Five languages

di ferao
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Receiving gifts ***
Capitolo 2: *** Quality time ***
Capitolo 3: *** Acts of service ***



Capitolo 1
*** Receiving gifts ***


Salve!
Sì, lo so che ho ben due long in attesa di aggiornamento, ma garantisco che sto lavorando a entrambe: questa raccolta invece è un extra destinato a essere molto breve e creato per un'occasione speciale!
Vi presento infatti una raccolta di cinque oneshot scritte per l'iniziativa "Cinque fette di torta alla melassa" con cui festeggiamo il primo anno de L'angolo di Madama Rosmerta.
Il filo conduttore è il concetto dei "cinque linguaggi dell'amore", una teoria per cui gli esseri umani possono esprimere e ricevere amore - qui inteso nel senso più ampio del termine - in cinque modi diversi (per scoprire quali sono, Google è vostro amico!). La raccolta ovviamente non ha lo scopo di discutere o confutare questa teoria, che funge solo e soltanto da ispirazione/tema. Lascio a voi il piacere (spero) di vedere come il tutto si combina.
A ogni capitolo è legato un prompt che troverete indicato in cima. Buona lettura ^^



 
Receiving gifts
(prompt: fato)
 



Arthur Weasley non è mai stato un uomo poetico, ma sa riconoscere l’innamoramento quando lo vede.

Lo ha riconosciuto quando Bill ha preso per la prima volta in mano la bacchetta di nonno Septimus, che poi gli è diventata fedelissima. Lo ha riconosciuto quando Bilius ha messo Charlie su una scopa per la prima volta e, da quel momento, è stato impossibile convincere suo figlio che camminare fosse meglio di volare. E un giorno lo riconoscerà anche nel brillio degli occhi dei gemelli mentre guardano la vetrina di un negozio sfitto a Diagon Alley, nell’intonazione con cui Ron pronuncia il complicato nome di una sua compagna di scuola e nello scambio di sguardi lungo più di due secondi tra Ginny e un certo Harry, ma questo ancora non può saperlo.

Ciò che Arthur sa con assoluta certezza, in questo momento, è che oggi tocca al suo terzogenito sperimentare l’emozione del colpo di fulmine e lui, che ormai ha imparato a vedere lo zampino del fato in eventi del genere, non vuole perdersene neanche un istante.

«Ti piace?»

Percy distoglie lo sguardo dal gufo bruno che sonnecchia in una voliera accanto all’entrata dell’Emporio. Ha gli occhi leggermente spiritati – stessa identica espressione di Charlie e Bill – e un sorriso attonito. «Molto, sì.»

«È un bellissimo volatile. E giovane. Ti servirà per molti anni.»

Il sorriso vacilla e si spegne come una fiammella sott’acqua. «Oh. Ecco…»

«Che c’è? Devi ancora scegliere il tuo regalo.»

In un gesto istintivo Percy si porta la mano alla spilla da Prefetto che indossa dal giorno in cui l’ha ricevuta. Un po’ eccessivo, a parere di Arthur, ma non ha il cuore di dirglielo.

«Io…» Si volta di nuovo verso la voliera, dove il gufo si è svegliato e guarda lui e Arthur coi suoi enormi occhioni. «In realtà… mamma mi ha già preso dei vestiti nuovi…»

«Quello è il regalo di tua madre. Parlavo del mio regalo.»

Stavolta è il ragazzo a sgranare gli occhi all’inverosimile. Merlino, è davvero così sorprendente? Eppure anche Bill e Charlie hanno ricevuto lo stesso trattamento ai loro tempi, Percy avrebbe dovuto aspettarselo. 

Lui però non sta dimostrando lo stesso entusiasmo dei fratelli maggiori. Apre e chiude la bocca, si mastica l’interno di una guancia, infine scuote la testa. «Ti ringrazio del pensiero, ma non è necessario. Dobbiamo ancora prendere i libri di Difesa e non è detto che li troveremo usati, e Fred e George hanno rotto l’ultimo calderone intero che avevamo, e poi Ron ha bisogno di un kit di ingredienti, e anche lui voleva un animale, e…»

Il cuore di Arthur piomba a terra con un tonfo. Suo figlio ha ragione, ovviamente, e lui dovrebbe essere contento che dimostri tanta responsabilità e buonsenso, ma in realtà non prova altro che un cocente rimorso – è colpa sua, d’altronde, se il quindicenne davanti a lui è più preoccupato per le spese da sostenere che eccitato alla prospettiva di ricevere un dono. Quante altre volte è successo? Quante volte Percy deve aver desiderato qualcosa senza osare chiederla?

