Sotto la cenere

di vodkadratini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II. ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Disclaimer: non possiedo Harry Potter e non ricevo guadagno da questa fanfiction.
Miei sono solo i personaggi nuovi, ma il mondo in cui si muovono è di J.K.Rowling.
 
 
 Sotto la cenere
 
Prologo 


Reginald Moonshine era un uomo a modo, cortese e beneducato. Sorrideva di un sorriso tremulo ma genuino e adorava le strette di mano, anche se il palmo che offriva era sempre un po' sudato. Non si offendeva se qualcuno era scortese nei suoi riguardi; se la maleducazione era deliberata, Reginald offriva l'altra guancia, e questo era il tratto migliore della sua personalità: non la compassione né l'indulgenza, ma un fermo senso di indifferenza per quello che avrebbe pensato il prossimo. 
In effetti, Reginald Moonshine pensava di essere un uomo del tutto insignificante nel grande meccanismo del mondo, e questa era una condizione che gli stava benissimo. Era abituato a presentarsi alla gente una volta di troppo, come aspettandosi che nessuno si ricordasse chi fosse. L’effetto che otteneva presentandosi non era quasi mai significativo, ma talvolta, in qualcuno che fosse stato indottrinato all’arte pozionistica e che avesse in essa raggiunto un livello quantomeno dignitoso, poteva essere di immediato riconoscimento, seguito nell'ordine da sgomento e poi giubilo. “Non sarà mica parente di quel Moonshine, della pozione per le fattucchiere?” avrebbero detto allora, riconoscendo subito che non poteva trattarsi di Regulus Moonshine, celebre creatore, che tutti descrivevano come un uomo singolarissimo, esageratamente basso e con solo metà degli arti che avrebbe dovuto avere. 
Reginald non era che il fratello minore, che l’aveva assistito durante il corso degli esperimenti e si era occupato della parte meno gratificante del lavoro: dove Regulus metteva in atto un processo creativo, mescolando ingredienti e formulando ipotesi, Reginald aveva studiato le fonti letterarie e storiografiche che documentavo l’appetito innaturale delle creature per la carne umana. Studiando la casistica, aveva fornito al fratello il materiale per l’introduzione del suo articolo pubblicato nella rivista Annual Review of Potions Making, 1992, della Società dei Pozionisti e ciò gli era valso una menzione tra i ringraziamenti e una piccola percentuale sui guadagni. E non era forse abbastanza, come esperienza di popolarità?
Minerva McGranitt aveva deciso di offrirgli una cattedra ad Hogwarts, anche se gran parte dei contributi personali di Reginald erano stati tipo teorico prima che pratico. Era sicuramente un valido professionista, ma mancava del genio e della sregolatezza del fratello e, se c’era una cosa di cui era sicuro, era che non si sarebbe mai tagliato un braccio dal gomito in giù per un esperimento, né tantomeno per la gloria.
Si materializzò con uno schiocco a Bournemouth, Dorset. Era sufficientemente freddo perché nessuno facesse caso a un uomo comparso dal nulla sulla spiaggia deserta, i piedi lambiti dall’acqua gelata, benché fosse già giugno inoltrato. Un piccolo inconveniente, bagnarsi, ma in effetti le coordinate della sua materializzazione non erano state precise. L’orrenda presina da cucina che aveva usato come Passaporta perse l’ultimo bagliore azzurro della magia che l’animava e affondò silenziosa nei pochi centimetri d’acqua. Era stata una settimana particolarmente rovinosa per tutti quelli che avevano prenotato le loro vacanze lì: il tempo non era stato clemente, continuando a oscillare tra piogge torrentizie e raffiche di vento gelido, finché persino l’ultimo turista aveva dato forfait e aveva preferito passare la mattinata in albergo. 
Reginald si asciugò con un colpo di bacchetta e risalì il tratto sabbioso lasciandosi dietro una scia di orme che all’occhio dell’osservatore attento non avrebbero dovuto davvero trovarsi lì. Minerva, che ancora si ostinava a chiamare Preside McGranitt perché la gerarchia lavorativa non era un fatto da sottovalutare, aveva dato direttive perché nessuno attirasse l’attenzione dei babbani, e probabilmente si rivolgeva a lui in modo particolare. Reginald era un ottimo ricercatore, ma tendeva a essere un po’ distratto, a tratti sconsiderato, quando operava sul campo. Era un difetto che aveva sviluppato in tempo di pace, in 23 anni di quiete. Poteva permetterselo, finché fosse stato abbastanza rapido nel correggere un errore con un incantesimo di memoria ben assestato, in caso qualche babbano avesse visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere.
Camminò per circa una mezz’ora, incrociando solo due o tre persone per le strade tutte troppo occupare a combattere con il vento per badare a lui, che indossava soltanto una giacca da mezza stagione e non sembrava comunque avere freddo. Arrivò all’appartamento in questione e suonò a “I. Farwell – C. Thorne”, che abitavano al secondo piano. Rispose una voce femminile. 
“Sì?”
“Cerco Adam Farwell, signora.”
“È mio figlio. Chi è lei?”
“Sono un professore di una scuola privata in Scozia. Suo figlio è stato selezionato per diventare nostro studente.”
“Ma Adam ha solo undici anni!"
“Se mi fa salire, potrò darle maggiori dettagli. In effetti la prego di farmi entrare, fa un freddo del diavolo qui fuori.” Reginald mentì tra i denti, la protezione dell’incantesimo riscaldante ancora attiva; e tuttavia sembrò aver usato la strategia giusta. 
Uno schiocco e il portone d’ingresso si aprì. L’uomo scivolò dentro silenzioso come un gatto, ma in modo un po’ scomposto, di gatto mezzo cieco, acciaccato e spelacchiato. Non era mai stato elegante nei movimenti: da quando, a tredici anni era cresciuto di quindici centimetri in una sola estate, si era portato addosso una certa goffaggine nel modo di muoversi, come se braccia e gambe fossero troppo lunghe e non rispondessero mai col giusto tempismo. Salì le scale fino al secondo piano, affannato, e lì trovò la porta d’ingresso sulla destra aperta di dieci centimetri e saldamente tenuta dov’era da un catenaccio. Dallo spiraglio di luce emergeva una donna dai capelli color miele. Non sembrava imprudente quanto era parsa al citofono, restava di guardia pronta a serrare la porta con un tonfo e non dava l’idea di scendere facilmente a compromessi.
“Non sono sicura di poterla aiutare,signore. Non ricordo nemmeno di aver iscritto mio figlio a una qualche scuola privata, men che meno in Scozia” esclamò, stringendo gli occhi. Il rotacismo insistente del dialetto di Dorset suonava minaccioso sulle sue labbra. “E poi, lei chi sarebbe, professore?"
L’espressione della donna era già molto intimidatoria così. Reginald si trovò a farsi indietro, con le mani in aria in segno di pace. Anche se si avvicinava ai quarant’anni e non poteva essere molto più giovane di lei, si sentiva ancora una volta un ragazzino, e non era una buona sensazione. Non era il modo migliore per comunicare affidabilità e buonsenso.
“Le assicuro che non ho cattive intenzioni, signora. Il mio nome è Reginald Moonshine, sono professore di Hogwarts.” Pescò in una delle tasche della sua giacca e trasse fuori una lettera con un sigillo di ceralacca molto vistoso. “Qui troverà le mie referenze.” 
La donna non riconobbe il nome della scuola, né il suo cognome (questa seconda occorrenza fu quasi rassicurante). Era una semplice babbana, incattivita dal sospetto. “Hog–warts?” Ogni sillaba suonava straniera sulla sua lingua, come una parola parodica non troppo diversa da qualcosa che avrebbe trovato in un libro a fumetti. “Mai sentita”, assicurò, nonostante le dita si fossero già mosse per afferrare la lettera e spezzare il sigillo. Dentro, nella calligrafia chiara e bella della Preside McGranitt, c’era un invito standard, proprio come quello che Reginald aveva ricevuto a 11 anni, e un foglio personalizzato che elencava le sue qualifiche come insegnante, qualcosa per cui aveva insistito molto. “Questa… Questa lettera dice che mio figlio è un mago. Un mago! Chiamo la polizia, io–”
Reginald sobbalzò. L’ultima cosa che si aspettava era un crollo isterico. La donna stava ridendo, no? Si spanciava dalle risate, il suo intero corpo era scosso da una forza invisibile. L’uomo estrasse la bacchetta e, in una mossa disperata per migliorare la situazione, accese la punta. La luce non era sufficiente a illuminare l’intero corridoio, ma gli occhi della donna si spalancarono prima di socchiudersi nuovamente.
“È così che ha intenzione di convincermi, con una cazzo di torcia? Qualcosa che potrebbe fare anche il mio cellulare?”
Non era abbastanza per offendere Reginald Moonshine, orgoglioso Tassorosso. Agitò la bacchetta e mormorò un altro incantesimo e un intero stormo di pappagalli, di quelli enormi e colorati, cominciò a svolazzare per il corridoio, costretti nel poco spazio a disposizione. Imitavano l’urlo che la donna lasciò uscire non appena li vide e le voci si riverberavano sulle pareti e nella tromba delle scale. Con un altro movimento del braccio, Reginald li fece sparire e il corridoio tornò quieto com’era all’inizio Con un tonfo sordo, la donna aveva chiuso la porta, sicura al cento per cento di avere a che fare con uno squilibrato.
“Mi scuso, signora. Avrei potuto avere maggiore tatto!" disse Moonshine, alzando il tono di voce per farsi sentire comunque. Dopo qualche istante di indecisione, la porta era tornata aperta di una decina di centimetri e dopo qualche altro istante la donna rimosse il catenaccio per poter guardare meglio il proprio interlocutore negli occhi, proprio mentre questi spiegava che "La magia esiste, anche io sono un mago. Non ho alcuna intenzione di far del male a lei o alla sua famiglia, glielo giuro. Sono qui come mero rappresentante della Preside Minerva McGranitt per consegnare la lettera ad Adam Farwell. È un mago residente in Inghilterra e come tale è stato ammesso alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dove potrà imparare a controllare i suoi poteri. Posso chiederle il suo nome, signora?”
“Clara. Clara Thorne.”
“Potrei gentilmente entrare in casa, Clara? Le darò ulteriori prove dell’esistenza della magia all’interno, dove nessuno potrebbe accidentalmente assistere. Basta pappagalli, promesso.”
E a Reginald fu concesso di entrare. Si trovò in un ingresso piccolo ma confortevole. L’arredamento era moderno, in tonalità di bianco e crema e sulle pareti c’erano diversi specchi che creavano un piacevole effetto di luci, facendo sembrare lo spazio più grande e luminoso di quanto non fosse in realtà. Uno scorcio di salotto gli fece intravedere uno splendido pianoforte. La cucina era di dimensioni modeste anch’essa, ma ben organizzata. Clara indicò una delle sedie attorno al tavolo da pranzo e cominciò ad armeggiare con la teiera, richiedendo una dimostrazione di abilità. Reginald trasformò la sedia in una chaise long, poi fece sparire e riapparire il tavolo in una manciata di secondi. 
“Ok, sì. Questo è fantastico. Potrebbe pure ripararmi la lavastoviglie?”
Il pozionista non poteva. Tecnologia e magia non funzionavano al meglio, assieme. Ciò che poteva offrire, però, era di rassettare l’intera casa con la magia. Gli ci vollero vari incantesimi distinti e una buona mezz'ora di lavoro, ma replicare il celebre momento con Topolino e le scope sembrava essere stato sufficiente per guadagnargli incrollabili fiducia e ammirazione da parte di Clara. Ora lo guardava con occhi scintillanti di meraviglia infantile. Travolta da un’improvvisa ondata di giovialità e buonumore, la donna gli confidò di aver sperato, sulle prime, che fosse un professore di musica di una rinomata scuola privata. Lui si accigliò e lei tornò sulla difensiva. “Una donna non può forse sognare?”
“Ma certo… Mi dispiace deluderla, allora. Sono un insegnante di Pozioni, ad Hogwarts. Però che io sappia una delle proposte extracurricolari di uno dei miei colleghi è il coro scolastico, c’è anche un’orchestra di accompagnamento.” Non disse che il Coro delle Rane di Vitious generalmente era accompagnato da strumenti che suonavano da soli. Temeva di offenderla, quando finalmente il colloquio aveva preso una direzione buona a giudicare dalla sua espressione e dal suono di approvazione che le aveva appena strappato. “Adam suona il piano, mi sembra di capire?" 
“Esatto! È davvero bravo. Beh, col supporto di suo padre penso che fosse inevitabile, ma ha molto talento innato, capisci? O almeno così dice Isaac.”
“Anche suo marito è un musicista?”
“Sì. Anche lui faceva parte di un'orchestra, alcuni anni fa. Primo violino. Ci siamo incontrati così, a un concerto. Io ero fra il pubblico”. Lo sguardo di Clara sembrò addolcirsi al ricordo, come se potesse sentire di nuovo la musica del Quintetto in mi bemolle maggiore op. 44 di Schumann, pianoforte e archi. Reginald ascoltava in silenzio, annuendo per incoraggiarla a proseguire. Il repertorio classico di musica babbana aveva attecchito come forma di intrattenimento anche nei salotti magici, seppur con delle riserve e qualche ritardo nelle tempistiche.
Per un po’ conversarono di musica, Reginald piacevolmente colpito da riferimenti che non poteva carpire, poi si impose di riportare la conversazione sul tracciato previsto e domandò del primo episodio di magia accidentale di Adam. Clara dovette pensarci, ma ora che poteva dare spiegazione razionale anche all’inspiegabile, gli esempi le si presentavano sulle labbra da soli. Adam aveva rotto degli oggetti, qualche volta, mentre suonava. Bicchieri totalmente fuori portata, una volta un vetro di una finestra. Non l’aveva notato subito. Erano stati i commenti di suo marito sul fatto che il modo di suonare di Adam fosse troppo nervoso, teso, sempre discontinuo, mentre suonava Pollini. “Magari è troppo difficile per un bambino…” era stata la sua obiezione, ma se l’era rimangiata in fretta perché non essendo musicista non aveva il diritto di dire la propria a riguardo. Ricordava l’aria vibrare, però: qualcosa sembrava tendersi come un elastico per poi tornare in posizione con uno schiocco, rompendo ciò che trovava lungo il tragitto. Ricordava come Adam sembrava farsi a pezzi sulla tastiera, fisicamente incapace di staccarvisi. Se questa era potenziale inespresso, talento dormiente che non conosceva il mezzo giusto attraverso cui uscire, la visita di Moonshine non era che una benedizione. 
 Comunque, erano tutti dettagli che non avrebbe mai condiviso con un estraneo. Clara si limitò a parlare di vetri infranti, e andava benissimo così. 
 Il rumore della chiave nella toppa la interruppe. 
“Siamo a casa” fece una voce maschile, baritonale, dall’ingresso. 
“Sono in cucina” rispose Clara. 
Due persone fecero il loro ingresso: uno era un uomo adulto, più vecchio di Clara di almeno una quindicina d’anni, con una bella barba da filosofo e un completo tre pezzi color antracite; l’altro era un ragazzino mingherlino con capelli color miele e braccio destro ingessato. Isaac Farwell sollevò un sopracciglio alla vista dello sconosciuto attualmente intento a bere del tè con sua moglie, ma subito gli rivolse un cenno del capo e un “Buongiorno”, che suo figlio non fu per niente propenso a concedere. Adam squadrò Reginald dall’alto in basso, concentrandosi con particolare attenzione sulle sue scarpe e sul suo petto. 
Reginald scattò in piedi e porse la destra al signor Farwell, indossando subito un sorriso di scuse. “Buongiorno signore. Sono Reginald Moonshine, sono professore della scuola di Hogwarts, sono qui per –”
“E cosa insegna?” Fu la domanda dell’altro, che ora sembrava particolarmente sospettoso, anche se non troppo disturbato dallo stato sudaticcio della mano che aveva appena stretto. 
Reginald boccheggiò. Guardò Clara, chiedendo aiuto con gli occhi. “Ah, e-ecco, io… Pozioni.”
Il signor Farwell sbarrò gli occhi e le sue sopracciglia scattarono in alto quasi per volontà indipendente. “Prego? Pozioni, ha detto?”
Isaac Farwell era un uomo molto imponente, con spalle larghe e occhi intelligenti. Anche se il suo volto in sé non era particolarmente degno di nota, in lui c'era qualcosa di interessante, qualcosa che lo rendeva attraente nel modo in un orologio antico è affascinante per la trama sottile degli ingranaggi, o un manoscritto ingiallito risulta intrigante per la cura messa nelle incisioni miniate. Sembrava severo e vecchio, vecchio alla maniera dei professori che non smettono mai di essere tali, neanche dopo essere andati in pensione. Dalla sua presenza, Reginald si sentiva schiacciato e ricorse a una distrazione. Estrasse la bacchetta e la puntò verso la tazza di tè ancora mezza piena, ma fredda. In un attimo le tazze erano due. Il signor Farwell sbatté le palpebre, guardò la tazza e poi la bacchetta che l'aveva creata, poi si voltò di nuovo verso Reginald.
“Capisco,” disse quindi, nel tono neutrale di chi si sente dire che le persone si trasformano in gatti e i gatti in persone. “E perché è qui?”
Il mago si voltò in direzione del ragazzino, rimasto in silenzio per tutto il tempo. Aveva ereditato la combinazione cromatica della madre, capelli di miele e occhi nocciola, ma qualcosa nella sua espressione ricordava in pieno suo padre. Adam lo fissava come un falco, come se si aspettasse che potesse diventare giallo. Quasi gli dispiaceva deluderlo, pensava Reginald, con un piccolo sorriso. Nessuno sarebbe diventato giallo, quel giorno. “Adam, sei stato scelto per studiare alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Hai il potenziale per diventare un grande mago.”
Il bambino non rispose subito. “È magia quella?” domandò poi, indicando le tazze sul tavolo. “Ha– ha qualcosa del genere tutt’attorno a sé. Sulle caviglie, sul petto.” 
I coniugi Farwell, che avevano realizzato solo in quel momento che il figlio poteva vedere qualcosa che non era lì, squadrarono prima Reginald e poi Adam con apprensione. Il signor Farwell difficilmente cadeva nell’imbarazzo di chi non sa che cosa dire, ancor più improbabile era non riuscire a interpretare da sé i segnali di un possibile squilibrio. Reginald non sembrava avere alcunché di strano ai suoi piedi né sul petto. Era ancora un uomo ossuto con barba rada di un rosso grigiastro, proprio com’era appena entrato, con una giacca troppo leggera per il freddo che c’era fuori. 
 Quando finalmente si decise a parlare e lo fece con molta cautela: “Che cosa intendi?”
 Il ragazzino vacillò, la voce poco più di un pigolio. “Io… c'è come... una specie di ombra. Tipo qualcosa di sfocato attorno ai suoi piedi e alle sue caviglie e anche al suo petto. E vedo qualcosa di simile anche sulle tazze, ma è molto più brillante.”
 Il mago tacque di nuovo, pensieroso. Il suo silenzio disturbava sia i coniugi Farwell che il loro figlioletto: se il signor Farwell non era ancora del tutto convinto del fatto che Reginald non fosse un ciarlatano, Adam temeva di aver fatto una pessima figura dicendo qualcosa di sbagliato. Nel cervello di Reginald vari ingranaggi giravano assieme cozzando selvaggiamente in un suono tutt’altro che armonico e la ragione era che Adam apparentemente era in grado di vedere i residui degli incantesimi e distinguere la firma magica degli individui, un talento che non era per niente comune, anche se non si poteva dire che fosse unico. 
“Beh… Non ho alcun dubbio che farai strada nel nostro mondo, Adam. Il tuo è un talento raro. Dovresti essere in grado di evocare magie potentissime con un autocontrollo simile. Solo in pochi sono in grado di farlo.”
 “Posso provare?” domandò con un improvviso lampo di coraggio e il professore ridacchiò. 
 “Non fuori da scuola. È la legge. Il Ministero della Magia tiene traccia dei casi di magia minorile. E comunque, dovrai prima procurarti una bacchetta da Ollivander, a Londra. Potrò farti da guida, se vuoi, prima di settembre, oppure posso fornirvi le indicazioni per arrivarci da soli.”
 Lo sviluppo più naturale era rivolgersi alla madre, speranzoso. “Possiamo andarci oggi?”
 “Con quel braccio ingessato?” Fu la risposta. “Non se ne parla. Ci andremo appena sarai guarito. È pure il braccio destro, non saresti neanche in grado di impugnarla per bene.”
 Adam si rabbuiò. Il signor Farwell si accarezzava la barba, pensoso e ammutolito, mentre sua moglie si mostrava per la prima volta inquieta. Aveva realizzato, forse, che un bambino del genere, una volta acquisita la consapevolezza della propria forza, di tutto il potere che aveva a disposizione e che gli altri, comprese le autorità in casa, non avevano, poteva facilmente diventare difficile da gestire. Poteva decidere di non mangiare mai più la verdura o di mandare indietro il tempo per poter restare alzato più a lungo, e lei non avrebbe avuto nulla per contrastarlo; avrebbe potuto evocare ogni specie possibile di pappagallo esotico e lei non sarebbe stata in grado di fare nulla se non restare a guardare. Per un istante tutto le era parso nero, senza speranza, prima di ricordare che si trattava pur sempre di Adam, un bambino dolce, così talentuoso nel piano, mai del tutto a proprio agio in mezzo agli altri ma sempre molto rispettoso. Quasi si vergognava ora di aver permesso alle insicurezze di avere la meglio, di non farla sentire all’altezza della situazione. Se Reginald fosse stato un uomo meno distratto, non si sarebbe perso il repentino cambio di espressione e avrebbe lasciato cadere l’argomento così; era convinto di fare un favore a tutti, invece, quando aveva proposto di guarire il braccio rotto con la magia. Colto dall’adrenalina e dall’esaltazione, aveva spiegato: “Una frattura non è niente di grave nel mondo magico. Si può guarire facilmente con un singolo incantesimo.” 
 Con un colpo di bacchetta il gesso si ruppe in due e il braccio di Adam, arrossato e ancora un po’ gonfio, scivolò fuori. Il ragazzino teneva gli occhi sulla punta della bacchetta, acceso di un entusiasmo mai provato prima. Di colpo avvertì il flusso di energia partire dal braccio di Reginald, passare attraverso il legno e concentrarsi al centro del suo avambraccio. Lo percepiva come calore, febbrile, vibrante, d’improvviso davvero vicino, così vicino che poteva toccarlo, e toccarlo era altrettanto improvvisamente un desiderio irresistibile, quella che suo padre avrebbe definito col suo bel tono baritonale una “pulsione endogena”, perché era un gentiluomo erudito che leggeva di psicologia nel proprio tempo libero. Adam non seppe cosa stesse succedendo, ma nel momento stesso in cui l’incantesimo di Reginald aveva aggiustato il suo braccio, capì che qualcosa non era andato come doveva: la magia si era distesa fino al centro del suo animo, l’aveva avvolto completamente come se avesse contribuito a lanciarla e veicolarla, invece che limitarsi a sentirne l’effetto. E Reginald Moonshine era stato sbalzato indietro da una forza invisibile, pallido come un cencio, e non si era mosso più. 
 
