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Ringraziamenti:
Come ho scritto nella presentazione, questo è il prequel de “Il Profumo della Libertà”; quindi, ringrazio tutti i lettori della fic "madre", perché il loro entusiasmo mi ha spinto ad approfondire retroscena che, altrimenti, con ogni probabilità sarebbero rimasti inesplorati, o confinati in qualche sporadico flashback.
Oh, prima che mi dimentichi: Metánoia, nel Greco dei cristiani, significa "conversione".
A Oriana Fallaci
In memoriam.
Non appena l’ascensore lo ebbe portato al Primo Livello, sentì che la giornata buttava male.
La porta dell’ufficio del Ministro era spalancata, di certo: si sentiva la sua voce echeggiare di corridoio in parete. Avrebbe potuto raggiungere la propria méta ad occhi chiusi, affidandosi soltanto all’udito, a patto di non farsi confondere dal rimbombo.
Si incamminò a passo spedito, ostentando una spavalderia che non provava affatto. Avvicinandosi, gli parve di capire che il Ministro stesse dettando una Strillettera di reprimenda e distinse un martellio ritmico, quasi un rullo di tamburi, che sottolineava le frasi più incisive:
«”Non riuscite a trovare il Gigante”?! Che cosa vi serve, un Incantesimo alla vista o un ricovero al San Mungo? Vedete di trovarlo entro le prossime ventiquattro ore, se non volete finire a riordinare tutto l’Archivio senza bacchetta!»
Si bloccò sulla soglia, sgranando gli occhi: il braccio
destro del Ministro gesticolava, accompagnando la dettatura, mentre il sinistro stampigliava timbri con foga su una minacciosa pila di pergamene; ad ogni colpo del pesante sigillo, il rotolo in cima decollava, ripiegandosi fino ad assumere la forma aerodinamica dei promemoria inter-uffici, e andava ad unirsi allo stormo che volava in cerchio nei pressi del soffitto. In quella, la Strillettera fu sigillata e prese a duplicarsi; lo sciame di cloni guadagnò la soglia, subito seguito dai promemoria, uno dei quali scese in picchiata verso la sua testa. Automaticamente, lo afferrò e lesse:
Circolare Organizzativa Generale
Da: Amelia
Susan Bones
Ministro della Magia
A: Tutto il personale in servizio
OGGETTO: Ricomparsa dei Mangiamorte e riorganizzazione
del Ministero
Colleghi,
l’associazione di Maghi Oscuri tristemente nota come “Mangiamorte”, che credevamo scomparsa insieme con il suo capo, è tornata in piena attività, tanto che ha osato irrompere nella sede stessa del Ministero. L’episodio in sé basterebbe a far palese la gravità degli errori commessi dalla precedente Amministrazione, che si è pervicacemente rifiutata di indagare sui sospetti di rinnovata attività della predetta associazione. Ma ancora più grave e preoccupante è il fatto che l’irruzione sia potuta passare inosservata: ciò mi costringe a dubitare seriamente della capacità del Ministero di affrontare questa nuova guerra.
1) Ciascuno di voi ha già ricevuto un questionario di autovalutazione sulla Difesa contro le Arti Oscure, la cui conoscenza è, ovviamente, fondamentale per combattere i Mangiamorte. Poiché, però, il tenore delle prime risposte pervenute fa temere che gravi carenze in materia siano ampiamente diffuse tra il personale, sono allo studio apposite iniziative di formazione. Auspico che, entro la fine dell’anno, ogni dipendente del Ministero possa dirsi in grado di affrontare un duello contro un avversario anche piuttosto versato nelle Arti Oscure; se così fosse, certo si ridurrebbe il costo di vite umane che ogni guerra comporta.
2) Poiché lo sforzo bellico – mi sembra quasi superfluo ricordarlo – deve essere considerato necessità suprema della Nazione, è necessaria una riorganizzazione radicale del Ministero, al fine di assicurare un’allocazione ottimale delle risorse umane e strumentali. Pertanto:
a) tutti gli Uffici attualmente esistenti debbono
considerarsi disciolti, con le sole eccezioni degli Auror e della
relativa Scuola, dell’Ufficio per l’Applicazione della Legge sulla Magia e del
Wizengamot. Gli Uffici disciolti proseguiranno le attività in corso, operando in regime di ordinaria amministrazione, finché non saranno state istituite le nuove strutture e individuate le relative dotazioni organiche;
b) mantengo, provvisoriamente, la carica di Direttore dell’Ufficio per l'Applicazione della Legge sulla Magia, onde attuarne il riassetto integrale, richiesto dalla necessità di prevenire e reprimere le azioni dei Mangiamorte senza, per questo, trascurare la criminalità comune, che potrebbe approfittare del clima di insicurezza generale;
c) l’Ufficio Misteri, com’è noto, dipende direttamente dal Ministro; ciononostante, gli Indicibili hanno ritenuto di non poter soddisfare la mia richiesta di informazioni dettagliate sulle attività in corso, adducendo “ragioni di riservatezza” non meglio precisate. Pertanto, ordino che l’Ufficio in parola cessi ogni attività, con effetto immediato, finché non si sarà provveduto a riorganizzarlo o a sopprimerlo definitivamente. La prosecuzione di singole attività potrà essere autorizzata soltanto su richiesta dell’Indicibile responsabile, che, oltre ad illustrarne in dettaglio natura e obiettivi, dovrà altresì comprovare la sua utilità e rilevanza per lo sforzo bellico nazionale, nonché il danno che esso potrebbe subire in forza di un’interruzione dell’attività stessa;
d) la recente irruzione dei Mangiamorte ci costringe a riconoscere gravi lacune nel sistema di sicurezza del Ministero; istituisco, perciò, un Ufficio per la Sicurezza Interna, indipendente da ogni altro, con il compito precipuo di rivedere le misure difensive attualmente in uso e di assicurare la massima protezione sia alla sede del Ministero, sia alla sua attività e ai relativi flussi documentali.
3) Il comportamento irresponsabile della precedente Amministrazione ha gravemente compromessa la fiducia nel Ministero, che, quindi, rischia di non riuscire a guidare uno sforzo bellico cui la Nazione è del tutto impreparata. Se vogliamo che ogni casa, ogni famiglia e ogni coscienza si trasformino in altrettanti fortilizi contro i Mangiamorte, dobbiamo bensì evitare che si diffonda il panico, ma, soprattutto, convincere la Nazione della nostra sincerità. Affinché si sappia che il Ministero è in grado di riconoscere insuccessi ed errori e che non cerca di tenerli nascosti, ma, al contrario, sa correggerli e punire i responsabili, istituisco l’Ufficio per la Trasparenza e la Comunicazione Esterna, che sostituirà tutte le strutture attualmente addette ai rapporti con la comunità magica e curerà altresì il controllo interno sulle attività in corso.
Confido che ciascuno di voi continuerà a svolgere il proprio lavoro in modo alacre, sereno e fruttuoso.
Amelia Susan Bones
Ministro della Magia
(Firma apposta con timbro personale, ai sensi del Decreto sulla Redazione e Formazione degli Atti Legislativi e Amministrativi, art. 250)
Rufus Scrimgeour alzò lo sguardo dalla pergamena e incontrò quello di Amelia Bones, che, con una smorfia, si stava massaggiando il bicipite sinistro. Il timbro taceva.
«Rufus! Entra, ti prego! Spero di non averti fatto
aspettare.»
«Niente affatto, Amelia. Solo il tempo di leggere la mia
copia della circolare.»
Il neo-Ministro non si alzò per accoglierlo, limitandosi ad indicargli la sedia di fronte alla scrivania, mentre, con pochi, efficienti tocchi di bacchetta, rimetteva al lavoro il timbro e indirizzava un plotone di Penne Prendiappunti verso la pila di fascicoli personali che torreggiava alle sue spalle.
Tacquero entrambi, mentre le ultime copie della circolare finivano di ricevere il timbro e le Penne, alacri, cominciavano a stendere richiami disciplinari a tutta velocità.
Rufus sentiva uno strano nodo allo stomaco.
Finalmente, l’ultima copia decollò e il timbro tacque. Amelia lo fissò. «Avrei potuto timbrarle tutte con la magia fin dall’inizio, naturalmente, ma sentivo il bisogno di pestare qualcosa. Mi capisci, Rufus?»
«Perfettamente. E’ successo anche a me, negli ultimi giorni.»
«Devo forse dedurne che non mi porti alcun risultato?»
Scrimgeour si fece cremisi per la collera e la frustrazione, ma ingoiò le lamentele (fondate, fondatissime) sugli Uffici che non collaboravano e si concentrò sull’obiettivo: salvare la propria carriera.
«No, Amelia. Nessun risultato concreto.»
Il Ministro scosse il capo. «Lo immaginavo, purtroppo. Il tuo Ufficio, Rufus, non ha ottenuto grandi risultati, negli ultimi quindici anni.»
Il Direttore dell’Ufficio degli Auror fece per protestare, ma Amelia lo zittì con un semplice cenno: «Pensa soltanto a questo: chi avrebbe dovuto sorvegliare i Mangiamorte? Parlo di quelli riabilitati e scagionati.
Com’è possibile che ci siamo trovati Macnair come collega e Lucius Malfoy come ospite fisso del mio predecessore?»
Rufus trattenne una risposta secca sul groviglio di
competenze – che Amelia conosceva bene quanto lui – e tacque.
«Non parliamo, poi, degli evasi da Azkaban. O devo forse ricordarti che Sirius Black, l’uomo più ricercato di tutto il Mondo Magico, è arrivato tranquillamente nell’Ufficio Misteri, dove è morto, per giunta combattendo al posto vostro? Perché si dà il caso che, quella sera, gli Auror fossero fuori a cena!»
«Suppongo di doverti ringraziare, per aver mantenuto il mio
Ufficio in vita.» A volte, una risposta sfacciata salvava la situazione.
«Supponi giusto. Anche se non avevo molta scelta: siete i migliori combattenti del Mondo Magico. Certo, vista la cronica mancanza di risultati apprezzabili, mi chiedo come potremo vincere questa guerra.» Lo
squadrò con aria critica.
Scrimgeour estrasse un grosso rotolo di pergamena, scritto a mano su entrambe le facciate. «Qui troverai un mio progetto di riorganizzazione dell’Ufficio. Al momento, il venti per cento del tempo di un Auror è speso dietro la scrivania; io voglio i miei uomini sul campo, non importa quanti scribacchini dobbiamo sottrarre ad altri Uffici.»
«Bene, è un inizio.» Amelia spedì il rotolo in uno dei tanti cassetti della scrivania. «Ho avuto qualche idea anch’io. Riorganizzare la
sicurezza interna, per esempio.» Rufus assentì. «O richiamare gli Auror in
pensione.»
«Qualche rinforzo farebbe senz’altro comodo.»
«Non ne dubito, ma pensavo di destinarli alla Scuola per
Auror.»
Scrimgeour la fissò, sorpreso: la Scuola, in quel momento,
era priva di allievi.
Amelia gli indicò un angolo in ombra dell’ufficio: da una porta di servizio entravano fogli su fogli, che si ammucchiavano su un tavolo basso dove uno sciame di Penne Prendiappunti compilava statistiche.
«Quelle sono le risposte ai questionari di autovalutazione in Difesa. Sono arrivate quasi tutte, ormai. Ebbene, non l’avrei mai creduto, ma al Ministero lavora gente che non sa lanciare neanche un Sortilegio Scudo!
Griselda Marchbanks mi sentirà!»
Rufus fischiò: era un bel guaio. «Se vogliamo rimediare, in qualche modo, hai ragione tu, l’unica struttura adeguata è la Scuola. Dovremo
organizzare alcuni corsi… Quelle Penne redigono statistiche anche sulle
risposte alle singole domande?» Cenno di assenso. «Bene. Allora dovrebbe essere semplice organizzare, che so, tre corsi: Di Base, Intermedio e Avanzato.» Sorrise, sentendosi di nuovo sicuro di sé: come ogni buon Auror, sapeva pensare molto in fretta.
«Tieni conto che stiamo parlando di circa duecento persone.»
«Duecento…? Rischiamo di paralizzare il Ministero!»
«Lo so bene, ma non c’è altro da fare: non abbiamo più Gira
Tempo e pare che siano complicatissime da fabbricare. Inoltre, molti Uffici saranno soppressi, quindi può anche darsi che l’attività non ne risenta troppo.»
«Molto bene. Vedrò di trovare i locali, perché quelli della Scuola non bastano di certo.»
«Prova con le vecchie aule di giustizia: non le usa nessuno e di certo sono spaziose.»
«Buona idea, Amelia.»
«Perfetto. Non appena saranno complete, ti spedirò le statistiche, così potrai organizzarti al meglio. Intanto, eccoti gli insegnanti.» Un colpo di bacchetta su un rotolo vergine lo trasformò in un ordine di servizio:
Per ordine del Ministro della Magia
Tutto il personale in quiescenza, già inquadrato presso
l’Ufficio degli Auror e/o la relativa Scuola, è richiamato in servizio, con
effetto immediato.
Sarà cura del Direttore del predetto Ufficio, Rufus Scrimgeour, comunicare agli interessati le mansioni cui saranno adibiti.
Amelia firmò e aggiunse: «Oh, prima che mi dimentichi… Non assegnare incarichi ad Alastor Moody.»
«Giusto. Non credo che abbia voglia di riprovarci, con
l’insegnamento.»
Risero entrambi, un po’ nervosi.
«Vero. Ma la ragione principale è un’altra: per lui ho in mente la Direzione dell’Ufficio per la Sicurezza Interna.»
«Cosa!? Ma ci farà ammattire tutti quanti!»
«Lo spero» ribatté Amelia, con calma glaciale. «Preferisco cento allarmi falsi ad un solo allarme che non scatta quando dovrebbe. Quindi, un paranoico come Malocchio mi sembra perfetto per l’incarico. Hai qualche altro nome, Rufus?»
Scrimgeour esalò un lungo respiro inorridito, rassegnandosi. «Alastor avrà la piena collaborazione di tutti noi.»
«Magnifico. Credo che questo sia tutto. Torna pure al lavoro, Rufus. Alle quattro, però, ho un appuntamento con Silente: vorrei che
partecipassi anche tu. Dopotutto, dobbiamo assicurare la massima protezione a Hogwarts e Hogsmeade.»