Quante volte si è detto di no da solo a prescindere?

Beh, non stavolta. 

«Perce,» taglia corto, interrompendo il monologo. «Va tutto bene. Se ti dico che puoi averlo è perché puoi averlo.»

«Ma non abbiamo…»

«Niente ma.»

Percy fa ancora per protestare, al che Arthur tira fuori lo sguardo severo che in vita sua ha utilizzato rarissime volte, e mai con lui. L’effetto è immediato: il ragazzo serra di scatto la bocca e avvampa fino alle orecchie. «Se vuoi quel gufo, è tuo,» aggiunge allora Arthur, con più dolcezza. «Te lo sei guadagnato. Lascia che del resto mi preoccupi io, d’accordo?»

Ancora rosso in viso, Percy lancia l’ennesima occhiata alla voliera. Il gufo ricambia sbattendo le ali, e Arthur – non un uomo poetico, decisamente non un esperto di rapaci – può giurare che nei suoi occhi ambrati brilli lo stesso interesse che Percy prova per lui.

«Va… va bene.» Finalmente il ragazzo sorride. «Lo prendo. Grazie, papà.»

Il rimorso si rimpicciolisce per lasciare spazio a una gioia genuina. Prima però che Arthur possa aggiungere qualcosa, Percy si porta di nuovo la mano al petto – non alla spilla, bensì al taschino della veste, dentro cui qualcosa si agita senza sosta.

«Però allora voglio fare anch’io un regalo,» balbetta, e senza elaborare ulteriormente si dirige in tutta fretta verso Ron, che insieme a un gruppetto di ragazzini sta ammirando la Nimbus Duemila esposta nel negozio poco più in là. Arthur assiste con una certa sorpresa mentre Percy estrae di tasca Crosta, il topo che lo ha accompagnato per tutta l’infanzia e oltre, e lo porge al fratello dicendo qualcosa che è troppo lontano per udire.

Ron reagisce a sua volta con un moto di incredulità, sgranando gli occhi in maniera identica a Percy; come al solito però si ricompone immediatamente e scrolla le spalle in quel suo modo che vorrebbe fingere indifferenza senza successo. Di lì a qualche secondo Crosta è tra le sue mani, e non appena il fratello si allontana, sul viso di Ron sbuca un minuscolo sorriso.

«Bene, ora possiamo prendere il gufo,» annuncia Percy. «Non potevo certo rischiare che Crosta ci venisse a contatto e finisse divorato.»

«O che tuo fratello andasse a scuola senza un animale da compagnia?»

Invece di rispondere, Percy fa spallucce proprio come Ron, prima di tornare a scambiarsi sguardi adoranti col suo gufo. Sì, accidenti. Arthur sa proprio riconoscere un innamoramento quando lo vede.

E ancora non può saperlo, ma anche stavolta il fato ci ha messo lo zampino.

 


 

 


Note:

Suppongo di non dover spiegare a quale scherzo del destino sto facendo riferimento. *coff CROSTA coff*
Che Hermes sia stato un regalo da parte di Arthur lo dice Ron nel primo libro, io ci ho solo ricamato su. E sì, morirò con gioia sulla collina del "Percy vuole bene ai suoi fratelli e chi dice di no ha torto".
Spero vi sia piaciuta ^^ A presto!


 

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Capitolo 2
*** Quality time ***


Quality time
(prompt: tempo)



 

«Ancora tu?!»

Poppy incrocia le braccia e scuote la testa all’indirizzo del ragazzo dinanzi a lei, immobile e un po’ curvo sulla soglia dell’infermeria. «Te l’ho già detto,» continua. «Se tua sorella ti sembra giù di tono devi convincerla a venire qui e farsi visitare, non ti darò altri ricostituenti da…»

«No… no, madama Chips, non è per Ginny che sono qui. Sono…»

Tentenna e alza una mano a sistemarsi gli occhiali, mentre con l’altra tiene ben stretto contro il petto un libro dall’aria consunta. «Sono venuto a… trovare una paziente.»

