Sign Of Wish

di LadyYuna94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il giorno tanto atteso ***
Capitolo 2: *** Il Rito di Passaggio ***
Capitolo 3: *** La Profezia ***
Capitolo 4: *** Baci Rubati ***
Capitolo 5: *** Antichi Rancori ***
Capitolo 6: *** Tristi Confessioni ***
Capitolo 7: *** Mosca ***
Capitolo 8: *** Terapia Intensiva ***
Capitolo 9: *** Misteri ***
Capitolo 10: *** ll Risveglio ***
Capitolo 11: *** Litigi ***
Capitolo 12: *** Il Monastero ***
Capitolo 13: *** Incubo di una Notte di fine Estate ***
Capitolo 14: *** Una Fiamma Oscura ***
Capitolo 15: *** Notti In Bianco ***
Capitolo 16: *** Danni Collaterali ***
Capitolo 17: *** Piovuta dal Cielo ***
Capitolo 18: *** Senza Coscienza ***
Capitolo 19: *** Buoni Propositi per Natale... ***
Capitolo 20: *** Regali Inaspettati ***
Capitolo 21: *** Patto alla Cenerentola ***
Capitolo 22: *** Quando viene Dicembre... ***
Capitolo 23: *** Ti ho trovato nell'Oscurità ***
Capitolo 24: *** Fidarsi ***
Capitolo 25: *** Come in un Déja-vu ***
Capitolo 26: *** Fuori da ogni Logica ***
Capitolo 27: *** Non Ho Più Paura ***
Capitolo 28: *** Firestones ***
Capitolo 29: *** Verità Svelate ***
Capitolo 30: *** Cuore di Ghiaccio ***
Capitolo 31: *** Perché è accaduto a me? ***
Capitolo 32: *** Prometti ***
Capitolo 33: *** Ave Caesar, Morituri Te Salutant ***
Capitolo 34: *** Colpi Devastanti ***
Capitolo 35: *** You fought my teeth, my claws with love... ***
Capitolo 36: *** Finché un Bey girerà in un'arena... ***
Capitolo 37: *** Sign Of Wish ***
Capitolo 38: *** Fuoco, Ghiaccio e Oro ***
Capitolo 39: *** Solstizio d'Estate ***
Capitolo 40: *** Un Nuovo Inizio ***



Capitolo 1
*** Il giorno tanto atteso ***


CAPITOLO 1:

- Lyn, sbrigati o faremo tardi!-
- D’accordo, mamma, sono pronta- urlò la ragazza dalla sua stanza, rimirandosi allo specchio.
Come sempre, aveva mentito. La giovane era ancora in pigiama davanti al suo specchio, a spazzolarsi i lunghi capelli neri con accortezza, quando sua madre spalancò la porta.
- Sono venuta a controllare di persona, perché non mi freghi più, sai?- disse Elena poggiandosi allo stipite della porta e incrociando le braccia al petto.
Nonostante sua figlia avesse trasgredito per l’ennesima volta ai suoi ordini, non poteva fare a meno di pensare a quanto somigliasse a lei nei comportamenti. Elena ricordava benissimo quanto tempo perdeva davanti allo specchio alla sua età, non che a trentotto anni non lo facesse più, ma il ricordo di Adele che la chiamava in continuazione dalle scale ce l’aveva ben impresso nella mente.
Quanto avrebbe voluto che anche Lyn avesse più ricordi della cara Adele, la cui improvvisa scomparsa quando la bambina aveva sei anni, aveva lasciato un vuoto immenso a villa Tornatore, ma soprattutto, nel cuore di Elena.
- Hey, siete ancora alle prese con spazzole e gingilli? Tra un’ora c’è il check-in- disse Rei passando in corridoio, mentre tentava di legare alla velocità della luce la sua lunga coda corvina.
- Senti chi parla- esclamarono in coro le donne
- Amore, è un capello bianco quello?- chiese Elena con ironia, Rei la guardò sgranando gli occhi
- Dove? Cosa? Non scherzare- disse agitato lui, correndo verso il primo specchio disponibile ed Elena ridacchiò con sua figlia, per poi sforzarsi di tornare seria di colpo.
- Hai un quarto d’ora, niente scuse- disse la donna, puntando l’indice con finta minaccia verso la giovane, prima di richiudere la porta e avanzare verso Rei.
- Ti prendevo in giro- cominciò lei, per poi scoccare un bacio sulle labbra al marito
- Sai che i miei capelli sono sacri- rispose lui
- Lo so, ma prima o poi dovrai abituartici, vai per i quarantasei...-
- Non ricordarmelo- commentò ironico.
Lyn, nel frattempo, non poteva più rimandare, doveva prepararsi in fretta se non voleva scatenare l’ira dei suoi genitori.
Del resto stavano per affrontare un lungo viaggio solo ed esclusivamente per lei.
Mentre si vestiva e controllava le ultime cose da mettere in valigia, il suono delle notifiche del suo smartphone, suono che conosceva alla perfezione poiché selezionato apposta per un gruppo Whatsapp, la distrasse nuovamente.
Makoto: chi è sveglio?
Lyn: io, oggi parto, dimenticato?
Judy: sto per andare a dormire, quindi siete pregati di non rompere le palle con queste notifiche, grazie. Rispettate la più anziana del gruppo.
Makoto: e dai, Judy, un po’ di vitalità, hai ventidue anni, cazzo!
Judy: senti, la sottoscritta mentre voi dormivate o giocavate alla Play, era al campus, poi a lezione di violino, poi a quella di tennis e infine ha dato anche una mano alla nonna e papà in laboratorio, coglioncello.
Makoto: che eleganza.
Lyn: non ditelo a me, sto per affrontare questo viaggio così lungo, andrò a conoscere i membri della Tribù di mio padre, a detta della mamma è gente parecchio strana…
Judy: auguri, non vorrei essere nei tuoi panni neanche per un migliaio di dollari.
Makoto: ma tu hai già un migliaio di dollari, quanto fattura il PPB all’anno? Milioni? Miliardi forse?
Judy: più di quello che il tuo cervellino di artropodo possa immaginare
David: e piantatela, sto cercando di studiare, porca puttana!
Makoto: signore e signori, ecco a voi l’uomo dell’ultimo minuto.
Judy: trasmettergli un metodo d’insegnamento non è servito a nulla, si riduce a studiare sempre l’ultimo giorno.
David: squadra che vince non si cambia, ha sempre funzionato. Lyn, in bocca al lupo per il tuo viaggio in Cina, tienici aggiornati!
Lyn: lo farò senz’altro, sperando di avere uno straccio di connessione. Stando ai racconti di papà, vivono in una condizione di assoluta semplicità. Mi immagino già a dormire su un cumulo di paglia questa notte, che palle.
Judy: oh no, portati dietro una tenda da campeggio, è sicuramente meglio.
Lyn: credo seguirò il tuo consiglio! Comunque, ora devo andare, vi aggiorno!
La giovane si truccò alla velocità della luce e tirò un sospiro di sollievo trionfante quando arrivò sull’uscio di casa nell’esatto momento in cui i suoi genitori stavano caricando sul taxi gli ultimi bagagli.
- Tesoro, hai Driger con te?- chiese Rei, carezzandole la testa
- Non me ne separo mai, papà, lo sai- rispose Lyn sorridendo
- Brava ragazza, ora andiamo, altrimenti rischiamo di perdere il volo-
Elena si scambiò un’occhiata con sua figlia abbastanza eloquente, prima di salire in auto e quando il viaggio proseguiva ormai da un po’ di minuti, Lyn guardava il paesaggio scorrere fuori dal finestrino persa nei suoi pensieri.
Era una bellissima giornata di sole a Roma e si chiese se anche in Cina il tempo sarebbe stato ugualmente bello e l’aria tiepida come quella a cui era abituata in Italia.
Rei era molto agitato da mesi ormai riguardo questo evento, agitazione che era riuscito a trasmettere persino a sua moglie e sua figlia, solitamente molto calme.
Sin dal giorno in cui Lyn era venuta al mondo, la Tribù della Tigre Bianca, pur non avendola mai davvero vista, l’aveva riconosciuta come legittima erede che sarebbe succeduta a Rei, in futuro. In virtù di questo, la giovane doveva rispettare tutte le tradizioni previste dalla piccola congrega da cui proveniva suo padre, una di queste era presentarsi al cospetto del Grande Saggio al compimento dei sedici anni.
Per gli abitanti del villaggio, il sedicesimo compleanno rappresentava una sorta di rito di passaggio tra l’età infantile e quella adulta, da quel momento in avanti potevi sposarti, avere figli e scegliere un’arma per proteggerti. Questo passaggio doveva essere sancito con una “chiacchierata” tra colui o colei che compiva gli anni e questa figura spirituale a cui tutti i membri della tribù guardavano come ad una specie di santone.
O almeno, era quello che sua madre era riuscita a capire, visto che Rei non era mai sceso per davvero nei dettagli e aveva evitato di fornire troppe informazioni perché sosteneva che Lyn dovesse viverlo in prima persona.
La prospettiva, però, di passare un paio di giorni in un posto isolato dal mondo, dove non conosceva nessuno e, soprattutto, aveva a stento l’acqua corrente a disposizione e un giaciglio per dormire, metteva la piccola di casa Kon assolutamente a disagio. Ma Rei ci teneva tantissimo e Lyn avrebbe fatto di tutto per suo padre.
La giovane nutriva una sorta di venerazione per i suoi genitori, non solo perché erano perfetti come mamma e papà, ma anche e soprattutto perché erano stati ed erano ancora dei grandi Beyblader come sperava di diventare lei, un giorno.
Da quando suo padre le aveva parlato dell’incontro con questo Saggio e le sue profezie, Lyn aveva riflettuto parecchio su cosa avesse potuto svelarle e se, soprattutto, i responsi le sarebbero piaciuti, dunque appuntò già una serie di domande da porgli, tra queste figurava quella sul suo futuro da blader e, soprattutto, l’amore.
A sedici anni era normale fantasticare sull’uomo dei sogni, sua madre glielo ripeteva spesso e la ragazzina non poteva fare a meno di pensare che lei era stata davvero fortunata. Insomma, suo papà era un figo da paura e le sue compagne di classe facevano gli occhi a cuore quando Rei passava a prenderla a scuola. Certo, neanche la sua mamma scherzava, anzi, stilista di mattina e allenatrice di Beyblade di pomeriggio e quando uscivano a cena, era un’icona di stile ed eleganza. Lyn era innamorata dei look di Elena e, come tutte le bambine del mondo, da piccola amava giocare con i vestiti e le scarpe della sua mamma. Da qualche tempo, addirittura, si scambiavano gli abiti come due sorelle.
La ragazza aveva preso il meglio da entrambi i genitori, il corpo e il portamento regale di Elena e i lineamenti particolari con i colori di Rei.
- Piccola, sei piuttosto silenziosa e non è da te, tutto ok?- le chiese Elena, quando arrivarono in aeroporto.
- Sto bene, mamma, pensavo solo a come sarà calarsi per qualche giorno in una realtà diversa da quella a cui sono abituata, tutto qui- si confidò la ragazza
- Rilassati, di certo non arrostiremo selvaggina su un ramo e staremo seduti intorno al fuoco. Tuo padre ricorda i tempi in cui la Tribù non aveva nessun contatto col mondo esterno, sono passati più di vent’anni dall’ultima volta che c’è stato anche lui- la rassicurò sua madre
- E tu che ne sai se non è peggiorata la situazione? Sai che non vivo senza le mie telefonate notturne con Judy e gli altri- Lyn si stava iniziando ad agitare ed Elena capì chiaramente che non era soltanto per la mancanza di comfort che si sarebbero trovate di fronte, al villaggio.
- Amore, lì ci sono tantissimi ragazzi della tua età, credo abbiano trovato il modo di entrare nel ventunesimo secolo- ironizzò la donna
- Sarà...-
- Coraggio, pensa a me che dovrò conoscere i vecchi amici di tuo padre che, con tutta probabilità mi odiano perché è colpa mia se Rei vive ormai a Roma da anni e, inoltre, dovrò rivedere la sua ex, con cui l’ultima volta me le sono date di brutto a Beyblade- disse Elena sbattendo le ciglia, riuscendo a strappare un sorriso a Lyn.
- D’accordo, sei messa peggio, confermo- rispose la ragazza
- Ecco, allora smettila di lamentarti e fila, su- le ordinò con un sorrisetto Elena
Lyn fece spallucce e sbuffando interiormente seguì i suoi genitori al gate.

Durante il volo Rei ed Elena ricordarono i primi momenti passati insieme su un aereo, la prima volta che avevano affrontato un lungo viaggio era stato quando erano andati a New York da Max a chiedergli di diventare un Guardiano.
- Sembra solo ieri e invece...- cominciò Elena nostalgica
- Sono passati diciassette anni, caspita- osservò Rei scuotendo la testa
- Tu, però, sei sempre la rompiballe di un tempo- disse l’uomo dagli occhi ambrati
- E tu il bisbetico che ha l’ansia di rivedere i vecchi amici, non sei cambiato di una virgola- ribatté sua moglie
- Hai solo qualche capello bianco in più, ma tutto sommato...- continuò Elena e a Rei sparì il sorriso
- Piantala con questa storia dei capelli bianchi, per essere uno sotto i cinquanta, me la cavo ancora abbastanza bene- disse fiero Re
- Confermo, tutte le mie amiche vogliono sapere quando divorziate così da farsi avanti con te, papà- si intromise divertita Lyn
- Visto?- resse il gioco lui
- Cosa? Pf, dì alle tue amiche che hanno perso in partenza, la tua mamma è ancora un osso duro e lui non ha occhi che per me, vero amore?- chiese la donna a suo marito che non poté fare a meno di trattenere una risata, quella melodia meravigliosa che dopo così tanti anni ancora riempiva il cuore ad Elena.
La stessa bellissima e contagiosa risata che aveva anche la loro adorata Lyn.
- Sì, ridete ridete, intanto anche i ragazzini agli allenamenti mi fanno i complimenti- si difese Elena e Rei sgranò gli occhi, smettendo di ridere per un attimo
- Devo farmici un giretto a questi allenamenti, voglio vedere che gente c’è e quanto si impegnano- disse Rei mettendosi a braccia conserte e cercando di mascherare la sua gelosia.
- Chiederemo la lista dei partecipanti allo zio Takao- concluse Lyn
Poi Rei ed Elena si scambiarono una delle loro occhiate profonde, una di quelle con cui comunicavano col pensiero e lei poi posò il capo sulla spalla di lui, che di tutta risposta, le diede un bacio tra i capelli.
Lyn sorrise teneramente a guardarli e sperò, ancora una volta, di trovare un amore speciale proprio come quello con cui era cresciuta come esempio e si chiese per un attimo se il Saggio fosse in grado di fornirle una risposta tanto elaborata quanto complicata su una cosa così incredibile come l’amore.
Sentì il cellulare squillare e il suo sorriso si allargò ulteriormente.
- Chi è?- non poté fare a meno di chiedere Elena vedendo l'espressione di sua figlia.
- Makoto, dice che ha già cominciato ad allenarsi per le qualificazioni ai campionati del mondo- disse Lyn, senza staccare gli occhi dallo schermo del telefono
- Tutto suo padre- commentò Rei
- Già, questo viaggio mi ha bloccata, altrimenti avrei cominciato anche io. Mi sembra passato un secolo da quando ho lanciato Driger l’ultima volta- disse Lyn
- Sono ai tuoi ordini, quando vuoi- rispose Elena
- Allenati con calma, Makoto è sotto pressione perché è il campione in carica, deve difendere il titolo e sa bene che gli darai molto più filo da torcere rispetto allo scorso anno- rispose sicuro Rei
Lyn e Makoto, il figlio maggiore di Takao, si erano scontrati alla finale degli ultimi campionati del mondo in Corea, l’anno precedente. Era stato un match emozionante, al meglio di tre e il primogenito di casa Kinomiya aveva tenuto alto l’onore della famiglia, vincendo il suo primo titolo mondiale in un campionato maggiore. Inoltre, Takao festeggiava il suo quinto anno come Presidente della BBA dopo la morte del Maestro Daitenji, quindi era stata una celebrazione in toto.
Lyn non ci stava, da quel giorno si era ripromessa di allenarsi molto più duramente in palestra con sua madre, che era stata designata come allenatrice ufficiale di Beyblade nella sede italiana dell’associazione.
Ma Elena Tornatore, era un discorso a parte.
Sua madre era una sorta di eroina di guerra, lei aveva riportato quello sport agli antichi splendori, la Prescelta che aveva sconfitto il Team delle Tenebre poco prima che lei nascesse. Elena pretendeva il meglio quando si trattava di Beyblade e Rei non era da meno ed era stata proprio questa costanza e questa caparbietà, trasmessa dai suoi genitori, a farla arrivare in finalissima.
Lyn giurò a sé stessa e a Makoto che al campionato successivo non avrebbe conquistato la vittoria tanto facilmente. E aveva tutta l’intenzione di mantenere quella promessa.


Salve a tutti! Sì, non ho resistito ho postato già il primo capitolo del sequel, di modo da trovarmi perfettamente a pubblicare una volta a settimana nel week-end e poi sono curiosissima di sapere se questa storia vi piacerà <3
Un bacione a tutti <3


 

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Capitolo 2
*** Il Rito di Passaggio ***


Capitolo 2:

Era ormai tramonto inoltrato quando Lyn, Rei ed Elena erano seduti su un’imbarcazione in legno massiccio che procedeva lentamente su di un fiume, la cui superficie chiara sembrava brillare sotto il caldo sole arancione.
L’aria aveva un odore particolare, come di legno di sandalo e lillà, e le carpe colorate che balzavano fuori dall’acqua di tanto in tanto non disturbavano per niente quella quiete magica in cui il villaggio della Tribù della Tigre Bianca sembrava essere avvolto.
Una parte dell’anima di Lyn si sentì a casa in quel posto, quella pace e quel silenzio a cui non era per niente abituata essendo cresciuta in una grande città, la fecero sentire di colpo come al sicuro. Rei si guardava intorno con le lacrime agli occhi, era tutto esattamente come lo ricordava, mentre Elena ovunque posasse lo sguardo meravigliato, faticava a realizzare che quel posto, così come suo marito gliel’aveva sempre descritto, esistesse per davvero.
- E’ proprio come nel dipinto...- mormorò Elena e Rei sorrise, pensando a quante volte sua moglie si era persa ad ammirare i dettagli del quadro che lui custodiva dapprima in casa sua a Piazza di Spagna e poi nel salone di villa Tornatore.
- Papà, è fantastico- disse Lyn, entusiasta
- Questa...- cominciò Rei quasi in un sussurro, prendendo la mano di sua figlia.
- E' anche un po’ casa tua-
Lyn annuì felice, continuando a guardarsi intorno, mentre la barca procedeva adagio verso una sponda ancora fuori mano.
- Qui venivo spesso a pescare e in fondo c’è una cascata, era il mio posto preferito per concentrarmi prima di un match, ci passavo ore sotto l’acqua- disse Rei, indicando un punto in particolare.
- Sotto la cascata, davvero?- chiese Lyn incredula
- Già- confermò Rei
- Non vedi quanto tempo perde nella doccia?- disse sarcastica Elena, facendo scoppiare a ridere tutti i presenti
L’uomo minuto, ma forte che trainava la barca disse qualcosa a Rei in cinese e lui annuì.
- Siamo arrivati- confermò l’uomo dalla lunga coda corvina
- Mamma, sei sicura di riuscire a capire proprio tutto?- si preoccupò Lyn, quando entrambe le donne erano scese dall’imbarcazione e si incamminavano su un piccolo pontile di legno.
- Tranquilla, dopo diciassette anni di matrimonio con un cinese credo di essere in grado di comunicare almeno il minimo sindacale- si affrettò a rispondere Elena, ma a sua figlia non sfuggì che quella era una risposta poco convinta.
- Credo che abbia imparato più papà da te, che tu da lui- confessò la giovane, mordicchiandosi il labbro
- Confermo, ma tuo padre al ristorante ha parecchi ragazzi romani e quindi l’ ”Aò te devi da move” di circostanza ogni tanto gli esce spontaneo- osservò Elena
Le due ridacchiarono di gusto.
Lyn, dal canto suo, parlava perfettamente la lingua. Sin da quando era piccolina, Rei ed Elena l’avevano educata alla comprensione e all’espressione di entrambi gli idiomi, dunque Lyn era in tutto e per tutto bilingue.
Nel mentre si addentravano e procedevano tra le modeste abitazioni del villaggio, parve molto strano alle ragazze che non ci fosse nessuno ad aspettarli all’ingresso, non che si aspettassero una torta e dei cotillons, ma un minimo di benvenuto a quello che doveva essere il Capotribù con la sua famiglia. Rei, invece, procedeva come al solito pacatamente verso quella che doveva essere la residenza della carica più alta del villaggio.
Probabilmente, pensò Lyn, non farsi vedere in giro era il modo consono per dare i propri omaggi al Capotribù.
- Eccoci arrivati- disse Rei trionfante, spalancando una pesante porta all'ingresso di quella che sembrava essere la residenza più spaziosa.
Madre e figlia tirarono un sospiro di sollievo nel trovarsi davanti una casetta molto carina e, soprattutto ben arredata, per quanto semplice.
- Beh, sicuramente non è il presepe che mi ero immaginata- mormorò Elena sollevata
- Sono d’accordo- proseguì Lyn guardandosi intorno
Le pareti di roccia erano dipinte con disegni e ideogrammi o ricoperte di antichi drappeggi sui quali troneggiava il simbolo della Tribù: la tigre. Lo spazio era ben organizzato, c’era un camino sull’angolo ovest nel quale era acceso un fuoco e di fianco un tavolo sul quale troneggiava un vassoio con una teiera e tre tazzine di finissima porcellana e con dei meravigliosi decori in oro. Sul lato nord, divisa da un separé in bambù, c’era la zona notte. Un letto matrimoniale con pellicce di animali e coperte color vermiglio da una parte e dall’altra un letto singolo, ma in egual modo preparato.
- Questo posticino è molto bello, devo dartene atto- disse Elena, mentre Rei la abbracciava da dietro, dandole un bacio nel collo capace di farle venire i brividi.
- Potresti abituartici- le sussurrò lui all’orecchio, la donna sorrise poi si girò per guardare negli occhi suo marito.
- No, preferisco il mio lettone con materasso in memory a Roma, ma ci hai provato, grazie dell'offerta- replicò lei sorridendo e Rei scuoté la testa, tirandola a sé e baciandola con passione, mentre Lyn dava un’occhiata al vassoio sul tavolo.
- Qui c’è un biglietto- interruppe i suoi genitori che si stavano lasciando decisamente andare più del dovuto.
- Cosa dice?- chiese Rei, mentre teneva ancora Elena stretta a sé e senza staccare gli occhi dai suoi.
- Il Capotribù ha il dovere di servire il thé alla sua famiglia reale- disse Lyn con un certo stupore
- Famiglia reale, che paroloni- commentò Elena
- Beh, lo siamo. Sareste rispettivamente regina e principessa, se fossimo in un “regno” più grande- disse Rei posando lo sguardo prima su sua figlia per poi tornare su sua moglie, lasciando entrambe di stucco.
- Regina, mi piace come suona… sai, forse potrei cambiare idea- disse Elena con una smorfia, mentre si avvicinavano al tavolo.
Lyn, intanto, era andata in avanscoperta nel resto della casa, quando i genitori l’avevano sentita emettere un grido di sorpresa.
- Non posso crederci!- disse stupita la ragazza, notando qualcosa sul letto matrimoniale
- Cos’altro c’è?- chiese Elena
- Guardate...-
Lyn apparve con un cheongsam appoggiato indosso. I suoi genitori rimasero senza parole nel vederla.
- Caspita, è bellissimo- disse Elena
- Vero? È un sogno, ho sempre desiderato averne uno- commentò la giovane al settimo cielo, facendo un giro su sé stessa.
Rei la guardava rapito, come fosse il diamante più raro e prezioso al mondo e, in effetti, per lui Lyn lo era davvero.
Si alzò e le andò accanto.
- Sai, il primo cheongsam lungo si regala al compimento dei sedici anni, qui lo indossano solo le donne adulte, quelle che contano nella nostra società e tu da oggi ne entri a far parte di diritto- disse Rei in tono quasi solenne ed Elena non poté trattenersi e versò qualche lacrima dinanzi a quella scena così dolce.
Lyn saltò in braccio a suo padre e lui la strinse forte chiudendo gli occhi.
- Ti voglio bene, papà, ti renderò orgoglioso di me, vedrai- disse Lyn facendosi cullare dalle braccia forti di Rei
- Già lo sono, piccola, già lo sono- sottolineò l’uomo con un sorrisetto.
La sua bambina, quel dolce scricciolo che l’aveva tenuto sveglio per notti intere anche dopo estenuanti serate al ristorante, quella piccoletta che aveva mosso i primi passi per casa e che lui aveva consolato dopo qualche capitombolo. Quella bimba a cui aveva letto le fiabe e raccontato le leggende sulla Tigre Bianca, la stessa a cui l’aveva affidata quando le aveva insegnato a tenere in mano un dispositivo di lancio e a combattere con Driger. Oggi, quella bambina era una giovane donna, pronta a spiccare il volo e a prendere in mano la sua vita. A Rei sembrava che il tempo fosse corso troppo in fretta da quando aveva preso per la prima volta in braccio sua figlia e aveva provato un amore che credeva impossibile e si ritrovò a pensare a quante volte non aveva capito il suo amico Max quando parlava di Judy.
Non poteva comprendere, non avrebbe mai potuto, fino a quel giorno di giugno di sedici anni prima.
- Buon compleanno, tesoro- le sussurrò lui all'orecchio
- Grazie, papà- rispose lei, tenendosi ancora stretta a lui
- Smettete di farmi piangere e prepariamo questo thé, se non vi dispiace- disse Elena, alleggerendo l’atmosfera che stava diventando decisamente troppo drammatica per una sensibile come lei.

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Il Gong fu cha, ovvero la cerimonia del thé, era una pratica che veniva presa molto seriamente dalla Tribù e, in generale, da tutta la Cina.
Nel villaggio da cui proveniva Rei, era compito del capo famiglia officiare questa importante cerimonia e, nel caso specifico del Capotribù, era quasi un obbligo nei confronti della consorte e degli eredi.
Non prevedeva una semplice preparazione come riscaldare dell’acqua e versarla in una teiera e poi nelle tazzine, ma c’era una predisposizione maniacale degli oggetti sul vassoio e i passaggi venivano eseguiti sempre con molta attenzione e cura dei dettagli.
Elena aveva visto Rei farlo al ristorante molte volte, ma lì la preparazione era molto più grossolana e veloce, visto che lo chef serviva il thé a tutti i commensali, come da sua abitudine da quando aveva inaugurato La Tana della Tigre Bianca, al contrario, in quella particolare circostanza Rei era decisamente concentrato e sua moglie non poté fare a meno di pensare che fosse estremamente sexy in quella data occasione, con il suo changpao bianco e blu con inserti dorati a giro manica e i capelli raccolti in una coda bassa su una spalla.
Nonostante fosse passato più di un decennio dal loro primo incontro, Elena aveva ancora le farfalle nello stomaco in presenza del suo Rei e più il tempo passava e più lo trovava bellissimo e affascinante. A volte riaffioravano quei brutti ricordi di quando si era rassegnata a vivere senza di lui, alla fine del Cammino e il sollievo che aveva provato quando l’aveva rivisto alle nozze di Takao e le venivano i brividi a credere che tutta quella gioia che aveva vissuto da quel momento in avanti le poteva essere negata.
Ogni volta, scacciava quei pensieri con tutte le sue forze.
Mentre sorseggiavano la calda bevanda in silenzio, Rei lanciò uno sguardo fuori dalla finestra posta sopra il camino.
- E’ buio, ormai, è quasi ora- sentenziò serio
- Va’ a prepararti- ordinò con dolcezza Elena a Lyn che eseguì annuendo. Si alzò, si inchinò ai suoi genitori come prevedeva l’etichetta in questi casi e andò a prepararsi.
Quando Lyn si guardò allo specchio prima di uscire dalla residenza, vide per la prima volta in vita sua una donna che le sorrideva nel riflesso e non una ragazzina.
I lunghi boccoli neri come la pece cadevano fino al fondoschiena, sembrando quasi petrolio. Gli occhi dorati erano stati abbelliti con una linea di kajal e del rimmel rendendoli ancora più profondi ed espressivi, mentre sulle labbra carnose un velo di rosso aveva dato il tocco finale, in tinta con l’abito che indossava chiuso fino al collo e con dei bellissimi ricami floreali nei toni del blu.
La giovane figlia di Rei ed Elena sembrava una dea.
- Lyn, sei pronta? È ora- disse Elena bussando leggermente sul separé in bambù e avanzando lentamente verso sua figlia che si girò nella sua direzione, in attesa dell’approvazione di sua madre.
La donna non riuscì a trattenere lo stupore, ancora una volta quel giorno.
- Sei perfetta- disse in un soffio, poi entrambe si guardarono allo specchio.
Elena accarezzò i soffici capelli di sua figlia e glieli sistemò su un lato.
- Tu sei perfetta, mammina- cercò di abbindolarla la ragazza, sentendosi di colpo terribilmente in imbarazzo.
- Quest’abito nero è fatto apposta per il tuo fisico, guardati- continuò Lyn, indicando l’abito con scollo a barca di sua madre, che la fasciava splendidamente.
- Non cercare di spostare l’attenzione su di me- disse dolce Elena, mentre continuava a fissare il riflesso di entrambe allo specchio. Nonostante Lyn fosse identica a Rei, c’era qualcosa nelle sue espressioni che era decisamente preso da sua madre.
- Questa è la tua serata, sei pronta?- la incoraggiò Elena e Lyn sospirò profondamente.
- Vorrei ci fossero Makoto, Judy e David qui con me- confessò la ragazza, girandosi a guardare sua madre, che sorrise.
- Invieremo loro dei video e gli faremo il resoconto della serata- la rassicurò la donna e Lyn l’abbraccio sollevata.
- Oh, grazie, speravo lo dicessi- disse in un sussurro la ragazza.
- Andiamo, tuo padre è già fuori che aspetta impaziente- si affrettò a dire Elena
- Non vogliamo far aspettare il Re, giusto?- disse Lyn con un sorrisetto e riuscì a far sorridere anche sua madre.
Rei si perse ad ammirare sua figlia mentre scendeva lentamente i gradini in pietra davanti la loro tenuta, poi le porse il braccio con un sorriso fiero.
- Principessa- disse Rei strizzandole l'occhio, quando Lyn si agganciò convinta al suo braccio
- Vostra Altezza- rispose di rimando la ragazza
Elena camminava qualche passo più indietro rispetto a sua figlia e suo marito e vedeva ondeggiare le loro chiome che quasi si muovevano indistintamente nel buio della notte. Procedevano verso un’altra grande residenza, la più grande insieme alla loro e il villaggio sembrava essere addormentato. Nessuno si era fatto vivo da quando erano arrivati e quell’atmosfera così calma e pacifica per un istante fece sentire Elena inquieta, quasi come se quel silenzio fosse innaturale.
Fuori da ogni casa era stata accesa una fiaccola e Rei aveva spiegato a Lyn che era il modo della Tribù di omaggiare il nuovo membro che si apprestava a farne parte. Solo poco prima di varcare la soglia della Casa del Saggio, Rei aveva raccontato a sua moglie e sua figlia che nessuno doveva essere in giro per il villaggio nelle ore precedenti ad un rito di passaggio, come se la Tribù non potesse vedere il nuovo membro mentre “attraversava” la fase infantile verso quella adulta.
- Avete tutte i capelli sciolti?- chiese Rei sottovoce e sua moglie e sua figlia annuirono, ricontrollanso velocemente.
Un’altra tradizione che avevano dovuto mantenere in quella circostanza era che di fronte al Saggio, tutti i membri della Tribù dovevano presentarsi con i lunghi capelli sciolti e privi di nodi. La chioma era un simbolo di forza e motivo di vanto per la Tribù e attraversare il rito di passaggio con i capelli annodati significava portarsi dietro i problemi dell’infanzia nell’età adulta.
- Coraggio, allora- invitò Rei e tutti e tre salirono i gradini.
Scostarono una grossa tenda di velluto e si udì subito il cambio di temperatura all’interno della Casa del Saggio.
Il caldo era quasi afoso, considerando la moltitudine di candele accese, e al centro di una stanza spoglia sedeva in ginocchio un uomo che poteva essere anziano quanto l’universo secondo Lyn, con un cappuccio appena calato sulla testa. Sembrava immobile, se non fosse stato per il respiro pesante, lo avrebbero scambiato senza dubbio per una statua.
Nonostante la sicurezza che Lyn aveva ostentato da quella mattina fino a quel momento, quella figura che sembrava immortale le incuteva terrore e rispetto allo stesso tempo, ma doveva mantenere autocontrollo, lei era la figlia del Capo, dopo tutto.

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Capitolo 3
*** La Profezia ***


Capitolo 3:

- Grande Saggio- disse Rei, inchinandosi con le mani giunte ed Elena e Lyn lo imitarono.
L’interlocutore alzò impercettibilmente il capo e le donne notarono che gli occhi erano vitrei. Elena si trattenne da fare qualche passo indietro, pensando di poter mancare di rispetto a quella figura così importante.
- Rei Kon- disse 
- Sei tornato- continuò il Saggio, con quel tono rauco tipico di chi è molto anziano.
Poi mosse il capo verso Elena e Lyn, anche se non poteva vederle, percepiva esattamente la loro presenza, anzi, la loro essenza.
- Elena Tornatore, la Prescelta che ha messo fine al regno della Morte- Elena si inchinò di nuovo
- Ti dobbiamo molto immagino… e lei, oh, la sua luce accecante è visibile a miglia di distanza- disse l’anziano, muovendo leggermente il capo verso Lyn.
- La bimba nata nel solstizio d’estate, oro e ghiaccio in un unico essere, la Tribù della Tigre Bianca ti onora e ti da il benvenuto, Lyn Kon- concluse il Saggio in tono solenne.
- Grazie, Grande Saggio- disse Lyn, inchinandosi nuovamente con le mani giunte, mascherando perfettamente l'incertezza.
- Vieni avanti, figlia- le dita ossute del veggente invitavano la giovane ad avanzare verso di lui.
Lyn guardò suo padre e sua madre prima di avvicinarsi e Rei annuì sicuro. La ragazza avanzò e si mise di fronte al Saggio, in ginocchio, con la testa bassa e questo allungò leggermente le mani verso di lei e la invitò a dargli le sue.
Un brivido di freddo percorse in un attimo la schiena di Lyn quando le sue mani entrarono in contatto con quelle tiepide e scheletriche dell’uomo e chiuse gli occhi scacciando la paura, mentre l’anziano sospirava pesantemente.
- Non temermi, bambina, so che hai paura di me, ma non posso farti nulla, al massimo, posso darti una mano- la rassicurò mentre stringeva debolmente le sue dita intorno alle mani della ragazza.
- Vedo che la Tigre Bianca ha scelto te per avere le sue reali fattezze umane- disse il vecchio, facendo sgranare gli occhi a Rei per lo stupore.
- Mostrami il tuo potere, figlia- le ordinò abbassando il tono di voce
Elena lanciò un’occhiata preoccupata a suo marito che la rassicurò con un cenno del capo.
Lyn liberò una mano e tirò fuori dalla tasca del suo abito Driger e giurò di vedere un sorriso dipingersi sul volto dell’anziano, anche se la cavità orale era completamente priva di dentatura.
- Dunque, futura Capotribù, cosa vieni a chiedere stanotte a questo tuo fedele servitore?- chiese il Saggio dopo un breve silenzio e, implicitamente aveva risposto già ad una delle domande di Lyn.
- Quindi, sarò Capotribù, un giorno- mormorò cauta Lyn, per avere una conferma.
- Questo è il tuo destino da quando sei venuta al mondo...- disse ovvio quello strano vecchino.
- Ma dipende da te, sarai in grado di assumerti le responsabilità e assolvere ai compiti di un Capotribù?- chiese piegando leggermente la testa di lato, come se la stesse guardando realmente negli occhi.
- Certo- disse Lyn, mostrandosi convinta
- Molto bene...- rispose lui
Il silenzio aleggiò per qualche secondo in quella stanza dall'afa insopporabile, poi Lyn pensò alle migliaia di domande che si era addirittura segnata su un foglio quando suo padre le aveva detto in cosa consisteva questo rito, ma in quel momento tutti quegli interrogativi sembravano sfuggire dalla sua mente, come granelli di sabbia dalle mani.
- Diventerò una blader professionista?- chiese Lyn, dopo essersi schiarita leggermente la gola
L’anziano emise uno strano suono, impossibile da decifrare.
- Combatti con la benedizione della nostra gente, le cui origini sono antichissime. Il tuo potere è smisurato- confermò il Saggio
- Ma usalo con cautela. La Tigre Bianca è una compagna fedele, non ti tradirà, ma se sentirà che avrai paura, non ti proteggerà- la mise in guardia
Lyn annuì piano
- O-ok, ho capito- si limitò a replicare
Ancora silenzio, si udì solo Elena sospirare pesantemente alle spalle di sua figlia.
Lyn pensò per svariati secondi se fare quella domanda o meno. Si sentiva tremendamente stupida e inadatta e credette che porre quel quesito a quella persona così importante per la Tribù fosse decisamente fuori luogo.
Al diavolo, pensò la giovane, non avrò un’altra occasione.
- Io… troverò l’anima gemella?- chiese lei in un soffio, questa volta stringendo lei pianissimo le dita intorno a quelle del Saggio.
Elena e Rei si guardarono stupiti, ma sotto sotto sapevano entrambi che Lyn avrebbe fatto quella domanda al veggente. L’anziano si lasciò sfuggire un gemito di soddisfazione, come se si aspettasse quel quesito dall’inizio dell’incontro.
- La tua anima gemella giace in un corpo perduto nel passato e rigenerato per un nuovo futuro…-
Lyn aggrottò la fronte, tentando di capire meglio le parole del Saggio, che le suonavano tanto come un enigma.
- In guardia dal suo gelido tocco siberiano, nasconde terrore, cattiveria e menzogne.-
La ragazza si stava decisamente iniziando ad agitare, ma qualcosa dentro di lei aveva sete di conoscenza riguardo quell’argomento. Il Saggio sembrava parlare di una qualche profezia.
Elena tentò di fare un passo verso sua figlia, ma Rei la bloccò tirandola piano per un braccio e scuotendo la testa.
- La sua mente è plagiata e la sua nera arma scintilla come una fiamma nel buio. Una fiamma distruttrice che ha sete di potere- continuò lui, stringendo sempre di più le mani di Lyn, la cui mente diceva di alzarsi e scappare via, ma il corpo e l’anima restavano ancorate a quel profeta.
- Rei, fallo smettere, basta- sibilò Elena in preda al panico a suo marito, vedendo che sua figlia si stava spaventando.
- Non posso- rispose Rei senza staccare gli occhi dalla scena davanti ai suoi occhi.
- Ricorda, figlia del solstizio d’estate, solo tu puoi vincere il gelo nel cuore di un’anima spenta e dimenticata- concluse il Saggio, poi si ritrasse con velocità da Lyn con un balzo all’indietro che spaventò non poco la ragazza e l’anziano riprese la posizione iniziale in cui l’avevano trovato. In ginocchio, col capo chino, come se d’improvviso si fosse addormentato e quella conversazione non ci fosse mai stata.
- Lyn, vieni, usciamo- disse frettolosamente Elena a sua figlia, prendendola per un braccio, quando si fu assicurata che il Saggio non avrebbe più proferito parola.
La ragazza aveva gli occhi sbarrati, la confusione dipinta sul volto e stava camminando per inerzia, trascinata da sua madre, tenendo ancora gli occhi fissi su quella figura avvolta nella penombra di quella residenza.
- Era questo che volevi? Spaventare nostra figlia?- disse Elena con malcelata alterazione nella voce a Rei, mentre si dirigevano fuori da quella stanza buia.
- Non pensavo potesse dire quelle cose- si giustificò Rei
- Andiamocene via, sapevo non sarebbe stata una buona idea venire qui- si sfogò la donna
- Mamma, sto bene- disse Lyn, riprendendo a respirare regolarmente
- Tesoro, non preoccuparti, adesso facciamo le valige e ce ne torniamo a Roma, tranquilla- la rassicurò sua madre
Ma quando scostarono la pesante tenda di velluto all’ingresso della Casa del Saggio, una folla osannante chiamava a gran voce Rei e Lyn e dava loro il bentornato a casa.
Rei sorrise incredulo, così come Lyn, mentre Elena sperò di aver scampato la festa di benvenuto e rimpianse per qualche istante la calma e la quiete che avevano avvolto il villaggio fin da quando vi avevano messo piede.
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Scendendo quei gradini, padre e figlia vennero praticamente assaltati dagli abitanti del villaggio.
Rei e Lyn sembravano essere parte di quel posto e di quel popolo da tutta la vita e, in effetti, era così. Elena, invece, iniziò a sentirsi decisamente fuori posto, quando ovunque posasse lo sguardo vedeva chiome nere lucenti ondeggiare al vento, scintillanti occhi dorati o verdi che sorridevano felici al Capotribù e canini appuntiti come i felini.
Sì, quello era decisamente il mondo di Rei e sua figlia, pensò la donna.
- Ne è passato di tempo!- una voce maschile attirò l’attenzione del Capo che trasalì mentre si girava in quella direzione.
- Lai!- esclamò Rei felice e poi due si abbracciarono in modo fraterno.
- Che bello vederti! Quanto è passato?- chiese Rei felice, dando sonore pacche sulle spalle al suo vecchio amico che, in altezza, non superava il mento dell'ex campione dei Bladebreakers.
- Vent’anni, mese più mese meno- rispose il più basso dei due, il cui viso, constatò Elena, ricordava quello di un leone.
- Elena, Lyn, voglio presentarvi Lai, uno dei miei più grandi amici- disse fiero Rei, invitando sua moglie e sua figlia ad avvicinarsi.
- Ah, la famosa Prescelta- disse Lai con una certa ammirazione nella voce, inchinandosi davanti ad Elena con le mani giunte. L’italiana era già pronta a stringere la mano all’amico d’infanzia di suo marito, ma aveva dimenticato per un attimo che lì avevano usanze decisamente diverse.
- Molto lieta- rispose Elena di rimando, stufa di ripetere ormai a tutti che il soprannome di Prescelta era passato di moda da tantissimo tempo.
- E Lyn, sapevo le avresti dato il nome di tua madre, Mao ci fantasticava in continuazione- rispose Lai in confidenza, rivolgendo lo sguardo prima a Lyn e poi a suo padre.
Elena e sua figlia si scambiarono un’occhiata complice e Lyn vide sua madre trattenere un sospiro.
La ragazza sapeva tutto delle vecchie fiamme del suo papà e di cui, purtroppo, a distanza di più di vent’anni, sua madre era ancora gelosa.
- Ti somiglia parecchio- disse Lai a Rei che annuì fiero
- Voglio presentarvi la mia famiglia, vedrai ti piaceranno, il mio primogenito ha due anni in più di Lyn- esordì entusiasta Lai, mentre si affrettava a recuperare i vari membri della sua famiglia.
- Capotribù, mie signore, vi presento mia moglie Lily e i miei tre figli maschi, Jin, Xiong e Wu- Lai sorrideva talmente tanto che Lyn giurò di riuscire a vedere i suoi molari.
La donna, che poteva avere qualche anno meno di Elena, con lunghissimi capelli neri intrecciati con dei fili dorati in una morbida acconciatura, fece una profonda riverenza. Il primogenito di Lai, la cui lunga coda era raccolta alta sopra la testa con un laccio di cuoio e gli occhi color bronzo scintillavano nel buio, si portò il pugno al petto e si inchinò con sguardo languido a Lyn, che in imbarazzo ricambiò il solenne saluto. Gli altri due ragazzini che potevano avere intorno ai dieci e dodici anni si limitarono ad abbassare il capo di fronte a Rei, per poi correre nuovamente via a giocare, sotto lo sguardo fiero del loro papà.
- Mia signora, quanto resterete?- chiese Lily, dopo essersi scambiata uno sguardo con suo marito che annuì debolmente.
- Oh, vi prego, chiamatemi Elena, non c’è bisogno di tutte queste formalità- rispose la donna dagli occhi neri
L’altra era confusa, guardò nuovamente suo marito e poi Rei, che sospirò con un sorrisetto.
Ad Elena non sfuggì quello scambio di sguardi che era avvenuto nel giro di pochi secondi e, sfoderando tutta la gentilezza e la buona educazione che possedeva, si inchinò dinanzi alla moglie di Lai.
​- Perdonatemi, Lily se in qualche modo vi ho recato offesa, ma vedete in Italia non siamo abituati a questi titoli nobiliari e le conseguenti cerimonie- cominciò la donna
- Eppure mi pareva di capire che lei discende da una famiglia molto prestigiosa- rispose Lai, quasi per avere conferma da Rei
- Prestigiosa sì, ma di certo non come quella del mio adorato marito- aggiunse Elena, guardando sorridente il suo uomo.
In quel momento si udì una musica meravigliosa provenire dal centro della piazza ed Elena tirò un sospiro di sollievo quando capì che l’apertura delle danze l’avrebbe salvata dall’ennesima figuraccia. Cominciava a sentirsi soffocare da tutte quelle moine, così si lasciò distrarre da un gruppo di ragazzi e ragazze sulla ventina che si erano riuniti in un angolo e avevano cominciato a suonare con diversi strumenti. Tutti i presenti si erano lanciati in danze in coppia e avevano invitato a ballare chi era rimasto da solo.
- Se il Capotribù me lo permette, vorrei invitare la Principessa a ballare- disse Jin, mettendosi sull’attenti davanti a Rei. Lyn guardò suo padre arrossendo violentemente e Rei si voltò nuovamente verso il ragazzo, con aria soddisfatta.
- La Principessa parla per sé, puoi chiederlo direttamente a lei- lo esortò il Capotribù con un sorrisetto.
- Ebbene, principessa Lyn, mi concede l’onore di questo ballo?- Lyn trattenne il fiato per un attimo e poi annuì, posando la sua mano dalle lunghe dita affusolate in quelle grosse e forti del figlio di Lai.
Quest’ultimo e Rei li guardavano avviarsi in mezzo agli altri con una certa aspettativa nascosta nello sguardo.
Elena vedeva sua figlia ridere e ballare, era stata accerchiata da altri ragazzi e ragazze e le avevano posato una corona di fiori sulla testa; la donna era molto fiera di lei e notava che non stonava affatto con quel contesto. Nonostante fosse nata e cresciuta in Italia, vedere Lyn ballare in mezzo alla sua gente, le dava come l’impressione di essere sempre stata lì.
La giovane non si era fatta bloccare dalla timidezza iniziale e si stava sciogliendo, cominciando davvero a credere che venire in Cina a conoscere le sue origini non era stata poi una così pessima idea. Rei si affiancò a sua moglie e le cinse le spalle con un braccio, mentre entrambi si godevano quella scena meravigliosa, la loro figlia che stava diventando grande. Ma prima che Rei potesse aprir bocca e dire qualcosa, un’altra voce maschile attirò nuovamente la sua attenzione.
- Eccoti, ti ho cercato ovunque!- rispetto a quella di Lai era molto più allegra e acuta.
- Rei, ti avrei riconosciuto tra mille!- continuò quello.
Un uomo alto e magro si era parato davanti a Rei ed Elena come fosse sbucato dal nulla, accompagnato da una folata di vento. Rispetto a tutti gli abitanti della Tribù, lui era diverso: i capelli erano biondi come il grano, gli occhi nascosti da una maschera dorata somigliavano a degli zaffiri, la pelle abbronzata e il sorriso smagliante non mostrava alcun canino appuntito. Elena per un attimo si sentì meno sola e tirò un sospiro di sollievo interiormente.
- Ciao, Mystel, è un piacere rivederti- disse Rei e sua moglie pensò che a fine serata gli avrebbero fatto male le mandibole a furia di sorridere a tutti.
- Il piacere è tutto mio, Capo- rispose l’altro, togliendosi la maschera e avanzando verso Elena, le prese dolcemente la mano e la baciò, stupendo decisamente la donna.
- Ho viaggiato in tutto il mondo, so che in Europa si usa fare così, signora Tornatore- disse ad Elena che, con un cenno del capo ricambiò il saluto, facendo caso al fatto che fosse la prima volta dopo tanto tempo che qualcuno si rivolgeva a lei con il suo cognome da nubile.
- Amore, lui è Mystel, per la Tribù è un po’ come il ministro degli esteri. Si occupa di mediare tra la nostra gente e il mondo esterno. Lo dobbiamo a lui se c’è stata apertura e cambiamento nel nostro villaggio- spiegò Rei a sua moglie.
- E i matrimoni misti- aggiunse Mystel con un sorrisetto e strizzando l'occhio al moro con aria di chi sa il fatto suo.
- Lui viene dal Medio Oriente, ma si è stabilito qui anni fa, ormai è parte della Tribù a tutti gli effetti, ci siamo incontrati poco prima che io mi trasferissi in Italia- concluse Rei
- A proposito, non credere di essere stato l’unico a sposare una forestiera, almeno nel mio caso lo è- disse Mystel, allontanandosi di qualche passo dal suo interlocutore
- Tesoro, vieni a rendere omaggio al Capotribù- disse Mystel voltandosi leggermente alle sue spalle per richiamare l'attenzione di qualcuno.
Una donna in stato interessante con al seguito due ragazzi, un maschio e una femmina e un bambino più piccolino, si avvicinavano a Rei ed Elena. Quest’ultima deglutì, non appena riconobbe chi le stava davanti.
- Rei, bentornato-
La voce era esattamente come la ricordava Elena, acuta e musicale.
- Come stai, Mao?- chiese gentile l’uomo dai capelli corvini
Lei poi si rivolse ad Elena, sospirando profondamente e sfoderando un sorriso quanto più amichevole possibile, che la donna si vide costretta a ricambiare facendo appello a tutte le sue forze e scacciando dalla mente il ricordo sgradevole della prima e ultima volta che si era trovata dinanzi a Mao. La sola immagine di Rei che le correva dietro nella piazza parigina le faceva ribollire il sangue da matti, ma doveva stare calma e adempiere al suo dovere di moglie del Capotribù, del resto, anche lei giocava in casa ormai e non aveva nulla da temere.
- Elena, ti trovo bene- iniziò Mao, spostando lo sguardo su di lei e offrendole il suo sorriso più amichevole.
La blader italiana sapeva benissimo, però, che quel sorriso era falsamente di circostanza. Era lo stesso di Parigi, una cosa che in quasi vent'anni non era mai cambiata.
- Grazie, anche tu… e ti sei data da fare vedo- commentò Elena, notando lo stuolo di ragazzini e l’evidente pancione della cinese.
- Ottavo mese, non vedo l’ora di conoscerla, un’altra femmina- aggiunse Mystel entusiasta, accarezzando il ventre della sua compagna
- Che meraviglia- disse Elena e il suo commento suonò del tutto sincero.
- Non ce li presenti?- si intromise Rei con un sorrisetto.
La maggiore, Sahara, attirò l’attenzione di Elena, era identica a suo padre tranne per i canini, marchio di fabbrica della Tribù e aveva la stessa età di Lyn.
- Per il suo rito di passaggio qualche mese fa c’è stata una festa molto più grande di questa- disse tagliente la donna dai capelli rosé, guardando di sottecchi Elena
- Mia figlia è già contenta così, è venuta per parlare con il Grande Saggio, la festa è stata del tutto inaspettata- ribatté l’allenatrice italiana di Bey
- E questi giovanotti?- intervenne Rei, cambiando argomento
- Jesse e Tian e a breve si aggiungerà Bianca alla nostra famiglia- concluse fiero Mystel
Mentre Mao stava per aprire bocca, arrivò Lyn come una furia, ridendo a crepapelle e appoggiando le braccia sulle spalle dei suoi genitori
- Papà, la Tribù è pazzesca e questa festa è fenomenale, grazie sei il migliore del mondo!- disse frettolosamente la ragazza, reggendosi la corona di fiori che le stava per cascare dalla testa, per poi stampare un bacio sulla guancia a Rei, prima di tornare alla festa.
- Lyn, fermati un attimo- la richiamò suo padre, cercando di mascherare il divertimento.
- Non vedi che ci sono degli ospiti che vogliono conoscerti?- disse l'uomo, porgendo una mano a sua figlia per invitarla a tornare da loro. La giovane si ricompose e si mise tra sua madre e suo padre, passando in rassegna con lo sguardo i presenti. Dal modo in cui sua madre si stava mordendo il labbro inferiore, Lyn capì subito che quella di fronte a lei che la scrutava per carpirne tutti i particolari doveva essere Mao.
- Buonasera- disse la ragazza, inchinandosi a quel modo che aveva ormai imparato alla perfezione. Le persone di fronte a lei fecero lo stesso.
- Una bellezza rara, i miei complimenti, la futura Capotribù è regale- osservò Mystel
- Vi ringrazio- rispose Lyn
- E’ un privilegio conoscerti, Lyn, sei la copia perfetta di tuo padre- disse Mao, inchinandosi quanto possibile dato il pancione ingombrante
- Grazie, è vero, ma anche la mia mamma ci ha messo del suo- rincarò la dose la giovane, facendo sorridere Elena
- In effetti è sorprendentemente così, un mix meraviglioso, perché vi siete fermati solo a lei? Il potenziale c’è- commentò Mystel trionfante ed Elena e Rei furono per un attimo in assoluto imbarazzo.
- Oh, beh, sai com’è la vita a Roma è molto diversa da quella del villaggio, io gestisco un ristorante di successo ed Elena è sia una stilista che un’allenatrice di Beyblade, non volevamo sacrificare altro tempo per Lyn- commentò serafico Rei
- Ma ti assicuro che io e mia moglie siamo ancora molto scatenati, ne avremmo fatti almeno dieci di figli- continuò Rei, stringendo Elena a sé e lanciandole uno sguardo languido e carico di desiderio, che lei ricambiò, aggiungendo anche un pizzicotto su una natica a suo marito, che sobbalzò lievemente mordendosi un labbro. Mao socchiuse leggermente gli occhi a quella scena, quando un gruppetto di ragazzi, compreso il figlio maggiore di Lai, venne a richiamare Lyn.
- Avanti, non ci si diverte senza di te, coraggio!-
- Se volete scusarmi- riuscì a dire Lyn mentre la trascinavano via, senza neanche darle il tempo di inchinarsi nuovamente per congedarsi.
- Sahara, tesoro, perché non vai anche tu a ballare, ci sono i tuoi cugini e i tuoi amici, mostra a tutti quanto sei brava- la esortò Mao, senza staccare gli occhi dai nuovi arrivati.
- Sì, con piacere. Mio signore, mia signora, vi auguro un buon proseguimento- disse la splendida primogenita di Mao e Mystel. Bellissima, quanto arrogante proprio come sua madre, notò Elena.
- Beh, perché non ci uniamo anche noi alle danze?- propose entusiasta Mystel
- Ti ringrazio, ma credo che Lyn si darà ai bagordi anche per noi, abbiamo affrontato un lungo viaggio e preferiamo andare a riposare- rispose Rei, prima che Elena potesse aprire bocca, per poi sospirare interiormente, profondamente grata a suo marito per aver avuto quell’idea.
Un altro minuto al cospetto di Mao, suo marito e l’ostentazione della famiglia perfetta e avrebbe sicuramente dato di stomaco.

SPAZIO AUTORE:
Salve a tutti! Ecco un nuovo capitolo di questo sequel. "Guard Me For Eternity" è stata la mia prima fanfiction scritta in età adulta e sono cresciuta insieme ai miei personaggi, qui però sono dovuta tornare per un attimo adolescente per entrare nella psiche della protagonista e... dell'altro personaggio che non è stato ancora introdotto (protagonista anche lui... non vi svelo nulla hihi), nonostante ciò mantenere la mia idea di trama e non cadere nel banale. La parte più difficile è stata poi far diventare definitivamente adulti Rei ed Elena e avevo paura che calarli nei panni di genitori di un'adolscente sarebbe risultata ardua come impresa, invece mi è piaciuto tantissimo farli "evolvere" in questa direzione.
Approfitto per presentarvi la famiglia Kon al completo *-* i personaggi a cui mi sono ispirata fisicamente per Elena, Rei e Lyn <3
​Grazie a tutti i lettori
 che spero possano diventare presto anche recensori <3
Un abbraccio <3
LadyYuna94

ELENA TORNATORE, LA NOSTRA PRESCELTA.

REI KON, IL NOSTRO ADORATO CHEF BLADER 

E, NON MENO IMPORTANTE, LA NOSTRA PROTAGONISTA LYN KON <3

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Capitolo 4
*** Baci Rubati ***


Capitolo 4:

Rei ed Elena si congedarono, salutarono un altro paio di amici di lui e poi si avviarono verso la loro residenza reale e via via che avanzavano, il clamore della festa si allontanava da loro, fino a non essere quasi più avvertito nei pressi delle abitazioni. Elena gettò un ultimo sguardo alla folla danzante, cercando di mascherare la preoccupazione per sua figlia, ma come al solito Rei le leggeva nel pensiero.
- Starà benone vedrai, è più al sicuro qui che alle feste a cui è abituata con Judy- disse Rei dando voce ai suoi pensieri con un sorrisetto sardonico ed Elena parve rassicurarsi.
In effetti lui aveva ragione, la maggiore dei Mizuhara era una vera e propria scapestrata e quando Lyn era in sua compagnia era decisamente molto più ribelle, assumendo il suo stesso atteggiamento.
Quando chiusero la porta di casa, Elena si avvicinò al camino e ravvivò il fuocherello e la luce delle fiamme rischiarò leggermente l’ambiente. La donna si tolse le scarpe e camminò a piedi scalzi verso la zona notte, dove suo marito che si era già liberato della parte superiore degli abiti, era seduto su una sponda del letto nel tentativo di legare i lunghi capelli.
- Lascia, ti aiuto io- propose la donna sedendosi alle sue spalle e raccogliendo i setosi capelli di lui.
- Non scherzavi affatto quando dicevi che per la Tribù sposarsi e fare figli è una cosa di vitale importanza- cominciò lei dopo qualche attimo di silenzio, ricordandosi di quando Rei le aveva parlato di com’era la vita al villaggio.
- Già e sono migliorati dall’ultima volta che sono stato qui, pensa che viaggiavano alla media di sei o sette figli almeno, probabilmente io ero un caso eccezionale essendo figlio unico- commentò lui, mentre sua moglie era intenta a chiudere la coda all’interno della stoffa.
- Grazie per non aver detto nulla davanti a Mao e Mystel- confessò Elena a suo marito che per un attimo sfuggì alla sua presa, liberando nuovamente la folta chioma corvina.
- Amore, non potrei mai dire qualcosa che ti ferisse. Mai. E soprattutto non davanti a Mao, so che sotto sotto la odi ancora- disse Rei con un sorrisetto e Elena, di tutta risposta, roteò gli occhi.
- Io non la odio, anzi sono molto felice per lei, è solo che ogni volta che sono in sua presenza mi agito, come quella volta a Parigi- si lamentò la donna
- Sì, ma allora io e te non stavamo ancora insieme e, soprattutto, eri una ragazzina- osservò Rei sottovoce, girandosi completamente verso sua moglie e avvicinandosi al suo viso, per poi darle un lungo e sensuale bacio sulle labbra.
- Lo so, ma già ero persa per te- confessò Elena con una smorfia, quando Rei liberò per un attimo le sue labbra, pur restando a pochissimi millimetri.
- E anche tu, se non vado errata- continuò la donna,, scoccandogli un'occhiata profonda.
Rei si limitò a sorridere ad occhi chiusi e poi fece sdraiare sua moglie sotto di sé, iniziando ad accarezzarle le cosce nude sotto l’abito nero indossato per la festa. Elena si perse a guardarlo, accarezzandogli i capelli. Quelle gemme dorate avevano ancora il potere di farla tremare dentro dopo tutti gli anni vissuti insieme.
- Pensi mai a come sarebbe stata la tua vita se fossi rimasto qui?- chiese Elena, mentre Rei le slacciava lentamente e sfacciatamente il vestito e prendeva a baciarle il collo con veemenza.
- Non più, da quando tu mi hai dato tutto quello che volevo- rispose lui in un sussurro all’orecchio che fece eccitare Elena ancora di più. Lei chiuse gli occhi e si godé la scia di baci che suo marito le stava lasciando sul corpo, via via che il vestito scivolava e sussultò quando Rei infilò una mano tra le sue gambe e cominciò ad esplorarla al centro della sua femminilità.
- Non parliamo più di Mao e dei miei amici che sfornano cuccioli come dei criceti, ti va?- disse ironico il moro, per poi prendere a succhiare avidamente un capezzolo di Elena liberato dalla coppa del reggiseno.
- Ci sto- mormorò lei, iniziando a sentire il piacere scorrerle per tutto il corpo.
Elena si mise seduta e spinse dolcemente suo marito contro quel giaciglio fatto di pellicce. Rei la guardava con gli occhi pieni di desiderio, mentre lei scivolava in basso liberando il membro turgido di lui dai morbidi pantaloni blu elettrico che indossava.
Elena prese ad accarezzare e succhiare prima la punta del pene e poi tutto il resto, accogliendolo completamente nella sua bocca, Rei chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un gemito di puro godimento.
​- Non ti fermare- ordinò lui a sua moglie con voce roca dall'eccitazione, mentre Elena aumentava il ritmo con cui gli stava dando piacere.
Nonostante fossero passati molti anni, il sesso tra loro era ancora focoso e passionale come la prima notte che avevano trascorso insieme, quella in cui Lyn era stata concepita, prima della battaglia contro Raul a Madrid.
Quando Elena sentì che lui era vicino all’apice si spostò, si liberò completamente dell’intimo e si mise a cavalcioni su Rei, facendosi penetrare completamente al primo colpo. Senza alcun indugio, la donna iniziò a muoversi a ritmo subito serrato, mentre entrambi ansimavano e godevano, quasi urlavano, tanto visto il baccano che stavano facendo alla festa nessuno li avrebbe sentiti.

Elena gettò indietro la testa e arrivò all'orgasmo violentemente, mentre Rei la teneva forte per i fianchi, riversandosi subito dopo dentro di lei.
- Avevi ragione, con questi presupposti avremmo messo su una squadra di calcio- disse ironica Elena, accoccolandosi accanto a suo marito, mentre entrambi riprendevano a respirare regolarmente. Rei di tutta risposta ridacchiò.
- A me bastate tu e Lyn, siete la cosa più bella della mia vita- disse Rei, accarezzando il viso di sua moglie.
- Ti amo, Rei- disse Elena, per poi dargli un dolce bacio sul petto, all’altezza del suo tatuaggio, prima di appoggiarvici con la guancia.
- Anche io, Elena- rispose lui e poi i due cercarono di addormentarsi.

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Lyn sentiva i piedi talmente indolenziti che nel tragitto piazza del villaggio-casa aveva deciso di camminare senza scarpe, godendosi la sensazione di sollievo data dell’erba e della pietra fredda sotto la pianta ad ogni passo.
Aveva perso la cognizione del tempo e quando notò che l’orologio sul display del suo cellulare segnava le quattro del mattino aveva sgranato gli occhi, recuperato le sue cose e fatto rotta verso casa. Le sembrava stano che i suoi genitori non le avessero ancora telefonato o, quantomeno scritto un messaggio, cosa che a Roma erano soliti fare quando era fuori con gli amici, in particolare con Judy e, soprattutto, non rientrava ad un’ora così tarda alla sua età.
Jin, il figlio di Lai con cui la giovane era stata in compagnia per tutta la serata, si era offerto di riaccompagnarla. Una ragazza così bella e, soprattutto figlia del Capo, doveva essere riportata a casa sana e salva, così aveva detto l’aitante ragazzo dagli occhi bronzati, così i due avevano approfittato di quel tragitto condiviso e avevano parlato un po’ conoscendosi meglio nel frattempo.
Lyn gli aveva raccontato che studiava al liceo scientifico, chiarendogli cosa fosse un liceo e soprattutto perché ogni scuola aveva un indirizzo preciso, per poi passare a raccontargli dei suoi hobby tra cui la cucina, il volontariato e, non meno importante, il Beyblade. Su quest’ultimo punto, i due si erano trovati assolutamente d’accordo e a proprio agio nel parlare, lanciandosi anche una breve sfida amichevole. Jin combatteva col Galion di suo padre, da subito sottomesso dalla potenza di Driger, a quel punto il figlio di Lai aveva confidato a Lyn di averlo ricevuto in dono solo un paio d’anni prima, in occasione del suo rito di passaggio, ma che da quando si era unito all’esercito e aveva iniziato l’addestramento, aveva avuto poco tempo per allenarsi col Bey. Lyn, dal canto suo lo aveva rassicurato, consigliandosi qualche esercizio da fare per migliorarsi, poiché il Beyblade era già molto potente di suo.
A pochi metri dalla tenuta reale, tra i due si era creato però uno strano silenzio imbarazzante.
Il fatto di aver ballato, riso, scherzato e giocato a Bey in mezzo a tutta quella gente li aveva messi fin troppo a loro agio, ma ora che erano soli, al buio, Lyn si sentiva fuori posto. Non era mai rimasta da sola con un ragazzo che non fosse Makoto o David e, loro due, erano come dei fratelli per lei, quindi non contavano.
- Allora, mi parlavi di questa cosa del volontariato, di cosa si tratta?- chiese Jin grattandosi la nuca, in evidente imbarazzo anche lui.
- Beh, a giorni alterni servo pasti caldi in una mensa per persone meno fortunate e poi, quando ne ho la possibilità, vado nei reparti oncologici in ospedale. Bambini e ragazzi che lottano ogni giorno contro un male che cresce dentro di loro e poche possibilità per sconfiggerlo, è una cosa che mi fa sentire terribilmente impotente- cominciò Lyn
- Donare loro un sorriso e qualche momento di spensieratezza, mi riempie il cuore di gioia, vorrei poter fare di più… è per questo che dopo la scuola, mi piacerebbe diventare medico o infermiera, insomma lavorare in un ospedale, salvare la vita alle persone, almeno questo è il piano, credo- disse la ragazza con un sorriso e scuotendo la testa data la leggera confusione che si era creata nella sua mente, rendendosi conto di star rivelando per la prima volta i suoi progetti e piani per il futuro ad una persona che non era figlio di Takao o Max.
- Tu sei veramente straordinaria- disse Jin meravigliato, lanciandole un sorriso capace di far sciogliere qualsiasi ragazza.
Dal modo in cui erano stati appiccicati tutta la serata e le occhiatacce che aveva ricevuto da qualche donzella del villaggio, Lyn capì subito che Jin, al momento era lo scapolo più ambito di tutta la Tribù della Tigre Bianca. Da quanto ne sapeva, in assenza di suo padre, Lai era il legittimo Capotribù ed erano più di vent’anni che faceva le veci di Rei, di conseguenza tutte miravano ad imparentarsi con i reali. Con l’arrivo di Lyn, per la prima volta in vita sua era stato Jin a corteggiare e non il contrario.
- Eccoci arrivati- disse la ragazza, sospirando profondamente
- Ti rivedrò, mia bellissima e dolce principessa?- chiese Jin sorridendo brevemente a Lyn, che dovette alzare la testa per guardarlo negli occhi, visto che era alto almeno un metro e novantacinque, più di venti centimetri rispetto a lei.
- Chi lo sa, ma meglio non darsi false speranze, che ne dici?- disse Lyn con una smorfia stringendosi nelle spalle e Jin si trovò ad annuire un po’ triste. I suoi occhi erano tremendamente espressivi.
- Sappiamo entrambi che io ho la mia vita in Italia, completamente diversa dalla tua qui- cominciò la piccola di casa Kon, soppesando le parole.
- A breve tu dovrai trovare una moglie e generare un erede, io sono ancora in alto mare con la scuola, gli amici e sono molto confusa sul mio futuro- disse sinceramente dispiaciuta la ragazza.
Non aveva mai scaricato nessuno fino a quel momento e, quando era partita quella mattina, la sua mente non era andata neanche lontanamente all’idea che avrebbe incontrato qualcuno di carino e si sarebbe vista costretta a rifiutare la sua corte per una serie di fattori logistici, primo su tutti la lontananza.
- Questo però non significa che io stasera non sia stata benissimo e non mi sia divertita da morire e questo grazie a te- ritrattò Lyn, vedendo la delusione dipingersi sul volto del suo accompagnatore, via via che chiariva le sue ragioni. L’ultima frase, però, aveva restituito un po’ di buonumore a quel ragazzone tanto forte, quanto gentile. Un vero cavaliere.
- Ho capito. Allora, buonanotte, Lyn- disse Jin, dondolandosi leggermente su entrambi i piedi, imbarazzato.
- Buonanotte, Jin- rispose sorridente lei.
I due rimasero per qualche secondo lì impalati, aspettandosi probabilmente l’una qualcosa dall’altro e viceversa. La figlia di Rei non sapeva esattamente come ci si salutava con dei nuovi amici lì al villaggio, quindi stava per optare per un semplice cenno con la mano e, quando proprio Lyn stava per girare i tacchi e andarsene, Jin la bloccò dolcemente per un braccio, l’attirò a sé annullando la distanza tra loro e la baciò.
La ragazza rimase per qualche secondo scioccata, con gli occhi sbarrati e incapace di muoversi, mentre vedeva lui con gli occhi chiusi e l’espressione beata insinuarsi con convinzione nella sua bocca. Superata l’iniziale sorpresa, Lyn si lasciò via via andare, nonostante non sapesse bene in che direzione mandare la lingua che sembrava giocare all’autoscontro con quella di lui.
Dopo essere passati quelli che parvero diversi secondi, Jin si staccò da Lyn che era diventata rossa come il suo abito, lui sembrava ancora più in imbarazzo e non sapendo per niente cosa dire, scappò via senza neanche salutarla, lasciando la giovane completamente di stucco.
Lei sospirò, toccandosi le labbra gonfie per quell'assalto con una smorfia di disappunto.
Aveva sempre immaginato il suo primo bacio come qualcosa di assolutamente magico e, tutto considerando, non era andata tanto male, eppure qualcosa era mancato. Jin era molto bello, quello era certo, ed erano stati vicini per tutta la durata della festa, dandosi la possibilità di proseguire oltre quella neonata conoscenza, anche se il discorso di Lyn aveva messo un freno deciso alle aspettative di lui. Incurante di ciò, Jin aveva voluto comunque suggellare quei bei momenti passati insieme con un bacio. Del post bacio, però, Lyn non se ne era mai curata. Avrebbe di certo dovuto chiedere qualche consiglio alla sua migliore amica Judy, che quanto a festini e ragazzi, se ne intendeva bene.
Mentre Lyn stava per salire finalmente i gradini di casa, ripensando a quanto appena accaduto, sentì qualcosa muoversi tra i cespugli poco lontani dalla sua porta.
- Jin, sei tu?- chiese a voce non molto alta, voltandosi di scatto.
Il rumore impercettibile continuò, ma sembrava non esserci nessuno nei paraggi, Lyn però aveva i sensi fin troppo sviluppati per credere che non fosse nulla, così infilò una mano nella sua tasca e tastò Driger.
S
e qualcuno aveva intenzione di farle del male, avrebbe dovuto vedersela con la Tigre Bianca prima.

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Capitolo 5
*** Antichi Rancori ***


Capitolo 5:

- Chi è là?- chiese Lyn, stavolta molto più circospetta
- Ti conviene stare lontana da mio cugino-
Una voce femminile che a stento riconobbe, sembrava provenire dall’alto. Lyn alzò lo sguardo e tra il fogliame degli alberi riuscì a scorgere una sagoma, qualche secondo dopo quella stessa figura con un balzo stava planando pericolosamente verso terra. Da quel ramo su cui era seduta fino al suolo dovevano essere almeno una trentina di metri, Lyn non poteva crederci, quella ragazza poteva volare.
Quando atterrò, la luce delle lanterne fuori dalla residenza dei Kon, le permise di mettere meglio a fuoco quel corpo che si muoveva leggiadro come il vento.
I capelli dorati e gli espressivi occhi color lapislazzuli stavano scrutando Lyn e ricordava che in tutto il villaggio quelle caratteristiche fisiche appartenevano a due sole persone.
Nonostante l’aspetto etereo della ragazza, Lyn poteva avvertire la sua ostilità a miglia di distanza.
- Tu devi essere Sahara, la figlia di Mystel e Mao, non ci hanno presentate per bene, mi pare. Io sono Lyn, la figlia di Rei ed Elena- disse lei, mostrandosi amichevole, ma mantenendo comunque alta la guardia.
- So bene chi sei e te lo ripeterò un’ultima volta, lascia stare Jin- la minacciò ancora la bionda, chiarendo perentoriamente la sua posizione.
La ragazza dai capelli neri, che quanto a temperamento era decisamente tutta Tornatore, non si lasciò intimorire da quegli avvertimenti.
- Altrimenti che fai?- ribatté Lyn con sguardo di sfida e di tutta risposta, Sahara rise.
- Credi di essere intoccabile solo perché sei la figlia del Capotribù? Per me non sei niente, qui non hai nessun potere- disse lei, mettendosi a braccia conserte e squadrando Lyn con aria di superiorità.
- Non hai il diritto di prenderti gioco di mio cugino- sibilò ancora inchiodandola con lo sguardo.
- Credo tu debba darti una calmata- la interruppe Lyn pacata e beccandosi uno sguardo allibito dalla sua interlocutrice, probabilmente poco abituata ad essere interrotta.
- Io e Jin non ci siamo promessi niente, è stato solo un bacio- cercò di convincerla la neo sedicenne con sicurezza, ma non sapeva effettivamente, considerando quanto fossero conservatori e retrogradi nel villaggio, che valenza potesse avere un bacio tra due persone in quel luogo.
- Bugiarda- l'attacco nuovamente la figlia di Mao
- Non permetterò che il nostro sangue si mischi al vostro- tuonò
- Chiedilo a tuo zio Lai, farebbe follie per avermi come nuora- replicò sarcastica Lyn, pensando che rispondere al fuoco col fuoco poteva essere la soluzione per rimettere la ragazza al proprio posto.
La giovane dagli occhi ambrati aveva deciso di stare al suo gioco e vedere quanto la sua padrona di casa riusciva a resistere alle provocazioni.
- Tu sei uno sbaglio- esordì Sahara scuotendo la testa, mentre un sorriso divertito si dipingeva sul suo viso mostrando una fila di denti bianchissimi che scintillava nell'oscurità.
- Cosa?- chiese interrogativa Lyn, poco sicura di aver colto quella frase così strana.
- Mia madre era la promessa sposa di tuo padre. Lei era la regina per diritto e io dovrei essere l’erede del Capotribù, non tu e la Tigre Bianca dovrebbe appartenere a me!- spiegò Sahara con un urlo pieno di rabbia, tanto da farla sembrare fuori di sé.
Lyn sbatté le palpebre più volte dinanzi a tanta immotivata rabbia e poi sorrise serafica.
- Deve esserti sfuggito un pezzo della storia, o tua madre te l’ha raccontata a modo suo, ma mio padre se n’è andato un anno prima del rito di passaggio di Mao, di conseguenza non poteva essere promessa a nessun uomo prima di allora, tanto meno al futuro Capotribù- cominciò Lyn che sembrava sapere il fatto suo.
- Mi dispiace, ma Elena Tornatore, la Prescelta, ovvero la mia bellissima e coraggiosissima madre, è l’unica vera regina per matrimonio- continuò con tono leggermente autorevole la figlia di Rei.
- Come vedi, sono molto informata sulle tradizioni e qui ho tutto il potere che io decido di avere- conclude la ragazza mettendosi anche lui a braccia conserte e passando a sua volta a velate minacce.
- Davvero? Vediamo se il mio Poseidon riuscirà a toglierti quel sorrisetto dalla faccia, stronza- disse Sahara digrignando i denti e nel mentre tirò fuori il suo Beyblade, sul cui bit chip troneggiava una spaventosa bestia acquatica.
Secondo le tradizioni della Tribù, che Rei stesso aveva rispettato, il primogenito riceveva in dono il Beyblade da suo padre, di conseguenza quello doveva essere senza dubbio di Mystel.
Lyn sorrise sicura e tirò fuori Driger mostrandolo alla sua avversaria. Alla vista della Tigre Bianca, Sahara sembrò vacillare per un attimo e un lampo di sorpresa e ammirazione passò nei suoi occhi azzurri.
Da membro della Tribù quale era, doveva conoscere alla perfezione tutte le leggende riguardanti la creatura sacra protettrice del villaggio.
- Non mi tiro mai indietro di fronte ad una sfida- rispose Lyn assottigliando lo sguardo e prendendo sempre più le sembianze di un felino pronto all'attacco.
Ma proprio mentre le due erano pronte a tirare il filo di caricamento e dare inizio a quella sfida che sarebbe stata senza esclusione di colpi, apparvero i rispettivi genitori interrompendo quella disputa sul nascere.
Mystel afferrò una delle torce appese fuori dalla loro abitazione, a pochi passi da quella del Capotribù e fece più luce. Il suo sguardo color del cielo passava interrogativo da Lyn a Sahara in un baleno, mentre Rei ed Elena erano praticamente in vestaglia e gli altri abitanti del piccolo villaggio svegliati dl baccano, si accalcavano attorno alle ragazze decisamente assonnati, ma curiosi.
- Che siete venuti a fare?- esclamarono in coro contrariate le due giovani donne, seccate dalla presenza delle loro famiglie.
- No, la domanda è un’altra, che cosa state facendo qui?- chiese Rei aggrottando le sopracciglia, capendo benissimo che intenzioni avessero le due.
Nonostante tutto, Mao a stento riusciva a nascondere il suo divertimento e la sua soddisfazione e quella espressione beffarda fece imbestialire Elena che la guardava da qualche secondo con la coda dell'occhio, proprio come diciassette anni prima a Parigi.
- Ti fa ridere, Mao?- chiese Elena nervosa, costringendo tutti i presenti a voltarsi verso la donna dai capelli rosati che a quel punto nascondere a stento una grassa risata.
- Sì, moltissimo, se permetti.- confessò ridacchiando.
- Mia figlia vuole semplicemente testare la forza di quella che dovrebbe essere l’erede della Tribù, non c’è niente di male- si difese lei con finta innocenza, facendo portare nuovamente gli occhi sulla moglie del Capotribù che si limitò a restare in silenzio a mordersi nervosamente il labbro inferiore.
- Papà!- Lyn si girò implorante verso Rei, sperando di poter spiegare a suo padre che cosa le aveva detto Sahara e che le desse a quel punto l'ok per la sfida.
Le prudevano le mani dalla voglia di lanciare il suo Driger
- Finché è così...- si intromise Mystel scrollando le spalle e volgendo lo sguardo a Rei, in attesa di un qualche permesso.
- Noi, come genitori di Sahara, non abbiamo nulla in contrario, a meno che...- incalzò Mao, lasciando volutamente la frase a metà e assumendo uno sguardo vago.
- Cosa vorresti insinuare?- riprese Rei guardando la sua ex ad occhi socchiusi.
- Se tua figlia si tira indietro di fronte ad una sfida lanciata in modo leale qui, davanti a tutta la Tribù, allora non è degna di essere riconosciuta come nostro futuro leader- proseguì con fermezza la donna carezzandosi il pancione pronunciato.
- Papà, lasciami combattere!- urlò Lyn, ma Rei la ignorò ancora scuotendo la testa.
- Coraggio, vediamo di cosa è capace la futura Capotribù- insistette Mao, pronta a caricare al massimo sua figlia, la quale aveva lo stesso sorrisetto sul viso, pronte entrambe a pregustarsi la vittoria.
- Tiro a indovinare, ti brucia ancora la sconfitta a Place de la Concorde? O ti brucia che non hai la corona sul capo e sei moglie di Rei?- la voce della Prescelta sovrastò nuovamente quel vociare che si era levato tra gli abitanti, facendo andare Mao su tutte le furie che la guardò gelida, ma erano anni che Elena voleva sbatterglielo in faccia e finalmente si era tolta quella piccola soddisfazione.
- Ma come ti permetti? Il mio Galux può farti ancora mangiare la polvere, sai?- disse Mao a mo’ di sfida
- Sul serio? Oh, Vulpilyon muore dalla voglia di buttarti di nuovo fuori da un ring- riprese Elena, avvicinandosi minacciosa alla donna dai capelli rosati.
Prima che le due potessero fare scintille come quasi vent’anni prima, i rispettivi consorti le frenarono parandosi davanti a loro, mentre le due si lanciavano ancora sguardi che producevano saette.
- Io l’ammazzo quella stronza, Rei, lasciami! Stavolta devi lasciarmi, la disintegro, non mi importa che è incinta...- Elena cercava di divincolarsi, mentre Rei la teneva stretta bloccandole le braccia, dall’altra parte anche Mystel cercava di calmare sua moglie. Le figlie le guardavano quasi con esasperazione, seccate che la scena fosse stata loro sottratta dalle loro esuberanti madri.
- Lascia fare a me- Rei rassicurò Elena, che si divincolò definitivamente, senza smettere di lanciare occhiatacce a Mao poco lontana.
- Ma papà...- tentò nuovamente Lyn, ma dallo sguardo severo che suo padre le lanciò, capì che doveva smettere all’istante di contraddirlo. Rei in quel momento non era il suo amorevole papà, ma il Capo e doveva prendere una decisione che mettesse fine a quella storia nel modo più pacifico possibile, sotto gli occhi di tutta la Tribù.
- Ero in cima alle scale da un po’ e ho avuto la possibilità di ascoltare tutta la conversazione- cominciò Rei, a voce alta, rivolgendosi a tutti i presenti e sorprendendo Lyn e la sua avversaria.
- Sahara ha minacciato mia figlia, la vostra futura Capotribù- continuò e in quel momento un mormorare si diffuse nuovamente tra tutti i presenti.
- Lyn stava per rientrare in casa, quando lei ha cominciato a vaneggiare riguardo false promesse di matrimonio e il diritto di avere la Tigre Bianca- sentenziò Rei, posando lo sguardo su Sahara e poi su sua madre stessa, che cercò di restare impassibile dinanzi a quelle parole. Mystel prese ad osservare entrambe le donne della sua famiglia con uno sguardo confuso, cercando tacitamente una qualche spiegazione. Poteva immaginare tutto, ma non che dietro quella sfida potesse esserci del rancore vecchio di decenni.
- Se non fosse ancora chiaro dopo tutto questo tempo, mi vedo costretto a ripeterlo pubblicamente- lo sguardo di Rei si bloccò definitivamente inchiodando quello della sua ex fidanzata.
- Mao Cheng non è mai stata la mia promessa sposa. L’unica donna a cui ho davvero dato il mio cuore, la mia mente, la mia anima e il mio corpo è Elena Tornatore, la Prescelta- disse Rei, guardando soddisfatto sua moglie che sorrise emozionata. Rei era l’unico a cui era ancora concesso chiamarla con quel soprannome e ad Elena non dispiaceva affatto.
- E nostra figlia, Lyn Kon, sarà la vostra unica e vera leader, quando io non ci sarò più- concluse l’uomo passando in rassegna i volti di tutte le persone lì presenti, le quali annuivano convinte, trovandosi realmente d’accordo con le parole di Rei.
- Adesso, tutti voi qui conoscete bene la pena per chi minaccia un membro della famiglia reale: l’esilio- sentenziò Rei, mentre i suoi lunghi capelli venivano scossi da una leggera brezza notturna.
- Rei, non vorrai davvero...- la voce preoccupata di Lai sovrastò quella di tutta la folla, ma la mano destra del Capo che si stese davanti a lui lo costrinse a bloccarsi.
- Lai, ti prego- lo interruppe Rei, guardandolo con una certa durezza, mentre Lyn guardava Elena sconvolta. Suo padre era la persona più buona del mondo, non riusciva a figurarselo severo e capace di tanta freddezza.
Avrebbe accettato volentieri una sfida a Beyblade, ma non avrebbe mai permesso che una ragazza della sua età, per di più plagiata dal rancore che sua madre provava nei confronti della sua famiglia, patisse una pena tanto severa.
- Mamma, per favore, fermalo. Non voglio- si lamentò Lyn, chiedendo aiuto a sua madre che le cinse le spalle con un braccio.
- Tesoro, non posso fare nulla- rispose impotente sua madre, scuotendo la testa
- Tuttavia...- riprese Rei, rilassandosi impercettibilmente
- Prendo atto del fatto che Sahara è una ragazzina, nata e cresciuta in questa Tribù, figlia del nostro popolo...-
Lyn tirò un sospiro di sollievo, mentre Elena continuava a tenerla stretta a sé.
- Mi rivolgo dunque ai suoi genitori, persone coscienziose che conosco da tanto tempo- lo sguardo dorato di Rei si spostò su Mystel e Mao.
- Per questa volta farò finta che non sia successo niente, ma semmai dovessimo tornare qui, non voglio sentire nulla di negativo su mia figlia e sul suo diritto di possedere il Bit Power della Tigre Bianca. Lyn é la Tigre Bianca e chiedete al Grande Saggio se non avete il coraggio di credere a me, il vostro Capotribù- concluse Rei, mentre il vociare del popolo si levava in un grido d’assenso, definitivamente in accordo con lui.
- Potete tornare a dormire, ora- ordinò Rei, facendo un cenno col capo. Tutti si inchinarono e quella sorta di tribunale improvvisato si sciolse con la stessa velocità con cui si era radunato.
Mystel e Lai furono gli unici a restare e aspettarono che restassero soli per avvicinarsi a Rei.
- Rei, non so come ringraziarti, io...- cominciò Mystel e la sua espressione allegra, quella che Elena aveva visto durante tutta la serata alla festa, era sparita lasciando spazio ad una sollevata, ma comunque ansiosa.
- Non l’ho fatto per te, Mystel. L’ho fatto perché è così che un Capotribù deve comportarsi- il biondo si zittì all’istante alle parole di Rei.
- Giustizia e verità, questi sono i valori che la nostra gente deve ricordare. Vorrei che lo facesse anche tua moglie e di conseguenza tua figlia. Tu sapevi bene come stavano le cose- disse Rei, spostando gli occhi su Lai che annuì sicuro.
- Non accadrà mai più, hai la mia parola, sarò io ad occuparmene- lo rassicurò Mystel
- Bene, ora se volete scusarmi, me ne torno a letto- Rei si congedò e rientrò in casa e quando fu solo con la sua famiglia tirò un lungo sospiro di sollievo.
- Papà, sembravi il Presidente di una nazione, una forza, per un attimo però mi sono spaventata- disse Lyn, saltandogli al collo
- Dici? Una parte di me avrebbe voluto vederti sfidare Sahara, ma come Capo dovevo garantire la risoluzione del problema, soddisfacendo entrambe le parti- chiarì Rei, per poi dare un bacio sulla fronte a sua figlia.
- Ora però fila a letto, signorina, hai violato il coprifuoco di almeno sei ore- continuò lui, facendo il finto arrabbiato
- Hai ragione, colpa mia, buonanotte papà, buonanotte mamma- Lyn se ne andò a letto quasi a passo di danza, mentre sua madre la osservava felice, scuotendo la testa.
- Ricordo quanto fosse tutto bello alla sua età, persino le diatribe a Bey- disse Elena
- Beh, ma quando avevi la sua età, non mi conoscevi…- cominciò Rei, staccandosi dallo stipite della porta e avvicinandosi lentamente a sua moglie. Elena si perse ad ammirare il corpo seminudo di suo marito, gli addominali definiti e i pettorali scolpiti che apparivano da sotto la sottile stoffa della vestaglia in seta la mandarono subito in visibilio. Non si sarebbe stancata di quella visione nemmeno dopo un millennio.
- Tecnicamente ti conoscevo da anni, dalla sfida al Colosseo, ma non mi ricordavo di te, che strano...- disse Elena in tono mellifluo, mentre col dito percorreva i contorni del tatuaggio di Rei. Lui poggiò le braccia al muro come a voler intrappolare sua moglie e i loro sguardi si incrociarono.
- Vuoi fare un altro giro con la Tigre?- chiese Rei, in un quasi silenzioso invito plateale ad Elena, che sorrise.
- Sei insaziabile, mio Re- disse Elena, mantenendo un tono di voce decisamente sensuale
- Non sai quanto- Rei prese in braccio Elena e la portò a letto, dove i due si lasciarono andare ad un altro intenso momento di pura passione.