«Ci sarò» le assicurò il Direttore dell’Ufficio degli Auror, che uscì appena più sereno di quando era entrato. D’accordo, ne usciva ancora in sella e con buone probabilità di vedere finalmente risolti tutti gli intoppi burocratico-organizzativi; ma quella vittoria rischiava di trasformarsi in una condanna più grave. Il Ministro, l’opinione pubblica, tutti si aspettavano risultati. E forse li avrebbe ottenuti, ma forse no.
Molto preoccupato, ma deciso a mettere i propri uomini alla frusta, Rufus si diresse all’ascensore.
Amelia crollò all’indietro contro lo schienale della poltrona, sentendosi esausta, e chiuse gli occhi. Non dormiva da tre giorni, da quando si era ritrovata al posto di Caramell.
Un colpo di tosse discreto la riscosse dal meritato riposo. «Sì?» Una figuretta minuta si stagliava sulla soglia. «Oh, Griselda! Entra, accomodati.»
Griselda Marchbanks era un burosauro di annata, sopravvissuta a centinaia di crisi, purghe, lotte intestine e rimpasti ministeriali: né la caduta di Caramell né la rivoluzione che Amelia Bones stava scatenando l’avevano colta alla sprovvista. Infatti, passò subito all’offensiva:
«Buongiorno, Amelia. Immagino che tu mi abbia convocata per discutere il futuro del mio Ufficio?»
Il Ministro si strofinò gli occhi, ricacciando indietro il sonno. «Anche, ma non solo. Per prima cosa, vorrei parlare del suo rendimento.» Accennò alla pila di questionari, ormai quasi completa. «Puoi spiegarmi per quale motivo una buona metà degli impiegati del Ministero – gente che è uscita da Hogwarts con GUFO e MAGO in saccoccia – confessi gravi carenze in Difesa contro le Arti Oscure? Che lavoro ha fatto la Commissione Magica d’Esame, negli ultimi vent’anni?»
La Marchbanks non batté ciglio: aprì la valigetta di cuoio e ne estrasse un grosso volume, rilegato in pelle nera. «Cinque anni fa, il mio Ufficio ha elaborato questo dossier sul sistema di istruzione, formulando diverse proposte di riforma, cui, peraltro, il tuo predecessore non ha ritenuto opportuno dar seguito alcuno. In particolare,
abbiamo chiesto di essere coinvolti nel processo di reclutamento e selezione del personale, da cui, come ben sai, siamo completamente esclusi.»
Amelia annuì e diresse quella mostruosità burocratica in un altro dei suoi tanti cassetti.
«Ora, Amelia, non c’è bisogno che ti ricordi che ogni Ufficio recluta il personale in piena autonomia e stabilisce propri requisiti di ingresso; lasciamo perdere il caso dei trasferimenti…» Fece una pausa significativa: conoscevano entrambe quel sottobosco di raccomandazioni,
promozioni e scaricabarile velati. «Pensiamo ad un giovane che è appena uscito da Hogwarts, con un GUFO o un MAGO, poco importa. Sì, ho detto uno: come tu sai, ci sono tanti GUFO e MAGO quante sono le materie, non è prevista alcuna forma di giudizio complessivo. Questa è un’altra delle storture contro cui mi batto da anni, perché ci porta ad assumere gente che conosce bene anche una sola materia: quella richiesta dall’Ufficio in cui vuole entrare. Eppure, questa stessa gente non avrà difficoltà a trasferirsi in qualsiasi altro Ufficio!»
«Uno studente impreparato nella maggior parte delle materie non dovrebbe uscire da Hogwarts.»
«Vero. Dovrebbero pensarci gli esami interni alla Scuola e, per lo più, va proprio così. Anche se, al quinto anno, non è previsto uno scrutinio di ammissione ai GUFO – che, secondo me, sarebbe utile – i candidati mostrano una preparazione adeguata in quasi tutte le materie.»
«Quasi, eh?»
«Quasi. Il problema è proprio Difesa. Gli insegnanti cambiano di anno in anno, così gli esami interni non garantiscono granché. Normalmente, possiamo fidarci del fatto che, nei primi quattro anni, il collega svolga il programma con ordine e verifichi la preparazione dei propri studenti; con Difesa, gli studenti sono reduci da cinque insegnanti diversi, ciascuno con il proprio metodo e, spesso, con il proprio programma. Gli esami di fine anno, in queste condizioni, non sono omogenei, perdono quasi significato, parlano più dell’insegnante che dello studente!»
«Capisco,» rispose Amelia, temendo che la Marchbanks si accalorasse troppo.
«Scusa se mi scaldo. Sai da quanti anni combatto con questo stato di cose? Ho costretto i commissari a studiarsi i compiti in classe di ogni singolo candidato al GUFO di Difesa!»
«Un’ottima idea. Che frutti ha portato?»
Griselda inarcò un sopracciglio. «Nel dossier troverai le statistiche sugli ultimi quarant’anni di attività: mai, in nessuna materia, la percentuale di bocciati è scesa sotto il trenta per cento. A Difesa si mantiene stabile, intorno al trentotto.»
«Oh.»
La Marchbanks vide che Amelia cominciava a sentire il peso della stanchezza e ne approfittò per sferrare il colpo finale: «Incrocia i dati del questionario con i fascicoli personali: le schiappe – passami il termine – non hanno mai preso un GUFO in Difesa. Anzi, probabilmente non ne hanno nessuno: cinque anni fa, il 9,6% del nostro personale era sprovvisto di titoli di studio!»
L’informazione sortì l’effetto desiderato. «Ti ringrazio, Griselda. Parla con Rufus, alla prima occasione: l’ho incaricato di rimediare a queste carenze in Difesa, potresti dargli una mano. E penso che sia ora di mettere mano al reclutamento del personale, ai trasferimenti e alle progressioni in carriera.»
«Nessuno è più d’accordo di me!»
«Ne sono lieta… Ah, Griselda, ancora una cosa: vorrei che tu rientrassi nel Wizengamot. I criminali da processare non mancheranno di certo.»
«Be’, adesso che Silente è stato reintegrato nel ruolo di Stregone Capo, posso certamente ritirare le mie dimissioni.»
Ma Amelia scosse il capo. «Temo proprio di no, visto che sono state accettate. Per rientrare, dovrai seguire la trafila ordinaria.»
«Cosa!?» Protestò la Marchbanks, sinceramente indignata. «Vorresti farmi fare tre anni come Cancelliere? Alla mia età e con la mia esperienza?»
«Vedremo di limitarci ad un processo soltanto, dopodiché potrò promuoverti per “meriti insigni”. Più di così non posso fare.»
«Immaginò di no» commentò Griselda, scura in volto. «Certo, Grogan Stump…»
«…ha stabilito queste regole» la interruppe Amelia Bones. «E, già che ci siamo, Griselda: per favore, risparmiaci la tua passione per le lingue morte. Non voglio vedere verbali in Latino…»
«In Law-French, semmai. E sono perfettamente legali.»
«Non ha la minima importanza! Chi vuoi che li capisca più?»
La Marchbanks si schiarì la gola in modo terribilmente professorale. «Grogan Stump ha pensato anche a questo, sai?»
«Ah sì?»
«Ma certo. Una volta risolto il problema di classificare le Creature Magiche e riconosciuto a molte di loro il diritto di collaborare alla formazione delle leggi, è chiaro che queste leggi dovevano essere scritte in un linguaggio comprensibile anche ai non-Maghi.»
«Conosco la storia, grazie.»
«Non ne dubito. Ma forse non ricordi che Grogan ha, bensì, permesso la redazione degli atti ufficiali in Inglese – la lingua umana più nota tra le Creature Magiche – però non ha affatto vietato di scriverli in Latino, o in Law-French, o in altra lingua tradizionale.»
«Insomma, legalmente non posso impedirtelo, giusto?»
«Giusto.»
«Controllerò, Griselda. Controllerò con molta cura. Ti farò sapere nei prossimi giorni.»
«Molto bene. Se, per adesso, non c’è altro,…»
«No. Va’ pure e buon lavoro.»
«Grazie. Anche a te.» E Griselda Marchbanks uscì, mantenendosi impassibile, a dispetto della soddisfazione che provava: poteva dirsi certa di aver salvato il proprio Ufficio. Cosa importava se avrebbe dovuto affrontare tagli e trasferimenti di personale? Aveva buone probabilità di realizzare – finalmente! – le riforme che più le stavano a
cuore!
E il suo migliore alleato, Albus Silente, era di nuovo in sella…
Sorrise. Le cose non sarebbero potute andare meglio.
L’ottimismo della Marchbanks, quella mattina, era una nota isolata al Ministero, come isolata rimase la compostezza del Responsabile dell’Archivio – ospitato nei sotterranei, accanto alle vecchie aule di giustizia - che, impugnata la piuma, seppe vergare tre rotoli che illustravano il molteplice contributo del suo Ufficio allo sforzo bellico, contributo che una massiccia riorganizzazione avrebbe permesso di accrescere anche se la pianta organica fosse stata ridotta di dieci unità. No, quel giorno, ottimismo e compostezza erano merci rare, negli Uffici: l’uragano Bones le aveva spazzate via.
Anche il Primo Livello, che ospitava gli Uffici di diretta collaborazione del Ministro, non era il tranquillo occhio del ciclone che soleva essere in occasioni consimili: completamente ignorato dalla circolare, temeva
di essere ridimensionato o, al contrario, costretto ad un ruolo di primo piano, ma anche di prima linea. Di scrivania in scrivania, correvano le voci più disparate sulle intenzioni del Ministro, mentre anche i meglio informati non riuscivano a capirci più niente. E, con il passare dei minuti, l’apprensione montava.
I Livelli inferiori non erano da meno: chi temeva il superlavoro (Applicazione della Legge sulla Magia), chi, peggio ancora, la
soppressione e i nuovi incarichi (Cooperazione Magica Internazionale), o
addirittura il licenziamento in tronco (Giochi e Sport Magici).
Di ufficio in ufficio, di Livello in Livello, la fama dell'Amelia Bones riformatrice scorrazzava per tutto il Ministero e il moto ne accresceva la forza, come se fosse stata un gigantesco ciclone.
«Il Ministro? E’ una dura, amico, durissima.»
«Ha appena fatto frustare quattro impiegati che avevano tardato un paio di minuti a consegnare un rapporto.»
«No, erano sei dirigenti.»
«Macché, sette Auror, vorrete dire!»
«Frustati? Questo è niente! Avete saputo di quello che ha fatto cucinare in crosta? E poi lo ha licenziato!»
«Chi, quello che si era portato uno spuntino in ufficio?»
«No, no, quello è finito a dar la caccia al Gigante…»
«E a ricevere una Strillettera.»
«Di licenziamento, senza dubbio.»
«Non mi stupirei se sopprimesse l’intero Ufficio.»
«Dicono che perfino gli Auror si siano salvati per un pelo.»
«Avete letto la circolare? Deciderà lei il destino del nostro lavoro.»
«Anni di onorato servizio, e di colpo mi trovo a non sapere cosa farò domani!?»
«Se farai qualcosa.»
In un Ufficio soltanto ferveva un’attività intensa: era
l’Ufficio su cui la circolare colpiva più duro. Al Nono Livello regnava il panico vero e proprio. Ogni Indicibile cercava il proprio superiore, conciliaboli concitati fiorivano in tutti gli angoli, quasi sempre con lo scopo di decidere il da farsi; molti erano indaffarati a nascondere o distruggere le prove di attività illegali o comunque compromettenti. Un gruppo di temerari stava addirittura pensando di sottoporsi ad una raffica di Incantesimi di Memoria, una volta distrutti i documenti: erano, naturalmente, i responsabili del progetto più segreto e più illegale della storia dell’Ufficio, nome in codice “DP”. In mezzo a questo caos frenetico, pochi volenterosi sudavano sulle istanze previste dalla circolare, sforzandosi di vincere l’abitudine alla segretezza.
Tre «Urrà!» raggelarono tutte le attività.
Altrettante pergamene, levatesi in volo, recavano le prime istanze verso l’empireo.
Sui malcapitati autori, rei di esultare nella comune
sventura, piombò una raffica di sguardi raggelanti. Avessero almeno avuto il buon gusto di vergognarsi! Crumiri! Traditori!
Così, nessuno notò che stava spiccando il volo anche una quarta pergamena, destinata a scatenare l’ira funesta di Giove.
Amelia Bones scorse soddisfatta le tre istanze degli
Indicibili, ripromettendosi di esaminarle con cura alla prima occasione; ma l’incipit della quarta pergamena riuscì a sbalordirla dapprima, a farla infuriare poi.
Egregio Ministro,
temo che la Sua cosiddetta “circolare organizzativa
generale” non sia suscettibile di applicazione…
E giù uno sproloquio sul fatto che una circolare non può revocare i Decreti, tantomeno quelli che istituiscono gli Uffici, e neppure
sospenderli, e comunque l’Ufficio Misteri godeva di autonomia fin dalla sua istituzione. Era sottinteso, tra i cavilli e l’ironia, un “Chi si crede di
essere, Lei, per tartassarci i coglioni a ‘sto modo?”
Il viso contorto dalla rabbia, Amelia afferrò piuma e pergamena, cominciando a scrivere furiosamente.
Un rumore improvviso azzittì tutti gli Indicibili. Non
fecero neanche in tempo ad alzare gli occhi, che già un stormo di pergamene invadeva tutte le stanze, spiegava le ali, si affiggeva alle pareti.
Decreto del Ministro della Magia
Questo Ufficio, il suo personale, tutte le sue attività e l’intera documentazione debbono considerarsi sottoposti ad ispezione ministeriale di primo grado, ai sensi del Regolamento Generale sui Poteri Ispettivi e di Vigilanza, art. 25, con effetto dall’affissione del presente Decreto.
Di conseguenza:
locali
e documenti sono sigillati magicamente, in modo tale che sia impossibile
manometterli;
2.il
personale deve considerarsi sospeso dalle funzioni e dallo stipendio, in quanto passibile di inchiesta disciplinare, finché non sia altrimenti disposto;
3.le
richieste di prosecuzione delle attività, predisposte e/o inoltrate ai
sensi della mia Circolare Organizzativa Generale di cinquantotto minuti
fa, saranno esaminate nel corso delle visite ispettive; qualora
l’Indicibile responsabile del progetto non sia in grado di illustrarle o
di sostenerle, esse dovranno ritenersi improcedibili e non potranno essere
ripresentate.