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“Mi stai dicendo che un semplice Epismendo ha prosciugato l’intera riserva magica a sua disposizione?” sibilò Minerva McGranitt, al quarto piano del San Mungo, Ospedale per malattie e ferite magiche. 
 Il guaritore Vera Chapman, addetta al reparto lesioni da incantesimo non aveva mai visto un caso del genere: Moonshine mostrava tutti i segni di qualcuno che avesse pericolosamente sorpassato il limite magico fisiologico consentito a un mago adulto, ma all’indagine del Prior Incantatio la sua bacchetta non aveva eseguito incantesimi tali da poterlo giustificare. 
 “C’è la possibilità che non recuperi più l’uso della magia come una volta” aggiunse Chapman dopo un po’, sottovoce. 
Minerva spiò la figura che giaceva sul letto. Reginald appariva malandato, più vecchio che mai, con labbra screpolate e bluastre. Ad Hogwarts si erano tutti preoccupati quando non aveva preso contatto per oltre tre ore consecutive e Paciock era stato mandato sul posto per cercarlo, solo per scoprire da una signora Farwell molto agitata che il signor Moonshine era svenuto mentre lanciava un incantesimo ed era stato ricoverato con urgenza in un ospedale babbano, dove era ancora incosciente. Paciock aveva modificato i ricordi dei Farwell e aveva lasciato casa Farwell in un lampo, e aveva dovuto confondere ben tre infermieri prima che Reginald potesse essere rilasciato. A quel punto, aveva lanciato un incantesimo per muovere senza ripercussioni il corpo inerme del collega di pozioni e l’aveva trasportato direttamente al San Mungo. Lì, sotto le cure di due guaritori specializzati, l’uomo era riuscito a svegliarsi e a descrivere l’accaduto come la più strana e terrificante esperienza mai provata: la magia gli era stata strappata via dal braccio. 



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Nda: 
Moonshine, Regulus: personaggio canon inventore della pozione contro l'appettito delle fattucchiere (hags). Suo fratello è mio personaggio originale.

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Capitolo 2
*** I ***


Disclaimer: non possiedo Harry Potter e non ricevo guadagno da questa fanfiction.
Miei sono solo i personaggi nuovi, ma il mondo in cui si muovono è di J.K.Rowling.



 
.I. 
 