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- Una bella gatta da pelare...-
- Credimi, non ho mai provato tanta stizza in vita mia-
Lyn aveva preso il suo I-Pad dalla scrivania e lo stava portando in cucina con sé, mentre nello schermo Judy Mizuhara aveva gli occhi azzurri provati da una giornata intera di lezioni al college e di stage al PPB; la massa di capelli ricci e biondi veniva contenuta a stento da un mollettone, mentre consumava la sua cena improvvisata fatta di latte e cereali in videochiamata con Lyn.
- Quella… quella...- Lyn emise un grugnito di rabbia e frustrazione
- Troia. Si può dire, sai?- ironizzò ovvia Judy, mentre addentava un’altra cucchiaiata di cereali.
- Lo so, spero di non vederla mai più- disse Lyn, attorcigliandosi nervosamente una ciocca di capelli intorno ad un dito.
- Honey, non credo tornerai più in quel buco del culo del mondo, è stata una bella festa, ti sei divertita, hai rimorchiato, amen- concluse la figlia di Max e Judy che quanto a battute taglienti e sarcastiche era uguale ad Emily, mentre nell’aspetto e nella voglia di vivere e divertirsi era decisamente identica a suo padre, o meglio a sua nonna da giovane.
Le due erano legatissime, fin da quando erano bambine e nonostante gli anni di differenza, Lyn considerava Judy praticamente come sua sorella maggiore, infatti da qualche anno a quella parte le due avevano questa specie di rituale il quale prevedeva che una volta a settimana si collegassero ad un orario prestabilito per chiacchierare in video, fregandosene altamente del fuso orario.
- A proposito di rimorchiare, voglio sapere di più su questo Jin e, soprattutto, com’è stato il tuo primo bacio?- chiese Judy con una nota di malizia nella voce.
- Decisamente troppo umido- sentenziò Lyn arricciando leggermente le labbra, ricordando la sensazione che aveva provato nel baciare il figlio di Lai.
Ancora a distanza di una settimana ci pensava e sentiva che qualcosa era stato decisamente sbagliato in quel gesto.
- Si vede che il tipo è un po’ selvaggio e non ci sa fare, ma meglio così che uno con le labbra screpolate, ho provato l’esperienza, che orrore- Judy si strinse nelle spalle, mentre una smorfia di disgusto si dipingeva sul suo viso.
- Hey, non dimenticare che mio padre è cresciuto lì e lui non è per niente un selvaggio- la redarguì con un sorriso Lyn
- Lo zio Rei è un mondo a parte, lui se n’è andato da quel puntino sulla mappa geografica che aveva qualche anno meno di te, era un bambino. Alla tua età era già impegnato a vincere gare e tornei a destra e manca con mio padre e gli altri- disse Judy, prendendo il cellulare e portandoselo in bagno per lavarsi il viso e i denti, preparandosi per andare a letto.
- A proposito degli altri, Makoto non risponde ai miei messaggi da quando ho raccontato della festa in Cina nel gruppo chat- disse Lyn meditabonda, prendendo ad imitare la sua migliore amica, afferrando lo spazzolino.
- Makoto è in piena crisi di gelosia- rispose Judy ovvia, per poi sputare il dentifricio nel lavabo.
- Non dirai sul serio- rispose Lyn un po' colpevole
- Avanti, questa cotta pensavo gli fosse passata ormai da qualche anno- continuò Lyn poco convinta, reggendo lo spazzolino tra i denti e sperando che Judy riuscisse a decifrare le sue parole.
- Pensavi tu, ma sappiamo entrambe che non corrisponde a verità- Judy chiuse il rubinetto e si asciugò la bocca.
- Ti ha detto qualcosa, dì la verità- incalzò Lyn, per poi sputare a sua volta il dentifricio in eccesso.
- Non si confida con me, lo sai, se lo fa, lo fa con David- disse ovvia la bionda.
- D’accordo, però tu cerca di scoprire se realmente ce l’ha con me, non vorrei rovinarmi la vacanza, manca poco al vostro arrivo- rispose di rimando Lyn
- Rilassati, lo sai che Makoto non riesce a stare senza di te e senza di noi. Siamo un po’ la sua ragione di vita, dopo Dragoon e il titolo di campione, ovviamente- rispose sarcastica Judy mentre si trascinava il cellulare a letto con sé e accendeva l’abat jour sul comodino, come faceva sempre prima di mettersi a dormire, riuscendo a strappare una risatina a Lyn.
Mentre erano ancora in collegamento, a quest’ultima arrivò una e-mail piuttosto importante.
- Chi è?- chiese Judy curiosa, vedendo che l’attenzione della sua amica venne completamente catalizzata da quella notifica.
- Magari è il tuo selvaggio spasimante cinese, ammesso che sappia cosa sia una e-mail e come si spedisce.“Oh sì, ti prego, Jin, ho troppa voglia di vederti e di scambiarmi ancora la saliva con te...”- Judy cominciava a prendere in giro la piccola Lyn, come faceva sempre in questi casi.
- Tu viaggi troppo con la fantasia, comunque è l’organizzazione di volontariato per gli ospedali di cui faccio parte- disse Lyn distrattamente, mentre continuava a leggere le righe di quella e-mail, che sembrava attendere con ansia da un po'.
- Che dice?- chiese la bionda, quando ebbe concluso il suo siparietto fantasioso con protagonisti Jin e Lyn.
- Non posso crederci!- Lyn era su di giri, tanto da spostare l'I-pad con forza
- Cosa?- ritentò la ventiduenne americana
- Ci hanno chiamati per un ospedale a Mosca, hanno chiesto proprio della nostra associazione, ti rendi conto? Un viaggio in Russia, desidero andarci da sempre!- Lyn non poteva contenere la sua gioia, ma Judy si limitò ad osservarla allibita.
- Per essere una che sta per andare a tenere compagnia a dei ragazzini malati in mezzo a quattro metri di neve sei troppo felice, per me hai dei seri problemi, credo di avertelo già detto un migliaio di volte- commentò Judy sbattendo le palpebre più volte.
- Ma quali quattro metri di neve, farà freschino, ma è pur sempre estate anche lì, no?- disse Lyn facendo spallucce.
- Scusa, quando parti? Non t’azzardare ad andartene nel periodo in cui arriviamo noi! Lo sai che le nostre vacanze estive insieme sono sacre e intoccabili!- la avvertì Judy, puntando minacciosamente l’indice smaltato di rosso verso la telecamera.
- E’ per la prossima settimana, ritornerò entro dieci giorni massimo, tranquilla sarò già qui quando tu e gli altri arriverete- la rassicurò la ragazza
- Sarà meglio per te! Odio fare baldoria per Roma senza la mia migliore amica e poi, quest’anno hai sedici anni, hai baciato già il tuo primo ragazzo, puoi metterti in carreggiata con la sottoscritta- disse la bionda strizzandole l'occhio.
- Tu sei insuperabile, mia cara- rispose Lyn con un sorrisetto ammirato.
- Lo so, ci ho provato, ora vado a letto, chiamami se l’operazione “bambini russi malati” ti mette troppa ansia- la esortò l’amica, prima di chiudere la telefonata.

SPAZIO AUTORE
Ciao a tutti! Siamo al quinto capitolo e la storia inizia piano piano a prendere forma. In questo capitolo abbiamo visto Sahara, la figlia di Mao e Mystel e la rabbia covata da sua madre per anni nei confronti della nostra Elena. Per descrivere Sahara mi sono ispirata all'attrice Blake Lively, soprattutto nei suoi momenti da "reginetta" in Gossip Girl. Poi abbiamo finalmente visto anche la migliore amica di Lyn, la bellissima figlia di Max, Judy. Personaggio davvero scoppiettante e piena di energia proprio come il suo papà; mentre scrivevo di lei mi è apparsa automaticamente davanti l'immagine dell'attrice Penelope Mitchell (la Liv di The Vampire Diaries) e anche alcuni suoi lati caratteriali sono propri di Judy.
Spero che la trama vi stia piacendo e che i lettori possano presto diventare anche recensori!

Un fortissimo abbraccio a tutti <3

 

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Capitolo 6
*** Tristi Confessioni ***


Capitolo 6:

Lyn si vestì di fretta e si truccò altrettanto di fretta, non appena chiuse la telefonata con la sua amica lontana.
Uscì di casa e si mise in sella al suo scooter, sfrecciando per le strade della capitale e raggiungendo nel giro di una decina di minuti, la palestra dove sua madre allenava le nuove promesse del Beyblade.
Il sabato mattina era particolarmente movimentato in palestra, in quanto l’allenamento durava di più e constava di una sessione di quattro ore in cui avvenivano anche gli incontri per testare il livello di preparazione degli allievi.
Quando Lyn entrò nella sala era l’una spaccata e sua madre stava salutando i due gemellini di sette anni che allenava da quando ne avevano quattro. Alle spalle della ragazza apparve il padre dei bambini.
- Ragazzi, andiamo, c’è l’auto parcheggiata malissimo di fuori- disse frettoloso l'uomo
- Ci vediamo lunedì, Elena- disse uno dei due con un sorriso smagliante nel salutare la sua allenatrice.
- D’accordo e fate i bravi- rispose la donna sistemando i berretti ad entrambi e poi i bambini corsero verso il loro papà come due soldatini ben addestrati, salutando educatamente Lyn prima di uscire.
- Tesoro, che fai qui?- chiese affettuosamente Elena a sua figlia una volta rimaste sole, afferrando la bottiglia d’acqua da un ripiano e andandosi a sedere su una delle panchine lì accanto.
- Passavo- rispose vaga Lyn, mentre si guardava intorno con un sorriso quasi malinconico.
- Ricordo quando mi allenavo qui con gli altri bambini, all’età dei gemelli- proseguì poi, sedendosi accanto a sua madre.
- Non perché sei mia figlia, ma non sei mai stata come gli altri bambini- disse Elena fiera e Lyn sorrise abbassando lo sguardo.
- Alla loro età padroneggiavi Driger alla perfezione ed eri pronta alle qualificazioni per il campionato juniores- continuò la donna, per poi fare un lungo sorso d’acqua.
- Mamma, devo dirti una cosa- cominciò Lyn dopo qualche attimo di silenzio, sperando di non guastare in qualche modo l’umore a sua madre.
- Certo, ma non potevi aspettare di dirmela a casa?- chiese Elena accigliandosi e Lyn alzò le spalle.
- Anzi, che ne dici di pranzare da papà?- propose sempre lei alzandosi in piedi e invitando la ragazza con un sorriso, che venne prontamente ricambiato.
- Mi piacerebbe, è tanto che non ci incontriamo tutti e tre al ristorante- osservò Lyn, però cambiò nuovamente espressione.
- Però mamma, aspetta, è una cosa veloce- si affrettò ad aggiungere, costringendo Elena a tornare al suo posto. Notò subito che sua figlia muoveva nervosamente le gambe, esattamente come lei quand’era agitata e il suo sguardo inquisitore si spostò nuovamente sugli occhi ambrati della ragazza.
- Lyn, qualcosa non va? A me puoi dire tutto lo sai- la rassicurò la madre, invitandola ad aprirsi.
- Certo, lo so, ma questa cosa improvvisa mi rende così felice che non so come dirtela!- disse emozionata Lyn.
Elena si stupì dei cambi repentini delle espressioni che si susseguivano sul viso di sua figlia e si ricordò che quella era una prerogativa degli adolescenti.
- Come il bacio con il figlio di Lai?- chiese poi la donna con fare vago, dando una finta spallata a sua figlia. A quella constatazione Lyn arrossì violentemente, presa decisamente in contropiede.
- Co… come lo hai saputo?- chiese la sedicenne quasi senza fiato.
- I muri di casa Mizuhara hanno le orecchie, ti basti sapere questo- concluse Elena con un sorrisetto sardonico.
- Zia Emily, questa me la paga- sentenziò Lyn, stringendo gli occhi a due fessure, immaginando che sua madre e sua zia avessero subito spettegolato a sua insputa sull'accaduto in Cina.
- In realtà è stato David a dirlo allo zio Max che si è congratulato con tuo padre per il fidanzamento lampo in Cina, immagina la sua faccia alla notizia- la informò Elena, mantenendo la sua espressione e Lyn scoppiò a ridere, trascinando anche sua madre.
- Come l’ha presa papà?- chiese la ragazza mordendosi un labbro, passato l'iniziale divertimento.
- Tuo padre è un tipo aperto lo sai, certo sapere che la sua bambina sta crescendo e bacia ragazzi sotto sotto lo fa stare male, ma è comprensibile, alla tua età è del tutto normale. Io avevo tuo zio Gianni alle calcagna che era peggio di un papà degli anni Cinquanta- ironizzò la donna.
- Questo solo per dirti che io e tuo padre ci saremo sempre per te e con noi puoi parlare di tutto, lo sai- continuò Elena, legandosi i boccoli castani in una coda alta per via del caldo afoso che aleggiava a quell'ora in palestra.
- Mamma, non te l’ho detto non perché non mi fido di te, anzi, ma per me non ha significato molto, onestamente- confessò Lyn con una scrollata di spalle, attirando nuovamente gli occhi scuri di Elena su di sé.
- Si da troppa importanza al primo bacio, quando invece credo che nel momento in cui si incontra la persona giusta, il vero amore o quello che è e lo si baci, è da considerarsi quello il primo vero bacio e non importa se prima di lui ne avrai baciati uno, dieci, o cento. Io la vedo così- spiegò Lyn ed Elena annuì lentamente.
- Giusto- si trovò d'accordo la donna, rimasta sinceramente colpita dal discorso profondamente maturo di sua figlia, nonostante la sua giovane età.
Così Elena si sentì in dovere di raccontare una parte del suo passato, che potesse servire da esempio per Lyn.
- Sai, prima di conoscere tuo padre io ero stata con pochissimi ragazzi, lui invece aveva tante esperienze alle spalle, com'è giusto che fosse visto che ha quasi dieci anni di più, ma quando baciai lui fu come se tutto ciò che ero stata prima non esistesse più. Avevo cominciato a vivere quando Rei mi ha amata- disse Elena sorridendo emozionata, fissando un punto indefinito sulla parete di fronte a sé.
- Ed è esattamente così che voglio sentirmi!- ammise la giovane
- Sono cresciuta con l’esempio d’amore più grande e puro che possa esistere, un amore che ha sconfitto la morte, non è una cosa da tutti e so che forse chiedo troppo- commentò Lyn sorridendo allo stesso modo di sua madre.
- Non chiedi troppo, non dovrai mai accontentarti, soprattutto in amore, mi hai capito?- disse a mo' di monito Elena e Lyn annuì convinta.
Le due sospirarono poi fu Elena a rompere il silenzio per prima.
- Tornando a noi, di cosa volevi parlarmi?- chiese la donna, alleggerendo finamente la lieve tensione venutasi a creare.
- Ecco, l’associazione di volontariato mi ha chiesto la disponibilità per una partenza immediata a Mosca, hanno bisogno di noi in un ospedale lì- le parole uscirono a Lyn tutte d’un fiato e vide la sorpresa dipingersi sul volto di sua madre. La ragazza si morse un labbro, vedendo che Elena se ne stava in silenzio, probabilmente stava elaborando quell'informazione ricevuta così di botto.
- Caspita, Mosca, è parecchio lontano- cominciò titubante Elena
- Lo so, ma è un’occasione più unica che rara, potrebbe farmi da curriculum per l’ingresso a medicina o scienze infermieristiche- si affrettò a rispondere Lyn, consapevole che sua madre avrebbe reagito esattamente in quel modo.
- M​a quanto starai via?- chiese la donna, improvvisamente apprensiva, voltandosi completamente nella direzione di sua figlia.
- Al massimo dieci giorn, promesso. Ti prego, mamma!- la supplicò Lyn e quando si metteva a farlo Elena rivedeva esattamente sé stessa alla sua età, anche più adulta, ricordando le volte in cui aveva pregato e supplicato suo marito Rei per qualsiasi cosa, anche e soprattutto durante il Cammino.
- Dai, dì di sì!- tentò ancora la giovane, non ricevendo risposta.
- D’accordo, però chiederai tu stessa il permesso a tuo padre, voglio starne fuori- la avvisò sua madre, ma Lyn era già intenta ad abbracciarla e stringerla dopo la prima parola di quella frase.
- Grazie, grazie infinite mammina!- rispose entusiasta la ragazza.
- Ora, se abbiamo finito, vorrei fare una doccia veloce e godermi uno dei meravigliosi piatti al ristorante di papà- disse Elena, alzandosi finalmente dalla panchina e sgranchendosi le ossa del collo.
- Mamma, visto che siamo in tema di confessioni come non ci succede da tantissimo...- cominciò Lyn sorridendo sotto i baffi.
- Posso chiederti un’altra cosa?- domandò Lyn, per poi mordersi un labbro.
- Se è un altro viaggio, scordatelo- rispose Elena sorridendo ironica
- Non lo è, ma non ho mai avuto il coraggio di farti questa domanda, però muoio davvero dalla curiosità e vorrei capire meglio...- si difese Lyn, mentre sua madre prese a guardarla interrogativa, non immaginando per niente cosa Lyn volesse chiederle.
Del resto le due erano sempre state molto unite, erano praticamente cresciute insieme ed Elena si era ripromessa di essere una madre amica per sua figlia, una cosa che a lei era decisamente mancata.
- Ti ho vista al villaggio, quando tutti presentavano i propri figli...- iniziò titubante Lyn, facendo leggermente accigliare Elena.
- Tu e papà siete meravigliosi con me, ma mi sono sempre chiesta come mai non avete avuto altri figli- chiese piano la giovane, con tutta l'intenzione di non ferire sua madre, in quanto immaginava che per lei fosse un argomento delicato, visto che non l'avevano mai seriamente affrontato insieme come famiglia.
- Vorrei la verità stavolta e non la versione che raccontate a tutti, a cui ho finito per credere anche io col tempo- concluse, lasciando poi aleggiare il silenzio tra loro e come sempre fu Elena per prima ad interromperlo.
- Beh, in parte è la verità, sai io e tuo padre che vita caotica conduciamo- cominciò la donna per poi restare nuovamente in silenzio, mentre lo sguardo di Lyn si faceva tremendamente serio, da non lasciarle alternative.
Elena sapeva bene che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare quell’argomento con sua figlia, ma sperava che quando sarebbe arrivato quel momento ci sarebbe stato anche Rei a supportarla, invece non fu così. La donna sospirò rumorosamente e poi alzò lo sguardo su sua figlia. Ne studiò i lineamenti e l'espressione con attenzione e Lyn piegò leggermente la testa di lato, sperando che sua madre non sviasse il discorso.
- Avanti, mamma, non ti giudico mica? Ti vedo con i tuoi allievi, anche con i gemelli prima e, soprattutto, ti vedo con me, il tuo istinto materno è smisurato- incalzò Lyn sorridendo leggermente, ma vedendo che l'espressione della madre non mutava, si zittì nuovamente.
- Diciamo che quando sei arrivata tu non sapevo neanche di averne uno- ironizzò Elena, poi sospirò ancora una volta, facendo ordine tra i pensieri confusi che la domanda di sua figlia aveva provocato.
- Quando ho scoperto di aspettare te, avevamo da poco sconfitto il Team delle Tenebre, tuo padre non c’era, sono stata sola per mesi e poi si presentò alle nozze di zio Takao e zia Hilary, così dal nulla. Immagina lo schock- cominciò Elena e Lyn annuì veloce.
- Questa parte la conosco bene- confermò la ragazza, sperando che sua madre continuasse il racconto aggiungendo dettagli a lei sconosciuti.
- Il giorno in cui sei nata, io e papà abbiamo provato una gioia inimmaginabile, eri e sei tutt’ora la nostra vittoria più grande- continuò la donna, cercando di nascondere le lacrime che le salivano agli occhi.
Seguirono attimi di silenzio e poi Elena riprese a parlare, con la voce rotta.
- Non appena sei cresciuta un pochino e hai iniziato ad essere indipendente, io e tuo padre ci siamo messi d’impegno per darti un fratellino o una sorellina, anche se devo ammetterlo, eri una bambina meravigliosa, ma un pizzichino egoista- confessa Elena ridacchiando
- Ci volevi tutti per te e non hai mai avanzato richieste specifiche per avere una compagnia, come ricordo faceva insistentemente Makoto- ricordò la donna con un sorrisetto.
- Così la zia Hilary, come sai, dopo un po’ rimase incinta di Jay e io continuavo ad avere il ciclo mestruale regolarmente, non avevo così tanta fretta visto che mi stavo dedicando agli allenamenti e alla carriera e, più che altro, non ci badavo neanche- proseguì
- Prima o poi sarebbe successo tutto da sè- disse la donna, scrollando le spalle e Lyn ascoltava quel racconto di suo madre attenta, senza perdersi nemmeno una parola.
- Dopo un anno e mezzo di tentativi a vuoto, decidemmo di vedere uno specialista e lì la sentenza- Elena sospirò forte prima di riprendere a parlare.
- Il medico mi chiese se avessi ricevuto dei forti colpi ai tessuti addominali in passato- ridacchiò amara la donna.
- L'utero era malconcio, come conseguenza non solo di un parto, ma di un vecchio trauma provenientie da colpi ricevuti in quel punto- disse Elena, ricordando le esatte parole del ginecologo.
- Il Team delle Tenebre, la lotta che ti ha ridotta allo stremo delle forze - Lyn precedette sua madre e completò la frase al posto suo, con gli occhi lucidi anche lei. Elena si limitò ad annuire e abbassò lo sguardo.
- Questi problemi fisici non davano la possibilità ad una gravidanza di stabilizzarsi, in pratica restavo anche incinta, ma avevo aborti spontanei, ripetutamente- confessò infine la donna e Lyn strinse la mano a sua madre, per darle il conforto necessario per continuare il racconto, semplicemente restando in silenzio.
- Non potevo crederci, spiegai al dottore che quando avevo ricevuto quei colpi di cui parlava aspettavo già te ed eri nata senza complicazioni, eri perfetta in tutto e per tutto, stava dicendo un mucchio di cazzate!- Elena si agitò come se fosse tornata esattamente a quel momento, vecchio di dieci anni.
- Dalle sue parole capì che per me sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, avere un altro bambino- concluse la donna, abbassando definitivamente lo sguardo.
- Oh, mamma- disse Lyn, mentre due lacrime silenziose le scorrevano lungo le guance e i suoi occhi dorati si arrossavano sempre più.
- Amore mio, perché piangi? L’ho superata- la tranquillizzò Elena, sforandosi di sorridere e asciugandosi velocemente gli occhi.
- Per un po' mi sono sentita in colpa nei tuoi riguardi- proseguì Elena, ma Lyn scosse la testa incapace di rispondere qualunque cosa
- Ma mi rincuorava il fatto che, seppur da lontano, non ti sei mai sentita sola perché avevi Makoto, Judy e David e loro erano e sono tutt’ora come dei fratelli per te- disse la donna, poggiando una mano su quella di sua figlia.
- Da quel giorno per me e tuo padre sei diventata ancora più preziosa, perché non solo sei stata una guerriera dal momento del concepimento, affrontando una dura battaglia insieme a me, dentro di me...- ora era Elena a stringere la mano di Lyn più forte
- Ma lo hai dimostrato venendo al mondo all’improvviso, giorni prima del previsto. Volevi nascere la notte del solstizio d’estate, una notte importantissima per la Tribù, poiché si narra che la notte del 21 giugno, la Tigre Bianca sia apparsa per la prima volta ai tuoi antenati- rivelò Elena e Lyn la guardò sgranando leggermente gli occhi.
- Sul serio?- chiese un po' incredula la giovane e sua madre confermò annuendo.
- Ed è per questo che non devi permettere mai a nessuno di dirti che tu non sei degna del potere del tuo Bit Power. Sei stata scelta, come tuo padre- concluse fiera Elena e poi Lyn saltò al collo di sua madre ed Elena la strinse forte, mentre entrambe piangevano e ridevano contemporaneamente tra le lacrime.
- Ti voglio bene, mamma, scusami se ti ho costretta a riaprire una ferita- disse Lyn
- Sei tutta la mia vita- sussurrò invece Elena
Quando si staccarono dall’abbraccio entrambe si guardarono e scoppiarono nuovamente a ridere.
- Ok, ora basta- Elena riprese fiato
- Diamoci un tono e raggiungiamo tuo padre, ho una fame da lupi- concluse e poi prese sua figlia sottobraccio e insieme uscirono dalla palestra, con entrambe il cuore più leggero.
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Il giorno della partenza per Mosca, Lyn era in auto con Rei, diretta in aeroporto.
Il caldo a Roma era diventato decisamente insopportabile, le temperature avevano toccato picchi di quaranta gradi durante quella settimana e il pensiero di trovare un clima più fresco in Russia, faceva sentire la giovane decisamente meglio.
- Hai preso tutto?- chiese Rei, interrompendo d'un tratto i pensieri di sua figlia
- Sì, anche se credo non andremo molto in giro- lo rassicurò Lyn
- Mi raccomando, occhi aperti- la avvisò Rei
- Tranquillo, papà, so che è la prima volta che mi lasciate viaggiare da sola senza Judy o gli altri, ma ci tenevo davvero a questa esperienza e volevo ringraziarti, te e la mamma- disse sincera la ragazza
Rei sorrise continuando a guardare la strada, senza aaggiungere altro. A quel punto Lyn aprì la sua agenda per ricontrollare l’itinerario e gli appunti che aveva raccolto sull’ospedale in cui era stato richiesto il supporto della sua associazione, ma in mezzo a quella serie di appuntamenti e orari, c’era segnata in angolo del foglio anche la profezia del Grande Saggio.
Non ricordava minimamente di averla scritta proprio lì, doveva averlo fatto distrattamente durante il viaggio di ritorno dalla Cina, considerando la stanchezza della festa e il jetleg, l’aveva completamente rimosso.
Nel rileggere quelle righe, riuscì a sentire di nuovo nella sua mente l’eco della voce rauca del Saggio. Poté sentire nuovamente i brividi lungo la colonna vertebrale e tutte le sensazioni che aveva provato in quegli attimi nella Casa del protettore del villaggio.
Rei si accorse che Lyn era particolarmente assorta e le lanciò una breve occhiata.
- Qualcosa non va?- chiese a sua figlia aggrottando le sopracciglia e Lyn si voltò verso di lui un po' stralunata.
- Papà, le profezie del Grande Saggio si avverano che tu sappia?- chiese incerta Lyn, cercando di scacciare quella sensazione di malessere che le aveva improvvisamente attanagliato la bocca dello stomaco.
La ricerca del suo grande amore, stando a quanto aveva detto quell’uomo in Cina, era complicata quasi quanto un antico rompicapo e quella consapevolezza la faceva sentire un po' sconnessa dal mondo.
- Perché me lo chiedi?- sviò Rei, tenendo gli occhi fissi sull’autostrada libera davanti a sé.
- Beh, eri presente quando il Saggio mi ha detto tutte quelle cose riguardo la mia anima gemella- commentò Lyn retorica e Rei inspirò profondamente.
- Sai, non credo che vada preso proprio alla lettera ciò che dice, penso che bisogna darne un’interpretazione personale- tentò vago l'uomo, cercando di dissuadere sua figlia in qualche modo, che tornò ad osservare quelle parole da lei stessa trascritte sul foglio.
- Di certo, la descrizione di questa persona somiglia più ad un fantasma cattivo che ad un ragazzo- ipotizzò Lyn, riuscendo a strappare un breve sorriso a suo padre.
- A te cosa disse il Grande Saggio?- chiese curiosa la ragazza.
- Niente di importante- cercò di liquidare la faccenda Rei, ma sua figlia aveva uno sguardo troppo attento per lasciarsi sfuggire il fatto che lui si fosse di colpo irrigidito a quella domanda.
- Coraggio, papà, se è qualcosa di scabroso, giuro solennemente di non dirlo alla mamma- incalzò Lyn, alzando la mano destra e incrociando indice e medio sorridendo.
​Rei capì di non avere via di fuga e, in quel momento, l’abitacolo della sua Audii gli sembrava più stretto e angusto che mai, quasi soffocante.
- Mi aveva detto che sarei diventato Capotribù- cominciò cauto.
- E questo è successo, mi pare- lo interruppe subito sua figlia.
- Ricordo di aver fatto una domanda riguardo all’essere campione di Beyblade e, in effetti, ora che mi ci fai pensare mi parlò di una metafora riguardo una tigre ferita e l'amicizia. All’epoca non lo capì...- disse Rei prendendo ad essere pensieroso, mentre sua figlia aggrottava le sopracciglia, confusa.
- Cosa vuol dire?- domandò Lyn
- Sul tetto del mondo una tigre ferita, verrà sorretta dalla forza e dal valore dell’amicizia.- Rei ripeté quelle parole a voce alta a distanza di trent'anni e si chiese per un attimo come avesse fatto a dimenticarle, mentre Lyn sbatté le palpebre in attesa di una risposta sensata da parte di suo padre.
- Nella foto della finale mondiale che vincemmo noi Bladebreakers, io ero ferito e portavo le stampelle, ma per il fotografo mi chiese di nasconderle, non faceva bella figura e così, anche se non si nota molto, sono appoggiato tra Takao e… Kei- Rei sospirò rumorosamente tirando fuori quello specifico ricordo.
- Non me l’hai mai mostrata quella foto- si lamentò Lyn
- A stento l’ha vista tua madre, è un ricordo di cui sono molto geloso per diverse ragioni- disse lui con un mezzo sorriso.
- Quindi, ci ha preso anche in questo caso, no?- Lyn aspettava conferma da suo padre, che in quel momento era diventato più irrequieto di lei.
- Papà- la voce di Lyn era seria e carica di aspettative
- Cos’altro ti disse il Saggio?- domandò lentamente la ragazza e Rei deglutì il vuoto.
- Mi disse che la mia giovane vita sarebbe stata spezzata per un bene più grande...-




​SPAZIO AUTORE:

Salve a tutti e ben trovati con l'appuntamento settimanale di "Sign of wish". Questa volta siamo in tema di confessioni familiari, segreti più o meno importanti e dolorosi che Rei ed Elena avevano deciso di tenere per sé, ma Lyn sta crescendo, si sta affacciando alla vita e in quanto figlia è giusto che sappia determinate cose del passato dei suoi genitori, vi pare?
Il passaggio tra le due donne della famiglia Kon è volutamente doloroso e malinconico (chi ha letto Guard Me For Eternity sa bene che i capitoli finali, quelli in cui Elena è da sola sono pieni di tristezza e disperazione povera donna xD) e adesso sappiamo anche perché i coniugi sono fuggiti tanto in fretta dalla festa al villaggio e per quale motivo Elena ringraziava Rei di non aver detto nulla davanti a Mao e Mystel.
Quanto al discorso padre e figlia, beh, sappiamo tutti di quella foto dei Bladebreakers e di quanto Rei non volesse mostrarla a nessuno perché ancora il ricordo di quella notte lo tormenta, anche a distanza di tantissimi anni, però Lyn ora sa che le Profezie del Saggio si avverano, dunque la sua anima gemella chissà chi è e cosa sta combinando ahahah.
Lo scopriremo al momento giusto eheh.
Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che stanno seguendo la storia e auguro a tutti un buon week-end. Alla prossima <3


 

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Capitolo 7
*** Mosca ***


Capitolo 7:

L’arrivo nella capitale russa non era stato esattamente felice ed emozionante come Lyn se lo aspettava.
Quella chiacchierata a cuore aperto con Rei in auto le aveva fatto venire una serie di strane domande in testa e per tutta la durata del volo non aveva fatto altro che ripensare alle parole del Grande Saggio e cercare di dar loro una spiegazione logica, senza successo.
Si pentiva di non aver dato molta soddisfazione ai suoi compagni di viaggio, non che si preoccupasse molto del loro giudizio, ma si rese conto di essersi isolata e di aver avuto un atteggiamento distaccato e questo di certo non era affatto da lei e, soprattutto, non dava una buona impressione.
Si chiese come mai proprio quel giorno aveva preso a pensare a quella profezia dopo tutte quelle settimane. Il fatto che se la fosse trovata davanti agli occhi sull’agenda non poteva essere una coincidenza, Lyn non ci credeva alle coincidenze e, di certo, non avrebbe cominciato allora.
Pensò ai ragazzi che conosceva e cercò di identificarli in un qualche passaggio di quella divinazione, andando ad esclusione.
Makoto non poteva essere. Era la persona più buona e genuina che Lyn avesse mai conosciuto in vita sua, non era capace di “cattiveria e menzogne” neanche quando combatteva contro i suoi avversari nel Beyblade stadio, sfoderando tutta la sua forza. Decisamente il suo amico d’infanzia non poteva essere la sua anima gemella e, scartarlo, la fece sentire un po’ meno in colpa, sapendo i sentimenti che lui provava da sempre per lei.
Mentre si trascinava dietro il trolley verso l’albergo in cui dovevano alloggiare, chiudendo la fila di ragazzi felici ed eccitati che erano lì insieme a lei e con cui sembrava non avere nulla in comune, pensò ad altre possibilità.
Jin. Ma certo, pensò Lyn, come aveva fatto a non rifletterci su prima. La profezia aveva menzionato “una nera arma scintillante” e in effetti il Galion di Jin era nero, ma non come una fiamma. I leoni non sputano fuoco. E poi proseguiva conì un’anima perduta e un cuore di ghiaccio.
Jin era il ritratto del calore, persino la sua pelle leggermente ambrata ricordava il caldo sole dell’Est.
Lyn sospirò frustrata, rendendosi conto di dover escludere anche il figlio di Lai, l’unico ragazzo che aveva baciato fino a quel momento, dalla sua già ridotta lista di conoscenze maschili.
Poi si ricordò di un dettaglio decisamente non trascurabile: il freddo siberiano. Come se lo sarebbe spiegato quello? Anzi, la profezia del Saggio sembrava ruotare tutta intorno a quel particolare verso.
Lyn alzò lo sguardo e si guardò intorno; per essere luglio inoltrato lì la gente girava ancora coi giacchini leggeri e la Russia era considerato il paese freddo per antonomasia in Europa, in particolare la regione della Siberia.
La giovane italo-cinese sorrise e non ebbe dubbi: quel viaggio l’ avrebbe aiutata a fare maggiore chiarezza su quello che aveva appreso in Cina, soprattutto dopo che aveva avuto la conferma dall’esperienza diretta di suo padre, che aveva constatato sulla propria pelle quanto potessero essere veritiere le parole dell’anziano.
Con rinnovato spirito, Lyn sistemò dunque i bagagli nella camera che divideva insieme a Marta, una ventenne volontaria originaria di Milano che studiava scienze infermieristiche nella più famosa università capitolina. Le due si diedero una sistemata e si incontrarono nella hall dell’albergo insieme agli altri compagni, dove il capogruppo stava già dividendoli nei reparti in cui erano richiesti.
- Marta, tu sarai in oncologia pediatrica- disse il capogruppo, un uomo sulla cinquantina, calvo, paurosamente muscoloso, ma dal sorriso affabile.
- Beata te, io adoro i bambini- confessò Lyn guardandola con un sorriso comprensivo
- Anche io, in realtà sono qui apposta per loro, dicono che organizzino addirittura degli spettacoli- rispose Marta, mettendosi frettolosamente il badge al collo.
- Lyn, tu sei affidata alla terapia intensiva- la voce dell'uomo richiamò la ragazza.
Perfetto, pensò Lyn, cominciamo a meraviglia.
Amava fare volontariato negli ospedali, erano almeno due anni ormai che Elena e Rei la lasciavano libera di seguire il proprio cuore che l’aveva portata in quella direzione, ma quando era assegnata alla T.I. un magone la assaliva, poiché si sentiva semplicemente inutile in quella circostanza. Persone in coma profondo a cui lei non poteva dare nessun tipo di supporto.
Quella condizione di totale impotenza la faceva impazzire, era la parte che amava di meno nella sua vocazione da volontaria. Se non era così, era affiancata a persone appena sveglie da lunghe ore di anestesia dopo interventi molto delicati e, il più delle volte, erano meno reattivi dei comatosi stessi.
Rassegnata, si mise la targhetta al collo e salì sul pullman insieme agli altri.
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Arrivati in ospedale, alcuni si diressero subito alle ascensori, altri studiavano la mappa nella hall in cerca del loro reparto, mentre Lyn, a capo chino, mandava messaggi a Judy, aggiornandola come promesso.
Judy: te l’ho già detto che è stata una pessima idea la tua? Il tempo è da schifo e dovrai stare seduta al capezzale di gente moribonda. No, dico, ti sembra una cosa bella?
Lyn: per favore, sto cercando di ricordare le cose positive che mi hanno spinta a venire qui, per provare almeno a riaccendere l’entusiasmo.
Judy: ti ci vuole un tiro da una canna per riaccendere l’entusiasmo secondo me…
Lyn: puoi semplicemente supportarmi senza essere così puntigliosa ogni volta? Sembri una vespa.
Judy: mi hanno detto di peggio, sopravviverò <3 dai, se vuoi compagnia fammi un fischio, almeno sono più spassosa dei pazienti a cui dovrai reggere il moccolo quest’oggi...
Lyn: ti adoro <3
Tenendo sempre il cellulare in una mano, Lyn pigiò il tasto del quinto piano in ascensore. Quando le porte si aprirono davanti a lei, l’atmosfera era la stessa di una qualsiasi altra terapia intensiva.
Silenzio tombale, le porte delle camere tutte chiuse o separate da vetri e il tin-tin fastidioso delle macchine che tenevano in vita quelle persone.
Lyn si avvicino alla reception del piano e una ragazza sulla trentina le sorrise brevemente. La giovane mostrò il tesserino e chiese informazioni per orientarsi al meglio; l’infermiera, che disse di chiamarsi Irina, capendo la visibile difficoltà di Lyn, si offrì di farle fare una sorta di tour. La giovanissima fu profondamente grata all’altra.
- Questa non è una terapia intensiva normale- disse ad un certo punto l'infermiera che incarnava perfettamente la tipica ragazza russa, alta, fisico statuario, occhi azzurri e capelli platino.
- Ah no? Che ha di speciale?- chiese Lyn curiosa, mentre passeggiavano per il corridoio.
- Qui ci sono solo adolescenti o ventenni al massimo- rispose la più grande delle due, cercando di mascherare al meglio una smorfia di tristezza
- Cioè, una terapia intensiva solo per ragazzi?- chiese la mora, più a sé stessa che alla sua interlocutrice, che a sua volta annuì.
- Sì, più o meno tutti della tua età, a dire il vero- confermò la donna in bianco.
Lyn si ritrovò a pensare che era decisamente finita dalla padella alla brace. Non solo odiava la terapia intensiva, ma si trovava anche in una dove c’erano tutti suoi coetanei morenti. Inermi. In un letto.
Era inaccettabile.
- Tutto bene, Lyn?- chiese Irina
- Sì, sto bene- rispose lei poco convinta
- Capisco la tua difficoltà- la rassicurò l’infermiera
- Se avessi saputo che era così, avrei chiesto un cambio reparto al mio capogruppo- confessò Lyn e Irina sorrise brevemente.
- Sembri una ragazza buona e devi esserlo per forza per essere una volontaria. Vedila come un’esperienza per arricchirti e fortificarti. Magari oggi potresti trovare la risposta a delle domande che non sapevi nemmeno di doverti porre-
Lyn alzò di scatto lo sguardo e incontrò gli occhi color del cielo di Irina che le sorridevano dolcemente. Sembrava un angelo. E le aveva detto esattamente ciò che avrebbe voluto sentire in quel momento. Ma come faceva a sapere quella donna che Lyn aveva bisogno di risposte?
Quando la giovane dai capelli corvini stava per aprire bocca e dire qualcosa, si udì una voce maschile e matura, urlare in una delle stanze. Quelle urla rabbiose stonavano completamente con l’atmosfera di innaturale immobilità di una terapia intensiva.
Irina roteò gli occhi infastidita ed esasperata al contempo.
- Ci risiamo- disse a sé stessa e scattò in direzione degli schiamazzi, Lyn, incuriosita, la seguì stando a debita distanza.
Si fermò fuori dalla camera, al cui interno vide un uomo sulla sessantina, capelli sale e pepe perfettamente impomatati, alto, con visibili rughe sotto gli occhi e lo sguardo severo, vestito di tutto punto. Scarpe e borsello griffati.
La ragazza rimase a sbirciare senza farsi notare e l’uomo in questione urlava alle due infermiere, a cui si era aggiunta anche Irina. Quest’ultima copriva completamente la visuale a Lyn, senza darle la possibilità di vedere chi giaceva nel letto di quella camera, da quella distanza la ragazza riusciva a vedere solo due braccia leggermente muscolose distese lungo i fianchi.
Da come urlava con voce piena di disperazione e risentimento quell’uomo, in quel letto doveva esserci qualcuno di veramente importante. Un nipote, o magari un figlio.
- Non fatemi pentire di averlo ricoverato qui. Se non migliora, sarò costretto a tagliare i fondi e porterò i miei soldi dove saranno in grado di curarlo!- urlò nervoso quell’uomo.
- Si calmi, signore, stiamo facendo tutto il possibile e lei lo sa bene- disse Irina
- Non voglio scuse, torno più tardi e assicuratevi che abbia sempre tutto ciò di cui ha bisogno-
Quello fu l’ultimo avvertimento, poiché senza diritto di replica per le infermiere, l’uomo indossò un cappello, un paio di occhiali scuri e fece per uscire ad ampie falcate dalla stanza.
Lyn si nascose, ma non abbastanza da essere vista da quel tizio. La ragazza giurò di aver visto per un attimo un sorriso soddisfatto catturare l’espressione di quell’uomo nel vederla e quell’istante la fece sentire tremendamente esposta, quasi impaurita, sensazione che passò velocemente non appena lui girò i tacchi e continuò a camminare spedito verso l’ascensore.
Lyn sentiva le infermiere parlottare tra di loro e lamentarsi del modo poco rispettoso con cui l’uomo le aveva trattate e quanto ormai ci avevano fatto l’abitudine a quelle urla denigranti.
La giovane dagli occhi ambrati si avvicinò quindi timorosa all’uscio della porta, dando il tempo alle prime due infermiere di uscire, poi bloccò Irina per un braccio, per qualche inspiegabile motivo.
- Posso… restare qui?- chiese Lyn, senza sapere neanche perché aveva scelto proprio quel paziente.
Irina diede un’occhiata al letto, poi di nuovo a Lyn e sorrise debolmente.
- Non potrai fargli altro che bene- sorrise comprensiva la bionda e Lyn ricambiò il sorriso.
- Torno tra qualche secondo, devo prendergli i parametri, nel frattempo… fate conoscenza- la esortò Irina strizzandole l'occhio e poi la lasciò sola.
Lyn avanzò sospirando in quella camera, in silenzio, gli unici rumori erano i passi dei suoi stivaletti sul granito, il respiratore e altre macchine salvavita.
La prima cosa che notò fu che quella doveva essere decisamente la camera con la vista migliore, visto che dall’ampia vetrata si vedeva in lontananza la celebre Piazza Rossa.
La ragazza deglutì il nulla quando fu abbastanza vicina da riuscire a vedere completamente chi aveva scelto di assistere quel giorno.
In quel letto d’ospedale giaceva un ragazzo di una bellezza da togliere il fiato.
Non avrà avuto più di diciotto anni, la pelle chiara e i lineamenti delicati. Gli occhi chiusi in un’espressione beata, di cui Lyn non riusciva ad immaginarne la sfumatura di colore e la bocca purtroppo spalancata per via dell’intubazione. A giudicare da come i suoi piedi toccavano quasi la sbarra del letto e le sue mani delicate e dalle dita affusolate erano il finale perfetto di due braccia piuttosto allenate, quel misterioso paziente doveva essere molto alto. Ciò che più aveva attirato l’attenzione di Lyn erano i suoi capelli. Neri e leggermente più lunghi dietro, con un singolare ciuffo a coprire gli occhi sui toni del grigio scuro, dalle venature quasi argentee.
- Ciao, mi chiamo Lyn- fu la sola cosa che la giovane riuscì a dire.
- Mi dispiace tanto che tu sia qui. Dovresti essere fuori con gli amici a divertirti e invece...- proseguì facendo il giro del letto
- Chissà come ti chiami e cosa ti è successo esattamente- si chiese ad alta voce e la sua domanda trovò subito risposta, quando sul davanti del letto vide appoggiata la cartella clinica del paziente. Una cosa che negli ospedali italiani non aveva mai visto.
Guardandosi intorno circospetta, consapevole di star violando la privacy del paziente, prese la cartella e la aprì, dando un'occhiata veloce.
- Viktor Vorkov, ti chiami così allora- disse Lyn a voce alta.
- Diciannove anni. Beh, sì, te ne davo diciassette o diciotto, ma mi sono sbagliata di poco- proseguì nella lettura
- Incidente. Scontro frontale con un’auto e tu eri a bordo di un motociclo. Caspita- disse Lyn con uno sguardo triste
- Coma farmacologico indotto, in seguito alle numerose fratture ed emorragie riportate. Sei qui da… un mese, beh, puoi ancora farcela- lo incoraggiò Lyn, chiudendo la cartella clinica, ma venne colta in flagrante da Irina, che come promesso, era tornata.
- Non lo dirò a nessuno, giuro- si difese subito la giovane dai capelli corvini, riponendo la cartella di Viktor dove l’aveva trovata.
- Farò finta di non averti vista...- disse l’infermiera che subito cominciò ad armeggiare con i fili, il respiratore e quant’altro, seguita dallo sguardo vigile di Lyn, che sentì subito un istinto di protezione nei confronti di quel ragazzo. Una cosa impossibile da spiegare a parole...

 

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Capitolo 8
*** Terapia Intensiva ***


Capitolo 8:

Mentre Irina teneva due dita sul collo del ragazzo e guardava attenta sul suo orologio per prenderne le pulsazioni, Lyn, che intanto si era accomodata sulla sedia accanto al letto, non riuscì a tenere in alcun modo a freno la sua curiosità.
- Irina, chi era quell’uomo che vi urlava contro, prima?- chiese con cautela e Irina sospirò.
- E’ il padre di Viktor, nonché proprietario di questo ospedale- disse l’infermiera in tono neutro.
Lyn non sembrava essere molto sorpresa da quella notizia, del resto solo un genitore può diventare così follemente disperato nel vedere suo figlio adolescente giacere in un letto d’ospedale. Si immaginò per un attimo Rei ed Elena al posto di quell’uomo e le venne una fitta terribile allo stomaco.
- Non deve essere facile per lui- cercò di difenderlo Lyn, senza riuscire a togliersi dalla mente i suoi genitori e cosa proverebbero nel vederla in coma.
- Lo so, ma noi stiamo facendo il possibile, Viktor è in mano ai migliori medici del mondo e ogni giorno le tentiamo tutte per salvarlo- ribatté Irina
- Se è un coma indotto, non scelgono i medici quando e come risvegliarlo se risponde bene alle cure?- si informò Lyn
- Certo, ma al momento Viktor non risponde ancora positivamente ai trattamenti. Svegliarlo adesso potrebbe peggiorare la sua condizione, soprattutto quella cerebrale. Non sappiamo se si sveglierà e, soprattutto, se quando lo farà potrà tornare alla sua vita di sempre- confessò l’infermiera, volgendo uno sguardo triste al ragazzo.
Lyn sospirò, guardando quel giovane così bello in quel letto. La vita poteva essere davvero crudele certi momenti, pensò.
- Viktor era uno stakanovista, non ce lo perdonerebbe mai se lo svegliassimo e non potesse tornare a praticare i suoi sport preferiti- disse con un sorrisetto Irina.
- E l’incidente? - chiese Lyn bloccandosi quasi pentendosi di aver fatto quella domanda e l'altra scosse la testa
- Chi guidava l’auto era da solo, un ragazzo di ventiquattro anni, ubriaco, se l’è cavata con qualche punto e il collarino per un paio di settimane...- cominciò l'infermiera.
- Viktor era con un amico sulla moto, era l’altro a guidare. L’impatto gli è stato fatale. Si chiamava Yuya, aveva diciannove anni anche lui- concluse l’infermiera.
- Una tragedia. E non hanno potuto fare nulla per quel pirata della strada? Spero sia come minimo in carcere- sbottò Lyn
- Dieci anni, ma con la buona condotta e con i soldi che sborserà di sicuro suo padre, uscirà a breve- rispose rassegnata Irina.
Quantomeno quel bastardo era in prigione al momento e Lyn sospirò interiormente, pensando che la giustizia in Russia lavorava molto meglio rispetto all’Italia.
- Posso stare qui con lui, allora?- chiese ancora cauta Lyn
- Sì, ma mi raccomando, non sbirciare la cartella. Anche se ti ho detto più o meno tutto quello che c’è scritto- l’infermiera le fece l’occhiolino e l’altra sorrise.
Irina fece per uscire, ma si bloccò sull’uscio della porta.
- Lyn, nel caso il signor Vorkov dovesse tornare, ti avviserò- la mise al corrente e la ragazza la fissò accigliata
- Non vuole che gli estranei stiano vicino a suo figlio- disse triste la bionda
- D’accordo, faremo come dici- la rassicurò la giovane dagli occhi dorati
Quando rimase sola con quel ragazzo, Lyn si guardò intorno un po’ impacciata.
Nonostante le circostanze completamente fuori dal comune, quello le sembrava una sorta di primo appuntamento al buio dove lui sta sempre zitto e lei è costretta a parlare per non rovinare l’atmosfera e creare silenzi imbarazzanti.
- Bene, direi che è il caso che mi inventi qualcosa per far passare queste...- diede un’occhiata all’orologio
- due ore che ci aspettano insieme- concluse Lyn, poi aprì la sua borsa e cominciò a frugarci dentro, scartando cubi di gomma e dinosauri, decisamente inadatti a quella circostanza.
Era uscita dall’hotel equipaggiata solamente per un pomeriggio insieme a dei bambini. Malati, ma comunque svegli e in grado di interagire. Tutto si immaginava, fuorché finire a cercare qualcosa da fare che andasse bene ad un ragazzo che avesse quasi la sua stessa età, del tutto incosciente.
- Oh, questo forse potrebbe andare...-
Tirò fuori il libro de “La Bella e la Bestia” e si guardò la copertina raffigurante i due protagonisti nell’iconica scena del ballo. Lyn sorrise.
- Sai, Viktor, questa è la mia fiaba preferita. Mio padre me la leggeva tutte le sere prima di dormire, credo di avergli fatto venire la nausea anche con il dvd della Disney- commentò Lyn, inarcando le sopracciglia.
- Ma nonostante l’avesse imparata a memoria, lui e mia madre erano sempre felici di raccontarmela finché non mi addormentavo- continuò
La ragazza aprì la prima pagina, si mise comoda sulla sedia e lanciò uno sguardo al ragazzo.
- So che per un adolescente potrebbe sembrare stupido, ma mi piacerebbe avere una storia d’amore come quella di Belle, però non dirlo a nessuno, è un segreto- confessò Lyn, guardando attenta il suo interlocutore addormentato. Osservò il suo petto alzarsi e abbassarsi a ritmi regolari grazie al respiratore e gli occhi chiusi non davano alcun segno di vita, nemmeno il più impercettibile dei movimenti.
Lyn sospirò e cominciò la lettura con il classico “C’era una volta…
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Nonostante Lyn fosse stata interrotta dagli infermieri che le chiesero di uscire una volta per il controllo del catetere e un’altra per il prelievo ematico, la lettura del classico Disney proseguiva senza intoppi, finché, dopo un’oretta dall’inizio del libro, Irina bussò alla porta di Viktor chiedendo alla ragazza di uscire perché il padre del paziente stava per fare ritorno e non avrebbe gradito la sua presenza, come già comunicato.
Così Lyn uscì e, con la scusa di una tazza di caffè fumante, approfittò per chiamare i suoi.
- Ciao mamma- disse cercando di mostrare entusiasmo dal telefono, ma la realtà era che stava da schifo per Viktor.
- Tesoro, come va? Com’è Mosca?- chiese felice Elena
- Non ho visto molto, in realtà, ci hanno portati subito al presidio ospedaliero- continuò la ragazza, sporgendosi un po’ oltre la ringhiera della terrazza per godersi meglio il panorama. L’aria iniziava a diventare ancora più frizzante e il sole si avviava già al tramonto, più che estate inoltrata, l'atmosfera appariva prettamente primaverile.
- In che reparto ti hanno scaricata?- chiese ironica la donna dall’altro capo del telefono.
Lyn valutò per qualche secondo se dire o meno la verità a sua madre, poi pensò che non ci fosse niente di male a rivelarle dove era stata assegnata e cosa aveva fatto nell’ultima ora.
- Terapia intensiva per adolescenti- rispose neutra
Elena rimase in silenzio per qualche secondo.
- E’ tosta?- chiese in un soffio e Lyn sospirò
- Beh, devo dire di sì, di certo non fa piacere vedere i tuoi coetanei in coma- disse a sua madre abbassando leggermente lo sguardo.
- Oh, tesoro, perché non hai chiesto di essere spostata? Non devi starci per forza se non vuoi- rispose Elena con fare materno.
- No, va bene, in realtà c’è un paziente, un ragazzo poco più grande di me che...-
Lyn non fece in tempo a finire di parlare che la voce di Irina la richiamava dalla porta d’emergenza.
- Lyn! Lui è andato via se vuoi tornare- disse Irina facendo un gesto eloquente alla giovane.
- Certo, arrivo subito- poi tornò a parlare con sua madre.
- Mamma, ora devo andare, salutami papà- disse sorridendo
- Sì, è già al ristorante, sono qui da sola, questa casa enorme è così vuota senza te, sbrigati a tornare- disse Elena, ravviandosi i boccoli castani.
- Prima di quanto pensi, ti voglio bene- rispose abbozzando un sorriso.
- Anche io, piccolina-
E misero giù, poi Lyn si diresse quasi di corsa nuovamente nella stanza di Viktor.
- Hey, sono tornata, non penserai che ti avrei piantato in asso così al nostro primo incontro- disse allegra Lyn, tornando a sedersi sulla sedia accanto al letto del giovane.
- Dunque, dove eravamo...- ricominciò ad alta voce, mentre apriva il libro alla pagina dove si era fermata poco prima.
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A Lyn sembrò essere passato poco più che qualche minuto dalla ripresa della fiaba, quando il cellulare cominciò a vibrarle più volte.
- Scusami un attimo...- disse a Viktor, anche se sapeva benissimo di non poterla sentire, le piaceva l’idea di mostrarsi comunque bene educata.
Lo afferrò e vide le telefonate di Marta, la ragazza del gruppo volontari con cui divideva la stanza d’albergo.
Aggrottò le sopracciglia e la richiamò con una certa fretta.
- Lyn, ma dove diavolo sei?!- disse agitata la giovane milanese
- Marta, sono in terapia intensiva come da accordi, perché?- rispose ovvia
- Ma come? Non hai visto che ore sono? C’è il pullman qui che aspetta per riportarci in hotel, facendo il conteggio del gruppo, tu non c’eri e mi sono preoccupata!- disse con ancora un velo di apprensione nella voce.
Lyn fece una smorfia. poi guardò il suo orologio e, non potendo credere ai suoi occhi, si ritrovò a dare ragione alla sua amica perché aveva sforato l’orario di almeno mezz’ora.
- Oh, accidenti, chiedi scusa a tutti, scendo subito!- si affrettò a ribattere Lyn, mentre chiudeva con forza il libro e lo riponeva nella borsa, afferrando il soprabito.
- Sbrigati- la rimbeccò l’amica per poi riattaccare.
Lyn si preparò di fretta e poi fece per uscire, bloccandosi sulla porta, per poi girarsi e sorridere.
- Ciao Viktor, sono stata benissimo in tua compagnia, spero sia stato lo stesso per te-
Guardò ancora una volta il corpo inerme di quel bellissimo ragazzo in quel letto e poi uscì, scuotendo la testa, un po’ perché improvvisamente si era sentita tanto stupida nell’aver parlato per un intero pomeriggio con qualcuno che non poteva neanche averla sentita con tutta probabilità e poi perché aveva immaginato come sarebbe stato quell’appuntamento se fosse stato reale, anche solo per un secondo.
Lyn salutò Irina e la ringraziò per tutto e poi si diresse verso l’ascensore, aspettando impaziente che salisse al piano.
Quando le porte si spalancarono sussultò leggermente, trovandosi davanti proprio il padre di Viktor che con un sorriso appena accennato si spostava da un lato per dare la possibilità alla giovane di entrare in ascensore.
Per qualche motivo inspiegabile, Lyn si sentiva profondamente a disagio a stare in quello spazio angusto con quell’uomo dall’espressione austera. Sicuramente si era fatta condizionare da ciò che aveva visto e sentito su di lui durante la giornata, ma chissà perché si sentiva decisamente inquieta.
- Sale o scende?- chiese lui con voce profonda
- Cosa?- chiese Lyn in un soffio
- A che piano, signorina?- chiese nuovamente lui, cercando di mostrarsi gentile, o perché in effetti poteva essere gentile. Lyn non lo conosceva affatto.
- Piano terra- disse lei, evitando di guardarlo negli occhi
Quei cinque piani sembrarono essere cinquanta e le occhiate di sottecchi che quell’uomo stava lanciando a Lyn la mettevano ancora più in soggezione.
- Giornata interessante, immagino- cominciò lui, mentre erano al quarto piano e Lyn annuì debolmente, serrando le labbra.
- Le fiabe non sono mai piaciute al mio Viktor, da quel che ricordo- disse serafico l’uomo e Lyn sentì il sangue gelarsi all’istante in tutto il corpo.
In quegli attimi che le sembrarono infiniti, la giovane pensò alle milleuno cose da dire per potersi giustificare, ricordando quanto Irina fosse stata rigida riguardo al fatto che Viktor dovesse essere lasciato solo in presenza di suo padre. Lyn si chiese come avesse fatto a vederla, se se ne era andata dalla stanza prima che lui potesse anche solo pensare che ci fosse qualcuno insieme a suo figlio.
- Non si preoccupi, checché se ne dica, mi fa piacere che il mio ragazzo abbia compagnia di tanto in tanto...- cominciò gentilmente
- Soprattutto quella di una graziosa signorina- concluse facendo un sorriso a Lyn, che le parve tutt’altro che rassicurante, anzi le trasmetteva un che di viscido e pregò mentalmente che il piano terra arrivasse subito, costringendosi a dare ragione al suo primo istinto sul conto di quell’uomo.
- Mi dispiace, signore, mi avevano detto che non voleva che Viktor stesse con degli estranei, non credevo...- cominciò a giustificarsi la ragazza, stringendo dal nervoso i manici della borsa.
- Non si deve scusare, anzi, dica per favore alle infermiere che ha mio preciso ordine di passare a salutare mio figlio quando vuole- la rassicurò l’uomo.
Una parte di Lyn fu sollevata a quelle parole, ma un’altra parte le diceva di stare comunque allerta.
La scena di lui che dava addosso a quelle povere ragazze qualche ora prima, non poteva essere cancellata da quattro paroline gentili, ma la giovane decise di stare al suo gioco. In effetti, nonostante tutto, si era sentita stranamente serena quel pomeriggio e pensò che, probabilmente, stare lì con Viktor l’aiutava a riflettere su tante cose.
- Grazie- disse semplicemente Lyn e quando le porte dell’ascensore si spalancarono al piano terra, il signor Vorkov fece un cenno alla ragazza per farla passare con fare da gentiluomo e poi si salutarono.
Lyn gettò ancora uno sguardo alle porte dell’ascensore che si chiudevano davanti alla figura di quell’uomo, che le sorrideva ancora mentre lei andava via.
- Finalmente!-
La voce di Marta sembrò riportare Lyn alla realtà e il vento fresco del pomeriggio inoltrato costrinse la ragazzina a stringersi nel suo giacchino leggero.
- Capisco che eri insieme a dei ragazzi in coma, ma questo non ti da il diritto di addormentarti!- cominciò scherzosa Marta, prendendola sottobraccio e dirigendosi insieme verso l’autobus parcheggiato.
Lyn sorrise e pensò che quella ragazza avesse lo stesso modo di fare di Judy e la sua migliore amica, per la prima volta in quasi un anno, non le sembrò così lontana.
- Dai, coraggio, stasera usciamo, dobbiamo riposarci. Quelle piccole pesti mi hanno dato del filo da torcere...- disse con un sorriso divertito Marta, mentre si sedeva al posto del finestrino.
- E a te come è andata invece?- chiese poi rivolgendosi a Lyn, che a sua volta sospirò profondamente, ricordando per un attimo Viktor attaccato alle macchine, tra la vita e la morte.
Non sapeva proprio da dove cominciare per raccontare come si era sentita quel pomeriggio.

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Capitolo 9
*** Misteri ***


Capitolo 9:

Lyn passò la serata a girare e rigirare la cannuccia nel suo drink analcolico, con lo sguardo perso e la mente affollata da una marea di interrogativi.
Si trovava in una delle città da cui, inspiegabilmente, si era sempre sentita attratta da quando era bambina, eppure ora che era lì non riusciva a godersi appieno quell’esperienza. Aveva alzato soltanto gli occhi ogni tanto e fatto qualche tirato sorriso di circostanza, più per autoconvincersi che si stesse realmente divertendo, che per partecipare realmente alla conversazione.
Non riusciva a togliersi Viktor dalla testa e più provava a non pensarci, più gettava lo sguardo all’ingresso del locale ogni volta che vedeva gruppi di ragazzi entrare, con la speranza che qualcuno di loro somigliasse a lui. Lyn si chiedeva perché era toccato proprio a quell’angelo meraviglioso un destino tanto infausto e se lo immaginò lì con lei a ridere e divertirsi, come era giusto che facesse un diciannovenne.
La sua unica reale distrazione era stata lo squillo del telefono che segnava l’avviso di videochiamata di Judy.
Si allontanò dal tavolo della caffetteria in cui era seduta con i compagni del gruppo di volontariato che ridevano e facevano baldoria e uscì sul retro per rispondere.
- Ciao Judy- le disse con un sorriso
- Ciao, hai una faccia, è andata così male?- domandò la bionda a sua volta.
Non c’era nessun altro al mondo, a parte Elena, che riuscisse a capire le espressioni di Lyn al primo colpo come Judy Mizuhara.
- Si nota tanto?- chiese la sedicenne, sedendosi su un muretto accanto alla porta di servizio del locale.
- Non ti sarai depressa al massimo facendo da balia a dei piccoletti che ti guardano con gli occhi pieni di speranza a cui tu non sai proprio cosa dire...- disse Judy alzando un sopracciglio.
- Peggio. Terapia Intensiva per ragazzi sotto i venti- spiegò Lyn e vide sul volto della sua migliore amica dipingersi un’espressione a metà tra il sorpreso e il triste.
- Porca troia, che allegria- commentò la bionda inarcando le sopracciglia, cercando di alleggerire la tensione.
- Beh, che hai fatto allora? Sei stata lì a struggerti e ad immaginarti nel letto al posto loro?- chiese l’americana, col solito poco sottile sarcasmo.
- Al contrario, pensavo a loro qui con me in questo bar, ad uno in particolare...- aggiunse Lyn facendo dondolare un po’ la testa e alzando gli occhi al cielo.
Judy rimase in silenzio e arricciò le labbra guardando la sua amica di tutta la vita che evitava il suo sguardo anche attraverso la telecamera.
- Lyn...- cominciò Judy in tono di protesta.
- Cosa?-
- Oh my God. Non dirmi che...- proseguì la figlia di Max, bloccandosi a metà della frase e portandosi una mano al volto esasperata.
- Senti, lui è bellissimo e io non ce la faccio proprio a non pensare che la vita fa schifo se decide di punire un ragazzo tanto meraviglioso- si difese la mora con voce stridula
- Magari è uno stronzo, che ne sai?- ribatté Judy alzando le spalle, palesemente contrariata a quello che Lyn aveva appena detto.
- Lui non credo, ma suo padre mi mette paura- confessò
- Cioè lo conosci da neanche un giorno e già hai visto suo padre? Tu sei matta- concluse Judy
- Dai, Ju, se solo ti trovassi nella mia situazione mi capiresti- si lamentò Lyn
- Già, come no, sicuro- ironizzò l’americana mentre sorseggiava il primo caffè della giornata, grata a sé stessa per averlo fatto bello forte.
- Ho provato davvero di tutto nella mia vita e lo sai, ma la necrofilia mi manca- proseguì Judy
- Lui non è morto- ribatté Lyn con una smorfia.
- E’ in coma farmacologico per precauzione, per guarire dai traumi dell’incidente- aggiunse, in tono più dolce.
- Come vuoi, ma per me non fa differenza- concluse la riccia.
- E suo padre che tipo è? Perché ti fa paura?- chiese, spostando per un attimo l’attenzione su qualcos’altro, mentre sciacquava la tazza nel lavandino.
- Beh, prima urlava con le infermiere dicendo loro che non si stanno impegnando abbastanza per curare suo figlio- cominciò Lyn
- Poi mi hanno detto che non dovevo farmi vedere in stanza quando c’era lui, non vuole estranei intorno- proseguì
- E’ comprensibile, credo sia un momento molto delicato per lui come genitore, magari è il suo unico figlio, la sua unica ragione di vita e sta chiaramente di merda, poi è un fatto anche di carattere- ipotizzò Judy.
- Quando mi sono rotta il polso al mondiale, mio padre ha dato di matto, aveva paura che non potessi più lanciare Draciel, è stato male quanto me, mentre mia madre, beh lo sai, la donna di ghiaccio ha pensato solo a dirmi quanto poco e male mi fossi allenata per il torneo- ricordò lei, con un pizzico di risentimento nel tono di voce. Il solito che usava quando parlava di sua madre.
Judy era legatissima a suo padre Max, ma proprio perché aveva un carattere molto simile a quello di sua madre Emily, col passare degli anni le due si erano trovate a scontrarsi più volte. Più Judy cresceva e imponeva la sua personalità, più Emily cercava di sovrastarla e questo aveva contribuito ad alzare dei muri tra le due.
- Probabilmente hai ragione, ma quando l’ho incontrato in ascensore mi ha spaventata davvero. Sapeva perfettamente che avevo passato l’intero pomeriggio al capezzale di suo figlio e la cosa non lo disturbava, anzi quasi gli faceva piacere- disse Lyn corrugando la fronte, ricordando la scena di qualche ora prima e più ci pensava, più si sentiva confusa.
- Allora di che ti preoccupi? Come padre credo sia felice di sapere, semmai suo figlio tornasse tra noi mortali, che è stato in compagnia di una strafiga, ti pare?- Judy riprese il suo tono allegro e riuscì a strappare un sorriso a Lyn.
- Vorrei farti vedere com’è, mi piacerebbe avere un tuo parere, che sei la massima esperta in fatto di uomini- la stuzzicò Lyn.
- Honey, dammi nome e cognome, il detective Mizuhara troverà tutto ciò che vuoi sapere in pochi semplici clic- le disse sicura l’amica, strizzandole l'occhio.
Quell’idea di sapere altro sul conto di Viktor era tremendamente allettante. Com’era lui realmente, com’era la sua vita prima di finire in coma e, soprattutto, di che colore erano i suoi occhi, cosa su cui la giovane non aveva smesso un secondo di fantasticare da quella mattina.
- D’accordo, ma fai in fretta, se quelli non mi vedono tornare tra qualche minuto cominciano a rompere- disse Lyn e Judy sorrise maliziosa, facendo correre velocemente le dita sullo smartphone.
Lyn rimase in trepidante attesa, mentre il viso della sua migliore amica era illuminato dal bagliore dello schermo del telefonino e lei scorreva attenta le pagine web.
- Trovato qualcosa?- chiese impaziente la sedicenne, dopo qualche secondo.
- E’ molto strano- disse Judy, aggrottando le sopracciglia.
Quell’espressione non prometteva nulla di buono, secondo l’esperienza di Lyn.
- Cosa è molto strano?- la incalzò quest’ultima.
- Non c’è niente- sentenziò la bionda.
- Come? Niente di niente?- tentò nuovamente, ma Judy scosse la testa, abbastanza incredula di fronte a quella scoperta.
- E’ decisamente really strange. Non c’è un account Facebook, o Instagram, o una misera foto di questo Viktor Vorkov da nessuna parte- proseguì Judy.
- Magari non è un tipo social- propose Lyn con un’alzata di spalle, ma Judy, di tutta risposta scoppiò a ridere.
- Andiamo, svegliati! Ha sicuramente qualcosa da nascondere se non si trova nulla- la rimbeccò la riccia.
- Tu credi?- Lyn si morse un labbro.
- Absolutely! Trovami un diciannovenne che non usa Instagram di questi tempi. Persino il piccolo Jay ha un account- proseguì ovvia Judy.
Lyn sospirò arresa.
- Vorrà dire che dovrò farti delle foto di nascosto- osservò rassegnata Lyn.
- Ti prego, proprio no, ah-ah - lo sguardo della bionda era terrorizzato, mentre scuoteva energicamente la testa.
- L’immagine di un ragazzo intubato in un letto d’ospedale mi da i brividi, quindi passo- concluse Judy ferma.
- D’accordo, allora ti farò un disegno- negoziò Lyn, per poi scoppiare a ridere, trascinando anche la sua migliore amica in quella risata contagiosa, uguale a quella di Rei.
Le due restarono a parlare per qualche altro minuto, poi fu Judy a chiudere per prima la telefonata, perché aveva appuntamento al PPB con suo padre ed era in ritardo come al solito.
Quando Lyn rientrò al locale, il suo gruppo di amici era alla cassa per pagare il conto e lei si maledì mentalmente per essere stata poco educata e presente durante quella serata che sembrava volgere già al termine, il cui scopo era consolidare un legame di amicizia tra i vari volontari.
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I giorni seguenti passarono veloci.
Ogni mattina, quando il capogruppo riuniva i volontari per assegnarli ai reparti, Lyn aveva pregato mentalmente di capitare di nuovo in terapia intensiva. Solo per rivedere Viktor qualche minuto e continuare a leggere per lui.
Le speranze erano state annullate ogni santo giorno, quando aveva ricevuto incarichi sempre diversi.
Persino quando le era toccata l’oncologia pediatrica e aveva fatto lo spettacolo dei burattini (il suo cavallo di battaglia) la sua mente correva al quinto piano, dove quel ragazzo bellissimo ed etereo giaceva ancora addormentato sotto sedativi.
Considerando che il signor Vorkov le aveva dato lui stesso piena libertà nell’andare a trovare Viktor ogni volta che voleva, Lyn alla fine di ogni turno, saliva di corsa al reparto di T.I. e passava per un saluto, persino le infermiere ormai la conoscevano e le davano la possibilità di lasciarli da soli per un po’.
Era in quegli attimi che Lyn si dimenticava del mondo intero, c’erano solo lei e Viktor e aveva preso l’abitudine di raccontargli le sue giornate, cantava per lui (anche se non era molto intonata) e gli leggeva qualche altra pagina della sua fiaba preferita.
La giovane sentiva di aver instaurato un profondo legame con quel ragazzo, impossibile da descrivere o da spiegare a parole e il fatto che la sua migliore amica, a cui da sempre confidava tutti i suoi segreti, fosse scettica riguardo quella situazione la faceva stare male. Lyn voleva che gli altri avessero la possibilità di vedere Viktor attraverso i suoi occhi, cosicché avrebbero visto non un ragazzo morente in un letto d’ospedale, ma uno a cui serviva una spinta per tornare a vivere. Come l’interruttore di una luce o un motore e Lyn aveva tutta l’intenzione di diventare la benzina di quello stesso motore.
Purtroppo però, al decimo giorno di quel viaggio, la consegna del biglietto aereo personalizzato da parte del capogruppo, aveva gettato Lyn in uno sconforto totale. Non era per niente pronta a separarsi da Viktor e più pensava ai kilometri che li avrebbero tenuti lontani, più sentiva di impazzire.
Prima della partenza, Lyn aveva chiesto il permesso di andare a salutare le infermiere, con la scusa di vedere Viktor un’ultima volta. Così, quando il capogruppo le diede l’ok, a patto che fosse tornata entro un paio d’ore, non perse tempo e dopo essersi vestita e truccata alla velocità della luce, prese la metro (che fortunatamente era ben collegata con tutte le zone della città, anche le più limitrofe) e si diresse all’ospedale.
Si perse per un attimo a guardare quella moderna costruzione da fuori e realizzò che probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta in cui l’avrebbe vista.
Lyn lottò con la lentezza dell’ascensore, farfugliando maledizioni sul fatto che dovesse salire più velocemente e quando arrivò in reparto, scansò il viavai di infermieri e corse veloce alla stanza di Viktor, bloccandosi sull’uscio. La scena che vide non le piacque per niente e, soprattutto, non prometteva nulla di buono, togliendole il sorriso dalla faccia di colpo.
- Signor Vorkov, la prego, deve firmare, sono passati quarantacinque giorni- diceva uno dei medici, porgendo all’uomo una cartellina e una penna.
- Mi rifiuto, mio figlio è forte, sopravviverà- rispose duro l’uomo.
- Per favore, mi ascolti capo, lei è un uomo di scienza, sa bene che in queste condizioni Viktor non potrà sopravvivere anche se provassimo a svegliarlo- diceva un’infermiera.
- No!- l’urlo pieno di rabbia di quell’uomo aveva fatto tremare persino i muri, costringendo Lyn a fare un altro passo in avanti per seguire meglio quel battibecco piuttosto animato.
- Voi non staccherete la spina a mio figlio né ora, né mai!- e il tono con cui aveva parlato faceva presagire che la conversazione dovesse forzatamente finire lì.
- Staccare la spina?- mormorò Lyn a voce più alta di quanto avesse voluto e con due lacrime appena spuntate dagli angoli degli occhi. Ogni fibra del suo corpo si era immobilizzata.
Quelle persone erano lì e volevano porre fine alla vita di quel ragazzo stupendo. Non poteva permetterlo, doveva fare qualcosa, se solo i muscoli le avessero obbedito.
Tutti i presenti si girarono nella direzione di Lyn con sorpresa e Irina con un passo la raggiunse, per poi spingerla dolcemente fuori dalla porta.
- Lyn, andiamo, vieni via, non è un buon momento- le disse l’infermiera ormai sua amica, ma lei cercava di divincolarsi in ogni modo.
- Coraggio, non puoi stare qui adesso- tentò nuovamente la donna, cercando di portarla via di lì, ma Lyn continuava a sfuggire alla sua presa, tenendo lo sguardo fisso su Viktor accerchiato da tutti quei medici e infermieri e scuotendo la testa dall’incredulità.
Non potevano fargli questo. Non a lui. Aveva ancora la vita davanti e quegli uomini e quelle donne non erano nessuno per giocare a fare Dio con la vita di quel ragazzo.
- Lasciatela stare!- tuonò il proprietario dell’ospedale e Irina mollò subito la presa.
- Qualunque decisione medica deciderò di prendere, diamo cinque minuti a questa ragazza che in pochi giorni ha saputo trattare mio figlio molto meglio di voi, branco di incapaci!- disse disgustato Vorkov, passando in rassegna il suo staff.
- Fuori, subito!- ordinò e tutti uscirono di fretta dalla stanza.
- Signore, io volevo solo...- il medico porse ancora una volta la cartellina al sessantenne che lo fulminò con lo sguardo.
- Dottor Rotojski, ho detto fuori- sibilò
- Sissignore- il medico chinò il capo e si diresse fuori dalla porta, fermandosi per un secondo ad osservare Lyn che era rimasta sull’uscio.