Firmato:
Amelia Susan Bones
Ministro della Magia
Prima ancora che gli Indicibili, attoniti, riuscissero a cogliere la portata dell’uragano Bones, che li aveva investiti con l’arma più potente di tutto l’arsenale ministeriale, esso uragano assunse forma fisica e tangibile. Le porte dell’Ufficio si spalancarono per accoglierlo.
Avviluppati in lunghi mantelli neri, più raggelanti dei Dissennatori, i leggendari Inquisitori del Ministro facevano il loro ingresso nell’Ufficio Misteri; alla loro testa, marciava Amelia Susan Bones in persona, decisa
a stroncare senza indugio la fronda interna.
Quella processione lugubre, malaugurate, era chiusa da due
figure talmente incongrue e variopinte che, per un momento, gli Indicibili non seppero identificarle; poi, una di loro prese a scattare foto a raffica, mentre i lampi del flash illuminavano un ghigno omicida sul volto del Ministro.
«Signore e signori,» esordì Amelia, «vi presento il primo Direttore dell’Ufficio per la Trasparenza e la Comunicazione Esterna! Mi è parso opportuno offrire a tutto il Mondo Magico un segno concreto della nostra
incrollabile volontà di trasparenza; segno che, in verità, è duplice, potendosi ravvisare sia nella stessa persona del Direttore» accennò un inchino «sia nella sua presenza qui, in quest’occasione triste, e tuttavia storica.»
Rita Skeeter piegò appena il capo, ma il gesto non valse a
mascherare lo scintillio avido degli occhi, ansiosi di scandagliare centinaia
di documenti segretissimi.
Tra i bagliori incessanti del flash, gli Indicibili riuscirono solo a scambiarsi occhiate inorridite.
I più colpevoli di tutti trassero un intimo e sacrosanto
sospiro di sollievo: erano riusciti a distruggere tutto appena in tempo! Con un po’ di fortuna, nessuno avrebbe mai scoperto nulla nel Progetto DP; il quale, essendo un essere senziente, era immune dalle magie ispettive e se la sarebbe cavata benissimo, anche senza la loro sorveglianza. Un giorno, chissà, avrebbero potuto riprendere il lavoro interrotto….
Note:
so bene che è insolito suddividere un prologo in due parti, ma questo sta raggiungendo una lunghezza mostruosa. No, non è colpa
della mia inguaribile verbosità. Non solo, almeno; gli argomenti trattati sono molti e piuttosto complessi.
Se anche voi siete rimasti delusi e pure un po’ schifati dal Ministero guidato da Scrimgeour, spero che apprezzerete la mia scelta di far sopravvivere Amelia Bones. In questa fic, Caramell si è comportato in modo più dignitoso, dimettendosi subito dopo aver annunciato il ritorno di Voldemort (fine del quinto libro), così Amelia è diventata Ministro e questo le ha evitato la sorte riferita nel cap. 2 de “Il
Principe Mezzosangue”.
Vi siete mai chiesti in che modo reclutino il personale? Soprattutto considerato che Bertha Jorkins, per comune consenso un caso clinico, non è stata licenziata, come vorrebbe il buonsenso, bensì scaricata da un Ufficio all’altro, a guisa di peso morto? Bene, qui ci sono le mie risposte.
Spero tanto che non rispecchino il canone, ma temo che le informazioni di cui disponiamo le rendano molto plausibili.
Grogan Stump, di cui Griselda Marchbanks è un’ammiratrice
fanatica, è stato un Ministro molto popolare, noto soprattutto per aver risolto
il problema della classificazione delle Creature Magiche. Ho immaginato che,
una volta chiarito quali di esse avessero il diritto di partecipare alla vita
politica della comunità magica, egli si sia posto anche il problema della
lingua ufficiale dei Maghi. Di qui il Decreto che gli ho fatto escogitare e che, per fortuna vostra e mia, non pubblico qui, ma all’indirizzo http://xoomer.alice.it/jfk84/Fanfiction_Extra/De%20Instrumentis%20in%20Curia%20Magorum%20conficiendis.doc.
Mi scuso per la scarsa qualità del Latino.
Il Law-French è uno
strano gergo, simile al Francese, che è stato la lingua ufficiale dei giuristi,
nell’Inghilterra Gabbana, fino all’Ottocento. Niente di strano che la
Marchbanks si comporti come un’accesa conservatrice e ne pretenda il
mantenimento.
E, a proposito di Griselda, ricordate le sue dimissioni
dal Wizengamot e la protesta che “Hogwarts è una scuola, non una succursale
dell’ufficio di Caramell”? Ci ho ricamato un po’ sopra ed ecco a voi gli
Inquisitori del Ministro, temutissimi super-ispettori dai poteri tanto rari
quanto raramente usati, tanto che su di loro si raccontano leggende. Nere,
naturalmente. Meditateci sopra, per un momento, e capirete perché Caramell
abbia scelto di nominare la Umbridge “Inquisitore
Supremo”.
Un’ultima domanda: ma cosa diavolo fanno all’Ufficio
Misteri?
Ringraziamenti:
Natalie_S: Scusa per la lunga attesa, ma, come puoi vedere, non sono rimasto inoperoso, durante questi lunghi mesi. Il Decreto in Latino ti è piaciuto? Attenta, potrei essere tentato di fare il bis!
Rico: Meno male che ho diviso il cap. in due parti, perchè temo che anche questa non scherzi, quanto a complessità!
Mariademolay: Quanto al ragionamento di Griselda, sarei molto curioso di conoscere i tuoi dubbi; alle altre osservazioni risponde, a mio avviso, proprio questa seconda parte del Prologo; per lo più, in termini di condivisione.
Si incontrarono al Primo Livello, all’uscita dall’ascensore.
«Ministro,» si inchinò Silente.
«Chiamami Amelia» ribatté la donna, in tono neutro. «Lavoriamo insieme da troppi anni per perdere ancora tempo con i titoli, Albus.»
«Molto bene, Amelia. Per prima cosa, vorrei congratularmi con te.»
«Per la nuova carica? Grazie, ma penso che finirò per lasciarci la pelle.»
«Davvero?» Silente tacque, come pensieroso, e restarono in silenzio finché non giunsero all’ufficio. Rufus li aspettava sulla soglia.
«Silente» salutò, con un cenno del capo.
«Scrimgeour» rispose il Preside, con lo stesso contegno
circospetto.
Entrarono e sedettero.
Imponendosi tutta la circospezione possibile, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia, si eresse sullo schienale, alzando gli occhi ad incontrare le penetranti iridi azzurre di Silente.
«Molto bene, Albus,» esordì. «Hai già ricevuto le mie scuse personali per il modo indegno in cui il mio predecessore e tutta la precedente Amministrazione ti hanno trattato. Inoltre, sei stato reintegrato in tutte le tue cariche ed onorificenze e questo – gli passò un rotolo di pergamena attraverso la scrivania – è il Decreto Didattico Numero Trenta, firmato oggi, con cui sopprimo la carica di Inquisitore Supremo. Hogwarts tornerà ad essere governata secondo le consuetudini di sempre.»
Gli occhi scintillarono, divertiti, forse soddisfatti, mentre il vecchio Preside scorreva il foglio; poi, con un secco cenno del capo, lo ripose nella cartella. «Ti ringrazio, Amelia. Questo Decreto era molto atteso.»
«Non ne dubito. Dunque dimmi: possiamo lasciarci alle spalle le incomprensioni di prima?»
Albus sorrise. «Amelia, carissima, tra noi non ce n’è stata neanche una; e Cornelius se le è create da solo. Posso assicurarti che non ho mai provato rancore nei confronti del Ministero.»
«Molto bene. Perché il Ministero ha bisogno di te.»
Nel breve silenzio che seguì, si udì chiaramente Rufus che digrignava i denti.
Lo sguardo di Silente appariva assorto, mentre si accarezzava la barba, come a cercarvi qualche segreto recondito. «Il Ministero ritiene di aver bisogno di me?»
Il Ministro non si lasciò ingannare dal tono casuale e
percepì i sottintesi: É un’iniziativa solo tua? Quanto sono d’accordo i tuoi sottoposti? Fino a qualche giorno fa, il Ministero rifiutava qualsiasi aiuto. Specialmente da parte mia. «Albus, mi sorprende che tu possa dubitarne. Finché alcuni di noi si sono illusi che tu fossi rimbambito, o che avessi preso gusto a raccontare favole spaventose, o, ancora, che intendessi rovesciare il Ministro in carica e impadronirti del potere… be’, ovviamente, fino ad allora, non ci siamo certo rivolti a te. Ma adesso che sappiamo…».
Lentamente, gli occhi freddi dietro le lenti a mezzaluna, il Preside annuì. «Capisco.»
«Tu sei il solo Mago che Tu-Sai-Chi tema; tu conosci meglio di chiunque altro il nemico contro cui dobbiamo combattere.» Amelia lasciò filtrare nella voce un po’ dell’urgenza che sentiva: il bisogno disperato di reclutare alleati.
Silente taceva.
«Siamo dalla stessa parte, Albus,» concluse il Ministro, lanciandogli il più diretto degli sguardi.
Riuscì, almeno, a strappargli un sorriso. «Lo siamo sempre stati, Amelia, noi due.»
Ella ricambiò il sorriso e scrollò il capo, assumendo un atteggiamento che, in un’altra donna, si sarebbe definito sbarazzino. «Hai già saputo della mia Circolare Organizzativa Generale?»
«Nell'Atrium e per i corridoi correvano voci di tutti i generi. Metà degli impiegati teme di perdere il posto, l’altra metà di finire ad Azkaban.»
Amelia rise, sinceramente divertita: «Chissà, forse dovrei accontentarli!»
«Se lo ritieni giusto, fallo pure; ma attenta, perché poi dovrai sostituirli.»
«Oh, di tanti fannulloni non si sentirà certo la mancanza!» Tornò seria. «No, Albus, ho altri piani. Siamo in guerra, quindi il personale del Ministero – tutto il personale – deve considerarsi, diciamo, in servizio militare effettivo e permanente.»
«Anche i nuovi Uffici?»
«Soprattutto i nuovi Uffici.» Gli indirizzò uno sguardo severo. «Parliamoci chiaro, Albus: ho assunto Rita Skeeter perché credo davvero che il Ministero debba cambiare registro e smettere di conservare segreti di Pulcinella o scheletri nell’armadio; ma questo non significa che la metta a parte dei miei piani di guerra.»
Adesso Silente annuiva, un ghigno beffardo che si allargava sul volto grinzoso. «Capisco. Gettiamo l’Ufficio Misteri in pasto ai lupi, sacrifichiamo gli inetti più sacrificabili… e distogliamo sia Rita, sia il suo pubblico dal vero problema.»
«Esatto. E prevedo che le scartoffie dell’Ufficio Misteri terranno Rita impegnata per un mese almeno; se poi si aprisse qualche inchiesta disciplinare… Chissà!»
«Eccellente. E, nel frattempo, la paura potrebbe perfino spingere qualche impiegato a lavorare.»
«Giusto anche questo. Perciò, mentre Rita indaga e i miei inferiori tremano, noi» - allargò le braccia a ricomprendere loro tre - «facciamo i piani.»
Silente ridacchiò. «Amelia, Amelia, tu mi fai troppo onore! Cosa puoi aspettarti da un povero vecchio come me?»
«Tutto quello che puoi darmi. E non mi rivolgo soltanto allo Stregone Capo del Wizengamot, o al Preside di
Hogwarts,… o al Supremo Pezzo Grosso, al più grande Mago del mondo.»
«Titoli non desiderati, forse neppure meritati.»
«Un altro, però, desiderato e meritato.» Trasse un profondo respiro, pregando che, per una volta, gli
Auror l’avessero imbroccata. «Fondatore dell’Ordine della Fenice.»
Il più grande Mago, eccetera eccetera, batté due volte le palpebre.
La stima di Amelia per Rufus e il suo Ufficio risalì di parecchi punti: poche, pochissime volte aveva visto il grande Albus Silente preso in castagna. Per questo riconosceva i segni. Li aveva mandati a memoria.
«Ah.» Il vecchio parlò con deliberata lentezza. «E… cosa potrebbe mai volere il Ministero dal Fondatore di questo… ipotetico Ordine?» Lanciò un’occhiata a Rufus, che, per la prima volta, scoprì i denti, lunghi e giallognoli. Un sorriso molto simile al ghigno di uno squalo.
Ma fu ancora Amelia a rispondergli: «Vogliamo tutto ciò che questo… ipotetico, fantomatico Ordine è in grado di dare.» Tanto valeva parlare chiaro.
«Per esempio?»
Il tono innocente della domanda non convinse nessuno.
«Per esempio…» Amelia si voltò verso Scrimgeour, che raccolse la palla:
«Per esempio, rinforzi, Silente.»
«Avete tutto il personale del Ministero a vostra disposizione; un manipolo di Maghi, per giunta ipotetico, non merita di essere definito “rinforzo”.»
«Qui ti sbagli.» Rufus era nel suo e neanche il più grande Mago, eccetera eccetera, sarebbe riuscito a fregarlo. «Questo manipolo… ipotetico, come dici tu… potrebbe occuparsi di cose per cui noi del Ministero, per varie ragioni, siamo... inadatti. E sto parlando» aggiunse in tono secco «delle mansioni più delicate.»
«In altri termini, dovete essere sicuri che certe faccende non finiscano in mano a seguaci o informatori di Voldemort,» replicò Silente, più pacato che mai.
Era il loro turno, adesso, di sentirsi presi in castagna.
«Molto bene,» riprese il Preside. «Molto bene. Penso di poter fare qualcosa per aiutarvi.» Scostò la sedia e si alzò, bacchetta in pugno.
Amelia e Rufus, improvvisamente rigidi, si mantennero impassibili, ma ben decisi a vendere cara la pelle.
Silente, lungi dall’aggredirli, mosse la bacchetta come se dovesse dirigere un’orchestra. Sobrie e possenti, le note iniziali del Rex tremendae di Mozart riempirono il piccolo ufficio, cui la magia concedeva, all’improvviso, un’acustica perfetta.
