso il letto su cui la madre con la neonata era abbandonata. Lui rallentò finalmente il ritmo del pianto, sentendo anche la madre parlargli e si sporse verso la creatura rossastra per vedere cosa fosse, con i suoi occhietti improvvisamente vispi e curiosi. I genitori sorrisero involontariamente alla spontaneità di quel piccolo essere, che prima piangeva preoccupato e subito dopo riusciva a trovare il coraggio di guardare con curiosità qualcosa di nuovo. Borbottò qualcosa nella sua lingua ancora non ben sviluppata da bambino, e il padre gli prese una manina per guidarlo in una carezza alla neonata. Il principino sbarrò inizialmente gli occhi, quando la piccola si mosse, ma sembrò comunque apprezzare il gesto che gli aveva fatto scoprire il padre, perché continuò numerose volte successivamente, sempre controllato a vista perché non la colpisse con forza. “Senti come sono morbidi i suoi capelli, figlio mio?” , continuò a dirgli Murtagh.

Nasuada li guardò con amore, chiedendo al Cavaliere di sporgere il bambino verso di lei. Gli diede un bacio sulla guancia morbida, riempiendosi le narici del suo odore dolce, ma che sapeva anche di Murtagh per la vicinanza. Anche la bambina presto avrebbe avuto quella meravigliosa fragranza? Probabilmente, si rispose, perché il padre dei due piccoli non era certo tirchio negli abbracci. Fosse stato per lui, Nasuada avrebbe dovuto lottare contro la legge non scritta della corte, che imponeva ai genitori nobili di dormire separati dai loro piccoli, per uno strano concetto di pudore. Quando Finiarel decise che era stanco di accarezzare la sorella - facendolo capire ritraendosi verso la spalla del padre - il Cavaliere si alzò lasciando un bacio alla moglie e alla neonata, per prendere il suo ruolo di sostituto nelle mansioni del giorno della regina, portandosi via il primogenito per lasciarle riposare.

“Vi amo” , disse con un grande sorriso, voltandosi indietro sulla porta.

 

 

 

*N.d.A.: il significato del nome, in lingua umana (non quella comune) è “principessa dorata”

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Capitolo 59
*** Doveri ***


Murtagh arrivò nello studio della moglie senza accorgersi del percorso, grazie all’euforia e l’immensa gioia per la nascita del loro cucciolo, una bambina! Non aveva mai immaginato davvero che potesse non essere un maschio, ritrovandosi così stupito nel vedere la delicata creatura dalla pelle leggermente abbronzata e i capelli corvini. Era nata serenamente, a differenza del primogenito, perciò a parte il rossore iniziale della sua pelle si poteva notare già la somiglianza dei due fratelli. Nonostante fosse solo una neonata il Cavaliere la trovò semplicemente bellissima. Aveva sentito in lui nascere qualcosa di simile all’amore che provava per la moglie nel sapere di avere una bambina, lui non odiava le donne, non le considerava oggetti, anzi, era contento di aver contribuito nel mettere al mondo la figlia di Nasuada, magari la degna erede di una madre tanto forte e coraggiosa. Fu sollevato inoltre che quella che credeva una profezia sul suo secondogenito fosse solo uno scherzo della sua mente. Era nata una bambina, non un potenziale fratello minore geloso e omicida. Nè tantomeno erano i suoi occhi policromi come quelli di Morzan. Si sedette alla scrivania, sistemandosi il bambino maggiore sulle gambe, che sembrava doversi appisolare vista la lentezza con cui le piccole palpebre dotate di lunghe ciglia nere andavano ad unirsi. Murtagh sorrise per la dolcezza di quel volto assonnato, lo stesso che aveva avuto anche la neonata dopo il suo primo pasto. Si sistemò davanti le prime pergamene controvoglia, avrebbe di gran lunga preferito non perdersi un solo istante della piccola Órlaith, poterla osservare negli occhi, sussurrarle quanto amasse lei e sua madre, eppure aveva dei compiti che doveva assolvere e li avrebbe portati a termine per non caricare Nasuada al ritorno ai suoi doveri. Umérth entrò seguito dagli altri membri del Consiglio degli Anziani, Flaithrì appeso come sempre a Elessari. Si congratularono sinceramente con lui ed estrassero un documento per registrare la nascita della bambina. “Presentate al Consiglio il nome di vostra figlia, Cavaliere, in modo che possa assumere il titolo di principessa che le aspetta.” , lo incalzò il cancelliere del gruppo.

“La principessa si chiamerà da oggi in poi Órlaith Nadara Selena Nasuadasdaughter Murtaghsdaughter.” , rispose il ragazzo con emozione, ripensando alla piccola che finalmente aveva conosciuto.

Jormundur alzò un sopracciglio. “Non v’è bisogno anche del vostro nome, Cavaliere.”

“È mia figlia, avrà - come suo fratello maggiore - sia il nome di sua madre, sia il mio.”

L’altro sbuffò lievemente, stanco per essersi svegliato prima dell’alba come tutti. “Dovreste essere meno possessivo con la principessa, dato che è proprietà della regina.”

“Sono conscio di essere l’unico padre a non avere l’esclusiva proprietà dei figli, facendo di me lo zimbello dei nobili, perciò posso almeno avere l’onore di vedere il mio nome sulla mia bambina?” , li provocò, “Poi, vorrei non si parlasse di lei come una proprietà. È un essere umano libero come tutti noi.”

“Libero? Se non la ritenete vostra proprietà, dunque come pensate di trovare il diritto di poter decidere per lei fino a quando non la consegnerete a suo marito?” , chiese Umérth allibito.

Murtagh si accigliò. “Avrò il diritto di decidere per lei finché non sarà adulta e matura per farlo da sé, esercitando lo stesso diritto che ho avuto di metterla al mondo. Dopo di che la lascerò libera di scegliere per sé, pur sempre rispettando le regole di buona creanza che le trasmetteremo.”

Fu Elessari a troncare il battibecco, nascondendo un sorrisetto sornione. “Abbiamo permesso uno strappo alla regola con la nostra regina, chiamandola Ajihadsdaughter, non vedo perché non dovremmo fare lo stesso con la principessa…”

“La madre della regina Nasuada non era conosciuta a nessuno, ecco perché.” , protestò Falberd.

“Ma era comunque una principessa. Aveva un titolo importante così come il nostro Cavaliere qui presente.” , ribadì Elessari.

“Avreste posto tutti questi dubbi se ci fosse stato Eragon al mio posto?” , rincarò Murtagh.

Ricevette un’occhiata obliqua sia da suo nonno, sia da Umérth.

Alla fine, questo accettò il doppio cognome.

“È nata il diciottesimo giorno del quinto mese dell’anno?”

“Lo confermo, è nata stamattina. All’incirca due ore dopo l’alba.”

“Molto bene. C’è altro che dobbiamo sapere?”

Murtagh ci pensò un istante, poi annuì. Con sorpresa, Umérth alzò un sopracciglio per invitarlo a proseguire. “Vorrei che fossero preparati tutti i documenti necessari per garantirle anche un’eredità.” , proferì Murtagh distratto dalle pergamene davanti a lui. L’uomo aggrottò le sopracciglia. “La principessa non potrà avere pretese sul trono di suo fratello per legge. E se questi dovesse essere succeduto, lei verrà saltata in linea dinastica in favore di altri eredi che - mi auguro - darete al regno in futuro, voi e la nostra regina.”

Murtagh scosse la testa. “Ne parlerò con mia moglie di questo. Alagaesia ha perso più uomini in battaglia di ogni previsione. Intere famiglie di lord sono rimaste solo con le loro fanciulle. È necessario che anche una donna possa ereditare ciò che le aspetterebbe di diritto per nascita. E lo stesso farà mia figlia.”

“Cavaliere, non potete infrangere la legge.” , lo ammonì Jormundur. Flaithrì aprì la bocca, ma non fece in tempo a parlare.

“Tuttavia mia moglie può cambiarla. D’altronde lei è una regina senza un re, e non è meno valida di un uomo. Per lo stesso motivo, mia figlia entrerà in quella linea dinastica a ogni costo, e sarà la prima principessa a farlo.”

“Forse potremmo cambiare la legge con la clausola che, la bambina in questione - che si vuole poter reclamare i diritti sull’eredità, al pari di un fratello maschio - abbia un promesso sposo al momento della richiesta.”

“Non mi metterò a valutare rampolli per la mia bambina, nata da nemmeno un’ora - siccome vi posso giurare che mia figlia avrà al più presto questo diritto - ! Ora, se volete essere così cortese, lord Umérth, da redigere un documento in cui si attesta la mia volontà di donare a mia figlia in eredità tutto il ducato di Dras-Leona, ve ne sarei immensamente grato. Inizieremo con questo, poi passeremo al vaglio l’inserimento nella linea dinastica di Órlaith.” , disse Murtagh con tono secco, che non ammetteva repliche. Suo nonno sorrise.

“In dote?” domandò il redattore. Il Cavaliere lo fulminò con lo sguardo. “No, nessun altro metterà mano su quello che è di mia figlia, tantomeno un futuro marito. Perciò una dote non è certo la soluzione adatta per garantirle potere e ricchezza in eterno. Voglio che il ducato sia ceduto a lei in eredità e che non possa essere a sua volta ceduto a nessuno, se non ai suoi futuri figli, e in caso dovesse non averne mai, tornerà al fratello o a me!”

L’uomo fece quanto richiesto con riluttanza. “Una volta adulto, vostro figlio sarà scontento di sapersi privato di un suo diritto.”

“Spiegheremo a nostro figlio quanto questo mondo sappia essere crudele con le donne, e capirà che quanto vi chiedo oggi sia un gesto di un padre che vuole donare alla figlia una vita agiata e con sicurezze.” , replicò seccato il giovane moro.

“Tuttavia avete ceduto a vostra moglie il vostro ducato, sarà necessaria anche la sua firma.”

“Vedete perché non voglio che nessuno possa mettere mano a ciò che è suo?! Non credo che Nasuada avrà obiezioni a riguardo, comunque.” , ribadì Murtagh e lesse attentamente il documento prima di apporvi la sua elegante firma.

Successivamente, congedò i Consiglieri. Flaithrì rimase però nella stanza, tremando leggermente sulle gambe. Murtagh si alzò e gli andò di fronte.

Suo nonno gli sorrise nuovamente, prendendogli un braccio con forza. I suoi occhi azzurro-ghiaccio velati da una patina biancastra erano lucidi di lacrime. “Congratulazioni, figliolo.” , sussurrò. Murtagh gli diede un bacio su una guancia. “Vi ringrazio. Siete contrariato che sia una bambina?”

L’altro s’irrigidì, scuotendo il capo con veemenza, rischiando di perdere l’equilibrio. Il nipote lo afferrò con il braccio che non teneva il principe, per renderlo di nuovo saldo sulle sue gambe scarne. Flaithrì si leccò le labbra. “No, non potrei. Ho sentito dal suo primo pianto quanto vi renderà orgogliosi.”

Murtagh si rizzò di nuovo in tutta la sua altezza. “Ho una domanda: diventerà per caso un Cavaliere anche lei?”

L’anziano si grattò il mento. “Se non hai dubbi che il sangue nelle sue vene sia il tuo, allora sì.”

“Certo che è mia figlia! I presenti se non l’avessero vista uscire proprio dal ventre di Nasuada avrebbero piuttosto dubitato della sua maternità, non certo della mia paternità!”

Flaithrì sorrise. “Allora il suo destino rispecchierà la potenza del suo vagito. Hai fatto un gesto molto saggio prima, anche se ti priverai della tua eredità.”

Murtagh alzò le spalle. “Non mi è mai importato delle terre di mio padre, a essere onesto. So che il castello che governa quei terreni è spaventoso e nessuna principessa vorrebbe mai andarvi a vivere, ma è il ducato più ricco del paese e le sarà utile essere già dalla nascita l’arciduchessa di Dras-Leona, oltre alla principessa.”

“Mi impegnerò per spalleggiare Nasuada nella vostra richiesta di cambiare la legge a favore della bambina, quando si sarà rimessa in forze e ritornata alle sue mansioni.”

“Vi ringrazio. A volte non capisco come il consiglio che prima governava una fazione ribelle e governata da leggi talvolta discordanti da quelle ufficiali del regno, possa essere così bigotto.” , si lamentò il giovane.

Flaithrì scrollò le spalle. “Stanno - stiamo - cercando tutti di unire due realtà: i Varden con le loro viste liberali e il regno, con i suoi nobili e il popolo così attaccato alle regole e alle tradizioni. Non è facile, e non si può imporre certo il pensiero Varden a tutti, così come è stato per il governo, nipote.”

“Si rischierebbe la guerra civile e le rivolte.” , ragionò il giovane.

“Tuttavia non credo che, avendo attualmente una regina donna di elezione, sarebbe un grave scandalo modificare le regole di successione.”

“In tutto il paese?” , chiese speranzoso il Cavaliere.

Flaithrì scosse il capo. “Un passo alla volta. Tu e tua moglie arriverete anche a quello, ma prima dovete sradicare le poche leggi rimaste in alcuni territori che impediscono alle donne di avere alcuna possessione. Senza il diritto a possedere, anche avere quello di successione sarebbe invano. Quale tenuta, castello o dimora può essere ereditata da una donna a cui per legge non è permesso possedere alcunché? La sua eredità verrebbe automaticamente trasmessa al marito o al fratello.”

“Oh, capisco.” , commentò il giovane, “Anche il motivo per cui Nasuada vi ha ammesso nel Consiglio.”

Flaithrì si rizzò nelle spalle, anche se il gesto d’orgoglio gli costò fatica. “La mia - la nostra - famiglia tramanda di generazione in generazione l’abilità di comandare popoli. Ed essendo anche sangue di Cavaliere, siamo propensi più di tutti gli altri sovrani a ricercare il benessere dei nostri sottoposti.”

“Devo davvero prendere lezioni da voi per essere un buon consorte per una regina.” , si promise allora.

Il nonno annuì, poi si complimentò un’altra volta e si congedò dicendo di voler andare a parlare con la madre della bambina per poter tenere un po’ la piccola.

Maeve entrò tempo dopo nello studio bussando, con un vassoio in mano con la colazione a base di porridge per il Cavaliere e frutta cotta morbida per il principe. Spostò le carte davanti al ragazzo dopo che lui con un cenno del capo le diede il permesso, impegnandosi a svegliare quanto più dolcemente il bambino addormentato e abbandonato su un suo avambraccio muscoloso. Notò la donna guardarlo con un luccichio nei suoi occhi castani, come se fosse in procinto di piangere. “Qualcosa ti turba, Maeve?” , chiese lui dopo che il bambino si fu svegliato e smise il suo breve pianto perché disturbato per la seconda volta in quel giorno nel sonno. Lei si asciugò velocemente le lacrime, poi si passò le mani sulla gonna per togliere le pieghe, ma il Cavaliere non si era perso nulla. Alzò un sopracciglio inquisitorio. La domestica scosse la testa. “Sono solo molto emozionata per la nascita di una nuova vita, mio signore. Ora avete due figli e mi sono tornati in mente i miei…”

Il cuore del ragazzo moro si strinse. “Mi dispiace moltissimo”

“Non vi preoccupate, sapevo che sarebbe arrivata questa sensazione quando ho iniziato a notare la condizione di vostra moglie. Non ho potuto veder crescere i miei figli, spero ora di poter essere in qualche modo utile per accudire i vostri” , rispose lei con rassegnazione, alzando le spalle. Il Cavaliere si alzò, le porse Finiarel sapendo che le avrebbe giovato il contatto con un bambino.

“Potresti allora iniziare facendo mangiare la sua frutta a questo bambino disubbidiente”

“Con piacere” , rispose lei sorridendo e prendendo la ciotola con la purea, prima di sedersi in un angolo della stanza con il bambino in grembo. Murtagh iniziò a mangiare distrattamente il suo porridge leggendo altri documenti al contempo, e osservando con la coda dell’occhio la domestica che si faceva piacere al principe a tal punto da riuscire a infilargli il primo cucchiaio in bocca senza che lui si rifiutasse. Il padre sorrise ancora: nulla avrebbe potuto turbarlo in una giornata tanto stupenda, né i Consiglieri, né la pila immensa di pergamene e conti da terminare. O almeno così credeva, fino al pomeriggio. Murtagh Morzansson non avrebbe mai potuto avere una vita veramente tranquilla, non avrebbe mai avuto la grazia di godersi indisturbatamente la sua famiglia. Il destino aveva sempre in serbo per lui un colpo allo stomaco, ogni volta in arrivo quando meno se l’aspettava.

 

Finì i conti delle tasse ricevute da una cittadina, quando fu richiamato al mondo esterno da Maeve.

“Cosa?” , chiese lui non avendo sentito.

“C’è una siofra che cerca vostra moglie, dice di essere una ríoghan” , ripetè lei facendosi scappare la lingua umana nordica. Il Cavaliere scostò le carte, prendendo lo specchio tra le mani.

“Arya?” , chiamò il ragazzo cercando di ripristinare la comunicazione attraverso la superficie riflettente. L’elfa dai capelli corvini come i suoi riapparve qualche istante dopo, lo sguardo dolente in presagio di notizie funeste. Lo salutò nell’Antica Lingua, chiedendo poi di Nasuada.

“Nasuada oggi è a riposo, posso riferirle io quanto devi comunicarle.” , rispose lui facendo cenno all’ancella di lasciarlo solo nella stanza.

L’elfa parve confusa dall’assenza della regina. “Sta male per caso? È successo qualcosa?” , si informò improvvisamente preoccupata.

Il Cavaliere cercò di sorriderle, accantonando il presagio di brutte notizie. “No, proprio stamattina è nata nostra figlia. Per questo motivo siamo riusciti a tenerla a riposo, almeno per qualche giorno.”

Lei si fece stranamente cupa. “Oh, congratulazioni. Vorrei che anche il mio popolo potesse così frequente avere dei nuovi nati.”

“Se solo accettasi la proposta della legalizzazione dei matrimoni tra i nostri popoli forse il sangue elfico non andrebbe estinguendosi.” , sbottò lui.

“Non sta a te dirmi cosa fare. Ne riparlerò con la tua regina appena si sarà ripresa, riguardo a quella faccenda. Quanto a quello per cui vi ho contattato… volevo passare il testimone a te per recarti nei villaggi Urgali nella prossima Cerimonia delle Uova.”

“Cosa?!” , esclamò lui allibito. “La Cerimonia è prevista tra sei giorni. Vorrebbe dire partire stanotte stessa!”

L’elfa annuì, facendolo infuriare.

“Dovresti occupartene tu, anche per una questione di vicinanza!” , precisò il Cavaliere iracondo.

“Lo so, ma non sono tenuta a spiegarti le mie motivazioni. Eragon è già al corrente e d’accordo alla sostituzione.” , rispose lei con una smorfia poi troncando la comunicazione. Murtagh si lasciò scappare un urlo che fu più un ringhio, richiamando la preoccupata Maeve nella stanza, ancora con Finiarel tra le braccia. Il Cavaliere si avvicinò a grandi passi innumerevoli volte al mobilio nella stanza, con l’intenzione di distruggere tutto, sempre trattenendosi frenato da una voce nella sua mente che gli intimava di non attirare l’attenzione su di sé, non mentre era in quello stato. Probabilmente era Castigo, ma tanta era l’ira che non riuscì a distinguere la provenienza di quel pensiero. Scivolò alla fine a terra, il volto tra le mani in preda ai singhiozzi. Murtagh non piangeva mai, cercava di essere forte e imperturbabile il più delle volte. Eppure nella sua giovinezza era capitato che scoppiasse, e usasse il pianto per sfogare all’esterno tutto il suo malessere, la sua profonda tristezza. La donna gli si avvicinò piano, inginocchiandosi di fronte a lui dopo che ebbe messo il bambino al sicuro su una poltrona dall’altro lato della stanza. “Stamattina… mia figlia è nata stamattina e già mi costringono a partire!” , singhiozzava il ragazzo.

“Murta… Cavaliere, mi sentite?” , chiese lei esitante, poggiandogli una mano sulla spalla sussultante. Non rispose, non si accorse di lei, eppure accettò l’invito delle braccia della donna di appoggiare il capo sul suo petto, come Nasuada faceva con il principe ad ogni suo pianto isterico di capriccio. Pianse, sfogandosi, non seppe per quanto tempo, finché una manina bianca non si appese al suo braccio e un piedino salì sulla sua coscia. Finiarel si stava arrampicando lentamente e in modo incerto sul padre, facendolo tornare in sé. Il Cavaliere si staccò dalla domestica per prendere il bambino e portarselo al collo, che lo strinse con le braccina non appena fu arrivato alla sua meta. Con la mano libera Murtagh si asciugò le lacrime e posò poi un bacio sulla nuca del figlio piegando la testa di lato. “Papa” , rispose il piccolo con un sospiro.

“Il tuo papà deve andarsene, piccolo. Tornerò presto da voi e vostra madre. Dovessi rovesciare il mondo, questa volta lo farei” , gli promise. Si alzò notando la domestica ancora in ginocchio davanti a lui e sperando che nessuno avesse visto quella scena inopportuna per la sua reputazione già labile, e quella della domestica che ne avrebbe risentito ingiustamente in caso di scandalo. Eppure non potè che essere felice delle attenzioni materne della donna. “Grazie, Maeve, per il tuo aiuto. Per quello che hai già fatto e che farai. Ti farò dare libero accesso alle stanze dei miei figli per aiutare Nasuada nell’accudirli mentre sarò via e alleggerire il lavoro a Farica, che si trova a gestire anche mia moglie.” , le disse aiutandola ad alzarsi con galanteria. Lei si illuminò. “Grazie, non potevate farmi dono più grande!” , sussurrò con sguardo perso nel vuoto, come se temesse di essere in un sogno.

“Perdonami ora, devo andare a comunicare la notizia alla mia Signora, che non ne sarà affatto contenta. Potresti preparare le mie bisacce con gli abiti ufficiali da Cavaliere?” , le disse mentre si avviava alla porta.

“Certamente. Desiderate anche che le assicuri al vostro Compagno?” , chiese lei facendo un passo avanti verso di lui, per richiamarlo. Lui si voltò stupito, nessuno osava né tantomeno aveva le competenze per assicurare le bisacce ad un drago. Doveva essere più ingenua o saperne di più di quanto diceva sui draghi, per qualche strana ragione.

“Va bene, non farti arrostire però. Avvertilo delle tue intenzioni quando metterai le mani su di lui.” , l’ammonì poi uscendo per dirigersi verso sua moglie e la sua bambina.

 

Arrivò ai loro appartamenti sentendo il pianto strillante di neonato dalla base delle scale, che fece innervosire Finiarel, che si guardava intorno allarmato con occhi sbarrati.

Lo accarezzò sulla schiena, calmandolo entrando direttamente nella sua semplice mente. Il piccolo gli sorrise con i denti piccolissimi e bianchissimi che ormai gli affollavano completamente le gengive. Solo qualche buco li separava dalla fine di quella fase che era stata una sofferenza non solo per il piccolo che metteva i denti, ma anche per le orecchie e i cuori dei genitori, che avevano avuto istruzioni dai guaritori di lasciarlo piangere, non potendo fare nulla.

Entrarono per la porta intagliata con il drago e la fenice nell’ingresso e primo salotto, la porta verso le stanze da letto era aperta. Il loro talamo era vuoto, segno che la regina poteva non essere in forze per spostarsi dalla stanza in cui aveva partorito alla propria privata e inaccessibile, a parte a Farica. Il pianto ricominciò e una voce dolce disse alla creatura di non piangere. Si diresse nell’altra stanza, trovando la porta anch’essa aperta. Nasuada era sdraiata nel letto, la schiena sorretta da una montagna di cuscini. Con sollievo del ragazzo, sembrava stare bene fisicamente e il suo volto era radioso anche se stanco. “Mama!” , gridò il primogenito nel vederla e iniziando a scalciare per andare da lei. Il Cavaliere lo mise a terra e il piccolo non camminò - corse letteralmente, anche se in modo goffo e con le gambe troppo distanziate - intorno al letto in contro alla regina. Lei lo guardò valutando il da farsi, le braccia che tenevano il fagottino urlante, non potendo perciò sollevare il primogenito sul letto. Murtagh arrivò allora in soccorso, sistemando il bambino, che sembrava ora più interessato alla sorellina, a sedere accanto alla madre. Posò un bacio alla moglie e si sporse per vedere la neonata, oltre i teli di lino che la circondavano.

“Stamattina non hai voluto tenerla, vorresti ora?” , gli chiese dolcemente allungando verso di lui un poco le braccia.

“Volevo solo che fossi tu a tenerla per prima stamattina, sei la regina e io sono solo il tuo Cavaliere. In più, dopo la fatica che hai messo nel metterla al mondo, era giusto che fossi tu il primo genitore a salutare questa meraviglia.” , si giustificò accantonando la tristezza, facendosi scivolare sua figlia sugli avambracci. Come aveva imparato con Finiarel, le mise la punta di un indice tra le labbra delicate e la piccola Órlaith smise di piangere e scalciare, succhiandogli il dito. Era davvero una bambina bellissima anche se aveva ancora la testolina allungata per il parto. Condivise un’immagine di lei con il suo Compagno-di-cuore-e-di-mente, che gli rispose con un’ondata di orgoglio nei suoi confronti.

“Ehi, bis-papà, com’è stato essere me per un giorno?” , gli chiese sorridendo mentre abbracciava a sé il bambino più grande - che si era ora sdraiato sul suo ventre, ormai pieno solamente di liquidi residui, posando la testolina sul suo seno e iniziando a succhiarsi il pugno, mentre scivolava nel sonno tra le braccia della madre - .

“Non è stato male, fortunatamente mi sono evitato la prima parte della tua giornata. Ho però terminato tutte le questioni burocratiche per la settimana, così che tu possa rimanere a riposo mentre io…” , si bloccò improvvisamente.

Lei alzò di scatto un sopracciglio: nulla sfuggiva a Nasuada. “Mentre tu… cosa, Murt?” , chiese con tono leggermente preoccupato.

“Arya mi ha contattato oggi. Dovrò ripartire questa sera.” , esalò lui guardando amaramente la bambina tra le sue braccia che lo fissava ora tranquilla con placidi occhi azzurro-ghiaccio, di un colore già formato, come quelli del fratello alla sua nascita.

La regina buttò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi e stringendo il bambino più forte a sé per conforto. “Sei tornato ieri a mezzogiorno, giusto in tempo per vedere tua figlia nascere! Saresti dovuto rimanere con me - con noi - più tempo!”

“Non dipende da me, Nasuada. Hai scelto tu questo compito per me. E Arya non mi ha dato alternative, né tantomeno spiegazioni”

Lei sospirò. “Stavolta andrai, e domattina parlerò io con lei. Non ammetterò altre mancanze di rispetto come questa! Avrebbe dovuto spiegarti come minimo le sue motivazioni per separarti dalla tua famiglia così presto e senza nostro previo accordo.”

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Capitolo 60
*** In volo ***


Murtagh partì poco dopo aver messo a dormire il primogenito nel suo lettino e aver salutato con un bacio sua moglie, addormentata nel grande baldacchino mentre allattava la neonata. Castigo lo aspettava fuori dalle loro stanze, con le bisacce già fissate alla sella. Il Cavaliere salì sul suo Compagno assieme a Derrel, poi il rettile con un balzo spiccò il volo verso Ellesméra. Volarono tutta la notte senza comunicare, il drago chiuso nella sua mente per non essere turbato nel suo volo - che era un momento talmente liberatorio che non voleva fosse disturbato da nessuno - da quella inquieta del ragazzo. Piccole lucciole in basso segnavano i villaggi che superavano nel loro viaggio ai confini del cielo. Dovevano arrivare nella capitale elfica in soli tre giorni e se il drago cremisi non avesse avuto una resistenza di volo ineguagliabile, nemmeno dall’altra Bjartskular dalle squame di zaffiro del fratello del suo Argetlam, che gli permetteva di volare per giorni interi senza fermarsi, sarebbe stata un’impresa impossibile. Ma non per Murtagh e Castigo. Sentì il ragazzo moro stendersi in avanti sul suo collo per riposare e la sua mente ammorbidirsi, così che il drago decise di riunirsi al suo Compagno. Studiò il pensiero fisso dell’altro, esaminando attraverso i suoi occhi color ghiaccio il volto della piccola creatura rossastra che era la figlia, che non aveva avuto tempo per conoscere di persona e che avrebbe fatto parte anche della sua vita da quel giorno in poi. La trovava buffa con quella testa allungata, diversa da quella degli altri umani che aveva visto, i capelli sottili e dritti su di essa che la facevano assomigliare ad un uccello domestico di cui lui si cibava quando era un cucciolo, una gallina. Si chiese quale sapore avesse avuto la creaturina - non che avrebbe mai potuto mangiare un cucciolo di umano per paura delle ripercussioni sul suo Compagno - , forse lo stesso dei vitelli selvatici che aveva mangiato quando le madri erano scappate, lasciando i più piccoli indifesi. Doveva essere un boccone prelibato, ma non di più viste le minuscole dimensioni.

“Órlaith!” , urlò il ragazzo svegliandosi di soprassalto. Si guardò intorno calmandosi non vedendo pericoli per la neonata.

Cosa ti succede? , chiese il rettile incuriosito.

Stavo sognando che ti mangiavi mia figlia, Castigo! , rispose lievemente alterato.

Non mangerei mai il tuo cucciolo, torna a dormire. , lo rassicurò tagliando corto.

L’altro sbuffò, tornando a stendersi. Non fare mai più pensieri come quelli su mia figlia o mio figlio.  Hai capito, lucertolone?

Castigo emise quella che era per lui una risata, ma si scusò. L’altro chiuse gli occhi, riaddormentandosi piano. Il drago si chiese allora quanto tempo sarebbe intercorso prima che anche lui potesse trovarsi una compagna, quando sarebbero nati altri della sua specie ma dell’altro sesso. Erano due anni che assieme visitavano le città di Alagaesia perché bambini, giovani e adulti toccassero le uova incolonnandosi in code colorate nelle piazze, lungo i vicoli nei centri più popolosi. Avevano visto movimenti sospetti parecchie volte nelle pietre colorate, ma solo due uova si erano schiuse già: una per un uomo umano, Reenan, trasferitosi da Eragon per la formazione da Cavaliere, e l’altra per un elfo, Ailton. Il drago Odhràn era un maschio verde pallido, una buona compagnia per Castigo, comunque, vista la mente acuta del giovane animale magico. Skye era una dragonessa giovane, troppo acerba per non urtare la pazienza dell’enorme rettile rosso, che nonostante le dimensioni era appena adulto, ma tuttavia reso saggio dalle difficoltà che la vita sotto Galbatorix gli aveva somministrato. Saphira sembrava non avere interesse per lui e nemmeno completamente nell’altro verde smeraldo, Fìrnen, dato che oltre all’attrazione non erano mai giunte voci di un loro accoppiamento. Quest’ultimo, riteneva Castigo, era un animale solitario e enigmatico come la sua Compagna, simpatica a tratti, laconica in altri. Nonostante i loro incontri non aveva mai carpito i tratti del bjartskular verde, al contrario invece di Saphira che era - secondo la sua modesta opinione - un libro aperto. Era paradossale che loro, che avrebbero fatto parte degli Antichi un giorno, non riuscivano a creare un rapporto altro da quello che gli esseri umani avrebbero definito di “cortese cooperazione”. Rimaneva solamente Gintaré, la dragonessa indomita e selvaggia del colore del tramonto, con cui forse avrebbe potuto stringere un rapporto più stretto. Qualsiasi tipo avrebbe accettato Castigo, pur di avere la presenza costante a Illirea di altri della sua specie. Eppure, la dragonessa non avrebbe mai accettato di vivere nella capitale umana, a seguire le regole imposte dalla moglie del suo Compagno bipede.

All’orizzonte il sole iniziò a sorgere, inondando di luce le squame che diventarono di un rosso brillante. Il drago si sentì un animale straordinario, bellissimo e maestoso. Molti lo temevano per il suo aspetto, per la sua stazza, per le voci che ancora macchiavano la sua reputazione. In un futuro però sapeva che lo avrebbero visto con occhi diversi, e Murtagh con lui.

Si abbassò di quota fino a toccare il terreno su una grande collina a poche miglia dal grande fiume che stavano seguendo dall’alto per evitare il deserto, fino alla deviazione per la foresta degli elfi. Il ragazzo si svegliò e liberò i suoi fluidi corporali allontanandosi appena, poi ripartirono in fretta, quasi fossero in fuga. Credi che si schiuderanno delle uova? , chiese il drago.

Non lo posso sapere. , rispose seccamente il Cavaliere.

Ti sto chiedendo infatti una previsione. , insistette l’altro.

A mia moglie servirebbe un Cavaliere tra gli Urgali per rafforzare il patto fatto con il loro capo. Purtroppo però le uova le andremo a prendere dagli elfi, non le ho ancora sondate. , rispose Murtagh con la mente altrove. Il drago ruggì. La tua vita ruota attorno a lei e solo lei, ora?

Ha permesso la nostra libertà, Amico! È la donna che amo, la madre dei miei figli. Non posso essere indifferente a lei. Ma con questo non sto implicando che ti metterei mai da parte. Tu sei parte di me! , rispose dolcemente il ragazzo. Castigo lo ignorò deliberatamente.

So che vorresti anche tu qualcuno come è Nasuada per me… , aggiunse dopo il silenzio del drago. Lui annuì mentalmente, infine.

Però se dovesse schiudersi un uovo sarebbe per un Cavaliere, andrebbe quasi subito ad allenarsi da Eragon. Non potrebbe comunque essere di tua compagnia… , concluse con tono dolente il giovane. Castigo annuì nuovamente, stavolta con il grande capo.

Rimasero in silenzio per il resto della giornata e quella dopo, permettendo a entrambi di scacciare i malumori. Un solo giorno li separava dalla loro meta, metà prima che Murtagh lasciasse il suo Cavaliere nella Du Weldenvarden per andare a caccia fuori dai territori del popolo, che non permetteva la pratica ritenuta crudele nei loro confini. Tra le città di Osilon e la capitale, li aspettavano Fìrnen e Arya assieme a una ambasciata di orecchie-a-punta. Li contattarono mentalmente, indicando il punto dove il drago cremisi sarebbe dovuto atterrare. Con una manovra elegante il grande animale toccò terra. Arya, assieme a sei altri elfi e otto cavalli neri li aspettavano nella piccola radura, Fìrnen accucciato con un occhio aperto poco distante.

“Spero tu abbia fatto buon viaggio, Cavaliere!” , gli disse avvicinandosi.

Lui annuì cercando con tutta la volontà che aveva in corpo di mettere da parte definitivamente la rabbia nei confronti della regina elfica per la partenza repentina. Castigo prese il volo, avendo percepito la fine dei convenevoli per nutrirsi, continuando ad ascoltare attraverso la coscienza del giovane quanto stava accadendo a terra. Fìrnen saltò in volo anch’esso seguendolo nella caccia a distanza, come un cucciolo fastidioso. Sentì il Cavaliere gongolare contento della cavalcatura purosangue che gli avevano affidato per raggiungere la capitale. “Il capo del popolo Urgali ti aspetta nella loro capitale. L’hai mai visitata prima?” , chiese Arya mentre cavalcavano verso Ellesméra velocemente.

“No, né durante i miei viaggi giovanili né quando ero la marionetta del Re Nero. L’alleanza con gli Urgali allora vacillava già.” , rispose riluttante Murtagh nel nominare quel periodo della sua vita.

Castigo puntò a un campo aperto di patate con numerosi animali, probabilmente ignari di lui, vista l’altitudine di volo. Iniziò a scendere quando il drago smeraldo che volava più in basso - troppo - lo imitò facendosi scoprire e smarrendoli tutti. L’istinto fu quello di sbranarlo, ma si trattenne per evitare un ennesima ripercussione su Murtagh, l’unico che avesse pagato per la sua sconsideratezza, le poche volte che si era permesso di essere inesperto e stolto. Si alzò di quota nuovamente, continuando a perlustrare alberi e radure.

Due ore e nessun animale cacciato dopo, il suo Compagno arrivò alla capitale.

Farò un bagno e riposerò un po’ le mie ossa. Puoi allontanarti, Amico mio. , lo rassicurò Murtagh sentendo ancora la sua presenza nella sua mente. Cavalcando una corrente favorevole, il drago virò a sud per cercare animali più grossi, magari al limitare della foresta.

Grazie ai suoi occhi portentosi riuscì ad individuare un grosso felino dal manto giallo maculato, scendendo di quota. Di tutti gli animali, i felini erano quelli di cui odiava di più il pensiero di ucciderli per cibarsene, ritenendoli - specialmente quelli più grandi come la preda sotto di lui - gli animali più intelligenti e fieri dopo i draghi di tutta Alagaesia. In realtà si chiedeva se i felini fossero in qualche modo imparentati con la sua specie, viste le somiglianze nel portamento, nel carattere e nel modo di dormire. Se fossero veramente esistiti, i giganteschi felini squamati di cui si parlava nelle leggende che aveva udito al castello nero quando era solo un cucciolo, forse avrebbero potuto giustificare questa sua osservazione. Vide la sua preda muoversi agilmente tra le fronde, andando verso una radura poco all’interno della foresta. Se da un lato era dispiaciuto di cibarsi di un animale tanto elegante, dall’altro adorava dare loro la caccia. Doveva essere silenzioso e invisibile, e al momento giusto mantenere una velocità altissima per poterli acchiappare prima della fuga. Pregustandosi l’agguato, scese di quota un poco, per studiare ancora l’animale. Si ricordò di cercare il drago verde attorno a lui per ammonirlo di non rovinargli il pasto di nuovo, ma di lui fortunatamente nessuna traccia. Il felino dorato si accucciò tra i rami bassi, forse anch’esso aveva mirato una preda. Il drago decise che fu quello il momento adatto, perciò si lasciò cadere in picchiata quando fu in volo proprio sul bersaglio, così da non dover sbattere le ali producendo rumore. Abbastanza vicino a terra protese le zampe, allargando gli artigli acuminati. Con sorpresa dell’animale, lo afferrò al volo senza toccare terra, per ritornare in alto a gustarselo. La belva iniziò a dimenarsi e a ruggire, ma la sua stazza era possente, certo, ma non poteva competere con quella del più grande drago del paese vivente. Castigo aprì le fauci e si gettò l’animale nella cavità fumosa. Il gusto del suo sangue fu delizioso, molto più rinvigorente di quello degli animali d’allevamento erbivori di cui si cibava nella capitale. Un’ora dopo riuscì a catturare due grossi cervi maschi durante un loro strano scontro con le corna, una specie di danza violenta, sicuramente per una femmina. Anche Murtagh si faceva sempre più ritto quando vedeva la moglie. Aver catturato gli animali mentre erano distratti da altro soddisfò solo la sua pancia ma non il suo istinto da predatore, come aveva stuzzicato per bene, invece, il felino. Saziato il suo appetito e avendo fatto scorta per l’altra metà del loro viaggio, tornò verso Ellesmera.

Murtagh lo aspettava su una balconata di un grande edificio assicurato a più alberi, una tunica pulita con lo stemma di un drago rosso cucito sul petto e i capelli scostati dal volto dal sottile filo dorato con due piccoli draghi sulle tempie, attorno alla testa, la Tiara dei Cavalieri. Se non fosse stata per la transizione dei suoi lineamenti ancora non completa, avrebbero potuto scambiarlo per un elfo, vista la statura. Gli umani erano generalmente più bassi degli orecchie-a-punta, ma Murtagh era ritenuto tremendamente alto per il suo popolo, arrivando ad eguagliare l’altra specie.

È stata fruttuosa la tua caccia, Amico? , gli chiese appena fu atterrato nella radura di fronte al palazzo in legno.

Il drago annuì sbuffandogli aria calda sui capelli corvini. Fìrnen atterrò poco dopo con un capretto tra le zampe. Il drago era, in piedi, la quarta parte del rosso, ridicolmente piccolo. Era della specie dei rettili della foresta, non sarebbe mai divenuto enorme, nemmeno se fosse stato lui ad essere sottoposto alla crescita forzata che il Re Nero aveva inflitto a lui. Castigo stesso, però, in quanto drago dei vulcani, non avrebbe mai potuto sperare di eguagliare i draghi neri che un tempo vivevano dentro i crateri magmatici, non nei dintorni come i suoi antenati, ed erano molto più grandi e coriacei. Aveva conosciuto l’ultimo di quella specie, Shruikan, ed era rimasto estasiato dopo che, appena il suo uovo si fu schiuso gli insegnarono le differenze tra loro draghi, si rese conto di vivere nella stessa dimora di un essere considerato una divinità dai primi uomini. Purtroppo il suo Cavaliere lo aveva profondamente segnato con un disagio mentale, facendo allontanare il piccolo rettile rosso quasi subito dall’altro esemplare che avrebbe potuto invece essere suo maestro. Il sole cominciò ad abbassarsi all’orizzonte, segno che era tempo di ripartire. Un elfo dai capelli talmente biondi da sembrare bianchi uscì con un grosso baule, seguito da Arya che camminava con il mento in alto, l’armatura scintillante fissata alla tunica. “Sei sicuro di non voler rimanere questa notte nostro ospite?” , chiese la regina con occhi improvvisamente velati di una strana emozione. Il drago cremisi si domandò se anche il suo Cavaliere l’avesse notato.

“Sicuro come di voler tornare da mia moglie e i miei figli il prima possibile.” , rispose atono l’altro.

L’elfo biondo si avvicinò a Castigo per nascondere il baule in una sacca spaziale invisibile, un incantesimo suggerito da Eragon come prassi. Regina e Cavaliere non abbandonarono lo sguardo fisso l’uno sull’altra, studiandosi a vicenda.

“Le uova sono al sicuro, giovane Murtagh. La prossima volta nella scorta manderò mio figlio, Auryn, se vorrete accoglierlo.” , fece il terzo con un cenno del capo verso il rettile.

“Magari lascia che cresca ancora, Arendriel, è solo un giovane” , intervenne la donna-elfo con uno sguardo di ammonimento verso l’altro.

Murtagh allora si riscosse, salendo sul suo Compagno. “Spero di rivedervi con un nuovo Cavaliere al seguito, vostra Maestà.”

Fece un cenno anche a Derrel, che per sicurezza era stato deciso che sarebbe rimasto con gli elfi,  che lo salutò con occhi stranamente spaventati. Il sospetto di Murtagh crebbe, scacciato dall’altra parte della sua coscienza che gli diceva che si trattasse solo di coincidenze che la sua mente creava per confonderlo.

“Un Du evarinda Ono varda, Murtagh Shur’tugal” , lo salutò la regina che era pronta per partire verso Silthrim per sistemare animi infuocati di nobili casate elfiche della città intenti a scontrarsi, con il rischio di sterminarsi a vicenda.

“Se’ Ono waise ilia, Arya Drottning” , rispose il ragazzo prendendo il volo.

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Capitolo 61
*** Precauzioni ***


“Buongiorno, vostra Maestà.” , proruppe Farica scostando le tende del baldacchino. Nasuada aprì gli occhi lentamente, sbuffando per la stanchezza. Tra il bisogno costante di cibo della neonata e la prima gelosia di Finiarel nei confronti della sorella, era riuscita a dormire solo qualche ora. Sentiva la testa pesante, la mente annebbiata. Si spinse con un braccio a sedere, e i suoi occhi scorsero la principessa che dormiva con i pugnetti sotto al mento, sul materasso accanto a lei. Sorrise dolcemente, mentre la domestica apriva la finestra per cambiare aria. Nasuada capì fosse arrivato il giorno delle pulizie, e che presto lei sarebbe stata scacciata dalla stanza, il sigillo di inaccessibilità sarebbe stato coperto da un drappo, e un nugolo di domestici sarebbe entrato per riassettare la stanza, cambiando le lenzuola e le tende del baldacchino. Dalla nascita della piccola, le giornate come quella erano diventate più frequenti, sotto ordine di Farica, preoccupata a proteggere al massimo la vita della principessa dai pericoli invisibili.

Quella mattina, la governante dai capelli ormai completamente grigi le passò una pergamena, che portava il sigillo di Murtagh. La afferrò con eccessiva foga, strappando la cera lacca e leggendo le poche righe che potevano stare in un rotolo così piccolo da poter essere legato al piede di un volatile.

Murtagh le certificava il suo arrivo a Ellésmera, dove aveva lasciato Derrel per sicurezza, avendo preferito continuare da solo. Poi, lesse le ultime righe, quasi scoppiando a piangere per la commozione, mista anche alla nostalgia:

 

Ti amo. Prenditi cura di te stessa e dei bambini. Tornerò presto da voi, e forse avrò qualcosa da raccontare a mio figlio. Chissà se anche la piccola capirà. Non farli crescere troppo senza di me.

Ti amo, non posso non dirtelo ancora, in conclusione a questo messaggio, ma anche per tutta la durata della vita che ci rimane davanti.

 

Le braccia di Farica la circondarono per qualche istante, abbastanza da farla ritornare in sé, lavando via l’amarezza della lontananza di Murtagh.

“Grazie, Farica. Non avrei mai immaginato che avrei sentito così tanto la sua mancanza.”

La donna si sporse a leggere la pergamena, con un sorrisetto complice. “Si chiama amore, e a quanto pare anche il tuo bel Cavaliere ne è succube, e non poco.”

Nasuada accartocciò prontamente lo stralcio, imbarazzata. “Farica, è ovvio che sia innamorato di me! Altrimenti nulla giustificherebbe i nostri due bambini...”

La governante piegò il capo di lato, seria. Allora Nasuada si accorse di aver davvero macellato il concetto che voleva esprimere, liquidandolo con parole frivole e a cui non aveva pensato due volte. Ma la sua dama la conosceva, perciò lasciò cadere la faccenda, tirandola in piedi. Prese poi la neonata tra le braccia, cullandola. “Buongiorno, principessa.” , la salutò sofficemente.

Órlaith non si svegliò, perciò la spostò nella sua culla, poi ancora la spinse nella stanza del fratello. Quando tornò, stava sorridendo tranquilla. “Anche il principe dorme ancora.” , le comunicò. Nasuada sospirò, sapendo che quello avrebbe significato solo che la dama non avrebbe certo sprecato il tempo concesso alla madre dai figli, ma l’avrebbe preparata così perfettamente come la corte non la vedeva tanto in tiro dal giorno del suo matrimonio pubblico.

Le fece un bagno, massaggiandole il corpo con uno strano strumento di legno simile a una spazzola da cavalli, con borchie al posto delle setole, che un po’ era fastidioso. “Per la circolazione, Nasuada. Ti farà sentire molto più energica dopo averla usata. Con questa, inoltre, potresti tornare alla tua forma fisica perfetta nella metà del tempo.”

La regina ruggì piano, immergendosi di più in acqua, come a volersi nascondere. “A parte il pancione, non è cambiato nulla in me.” , protestò.

Farica annuì svogliatamente, continuando a strigliarla. Quando fu soddisfatta, la tirò in piedi, coprendola con un telo e una sottoveste. Poi la tirò nella stanza con tutti i suoi indumenti.

Maeve entrò poco dopo nel guardaroba, facendo una riverenza.

Nasuada si accorse di lei e la guardò con un sorriso. “Sei davvero elegante quest’oggi, Maeve. Quell’acconciatura raccolta ti dona molto.”

La donna arrossì, toccandosi di riflesso il torciglione di capelli che le circondava la testa, in mezzo a cui erano intrecciate delle foglie, che emettevano un odore particolare.

Farica annuì, d’accordo con la regina. “Forse la mia collega ha trovato un uomo di suo interesse.”

La castana fece spallucce. “No, mia Signora. Queste foglie servono solo a decorare i miei capelli, mentre li purificano.”

La domestica più vecchia si alzò di scatto, da terra dove stava allacciando le scarpe a Nasuada. Si spostò le mani sulle anche. “Come osi presentarti dalla regina con i capelli sporchi?! Specialmente ora che dobbiamo badare a una neonata, dobbiamo essere sempre pulite!” , la rimbeccò in quanto capo delle serve personali della regina.

Maeve abbassò gli occhi.

“Farica, non essere così dura. Si vede che non sono sporchi i suoi capelli. Non come sono stati i miei per alcuni giorni, dopo il parto.” , intervenne Nasuada per calmarle.

La governante si scusò con l’altra.

La regina attese che la donna più matura le facesse indossare la sottoveste, per poi essere libera di voltarsi verso Maeve. “Servono per purificare, hai detto?”

La castana annuì. “Non sono un’erborista, ma dovrebbero aiutare a non contaminare i capelli. Mio padre diceva sempre che con una testa di capelli pulita, anche la mente lo sarà.”

Farica scosse il capo, richiamandola al lavoro. “È avendo un corpo sano che si avrà una mente sana, il detto.” , mormorò.

Nasuada sbuffò, facendola smettere. Non sapeva davvero cosa la turbasse quel giorno. Forse era solo la preoccupazione che ammontava dall’arrivo del suo secondo piccolo, di cui Farica era in carico come era stato di Nasuada da bambina, quando era arrivata nel Farthen Dur, orfana di madre.

“Avete in mente un abito da indossare, Maestà?” , le chiese la più giovane.

Nasuada scosse il capo, mordendosi il labbro. “No, tutti i miei preferiti non mi renderebbero giustizia in questo momento.”

Maeve addolcì lo sguardo. “Mi ricordo la sensazione, ma non dovete preoccuparvi, perché siete la donna più bella che io abbia mai incontrato.”

La regina allungò una mano perché gliela stringesse, mentre Farica le assicurava delle lunghe fasce strette in vita e sulle gambe, partendo dal seno fino al ginocchio, annodate sul davanti.

Maeve le strinse la mano con calore, e la regina la guardò negli occhi con gratitudine per lunghi istanti. Poi so voltò appena per prendere anche la mano di Farica.

“Non voglio che litighiate. Siete le mie dame da compagnia, come le mie due madri.”

La più grande si scusò con la più giovane.

Rinvigorito il morale nella stanza, Nasuada chiese di provare addosso cinque abiti differenti, per vedere quale le sembrasse donarle di più anche con gli ultimi segni della gravidanza.

Con pazienza, le sue dame l’assistettero nella scelta, finché non decretarono tutte e tre che il medesimo abito era quello perfetto.

Le sigillarono allora l’abito.

Mentre chiudeva le maniche oltre il gomito, Maeve s’informò per la prima volta delle cicatrici della giovane regina.

“Desidero sempre lasciarle in mostra, perché grazie alla prova di forza e determinazione che me le ha procurate, ho potuto consolidare il mio comando nei Varden. È in parte grazie a loro se ora sono qui.”

La governante annuì alla sua storia. “Siete molto coraggiosa, Maestà.” , si complimentò quasi commuovendosi, “I vostri due figli non dovranno temere che vi tiriate indietro davanti al pericolo o alle difficoltà. Io purtroppo se non ho più i miei bambini è perché ho reagito troppo tardi davanti all’ingiustizia.”

Nasuada le accarezzò l’esterno di un braccio. “Se fossero ancora in vita, sarebbe mia cura preservare la loro incolumità sempre, come quella di tutti gli altri miei sottoposti.”

Le sistemarono la corona e gli orecchini. Per ultimo le portarono l’anello regalatole da Murtagh.

“Ecco, basta con le chiacchiere tra comari. Sei pronta, Nasuada.” , esclamò Farica finendo di lanciare in aria un paio di volte il bordo del suo abito, perché prendesse un po’ di volume.

 

Nasuada fu scortata da Maeve dal principe Flaithrì. S’inchinarono entrambe per rispetto della sua venerabile età, poi la donna castana fece per uscire, quando la regina notò che l’anziano la stava fissando. “C’è qualcosa di diverso in voi, signora Maeve.” , disse con il suo solito alto grado di ossequio, persino con le inservienti.

La giovane s’irrigidì. “Solo... ho raccolto i capelli in modo che i principi non ne siano infastiditi, o che questi mi impediscano di svolgere il mio lavoro.”

L’anziano spinse le labbra in fuori. “E che genere di foglie sono?”

“Alloro.” , disse prontamente Maeve.

“Non ha l’odore dell’alloro.”

“Mio Signore, non vorrei sembrare impudente, ma non esiste solo un tipo di alloro.”

Il volto dell’anziano si rilassò, poi lui scosse il capo. “No, devo chiedervi io di perdonarmi. Non ho mai preparato nessun tipo di cibo, perciò non conosco molte varietà di alloro - anche se era di mia conoscenza che ne esistessero diverse - , oltre a quelle usate per gli impacchi curativi, per cui si usano solo le foglie dell’alloro più comunemente diffuso.”

La donna sorrise al pavimento, poi s’inchinò nuovamente, sparendo velocemente all’esterno.

Nasuada si sedette di fronte a Flaithrì, che già aveva fatto predisporre i documenti per l’eredità della principessa. Murtagh non sapeva che Nasuada si sarebbe occupata della faccenda durante la sua assenza, proprio perché la regina voleva sorprenderlo al ritorno con tutti i documenti approvati da lei.

L’anziano estrasse da una manica un rotolo di pergamena, ancora sigillato. “Ecco ciò che mi avevate chiesto, vostra Maestà.”

La regina prese il documento firmato dal capofamiglia - Flaithrì in persona - di riaccettazione del nipote nella linea ereditaria. Non avrebbe fatto di Murtagh un principe, ma almeno avrebbe dato all’anziano di nuovo il diritto parentale di disporre in assenza del nipote dei suoi possedimenti.

“Ci pensate che Murtagh ha ceduto il ducato a me per il matrimonio, ma non posso fare nulla se non amministrarlo? Tutto ciò che volevo era trasmetterlo direttamente a mia figlia, non certo venderlo a degli estranei.” , pronunciò la regina stizzita.

Flaithrì ridacchiò. “La Legge è la Legge, vostra Maestà. Tuttavia, ora potremo procedere senza problemi, e il mio castello e i suoi terreni potranno essere trasmessi al prossimo vostro figlio, se lo vorrete. Ora Murtagh e i suoi figli sono ufficialmente i miei eredi.”

Nasuada lo guardò con un sorriso teso. “Non vi sembra presto per parlarmi di altri figli, nonno?”

L’anziano rise di gusto. “Certo, certo. Potrete attendere tutto il tempo che vorrete. Sono solo felice di avere un nipote come Murtagh, e di poter trasmettere a lui i miei terreni. È tornato in me l’orgoglio che provavo nel sapere che tutto ciò che era la mia vita e la mia casa sarebbe stato trasmesso a mio figlio Balder. Murtagh gli assomiglia molto.”

La giovane dalla pelle d’ebano posò una mano su quella dell’anziano, affettuosamente. “Io sono felice che Murtagh abbia deciso di essere così protettivo anche con la sua bambina. Non sono mai abbastanza le precauzioni che un genitore potrà prendere, ma almeno questo le consegnerà un futuro agiato, anche se dovesse accaderci qualcosa.”

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Capitolo 62
*** Imboscata ***


Volando verso i villaggi Urgali sulla Dorsale, una sensazione strana non abbandonò il Cavaliere. Più e più volte controllò con la coscienza che le uova nella tasca spaziale invisibile fossero al sicuro. Le nubi grigie rimanevano fluttuanti attorno alle cime come draghi soffici, ma tremendamente minacciose. Per l’estate che si appropinquava non avrebbe nevicato ma le tempeste dovute all’incontro di venti caldi da sud e freschi da nord erano spesso disastrosamente inclementi, nonostante le dimensioni mastodontiche del drago rosso. Mentre volavano in silenziosa attesa di cambiamenti nel cielo, in lontananza scorsero un villaggio e poco fuori da esso un folletto d’aria che arrivava fino alle nuvole, a centinaia di iarde al di sopra della testa del Cavaliere. Quel villaggio e i suoi abitanti verranno spazzati via! Riusciresti a raggiungerlo prima che venga colpito? , chiese al suo Compagno con ansia crescente. Il drago annuì mentalmente, immergendosi in una corrente di vento molto forte a loro favore. Se dovessimo arrivare anche un solo istante più tardi non ci getterei nell’occhio del ciclone, ti avverto. Non posso rischiare che mi si spezzino le ali. Tu e il carico siete più preziosi di un villaggio… , lo ammonì a metà strada qualche minuto dopo. Murtagh sapeva che nonostante il loro potere fosse immane, i folletti per i draghi erano pericolosi quanto una Dauthdaert, e loro erano impotenti poiché non esisteva il nome per il fenomeno nell’Antica Lingua, perciò era incontrollabile magicamente. Fortunatamente, il fenomeno naturale si muoveva lentamente, approcciandosi al villaggio piano. Sorvolandolo, Castigò si mosse a spirale e atterrò dove poteva senza distruggere le abitazioni in legno e pietra. In lontananza, un bambino guardava impietrito il ciclone. La sua pelle era grigia, ma la mancanza di corna avrebbe potuto farlo confondere con un cucciolo di umano. Il Cavaliere slacciò quanto più velocemente potè i lacci dalle sue gambe, saltando giù dal Compagno e iniziando a correre verso il bambino. Il piccolo si voltò verso di lui, osservandolo impaurito con i suoi occhi gialli. Murtagh lo raggiunse in mezzo al cerchio di edifici che era il villaggio. I suoi lunghi capelli corvini erano strattonati in direzioni diverse dal vento, che soffiava ora con impetuosa forza. Guardò il cielo e vide il folletto d’aria sempre più vicino, minaccioso e grigio. Al centro del villaggio bruciava un fuoco, che ardeva anch’esso impetuoso come il vento che lo alimentava. Il fumo deviava direzione a seconda del vento, arrivando a un tratto a circondare il Cavaliere come una nuvola. Tossì dopo aver ispirato quell’odore così acre e strano. Murtagh! Sbrigati…

Prese il bambino tra le braccia premendoselo al petto, il suo odore gli ricordava quello dei cervi selvatici che cacciava durante la sua fuga, di bosco verde e bacche. Si spinse sui talloni per tornare in piedi. Roteando su sé stesso iniziò a gridare agli abitanti di scappare lontano, mentre un unico capogiro lo colpì. Con la vista che roteava fastidiosamente, si fermò, notando che il villaggio era deserto. “Dove sono tutti, piccolo?” , chiese al bambino che lo osservava serio tra le sue braccia. Si voltò verso la porta a est del villaggio, dove le palizzate si interrompevano con un cancello in legno, che si spalancò con un rumore fortissimo. Il ciclone era proprio dietro ad essa. Dei rumori attorno a lui mostrarono gli abitanti del villaggio emergere dalle loro case, per nulla spaventati o affrettati. “Scappate! Non pensate di poterne uscire indenni se starete nelle vostre case!” , gridò con tutta la forza che aveva in corpo. La popolazione non si mosse, ma uomini e donne Urgali alzarono delle clave o spade, anche se qualcosa parve trattenerli dall’attaccare.

“Non posso costringervi! Ma non posso nemmeno proteggervi se rimarrete qui!” , supplicò Murtagh. Si voltò verso il ciclone a controllarne la prossimità, quando il suo cuore saltò nel suo petto nel vedere un Kull con le mani alzate al cielo. Proprio sotto l’occhio del folletto.

Non lo stava controllando, lo stava generando con la magia!

Murtagh iniziò a piegarsi per poggiare il cucciolo di Urgali, quando questo estrasse un pugnale e fece per conficcarglielo nella pancia. Fortunatamente, le sue difese magiche fecero piegare la lama all’indietro, ma fu comunque colpito dall’oggetto ritorto con forza. Senza fiato, cadde a terra e il bambino corse lontano da lui. Si rialzò sulle ginocchia velocemente, ma un altro Kull torreggiava su di lui dopo una breve corsa. Castigo ruggì a distanza quando anche l’altro, che stava ancora piegando l’aria a suo volere, gli fu a un paio di piedi di distanza, impedendogli di intervenire per interrompere l’assalto. Presero l’umano per i capelli e tirarono verso la terra, facendogli rivolgere il volto al cielo. “Cosa volete da me?” , ruggì. I due si guardarono confusi. “Non è l’elfa dai capelli corvini.”

Murtagh si divincolò, ma la presa era stabile. Sapeva di avere una via d’uscita, ma non voleva lanciare un incantesimo e ucciderli tutti. “Non sono Arya, evidentemente. Io sono umano.” , rincarò la dose il Cavaliere, ridendo in scherno. Il Kull lo schiaffeggiò con la mano libera. “Siamo stati ingannati! Gli elfi non vogliono un Cavaliere Urgali!” , disse con tono da sollevatore di folle verso il villaggio. Gli abitanti urlarono e si batterono i pugni sul petto.

“No! Fermi! Io sono un Cavaliere, e sono venuto per sottoporvi alla Prova delle Uova!” , gridò Murtagh, divincolandosi finché non si trovò nuovamente in ginocchio. Il Kull si voltò a squadrarlo. “Morzansson.” , sibilò nel riconoscerlo.

“Non vogliamo qui il figlio dell’uomo che ci ha schiavizzato a Galbatorix, facendoci odiare da tutte le altre razze!” , ruggì il Kull che incantava il ciclone. Murtagh rise amaramente. “Morzan ha schiavizzato anche me al Re Nero, facendomi odiare da tutti.” , spiegò loro serio.

“Dacci le uova e ti lasceremo tornare da dove sei venuto.” , lo minacciarono. Scosse la testa.

“Non sono questi gli ordini che mi sono stati dati. Io devo sottoporvi alla Prova, ma se nessun uovo si dovesse schiudere, allora dovrò riportarle a Ellesméra.”

“Allora le prenderemo da noi.” , rise diabolicamente il Kull alla sua sinistra, lanciando le braccia davanti a sé. Con una velocità inaudita, il ciclone raggiunse Castigo. “No!” , urlò Murtagh, sentendo la protezione che aveva sempre provato sin da quando era un cucciolo salire. Castigo era più intoccabile di sé stesso per lui. Sentì uno schianto, e la sua mente cominciò a bruciare, così come le sue spalle. I ruggiti del drago erano terribili. Murtagh cadde in avanti per lo stordimento della sua mente, battendo la testa. Tutto fu nero.

Sognò il suo Compagno, seduto sulle zampe posteriori accanto a lui, il suo corpo sussultava leggermente. Lo toccò su una zampa possente, grande quanto due pilastri assieme di un castello, e l’altro saltò lontano. Le sue ali non erano in aria per aumentare il suo volume come quando si metteva sulla difensiva, erano afflosciate a terra come fiori recisi e appassiti. Mi dispiace, amico mio…

È tutta colpa tua se ho perso le mie possenti ali. Cos’è un drago se non può volare?

Murtagh alzò il capo per fissarlo nei grandi occhi caldi. Improvvisamente, si riempirono di acqua e un’enorme lacrima gli cadde addosso inzuppandolo completamente. Castigo, i draghi non piangono!

Il vento ha spento anche il mio fuoco, ora sono acqua e terra i miei elementi, non più fuoco e aria… , lo informò mesto. Il drago guardò altrove, come ferito nel profondo.

Ti perdonerò sempre, Amico mio… ma stavolta la tua stupidità nel voler essere Eragon è andata oltre ogni limite. Tu eri quello che lo tirava fuori dai guai, non quello che vi si cacciava!

Un’altra lacrima lo inondò.

 

Murtagh annaspò l’aria e iniziò a tossire, l’acqua si era infiltrata nelle sue narici e giù per la gola. Aprì gli occhi, ritrovandosi in una caverna di montagna, simile a quella dove aveva vissuto con Castigo per qualche mese dopo la sua fuga dal mondo. Che tutta la sua vita fino a quel momento fosse stato un sogno, un desiderio della sua mente per spingerlo a tornare da Nasuada e incominciare una vita con lei? I suoi figli erano veramente nati? Stordito si mise a sedere, notando le due figure dalla pelle grigia ai suoi fianchi.

Non era stato un sogno, tutto quello che conosceva era realtà, anche l’imboscata di cui era caduto preda. Un piede con sette dita si appoggiò al suo petto premendolo alla roccia sotto di lui. “Sei drogato, non pensare di poter fare nulla.” , lo ammonì la donna Urgali con poco garbo nella voce. “Castigo…?” , chiese con voce roca e flebile, anche se gli sembrò di aver urlato. Non aveva mai provato quel genere di droga, era veramente potente. Le due creature non lo udirono, e lui voltò il capo a destra e a sinistra per cercare di scorgere il suo Compagno. La grotta in cui si trovava, la sua prigione, era abbastanza grande per ospitare anche il drago. Mettendo a fuoco a fatica, finalmente lo scorse oltre i suoi piedi. La schiena ancora sellata era rivolta verso di lui, le ali spianate sul pavimento e ripiegate attorno alle pareti malamente dove i due corpi andavano a incontrarsi, la roccia avendo la meglio. Un ringhio basso e costante era emesso dalla porzione dietro le corna sulla testa, la parte superiore della gola dell’animale. Murtagh? , sentì la sua voce calda ma piena di timore a un tratto.

Castigo! Sei anche tu drogato? , gli rispose dopo svariati minuti, anche se pensava fossero stati attimi. Lui confermò con un’immagine dai suoi occhi, la stanza che non terminava di ruotare.

Le tue ali! Sono…?

Il drago lo fermò bruscamente. Sì.

Potrai mai più volare? , gli chiese con titubanza molti momenti dopo. Il drago sospirò sonoramente e Murtagh si sentì il cuore stretto in una morsa. Noi draghi non voliamo solo perché abbiamo le ali. È la magia a farci sollevare dal suolo… La tua mente lucida lo saprebbe. , rispose infine con la voce addolorata. Una fitta che percepì anche Murtagh gli partì dall’attaccatura dell’arto dotato di membrane morbide. Non puoi guarirti? La droga sembra avere meno effetto su di te… , gli domandò. Il drago ebbe voglia di tagliarlo fuori dalla sua mente, ma si fermò viste le condizioni dell’umano. ‘I draghi prendono la magia dalla natura utilizzandola per il volo e sputare fuoco, ma non sanno dominarla. È per questo che si legarono ai Cavalieri, ai tempi dell’elfo Eragon.’ , gli citò il libro di magia e storia dei draghi che aveva letto quando era un cucciolo, scocciato. La droga faceva sentire a Murtagh la testa talmente leggera che gli parve di percepire il bisogno di vomitare. Evidentemente un effetto collaterale conosciuto, una delle due donne Urgali gli avvicinò un catino in legno e storse il naso schifata. “Vedi di non sporcarti i bei vestiti, tra poco dovremo portarti da Nar Garzhvog.” , lo ammonì l’altra mentre si alzava e andava verso la porta della cella, che dava verso il cuore della montagna, guardando all’esterno. Con tutta la sua forza, trattenne lo stomaco, e dai tunnel venne il rumore di passi. Fu tirato in piedi, e le interiora rivoltate si rimisero nella loro posizione solita, o così gli sembrò la sensazione. Con sollievo, non dovette più combattere con il reflusso.

Fu trascinato al cospetto di Nar Garzhvog, il Kull capo della tribù Bolvek. Murtagh lo fissò cercando di metterlo a fuoco, ma i suoi occhi sembravano improvvisamente aver perso l’acuità definitivamente.

“Devo informarvi di una cosa, Cavaliere. E domandarvene un’altra.” , iniziò la montagna grigia alzandosi dal suo scranno, o qualsiasi altro tipo fosse stata la seduta.

Un ruggito arrivò da lontano. “Cosa state facendo a Castigo?!” , gridò il Cavaliere, stavolta con la forza corretta.

Il Kull rise. “Sei troppo impaziente. Se solo avessi atteso, non saresti risultato offensivo per avermi interrotto… Vedi, quello non era Castigo.” , gli disse con la sua voce ruvida.

Che una delle uova si fosse schiusa? Il dubbio doveva essere evidente sul suo volto e Nar Garzhvog continuò: “Il nostro Kull più abile nell’uso della magia si è legato a una delle uova che portavi con te, proprio mentre usava la sua magia per estrarle dal nascondiglio invisibile, una ha iniziato a tremare…”

Murtagh alzò la testa. “Dunque perché tenermi prigioniero? Avete le uova e un Cavaliere Urgali, proprio come volevate…”

Il Kull lo schiaffeggiò con violenza, spazientito. “Ti ho detto di non essere impaziente. Ti avrei spiegato anche questo! Nessuno ti ha mai insegnato la cultura Urgali, dicendoti che non puoi porre domande prima che ti venga dato il permesso?” , gridò avvicinandoglisi a un palmo dal volto. Murtagh scosse la testa lentamente. Con estrema velocità, il capo si allontanò da lui. “Non temiamo una guerra con gli elfi, non ridaremo indietro le uova a costo delle nostre vite. Abbiamo il diritto di gestire da noi i nostri Cavalieri. Non vogliamo essere assoggettati agli elfi come lo erano tutte le razze prima della Caduta dell’Ordine! Non saremo più le loro pedine.”

“Attento a quello che dite, Nar Garzhvog… Conosco meglio di voi chi la pensava in questo modo, sulla corruzione dei Cavalieri e all’asservimento al popolo elfico…” , tuonò Murtagh.

Il Kull gli diede le spalle, ridacchiando. “Hai fegato, Cavaliere, davvero. Per questo vorrei trasformare questo… inconveniente in un’opportunità per noi Urgali.”

Murtagh avrebbe voluto chiedere come, ma rimase in silenzio per non infrangere l’etichetta del popolo. Il capo fu soddisfatto del suo silenzio e dopo qualche minuto continuò. “Il piano originario era rubare le uova, tendendo un’imboscata all’ambasciata elfica e alla regina Arya. È stata abile a scoprire le nostre trame e mandare un altro Cavaliere dai lunghi capelli corvini, con la scusa di dover rimanere a Ellesméra per sistemare delle faide intestine ai clan.” , disse scoppiando in una fragorosa risata che fece vibrare la roccia, “Ora che siete nostro prigioniero però ti terremo qui per addestrare il nostro Cavaliere, se lo vorrai.”