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Capitolo 10
*** ll Risveglio ***


Capitolo 10:

Rimasti soli, Vorkov sfoderò un sorriso rassicurante, che agli occhi di Lyn continuava a nascondere qualcosa di oscuro. Nonostante si trovassero assolutamente d’accordo sulla decisione di mantenere in vita Viktor, non poteva fare a meno di continuare a frapporre una certa distanza tra lei e quell’uomo, che ancora dopo dieci giorni le incuteva timore come la prima sera in ascensore.
- Mia cara, vieni avanti- la esortò e Lyn lentamente raggiunse il letto, lanciando uno sguardo pieno di tristezza a chi lo occupava.
- Non lo farà, vero?- chiese la giovane, tentando di ricacciare indietro le lacrime e preoccupandosi di non staccare gli occhi da Viktor.
- Naturalmente no- rispose sicuro l’uomo.
- Mio figlio non è come tutti gli altri ragazzi, lui è speciale- proseguì, carezzandogli i capelli, con un tono di voce che avrebbe messo i brividi a chiunque.
Lyn raccolse tutto il coraggio a sua disposizione in quel momento, guardò Vorkov dritto negli occhi e sospirò prima di emettere qualsiasi suono.
- Posso chiederle di restare da sola con lui per qualche minuto?- azzardò lei, pentendosi subito dopo di aver avanzato una richiesta piuttosto avventata, date le delicate circostanze.
Vorkov sorrise ancora, chinò il capo, baciò suo figlio sulla fronte scostandogli il ciuffo argenteo e poi lanciò a Lyn uno sguardo profondo.
- Ma certamente, prenditi pure tutto il tempo che ti serve- rispose lui in tono mellifluo e poi si diresse lentamente verso la porta.
Quando si accertò che fossero soli, Lyn si mise in ginocchio accanto al letto di Viktor.
- Viktor, ti prego, riesci a sentirmi?- cominciò, sentendo le lacrime che le cadevano ormai inesorabili sulle guance.
- Se mi senti, te lo sto chiedendo per favore, svegliati- proseguì, per poi cominciare a tirare su col naso.
- Qui fanno sul serio, vogliono lasciarti morire, quindi, ti supplico, apri gli occhi e torna a vivere- lo supplicò ancora lei.
Lyn non sapeva neanche perché stava recitando quella preghiera disperata nel tentativo di salvare quello che era, a tutti gli effetti, un perfetto sconosciuto per lei, ma qualcosa nell’anima, nel cuore, nelle profondità del suo essere la spingeva a lottare per quel giovane.
- Viktor, ascolta- Lyn allungò una mano verso quella di lui e, dopo qualche secondo di esitazione, la prese e la strinse tra le sue.
Il contatto con la pelle fredda di lui le diede una scarica elettrica che le corse per tutto il corpo. Quel tocco gelido, candido, trasmise a Lyn una sensazione di incredibile sicurezza e protezione.
- Svegliati. Devi sapere come finisce la storia tra Belle e la Bestia, io pretendo che tu conosca quel finale- la ragazza non riusciva a fermare le lacrime e i singhiozzi a stento le davano la possibilità di parlare.
- Devi avere anche tu il tuo lieto fine, lo meriti dopo quello che hai subito, quindi ti imploro, apri gli occhi-
Lyn osservava la bellezza giacente in quel letto, Viktor era come una statua in un museo, perfetto nella sua immobilità. Nonostante più di un mese chiuso in ospedale, sulle sue braccia c’erano ancora accenni di muscoli e quel ciuffo così particolare era cresciuto ancora un po’ e adesso gli cadeva quasi completamente sull’occhio destro, nascondendolo.
Lyn sentì l’impotenza invadere ogni cellula del suo corpo e quando capì che non avrebbe potuto fare più nulla, si rimise in piedi e si ricompose, sistemandosi la gonna a pieghe che aveva indossato quel giorno, immaginando di sentirsi bella per lui e fece per uscire dalla stanza, con un lungo sospiro volto a soffocare le ultime mute lacrime.
Prima di lasciare quella camera, rivolse un ultimo triste sguardo a Viktor.
- Ti prometto che questo non è un addio- disse Lyn e poi uscì definitivamente.
Proprio quando Lyn era di spalle e procedeva di corsa verso l’ascensore, asciugandosi gli occhi con la manica del maglioncino, Viktor mosse e piegò leggermente le dita della mano destra, la stessa che la ragazza aveva tenuto tra le sue pochi minuti prima, come a voler ricambiare debolmente la stretta.
Vorkov rientrò nella camera di suo figlio proprio nell’esatto istante in cui Viktor stava muovendo le dita. Si aprì in un ampio sorriso trionfante e poi scoppiò a ridere, curandosi di non attirare troppo l’attenzione degli infermieri che passavano di lì. Quindi si chiuse la porta alle spalle e tirò giù le persiane che davano sul corridoio, guardandosi intorno circospetto e assicurandosi che nessuno entrasse a disturbarlo. Del resto, nessuno avrebbe potuto. In quell'ospedale tutti lo temevano.
- Bene, ragazzo mio, molto bene- sussurrò andando verso il letto, continuando a sghignazzare.
- Hai riposato abbastanza, direi- proseguì, tirando fuori dalla tasca interna della giacca elegante, una siringa contenente un liquido trasparente.
Con fare ancor più circospetto, staccò velocemente l’ago dalla siringa e la infilò nella flebo attaccata al braccio di Viktor, premendo con forza lo stantuffo e continuando a lanciare occhiate preoccupate fuori dalla stanza.
- Ecco fatto- mormorò, mettendo via la siringa e girando la rotellina della flebo, aumentando al massimo la velocità di rilascio del medicinale.
- Sveglia, mio prode, è ora di tornare alla missione- disse Vorkov lasciandosi andare ad una nuova ed inquietante risata.
Dopo qualche secondo, Viktor cominciò ad agitarsi, come colpito da spasmi. Tossiva e sentiva i conati di vomito impossessarsi del suo corpo.
- Calmati- gli disse Vorkov, mentre tentava di togliergli il tubo endotracheale, mentre lui si agitava sempre di più.
Viktor afferrò il tubo con entrambe le mani, tentando di sfilarlo da solo, stando ancora con gli occhi chiusi, ma suo padre fu più veloce e lo liberò da quell’impiccio.
Lui balzò subito a sedere tossendo violentemente e tenendosi la gola, quando smise, fece un respiro profondissimo e alzò la testa. Due occhi con scintillanti riflessi violacei guardavano Vorkov pieni di odio.
Il giovane sentiva la gola bruciare, avrebbe voluto dire una marea di parolacce, ma era come se avesse inghiottito della sabbia che gli era rimasta incastrata nella trachea.
Vorkov sembrò non badare allo sguardo truce che suo figlio gli stava lanciando, al contrario era felicissimo e sbatteva le palpebre ammirato.
- Bentornato, figliolo-
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Durante il tragitto verso casa, Elena aveva tentato in qualunque modo di fare conversazione con sua figlia, ma aveva ricevuto in risposta soltanto qualche mugugno associato a dei monosillabi e all’ennesima domanda, la donna capì che la ragazza non era dell’umore adatto.
Elena notò che Lyn, girata completamente verso il finestrino che guardava distratta il paesaggio scorrere veloce, fosse identica a lei quando qualcosa la impensieriva particolarmente. Ricordava di aver assunto quegli stessi atteggiamenti più volte durante il Cammino, quando qualcosa la turbava. In quel momento realizzò quanto dovesse essere stato frustrante per Rei e gli altri viaggiare con lei che si chiudeva a riccio.
Tornati a villa Tornatore, Rei fu l’unico che riuscì a restituire il sorriso a sua figlia, la quale non appena vide suo padre gli corse incontro e gli saltò in braccio.
- D’accordo, come sempre vuoi il tuo papà, è sempre la stessa storia, da quando sei nata- disse sarcastica Elena roteando gli occhi e capendo che era stata appena relegata a ruolo di facchina, portando in camera i bagagli di sua figlia.
Rei guardò Lyn e le accarezzò i capelli, ammirando tutti i dettagli del suo viso.
- Papà, sono stata via dieci giorni, non dieci anni- disse lei imbarazzata.
- Lo so, ma lasciati guardare, la mia piccola Tigre è tornata alla sua tana- rispose Rei sorridente.
La ragazza sorrise, poi abbracciò ancora una volta suo papà, grata di essere tra le braccia dell’uomo più importante della sua vita. A Rei non sfuggì che quell’abbraccio nascondesse più di una semplice dimostrazione d’affetto, ma se conosceva sua figlia quanto la conosceva, sapeva che come la sua mamma non doveva essere messa sotto pressione. Si sarebbe confidata quando se la sarebbe sentita.
- Com’era la Russia?- chiese Rei, tenendo la sua bambina ancorata a sé.
- Magnifica, sai, mi pento di non esserci andata con te e la mamma, ci saremmo divertiti- rispose lei e Rei, di tutta risposta, fece una smorfia.
- Sai bene che non ho bei ricordi di quel posto- disse lui serrando le labbra.
- Appunto per questo, ne avresti creati di nuovi e più belli con noi- ribatté lei sorridendo, mostrando quei singolari canini appuntiti, proprio come quelli di suo padre.
- Potrei anche lasciarmi convincere, sai?- provò Rei e sua figlia sorrise ancora di più, quando sua madre fece ritorno nell’ingresso.
- Visto che non sono riuscita a tirarti su di morale io, magari ci riesce qualcun altro...- cominciò la donna con un sorrisetto.
- Ci ha già pensato papà, tranquilla- rispose la ragazza, guardando fiera suo padre, che ricambiò lo sguardo.
- E io che credevo di fare un miracolo...-
Quando riconobbe la voce femminile che aveva appena parlato Lyn sgranò gli occhi e si staccò da suo padre, urlando di gioia non appena vide Judy che apriva le braccia, invitando la ragazza a correre da lei.
- Non posso crederci! Sei già qui?!- disse Lyn in preda alla felicità, quando si staccò dall’abbraccio con la sua amica di sempre.
- Ho pensato di farti una sorpresa...- disse vaga la bionda.
- E non è la sola...-
- Già, che credi?-
Due ragazzi che Lyn conosceva benissimo, più delle sue stesse tasche, apparvero alle sue spalle con due sorrisoni soddisfatti dipinti sul viso.
Il più alto dei due aveva i capelli scuri raccolti in una coda bassa, un berretto bianco e rosso da cui non si separava mai, gli occhi con dei particolari riflessi antracite e un sorriso meraviglioso
- A me niente abbracci?-
Makoto Kinomiya attendeva impaziente che la sua più cara amica andasse a salutarlo. Lyn era sconvolta e, quando si riprese, scosse la testa e sorrise correndo ad abbracciare quel ragazzo che per lei era molto più di un fratello, anzi, i due si consideravano come gemelli visto che erano nati a poco meno di tre mesi di distanza ed erano praticamente cresciuti insieme. Inseparabili.
- Che bello vederti, draghetto- disse sincera Lyn, nascosta nel petto di Makoto, che era leggermente più alto di lei.
- E’ bello anche per me, tigrotta- rispose lui, usando quei nomignoli solo loro.
- Ok, troppo zucchero, sto per vomitare. Zia Elena, hai un digestivo?- sdrammatizzò Judy, mentre Lyn passava a salutare l’altro suo carissimo amico, David, il secondogenito dei Mizuhara.
- Come te la passi, Lyn?- chiese il diciannovenne, sistemandosi i suoi grossi occhialoni sul naso che nascondevano buffe lentiggini e dalle cui lenti trasparivano meravigliosi occhi azzurri come quelli di sua sorella, infine gli indomabili capelli ramati erano tenuti insieme da una fascia con la tipica bandiera a stelle e strisce del suo paese.
- Molto bene- rispose lei.
- Hey, ma i vostri genitori?- chiese Lyn, non vedendo in giro i suoi zii.
- Ci raggiungeranno domani, nel frattempo...- Makoto annusò l’aria.
- E’ odore di pizza quello che sento?- chiese sgranando gli occhi.
- Già, mamma e papà sono ai fornelli- sentenziò la sedicenne padrona di casa.
- Cazzo, che meraviglia, muoio di fame!-
Makoto era già partito in quarta verso la cucina di casa Tornatore, dove Elena e Rei si stavano già dando da fare per dare il miglior benvenuto possibile ai loro nipotini, ormai abbastanza cresciutelli, non troppo per assaggiare i loro manicaretti.
Dopo cena, come era da consuetudine ormai da qualche anno, i quattro ragazzi andavano a fare un giretto per il centro storico, non prima di essersi sorbiti un quarto d’ora di raccomandazioni da Rei ed Elena sull’orario di ritorno e il restare sempre uniti e in posti affollati.
- Neanche ora che avete due maggiorenni a tutti gli effetti che vi controllano a vista, gli zii si fidano- commentò Judy uscendo sul vialetto e accendendosi una sigaretta.
- In realtà siamo noi che dovremmo controllare te, ma dettagli- ridacchiò Makoto, girandosi il cappellino al contrario e sfoderando un enorme sorriso rivolto in particolare a Lyn.
- Dove si va? Ho proprio voglia di fare un aperitivo- propose il ragazzo dai capelli ramati.
- Dopo tutto quello che abbiamo mangiato hai anche il coraggio di voler andare per bar?- chiese Lyn, sconcertata.
- Ormai dopo tutte le estati passate in Italia, si sente completamente in diritto di prendere le vostre abitudini- ribatté Judy, strizzando l'occhio a suo fratello.
- Siete voi che mangiate da schifo negli USA, se penso ancora al quantitativo di maionese sulla tua pasta, mi viene il voltastomaco- commentò disgustato Makoto.
- Non ti azzardare, la maionese sta bene su tutto!- lo riprese David e Lyn si trovò d’accordo con Makoto e, solo quando si sistemarono comodamente sul muretto di fronte al Colosseo con una birra per uno, iniziarono a chiacchierare tranquillamente.
- Allora com’era la Cina?- chiese Makoto vago, per poi fare un sorso dalla sua Tennent’s.
Judy guardò Lyn di sottecchi e David a sua volta guardò Judy. La piccola Kon sapeva benissimo dove il suo amico d’infanzia voleva andare a parare.
- Beh, sai, accogliente, tranquilla, ma insomma ho visto solo lo sperduto villaggio da dove viene mio padre, non è che sono andata in giro a visitare altro- confessò ovvia Lyn, ravviandosi una ciocca di capelli caduta davanti la fronte a causa della leggera brezza estiva.
- Gli abitanti del villaggio erano simpatici?- incalzò David.
- Già, ho sentito che i vecchi amici di tuo padre si sono dati parecchio da fare ad avere figli- si intromise nuovamente Makoto e Judy roteò gli occhi.
- Oh, andiamo, smettila di fare il bambino, Makoto. Sappiamo benissimo che vuoi chiedere a Lyn a proposito del suo primo bacio- sbottò esasperata la maggiore del gruppo, mettendo in imbarazzo soprattutto l’altra ragazza.
- E sappiamo anche che ti rode il culo da morire per questo- proseguì Judy, indicando con la bottiglia e uno sguardo malizioso il figlio di Takao, mentre a suo fratello stava per andare di traverso la birra.
Sia Lyn che Makoto sentirono le guance andare a fuoco per l’imbarazzo.
- Ma dai, Judy...- cominciò Lyn poco convinta e l’amica rispose con una semplice alzata di spalle.
- Tu saresti in grado di mandare in carcere gli innocenti con quella bocca, lo sai?- le interruppe Makoto seccato e Judy si limitò a sorridere soddisfatta.
- Fossi in te però non mi preoccuperei di Jin, ma di un misterioso ragazzo russo...- riprese Judy, ricevendo di tutta risposta, un’occhiataccia da parte di Lyn.
- Cosa?- chiese David, vuotando la bottiglia di birra.
- Di che parla, Lyn?- chiese curioso Makoto.
- Ragazzi, torniamo? A breve i miei si attaccheranno alla cornetta e chiameranno tutti noi- propose Lyn scendendo dal muretto, più per togliersi dall’impaccio che per la fretta di tornare a casa.
 

 

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Capitolo 11
*** Litigi ***


Capitolo 11:

I giorni seguenti furono un susseguirsi di eventi per Lyn, primo fra tutti il consueto arrivo dei suoi adorati zii, con tutto il baccano che ne conseguiva, soprattutto da quando anche il fratellino di dieci anni di Makoto, Jay, aveva cominciato a tormentare i più grandi per giocare e sfidarsi a Beyblade.
Per Takao, Max e il Professor Kappa le vacanze romane a villa Tornatore con Elena e Rei erano ormai una tradizione da quasi quindici anni e, quelle quattro settimane, Lyn avrebbe detto essere senza dubbio, solitamente, le più belle dell’anno. Ma non quella volta.
La ragazza aveva passato interi pomeriggi a fissare il suo cellulare che restava immobile, senza ricevere alcuna novità dal fronte russo.
Prima di partire, in preda a chissà quale pensiero, aveva lasciato il suo numero ad Irina, raccomandandosi di ricevere notizie di Viktor, sia negative che positive, ma era passato un po’ e non aveva avuto alcun riscontro. Per via di quella situazione, non riusciva a godersi appieno le sue giornate con gli amici di sempre e quello stare con la testa fra le nuvole non era sfuggito per niente agli altri ragazzi.
Lyn non aveva alcuna intenzione di parlare di Viktor per una serie di motivi, primo su tutti conosceva bene i sentimenti di Makoto per lei da un bel po’ di anni e la sua reazione alla scoperta del bacio con Jin non aveva fatto altro che confermare quei sospetti, dunque non voleva ferirlo confessando apertamente il fatto che le piacesse un altro, così di punto in bianco e poi, proprio perché non sapeva realmente se quello che era successo durante il viaggio in Russia potesse definirsi “conoscere un ragazzo”, non si azzardò a proferire parola.
La giovane si ritrovò spesso a riflettere con lucidità su quanto oggettivamente quella situazione suonasse assurda. Aveva perso la testa per un tipo lontano milioni di kilometri senza averci neanche parlato, per di più non sapeva nemmeno se avesse potuto mai farlo, dato che l’ultima volta che aveva visto Viktor i medici parlavano di staccarlo dalle macchine che lo avevano tenuto in vita fino a quel momento. A ripensare a quella scena, a Lyn si rovesciava sempre lo stomaco e doveva fare appello a tutte le sue forze per ricacciare indietro le lacrime.
Il suo atteggiamento, inoltre, fece “preoccupare” anche Hilary ed Emily, che, abituate l’una a due figli maschi che non la consideravano quanto a faccende personali e l’altra che aveva perso il diritto di parlare con sua figlia quando non faceva altro che criticarla in continuazione, non persero tempo a far notare ad Elena quanto la ragazza fosse distratta. L'italiana aveva notato lei stessa il comportamento di sua figlia, ma si giustificò con le sue amiche più care raccontando dell’episodio in Cina col figlio di Lai.
La fase adolescenziale era sempre complicata, i primi amori, le prime cotte, i primi approcci pensò Hilary e, quindi, il discorso venne liquidato così.
Quella mattina, però, Lyn era particolarmente silenziosa seduta sul suo lettino a bordo piscina, mentre osservava l’incontro di Beyblade tra Makoto e Jay senza prestargli però la giusta attenzione, come faceva di solito, rigirandosi il cellulare tra le mani. Judy, che conosceva bene la sua amica, chiuse con forza il libro che stava leggendo e osservò Lyn socchiudendo gli occhi. Tirò velocemente le gambe fuori dalla piscina e si avviò accanto a lei tirandole il cellulare dalle mani.
- E’ sequestrato- sentenziò, senza aggiungere altro, ma Lyn balzò in piedi e cercò di riprenderselo.
- Judy, ridammelo- sibilò, ma l’americana si limitò a scuotere la testa.
- Te lo ridarò quando non ci starai più così attaccata, ma che hai?- chiese seccata la bionda.
- Niente di importante- Lyn sperava di cavarsela con quella vaga e poco convinta affermazione, ma Judy era un osso duro e non avrebbe mollato di certo facilmente la presa. Non con lei che era come una sorella minore.
- Beh, allora se non è niente di importante, non ti dispiacerà lasciarmi il cellulare, giusto?- domandò con fare inquisitrice Judy.
- Mi serve, aspetto una chiamata da...- cominciò la sedicenne visibilmente in difficoltà, non sapendo come continuare per accampare una scusa credibile, mentre Judy in attesa, inarcò le sopracciglia con fare ovvio, pronta a non credere ad una sola parola che sarebbe uscita dalla bocca della sua amica.
- Dal gruppo di volontariato, quindi molla l’osso- ritentò Lyn, andando di nuovo all’attacco.
- Te lo scordi- ribatté ancora una volta la più grande delle due, nascondendo il cellulare tra la sua schiena e la sdraio.
In quel momento arrivò Makoto con un sorriso soddisfatto.
- Hey, ragazze, qualcuno vuole sfidarmi? Mi sono rotto di allenarmi con Jay, è una schiappa e prima che si metta a piangere, vorrei fare un incontro serio- propose il maggiore dei Kinomiya, ma dopo qualche secondo si rese conto che non era affatto il momento adatto per un incontro di Beyblade. A breve ne sarebbe cominciato uno di boxe femminile se non avessero fermato Judy e Lyn.
David si accorse degli sguardi truci che le due ragazze si stavano lanciando e si frappose, notando che Makoto se ne stava lì impalato.
- Calme, che succede?- chiese il giovane dai ricci ramati.
- Tua sorella si sente in diritto di decidere lei quando e come devo stare al telefono- cominciò Lyn mettendosi a braccia conserte e sfoderando i canini leggermente appuntiti con una smorfia di stizza.
- Certo che ne ho il diritto, soprattutto perché le persone qui presenti, i tuoi migliori amici nel caso te lo fossi dimenticato, si fanno quindici ore di aereo per venire a passare dei giorni in tua compagnia!- rispose Judy socchiudendo gli occhi e calcando ogni singola parola.
- Quindi sì, mi da fastidio che ti isoli e non stiamo insieme come sempre- concluse la bionda e lo sguardo dei due ragazzi saettò dall’una all’altra alla velocità della luce.
- Dai, Judy, non fare la bambina, restituisciglielo, anche tu stai sempre attaccata al tuo cellulare- la rimbeccò suo fratello, cercando di calmare gli animi, ma come risultato ottenne solo di far innervosire la futura scienziata del PPB ancora di più.
- Che cosa hai detto scusa?- chiese stridula quest’ultima.
- Forza, smettiamola di discutere su queste cazzate, andiamo ad allenarci, tra un mese ci sono le selezioni ai campionati del mondo e sarà un torneo itinerante, ma ci pensate che ficata?- disse entusiasta Makoto.
- Chiudi il becco!- risposero in coro le due ragazze e Makoto rimase allibito dal modo in cui l’avevano aggredito, cosa che non era mai successa in tutti quegli anni che erano amici.
- Ti da fastidio perché non sei al centro della nostra attenzione a questo giro? Stai male perché non ti abbiamo ancora chiesto delle tue bravate al college, dei ragazzi con cui sei andata a letto, o perché tua madre ti sta sempre addosso senza darti affetto?- Lyn aveva l’artiglieria disposizione per colpire Judy nel profondo e aveva appena deciso di sfoderarla. Del resto le due si conoscevano da tutta la vita ed erano legatissime, sapevano tutto l’una dell’altra e questo, in circostanze di litigio, poteva essere un’arma a doppio taglio.
Difatti Judy avvampò, livida di rabbia e fece uno scatto in avanti.
- Come ti permetti?- chiese senza fiato, mentre suo fratello cercava di tenerla ferma.
- Ok, d’accordo, Jay va’ a chiamare papà, mamma, insomma chiunque!- ordinò veloce Makoto al suo fratellino, che ubbidì correndo veloce verso il retro del giardino, dove gli adulti erano intenti a bersi uno spritz in pace.
- Sai, sei in pena per questo tizio misterioso, ma ti dirò una cosa, comincio a pensare che lui non esista e sia solo frutto della tua fantasia di adolescente- cominciò Judy, al suo turno di sputare veleno su Lyn.
- Tu non c’eri e non lo sai cosa è successo, lui è reale, ed è vivo!- ribatté la mora con una rabbia che non credeva possibile, mentre il figlio di Takao la teneva saldamente per le braccia, impedendole di scattare in avanti verso Judy. Lyn aveva ereditato la velocità felina di suo padre, ci avrebbe messo mezzo secondo a saltare addosso alla figlia di Max.
In quel momento accorsero i genitori delle ragazze, increduli di fronte a quella scena. In così tanti anni le due non avevano mai litigato, almeno non in quel modo così animato.
- Ma che succede?- chiese Elena sgranando gli occhi, vedendo le due che si buttavano addosso cattiverie come una palla da ping pong.
- Ragazze, calmatevi, ma cosa vi prende?- Emily dovette alzare la voce per farsi sentire.
- Se non avessi preso il mio cellulare non ti avrei mai aggredita!- proseguì Lyn.
- E se tu non fossi andata in Russia ora non saresti così cambiata! Vorrei che non ci fossi mai andata!- urlò Judy con tutto il fiato che aveva in corpo.
Gli uomini erano confusi, non riuscivano neanche a capire perché stessero discutendo, tant’era vero che Max guardò Rei curioso.
- Quando c’è stata in Russia, Lyn?-
- Settimana scorsa- rispose l’altro, senza staccare gli occhi da quella discussione che proseguiva senza esclusione di colpi.
- Ok, ascoltate, direi di darci tutti una calmata, che dite?- propose Hilary, da sempre quella più tranquilla in materia di discussioni.
- Se Judy mi ridarà il telefono, farò finta che non sia successo niente- cercò di negoziare Lyn.
- Vaffanculo!- rispose la bionda ancora in preda alla rabbia e a quel punto sua madre, dopo essersi sistemata gli occhiali sul naso con fare risoluto, le si parò davanti mollandole un ceffone in pieno viso.
Lo sbigottimento si dipinse sul viso dei presenti e calò il silenzio in giardino, soltanto l'acqua in piscina e il rumore della carne sul fuoco pronta per la braciata spezzavano l'irreale silenzio calato in quel luogo.
Judy si toccò la guancia e poi sorrise beffarda a sua madre.
- Gran classe, Emily, un gesto degno di te- disse Judy trattenendo con tutta la forza le lacrime.
- Vedi di comportarti bene, ragazzina, siamo ospiti qui- cominciò Emily, mantenendo quella calma tipica sua.
- Sono stufa delle tue continue ribellioni e del tuo modo di fare così sconsiderato- continuò, sfruttando l’occasione per tirare fuori tutto quello che pensava dei comportamenti di sua figlia.
- Continua su questa strada e non ci sarà alcun posto per te al PPB, un giorno- sentenziò la scienziata, sistemandosi di nuovo gli occhiali, di tutta risposta Judy si lasciò sfuggire una risata.
- Sono un’ottima studentessa e un’ altrettanto ottima blader, non potrai impedirmi di lavorare lì!- la minacciò sua figlia, socchiudendo gli occhi.
- Vedremo, intanto ringrazia tuo padre, tua nonna e il buon nome dei Mizuhara per il tirocinio. Fosse stato per me, te lo saresti sognato- concluse la donna dai capelli rame, voltando le spalle a sua figlia e dirigendosi nuovamente sul retro del giardino della villa a passo deciso.
I presenti, in silenzio, la seguirono. Max, in particolare, affiancò subito sua moglie e le bisbigliò qualcosa in modo concitato, mentre Judy si liberò malamente dalla stretta di suo fratello, prendendo il suo libro e avviandosi ad ampie falcate da un’altra parte, per stare sola.
Rimasero soltanto Rei ed Elena lì con i ragazzi, il primo si mise a braccia conserte proprio come sua figlia, sollevando il mento, mentre Elena aveva le mani in fianco.
Lyn sospirò, sapendo perfettamente che quando i suoi genitori assumevano quelle pose c’erano guai in vista. Così, incapace di sostenere il loro sguardo, si voltò.
- Non pensare di cavartela così tu- la riprese Elena, alzando un sopracciglio.
- Mamma, senti, non cominciare- liquidò la ragazza, andando a riappropriarsi di ciò che l’amica l’aveva privata.
- Ah-ah. Judy potrà anche aver sbagliato, ma vediamo come va a finire se sarò io a sequestrarti il cellulare- rispose Rei serio.
- Non lo faresti mai- disse Lyn trasalendo.
- Non sfidarmi, Lyn- l'ammonì Rei e il suo tono perentorio avrebbe messo in soggezione chiunque. Persino Elena che era sposata con lui da una vita, quando lo vedeva fare minacce in modo così calmo, aveva un lieve sentore di terrore.
- Sapete che c’è? Visto che non sono di compagnia, tolgo il disturbo- propose la giovane, afferrando il suo cellulare, i vestiti e le chiavi dello scooter.
- Lyn Soraya Kon*, torna subito qui! Non azzardarti a mettere piede fuori da questa villa!- urlò Elena, ma sua figlia, proprio come aveva fatto lei un migliaio di volte quando Gianni le ordinava di non uscire di casa, proseguì dritta senza voltarsi indietro, facendo l'esatto opposto.
Elena sospirò esasperata.
- Non so proprio che cosa fare con lei, certe volte- disse la donna.
- Chiedi a tuo fratello come faceva con te- disse Rei alzando le spalle e osservando sua figlia che si metteva in sella al suo scooter, al di là del cancello. Elena gli scoccò un’occhiataccia.
- Non è divertente- rispose in un sussurro.
- Lasciala stare, tornerà quando avrà smaltito la rabbia- la rassicurò Rei, tornandosene dagli altri con fare serafico. Elena lo osservò camminare tranquillo, mentre faceva oscillare la sua lunga coda corvina e poi, scuotendo la testa, lo raggiunse.
- Non era meglio una sfida a Beyblade?- chiese retorico Makoto portandosi una mano dietro la nuca, una volta rimasto da solo con David che si trovò ad annuire ad occhi sgranati.
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Lyn era andata nel primo posto che le era venuto in mente quando aveva dato gas al suo motorino.
Si era seduta sui gradini dell’Altare della Patria e aveva tirato fuori dalla tasca il suo Driger; lo osservò per qualche secondo scintillare alla luce del sole in quel torrido pomeriggio di luglio e poi lo lanciò. Mentre il Bey volteggiava ai suoi piedi ad una velocità disumana, la giovane sospirò.
- Cosa devo fare?- chiese a voce bassa, quasi come se si stesse rivolgendo alla Tigre Bianca chiusa nel suo bit chip.
- Judy un po’ ha ragione. Quest’esperienza in Russia mi ha mandato completamente fuori di me, persino io stessa stento a riconoscermi- disse, poggiando pesantemente la testa su entrambe le mani.
- Aiutami, Tigre Bianca- cominciò, dopo qualche secondo, guardando il Bey continuare a girare.
- Papà mi ha sempre detto che semmai ne avessi avuto bisogno, tu mi saresti stata vicina, mi avresti guidato, ebbene sto invocando il tuo aiuto, ti supplico- implorò Lyn con le lacrime che le salivano agli occhi e, incapace di trattenerle oltre, scoppiò in un pianto liberatorio che si teneva dentro sin dall’ultima volta in quel maledetto ospedale in Russia.
Mentre la ragazza era con le ginocchia strette al petto e in preda a disperati singhiozzi, sentì il cellulare vibrarle in tasca. Si asciugò le lacrime e lo prese, cercando di respirare profondamente e calmarsi. Pensò fosse qualcuno da casa che le chiedeva di tornare, ma quando il numero sul display non fu subito riconoscibile, un piccolo barlume di speranza si riaccese dentro di lei.
- Pronto?- rispose veloce, continuando ad asciugarsi il viso con il dorso della mano.
- Ciao, Lyn- la voce di Irina, seppur con un tono né troppo entusiasta né troppo grave, aveva fatto tirare a Lyn un grosso sospiro di sollievo.
- Irina, sei tu?- chiese infatti.
- Sì, come stai?- rispose l’infermiera russa.
- Io bene- replicò diretta la ragazza, impaziente di andare subito al sodo.
- Ti chiamavo per darti una notizia.- cominciò Irina, facendo perdere qualche battito al cuore della piccola Lyn.
- Viktor si è svegliato- annunciò senza troppi giri di parole.
Lyn chiuse gli occhi e sospirò ancora come se si fosse appena liberata di un grosso peso e, vedendo il suo Driger rallentare sempre più ai suoi piedi, ringraziò con incommensurabile gratitudine la sua più fedele compagna, la Tigre Bianca.

SPAZIO AUTORE
Salve a tutti e ben trovati! La storia sta prendendo mano la sua forma, vedremo chi è Viktor e che legame ha con Lyn e gli altri.
Ci tenevo a fare una piccolissima nota, contrasseggnata appunto con un asterisco. Il nome della protagonista doveva essere originariamente Rin, proprio come viene chiamata la figlia di Rei nell'ultima parte dell'opera originale, ma volevo dargli una connotazione un po' più "graziosa" graficamente e quindi è diventato Lyn, anche perché il signficato in cinese vuol dire "gemma" e per Rei ed Elena lei è la cosa più preziosa al mondo. Il secondo nome invece, cioé Soraya, invoca il capitolo 33 di "Guard Me For Eternity" in cui Rei dice ad Elena che loro due sono come "il sole e la luna" e il nome indica proprio questo.
Detto ciò, colgo l'occasione per ringraziare tutti, lettori, recensori, lettori che spero diventeranno recensori, ecc...
Un abbraccio a tutti <3

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Capitolo 12
*** Il Monastero ***


Capitolo 12:

Viktor avanzava a passo deciso negli oscuri corridoi di quel monastero, che gli sembrava essere vecchio quanto il mondo, forse anche di più.
Aveva appena sorpassato il terzo gruppetto di ragazzi, che nel vederlo avevano smesso di parlottare tra loro e lo avevano salutato quasi con riverenza, increduli di rivederlo in piedi e soprattutto così in buona salute tanto presto.
Il primo giorno di nuovo rinchiuso in quella dannata topaia e doveva sorbirsi anche i commenti bisbigliati di quei mocciosi. Quanto li odiava, pensò Viktor.
Era uscito da appena un mese dal coma e nonostante avesse trascorso tutto quel tempo in un letto d’ospedale, il suo fisico tonico e asciutto sembrava non averne risentito affatto di quel riposo forzato. Aveva ripreso gli allenamenti subito dopo la dimissione dal reparto di terapia intensiva per ragazzi dell’ospedale di Mosca, voluto fortemente da suo padre Vladimir e inaugurato proprio prima che avesse l’incidente. Che cosa potevano fare i soldi e l’influenza di quell’uomo, pensò lui, mentre procedeva a sguardo basso e serio e le braccia conserte verso l’ufficio di suo padre, maledicendolo mentalmente per averlo ubicato così lontano dalle arene d’allenamento.
- Viktor, bentornato!- una voce maschile e matura attirò la sua attenzione.
Lui semplicemente arrestò la sua camminata senza alzare gli occhi e l’uomo che aveva parlato gli si avvicinò.
Era alto, snello e i capelli rossi come fiamme di un braciere erano attraversati da qualche fascia argentea. Gli occhi severi dal colore chiarissimo, ricordavano i ghiacciai delle regioni del nord del paese.
Tra tutte le persone che potevano rivolgergli la parola direttamente, Yuri Ivanov era quello che voleva decisamente e a tutti i costi evitare.
- Peccato che ti sia perso la festa per i miei trent’anni di servizio alla Borg- cominciò il rosso, con un sorrisetto beffardo.
- Ti sarebbe piaciuta, tuo padre non ha badato a spese, come sempre- continuò con il suo tono di voce fastidiosamente mellifluo. Quell’uomo era capace di mandare Viktor su tutte le furie anche solo respirando.
- Preferisco di gran lunga il coma, alle feste di mio padre- rispose il giovane, serio.
- Banchetti dove la maggior parte degli invitati è lì solo per mangiare gratis e leccare il culo a Vorkov, sono contento di essermela persa- concluse lui e Yuri vide un accenno di ghigno sul suo viso.
- Vedo che nonostante tu abbia diciannove anni, la passione per imbrattarti il viso non ti è passata- commentò Yuri cambiando argomento e sottolineando volutamente la sua età, commettendo poi il fatale errore di allungare un dito verso la guancia squadrata del ragazzo, dove troneggiavano due singolari triangoli blu.
- Prova a toccarmi e vedrai che fine farai- sibilò Viktor, bloccando con forza il polso di Yuri, senza alzare nemmeno lo sguardo. Il giovane mollò la presa solo dopo essersi assicurato di aver spaventato abbastanza il cinquantenne.
La prossima volta ci avrebbe pensato bene, prima di provare anche solo a sfiorarlo, pensò Viktor.
Senza neanche degnare Yuri di un cenno di saluto, il ragazzo riprese a camminare tranquillo verso l’ufficio di suo padre, di cui finalmente poteva vedere la grossa porta in ferro battuto con ai lati due uomini armati fino ai denti, immobili come statue con le braccia dietro la schiena, le divise dell’esercito e gli occhiali da sole; non appena videro Viktor si affrettarono ad aprire e gli fecero segno di entrare.
Vorkov sedeva di spalle su una grossa poltrona di velluto rosso, costata un occhio della testa ad un’asta a Liegi, così come la metà dell’arredamento volutamente eccessivo che trasudava ostentazione e ricchezza.
Quell’uomo avrebbe venduto l’anima al demonio per avere soldi e potere e Viktor non escluse la possibilità che quel patto fosse stato già siglato.
- Figliolo, ben arrivato- disse Vorkov allegro per quanto poteva esserlo, girandosi completamente nella direzione di Viktor, che si dirigeva tranquillo verso la grossa scrivania di legno finemente intagliata.
- Com’è stato tornare a casa? È tutto esattamente come lo hai lasciato?- si preoccupò di sapere Vladimir.
- Dov’è Yuya?- chiese Viktor alzando per la prima volta lo sguardo, ignorando deliberatamente le false premure di suo padre. Due scintillanti ametiste inchiodavano Vorkov alla sua costosissima poltrona.
- Ragazzo mio, parleremo di questo a tempo debito, ma ora dimmi di te. Come vanno gli allenamenti? Boris dice che sei più in forma che mai, sono lieto di sentirlo- rispose lui, tornando sull’argomento di conversazione da lui stesso intavolato.
Viktor, di tutta risposta, strinse gli occhi a due fessure e sbatté i pugni sul tavolo, facendo saltare i reggilibri d’acciaio di suo padre dal ripiano della scrivania. Vorkov deglutì impercettibilmente, mentre suo figlio si chinava su di lui con fare minaccioso.
- Se non vuoi che dica a tutti che l’ultimo ricordo che ho prima di andare in coma è il figlio di Yuri mandato da te che ci taglia la strada con l’auto, farai bene a dirmi dov’è Yuya- sibilò categorico il giovane.
- Non vorrai perdere il rispetto di questa massa di coglioni che ti ricopre d’oro e crede nei tuoi folli piani, spero- lo minacciò ancora con malcelato sarcasmo
Vladimir si schiarì la voce e si allentò il nodo della cravatta, poi riprese la sua solita gelida compostezza e guardò dritto negli occhi Viktor, con tutta l’intenzione di non farsi intimorire da quel ragazzino arrogante e viziato.
- Figliolo, io voglio che tu comprenda la grandezza di questo progetto. Ci lavorano migliaia di persone da oltre un secolo- cominciò tranquillo il magnate, poi si alzò lentamente dalla poltrona e andò cautamente accanto a suo figlio, poggiandogli le mani sulle spalle.
- Bisogna rompere qualche uovo per ottenere una gran bella frittata, ti pare?- chiese lui con un sorrisetto, mentre Viktor osservava ogni suo movimento con le labbra serrate e lo sguardo attento.
- E in questo caso una delle uova è stata, per un fortuito caso del destino, il tuo amichetto Yuya-
Vorkov confermò i sospetti che Viktor aveva in testa da quando quella mattina aveva messo piede al monastero per impegnarsi in qualche incontro di Beyblade e riprendere gli allenamenti nelle sfide uno contro uno. Il fatto di non aver trovato il suo amico di sempre ad attenderlo fuori dal cancello col suo sorriso allegro e la capacità di fargli dimenticare le giornate di merda che sembravano capitare tutte a lui da che ne aveva memoria, lo aveva fatto insospettire parecchio.
Non aveva osato chiedere in giro se qualcuno avesse visto Yuya quel giorno, già quell’insopportabile brusio al suo passaggio in corridoio era diventato subito snervante, figurarsi avvicinarsi a qualcuno per parlare. Era decisamente fuori discussione.
Ora che gli aveva implicitamente detto che Yuya aveva perso la vita quella notte sulla moto, Viktor sentì di odiare quell’uomo che chiamava “padre” in modo totalmente irreversibile, non che fosse mai stato un tipo capace di dare affetto o riceverne, addirittura si credeva incapace di provare qualsiasi tipo di sentimento tranne la rabbia, ma Yuya era stato, probabilmente, l’unica persona nella vita di Viktor Vorkov a cercare la sua amicizia in modo disinteressato. Il giovane aveva una marea di domande riguardo il suo passato, a cui non aveva mai ricevuto una reale risposta; quando provava a scavare un po’ più in profondità nei suoi ricordi, otteneva come risultato incubi confusi su quattro figure incappucciate e una nebbia indistinta di volti e suoni.
Era stato proprio uno di quegli incubi a spingere Viktor a lasciare quel monastero maledetto, quella notte di giugno e il suo migliore amico, anche in quella circostanza, era subito corso in suo aiuto, senza badare alle conseguenze e, soprattutto, senza fare domande, mettendosi addirittura alla guida del mezzo usato per la fuga.
Quel gesto eroico e avventato aveva costato la vita a Yuya e Viktor, per la prima volta in vita sua, avrebbe voluto piangere e provare il lutto per la perdita di una persona cara, capire come ci si sentiva, ma le lacrime sembravano non volerne sapere di uscire. A volte si chiedeva se quello che gli batteva nel petto fosse un cuore o uno strano scherzo della natura privo di qualsiasi emozione.
- Senti, in tutta onestà, non potevo lasciarti scappare così- confessò l’uomo, stringendogli piano le spalle.
- Stavi per mandare a monte il progetto più grande di tutta la mia esistenza e la tua- proseguì lui, parlando concitatamente sottovoce per enfatizzare il concetto.
- La tua sola ragione di esistere è questa missione e se quella notte te la sei cavata con qualche graffio, qualche livido e un mese in ospedale assistito dalle cure dei migliori medici del mondo, la prossima volta che mi tradirai non credo che sarò tanto magnanimo- disse in tono calmo Vorkov, quasi non voleva farla suonare come una pesante minaccia, quella che aveva appena pronunciato.
Viktor serrò i pugni talmente forte che sentì le unghie conficcarsi nella carne, ma se voleva avere anche solo la minima possibilità di essere libero un giorno, doveva forzatamente comportarsi da figlio modello per compiacere quel malato di mente esaltato che era Vladimir Vorkov.
- Che cosa vuoi che faccia?- chiese dopo qualche secondo Viktor, mantenendo il suo tono freddo e distaccato.
- Così mi piaci!- rispose il padre, sfoderando un sorriso entusiasta.
- Vieni con me- aggiunse, per poi aprire un passaggio segreto in una delle pareti del suo ufficio, quella dietro il Rembrandt rigorosamente originale.
Dietro quella porta si nascondeva un sofisticatissimo laboratorio, dove gli scienziati davanti agli schermi sembravano essere lì da una settimana senza bere o mangiare e, conoscendo il loro capo, poteva tranquillamente essere come lui immaginava.
Viktor si guardò intorno senza prestare la minima attenzione al lavoro di quegli uomini che pigiavano sui tasti del computer come dei forsennati, si limitò a seguire Vorkov che camminava fiero qualche passo più avanti, fino a fermarsi dinanzi ad una parete in vetro ultra spesso. Dallo sguardo decisamente soddisfatto che Vladimir aveva dipinto sul volto ciò che c’era attraverso quel divisorio doveva essere una sua personalissima scoperta o invenzione e Viktor ne ebbe la conferma quando volse lo sguardo nella stessa direzione di suo padre.
Al di là di quel vetro, poggiato su un piedistallo del medesimo materiale, scintillava un oscuro oggetto dalla forma irregolare, ma che Viktor conosceva alla perfezione.
- Cos’è quello?- chiese il giovane, sforzandosi di mascherare la sua reale curiosità.
- Quello, figlio mio, è il tuo Beyblade, Black Dranzer- sentenziò Vorkov gonfiando il petto con orgoglio.
Nonostante Viktor fosse sorpreso a quella notizia, continuò a mantenere un certo distacco dalla situazione.
- Potrà sembrare stupido da parte mia regalarti la cosa più preziosa al mondo, per cui lavoro fin dalla gioventù, all’indomani di un tuo imperdonabile tradimento- cominciò l’uomo mentre Viktor continuava ad osservare quell’oggetto che sembrava esercitare su di lui uno strano potere. Ne era attratto e non poteva fare a meno di guardarlo.
Si chiese per un attimo cosa si potesse provare a tenere quel Beyblade che emanava un’indicibile potenza tra le mani e cosa si potesse provare a lanciarlo addirittura in un’arena.
- Ma vedi, tu sei l’unico degno di usarlo- Vorkov si girò verso di lui, attirando la sua attenzione.
- Io ho già un Bey tutto mio- ritrattò Viktor con una smorfia di disappunto.
- Lascia perdere quel ferro vecchio, ti sto offrendo il risultato di anni di ricerche, sangue e sudore di milioni di scienziati, io su tutti- ribatté l’uomo con aria risoluta.
- Il Black Dranzer è la mia eredità e io te la sto offrendo- continuò Vladimir tranquillo.
- Non ti aspettare la mia gratitudine- commentò tagliente il ragazzo.
- C’è gente che ha perso la vita per perfezionare quel Beyblade, quindi abbi un minimo di rispetto!- la voce imperante del capo bombardò in quell’antro segreto producendo una fastidiosa eco.
- Come se ti importasse della gente che muore- lo provocò ancora il ragazzo, facendo chiaramente riferimento al suo amico e, di tutta risposta, suo padre gli sorrise.
- Non vuoi almeno provarlo? Sono più che certo che te ne innamorerai al primo lancio- lo stuzzicò Vorkov.
- Sai, bisogna essere dei blader molto esperti per maneggiare quel Bey e soprattutto, bisogna essere disposti a tutto- l’uomo guardò dritto negli occhi suo figlio, uno sguardo carico di significato.
Viktor sospirò brevemente, più esasperato che preoccupato e chiese ad uno degli scienziati di sbarazzarsi di quel vetro. Vladimir ammirava con totale soddisfazione quel sogno che si avverava ad ogni passo che il ragazzo faceva verso quel Beyblade dalle infinite quanto distruttive capacità.
Il giovane si prese qualche altro secondo per osservare quella trottola così misteriosa e giurò di vedere un oscuro scintillio provenire dall’interno del bit chip.
- Perché vuoi donarmelo proprio adesso?- Viktor si voltò nuovamente verso suo padre, prima che lo toccasse.
Se c’era una cosa che Vorkov sapeva fare più di ogni altra era raggirare le persone e farle cadere nelle sue trappole. Il ragazzo lo aveva imparato a sue spese, nel modo peggiore possibile.
- Perché dovevo aspettare che tu fossi pronto e disposto a tutto, come ti ho appena detto- ribadì l’uomo.
- Spiegati meglio- lo esortò Viktor accigliandosi.
- Quel Beyblade è capace di una forza distruttiva pari a un milione di volte maggiore di un qualsiasi altro Beyblade. E questo solo riguardo la sua struttura- cominciò orgoglioso Vorkov.
- Il Black Dranzer grazie al potere del suo inarrestabile Bit Power è in grado di rubare le creature sacre dagli altri Bey e di conseguenza assorbirne i poteri- spiegò il miliardario.
Viktor lanciò un’occhiata all’oggetto e capì finalmente perché ne era così attratto.
Il potere e la sensazione di invincibilità con la consapevolezza di essere temuti, rispettati e spadroneggiare incontrastati erano le uniche cose che gli avevano dato un minimo di piacere nella vita, per quel che ricordava almeno.
- Che ne dici, figliolo, vuoi essere la mia arma letale in questa missione?- propose Vorkov, accompagnando la domanda con un sorrisetto accattivante.
Viktor inspirò profondamente e allungò una mano verso Black Dranzer di cui poteva sentire già il potere a distanza ravvicinata. Prima di afferrarlo fece una muta promessa a sé stesso. Avrebbe vendicato Yuya a qualunque costo e se usare quello speciale Beyblade era il prezzo da pagare per farlo, lui era disposto a tutto. Proprio come gli aveva detto suo padre.
Senza indugiare oltre, il giovane prese tra le mani il Beyblade, chiuse gli occhi e si sentì invaso come da una forza oscura che lottava per prendere possesso della sua anima, già martoriata da chissà quanti e quali sconosciuti eventi del passato.
- Cosa devo fare ora?- chiese Viktor riaprendo gli occhi.
- Innanzitutto allenarti, sei sicuramente l’unico in grado di usare quel Bey, ma è pur vero che dovrai saperlo padroneggiare in modo impeccabile- lo mise in guardia l’uomo.
- D’accordo e poi? Andremo in giro per il mondo a dare la caccia a tutti i Bit Power esistenti?- chiese retorico il ragazzo facendo scoppiare a ridere suo padre a crepapelle.
- Adoro il tuo spirito di iniziativa, ma io ho già un piano ben congegnato in mente- precisò Vladimir.
- Se vuoi che ti aiuti dovrai darmi più informazioni- tentò ancora Viktor.
- Non andremo in giro per il mondo a sfidare tutti i blader e rubare i loro Bit Power, anche se lo ammetto, potrebbe essere piuttosto divertente- cominciò lui sorridendo.
- Bensì, andremo in un sol posto e avrai i quattro leggendari a tua completa disposizione. Sono quelli gli unici che ti occorrono e tu dovrai portarmeli- ordinò con calma Vorkov.
- Bene, dimmi dove andare allora- domandò Viktor.
- Ti ho trovato una sistemazione molto carina in Italia, precisamente a Roma, da lì inizierai la tua missione- concluse Vorkov sorridendo diabolico.

 

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Capitolo 13
*** Incubo di una Notte di fine Estate ***


ATTENZIONE: CAPITOLO CON CONTENUTI SENSIBILI.

Capitolo 13:

Settembre

Erano passati più o meno venti giorni da quando Makoto, Judy e David erano tornati a casa loro e Lyn non aveva fatto altro che sentirsi in colpa dal momento in cui erano ripartiti.
Sentiva di non essersi goduta appieno quelle settimane insieme a loro e, solitamente, era una sensazione che l’attanagliava spesso al momento del ritorno alla normalità, ma quella particolare estate era stata movimentata e lei aveva combinato parecchi casini. Aveva sprecato tre giorni ad avercela con Judy per quella stupida storia del cellulare, finché la più grande delle due non aveva ceduto bussando in camera della padrona di casa nel cuore della notte esigendo abbracci e coccole. A quel punto Judy le aveva chiesto scusa riguardo tutte le cattiverie che aveva tirato fuori durante il litigio, soprattutto quella sul ragazzo russo in coma, ma in realtà fu Lyn a scusarsi fino alle lacrime per aver menzionato il rapporto con sua madre. Era stato un bene, o almeno così le aveva detto la bionda, perché mentre Lyn era scappata in sella al suo scooter in rotta per chissà dove (secondo l’amica) lei aveva avuto la possibilità di fare una lunga chiacchierata a cuore aperto con sua madre, complice anche il discorso che Max aveva fatto a sua moglie riguardo al capire i figli quando hanno dei momenti no. Suo padre era un mito e in quella particolare occasione, Judy ne fu ancora più convinta.
Sistemate le cose con la sua migliore amica, era ovvio e naturale che anche Makoto esigesse delle spiegazioni riguardo quella fantomatica cotta che Lyn aveva preso per uno sconosciuto e quella, per come la vedeva la sedicenne italo-cinese, era una delle cose che più l’aveva lasciata in preda a sentimenti contrastanti.
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Un mese prima…

- Sei migliorata parecchio, ma ne hai di strada da fare per vedertela con me-
Makoto era particolarmente sicuro di sé ed era proprio quella spavalderia a far imbestialire Lyn ogni volta, anche nelle gare importanti. Cominciava a pensare che quella fosse proprio la tattica che il suo amico usava ogni volta che si sfidavano, perché conoscendola come le sue tasche, sapeva benissimo quali tasti premere per farle perdere la concentrazione. Lyn, però, non ci stava. Sotto sotto le bruciava ancora la sconfitta subita agli ultimi mondiali.
- Ti ricordo che un anno fa sono arrivata in finalissima subito dietro di te, c’ero anche io sul podio- rispose Lyn, prendendo il suo Driger da terra.
- Ah se il secondo posto ti soddisfa, buon per te, sei una che si accontenta- ribatté tagliente Makoto, con la sua solita faccia da schiaffi.
- Che dici? Facciamo una pausa?- propose poi il ragazzo e Lyn accettò volentieri.
Si sedettero sull’erba appena innaffiata del giardino di villa Tornatore e quella sensazione di fresco sulla pelle nuda delle gambe era decisamente piacevole in quelle giornate torride. I due ammiravano i colori aranciati del tramonto, restando in silenzio.
Quel pomeriggio erano rimasti soli nell’immensa magione, gli adulti erano usciti in barca e sarebbero rincasati tardi quella sera, mentre Judy e David dovevano incontrarsi con degli amici del college della ragazza in vacanza a Roma per qualche giorno. Lyn si era anche lasciata convincere ad uscire. Ormai sapeva che Viktor era fuori pericolo, ma cominciava ad accarezzare l’idea che non lo avrebbe mai più visto, quindi pensò bene di rimboccarsi le maniche e voltare pagina, perché come aveva detto anche sua zia Hilary, il mare era pieno di pesci.
L’incentivo che spinse la ragazza ad accettare la serata era che tra gli amici che dovevano incontrare i Mizuhara c’era anche Tom Sommers, eletto miglior giocatore di baseball per il terzo anno consecutivo e quarto finalista del campionato di Beyblade agli ultimi mondiali. Tom era il figlio minore di Michael, storico componente dei PPB All Starz, compagno di squadra nonché amico della madre di Judy. Il giovane era anche un super modello per alcuni importanti marchi di intimo maschile e vantava milioni di followers sulle piattaforme social, insomma qualunque adolescente del mondo avrebbe ucciso per uscire in sua compagnia almeno una volta nella vita, però Makoto aveva mandato in fumo i piani dei suoi amici accusando mal di testa e decidendo di restarsene a casa. A quel punto Lyn si era vista costretta a fargli compagnia. Non se lo sarebbe mai perdonato se avesse lasciato il suo migliore amico da solo a casa mentre era fuori a divertirsi con gli altri due, ma più i minuti passavano, più il mal di testa millantato da Makoto sembrava essere sparito.
Fu quando le propose una sfida amichevole al meglio di tre nel Beyblade stadio in giardino, che Lyn capì che il giovane voleva semplicemente una scusa per restare da solo con lei, non che fosse la prima volta che succedesse, ma quella volta sembrava essere strana e diversa dalle altre.

Dopo quelli che sembrarono infiniti minuti, Makoto fu il primo a parlare.
- Allora, vuoi raccontarmi di questo misterioso ragazzo russo o devo saperlo da Judy chi è?- cominciò lui in tono amichevole, ma Lyn capiva benissimo che stava compiendo uno sforzo immane nel porle quella domanda.
- Non c’è molto da dire in realtà. Sono stata assegnata al suo reparto dal mio capogruppo, lui era in coma indotto in seguito ad un brutto incidente, gli ho letto qualche fiaba e qualche poesia e poi sono ripartita. Fine- tagliò corto Lyn, come se quelle due frasi potessero spiegare appieno ciò che lei aveva provato, ma non aveva alcuna intenzione di rivelarlo, non a Makoto.
- Stando a quanto riportato dal noto settimanale di gossip, alias Judy Mizuhara, c’è molto di più tra te e questo tizio...- incalzò il maggiore dei Kinomiya.
Lyn riusciva a pensare solo a quanto avrebbe voluto fargliela pagare a Judy che aveva perso, anche in quella circostanza, un’altra occasione per farsi gli affaracci suoi.
- Non c’è niente, credimi. Lui ora sta bene, per quel che ne so, sicuramente sarà tornato alla sua vita di sempre, come ho fatto io, del resto- disse Lyn con un’alzata di spalle.
- Beh, c’è un posticino per me in questa tua “vita di sempre”?- chiese Makoto facendosi più vicino a Lyn e lei sentì il cuore iniziare a batterle forte, ma non per l’emozione, come magari era successo con Jin prima di baciarlo, o come quando entrava nella stanza di Viktor in ospedale, era più un batticuore da agitazione perché sapeva che stava per ferire una delle persone a cui teneva di più al mondo.
- Certo che c’è, draghetto, che domande- disse la ragazza, cercando di spostare la conversazione su un piano puramente amichevole, con tanto di finta gomitata e Makoto fece un sorrisetto tirato.
Il ragazzo inspirò profondamente e poi si perse a guardare l’orizzonte.
- Senti, so che draghi e tigri avrebbero una certa difficoltà a stare insieme, ma...- esordì lui, visibilmente in imbarazzo e Lyn sentì di doverlo bloccare all’istante, per evitare che la situazione precipitasse ulteriormente.
- Makoto, ti prego, non roviniamo tutto- disse lei stringendo gli occhi chiusi.
- Cosa c’è che non va, o meglio, che non è mai andato?- chiese lui con un sorrisetto triste dopo un lungo sospiro.
- Niente, non hai assolutamente niente che non va, anzi...- rispose la ragazza dagli occhi ambrati ed erano proprio quegli occhi che tormentavano tutte le notti del giovane campione del mondo di Beyblade, quando era lontano dalla sua tigrotta.
Makoto ricordava che u
na volta aveva sentito parlare Elena riguardo il suo primo incontro con Rei, disse che era rimasta ipnotizzata da lui non appena i loro occhi si erano incrociati. Quello sguardo particolare aveva il potere di intrappolarti e imprigionarti per sempre. Makoto non poteva trovarsi più d’accordo con la sua zia acquisita.
- Ma vedi, so che può sembrare una scusa banale per mettere un limite tra noi due, ma davvero io non riesco a vedere altro in te se non un meraviglioso amico ed un amorevole fratello.- disse Lyn, scegliendo con cura le parole da usare per non sembrare troppo brutale.
- So che non è abbastanza per te, ma mi dispiace, credimi tanto, dovrai fartelo bastare se vuoi avermi nella tua vita- proseguì la ragazza, attorcigliandosi nervosamente una ciocca di capelli attorno ad un dito.
- Siamo nati praticamente insieme, siamo cresciuti insieme, sei di famiglia per me, sei una delle persone più importanti della mia vita e avrai sempre un posto tutto tuo nel mio cuore, ma come un fratello, non come amante- concluse Lyn e vide lui annuire ad occhi bassi con la bocca piegata in una smorfia di rassegnazione
- Sapevo benissimo cosa provassi, eppure ho scelto di sentirmelo dire. Dovevo farlo, perché pensavo, o meglio, speravo di avere anche una minima chance- confessò lui e Lyn lo guardò dispiaciuta, mentre il sole calava di fronte ai loro occhi, dipingendo il cielo di blu cobalto.
- Credimi fa male dirlo quanto sentirselo dire, io ti voglio un gran bene e voglio che questo tra noi non cambi, potrei morirne, lo sai- si affrettò ad aggiungere la sedicenne.
- Non cambierà nulla tra noi, puoi giurarci- la rassicurò Makoto, sfoderando uno dei suoi sorrisi dolcissimi e quando lo faceva era la copia sputata di suo padre.
- Ti voglio bene, anche se resti sempre una schiappetta a Bey- disse lui sorridendo, mentre abbracciava Lyn che bofonchiò qualcosa di indistinto riguardo la sua imbattibile velocità.
E se ne stettero così, ad ammirare la notte ammantata di stelle che avvolgeva la capitale italiana.
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- Ciao, Lyn, ci vediamo presto e grazie ancora!- la salutò Francesca, la responsabile della distribuzione dei pasti caldi ai senzatetto in zona Parioli.
Lyn salutò con la mano e, uscita dalla mensa comune, si stiracchiò sentendo le ossa scrocchiare dopo ore impegnative in piedi a servire i più bisognosi. Si sfilò la cuffietta e il grembiule, riponendo tutto nel suo zainetto e poi si incamminò verso la fermata del pullman più vicina.
Proprio quella mattina il suo amato scooter l’aveva abbandonata per un problema ai freni ed era dal meccanico in riparazione, così all’andata era stato Rei ad accompagnare sua figlia prima di recarsi al ristorante, mentre Elena si era offerta di andarla a riprendere una volta finito il turno. Lyn, però, aveva detto ai suoi che avrebbe preferito fare due passi almeno fino alla fermata del pullman, ma non immaginava che avrebbe fatto più tardi delle ventidue e, a quell’ora in un giorno di settembre, quella zona appariva particolarmente deserta.
Quando era a circa cinquecento metri dalla fermata, da un vicoletto adiacente e buio apparvero tre figure. Ragazzi, il più adulto dei quali avrà avuto una ventina d’anni, gli altri di qualche anno più grandi di Lyn, ma dettaglio assolutamente non trascurabile, erano piuttosto alticci. Li aveva sentiti ridacchiare e dire qualcosa di volgare a proposito del suo sedere, ma non ci aveva badato. La giovane, intuendo la situazione non proprio ideale in cui si stava per cacciare, avanzò tremendamente il passo, cominciando a correre come una saetta, ma venne bruscamente fermata da altri due tizi che sbucarono da un altro vicolo, rovinandogli praticamente addosso.
A quel punto capì di essere realmente in pericolo, quando si ritrovò accerchiata da cinque ragazzi che puzzavano di alcol a miglia di distanza.
Lyn sospirò valutando una via di fuga, che al momento sembrava impossibile, così pensò alla cosa più ovvia: iniziò a strillare come una dannata, ma nonostante si trovassero in uno dei quartieri più rinomati della capitale, nessuno parve sentirla.
- Sentito ragazzi? La bimba vuole giocare alla lirica- disse uno di loro, facendo ridere sguaiatamente tutti gli altri.
- Per favore, ho cento euro nel portafogli, sono vostri se mi lasciate andare, vi prego- tentò Lyn, sentendosi completamente indifesa.
- Hey, piccola, così ci offendi! Ti sembriamo dei poveretti noi, eh?- chiese uno avvicinandosi a lei e accarezzandole il viso. Il suo alito era talmente fetido che Lyn avrebbe dato sicuramente di stomaco se non avesse trattenuto il respiro.
- Dai, facci compagnia, ci sentiamo così soli- aveva detto un altro, prendendo ad accarezzarle una natica per poi stringerla violentemente.
- Non mi toccate, vi prego, no- farfugliò disperata, vedendosi un quantitativo confuso di mani che avevano preso a toccarla ovunque, il collo, le spalle, i seni e i glutei.
- Lasciatemi, basta!- urlò ancora, cominciando a sentire la paura prendere possesso di tutto il suo corpo, così come stavano per fare quegli animali.
Lyn cominciò a piangere e strillare disperata e più lei andava in panico più quei rifiuti umani sembravano divertirsi.
- Tenetela ferma- ordinò uno di loro e Lyn lo vide di sfuggita slacciarsi i pantaloni e calarseli dinanzi a lei, prendendo a massaggiarsi il membro, mentre i compagni avevano strappato metà maglietta della ragazza, che nonostante tutto cercava ancora di difendersi e combattere, spaccando il sopracciglio a uno con una gomitata e rompendo il naso ad un altro con un calcio. Si difendeva con la forza della disperazione, proprio come una tigre ferita, ma loro erano troppi.
- Vi ho detto tenetela ferma, cazzo, razza di coglioni, ci sono quasi!- ordinò nuovamente quello che sembrava essere il più adulto della combriccola.
- No! Vi supplico, no!!!- urlò disperata lei quando vide il tizio che aveva appena parlato chinarsi su di lei e abbassarle velocemente i pantaloni della tuta e le mutande, quanto bastava per prenderla.
- Aiuto!- urlò ancora una volta Lyn, nella più totale disperazione. Quanto avrebbe voluto il suo papà lì con lei, lui l’avrebbe aiutata, li avrebbe mandati via. Il suo meraviglioso papà, abile conoscitore del kung fu, li avrebbe messi k.o. in un attimo. E la sua mamma, lei aveva sconfitto la Morte, era un’eroina. Quanto li avrebbe voluti lì con sé, sarebbe finito tutto in un secondo.

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Capitolo 14
*** Una Fiamma Oscura ***


Capitolo 14:

Proprio mentre Lyn stava per soccombere al suo triste destino, la peggior punizione per aver scelto di fare del bene a tante persone in difficoltà quella sera, una voce maschile e giovane, attirò l’attenzione degli stupratori.
- Hey!- urlò nel buio.
- Amico, se vuoi farti un giretto la cagna è libera, ma devi aspettare il tuo turno- disse quello chino su Lyn, in ginocchio sull’asfalto.
- Sempre se sarà rimasto qualcosa di lei quando avremo finito, se no puoi anche andartene- concluse, scoppiando a ridere insieme agli altri.
- Io invece credo che quello che debba andarsene subito sei tu, insieme a questi altri scimmioni che ti porti dietro- continuò la voce.
Lyn non riconosceva chi stava parlando e quest'ultimo era nascosto nel buio, non riusciva a vederlo. Inoltre le lacrime la appannavano tremendamente la vista.
- Ti supplico, aiutami- riuscì a mormorare.
- Senti, trovati un’altra puttanella da scoparti, qui c’eravamo prima noi- proseguì il verme, mentre il branco esprimeva accordo.
- Sarò costretto ad usare le maniere forti, peggio per voi- disse tranquillo quel giovane misterioso.
I successivi due minuti agli occhi di Lyn risultarono parecchio confusi.
Riconobbe soltanto il rumore di un Beyblade che girava ad una velocità sovrumana e uno scintillio nero nel buio. Come una fiamma oscura. Poi le urla degli stupratori che si davano alla fuga spaventati a morte, mentre si tiravano su le braghe.
Lyn si accasciò completmente al suolo, scoppiando in un pianto liberatorio e tentando di coprirsi quanto possibile. La maglietta era a brandelli, ma fortunatamente il reggiseno aveva retto i colpi, restando intatto, così come i pantaloni e gli slip. Riuscì a rimettersi in piedi, ma era ancora frastornata e continuava convulsamente a controllare se era vestita.
- Stai bene?- chiese quel ragazzo misterioso uscendo dalla penombra del vicolo e andando accanto a Lyn per sincerarsi delle sue condizioni.
Il suo tono di voce era cambiato, non era più freddo e minaccioso come quando parlava con quegli stronzi di poco prima, ma era molto più gentile e avvolgente.
- C’è mancato poco- mormorò Lyn più a sé stessa che a lui, tenendo ancora gli occhi bassi.
- Già- rispose il ragazzo.
- Non so come ringraziarti- disse lei sollevata, alzando lo sguardo e vedendo il viso del giovane, lievemente illuminato dalla luce dei lampioni.
Lyn pensava di essere ancora sotto schock quando vide quell’inconfondibile ciuffone argenteo quasi a coprire l’occhio destro e i capelli scuri più lunghi sulla nuca. Ma ciò che le fece definitivamente perdere le forze fu scoprire finalmente di che colore erano quegli occhi che lei immaginava tutte le notti. Due preziose gemme d’ametista erano entrate in contrasto con l’ambra degli occhi di Lyn. Si era creato un campo magnetico attorno a loro.
- Riesci a stare in piedi?- chiese nuovamente il ragazzo, senza la minima espressione sul viso.
Lyn si portò una mano alla tempia e cercò di mettere in ordine i pensieri, ma sentiva come se il cervello si fosse fatto un giro da solo sulle montagne russe e poi glielo avessero rimesso in testa.
- Vik...- ma non riuscì a finire che perse i sensi e il giovane si affrettò a sorreggerla.
Viktor aggrottò le sopracciglia, perdendosi ad osservare la bellezza mozzafiato di quella ragazza.
E la sua voce. Dolce, allegra, melodiosa. Lui l’aveva già sentita, ma non riusciva per niente a ricordare dove o quando. E, cosa non meno importante, lei sembrava aver pronunciato il suo nome.
Come poteva saperlo, si chiese Viktor.
Era arrivato a Roma da due giorni e non aveva visto nessuno, se non qualche rompicoglioni amico di suo padre, i quali non avevano perso tempo a mostrare la solita falsa e pomposa disponibilità per qualunque evenienza. A Viktor davano il voltastomaco tutte quelle inutili cerimonie, sia perché caratterialmente non amava le smancerie, sia perché sapeva bene che adulavano lui solamente per arrivare a Vorkov.
L’idea di portare quella ragazza nel lussuoso hotel dove suo padre lo aveva sistemato, per darle il tempo di riprendersi e calmarsi era la prima cosa che gli era venuta in mente, però a giudicare dall’aspetto di quella dolcissima fanciulla che ancora se ne stava beata tra le sue braccia, Viktor pensò fosse sua coetanea, quindi immaginò che avesse dei genitori abbastanza preoccupati che probabilmente la stavano già cercando. Farsi trovare con lei e gli abiti a brandelli avrebbe scatenato la loro ira senza neanche dargli il tempo di spiegarsi. Considerando che Vorkov gli aveva chiesto di tenere un profilo basso, almeno per il momento, farsi denunciare per tentato stupro non era di certo tra le opzioni migliori.
Il giovane si fermò quindi su una panchina, poco lontana dalla fermata a cui Lyn sarebbe dovuta arrivare e cercò di farla rinvenire in qualche modo.
Dopo un po’ lei aprì piano gli occhi, ma si sentì talmente stordita che avrebbe preferito richiuderli. Riuscì a scorgere una sagoma in controluce e, istintivamente, si drizzò a sedere, allontanandosi di poco.
- Rilassati, sono io- disse il ragazzo.
Lyn si rese conto che non era statisticamente possibile fare lo stesso sogno due volte nella stessa notte, quindi chi le stava davanti, chi le stava parlando doveva forzatamente essere…
- Viktor.- disse lei in un soffio.
Il giovane sussultò, ma cercò di restare calmo.
- Non posso crederci, sei proprio tu- incalzò Lyn tentando di vederlo meglio grazie alla luce di un lampione diretta sulla panchina dove si trovavano.
- Come sai il mio nome?- chiese lui, mettendosi d'un tratto sulla difensiva.
Lyn fu un attimino spiazzata da quella domanda.
Era stata al suo capezzale per dieci giorni, raccontandogli della sua vita, leggendogli la sua fiaba preferita. Capì in quel momento di aver perso di vista il punto di partenza, che era ciò che anche Judy le aveva recriminato al momento del violento litigio a casa sua. Viktor era in coma quando lei lo aveva conosciuto.
Una parte della ragazza credeva che Irina, o anche suo padre, avrebbero potuto parlargli di lei, di quella ragazza italiana che era rimasta a vegliare su di lui ogni volta che ne aveva avuto la possibilità.
- E’ una lunga storia- si limitò a dire la giovane.
- Se ti ha mandato qui mio padre, dillo subito, così la facciamo finita senza troppi convenevoli- cominciò lui, alzando seccato gli occhi al cielo.
- No, certo che no, non conosco tuo padre, o meglio lo conosco...- si corresse lei, ma capì dallo sguardo enigmatico che lui aveva sul viso che aveva soltanto complicato le cose, così Lyn si fermò e fece un lungo sospiro.
- Senti, ricominciamo da capo, mi chiamo Lyn- disse lei, porgendogli la mano.
Viktor guardò la mano tesa verso di lui, poi incrociò nuovamente il suo sguardo e si mise a braccia conserte, poggiandosi con la schiena contro la panchina.
- Lo sai già come mi chiamo- rispose lui distaccato e Lyn ritrasse lentamente la mano serrando le labbra.
- Grazie, per prima...- cominciò lei, senza avere altro modo per dimostrare la sua gratitudine. Lui si limitò ad annuire.
- Che ci fai a Roma?- chiese poi la ragazza dai capelli corvini, maledicendosi mentalmente per aver fatto quella domanda, tanto era vero che il giovane le lanciò uno sguardo accigliato.
Solo allora Lyn ebbe la possibilità di notare che, rispetto a quando lo aveva visto in ospedale, Viktor aveva un piccolo ma scintillante orecchino nero al lobo destro e dei singolari triangoli blu dipinti sulle guance. Era ancora più bello di quanto ricordasse, ma era decisamente più gentile e tranquillo mentre dormiva, si ritrovò a pensare la sedicenne.
- Volevo dire, non ti ho mai visto a Roma- si corresse nuovamente lei.
- Affari, per mio padre- disse vago lui, valutando bene la scelta dei termini da usare.
Lyn venne pervasa da una strana sensazione, come di disagio.
Ricordava bene le vibrazioni non proprio positive e rassicuranti che le trasmetteva il padre di Viktor, ma questo non voleva necessariamente dire che fosse una cattiva persona o che i suoi affari riguardassero qualcosa di losco. Eppure non riusciva ad immaginare qualcosa di buono che fosse riconducibile al nome Vorkov.
Rimasero in silenzio per qualche secondo e Lyn dovette fare appello a tutte le sue forze per non fargli altre millemila domande, una di queste, però le sfuggì.
- Quanto ti fermi?- domandò ancora, ma di tutta risposta Viktor sospirò scocciato e si staccò di scatto dallo schienale della panchina.
- Ti conviene chiamare i tuoi genitori così che vengano a riprenderti, non è il caso di camminare sola in queste zone, visto ciò che è accaduto poco fa- lui le rivolse uno sguardo profondo ed eloquente e Lyn poté sentire il cuore fare a cazzotti con lo stomaco dentro di sé. Aveva fantasticato parecchio su di lui, ma ora vederselo lì davanti, con quegli occhi così belli da mozzarle il fiato, dopo che le aveva letteralmente salvato la vita, era decisamente troppo da reggere in una volta sola.
- Perché non mi accompagni tu?- provò lei e Viktor scoppiò a ridere.
- Non credere che salvarti da quegli animali faccia di me il tuo principe azzurro- commentò lui con un sorrisetto beffardo.
- Anzi, sai che c’è? Che non me ne importa proprio niente di come te ne tornerai a casa. Fa’ come ti pare- concluse lui alzandosi dalla panchina, mentre Lyn lo osservava allibita.
Viktor si tolse la giacca e la porse alla ragazza senza neanche degnarla di uno sguardo. Lo sguardo di Lyn si spostava saettante da quella giacca allo sguardo basso di Viktor.
- Mettitela, almeno i tuoi sapranno che non tutti i ragazzi sono dei fottuti stupratori- chiarì lui.
Lyn prese la giacca, lentamente, e proprio mentre stava per ringraziarlo, Viktor girò i tacchi e si diresse nella direzione opposta, sempre con le braccia conserte, con passo lento ma sicuro.
- Aspetta, come farò a restituirti la giacca?- chiese Lyn, parlando a voce abbastanza alta per farsi sentire.
- Puoi tenerla- rispose lui di rimando, alzando un braccio.
Nonostante la sorpresa, Lyn restò a contemplarselo per qualche minuto, mentre si allontanava sempre di più. Era alto esattamente come aveva ipotizzato e, ora che aveva indosso soltanto un’attillata t-shirt viola e dei jeans, poteva osservare meglio il suo fisico snello, ma comunque muscoloso e tonico al punto giusto.
Quando il giovane sparì dalla sua visuale, Lyn strinse la giacca che le aveva lasciato tra le mani e poi se la portò al volto sorridendo, inspirandone il profumo. Non solo lui era bellissimo, ma aveva anche un odore meraviglioso e non le sembrò affatto che quell’indumento fosse intriso di qualche particolare profumo o dopobarba. Lui sapeva di buono.
Poi indossò la giacca che le stava decisamente grande e sospirando chiamò i suoi, pronta psicologicamente per una ramanzina senza precedenti da parte di sua madre.
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Lyn scelse con cura le parole più adatte nel raccontare cosa era successo quella sera, per evitare di far venire un attacco di panico ad Elena, ma non servì a niente.
Quando la donna aveva sentito “tentativo di stupro” uscire dalla bocca di sua figlia, aveva sgranato gli occhi talmente tanto che Lyn pensava le sarebbero usciti fuori dalle orbite da un momento all’altro.
La trentottenne era nervosa all’estremo alla guida della sua BMW, mentre sua figlia se ne stava ad occhi bassi sul sedile del passeggero, stringendosi nella giacca che Viktor le aveva dato, l’unica cosa che riusciva a darle conforto.
- Mi dispiace tanto per i senzatetto, ma se non sei in scooter o accompagnata, qui non ci metti più piede!- sentenziò Elena stridula e Lyn non poté dire nulla, limitandosi a restare in silenzio. Del resto, non poteva di certo dare tutti i torti a sua madre.
- Io non posso crederci! E dire che questo è il quartiere con la gente migliore di tutta la città, sono commossa!- proseguì ironica Elena, in un fiume in piena quando era agitata.
- Mamma, non è che violentano le ragazze solo nei quartieri malfamati, può succedere ovunque- si sentì di sottolineare Lyn e sua madre le rivolse una veloce occhiata.
- Proprio perché di questi tempi non ci si può fidare neanche di quella che apparentemente sembra gente perbene, verrai accompagnata da me e tuo padre ovunque andrai- ribadì la donna.
- Mamma, avanti, mi avete regalato lo scooter al compleanno proprio per non dipendere da voi in ogni momento- cominciò Lyn, con la concreta e terrificante prospettiva di perdere la sua libertà.
Certo, l’episodio appena successo l’aveva scioccata quanto e forse più di sua madre, ma non voleva che la paura che potesse accadere nuovamente qualcosa del genere, le impedisse di vivere spensierata la sua età.
- Tu sei già impegnatissima in atelier e con gli allenamenti di Beyblade, papà non lo vedo quasi più, quando io vado a scuola, lui sta dormendo e quando rientro, è andato già via, il ristorante sta andando fortissimo. Non voglio mettermici anche io- disse Lyn, cercando di essere il più convincente possibile.
- Lyn, forse non è chiaro. Per me e papà, tu vieni prima di ogni altra cosa. Prima dell’atelier, del ristorante e anche del Beyblade- rispose ovvia Elena.
- Lo so, ma non voglio diventare una reclusa o sentirmi come se dovessi avere paura ovunque vada. La mia è stata semplicemente sfortuna- riuscì a dire Lyn.
Elena, osservando sua figlia, non sapeva se essere ammirata dal giudizio che stava dimostrando di possedere, o essere spaventata perché magari cercava di nascondere il profondo trauma che l’aveva appena colpita.
Poi, in quel momento, si rese conto che Lyn indossava una giacca che non era decisamente la sua, sia per il taglio prettamente maschile, sia perché le stava grandissima.
- Dove l’hai presa quella?- chiese ad un certo punto Elena, curiosa.
Lyn trasalì leggermente e cercò di nascondere un sorrisetto che alla donna non sfuggì.
- Beh, l’ho trovata abbandonata su una panchina, non sapevo come coprirmi- si giustificò Lyn senza guardare Elena negli occhi.
Per qualche oscuro motivo sentiva di dover nascondere la questione di Viktor a sua madre.
Era sicura le avrebbe fatto il terzo grado per quello, ma da una parte si sentì in colpa perché il ragazzo, prima di andarsene, aveva detto qualcosa riguardo al dimostrare ai genitori che non tutti sono degli stupratori, dando per scontato che Lyn parlasse di lui a casa. In effetti, glielo doveva dopo il gesto eroico che aveva compiuto, ma la ragazza non si sentì per niente pronta ad un’altra raffica di domande da parte di sua mamma.
Elena guardò meglio i dettagli della giacca e la confusione si dipinse sul suo viso.
- Sicura che fosse abbandonata? Quella è una Versace in edizione limitata, tra l’altro- commentò Elena socchiudendo gli occhi e Lyn si limitò ad alzare le spalle.
Per deformazione professionale, Elena aveva un certo occhio per i capi firmati e sua figlia lo sapeva benissimo, ma non ci aveva dato peso quando aveva accettato di coprirsi con l’indumento che Viktor le aveva offerto e che addirittura aveva detto poteva tenersi.
- Sai, non siamo gli unici ricconi in città- disse la giovane, strappando una risatina a sua madre.
Era come se si fosse ricordata in quel momento che Viktor era l’unico figlio di un filantropo multimiliardario, proprietario della metà degli ospedali dell’est Europa, stando a quanto le aveva confidato Irina. Quella giacca costava decisamente un occhio della testa, ma il ragazzo non sembrò badarci per niente quando gliel’aveva offerta.
- Finalmente a casa, adesso voglio che tu faccia una bella doccia e ti metta comoda- ordinò Elena con dolcezza, aprendo la porta di casa.
- Che ne pensi se io e te dicessimo bando alla tristezza con una bella torta al cioccolato?- aggiunse la donna con sguardo accattivante e Lyn sorrise, per poi abbracciare sua madre, che la strinse fortissimo.
- Amore mio, se ti fosse capitato qualcosa di male non so che avrei fatto- confessò Elena con una nota di sollievo nella voce.
- Sto bene, mamma- la rassicurò Lyn, lasciandosi accarezzare i lunghi capelli neri.
- Ora vado a farmi una doccia, tu intanto, prepara l’occorrente per la torta- la esortò la ragazza, con un gesto eloquente della mano.
- D’accordo- replicò sua madre.
- Papà farà i salti di gioia quando troverà il suo dolce preferito!- urlò Lyn e la sua voce rimbombò nell’immenso salone di villa Tornatore e poi si tappò nel bagno padronale optando per un bagno caldo e rigenerante, mentre sua madre si metteva ai fornelli.