King’s Cross fremeva caotica, animata dell’entusiasmo collettivo di decine e decine di studenti in partenza e non era difficile indovinare quali fossero i figli di Babbani in mezzo alla folla. Avevano mascherine azzurre legate ai polsi o abbassate appena al di sotto del naso di cui si sarebbero disfatti sul treno, ché la magia sembrava proteggere anche dalle epidemie mondiali, quando si trattava di malattie non magiche. Su insistenza della madre, Hecuba Rathbone teneva la propria in tasca, appallottolata e coperta di pelucchi che non sarebbero più andati via.
Non aveva mai visto così tante persone tutte assieme, il fervore nel tentativo di farsi sentire oltre i rumori di sottofondo, lo sgomitare per conquistare il posto migliore sul treno e i baci d’addio troppo rapidi e quasi vergognosi rivolti ai genitori che restavano indietro. Anche lei rientrava alla perfezione nello stereotipo, come la maggior parte dei ragazzini. Aveva terminato i saluti appena oltre la barriera del binario in modo che nessuno potesse pensare che fosse riluttante ad andare, e ora procedeva a testa alta trascinandosi dietro il baule nuovo di zecca, tutt’altro che intimorita alla prospettiva di prendere un treno per la prima volta. Con un occhio teneva sotto controllo il flusso di gente che caricava i bagagli nella carrozza apposita e saliva per prendere posto, mentre con l’altro studiava i volti degli accompagnatori, sperando di poter vedere le persone di cui tanto aveva letto nei libri. Perché non c’era libro, intervista, cronaca romanzata che non avesse letto a proposito di Harry Potter, salvatore del mondo magico. Hecuba era cresciuta con quel genere di favole della buonanotte, complice un padre Grifondoro qualche anno più giovane del famoso Golden Trio. Aveva sfiorato la leggenda con mano, aveva calcato gli stessi corridoi e indossato gli stessi colori. Cosa poteva esserci di più glorioso?
“Ma guarda tu se non è la piccola Cuba!”
La ragazzina si arrestò sui propri passi, calando la testa fino a colpirsi il petto col mento. Aveva riconosciuto la voce e non era per nulla entusiasta di dover rispondere a quel nomignolo infantile. Un ragazzo lentigginoso con una chioma di folti capelli castani troneggiava su di lei, uno zaino da trekking in spalla e un’altra borsa da viaggio a tracolla. Sembrava essere cresciuto tutto d’un colpo e nei punti sbagliati durante l’estate, tanto da trovarsi ad avere braccia e gambe troppo lunghe che lo costringevano a muoversi goffamente. In poche parole, un tipico adolescente. Con lui c’era un ragazzo tarchiato e biondo butterato dall’acne che indossava pantaloni bianchi troppo stretti e trascinava con sé un trolley coperto di adesivi delle Holyhead Harpies.
“Non mi hai sentito? Dai, non si salutano i cugini? Magari saremo compagni di casa, sempre se riesci a finire a Grifondoro...” Il modo in cui trascinava le vocali era evidentemente canzonatorio, ma pungeva la ragazzina sul vivo.
“Certo che finisco a Grifondoro!”
“Non lo so, Cuba. Ci sono pochi posti, non so se mi spiego. Con tutti i Potter e gli Weasley che finiscono a Grifondoro ogni anno, per la gente normale le possibilità sono minori. Quest’anno c’è già la sorella minore di Freddy e poi dovrebbe esserci pure tuo fratello, vero Bill?”
Il ragazzo tarchiato annuì, voltandosi indietro come ricordandosi solo in quel momento del fratello in questione. “Sì, sarà già sul treno… Comunque è vero, solo persone davvero speciali vengono smistate in Grifondoro – oltre ai Figli Di, ovviamente.” e si asciugò le mani sudate sui pantaloni, lasciando un segno umidiccio, prima di aggiungere con tono bonario: “Mi spiace, non prenderla male.”
“Anche se finisci altrove non casca il mondo. Chi è che volevi conoscere, Jamie Potter? Te lo presento io.”
“Mh.” Hecuba si incupì, ancora una volta incapace di non abbozzare il colpo. Suo cugino Kyle Watson gonfiava il petto, ammiccava e scopriva i denti un po’ storti da quattro anni, da quando era stato miracolosamente smistato in Grifondoro. Lo trovava sgradevole e presuntuoso, privo di qualsiasi bagliore di carisma, talento o semplice empatia. Era il genere di persona che credeva di avere il mondo in mano per il semplice privilegio di una divisa bardata di rosso e oro e non perdeva occasione di far pesare i quattro anni di anzianità su di lei, mettendole in testa cattivi pensieri.
“Beh, ti dobbiamo salutare. Abbiamo i nostri amici che ci aspettano sul treno.”
“Ciao.”
Fu solo grata dell’interruzione e di poter tornare a dedicarsi alla scansione della stazione dei treni gremita a caccia del tipico rosso Weasley, anche se meno contenta di prima. Era un difetto del suo carattere l’incapacità di farsi scivolare addosso i commenti o di escludere le opinioni non richieste. Razionalmente sapeva di non doversi fidare di Kyle: non presentava argomentazioni particolarmente convincenti e nonostante sostenesse di essere migliore amico di James Sirius Potter dal suo primo anno, non era stato capace di esibire neanche una lettera scritta di suo pugno, solamente un foglio di pergamena accartocciato con delle sbavature che potevano essere opera di chiunque. L’idea che Grifondoro fosse una casta privilegiata non le andava particolarmente a genio. Poteva obiettare, nel silenzio della propria mente, che non era poi così elitario come gruppo se ammetteva tra le proprie file anche degli idioti come Kyle, dalle gambe di ragno, e il suo amico Bill. Decise comunque di aspettare un po’ prima di liberarsi del baule, pena l’eventualità di incrociare nuovamente il cugino e si fece un po’ da parte per continuare a spiare la folla. Finalmente la sua giornata giungeva a una svolta: con fischi e strilli di ammiratori giungeva una nutrita delegazione di Weasley, su cui troneggiava un uomo di mezz’età allampanato, la stempiatura incipiente e il fisico appesantito da ex giocatore di Quidditch.
“Ron Weasley! Quello è Ron Weasley!”
Con lui altri due adulti con simili tratti somatici, una donna dall’aspetto curato e un uomo più basso e robusto, ed Hecuba scattò in avanti, cercando anche lei di cogliere uno scorcio di celebrità, di sfiorare la brillantezza per qualche secondo. Con la mano protesa e la valigia come una zavorra rimasta qualche passo più indietro, il tentativo di avvicinarsi venne contrastato dall’accalcarsi della gente, di chi come lei era in attesa dei famosi eroi di guerra. Possibile? Sembrava quasi di scorgere dei capelli scuri che cominciavano a tingersi di grigio, magari degli occhiali tondi…
Ma nel mare di schiene in movimento, Hecuba perse di vista i propri piedi e finì per inciampare. Carponi, col solo baule a proteggerla dall’incontro ravvicinato con la scarpa di un tizio, l’attacco di panico la sfiorò da vicino e quasi dimenticò come si facesse a respirare. Per fortuna non durò molto. A trarla in salvo fu una studentessa più grande, che indossava già l’uniforme scolastica e che, a giudicare dalle bardature giallonero e dalla spilla appuntata al petto, era Prefetto di Tassorosso.
“Tutto bene? Quando c’è tanta gente può diventare pericoloso se si sta fermi in un punto, meglio muoversi sempre.” Con passi decisi la scortò fino alla carrozza bagagli. Ora, contro la fiancata tiepida dell’Hogwarts Express, nonostante l’odore di olio e metallo e sudore che le impregnava le narici, la ragazzina tornò a respirare. “Meglio? Sono Amanda Paddle, Prefetto di Tassorosso. Sei del primo anno, vero?”
Hecuba annuì, un po’ intimorita e ancora scossa. Con la coda dell’occhio tendeva ancora al punto in cui gli Weasley erano stati inghiottiti dalla folla senza che lei avesse il tempo di fare alcunché. Sospirò. “Sì. Grazie dell’aiuto.”
“Figurati. Capita più spesso di quanto si pensi. Facciamo le ronde e aiutiamo le matricole ad arrivare sane e salve a bordo. Ti aiuto coi bagagli, vuoi? Solo questo?” La Prefetta Paddle dispensava sorrisi amichevoli a tutti. Aveva il volto abbronzato di chi è abituato a stare all’aria aperta e capelli lunghi e biondi in una coda di cavallo. Sotto il tessuto della divisa aveva i muscoli definiti di chi, con ogni probabilità, giocava a Quidditch nel tempo libero, non a caso non ebbe difficoltà a caricare il baule di metallo di Hecuba nella carrozza bagagli. “Spero di vederti in Tassorosso!”
I muscoli d’acciaio del treno fremevano e il fischio annunciò che era ora di prendere posto. La ragazzina non perse molto tempo a guardarsi indietro, la gentilezza della Prefetta facilmente dimenticata con quell’ultima frase che per lei era stata quasi di malaugurio. Non voleva finire a Tassorosso, non voleva finire in nessun posto diverso da Grifondoro, anche se avesse voluto dire sopportare la presenza di suo cugino in sala comune per altri tre anni.

Era stata fiera, poi amareggiata e infine spaventata; toccava a una nuova sfumatura di agitazione che era un misto di tutte le tre emozioni passate prendere il sopravvento mentre apriva la porta del primo scompartimento possibile e infilava dentro la testa. Una parte di lei, che seppelliva nei meandri sicuri del proprio inconscio, immaginava già di trovare un unico posto libero proprio di fianco a James Potter, che l’avrebbe invitata a passare il Natale con la sua famiglia e alla fine, magari, le avrebbe pure chiesto di sposarlo. James Sirius Potter, con i suoi capelli sempre spettinati e la scopa da corsa da milioni di galeoni! Mai si sarebbe lasciata sfuggire quel segreto privato, personalissimo, dopo l’errore fatale di sei anni prima: la sua amichetta d’infanzia aveva tradito una confidenza che le aveva fatto con il cuore in mano, e nel peggiore dei modi possibili. In presenza di Kyle, forse cercandone l'approvazione, aveva svenduto l’ammirazione pura e spontanea della propria amica per il primogenito dei Potter, di cui avevano visto la foto sulla Gazzetta del Profeta della settimana prima, e l'aveva condannata a una vita di derisione infantile, di prese in giro non troppo bonarie. Difficile che un'amicizia potesse sopravvivere a qualcosa del genere, ma quella era un'altra storia.
Lo scompartimento era pieno di studenti più grandi che chiacchieravano animatamente. Si interruppero solo un attimo vedendola entrare per lanciarle lunghe occhiate neutrali. Un giudizio inespresso si formava nei loro occhi. Tra tutti, come catalizzatore dell’attenzione generale svettava un ragazzo alto e biondo, con lineamenti fini e occhi così chiari da sembrare argentei; le sue ciglia erano dorate e proiettavano un’ombra attraente sulle sue guance ed Hecuba non poté fare a meno di notare quanto fossero lunghe, quasi femminili.
“Possiamo aiutarti?” domandò, con una leggera inflessione nella pronuncia che macchiava l’inglese di vocali turbate.
“Ah? Ah. I-io… sto c-cercando un posto” biascicò lei, atterrita dal fatto che le avesse rivolto la parola.
“Mi dispiace, questo scompartimento è pieno. Dovrai provare in un altro”. Cortese, aveva inclinato la testa e sollevato gli angoli della bocca per salutare, non concedendo propriamente un sorriso pieno ma qualcosa che disturbava comunque lo stomaco di Hecuba senza che potesse capire bene in che modo. “Comunque, stavo dicendo…”
La ragazzina batté in ritirata, furono le gambe a portarla in salvo, muovendosi di volontà propria. Il senso di fascinazione le era passato addosso come un brivido e persisteva sotto la pelle. Non era qualcosa che sapeva spiegarsi razionalmente: aveva undici anni e non si era sentita mai schiacciata dalla presenza di qualcuno, non così. Non era neanche sicura che fosse una bella sensazione.
"Merlino", annaspò quasi, appoggiata alla parete, diretta a nessuno in particolare. Inaspettatamente giunse una risposta da una persona che a quanto pareva aveva assistito all’intera scena. Carnagione scura, lentiggini, capelli ricci di una particolarissima sfumatura di castano ramato raccolti in decine e decine di trecce fitte legate sulla nuca in una coda di cavallo, Hecuba squadrò la sconosciuta con angoscia, come aspettandosi che cominciasse a prenderla in giro. Aveva l’aria scanzonata e il suo tono era quasi annoiato: “Era Louis, scommetto. È veela per un ottavo, fa quell’impressione a tutti. Che poi, è Caposcuola, quindi non dovrebbe neanche stare qui… ma vabbè.”
Hecuba non sapeva cosa volesse dire veela, ma non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura. Piuttosto, tentò di aggrapparsi alla nuova ventata di informazioni con il briciolo di autocontrollo riacquistato: “Caposcuola?”
“Sì, spero tu sappia che cos'è. È tipo il rappresentante degli studenti. Chi meglio di Louis Weasley?”
Il cervello di Hecuba aveva smesso di funzionare. S’imbarazzava facilmente, come tutti i ragazzini smaniosi di impressionare gli altri e ossessionati dalle prime impressioni; per carattere avrebbe esaminato e riesaminato la scena per l’intera giornata, convinta di aver buttato alle ortiche l’incontro più significativo della sua vita. La delusione le si doveva leggere in faccia, perché la ragazzina che le stava davanti alzò gli occhi al cielo e sbuffò. 
"Ti assicuro che non si ricorderà neanche di averti vista. È continuamente circondato da ragazze e ragazzi adoranti, figurati se fa caso a chi lo vede una volta e fa una figura così e così". 
Il commento nasceva per essere incoraggiante, forse, ma Hecuba da esso non avvertì alcun sentimento positivo. Se possibile, ingigantì il dramma ancora di più. Con gli occhi socchiusi quasi per la diffidenza, fronteggiò la sconosciuta col petto in fuori, come qualcuno da cui si ha appena subito un grave torto. "Beh, perché tu che ne sai?"
L'espressione della ragazzina con le trecce mutò. L'aria di generosa sopportazione svanì come un'ombra e lasciò il posto all'ostilità pura e semplice. Non le restava che presentarsi, immaginava. "Sono sua cugina. Roxy. Vorrei poter dire che è un piacere". 
La spavalderia abbandonò il cuore di Hecuba. Non desiderava altro che la terra si aprisse per inghiottirla e non sputarla fuori mai più. Si sentiva idiota, si sentiva così tragicamente idiota per non aver collegato prima tutti i punti, per aver mancato un indizio, per non essere stata all'altezza di quanto si era prefissa, per non aver frenato quella dannata lingua che si ritrovava e che sua madre le rimproverava sempre... Morse il lato della lingua con tanta cattiveria e mortificazione da provocarsi dolore fisico. Solo dopo qualche istante, con voce debolissima, riuscì a offrire il proprio nome.
"Hecuba”. Eccole, poche sillabe arrivate a fatica che l’avevano salvata dal mutismo ma che non si erano trascinate appresso nessuna corda di sicurezza, nessun gommone di salvataggio. Con quella breve presentazione veniva esaurita l’intera materia della conversazione dopo qualche canonico istante di imbarazzo reciproco e antipatia unilaterale. Hecuba avrebbe perdonato qualsiasi affronto, Hecuba avrebbe chiesto scusa in ginocchio, avrebbe giurato che non le avrebbe mai più mancato di rispetto, ma la conversazione si esauriva con Roxanne Weasley che si spazzolava i jeans, bussava alla porta dello stesso scompartimento in cui l’altra non aveva avuto fortuna e trovava miracolosamente posto dopo aver aggiunto un semplice “Beh, allora ciao.”
Rifiutata due volte, non del tutto sicura di aver vissuto davvero gli ultimi tre minuti, Hecuba si trascinò mestamente verso il secondo scompartimento, poi il terzo, poi il quarto. Erano tutti pieni di gruppetti già formati, nessuno incline all’inclusione di una ragazzina sconosciuta con l’aria di essere stata respinta dal mondo intero e non facevano che prolungare gli istanti di agonia che spendeva in quella umiliante sfilata. L’avessero fatta passare sotto il giogo dei vincitori, forse l’avrebbe presa meglio di così.
E quel che era peggio, era l'impressione di aver rovinato tutto, la paranoia che le diceva che Roxy Weasley avrebbe parlato male di lei all'intera scuola prima ancora che il treno fosse giunto a destinazione.