Murtagh aggrottò la fronte. “Eragon ha il compito di addestrare i Cavalieri oltre i confini di Alagaesia, per evitare proprio che le razze pretendano i Cavalieri come semplici uomini d’armi, per la loro protezione. Ma non è questo il destino di chi si lega a un drago.”

“Arya non protegge forse il suo popolo con il suo drago?” , lo incalzò.

“Come Eragon non protegge gli umani e così nemmeno io, Arya non è la difesa ultima degli elfi! È la loro regina, e perciò rimane molto tempo nella Du Weldenvarden. Tuttavia, se i popoli di Alagaesia dovessero avere bisogno del suo aiuto di Cavaliere, lei accorrerebbe senza farsi scrupoli, anche se dovesse andare contro il suo popolo. Lo ha giurato, così come Eragon e io; e gli altri nuovi Cavalieri faranno. Sarà così anche per il nuovo Cavaliere Urgal.”

Il capo non parve contento della spiegazione. “Hjalmar avrà bisogno di una guida.”

“Se non avete intenzione di fargli prestar giuramento all’Ordine lo reputo più che capace di utilizzare la magia. Immagino che sia altrettanto per le armi. Non v’è nessun motivo per trattenermi. La regina Nasuada ne sarà molto scontenta!”

“Noi siamo alleati della regina Nasuada e gli umani erano assoggettati tanto quanto gli Urgali agli elfi! Sono sicuro che ci appoggerebbe!”

Murtagh rise con forza, per schernire l’altro. “La regina è chi mira a mantenere la pace tra i popoli più di chiunque altro. Non permetterebbe mai uno scontro tra Urgali ed elfi. Interverrebbero i Cavalieri in quel caso e anche con uno sareste in minoranza, in caso attaccaste per primi, iniziando la guerra come offensori.”

Il Kull ringhiò furibondo. “Non consegnerò il mio unico Cavaliere agli elfi per l’addestramento.”

“Allora lasciate che lo porti con me a Illirea. Lo addestrerò personalmente tra gli umani prima di lasciarlo nelle mani di Eragon per il completamento della formazione.”

“No!” , tuonò in risposta, “Rimarrai qui.”

“Allora vedrete la Regina Suprema Nasuada in persona alle vostre porte e rischierete la distruzione dell’alleanza.” , sospirò Murtagh mentre veniva trascinato nella sua cella.

 

Sognò ancora quella notte. Quella volta, fu tormentato dalle immagini dei morti. Per prima, arrivò sua madre, Selena.

Aprì gli occhi, non riconoscendo il luogo dove si trovava. Di sicuro, non era la grotta-cella dove si era addormentato - o era trapassato per le droghe, non essendovi più differenza tra un sonno naturale o uno indotto - . Era sdraiato su un letto, duro ma comodo. Sicuramente era il suo desiderio di un nobile viziato, abituato a dormire su comodi materassi e non sulla pietra, ad aver prodotto quell’immagine.

In più ora sono un vecchio padre di famiglia, ho il diritto di lamentarmi se sto scomodo!

Un caminetto era acceso al limitare del suo campo visivo.

Si tirò a sedere, facendo suonare per il movimento una campanella legata al suo polso. Quel metodo era lo stesso che usavano le sue balie da bambino. Si guardò il corpo, scoprendo dalla forma che si evinceva anche attraverso le lenzuola, di avere ancora il suo di adulto.

Non è un ricordo…

La porta della stanza si aprì e una figura femminile si affacciò fluidamente, visibilmente tesa però. Anche Murtagh si bloccò, dimenticando per qualche istante di respirare. Cosa ci faceva Selena - con alcune rughe attorno alle labbra, queste più sottili di quelle che si ricordava lui, e l’età che dimostrava era quella che avrebbe avuto se fosse stata ancora in vita - , di fronte a lui?

Si avvicinò fino al suo fianco, sfilando l’anello di filo argentato che gli cingeva il polso.

La campanella tintinnò appena, poi smise per sempre. Sua madre indossava un abito nero e austero, sulla sua figura ancora esile ma un filo muscolosa, lo stemma di Morzan cucito sul cuore.

Gli sfiorò le spalle mentre gli spostava i capelli dietro la schiena, facendolo rabbrividire. Poi poggiò le mani sul suo petto, come a verificare che fosse vero. “Sei diventato un uomo bellissimo, figlio mio.”

Di riflesso, lui indietreggiò appena, ma il movimento brusco la fece scostare dalla pelle del giovane. “Cosa sei venuta a fare qui?” , chiese con cattiveria.

La donna fece una smorfia di dolore. Abbassò il capo, e i riccioli castani le coprirono il volto, celando le sue espressioni e il volto sfuocato come quello dei suoi ricordi. “Pensavo che non provassi più così tanto ribrezzo nei miei confronti.”

Murtagh alzò entrambi i sopraccigli. “Per quale motivo avresti pensato questo?”

“Perché...” , esitò, “Ho saputo che hai chiamato la tua bambina anche con il mio nome. Non è quello un segnale implicito che non hai ancora ben capito se odi tua madre, o se ciò che provi è solo senso di abbandono? Sono venuta a salvarti, figlio mio!”

Il Cavaliere rise seccamente tra sé, abbandonando la schiena sui cuscini, coprendosi nel mentre gli occhi con la mano. “Ho capito, sei solo frutto della mia stupida coscienza... La coscienza morale plasmata dalle parole di Tornac, che mi dicevano che il perdono è l’unico modo per superare il dolore. Beh, quello è stato il suo unico insegnamento errato, perché non posso perdonarvi!”

Prese a urlare. “Il dolore l’ho superato con l’amore di Nasuada, che mi è stata accanto! Voi, tu e Morzan, dove siete stati per me, per il vostro unico figlio?! Mi avete abbandonato, questa è l’unica cosa che avete saputo fare!”

Quando riaprì gli occhi, la strega era ancora seduta accanto a lui, con l’espressione tradita. Si alzò lentamente, senza aggiungere altro, e uscì. La sentì piangere in lontananza, e il cuore di Murtagh si riempì di una confusione immane, dovuta alla sua presenza dolce-amara.

“Io non abbandonerò i miei figli!” , le gridò dietro, stemperando l’ultima fiamma d’ira, prima di accasciarsi tra le lenzuola.

Come farò a tornare a casa?

Il rumore di una mano che sbatteva pesantemente su un tavolo lo fece voltare di scatto. Non era più in una stanza da letto, ma in uno studio. Di fronte a lui, si trovava l’unica persona che ancora non lo aveva torturato nei suoi incubi: Ajihad. Oltre alla sua solita aria austera, era visibilmente adirato, siccome le vene delle mani, del collo e alle tempie pulsavano pericolosamente.

“Mi hai sentito, ragazzo?!” , gridò guardandolo negli occhi.

Murtagh si riscosse. “N-no, signore.”

Ajihad si alzò di scatto, girando attorno alla grande scrivania con velocità. Talmente tanta che il Cavaliere non ebbe il tempo per prepararsi al suo attacco. Si piazzò di fronte a lui e, seppure fosse più basso del giovane, era davvero temibile. Sentì il suo indice premuto sul proprio petto.

“Ora dimmi perché non sei accanto a mia figlia! Avevi promesso di proteggerla!” , gli gridò, facendogli spostare i capelli lievemente all’indietro. Dovette stringere gli occhi per sopportare la forza della sua voce senza fremere.

“Signore, sono stato catturato e vostra figlia è al sicuro a Illirea...” , tentò di dirgli, ma venne preso per il farsetto dall’uomo dalla pelle d’ebano. Mentre lo faceva ruotare nella stanza, fino a farlo cadere su una sedia - per poco non spaccandola - con un tonfo. Murtagh emise un gemito di dolore, mentre Ajihad si spostava davanti a lui, appoggiato alla scrivania con le gambe muscolose.

Incrociò le braccia al petto. “Sono davvero deluso da te come marito, Murtagh Morzansson.”

Il ragazzo si tirò dritto sulla sedia, gli occhi sbarrati. “Non dite così, io tornerò da lei!”

Strinse così fortemente i braccioli delle sedie che le sentì scricchiolare.

L’altro sbatté di nuovo la mano sul tavolo, facendo incassare il collo nelle spalle al Cavaliere come reazione. Eppure, non aveva timore di Ajihad, come invece di Morzan. Per quanto furioso, Ajihad aveva comunque una certa rispettabilità, non l’aura pazza e imprevedibile del Rinnegato. “L’hai lasciata sola con due bambini piccolissimi, giovanotto! Se fossi stato ancora in vita avrei annullato il vostro matrimonio, mi sarei ripreso la mia bambina!”

E se gli avesse preso anche la sua, di bambina?

Órlaith…

Finiarel…

Nasuada…

Murtagh si buttò sulle ginocchia, per implorarlo. “No! Non potete farmi questo! Non è colpa mia!”

“Dimostra che è bene che Nasuada rimanga legata a un uomo come te, piuttosto che sola!”

“Nasuada è forte ed è al sicuro, con i bambini!”

“Il Murtagh Morzansson che ho conosciuto non si lascia abbattere da un po’ di droga! È riuscito a dimostrare a me, il suo più acerrimo nemico, che un uomo va giudicato per il suo valore, prima del suo titolo o nome...”

Il Cavaliere scoppiò a piangere, sentendosi impotente. “Ma io non so come andarmene! La mia magia è pericolosa senza la lucidità, e Castigo è ferito.”

Vedendolo così indifeso, Ajihad parve avere pietà di lui. Gli s’inginocchiò di fronte, poggiandogli le mani sulle spalle. “Non puoi fare nulla ora che sei drogato, ma usa la testa, figliolo: credi che continueranno così a lungo?”

Murtagh capì, e il fuoco si riaccese nei suoi occhi. “Prima o poi servirò loro e dovrò essere in me, perciò se mi dimostrerò collaborativo, smetteranno di drogarmi.”

Le dita scure di Ajihad si spostarono sulla sua nuca, affettuosamente. “Rimani vivo per tornare da mia figlia.” , gli impartì in un sussurro, il tono però ben determinato, “Hai promesso di proteggerla, e così farai.”

“Per sempre.” , promise Murtagh, vedendo la luce nella stanza affievolirsi, mentre le torce si spegnevano. Ajihad fu il primo a scomparire nel buio, anche se la sensazione delle sue mani forti non lo abbandonò per lungo tempo.

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Capitolo 63
*** Delegazioni ***


Quindici giorni erano trascorsi dalla partenza di Murtagh e nemmeno una volta lui aveva stranamente contattato la regina, per mezzo degli specchi incantati. Il giorno previsto di ritorno era passato, sfumato nella notte e nella sua assenza. Con la neonata in braccio, la regina fissava il cielo notturno, in attesa che il marito tornasse. Farica entrò nel suo Talamo nonostante l’ora tarda, con una bevanda calda in mano. La dama era rimasta sveglia, come molte altre notti, a tenere compagnia alla ragazza dalla pelle d’ebano.

“Nasuada, devi dormire. Non hai dato tempo al tuo corpo di riprendersi dal parto completamente e ora ti rifiuti di riposare la notte!” , iniziò poggiandole il calice caldo sullo scrittoio accanto a lei. La giovane regina scosse la testa, stringendo la neonata a sé maggiormente. “Arya è impegnata nella politica del suo popolo e perciò non sa nulla di lui. Le protezioni di Murtagh ci impediscono di divinarlo e non sappiamo dove sia per cercare uno specchio incantato vicino per potergli parlare, e lui pare non aver preso con sé il suo, viste le mancate comunicazioni.” , esternò le sue riflessioni lucide Nasuada.

La dama andò a circondarla in un abbraccio materno. “Tuo marito è il mago più potente di Alagaesia e un uomo esperto in sopravvivenza. Avrà dei validi motivi per ritardare il ritorno.” , la rincuorò. Ma Nasuada fu colpita ancora più forte dalla consapevolezza che ci fosse qualcosa di anomalo in quella situazione. Perché avrebbe dovuto sparire così? Solo perché il loro secondogenito si era rivelata una bambina? Tra l’altro sembrava non esserne affatto rimasto contrariato, gliel’aveva letto negli occhi mentre la teneva tra le braccia.

Poteva più probabilmente aver invece incontrato resistenza, o un gruppo di banditi. Per quanto fosse un abile mago e spadaccino, non era invincibile e la sua mente era probabilmente ancora focalizzata sugli avvenimenti ultimi nella sua famiglia.

Si voltò verso la dama, mordicchiandosi le unghie. “Credi che sia troppo domandare a Eragon di cercarlo? Sono sicura che lui riuscirebbe a raggiungerlo, nonostante le difese magiche di Murtagh.”

Farica le tolse le dita dalla bocca con un breve sguardo di rimprovero, poi scosse il capo sospirando. “Se questo ti dovesse rassicurare e farti dormire, allora disturbare il Cavaliere Eragon per contattare suo fratello potrebbe essere un’ottima idea.”

“Oh, insomma, Farica! Come puoi preoccuparti solo di me, quando mio marito non si sa dove sia?!” , sbottò seccata la regina, uscendo dalla stanza per chiedere alle guardie di svegliare Jarsha per richiamare in servizio Trianna.

“Perché so che anche nella remota possibilità della morte del Cavaliere, tu dovresti prendere in mano la tua vita per i tuoi figli. Non lasciare che la disperazione o la paura ti facciano comportare in modo stupido.” , rispose la dama rincorrendola.

“Non dirlo nemmeno! Murtagh non può lasciarmi vedova, con due bambini, di cui una è una neonata! Sai cosa succederebbe se io divenissi vedova? Avrei un nugolo di pretendenti per un secondo matrimonio e se fossi costretta alla fine a risposarmi, ci sarebbero altissime probabilità che il mio nuovo marito possa tentare di far uccidere i miei figli!” , sbottò Nasuada ora di pessimo umore. La bambina parve percepirlo, mettendosi a urlare tra le sue braccia.

Shht, mia adorata. Il tuo papà tornerà presto, vedrai.” , la rassicurò, anche se in cuor suo sapeva che quelle parole fossero più utili a lei che a una bambina che non poteva ancora comprenderle.

Quando Jarsha tornò con Trianna, Farica poggiò una cappa sulle spalle di Nasuada, accompagnandola nello studio del Cavaliere, il più prossimo agli appartamenti reali. Venne lasciata sola poco dopo, e il volto caldo di Eragon apparve.

“Mia regina, come posso esserti utile?”

“Eragon, è bello rivederti. Vorrei il tuo aiuto su una questione che mi affligge.”

La neonata starnutì, facendo sussultare la giovane con i nervi a fior di pelle.

Il Cavaliere annuì. “Ma non prima di aver visto quella creaturina che stringi tra le braccia. È il tuo secondo figlio? Perdona l’impudenza, ma sono contento per te e per mio fratello, e proprio per la nostra parentela mi sono permesso di domandarti di vedere il bambino che condivide anche un po’ del mio sangue.” , chiese dolcemente.

“Sì, lei è mia figlia. Órlaith è nata appena pochi giorni fa.”

Eragon batté le mani assieme. “È meraviglioso, ora sia tu e mio fratello sia Roran e Katrina avete un figlio e una figlia a completarvi la vita!”, le disse con un grande sorriso che svanì all’apparire di un’espressione di dolore della regina, “Dov’è Murtagh ora - aveva promesso di contattarmi il giorno dopo della nascita - ? Ti sta tenendo il muso, o non vuole che io lo veda felice di avere una bambina? So che in cuor suo apprezza ogni genere di nuova vita, se questa è per metà della sua amata.”

Nasuada si adombrò completamente. Vista la promessa di Murtagh, se lei avesse notificato la nascita di Órlaith a Eragon prima, a questo sarebbe sorto un grosso sospetto e avrebbe già intrapreso le ricerche del padre smarrito. “A dir la verità, non so dove sia Murtagh. Speravo tu potessi tentare di contattarlo, per dirgli che siamo molto preoccupati per lui.”

L’altro impallidì. “Quello sconsiderato di Murtagh è fuggito ancora?” , sibilò adirato.

La regina piegò il capo di lato. “Mio marito non è mai fuggito dalle sfide della vita. Quando se ne è andato è perché ne sentiva il bisogno, per ritrovare sé stesso.”

“Sì, lo so. Ma non aveva due figli da abbandonare. A ogni modo… Quando se n’è andato?”

“La sera della nascita di nostra figlia, sotto richiesta di Arya. Doveva incontrare gli abitanti dei villaggi Urgali, ma non è ritornato entro la data prestabilita, né ci ha detto che si sarebbe trattenuto.”

Eragon diventò ancora più bianco. “Non ero stato informato di tale scambio tra Arya e Murtagh…”

“No?!” , esclamò stupita la giovane dalla pelle d’ebano.

Eragon deglutì sonoramente. “È così. Provvederò a ricordarle il suo ruolo. Intanto però voglio aiutarti, come prima cosa. Avete tentato a contattarlo al suo specchio, è corretto?”

“Ad Arya penserò io, serve qualcuno con polso. Per quanto riguarda Murtagh, non riusciamo a entrare in contatto con lui. Per questo motivo chiedo a te, un Cavaliere dall’immensa potenza magica.”

Eragon annuì dopo aver storto il naso all’allusione dell’amica di essere troppo permissivo con l’elfa, troncando il contatto per tentare di raggiungere il fratello maggiore.

“Che situazione orribile…” , mormorò affranta la regina.

Nasuada si sistemò accasciandosi su una poltrona, riempiendo il tempo per giocare con le minuscole manine della bambina tra le sue braccia.

“Sei davvero bella… come tuo padre.” , mormorò guardandola negli occhi appuntiti come i propri, ma azzurri come quelli di Murtagh, “Se dovessimo rimanere solo noi tre, almeno mi ricordereste il mio Amore per sempre.”

La bambina iniziò a battere le palpebre lentamente, eventualmente addormentandosi, lasciando la regina da sola nello studio del marito. Si sistemò meglio nella poltrona - con difficoltà dovuta alla rigidità della legatura che per la seconda volta nella vita le avevano fatto attorno all’addome con lunghi lembi di tessuto intrecciati e poi legati sulla pancia, per aiutare il suo addome a riprendere la sua forma e la sua forza dopo la gravidanza - , chiedendosi se lui l’avrebbe mai riempita nuovamente, se avrebbe mai stretto Nasuada e i loro figli con calore, come solo lui poteva donare loro.

Improvvisamente, Eragon la chiamò dallo specchio. “Ho intravisto Murtagh: dormiva.”

“Come ha potuto estrarre lo specchio se dormiva?” , indagò la ragazza dalla pelle d’ebano.

Il Cavaliere azzurro sembrò a disagio. “Ho tentato un altro metodo di divinazione, attraverso le particelle di acqua nell’aria. Dormiva profondamente, mio fratello, come se fosse molto stanco.”

“Respirava?”

L’umano dall’aspetto di elfo la guardò con sguardo liquido, quasi compassionevole. “Non è morto, Nasuada. Sta bene, sarà accampato da qualche parte. Arriverà presto. Nel frattempo ho contattato Arya.”

Nasuada sbarrò gli occhi, suonandole le sue parole tutto fuorché rassicuranti. “Arya... per quale motivo? Non ti avevo detto che ci avrei pensato io a difendere la mia famiglia?”

“Sì, ma lei è la più vicina. Invierà alcuni soldati a dirigersi incontro a Murtagh. Dice che il vostro Protetto, Derrel, è al sicuro a Ellesméra.”

Senza dare a vedere lo sconvolgimento, Nasuada si maledì per aver dimenticato di preoccuparsi anche per Derrel. Se gli fosse accaduto qualcosa, la sua posizione si sarebbe incrinata.

“Sono felice di udirlo. Proverai ancora a contattare Murtagh, sperando di trovarlo sveglio?”

“Ci penseranno gli elfi. Ti devo lasciare ora, devo attendere alle lezioni del Cavaliere Reenan.” , la salutò sbrigativamente, ancora piuttosto pallido in volto.

Quella notte non riuscì a dormire, la giovane regina. Trascorse le ore fino all’alba a osservare il cielo e poi i figli, nel loro letto che condividevano per avere più calore. Un nodo che portava un brutto presentimento le si formò in gola, facendole passare persino la sete. Farica l’assistette, silenziosamente cucendo una decorazione per un lenzuolo che voleva donare alla neonata. Ogni tanto scuoteva il capo, forse alla testardaggine della sua figlia adottiva, che non voleva coricarsi, nemmeno tentando di addormentarsi.

I timori di Nasuada furono resi veritieri quando la mattina un corteo di elfi entrò le mura del castello. Un’ambasciata di venti individui, un cospicuo numero. Si vestì in fretta e corse nella sala del trono con la sua bambina al seno, inseparabile dalla nascita di questa. Il corteo la stava già aspettando. Due elfi erano a capo, uno dalla chioma bionda e l’altro dalla chioma corvina. Si inchinarono a lei mentre camminava al loro fianco fino alla testa delle due file di orecchie-a-punta, come li avrebbe definiti Castigo. “Vostra Maestà, siamo venuti per informarvi di uno spiacevole inconveniente accaduto al Cavaliere Murtagh.” , disse il moro con la sua voce sibillina. Sentì le gambe cedere, ma si fece coraggio quando nello stesso momento la figlia emise qualche versetto. L’elfo biondo la guardò incuriosito.

“Vi prego di spiegarmi.” , chiese seccamente. Gli elfi talvolta avevano modi di arrivare al dunque attraverso narrazioni che partivano da estremamente lontano dall’obiettivo.

L’elfo dai capelli corvini fece un passo avanti, andando a sussurrarle all’orecchio. “Credo che sia necessaria la vostra presenza in quanto Regina Suprema.”

“Venti di guerra?” , chiese lei estremamente piano e senza muovere le labbra. Nasuada non aveva assunto solamente l’incarico di regina del popolo umano, ma aveva giurato di difendere tutti i popoli d’Alagaesia dal combattersi vicendevolmente, preservando la pace e divenendo la regina di tutti i re. L’altro annuì impercettibilmente, poi spostò lo sguardo in basso sulla creatura addormentata. La regina seguì i suoi occhi chiari. “Non sono più nella condizione di partire quando voglio. Alagaesia ha bisogno dei suoi eredi quanto di me per assicurare una pace duratura.” , spiegò lei. L’elfo biondo si fece avanti, mettendosi una mano al cuore e piegando il busto in avanti velocemente prima di parlare. “Vostra Grazia, la metà di noi rimarrà qui a vegliare sui principi di Alagaesia, e l’altra metà vi scorterà.”

Nasuada lo squadrò alzando il mento. “Una regina non si muove dal proprio castello senza almeno sapere dove è richiesta la sua azione e la sua diplomazia. Per quanto mi riguarda, potrebbe essere un tranello di Arya per eliminare me e mio marito nello stesso momento. E i nostri figli, una volta che ci saremmo separati da loro.”

Un lieve sibilo provenne da uno degli ospiti, ma che non si fece vedere dalla regina per evitare di essere punito o causa di ulteriori dissapori tra le due razze.

“Urgali, Vostra Grazia. Hanno rubato tre delle nostre uova trasportate dal Cavaliere Murtagh.” , rispose l’elfo moro. Il sangue le si incendiò nelle vene dalla rabbia. A tre anni dalla sua incoronazione il popolo Urgal rompeva l’alleanza. Avrebbe potuto essere la breccia nella saldezza del suo governo.

“Se le uova di drago sono state rubate, forse la vostra regina, in quanto Cavaliere, sarebbe stata più adatta a contrattare con Nar Garzhvog per riaverle. Non vedo perché ricorrere al mio intervento.”

“La regina Arya è impegnata in gravi conflitti tra i clan del nostro popolo.”

“Sembrano più severi di giorno in giorno. Mi duole sentirlo.” , rispose con cordialità, anche se sapeva che quanto fosse successo a Murtagh era in parte causato dalla mancanza di Arya verso la Cerimonia delle Uova. “Se vi siete rivolti alla Regina Suprema per un inconveniente al Cavaliere Murtagh immagino che i gesti degli Urgali vadano ben oltre a un ratto.”

“Oltraggiose per la pace, vostra maestà.” , confermò l’elfo biondo avvicinandosi.

“Vorrei sapere anche io per cosa dovremo combattere!”, tuonò una voce familiare dopo il fragore dei portoni in legno che si spalancavano. La principessa scoppiò a urlare. Orik e una delegazione di nani avanzarono verso di lei. I presenti aspettarono che la neonata si calmasse per ricevere una spiegazione. Fu l’elfo biondo a parlare. “Io sono Auryn del clan Ariel, figlio di Arendriel - fratello della defunta Islanzadi - . Ci è giunto un messaggio che il Cavaliere rosso ha fatto trapelare segretamente: è tenuto ostaggio e drogato, il suo drago ha le ali spezzate e non gli è permesso curarle.”

Orik grugnì. “Spero ci sia dell’altro. Non ho fatto tutta questa strada per assistere a un Consiglio con la Regina Suprema su questioni da Cavalieri! Avreste dovuto richiamare Eragon!”

Nasuada alzò una mano, seccata dal suo temperamento. “Arya è impegnata, perciò la questione non può essere risolta dagli unici rappresentanti in Alagaesia dell‘Ordine dei Cavalieri, siccome Murtagh è tenuto in ostaggio ed Eragon ha giurato di non ritornare tra noi.”

“Vostra maestà Orik, siamo stati mandati qui dalla regina Arya perché si richiede espressamente l’intervento della Regina Suprema come moderatrice. Gli Urgali vogliono costringere il Cavaliere rosso ad addestrare il loro nuovo Cavaliere senza che esso si unisca all’Ordine. Vogliono avere un’arma contro ciò di cui accusano il nostro popolo: assoggettare gli altri di questa terra.” , gli spiegò con pacatezza l’elfo dai capelli chiari, cugino della loro regina.

Orik inorridì. “Ma è assurdo! I Cavalieri devono proteggere Alagaesia e abbandonare le parti del popolo tra cui sono nati!”

I presenti annuirono.

“Tutte queste sono solo informazioni trapelate da Murtagh, è corretto? Nessuno a parte i presenti e Arya ne è al corrente?” , si assicurò Nasuada.

Auryn le assicurò che la segretezza avrebbe permesso di sistemare la faccenda prima che i popoli iniziassero a dubitare di lei, se fosse partita all’istante. Di prassi, le delegazioni dei popoli che rischiavano l’offesa erano arrivate, perciò non le rimase che farsi affiancare da dieci Falchineri e assegnarne altrettanti alla gestione del paese in sua assenza e ordinare che le venissero preparati i bagagli. Quando le furono recapitati, Farica le portò il primogenito per un breve saluto. “Siate forti, figli miei. Ritornerò presto.” , sussurrò mentre lasciava un’ultima carezza al bambino e alla neonata, prima di metterla tra le braccia dell’elfo Auryn, che si era galantemente offerto di vegliare sulla creaturina. Nasuada si recò alla sua carrozza seguita da Farica, dieci Falchineri, altrettanti elfi guidati da quello con i capelli corvini e nani. Auryn e Orik rimasero al presidio della capitale. Vide il castello divenire sempre più piccolo in lontananza, le lacrime le premevano gli occhi, e la lotta continua per ricacciarle indietro era messa in difficoltà dalla consapevolezza di aver abbandonato i suoi bambini. Se quella era stata la sua prima volta, capì la riluttanza del marito a ogni partenza, e il dolore che doveva provare. Fu grata di averlo al suo fianco, un uomo che amava lei e i loro figli tanto quanto lei stessa, che li aveva cresciuti vicino al suo cuore dal concepimento.

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Capitolo 64
*** Reclamare la sua vita ***


Dopo il colloquio non lo drogarono più con dosi massicce come in precedenza, vista la mansuetudine che aveva sfoggiato, permettendogli di essere lucido anche se innocuo. Ogni giorno Hjalmar veniva spinto dentro la sua cella-grotta e il Cavaliere gli impartiva lezioni di Antica Lingua. Aveva tentato di iniziare con la cultura e l’etica dell’Ordine, ma era stato costretto a insegnare cose ritenute fondamentali dal popolo suo detentore, ovvero come poter governare la magia di cui il Kull era dotato sin dalla nascita con la parola e non solo la volontà e gli impulsi. Murtagh lo trovava ironico, avendo lui imparato prima l’Antica Lingua sin dalla giovinezza, poi il Re Nero gli aveva personalmente trasmesso ogni incantesimo immaginabile, anche se Murtagh si era da subito rivelato fantasioso con la magia, tanto da arrivare a una potenza tale da poter guarire un drago gravemente ferito in battaglia solo con il pensiero. Il draghetto bianco era grande come uno sgabello, e si divertiva a volare sulla testa di Castigo durante tutta la permanenza del nuovo Cavaliere assieme al maestro. Castigo era perennemente di pessimo umore e aveva tentato più volte di arrostire il piccolo, e se non fosse stato per Murtagh questo sarebbe stato gravemente ustionato, essendo le sue squame ancora morbide.

Una notte un corvo s’insinuò nella sua grotta-cella, andandogli a beccare dolorosamente gli occhi, facendolo svegliare. Cercò per ore di catturare l’animale, riuscendoci solo verso l’alba, mentre iniziava già a pensare fosse troppo tardi e che lo avrebbero scoperto, perciò sarebbe stato meglio abbandonare l’impresa. L’animale tra le sue mani prese a gracchiare e Murtagh isolò la stanza con la magia, perché non lo sentissero. Lo voltò in modo da osservarlo negli occhi ed entrò nella sua mente. Fece in modo di essere sicuro di avervi impresso un messaggio per Arya o per Nasuada, mostrando Nar Garzhvog e il nuovo Cavaliere Urgali. Poi gli insegnò la strada verso la foresta degli elfi, perché più vicina, sperando che Arya mandasse qualcuno a liberarlo. Con un gesto secco, lanciò l’uccello in aria e questo volò un po’ in cerchio confuso, sbattendo alle pareti, poi trovò il varco da cui era provenuto e sparì. Dietro di lui l’alba iniziò ad arrivare lentamente. Si stese per terra sulla paglia accanto al rettile che era il suo giaciglio, guardando il soffitto e aspettando i carcerieri. Erano passati ventitré giorni, come indicavano i segni incisi sulla roccia. La notte dormiva raggomitolato al fianco del Compagno, il suo corpo che non riusciva a riscaldarsi a causa degli scompensi della droga. Aveva rischiato l’assideramento una sera dopo che lo immersero in una tinozza e lo strigliarono per bene, inclusi i lunghi capelli corvini, senza asciugarlo. Il freddo nel cuore della montagna aveva fatto sì che la sua tunica zuppa dall’acqua che grondava dai capelli si congelasse per qualche ora. La mattina fu preso a calci dalle guardie perché la lezione del giorno al loro Cavaliere era stata annullata per colpa della sua debolezza. Fortunatamente, le sue costole si incrinarono solamente, senza spezzarsi come invece fu la sorte del suo braccio destro. Fortunatamente, non era la mano con cui impugnava la spada o incanalava la magia in modo preferito.

Due braccia forti lo alzarono dalla posizione in cui sedeva per meditare, come insegnatogli da Glaedr durante il completamento del suo addestramento da Eragon, trascinandolo al cospetto di Nar Garzhvog per il resoconto quotidiano.

“Non sembri il temibile e invincibile braccio destro di Galbatorix” , sentenziò atono il Kull. Murtagh alzò le spalle, stringendosi al petto l’arto spezzato. “Per quanto detestassi Galbatorix, almeno lui non mi teneva in questo stato di perenne annebbiamento. Non sono nemmeno sicuro di aver insegnato qualcosa di sensato a Hjalmar riguardo l’Antica Lingua.”

Il Kull rise. “Ci stai riuscendo. Gli devi la vita per averti impedito di morire congelato con la magia e le formule nell’Antica Lingua.”

Il Cavaliere strofinò i denti rumorosamente. “Se voi non mi teneste in cattività e mi trattaste come feccia, non mi sarei mai ridotto in quello stato. E le formule sono stato io a insegnarle al vostro Cavaliere, non dimenticatelo. Non scordate nemmeno che vi state rivolgendo a un Cavaliere!” , gridò con rabbia.

Uno schiaffo dalla guardia lo colpì non troppo forte, o almeno lui non lo sentì. Voleva poter guarire Castigo, tornare a casa dai figli e dalla moglie, essere di nuovo libero. “Ricordati che sei niente, anche per i Cavalieri. Ti tengono nel loro Ordine solo come emissario, come mero trasportatore per le loro uova. Sei un esecutore dei loro ordini, nient’altro. Questo perché gli elfi hanno istruito il tuo fratellastro per ricreare un Ordine che benefici solamente loro, come un tempo.” , sputò il capo. Murtagh rimase in silenzio. Ribattere con lui lo snervava. I suoi pregiudizi verso gli elfi e verso di lui erano superiori alla volontà di ascoltare e comprendere. Non sarebbe mai stato a sentire che sua moglie, la Regina Suprema Nasuada, aveva stretto un accordo con Arya perché il popolo di orecchie-a-punta non agisse per giostrare l’intera Alagaesia, come aveva fatto per secoli prima della Caduta e del loro quasi completo sterminio. Seppur la loro superbia li portasse a peccare in quel senso tuttora in qualche occasione, il loro numero era così basso da non poter essere una coercizione reale nemmeno per gli Urgali sopravvissuti alla guerra.

“È venuta una donna molto coraggiosa oggi a cercare di comprare la tua libertà. Dice che il sangue del tuo sangue ha bisogno di te.” , lo informò annoiato il Kull.

Il sollievo dilagò nel Cavaliere. “Nasuada?” , chiese con fervore. Nar Garzhvog alzò lo sguardo minaccioso, scuotendo il capo appena. Murtagh si morse il labbro, rendendosi conto di essersi tradito da sé. Poi un lampo di collera balenò negli occhi del capo, come il Cavaliere si aspettava.

Gli si avvicinò con due falcate, prendendogli il volto e graffiandolo con gli artigli che aveva al posto delle unghie. “Hai avvisato la Regina Suprema?” , gli chiese perentorio.

Murtagh non rispose, ma quella era una chiara ammissione di colpevolezza. Nar Garzhvog diede l’ordine che lo riportassero nella sua cella, senza servirgli la cena. Crede che questa possa essere una punizione? Ho sopportato ben di peggio, non mi piegherà certo affamandomi… , rise amaramente tra sé. Mentre ritornava nella grotta chiusa dalla pesante porta in ferro si domandò chi potesse essere la donna ad averlo reclamato. Il suo sangue era alla capitale e a Carvahall. Che potesse essere Katrina, la donna coraggiosa? Oltre alla moglie e ad Arya, era ritenuta da molti una vera forza della natura personificata. Eppure Katrina aveva un erede di meno di un anno da accudire, Roran non avrebbe mai permesso che venisse inviata lei in una missione così rischiosa. Poi, un lampo fece ritornare a galla il timore assieme alle parole proferite nello specchio da Angela l’Erborista due anni prima. Sperò che Finiarel e ora anche la sua piccola fossero al sicuro. Quella notte, faticò a dormire, divorato dal timore che la profezia potesse essersi avverata, che quella fosse la sua fine, e quella dei suoi figli. Chi aveva, però, reclamato il suo sangue?

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Capitolo 65
*** Una moglie forte ***


Murtagh giaceva accanto a Castigo, il suo respiro che gli scostava ritmicamente i capelli sul pavimento. Lo avevano drogato nuovamente la notte precedente, per evitare che tradisse il popolo Urgal una seconda volta. Il suo stomaco era di nuovo in subbuglio, la sua pelle di un sottotono verdastro, i suoi capelli annodati perché nessuno si occupava della cura di lui, tantomeno di pettinare la sua chioma. Il suo braccio rotto gli impediva di farlo da sé. Guardò il sole salire e proiettare lunghi raggi dalla sottile finestra scavata nella roccia. Con sorpresa crescente, mentre aspettava l’arrivo del carceriere a indicare l’inizio della giornata, vide i raggi ruotare progressivamente sulle pareti. Il tempo stava passando, senza che lui venisse svegliato o che Hjalmar fosse scortato da lui. Ritenevano stupidamente il suo addestramento concluso, solo perché ormai la sua conoscenza dell’Antica Lingua era poco più che media? Cosa ne sarebbe stato di lui in quel caso? Pensò a Nasuada, alla sua pelle calda e soffice, ai suoi baci dolci quando si sdraiavano stremati dalle loro lunghe giornate nel letto. Ricordò le poche volte che era sgattaiolato nella stanza di Finiarel per portarlo a dormire con loro, e la regina che cambiava espressione da contrariata a progressivamente più amorevole. Finiva sempre a giocare con il suo piccolo, facendogli il solletico dietro le piccole ginocchia e soffiandogli sul ventre, facendolo scoppiare a ridere. Cercò di immaginarsi la neonata che aveva abbandonato e che era sicuramente cresciuta molto in sua assenza, come sarebbe stato rivederla. Se mai avesse potuto.

Castigo?

Mh-hm? , rispose il rettile.

Credi che abbiano deciso di abbandonarmi qui a marcire?

Il drago sbuffò. No, ho sentito parecchio trambusto, avranno altro a cui pensare…

Proprio mentre lo diceva, rumore di passi in corsa provenne dal fondo del corridoio, fino alla sua cella. “Cavaliere, sei sveglio?” , disse una voce raspante. Murtagh non trovò in tempo la forza per rispondere, l’inerzia lo attanagliava per colpa della sostanza che gli avevano fatto ingerire. Non sentendolo proferire parola, la guardia corse via. Si tirò improvvisamente e istintivamente a sedere quando sentì il rumore di lame incrociate in lontananza. Rendendosi conto che poteva non essere solo un allenamento, si sdraiò nuovamente con lentezza: tanto lui era fuori dai giochi per colpa della droga. In più non aveva Zar’Roc con sé.

Se dovessero lasciarmi morire qui, cibati del mio corpo e cerca di prolungare la tua vita almeno tu, mio prezioso Compagno. , lo implorò Murtagh mentre la testa vorticava senza sembrare di volersi fermare. Castigo imprecò come aveva sentito fare a Murtagh innumerevoli volte, dando la colpa alla droga per l’insopportabilità del compagno, annebbiato dalla sostanza.

Alcune voci stavano iniziando a discutere fittamente in lontananza. Castigo alzò il collo nonostante i dolori lancinanti che provennero dall’attaccatura delle ali, quelle che sarebbero state le scapole in un umano.

Elfi? , si domandò nell’udire qualche breve parola in tono cristallino. L’eco di una voce femminile indefinita arrivò fino alle celle.

Castigo, cosa senti? , gli chiese curioso il Cavaliere, i propri sensi inaffidabili.

Il drago, con la bocca, scostò un’ala abbandonata sul pavimento, per ruotarsi dall’altro lato. Murtagh fu percorso da dolore e bruciore, attraverso la connessione mentale al drago ferito. Sento che abbiamo fatto bene a tornare… , rispose l’animale laconicamente, alzandosi sulle zampe nonostante il dolore.

Murtagh lo guardò sbalordito, poi gemette di dolore non suo. Non credo proprio, siamo prigionieri, feriti e impossibilitati a curarci… la nostra condizione non è crudele quanto ignobile! , disse il Cavaliere con un sospiro.

Non durerà molto ancora, lei è un portento! , commentò l’altro con quello che sembrò orgoglio.

Di chi stai parlando?! , sbottò Murtagh cercando di alzarsi.

Non ti è chiaro? Di - , iniziò il drago spazientito, ma fu interrotto dalla porta che si apriva.

“Nasuada!” , esclamò piano Murtagh vedendo la donna dalla pelle d’ebano sulla soglia, le mani sulla bocca mentre faceva balenare gli occhi prima al drago poi a lui. “Allora eri tu a essere giunta a liberarmi!” , sussurrò tra sé.

La giovane regina corse ad abbracciarlo, facendogli urlare di dolore per il braccio e le costole che premette. Lei si lanciò all’indietro, spaventata. Lo squadrò, con attenzione nelle pupille ambrate sul suo braccio ripiegato al petto, immobile e gonfio. Si addolcì, allungando una mano ad accarezzargli il volto.

“Mi dispiace di non essere una bella visione…” , mormorò lui.

Lei scoppiò in una risata, due lacrime che sfuggirono lungo le guance.

Le asciugò ricomponendosi. “Siete salvi, ho sistemato la questione.” , gli sussurrò guardando anche Castigo. Il drago annuì, dandole un colpetto di ringraziamento alla schiena.

“Mi hai salvata, ora siamo pari.” , scherzò Murtagh riferendosi alla prigionia a Uru’Baen. La regina gli lanciò uno sguardo torvo brevemente, in segno che non avesse apprezzato il suo senso dell’umorismo. Un elfo dalla chioma corvina entrò improvvisamente portando una branda e due nani lo sollevarono sopra di essa con cautela. La regina si alzò, andando a sfiorare l’ala del drago vicina a lei abbandonata al suolo inerte. “Castigo non può soffrire in questo modo.” , disse voltandosi verso l’elfo moro, in un ordine più che una constatazione. Lui annuì.

“Nedriel ti curerà, non voglio aspettare che il tuo Cavaliere smaltisca la droga.” , disse all’animale con tono materno. Il drago confermò di aver compreso e di essere lucido, sia alla ragazza sia all’elfo. Vi prego di occuparvi anche di Murtagh dopo, le sue costole e il suo braccio lo tormentano. , li avvisò sentendo il primo sollievo, appena l’essere dalle orecchie appuntite iniziò a incantare una formula di guarigione.

Nasuada si avvicinò al marito. Con dolcezza, mentre lui la guardava dal basso in ammirazione, come i loro figli, ogni volta in attesa del pasto che solo il seno della madre poteva fornire loro, sfilò un pettine di madreperla dall’abito che aveva sempre con sé e prese a districargli i capelli. Lui chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal movimento attento delle sue sottili mani.

“Sono felice di averti qui con me nuovamente!” , sussurrò quasi colto dal sonno.

Lei sorrise e si fermò un attimo. “Anche io, Amore mio.”

“Nar Garzhvog mi lascerà tornare a casa con te, dai piccoli?” , biascicò il Cavaliere, aprendo leggermente gli occhi.

Nasuada annuì. “Ho deposto Nar Garzhvog. Il Cavaliere Urgal partirà per Ellesméra tra due giorni, quando noi partiremo per Illirea. Il popolo che ti ha rapito si sta al momento organizzando con un nuovo capo.”

“Gli farai giurare fedeltà?”

“No, ma gli chiederò di rinforzare l’alleanza che il suo predecessore aveva stretto, perché non accada più nulla di quanto successo ora.” , concluse riprendendo a districare i nodi.

Il sonno arrivò per il Cavaliere poco dopo, in grembo a Nasuada, che gli aveva alzato il capo per sedersi più comodamente sulla branda, riponendoselo sulle gambe.

 

Fu riscosso da un nano dalla barba bionda e i capelli ancor più chiari. I suoi occhi, però erano quasi neri. “Cavaliere, la Regina Suprema desidera che siate con lei per incontrare il nuovo capo Urgal” , lo informò aiutandolo a sedere. Con sua sorpresa, la testa era lucida e il busto non gli doleva più, compreso il braccio destro. Aprì e chiuse la mano e il nano ridacchiò. Era molto giovane, probabilmente non maggiorenne quando la guerra infuriava in Alagaesia. “Nedriel vi ha curato, anche se il vostro Compagno ha dovuto abbassare le vostre difese magiche per permettergli di raggiungervi.” , lo informò facendogli poi un cenno con il capo perché si alzasse. Nel nominare Castigo, Murtagh alzò lo sguardo su di lui, trovandolo in piedi e con le ali spiegate.

Sorrise verso il Compagno, pieno di contentezza.

“Ho bisogno di ripulirmi prima.” , gracchiò al basso essere, che aggrottò le sopracciglia. “Ci ha pensato vostra moglie assieme a due elfi, mentre eravate incosciente.”

Murtagh spostò velocemente lo sguardo su di sé, scoprendo di aver indosso abiti puliti, poi divenne paonazzo. L’altro fece un movimento con la mano, come a scacciare l’imbarazzo. “Sono sicuro che gli elfi saranno andati a rosicare perché un umano ha un fisico altrettanto perfetto come i loro.” , scherzò facendo scoppiare a ridere il Cavaliere. Si alzò dalla branda, il suo corpo che era tornato a farsi percepire come al solito. Si avvicinò a Castigo prima di uscire, prendendogli l’enorme testa tra le mani e fissandolo negli occhi cremisi. Grazie, amico mio.

Sarò sempre con te, nel bene e nel male. , gli rispose chiudendo lentamente, una sola volta, le palpebre.

Raggiunse la stanza dove aveva incontrato Nar Garzhvog parecchie volte, trovando lo scranno vuoto e numerose donne Urgali e Kull presenti. Nasuada era ritta in piedi a fianco al simbolo del potere, una seduta di pietra ottenuta a suon di scalpello e mai rifinita, visto il suo aspetto grezzo. Al centro dello schienale era incastonata nella roccia, dall’alba dei tempi, una gemma verde che faceva capolino. La moglie indossava un abito bianco, in forte contrasto con la sua pelle, dai ricami blu. Nonostante avesse partorito quasi venticinque giorni prima, il suo corpo sembrava di nuovo quello di sempre, i lunghi arti sottili come la vita, il collo lungo. Si sarebbe aspettato di ritornare alla capitale, trovandola ancora un filo in carne dopo la gravidanza e riposata, ma la donna che aveva di fronte era determinata ma visibilmente sciupata. Lunghi orecchini iniziarono a muoversi a destra e a sinistra quando si voltò verso i rappresentanti del popolo Urgali che avevano sciolto il cerchio in cui stavano discutendo fittamente. Murtagh andò vicino alla moglie, spostando una mano alla base della sua schiena in modo da non essere visto. Una donna Urgal dalla chioma castana avanzò. “Io sono Tyra della tribù Ghiazj-Valek. Sarò io d’ora in poi a comandare questo popolo.”

Nasuada annuì. “Il tuo nome significa forza. Dovrai assicurarmi che non userai tale forza contro gli altri popoli di Alagaesia perché possiamo tutti vivere in pace sotto il mio sguardo vigile.”

“Nar Garzhvog è nato per essere un guerriero, io sono nata per essere saggia e dura con chi tenterà di infrangere la parola che vi do: il mio popolo non farà nulla per recare torto agli altri che condividono queste terre.”

Nasuada fu sollevata dalla docilità della femmina Urgali. “Vi darò il permesso di estendere i vostri villaggi oltre la dorsale, perché possiate essere un popolo numeroso e vivere dignitosamente al di fuori di queste caverne fredde.”

Un nano borbottò, a loro piaceva vivere nelle montagne e non le avrebbero mai abbandonate per la terra pianeggiante e il sole scottante.

“Vi ringrazio, Regina Suprema.” , disse Tyra con un cenno del capo. “Infine vorrei restituirvi quello che è stato rubato.” , aggiunse facendo schioccare le dita. Due altre Urgali trasportarono un baule che Murtagh riconobbe. Venne aperto per mostrare che tutte le uova non schiuse fossero al loro interno. Nasuada lo guardò e lui scattò a prendere il baule, ringraziando a nome dell’Ordine. Un bambino dalla pelle grigia e gli occhi gialli sbucò dalla gonna del nuovo capo Urgal, ricordando al Cavaliere che fosse tempo di ripartire per rivedere i suoi figli che tanto anelava.

Mezza giornata dopo, gli elfi si misero in marcia caricando il baule sulla carrozza, seguiti dai nani e dai dieci Falchineri. Murtagh, invece, prese Nasuada per mano e la scortò sul dorso del suo Compagno. Lei non protestò, sapendo che sarebbero arrivati prima alla capitale.

 

Durante una delle loro soste, Nasuada lo interrogò finalmente sull’accaduto.

“Mi hanno colto alla sprovvista, attaccando Castigo e me mentre eravamo intenti a salvare un villaggio Urgal.” , le spiegò prendendole le mani tra le sue, per per poi tirarla a sedere sulle sue gambe. Le baciò il collo dolcemente, inspirando il profumo della sua pelle.

“Mi sei mancata… Come sta Finiarel?” , sussurrò ancora sfiorandole il collo con le labbra.

“Anche tu mi sei mancato. Non ti azzardare mai più ad abbassare la guardia così. Mi hai messo nella posizione di dover valutare di diventare vedova.”

Lui piegò la schiena all’indietro, per guardarla negli occhi. “Si era già sparsa la voce a corte?”

La regina scosse il capo. “Ho fatto di tutto per evitarlo e fortunatamente il tuo ruolo di Cavaliere giustifica le tue assenze, anche prolungate. Se fossi stato semplicemente il duca di Dras-Leona, avrebbero già iniziato a pensare che tu abbia un’amante da cui recarti - e preferita a tua moglie - e vista la mia corona qualcuno si sarebbe già messo in mezzo, provando a persuadermi per l’annullamento del matrimonio.”

“Io sono un duca, sono pochi coloro che possono vantare un titolo più alto del mio.”

“Sei indubbiamente un buon partito, ma se dovessero metterti in cattiva luce più di quanto tu non sia già disprezzato ancora da alcuni, per te e per i nostri figli non ci sarebbe speranza.”

“Anche per loro?” , chiese Murtagh stupito.

Nasuada sospirò. “Sei il marito di una regina, Murtagh, non più solo un nobile. Devi iniziare a comportarti come tale maggiormente, e prendere lezioni da chi di sangue reale è più esperto di entrambi. Nella più terribile delle ipotesi - ovvero se fossi morto - anche il titolo dei nostri figli sarebbe messo in discussione: se dovessi morire così presto e con solo un erede, non ci penserebbero due volte a rimpiazzarti e a spingermi ad avere altri figli che concorrerebbero al titolo dei tuoi. E siccome senza di te in vita nessuno vorrebbe vedere - purtroppo ancora - un nipote di Morzan sul trono, li farebbero fuori per spostare la linea dinastica sui figli della regina col nuovo marito.”

“Non sono morto, e mi turba pensarti accanto a un altro uomo, da quando sono ritornato e ho reclamato il nostro legame. Andrò a trascorrere più tempo con mio nonno, allora, perché più nulla possa minare il mio ruolo.”

Nasuada si rilassò, piegando un poco le spalle in avanti. “Mi duole rimproverarti di non essere ‘abbastanza regale’, ma dopo la nascita di Órlaith la corte ha iniziato a mormorare. Stavo pensando in estremo caso di istituire nuovamente il tuo titolo di principe.”

Murtagh si prese il mento tra le dita, adombrandosi. “Non si può fare, mio padre lo ha rifiutato due regni fa.”

“Io sono la regina.”

L’altro sospirò costernato. “Come vorrai. Ma un titolo così alto non sono sicuro di volerlo. Ciò che voleva mio padre era essere libero, e quello purtroppo lo condivido.”

“Sei stato il braccio destro di un re, un nobile sin dalla nascita, e ora ti trovi a condividere la vita accanto a una regina, a produrre i suoi eredi. Il tuo titolo sarebbe solamente auspicabile e non andrebbe a cambiare nulla nella tua vita, più di quanto il Destino non ti abbia già imposto.”

“Come ho già detto, fa’ come vorrai. Più penso di essere libero, più mi ritrovo incatenato in titoli e regole imposte dall’esterno.”

“Murt, un titolo non ti cambierà davvero nulla. Servirà solo a proteggere i tuoi figli.”

“E te.” , puntualizzò con un tono che suonava leggermente accusatorio.

“Sì, salvaguarderà anche me. Io sono la regina, Amore mio, e non posso lasciare che qualcosa intaccandomi rimandi questa terra nel baratro.” , Nasuada gli prese il volto tra le mani, “Ma al contempo ho lasciato la mia corte e i miei bambini per correre a soccorrere te. Non sarei mai solamente egoista, perché vorrò per sempre preservare anche e soprattutto il bene della mia famiglia, te compreso.”

Il Cavaliere espirò. “Cosa cambierà effettivamente, se divenissi principe?”

“Tu e i tuoi figli diventerete eredi diretti di tuo nonno. Nulla più, te lo prometto.”

Murtagh annuì, alzando entrambi in piedi con gentilezza. “Ci siamo già fermati a indugiare troppo. È ora di ripartire.”

Nasuada gli sorrise caldamente, avvinghiandosi a un suo braccio forte. “I nostri figli ci attendono.”

“Non vedo l’ora di riabbracciare Finiarel e di conoscere mia figlia appieno.”

“Ti conquisterà. È una bambina meravigliosa.”

“Finiarel è rimasto scontento di non essere più il nostro unico oggetto d’attenzione?”

Nasuada si morse il labbro. “Con tutta onestà, ho visto in lui alcuni comportamenti di gelosia. In più, non avendo un secondo genitore da cui ripararsi per cercare le attenzioni che non posso dargli come prima, ne ha risentito molto.”

Il cuore si strinse nel petto del Cavaliere. “Andiamo, allora. Non voglio abbandonare il mio bambino un istante in più. Ho due figli che hanno bisogno di un padre presente, per quanto possibile.”

 

Scese dal dorso del drago, slegando i lacci alle gambe della moglie davanti a lui e poi i suoi. L’aiutò a smontare dall’animale magico con trepidazione nel rivedere i figli. La corte, che doveva essere in apprensione per la regina, era accorta per la maggior parte dei suoi componenti nel grande cortile. Un’onda di persone si inchinò alla sovrana, che li salutò scusandosi mentre prendeva il Cavaliere per mano e si dirigeva ai piani superiori. Il nodo allo stomaco si sciolse progressivamente mentre saliva le scale. “La regina è tornata!” , gridò il messaggero Jarsha mentre correva su per le scale anticipandoli, avvisando tutti coloro incontrasse. Alla fine delle scale Jormundur li aspettava sorpreso, il piccolo Derrel accanto. Prese le mani della regina nelle sue, baciandole la fronte, mentre il bambino andò ad abbracciare le gambe del Cavaliere, contento di rivederlo, dopo tutto quel tempo a Ellesméra in cui non aveva avuto sue notizie. “Ero così preoccupato per voi, maestà” , sussurrò il Primo Consigliere alla regina. Lei si scostò, fissandolo con emozione negli occhi verdi. “Sapete che non dovete esserlo mai.”

Lui annuì, poi spostò l’attenzione su Murtagh, abbracciandolo. “Sono lieto di rivedervi, la regina era distrutta in vostra assenza!”

Murtagh rimase impassibile. “Non ditelo a nessuno. Non devono vederla disperata per me.”

“Certo che no.” , rispose l’anziano ricomponendosi. Si spostò di lato, lasciando marito e moglie scivolare velocemente verso la sala del trono. Gli elfi e i dieci nani erano raccolti attorno a un tavolo, una mappa srotolata davanti a questi, discutendo dell’avanzamento del rientro della carovana. Nel vederli, si alzarono dalla superficie lignea con sorpresa.

“Vostra maestà la Suprema!” , la salutarono i nani. Orik saltò giù dal suo scranno. Erano stati avvertiti prima della partenza del successo della missione e del salvataggio, ma non si aspettavano di vederla così presto al castello. Gli elfi la salutarono con un cenno del capo. Murtagh contraccambiò. “Bentornato, Cavaliere.” , lo salutò un orecchie-a-punta. Nasuada notò che fossero solo in nove.

Orik si complimentò per le sue doti in politica, specialmente per la contrattazione, rompendo il silenzio aleggiante. La regina annuì distratta. “I vostri compagni arriveranno tra dieci giorni. Potrete rimanere miei ospiti mentre li aspettate, in ringraziamento ad aver supportato il mio governo in mia assenza.”

Murtagh sbuffò spazientito. “Vogliate scusarmi.” , disse per allontanarsi nonostante non fosse stanco, ma per raggiungere i figli nelle loro stanze. Nasuada lo trattenne per il braccio.

“Resta, abbiamo molte cose di cui discutere. Farò scortare i bambini qui.” , gli disse gentilmente mentre chiamava il nome della domestica più giovane.

Jarsha accorse al fianco della ragazza dalla pelle d’ebano. “Mia regina, Maeve non si trova dalla sera della vostra partenza.”

Un sopracciglio scuro si alzò sul suo volto. “E chi ha accudito i principi tutto questo tempo, siccome Farica era con me?”

“La balia di vostra figlia e…” , il ragazzo fu interrotto dal rumore di stivali sulla pietra. L’elfo dai capelli biondi che si era dimostrato ostile a Murtagh anni prima rientrò dal terrazzo, il principe che lo seguiva come un anatroccolo. “Papa! Mama!” , gridò il primogenito correndo verso di loro non appena li vide. Almeno Finiarel gli si era dimostrato fedele. Murtagh si abbassò per stringerlo con forza, accarezzandogli i capelli. Nasuada si accovacciò accanto a lui e il bambino cambiò immediatamente le braccia in cui rifugiarsi, ma Murtagh non si offese perché il figlio si era sempre dimostrato molto legato alla madre, preferendone sempre gli abbracci. Forse, sua figlia sarebbe stata lo stesso, ma con lui. Si alzò in piedi quando con fastidio notò il fagotto tra le braccia dell’elfo e il suo sguardo dolce verso la piccola. Alzò gli occhi smeraldini verso il Cavaliere, ma in essi l’astio non v’era, solo uno strano luccichio. Si avvicinò piano, poi gli consegnò - con quella che sembrò riluttanza - la bambina. Un sospiro uscì involontario al Cavaliere, quando vide quanto fosse cresciuta in sua assenza. I suoi occhi vagavano non più completamente ciechi come il giorno in cui era nata, ma seguivano le ombre e le figure, fissandosi immediatamente su di lui. I capelli corvini erano attaccati alla testolina con riccioli piatti e con al centro la cute chiara scoperta. La sua pelle lievemente abbronzata era di un caldo meraviglioso, e sorprendentemente morbida. Le diede un bacio e la piccola lo ripagò con un sorriso. La imitò senza accorgersene, e la famiglia finalmente riunita si sedette al tavolo per il rapporto, ma Murtagh era totalmente estraniato per la felicità di aver riabbracciato i suoi piccoli, sani e salvi.

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Capitolo 66
*** Proposta di fidanzamento ***


La tavola era imbandita di cibo senza carne né pesce all’interno per permettere anche agli elfi di cibarsi. La musica suonava in sottofondo una ballata elfica, tenendo sveglia la piccola tra le sue braccia. Il fratello maggiore era nelle sue stanze assieme a Farica ad assisterlo. Maeve, che era ritornata la sera stessa del loro arrivo, un’ora dopo, era stata interrogata e rilasciata. Secondo i suoi ricordi, si era recata dalla madre morente, che non aveva mai nominato. Nasuada non le rivolgeva più la parola da allora, ritenendola indegna di fiducia dopo che le aveva dato accesso completo alle stanze reali per accudire i suoi figli, ma lei se n’era invece andata. Era in piedi in un angolo della sala, in attesa, nel caso dovesse andare a chiamare la balia della neonata per quella sera. Órlaith si mosse tra le braccia del padre, riscuotendolo dai pensieri.

“È una bambina molto dolce, vostra figlia.” , disse con gentilezza l’elfo di nome Auryn, notando anche lui i movimenti della piccola.

“So che voi piacete molto a mio figlio, invece.” , gli rispose con amarezza il Cavaliere.

Lui sorrise. “Abbiamo legato non più del dovuto durante la vostra assenza, ho solo aiutato a tenere occupate le sue giornate.”

“Ora però mi venite a fare complimenti su mia figlia. Non è appropriato...”

Auryn lo guardò come fosse ardentemente voglioso di aggiungere altro, ma abbassò infine il capo poi guardò altrove. Sua figlia era veramente una bambina molto dolce, non c’erano obiezioni ammissibili. E la bellezza che aveva ereditato dalla madre era indubbia, oltre agli occhi così particolarmente chiari del padre. Si rese conto in quel momento di quanti giovani pretendenti avrebbe dovuto spaventare negli anni futuri dalla figlia.

Gli prese l’indice tra le sue dita microscopiche, portandosi la punta alla bocca. Mentre lo guardava con iridi identiche alle sue, sorrise con gioia. Tua figlia già ride di te… , commentò Castigo vedendola attraverso i suoi occhi.

Non ride, mi sorride. È diverso, perché così vuol dire che le piaccio. , commentò con felicità. Piaceva al primogenito e sperava di essere apprezzato anche dalla seconda nata. Più la guardava, più lei sorrideva, più il suo cuore si scioglieva per la creaturina. Ho davvero generato io questa meraviglia? Che fine ha fatto il Cavaliere che seminava solo terrore e morte? , si chiese. Era quasi scontato che il bambino che era nato quasi due anni prima sarebbe cresciuto per diventare un giovane forte e determinato, ma solo tenendo la bambina tra le braccia pensò di aver contribuito a creare un piccolo concentrato di bontà e delicatezza per quel mondo così crudele. Órlaith fece un versetto, facendogli battere il cuore velocemente. Si chiese come potesse quell’esserino avere un tale effetto su di lui.

Castigo ridacchiò. Semina solo pargoli dolci e teneri ora…

Castigo!

Venne incalzato un brindisi in onore della Regina Suprema. Tutti bevvero tranne lei, che sosteneva che il suo popolo sconsigliasse le bevande che fanno ubriacare se abusate alle donne incinte e alle puerpere. Dopo l’ultimo momento di goliardia, i più si ritirarono nei loro alloggi assegnati dalla regina. Murtagh si alzò andando verso Nasuada per scortarla verso il riposo dopo una lunga giornata, che sembrò non poter ancora arrivare quando Jarsha corse verso di loro. “Mia regina, mio signore!” , ansimò. Il Cavaliere si voltò, seguito dalla moglie che aveva il suo braccio incrociato al suo. “Qualche problema, ragazzo?” , chiese il giovane moro.

“La regina Arya è arrivata!” , riferì ancora ansante per la corsa. Sospirando sonoramente, Murtagh tornò indietro verso la sala di ricevimento, dove anche Orik era stato richiamato.

“Sono spiacente per l’assenza, Nasuada.” , disse dopo averli salutati con eleganti formule elfiche. Indossava ancora la sua armatura scintillante, il suo corpo senza forme pronunciate era coperto di metallo pregiato verde, un’armatura sicuramente forgiata per lei. Accanto stava ritto suo zio Arendriel, i lunghi capelli biondi che cadevano su una tunica colore della notte. Egli fece una riverenza ai coniugi. Gli occhi di falco dell’elfa caddero più volte sul fagotto ancora tra le braccia del padre ad ogni piccolo movimento della piccola, nel sonno. La bambina aveva infatti cominciato a dormire beatamente mentre la sala del trono si svuotava, il brusio degli ospiti che aveva cullato non solo lei, ma anche il padre, rischiando che cadesse anch’egli in un sonno tanto desiderato.

“Sono addolorata inoltre per quello che ti è successo, Murtagh Shur’tugal.” , disse fissandolo negli occhi senza sbattere le sue palpebre. Lui alzò le spalle leggermente per non disturbare la piccola.

“Avevi altro a cui pensare, se avessimo saltato la Cerimonia delle Uova gli Urgali si sarebbero ribellati e vi avrebbero sicuramente dichiarato guerra.”

Arya annuì pensierosa. “Le uova?” , chiese dopo un breve silenzio.

Orik si battè le braccia corte ma possenti sul pettorale coperto di metallo che portava sempre tradizionalmente. “Sono state recuperate dalla Regina Suprema.”

L’elfo biondo si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. “Ci sono arrivate informazioni riguardo l’approdo del Cavaliere Urgal a Ellesméra esattamente ieri notte. Inizierà appena torneremo l’addestramento.”

Murtagh annuì. “Sarebbe stata una scelta migliore se mi fossi occupato io del suo addestramento vista la sfiducia nel confronto del vostro popolo.”

Orik fece un suono sordo con la lingua. “Sciocchezze, se e quando il nostro popolo avrà un Cavaliere, questo sarà avviato nell’Ordine da colui che ha ucciso il nostro precedente re - e mio padre adottivo -, perciò anche il Kull dovrà piegarsi all’inevitabilità degli accordi. Finché non ci saranno maestri tra i Cavalieri nati Urgali o nani, e dovremo accettare il vostro ruolo.”

Murtagh annuì, d’accordo. Sapeva quanto fossero stati restii dopo il suo ritorno ad accettare il volere della Regina Suprema ad affidare il Cavaliere rosso all’addestramento dei nani, ma Nasuada desiderava che Murtagh espiasse la sua colpa in quel modo.

“È tutto per stanotte?” , chiese Nasuada massaggiandosi le tempie per la stanchezza. Arendriel fece un passo avanti, dalla porta entrò Auryn che gli andò accanto. Si salutarono formalmente - Auryn salutò anche la cugina con due baci per guancia - prima di tornare a guardare la regina e il marito umani.

“Ebbene? Immagino abbia a che fare con te, Arendriel, dato che hai fatto arrivare qui tuo figlio con perfetto tempismo.” , chiese con argutezza Nasuada.

“Ho fatto ragionare la nostra regina riguardo una questione che volevate discutere da molto tempo.” , disse laconico. Orik si avvicinò curioso.

“Ho deciso di dare la possibilità ai nostri due popoli di sposarsi. O meglio di sposarsi, secondo le vostre usanze, e di non ostacolare il trascorrere liberamente della vita assieme tra due individui delle nostre razze, secondo la nostra.” , li informò Arya. Nasuada sorrise e il re dei nani esclamò sorpreso. Dopo la Liberazione erano stati liberalizzati i matrimoni tra tutte le razze sotto il suo controllo di Regina Suprema, anche quelli che non avrebbero dato frutti, come le unioni tra nani e umani che storicamente non avevano mai generato nessuna prole. Di mezzelfi, invece, un tempo ve n’erano molti. Le unioni tra umani e elfi sembravano avere la stessa natalità di una coppia di umani, mentre gli elfi non vedevano bambini da circa un mezzo secolo.

“Questa decisione gioverà più il tuo popolo del mio, Arya. Sono contenta che abbia accettato di adeguarti al libero amore.” , commentò Nasuada allargando le braccia.

“Posso sapere cosa ti ha fatto cambiare idea così repentinamente? Solo una luna fa mi dicesti che ne avresti parlato con mia moglie, ma sembravi piuttosto contrariata.” , le chiese il Cavaliere rosso.

Arya guardò il cugino. “È stato Auryn ad aprirmi gli occhi. Il nostro popolo è stato decimato dalla guerra e l’ultime incomprensioni tra le famiglie elfiche hanno portato ulteriori perdite. Siamo in pochi, e la superbia non ci porterà a sopravvivere.”

“Quindi deduco che Auryn abbia interessi in un essere del mio popolo.” , commentò divertita la regina dalla carnagione scura. Il giovane elfo annuì.

“Ho accompagnato Arya fin qui per chiedervi, regina Nasuada, Cavaliere Murtagh, la promessa della mano di vostra figlia per il mio.” , disse Arendriel inginocchiandosi in mezzo a loro. Vi fu un lungo silenzio.

“È un ottimo matrimonio, Nasuada, se posso darti la mia opinione.” , s’intromise Orik, parlando per primo.

Murtagh divenne rosso di collera. La moglie invece era impassibile, vide il Cavaliere. Stava pensando, sicuramente.

Hai intenzione di vendere nostra figlia a meno di un mese dalla sua nascita? , le chiese preoccupato. Con la coda dell’occhio lei lo guardò per un istante.

Non ho permesso che nemmeno io venissi promessa in sposa come un capo di bestiame, eppure guarda cosa è successo. Sono comunque stata costretta a sposarmi contro il mio volere. , gli ricordò.

Eppure tu conoscevi me e io conoscevo te, per quanto impossibile, ci amavamo! , supplicò lui.

Non c’è spazio per l’amore per una principessa. E potrebbe essere la nostra ultima possibilità che anche il popolo elfico accetti la mia legge. Non mi è piaciuto fin dal principio il rifiuto!

Murtagh sbuffò. Vuoi davvero questo per lei?

Se tuo padre avesse avuto in mente di continuare la sua discendenza ti avrebbe trovato una promessa sposa. Anche tu saresti stato costretto ad adempiere alle volontà dei tuoi genitori. , concluse con durezza. Murtagh sapeva che il suo atteggiamento di freddezza celava invece la tristezza di trovarsi a prendere una decisione, messa all’angolo.

“Io… ho sentito una connessione particolare con lei. Io so di volermi legare alla principessa Órlaith per il resto della vita.” , spiegò Auryn davanti al silenzio dei due genitori della piccola. Il Cavaliere strinse a sé la bambina, protettivamente.

“Se questo è quello che credi, potrai essere il promesso sposo di mia figlia. Ma non te la cederò prima che lei non cresca abbastanza da essere pronta a sposarsi! E comunque allora dovrà essere lei ad acconsentire!” , tuonò infine il ragazzo, anticipando la moglie nella risposta. Le sue condizioni parvero comprensibili ai due elfi dalla capigliatura bionda, ma Nasuada lo fulminò con lo sguardo.

“È ragionevole quanto chiedi, Murtagh. Non forzeremmo mai nessuno a sposarsi contro il suo volere. Non è a prescindere quello a cui la legge di tua moglie mira. Tua figlia conoscerà Auryn quando la riterrai sufficientemente cresciuta e se anch’ella proverà la stessa connessione che mio cugino dice di provare per lei, procederemo con il matrimonio.” , disse Arya con cautela.