 

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Capitolo 15
*** Notti In Bianco ***


Capitolo 15:

Viktor se ne stava sul letto ad osservare il soffitto, con un braccio dietro la testa e uno sul petto.
Diede un’occhiata all’orologio sul comodino che segnava le quattro del mattino. Sospirò esasperato e cercò di chiudere gli occhi, comandando alla sua mente di disconnettersi.
Da quando era uscito dal coma gli era diventato piuttosto difficile addormentarsi, del resto aveva dormito per quarantacinque giorni filati sotto gli effetti dei farmaci, non era esattamente come schiacciare un pisolino pomeridiano.
Non che avesse mai amato dormire.
Da che ne aveva memoria, le sue notti erano sempre state tormentate e piene di incubi fatti di figure incappucciate, urla di ragazzi giovani come lui e tanta, tantissima sofferenza.
Sperava che iniziato il duro allenamento col Black Dranzer riuscisse in qualche modo a farsi sopraffare dalla stanchezza, ma notava che più combatteva con quello strano Beyblade, più si sentiva invaso da una forza eccezionale. Certo, quella sensazione gli piaceva ed era preso da una particolare euforia quando lanciava quel Bey, ma col passare dei giorni, quella stessa sensazione lo teneva sveglio anche di notte.
Quella notte in particolare.
Poi si ricordò di quello che era successo.
Gli occhi di quella ragazza lui li aveva già visti da qualche parte, ma per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare dove. Magari in uno dei suoi sogni tormentati, anche se suonava impossibile, eppure lei lo aveva riconosciuto, sapeva il suo nome e per quanto la cosa lo agitasse, lei non sembrava essere spaventata.
E la sua voce, quella candida e melodiosa voce, ricordarne quel suono soave dava una sensazione di incredibile pace a Viktor.
Pace. Una parola che nel suo vocabolario non era mai esistita.
Quella ragazzina aveva in un attimo avuto il potere di farlo sentire sereno, soprattutto quando l’aveva tenuta tra le braccia mentre era svenuta. Il solo pensiero di doverle fare del male aveva innescato una lotta senza esclusione di colpi nella sua coscienza, evento più unico che raro e, quella sorta di agitazione, fu decisamente la ciliegina sulla torta per impedirgli di dormire.
Gli ordini di Vorkov, però, erano chiari e se voleva sperare di sapere qualcosa riguardo il suo passato, come suo padre gli aveva promesso, doveva portare a termine quella missione, senza esitazioni o distrazioni di alcun tipo. Quel bastardo era stato categorico, sia maledetto, pensò Viktor.
Lyn. Un nome particolare per una rompipalle.
Quel pensiero lo fece sorridere brevemente e pensare a lei stava funzionando, si stava rilassando e iniziò a sentire le palpebre sempre più pesanti.
Lo squillo del cellulare, però, fece riaprire di scatto gli occhi al giovane che imprecò sottovoce afferrando l’oggetto rettangolare dal comodino. Rispose senza neanche leggere chi fosse sul display, del resto c’era una sola persona al mondo in possesso del suo numero.
- Come procede?- chiese diretto Vorkov e Viktor dovette fare appello a tutte le sue forze per non mandarlo a fare in culo seduta stante.
- Senti, se vuoi ti compro un fottuto orologio- cominciò il giovane astioso, mantenendo a stento la calma.
- Hai idea di che cazzo di ore sono qui?- sbottò esasperato.
- Sì, all’incirca, ma so che il mio ragazzo è sveglio e vigile come sempre- si giustificò Vladimir, con un tono decisamente fastidioso.
Viktor sospirò, mettendosi seduto al centro del letto e scostando con forza le lenzuola.
- La ragazza. L’hai trovata?- chiese l’uomo con una certa impazienza.
- Sì- lo informò lui secco.
- Ebbene?- incalzò l’altro.
- Ebbene nulla. Il modo in cui mi ha parlato mi ha fatto pensare che mi conoscesse già- cominciò Viktor, alzando il tono della voce di un paio di tacche.
- C’è qualcosa che devo sapere?- chiese poi, sentendo che suo padre restava in silenzio.
- Ti basti sapere che tuo padre ha già pensato a tutto, prima di mandarti in Italia- disse Vorkov vago.
- Non mi basta- lo bloccò Viktor, chiarendo da subito la sua posizione.
- Te l’ho già detto. Se vuoi che porti a termine la missione, devo saperne di più- lo avvisò il ragazzo.
- Figliolo, tu devi solo cercare di farti amica quella mocciosetta, al resto penseremo noi- replicò infine Vorkov, liquidando la faccenda.
Viktor strinse gli occhi e serrò un pugno, stufo di essere tenuto allo scuro in un piano che nella maggior parte delle fasi della sua attuazione, lui ne era l’indiscussa pedina principale.
- Lei si fida di te, questo è già importante- continuò l’uomo tranquillo e Viktor si sentì per un attimo confuso.
- Come fai a sapere che si fida?- chiese.
- Beh, l’hai salvata da una brutale violenza di gruppo, come minimo sei il suo eroe e ti sarà riconoscente a vita- concluse Vorkov a voce bassa.
Viktor mise i piedi fuori dal letto e guardò oltre l’ampia vetrata della suite dell’hotel in cui Vladimir lo aveva sistemato, cercando di riordinare i pensieri.
- Sei stato tu...- mormorò, mentre la sua ira era in costante crescita.
Un conto era rubare dei Bit Power dai Beyblade dei proprietari, ma un altro era pagare dei tizi affinché stuprassero una ragazzina. Quel pensiero fece rovesciare lo stomaco a Viktor. Sapeva che suo padre fosse disposto a tutto per ottenere ciò che voleva, ma non credeva che arrivasse a tanto.
Vorkov si lasciò sfuggire una risatina.
- Andiamo, figlio, non è il momento di mettersi a fare sentimentalismi- ironizzò l’uomo al telefono.
- Ti ho affidato questo delicato compito, proprio perché tu sei una macchina da guerra, nata e cresciuta sotto la mia ala protettrice- cominciò lui con tono ammirato.
- Tu sei freddo, calcolatore, geniale. Proprio come tuo padre- concluse Vorkov, mentre il senso di nausea del ragazzo prendeva sempre più piede nel suo stomaco.
- Ora devo andare, domani mi alzo presto per allenarmi- tagliò corto il giovane, sperando di chiudere lì la telefonata.
- Bravo il mio ragazzo!- commentò fiero Vorkov.
- Ti aspettano giorni di gloria, figlio mio, se riuscirai a completare la missione- continuò suo padre, ma Viktor senza nemmeno rispondere ulteriormente chiuse la telefonata, lasciandosi andare di peso sul letto.
Si passò le mani tra i capelli e l’unica cosa su cui la sua mente riusciva a concentrarsi in quel momento era che voleva prendere a pugni qualcuno o qualcosa, fino a sentire le nocche rompersi.
Capendo che ormai neanche quella notte sarebbe riuscito a dormire, chiamò il servizio in camera, almeno avrebbe messo qualcosa sotto i denti.
Dopo qualche minuto qualcuno bussò alla sua porta, il cameriere gli aveva portato del petto di pollo ai ferri con delle patate e un dessert, offerto dalla casa.
Quello stronzo di Vorkov aveva davvero pensato a tutto, rifletté.
Mentre consumava la sua cena notturna, Viktor accese il televisore al plasma posizionato di fronte al suo letto e cominciò a girare distrattamente i canali, quando la sua attenzione venne attirata da un programma di cucina che al momento trasmetteva un’intervista agli chef stranieri che avevano ristoranti stellati in Italia.
Viktor non poté fare a meno di pensare che l’uomo che stava parlando ai microfoni e, contemporaneamente, cucinava col sorriso stampato sulle labbra, aveva una somiglianza impressionante con la ragazza che aveva conosciuto poche ore prima. Oltre che, una vaga aria familiare...
Quando il ragazzo lesse il nome dello chef in sovrimpressione fu pervaso da un miscuglio di sensazioni contrastanti.
- Rei Kon- ripeté quasi sottovoce, con una smorfia di confusione dipinta sul viso.
Poi prese a massaggiarsi le tempie.
Quel fottuto mal di testa che lo accompagnava da che ne aveva memoria, chiara conseguenza del suo poco sonno e non solo. Quel particolare sintomo si manifestava anche dopo uno dei suoi incubi ricorrenti, quando la sua mente compiva uno sforzo sovrumano per ricordare qualcosa del suo passato. Il medico che lo aveva avuto in cura per tutto il tempo che era stato in coma, si era raccomandato di condurre uno stile di vita sano e dormire almeno otto ore a notte, per evitare possibili effetti collaterali.
Quante cazzate, pensò Viktor.
Quando finì di mangiare, ripose i piatti sporchi sul carrello, richiamò il cameriere che gli aveva portato su la cena e poi spense la tv. Andò, quindi, a farsi la terza doccia della giornata, sperando che l’acqua calda riuscisse a farlo rilassare abbastanza da permettergli di addormentarsi. Uscito dal bagno, si preoccupò di impostare il cellulare sulla modalità silenziosa, qualora a Vorkov fosse venuto in mente di fare un’altra telefonata delle sue e guardò il sole sorgere, rassegnato.
In quel momento qualcuno bussò nuovamente alla sua porta.
- E’ ora della medicina, Viktor- la voce di quel cameriere era fastidiosa quasi quanto quella di Yuri.
Chi varcò la soglia della sua camera, era lo stesso uomo che gli aveva servito la cena. Viktor non fu affatto sorpreso nello scoprire che c’erano tirapiedi di suo padre anche e soprattutto nell’hotel dove lo aveva sistemato.
- Perché fingere di essere un semplice cameriere quando mi hai portato la cena?- disse il ragazzo, afferrando quella pillola che il tizio reggeva in una mano, per poi mettersela in bocca e buttarla giù con un po’ d’acqua.
- Mantenere un basso profilo, ricordi?- commentò l’uomo vestito di bianco e nero.
- Quanto siete coglioni- rispose Viktor, mentre l’altro si congedava con un inchino, lasciando da solo il figlio di Vorkov che si mise finalmente a letto e cercò di dormire, quanto bastava per recuperare un po’ le forze per allenarsi e la doccia e la cena leggera, insieme a quella medicina, parvero funzionare per una volta.
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Quella mattina Lyn era stata accompagnata a scuola da Rei.
Nonostante suo padre fosse tornato alle due del mattino, era stato messo subito al corrente da sua moglie da ciò che era accaduto quella sera alla loro figlia.
Rei ci aveva messo più di mezz’ora per calmarsi, il suo primo istinto era stato mettersi in macchina ed andare a scovare quei tizi, ovunque si trovassero per fargliela amaramente pagare, ma Elena, che con l’età era diventata leggermente più riflessiva dell’uomo che aveva sposato, lo dissuase da quella follia.
- Più tardi vado a recuperare il tuo scooter- promise Rei, parcheggiando fuori il liceo di sua figlia.
- Papà, va’ a riposare, sei stato sveglio tutta la notte- disse dolce Lyn.
- Ci vado io dopo scuola- propose la ragazza.
- Hai gli allenamenti con tua madre dopo scuola, dimenticato?- disse suo padre alzando un sopracciglio.
Gli suonava abbastanza strano che sua figlia dimenticasse gli allenamenti di Beyblade, ma era comprensibile che si sentisse ancora un po’ confusa e disorientata dopo quello che aveva subito.
- Lyn, voglio che tu tenga bene a mente una cosa- cominciò Rei, prendendo ad essere serio di colpo e agitando un po’ la ragazza seduta accanto a lui.
- I campionati del mondo sono alle porte, lo so papà- disse lei con un sorrisone, cercando di sciogliere la tensione, ma l’uomo era ancora serissimo.
- Al diavolo i mondiali- ribatté Rei guardandola negli occhi.
- Ciò che ti è successo ieri sera non dovrebbe accadere a nessuno. Mai. Per questo ti chiedo, semmai ne avessi bisogno, di parlarne con me o con tua madre, se ti senti più a tuo agio- la invitò suo padre.
- Se hai bisogno di aiuto, di qualsiasi aiuto, lo sai che devi solo chiedere- Rei mascherava a stento la sua preoccupazione e Lyn se ne accorse.
Sorrise dolcemente, grata per avere dei genitori tanto meravigliosi e premurosi, e poi prese la mano di suo padre.
- Bàba*, non ho bisogno di andare da uno strizzacervelli, sto benissimo- lo rassicurò Lyn.
- Mi basterà qualche lancio con Driger per dimenticarmi di tutta questa storia e vorrei che lo faceste anche tu e la mamma- continuò lei tranquilla.
- Capisco la vostra preoccupazione, ma davvero, io sto alla grande e non vedo l’ora di potermi allenare con voi e battere finalmente Makoto in finale- disse lei alzando il cinque con suo padre, che era visibilmente più rilassato.
- Brava la mia piccola Tigre, così ti voglio- disse Rei fiero.
- Ora scappo, altrimenti faccio tardi- Lyn uscì dall’auto, non prima di aver stampato un affettuoso bacio sulla guancia a suo padre e poi salì di corsa le scale della scuola, perdendosi tra miriadi di zaini e facce preoccupate da verifica.
Il cellulare di Rei prese a squillare.
- Amore- rispose, continuando a guardare sua figlia che spariva all’interno dell'edificio scolastico.
- Come l’hai vista?- chiese preoccupata Elena.
- Se la caverà, non vuole farcelo solo credere, sta bene davvero- la rassicurò Rei e sua moglie sospirò rumorosamente dall’altro capo del telefono.
​- Nostra figlia è forte, è una vera tigre, soprattutto nello spirito- continuò il cinese con un sorrisetto dipinto sulla faccia.
- Meno male ha preso tutto da te, in questo caso- aggiunse Elena.
- Beh, non sono io quello che ha sconfitto il Team delle Tenebre ed è diventata un’ispirazione per tutti i blader del mondo, quindi direi che ha preso anche un po’ da te- la elogiò lui con un pizzico di ironia, che alla donna non sfuggì.
- Te la faccio passare liscia solo perché hai promesso di preparare il pranzo- disse Elena e riuscì a strappare una risata a Rei.
- Torno tra poco- la avvisò lui.
- Ti aspetto… a letto- aggiunse lei con tono malizioso e Rei si mordicchiò un labbro.
- Sarò costretto a prendere qualche multa passando col rosso- rispose il moro, immaginando già la sua bella moglie nuda a letto che lo aspettava.
- Allora datti da fare e corri veloce- continuò Elena con fare sensuale e Rei chiuse la telefonata, partendo come promesso a razzo per arrivare presto a casa.

*Papà in cinese <3

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Capitolo 16
*** Danni Collaterali ***


Capitolo 16:

Lyn era uscita un paio d’ore prima da scuola falsificando la firma di sua madre e, stranamente, non si sentì per niente in colpa riguardo quella piccola bravata commessa per la prima volta.
Stare seduta tra i banchi ad ascoltare quella noiosa lezione di trigonometria la stava facendo impazzire e gli sguardi dei suoi compagni pieni di compassione, fissi addosso da che aveva messo piede nell’edificio quella mattina, non avevano migliorato il suo umore.
Approfittando di quella meravigliosa giornata di sole, decise di prendere la metro e fermarsi a Villa Borghese, il suo posto preferito della città, dove andava quando aveva bisogno di pensare o semplicemente, per sentirsi in pace col mondo.
I suoi primi ricordi erano legati proprio a quel sito turistico, quando passeggiava tenendo la mano ai suoi genitori e poi li lasciava per rincorrere qualche oca. Ricordava i giri sulla barca, suo padre che remava divertito e i continui richiami di Elena quando si sporgeva troppo, finendo poi per essere lei stessa quella curiosa a guardare oltre il parapetto di legno dell’imbarcazione.
Era fortunata perché i suoi genitori erano cresciuti insieme a lei, soprattutto sua madre, e avevano vissuto la sua infanzia sentendosi bambini quasi quanto lei.
Mentre Lyn si incamminava per quei vialetti che conosceva a memoria, inspirando a pieni polmoni l’aria ancora calda di inizio autunno, la sua attenzione venne attirata da un suono che conosceva benissimo. Un Beyblade che girava.
Stranamente, si ricordò di aver sentito lo stesso identico fruscio proprio la sera prima, mentre quei tizi che l’avevano aggredita se la stavano dando a gambe. Riflettendo lucidamente su quei particolari minuti, cosa che ovviamente non era riuscita a fare al momento dell’aggressione, pensò che poteva essere stato proprio quel Beyblade a mettere in fuga gli stupratori.
Sorrise scuotendo la testa, dandosi mentalmente della stupida per quella teoria alquanto assurda. Un Bey, per quanto potente, non poteva far scappare cinque malintenzionati, a meno che chi lo aveva lanciato non era ricorso ad un Bit Power per spaventarli. E, cosa non meno importante, loro dovevano riuscire a vederlo.
Si avvicinò sempre più alla fonte di quel rumore, con non poco timore visto che si era addentrata in una zona un po’ più isolata del parco e, dopo quello che le era successo, si era ripromessa di stare quanto più possibile tra la gente per evitare brutti incontri. Quando si fermò, avvolta da una piuttosto fitta boscaglia, riuscì a vedere nitidamente chi era il proprietario di quel Bey e non poté credere ai suoi occhi.
Sentì il cuore mancarle un battito per poi iniziarle a martellare paurosamente nel petto, le mani sudate e il respiro corto.
Viktor era lì, di nuovo davanti a lei e con la luce del sole poteva finalmente ammirare ogni dettaglio di lui; cose che la sera prima non aveva avuto modo di scorgere.
Il suo particolare ciuffo era leggermente mosso dalla brezza, i muscoli delle braccia Lyn poteva vederli guizzare sotto la pelle chiara ad ogni movimento. Si muoveva come in una danza e la ragazza capì che era molto preso dal suo allenamento, ma quando riuscì a vedere quegli occhi meravigliosi, di quel colore così raro come rare pietre preziose, Lyn sentì nuovamente le forze mancarle.
Era divino.
Viktor aveva lo sguardo duro e concentrato e la mascella serrata che dava un movimento quasi irreale a quei triangoli blu che aveva dipinti sul viso e quando spostò la testa per scostarsi i capelli dagli occhi, qualche goccia di sudore simile a perle, gli cadde dalla fronte. Il giovane andò a sedersi su una panchina lì accanto e fece un sorso d’acqua, mentre il suo Beyblade nero scintillante continuava paurosamente a roteare vicino ai suoi piedi.
A Lyn venne un’idea geniale, così afferrò Driger dal suo zaino e si preparò a lanciare con determinazione.
- Pronti, lancio!- sussurrò per non farsi scoprire, ma quando il suo Bey argentato uscì a tutta velocità dalle piante, Viktor alzò subito lo sguardo, allerta, giusto per vedere il suo Beyblade essere colpito e sbalzato più in là da quello di Lyn. Driger continuò a girare nel punto in cui aveva colpito il Black Dranzer di Viktor, che nonostante il colpo ricevuto, non aveva smesso di girare.
- Chi è là?- chiese Viktor alzandosi di scatto dalla panchina e Lyn uscì allo scoperto, un po’ imbarazzata.
- Ciao- si limitò a salutarlo con la mano, mostrando un sorriso amichevole e sperando di non spaventarlo con i suoi canini un po’ appuntiti.
Viktor sospirò, ma la sua espressione era talmente enigmatica che Lyn sulle prime non capì se era più sorpreso o seccato.
- Ciao- la ricambiò, voltandole subito le spalle per riprendersi il suo Beyblade.
Il giovane andò a sedersi nuovamente sulla panchina con gli occhi bassi, sistemando la sua trottola al dispositivo di lancio.
- Come mai da queste parti?- chiese curiosa Lyn.
- E’ vietato girare per la città?- la rimbeccò lui, continuando ad armeggiare col suo Beyblade e senza degnarla di uno sguardo.
La ragazza lo fissò stranita, realizzando che non si era affatto comportato in quel modo la sera prima solo per timidezza o imbarazzo, ma lui pareva essere proprio così come si mostrava. Lyn non poteva credere che il giovane a cui aveva raccontato le fiabe fosse così freddo in realtà.
Probabilmente lo aveva idealizzato troppo e si trovò costretta a dare mentalmente ragione a Judy. Come sempre.
- Giochi anche tu a Beyblade, forte!- cominciò Lyn, sperando che quell’argomento comune potesse in qualche modo farlo sciogliere.
- Io non gioco. Vinco- replicò lui convinto.
- Allora come mai non ti ho mai visto ai campionati mondiali? Sembri uno che se ne intende abbastanza- incalzò lei.
- Le coppe non mi interessano, gareggiare in queste competizioni è inutile. Io sono il più forte- chiarì lui, alzando finalmente lo sguardo.
Per quanto Lyn fosse ammaliata dal suo aspetto, non poteva di certo tollerare quel suo modo di fare così spocchioso e saccente, non quando si trattava di Beyblade, un campo dove lei si riteneva decisamente un' esperta.
- Vediamo come te la cavi con una campionessa, così potremo testare il tuo reale livello, che ne dici?- propose lei e Viktor, di tutta risposta, scoppiò a ridere nello stesso modo della sera precedente.
- Io non mi batto con le ragazzine dai Beyblade gingillati, potresti piangere se distruggessi il tuo e, credimi, c’è la concreta possibilità che ciò possa accadere- la stuzzicò lui rivolgendole uno sguardo penetrante.
Nonostante la temperatura del suo corpo si alzò di qualche grado nel sostenere quello sguardo, Lyn cercò di mantenere un contegno, proponendo nuovamente la sfida.
- Per tua informazione, la ragazzina qui presente discende da una famiglia di blader professionisti- cominciò fiera.
- Mio zio Gianni Tornatore era uno dei quattro Beyblader più forti d’Europa, mentre mia madre Elena, ai più conosciuta come la Prescelta ha sconfitto il Team delle Tenebre, permettendo a te e a me di poter ancora praticare questo sport a cielo aperto- spiegò con tono leggermente arrogante, mentre Viktor continuava a pulire il suo dispositivo di lancio senza mostrare il minimo interesse a ciò che Lyn stava dicendo. La ragazza andò, nel frattempo, a recuperare il suo Beyblade.
- E si da il caso che io combatta con il Driger di mio padre- incalzò la giovane.
- Il gingillo, come lo chiami tu, è appartenuto ad uno dei campioni dei Bladebreakers, Rei Kon, ed è il simbolo della Tribù della Tigre Bianca, della quale sono fiera discendente-
Viktor si fermò di scatto nell'udire ancora una volta quel nome e alzò lo sguardo su Lyn, che gli stava mostrando il suo Beyblade, il quale alla luce del sole sembrava quasi avvolto dai diamanti. Fu, però, il centro dell’oggetto ad attirare maggiormente l’attenzione del ragazzo. Da quel bit chip, Viktor poteva sentir scaturire una potenza inimmaginabile, poteva addirittura sentire quella Tigre Bianca ruggire con prepotenza nel suo cervello.
E forse, glielo aveva sentito realmente fare, qualche volta.
E poi quel nome, Rei Kon.
Lo aveva sentito alla tv proprio quella notte ed ecco spiegato il perché dell'incredibile somiglianza. Quello chef era il padre della ragazzina.
Per un attimo Viktor si chiese come fosse passato dall’essere campione di Beyblade a campione di cucina, ma decise di non chiedere. Dopotutto, non erano affari suoi.
Poi, improvvisamente, il giovane prese a toccarsi le tempie con una smorfia sul viso e Lyn si preoccupò all’istante.
- Qualcosa non va?- chiese avvicinandosi a lui, il quale si ritrasse come a voler far chiaramente capire che odiava i contatti fisici.
- Sto bene, mi succede spesso- si confidò lui, senza neanche sapere perché lo avesse fatto, continuando a massaggiarsi la fronte. Nessuno sapeva dei suoi mal di testa ricorrenti, tranne Yuya e, andato lui, non ne aveva fatto parola con nessun altro. Non poteva mostrarsi debole davanti a Vorkov e i suoi compari.
- Vuoi un analgesico? Sai, anche io soffro di mal di testa, per questo mi porto sempre qualche scorta dietro- propose Lyn, andando a recuperare il medicinale dal suo zaino.
- Non serve, sto bene- ribatté Viktor con una certa durezza nella voce.
- Non voglio la tua medicina e né tanto meno che tu mi compatisca!- disse lui astioso e Lyn, per quanto allibita, dovette alzare le braccia in segno di resa, inarcando le sopracciglia.
- Okok, rilassati. Volevo solo aiutarti- rispose la ragazza in sua difesa e Viktor giurò di vedere una scintilla di sincera preoccupazione nel suo sguardo dorato.
Nessuno si era mai preoccupato per lui, non veramente, quindi che qualcuno potesse farlo senza apparenti secondi fini lo faceva sentire inspiegabilmente a disagio. Nel giro di qualche minito, il ragazzo si alzò in piedi e si mise in posizione per lanciare, come se niente fosse.
- Combattiamo- disse, sfoderando un sorrisetto colmo di sfida, mentre Lyn sbatté le palpebre più volte, confusa.
- Un attimo, due minuti fa stavi male e ora...-
- Ora sto benissimo, quindi se vuoi batterti preparati a lanciare il tuo Beyblade, altrimenti vattene via e lasciami allenare da solo-
Viktor non aveva dato altre possibilità a Lyn, quindi la giovane agganciò il suo Driger al dispositivo di lancio e restituì lo sguardo carico di sfida al suo avversario.
- Pronti, lancio!- esclamarono in coro.
E poi i due Beyblade presero subito a rincorrersi sul terreno roccioso e sconnesso della villa romana, cozzando pericolosamente tra loro e producendo scintille infuocate.
Si preannunciava un incontro emozionante e fin dai primi secondi Lyn si chiese come mai Viktor non avesse mai partecipato alle gare ufficiali, poiché data la sua forza e la sua tecnica, aveva tutte le carte in regola per arrivare quantomeno alle fasi finali.
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Al terzo incontro perso, Lyn era strabiliata e frustrata nello stesso tempo.
Nessuno l’aveva mai battuta, tranne Makoto e, considerando che al momento era il campione del mondo in carica, pensò che non ci fosse nessuno più forte di lui, ma contro Viktor dovette ricredersi.
Chissà come sarebbe stata la sfida tra Viktor e il suo migliore amico, si chiede per un attimo la ragazza.
Viktor raccolse il suo Beyblade, il quale aveva smesso di girare solo in quell'istante, con aria soddisfatta.
- A quanto pare la mia tecnica batte il tuo albero genealogico- disse lui con un sorrisetto.
Lyn non riuscì a pensare ad una delle sue risposte pungenti, ma anche se lo avesse fatto, non c’era molto da recriminare a Viktor. Le aveva dimostrato di essere superiore sotto tutti i punti di vista, così sospirò con un sorriso tirato.
- Devo ammetterlo, sei molto molto forte- si limitò a replicare lei, mentre Viktor il sorrisino sornione sul volto dell'avversario non accennava a sparire, così Lyn gli tese la mano.
- Amici?- chiese lei e Viktor fece esattamente quello che aveva fatto la sera prima, guardando prima la mano tesa della ragazza e poi alzando lo sguardo sul suo viso.
- Coraggio, i blader si stringono la mano in segno di rispetto dopo un incontro, questo non te l’hanno insegnato?- chiese lei sollevando un sopracciglio, così Viktor arreso, strinse la mano a Lyn.
La ragazza ebbe un sussulto non appena le loro dita entrarono in contatto.
Nonostante la giornata fosse calda, la mano di Viktor era decisamente e innaturalmente fredda e Lyn poté sentire l'ammonizione nascosta dietro le parole del Grande Saggio riecheggiare confusamente nella sua testa.
"Il suo tocco gelido. Siberiano. Un’arma nera scintillante. Attenta, figlia del solstizio d’estate..."
Lyn inspirò profondamente e ritrasse la mano, Viktor piegò un po’ la testa di lato confuso, guardandola negli occhi. Lei si chiese se anche lui avesse provato una strana sensazione, ma a giudicare dal suo sguardo, la cosa era stata solo a senso unico. Del resto, soltanto lei conosceva le parole di quell’assurda profezia che aveva ricevuto come regalo di compleanno.
- Che hai?- chiese il ragazzo con distacco.
- Niente- si affrettò a rassicurarlo Lyn, poi si prese qualche secondo per guardarlo e il suo sguardo indugiò in particolare sul suo Beyblade.
C’era qualcosa in quell’oggetto che non le tornava, non sembrava essere un Bey normale e nonostante nessuno dei due fosse ricorso al potere del Bit Power, vietato in un incontro amichevole dai tempi dei blader della Morte, Lyn sentiva che quell’Aquila Nera nascondeva una forza che non poteva neanche immaginare.
Una forza oscura, che non prometteva nulla di buono.
Quella era la stessa sensazione che aveva provato in presenza del padre di Viktor e ipotizzò, proprio come Rei a suo tempo con Driger, che il Black Dranzer fosse appartenuto prima a Vladimir Vorkov. Con il ragazzo però, al contrario di ciò che succedeva in presenza di suo padre, non si trovava in difficoltà, anzi si sentiva addirittura al sicuro con lui.
- Devo andare- annunciò poi lei frettolosamente, andando a recuperare il suo zaino e riponendo velocemente Driger al suo interno. Viktor si accigliò e la guardò andare via di corsa, avvertendo l'impellente sensazione di doverla fermare.
- Hey!- le urlò e Lyn si girò nuovamente nella sua direzione.
- Te la cavi comunque discretamente- aveva compiuto uno sforzo immane per farsi uscire quelle parole dalla bocca.
- Se ci tieni a batterti a quegli stupidi campionati, potrei darti una mano- proseguì lui dopo qualche secondo di silenzio, mettendosi le mani in tasca.
Lyn non seppe cosa rispondere all'impatto, anche se vedere lui leggermente imbarazzato la fece sentire per un attimo padrona della situazione. Poi la confusione si impadronì di tutto il resto. Prima non voleva essere disturbato, poi le stava chiedendo di allenarsi insieme, quel ragazzo cominciava a diventare un vero mistero.
Infine, realizzò.
Stare in una città così grande, da solo, lontano da casa non doveva essere facile e Viktor doveva soffrire la solitudine.
- Facciamo così, vediamoci in questo stesso posto, domani alle quindici- propose Lyn e Viktor annuì, mentre lei lo salutò con la mano e corse a prendere al metro.
Se non fosse arrivata a casa in tempo e, soprattutto, in linea con quello che doveva essere l’orario d’uscita da scuola, i suoi sarebbero diventati peggio della C.I.A.
Viktor inspirò profondamente e guardò Lyn correre via, i suoi lunghi capelli neri che ondeggiavano al vento e quello zaino decisamente troppo grande per il suo corpo snello, ma comunque ben proporzionato.
Non poteva lasciarsi distrarre dalla sua bellezza, non fino al punto da pensare a lei senza vestiti. Scacciò con forza quel pensiero e si ricompose inspirando profondamente.
La missione veniva prima di tutto e conoscere finalmente la verità sul suo passato e avere la libertà, come promesso da Vorkov una volta concluso il piano, era la sola cosa che contava.
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Quando Lyn arrivò a casa, non trovò nessuno dei suoi genitori e tirò un sospiro di sollievo chiudendo gli occhi e appoggiandosi con tutto il peso allo stipite della porta della sua camera.
Aveva fatto davvero una corsa contro il tempo tra la metro in ritardo e la paura di ricevere una chiamata dai suoi in ansia per non averla trovata fuori scuola, invece campo libero, fortunatamente.
Le venne in mente quando era andata per la prima volta con Judy in discoteca un anno prima e avevano violato di un paio d’ore il coprifuoco, andando sullo scooter a tutta velocità in piena notte, rischiando persino un brutto incidente per arrivare in tempo. Anche in quella circostanza l’aveva fatta franca, con Makoto e David che si erano nascosti sotto le coperte fingendo di essere le due ragazze, qualora Max e Rei fossero andati a controllarle per qualsivoglia motivo. Conoscendo soprattutto la natura festaiola della Mizuhara.
Nonostante l’adrenalina che quelle esperienze le avevano dato, includendo anche quella di poco prima, pensò però che era decisamente troppo ansiosa per vivere di eccessi, rischiando di farsi venire un infarto ogni volta.
Lyn si preparò un sandwich veloce e si mise a fare i compiti per il giorno successivo, quando ricevette la telefonata di sua madre che si scusava per non aver pranzato con lei e che si sarebbe fatta perdonare quella sera, dopo gli allenamenti.
Quando arrivò in palestra, il gruppo dei bambini di dieci anni stava lasciando la sala, così poteva cominciare il suo allenamento personale.
Nonostante Lyn avesse ricevuto in dono sin da piccolissima il Bey di suo padre, era stata sua madre ad occuparsi maggiormente della sua formazione come blader. E battere il leggendario Vulpilyon di Elena Tornatore non era stata un’impresa semplice, ci vollero anni prima che Lyn riuscisse a buttare sua madre fuori da un ring, complice anche il fatto che Elena stessa, per un po’, aveva combattuto con Driger e ne conosceva a memoria tutti i movimenti e le caratteristiche.
Rei adorava vedere le sue donne sfidarsi in allenamento ogni volta che ne aveva il tempo e se Elena si occupava di Lyn nella parte tecnica, in vista delle selezioni ai campionati, Rei si assicurava che Lyn fosse in forma, preparandole un' apposita dieta bilanciata e assegnandole degli esercizi fisici da fare quotidianamente.
Lyn, come Makoto, David e Judy, era cresciuta pretendendo la perfezione da sé stessa riguardo al Beyblade, solo per sperare di diventare un giorno, più forti di quelli che un tempo erano stati i mitici Bladebreakers.
- Mamma, eccomi- Lyn attirò l’attenzione di sua madre e dal modo in cui si sedette di peso sulla panca, come a voler recuperare le forze, Elena capì che aveva avuto una mattinata piuttosto movimentata.
- Tesoro, perdonami per non aver pranzato con te, ma c’è stata un’emergenza in atelier. Damigella d’onore- disse sua madre con una smorfia e Lyn le sorrise, capendo l'antifona.
- Sai bene la brutta esperienza avuta con tua zia Hilary, mi ha lasciato una specie di trauma il matrimonio di quella donna- ironizzò Elena.
- Ma ora bando alle ciance, sei pronta? Oggi comincia seriamente il tuo allenamento, Takao ha pubblicato le date delle selezioni ai prossimi mondiali che si terranno a marzo, a Tokyo- Lyn annuì.
- Il che significa che abbiamo meno di sei mesi di tempo per allenarti a diventare la prossima campionessa del mondo, te la senti?- chiese sua madre, guardando Lyn negli occhi.
- Sono pronta, mamma- rispose lei convinta.
- Bene, cominciamo allora-
Elena agganciò Vulpilyon al suo dispositivo di lancio, poi però notò qualcosa di strano, quando Lyn appoggiò Driger sulla panca. Sua madre si avvicinò e prese il Beyblade della ragazza, ispezionandolo con attenzione.
- Lyn- disse con voce grave.
- Cosa?- chiese lei, intenta a recuperare il filo di caricamento.
- Hai qualcosa da dire a riguardo?- domandò quindi Elena, con un’espressione di stupore sul viso mostrando il Bey a sua figlia. Lyn, quindi, sgranò gli occhi.
Driger mostrava graffi profondissimi qua e là e il disco d’attacco sembrava essere abbastanza danneggiato. Un completo disastro.
Era fuggita talmente di corsa da Villa Borghese, che non si era presa neanche il tempo di capire in che condizioni fosse il suo Beyblade. Viktor era stato di parola: gliel’aveva quasi distrutto.
- Chi te lo ha ridotto così? È qualcuno di questa palestra?- chiese sospettosa Elena e Lyn arrossì violentemente.
- Beh, no, in realtà è stato un incontro all’intervallo con… uno della scuola- rispose vaga la ragazza, prendendo ad attorcigliarsi nervosamente la solita ciocca di capelli intorno al dito.
- Non lo conosci. È nuovo- si affrettò a sottolineare Lyn, sviando ogni possibile domanda successiva di sua madre.
- Ci sa fare vedo, per ridurti il Bey in questo stato- commentò la donna, osservando attentamente i danni che erano stati inferti al Driger.
- Possiamo tornare al mio allenamento?- chiese Lyn, con la speranza di liquidare la questione in fretta.
- Certo, ma prima dobbiamo sistemare questo macello- consigliò sua madre, facendole cenno di seguirla a cercare i pezzi di ricambio utili alla riparazione, cosa che col tempo Elena aveva dovuto imparare per forza di cose a fare, gestendo una palestra ufficiale e grazie soprattutto ad Emily e al Professor Kappa che, negli anni, le avevano dato qualche dritta.
Mentre osservava sua madre ripararle il Bey, Lyn non fece altro che pensare a Viktor e al suo modo di combattere. Certo, aveva imparato tutto ciò che sapeva dai suoi genitori e dai suoi zii, ma quel ragazzo russo le aveva distrutto ogni certezza, oltre ad aver fatto lo stesso anche col suo Bey.
Una cosa era sicura: Lyn avrebbe voluto imparare tutto ciò che c’era da sapere sul combattimento proprio da lui.

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Capitolo 17
*** Piovuta dal Cielo ***


Capitolo 17:

Novembre

Erano passati ormai due mesi da quando Lyn aveva cominciato gli allenamenti in segreto insieme a Viktor e la cosa che più le pesava non era tanto la fatica, ma nascondere ai suoi genitori che stava seguendo un corso intensivo da sola.
Aveva paura a rivelare loro la verità per una serie di motivi, primo su tutti aveva paura di deluderli, o meglio, credeva che loro ci sarebbero rimasti male nello scoprire che lei si allenava per conto suo, senza i loro consigli.
Un altro motivo era che Viktor non era esattamente il tipo di ragazzo che una madre vorrebbe per sua figlia, il classico bel tenebroso, freddo, un po’ scontroso e soprattutto pieno di sé. Però quello che la giovane aveva imparato in quei due mesi era che il ragazzo russo non era altro che un adolescente problematico, con un vissuto evidentemente difficile alle spalle e che faceva fatica ad accettare.
Ciò che mancava a Viktor, e che forse gli era mancato per tutta la vita, era l’affetto. Qualcuno a cui importasse di lui e, da come trattava anche Lyn certi momenti, si capiva che lo faceva solo per proteggere la parte più vulnerabile di sè stesso.
A parte la risaputa attrazione fisica che Lyn provava nei riguardi di Viktor, lei sentiva anche il bisogno di stargli vicino e dimostrargli che nonostante la vita facesse schifo, come era solito dire lui quando per caso si toccavano argomenti che esulavano dal Beyblade, c’era sempre la speranza che a qualcuno potesse importare di un’altra persona. E Lyn voleva a tutti costi essere quella persona.
Aveva evitato di raccontare anche troppi dettagli a Judy riguardo al tempo che passavano lei e il giovane insieme, perché sapeva già che la sua migliore amica le avrebbe consigliato di smetterla di correre dietro a lui e cercarsi qualcuno che le dava l’importanza che meritava. Del resto, anche lei stessa al posto di Judy avrebbe dato il medesimo consiglio.
Però era più forte di lei. Lyn non faceva altro che pensare a lui. A scuola, a ricreazione, a pranzo, durante i compiti e non vedeva l’ora di uscire come una furia di casa per correre da lui e rivederlo. Ci pensava persino agli allenamenti con sua madre, quando metteva in pratica tutti gli insegnamenti e i consigli che Viktor le dava, lasciando che Elena si prendesse il merito dei suoi miglioramenti.
La realtà era che Lyn si era innamorata di Viktor, ma non avrebbe mai potuto dirglielo perché lui la vedeva semplicemente come una persona da allenare per diventare forte e preparasi ad un importante torneo, niente di più.
Sapeva bene che era esattamente la stessa cosa successa ai suoi genitori durante il Cammino e che sua madre era riuscita a rivelare ciò che realmente provava per suo padre solo quando stava per perderlo, ma la sua situazione era decisamente diversa e, di certo, non una questione di vita o di morte.
Quel pomeriggio la giovane italo-cinese si mise come sempre a bordo del suo scooter verde e oro, accampando una scusa con la madre per gli allenamenti, dicendo di andare a studiare da un’amica per una ricerca di gruppo e raggiunse la rinomata villa romana, notando con dispiacere che il cielo cominciava ad annuvolarsi.
Proprio quella volta che aveva intenzione di passare con Viktor un po’ di tempo in più.
Quando arrivò al solito posto dove i due erano soliti incontrarsi, trovò come sempre lui già lì. A volte le dava come l’impressione che vivesse in quell’angolo del parco, sembrava non andare mai via di là.
- Minaccia pioggia- sentenziò lui, alzandosi dalla panchina, senza nemmeno rivolgerle un cenno di saluto.
- L’ho visto, ci diventa difficile allenarci su questo terreno se piove- concordò lei.
- Quindi, me ne torno in hotel, ci vediamo domani- Viktor aveva tutta l’intenzione di andarsene e quando passò accanto a Lyn, lei riuscì a contenere a stento la sua rabbia.
- No, inchioda e bloccati!- tuonò lei e Viktor si girò semplicemente di profilo.
- Mi sono fatta mezz’ora di traffico perché tra poco è Natale e la gente è in giro a fare i regali a qualsiasi ora- cominciò Lyn seccata.
- Non me ne torno indietro, mi spiace- concluse categorica.
- Per quanto mi riguarda puoi fare quello che ti pare, io vado a riposare- rispose lui, poi fece per muovere un altro passo, ma Lyn gli si parò davanti.
Lo sguardo di Viktor era infuocato. Di solito quando chiudeva un discorso, tutti mettevano la coda tra le gambe e non lo contraddicevano, ma quella ragazzina non era la prima volta che lo sfidava e trovare qualcuno che gli tenesse testa in quel modo lo infastidiva oltremodo. Oltre a stuzzicarlo, in quel particolare caso.
- Spostati, Lyn- sibilò lui.
- Mi hai chiamata per nome, facciamo progressi vedo- ironizzò lei e Viktor strinse i pugni, cercando di mantenere una calma apparente.
​- Non vorrei prenderti di peso e spostarti, ma se mi vedrò costretto, sappi che lo farò- la avvisò lui, in tono autoritario.
- Coraggio- lo sfidò Lyn e Viktor non ci pensò due volte, si avvicinò a lei con uno scatto, la prese per i fianchi e la sollevò da terra.
Quegli attimi a Lyn parvero infiniti.
Lei e Viktor si guardarono intensamente negli occhi, sostenendo l’uno lo sguardo dell’altra, come se staccarsi avesse significato debolezza. Il fatto era che Lyn si sentiva davvero debole, sostenuta ancora una volta da quelle braccia forti, le stesse che l’avevano sorretta quando lui l’aveva salvata dallo stupro, più di due mesi prima. Lei gli poggiò le mani sulle spalle per tenersi in equilibrio, mentre Viktor sembrava non sentire per niente il suo peso. Quando la rimise per terra, Lyn sentiva la testa girare. Quel contatto e quella vicinanza con il ragazzo le avevano dato un’incredibile scarica di adrenalina.
- Ci vediamo- disse lui in tono neutro e la giovane, nonostante si sentisse un po’ stordita e riuscisse ad ascoltare solo il sangue che le pulsava nelle tempie, lo fermò ancora una volta.
- Ti prego, Viktor- disse Lyn, con una dolcezza nella voce che lui non aveva mai sentito da nessuno.
- Non te ne andare-
Lui rimase di spalle e la ragazza dai capelli corvini, con quel poco di coraggio rimasto in quella circostanza, si avvicinò a lui e gli toccò le spalle. Viktor si ritrasse subito, come se fosse stato colpito dall’elettricità.
- Perdonami, a volte dimentico che odi quando ti toccano- disse triste Lyn e lo sentì sospirare pesantemente.
- D’accordo, ma che facciamo se non ci alleniamo?- chiese lui col suo solito tono duro, ma con una nota di arrendevolezza nella voce.
Lyn cercò di nascondere con tutte le sue forze il sorriso trionfante che le si stava allargando sul volto e si mostrò disinvolta.
- Si possono fare tante cose a parte giocare a Beyblade, hai mai provato?- lo prese in giro e dall’occhiataccia che Viktor le scoccò, capì che non solo lui odiava essere toccato, ma soprattutto odiava essere deriso.
- Andiamo, ti faccio vedere una cosa- lo invitò la ragazza con entusiasmo e, in condizioni normali si sarebbe agganciata al suo braccio e avrebbe tentato la vicinanza fisica, ma in quel particolare caso Viktor aveva reso da tempo note le sue intenzioni e Lyn aveva appena trasgredito a quell’unica regola. Lo conosceva abbastanza bene ormai, da sapere che un altro passo falso avrebbe significato rovinare quella sorta di appuntamento e la piccola Kon sapeva bene di doversi giocare al massimo quella possibilità piovuta quasi dal cielo. Letteralmente.
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Qualche minuto dopo, i due erano a bordo della piccola imbarcazione che accompagna i turisti sul lago.
Nonostante la sua insistenza nel volersi pagare da sola il breve tour, Viktor non diede a Lyn neanche il tempo di mettere mano al portafogli e, da ragazzo di famiglia apparentemente nobile quale era, aveva mostrato anche spiccati doti da gentleman in quell’occasione, anche quando l’aveva aiutata a salire sulla barca.
Il cielo antracite coperto di nuvole sembrava aver fatto cambiare il colore degli occhi a Viktor che, con il maltempo, erano diventati di un intenso color prugna.
- Visto? Tu ti alleni comunque e io mi rilasso- disse Lyn con un sorriso, quando si erano allontanati dal pontile e Viktor stava remando per dirigersi a largo. La ragazza giurò di vedere un sorriso sincero sulle labbra del giovane russo, ma fu un attimo, impercettibile.
- Sei tu quella che dovrebbe allenarsi, non io- rispose secco Viktor.
Seguirono attimi di silenzio, mentre Lyn si guardava intorno rapita. Era tutto esattamente come lo ricordava.
- Sai, erano anni che non facevo il giro sul laghetto, ci venivo sempre coi miei da piccola- disse lei, tentando di fare conversazione, ma Viktor continuò a remare senza mostrare il minimo interesse. Atteggiamento che, ormai, Lyn conosceva alla perfezione.
- Sei a Roma da un po’, cos’è la cosa che ti piace di più?- chiese lei qualche secondo dopo.
- Esco di rado, a parte venire qui ad allenarmi, non ho visto molte altre cose- confessò Viktor con distacco.
- Dobbiamo rimediare! Roma è stupenda, ti piacerà tantissimo, vedrai- disse lei con entusiasmo.
- Non mi interessa molto, ma grazie per l’offerta- concluse lui.
Quantomeno le aveva detto due o tre parole gentili in croce, facevano decisamente passi avanti, pensò Lyn.
- Beh, allora, se non puoi dirmi di Roma, qual è la cosa che ami di più della tua città?- proseguì la ragazza, cercando di coinvolgere Viktor in un qualsiasi discorso.
- Non saprei- rispose lui, cercando di mettere un freno alla curiosità di Lyn.
- Io sono indecisa tra un paio di cose, invece, Mosca è davvero ammaliante, oserei dire- confessò la giovane.
- Andiamo, ci sarà qualcosa, un monumento, un negozio, magari legato alla tua infanzia...- incalzò Lyn e Viktor alzò gli occhi al cielo esasperato.
- Ascolta, ti sembrerà parecchio strano, ma ci tengo a chiarire una cosa. Non ricordo nulla o quasi nulla della mia vita prima del coma- cominciò Viktor con una nota di crescente nervosismo nella voce.
- Quindi, se non è un problema per te, gradirei che la smettessi di tempestarmi di domande da fottuto giornalino scolastico, ok?- sbottò il ragazzo e Lyn si limitò ad annuire.
La ragazza passò i successivi cinque minuti a maledirsi mentalmente per essere stata così invadente, ma di certo non si aspettava quella reazione così accesa. Una cosa, però, tra tutto quell’aggredirla, le fece provare un profondo moto di tenerezza nei confronti di quel ragazzo.
Viktor le aveva appena confessato che i precedenti diciotto anni della sua vita erano stati come inghiottiti da un buco nero e questa cosa spaventò Lyn a tal punto da immaginare come fosse la sua vita se non potesse ricordare nulla, né i suoi amici, né i posti che aveva amato da bambina, o una qualsiasi altra cosa.
Quella consapevolezza le fece rovesciare lo stomaco.
Suo padre diceva sempre che senza le proprie origini e i propri ricordi ci sentiremmo perduti e provò per un attimo a pensare a come dovesse sentirsi Viktor. Solo e perso.
- A proposito, non mi hai mai detto di Mosca e come facevi a sapere il mio nome quando ci siamo incontrati- cominciò lui, rimettendo i remi in barca e Lyn si rese conto che si erano fermati molto lontani dalla riva.
La giovane sapeva bene che prima o poi lui glielo avrebbe chiesto, ma una parte di lei sperava che se ne fosse dimenticato. Poteva anche non ricordare nulla del suo passato, ma Viktor era troppo sveglio e intelligente per farsi sfuggire determinati dettagli della storia recente.
Lyn arrossì violentemente e cercò di mettere ordine nei pensieri, in modo da non sembrare a Viktor una povera pazza e solo dopo aver fatto un lungo respiro, si lasciò andare al racconto.
- Quando ci siamo incontrati quella sera, tornavo da una mensa per senzatetto. Ho sempre sentito il bisogno di voler aiutare gli altri, soprattutto quelli in difficoltà- cominciò Lyn e, per una volta, Viktor parve interessarsi a quella storia.
- Per questo mi sono iscritta ad un’associazione di volontariato e, quest’estate, l’ospedale di tuo padre ci ha contattati- proseguì lei, mentre il ragazzo la osservava attento, senza perdersi neanche un passaggio.
- Così sono partita per Mosca, insieme ad altri ragazzi e io sono stata assegnata al reparto di terapia intensiva, dove… c’eri tu- Lyn fece passare alcuni secondi prima di continuare, vedendo che Viktor stava quasi trattenendo il respiro.
- Ora, non prendermi per una stalker o una psicopatica, ma quando ti ho visto in quel letto, attaccato a tutte quelle macchine, ho sentito come un istinto di protezione nei tuoi riguardi- si confidò Lyn.
- E da quel giorno, per i successivi dieci in cui sono stata in Russia, sono stata al tuo capezzale, a parlare con te come se fossi sveglio e ti conoscessi- Lyn si sentì tremendamente in imbarazzo a rivelare quell’ultima informazione a voce alta, ma Viktor parve sentirsi leggermente più rilassato. Qualcosa in quel non sapere nulla l’uno dell’altra era diventato di difficile gestione persino per un tipo decisamente freddo come lui.
- Ero lì, ti raccontavo della mia giornata e ti leggevo la mia fiaba preferita...- confessò la ragazza, lasciandosi sfuggire una risatina di nervosismo, sentendosi improvvisamente stupida nel rivelare quel dettaglio apparentemente infantile.
- La Bella e La Bestia- disse Viktor mettendosi pensoso e Lyn smise di ridere di colpo, sollevando lo sguardo su di lui, quasi sconcertata. Viktor fece un mezzo sorriso e alla giovane Lyn sembrò quasi trasmettere sicurezza.
- Tu… te lo ricordi?- chiese lei in un soffio.
- Vagamente, ricordo la tua voce, più che altro- confessò Viktor, per qualche inspiegabile motivo.
Lyn si sentì profondamente sollevata nell’apprendere quella notizia e cominciò a credere che sotto quella coltre di neve e ghiaccio che avvolgeva il cuore di quel giovane da chissà quanto tempo, si nascondeva un animo nobile e gentile.
- Almeno adesso so perché mi sono svegliato, hai una vocetta tremendamente fastidiosa, sai?- la stuzzicò il russo, per poi sorridere per davvero a quel punto e Lyn ricambiò quasi commossa quel gesto, tenendoci a sottolineare, però, che la sua voce non era affatto come lui l’aveva descritta.
Nonostante quel pomeriggio non fosse partito col piede giusto, la piega che stava prendendo andava oltre ogni più rosea aspettativa e Lyn pregò con tutta sé stessa che quei momenti non passassero in fretta, anzi, voleva addirittura si fermasse a quell’esatto istante in cui Viktor le aveva sinceramente sorriso per la prima volta, così da non dimenticare la meravigliosa sensazione di calore che aveva provato.

 

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Capitolo 18
*** Senza Coscienza ***


Capitolo 18:

- Quindi, volevano sul serio staccarmi la spina?- chiese Viktor, mentre passeggiava accanto a Lyn con le mani in tasca, tenendosi sempre a debita distanza.
Qualche tuono di tanto in tanto in lontananza non sembrava disturbare per niente il loro pomeriggio che continuava a trascorrere tranquillo. Erano lanciatissimi in quella conversazione cominciata sulla barca in mezzo al lago e, da quel momento, non avevano smesso un attimo di parlare, nonostante Viktor rispetto a Lyn, fosse comunque meno loquace.
- Già, ma meno male non è successo- disse lei, ricordando quegli orribili momenti che aveva voluto rimuovere con forza dalla mente.
- Ho fatto in tempo a svegliarmi, allora- il ragazzo sembrava pensieroso con lo sguardo basso e accigliato, come a voler ricordare qualcosa in particolare.
Lyn, che stava facendo di tutto per non spegnere il suo entusiasmo e farlo tornare ad essere quello scontroso di sempre, non poté fare a meno, però, di fargli alcune domande.
- Com’è stare in coma?- chiese con una smorfia e Viktor alzò le spalle.
- Non che ricordi molto, te l’ho detto, dormi e sogni e sono i farmaci a fartelo fare- rispose tranquillo lui.
- Ok, ma hai anche detto di ricordare la mia voce, come lo spieghi?- incalzò lei, per poi fare un sorso di Coca Cola dalla cannuccia nella lattina acquistata al chioschetto poco prima.
- Forse in alcuni momenti ero più vigile di altri, se ne sapessi di più farei il medico- la rimbeccò assottigliando lo sguardo e Lyn non se la prese, ormai aveva capito che quello era il suo modo di fare e di rispondere e, così si addentrarono nuovamente per quella fitta boscaglia che nascondeva quella parte del parco isolata dove erano soliti allenarsi.
Viktor si distese sull’erba guardando il cielo, mentre Lyn era a gambe incrociate sul muretto lì accanto. Rimasero per qualche minuto in silenzio, solo il rimbombare dei tuoni che si faceva sempre più frequente.
- So che c’era qualcuno con te sulla moto, quella notte- cominciò Lyn, pentendosi subito dopo di aver fatto quella domanda, perché a giudicare dallo sguardo di Viktor, aveva toccato un tasto particolarmente dolente.
- Il mio migliore amico- la informò lui, interrompendo subito il flusso di pensieri di lei.
- Avevi anche un migliore amico, che bello. Dato il tuo caratterino non lo avrei mai detto- commentò ironica Lyn, sperando di alleggerire nuovamente l’atmosfera.
- Non era esattamente quel tipo di amicizia come potresti definirla tu, ad esempio- ci tenne a sottolineare lui.
- Spiegati meglio- lo esortò Lyn.
- Yuya mi ha implorato fino all’inverosimile di allenarlo, un po’ come hai fatto tu- cominciò il giovane, guardandola di sottecchi.
- Io non ti ho implorato per niente- lo interruppe lei.
- In ogni caso, era semplicemente un ragazzo che giocava a Beyblade. Mi vide combattere e volle imparare a farlo esattamente come me- proseguì Viktor, per poi fermarsi di colpo e, dopo un lungo sospiro, riprese a parlare.
- Non l’ho mai trattato come un vero amico, eppure indirettamente gli ho sempre raccontato tutto e l’ho reso partecipe di qualunque cosa- lo sguardo del ragazzo si fece improvvisamente triste.
- Se non vuoi...- disse Lyn, ma Viktor scosse la testa.
- Parlarne non cancellerà quello che è successo, lo so, ma posso provare ad alleggerirmi la coscienza, ammesso che ne abbia una- aggiunse a voce bassa e io suoi occhi vennero nascosti dal suo singolare ciuffo argenteo.
- Perché dici così? L’affronti fin troppo bene, io starei ancora piangendo chiusa in camera mia se avessi perso la mia migliore amica- cercò di sollevarlo Lyn.
- E poi perché credi di non avere una coscienza, l’ho capito che sotto sotto non sei duro come vuoi farmi credere, sai?- rincarò la dose Lyn, ma i bellissimi occhi viola di Viktor erano ancora nascosti sotto un velo di tristezza, nonostante i tentativi della ragazza.
- Non ho versato una lacrima quando mi hanno detto che Yuya non ce l’aveva fatta. Nemmeno un sussulto. Niente. Zero- confessò Viktor per poi girarsi nella direzione di Lyn e lanciarle uno sguardo potente.
- Credi ancora che il mio sia il modo giusto di affrontare il lutto per la persona più vicina a te?- chiese Viktor retorico e Lyn non poté fare altro che abbassare lo sguardo e sospirare.
- Perciò no, se ti stai facendo delle fantasie sul lato buono di me, mi spiace deluderti. Non ne ho uno e, a giudicare da come mi comporto, credo di non avercelo mai avuto- ammise, tornando a guardare le nubi scure addensarsi sopra la sua testa.
I due restarono diversi minuti in silenzio, quando qualche piccola goccia di pioggia cominciò a cadere.
- Sarà meglio andare- propose Viktor mettendosi seduto, per poi alzarsi in piedi e togliersi l’erba di dosso.
- Vuoi un passaggio?- chiese Lyn diretta.
- Ho un casco in più, per qualsiasi evenienza- aggiunse e Viktor la squadrò serio piegando un po’ la testa di lato.
- Mi prendi in giro per caso?- riuscì a dire, mentre la confusione si dipingeva sul volto della ragazza.
- Ti ho appena raccontato che sono sopravvissuto a stento ad un incidente in moto e tu vuoi farmi salire nuovamente su due ruote?- Lyn non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere, sperando che quella reazione non facesse andare Viktor su tutte le furie.
Oltre ogni pronostico, lui sorrise appena e Lyn si sentì stranamente sollevata.
- So che hai voglia di togliermi di mezzo per non avere avversari più forti di te, ma non ti libererai del sottoscritto facilmente, hai ancora tanto da imparare, se vuoi sperare di battermi...- la stuzzicò.
- Ma lo prenderò come un complimento- concluse lui.
- Hey, posso dirtela una cosa?- azzardò Lyn.
- Credo tu sia l’unica persona al mondo ad avermi sentito parlare per più di cinque minuti, non forzare la mano- Viktor si era sciolto completamente e, nonostante continuasse a sostenere la sua tesi sul non avere sentimenti ed emozioni, da come si stava rivolgendo a Lyn non aveva fatto altro che dare ragione a lei, invece, per tutto il tempo.
- Non ti ho mai raccontato come finiva la fiaba- disse lei, sentendo le guance andare improvvisamente a fuoco.
- Se è per questo non ricordo neanche il principio...- confessò lui, grattandosi una tempia.
- Posso ricominciare da capo senza problemi- propose Lyn.
- Facciamo invece che mi fai un veloce riassunto, non sopporterei di ascoltare un volume intero di una storiella per mocciosetti- disse lui, sentendo per la prima volta da che ne aveva memoria, il bisogno di chiedere scusa per paura di aver offeso la ragazza, ma lei di tutta risposta gli sorrise, sentendo le guance imporporarsi ulteriormente.
- Beh, lui era un principe spocchioso e arrogante, che era stato trasformato in una bestia perché creduto incapace di provare sentimenti...- cominciò lei, portando timidamente i suoi occhi in quelli di Viktor che li strinse debolmente.
- Lei era una brava ragazza di campagna, ma decisamente troppo intelligente e di mentalità aperta per sottostare alle regole retrograde del villaggio in cui viveva- proseguì Lyn.
- Lasciami indovinare, loro si innamorano, vissero per sempre felici e contenti e tutte quelle cazzate?- chiese lui con una smorfia.
- In teoria sì, ma nel mezzo c’è un complicato processo che porta all’innamoramento. Lui la tratta di merda all’inizio della storia, sai?- disse Lyn così vaga che Viktor colse comunque benissimo il riferimento.
- Come ha fatto lei ad innamorarsene se lui è, vediamo se ho capito bene: superficiale, arrogante, letteralmente un mostro e, non meno importante, un vero stronzo?- Viktor sollevò un sopracciglio facendo scintillare il suo sguardo violaceo, mentre Lyn lo guardò dritto negli occhi, sorridendo dolcemente.
- Perché lei era riuscita a vedere il suo lato buono- lo mise al corrente lei quasi in un sussurro.
I due restarono occhi negli occhi senza avere il coraggio di fare un passo o addirittura di respirare, finché quelle che prima erano semplici goccioline, cominciarono a diventare pioggia torrenziale.
- Presto, dobbiamo ripararci- propose Viktor e Lyn annuì velocemente, per poi fuggire insieme sotto la pioggia in cerca di un riparo.
Si fermarono accanto ad una delle colonne poste all’ingresso della villa, a poca distanza dal punto in cui Lyn aveva lasciato lo scooter e si ripararono dal temporale grazie alla grossa trave sopra le loro teste.
- Che disastro- commentò Lyn frizionandosi i capelli.
- Se mi becco un malanno, non potrò allenarmi- osservò lei stringendosi nel suo cappotto zuppo, mentre Viktor si scuoteva il ciuffo con una mano per togliere l’acqua in eccesso.
Nonostante fosse fine novembre, il ragazzo indossava una semplice felpa nera con zip e cappuccio, con sotto una t-shirt bordeaux a giro collo e poi i soliti jeans attillati neri che mettevano in mostra il suo fisico mozzafiato. Lyn si chiese per un attimo come faceva a non sentire freddo, ma poi pensò che lui dovesse essere abituato a temperature decisamente più rigide di quelle.
Mentre lo osservava cercare di scrollarsi l’acqua di dosso, la giovane pensò che Viktor fosse la cosa più bella su cui avesse mai posato gli occhi e il fatto che lui le impedisse di toccarlo anche solo per salutarsi la mandava fuori di testa.
- Guarda il mio scooter, la sella è piena d’acqua, fantastico- commentò Lyn seccata, distogliendo lo sguardo.
- Quando dopo mi ci siederò sopra per tornare a casa, sembrerà che me la sia fatta addosso- concluse con una risatina, facendo sorridere anche Viktor.
Aveva guadagnato decisamente punti per lei quel pomeriggio, riuscendo a strappare più di un sorriso a quel giovane perennemente accigliato. Così, mentre se ne stavano lì ad aspettare che smettesse di piovere, sentirono ad un certo punto uno strano lamentio provenire da dietro una delle siepi.
- Lo hai sentito anche tu?- chiese Lyn, mettendosi in ascolto e Viktor le fece segno di stare zitta, portandosi un dito sulla bocca.
E qualche secondo dopo sbucò da quel cespuglio un batuffolo bianco e grigio che miagolava. La bestiola si avvicinò ai piedi di Lyn e cominciò a strusciarsi, la giovane si chinò e prese il gatto tra le braccia, stringendolo a sé.
- Ciao piccolino, che fai qui tutto solo eh?- chiese lei prendendo ad accarezzarlo amorevolmente, poi chiese a Viktor di aprirle lo zaino per recuperare qualcosa che potesse tenere al caldo quel povero micio.
- Ma questa è la mia giacca- disse Viktor alzando un sopracciglio e mostrandola a Lyn che arrossì nuovamente.
- Beh, me la porto dietro da parecchio perché volevo restituirtela- si giustificò lei.
- Ma io avevo detto che potevi tenerla- le ricordò lui.
- Lo so, ma è piuttosto costosa e non sapevo se ci tenevi- continuò lei stringendosi nelle spalle per l'imbarazzo.
- Quindi, visto che è costosa, la usiamo come coperta per i randagi, che idea!- disse lui alzando un sopracciglio e Lyn non riuscì a dire nulla, soltanto a sbattere le palpebre più volte. L’aveva messa K.O. con quella risposta.
- Tranquilla, occupati di lui- la esortò Viktor, poggiando quella che una volta era la sua giacca sul dorso del gatto e coprendolo il più possibile per ripararlo dal freddo.
- Vuoi tenerlo?- chiese Lyn d'un tratto a Viktor e lui si irrigidì per un attimo, poi sospirando prese tra le braccia l’animale indifeso, che dopo qualche secondo cominciò a fare le fusa in segno di gratitudine.
- Gli piaci- fece notare la ragazza, accarezzando dolcemente la creatura sotto il muso, la quale si godeva le coccole che gli stavano riservando.
Viktor osservava quel micio tra le sue braccia e l’idea di prendersi cura di quell’esserino, come nessuno aveva mai fatto con lui, lo fece sentire stranamente meglio. Sereno. Eppure al contempo, terribilmente spaventato.
Non ne sapeva nulla sugli animali domestici, eppure qualcosa nella sua testa gli diceva che aveva sempre avuto una certa passione per quelle creaturine. Vorkov aborrava gli animali, quindi a Viktor non aveva mai permesso di tenerne uno in casa e ora ritrovarsi lì, con quel gatto tra le braccia, lo destabilizzò per un attimo.
- Sai, nel villaggio da cui proviene mio padre, c’è una leggenda secondo la quale noi discendiamo direttamente dalle tigri, quindi i felini li capisco bene e ti posso dire con assoluta certezza che questo piccoletto è pazzo di te- confermò Lyn, distogliendolo dai suoi pensieri.
- Non posso portarlo in hotel- disse tristemente il ragazzo.
- Sì che puoi, se lo tieni nascosto- cercò di convincerlo lei.
- Perché non lo porti con te, invece?- ritrattò ancora Viktor.
- Perché ti ho appena detto che a casa siamo già due felini con me e mio padre, mia madre già mal sopporta la minoranza- rispose sarcastica Lyn, ma non riuscì a far sorridere Viktor come aveva fatto prima.
- Sei davvero una rompipalle, sai?- mormorò il giovane scuotendo la testa.
- Me lo hai già detto, grazie- rispose lei, accompagnando le parole con un breve e ironico inchino, poi notarono che aveva appena smesso di piovere.
- Sbrighiamoci a tornare, prima che riprenda- consigliò il russo.
- Sì, mi preparo a sedermi sulla sella fradicia del mio motorino- disse Lyn sconsolata.
- Vai piano- le disse Viktor prima di voltarle le spalle e andarsene.
- Che fai? Ora ti preoccupi per me?- chiese Lyn, mentre indossava il casco.
- No, non montarti la testa, ma non vorrei che finissi in coma anche tu, non è una bella esperienza- rispose lui alzando le spalle e per poi proseguire per la sua strada.
Lyn scosse la testa incredula e poi si diresse verso il suo scooter, cercò di rimuovere l’acqua dalla sella con qualche fazzoletto di carta, ma dovette arrangiarsi e guidò fino a casa combattendo con la sensazione di freddo che aveva sotto il sedere. Nonostante tutto, aveva passato il più bel pomeriggio in compagnia di un ragazzo, non che ne avesse avuti molti di pomeriggi così, ma cominciava a comprendere la vera natura di Viktor e se prima le sue erano solo supposizioni riguardo al vero essere del giovane russo, ora non aveva più alcun dubbio: Viktor era buono e Lyn avrebbe fatto di tutto per aiutarlo, per farlo sentire meno solo e, se lui gliene avesse dato la possibilità, gli avrebbe fatto capire cos’era il vero amore…
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Quando Lyn tornò a casa si fece una lunga doccia bollente, solo dopo aver raccontato ai suoi genitori l’ennesima bugia, che cioè aveva beccato la pioggia di ritorno da casa di quella sua famosa amica dove era andata per studiare.
Dopo cena, la ragazza si mise a letto, faticando a riuscire ad addormentarsi.
Le emozioni che aveva provato quel giorno, quando Viktor si era finalmente deciso ad aprirle una parte del suo cuore, non potevano essere descritte a parole. Lui sembrava finalmente fidarsi e col tempo, se lei ci fosse stata abbastanza attenta, magari lui si sarebbe lasciato completamente andare e, chissà, il loro rapporto sarebbe potuto passare alla fase successiva.
Lyn sospirò, mettendo un freno ai suoi stessi pensieri rendendosi conto di star lavorando troppo di fantasia, ma quando finalmente chiuse gli occhi e il suo respiro si fece via via più calmo, gli occhi meravigliosi di Viktor con quei particolari riflessi che li facevano somigliare a due gemme preziose, tornarono nuovamente a tormentare i suoi pensieri.
Se solo avesse potuto sapere di più sul suo conto, pensò.
L’idea che dietro quel ragazzo ci fosse il nulla più totale, la fece sentire per un attimo a disagio, senza contare il fatto che ogni volta che si nominava suo padre Vladimir, Lyn era come pervasa da brividi di freddo lungo tutta la colonna vertebrale.
Dettaglio non meno trascurabile, le parole della profezia del Grande Saggio sembravano parlare esattamente di Viktor e del suo Black Dranzer e si chiese perché l’anziano del villaggio della Tribù della Tigre Bianca, che stando all’esperienza diretta di suo padre non aveva mai sbagliato una previsione, aveva parlato di lui come di una minaccia.
Lyn sapeva benissimo che escludere i suoi genitori in quella particolare situazione poteva essere un grave errore, soprattutto quando anche loro erano ben consci della veridicità di quella profezia, ma sentiva che non era ancora arrivato il momento di parlare a Rei ed Elena di Viktor, anche perché non avrebbe saputo neanche lei cosa dire per descrivere il loro rapporto.
Presa da tutti quei pensieri, Lyn si addormentò col sorriso stampato sulle labbra, ripensando al “romantico” seppur breve tour sul lago di quel pomeriggio.

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Capitolo 19
*** Buoni Propositi per Natale... ***


Capitolo 19:

Era passata una settimana da quando lui e Lyn avevano trascorso quel pomeriggio al parco e Viktor Vorkov non faceva altro che pensare a quanto si fosse sentito tranquillo e sé stesso quel giorno, come probabilmente non gli era mai capitato in tutta la sua vita.
Si era spinto così oltre con quella ragazza, confidandole cose che non aveva mai avuto il coraggio di dire a nessuno a voce alta, e quelle ore in sua compagnia lo avevano fatto sentire dannatamente vivo.
Nel senso più letterale del termine.
Quasi non ricordava più l’ultima volta che si era sentito così, semmai ci fosse stato un particolare momento in cui si fosse realmente sentito così, ma il buco nero che aveva inghiottito tutta la sua vita prima di svegliarsi in un letto d’ospedale con un tubo ficcato giù per la gola, sembrava non voler ancora lasciare la sua mente.
Con un miagolio di approvazione, il gattino che Viktor si era portato in albergo, o meglio che Lyn lo aveva costretto a portarsi in albergo, si stava godendo i grattini del suo padrone. Era stato quel buffo animaletto trovato per caso dietro una siepe a far compagnia al giovane in quei giorni di pioggia torrenziale in cui lui e Lyn non si erano visti per gli allenamenti.
Qualcuno bussò alla porta e Viktor si alzò di scatto prendendo in braccio il gattino e riponendolo nel suo armadio. Se quelli dell’hotel avessero scoperto la presenza di un animale in una delle suite, avrebbero dato di matto e l’ultima cosa che Viktor voleva era sorbirsi una di quelle lunghe ed estenuanti ramanzine di suo padre per telefono.
- Resta qui e non muoverti- ordinò Viktor al micio e poi chiuse lentamente l’anta dell’armadio, lasciando uno spiraglio per il passaggio dell’aria. Teatrino a cui il furbo felino si era abituato in fretta.
- Chi è?- chiese poi a voce più alta Viktor.
- Servizio in camera- rispose la solita voce dell’altra parte, mentre lui sospirò scocciato.
- Avanti- ordinò neutro, andandosi a sdraiare nuovamente sul letto.
- Buonasera, Viktor, quello che hai chiesto- disse il cameriere con il suo finto, ma eloquente sorriso.
- Lascia pure lì- rispose il giovane, liquidando velocemente la faccenda con un gesto della mano.
- Certo, la cena con piacere, ma per quanto riguarda gli integratori?- disse l’uomo sistemandosi il papillon nero e rivolgendo un sorrisetto a Viktor.
- Vale lo stesso anche per quelli, o sei sordo per caso?- chiese il ragazzo, scoccandogli un’occhiataccia.
- Naturalmente- rispose l’altro, facendo una riverenza e uscendo dalla stanza.
Solo quando rimase da solo, Viktor andò a recuperare il gattino chiuso nell’armadio lasciandolo libero e poi tolse le cloche dalle portate scoprendo, per la terza sera consecutiva, verdure grigliate e tonno scottato. Gli venne la nausea al solo sentirne l’odore quindi prese i piatti, li poggiò per terra e il piccolo ospite non se lo fece ripetere due volte, avvicinandosi alle pietanze e cominciando a leccare avidamente.
Il ragazzo sorrise brevemente, accucciandosi e prendendo ad accarezzare il dorso della bestiola.
- Non fare complimenti, è tutto tuo- disse e poi si alzò in piedi, andando verso l’ampia vetrata della sua camera d’albergo.
La vista della città di sera era particolare, soprattutto in quel periodo dove tutti si preparavano a festeggiare il Natale e tutto prendeva ad illuminarsi e a brillare di mille colori.
Un po’ gli mancava il paesaggio tipicamente innevato di casa sua, ma Viktor non riusciva a ricordare un solo Natale prima di quello che stava per arrivare, in quella che da tre mesi a tutti gli effetti era casa sua.
Nonostante potesse entrare e uscire dall’albergo a suo piacimento, il ragazzo aveva come l’impressione di essere costantemente sorvegliato, a partire dai camerieri che gli servivano i pasti in camera, gli autisti e tutte le persone che gli capitava di incontrare.
Tutti quegli sguardi addosso, le riverenze e quel sudicio strisciare, sembrava di non essersene mai andato via per davvero da Mosca, dove tutti lo sopportavano e si facevano andar bene il suo caratteraccio solo perché figlio di Vorkov.
Cambiando città aveva sperato di cambiare anche le sue abitudini, ma era come essere ritornati al punto di partenza, senza ricevere il premio del via.
L’unico momento in cui Viktor si sentiva sé stesso era inspiegabilmente insieme a Lyn.
Quella ragazzina dallo sguardo di miele l’aveva stregato sin dal primo istante e nonostante avesse compiuto sforzi immani per tenerla alla larga, lei aveva tutta l’intenzione di essergli amica, di sostenerlo e, peggio, di confortarlo. Proprio lui che nella vita non aveva mai avuto bisogno di niente e di nessuno, che si era fatto da solo e che se era arrivato ad essere il preferito di quell’uomo pieno di oscurità che era Vorkov, era perché era esattamente uguale a lui.
Lyn però non lo vedeva così, lei riusciva a vedere la luce dentro tutto quel buio, lei riusciva a farlo sorridere, lei vedeva il buono in lui. Così come Belle lo aveva visto nella Bestia.
Purtroppo però, il ragazzo non aveva dimenticato l’unico vero scopo che lo aveva portato in quella meravigliosa città che si apprestava a festeggiare.
Viktor strinse i pugni e li appoggiò debolmente al vetro.
La sua vita e tutto ciò che desiderava sapere prima di quella maledetta notte, in cambio dei quattro animali sacri chiusi nei bit chip di quattro persone innocenti. Anche Viktor lo era, lui era innocente da tutta la vita, solo che nessuno si era mai soffermato a chiedere se dietro quella corazza e quello sguardo nascosto sotto un ciuffo di capelli argentati, ci fosse una persona bisognosa d’affetto e sicurezze. Solo Lyn aveva avuto il coraggio di farlo e lui come avrebbe dovuto ripagarla? Facendole del male.
A volte rimpiangeva il suo essere freddo e a tratti diabolico, ma ormai era diventato difficile mantenere quel modo di fare, soprattutto con lei. Non si meritava di soffrire, ma anche lui aveva sofferto troppo e non sapeva se fosse stato in grado di reggere ulteriori colpi, ora che i suoi sentimenti erano stati riaccesi come da un interruttore, proprio come quelle luci colorate sui terrazzi delle persone che lui vedeva dalla sua camera.
Lo squillo del telefono attirò l’attenzione del ragazzo e, continuando a guardare oltre quella vetrata, rispose.
- Almeno hai imparato a telefonare ad orari più ragionevoli, sono colpito- commentò sarcastico appena prese la telefonata.
- Siamo spiritosi come al solito, vedo- rispose Vorkov dall’altro capo, con la sua voce profonda.
- Gli aggiornamenti?- chiese poi impaziente.
- La ragazza si fida, ma non abbastanza da chiamare il suo Bit Power in combattimento- cominciò Viktor, mascherando con tutte le sue forze la totale disapprovazione che iniziava a provare nei confronti di quel progetto.
- Ma come è possibile? Sono passati quasi tre mesi, vi allenate insieme tutti i giorni e lei ancora non ti ha mostrato il suo vero potere. Non ha preso nulla da sua madre, la Prescelta, era puro istinto in battaglia quella lì- commentò frustrato Vladimir.
- Evidentemente è così ligia al dovere da limitare l’uso del Bit Power agli incontri ufficiali- rispose ovvio Viktor.
- Allora dovrai trovare un altro modo per costringerla a chiedere aiuto alla sua preziosa Tigre Bianca- propose Vorkov con tono tutt’altro che rassicurante.
- Parla chiaro- disse Viktor, staccandosi dalla vetrata e con un tono decisamente più agitato di quanto avesse voluto.
- Dovrai colpirla. Fisicamente- lo informò con voce paurosamente delicata.
- Questo non me lo puoi chiedere- sibilò Viktor.
- E’ una ragazzina- continuò a denti stretti.
- E anche tu lo sei, solo che tu sei più forte, più sveglio, più cattivo- concluse Vorkov.
- Non vorrai dirmi che ti tiri indietro proprio ora? Proprio quando sei ad un passo dalla libertà e dal riappropriarti dei tuoi ricordi?- chiese suo padre, senza preoccuparsi minimamente di nascondere un ricatto dietro le sue parole.
Sapeva bene che fare leva su ciò che Viktor desiderava di più era l’unico modo per spingerlo a fare quello che chiedeva.
- No, ma questo è troppo anche per me- confessò Viktor, dopo qualche secondo.
- Decido io quando è troppo e questo è solo l’inizio, figlio mio, perciò meglio che ti faccia passare alla svelta questi improvvisi sensi di colpa, non è un atteggiamento da te!- lo ammonì suo padre con durezza e Viktor digrignò i denti dalla rabbia.
- A proposito, stai prendendo i tuoi integratori?- chiese poi l’uomo, riprendendo un tono calmo.
Viktor si avvicinò al carrello delle vivande, si sedette sul bordo del letto e prese tra pollice ed indice quella pilloletta che mandava giù ogni sera senza fare domande.
- Sì- rispose convinto, continuando a rigirarsi la medicina tra le mani, la cui patina rossastra scintillava alla luce fioca della camera.
- Ottimo. Dormici su, comunque ti chiamo io per avere novità- e Vorkov mise giù, senza aspettare la risposta di suo figlio, che come al solito non sarebbe arrivata.
Il ragazzo si alzò dal letto, andò verso il bagno e aprì la tavoletta del water, osservò ancora una volta quella medicina che a forza gli stavano somministrando da quando si era svegliato dal coma e, considerando che si sentiva come nuovo e non sopportava per niente i modi piuttosto insistenti che avevano tutti quando gli chiedevano di mandare giù quella pillola, sentì di non averne più bisogno e quindi la lasciò cadere nel water per poi tirare lo sciacquone.
Di ritorno in camera spense la luce e anche il cellulare, sentì poi il suo piccolo amico salire sul letto e accoccolarsi accanto a lui. Viktor si mise ad accarezzargli il morbido pelo, cominciando a sentire le palpebre sempre più pesanti, fino ad addormentarsi.
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- Che cosa?! Che vuol dire non passeremo insieme il Natale?!- chiese sconvolta Judy, avvicinandosi quasi minacciosamente alla telecamera del suo computer portatile.
- Vuol dire quello che ti ho detto. Ce l’ho su coi miei da quando mi hanno dato la splendida notizia stamattina, immagina che gran risveglio!- commentò Lyn sbuffando e buttandosi di peso sul letto.
- Ma deve esserci una soluzione, non possiamo rompere la tradizione! Passiamo il Natale insieme qui da me da quando eravamo bambine!- si lamentò Judy, rasentando l'isteria.
- Che fine farà la nostra pattinata sul ghiaccio, la nostra cioccolata calda in quel bar a Times Square e scambiarci i regali a mezzanotte...- disse la maggiore dei Mizuhara con una certa disperazione nella voce, continuando ad elencare tutte le più belle attività che svolgevano insieme a New York durante le feste.
Il risultato per Lyn fu solo sentirsi ancora più triste e frustrata.
- Ti prego non infierire, ho già esaurito tutte le mie forze per urlare con mio padre, ma a quanto pare mia madre si è beccata una brutta gastroenterite, non fa che vomitare da giorni- spiegò Lyn arresa.
- Che palle però! Dì alla zia di prendere un protettore, di fare una lavanda gastrica e salite sul primo aereo, no?- consigliò Judy, tentandole tutte per convincere la sua migliore amica a partire per New York, come tutti gli anni ormai da undici.
- Non credo sia così semplice- disse Lyn con una smorfia.
- Idea! E se venissi tu da sola? Ti hanno lasciata andare in Russia, non faranno storie per venire da me- propose la bionda, illuminandosi per un attimo, ma Lyn sorrise triste.
- Magari potessi, ma sai, tu lasceresti tua madre in preda alla nausea e a dolori addominali sola con tuo padre che gestisce un ristorante stellato, la sera di Natale?- chiese Lyn retorica.
- Mia madre la lascerei, ma la tua no, sono sincera- ribatté Judy rassegnata.
- Ci faremo gli auguri in videocall, quest’anno va così- commentò la sedicenne con un’alzata di spalle.

Intanto, al piano di sotto...
Elena era sul divano, col camino acceso, accoccolata accanto a Rei che non se l’era sentita di lasciare sua moglie in quello stato e aveva dato il comando della cucina al suo sous chef. Nel mentre la donna parlava al telefono con Hilary.
- Credimi, mi dispiace tantissimo non passare il Natale tutti insieme, ma non credo di essere in grado di reggere tredici ore di volo in queste condizioni- confessò la donna.
- E poi vi rovinerei la festa, non posso mangiare nulla che do di stomaco, anzi il solo pensiero del cibo mi fa sentire le viscere accartocciarsi- disse Elena con disgusto.
- Caspita, sei proprio messa male! Cosa ti ha detto il medico?- chiese la giapponese dall’altro capo del cellulare, mentre preparava la colazione ai suoi figli.
- Non mi ha ancora visitata, ho appuntamento domattina, ma sospetta una gastroenterite o qualcosa del genere- la mise al corrente Elena, stringendosi di più a suo marito, che le diede un dolce bacio sulla testa.
- Capisco...- concluse vaga Hilary, seguì poi un breve silenzio.
- Ok, d’accordo, se non te lo chiedessi, esploderei- cominciò la moglie di Takao, agitata.
- Elena, non è che sei incinta, per caso?- sputò il rospo curiosa.
L’allenatrice di Beyblade italiana rimase scioccata dalla domanda che una delle sue migliori amiche le aveva appena fatto, pur conoscendo benissimo la sua storia clinica a quel proposito.
- Hilary, tesoro, fare colazione con gli alcolici non è sano, sai?- la rimbeccò sarcastica la donna.
- Avanti, perché? Lo escludi a priori?- incalzò l’altra.
- Certo che sì, da quando un professionista mi ha detto, citando testualmente “tecnicamente difficile”- sottolineò Elena, mentre Rei la guardò aggrottando le sopracciglia, capendo esattamente di cosa stava parlando sua moglie, la quale di tutta risposta indicò il telefono con un’alzata di spalle confusa.
- Tecnicamente difficile non vuol dire mica impossibile- proseguì Hilary, servendo la colazione alla sua famiglia.
- Già, ma non credo sia questo il caso. La verità è che mi sono beccata un virus intestinale che ha trovato una solida e confortevole dimora dentro di me e che non sfratterà facilmente, purtroppo- disse Elena arresa.
- Sarà, ma io un test lo farei. Ti stai comportando esattamente come quando hai scoperto di aspettare Lyn- la rimbeccò Hilary.
- Non mi conoscevi neanche quando ho fatto il test di gravidanza diciassette anni fa- aggiunse l’italiana con lo stesso tono saccente.
- Vedremo chi avrà ragione, ora devo andare, saluta tutti e riguardati- ordinò Hilary all'amica.
- Certo, anche tu-
E misero giù.
- Di cosa parlava Hilary?- chiese Rei, cercando di non farsi coinvolgere più di tanto.
- Nulla, lei e le sue fantasie sui pancioni. Sai, si troverebbe una favola nella tua Tribù- suggerì Elena, riponendo il cordless sul tavolino di fianco al divano.
La donna si appoggiò con la testa sul petto di suo marito e i due restarono in silenzio.
- Credi che...- cominciò vago Rei ed Elena lo bloccò subito.
- No, amore, ti prego. Non sono incinta- disse sicura, scuotendo la testa.
- E’ un capitolo chiuso da oltre dieci anni. Il mio utero è fuori uso, andato, kaputt dopo la battaglia con i blader della Morte e la nascita di Lyn- sottolineò la donna cercando di nascondere il dolore che provava ogni volta nel riaprire quella vecchia ferita.
- Credimi, non ci penso neanche più, io sono felice così, con te e la nostra bambina- lo rassicurò Elena guardandolo negli occhi e Rei si avvicinò per baciarla sulle labbra, quando si staccarono la donna fece una smorfia e scostò in fretta il plaid sotto cui erano e fuggì in bagno tenendosi la bocca.
- Oddio, sto per vomitare- riuscì a farfugliare mentre apriva la porta del bagno e poi suo marito la sentì dare violentemente di stomaco, col capo chino nel water.
- Buon Natale a me- mormorò Rei inarcando le sopracciglia e facendo un altro sorso di vino rosso, abbandonandosi contro lo schienale del divano del salone.