Poppy solleva un sopracciglio. Gli unici pazienti in infermeria al momento sono gli studenti pietrificati, e quelli di tutto hanno bisogno meno che di visitatori. Senza contare che lei ha da fare, per Morgana, e non ha proprio tempo né voglia di badare a gente in perfetta salute quando ha filtri da preparare e ingredienti da etichettare e sistemare. 

«Sei ben fuori dall’orario di visita, giovanotto. Sono le nove passate, dovresti essere già in dormitorio.»

«Lo so, ma…» Porta di nuovo la mano agli occhiali. «Sono un Prefetto, pertanto rientra tra i miei doveri…»

«…dare il buon esempio. Cosa direbbe la professoressa McGranitt se sapesse che il suo Prefetto gira di notte in spregio a tutte le regole?»

«Non è proprio…»

«Senza contare che le vittime di pietrificazione non sono consapevoli di ciò che le circonda, perciò è del tutto inutile venirle a…»

«Beh, questo non può saperlo.»

Interdetta, Poppy sgrana gli occhi. «Prego?»

«Non può dire con certezza che siano inconsapevoli,» ripete il ragazzo, con una saccenza che le va dritta al sistema nervoso. «Non si sa esattamente cosa abbia provocato la pietrificazione, giusto? Quindi potrebbe trattarsi di un fenomeno diverso da quelli finora documentati, quindi anche gli effetti sulle vittime potrebbero essere differenti, quindi è perfettamente probabile che siano in grado di…»

«Ah-hem.»

Il ragazzo ammutolisce di colpo. «Ti consiglio,» sbotta allora Poppy, «di non mettere in dubbio le competenze di chi può interdirti a vita l'ingresso in infermeria, Prefetto. Allora?»

Lui impallidisce e avvampa in rapida sequenza, segno che il messaggio ha davvero fatto breccia nel suo cervello. «Quello che voglio dire,» riprende in tono assai più umile, «è che se esiste anche solo una possibilità che questi studenti si sentano soli e abbiano bisogno di compagnia, credo glielo si debba concedere.» Sposta gli occhiali per la millesima volta e si impettisce come se dovesse perorare una causa davanti al Wizengamot. «Senza contare che, in quanto Prefetto, ho il preciso dovere di vigilare su tutti gli studenti della scuola e prestare assistenza quando necessario, perciò anche volendo non posso evitarlo.»

Solo la pazienza allenata in molti, molti anni a contatto con gli adolescenti impedisce a Poppy di roteare gli occhi. Sta per aprire bocca e rispedire il “Prefetto” e le sue patetiche scuse per gironzolare di notte al dormitorio di Grifondoro, quando lo sguardo di lui smette di essere concentrato su di lei e si sposta verso un punto oltre la sua spalla. D’istinto Poppy si gira e vede che in quella direzione c’è proprio una dei pietrificati, una Corvonero dai lunghi capelli riccioluti arrivata là insieme all’amica di Harry Potter. Anche lei un Prefetto, se non ricorda male.

Ah.

Torna a guardare il ragazzo, e stavolta non le serve la pluridecennale esperienza in materia adolescenziale per sapere cosa significhino le ombre nel suo sguardo. Niente di peggio di una pena amorosa a quell’età, quando tutto sembra già troppo grande e troppo piccolo, ogni sentimento troppo intenso e ogni attesa infinita.

Certe volte Poppy ha l’impressione che l’adolescenza sia una malattia a sé stante, una che soltanto il tempo può curare; e come per tutte le malattie, la guaritrice in lei non riesce proprio a non provare pena per chi ne è afflitto.

«Weasley…» Sospira e imprime alla propria voce il tono più morbido possibile. «Non saprà nemmeno che sei qui. Te lo garantisco. Torna tra qualche giorno, ormai le mandragole sono quasi pronte, basta un po’ di pazienza.»