“Domani festeggeremo questo accordo. Per il momento, vi auguro una notte serena.” , disse Nasuada alla fine con contegno, prima di congedarsi con il marito e la neonata. Aspettò di arrivare vicino alle loro stanze per strigliare il marito per l’impeto della sua risposta e per aver ignorato come si tratti in politica, così come si portino avanti le negoziazioni. “Capisci quanto abbia causato la tua impulsività?! Nostra figlia ha un promesso sposo e in cambio io non ho ottenuto nessun accordo concreto! Per altri sedici anni come minimo non ci sarà un matrimonio tra umani ed elfi...” , gli aveva rimproverato svestendosi.

Si sistemarono nel loro talamo, levandosi i vestiti che ancora stavano battibeccando. Pieni di malumore si sdraiarono a letto, senza parlare. Murtagh sistemò la figlia in mezzo a loro e la regina non protestò di quella presenza come avrebbe fatto normalmente, dicendo che i bambini dovevano dormire nel proprio letto per non crescere viziati. Al contrario, la cinse con una mano, il padre che le cingeva l’altro con la mano opposta. Sollevati nel sentire la bambina protetta dalla loro presenza, chiusero gli occhi. Ben presto si addormentarono ma il sonno di entrambi i genitori fu tormentato da immagini di un futuro infausto e infelice per la loro piccola creatura, costretta in un matrimonio che non desiderava e alla vita tra gli elfi, che l’avrebbero superbamente osservata e disprezzata sempre come un essere inferiore.

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Capitolo 67
*** Notizie da Alagaesia ***


Quella notte dormì a tratti, svegliato dagli incubi che ancora lo tormentavano dalla sua breve prigionia. Fortunatamente, ogni volta che apriva gli occhi, poteva vedere Nasuada che dormiva - anche se non proprio tranquillamente - , tranquillizzandosi a sufficienza per tornare ad appisolarsi. Per due volte si era dovuto persino recare nella stanza dei principi, per controllare che anche loro fossero reali. Finalmente, tra una volta e l’altra nel letto, il sole aveva iniziato a sorgere all’orizzonte e Farica era giunta a svegliare i coniugi poco dopo, con la solita delicatezza. Non come le secchiate d’acqua gelida o le percosse in prigionia. Murtagh si alzò a sedere nel letto lentamente, pensando che tuttavia quel breve periodo non aveva avuto nulla di inquietante come il suo assoggettamento al Re Nero. Era stato un bagno in acqua di rose, a confronto. Eppure, ora non aveva solamente Castigo di cui provvedere - non che la sua preoccupazione dal rapimento della giovane, che sarebbe divenuta sua moglie, fosse diminuita, anzi era stata per la prima volta il contrario: non aveva mai dovuto curarsi di proteggere la propria madre, il proprio padre, o l’onore della sua vita; gli era bastato far sopravvivere lui e poi il suo Compagno, ma dall’entrata della giovane nel suo cuore, era molto più preoccupato e ansioso, il tutto centuplicato da quando era divenuto padre - ma anche una famiglia e con loro, nel suo caso, anche un regno appena nato.

Si lavò il volto e il torso nel catino di acqua fresca, andando poi a baciare Nasuada, disturbando il suo sonno per secondo dopo Farica. La giovane aprì gli occhi ambrati e gli sorrise, come se fosse la vista più bella che vi fosse. “Sei ancora qui…” , si lasciò sfuggire.

Lui fece finta di non aver udito, dandole un colpetto e invitandola ad alzarsi.

Ridacchiando, la giovane porse un braccio, facendosi tirare in piedi.

La tirò tra le sue braccia, lasciandole un lungo bacio. “Buongiorno, Amore mio. Stavo quasi per dimenticarmi di dirtelo.”

“Buongiorno a te, mio forte Cavaliere.”

Rimasero qualche altro istante a coccolarsi, finché Farica non rientrò con l’abito del giorno per Nasuada. Murtagh allora si congedò in silenzio per recarsi nel suo guardaroba, per vestirsi.

Prese dei pantaloni di raso e li indossò, poi un capo per la porzione superiore del corpo. S’infilò la blusa sugli avambracci, poi slanciò le braccia in alto per infilarsela oltre la testa, ma grugnì di dolore allo scricchiolio delle costole.

“Murtagh!” , lo chiamò Nasuada preoccupata, correndo ad affacciarsi sulla soglia del guardaroba.

“Erano solo le mie costole.”

“Le ho sentite…” , mormorò la giovane, esitante. “Lascia che chiami un guaritore.”

Il marito gettò lontano la blusa con lo scollo a V, poi camminò verso di lei, rientrando nella camera da letto. “Non ce n’è bisogno, sta’ tranquilla.”

Guardò Farica con intensità. “Avrei solo bisogno che andassi a chiedere a Maeve dove ha sistemato le mie camicie con chiusura completamente a bottoni.”

La dama fece un inchino, sparendo all’esterno. Murtagh la ringraziò, andando a sedersi poi sul letto.

Nasuada gli si avvicinò esitante, con una mano scura e affusolata protesa davanti a sé. Murtagh capì che le sue rassicurazioni non avevano sorbito alcun effetto.

“Forza, toccami. Non succederà nulla.” ,  l’incoraggiò il Cavaliere intensamente, notando la sua incertezza.

Le dita arrivarono alla sua pelle, che era la stessa di sempre, anche se non calda e bruciante come al solito. Strofinò la mano a destra e a sinistra sul suo petto, fino alle costole, poi sulle spalle con delicatezza, studiandolo in ogni punto.

“Come stai? Ti fa male qualcosa ancora?” , gli chiese dopo che ebbe constatato che almeno alla vista fosse completamente guarito.

Il giovane scosse la testa, facendo ondeggiare i fluenti capelli corvini. Alzò una mano, per circondarle il volto con il palmo e le dita chiare. “Sto bene, sono completamente guarito ormai. Gli elfi sono bravi guaritori…”

Si lasciò sfuggire un sorriso. “Gli devo la mia guarigione, ma anche il motivo del mio ultimo risentimento.”

“Se mai Órlaith dovesse sposare Auryn sono sicura che sarebbe trattata bene come qui alla corte di Illirea. Sono i parenti più prossimi di Arya.”

Murtagh chiuse per qualche istante le palpebre, cercando di fissare le parole della moglie nella sua mente. Non riuscì, perciò scosse il capo. “Non mi fido di Arya… non dopo le parole di Nar Garzhvog.”

“Quali parole?” , chiese la giovane sospettosa.

“Sostiene che il loro attacco fosse pianificato, e che Arya venendolo a scoprire abbia deciso di inviare me al suo posto.”

Nasuada sgranò gli occhi, scuotendo il capo. “Non è possibile che ti abbia usato come sostituto… le rivolte durano da tempo ormai.”

“Da prima che venisse scelto un Cavaliere tra le fila del suo stesso popolo, lo so… Ho pensato a lungo e razionalmente alle varie ipotesi, ma non riesco a scacciare l’idea che questo non sia stato un concorso di eventi casuali.”

Farica tornò nella stanza con l’indumento piegato e appoggiato sull’avambraccio, la principessa stretta al petto con l’altra mano.

Andò vicina al Cavaliere, protendendo leggermente i gomiti. “Perdona la mia intrusione nel vostro discorso, che non sono riuscita a non udire.” , si rivolse a lui con tono calmo e materno, “Sei uscito ferito dal viaggio, Cavaliere, anche se ora stai meglio. Non è sano che continui ad arrovellarti sulla questione. Goditi la principessa finché è così piccola: questa età non la riavrà mai più.”

Murtagh annuì, prendendo la bambina a sé e poggiandosela sul petto nudo, sdraiata verticalmente, mentre la sorreggeva a sedere su un avambraccio e le proteggeva la testa con l’altra mano. Le poggiò un bacio sulla testolina morbida, sorridendo leggermente.

“È per lei che sono così adirato e sospettoso. Il pensiero di abbandonarla così piccola mi ha tormentato durante tutta la mia permanenza presso la capitale Urgal.”

Nasuada gli accarezzò la guancia, poi con un dito solleticò quella della neonata.

Jormundur entrò nella stanza dopo aver bussato, sistemandosi sull’attenti con le braccia dietro la schiena riunite in un unico pugno. Si schiarì la gola osservando il quadretto placido che si presentava nella stanza. “Cavaliere, perché siete ancora mezzo nudo a quest’ora?”

Murtagh alzò un sopracciglio. “Siete venuto qui a mettermi fretta?”

Farica guardò il marito torva. “Le sue costole scricchiolano ancora, dovresti sapere che impiegano molto tempo a guarire.”

“Dovrebbero essere state risistemate dal guaritore elfico, no?” , chiese con freddezza l’uomo.

“Già, ma nonostante siano state risaldate, continuano a muoversi, talvolta.” , gli rivelò il giovane alzandosi in piedi e poggiando la bambina sul materasso dove era seduto prima lui. La principessa pigolò per il piacevole calore che vi trovò.

“Perciò, se vorrai uccidermi, questo è il momento buono.” , continuò il giovane dai capelli corvini, prendendo la camicia e infilandosela sulle spalle con uno slancio.

“Eragon ha contattato Trianna poco fa, chiedendo di parlare con voi.” , lo informò, “Eviterò di togliervi di mezzo solamente per non proiettare l’ira dell’Ammazzatiranni su di me.”

La moglie gli serbò una gomitata sul fianco. “Non puoi scherzare su argomenti simili. Non dopo quanto è successo.”

Jormundur alzò le spalle, poi uscì.

Farica tornò dai due giovani con un sospiro, prendendo ad armeggiare con foga con l’abito della regina. “Vi chiedo di perdonarlo.”

Il Cavaliere ridacchiò leggermente. “Sta cercando di nascondere la preoccupazione che ha provato mentre ero assente, che lo ha portato addirittura ad abbracciarmi al mio ritorno.”

Risero assieme d’accordo.

Quando il giovane fu pronto, prese tra le braccia la figlia e lasciò un bacio alla moglie, dirigendosi verso il suo studio. Era tutto calmo, segno che Eragon non aveva ancora ritentata la comunicazione. Si appoggiò alla scrivania, osservando alternatamente fuori dalla finestra e in basso il volto della neonata. Continuò a trovarla bellissima.

"Ho mantenuto la promessa a tuo nonno, piccola.” , le sussurrò con il cuore leggero.

La bambina alzò gli occhi su di lui, facendo una smorfia.

Con tristezza, si accorse che faticasse ancora a riconoscere la sua voce. D’altronde aveva avuto a che fare con lei per una manciata di giorni totali, nonostante fosse nata già da quasi un mese.

Prese a cullarla quando la smorfia si accentuò, segno che stava per piangere.

Ben presto si addormentò, e il padre sentì le orecchie fischiare dalla stanchezza. Il suo corpo stava ancora smaltendo la grossissima dose di droghe che gli avevano somministrato per una ventina di soli, e quella notte aveva avuto incubi che lo avevano svegliato spesso.

Maeve bussò timidamente.

“Entra, la regina non è qui.” , le rispose.

La donna castana fece capolino a occhi bassi. “Mio signore, Farica è occupata con il vostro figlio maggiore e siccome non sono ufficialmente stata sollevata dal mio incarico, ho pensato di venire a controllare se aveste bisogno di qualcuno a sostituirvi nella cura della principessa.”

Con un gesto della mano, l’invitò a chiudere la porta. Si sforzò di tornare perfettamente sveglio, voltandosi verso la donna. “Dimmi, sei davvero mancata dal castello per recarti da tua madre?”

La donna annuì, con gli occhi imperlati di lacrime. Prese a mordersi le labbra e sussultare dal pentimento.

“Non riesco a vederti così… per favore, non essere triste: io non sono arrabbiato con te.” , l’incalzò sfoggiando il tono che sapeva mettere più a loro agio le persone, “Hai fatto bene ad andare da lei. Se avessi una madre morente vorrei poter andare da lei.”

“Davvero?” , chiese in un bisbiglio, nascondendo il volto tra le mani.

Murtagh si morse il labbro. “Non saprei, se mia madre fosse viva e stata diversa dalla natura che ho conosciuto, probabilmente sarei accorso anch’io.”

La donna alzò il capo di scatto e per un istante parve serbargli uno sguardo torvo. Poi, divenne stranamente apatica. “Non vorrebbe udire certe parole dure, una madre. Persino la vostra.”

“Non -”

“Murtagh, fratello!” , lo chiamò con tono preoccupato la voce di Eragon, interrompendolo. Lentamente per non svegliare la bambina, il Cavaliere rosso si voltò verso l’origine della voce e Maeve si ritirò nell’anticamera, lasciandolo alla conversazione privata.

“Buongiorno, Eragon.” , disse piano e con calma.

“Sei ritornato! Dimmi, sei ferito?”

“Lo ero, ma ora sto bene. Come non mai…” , mormorò con serenità.

“Come puoi essere così contenuto, dopo aver rischiato la vita a un giorno dalla nascita di tua figlia?!” , lo rimproverò l’altro.

Il maggiore alzò leggermente le braccia, mostrando il fagotto di tessuti, che lievitava ritmicamente come fosse un impasto vivo, al respiro della neonata. “Perché ora sono con lei di nuovo, oltre che con Nasuada e Finiarel.”

Lo sguardo di Eragon si addolcì per un istante. “Ti vedo nuovamente davvero sereno, fratellone.”

Cullando la piccola senza alzare gli occhi da lei, Murtagh annuì. “Sono davvero senza parole per la sensazione che si è creata in me la mattina della sua nascita. Non è molto paterno dire una cosa tale, ma con Finiarel non è stato lo stesso.”

“Forse non aver potuto vederlo nascere, non ti aveva fornito la scintilla per accendere un fuoco completo. O forse è perché essendo già padre, eri più avvezzo al sentimento d’amore paterno.”

“Nasuada ha deciso di chiamarla Órlaith. È un nome perfetto per il più grande tesoro della mia vita. Pagherei il suo peso in oro per non staccarmi mai da lei.” , rise a un pensiero divertente, “Non andrei certo in rovina, al momento... È così piccola.”

Eragon emise un colpo secco di risata, che rimbombò nella stanza, disturbando il sonno della neonata. Si stiracchiò, sollevando delle manine dalla pelle abbronzata dalla coperta. Murtagh piegò il capo in avanti, permettendo alla piccola di sfiorargli il volto, anche se senza volontà della principessa. Se gli occhi azzurro-ghiaccio del maggiore avessero incontrato quelli nocciola del minore, avrebbe visto quanto Eragon ammirasse Murtagh come padre, in quel momento. Era a suo agio e perfettamente esperto in quel compito, sempre lui che per il primo figlio era rigido come un pezzo di legno, quando lo teneva tra le braccia.

Il Cavaliere rosso appoggiò le labbra sulla fronte più scura della propria pelle, tirandosi poi dritto.

“Volevi conoscere la mia bambina?” , chiese poi all’altro con pacatezza.

Eragon scosse il capo. “L’ho già intravista, e tua moglie mi ha già comunicato il nome che le ha donato. Ti ho contattato perché sono stato così in pensiero per te, fratellone. Che cosa ti è successo?”

“Sono stato rapito per un fraintendimento. Ci credi che sono stato scambiato per Arya?!” , ridacchiò leggero, prendendo a solleticare la guancia della bambina con un indice. Non riusciva proprio a staccarsi da lei per più di qualche istante.

“Mi è difficile da credere, avendo in comune solo i capelli corvini... E immagino che tu ti sia recato dagli Urgali in sella a un enorme drago rosso. Difficile da scambiare per verde.”

“Controluce tutti i draghi sono neri.”

“Davvero l’accaduto non ti ha scalfito, Murtagh?!” , esclamò Eragon, lievemente infastidito nel vederlo così pacifico.

“Non è la cosa che mi abbia spaventato di più in vita mia. Mi sarebbe dispiaciuto non conoscere Órlaith nella crescita e vedere lei e il fratello maggiore diventare adulti. Mi sarei rigirato nella tomba sapendo di aver abbandonato loro e Nasuada, a un altro uomo probabilmente. Tuttavia, non mi ha spaventato quanto le minacce all’incolumità della mia famiglia.” , rispose con una punta di amarezza.

Il castano sbarrò gli occhi, saltando sulle sue gambe. “Perché, che cosa è successo - che non mi hai raccontato durante il nostro ultimo incontro - ?”

Murtagh vagò con lo sguardo per la stanza, improvvisamente teso. “Un gruppo di dissidenti sta cercando di minare la saldezza del governo di Nasuada. Non sappiamo ancora le loro identità e abbiamo fatto pochi passi avanti per rintracciarli. Più che altro abbiamo commesso errori che non possiamo annullare, come imprigionare a vita un lord, strappandogli suo figlio: Derrel, che mi segue per conto dell’Ordine.”

“In questi anni avete avuto un nemico ignoto e non me ne hai mai parlato?!” , sibilò Eragon, ancora pieno di paura per il maggiore.

“Fratellino, non volevo farti preoccupare.”

“Ma ci sei riuscito comunque! Sei stato rapito e tua moglie è persino arrivata - per la seconda volta - a chiedermi aiuto per rintracciarti!” , disse con la voce incrinata dal nodo nella sua gola.

“Lo so, e mi dispiace. Non era mia intenzione.” , disse remissivamente il moro.

I rimproveri di Eragon disturbarono definitivamente la quiete della bambina, che si mise a strillare. Murtagh prese a spostare il peso da una gamba all’altra, ciondolando in modo ritmico. Ma il suo sguardo non si spostò dallo specchio.

“Tutto ciò che nasce nell’ombra prima o poi è destinato a venire alla luce.” , commentò quando la bambina si fu calmata.

“Ti riferisci ai tuoi figli o ad altro?” , gli chiese confuso Eragon.

Il maggiore lo guardò con un sopracciglio alzato. “Il nemico, fratello. Il nemico prima o poi si tradirà, o si degnerà di dirci chi è, credendo di farsi beffa di noi.”

“E se così non dovesse essere? Se vi continuasse a colpire alle spalle, fino a giungervi così vicino da nuocervi direttamente?” , insinuò l’altro, decisamente meno sereno del fratello maggiore.

Murtagh si morse il labbro. “Ho già organizzato un corridoio di fuga per i miei figli, per Nasuada.”

“Non ne sapevo nulla. Immagino tu mi abbia escluso nuovamente.” , disse con durezza Eragon.

“Sei per caso geloso?” , chiese Murtagh con voce più forte. Stava iniziando a infervorarsi.

“Non è questione di gelosia, Murtagh. Ma sono tuo fratello e vorrei che tu capissi che sarò sempre a disposizione per salvaguardare la mia amica Nasuada e i miei nipoti.”

Murtagh alzò un sopracciglio corvino verso la fronte. “Ti proponi invano, fratellino. Mi duole dirlo, ma saresti inutile finché ti ostini a vivere fuori dai confini di Alagaesia, dove pretendi di voler essere partecipe al salvataggio di una famiglia di cui non ti sei mai degnato di essere parte!”

“Portare, in caso di pericolo, i tuoi figli e tua moglie da me sarebbe la scelta migliore: nulla è più sicuro di un luogo in cui non hai una rete fittissima di nemici. Anzi, un luogo dove nessun abitante di Alagaesia, se non i tuoi fidati confratelli, sia presente.”

“Sei così distante che, prima di raggiungerti, la rete di nemici di cui parli potrebbe far fuori tutta la mia famiglia!” , urlò Murtagh, facendo un passo avanti verso lo schermo.

Maeve, avendolo sentito urlare e dopo di lui la neonata, entrò nella stanza tutta trafelata. “Mio signore! Va tutto bene?”

Il Cavaliere rosso si voltò verso di lei, allungando leggermente le braccia per indicarle la volontà di cederle la figlia. La domestica guardò lui negli occhi con intensità e cipiglio forte, poi brevemente l’umano dall’aspetto di elfo nello specchio. “Vostra madre non avrebbe voluto certamente vedere i suoi figli litigare e accusarsi nel modo che ho udito.” , si permise di intimare al moro nuovamente.

Murtagh si fece avanti per torreggiare su di lei. “Chi sei per dirmi cosa mia madre avrebbe voluto?!” , sibilò, “Ti avverto, il mio intento è perdonarti, ma se continuerai con questa insolenza, mi toccherà essere d’accordo con mia moglie a volerti rispedire da dove sei giunta."

Maeve spalancò gli occhi castani per un istante, poi li tornò a ridurre a una fessura, senza spaventarsi davanti agli sguardi minacciosi del suo padrone. “Io sono una madre, come era lei. E una donna che ti vuole bene, Cavaliere.”

Fece battere i tacchi sul pavimento, rotondando su sé stessa e uscendo senza attendere il permesso. Eragon rimase a guardare il fratello allibito. “Murtagh, tra te e quella domestica…” , iniziò a dire, poi bloccandosi per lo sgomento.

Deglutì mentre il fratello tornava a rivolgersi a lui, calmandosi. “Dimmi che non hai una relazione con quella donna!”

Murtagh spalancò la bocca, rimanendo in silenzio qualche secondo. “N-no! Io ho donato il mio cuore a Nasuada…”

“E allora cos’era quello a cui ho appena assistito? Siete così in confidenza, così… intimi.”

“Non saprei, ma Maeve non ha mai avanzato attenzioni - se non materne - verso di me.”

“Capisco. Perché si è permessa di tirare in ballo nostra madre?”

Murtagh fece spallucce. “È più anziana di quello che sembri, e credo che per ordini di Farica stia cercando di sopperire alla figura materna che non ho mai avuto. Si fa vece di Selena, senza conoscerla. È il solito umorismo nero del Destino, non trovi?”

Eragon si schiarì la gola. “Esattamente come la tua domestica, non ho mai conosciuto nostra madre.” , rispose per poi incupirsi ancora, “Sta’ attento a lei. Ho una strana sensazione.”

Murtagh guardò verso la porta, annuendo. Se era tranquillo fino alla sua partenza, al suo ritorno la scoperta dell’assenza della dama l’aveva inquietato.

Nasuada era ancora non in ottimi termini con la dama, ma lui non aveva potuto non perdonarla per via del suo fare materno. Forse si stava sbagliando a fidarsi ciecamente di una sconosciuta, ma ancora non era accaduto nulla direttamente alla sua famiglia, dall’arrivo della donna d’altronde.

“Te lo prometto, Eragon.”

Il minore annuì, poi si sciolse in un lieve sorriso. “E perdonami per prima. Sono stato preoccupato per te, per Nasuada e per i vostri bambini.”

“È comprensibile. Spero un giorno di riuscire a presentarteli, e di non dover attendere che diventino tuoi allievi.”

“Lo spero anch’io. Nonostante tu sia appena stato rapito sei solare, fratellone. Per davvero.”

Murtagh fece spallucce. “Nasuada ha sempre tirato fuori il meglio di me, e questi due bambini stanno finendo l’opera.”

“È evidente.” , si congratulò Eragon, poi chiedendo di congedarsi.

“Va’ pure. Anch’io devo occuparmi di alcune questioni politiche urgenti.”

Eragon si trattenne per un’istante, esitante. “Urgenti?”

“Già, riguardo la tua adorata Arya.”

“Non è la mia adorata.” , sibilò il minore per poi alzare il tono, “Quali questioni avete in sospeso con la regina degli elfi?”

“Il Cavaliere Arya ha per due volte evitato di assolvere un compito. Nasuada vuole intercedere per risolvere la questione delle faide interne al suo popolo, perché lei possa tornare a svolgere entrambi i compiti di regina e Cavaliere.”

“Non penso che intercedere sia cosa buona. E soprattutto giusta: nasuada riesce ad assolvere tutti i suoi compiti perché il suo Cavaliere sei tu, non lei stessa.”

“Dimentichi che oltre a governare il suo popolo e mediare tutti gli altri in modo imparziale, si trovi a crescere i nostri figli?”

Eragon emise un colpo di risata. “È un suo compito come madre.”

Murtagh strinse la mascella. “Non mi sarei aspettato queste parole da te.”

Vi fu un lungo silenzio, in cui i due fratelli sbollirono la rabbia.

“Mi dispiace, fratello. A volte sono dure le mie parole oltre il dovuto.”

“Ti chiedo perdono anch’io per le mie insinuazioni su Arya. Ti prometto che non la metteremo nella condizione di sentirsi umiliata perché manchevole come regina o Cavaliere. L’aiuteremo solamente, così che entrambi potremo trarne giovamento.”

Eragon annuì. “Ci conto. Ora devo proprio andare. A presto.”

“A presto, fratellino.”

 

Si diresse negli appartamenti regali per cambiarsi d’abito per la festa, dopo aver terminato di sbrigare alcuni documenti burocratici relativi al prossimo progetto della coppia. Scelse abiti sontuosi e ricamati con draghi e altri animali magici, poi concedendosi qualche gioiello in più rispetto agli orecchini della sua casata e la tiara da cavaliere. Per la sua bambina avevano portato un abito con una gonna ampia in miniatura, fatto apposta per lei, e su di lei la rendeva ancor più un incanto. Finiarel arrivò poco dopo con la madre, già abbigliato e regalissimo anch’egli. Murtagh rimase a badare a entrambi i suoi piccoli mentre la lunga preparazione per la festa della regina avveniva.

Fu contento di vedere suo figlio meno geloso della neonata, mentre gli raccontava con la sua parlata ancora incerta di cose fantasiose mescolate ad accadimenti veritieri, quasi non lanciando più occhiate d’odio alla sorella quando questa emetteva dei versetti nel sonno.

“Vuoi tenerla?” , gli chiese a un tratto.

Il bambino s’irrigidì poi scosse il capo con forza.

“Non succederà nulla, forza!” , gli disse sporgendosi in avanti per aiutarlo con la mano libera a salire sul divanetto su cui sedeva lui. Esitante, il bambino si sedette accanto al padre.

“Non dire alla mamma che ti ho fatto tenere la tua sorellina mentre non c’era.” , lo incalzò a promettergli. Una volta che il piccolo ebbe annuito, lo istruì a voce su come stendere le braccia, poi protese le proprie in avanti e gli fece scivolare la bambina, senza spostare troppo le proprie braccia. Fortunatamente, perché al primo movimento della bambina il fratello maggiore si spaventò e fece per farla cadere. Il padre bloccò entrambi in un lampo. “Se la faremo cadere rischierà di morire, e la mamma sarà molto arrabbiata con noi.”

Finiarel lo guardò con grandi occhi colmi di lacrime, sentendosi colpevole. Con un sorriso il padre lo incitò a spostarsi sulle sue gambe. “Riproviamo.”

Iii…ooviaaaa…ooh” , ripeté il maggiore.

Con calma, attese che il primogenito si fosse accomodato, per spostare davanti a lui l’avambraccio che sorreggeva la principessa, appoggiandolo al petto del piccolo.

“Ora cingimi il braccio con le tue.” , lo istruì.

Il bambino fece quanto richiesto e il padre richiuse per ultimo la stretta con l’altro avambraccio. Lasciò leggermente la presa sulla schiena della piccola, di modo che al fratello parve di sorreggerla da sé. “Bravissimo! Vedi, ce l’hai fatta!”

Il bambino rise di gusto.

“Sai come si chiama? Te l’hanno detto?”

Finiarel annuì. “Oooollaì.”

Più o meno… , pensò tra sé Murtagh con il cuore che ribolliva di amore.

“Esattamente. È la tua sorellina, e ciò significa che entrambi siete nati da me e la mamma. Il vostro legame è unico, e non lo condividete con nessun altro essere al mondo.”

Quelle parole parvero colpire l’avarizia naturale del piccolo. Abbassò gli occhi sulla piccola creatura dormiente. “Fin ama Ollaì!”

“Davvero, piccolo mio?” , gli chiese speranzoso.

Con una scrollata di spalle, il bambino dimostrò al padre di non essere ancora pienamente in grado di capire cosa fosse l’amore. Murtagh sperò che almeno crescesse legato a lei di giorno in giorno, abituandosi alla sua presenza mentre imparava ad amarla con la crescita della sua piccola mente.

Udirono voci che li chiamavano.

“Dalle un bacio, che poi dovremo andare.” , gli consigliò e il bambino si piegò in avanti con delicatezza innata, poggiandole un bacio su una guancia color mandorla.

Nasuada fu sulla porta qualche istante dopo, annunciando la sua presenza con un gemito di gioia.

Murtagh allentò la presa sul figlio, lasciando che si arrampicasse giù poi fino alla gonna della madre. “Come sei elegante, principe.” , lo salutò accarezzandogli il piccolo capo.

“Aaaanche tu, mama.”

“Ha ragione, sei incantevole mia regina.” , la osservò il giovane Cavaliere andandole lentamente vicino. Lei fece un cenno con il mento, indicandolo. “Non che tu sia da meno, mio bel Cavaliere.” , strinse per un attimo gli occhi, per non scoppiare a piangere e rovinare quel poco di trucco che le avevano applicato per rendere le sue ciglia più nere e folte. “Sono contenta che tu possa di nuovo apparire al mio fianco.”

Lui si morse il labbro. “Come duca o come principe?”

Nasuada confermò col capo la sua domanda intelligente. “Per quanto un duca possa sposare una regina, tuo nonno vedrà di ufficializzare la restituzione del tuo titolo di sangue.”

“Proprio…stasera?” , deglutì, “Non credi che sia inopportuno al festeggiamento tra i nostri popoli del fidanzamento della principessa? Non abbiamo invitato nobili umani, perciò a nessun elfo importerà del mio titolo.”

“D’accordo, attenderemo fino alla prossima mondanità del popolo umano.”

 

I festeggiamenti erano già iniziati quando i due sposti giunsero nella sala grande, quella adibita ai balli e ai grandi eventi. La folla - composta in maggioranza da emissari elfici giunti in velocità dopo l’invito della loro sovrana Arya - acclamò la regina umana.

Alzarono calici alla loro salvatrice, che si era dimostrata capace di risistemare effettivamente l’equilibrio in Alagaesia anche dopo aver assunto il ruolo di Regina Suprema.

Nasuada fece un sorriso e cenni col capo disegnando un arco intorno a lei, come a ringraziare tutti i presenti, poi alzò una mano per richiamare il silenzio.

“Non v’è bisogno di ringraziarmi. Ho solo salvaguardato il benessere dei miei popoli.”

Arya si staccò dai pochi familiari che le rimanevano, tra cui il biondo che un giorno avrebbe rubato la sua bambina, al Cavaliere rosso.

S’inchinò leggermente, con una mano ripiegata sul cuore. “Ti ringrazio a nome del mio popolo, regina Nasuada. La collaborazione tra i nostri popoli è e sempre rimarrà fruttuosissima.”

Orik grugnì.

“Anche quella con il popolo nanico, re Orik.” , puntualizzò senza imbarazzo l’elfa dai capelli corvini, avendo notato la sua scortesia.

Il nano annuì.

Nasuada si schiarì la gola. “Non siamo qui stasera per parlare delle relazioni politiche tra i nostri popoli, che mi auguro siano invariate dal tempo dei Varden, dalla Guerra, dalla Liberazione.” , annunciò sospirando a metà del discorso così piano che solo il marito al suo fianco poté udirla. Si voltò verso di lui, appoggiandosi al suo avambraccio - ripiegato al petto per sorreggere la neonata - per indicarlo. “Come sapete, prima di dovermi assentare per deporre Nar Garzhvog per aver rapito e tenuto ostaggio un Cavaliere - incontrando per la prima volta Tyra, la sua sostituta - ho ricevuto il dono di una figlia per assicurarmi una discendenza numerosa.”

Alcuni nani grugnirono in dissenso, non per la notizia della bambina ma per la presenza di un altro essere femminile a capo di un popolo. Nasuada udì commenti che non le piacquero, dunque fece un lunghissimo silenzio intimidatorio.

“Ma non solo il mio popolo si preoccupa della propria discendenza, anche i nostri compagni elfi non vedono l’ora di ripopolarsi, viste le ingenti perdite in guerra che non sono state controbilanciate da molte nascite. Ora io insisto a stabilire un primo tentativo di ripopolamento e unione tra le due razze, acconsentendo al matrimonio tra mia figlia - sua altezza reale, la principessa e arciduchessa Órlaith Madama Selena Nasuadasdaughter Murtaghsdaughter - e l’elfo Auryn del clan Ariel.”

“Io, Arya Drottning acconsento a nome del mio popolo.” , aggiunse l’altra sovrana, unendo le mani sul cuore. Era visibilmente convinta, quella volta - probabilmente per il bene del suo popolo - .

Gli elfi gioirono, lanciando in aria dei pezzi di stoffa lucenti, poi riprendendoli e rilanciandoli, finché Nasuada non diede ufficialmente il via al festeggiamento.

Portarono il cibo e marito e moglie scesero dalla pedana che accoglieva un secondo trono per Nasuada, iniziando a conversare con chi li fermasse per scambiare due parole o vedere un bambino umano neonato e di un paio d’anni.

Finiarel presto si fece trascinare in balli e dimostrazioni magiche di vari elfi e nani in loro competizione per le sue attenzioni, trascorrendo del tempo a ridere di gusto, sempre sorvegliato da Jormundur alle sue spalle come un corvo.

A un tratto, Nasuada fu richiamata da un gruppo di nani per la consegna di un dono per la nascita della principessa, dunque si staccò dal marito promettendogli di tornare a cercarlo, anche se non sapeva che per tutto il resto della festa questo o quell’altro ospite li avrebbe tenuti separati.

Murtagh allora continuò a vagare mentre dispensava finti sorrisi e parole cortesi, spiluccando bocconi di cibo quando riuscì.

“Cavaliere del Drago.” , lo salutò la voce cristallina di un elfo, accostandosi a lui mentre era piegato una di quelle volte su una tavola ai lai della sala, imbandita di verdure e formaggi elaborati. Murtagh voltò il capo, vedendo il viso caloroso di Arendriel.

“Oh, finalmente mi rivolge la parola stasera il padre del futuro sposo di mia figlia.” , lo salutò con astio nascosto dietro il sarcasmo Murtagh. Affrettò il passo cercando di seminarlo, ma questo continuò a seguirlo adattando il proprio ritmo a quello dell’altro senza problema alcuno.

“Mi avevano avvertito che avresti potuto non essere particolarmente felice di aver generato una figlia, e che dunque domandare la sua mano - dite così voi, giusto? - sarebbe stato per voi un sollievo.” , sospirò il biondo rallentando il passo,”Eppure leggo nei vostri occhi che site scontento dell’interesse di mio figlio.”

Murtagh strinse la mascella, rallentando anch’egli fino a fermare sé stesso e l’interlocutore di rimando. “Vostro figlio potrà non essere adulto per i ritmi di crescita elfici, ma è comunque in grado di intendere e di volere. Mia figlia è appena nata e già mi è stato chiesto troppe volte di decidere per aspetti così delicati riguardanti il suo futuro.”

“Quindi non è vero che avreste fatto di tutto per svenderla al primo offerente?”

Il giovane umano si voltò rabbioso verso il biondo, rizzandosi bene nelle spalle e torreggiando su di lui. “Io non potrei essere più felice della sua nascita! È una benedizione per me, questa bambina!” , sibilò. Alcune persone nella sala si fermarono a osservarlo preoccupati.

“Perché l’amate veramente o perché temevate che divenisse come Morzan, se fosse stato un bambino?” , chiese neutralmente l’elfo.

Murtagh strinse gli occhi in due fessure di ghiaccio. “Come fate a sap-"

Sospirò. “Eragon…”

Arendriel annuì leggermente.

“Dovevo immaginarlo che avrebbe parlato con Arya.” , si lamentò, tornando ad allontanarsi dall’elfo come si conviene.

“La nostra regina vi ha strappato da vostra figlia per via di un timore infondato. Vi chiedo perdono.” , continuò l’altro.

Murtagh emise un colpo di risata. “Non so più quale sia la verità, ormai, dietro ciò che mi è accaduto. A ogni modo, vorrei udire le scuse da parte sua personalmente e anche che il vostro popolo smettesse di preoccuparsi per mia moglie o per i miei figli: non sarò mai io la causa diretta della loro rovina.”

Arendriel fece un cenno d’assenso col capo. “Come desiderate. Riferirò alla mia regina le vostre richieste.”

Fece una riverenza col busto. “A ogni modo, vorrei ringraziarvi di aver accettato la proposta di mio figlio. Non sapete per quanto mi abbia parlato della vostra bambina.”

Murtagh storse il naso al pensiero, pieno di disagio. “Non fatene più parola, vi prego. Per quanto Auryn sia giovane per voi, per noi è vecchio molto più dello stesso padre della sua promessa sposa.” , lo ammonì, “È inappropriato parlare di tali argomenti tra la gente del mio popolo.”

“Capisco.” , rispose con un sorriso. Fece un’altra riverenza, poi affrettò il passo per raggiungere il figlio.

Adocchiò una figura tra la folla, dirigendosi verso di questa.

 

Quando la festa terminò, Nasuada chiese a Farica di riportare la neonata nella sua stanza, ricongiungendola col fratello ormai trapassato da alcune ore.

Allontanata la bambina, la regina cercò il Cavaliere, trovandolo all’esterno sul grande terrazzo che correva lungo tutta la sala da ballo.

“Come mai qui? Qualcosa ti turba?” , lo richiamò alla realtà.

Lui trasalì, poi prese fiato con una mano sul petto.

“Non ti sei ancora ripreso del tutto, non è così?” , gli chiese con onestà.

“Devono aver dimenticato qualche punto, mentre mi rimettevano in sesto. Tuttavia sto bene.”

Lei annuì. “Fisicamente ti sistemerai, col riposo. Non abbiamo ancora avuto occasione di parlare invece delle ferite nella tua mente.”

Lui fece un sorriso dolente, colmo di sarcasmo. “Ne ho talmente tante, che se le vendessi sarei doppiamente più ricco di quanto non sia già.”

“Faremo qualcosa anche per quelle, te lo prometto.”

Fu lui quella volta ad annuire. Poi, si rizzò sulle lunghe gambe. Nasuada si voltò verso la sala, per seguire lo sguardo del giovane, che fino a poco prima era su di lei e dietro le sue spalle.

Sulla grande porta a vetri v’era Arya, ancora abbigliata nel suo prezioso abito di seta di giunco verde e lucente come le squame di un drago.

“Vi eravate dati appuntamento?” , chiese la regina umana tenendo il tono basso, così che orecchie indiscrete non potessero udirli.

“Ho chiesto ad Arya di raggiungermi.”

A distanza, l’essere immortale incrociò le braccia al petto. Nasuada percepì la tensione che già si stava creando, perciò si tolse di mezzo, andando ad appoggiarsi alla balaustra dietro il marito. “Immagino sia per parlare delle condizioni del nostro accordo.”

“No.” , le rispose seccamente Murtagh.

Un sopracciglio corvino si alzò sulla sua fronte.

“Voglio sapere se tu provi anche solo un minimo di rimorso per quanto hai causato.” , sentenziò il giovane dai capelli neri, facendo spalancare le labbra di entrambi gli esseri femminili.

“Sono una regina, non sono tenuta a porgerti scuse o fornirti spiegazioni.” , s’impuntò con superbia l’elfa.

Murtagh si fece vicino. “Non capisci che stiamo tutti correndo assieme per arrivare al medesimo obiettivo?” , sussurrò costernato.

“Quale obiettivo? Mi sembra tu ti stia lamentando con me per una questione che non era sotto mio controllo, e che stia pretendendo delle scuse per averti impedito di sollazzarti con la tua famiglia.” , gli rispose a stento muovendo le labbra.

“Non voglio le tue scuse da regina, ma voglio sapere se eri in qualche modo consapevole dei pericoli che avresti rischiato se la missione l’avessi portata a compimento tu stessa.”

“Sì, se mi fossi assentata sapevo che sarebbe scoppiata una vera e propria guerra che avrebbe decimato il mio popolo.”

Murtagh emise un colpo di risata, allontanandosi perché si sentiva deriso dalla sua vaghezza.

Nasuada giunse le dita assieme, poggiandovi le labbra carnose. “Siete troppo orgogliosi per giungere a un compromesso.”

“Orgogliosi?!” , esclamarono assieme.

“Almeno su questo vi trovate d’accordo. Sì, dovete accantonare la sfiducia che sotto sotto provate nei confronti l’una dell’altro.”

Murtagh guardò Arya, studiandola. “Io mi fido, mi sono sempre fidato di Arya! Se Eragon e te avete cieca fiducia in lei, io non posso che seguirvi.”

“Vale lo stesso per me nei confronti di Murtagh.”

“Non è così nel fondo delle vostre coscienze, eppure. È quello che vi ripetete, ma in fondo siete sconosciuti. Non è facile fidarsi degli sconosciuti, anche tra Cavalieri.” , spiegò loro con calore materno Nasuada.

Si diede uno slancio per avvicinarsi prima al marito, appoggiandogli una mano sul cuore. “Pensaci, ora che abbiamo conosciuto nostra figlia, la ameremo e ci fideremo sempre di lei, ma prima - quando era solo un’idea che cresceva nel mio grembo - non ci era possibile avere lo stesso apprezzamento per lei.”

Murtagh deglutì la voglia di darle ragione e parlarle dei suoi sogni, non essendo quella la sede giusta. Non lasciò che i suoi pensieri fossero leggibili sul suo volto, annuendo subito alla moglie. “Hai ragione.”

Nasuada annuì, spostandosi accanto ad Arya e prendendola a braccetto come fossero due giovani fanciulle. “E capisco che per te sia facile accettare persino il Cavaliere del Re Nero come tuo alleato, grazie alla propensione del tuo popolo all’apertura verso nuovi orizzonti di pensiero, eppure hai udito delle sue azioni come abbiamo fatto tutti. E fino alla fine della Guerra, non hai pressoché avuto modo di conoscere Murtagh come io o Eragon abbiamo fatto.”

“È vero ciò che dici, ma per mia volontà e tornaconto è importante il lavoro di tuo marito. Senza il suo appoggio come Cavaliere, io non potrei svolgere sia il ruolo di Cavaliere sia quello di regina.”

Nasuada inspirò aria dalla bocca attraverso i denti. “Mio figlio un giorno sarà re e Cavaliere. Tu sarai l’unico modello esistente di chi è riuscito prima di lui a ottenere un buon governo seppur avendo degli obblighi come Cavaliere.”

“Suo padre è un Cavaliere, sono sicura che si ispirerà molto più a lui, e a te che sei sua madre.”

“Sì, ma io non sono un Cavaliere - e aggiungerei fortunatamente, dopo il nostro ultimo sovrano - .”

Aye. Ma cosa posso insegnare io a tuo figlio?” , chiese Arya sbattendo le palpebre ripetutamente.

“Come conciliare entrambi i ruoli.” , ripeté Murtagh voltando il capo verso di lei, ma mantenendo rigidamente il corpo voltato di fronte a sé, “È una cosa che noi non possiamo trasmettergli.”

“Tu sei un lord e un Cavaliere, presto ho udito che Nasuada ha intenzione di restituire il tuo titolo di principe!”

Murtagh sospirò. “Non è la stessa cosa amministrare dei terreni e salvaguardare i propri interessi, rispetto a governare popoli e salvaguardare gli interessi di tutti e al contempo della corona!”

Avrebbe voluto inginocchiarsi per supplicarla, ma si costrinse a prenderle solamente le mani. “Perché ci sia vera collaborazione tra noi Cavalieri e tra voi regine è importante però che tu ci dica come stanno le cose chiaramente.”

Gli occhi smeraldini s’imperlarono di lacrime. “Vi prometto che cercherò di rendervi partecipi di quanto potrò dirvi. Ma ti giuro, Cavaliere, che non ero a conoscenza dell’imboscata che gli Urgali avevano in serbo per me o per te.”

Un sorriso amaro balenò sul suo volto. “La proposta di matrimonio di mio cugino cade proprio a pennello, vista la situazione del mio popolo… Le rivolte che si sono verificate sono all’ordine del giorno dalla fine della Guerra: il mio popolo è tornato decimato nella foresta, e i possidenti che sono periti hanno lasciato faide e avarizia.”

“Ora che i nostri popoli hanno il tuo benestare a unirsi in matrimonio potreste anche valutare di spostarvi dalla foresta, per vivere. Aiuterebbe i nostri popoli a smettere di odiarsi.” , ragionò Nasuada. I due Cavalieri si trovarono a scuotere il capo nuovamente d’accordo.

“Tutti i nostri popoli ormai vivono segregati l’uni dagli altri. Ci vorrà tempo prima che si torni a vivere tutti assieme come centinaia di anni fa.”

“Alcuni del tuo popolo ricordano, potrebbero essere i più propensi a iniziare!” , insistette Nasuada.

Arya sospirò. “Rimuoverò l’impossibilità di vivere al di fuori della foresta, sperando che qualcuno voglia spostarsi.”

Il Cavaliere rosso grugnì. “Non sembravate inclini nemmeno ai matrimoni misti, eppure tuo cugino di sua spontanea volontà ha chiesto il permesso di chiedere la mano di mia figlia in sposa.”

“Sento rancore nel tuo tono.” , notò l’elfa annuendo però al suo ragionamento.

“Sono lieto dei risvolti politici che avrà e sono certo che non lascerò che nessuno mi porti via davvero la mia bambina.”

“Amorevole, il tuo pensiero.” , commentò apaticamente la regina dalle orecchie a punta, prendendo la gonna e alzandola, probabilmente per chiedere di congedarsi.

“Realista. Prima che tu vada però, ora che so che le nostre famiglie si uniranno, voglio che tu sia davvero più presente per Finiarel e Órlaith.”

Un sorriso leggero illuminò l’elfa, che annuì lieta.

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Capitolo 68
*** Una buona signora per il castello ***


Quando le ambasciate se ne furono andate dalla capitale, le azioni di convincimento del Consiglio riguardo la cessione di Dras-Leona e del suo ducato alla secondogenita ripresero con gran fatica di entrambi i genitori. Ma dopo una settimana di trattative, il giorno dell’apposizione della firma era giunto. Due calde labbra svegliarono il Cavaliere, facendolo sussultare. Fortunatamente le tempistiche burocratiche avevano permesso al giovane Cavaliere di riprendersi completamente dal piccolo inconveniente presso il popolo Urgal. Aprì gli occhi, trovando Nasuada a pochi pollici da lui, sorridente. Prese un respiro profondo, stiracchiando le gambe. La moglie si appoggiò il capo a una mano e con l’altro raccolse le pergamene che erano sparse per tutto il letto. Lui notò il movimento, imprecando. Fece per alzarsi, ma Nasuada lo spinse giù, posandogli la mano su cui si sorreggeva al materasso sul petto, e appoggiandovi tutto il peso. Finì di raccogliere tutte le parti del documento, spostandolo sul tavolino da notte. “Ti prego di passarmi il futuro di nostra figlia… ieri sera mi sono addormentato e non ho terminato di leggere tutto.”

Lei si piegò nuovamente a baciarlo. “Cosa vuoi che ti possa servire l’atto di successione? Il ducato di tuo padre non è cambiato da cento anni, e quella pergamena è per di più rimasta aggiornata ai braccianti che lo abitavano da addirittura più di quelle estati!” , lo rimbeccò.

Lui sospirò. “Voglio che Órlaith abbia un titolo che valga la sua bellezza, non voglio rischiare che si trovi con scocciature quando sarà abbastanza grande per gestirlo da sola. Dovrebbe garantirle una vita più che agiata, non rogne.”

Nasuada lo guardò ammirante. “Sei proprio tu il temibile e feroce Cavaliere rosso?” , lo stuzzicò. Lui sbuffò alzandosi a sedere. “Sì sono io, ma adesso ho una famiglia: una moglie - capacissima di cavarsela da sé - , un bambino che ha appena imparato a parlare e una neonata totalmente indifesa.”

“Se non capissi il tuo attaccamento per lei perché per mio padre era lo stesso, crederei che tu abbia delle preferenze tra i tuoi figli. Non hai pensato, due anni fa, all’eredità di tuo figlio - peraltro il maggiore - ?”

Lui rise di gusto. “Come se un intero regno che gli assicurerai tu fosse più importante di un ducato! Ho pensato solo di assicurare un futuro a nostra figlia… Se non dovesse essere felice con il suo futuro marito potrò sempre aiutarla a ucciderlo e lei potrebbe vivere come una ricca lady con il denaro della sua famiglia e con lo status privilegiato di vedova. Sarebbe una vita molto più dignitosa di quella di tante lady che ho conosciuto in passato.” , spiegò perdendo la vena allegra, pensando al futuro imprevedibile della neonata. Nasuada gli sfiorò la guancia. “Il tuo gesto è stato ammirevole, Murt. Che le possa servire o meno la tua eredità, rimane comunque una dimostrazione d’affetto impareggiabile per un padre! Quanti altri nella tua posizione si sarebbero preoccupati per la propria figlia?”

Non ebbe il tempo di rispondere perché Farica entrò con la neonata in braccio, premuta al petto.

“La principessa Órlaith e da oggi duchessa di Dras-Leona è qui!” , disse fieramente annunciando la piccola, vedendo i genitori perfettamente svegli. Nasuada protese le braccia in avanti perché la figlia passasse a lei. Nell’essere abbastanza vicina da riconoscerla -  o almeno la sua pelle scura e i suoi occhi - , Órlaith iniziò a scalciare e sorridere.

“Incomincia a dimostrare di conoscerti come la sua mamma.” , le fece notare lui. Nasuada si sbrigò ad attaccarla al proprio seno, mentre la piccola iniziava a emettere i primi versetti della fame. Subito dopo lo guardò con un sopracciglio alzato. “Riconosce anche te, stai tranquillo. Ho visto come ti guarda negli occhi quando la tieni in braccio durante i Consigli.”

Lui alzò le spalle. “Mi riconosce come quello che la tiene al petto senza nutrirla, però... Vedrò di non offendermi per la differenza di trattamento che intercorre tra noi due: ho visto come Finiarel abbia iniziato ad apprezzare la mia presenza solo quando è cresciuto abbastanza da non confondermi con te. So che anche per lei la mia presenza non sarà per sempre sgradita...”

“Quando verrà a chiederti di essere portata in volo lontano dai suoi doveri, sarai il suo preferito.” , confermò. Lui si ributtò sui cuscini, coprendosi gli occhi con le mani. “Perché sento che sarò molto più protettivo con lei che con Finiarel?”

Nasuada espirò. “Perché sei un uomo... Credete che le donzelle siano esseri fragili come vetro e da salvare costantemente. Questa bambina diventerà un Cavaliere e potrà difendersi da sola, quindi spendi le tue energie preoccupandoti giustamente di garantirle un futuro economico stabile - date le ingenti entrate annue del tuo ducato - e l’educazione adatta a fare della sua vita ciò che vuole. Se le darai queste due armi sarai sicuramente un genitore più che apprezzato...”

Il marito annuì ancora pensieroso, ma la sua preoccupazione sparì quando sentì il peso sul petto del piccolo essere di poco più di un mese che era sua figlia. Aprì gli occhi trovandosela ventre contro petto, un piccolo e morbido orecchio che gli solleticava la pelle. La coprì con le mani e si alzò a sedere lentamente. Lo guardò con i suoi occhi chiarissimi, facendogli un sorriso rilassato. Piegò il capo, incassando il collo tra le spalle, per baciarla mentre si alzava in piedi. Farica prese in mano prontamente una sua camicia, ma lui scosse il capo. “Va’ a prendere Ruaidhrì, partiremo appena possibile.”

La donna annuì e sparì attraverso la porta interna che collegava il talamo a un piccolo numero di altre stanze, di cui una era del principe e la principessa.

Ritornò con il bambino che si strofinava gli occhi assonnato, annunciando che Maeve avesse confermato di aver preparato il castello per il loro arrivo.

Maeve timidamente era riuscita a rientrare nelle grazie della giovane regina lavorando sodo per dimostrare di essere ancora degna della sua stima come governante degli appartamenti reali e dei principi. Era per la sua giovinezza maggiore, rispetto a Farica, che era stata scelta per partire assieme alla coppia reale, alla volta di Dras-Leona.

Nonostante la sfiducia che aveva riposto in lei per qualche giorno dal loro ritorno Nasuada, era sollevata ora di sapere che qualcuno di fidato e familiare li avrebbe attesi e aiutati nel castello appartenuto un tempo a Morzan. Nasuada aveva trascorso notti intere a immaginarselo in lungo e in largo, sperando che non fosse un luogo pericoloso per lei ma soprattutto per i suoi bambini - visto il trattamento che Morzan aveva riservato al piccolo Murtagh, non si aspettava certo un luogo accogliente e reso sicuro per una creatura indifesa come un bambino - . Ben presto furono pronti per partire con la pancia piena, anche se le viscere dei due giovani genitori erano torte dalla paura di cosa li avrebbe attesi. Per Murtagh i ricordi, per Nasuada una popolazione che era stata fedele al suo amministratore Morzan, che nonostante tutti i difetti aveva reso quel luogo florido nei commerci e quindi benestante.

 

Videro in lontananza finalmente le torri rosse del castello di Morzan, i suoi muri inquietanti, l’imponenza della sua posizione sul promontorio roccioso sul lago, proprio di fronte alla grande città portuale, come a voler ricordare che - seppur la città non fosse nei territori del ducato, ma i porti sì - la potenza del Cavaliere e il suo controllo erano totali. Finiarel indicò con un dito abbronzato l’orizzonte. “Castello di papà!” , pigolò con la sua vocina, impegnandosi a scandire bene le parole e tutte le lettere. Murtagh strinse le braccia più forte attorno al suo piccolo busto, annuendogli. Avrebbe sorriso per tale dimostrazione d’intelligenza, se non fosse che la morsa allo stomaco alla vista del luogo in cui suo padre aveva tentato di tagliarlo in due con la spada che portava ora al fianco, gli toglieva ogni barlume di gioia. Nasuada, legata alla sella davanti a loro due con la neonata assicurata al petto con una serie di bande - perché la madre potesse avere le mani libere per potersi reggere al drago - , si voltò leggermente verso di lui. “È della tua sorellina ora, piccolo.” , gli disse dolcemente, sfiorando la testa rotonda coperta da capelli neri che emergeva da quello strano nido di pellicce e teli.

Castigo si piegò improvvisamente verso il basso, facendo voltare nuovamente di scatto la regina.

Potresti avvertire la prossima volta? Non sono esperta come il tuo Cavaliere! , si lamentò con il cuore palpitante la ragazza.

Mi dispiace, mia regina. , rispose il drago mesto.

Quante volte devo dirti che per te sono solo ‘Nasuada’? , ridacchiò per tirargli su il morale. Anche un drago aveva sufficiente timore reverenziale per lei. Tuttavia in quell’occasione la sua voleva solo essere una richiesta, non un rimprovero.

Il drago rimase in silenzio un istante, poi la chiamò più volte per nome come aveva fatto Finiarel quando aveva imparato il nome della madre: aveva fatto ridere l’intera servitù degli appartamenti privati della loro famiglia per la sua cantilena composta solo dal nome della giovane, e venire il mal di testa alla regina. Atterrarono nel giardino alla base del castello, poiché Castigo era cresciuto ulteriormente e non sarebbe riuscito a entrare nello spazio tra il castello e gli altri edifici del piccolo borgo-fortezza senza spezzarsi le ali. Murtagh si slacciò prontamente i lacci alle gambe, scendendo a poggiare il figlio a terra. “Non allontanarti.” , gli impartì con decisione, poi prese ad arrampicarsi di nuovo verso la moglie che stava armeggiando con ganci e fibbie con una mano, tentando con l’altra di alzare la gonna senza essere scandalosa. Il marito andò in suo aiuto, liberandola in men che non si dica. Le porse la mano e scesero insieme, trovando ad aspettarli una figura alta e austera. S’inchinò al loro cospetto, aspettando piegata che le rivolgessero la parola. “Ben arrivato, mio lord.” , lo salutò.

“Puoi alzarti.” , rispose seccamente Murtagh. Nasuada lo guardò in obliquo per come aveva trattato la sottoposta. Quando la governante si alzò, squadrò la famiglia con altrettanta austerità del suo padrone. La regina le sorrise brevemente per ingraziarsela, ma la donna non rispose al calore. Il silenzio aleggiò per diverso tempo tra di loro, il Cavaliere che stringeva la mascella facendo guizzare i muscoli sotto la pelle.

Non lo aveva mai visto così teso, così sconvolto da un posto, nemmeno il castello di Illirea dove era stato torturato assieme al suo drago, fisicamente e psicologicamente.

La giovane regina si portò le mani dietro la schiena, prendendo a svolgere le lunghe strisce di tessuto che legavano la neonata al suo petto e al suo abito pregiato. La governante si alzò la gonna e corse quanto più velocemente potesse dietro di lei. Con movimenti bruschi s’infilò nei movimenti, arrivando a scacciare le mani sottili della regina dalla sua schiena. Allora la giovane le impiegò per premersi la bambina al petto così che una volta allentate le fasce non cadesse. Ben presto la piccola creatura fu libera. “Vi ringrazio”

La donna tornò di fronte ai coniugi, guardandoli con un sopracciglio alzato. “Volete entrare, miei lord?” , chiese a un tratto spezzando il silenzio.

Murtagh prese il figlio maggiore in braccio, riservando oltre la sua testolina uno sguardo duro alla governante. “Io sono il vostro lord, ma non dimenticate che mia moglie è la regina e dovete trattarla come tale.” , le impartì superandola. Nasuada non esitò e prese a seguirlo con minore velocità, attendendo la donna.

Sono davvero imbarazzato dal comportamento del mio Cavaliere, Nasuada. È come se il fantasma di suo padre lo possedesse quando è qui, trasformandolo in un’altra persona... , commentò Castigo vedendo l’umano lasciare indietro la moglie, tra le sue braccia l’unico motivo per cui era tornato in quel luogo con tutta la famiglia.

Nasuada sospirò al vento salmastro che proveniva dallo specchio d’acqua. Presenteremo la bambina alla popolazione del ducato, poi torneremo quanto prima a Illirea. Non voglio che Murtagh porti un peso così grosso in sé. Cercherà di fare il buon padrone per il suo ducato mentre viene ufficializzato anche qui il passaggio a Órlaith, nascondendo il risentimento verso questo posto a me e ai bambini.

Castigo le inviò un’ondata di sollievo. Stavo per fare la stessa previsione. Sono felice che Murtagh abbia accanto una persona che lo conosca così bene!

La regina arrivò nel frattempo all’entrata, dove accanto a Murtagh erano ritti in piedi Derrel e Maeve, inviati in avanscoperta delle condizioni del castello sette giorni prima della partenza della coppia reale. La donna castana guardò Nasuada con occhi mansueti e un sorriso caloroso sul volto. “Ben arrivata, Maestà.” , la salutò e parve voler scoppiare in lacrime. Nasuada pensò che fosse una reazione un po’ eccessiva, o forse ipocrita, o forse ancora che avesse già iniziato a risentire dell’aria tetra di quel luogo. L’aria che si respirava era pesante come un corsetto troppo stretto. Guardò Derrel, che sembrò lievemente inquietato anch’egli.

La governante si spostò al fianco della dama e del bambino. “Vostra maestà, desiderate fare un giro della tenuta?” , le chiese sempre atona. Fece per rifiutare, quando Murtagh accettò per lei, affidandole Maeve per portarsi dietro entrambi i principi. La domestica castana prese il principe tra le braccia da quelle del padre, spostandosi accanto alla governante, che la guardò minacciosamente. “Non allontanatevi troppo, spesso orsi o lupi scendono dalla montagna. La regina e la nostra duchessa sono qui, non devono andare in pericolo.” , si raccomandò senza però sembrare preoccupata minimamente. Maeve annuì. “Certo, signora Adelheid. Saremo di ritorno entro il calare del sole.”

Si accostò alla regina, sorridendole. “Ho già fatto numerose volte il giro del castello e delle terre attigue da quando siamo arrivati, sarò una guida non esperta ma almeno non nuova a questi paesaggi.” , disse iniziando a camminare assieme a lei. Con la coda dell’occhio vide Murtagh, Derrell e la governante entrare per le grandi porte in legno rinforzato da metallo. Per primo iniziarono a seguire un sentiero all’interno delle mura delimitato da entrambi i lati da una fitta siepe. Tuttavia il promontorio su cui si ergeva il castello permetteva una vista chiara del lago e del centro del paese senza che i cespugli la oscurassero. Maeve indicò alla regina, che stava osservando tutte le novità di quel luogo con occhi curiosi, il castello. “Questo sentiero gira tutto attorno al castello. Riuscirete a vedere tutta la struttura esternamente senza perdervi nemmeno un angolo.” , le spiegò. Nasuada prese allora a osservare con più attenzione la struttura. “È stato Morzan a costruire il castello?” , chiese notando la forma regolare, tipica dei tempi antichi.

La dama si fermò per riflettere. “Sì, certamente. O meglio... così mi hanno detto. Dicono anche che sia stato eretto con il solo utilizzo della magia del drago del possessore di questo ducato.”

“Sembri molto ferrata sulla storia di questo posto.” , commentò distrattamente la regina. La dama che l’accompagnava sorrise con agitazione. “È perché meno di una settimana fa sono stata io a ricevere questo giro informativo. Adelheid è più loquace di quanto sembri.”

Nasuada guardò intensamente la ragazza. “Ho l’impressione di non piacerle. Sono lontana da casa, senza Farica... Posso fidarmi di te, invece?”

L’altra s’irrigidì. “Vostra maestà, mi dispiace per quanto sia successo tempo addietro. Non intendevo deludervi, ma la mia povera madre...”

“Sì, comprendo. Ti ho fatto quella domanda perché vorrei che mi aiutassi, mentre siamo qui, a risollevare il morale di mio marito. Vedo quanto Murtagh sia importante per te, quasi più di quanto lo sia io - la tua regina - … spero per il suo buon cuore e il tempo maggiore che trascorre con i suoi figli e quindi con te di quanto non abbia la possibilità di fare io.”

La domestica annuì, riprendendo a camminare. Portò la regina oltre il sentiero, svoltando a sinistra in una delle aperture nella siepe. Davanti a loro nella cinta muraria v’era una posta per le sentinelle, ormai vuota. Si accomodarono sui due sedili in pietra, osservando il lago sotto di loro.

Finiarel prese a cercare di arrampicarsi nella feritoia grande come una piccola finestra sotto lo sguardo vigile della dama da compagnia. “Nana, quante persone fanno il bagno lì?” , chiese grossolanamente, ma senza esitazione. Maeve ridacchiò. “Non molti, in realtà. L’acqua non è delle più pulite di questa terra.” , gli disse facendolo ruotare verso le montagne, dove una grande cascata riempiva di acqua fredda un fiume, “Quella invece è veramente deliziosa.”

“È l’acqua che arriva al castello?” , chiese Nasuada attaccandosi nel frattempo la neonata al seno che si era svegliata - ormai le sembrava che facesse solo quel gesto per tutta la giornata - . Maeve si oscurò. “No.” , rispose tornando a indicare con il principe il paesaggio.

Quando la piccola ereditiera fu sazia, ripresero il cammino. Attraversarono un meraviglioso arco di rose. La regina si fermò a guardarle. “I giardini di questo posto sono meravigliosi. Tolgono un po’ di inquietudine a quella struttura cremisi.” , commentò sfiorandone una. Maeve sembrava turbata, perciò Nasuada continuò il suo percorso. Ritornarono all’ingresso del piccolo borgo-castello, finalmente entrandovi. Adelheid aspettava le due donne oltre i portoni con le mani incrociate dietro la schiena. “È stato di vostro gradimento il paesaggio?”

“Molto, signora Adelheid. Soprattutto i giardini.” , rispose Nasuada con un sorriso.

La donna la fulminò con lo sguardo. “Meglio non nominarli più, lord Murtagh non ama il ricordo di ciò che riportano alla luce. I giardini sono stati incantati per non sfiorire mai, come l’amore di quello che fu uno dei giardinieri per la moglie del duca Morzan. Uno dei luoghi preferiti di lady Selena era infatti il roseto. Per quanto il lord preferirebbe vederlo morire, questo si fa beffa di lui con i ricordi, ogni volta che i suoi occhi di ghiaccio si posano su di esso.”

Nasuada dubitava che Murtagh avesse espresso in quel poco tempo dal loro arrivo il suo odio proprio per il roseto, però tacque per non rischiare di litigare con la governante. Che pensasse ciò che voleva sui risentimenti di Murtagh, ciò che non avrebbe permesso la regina era di essere ritenuta una padrona petulante, una moglie del Padrone non di gradimento della servitù.

“Capisco. Vogliamo continuare con il giro del castello?”

La donna con i capelli raccolti sotto la cuffia annuì brevemente, girando i tacchi. Passarono davanti al fabbro, la cui arma incandescente che aveva stretta in una pinza produsse un gran vapore quando immersa nell’acqua che dalla fontana centrale si diramava a piccole vasche, disposte tutt’attorno lo spazio aperto al centro del borgo attiguo al castello. La regina salutava con un sorriso ogni persona che vedesse, ricevendo sguardi ammiranti per la sua bella presenza. Più di una volta il principe fece fermare qualcuno per un complimento riservato al figlio del signore. Nel punto più riparato dal vento del cortile il forno del pane stava cuocendo delle pagnotte di farro, rilasciando un ottimo profumo. Nasuada si avvicinò e il suo ventre prese a brontolare. D’altronde, entrambi i suoi figli avevano già mangiato per quella giornata due volte, mentre i genitori no. Adelheid si parò davanti alla porta delle cucine mentre la ragazza dalla pelle scura faceva per entrarvi. “Questo non è il luogo per una regina.”

Nasuada indicò con il mento la bambina. “Órlaith sarà presto la duchessa di questo luogo, è giusto che anche coloro che lavorano per lei la conoscano.”

Roteando gli occhi si scostò. Un allegro gruppo di donne stava sbucciando verdure, impastando, riempiendo torte salate e stendendo marmellata su un dolce al formaggio attorno a un lungo tavolo al centro della stanza, quattro camini con paioli in rame sui fuochi. Il loro vociare s’interruppe quando l’ombra della corona fu proiettata sulla superficie lignea. Si pulirono come meglio poterono ai grembiuli, facendo una riverenza.

“La moglie del duca e i loro figli.” , li annunciò la governante.

I presenti sussurrarono auguri per i piccoli, tornando al lavoro a testa bassa. Nasuada fece un giro del tavolo, piegandosi ad annusare dentro i contenitori in rame. “Chi è a capo della cucina?” , chiese a un tratto. Una donna corpulenta fece un passo avanti con esitazione. “Ciò che stiamo preparando per la cena non è di gradimento della duchessa?” , domandò con il labbro inferiore tremante. Sarà stata anche un armadio di donna, ma era delicata più delle rose del giardino. Non governava la cucina certo per il suo polso. Forse, come per la regina, l’apparenza era ingannatrice.

“Sono la regina, non la duchessa, che invece è lei.” , rispose indicando il fagotto abbronzato che teneva stretto a sé. Le altre donne pigolarono per la dolcezza della creatura. Nasuada tornò a rivolgersi alla capocuoco. “Immagino che al duca non dispiacerà quanto avete preparato. Io vengo solo a farvi i complimenti anticipati, poiché fuori si può già capire la qualità del cibo che voi cucinate, signora...?”

La donna gongolò diventando paonazza. “Yanivia, vostra maestà.”

“È un piacere conoscervi, signora Yanivia. Vedo che è molto abbondante quanto avete pensato di preparare. Voglio essere sicura che nulla vada sprecato. Tutti gli abitanti del castello e del borgo attiguo dovranno goderne tanto quanto noi. Siamo solo in due, con una bambina che non si nutre che del mio latte e un bambino di poco più di un anno che ama più spiluccare dai nostri piatti che mangiare propriamente.” , si raccomandò con una risatina. Sentendosi nominare, Finiarel si staccò da Maeve per andare ai piedi della cuoca. Lei lo guardò con dolcezza, rughe profonde che si formarono attorno agli occhi. “È davvero molto simile a lord Murtagh alla sua età. Quegli occhi sono così unici da non poterli confondere...” , commentò con tristezza. Maeve si voltò e uscì per un attimo, tornando che si stava ancora asciugando le lacrime.

La regina riservò un ultimo sorriso a tutte le donne, incitandole a tornare al loro lavoro poi uscì seguita dal bambino, che ricevette un biscotto appena sfornato alla lavanda, casualmente il suo gusto favorito. Educatamente, lui ringraziò.

“È un posto pregno di tristezza questo per lord Murtagh e per tutti coloro che erano presenti all’incidente della cicatrice, lo si legge negli occhi di questi lavoratori onesti...” , si scusò la domestica per le sue lacrime. Nasuada strinse la neonata a sé, seguendo il principe dentro un altro edificio.

“È molto più facile essere la padrona del castello di Illirea per quanto abbia dieci volte i sottoposti e sia cinque volte più grande, rispetto a questo posto. Percepisco anche io che le persone abitano di giorno questo luogo perché costretti dal lavoro, ma che non vedono l’ora di abbandonarlo la sera. Sono tutti visibilmente a disagio dentro queste mura.”

Infine visitarono le scuderie, piene di purosangue da guerra molto pregiati, che il principe si soffermò a osservare ammaliato. “Mama, uno può essere di Finiarel?” , chiese candidamente e i genitori dovettero interpretare prima cosa avesse detto con la sua bocca che ancora stava praticando la pronuncia corretta delle parole, mentre aveva dimostrato di saper usare bene la lingua che aveva ascoltato dai genitori per tanti mesi prima di dire nulla.

La regina si accostò a lui, premendoselo sulla gamba più vicina con affetto. “Non penso che tua sorella sarà contrariata se quando sarai grande e visiterai questo posto potrai cavalcarne uno.”