Il Ministro non batté ciglio; placò con un semplice cenno l’insofferenza di Scrimgeour e ascoltò, quasi compunta, le voci che si rincorrevano fino a intrecciarsi e fondersi nell’unisono, in un solo, severo omaggio che subito si tramutava in nobile supplica.
«Salva me, fons pi-e-ta-a-a-tis!» Quando l’ultima nota tremolò nell’aria, Amelia accennò un applauso, cui Silente rispose con un inchino, prima di tornare a sedersi, ignorando l’aria seccata di Rufus.
«Molto bene, Albus.»
«Grazie, Amelia.»
Rufus lasciò affiorare l’impazienza: «Bene, Silente. Se ora volessi degnarti di illuminare noi poveri deficienti con il lume della tua scienza…»
«Oh, non intendevo dire nulla di trascendentale.» Tacque un istante. «Però, credo che questo sia il migliore degli aiuti: ricordarvi che leggi, circolari e decreti non basteranno a sconfiggere Voldemort.»
Non gli diedero la soddisfazione di sussultare al suono di quel nome.
«Fammi capire: ci stai proponendo di affidarci alla preghiera, Albus?»
«Potrebbe essere una buona idea, Rufus,» concesse il Venerato Maestro; «tuttavia, suggerirei piuttosto di concentrarci sugli uomini. Dopotutto, mentre scriviamo leggi e decreti - e forse anche mentre preghiamo - è facile dimenticare che abbiamo a che fare con uomini in carne ed ossa. Questo sono i nostri soldati. E questo sono anche coloro che dobbiamo proteggere: Maghi, Maghinò e Babbani.»
Amelia raccolse il suggerimento che sentiva implicito: «Come possiamo smascherare i Mangiamorte e i loro informatori, Albus?»
Il vecchio Mago sorrise sornione e mosse di nuovo la bacchetta come un direttore d’orchestra, accennando un motivetto atonale.
«Con la musica?» chiese Rufus, incerto tra sbigottimento e disprezzo.
Silente annuì, continuando a sorridere e canticchiare, il capo che ondeggiava al ritmo della nenia.
Prima che potessero replicare, l’ufficio si riempì di una musica ben diversa, suoni che li spinsero a balzare
in piedi, bacchette pronte.
Urla. Urla di terrore.
«Restate qui!» ordinò Amelia, precipitandosi fuori. E tanto imperioso era stato il suo tono che, per
un lungo istante, Silente e Rufus rimasero quasi impietriti. Poi si scambiarono uno sguardo indeciso; l’Auror scrollò le spalle.
«Se la caverà. Poco ma sicuro.» Tornò a sedersi e Silente lo imitò.
Per qualche istante regnò il silenzio, ma Scrimgeour si mantenne vigile, certo com’era che il cervello bislacco di quel pazzo furioso stesse escogitando qualche tiro mancino al suo indirizzo.
E infatti, il Supremo Pazzo Furioso proferì verbo.
«Sai, Scrimgeour, dovresti rilassarti un po’. Tu prendi la vita troppo sul serio.»
D’istinto, Rufus si irrigidì ancora di più, scoccandogli un’occhiata gelida. Un errore, capì non appena l’ebbe udito ridacchiare.
«Sto scrivendo un nuovo libro, sai?»
«Ah, davvero?»
«Sì. E’ quasi finito, potrei regalartene una copia.»
«Grazie, ma non penso proprio che troverei il tempo di leggerlo.»
«Dovresti, invece.» Aprì la cartella e ne estrasse una mostruosa congerie di pergamene, che le bande di seta nera si sforzavano invano di costringere a formare un blocco compatto. Silente sospirò. «Ecco un bel problema… Quando un genio scrive di un altro genio, alle pergamene succede qualcosa di strano: vogliono mettersi come credono loro, non restare in fila, dalla prima all'ultima pagina! "Genio e sregolatezza"...»
Rufus buttò un occhio sulla pergamena in cima al mucchio, che si contorceva nello sforzo di liberarsi.
«"Lewis Carroll. Il Magonò che ha stregato i Babbani."»
«Precisamente» approvò l’autore. «Un mio caro amico, il vecchio Lewis, un caro amico di gioventù. Innamorato dei Babbani al punto di voler insegnare nelle loro scuole. Mi ha fatto scoprire la passione per l’insegnamento, sai?»
«Sul serio?» Questo spiega molte
cose. «Sì. E anche il mondo Babbano.»
«Capisco.» Di bene in meglio. «Era un uomo molto infelice» sospirò Silente. «Né Mago, né Babbano; “innamorato di entrambi i mondi, ma incapace di appartenere davvero all’uno o all’altro; capace di osservarli entrambi con il più lucido disincanto, oppure di fonderli in un giocoso labirinto letterario dispiegato in più volumi…”»
«Stai citando?» Quel tono professorale non gli garbava affatto.
«Mi perdonerai la mancanza di modestia, ma sì, stavo citando me stesso. E’ uno dei capitoli centrali del libro.» Indicò il cumulo tremolante che ingombrava la scrivania. «Ma sono indeciso… non so se inserire un certo particolare.»
«Ma davvero?» La sua sopportazione stava giungendo al limite.
«Vedi, Lewis mi ha concesso – per così dire – il posto d’onore, all’interno del suo labirinto. Se rivelassi di essere io il personaggio, diciamo così, cruciale, forse anche quello più amato… potrebbe sembrare pretenzioso.»
Rufus si limitò a grugnire, così censurando i propri apprezzamenti circa la sconfinata vanità del Supremo Pazzo Furioso e Gran Pallone Gonfiato.
«Naturalmente,» seguitò il Grande, imperterrito, con quel tono leggero che spaventava a morte chiunque lo avesse
frequentato, «dipenderebbe dalle circostanze e dal personaggio, non credi, Rufus?»
«Ma certo» rispose Scrimgeour, sempre più diffidente.
Ma, per quanto egli tenesse la guardia alta, Silente riuscì a coglierlo in castagna. Sorrise; un sorriso ironico, sornione. E, davanti ai suoi occhi esterrefatti, il sorriso si allargò, si allargò, riempì tutta la faccia, mentre il resto del corpo…
Svaniva… Rufus crollò sulla sedia, esalando un lungo respiro. Quel colpo era troppo, per i poveri nervi di un uomo che non dormiva da quaranta e passa ore.
Ma i poveri nervi, per quanto malconci, non gli concessero di svenire. Alla Scuola si insegna alle reclute che "Un Auror non sviene mai. E raramente muore.".
A salvarlo dall’imbarazzo irruppe Amelia, che spalancò la porta con fragore. Silente ricomparve, in piedi, accanto a Scrimgeour, bacchette in pugno.
«Corri, Rufus! I tuoi uomini… ti aspettano!» ansimò il Ministro, trafelato.
«Che è successo?» chiese l’Auror, già infilando la porta.
«Quelle urla… era una Strillettera.
Quei poveri disgraziati… hanno trovato il Gigante.»
Scrimgeour si dileguò, veloce quanto gli permetteva la menomazione.
«Forse è meglio che vada anch’io, Amelia. Avrai da fare.»
«No, Silente. Resta. Non devo occuparmi del Gigante… non ora, almeno.»
«Non dovremmo aspettare il ritorno di Rufus?»
«No.» Abbassò la voce. «Mi servono due cose: un modo per smascherare Mangiamorte e complici dei Mangiamorte. Un
altro per rendere veramente segrete le attività del Ministero.»
Silente parve apprezzare il linguaggio diretto. «Prima cosa: il canto della Fenice. Fallo risuonare in tutto il Ministero, giorno e notte; imponi a Celestina Warbeck di vocalizzarci su, se necessario, ma fa’ in modo che entri nella casa di ogni Mago. I malvagi non lo
sopportano, non a lungo.» Fece una pausa. «Naturalmente, non tutti i malvagi sono Mangiamorte…»
«E non tutti i buoni sono dalla nostra parte» aggiunse il Ministro. «Non ancora, almeno.»
«Non finché Voldemort non mostrerà il proprio vero volto» convenne Silente. «E, anche allora, molti avranno paura; pochi combatteranno.»
«Albus?»
«Sì?»
«I ragazzi. I ragazzi dell’Esercito di Silente.»
«L’Esercito di Harry Potter, Amelia.»
«Sia come sia. Addestrali per bene, mi raccomando. Hogwarts non è un luogo sicuro. Non più.»
«Lo so bene.»
«L’altra volta, Voldemort non ti ha sfidato apertamente… Ma adesso?»
Il sorriso del Preside infondeva vera fiducia. «Ci siamo scontrati proprio qui al Ministero. Credo di avergli dimostrato che, se mi crede rammollito, si sbaglia di grosso.»
«Ma neanche tu hai il dono dell’ubiquità. Io e Rufus abbiamo predisposto un piano per garantire sicurezza a Hogwarts e Hogsmeade – lo esamineremo insieme, al suo ritorno – ma non importa quanti Auror possiamo dislocare nei paraggi, i ragazzi faranno bene a sapersi difendere da soli.»
«Giusto. Ma mi pare che, qui al Ministero, se la siano cavata abbastanza bene.»
«Albus. Tu hai voluto ricordarmi che leggi, circolari e decreti non basteranno a sconfiggere Tu-Sai-Chi. Ebbene, io vorrei ricordarti che neanche un gruppo di ragazzini basterà.» Fece una pausa. «Neppure se Harry Potter fosse… il Prescelto.»
«No?»
«No. E lo sai bene. L’ultima volta, Potter ha tolto di mezzo Tu-Sai-Chi, è vero; ma non i Mangiamorte. Non i suoi seguaci. Quelli sono sopravvissuti a Incantesimi, Auror, leggi, decreti, processi e, spesso, Dissennatori.»
«E sono di nuovo tutti lì. A combattere per Voldemort.»
«Già. Tutti. I coraggiosi e i codardi. Gli astuti e i brutali. Per questo esigo segretezza. Non voglio un altro Rookwood.»
«Un Indicibile.»
«Appunto. Uno che nella segretezza sguazzava… perché tutto era segreto, tranne quello che veramente lo sarebbe dovuto essere!»
«Riflessione condivisibile.»
«Grazie. Allora, Albus, che aiuto mi puoi dare?»
Il vecchio Mago strinse le labbra.
«Nessun aiuto veramente risolutivo. Ci sono troppe informazioni e troppe persone coinvolte. Ma credo che Alastor Moody farà bene la sua parte.»
«Lo credo anch’io.»
«Proteggere i documenti è ancora abbastanza facile… ma i mezzi di comunicazione magici…» Spalancarono le braccia entrambi, in un identico gesto di impotenza.
«Tuttavia,» riprese Silente, «esiste un mezzo di comunicazione che ho inventato io.»
«Perché non mi stupisco?»
«Perché mi conosci. E’ a prova di Mago Oscuro: si basa su una modifica dell’Incanto Patronus. Questo, però, significa anche che soltanto pochi riusciranno a padroneggiarlo.»
«Credo che la Scuola per Auror potrà farli diventare molti.»
«Speriamo.» Stava per aggiungere qualcosa, ma si bloccò: quasi svellendo la porta dai cardini, Rufus Scrimgeour, insanguinato da capo a piedi, piombò nella stanza. Reggeva con entrambe le mani una cosa rossa e nera che non fecero in tempo a mettere a fuoco: con un gran sorriso, il capo degli Auror depose sulla scrivania, davanti ad Amelia, il proprio trofeo.
La testa del Gigante.
L’indomani, la Gazzetta sparò un titolone di sei colonne in apertura:
IL
MINISTRO STANA IL GIGANTE
Arthur Weasley sorrise e cominciò a
leggere, a voce alta, in modo che Perkins, la cui vista era molto peggiorata, non perdesse neppure una sillaba:
«Rita Skeeter– inviata speciale al Ministero.
Infuriata perché l’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche si dimostrava incapace di stanare il Gigante responsabile dei recenti massacri, Amelia Bones, Ministro della Magia, ha indirizzato una Strillettera di reprimenda a ciascuno degli impiegati messi alla sua ricerca. Una decina di loro si era fermata a riposare in cima ad una collina, quando le loro Strillettere sono arrivate. Sono stati assordati da un frastuono davvero indescrivibile: le lettere si sono aperte
tutte assieme. E non hanno fatto in tempo a riprendersi, che già la collina si stava muovendo.» «No!» esclamò Perkins.
«Oh, sì. Il Gigante era camuffato da collina. Ci stavano seduti sopra.»
«E le Strillettere lo hanno svegliato.»
«Già.»
«E l’Incantesimo che lo camuffava è andato a farsi friggere.»
«Per l’appunto. Vuoi lasciarmi leggere?»
Il vecchio mago chinò il capo, mortificato, e Arthur riprese a scorrere il giornale.
«Uhm, uhm… Dobbiamo, purtroppo, dar conto di nove caduti tra le fila del Ministero, tutti stritolati dal Gigante prima che potessero anche solo pensare a difendersi. Il decimo uomo, invece, è riuscito a sfuggirgli, arrampicandosi fino alla testa e gettandosi nel vuoto di lì. Ammazza!»
«E non è morto?»
«No. Caduto da poco meno di sette metri, con gli arti fracassate, il nostro eroe è riuscito egualmente a dare l’allarme. Non poteva scrivere, così ha dettato una Strillettera. Sapeva che le sue urla di terrore sarebbero state più efficaci di mille parole.»
«Poco ma sicuro.»
«Le hai sentite anche tu? Io ero proprio lì, al Primo Livello.»
«Le ha sentite tutto il Ministero.»
«Non mi stupisce. Uhm… Il tempestivo arrivo degli Auror… scontro sanguinoso, culminato nella singolar tenzone tra il Gigante e Rufus Scrimgeour… la testa del Gigante esposta al pubblico, nell’Atrium nel Ministero…»
«Non c’era bisogno di leggerlo!» sbottò Perkins, reprimendo un conato di vomito.
«Non è uno spettacolo che si dimentichi facilmente, vero?»
«Proprio no.» Una buona metà degli impiegati aveva lasciato la propria colazione a navigare sul pavimento. E magari pure qualche frammento di budella.
«Incendio!»
Con un grido, Arthur Weasley lasciò cadere il giornale in fiamme.
Dalla soglia aperta in modo tanto silenzioso, Rufus Scrimgeour lo squadrava con profondo, palese disprezzo.