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Capitolo 20
*** Regali Inaspettati ***


Capitolo 20:

Elena cominciò a sentirsi meglio solo due giorni prima di Capodanno, riuscendo a scampare la visita medica che tanto odiava, ma non se la sentì comunque di viaggiare per raggiungere gli altri a New York per l’ultimo dell’anno.
- Festeggeremo al ristorante domani sera- annunciò Elena chiudendo il frigorifero e sedendosi su uno degli sgabelli della penisola della cucina, di fronte a sua figlia Lyn.
Le due avevano affondato due cucchiaini in un’immensa coppa gelato al cioccolato formato famiglia. Il loro modo per tirarsi su quando erano tristi, nonostante nella condizione di Elena, mangiare cioccolato era vivamente sconsigliato.
- Capirai che sballo, con papà chiuso in cucina e noi sedute da sole, costrette a sparare coriandoli e a fingere di dare auguri agli estranei, yahoo- commentò con finto entusiasmo Lyn, girando e rigirando distrattamente il cucchiaino nella panna.
- Tesoro, so che sei triste perché non vedi Judy e gli altri da mesi e mi sento in colpa per questo- disse Elena sinceramente dispiaciuta carezzando una guancia di Lyn, che scosse la testa con un sorriso.
- Non fa niente mamma, non è mica colpa tua- la rassicurò la ragazza, alzando le spalle.
- Anche tu e papà siete tristi perché vi mancano i vostri amici, è naturale- aggiunse infine.
- Esatto e proprio per questo, papà ha promesso che domani non lavorerà- buttò lì Elena e Lyn si illuminò d'improvviso.
- Veramente?- chiese incredula.
- Veramente. Considerando che gli altri anni non c’è mai stato e ha sempre lasciato tutto nelle mani di Bao, non vedo perché quest’anno debba essere diverso- disse Elena ovvia.
- Saremo semplicemente ospiti della Tana della Tigre Bianca- concluse con un sorriso.
- Questo cambia decisamente le cose- disse contenta Lyn.
- Già- rispose Elena, grata di aver restituito il sorriso alla sua bambina.
E poi mentre chiacchieravano su cosa indossare per il veglione dell'indomani sera, qualcuno bussò alla porta.
- Vado io- si candidò Lyn e, come al solito a passo di danza nell’immenso salone di casa Tornatore, andò ad aprire la porta. Lì il corriere reggeva tra le mani un grosso pacco beige con un nastro oro tutto intorno.
- Lyn Kon?- chiese l’uomo paffutello.
- Sono io- rispose incerta la giovane.
- Una firma, per favore- di limitò ad informarla il tizio. Così la ragazza firmò e poi l’uomo le consegnò quel pacco talmente grande che lei a stento riusciva a reggere tra le braccia, più per le dimensioni che per il peso.
- Piccola, chi era alla porta?- chiese Elena con la bocca piena, continuando ad affondare avidamente il cucchiaino nel gelato e Lyn si ripresentò in cucina con quella grossa scatola rettangolare, poggiandola infine sul tavolo di marmo, sotto lo sguardo accigliato della madre.
- Però! Chi lo manda?- chiese Elena, andando accanto a sua figlia.
- Non ne ho idea, ma è per me- disse confusa Lyn.
- Aprilo, che aspetti- la esortò sua madre e la ragazza cominciò a scartare il grosso pacco, felice. Aprì lo scatolo e tirò fuori un abito lungo meraviglioso, di raso, di un colore ambra molto caldo e particolare.
- Caspita, ma è un Yves Saint Laurent- commentò Elena ad occhi sgranati.
- Chi mai ti manderebbe un abito del genere? Completo di scarpe per di più- disse la donna controllando la pregiata manifattura del vestito e degli accessori corredati.
- Sono gelosa- ironizzò Elena.
- Qualcuno di molto ricco, evidentemente- Lyn era più sconvolta di sua madre.
- Già, ma anche e soprattutto qualcuno che non sa che la tua bella mamma è una stilista- continuò la donna, prendendo una delle scarpe col tacco adagiate nella scatola e Lyn sbatté le palpebre più volte.
- Amore, hai qualche ammiratore segreto di cui non so nulla?- chiese Elena, facendo penzolare la costosissima scarpa da un dito.
- Ma che sciocchezze dici, mamma!- disse Lyn, sentendo le guance che si imporporavano tutto d'un tratto.
- Sai com’è, mi sembra molto strano...- cominciò Elena socchiudendo gli occhi, meditabonda.
- La giacca Versace qualche mese fa e ora questo, non può essere un caso- disse la donna, rivolgendo il classico sguardo da interrogatorio a sua figlia, con la speranza che Lyn cedesse e vuotasse il sacco, ma la giovane di tutta risposta, afferrò vestito e scarpe, rimise tutto nella scatola e se la trascinò in camera sua.
- Vado a provarlo!- urlò in cima alle scale, mentre Elena sospiròìava pesantemente.
- Tale e quale a suo padre. Quando vuole nascondere qualcosa, è una tomba- ammise a voce alta e, rassegnata, si sedette nuovamente sullo sgabello a gustarsi il gelato a cucchiaiate.
***************************************************************************************
Quando Lyn si chiuse in camera e si appoggiò il vestito addosso, notò che alla luce la stoffa dell’abito aveva delle sfumature così particolari che facevano risaltare ancora di più i suoi occhi.
Fece una breve piroetta davanti allo specchio, ridendo contenta e poi notò un bigliettino cadere dalla gonna, lo raccolse e lo lesse attentamente.
Indossa questo l’ultimo dell’anno. Ci vediamo a mezzanotte al nostro posto. La Bestia”
Lyn sentì la terra mancarle sotto i piedi e rilesse più volte quel biglietto, per convincersi che quelle parole scritte in quel modo così elegante, quasi barocco, su quel cartoncino dello stesso colore dell’abito, provenissero realmente da chi credeva.
- Non è possibile- mormorò sottovoce a sé stessa, stringendo il pezzo di carta al petto.
Quando pensava che Viktor si fosse finalmente liberato di tutti i macigni che lo opprimevano da sempre, mostrando la sua vera natura quando erano in compagnia l’uno dell’altra, ecco che arrivava un altro gesto sorprendentemente positivo a darne la riprova. E stavolta, decisamente romantico. Una cosa che Lyn non si sarebbe mai e poi mai aspettata da lui, neanche nei suoi sogni più belli lo aveva immaginato.
Poi si provò l’abito, cominciando a saltellare felice per la stanza ed escogitando un modo per sgattaiolare via dal ristorante di suo padre la sera successiva, poco prima del brindisi, approfittando del trambusto dei fuochi d’artificio.
Si sedette sul letto e pensò che sarebbe stato troppo persino per lei fuggire via stile Lupin, facendo preoccupare anche i suoi genitori, quindi cambiò strategia, dirottando sulle solite amiche e qualche festicciola in casa.
Non avrebbero potuto dirle di no, avendole già negato il Capodanno con Judy Mizuhara.
- Lyn!- sua madre chiamò dal piano di sotto, ma dal tono che aveva, la ragazza capì che aveva ripreso a stare male, alzò gli occhi al cielo esasperata, sperando con tutte le sue forze di non passare anche il Capodanno in casa, come aveva fatto col Natale, per via della gastroenterite di Elena.
Andare via dalla Tana della Tigre Bianca sarebbe stato molto più semplice; trovandosi vicino al Colosseo ci avrebbe messo dieci minuti al massimo in taxi fino a Villa Borghese, ma da casa sua sarebbe stata un'impresa certamente più ardua.
Pregando di farsi venire alla svelta un'idea, la giovane ripose ordinatamente abito e scarpe nell’elegante scatola e la sistemò in basso nella sua cabina armadio, mentre il biglietto lo chiuse a chiave nel cassetto del comodino, al sicuro, dove nessuno lo avrebbe mai trovato.
Scese veloce al piano di sotto e trovò sua madre accasciata accanto al water del bagno padronale.
- Oh, mamma- disse con una smorfia, aiutandola a rialzarsi.
- Sto da schifo, sento come se lo stomaco volesse ribellarsi al mio corpo- si lamentò Elena, aprendo il rubinetto del lavandino per sciacquarsi il viso, mentre sua figlia le teneva all’indietro i ribelli boccoli castani.
- Mamma, perché non chiami papà e andate in ospedale? Sono settimane ormai che stai così, comincio a preoccuparmi- consigliò premurosa la ragazza, tenendo i capelli di sua madre in una coda e osservando il loro riflesso dallo specchio.
- Ti accompagnerei io in scooter, ma con tutte le buche che ci sono sull’asfalto, rischierei di farti stare peggio- continuò Lyn, mentre Elena inspirò profondamente, per poi annuire convinta.
Per quanto odiasse medici e ospedali, la donna non poteva più rimandare l'inevitabile, dunque cedette alle accorate richieste di sua figlia. E poi far preoccupare Lyn era l'ultima cosa che voleva.
- Sì, ci vado, chiama tuo padre- disse Elena alla fine e la ragazza prese il cellulare componendo il numero di suo padre, che dopo qualche squillo rispose.
- Lyn, tesoro- la voce di Rei era già preoccupata, ancor prima che sua figlia gli rivelasse il motivo per cui lo aveva chiamato a quell'ora insolita.
Era ormai quasi leggendario il legame speciale che i due avessero.
Quel legame che tutti dicevano avesse sconfitto persino la Morte.
- Papà, so che non dovrei chiamarti a lavoro, ma è un’emergenza- cominciò la giovane, cercando di farsi sentire e sovrastando il trambusto della cucina di Rei.
- Che succede?- chiese lui sospirando.
- La mamma sta di nuovo male, stavolta è peggio dei giorni scorsi, vorrei accompagnarla io stessa in ospedale, ma in scooter ho paura a portarla- disse la ragazza, chiarendo la situazione a suo padre.
- Non dire altro, dammi dieci minuti e arrivo, ok?- disse Rei.
- Ti aspettiamo-
E misero giù.
- Almeno sapranno come aiutarti lì- disse Lyn guardando sua madre con un sorriso rassicurante e massaggiandole la schiena.
- Sei davvero un tesoro, lo sai?- disse Elena.
- Merito tuo che mi hai cresciuta così bene- rispose la ragazza, per poi dare un bacio sulla guancia alla sua mamma.
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Dopo dieci minuti esatti, Rei chiese a Lyn di accompagnare Elena fuori dal cancello di casa, dove lui era appostato con l’auto.
- Non mi tenete sulle spine, per favore- chiese la ragazza ai suoi genitori, dopo aver aiutato sua madre ad entrare in macchina. Rei annuì e poi richiuse il finestrino, mentre sua figlia rientrava in casa e lui partiva a tutta velocità verso l’ospedale.
Una volta rimasta sola, Lyn si rintanò in camera sua e si sdraiò sul letto.
Dentro aveva emozioni contrastanti, da una parte era in pena per sua madre, dall’altra era al settimo cielo per quel regalo ricevuto.
Chiuse gli occhi e sperò che sua madre si rimettesse in sesto nel giro di qualche ora, per lasciare solo spazio all’immensa felicità che Viktor le aveva procurato. Pensò ad un modo per far sapere al ragazzo che aveva accettato l’invito, ma lui aveva sempre mostrato una certa reticenza a rivelare l’indirizzo dell’hotel in cui alloggiava, nonostante i due fossero ormai in confidenza già da un po’. Si dovette accontentare del fatto che Viktor desse per scontato che lei sarebbe andata all’appuntamento.
Come faceva ogni giorno.
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Al pronto soccorso che pullulava di gente come sempre, Elena era seduta accanto a Rei e ogni tanto spariva in bagno per andare a rimettere. Proprio in uno di quegli episodi di vomito, fu suo marito a spiegare al medico che sintomi avesse e, quando quest’ultima uscì dal bagno, seguì il dottore per sottoporsi ad un’ecografia addominale e pelvica, per escludere possibili infezioni, in attesa del risultato delle analisi, tra le quali su insistenza di Rei, illuminato probabilemente dalle parole di Hilary il giorno prima al telefono (e all’insaputa di Elena) era stata fatta inserire anche la BETA HCG, l’esame per appurare la presenza di una gravidanza.
Quando si sdraiò sul lettino, e si scoprì la pancia, Elena andò in panico come di consueto.
Non aveva mai amato gli ospedali e ogni volta che ne vedeva uno, anche solo da lontano, aveva i brividi. Ricordava a malapena i giorni in cui era stata in osservazione di ritorno dall’Egitto e aveva addirittura rimosso quelli felici del parto dalla sua memoria.
- Dottore, ho motivo di credere che qui si tratti di una semplice gastroenterite- disse Elena in preda all’ansia, quando sentì quel gel freddo sulla pancia.
- Signora Kon, sono io il medico qui, mi lasci fare il mio lavoro- disse l’uomo sulla cinquantina con un sorriso rassicurante, mentre Rei teneva la mano a sua moglie, a conoscenza del fatto che in quelle circostanze più che trentotto anni, Elena ne dimostrava otto o meno.
- Allora, diamo un’occhiatina- disse il medico cominciando a muovere la sonda sul ventre della donna.
- Tutto ok?- chiese debolmente Elena dopo un po' di silenzio.
- L’addome è libero, l’intestino e lo stomaco sono a posto, non vedo nulla qui, è tutto nella norma- li informò l'uomo aggrottando le sopracciglia, mentre l’ex Prescelta lanciò un’occhiata preoccupata a suo marito. Anche in quell’occasione, i dolci e meravigliosi occhi ambrati di Rei riuscirono a trasmettere sicurezza e sensazioni positive ad Elena.
Quando il dottore spostò la sonda più in basso, andando ad osservare la zona pelvica, cambiò totalmente espressione, da accigliata a sorpresa e poi cominciò a sorridere. Quel cambio repentino sulla faccia dell'uomo non sfuggì agli occhi attenti di Elena che si allarmò all'istante.
- Cosa. Perché sorride in quel modo?- chiese la donna in panico.
- Perché sta sorridendo in quel modo?- domandò nuovamente Elena, stavolta a suo marito, confuso quanto lei.
- Signora Kon, si calmi, lei non ha affatto la gastroenterite- cominciò il dottore con un sorriso divertito, continuando a spostare la sonda che Elena sentiva premere sul bassoventre.
- Ah no?- disse lei in un soffio.
- Decisamente no. Lei è incinta, congratulazioni- sentenziò trionfante e Rei sorrise, trattenendo a stento la commozione, mentre Elena era sotto schock e se ne stava immobile su quel lettino, metabolizzando se quello che aveva appena sentito da quell'uomo fosse una barzelletta o meno.
- E anche da un po’, direi circa dieci settimane, guardi qui, questo è il suo bambino e questo è il suo cuore che batte- il dottore indicò sullo schermo e sia Rei che Elena scorsero un tenero fagiolino in bianco e nero, mentre le loro orecchie vennero totalmente invase da quel tipico palpitare quasi frenetico, mentre onde irregolari si disegnavano sullo schermo dell'eco.
Fu in quell'esatto momento che la blader che credeva di aver sacrificato il suo desiderio di essere di nuovo madre, per aver sconfitto il Team delle Tenebre, si lasciò andare ad un pianto liberatorio, abbracciando suo marito.
- Vi lascio soli- disse il medico sorridendo, ma dubitò che i due l’avessero sentito, visto che Elena era nascosta nel petto di Rei e singhiozzava, allo stesso modo in cui aveva fatto diciassette anni prima, poco prima che lui diventasse il suo Bit Power Supremo.


SPAZIO AUTORE

Salve a tutti e bentrovati con il nostro appuntamento settimanale. Siamo praticamente già al giro di boa di questa fan fiction (quasi non posso crederci...) e pensare che un anno fa di questi tempi avevo da poco cominciato a pubblicare il prequel di questa storia, tra ansie e timori e senza esserne pienamente soddisfatta. In ogni caso, spero che vi stia piacendo la vicenda, da qui in avanti avremo anche un po' d'azione, promesso. Bisogna ancora capire se Viktor cederà all'oscurità del Black Dranzer o deciderà di scegliere di non far del male a Lyn. E soprattutto, questa super inaspettata (neanche tanto ahahah) gravidanza di Elena, come la prenderà la nostra amata blader dopo lo schock iniziale?
Lo scopriremo.
Intanto colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che stanno seguendo questo sequel. Siete voi a dare un senso a tutto.
Vi abbraccio forte <3
LadyYuna94

 

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Capitolo 21
*** Patto alla Cenerentola ***


Capitolo 21:

Nel tragitto verso casa, Rei non era riuscito a togliersi il sorriso da ebete che aveva stampato in faccia da quando il dottore gli aveva dato quella splendida, quanto inaspettata notizia, confermata poi dalle analisi del sangue.
Elena, invece, era in schock totale. Guardava fisso davanti a sé e non aveva detto una parola da avevano varcato la soglia dell’ospedale.
- Amore, non sei felice come mi aspettavo che fossi- esordì Rei d'un tratto, tentando di riportare sua moglie alla realtà, ma lei si limitò a sospirare.
- Ci pensi? Ci proviamo da più di dieci anni ormai, e poi all’improvviso dal nulla, ecco che succede- continuò entusiasta il cinese.
- E’ proprio questo che mi preoccupa, amore- riuscì a dire Elena e lui, capendo che non era esattamente il momento adatto per starsene nel traffico del raccordo anulare, trovò un parcheggio di fortuna, per darle la possibilità di continuare il discorso.
Quando il motore dell'auto si arrestò e Rei aveva rivolto completamente la sua attenzione a sua moglie, quest'ultima cominciò a parlare.
- Ero ormai completamente rassegnata al fatto di non avere più bambini e la mia vita era finalmente stabile come doveva essere- cominciò rassegnata l'ex Prescelta.
- Lyn è quasi adulta ormai, ha la sua indipendenza, i suoi amici, la sua vita- proseguì, incapace di guardare suo marito in faccia, ma tenendo gli occhi fissi sulle sue dita che non smetteva di torturarsi.
- Io ho l’atelier, gli allenamenti, come faccio a fare tutto adesso?- chiese agitata, sollevando poi lo sguardo scuro su Rei.
- Tra poco ci saranno le eliminatorie per il campionato di Beyblade e Lyn ha bisogno di me al cento percento, come posso allenarla ora?- l’agitazione nel tono di voce di Elena era crescente, così Rei le prese le mani e cercò di calmarla.
- Ora calmati, respira e non farti prendere dal panico- disse e lei eseguì, inspirando profondamente ed espirando allo stesso modo.
- Cosa ti preoccupa? Che i nostri ritmi verranno sconvolti? Amore, abbiamo già cresciuto una figlia, sappiamo come funziona- disse ovvio lui.
- Sì, ma sono passati quasi diciassette anni da allora, io ero poco più che una ragazzina quando è nata Lyn...- riprese Elena, venendo subito interrotta da Rei.
-...Una ragazzina che studiava all’università per dare gli esami in tempo e cercava di recuperare gli anni persi della sua vita, con una neonata che la teneva sveglia tre ore a notte- osservò, per poi farle un leggero sorriso. Elena però alzò gli occhi al cielo esasperata.
- Rei, ora ho quasi quarant’anni, un atelier e una carriera da allenatrice, oltre alla grossa responsabilità nei confronti di tutti quei ragazzi che sperano di andare al mondiale, nostra figlia compresa- riprese nuovamente lei.
- Non so se ce la faccio- mormorò lei infine, toccandosi il ventre e scuotendo la testa.
- Hai tutto l’aiuto che ti serve- la rassicurò Rei prendendole il viso tra le mani.
- Avevo Adele- ribatté subito Elena.
- Hai me, hai Lyn, non sei sola- replicò prontamente il moro.
- Pensaci, è la cosa più bella che potesse capitarci! Io non ero neanche qui quando hai saputo di Lyn, per me è tutto così nuovo e così bello!- il sorriso di Rei era talmente felice e rassicurante che per un attimo ad Elena bastò quella scena per stare subito meglio.
- Andremo benissimo, te lo prometto- Rei aspettò che Elena annuisse poi le diede un dolce bacio sulle labbra.
- Torniamo a casa, abbiamo una sorella maggiore a cui dirlo- ironizzò l’uomo rimettendo in moto l’auto.
***********************************************************************************
Quando Lyn sentì la chiave girare nella serratura, si svegliò di soprassalto.
Si era appisolata sul divano senza neanche accorgersene, così si alzò di scatto e corse all’ingresso dove era sicura di trovare i suoi genitori, rendendosi conto che fuori aveva fatto già buio.
- Finalmente! Allora?- chiese con voce agitata, mentre i suoi si toglievano i soprabiti.
- Beh...- cominciò Elena ivaga, scambiandosi un’occhiata d'intesa con Rei che fece il suo solito sorrisetto.
Lo sguardo di Lyn corse da sua madre a suo padre e viceversa in una manciata di secondi, in cerca di una risposta sensata a tutti quei muti segnali che si stavano mandando.
La giovane fece infine un gesto eloquente scuotendo il capo.
- Non vi capisco, parlate!- incalzò Lyn.
- Andiamo a sederci, vuoi?- tentò Elena, facendo segno a sua figlia di seguirla in salone.
Lyn trattenne il fiato e iniziò a sentire una sgradevole sensazione proprio alla bocca dello stomaco.
Suo padre aveva sorriso, non poteva essere qualcosa di male. Che la mamma avesse scoperto qualcosa di brutto e stesse cercando il modo più carino per dirlo? Si domandò Lyn, insieme ad altre cinquemila cose che le passavano confusamente per la mente in quel frangente.
La ragazza si accomodò sulla poltrona damascata color crema del salone, accanto all’immenso albero di natale finemente decorato in oro e rosso, proprio come piaceva a lei, mentre i suoi genitori si misero di fronte, sul divano del medesimo modello e colore della poltrona.
Lyn mise le mani sulle ginocchia e la schiena dritta come un fuso.
- Mamma, hai un cancro?- chiese piano, interrompendo quell'irreale silenzio.
Elena sgranò gli occhi, sorpresa che sua figlia avesse pensato subito ad una cosa così grave, ma in effetti con tutto il mistero che stavano mantenendo lei e Rei e la sua reazione di poco prima in auto che l’aveva lasciata scioccata, non poteva fare altro che comprendere lo stato d’animo della ragazza.
- No, tesoro, niente del genere, tranquilla- si affrettò a rassicurarla sua madre.
- Oh, meno male, mi avete fatto prendere un colpo, avete delle facce così serie- sospirò lei sollevata, tenendosi il petto.
- Ma la notizia che dobbiamo darti è di altrettanta vitale importanza…- si intromise Rei, esortando sua moglie a parlare con sguardo eloquente e Lyn tornò ad agitarsi.
- Piantatela di guardarvi a quel modo e sputate il rospo!- sbottò esasperata la ragazza rendendosi subito conto, date le facce stupite dei suoi, che aveva un tantino esagerato. Soffocò una risatina, riflettendo sul fatto che la vicinanza con Viktor la stava decisamente influenzando nei modi di fare.
Sperò almeno di non diventare volgare come lui in alcune circostanze.
- Hai ragione- disse Elena rassegnata.
- Guarda tu stessa, allora- proseguì la donna, consegnando a sua figlia una cartellina.
Lyn guardò prima sua madre e poi la aprì; dalla smorfia che aveva sul viso, Rei ed Elena capirono che la loro figlia stava facendo un po’ di fatica a capire cosa volevano dirle.
- Cosa dovrei vedere esattamente?- chiese Lyn, passando velocemente in rassegna quelle diapositive in bianco e nero. Così i genitori si alzarono dal divano e si avvicinarono alla ragazza, poggiandosi entrambi sui grossi braccioli della poltrona.
- Vedi qui?- l’unghia laccata di rosso di Elena indicava un punto in particolare di quelle diapositive, Lyn guardando meglio riuscì a scorgere una forma. Sentì, a quel punto, il cuore mancare un battito.
- Quello è… tuo fratello- disse Elena, realizzando anche lei che quello che le stava succedendo era realtà. Lyn guardò entrambi i suoi genitori trasalendo, con le lacrime agli occhi.
- O tua sorella, lo sapremo alla prossima visita- aggiunse Rei, con un sorriso meraviglioso.
- Mamma tu...- cominciò Lyn senza riuscire a completare la frase, ma mentre due mute lacrime solcavano le sue guance perdendosi sulle labbra piegate in un sorriso, Elena riuscì ad annuire.
- Non posso crederci!- urlò la ragazza, saltando al collo di sua madre, che la strinse forte a sua volta.
- Ma è una cosa possibile? Cioè, i medici cosa hanno detto?- chiese la giovane entusiasta, cercando di elaborare quelle informazioni più in fretta possibile.
- Neanche loro sanno esattamente cosa è successo- la informò la donna con un’alzata di spalle.
- Fatto sta che Babbo Natale ha voluto farci un gran bel regalo quest’anno- concluse l'ex Prescelta, scambiandosi poi un'altra occhiata complice con Rei.
- Il più bello del mondo- disse Lyn.
- Sei contenta?- chiese poi Rei a sua figlia.
- Non potrei esserlo di più!- rispose sicura la giovane, abbracciando anche suo padre.
- Sappiamo che sarai un’ottima sorella maggiore, tesoro- disse Elena, carezzando i boccoli neri come la pece di Lyn che annuì felice. Poi non sapendo come tirare fuori il discorso (cosa a cui aveva pensato per tutto il pomeriggio, finendo per addormentarsi) e approfittando della leggerezza e della gioia dell'arrivo di suo fratello, decise che poteva essere il momento giusto per chiedere ai suoi genitori il permesso per la notte di Capodanno.
- Non vorrei rovinare l’atmosfera, ma c’è una cosa che devo chiedervi...- esordì piano Lyn.
- Qualunque cosa- disse Elena, continuando ad accarezzarle i capelli.
E fu proprio su quell’offerta di sua madre che lei si tuffò di corsa.
- Riguarda l’ultimo dell’anno...- proseguì Lyn e sua madre si pentì subito di aver usato la formula “Qualunque cosa”.
- Niente discoteche fino ai diciotto per queste ricorrenze. Conosci le regole- disse tranquillo Rei, tenendo ancora sua figlia stretta a sé.
- Non è una discoteca, papà- si affrettò a rassicurarlo lei.
- Mi incontro con degli amici per brindare al nuovo anno, ma solo champagne e solo un bicchiere, come farei se fossi a casa o al ristorante- chiarì subito Lyn, mentre Rei ed Elena si scambiarono un’occhiata.
- D’accordo- disse Lyn sicura, pronta a sfoderare la sua tattica vincente, quella di chiedere ai suoi che cosa avevano esattamente fatto in una particolare occasione alla sua stessa età.
Considerando che erano stati suo padre un giramondo e sua madre un’adolescente piuttosto turbolenta e ribelle, l’aveva avuta vinta in quasi tutte le circostanze.
- Papà, dov’eri a Capodanno dei tuoi sedici anni?- chiese Lyn retorica e Rei si mise a pensare.
- Attento a come rispondi- intervenne prontamente Elena con una risatina. Poi l’uomo parve ricordarsi e si girò verso sua figlia, facendo ondeggiare la sua lunga coda corvina.
- Ero a New York, a casa dello zio Max insieme a tutti gli altri, in pausa dalle fasi eliminatorie del torneo americano di Beyblade. Eravamo una squadra da qualche mese e fummo invitati dalla Dottoressa Mizuhara per le feste- raccontò Rei.
- E poi?- chiese Elena.
- Poi Takao si è ubriacato e ha mangiato fino all’assurdo e io ho passato la notte dell’ultimo dell’anno a reggergli la testa nel water- ricordò il cinese ridacchiando.
- Che bella scena- commentò Lyn divertita e disgustata al contempo.
- Già, non troppo diversa da quella di quest’anno, se ci pensi. Solo che a vomitare è tua madre...- continuò lui ed Elena lo fulminò con lo sguardo, trattenendo una risata a sua volta.
- E tu, mamma?- chiese ancora la ragazza.
- Oh, beh, vediamo, sedici anni… ah, sì. Francoforte, a cena nella tenuta invernale di Ralph, tu non lo ricordi molto bene, l'ultima volta che lo hai visto eri piccolissima- ricordò Elena con un sorriso.
- Eri ad una festa, quindi- la indicò Lyn con sguardo accusatore.
- Con tuo zio che era un vero mastino, ero controllata a vista si può dire- si difese Elena con un’alzata di spalle.
- Ricordami, non è la festa a cui hai dato il tuo primo bacio?- disse vaga la ragazza, mentre lo sguardo dorato di Rei si spostò rapido su sua moglie, prendendo poi ad inarcare le sopracciglia.
- Era un innocente bacio sotto al vischio e questo era decisamente un colpo basso, signorinella- commentò Elena socchiudendo gli occhi.
- Chi era il fortunato?- chiese Rei, cercando di mostrare disinteresse.
- Amore, è stato un milione di anni fa- tentò di sviare Elena.
- La mia è solo curiosità, non mi hai mai raccontato i dettagli del tuo primo bacio- proseguì Rei con un sorrisetto, cercando di nascondere un pizzico di gelosia.
- Se è per questo neanche tu- lo rimbeccò ovvia la moglie.
- Tu sai benissimo che è stata Mao la prima, in tutto…- riprese il moro, mentre Lyn si godeva sorniona quel buffo battibecco tra i suoi genitori, quando sua madre venne messa alle strette.
- Allora?- chiese Rei.
- Ok, va bene. È stato Andrew- la donna vuotò il sacco.
- Andrew? L’inglese?!- chiese Rei stupito.
- In persona. Quanti Andrew conosci?- chiese sua moglie arrossendo.
- Chi l’avrebbe detto, non pensavo ti piacessero i tipetti arroganti- la stuzzicò l’uomo.
- Infatti era odioso, ma io ero dolce e innocente all’epoca e non immaginavo mi affondasse la lingua in gola quell’idiota- disse Elena con una smorfia.
- Gianni come la prese, l’ha saputo?- domandò ancora Rei, divertito da quella conversazione.
- Sì, poco dopo. E quello fu uno dei motivi per cui, a partire dall’anno successivo, Gianni volle festeggiare noi due soli con Adele- ammise la donna.
- Mi spiace aver tirato fuori questi argomenti pungenti, ma dovete capire che come avete avuto voi i vostri colpi di testa, anche io ho sedici anni adesso e devo fare le mie scelte, giuste o sbagliate che siano- disse Lyn, guardando entrambi i suoi genitori negli occhi, che non potettero fare altro che starsene in silenzio.
- I tuoi sanno di ricatti, signorina- la redarguì in modo scherzoso Rei ed Elena sorrise scuotendo la testa.
- Un po'... Perciò, appurato il fatto che non berrò e non reggerò la testa a nessuno nel water, oppure bacerò tipi odiosi sotto al vischio, non mi metterò nei guai e, soprattutto, resterò sempre vicina agli amici, posso avere il permesso di andare?- chiese Lyn supplichevole e Rei ed Elena dovettero cedere.
- Va bene, ma a casa per l’una- avvisò Elena.
- Ma mamma, se vado via poco prima di mezzanotte come faccio a tornare entro un’ora?- fece notare la ragazza.
- Le tre- propose allora Lyn.
- Non approfittartene troppo- puntualizzò Rei.
- D’accordo, allora le due e mezza- provò ancora la ragazza.
- Le due e questa è la nostra ultima offerta, niente negoziazioni- concluse Elena e Lyn dovette farsi andar bene le due ore dopo il coprifuoco che i suoi le avevano concesso in quella particolare occasione.
Sarebbero bastate per passare un po’ di tempo con Viktor.
- Accetto, grazie!- e poi Lyn abbracciò forte sua madre e suo padre, sperando con tutta sé stessa che quella notte dell’ultimo dell’anno potesse avere un sapore speciale, come di magia, che lei sognava da tutta la vita.

 

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Capitolo 22
*** Quando viene Dicembre... ***


Capitolo 22:

Viktor si guardava allo specchio, facendo fatica a riconoscere la sua stessa immagine.
Aveva provato per la quinta volta a farsi il nodo del papillon, mentre il gatto si strusciava sornione accanto alle sue scarpe nere classiche.
- Al diavolo!- sbottò, sfilandosi dal collo il pezzo di seta, sbuffando.
La telefonata di suo padre solo il giorno prima lo aveva messo decisamente di malumore e, per la prima volta in vita sua, si sentì sotto pressione e confuso. Quello stato d’animo non sembrò passare nemmeno in vista di quella serata speciale.
Doveva essere felice, qualunque ragazzo della sua età che sapeva di dover passare l’ultimo dell’anno con la ragazza dei suoi sogni starebbe camminando ad un metro da terra, ma non lui. Non lui che aveva attirato la suddetta ragazza in un’orribile trappola. Non lui che aveva ricevuto un ultimatum da Vorkov neanche quarantotto ore prima.
Suo padre era stato perentorio nell’ultima telefonata.
Il tempo stava scadendo e se non avesse catturato la Tigre Bianca entro la mezzanotte dell’anno nuovo, sarebbe stato sollevato dall’incarico e le conseguenze inimmaginabili. Dio solo sapeva cosa succedeva a chi osava trasgredire agli ordini di Vorkov, se solo Dio fosse esistito e fosse stato testimone di tutti i poveri disgraziati che non avevano portato a termine le missioni da psicopatico di quell’uomo.
Viktor sapeva solo che non li aveva mai più visti.
A lui era andata quasi sempre bene perché Vladimir aveva un debole per lui, era suo padre, cosa che gli ripeteva ogni giorno, quasi come a volerglielo far entrare a forza nella testa, ma quando non otteneva quello che voleva, era capace di tutto e solo perché era il suo pupillo non se la sarebbe cavata facilmente, non quella volta, non quando in ballo c’era così tanto.
Viktor sospirò e riprese nuovamente a farsi il nodo al papillon, con calma.
Continuava a non riconoscere quella persona che lo fissava dallo specchio, con il viso pulito, un’elegantissima perla nera al lobo e il solito ciuffo, per l’occasione pettinato in modo più ordinato, che gli cadeva sugli occhi color ametista.
Quando ebbe finito, si diede un’ultima occhiata sospirando profondamente.
- Sembri davvero un coglione conciato così- mormorò a sé stesso, ma ormai era troppo tardi per mettersi qualcosa di più comodo, come le sue adorate t-shirt e le giacche di pelle.
E poi aveva regalato alla sua dama un abito che gli era costato un occhio della testa, doveva almeno provare a sentirsi all’altezza in quella particolare occasione.
Indossò il suo lungo cappotto nero, una sciarpa viola appoggiata al collo e recuperò il suo Beyblade con dispositivo di lancio, avendo cura di nascondere l’uno nella tasca interna della giacca e di agganciare l’altro alla cintura dei pantaloni, dietro la schiena.
Prima di uscire accarezzò il suo gatto, ricontrollò che avesse cibo e acqua a sufficienza mentre fosse stato via e fece per uscire.
Erano le undici e trenta e la città sembrava deserta.
Viktor passeggiava con le mani in tasca, più per abitudine che per il reale bisogno di scaldarsi soffrendo poco il freddo, considerando le temperature rigide a cui era abituato in Russia. Gettava di tanto in tanto distrattamente lo sguardo su qualche balcone avvertendo le risate, le chiacchiere e il rumore inconfondibile di stoviglie, segno di grosse tavolate a cui partecipavano più di dieci persone minimo, in quelle particolari serate. Scosse la testa, pensando che proprio non riusciva a capire perché gli italiani amassero tanto il casino, gli schiamazzi e quell’essere esagerati in tutto, nel cibo e negli inviti, soprattutto nei giorni festivi.
Non si riusciva per niente a figurare in uno di quegli scenari così pittoreschi, poi pensò che probabilmente, la colpa doveva essere (anche di quello) di suo padre che lo aveva cresciuto come un recluso, in quel monastero dimenticato da Dio e dagli uomini.
Passò davanti alla fermata della metro che prendeva per arrivare a Villa Borghese, ma decise di fare quattro passi e continuò a procedere a piedi.
Eppure, almeno una volta, doveva per forza aver preso parte ad una grossa festa, pensò il giovane.
La sua mente andò dunque al sogno strano che aveva fatto proprio quella notte.
Nonostante le immagini, i volti e le vicende erano ancora molto confuse nei meandri dei suoi ricordi, per la prima volta dopo chissà quanto tempo, Viktor aveva fatto un sogno e non uno spaventoso incubo.
Sentiva risate di ragazzi giovani come lui, rumore di Beyblade che combattevano e… qualcuno che si era sentito male per il troppo cibo e il troppo alcol. Fece un sorrisetto amaro e, per la prima volta da che ne aveva memoria, si chiese come sarebbe stata la sua vita se quelle cose sognate la notte precedente fossero ricordi e non semplici sogni.
Non lo avrebbe mai saputo, non in quel momento almeno. Non c’era risposta.
Poi Viktor parve ricordarsi proprio in quell’attimo di un dettaglio piuttosto importante.
Aveva smesso di avere incubi nel momento in cui aveva smesso di prendere quell’orrida medicina che suo padre gli chiedeva di assumere, facendogli credere che fossero vitamine per ristabilire mente e corpo dopo quello che aveva subito. Da quando aveva cominciato a far finta di buttarle giù davanti allo scagnozzo di Vorkov, per poi sputarle nel water, sembrava aver ripreso almeno in parte, il controllo della sua vita.
Il ragazzo strinse i pugni, mentre procedeva verso la meta dell’appuntamento e giurò sul suo onore di blader che quella notte avrebbe fatto la cosa giusta. Per sé stesso e per la sua vita.

Lyn aveva divorato la cena ad una velocità stupefacente.
Alle ventidue e trenta aveva finito di aiutare sua madre a sparecchiare e si rintanò in camera sua, cominciando a prepararsi.
Date le ultime liete notizie ricevute, Rei decise solo quella mattina che avrebbe passato l’ultimo dell’anno non solo con la sua famiglia, ma a casa, preparando per sua moglie e sua figlia i suoi migliori cavalli di battaglia ai fornelli. 
La giovane, dal canto suo, era stata nervosa per tutto il giorno; aveva perso ore davanti allo specchio a sistemarsi i capelli, che poi aveva deciso di lasciare sciolti dopo diverse prove di acconciatura.
Si era truccata per ben tre volte e altrettante volte si era sciacquata il viso per rimuovere il make-up, scontenta del risultato.
Aveva avuto un crollo nella videochiamata d’auguri con la sua amica Judy, che le aveva semplicemente consigliato di essere sé stessa.
Per la prima volta a Lyn parve di sentire un suggerimento sensato dalla sua migliore amica, che era sempre l’icona dell’eccesso e dell’esagerazione, soprattutto durante le festività.
Alle undici e un quarto in punto, Lyn si stava osservando allo specchio trattenendo il fiato.
L’abito giallo d’alta moda sembrava calzarle come un guanto, i vertiginosi tacchi a spillo donavano alla sua figura uno slancio pazzesco e la pelliccia nera sembrava confondersi con i suoi lunghi capelli del medesimo colore. Gli occhi erano truccati con una sfumatura d’oro e bronzo, una sottile linea di eyeliner come la aveva insegnato sua madre e abbondante mascara, donando al suo sguardo un color ambrato ancora più intenso, facendoli risaltare all’inverosimile. Sulle labbra, un velo di gloss nude.
Qualcuno bussò alla porta aperta. 
- Avanti- disse lei senza staccare gli occhi di dosso alla sua inedita immagine allo specchio.
Dall’espressione meravigliata di Elena che a fatica nascondeva le lacrime salite agli occhi, Lyn capì che aveva fatto centro con quel look.
- Oh, mamma non piangere, mi si scioglie il trucco!- disse la ragazza, saltellando sul posto e voltandosi verso sua madre.
- No, ma io non sto piangendo, sono gli ormoni, non li controllo- si affrettò a dire la donna in sua difesa, mentre con una mano si asciugava le lacrime e con l’altra reggeva uno scatolo in velluto di forma rettangolare.
- Che cos’è?- chiese subito Lyn, facendo un cenno a quest’ultimo.
- Questo, beh, è un pensierino- disse Elena minimizzando.
- Ma Natale è già passato- ribatté Lyn alzando un sopracciglio.
- Non è qualcosa che ho comprato di recente, infatti- disse Elena aprendo lo scatolo e rivelando un meraviglioso colier di diamanti a filo sottile che brillava come milioni di stelle.
Lyn era scioccata.
- Mamma- disse in un soffio.
- Questo gioiello apparteneva a tua nonna Sofia, mia madre, me lo ha regalato quando avevo la tua età- rivelò Elena.
- O meglio, me lo ha regalato Gianni quando ho compiuto sedici anni, perché così avrebbe voluto lei- proseguì la donna, prendendo il delicato giro di diamanti dalla scatola. Ne apri il gancetto e fece segno a sua figlia di voltarsi.
Lyn si rimise davanti allo specchio, spostandosi i capelli sul lato e dando il tempo a sua madre di agganciarle il colier.
- E’ perfetto- commentò Lyn, sfiorandolo con le dita.,
- Tu lo sei di più, senza di te questi sarebbero solo diamanti, amore mio- disse sua madre, guardando il riflesso di entrambe allo specchio e in quel particolare istante, nonostante Lyn fosse sempre stata la copia identica di Rei, Elena rivide sé stessa alla sua età.
- Io l’ho indossato solo una volta, il giorno delle nozze e ho promesso a me stessa che sarebbe stato tuo un giorno- confessò la donna.
- Mamma è bellissimo, ma perché me lo stai dando proprio questa sera?- chiese Lyn confusa, quasi con il timore che sua madre avesse scoperto che ciò che avrebbe avuto luogo quella sera non era una festa tra amici, ma un appuntamento galante.
- In realtà progettavo di dartelo di ritorno dalla Cina, o il giorno del tuo compleanno, ma non ho mai trovato l’occasione adatta- si confidò Elena.
- Stasera ho colto l’opportunità e poi non puoi mettere un Yves Saint Laurent senza dargli giustizia con gli accessori- commentò risoluta la donna, riuscendo a strappare un sorriso a sua figlia che era visibilmente nervosa.
- Vieni qui- disse Elena aprendo le braccia e invitando sua figlia a stringerla forte.
- Hey, ma se avrò una sorella dovrò condividere i miei diamanti?- chiese ironica Lyn e sua madre sorrise
- Per lei ci potrebbero essere degli orecchini della stessa parure- la informò vaga l’altra.
- Vorrà dire che litigheremo spesso, a quanto pare- rispose la ragazza.
- Allora spera che sia maschio, così tutti i gioielli saranno tuoi- ribatté Elena con un sorriso smagliante.
Lyn sorrise, ma smise subito.
- D’accordo, davvero, ma come funziona? Considerati i tradizionalismi della Tribù, se avrò un fratellino dovrò consegnargli Driger e il diritto di regnare come Capo?- chiese Lyn sgranando gli occhi, improvvisamente nervosa a quella prospettiva.
- Certo che no!-
La voce di Rei, che era appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate sul petto, interruppe entrambe le donne della sua vita.
- Tu sei la mia primogenita e questa cosa non potrà mai cambiare- disse l’uomo con risolutezza, facendo ondeggiare i lunghi capelli neri, mentre camminava verso sua figlia.
- Driger è tuo, lo sarà per sempre, così come la Tribù- disse dolce Rei carezzando il viso di sua figlia.
- Che sarà femmina o maschio, si dovrà accontentare di Vulpilyon e di villa Tornatore- riprese, strizzando l’occhio alla sua bambina.
- Come se fosse poco...- commentò con una punta di acidità Elena e poi scoppiarono a ridere tutti e tre.
- Auguratemi buona fortuna- esordì ad un certo punto Lyn, notando che cominciava a farsi tardi.
- Lyn, conosci l’orario del rientro, imposta la suoneria al cellulare perché proverò a chiamarti ogni tanto- cominciò a raffica Elena, mentre la ragazza recuperava il soprabito e si dava un’ultima occhiata allo specchio.
- E non ti isolare, resta sempre accanto ai tuoi amici- si raccomandò nuovamente Rei.
- E non bere, non fumare, non farti avvicinare da sconosciuti- concluse Lyn in tono canzonatorio.
- Brava la mia piccola Tigre, ora vai a divertirti- disse Rei dandole un bacio sulla fronte.
- Mi raccomando- disse infine Elena, mettendole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Ci vediamo dopo!- Lyn salutò i suoi con la mano e corse via giù per le scale, il rumore dei tacchi a spillo sul marmo rimbombava per tutta la casa.
Rei ed Elena rimasero in camera della loro figlia finché non sentirono il rombo del suo scooter allontanarsi sempre più, quando la donna sospirò.
- Caspita, è cresciuta così in fretta, sembrava ieri che piangeva quando la lasciavamo ad Adele per uscire a cena da soli- ricordò Elena con un sorrisetto malinconico.
- Già- si trovò d’accordo suo marito.
- Non ha più bisogno di noi- sentenziò la donna abbassando lo sguardo, mantenendo un’ espressione malinconica.
- Questo non è vero, avrà sempre bisogno di noi e poi non disperare, tra sei mesi o poco più ci sarà qualcun altro che avrà bisogno di noi ventiquattr’ore su ventiquattro e rimpiangerai questi momenti di smisurato silenzio- disse Rei con un sorrisetto, facendo fare una breve piroette a sua moglie, che ridacchiò.
I due si guardarono intensamente negli occhi e poi si scambiarono un bacio di crescente intensità, pieno di passione.
- Sai, ho trovato un modo migliore per farci gli auguri quest’anno- disse Rei col suo solito sorrisetto malizioso, mentre prendeva a sbottonare lentamente la camicetta ad Elena.
- Vediamo, forse è lo stesso modo a cui avevo pensato io- rispose lei languida, lasciandosi spogliare lentamente dal suo sexy marito.
- Ti leggo nel pensiero, lo sai- sussurrò Rei, prendendo a baciare Elena nel collo, poi la prese per mano e la condusse nell’immenso salone di casa loro.
Spensero tutte le luci e finirono per fare l’amore adagiati sulla grossa pelliccia sul pavimento del salone, illuminati solo dalle luci dell’albero di Natale, come avevano fatto esattamente diciassette anni prima.

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Capitolo 23
*** Ti ho trovato nell'Oscurità ***


Capitolo 23:
(https://www.youtube.com/watch?v=v0BrcTR4FzY Colonna sonora del capitolo. P.S. se finisce, rimetterla :D)

Quando Lyn arrivò a Villa Borghese era mezzanotte meno un quarto e, parcheggiando il suo scooter, si chiese per un attimo come avesse fatto Viktor a far aprire a quell’ora e, soprattutto, durante quella notte di festa.
Procedette a passo svelto verso il solito posto in cui i due si incontravano, stringendosi nella sua pelliccia nera a maledicendosi mentalmente per non aver indossato almeno un cardigan più caldo, considerando che il vestito era con le spalline sottili.
- Viktor, sei qui?-
Più si addentrava nel parco senza ricevere risposta alcuna, più la ragazza cominciava a credere, con una punta di terrore mista a nervosismo, che quello fosse uno scherzo di pessimo gusto, che quell’appuntamento fosse solo una farsa e lei era sola, lì al freddo, la notte di Capodanno. Lyn pensò che solo una stupida avrebbe potuto credere a quel biglietto romantico che faceva tanto Ottocento francese, ma di sicuro avrebbe fatto i conti con Viktor se le avesse dato buca.
Quando la voce della ragazza cominciò a chiamare da lontano, Viktor deglutì a vuoto nascosto in un cespuglio reggendo in una mano tremante il dispositivo di lancio e nell’altra il filo di caricamento pronto ad essere tirato.
I suoi occhi erano fissi sulla figura di Lyn che andava cautamente alla sua ricerca, probabilmente a disagio a trovarsi in quel luogo di notte.
Il ragazzo sentiva il cuore martellargli pesantemente in gola e la bocca secca. Deglutì nuovamente a vuoto.
Le mani sembravano non volergli proprio obbedire e nonostante lo scintillio potente e rassicurante del suo Black Dranzer, Viktor sentiva che quello che stava per fare era del tutto sbagliato.
Fu un attimo. Un minuscolo istante.
In quel preciso momento, Viktor ebbe una sorta di illuminazione. La risposta che da sempre aveva cercato in ogni angolo del suo essere, si era rivelata lì, la notte dell’ultimo dell’anno, di fronte alla grazia e alla bellezza eterea di quella ragazzina.
Viktor aveva una coscienza e, per di più, provava dei sentimenti. Sentimenti positivi. Non l’odio, non il rancore, non la rabbia per tutto quello che gli aveva fatto e che ancora gli faceva passare Vorkov.
Quella fanciulla aveva avuto il potere sovrannaturale di cambiarlo, di renderlo migliore. Di renderlo umano.
E lui come stava per ripagarla? Prendendole la cosa a cui lei teneva di più al mondo, la sua Tigre Bianca, la compagna di tante battaglie affrontate e che avrebbe affrontato in futuro. L’avrebbe costretta a privarsi di una parte importante di sé solo per soddisfare il disgustoso desiderio di onnipotenza di suo padre.
Quella volta Viktor poteva scegliere, poteva farlo per la prima volta senza costrizione alcuna e non avrebbe sbagliato di certo.
- Viktor, ma dove sei? Andiamo, vieni fuori, inizio a spaventarmi!- la voce di Lyn era sempre più vicina, ma il suo tono tutt’altro che rassicurante.
Il giovane scuoté la testa, cercando di scacciare quei pensieri positivi che si erano insinuati nella sua mente, la mano sul dispositivo di lancio si fece nuovamente più salda e l’anello alla testa del filo di caricamento stretto nella falange ad uncino.
Poteva sentire qualche goccia di sudore scivolare giù dalle tempie, il nodo di quello stramaledetto papillon sembrava soffocarlo d’improvviso, deglutì a fatica vista la sgradevole sensazione di nausea che aveva catturato la bocca dello stomaco.
- Andiamo, maledizione- sibilò a sé stesso e si convinse che lanciare quella sfida tremenda a Lyn era la cosa giusta da fare. Se voleva salvarsi, doveva catturare quel Bit Power a qualunque costo. Anche se questo avrebbe significato perdere per sempre Lyn, la ragazza che amava.
Sì, perché lui l’amava, profondamente, proprio lui che aveva sempre creduto che l’amore fosse per i deboli, per i pappa molle, per quelli senza spina dorsale e si era ritrovato lì, ad esitare per la prima volta in vita sua a lanciare un Beyblade.
Quando Lyn fu abbastanza vicina e Viktor riuscì a scorgere i suoi meravigliosi occhi ambrati, ebbe come un sussulto dentro e una scarica di mille volt parve colpirlo.
Aveva già visto quegli occhi.
Erano gli occhi di una persona coraggiosa di una sua vita passata, una persona a cui lui aveva voluto molto bene, ma non aveva avuto il tempo di dimostrargli quanto.
Quello sguardo lo fece sentire a casa, immaginò l’amicizia, l’affetto e un legame profondamente speciale, un calore meraviglioso avvolse il suo essere e poi, nella sua mente l’immagine dei quattro Bit Power sacri che si rifugiano nei propri Beyblade, nelle mani di quattro ragazzi.
Viktor non stava vivendo un sogno. Viktor stava rivivendo un ricordo.
Inspirò profondamente a pieni polmoni e si arrese.
Gettò il dispositivo di lancio a terra, facendo staccare il Beyblade dalla base a cui era fissato, il quale dopo qualche capriola finì qualche metro più in là, quindi si sfilò il filo di caricamento dal dito.
Cadde in ginocchio, quasi sfinito e due lacrime silenziose gli rigarono il viso, facendogli provare al contempo una sensazione di gioia assurda.
La felicità, l’umidità delle lacrime, non ricordava neanche se l’avesse mai provata una sensazione del genere, ridere nel pianto, forse in un ricordo lontano che non sembrava nemmeno appartenergli.
- Ti prego, Viktor, vieni fuori!- dal tono con cui parlava, Lyn iniziava ad essere seriamente preoccupata, così il ragazzo sospirò pesantemente, si ricompose, si asciugò gli occhi e si alzò in piedi, pronto a prendersi in mano la sua vita.
Per quella notte sarebbe stato un diciannovenne normale, avrebbe fatto le cose che fa un ragazzo normale senza aver paura di essere fisicamente punito, rinchiuso, o torturato in alcun modo. Vorkov era lontano e non poteva controllarlo, non quella notte.
- Hey- Viktor cercò di mostrarsi quanto più disinvolto possibile, ma Lyn sobbalzò all’indietro tenendosi il petto, quando lo vide sbucare da dietro il suo nascondiglio.- Oh, Viktor, mi hai spaventata a morte, ma dov’eri?- chiese un po’ stridula.
- Ho fatto tardi, non è da me- cercò di scusarsi lui, forzandosi ad essere convincente.
- Infatti, non lo è- sottolineò Lyn inarcando le sopracciglia e quando lui si avvicinò e poté ammirare più da vicino il ragazzo, sentì le guance imporporarsi dall’imbarazzo.
- Hai qualcosa di diverso...- cominciò la giovane, studiandolo.
- Beh, decisamente, non metto mai questi stracci scomodi- commentò lui indicandosi addosso, riferendosi all’outfit piuttosto classico che aveva scelto per quell’occasione..
- Non intendevo quello- disse Lyn sorridendo e scuotendo debolmente la testa.
- Anche se devo ammetterlo, apprezzo molto il dresscode e, a proposito, grazie per il vestito, non dovevi- aggiunse lei abbassando lo sguardo, tremendamente a disagio.
- Non c’è di che- Viktor era più in imbarazzo di lei, decisamente poco abituato a quel tipo di conversazione.
- E comunque...- proseguì lui, dopo essersi schiarito la gola.
- Ho pensato che i disegni sul viso non stavano poi così bene con questa mise- ammise lui, arrossendo lievemente.
- Giusto!- Lyn parve farci realmente caso solo in quel momento e ricordò che l’unica volta in cui l’aveva visto senza quei singolari segni blu sulla faccia era stato in ospedale.
Le sembrò passato un secolo da allora, invece che pochi mesi.
- Beh, allora vuoi venire?- chiese lui piano, invitandola con un gesto del capo.
- Dove andiamo?- chiese lei alzando un sopracciglio.
- Niente domande, sarà mezzanotte tra qualche minuto, dobbiamo sbrigarci- disse lui con un mezzo sorriso, così Lyn annuì e lo seguì, senza fare altre domande.
Dopo qualche minuto, la ragazza realizzò che si trovavano sul punto panoramico della famosa villa romana e si rese conto, con suo grande stupore, che non c’era mai stata di sera e, soprattutto, non la notte di Capodanno.
- E’ bellissimo qui- riuscì a dire la giovane passata l’iniziale sorpresa, stringendosi nella sua pelliccia per il freddo pungente che in quel punto più alto, si avvertiva ancora di più.
Viktor la guardò e si rese conto che stava gelando.
- Hai freddo?- chiese quasi sottovoce.
- Un po’ - mentì Lyn sorridendo, cercando di scaldarsi passando le mani sulle braccia velocemente.
- Posso?- chiese Viktor dopo qualche secondo di esitazione.
- Cosa?-
Lyn diventò rossa di nuovo, quando Viktor le prese entrambe le mani e le lanciò uno sguardo profondissimo, che fu costretta a ricambiare, per poi abbassare gli occhi prima di finire intrappolata in quello scintillio porpora che erano le iridi del russo. Come sempre le sue mani erano gelide più del vento e dell’umidità di quella notte.
Il ragazzo deglutì pesantemente, poi si aprì un po’ il giaccone e tirò dolcemente le mani di Lyn verso di sé, poggiandosele poco sopra i fianchi.
Lyn non sapeva se fosse in uno dei suoi sogni o quel momento era reale.
Poteva sentire i muscoli dell’addome del giovane irrigidirsi al suo tocco e lui aveva gli occhi chiusi, serrati, quasi stesse cercando di combattere qualcosa.
- Viktor, tu odi essere toccato- disse in un soffio Lyn
- Stavolta farò un’eccezione, ma non approfittartene- le disse sorridendo brevemente e Lyn gli rivolse uno sguardo pieno di tenerezza. Lui sembrava provare dolore mentre cercava di tenere le sue mani al caldo, ce la stava mettendo davvero tutta per mostrarsi gentile e romantico e lei se ne stava lì imbambolata senza dire una parola.
- Sai, non mi aspettavo mi invitassi stasera- cominciò lei cercando di alleggerire l’atmosfera, mentre ancora percepiva sotto i polpastrelli il corpo allenato del ragazzo, nonostante la stoffa della camicia.
- Perché non dovevo? Sei praticamente l’unica persona che conosco qui- disse lui ovvio
- Già, certo, come potevo pensare che...- disse lei ad alta voce, capendo subito di aver parlato ad un volume un po’ troppo alto.
- Senti, io non so nulla di come si faccia ad essere carino… con una ragazza- ammise lui arrossendo violentemente e di tutta risposta, Lyn sgranò gli occhi.
Aveva sempre pensato che in Russia prima dell’incidente avesse stuoli di ragazze ai suoi piedi, ma dal modo in cui si stava imbarazzando, capì che era inesperto quasi quanto lei.
- Oh, beh, non credo ci sia un modo standard, oppure un manuale da seguire, so solo che...- cominciò Lyn confusa, quasi balbettando e Viktor roteò gli occhi, sospirando.
- Tu parli troppo, ragazzina- la interruppe, prendendola dolcemente per i polsi ancora nascosti nel suo giaccone.
L’attirò a sé e la baciò e in quel momento la città esplose come in un boato festoso, annunciando l’arrivo del nuovo anno.
Lyn chiuse subito gli occhi, lasciandosi andare a quelle sensazioni meravigliose.
Viktor insinuò le mani nei capelli della ragazza per tenerla ancorata a sé, mentre timidamente cominciava ad esplorarle la bocca con la lingua e Lyn prontamente rispose al bacio, intrecciando la sua di lingua con quella del ragazzo, serrando sempre di più la presa sul suo corpo, non più timorosa di abbracciarlo.
Mentre i fuochi d’artificio di tutta Roma facevano da scenario a quel magico momento, Lyn si sentiva come in un viaggio di sola andata per il Paradiso e Viktor aveva un sapore così buono, come di casa, di tranquillità, come se quel bacio fosse stato un codice segreto necessario per aprire una porta. Non era per niente come quello che aveva ricevuto in Cina dal figlio di Lai, questo era il bacio del vero amore.
Quello che Belle aveva dato alla Bestia per aiutarla a tornare umana.
Quando i due si staccarono per riprendere pian piano fiato, avevano entrambi gli occhi lucidi e lo sguardo appagato, mentre in sottofondo si udiva soltanto il fischio dei fuochi che creavano giochi di luce nel cielo e lo scoppio assordante dei petardi.
Lyn sospirò, non sapendo assolutamente cosa dire.
- Sei speciale per me- fu l’unica frase che le uscì dalla bocca e si sentì subito tanto stupida non appena la ebbe pronunciata.
Gli occhi di Viktor erano particolarmente luccicanti e se ne stava lì ad osservarla con la bocca semiaperta e lo sguardo languido, Lyn sentì per la prima volta in vita sua uno strano calore prendere possesso del suo basso ventre e non riuscì a dare una spiegazione logica a quella sensazione che la faceva sentire così vulnerabile, ma al contempo pronta a tutto.
- Non sono bravo con le parole- rispose Viktor socchiudendo gli occhi, come in confusione.
- Ma voglio prometterti una cosa- disse lui determinato, attirando nuovamente lo sguardo di Lyn su di sé.
- Io non ti farò mai del male, te lo giuro- promise lui, prendendo il viso della ragazza tra le mani.
Nonostante il solito tocco gelido del ragazzo, Lyn colse in quella solenne promessa qualcosa di più che una semplice frase fatta e si limitò ad annuire piano, captando la serietà con cui quella stessa promessa era stata fatta e, quanto soprattutto, fosse costato a Viktor farla.
Poi, mandando mentalmente al diavolo tutti i suoi problemi con i contatti fisici, Lyn si gettò al collo del giovane e lo strinse forte a sé, cosa che avrebbe voluto tanto fare dal primo momento che lo aveva conosciuto.
Il ragazzo rimase un attimo spiazzato da quella reazione improvvisa, ma poi si rilassò via via che la giovane lo teneva stretto, ricambiando l’abbraccio.
- Sono grata che non ti abbiano staccato la spina, sei la cosa più bella che mi sia mai capitata- confessò Lyn ad occhi chiusi.
Viktor sospirò e chiuse anche lui gli occhi, inspirando il dolce profumo della sua Lyn.
- Tienimi con te, per sempre- disse lei in una malcelata richiesta di rassicurazioni e il ragazzo annuì lentamente.
- Promesso- rispose volutamente e continuò a stringere a sé Lyn.
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- Avevo dimenticato com’era fare sesso in gravidanza, è super eccitante!- confessò Elena, mettendosi stesa sulla schiena e riprendendo fiato. Un’espressione di puro appagamento dipinta sul volto.
Rei si sollevò, tenendosi la testa sulla mano e guardò sua moglie ancora ansimante con un ghigno soddisfatto, illuminata solo dalle tenui luci calde dell’albero di Natale.
Era passato più di un decennio dalla prima volta, ma fare l’amore all’ombra del grosso abete addobbato a festa e con sottofondo lo scoppiettio della legna nel camino, era sempre tra le fantasie sessuali preferite dal cinese.
- E’ il sangue della Tigre che al momento scorre dentro di te a farti eccitare così- la provocò lui, Elena sorrise, poi aprì gli occhi.
- Che vuoi dire? Che quando non sono incinta non sono abbastanza eccitata, secondo te?- chiese seccata la donna.
- No, ma sei particolarmente selvaggia adesso- sussurrò Rei sfiorandole la clavicola con l’indice, per poi chinarsi e darle un altro focoso bacio.
Quando si staccò lentamente da sua moglie, l’uomo prese i due calici poggiati sul tavolino basso lì accanto e passò quello con il succo d’ananas ad Elena.
I due avvicinarono i bicchieri e brindarono al nuovo anno, Elena fece una smorfia dopo un sorso della sua bevanda praticamente fruttata e analcolica, mentre guardava suo marito tracannare il costoso champagne che avevano acquistato insieme qualche giorno prima proprio per quell’occasione, prima di sapere che lei non avrebbe potuto assaggiarlo.
- Secondo te cos’è?- chiese improvvisamente Elena
Rei inarcò tremendamente le sopracciglia, colto totalmente alla sprovvista.
- Non saprei proprio- confessò
- Avanti, Lyn lo hai detto subito che era femmina, hai un certo sesto senso per queste cose- disse Elena, prendendo ad accarezzarsi il pancino appena accennato.
Rei sospirò.
- Più che altro ho un desiderio- cominciò lui ed Elena rimase in silenzio per farlo continuare.
Rei si distese sulla schiena e guardò il soffitto, improvvisamente serio e malinconico.
Elena conosceva bene quello sguardo, anzi, talmente bene che ogni volta che Rei prendeva quell’espressione, tornava indietro di diciassette anni, quando lei era la Prescelta e lui il suo Guardiano.
- Se fosse maschio, vorrei chiederti di chiamarlo Kei- confessò Rei e sua moglie non poté fare altro che prendergli dolcemente la mano e stringerla.
- Sai, Takao stava per battermi sul tempo- disse lui ridacchiando.
- Ma con Makoto, Hilary aveva da poco perso suo padre e volle dargli il nome, mentre con Jay sentiva di fare un torto al suo adorato nonno, così dovette rinunciarci- ricordò Rei ad Elena, che conosceva benissimo quella storia.
- E’ il mio modo per rendergli omaggio, capisci?- disse piano lui, voltandosi verso sua moglie ed Elena annuì con un sorriso dolcissimo.
- Sarebbe un grande onore per me dare a nostro figlio il nome di un blader coraggioso e un ragazzo forte e determinato che ha permesso che tornassi da me e avessi un’altra possibilità, per ben due volte- concordò Elena.
- Allora è deciso, Kei sia- sorrise Rei e poi abbracciò sua moglie, che si poggiò con la testa sul suo petto
- E se fosse un’altra bambina?- chiese ancora Elena, dopo qualche secondo.
- Beh, pensavo... Salima è un nome molto carino per una bimba- ironizzò Rei ed Elena lo fulminò con lo sguardo.
- Non pensarci neanche!- sibilò a denti stretti, facendo scoppiare a ridere suo marito.
- Mao, allora- tentò di nuovo.
- Rei, mi sto arrabbiando e tanto- lo avvisò Elena, mentre lui se la rideva di gusto, continuando a proporre i nomi delle ragazze che aveva conosciuto in passato.
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Quando alle due e mezza Viktor rientrò nella sua camera d’albergo, la prima cosa che fece fu salutare il suo micino e poi togliersi di dosso quei vestiti da lui stesso definiti scomodi.
Ancora sentiva il profumo di Lyn su di essi e sospirò pesantemente mentre li riponeva nel cesto della biancheria.
Si era cacciato proprio in un bel guaio.
Non credeva di arrivare a tanto, non credeva possibile il suo lasciarsi andare così profondamente con un’altra persona. Lyn stava avendo davvero il potere di cambiarlo e questa consapevolezza lo fece sentire strano, ma euforico.
Però i problemi non sarebbero tardati ad arrivare e osservato com’era dagli scagnozzi di suo padre, non ci avrebbero messo molto a spifferargli che non era riuscito nel compito assegnatogli, così si assunse le sue responsabilità e telefonò lui stesso a Vorkov, pensando a tutte le possibili conseguenze che quel gesto poteva avere, ma soprattutto, non prima di aver escogitato un piano B.
- Sì?- l’uomo era abbastanza sorpreso nel rispondere al telefono, ma riuscì a mascherare il suo stato d’animo
- Sono io- disse Viktor per guadagnare secondi, mentre si sdraiava a letto
- Hai la Tigre?- chiese sicuro Vladimir all’altro capo.
- No- ribatté neutro il giovane.
- Ascolta, ragazzo, sono stufo dei tuoi giochetti, avevi un solo compito e tre mesi erano più che sufficienti per portarlo a termine- lo aggredì suo padre.
- Tempo scaduto, manderò qualcuno per accompagnarti all’aeroporto. Ti aspetto a Mosca e discuteremo delle conseguenze- sibilò minaccioso l’ultima frase.
- Ti chiamo per proporti un’altra idea che sono sicuro funzionerà meglio del tuo piano- suggerì Viktor, ignorando completamente la minaccia di Vorkov.
- Non faccio negoziazioni con i mocciosetti come te, chiaro? Tu devi solo obbedirmi- disse tranquillo, ma era proprio quella strana tranquillità ad agitare leggermente Viktor.
- Se attirassi tutti i Bit Power nello stesso posto e li catturassi… lealmente, cosa diresti?- incalzò il ragazzo, sperando che quella proposta suonasse abbastanza allettante a Vorkov.
- Lealmente? E come pensi di riuscirci? Non ne hai preso uno in tutto questo tempo, figurarsi quattro.- lo sbeffeggiò l’uomo e il giovane serrò la mascella, controllando la sua ira che cresceva sempre più.
- Proporremo loro un torneo. Chi perde, consegna i Bit Power. Saranno costretti ad usarli in un incontro ufficiale e io non me li lascerò sfuggire- propose Viktor e stando al silenzio che c’era dall’altra parte, quell’idea parve essere interessante persino per suo padre.
- Va’ avanti- lo esortò Vorkov e il giovane si rilassò impercettibilmente.
- Il campione in carica, il figlio del presidente della BBA è una testa calda, non si tira indietro davanti ad una sfida, così come gli altri.- chiarì Viktor
- E noi non passeremo per quelli crudeli e sleali, dovranno consegnarceli senza battere ciglio- concluse
- Credi di essere abbastanza forte da sconfiggerli?- chiese Vorkov
- Sai che lo sono- rispose Viktor seccato
- D’accordo, allora, dammi un paio di settimane per organizzare il tutto- disse Vladimir e Viktor sorrise soddisfatto
- Ti chiamo io e… sei davvero geniale, figliolo, devo riconoscerlo- e mise giù.
Viktor cambiò completamente espressione, una volta riattaccato il telefono.
Chiuse gli occhi e pensò a Lyn, a quanto era bella, dolce, delicata e vulnerabile tra le sue braccia.
Le aveva giurato di non farle del male, era una cosa che stranamente gli era venuta dal profondo del cuore, quel cuore che lui non credeva nemmeno di possedere, era lì nel suo petto che batteva per quella bellissima ragazza dall’animo nobile.
Viktor aveva giurato e fosse venuta anche la fine del mondo, lui avrebbe mantenuto la promessa.

 

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Capitolo 24
*** Fidarsi ***


Capitolo 24:

Gennaio aveva portato con sé il freddo pungente dell’inverno e quel pomeriggio Roma era coperta da un folto manto di neve, come non accadeva da una decina d’anni.
Oltre alle temperature piuttosto rigide, le prime settimane del nuovo anno avevano portato in particolare ad Elena una serie di malesseri tipici da gravidanza. Rimetteva giorno e notte, si sentiva sempre molto stanca e dovette persino rinunciare ad allenare sua figlia in vista delle qualificazioni ai campionati del mondo che si sarebbero tenute da lì a un paio di mesi.
Il medico le aveva detto di restare a riposo e, quando possibile, di passeggiare all’aria aperta senza però stancarsi eccessivamente. Elena era conscia della sua condizione di gravidanza a rischio, sia per la sua storia clinica, sia perché non era più giovanissima e doveva riguardarsi. Nonostante la neve però, la donna decise di andare a fare comunque una passeggiata, approfittando del fatto che suo marito fosse ancora al ristorante e sarebbe rincasato entro un’oretta e Lyn dopo i compiti pareva essere sempre di corsa nelle ultime settimane. Probabilmente aveva preso ad allenarsi da sola, pensò sua madre.
Procedendo piano in automobile, Elena si rese conto di essere nei pressi di Villa Borghese, così parcheggiò ove possibile e pensò che fare quattro passi nell’immensa villa non potesse farle altro che bene.
Era passata una vita dall’ultima volta che c’era stata, almeno quattro o cinque anni e ricordava perfettamente che quello era il posto dove lei, Rei e Lyn amavano di più passare il tempo soprattutto nelle domeniche di primavera, tra picnic e giri in barca. La donna notò subito la poca affluenza di persone, c’era soltanto chi non rinunciava mai all’attività fisica e correva col cappuccio calato sulla testa e le cuffiette nelle orecchie e chi magari si era concesso qualche ora insieme ai bambini per costruire qualche pupazzo di neve. Sorrise a vedere due simpatici bimbetti intenti a raggruppare palline di neve per farne una più grande, forse la testa del suddetto pupazzo e si soffermò sul pensiero che di lì a qualche anno anche lei sarebbe stata seduta su quella panchina a guardare suo figlio giocare con la neve.
Suo figlio.
Elena ancora non poteva crederci dopo qualche settimana e, la cosa che la stupiva di più era che se lo immaginava già maschio, forse perché una parte di lei voleva realizzare il grande desiderio di suo marito di chiamare loro figlio come il giovane blader che trent’anni prima aveva salvato la vita a lui e a tutti i loro amici, a discapito della sua.
Quel ragazzo di cui Elena non ricordava nemmeno il volto, visto di sfuggita su una foto anni prima.
Rei era gelosissimo dell’unico ricordo che aveva della sua squadra al completo e conservava la fotografia della finale dei campionati del mondo in Russia come una specie di reliquia, come se farla vedere a qualcun altro ne avesse fatto perdere l’essenza. Elena aveva sempre rispettato il suo volere, ma un po’ le dispiaceva non sapere molto di Kei, poiché nonostante fossero passati molti anni, per Rei era ancora un argomento molto difficile da affrontare, stessa cosa per Takao, Max e il Professore.
Senza rendersene nemmeno conto, la donna si era addentrata in uno dei sentieri paralleli della villa e i suoi pensieri vennero interrotti da un suono che conosceva meglio di sé stessa: Beyblade che combattevano.
Felice come una pasqua, si avviò in direzione del suono, tastandosi la tasca dei morbidi pantaloni di tuta che indossava per assicurarsi che Vulpilyon fosse lì come sempre, pronta a sentirsi di nuovo quella ragazzina che sfidava tutti nei sotterranei del Colosseo, ma proprio quando arrivò vicinissima, scorse dietro dei cespugli due ragazzi che combattevano. E Lyn era una di loro.
Elena fu sorpresa nel vedere sua figlia in nell’angolino isolato di un famoso parco pubblico, ma la sua sorpresa era soprattutto legata al fatto che non le aveva raccontato nulla riguardo i suoi incontri pomeridiani... Con un ragazzo per giunta!
Senza farsi scoprire, la donna guardò meglio e vide che il tizio in compagnia di sua figlia era davvero molto bello, alto, atletico e con un ottimo stile di combattimento, nonostante qualcosa nel suo Beyblade nero le dava una sensazione di inquietudine.
Quando l’incontro terminò, Elena fu tentata di uscire allo scoperto, cercando un modo carino per farlo senza mettere in imbarazzo sua figlia, ma si bloccò nuovamente quando vide che l’aitante giovanotto in questione aveva tirato Lyn verso di sé facendola sedere sulle sue gambe e aveva preso a baciarla con passione.
La donna cominciò a boccheggiare, arrossendo all'istante e si nascose volutamente per non vedere oltre.
Era naturale che sua figlia sedicenne avesse degli interessi amorosi, lei stessa a sedici anni era stata una tipa piuttosto ribelle e scapestrata che teneva nascoste le sue avventure a suo fratello e ad Adele che era più di una madre, ma trovarsi quella scena davanti la fece sentire spiazziata. Fuori posto.
Con un po’ di amarezza, si rese conto che se fosse tornata indietro nel tempo avrebbe voluto raccontare tutto quello che le passava per la testa alla sua tata e, magari, avrebbe avuto consigli migliori.
Lo sbigottimento lasciò spazio a poco a poco alla delusione. Elena si sentì pur un attimo ferita, convincendosi di non aver fatto un buon lavoro come madre se sua figlia, per qualsivoglia ragione, non si era fidata abbastanza di lei da raccontarle che aveva un ragazzo. Proprio come non le aveva raccontato di Jin in Cina, eppure quella volta Lyn le aveva promesso che si sarebbe confidata da lì in avanti. La promessa non era stata mantenuta.
Elena sospirò, si toccò il ventre pregando di non commettere gli stessi errori con il futuro secondogenito di casa Kon e si avviò verso l’auto.
La passeggiata era durata abbastanza e agitarsi non era di certo tra le opzioni migliori, anzi era in cima alla lista di cose da evitare secondo il vademecum del suo ginecologo.

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Elena aveva rimuginato per tutto il pomeriggio su come comportarsi con Lyn.
Era combattuta tra il dirle ciò che aveva appena scoperto al parco, con delicatezza, senza imbarazzarla o il tacere e lasciare che fosse lei a confidarsi spontaneamente. Prima o poi l’avrebbe fatto, pensò.
Successivamente valutò di parlarne con Rei, usando la stessa tattica della delicatezza che avrebbe usato con Lyn, visto che dopo quello che era successo a settembre ai Parioli, il cinese era diventato estremamente protettivo nei confronti di sua figlia. Chissà come avrebbe preso la notizia di baci appassionati in mezzo alla neve.
Quella, non era decisamente una possibilità, quindi lasciò perdere.
- Sono a casa!- urlò Lyn aprendo la porta e gettando il suo zainetto alla rinfusa sul divano dell’ingresso e quando Elena sentì la sua voce, una sorta di agitazione la pervase.
- Sono in cucina- disse la donna.
- Ciao mamma, come ti senti oggi?- Lyn era felicissima, le brillavano gli occhi e quel bacio pieno d’affetto che aveva stampato a sua madre sulla guancia ne era la riprova.
- Molto bene, tesoro- rispose Elena sforzandosi di sorridere.
- E il mio fratellino/sorellina come sta?- proseguì la ragazza, carezzando il pancino a sua madre.
- Meglio di me. Ascolta, Lyn, possiamo parlare?- aggiunse velocemente Elena e sua figlia, senza perdere l’entusiasmo, andò ad aprire il frigorifero afferrando uno yogurt alla frutta.
- Certo, di cosa vuoi parlare?- chiese curiosa la ragazza, cominciando a gustarsi la merenda.
- Oggi sono andata a fare una passeggiata, me lo ha consigliato il medico, ricordi?- cominciò Elena, mettendosi seduta di fronte a Lyn che era appoggiata con i gomiti sul bancone della cucina e si squadrava l’interno del barattolino di yogurt, scegliendo con cura l’angolo in cui affondare il cucchiaino.
- Mhmh- rispose lei con assenso.
- Sono andata a villa Borghese- confessò Elena e gli occhi di Lyn incontrarono subito i suoi.
Lo sguardo della ragazza era enigmatico. Un felino in attesa di un passo falso della sua preda.
- Quindi?- chiese piano Lyn, cercando di mascherare quella lieve ansia che l’aveva assalita.
- Quindi… potevi dirmelo che ti stavi allenando per conto tuo, ne sono felice- fu la prima cosa che Elena riuscì a dire e pensò che quella fosse la risposta migliore, sperando di non mettere comunque sua figlia in imbarazzo.
Lyn arrossì violentemente, cominciando a balbettare proprio come faceva Elena stessa quando era nervosa.
- Mamma, cioè, hai visto che non mi allenavo da sola?- chiese la giovane, prendendo a martoriarsi la solita ciocca di capelli.
- Lyn, tesoro, tranquilla.- la rassicurò prontamente sua madre.
- Questo discorso lo abbiamo già affrontato di ritorno dal tuo Rito di Passaggio, non mi devi alcuna spiegazione- si difese Elena.
- Certo, un po’ ci speravo che io e te potessimo avere un bellissimo rapporto anche e soprattutto da questo punto di vista- proseguì la donna, ritrattando in parte sulla risposta precedente.
- Ma mi rendo conto che tu ti senta molto più a tuo agio a parlarne con Judy magari, anziché con me, ma va bene così non me la sono presa, vorrei solo che tu mi parlassi, tutto qui- aggiunse Elena, cercando di non mettersi a piangere. Maledetti ormoni, pensò la donna.
Lyn si sentì per un attimo tremendamente in colpa e non riuscì a trovare le parole giuste da dire a sua madre.
In effetti nascondere i suoi allenamenti clandestini con Viktor non era stata una facile impresa. Sapeva benissimo che continuare a coprire le sue attività extracurricolari, che a quel punto comprendevano anche baci, carezze e coccole, fosse una pessima idea e stava malissimo perché sua madre, che si era sempre mostrata disponibile e aperta nei suoi riguardi, si era sentita messa da parte.
- Hai ragione mamma, ti chiedo scusa- ammise sommessamente, abbassando lo sguardo.
- Io non voglio impicciarmi, capisco che tu debba vivere la tua vita e fare le tue esperienze, ma vorrei condividerle con te, non ti giudicherò, sono tua madre, come potrei?-
disse Elena, afferrando un cleenex.
- Lo so, ma è come se me lo dimenticassi in questi momenti e non vorrei che pensassi che facessi delle scelte sbagliate- si confidò la ragazza.
- Amore, senza scelte sbagliate e intendo sbagliate nei limiti, non crescerai mai- commentò la donna.
- Prendi me, ad esempio. Tutti avevano paura di giocare a Bey, del Team delle Tenebre, chiunque avesse saputo del Cammino mi avrebbe fermata e qualcuno ci ha anche provato, per tutti era una cosiddetta scelta sbagliata, probabilmente la più sbagliata possibile- cominciò Elena mentre sua figlia la osservava.
- Ma senza quella scelta ritenuta da tutti sbagliata, non avrei conosciuto tuo padre, non saresti nata tu e nessuno avrebbe mai fermato quei mostri- Lyn inspirò profondamente, capendo sua madre dove voleva andare a parare.
- Se tu sei felice, lo sono anche io, anzi molto di più perché sei mia figlia e io ti amo sopra ogni cosa- disse Elena sorridendo e la ragazza l’abbraccio forte.
- Mamma, se solo potessi conoscerlo, lui è meraviglioso!- ammise Lyn, sentendosi finalmente libera da quel peso che si portava dentro da qualche mese.
- Beh, l’ho visto di spalle e direi che hai dei bei gusti- commentò Elena con un mezzo sorriso, facendo sorridere anche Lyn.
- Ha una storia alle spalle molto difficile e, non so, è come se sentissi il bisogno di proteggerlo- riprese la giovane, con un’alzata di spalle.
- E’ una cosa molto bella. E poi ho visto che è un blader e sa anche il fatto suo- incalzò la madre e l'altra sorrise ancora di più.
- E’ molto forte sì, come me si allena da quando era bambino, anche se lo ammetto il suo Beyblade ha qualcosa che, non lo so, mi fa sentire strana- Lyn era un fiume in piena e quell’ultima frase non sfuggì ad Elena, che aveva provato la stessa sensazione.
Aggrottò le sopracciglia e si appoggiò con le mani sul bancone, meditabonda.
- Lyn, hai mai pensato alla possibilità che tutta questa faccenda potesse essere in qualche modo collegata alla profezia del Grande Saggio?- chiese cautamente Elena, soppesando ogni singola parola, per non agitare ulteriormente sua figlia. Lyn sgranò gli occhi e trattenne il respiro.
Aveva pensato alle parole dell’anziana guida del villaggio per giorni, raccapezzandosi per trovare un senso a quella sorta di enigma. E poi aveva conosciuto Viktor, dimenticandosi completamente di quella storia, o meglio senza fare troppo caso ai dettagli.
Eppure, aveva avuto la soluzione sotto gli occhi per tutto il tempo, proprio quando aveva smesso di pensarci.
- Mamma, tu credi che Viktor possa essere...-
- La tua anima gemella? E chi lo sa... E' difficile dirlo, alla tua età soprattutto- disse Elena inarcando le sopracciglia.
- C’è di fatto che “un’arma nera scintillante” potrebbe essere il suo Beyblade- aggiunse ovvia la donna.
- Sì, ma perché chiamarla arma? Viktor è un ragazzo buonissimo, un pochino scontroso certo, ma pur sempre buono, non credo userebbe il suo Beyblade come un’arma- lo difese Lyn, poi si ricordò di un particolare per niente trascurabile ed Elena carpì il suo repentino cambio d’espressione.
- Cosa c’è?- le chiese con tono piuttosto apprensivo e Lyn scosse debolmente la testa.
- Se lo ha usato come arma, è stato per difendere me- realizzò la giovane, alzando il viso e incontrando nuovamente gli occhi neri di sua madre.
- Spiegati meglio- la esortò Elena.
- La notte ai Parioli, in cui stavano per...- si bloccò sospirando profondamente e sua madre si irrigidì.
- Viktor arrivò in mio aiuto, cacciò via quei tizi usando il Bey, ora che mi ci fai pensare- concluse la ragazza, poggiandosi con la testa sulle mani.
- Ora sappiamo di chi è la giacca Versace limited edition- commentò Elena alzando un sopracciglio.
- Sì, ma non si tratta di lui. Il Saggio parlava di menzogne e cattiverie, non è sicuramente Viktor- affermò con sicurezza Lyn.
- Tesoro, io non me ne intendo molto di profezie ed enigmi di antiche tribù, ma stando all’esperienza di tuo padre, quel vecchio non ha mai sbagliato una previsione- si sentì di metterla in guardia Elena.
- Lo so, credi che papà potrebbe aiutarmi a capire… se lo conoscesse?- chiese cauta la ragazza.
- Credo sia una buona idea- replicò risoluta Elena.
- Perché non lo inviti a cena? Fagli capire che è una cosa amichevole e non una festa di fidanzamento, non vogliamo che fugga via a gambe levate pensando di noi chissà cosa- ironizzò la donna.
- Ci posso provare, ma non so se accetterà- confessò Lyn mordendosi un labbro, conoscendo abbastanza bene Viktor da sapere che le occasioni di incontro non erano proprio il suo forte.
- Non è esattamente un tipo aperto e socievole- concluse con una smorfia, leggermente riluttante a rivelare quel dettaglio caratteriale di Viktor.
Elena sospirò.
- Lyn, non so tu cosa ci abbia visto in lui a parte l’evidente fascino e la tecnica sopraffina a Beyblade, ma da come ne parli non mi sembra un ragazzo facile da gestire e io non voglio che tu soffra- disse Elena decisa, riprendendo per un attimo il ruolo materno e lasciando da parte quello dell’amica/confidente.
- Tranquilla mamma, con me è un’altra persona, deve solo fidarsi un po’ prima di lasciarsi andare, capisci?- cercò di rassicurarla sua figlia.
- Sarà...- disse Elena vaga.
- E poi, voglio dire, tra noi non è stato ancora definito nulla, mi sembra prematuro parlare di queste cose- disse Lyn arrossendo.
- In ogni caso, questa cena potrebbe essere anche l’occasione adatta per capire meglio chi hai accanto e se tu ti fidi davvero- concluse Elena, rimarcando particolarmente l’ultima frase.
- Ci pensi tu ad indorare la pillola a papà?- chiese supplichevole Lyn fermandosi sulla porta, prima di fare rotta verso camera sua.
- Non gli diremo proprio tutto per non agitarlo, basta già il fatto che porti un ragazzo a casa- disse Elena con un sorrisetto e la ragazza scosse la testa.
- So che è difficile da comprendere, ma per papà certi momenti sei ancora la bimba che doveva reggere Driger con entrambe le manine perché troppo grande- disse la donna.
- Non gli farò venire un colpo, promesso- rispose Lyn facendo l’occhiolino a sua madre e salendo di corsa le scale che conducevano in camera sua.
- Iniziare tutto da capo sarà davvero una faticaccia- osservò Elena ad alta voce guardando verso la sua pancia.