Si aspetta che il ragazzino insista o ribatta con la medesima altezzosità di poco prima, invece lui non apre bocca. Continua a fissare la Corvonero riccioluta, le spalle di nuovo curve sotto quel peso che solo un sedicenne può sentire, e quando infine parla lo fa con una voce piccolissima.

«Per favore?»

Oh, per Morgana. Poppy sbuffa e si passa una mano sugli occhi, ma è più per mantenere l’apparenza di irreprensibilità che per reale esasperazione: dentro di lei la battaglia tra inflessibilità e compassione è già bella che persa.

«Hai esattamente quindici minuti,» borbotta burbera, scansandosi dalla soglia. «Non uno di più. E terrò la porta del laboratorio aperta, quindi niente scherzi.»

Il viso lentigginoso di Weasley risplende per un attimo di luce propria, ma si ricompone immediatamente. Sguscia attraverso la porta come un gatto timoroso di essere lasciato fuori casa dalla padrona, e nonostante le dichiarazioni programmatiche circa il “vigilare su tutti gli studenti della scuola” non degna nemmeno di un’occhiata gli altri degenti mentre si precipita al capezzale della ragazza; annuisce compìto agli ulteriori ammonimenti di Poppy e la ringrazia mentre lei entra in laboratorio e lascia la porta spalancata.

Col cavolo che lascerà una ragazza incapace di intendere e volere incustodita assieme a un sedicenne, ancorché Prefetto e innamorato. Così, mentre è intenta a catalogare le nuove scorte di ingredienti, tiene un occhio e un orecchio puntati verso l’infermeria.

«Ehilà.» La voce sommessa di Weasley scalfisce appena la quiete notturna. Senza far rumore, avvicina una sedia al letto e vi si siede. «Lo so che è tardi, ma questo è l’unico momento libero che ho da giorni. I turni di ronda sono diventati folli, e abbiamo dovuto coprire anche quelli di Diggory che è stato male, e…» si interrompe per sbadigliare, «…e praticamente non sto dormendo più, perché la McGranitt a quanto pare non accetta l’esistenza di un pericolo mortale come giustificazione per saltare i compiti. Mi spiace non essere passato prima a trovarti.»

Come è ovvio, dalla Corvonero riccioluta non proviene risposta. Questo non sembra affatto scoraggiare il ragazzo, che anzi si accomoda meglio sulla sedia. 

«Uhm… suppongo sia inutile chiederti come stai. Spero che tu non ti senta troppo sola qui, ho…» La sua voce si abbassa ancora di più, ma non abbastanza da sfuggire all’udito finissimo di Poppy. «Ho provato a convincere madama Chips che anche tu e quelli nella tua… condizione meritate di ricevere visitatori, ma non sembrava granché convinta. Però nei prossimi giorni proverò a tornare, magari non mi costringerà a insistere di nuovo così tanto.»

Poppy arriccia le labbra per non sbuffare. Ah, bel ringraziamento per il suo atto di compassione! Ha una mezza idea di trasformare il quarto d’ora in cinque minuti e cacciare subito Weasley in dormitorio, ma il prolungato silenzio che sente provenire dall’infermeria la spinge a interrompere l’etichettatura e sporgersi dalla porta, incuriosita.

Il ragazzo non sta più parlando; stringe forte tra le dita il libro che ha portato con sé e guarda la Corvonero con lo stesso sguardo desolato di poco prima. «Mi manchi, Penny,» mormora in poco più che un soffio. «Mi manca vederti, mi manca parlarti, mi manca… tutto. Non faccio che pensare a quando mi hai detto che non passiamo abbastanza tempo insieme, a quanto avevi ragione, e io avrei dovuto trovare il modo di esserci di più e…»

Si ferma e deglutisce forte. «E lo so che è ridicolo da parte mia sentirmi così, che nel giro di qualche giorno sarà tutto a posto e non è il caso di farne un dramma, però… mi dispiace. Mi dispiace tanto non esserci stato per te. Lo so che è tardi per chiedere scusa, ma… mi dispiace. Scusami.»

Stavolta il silenzio che segue è così profondo che Poppy ha l’impressione di sentire il respiro dei pietrificati. Weasley tace ancora per qualche istante, poi si riscuote e riprende a parlare con una sorta di forzato buonumore.