Una figura entrò dall’altra entrata rispetto a quella da dove erano arrivati. Con le braccia incrociate Murtagh si avvicinò al figlio e alla moglie. “Avanti, scegline uno finché sono ancora di mia proprietà e non di tua sorella.” , gli disse con tranquillità forzata.

Le due sottoposte s’inchinarono a lui brevemente, mentre il bambino indicava un grande esemplare dal manto grigio chiaro, talmente ben spazzolato da sembrare argentato. “Ottima scelta, piccolo. Il vero figlio di tua madre!”

“Che cosa vorresti dire, lord Murtagh?” , chiese Nasuada fingendosi offesa. Lui le passò una mano in vita, facendo impallidire Adelheid per quel gesto intimo.

“Nulla... ho cercato di lanciare un po’ di umorismo, ma non mi riesce di essere allegro qui, perdonatemi.” , mormorò con la voce che sembrava provenire dal petto e non dalla gola.

Nasuada appoggiò la testa al suo braccio con affetto, poi si voltò posandogli una mano sotto alla clavicola. “Forse dovremo entrare. È quasi ora di cena e non abbiamo mangiato nulla oggi. Non avrò più forze per produrre il nutrimento per tua figlia tra poco.”

Tenendola saldamente per la vita prese anche il principe da terra, guidando la famiglia finalmente attraverso la porta principale del castello. La giovane regina esclamò nel vedere l’interno. Voltò il capo verso la governante. “I miei complimenti, signora Adelheid, questo castello non sembra per nulla disabitato!”

La donna chiuse le palpebre, facendole un primo debole sorriso. “Lo abbiamo tenuto vivo e caldo d’inverno, aspettando preparati che il nostro duca facesse visita alla sua proprietà.”

Una servetta annunciò che la cena sarebbe stata servita entro una mezz’ora, poiché le torte erano ancora nel forno.

“Di’ alla signora Yanivia che attenderemo la conclusione della sua opera.” , le rispose Nasuada tranquillamente. La ragazza annuì ma la paura nei suoi occhi non accennò a scomparire, correndo via. Nasuada sospirò triste per quegli onesti lavoratori infestati dal timore che il precedente padrone di quel luogo aveva creato in modo duraturo, anche in chi come la ragazza non aveva potuto conoscerlo.

Murtagh la portò nella sala del governo, dove suo padre aveva fatto mettere un trono. Scherzarono insieme di quella stranezza e Nasuada lo osservò parlare con le labbra tirate in un timido sorriso mentre era con lei. Ma durò poco quando i suoi occhi azzurri si posarono su qualcosa sul camino, sbarrandosi.

La moglie seguì la direzione, vedendo un dipinto di Morzan - chiaramente vista la somiglianza con Murtagh ma gli occhi policromi - accanto a Galbatorix.

Per peggiorare la situazione già tesa, il piccolo Finiarel se ne accorse anch’egli e corse sotto al dipinto, iniziando a indicarlo e a chiedere ai genitori chi fossero i due. Nasuada avanzò quanto più velocemente verso di lui, ma la bambina tra le sue braccia la rallentava - non potendo essere sbattuta come una bambola - perciò Maeve lo raggiunse per prima, prendendolo per le spalle e sorridendo alla regina. Lo caricò tra le sue braccia e rispose velocemente ma con un tono esperto di madre che non ammise repliche.

“Signora Adelheid!” , tuonò il Cavaliere senza smettere di fissare il dipinto, le narici che si dilatavano e si stringevano ritmicamente, come stessero pulsando. La governante avanzò senza mostrare sentimenti, ma sia il giovane lord Derrel sia il principe Finiarel si fecero piccoli per lo spavento. “Mio lord?”

Lui indicò con rabbia il dipinto. “Togliete dalla mia vista tutti i ritratti dell’uomo che ha tentato di uccidermi! Non si merita di guardarmi con quel ghigno mentre sono assieme alla mia famiglia!”

La donna annuì e prese una panca, accostandola alla parete. Vi salì sopra nel silenzio della sala e da sola staccò la pesante tavola di legno dipinta. “Con permesso, mio lord.” , disse congedandosi dietro il grande quadro. Finiarel, ancora in braccio a Maeve rise divertito dal ‘quadro parlante’ e la donna castana cercò di farlo stare zitto. Murtagh sospirò e si avvicinò a lei, che lo fissò dal basso spaventata, il prezioso principe tra le mani, ma il Cavaliere non fece nulla al proprio figlio se non prenderlo a sé.

“Mi hai fatta preoccupare.” , lo rimproverò duramente Nasuada dalla distanza da cui aveva assistito alla scena.

Maeve confermò con il capo a uno sguardo incalzante della regina, poi si tornò ad allontanare per stare in piedi al limite della stanza assieme a lord Derrel. Il bambino non era dispiaciuto delle attenzioni materne della dama da compagnia, e lei non era scontenta di avere un altro bambino a cui badare. Murtagh nel frattempo posò un bacio sulla fronte al figlio e si avvicinò con aria costernata alla moglie. “Perdonami, ma sembrava che si stesse facendo beffa di me.” , tentò di dire.

La ragazza dalla pelle d’ebano sbottò d’ira: “Non ha alcun senso ciò che dici! È un dipinto e tuo padre è morto! Come può farsi beffa di te se non attraverso la tua paura?”

Gli sguardi dei servi presenti si fecero preoccupati per il rimprovero della regina al marito, ma lui non ebbe la reazione che avrebbe avuto Morzan con lady Selena. Murtagh abbassò il capo remissivo, lasciandosi calmare dalle carezze spontanee del principe. Si beò ancora per qualche istante del tocco delle sue piccole e soffici mani quando la cena venne annunciata.

“Finalmente!” , esclamò Nasuada piano, spostandosi dietro la servetta fino alla sala da pranzo.

Murtagh fece sedere la moglie nel posto di rilievo insistendo, poi si sistemò accanto a lei mentre la prima torta di mandorle e acqua di rose estratta dalle stesse dei giardini venne servita loro. Derrel e Maeve si posizionarono lontani da loro per lasciare loro intimità e segretezza e la donna si prese la duchessa per permettere alla madre di riposarsi un poco, mentre Finiarel rimase sulle gambe del padre.

Prima che la serva sparisse, le prese la mano dicendole di ringraziare la signora Yanivia e di ricordarle di consumare tutto il cibo preparato in eccesso.

Murtagh guardò Nasuada con confusione, una volta uscita. “Che stai facendo?”

Lei si mise in bocca un pezzo delicato della delizia preparata dalla cuoca. “Questo posto ha bisogno di un po’ di amore da parte della sua nuova lady.”

“Órlaith è troppo piccola per decidere come gestire questo posto.” , la rimbeccò riempiendo prima la bocca del principe poi la sua, di torta salata.

Nasuada annuì con un sorriso. “Appunto, perciò per ora sono io la lady di questo posto in sua vece, e ho deciso che i sottoposti non dovranno essere mantenuti fedeli con un regime di terrore.”

Murtagh appoggiò le posate in metallo di scatto, emettendo un rumore che rimbombò nella grande sala vuota se non per i tre adulti e altrettanti bambini. “Tu non conosci questo posto e la sua fama. Se i dipendenti avranno la libertà di scegliere se lavorarvi o no, questo posto andrà in rovina perché non rimarrà nessuno!”

Nasuada scosse il capo con pazienza, voltandosi verso Derrel e Maeve. Lì indicò brevemente.

“Lord Derrel, perché non ti unisci alla cena?” , chiese con voce stentorea.

Il bambino esitò, poi guardò entrambi i coniugi con agitazione. “No, vostra maestà, mi è stata somministrata nelle cucine prima.”

Murtagh sentì la menzogna in quanto avesse riportato, alzando un sopracciglio verso Nasuada. “Sei sicuro, Derrel?” , ribadì senza guardarlo. Senza la pressione dei suoi occhi chiari, il piccolo scosse il capo. “No, mio lord. Così mi è stato detto di dirvi nel caso aveste chiesto, dalla signora Adelheid. Non sopporta che la servitù mangi assieme ai padroni.”

Murtagh sospirò. “Derrel tu sei nostro protetto e compagno di viaggi, oltre che un lord! A parte qualche compito durante il giorno non sei un mio sottoposto!”

“Vedi?” , chiese al Cavaliere la regina, guardandolo intensamente. Lui alzò le spalle dandole ragione, poi si affrettò a ordinare un posto al tavolo per il piccolo lord, mentre Maeve scompariva silenziosamente per non essere invitata, e rischiare situazioni improprie solo per il buon cuore dei Signori. Adelheid arrivò assieme alle servette, le mani giunte in grembo. Si piegò a metà davanti lord Derrel. “Mi dispiace, mio lord, ma non ero stata avvisata della vostra identità. Provvederò a trattarvi secondo il vostro titolo.”

Nasuada annuì con il capo. “Signora Adelheid, sarà necessario anche dargli una sistemazione degna di lui, possibilmente vicina alla mia stanza essendo un mio personale protetto. Cercate poi di non essere troppo severa con il resto della servitù. Io e mio marito non siamo un lord e una lady troppo duri.”

Gli occhi della donna parvero contrariati, ma il suo capo si spostò su e giù, poi sparì. Derrel si prese una fetta della torta giusto in tempo prima che venisse sostituita con un’anatra con una salsa di chiodi di garofano, prugne e mirtilli.

Sistemato il comportamento di Murtagh e lady Adelheid, la cena proseguì piacevolmente sia per le pietanze, che la regina scoprì per la prima volta, sia per il clima più leggero.

Dopo un pudding di latte di mandorla i due sposi fecero sparecchiare e chiesero che venissero scortati per la notte. Ai piani inferiori e dall’esterno del borgo-castello proveniva un timido suono di cornamusa, a un tratto qualcuno prese anche a cantare una ballata. Nasuada sorrise, prendendo la bambina tra le braccia che le aveva riportato Maeve.

Una donna e una ragazza, la figlia della prima vista la somiglianza, le attendevano alla base della grande scala. Quando la più vecchia vide la regina la squadrò da capo a piedi con un sorriso. “Una lady degna della bellezza del nostro padrone, milord.” , si complimentò con il Cavaliere.

Lui sorrise alla moglie e confermò con ardore. “E una donna che ha veramente a cuore i suoi sottoposti e i nostri figli.”

“I vostri eredi sembrano dei bambini molto forti.” , confermò la donna con un sorriso.

Salirono le scale dietro alla giovane serva e alla madre. La donna più adulta scortò la regina dentro una stanza, mentre la giovane guidò il Cavaliere più avanti, senza inizialmente svelargli dove fossero diretti.

“Questa è la stanza che abbiamo preparato per voi, vostra Maestà.” , le disse l’anziana con un gesto di braccia. La regina guardò ai mobili in legno di pregiata fattura, perfettamente privi di polvere. Prima che potesse chiedere altro, la donna era già uscita, lasciandola sola con i due bambini. I candelabri attorno alle pareti proiettavano lunghe e contorte ombre dei ghirigori in metallo che li decoravano, simili a mostri alati. A sole scomparso dietro le montagne, quella stanza nel castello di Morzan riusciva a incuterle abbastanza timore. “Maeve?” , chiamò ma nessuno rispose. Posò il figlio maggiore sul letto, andando in cerca del campanello per richiamare la servitù, non trovandone traccia.

“Dov’è andato papà?” , pigolò il principe sbadigliando.

Un corridoio parallelo a quello dove si trovava la regina, la ragazza si fermò davanti all’unica porta voltandosi a guardare il Cavaliere. “Per voi abbiamo preparato la stanza del lord.” , disse con tono suadente. Murtagh la riconobbe, era la stessa servetta che aveva tentato di sedurlo quasi due anni prima. Il giovane arretrò inorridito mentre la porta veniva aperta dalle sue mani, ripiegate dietro la schiena. Lei fece un passo verso il moro, ma lui alzò una mano. “Mettiamo in chiaro due cose: non ho bisogno che tu finga di volermi scaldare il letto, perché non so quali servigi richiedeva mio padre dalla servitù ma io non sono lui, e secondo non ho intenzione di dormire nella stanza di Morzan!” , disse duramente.

“Mi era stato detto che -” , si bloccò in una breve pausa di riflessione, per poi mormorare: “Non importa...”

Il volto della ragazza si rilassò improvvisamente, le sue spalle si piegarono in avanti. Poi chiuse nuovamente la porta a doppio battente.

“Quale altra stanza volete che vi prepari?” , chiese incrociando le mani sul grembiule dopo aver stretto i lacci della tunica sul seno.

“Hai una famiglia?” , le chiese laconicamente. Lei annuì debolmente.

“Vorresti passare la notte in un letto separato da quello di tuo marito?”

“No, onestamente.”

Lui annuì. “Bene, allora riportami dove avete pensato di sistemare mia moglie. E promettimi che se qualcun altro qui dovesse chiederti certi favori facendo leva sulla tua condizione economica, mi scriverai e io prometto di fare pulizia attorno a te.”

Lei lo superò velocemente, svoltando a sinistra due volte fino a trovarsi nel corridoio da dove erano venuti. Si fermò davanti alla porta della stanza riservata agli ospiti più illustri.

“Molto bene. Sarà abbastanza grande per entrambi. Puoi andare a goderti la festa nelle cucine assieme al resto della servitù.” , le riservò il giovane. Lei sorrise debolmente poi fece una riverenza e si assentò. Lui ruotò il pomolo della porta, aprendola. Nasuada si alzò di scatto dal letto e lo guardò confusa, non aspettandosi il suo arrivo.

“Qualche problema?” , le chiese.

Lei si morse il labbro. “Sarà che mi sto facendo condizionare dalla malavoglia con cui ti trovi qui, ma iniziavo a sentirmi a disagio qui tutta sola con i bambini. Dove eri andato?”

Lui rise amareggiato. “Avevano ben pensato di farci dormire separati. E volevano che io occupassi la stanza di mio padre.”

Insieme, storsero il naso per il pensiero. Velocemente la ragazza andò a poggiare la principessa accanto al fratello. Tornò per prendere le mani del marito, che si abbassò per unire le loro labbra. Maeve bussò alla porta qualche istante dopo, facendoli separare. Con il suo sorriso caldo entrò aspettando ordini, assieme a lei la governante. Nasuada guardò la donna castana, chiedendole di aiutarla a uscire dal suo abito.

“Cosa fate qui, mio lord? Non era di vostro gradimento la sistemazione che abbiamo preparato?”, chiese Adelheid con tono duro.

Murtagh sfiorò il braccio della moglie, facendo capire dove volesse trovarsi quella notte. “Non essendovi le stanze della lady immagino che mia madre non abbia trascorso notti in una stanza separata, le poche volte che le era permesso farmi visita.”

La governante annuì suo malgrado. “Vostro padre era molto rigido a riguardo: se lady Selena era qui non le era lasciata altra scelta che condividere il letto di lord Morzan.”

Maeve si mise subito all’opera, lo sguardo scuro e basso nel sentire il nome del Rinnegato. In meno tempo, il Cavaliere rimase solo con la tunica leggera e i pantaloni. La governante si avvicinò a lui per prendere gli abiti usati, lanciando uno sguardo sul letto. “Il principe e la duchessa si sono addormentati. Volete che li porti nelle loro culle che abbiamo preparato?”

Murtagh scosse il capo con veemenza, guardando Nasuada che già lo aveva anticipato. Senza parlare accordarono di voler tenere i bambini con loro. “Potete andare, grazie. Domattina sarà necessario che ci svegliate presto, dobbiamo prepararci alla presentazione della lady ereditaria di questo ducato.” , disse il ragazzo e sia Adelheid sia Maeve fecero una riverenza, augurando loro una buona notte. Murtagh aprì la finestra e si tolse la tunica, visto il caldo estivo che non era scomparso con l’arrivo della sera. Nasuada, solo nella sua camiciola intima, tolse quanti più strati anche dai figli, prendendosi la bambina al petto dopo aver sistemato il primogenito in mezzo sui cuscini. Murtagh lo raggiunse, spostandoselo nell’incavo tra il braccio muscoloso e il petto nudo. Nel percepire l’odore della pelle del genitore, il bambino si rannicchiò senza svegliarsi facendo dei versetti dolci. La più piccola della famiglia invece aprì gli occhi improvvisamente, iniziando a lamentarsi. La regina liberò un seno, permettendo alla bambina di nutrirsi nuovamente. Le sfiorò la testolina con la punta delle dita e aspettò che la sua fame si placasse. Stranamente non si riaddormentò dopo. Il padre sbuffò, allungando la mano che non teneva il principe perché gli prendesse l’indice tra le dita minuscole. “Nemmeno a me piace questo posto, piccola. Cerca di fare come tuo fratello e riposare: domani dovrai mostrarti in tutta la tua bellezza alle persone che fanno parte del tuo ducato.”

“Non sarà difficile: è la bambina più bella che io abbia mai visto.” , continuò Nasuada solleticandole il naso. La piccola sorrise, facendoli sciogliere e non per il caldo.

“Vieni qui, principessa.” , le disse Murtagh facendosela passare.

“Sua Altezza Reale, Principessa e Arciduchessa.” , lo corresse la regina, posando la neonata nell’incavo del collo del padre, poi si alzò per chiudere le tende del baldacchino. Si raggomitolò accanto al suo braccio, percorrendolo per rilassarsi dal basso verso l’alto. Non ci volle molto per far addormentare i due sposi nonostante i canti e la musica proveniente dalle cucine, vista la vicinanza di tutta la famigliola che era capace di quietare tutti gli animi.

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Capitolo 69
*** Fantasmi ***


Un leggero scricchiolio provenne dalla porta della stanza da bagno privata dell’appartamento, dove il duca e la famigliola erano stati sistemati.

Nel letto a baldacchino, si udì un fruscio, poi una voce maschile preoccupata che chiedeva alla domestica, appena ritornata dai festeggiamenti con la servitù autoctona, se fosse stata lei a produrlo.

“Sì, milord.” , rispose una donna, dall’unico altro letto nella stanza.

L’uomo che si stava introducendo di nascosto nella stanza dei lord si bloccò nella parete di pietra, ascoltando la situazione nella camera da letto. Quando, dopo qualche tempo, si udì di nuovo il respiro regolare del Cavaliere rosso, l’intruso si fece avanti.

Il passaggio segreto si chiuse alle spalle di una figura imponente coperta di abiti neri. Scivolò all’interno senza emettere alcun rumore, aprendo la serratura di metallo con un lieve bagliore rosso, proveniente da un globo nella sacca attorno alla sua cintura. Si trovò davanti a un imponente letto a baldacchino, che camuffava il suono del respiro di più di una persona.

Prima di dedicarsi agli abitanti della stanza, si spostò verso un cumulo di indumenti su una sedia, sia da donna sia da uomo. Notò con piacere la forma allungata di una cintura maschile. Allungò la mano, quando un’altra gli afferrò il polso. L’altra figura non aveva emesso espertamente alcun rumore, proprio come egli. Se ruberai ciò che stai cercando, ti smaschererai. , lo ammonì con tono distaccato, utilizzando il canale mentale per non svegliare i Signori del castello.

Giusto. Se solo avessi potuto impedire che mi venisse rubata, ora l’obiettivo non l’avrebbe!

Strattonò il proprio polso, facendo lasciare la presa alla donna castana, che lo guardò in silenzio, mentre si spostava verso il baldacchino. La donna si tornò a sdraiare nel suo giaciglio, ai piedi di quello dei suoi padroni.

Vedo con piacere che non hai perso la tua abilità di mascheramento... , commentò l’uomo continuando a usare la connessione mentale.

Mi hai fatta ‘rinascere’ per diventare la migliore delle spie, non posso dimenticare chi sono.

Due occhi malvagi fissarono con forza le tende del letto chiuse, come se riuscisse comunque a vedervi attraverso. Attraverso le leggere onde dell’aria riuscì a ricostruirsi nella mente un’immagine piuttosto accurata del volto del Cavaliere rosso, i suoi lineamenti nobili e perfettamente regolari, come i suoi lunghi capelli erano abbandonati sul cuscino. Percepì un grande anello al suo dito, costoso, certamente adatto a un re. Accanto v’era l’altra figura di suo interesse, una donna davvero bellissima e dal corpo aggraziato, anche se irrimediabilmente danneggiato da qualcosa di traumatico, che lo lasciava leggermente smunto, nonostante alcuni segni che indicavano una gravidanza da poco conclusa. Nel mezzo, vi era la creatura che aveva sfruttato il corpo della madre per venire al mondo, e poco distante un bambino di qualche anno più grande, anche se non molto, dagli arti già longilinei per la sua età.

Il volto dell’uomo si contrasse in un’espressione che sembrava contrariata.

Perché stiamo ritardando il piano solo per permettergli di figliare?! , sbottò percependo la presenza dei sacchi-di-carne indifesi, prodotti dagli esseri umani stessi.

Non abbiamo potuto evitare la nascita del primo, ma non sono riuscita a intervenire nemmeno per il secondo...

La figura imponente si voltò di scatto verso la donna, stesa nuovamente nel giaciglio sulla schiena, gli occhi spalancati sul soffitto.

Stai per caso ammettendo la tua debolezza, donna?!

Un lievissimo movimento del capo a destra poi a sinistra provenne dalla figura castana. Non ho potuto perché credo sia necessario un cambiamento del piano.

L’altro avrebbe voluto poter scoppiare a ridere in scherno. Si limitò solo a stringere le dita nei palmi. Spiegati!

Il naso della donna indicò il letto, dove entrambi potevano percepire la forza vitale della creatura più piccola. Se l’avessi uccisa avremmo perso di nuovo un grande potere.

Un sopracciglio si alzò incuriosito nel volto in ombra dell’uomo. Si voltò verso il letto e chiuse le palpebre. La sua coscienza toccò quella della piccola, ricevendo immediatamente una visita, quando si ritirò nuovamente nella propria, da ella. Fu qualcosa di primordiale, confuso e frammentario, ma si sorprese quando nessuna barriera la fermò né la rallentò.

Straordinario!

La donna castana deglutì, chiudendo gli occhi, colta da qualche illeggibile sentimento. Forse era sollevata, forse invece aveva paura.

Rivedremo il piano. Avrai presto notizie sulla mia volontà, una volta che sarà fissata. , concordò l’uomo. Nonostante sembrasse dormire, la figura femminile annuì.

Un fruscio di tessuti provenne da dentro le tende del baldacchino, nuovamente. La figura scura si allontanò velocemente dal letto, temendo che il Cavaliere rosso si fosse risvegliato di nuovo, svanendo nell’ombra da cui era arrivata con un sorrisetto.

Molto bene... Alla fine non è un male completo lasciare agli esseri umani la possibilità di riprodursi: il Cavaliere ha trasmesso a sua figlia qualcosa di molto interessante!

Guardò per un ultimo istante indietro, mentre la donna castana si alzava silenziosamente dal suo giaciglio per estrarre dalle tende la bambina neonata, che aveva appena aperto gli occhi per iniziare a lamentarsi. Gli occhi azzurro-ghiaccio della piccola incrociarono quelli dell’uomo, un brivido percorse entrambi. Chiuse la porta della stanza da bagno dietro di sé, tornando verso il muro di pietra, da cui accedere al passaggio di cui solo lui conosceva l’esistenza, di cui nemmeno i servi più anziani che lavoravano nel castello, quando ancora Morzan era vivo, erano a conoscenza.

Non è servito far tremare l’ordine politico del regno, perché il Cavaliere e la regina sono due sovrani più forti di quanto pensavo... Con pazienza, avrò tutte le mie armi e passeremo poi a un attacco personalmente diretto a loro!

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Capitolo 70
*** Dras-Leona ***


Le tende del letto a baldacchino si aprirono prepotentemente, inondando di luce fredda i due sposi per via della foschia sul lago. Un gruppo di cinque sottoposti stava rassettando la stanza con energia. Nasuada li guardò meravigliata.

Murtagh sospirò infastidito, piegandosi sul suo orecchio per sussurrare in modo che solo lei sentisse. “Essere una regina ha i suoi vantaggi in termini di riservatezza, almeno la mattina quando ci si sveglia.”

La giovane dalla pelle d’ebano confermò con un breve lamento. “Non potremmo far apporre un sigillo anche qui?” , chiese in un soffio.

Una domestica si fermò di fronte al duca, in piedi così vicina al letto da poterle sfiorare il grembiule. “Lorsignori vogliono che cambi le lenzuola?” , chiese apaticamente.

Murtagh rispose sia a lei sia alla moglie. “No.”

I bambini erano nel centro del letto in mezzo ai genitori, e il maggiore abbracciava dolcemente la minore.

“Tutti fuori, tornerete a rassettare quando ce ne saremo andati!” , ordinò il Cavaliere ai servitori. Questi si raddrizzarono istantaneamente, poi s’inchinarono e uscirono spaventati.

Poi, prese i due piccoli tra le sue braccia, con un sorriso caldo stampato sul volto, come se pochi istanti prima non avesse impersonato il duro lord davanti ai suoi sottoposti. Nasuada lo fissò preoccupata, mentre lui sfiorava ora beatamente i volti dei figli, perché sembrava essere impazzito davvero dal loro arrivo al castello.

“Murtagh, sei sicuro di stare bene?”

Lui si passò una mano tra i capelli corvini, abbandonando per un istante la testa indietro. “Non ho dormito molto bene, stanotte. Mi sono sentito osservato, poco al sicuro.”

La moglie si rannicchiò accanto al suo braccio, con una mano prendendo a giocare con il figlio maggiore, ora sveglio. “Non c’è nulla da temere, Murt. Siamo vivi, i nostri bambini stanno bene. Ma soprattutto le ombre del tuo passato non sono altro che quello...”

Lui annuì, cercando di convincersi delle parole della giovane dalla pelle d’ebano. Le passò la neonata, perché attendesse il risveglio per nutrirla, poi si alzò in piedi, richiamando Maeve, che si era già svegliata, probabilmente per andare a ordinare la colazione per loro, oppure per controllare lord Derrel al risveglio di questo.

Tornò con l’aria stanca, come se anch’essa non avesse dormito molto bene quella notte. “Stai bene, Maeve?”

La donna alzò le spalle. “Questo castello scricchiola ed è inquietante come nessun altro avevo visto mai.”

Murtagh sospirò. “Tranquilla, un paio di giorni e torneremo a Illirea.”

“Di già?” , chiese la moglie, dietro la sua schiena.

Il Cavaliere si voltò a mostrare tutto il suo concerno, allora Nasuada capì che la sua fuga da Illirea e i suoi diretti doveri stava già per interrompersi per il bene del giovane.

Tornò a voltarsi verso la donna castana. “Maeve, sono già pronti i nostri abiti?” , chiese fermandosi a riflettere per qualche istante, “Voglio che siano i più eleganti che sono stati portati.”

“Sì, milord. Provvederò a sceglierli io personalmente.” , rispose con un sorriso e l’aria esperta. Sembrava a suo agio in quel luogo, o comunque ben inserita, nonostante dicesse di averne paura. “La colazione vi aspetta.”

“Dove è stata preparata?” , chiese la giovane regina.

La donna emise un colpo di risata tra sé. “Giusto, Vostra Maestà. La colazione viene sempre servita nel salone dai tempi del penultimo padrone.”

“Terzultimo.”

La donna annuì, sparendo poi con una riverenza, mentre la neonata iniziava a urlare per la fame. Anche il maggiore si svegliò nell’udire il suo pianto, lamentandosi. “Non fare così, Fin. Piange perché è il suo unico modo ancora per comunicare.”

“Stupida!” , sibilò il bambino tirandosi a sedere da sé. Nasuada guardò Murtagh in un baleno, aspettandosi una reazione esplosiva. Invece, lui sospirò piegando le spalle in avanti.

“So che non era tuo desiderio dover condividere le nostre attenzioni con una tua sorellina, ma dalle tempo e potrà giocare con te. Sarai suo fratello maggiore: la sua guida in tutto e per tutto.” , gli mentì, ignorando il fatto che loro sarebbero sempre stati presenti per istruire e istradare entrambi i bambini.

“Fame.” , concluse il piccolo.

Il padre sorrise andandogli vicino e prendendolo per mano. Lo tirò a terra, lasciando che camminasse ancora lievemente incerto assieme a lui. “Prepariamoci allora. Ti servirà forza per visitare tutto il castello di tua sorella, siccome io e la mamma saremo assenti.”

Il bambino si voltò indicando la neonata. “E lei?”

“Verrà con noi. Sarai libero per oggi da lei.”

Il principe parve essere sollevato da quelle parole. Né Murtagh né Nasuada avevano mai avuto l’esperienza della gelosia tra fratelli, dunque non seppero come gestire questo nuovo sentimento nel figlio maggiore.

Finalmente, anche la principessa fu sazia, permettendo alla madre di alzarsi per prepararsi.

Furono nella sala da pranzo in poco tempo, avendo attorno stranamente il doppio dei servitori rispetto ai loro appartamenti alla corte d’Illirea.

Ruppero il digiuno in fretta, siccome grazie al suo udito finissimo, il cavaliere poté udire trambusto nelle stalle, segno che stavano preparando la loro vettura.

Presero il tempo per darsi un’ultima sistemata per apparire al meglio, poi affidarono con un bacio il principe a Maeve e scesero all’ingresso, dove la governante li attendeva.

“È stata di vostro gradimento la stanza, miei lord?”

Murtagh annuì sbrigativamente, superandola in un paio di falcate, la moglie dietro che lo seguiva con più incertezza, essendo il pavimento di quel luogo pressoché privo di tappeti che rendevano stabili le sue scarpe.

Adelheid allungò un braccio, bloccando l’avanzamento di Nasuada. Murtagh, accorgendosene, si voltò indietro, il volto interrogativo.

“Milord, avete intenzione di portare vostra moglie con voi?” , chiese la governante, leggermente allibita. Nasuada si scostò di lato bruscamente, di modo da non essere toccata da lei, offesa.

“Ho il diritto di andare assieme a lord Murtagh!”

Perché sono la regina, ma questo non lo dirò di certo ad alta voce... Un sovrano che deve ricordare ai sottoposti il suo titolo non è un sovrano abbastanza riverito. , aggiunse tra sé.

Il marito annuì duramente alla governante, che abbassò per forza il braccio, a quel punto. “Milord, perché ci tenete tanto a infrangere le regole di buon comportamento? Volete mandare in rovina il nome di questo posto?” , gli chiese con un velo di accusa.

Nasuada, nel frattempo, si spostò accanto al Cavaliere.

“Quale nome?! Il nome di un luogo dove un padre ha cercato di uccidere il suo stesso figlio bambino, il luogo dove una madre non era libera di visitare la propria creatura?!” , sibilò il giovane, guardandola appena, oltre la spalla.

Adelheid strinse i pugni ai fianchi. “Questo luogo è la casa di persone nobili. Se il lord non rispetterà le regole, farà di sé e di noi, i suoi sottoposti, lo zimbello di tutte le altre casate!”

“È stato Morzan a rovinare la reputazione di questo posto, e mi dispiace che non vogliate ammetterlo. È tempo che anche i nuovi nobili non si comportino da tiranni, per non diventare come i genitori. Perciò, signora Adelheid, se riterrete che lavorare qui getti una cattiva ombra sulla vostre referenze, allora siete libera di andarvene a cercare un nobile che più vi aggradi.” , sentenziò duramente Murtagh.

La governante espirò a lungo, esternando il nervosismo. Quando fu tornata in sé, si tirò dritta, facendo una riverenza. “Perdonatemi, milord.”

Mh, non sono io quello a cui dovete delle scuse.”

Adelheid si voltò verso la regina, tenendo gli occhi però sul pavimento. “Sono dispiaciuta, milady.”

“‘Maestà’ è l’appellativo corretto. Mi è sembrato di essermi presentata con il mio giusto titolo, al mio arrivo. E se anche non lo avessi fatto, è importante per colei che gestisce l’immagine della casata che tanto ha a cuore - come dimostrate essere - informarsi su chi sia la moglie del vostro lord.” , Nasuada guardò per un istante Maeve, “Fa’ in modo che il principe sia trattato a dovere e non vada in pericolo in nostra assenza.”

“Sì, Maestà.” , dissero le due in coro, una con sguardo di chi è stato colpito dritto nell’orgoglio, l’altra con ammirazione.

Murtagh le strinse il braccio contro le sue costole, facendole segno di dover partire. Sentì la giovane dalla pelle d’ebano sospirare, poi annuì con il mento, iniziando a camminare verso l’esterno. “Quindi anche tu hai capito gli urti d’ira che la servitù di questo posto mi procura...” , commentò tra i denti il Cavaliere, quando furono soli.

Nasuada guardò la bambina tra le sue braccia, che dormiva placidamente, per calmarsi. “Sì, ma non vorrei doverli sgridare in questo modo. Sono persone adulte, più vecchie di noi addirittura, e non dovrebbe essere necessario impartire loro ordini come bambini.”

“È colpa di Morzan.”

“Voglio cambiare le cose, come ti ho detto. Per nostra figlia e la sua nuova casa.”

“Non mi ascoltano, nonostante sia il figlio del loro lord che tanto temono e riveriscono... Non ascolteranno certo te, una straniera. Almeno, non con le buone maniere che hai provato a impiegare.”

“Vedremo come risolvere la questione. Nel frattempo, Murtagh duca di Dras-Leona, pendi l’erede della tua casa con fierezza.”

Alzando il mento istintivamente nell’udire quel tono, Murtagh si fece scivolare la neonata sugli avambracci, percependo anch’egli la tranquillità che una vista così dolce poteva suscitare.

La carrozza arrivò davanti a loro, in lontananza le persone che erano state fatte scendere nelle piazze, con solo l’informazione che la nuova erede del ducato in cui vivevano sarebbe arrivata, si potevano udire in gran fermento, chi fremeva per vedere il volto dell’erede e chi si lamentava per il ritardo che toglieva loro tempo al lavoro. Murtagh strinse a sé la bambina maggiormente, porgendo la mano alla moglie. La regina si aggrappò a lui, alzando il vestito voluminoso e rosso mentre il Cavaliere la tirava sulla carrozza trainata da due enormi cavalli da guerra neri come da protocollo del suo ducato. La lunga strada fino alla città principale e che serpeggiava attraverso numerosi villaggi era gremita di persone da entrambi i lati, ben visibili dal punto rialzato sul lago dove si ergeva il castello. Uno schiocco e i cavalli iniziarono a tirare la carrozza senza il tetto. Marito e moglie sedevano accanto, non di fronte come era solito, la bambina di poco meno di due mesi stretta al farsetto del padre.

“Per favore non piangere, o i tuoi sottoposti penseranno che tuo padre è talmente malvagio che persino una neonata riesce a percepirne la cattiveria.” , supplicò in un sussurro che solo la soffice creatura poté udire. Lei non rispose come era normale, limitandosi solo ad alzare placidamente gli occhi su di lui. Erano uniti petto contro petto e la piccola teneva un piccolo braccio sotto il mento, le sue labbra che ricordavano quei pesci molli e trasparenti che emergevano dal mare capaci di pizzicare dolorosamente la pelle.

Fortunatamente nel dormiveglia era placida e non sembrava voler iniziare a piangere di lì a poco.

“Hai partorito una creatura davvero brava. Per essere così piccola.” , si complimentò alla moglie.

Nasuada alzò le spalle senza aggiungere altro, non sapendo cosa rispondere a un commento che si sarebbe aspettata non da un marito che aveva condiviso con lei tempo e sentimenti, prima di essere costretto a sposarla, ma da un marito estraneo alla compagnia della moglie.

“Non che Finiarel fosse da meno… dormiva tutto il tempo, quando l’ho conosciuto, siccome era più piccolo del normale, per essere nato prematuro.”

Nasuada saltò sul posto, voltandosi leggermente verso di lui, per guardarlo in cagnesco. “Vuoi smetterla? Che diamine di discorsi sono questi?!”

“Ti ho offesa?”

“No! Dico solo che mio marito, il mio amato Murtagh, è capace di conversazioni più intime di queste! Mi fai sentire come tutte le altre mogli, come se le mie uniche doti siano quelle di mettere al mondo figli di indole calma piuttosto che agitata!” , sibilò, “Mi ritenevo fortunata, fino a questo momento, perché eri diverso.”

Vi fu un breve silenzio, che servì al Cavaliere per pensare alle parole da usare. “Non sempre le conversazioni mi vengono correttamente. Sbaglio anch’io, Nas.”

Lei addolcì lo sguardo. “Non sto rimproverando la tua dialettica, quanto che non ti riconosco da quando siamo qui. Non ti vedevo in questo stato dai primi momenti di prigionia sotto Galbatorix…”

“A Illirea mi sembra di vivere sotto l’ombra del fantasma di Galbatorix, mentre qui… è come se avessi sempre il fiato di Morzan sul collo. Non è come a casa - dove sovente odio e detesto me stesso per ciò che ho fatto - , qui ricordo sempre da dove sono provenuto e chi sono, in fondo. Ho sempre costantemente paura.”

“È normale avere paura, Murtagh. Tu purtroppo sei nato provando quel sentimento, e ne soffri più degli altri per via dei ricordi.” , gli sussurrò avvicinandosi per baciarlo con calore, “Per quanto non possa risolvere tutti i tuoi problemi, ora hai me. Lo sai che combatterò tutte le tue battaglie al tuo fianco o per te, se necessario.”

Murtagh annuì, voltando il volto verso il proprio lato della carrozza, nascondendo grosse lacrime sotto le palpebre inferiori.

Ho davvero paura. Che mi svegli e l’incubo sia di nuovo realtà… , pensò tra sé.

Arrivarono tra le chiacchiere alle porte della città di Dras-Leona, il limite del ducato. Dal farsetto, il Cavaliere estrasse la notifica del passaggio di eredità del ducato alla neonata duchessa destinata alla governatrice della città. La carrozza si fermò e due cavalli vennero portati da delle guardie della città. Con sorpresa, Murtagh chiese spiegazioni.

“Le strade della città si sono ristrette per la costruzione di portici, le carrozze non sono più ammesse, impedirebbero il passaggio dei carri con le merci.” , rispose un soldato gridando da lontano. Passò la neonata alla madre di questa e prese le briglie di un cavallo. “L’altro non servirà, mia moglie non può cavalcare da sola con la bambina e gli abiti non adatti. La prossima volta, sapendo della mia visita, siete pregati di notificare la faccenda al castello con anticipo.” , li informò prendendo Nasuada poi per la vita e portandola con sé mentre montava sul dorso. Seduta di lato sulla cavalcatura davanti al Cavaliere, salutò la piccola folla che si era radunata con una mano. Murtagh si sporse in avanti per sussurrarle all’orecchio. “Poco male. Questo rafforzerà la nostra immagine come sposi.”

Lei alzò un sopracciglio, anche se inutilmente, perché lui non avrebbe potuto vederlo, essendole dietro. “C’è qualcosa che potrebbe essere rafforzato nel nostro matrimonio?”

Lui si irrigidì. “Non tra di noi forse... ma per queste persone il figlio di Morzan sposato con la regina è più una leggenda che una verità.”

Lei annuì, appoggiandosi completamente con la schiena al suo petto. Lui fece allora passare le mani attorno al suo busto per tenere le briglie anche più comodamente, oltre che esagerare quanto a loro agio si trovassero con l’altro.

La nebbia si stava diradando, permettendo quasi a tutti ormai di avere buona visuale sulla coppia, anche dalle barche nel lago.

Qualcuno urlò il nome della regina,  acclamandola.

Qualcun altro, non d’accordo sul modo di governare della giovane tanto apprezzato dal primo uomo, prese a insultarlo. Ben presto, anche tra la folla vi fu un tumulto di calci e pungi. Qualcuno, giurò Nasuada, era anche caduto a terra in una pozza di sangue dovuto a una coltellata o forse più. “Smettetela! Non sono venuta qui perché vi menomiate o uccidiate tra voi!” , gridò a pieni polmoni, prendendo con una mano la briglia del cavallo e strattonando perché si fermasse.

“Che diamine fai?!” , sibilò il Cavaliere, stringendo le cosce attorno a lei con maggiore forza, come a volerle fare da scudo.

“Metto in riga la mia gente come sono brava a fare. Siamo qui per nostra figlia, è vero, ma fuori dal mio castello non sono una donna come tutte le altre, senza potere né stima.” , gli sussurrò facendo forza sull’unico piede che raggiungeva la staffa e tirandosi in piedi. Lo aveva fatto mille volte in gioventù, e sul campo di battaglia. Per quanto avesse indossato i pantaloni e avesse cavalcato come un uomo, talvolta, preferiva comunque cavalcare di lato, così da potersi alzare in piedi sull’altezza del cavallo e risultare più imponente, così come poter saltare giù e unirsi alla mischia velocemente.

“Uomini e donne di Dras-Leona! Ascoltare la vostra regina!” , gridò a gran voce con tono deciso.

“Pensavamo foste migliore di Galbatorix, ma siete tutti uguali!” , gridò qualcun altro.

“Non siamo tutti uguali, e mi offendono le vostre parole. Ho guidato le mie truppe per liberarvi da obblighi strappati e l’usurpazione della magia per coercizzare i popoli. Ciò che mi toglie il sonno la notte è il pensiero che ci sia qualcuno ancora sotto il mio regno che soffre.”

Indicò il palazzo che immaginò riunire il ministero della città. Una donna sul balcone di questo sparì all’interno.

“Perciò, se posso parlare con chi si occupa della vostra città assieme al lord del ducato, sarò lieta di aprire un’investigazione che abbia come scopo l’individuazione dei problemi della città.”

La folla si richiuse davanti a loro, bloccando il passaggio.

“Non possiamo lasciarvi passare! Non permetteremo che la situazione venga peggiorata.” , proclamò un uomo coperto di cuoio e armato.

Nasuada sospirò per l’inconveniente, mantenendo la calma. Aveva visto di peggio.

“Peggiorare la situazione? Mi risultava che la città stesse rifiorendo sotto la mia amministrazione.” , chiese la regina alzando il mento ancor di più, orgogliosa del suo operato.

“Sì, Vostra Maestà. Ma da quando il lord duca è riapparso sta andando tutto in rovina.”

“Rovina?!” , esclamò Murtagh colpito nell’orgoglio, “Io ho fatto il possibile per voi, per mantenere le politiche di mia moglie e implementarle!”

La folla prese a lamentarsi e fischiare, lanciando ciò che avevano a disposizione. Murtagh alzò una folata di vento che evitò loro di essere colpiti, dirottando i rifiuti e il cibo marcescente.

“Spiegateci dunque!” , chiese loro la giovane dalla pelle d’ebano.

La folla scoppiò quella volta a ridere, allora Nasuada saltò a terra sotto lo sguardo inorridito del marito. “Una regina ha sempre tempo per ascoltare i bisogni del suo popolo!”

Le guardie di scorta si fiondarono davanti a lei, mentre Murtagh scendeva da cavallo anch’egli.

“Spostatevi! Voglio parlare con loro!” , ordinò Nasuada.

Murtagh si poggiò alla sua schiena minacciosamente. “Non fare sciocchezze.” , ruggì piano, “Passami la bambina.”

Nasuada annuì volentieri, liberandosi le braccia. Lanciò sulla sella del cavallo la stola, facendo vedere i suoi avambracci pieni di cicatrici bianche. Qualcuno esclamò inorridito, ma anche in ammirazione. “Qualcuno che si faccia portavoce delle vostre osservazioni?”

Una donna con una fiocina si fece avanti, con l’aria minacciosa. Murtagh chiamò con uno schiocco di dita una guardia, affidandogli la bambina per liberarsi anch’egli le mani, a quel punto. Non avendo Zar’Roc al suo fianco, si slacciò il farsetto, dove teneva numerosi pugnali.

“Questa città stava rifiorendo dopo la guerra, e ora siamo di nuovo sotto una stretta morsa per nessun motivo!” , gridò questa.

Morsa? , si chiese la regina guardando di sottecchi il marito. Da quel che sapeva, aveva cercato di amministrare il suo ducato e i porti con in mente solamente l’obiettivo di migliorare la condizione della città, non tanto la propria ricchezza. Che avesse cambiato rotta per garantire a Órlaith più oro a discapito di una città ricca e fiorente?

“Siamo qui per discutere con la Governatrice. Porteremo tutti i vostri concerni.” , spalleggiò la moglie Murtagh, urlando con le mani alzate a fianco delle orecchie.

La folla parve divenire più mansueta, quando anche il lord si dimostrò disponibile quanto la regina al dialogo. “Morzan era un farabutto!” , si udì a un tratto una voce gridare.

Murtagh rise amaramente, sforzandosi di essere udito da molti. “Credete che io non lo sappia? Guardate cosa mi ha procurato prima di morire!”

Chiese alla moglie che gli sollevasse gli strati di tessuto, denudando la metà inferiore della schiena. La folla emise un singhiozzo di stupore, tutte le bocche assieme.

Murtagh tornò ritto e rivolto verso i cittadini, le braccia distese accanto ai fianchi. “Se posso cancellare in voi la sua memoria come vorrei fare in me, sarò lieto di posare la prima pietra di novità per Dras-Leona.”

La folla stranamente non riprese a lamentarsi, ma gioì. Nasuada ordinò che venissero eletti dei portavoce. Rimasero per un’ora fermi in una piazzetta poco più avanti, che raggiunsero a piedi, a bere tè e dialogare con chi, coraggiosamente, si avvicinò senza cattive intenzioni alla coppia.

Raccolte finalmente le richieste della folla, il Cavaliere salutò coloro che non si erano assentati per tornare ai loro lavori o alle loro mansioni domestiche, issando la moglie sulla cavalcatura nuovamente.

Arrivarono al palazzo del governo, entrando nel grande salone a cavallo. Smontarono senza annunciarsi, salendo le scale velocemente, fino a trovarsi in un lungo corridoio con una unica porta alla sua fine. Lo seguirono fino in fondo, ancora lievemente storditi da tutta quella folla e le loro parole.

“Avete causato un bel po’ di trambusto nella mia città.” , commentò una voce ancor prima che potessero entrare nella stanza.

“Non era nostra intenzione, ma è servito per comprendere meglio la volontà di questa gente.” , rispose Nasuada varcando la soglia.

Con un rumore strisciante, una figura si alzò in piedi.

“Kaisel, per servirvi.” , disse la donna dalle dimensioni di un armadio, la governatrice della città.

Il suo ufficio era situato in un grande palazzo di legno di pianta rettangolare, esattamente al centro al secondo piano, affacciato sulla piazza con un terrazzino. Era pieno di quadri di navi e porti, alcuni chiaramente immaginari, pieni dell’equivalente marino dei draghi, altri ancora con viverne e fenici, addirittura uno solo di carta con appena delineato in inchiostro di china un drago senza gambe né ali, dai lunghi baffi. Órlaith starnutì, allora i genitori riconobbero lo strano odore aleggiante: polvere centenaria mischiata alla salsedine. In effetti, un’intera parete era piena di pergamene arrotolate, coperte di uno strato preoccupante di polvere.

Kaisel spalancò velocemente qualche altra finestra oltre a quelle già aperte prima del loro arrivo, per permettere al pallido sole di entrare e togliere umidità, sedendosi poi alla scrivania.

Murtagh avanzò, la figlia in braccio. “Signora Kaisel, io s-”

Signorina, non sono sposata e mai vorrò un uomo a togliermi il mio potere!” , disse con il tono di un pirata, più che una donna di politica. Nasuada sospirò tra sé, sperando che fosse effettivamente abile a gestire la città, nonostante l’arroganza, trattandosi di uno dei poli più importanti del suo regno.

“Signorina Kaisel, dunque. Io sono Murtagh Morzansson.” , si presentò, “Questa città ha sempre servito la corona, ma ora che Galbatorix non utilizza i porti e la ricchezza di Dras-Leona solamente per suoi scopi, io e mia moglie siamo qui per offrire il servizio della corona alla città. Ah, e a riportarvi le richieste raccolte prima direttamente dai cittadini. Mi auguro che possano essere prese in considerazione e che le più sensate possano essere divenire realtà.”

La donna-armadio alzò di scatto la testa, ricevendo la pergamena davanti a lei con un lancio poco delicato del Cavaliere. “Siete ritornato davvero, dunque, duca. La mia città ha proprio alcune cose da discutere con il proprietario di tutti i porti...”

Confuso, Murtagh alzò un sopracciglio. Cosa dovevano discutere riguardo il suo ducato, in particolare? “Sono per prima cosa venuto a presentarvi il documento di passaggio di proprietà del ducato.”

Nasuada porse con le sue dita sottili una lettera sigillata alla donna, che lei aprì con un coltello troppo affilato per quel compito, gli occhi che seguivano rozzamente le rune, poco abituati a leggere messaggi così forbiti. “Perciò ora il castello e i porti appartengono a una donna... Molto bene, discuteremo sicuramente meglio!” , esclamò alzandosi e camminando verso Nasuada. Le porse una mano perché la stringesse, ma la regina si schiarì la gola. “Io sono la madre di sua altezza reale la principessa e arciduchessa Órlaith: la regina.” , disse piano, per non metterla troppo a disagio per l’evidente errore.

Kaisel strabuzzò gli occhi, girandosi lentamente verso il fagottino. L’indicò con il dito, rudemente. “Quella è colei con cui dovrò discutere d’ora in poi?! Quanto dovrò aspettare per capire se è un'incompetente tanto quanto chi scrive le lettere che provengono da quel castello, eh, altri diciotto anni?!” , sbraitò indicando il castello al di là del lago, proprio di fronte la sua finestra.

Murtagh digrignò i denti. “Il ducato è suo, ma come suo padre continuerò a gestirlo io personalmente.”

Kaisel scoppiò a ridere, tenendosi il ventre prominente. “Ecco allora che dimostrate di essere voi il totale idiota, duca! Lasciatevelo dire, forse la neonata sarebbe più capace di voi a gestire il vostro territorio!”

La regina sbiancò per l’offesa, mentre il Cavaliere strinse le labbra. Trovò addirittura il coraggio per sciogliere l’incrocio delle sue braccia da sotto la bambina, per indicare minacciosamente il suo scranno alla Governatrice, come si segnala ai bambini l’obbligo di andare in punizione.

Kaisel obbedì, lo sguardo ancora derisorio. Si buttò sfrontatamente sulla seduta, facendola scricchiolare.

“Perché parlate di un ‘incompetente’ che vi manda ordini dal ducato?” , riprese il Cavaliere.

La donna alta e piuttosto in carne si coprì gli occhi con una mano. “Perché è così.” , sospirò ora seriamente.

Il Cavaliere prese una sedia, facendo cenno alla moglie di accomodarsi. Riluttante, per lo strato di polvere impastata dalla salsedine, che le avrebbe macchiato il vestito, si sedette. Il marito le passò la neonata con delicatezza, tornando poi a fronteggiare la Governatrice.

“Tutti gli ordini riguardanti i porti e gli scambi commerciali in territorio del ducato devono arrivare da Illirea, dove io risiedo con la mia famiglia.” , le spiegò duramente.

La donna annuì, sventolando un documento che afferrò dalla scrivania. “Eccoli, i vostri ordini! A parte la bella calligrafia, non dimostrate altra sufficiente educazione amministrativa. Dai vostri ordini e contrordini continui scaturisce solo confusione in chi, come me, umilmente è chiamato a governare di fatto la città e i porti.”

“Signorina Kaisel, di cosa state accusando esattamente mio marito?!” , intervenne Nasuada allibita.

La donna-armadio prese un’altra missiva dal tavolo, datata pochi giorni prima quella proveniente da Illirea. “Un giorno chiedete di far entrare delle navi di Kuasta per approdare senza pagare i dazi, un altro lo riapplicate. Cosa dovrebbero capire i miei uomini, eh?!”

“È una truffa, non lo vedete?!” , sibilò lui, osservando i due pezzi di pergamena, “Io non ho mai firmato questa seconda missiva!”

La donna rise. “È patetica la vostra scusa, duca. O voi o i vostri sottoposti, dovete essere istruiti meglio riguardo il bene per questa città e i vostri conti! Di sicuro sapete bene come cavarvela con le parole, ma le azioni - o in questo caso gli ordini - contano di più, ai miei occhi.”

Lui fece grattare i denti superiori con quelli inferiori, producendo un rumore stridulo e fastidioso. “È patetico che voi non vi siate accorta prima che la contraddittorietà è dovuta alla presenza di un impostore!”

Kaisel alzò le spalle, perdendo nuovamente il sorrisetto. “Io sono una Governatrice, non ho poteri per contraddire un lord, in particolare che costui sia il duca, Cavaliere o il marito della regina.”

Nasuada rabbrividì per quanto la donna che avevano davanti fosse rozza, anche nel linguaggio. “Avreste potuto rispondere a una delle missive, chiedendo spiegazioni.” , la riprese con tono calmo ma deciso.

Kaisel si voltò di scatto verso la regina, tesa come una molla. Aprì la bocca, rossa in viso, per risponderle a tono, ma fortunatamente si trattenne. Chiuse la bocca e inspirò profondamente, poi si sistemò le mani sulle ginocchia, parlando con le palpebre chiuse. “Milady, dirigo una delle più grandi città del paese, perciò non posso permettermi di fermare le attività in attesa di spiegazioni dal lord. Io applico quella che sembra a me più logica.”

“In pratica state governando i porti di mio marito senza seguire i suoi ordini, in quel modo. E senza fargli sapere che potrebbero sorgere degli equivoci grazie a una serie di ordini e contrordini.” , l’accusò la regina alzando il tono, “Avremmo potuto da tempo risolvere la questione, avviando un’investigazione, se aveste agito secondo la legge gerarchico-burocratica, piuttosto che di testa vostra!”

“Mi dispiace.” , mormorò la donna intimorita.

“Non accadrà più.” , concluse duramente Murtagh.

Kaisel alzò il capo di scatto, alzandosi in piedi. “Vi prego, non sostituitemi! Mi metterò a seguire solo ed esclusivamente le vostre indicazioni, o quelle della regina direttamente!” , supplicò.

Il Cavaliere la fermò con una mano in aria, immobile nel resto del corpo come una statua. “Non accadrà più perché già ora sistemeremo la faccenda.”

La Governatrice sospirò sollevata. Annuì poi volenterosa, per farlo continuare. “Non vi deluderò più, milord!”

Murtagh indicò la sua firma tra i due manoscritti, alzandosi per poggiarli sulla scrivania. Kaisel lo imitò, come un alunno accanto al maestro. “Ora, osservatela bene. Solo questo è il mio segno distintivo, non l’altro. Chiunque voglia fingersi me, avrà vita difficile se d’ora in poi tornerete a seguire i miei comandi, senza farvi ingannare.”

La donna annuì con fermezza. “Perdonatemi per quanto ho detto prima. Se davvero v’è qualcuno che vuole impedirvi di operare per il bene dell’intero regno, oltre quello della città-”

“Sì che c’è!” , sbraitò senza urlare il giovane dai capelli corvini. La indicò con l’indice, piantandoglielo nel petto. “Non osate mai più dubitare della mia parola.”

La donna fece spallucce. “Io mi sono sempre fidata del mio Signore, davvero! Non avendovi mai nemmeno incontrato di persona non sapevo che genere di uomo foste. E per quanto mi riguarda, credevo davvero al fatto che poteste essere instabile o incompetente.” , guardò Nasuada, cercando la sua approvazione con il suo tono mellifluo, “Quanti lord che avete incontrato sono effettivamente incompetenti più di un comune cittadino?”

“State peggiorando di nuovo la situazione, signorina Kaisel.” , puntualizzò la regina.

“Sono mortificata, Padrone.”

La regina osservò il marito con dubbio. È usanza di questo posto farsi chiamare con un appellativo tanto infimo?

Murtagh strinse gli occhi a due fessure, anche se non intendeva guardare la moglie in cagnesco. Immagino sia come mio padre si volesse far chiamare. Ha ragione quando dice che io non mi sono mai degnato di presentarmi ai miei sottoposti, ma Galbatorix mi teneva praticamente prigioniero a Uru’Baen anche prima di costringermi con il mio Vero Nome… Ma di incompetenza nell’amministrazione di Dras-Leona non sono mai stato accusato. Ho sempre fatto il possibile per questa città!

Il Cavaliere fece un cenno con il capo, accarezzando poi la guancia della bambina. “Anche quando mia figlia sarà adulta voglio che siate così collaborativa, intesi?”

Lei rise sguaiatamente. “La mia città sta in piedi solo grazie ai suoi porti. Farei tutto quello che mi chiederebbe, pur di mantenere i rapporti con i Padroni del ducato.”

L’altro si rilassò, contento per il momento dell’esito dell’incontro, e stanco di dialogare con una donna che prima lo accusava di incompetenza, poi cercava di imbonissero con lo stesso tono di una meretrice. “Buona giornata, Signorina Kaisel.” , le disse poi, congedandosi. La Governatrice corse verso i due sposi, che stavano già uscendo dalla stanza. Si fermarono, voltandosi indietro, sentendo i passi affrettati e pesanti sulle travi di legno.

“Vostra Grazia, posso chiedervi se vi trasferirete ora nel castello di vostro padre, per essere presenti nel governo delle terre e dei porti?” , chiese, il tono alquanto preoccupato. Nasuada la fissò con un sopracciglio alzato, voltando solo il busto, il sospetto che era ammontato in lei. Fu Murtagh a scuotere con veemenza il capo. “Se doveste avere bisogno della duchessa, dovrete spedire un corvo a Illirea a me o alla regina.” , le annunciò, “Saremo lontani, ma vi controlleremo e saremo sempre vigili. Per Dras-Leona.”

La donna-armadio sospirò lentamente, una goccia di sudore che si stava formando all’attaccatura dei capelli sulla tempia. “Per Dras-Leona."

Il Cavaliere lanciò un’occhiata alla moglie, indicandole di ritirarsi, perciò si allontanarono senza aggiungere altro. Kaisel chiuse le pesanti porte in legno dietro di loro, scomparendo come un temporale estivo.

Tornarono a cavallo fino alla carrozza, nel frattempo tutta la città era divenuta pressoché deserta: i mercanti e i pescatori erano ritirati nelle loro case a riposare, prima del lavoro notturno di approvvigionamento della merce.

Quando le loro schiene toccarono l’imbottitura della carrozza, e una struttura posticcia fu apposta per coprire i nobili dall’acqua, che minacciava di precipitare dal cielo grigio, si lasciarono scappare sospiri di sollievo. Nessuno aveva lanciato loro cavoli marcescenti, né avevano offeso la nuova gestione del duca del porto, o le manovre della regina, che invece avevano portato più navi a Dras-Leona che mai. Murtagh solleticò la guancia della bambina, attaccata al seno della madre.

“Sei stata bravissima.” , si complimentò con orgoglio. Nasuada gli abbandonò il capo sulla spalla, mordendosi il labbro.

“Kaisel mi è sembrata strana dall’inizio alla fine - ma soprattutto alla fine - del nostro colloquio, non trovi?”

Murtagh annuì duramente, perdendo nuovamente la leggerezza. “Vorrei pagare un gruppo di mercenari per proteggerla. Il movimento per la tua destituzione non è ancora debellato, potrebbero farle pressioni di cui non ha potuto parlarci.”

“I mercenari possono cambiare fazione con il solo odore dell’oro. Preferirei dei soldati esperti, della corona o del ducato.”

“Penserebbero che siamo noi a esercitare un potere coercitivo, in quel caso.”

“Ci sarà sempre qualcuno a pensare male del nostro operato, finché vedranno dei soldati. Eppure, ogni nobile o governatore di Alagaesia ha un contingente di miei uomini. Manderò dei Falchineri, la mia personale forza protettiva.”

La soluzione parve razionale al Cavaliere, che si voltò verso l’esterno della carrozza. “Voglio andarmene da questo posto, al più presto.”

Nasuada si sporse per lasciargli un bacio sul collo. “Abbiamo terminato qui, quando sarai pronto a partire, noi tre ti seguiremo.”

Le prese la mano. “Non sei una mia proprietà, per il mio cuore, così come i bambini. Se credi che faccia loro bene rimanere qui, rimarremo.”

Nasuada fece un sorrisetto prima dolce, poi furbo. “E se occupassimo il resto del tempo in qualche deviazione? Non ho mai viaggiato liberamente per Alagaesia, se non verso mirate destinazioni politiche, o luoghi da assediare, o dove non vi fossero eserciti da intaccare.”

Lui annuì. “Conosco un paio di angoli tranquilli, dove non saranno richieste eccessive deviazioni per arrivarci. Torneremo a Illirea comunque in tempo per non lanciare l’allarme della nostra sparizione.”

 

Quando furono nuovamente al castello, mai si sarebbero aspettati di vedere Maeve ad attenderli sul portone delle stalle, accanto al principe in lacrime. I genitori si lanciarono giù dalla carrozza che questa ancora stava rallentando la sua corsa, per capire se gli fosse successo qualcosa.

Con loro sorpresa, si stava lamentando chiamando una storpiatura del nome della sorellina.

“Oh, piccolo, è ritornata. È ora di smettere di disperarti.” , lo rassicurò la dama castana.

“Ti è mancata Órlaith e non noi, Fin?” , lo interrogò stupito il padre.

Il bambino annuì asciugandosi le lacrime con una mano.

“Ha trascorso tutta la giornata ad appuntarsi mentalmente cose o aneddoti da raccontare a voi e alla sua sorellina, dopo di che è scoppiato in lacrime perché credeva che se ne fosse andata via per sempre.” , spiegò ai genitori Maeve, “Ho tentato di spiegargli che esattamente come voi sarebbe ritornata, ma non mi ha creduto.”

La regina si abbassò sui talloni, trovandosi all’altezza del bambino. Protese le braccia mostrandogli la neonata assopita. “È qui.” , gli disse calorosamente, “Entriamo, così te la lascerò tenere tra le braccia come ha fatto papà.”

Finiarel annuì, andando a prendere la mano del padre, che gli aveva offerto il palmo aperto.

Sollevato il morale del principe, i genitori seguirono la governante verso l’interno.

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Capitolo 71
*** Tra le braccia del nemico ***


La figura vestita di scuro si ripresentò nel grande salone, una volta che la regina e il Cavaliere furono partiti per la loro missione diplomatica.

Annusando come un lupo gli odori lasciati dal cavaliere e dalla regina, si trovò davanti Adelheid.

La governante lo osservava con occhi supplicanti e duri al contempo. “Signore, il Cavaliere rovinerà questa dimora. Deve fare qualcosa!”

La figura fece un ghigno sornione. “Non preoccuparti, siete legati a me da un vincolo inscindibile. Nessuno ne è a conscio, ma non potete ribellarmi a me.”

La donna parve confusa ma sollevata. “E… come è possibile che alcuni, me compresa, abbiamo talvolta seguito gli ordini di lord Murtagh?”

“Fa parte del mio sortilegio. Se fosse evidente che siete governati da una forza invisibile s’insospettirebbe subito. Sono sicuro che non sia cresciuto per divenire uno stupido.”

“No, milord. Se fosse meno permissivo sarebbe un ottimo lord per questo posto. Ha l’impronta di governo di Morzan.”

La figura sorrise ancora più compiaciuta, anche se il suo volto parve più contratto in un ghigno malefico.

Adelheid fece una riverenza. “Posso fare altro per voi, Padrone?”

L’uomo vi pensò, illuminandosi. “So che hanno lasciato qui l’Erede dell’Erede.”

“È così, milord. Desiderate vederlo? Sta per ritornare dalla sua passeggiata con vostra moglie.”

Proprio in quel momento, infatti, Maeve e il principe passarono accanto alla stanza del trono per mano. Il bambino rallentò, indicando la figura di spalle, vestita di scuro.

“Papa?” , chiese confuso.

La domestica lo tirò prontamente a sé, superando la porta. “No, piccolo, che sciocchezze! Tuo padre si è assentato qualche ora fa assieme a tua madre e alla tua sorellina.”

“E chi è?”

La domestica sospirò, tornando indietro e fingendo di guardare nella stanza senza scorgere nessuno. “Non vedo tuo padre qui, principe, né nessuno che possa somigliargli.”

Il piccolo la seguì, sporgendosi appena dallo stipite dell’uscio e fissando impaurito la figura.

“Là!” , indicò in un sussurro il bambino, pietrificato dalla paura. Normalmente era socievole e coraggioso, ma in quel castello che non era la sua casa, non riusciva a fidarsi di nessuno.

“Non… vedo nulla.” , mentì la donna, giocando al gioco del suo Padrone come le era imposto.

L’uomo si voltò, tirando fuori la lingua in modo beffardo. Mosse dopo qualche istante un passo in direzione del bambino.

“Un fantasma!” , esclamò allora Finiarel correndo via.

Maeve scoccò un’occhiata contrariata alla figura, tornando a rincorrere il bambino. “Fermo! Magari ti sarà sembrato di vedere un uomo! La stanza è sempre molto buia…”

“No! Voglio tornare a casa! Con la mia mamma, il mio papà e la mia sorellina!” , sentì gridare testardamente dal bambino la figura vestita di nero.

S’infastidì ricordandosi gli incontri sporadici con il padre di quel bambino, un piccolo Murtagh dotato di una testardaggine unica, e una morale innata e totalmente particolare che nessuno dei suoi genitori era riuscito a sradicare, prima di sparire.

Detesto i bambini… Sono impossibili da convincere, e l’unico modo per farsi obbedire è costringerli.

Si mosse fuori dalla stanza, osservando la donna castana finire di salire le scale di corsa, rincorrendo il principe. “Aspetta!” , gridò supplicante ma il bambino non smise di correre. Allora Maeve si fermò appena oltre l’ultimo gradino, ritta in piedi con aria pericolosa. “Finiarel Ruaidhrì Ajihad!” , disse con tono perentorio, “Ho detto di fermarti!”

Il bambino percepì l’ordine, in quel tono così familiare - che usava anche sua madre con lui - , e arrestò la fuga. La dama lo raggiunse, afferrandolo per prenderlo tra le braccia.

“Mi dispiace, nana.”

L’uomo storse il naso, sentendo il bambino chiamare così affettuosamente la sua compagna, nonché spia.

“Oh, non preoccuparti!” , pigolò la donna, cadendo sulle ginocchia per abbracciarlo. L’uomo udì dei piccoli singhiozzi, sicuramente del bambino. “Non piangere se credi di avermi fatta preoccupare o delusa. È tutto a posto.”

Rimasero abbracciati a lungo, e nel mentre Adelheid andò accanto al Padrone, guardando in alto con aria disgustata.

Maeve si rialzò tenendo il bambino premuto al petto, la sua guancia sui capelli corvini, dirigendosi verso una delle stanze. La porta si richiuse dietro di lei, interrompendo i singhiozzi.

“Non era così morbida in passato.” , commentò la governante apaticamente.

L’uomo incrociò le braccia al petto. “Lo è sempre stato, invece. Solo, sa nascondere bene questo suo lato.”

Si mosse per salire le scale. “Ci farà uccidere se non cambia.”

La governante annuì, rimanendo immobile mentre la figura nera si spostava fin davanti alla porta dove erano entrati Maeve con il principe. La curiosità di incontrare il bambino da vicino era fortissima, sin dalla notte precedente.

Poggiò l’orecchio sul legno della porta, ascoltando i rumori che provenivano dall’interno della stanza. Fortunatamente, il bambino sembrava essere addormentato. Ruotò il pomello della porta, entrando in silenzio nella stanza. Maeve lo guardò con grandi occhi sbarrati.

Cosa fai qui?! , li domandò facendogli segno con il dito sulle labbra di non produrre rumore.

Volevo saziare la mia curiosità e incontrarlo. , le rispose con un sorrisetto, So che un giorno ci incontreremo, magari assieme a suo padre, ma non riesco a resistere.

La donna si alzò in piedi, parandosi di fronte a lui. “Sta dormendo, non disturbarlo. Ti sei fatto vedere, prima. È questione di momenti prima che parli con la regina e tu venga riconosciuto.”

L’uomo sospirò teatralmente. “Magari è ciò che voglio… Sono stato nell’ombra per anni, magari è ora di uscire allo scoperto.”

“Potrebbe essere letale. Non abbiamo ancora iniziato a creare fondamenta solide per la riuscita del piano. Anzi, la tua mente continua a cambiare costantemente. Non capisco più cosa devo fare.”

“Semplice, ascoltare i miei ordini.” , le rispose con durezza, “Perciò ora spostati e lasciami passare.”

La donna deglutì, facendo un passo alla sua sinistra, per fare spazio alla figura scura.

L’uomo si sporse sopra il letto, osservando il principe dormire. La donna si era sposata subito accanto a lui, l’espressione dura e tesa sul volto, e lo teneva sott’occhio come una leonessa appena divenuta madre.

“Quindi questo sarebbe il futuro re…” , commentò potendolo finalmente ammirare in tutta la sua placida bellezza. Non che nell’uomo i bambini sorbissero alcun effetto. “E un futuro Cavaliere, da vero figlio del padre.”

La donna annuì. “È un bambino intelligente come lord Murtagh.”

L’uomo si voltò per mandarle uno sguardo obliquo ma lievemente divertito. “Non usare quelle parole intrise di offuscamento con me: io sono a conoscenza dei tuoi sentimenti verso di lui.”

“È vero, ma tu non puoi comprendere cosa sia l’amore.” , gli rispose seccamente, “Lo hai sempre ritenuto una sciocchezza.”

“Rende deboli le persone.” , confermò l’altro.

“È un tipo di debolezza particolare, che tu non hai mai voluto accettare.”

Rise in modo grottesco. “Nonostante tu lo abbia incontrato in passato pochissime volte, hai da subito sostenuto di amarlo. I tuoi sentimenti t’ingannano, moglie! Non è possibile amare un essere che si conosce a malapena.”