 

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Capitolo 25
*** Come in un Déja-vu ***


Capitolo 25:

Judy: tua madre si è bevuta il cervello o cosa?!
Non appena Lyn aveva chiesto consiglio ai suoi amici riguardo l’invitare Viktor a cena, si era scatenato il panico sulla loro chatroom.
Lyn: è proprio quello che non volevo, questa reazione…
David: per me è una follia!
Judy: concordo! Sarebbe come dire “che intenzioni hai con mia figlia?” suona tanto “Orgoglio e Pregiudizio” e quella serie di puttanate d’altri tempi
Lyn sospirò pesantemente leggendo quella serie di messaggi spaventati che si susseguivano a raffica sullo schermo del suo telefono.
Makoto: secondo me stiamo esagerando. Certo, mi immedesimo in questo tizio che viene invitato a cena a casa della sua ragazza, mi farebbe sentire a disagio di sicuro, ma alla fine mangiare tutti insieme che male ha fatto mai a qualcuno? Soprattutto se a cucinare è lo zio Rei!
Lyn: grazie Makoto! E poi, cioè, non stiamo davvero insieme insieme…
Judy: quindi quella storia dei baci appassionati la notte di Capodanno e tutti i pomeriggi a seguire era frutto della tua fervida immaginazione?
Lyn: non hai capito! Volevo dire che non abbiamo mai davvero definito ciò che c'è fra noi…
David: potrebbe giocare a tuo vantaggio, in questo caso. Lo inviti da amico, in fin dei conti come dici tu, magari per lui non state insieme…
Lyn: ora non mettermi altri problemi in testa... Secondo te per lui non stiamo insieme?
David: non lo so, non lo conosco, magari per lui è semplicemente un’avventura
Makoto: che tatto!
Judy: ignoralo, Lyn, non esce con una ragazza da quando i dinosauri bivaccavano sulla Terra…
David: parla per te, sorellina
Lyn: lo chiamo e lo invito, ho deciso
Makoto: vai forte!
Lyn fissò per un attimo il numero di cellulare di Viktor sul display del suo telefono, mordendosi così forte il labbro da farsi male. Lui le aveva dato il numero dopo continue insistenze da parte della ragazza e già quella cosa, insieme alle altre mille nella sua vita, aveva messo Lyn in guardia per l’ennesima volta.
Si sentì ancora una volta da schifo per come si era comportata con sua madre, evitando anche di raccontarle tutti quei misteri in cui la figura del ragazzo a cui lei si stava affezionando era avvolta.
Magari i suoi amici avevano ragione. E anche sua madre.
Quella cena si sarebbe potuta rivelare una pessima idea, Rei ed Elena sarebbero stati contrari al fatto che Lyn vedesse Viktor, una volta conosciuto. Una parte di lei era sicura che lui non sarebbe piaciuto ai suoi, col suo sguardo freddo e di poche parole. Non era esattamente quello che due genitori amorevoli vorrebbero per la loro figlia, a pensarci. Ma una parte minuscola di Lyn, inspiegabilmente, era convinta che Viktor avrebbe fatto colpo sulla sua famiglia, proprio perché anche loro avrebbero avuto l’istinto di proteggere quel ragazzo come fosse loro figlio.
E poi c’era la questione della profezia.
Più pensava a quello che aveva detto sua madre, più Lyn capiva che il Grande Saggio non poteva essersi sbagliato.
Il tocco siberiano, l’arma nera e le fiamme.
La giovane sospirò ancora una volta.
Anche se non l’aveva mai visto in azione, sapeva perfettamente che il Bit Power di Viktor era un’Aquila Nera avvolta dalle fiamme. Poteva sentire l’agitazione farsi spazio nel suo stomaco ogni volta che osservava quel bit chip, come quando stava al cospetto del padre di Viktor. Qualcosa non tornava in quella storia e a quel punto soltanto l’aiuto dei suoi genitori avrebbe potuto darle un po’ di chiarezza.
Senza indugiare oltre, premette sul tasto di chiamata e ad occhi chiuse attese che Viktor rispondesse.
- Lyn- la voce di lui dall’altra parte era sorpresa, anche se lei ormai lo conosceva abbastanza da sapere che ce l’aveva messa tutta per non mostrarsi contento di sentirla.
- Hey, scusa se ti chiamo a quest’ora- cominciò lei.
- Tranquilla, lo sai che dormo poco- disse lui in tono eloquente, facendo riferimento agli incubi di cui Lyn era venuta a conoscenza solo qualche giorno prima e di cui Viktor si stava pian piano liberando.
- Senti, devo farti una proposta, ma non so esattamente come la prenderai- esordì lei, sforzandosi di restare calma.
- Parla- la esortò Viktor diretto e Lyn non poté più temporeggiare.
- Io non saprei come definire la nostra situazione- si lasciò sfuggire lei, per poi pentirsi amaramente di quell’affermazione così stupida, tant’era vero che Viktor rimase in silenzio, confuso.
- Situazione? Di che parli?- chiese lui.
- Niente, lascia stare, in ogni caso ti ho raccontato di mio padre che è un grande chef, ha un meraviglioso ristorante in centro e...- proseguì lei venendo interrotta dal ragazzo, il quale balzò a sedere dal letto improvvisamente interessato a quella conversazione.
- Vieni al dunque- la esortò nuovamente il russo e Lyn roteò gli occhi, ormai all'angolo come un pugile.
- Volevo sapere se per te andava bene venire a cena a casa mia, uno di questi giorni- confessò Lyn tutto d'un fiato, prendendo a mordersi nuovamente il labbro, in attesa del colorito rifiuto che sapeva bene Viktor le avrebbe rifilato.
Quest'ultimo si passò una mano tra i capelli, colto completamente alla sprovvista da quella proposta.
Stava bene con Lyn, per la prima volta dopo chissà quanto tempo si sentiva sereno, ma era in corso una tremenda battaglia nel suo animo tra quello che era giusto e quello che era giusto fare per lui, egoisticamente parlando. E aveva dato la sua parola a Vorkov, cosa a cui non si sarebbe potuto sottrarre tanto facilmente.
Nel frattempo, però, il padre di Lyn inspiegabilmente appariva nei sogni di Viktor, in quell’ammasso confuso di ricordi che credeva appartenere alla vita di qualcun altro e che diventavano ogni notte più nitidi da quando aveva smesso di prendere le medicine ordinate da suo padre.
Quella poteva essere l’unica possibilità per saperne di più riguardo quella storia, conoscere quell’uomo e capire perché lo sognava e soprattutto, fare in modo che anche gli altri ragazzi in possesso dei sacri Bit Power, gli amici di famiglia di Lyn, si fidassero a tal punto da volerlo conoscere.
Poteva essere l’ultima spiaggia per portare a termine quella maledetta missione e liberarsi di Vorkov una volta per tutte.
- Ci saremo solo noi?- chiese lui vago e Lyn si stranì di colpo. Dal suo silenzio Viktor capì di aver forzato troppo la mano e cercò di ritrattare.
- Mi parli sempre di quei tuoi amici, non verranno anche loro a questa cena?- domandò nuovamente lui, cercando di non far insospettire la ragazza.
- Beh, la vedo un po’ difficile come cosa, visto che uno vive in Giappone e gli altri due negli Stati Uniti- lo informò Lyn inarcando le sopracciglia.
- Ma mi fa piacere che ti ricordi di loro. In estate, se ti va, potrai conoscerli- si affrettò ad aggiungere lei.
- Lascia perdere, come non detto- tagliò corto Viktor.
- Allora, verrai?- chiese Lyn con una certa impazienza dopo qualche secondo di silenzio.
Viktor osservò la sua immagine nello specchio di fronte al letto. Il ciuffo che gli cadeva sugli occhi dai riflessi viola, la bocca serrata sempre in un’espressione dura e fredda, i muscoli tesi sotto la candida pelle del torace.
Si sforzò di restare fedele a quel riflesso, ma ciò che ne scaturì dalle parole della ragazza al telefono fu la curva delle labbra piegata all’insù, in un misto tra il divertito e il sicuro di sé.
- Con molto piacere- disse Viktor, continuando a fissare l’immagine allo specchio e Lyn non poté fare a meno di sospirare sollevata, come se si fosse liberata da un grosso peso che la opprimeva.
- Dici sul serio?- a stento mascherava la sorpresa.
- Certo, perché non dovrei?- continuò lui, mostrandosi sicuro.
- No, niente, sono felice- confessò Lyn, giocherellando con l’orlo della sua coperta e Viktor si limitò a sorridere senza dire nulla e sperò che lei dall’altra parte capisse.
- Beh, allora, ci vediamo. Buonanotte- disse Lyn.
- Buonanotte- rispose Viktor e riagganciò.
Il primo passo per avvicinarsi ai Bit Power promessi a Vorkov era proprio quella cena.
Viktor sperava di guadagnarsi la fiducia della famiglia di Lyn per stare a contatto con loro il più possibile e poi aveva il suo tornaconto personale.
Lei non doveva essere fisicamente coinvolta, perché da uomo di parola qual era, aveva promesso di non farle del male. E poi suo padre rappresentava la chiave per avere risposte sul suo passato, quelle risposte che da tempo rincorreva.
Non poteva lasciarsi sfuggire quell’occasione e, convinto di star facendo ciò che era giusto, Viktor si addormentò.

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Lyn, come al solito, si era cambiata tre volte quel pomeriggio prima di scegliere l’abbigliamento definitivo per quella cena, optando poi per un jeans chiaro skinny, un maglioncino bordeaux con scollo a V e un paio di stivaletti neri in pelle con tacco quadrato.
Si era lisciata i capelli e aveva truccato gli occhi con il solito eyeliner e mascara, scegliendo poi un rossetto della stessa tinta del maglioncino.
Quando uscì di casa, avvisando che andava a prendere Viktor, ai suoi genitori non sfuggì l’accortezza per i dettagli e la sofisticatezza dell' outfit accuratamente scelto per l'occasione.
- Mi ricordi il motivo di questa cena?- chiese retorico Rei a sua moglie, sollevando il coperchio di una delle padelle sul fuoco per controllare la cottura del sugo.
- Lyn vuole farci conoscere questo amico con cui si sta allenando- disse vaga la donna, prendendo dal frigorifero i formaggi e i salumi da servire come aperitivo.
Rei annuì alzando un sopracciglio e continuando ad osservare sua moglie con fare indagatore.
- Amico eh?- chiese poi con tono sarcastico, arricciando leggermente le labbra.
- Amico- ribadì Elena, perdendo via via sicurezza, mentre affettava il formaggio sul tagliere.
- Amore, do di matto se continui a prendermi per il culo e non per il fatto che abbiamo il ragazzo di nostra figlia a cena- disse Rei, puntando con finta minaccia i rebbi della forchetta verso sua moglie poco lontana.
- Io non ho detto niente!- si difese Elena con aria innocente girandosi verso Rei, per poi riprendere la composizione del tagliere da servire.
- Come sempre, ho ragione io- concluse il cinese, con aria soddisfatta, mentre dava una controllata alla pasta.
- Non dire nulla, non vogliamo metterli in imbarazzo. Pensa se fosse capitato a noi alla loro età, io non ci sarei mai venuta ad una cosa del genere- confessò Elena sicura.
- Io ero troppo impegnato a vincere tornei, non ne avrei avuto neanche il tempo- replicò il marito con aria di superiorità.
- Il solito spaccone...- commentò lei ovvia, continuando ad affondare il coltello con decisione nel formaggio svizzero.
- E questo tizio da dove sbucherebbe fuori?- chiese dopo poco Rei, tornando sull’ospite atteso per cena, mentre spadellava le verdure con maestria.
- Amore, ne so quanto te- rispose Elena, sperando di mettere fine a quel momento a dir poco imbarazzante.
Sapeva che prima o poi, con una figlia adolescente, si sarebbero trovati in quella situazione, ma Elena aveva sperato di ritardare quel momento ancora per un po’, per il semplice fatto che odiava sorbirsi la gelosia di suo marito.
- Sarò felice di apprendere le notizie a tavola questa sera, tutti insieme- concluse la donna e in quel momento sentì qualcuno bussare al campanello.
- Devono essere loro, vado io- propose Elena.
Intanto fuori dalla porta Lyn era nervosa all’estremo, diede una rapida occhiata a Viktor e notò che lui si mostrava tranquillo e distaccato come sempre. Ma come facesse a stare così calmo, a Lyn sembrava un mistero.
Doveva essere per il fatto che lei lo considerava il suo ragazzo e lui magari non ricambiava, quindi David aveva ragione e quella era una cena assolutamente amichevole per Viktor.
Nonostante il nervosismo, Lyn si prese il tempo per osservare la bellezza particolare di quel ragazzo che ogni volta la colpiva come fosse la prima. Il maglioncino nero a collo alto aderente sotto la giacca di pelle metteva ancora più in risalto il fisico scolpito. Il jeans un po’ strappato grigio scuro era in tinta col suo ciuffone che cadeva sempre in modo apparentemente disordinato davanti agli occhi, il portamento fiero ed elegante lo faceva sembrare un principe e anche in quell’occasione Viktor aveva evitato di dipingersi il viso con i segni blu come faceva sempre. Lyn si chiese per un attimo cosa avesse fatto per meritarsi tanta rara bellezza.
Quando Elena aprì la porta, sorrise dolce a Viktor che si sforzò di fare lo stesso in modo amichevole.
- Ciao!- l’entusiasmo dell’allenatrice di Beyblade era palpabile.
Elena invitò i ragazzi a entrare e quando chiuse la porta notò che Viktor si guardava intorno soddisfatto, come se si aspettasse già che Lyn vivesse in una villa del genere.
- Molto piacere, Elena- disse la donna porgendo la mano al giovane.
Lo sguardo di Lyn saettò da Viktor a sua madre con un’indicibile ansia, ricordando che il ragazzo odiava qualunque contatto fisico, ma con sua grande sorpresa, Viktor compì uno sforzo immane e strinse la mano ad Elena.
- Piacere mio, signora, sono Viktor- rispose lui con gentilezza.
- Spero non vi siate congelati lì fuori- cominciò Elena in tono materno, prendendo i cappotti dei ragazzi.
- Non siamo andati in scooter- si limitò a metterla al corrente Lyn.
- Non amo molto le due ruote- aggiunse Viktor tranquillo ed Elena annuì comprensiva.
- Beh, qui c’è stata una gran bella lotta prima di consegnare le chiavi dello scooter a Lyn, anche io e suo padre non eravamo molto favorevoli a questa cosa, ma lei ottiene sempre quello che vuole- disse la donna in tono canzonatorio, sperando di mettere a suo agio il ragazzo sfoderando la carta della simpatia.
- Papà dov’è?- chiese Lyn impaziente, scrocchiandosi le nocche.
- Dove può essere, nel suo regno in cucina- rispose la donna sorridendo.
- Sto arrivando!- la voce di Rei proveniente dalla suddett stanza fece assumere a Viktor un’espressione quasi di stupore, per un solo secondo.
Quando Rei arrivò nell’ingresso di casa sua per presentarsi al fidanzato di sua figlia (cosa che gli costava ancora molta fatica ad accettare) si bloccò sotto l’arco della porta con gli occhi sbarrati.
Il colorito pallido dell’uomo fece preoccupare sia Lyn che Elena e Viktor non fu da meno. La sua espressione con le sopracciglia aggrottate e la bocca semiaperta nell’osservare Rei, faceva presagire che i due si fossero già visti.
- Rei, amore, tutto bene?- chiese Elena preoccupata andandogli accanto e poggiandogli una mano sulla spalla. L’uomo sospirò profondamente e scosse debolmente la testa, poi si avvicinò a Viktor, ricomponendosi.
- Ciao, sono Rei, il padre di Lyn, piacere di conoscerti- disse l’uomo, porgendo la mano al ragazzo e sia Elena che sua figlia avevano notato che Rei tremava quasi. Viktor, ugualmente stranito, guardò per un attimo la mano di Rei tesa davanti a lui e poi tornò a guardare l’uomo negli occhi.
- Piacere- rispose il ragazzo quasi senza fiato e quando le loro mani entrarono in contatto, avvertirono entrambi una stranissima sensazione.

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Capitolo 26
*** Fuori da ogni Logica ***


Capitolo 26:

- Lyn, accompagna Viktor in salone, c’è l’aperitivo, io finisco di dare una mano a tuo padre- intervenne Elena, mentre il suo sguardo saettava da suo marito all’ospite.
- Certo...- disse sua figlia poco convinta, guardando suo padre tornare a passo svelto in cucina.
I due, a parte presentarsi, si erano semplicemente scrutati per qualche secondo senza dire nulla e questa cosa fece aumentare il livello d’ansia di Lyn decisamente oltre la soglia di sopportabilità.
Quando Elena arrivò nella stanza dov’era Rei , si chiuse la porta a vetri alle spalle e trovò suo marito con i pugni appoggiati al piano in marmo e gli occhi bassi, che respirava a fatica.
- Amore, ma che ti è preso?- chiese Elena agitata, andando accanto a suo marito e girandogli il viso verso di lei. Rei deglutì.
- Conosci quel ragazzo?- chiese la donna, con tono ansioso.
- Non lo so- rispose confuso Rei, mentre un miliardo di cose gli passavano per la mente e non riusciva a pensare a nulla di sensato.
- Mi stai spaventando a morte- lo avvisò Elena.
- Quello che ti dirò potrebbe sembrarti pazzesco e fuori da ogni logica- cominciò Rei, dopo un lungo sospiro
- Rei, abbiamo sconfitto il Team delle Tenebre, posso sopportare qualunque cosa “fuori da ogni logica”- lo rassicurò lei.
- D’accordo, allora, non c’è un modo meno facile per dirlo. Quel ragazzo è Kei- annunciò secco e la cosa suonò da pazzi persino a lui, una volta detta a voce alta.
- Non ti seguo- replicò sua moglie, aggrottando le sopracciglia.
- So che probabilmente non mi credi, ma quel tizio è Kei, il mio amico- Rei iniziò ad andare avanti e indietro per tutta la cucina. Somigliava davvero ad una tigre in gabbia.
- Fermati un attimo. Vuoi dire che il ragazzo di Lyn somiglia al tuo amico defunto per mano dei blader della Morte da ventisette anni?- chiese Elena sgranando gli occhi via via che completava la frase.
- Non gli somiglia. È lui- sentenziò Rei che sembrava essere impazzito tutto d’un tratto.
- Hai ragione, è completamente fuori da ogni logica- rispose Elena mettendosi a braccia conserte.
- Tesoro, gli somiglierà parecchio, ma dire che è lui non credo sia possibile- cercò poi di farlo ragionare.
- Ha persino lo stesso orecchino- mormorò Rei agitato a voce bassa, indicando fuori dalla porta.
- E con ciò? Guarda che tutti oggigiorno hanno un piercing- gli fece notare Elena con una smorfia.
- E poi senti, non mi hai mai più fatto vedere quella foto della vittoria ai mondiali, io non ricordo nemmeno come fosse Kei- continuò tranquilla.
- Fidati, non è semplicemente una somiglianza estrema, io… ne sono sicuro e qualcuno si sta servendo di lui- osservò Rei triste.
- Come puoi dirlo?- chiese Elena cercando di capire perché suo marito aveva preso a comportarsi in quello strambo modo.
- Perché lui me lo ha detto, prima che tornassi in vita- confessò lui, guardando negli occhi sua moglie che aveva dipinta sul viso un’espressione sconcertata.

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Lyn era seduta sul grosso divano del salone e guardava Viktor sorseggiare il suo Bellini analcolico con una grazia e un’eleganza mai visti prima. In quella particolare circostanza stava mostrando tutta l’educazione di un ragazzo di buona famiglia.
- Posso chiederti una cosa?- iniziò Lyn, posando il suo bicchiere di cristallo sul vassoio posto sul tavolino basso davanti a loro. Viktor annuì.
- Prima, quando mio padre si è presentato...- cominciò cauta e vedendo che lui restava in silenzio, continuò.
- E’ stato strano. È stato come se vi conosceste- azzardò la ragazza.
Viktor mandò giù l’ultimo sorso di cocktail e poi continuò a fissare il vuoto davanti a sé.
- Semplicemente impressione, mi ricordava qualcuno, ma è impossibile che ci fossimo già visti, ti pare?- disse lui quasi a prenderla in giro per aver potuto pensare qualcosa del genere.
- Ovviamente, ma sei a Roma da un po’ ormai, magari avrai mangiato al suo ristorante, che so...- disse Lyn, alzando le spalle.
- Non l’ho mai visto prima- confermò Viktor, sfoderando tutta la sua durezza per la prima volta da un po’ di tempo.
- D’accordo, ok- rispose Lyn mettendosi subito sulla difensiva.
- Era solo una domanda- concluse sconfitta e Viktor sospirò pesantemente.
- Ascolta, non voglio spaventarti o altro, già tutto quello che mi circonda e di cui ho memoria è un cazzo di casino, non voglio che tu venga coinvolta- spiegò lui, ammorbidendosi, ma non ci riuscì.
- Sono già coinvolta, mi pare- commentò lei in tono canzonatorio.
- Parla con me, cosa ti preoccupa? Ancora i tuoi incubi?- chiese la ragazza avvicinandosi leggermente al suo viso.
- E’ tutto fottutamente complicato- sibilò lui, senza guardarla negli occhi e stringendo i pugni.
- Io ti capirò, lo sai- lo rassicurò Lyn.
- Lascia stare, godiamoci questa cena, i tuoi si sono prodigati tanto- rispose lui, intenzionato a chiudere lì la conversazione e Lyn dovette stare al suo volere.
Lo conosceva ormai abbastanza da sapere che quando metteva un punto era meglio non forzare la mano.

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Quando Rei ebbe finito di parlare, Elena era affondata in una delle sedie della cucina con tutto il suo peso e, tenendosi il ventre, cercava di calmare tutta quell’agitazione. Nonostante gli sforzi, non era capace di trovare un modo logico di elaborare le pesanti informazioni appena ricevute.
- Perché in quasi diciotto anni non ti è mai venuto in mente di dirmi che avevi visto Kei, prima di risvegliarti al PPB- chiese piano Elena.
- Non lo so, pensavo fosse stato semplicemente un sogno, come quelli che fai quando sei in coma, non credevo di rivederlo- si giustificò Rei.
- Quindi, stando a quanto ti ha detto lui, qualcuno voleva riportarlo indietro per cosa? Fargli del male, a che scopo? Si era già sacrificato una volta, povero ragazzo- osservò Elena disgustata e triste al contempo.
- Non ne ho idea. Non credo sia opera del Team delle Tenebre, l'abbiamo messo fuori gioco molto dopo la sua morte, non so se sia riuscito a tornare come ho fatto io- si chiese Rei.
- E Olivier allora?- domandò Elena con gli occhi lucidi.
- Forse funziona solo per chi diventa Bit Power Supremo- ipotizzò l'uomo con un’alzata di spalle confusa.
- Tutti i Guardiani e i Prescelti scomparsi prima di noi nessuno è tornato in vita, Rei, solo tu- gli ricordò Elena, sentendo salire le lacrime agli occhi.
- Kei ha combattuto al tuo fianco come me, quella notte in Egitto- disse lui in un’implicita domanda dopo un lungo sospiro e sua moglie annuì debolmente, a conferma di quel pensiero.
- Sì, Takao giurò di averlo visto lanciare il suo Dranzer- rispose lei.
- Già, lui come noi non si separava mai dal suo Bey e, caso strano, anche Viktor è un blader- osservò Rei.
- D’accordo e allora? Quanta gente lo è- il tono retorico di Elena non impedì a Rei di continuare a riflettere su quell’intricata quanto bizzarra situazione.
- Forse il suo Bey è la chiave, se gli chiedessimo di mostrarcelo?- chiese lui risoluto.
- Sappiamo entrambi che Dranzer è in una teca di cristallo nel dojo di Takao, non può avercelo quel ragazzo- ricordò ovvia Elena.
- C’è qualcuno dietro che è molto più grande di te e me e io non permetterò che nostra figlia corra alcun rischio- disse Rei con una serietà che quasi spaventò Elena.
Gli occhi ambrati di suo marito avevano una luce particolare, che non gli aveva mai visto prima.
- Pensi che Lyn sia in pericolo con lui?- chiese sua moglie, nascondendo a malapena la sua ansia.
- Non lo so, ma ho tutto l’intenzione di scoprirlo- rispose Rei, prendendo i vassoi dal piano in marmo della cucina e dirigendosi in sala da pranzo per dar inizio a quella cena.
Elena sospirò e poi seguì suo marito, invitando i ragazzi che chiacchieravano tra loro sul divano, ad accomodarsi a tavola.

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La cena proseguiva tranquilla, anche se l’atmosfera non era per niente rilassata e conviviale come Lyn se l'era immaginata.
Quest’ultima, seduta accanto a Viktor e di fronte ad Elena, si scambiava occhiate complici con sua madre, avvertendo l’imbarazzo palpabile tra tutti i commensali. Soprattutto tra suo padre e Viktor.
Immaginava che tra loro non sarebbe stato di certo amore a prima vista, ma si aspettava quantomeno che i due facessero  un po’ di conversazione. E invece se ne stavano lì ad osservarsi e a studiarsi, Rei soprattutto.
- Allora, Lyn mi dice che sei un blader eccezionale- cominciò Elena rivolgendosi all’ospite, sperando che quel topic di chiacchierata che aveva funzionato per tutta la sua vita le tornasse utile.
- Lascio giudicare ai miei avversari il mio livello, signora, ogni volta che li sconfiggo- rispose lui gentilmente.
- Ti prego, chiamami Elena- disse lei sorridendo.
- Non amo vantarmi, ma mi reputo il miglior blader in circolazione- proseguì Viktor sicuro e Rei si lasciò sfuggire una risatina, seguita da un’occhiataccia di sua figlia e di Viktor stesso che lo guardò socchiudendo gli occhi.
- Scusate, non era mia intenzione ridere e sono sicuro che tu sei molto forte, il fatto è che mi hai ricordato qualcuno che ho conosciuto molto tempo fa- disse Rei guardandolo fisso negli occhi e Viktor riuscì a sostenere quello sguardo così eloquente.
- Doveva essere una persona molto sicura di sé, come me del resto- commentò ammirato il giovane.
- Sai, in realtà era un blader anche lui- azzardò Rei.
- Ottimo, mi piacerebbe sfidarlo- tentò Viktor e l’altro sorrise malinconico.
- Temo non sia possibile. Lui non c’è più, da anni ormai- spiegò il cinese, per poi fare un lungo sorso di vino.
Viktor divenne inspiegabilmente irrequieto a quella notizia, mentre Lyn guardava sua madre confusa, in attesa di avere una qualche spiegazione riguardo quei comportamenti così strani di suo padre.
- Comunque...- riprese Viktor, ignorando volutamente quello che aveva detto Rei per qualche ragione.
- Ho sentito grandi cose anche su di voi, del resto Lyn è molto preparata e immagino lo debba ai suoi genitori- disse il ragazzo sforzandosi di sorridere.
- Ti ringrazio- rispose semplicemente Elena.
- Parteciperai anche tu alle selezioni per i campionati del mondo?- chiese poi la donna curiosa e Viktor scosse la testa sicuro.
- Le gare non mi interessano. So di essere il più forte, perderei solo tempo a misurarmi con avversari inferiori a me- chiarì lui ed Elena rimase impressionata da tutta quella sicurezza, forse troppa.
- Viktor mi allena per vincere, stavolta ho tutta l’intenzione di battere Makoto in finale- si intromise Lyn, in tono determinato.
- A furia di distruggere il tuo Driger e ripararlo, non arriverai molto lontano, tesoro- commentò Rei, versandosi altro vino. Lyn arrossì violentemente.
Suo padre sapeva di tutte quelle volte in cui Driger era stato riparato in quei mesi di allenamento con il russo. Eppure, lei e sua madre avevano fatto di tutto per nasconderglielo, ma Lyn a volte pareva dimenticarsi che Driger era appartenuto a Rei un tempo e costituiva ancora una parte importante del suo essere, per cui conosceva a memoria ogni singolo componente di quel Beyblade.
- Immagino sia il Bey di Viktor a ridurti così ogni volta- continuò Rei e i suoi occhi incontrarono quelli di sua figlia.
- Papà, non prendo pezzi di ricambio da una vita ormai- si difese Lyn, profondamente in imbarazzo.
- In suo favore posso dire che se l’è cavata bene sin dal primo incontro, mi è capitato di fare Bey in mille pezzi molte volte- rispose Viktor, ostentando sempre la sua sicurezza.
- Driger non è come gli altri Beyblade- ribatté Rei, assumendo lo stesso atteggiamento dell’ospite sedutogli di fronte.
- Neanche il mio Black Dranzer lo è- rispose di rimando il giovane russo e Rei sgranò gli occhi come se fosse stato colpito da una freccia dalla punta affilatissima.
Elena abbassò lo sguardo cercando di trattenere un urlo che avrebbe potuto spaccare le delicate porcellane di sua nonna esposte nella credenza lì accanto. Quella situazione così surreale, quasi da sit-com, la stava mandando al manicomio.
- Hai detto...Black Dranzer?- chiese Rei incredulo.
- Sì, è il nome del mio Beyblade, perché c’è qualche problema?- domandò di rimando Viktor, prendendo ad essere quello duro e sfrontato di sempre e Lyn capì che quella cena stava prendendo una piega decisamente negativa.
Rei tirò indietro con forza la sedia e gettò il tovagliolo sul tavolo.
- Vogliate scusarci, Viktor posso parlarti in privato?- chiese l’uomo serio alzandosi in piedi, per poi voltarsi di scatto verso il ragazzo, mentre la sua coda corvina si andava ad appoggiare alla sua spalla seguendo il movimento della testa.
- Certo- Viktor sembrava confuso e Lyn, quando lui si alzò dal tavolo e seguì Rei, guardò sua madre in cagnesco.
- Mi dovete una spiegazione- sibilò la ragazza, livida di rabbia.
- Capisco la gelosia di papà nei miei riguardi, ma così stiamo esagerando!- sbottò lei ed Elena vide lo stesso scintillio dorato negli occhi di Lyn che vedeva quando Rei era arrabbiato. Lo stesso che gli aveva visto poco prima.
La ragazza si alzò da tavola e fece per seguire suo padre e Viktor che si avviavano in cima alle scale, ma Elena la fermò dolcemente per un braccio.
- Tesoro, lasciali parlare, vedrai che tutto andrà per il meglio- la rassicurò Elena.
- Coraggio, torna a sederti- la invitò sua madre e Lyn, rassegnata, tornò al suo posto, mettendosi a braccia conserte e senza rivolgere ulteriormente la parola a sua madre.

 

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Capitolo 27
*** Non Ho Più Paura ***


Capitolo 27:

Rei attraversava il corridoio del piano di sopra di casa sua dando le spalle al suo ospite, che lo seguiva senza fare domande. I passi pesanti e decisi del padrone di casa non erano attutiti neanche dalla delicata moquette beige sul pavimento.
Arrivati di fronte la porta della camera da letto, Rei la aprì e fece cenno a Viktor di seguirlo dentro.
- Devo mostrarti una cosa- disse il cinese serio, dando sempre le spalle al ragazzo, intento a rovistare in uno dei cassetti del comò.
- E voglio che tu mi dica la verità- riprese Rei mentre Viktor stava decisamente per perdere la pazienza. L’aveva mantenuta fin troppo solo per far contenta Lyn, ma suo padre si stava rivelando decisamente più rompicoglioni del previsto, pensò il giovane.
- Senta, non so cosa le abbia raccontato Lyn di me, ma non sono uno che si lascia minacciare- rispose l'altro sentendosi d'un tratto minacciato, stringendo i pugni lungo i fianchi.
- Non ti sto minacciando, ti chiedo solo di essere sincero- rispose Rei e poi si girò verso di lui, mostrandogli una foto.
- Che cos’è?- chiese Viktor mettendosi a braccia conserte, senza neanche posare lo sguardo su quell’istantanea un po’ sgualcita e sicuramente datata.
- Tu dalle un’occhiata- lo esortò il moro con un mezzo sorriso.
Viktor sospirò scocciato e poi afferrò la fotografia dalle mani di Rei e quando ebbe passato in rassegna i volti su quel vecchio scatto, trasalì.
- Ti ricorda qualcosa… Kei?- chiese piano Rei, facendo un enorme fatica a pronunciare quel nome.
Il ragazzo alzò lo sguardo di scatto e Rei poteva giurare di leggere terrore e confusione in quegli occhi purpurei.
- Tu...- mormorò Viktor per poi tornare a guardare quella foto.
Il blader accanto ad un giovane Rei e altri due ragazzi che sorridevano soddisfatti in quella foto lo fissava con un sorrisetto appena accennato e le braccia incrociate sul petto. Era come guardarsi allo specchio.
Viktor si portò una mano alla fronte e strinse gli occhi, preso di colpo da un terribile mal di testa, mentre immagini e voci cominciavano a materializzarsi prepotentemente nella sua mente.
- Che significa?- chiese terrorizzato con la voce rotta.
- Speravo me lo dicessi tu- disse Rei.
- Io… io non so niente, sono così confuso- mormorò Viktor scuotendo la testa e sentendo di non poter più fermare quelle lacrime che da tempo aveva soffocato.
- Va tutto bene- disse Rei, avvicinandosi a lui e abbassandosi per cercare il suo sguardo spaesato.
- Voglio solo sapere come hai fatto a tornare, perché io me lo chiedo da quasi vent’anni come ho potuto farlo- confessò l’uomo dai capelli neri.
- Non lo so, te lo giuro, ma io non sono questo tizio nella foto- disse Viktor, cercando di scacciare quei pensieri confusi che lo tenevano prigioniero e lo allontanavano dal vero sé stesso.
Era come se i ricordi fossero stati messi dietro una porta invalicabile nella sua mente e ora stessero cercando di forzare la serratura per uscire. In quel momento di pura debolezza, capì che probabilmente era meglio continuare a prendere quelle pillole ed essere il burattino di Vorkov, che soffrire ad avere ricordi di una vita che non era stata davvero vissuta. La sua.
- Kei, ascolta...- cominciò Rei calmo, poggiandogli le mani sulle spalle e convincendosi che quello davanti a lui era davvero il suo vecchio amico, esattamente come lo ricordava. Esattamente come lo aveva visto l'ultima volta.
- Non chiamarmi così, non è il mio nome, io mi chiamo Viktor!- replicò agitato lui.
- D’accordo, ma ascoltami bene, ricordi la finale dei mondiali di Beyblade a Mosca? Quando ci hanno scattato questa foto, noi eravamo in squadra insieme e avevamo vinto- disse Rei con un sorriso, capendo che il suo amico aveva dimenticato quella notte. E non solo quella, probabilmente. Mentre ancora si chiedeva come aveva fatto a tornare e soprattutto a restare diciannovenne.
- Fa male- disse Viktor tenendosi la testa tra le mani con voce piena di dolore e cadendo in ginocchio, Rei lo imitò e si mise in ginocchio anche lui.
- Cosa? Chi ti fa del male? Il Team delle Tenebre?- chiese Rei agitato, tentando di capire perché soffrisse così tanto e ponendogli le stesse identiche domande che gli aveva fatto in quella specie di limbo, molti anni prima, senza arrivare comunque a una risposta.
Non sopportava quella vista, era una scena che ancora lo tormentava nei suoi peggiori incubi, vedere uno dei suoi più cari amici star male, eppure ancora una volta, si era trovato a rivivere quel copione.
- I Bit Power, il loro potere… mi consuma- rispose lui a fatica e Rei poté sentire un brivido lungo la schiena, ricordando il dolore che aveva provato nel fondersi con Driger e Vulpilyon nel diventare Bit Power Supremo, ma ad Elena non aveva mai avuto il coraggio di confessarlo, nemmeno a distanza di decenni, per non farla sentire in colpa.
Quella fu la prova che chi si trovava davanti non era Viktor, il ragazzo conosciuto per caso da sua figlia, ma Kei, il suo vecchio compagno di squadra con cui aveva condiviso tantissimi momenti e per la cui scomparsa ancora soffriva profondamente, nonostante fossero passati quasi trent’anni.
- Sta’ calmo- cercò di rassicurarlo il moro, mentre Viktor si teneva la testa tra le mani, il volto una maschera di dolore.
Il ragazzo poteva sentire le voci, i suoni e i colori prendere forma nella sua mente e farsi sempre più chiari, quasi da farlo impazzire per il forte impatto.
Ricordi di tornei vinti, battaglie sofferte e quei quattro stronzetti che erano i suoi compagni di squadra. Che non lo avevano abbandonato nemmeno quando aveva scelto di tradirli, schierandosi con gli avversarsi.
Viktor poté vedere un giovane Yuri Ivanov nella sua mente che gli stringeva la mano e Vorkov che lo ammirava soddisfatto dagli spalti.
Era come se stesse rivivendo tutto in prima persona e la sensazione era inspiegabile.
E poi urla, dolore, gente che fuggiva in preda al panico dallo stadio.
Fuoco.
Ecco il mio Dranzer, fondilo col Dragoon di Takao”
Poteva sentire la sua stessa voce nella sua mente come un’eco lontana.
Lasciatemi fare qualcosa di bello. Non voglio che la gente mi ricordi solo per essere stato uno spregevole traditore”
La voce era sempre più nitida, così come le immagini e lui poteva rivedere quei quattro ragazzi poco meno che ventenni fissarlo con sguardo implorante.
Era come se fosse tornato lì, a quell’esatto momento, rivivendone tutte le sensazioni in modo amplificato.
- Il Bit Power Supremo- riuscì a dire infine Viktor quasi in un mormorio e Rei annuì lentamente.
- Sì, hai sconfitto il Team delle Tenebre col tuo coraggio- disse il cinese, sorridendo malinconico.
E poi il giovane sentì nuovamente dolore, questa volta più forte.
Il freddo, il gelo che si insinuava nelle sue vene facendolo diventare un blocco di ghiaccio.
Deve restare qui finché non avremo trovato il modo di riportarlo indietro”
Quella era la voce di suo padre, l’avrebbe riconosciuta tra mille e Viktor tornò di nuovo con la mente a quel momento. A quei ricordi dolorosi.
Ma signore, la crioconservazione umana è illegale, ci potrebbero essere gravi conseguenze e poi non sappiamo se realmente potrà svegliarsi il ragazzo, ci sono ancora così poche conoscenze nel campo” aveva detto uno scienziato e Viktor sentiva solo freddo, tanto, tantissimo freddo ed era incapace di muoversi o parlare. Intrappolato in una capsula di ghiaccio dove riusciva a malapena a vedere chi ci fosse oltre quella spessa lastra.
Non mi importa niente! Ho smosso mari e monti per riavere il corpo di Kei tutto intero, quindi come ho già detto, finché non riaprirà gli occhi, questo sarà il suo posto”
Signore, la prego, il suo corpo ha subito danni irreparabili, noi…”
NOI CI METTEREMO A LAVORO SUBITO!” aveva urlato suo padre.
E poi i test, le punture, il suo corpo spostato in continuazione e toccato da milioni di mani fredde più delle sue, mani robotiche che penetravano quella capsula in cui era rinchiuso, che lo trattavano come un oggetto, un animale, una cavia da laboratorio.
Ecco perché odiava essere toccato, ora poteva dare una spiegazione a quel suo evitare continuamente i contatti fisici di ogni tipo.
Le immagini si susseguivano ancora, sconquassandogli il cervello.
Il risveglio, la riabilitazione, Yuya che lo aveva voluto come suo allenatore proprio come Lyn e i ricordi che erano diventati ancora più nebbiosi dopo l’incidente, quando aveva provato a scappare.
Rei gli strinse piano una spalla come per consolarlo e rassicurarlo e Viktor si ritrasse di colpo.
- Lasciami! Devo andarmene da qui!- disse in fretta, rimettendosi in piedi e correndo verso le scale a velocità sostenuta.
- Aspetta, dove vai?!- urlò Rei tentando di inseguirlo, spaventato dallo sguardo vacuo che gli aveva visto in faccia.
Quando Lyn ed Elena si accorsero del baccano, corsero prontamente verso l’ingresso dove Viktor si stava dirigendo ad ampie falcate alla porta, tenendo lo sguardo basso e i pugni stretti.
- Viktor, che succede? Dove vai?- chiese la giovane parandosi davanti a lui.
- Lasciami andare Lyn, ti prego- stava supplicando, non lo aveva mai fatto e Lyn capì che qualcosa davvero non andava, se non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi.
- Ma dimmi perché, mio padre ha fatto qualcosa? Ci parlo io, fidati- lo rassicurò lei, ma Viktor scosse velocemente la testa, riuscì a scrollarsi di dosso le mani di Lyn a malo modo e fece per uscire di casa.
La ragazza rimase avvilita di fronte a quella reazione così accesa, ma soprattutto improvvisa. Quel cambio di atteggiamento così repentino in Viktor doveva essere stato scatenato in qualche modo da quella conversazione privata con Rei e quando vide, appunto, suo padre in cima alle scale guardare con aria seria la porta chiusa, Lyn si avvicinò a lui minacciosa.
- Papà, che cosa gli hai fatto?!- chiese stridula, facendo rimbombare la domanda per tutto il salone.
- Lyn, calmati- le intimò sua madre.
- No! Non mi calmo!- urlò lei, perdendo completamente le staffe. Quasi ruggiva.
- Il mio ragazzo è appena scappato in lacrime e agitato, ti sei comportato da stronzo per tutta la cena, voglio sapere cosa gli hai detto per farlo andare via così!- chiese disperata Lyn, guardando suo padre con aria di sfida e Rei, dal canto suo, ci stava mettendo una forza disumana per non piangere e urlare anche lui e mantenere una certa autorità davanti a sua figlia sconvolta.
Stava soffrendo tremendamente, sia per come aveva visto il suo amico, sia per come stava Lyn. E si sentiva in colpa per questo.
- Rispondimi!- urlò Lyn, spintonando suo padre.
- Smettila!- la redarguì Elena con durezza, stringendole leggermente un polso, rendendosi conto per la prima volta in vita sua che stava sgridando sua figlia a malo modo usando anche le mani, cosa che si era promessa di non fare mai.
- Lyn, voglio che tu non veda mai più quel ragazzo, mi hai capito?- disse Rei in tono neutro, continuando a fissare la porta.
- Cosa?!- la ragazza trasalì incredula.
- Mai!- proseguì perentoria.
Rei rimase in silenzio, serrando la mascella.
- Io lo amo, papà, e tu non puoi impedirmi di vederlo- confessò lei con gli occhi arrossati, mentre copiose lacrime le rigavano il volto.
- Lyn...- si intromise con calma Elena.
- No, mamma, mi dispiace, ma vale anche per te!- la interruppe subito la ragazza tra le lacrime, divincolandosi dalla presa di sua madre e dirigendosi verso la porta.
- Lyn, aspetta, dove vai?- chiese Elena d’un tratto agitata.
- Lontano da voi!- urlò e poi recuperò le chiavi del motorino, il giaccone e uscì sbattendo la porta, facendo sobbalzare la donna.
Elena guardò suo marito che era diventato una statua di sale.
- Rei, cosa fai lì? Fermala!- ordinò la donna, indicando verso la porta e lui scosse la testa.
- Lasciala andare- disse piano.
- Cosa?! Ma che dici?! Hai appena detto che non deve vedere Viktor mai più, sarà sicuramente andata a cercarlo!- lo fece ragionare la moglie.
- Spero che lei possa salvarlo, come non ho mai potuto fare io- mormorò Rei e poi si accasciò sulle scale del salone e cominciò a piangere.
Elena fece un respiro profondo e poi si sedette accanto a lui, tentando di calmarlo, ma Rei la strinse forte e pianse tra i suoi lunghi boccoli castani.

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Lyn si mise in sella al suo scooter e partì a tutto gas.
Viktor non poteva essere andato lontano, casa sua era in un posto piuttosto isolato e lui non era pratico della zona.
La ragazza provò a raggiungerlo al cellulare, ma lui non rispondeva, quindi non le restò altro modo che cominciare a chiamarlo a gran voce e, proprio mentre stava per immettersi in una stradina secondaria, cominciò a piovere a dirotto.
- Perfetto! Ci mancava solo questa!- urlò Lyn, costringendosi a rallentare per non slittare con le ruote sull’asfalto bagnato.
- Viktor! Dove sei?!- urlò ancora la ragazza mentre la pioggia sembrava non volerle dare alcuna tregua, ma non si arrese e, seppur a passo d’uomo, continuò a cercare il giovane, aiutandosi col faro dello scooter.
Proprio quando la visibilità era pari allo zero, Lyn scorse una figura in un vicolo stretto e scuro e dai capelli capì che si trattasse proprio di colui che cercava.
Scese di fretta dal mezzo e raggiunse il ragazzo.
- Viktor! Stai bene?- chiese lei andandogli accanto e senza pensarci su troppo, lo abbracciò, mentre entrambi si infradiciavano sotto la pioggia e un tuono in lontananza scuoteva la strada sotto i loro piedi.
Il ragazzo non ricambiò la stretta, se ne stava lì immobile con lo sguardo perso.
- Senti, qualsiasi cosa ti abbia detto mio padre per spaventarti, non dargli retta, io sono dalla tua parte, sempre- lo rassicurò Lyn e le parole gli uscirono fuori a raffica senza rifletterci molto.
- Io non ti lascerò, intesi? Sono qui, con te- continuò ancora lei, vedendo che lui era lì sconvolto e sembrava non curarsi minimamente di quello che lei stava dicendo.
- Viktor, per favore parlami!- lo implorò Lyn, carezzandogli il viso, cosa che non aveva mai osato fare prima di allora.
Lui di tutta risposta chiuse gli occhi, sospirò e quando li riaprì incontrò quelli color miele di Lyn.
- Hey- disse lei, rendendosi conto che Viktor era come tornato in sé.
- Piccola Lyn- disse lui poggiando la sua fronte contro quella della ragazza. Quello sguardo dai riflessi viola era tremendamente dolce e arreso, una piacevole novità seppur in circostanze sfavorevoli e lei, nonostante l'agitazione, si godé quel momento così intimo e inaspettato.
- Portami via, ti prego- disse Viktor in un sussurro, prendendo il viso di Lyn tra le mani e la ragazza annuì velocemente, anche se quella richiesta l’aveva messa parecchio in difficoltà.
- Ok, ok ti porto via, sì- disse Lyn frettolosamente e poi prese Viktor per mano e lo condusse accanto al suo scooter.
- So che hai paura, ma dobbiamo andarcene alla svelta- lo mise al corrente Lyn porgendogli il casco, Viktor sospirò e poi sorrise alla ragazza
- Non ho paura, non più- e quell’affermazione nascondeva molte più cose che la semplice fobia di montare di nuovo su due ruote.
Così, noncuranti della pioggia che stava già via via diminuendo, Lyn si mise alla guida del mezzo con Viktor che le cingeva la vita dietro di lei e partirono senza guardarsi indietro.
Neanche una volta.

 

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Capitolo 28
*** Firestones ***



ATTENZIONE: RANKING CAPITOLO ROSSO

Capitolo 28:

- Avanti-
Un uomo alto, sulla quarantina, con indosso un camice da laboratorio era entrato nel lussuoso ufficio di Vladimir Vorkov, che come al solito era rivolto con la costosa poltrona verso l’ampia vetrata che dava sulla Piazza Rossa di Mosca.
Quella vista lo rilassava e poche altre cose al mondo avevano questo potere sull’animo oscuro del magnate russo, ed era per quel particolare motivo che aveva preteso l’ubicazione del suo ufficio in una posizione favorevole alla vista della nota piazza cittadina.
- Mio signore, mi dispiace interromperla, ma devo informarla di una cosa di vitale importanza- disse l’uomo, con una certa urgenza nel tono della voce.
- Non può aspettare?- chiese Vorkov, alzando gli occhi e facendo roteare nell’altra mano il bicchiere di whiskey di malto sapientemente invecchiato.
- Non credo, mio signore- rispose l’altro, cercando di mascherare la preoccupazione.
- Ebbene?- domandò quindi Vorkov mostrando il minimo interesse, senza neanche voltarsi.
- Il nostro contatto italiano mi ha chiamato, hanno trovato queste in camera di suo figlio- cominciò l’uomo e Vorkov fu costretto a girarsi per controllare di cosa parlasse quello scocciatore. Riconobbe subito le pillole rosse che aveva dato lui stesso a Viktor prima di partire.
- Dì al nostro amico che deve informarsi meglio, quelle sono le pillole che prende ogni giorno dall’incidente- disse ovvio Vladimir, continuando a far ondeggiare il contenuto ambrato nel bicchiere.
- Questo lo so, signore, e lo sa anche il nostro incaricato, il fatto è che l’albergo ha dovuto chiamare una ditta di spurgo per un guasto e queste erano tutte nel condotto fognario- confessò il collaboratore della Borg e Vorkov smise di far girare il whiskey nel bicchiere, posando gli occhi sull’uomo che si mise prontamente dritto, quasi sull’attenti
- Ne sei assolutamente sicuro?- chiese piano, dopo qualche secondo.
- Sicurissimo, mio signore- si affrettò a rispondere l’altro e in quel momento un altro uomo bussò alla porta già aperta dell’ufficio.
- Posso?- chiese con un mezzo sorriso il nuovo arrivato dai capelli rossi con qualche filo argentato qui e là e gli occhi talmente chiari da sembrare quasi di ghiaccio.
- Dì a quelli a Roma di tenere Viktor sotto stretto controllo a partire da adesso- ordinò Vorkov posando il delicato bicchiere di cristallo sulla scrivania.
- Voglio sapere qualunque movimento, con chi è, cosa fa e, soprattutto, assicuratevi che prenda quelle pillole, anche se sarete costretti a legarlo per fargliele ingoiare a forza, intesi?- disse con calma l’uomo, una calma che avrebbe fatto tremare chiunque.
- Sissignore- rispose il biondo e poi con un breve inchino si congedò.
- Problemi in Paradiso?- chiese sarcastico Yuri avvicinandosi piano alla scrivania, una volta rimasto solo con Vorkov.
- Niente che non si possa facilmente risolvere- liquidò la faccenda il capo, afferrando nuovamente il bicchiere e riaccomodandosi sulla poltrona.
- Con tutto il dovuto rispetto, mio signore, ma è mio dovere ricordarle che il ragazzo è una mina vagante- esordì il rosso in tono mellifluo, mentre Vorkov prendeva a gustarsi il digestivo alcolico.
- Non è la prima volta che ci tradisce e non sarà nemmeno l’ultima, a meno che non gli mettiamo un freno una volta per tutte, mio figlio potrebbe aver fallito su vostra richiesta una volta, ma alla seconda mi assicurerò che vada fino in fondo- suggerì Yuri, alludendo all’incidente di qualche mese prima.
- Ho fiducia in lui, nonostante tutto- disse l’uomo più anziano, stravaccandosi sulla sua poltrona e facendo schioccare a lingua per assaporare il whiskey.
- Lui è l’unico in grado di controllare Black Dranzer e mi accerterò che porti a termine la missione che gli ho affidato personalmente. Puoi dire a tuo figlio di stare pure comodo- disse Vorkov con un sorrisetto.
- Mio signore, con tutto il rispetto...- riprese Yuri.
- Basta! Ti consiglio di preparare i bagagli, invece di contraddirmi- lo interruppe bruscamente il capo.
- Raduna Boris e Sergeij. Voglio il jet pronto entro un paio d’ore. È giunto il momento di raggiungere mio figlio a Roma- annunciò Vorkov, vuotando il bicchiere in un sorso.
E Yuri, rassegnato, si mise agli ordini e quando il rosso uscì dall’ufficio, Vorkov afferrò lo stesso bicchiere e lo gettò con forza nel camino acceso, facendo avvampare ancora di più il fuoco, mentre i pezzi di vetro si mischiavano tra la cenere.


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A Lyn sembrava di stare guidando da una settimana e, in effetti, senza avere una meta precisa in cui andare avrebbero potuto viaggiare anche per mesi, se non fosse stato per il serbatoio quasi a secco.
- Dobbiamo fermarci- avvisò Lyn.
- Troviamo un posto per la notte, non è sicuro viaggiare al buio- suggerì Viktor, cercando di sovrastare il rumore del motorino.
- Hai ragione, mi fermerò non appena avremo trovato un luogo per ripararci- disse Lyn e lui annuì, tenendosi sempre stretto alla vita di lei.
La ragazza si guardò intorno e vide il mare oltre il guard rail della superstrada che aveva imboccato qualche ora prima senza pensarci su poi troppo e si ricordò che era nei pressi di un luogo che aveva visitato spesso insieme a Judy e dove adoravano sempre giocare alle principesse da piccole.
Ma certo, pensò lei, se sono entrata in quel casale abbandonato una volta insieme a Judy, potrò farlo ancora.
- Viktor, reggiti, siamo quasi arrivati- avvisò Lyn e diede ancora gas, sperando che il suo adorato scooter reggesse ancora un altro po’. Si fermarono ai piedi dell’imponente costruzione risalente come minimo al Settecento e Lyn ringraziò mentalmente il suo motorino per averla portata sino a destinazione.
- Sai, avrei potuto prendere una stanza d’albergo, sarebbe bastata- osservò Viktor scendendo dal motorino e togliendosi il casco, prendendo poi ad osservare la facciata ricoperta di edera di quell'edificio con una smorfia.
- E’ il primo posto che mi è venuto in mente- confessò Lyn, mettendo il cavalletto al suo mezzo.
- Andiamo, vieni, conosco un modo per entrare- lo invitò la giovane prendendolo per mano e Viktor, per la prima volta in vita sua, si sentì di farsi trascinare in qualcosa di stupido senza fare troppe domande.
Si avviarono verso una scalinata malmessa per arrivare poi dinanzi a delle finestre di vetro molto vecchie.
- Stai indietro- disse Viktor e poi col gomito ruppe una delle finestre, per riuscire ad aprirla da fuori.
- Via libera- annunciò lui e fece entrare la ragazza per prima, seguendola subito dopo.
All’interno il luogo era buio e umido, così i due accesero le torce dei cellulari per fare luce, scorgendo un’antica camera con delle coperte impolverate e un letto vecchio almeno di cento anni, ridotto a qualche pezzo di legno e una rete sgangherata.
- Carino e molto confortevole- disse ironico Viktor.
- Immagino tu non abbia mai commesso una bravata- lo stuzzicò divertita Lyn, avviandosi verso un vecchio scrittoio su cui c’erano un paio di candele e aiutandosi con l’accendino rubato a Judy quell’estate per fumare di nascosto, le accese, regalando all’atmosfera un tenue calore.
- Direi che di bravate ne ho commesse fin troppe- si sentì di dire lui e Lyn poi gli andò accanto.
- Vuoi parlarmi di cosa è successo con mio padre?- chiese la ragazza, guardandolo dritto negli occhi, ma Viktor si irrigidì impercettibilmente e poi scosse la testa.
- Preferisco di no, non voglio pensarci- rispose lui abbassando lo sguardo, ricordando la sensazione strana e orribile che aveva provato qualche ora prima, quando quelle immagini avevano prepotentemente invaso la sua mente.
Ciò che aveva vissuto e di cui era stato privato.
- D’accordo, non ti forzerò- lo rassicurò la ragazza.
- Allora, tento di sistemare il letto così possiamo riposare un po’- propose lei, cercando di dare alla voce un tono allegro.
- Ti do una mano, aspetta- disse Viktor, prendendo quelle coperte logore e cercando di togliere via la polvere in eccesso.
- Sua maestà poteva scegliere tra i migliori alberghi di Roma, se solo avesse chiesto- cominciò lui in tono sarcastico, mentre metteva le coperte sul letto.
- Lo so, ma mi piace qui, al contrario di quello che si può pensare- rispose Lyn di rimando, afferrando un lembo di stoffa e cercando di posizionre la coperta nel modo più ordinato possibile.
- Mi dispiace tanto- disse Viktor dopo qualche secondo e Lyn poteva giurare di non averlo mai visto così remissivo. Anzi, quell’atteggiamento di Viktor la metteva in uno stato di allerta incredibile.
- Per cosa?- chiese lei.
- Tutto. Tu meriti di meglio- disse lui alzando lo sguardo e Lyn piegò la testa di lato, mentre si prendeva qualche istante per osservare quei lineamenti bellissimi, duri, ma profondamente dolci dietro quell’espressione di marmo. Quegli occhi così particolari, che l’avevano colpita sin dal primo istante, la stavano scrutando chiedendo perdono e Lyn non poteva sopportare oltre.
- Hey, ascolta, io non merito nulla di più di quello che non abbia già. Tu sei tutto quello che voglio, ok?- disse lei sedendosi sul letto accanto a lui e allungando una mano per accarezzargli il viso.
- Ecco, l’ho fatto di nuovo e tu non ti sei ritratto- osservò lei abbozzando un sorriso, mentre lui si godeva ad occhi chiusi il tocco gentile della giovane.
Quando Viktor riaprì gli occhi continuando a guardare Lyn che gli accarezzava dolcemente la guancia e poi gli sfiorava il collo, pensò che non aveva mai avuto occasione di innamorarsi nella sua vita.
Tra tutto ciò che gli era stato negato nella sua vita precedente e quello di cui Vorkov lo aveva privato in questa, l’amore era decisamente in cima alla lista. Non aveva mai conosciuto nessuna come Lyn, capace di andare oltre la sua gelida corazza di ghiaccio intorno a quello scherzo della natura che gli batteva nel petto. Lei era speciale e col suo bacio aveva rotto l’incantesimo che lo aveva trasformato in Bestia, facendolo tornare Principe.
(https://www.youtube.com/watch?v=HlugmxQ-W1k COLONNA SONORA)
Senza dire una parola, Viktor le avvicinò il viso al suo e la baciò, prima con dolcezza, poi premette più forte le labbra contro quelle di lei che subito schiuse le sue per lasciare che le loro lingue si intrecciassero fameliche.
Lyn si lasciò cullare dalle sue braccia, via via che il bacio aumentava d’intensità e convinta che ormai Viktor non le avesse più impedito di toccarlo, insinuò le mani nei suoi capelli per tenerlo ancorato a sé mentre le quel bacio li lasciava sempre più senza fiato.
La ragazza si mise a cavalcioni su di lui continuando a baciarlo e lui le accarezzava la schiena, procurandole dei brividi di piacere, finché sentì il tocco freddo e conosciuto della sua dita insinuarsi sotto il maglione, arrivando all’apertura del reggiseno. Lei lo strinse ancora più forte, in un muto invito a continuare a spogliarla, così Viktor non attendendo oltre sollevò il maglioncino di Lyn e glielo sfilò dalla testa, liberandola poi anche dall’intimo nella parte superiore del corpo. La ragazza arrossì un po’ imbarazzata, rendendosi conto che era la prima volta che si mostrava nuda davanti ad un ragazzo e lui per rassicurarla, le sorrise, le accarezzò i capelli e la strinse a sé catturando ancora la sua bocca, con desiderio.
Lyn fece lo stesso con lui, togliendogli il maglione e si prese qualche istante per ammirare il corpo perfetto e scolpito di Viktor e, con esitazione, avvicinò una mano ai suoi pettorali per sfiorarglieli. Il ragazzo chiuse gli occhi e li strinse, non appena la mano di Lyn entrò in contatto con la sua pelle.
- Stai bene?- chiese lei in un sussurro.
Viktor sospirò pesantemente quando Lyn si fermò proprio con la mano all’altezza del cuore.
- Cosa c’è?- chiese lui quasi spaventato.
- Batte forte- disse lei con un sorriso pieno di tenerezza.
- Proprio come il mio, senti- proseguì, prendendogli la mano e portandosela all’altezza del cuore e Viktor poté sentire esattamente ciò che Lyn sentiva.
Il cuore martellare all’impazzata dall’emozione.
I due si scambiarono un sorriso meraviglioso, forse quella era la prima volta che Lyn vedeva Viktor sorridere davvero e poi presero a baciarsi nuovamente.
Il giovane fece scivolare Lyn sotto di sé e le leccò il labbro inferiore, cominciando poi a scendere sul collo, sulla clavicola e poi sul seno. La ragazza si morse il labbro, sentendo il piacere travolgerla come un fiume in piena, mentre lui baciava, mordeva e leccava i suoi capezzoli inturgiditi.
Quando erano ormai completamente nudi e Lyn era intrappolata sotto il corpo di Viktor, persa tra i suoi baci inebrianti, poteva sentire concretamente il desiderio di lui di averla col membro indurito che si strusciava contro il suo clitoride, provocandole brividi di piacere incontrollabili. Lyn riacquistò per un attimo lucidità e sentì che doveva essere sincera con Viktor e voleva che sapesse tutto.
- Aspetta- gli disse in un sussurro.
Viktor si fermò e la osservò, tenendosi sulle braccia.
Quelle due gemme color ametista avevano il potere di sciogliere quelle poche certezze che Lyn si era costruita nella sua breve vita.
- Viktor io… non l’ho mai fatto prima- ammise imbarazzata lei e il ragazzo, di tutta risposta la baciò ancora, questa volta in modo più dolce e tenero.
- Nemmeno io- confessò inaspettatamente lui contro le sue labbra, tenendo gli occhi chiusi e Lyn, nonostante la sorpresa iniziale, mandò mentalmente al diavolo tutte le idee che si era fatta sulla prima volta da film e pensò che non poteva essere meglio di come la stava per vivere. Con il ragazzo che amava, colui che aveva compiuto sforzi sovrumani per dimostrarle qualcosa, che le aveva dato prova di tenere a lei allo stesso modo, già solo per il semplice fatto che si era lasciato toccare solo da lei.
Viktor cercò di mettere Lyn a suo agio più possibile, tenendola stretta a sé e accarezzandola, cominciando poi a tastare piano la sua apertura con le dita e quando sentì che era abbastanza umida, infilò un dito dentro di lei, facendola leggermente sussultare e dandole il tempo di abituarsi a quelle sensazioni, proseguendo così finché non sentì che era pronta.
- Non farmi male- lo avvertì Lyn sottovoce con un sorrisetto, quando Viktor posizionò la punta del suo pene all’ingresso della vagina della ragazza.
- Ti faccio male abbastanza già a Beyblade- disse lui con lo stesso sorrisetto e poi iniziò a insinuarsi piano dentro di lei, fermandosi quando sentiva che Lyn si irrigidiva e riprendendo non appena si rilassava.
Quando la giovane avvertì un lieve bruciore, che la costrinse a piegare le ginocchia, si avvinghiò a Viktor con tutte le sue forze e chiuse gli occhi.
- Ci sono- le sussurrò lui all’orecchio.
- Tu stai bene? Senti dolore?- chiese lui, mostrandosi dolcissimo. Lyn annuì velocemente, godendosi finalmente la sensazione di completezza che le dava l’avere Viktor completamente dentro di sé.
Essere una sola persona.
Così Viktor cominciò a spingersi lentamente dentro di lei e superato il momento di iniziale impaccio, i due si lasciarono andare del tutto, dandosi l’uno all’altra senza riserve.
Lyn ricordava di quando Judy le aveva raccontato della sua prima volta, con un tizio che nemmeno conosceva, solo perché aveva perso una scommessa e ci dovette andare per forza a letto.
Giurò a sé stessa che avrebbe fatto l’amore solo quando sarebbe stata sicura e soprattutto quando si sarebbe innamorata di qualcuno e ora lì, in quel letto improvvisato, tra le braccia di Viktor e pensava che la magia che aveva sempre sperato di provare si era praticamente materializzata in quel rudere dove amava giocare da bambina.
Viktor la stava amando in un modo che non credeva umanamente possibile e mentre lui aumentava l’intensità delle spinte, Lyn penso che non si sarebbe mai più sentita così, così completa, così su di giri, così appagata, arrivando addirittura all’orgasmo e lui, dopo qualche secondo, uscì di fretta dal suo corpo, riversandosi sul suo ventre.
Dopo che la ragazza si era ripulita, tornò accanto a Viktor e si strinse a lui respirando il suo profumo.
Lui era particolarmente pensieroso, lo sguardo tenero e arrendevole che gli aveva visto sul viso per tutta la durata del rapporto, aveva lasciato nuovamente spazio a quello cupo e freddo di sempre e, nonostante la tenesse stretta a sé con dolcezza, Lyn aveva imparato a sue spese che quell’espressione voleva dire che era con la testa da un’altra parte.
Così senza fare domande, si accoccolò sul suo petto, cercando di addormentarsi.

 

 

 

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Capitolo 29
*** Verità Svelate ***


Capitolo 29:

Quando la ragazza si svegliò non era neanche l’alba e vide che Viktor non era più accanto a sé. Lo chiamò, con la voce impastata dal sonno e lui apparve poggiandosi allo stipite della porta, con indosso solo i boxer. Nonostante Lyn fosse pienamente soddisfatta della notte appena trascorsa, l’immagine di Viktor seminudo di fronte a lei la fece eccitare nuovamente, ma riuscì a calmare i bollenti spiriti.
- Perché ti sei alzato? È prestissimo- disse, vedendo sull’orologio da polso che non erano nemmeno le cinque.
- Lo sai- replicò lui, abbozzando un breve sorriso.
- Ancora incubi?- chiese Lyn, mentre lui tornava a sdraiarsi accanto a lei, che si rese conto con imbarazzo di essere ancora nuda sotto la coperta.
- In realtà no- la rassicurò.
- Solo tanti pensieri- riprese, mettendosi un braccio dietro la testa e osservando il soffitto.
- Senti, so che non vuoi parlarne e non hai mai voluto dirmi molto su di te- cominciò Lyn, prendendo inspiegabilmente coraggio.
- Ma io ti amo e voglio che tu sappia che qualunque cosa mi dirai io non cambierò mai idea- disse lei e Viktor la osservò con gli occhi languidi e un sorriso dolce stampato sulla faccia, ma dietro quel sorriso c’era una sorta di indicibile malinconia. Una cosa che Lyn dietro quegli occhi così magnetici quanto enigmatici aveva sempre scorto.
- Non mi aspetto che tu mi risponda- aggiunse la ragazza dopo qualche attimo di silenzio, ravviandosi imbarazzata una ciocca corvina, quando capì che lui non le avrebbe detto la stessa cosa, almeno non in quel momento. Non aveva necessariamente bisogno di sentirselo dire, aveva capito benissimo quella notte che Viktor la ricambiava.
Nel modo più intimo e profondo possibile.
- Non è questo- cercò di difendersi Viktor.
- Io ci tengo a te, lo giuro, è solo che probabilmente non potrai mantenere la promessa che mi hai appena fatto- disse lui mesto, mettendosi seduto e dandole le spalle, mentre guardava fuori dalla finestra.
Viktor era arrabbiato. Più del solito. Ce l'aveva sempre avuta col mondo e con il prossimo, ma in quel momento realizzò che poteva prendersela solo con sé stesso.
- Che intendi?- chiese Lyn, drizzandosi a sedere anche lei.
- Potresti cambiare idea su di me- disse lui dopo un lungo sospiro.
Viktor aveva riflettuto durante quelle ore in cui era stato sveglio accanto a Lyn, dopo aver fatto l’amore con lei. Quelle ore così cariche di sensazioni nuove, sconosciute, un territorio totalmente inesplorato per il suo essere.
Però se voleva cambiare davvero, come aveva giurato a sé stesso di fare, doveva compiere l’ultimo tremendo atto per liberarsi completamente dalle sue ombre del passato.
Quella ragazza non meritava di soffrire e, ora che aveva riavuto indietro i suoi ricordi e l’effetto di quei farmaci non potevano più soggiogarlo, Viktor si sentiva moralmente da schifo, soprattutto per come aveva trattato il suo amico Rei.
Ricordava finalmente il profondo legame d’amicizia che in passato aveva unito lui, Rei, Takao, Max e il Professor Kappa. Si era addirittura ricordato di quando li aveva traditi e poi loro lo avevano accolto nuovamente in squadra, dopo averlo sconfitto sul lago Bajkal proprio con il Black Dranzer.
Viktor ricordava tutto e proprio perché aveva voluto bene a Rei e, ora si era inspiegabilmente innamorato di sua figlia, doveva raccontare tutta la verità.
Lyn meritava di sapere.
Dopo un lungo sospiro, il ragazzo cominciò a parlare.
- Io ti ho mentito- disse duro, più a sé stesso che a lei.
- Beh, se ti riferisci al fatto che eri vergine, non me la sono bevuta, ci sai fare troppo bene- ammise Lyn arrossendo violentemente.
- No, su questo no- si affrettò ad informarla lui, scuotendo la testa.
- Ma su tutto il resto sì, ti chiedo perdono già da ora per quello che ti dirò, Lyn- disse lui, girandosi verso di lei e prendendole le mani. Lyn a quel punto sgranò gli occhi e, vedendo che lui stava iniziando ad agitarsi, non poté fare a meno di assumere il suo stesso atteggiamento.
- Viktor, così mi spaventi, cos’è che vuoi dirmi?- chiese cauta, tenendo ancora le mani strette alle sue e lui sospirò arreso.
- Ecco, partirei proprio da qui. Io non mi chiamo Viktor Vorkov, è un nome che mi hanno dato per copertura, più o meno- cominciò lui.
Lyn era abbastanza confusa, ma lo lasciò continuare, limitandosi ad inarcare le sopracciglia con stupore.
- Ok, allora, come ti chiami?- chiese lei, sentendosi decisamente stupida a porre quella domanda.
- Il mio nome è Kei Hiwatari- confessò lui, inchiodandola con lo sguardo.
La ragazza sbatté le palpebre più volte, poi ritrasse lentamente le mani, mentre lui le lanciava uno sguardo supplichevole.
- Kei… Hiwatari- mormorò Lyn, completamente in balia dell'incredulità. E poi deglutì a vuoto, ricordando di quando suo padre le aveva raccontato la storia degli invincibili Bladebreakers, i campioni del mondo a squadre di Beyblade e, soprattutto, cosa era successo loro una notte di una finale in Russia. Soprattutto ad uno di loro...
- Non puoi essere tu… tu sei il blader che è morto contro il Team delle Tenebre diventando il Bit Power Supremo di Takao- cominciò la giovane dai capelli corvini, balbettando.
- Tu… tu… dovresti essere morto da quasi trent’anni e se non lo fossi dovresti avere almeno l’età di mio papà, perché eri in squadra con lui e i miei zii, voi eravate i Bladebreakers, oh mio Dio, credo di avere una crisi di coscienza!- disse Lyn, mentre le parole le uscivano tutte fuori come colpi da un mitra, per poi appoggiarsi con la testa tra le mani.
- Lyn, ti prego, lascia che ti spieghi tutto- tentò lui.
- Mio padre lo sa? Si da la colpa da tutta la vita per quello che ti è successo!- continuò lei nel panico.
- E io l’ho trattato di merda! Oddio, sono una persona orribile!- proseguì, mettendosi una mano davanti alla bocca, scioccata, ricordando il modo in cui era fuggita da casa e gli sguardi supplichevoli dei suoi genitori prima che sbattesse la porta e se ne andasse.
- Rei lo ha capito ieri quando mi ha visto e, qualcosa si è smosso in me quando ho rivisto lui, come se si fosse rimessa in moto la mia vita, esattamente dove l’avevo lasciata. I miei ricordi, tutti i miei ricordi mi appartengono di nuovo...- disse lui tentando di calmare la ragazza, ma lei si agitò ulteriormente, alla disperata ricerca di una spiegazione logica a quella faccenda.
- Per favore, Lyn, se davvero è amore quello che provi per me, dammi la possibilità di spiegarti- provò ancora lui e la ragazza, sospirando profondamente e cercando di scacciare quella sensazione di nausea orribile che le aveva intrappolato lo stomaco, lo lasciò parlare.
- Suppongo tu conosca la storia della finale dei mondiali di ventisette anni fa?- riprese lui e Lyn annuì.
- Mi è stata raccontata talmente tante di quelle volte che è come se l’avessi vissuta- si sentì di aggiungere lei.
- Sai cosa è successo a Kei… cosa mi è successo- rispose lui correggendosi.
Lyn annuì di nuovo, ma più lentamente, dando la possibilità al giovane di spiegarsi e liberarsi di tutti quei terribili segreti che da anni si portava dietro.

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Lyn era fuori di casa da due giorni ormai e Rei ed Elena erano svegli da quarantott’ore cercando di capire dove fosse la loro figlia.
Quando la terribile possibilità che non sarebbe tornata tanto presto a casa si fece concreta, Elena telefonò disperata a Hilary ed Emily che saltarono sul primo aereo diretto a Roma, sperando che la figlia di Max, nonché migliore amica di Lyn, riuscisse a farla ragionare come aveva sempre fatto.
Arrivati a casa Tornatore, Hilary si mise subito all’opera per prendersi cura di Elena che era visibilmente provata e stanca, ricordandole che doveva pensare non solo alla figlia fuori di casa ma anche a quello che cresceva dentro di lei.
Takao, Max e il Professore, invece, tentavano di sdrammatizzare per tirare su il morale a Rei, che somigliava a una tigre nervosa chiusa in una gabbia.
- Fare una bravata è capitato a tutti. Nonno Jay mi ha spaccato un sacco di spade di legno addosso quando non tornavo a casa per cena e voi ne siete stati testimoni- ironizzò Takao, cercando di alleggerire l’atmosfera pesante che aleggiava nella villa barocca, beccandosi di tutta risposta un’occhiataccia di sua moglie, mentre i ragazzi se ne stavano con i cellulari in mano e lo sguardo sperso, ad aspettare che Lyn rispondesse ai loro messaggi e desse segni di vita.
In particolare Makoto era quello più preoccupato di tutti.
Solo quando si riunirono in salone il giorno successivo, dopo pranzo, Rei ebbe il coraggio di confessare ai suoi amici ciò che era realmente successo.
- Ragazzi, vi ho fatto venire qui per un altro motivo- esordì il cinese, attirando l’attenzione di tutti i presenti su di sé.
- Non mi preoccupa solo il fatto che Lyn sia fuori di casa da due giorni, ma è con chi il problema- disse Rei.
- Aspetta zio, non è scappata insieme a quel Viktor?- chiese stranito Makoto, alzando per un attimo gli occhi dal telefono, il cui schermo restava tristemente nero.
- Sì… se solo lui si chiamasse Viktor e fosse realmente chi dice di essere- continuò il moro, aggrottando la fronte.
- Rei, che stai cercando di dirci? Hai saputo qualcosa di losco riguardo il ragazzo che frequenta Lyn?- domandò Max alzando un sopracciglio.
- Se lo sappiamo, che ci facciamo ancora qui con le mani in mano?- domandò alterato il primogenito dei Kinomiya.
- Questa storia non mi piace- osservò Takao scambiandosi un’occhiata col biondo americano e poi riportarono entrambi lo sguardo su Rei seduto di fronte a loro.
- Sto per dirvi una cosa, che non ho mai detto a nessuno, Elena lo ha saputo soltanto poco prima che Lyn se ne andasse- cominciò l’uomo dai capelli scuri, dopo un respiro profondo.
- Prima di tornare in vita, prima che il Prof mi trovasse al PPB quella mattina, io ho visto Kei- disse piano Rei, fermandosi subito dopo per dare il tempo agli amici di elaborare la notizia.
- Sarà stato frutto della tua immaginazione, vagavi in una dimensione sconosciuta- si affrettò ad aggiungere il prof, ovvio.
- Lo credevo anche io, finché lui non mi ha detto che qualcuno stava cercando di fargli del male e voleva servirsi di lui per qualcosa di oscuro- proseguì Rei, duro.
Takao digrignò i denti dalla stizza e assunse lo stesso atteggiamento di suo figlio. Nervoso ed irrequieto.
- Rei, perché ce lo stai dicendo adesso, che succede?- chiese in ansia l’ex capitano dei Bladebreakers.
Tutti erano in attesa che l’uomo dicesse qualcosa e, facendo appello a tutta la forza d’animo a sua disposizione e nel tentativo di non risultare un povero pazzo agli occhi dei suoi più cari amici, confessò ciò che sapeva.
- Il ragazzo di Lyn, Viktor- disse lui con una smorfia sarcastica.
- E’ in realtà Kei- concluse.
- Tu bevi decisamente troppo saké al ristorante- commentò Hilary, riprendendo a girare il thè nella tazzina.
- Amico, dai, è impossibile, lo abbiamo visto trasformarsi in Bit Power Supremo sotto i nostri occhi e combattere contro il Team delle Tenebre- disse tranquillo Takao.
- Right, that’s impossible- riprese Max.
- Certo, se solo non aveste visto anche me diventare un Bit Power Supremo e battermi contro quei mostri alla stessa maniera, eppure eccomi qui, mi pare- ribatté Rei mentre i suoi occhi ambrati passavnoa in rassegna tutti i presenti, che abbassarono gli sguardi all’istante.
- Una cosa non mi spiego...- disse Judy alzandosi in piedi.
- Lyn mi ha parlato di lui come un ragazzo di diciannove anni, lo ha conosciuto mentre era in coma a Mosca-
Lo sguardo di Rei saettò subito a Judy.
- In coma? A Mosca?- domandò piano. La ragazza annuì e Rei si scambiò un’occhiata complice con Elena.
- Un ospedale- cominciò lui ovvio.
- Proprio come quello dove ho visto Kei in quell’assurda dimensione- confermò il cinese.
- Judy, honey, cos’altro sai?- chiese Max, allungando la testa verso sua figlia in piedi al centro del salone.
A quel punto la giovane prese a camminare e si diresse alla vetrata della zona living della villa, con le braccia conserte, intenta a ricordare.
- Non molto, non ho mai trovato nulla su di lui, ma se è Kei Hiwatari, come sostiene di essere, non dovrebbe avere, che so? Circa quarantasette anni, azzarderei?- chiese Judy inarcando talmente tanto le sopracciglia da farsele arrivare quasi all’attaccatura dei capelli.
- Ibernazione- la voce di Emily interruppe tutti e lo sguardo dei presenti si spostò velocemente da Judy a sua madre, seduta sul bracciolo del divano.
Emily si sistemò meglio gli occhiali sul naso con fare risoluto, prima di riprendere la parola.
- Ma è illegale in ogni paese del mondo- mormorò il Professor Kappa sottovoce alla collega scienziata.
- Non in alcune parti della Russia a quanto pare e non se sai nascondere bene le tue tracce- rispose lei.
- So che l’URSS praticava esperimenti già dalla prima metà degli anni Ottanta, con scarsi risultati- proseguì la rossa.
- Con un grosso capitale a disposizione per gli investimenti in laboratori di genetica e fisica e l’avanzamento delle scoperte in campo medico, credo siano riusciti ad ottenere quello che volevano: conservare perfettamente un essere umano, fino alla sua completa ristabilizzazzione- concluse Emily.
- Mi mette i brividi solo a pensarci- disse nervoso Takao.
- D’accordo, mettiamo il caso fosse vero, ma chi avrebbe mai potuto voler conservare un blader adolescente in fin di vita e soprattutto, perché?- chiese Elena, riuscendo a proferire parola dopo un tempo che le sembrò infinito.
- Forse ci avevano provato per sconfiggere i blader della Morte al loro ritorno, visto che solo Kei ci era riuscito- osservò ovvio David.
- Sì, ma Elena ce l’ha fatta più di quindici anni fa e il ragazzo ha detto di avere diciannove anni- commentò il Professore grattandosi il mento.
- Se fosse lui e questo è un grande “se”, deve essere “sveglio” da pochissimo e soprattutto molto confuso- aggiunse lo scienziato.
- Lo ricongelano a piacimento, è possibile?- chiese disgustata Hilary, voltandosi verso Emily che scosse la testa convinta.
- Si può fare una sola volta, ibernarsi equivale a morire, tutte le funzioni motorie e cerebrali sono disattivate per un tempo più o meno lungo- spiegò la rossa.
- E’ come scongelare una bistecca, devi cucinarla entro quel giorno, non puoi rimetterla nel freezer una seconda volta- spiegò ad Hilary, usando una metafora culinaria per renderle il concetto più chiaro.
- Che orrore!- si limitò a commentare la moglie di Takao.
- Conosco una sola organizzazione in tutto il mondo, a parte il PPB, che ha i soldi e i laboratori necessari per un esperimento di tale portata- esordì il prof meditabondo.
- Pensavo anche io la stessa cosa- aggiunse Max, girandosi in direzione di sua moglie e del Professore.
- La Borg- sibilò Takao tra i denti e tutti annuirono.
- Con la partecipazione straordinaria di Vladimir Vorkov- concluse Rei nervoso.
- Aspetta, hai detto Vorkov?- chiese stranita Judy ai presenti.
- Lyn mi disse essere il suo cognome quando mi chiese di cercare informazioni. Viktor Vorkov- confermò la ragazza e tutti si scambiarono un’occhiata preoccupata.
- Per questo non hai mai trovato nulla sul suo conto. Questa persona tecnicamente non esiste- convenne Makoto.
- Ragazzi, ora siamo davvero nei guai- commentò Max.
- Non posso crederci, quel bastardo figlio di puttana è tornato solo per rovinarci la vita!- disse Takao balzando in piedi. Avrebbe avuto voglia di prendere a calci qualcosa, o qualcuno...
- E quel che è peggio è che in questi trent’anni ha riempito d’odio e bugie la testa di Kei, è terribile- disse Elena.
- Già e non sappiamo quale sia il motivo, ma Vorkov non è decisamente una persona pacifica, abbiamo già avuto a che fare con lui in passato, è capace di tutto- disse Max, aggrottando la fronte, preoccupato.
- Cosa facciamo?- chiese in ansia il prof e in quel momento squillò il cellulare di Rei poggiato sul tavolino basso davanti a sé.
L’uomo lo agguantò con uno scatto tipicamente felino e senza controllare il numero sul display, rispose.
- Lyn- disse agitato, convinto di sentire la voce della sua bambina dall’altro capo del telefono.
- Sta’ calmo, tigre, tua figlia sta benissimo, credo- la voce melliflua dell’interlocutore, fece venire a Rei i brividi. Era esattamente come la ricordava.
- Vorkov- mormorò il cinese quasi senza fiato.
- Quanto tempo, ragazzo mio, come te la passi? Sono nel tuo ristorante, devo ammettere che si mangia divinamente- la voce fastidiosamente gentile di quell’uomo aveva provocato a Rei un attacco di nausea.
- Sei a Roma?- chiese piano, mentre metteva il vivavoce per dare modo a tutti di ascoltare.
- Sì, sono qui per un viaggetto d’affari, niente di che- rispose vago.
- Ridammi mia figlia e prometto che non ti faremo del male- disse Rei, con malcelata minaccia.
- Oh, per favore, siamo tra gentiluomini, non usiamo toni minacciosi, suvvia- replicò lui, sempre con lo stesso tono pacato.
- Che cosa vuoi allora?- riprese il moro, incapace di calmarsi e iniziando decisamente a perdere la pazienza.
- Volevo fare semplicemente quattro chiacchiere con te e gli altri campioni, una piccola reunion, se può farti piacere metterla in questi termini- cominciò Vorkov accattivante.
- E farvi una proposta, che spero accettiate- concluse.
Rei guardò i suoi amici che annuirono sicuri.
- Ci vediamo al ristorante- rispose poi Rei.
- Magnifico- replicò quello all’altro capo e poi mise giù.

 

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Capitolo 30
*** Cuore di Ghiaccio ***


Capitolo 30:

- Lui sa di sicuro dov’è Lyn, vengo con voi!- disse in fretta Elena, mentre Rei, Takao, Max e il Professore indossavano i soprabiti per uscire di casa e recarsi alla Tana della Tigre Bianca.
- No, ce la vediamo noi, tu resta qui con Emily, Hilary e i ragazzi, nel caso Lyn torni- le propose accattivante Rei.
- Invece no, vengo con te- tentò ancora la donna, ma suo marito le prese dolcemente il cappotto dalle mani.
- Elena, amore mio, ascoltami...- cominciò lui, mentre sua moglie respirava profondamente.
- Non dormi da giorni e a stento hai toccato cibo, non posso portarti con me quando sto andando ad incontrare una delle persone più pericolose con cui abbia mai avuto a che fare- disse Rei, tenendole le mani, mentre Elena si torturava il labbro inferiore dal nervoso.
- Sai bene di cosa parlo- riprese lui gettando un po’ indietro la testa, per darle modo di vedere le cicatrici che portava dal collo in giù. Cicatrici che lei conosceva alla perfezione. Elena allora sospirò.
- Sai che è stato lui a farmi questo, lui ha ordinato a Boris di attaccarmi e di farmi del male e ho un conto aperto da ventisette anni con quello stronzo- disse Rei duro, facendo scintillare i suoi occhi ambrati.
- E’ proprio per questo che non posso permetterti di andare da solo- lamentò Elena, con voce implorante.
- Ma non sarò solo, ci saranno Takao e gli altri con me, tranquilla- cercò di rassicurarla, stringendole un po’ di più le mani.
- Lo sai che il mio compito è sempre stato quello di proteggerti e assicurarmi che non ti accada nulla e non posso esporti a certi rischi, ancor di più ora che sei incinta- disse lui poggiandosi con la fronte contro quella di sua moglie.
- Non puoi chiedermi di scegliere tra i nostri figli, Rei. Li amo entrambi per farlo- disse la donna con le lacrime agli occhi.
- Non ti sto chiedendo di farlo, ma ti chiedo di stare qui al sicuro insieme al piccolo e ci penserò io a trovare Lyn e a riportarla a casa sana e salva, te lo giuro- concluse lui ed Elena annuì, ricacciando indietro le lacrime a fatica.
- Torna presto da me- gli disse, quando lui si allontanò e fece per uscire.
- Lo faccio sempre, lo sai- rispose lui prima di chiudersi la porta alle spalle e facendole, come era solito suo, l’occhiolino.