«Beh, ora sono qui, perciò che ne diresti di approfittarne per fare qualcosa insieme? Giusto per passare il tempo. Dev’essere terribilmente noioso starsene qui tutto il giorno senza niente da fare…» 

Si aggiusta gli occhiali e sposta la sedia con un lievissimo cigolio. «In altre circostanze ti proporrei una partita a scacchi o Gobbiglie, ma ho idea che non ci sarebbe soddisfazione a batterti così, quindi per stasera ho portato questo.»

Poppy stringe di nuovo le labbra, stavolta per non ridere, mentre Weasley alza il libro e lo mostra con fierezza alla ragazza inerte. «Esatto, è uno dei tuoi preferiti. Volevo leggerlo da quando me ne hai parlato, ma non ho mai trovato il tempo. Ti va se lo leggiamo insieme? O rileggiamo, nel tuo caso? Mh? Oh beh, chi tace acconsente.»

Si schiarisce la gola, si sistema contro lo schienale della sedia e apre il libro alla prima pagina. 

«Allora… “Dai ricordi del dottor John H. Watson, ex ufficiale medico dell’esercito britannico.” Medico e militare? Tutti i Babbani hanno due professioni? Questa cosa non me l’avevi detta, sarà difficile incontrare gli standard dei tuoi genitori. “Parte prima, Il signor Sherlock Holmes. Nell’anno 1878 mi laureai in medicina all’Università di Londra”, ah, quindi è come dire che ha terminato la formazione in Guarigione, chiaro, “e mi trasferii a Netley per seguire il corso previsto per i chirurghi militari. Completati i miei studi lì, fui destinato al 5° Reggimento Fucilieri Northumberland come assistente chirurgo.” Oh Merlino, e ora cosa diamine dovrebbe essere un “fuciliere”?! Penny, sai che mi piaci e mi fido di te, ma spero che questo libro migliori presto o lo rispedirò nell’angolo più remoto del mio baule…»

Nonostante la protesta, continua a leggere commentando qua e là con un divertimento ben celato sotto lo strato di seccatura. Poppy lo ascolta per un altro minuto o due, incapace di trattenere un sorriso, e quando decide di tornare al lavoro socchiude la porta del laboratorio.

Magari può mandare via Weasley dopo venti minuti invece dei quindici promessi – in fondo è facile perdere il senso del tempo, quando si catalogano ingredienti. E magari la prossima volta non lo costringerà a insistere così tanto per far visita alla sua ragazza.

Ha degli argomenti convincenti, dopotutto.

 







Note:

Il libro che Percy legge a Penelope è "Uno studio in rosso" di A.C. Doyle. Il motivo di questa scelta è la mia passione per avere sempre un filo conduttore, anche minuscolo, nelle mie storie: in "Omne Trinum Est Perfectum" ho scritto che Penelope era fan di Sherlock Holmes e ne ha trasmesso la passione a Percy, perciò mi sembrava una buona scelta citarlo anche qui.

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Capitolo 3
*** Acts of service ***


Questa storia partecipa ai 72 prompt in attesa del Natale indetti da Mari e Sofifi sul forum "Ferisce la penna", con il prompt "cenere". E insomma, non è né natalizia né particolarmente allegra, ma in fondo cos'è il Natale senza un po' di angst? Dico bene?

Come al solito è ambientata nel mio personalissimo Feraverse e contiene collegamenti ad altre mie storie, nella fattispecie quelle della serie "Edax Rerum", ma è comprensibile anche a sé. Credo. Spero. Oh beh, se avete dubbi o domande scrivetemi pure, sono sempre felice di parlare delle mie fanfiction :D

Grazie a Mari e Sofifi per avermi dato l'input per proseguire questa raccolta, che languiva ormai da un po'. Alla prossima e buone festività invernali!


 


Acts of service
(prompt: alba)



 

È da poco passata l’alba quando il Ministro della Magia arriva al Ministero. L’edificio è ancora deserto, fatti salvi i maghi della sorveglianza che aspettano il cambio turno e quelli della Manutenzione Magica che iniziano ad arrivare a poco a poco; lo stridio dell’ascensore riecheggia nel corridoio vuoto del Primo Livello, i passi rimbombano nel silenzio che precede l’orario lavorativo.