“Ora che ci convivo quotidianamente ne sono certa. Io amo lord Murtagh!”

La schiaffeggiò, stanco delle risposte piccate della donna.

Lei lasciò cadere una lacrima solitaria, poi si spostò con il mento alzato dall’altro lato del letto, senza mai spostare gli occhi da quelli dell’uomo. “Ho sposato il più spregevole degli uomini. Sono fortunata a servire lord Murtagh, lui è diverso da qualsiasi altro che io abbia mai incontrato.” , sibilò a denti stretti.

L’uomo spostò il peso su una sola gamba, guardandola divertito dalla sua posizione dinoccolata. “Perché dunque non gli racconti la verità, le tue menzogne, la tua identità?”

Gli occhi della donna divennero pozzi di sconforto. “Perché inizierebbe a odiarmi, se sapesse.”

Il marito fece un cenno che alludeva alla sua ragionevolezza, con un sorriso di scherno sulle labbra.

Il bambino in mezzo a loro iniziò a emettere dei versi di lamentela, segno che stava per svegliarsi, tormentato dal rumore e dalle loro parole.

L’uomo allungò comunque una mano, per toccarlo rozzamente, non essendo avvezzo ad avere dei figli. “Potrei rapirlo seduta stante…” , ragionò tra sé, “Ho cambiato idea: il momento propizio per agire è questo! Ruberò il figlio di Murtagh per ottenere il trono.”

La donna sussultò con timore. “No!” , mormorò affannata, “La tua mente è annebbiata! Non è questo il momento migliore per agire!”

“Zitta, non starò qui ad ascoltare la voce dei tuoi timori!”

La donna si morse il labbro, pensando velocemente. “Eppure, ti ho aiutato in innumerevoli occasioni con le mie osservazioni. Ti sto consigliando di riflettere.”

“Riflettere?” , rispose l’altro emettendo un colpo di risata.

“Sì. Pensaci, rapirai il principe e poi? Cosa ne farai di lui? Ti aspetti che un riscatto ti faccia ottenere il trono?”

“Potrei ucciderlo e distruggere suo padre con il dolore.”

La donna abbassò gli occhi con dolore, per qualche istante. “Questo genere di dolore per un genitore è accecante, è vero, ma i suoi genitori. Non sono persone come tutte le altre.”

Parve trovare un briciolo di forza nuovamente, alzando il capo per parlare. “I genitori stessi di Murtagh e la lady sua moglie sono sempre riusciti ad andare avanti nonostante il dolore e la disperazione.”

L’uomo annuì. “Devo ammettere che hai ragione."

“Questo bambino è potente come un normale Cavaliere.” , gli ribadì la donna, “Abbiamo già discusso chi io ritengo sia davvero importante.”

Sapeva che avrebbe fatto soffrire Murtagh, proponendo la sua adorata bambina al posto del principe, ma era anche vero che separarsi da lei a poco dalla sua nascita avrebbe permesso di curare la ferita di un attaccamento non ancora compiuto con più velocità.

“Ricordo, ma alla fine sono io a scegliere tra lui o la bambina.”

“Ti piace giocare ad armi pari, eh?” , sibilò lei nervosamente, “Ti ricordi com’è finita l’ultima volta che hai pensato di poter sopraffare l’avversario seppur foste in pari possibilità?”

“Sono stato ingannato.” , ruggì l’uomo pur sempre sussurrando per non svegliare il principe, protendendosi sul letto verso la donna, i denti stretti che strisciavano assieme al passaggio del suo respiro.

“E se, alla fine anche stavolta, dovessi essere sopraffatto?”

L’uomo si bloccò, tornando a spostare il peso saldamente sulle sue lunghe gambe. Ragionò appena. “Il mio obiettivo non è vendicarmi sul Cavaliere, ma avere ciò che è mio.”

“Dunque scegli bene le tue armi…” , la donna deglutì, guardandosi intorno nervosamente, “Specialmente ora che ho udito che vogliono restituire il suo titolo di principe ereditario del Nord.”

La figura scura strinse i pugni. “Vuole impedire che chiunque altro non abbia un titolo pari al suo, per non perdere il trono.”

Maeve annuì. “Se dovesse anche essere destituito, e non dovesse perire, il suo titolo gli permetterebbe di reclamare nuovamente e legittimamente la Corona. Con o senza la regina Nasuada.”

“Che c’entra lei?”

“Ricordi chi era sua madre? La giovane che hai trafitto e ucciso? Nadara era una principessa nelle tribù nomadi. Non fu mai chiaro se Galbatorix riconobbe legalmente il suo titolo prima di chiederla in sposa, ma se dovesse essere stato legalizzato, due principi di titolo siedono ora sul trono.”

“Ho sentito che anche quell’Orrin del Surda sia stato declassato.”

“La sua famiglia mantiene il titolo di principi, ma non lui.”

L’uomo espirò. “Potremmo chiedere il loro appoggio.”

“Solamente Orrin detesta il Cavaliere. Il resto della famiglia non sarebbe mai potuta sopravvivere senza l’appoggio della regina, ai tempi dei Varden. Non credo cambieranno fazione così facilmente.”

“Io potrei fornire loro un futuro ancor più grandioso!”

“Condivideresti il tuo trono con altri re?”

L’uomo scosse il capo con durezza.

“Allora non hai nulla di veramente allettante da offrire loro.”

Maeve, furiosa, si slacciò la treccia di capelli castani, lasciando che si ribellassero fino a caderle in onde leonine sulla schiena, in preda a una vampata di calore. Si allentò il colletto della camicia che aveva sotto l’abito scollato, sfilandosela dalla testa mentre si abbandonava con un sospiro al muro.

La figura scura ridacchiò cercando di non disturbare il principe. “Stai diventando brava a intercettare gli intrighi di corte e sfruttarli per la causa.”

Mosse qualche passo intorno al letto lentamente, fino a fermarsi a un palmo da lei. La donna deglutì rumorosamente.

“Ho sempre apprezzato di te questa acutezza…” , si complimentò con intensità.

Alzò le mani, circondandole le spalle senza usare eccessiva forza, ma solamente la sua presa decisa. Quella che un tempo le sembrò calda e accogliente, tanto da indurla a sposarlo. Ma non era stata né la prima né l’ultima a trovarsi con un marito malvagio e costantemente complottante.

Si piegò per avvicinare le labbra al suo orecchio. “Dimmi, sei stata con altri uomini a Illirea?”

Lei scosse leggermente il capo. “Non v’è stato bisogno, grazie alla mia posizione. Posso essere le orecchie di lady Elessari, della regina e del principe del Nord senza dovermi vendere. Avrei potuto trovarmi un amante, è vero, ma…” , deglutì nuovamente, “Non ho mai avuto il coraggio di farlo.”

L’uomo sorrise compiaciuto. “Molto bene. Ricordi ancora a chi appartieni.”

“Dici così solo quando ti fa comodo…” , sibilò spingendolo indietro di scatto.

Lui fece uno strano sorrisetto, che solo la donna aveva imparato a decifrare.

“Vieni qui, sai di essere fondamentale per me. Non solo per i miei obiettivi… Mi sei sempre stata accanto, e per quanto sia difficile ammetterlo, sei più fedele di un animale.”

Nolente, Maeve si riavvicinò all’uomo, tornando nel suo abbraccio, ancor più caloroso.

“Vieni con me, la ‘stanza di Morzan’ è ancora vacante, poiché il re non ha voluto riempirla.”

La donna scacciò la voglia di puntualizzare il ruolo del Cavaliere, ma per il suo bene tacque, ancora una volta. Si dispiacque come sempre per Nasuada, che se fosse arrivato il giorno dell’attacco, ne avrebbe risentito solamente lei, per l’ira del proprio marito, una volta conosciuta la verità. Non avrebbe lasciato scampo alla giovane, scaricando su di lei la colpa di essere l’unica regnante, di aver mantenuto il Cavaliere solo come consorte, ma per Murtagh, Maeve avrebbe anche sacrificato la tanto buona - e degna del suo rispetto e ammirazione - Nasuada.

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Capitolo 72
*** Doppiogiochiste ***


Kaisel stava indossando un mantello, muovendo ogni tanto con una sola mano la culla in cui vi era sua figlia. La bambina stava ancora fissando il soffitto a cassettoni, non accennando a volersi addormentare. “Andiamo...” , imprecò tra i denti, guardando il buio della notte che ricopriva la città, la nebbia che saliva dal lago e che presto avrebbe fatto da perfetta copertura per lei. Stanca di aspettare, la prese tra le braccia, portandola nell’altra stanza e mettendola accanto alla bambina di circa dieci anni. La creatura paffuta si alzò a sedere, sentendo il peso di una seconda bambina ancora più piena. “Vai via?” , chiese alla madre apaticamente, ormai abituata.

La Governatrice annuì. “Solo per qualche ora. Rimanete assieme, magari si addormenterà.”

“O magari soffocherà nel sonno, finalmente.” , commentò con acidità la maggiore, “La odio e tu mi chiedi sempre di badare a lei, quando non è nemmeno mia sorella!”

Un sonoro schiaffò ruppe il silenzio della notte. “È pur sempre mia figlia come te, perciò sta’ zitta e fa’ come ti dico!” , sbraitò tornando nella stanza principale con passo di carica, le vene del collo gonfie. Tutta la rabbia svanì quando i suoi occhi incontrarono quelli castani della donna, in piedi di fronte a lei. Indossava un abito nero di velluto, piuttosto stretto nella parte superiore, mostrando una figura minuta ma abbastanza muscolosa - non da sembrare sgraziata - , poi che si allargava dalle cosce in giù, come una sirena mitologica. Al di sopra un mantello ancora più pesante, nero anch’esso, legato dietro le spalle, sulla scollatura davanti un’intricato collare di rubini che copriva la parte superiore del seno e il collo, donandole un’aria austera e temibile. I suoi capelli castani erano legati lontani dal volto, ma lasciati liberi sulla schiena, mostrando riccioli morbidi e lucidi. Ma erano i suoi occhi a essere inquietanti più di ogni altra cosa: erano di un castano caldo e normalmente rassicurante, ma quelle iridi erano racchiuse in due palpebre tirate in due fessure, che scrutavano Kaisel come un rapace. Si mosse in avanti e con un gesto fulmineo le coprì la bocca con una mano, il palmo imbottito di cuoio perché i morsi non le facessero lasciare la presa, l’altro braccio già rivoltato attorno al suo collo e spalle in parte. Una figura così sottile era riuscita a bloccare in un attimo Kaisel, ritenuta da tutti grande come una donna Urgal. Iniziò ad ansimare, preoccupata per le due bambine, quando sentì la presa della sconosciuta allentarsi lentamente. Due labbra fredde si avvicinarono al suo orecchio. “Non urlare, o andrò a occuparmi delle tue figlie.”

Kaisel annuì, mentre veniva rilasciata e tornava ritta in piedi, superando in altezza l’altra donna.

Si allontanò guardinga, aspettando che parlasse.

La pallida creatura si avvicinò al fuoco, come avesse freddo. “Oggi hai avuto visita dal duca Murtagh, è così?”

Kaisel confermò. Allora l’altra si spostò verso la scrivania, guardando la pergamena con la firma elegante, ancora aperta. Vi tamburellò con un’unghia tagliata corta, strano per una nobildonna come sembrava essere. Le unghie lunghe erano la moda, soprattutto di coloro che non dovevano lavorare o tenere eccessivamente a bada la propria prole. Vista l’età, era improbabile che avesse dei figli piccoli. “Sono venuta a rinnovare gli accordi presi con il Signore, e a dirti che potrai serenamente ignorare quanto detto dal Cavaliere, perché il suo potere confrontato a quello del nostro Padrone è nullo. Nemmeno la regina può alcunché contro di lui. Ti assicuro che avrai la protezione del Signore anche se oggi hai rivelato al duca la presenza di due tipi di missive…”, le disse indicando poi con un cenno la direzione della stanza delle bambine, “Sei brava a camuffare le tue attività, continua come hai fatto finora, ma con aggiunta premura di comunicare saltuariamente al Cavaliere rosso la tua presunta fedeltà ai suoi nuovi ordini. Penserà il Signore a gestire le attività della città e del ducato, garantendoti il tuo posto placido di Governatrice.”

Kaisel annuì, mantre la donna si spostava ancora davanti al camino, rallentando come a voler assorbire gli ultimi istanti di calore, poi terminando il suo percorso verso la porta.

“C-chi siete? Vi rivedrò?” , le chiese la Governatrice con voce tremante.

La donna non si voltò, ma divenne improvvisamente più tesa. “La moglie del Signore che ha preso dimora segretamente in questo luogo. Verrò da te nuovamente solo se ci saranno problemi.” , rispose duramente, allungando poi una mano all’indietro verso il caminetto. Le fiamme ormai estinte improvvisamente ripresero vigore, tanto da lambire lo stemma inciso sulla pietra della mensola. Kaisel si spaventò al potere della strega, facendo un salto all’indietro.

“Ricordati che una madre ha in mano la vita dei propri figli quando li mette al mondo, ma anche quando si tratta di garantire la loro sopravvivenza.”

Poi la donna sparì nel buio, il solo rumore dei suoi tacchi nel silenzio che si affievoliva, man mano che si allontanava.

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Capitolo 73
*** Esperienze di viaggio ***


Ripartirono da Dras-Leona sul dorso di Castigo, lasciando disposizioni per il ritorno di Derrel e Maeve a Illirea, seppur questi s’opposero con tutte le loro forze, ma non ci fu argomento che servì a far cambiare idea al lord. Avrebbero avuto circa due settimane prima di doversi muovere verso la capitale, perciò Murtagh mise degli abiti comuni - che aveva richiesto segretamente a uno dei servitori - nelle bisacce e si fece preparare delle provviste di cibo.

Quando tutto fu pronto, Murtagh caricò volentieri la moglie con i figli sul dorso del suo drago, spiccando poi il volo, lasciandosi alle spalle quel luogo che detestava.

Amico mio, ti ringrazio per avermi permesso di intraprendere un altro viaggio liberi. Ne avevo bisogno!

Murtagh ridacchiò nella mente di Castigo. Così potrai raccontare a quella dragonessa selvaggia tanto bella che anche tu hai viaggiato liberamente, di recente?

Il drago prese a brontolare e a rigirare il sarcasmo sul suo Cavaliere, per tutto il resto del viaggio.

 

La prima tappa del viaggio fu la Grande Dorsale, dove cercarono una casa sulle montagne da affittare per qualche notte. Salirono sui monti, trovando una vallata con un piccolo villaggio. Castigo trovò una sua sistemazione non troppo distante, e Murtagh e Nasuada scesero verso l’agglomerato di edifici su un carretto che lui costruì. Nasuada si sistemò su un masso, mentre lui usava la magia per tagliare tronchi e piallarne il legno. Finiarel stava seguendo il padre in ogni suo passo, ma a debita distanza come gli era stato ordinato. Fu subito evidente quanto la lontananza dal castello natio avesse giovato al Cavaliere, perché aveva ripreso a sorridere sinceramente e a prestare attenzioni affettuose ai due bambini. Quando il carro fu pronto, lo indicò con orgoglio alla moglie. Nasuada si alzò in piedi, coprendosi il seno dopo aver finito di allattare la bambina, per ispezionarlo e scoppiare poi a ridere. Murtagh si spostò i pugni alle anche, guardandola con un sopracciglio alzato. “Cos’ha che non va?”

Lei alzò le spalle. “Il carro è di ottima fattura. Se non fossi nato lord avresti avuto l’abilità sufficiente per essere un buon carpentiere, tuttavia... non abbiamo un cavallo per trainarlo.”

Murtagh fece un sorrisetto. “Lo avevo calcolato, sta’ tranquilla. Dopotutto, sono io quello che è sopravvissuto per mesi da solo nei boschi, mia regina. E all’epoca non avevo nemmeno la magia ad aiutarmi. Come credi che abbia ottenuto i chiodi per tenere assieme questa opera da maestro?!”

Lei annuì impressionata. “E dunque, come intendi scortarmi fino alla nostra casupola modesta, Cavaliere?”

“Andrò a convincere un daino o qualche animale simile nel bosco.”

Nasuada lo guardò inorridita. “Lasciandoci qui da soli?!”

Murtagh si morse il labbro. “Hai ragione. Per quanto vorrei che ci comportassimo come due normali cittadini di Alagaesia, non posso mettere in pericolo la tua incolumità, o quella dei bambini.” , ammise frugandosi in tasca. Estrasse un’ocarina e la moglie lo osservò ancora più stranita per l’oggetto che chiaramente lui aveva scelto - tra tutti - dal castello da portarsi dietro, pensandolo utile. Si tornò a sedere sul masso, sospirando. Avrebbe preferito viaggiare potendo svelare le loro identità, d’altronde lei non aveva mai sperimentato la vita priva delle comodità di una principessa, iniziando già a rimpiangere di aver accettato di viaggiare alle condizioni di Murtagh. Lui preferiva sempre passare inosservato, tenere un profilo basso, mentre lei non aveva mai avuto quella possibilità in tutta la sua vita, e ora che le si presentava davanti, non era sicura che facesse per lei non essere più Nasuada, Regina Suprema di Alagaesia, sovrana del popolo umano, Liberatrice e Ricostruttrice. Órlaith prese a sorridere con la sua bocca sdentata completamente aperta, quando il padre prese a suonare. Nasuada si poggiò l’osso delle sopracciglia su un pugno, scuotendo il capo davvero al limite della sopportazione.

Finiarel a un tratto emise un gridolino, facendole alzare il capo di scatto, preoccupata. Era già pronta a correre con i suoi figli dal drago rosso, supplicandolo di riportarla a Illirea, ancora più pentita di aver assecondato Murtagh, accettando di seguirlo verso i suoi ‘posti tranquilli’.

“Un cavallo!” , rise il bambino, indicando un enorme animale che spuntò dal bosco. Murtagh smise di suonare, andando a circondare le spalle del figlio con un braccio, inginocchiandosi accanto a lui. “È un cervo, piccolo. E ci porterà al villaggio laggiù.” , gli spiegò con gentilezza, poi alzandosi per avvicinarsi all’animale. Nasuada si alzò protettivamente, e in parte esterrefatta, vedendo Murtagh accarezzare il muso dell’essere cornuto senza che questo scappasse o che gli infilasse le punte ossee nel ventre, uccidendolo. Usò delle stringhe di cuoio che aveva nelle bisacce per creare delle briglie improvvisate, legando anche il dorso dell’animale al carretto. Questo sembrava più intelligente degli altri cervi, e i suoi occhi erano vispi come quelli di Castigo. Finiarel corse dal padre ridendo felice, e quest’ultimo lo afferrò nella corsa per metterlo sul carretto. Poi si voltò verso Nasuada, porgendole la mano. “Vieni?” , le domandò dolcemente. Lei si mosse, evitando l’animale. Venne presa per la vita e alzata fino a due assi perpendicolari sul mezzo di trasporto, su cui si era già seduto il principe, poi anche Murtagh vi salì, sistemando le bisacce nella parte posteriore, lasciandole in ultimo un bacio. Diede un colpetto al fianco posteriore del cervo e questo si mosse senza imbizzarrirsi.

“Come ci sei riuscito?”

Lui alzò le spalle. “Sono un Cavaliere, e la Dorsale è piena di animali magici che sono stati modificati da un’esplosione su un’isola proprio di fronte a questo promontorio. Ho usato la magia per produrre un suono magico, che ha richiesto l’aiuto di questo animale. Ci porterà alla civiltà e poi sarà libero, gli ho promesso semplicemente questo... oltre a delle bacche.” , le spiegò allegramente. La giovane lo trovò semplicemente bellissimo, esattamente la stessa bellezza che l’aveva colpita quando era apparso nel Farthen Dur, venendo rinchiuso per colpa del nome di suo padre. Odorava di aria di montagna, proprio come in quel momento, e i suoi capelli erano leggermente annodati per via del movimento e degli spostamenti veloci nella natura. All’epoca e come ora, aveva le unghie sporche di terra, ma le mani non erano rotte come quelle di un lavoratore comune. Il suo corpo era slanciato e muscoloso, ma non massiccio come dopo sedute regolari di allenamenti con la spada che gli permetteva la vita sedentaria in un castello.

E i suoi occhi riflettevano il cielo, risultando non più color ghiaccio, ma celesti  e brillanti come le iridi di Saphira.

“Alla mia mamma piacciono i mirtilli!” , s’intromise il principe in modo spensierato. Nasuada gli passò una mano tra i capelli, facendolo sciogliere al suo tocco. “Sì, piccolo mio, è corretto.”

“Possiamo salvarli per la mamma, quando andremo a raccogliere le bacche per il nostro amico?” , cercò di proporre con la sua parlata ancora incerta, nonostante i notevoli miglioramenti anche solo dal giorno della nascita della sua sorellina, richiamando il padre con una manina appoggiata sul suo braccio che reggeva le briglie.

Murtagh sorrise e annuì, alzando gli occhi chiari su Nasuada. “Per il mio Amore, questo e altro.”

Continuarono per circa mezz’ora, finché dall’alto del crinale montuoso non scorsero una piccola vallata con un villaggio. Al limitare del bosco, Murtagh fece scendere la moglie e i figli, chiedendo loro di proseguire e cercare una sistemazione, mentre lui si occupava di ripagare il loro aiutante cornuto. Nasuada strinse a sé Órlaith, poi prese la mano di Finiarel, non riuscendo a caricare anche lui tra le sue braccia. Cominciarono a camminare, per una distanza così lunga che mai Nasuada aveva rifatto dopo i lunghi corridoi del Farthen Dur, dove si rifiutava di essere trasportata su una portantina. Trovarono un uomo, armato di tutto punto, probabilmente a fare la guardia per la sicurezza degli abitanti. “Parlate la Lingua Comune?” , gli chiese la regina con lieve distacco.

Era sola, e anche se non indossava i suoi abiti regali, temeva di essere riconosciuta, oppure di attirare le attenzioni non volute di un uomo con forte appetito per le donne, non difficile da trovare in Alagaesia. Questo annuì, quasi annoiato.

Espirando sollevata, la giovane gli chiese dove potesse trovare riparo per qualche notte. L’uomo biascicò le informazioni che cercava, indicandole anche con un braccio la direzione da seguire.

“Vi ringrazio. Se un uomo dagli occhi azzurri dovesse chiedervi di me, ripetetegli quando mi avete detto, perché è il mio compagno di viaggio.”

La guardia annuì distratta, lasciando Nasuada con il dubbio che Murtagh avrebbe avuto vita facile a ritrovarli, al suo arrivo. Avrebbe usato il loro legame mentale, la sera, se non lo avesse visto giungere alla casa, si appuntò mentalmente.

Inforcò una strada sterrata che passava in mezzo ad alcuni edifici, poi di nuovo dirigendosi verso il limitare del villaggio. Non indossare le sue scarpe dalla suola rigida e più alte sotto il tallone la rendeva instabile, tanto che inciampò alcune volte, sbucciandosi anche un ginocchio. Si rialzò come se nulla fosse accaduto, e per fortuna la neonata non aveva urtato il pavimento, dato che la madre era riuscita a crollare in ginocchio piuttosto che a faccia in avanti.

Arrivarono dopo pochissimo davanti alla casa che era stato loro indicato, una signora anziana che sedeva sotto un portico, su una sedia a dondolo. Quando vide la ragazza dalla pelle d’ebano con i due bambini, scattò in piedi, andandole incontro più velocemente riuscisse. La guardò prima per lunghi istanti, per via dell’aspetto totalmente diverso da quello della gente di quel luogo - Nasuada aveva visto solo individui pallidi e dagli occhi verdastri, come le fronde degli alberi che li circondavano, e i capelli color miele. - , poi la sua espressione si tramutò in pura preoccupazione, notando la neonata stretta al suo petto, oltre il bambino che teneva per mano.

“Ragazza, cosa ci fa una creatura come te tutta sola, con due piccoli appresso?” , le chiese in lingua comune stentata. Nasuada sorrise per tranquillizzarla, lasciando la mano di Finiarel per prendere alcune monete dalla cintura. “Avrei bisogno di una stanza per qualche giorno, mi hanno detto che voi avete un vano comodo e caldo per me e i miei bambini.”

La donna capì a stento, ma a sufficienza per affrettarsi a prendere le monete e condurla per le scale, esterne all’abitazione. Le mostrò un grande sottotetto, arredato con un letto, un tavolo e poco altro, ma la caratteristica che Nasuada apprezzò di più fu il grande focolare, perché nonostante fosse estate, in quel luogo faceva comunque fresco. La donna era sinceramente preoccupata per lei, perciò le mise una teiera in rame sul fuoco, che andò a prendere al piano di sotto dove lei viveva, probabilmente un pezzo della sua dote. Indicò i due bambini. “Avete un marito?” , le chiese scandendo le parole meglio, quella volta.

Nasuada annuì subito, facendole alzare un sopracciglio.

“Dove si trova?” , le chiese ancora, forse dubbiosa che esistesse davvero.

La ragazza dalla pelle d’ebano indicò l’esterno, lievemente infastidita dalla donna che stentava a crederle. Aveva forse l’aspetto di una pazza? “Arriverà presto, non preoccupatevi.”

L’anziana annuì lievemente rassegnata, immergendo uno straccio nell’acqua calda per poi avvicinarsi alla giovane e inginocchiarsi per tamponarle via il sangue e i sassolini dalla ferita. Prese una fiaschetta dal grembiule e mise una ciotola sotto la gamba di Nasuada, per raccogliere il liquido che versò sulla ferita per disinfettarla.

Tornò dal focolare, versandole il tè in una tazza di terracotta smaltata di verde, piuttosto rudimentale.

Finiarel le andò vicino timidamente, quando questa si fu sistemata a sedere, sorseggiando il suo decotto di tè di fronte all’ospite. La donna gli accarezzò i capelli dolcemente, studiandolo, venendo subito controllata in ogni suo movimento dalla regina. Alzò e abbassò gli occhi tra la giovane dalla pelle d’ebano e il figlio un paio di volte, cercando le somiglianze. “Il vostro bambino ha dei lineamenti molto particolari. Questi occhi provengono dall’estremo Nord.” , commentò laconicamente e con difficoltà a far trasparire cosa volesse implicare. Ma Nasuada aveva già ricevuto molte volte commenti sulla presunta natura meticcia dei suoi figli, perciò non le era difficile indovinare si stesse riferendo a quello.

Nasuada annuì, soffiando sul liquido verdastro, mentre con un braccio faceva ondeggiare la neonata. “Assomigliano per metà a me e per metà al lord-” , si bloccò per correggersi, “…a mio marito.”

“Lavorate?”

“Sì, per permettere loro di vivere sia io sia mio marito dobbiamo darci da fare.”

“Qual è il vostro mestiere?”

Nasuada posò con estrema lentezza e altezzosità la tazza sulla superficie lignea. “Non la meretrice, se è quello che state pensando.”

La donna storse il naso. “Bene, perché questo non è un bordello, né voglio che lo diventi. Potreste comunque essere l’amante di qualcuno, in fuga: i bambini sembrano effettivamente avere lo stesso padre.”

“Perché sono entrambi figli di mio marito!” , ribadì Nasuada cercando di mantenere la calma. Mai nella vita aveva sopportato insolenza nei suoi confronti e soprattutto in materia della sua rettitudine. Quando a diciassette anni ancora non era sposata, avevano iniziato a circolare voci che avesse stupidamente ceduto la sua virtù al suo stalliere, tanto che questo fu allontanato da Ajihad per evitare che fossero mai più visti assieme. Poi più tardi, i Varden avevano sperato che lei sposasse Eragon, quando questo non sembrava aver alcuna intenzione di prendere moglie, visto che il suo obiettivo era quello di sconfiggere Galbatorix, dunque le voci che avevano preso a circolare sostenevano che Ajihad l’aveva inviata a sedurre il Cavaliere per convincerlo a rimanere e a sposare non solo lei, ma anche la loro causa, e che non essendo di suo gradimento l’assaggio fornito dalla giovane, l’avesse rifiutata - rendendola indesiderabile agli occhi di tutti - . La libertà era l’obiettivo anche di Nasuada, e sfruttare quelle voci per rimanere nubile le aveva permesso di non essere relegata alla vita di una moglie. Solo i suoi incontri privati con il prigioniero Murtagh dovettero essere mantenuti segretissimi, o la sua reputazione sarebbe stata definitivamente e irrimediabilmente rovinata. Anche dopo la sua incoronazione, nonostante fosse stata già segretamente sposata con il giovane che da anni le infestava i sogni, nessuno si era fatto avanti per chiederle la mano. Ora che aveva un marito e dei figli, aveva sperato che le voci smettessero, ma v’era chi non attendeva altro che avere l’occasione di mettere in circolazione il pettegolezzo che lei non avesse concepito dei figli con il suo consorte. Avevano tentato di farlo, quando era ricomparsa dopo qualche mese con un marito e già un bambino - anche se Finiarel era stato relegato per mesi agli appartamenti regali per evitare tristemente che troppi sapessero di lui - a corte. Il secondo matrimonio aveva legittimato il principe, che fosse nato prima o dopo il matrimonio ufficiale, poiché per il suo trono era importante che lui si fosse scinto dal suo grembo, non tanto dai lombi di Murtagh. Ma nonostante questo dettaglio, v’era ancora chi osava imputarle un’etichetta di vergogna, quando tutto ciò che aveva sempre fatto la giovane era sempre stato quanto più legale possibile, persino concepire stupidamente - per l’epoca - un figlio con il marito che stava per andarsene, per lasciarla libera di trovarne un altro e farsi una vita senza di lui in essa.

Qualcuno bussò alla porta e la donna anziana scattò in piedi, risvegliando Nasuada dai suoi pensieri.

“Papà?” , pigolò istintivamente il bambino, che stava aspettando il ritorno del Cavaliere, seguendo la donna fino all’uscio. Una voce all’esterno gli rispose: “Sono io, piccolo!”

L’anziana allora spalancò il legno senza porre ulteriori domande, trovandosi di fronte l’altissimo ragazzo moro. Espirò sonoramente nel vederlo, sollevata.

Murtagh le fece un cenno con il capo di saluto, dopo aver visto la regina oltre il capo dell’anziana, nella stanza. “Mia moglie vi ha già pagata, immagino.”

Moglie? Quella ragazza è vostra moglie?” , indagò l’anziana tramutandosi in guardinga anche davanti all’ennesimo sconosciuto.

Aye.” , le rispose alzando una mano per mostrare l’anello che condividevano, all’uso dei nobili, “E quello è mio figlio, il mio primogenito.”

“Siete molto giovane, è plausibile che abbiate un figlio così piccolo… Anche l’altra bambina è vostra?”

Murtagh annuì, sbuffando platealmente per accelerare i convenevoli.

“Molto bene. Entrate!” , lo invitò senza togliergli gli occhi di dosso. Lui superò la soglia e si piegò per accogliere il principe tra le braccia, che stava saltellando ai suoi piedi, chiamandolo. Poi si spostò automaticamente dalla moglie, lasciandole un bacio, così come alla piccola. Nel frattempo, l’anziana gli andò a preparare una tazza in più della bevanda calda, porgendogliela. Lui accettò volentieri, così come la sedia su cui sedersi.

La proprietaria della casupola andò a sedersi di fronte ai due sposi, osservandoli con occhi lucidi. Nasuada avrebbe voluto schiaffeggiarla, per averle creduto solo dopo aver visto suo marito. Cercò però di calmarsi, perché d’altronde non sapeva quali altri viaggiatori avesse incontrato la donna prima di loro, tanto da renderla guardinga per proteggersi, vista la sua natura gentile e disponibile.

“Siete davvero due giovani molto belli. Una stupenda coppia, senza dubbio!”

Murtagh la ringraziò, ignaro della sua indole prima gentile poi restia.

La bambina tra le braccia di sua madre si svegliò, senza piangere. Finiarel si sporse verso di lei, appoggiandosi agli arti superiori del padre per guardarla.

Le espressioni di tutti si addolcirono, quando Órlaith prese a fare dei versetti.

“Come si chiamano i vostri bambini?” , chiese l’anziana.

Nasuada esitò un attimo, poi indicò il maggiore e infine la minore. “Lui è Fin, la piccola invece è Selena.”

Murtagh la guardò di sottecchi, poi annuì alla donna.

“Da dove provenite?”

“Dras-Leona.” , rispose di getto il Cavaliere, regolando però la voce per non tradire tensione.

“Non è troppo lontano, eppure non parlate la mia lingua.”

“Veniamo dalla città.” , spiegò Murtagh, “Siamo in viaggio per affari.”

“Senza merce?” , chiese la donna.

Murtagh tamburellò con le dita sul tavolo, percependo di essersi tradito. “La nostra merce è molto piccola. Guardi!” , estrasse l’anello con l’enorme rubino che Nasuada gli aveva donato. La giovane sperò non lo usasse come dono per ingraziarsi l’anziana.

La vecchia non lo prese in mano, con timore reverenziale. “Capisco. Siete orafi, giusto?”

Il giovane annuì.

“Non sembrate orafi. Avete abiti comuni.”

Le labbra carnose della giovane regina si separarono leggermente, ma non poté fare a meno di dimostrare lo stupore per la sua arguzia.

“Non vogliamo essere riconosciuti e saccheggiati. La nostra meta è molto distante.”

La donna fece un sorrisetto arguto e si abbandonò allo schienale della sedia. “Capisco.”

“E voi? Dove si trova vostro marito?” , le rivoltò la situazione il Cavaliere.

La donna sorrise tristemente. “Sono vedova da anni, e i miei figli credo siano morti. Erano al servizio di Galbatorix, prima che cadesse.”

Nasuada deglutì rumorosamente, sapendo che una gran parte dei membri dell’esercito del Re Nero erano periti per lasciare posto proprio a lei. “Posso sapere i loro nomi? Potrei informarmi, per farvi sapere se sono ancora vivi!” , disse di getto, ricevendo immediatamente uno sguardo di fuoco dal Cavaliere.

“Quello che vuole dire mia moglie, è che a Dras-Leona conosciamo molti generali che anno ancora accesso ai registri. Potrebbe chiedere alle loro mogli il favore di ricercarli.”

La donna continuò a fissare il vuoto, come aveva preso a fare da quando aveva nominato i suoi figli. Scosse a un tratto il capo. “Vi ringrazio, ma sarebbe impossibile.”

“Se posso aiutarvi, lo farò volentieri!” , la supplicò Nasuada.

Smettila! Capisco che la tua indole ti porti a voler aiutare le persone in difficoltà con tutti i tuoi mezzi, ma in questo caso rischieremmo di farci scoprire! , le sibilò Murtagh usando il loro collegamento mentale.

Nasuada si morse il labbro. Non riuscirò a dormire, avendo visto la tristezza nei suoi occhi. Devo ricercare i suoi figli.

Mi è parso di percepire astio nei suoi confronti, prima… non è così?

Non più. Ho dimenticato che tutti abbiamo sofferto durante la Guerra.

“Sarebbe una strada che ho già tentato di percorrere, spendendo tempo e denaro inutili: non vollero registrare i loro nomi, durante l’arruolamento.”

L’anziana sospirò, poi si alzò augurando loro di trascorrere un buon proseguimento di giornata. Scese le scale in silenzio, lasciandoli soli.

Murtagh si alzò anch’egli, andando a controllare che la porta fosse chiusa, e apponendovi incantesimi per la loro protezione. Poggiò poi il bambino sul letto, che prese a giocare immediatamente, e si occupò della neonata, liberando le braccia di Nasuada. Piegò un’anca verso l’esterno, chiedendole di prendere il sacco di velluto dalla sua cintura con delicatezza. Lei seguì le indicazioni, guardandovi dentro e sorridendo. “Li hai riportati davvero!” , ridacchiò, prendendo il primo mirtillo tra le dita. Finiarel venne richiamato dalle loro parole, sedendosi sul bordo del materasso. “Cos’è?” , pigolò.

La madre si andò a sedere accanto a lui, mostrandogli il contenuto del sacchetto. “Un regalo di tuo padre. Ne vuoi?” , gli rispose dolcemente.

Il piccolo fiondò le manine all’interno, prendendo manciate piene di mirtilli e portandoseli in bocca, sporcandosi completamente di rosso.

“È solo una mia impressione o da quando ci siamo spostati da Illirea, lui è molto più attivo e vispo?” , commentò Murtagh piano, rivolgendosi solo alla moglie. Nasuada accarezzò il suo bambino, osservandolo mangiare con voracità, poi annuì. “Sta crescendo in fretta.”

Nel frattempo, la vecchia tornò con una pila di teli per loro, poggiandolo sul tavolo quadrato. Guardò il piccolo mangiare mirtilli, indicandolo. “Non gli farà bene, ha bisogno di una vera e propria cena.” , commentò, spostando le iridi verdastre sulla regina, “Posso portarvi un paiolo per cucinare del cibo per la vostra famiglia, il fuoco in questo camino è abbastanza forte per cuocere qualsiasi cosa.”

Prima che Nasuada potesse rispondere che avevano intenzione di cercare un pasto già cucinato da una donna locale, l’anziana scomparve e ricomparve con un contenitore di rame e vari mestoli di legno, intagliati a mano.

Quando fu scomparsa, Murtagh ridacchiò. “Sembra averci preso a cuore.”

“È una donna alquanto lunatica: prima che tu arrivassi ha dubitato che avessi un marito.”

L’altro scrollò le spalle. “Chissà quante giovani madri sole le chiedono rifugio… Accettarle per lei significa compiere un gesto caritatevole, ma al contempo rischiare la sua reputazione.”

“Ma io non sono una fanciulla senza onore! E in più ho insistito che saresti arrivato, eventualmente.”

Il Cavaliere si sporse in avanti, prendendo un mirtillo e infilandoglielo con delicatezza tra le labbra carnose. “Chissà quante altre le avranno giurato e spergiurato che i loro mariti sarebbero arrivati, non essendo poi la verità… Vi ho fatti aspettare molto?”

“No, non preoccuparti.”

Si alzò sulle lunghe gambe con uno slancio. “Bene, non vi farò aspettare allora nemmeno per la cena.” , annunciò spostandosi verso gli strumenti portati dall’anziana.

Prese dalle bisacce la carne essiccata che avevano, assieme alla sua daga. Nasuada si schiarì la voce. “Forse è meglio salvarla per il ritorno. Siamo in un villaggio, potremmo andare a cercare del cibo fresco, della verdura, del formaggio e anche della carne. Non troppa, per non dare nell’occhio.”

Murtagh annuì. “L’unico problema è che dovresti andare tu. Sono le donne a recarsi al mercato, di solito. Se acquistassi cibo per quattro io desterebbe sospetti sulla validità di mia moglie.”

“Potrebbero riconoscermi, e dal mio canto non so riconoscere i generi alimentari migliori. Mi farei sicuramente attrarre da quelli più belli all’apparenza.”

“Che ne dici se ti accompagnassi?”

La giovane dalla pelle d’ebano guardò i bambini sul letto. “E di loro, cosa ne faremmo?”

“Potremmo chiedere alla padrona di casa di badare a loro. Non sa che sono principi, e mi sembra una donna molto attenta.”

“Anche a me.” , ammise la regina. Si alzò in piedi, prendendo uno scialle all’uncinetto, trovato in un baule nel castello di Murtagh - in realtà, ora di Órlaith - , per avvolgerselo sulle braccia scoperte del vestito smanicato. Usava sempre abiti smanicati per mostrare le sue cicatrici, ma in quel luogo le parvero come se fossero dei vistosi indicatori della sua identità.

Murtagh scese le scale, andando a bussare alla porta dell’anziana. Un po’ per il suo indubbio fascino, un po’ perché pareva sempre piacere alle vecchiette molto più di lei per i suoi modi riservati ma affabili, riuscì a convincerla a farsi affidare per qualche ora i due bambini.

Li portarono al piano di sotto, li salutarono velocemente - per non far pensare al maggiore che lo stessero abbandonando - e poi uscirono alla volta del mercato, sperando di non pentirsi della loro idea. Nasuada stringeva il risvolto di tessuti sul suo petto nervosamente, chiedendosi se i suoi figli stessero bene a intervalli regolari. Non li aveva mai affidati a sconosciuti, e quasi rimpiangeva di non aver portato Maeve con sé anche nella loro deviazione di itinerario.

“Eccoci, questa sembra una bottega.” , la destò Murtagh fermandosi davanti un edificio anonimo.

La giovane dalla pelle d’ebano alzò un sopracciglio. “Ne sei sicuro? Da cosa lo capisci?”

Lui le indicò dei grossi vasi con erbe aromatiche accanto a delle piante di alloro e rosmarino. “Sono lì per coloro che, terminata la spesa, vogliano delle erbe per condire le loro pietanze, se nelle loro case dovessero essere morte.”

“Ah, capisco.”

Le circondò le spalle con un braccio, conducendola all’interno. Murtagh aveva avuto ragione: dentro v’era una grande quantità di ortaggi, e a sorpresa della regina praticamente nessun pezzo di carne. Un uomo si presentò davanti a loro, facendo un saluto col capo prima verso Murtagh poi verso Nasuada. “Come posso servirvi, signora?”

Non era mai stata chiamata signora, prima di quel momento. Era sposata, perciò sapeva che quello era il suo nuovo appellativo, ma non lo aveva mai sentito utilizzare, poiché a corte tutti la chiamavano lady o Maestà. Sorrise caldamente e naturalmente come faceva di solito, senza esitare. Aveva già esitato troppe volte davanti alle persone, ultimamente.

Scegli liberamente quello che ti sembra migliore. Esattamente come quando scegli gioielli o tessuti a Illirea. , la  spronò Murtagh.

Non rischiamo di dare troppo nell’occhio, scegliendo il cibo migliore?

Sanno sicuramente che siamo stranieri. E vista la tua bellezza, anche se fossi nata tra la gente comune, si immagineranno che tu sia stata mandata in sposa a qualcuno di più altolocato. E, aggiungerei, anche la tua carnagione non passa certo inosservata.

“Vorrei quel cavolo nero, e della farina di mais.” , disse di getto, ripensando a una ricetta che le era stata illustrata a corte durante uno dei pranzi più frugali che ricordava.

L’uomo sorrise, infilando quanto richiesto in un cesto.

“Oh, mia moglie deve essersi dimenticata di chiederle anche patate, carote e cipolla. La base per una zuppa sostanziosa per due viaggiatori, insomma.” , s’intromise con delicatezza Murtagh.

Il venditore alzò le spalle. “Tutto ciò che volete, a patto che paghiate subito. Non accetto crediti per i viaggiatori.”

Il Cavaliere frugò in tasca, estraendo una sola moneta d’oro. “Basterà?”

L’altro annuì goloso, afferrandola in fretta. “Vi regalerò anche del burro, e un paio di uova. Sono fresche di questa mattina, raccolte da mia figlia.”

Chiamò a gran voce, facendo accorrere una fanciulla più o meno della loro stessa età, con il burro e le uova. Mise il cibo nel cesto, alzando gli occhi solamente per allungare loro la spesa. Si bloccò un attimo a osservare la regina, colpita dal suo aspetto. Guardò poi anche il suo accompagnatore, sbarrando ancor più gli occhi.

“Vi conosco?” , le chiese per primo il Cavaliere, costringendola a interrompere lo sguardo indagatore. La figlia del commerciante scosse il capo. “Mi ricordavate un generale della Guerra.”

“Può darsi, sono stato arruolato. Ma non ho mai assunto il ruolo di generale.”

“Un soldato di Galbatorix o dei Varden?” , chiese con astio il venditore.

Murtagh scosse il capo. “Come tutti, sono stato chiamato alle armi dal Re Nero.”

L’uomo annuì. “Bene, perché non amo i ribelli.”

“Anche se oggi siamo liberi grazie a loro?” , s’intromise la regina.

L’uomo sputò a terra. “Sì, questa pace porterà ricchezza, ma non più di quella che abbiamo perso lasciando tutto per una guerra che loro hanno scatenato.” , sentenziò indicandola, “Voi avete solo beneficiato della Guerra! Voi nomadi ora volete stanziarvi sposando dei soldati che avete sedotto con la vostra bellezza nei bordelli delle città di confine!”

Murtagh alzò una mano, per pacare il suo animo. “È vero che mia moglie proviene dalle popolazioni nomadi, ma non proviene da un bordello. La sua famiglia mi ha curato dopo una brutta ferita in battaglia, e sono stati così gentili da concedermi persino la sua mano.” , mentì inventandosi una storia fittizia per salvarle la reputazione.

Nasuada allargò le narici un paio di volte, stemperando il fastidio dei pregiudizi verso le donne del suo popolo. Mai una di loro si sarebbe piegata a vendere il suo corpo, eppure i Sedentari continuavano a schernirle inventando su di loro storie su bordelli lontani e pazzeschi, facendosi credere tra loro simili. E non v’era modo per loro di dimostrare che questi luoghi non esistessero, siccome la maggior parte di coloro che vi credevano non si erano mai nemmeno avvicinati ai territori d’Oriente, se non essendo difese dalle parole di un rispettabile uomo Sedentario.

La figlia posò una mano sul braccio del padre. “È ora di chiudere il negozio.”

L’uomo annuì, sparendo verso l’ingresso interno della casa sovrastante, salutandoli in modo asciutto. La figlia si scusò a suo nome. “Avete già un alloggio? Rimarrete qui stabilmente?”

Murtagh scosse il capo. “No, torneremo al nostro alloggio temporaneo e poi proseguiremo il nostro viaggio.”

“Verso dove?” , chiese sognante.

“Non sappiamo ancora. La prossima città, probabilmente.”

La giovane annuì, fissando Nasuada con un breve ultimo sguardo indagatore.

“Avete dei figli?” , chiese dopo poco.

“Sì, due.”

“Si vede. Devono essere meticci.”

Murtagh digrignò i denti.

“Non era mia intenzione offenderli. Solo, sono molto affascinata quando vedo dei meticci. Sono sempre così particolari.” , disse apparentemente con aria amichevole, “Prendete questo, vi aiuterà a rimettervi dal parto.”

Porse loro un mazzetto di erbe sconosciute alla regina. Lei ringraziò e le sorrise artificiosamente.

“I vostri figli sono qui fuori a giocare con gli altri bambini?”

“No, sono rimasti all’alloggio.”

La giovane parve sorpresa. “Oh, e a chi li avete affidati?”

“Alla vecchia signora che affitta il sottotetto.”

“Al limitare del villaggio?”

Il Cavaliere annuì appena.

Vi fu un lungo silenzio, in cui la regina e il marito iniziarono a sudare freddo, temendo che avendo svelato quelle informazioni, venisse loro rivelato che la signora era in realtà un’assassina; o che qualcuno sarebbe giunto a cercarli per vendere i bambini alle tratte degli schiavi. Poi, la giovane sorrise. “Ottima scelta. È sempre stata brava ad accudire i bambini di tutto il villaggio.”

I due sposi annuirono, sparendo all’esterno senza sembrare eccessivamente frettolosi.

Ritornarono alla casa assicurandosi che nessuno li seguisse, entrando velocemente nella casa dell’anziana. Questa si avvicinò al cesto, osservando la spesa compiaciuta. “I vostri figli mangeranno bene, questa sera.”

Mai come a illirea. , pensò la regina con una punta di nostalgia. Di sicuro nella fortezza sarebbero stati al sicuro. Murtagh annuì, prendendo tra le braccia la figlia e sistemandola per avere una mano libera per afferrare quella del primogenito. “È tardi, è meglio che ci congediamo per preparare il pasto.”

La donna annuì, lievemente triste, lasciandoli uscire per salire le scale fino al sottotetto.

Chiusisi ben dentro, Murtagh prese una sedia e la indicò alla moglie, che si andò a sedere. Le lasciò la custodia della più piccola della famigliola, prendendo il paiolo e iniziando a spezzettarvici dentro gli ingredienti, tagliandoli con la daga direttamente in esso. Nasuada lo fissò rapita e al contempo preoccupata che potesse farsi del male, ma alla fine la zuppa fu pronta per iniziare la lunga cottura. Due ore dopo pareva già notte inoltrata e le pance della regina e del bambino più grande iniziarono a emettere i lamenti della fame. Murtagh andò a cercare nelle nicchie nelle pareti, trovando alcune ciotole. “Ancora un attimo, amori miei.” , disse versando la farina di mais nella zuppa, aspettando qualche minuto per estrarre la prima porzione di zuppa, piegando il paiolo di lato. Si alzò e aprì la porta, sorprendentemente. Tornò poco dopo con un gran sorriso sul volto. “La nostra ospite approva.” , annunciò, “Possiamo mangiare!”

Finiarel saltò sul posto, prendendo a correre per la stanza. Murtagh camminò lentamente con le ciotole fino al tavolo, mentre Nasuada andava a recuperare dei cucchiai di legno con la neonata stretta al petto. “Smetti di correre, per favore.” , richiamò il bambino il padre, battendosi su una gamba. Il principe si avvicinò e si arrampicò fino a sedere sulle sue gambe. Anche Nasuada li raggiunse, porgendo loro gli strumenti per recuperare la zuppa nella ciotola. Sorrise al marito, inspirando il profumo che le giungeva le narici anche mentre era ancora in piedi. Si sedette, cercando una posizione comoda prima di assaggiare la prima cucchiaiata.

“Che ne dici?” , le domandò il marito.

“Sei bravo! Non moriremo di fame, in questo viaggio.”

“Il mio intento è portarvi a casa sani e salvi, e più contenti rispetto a prima della partenza.”

Si misero a mangiare, chiacchierando con leggerezza fino a sentire i primi richiami del sonno.

 

La mattina si svegliarono, scoprendo con orrore che Finiarel non era più nel letto. Lo cercarono negli armadi ricavati da nicchie nel muro di pietra e chiusi da ante in legno grezzo, ma di lui non v’era traccia. “Non dovresti avere un sonno molto leggero, Cavaliere?” , sibilò per la preoccupazione la regina.

Murtagh roteò gli occhi al cielo, continuando a spostare il poco mobilio e aprire ogni vano trovasse nei muri. “Oh, ora è colpa mia!”

“Di chi dovrebbe essere la colpa, se non mia e tua?! È nostro figlio!”

“Lo trover-”

Improvvisamente, una voce lontana che riconobbero fece rizzare loro le orecchie.

Murtagh corse alla finestra, aprendola con uno scricchiolio, sporgendosi con eccessivo slancio dovuto alla preoccupazione per guardare fuori, e fortunatamente non cadde. Nasuada lo sentì sospirare, chiamandola accanto a lui. Videro la vecchia nell’orto di fronte a casa, intenta a raccogliere delle fragole, il principe dietro di lei che ne mangiava più di quante non ne riponesse nel cesto. Tranquillizzatisi, si sederono sul davanzale, ascoltando il figlio dialogare con la vecchia. Quando se ne resero conto strabuzzarono gli occhi, guardandosi a vicenda. “Tuo figlio sta comunicando con la padrona della casa?!” , mormorò Murtagh.

Nasuada scosse il capo. “No, tuo figlio deve aver ereditato la capacità magica di comprendere tutte le lingue, perché di certo io non ho potuto insegnargli questo idioma...”

Lo sentirono proferire qualche frase rudimentale in quella lingua sconosciuta, ed entrambi compresero nuovamente qualche stralcio. Poi Nasuada ebbe l’illuminazione.

“Siamo dall’altra parte delle montagne rispetto a Kuasta, perciò la lingua parlata qui non può essere troppo diversa da quella di città.”

Murtagh annuì, confermando ciò che stava alludendo. “Finiarel comprende e riesce a farsi capire perché io gli ho insegnato la lingua di mia madre, e tu quella del Surda che hai studiato da bambina! Noi non riusciamo a comprendere, se non in parte, ma lui sì perché conosce - per quanto ancora poco - entrambe le lingue!”

Le circondò le spalle con un braccio, tirandola a sé pieno d’orgoglio. Rimasero a guardare sotto ancora per qualche tempo, poi si vestirono e Murtagh scese a reclamare suo figlio. L’anziana gli sorrise caldamente, vedendolo arrivare. “Avete dormito bene?” , gli chiese, mentre Finiarel trotterellava da lui mostrandogli le mani completamente rosse. Se non avesse saputo fosse il colore delle fragole, avrebbe temuto che suo figlio avesse commesso un omicidio. Murtagh annuì, prendendo il bambino tra le braccia. La donna gli batté un palmo sul braccio contenta, poi gli indicò un mucchio di legna. “Potresti aiutare una vecchia con quella, oggi?” , gli domandò.

“Con piacere.”

L’anziana allora ripeté il gesto di prima, poi indicando il cesto che aveva tra le mani, offrendogli del cibo per rompere il digiuno. “Chiama tua moglie e scendete in casa mia. Vado a preparare.”

Quando sparì all’interno, diede le giuste attenzioni al bambino che stava circondando il suo collo con le sue piccole mani. “Ti piace qui, Fin?”

Il bambino si scostò un poco per guardarlo negli occhi, poi annuì con decisione. “La signora è gentile!” , disse con fatica, come se avesse disimparato la lingua comune per utilizzare quella del posto. Gli scompigliò i capelli, portandolo al ruscello dietro la casa per pulirgli le mani. Nasuada lo raggiunse con le stoffe della bambina maleodoranti, il naso storto.

“Ti serve il sapone per quelle.” , le fece notare mentre si inginocchiava accanto a loro con lentezza, riluttante per quel compito che mai aveva svolto. Nasuada sospirò, tirandosi di nuovo in piedi. Le prese una mano. “Lascia fare a me questo lavoro. La padrona della casa avrà sicuramente qualcosa da farti fare di meno puzzolente.”

Nasuada si adombrò. “Io non so fare nulla di tutto questo! Mi sento davvero stupida!” , protestò.

Un sorriso dolce provenne dal marito. Si alzò, lasciando il figlio seduto sull’erba, e prendendole i tessuti maleodoranti, gettandoli poco lontano. Si pulì le mani nell’acqua, poi cingendole le guance con i palmi. “Non devi sentirti così. È normale che tu non abbia mai sperimentato la vita e le attività di una donna comune.”

“Vorrei solo fingere di non essere in casa, così che la signora non mi venga a chiedere di aiutarla. Mi sento meno donna se penso che non so da dove partire per molte cose che sarebbero normali...”

Murtagh la baciò delicatamente. “‘Normale’ è qualcosa che pratichi da molto tempo. L’unica cosa normale per una donna è avere la capacità di portare in grembo e mettere al mondo dei figli, perché è la natura che ci ha creati con questa differenza, uomini e donne. Tutte le altre attività sono ‘normali’ per una donna solo perché impara da piccola a svolgerle. Per te è normale scrivere e governare, oltre che a tirare con l’arco, ma questo non ti sminuisce come donna!”

Lei cercò di fargli un sorriso, ma le risultò solo una smorfia. Il Cavaliere le spostò una ciocca dietro un orecchio, sospingendola poi verso il principe. “Va’ dentro dalla padrona di casa. Io arriverò quando queste saranno risciacquate.”

Lei prese il bambino, camminando verso la casa, quando si voltò indietro essendosi ricordata qualcosa. “Hai detto che serve il sapone, giusto?”

Murtagh sorrise e annuì, prendendo le pezze e immergendole nell’acqua, trattenendo il respiro.

Poco dopo Nasuada tornò con un cubo del colore del burro, l’espressione incuriosita. S’inginocchiò accanto a lui, osservandolo strofinare i pezzi di tessuto l’un l’altro. “Per favore, insegnami.” , proruppe a un tratto. La donna aprì le imposte in una finestra vicina a loro, palesemente per osservare cosa facessero, con la noncuranza tipica della vecchiaia. Murtagh la ignorò, spezzando un pezzo del sapone e creando una pasta tra le sue mani, lentamente perché Nasuada potesse cogliere ogni passaggio. Dopo averlo fatto, strofinò il tessuto con le mani, ormai solo un alone era rimasto. Nasuada lo studiò attentamente, finché lui non sbatté le pezze in acqua con rabbia, imprecando. Lo guardò sorpresa, e lui di rimando dispiaciuto, poi scoppiarono a ridere assieme. “Non so nemmeno io cosa stia facendo, in realtà. Ho sempre solo risciacquato le mie casacche dalla polvere del viaggio e dal sangue, mai dagli scarti di mia figlia!” , le confessò.

La vecchia che era tornata all’esterno, sbuffò dietro di loro, poggiando un paiolo di rame dove l’erba era già bruciata, e la terra era depressa circolarmente. “Voi due non siete commercianti comuni.” , sussurrò la donna, come fosse un’accusa, facendo scivolare dei rami tagliati sotto il contenitore. I due si alzarono, portando la stoffa e il sapone con loro. Indicò il paiolo. “Riempitelo di acqua e accendete un fuoco.” , impartì riprendendosi il sapone, roteando gli occhi per quanto ne fosse stato sprecato. Murtagh obbedì, tornando al ruscello e riempiendo il contenitore in rame. Quando arrivò alla legna, la donna offrì una pietra focaia, ma il Cavaliere scosse la testa. Si mise di schiena alle poche altre case presenti, coprendo il fuoco, poi lo accese con la magia. L’anziana non arretrò, stranamente. Anzi, gli occhi le luccicarono. Si accasciò a terra per qualche istante, coprendosi gli occhi, poi rialzò il capo con dignità, inspirando. “Anche i miei figli erano maghi.” , cercò di far capire loro. Murtagh le prese la mano, stringendola con compassione, poi mise le bende dentro l’acqua, che stava pian piano arrivando a ebollizione. L’anziana vi spezzettò una quantità minore di quella che avevano usato loro di sapone, poi prese una spessa asta, di quelle usate per il burro, e iniziò a mescolare. Finiarel si sporse sulla porta, richiamandola con le sue poche parole bambinesche. Allora Nasuada prese naturalmente il posto della donna, sapendo di riuscire almeno a rimescolare i liquidi. L’anziana tornò seguita dal bambino trotterellante, quattro ciotole di orzo cotto nel latte con le fragole fresche sopra. Le porse ai due sposi, poi una al bambino. Murtagh poggiò la propria a terra, prendendo Finiarel sulle gambe, per aiutarlo a mangiare. La donna lo guardò ammirante.

La bambina al piano superiore dell’abitazione si svegliò in quel momento. La madre lasciò il paiolo, rassicurata dall’anziana di poterlo ridare a lei in custodia, poi salì le scale. Quando tornò con la piccola creatura attaccata al seno, l’anziana augurò loro buongiorno, prendendo a mangiare. “Ci siamo proprio tutti!” , esclamò Finiarel mentre il primo cucchiaio gli veniva portato alla bocca. Dopo poco pretese di arrangiarsi, perciò il padre gli mise la scodella in grembo, mangiando la propria razione di cibo, sempre con uno sguardo vigile sul principe.

 

Rimasero qualche giorno, mentre la donna affidava loro qualche compito, e si offriva in cambio di badare o al principe o alla neonata. Arrivò persino a insegnare alla regina a preparare uno stufato, che fu la loro ultima cena assieme. Quella sera consumarono il pasto nell’appartamento della signora, trattenendosi fino a metà della notte ad ascoltare le sue storie che procedevano lente, per colpa della memoria traballante, così come della sua conoscenza scarsa della lingua comune.

Parlò loro dei suoi due figli, di suo marito e di come fosse rimasta sola. Murtagh teneva in braccio il figlio maggiore, seduto su una sua gamba e abbandonato sul suo petto, già addormentato da ore, mentre gli accarezzava ritmicamente i capelli. Nasuada invece teneva la più piccola, perché aveva ancora bisogno di essere nutrita quasi ogni ora. Órlaith era sveglia e muoveva le mani in aria, aprendo e chiudendo le dita piccolissime.

A un tratto, l’anziana la indicò. “Ne farete un altro presto?” , chiese con un sorriso caldo e maternamente speranzoso, come fosse la nonna dei bambini. Nasuada arrossì, sfiorando le guance della piccola. “Ha solo due mesi.” , le spiegò.

Gli occhi della donna brillarono, mentre si sporgeva più avanti, a osservare meglio i due bambini. “Sembra più grande di quanto sia veramente.”

Il padre allungò una mano, prendendo quella della moglie. “È una bambina serena. Non le manca nulla.”

La donna dai capelli bianchi si appoggiò nuovamente allo schienale, giungendo le mani in grembo. “Chi siete davvero, dunque?”

Nasuada guardò Murtagh, esitante, poi di nuovo la donna quando ricevette un’espressione rassicurante dal suo compagno di vita. “Il mio nome è Nasuada e sono la regina di Alagaesia.”

La donna chiuse le palpebre, sorridendo. “Sapevo non foste commercianti comuni, ma non mi sarei mai immaginata di ospitare la regina e i principi.” , disse con affetto, voltandosi verso il ragazzo moro, “E voi dovete essere il Cavaliere dei Draghi.”

Murtagh annuì, abbassando lo sguardo.

La donna si piegò in avanti. “Non fate così. Io non vi disprezzo solo perché siete stato al servizio di Galbatorix. Moltissimi sono stati reclutati per il suo esercito.”

“Vi ringrazio.”

Il principe si rigirò di scatto tra le braccia del padre, sistemandosi in modo che fossero petto a petto. Murtagh allora spostò in avanti il bacino lentamente, fino ad arrivare a sedere sul bordo dello scranno, la schiena reclinata all’indietro.

“Dove sta andando la regina con la sua famigliola?” , chiese ancora la padrona di casa.

Nasuada alzò leggermente le spalle. “Staremo in viaggio ancora per un po’, poi torneremo a Illirea.”

L’anziana fece un ghigno, poi. “Quando si saprà del vostro soggiorno, molti altri accetteranno di affittare l’appartamento nel sottotetto!” , gongolò.

I due giovani ridacchiarono. “Magari è meglio se lo raccontate in giro quando saremo già spariti di qui.”

“Ma certo. Buonanotte, cari.” , disse con calore, sporgendosi per baciare la mano del principe e poi della principessa.

Madre e padre salirono le scale, sistemando i bambini nel letto, poi andarono a lavarsi assieme nel grande catino in legno che fungeva da vasca, per non riscaldare due volte l’acqua. Mentre Murtagh strofinava la schiena della regina, le lasciò un bacio sulle spalle. “Come ti sta sembrando il nostro viaggio, ora?”

Lei sorrise, abbandonandosi all’indietro sul suo petto. “Meraviglioso. Sono la regina, ma non avevo mai visto altre montagne oltre al Farthen Dûr da vicino. Mi sento meno una sovrana straniera, ora.”

“Non sei straniera solo perché sei dovuta rimanere nascosta in una montagna per quasi tutta la tua vita. Sei una cittadina di Alagaesia tanto quanto me e i nostri figli.”

Si voltò abbastanza per appoggiare una mano sul petto del giovane, incontrando i due pezzi d’oro e quello di minor valore, legati al cuoio. Lui la fissò dall’alto, con il volto sereno, prima di piegarsi e baciarla sulle labbra. Terminato il bacio, Nasuada terminò la rotazione, trovandosi petto a petto con lui, le mani incrociate sotto il mento, gli avambracci appoggiati al suo largo torso. Con i suoi occhi felini lo ammirò dal basso. “Mi era mancata questa intimità.”

Lui piegò il capo di lato. “Non abbiamo praticamente mai avuto occasione di stare assieme ma soli… Dunque voglio godermi te e i bambini appieno e liberamente, finché posso.”

Lei chiuse gli occhi per qualche istante, come a voler guardare solamente ai ricordi, senza la distrazione della vista istantanea.

Le strinse le ginocchia sui fianchi leggermente di più, poi le passò le mani dietro, congiungendole nel fondoschiena.

“Sono d’accordo. Non ti ho mai visto così spensierato. Ti ho visto ridere sinceramente più volte in questi giorni che in tutti i momenti da quando ti conosco insieme.” , gli svelò col sorriso.

La strinse ancor di più a sé. “Perché sono felice.” , disse in un soffio, chiudendo anch’egli le palpebre. “Sono felice con te anche a Illirea, ma questa evasione mi ha permesso di riunirmi con il me-bambino, che non attendeva altro che le battute di caccia con Tornac che duravano giorni e giorni. Ci accampavamo nei boschi, cacciavamo e io ponevo un’infinità di domande al mio maestro, e lui rispondeva pazientemente, tranne quando la mia voce faceva fuggire le prede. È tutto finito quando Galbatorix ha deciso che dovessi prendere ufficialmente le vesti di lord.”

Deglutì.

Nasuada gli poggiò le mani sulle spalle, facendosi forza per alzarsi oltre la sua testa. Gli circondò il capo con le braccia, lasciando che lui poggiasse una guancia sul suo sterno. Quell’abbraccio materno servì a risanare anche gli ultimi malumori del Cavaliere, causati dal ritorno alla casa natale, dove non aveva alcun ricordo positivo, ma solamente ombre di cattiverie e sofferenze.

Lo udì sospirare e rimanere in silenzio a lungo.

Deglutì, prima di separarsi da lei di un pollice, guardandola dal basso. Le spostò le mani, circondandole le costole delicatamente.

La regina fece un sorriso timido, abbassandosi per baciarlo con trasporto, dando in silenzio il permesso al marito di tracciarle intricati disegni con le dita lungo i fianchi, la schiena, il ventre.

“Non credi che sia troppo presto?” , le domandò fermandosi per osservarla, pieno di preoccupazione, negli occhi ambrati.

“Ti fermerò, se dovessi farmi male.”

Come un animale con la preda, ma allo stesso tempo con delicatezza, Murtagh si gettò nuovamente in avanti su di lei, prendendola per la vita, le gambe scure che gli circondavano la vita d’istinto. Tirò entrambi in piedi, l’acqua si separò dai loro corpi bruscamente, producendo il rumore di una cascata. Tenendosi la giovane premuta al petto con una mano dietro la sua schiena scura, le  braccia lunghe e sottili di questa avvinghiate al collo esattamente come le sue gambe al bacino, prese una pesante trapunta imbottita di lana, stendendola a terra con un lancio tra il camino e la vasca. S’inginocchiò sul tessuto, piegandosi in avanti per adagiare la regina sulla schiena.

“Potrebbe venire troppo caldo qui, tra qualche momento.” , commentò la giovane tenendo fisso lo sguardo in quello del Cavaliere, che ogni tanto sfuggiva per ammirare la sua pelle.

Nasuada alzò una mano per prendergli le guance tra le dita e reindirizzare i suoi occhi su di lei.

“Milady, come mai riuscite a tenermi testa?” , scherzò con lei, la voce che gli partì così in profondità della gola che parve più provenire dal petto.

“I miei uomini mi chiamavano Furianera. Non ho paura di nulla, Cavaliere.”

“Nemmeno del figlio di Morzan?” , la stuzzicò piegandosi in avanti per baciarle il collo e poi in basso verso il seno. Al primo morso leggero, la giovane fece una smorfia e un grugnito di dolore.

Gli occhi chiari del giovane si spostarono in avanti verso il volto della regina, mentre si fermava preoccupato. Nasuada gli fece prima un sorriso rassicurante, che tramutò quasi subito in uno perverso. “No, non ho mai avuto paura del figlio di Morzan. Tanto che posso ordinargli di non osare avvicinarsi al mio petto.” , scherzò fingendo un tono perentorio.

Con una risatina, il giovane moro prese a tracciare disegni lucenti con la lingua sul suo ventre scuro.

 

Ormai erano sdraiati su quella trapunta da un paio d’ore, dopo il secondo bagno per risciacquare via il sudore. Nasuada riposava accoccolata sotto il braccio del Cavaliere e col capo sul suo petto, sotto una coperta che avevano afferrato l’ultima volta che si erano alzati dal loro sottilissimo materasso per la notte, i due principi che dormivano placidi su quello imbottito di una spanna di paglia. Murtagh fissava il fuoco ammirante e allo stesso tempo distratto dalla vaghezza che seguiva la passione carnale. Si rese conto di quanto simile fosse quella stanza alla sua prigione tra i ribelli, anche se i nani impiegavano mobili di fattura migliore persino per i loro luoghi di reclusione. Ed era anche terribilmente simile al giaciglio che si era creato in quella rupe, nella sua grotta, dove Nasuada lo aveva raggiunto per un ultimo addio.

Un ultimo addio che l’aveva lasciata in una situazione rischiosa, per la sua reputazione e poi per la sua salute, e che era stato l‘unico pretesto abbastanza forte da farli rincontrare e rimanere insieme uno accanto all’altra. Quella volta lei se n’era andata presto, come durante le sue visite nella sua stanza-cella nel Farthen Dur. Avrebbe così tante volte desiderato di saltare in avanti e afferrarle il polso, pregandola di restare a fargli compagnia anche la notte. Ma Murtagh immaginava che lei potesse essere se non sposata, ancora virtuosa a sufficienza da non poterle chiedere tanto. Alla fine però il Destino aveva avuto il suo solito senso dell’umorismo nero con lui, facendo sì che fosse comunque lui, in una situazione simile - anche se per la prima volta erano entrambi liberi - , a prendersi ciò che Nasuada custodiva con ardore per la persona più degna. Lei aveva scelto lui. I loro cuori erano in sintonia sin dal primo momento.

Voltò il capo verso il basso, osservandola riposare tranquilla. Aveva trasferito una parte delle sue energie alla piccola Órlaith, permettendole di continuare a dormire qualche ora in più, e donare alla madre forse una nottata intera di sonno.