«Se fossi un Mangiamorte, a quest'ora sareste entrambi cibo per vermi!»
Nessuno dei due giudicò saggio replicare.
«Weasley, i tuoi giorni da Babbanofilo
nullafacente sono finiti.»
«Scrimgeour… io… posso spiegare…»
«Non a me» tagliò corto l’altro. «Muoviti. Il Ministro ti vuole.»
Mentre Arthur tentava di infilarsi gli occhiali sul naso – e non negli occhi, maledizione! – il Direttore dell’Ufficio degli Auror parve ricordarsi di Perkins. Lo fissò per qualche istante interminabile, come una vipera può guatare una preda, e poi sparò: «Prima linea, Perkins.»
«Signore?» Il poveretto si portò una mano all’orecchio, sinceramente convinto di aver capito male.
«Prima linea. O quasi. Ti ho infilato nei pattugliamenti.»
L’ometto prese a tremare.
«Raccogli le tue cose, Perkins. Troveremo un uso per questo sgabuzzino. Weasley, è inutile che provi ad accecarti, non ti renderà più furbo, quindi posa quelle dannate lenti e andiamo.»
«Sì, signore.»
La porta si richiuse su un altro Ufficio soppresso.
Nei giorni e nelle settimane che seguirono, altri titoli trionfali scandirono le mattinate dei Maghi, ingaggiando un duello a colpi di sensazionalismo con la Gazzetta della Sera: titoli e articolesse sulle grandi riforme in corso al Ministero; sull’Ufficio Misteri, i suoi segreti e il nuovo corso, ora che era stato ribattezzato “Ufficio per la Ricerca nelle Arti Magiche”. E, soprattutto, sulle tre grandi inchieste – presto riunite in una sola – che vedevano ben novantatrè impiegati di vario livello incolpati delle attività illecite più disparate, ma tutte, in qualche modo, collegate con gli Indicibili. Sembrava che fosse nelle loro mani perfino il leggendario racket di promozioni & trasferimenti, materia che – guarda caso! - nessun Ministro era mai riuscito a disciplinare.
Nessuno, fino ad ora, promettevano redattori e opinionisti.
Gli articoli di carattere giuridico riempirono addirittura un Supplemento intero, quando Amelia Bones, invece di definire i procedimenti disciplinari in via amministrativa, rispolverò l’Alta Corte di Disciplina, un organismo inattivo da oltre un secolo. Esperti più o meno
improvvisati spiegarono che il Ministro avrebbe presieduto un collegio di tre giudici, per poi stendere la sentenza di proprio pugno, e che, data l’eccezionale gravità dei fatti contestati, il ruolo di giuria sarebbe stato affidato al Wizengamot in sessione plenaria.
La Gazzetta riferì anche – con dovizia di particolari – la polemica che contrappose Rita Skeeter, inviata speciale, a Griselda Marchbanks, Cancelliere del Wizengamot assegnata al maxiprocesso, la quale si era messa a scrivere i verbali in Law-French e, quel che era peggio, aveva tradotto in quell’«incomprensibile gergo da legulei ammuffiti» tutti, diconsi tutti i documenti di causa, per poi archiviare gli originali nella sezione riservata del fascicolo. La Marchbanks dichiarò testualmente: «Vogliono leggere i documenti? Che imparino il Law-French!»
Le urla di Rita – spalleggiata, peraltro, dall’intera categoria – raggiunsero l’alto scranno del Ministro, ma invano: occorsero tre pagine di contorsioni giuridico-sintattiche, lardellate di consuetudini, precedenti legali e Decreti vecchi di secoli, per spiegare il perché; comunque il Ministro aveva le mani legate.
All’apertura del processo, la vecchia Aula Dieci, rimessa in uso per l’occasione, traboccava di gente. I trenta giornalisti presenti si scambiarono occhiate incredule, perplesse: nessuno si sarebbe immaginato una simile folla.
E neppure una simile rabbia: molto prima che l’aula si riempisse, l’aria si tagliava già con il coltello.
Rita Skeeter poté scrivere, in tutta sincerità, che una tensione simile non si era avvertita neppure al processo per l’aggressione ai Paciock.
«Saranno stati almeno in trecento. Trecento Maghi e streghe di ogni ceto, età e condizione, compresi alcuni che sembravano arrivati direttamente dal San Mungo e altri con un piede e tre quarti nella fossa; persone normalissime, di quelle che si incontrano per strada tutti i giorni.
Ma nella loro furia non c’era nulla di normale.
Non appena il primo incolpato ha messo piede nell’aula, mani, piedi, bocche, corpi, tutti si sono lanciati, accalcati, sospinti verso una sola meta: il linciaggio.
Dalla tribuna della stampa, attorniati da quell’improvvisa valanga umana, abbiamo visto, con profondo sollievo, l’Ufficio per la Sicurezza Interna mostrare un’efficienza inattesa: Alastor Moody in persona, alla testa della scorta, ha bloccato l’intera prima fila degli aggressori con un formidabile Incantesimo di Ostacolo; a quel punto, i suoi uomini hanno rovesciato sugli altri una grandinata di Stupeficia. Il Ministro non ha voluto far sgombrare l’Aula, perché questo avrebbe significato
“estromettere non solo i cittadini indignati, ma anche la stampa”; perciò, la Sicurezza ha Incarcerato ogni membro del pubblico, in modo che non potesse muovere un muscolo, e solo dopo li ha fatti Levitare fino ai banchi e rianimati.
Neutralizzato il pericolo, gli incolpati, in un corteo interminabile, sono entrati a passo lento, sorvegliati a vista, e hanno preso posto di fronte al banco della giuria, dove, subito dopo, si sono sistemati tutti i membri del Wizengamot.
Tutti tranne uno: Albus Silente. Nei processi avanti l’Alta Corte di Disciplina, infatti, lo Stregone Capo è di diritto membro del collegio giudicante. E, quando questo ha fatto il proprio ingresso, l’Aula era immersa in una tranquillità quasi spettrale: gli insulti del pubblico erano stati repressi a suon di Incantesimi Tacitanti; quanto agli incolpati, allineati su tre file di sedie munite di minacciose catene, nessuno di loro muoveva un muscolo. E c’è da giurare che, se l’avesse fatto, i due agenti di scorta gli avrebbero fatto assaggiare qualche Incantesimo molto, molto doloroso. Alcuni degli avocati – un centinaio in tutto, stipati intorno a un tavolo piazzato tra gli imputati e la cattedra dei giudici – scoccavano essi stessi occhiate velenose verso i propri clienti, forse tentando di emulare la grinta feroce del rappresentante dell’accusa.
Così, in un silenzio di tomba, punteggiato dal tintinnio presago delle catene, Amelia Susan Bones, primo Ministro della Magia a presiedere l’Alta Corte in più di un secolo, ha letto la solenne formula di apertura del dibattimento:
“Funzionari! Siete stati tradotti nanti questa Alta Corte di Disciplina, costituita secondo le inveterate tradizioni dei Maghi e da Noi, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia, presieduta, per esserne giudicati secondo il diritto e le consuetudini del Mondo Magico. Qui e ora, in pubblico dibattimento, udrete quali prove si abbiano contro di voi e questa Corte, giusta, magnanima e clemente, presterà orecchio alle vostre difese.”».
Durante le tre settimane del dibattimento, alla pirotecnica di Rita si affiancò il gergo iniziatico di
Tiberius Ogden, ex membro del Wizengamot, incaricato del commento “dotto”, propriamente giuridico, degli eventi. Egli esordì con una vera e propria filippica all’indirizzo di Williamson, il giovane e sconosciuto Auror incaricato di rappresentare l’accusa, perché aveva osato presentarsi in udienza senza indossare né toga, né parrucca. «Che, proprio in uno dei processi più gravi degli ultimi tre lustri, il rappresentante dell’accusa non indossi le insegne della propria funzione, è un insulto, uno schiaffo a tutti noi, alla Nazione di cui questo giovanotto forse spocchioso, forse inesperto, cura la difesa. Se trascura la strategia processuale come trascura il proprio ruolo e, anzi, la sua stessa persona, questo processo finirà senza una sola condanna.» In effetti, i capelli di Williamson, perennemente unti e raccolti in un’oltraggiosa coda di cavallo, non erano uno spettacolo facile da digerire e una buona metà del Wizengamot lo guardò in cagnesco per tutte e cinque le udienze.
Ben presto, Ogden commentò che il processo era «un concorso a premi per incompetenti; o, se si vuole, un castello di incompetenze incrociate». Infatti, in quel centinaio di avvocati, non se ne trovava uno che capisse qualcosa delle accuse: per oltre un secolo, il Ministero aveva lavato i panni sporchi senza ombra di processi o di avvocatura; in più e soprattutto, «quella sadica di Griselda» li costringeva a sciropparsi i documenti in Law-French, rifiutandosi categoricamente di esibire gli originali e anche di tradurre la propria versione, perché – diceva – “Ogni giurista degno di questo nome sa leggere il Law-French!”. Per contro, Williamson aveva accesso ai documenti originali e, come ogni animale
ben adattato alla giungla ministeriale, comprendeva alla perfezione fatti, accuse, circostanze; che non capisse nulla, ma proprio nulla, di diritto era palese, però non gli importava affatto, sorretto com’era dall’incrollabile certezza che – qualunque cosa potessero dire quattro Decreti ammuffiti – tutti erano colpevoli di tutto.
Di fronte ad un processo fondato interamente su prove documentali che non riuscivano a capire, alcuni avvocati più disperati della media scelsero di far deporre i loro clienti. La scelta si rivelò disastrosa: Williamson condusse gli interrogatori come altrettanti linciaggi, ignorando completamente qualsiasi regola, a dispetto dei reiterati richiami della Corte. Il pubblico, sempre Tacitato e Incarcerato, esultava, vedendo il malcapitato di turno arrossire, balbettare, incalzato da un accusatore che né le obiezioni degli avvocati, né gli interventi della Corte facevano deflettere di mezzo pollice; anzi, con un Indicibile che, carte alla mano, si ostinava a difendersi, Williamson arrivò a un passo dalla violenza
fisica: «Delinquente! Assassino! Pervertito!» gli urlò in faccia, rosso come un gallo, mentre quello, ammutolito, tremava. «Lei è una vergogna per il Ministero che l’ha assunta e per la famiglia in cui è cresciuto, ha capito? No, non dica niente! Stia zitto! No, Lei-fa-schifo, a sentirLa parlare mi viene il vomito! Con la Sua difesa io mi ci pulisco il culo!»
Dopo questo suo brillante sfoggio di competenza professionale, i difensori rinunciarono alle deposizioni e si concentrarono sulle eccezioni processuali, riuscendo a impallinare Williamson almeno una dozzina di volte ogni ora. Ma né le obiezioni accolte, né i richiami della Corte e neppure le multe che, infine, Amelia si vide costretta a infliggergli riuscirono a smontarlo: continuò ad aggredire, insultare e perseguitare ogni singolo incolpato e/o difensore, illustrando un documento dopo l’altro, una prova dopo l’altra, come se le regole del processo fossero soltanto fastidiosi impicci.
La requisitoria rappresentò il culmine di tanta vis accusandi: in mezz’ora appena, riuscì a inquadrare ciascun incolpato in una delle tre bande criminali – ora alleate, ora nemiche acerrime – che infestavano quasi tutto il Ministero; in poche frasi, icastiche, ancorché ripiene di turpiloquio, dipinse un quadro di malaffare e corruzione capace di far impallidire Sodoma e Gomorra. Concluse chiedendo, per tutti quanti, il massimo della pena: congedo con disonore, perdita della pensione, ritiro delle decorazioni e mille Galeoni di multa.
Il pubblico si agitò e sussultò, in un parossismo di esultanza che fece tremare l’intera Aula. I giornalisti tacquero, intenti ad assaporare l’odore del sangue.
Gli avvocati, ad uno ad uno, si alzarono, per pronunciare poche parole, sempre le stesse: «Ci rimettiamo alla clemenza della Corte.»
Neanche un accenno di difesa: Williamson vinceva la partita per abbandono degli avversari.
Tiberius Ogden, sconsolato, rinunciò a commentare simili livelli di incompetenza incrociata, limitandosi a riferire che la camera di consiglio, con ogni probabilità, sarebbe stata molto lunga, se non altro perché i giurati erano ben più di dodici. E, tra le righe, fece capire che Albus Silente avrebbe certo trovato il modo di influenzare la discussione, pur essendone materialmente escluso.
In effetti, il Wizengamot discusse per quarantadue ore filate. Ore che tutti – giornalisti, pubblico, servizio d’ordine – trascorsero accampati in aula, aspettando la sentenza. Ora dopo ora, cresceva l’aspettativa, ma montava anche la rabbia: una camera di consiglio lunga, spesso, equivale a clemenza per l’incolpato.
Il pubblico e la maggior parte dei giornalisti si sentivano come alla finale di Quidditch, quando sei in vantaggio di centoquaranta punti e vedi il Cercatore avversario che si tuffa verso il Boccino.
Gli uomini del servizio d’ordine si avvicendarono in turni regolari, nell’arco di quelle quarantadue ore, ma quasi nessuno se ne accorse: sembravano intercambiabili, tutti impassibili e statuari.
Forse per questo, allorché finalmente si mossero, molte, molte gole si unirono in un ringhio corale: sentivano la fine dell’attesa, bramavano l’arrivo della vendetta.
L'aula di udienza era gremita di pubblico, e tuttavia immersa nel silenzio più assoluto, mentre la voce del Ministro cominciava la lettura della sentenza.
«Noi, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia,
nanti l’Alta Corte di Disciplina essendo comparsi gli infrascritti Funzionari, qui convocati a rispondere delle accuse più oltre riferite…» L’attenzione del pubblico – e della stessa Amelia – divagò alquanto, durante la lettura dei novantatrè nomi e il riepilogo delle cinque udienze. Silente, ghost-writer della motivazione, era riuscito a rendere piatto e monotono uno dei processi più incasinati che la Storia dei Maghi ricordasse; senza dubbio una scelta deliberata.