Non c’è ragione di venire così presto, il Ministro lo sa, specialmente in una giornata come questa – fredda, grigia, anomala per il mese di giugno, una di quelle in cui il sole arranca a sbucare e getta ovunque una bieca luce color cenere. Difficile trovare le forze di andare in ufficio in un mattino del genere, eppure è necessario, e chi è il Ministro per non farlo? Chi è lui per infrangere la fiducia di tutti i maghi e le streghe che ogni giorno, nonostante tutto ciò che è successo negli ultimi mesi, nonostante abbiano perso amici e parenti e pezzi di vita, vengono comunque qui a svolgere il loro dovere consapevoli che lui lavora per loro? 

Così, anche se fa freddo e l’aria stessa sembra fatta di cenere – persino nel Ministero, dove il sole non ha modo di arrivare – e anche se pagherebbe qualsiasi prezzo pur di trovarsi da qualunque altra parte, anche quel giorno il Ministro si reca al Primo Livello. All’alba, perché qualcuno deve pur dare l’esempio – e perché l'alternativa è rigirarsi nel letto in cerca di un sonno che non giunge da settimane.

I suoi piedi sembrano fatti di piombo mentre percorre gli ultimi metri che lo separano dal suo ufficio. Perché, si chiede per la milionesima volta in un mese, perché proprio lui? Non è nato per fare il Ministro, tantomeno il leader: è un Auror, santo cielo, e se durante e dopo la guerra si è accollato un ruolo di comando è solo perché quelli a cui sarebbe spettato di più hanno avuto il buonsenso di morire prima che le cose degenerassero. 

Scusa, Albus, e scusa, Malocchio, ma lo sapete che è vero.

Il punto è che lui non dovrebbe essere lì, all’alba, a iniziare una giornata a base di leggi da rivedere, dipartimenti da risistemare, incalcolabili danni da riparare e stronzi che fino all’altro ieri lo consideravano un nemico pubblico e adesso fanno a gara a leccargli il culo; non dovrebbe essere costretto ogni giorno a venire in questo posto grigio come la cenere e altrettanto soffocante, quando invece Harry e i ragazzi della sua squadra di cacciatori rischiano la vita per cercare i Mangiamorte latitanti e Minerva ridona decoro e speranza a Hogwarts. No, lui dovrebbe essere con loro, a sporcarsi le mani, a combattere, a fare quello per cui è addestrato, non lì…

…e tuttavia deve. Troppa gente si fida di lui. Troppe persone hanno sacrificato troppo per portare il mondo magico lì dov’è ora e aiutarlo a progredire. Il minimo che lui possa fare è chiudere il becco e smettere di lamentarsi tutti i giorni delle stesse, identiche cazzate. 

Datti una regolata, Shacklebolt.

Sospira e, con un ultimo sforzo, gira la maniglia. L’anticamera è vuota, il traffico di impiegati non inizierà che tra un paio d’ore. Ecco, quella è una buona ragione per venirsene al Ministero in largo anticipo: niente segretari significa niente voci, niente rumore, niente buongiorno Ministro, come sta Ministro, gli impegni di oggi Ministro, niente incessante grattare di penne in sottofondo e, soprattutto, nessuna crisi di nervi pronta a scoppiare da un momento all’altro. Che cazzo. Ovviamente non biasima i suoi dipendenti – non è certo colpa loro se fino a qualche giorno fa vivevano nel terrore delle punizioni e col fiato dei Mangiamorte sul collo – ma certe volte gli piacerebbe non avere una segreteria piena di gente traumatizzata.

Da quando si è installato nell’ufficio del Ministro, assiste ai crolli mentali dei suoi dipendenti un giorno sì e l’altro anche. C’è chi sbotta a piangere leggendo un rapporto, chi ha un attacco di panico nel doversi recare in determinati posti del Ministero… amenità del genere. Ma di nuovo, non li biasima. Sarebbe ipocrita, dopo che lui stesso ha avuto un tracollo emotivo alla sua scrivania davanti alla lista completa dei caduti a Hogwarts. Però ecco, gli piace arrivare lì e trovare vuoto e silenzio.