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Nel tragitto in auto tra villa Tornatore e il ristorante di Rei, piombò un silenzio tombale.
Nessuno degli ex campioni di Beyblade ebbe il coraggio di proferire parola, fino all’istante in cui, entrando al ristorante, il receptionist riconoscendo il suo capo gli fece direttamente strada al tavolo dove Vorkov stava bevendo un limoncello di fine pasto.
Era seduto da solo e alle sue spalle, in piedi, c’erano tre uomini dritti e con le braccia dietro la schiena, i volti nascosti da grossi occhiali dai vetri scuri. Takao sgranò leggermente gli occhi a quella vista.
- Fantastico, abbiamo compagnia- mormorò sottovoce a Max.
- Ragazzi, avete fatto presto- disse Vorkov mostrandosi allegro, mentre tutti si accomodavano con sguardo serio di fronte a lui.
- Un digestivo? Offre la casa- propose divertito facendo un sorrisetto a Rei, che se ne stava lì con gli occhi stretti a due fessure e le braccia incrociate.
- Vi ricordate dei miei campioni della Borg? Furono i match più sensazionali del torneo- riprese dopo qualche secondo indicando dietro di sé e, i tre alle sue spalle si avvicinarono al tavolo.
- Yuri, il freddo della Siberia ti fa invecchiare male- cominciò sarcastico Takao, vedendo che il rosso seduto proprio di fronte a lui era parecchio cambiato dall’ultima volta che si erano sfidati.
- Non che i Monsoni abbiano avuto un effetto benefico su di te, invece- rispose a tono il russo, mentre Sergeij sedette di fronte a Max e Boris, con sguardo di sfida prese posto di fronte a Rei che osservava ogni suo movimento.
- Ti trovo in forma, Rei, le cicatrici sono guarite bene, vedo- lo salutò con una battutina tagliente quell’uomo che aveva ormai i capelli sale e pepe pettinati all’indietro, una barba molto folta e i soliti minacciosi occhi color ghiaccio, che Rei ricordava persino nei suoi incubi.
Il cinese strinse i pugni e fu Max a posare una mano sulla sua per invitarlo a calmarsi.
- Non cedere alle provocazioni- gli ricordò il biondo, continuando a fissare Sergeij che lo guardava con aria di sufficienza.
- Che cosa vuoi, Vorkov, perché sei tornato?- chiese Takao, tagliando corto con i convenevoli.
- E soprattutto, dov’è mia figlia?- aggiunse a tono Rei.
- Strano a dirsi, ma come ti ho già anticipato al telefono, io non so assolutamente dov’è tua figlia, anzi stavo giusto per chiederti se hai avuto notizie, poiché si trova sicuramente in compagnia del mio di figlio- rispose lui serafico, per poi vuotare il bicchierino di amaro.
- Basta cazzate, sappiamo benissimo chi è questo tuo segretissimo figlio- lo aggredì Takao e lui sbattè le palpebre di tutta risposta.
- Beh, non avrei potuto mantenere il segreto per sempre, quindi...- si limitò a rispondere l’uomo allargando le braccia.
- Cosa hai fatto al nostro amico?- chiese Max, lanciandogli uno sguardo truce.
- Kei ha vinto un giro nella spa più all’avanguardia esistente sul pianeta, un giro lungo ben venticinque anni- cominciò Vorkov con un sorrisetto beffardo.
- Quindi la storia dell’ibernazione è vera, ci siete riusciti dunque- si intromise il prof sgranando gli occhi.
- Il ragazzino è preparato, vedo- mormorò Vorkov, indicando il prof.
- Senti, o ci racconti tutto, o sarò felice di mostrarti il mio set di coltelli e questi tre bambocci non avrebbero neanche il tempo di prendermi- minacciò Rei, ostentando sicurezza.
- Suvvia, ragazzo, adesso ti racconto tutta la storia, non agitarti- gli disse Vladimir.
- Dopo tutto, come ti ho già detto, siamo tra gentiluomini- concluse e poi chiese ad uno dei camerieri di Rei di portare da bere per tutti.
Solo quando tutti i presenti avevano il bicchiere riempito di vino, Vorkov cominciò a parlare.
- La sconfitta contro di voi fu bruciante alla finale, lo ammetto-
I ragazzi lo osservavano attenti, in attesa di qualunque parola gli uscisse di bocca.
- Ciò che è successo dopo, però, era fuori persino dalla mia portata- continuò serio, per poi fare un sorso di vino.
- Quando ho saputo che era stato proprio Kei a sacrificarsi contro il Team delle Tenebre, non potevo crederci, così ho ordinato ai miei soldati di recuperare il suo corpo, non appena la battaglia fosse finita e lo stadio rimasto abbandonato ad un cumulo di macerie- confessò.

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Ventisette anni prima…
- Signore, qui c’è qualcosa!-
I vigili del fuoco e i militari di Mosca, dietro una generosa offerta di Vorkov, scavano da due giorni senza interruzioni tra le macerie di quello che una volta era uno stadio, quello dove si era tenuta la finale di coppa del mondo di Beyblade.
Era stato un evento sensazionale, organizzato quasi un anno prima da tutte le associazioni di Beyblade esistenti e il clima innevato e profondamente suggestivo della capitale russa, aveva fatto sì che la scelta dello stadio per la finale fosse arrivato ad unanimità.
I padroni di casa sentivano di avere la vittoria già in tasca, ma quei quattro ragazzi venuti dal nulla avevano messo fine al dominio incontrastato dei russi. 
Poi l’arrivo del Team delle Tenebre aveva rovinato tutto, distruggendo ogni cosa e soprattutto, mandando all’aria i piani della Borg.
Vorkov si precipitò in direzione del pompiere che lo aveva chiamato, mentre altri due tiravano fuori dalle macerie un ragazzo senza vestiti, ferito e sporco, apparentemente senza vita.
L’uomo riconobbe subito essere colui che cercava e il suo sorriso si allargò, nonostante la situazione si preannunciasse piuttosto critica.
- Respira ancora, ma è messo male- si affrettò ad aggiungere uno dei paramedici.
- Sarà sopravvissuto all’attacco, ma stare sotto le macerie per tutte queste ore deve aver peggiorato la sua condizione- disse ancora il medico, mentre armeggiava con le maschera dell’ossigeno e si faceva aiutare per adagiare il giovane su una barella.
- Kei, figliolo, mi senti?- mormorò Vorkov, sfilandosi il guanto nero di palle e chinandosi sul ragazzo. Gli accarezzò i capelli con fare paterno.
- Signore, non sappiamo se il ragazzo supererà la notte- si sentì di avvisarlo il paramedico.
- Portatelo ai miei laboratori- ordinò Vorkov che aveva avuto una delle sue brillanti idee, ad osservare il corpo esanime di quel giovane che era tanto forte quanto ribelle.

- E’ l’unico modo e se vuoi restare qui e lavorare per me, devi fare quello che dico io!- stava urlando Vladimir ad uno dei suoi collaboratori, mentre gli uomini che avevano tirato fuori Kei dalle macerie, lo stavano conducendo nella stanza sulla barella, la coperta termica addosso e una flebo attaccata al braccio.
- Stiamo per cambiare la storia, capisci?- mormorò Vorkov entusiasta.
- Aiutatelo ad alzarlo dalla barella- ordinò ancora l’uomo ai tre che avevano salvato Kei e facendo un cenno del capo al medico che stava parlando con lui.
Kei venne sistemato all’interno di una vasca coperta di lastre di ghiaccio più o meno spesse. Dall’aspetto serafico che aveva dipinto sul viso, sembrava stesse dormendo, pensò Vladimir.
- Dottore, proceda- disse tranquillo il capo e il medico, dopo aver armeggiato con una pulsantiera, premette un tasto rosso e la grossa capsula si chiuse, mettendosi in posizione verticale, dal cui oblò si riusciva a vedere soltanto il viso di Kei.
- Deve restare qui finché non avremo trovato il modo di riportarlo indietro - disse soddisfatto Vorkov mentre ammirava il suo esperimento prendere vita.
- Ma signore, la crioconservazione umana è illegale, ci potrebbero essere gravi conseguenze e poi non sappiamo se realmente potrà svegliarsi il ragazzo, ci sono ancora così poche conoscenze nel campo – disse il medico, cercando di far ragionare ancora l’uomo.
- Non mi importa niente! Ho smosso mari e monti per riavere il corpo di Kei tutto intero, quindi come ho già detto, finché non riaprirà gli occhi, questo sarà il suo posto – riprese nuovamente Vorkov.
- Signore, la prego, il suo corpo ha subito danni irreparabili, noi…-
- NOI CI METTEREMO A LAVORO SUBITO! - urlò Vorkov e da quell’istante, nei sotterranei di quel monastero a Mosca, non si fece altro che trovare una cura, un farmaco, una qualsiasi cosa in grado di risvegliare Kei dall’ibernazione e renderlo la macchina da guerra perfetta che Vorkov sognava di controllare da sempre.

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- E dopo che cosa è successo?- chiese Takao serio.
- Beh, dopo anni di dure ricerche, soltanto un paio di anni fa con un farmaco di mia invenzione sono riuscito a riportare il ragazzo in vita- concluse soddisfatto Vorkov, mentre gli altri restavano in silenzio, piuttosto scioccati e disgustati dal racconto.
- Ancora non capisco perché tu abbia fatto tutto questo- cominciò Rei osservando Vorkov attento.
- Non sei esattamente quello che si può definire un buon samaritano e poi Kei ti aveva tradito tornando in squadra con noi e mandando a monte i tuoi piani di conquista, se non ricordo male- commentò il cinese.
Vorkov sorrise serafico, abbandonandosi con la schiena contro la sedia.
- Checché se ne dica, Kei è sempre stato come un figlio per me, è cresciuto tra le mie braccia- disse l’uomo.
- E proprio come il figliol prodigo della Bibbia, anche lui un giorno sarebbe tornato da me- concluse.
- Senti, scienziato da strapazzo, dacci un taglio- sbottò Takao.
- Non ci incanti con le tue belle paroline, perciò o ci dici il motivo per il quale hai congelato il nostro amico come un ghiacciolo per più di vent’anni, o te ne pentirai amaramente- minacciò il giapponese, ma Vladimir continuò a mantenere il suo sorriso tranquillo.
Era proprio quell’atteggiamento a dare sui nervi a Takao. Da sempre.
- Nonostante mi consideri un cattolico fervente e Dio ci insegni a mostrare l’altra guancia, io sono pur sempre un essere umano e come tale nutro rancore e vendetta nei vostri riguardi- disse l’uomo, avvicinando e allontanando le dita affinché si incontrassero, davanti al viso con un movimento ritmico.
- Vieni al dunque- lo invitò Max.
- Sono qui per proporvi un torneo- sentenziò Vorkov.
- Cosa?- domandò Rei sorpreso.
- Ho sentito che i vostri ragazzi sono giovani promesse del Beyblade, ne sono felice, combatteranno contro il mio Viktor, scusate... Kei- proseguì, allargando il suo sorriso.
- Consideratela come una sorta di sfida ufficiale, ma giocata tra noi, non andrà ad interferire con le competizioni maggiori- avvisò l’uomo.
- Perché non iscrivervi al mondiale come tutti gli altri? Ci incontreremo sicuramente lì- propose Takao, restando in guardia.
- Perché è una faccenda personale questa, ma come tutte le sfide ufficiali deve esserci un premio in palio, ovviamente- disse l’uomo con tono accattivante.
- Non mi piace- mormorò il prof sottovoce all'ex capitano, che annuì debolmente.
- Bene, allora se vinciamo noi, lascerai Kei libero di vivere la sua vita e tu non ti farai vedere mai più- suggerì Rei, prendendo la parola.
- Mi sembra ragionevole- concordò Vorkov, dopo qualche secondo di riflessione.
- Ma se vinco io...- riprese, con sguardo di sfida.
- Dovrete consegnare i votri Bit Power senza fare storie- sentenziò, passando in rassegna lo sguardo dei campioni seduti di fronte a lui.
- E’ una follia, you’re mad- mormorò Max.
- Te lo sogni, ciccio, le nostre creature sacre resteranno lì esattamente dove sono, nei bit chip dei Bey dei nostri figli. Pensa ad un altro premio, che so, ad una Ferrari per esempio- suggerì Takao tagliente.
- Hai paura di perdere, campione?- chiese Yuri con un mezzo sorriso.
- Oh, credimi, potranno passare anche altri trent’anni, ma ti farei ugualmente il culo a strisce, vecchio mio- rispose a tono il giapponese.
- In ogni caso, qui si tratta di dare fiducia ai vostri figli- li interruppe nuovamente Vorkov.
- Li avete cresciuti e allenati a vostra immagine e somiglianza, ma vedremo se sapranno tenere alto l’onore dei leggendari Bladebreakers- concluse soddisfatto Vorkov.
Takao, Max, Rei e il Professore si scambiarono brevi occhiate eloquenti. Sembrava non esserci proprio scelta.
- Allora è deciso- disse il russo alzandosi dalla sedia.
- Vi occuperete voi di organizzare l’incontro, a noi va bene qualsiasi cosa. Avete ventiquattr’ore per comunicarmi una data che dovrà essere da oggi a due settimane, non oltre- ordinò il capo della Borg, mentre si metteva il soprabito.
- E’ stato un onore rivedervi, ci vediamo in campo- disse, prima di congedarsi col suo seguito, mentre i ragazzi rimasero lì, con gli sguardi bassi.
- Che si fa? Siamo davvero nella merda adesso- sibilò il prof, una volta rimasti soli.
- Non ci resta altro da fare. Dobbiamo combattere- disse Max rassegnato.
- Abbiamo due settimane per rendere i nostri figli delle macchine da combattimento perfette per l’incontro con Kei- commentò Takao sicuro.
- Lo conosciamo, sappiamo come combatte e Lyn si allena con lui da mesi, non dovrebbe essere difficile- si accodò Rei.
- Ragazzi vi ricordo che in palio ci sono i Bit Power, andiamoci cauti con l’ottimismo- li redarguì il Professore.
- Non c’è scelta, combatteremo, vinceremo e salveremo i nostri animali sacri e Kei, come non abbiamo potuto fare anni fa, siete con me?- chiese Takao e Rei e Max annuirono convinti.
- Bene, sarà divertente fare di nuovo il culo ai russi- mormorò il presidente della BBA, con il suo sorrisetto sghembo.

 

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Capitolo 31
*** Perché è accaduto a me? ***


Capitolo 31:

Dopo tre giorni fuori casa, col telefono spento e con dei terribili mal di testa che si susseguivano a cadenza regolare nel tentativo di dare un senso a tutto quello che era successo, Lyn sentì il bisogno di dover tornare a casa. Insieme a Kei.
Le sue rivelazioni, la mattina dopo aver passato la notte insieme a letto, erano state a dir poco sconvolgenti e nonostante fossero passate quarant’otto ore, la ragazza ancora faticava a credere a tutto quello che lui le aveva raccontato.
Aveva bisogno di chiedere aiuto ai suoi genitori e non poteva più fare finta di niente.
La sua mente era andata più volte a suo padre, all’espressione dura che aveva dipinta sul volto quando lei aveva sbattuto la porta e se ne era andata, aveva pensato a sua madre, chissà quanto era preoccupata per lei, senza sapere dove fosse e come stesse e per di più, l’aveva costretta a stare male proprio nel momento più delicato della sua gravidanza. Lyn si sentì schifosamente egoista per un attimo ed era stata quella serie di ragioni, prima su tutte il senso di colpa, a spingerla a voler tornare a casa.
Quando lo aveva proposto a Kei, lui in un primo momento si era rifiutato con fermezza.
- I tuoi non vogliono vedermi, hai visto cosa è successo l’altra sera- rispose lui.
- Sì, ma eri anche uno dei migliori amici di mio padre, posso capire lo schock nel rivederti vivo e vegeto dopo trent’anni come se niente fosse, vedrai che ora a mente fredda e dopo avergli spiegato tutto, andrà meglio- lo rassicurò Lyn.
- Capiranno anche loro, come ho fatto io- incalzò la ragazza, con un sorriso dolce.
- Voglio fidarmi di te, anche se non so effettivamente a cosa possa servire- aveva detto lui con un sospiro e si lasciò quindi convincere da Lyn a chiedere aiuto a Rei ed Elena.
Sfuggire ad un miliardario psicopatico con chissà quali terribili intenzioni nei confronti del suo ragazzo, faceva sentire Lyn come se il mondo si stesse avviando alla fine. Quella era una situazione decisamente più grande di lei e chi meglio dei suoi genitori, che avevano praticamente sfidato la Morte a testa alta, potevano aiutarla a uscire da quei guai. Guai seri, soprattutto per Kei.
Mentre lui si stringeva nuovamente alla sua vita a bordo dello scooter, il cervello di Lyn viaggiava molto più veloce di quelle due ruote e quando la giovane intravide casa sua, svoltato l’angolo di quella stradina isolata, fece un sospiro di sollievo.
Almeno erano tornati a casa senza essere seguiti, era decisamente un punto a loro vantaggio, pensò Lyn.
- Ancora non sono sicuro che stiamo facendo la cosa giusta- rispose secco Kei togliendosi il casco e sistemandosi il ciuffo. Lyn si prese qualche secondo per ammirare quella scena, sentendo le guance diventare rosse per qualche istante. Nonostante la delicata situazione in cui si trovassero, il pensiero di loro due nudi in quel letto improvvisato al castello, fece accelerare i battiti del cuore della ragazza.
- Abbiamo bisogno d’aiuto. Hai bisogno d’aiuto, non puoi cavartela da solo, non stavolta- riprese lei prendendolo per mano e avviandosi insieme davanti al portone di villa Tornatore.
Kei sospirò profondamente alzando gli occhi al cielo, mentre Lyn bussò al campanello.
- Lyn! Grazie al cielo, ci hai fatto stare in pena per te!- la voce sollevata che al contempo nascondeva una strigliata bella e buona di Hilary Kinomiya fece sentire decisamente la piccola Kon a casa.
- Zia, che bello vederti, ma cosa ci fai qui?- chiese la ragazza aggrottando la fronte, realizzando che la donna non abitasse esattamente dietro l’angolo, ma Hilary rimase per un istante sconcertata nel ritrovarsi Kei davanti, facendo poco caso alle domande della sua nipotina.
- Però… non sei cambiato di un giorno- commentò la donna, strabuzzando gli occhi.
Kei assunse la sua solita espressione accigliata e poi fece un sorrisetto da furbo.
- Fammi indovinare, la palla al piede di Takao- rispose e Hilary socchiuse gli occhi guardando Kei in cagnesco.
- E non sei cambiato neanche nei modi, vedo- ribatté infastidita, poi si spostò per fare entrare entrambi in casa.
- Tua madre è arrabbiatissima, ma soprattutto preoccupata- mormorò frettolosa Hilary sottovoce a Lyn per avvisarla, mentre si dirigevano in salone.
Quando Lyn arrivò nella stanza dove era solita riunirsi con la sua famiglia per passare del tempo insieme, fu scioccata nel vedere che oltre a sua madre c’erano anche sua zia Emily e i suoi amici di una vita.
- Ragazzi, che sorpresa- riuscì a dire piano mentre passava in rassegna i loro volti, via via più sollevati nel rivederla. Quando gli occhi color miele di Lyn incontrarono quelli gonfi e stanchi di Elena, la ragazza dovette trattenersi dal piangere.
- Mamma, perdonami, ti prego- disse cercando di avvicinarsi a lei, per poi bloccarsi subito, quando vide Elena alzarsi in piedi e andare verso di lei con sguardo minaccioso.
Le due si guardarono per qualche istante, Elena studiò le espressioni di sua figlia e Lyn quelle di sua madre, poi la donna fece uno scatto in avanti e strinse forte tra le sue braccia la sua bambina, finalmente sana e salva a casa.
- Non farlo mai più, hai capito?- la ammonì Elena, cercando di controllare la sua voce, mantenendo dunque un tono duro mentre le accarezzava i capelli e Lyn annuì, lasciandosi andare ad un pianto liberatorio nascosta nei boccoli della sua mamma, come faceva da bambina.
Quando Elena liberò sua figlia dalla stretta, anche Judy, Makoto e David la salutarono calorosamente.
- Poi dovrai raccontarmi tutto- le disse Judy lanciando uno sguardo malizioso e al contempo eloquente a Kei, che era rimasto sotto lo stipite della porta con le braccia incrociate e lo sguardo basso. Lyn riuscì a sorridere e annuì velocemente alla sua migliore amica.
In quel momento rientrarono in casa anche gli uomini e Takao, Max e il Professore dovettero fare i conti con la sensazione di trovarsi davanti una specie di fantasma, quando si accorsero della presenza di Kei.
Era più che un deja-vu.
- Non posso crederci, sei davvero tu?- mormorò Takao avvicinandosi lentamente al ragazzo, che aveva un’espressione tra l’incredulo e lo spaventato sulla faccia. Il Professore si sistemò meglio gli occhiali sul naso e si scambiò un’occhiata sconvolta con Max.
- Kei- disse Rei sospirando, realizzando che anche i loro amici avevano avuto la stessa reazione nel rivedere il compagno di squadra che credevano di aver perso tanto tempo prima.
Kei, dal canto suo, nel ritrovarsi Rei, Max, Takao e il Professor Kappa tutti e quattro di fronte, cambiati, diversi, cresciuti, ma pur sempre i campioni che erano stati, sentì che l’ultimo tassello mancante di quelli che erano i suoi ricordi e le sue esperienze di quella vita che temeva di non aver mai vissuto davvero, andò al suo posto.
- Non so come sia possibile, ma porca troia, sei proprio come l’ultima volta che ti ho visto!- disse divertito Takao, dandogli una pacca sulla spalla e Kei inizialmente infastidito, si rilassò visibilmente non appena tutti i suoi ex compagni lo salutarono come se non si fosse mai separato da loro.
Come se invece che trent’anni fossero passati pochi giorni.
- Papà, possiamo parlare?- chiese Lyn mordendosi un labbro, vedendo che Rei le aveva rivolto uno sguardo glaciale, autoritario, uno sguardo da padre severo. Uno a cui lei non era decisamente abituata.
- Oh, sì che possiamo, anzi dobbiamo, perché la situazione in cui ti sei cacciata è ben peggiore del previsto- disse lanciando una veloce occhiata a Kei.
- Lo so- ammise lei, abbassando lo sguardo.
- E voglio aiutarvi e aiutare lui- aggiunse Lyn.
Rei sospirò, esausto quasi.
- Siediti, vi spiegheremo tutto- disse alla figlia, per poi richiamare l’attenzione di tutti.
- Abbiamo appena incontrato Vorkov- cominciò Rei, non appena i presenti si misero attenti all’ascolto.
Kei si staccò dallo stipite della porta su cui era tornato ad appoggiarsi e lasciò cadere le mani lungo i fianchi, sgranando appena gli occhi.
- E’ già qui?- chiese per poi digrignare i denti.
- Già e non è da solo, Yuri e gli altri gli fanno da guardie del corpo, praticamente- aggiunse Max.
Lyn guardò preoccupata il suo ragazzo e poi lasciò continuare suo padre, che aveva rivolto anch’egli lo sguardo al giovane.
- Ci ha raccontato cosa ti è successo, la storia dell’ibernazione e quello… che hai dovuto passare- disse Rei con non poco sforzo, ricordando le parole di Vorkov.
Kei strinse i pugni ancora un po’ e serrò le labbra.
- Vi ha raccontato di quando mi ha quasi ammazzato perché non ho obbedito ai suoi ordini?- chiese lui nervoso e Rei, Max, Takao e il prof si lanciarono un’occhiata interrogativa.
- Sappiamo che ti ha trovato mezzo morto il giorno dopo la fine del mondiale e ti ha risvegliato dal ghiaccio dopo anni- disse Takao, aggrottando la fronte.
- Non parlo di quella volta, ma di un episodio molto più recente- lo interruppe il ragazzo dal ciuffo grigio e Takao notò che persino la sua voce non era affatto cambiata. Dura, fredda, affilata come un coltello.
- Kei, no- disse Lyn scuotendo la testa.
- Se vogliamo sperare di avere il loro aiuto, devono sapere- la bloccò il ragazzo, con un gesto eloquente della mano.
- La memoria non è mai andata via dopo che sono diventato Bit Power Supremo e non so come, in qualche modo ero sopravvissuto allo scontro- cominciò Kei.
- Quando mi sono svegliato dal criosonno ero cosciente, pensavo che fossero passati soltanto pochi giorni dalla fine di quel maledetto torneo. Vi ho cercati per settimane- ammise con dolore, alzando anche il tono della voce.
- Nessuno mi parlava, ero chiuso in una stanza come una fottuta cavia da laboratorio. Mi legavano per farmi dei test, prelievi e ricordo solo che urlavo di farmi uscire e… chiamavo i vostri nomi-
Gli ex Bladebreakers ascoltavano quel racconto sentendo una spada girare nel cuore ad ogni parola che Kei pronunciava e, per la prima volta in vita sua, quello che una volta era stato il membro più freddo e scontroso della squadra, aveva gli occhi pieni di lacrime.
- Quando uscì dall’isolamento, un ragazzo lì al monastero mi chiese di allenarlo, lui è stato l’unico vero amico che ho avuto in quel periodo e solo grazie a lui ho scoperto che non erano passate poche settimane dalla finale, ma bensì più di vent’anni- disse lui, guardando negli occhi tutti i presenti.
- E che una giovane blader italiana, moglie di Rei Kon, il mio storico compagno di squadra, aveva vinto sul Team delle Tenebre già molto tempo prima- concluse, guardando Elena negli occhi che sospirò pesantemente.
- Potete immaginare il mio totale sconcerto nell’apprendere una notizia del genere- proseguì Kei, cercando di trattenere le lacrime.
- Voi eravate chissà dove e io ero nuovamente il giocattolino preferito della Borg- commentò con disgusto, mentre gli altri si sforzavano di mantenere la calma, scacciando quel terribile senso di colpa che già per via di Kei, li attanagliava da sempre.
- Quando Vorkov capì che il pensiero di venire a cercarvi era diventato troppo concreto, iniziò a somministrarmi dei farmaci che provocano amnesie temporanee, così lui aveva tutto il tempo di farmi il lavaggio del cervello- continuò, con un sorrisetto amaro.
- Oh mio Dio- mormorò Hilary sottovoce.
- Mi propose un accordo: mi avrebbe lasciato libero se avessi portato finalmente a termine la missione che mi aveva affidato anni prima- disse Kei.
- Rubarci i Bit Power- lo interruppe Takao posando lo sguardo su di lui, che non poté fare altro che annuire.
- Cosa? Ma è fuori di testa?- sbottò Makoto.
- Lascialo continuare- lo ammonì suo padre, continuando a guardare Kei.
- Le medicine che mi stava dando mi facevano avere degli incubi terribili e mi procuravano dei mal di testa tremendi ogni volta che tentavo di ricordare qualcosa del mio passato- proseguì il ragazzo.
- Sentivo di essere sull’orlo della pazzia e avevo il terrore che presto o tardi quel vile avrebbe avuto pieno controllo sulla mie azioni e sulla mia vita- disse, abbassando lo sguardo e stringendo nuovamente i pugni.
- Non potevo permetterlo e, quindi, decisi di scappare prima di dargliela vinta...- concluse, in un sospiro.

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(https://www.youtube.com/watch?v=ZQ7oqmikZDQ COLONNA SONORA)

Otto mesi prima

Eludere la sicurezza di Vorkov era stato un gioco da ragazzi per Kei.
Conosceva quel monastero, le sue mura, ogni piccolo mattone o passaggio alla perfezione e poi studiava quel piano di fuga da giorni ormai.
Si calò il cappuccio sulla testa per mimetizzarsi con l’oscurità di quegli antichi corridoi e si avviò a passo sicuro verso l’uscita, quando un rumore impercettibile attirò la sua attenzione.
- Chi è là?- chiese quasi sottovoce, la gola secca per quell’attimo di terrore che aveva preso possesso della sua mente, annebbiandola completamente.
- Kei, sono io-
Un giovane sulla ventina apparve dalla penombra, con uno zaino in spalla e gli occhi spaventati. Kei sbuffò scocciato.
- Yuya, che cazzo ci fai qui?- chiese esasperato.
- Non si vede? Vengo con te- lo informò velocemente.
- Che cosa? Non pensarci nemmeno, parto da solo- ribatté il ragazzo dagli occhi violacei.
- E dai, Kei, lasciami venire! Sai meglio di me che domattina non appena si spargerà la notizia della tua scomparsa, sarò in cima alla lista di tuo padre nella sessione di torture- disse il giovane agitato.
- Non è mio padre, lo sai- ribatté l’altro con una smorfia.
- Come preferisci, in ogni caso non ci tengo minimamente a restare qui alla sua mercé, senza di te...- ammise Yuya con gli occhi lucidi.
- Sei l’unico amico che abbia mai avuto, ti prego, lasciami partire con te, cercheremo insieme i tuoi vecchi compagni di squadra- cercò di convincerlo il ragazzo dai capelli castani e gli occhi dolci ed espressivi del medesimo colore. Kei si ritrovò a pensare che semmai avesse avuto un figlio in futuro, lo avrebbe voluto esattamente come Yuya, buono e altruista, tutto il contrario di come era lui. Almeno nella maggior parte delle occasioni, tralasciando il gesto eroico che aveva compiuto contro i blader della Morte, ma quella ormai era acqua passata.
Kei sospirò arreso.
- Sai guidare la moto?- chiese con un sorrisetto, facendo tintinnare le chiavi e Yuya era già su di giri.
- Certo, da’ qua- ordinò al suo amico, facendosi lanciare le chiavi e corsero fuori dal monastero, guardandosi intorno circospetti, con la pressante paura di essere scoperti da un momento all’altro.
Kei liberò la sua moto blu e rossa dal telone che la ricopriva e poi Yuya salì veloce in sella, con l’amico già pronto alle sue spalle.
- Merda, i caschi- mormorò il giovane già pronto alla guida.
- Non c’è tempo per recuperarli, tra poco si accorgeranno che non siamo nei nostri letti- lo avvisò Kei, intimandogli di partire a tutto gas.
- Mio signore, come previsto, l’Aquila sta scappando-
Yuri fece irruzione nell’ufficio di Vorkov, accompagnato da un ragazzo più giovane, suo figlio ventiquattrenne Ivan, identico a lui nell’aspetto e nei modi di fare. Il capo se ne stava sulla sua solita poltrona, osservando attento dalle telecamere del cortile esterno l’attuazione del piano di fuga del suo pupillo.
- Sai cosa fare- si limitò a dire l’uomo senza staccare gli occhi da quegli schermi che proiettavano tutti la stessa immagine: Kei a bordo di una moto che sperava di lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita.
Yuri annuì e poi si rivolse a Ivan.
- Fagli male, ma lascialo vivo, uccidi l'altro- gli ordinò ermetico suo padre e il ragazzo fece un sorrisetto soddisfatto. Annuì e lasciò la stanza, mettendosi subito alla guida della sua auto sportiva, che in pochi minuti raggiunse la moto di Yuya e Kei.
- Cazzo, è Ivan, ci hanno trovati!- urlò Kei quando si accorse dei fari lampeggianti della costosissima auto del figlio di Yuri alle sue spalle. 
Kei ordinò allora all’amico di andare a manetta.
- Vi prenderò, stronzetti- mormorò Ivan dall’abitacolo della sua auto, accelerando alla stessa maniera. L’auto rossa fiammante del russo si accostò alla moto dei ragazzi e cominciò a tampinarli ripetutamente.
La risata divertita e sguaiata di Ivan aumentava di intensità nel leggere la paura negli occhi degli altri due, mentre era preso a fare lunghi sorsi dalla sua bottiglia di vodka.
Quel riso fastidioso fece innervosire Kei all’estremo.
- Che cazzo vuoi, stronzo?- chiese il blader dal ciuffo grigio urlando, ma l’altro di tutta risposta gli rise in faccia ancora una volta e gli alzò il dito medio, per poi afferrare il volante con entrambe le mani spostandolo tutto a destra, avvicinandosi sempre più alla ruota anteriore della moto, per far perdere il controllo ai centauri.
- Amico, ho paura- confessò Yuya, mentre teneva le mani piuttosto sudate sotto i guanti di pelle salde sui manubri.
- Non dargli retta, continua a guardare la strada e a mantenere il controllo della moto, ci penso io al cazzone- lo rassicurò Kei, cercando nella borsa il Beyblade che era riuscito a rubare ad un tizio in palestra solo quella mattina.
Certo, non era il suo Dranzer andato perduto chissà dove dopo la finale mondiale, ma si sarebbe dovuto accontentare.
- Vuoi giocare, bastardo? Vediamo se la tua testa di cazzo riesce a fare tre cose contemporaneamente- e tentò di lanciare il Bey, ma proprio in quel momento Ivan mise il piede a tavoletta, superando la moto dei ragazzi quanto bastava per tagliargli la strada.
- Kei, aiuto!- urlò Yuya.
Ma tutto fu troppo veloce.
La moto impennò con la ruota posteriore in un tentativo disperato di frenata ad alta velocità, facendo finire Kei sul tettuccio dell’auto di Ivan distrutta nella fiancata destra nell’impatto, mentre Yuya venne sbalzato via in un volo di parecchi metri, finendo con la testa contro il marciapiede.
Kei non avvertiva più nulla, solo il corpo bruciare nel buio e dolore ovunque.
- Portatelo al mio ospedale, assicuratevi che venga operato, curato e salvato, ma soprattutto, che gli vengano somministrate le medicine per l’amnesia - disse Vorkov, osservando l’incidente da uno dei suoi schermi.
- Dite al Dottor Rotojski di metterlo sotto sedativi, mi occuperò io di tutto quanto- concluse l’uomo, mettendosi comodo contro lo schienale della sua seduta in velluto, nel suo sontuoso ufficio, mentre Kei e Yuya giacevano apparentemente senza vita sull’asfalto freddo.


Ciao a tutti!!!
Siamo ormai in là con la trama e grazie a chi ancora sta seguendo questa storia! Ho lasciato la colonna sonora in questo capitolo perché la trovo perfettamente azzeccata (ricordo di aver piano nello scrivere questa scena) soprattutto vi invito a guardare il video della canzone così capirete meglio il tutto <3
Un abbraccio forte e buon inzio settimana <3

 

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Capitolo 32
*** Prometti ***


Capitolo 32:

- Quindi, siamo di fronte ad un pazzo maniaco capace di simili atti- commentò Emily, non appena Kei ebbe finito di parlare.
- Tutto questo è pura follia!- cominciò Makoto nervoso, alzandosi dal divano dove stranamente era rimasto immobile per tutto il racconto.
- Quell’uomo ha tentato di ucciderti solo perché volevi andartene da lì?- chiese sconvolto.
- Tecnicamente, sì- rispose Kei, senza la minima sfumatura nella voce.
- Il problema adesso è un altro- li interruppe Elena
- Tu gli hai promesso di portargli comunque i Bit Power, è così?- chiese la donna e Kei sospirò.
- E stai usando mia figlia da mesi ormai, per arrivare al suo- proseguì ovvia, guardando il ragazzo dritto negli occhi.
- Mamma...- cercò di intromettersi Lyn per spiegarle la sua versione.
Avrebbe tanto voluto dirle, urlarle se fosse stato necessario che loro si amavano e che lei non si sentiva per niente usata, ma Elena la bloccò con un gesto della mano senza degnarla di uno sguardo, aspettando una qualche spiegazione plausibile da quel giovane di un metro a novanta che la fissava arreso.
- Vorkov ha lasciato che mi avvicinassi a Lyn per rubarle la Tigre Bianca, sì- confermò lui sommessamente.
- Quando l’ha vista in ospedale, sapeva bene chi fosse e ha ben pensato di usare lei come esca per voialtri- confessò il ragazzo, gettando uno sguardo veloce ai presenti.
- Bastardo- mormorò Rei.
- Ma abbiamo un vantaggio, al momento- cercò di rimediare lui.
- Secondo i suoi calcoli dovrei essere nuovamente sotto effetti di quella pillola, di conseguenza non dovrei ricordare o sapere nulla di voi- riprese.
- Troppo tardi, I guess- esordì Max dopo un lungo sospiro.
- Ci ha proposto un torneo “amichevole”- disse il biondo.
- Che cosa?- disse Emily aggrottando le sopracciglia.
- Abbiamo due settimane per organizzarlo, sarai tu… contro i nostri figli- disse grave l’americano indicando Kei e subito si sollevò un mormorio di dissenso generale.
- Papà, mi oppongo! Non lotterò contro di lui!- esordì Lyn allibita, staccandosi con la schiena dalla credenza e parandosi davanti a Rei.
- Non hai scelta, se vuoi sperare di tenerti stretta la Tigre- sentenziò Rei con sguardo fermo.
- Cosa intendi?- chiese la ragazza con una smorfia.
- Se vincerà lui, si prenderà i vostri Bit Power, se perderà ha giurato di lasciare noi e Kei in pace... per sempre- li informò Takao.
- A me sta bene, sarò felice di misurarmi con un avversario così forte, la tua fama leggendaria ti precede!- disse Makoto, osservando il ragazzo dal ciuffo grigio in piedi davanti a lui.
- Non crederò nuovamente ai suoi spergiuri!- la voce di Kei sovrastò tutti.
- E’ per questo che ho intenzione di far andare questo torneo a modo mio- disse sicuro lui, rivolgendo un breve sguardo a Lyn.
- Lui ha un debole per me, lo ha sempre avuto, altrimenti perché scomodarsi tanto a chiudermi in una fottuta cripta ghiacciata per venticinque lunghi anni- disse Kei con un’alzata di spalle.
- Il Beyblade che mi ha dato lo avete già visto, il Black Dranzer e io sono l’unico in grado di padroneggiarlo, è per questo che si fida così ciecamente- lo sguardo violaceo del ragazzo passava in rassegna quello di tutti gli altri in quel salone. Per la prima volta nella sua vita, Kei avvertiva come il bisogno impellente di avere una qualche approvazione.
- Ci batteremo come ci ha chiesto, gli farò credere di essere dalla sua parte, lotterò contro di voi- riprese, dopo un breve sospiro.
- Farete finta di perdere, consegnandomi i Bit Power per farlo cadere nella trappola e quando sarà arrivato il momento, scaglierò tutto il potere che tanto sogna di avere proprio contro di lui- concluse con fare sicuro.
- Come facciamo a fidarci?- chiese Emily scettica.
- Perché avete la mia parola- ribatté ovvio Kei.
- Va bene, certo e sono sicura che tu sia un uomo d’onore, ma dopo tutto, non sappiamo che effetti ha avuto su di te quel farmaco che ti ha dato Vorkov, potresti anche prenderci in giro per quanto mi riguarda- osservò la scienziata.
- Non lo farò, lo giuro- disse in tono solenne il ragazzo.
- Non molto tempo fa, ho promesso a Lyn che non le avrei mai e poi mai fatto del male, per nessuna ragione al mondo- confessò lui e la ragazza alzò lo sguardo, ricordandosi di quella notte, quella dell’ultimo dell’anno.
- Come potrei portarle via la cosa a cui tiene di più? La sua Tigre Bianca- continuò.
- So come ci si sente quando ti portano via qualcosa o qualcuno a cui tieni, è orribile- sibilò lui, scuotendo debolmente la testa.
- Non permetterò a Vorkov di continuare a giocare con le nostre vite, adesso basta, è ora di fermarlo per sempre- disse, alzando nuovamente lo sguardo
- Quindi mi rivolgo a voi, vi chiedo di battervi contro di me- chiese Kei, posando lo sguardo sui figli dei suoi ex compagni di squadra e più osservava in particolare Judy, Lyn e Makoto, più si rendeva conto che erano le copie esatte dei loro padri da giovani.
La prima ad alzarsi fu Judy Mizuhara.
- Non avrai vita facile, ragazzino, o… signore- disse confusa Judy e un angolo della bocca di Kei si sollevò in una specie di sorriso.
- Esatto, non vedo l’ora di misurarmi con te!- si accodò David
- Già, ti informo che qui davanti hai il campione mondiale in carica di Beyblade- disse Makoto sicuro, indicandosi coi pollici.
Kei sorrise ampiamente guardando tutti loro e intravedendo nei loro occhi la stessa determinazione e tenacia dei loro genitori.
- Non mi aspetterei niente di meno, dai Bladebreakers 3.0- disse lui fiero.
Lyn, che si era accasciata su un angolo del grosso divano damascato con lo sguardo basso, solo quando Kei le tese una mano, ebbe il coraggio di alzarsi.
- Non puoi tirarti indietro, non tu che sei la mia allieva- disse lui sogghignando, Lyn sospirò e poi sorrise stringendo la mano del ragazzo tirandosi su e, presa dal momento, lo afferrò e lo baciò lì davanti a tutti, sotto lo sguardo sconcertato dei presenti.
- Non mi tiro mai indietro, non quando si tratta di giocare a Beyblade- disse lei contro le sue labbra e Kei sorrise soddisfatto.
- Contatterò io Vorkov, dirò che avete accettato la sfida- si candidò il giovane e Lyn vide i suoi occhi color ametista scintillare di una luce nuova, diversa, che non gli aveva mai visto.
- L’incontro si terrà al Colosseo, tra una settimana esatta- informò i presenti.
- Takao, ho appreso con piacere che sei diventato il nuovo presidente della BBA- disse Kei, girandosi verso di lui.
- Sì- confermò l’uomo.
- A te gli onori, ti occuperai tu di organizzare il match come si deve- ordinò.
- D’accordo, consideralo fatto- rispose sicuro Takao.

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- Figlio, finalmente, è un po’ che non ti vedo in giro- disse Vorkov, vedendo entrare il giovane nella hall dell’hotel dove aveva alloggiato sin dall’arrivo nella capitale italiana.
- Viktor, dobbiamo discutere di alcune faccende- cominciò l’uomo in tono mellifluo, mettendo un braccio sulla spalla al ragazzo.
- Risparmia i convenevoli, i Bladebreakers hanno accettato la sfida- lo informò, mantenendo il suo solito timbro freddo e distaccato.
- Meraviglioso, prima del previsto- osservò quello più alto e anziano, procedendo a passo sicuro verso l’ascensore, seguiti sempre da Yuri e gli altri qualche passo più indietro.
- Ti sei portato i leccapiedi, vedo- disse il ragazzo scoccando un’occhiataccia al rosso.
- Mi serviva compagnia, sai che mi annoio facilmente da solo- cercò di liquidare la faccenda suo padre.
- L’incontro è tra una settimana, al Colosseo, nel centro della città- riprese il giovane entrando in ascensore.
- Un’antica arena di gladiatori per il match, il palcoscenico perfetto per la nostra ascesa al potere- disse Vorkov, mentre le sue labbra secche si piegavano in un ghigno malefico.
- Quando la potenza dei Bit Power Sacri sarà tra le mie mani, quegli sciocchi rimpiangeranno di aver sconfitto i blader della Morte, pregheranno per riavere loro tra i piedi anziché noi, figlio mio- disse l’anziano.
- E tu sarai temuto e rispettato, tutti avranno paura a sfidarti, sarai consacrato come l’invincibile Viktor Vorkov, tremeranno solo a sentire il tuo nome!- continuò Vladimir, viaggiando a più non posso con la fantasia.
- Lo sai che un pubblico osannante non mi interessa- disse il ragazzo, spegnendo un po’ l’entusiasmo e prendendo a mettersi a braccia conserte, mentre con la schiena si appoggiava allo specchio dell’ascensore che continuava a salire.
- Io voglio solo essere il più forte, nient’altro- concluse.
- E lo sarai dopo questo incontro, battendo anche il figlio di Takao che al momento è il campione del mondo, non avrai più ostacoli davanti a te, sarai tu il campione assoluto- lo rassicurò Vorkov.
Kei si sforzò di sorridere soddisfatto, ma in cuor suo, sentiva che con quel piano così azzardato si stava mettendo nei guai.
Fare il doppio gioco con Vorkov non era esattamente una mossa intelligente, ma non aveva avuto altra scelta.
Schierarsi con lui apertamente avrebbe significato perdere di nuovo i suoi amici e i ricordi costruiti con loro per una vita intera. Non sarebbe sopravvissuto una seconda volta a quel senso di vuoto e di abbandono che lo avevano tenuto prigioniero per settimane, quando si era svegliato da quel sonno nel ghiaccio durato un ventennio.
Avrebbe perso Lyn.
Il suo grande amore, la prima persona che gli aveva confessato i suoi sentimenti sapendo esattamente chi aveva davanti.
D’altro canto mettersi contro i russi, come aveva fatto in passato, neanche poteva essere considerata tra le opzioni. Stavolta gli sarebbe toccata una punizione molto più severa, probabilmente Vorkov lo avrebbe ucciso senza esitazioni, avendogli perdonato il tradimento già troppe volte.
Kei non era disposto a pagare un prezzo così alto in nessuno dei due casi e aveva fatto una promessa, quindi doveva cercare di mostrarsi come sempre con Vorkov e i suoi, per fargli credere di essere dalla loro parte e doveva solo sperare di superare quei giorni fino all’incontro, quando avrebbe chiuso finalmente con quel passato oscuro e malato che da sempre lo opprimeva.

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Lyn era andata a letto quella sera sperando nel potere calmante di un infuso che le aveva preparato suo padre, raccontandole di un’ingrediente segreto che era simile a un sonnifero. In quel periodo si era dimostrata spesso in disaccordo con Rei e, anche in quell’occasione, dovette dissentire visto che si girava e rigirava nel letto da svariati minuti.
Aveva passato gli ultimi cinque giorni ad allenarsi come una forsennata, tanto che quando arrivava l’ora di andare a letto quasi non sentiva le braccia e le gambe dati i lunghi ed estenuanti incontri con Makoto, Judy e David in vista di quella sorta di guanto di sfida che il padre di Viktor aveva lanciato loro.
Il padre di Viktor. Quante bugie in una breve frase apparentemente di senso compiuto, pensò Lyn.
Ancora non aveva perso del tutto l’abitudine di riferirsi al suo ragazzo come Viktor, eppure sapeva bene quale fosse il suo nome, lo aveva detto. Quel nome di cui da sempre aveva il ricordo di non essere pronunciato in presenza di suo padre e dei suoi zii, poiché tutti avrebbero preso ad essere tristi e avrebbero cambiato argomento.
Quel nome a cui non aveva mai potuto associare un volto prima di incontrare quel ragazzo così unico e speciale. Quel nome che i suoi genitori avevano deciso di dare a suo fratello quando sarebbe venuto al mondo.
Il nome di un Beyblader forte e coraggioso.
Lyn ancora non realizzava tutto quello che le era successo negli ultimi giorni, dal fare l’amore per la prima volta, al capire veramente di provare qualcosa di forte per qualcuno e poi scoprire che tutto quello che c’era dietro la persona amata fosse una sporca menzogna. Proprio come aveva detto il Grande Saggio nel pronunciare la sua profezia, di cui non aveva più in alcun modo messo in dubbio la veridicità.
In quei giorni d’allenamento precedenti al match, Lyn aveva raramente sentito Kei.
Era passata qualche volta davanti all’hotel in cui alloggiava, guardando in alto verso le finestre, in attesa di scorgere il suo profilo e i suoi capelli così particolari. Lo avrebbe riconosciuto tra mille. Ma capì che lui si trovava già in una posizione decisamente pericolosa e correre il rischio di vedersi prima di quel torneo, avrebbe significato far saltare quella copertura che già stava in piedi per miracolo.
Lyn sospirò profondamente e proprio quando stava per addormentarsi, sentì il telefono vibrare.
Sperò con tutta sé stessa che non fosse Judy dalla stanza accanto che le chiedeva la chiacchierata notturna. Non ne aveva proprio voglia quella sera. Ma con sorpresa, dal modo in cui quel messaggio era scritto, capì subito che si trattasse di Kei.
Vediamoci all’alba al solito posto. Non dirlo a nessuno ed esci di nascosto. Ti aspetto.”
Sentì il cuore balzarle fuori dal petto e valutò per alcuni secondi se rispondere o meno. Lasciò subito perdere, pensando al fatto che Kei potesse essere controllato a vista da Vorkov e i suoi scagnozzi, ma avrebbe avuto sicuramente bisogno di aiuto per uscire di casa ad un orario così mattutino e una parte di lei si ricredette sul fatto di avere quella chiacchierata notturna con Judy…

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Alle sei in punto, Lyn era già fuori di casa.
Quella mattina si gelava davvero a Roma e per evitare di prendere troppo freddo, la giovane blader si imbacuccò per bene, trascinandosi lo scooter per un bel tratto di strada prima di metterlo in moto onde evitare di svegliare tutti a casa col suo rumore assordante. Judy, come sempre, le avrebbe retto il gioco e avrebbe parlato solo e solamente se Lyn fosse stata scoperta, ma la sedicenne contava di rientrare prima che cominciassero le “attività” a villa Tornatore.
Quando Lyn arrivò a Villa Borghese, la trovò chiaramente ancora chiusa, si tolse il casco sistemandosi meglio il cappello di lana sulla testa e si diresse davanti all’ingresso della villa, sperando di intravedere in qualche modo Kei.
Si sentì tirare delicatamente per un braccio e trasalì, calmandosi solo quando riconobbe la sagoma del suo amore con un cappuccio calato sulla testa con indosso un lungo montgomery nero.
- Da questa parte- sussurrò Kei, trascinandosi Lyn dietro dolcemente.
Si nascosero tra i rami secchi e innevati dinanzi all’ingresso secondario della villa e Kei si guardò intorno circospetto, mettendo a Lyn una certa ansia.
Solo quando si resero conto di essere davvero soli, Kei si tirò giù il cappuccio, afferrò Lyn per il viso e le diede un bacio mozzafiato, incurante del fatto che affondare la lingua con tanta veemenza nella bocca della ragazza e lasciarla senza respiro così all’improvviso potesse spaventarla. Difatti Lyn, quando si staccarono dal bacio, strabuzzò gli occhi e si toccò le labbra gonfie per quell’assalto decisamente carnale.
- Non ho molto tempo- disse Kei quasi a scusarsi, continuando a tenere le mani sul suo viso.
- Ma avevo bisogno di dirti una cosa… piuttosto importante-
Kei sembrava agitato, i suoi occhi dai riflessi porpora erano pieni di preoccupazione e Lyn sentì che qualcosa non andava per niente. Un sentore di paura catturò le sue viscere.
- Vorkov sa?- chiese in un sussurro, carezzandogli tremante una guancia.
- No, almeno spero- chiarì lui, scuotendo debolmente la testa.
- Ma qualcosa mi dice che ha capito che non sono del tutto leale nei suoi confronti- concluse Kei, mentre Lyn sospirò col cuore che le batteva fortissimo nel petto.
- Sto facendo di tutto per non tradirmi, non so come abbia fatto a capire che non prendo più quelle fottute pillole, ma non è questo il punto...- incalzò il giovane, inchiodando Lyn con lo sguardo e prendendole nuovamente il viso tra le mani.
- Domani, nel corso della battaglia, potrei non essere più io ad un certo punto- confessò affranto e lei sgranò gli occhi, impaurita all’estremo e senza riuscire a dare un’apparente senso logico a quell’affermazione.
- Cosa vuoi dire? Sp… spiegati meglio- biascicò Lyn e il ragazzo sospirò ancora.
- Vorkov mi ha detto che più Bit Power assorbirò con il Black Dranzer più potrei sentirmi...diverso- Kei scelse con cura le parole da usare per cercare di chiarire il concetto a Lyn, ma la verità era che neanche lui sapeva esattamente cosa sarebbe successo.
- Diverso come?- incalzò la ragazza aggrottando le sopracciglia, nel tentativo di capirci qualcosa.
- Non lo so, d’accordo?- Kei si staccò nervosamente da lei, appoggiandosi con la schiena alle gelide sbarre dell’ingresso della villa, producendo un rumore sordo.
Il ragazzo chiuse gli occhi frustrato e riprese fiato.
- Potrei dimenticare nuovamente chi sono e ritrovarmi ad essere di nuovo il burattino di Vorkov, oppure ho sentito parlare di una sete di potere talmente grande che potrei non riuscire a fermarmi- si confidò impaurito, alzando gli occhi al cielo.
- Kei, lo sanno tutti che un blader è tanto forte quanto maggiore è il controllo che riesce ad esercitare sul suo Bit Power e, soprattutto, la fiducia che ha nel suo animale sacro- lo rassicurò Lyn.
- La Tigre Bianca è la mia migliore amica da sempre, mi ha protetta fin da prima che nascessi, difendendo prima mio padre proprio contro Boris e poi mia madre che mi portava in grembo nella battaglia contro il Team delle Tenebre- disse la ragazza sorridendo.
- Tu… quanto ti senti legato al tuo animale sacro? Sei in grado di controllarlo?- chiese cauta lei, ricordando di non averlo mai visto combattere col suo Bit Power.
- Non ho mai evocato l’Aquila Nera in un incontro- confessò Kei scuotendo la testa.
- L’unica volta in cui l’ho chiamata in mio aiuto è stata per salvarti da quei bastardi, la notte ai Parioli- ricordò con disgusto e fu allora che Lyn capì perché quelle bestie se l’erano data a gambe ancora con i pantaloni calati. Avevano visto l’animale sacro di Kei e tutta l’oscura potenza che possiede.
- E cosa hai provato quell’unica volta?- chiese dunque Lyn.
- Non ricordo con esattezza, so solo di essermi sentito invaso da un potere straordinario, inimmaginabile, un potere che va oltre ogni aspettativa- rispose piano lui e la ragazza deglutì un po’ spaventata, non essendo esattamente ciò che avrebbe voluto sentirsi dire.
- Vorkov si vanta di aver creato lui il mio Bey, ma io so la verità.- cominciò dopo qualche secondo.
- La prima persona che ha messo mano alla creazione di Black Dranzer è stato Rasputin, il monaco russo che viveva alla corte dello zar Nicola, colui che ha costruito il monastero dove sono stato prigioniero per anni-
Lyn alzò un sopracciglio incredula.
- Quell’uomo impazzì dopo aver creato questo Beyblade, dopo aver imprigionato il potere dell’Aquila Nera al suo interno e si narra che la sete di potere dell’animale sacro sia direttamente proporzionale al dolore che ha provato quando è stata relegata a forza nel bit chip- concluse Kei, facendo rabbrividire Lyn.
- E’ per questo che non so cosa mi accadrà esattamente domani quando userò quel potere- disse piano lui.
- Ascoltami, Kei, io non lascerò che tu impazzisca- lo rassicurò Lyn andandogli accanto.
- Ci atterremo al piano, tu ruberai i Bit Power di Judy e David, poi chiederai di sfidare Makoto per il titolo e ruberai anche Dragoon e al momento del match con me, ti rivolterai contro di lui come stabilito, d’accordo?- cercò di calmarlo Lyn, illustrandogli nuovamente quel piano inventato a tavolino da tutti i presenti quel pomeriggio di dieci giorni prima a casa sua.
- Semmai dovessi perdere il controllo, tu dovrai riportarmi indietro, mi hai capito?- chiese con tono quasi implorante Kei, ignorando deliberatamente le parole di Lyn e la ragazza fu abbastanza sconvolta nel sentirlo parlare in quel modo.
- Lyn, devi promettere- le chiese ancora lui, stringendole dolcemente le braccia.
- Tu sola hai questo potere, solo tu puoi ricordarmi chi sono- continuò lui con lo stesso tono.
- Non permettere all’Aquila Nera di consumare anche me- concluse, abbassando lo sguardo.
Lyn, non sapendo cosa dire, prese il controllo nell’unico modo che ormai conosceva, afferrando Kei e baciandolo con passione. In quella mattinata così fredda, l'insolito calore della bocca e del corpo del ragazzo premuto contro il suo, la fecero sentire di colpo accaldata.
- Te lo prometto- mormorò Lyn ancora con gli occhi chiusi, contro le labbra di Kei.
- Ti riporterò indietro, croce sul cuore...-
- … dovessi morire- continuò Kei riaprendo piano gli occhi.
Lyn sospirò pesantemente, valutando se fosse il momento giusto per dire o meno di nuovo quelle due paroline così importanti a Kei, che da quella mattina in cui le aveva pronunciate al castello non era più riuscita a farlo, ma lasciò perdere proprio all’ultimo, notando che lui si nascose nuovamente sotto il cappuccio e si mise le mani in tasca.
- Ora devo andare, non devono sapere che sono uscito- si affrettò a dire Kei e Lyn annuì e prima di congedarsi, però, si scambiarono un lungo e dolce bacio, meno urgente dei due precedenti, ma ugualmente intenso.
- Ci vediamo domani, nell’arena- disse Lyn, tentando con tutte le sue forze di sciogliere quel nodo in gola che le si era venuto a creare e Kei annuì piano, mentre lentamente le loro mani si staccarono.
Lyn si guardò indietro per l’ultima volta prima di montare in sella al suo scooter e Kei già non era più lì.
Sospirò indossando il casco e poi si diresse verso casa, ripensando alle parole del suo amato, ma soprattutto, a quelle del Grande Saggio.
Ricorda, figlia del solstizio d’estate, solo tu puoi vincere il gelo nel cuore di un’anima spenta e dimenticata”
Lyn corse a tutta velocità verso casa e quando si rimise a letto tranquilla e sicura di non essere stata scoperta, la sua mente indugiò ancora una volta su quelle parole che le risuonavano in testa come un’eco: vincere il gelo nel cuore di un’anima spenta e dimenticata.

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Capitolo 33
*** Ave Caesar, Morituri Te Salutant ***


Capitolo 33:

Il giorno di quel tremendo torneo tanto voluto da Vorkov era arrivato.
Lyn spalancò le tende della sua camera, dando un’occhiata al panorama in lontananza.
Il sole era già alto in cielo e il fitto manto di neve che aveva coperto Roma nei giorni precedenti cominciava a sciogliersi, dando alla superficie della città una sorta di bagliore etereo, come se tutto fosse stato ricoperto di diamanti.
Lyn sospirò pesantemente.
Non aveva la benché minima idea di come sarebbero andate le cose quel pomeriggio, ma soprattutto chi ne sarebbe uscito vincitore da quei match che si preannunciavano devastanti sia fisicamente, ma soprattutto psicologicamente.
I russi non si sarebbero fermati davanti a niente, quella era una certezza.
Le cicatrici sul corpo di suo padre erano la prova lampante di quanto potessero essere spietati i blader allenati da Vorkov e poi quell’insolita richiesta di Kei l’aveva definitivamente mandata fuori di testa.
Qualcuno bussò alla porta e, solo quando Lyn diede il permesso, Rei ed Elena varcarono la soglia, mentre lei continuava a dar loro le spalle.
Erano passati giorni dall’ultima volta in cui si erano trovati da soli in una stanza, come una famiglia qualunque, prima di lasciarsi trascinare in quella maledetta storia e, in quella particolare occasione, la giovane sentì il senso di colpa opprimerla come mai prima.
I suoi genitori avevano già affrontato battaglie durissime, avevano già vinto la loro guerra e si stavano godendo l’età adulta come persone normalissime e lei li aveva costretti a combattere di nuovo, così all’improvviso. Lyn non aveva il coraggio di guardarli in faccia, non gli aveva ancora neanche chiesto scusa per essersene andata via di casa e averli fatti preoccupare in quel modo, soprattutto sua madre che doveva restare tranquilla.
Quando la ragazza sentì il tocco dolce e familiare delle mani dei suoi genitori poggiate sulle spalle sospirò ancora, cercando di trattenere le lacrime, ma il suo corpo iniziò a tremare.
- Non piangere, sei la futura Capotribù del villaggio e le Capotribù non piangono- disse fermo Rei, stringendo leggermente la presa sulla spalla di sua figlia.
- Abbiamo qualcosa per te- annunciò Elena e Lyn fu costretta a girarsi, restando esterrefatta quando sua madre tirò fuori dalla tasca Driger, che sembrava messo completamente a nuovo. Brillava proprio come la neve che si stava appena sciogliendo al sole e notò che aveva qualcosa di diverso. Lyn prese dunque dalle mani di sua madre il Bey e lo osservò attenta.
- La zia Emily e il Professore hanno fatto qualche modifica, su nostra richiesta- disse Rei, mentre Lyn continuava a squadrarsi l’oggetto con attenzione.
- Ha lo stesso assetto di quando io… ho sconfitto il Team delle Tenebre- la ragazza alzò di scatto lo sguardo e osservò sua madre con incredulità.
- Driger e Vulpilyon insieme, oro e ghiaccio, proprio come sei tu- confessò la donna, incapace di trattenere la commozione.
- Mamma...- mormorò Lyn guardandola emozionata.
- Certo, non hai il Bit Power Supremo, ma non ti servirà, non contro Kei, almeno spero- sottolineò Rei.
Lyn annuì convinta e poi abbracciò i suoi genitori, stringendoli fortissimo, sperando che loro cogliessero dietro quella presa così affettuosamente stretta, tutta la sua gratitudine e tutto il suo scusarsi.
- Non lasciarti sopraffare, Vorkov può essere davvero crudele, ma tu sei una blader e una ragazza fortissima, una vera guerriera, rendici orgogliosi di te- sussurrò Rei all’orecchio di Lyn per darle la carica.
- Lo farò, papà, promesso- si affrettò a dire lei e quando sciolsero l’abbraccio, Rei ed Elena videro per la prima volta una donna fiera e determinata davanti a loro, non può la ragazzina ribelle e vivace che avevano cresciuto.
La Tigre era pronta per andare a caccia da sola.

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A mezzogiorno in punto erano arrivati tutti al Colosseo.
Ad Elena faceva un certo effetto tornare lì da blader dopo quella che era sembrata un’eternità, ma l’emozione nel ricordare vecchie avventure, lasciò subito spazio ad un senso di nausea e ad un’ansia indicibile quando si ritrovò davanti Vorkov seduto comodamente su un trono in uno dei punti panoramici del sito archeologico.
Kei era accanto a lui in piedi e osservava attento l’ingresso dei suoi avversari in campo, con lo sguardo glaciale e le braccia incrociate sul petto.
Non sembrava quasi la stessa persona di sempre.
Lyn sussultò quando vide il ragazzo, mentre il vento gelido di gennaio muoveva il suo particolare ciuffo argenteo. I due si guardarono per istanti infiniti negli occhi e lei giurò di vedere Kei annuire leggermente come a rassicurarla.
Altre tre figure erano in piedi dietro Vorkov e dallo sguardo pieno di rabbia che Rei lanciò in quella direzione, irrigidendosi subito dopo, Lyn capì che quello più basso dietro Vorkov doveva essere Boris, il blader che alla famosa finale mondiale aveva quasi ucciso suo padre. A pensarci quel tizio avrebbe messo paura a chiunque, pensò Lyn.
- Solo rivederli mi da il voltastomaco- mormorò Takao, mentre procedevano a passo lento al centro dell’arena, trovando l'assenso di sua moglie accanto a lui.
Quando tutti si voltarono in direzione di Vorkov, quest’ultimo si alzò in piedi e allargò le braccia con fare teatrale.
- Ave, Caesar, morituri te salutant*- la sua voce riecheggiò più volte nell’arena, mentre pronunciava il saluto che i gladiatori dell’antica Roma rivolgevano all’imperatore, prima di cominciare i giochi.
- Perdonatemi, amici miei, ma la mia formazione classica viene fuori in modo dirompente in questa città- continuò l’uomo, con la sua voce profonda e fastidiosamente stucchevole.
- Benvenuti a questo torneo amichevole- sottolineò l’ultima parola in modo quasi tenero e Lyn non poté fare a meno di pensare che quell’uomo le dava sempre i brividi, come la prima volta che lo aveva conosciuto a Mosca.
- Partecipanti, fatevi avanti- invitò Vorkov e Lyn, Judy, David e Makoto fecero un passo avanti, in attesa.
- Ah, che meraviglia! Una nuova generazione di campioni che si mostra a me- disse fiero.
- Ho già spiegato le regole ai vostri cari paparini- cominciò dopo qualche secondo, sistemandosi meglio gli occhiali da sole.
- Quattro match, sfiderete tutti mio figlio Viktor, uno per volta in incontri singoli- disse e il giovane fece un passo avanti. Lyn sentì il cuore mancarle un battito.
- Se vinciamo noi, ci prenderemo i vostri Bit Power, se perderemo...- fece volutamente una pausa, mentre Lyn vide Makoto serrare i pugni lungo i fianchi.
- Beh, sarete liberi, come promesso- concluse, con un gesto eloquente della mano.
- Come facciamo a fidarci?- si intromise Makoto, guardando con odio il suo interlocutore e Vorkov si lasciò sfuggire una risatina.
- Sei proprio identico a tuo padre, una testa calda piena di impulsività- commentò passandosi un dito sul labbro inferiore e Makoto guardò di sottecchi Takao.
- Come ho già detto ai vostri genitori, sono un uomo di parola e io mantengo sempre una promessa, soprattutto se suggellata in una Beyblade arena- concluse in tono solenne.
- Va bene, cominciamo allora- ordinò Judy con sguardo di sfida e poi i ragazzi diedero le spalle a Vorkov dirigendosi verso quella panchina improvvisata dove i loro genitori si erano accomodati.
Lyn indugiò qualche secondo ad osservare Kei, che per non destare sospetti, si voltò subito.
- Comincerò io- esordì sicura la figlia maggiore di Max, sistemandosi i mezzi guanti neri e agganciando Draciel al dispositivo di lancio.
- Ti senti pronta?- chiese Emily, cercando di celare il più possibile la sua preoccupazione, ma Judy se ne accorse e sorrise brevemente a sua madre.
- Sono nata pronta, del resto... ho imparato dalla migliore- ed Emily sorrise di rimando, annuendo leggermente.
Judy non ricordava qual era stata l’ultima volta che sua madre le aveva rivolto uno sguardo così pieno d’amore e d’ammirazione. Probabilmente non l’aveva mai fatto, pensò la ragazza.
- E poi quel ragazzino non mi fa alcuna paura- continuò, rivolgendo lo sguardo a Kei.
- Vacci piano. Va bene la sicurezza, ma non essere arrogante, ricorda che era anche lui uno dei Bladebreakers e anche lui ha vinto il mondiale insieme a noi- la ammonì Max con cautela.
- In panchina, disputando mezzo match, dopo che vi aveva traditi. Bel modo di vincere un mondiale- rispose sarcastica Judy, alzandosi dal muretto.
- Kei restava in panchina per sua scelta, non perché fosse meno bravo, anzi. E rammenta che tu, come tutti noi, lo dobbiamo a lui se esistiamo e respiriamo- si sentì di aggiungere il Professore e Judy sospirò esasperata.
- E va bene, d’accordo, ora vado- tagliò corto, alzando gli occhi al cielo.
- Sii prudente e… attieniti al piano- sussurrò Lyn e l’amica, rassegnata, annuì.
Quando sia Judy che Kei si misero l’una di fronte all’altro e l’arbitro ingaggiato da Takao controllò che i due fossero apposto, fu decretato l’inizio dell’incontro.
- Tre, due, uno, pronti, lancio!- urlarono in coro i ragazzi e subito il Beyblade nero di Kei partì all’attacco, dando la caccia a quello verde di Judy.
Il combattimento era serrato, ma la bionda poteva fare affidamento sulla difesa impenetrabile del suo Beyblade e soltanto quando si vide messa alle strette dal Black Dranzer chiamò il suo Bit Power.
- Tartaruga, vieni fuori!- urlò la ragazza e gli ex campioni del mondo poterono vedere la curva delle labbra di Vorkov piegarsi in un sorriso soddisfatto.
Kei non restò a guardare e, prendendo coraggio e lanciando una veloce occhiata a Lyn, fece la stessa cosa di Judy.
- Aquila Nera!- la sua voce rimbombò per tutta l’arena e due fasci di luce neri e viola si irradiavano dal centro dei bit chip.
Lyn nascose le mani tremanti tra le sue gambe con la scusa del freddo e pregò mentalmente che Judy facesse quanto si erano prefissati negli ultimi giorni.
La ventiduenne americana tentò qualche colpo, ma l’Aquila Nera di Kei si dimostrava più forte ad ogni tentativo d’attacco. Lyn e gli altri ad un certo punto non riuscirono neanche più a capire se Draciel stesse combattendo in modo “finto” come si erano accordati per lasciar vincere Black Dranzer, oppure quel Beyblade fosse davvero inarrestabile come dicevano.
Judy venne buttata con un colpo ben assestato fuori dal ring e quando la trottola si fermò ai suoi piedi, Kei sorrise soddisfatto, quasi dietro a quel ghigno c’era del diabolico, ma Lyn si convinse di aver preso un abbaglio.
- Vai, Aquila Nera, è tutta tua- mormorò Kei riferendosi alla Tartaruga Nera e quando Judy e gli altri videro la luce del Bit Power trasferirsi da un Bey all’altro e il bit chip di Draciel vuoto e senza vita, realizzarono che seppur fosse una messinscena, quello spettacolo faceva davvero tanto male.
Judy ritornò verso la panchina ad occhi bassi, stringendo tra le mani il suo Bey, graffiato, completamente rovinato e privato del suo potere. Si sentiva come svuotata.
- Hey, va bene, sta andando tutto secondo i piani, no?- si sforzò di tirarla su Makoto, dandole una pacca sulla spalla e Judy non rispose, continuando ad osservare quel cerchio vuoto al centro di Draciel.
Non riusciva a spiegare la sensazione, sentiva solo tanta rabbia dentro. Era totalmente confusa. Max, capendo la sensazione, si avvicinò a sua figlia.
- Honey, va tutto bene, la Tartaruga Nera tornerà al suo posto accanto a te, vedrai- la rassicurò suo padre, carezzandole i capelli.
- Capisco che dovevamo fare per forza così ed è una cosa che avevamo preventivato, ma...- tentò Judy, incapace di trattenere le lacrime.
- Cerca di scacciare questa brutta sensazione, perché ti assicuro che è passeggera.- continuò l’americano.
- Stasera Draciel sarà come nuovo, promesso- concluse Max e Judy riuscì ad annuire, per poi sospirare pesantemente.
Il senso di colpa di Lyn per aver trascinato in quella storia persino i suoi amici, oltre che i suoi genitori, cresceva a dismisura, procurandole una sensazione come di un peso opprimente al centro del petto che quasi le impediva di respirare.
- Tocca a me- annunciò David, preparandosi con il suo Trygator, mostrandosi rabbioso e determinato, soprattutto dopo aver visto sua sorella in quello stato.
- Fagli il culo, ti prego- mormorò Judy, bloccandolo per un braccio e guardando fisso davanti a sé Kei, che impaziente aspettava un nuovo avversario da battere.
David annuì poco convinto, per poi avviarsi a passo sostenuto verso il centro dell’arena.
- Qualcosa ti turba, Sergej?- chiese Vorkov senza girarsi nella direzione dell’uomo, semplicemente il suo essere irrequieto e circospetto durante il primo match lo aveva innervosito.
- Una semplice sensazione, mio signore, sono sicuro si tratti di una sciocchezza- si affrettò a rassicurarlo l’omone, che nonostante avesse passato i cinquanta, manteneva il tono muscolare meglio di un ventenne.
- Condividila con noi- lo esortò Vorkov, continuando ad osservare i due sfidanti che si preparavano all’incontro.
- Beh, mi sarò sicuramente sbagliato, ma ho avuto come l’impressione che Draciel non combattesse al meglio delle sue capacità- confessò Sergej e Vorkov aggrottò la fronte, cominciando a dondolarsi su quella specie di trono.
- Ho combattuto contro quel Bey in passato, eppure mi sembra indebolito dall’ultima volta, cosa molto improbabile visto che Max Mizuhara è uno dei migliori scienziati del PPB, così come sua moglie Emily- proseguì.
Il tarlo del dubbio si insinuò in Vorkov, che prese ad essere circospetto esattamente come il suo sottoposto.
- Magari la figlia non è forte ed esperta quanto loro, ci hai pensato?- chiese ovvio Boris, scoccando un’occhiataccia al compagno.
- Già, probabilmente sarà così- replicò Sergej, sperando di liquidare la faccenda, ma Vorkov era un tipo che non lasciava nulla al caso, neanche il più misero dettaglio.
- Sergej, per favore, ti chiedo di guardare questo secondo incontro con più attenzione- lo invitò il capo.
- Ma certo, signore, come desidera- e poi l’uomo sospirò pesantemente, socchiudendo gli occhi, pronto ad osservare il match come un falco in attesa di un passo falso della sua preda per attaccarla.
- Non mi faccio prendere in giro da quattro ragazzini qualunque- mormorò Vorkov pieno d’odio.

*Ave Caesar, morituri te salutant: come ho spiegato, per chi non lo sapesse è il saluto che i gladiatori rivolgevano all'Imperatore, patrono dei giochi, prima di cominciare quelle sfide mortali ed è letteralmente "Ave, Cesare, coloro che vanno a morire ti salutano"

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Capitolo 34
*** Colpi Devastanti ***


Capitolo 34:

L’incontro tra David e Kei andava avanti ormai da più di un quarto d'ora e i due sembravano fronteggiarsi senza esclusione di colpi.
Nonostante Trygator riuscisse ad assestare colpi più precisi rispetto a sua sorella, la difesa restava comunque il suo punto debole, quindi il minore dei figli di Max attuò una tattica di attacco serrato e continuo, senza dare la possibilità all’avversario di respirare, evitando così di farsi trovare scoperto e impreparato.
- Non ricordavo fosse così forte quel Bey- mormorò Rei ad un certo punto ed Elena lo guardò interrogativa.
- Lo abbiamo sfidato Black Dranzer, certo era forte, ma non così- proseguì lui a braccia conserte, catturato dall’incontro.
- Immagino Vorkov abbia messo a punto degli upgrade, come tutti- commentò ovvia la moglie e Rei scosse la testa.
- Non è un semplice upgrade quello, è come se l’Aquila Nera combattesse per odio e vendetta servendosi di Kei e non il contrario- confermò il cinese, via via che l’incontro proseguiva.
- Vuoi dire che è l’animale sacro a controllare il Beyblade e il suo proprietario e non Kei a farlo?- chiese spaventata Elena.
- Precisamente- disse lui annuendo.
- Siamo tutti in un mare di guai allora- commentò la donna rassegnata.
- Lasciamo le cose come stanno- cercò di rassicurarla lui.
- Ci sono ancora due incontri da disputare e David mi sembra in netto vantaggio, lasciamo agire i ragazzi come stabilito- concluse risoluto ed Elena fu costretta a restare in silenzio, ma proprio quando David sembrava avere le sorti dell’incontro in pugno, con una rincorsa micidiale Black Dranzer scaraventò fuori dal ring Trygator.
David non poteva crederci e realizzò di aver perso solo quando, all’ultimo secondo, si scansò prima che il Bey lo colpisse in pieno viso a tutta velocità, rischiando addirittura di sfregiarlo, o peggio, rompergli il naso.
- Ma cosa...- mormorò incredulo il ragazzo dai capelli ramati e poi andò a raccogliere il Beyblade che quasi cacciava fumo, spaccato in più punti.
- Maledetto!- urlò David a Kei che si limitò ad alzare le spalle.
- Hai perso, devi consegnarmi il tuo Alligatore- disse Kei con sfacciataggine.
- Prenditelo se ne hai il coraggio!- lo sfidò David e l’avversario, di tutta risposta, sorrise malefico.
- Come vuoi. A te, Aquila Nera!- ordinò il giovane e nel giro di pochi istanti Trygator perse il suo potere, così come Draciel poco prima, lasciando il bit chip vuoto e senz’anima.
David batté più volte i pugni sul pavimento, accorgendosi che sua madre aveva voltato le spalle all’arena, non reggendo la vista del suo amato Bit Power, compagno di tante avventure, che lasciava il suo Beyblade.
- Coraggio, David, ce lo riprenderemo, vedrai- cercò di rassicurarlo il prof, mentre lo portava via dal ring, ma David sembrava impazzito, dava calci e pugni e si dimenava come un forsennato.
Nessuno lo aveva mai visto così fuori di sé, di solito quel ragazzo era il ritratto dell'autocontrollo e della sicurezza, proprio come Emily.
Non appena il potere dell’Alligatore si aggiunse a quello della Tartaruga, Kei poté sentire come un terremoto dentro di sé, un vulcano di potenza pronto ad esplodere. Si sentì sopraffare da quella sensazione, tanto che cadde per un attimo in ginocchio, rialzandosi subito e sospirando con soddisfazione.
Vorkov sorrise dagli spalti.
- Il potere inizia a farsi sentire, bravo figliolo- mormorò e poi con un cenno della mano chiamò Sergej, invitandolo ad avvicinarsi.
- Ebbene?- chiese all’uomo con una certa eloquenza.
- Il ragazzo ce l’ha messa tutta, direi che è stata una semplice sensazione, come pensavo- rispose lui con poca convinzione, ma Vorkov serrò la mascella.
- Non mentirmi!- lo redarguì con durezza, tanto da far fare un passo indietro a tutti.
- Ho visto anche io che non combattono sfoderando tutta la loro potenza e questa cosa non mi piace, è come se ci stessero lasciando vincere di proposito- osservò Vorkov assottigliando lo sguardo.
- Signore, mi permetta, anche se avessero in mente qualche piano non potranno farcela- si intromise Yuri.
- Lasciarci vincere gli incontri, con o senza premeditazione, non costituisce alcun ostacolo al suo piano di conquista, ormai i Bit Power sono nostri e non potranno più riprenderseli- confermò il membro più anziano della Borg.
- Senza quelli sono solo degli sciocchi ragazzini indifesi- disse con un sorrisetto furbo e Vorkov parve rilassarsi.
- Vogliono lasciarci vincere sperando di riottenere in qualche modo i Bit Power? Si accomodino pure, non sanno però che più Black Dranzer acquista potere più ne vuole, è una bestia insaziabile- continuò Yuri soddisfatto.
- Sai, Yuri, a volte un po’ mi dispiace che l’Aquila Nera non ti abbia scelto- commentò tagliente qualche secondo dopo Vorkov e Yuri sospirò contenendo la rabbia.
Si portò le mani dietro la schiena e con pacatezza si limitò a rispondere.
- Noi lupi della steppa siamo creature fedeli, non avrei mai abbandonato il mio Wolborg- commentò il rosso.
Vorkov sorrise con malizia, conoscendo il reale motivo per cui Yuri Ivanov non era stato scelto per gareggiare col Black Dranzer già trent’anni prima. Quel Beyblade si era dimostrato decisamente troppo forte e di difficile gestione per lui e più aveva provato a controllarlo, più aveva combinato disastri, mettendo in pericolo la sua stessa vita.
- Ragazzi, comincio a pensare che il piano non funzionerà- sentenziò David preoccupato una volta calmatosi, seduto in panchina tra Makoto e sua sorella.
- Non dite così, ce la faremo, come sempre- cercò di sdrammatizzare Hilary.
- Quello non è normale e di certo non lo è il suo Bey, guardate- proseguì il giovane indicando Kei che ridacchiava con gli occhi sgranati, quasi malefico, stringendo il Black Dranzer tra le mani.
Tutti gli sguardi si spostarono velocemente su Lyn, alla quale quella scena fece venire i brividi lungo la spina dorsale. Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, la ragazza aveva seriamente paura di Kei, di colui che amava.
- Direi che il piano cambia- cominciò Makoto, dopo un lungo sospiro.
- Non azzardarti a fare colpi di testa- lo avvisò suo padre, conoscendo appieno la sua impulsività.
- Rischi di mettere Kei e i Bit Power in pericolo, lo capisci?- continuò Takao in un sibilo, afferrando suo figlio per la stoffa del maglione, ma quest’ultimo si divincolò in malo modo.
- A me non importa un fico secco del vostro amico!- cominciò Makoto nervosissimo.
- Kei Hiwatari è morto combattendo da Bit Power Supremo contro il Team delle Tenebre e questa storia me l’avete raccontata fino alla nausea, ce l’avete raccontata- continuò il ragazzo esasperato, mentre tutti lo osservavano sconvolti.
- Dunque, per quanto mi riguarda, quello lì può essere chiunque, ma non il vostro amico, quindi per me non fa differenza- proseguì Makoto, indicando minacciosamente Kei già pronto dinanzi al ring.
- So solo che è un avversario e io lo batterò, per difendere l’onore mio e dei miei amici- concluse determinato, lasciando persino suo padre senza parole.
- E soprattutto, non lo lascerò mai e poi mai mettere le sue sudice mani sul mio Drago Azzurro, sono stato abbastanza chiaro?- Makoto era livido di rabbia.
Lyn vedeva gli occhi blu notte del suo amico di sempre scintillare come mai prima di quel momento.
Nonostante gli volesse un gran bene, aveva sempre pensato che fosse arrogante ed egoista quando si arrivava uno contro uno in un match di Beyblade e ora vederlo lì, che cercava in tutti i modi di difendere i suoi migliori amici, la sua famiglia, era come se lo vedesse per la prima volta.
Makoto lanciò un’occhiata di intesa a Lyn che annuì impercettibilmente.
- Combatti come sai, penseremo dopo al da farsi- si accordò la ragazza, riuscendo a strappare un sorriso genuino al suo amico.
- Ma Lyn...- intervenne Elena e lei scosse la testa.
- Makoto ha ragione, mamma- la interruppe prontamente la ragazza.
- Soltanto combattendo potremo difendere i nostri Bit Power, lasciargliela vinta quasi a tavolino non mi sembra più una buona idea, è avvilente e... fa male- si trovò a dire ad alta voce, mentre lanciava un’occhiata preoccupata al suo ragazzo.
- E come faremo con Kei? Come gli renderemo chiare le nostre intenzioni?- chiese Max.
- In questo momento è completamente assorbito dal potere dei Bit Power, non possiamo permettergli di prenderne di più, o diventerà inarrestabile- sentenziò Lyn, facendo correre lo sguardo su tutti i presenti.
- Esattamente quello che volevo sentire dall’inizio- disse Makoto, trovandosi d’accordo con lei che gli sorrise, pregando con tutta sé stessa di aver nascosto tutta la sua preoccupazione dietro quel sorriso.
- Vado, allora- disse sicuro il maggiore dei Kinomiya, sistemandosi meglio sulla testa il berretto rosso e bianco appartenuto a suo padre e a suo zio Hitoshi prima di lui.
- Ti prego, sta’ attento- disse Hilary, mettendo le mani giunte.
- Come sempre, mamma- la rassicurò lui, per poi correre verso l’arena e Lyn sospirò profondamente.
Mi dispiace tanto, Makoto, perdonami.
Fu l’unica cosa che la ragazza riuscì a pensare e non ebbe il coraggio di dirlo a piena voce.
Il suo discorso motivazionale aveva sortito esattamente l’effetto sperato.
Aveva caricato la sua squadra, in modo da non dare troppo l’impressione di un combattimento dove uno dei partecipanti non ce la stava mettendo davvero tutta. Avrebbe sicuramente destato dei sospetti negli avversari e quel continuo farfugliare tra Vorkov e uno dei suoi scagnozzi l’aveva preoccupata tanto da indurla a credere di essere stati scoperti.
Non poteva permetterlo.
Non poteva permettere che Kei rischiasse la vita, soprattutto quando conosceva le reali conseguenze degli effetti del potere dei Bit Power assorbiti dall’Aquila Nera su di lui. Doveva riportarlo indietro, era un compito che lui le aveva supplicato di svolgere quando sarebbe arrivato il momento e Lyn non poteva tradirlo.
Non poteva tradire l’uomo che amava quando le aveva fatto un’unica importantissima richiesta.
Quella di salvarlo.
Sapeva di essere stata tremendamente vigliacca in quella circostanza, ma spronare Makoto a combattere al massimo delle sue forze, poteva essere la chiave per guadagnarsi la fiducia di Vorkov e far sì che quando sarebbe toccato a lei combattere, Kei le avrebbe dato ascolto, evitando una strage.
Doveva aver fede nel piano che avevano congegnato sin dall’inizio, perché avrebbe funzionato. Lyn ne era certa.
- Sei pronto?- chiese Makoto con fare di sfida a Kei che con un ghigno si mise in posizione per lanciare.

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Dragoon e Black Dranzer si affrontavano ormai da quasi mezz’ora e nessuno sembrava cedere terreno all’altro.
Makoto non si era lasciato affatto innervosire dalla potenza che Kei aveva dimostrato, né tanto meno quest’ultimo si faceva intimorire dal campione del mondo.
Qualunque amante di Beyblade si sarebbe incantato dinanzi ad un match così avvincente, se solo la posta in gioco non fosse stata così alta, infatti Lyn era l’unica non coinvolta nell’incontro tra i presenti. O forse lo era fin troppo.
In quell’arena si stavano sfidando il suo più caro amico e l’uomo che amava, era decisamente difficile per lei mantenere un certo distacco, ma doveva restare vigile e lucida se voleva portare a termine il piano.
- Non sei niente male, capisco perché mio padre ti abbia voluto in squadra- commentò Makoto ad un certo punto e Kei aggrottò la fronte.
- Che cosa hai detto?- chiese secco, più infastidito che altro.
- Niente, solo che per essere stato uno dei Bladebreakers te la cavi, certo, ma in realtà non sei questo tanto decantato fenomeno, se posso dire la mia- continuò a stuzzicarlo Makoto.
Kei strinse i pugni e serrò la mascella, i suoi occhi dallo scintillio viola erano fiammeggianti di rabbia, mentre Vorkov era irrequieto dagli spalti.
- Quel ragazzino sta rivelando dettagli troppo personali- disse l’uomo, stringendo la morbida stoffa bordeaux del bracciolo della sua sontuosa seduta.
- Makoto, pensa a combattere!- lo ammonì Lyn, sperando che lui la smettesse prima di far saltare completamente la copertura.
- Lo sto facendo, tesoro- rispose lui facendole l’occhiolino e quel gesto fece andare definitivamente Kei su tutte le furie.
- Ascolta, moccioso, non so cosa ti abbia raccontato quella testa di cazzo di tuo padre, ma sappi che non è stato di certo lui a volermi in squadra, il posto me lo sono guadagnato e sono molto più forte di voi tutti messi insieme!- lo provocò Kei e Vorkov si alzò in piedi.
- Cosa state facendo?- urlò dalla sua postazione, mentre quei due si scambiavano sguardi carichi di elettricità.
- Makoto, basta!- tuonò Takao, imitando Vorkov.
Ma i due li ignorarono completamente, concentrati al massimo sull’incontro e sulla prossima frecciatina da scagliare, già pronta nella faretra.
- Questo è da vedere, vai Dragoon, all’attacco!- ordinò Makoto e il Bey partì a tutta velocità all’inseguimento di quello di Kei.
- Combatti, Black Dranzer!- urlò l’altro di rimando e quando i due Beyblade si incontrarono produssero delle scariche elettriche simili a dei fulmini e un fastidiosissimo rumore di metallo in attrito.
- Non resisterai a lungo- osservò il russo, mettendosi a braccia conserte con soddisfazione, vedendo che Dragoon cominciava a perdere dei pezzi.
Makoto digrignò i denti, sentendo gocce di sudore cadergli dalla fronte, nonostante il freddo tipico di gennaio, ma non mollò, ordinando di fare lo stesso al suo Beyblade.
- Arrenditi, se non vuoi che distrugga il tuo Beyblade- disse Kei in tono conciliante.
- Sono il campione del mondo, non posso arrendermi, non così- mormorò il giovane visibilmente in difficoltà, che continuava ad osservare il suo prezioso Dragoon che cedeva sotto i colpi devastanti di Kei, spargendo i suoi preziosi componenti per il ring.
- Basta, Makoto, smettila subito!- urlò sua madre disperata.
- Così distruggerai il tuo Dragoon, falla finita!- si accodò il Professore.
Takao se ne stava seduto con i pugni stretti, la fronte imperlata di sudore proprio come suo figlio e la mascella serrata. Era il ritratto del nervosismo.
Non doveva essere per niente facile per lui vedere il suo ragazzo e il suo Beyblade soffrire in quel modo, ma se voleva avere la possibilità di salvare tutti loro, quella possibilità che gli era stata negata qualche decennio prima, doveva fare in modo che Makoto si arrendesse e che il piano di Lyn continuasse.
Non c’era altra via.