Nasuada era cambiata dal loro primo incontro, eppure la trovava ancora bella da togliere il fiato. Come se la bellezza potesse colpire fisicamente e causare dolore. La sua bellezza aveva saputo fargli male, in effetti: sapere, in quella cella e sotto il controllo del re, di non poterla corteggiare e non poterla conoscere meglio, lo distruggeva. Aveva conquistato la fiducia, anche se un barlume soltanto, di Ajihad quando aveva combattuto per i Varden. Si era ripromesso di fare di tutto per poter, un giorno, chiedere la mano della giovane. Ma quelli erano pensieri giovanili, pensieri ancora pieni di speranza. La speranza che il Destino aveva crudelmente infranto. Solo poi, per fargli ripiombare la giovane tra le braccia, costretta con la forza dal Re Nero. I suoi sentimenti per lei non erano mutati, se non per il fatto che si era aggiunta tristezza per la sua sorte, ma mai avrebbe voluto che lei fosse sua in quella circostanza, seppur potesse finalmente dire che fosse sua. Ma Nasuada si fidava di lui a sufficienza da credergli, quando le aveva rivelato che non era concorde nel piano del re di farsi beffa di lei. Avrebbe voluto rassicurarla che l’avrebbe per sempre protetta, ma non si sentiva di fatto suo marito. Il loro legame matrimoniale aveva un sentore ancora troppo solamente formale, mentre quello che li univa di fatto era ancora la prigionia, la cattività. Eppure, nonostante non sentisse su di sé il peso dei doveri di marito, appena aveva udito che la sua amata era in condizioni critiche di salute, aveva lasciato tutto per correre diligentemente da lei. E lei gli aveva chiesto di restare. Gli aveva dato fiducia anche quella volta, leggendo le sue vere intenzioni.

Con la coda dell’occhio, vide Finiarel rigirarsi bruscamente nel letto. Sospirò godendosi ancora per qualche istante il tepore del fuoco sulla sua pelle nuda, poi si piegò vicino all’orecchio della moglie. Le cinse il corpo più stretto con le braccia, facendole percepire il movimento.

“Dovremmo rivestirci e tornare nel letto.” , le sussurrò nell’orecchio.

La giovane stropicciò il volto un paio di volte, prima di inspirare a fondo e aprire gli occhi confusa. “È mattina?”

Lui sorrise scuotendo il capo.

“Allora lasciami dormire!” , protestò fingendo di colpirlo. A volte sapeva essere così poco principesca, ma agli occhi del Cavaliere non era meno bella, meno raffinata. Era vera, non come quelle lady che aveva incontrato in passato, e da cui ora si teneva felicemente alla larga.

“Viaggiare è scomodo di per sé, avremmo bisogno di terminare il sonno su una superficie adatta.”

La giovane fece una smorfia alla sua serietà, alzandosi in piedi lentamente, per evitare capogiri. “Spero che la padrona di casa non abbia sentito nulla.” , mormorò andando a prendere la sua sottoveste che era a cavallo di una sedia, e infilandosela per la testa.

Murtagh la raggiunse, afferrandola in un abbraccio da dietro. “E se anche fosse? Ti vergogneresti?”

“Per quanto il tuo tono mi faccia percepire che il rischio di essere scoperto ti ecciti, piuttosto che spaventarti, non me ne vergogno. Vorrei solo non averla disturbata.”

Murtagh fece un sorrisetto, appoggiando il mento sulla spalla color ebano, accanto al collo. “Ci ho pensato io, sta’ tranquilla. In realtà ricordo ancora traumatizzato la nostra prima notte di nozze ufficiale. Per la prima volta, Murtagh Morzansson ha dovuto ricevere aiuto da una donna per concludere la prestazione.”

Nasuada si voltò per fissarla con le braccia conserte. “Io non sono una donna qualunque. E non mi sembra di lasciarti fare tutto da solo.”

Lui fece un ghigno seducente. “No, sei l’unica donna che sappia mettermi in soggezione, figurati davanti a così tanta gente.” , l’espressione mutò in una delusa, “Ho dovuto ricorrere a vecchi ricordi. Avevi dimostrato di non essere capace di rimanere così immobile come un cadavere.”

“A volte, per il dovere bisogna sopportare.” , gli disse duramente, lanciandogli la blusa.

Poi, fece calare la sua maschera di distacco, ricambiando il sorrisetto furbo. “O trovare un modo per evadere dalle regole, da brava ribelle come sono.”

“Non potevi che decidere di amare il figlio di Morzan…” , disse Murtagh talmente piano che quasi fu impercettibile. Nasuada addolcì lo sguardo, andando ad abbracciarlo. “Ti amerò per il resto della mia vita, Murt. Non c’è mai stato nessun altro capace di guardarmi con disinteresse ma al contempo come se fossi fonte di vita; di amarmi a tal punto da proteggermi ma lasciarmi libera di scegliere della mia vita.”

Rimasero in silenzio a guardarsi, seminudi, per lunghi momenti, finché Murtagh non ridacchiò abbassando lo sguardo sul pavimento. “Quante altre volte dovremo cercare di trasmetterci quanto ci amiamo, a parole, quando le nostre azioni, i nostri corpi, lo sanno meglio delle nostre menti?”

Nasuada gli prese la mano. “È colpa dei traumi passati. Ma io non scomparirò lasciandoti solo, te lo prometto. E so che tu farai lo stesso.”

“Sì."

 

Si svegliarono nel letto assieme ai bambini, a causa del pianto strillante della neonata, che aveva nuovamente fame. Mentre la regina la nutriva, il Cavaliere preparò le bisacce.

“Andiamo via?” , pigolò dispiaciuto il bambino. Il padre gli sorrise. “Sì, ma non essere triste: se ce ne andiamo è solamente per vedere altri posti meravigliosi come questo.”

Il bambino prese a dimenarsi euforico. Il padre gli passò una ciotola con l’avanzo della cena precedente e un paio di biscotti che aveva realizzato per loro l’anziana del piano inferiore.

Terminata la colazione si vestirono e osservarono la loro dimora modesta un’ultima volta, sull’uscio, prima di scendere le scale.

Salutarono con la mano l’anziana, che si mise a piangere rumorosamente. Murtagh strinse Nasuada per la vita a sé, il primogenito con l’altra mano. Anche il principe si lasciò sfuggire qualche lacrima, mentre veniva issato sul carretto dal padre. La renna li riportò dove si erano incontrati la prima volta, lasciando loro il tempo di smontare. Murtagh suonò ancora una volta l’ocarina, impartendogli di riportare come ultimo compito il carretto all’anziana come dono, lanciandogli le fragole che erano state loro date dalla stessa. Ritornarono da Castigo, issando nuovamente le bisacce sulla sella, poi salendovi tutti con l’aiuto esperto di Murtagh.

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Capitolo 74
*** Incontri marittimi ***


Volarono verso Feinster, arrivando in meno di mezza giornata. Oltre la Dorsale, il mare rifletteva la luce dorata del sole. Meravigliata, Nasuada si sporse verso l’orecchio del marito, chiedendogli di atterrare sulla spiaggia per una piccola deviazione. Murtagh accettò volentieri. Con alcune manovre seppur brusche, a causa del forte vento di quella metà mattina, riuscirono ad atterrare su un lembo di spiaggia deserta. Le dune di sabbia erano ricoperte sulla sommità d’erba, e piccoli sentieri recintati da tronchi di legno portavano a casette dal tetto di paglia e le imposte blu di un piccolissimo villaggio, di forse cento persone. Molto più avanti, qualcuno stava arrostendo del pescato sul fuoco, visto il profumo che fece gorgogliare le pance dei viaggiatori.

Per non far aspettare la moglie, Murtagh si slegò le cinghie che lo tenevano saldo alla sella, poi roteò per fare lo stesso con la moglie. Si assicurò che le bende che gli cingevano il torso, premendo la neonata al suo petto, fossero ancora salde, poi iniziò a scendere a terra da una zampa di Castigo.

“È bellissimo… Non l’avevo mai potuto vedere così-” , mormorò Nasuada senza più trovare le parole, prendendogli la mano.

Murtagh ridacchiò. “Non hai mai visto il mare?”

Nasuada si spostò il primogenito nell’incavo del collo, stringendolo a sé mentre smontava dal drago. “Sì, ovviamente. Anche dalla vetta più alta del Farthen Dur si poteva vedere il mare. Poi durante gli spostamenti dei Varden è stato necessario muoversi in nave via mare o via fiume, tuttavia quello che intendevo è che non mi sono mai goduta un momento di pace sulla costa. L’odore del mare la mattina, i suoi cibi prelibati e freschi, il rumore delle onde sulla banchina. No, quelle poche volte che mi sono avvicinata eravamo di fretta, e dovevamo nasconderci, passare inosservati. Rimanere a godersi questa vista era un privilegio che non potevamo permetterci, all’epoca.”

Murtagh annuì comprensivo. “Se ti può consolare, la prima volta che ho potuto vedere io il mare, è stato sul dorso di Castigo.”

Nasuada spalancò le labbra stupita, sentendo il drago ridacchiare. “Praticamente è quasi più tempo che sei un uomo accasato!”

Il Cavaliere fece un sorrisetto, alzando le spalle dopo che Nasuada fu arrivata a terra accanto a lui e gli ebbe lasciato la mano. “Sono un uomo lacustre…”

“Ma se sei vissuto alla capitale dai tre anni in avanti!” , lo rimbeccò scherzosamente la moglie.

“Vero, ma certe cose non le puoi facilmente cancellare dall’Essere di un uomo.”

Nasuada lo colpì delicatamente con le dita sulla spalla, come a scacciarlo. “Mi fai venire mal di pancia dal ridere!”

“È un bene, Amore mio.” , disse in un soffio il giovane, tornando serio ma mantenendo comunque un dolce sorriso sulle labbra. Le tese la mano. “Vogliamo esplorare un po’, prima di cercare qualcosa da mangiare?”

Nasuada accettò, mettendo il figlio maggiore a terra per riprendersi la neonata dal petto del padre. Camminarono sulla sabbia all’inizio incerti, raccogliendo a intervalli regolari il principe dalla rena, dopo le sue cadute dovute al terreno difficile. Trovarono dopo circa un’ora una spiaggia deserta, attraversando una lingua di roccia che si gettava direttamente in mare, interrompendo la sabbia. Sotto essa era stato scavato un tunnel, che Murtagh controllò prima di permettere l’attraversamento. Castigo spiccò il volo, arrivando sull’altra spiaggia prima di tutti. Videro si trattasse di una gola chiusa, e in lontananza era visibile una grossa struttura, forse una fortezza, o un palazzo estivo. I polmoni dei due sposi stavano iniziando a riempirsi di aria pregna di salsedine, facendoli sentire meglio dopo il viaggio e il fresco trovato sulla Dorsale. L’enorme drago annusò l’aria, prendendo a frustare l’aria con la coda.

“Tutto bene, Amico mio?” , gli chiese Murtagh.

Il rettile rimase in silenzio, rapito dai suoi sensi.

In lontananza, una ragazza emerse dal mare e un’enorme creatura si fiondò tra le onde, spaventata da un ringhio subitaneo di Castigo. Il principe la indicò. “Papà, un drago!”

“No, credo sia un Nïdhwal.” , rispose frettolosamente Murtagh, mettendo sulla sabbia il figlio.

Nasuada si allarmò e prese con una mano quella del bambino, per impedirgli di correre in giro.

Il Cavaliere sfoderò Zar’Roc, cercandola nelle bisacce, per poi correre dalla fanciulla a perdifiato.

“Amore mio, allontanati dalla riva e rimani dietro a Castigo!” , gridò all’indietro alla regina.

La giovane ancora di spalle cadde all’indietro nella sabbia, pallida. Indossava uno strano indumento che sembrava essere stato cucito apposta per bagnarsi nel mare, appiccicato addosso, mostrando una preoccupante sporgenza sul suo ventre. Murtagh la raggiunse e le toccò il collo, sentendo ancora la grande vena pulsare. Attento a non ferirla con la spada - che menava in aria disegnando degli archi, per tenere lontano l’animale - , la trascinò prendendola per le ascelle, fino dove era riparata la propria moglie. Non fece in tempo a depositare - seppur lo fece con estrema delicatezza - la donna, che si rifondò verso il Nïdhwal. In quel momento, la creatura squamata che assomigliava a un enorme serpente, saltò in aria e si rituffò indietro nelle onde.

Finiarel rise di gusto, non percependo il pericolo. Nasuada osservò la creatura che avevano salvato, scoprendo che fosse ancora viva.

Tutto fu silente per qualche istante, poi il Nïdhwal usò un’onda per farsi adagiare più avanti sulla spiaggia, mordendo l’aria in direzione della giovane svenuta e i viaggiatori. Castigo mosse la coda, prendendo lo slancio, poi frustò il serpente marino sul collo, proprio all’attaccatura della testa appuntita.

L’animale dalle squame di un blu scuro, quasi nere, arretrò appena, spalancando le fauci e sibilando. Nasuada, che seppe mantenere il sangue freddo, si inginocchiò accanto al figlio, sempre stringendo la bambina al petto. Lo guardò sorridendo, poi indicò una duna piuttosto lontana. “Guarda, piccolo, Castigo e papà ti vogliono far assistere a un loro allenamento con quel drago di mare! Dobbiamo però allontanarci per non farci male.” , gli mentì con tono rassicurante.

Il bambino sorrise debolmente, perdendo in parte la paura che gli era ammontata, nel sentire i versi feroci dei due rettili. Le strinse con più forza la mano, seguendola velocemente e in modo obbediente. Lo mise a sedere ai piedi della duna, poi provò a scavare una conca poco profonda per la neonata, ma la sabbia rotolava nel buco appena la spostava. Così, decise di avere una sola opzione. Si accucciò sui talloni, davanti al bambino, facendogli scivolare la sorella tra le braccia, sistemandole poi perché non le facesse male. “Vado a prendere l’altra donzella. Tu tieni tua sorella e non muoverti, da bravo fratello maggiore. Io torno in un lampo.”

Il bambino annuì, spostando su e giù i capelli neri, che gli ricaddero sugli occhi chiari. Nasuada prese a correre verso la donna, senza però dimostrarsi preoccupata. Si sentì come durante la corsa di riscaldamento prima degli allenamenti. Si voltò persino a salutare il figlio, rimpiangendo la scelta quando sfilò un braccio da sotto la neonata per ricambiare. Fortunatamente, Órlaith era stretta nella sua coperta, perciò non si spezzò la schiena. Nasuada prese la donzella come aveva fatto il marito prima, trascinandola via, osservando Murtagh menare fendenti in aria alla bestia a cui probabilmente avevano sottratto il pasto.

L’attaccò più volte, facendola arretrare, fino a quando la creatura non fu immersa nelle onde a sufficienza da essere instabile, costantemente tirato indietro dalla risacca. Lasciò la posizione da fiera feroce, per assumerne una molto più maestosa, dimostrando la sua intelligenza.

Ridatemela. Aveva espresso il desiderio di morire in mare, perciò io, che sono lo spirito di questa distesa di acqua, ho il dovere di divorarla! , tuonò la creatura nelle loro menti.

Castigo sussultò. Non pensavo parlassero.

Prima i Fanghur, poi queste altre bestie... non eravate sufficienti voi draghi?! , sbuffò Murtagh, menando l’ennesimo fendente.

La varietà è più interessante...

Il Nïdhwal siblilò offeso. Ve lo ripeto: ha già pronunciato la sua rinuncia alla vita, in favore delle creature del mare. Non avete alcun diritto di far arrabbiare le divinità marine!

Il drago cremisi aprì le ali, sputando fuoco in aria. Un Nïdhwal non è una divinità marina, come non lo siamo noi draghi, del cielo!

Il serpente marino enorme lo attaccò al collo, facendo cadere grosse gocce di sangue bollente sulla sabbia. Con un verso terrificante, Castigo si lamentò ma lo attaccò a sua volta, non lasciando il tempo a Murtagh di fermarlo. Rotolarono assieme numerose volte, persino nell’acqua, sollevando sabbia o spruzzi di liquido cristallino talmente in alto da sembrare esplosioni vulcaniche.

Durante lo scontro, Nasuada continuò a stringere a sé il figlio, che ormai si era appassionato a quella lotta altamente adrenalinica. Le sembrò di tornare indietro, di percepire ancora la paura mista a curiosità degli scontri tra Saphira e Castigo sulle Pianure Ardenti, mentre a terra combattevano i soldati. Ma come allora, non aveva tempo da perdere. Si tolse la cappa, avvolgendo la giovane in essa, attenta a non farle assumere strane posizioni.

La ragazza avrà anche espresso la volontà di morire, ma dentro di lei vi è una seconda vita, che non ha deciso, e non può farlo, se vuole vivere o meno. , fece notare Nasuada con forza al marito.

Murtagh si voltò a guardarla da lontano, poi annuendole in ringraziamento. Corse a pararsi tra i due animali, allargando le braccia, facendo sussultare la moglie dalla paura. Ovviamente, Castigo fu il primo a bloccarsi, per evitare di schiacciare o ferire il suo Compagno-di-Cuore-e-di-Mente. Lo seguì curioso anche il Nïdhwal, arretrando nel mare per reidratare nella pausa la sua pelle.

Ad alta voce, il Cavaliere ripeté le parole di Nasuada, facendo emettere un ringhio basso di dissenso al serpente marino. Castigo balzò in volo, spostandosi accanto al Cavaliere, allargando nuovamente le ali verso il rivale, per mettergli paura con la sua mole.

Quindi avete intenzione di rubarmi il mio tributo?! , disse con rabbia l’animale.

“Non posso permettere che un bambino che non può decidere per sé venga sacrificato da sua madre.”

E sua madre, per voi quadrupedi è proprio colei che può decidere in ultimo dei suoi cuccioli. , protestò il Nïdhwal.

“Sì, ma non è lucida per poter decidere coscientemente. Se la lascerai andare, ti darò la mia parola di Cavaliere che non interverremo più nella tua caccia.”

Castigo gli sibilò nella mente, nel loro angolo privato. Hai intenzione di fargli continuare a comportarsi come una divinità che non è?! Se sapesse qual è il suo posto, non sarei ferito, e tu non avresti dovuto combattere in una giornata così placida con la tua famiglia.

Murtagh sospirò.

Non possiamo solo reagire alle situazioni, dobbiamo iniziare ad agire con un piano, uno schema, un obiettivo. Abbiamo salvato quella ragazza e il suo bambino oggi, per puro caso, ma finché ci saranno esseri impertinenti come questo Nïdhwal che credono di essersi innalzati a divinità, il mondo non sarà mai un posto sicuro, né giusto. , continuò il rettile rosso, appassionato.

Il Cavaliere rimase immobile, spaventato dopo tanto tempo. Prima di divenire Cavaliere, con lo sprono costante di Castigo, era sempre stato un bambino e poi un giovane uomo riflessivo e immobile. Raramente regina d’istinto, preferendo soppesare per eccessivo tempo, perfino, le opzioni che gli si presentavano davanti. Talvolta arrivava tardi, quando il fuoco sera già spento, e le sue azioni sarebbero solamente state tali, e non reazioni.

La paura di reagire datava ai tempi della sua infanzia, a quegli incontri con Morzan in cui egli gli poneva domande troppo difficili per la sua età, e alzava la spada, o le braccia per colpirlo. E Murtagh affondava solo il collo nelle spalle, chiudendo gli occhi e attendendo che tutto finisse.

“Sono qui a chiederti di andartene, poiché sono in svantaggio di forza: ho due bambini piccoli e due donne da difendere con le mie sole forze. Ti prego di ascoltare clementemente la mia richiesta, e abbandonare la tua preda, questa volta.” , disse al Nïdhwal.

Castigo ruggì ferocemente. A che gioco stai giocando? Sei in svantaggio?! Sono diventato trasparente, per caso?! O sono morto e la mia coscienza è relegata nel mio Eldunarì senza che mi renda conto di non avere più un colossale-corpo per combattere una lucertola-marina?!

Murtagh s’accigliò. Amico mio, ho il compito di proteggere Nasuada, i miei figli e quella ragazza dal pericolo, specialmente evitare di essere io con le mie mani a farceli ricadere.

La giovane rantolò tra le braccia di Nasuada, allora il drago marino si lanciò in avanti per riprendersi la preda. Murtagh sussultò, essendo proprio là staccionata la sua famigliola. “Nas, spostati!” , le gridò, ma fortunatamente Castigo allungò il collo, afferrando il rettile per la pancia e bloccandolo. Le zanne si erano conficcate così a fondo, che lasciare la morsa sarebbe sicuramente risultato fatale per l’animale cosciente. Murtagh lo osservò con la bocca spaventata, senza fiato.

Con un sibilo, il Nïdhwal si divincolò, lacerando peggio le ferite. Lasciami andare, Bjatsukar!

Non posso… , mormorò Castigo, cosciente che ormai ogni sua azione avrebbe causato la sua morte a ogni modo.

Grosse cascate di sangue bollente e verde sgorgarono sulla sabbia, e ben presto l’animale iniziò a percepire la debolezza crescente. Oh… sto morendo? , chiese voltando il collo verso l’enorme drago. Questo chiuse le palpebre lentamente, volendo comunicare la sua conferma dolente.

Il Nïdhwal aprì le fauci, mordendogli il collo, anche se non con sufficiente forza rimasta da causare danni significativi a Castigo. Ero venuto a reclamare una vita, ma l’unico che la perderà per certo, oggi sarò io.

Una lacrima solitaria cadde sulla guancia di Murtagh, dispiaciuto per la morte dell’animale come quando pensava alla morte e all’uccisione violenta, in particolare, di tutti i draghi che avevano preceduto Castigo, Saphira, Fìrnen e Gintaré.

Il serpente magico s’accigliò. No, la mia missione deve essere compiuta a ogni costo, o le Divinità dei mari cercheranno vendetta. , iniziò a parlare nell’Antica Lingua, Io condanno quell’umana a non vedere sorgere tre soli oltre a oggi.

“No!” , gridò Murtagh, ma le parole del Nïdhwal furono velocissime quanto era la sua figura in acqua, e quella di Castigo in aria. Non fece in tempo l’eco a giungere alle sue orecchie incassate nel cranio, che il collo cadde con un tonfo abbandonato sulla sabbia.

Castigo aprì le fauci, lasciando cadere anche il resto del corpo, avvicinandosi al mare per mordere le onde e lavare via il sangue. Grossi pesci si avvicinarono come sciacalli d’acqua, ma furono spaventati dalla massa del drago.

Murtagh guardò al cielo grugnendo e sfogando la frustrazione. “Perché? Che bisogno c’era di maledirla così?” , sussurrò tra sé, cercando di non allarmare la moglie.

Si spostò dalla famiglia, scivolando talvolta nella sabbia che scivolava sotto i suoi piedi, le orecchie che fischiavano a forza di pensare a controincantesimi che potessero non renderla immortale. “Come sta?” , chiese dopo essersi assicurato con uno sguardo esperto che nessuno fosse ferito. Nasuada alzò le spalle. “Ancora incosciente.”

Murtagh si avvicinò al suo Compagno senza parlargli - cercava di non pensare che la colpa della maledizione fosse dovuta al morso eccessivo di Castigo, a sua volta dovuto al suo risentimento per l’animale - , prendendo dalle bisacce una borraccia con l’acqua - resa fredda dalla temperatura dell’aria, all’altitudine di volo - . Tornò dalla moglie, chiedendole di mettere le mani a coppa. Le versò dell’acqua e le chiese di lavare il volto alla giovane, poiché sarebbe sicuramente stata più delicata di lui.

Al passaggio delle mani della regina, la ragazza aprì gli occhi, lamentandosi come avesse dolore in tutto il corpo.

Il Cavaliere l’aiutò a sedere delicatamente.

La giovane era piuttosto pallida e abbacchiata, tuttavia improvvisamente Murtagh la riconobbe. Aveva già parlato con lei a corte. “Duchessa Ezefrina, come vi sentite?” , chiese con voce roca, che minacciava di morirgli in gola per colpa della sensazione - come se un nodo impedisse il passaggio dell’aria - che lo torturava.

Lei si stropicciò gli occhi, sorridendogli, ignara di tutto. “Duca Murtagh! Che sorpresa trovarvi qui… Cosa siete venuto a fare a Feinster?”

Nasuada alzò un sopracciglio al loro tono confidenziale, lievemente ingelosita.

Il Cavaliere passò alla duchessa anche il suo mantello più pesante attorno alle spalle. Era tormentato da qualcosa, e la moglie poteva vederlo chiaramente.

“In realtà una visita al mare con la mia famiglia, ma in pratica siamo arrivati e subito venuto a salvarvi.”

La giovane sospirò, tenendo gli occhi sulla sabbia. “Siete sempre stato molto cavalleresco… anche prima di divenire Cavaliere.”

“Nessuna altra lady di Uru’Baen avrebbe mai avuto l’ardire di dire lo stesso.”

“Per loro eravate solo un desiderio proibito, e i vostri rifiuti le rendevano poi quasi in collera con voi.” , gli rispose con voce malinconica.

Per caso eravate confidenti, tu e la duchessa? , chiese Nasuada al marito con una punta di stizza.

Non come la maggior parte delle lady a cui ha fatto riferimento… No, Ezefrina è sempre stata diversa, esattamente come me. Ci accomunava la nostra voglia di fuggire dalle occasioni mondane, e spesso l’ho incontrata per due parole nelle stalle reali. Purtroppo poco dopo il re propose a lady Lorana un buon partito per Ezefrina, e lei non si presentò mai più a corte. , le rispose con tono pieno di profondo rammarico, tanto che Nasuada dovette abbandonare la gelosia, poiché percepì che davvero non avesse di che preoccuparsi.

Nasuada si spostò accanto al marito, comunque con un sorriso per la sventurata. “Ora siete libera dal pericolo.”

Lady Ezefrina alzò lo sguardo allarmata, mentre Murtagh rabbrividiva involontariamente. “No, non lo sono. Solo la morte potrà liberarmi.”

I due sposi sussultarono a quelle parole. “Di cosa state parlando?” , chiese la regina.

Gli occhi della più giovane si riempirono di lacrime. “Mio marito è morto a causa della maledizione della mia famiglia.” , piagnucolò spostandosi poi le mani sul ventre rotondo, “E peggio ancora un mago ha sondato questo bambino, scoprendo che si tratterà di una fanciulla. Le nostre due casate sono destinate a morire... Perciò perché non farlo subito, senza far soffrire la mia bambina ulteriormente?!”

Nasuada strinse di riflesso a sé la neonata. “Lady Ezefrina.” , la chiamò poi duramente. Murtagh guardò altrove, percependo il tono della moglie che usava per risollevare il morale a chi ne necessitava. Ma lui sapeva che per lei nulla si poteva tentare, per salvarla.

La giovane alzò gli occhi d’istinto, senza paura, allora la regina le spostò una mano sulla spalla. “Conosco vostra nonna da molti anni, e nessun uomo è riuscito a portare una casata così in alto come ha fatto lei. Non dovete pensare di essere inutile, o la vostra bambina. Siete ancora giovane, non è ancora giunta la vostra fine.”

Ezefrina scosse il capo. “Non voglio un altro marito, se è quello che state insinuando che possa ancora accadere. Onestamente non mi aspettavo di trovarmi davanti la regina in persona, in un momento orrendo come questo, per me…”

La regina le sorrise. “Non voglio imporvi nulla, nonostante avrei il potere di farlo. Potete stare tranquilla. Voglio solo rassicurarvi che anche se in questo momento la vostra mente vi può urlare che non vi è più nulla da fare, non è così.” , disse voltandosi verso Murtagh, “Quando ero prigioniera sono arrivata anch’io a chiedere al mio stesso marito di aiutarmi a mettere fine alla mia vita, se le speranze fossero svanite tutte. Ma come per me allora, e così per voi ora, non è giunto il momento di compiere quel passo. Avete vostra figlia, che è ancora una vostra speranza. Poi avete lady Lorana, una casa e vivete in un tempo di pace e prosperità.”

Il Cavaliere annuì brevemente e con distacco, confermando comunque il punto della moglie. La videro rabbrividire, allora lui scostò il mantello pronunciando alcune parole poi nell’Antica Lingua, per asciugare il suo strano costume.

“Come vedete, anche noi abbiamo avuto una bambina due mesi or sono.” , continuò raccontandole con un sorriso, scostando il telo che cingeva Órlaith, “Lei ha il diritto di vivere tanto quanto suo fratello nato maschio. Se voi non volete più andare avanti, almeno date la possibilità alla vostra bambina di vivere. Sarà lei a decidere della sua vita, come voi della vostra.”

“Donatele almeno la vita, così che possa vivere con lady Lorana e crescere al sicuro.” , la supplicò Murtagh aggiungendosi dopo la moglie, “Non posso più sopportare di vedere degli innocenti bambini morire per le colpe di noi adulti!”

Nasuada lo guardò di sottecchi con aria confusa.

La duchessa scosse il capo, lasciando che una lacrima le rigasse la guancia. “Lorana non è come sembra all’esterno. Non voglio che la mia bambina viva con lei.”

Il Cavaliere sospirò. “Non dovrà vivere con la famiglia di vostro marito?”

“Erano tutti morti ancor prima che ci sposassimo. Rimane solo il suo bis-nonno, ma a differenza di Lorana, la sua mente non è più capace di intendere né volere. Significherebbe lasciarla in balìa degli altri nobili, come siete stato lasciato voi da bambino, lord Murtagh.”

Murtagh fece guizzare i muscoli della mascella, colto dal ricordo a cui si riferiva la giovane.

La duchessa alzò gli occhi sulla regina e il Cavaliere, con un bagliore nelle pupille. “Non potreste occuparvene voi?”

Nasuada si bloccò qualche istante, poi addolcì lo sguardo. “Ti prometto che la proteggeremo sempre.”

Ezefrina si tranquillizzò, spostandosi le mani sotto al mantello, all’altezza del ventre. “Con la vostra parola sono allora sicura che avrà una vita migliore della mia.” , pronunciò con decisione, “Questa bambina vivrà.”

Il Cavaliere guardò il mare con un’espressione talmente dolente che pareva al capezzale già di un moribondo, poi la moglie e infine la duchessa. Le spostò un braccio dietro le spalle, l’altro sotto le ginocchia, alzandola dalla sabbia. “Rimanderemo la nostra visita al mare a più tardi. Ora vi riporteremo a casa.” , disse frettolosamente.

Nasuada annuì d’accordo e prese la mano di Finiarel, poi si tirò in piedi, la neonata al petto. Non v’era tempo da perdere: la duchessa avrebbe potuto cambiare idea, e abbandonare il convincimento che avevano esercitato su di lei i due sposi, terminando il suo obiettivo di togliersi la vita. Mentre tornavano al castello dove risiedeva la sua conoscente di lunga data Lorana, Nasuada ripensò ai mesi in cui aveva scoperto della sua prima gravidanza, di come avessero tutti tentato di imporle di sbarazzarsi del bambino. Sarebbe stata la scelta più facile, dunque la giovane dalla pelle d’ebano riuscì finalmente a empatizzare con la duchessa suicida, abbandonando la rabbia materna che ribolliva nei suoi confronti. Lei stessa avrebbe rinunciato alla sua vita, nei tempi più bui che aveva mai incontrato, eppure non si capacitava come in quel momento di pace e benessere, la giovane potesse essere ancora così instabile mentalmente. Lasciandosi scappare una lacrima, si promise che l’avrebbe protetta, poiché lei era riuscita a rimanere forte, ma fu costretta a riconoscere di aver avuto un enorme privilegio, siccome molti altri di fronte alle difficoltà, si erano lasciati trascinare tra le onde della disperazione, e qualcuno ancora lo faceva. Ezefrina doveva essere una di loro. Magari durante la Guerra aveva subito ferite invisibili che non erano state curate, e ora la tormentavano fino al punto di mettere a repentaglio la propria vita e il futuro di sua figlia.

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Capitolo 75
*** La fine dell'idillio ***


Quando atterrarono davanti al castello di Feinster, sulla collina che dominava la città, Ezefrina stava tremando come una foglia, febbricitante. Castigo si era spinto al massimo, facendo durare il volo meno di un’ora, mentre Murtagh riscaldava la duchessa con la magia.

Nasuada fissava il marito con la ragazza incosciente tra le braccia, preoccupata e lievemente alterata. Dall’ultima gravidanza, e specialmente dopo il parto, la sua mente talvolta vagava a briglie sciolte, senza che lei potesse fare nulla per tenerne le redini e arginare la negatività che inevitabilmente l’assaliva ogni tanto.

Puoi stare tranquilla, Magnificenza: se fossi al posto di lady Ezefrina, Murtagh avrebbe già ribaltato il mondo per te. , intervenne il drago nella sua mente, percependo i suoi pensieri negativi.

Sei sicuro che ora che la mia attenzione deve essere maggiormente riversata sui bambini, lui non si senta trascurato, e non cerchi premura per lui altrove?

Il drago la inondò di risentimento, una reazione che non aveva mai avuto con lei. Nasuada sussultò allora.

Lo sono, perché è il mio Compagno-di-Cuore-e-di-Mente. Tuttavia è scorretto chiedere a me di riportarti i suoi segreti. Lui ti ama, basterebbe chiarire la questione con lui direttamente.

La regina continuò a osservarlo mentre - dopo l’atterraggio - scendeva frettolosamente dalla sella, come dimenticandosi di lei e dei bambini, per consegnare la duchessa a due guaritori che erano accorsi assieme ai domestici.

Capisco che possa sembrarti disinteressato a te in questo momento, ma è un Cavaliere, e salvare i bisognosi è ciò che gli è richiesto.

Nasuada sospirò, cercando di tranquillizzarsi accarezzando i capelli sottili ancora, della neonata.

Murtagh osservò per tutto il tempo il percorso degli uomini di lady Lorana, finché non scomparvero dentro la porta del castello. Quando furono rimasti soli, non tardò a riscuotersi con un profondissimo sospiro di sollievo e voltarsi verso la regina, il volto che non aveva perso la preoccupazione. Si arrampicò fino alla sella, sedendosi davanti alla moglie. Le sorrise caldamente, ma Nasuada non rispose allo stesso modo. Le sue labbra allora tornarono in una linea piatta. “Perdonami se ho dovuto interrompere il tuo primo momento al mare, ma lady Ezefrina aveva bisogno di aiuto.”

La ragazza dalla pelle d’ebano scosse il capo, scacciando le sue parole. “Non è questione di un mio capriccio. Non c’entra nulla il mare…”

“E cosa, allora?”

“Mi ami ancora?”

Lui sussultò alla domanda, sbarrando gli occhi come un cervo davanti al cacciatore. “Perché mi chiedi questo?”

Nasuada guardò verso la città per non dover sostenere il suo sguardo da cucciolo. “Voglio sapere se ti senti messo da parte per colpa dei bambini.”

Murtagh emise un colpo di risata amara.

Le prese le guance tra le mani, voltando delicatamente il suo volto perché lo guardasse negli occhi. “Posso immaginare perché tu mi stia ponendo ora questa domanda, e francamente - lasciatelo dire da persona adulta e matura a un’altra - sì, si tratta di un tuo capriccio.”

Sospirò frustrato, facendo una pausa di qualche istante. “Ho dovuto aiutare una giovane, come avresti fatto anche tu, ma questo non significa che non ti ami più. Averti portata con me in questo viaggio dovrebbe dimostrartelo!”

Nasuada fece una smorfia, imbarazzata e mortificata dal suo comportamento. “Mi sono ingelosita quando ho visto le attenzioni che hai riservato a Ezefrina. Avevo paura che le mie attenzioni solo ai bambini ti avessero allontanato.”

Lui piegò il capo di lato. “È giusto che tu presti le dovute attenzioni ai bambini, ma ti assicuro che non mi sento abbandonato né per questo motivo né per null’altro. Sei venuta a liberarmi, mi hai seguito in un viaggio in cui ho notato fossi costantemente fuori dalla tua zona di benessere, e questi sono solo i doni che mi hai fatto recentemente. Perché dovrei aver smesso improvvisamente di amarti?!”

Lei si lasciò scappare una lacrima di sollievo.

Murtagh si sporse per baciarla sulle labbra, con trasporto, dimostrandole di non desiderare altro nella vita che rimanere con lei. “Ti amo, Nas! Ogni giorno di più, non di meno.”

La regina sorrise scoppiando a ridere per quanto fosse stata stupida.

“Senti, c’è una cosa che non ti ho detto…” , continuò lui con espressione dolente.

“Dimmi, senza indugio!”

Aprì la bocca per risponderle, quando una voce ai piedi di Castigo li chiamò. “Vostra Maestà, Cavaliere, avete intenzione di scendere, o di continuare ad amoreggiare come giovani ancora in fase di corteggiamento?”

Era la voce - ma soprattutto il tono acido, e quella volta lo era particolarmente - di Lorana.

“Non ora… non posso.” , le sussurrò con occhi eloquenti. Nasuada capì si trattasse di un segreto da celare alla duchessa.

Con prontezza Murtagh prese Finiarel, slegando con una mano sola i lacci che legavano ancora Nasuada alla sella. L’aiutò a discendere come da un pendio scosceso, ma fatto di squame e non di ciottoli rotolanti, ritrovandosi davanti alla lady con le braccia conserte.  Guardandola bene, non era scontenta o arrabbiata come suo solito, ma negli occhi le luccicavano le lacrime, il suo labbro inferiore tremava dal dolore leggermente, poiché stava lottando visibilmente per mantenere la compostezza. Li squadrò stranita nei loro abiti anonimi, poi fece un cenno verso l’interno. “Vi ringrazio per aver riportato mia nipote. Accettereste di essere ospitati qui nella mia dimora? Non posso offrirvi oro che già non possediate in maggiore quantità, o la mia fedeltà perché essa risiede in Nasuada da anni.”

Gli sposi assentirono, seguendo lei e i domestici all’interno. Assegnò loro degli appartamenti ben arredati e caldi per la neonata, scusandosi di doversi subito assentare per vegliare sulla duchessa. Fu alla cena che ricevettero la notizia che la febbre di Ezefrina si era aggravata. L’umore del Cavaliere e della regina si fece nero, e accordarono unanimemente che fosse il caso di interrompere il viaggio.

La mattina, quando si recarono nel salotto di Lorana, invitati dalla stessa per rompere il digiuno della notte, la trovarono terribilmente irritata, tanto che osò non salutare nemmeno la regina quando la vide arrivare. Murtagh e Nasuada si accomodarono di fronte a lei, nel tavolo rotondo che era stato allestito con molti cibi salati e dolci, notando che per la prima volta, Lorana aveva perso l’appetito. Il silenzio aleggiò per molto tempo, finché non fu Murtagh a romperlo.

“Milady, posso sapere della salute di vostra nipote?”

La donna alzò gli occhi di scatto, feroce come un animale selvaggio. Finiarel si fece piccolo al petto della madre, accanto alla sorellina. “Mamma?” , la chiamò sussurrando, tremendamente spaventato, “Ci farà del male?”

Si piegò verso il suo orecchio con lentezza, senza perdere di vista Lorana. “No, piccolo, che domande! Sua nipote, sta male. Ti ricordi la ragazza di ieri, della spiaggia?”

Il bambino annuì piano, poi tornò a guardare Lorana, percependo la tristezza nei suoi occhi. “Mi dispiace.” , mormorò con voce mesta.

La donna l’udì e si nascose il volto tra le mani, singhiozzando. Murtagh si alzò dalla sedia subito, per andarsi a inginocchiare davanti a lei. Le rubò le mani, tenendole nelle sue - e ignorando galantemente l’umidità delle lacrime che bagnarono anche i suoi palmi - . “Vi prometto che salverò vostra nipote.”

La donna scosse il capo, chiudendo gli occhi, grandi lacrime che ripercorsero la strada lucida di quelle precedenti, fin sotto il suo mento rugoso. “Non si salverà, la febbre è troppo alta. I guaritori hanno deciso che solo una delle due sopravviverà.”

“Ezefrina o la bambina?” , chiese in conferma il Cavaliere, scioccato dalla notizia. La vecchia annuì con il capo. Murtagh strinse di più le sue mani. “Abbiamo promesso che avremmo protetto la sua bambina.”

Lorana tirò su col naso rumorosamente. “Anche io ho deciso di salvare la piccola. Ezefrina non aveva più la forza vitale necessaria per sopravvivere bene in questo mondo.” , mormorò, sfilando le mani da quelle del ragazzo moro, stringendosele al cuore, “Spero ardentemente che almeno la piccola sia diversa da sua madre.”

Murtagh la guardò dritto negli occhi. “Sono sicuro che se sarete voi a crescerla, sarà forte.”

Lorana piegò il capo di lato. “Credevo doveste essere voi a crescerla.”

La regina aprì la bocca. “Non abbiamo detto questo a vostra nipote. Abbiamo un protetto a Illirea, e accogliere anche la bambina le darebbe da subito una reputazione sbagliata: a differenza di lord Derrel, per lei non è necessario allontanarla dalla famiglia d’origine.”

“Allora come pensate di proteggerla a distanza?”

Il Cavaliere voltò il capo verso la moglie. “Potremmo assicurarvi che una volta adulta non cada nelle mani di un lord manesco o perfido.”

“Sono capace di organizzare matrimoni convenienti, non ho bisogno che la regina interceda per quello!” , sentenziò acidamente l’anziana.

Murtagh scosse il capo, guardando con più intensità Nasuada. La regina sospirò, poi annuì solamente al marito.

Si rivolse a Lorana direttamente. “Potremmo pre-arrangiare una promessa di matrimonio tra la bambina e nostro figlio, il principe.”

L’anziana scrollò le spalle, alzandosi poi lentamente in piedi. “Devo andare da lei, ora. Potrete comunicarmi la vostra proposta dettagliatamente più tardi.”

Lorana doveva davvero essere distrutta, perché mai avrebbe ritardato di accettare una proposta politicamente così invitante. Murtagh si alzò quando furono soli, andando accanto alla moglie.

“Ascolta: devo condividere con te questo, prima che mi divori del tutto da dentro.”

Nasuada annuì per farlo continuare.

“Il Nïdhwal, prima che morisse ha-” , la voce morì strozzata dalla deglutizione, “…maledetto lady Ezefrina. Morirà prima di tre giorni, e non possiamo farci nulla.”

“Intendi maledetto come Eragon ha fatto con Elva?” , sussurrò incredula la giovane dalla pelle d’ebano. Il marito annuì con le lacrime agli occhi. “Lei non era nessuno di particolarmente caro per me, ma… sapere di non poterla salvare mi sta distruggendo.”

Nasuada appoggiò il figlio a sedere sulla sedia lì accanto, affidandogli nuovamente la sorella, poi prese il capo del marito tra le braccia, tirandolo al suo petto. “Non è facile avere sempre tanto potere tra le mani e trovarsi impotenti, a volte. Ma è normale, e ciò che possiamo fare è davvero rendere la vita della bambina più felice di come ha vissuto sua madre, e fare in modo che non arrivi mai a voler compiere un tale gesto.”

Murtagh annuì, inspirando rumorosamente. Alzò le braccia, a sua volta tirando la moglie in un abbraccio.

 

Mentre passeggiavano in silenzio nei giardini, lasciando il principe correre sulle sue gambe inesperte sull’erba, e ogni tanto cadere sul sedere ben imbottito, venne annunciata loro la nascita della piccola Èleuthera. Affidarono i principi a delle domestiche che passavano lì intorno, tanto avrebbero avuto sufficiente cura dei principi da non far loro accadere nulla - per paura delle ripercussioni su loro stesse, nel caso - , più che per il loro addestramento ad accudire bambini nobili, poi corsero all’interno, chiedendo dove fossero gli appartamenti di Lorana. Vennero scortati dal castellano in persona davanti a una grande porta a due battenti di legno, da cui proveniva un leggero grugnito prolungato. Entrarono, trovando Lorana accanto al corpo della nipote, coperto da un telo bianco, tra le sue braccia un fagotto con una piccola creatura dai capelli rossi. Sorrisero involontariamente quando la videro, poi tornarono seri, viste le circostanze.

Lorana alzò gli occhi su di loro. “Mio figlio era un debole, e così è stato per sua figlia. Ma Èleuthera imparerà tre volte la dose di forza che serve a un individuo per sopravvivere in questo mondo. È il mio compito, negli anni che mi restano.”

Murtagh e Nasuada annuirono debolmente e sperarono che la loro proposta venisse dimenticata, cancellata dalla perdita della nipote. Sapevano fosse un pensiero meschino, ma subito dopo aver mosso l’idea di promettere in sposo anche un bambino di un anno e poco più, se ne erano già pentiti.

Lorana guardò la piccola, sfiorandola con una mano rugosa. “So per cosa siete venuti.”

La regina deglutì rumorosamente, stringendo con più forza il gomito del marito.

“Avete promesso di proteggerla: e così vi costringerò a fare. Accetto la vostra proposta, promettendo questa bambina al principe Ruaidhrì, perché siano un giorno marito e moglie.”

Nasuada sospirò, annuendo. Dall’esterno doveva sembrare sollevata.

Il marito si spostò una mano sul petto, augurando felicità alla neonata, poi si voltò indietro e a grandi falcate uscì all’esterno, per sbollire tutte le sensazioni negative che aveva accumulato in quegli ultimi giorni. Nasuada sapeva che non era necessariamente solo la rabbia per aver promesso la vita di uno dei loro figli per la seconda volta in un paio di mesi, perciò lo lasciò andare.

Camminò anche lei per tutto il castello per smaltire la vergogna che provava. Sapeva che ogni nobile genitore nel passato e nel futuro avrebbero fatto esattamente quello che aveva fatto lei, ma non riusciva comunque a non chiedersi se fosse giusto plasmare a tal punto la vita del figlio. D’altronde, suo padre le aveva fatto il favore di non combinarle mai un matrimonio.

Si riunì con Murtagh nelle loro stanze, trovandolo sul davanzale a fissare il vuoto. Si accostò a lui, appoggiandogli il capo su una spalla. Aveva già ripreso Finiarel dalla domestica che lo aveva guardato quel pomeriggio, e il piccolo era assopito tranquillamente tra le sue forti braccia. Alzò gli occhi azzurro-ghiaccio su di lei. “Non voglio riportare l’argomento a galla fino a quando i nostri figli non saranno in età da matrimonio, ti supplico.”

Nasuada annuì, spostandosi a dargli un bacio alla tempia. “Te lo prometto: cercheremo di non parlarne più fino ad allora.”

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Capitolo 76
*** Ritorno ***


Ripartirono dopo appena un paio di settimane, ritornando a Illirea dopo essersi assicurati che la duchessa fulva superasse la fase più critica dopo la nascita. Il ritardo del loro ritorno ormai era evidente, e di sicuro a Illirea ci sarebbero state delle ripercussioni - seppur lievi - sulla coppia di sposi. Il viaggio fu silenzioso e pieno di malumori, esattamente come era stato per la loro partenza da Illirea, alla volta di Dras-Leona. Vedendo però in lontananza la città rifiorita, nei due giovani ritornò finalmente la nostalgia del luogo dove avevano coltivato e approfondito il loro amore, e ancor più importante, avevano dato vita a due meravigliosi e amorevoli bambini. L’atterraggio fu agevole come sempre, nostalgico come tutto il resto del paesaggio, delle costruzioni e delle persone che li circondavano.

Smontarono dal drago in velocità, cercando di evitare di incontrare l’arrivo dei primi servitori ad accoglierli. Salirono lo scalone, entrando direttamente nelle loro stanze. Finiarel iniziò a saltellare contento di rivedere quel luogo familiare, correndo infine fino alla sua stanza per afferrare alcuni giocattoli. Farica entrò in silenzio, avanzando per baciare e abbracciare la figlia adottiva con affetto, ma anche una strana punta di sostegno.

Le affidarono i bambini dopo essersi scambiati alcune frasi che fecero involontariamente ritorcere le viscere della regina, come quando da bambina era conscia di aver fatto qualcosa di male, e anche che la sua domestica lo sapesse e l’avrebbe presto sgridata.

Nasuada si avviò, seguita dal marito, per riprendere il suo posto sul suo trono, ma nella sala del Governo trovarono i Consiglieri riuniti, visibilmente in attesa della loro riapparizione. I due sposi si arrestarono improvvisamente, come se avessero colpito un muro invisibile.

“Mia regina, il vostro ritorno ha subito un ritardo.” , iniziò con aria superiore Umérth.

“È un piacere vedervi già tutti qui pronti a discutere questioni del regno con me, e ad aggiornarmi su quanto mi sono persa. Per quanto riguarda il ritardo, abbiamo avuto questioni urgenti da sistemare a Dras-Leona e poi a Feinster.” , rispose la giovane dalla pelle d’ebano, fingendosi calma e contenta di vederli.

Un sibilo attraverso i denti - segno di contrarietà - partì da Flaithrì. “Non accetteremo menzogne in questa sede!” , sentenziò duramente.

Maeve era in piedi dietro Falberd - notò Murtagh - , con lo sguardo colpevole ma al contempo orgoglioso. Ovviamente la colpevole doveva essere stata lei.

“Il tradimento è un grave reato, Maeve.” , la minacciò lui, senza sfoderare però il suo tono più spaventoso di cui era capace.

L’atteggiamento che assunse ricordò al Cavaliere improvvisamente quello di una nobildonna, non di una semplice serva. “Siete come figli per me, e i vostri figli come preziosi nipoti, dunque non potevo non avvertire e allarmare il castello… Abbiamo dovuto tenervi d’occhio.”

Dovuto?!” , sibilò il giovane con aria tradita, “Quindi sei al soldo di uno di loro…”

Jormundur digrignò i denti. “Non ha importanza se sia segretamente o meno una spia di uno di noi! Ha dimostrato lealtà verso la corona e nulla più! Vi rendete conto della sciocchezza che avete compiuto?!” , sbraitò scoppiando, finalmente, “In un unico colpo i dissidenti avrebbero potuto uccidere tutta la famiglia reale e uno dei pochi Cavalieri esistenti!”

Sapere che la lealtà di Maeve non risiedeva solamente in loro, ma che in realtà li avesse controllati per tutto quel tempo, fu un duro colpo da accettare per i due sposi.

Nasuada pensò rapidamente a chi potesse averla assoldata, mandandola da loro come domestica per loro e i due principi. Jormundur era stato il primo a difenderla, ma già sua moglie ricopriva lo stesso ruolo e persino in modo più vicino a lei di Maeve, dunque lo scartò. La donna castana proveniva dal Nord come Flaithrì, ma tra i due non pareva scorrere buon sangue. Poteva essere una copertura, ma l’anziano si era rivelato così paterno con entrambi i giovani sposi che non avrebbe mandato una serva a tenerli d’occhio per quanto concernesse la crescita e la sicurezza dei principi, dato che aveva già dimostrato che era più incline a esprimere la propria opinione direttamente e apertamente, come un vero principe quale era.

Elessari amava controllare tutto e tutti con i suoi tentacoli invisibili, ma dopo i precedenti due Consiglieri, era quella che Nasuada riteneva la più fedele. Eppure, se c’era una sua caratteristica peculiare era che si servisse sempre del gentil sesso per portare avanti le sue trame. Che Maeve facesse parte delle sue spie sin da subito?

Umérth odiava il Cavaliere rosso, e avrebbe preferito veder perire lui e i suoi figli, per dare Nasuada in sposa a uno dei tanti suoi parenti lontani nella nobiltà di tutta Alagaesia.

Falberd era un uomo schivo e tremendamente anziano che attendeva giocando, come una pedina, il ruolo di amministratore di Algaesia, di morire.

L’ultima delle Consigliere rimasta era subdola, ma mai quanto Elessari, dunque parve inconcepibile alla regina che potesse aver architettato un piano così malefico nei suoi confronti. Ma forse nel controllo del loro operato genitoriale, non v’era alcun intento malefico, solo puri interessi personali.

Il giovane dalla chioma corvina ridacchiò, in conclusione. “Non è così semplice farmi fuori.”

Con sguardo assassino Jormundur gli ricordò di quell’uomo che comunque era arrivato a piantargli una daga curva nel corpo, nella loro camera da letto nella fortezza. “Se dovesse esserci una prossima volta, vi toglieremo ogni diritto sui principi!”

Murtagh roteò gli occhi. “Non potete toglierci la custodia dei nostri figli.” , disse con tono noncurante. “I principi appartengono alla regina.”

“I principi appartengono alla Corona!” , gli ricordò piano Nasuada. “È scritto nella legge - a cui io devo obbedire - che per salvaguardare la stabilità del regno, e quindi degli eredi al trono, il re o la regina non possono mettere in situazione di pericolo insensato i propri figli.”

“Ma non erano in pericolo!” , ribadì Murtagh, voltandosi verso di lei per la prima volta, noncurante di rompere la sua parvenza sicura.

“Il Consiglio può richiedere un’investigazione di sfiducia sull’azione dei sovrani in ogni momento, e un tribunale potrà giudicarli se ritenerla valida.” , gli spiegò pacatamente la moglie.

Elessari stropicciò il naso. “Questa volta, Cavaliere, vi consiglio di leggervi la legge attentamente, nei cambiamenti apportati dalla nostra regina Nasuada unitamente al Consiglio, e in tutte le imposizioni che il re che servivate precedentemente ha sempre ignorato.”

“Come hai potuto accettare questo genere di sciocchi accordi?” , tornò a chiedere alla moglie sottovoce. Nasuada sospirò. “Prima di scoprire di essere incinta, ci siamo preoccupati di rivedere tutte le leggi esistenti, per posare salde fondamenta per il nostro governo.”

Nostro?! Tu sei la regina!”

Nasuada alzò un palmo per cercare di calmare il fiume di parole che immaginava sarebbero provenute dal marito così alterato. “Un sovrano non governa mai da solo un popolo e dei territori, come ben sai, lord Murtagh.” , gli impartì con durezza, ma sempre sottovoce, “Ho convenuto all’epoca che affidare il futuro del governo di ogni regno - i suoi principi - al giudizio ultimo della legge, e non al giudizio personale dei genitori, fosse la scelta migliore. Ovviamente, ritengo tutt’ora che lo sia. Non avevo considerato quale sarebbe stato il mio pensiero di madre, ma è proprio da questo egoismo che voglio proteggere i principi nostri figli e quelli che verranno nelle generazioni future.”

Murtagh annuì senza aggiungere altro, girando i tacchi iracondo, facendo svolazzare il mantello in aria mentre lasciava la sala del trono.

Nasuada sentì un peso sulle spalle improvviso, trovandosi sola a fronteggiare chi minacciava di voler avviare un percorso che avrebbe potenzialmente portato a toglierle i suoi figli.

Deglutì. “Quindi cosa dovrei fare per dimostrarvi di essere al momento ancora l’unica a poter fare il meglio nell’allevare i miei figli?”

Sabrae strinse le labbra, gettando i capelli dietro le spalle e muovendo un odore di fiori marcescenti, la sua impronta olfattiva. “Come vi ho udito dire al Cavaliere, non si sta parlando dei vostri figli, ma dei nostri principi. Perciò l’unica cosa da fare ora come ora è attendere e sperare che il responso dei giudici sia positivo.”

“Non sarete voi a fungere anche da giudici?” , sussurrò la giovane terrorizzata, la voce che le morì in gola - anche se si maledì per questa dimostrazione di debolezza - .

“Noi sappiamo che potrebbe essere solamente stato un colpo di testa… tu e il Cavaliere siete giovani, anche se coprite due ruoli rilevantissimi, e talvolta tutti lo dimentichiamo. Noi vi daremmo con troppa semplicità una seconda possibilità, perciò abbiamo istituito una giuria esterna alla vostra conoscenza e obiettiva.”

“Accetto: il vostro ragionamento è inopinabile.” , concluse mansuetamente, sperando che il suo atteggiamento servisse a imbonirsi loro e i giudici, che sapeva avevano iniziato a osservarla nel momento stesso in cui aveva rimesso piede nel castello.

I Consiglieri annuirono, poi si mossero per abbandonare la sala.

Prima di uscire, Jormundur si fermò accanto alle spalle della figlia adottiva. “Il comportamento del tuo Cavaliere non aiuterà a tenervi i vostri bambini.” , le sussurrò piegandosi per parlarle dritto all’orecchio.

Nasuada annuì quasi impercettibilmente, tradita solo dall’oscillazione dei suoi orecchini pendenti. “Gli dirò di comportarsi appropriatamente.”

“Questo ora e sempre, se vorrà rimanere a tuo fianco.”

Nasuada si voltò di scatto. “Dimmi, a chi Maeve è venuta a riportare della nostra deviazione?”

Jormundur scosse le spalle. “A me.” , le rispose innocentemente, “Aveva il compito di tenervi d’occhio.”

Chi glielo ha ordinato?”, sibilò in un sussurro la giovane, lasciando cadere una sola lacrima.

“Io.”

“Perché?”

L’uomo incurvò per la prima volta le spalle, perdendo il tono acido. “Cercavo un modo per liberarmi di lui, ancora una volta. Maeve doveva informarmi di qualsiasi suo comportamento strano durante il viaggio, mentre non sarei stato presente per controllarlo… Eravamo d’accordo che si sarebbe occupata della principessa, mentre io e Farica del principe.” , rispose perdendo man mano pezzi del discorso, confondendo lievemente la regina, che dovette usare l’immaginazione per riempire i ragionamenti non espressi dall’uomo anziano.

“Non ti è sorto il dubbio che avreste ferito anche me, oltre a Murtagh?”

“Non pensavo avresti accettato la sua idea di partire e abbandonare il senno e i tuoi doveri.” , si rizzò un’ultima volta, “Mi hai deluso, Nasuada. Ancora una volta.”

Uno schiaffo sonoro ruppe il silenzio nella stanza, poi Nasuada si voltò, andando lentamente a sedersi sul trono con il mento alzato.

“Non comportarti così: ricordi solamente una bambina stizzita e viziata.” , le sibilò piano il consigliere, guardandosi attorno in modo guardingo. Nasuada si unì le mani in grembo, componendo la postura ancor di più. “Ho sbagliato e lo riconosco, perciò voglio ammendare le mie azioni già da subito. Se vuoi perdonarmi, devo costringerti a congedarti ora, ho del lavoro da svolgere.”

L’uomo annuì, uscendo con una riverenza. Vi fu silenzio nella stanza per qualche istante, mentre la regina si lasciava sfuggire un’unica lacrima, che asciugò con un gesto fluido ma velocissimo. Inspirò rumorosamente, sistemandosi dritta sul suo trono che un tempo era appartenuto a suo padre, e che i nani avevano rivestito d’oro prima di scortarlo a Illirea dal Farthen Dur.

Si sentì sola. Senza Murtagh, senza i suoi bambini, senza Farica né Maeve a confortarla, senza suo padre, senza Eragon o Arya. Nasuada era sola, ma doveva rimanere forte. Doveva tornare a lottare come era solita fare in passato. La pace forse l’avevano abituata alla comodità, ad avere tutto servito davanti a lei dopo solamente qualche discussione verbale. Sarebbe stato dunque così semplice convincere - chi riteneva lei non fosse una buona custode per i principi - degli sconosciuti a lasciarle Finiarel e Órlaith?

O avrebbe avuto altri figli, in futuro, a cui raccontare dei loro fratelli che non potevano incontrare? Le avrebbero tolto anche quei futuri principi?

Scosse il capo, riscuotendosi dai pensieri giusto per il tempo di spostarsi nel suo studio e prendere con sé le pergamene che le sarebbero servite per svolgere il lavoro quel giorno. Purtroppo, erano così tante che dovette rimanere nella stanzetta. Era un luogo perfetto ove fermarsi a pensare e riflettere per ore, ma indugiare nel lavoro sarebbe stato doppiamente nocivo: avrebbe dimostrato di essere emotivamente debole a tal punto da non svolgere il suo lavoro, e in più rimuginare sulla paura di perdere i suoi figli le avrebbe procurato un male alla pancia che nessun unguento avrebbe potuto curare. Abbassò la testa sulle pergamene e si lasciò perdere tra i calcoli e le rune per non percepire il trascorrere del tempo, come faceva da bambina nella biblioteca di re Hrothgar.

A orario del pasto di metà giornata, Jormundur bussò alla sua porta e si ripresentò al suo cospetto - ricevendo dalla regina solamente occhiate torve e silenzio in cambio - . Fu lui stesso ad accostare alla sua scrivania un tavolo pieghevole di legno pregiato comunque, e poi sopra il vassoio con il pranzo. Attese che la giovane mangiasse in silenzio, in un angolo della stanza, mentre le lanciava occhiate furtive e meste.

Quando Nasuada ebbe finito, aprì la bocca per parlare, ma lei lo anticipò sollevando fulmineamente una mano. “Posso vedere i miei figli?” , gli domandò con durezza, “Prima che sia troppo tardi…”

L’uomo deglutì, probabilmente cercando di sciogliere il nodo di tristezza che gli sembrava di avere in gola. “Si trovano con il Cavaliere, che ha somministrato al principe il pranzo.” , le disse solamente, con voce roca, come se si stesse trattenendo dal piangere.

La giovane si alzò lentamente, trattenendosi dal correre all’esterno e verso i suoi due meravigliosi bambini. Annuì e lo ringraziò con freddezza, superandolo e uscendo dallo studio.

Arrivò in un tempo che le sembrò uguale a un battito di ciglia davanti alla porta con i bassorilievi, aprendole con un enorme sorriso sul volto. Murtagh era steso a terra su un tappeto, il ventre premuto sul tessuto e una mano protesa verso il principe, intento a fingere di essere un animale feroce che volesse mangiarlo. Finiarel si ritraeva ridacchiando con le guance arrossate. Dietro di loro era posto un lettino da cui proveniva un sospiro impercettibile dell’ultima aggiunta della famigliola. “È bello vedervi tutti qui!” , li salutò Nasuada con voce calda, ma fu lo sguardo di Murtagh a tornare a farle gelare il sangue. Aveva alzato gli occhi su di lei, perdendo la maschera giocosa che aveva indossato per il bene del figlio, rivelandole tutta la sua tristezza e al contempo un’ira furibonda. Quello sguardo lo aveva già incontrato mentre il Re Nero la costringeva ad ascoltare in anticipo in cosa avrebbe consistito la tortura che Murtagh le avrebbe influito di lì a poco. Istintivamente i suoi occhi si abbassarono sul tappeto, per proteggersi dal cadere anche ella nella stessa consapevolezza. Si sedette accanto ai due lentamente, dopo essersi recata a prendere la figlia tra le braccia. Appena gli fu vicino, percepì Murtagh sospirare piano. La giovane cercò la mano del Cavaliere, stringendola con forza. Murtagh la guardò allora con un barlume di speranza. Speranza che insieme avrebbero potuto farsi forza e superare sufficientemente bene anche quella situazione. Avevano sopportato la guerra, la prigionia, le torture, e proprio nel momento più buio avevano trovato un appiglio a cui sorreggersi vicendevolmente.

Rimasero per qualche tempo tutti assieme a giocare, finché Farica non comunicò premurosamente alla regina che la clessidra avesse terminato il tempo.

“Devi proprio andare così presto?” , le chiese intromettendosi Murtagh.

Nasuada annuì, lasciandogli un’occhiata dura. “Dovresti avere anche tu documenti da vagliare, duca.”

“Ho terminato quanto dovessi fare a Dras-Leona, ricordi?” , le ribadì con gioia, “Potrò trascorrere tutto il tempo che mi rimane per oggi con i bambini.”

Con un sospiro Nasuada si rialzò lentamente. Lo osservò con sguardo triste, cercando di non piangere. “D’accordo, rimani ancora con loro. Ma ti consiglio di metterli a riposo, quando saranno stanchi e di recarti fuori a prendere una boccata di aria fresca e sana.”

Murtagh comprese quanto stesse implicando, annuendo duramente. “A stasera, Amore mio.”

“A stasera, Murt.”

Si spostò vicino al figlio maggiore, abbracciandolo e lasciandogli un bacio, poi depose la figlia nel lettino, facendo lo stesso con lei.

 

Ritornò la sera con lentezza negli appartamenti reali, cercando di ritardare inconsciamente quanto più possibile il silenzio che vi avrebbe trovato. Quando vi tornò tutto era fin troppo calmo al di là della porta intarsiata. Notò in ritardo che non vi fossero nemmeno le guardie all’esterno degli appartamenti, segno che non vi alloggiasse nessun principe da proteggere. Vagò con lentezza fino al Talamo, dove due Falchineri controllavano uno dei due accessi alle camere da letto. La salutarono con tristezza. Glarald e il gemello Garnald facevano parte della sua guardia personale sin dall’alba del suo comando, ed erano tra i pochi sopravvissuti alla guerra. Per la fedeltà dimostrata negli anni, erano i due con l’accesso al cuore della vita della famiglia reale, tanto che Nasuada riteneva che ne facessero parte, così come Jormundur, Farica e Maeve. Almeno i due gemelli non l’avevano tradita, ancora…

“Sua Altezza Reale Murtagh è nella stanza?” , chiese loro.

“Sì, da quando sono giunti a prelevare i principi.”

Quelle parole furono nuovamente un colpo al cuore per lei, ma si sforzò di mantenere un’espressione neutra, facendosi aprire la porta davanti. Uno dei due gemelli, tuttavia, riuscì a percepire il suo dolore. “Maestà, se dovesse esservi d’aiuto… noi Falchineri proteggeremo sempre i vostri figli.”

“Anche se sono i nipoti di Morzan?” , chiese Nasuada con voce incrinata dal pianto.

Garnald allargò le braccia per invitarla in un abbraccio, ma il fratello lo bloccò con un colpetto e un cenno del capo negativo.

“Sì, vostra Maestà.” , si sbrigò a risponderle Glarald sfoggiando un sorriso sincero, “Noi veniamo dai Ribelli. Noi per primi eravamo i reietti fino a qualche anno fa.”

“E in più i vostri figli sembrano essere davvero diversi da come le storie raccontano Morzan.” , aggiunse l’altro.

“Vi ringrazio. E vi affido la salute dei principi.”

Superò finalmente la soglia, trovando Murtagh sul letto, con il capo appoggiato alle mani, piegato in avanti sulle ginocchia.

“Se li sono portati via…” , mormorò alzando il capo lentamente per osservare l’amata negli occhi.

La sua espressione disperata fece ritorcere le viscere della giovane, che si trattenne da scoppiare in lacrime all’istante.

Si sistemò accanto a lui, inspirando silenziosamente.

“Ci sarà un processo.” , gli spiegò cercando di mantenere la calma per entrambi, “valuteranno se ridarci i nostri figli.”

“Quando?”

“Appena saranno pronti i giudici.”

“Terranno ostaggi dei bambini finché non avranno sufficienti prove e scritto il capo d’accusa e l’arringa di difesa?!” , chiese acidamente il giovane.

“I miei Consiglieri hanno organizzato tutto, ne sono certa, perché i nostri figli non soffrano anche solo un momento. Ricordati che il bene dei principi è interesse non solo nostro, ma anche di tutto il regno.”

Murtagh scattò in piedi, seguito subito dalla moglie. “Magari non avranno ferite corporali, ma chi impedirà loro di sentire la tua mancanza?”

“O la tua… perché anche tu mancherai loro moltissimo.” , bisbigliò tra sé la giovane regina, affranta.

Il Cavaliere prese a camminare a grandi falcate veloci e decise attorno al letto, da parte a parte. “Magari lo stanno facendo per indebolirli, e plasmarli a fare in futuro tutto ciò che diranno loro sia il contrario del volere dei loro genitori.”

“Sento nel tuo tono una certa esperienza, a riguardo.”

Murtagh si bloccò per qualche istante, lo sguardo fisso davanti a sé. “Sì, è esattamente ciò che successe a me una volta giunto a questa stessa corte: cercarono di far sì che mi interessassi di ciò che mio padre avrebbe voluto costringermi a fare - se fosse stato in vita - , solo dicendomi che si trattasse esattamente del contrario di ciò che lui mi avrebbe imposto.”

“È terribile…"

Tirò un pugno alla pietra del muro. “Detesto non essere libero di dare più ai miei figli la vita che meritano! Una vita diversa dalla mia!”

Nasuada gli prese le braccia, abbassandogliele, per poi tirarlo a sedere nuovamente sul letto. “Miglioreranno col tempo le imposizioni in quanto genitori dei principi… Ricordo quando ero bambina che non mi permettevano di fare quasi nulla senza una scorta, ed ero solo la figlia di fatto illegittima del Capo dei Varden. È peggiorato tutto quando hanno verificato davvero chi fosse mia madre.” , gli spiegò, “Ma anche tu da bambino sarai stato costretto da mille regole, in quanto altezza reale.”

“Tutta la mia orrenda vita di duca… ma non pretendo che non debbano avere regole da rispettare, tuttavia ci stanno imponendo di non poter mai più spostarci come una famiglia unita. Avranno sempre uno - e un solo - genitore al loro seguito, e non potranno nemmeno viaggiare assieme!”

La giovane si morse il labbro. “Non potranno comunque viaggiare molto, in realtà.”

“Ci impediranno anche di farli dormire nello stesso letto, nella stessa ala del castello?! Pretendono da noi che produciamo un nugolo di principi, ma se fosse per loro, dovremmo dormire in stanze separate… Noi siamo esseri umani, oltre a nobili. Abbiamo dei bisogni, degli affetti, dei sentimenti…” , ruggì ignorando l’appunto della moglie, “Almeno sotto Galbatorix ero più libero, sotto questo punto di vista.”

Nasuada alzò fulmineamente la mano per schiaffeggiarlo, poi si bloccò quando se ne rese conto. Stranamente, Murtagh non l’aveva fermata da sé. “Non ti permetto di insinuare di essere stato più libero sotto il governo - anzi, il dominio assoluto - di un uomo che ha usato il tuo Vero Nome per fare di te un burattino, e che ti ha costretto a sposarti a sorpresa!”