Neanche a farlo apposta, appena finisce di formulare quel pensiero un leggero suono rompe l’aria. Un singhiozzo trattenuto, che nella quiete dell’anticamera deserta fa l’effetto di una minuscola esplosione.

Kingsley si gira immediatamente in cerca della fonte. Ah. Allora c’è qualcuno. Occorrenza rarissima, ma a volte succede che qualche segretario con troppo lavoro da sbrigare si attardi la sera o venga al mattino presto, sebbene in genere gli unici con questa vena masochista siano lui e…

Ah.

Ah, cazzo.

Mordendosi la lingua per non imprecare, si dirige col passo più felpato possibile all’angolo più lontano dalla porta. Rannicchiato dietro una scrivania, invisibile se non per la chioma che spicca nell’aria grigia come una fiammella tra braci spente, Percy Weasley sta singhiozzando in maniera quasi impercettibile – quasi. Via via che si avvicina Kingsley ne distingue il sobbalzare delle spalle, le braccia strette attorno alle ginocchia, la testa nascosta tra di esse. Un animale ferito venuto a rintanarsi in un luogo familiare. Vederlo così sorprende Kingsley, e al contempo non lo fa.

Se c’è un essere vivente in quel maledetto posto che avrebbe davvero il diritto di crollare su base quotidiana, quello è Percy. Nessun altro ha visto, fatto o subìto quanto lui nell’ultimo anno, perciò Kingsley ha sempre saputo che prima o poi sarebbe toccato anche a lui; e tuttavia, nell’ultimo mese la sua è stata una presenza talmente stabile da far sembrare pressoché impossibile l’eventualità di vederlo in quelle condizioni. 

Di solito, quando uno dei suoi segretari – suoi, detto in quel tono protettivo che fa tanto Molly – mostra segni di cedimento, è Percy a occuparsene immediatamente o quasi. Raccoglie le pergamene cadute da mani tremolanti, dispensa tè a chi non riesce a smettere di piangere, accompagna in corridoio chi ha difficoltà a respirare là dentro, parla con voce confortante a chi magari ha rimproverato due minuti prima, fa in modo che il lavoro del giorno di chi è dovuto tornare a casa sia terminato e ordinatamente riposto. Il tutto mentre porta comunque avanti il proprio da fare, senza mai saltare una riunione o una consegna o altro. Kingsley non ha la più pallida idea di come faccia, eppure il capoufficio Weasley c’è sempre, onnipresente e solido come le mura stesse del Ministero – e lui in quanto Ministro non dovrebbe avere delle preferenze, lo sa, ma proprio non può fare a meno di essere schifosamente orgoglioso di lui.

Ebbene, ogni tanto anche le mura più solide franano.

Si ferma a due passi di distanza dal ragazzo, il quale non si è ancora accorto della sua presenza. Merlino, è così giovane. 

«Ehi.»

Percy sussulta e districa immediatamente le lunghe membra dal nodo in cui si è raccolto. Balza in piedi e volge le spalle a Kingsley mentre si netta gli occhi nelle maniche. «Oh… b-buongiorno. C-chiedo scusa, non…»

«Non preoccuparti.» Kingsley si sforza di sorridergli, ma quando vede gli occhi arrossati di Percy qualcosa dentro di lui si spezza. Così giovane, dannazione.

Rimane comunque in silenzio, lasciando al ragazzo il tempo di ricomporsi e schiarirsi la gola. «Che è successo?» chiede allora, accennando col mento alle carte sulla scrivania. «Hai trovato qualche refuso nei rapporti di Marvin?»

In un’altra circostanza la battuta gli scatenerebbe un grugnito di divertimento, ora invece Percy scuote la testa e si strofina di nuovo gli occhi. «No, uhm… niente, solo…»

Sposta il peso da un piede all’altro, guarda a terra e si mordicchia l’interno della guancia. Ogni volta che fa così, Kingsley si sente trasportato indietro di vent’anni e davanti al suo collega Fabian. «Sono, uhm… passato alla Tana stamattina.»