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Nda: ecco Hecuba, anche se con un po' di ritardo! Ho cambiato l'impaginazione di entrambi i capitoli, mi disturbava, e le note. Spero di riuscire a postare con più regolarità da ora in poi. Grazie di cuore a chi ha aggiunto la storia alle seguite e a chi ha lasciato (o magari lascerà) un commento o qualsiasi segno del proprio passaggio! 

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Capitolo 3
*** II. ***


.II.

 
Una ventina di minuti dopo, Hecuba sedeva in uno scompartimento ingombro di altri futuri primini e tentava con tutta se stessa di non colpire nessuno con spalle o gomiti combattendo contro gli scossoni del vagone in movimento. Sedeva letteralmente sulle spine. Non era stata l’esperienza più avvincente della sua vita, finire lì, né tantomeno finirci scortata da una Prefetta scortese, ma non sembravano esserci alternative brillanti. La ragazza più grande l’aveva raccattata all’uscita dell’ennesimo scompartimento e l’aveva rimproverata per non essere già al proprio posto e non avere con sé la divisa per cambiarsi. 
In un'occasione la porta si aprì per accogliere un nuovo, spaesato passeggero, sempre per intervento della stessa Prefetta che sembrava sempre di più una fredda tiranna, decisa a troncare sul nascere ogni barlume di entusiasmo. “Morgna... sembra che metà del primo anno faccia fatica a trovare un posto a sedere. Ricordatevi di passare in carrozza bagagli per la vostra divisa, più tardi. Dovrete cambiarvi prima di scendere dal treno.” 
Hecuba teneva gli occhi bassi, le mani in grembo. Erano in cinque nello scompartimento, tre su un sedile, due sull’altro. Lei era schiacciata tra due gemelli con identici capelli biondi e arruffati, vestiti di identiche camicie con collo alla coreana. L’uno aveva la camicia gialla con inserti viola, l’altro viola con inserti gialli. La fissavano entrambi con aria rapita con occhi enormi e di un azzurro penetrante. Di fronte a lei c’erano una ragazzina con la frangetta che sembrava sul punto di addormentarsi e l’ultimo venuto, un ragazzino magrolino dai capelli color miele. 
Hecuba non era sicura di voler fare conversazione con nessuno di loro, l’imbarazzo e la frustrazione l’avevano portata a riconsiderare tutte le proprie scelte esistenziali, andando indietro fino a che la memoria glielo consentiva. Si sforzava di ricordare come doveva essere stato essere in fasce, senza praticamente alcuna consapevolezza di sé, senza preoccupazioni di sorta. Ma no, lei doveva rovinare sempre tutto, doveva rispondere in malo modo alla persona che avrebbe potuto introdurla in società, doveva–
Le sarebbe andato bene raggiungere Hogwarts in silenzio o non raggiungerla affatto, se c'era la possibilità di aver guastato in anticipo qualsiasi speranza di affermazione sociale. Nulla avrebbe potuto trarla in salvo da quel vortice di autocommiserazione, pensava. Nulla.
E invece dovette ricredersi quando qualcuno le batté piano sul gomito con un gomito.
“Senti…” Era il ragazzino vestito prevalentemente di viola. Aveva un tono cantilenante, occhi sporgenti azzurro intenso e l’espressione seria di chi sta per dire qualcosa di molto importante. “Uhm.” La scelta delle parole non gli veniva spontanea, apparentemente, perché tentennò, spostando lo sguardo qui e lì come a cercare ispirazione. Il suo sguardo vagava ma sembrava tornare sempre a fissare un punto imprecisato della testa di Hecuba.
“Che c’è, ho qualcosa qui?” fece lei, toccandosi i capelli. Si aspettava di trovarli spettinati sotto le dita, invece incontrò solo il solito ciuffo mosso, né riccio né liscio. “No.”
“Sei entrata in contatto con del vischio di recente?” 
Hecuba lasciò cadere il braccio come fosse di pietra, schiaffeggiandosi la coscia. Era completamente allibita.
Anche il ragazzino vestito prevalentemente di giallo osservava la testa di Hecuba, ma in lui traspariva maggiore apprensione, come se tentasse di tenere sotto controllo una minaccia terribile o tentasse di anticipare il momento in cui scattare in piedi e scappare.
“Sei tutta coperta di Nargilli” insistette il primo gemello “se fossi in te mi preoccuperei”. 
“Di…” Hecuba deglutì. Era così perplessa da non riuscire a reagire a dovere, nemmeno a processare le informazioni che le venivano fornite. Aveva la fronte aggrottata, gli occhi che cercavano supporto altrove, che sfioravano gli occhi nocciola del ragazzino che le sedeva di fronte, poi quelli scuri della ragazzina con la frangetta che la fissava con vago disgusto. Infine tornò a guardare il gemello loquace. “Di cosa?”
"Di Nargilli. Rubano le cose, sono malvagi. Ne hai la testa piena, davvero, non sto scherzando".
Ora i ciuffi castani di Hecuba erano sotto indagine di quattro paia di occhi, mentre lei dal basso tirava una ciocca e poi l’altra e la esaminava con orrore come aspettandosi di trovarvi attaccate uova di pidocchi magici. Li aveva avuti, da piccolissima, e ricordava che con la magia non era stato difficile debellarli, le era stato sufficiente bere una pozione cattiva. Ma non c’era niente di strano nei suoi capelli e man mano che separava le ciocche anche gli altri sembravano più a proprio agio sul proprio sedile.
“Non vedo niente” annunciò Hecuba, più che rassegnata risentita, con gli occhi incrociati per lo sforzo prolungato.
“Meglio così” decretò la ragazzina mora, pettinandosi la frangia con fare assorto.
“Ci sono, ti giuro! Sono tantissimi. Non riuscirei a dormire al posto tuo.”
“E se mi siedo lì sei più tranquillo che non te li attacchi?” sbottò Hecuba, indicando il sedile di fronte. Gli occupanti non sembravano particolarmente entusiasti di stringersi per farle posto, tanto meno visto il sospetto che avesse qualche strano parassita magico a ronzarle attorno alla testa; comunque, visto che non c’erano alternative e la Prefetta rabbiosa era ancora di ronda, era un compromesso più che ragionevole.
I due gemelli, invece, la guardavano coi loro occhi enormi, quasi straniti dall’astio che riversava loro addosso quando volevano solo farle un favore. A sorpresa, fu il più timido a intervenire: “Guarda che esistono delle protezioni, comunque. Ne abbiamo di già pronte per noi in valigia, possiamo preparare qualcosa da indossare anche per te…”
“Sì, ci servono una ventina di bottiglie di Burrobirra, qualche forcina, un rametto di ulivo, della lavanda… beh, forse della lavanda possiamo fare a meno. Che dici, Lorcan?”
“Mh sì, anche delle forcine.”
Hecuba si strinse nelle spalle e si schiacciò volontariamente contro il fianco del ragazzino mingherlino che le sedeva accanto. Sembrava piccolo e gracile, con capelli color miele e occhi nocciola che fuggivano il contatto diretto. Tra le mani si rigirava una mascherina chirurgica, come fosse indeciso se mettersela o meno. Era un figlio di genitori babbani, di sicuro. Un fermo senso di ribellione spinse Hecuba a dargli fastidio.
“Hai paura anche tu che ti attacchi i pidocchi?” gli sussurrò, facendolo sobbalzare.
“Mi p-pareva di avere capito che sono qualcosa di diverso dai p-pidocchi…?”
E il gemello vestito prevalentemente di viola, intercettato il discorso, aveva esclamato con tono assolutamente oltraggiato: “Certo che sono qualcosa di diverso!”
 
C’era voluto un po’ perché si scambiassero i nomi. I gemelli erano a sorpresa figli di genitori famosi, Luna Lovegood e Rolf Scamander, il che voleva dire che discendevano direttamente da…
“Scamander come Newt Scamander, autore di Animali fantastici e dove trovarli?!”
Hecuba era preparata anche in questo caso, niente di sorprendente, e questo non poteva che guadagnare ai gemelli il suo improvviso, fermo, imperituro interesse.
La ragazzina con la frangia era “Drusilla Danvers, piacere”: aveva l’incarnato pallido e un’ombra di occhiaie sotto agli occhi, ancora più ingrigita dal contrasto con le folte sopracciglia nere e i capelli corvini. La sua espressione non era amichevole, ma sciolto l’imbarazzo iniziale aveva una bella parlantina e una passione segreta per i romanzi fantasy.
Il ragazzino dai capelli color miele si chiamava Adam Farwell. Aveva l’aria tormentata di chi ha appena ingerito succo di limone, torturava ancora tra le dita la mascherina, e probabilmente era stato anche abbastanza responsabile da indossarla in stazione.
“Mio padre e mia madre sono entrambi normali. Babbani, intendo. È un po’ strano dirlo. Babbani. Non sapevo neanche che esistesse la magia fino a pochi mesi fa.”
La confessione era giunta a bassa voce, come se si aspettasse che gli si perdonasse un peccato. Nessuno aveva alcunché da rimproverargli, invece, e persino Hecuba aveva provato un fiotto di compassione per lui, gettato nella fossa dei leoni coi due Scamander che vaneggiavano di animali invisibili.
“Non devi mica sentirti in colpa!”
“Infatti. Sei fortunato da un lato, per te è tutto nuovo da vedere” aveva detto il gemello prevalentemente vestito di giallo, Lysander, dando prova di incredibile raziocino superato il timore iniziale dei Nargilli. Si teneva comunque distante da Hecuba, la schiena un tutt’uno col sedile, ma era abbastanza rilassato da far sentire la propria voce.
 
I gemelli si erano procurati una copia del Cavillo e qualche Gobbiglia e avevano passato il resto del viaggio chiacchierano a bassa voce tra di loro. Drusilla si era addormentata con il mento sul petto e vista da una certa angolazione faceva paura perché sembrava non respirare. Ad Adam ed Hecuba non restava che fare conversazione dividendosi un pacchetto di Gelatine Tuttiigusti+1.
“Mio padre è l’unico mago nella mia famiglia” annunciò lei, cercando un argomento che potessero avere in comune. “Era in Grifondoro ai tempi di Harry Potter. Lo sai chi è Harry Potter?”
“Sì. Ho letto in anticipo alcuni dei manuali… viene citato in praticamente tutti come Salvatore del mondo magico.”
“Esattoo! Io spero di finire in Grifondoro come lui” disse lei tutta esaltata, infilandosi in bocca una gelatina che si sarebbe rivelata al gusto di zuppa inglese. La sorprendeva piacevolmente che Adam avesse già letto alcuni dei testi scolastici, non era da tutti. “E che materie non vedi l’ora di imparare?”
Il ragazzino ci pensò su, dando un timido morso a una caramella gialla. Sapeva di senape. L’espressione afflitta di Adam si acuì se possibile ancora di più. “Incantesimi, direi. E poi… mia madre dice che c’è l’orchestra scolastica”.
Hecuba pensava che fosse un’idea assurda. I maghi potevano volare, cavalcare scope e animali fantastici, distruggere la materia e ricostruirla da zero. Non riusciva a concepire che il desiderio primario di un undicenne fosse entrare nell’orchestra, di cui tra l’altro ignorava l’esistenza. “Che figo”, si limitò a dire, prendendo un’altra gelatina che, per forza del Karma, si sarebbe rivelata al gusto di vomito.
 