“Hai ragione, perdonami. Non dovevo dirlo.”

Gli accarezzò una guancia. “È la situazione ad averti spinto a dire quelle parole ignobili… Ma andrà tutto bene, sta’ tranquillo.”

Il Cavaliere rise sarcasticamente. “È morto con una daga piantata dietro, questo tuo ‘Tranquillo’”.

In quel momento, qualcuno bussò alla porta.

La regina si coprì le spalle con il suo scialle di seta e uscì. Murtagh fissò a lungo il vuoto davanti a sé, una sensazione di malessere latente nelle sue viscere. Fu proprio quando si accorse di quanto stesse durando la conversazione della moglie, che s’insospettì e andò a cercarla. Mentre si alzò, si accorse di avere dolore a tutti i muscoli per l’inerzia. Si bloccò per lunghi minuti, prima di riprendere l’uso delle gambe. Uscì per riunirsi con lei, trovando una guardia davanti a lui che bloccò l’avanzamento con la lancia.

Nasuada non era più nell’anticamera del Talamo. Stranito, si guardò intorno in cerca di qualcuno del Consiglio. Allora interrogò la guardia del corpo dei Falchineri. “È corsa a vestirsi nel guardaroba, poi ha seguito altre guardie della Corona in direzione dei quartieri ufficiali. Non ero tenuto a sapere altro, il mio superiore era con lei.”

“E non siete venuti a riferirmi degli spostamenti di mia moglie subito dopo la sua dipartita?!” , sibilò minacciosamente.

L’uomo piegò il collo all’indietro, spostando il peso dei piedi sui calcagni. “È stata lei stessa a dirmi di tenervi qui.”

Il Cavaliere sentì le viscere rivoltarsi. “Spostati, devo andare da lei.”

“Dice che siete troppo impulsivo in questi tempi. È meglio se restate qui ad attenderla.”

“Io non sono prigioniero qui. Se non vorrai farmi passare, ti costringerò a farlo con la magia.” , sibilò il Cavaliere.

L’uomo alzò entrambe le sopracciglia sulla fronte. “È stata la strega-bambina a chiamare la regina, anche se attraverso emissario. La pergamena era incantata, ho percepito l’incantesimo che veniva lanciato su di me mentre la leggevo.”

“Può essere. Se hanno richiamato Elva a Illirea come portavoce, significa che hanno intenzione di usare la sua magia - che non può essere spezzata nemmeno da noi Cavalieri - …” , spiegò all’uomo poi mormorando tra sé lievemente rincuorato: “Ma anche proteggere Nasuada.”

Gli indicò un divanetto. “Siediti.”

L’uomo fece quanto richiesto, anche se con riluttanza. Murtagh sussurrò gli incantesimi per farlo assopire e mentre questo iniziava a sentire il terrore del sonno attanagliarlo, iniziò a lamentarsi. “Dirò personalmente alla regina che non ti sei addormentato per colpa tua, ma che sono stato io a incantarti.”

A passo di carica uscì dagli appartamenti reali e si diresse verso le aree del castello dove si tenevano le attività giuridiche e burocratiche del governo della moglie. Cercò Nasuada in lungo e in largo, ma nessuno potè svelargli dove si trovasse precisamente, e la vicinanza di Elva doveva fungere a renderla impercettibile ai suoi sensi magici. Vagò e vagò, finché non capitò davanti alla sala dove solitamente si leggiferava - sospettamente gremita di guardie all’esterno - . La porta era chiusa e pesante, ma poteva udire la voce arrabbiata della giovane regina, al contempo preoccupata.

Che cosa sarà successo adesso?

Una voce dura di un uomo disse qualcosa che lui non colse, mentre speculava tra sé riguardo all’accaduto recente.

Poi, un rumore secco su legno lo fece sobbalzare. Iniziò un breve mormorio, e alcuni scranni strisciarono sul pavimento. La porta si aprì poco dopo, facendo uscire i sei Consiglieri e sorprendentemente dei giudici, che gli lanciarono occhiate trionfanti mentre gli passarono davanti, e per ultima Elva, che lo fissò con grandi occhi penetranti, capaci di metterlo a nudo. Si avvicinò a lui, mettendogli una mano fredda sull’avambraccio. “Ti posso garantire che la mia protezione è ancora valida. Su tutti voi.” , disse laconicamente, sciogliendosi poi in un sorriso che durò appena un battito di ciglia, “A proposito, le mie congratulazioni, Cavaliere.”

“Per cosa?” , chiese confuso e stordito dagli eventi Murtagh.

“Per vostra figlia. Sento che v’è un’affinità magica con lei. Diventerà una strega.”

Murtagh scosse il capo. “Grazie… È destinata a divenire Cavaliere anch’ella.”

Elva squittì una risatina compiaciuta, poi fece una riverenza e tornò a seguire la folla.

Gli ci volle qualche istante per notare che nella piccola sala ottagonale era rimasta finalmente solamente Nasuada, al centro di essa, che fissava una finestra.

La chiamò e la meravigliosa giovane ordinò distaccatamente che gli fosse permesso il passaggio. A pochi passi l’uno dall’altra, Nasuada scartò l’abbraccio che il Cavaliere le stava per offrire, andando a chiudere da sé la porta con un rumore fortissimo. Si appoggiò ad essa, scivolando per terra poi con un ringhio frustrato.

Murtagh la raggiunse, sistemandosi accanto a lei e allargando un braccio per invitarla sul suo petto. Come in quella cella delle viscere del castello, pian piano Nasuada si avvicinò. Sospirò e si abbandonò accanto a lui, poggiandogli il capo sulla spalla.

“Nas, posso sapere cosa è successo?” , chiese il marito rompendo il silenzio, anche se in lui si stava facendo largo una consapevolezza che non voleva accettare.

Fu in quel momento che Nasuada sfogò le sue lacrime, anche se cercando di emettere meno rumore possibile. “Ci hanno tolto i bambini… Lo hanno fatto davvero!”

Il Cavaliere s’infuriò. “Come possono averceli presi? Legalmente sono una mia - nostra proprietà - !” , chiese allibito correggendosi.

Lei fece spallucce, singhiozzando. “Possono farlo, per il bene del regno, come ti abbiamo già detto… ma mai avrei pensato sarebbe diventata realtà, e non solo un’ammonizione.”

“Quindi… non rivedremo mai più Fin e Órlaith? Dove si trovano ora? Che ne sarà di noi? Ci spediranno in esilio lontano da questo castello?” , mormorò.

La regina si bloccò dal piangere. “No… sono stati affidati temporaneamente a persone fidate. Hanno detto che la sentenza sarà revocata quando per i nostri piccoli sarà ‘rientrato il pericolo e il turbamento che abbiamo apportato loro’”.

Murtagh strabuzzò gli occhi. “Per quanto tempo?”

“Non saprei… il tempo che riterranno necessario.” , ribadì con amarezza, fin troppo duramente.

“Ho capito quanto hai detto, ma vorrei sapere se ti è stato accennato se staremo senza i nostri figli per giorni, o se mesi o se addirittura anni…”

La regina fece una smorfia. “Non lo so.” , mormorò con un tono che suonava più come una supplica a non porle altre domande, e riprendendo a piangere.

Il Cavaliere si maledì. Aveva sbagliato, quella volta un paio d’anni prima, a desiderare anche solo inconsciamente di non aver mai generato il proprio figlio. Era stato per lui una benedizione, l’elemento che gli aveva finalmente donato una famiglia che lo stava guarendo. Non vedeva l’ora che il secondogenito - o meglio la secondogenita - sorbisse su di lui gli stessi benefici, e in cambio non poteva attendere di innamorarsi completamente anche di lei.

Ma il Destino gli aveva tolto anche le sue due piccole isole di felicità, ancora una volta.

Come farò ad andare avanti? , si chiese.

Castigo emerse dal suo silenzio perché non poté trattenersi. Tieniti stretto a me e a Nasuada, io e lei saremo le tue rocce ancoranti.

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[Angolino di EllyPi]
Eccomi qui di nuovo dopo ere geologiche! Mi dispiace molto, ma sono stata molto occupata... Sono ritornata con questo capitolo dal nome azzeccato, sperando di postare con più frequenza.

Intanto vorrei sapere da voi che mi leggete cosa ne pensate so far della storia! Avete consigli da darmi? Critiche costruttive?

Grazie a tutti e a presto!

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Capitolo 77
*** Hrothgar ***


Il tempo sembrava non passare per i due sposi, trovatosi improvvisamente senza gli amati figlioletti. Nasuada aveva costretto il marito a trovare un modo di tenersi occupato e sfogare l’ira, che era tornata a bruciare impetuosa, quasi come quella che gli aveva visto negli occhi durante la prigionia sotto Galbatorix. Così lui aveva iniziato ad allenare quasi sadicamente i soldati della Corona, con il pretesto di dover essere il meglio per proteggere la regina e i principi. Ovviamente nessuno era nemmeno mai riuscito a disarmarlo, ma dall’alto delle sue finestre la giovane regina - durante i brevi momenti di pausa dai suoi doveri, presi per alzarsi dalla scrivania e accostarsi alla finestra, per osservare che nel suo castello tutto fosse tranquillo -  riuscì a notare che, man mano che si ci appropinquava a fine giornata, fosse così stanco da essere innocuo persino per sé stesso.

 

Un tardo pomeriggio lo vide accasciarsi a terra per sdraiarsi sulla schiena, le braccia aperte come ali d’uccello. Respirava forte, facendo scomparire gli addominali fino alla spina dorsale, per poi spingerli oltre le costole frontali dopo appena un istante. Nasuada sapeva che non fosse ferito, e che magari il dolore causato dai muscoli sforzati troppo avrebbe funto da valvola di sfogo.

Mentre osservava assorta nei pensieri Murtagh, notò che si fosse alzato per poi sparire e che nel giardino vi fosse trambusto. Si alzò la gonna e si recò all’esterno nel corridoio. “Jarsha, che succede?” , chiese al suo paggio.

Il ragazzino alzò le spalle. “Un ospite inatteso alle porte della città, Vostra Maestà.”

Nasuada si chiese chi potesse essere, e se l’arrivo di costui fosse dovuto alla questione dell’allontanamento dei principi. Guardò di nuovo nel suo studio, oltre la finestra di questo. Il sole indicava potesse essere giunta un’ora propria per ritirarsi per la cena.

“Fa’ richiamare mio marito.” , ordinò distrattamente. Camminò per dirigersi all’esterno, seguita dalle sue guardie del corpo, incappando in lady Elessari.

“Lady Elessari, che sorpresa! Siete giunta a dirmi chi sia l’ospite inatteso, prima che chiunque altro lo sappia?” , la interrogò neutralmente.

L’anziana la guardò stranita, ritrovando poi la neutralità. “Non ne sono a conoscenza nemmeno io, stavolta.”

Le sorrise materna. “Sono in pensiero per voi, mia regina.” , le rivelò in un soffio.

“Perché?” , chiese allarmata la giovane.

La donna la squadrò. “Come perché?! Vi ho vista distratta e isolata nel vostro studio ultimamente, come pochi mesi fa. Potreste portare dentro di voi il futuro di Alagaesia, Maestà. E voler tenere il Consiglio all’oscuro di tutto, per qualche motivo.”

Nasuada si toccò il ventre di riflesso, percependone la forma piatta. “Ho partorito poche lune or sono! È impossibile che io sia incinta nuovamente!”

“Il Cavaliere non assolve più ai suoi doveri?”

La regina espirò stizzita. “Non.ho.intenzione.di.intraprendere.questo.discorso!” , squittì, “Sapete confondermi a sufficienza con le vostre speranze, ma al contempo le attese imposte e i calcoli dei tempi propizi! Come se ci fosse un modo per calcolare come scandire la mia produzione di eredi ottimali!”

La lady perse l’espressione seria, scoppiando a ridere. Nasuada si ricompose, fissandola con occhi assassini per l’insolenza.

“Lo fanno per controllarvi, Maestà. Hanno trovato l’unico ambito in cui potervi destabilizzare e farvi considerare l’idea di ascoltare la volontà della nobiltà.”

La giovane incrociò le mani davanti a sé. “Non permetterò più che sia così, allora. Decideremo io e mio marito quando sarà il momento più propizio.”

La lady fece un cenno di comprensione col capo, ma quando si rialzò il suo sguardo tradì prima voglia di aggiungere qualcosa, poi fu duro verso lei stessa.

“Parlate liberamente, lady Elessari.” , l’invitò la giovane.

L’anziana si morse il labbro. “Se avrete il polso per dimostrarvi forte, potrete sottrarvi da questo tedioso tiro alla fune tra il vostro grembo e il Consiglio - come portavoce della Nobiltà - . Tuttavia, quando prima dicevo che potreste portare un erede dentro di voi non era solo un’ipotesi.”

“Ma un suggerimento, piuttosto?” , completò la regina. Sospirò, scorgendo finalmente Murtagh in lontananza. “Per quanto il suo aspetto sia mozzafiato, in questo periodo l’ultimo dei miei pensieri è l’ascolto dei miei desideri carnali.” , ammise a bassa voce.

“Posso dare indizi al Cavaliere perché sia lui a cercarvi, in questo caso.” , propose l’anziana.

“No.” , la fermò duramente la giovane.

Elessari sospirò a lungo. “C’è la possibilità che possiate aver concepito, allora, durante la vostra piccola fuga d’amore?”

Nasuada si morse il labbro. “Sì, ma… non ci toglierebbero anche quel bambino, vero?”

Una mano rugosa le si posò sull’avambraccio. “No, tranquilla. E per quanto so di potervi ferire con queste parole ora, ma dovrete prepararvi al peggio. A perdere i vostri primi figli, eventualmente… Dovrete comportarvi d’ora in poi come se foste appena sposata con il Cavaliere - ritrovare quella curiosità e quell’eccitazione nel potervi finalmente concede l’uno all’altra - , ma ricordate bene che potreste non avere la fortuna di concepire subito un altro erede, come è stato invece in passato. Perciò il suggerimento che vi porto è più che sensato.”

“Solo, che non posso dimenticare i miei bambini.” , soffiò la giovane, ma l’anziana era già lontana. Arrivò quasi subito Murtagh, che l’osservò preoccupato. “Perché hai le lacrime agli occhi?” , s’informò con un livello di attenzione che la giovane si sarebbe aspettata avrebbe perso, da quando si erano ritrovati senza i principi.

Si toccò gli occhi fingendo curiosità. “Lacrime?”

L’altro si sciolse in un sorriso caldo. “Mi sarà sembrato di vederle. Come stai?”

Quella volta Nasuada non riuscì a fingere e scosse il capo. Murtagh le prese il gomito, sempre cercando ormai almeno lui di mantenere il sorriso.

“Ho fame… tu, Amore mio?”

“Un po’.” , gli rispose con voce roca. In realtà nessuno dei due si era nutrito come solitamente in quell’ultimo periodo.

“Ordinerò la cena, allora.” , disse col sorriso. Le prese il gomito, tirandola in un corridoio e seguendo alcuni servitori che camminavano veloci in lontananza. Ben presto questi furono talmente lontani da sembrare dei soldatini di piombo per bambini.

Si guardarono entrambi intorno, notando che non vi fosse nessuno in quel corridoio, stranamente. Murtagh lasciò il gomito della moglie, appoggiandosi al muro con la schiena. Nasuada si guardò ancora intorno, poi fissò il giovane per un brevissimo momento, prima di avvicinarsi a lui. Murtagh inspirò per la stanchezza, poi abbassò il mento per osservare la meravigliosa regina. Notò una strana luce nei suo occhi. Sorrise caldamente. “Vedo che hai perso quel muso lungo!”

La regina annuì, separando le mani nascoste dietro la schiena per sporgersi ad abbracciarlo. Il Cavaliere ricambiò, inspirando forte il suo profumo. Prima che potesse rendersene conto, le labbra carnose della moglie gli stavano tracciando una linea in alto, verso il lobo. Un lievissimo gemito gli uscì dalle labbra, mentre le sue mani si posarono più saldamente sui fianchi della vita sottile della regina. Due mani ormai esperte all’abbigliamento e al corpo del giovane presero ad allentare il farsetto, arrivando ai bottoni ricoperti di tessuto della camicia ricamata con draghi volanti.

Nasuada si staccò appena dal collo del marito, per fissarlo negli occhi. “Voglio un bambino. Ora.”

Murtagh si divincolò e, quando ebbe abbastanza spazio di manovra, la spinse con eccessiva forza, facendo ritrarre la regina d’istinto, per proteggersi. La osservò con la bocca spalancata, ansimando. “Pensi di potermi domandare una cosa così delicata così? Anzi, di comandare?” , sibilò. La moglie singhiozzò, cingendosi da sola in un abbraccio.

“Mi dispiace.” , si scusò l’altro subito, “Ti ho fatto del male?”

Nasuada scosse solo il capo.

Lui inspirò, prendendo a riallacciarsi la camicia cremisi.

“Abbiamo già due figli.” , disse il giovane con lucidità.

“Non abbiamo mai concordato che sarebbero stati gli unici.” , riuscì a dire la regina con voce mesta.

Il suo sguardo si addolcì un poco. “No, ma non mi sembra il momento adatto questo di preoccuparci di sostituire i nostri figli.”

“Mi hanno assicurato che non ci toglieranno anche i prossimi che avremo! Almeno avremo quelli…” , insistette con tono di supplica. Murtagh le lanciò uno sguardo d’ammonimento, perché non riprendesse a insistere sull’argomento mentre era in quell’umore.

“Dobbiamo focalizzarci a riavere i nostri principi.”

“Questo non significhi che non possiamo nel frattempo collaborare per averne altri!”

Avanzò per prendergli la mano ma lui si ritrasse, sbattendo il capo attorno al muro leggermente. Nasuada fece un passo indietro, conscia di aver causato dolore al suo amato.

“Ti chiedo perdono…” , soffiò nascondendosi il volto tra le mani. Murtagh si guardò intorno, poi con un balzo dal muro le cinse le spalle e la sospinse dentro la prima stanza vuota che trovò con la porta aperta. La mise seduta, tenendole una mano sulla spalla saldamente mentre terminava di piangere.

“Nas, mi hai detto tu stessa di non essere avventato in questo periodo… Posso sapere cosa ti è saltato in mente?”

La giovane scrollò le spalle. “Lady Eles-”

“Oh, ho capito tutto! Ti ha di nuovo cercato di inculcare il ‘bisogno’ della Corona di avere un nuovo erede?” , l’interruppe sospirando il marito. Si abbassò sui calcagni, per guardarla negli occhi. Le asciugò le lacrime con il pollice, strappandole un sorriso triste ad un pensiero: “Saresti davvero un ottimo padre. Premuroso e così ricettivo…”

“Io sono un ottimo padre, Nas. O almeno così è come mi dite sempre tu e Farica.”

Lei annuì. “Per quanto riguarda la tua domanda di prima, ho pensato - dopo la mia discussione con Elessari - che sarebbe stato un modo di stringere di nuovo mio figlio tra le braccia.”

Murtagh la guardò fin troppo duramente. “Ma non sarebbe Fin. Anche se concepissimo un figlio ora, tra quasi un’estate potresti stringerlo! E non avresti subito con egli lo stesso rapporto che abbiamo costruito con Fin, e che stavamo costruendo con la nostra bambina. Questo è ciò che mi manca… non stringere un corpicino infantile.”

“Hai ragione.”

“Non darmi ragione solo per terminare il discorso.” , la supplicò, “Sei visibilmente crollata due momenti dopo esser stata convinta di essere pronta ad avere un altro figlio.”

“Sono nata per quello, alcuni direbbero.” , sentenziò con acidità la regina, sussurrando tra sé.

“Non serve a nulla quel tuo cipiglio ora, Nas. Sai che non ti ho sposata - e mai l’avrei fatto - solo per usarti per portare avanti il mio sangue.”

La tirò nuovamente tra le sua braccia, ondeggiando da una gamba all’altra per cullarla e calmarla. Nasuada percepì il peso del capo del Cavaliere sul proprio, e lui la sentì scoppiare a piangere nuovamente, poi tremare e battere i denti, fino a trattenere il fiato per lunghi momenti. “Se continui così dovrò chiamare un guaritore. Lascia andare le emozioni negative che stai trattenendo a forza! Ci aiuteremo a vicenda in questo periodo a ritrovare la voglia di andare avanti e lottare per riavere Fin e Órlaith.” , le disse con calma rasserenante.

“Come puoi pensare a me, ora?” , pigolò la giovane, quando riuscì a parlare.

Due mani calde le circondarono il volto, sciogliendo l’abbraccio.

“Sono tuo marito e tu rimani sempre il fulcro della mia preoccupazione.” , le spiegò con incisività il Cavaliere, “Non sei solo la madre dei miei figli, o la mia regina, ma la persona che voglio avere a fianco per la vita, e che nei momenti di bisogno, metterò prima di me stesso. Come tu hai fatto venendomi a liberare dopo la nascita di Órlaith.”

“Quindi asseconderai con me la corte?”

Le labbra di Murtagh si ridussero involontariamente a due linee sottilissime. “Non ora, mi dispiace. Sono ancora convinto che non sia la cosa migliore avere un altro figlio ora.”

La regina sospirò a lungo. “Ti chiedo scusa, so quanto l’argomento sia spinoso per te.”

Lui chiuse il pugno più volte per stemperare la rabbia, la mascella che si muoveva in senso opposto rispetto alla mandibola, i denti che stridevano lievemente. “Nas, è un onore per me essere il padre di quei due meravigliosi bambini, e se il Destino volesse darmene altri cento, li accetterei; se tu me ne chiedessi altri cento, ti direi di sì! Ciò che ti ho detto prima della nascita di Órlaith è ancora vera.” , deglutì rumorosamente, guardandola con concerno, “Ma in questo momento tu non vuoi davvero un altro figlio, così come non lo voglio io di per certo.”

La giovane si morse il labbro, annuendo con forza.

“E avere un altro figlio ora, non dimostrerebbe alla corte che siamo più degni di riavere i principi di quando ce li hanno tolti!” , continuò con enfasi.

Le iridi della regina finalmente persero la patina trasognante. “Hai ragione: dimostrerebbe che siamo disposti a rimpiazzarli senza lottare per loro. Elessari… mi stava tendendo una trappola, secondo te?”

“Da lady Comare mi aspetto di tutto. Magari non è nemmeno stata lei ad architettare questo meschino gioco, ma si diverte comunque a temprarti.”

“Perché? Dovrebbe proteggermi da certe cose… ha promesso di essere sempre dalla mia parte.”

“Per dimostrare a sé stessa di aver avuto ragione a supportarti anziché pretendere per sé ciò che è tuo oggi.”

“Lei non avrebbe mai potuto divenire regina.” , sentenziò negativamente divertita la giovane, “Non ha mai avuto il potere che avevo io tra i Varden.”

“Vero, ma è combattiva tanto quanto te. Solo, lo fa in modo diverso, non essendo più così giovane e forte.”

La regina alzò un sopracciglio. “Hai visto tutta questa forza in lei da ammirarla così tanto?”

“È una donna. In un consiglio reale. Che si autodichiara vedova, quando il marito è vivo e sempre potenzialmente pronto a richiamarla a sé, mettendo fine ai suoi giochi di potere e spionaggio.” , spiegò candidamente il marito.

La moglie annuì. “Spero, un giorno, di non divenire come lei.”

“Sarai occupata a crescere un futuro re, non avrai tempo per pettegolezzi e trame di poco conto.”

“Il fatto è, che le trame di Elessari sono ben più estese di quello che sembrano. È grazie a lei che molto spesso i Varden sono riusciti a spostarsi inosservati.”

Murtagh alzò un sopracciglio. “Non penserai che il re non conoscesse ogni vostra mossa, vero?”

La giovane impallidì. “Credevo che qualcosa gli sfuggisse… Ma questo non ha più importanza ora.”

Murtagh parve avere un’illuminazione. “C’è sempre qualcuno che è testimone, persino delle azioni più segretate! Qualcuno deve aver visto dove hanno portato i nostri figli!”

“Murtagh, no! Non metterti in mezzo.”

“Perché no? Sono i miei figli, i miei bambini!”

“Hai il diritto di ritrovarli, se il Destino vorrà così… ma non dobbiamo metterci in mezzo troppo.”

“Non lo stiamo facendo per nulla!” , sbraitò il Cavaliere, vedendo la moglie incrociare le braccia al petto e scuotere il capo.

Qualcuno bussò alla porta, annunciando l’ospite.

“Che ci fa Orrin qui?!” , esclamò stupita Nasuada. Si passò le dita sotto gli occhi, per sfregare via le colature di trucco nero che usavano le sue dame per enfatizzare i suoi occhi ambrati.

“Fateli entrare nella sala principale dei ricevimenti, io e sua Altezza Reale Murtagh ci recheremo lì subito.”

“Sì, milady.”

Murtagh prese la moglie per il gomito in silenzio, muovendosi nei corridoi come per inerzia.

Entrarono nella sala che già la famiglia regnante nel Protettorato del Surda li attendeva.

Con un gesto legnoso, i due sposi si separarono. Nasuada guardò Orrin troppo intensamente, dovuto alla sorpresa della sua visita, tanto che sembrò adirata; e Murtagh spostò gli occhi sugli stucchi delle pareti e del soffitto della sala, che aveva già osservato nervosamente migliaia di volte.

“A cosa devo la tua visita, Orrin?”

L’uomo ridacchiò, perdendo però subito la giovialità. “Sono qui per lord Murtagh.”

La regina guardò il marito con un sopracciglio alzato, e le labbra tese in una sottile linea. “Hai richiesto la sua presenza?”

Il Cavaliere scosse il capo.

“Non ricordate che giorno è oggi?” , intervenne Orrin.

Murtagh rimase immobile a pensare qualche momento. “Oh! L’incontro mensile dei lord.”

Da che si era avviata con entusiasmo di tutti come un’attività settimanale, gli impegni degli invitati l’avevano costretta a ridursi a un appuntamento solo ogni luna.

“Già… sono qui per trascorrere una serata triviale tra lord.” , pronunciò Orrin confuso a sua volta dalla tensione dei due sposi. Murtagh incrociò le braccia al petto. “Purtroppo, l’ho disdetta. Mi dispiace non vi sia giunto l’annuncio in tempo.”

Orrin e la lady sua moglie si guardarono per qualche istante, poi il Protettore alzò le spalle.

“Nessun viaggio verso Illirea è mai vano. Intanto volevo presentare alla Regina Suprema il mio erede, Larkin.” , annunciò l’uomo con un ampio gesto della mano. Un bambino similissimo alla madre sbucò da dietro le gambe di questa, con timidezza. Era qualche mese più giovane del principe di Alagaesia, notò Murtagh con dolore. Per quanto Orrin si fosse rivelato ostile con lui, durante la sua visita ad Aberon, non poté che osservare al contempo rapito quel piccolo. Era bellissimo e piuttosto composto, per la sua età. Si inchinò impacciatamente davanti alla regina, ricevendo una carezza compiaciuta dal padre.

Nasuada sospirò. “Vorrei che mio figlio potesse essere qui per poter incontrare il tuo, Orrin.”

“Perché le tue parole suonano così tristi, mia cara?” , chiese mellifluamente l’ex-re, accarezzando una guancia alla regina. Nasuada alzò una mano velocemente ma senza sembrare brusca, staccando il palmo chiaro dalla sua pelle scura e abbassandolo per prenderlo tra le sue mani. “Un consiglio di giudici ha deciso di toglierci momentaneamente i nostri figli.”

“È una terribile notizia!” , le rispose l’uomo, sembrando davvero dispiaciuto. Guardò verso il Cavaliere brevemente, facendogli un cenno di comunione del suo dolore. Murtagh rispose al cenno, senza lasciar trasparire né la tristezza, né la confusione.

Lady Muirne avanzò di un passo, stringendo a sé ancor di più il fagotto che aveva tra le braccia. “Voglio esprimere la mia vicinanza anch’io, nonostante non possa vantare un’amicizia intima e duratura come quella di mio marito e della regina.”

Murtagh rabbrividì a quelle parole, mantre Nasuada ringraziò la giovane, poi si sporse leggermente. “Chi abbiamo qui con noi di nuovo?”

La lady si sciolse in un sorriso caldo. “La nuova aggiunta alla casata di Aberon.”

“Che splendore! Gli auguro tutta la fortuna che il Destino vorrà donargli.”

“Benedici anche tu mio figlio, Cavaliere.” , disse voltandosi verso Murtagh, con un sorriso caldo, il Protettore.

Murtagh assunse un’espressione sbalordita che non riuscì a nascondere. Orrin quella sera lo aveva considerato più di tutte le altre volte che lo aveva incontrato assieme, e stava per giunta chiedendo a lui di benedire il suo secondogenito?

Forse non sa che in questo periodo sono così suscettibile che potrei infilzarlo senza pensare alle conseguenze…

Castigo si accigliò. Murtagh, non sarebbe una buona idea uccidere un membro di una casata reale e alleato della Corona, se vuoi riavere i tuoi cuccioli. In più, dai tuoi occhi vedo che non sembra avere cattive intenzioni.

Murtagh sbuffò tra sé. Non sembra avere cattive intenzioni, dici?!

È giunto fino a Illirea perché la regina e il suo Cavaliere benedissero il suo secondo erede… non fa parte dei vostri normali compiti da sovrana e beniamino-delle-genti? , lo rimbeccò la sua enorme Coscienza Rossa.

Appunto: vuole farsi beffa di me.

Per quella stupida tradizione umana di dare più valore ai cuccioli maschi delle femmine?

Non perché il suo secondogenito è un maschio e la mia una meravigliosa bambina, quanto piuttosto perché io non ho più nessun figlio! , sbraitò mentalmente il Cavaliere lasciando che una lacrima solitaria gli solcasse la guancia. Lady Muirne gli sorrise, vedendo la reazione. “Mi avete aiutata, Cavaliere, vorrei che poteste benedirlo anche voi. Perché possa avere sempre la parola di un Cavaliere a vegliare su di lui.”

Nasuada alzò un sopracciglio, guardandolo di sbieco. La moglie del mio amico è per caso una delle lady che sono finite nel tuo letto?

Murtagh deglutì. Nas, ti giuro ch-

Uomini! , sbottò interrompendolo la moglie.

Nas, ascoltami, prima che oltre a soffrire per aver perso i nostri figli ci allontaniamo anche noi due per un malinteso! Lady Muirne è rimasta illibata finché non ha incontrato il tuo amico qui presente. Anzi, come ricordi tu stessa notasti, al loro matrimonio, che fosse già incinta per colpa sua. Nel scortarla qui da Aberon dove dormiva già scandalosamente con Orrin, ho notato i suoi sintomi, e l’ho aiutata ad alleviarli, non volendo lei parlarne né con i suoi genitori né con le sue ancelle. , le spiegò alzando il tono, perché non potesse far altro che ascoltarlo, E poi dovrei essere io geloso di Orrin! Ha osato accarezzare la guancia di una regina!

È un vecchio amico, alla stregua di Roran, Orik ed Eragon…

“Vi ho turbato, Cavaliere?” , li riscosse la lady.

Murtagh mosse il capo a destra e a sinistra, sorridendole con quanta più naturalezza riuscì a trasmettere. Alzò una mano sul neonato, benedicendolo nell’Antica Lingua come richiesto. Ripeté poi ai due genitori in Lingua Comune, per assicurarsi che non potessero accusarlo di aver invece maledetto il bambino.

“Non mi era giunta voce che la vostra famiglia di fosse allargata, Orrin!” , continuò la regina facendo un cenno perché si accomodassero nel salottino privato adiacente.

“Non è di certo interesse di tutto il regno come invece è stato per la nascita della principessa Órlaith. Tra l’altro apprezzo molto la scelta del nome.”

“Immagino…” , disse sorridendo Nasuada. Murtagh l’osservò con sollievo recuperare almeno all’apparenza un po’ di allegrezza. Per quanto Orrin non fosse la sua compagnia preferita, sapere che sorbiva quell’effetto su Nasuada in quel momento gli avrebbe fatto accettare la sua presenza per tutta la permanenza a Illirea di questo.

“Come avete chiamato il vostro bambino?” , chiese Murtagh per primo.

“Hrothgar.” , rispose con leggerezza lady Muirne, ricevendo dal marito - decisamente più vecchio di lei - un breve sguardo di rimprovero.

“Capisco. Beh, per ammendare ancor di più i miei crimini, prometto con ancor più intensità di proteggere lord Hrothgar ora e per sempre.”

Orrin gli scoccò un’occhiata pregna per giusto un istante, facendo partire un brivido sulla schiena sfregiata del giovane dai capelli corvini.

Quando fu servito loro un decotto caldo di vino e spezie, Orrin parlò nuovamente. “Posso sapere, se non sono indiscreto, perché i principi sono stati allontanati dai loro genitori? Non si è mai sentita una cosa simile, in tutta la storia della monarchia.”

Murtagh ruggì veramente piano, ma la moglie gli posò una mano su un ginocchio perché smettesse. “Mi solleva sapere che la nobiltà tutta non è a conoscenza della faccenda, dunque deduco che sia solamente una mossa dei lord più vicini alla Corona.” , disse fermandosi per bere un sorso di vino speziato, “I nostri figli ci sono stati revocati per essere investigati.”

“Investigati per cosa? È stato fatto loro… del male?” , chiese il Protettore con tatto, cercando di non posare lo sguardo su Murtagh.

Quegli occhi! Mi sta accusando di aver ferito i miei stessi figli! , si lamentò tra sé sentendo l’ira ribollire. Castigo gli inviò ondate di sensazioni calmanti. È un concerno meschino - ma plausibile, visto che porti la cicatrice di Morzan sulla schiena - .

Colpito da quella realizzazione, Murtagh tornò a prestare attenzione alla scena davanti ai suoi occhi.

“No, abbiamo viaggiato per Alagaesia, deviando dall’itinerario comunicato al Consiglio, e questo non deve esser piaciuto a qualcuno.” , spiegò la regina con voce lievemente infervorata.

“Plausibile. Da re-”, fu costretto a correggersi dopo un’occhiata perentoria di Nasuada, “Ex-re… Posso sapere che vi sia sempre qualcuno a tentare di arginare i poteri di un sovrano, e farlo piegare ai voleri della corte e della nobiltà.”

Murtagh aveva quasi dimenticato, in quel periodo, che Orrin e Nasuada condividessero il peso della corona, anche se non contemporaneamente. Di sicuro la sua presenza avrebbe avuto qualche beneficio per i due sposi, anche vista la differenza d’età e di anni di governo accumulati dal surdano. Forse avrebbe potuto infondere loro un po’ di abilità nel decifrare il futuro di un governo e della vita da reali.

“Che cosa ci consigli, Orrin?” , chiese infatti Nasuada, abbandonando la schiena all’indietro sul legno imbottito, con una smorfia, come se iniziasse finalmente a sentire il dolore accumulato in tanti giorni.

L’uomo bevve un sorso della sua bevanda, leccandosi le labbra prima di rispondere. “Obbedire. Anche una regina deve sottostare alla legge.”

“Questo lo so. E cosa potremmo fare per riavere i nostri figli?”

Orrin sorrise titubante, poi alzò le spalle. “Purtroppo, che io sappia né mio padre né nessun altro ad Aberon si è mai trovato senza i propri principi, se non per dipartita naturale. Temo quindi di non potervi aiutare.”

Aprì la bocca nuovamente, ma la sua voce fu sovrastata dal pianto fortissimo del neonato, seguito da quello del fratello maggiore.

Muirne si alzò dopo lunghi e tediosi momenti in cui nessuno dei due bambini parve voler smettere, per congedarsi per la notte. Anche Nasuada si alzò, allora, prendendo tra le braccia il maggiore. Stranamente, si calmò anche se si trovava tra le braccia di una sconosciuta.

La giovane regina gli sorrise, e il piccolo ricambiò.

“Lascia che ti conduca personalmente verso le stanze che riservo agli ospiti più importanti.” , le propose con le labbra leggermente tremanti. Muirne annuì, allora anche Orrin si alzò, seguito da Murtagh.

La regina guardò quest’ultimo: “Aspettami nei nostri appartamenti. Non tarderò ad arrivare.”

“Sì, vostra Magnificenza.”

Le due donne presero a camminare, e anche i piedi di Murtagh si mossero involontariamente di qualche passo.

Cos’era quel tono così formale verso tua moglie? , chiese allibito Castigo.

Non hai capito quel che ho udito io?!

No… Non capisco ancora il vostro linguaggio in codice da uccelli-in-amore. , rispose con un velo di divertimento nel tono il drago.

Ma che hai capito? Nasuada non mi ha segretamente detto di farmi trovare pronto nel suo letto! Orrin! Orrin ha detto: “Tuttavia, se mai succedesse a me - e soprattutto se venissi a scoprire che i miei figli fossero in pericolo - , non oserei a intraprendere vie poco ortodosse per riaverli, poi farei vedere alla corte e ani nobili chi è che comanda.”

Ha detto tutto quello e nessuno lo avrebbe udito a parte te?

Era sovrastato dal pianto di suo figlio e stava guardando me negli occhi. Perché mai avrebbe dovuto darmi un consiglio?

Castigo si allarmò. Consiglio?! Non lo prenderai seriamente, spero! Nasuada ti ha imposto di mantenere la calma finché tutto non si sarà risistemato.

Orrin disse a voce alta e con tono affrettato il nome del Cavaliere, perché non se ne andasse. Murtagh si voltò con un sopracciglio alzato, sorpreso e richiamato dai suoi pensieri.

“Posso essere io d’aiuto a lord Orrin, per caso? Come lui lo è stato per la Corona stasera…” , chiese ufficialmente il Cavaliere.

Orrin, annuì con occhi supplicanti. Si avvicinò fin quando non gli fu a un palmo dal naso, osservandolo dal basso. “Mio figlio ha ricevuto una minaccia.”

“Non è il primo né l’ultimo, in questo periodo.” , mormorò tra sé il Cavaliere. Orrin parve non gradire la risposta, scoccandogli un’occhiata di rimprovero.

Murtagh sospirò. “Chiedo perdono per le mie parole sconsiderate.”

“Capisco che questo periodo sia difficile, ma un Cavaliere dovrebbe essere sempre disposto ad accogliere le richieste di uomini e donne bisognose.”

“Non sono senza sentimenti, ho il diritto di non essere sempre incline a volermi sacrificare solo per gli altri.” , puntualizzò con durezza.

“Non voi, figlio di Morzan, mi sembra…”

“Vi ‘sembra’ erratamente, dunque, lord Orrin. Ho delle colpe da scontare, ma non bisogna credere di poter ignorare con questa scusa la mia umanità.”

Ben detto! , tifò Castigo, E tu che pensavi che volesse aiutarti…

Un favore per un favore. Per questo è qui.

Fece per andarsene, ma Orrin allungò una mano per afferrargli l’avambraccio. “Volete sottrarvi alle promesse fatte prima, così presto?”

Il Cavaliere si bloccò, voltandosi indietro con la bocca spalancata. “Non è quello che intendevo.” , rispose esitante, colpito nell’orgoglio. “Minacce, avete detto?”

Orrin annuì. “È un essere dall’aura molto potente.”

“Chi? Chi ha minacciato la vostra famiglia?”

Orrin annuì spaventato di nuovo.

Murtagh lo osservò con sguardo inquisitorio, ma l’uomo evitava i suoi occhi forzatamente ora.

“Ditemi di più!” , lo supplicò frustrato.

“Che tipo di minacce?” , chiese dopo un lungo silenzio.

Il Protettore scrollò le spalle. “Le solite che si possono fare a un lord.”

“E perché siete così spaventato? Immagino non siano le prime minacce che ricevete…”

L’altro annuì appena. “Era un individuo davvero terribile. Capace di far rabbrividire solo con la voce.”

“Descrivetemi il suo volto, allora! Datemi qualcosa su cui basarmi, dannazione!”

“Non ho visto il suo volto.” , rispose il Protettore guardando fisso il pavimento. Parve confuso, agli occhi del Cavaliere.

“La sua voce, la ricordate?”

L’altro scosse il capo, facendo sospirare il più giovane. “Non mi state aiutando a rintracciare chi minaccia la vita tranquilla di Aberon.”

“Vi sento preoccupato, tuttavia, Cavaliere. Anche se le minacce sono giunte a noi e non a voi.” , insinuò Orrin, ribaltando la situazione di interrogatorio.

Murtagh abbassò il capo con onestà. “Come ho detto, non siete l’unico ad aver subito minacce da ignoti. Sapere che i miei figli sono lontani, oltretutto, mi fa temere anche per la loro incolumità.”

“Quindi non avete a cuore la mia in particolare, di incolumità?”

“Mi pare avessero minacciato vostro figlio, non voi.” , fece notare Murtagh incrociando le braccia al petto.

“È vero.”

“A ogni modo, se dovesse succedervi qualcosa Nasuada ne sarebbe triste, oltre a creare instabilità in questa nuova era di apparente pace.” , concesse onestamente all’altro, “Quindi ho a cuore di mantenere la vostra vita al sicuro.”

Orrin fece un sorrisetto. “È già un inizio tra noi, Cavaliere.”

“Posso chiedervi in cambio qualcosa?”

L’altro s’impettì dalla sorpresa. “I Cavalieri dovrebbero proteggere gli indifesi senza un tornaconto.”

“Io sono un Cavaliere unico nella mia specie, come mi ricorda tutta la corte ogni giorno.” , rispose Murtagh con un sorrisetto beffardo.

L’altro annuì in conferma. “Ebbene?”

Il più giovane si schiarì la gola. “Vorrei che cercaste di dimenticare i sentimenti per mia moglie.”

“Io non provo sentimenti per vostra moglie, potete dormire sonni tranquilli.”

Murtagh s’accigliò. “Ciò che mi avete detto ad Aberon, un anno fa. Le vostre parole mi fanno temere per mia moglie… Avete parlato di lei come un predatore descrive la sua preda.”

Vi fu silenzio a lungo.

“Posso fidarmi di voi, lord Orrin?” , parlò per primo e minacciosamente Murtagh.

Senza esitare, Orrin annuì. “Se sono giunto a chiedere aiuto all’uomo che ha sposato Nasuada è perché sono davvero arrivato al fondo del barile. Non avrei motivo di pugnalarvi alle spalle, o tramare contro di voi.”

“Non sempre gli uomini sono mossi dalla motivazione.”

“E da che altro?”

“Obblighi, giuramenti, necessità. Sono tutte cose capaci di smuovere un uomo comunque. Spero che la vostra richiesta sia genuina, e di non pentirmi di avervi aiutato in futuro.”

“Non so cos’altro potrebbe spingermi a rivolgermi a voi, se non la sicurezza dei miei figli.”

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Capitolo 78
*** Ombre su Aberon ***


I festeggiamenti dell’arrivo di un altro erede per Aberon si tennero nel castello estivo della famiglia che un tempo regnava sul regno del Surda, ormai ammesso ai territori umani di Alagesia. Giunsero all’edificio nell’oasi le Altezze Reali, imparentate più o meno alla lontana a re Larkin - che aveva preceduto Orrin - , da tutta Alagesia. La cena fu sontuosa: l’oro di posate, calici e brocche riluceva la luce delle candele sulle pareti di pietra di un caldo color sabbia, mentre all’esterno le stelle erano l’unica fonte di luce nel buio altrimenti totale. I nobili Surdani erano ricoperti di colorati e sgargianti tessuti bordati anch’essi in oro, taluni in argento, e svariate pietre preziose. Lady Muirne sedeva su un trono vero e proprio, come da tradizione, con il suo piccolo tra le braccia e il figlio maggiore seduto sui gradini che componevano la piattaforma. Era stata inondata letteralmente da doni preziosi per lei e per il futuro del suo bambino, come era successo in precedenza alla nascita del piccolo lord Larkin.

Orrin entrò nella sala, percorrendo un lato della lunga tavolata trionfante, salutando i presenti che lo fermavano e stringendo numerose mani. Quando fu arrivato in fondo, roteò su sé stesso per fronteggiare i presenti ancora una volta.

Si piegò sul tavolo, afferrò e alzò un calice. “Alla nobile casata di Aberon!” , gridò con tono enfatico.

“Ad Aberon e i suoi eredi!” , risposero in coro i presenti, bevendo dalle loro coppe dorate imitando il loro superiore in nobiltà. Orrin salì espertamente i gradini, senza guardare i suoi piedi.

Si pulì la bocca con un sorriso beffardo, andando a sedersi accanto alla moglie sul suo trono senza gambe, che poggiava direttamente su un tappeto posizionato sulla piattaforma. “Abbiamo superato Illirea: due figli contro un figlio malaticcio e una bambina. Ha! Presto avremo ciò che ci spetta.” , disse tra sé, venendo udito solo dalla moglie. Muirne alzò gli occhi dal neonato, per lanciare un’occhiata torva al marito.

“Che hai? Vuoi per caso difendere i tuoi lontani parenti del Nord - da cui discende il figlio di Morzan - e la nostra regina bastarda?” , le chiese sulla difensiva.

La giovane scosse il capo. “Non siamo parenti. E dobbiamo stare attenti a quanto diciamo contro la nostra regina, il Destino potrebbe girarci contro ciò che abbiamo stupidamente sperato.”

Allungò una mano perché il figlio maggiore si ricongiungesse con lei, e Larkin saltò in piedi obbedientemente e si arrampicò sulle sue gambe, circondandole il busto con le braccina e poggiando il capo sul suo seno.

La madre gli circondò il capo protettivamente con il palmo. “Dovremmo sperare che in futuro scelgano uno dei nostri figli a cui dare in sposa la principessa. Non rivolevi per loro la nobiltà?”

“Loro sono già nobili!” , sibilò l’uomo, scattando in avanti verso di lei.

“Vero, sono Altezze Reali di un trono che non esiste più. E a differenza di tutti i tuoi precedenti vassalli, la nostra famiglia non possiede nulla se non il castello al centro di Aberon.” , gli rispose sussurrando.

“La mia famiglia.” , puntualizzò, “Se volessi, potrei riprendermi indietro tutto ciò che i miei antenati hanno affidato loro - se ciò di cui ti preoccupi sono i miei possedimenti - .”

“Per poi? Rischiare dopo nemmeno tre anni di pace di scatenare una guerra nel Surda?”

“A differenza di voi nell’Impero, nel Surda la guerra non c’era. È colpa vostra se io non ho più una corona e devo stare alle decisioni di una donna che mi ha rubato la pretesa al trono - senza tenere in considerazione, evidentemente, tutto il supporto surdano ai Varden - ! E per colpa del risultato di una stupida guerra mi ritrovo anche con una moglie di un altro paese, probabilmente inviata a spiarmi!”

Muirne allargò le narici, trattenendo le staffe. “La regina Nasuada non ha meriti per il nostro matrimonio, né pretese da me. È colpa tua, Orrin, se sei stato costretto a sposarmi per avermi disonorata.”

“E la tua colpa è di essere stata stupida a non rifiutare le mie attenzioni!”

“Le attenzioni date a una giovane donzella in erba, rifugiata alla tua corte, mandata lontana dai suoi genitori, senza nessuno a poterla guidare e istruirla sul mondo, perché le forze di Aberon - anche di precettori - erano state spedite al fronte e lasciate disperdersi dopo la Liberazione.” , precisò con una punta di disgusto.

Orrin alzò una mano, pronto a colpirla, ma Muirne lo anticipò puntandogli un dito contro. “Non osare colpire la madre dei tuoi eredi!” , lo ammonì sempre parlando in un tono a stento percettibile. Crescendo e soprattutto guadagnando un posto sicuro alla corte di Aberon dopo la nascita di Larkin, aveva perso parti della sua remissività per trovare una forza talvolta di cui non credeva di esser capace.

Gli invitati si ammutolirono, osservandoli stupiti. Muirne sorrise voltandosi verso la tavolata ai loro piedi. “Miei cari, è tutto in ordine. Io e il lord mio marito stavamo solo discutendo.”

“Ha! Una donna che discute con il proprio marito non si dovrebbe nemmeno concepire.” , sbottò qualcuno. La donna al suo fianco, l’unica dalla pelle scura come quella della regina Nasuada, gli speronò le costole con il gomito per rimettere il padre - probabilmente - al suo posto. Poi alzò gli occhi e sorrise alla giovane sposa del loro signore.

Come Muirne, la dama era l’unica altra che non condividesse la carnagione lievemente abbronzata dei Surdani presenti.

“Lady Muirne ha ragione: il Surda non potrebbe nulla in una guerra contro il resto di Alagaesia.” , disse una voce allarmata.

“Silenzio!” , tuonò Orrin, “Non è la serata giusta per parlare di politica.”

Una donna si alzò di scatto, stringendo i pugni ai suoi fianchi. “E quando sarebbe? Se non stasera che siamo qui tutti riuniti… Non ci sono più permesse udienze, ormai.”

Orrin fece una risata piena di pietà, osservando coloro che sapeva sostenerlo a occhi chiusi, per ricevere indietro sguardi che lo rincuorarono e rinforzarono. “Non ho accettato le vostre richieste, milady, poiché finché non avrete un lord da presentarmi al cospetto, non potrò discutere di affari con Zadar.”

La donna spalancò la bocca. “Io ho solo figlie femmine, e molto lontane dall’età da marito! La mia città andrà in rovina di questo passo. Non posso attende-”

Orrin la zittì nuovamente gettando lontano il calice, producendo un frastuono assordante. “Mi avete rovinato l’umore di festa. Buonanotte, miei fedelissimi.”

Detto quanto, turbinò su sé stesso per richiamare la moglie a sé perché lo seguisse, ma Muirne non si mosse di un capello. Anzi, lo osservò con sufficienza facendolo infuriare ancor di più. Allungò le braccia, passandogli il neonato. “Potresti riportare Hrothgar sano e salvo nel suo giaciglio? È tardi per lui.”

Orrin fece un cenno affermativo col capo, poi scese i gradini di fretta e se ne andò.

Non appena Orrin fu fuori dalla stanza, lady Muirne si alzò dal suo trono, poi prese la mano del figlio maggiore, stringendola in modo rassicurante. “Il lord tuo padre ha un caratteraccio.”

Un rumore di tacchi che si appropinquavano loro fece alzare gli occhi del bambino non sulla madre, ma sulla figura sconosciuta. Muirne lo imitò, trovandosi davanti la lady dalla pelle scura, che le fece una riverenza: “Milord, milady.”

“Siamo onorati di avervi qui. Posso sapere chi siete?”

“Mi è stato dato il nome di Rahel, che significa ‘pecora’.”

“Provenite dalle tribù nomadi?”

“Vi prego di non darmi del voi, milady, poiché come indica il mio nome, il mio destino non è stato pensato per divenire nessuno di particolarmente importante.”

“Preferirei invece appellarmi a voi nel modo consono, dato che vi trovate comunque alla tavola delle Altezze Reali di Aberon. Prima ho visto che di fatto abbiate un polso degno di nota.” , fece un ampio gesto di avambraccio per invitarla a seguirla all’esterno. Si incamminarono tutti e tre fino a un tappeto posizionato sotto una pergola chiusa da tessuti chiari, illuminata all’interno da alcune torce all’olio di bronzo traforato con intricati disegni. Muirne si posizionò a sedere per prima, osservando l’ospite rimanere rigidamente in piedi. “C’è qualche cosa non di vostro gradimento, a tal punto da impedirvi di sedervi?”

“No… è che questo è il luogo dedicato all’individuo più importante per parlare di affari privati.”

“Credete che non sia posto per noi, quindi?” , la punzecchiò Muirne con un sorrisetto. Indicò poi il figlio - intento a giocherellare con il bordo del tavolino da tè - con il mento. “Il futuro di questa casata è con noi, in caso qualcuno dovesse venire a rimproverarci di non poter sedere qui… A ogni modo voglio tranquillizzarvi che i servitori di mio marito in realtà sono molto più fedeli a me che a lui - sempre e comunque segretamente, s’intende - .”

Rahel ridacchiò, sciogliendosi e sedendosi a terra con un movimento fluido. Poco dopo, tutti i presenti nella sala che non si erano dileguati per andare a riposarsi, apparvero fuori dalla porta da cui le due donne e il bambino erano uscite, rimanendo compatti in una piccola folla. Muirne si sporse oltre lady Rahel, facendo un sorrisetto compiaciuto. “Anche loro sono qui per me…” , le spiegò versando a entrambi un calice di acqua di rose, “Ti occupi di politica?”

Rahel bevve un sorso, poi annuì. “Nella Tribù da cui proviene mia madre anche le donne possono assumere cariche di rilievo, addirittura governare.”

“Anche da dove provengo io, in passato. La mia famiglia non ha perso questa inclinazione all’equità ed è per questo che tutti i servitori di lord Orrin da che pensavano di potermi usare come una marionetta, hanno dovuto ricredersi. Qui ho trovato un luogo dove poter rompere le catene che mi hanno sempre attanagliata, e che altrove ancora mi imprigionerebbero.”

Distolse lo sguardo dal bel volto di lady Rahel, e fece un gesto con la mano sopra la sua testa, richiamando la folla. Subito, come cavalli spronati al trotto, i loro piedi si mossero tutti insieme, per raggiungere la tenda. S’inchinarono e attesero il permesso di prendere posto. Lady Rahel osservò ammirante quella riunione colorata e intima.

“Milady, vostro marito rovinerà tutto se non lo farete rinsavire!” , non perse tempo per lamentarsi un uomo, in ginocchio davanti alla moglie del Protettore, proteso in avanti per tenere le mani candide tra le sue di media carnagione.

“Ne sono consapevole…”

“L’abbiamo udito proferire parole pericolose nei confronti della Corona, ma non vuole ascoltare l’opinione dei suoi vassalli!” , aggiunse qualcun altro con preoccupazione sensibile.

Muirne si alzò lentamente in piedi, disegnando un semicerchio con la parte frontale del corpo mentre osservava ognuno negli occhi. “Vi prometto che non permetterò che scateni l’ira della Liberatrice su di noi.”

“La regina Nasuada è stimata da noi e dal nostro popolo più di quanto non fosse mai stato re Orrin.”

Lady Muirne sospirò. “È una donna meravigliosa e nessuno più di lei avrebbe le capacità di governare il suo popolo e di vegliare sugli altri d’Alagaesia. Vorrei potervi garantire di avere la sua stessa influenza, ma non posso far altro che stare ad ascoltare le vostre richieste e i vostri suggerimenti alle spalle di mio marito, sperando di manipolarlo a favore di tutti.”

“Chi da’ l’opportunità a qualcuno di prendere le decisioni è il leader naturale.” , s’intromise Rahel, la sua voce che riuscì ad aumentare di intensità man mano che il coraggio l’inebriava.

Muirne spostò velocemente lo sguardo su di lei sorridendole con delicatezza, lusingata.

Guardò poi tutti nuovamente, uno per uno, negli occhi. “Vi prometto che finché sarò al fianco di sua Altezza Reale lord Orrin, farò di tutto per far prosperare la mia nuova casa, e la vostra da sempre.”

“Siamo con voi, milady.” , disse una voce con un velo di commozione.

 

Lady Muirne salutò lady Rahel dopo averla accompagnata agli appartamenti assegnatile con un grande sorriso. Rahel l’imitò, insistendo per baciarle il dorso della mano come avrebbe fatto con il lord di cui più era orgogliosa.

Orrin attese che la porta della dama si chiudesse, prima di parlare: “Che cos’era quello?”

Lady Muirne avrebbe voluto sussultare, ma in quei due anni aveva insegnato ai suoi muscoli a irrigidirsi appena, ogni volta che il lord suo marito appariva improvvisamente spaventandola. “‘Quello' cosa, vostra Altezza Reale?” , gliene di rimando sfoggiando il suo tono fintamente più frivolo e vano.

Orrin, che doveva aver bevuto qualche altra coppa di vino nel frattempo, si sospinse dal muro, camminando verso di lei. Le prese il polso, che Muirne ritrasse prontamente prima che la presa fosse troppo stretta da farsi male e congiunse le mani perché non potesse più afferrarne alcuna. “Inizio a essere stanca, rientriamo nelle nostre stanze?”

“Perché non mi raggiungi invece nel nostro talamo?”

Lady Muirne lo osservò esitante. Non era ubriaco ma solo alticcio, eppure sapeva che una volta sotto le sue grinfie non sarebbe potuta scampare a qualche sberla, se lo avesse rifiutato.

“Il guaritore di Aberon sostiene che per non compromettere la mia capacità di procreare ancora dovrò astenermi ancora per qualche mese, ricordi?”

Il marito sbuffò. “Inizio a credere di dover chiedere il parere di altri guaritori… Qui vicino, a Zadar, dovrebbero trovarvisene alcuni di validi.”

La moglie scosse il capo. “Re Larkin scelse il - nostro attuale - guaritore per le sue abilità, dunque io ho fiducia di tuo padre, Orrin, anche se non l’ho mai conosciuto.”

A quelle parole, gli occhi chiari dell’uomo luccicarono. “D’accordo.” , disse poi illuminandosi ancor di più a un pensiero evidentemente malvagio, “Quella lady con cui stavi parlando prima come si chiama?”

“È una donna sposata.”

“Se dovesse incappare in un problema nessuno darebbe la colpa a me.” , disse innocentemente, facendo rabbrividire la giovane lady.

“Io sono tua moglie!”

“Nessuno vuole rimpiazzarti in quel ruolo, ma se ti continui a sottrarre ai tuoi dov-"

“È stato un guaritore a ordinarmelo, non capisci?” , gridò a quel punto Muirne.

Orrin le coprì la bocca con una mano per qualche secondo, osservandola minacciosamente perché si calmasse.

Muirne spinse lontano la sua mano. “Io so che ti ha colpita per la sua somiglianza a Nasuada.”

Orrin alzò un sopracciglio, divertito e al contempo stizzito. “Non accusarmi di avere interesse per la coppia di Illirea, quando tu stessa provi dei sentimenti per il figlio di Morzan.”

“È pura gratitudine la mia.” , riuscì a mormorare la lady, abbassando il capo e sentendo l’aria nel suo corpo abbandonarla. Orrin si allontanò lentamente, guardandola dall’alto con un sopracciglio alzato.

 

Quando rientrarono nella stanza da letto in silenzio, il Protettore e la moglie esclamarono di paura vedendo il loro secondogenito tra le braccia di una figura scura. Sotto il mantello nero era ben visibile una fredda armatura dello stesso colore, che stranamente rifletteva la luce delle torce e della luna appena, come fosse incantata.

“Chi sei? E cosa vuoi da mio figlio?” , gridò facendosi largo nelle spalle Orrin.

La figura si voltò con un ghigno e controluce i suoi lineamenti fecero ricordare a entrambi i coniugi una e una sola persona in Alagaesia. Muirne fece un passo avanti con la bocca spalancata e l’espressione sollevata, le mani giunte sul cuore. “Lord M-” , fece per esclamare, quando Orrin l’afferrò violentemente, tirandola dietro di sé per proteggerla. Aveva percepito vi fosse qualcosa di strano in quella situazione: mai chi avevano entrambi pensato di trovarsi davanti all’improvviso si sarebbe presentato senza essere annunciato e si sarebbe intrufolato nella loro camera da letto in armatura. Nemmeno per portare brutte notizie.

“Che diamine ci fai tu qui?!” , sibilò restio il padre del bambino.

L’intruso scosse il capo. “Non sono chi pensate io sia.”

Mosse qualche passo verso Orrin con lentezza inquietante, facendo sbattere i pesanti stivali sul pavimento. “Mi aspetto un cambio di registro nei miei confronti, quindi.”

“Chiedo venia.”

“Scuse accettate.” , decretò annoiato l’uomo più vecchio. Poggiò il bambino senza troppi complimenti sulle braccia del padre. Per poco non lo fece cadere, siccome l’uomo pareva senza esperienza genitoriale, tanto da allungare le braccia e rilasciare il bambino senza prima accennare alle sue intenzioni - come era consono con un carico così prezioso e delicato - .

Orrin si voltò, facendo un cenno alla moglie, che raccolse il neonato e corse a poggiarlo nella culla, rimanendovi protettivamente davanti.

“Chi siete e cosa volete?” , chiese Orrin sfoggiando il suo tono da re.

La figura sussultò in una risata di scherno. “Patetico… però almeno non aver dimenticato la vostra naturale inclinazione al governo regale mi lascia la voglia di proporvi ciò per cui sono qui.”

Forse era l’alcol - che pensava di aver smaltito nel momento stesso in cui lo spavento, di aver visto Hrothgar nelle mani di uno sconosciuto, lo aveva attanagliato - , ma Orrin trovò le parole dell’uomo quasi deliranti.

“Avete minacciato mio figlio, dunque ditemi, prima che ordini alla Guardia Reale di uccidervi.”

“Vi offro di riavere la vostra Corona indietro, re Orrin.” , spiegò la figura mellifluamente, “A condizione che giuriate fedeltà al re dei re.”

“Che vorreste essere voi a divenirlo, giusto?” , chiese guardingo l’altro.

L’uomo dalla pelle diafana e i capelli scurissimi annuì piano. Muirne scoccò un’occhiata di supplica  - di portare al termine quell’incontro senza accordi pericolosi - al marito. Questo non solo non stette al gioco per terminare senza incidenti quella visita, ma addirittura parve assecondare l’intruso. Quest’ultimo si accostò all’orecchio di Orrin, parlando fitto per istanti lunghissimi, mentre il Protettore annuiva e il suo volto si faceva sempre più luminoso.

“D’accordo, abbiamo più di un solo sentimento in comune, il che ci permetterà di lavorare bene assieme. Volete unirvi a me per una bevuta, mentre mi raccontate il piano?”

“Raccontare è condividere. La condivisione è tra pari. Io sarò il re dei re, e non avrò pari. E come allora, sarà già da ora.”

“Ma un re ha diritto di sapere! E io sarò di nuovo… re…?” , mormorò allibito e confuso al contempo Orrin.

“Ma voi non siete più re, e non lo sarete finché non vi restituirò. Per ora sarete un mio cane fedele, come tutti gli altri del branco."

Orrin assunse un’espressione inorridita e fece un passo indietro, ma l’uomo lo prese fulmineamente per la gola e vi poggiò le labbra. Una luce rossastra parve guizzare tra il collo e le labbra, o forse vice versa, poi con una spinta, l’intruso lanciò Orrin lontano.

La giovane donna raccolse il neonato velocemente, mentre Orrin scivolava a terra senza sensi, poi fece per correre all’esterno, verso la stanza del primogenito.

La figura scura raggiunse lady Muirne, prendendole il volto tra le mani mentre lei singhiozzava col neonato tra le braccia. “Anche tu ricorderai solamente della mia intrusione, ma ho intenzione di renderti attivamente partecipe nel mio piano.”

La giovane scosse il capo con forza, per quanto riuscì. L’uomo ignorò la sua contrarietà.

“Dunque milady, io so che sei una discendente di re Therin.”

Lady Muirne si sforzò di calmarsi, per annuire appena.

“Bene, tu e la tua famiglia collaborerete con me. Ho bisogno di rompere il matrimonio tra Murtagh e Nasuada Ajihadsdaughter.”

Gli occhi di Muirne brillarono per un istante, poi tornò a scuotere il capo con forza. “Abbiamo atteso questa pace per anni, non posso pensare di romperla così…”

L’uomo emise un colpo di risata, riversando il capo all’indietro. “Si tratta solo di rompere un matrimonio…” , disse con tono suadente, “La pace non verrà toccata, è una mia promessa. Io voglio riunire Alagaesia in modi che nemmeno ora potremmo immaginare.”

“Sì, ma… per quale motivo dovreste infrangere il loro amore?”

Amore?!” , la figura rise facendo tremare le pareti della stanza, “È proprio per questo, possiamo dire, che voglio distruggere un matrimonio. Per vendetta personale.”

“Verso il Cavaliere rosso? Verso lady Nasuada?”

“Verso mia moglie. Verso ogni donna che osa intrappolare un uomo per pensare di prendere il suo posto.”

Muirne deglutì nervosamente, ma l’uomo si allontanò, uscendo dal suo campo visivo. “Recatevi a Illirea. Il resto vi sarà reso noto in seguito.”

Chiuse gli occhi per un istante, ricercando la forza per reagire, ma quando li riaprì vide il marito a terra, sentì i muscoli tesi e si ricordi di aver visto un intruso. E poi null’altro.

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Capitolo 79
*** Il segreto di Maeve ***


Erano ormai mesi che il lord suo marito aveva improvvisamente e inaspettatamente ritrovato un po’ di interesse particolare in lei. E proprio quando credeva di avere la certezza di essere troppo vecchia per fare la stessa scoperta che in gioventù l’aveva poi legata all’uomo malvagio che era suo marito, aveva realizzato di aver concepito una creatura. Un imprevisto terribile, secondo la donna.

 

Camminava nei corridoi distratta, chiedendosi il da farsi. La sua vita era un continuo aggrovigliarsi di segreti e situazioni scomode.

 

Stava per scappare, una notte. Aveva osservato il suo amato lord servito e la buona regina dormire abbracciati, anche se con le sopracciglia aggrottate - probabilmente per il dispiacere - e aveva deciso che sarebbe scappata. Quella volta, cercando di vivere con il suo bambino. Non avrebbero potuto nascondersi sempre, siccome il sangue del padre di questo lo avrebbe inevitabilmente reso una persona di rilievo, ma ancora una volta aveva visto la possibilità di essere amata da suo figlio e l’aveva colta con avarizia.

Aveva già raccolto i soldi messi da parte in quei pochi anni di servizio presso la corte di Illirea e i suoi pochi averi.

Stava cercando di sgattaiolare fuori dal castello, quando si era imbattuta in una scorta di uomini con una bambina poco più che neonata con loro. Aveva immediatamente riconosciuto la traccia magica lasciata da nessun altro che la piccola Órlaith.

Si era chiesta per un paio di momenti se era giusto seguirli, poi la curiosità vinse sul buonsenso. Si trovò a osservare dietro un edificio la casa che il suo giovane lord aveva donato ai fabbri suoi amici. Vide la maga Trianna alzare barriere magiche sulla casa e digrignò i denti udendo quanto poco potenti fossero. La vide passare un oggetto sulla bambina, e poi nasconderlo in una sacca apposta alla sua cintura.

Ben presto, uno dei due gemelli accolse la bambina tra le braccia e la folla si disciolse. Maeve trovò lievemente ironico che la figlia di Murtagh venisse affidata proprio a due abitanti di Carvahall, come era stato per il Cavaliere Eragon.

 

Raccolse nuovamente i suoi averi, passando davanti alla casa e formulando a mezza voce incantesimi più potenti e impercettibili e preparandosi a sparire nuovamente dalla città. Lasciando il fianco di Murtagh nuovamente in così poco tempo, sempre per colpa del lord suo marito e delle sue trame. Alle porte della fortezza si voltò indietro, vedendo il Cavaliere rosso in lontananza appoggiato a una finestra, a dorso nudo, con lo sguardo stanco e tormentato.

Si posò una mano sul grembo, maledicendosi per quell’errore. Perché lo aveva rifatto? Perché si era lasciata trascinare dalla carne? Era il suo corpo che chiamava sempre e comunque quello del marito, o era solo la paura di rimanere sola?

 

 

 

A Illirea, non era mai stata sola.

 

Anche chi non sapeva delle sue origini, le era vicino. Il suo giovane lord era stato più gentile e premuroso con lei di quanto non fosse mai stato nessuno dei suoi amanti, né suo marito.

 

Lui aveva più bisogno di rivedere sua figlia che lei di vedere quel bambino - che sarebbe stato maledetto quanto gli altri suoi, ormai andati - . Il Padrone aveva ragione: lei non era una madre. Probabilmente, sottrarsi alla missione le avrebbe procurato una punizione magica immediata, e sarebbe morta assieme a suo figlio. Era decisamente maledetto ancor prima di nascere. Non avrebbe fatto del bene a sé stessa, scappando. Si voltò, ritornando verso il castello.

 

Sulla via del ritorno, si fermò nella stanza di Trianna, riuscendo a entrarvi senza troppe difficoltà. Fortunatamente il Cavaliere era un mago abilissimo, pensò la strega, così la famiglia reale non avrebbe dovuto essere protetta dagli incantesimi rudimentali della maga dei Varden. Prese dalla sacca l’oggetto che aveva visto sfregare sulla bambina, nascondendolo nelle pieghe del suo abito.

 

Poi tornò nel suo letto, chiedendosi come sbarazzarsi di quel bambino senza che lord Murtagh o la regina lo venissero a scoprire, o avrebbero pensato che non fosse fedele solo a loro, ma che potesse avere un amante, una debolezza.

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Capitolo 80
*** Errare ***


Quel giorno, lady Muirne arrivò nello studio del Cavaliere rosso con il suo figlio maggiore legato con una lunga fascia al busto, come aveva tenuto Nasuada la loro neonata durante il viaggio. Murtagh trattenne le lacrime al pensiero; si alzò dalla scrivania e accostò galantemente al tavolo lo scranno su cui Muirne si era accomodata. “Spero milord che il nostro piccolo ospite non sia di disturbo.” , disse la giovane con voce esitante. Murtagh scosse il capo con forza e si accomodò di fronte a lei. “Forse sarà persino di giovamento. A cosa dobbiamo la presenza dell’erede di Aberon?”

Lady Muirne si fece scura in volto. Prese la manina del figlio tra le dita e strinse più volte piano i cuscinetti paffuti. “Hrothgar ha contratto una brutta febbre.”

Il Cavaliere sbiancò. “Tuttora è malato?”