Mh, come sbagliarsi. Quando non è al Ministero a tenere in piedi il Primo Livello, Percy è dai suoi a cercare nuovi modi di rendersi utile. Kingsley si appunta mentalmente di trascinarlo fuori a bere una delle prossime sere, quantomeno per assicurarsi che si rilassi di quando in quando.

«È tutto a posto? I tuoi stanno bene?»

Sempre senza guardarlo, Percy annuisce. «Sì, uhm, credo di sì.» Si sposta di nuovo sui piedi. «Ho… ho visto George.»

Kingsley sgrana gli occhi. George? Il George che non lascia la propria camera da un mese, da quando è morto Fred? Beh, si direbbe una buona notizia, no?

«Oh. E… come sta?»

«Mh.» Percy scrolla le spalle, e finalmente alza la testa per rivolgergli un sorriso amarissimo. «Deluso che non sia morto io invece di Fred, a quanto pare.»

Ah. Ah. Il cuore di Kingsley si restringe di diverse misure. Cosa dovrebbe rispondere a un’affermazione del genere? Come si consola qualcuno da quello? L’esitazione nel trovare una risposta gli costa cara, perché Percy si affloscia di nuovo e si passa per l’ennesima volta la manica della veste sotto gli occhiali.

«Mi dispiace, davvero. Non mi sono accorto di che ore fossero. Vado subito a…»

«Perce.»

«…preparare il lavoro di oggi, dobbiamo…»

«Percy.»

Il tono un po’ più secco lo blocca all’istante. «Non devi preparare proprio nulla. Va’ a casa.»

«Cos… n-no, non…»

«Va’ a casa,» ripete. «È da quando abbiamo iniziato a lavorare qui che non ti prendi un giorno libero, direi che possiamo sopravvivere senza di te fino a domani, no?»

No, si risponde subito Kingsley, ma piuttosto che dirlo a voce alta si Crucerebbe da solo.

«No.» Percy scuote la testa più e più volte. «No, no, no, ci sono troppe cose da fare, oggi bisogna parlare con la commissione per l’annullamento delle adozioni forzate e dobbiamo rivedere l’intero fascicolo, e l’Archivio ci ha trasmesso i contratti di lavoro illegittimamente terminati da verificare, e i miei segretari non sono mai stati senza…»  

«La commissione posso gestirla io, i contratti vanno all’Ufficio Assunzioni e i tuoi segretari impareranno a fare a meno di te per una volta. Fidati, Perce, non sei in condizioni, è molto meglio se…»

«Per favore.» Il ragazzo lo guarda dritto negli occhi. «Non mandarmi via, per favore. Ho… ho bisogno di non sentirmi inutile.»

Dio del cielo. Kingsley non saprebbe dire se sia il tono di supplica o l’aperta vulnerabilità nell’espressione del suo amico, fatto sta che per lui la battaglia è già persa ancor prima di iniziare. Sa che dovrebbe consolare Percy, dirgli che non è inutile né lo è mai stato, ricordargli che intere famiglie sono vive a causa sua e che nove segretari su dieci sono tornati a lavorare in quel posto infernale per lui… ma a che servirebbe? La verità è che Kingsley stesso capisce troppo bene quel bisogno di fare, di dare tutto se stesso, di farsi perdonare con le proprie azioni il fatto di essere vivo quando altri più meritevoli sono sotto terra. 

La differenza è che quel che lui fa per senso del dovere, Percy Weasley lo fa per altre ragioni.

Sospira e, in un impeto di quello che altri chiamerebbero istinto paterno, gli poggia una mano sulla spalla e stringe forte. «Come preferisci.»

Percy annuisce, poi tira su col naso e raddrizza la schiena. «Uhm… allora, come dicevo, dobbiamo rivedere il fascicolo da presentare alla commissione per…» 

«Che ne dici di un tè, prima? È letteralmente appena sorto il sole.»

«…tè, sì, giusto. Vado a prenderlo subito.»

«Ti aspetto.»

Annuisce di nuovo e si allontana, ma prima che gli dia le spalle Kingsley fa in tempo a vedergli sbucare sulle labbra un microscopico, quasi impercettibile principio di sorriso.

E finalmente l’aria non sembra più fatta di cenere.

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