+++
 
La divisa di Hogwarts non le stava addosso in modo dignitoso: per quanto madama Malkin avesse tentato di accorciarne l’orlo delle maniche, Hecuba ci annegava dentro. Non sembrava neanche aver avuto particolare successo con la cravatta, il cui nodo si era allentato facendo pendere tristemente le due estremità attorno al suo collo; per non parlare del cappello, che continuava a scivolare di traverso. Non restava che la collana di tappi di Burrobirra per completare il suo look, dato che Lorcan e Lysander erano tornati dalla loro tappa alla carrozza bagagli con l’agognata protezione contro i Nargilli ed erano stati tanto caritatevoli da offrirne una imbastita sul momento anche a lei. Hecuba aveva giurato di guadagnarsi la loro amicizia e quindi non era in posizione di rifiutare, anche se si sentiva assolutamente ridicola con tutti quei tappi appesi al collo.
Un po’ rassegnata, si trascinò giù dal treno, in fila dietro ai suoi compagni di viaggio che si stavano radunando davanti a un uomo enorme con mani grandi almeno quanto il coperchio di un bidone dei rifiuti urlando con voce di tuono: “Primo anno, primo anno!”.
Adam lo stava guardando impressionato e forse un po’ intimorito. Era chiaro che non aveva mai visto un uomo tanto alto, ma a preoccuparlo erano forse altri dettagli del suo aspetto: i capelli ispidi striati di grigio che non sembravano aver mai conosciuto un pettine e la barba folta che sembrava un groviglio di rovi. Assolutamente iconico.
“Dev’essere Hagrid!” disse Lorcan, agitando la mano per salutarlo, ma essendo troppo in fondo alla fila. “Insegna Cura delle Creature Magiche!”
Hagrid li condusse fino alla riva del Lago Nero, dove stavano dozzine e dozzine di barche grandi abbastanza per trasportare quattro di loro.
Drusilla dovette separarsi dal gruppo, salendo sulla barca di un ragazzino dalla pelle scura e l’aria nobile, una ragazzina dai capelli verdi e un tipo con gli occhiali. I gemelli, Hecuba e Adam salirono assieme.
“Serve una mano con quella?” offrì Lysander con un sorriso amichevole, indicando la cravatta di Hecuba.
“Forse”, ammise lei “Il nodo che c’era già si è sciolto e non sono capace di legarlo di nuovo. Magari sarebbe più facile con uno specchio.”
“Io e Lorcan abbiamo lo stesso problema. Di solito leghiamo l’uno quella dell’altro, come se ci stessimo guardando allo specchio. Funziona, se si è identici.”
Hecuba annuì e i tappi sbatacchiarono sommessamente tra loro. “E tu, Adam? Come hai fatto a legare la tua da solo?”
Adam scrollò le spalle. “Non è così difficile. Mi ha insegnato mio padre.” Parve farsi un po’ di coraggio e trovare finalmente l’occasione di pronunciare una domanda fatidica. Il suo sguardo, che a intervalli regolari si posava sugli oggetti al collo di Hecuba e dei gemelli Scamander e non osava andare più in su del loro mento. “State lanciando una moda?”
Lysander assunse un tono solenne. “Servono per tenere lontano i Nargilli. Quelli di cui parlavamo prima. Ne vuoi una anche tu?”
“Nostro nonno ha pubblicato un articolo su Il Cavillo, se ti interessa saperne di più.” aggiunse Lorcan, come ricordandosene solo in quel momento.
Hecuba lo guardò ammirata. “Il figlio di Newt Scamander?”
“Oh, no. Nonno Xeno.”
“Xenophilius Lovegood. Il direttore de Il Cavillo.”
“Affascinante.”
D’improvviso, tutte le barche si mossero di vita propria, seguendo il comando di Hagrid. Li condussero attraverso un passaggio nella scogliera celato da una parete di edera e poi lungo un tunnel che doveva portare esattamente sotto il castello. Quando arrivarono in vista di Hogwarts, Hecuba era completamente senza fiato e i suoi occhi erano pesanti di lacrime. Finalmente sarebbe andata anche lei dove vanno tutti i maghi come si deve. Sarebbe diventata la strega più potente e ammirata della scuola, avrebbe acquisito ogni brandello di conoscenza magica e soppiantato i record scolastici di Hermione Jean Granger. Ripensandoci, era più prudente dire “una delle streghe più potenti” e lasciare da parte il confronto con la Ministra della Magia, per non dare troppo spazio alla vena competitiva che le rimproverava sempre la madre.
Spiò le reazioni dei suoi compagni: Adam accanto a lei quasi tremava di anticipazione. Sulle sue labbra si allargava un piccolo sorriso e sembrava quasi sforzarsi di non sbattere le palpebre, per registrare ogni dettaglio; i gemelli guardavano l’acqua con aria assorta. Quali che fossero le mistiche creature nascoste nelle acque del Lago Nero, i due sembravano già averne un’idea e magari progettavano di studiarle da vicino.
Ad accoglierli sulla gradinata di ingresso c’era una bella donna con zigomi alti e pronunciati e sopracciglia sottili e arcuate; aveva la testa rasata, pelle d’ebano, occhi allungati e profondi e labbra color prugna. Indossava una lunga veste blu scuro stretta in vita e sopra di essa un mantello bianco con la stampa in stile giapponese di un albero stilizzato, anch’esso blu, che si allacciava con una fibbia dorata a forma di fiore lasciandole le spalle scoperte. In testa aveva un cappello da strega con delle piume bianche a fare da ornamento.
“Benvenuti ad Hogwarts!” disse, scoprendo una dentatura perfetta.


+++
Nda: grazie a tutti per essere passati di qui. Come avrete capito, aggiorno non appena il capitolo è pronto, qualche volta mi ci vuole di più, qualche volta di meno... ma il progetto c'è e sono determinata a portarlo a termine. Dal prossimo capitolo si arriva ad Hogwarts, finalmente!
Se avete commenti, consigli, critiche non fatevi remore, sono più che pronta a riceverli, anzi, mi farebbe piacere un feedback, perché non mi cimentavo in questo genere di cose da un po'.
Buon weekend a tutti!

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Capitolo 4
*** III ***


.III.