Giunta al termine di una selva oscura, irta di subordinate, ellissi, eufemismi, perifrasi, litoti e, soprattutto, tecnicismi da processualisti, il Ministro riprese fiato e lena, venendo al dunque:
«Osservato quindi appieno il rito in vigore, nella lettera e massime nello spirito,
di certa Scienza e legittima Autorità
abbiamo decretata e pronunziamo la seguente
SENTENZA
Riguardo ai Signori…» Otto nomi, nessun Indicibile. «Siano prosciolti da ogni accusa, vadano liberi da colpa ed esenti da pena, proseguano il proprio onorato servizio alla Nazione, né più alcuna macchia di calunnia ardisca lordarne il nome.»
Le piume volavano, mentre il pubblico mugghiava il proprio… ehm… disappunto.
Il servizio d’ordine teneva le bacchette già puntate.
Qualche avvocato piangeva.
«Riguardo ai Signori…» Dieci nomi, un Indicibile. «Scontino il danno arrecato al prestigio e all’opera del Ministero versando ad Esso un’ammenda pari a Galeoni mille; e ciò facciano nel termine di giorni trenta dalla presente pronunzia, sotto pena, in difetto, dell’aggressione ai rispettivi patrimoni e delle sanzioni che si sogliono infliggere a chi disprezza l’Autorità delle Corti legittimamente costituite.»
Le prime dieci condanne suonavano come un antipasto beffardo alle orecchie del pubblico, che cominciò ad agitarsi sul serio; un banco si rovesciò
e il servizio d’ordine diede la stura agli Schiantesimi.
Williamson sembrava furioso.
Qualche bello spirito di cronista calcolò che la somma delle multe da lui collezionate equivaleva a dieci anni di stipendio.
Impassibile, Amelia Bones attese che il trambusto si placasse e proseguì:
«Riguardo ai Signori…» Stavolta, solo le penne riuscirono a tenere il conto: diciotto incolpati, di cui quattro Indicibili. «Perdano ogni grado, carica e anzianità di servizio, siano retrocessi alle mansioni più umili, né ardiscano impetrare promozione o miglior mercede, prima che siano decorsi anni tre dalla presente pronunzia.»
Diciotto carriere stroncate. Il pubblico assaporava, finalmente, il sangue tanto desiderato; i giornalisti ci stavano già sguazzando dentro.
Williamson, invece, appariva ancora più nero.
Otto, dieci e diciotto. Trentasei.
Restavano cinquantasette incolpati.
Amelia riprese la lettura e tutti trattennero il fiato.
«Riguardo ai Signori…» - E qui la tensione crebbe, crebbe di nome in nome, perché fu tosto evidente che questo era l’ultimo capo della sentenza, che decideva la sorte di cinquantasette persone. - «siano destituiti da ogni grado, carica e impiego presso questo Ministero…»
Ma la voce del Ministro fu sommersa dagli ululati dei giornalisti, dai sussulti del pubblico, dagli Schiantesimi che grandinavano.
Al servizio d’ordine occorsero cinque minuti buoni per
ripristinare una parvenza di calma, eppure Amelia non si scompose affatto: conservò una posa statuaria, il capo leggermente inclinato, un’espressione neutra.
«…presso questo Ministero, da loro offeso in sì turpe guisa; né abbiano diritto a serbare onorificenza alcuna, se mai l’avessero conseguita, né tampoco a conseguirne in futuro, se prima non sarà intervenuto il Nostro benigno perdono.»
E qui, un’altra pausa forzata: la parola “perdono”, al pubblico, non piaceva per niente.
Il servizio d'ordine cambiò tattica e placò i bollenti spiriti con un Aguamenti di acqua gelata. Bastarono venti secondi scarsi. Amelia li gratificò con un cenno di approvazione, prima di concludere:
«E ancora si vedano negare qualsivoglia mercede non corrisposta, né siano soccorsi in alcun modo nelle angustie della vecchiezza che tutti ghermisce; e nessuna fede si presti a lingue sì sfrontate e menzognere, ove mai ardissero comparire come testimoni nanti qual si sia Corte dei Maghi legittimamente costituita.»
Novantatrè incolpati. Ottantacinque condanne, di cui cinquantasette destituzioni.
Ma nessun massimo della pena. A nessuno dei destituiti era stata inflitta la multa di mille Galeoni.
Il Ministro riprese fiato e lesse anche la formula esecutiva:
«E a tutti coloro che la presente leggeranno, Noi mandiamo di metterla ad esecuzione senza frapporre indugio alcuno, come se tosto l’avessero udita proferire dalla Nostra Augusta bocca; né alcuno, esitante, osi ritrarsi dinanzi al sacro dovere della Giustizia, ma ciascuno si adoperi con tutto sé stesso, affinché siano rispettate ed eseguite le soprascritte decisioni, da Noi assunte per Nostra legittima Autorità.
Data in Londra, sotto il Gran Sigillo, appo la Sede del Ministero della Magia, addì trenta Agosto millenovecento novantasei; di Nostro pugno confermata e sottoscritta.»
Nell’Aula Dieci perdurava un silenzio da
cattedrale.
Con uno sforzo visibile, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia, levò in alto il pesantissimo Sigillum Maximum, un timbro di diorite nera che non veniva usato da quasi centocinquant'anni. Secondo la leggenda che narrava le sue origini, era capace di rendere inalterabili e irrevocabili gli atti cui veniva apposto; inoltre, chiunque avesse tentato di sottrarsi alla loro esecuzione, avrebbe attirato sopra di sé e sui propri discendenti una Maledizione di sventura che li avrebbe perseguitati per settantasette generazioni.
L'arcano, sinistro strumento scintillò un istante, nella stanza piena di luce, mentre tutti trattenevano il fiato; e poi calò, con un colpo secco.
Era fatta.
Il Gran Sigillo aveva tracciato da sè, magicamente, la firma di Amelia Bones, riscotendo così il prezzo del proprio uso.
La firma era vergata con il suo sangue.
L'Aula Dieci cominciò a svuotarsi; i giornalisti erano lanciati, come un sol uomo, all’inseguimento di Williamson, la cui grinta feroce avrebbe atterrito anche un ergastolano pluriomicida, ma eccitava da morire i segugi del “commento a caldo”.
E, all'improvviso, Amelia si sentì molto, molto sola. Dietro il suo viso impassibile, vera maschera da politico, si agitavano pensieri amari: non avrebbe mai voluto trovarsi costretta a scatenare un'epurazione di massa all'interno del Ministero, aveva sperato di cavarsela con i consueti richiami disciplinari; ma il marcio era troppo diffuso, non poteva tollerare l'inefficienza (o peggio), non con una guerra in corso.
E, naturalmente, quando cala l'accetta, a chi tocca tocca.
Da un certo punto di vita, la maggior parte dei condannati, quelli della bassa forza, non poteva dirsi colpevole: avevano soltanto seguito la corrente. Certo, la legge impone anche al minimo tra i funzionari del Ministero di operare sempre nella perfetta legalità e di denunciare qualsiasi situazione di ambiguità o di inefficienza; ma bisogna essere eroi per denunciare i propri superiori, o mettersi contro l'intero ufficio in cui si lavora. Una legge il cui rispetto esige autentico eroismo è una legge stupida. Non "ingiusta", non "sbagliata": stupida.
E lei era il giudice chiamato ad applicare la legge stupida, a tradurre in sentenza il verdetto dell'Alta Corte. Silente e il Wizengamot avevano rabberciato i disastri di Williamson, quindi, nel complesso, la decisione in sé era giusta; soltanto che sembrava assurda, avulsa com’era dalla realtà del Ministero e, in apparenza, dalla stessa natura umana.
Una sentenza stupida insegna molte più cose sul giudice che sul caso deciso. Era una massima che Griselda ripeteva spesso….
Certo, Amelia Bones, Ministro della Magia e Presidente dell’Alta Corte di Disciplina, poteva vantarsi di aver fatto pulizia, affermare che le sue riforme avrebbero reso migliore il Ministero, richiamarsi all'esempio dei grandi Ministri del passato... ma niente di tutto questo riusciva ad attenuare il senso di inutilità che la attanagliava.
Carte bollate e carte da gioco. Dov'è la differenza?
Siamo qui, noi del Ministero e io per prima, con le nostre carte, le circolari e i decreti e i regolamenti e gli ordini di servizio, e adesso anche con le sentenze... Cosa ci illudiamo di fare? Intanto che noi pianifichiamo, concertiamo e protocolliamo, i Mangiamorte agiscono. Non era del tutto esatto, naturalmente: il nuovo Piano per la Sicurezza aveva svolto un'efficace funzione preventiva, o forse deterrente, dato che non si erano registrati nuovi attacchi da parte dei Mangiamorte; le capacità offensive e difensive del Ministero stavano, oggettivamente, migliorando. Ma, soprattutto, non aveva scelta. Non poteva dare la caccia ai Mangiamorte in altro modo: anche se avesse smantellato il Ministero, aggregando agli Auror ogni singolo funzionario, avrebbe soltanto intralciato il lavoro di Rufus e lasciato sguarnito il fronte interno. Quella guerra richiedeva di essere pianificata e organizzata. C'era bisogno del Ministero. Di un Ministero che funzionasse, e funzionasse bene.
Ebbene, sono il Ministro e, in questa guerra, le mie armi sono le carte. Vediamo di usarle bene. Di nuovo determinata, sempre impassibile, Amelia si alzò e lasciò l'aula - ormai deserta - già concentrata sugli impegni successivi.
La attendeva una giornata senza soste.
Come la guerra.
Note:
Sono certo che il Mondo Magico conosce un sinonimo adeguato per la nostra espressione "Segreto di Pulcinella", ma, non avendolo trovato nel canone, mi sono dovuto rassegnare all'equivalente Babbano. Le carte da gioco, invece, sono attestate almeno per Spara Schiocco.
Se ben ricordo, la frase "Non dobbiamo mai dimenticarci che abbiamo a che fare con uomini in carne ed ossa" fu pronunciata da Douglas Haig solo pochi anni prima che egli, quale comandante in capo, si rendesse responsabile di un massacro forse ancora ineguagliato nella storia militare: la battaglia della Somme.
Per lo stile della sentenza, sono debitore alle leges di Giustiniano; solo mia è, invece, la responsabilità di qualsiasi errore o imprecisione circa la natura della diorite, che è, per quanto ne so, un minerale che fornisce materiale da costruzione.
Ringraziamenti:
Mariademolay: sì, credo che l'epurazione soddisfi tutti quanti noi. E' vero che Amelia non si fa esattamente amare... ma siamo in guerra e nessuno vuol rischiare di far la fine del povero Uria, spedito dal re a morire in prima linea. Il Law-French, in questo clima, fa tanto orchestra del Titanic, ma è anche giusto alludere ad un Ministero migliore, che sopravvive solo nei ricordi - o nei sogni - dei più anziani. Credo che Carroll e Silente sarebbero andati molto, molto d'accordo; e le pergamene "sregolate" sono davvero il minimo che si possa aspettare l'autore della biografia di un simile personaggio, non trovi?
«Ron!» «Hmpf...»
Harry lo scosse, impaziente. «Dai, svegliati!»
Ron aprì un occhio a metà, solo per richiuderlo subito, ferito dalla luce.
«E dai, poltrone! Dobbiamo andare a Hogsmeade!»
La menzione del fine settimana - il primo dell’anno - sortì un effetto miracoloso: Ron balzò giù dal letto all’istante. Così all’istante che le gambe non lo ressero e crollò sul pavimento, dove il dolore della botta finì di svegliarlo.
Harry, già vestito di tutto punto e pronto per la colazione, lo tirò in piedi e, con un borbottio esasperato, gli strappò di dosso la maglia del pigiama, per poi spingerlo in bagno di forza, ignorando le sue deboli proteste. Qui, una buona dose di acqua gelata riuscì a rianimare il povero Weasley, almeno quanto bastava perché si vestisse. E Harry, ansioso di abbreviare i tempi, gli lanciava i vestiti con una rapidità degna del miglior Cacciatore.
«E frena un attimo!» sbottò Ron, che non riusciva a reggere il ritmo dei lanci.
Le mutande gli finirono dritte in faccia.
Per fortuna erano pulite.
«Andiamo, sei un Portiere, no? Vedi di prenderli al volo, ‘sti vestiti!»
«A che serve? Tanto, quest’anno, niente Quidditch.»
«Non ricordarmelo! Allora, sei pronto?»
«E un momento!» gemette Ron, infilandosi la camicia. «Cos’è tutta ‘sta fretta?»
«Per tua informazione, Weasley, siamo già in ritardo di... uhm... dodici minuti e una ventina di secondi sulla tabella di marcia. Se vuoi ingozzarti come tuo solito, ti consiglio di correre.»
I pensieri di Ron erano ancora intorpiditi come i suoi riflessi di Portiere, ma, anche così, colse perfettamente il sottinteso: scaduto il tempo della colazione, nessuno, tantomeno Harry, avrebbe aspettato i
ritardatari, neanche per un solo secondo: davanti all’uscita, ai controlli di Gazza, si sarebbe formata una fila e tutti volevano conquistarsi i primi posti.
Come Dio volle, il maglione alla Weasley, finalmente, andò a posto e il suo proprietario si affrettò a raggiungere l’amico impaziente.
«Però avresti potuto evitare di lanciarmi questo maglione!»
esclamò Ron, mentre si fondavano giù per le scale. «Io odio il marrone e tu lo sai!»
«Risparmia il fiato e muoviti.»
«Hermione?»
«E’ già scesa con Ginny.»
Quando le raggiunsero in Sala Grande, le ragazze avevano già
finito di mangiare; Hermione, poi, era profondamente immersa nella lettura della Gazzetta. Harry salutò con un bacio la sua ragazza e apostrofò l’amica, con un tono a mezza via tra lo scherzoso e l’implorante:
«Hermione,» le disse, mentre Ron tracannava succo d’arancia,
«oggi siamo in vacanza! Non potresti...»
L’occhiataccia che ricevette in risposta bastò ad
azzittirlo.
A Harry Potter, la Gazzetta del Profeta non era mai andata troppo a genio; ma, da quando una copia del maledetto giornale, intorno alla metà di Settembre, gli aveva recato la più funesta delle notizie, non ne sopportava più neppure la vista, che, immancabilmente, gli ricordava l’assurdo Decreto del Ministro, il bando alle partite di Quidditch.
Perfino in quel momento, una vocina gli sussurrava nella testa: Proprio una giornata perfetta, vero? Se solo si potesse giocare... Per calmarsi, cominciò a sgranocchiare biscotti.