La lady annuì appena, asciugandosi le lacrime velocemente con il palmo della mano. Una malattia per un bambino così piccolo risultava quasi sempre fatale. In Alagaesia tuttavia i bambini morivano come mosche, specialmente in infanzia, e i genitori erano sempre in un qualche modo preparati al peggio. “La balia di quando ero bambina dice che in questo periodo dell’anno i piccoli si ammalano più facilmente. E se hanno dei fratellini o altri bambini vicini spesso si contagiano fra loro in vere e proprie epidemie di morte.”

Murtagh sgranò gli occhi e deglutì pesantemente. Non sapeva dove si trovassero i suoi due bambini in un momento così critico. Temette per Finiarel, che era nato così piccolo - anche se evidentemente non debole - e che aveva da circa una metà anno raggiunto i suoi coetanei. E temette per Órlaith subito dopo, per la sua poco più che neonata. Sapeva, perché aveva studiato il proprio albero genealogico assieme a suo nonno, che la sua stirpe aveva dato la nascita a non molti individui - paragonati alla media della prole di una qualsiasi coppia di nobili - ma quasi tutti erano cresciuti sino a divenire adulti senza grossi problemi. Lui stesso probabilmente, se non avesse avuto il sangue di drago nelle vene, non sarebbe mai sopravvissuto alla ferita di Zar’Roc e al successivo coma di lune su lune.

Lady Muirne allungò una mano sul tavolo, cercando quella del Cavaliere. “Sono certa che con tutte le difese magiche che avrete apposto ai vostri figli, nessuna malattia potrà mai avvicinarsi a loro.”

Murtagh inspirò come se si fosse svegliato di soprassalto e annuì con forza. “Vorrei fare qualcosa per vostro figlio…”

Lady Muirne s’illuminò. “Davvero lo fareste? Insomma, vi siete già proposto di cercare chi ha minacciato la mia famiglia.”

Il giovane si mise la mano sul cuore. “Come Cavaliere, ho giurato di proteggere i bisognosi. È una mia specialità guarire ferite e curare malanni, dunque mi sento obbligato a provare a curare vostro figlio.”

Muirne rimase immobile, il labbro che le tremava. Non sembrava solamente contenta, quanto più spaventata. Alzò gli occhi in quelli del Cavaliere, poi si avvicinò a lui. “Vi ringrazio.” , mormorò con lentezza e affetto.

“Vogliamo metterci al lavoro?” , domandò il giovane porgendole galantemente la mano. Finalmente si sentì davvero utile, avrebbe potuto fare qualcosa e smuoversi da quella fastidiosa situazione di stallo.

Lady Muirne gli prese il gomito e assieme si diressero verso gli appartamenti della lady di Aberon.

Entrarono in silenzio, per non svegliare il piccolo malato.

Avvicinandosi al grande letto dei due sposi e girandoci attorno verso un lettino in legno con alcune decorazioni in foglia d’oro, Murtagh notò come nella stanza non vi fosse servitù.

Prima che potesse chiedere il motivo a lady Muirne, questa disse: “Eccoci, milord. Presto, vi prego: curate mio figlio.”

Si appese per impietosirlo alla sua manica a palloncino della blusa candida, fissandolo dal basso con occhi supplicanti.

“Certo, milady. Questo e altro uno degli eredi di Aberon.”

Muirne indurì lo sguardo. “Fatelo per me, non per Aberon: io sono l’unica dalla parte della Corona d’Alagesia.” , bisbigliò.

Murtagh si piegò verso di lei, per poterle rispondere sussurrando all’orecchio. Era decisamente più bassa di Nasuada, tanto che il suo collo tirava fino a dolergli per la posizione. “Se sapete qualcosa riguardo chi vi ha minacciato, potevate anche dirmelo nel mio studio.”

“Mio figlio è veramente malato, tuttavia non si parla dello sconosciuto, quanto di Orrin: state in guardia, le pozioni gli hanno dato alla testa molto tempo fa, e talvolta agisce in modo non lucido! Ci si aggiunge anche la sua tendenza ad alzare troppo il gomito, da quando ha perso la mano di vostra moglie, e io mi trovo a cercare di governare un ex-regno segretamente per prevenire ciò che quell’imprevedibile uomo di mio marito potrebbe fare.”

“Vi ha mai messo le mani addosso?”

La lady scosse il capo, muovendosi indietro di qualche passo per sporgersi sulla culla. “Tuttavia, se dovesse immischiarsi in qualcosa di pericoloso contro la Corona, io non potrei mai schierarmi contro di lui. Io e i miei figli coleremmo a picco per colpa sua e solo sua.”

Murtagh la imitò, osservando nella culla e vedendo per la seconda volta il piccolo Hrothgar. Era un neonato ben formato, seppur correntemente segnato dal rossore della febbre, ma non bello quanto fosse stato Finiarel. Murtagh deglutì per cercare di sciogliere il nodo alla gola, allungando al contempo una mano e poggiandola sul ventre del bambino, poi sul suo piccolo e soffice capo.

“Perché non avete detto nulla a Nasuada?” , continuò mentre nella sua mente iniziava a recitare formule per alleviare l’infiammazione nel piccolo cornicino del bambino.

“Non potrei denunciare mio marito! Non ho più una famiglia da cui tornare se dovesse ripudiarmi: i miei genitori sono stati trovati morti poco prima dell’incidente ad Aberon, tuttavia la notizia mi è giunta solamente dopo. Inutile nascondere che io non stia pensando che sia tutta opera di Orrin.”

“Chi minaccerebbe la sua stessa famiglia?”

“Non sono nemmeno sicura che sia successo davvero. A volte i fumi di quelle dannate pozioni non creano effetti strani solamente in lui, ma anche in chi ci capita appresso.”

Murtagh alzò gli occhi di scatto. “La situazione si fa più complicata del previsto… Non sappiamo più se stiamo cercando davvero un reo o se un’illusione.”

“So solo che se siamo giunti qui è perché Orrin era davvero spaventato di quanto abbiamo visto… Ma v’è qualcosa che non mi torna, tanto da farmi dubitare e gettare la spugna.”

Murtagh si rizzò sulla schiena. “Ecco, il bambino sta bene.” , commentò con un sorriso breve ma genuinamente contento.

Muirne gli rispose illuminandosi completamente. “Finché Orrin non vorrà tornare ad Aberon fingeremo di proseguire con le ricerche. Chissà, forse a stare qui si sentirà talmente sicuro da vincere le sue paure e dimenticare tutto, come se nulla fosse mai successo.”

Sospirò e Murtagh simpatizzò con lei. Anche lui aveva avuto a che fare con un pazzo, suo padre, e capiva la frustrazione dovuta all’incertezza, all’attesa dell’imprevedibile.

“E se ci fosse davvero qualcuno che vi ha minacciati?”

“Ci avrebbe dato un valido motivo, o avrebbe voluto qualcosa in cambio da noi. Invece, non ricordo nulla a tal proposito. È davvero come se mi muovessi in base a ciò che ho visto in sogno… Non posso accettarlo. Io voglio veder fiorire Aberon, la mia nuova casa e quella naturale dei miei figli.”

“Siete molto simile a Nasuada, sotto questo aspetto.” , si complimentò.

“Dite?” , chiese arrossendo lady Muirne.

Una porta si aprì cigolando alle loro spalle. Nello stesso istante, Murtagh si volse per scorgere con la vista l’individuo che i suoi sensi avevano percepito. Una figura nell’ombra parve osservare la scena per qualche istante soltanto, poi scomparve percependo di esser stata vista.

“Chi va là?” , chiese lady Muirne, “Orrin, sei tu?”

Un rumore di vetri infranti si levò due stanze più avanti. “M-Muirne? Mi hai chiamato?”

“Oh, doveva essere solamente una domestica… Orrin si è appena svegliato dal suo riposo nel bel mezzo della sperimentazione con le sue pozioni.” , commentò sollevata la lady di Aberon.

Non rispose al marito, e questo non tornò a chiamarla. Probabilmente era già sprofondato nuovamente nel sonno.

Murtagh congelò sul posto. “Forse è meglio che vada ora.”

Muirne si voltò verso di lui di scatto. “Perché mai?!”

Il Cavaliere fece qualche passo indietro, allontanandosi da lei. “Io… ho assolto ai miei doveri da Cavaliere: vostro figlio sta meglio ora.”

“Sì, e non mi avete permesso di offrirvi nulla in cambio.” , lo rimbeccò la lady quasi offesa.

“Non è permesso a un Cavaliere accettare ricompense di alcun tipo.”

“Ma voi non siete un Cavaliere come tutti gli altri. Voi avete giurato fedeltà alla regina Nasuada e avete preso moglie e avete formato una famiglia.” , insinuò Muirne.

“È vero, ma ciò non toglie che io voglia seguire il resto dei dettami dell’Ordine.” , disse inchinandosi col busto in avanti leggermente, “A domani, milady. Vi attenderò nella biblioteca per il nostro lavoro.”

“Nella biblioteca? Perché mai un tale cambiamento? Il vostro ufficio non sarà agibile?”

Murtagh sospirò, ormai avendo indietreggiato già fino a trovarsi a toccare la porta con la schiena. “Milady, vi chiedo scusa per non essermi reso conto prima di quanto questa situazione potrebbe arrecarvi un danno.”

“Un danno?! Avete appena salvato la vita di mio figlio!”, esclamò allibita lady Muirne.

Aprì la porta e uscì. Prima di scomparire, si guardò indietro dolentemente. “Non capite che avremmo potuto offrire apparenze sbagliate?”

Lady Muirne arrossì e abbassò gli occhi ammutolita.

Sbrigativamente, Murtagh la lasciò assicurandosi di dire alle guardie fuori dagli appartamenti del Protettore: “Riferite al vostro signore che il suo erede non è più in pericolo di vita e che non deve sdebitarsi in alcun modo con il sottoscritto.”

Aye.” , rispose un uomo in armatura, squadrandolo con le sopracciglia aggrottate. Prima che potesse fare altre domande, Murtagh voltò i tacchi e se ne andò. Aveva pensato di eliminare loro la memoria della sua presenza negli appartamenti del Protettore e della moglie, ma se davvero erano stati visti da qualcun altro, il suo intervento magico sarebbe presto venuto alla luce, rendendolo ancor più sospetto.

 

Senza che se ne accorgesse, si ritrovò a bussare alla porta dello studio della Consigliera Elessari, la donna dei pettegolezzi. Forse per chiederle se strane voci su una tresca apparente con lady Muirne fossero già giunte alle sue orecchie. O forse, per estorcerle informazioni riguardo alla collocazione dei suoi figli.

Ad aprire, fu Maeve.

Trovandosi faccia a faccia, Murtagh quasi si dimenticò del suo timore per lasciare spazio alla rabbia. “Che ci fai qui?” , le sibilò mentre Maeve non rispose ma si fece da parte, annunciandolo.

All’interno, trovò la lady dei pettegolezzi intenta a sorseggiare del vino con Jormundur.

Strano che ci sia lui qui… tra tutti gli altri Consiglieri, lady Elessari è di sicuro quella che odia di più per via delle sue attività secondarie.

Forse è qui per studiare un modo per risanare la vostra immagine pubblica. Non avevate pensato a questa possibilità anche tu e la tua compagna di cova?, partecipò Castigo.

Spero che il rimorso lo divori dall’interno come un brucotarlo!

“Il nostro splendido Cavaliere!” , lo salutò con calore Elessari.

Murtagh non distolse l’espressione truce sul volto. “Cosa succede qui?”

“Non mi sembri nella posizione di fare certe investigazioni.” , commentò la lady a mezza voce, perdendo il sorriso finto. Quelle parole lo pungolarono nel petto come un ago da lana appuntito.

“Non sarò più nella posizione nemmeno di essere il marito di Nasuada di questo passo!” , scoppiò coprendosi gli occhi con le mani. Si asciugò le lacrime di nervosismo, mentre si abbandonava sullo scranno più vicino. Elessari accorse da lui. “Che cosa avete fatto?”

Si liberò la vista dall’ostacolo delle dita, per osservarla negli occhi. “Non lo sapete ancora?”

La donna lo guardò con gli occhi di chi muore dalla voglia di scoprire un segreto, ma per educazione non lo bombardò di domande. Alzò invece una mano per posargliela sulla spalla. “Se posso esservi d’aiuto, ascolterò quanto avrete da dire.”

Molto intelligente da parte sua offrirmi un supporto perché io le riversi tutti i miei turbamenti. E i pettegolezzi che ne deriverebbero, pensò con astio.

Non devi cedere!, gli intimò il suo Compagno.

Murtagh la guardò come un bambino davanti a una madre comprensiva per qualche secondo, poi Jormundur si mosse verso di lui. I loro sguardi s’incrociarono. Qualcosa sul volto di Jormundur gli stava gridando di non fidarsi. Il giovane finse di tornare in sé. Scosse il capo e tirò su col naso. “Evidentemente, sono solamente molto triste per l’assenza dei miei piccoli.” , si scusò usando un tono lagnoso, per attirare il compatimento della donna su di sé.

Casualmente, Maeve si trovò proprio di fronte a lui, sul limite della stanza. Aveva lo sguardo sconvolto, gli occhi rossi per il pianto trattenuto. Deglutì pesantemente il rimorso che aveva dipinto in volto. Avrebbe voluto sperare che anch’ella venisse divorata da rimorso, ma era evidente che il pentimento era già in atto. E pesantemente. La questione lo infastidì.

Murtagh si rizzò bene in piedi. “Chiedo scusa per la mia interruzione. So che non potrete dirmi dove si trovano i principi.”

“Cavaliere!” , lo richiamò Elessari, “Se avete bisogno di parlare, questo è il momento di farlo!”

Lui sfoggiò uno dei suoi sorrisi tristi, scuotendo il capo. “Perdonate davvero il mio comportamento. Sono solo un sciocco giovane uomo.”

“Non dite così!” , cercò di trattenerlo ancora Elessari, ma lui aveva già preso a salutare Jormundur con un cenno del capo educato. “Vi lascio a discutere delle questioni importantissime del regno di Nasuada, sono sicuramente più importanti di qualsiasi mia lamentazione.”

Maeve si mise una mano sul cuore, osservandolo con intensa determinazione, ma al contempo evidente dispiacere. Prese un profondo respiro, poi gli fece un cenno verso la porta, indicandogli la volontà di incontrarlo separatamente. Lui le annuì con una punta di riluttanza che faticava a reprimere, osservandola al contempo con occhi duri di rimprovero.

Ricevette una stretta alla spalla da Jormundur, che si avvicinò a lui come per abbracciarlo. Gli sussurrò il suo conforto e il suo dispiacere all’orecchio ancora una volta.

“Non mi farò compatire: il mondo è sempre stato contro di me d’altronde. Ho intenzione di lottare, anche se indipendentemente - o accanto alla sola Nasuada, da quando è entrata nella mia vita - per riavere i miei figli. Spero che non mi mettiate i bastoni fra le ruote ancora, o non vi prometto che non vi toglierò di mezzo uno per uno.” , sibilò con un filo di voce all’anziano, poi si separò velocemente e uscì. Maeve lo accompagnò come era suo compito. Non lo lasciò sulla porta come avrebbe dovuto, ma lo seguì dietro l’angolo più vicino, fino a una nicchia con una finestra solitaria che dava sul giardino interno della fortezza.

“Sei qui per sedurmi e avere il mio perdono?” , le chiese acidamente.

La donna scosse il capo con espressione dura. “Voglio spiegarvi…”

“Non ho bisogno delle tue spiegazioni! Il tuo tradimento mi ha tolto i miei figli!”

“Lo so, non-“

“Non, cosa?” , sibilò Murtagh. Avrebbe voluto urlare, strapparle la carne dalle ossa per punirla.

“Non era necessario che accettassi di collaborare con i Consiglieri. Eppure, in nome dell’amore che serbo per la vostra famiglia - che mi ha accolta dopo una vita dura e segnata dal dolore - ho pensato che potesse essere la cosa migliore.” , continuò la donna con voce rotta dal nodo alla gola, “Per tutta la vita non ho fatto altro che commettere scelte errate! Ho persino perso i miei figli, Cavaliere! E mi dispiace per voi, perché conosco il dolore che provate ora meglio di molti dei Consiglieri.”

Come se la diga dei ricordi avesse ceduto nella sua mente, Murtagh rivide davanti agli occhi il suo fratellino - che all’epoca era solo un pressoché innocuo Cavaliere del Drago - che sbraitava con lui per aver ucciso, a suo parere inutilmente, un uomo. Capì l’ira di Eragon, e al contempo la propria verso le azioni della donna. Lei come lui, aveva compiuto un gesto inutile ma che riteneva necessario. Certe persone non conoscono modi di comportarsi altrimenti. , pensò amaramente.

Si ritrovò immerso nel ricordo del suo primo omicidio, un brutto affare (un gruppetto di nobili lo avevano messo all’angolo a una festicciola e l’avevano picchiato quasi fino a ucciderlo, e appena gli ebbero voltato le spalle pensandolo fuori gioco, lui aveva usato l’adrenalina e le ultime energie in corpo per recidere la gola con il pugnale al nipote di lord Uthgard) che aveva alzato un polverone politico che solo Galbatorix in persona aveva potuto quietare. O meglio insabbiare. La sua vita era sempre stata all’insegna di tutto ciò di più spietato, violento e malvagio vi fosse al mondo. Le corti e gli ambienti nobiliari erano (solo a un osservatore esterno) impensabilmente i luoghi per crescere più a contatto con la violenza e la paura di tutta Alagaesia, persino più dei ranghi militari. E sotto il governo di Galbatorix gli orrori perpetrati a corte erano stati ancor peggiori e soprattutto fomentati dal sovrano stesso. Murtagh era stato tante volte sia vittima sia carnefice. Eragon non ne ebbe idea fin quando non si trovò con le redini dei Varden al posto di Nasuada. All’epoca del loro litigio, i suoi commenti rispecchiavano ancora quasi ciecamente la morale del suo bucolico villaggio natale e dei suoi semplici e solidali abitanti.

Comprendere, è accettare. Castigo si era permesso di trovare le parole più sagge per dare spiegazione ai suoi turbamenti. Murtagh sospirò. Maeve aveva lavorato alle loro spalle - seppur spergiurando mantenendo saldo l’affetto nei loro confronti nel cuore - , così come il Consiglio. Suo nonno ne faceva parte, Jormundur ne faceva parte. Murtagh si chiese se quello che doveva essere un semplice monito fosse sfuggito al controllo e alle previsioni di tutti, oppure se suo nonno fosse capace di pensare solamente al proprio bene esattamente come avrebbe fatto Morzan. Tale padre tale figlio, avrebbe voluto rimproverarsi ma una voce dentro di sé rifiutava di accettare come totalmente applicabile quel detto. Lui non voleva essere come Morzan.

Doveva essere tutto un errore enorme e quella consapevolezza coadiuvò la sua volontà di ferro di agire per ritrovare i suoi figli. Prima che finiscano nelle mani di chi davvero odia Nasuada o me.

Più Nasuada. , rifletté lucidamente. Lui aveva talmente tanti nemici o non simpatizzanti da essere certo che i suoi figli sarebbero stati tolti di mezzo già da tempo. E poi lui con loro.

Devi stare attento. , lo ammonì Castigo, temendo per la sua vita e condividendo il suo dubbio.

Già, a corte i giochi di potere non sempre seguono la via più logica e probabile.

Si riscosse, osservando la donna con minore durezza. Lei colse intelligentemente il suo mutamento di predisposizione. Si frugò tra le pieghe dell’abito semplice in cerca di una tasca.

“Trianna mi ha consegnato questo da recapitare a vostro nonno.” , disse mettendo una pietra liscia e chiara su un palmo del Cavaliere, che d’istinto l’aveva alzata.

“Cosa sarebbe? E perché la mostri a me prima di consegnarla a lui?”

Maeve alzò le spalle. “La prima volta che l’ho toccata, ho percepito un fremito… come se fosse incantata. Non ho particolare fiducia in Trianna.”

“Nemmeno simpatia in Flaithrì, se è per questo.”

Maeve sbiancò, allora Murtagh le rivolse un sorrisetto malefico. “Pensavi che non me ne sarei accorto?”

La domestica sospirò. “È vero, c’è qualcosa in lui che accende il mio istinto di sopravvivenza. Ma vi do la mia parola che non cambierà né la mia fedeltà verso la vostra famiglia, né il mio servizio.”

Murtagh emise un sottilissimo ruggito gutturale, pensando alle prossime mosse. Tornò a guardare verso la pietra. “Dunque dici che potrebbe essere incantata?”

“Non vi percepite alcunché attorno?” , domandò sorpresa e al contempo delusa la dama.

“Volevi davvero riconquistarti la mia fiducia dandomi un sassolino?”

“Stava per nominare vostra figlia quando me l’ha consegnata, ma si è subito interrotta e corretta.”

Vi fu un brevissimo silenzio di stupore da parte del Cavaliere. Forse quello poteva essere un primo passo verso il suo obiettivo.

Una pietra incantata da consegnare a un ex-Cavaliere… Suonava promettente come inizio per le sue investigazioni! Avrebbe cercato i suoi bambini in capo al mondo, iniziando quel momento stesso. Pensò per un momento a Muirne con rimorso, poiché sapeva che le avrebbe rubato tempo per risolvere la questione delle minacce. Si riscosse subito, ripensando alla necessità di mantenere d’ora in poi maggiore distanza da lei.

Murtagh alzò lo sguardo su Maeve, esitando a un pensiero. “Dovrai riprenderla e completare la tua missione, non è così?”

La donna assunse un’espressione durissima, quasi di repulsione. “No, sono pentita per il mio operato, e voglio cambiare rotta per redimermi.”

Mi ricorda qualcuno…, commentò con una punta di ironia il saggio drago rosso.

Dici che dovrei perdonarla? Dimenticare e andare avanti come se fossi un sempliciotto?

Il drago gli inviò il suono di un ruggito. No, ma di sfruttare la situazione a tuo favore. Eravamo bravi a sopravvivere in questo modo.

Vorrei iniziare a vivere, piuttosto.

Ma ancora non sentiva di avere i mezzi per capire come realizzare il suo desiderio. Sospirò. Diamine!

Tornò a focalizzarsi sulla governante. “Potrò dunque tenerla?”

Maeve annuì. “Anche il Consigliere Jormundur è d’accordo.”

“Ha!” , rise seccamente Murtagh, “Un altro che cerca redenzione.”

“È davvero pentito, milord.”

Murtagh strinse la pietra tra le mani e digrignò i denti. “Ascoltami, Maeve: io credo che tu abbia un fondamento di pazzia, e soprattutto di non avere altra scelta se non di provare a trovare i miei figli con questa pietra.”

La donna annuì e frettolosamente gli prese l’avambraccio, tirandolo a sé con una forza incredibile. “Presto, prima che li portino via da Ilirea.” , gli sussurrò con la stessa passione che era solita a mettere l’erborista Angela nei suoi discorsi deliranti. Lo lasciò dopo avergli inviato uno sguardo intenso. Dalla stanza fece capolino lady Elessari, cercando Maeve. Murtagh nascose la pietra in tasca velocemente, dichiarando di aver visto la dama allontanarsi per prendere del vino da ormai lunghi momenti. Cercò di dimostrarsi ancora disorientato, poi barcollando camminò oltre l’angolo prima che Elessari potesse bombardarlo nuovamente con le sue domande.

 

Corse da Nasuada, l’unica di cui potesse veramente fidarsi. Quando la trovò, s’infilò nella stanza in cui v’era la giovane, di prepotenza. “Murtagh?” , lo chiamò confusa.

“Nas, ho rischiato di rovinare tutti i nostri sforzi!” , si lagnò correndo ad abbracciarla. Nasuada lo accolse, sfregandogli i palmi sulla schiena in modo materno. “Raccontami: di cosa dovrei preoccuparmi?”

“Sto lavorando assieme a lady Muirne per scoprire qualcosa su chi li abbia minacciati, e stamani si è confidata con me riguardo la sua tristezza per la malattia di suo figlio.”

Fece una pausa per riprendere fiato e Nasuada si appoggiò al tavolo, semi-seduta sul suo bordo.

“Hai scoperto qualcosa?” , gli chiese trepidante.

“Inizialmente nulla, perciò vista la mancanza di progressi mi sono offerto di deviare dal nostro lavoro per curare suo figlio. Nas, senza pensare all’apparenza, l’ho seguita nelle sue stanze per alleviare le sofferenze di Hrothgar!” , le raccontò con voce sconvolta, e dal volume crescente.

Nasuada ascoltò il resto del racconto con lo sguardo fisso sul pavimento. Le poche volte in cui osò alzarlo, era lievemente ferita.

“Ho combinato un gran guaio… e mai avrei voluto rischiare di minare la parvenza di saldezza del nostro matrimonio!”

Nasuada fece un sorriso amaro. “Ci hanno tolto i nostri figli, questo non è nemmeno lontanamente altrettanto grave per la nostra immagine.” , mormorò fissando un punto nel vuoto dinnanzi a sé. Si riscosse, dandosi lo slancio per rimettersi sulle lunghe gambe, che il Cavaliere sapeva essere perfettamente tornite e setose. Una parte di sé gioiva nella consapevolezza di essere l’unico a conoscerla così intimamente. “E poi? Che è successo?”

Murtagh le riportò la stranezza dei sospetti di lady Muirne e infine ciò che lo angosciava di più: il dialogo con lady Elessari. Non nominò il dialogo con Maeve per evitare che la moglie gli impedisse di riprendere l’azione.

“A ogni modo, hai pensato bene di non raccontare nulla a lady Comare. Sicuramente ora si metterà al lavoro per scoprire di cosa si tratta, ma farò in modo immediatamente di pagare il silenzio di tutti i servitori di Orrin e Muirne. E di chiedere a Trianna il suo intervento.” , lo plaudì Nasuada, senza però riuscire a celare del tutto una punta di timore nella voce.

Murtagh s’irrigidì. Trianna non gli piaceva tanto quanto non gli erano andati a genio i Gemelli quando era ospite-prigioniero nel Farthen Dur.

“Che genere di intervento, Nas?” , le chiese con un tono che gli uscì dei più duri.

Vide la moglie pensare seriamente. “Trianna lavora assieme a Elessari per mantenere buona la mia immagine…” , ammise infine la giovane. Nei suoi occhi riconobbe la stessa genuina vergogna mista a rassegnazione che sfoggiò Finiarel quando tentò le prime volte di camminare sulle sue piccole gambe di airone. Solamente, che la regina era una donna adulta, già segnata dalla malizia. La fissò intensamente finché non arrossì.

“Hai bisogno anche dell’intervento di quella maga da quattro soldi per mantenere la tua immagine?!”

Nasuada assunse un’espressione di terrore e abbassò lo sguardo. Il marito si rese conto che la situazione sembrasse simile a un rimprovero, e lui non aveva alcun diritto di strigliare una regina, in realtà.

Murtagh si sforzò di rilassare allora l’espressione truce. “Non posso sapere tutto quello che la tua corte fa per te…”

Nasuada sospirò, tornando a sedersi. “No, purtroppo immagino di no. A volte nemmeno io riesco a mantenere le briglie ai miei collaboratori. È frustrante.” , mormorò con rammarico. Il labbro inferiore le tremava lievemente. Frustrante non è il termine che Murtagh avrebbe scelto per quella situazione, ma sapeva provenisse dalla tendenza della giovane regina a lasciar trasparire solamente alcuni spiragli delle sue condizioni per sembrare sì umana, ma ancor di più forte e impiegabile. Le sue viscere si contrassero, dopo che il pensiero che almeno lui le sarebbe sempre stato fedele e che non avrebbe mai osato agire alle sue spalle gli riportò a galla la consapevolezza che era esattamente ciò che si era ripromesso di fare poco prima: trovare i suoi figli con o senza l’approvazione di Nasuada dei suoi metodi. D’altronde, infrangi-giuramenti faceva parte del suo Vero Nome.*

Il marito le andò di fronte, prendendole il volto tra le mani. “Nas, è molto tempo che volevo dirtelo, e non si è mai presentata l’occasione per trattare l’argomento, ma io… non condivido affatto l’operato di Trianna. So che non è il momento giusto per destabilizzare nuovamente la cerchia dei tuoi fedelissimi, ma… quella donna e il suo gruppo commettono atti abominevoli e che non andrebbero commessi.”

La giovane lo guardò stranita. “Hai ragione a dire che sia una delle poche maghe abbastanza abili di cui mi possa fidare… Ma di quali atti stai parlando?”

Murtagh alzò un sopracciglio. “Non ti è giunta voce che costringano tutti i maghi del paese a entrare a far parte del Du Vrangr Gata o altrimenti all’annullamento dei loro poteri?”

Nasuada non distolse lo sguardo. Quella volta, tradì il suo coinvolgimento immediatamente. “Era necessario.” , si corresse, “Sarà necessario finché non avremo individuato e annientato tutti i gruppi che vorrebbero far ricadere questo regno nel caos.”

“Non potrai mai essere certa di ciò che muove le persone. Nemmeno sotto giuramento.”

La giovane regina parve schiaffeggiata da quella verità.

Murtagh si staccò da lei con lentezza, riluttante ad addentrarsi ancora in quel discorso che avrebbe sicuramente creato dissapori tra lui e la moglie.

 

 

*N.d.A.: questo dettaglio è ripreso dal nuovo e ultimo testo di C.Paolini, “Murtagh”

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Capitolo 81
*** Angela ***


Se non fosse stato per la rabbia verso Nasuada e il suo operato coercitivo sui maghi umani d’Alagaesia, il solo pensiero di agire alle spalle della regina lo avrebbe spaventato così tanto da impedirgli di agire. Non avrebbe mai osato rischiare di perdere Nasuada o la sua fiducia, ma la rabbia lo rendeva cieco. E il dolore per l’assenza dei suoi figli ancor di più. Si recò da Castigo e insieme volarono per lunghe ore, quel giorno. Poi fu costretto a tornare per una dolorosa lezione di scherma con Derrel, il suo Protetto. Come i principi, lo avrebbero separato dal Cavaliere e dalla regina, ma il piccolo aveva espresso la sua volontà all’ultima sessione del processo di rimanere con loro. In realtà, da quanto gli aveva riferito Nasuada, la sua testimonianza entusiasta della coppia come tutori li aveva rimessi leggermente sotto una luce migliore. La giovane regina, infatti, era visibilmente rinvigorita e lavorava senza sosta per giornate intere. Quanto a Murtagh, senza le ricerche con lady Muirne e dopo aver tenuto i conti di entrate e uscite del ducato di Órlaith per un’ora giornaliera circa, si trovava senza molto da fare. E rimuginava, rimpiangeva la solitudine (non rotta se non dalle parole di conforto di Castigo), complottava e s’infuriava contro nemici ignoti. Nel mentre, però non poté che riaccendersi un minimo di fiducia nella domestica castana e in Jormundur, che ogni sera scendevano nella sala del tesoro. Maeve portava la pietra incantata da Trianna, su cui Murtagh era riuscito a completare l’incantesimo di monitoraggio, e i tre la osservavano brillare ritmicamente come un cuore pulsante. Murtagh e Jormundur avevano così un segno evidente del benessere della principessa, che confermava le poche informazioni che raccoglieva Maeve mentre passava per il nascondiglio dei principi, di cui non poteva svelare la collocazione. A ogni modo Murtagh immaginava si trovassero a Ilirea e ne ebbe la conferma quando la domestica tornò dalla missione di osservare da lontano i bambini in meno di mezza giornata. Non avrebbe potuto uscire e rientrare nemmeno dal castello in quel tempo.

Questo lo rese ancora più determinato a trovarli, un giorno.

Chiamò Maeve nel suo studio e le disse di preparare qualche bisaccia per entrambi perché sarebbero partiti sul dorso di Castigo. La domestica parve felice a tal punto di rasentare l’eccitazione all’ordine, anche se cercò di nasconderlo.

 

Quando atterrarono in un villaggio poco fuori da Ilirea, Maeve accettò la mano del Cavaliere per essere aiutata a scendere, anche se non inciampò nemmeno una volta tra le scaglie. Murtagh notò piuttosto che fosse verdognola in volto. “Qualcosa non va?”

La donna scosse il capo. “Solo un po’ di nausea da volo.”

“È comprensibile. Hai reagito piuttosto bene, per essere il tuo primo volo.”

La donna distolse lo sguardo da quello del Cavaliere in fretta, guardandosi intorno. “Cosa facciamo qui?”, gli domandò casualmente.

“Andremo a visitare Angela l’erborista. E aspirante indovina, a detta sua. Devo dire che molti sostengano che sappia più di quanto voglia far credere sia verità.”

Maeve non lo guardò, rimanendo rigida a pensare.

“Andiamo.” , la spronò voltandosi per intraprendere la strada che si era fatto spiegare per raggiungere la botteguccia.

A qualche svolta di distanza, trovarono l’edificio che aveva una forza impronta magica che il Cavaliere poteva percepire perfettamente.

Prima che potessero giungervi, Elva fece capolino. “Cavaliere, vi stavamo aspettando.”

“Sì?” , chiese per nulla sorpreso il giovane dai capelli corvini.

La strega-bambina osservò prima lui poi la sua accompagnatrice per un ultimo istante poi infilò nuovamente la testa all’interno, lasciando uno spiraglio aperto in cui si intravedeva solo il suo corpo esile. “Non solo un padre in pena per i suoi figli, ma abbiamo qui anche una donna addolorata per i propri.” , annunciò divertita.

“Elva.” , l’ammonì Angela, muovendosi producendo un fracasso incredibile.

La strega si spostò indietro, aprendo del tutto la porta. Guardò un’ultima volta il Cavaliere e alzò le spalle con un sorrisetto malvagio, poi scappò via.

Mi mette i brividi, commentò Castigo.

“Da’ la colpa all’adolescenza, ma la realtà è che la maledizione la sta rendendo un essere tremendamente infelice e cinico.” , la scusò l’Erborista.

Murtagh fece un leggero inchino col busto, dopodiché la donna dai riccioli scuri li invitò a entrare.

“Sono giunti qui nel mio gabinetto Murtagh Shur’tugal e…?”

“Maeve, governante.”

“La spia.” , Rispose fulmineamente Angela, ma senza alcun risentimento. La sua era una pura osservazione. Infatti, il momento dopo la stava studiando con occhi incendiati di passione, come se avesse posato lo sguardo su un calice d’oro nanico, o avesse posato gli occhi su una vecchia conoscenza che mai ci si sarebbe aspettati di rincontrare.

“Sai chi è lei?” , le chiese Murtagh stranito.

“Oh, certamente! Le nostre strade si sono già incrociate. Ma mai sotto queste vesti.” , rispose con lo sguardo perso nel vuoto, toccandosi i capelli tinti di fresco. Odoravano fortemente di erbe coloranti. Si andò a sedere sul suo scranno, lasciandosi cadere di peso. Sempre mantenendo gli occhi fissi in un punto invisibile, indicò l’unica sedia libera al Cavaliere.

Dopo un lungo silenzio, Angela si riscosse, e lo stesso momento venne ripetuto dalla pelliccia del Gatto Mannaro acciambellato su un cuscino accanto al camino.

“Sei qui perché scruti nel tuo futuro?” , chiese Angela finalmente totalmente ringalluzzita.

“No, o saremmo qui a parlare per anni. Sono immortale…”

L’erborista fece scattare in alto gli occhi, così come le sopracciglia. “Ne sei proprio sicuro?”

Murtagh sapeva che fosse una provocazione o solamente un commento strano quanto la donna in sé.

Lo sapeva?

Ne era così sicuro?

“Se sai qualcosa, dimmelo: ho due figli che non vorrei abbandonare.”

Angela gli rise in faccia senza complimenti. “Non sei tu, Cavaliere, che li hai abbandonati: sono loro ad averti lasciato abbandonato.”

Ridusse lo sguardo intelligente ma folle a due fessure. “Sei qui per questo?”

“Se ti dicessi che non sono qui per cercare di ritrovarli mentirei.” , le concesse Murtagh, ignorando le provocazioni.

“Eppure, hai fatto tanta strada quando i tuoi figli si sono sempre trovati al sicuro sotto il tuo naso!”

“So che si trovino a Ilirea, ma gli occhi che mi guardano mi impediscono di sfondare tutte le porte per ritrovarli.” , rispose frustrato il Cavaliere.

Angela ridacchiò, quella volta. “So tutto, io. Che se provassi a usare la magia avresti paura di essere scoperto; dove si trovano; chi ve li ha tolti.”

“So anch’io di chi siano le mani sporche del crimine di rapimento dei principi.”

“Due su tre… non male. Cosa ci fai ancora qui?” , gli chiese scocciata.

“Ho bisogno che qualcuno di molto abile con la magia mi dica dove trovarli.”

“E poi? Cosa faresti, li andresti a rapire?”

Murtagh fece stridere i denti sfregandoli assieme. “Sarebbe considerato portarli a casa.

Angela si spinse indietro, abbandonandosi contro lo schienale dello scranno. “Sei come un bambino viziato, Murtagh Morzansson.”

Il giovane dai capelli corvini incrociò le braccia al petto. “Ecco che nomini mio padre. Inizierai a incolparmi ora per azioni non mie?”

L’erborista si allungò oltre i braccioli in diagonale, stirandosi la pancia come un gatto mannaro. “Mi piaci, Cavaliere. Riesci a tenermi testa.”

“Non riusciresti a spaventarmi come Galbatorix.”

Angela si irrigidì appena, adombrandosi nello sguardo vispo. “Oh… ci sono cose ben peggiori nell’ombra.”

Si allungò sulla scrivania per afferrare una boccetta. La aprì sotto il suo naso e con la mano si avvicinò un paio di volte piccole volute di fumo. Poi richiuse la boccetta come se un importantissimo tesoro potesse sfuggirne e inspirò rumorosamente, alzando le spalle alle orecchie per aiutare i polmoni a espandersi. Maeve al fianco del Cavaliere in piedi sbiancò e si portò una mano sul volto, coprendosi bocca e naso. Alzò l’altra in segno di scuse e corse all’esterno.

“Spero solo che-“

Ah, ah!”, lo interruppe, “Prima ascolta il mio ammonimento, dopodiché ti rivelerò come trovare i tuoi figli.”

Murtagh deglutì annuendo. Si appoggiò allo schienale mansuetamente.

“È bene che tu sappia che ci sono forze che nemmeno Elva potrà prevedere, che tramano nell’ombra. I Sognatori lasciarono un discepolo, il più subdolo di tutti (perché a lui non servono i fumi per creare illusioni ed entrare nelle menti degli altri). Galbatorix fu addestrato da questo individuo e prima ancora dai Sognatori, capisci?”

Il Cavaliere strinse le palpebre in due fessure, confuso e preoccupato.

“Cosa voglia costui non mi è ancora chiaro, ma ciò che so è che dovrai essere tu a sconfiggerlo. Questa volta, non sarà Eragon l’eroe. Solamente tu potrai sconfiggere ciò che non si vede e infine trovare la tua famiglia, e sarà un’impresa da Cavalieri.”

“Tutto questo… succederà tra poco?”

Angela scosse il capo lentamente. “Anni ti separano dalla resa dei conti. Anni in cui dovrai scoprire molte cose, anche se il Sognatore è già entrato nella tua mente.”

Questo lo escludo. Nessuno può entrare nella mia mente. Persino Galbatorix stentava a riuscirci., brontolò Murtagh.

Credo che sia lui ad aver raso al suolo quel villaggio. Quello dei due bambini sopravvissuti che sono giunti a Ilirea per incontrare Nasuada… Forse intende che abbiamo tutti bene in mente che lui sia il nemico., ragionò Castigo.

“Hai nominato i Cavalieri. Ci sarà una guerra?”

Il timore che il loro sforzo per sovvertire l’ordine in Alagaesia fosse stato tutto vano lo attanagliò. Il Regno di Nasuada era ancora troppo instabile per resistere a una guerra. Non se il suddetto maestro di Galbatorix dovesse riemergere dall’ombra come già lo aveva ammonito l’erborista stessa.

Angela lo osservò in modo penetrante. “Non se riuscirete a impedirgli di risvegliare il Divoratore.”

“Chi sarebbe?”

“So che il suo vero nome è Azlagûr. Me lo disse un tempo una strega di nome Bachel.” , spiegò Angela rabbrividendo al nome della donna.

Brividi corsero di riflesso lungo la cicatrice sulla schiena di Murtagh. Hai sentito, Castigo?

Il drago brontolò nella sua mente in assenso.

“Sai dove posso trovarla?”

Angela saltò sulla sedia. “Sei forse pazzo?!”

“Per quale motivo tu, Angela, sei spaventata da questa Bachel?” , indagò Murtagh protendendo il busto in avanti.

La donna che aveva recentemente cambiato il suo colore di capelli da biondo a scuro, scosse i riccioli in una nuvola nera. “È pericolosa, nemmeno un Cavaliere come te potrebbe essere certo di resisterle.”

“Sono un uomo sposato.”

La strega abboccò al tentativo dell’interlocutore di stemperare seppur lievemente la tensione. Emise un piccolo ghigno divertito, poi la curvatura delle sue labbra ripiombò verso il basso come se l’ilarità fosse stata un muro in collasso. “Non sarebbe il tuo corpo che vogliono lei e i suoi adepti. I Cavalieri non sono al sicuro, al suo fianco.”

“Come puoi consigliarle di starle lontano quando mi hai detto chiaramente che lei sia la chiave per saperne di più sulla faccenda?” , si lamentò il giovane.

“Ammesso che sia ancora in vita, tu specialmente dovresti starle lontano. Il figlio di Morzan potrebbe avere qualcosa che a lei interessa.”

“E cosa?”

“Starà a te arrovellarti su questo. Una cosa è certa: sta’ lontano da dove la terra è nera e respira fumo.”

Castigo sussultò nelle loro menti unite. È ciò che ci disse Umaroth!

Sono già in due ad averci avvertiti. Salvo una necessità più grande, io eviterei di non seguire i loro consigli.

Il drago gli infuse un sentimento di solidarietà.

Angela alzò a quel punto un dito in ammonimento. “Il futuro ti è stato svelato. Ma non essere sciocco come Eragon. O come la strega Selena.” , terminò con uno sguardo così tagliente che Murtagh lo sentì fisicamente trafiggerlo dritto al cuore e fuoriuscire tra le scapole come una spada.

Lui annuì, sapendo bene a cosa si stesse riferendo l’erborista: nulla era scritto e immutabile, perciò lui sarebbe stato libero di cambiarlo. Rincuorante.

Inspirò accantonando per un momento le premonizioni della donna. Anzi, dopo quelle parole era ancora più intento a riprendersi i suoi bambini per proteggerli personalmente. Il Sognatore poteva essere già sulle loro tracce, per quel che ne sapeva.

Angela parve leggergli nella mente, perciò disse con un sorriso: “Ora arriviamo al dunque. Il principe e la principessa si trovano a Ilirea, in un luogo conosciuto alla tua domestica dallo stomaco debole.”

Fece un cenno del capo verso la porta da cui Maeve non era ancora ritornata.

“Immagino non possa parlare perché è sotto giuramento.” , rifletté Murtagh ribollendo di rabbia internamente.

“Altroché!” , esclamò con un tono un po’ troppo allusivo l’erborista, ma non continuò oltre, come se anche lei non potesse parlare. O non volesse.

“A ogni modo, se non sarà lei a darti qualche indizio, ci penserà Angela l’Erborista!” , annunciò battendo le mani assieme. Murtagh sospirò per niente coinvolto. “Finiarel Ruaidhrì e Órlaith si trovano a Ilirea. Dove?”

“Quanta impazienza, Cavaliere!” , fece roteare l’indice a spirale andando a indicare la tasca del suo panciotto. Murtagh la tastò, trovandovi la strana pietra che gli aveva consegnato Maeve. “I tuoi bambini stanno riempiendo di gioia i cuori e le case di due amici cui il dono di generare è stato tolto dal fuoco.”

Murtagh sbiancò. Non tanto per la posizione che gli fu subito chiara, quanto per la notizia della sterilità dei suoi unici due amici. Condizione che probabilmente i figli di Horst non erano a conoscenza di avere. E ora sentiva il peso di dover essere lui stesso a dare loro l’infausta notizia, prima di portar loro via anche la custodia dei principi.

Magari potrai fare qualcosa per loro, lo rincuorò Castigo.

Se saranno loro a domandarmelo, sì. Non vorrei maledirli come Eragon fece con Elva.

Murtagh ringraziò e fece per alzarsi, quando Solembum saltò sul tavolo. Lo osservò con grandi occhi penetranti, che gli ricordarono una gattina mannara che salvò durante una delle sue tante avventure di cui fu protagonista dopo la Liberazione, prima di stabilirsi a Mrest per il raccolto.

Murtagh lo incrociava spesso per il castello ed era grato a lui e alla sua specie per osservare invisibili i giochi di potere della corte.

“Gatto, hai informazioni per me?”

Più di quante Angela non ti abbia già fornito facendole passare per farina del suo sacco?, chiese sarcasticamente la sua voce risposa come la sua lingua. L’erborista ridacchiò tra sé.

“Sì, immagino di sì, visto questo tuo intervento.” , rispose seriamente il Cavaliere.

Sei saggio, Cavaliere. Ma né onnipotenteonnisciente, perciò non fidarti della fedeltà delle persone alla corte dei tua moglie, ma al contempo non essere eccessivamente guardingo. Hai bisogno di aiuto e non sei più solo.

Murtagh si accigliò per il paradossale consiglio del gatto mannaro. “La tua specie mi aiuterà?”

Solembum annuì solennemente. Come promesso da Carabel.

“Ottimo!” , esclamò Angela saltando sulla sua sedia, “Eragon ha trovato alleati tra elfi e nani. Tu, Cavaliere, avrai i Gatti Mannari, me ed Elva!”

“Le alleanze non si eguagliano in numero, ma sono contento comunque.”

Solembum inarcò la schiena e fece vibrare la coda contento. Nessuno potrebbe aiutarti di più di un Gatto Mannaro: noi siamo in ogni corte, in ogni casa e soprattutto, ognuno di noi sarà riconoscente e fedele solamente a te.”

“Non voglio alcuna fedeltà. Mi basta l’aiuto.” , pronunciò malinconicamente poi si voltò con il mantello che svolazzò dietro di lui, uscendo all’esterno. Trovò Maeve un po’ più colorita piegata sul pozzo. Si assicurò che stesse bene, prima di ripartire per Ilirea. Aveva due bambini da riabbracciare.

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Capitolo 82
*** Segreto svelato ***


Murtagh chiese a Castigo di atterrare fuori da Ilirea perché nessuno lo vedesse volare insieme a una donna che non fosse Nasuada sulla sella del grado cremisi. Avrebbe voluto, in effetti, non dover trasportare la domestica tra le braccia (posto che avevano occupato solamente Nasuada o i suoi bambini), ma per una questione di velocità era stato necessario spostarsi in volo, e chiedere agli stallieri che gli portassero la sella biposto perché la potesse sostituire a quella monoposto, lo avrebbe smascherato subito. A ogni modo, Maeve per lo meno aveva intuito il suo sentimento restio a sostituire la moglie, perché si tenne saldamente al bordo della sella fino a farsi sbiancare le intere mani e non si abbandonò sul corpo del Cavaliere come avrebbe invece fatto un altro passeggero. Toccata terra, Murtagh scese e aiutò la donna a scendere. Quella volta, se la dovette issare tra le braccia perché lo sforzo all’eccesso dei muscoli che le aveva permesso di non essere scalzata via in volo (seppur Murtagh avesse innalzato incantesimi per evitarlo e le tenesse comunque un braccio attorno alla vita) l’aveva stremata, sistemandola a terra con delicatezza. Le gambe della donna, come Murtagh si ricordava potesse succedere dai suoi primi voli, le cedettero e rovinò a terra, proteggendosi il ventre con un braccio ripiegato. Fortunatamente, Murtagh l’aveva deposta così gradualmente che non fu una vera caduta, piuttosto fu come un sacco di farina pieno a metà quando si accascia su sé stesso dopo averlo spostato. Murtagh la osservò cercando di non farsi vedere, mentre slegava una bisaccia e la appoggiava a terra perché Maeve vi si sedesse sopra. Era quasi notte, così le impartì di rimanere accanto al drago mentre raccoglieva della legna per il fuoco. La donna si propose di aiutarlo, ma Murtagh fu irremovibile: “Stasera sarai tu mia ospite.”

 

Sfruttò il silenzio del boschetto che delimitava la radura dove erano atterrati per ragionare sulle nuove scoperte. Sui Sognatori, sui suoi nemici a corte, sul comportamento di Maeve che era decisamente diverso da prima. Sebbene aveva ben altri e più grossi problemi, non riuscì a togliersi dalla mente tutti quei piccoli scostamenti che aveva notato in quelle ore di prossimità con la dama. Quando era stata assunta per occuparsi del principe e quindi anche della famiglia di questo, aveva quell’atteggiamento di timore reverenziale tipico delle matrone nei confronti dei loro eredi. Dopodiché, man mano che la confidenza cresceva e anche l’importanza del suo ruolo e del suo lavoro nella famigliola, il suo attaccamento si era spostato direttamente sul Cavaliere (senza però trascurare fino a poco tempo prima la fedeltà alla regina e ai principi) tanto che egli aveva creduto che il suo affetto si fosse tramutato in attrazione amorosa (chiaramente non ricambiata). Dopo il loro soggiorno a Dras-Leona, era come se avesse trovato un altro soggetto del suo interesse. Tanto da arrivare a tradire la promessa che il Cavaliere e la regina le avevano chiesto, di non svelare la volontà di effettuare una deviazione improvvisata e senza scorta per Alagaesia.

Che sia l’amante di Jormundur?

Questo l’avrebbe sicuramente messa in una posizione scomoda con Farica, la nuova moglie del Consigliere e braccio destro di Nasuada.

Se così fosse, erano stati davvero bravi a celare la loro tresca amorosa. Era altresì vero che Jormundur aveva escogitato la denuncia del Cavaliere per cercare di toglierselo di mezzo una volta per tutte, ed era probabile che se Maeve - dopo non essersi vista ricambiare i sentimenti dal Cavaliere (che le era comunque sempre stato grato e benevolente, dimostrandoglielo apertamente) - fosse divenuta l’amante del Consigliere, ora serbasse lo stesso rancore nei confronti di Murtagh.

Jormundur non non è smosso da così tanto odio da portare un’altra persona a sdegnarti. , si aggiunse Castigo, Anzi, non credo che ti odi affatto. Come fai ogni tanto anche tu, si comporta ancora come un cucciolo permaloso.

Hai ragione, ma è indubbio che abbiano cospirato assieme per toglierci i bambini.

Castigo sospirò esasperato dalla sua testardaggine. Si sono anche dimostrati entrambi colmi di rimorso per le loro azioni.

Murtagh guardò in cagnesco i ramoscelli tra le sue mani, come se avesse davanti il drago stesso. Crepitarono sotto la sua morsa. Dovrei forse perdonarli?

Castigo sfilò dalla sua memoria le sensazioni di inadeguatezza e vergogna ogni volta che udiva, nei mesi dopo la Liberazione, nominare lui o il suo Cavaliere nelle taverne che quest’ultimo aveva saltuariamente frequentato per tenersi aggiornato sulla situazione del nuovo regno.

Se non puoi ancora perdonarli, cerca almeno di comprenderli.

Ho compreso i loro moventi!, gridò mentalmente il Cavaliere, stizzito.

“Loro”? Se non sei certo di una cosa, non fare di tutta l’erba il medesimo fascio, lo rimbeccò il drago con il medesimo tono. Inoltre, li hai ascoltati ma non certo compresi.

Murtagh rilassò la mano, facendo cadere a terra tutta la legna raccolta. Alzò il volto verso l’alto, abbandonando il capo all’indietro. Espirò con un gemito rabbioso, poi si sforzò di ricomporsi. Devo rimanere lucido.

Quanto tempo era passato, dall’ultima notte di sonno ristoratore? Settimane, forse un mese. Non ricordava di preciso nemmeno da quanto tempo gli avessero tolto i bambini, come se la sua mente si rifiutasse di quantificare e quindi realizzare che fosse tutta realtà.

Si affrettò a raccogliere nuovamente la legna, tornando al piccolo accampamento improvvisato nella radura. Trovò Castigo intento a osservare la domestica incuriosito, mentre lei si torceva l’orlo delle maniche tra le dita, come una bambina in attesa di una punizione.

Quando i loro sguardi s’incrociarono, Murtagh assunse un’espressione allusiva. È tesa come la corda di un arco.

Il drago sbuffò, facendo trasalire sia il Cavaliere sia la domestica. Se ti ostini ad accusarla di tutti i tuoi mali, perché torturarmi le orecchie con i tuoi arrovellamenti?

Murtagh si avvicinò a loro, posando la legna in centro alla radura e circondandola di pietre grandi come un palmo, per delimitare il focolare. “Brisingr.” , pronunciò a bassa voce per appiccare la fiamma. Concentrò la sua mente perché il suo incantesimo servisse solamente a generare una fiammella, invece che bruciare tutta la foresta come avrebbe rischiato di fare se quello fosse stato il suo intento. La dama lo stava guardando ora assorta in pensieri lontani, come indicava il suo volto malinconico.

“Presto torneremo a Ilirea. Non c’è di che preoccuparsi in mia presenza.” , la rincuorò cercando di non sembrare duro.

La donna inspirò brevemente riscuotendosi, spostando lo sguardo sugli alberi che incombevano su di loro scuri, sui cui tronchi danzavano i bagliori del fuoco. Si cinse le spalle con le mani, come se avesse freddo.

Era ormai notte e le prime stelle incominciarono a uscire per stagliarsi meravigliose nel cielo. Murtagh iniziò a sentire la stanchezza attanagliarlo, perciò si sbrigò a mettere della carne secca in una pignatta da viaggio assieme a dell’acqua e della birra.

Si frugò in tasca, estraendo delle erbe (rosmarino, bacche di ginepro, alloro e maggiorana) che aveva strappato dai cespugli davanti alla casa di Angela. Le triturò con il coltello e le aggiunse alla loro cena sfregando la lama sul bordo del contenitore, di piatto. “Non ho sale. Spero non ti dispiaccia.”

“È un lusso di cui non ho goduto tutta la vita, perciò potrò farne a meno.”, lo rassicurò Maeve.

La carne essiccata che si poteva acquistare a Ilirea era la migliore di tutto il paese: durava mesi e mesi senza deperire e manteneva la sua capacità di essere permeata da liquidi, perciò solo masticandola con la saliva o bollendola per poco tempo, ritornava ben presto piuttosto morbida.

Murtagh afferrò due ciotole dalle piccole bisacce e ne porse una alla donna dopo averla riempita con la cena. Non gli sfuggì che stesse tenendo, fino a quel momento, le mani giunte sul grembo, massaggiandoselo con una cura tale da rivelare benissimo al Cavaliere la verità. Mangiarono in silenzio, mentre lui rifletteva sui suoi nemici e ora quella rivelazione.

 

Una scia luminosa tracciò il tragitto di una stella cadente.

“Esprimi un desiderio.”

“Mh?”, chiese distratta la donna. Non riusciva proprio a rimanere concentrata.

“La stella cadente.”

“Sì?”

“Non l’hai vista?”

Maeve scosse la testa.

“Peccato. Io ho avuto la mia occasione, tu no.”

La donna parve amareggiata.

“Cosa desidereresti, nella vita?”, chiese poi sussultando nel rendersi conto di aver appena domandato di rivelare informazioni che per superstizione dovevano rimanere segreti, per divenire realtà. “Che stupido che sono…”, mormorò emettendo un colpo di risata.

“No!” , si affrettò a rispondere Maeve.

“Se l’avessi vista, avrei desiderato di tornare a vedervi felice.”

Murtagh si voltò lentamente verso di lei, con un sopracciglio alzato. “E niente per te?”

Maeve si strinse nelle spalle. “Ormai penso che non ci sia nulla di salvabile in me. Sono una donna detestabile, per quanto mi sforzi di svoltare vita.”

Murtagh strinse le labbra, conoscendo fin troppo bene quegli stessi pensieri.

“Jormundur non la penserebbe così.”

Maeve si voltò a guardarlo dritto negli occhi, stringendo le palpebre per poi sbarrarle per la sorpresa. “Per quale motivo?”

“Mi siete sembrati una coppia molto unita in questo periodo…” , disse con tono apertamente accusatorio.

Maeve scoppiò in una risata amara. “Vi posso assicurare, Cavaliere, che Jormundur è fedele a Farica tanto quanto voi alla regina.”

“Dunque di chi altri sarebbe il bastardo?” , chiese Murtagh quella volta direttamente, indicando con il mento in direzione della porzione inferiore del corpo della donna.

Maeve sbiancò. “Come lo sapete?”

“Ero accanto a Nasuada quando durante quest’ultima gravidanza ha iniziato a non sopportare nei momenti più sporadici certi odori e sapori. Anche oggi, all’odore di zolfo della pozione di Angela hai reagito esattamente come avrebbe reagito mia moglie in quella condizione.”

Alzò poi l’avambraccio con cui l’aveva cinta nel viaggio. “E in più ho percepito la sporgenza. È inconfondibile… È per questo che hai preferito essere stremata dal viaggio pur di non permettermi di sorreggerti?”

Maeve sospirò, piegando le spalle in avanti. Il suo volto era contrito, come se dentro di lei si stesse svolgendo una greve battaglia. “Sì” , mormorò a un tratto sconsolata.

Poi alzò gli occhi, colmi di paura. “Non è un bastardo."

Il Cavaliere alzò le sopracciglia. “Non era morto, tuo marito?”

Maeve gli rispose con un silenzio che diceva più di mille parole. Murtagh si spostò a sedere accanto a lei, le loro spalle che quasi si toccavano. “Ti stai nascondendo da lui?” , le chiese con la dolcezza normalmente riservata a Nasuada.

Maeve annuì con riluttanza, asciugandosi rabbiosamente alcune lacrime che le erano sfuggite.

“V-vuole che mi s-sbarazzi del bambino.”

Le cinse le spalle. “Se vorrai crescerlo - o crescerla - faremo in modo che ti sia permesso.”

“Ho paura che possa fargli del male.”

“Non ho bisogno di sapere che volto abbia, o come si chiami.” , proruppe l’altro ferreo per poi continuare: “Fagli recapitare il messaggio che ora sei sotto la protezione della regina Nasuada e del Cavaliere del Drago Murtagh.”

Era un rischio offrire la sua protezione senza conoscere il volto dell’oppressore, ma per sua indole non era molto incline a obbligare le persone a raccontare la loro storia, a denudare la loro intima esperienza per far sì che si fidasse dell’altro. Purtroppo (e per fortuna), era nella sua natura avere una buona opinione di partenza di chiunque. Questo lo aveva portato a scottarsi parecchie volte, specialmente da bambino a corte con i suoi coetanei, ma al contempo era un barlume di bontà che si era sempre rifiutato di rinnegare, così rischiando di diventare come suo padre.

Maeve si voltò col busto verso di lui. “Vi ringrazio.”

Si osservarono a lungo negli occhi colmi di lacrime. “Sono sicuro che presto entrambi potremo stringere i nostri figli tra le braccia e vivere sereni.”

Maeve gli afferrò la mano che teneva abbandonata su una gamba. “Vi prego, Cavaliere: se dovesse succedermi qualcosa che mi impedisca di prendermi cura di mio figlio, potreste occuparvene voi?”

“Non lo abbandonerei mai, come so che non abbandoneresti mai i miei bambini.”

Maeve confermò con il capo.

“Ora riposiamoci, domani torneremo Ilirea e andrò a cercare i principi.”

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Capitolo 83
*** La spia ***


Jormundur in persona lo intercettò appena atterrarono a Ilirea. A comprovare le parole di Maeve, lui non le prestò più dell’attenzione necessaria per assolvere ai dettami dell’educazione.

Oltre a notare questo, Murtagh notò che fosse affrettato. “Qualcosa non va?” , chiese piano all’uomo. Jormundur gli fece un cenno teso del capo per invitarlo a seguirlo.

Quando, entrando nel gabinetto del Consigliere, vide i due gemelli Albriech e Baldor che tumefatti attendevano con espressione preoccupata, la situazione gli fu chiara senza che servissero spiegazioni. Si accorse stranito che la mancanza di sorpresa gli permettesse di sentirsi lucido. Ma svuotato come un frutto dalla buccia dura.

Senza attendere il permesso di parlare, Albriech si fece avanti. “Mi dispiace, amico…” , mormorò sinceramente. Il gemello annuì in simpatia, tenendo lo sguardo basso. Baldor aveva sangue secco che gli incrostava le narici e un bernoccolo sulla fronte. Chissà sotto gli abiti quanto dovessero essere malconci.

Murtagh non avrebbe potuto arrabbiarsi con loro. Era piuttosto colpa delle guardie appostate sotto la loro casa doppia, o di chi aveva permesso che i principi venissero allontanati. Si voltò verso Jormundur. Questo rimase immobile per un momento, fissando il vuoto. Si riscosse con un profondo respiro, andando a incontrare lo sguardo torvo di Murtagh.

“I principi-… Qualcuno è venuto a sapere del loro rifugio e…”

“Lo sapevo!” , sbottò in un lamento sconsolato Murtagh premendosi i pugni sugli occhi, la testa riversata all’indietro. “Sapevo che sarebbe finito tutto quanto perché avreste messo in pericolo i miei figli!”

Tornò ritto e lanciò le mani verso il basso per liberare lo sguardo nuovamente. Tutti avevano gli occhi lucidi, a quel punto, nella stanza.

“È tutta colpa tua!” , sbraitò sfogandosi verso il Consigliere, “Io mi sono fidato di te!”

Albriech e Baldor trasalirono, forse pensando che dopo sarebbe stato il loro turno per una sfuriata simile. Murtagh arrestò la sua camminata a falcate furiose davanti a loro. “Tornate alle vostre case  cuor leggero, amici miei: il figlio di Morzan non vi rimprovera alcunché. Anzi, vi è grato per aver accudito i suoi figli in questo tempo, e dispiaciuto per avervi coinvolti e messi in pericolo.”

Baldor aprì la bocca per rispondere, ma suo fratello annuì verso Murtagh poi afferrò un polso all’individuo identico a lui e lo strattonò via. Nella mente del Cavaliere balenò l’informazione che aveva ricevuto da Angela, ma la ricacciò poiché non ritenne adatto quel momento per gettare sale sulle loro ferite.

Quando furono soli, Murtagh tornò a prestare attenzione a Jormundur. “I dettagli. Ora!” , ordinò.

Il consigliere tirò su col naso, alzando gli occhi dal pavimento. “Maeve era con voi, perciò mi sono recato io stesso dai vostri due amici per il controllo quotidiano della salute dei principi.”

La sua voce era rotta dal dolore e dal rimorso. Murtagh provò pietà per lui. Era vero che tutto fosse iniziato da lui, ma era anche stato il primo a impegnarsi per trovare un cavillo legislativo per accelerare i tempi per riavere i principi. Mancavano anche a lui quei due meravigliosi esserini.

“Quindi sapevi la loro posizione?” , chiese Murtagh senza però riuscire a suonare così minaccioso come si era immaginato.

Jormundur scosse il capo. “È stata Maeve a farmelo capire, quando le avete detto del vostro breve viaggio.”

Quella donna era più sfuggente di una donnola, si rese conto Murtagh. “Prima di stamattina ti sei recato da solo da Albriech e Baldor?”

Jormundur confermò col capo. “Ho prestato attenzione che non venissi visto, però!” , protestò con rabbia verso sé stesso. Per lungo tempo Maeve era andata avanti e indietro dal rifugio dei principi senza essere scoperta, persino riuscendo a mostrare la posizione discretamente, mentre in una sola sera Jormundur era stato scoperto. La spia. Così Angela l’aveva definita. Se lei fosse stata una spia, probabilmente avrebbe fatto parte di un gruppo di dissidenti. Magari suo marito con lei: ecco il motivo per dichiararlo morto. Una persona invisibile era poco diversa da un morto.

Possibile che la sua prima impressione della donna fosse così sbagliata? Possibile che avesse abbagliato anche il giudizio di un drago?

Pensò al loro primo incontro, al teatrino che aveva imbastito per impietosirlo. La rabbia ammontò alle orecchie. Avrebbe voluto correre a interrogarla, ma prima avrebbe dovuto salvare i suoi figli.

Inspirò per cercare di focalizzarsi. “Ti credo. E credo che tu sia stato raggirato affinché compissi il gesto di denunciare la tua figlioccia.”

Jormundur strabuzzò gli occhi. “Perché questo cambiamento d’opinione così repentino, Cavaliere?”

“Credo di aver capito tutto. Ma ti spiegherò dopo che avrai terminato di informarmi riguardo la vicenda di stamane.”

Jormundur riassunse una dose considerevole di grinta nello sguardo. Fece un cenno di comprensione e proseguì: “I due fabbri hanno testimoniato di non aver scorto la figura che si sia macchiata del reato, ma di un dettaglio peculiare erano certi: il piccolo lord Ruaidhrì, il nostro principe, sembrava intimorito dall’uomo ma lo ha comunque seguito con un’obbedienza che non aveva dimostrato ancora nemmeno con loro.”

Murtagh fece un’espressione stranita. “A parte te, Farica e Maeve, sa di non dover obbedire a nessun altra persona oltre i suoi genitori. Lo sconosciuto lo avrà raggirato per fargli credere di essere un uomo di Nasuada... Non possiamo biasimarlo, non ha nemmeno due estati.”

Aveva pronunciato il nome della dama a denti stretti.

“Non possiamo confermare ancora se sia stato così. C’è dell’altro: l’uomo si trovava con una donna.”

Pensò a Maeve. Ma come poteva trovarsi in due luoghi contemporaneamente?

“Dall’accento straniero, la corporatura tremendamente massiccia per essere completamente umana. Dicono sembrasse un colosso.” , continuò Jormundur. Quelle parole lo colpirono ancor peggio della prospettiva che Maeve potesse viaggiare nello spazio-tempo a suo piacimento.

“Bachel.” , mormorò Murtagh. Non poteva esserne sicuro che si trattasse di lei, ma quella descrizione gli aveva fatto subito pensare a quanto si sarebbe addetta alla temibile strega.

Jormundur lo osservò incuriosito. “Bachel?” , gli chiese incredulo, “Il suo nome è usato anche dove siete nato, Cavaliere, per spaventare i bambini?”

Ora era Murtagh a essere confuso e interessato a scoprire cosa sapesse l’uomo della strega.

“No, ma sono stato avvertito giusto ieri riguardo la sua pericolosità.”

“Bachel è morta. Da centinaia di anni!”

“Chi era questa Bachel?” , chiese Murtagh frettolosamente.

“La discepola del Cavaliere ucciso da Galbatorix. Il suo primo compagno prima dei Tredici.”

“Non ho mai sentito di lui.”

Jormundur alzò un sopracciglio, studiandolo. Probabilmente, come figlio di uno dei Rinnegati, si ci aspettava da lui di conoscere la storia di Galbatorix a memoria e perfettamente. Ma non era così. La conoscenza era un potere, secondo Galbatorix. Perciò specialmente riguardo la sua vita (oltre a quanto non fosse già entrato nei racconti popolari) il re non soleva tradire alcunché.

“Brom raccontava sempre quella storia. Fu prima che vostro padre lasciasse le porte di questa stessa città aperte, e poi aiutasse Galbatorix e il suo drago a racimolare la forza per distruggere i Cavalieri.”

“Questa parte della storia la conosco già, grazie. Altro da dirmi riguardo Bachel?”

L’uomo scrollò le spalle. “Mia moglie - la mia prima moglie - , che era originaria di un villaggio vicino la Dorsale, raccontava ai nostri figli prima di coricarsi che Bachel avrebbe infestato i loro sogni se non avessero pregato gli dèi prima di dormire.”

Murtagh strinse le palpebre di scatto. I sogni. Non poteva essere una coincidenza che Angela lo avesse ammonito contro i Sognatori. Che Bachel sia una specie di divinità da loro adorata, dopo la sua dipartita? O forse non era mai morta ed era divenuta una creatura mitologica. Forse era immortale e si nascondeva in disparte, riapparendo tanto saltuariamente da farla passare come una creatura sovrumana.

Come gli elfi. Questo avrebbe spiegato le dimensioni superiori a una donna umana.

Scosse il capo velocemente. “Parleremo di lei più avanti, intanto credo che tu mia sia stato più utile di molte ore in biblioteca.”

Jormundur parve sorpreso e lusingato.

“Avete seguito le tracce che uscivano dalla città?” , chiese Murtagh riprendendo la compostezza.

L’anziano assunse un’espressione furba. “Dalle informazioni delle nostre spie, non è facile intercettarli perché si muovono circospetti, ma sembra si stiano dirigendo verso la Dorsale.”

La Dorsale. Dove Eragon aveva trovato l’uovo di Saphira. Dove nemmeno Galbatorix osava avventurarsi. Che vi fosse qualcosa di oscuro che nemmeno lui poteva pensare di vincere?

Un brivido corse lungo la schiena di Murtagh, mentre si muoveva per sfilare una mappa di Alagaesia dal farsetto. Si fece indicare la rotta e da sé immaginò il punto in cui si sarebbero trovati in quel momento. E in quale avrebbe potuto avvenire l’intercettazione, se avesse volato sul dorso di Castigo il più velocemente possibile.

 

Si avvicinò all’orecchio di Jormundur, chiedendogli di inventare una scusa per la sua assenza con Nasuada. E poi, sussurrando, di imprigionare Maeve fino al suo ritorno.

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