 
“Sono Erato Carinatus, sarò la vostra insegnante di Trasfigurazione a partire da quest’anno. Per chi non lo sapesse già, ad attendervi oltre questa soglia c’è la cerimonia dello Smistamento, che vi assegnerà a una delle quattro Case dei Fondatori della scuola, Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Come da tradizione, sarà il Cappello Parlante a capire qual è la casa che fa meglio al caso vostro.”
I denti bianchi svettavano come perle sulle labbra carnose viola intenso. La donna aveva un timbro basso e suadente, quasi calmante.
“Nella vostra Casa troverete compagni fidati, spiriti affini. Sarà come entrare a far parte di una grande famiglia, e come tale chiederà il vostro personale contributo per mantenere alto il proprio prestigio. Avrete la possibilità di guadagnare punti, per esempio dimostrandovi preparati in classe. Ogni punto che guadagnerete verrà segnalato qui.”
Un braccio magro scivolò fuori dalla manica del kimono per indicare le quattro immense clessidre che stavano ai lati della porta. Ognuna di esse portava l’emblema di una delle Case ed era piena di gemme colorate. Hecuba osservava i cristalli rapita: c’era una piccola fortuna serrata oltre le teche, abbastanza per permettersi di vivere nell’agio per qualche decennio.
“Ora, vedete, il conteggio è a zero. Se ogni merito personale vi farà guadagnare punti, ogni infrazione delle regole comporterà la sottrazione di gemme dalla vostra clessidra. Alla fine dell’anno, la Casa con più punti riceverà in premio la Coppa delle Case, è molto semplice. Domande?”
Nessun ragazzino ne aveva. Hecuba pensò che fosse stata sufficientemente chiara per passare oltre. Odiava perdere tempo inutilmente e il sistema dei punti casa esisteva dalla notte dei tempi, a sentire suo padre. Non era per niente impressionata dal concetto, dall’efficienza dell’incantesimo che faceva in modo che chiunque fosse in una posizione di autorità nel castello potesse governare l’andamento delle clessidre con la propria voce, in qualsiasi anfratto buio si trovasse, dai sotterranei alla foresta alla più alta delle torri. Adam, accanto a lei, ormai diventato l’ombra di chi si era dichiarato indifferente alla sua condizione di nato babbano, sembrava assolutamente incredulo.
Le porte della Sala Grande si aprirono, rivelando lo sfarzo e le migliaia di candele sospese e la volta stellata di cui aveva letto così voracemente nei suoi libri. Non poté fare a meno di sorridere, anche se il panico le stringeva lo stomaco, cercando con gli occhi tra la fiumana di capelli rossi al tavolo di Grifondoro: eccoli, Potter e Weasley, non in un’unica schiera compatta ma non troppo distanti l’uno dall’altro. Kyle sedeva ad almeno cinque posti di distanza da James, invece, ed Hecuba si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo. Sapeva che non poteva dire la verità, solo un idiota sarebbe stato amico di Kyle e James Potter non poteva certo essere un idiota.
Al tavolo dei professori, Hecuba riconobbe subito Minerva McGranitt dalla sua figurina delle Cioccorane e dalle illustrazioni in movimento su Storia di Hogwarts. Alla sua destra c’era Neville Paciock, eroe di guerra, alla cui destra stava Filius Vitious, alla cui destra stava un uomo mai visto prima con l’aria da bibliotecario, che alla sua destra aveva una donna coi capelli grigi. Ultimo nell’angolo di sinistra era Hagrid, che occupava l’equivalente di due posti. Opposto ad Hagrid c’era un giovane vestito di un improbabile maglione color crema e poi, rispettivamente, un uomo nero con il viso tatuato, una signora di mezz’età distinta, una vecchia che sembrava fatta di cera tant’era immobile, una ragazza coi capelli corti che poteva essere una studentessa e infine, alla sinistra della McGranitt, il posto vuoto che doveva essere della Carinatus.
“Non c’è” mormorò Adam, accigliato.
“Chi?”
“Il tizio che è venuto a casa mia a dirmi che sono un mago. Ha detto di essere professore di pozioni, Reginald Moonshine… Ma non c’è.”
“Sarà malato.”
“Shh.”
Al centro della pedana, proprio di fronte al trono della Preside, era stato posto uno sgabello sbilenco e sopra di esso c’era un vecchio cappello malandato. L’intera sala sembrava trattenere il respiro in attesa di qualcosa, ogni chiacchiericcio spento in un respiro nervoso. Improvvisamente, da uno degli squarci uscì una voce e cominciò a cantare:
“Un altro anno è ormai cominciato,
Ed eccoci al solito, lieto evento.
Sotto questo splendido cielo stellato
Ancora una volta io mi presento:
Nacqui da un semplice cappellaio,
Chiunque mi avrebbe voluto in testa,
Non ero affatto come ora appaio,
Ero un elegante cappello da festa.
Giunse un signore assai rinomato
Come mi vide, mi scelte all’istante
Per sua magia ero vivo, ero nato,
E mi diede un compito molto importante.
Sceglier la Casa degli studenti
E io l’ho fatto da quel momento.
Perché della scelta siano contenti,
Ho sempre dato un suggerimento:
C’è Grifondoro con la sua spada,
Nobiltà d’animo, fegato e audacia!
Se trova un ostacolo sulla strada
Lo affronta sempre con gran tenacia.
Poi Tassorosso che è puro di cuore,
Paziente e onesto, leale compagno,
Lavora sempre con gran fervore
E averlo amico è di certo un guadagno.
C’è Corvonero che è lo studioso:
È per l’ingegno che viene apprezzato
Quando hai un dilemma il suo aiuto è prezioso
E il suo consiglio non è mai sbagliato.
E Serpeverde, rimasto in fondo,
Famoso per astuzia ed ambizione.
Difficilmente arriva secondo,
Vista la sua determinazione.
Quattro le case e tanti gli onori,
Sia l’una o l’altra, non temete:
Diverse le brame, diversi i colori,
Ma buoni compagni dovunque andrete.
La canzone a finire si appresta:
Non aspettate neanche un istante!
Sedetevi e mettetemi sulla testa,
Perché io sono un Cappello Parlante!”
L’intera sala applaudì fragorosamente la performance del Cappello. Hecuba spiò ancora una volta l’espressione di Adam. Con la bocca spalancata e le guance arrossate, sembrava persino più ridicolo di lei, con la collana di tappi attorno al collo. Ne fu decisamente rassicurata: non c’era niente di così eccezionale in un vecchio cappello coperto di toppe, poco importava che fosse capace di parlare.
La Carinatus stringeva tra le mani un rotolo di pergamena piuttosto lungo. “Quando chiamerò il vostro nome verrete avanti e vi metterete il cappello in testa. Non preoccupatevi, non morde. Cominciamo: Barrow, Charles”
Un ragazzino allampanato avanzò con andatura traballante. Il cappello, troppo grande, gli coprì completamente gli occhi.
“Serpeverde!” gridò il Cappello dopo un po’ e una delle tavolate di studenti esplose in un boato festoso, accogliendo il nuovo membro.
“Barton, Mary”
“Tassorosso!”
“Bentley, Harriet”
“Tassorosso!”
“Berrycloth, Porzia”
“Corvonero!”
Procedette così per parecchi nomi. La lista di cognomi con la B sembrava infinita. Finalmente con “Camden, Mafalda”, “Grifondoro!”, si passò a un’altra lettera.
“Ci metterà tutta la notte per arrivare a noi” sussurrò Hecuba ai gemelli Scamander. “Adam, tu come fai di cognome?”
“Farwell”
“Presto toccherà a te allora! In bocca al drago.”
Fu poi il turno della ragazzina dai capelli verdi che era salita in barca con Drusilla. Si chiamava “Chapman, Tara” e sembrava molto sicura di sé. Il Cappello le inghiottì la testa e lasciò fuori solo il suo mento e qualche ciuffo di capelli verdi. Rimase immobile così per parecchio tempo, persino la Carinatus sembrava impressionata. Un mormorio eccitato si era diffuso per tutta la sala.
“È ufficialmente un Testurbante!” esclamò qualcuno dai tavoli, a voce abbastanza alta perché potessero sentirlo tutti.
Poco dopo il Cappello si decise e con un “Grifondoro!” congedò la ragazzina, ma qualcosa non doveva essere andato come previsto perché lei, furente, se lo tolse e lo scaraventò in terra urlando: “Avevo chiesto Serpeverde! Non voglio un’altra casa, voglio andare in Serpeverde!”
Tara Chapman aveva un’espressione nervosa, tremava tanto da inciampare nei propri piedi. “Mi rifiuto di andare in Grifondoro!”
Un’eco di protesta partì dal tavolo interessato, con un paio di ragazzi che decisero di manifestare il dissenso fischiando. “E chi ti vuole!” sbraitò Kyle, facendo un gestaccio. Il suo amico biondo rise a squarciagola e lo imitò, urlando qualche altro impropero. Gli insegnanti si scambiavano occhiate confuse. La McGranitt sembrava aver ricevuto un secchio d’acqua in faccia, forse più per il fermo rifiuto della Casa di cui era stata direttrice tanto a lungo che per l’assurdità della situazione in sé. Fu il professore dalla pelle scura ad intervenire, muovendosi con tanta rapidità che parve non necessitare affatto della bacchetta. La volta celeste che riproduceva il cielo stellato sfarfallò un paio di volte come fosse mal sintonizzata, spegnendo ogni singola stella. Un tuono di avvertimento bastò ad ammutolire l’intera Sala, prima che il cielo tornasse com’era. La Carinatus raggiunse la ragazzina in uno svolazzo di veste blu intenso, le posò una mano sulla spalla, le sussurrò qualcosa all’orecchio e la condusse pacificamente al tavolo di Grifondoro, dove si sedette in un angolo, il più lontana possibile da tutti.
“Danvers, Drusilla”
“Ah!” esclamò Hecuba, destandosi dall’imbarazzo appena provato. La scena si era svolta troppo in fretta per permetterle di realizzare appieno cosa stava vedendo, ma sapeva di aver provato disagio per sé e anche per la sconosciuta dai capelli colorati. Merlino solo sapeva come sarebbe stato avere una pazza del genere come compagna di stanza… Ma non era tempo per dedicarsi a queste questioni, quando Drusilla sgambettava con inquietudine verso lo sgabello lasciato vacante.
“Serpeverde!”
Ne riemerse coi capelli arruffati e la frangetta sollevata all’insù, per poi sedersi al nuovo tavolo e presentarsi a tutti con un sorriso.
“Davies, Gregory”
“Corvonero!”
“Edwards, Marcus”
“Tassorosso!”
“Facemyer, Hector”
“Serpeverde!”
“Farwell, Adam”
Adam raggiunse lo sgabello e si sedette. La sua faccia tradiva un’ansia che non aveva davvero motivo per provare, perché non aveva una preferenza per una Casa specifica che potesse essere tradita. A spaventarlo era, forse, l’ignoto, il non sapere precisamente come lo smistamento si sarebbe svolto, se il Cappello avrebbe rovistato tra i suoi ricordi per decidere quale fosse il posto giusto per lui o se avrebbe fatto una selezione di ricordi precisi che potessero mettere in luce un difetto o un pregio particolare che l’avrebbero indirizzato a una Casa invece che a un’altra, e, in quel caso, quale fosse il criterio da lui adoperato. O ancora, magari, era la possibilità che di lui uscisse un’immagine distorta, che sarebbe rimasta nella memoria del Cappello abbastanza a lungo da raccontare tutto alla Preside e bollarlo da subito con il marchio del ragazzino disagiato. Altro motivo di ansia era quello che era successo con Tara Chapman, la cui reazione violenta l’aveva scosso profondamente e un altro ancora era che tutte le sue preoccupazioni gli si leggessero in faccia. Fu grato del fatto che il cappello lo celasse alla vista. Sentiva ogni sguardo puntato su di sé e non era una buona sensazione. Si concentrò sul Cappello, invece: sapeva di vecchio e consunto, come il cuoio invecchiato, ed era leggermente tiepido, come se trattenesse ancora il calore della persona che l’aveva indossato per ultima.
Hecuba lo guardò per tutto il tempo dello Smistamento, cercando di farsi un’idea sulla Casa in cui sarebbe potuto finire. A parte dimostrarsi timido, non c’era stato un lato del suo carattere ad emergere in modo preponderante durante le ultime ore.
Pochi minuti e con un “Corvonero!” Adam venne accolto da un giro di applausi dal quarto bronzo-blu della Sala Grande. Dalla faccia sembrava che la conversazione con il Cappello gli avesse dato molto da pensare ed Hecuba si segnò mentalmente di chiedergli cosa gli avesse detto, alla prima occasione.
“Finnigan, Clarice”
“Grifondoro!”
“Hyde, Veronica”
“Tassorosso!”
Passò parecchio tempo, Hecuba cominciava a sentire il sonno reclamarla. La fame le era passata, a tenerla in piedi, in attesa, era solo l’ansia, che pareva aver preso possesso del suo corpo. Si sentiva esausta, complice il fatto di non aver dormito sul treno, e le palpebre le si facevano pesanti durante ogni pausa di silenzio prima che le urla del Cappello la facessero quasi saltare sul posto. Succedeva ogni volta, ormai.
“Nichols, Harry”
Hecuba era sicura di aver già sentito almeno altri tre studenti di nome Harry, ma questo fu il primo a finire a Serpeverde. Era un nome che aveva attraversato un momento di enorme popolarità, negli ultimi decenni.
“Noble, Charlotte”
“Corvonero!”
Hecuba si assopì di nuovo, osservando meglio il tavolo dei professori: Neville Paciock era il Capo della Casa Grifondoro, di questo era sicura, e Filius Vitious quello di Corvonero. Suo padre le aveva parlato dei professori che c’erano ai suoi tempi, ma tra gli altri l’unica che poteva assomigliare alle descrizioni era la donna coi capelli grigi seduta accanto ad Hagrid, che doveva essere Madama Hooch. Il suo sguardo indugiò sulla McGranitt, seduta perfettamente eretta sul suo trono, in una posizione di rigida scomodità. Sorrideva e aveva applaudito ogni singolo studente finora. Forse era suggestione, ma Hecuba era convinta che avesse applaudito quelli smistati in Grifondoro un po’ più forte.
“Poole, John.”
“Tassorosso!”
“Rathbone, Hecuba.”
Hecuba sobbalzò. Stava ancora fissando la McGranitt e ora la McGranitt stava fissando lei con aria di profonda disapprovazione perché, nonostante fosse il suo turno, il suo tempo di reazione per alzarsi e barcollare fino allo sgabello era stato esageratamente lungo. Si sedette, dandole le spalle e cercando di rilassarsi, benché ancora sentisse gli occhi della preside piantati come pugnali nella sua nuca. Rabbrividì, alzò lo sguardo a guardare la Carinatus, le cui labbra viola erano strette in una linea sottile. Giusto, il Cappello. Se lo infilò, pregando che facesse in fretta a sceglierle una Casa.
“Capisco. Molto bene… Sento che sei preoccupata di finire a Serpeverde” disse una voce vicinissima alle sue orecchie. “Ti hanno detto che sarebbe il posto adatto a te”
“Non sono preoccupata!” protestò Hecuba in un filo di voce, ma forse lo urlò o forse non parlò affatto, perché tutto era dentro la sua testa. “È che sono competitiva. Mio papà…”
Non era un ricordo su cui le piaceva tornare, quello. Era stato uno dei suoi primi episodi di magia involontaria, giocavano a un gioco da tavolo in famiglia in cui bisognava muovere delle pedine su un tabellone. Neanche ricordava il nome di quel gioco. Ma perdere era stato davvero umiliante e l’umiliazione bruciava e bruciava assieme alle tende del salotto. Suo padre aveva riso, alla fine, ironizzando sul fatto che se fosse finita a Serpeverde non si sarebbe stupito nessuno.
Pensava di aver rimosso quel ricordo, e invece era ancora lì, in qualche cassetto del suo cervello.
“Tu hai talento e lo sai, desideri metterti alla prova e brillare più che ogni altro… La tua ambizione farebbe di te una buona Serpeverde. Molti maghi tra i migliori erano Serpeverde, Merlino stesso lo era.”
“Anche Voldemort lo era.”
“Era un Serpeverde e uno dei più grandi maghi mai esistiti. Aveva talento, ma l’ha impiegato per compiere azioni malvagie. Sento che sei preoccupata di quello che potrebbero pensare gli altri se finissi in quella Casa…”
“Non è vero, ho letto i giornali e le interviste, Harry Potter parla bene dei Serpeverde da anni, per non parlare di –”
“E allora cos’è che ti preoccupa?” chiese il Cappello, e lo chiese come se sapesse già la risposta.
Hecuba sospirò. “Ho paura che finire a Serpeverde non mi dia la possibilità di fare amicizia con le persone… giuste.”
“Questo è un ragionamento molto Serpeverde. Cerchi la Casa che ti porti più vantaggi. Senti che Grifondoro sarebbe la scelta più sicura, ma non senti particolare affinità caratteriale con nessuno dei Grifondoro che hai conosciuto in prima persona. Sarebbe una bella sfortuna dover sopportare quel tuo cugino ogni giorno e non riuscire neanche a integrarti perfettamente tra tutti i Weasley e i Potter che scorrazzeranno per la Sala comune…
“A Serpeverde troveresti persone che hanno la tua stessa visione del mondo, studenti che sanno contare sull’astuzia, analizzare la situazione e coglierne vantaggi e svantaggi. Quello che ti spaventa è che dar spazio e incoraggiare questa parte del tuo carattere che di solito non ti fa fare amicizia facilmente. Hai paura di diventare una strega che non piace a nessuno.”
Hecuba scosse il capo violentemente: “No, io… non è così. Non sono meschina. Non è colpa della Casa Serpeverde. Volevo solo fare amicizia con i Potter perché sono famosi. Non c’è nulla di male!”
“No, ma non sei neanche una persona tollerante, Hecuba Rathbone, posso vedere quello che pensi del resto della gente qui presente. Sei competitiva perché ti consideri superiore agli altri e non ti piace perdere perché ti dimostra che qualcun altro è superiore a te. Tassorosso potrebbe essere la Casa in cui troveresti gli amici migliori, in cui saresti benaccetta a prescindere da tutto, ma la gentilezza dei tuoi compagni di Casa potrebbe persino darti fastidio.”
“E quindi? Mi manderai a Serpeverde per punirmi?”
“No. Voglio darti un’opportunità diversa per migliorare. L’intelligenza per coltivare le tue abilità nel modo giusto non ti manca, credo che tu possa trovare un modo per integrarti che smorzi questa parte del tuo carattere. Ci vorrà un po’ di lavoro, ma a Corvonero troverai compagni saggi abbastanza per comprenderti e accettarti. A tua volta dovrai mostrare giudizio, perché tra tanti ingegni eccezionali sarà difficile primeggiare ogni volta.”
Stavolta il Cappello parlò a tutta la sala ed Hecuba se ne accorse perché l’eco della sua voce risuonò in modo diverso, quasi assordandola. “Corvonero!”, fu il decreto definitivo e la ragazzina tornò a vedere, togliendosi il Cappello dalla testa con dita tremanti.
La prima reazione fu di estraniamento, come se non ricordasse più come camminare. Registrò Lorcan e Lysander sulla destra che la applaudivano incoraggianti, ma li superò senza guardarli. Il tavolo di Corvonero era quello centrale sulla sinistra, e con gli occhi lo passò tutto, fino a trovare Adam. Alla sua destra sedeva un ragazzo cinese e alla sua sinistra una ragazza con gli occhiali e tipici capelli rosso Weasley. Sembrava quasi che ovunque si guardasse non si potesse fare a meno di vedere un Weasley. E non era forse un sogno che si avverava, avvicinarsi a lei?
La ragazza rossa si spostò perché si sedesse accanto ad Adam e poi si strinse di nuovo accanto a lei, con un sorriso esageratamente ampio. “Ciao! Ti chiami Hecuba, giusto? Io sono Molly Weasley, piacere di conoscerti e benvenuta a Corvonero! Adam ci dice che ti ha conosciuta sul treno, sono contenta che tu abbia già fatto amicizia con qualcuno. Per qualsiasi cosa, comunque, scoprirai che i nostri Prefetti sono persone molto professionali.”
“O almeno ci proviamo” ridacchiò il ragazzo cinese, chinando il capo e porgendole una mano. “Il mio nome è Tian Simmons, sono Prefetto di Corvonero a partire da quest’anno. Dovessi avere delle domande, sono a disposizione. E comunque… che bella collana.”
“Grazie” disse Hecuba, stingendogli la mano. Tian aveva le fossette. La ragazzina si rivolse ad Adam, che guardava un punto al di sopra della sua spalla sinistra con aria di sollievo.
“Ehi, Adam! Sono contenta che siamo compagni di Casa!”
“Ciao,” disse lui “fa piacere anche a me”
“Il Cappello mi ha detto che avrò bisogno di compagni saggi per prendermi meno sul serio. A te che ha detto, come mai Corvonero?”
Adam arrossì un po’. “Ha detto che sono scrupoloso e perfezionista.”
Un motivo banale, tutto sommato. Hecuba annuì, un po’ delusa. “Ah, perfetto. Tempo qualche anno e tutti ti chiameranno Adam il Saggio e il tuo compito sarà evitare di farmi diventare il prossimo Signore Oscuro, anzi, Signora Oscura.”
“Ti prendi così tanto sul serio?”
“No, direi di no, è tutta un’idea del Cappello.”
“Rosier, Roger”
“Corvonero!”
Un ragazzino dai capelli scuri e l’aria scioccata li raggiunse e li superò per andare a sedersi qualche posto più in là. Tian e Molly si presentarono e si complimentarono con lui, ripetendo le loro offerte di aiuto, qualora ne avesse avuto bisogno; lui annuì e ringraziò, ammettendo che non si aspettava di finire a Corvonero, quando tutta la sua famiglia era Serpeverde da generazioni.
“A mio padre prenderà un colpo… almeno non sono finito a Grifondoro!”
“Sackville, Francis.”
“Grifondoro!”
“Savage, Pierce.”
“Grifondoro!”
“Scamander, Lorcan.”
Hecuba tirò una gomitata ad Adam proprio in mezzo alle costole, forte abbastanza che lui dovette mordersi la lingua per non urlare. Non emise un suono, invece, portando gli occhi in direzione di Lorcan. Il loro amico salutò il Cappello ad alta voce prima di calarselo in testa e tutti scoppiarono a ridere.
“Tassorosso!”
Il ragazzino saltellò fino al tavolo di Tassorosso, guardandosi attorno con aria rapita e venne subito inghiottito dal mare di studenti giallo-nero che allungava braccia e mani, sorrideva e applaudiva forte.
Fu il turno di Lysander, non che qualcuno fosse in grado di distinguerli. Hecuba non voleva dire che si aspettava di vederlo seguire subito il fratello al tavolo di Tassorosso, ma sicuramente non aveva previsto che potesse essere smistato altrove. Provava già un po’ di amaro in bocca all’idea, ma c’era il vantaggio di non dover portare addosso quella collana ridicola per il resto della sera.
“Corvonero!” aveva decretato invece il Cappello, e Lysander si era unito a loro con un bel sorriso spontaneo, salutando con la mano Lorcan, seduto al tavolo di fianco.
“Sei finito in Corvonero!” esclamò Hecuba, quasi incredula.
“Beh… Sarà destino, credo. Io sono nella casa di mia mamma, Lorcan in quella di papà.”
“Benvenuto a Corvonero, Lysander. Ti ricordi di me? Ci siamo incontrati a casa di zio Harry, una volta, quando eravamo piccoli” disse Molly, sistemandosi gli occhiali sul naso coperto di lentiggini.
“Come no! Tua sorella come sta?”
“Lucy è stata smistata in Grifondoro, insieme a gran parte della famiglia. In effetti gli unici che non sono Grifondoro sono Lily, Tassorosso, e Louis, Corvonero, che è seduto in fondo insieme agli altri studenti del sesto anno, oltre a me. Ah, e chiaramente Roxy che verrà smistata tra poco, ma scommetto che finirà assieme a suo fratello Fred.”
Gli studenti rimasti erano quattro, tra cui naturalmente l’immancabile Roxanne Weasley, che venne smistata in Grifondoro nel momento esatto in cui il Cappello si posò sulla sua testa piena di treccine, con un vero e proprio boato e fischi da parte di tutti i suoi parenti. Il tavolo di Grifondoro si alzò in un moto collettivo per andarle incontro e inglobarla al suo interno e la McGranitt non fece che una piccola smorfia di disappunto che pareva persino forzata. In pochi istanti Roxy sedeva accanto a James Potter in persona ed Hecuba sentì un fiotto di gelosia sottopelle, che tacitò sul nascere mordendosi l’interno della guancia.
“Zabini, Basil” finì a Serpeverde e lo Smistamento finalmente finì. Hecuba sentì qualcuno degli studenti più anziani lamentarsi che fosse durato tanto a lungo. “Ho una fame incredibile” borbottò qualcuno.
La McGranitt prese la parola per ripetere i convenzionali “benvenuti” e “bentornati”; presentò poi una nuova aggiunta al corpo insegnati, Charles Ferlet, che avrebbe sostituito in qualità di professore di pozioni e Capo della Casa Tassorosso Reginald Moonshine, che a causa di problemi di salute non avrebbe potuto riprendere a insegnare per un po’ di tempo.
“Lo dicevo che mancava” sibilò Adam, sospettoso. Charles Ferlet sedeva nell’angolo di destra del tavolo dei professori ed era il giovane dal maglione improbabile. Quando si alzò ricevette un giro di applausi di cortesia, perlopiù provenienti dal tavolo di Tassorosso. Chinò il capo e si risedette, rifiutando di prendere la parola per aggiungere altro.
“Hai incontrato Moonshine?” chiese Tian con interesse.
“Sì, è v-venuto a spiegare ai miei genitori che sono un mago. Ha portato la mia lettera per Hogwarts.”
“Oh! E come ti è sembrato?”
Adam scrollò le spalle. “Un uomo normale. Gentile, anche. Mi ha guarito il braccio rotto con un incantesimo. Ho letto che suo fratello è un ricercatore importante della Società dei Pozionisti.”
“Ah sì, ma voci di corridoio dicono che è pazzo.” intervenne un ragazzo più grande, seduto di fronte a Tian. “Pensate che Moonshine, il nostro Moonshine, era la seconda scelta qui ad Hogwarts. Serviva un professore di Pozioni e la McGranitt voleva Regulus Moonshine per fare il direttore della Casa quando la Sprite è andata in pensione. Regulus ha rinunciato all’ultimo praticamente senza preavviso, e la McGranitt si è trovata ad assumere Reginald, il fratello minore.”
“Peccato, tutto sommato era un bravo professore. Ferlet sembra giovane, speriamo sia competente.” commentò Molly.
“Quella ragazza seduta accanto alla Carinatus sembra ancora più giovane!” rimbeccò Hecuba.
“Darian Price. Aspettate di vedere la sua prima lezione. Insegna Difesa contro le Arti Oscure. Adesso silenzio, la McGranitt sta parlando” rispose Tian, facendole l’occhiolino.
La McGranitt continuò con le raccomandazioni generali: tutti gli studenti erano tenuti a rispettare il coprifuoco e stare alla larga dalla Foresta Proibita (“Se è proibita perché qualcuno ci dovrebbe andare?” fu il commento di Hecuba), dopodiché diede inizio al banchetto, per la gioia di tutti.