Non solo giocare, ma neanche volare si poteva! Quell’arpia di Amelia Bones, non contenta di vietare tutte le partite, tranne quelle di campionato, aveva anche imposto restrizioni molto severe sull’uso delle scope. Gli studenti erano andati su tutte le furie e - forse per la prima volta nella storia - le quattro squadre di Quidditch avevano fatto fronte comune, pregando Silente di strappare almeno il permesso di continuare gli allenamenti, se proprio non c’era modo di disputare il torneo; macché! Dopo un mese di battaglie a colpi di gufi, perfino il Preside si era dovuto arrendere: benché il campo di Hogwarts fosse più sicuro di molti stadi, il Ministero ne vietava l’utilizzo, nel modo più assoluto.
Il giorno dopo la resa, si era capito il perché.
Le dita di Harry sgretolarono il biscotto, quando ricordò Hermione, scioccata, che gli mostrava l’articolo della Gazzetta.
I bastardi del Ministero sequestravano il loro campo di Quidditch.
Per farci cosa, poi?
A pensarci bene, valeva la pena di tirare il Mantello fuori del baule...
«Harry.»
«Sì, Hermione?»
«Leggi qui.»
«Oh, no! Cosa c’è, stavolta?» Ma la ragazza sorrideva.
«Dai, leggi il trafiletto a sinistra.»
Speriamo bene, pensò Harry, accostandosi al giornale. «Questo?»
«Proprio quello.»
Il viso del Ragazzo Sopravvissuto si illuminò di colpo.
«Visto? Dai, leggilo ad alta voce!»
Harry non si fece pregare: «”Dolores Jane Umbridge,…”».
«Hmpf?» Ron, più ingozzato del solito, sparse briciole su metà della tavola.
«”…già Sottosegretario Anziano del Ministro, Inquisitore Supremo e Preside di Hogwarts, nonché, in precedenza, Professore di Difesa contro le Arti Oscure presso la medesima Scuola, accusata di reiterate violenze
fisiche e morali nei confronti di alcuni studenti, si è dichiarata colpevole.”»
Ron rischiò di strozzarsi con il suo boccone mostruoso.
«”Sebbene trapelino pochi dettagli, corre voce che, tra le vittime di questi maltrattamenti, figuri lo stesso Harry Potter e che questa sia la causa dell’inusuale riserbo.
La Umbridge, condannata a un anno di reclusione nel carcere di Azkaban, è stata altresì licenziata dal Ministero e dichiarata inabile all’insegnamento; le parti offese hanno diritto ad un risarcimento forfetario di venti Galeoni a testa, che dovranno richiedere entro sei mesi, a pena di decadenza.”»
«Ehm, ehm,» tossicchiò Ginny - e tutti risero
dell’ottima imitazione - «Venti Galeoni sono un po’ pochi, non credi?»
Ron sgranò gli occhi.
«Pochi davvero,» rispose Harry, accarezzandosi il dorso
della mano, «ma non ho certo intenzione di rinunciare a intascarli!»
Avrebbe potuto comprare qualche regalo per Ginny, o chissà… un accessorio per la scopa. Non voleva tenere quell’oro in mano un istante più del tempo necessario a riscuoterlo.
Terminò i biscotti e si guardò intorno: Hermione e
Ginny sembravano già sul piede di partenza, mentre le guance di Ron erano gonfie come quelle di un criceto che fa provviste.
Sentendosi osservato e in ritardo, il ragazzo deglutì in fretta quel boccone mostruoso, annaspò in cerca d’aria e, senza esitare, tracannò mezza caraffa di succo d’arancia, per mandarlo giù meglio.
Tutti lo fissavano, inalberando espressioni di cortese
disgusto; Hermione, anzi, sembrava che stesse osservando uno scarabeo stercorario oltremodo repellente e appena uscito da un bagno nel pus di Bubotubero.
«Be’? Che c’è?»
«Andiamo,» si limitò a dire Harry.
Erano tagliati fuori dalla corsa per i primi posti, ma non in ritardo; anzi, sembrava che tutta la Casa di
Grifondoro li avesse aspettati.
Così, Harry Potter marciò verso l’entrata alla testa di un buon quarto della Scuola.
Ma egli non ci fece caso: era perso negli occhi adoranti di Ginny Weasley.
Così perso, in effetti, che non notò neanche uno sguardo altrettanto intenso, altrettanto insistente, ma
animato da sentimenti ben diversi.
Potter.
E’ il sesto anno che ti sopporto, lo sai?
Il sesto anno, e sei riuscito a farmi dare di stomaco più in questi ultimi due mesi che nei cinque anni scorsi.
Bleah!
Ormai, sei diventato così stronzo, così arrogante, che non reagisci neanche più agli insulti. Del resto, a insultarti siamo rimasti in pochi: la maggior parte della
Scuola manca poco che si prostri al tuo passaggio.
“Il Prescelto”. Così ti chiamano.
Ma non fatemi ridere! Anzi no: non fatemi vomitare.
Ah, e quasi dimenticavo l’altro titolo sotto cui sei invocato: "il gran figo".
Disgustoso!
“Il gran figo” chi?!
Eri un nanerottolo
fino all’altro ieri e adesso, eccoti lì, il Re dei Grifondoro e dei puttanieri,
mentre la Weasley ti guarda con occhi adoranti. Be’, questa non è una novità:
lo fa dal suo primo giorno di scuola! La cosa strana è che tu te ne sia accorto.
Be’, Potter: tu
hai i soldi e la Weasley… la Weasley è una puttanella pezzente, d’accordo, ma
bisogna ammettere che ha il fisico.
Scommetto che, a forza di pomiciare con lei, sei cresciuto almeno di altri
dieci centimetri!
Sia chiaro: non
di statura.
Per la barba di
Merlino, Potter, quanto fai schifo!
Quasi quasi,
riesumerei quelle vecchie spille… se non sapessi che, proprio oggi, le cose
cambieranno di brutto.
Trema, San
Potter, trema: il tuo regno è giunto al termine!
Il tuo e anche
quello del vecchio rimbambito. Un altro bel tomo davvero! Se il sordido protettore
di Babbani si illude di avere la Scuola sotto controllo, solo perché il suo
culo raggrinzito è di nuovo incollato alla poltrona, si sbaglia di grosso.
E oggi scoprirà quanto.
Sai cosa mi
dispiace, Potter? Mi dispiace non poterti fare secco, una buona volta. Vorrei
proprio vederlo alla prova, il famoso coraggio dei Grifondoro, contro le
bacchette dei Mangiamorte.
Le nostre bacchette.
Bastardo
Mezzosangue. Credi davvero che ti andrà tutto liscio? Solo perché al Ministero
te la sei cavata con quattro miserabili trucchetti…
E con quei
trucchetti hai fregato mio padre.
Figlio di
puttana.
Credevi davvero
di poterne uscire pulito?
I Malfoy non
dimenticano; i Malfoy non perdonano.
Povero patetico
illuso. Sfidare una famiglia di Maghi Oscuri. Come se non ti bastasse l’Oscuro
Signore. Hai un po’ troppi nemici per sentirti così tranquillo.
E i tuoi nemici
sono tutti uniti contro di te. Contro di te e contro l’obsoleto pisquano rimbambito.
Trema, Potter,
trema!
Quest’oggi,
forse, porterai a casa la pelle, tu; ma i tuoi amichetti e la pezzente, chissà?
Scommetto che sogni sempre di sconfiggere l’Oscuro Signore in duello, vero? Un bel sogno di gloria, nel miglior stile Grifondoro.
Oggi vedremo se, dei tuoi miserabili sogni, resterà qualche brandello.
«Ma quanto ci mette
a muoversi, questa fila del cazzo?» borbottò Ron, impaziente.
«Ron!»
«Sì, lo so, sono un
Prefetto!» E, in pectore, continuò: Ma cos’ho fatto di male per
meritarmi questa spilla?
«Ronnino
Perfettino» cantilenò Ginny, strappando a Harry un sorriso idiota.
Ecco, appunto.
Ginny e Harry. Mah!
Harry non si era
mai accorto di lei e poi, tutt’a un tratto, eccoli che stavano insieme. Tu va’
a capire queste cose!
Ma quanto ci
metteva Gazza?
Se quello sporco
Magonò del cazzo non si sbriga, giuro che lo Trasfiguro in un tappetino.
Be’, prima dovrei torturarlo, almeno un po’… Ma la missione viene prima dei piaceri personali. E questo è il motivo per cui me ne resto qui, ad aspettare i suoi porci comodi.
Ci sarà tutto il tempo di adornare l’ingresso con un bel tappetino… un tappetino con il Marchio
Nero.
Una cosettina facile e pulita...
Come scagliare la Cruciatus. Istintivamente, si
toccò l’avambraccio.
Quando era giunto
il suo momento, quando si era trovato davanti alla vittima, bacchetta in pugno,
i Mangiamorte in cerchio intorno a loro… per un attimo si era sentito svenire,
o forse vomitare. Per un attimo, aveva temuto di non farcela.
Tre pensieri lo
avevano sorretto, tre facce.
Suo padre ad
Azkaban.
Sua zia con il
sorriso delle torture peggiori.
Potter al posto
della vittima.
“Crucio!”
Poi, tutto era
diventato più facile.
Gli avevano fatto i
complimenti: era stata una prima volta davvero ben riuscita.
E, subito dopo,
l’Oscuro aveva scelto la bacchetta di Bellatrix per imprimere il Marchio Nero
nelle carni e nella mente di Draco Malfoy.
Un piccolo
prezzo da pagare, si era
detto allora e si ripeteva adesso. Un piccolo prezzo per la vendetta.
Ebbene, ho
pagato il prezzo; ed è giunta l’ora di riscuotere il premio!
L’espressione di
gioia feroce che si dipinse sul suo viso passò inosservata.
Da quando suo padre
si trovava ad Azkaban, perfino Tiger e Goyle evitavano accuratamente di incrociare lo sguardo di Draco Malfoy.
Era un’elementare misura di sopravvivenza.
Tuttavia, un po’ più indietro nella fila, Pansy Parkinson osava fissare la nuca bionda di Draco,
chiedendosi cosa avesse in mente.
L’idea di entrare nella Stamberga Strillante – che passava per il luogo più infestato del Mondo Magico – era farina del suo sacco, senza dubbio; ma perché non se ne vantava, come
suo solito? Perché aveva fatto circolare la voce così, quasi in sordina?
C’era qualcosa
sotto.
Dopotutto,
Dracuccio aveva paura dei fantasmi.
Dracuccio era un Mangiamorte,
adesso; semmai, sarebbero stati i fantasmi a tremare.
E i Mangiamorte
agiscono in segreto… quasi sempre.
Non aveva dubbi che
Draco si sarebbe “misteriosamente” trovato in testa al gruppo diretto alla
Stamberga: segretezza o non segretezza, la tentazione di esibirsi, di essere al
centro dell’attenzione, sarebbe stata troppo forte. Pareva che l’idea avesse
incontrato consensi anche fuori della Casa di Serpeverde...
Scrollò le spalle.
In fondo, preferiva non sapere, casomai ci fosse stato davvero qualcosa
sotto. Sapere troppo può essere pericoloso.
Chissà se avrebbe
trovato ancora un paio di quei reggiseni di sangallo?
Dracuccio adorava
i reggiseni che lasciavano spuntare i capezzoli.
Draco Malfoy,
allietato da splendide visioni di Potter torturato, morto e/o decomposto in
varie guise, non notò più la lunghezza della coda, né, poi, il tragitto fino a
Hogsmeade, che compì accompagnato dai soli Tiger e Goyle. Si riscosse solo
quando venne il momento di deviare dalla strada principale e dirigersi verso la
Stamberga Strillante.
Arrivarono sul
posto per primi e si fermarono ad una certa distanza, in attesa degli altri,
che, come d’accordo, giunsero alla spicciolata, nel giro di un quarto d'ora.
Perfetto. La
puntualità era importante.
Draco lasciò che
cominciassero a lanciarsi occhiate in tralice, a metà tra sfida e titubanza, e,
quando, silenziosamente, cominciarono a raggrupparsi, per tentare un ingresso
in massa, fece in modo di trovarsi in testa alla colonna, con Tiger e Goyle a
coprirgli le spalle. Non fu troppo difficile: nessuno ambiva ad un onore tanto
pericoloso.
Era a pochi passi
dalla porta, quando un sonoro Crack! fece sobbalzare tutti quanti, lui incluso:
una figura in nero si era appena Materializzata, proprio davanti alla soglia.
D'istinto, il
ragazzo portò la mano alla bacchetta.
«Tranquillo,
Draco.»
«Zia! Ciao. Non…
non mi aspettavo di vederti.»
«No? E chi meglio
di me, Draco?»
«Nessuno,» rispose
il ragazzo, pronto e anche sincero: per quanto non si sentisse mai del tutto a
proprio agio in presenza della zia – nonché madrina – doveva a lei la sua ammissione
tra i Mangiamorte, a dispetto della giovane età; ovvio che l’Oscuro Signore,
dovendo mandare qualcuno a controllare l’esecuzione del piano, scegliesse
proprio lei.
«Come vedi, zia,»
proseguì, ostentando una sicurezza che non provava affatto, «qui tutto procede
secondo i piani.»
«Sono tutti qui?»
«Tutti.» Figli e
parenti dei Mangiamorte. Li avrebbero messi al riparo dalla strage imminente.
«Tutto secondo i
piani» ripeté Bellatrix, lentamente.
«Sì.» Oddio,
cos’aveva dimenticato!?
«No, Draco. Non
proprio tutto,… non proprio.» Gli sorrise.
Il sorriso della tortura. Il sorriso che riservava alle vittime.
Il ragazzo, impietrito, cominciò a sudare freddo.
Dove ho sbagliato?!? «Vedi,» proseguì Bellatrix, in tono di normale conversazione, «c'è una parte del piano che non conosci.»
«Ah.»
«Non ti preoccupare, si tratta di una cosa molto semplice.» Alzò la bacchetta. «Addio, Draco.»
Per un lungo, orribile istante, il giovane Malfoy fissò la Morte in faccia.
Poi, un grido di rabbia infranse il silenzio.
«Tu!»
Tutti si voltarono di scatto.