 
Nda: al solito, grazie a tutti se leggerete, recensirete, aggiungerete a preferiti o seguiti o altro. Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Passate a trovarmi anche qui, sempre per la stessa storia. Uscirà il prima possibile anche in traduzione.

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Capitolo 5
*** IV ***


.IV.

 

Hecuba aveva sentito i racconti di suo padre sulla Sala comune di Grifondoro, accogliente e calda, sui toni del legno e del rosso scuro, con il caminetto sempre acceso e le poltrone… in particolar modo quelle poltrone se le era sempre immaginate occupate da dei giovani Harry Potter, Ron Weasley ed Hermione Granger, intenti a lavorare sul piano per salvare il mondo. Quasi si aspettava che facessero parte del pacchetto completo.
L’entrata della sala comune di Corvonero era al quinto piano, su per una rampa di scale a chiocciola. Il Prefetto Simmons aveva spiegato che i Corvonero sono gli unici a non avere una parola d’ordine per entrare, perché al suo posto c’è un indovinello cui solo uno studente degno della Casa Corvonero può dare risposta.
“Cosa sale sempre e non scende mai?” aveva chiesto il battente d’ottone a forma di uccello sulla porta, e Tian aveva risposto senza battere ciglio “L’età”, per poi spostarsi e far cenno agli altri di entrare. Hecuba sarebbe rimasta a pensarci per un buon quarto d’ora. Sperò di non trovarsi mai a dover tornare in Sala comune di corsa, da sola.
La Sala comune era di forma circolare con uno splendido soffitto a cupola affrescato a riprodurre un cielo stellato. Lo stesso motivo faceva da pavimento, dando l’impressione di essere sospesi in quel firmamento immobile, di essere parte di esso. La statua di marmo bianco di Rowena Corvonero si inseriva nell’ambiente come la più luminosa di quelle stelle, eterna e bellissima nella sua espressione austera. Dietro di essa, una nicchia nel muro rivelava un’intera biblioteca a disposizione degli studenti e, sul lato sinistro, la sala di lettura Genevieve Beckett, inaugurata cinque anni prima. Sul lato destro, una porta conduceva ai dormitori.
Hecuba si trovò subito affascinata dalla quantità di libri degli argomenti più disparati. C’era un’intera sezione dedicata alla musica, cosa che fece subito notare ad Adam, e un’altra dedicata alle biografie dei maghi famosi in cui figurava Newt Scamander, che fu sua premura mostrare a Lysander. Anche la biografia di Harry Potter si trovava lì e si disse che l’avrebbe sfogliata alla prima occasione.
I nuovi studenti di Corvonero erano in totale sette, quattro maschi e tre femmine. Tian Simmons e Claire Walker fecero gli onori di casa come Prefetti e strinsero la mano ad ognuno di loro. Fu poi il turno di Louis Weasley di presentarsi, accompagnato dai bisbigli eccitati delle sue fangirl e dei suoi fanboy.
“Il mio nome è Louis Weasley. Ho l’onore di essere stato scelto come Caposcuola. Spero che tutti quanti farete la vostra parte per tenere alto il buon nome della Casa Corvonero che, oggi più che mai, mi sento di rappresentare in prima persona. Per qualsiasi chiarimento rivolgetevi ai Prefetti Simmons e Walker e non abbiate paura di fare loro una domanda di troppo, sono qui per guidarvi in questa esperienza con i loro suggerimenti. Come diceva il Cappello, non c’è consiglio sbagliato che possa arrivare da un Corvonero. Vi auguro una buona permanenza.”

Porzia Berrycloth e Charlotte Noble, le altre Corvonero del primo anno, sembravano simpatiche. Porzia aveva i capelli corti e a lato dell’occhio sinistro aveva un neo piuttosto grande. Entrambi i suoi genitori erano membri del Wizengamot e, perciò, fin da piccola il suo sogno era stato fare carriera al Ministero. Charlotte aveva i capelli biondi e ricci e gli occhiali, era Mezzosangue e non aveva particolari ambizioni. Le piaceva leggere e si diceva già innamorata di Louis Weasley.
Tutte e tre fecero fatica ad addormentarsi e continuarono a chiacchierare fino a tardi, la voce poco più che un sussurro e la coperta rimboccata fin sul mento. Parlarono delle lezioni, della strana impressione che aveva fatto loro questo o quel professore, di quanto fosse attraente Louis e della fortuna che avevano a poterlo vedere tutti i giorni. Parlarono del Cappello, di come avesse detto a Porzia che aveva l’anima dell’avvocato e di come si fosse complimentato con Charlotte per la sua memoria fotografica. Hecuba, che un po’ si vergognava della motivazione che l’aveva portata lì, prese in prestito quella di Adam: “Ha detto che sono scrupolosa e perfezionista”.

+++

L’indomani, il tavolo di Corvonero, imbandito delle più varie pietanze per la colazione, prometteva una giornata che poteva essere soltanto buona. Hecuba si sedette di fronte a Tian, stringendosi tra Adam e Lysander, che sembravano aver legato parecchio nel corso della notte perché portavano identiche collane di tappi di Burrobirra. Era in leggero ritardo rispetto al suo programma della giornata, perché non aveva sentito la sveglia e quella stupida di Charlotte ne aveva approfittato per andare in bagno per prima. Avrebbe dovuto calcolare meglio i propri tempi domani, se voleva arrivare a colazione tra i primi e poter osservare l’ingresso trionfale di ogni singolo Weasley-Potter. Louis Weasley che, come avrebbe scoperto se non avesse fatto tardi, si muoveva sempre accompagnato da altri ragazzi del sesto e settimo anno, sedeva al capo opposto della tavolata e beveva un caffè.
Gli studenti del primo anno erano sparpagliati qua e là: Porzia e Charlotte, le traditrici, avevano trovato spazio a metà tavolo perché erano scese in anticipo di qualche minuto rispetto a lei e godevano di un’ottima vista sulle nuche di James e Albus Potter, al tavolo di Grifondoro, seduti proprio alla loro altezza; i due compagni di dormitorio di Adam erano seduti qualche posto più in là di Tian, tutti ancora un po’ timidi per allontanarsi troppo e cominciare una conversazione che non fosse tra loro. Fortuna voleva che gli studenti più grandi cercassero di incoraggiarli chiedendo loro come si stessero ambientando e quali materie avessero quella mattina. Presto giunsero persino i suggerimenti.
“Ah sì, dalla Carinatus vedi di arrivare almeno dieci minuti prima. Qualche volta inizia a spiegare in anticipo, sembra lo faccia apposta.”
“Sono Harriet, piacere. Sì, per colazione puoi chiedere qualsiasi variante se sei intollerante a qualcosa.”
A legare tutti gli studenti del primo anno era l’aspettativa della giornata, le lezioni tanto attese. Incantesimi e Trasfigurazione prima di pranzo, Pozioni, Difesa contro le Arti Oscure ed Erbologia nel pomeriggio. Hecuba non stava nella pelle. La posta del mattino le portò una lettera dei suoi genitori in cui si congratulavano per lo smistamento.
“Senti, Tian, ma noi ce l’abbiamo una squadra di Quidditch?” A parlare era stato un ragazzino dai capelli scuri e gli zigomi pronunciati, con sopracciglia tanto sottili che a prima vista sembrava che non ci fossero affatto. Era lui che aveva alle spalle una famiglia Serpeverde, ricordò Hecuba, il suo nome doveva essere Rosier, Roger Rosier. L'altro, ricciolino e più robusto, doveva essere Gregory Davies.
“Assolutamente sì. Ma non voglio mentirti, facciamo piuttosto pietà. Non c’è gara contro Grifondoro” disse Tian, con un mezzo sospiro.
“E non credi che allora potrebbero permettere anche agli studenti del primo anno di fare il provino per entrare in squadra? Io per esempio sono bravo a volare.”
“Ho paura che sarà difficile, Roger. Le regole non vietano agli studenti del primo anno di far parte della squadra, ma impediscono loro di possedere una scopa personale”
Roger si accigliò. “Ma Harry Potter è diventato Cercatore al suo primo anno, aveva una scopa tutta sua.”
“È stato un caso particolare. Non la acquistò personalmente. Aveva il consenso del suo Capocasa e –”
“Potremmo chiedere a Vitious, allora.”
“Roger, ho paura che non porterà a nulla. È pericoloso per uno studente del primo anno giocare in partite competitive.”
“Non cambia granché tra uno studente del primo anno e uno del secondo” insistette il ragazzino, con una logica assolutamente Corvonero “e mi risulta che James Potter sia stato reclutato in squadra senza neanche un provino al suo primo anno.”
Hecuba annuì. Avevano parlato anche i giornali dello straordinario talento di James Sirius Potter, cercatore di Grifondoro e futuro asso internazionale di Quidditch. Era semplicemente inarrestabile in cima a una scopa, sembrava nato per fare quello e in più aveva alle spalle la famiglia giusta, perché oltre a un cognome ingombrante aveva per madre Ginevra Weasley, che per un po’ aveva giocato professionalmente per le Hoyhead Harpies. James era praticamente destinato a entrare nella squadra di Grifondoro prima ancora di nascere.
Anche Tian lo sapeva bene, era una delle ingiustizie più esemplari di Hogwarts, un argomento che si riproponeva regolarmente ogni anno, quando qualche ragazzino esprimeva il desiderio di entrare in squadra. Lui stesso, quando ancora aspirava a diventare Cercatore come lo era stata sua madre, prima di scoprire che gli mancava il talento, aveva usato quella stessa obiezione contro il Prefetto di allora, Corner. Si mise addosso un sorriso di scuse, scosse il capo.
“Puoi provare ad andare a ricevimento dal professor Vitious.” concesse infine “dovesse dirti di no, farai il provino l’anno prossimo, come tutti.”
Roger parve soddisfatto della risposta.

+++

La prima lezione per i Corvonero del primo anno era Incantesimi con il professor Filius Vitious, Capocasa ed eroe di guerra, in co-presenza con i Tassorosso. Con delle premesse simili la giornata non poteva che essere buona. Hecuba stringeva contro il petto il libro di testo animata di un’esaltazione mai provata prima: avrebbe sicuramente fatto la migliore delle impressioni sul professore, a dargliene l’assicurazione era stata la ripassata veloce del primo capitolo fatta quella mattina, mentre le sue compagne si preparavano. Porzia non sembrava particolarmente brillante e Charlotte era troppo timida; perciò, spettava a lei portare a Corvonero l’onore dovuto e tutti i punti casa necessari a garantirlo.
Adam era rimasto impressionato dalla consegna della posta, dalle scale in movimento, dal fantasma della Dama Grigia che aveva loro rivolto un breve sorriso prima di sparire oltre un muro di pietra. Sembrava che potesse impressionarsi di qualsiasi cosa ed Hecuba cominciava a esserne innervosita. “Non avevi letto Storia di Hogwarts, versione aggiornata? Sì, i quadri si muovono, è un incantesimo. È risaputo.” gli aveva detto all’ennesima gomitata ricevuta nelle costole, stizzita.
Adam aveva fatto spallucce. Non si vedevano cose così tutti i giorni, a casa sua, ma non disse altro, neanche quando una studentessa lo superò accompagnata da un cane con due code. Ne capitavano, di cose strane.

Il corridoio del terzo piano era ingombro di studenti, ma quelli davanti alla porta dell’aula di incantesimi non erano poi molti. I Tassorosso erano otto, arrivati con qualche minuto di anticipo e, anche se stavano proprio davanti alla porta, nessuno aveva ancora avuto il coraggio di entrare. Fu Lorcan ad aprire la strada a tutti, uscendo dalle file giallo-nere per prendere il proprio gemello sottobraccio e infrangendo la barriera dell'imbarazzo come se nulla fosse, con tanto di orecchini pendenti dall'aspetto stravagante.
Uno alla volta, gli studenti scivolarono dentro, prendendo posto. Davanti a ognuno di loro si trovava una piccola piuma che faceva facilmente presagire quale sarebbe stato l’oggetto della loro prima lezione. Ad attirare l’attenzione di Hecuba e Adam, seduti in primo banco, sulla destra, era piuttosto il piccolissimo professore di incantesimi, in equilibrio su una pila di vecchi libri dalle copertine di colori accesi.
Doveva essere davvero vecchio eppure era ancora lì, parte rimanente di un corpo insegnanti che pian piano era stato tutto sostituito. Eccolo, il professore che aveva insegnato a nientemeno che Harry Potter.
“Benvenuti a tutti, studenti del primo anno! Il mio nome è Filius Vitious e sono il vostro professore di Incantesimi. Durante questo corso apprenderete le basi per magie che vi saranno utili quotidianamente: accendere una luce quando si è al buio, per esempio, o riparare qualcosa che si è rotto. È molto importante che vi esercitiate continuamente, perché questa è una materia che richiede esercizio oltre che studio teorico. Avete tutti il vostro libro?”
La classe assentì, mettendo in mostra il proprio Manuale degli Incantesimi vol. 1.
“Perfetto. La buona riuscita di un incantesimo dipende da due fattori, la pronuncia dell’incanto e il movimento della bacchetta. Il nostro metodo oggi e nelle lezioni a venire sarà imparare le due parti separatamente e poi provare ad applicarle entrambe. Prima quindi proveremo la pronuncia dell’incanto, senza muovere la bacchetta, e dopo il movimento. Chiaro? Vedete tutti le piume sul vostro banco? Qualcuno di voi sa dirmi qual è l’incantesimo che viene enunciato per primo da Miranda Goshawk nel vostro manuale?”
La mano di Hecuba scattò in aria con tanta energia da far quasi cadere la piuma che le stava davanti, ma lo stesso fecero quella di Charlotte Noble, Gregory Davies, Roger Rosier e due ragazzine di Tassorosso. Vitious interpellò Charlotte che rispose agilmente: “L’incantesimo di levitazione, signore” e guadagnò tre punti per Corvonero e un plauso da parte del suo Capocasa.
“Eccellente. L’incanto che dovrete pronunciare è Wingardium Leviosa. Provate a dirlo.”
E procedettero così per diversi minuti, per poi passare al movimento. Un ragazzino di Tassorosso fece inavvertitamente partire la propria piuma come se fosse un razzo e tutti scoppiarono a ridere.
La prima a realizzare in modo efficace il Wigardium Leviosa fu Veronica Hyde, Tassorosso, che guadagnò tre punti casa, seguita quasi immediatamente da Gregory ed Hecuba stessa, i cui sforzi valsero a Corvonero un punto ciascuno. Un po’ amareggiata per essere stata battuta sul tempo, Hecuba fece levitare la propria piuma fino al soffitto più e più volte, sempre più in alto di quella di Veronica Hyde, come a voler provare qualcosa.
Alla fine dell’ora tutti erano riusciti a far levitare la propria piuma almeno una volta tranne Adam, che restava a fissare la propria con sconforto. Hecuba gli mostrò di nuovo il movimento, lentamente, poi velocemente, ma per quanto il ragazzino provasse il risultato restava invariato. Pronunciava l'incanto correttamente, riproduceva il movimento alla perfezione, ma la sua piuma rimaneva immobile. Anche chi non era stato particolarmente preciso era riuscito almeno a emettere un leggero venticello che spostasse di un millimetro la piuma o ad ottenere comunque un qualche effetto concreto su di essa, ma quella di Adam sembrava inchiodata al suo banco come se fosse diventata di piombo, incapace di muoversi. La sua bacchetta, che gli conferiva poteri grandiosi, non era che un rametto qualsiasi.
Hecuba, per quanto avesse tentato disperatamente di aiutarlo, cominciava a sospettare che il suo compagno di classe fosse semplicemente un po’ tardo. Persino Lysander più interessato alla collana di tappi di bottiglie che alla lezione era riuscito nell’esercizio, gli altri ragazzi se ne erano accorti e cominciavano a sussurrare alle loro spalle. Colta da un ultimo, disperato sospetto, tentò di approcciare il problema da un lato diverso: “Adam, prova con la mia, di piuma. Vuoi?”
“Wingardium Leviosa!”
Ma anche quella piuma restò ferma e il fallimento di Adam fu ancora più evidente. Persino Vitious se ne accorse, questa volta. Con un incantesimo aveva fatto avanzare la pila di libri fino a portarsi proprio davanti al loro tavolo, dove richiese un altro tentativo. “Mmh. Movimento e pronuncia sono entrambi corretti. Sembra che ci sia un qualche problema legato all’emissione della magia, signor Farwell.”
Adam emise quello che sarebbe potuto passare per uno squittito. L’aspetto di Vitious era decisamente libresco, con capelli e barba bianchi, foltissimi, era quasi caricaturale. Trovarselo così vicino lo atterrì quasi, perché non se l’aspettava. Nemmeno i Goblin della Gringott, quando coi suoi genitori avevano cambiato la valuta babbana con quella magica, gli avevano fatto un’espressione tanto strana.
Con un colpo di bacchetta, uno dei libri della pila scivolò via da sotto i suoi piedi, facendo scendere Vitious di qualche centimetro. Galleggiò in aria per qualche istante e infine atterrò proprio di fronte ad Adam con un tonfo sommesso. La copertina era di un rosso vistoso, ma scolorita: era una vecchia edizione di In viaggio coi vampiri di Gilderoy Allock, con pagine ingiallite e mangiate dall’umidità.
“Provi a scagliare un qualsiasi incantesimo su questo libro, signor Farwell, non si preoccupi di rovinarlo. Potrà solo farmi un favore, non si può considerare vera letteratura.”
Adam aggrottò la fronte. Si concentrò con tutto se stesso sulla figura vestita di violetto sulla sinistra della copertina, che ammiccava in modo assolutamente inappropriato, poi sul vampiro dalle zanne scoperte che stava sulla destra. Chiamò la magia, immaginò di vedere la faccia della creatura corrodersi in una bruciatura di sigaretta... Le zanne del vampiro continuavano ad essere spade sguainate da cui gocciolava la bava. L’uomo vestito di viola continuava ad ammiccare.
Hecuba era immobilizzata dall’imbarazzo. Sentiva le ragazze Tassorosso ridacchiare commentando la scena e Gregory tentare inutilmente di incoraggiare Adam da qualche posto più in là. Vitious sembrava tranquillo, ma Adam cominciava ad agitarsi. Puntò la bacchetta direttamente al volto del personaggio vestito di viola che roteò gli occhi all’indietro per lo spavento e quasi svenne, appoggiandosi al bordo della copertina. Ancora nulla, mentre la punta della bacchetta avrebbe dovuto bruciare e l’uomo del libro si riscosse e scoppiò silenziosamente a ridere. Gli occhi di Adam si riempirono di lacrime di umiliazione ed Hecuba non poté fare a meno di distogliere lo sguardo.
“Oh, via via, non si preoccupi, signor Farwell, vedrà che troveremo una soluzione, sono cose che capitano.” disse Vitious, richiamando a sé il libro di Allock. “Qualche studente può trovare difficoltà con i primi incantesimi, si tratta solo di capire il metodo giusto di visualizzazione per lui e poi i problemi sono tutti risolti. Si fermi qualche minuto alla fine della lezione, così ne parliamo.”

Alla fine dell’ora, tutti gli studenti lasciarono la classe per dirigersi in direzione della prossima lezione, meno Adam che rimase indietro per qualche minuto e Roger che non aveva rinunciato al proposito di entrare nella squadra di Quidditch. Al primo Hecuba lanciò uno sguardo apprensivo, sentendosi costretta ad aspettarlo mentre con tutto il cuore avrebbe voluto correre via per essere sicura di non fare tardi alle due ore di Trasfigurazione coi Serpeverde. Porzia e Charlotte erano già andate avanti lanciandole un’occhiata che sembrava dire “Che aspetti? Dobbiamo andare”. Roger si guardò indietro con fare indeciso, poi controllò l’orologio e s’incamminò a propria volta, memore dell’avvertimento di quella mattina di uno studente più grande, dopo aver sospirato: “Mh. Glielo chiederò dopo, a questo punto…”
Alla fine, solo Lysander era rimasto ad aspettare con lei. Hecuba aspettava soltanto che si offrisse di aspettare da solo, invece il ragazzino era l’immagine della calma e dell’ingenuità. Schioccava la lingua a tempo di un motivetto allegro che con ogni probabilità stava componendo sul momento. Hecuba ne aveva avuto abbastanza quando lo zittì con uno schiaffone sul braccio per poter origliare al di là della porta ancora aperta, dove Vitious continuava a rassicurare Adam, stavolta chiamandolo per nome.
“Adam, dimmi una cosa: quando visualizzi il flusso di energia che cosa immagini di vedere? Luce, vento? Tenere a mente la visualizzazione può aiutare molto.”
“In che senso?”
“Potresti immaginare che la tua magia sia una leggera brezza che ti accarezza il braccio: il tuo obiettivo sarebbe dunque concentrare quel vento proprio sulla punta della bacchetta. O una luce flebile che acquisisce calore e intensità fino a bruciare. Puoi immaginare quello che preferisci.  Cerca di visualizzare un’immagine e di restare concentrato su di essa. Rallenta il respiro, fai fluire la tua energia assecondando quell’immagine. Vedrai che ti verrà più facile. Esercitati nei prossimi giorni e non esitare a venire da me per qualsiasi domanda. Non è una vergogna non riuscire a eseguire un incantesimo al primo tentativo.”
Adam ringraziò e raggiunse i suoi compagni. “Scusatemi. Eccomi.”
Hecuba mandò giù l’insulto già pronto sulla lingua. Il poveretto sembrava terribilmente abbattuto. Si sentì quasi in colpa ad aver solo pensato di abbandonarlo lì.
Tutti e tre arrivarono a lezione correndo, per scoprire di essere comunque in anticipo di qualche minuto. Hecuba scoprì che Drusilla le aveva riservato un posto accanto a sé. Per tutte e due le ore ascoltarono rapite la Capocasa di Serpeverde fornire loro spiegazioni dettagliate e assolutamente affascinanti dei principi magici legati alla trasfigurazione. La donna, leggiadra in ogni movimento e dalla voce musicale, sembrava uno splendido uccello esotico. Hecuba ringraziò gli dei di non trovarsi seduta accanto ad Adam, che per la seconda volta si rivelò incapace di fare alcunché.
“Qual è la sua difficoltà?” chiese Drusilla, onestamente stupita, osservando i tentativi di trasformare lo spillo in ago. Il cambiamento era minimo.
“Non ne ho idea. Vitious dice che sbaglia la visualizzazione della magia. La chiama così. Ma in realtà quando io lancio un incantesimo non penso a nulla, mi viene naturale.”
“Mhm, povero Adam.”
 


Nda: come al solito, rinnovo i ringraziamenti ai lettori silenziosi che seguono la storia e a coloro che lasciano una recensione o un commento qualsiasi perché mi incoraggiano a continuare questo viaggio lungo e periglioso. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Vorrei inaugurare da questo capitolo un gioco di associazione personaggio–attore/attrice/persona reale. Se vi viene in mente una faccia adatta a qualcuno dei personaggi, fatemi sapere! Non importa se alla fine sarà diversa da quella che ho immaginato io scrivendo, anzi, può diventare divertente discuterne. 
Inauguro il tutto con Louis Weasley, che per qualche ragione nella mia testa sembra una versione androgina di Jamie Campbell Bower. Mah, colpa di Stranger Things, ormai lo si vede dappertutto, pure nelle proprie fanfiction. 

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