Potter! San Potter accorreva, Mezzosangue e Lenticchia alle calcagna, un'espressione omicida in viso, la bacchetta puntata dritta contro Bellatrix. Draco reagì d'istinto:
«Expelliarmus!»
Un istante dopo, la bacchetta gli volava in mano.
La bacchetta di
sua zia.
La sorpresa bloccò
perfino Potter, ormai giunto a tiro; ma fu la donna a reagire per prima. Con
uno scatto felino, ghermì la bacchetta e sbilanciò Draco, facendolo cadere addosso
a Tiger, che stava immobile dietro di lui, a bocca aperta, senza capirci un
cazzo.
Uno Schiantesimo
sibilante raggiunse Bellatrix, ma rimbalzò: quell'elegante mantello nero era un
capo della nuova linea Tiri Vispi Weasley. Si voltò appena, giusto il tempo di
scagliare tre Maledizioni ai mocciosetti, e tornò a fissare il nipote, che
cercava di rialzarsi.
«Pagherai per
questo, Draco. Crucio!»
Sovrastando le sue
grida, la donna ordinò ai ragazzi pietrificati dietro di lui: «Voi! Entrate! Di
corsa!». E tutti quanti, scavalcato Draco che scalciava, abbandonarono il campo
allo scontro tra la regina dei Mangiamorte e il trio Potter-Granger-Weasley.
Poveri sciocchi, riuscì a pensare Draco, tra un'ondata di
dolore e l'altra, non avete proprio speranze.
Sua zia, chissà
come, riuscì a tenere a bada tre avversari e, nello stesso tempo, a liberarlo
dalla Cruciatus. Per un meraviglioso istante, le fu grato di quel sollievo,
finché non vide di nuovo quel sorriso letale.
«L'Avada Kedavra è
una morte troppo pulita per i traditori, Draco. Per fortuna, Piton mi ha
insegnato una Maledizione molto carina...» Alzò la bacchetta, scacciando gli
Incantesimi ostili come stupide mosche. «Sectumsempra!»
Sangue.
Sangue dappertutto.
Il suo
sangue.
Per lo shock, Draco
si fece livido come un cencio; le sue dita si contrassero…
«Morsmordre!»
gridò Bellatrix, in tono di trionfo, il viso illuminato dagli Incantesimi.
Il Marchio Nero si
disegnò nel cielo; da tutto il villaggio si levarono le grida.
Il segnale di
attacco.
…E Draco si trovò
tra le dita la bacchetta, che, chissà per quale miracolo, era rimasta accanto
al suo corpo, sana e salva, anche mentre si contorceva sotto la Cruciatus.
Soltanto la rabbia gli impedì di svenire, permettendogli di ricambiare il
regaluccio alla zietta.
«Crucio!»
Benché la
Maledizione fosse piuttosto debole, riuscì a far cadere Bellatrix, e tanto
bastò a Potter per Incarcerarla. Fece appena in tempo, perché Draco svenne e
questo liberò Bellatrix dalla Maledizione.
«Hermione! Ferma il
sangue! A portarlo in infermeria penso io!» Harry lanciò un’occhiata velenosa a
Bellatrix e si voltò verso il Castello. «Ron, tienila d’occhio.» Si concentrò.
«Accio Firebolt!».
Nel cielo si formò
una macchia in movimento, ma non fecero neanche in tempo a metterla a fuoco che
la scopa era già arrivata.
Dalla soglia dei
Tre Manici di Scopa si levò una forte esplosione.
Hermione, con un
rapido lavoro di bacchetta, bendò Draco e lo assicurò alla Firebolt. «Sbrigati,
Harry.»
«Tranquilla. Mi
libero di Malfoy e torno con Silente.»
Decollò e prese
quota con una rapidità che strappò un grido di ammirazione a Ron.
Ma voltare le
spalle a Bellatrix era stata una pessima idea: la Mangiamorte era ancora armata
(!) e quell’attimo le bastò per Schiantare entrambi i mocciosetti; l’istante
successivo, era già libera e correva verso il centro di Hogasmeade, pronta ad
unirsi alla mischia.
I Tre Manici di
Scopa, dove si radunavano gli insegnanti, erano l’obiettivo dell’attacco
principale; Bellatrix trovò il locale circondato dai Mangiamorte e in procinto
di crollare, sotto la gragnuola di Maledizioni che lo investiva.
Eppure, non
crollava. Ad una ad una, le tegole si staccavano dal tetto, il muro perdeva intonaco,
ma questo era tutto: la porta, anche se mezzo scardinata, resisteva ad ogni tentativo
di infrangerla o aprirla e le pareti incassavano stoicamente i colpi.
Bellatrix ebbe appena il tempo di riprendere fiato e unirsi
all’attacco, che la porta volò via dai cardini, colpendo il Mangiamorte più
vicino; un lampo arancione, violentissimo, abbagliò tutti per un momento.
Quando poterono riaprire gli occhi, si videro assaliti dagli insegnanti, usciti
in massa dal locale.
Il locale che non c’era più.
Per un istante, perfino la mente di Bellatrix rifiutò di
accettare quello che vedeva al suo posto.
Un gigantesco serpente a tre teste, acciambellato, ma niente
affatto pacifico. Anzi, decisamente allergico agli Incantesimi ostili.
Mentre le teste del rettile scattavano verso gli aggressori,
Minerva McGranitt levò la bacchetta in un ampio gesto e attirò a sé tutte le
pietre del selciato, che sfuggirono sotto i piedi dei Mangiamorte; questi
caddero a terra, subito inchiodati da una raffica di Incantesimi, mentre le
pietre – con un gemito stridulo, assordante – si fondevano in un altissimo Golem.
Per un attimo, parve che lo scontro fosse già concluso.
Ma, di scatto, i Mangiamorte si rialzarono; un’Avada di
Bellatrix mancò Vitious per un soffio e colpì, invece, il serpente, che
cominciò a Detrasfigurarsi in macerie; la McGranitt, coperta dagli altri difensori,
bloccò a mezz’aria quella pioggia letale. Ma i Mangiamorte notarono gli
avventori, ammassati nell’ipotetico centro del locale e non più protetti dalle
spire del serpente. Inarrestabili, spietati, gli Incantesimi varcarono la
barriera dei difensori e raggiunsero i civili.
Stavolta, toccò ai Mangiamorte illudersi, per un momento
fuggevole, di aver ottenuto la vittoria.
Ma dieci di loro stramazzarono a terra, colpiti alle spalle:
gli Auror di guarnigione, lanciato l’allarme, accorrevano con i rinforzi, emergendo
dal fumo che, ormai, ricopriva tutto il villaggio.
Con uno sforzo supremo, la McGranitt vinse la forza di
gravità e respinse le macerie, scagliandole addosso alle figure biancovestite.
E, all’improvviso, i rumori della battaglia – che, ormai, echeggiavano
per tutta Hogsmeade – si spensero completamente. Tutti drizzarono le orecchie,
come a scandagliare quel silenzio assoluto.
Anche la luce prese a calare… calare… e calare.
Arrivavano i Dissennatori.
Dall’alto della Firebolt, mentre sfrecciava accanto al
Thestral montato da Silente, Harry Potter vide – e sentì - i
Dissennatori circondare il villaggio. Non si soffermò a contarli, non pensò
neppure: d’istinto, abbassò la bacchetta e gridò:
«Expecto Patronum!»
Argenteo ed enorme, un cervo planò contro la bruma scura,
già densa intorno alle prime case; un istante dopo, fu raggiunto da una fenice.
Harry diresse il proprio Patronus verso la Stamberga
Strillante, dritta a ore dodici, e Silente lo imitò.
Scorgere gli amici a terra, soltanto a pochi passi dai
Dissennatori, e gettarsi in picchiata fu tutt’uno; eppure, Silente smontò dal
Thestral solo pochi secondi dopo, raggiungendolo subito, accanto ai due corpi
privi di conoscenza.
Il ragazzo alzò gli occhi verso di lui: non osava tentare un
Incantesimo, non voleva scoprire che Ron ed Hermione avevano ricevuto il Bacio.
Intorno a loro, i Dissennatori fuggivano. Alla luce dei
Patroni, Harry vide le labbra del Preside mormorare qualche Incantesimo e
affrettarsi a sorridergli.
«Non è nulla, solo uno Schiantesimo… ma non possiamo
aspettare che si riprendano dai suoi effetti.»
Un attimo dopo, i due ragazzi, ancora privi di conoscenza,
volavano in groppa al Thestral, assicurati da solide funi.
«Torna al Castello!»
L’animale obbedì all’istante, mentre il Preside e Harry si
affrettavano verso i Tre Manici di Scopa. Sentivano i Dissennatori che
tornavano ad addensarsi, due volte più rapidi e feroci; Harry arrischiò
un’occhiata alle proprie spalle e raddoppiò in velocità: erano inseguiti da
presso, un semicerchio di Creature Oscure li incalzava come un branco di lupi,
ansioso di intrappolarli.
Raggiunsero l’incrocio e, grazie al solo impeto della corsa,
superarono i Mangiamorte, per lo più ancora tramortiti da pietre e travi. Ma
una figura bianca, imponente, guidava quelli rimasti in piedi.
Gli insegnanti, schierati ad anello, si sforzavano di
coprire i civili, ma neppure la mole di Hagrid poteva bloccare tutti i colpi.
Vitious giaceva a terra, un bambolotto contorto e sporco di sangue. La professoressa
Sinistra combatteva quasi piegata in due, una mano contratta sul petto. La McGranitt
era pallida come una morta, il respiro corto della belva in trappola.
La corsa li portò in mezzo agli avventori di Rosmerta, che
urlarono terrorizzati; ma, un istante dopo, l’inconfondibile figura di Silente
si ergeva in tutta la sua statura e, una volta di più, due Patroni saettarono
contro i Dissennatori, liberando gli Auror dalle loro grinfie letali.
Furibondi e ansimanti, i due gruppi di contendenti ripresero
fiato per un lungo istante; poi, mentre i Dissennatori si disperdevano, gli
Auror serrarono i ranghi e attaccarono in forze.
Dalla bacchetta di Bellatrix scaturì un fuoco verdastro che
saettò in tutte le direzioni; ma era diretto contro le case, non contro gli
attaccanti. Fumo, fiamme, grida e macerie riempirono l’incrocio.
La donna impresse alla bacchetta un movimento di torsione,
mormorando qualcosa in una lingua sconosciuta.
Un rombo sinistro riuscì a sovrastare tutti gli altri
rumori; diversi combattenti interruppero gli scontri per proteggersi le
orecchie. I Mangiamorte cercarono un punto di appoggio, ma la Maledizione di
Bellatrix già sollevava la terra: il suolo si alzò e abbassò, a ondate,
frantumandosi in centinaia di crepe, bocche fameliche pronte a scattare.
A grappoli, a decine, le case scomparivano, inghiottite dal
sottosuolo, un piano alla volta.
Ma i Tre Manici di Scopa restavano un’isola di calma nel
terremoto.
Incantesimi e Maledizioni ripresero a fischiare, mentre,
intorno agli assediati, le scosse crescevano di intensità.
Lentamente, il terreno intorno al locale cominciò a
sollevarsi, in un anello compatto su cui si trovavano tutti i Mangiamorte.
Adesso si trovavano più in alto di tutti, relativamente al
riparo dai colpi, in vantaggio su assediati e Auror.
E, dalle viscere della terra, sotto di loro, cominciarono ad
emergere gli Inferi.
Ma la prima fila di cadaveri fangosi si era appena
schierata, che un vortice di fuoco avviluppò le macerie del locale, proteggendo
gli assediati e sgomentando gli Inferi; dalle fiamme magiche scaturì un’onda di
piena.
Il terrapieno evocato da Bellatrix non resse all’urto
dell’acqua limacciosa e cominciò a sgretolarsi.
Imperturbata, Bellatrix Black Lestrange levò alto il braccio
armato, scagliò nuovamente il Marchio Nero e si Smaterializzò, imitata da tutti
i Mangiamorte ancora coscienti.
Lentamente, i nuvoloni di fumo e polvere si dileguavano,
rivelando uno spiazzo deserto. Nel villaggio, ora, si udivano soltanto le grida
dei feriti e il ruggito delle fiamme.
L’attacco era fallito.
Note:
Sono rimasto piuttosto vago sulla topografia del
dormitorio dei Grifondoro, perché non ricordo di aver mai sentito menzionare il
bagno. Ma questi giovinastri si lavano solo dopo una partita di Quidditch?
In questo AU, Ginny scarica Dean all’inizio dell’anno e
si mette subito con Harry, che, al termine delle vacanze trascorse alla Tana,
si è scoperto innamorato di lei. Quanto a Ron ed Hermione, non ho ancora deciso
in quale misura innovare rispetto al canone; del resto, non nutro grandi
simpatie per le turbe ormonal-romantiche di cui il sesto libro è infarcito,
quindi aspettatevi meno pomiciate e molta più guerra.
Be’, sarebbe difficile vederne meno, vi pare?
Sospetto che tutte quelle pagine da romanzetto rosa siano
state espulse dal quinto libro, per intuibili ragioni di mole, e riciclate nel
sesto, per la disperazione di chi avrebbe voluto leggere scene ben diverse e,
magari, anche qualche risposta sui diecimila enigmi della trama (un nome per
tutti: zia Petunia).
Io ho una mia trama da costruire e chi segue “Il
Profumo della Libertà”sa bene che prevedo di far morire un bel po’ di gente,
talvolta in circostanze poco chiare, ma mai di morte naturale. Non penso
affatto di proporre una soluzione a tutti i misteri del canone, ma prometto
solennemente di non lasciare insoluto neanche uno dei miei. Il che, in questo
momento, è più di quanto osi sperare da Joanne Kathleen Rowling Murray.
Non vi ha disgustato leggere il sesto libro e trovare le chiappe della Umbridge ancora sulla poltrona? Per me, quello è stato il momento in cui ho capito che il Ministero aveva bisogno di una riforma radicale. Una metánoia, guarda caso.
Visto il modo poco pratico in cui vestono maghi e streghe, può darsi che non conoscano il reggiseno; nel caso, consideratelo una
mia licenza.
Spero che la battaglia sia di vostro gradimento. Io ho trovato molto difficile descriverla, quindi può darsi che non sia riuscito a renderla come avrei voluto… però ci ho provato.