 

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Capitolo 35
*** You fought my teeth, my claws with love... ***


Capitolo 35:

Makoto cadde in ginocchio, mentre del suo Dragoon restava quasi nulla. Lo sguardo perso nel vuoto.
- E’ finita per te- sentenziò Kei, sfoderando tutta la sua potenza e infliggendo il colpo di grazia al suo avversario, riducendo in mille pezzi il suo Beyblade.
Quando ciò che era rimasto di Dragoon, ovvero una parte del disco d’attacco e il bit chip, si arenò ai piedi del suo proprietario, Makoto ne raccolse i pezzi, si asciugò due lacrime silenziose senza farsi vedere e si alzò in piedi.
- Perdonami, Drago Azzurro- mormorò trattenendo a stento i singhiozzi, poi Kei con fierezza ordinò all’Aquila Nera di appropriarsi del prossimo Bit Power.
Nonostante quella terribile scena si stava ripetendo per la terza volta, qualcosa in quel ruggito pieno di dolore del Drago Azzurro fece venire i brividi a tutti i presenti.
Compresi i russi.
Makoto si accomodò in panchina, asciugandosi le lacrime e allontanò in malo modo sia sua madre che suo padre che cercavano di consolarlo.
Lyn si sentiva sempre più uno schifo ogni volta che uno dei suoi amici usciva sconfitto dal match, perdendo la cosa più cara al mondo e il senso di colpa cominciava a divorarla viva. Non poteva sopportare tutto quel dolore e anche se la sua forza di volontà era tenuta insieme da un debolissimo collante, non poteva permettersi il lusso di cedere.
Non a quel punto.
La vista di Makoto e del suo Dragoon ognuno distrutto a suo modo, le fece rompere qualcosa dentro. Rivolse uno sguardo a Kei in ginocchio col fiato corto, le mani appoggiate per terra con difficoltà a rimettersi in piedi. Il suo primo istinto era stato correre ad aiutarlo, ma quando il ragazzo aveva alzato lo sguardo e Lyn aveva visto un bagliore sinistro in quegli occhi d’ametista che lei tanto amava e che l’avevano resa prigioniera dal primo secondo, capì che era arrivato il momento di agire.
Si alzò in piedi a sua volta, pronta ad affrontare il suo destino e si avvicinò all’arena.
- Il quarto incontro? Di già? Quanta fretta che hanno di liberarsi dei Bit Power- osservò tagliente Boris mentre sorseggiava dello champagne, lanciando un’occhiata a ciò che succedeva di sotto, quando Lyn si parò davanti a Kei. Sospirò e poi iniziò a parlare, attirando l’attenzione di tutti su di sé.
- Kei- disse solo, decisa, incurante delle conseguenze che pronunciare quel nome avrebbe portato.
Lui la guardava, ma non la vedeva.
Lyn sapeva benissimo che non sarebbe stato facile e lui non sarebbe tornato in sé al primo tentativo, quindi provò ancora.
- Ti prego, ricordati chi sei!- lo implorò lei, sentendo le lacrime salire agli occhi, incapace di ricacciarle indietro.
- Chi sono?- disse lui stringendo gli occhi a due fessure e vedendo finalmente chi aveva davanti, come in confusione. Lyn annuì con gli occhi colmi di speranza.
- Io sono… Viktor Vorkov, soldato e blader scelto della Borg, nonché figlio di Vladimir Vorkov- rispose sicuro lui, quasi in tono minaccioso.
Lyn involontariamente indietreggiò di un passo, poi sorrise con gentilezza.
- Kei, l’incontro è finito, dobbiamo andare avanti col piano, per favore- mormorò lei sottovoce, di modo che nessun altro a parte lui sentisse.
- Certo, il piano è che tu mi consegni anche l’ultimo Bit Power, così posso andarmene da questo posto di merda- la rimbeccò lui con un ghigno malefico.
- Ma cosa dici?- chiese nervosa Lyn.
- Ti prego, ti scongiuro, torna in te! Tu sei Kei Hiwatari, ex campione del mondo a squadre di Beyblade, quelli laggiù sono i tuoi amici- mormorò lei, cercando di fornire più dettagli possibili al ragazzo, ma Kei sembrava non conoscerla, anzi addirittura sembrava trattarla con sufficienza e questo gettò Lyn in una profonda angoscia.
- Senti ragazzina, ne ho fin sopra i capelli di queste stronzate- cominciò lui, duro e Lyn sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
Quello davanti a lei non era certamente il ragazzo che aveva conosciuto, nemmeno agli inizi quando lui era freddo e distaccato l’aveva trattata a quel modo.
La giovane avvertiva chiaramente che qualcosa in Kei era mutato.
- O ti prepari a lanciare o mi prenderò la tua bestia sacra con la forza, a te la scelta- disse mettendosi in posizione per lanciare.
Lyn si sentì annichilita davanti a quel cambiamento così repentino. Tentò con tutte le sue forze di trattenere le lacrime, anche se alcune sfuggirono cadendole sulle guance e chiamò ancora il ragazzo, facendo innervosire Vorkov che si alzò nuovamente in piedi.
- Rei!- urlò dall’alto.
- Ordina a tua figlia di combattere, subito!- il tono del russo non lasciava intendere alcuna negoziazione, così Rei sospirò e richiamò sua figlia.
- Lyn, vieni a prendere Driger- le ordinò, con voce piena di rassegnazione.
La giovane aveva preventivato la battaglia, tanto che i suoi le avevano addirittura consegnato un Bey completamente messo a nuovo, ma in quei giorni si era convinta che non sarebbe arrivata a scontrarsi con il ragazzo a cui teneva. Ci aveva creduto fino all’istante in cui si era parata davanti a lui per parlargli.
Era convinta che solo grazie al potere del suo amore sarebbe stata capace di farlo tornare indietro, ma ormai, da come la guardava e da come si era messo in posizione pronto a lanciare, quello davanti a lei non era decisamente Kei, non era il giovane misterioso e bellissimo di cui si era innamorata, non era il ragazzo che con tanta fatica le aveva rivelato il suo tormentato passato, colui a cui aveva donato il cuore, la mente e il corpo, concedendosi fisicamente per la prima volta a qualcuno.
Quello lì davanti a lei, con gli occhi pieni di rabbia, quasi neri come il suo Bit Power, non erano di certo gli occhi per cui aveva perso la testa.
Quello lì davanti a lei era semplicemente Viktor Vorkov, il burattino senza cuore e senz’anima di cui la Borg tirava i fili da tutta la vita.
Lyn cambiò completamente espressione, mettendosi anche lei in atteggiamento di sfida.
- E sia- disse lei, ingoiando l’ultima muta lacrima che giurò a sé stessa di versare per Kei fino a quando non fosse tornato sui suoi passi.
- Combatterò- lo informò e lui sorrise soddisfatto
- Bene, ti concedo un paio di minuti per recuperare il tuo Bey e prepararti- rispose lui gelido
Lyn annuì e si avviò veloce verso la panchina, venendo subito accerchiata da tutti, nei loro sguardi leggeva la più assoluta preoccupazione.
- Tesoro, fermati un attimo- disse sua madre agitata, mentre lei armeggiava con il dispositivo di lancio e agganciava Driger a quest’ultimo con mani tremanti.
- Combatterò mamma, fosse l’ultima cosa che faccio- sentenziò la ragazza, evitando di guardare la donna negli occhi e controllando che tutto fosse al proprio posto per lanciare.
- Lyn, penseremo a un altro piano, ma per favore, la Tigre Bianca deve restare dov’è, è l’unica che può salvarci tutti adesso- cercò di convincerla Emily e, per la prima volta da che ne aveva memoria, Lyn non aveva mai visto sua zia così impensierita da una situazione.
- Non c’è tempo per escogitare un altro modo. Farò l’incontro e cercherò di vincere- li rassicurò, ma dalle facce che avevano i membri della sua grande famiglia non sembravano essere d’accordo con lei.
Rei la prese dolcemente per le braccia e i due si guardarono intensamente. Sembravano comunicare in un linguaggio segreto tutto loro.
- Papà, io ho fiducia nella Tigre Bianca, non mi ha mai abbandonata- disse Lyn, più per convincere sé stessa che Rei.
- Neanche Dragoon mi aveva mai abbandonato, eppure...- si intromise Makoto, senza avere il coraggio di completare la frase, trovando l’assenso nello sguardo di Judy e David, ancora scioccati dall’esperienza che l’incontro con Black Dranzer era stato.
- Lyn, ti scongiuro, lascia perdere, troveremo un'altra via per salvare Kei- tentò ancora Elena, capendo la reale motivazione per cui sua figlia si stava per spingere così oltre.
- Pensi di riuscire a batterlo?- chiese piano Rei, catturando lo sguardo sbigottito dei presenti su di sé.
- Sono l’unica che si è allenata con lui. So come combatte, so come si muove il suo Bey- confermò sicura, rassicurando suo padre.
- E poi il Grande Saggio ha detto una cosa e sono sicura che abbia ragione- continuò, incontrando nuovamente gli occhi di suo padre, oro nell’oro.
- Solo io ho il potere di liberare dal ghiaccio il cuore di un’anima perduta- disse lei.
Quell’affermazione fece sussultare tutti, in particolare Rei, che si ritrovò a dare una pacca sulle spalle a sua figlia per incitarla a combattere.
- Lyn, credo che tuo padre sia fuori di testa al momento, ma davvero non commettere gesti avventati!- li interruppe Hilary.
- Tranquilla zia, so quello che faccio- le sorrise la ragazza.
- Riporterò indietro Kei e lo salverò, a qualunque prezzo- rispose sicura la giovane dagli occhi di miele.
- Anche a costo di perdere il tuo adorato Bit Power? Pensaci, Lyn, qui non stiamo semplicemente giocando a Beyblade come in un normale torneo- tentò di convincerla il Professore, ma la giovane di casa Kon scosse la testa e pareva essere irremovibile sulla sua decisione.
- Sto aspettando- la voce di Kei riportò tutti quasi sull’attenti, echeggiando nell’arena. Lyn sospirò lanciandogli uno sguardo di sfida, poi guardò tutti i presenti di nuovo, indugiando particolarmente sui volti dei suoi amici.
- Ragazzi, vi ho messo in una posizione davvero orribile e mi odio per questo- cominciò, avvicinandosi a loro.
- Ma vi prometto che il vostro sacrificio non sarà stato vano, vi restituirò i Bit Power, solo... voi abbiate fiducia in me, ve ne prego- li implorò la ragazza, inginocchiandosi davanti alla panchina dove i tre erano seduti.
- Sarà meglio per te!- la redarguì Judy in tono duro e gli occhi arrossati dal pianto per aver perso Draciel.
Lyn annuì, conoscendo talmente bene la sua amica d’infanzia che quella non poteva mai suonare come una vera e propria minaccia, poi la bionda le sorrise e l’abbracciò. Un abbraccio talmente pieno d’affetto che Lyn si sentì invasa da una forza sconosciuta.
- So che lo ami e vuoi fargli tornare la memoria in qualche modo, però prometti che ti impegnerai e lo farai sudare, non dovrà avere la tua Tigre tanto facilmente, intesi? Fa’ in modo che la mia Tartaruga torni- implorò Judy, mentre ancora la teneva stretta,
- Farò esattamente ciò che hai detto- la rassicurò la mora.
- Riportarci Dragoon e Trygator, Lyn, sei la nostra sola speranza- mormorò Makoto, ancora ad occhi bassi, osservando i pezzi del suo Beyblade distrutto e anche David assunse la sua stessa posizione.
- Non vi deluderò- Lyn si sforzò di tenere la voce ferma, poi si avviò a passo sicuro verso l’arena, dando un’ultima occhiata alle sue spalle e notando gli sguardi fieri e orgogliosi dei suoi genitori.
Elena era tornata indietro nel tempo di fronte a quella scena, mentre Lyn avanzava come un’impavida guerriera verso Kei e poteva sentire chiaramente il peso della responsabilità che gravava sulle spalle di sua figlia.
Lo stesso gravante fardello che era toccato a lei portare non moltissimi anni prima.
Lei era l’unica speranza, la storia si ripeteva nel medesimo e terribile modo.
- Sarà anche identica a Rei nell’aspetto, ma nello spirito è decisamente tutta la Prescelta- osservò il Prof, strappando ad Elena un sorriso commosso che condivise con suo marito, il quale prontamente le cinse le spalle con un braccio e la avvicinò al suo corpo, tenendola stretta.
- Finalmente, invecchiavo qui- mormorò sarcastico Kei, rimettendosi in posizione per il lancio e Lyn ridacchiò.
- Buffo da parte tua fare una battutina del genere, visto che negli ultimi ventisette anni non sei invecchiato di un giorno- ribatté lei con lo stesso tono e lui, di tutta risposta aggrottò le sopracciglia.
Ormai la copertura stava andando a farsi benedire, tanto valeva tentare quella strada, pensò Lyn, non curandosi ormai neanche più della possibile reazione di Vorkov.
- Cosa vorresti insinuare?- chiese lui confuso.
- Ti sto chiedendo di riprendere il controllo della tua mente, K e i- disse Lyn, calcando ogni lettera del nome.
- Smettila di chiamarmi in quel modo e preparati a lanciare- le ordinò ancora lui.
- Non vedo l’ora- rispose lei e quell’atteggiamento così sprezzante del pericolo sorprese l’avversario.
Kei si chiedeva come mai quella ragazza fosse tanto sicura di batterlo. Lui aveva dalla sua il potere smisurato dell’Aquila Nera e lei sapeva benissimo quale infausto destino le sarebbe toccato, proprio come ai suoi amici poco prima.
Quella ragazzina, però, al contrario degli altri non sembrava preoccuparsene affatto e questo dava all’incontro un gusto decisamente nuovo.

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(https://www.youtube.com/watch?v=2U0_015pzNI COLONNA SONORA                   n.b rimetterla se finisce)

Kei e Lyn si fronteggiarono senza esclusione di colpi per tutta la prima parte del match.
I due si studiavano e poi attaccavano, si studiavano ancora e poi di nuovo all’attacco.
Kei era confuso, nessuno era mai riuscito a schivare così tanti colpi del suo Beyblade, ma quella singolare ragazza aveva messo a punto una tattica difensiva a dir poco perfetta, quasi come se lo conoscesse e potesse prevedere le sue mosse.
- Mi devo complimentare e, fidati, non è una cosa che faccio spesso- cominciò lui, tentando la strada della distrazione, un colpo decisamente basso persino per un blader esperto come lui, eppure una voce nella sua testa gli diceva di provare quella tattica così viscida.
- Ti ringrazio, ma negli ultimi mesi ho avuto un bravo maestro- rispose Lyn, staccando per un attimo gli occhi dal suo Driger per incontrare quelli di Kei.
- Lasciami indovinare, uno dei Bladebreakers?- chiese l'altro quasi con disgusto.
- In un certo senso… sei stato tu il mio maestro- rispose sicura Lyn, in attesa di una sua reazione.
- Ti comporti come se ci conoscessimo- disse Kei dopo qualche secondo di esitazione, accigliandosi e continuando a fissarla.
- Ed è così, infatti- incalzò Lyn, poi Kei scosse la testa e tornò a concentrarsi sull’incontro.
Il potere di Draciel, Dragoon e Trygator lui poteva ormai sentirlo scorrere dentro di sé, quelle luci abbaglianti erano state inghiottite dall’oscurità dell’Aquila Nera, trascinando con loro anche la sua anima.
Che strano, pensò Kei, si era svegliato quella mattina convinto di essere qualcuno e in un attimo tutto era cambiato, si era trasformato, era mutato in qualcosa di sconosciuto in quell’incontro.
Lyn capì che si stava creando una falla nella mente del ragazzo e colse l’occasione per continuare a parlare di ciò che avevano fatto insieme. Era disposta a tentarle tutte pur di riportarlo sui suoi passi, esattamente come gli aveva promesso.
- Ci alleniamo tutti i giorni a Villa Borghese, te lo ricordi?- cominciò Lyn e lui non rispose, perso ad osservare il suo oscuro Beyblade girare nell’arena e perdere un po’ di terreno in favore dell’avversaria.
- Abbiamo passato lì insieme anche la notte di Capodanno e tu mi hai baciata- incalzò lei.
Lo sguardo di Kei era enigmatico, quando sembrava che gli stessero tornando in mente i ricordi, lui tornava a posare gli occhi sul Black Dranzer come se ne fosse completamente ipnotizzato.
Quella ragazza, chissà per quale strano motivo, gli stava raccontando cose di loro di cui lui non sapeva un accidenti, pensò Kei.
Avventure vissute insieme, allenamenti, baci e notti d’amore di cui lui non aveva alcuna memoria.
Era terribilmente frustrante e poteva sentire nella sua mente qualcuno urlare di dolore. Non riusciva più a distinguere i Bit Power, sentiva solo un enorme potere divorarlo dall’interno.
Urla.
Dolore.
Urla.
Disperazione.
Il tutto si susseguiva in un loop infinito.
Lyn approfittò di quel momento di debolezza per passare all’attacco, colpendo il Bey di Kei ripetutamente.
- Così, stai andando alla grande!- la incitò Rei, incapace di contenere l’entusiasmo per come si stava mettendo il match.
- E adesso, vai Driger, Artiglio di Tigre!- urlò Lyn, quando vide il Black Dranzer ormai relegato in un angolo pronto a soccombere sotto gli attacchi micidiali di Driger. Sarebbero bastati pochi colpi ben assestati per buttarlo fuori.
La maestosa Tigre Bianca di Lyn balzò fuori dal bit chip in un luminoso bagliore verde e oro e si scagliò con tutte le sue forze contro il Bey di Kei.
Vorkov si alzò in piedi di scatto.
- Viktor, falla fuori, ora, tu sei il più forte al mondo!- il suo tono era quasi disperato, tanto da spaventare Lyn e tutti i presenti, Kei compreso.
Il ragazzo si sentì come risvegliato da un torpore, si rimise dritto e sorrise diabolico a Lyn che assunse un’espressione piuttosto spaventata.
- Draciel, Muro di energia!- ordinò con soddisfazione Kei e Lyn si ritrovò a fronteggiare l’attacco della Tartaruga Nera di Judy. L’assalto della sua Tigre era stato completamente annullato dall’energia difensiva che aveva sprigionato Draciel, di cui ora si serviva spregevolmente Kei.
- Questa non ci voleva, cazzo!- sbottò nervoso Makoto, quando vide che Lyn era in difficoltà.
- Il Black Dranzer una volta assorbiti i vostri Bit Power non ne prende solo l’energia, ma può servirsi dei loro attacchi e questo...- cominciò Emily osservando l’incontro con attenzione.
-... Lo rende un Beyblade praticamente perfetto- continuò Max, senza la minima espressione nella voce.
- Siamo fritti, allora!- sentenziò David, dando un calcio pieno di frustrazione alla panchina.
- Non crederai di mettermi al tappeto con questi sciocchi trucchetti, spero- Lyn avvisò Kei con tono fermo.
- Mi alleno con i miei amici da quando ero bambina, conosco ogni loro mossa a memoria, non mi fai paura- continuò lei, sostenendo il suo sguardo.
- Ah sì? Vediamo se è come dici. Trygator, tocca a te!-
Kei avrebbe chiamato all’attacco tutti i Bit Power assorbiti e nonostante Lyn conoscesse alla perfezione quei colpi, non avrebbe retto un attacco simultaneo di tutti loro e la sola l’idea di ridurre Driger come il Dragoon di Makoto la faceva morire dentro.
Driger cominciò a cedere lentamente sotto i colpi devastanti e ripetuti dell’avversario, che sembrava godere della debolezza di Lyn.
- Ti arrendi?- chiese ad un certo punto Kei, con un ghigno beffardo dipinto sul volto.
- No- mormorò con decisione l'avversaria.
- D’accordo, possiamo andare avanti per tutto il tempo che vuoi, o meglio finché il tuo Beyblade reggerà- ribatté Kei con un sorrisetto, mentre Vorkov si perdeva invece in una vera e propria risata divertita.
- Manca poco ormai- soffiò soddisfatto Yuri.
- Sento già il sapore della vittoria, pregustandomene il finale- disse Vorkov, sollevando la coppa di champagne in segno di brindisi.
Lyn cadde sulle ginocchia.
Ormai era spacciata e cominciò a sentire le voci di suo padre, di sua madre, di tutte le persone che le volevano bene sempre più lontane.
Stava già pensando di fuggire in Cina e diventare Capotribù, lontana da tutto e tutti, ricominciando da zero. Ma non l’avrebbero accettata neanche lì, sapendo di aver perso la Tigre Bianca, anzi sarebbe stata ripudiata per sempre.
Non avrebbe potuto sopportare l’idea di guardare in faccia la sua famiglia, sapendo di averli delusi tutti dal primo all’ultimo, dopo che aveva promesso loro di farcela.
Pensò a Judy, a David e a Makoto, che erano lì distrutti senza i loro compagni di una vita, pensò ai suoi zii che avevano riposto in lei, con non poca fatica, una fiducia incredibile e poi pensò ai suoi genitori, a loro avrebbe dato la delusione più grande. Loro che l’avevano cresciuta e speravano di renderla migliore di quanto erano stati loro non solo a Beyblade, ma in generale nella vita.
Loro avevano affrontato battaglie ben peggiori di quella e le avevano vinte e lei si stava arrendendo alla prima difficoltà.
Si sentiva così stupida e indifesa.
Piccola.
- E ora, il gran finale. Dragoon!- chiamò Kei.
Lyn alzò lo sguardo e nonostante avesse gli occhi pieni di lacrime che le impedivano di distinguere chiaramente la figura di Kei sotto il tiepido e timido sole invernale, al centro di quell’antica arena, riuscì a guardarlo. Era come avvolto da una strana e malefica aura e lei non era stata capace di tirarlo fuori da quel maledetto baratro.
- Kei, io ti amo- disse abbassando nuovamente lo sguardo.
Il ragazzo sussultò per un attimo, per un istante solo, poi riprese il controllo fissando Lyn con sguardo quasi pietoso.
- Povera ragazzina- mormorò lui.
Judy e gli altri si tenevano per mano, Elena era stretta a Rei mentre sentiva le lacrime solcarle le guance. Hilary, Takao, Emily e Max erano seduti con i pugni stretti, aspettando l’inesorabile colpo di grazia.
Il Professore aveva chiuso il suo fedele computer, con aria stanca e rassegnata.
- Questa è la tua fine, attacco Tornando!!!- urlò Kei con tutte le sue forze e Lyn sospirò chiudendo gli occhi, voltandosi di scatto dall’altra parte, incapace di reggere la vista della sua Tigre Bianca soccombere sotto quel colpo che le sarebbe stato sicuramente fatale.
Poté sentire un ruggito pieno di dolore e con lo stesso dolore urlò anche lei.
- No!!!-
L’eco di quelle urla riecheggiarono in quell’arena, facendo sollevare anche stormi di uccelli diretti verso più calde mete.
La luce verde del Bit Power lasciò l’arena, tornando per l’ultima volta nel suo bit chip, sotto il silenzio quasi assordante che era calato all’interno del Colosseo.

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Capitolo 36
*** Finché un Bey girerà in un'arena... ***


Capitolo 36:

Lyn pianse più forte, tentando il tutto per tutto.
Non poteva credere che sarebbe finita così. Si rifiutava con ogni fibra del suo essere di accettare che quello fosse il triste epilogo di quella storia.
- Kei, se sei ancora lì e puoi sentirmi, ascoltami, ti prego!- implorò lei con gli occhi gonfi e la voce rotta.
- Ti amo, sopra ogni cosa, ti amo tantissimo!- disse ancora, a fatica.
Lui non sapeva esattamente come interpretare quelle parole e si limitò ad osservarla, piegando leggermente la testa di lato.
- Come puoi amarmi?- chiese lui quasi con disprezzo.
- E’ la verità- disse Lyn tirando su col naso.
- Speravo di dirtelo alla fine di tutto questo, ma non è andata esattamente come speravamo, mi dispiace tanto- confessò, prendendo a singhiozzare più forte.
- Io sono un mostro, un rifiuto, uno scherzo della natura- disse Kei, portandosi una mano alla tempia in un principio di quei mal di testa che erano soliti venirgli.
- Non lo sei, vogliono solo fartelo credere, come la Bestia della fiaba, ricordi?- disse Lyn alzando lo sguardo e osservando il ragazzo, che se ne stava lì con un’espressione di confusione misto a dolore sul viso.
- Belle lo salva quando gli confessa i suoi sentimenti. Ecco, è quello che sto facendo io- disse Lyn, tra le lacrime e Kei non rispose, mentre Rei ed Elena scattarono in avanti per avvicinarsi alla loro figlia, ma Vorkov balzò in piedi.
- L’incontro non è ancora finito, signori!- tuonò l’uomo, nervoso forse emozionato perché il suo piano malefico finalmente stava per vedere la luce.
Vorkov si rivolse a suo figlio, quando si assicurò che Rei ed Elena erano rimasti indietro.
- Viktor, cosa aspetti? Rubale il Bit Power, ora!- ordinò.
Lyn guardò Kei con sguardo supplichevole, lui scosse la testa energicamente e puntò il bit chip di Black Dranzer verso la ragazza, tenendo lo sguardo basso.
- Io non credo nelle fiabe- mormorò, nascondendo gli occhi sotto il ciuffo grigio.
Lyn sospirò rassegnata e abbassò anche lei lo sguardo,
- Fa’ quello che devi, allora- lo invitò lei con non molta convinzione.
- Aquila Nera, ti ordino di assorbire la Tigre Bianca- disse il russo senza aprire gli occhi, anzi serrandoli ancora di più, quasi quell’azione lo facesse soffrire. Era una sensazione del tutto sconosciuta quella che l’aveva pervaso così prepotentemente, tutto d'un tratto.
Quando la Tigre abbandonò Driger con un ultimo doloroso ruggito, Lyn sentì come se il cuore le fosse stato strappato dal petto. Non riusciva a respirare e si abbandonò completamente sul pavimento. Rei corse da sua figlia insieme ad Elena e la prese tra le braccia.
- Papà, perdonami, io ci ho provato- riuscì a mormorare Lyn.
- Tranquilla tesoro, hai fatto tutto ciò che potevi, non darti colpe- la rassicurò Rei, conoscendo appieno la sensazione di totale fallimento che ti opprime quando non riesci a salvare qualcuno.
E lui l’aveva provata proprio dinanzi alla stessa persona che la stava facendo provare a sua figlia.
- Vieni qui, penseremo a qualcosa vedrai- si affrettò ad aggiungere Elena, abbracciando forte la sua bambina.
Kei guardò anche l’ultimo Bit Power sparire all’interno del bit chip del suo Beyblade. Chiuse gli occhi e si godé l’effetto di onnipotenza che quell’ultima creatura gli aveva definitivamente fatto provare.
Il Drago, la Tigre, la Tartaruga e l’Alligatore nel palmo della sua mano e con essi il potere immenso che potevano scaturire, soprattutto i primi tre, considerati i più sacri nonché i primi Bit Power della storia.
Eppure una parte di lui si sentiva incompleta, come uno di quei complicati puzzle da migliaia di pezzi senza uno dei quali appare agli occhi di tutti come un completo disastro.
Quel solo, singolo e insignificante buco rovinerebbe ciò che migliaia di tasselli riuscirebbero a creare, confondendo gli occhi.
Kei lanciò un’occhiata veloce a Lyn.
Nonostante avesse perso, avesse fallito e non fosse riuscita a salvare la sua Tigre e, di conseguenza, anche gli animali sacri dei suoi amici, tutti l’avevano stretta in un abbraccio di comprensione e stavano cercando, a modo loro, di consolarla.
Ce l’hai messa tutta, va bene così, sei stata brava. Questo le stavano dicendo quelle persone. Parole positive.
Un lusso che Kei non si era mai potuto permettere: il fallimento e la comprensione che ne poteva scaturire dalle persone che ti amano. Non conosceva per niente quei termini e nel suo vocabolario non avevano mai figurato.
Kei, Viktor, ancora Viktor e poi Kei.
Quale fosse la verità, nessuno a parte lui poteva saperlo e quel poco di umanità che gli era rimasta, legata ai ricordi della sua vita passata, sembrava essere stata inghiottita da una profonda oscurità portata dal Beyblade che stringeva tra le mani.
Kei continuò ad osservare Lyn, che a sua volta si girò a guardarlo. I loro occhi si incontrarono ancora e lui riuscì a leggere il labiale della ragazza.
Ti amerò per sempre, Kei” aveva detto esattamente così.
Quelle labbra carnose e sensuali avevano pronunciato quella frase che sembrava essere destinata a lui e a lui soltanto.
Kei era confuso, si toccò ancora una volta le tempie costringendosi a ricordare, a scavare nel profondo della sua mente e a ritrovare le immagini che lo vedevano insieme a quella ragazza.
- Andiamo a casa- disse Elena, voltando delicatamente il viso di sua figlia verso di lei.
- Cosa facciamo adesso?- chiese affranto David a sua madre e, per la prima volta dopo chissà quanto tempo, Emily mostrò il suo lato materno, mettendo un braccio sulla spalla ciascuno ai suoi figli.
- Studieremo un nuovo piano- li rassicurò la donna.
- Ben fatto, figlio mio!- esordì trionfante Vorkov, correndo nell’arena insieme agli altri, mentre Kei osservava quel gruppo di persone lasciare lentamente il Colosseo. Una parte di lui gli urlava di muovere i piedi e seguirli, un’altra parte lo teneva come ancorato al pavimento in un blocco di cemento armato.
- Adesso niente potrà più fermarci- disse con un sorriso malefico.
Kei sospirò, tormentato ancora da quel terribile mal di testa.
- Che cosa mi hai fatto?- riuscì a dire, tenendosi forte le tempie.
- Figliolo, il potere che hai tra le mani è senza limiti, consegnalo a me, saprò farne buon uso- disse l’uomo tenendo la mano, quasi famelico.
- Prima rispondi alla mia domanda!- sibilò Kei rosso in volto, mentre il dolore diventava sempre più forte e insopportabile, tanto da fargli cedere le gambe, mentre Vorkov sorrideva soddisfatto.
- Sei servito al mio scopo e ora che l’ho raggiunto, consegnami Black Dranzer e puoi anche sparire dalla mia vista, se ti fa piacere- rispose in un tono fastidiosamente mieloso.
- Vaffanculo!- riuscì a dire Kei livido di rabbia.
- Se non mi darai il Beyblade subito, questo potere ti consumerà, impazzirai, proprio come Rasputin- continuò Vorkov, osservando il ragazzo che si contorceva di dolore ai suoi piedi.
- No, io s… sono... forte- mormorò il giovane in preda agli spasmi.
- Yuri, prendete il Beyblade- ordinò il capo della Borg, vedendo che Kei faceva il difficile.
- Dovrai uccidermi- mormorò quest'ultimo guardando “suo padre” fisso negli occhi, mentre sentiva un rivolo di sangue colargli da una narice.
- Mi inviti a nozze, splendido. Ne ho abbastanza di te, ad essere onesti- confessò l’uomo, mentre un lampo di cattiveria gli balenava nello sguardo.
Lyn si girò a guardare alle sue spalle per un’ultima volta e la scena che vide le diceva che quegli uomini non si stavano esattamente congratulando con Kei, visto che lo tenevano fermo e tentavano di strappargli il Bey dalle mani.
- Che succede?- mormorò Lyn sottovoce, correndo nuovamente verso il ragazzo.
- Cazzo, io non ci sto, ragazzi!- esordì Takao, cominciando a correre anche lui dietro a Lyn, seguiti poi a ruota da tutti gli altri.
- Fermi! Lasciatelo!- urlò disperata la ragazza.
- Ancora qui? L’incontro è finito, o ti piacerebbe fare la stessa fine del tuo papà ai mondiali in Russia?- chiese Boris, mostrando a Lyn il suo Falborg. La ragazza strinse gli occhi a due fessure e tirò fuori Driger, Boris scoppiò in una fragorosa risata.
- Senza il tuo Bit Power, quel Bey è solo un insignificante ammasso di ferraglia, bimba- la provocò l’uomo dagli occhi cerulei.
- Ti sfugge una cosa. Io non ho perso la Tigre Bianca, io sono la Tigre Bianca- disse Lyn sostenendo lo sguardo di sfida dell’altro.
- Lyn, vattene via!- urlò disperato Kei e la ragazza ne fu sorpresa.
Non era tutto perduto, non ancora almeno.
Le sue parole avevano in qualche modo smosso qualcosa dentro Kei e lui sembrava cominciava a ricordare, così Lyn si sentì per un attimo decisamente sollevata, ma restava comunque il problema numero uno: recuperare gli animali sacri.
- Lyn, vieni!-
Takao se la stava trascinando nuovamente verso la panchina, mentre tutta quella scena aveva fatto salire il nervoso a Vorkov, che non riusciva a strappare il Bey dalle mani di Kei, per quanti tentativi facesse.
- Zio Takao, ma cosa fai?- chiese Lyn stridula, divincolandosi dalla sua presa.
- Mi è venuta un’idea- la informò lui, mentre tutti tornavano ai propri posti.
- Mi spighi perché siamo ancora qui?- chiese nervosa Hilary a suo marito, mettendosi le mani in fianco.
- Se mi lasciaste parlare, credo di aver trovato la soluzione- disse Takao, con tono di chi sapeva il fatto suo.
- Zio, dobbiamo fare in fretta- si intromise Judy.
- L’incontro non è ancora finito- esordì sicuro il presidente della BBA.
- Che intendi? Non abbiamo più i nostri Bit Power, i nostri Beyblade sono deboli e poi è pur sempre un incontro ufficiale, non si può usare di nuovo lo stesso Bey- gli rammentò David in tono seccato.
- Voi no, forse, ma io ho ancora un asso nella manica- ribatté Takao e Max, Rei, Elena e il Professore capirono al volo a cosa si riferisse.
Takao fece un respiro profondo e poi tirò fuori da una delle tasche dei pantaloni un meraviglioso Beyblade blu con inserti rossi, con al centro di esso un bit chip raffigurante un’Aquila Rossa.
- Questo è Dranzer- disse Takao e lo sguardo di Lyn incontrò subito il suo.
- Era il Beyblade di Kei- confermò l’uomo dagli occhi blu notte.
- L’hai avuto tu, per tutto questo tempo?- chiese esterrefatta Lyn e suo zio annuì.
- La battaglia non è finita finché un Bey girerà in un’arena e poi Vorkov vuole tutte le creature più sacre, gliene manca una, se non sbaglio- disse, mostrando il Beyblade ai ragazzi, il quale sembrava essere avvolto dalle fiamme sotto il sole del primo pomeriggio.
- Papà, voglio usarlo io- si candidò Makoto.
- No, vado io, sento di potercela fare e devo riscattarmi, quello stronzo mi ha fatto fuori in pochissimo- si intromise Judy.
- Credo che spetti a me, visto che voi avete sprecato già la vostra possibilità di proteggere le creature più sacre- riprese David.
- Adesso zitti tutti!- la voce di Emily fece calare nuovamente il silenzio nel gruppo.
Rei lanciò un’occhiata agli avversari dall’altra parte e, vedendo le condizioni di Kei, decise di agire.
- Vorkov!- urlò il cinese, attirando la sua attenzione.
- L’incontro non è finito ancora- lo informò e l’altro iniziò a ridere.
- Ho preso tutti i vostri Bit Power, fatevene una ragione, inutile continuare a procrastinare- rispose ovvio.
- Ti manca il più importante- si intromise Takao, andando accanto a Rei.
- Quello che credevi perduto- si affiancò Max.
E poi Takao mostrò il Beyblade che aveva tra le mani a Vorkov, che trasalì.
- Non può… non può essere, è andato perduto anni fa- disse lui cercando di nascondere la sua totale sorpresa.
Per la prima volta sul viso di Vorkov era dipinta l’incertezza e la paura e i ragazzi sfruttarono la cosa a loro favore.
- Risposta sbagliata, allora… facciamo un’altra partita?- chiese l’ex capitano a mo’ di sfida.
- Del resto, io sono il presidente della BBA, quest’incontro è stato organizzato dal sottoscritto, quindi vigono le mie regole- concluse Takao e Vorkov digrignò i denti, per poi rilassarsi di colpo, riprendendo la sua solita espressione tranquilla.
- Presidente, per noi sarà un onore batterci nuovamente- disse il russo con un sorriso beffardo.
- Viktor non aspetta altro- disse Yuri, afferrando il ragazzo malamente per un braccio, mentre quest’ultimo gli scoccava un’occhiataccia e Lyn si portava una mano alla bocca per trattenere il dolore nel vedere Kei trattato così. E per di più col naso sanguinante che lui velocemente si era ripulito col dorso della mano, per non mostrarsi ferito e debole.
- E’ già la seconda volta che ti avverto, Yuri, toccami di nuovo in quel modo e ti faccio fuori- disse Kei, per poi liberarsi dalla presa, sistemandosi la maglia in pelle nera. A quel punto Vorkov diede le spalle agli sfidanti e si rivolse a Kei.
- Prendi anche l’Aquila Rossa, ce ne andremo da qui e a Mosca faremo i conti, io e te- lo minacciò sottovoce.
- Non credo più alle tue menzogne, non puoi controllarmi a tuo piacimento- disse Kei, per poi sputare ai piedi di Vladimir che guardò disgustato il ragazzo.
- Tu credi, ragazzino?- disse con un sorrisetto, per poi tornarsene su quegli spalti improvvisati a godersi l’incontro.
Kei sospirò profondamente, tentando di riprendere in qualche modo il controllo degli eventi, ma una serie di pensieri, immagini e ricordi aveva preso a vorticargli in testa nel momento esatto in cui Takao aveva mostrato a tutti quel nuovo Beyblade, Dranzer. Era stufo di convivere con quei mal di testa, con quella sensazione di malessere generale, solo perché Vorkov voleva tenerlo sotto le sue grinfie. Era arrivato il momento di rompere le catene, quella serratura che a malapena riusciva a tenere i ricordi e le emozioni dietro quella porta nella sua mente aveva definitivamente ceduto.
Il legame che Kei sentiva di avere con quel Beyblade era troppo profondo e speciale e neanche tutti i tentativi di lavaggio del cervello di Vorkov avrebbero potuto cambiarlo.
Kei gettò un’occhiata fugace al gruppetto poco lontano e guardò Lyn.
Se voleva avere la possibilità di salvarsi, doveva fidarsi di quella ragazza. E di quel Beyblade blu e rosso.

 

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Capitolo 37
*** Sign Of Wish ***


Capitolo 37:

- E’ il momento giusto, ora o mai più- cominciò il Professore.
- Kei è debole e confuso, dobbiamo attaccare ora per sperare di avere una chance- suggerì lo scienziato.
Takao evitò volutamente le continue suppliche di Makoto, Judy e David di avere quel Beyblade, puntando direttamente verso Lyn.
- Io? Zio, non credo di esserne capace- mormorò Lyn impaurita e Takao, di tutta risposta, le prese la mano e le poggiò Dranzer sul palmo, chiudendole le dita intorno.
- Sì che ne sei capace- le disse e la giovane sospirò, guardando quel Beyblade così particolare, dai colori così vividi.
La fama lo precedeva. Il primo Beyblade della storia che insieme a Dragoon aveva sconfitto il Team delle Tenebre.
- Lyn, ascolta- la voce profonda di Rei attirò l’attenzione di tutti.
- Sei l’unica che può salvare Kei, lo hai detto tu stessa- la incoraggiò suo padre.
- Tutta quella storia della profezia e del rito di passaggio della Tribù, parlava di questo preciso momento, non puoi sottrarti al tuo destino- disse l’uomo con un sorriso rassicurante.
- L’incontro con te è stato quello più difficile, Kei era in difficoltà, doveva controllare quel Bey così potente e al contempo fare i conti con i suoi ricordi che facevano a cazzotti per venire fuori- continuò il cinese.
- Dranzer ha un legame speciale con lui, lo avrà per sempre, così come ce l’ha con te ed è per questo che devi essere tu a lanciarlo- concluse Rei con un sorriso.
- Papà ha ragione- si intromise Elena.
- Dimostra che la profezia del Saggio è vera. Salva l’anima perduta di Kei, una volta per tutte- disse sua madre, guardandola emozionata.
- Noi crediamo in te, Lyn, non deluderci- si accodò Max.
Così Lyn passò in rassegna gli sguardi di tutti che annuivano e le infondevano sicurezza.
- Puoi farcela- il Professore fu l’ultimo a parlare, prima che la ragazza si dirigesse nuovamente verso l’arena, stringendo tra le mani quel Beyblade sconosciuto, ma che al contempo le trasmetteva un calore e una forza straordinaria, tanto da farla sentire invincibile, tranto da ritrovarsi a chiedersi se Kei si fosse mai sentito così nel lanciare quel Beyblade.
- Lyn- disse lui confuso, impaurito, quasi a chiedere aiuto quando lei si mise in posizione per lanciare.
- Kei, ti riporterò da me, da noi, l’ho giurato- disse la ragazza, sicura di sé.
- Quello è...- cominciò lui, per poi essere colto da un altro spasmo, spaventando la ragazza.
- Te lo restituirò quando avremo finito, ma ti prego, devi riuscire a combattere adesso, ti scongiuro!- lo implorò lei.
- Coraggio, lancia- lo esortò ancora, lui riprese a respirare regolarmente e poi si mise in posizione per lanciare, reggendosi a malapena in piedi e imponendosi di non tremare per la debolezza.
Kei era decisamente provato da tutti quegli incontri già disputati e dal potere che quell’oscuro Bey stava esercitando su di lui, ma Lyn doveva tentare il tutto per tutto e sperò che lui fosse forte abbastanza da riuscire a reggere quell’ultimo match.
- Tre, due, uno, pronti, lancio!- dissero in coro.
- Vai, Black Dranzer!- urlò Kei, mentre il suo Bey nero scintillante prendeva una pericolosa rincorsa, producendo piccole scariche elettriche.
- Non farti intimorire, attaccalo Dranzer!- rispose Lyn con tutte le sue forze, sentendo la gola bruciare.
Il Beyblade blu si avvicinò a tutta velocità a quello nero e i due, scontrandosi, produssero un boato impressionante che costrinse i due blader ad indietreggiare di qualche passo.
Per un attimo Lyn credette che il suo Bey si fosse distrutto nell’impatto, ma magicamente era ancora intatto, anzi era il Bey di Kei ad aver subito qualche danno, in particolare al disco d’attacco.
Fu quel solo e fatale impatto a creare una crepa nel cuore del Black Dranzer e, mentre continuava a girare da esso cominciò ad intravedersi un bagliore. Lyn scosse la testa convinta di aver preso una svista, ma quando si accorse che il Beyblade di Kei cominciava a perdere qualche pezzo e quella luce bianca scintillante si faceva sempre più luminosa, capì che attaccare per distruggere poteva essere un modo per liberare i Bit Power da quella prigionia.
- Attaccalo ancora, non fermarti!- la esortò Makoto e Lyn fece esattamente come le aveva detto il suo amico.
- Coraggio, Dranzer, all’attacco!!!- urlò e il Bey blu partì a razzo colpendo ripetutamente quello nero, danneggiandolo irreparabilmente.
Fu al terzo potentissimo attacco che tutti videro dei fasci di luce di diversi colori cominciare ad uscire confusamente dal bit chip, volteggiando tutto intorno.
Lyn riconobbe i quattro Bit Power rubati e sorrise di gioia.
- Ragazzi, preparatevi a riprendere i vostri Bit Power- avvisò Rei afferrando Driger, mentre Makoto, David e Judy esultavano. Intanto il Black Dranzer, in seguito ai danni riportati, faticava a girare, ma qualche strana forza sovrannaturale ne teneva ancora insieme i pezzi. Lyn, nonostante sentisse la stanchezza cominciare a prendere possesso del suo corpo, non smetteva di ordinare a Dranzer di attaccare e il Bey saettava da una parte all’altra del ring, assestando colpi precisi e micidiali all’avversario.
Vorkov si morse un labbro dal nervosismo, vedendo che la situazione cominciava a sfuggirgli decisamente di mano.
- Questa proprio non ci voleva, pronti ad intervenire- mormorò sottovoce a Yuri che annuì e Rei, capendo le reali intenzioni dei russi, attirò l’attenzione di sua figlia.
- Lyn, concludi l’incontro in fretta, mi hai capito?- urlò dalla panchina.
La ragazza annuì, lanciando uno sguardo agli spalti e notando movimenti poco chiari da parte degli avversari, cercò quindi di seguire il consiglio di suo padre, mentre il cielo diventava scuro e l’unica fonte di luce erano i bagliori dei Bit Power che vagavano fuori dal Black Dranzer.
- Lyn, chiama... il Bit Power- la voce quasi soffocata di Kei attirò nuovamente lo sguardo dorato della ragazza su di sé.
Kei era in ginocchio, pallido in volto e sudato. Le forze erano lì lì per esaurirsi e Black Dranzer sembrava succhiargli via le poche rimaste.
- Oh, Kei- mormorò spaventata Lyn.
- Non c’è tempo per i piagnucolii, chiama… il… tuo… Bit Power.- le ordinò, cominciando a boccheggiare e Lyn deglutì il nulla.
Se avesse chiamato l’animale sacro era sicura che lui glielo avrebbe rubato, ma qualcosa nel suo sguardo e nella sua voce la convinceva a fidarsi di lui ancora una volta e, probabilmente, rivedere l’Aquila Rossa in azione avrebbe potuto contribuire a farlo tornare definitivamente sui suoi passi.
Era l’ultima disperata chance.
- Non t’azzardare a rubarlo, sai! Devo restituirlo alla persona che amo!- lo ammonì lei con la voce rotta e un  ghigno d'intesa, sentendo che le lacrime iniziavano a salirle nuovamente agli occhi, Kei rispose con un sorrisetto amaro.
- Non posso… rubare… ciò che… è mio- disse convinto e Lyn rivide di nuovo quel meraviglioso ed intenso bagliore purpureo negli occhi di Kei. Quello che vedeva ogni volta che lui era in sua compagnia, quello che gli aveva visto al primo bacio e quell’unica notte d’amore che avevano trascorso insieme.
Lyn si voltò e vide che i ragazzi dalla panchina stavano correndo in suo aiuto e, soprattutto armati dei loro Bey, per riprendersi ciò che era di loro proprietà su ordine di Rei.
Quel vagare dei Bit Power si concluse quando Makoto, Judy, David e Rei alzarono in alto i rispettivi Beyblade per richiamare i propri animali sacri.
- Come facciamo a farli tornare?- chiese Judy nel panico.
- Alza il Bey e chiama la tua Tartaruga, tornerà, vedrai- la rassicurò Makoto, facendo esattamente ciò che aveva appena detto alla bionda.
- Ora!- urlò Rei, quando vide che Yuri, Boris e Sergej erano in posizione di lancio, pronti a intromettersi nel match per farlo andare come speravano.
- Lyn, coraggio, chiudi l’incontro!- urlò Makoto, mentre il Drago, la Tartaruga, l’Alligatore e la Tigre tornavano nei rispettivi Bey.
- Aquila Rossa!!!- urlò Lyn finendo in ginocchio per lo sforzo e improvvisamente sentì un calore infinito invaderla, attraversarla e fluire in lei.
Il grido dell’Aquila Rossa invase il Colosseo, facendo quasi tremare quell’antica struttura, mentre il maestoso uccello dal piumaggio infuocato si stagliava di fronte alla giovane lasciandola esterrefatta e senza fiato.
Kei alzò lo sguardo catturato da quel bagliore simile al luccichio di migliaia di rubini e sorrise malinconico, chiudendo gli occhi, mentre due piccole lacrime scendevano dai lati delle guance.
In qualche modo si sentì a casa.
Si lasciò andare sul pavimento, quasi privo di sensi.
L’Aquila si avvicinò a Kei e lo chiuse tra le sue ali come a proteggerlo e a cullarlo, in una muta rassicurazione. Lei lo avrebbe aiutato, come aveva sempre fatto, poteva contare sulla sua forza.
Lyn pianse senza freni di fronte a quella scena e proprio come aveva sperato, lo sguardo di Kei era cambiato, era di nuovo e definitivamente quello di sempre.
- E’ bello rivederti, amica mia, è passata una vita- mormorò Kei, quando sentì il becco caldo dell’Aquila avvicinarsi al suo viso.
Quel calore così avvolgente e familiare riportò il ragazzo alla realtà, quasi come risvegliato da un torpore. Poté rivedere chiaramente tutta la storia nella sua mente, quello che la sua vita era realmente stato.
L’infanzia al monastero, i momenti a capo degli Shellkillers, le gare con i Bladebreakers, gli incontri con Dranzer, il mondiale, il Team delle Tenebre, il sonno nel ghiaccio, Yuya e… Lyn, tra le sue braccia, nuda, che lo stringeva forte a sé quella notte.
Kei riaprì gli occhi con rinnovato vigore e si alzò in piedi, voltandosi verso Vorkov e gli altri, con uno sguardo duro e infuocato. Proprio come quello del suo Bit Power.
- E’ finita per te, Vorkov!- cominciò il ragazzo pieno d’odio.
- Viktor, torna subito a combattere- ribatté l’uomo, alzandosi dal trono e indicando l’arena.
- Il mio nome è Kei Hiwatari!- urlò lui esasperato, stringendo forte i pugni e Vorkov indietreggiò impercettibilmente.
- Sono uno dei campioni dei Bladebreakers e il primo ad aver sconfitto il Team delle Tenebre e questa...- disse indicando dietro di sé.
- E’ la mia famiglia, perciò riprendi pure i tuoi servetti e vattene da qui. Io ho chiuso- disse fermo, mentre Lyn sorrideva sollevata.
- Non oseresti- sibilò Vorkov tra i denti.
- Non azzardarti a tornare, perché non avrò pietà di te la prossima volta- minacciò il ragazzo socchiudendo gli occhi, per poi voltarsi nuovamente verso Lyn e sorriderle, con tanto di occhiolino.
Il suo amore era tornato da lei. Era riuscita a salvarlo come gli aveva promesso.
- Kei, attento!- la voce piena di preoccupazione di Judy attirò l’attenzione di tutti, accorgendosi che i russi avevano lanciato i loro Beyblade in campo.
Il ragazzo non perse tempo, e mandò per l’ultima volta il Black Dranzer all’attacco, imponendosi di non lasciarsi controllare da quella forza oscura.
- Coraggio, aiutiamolo!- disse Makoto, lanciando il suo Dragoon.
E così fecero anche Lyn e gli altri, scatenando una lotta tremenda tutti contro tutti.
Mentre i ragazzi distraevano Yuri, Boris e Sergej, il Beyblade nero oltrepassò tutti i nemici lasciando solo distruzione sul suo cammino e nonostante i danni già subiti riusciva ancora a girare, arrivando minaccioso alla gola di Vorkov, che deglutì nervoso, avvertendo il pericolo.
- Viktor… ti prego-
Kei serrò i pugni talmente forte da farsi quasi del male, ma l’idea di vedere così debole e implorante chi lo aveva torturato e soggiogato da quando era solo un bambino gli diede un’immensa soddisfazione.
Voleva godersi quella scena per almeno un altro po’, ma quando il giovane si accorse che Vorkov stava per mettersi in contatto con i militari della Borg in elicottero, tirando fuori il walkie-talkie dalla tasca, non ebbe più dubbi e sperò che l’azione che stava per compiere non lo tormentasse per il resto dei suoi giorni. Ma se voleva essere libero per davvero, doveva chiudere la faccenda nel peggior modo possibile, alle conseguenze ci avrebbe pensato poi.
- Il mio nome è Kei e quella è decisamente una mossa sbagliata, Vladimir- disse lui, chiamandolo per la prima volta per nome e poi il Black Dranzer con un rumore simile a quello di un’ affilatissima lama, recise in un istante la carotide dell'uomo, senza neanche dargli il tempo di esalare l’ultimo respiro.
Lyn trasalì pesantemente, voltandosi di scatto dall’altra parte e nascondendosi tra le braccia dei suoi genitori.
L’uomo si accasciò sull’elegante poltrona da cui aveva osservato il torneo emettendo dei grugniti simili al soffocamento, mentre una copiosa quantità di sangue scarlatto zampillava fuori dalla sua gola e oltrepassava le sue dita strette intorno al collo, lasciandolo con la bocca spalancata e gli occhi impauriti che diventavano sempre più vitrei col passare dei secondi. Black Dranzer si fermò subito ai suoi piedi e non appena ebbe terminato l’ultimo giro, si ruppe in un miliardo di pezzi, con un crac sinistro, mentre dal suo bit chip si disperdeva un malefico fumo nero.
Yuri e gli altri erano sconvolti, prima guardarono Kei e poi Vorkov.
- Cosa hai fatto?- chiese in un sussurro Yuri spalancando gli occhi incredulo.
- Vi conviene sparire, se non volete fare la medesima fine- avvisò il ragazzo, mentre quelli andavano a recuperare il corpo senza vita del loro leader, con il terrore dipinto in volto.
- Non ringraziatemi, sappiamo tutti che vi ho fatto un favore- proseguì il giovane con sicurezza.
- Ma vi avverto. Se vi vedrò in giro, anche tra un milione di anni, sappiate che non dimenticherò mai questo momento e farete bene a non dimenticarlo neanche voi- concluse Kei, mentre Yuri chiamava a sua volta al cellulare il pilota dell’elicottero che Vorkov aveva provato a contattare solo pochi minuti prima. Il mezzo aereo arrivò nel giro di qualche secondo sollevando tantissima polvere. I russi saltarono a bordo uno dopo l’altro, pronti alla fuga, trascinando con loro il cadavere di Vorkov avvolto nei giacconi mimetici della Borg. Yuri fu l’ultimo a salire, spiegò al pilota che Vorkov si era suicidato quando aveva capito che la missione era fallita, lanciando uno sguardo eloquente a Kei che sospirò socchiudendo gli occhi, poi il rosso si voltò e sparì all’interno della cabina.
( https://www.youtube.com/watch?v=7oK1kFB1aJg COLONNA SONORA)
Quando il rumore assordante dell’elica fu finalmente lontano, Kei si voltò nuovamente verso gli altri, tirando un profondo sospiro di sollievo e poi raccolse il suo Dranzer.
Lo ammirò al sole che era tornato a far capolino da dietro quelle nuvole scure create dal potere dei Bit Power e notò che scintillava esattamente come l’ultima volta che lo aveva visto. Sapeva che Takao se ne sarebbe preso cura in sua assenza e aveva fatto davvero un ottimo lavoro quel coglione, pensò Kei fra sé e sé.
Il legame tra lui e l’Aquila Rossa era finalmente ristabilito, come se non si fossero mai lasciati in quasi trent’anni.
- Kei!- la voce di Lyn era colma di sollievo e il ragazzo lasciò per un attimo perdere il suo Bey, allargando le braccia non appena si accorse che lei gli stava correndo incontro.
Lui la sollevò da terra e la baciò con urgenza, con un senso di liberazione profondo e poi la strinse forte, respirando l’odore dei suoi capelli color della pece.
- Sono qui, sono tornato- le sussurrò all’orecchio.
- Per un attimo ho temuto di non farcela, ero diventata una sconosciuta per te, sembravi essertene andato chissà dove, è stato orribile- confessò Lyn, ricominciando a piangere e abbracciandolo di nuovo, ma più forte, mentre tutti gli altri si avvicinavano.
- Adesso è finita, ricordo tutto, non c’è alcun pericolo- la rassicurò lui, per poi baciarla nuovamente con passione, accarezzandole il collo con dolcezza.
Rei si schiarì la voce per attirare la loro attenzione e i due si staccarono.
- Ragazzi- disse Kei con sguardo pieno di gratitudine.
- Io… non so cosa dire- proseguì, fermandosi a guardare ognuno di loro.
- Sono stato un peso sulla vostra coscienza per troppo tempo, una questione irrisolta...- cominciò fermandosi a guardare volutamente Rei sull’ultima frase, che annuì debolmente.
- Non potevo permettere che riviveste quell’orribile esperienza di trent’anni fa- disse Kei, abbassando lo sguardo e scuotendo la testa.
- Amico, è acqua passata ormai- disse Takao, porgendogli la mano e la sensazione piacevolmente sconosciuta che invase la mente di Kei dopo tempo memorabile, quella di ricordare che quelle erano state esattamente le parole di Takao prima che lui si sottoponesse all’incantesimo per diventare Bit Power Supremo, lo fece sentire decisamente molto meglio.
Kei sorrise e strinse la mano a Takao, poi quella di Max si posò sulle loro, così fece Rei e anche il Professor Kappa, rinnovando ancora una volta il patto d’amicizia ed eterna fratellanza che cinque ragazzi apparentemente diversi fra loro, strinsero quando vennero inseriti nella stessa squadra per gareggiare al torneo mondiale di Beyblade, molti anni prima.
Mentre tutti si avviavano all’uscita del Colosseo, stavolta per tornare realmente a casa, Kei afferrò delicatamente Lyn per un braccio, accertandosi che gli altri fossero a distanza di sicurezza.
- Hey- disse lei sorridendogli contenta.
- Hai bisogno di una doccia, sei uno straccio- confessò Lyn, notando che i segni blu che lui era solito dipingersi sul volto erano completamente sbiaditi e aveva i vestiti quasi ridotti a brandelli. Kei stranamente le sorrise, sentendosi leggero.
- Dovevo risponderti- disse lui, tornando serio.
- A cosa? Non capisco a cosa ti riferisci...- chiese Lyn aggrottando la fronte.
- Ti amo anch’io- la interruppe lui, arrossendo violentemente di fronte alla sua stessa dichiarazione.
Lyn sgranò un po’ gli occhi e poi sorrise.
- Beh, non me lo sarei mai aspettato, almeno, non così- disse lei sincera.
- Sì, ok, ma non ti ci abituare ragazzina, d’accordo?- rispose lui, profondamente imbarazzato e per nascondere quello stato d’animo ricorse come al solito ai suoi modi di fare da stronzo, ma Lyn che ormai lo conosceva bene, lo zittì con un altro bacio, più dolce ed intimo.
- Andiamo a casa- poi sussurrò contro le sue labbra, riaprendo piano gli occhi.
- Già- sospirò Kei ancora ad occhi chiusi.
- A casa, finalmente-

Ciao a tutti e ben trovati! Siamo alle battute finali di questa fan fiction e spero vi sia piaciuta. Inizialmente non pianificavo di far uccidere Vorkov (non in modo così cruento almeno xD), ma come si dice è la cosa che ami di più al mondo, a volte, a distruggerti e sappiamo che tipo di maniacale fissazione avesse lui con il Black Dranzer, dunque la sua esecuzione (proprio da parte di Viktor/Kei) l'ho trovata quasi poetica xDxD
In ogni caso, vi aspetto per gli ultimi tre capitoli per concludere insieme questa magnifica avventura, cominciata con Guard Me For Eternity ormai più di un anno e mezzo fa <3
Un abbraccio a tutti e grazie a chi mi segue <3
LadyYuna94

 

 

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Capitolo 38
*** Fuoco, Ghiaccio e Oro ***


Capitolo 38:

Giugno

Kei era davanti allo specchio, intento a sistemarsi quel maestoso mantello che Lai e Rei si erano premurati di consegnargli poco prima.
- Serve una mano? - chiese Elena bussando leggermente con le nocche sulla grossa porta di legno. Il giovane rimase per qualche secondo a fissare la sua immagine allo specchio, uno sguardo enigmatico e impenetrabile dipinto sul volto. Elena era ogni volta come in soggezione con lui, ma cercò di non badare a quelle sensazioni e, senza aspettare un cenno da Kei, si avvicinò cautamente.
Lo sentì sospirare leggermente, mentre lo aiutava a far cadere il mantello dietro la schiena, fino quasi a toccare terra.
- È proprio necessario che io indossi questa tenda? - chiese secco, rivolgendo lo sguardo alla donna alle sue spalle che non poté fare a meno di sorridere divertita.
- Sono restia quanto te a rispettare le tradizioni della Tribù... - rispose Elena.
-... come ad esempio, mia figlia che si sposa così giovane - disse vaga, lanciando un'occhiata al riflesso nello specchio dove gli occhi ametista di Kei incontrarono quelli neri come la notte della Prescelta.
- So che non abbiamo mai avuto modo di parlarne per bene... - cominciò lui titubante, cercando di mantenere la sua solita fredda compostezza, ma Elena scosse la testa energicamente.
- Non volevo spiegazioni, assolutamente- lo interruppe lei.
- Rei vi ha dato la sua benedizione, lui ti conosce meglio di me e... Lyn quando è con te, gli occhi le brillano in quel modo unico tipico di una donna innamorata- continuò Elena riprendendo a sorridere e anche Kei, a sua volta, sollevò un angolo della sua bocca in una curva all'insù.
- Saprò renderla felice, su questo non devi temere, Elena-
Era la prima volta che Kei pronunciava il suo nome e la donna si sentì non più la suocera petulante che aveva giurato di non diventare mai, ma semplicemente la moglie del migliore amico di quel ragazzo.
- Mi basta questo, per il resto avremo tutto il tempo del mondo per sapere cose l'uno dell'altra, del resto sei a tutti gli effetti parte della famiglia da oggi... - aggiunse lei, cercando di alleggerire l'atmosfera.
- Oh, credimi, io so tante cose di te... -
Lei sollevò un sopracciglio in una muta richiesta di spiegazioni. Kai si voltó e le sorrise, mettendosi ben dritto di fronte a lei.
- Si sta facendo tardi, dobbiamo andare... - disse poi avviandosi, lasciando volutamente a metà il discorso.
- No, aspetta, cosa intendevi con " so tante cose di te? '' - chiese Elena, citando testualmente le sue parole.
- Niente, solo che non conviene farti arrabbiare- disse lui sull'uscio della porta, con un certo divertimento nella voce. Il sopracciglio della donna era tornato a sollevarsi paurosamente verso l'alto e i suoi occhi chiedevano ulteriori spiegazioni. Kei non se la sarebbe cavata facilmente, così tornò indietro e il suo sguardo cambiò per un attimo, assumendone uno più comprensivo.
- So che non ami separarti da coloro a cui tieni e quanto ti fa soffrire quando questo accade- disse Kei quasi sottovoce, in una sorta di confessione. Quelle parole colpirono Elena come una doccia fredda.
- So delle tue lacrime, del tuo dolore quando pensavi di essere rimasta sola, diamine se non eri un tormento nella mia testa! - continuò lui, cercando di smorzare i toni.
- Tu... sai? - chiese Elena in un soffio, capendo subito che Kei si riferisse al periodo in cui credeva Rei morto e lei si era ritrovata da sola ad aspettare Lyn, così il giovane si limitò ad annuire impercettibilmente.
- È per questo che mi impegnerò a trattare tua figlia come fosse la cosa più preziosa al mondo, perché so che per te e Rei lo è davvero-
Elena sorrise dolcemente e poi annuì a sua volta, quindi Kei espirò profondamente.
- Ora andiamo, non sono uno da momenti diabetici, meglio che ti ci abitui: questo è stato un caso isolato- avvertì lui con finto tono ammonitore, mentre Elena fece segno di cucirsi la bocca e poi, mentre seguiva quel ragazzo così singolare fuori dalla tenuta, sentì il piccolo scalciare nel suo ventre.
Sorrise ancora, sentendosi per la prima volta dopo chissà quanto tempo in pace col mondo.

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Lyn si rimirava trattenendo il fiato allo specchio della sua residenza.
Il sole che entrava dalla grossa finestra sul camino faceva sembrare il suo corpo quasi di porcellana, donandogli una luce particolare.
Sistemò nuovamente l’orlo del vestito realizzato apposta per l'occasione e passò un mano sul corpetto per eliminare qualche piega inesistente, la stoffa soffice e delicata scivolava tra le sue dita ad ogni tocco, arrivando fino a terra. Sua madre ci aveva lavorato per mesi a quell’abito, grazie anche alle notti insonni date dal pancione ingombrante.
La giovane poi diede un’ultima controllata al trucco che Judy e sua zia Hilary avevano osato farle in quell’occasione, sperando di non pentirsi di essersi messa nelle loro mani. Nonostante non fosse abituata a tutto quel make-up, Lyn notava che erano state davvero brave a mettere in risalto il suo sguardo in quel modo con quelle tinte così vicine al suo colore d’occhi, dandogli una profondità e una lucentezza che le sembravano quasi irreali. Avrebbe dovuto lasciarle fare più spesso, pensò lei.
Si sistemò i lunghi capelli mossi su un lato della spalla, sfiorando leggermente la corona di orchidee che le ornava il capo. Sorrise, pensando a quanto sua madre aveva insistito per fargliela indossare e si ritrovò a darle ragione. Era obbligatorio portare in determinate occasioni il fiore tipico della Tribù, ma quel particolare tocco non le dispiaceva affatto.
Qualcuno bussò alla grossa porta di legno e Lyn invitò ad entrare chiunque fosse dall’altra parte, sentendo i crampi allo stomaco per l’emozione che iniziavano a farsi sempre più forti.
- Lyn, sei pronta? Coraggio, è tardi, dobbiamo andare- la voce dolce e leggermente agitata di Rei si interruppe non appena sua figlia di voltò nella sua direzione.
L’uomo dai lunghi capelli corvini lasciati liberi in quell'occasione, che andavano a disperdersi sull’elegante changpao del medesimo colore, restò senza fiato di fronte alla bellezza di sua figlia.
- Tesoro- riuscì a mormorare con le lacrime agli occhi.
- Papà, non farmi piangere- rispose Lyn di rimando, saltellando nervosamente sul posto e alzando gli occhi al cielo.
Se avesse rovinato la loro creazione, Hilary e Judy non glielo avrebbero mai perdonato.
- Sei perfetta- confermò lui andandole accanto e posandole tra le mani un mazzo di orchidee, uguali a quelle che aveva tra i capelli e Lyn sorrise inchinandosi al Capotribù con deferenza.
- Buon diciassettesimo compleanno, piccola mia- disse Rei e la ragazza lo ringraziò con un bacio sulla guancia pieno d’affetto, poi l’uomo le offrì il braccio ed insieme uscirono di casa.
- Dov’è la mamma?- chiese Lyn impaziente.
- Ti aspetta a destinazione- la rassicurò Rei e quando furono sulla soglia della porta di casa, Lyn non riuscì a contenere il suo stupore davanti a quella scena.
L’intera Tribù della Tigre Bianca era in attesa davanti alla residenza reale, divisa in donne da una parte e uomini dall’altra. Ognuno di loro reggeva tra le mani un cero acceso ed erano tutti vestiti a festa. Un tripudio di colori.
- Papà...- riuscì a mormorare Lyn commossa e Rei sorrise emozionato annuendo e poi invitò sua figlia a scendere le scale.
Ogni membro della Tribù si inchinava al passaggio di Rei e Lyn e ad ogni passo un bambino e una donna nubile, simboli della purezza che accompagna la sposa, si accodava a loro. La ragazza era incredula, non si aspettava tutto quel calore e quando si voltò e notò che alle sue spalle c’era Sahara, reggendo in braccio la sua sorellina di pochi mesi, la ragazza sorrise commossa. Sorprendentemente anche la figlia di Mao e Mystel ricambiò il gesto, annuendo impercettibilmente e Lyn chiese a suo padre che fosse proprio quella ragazza a dirigere il resto del corteo.
Rei era fiero della sua bambina, sarebbe stata una perfetta Capotribù un giorno, ne era sicuro.

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(https://www.youtube.com/watch?v=r2CW-uncrDE&list=PLohYzz4btpaRsM1auGQ4qb2QEUJZdTKEu&index=7 COLONNA SONORA)
- Eccola che arriva!- la voce di Hilary attirò l’attenzione delle donne sedute in prima fila.
Non appena Elena vide sua figlia, riuscì a stento a trattenersi dal pianto, chiudendo gli occhi e sentendo il sole caldo sulla pelle. Quel sole così avvolgente, proprio come quello di diciassette anni prima a Roma, il giorno in cui Lyn era venuta al mondo. Era lei il suo sole e quel calore così meravigliosamente dolce veniva da sua figlia.
La giovane avanzava tra i commenti sospirati e le felicitazioni della sua gente, che accettava con un cenno del capo, fino a quando non guardò davanti a sé verso pontile del lago, dove la luce aranciata del tramonto dava all’atmosfera un tocco quasi fiabesco e si stupì di quella sublime composizione ad arco di orchidee sotto al quale sedeva al centro il Grande Saggio, da un lato Judy che sospirava commossa con lo stesso fiore tra le mani e a sinistra il suo Kei.
Lyn avvertì il cuore mancarle un battito.
Era bellissimo, perfetto, come un guerriero medioevale con quegli abiti aderenti e sulle spalle il mantello rosso raffigurante la Tigre. Il giovane stava facendo appello a tutte le sue forze per contenere l’ emozione, amplificata a dismisura, nello scorgere la sua bellissima fidanzata camminare tra la folla.
Rei si fermò con sua figlia davanti a Kei e poi fece un passo indietro, dando la possibilità al suo amico di prendere la mano di Lyn e poi l’uomo si andò a sistemare accanto ad Elena e gli altri, sorridendo fiero a sua moglie, che appoggiò la testa sulla sua spalla, godendosi quella scena che non pensavano di vedere tanto presto.
Lyn si prese svariati secondi per osservare la bellezza del suo Kei.
Quegli occhi ancora più belli con il sole del tramonto, il sorriso sicuro su quei lineamenti delicati, ma che sembravano scolpiti nel marmo. Quel fisico ancora più definito e muscoloso dopo la vittoria all’ultimo mondiale e i capelli leggermente più lunghi sulla nuca. Sembrava un dio appena sceso dall’Olimpo e Lyn, avvolta nel suo abito bianco di seta e pizzo chantilly, non poteva credere che quella divinità stesse per diventare sua, e avere la possibilità di amarlo per il resto dell’eternità.
La voce rauca del Grande Saggio interruppe i suoi pensieri.
- Il sacro fuoco e l’oro e il ghiaccio, oggi riuniti in un solo essere, la Tribù della Tigre Bianca onora e benedice la futura Capotribù Lyn Soraya Kon e Kei Hiwatari come sposi-
Lyn sorrise a Kei e lui la ricambiò, facendole l’occhiolino.
Da quel momento, nessuno al mondo avrebbe potuto mai più dividerli e come aveva detto l’anziano Saggio, a partire da quel momento sarebbero diventati un solo essere.
 

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Le feste al villaggio erano esattamente come Lyn ricordava la sua dell’anno precedente e un banchetto nuziale aveva decisamente superato le sue aspettative, tra balli, giochi e cibo a volontà.
Dopo alcuni brindisi voluti da Lai e Mystel in particolare, Lyn vide Sahara con suo cugino Jin e un’altra ragazza avvicinarsi al grosso tavolo di legno dove sedevano lei e Kei dall’inizio del rinfresco. Sorrise nel vederla arrivare con quel seguito e al contempo si sentì imbarazzata nel rivedere Jin.
I tre si inchinarono davanti agli sposi e poi la figlia maggiore di Mystel e Mao prese la parola.
- Principessa Lyn, i nostri omaggi e le più sincere congratulazioni da parte della nostra famiglia per un futuro roseo con tanti eredi- disse la bionda sfoggiando un sorriso smagliante.
Kei inarcò le sopracciglia e sbatté le palpebre piuttosto sconvolto da quei particolari auguri, mentre Lyn ricambiò gentilmente il sorriso e li ringraziò. Aveva dimenticato di spiegare a suo marito, nonché nuovo membro della Tribù, che lì le cose funzionavano diversamente rispetto all’Italia o la Russia.
- Principessa, anche la mia futura sposa voleva congratularsi con lei- disse Jin, invitando sua moglie ad avvicinarsi. Era una ragazza molto carina, gli occhi verde smeraldo scintillavano al sole del tramonto, incorniciati perfettamente da capelli nerissimi pettinati con la frangia.
Quanto a bellezza, però, non batteva la giovane Sahara.
Lyn pensò che in Occidente avrebbe fatto girare la testa a parecchi uomini, i lunghi capelli biondi raccolti in una morbida treccia laterale, gli occhi azzurri come il fiume su cui viaggiavano per raggiungere il villaggio e la pelle leggermente abbronzata, lanciò uno sguardo di sottecchi a Kei presa da un leggero moto di gelosia e si tranquillizzò quando vide che lui era invece concentrato a studiare Jin.
- Futura moglie, che magnifica notizia!- disse Lyn contenta e il figlio di Lai annuì fiero alle loro spalle.
- Ci sposiamo questo autunno, mia signora e sarebbe per noi un grande onore avervi alla cerimonia- disse la ragazza, inchinandosi per la terza volta.
- Come futuro capo sono restia a fare false promesse, ma qualora avessi la possibilità di fare questo viaggio, non mancherò- si sentì di rispondere la festeggiata.
- Grazie, principessa e auguro a tutti voi un buon proseguimento col banchetto- rispose l’altra, allontanandosi.
- Sono tutti molto… gentili con te, qui- disse Kei con una smorfia, quasi come a voler dare una spiegazione a tutte quelle riverenze.
- Sì, essere futura Capotribù ha i suoi vantaggi- disse Lyn con fare di superiorità, lasciandosi andare contro lo schienale della seduta in legno massiccio e paglia.
- Non volevo dire che la trovo una cosa negativa, semplicemente non ci sono abituato- osservò lui.
- Fidati, non lo ero nemmeno io, fino ad un anno fa- rispose lei risoluta.
Fu in quel momento che cominciarono le danze.
Hilary trascinò Takao come al solito che avrebbe preferito starsene seduto a tavola a godersi le prelibatezze appena servite, mentre Judy era stata già accerchiata da quattro dei guerrieri della Tribù che la supplicavano di concedere loro un ballo. Quello era decisamente il suo habitat, oltre al laboratorio e la Beyblade arena: feste e uomini.
L’atmosfera era festosa e al contempo meravigliosamente rilassata e Lyn tese una mano a suo marito. Le faceva ancora uno strano effetto, a pensarci.
Kei Hiwatari era suo marito.
- Mi concedi questo ballo?- disse lei con un sorriso, dopo essersi alzata e aver fatto il giro del tavolo.
Kei sgranò gli occhi e scosse la testa.
- Non ne sono assolutamente capace- si affrettò a dire, ma Lyn sembrava non volergli lasciare scelta.
- Su, hai combattuto contro il Team delle Tenebre e sei sfuggito al controllo di uno psicopatico che ti ha tenuto prigioniero per anni, direi che due passetti in croce non saranno un problema per te- lo incoraggiò lei, tenendo sempre una mano tesa davanti al suo viso.
- Un ballo solo- chiarì lui, prendendo la sua solita espressione seria e accigliata e Lyn sorrise entusiasta, avendola avuta vinta e quando si lanciarono tra il resto della gente si levò un grido di approvazione da parte di tutti i presenti.

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Dopo un po’ che era accerchiata da tutti a ballare, Lyn notò che Sahara era seduta da sola in un angolo e muoveva semplicemente la testa a ritmo.
- Torno subito- disse a Kei, dandogli un veloce bacio a stampo e lui tirò un sospiro di sollievo, sgattaiolando nuovamente al suo posto a tavola, lontano dagli schiamazzi.
La ragazza dai capelli corvini si sedette accanto alla bionda e le sorrise.
- Da quel che ricordo sei un’ottima ballerina- si complimentò Lyn e l’altra sorrise abbassando lo sguardo.
- Me la cavo- disse alzando le spalle.
- Qualcosa non va?- chiese interessata quella dagli occhi ambrati.
- So che non siamo partite esattamente col piede giusto, ma mi piacerebbe esserti amica, dico sul serio- cominciò Lyn in tono conciliante e Sahara la guardò sorpresa.
- E poi, quando un giorno sarò Capotribù vorrei avere delle persone al mio fianco di cui mi fido e che conoscono le regole della Tribù, per aiutarmi al meglio a governare, proprio come mio padre con tuo zio- concluse la diciassettenne.
- Io ti minaccio e tu mi vuoi nel Consiglio?- chiese la bionda esterrefatta.
- Sei proprio strana, lo sai?- continuò, con una smorfia.
- Già, ma meglio strani che comuni, ti pare?- chiese Lyn sfoderando il suo sorriso migliore e mettendo in mostra i suoi canini, così come Sahara.
- Accetto la tua amicizia e te ne sono grata, anche se abbiamo ancora un incontro di Beyblade in sospeso, io e te- osservò la figlia di Mao, tagliente.
- Quando vuoi- la rassicurò Lyn.
Poi se ne stettero in silenzio per qualche secondo, osservando il proseguire della festa davanti ai loro occhi.
- Lyn, credi che riuscirò mai a trovare marito?- chiese la bionda mordendosi un labbro, quasi in imbarazzo e l’altra la guardò come se fosse un alieno, pensando a quanto anche lei, da donna, la trovasse molto bella.
- Scherzi vero?- disse la neosposa.
- Il fatto è che tra poco compirò diciotto anni e non ho molti pretendenti- si confidò la giovane con sguardo triste, lasciando Lyn completamente di stucco.
- Ne ho anche scartati molti ad essere sincera, ma non avevano niente che mi piacesse- osservò Sahara, in tono frustrato.
- Beh, hai tutto il tempo del mondo per trovare un marito, perché tanta fretta? Ancora non ti sei innamorata ed è importante farlo prima di sposare qualcuno- disse Lyn cauta.
- Mia madre insiste per trovare presto un uomo, mentre mio padre è l’unico che mi appoggia al momento. Mi incoraggia a viaggiare e a crescere, esplorare. In questo mi sento molto più vicina alla sua visione del mondo, che a quella della Tribù- confessò sconfitta.
- Allora segui il consiglio di tuo padre!- esordì Lyn.
- Viaggia, esplora, scopri cos’hai dentro e quando tornerai sarai una persona nuova!- la convinse la giovane Lyn e Sahara sorrise.
- Credi che mia madre lo permetterebbe?- chiese impaziente.
- E’ la futura Capotribù ad ordinartelo- replicò Lyn in tono solenne e poi scoppiarono a ridere entrambe, come due vecchie amiche.
- Anzi, sai che ti dico? Ti invito da me a Roma per qualche settimana, potrebbe cominciare dall’Italia il tuo viaggio di riscoperta interiore- propose la figlia di Rei con entusiasmo.
- Dici sul serio? Tu… faresti questo per me?- chiese incredula la primogenita di Mao e Mystel.
- Vedrai, sarà uno sballo!- disse Lyn e poi Sahara le saltò al collo felice, ringraziandola di cuore per averle dato quella possibilità, quando il momento venne interrotto da Judy.
- Ragazze, time out. Ho ricevuto quattro proposte di matrimonio nel giro di mezz’ora- disse piano l’americana, ravviandosi i ricci biondi.
- E’ inaccettabile, cioè, oh my God, non posso sposare qualcuno con cui non ho mai fatto sesso, va contro i miei principi, help me! Non posso andare a letto con quattro uomini contemporaneamente! Il fatto è che... Sono tutti così carini!- disse in panico Judy, lasciando Sahara completamente sconvolta e Lyn ridacchiò, conoscendo bene la sua migliore amica.
- D’accordo, direi che devi smetterla con gli alcolici, per questa sera- disse la sposa, facendo per alzarsi, quando videro arrivare Makoto come una furia.
- Hey, tra poco ci sarà una sfida a Beyblade, chiunque potrà partecipare!- disse entusiasta il ragazzo e Sahara arrossì a vederlo, abbassando subito lo sguardo. A Lyn quel particolare non sfuggì.
- Che magnifica idea, Makoto potresti sfidare Sahara, immagino non vi abbiano presentati- rimediò subito la sposa e il figlio di Takao arrossì violentemente anche lui quando la giovane si alzò in piedi per presentarsi.
- Tu sei il figlio dell’ex campione del mondo, vero?- chiese la giovane figlia di Mao, mentre stringeva una mano a Makoto, che imbarazzato, si portò l’altra dietro la nuca.
- Beh, sì, ma sono stato anche io stesso campione, prima che quello sbruffone di Kei mi strappasse il titolo all’ultimo secondo, quest’anno- disse lanciando un’occhiataccia allo sposo che sorseggiava il vino a tavola.
- Sarà sensazionale misurarsi con te, quando cominciamo?- chiese Sahara su di giri.
- Laggiù sta per cominciare il primo match, andiamo?- la invitò prontamente Makoto e i due si avviarono, sotto lo sguardo delle due amiche rimaste lì.
- Non ho voglia di assistere ad un altro matrimonio tra miei amici minorenni- disse Judy piatta, appoggiando la testa sulla spalla di Lyn, mentre osservava Makoto allontanarsi ridendo con Sahara.
- Lei non lo è e poi che c’è di male?- chiese Lyn alzando un sopracciglio.
- Ti prego...- disse Judy roteando gli occhi.
- E poi per la Tribù io sono effettivamente maggiorenne da più di un anno- osservò la sposa.
- Non dirlo in giro- disse Judy e poi le due seguirono gli altri per unirsi anche loro a quella specie di torneo di Beyblade improvvisato, per omaggiare gli sposi.

 

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Capitolo 39
*** Solstizio d'Estate ***


Capitolo 39:

Elena, dopo essersi “scatenata” per quanto possibile visto il pancione di nove mesi ormai, chiese una tregua a suo marito e alle sue amiche, mettendo gli occhi sulle ultime portate al buffet che le avevano fatto venire l’acquolina in bocca.
Mentre era intenta ad arraffare quante più cose possibile e a metterle senza un minimo di criterio nel piatto, una voce la distolse da quelle meraviglie.
- Elena- la voce di Mao suonava ancora più fastidiosa in quel particolare caso.
- Mao, che piacere- rispose l’italiana con la bocca piena, reggendo tra le mani uno stinco di maiale e strappando una risatina divertita all’altra.
- Quante cose cambiano in un anno- proseguì Mao, accennando all’evidente pancione dell’ex Prescelta.
- Già, puoi ben dirlo- replicò Elena, lanciando invece uno sguardo a Lyn e Sahara che ridevano divertite con Judy, Makoto e David quando tutte le donne sposate della Tribù afferrarono sua figlia per portarla nella residenza e consumare la prima notte di nozze insieme a Kei, come da tradizione. Tradizione per la quale Lyn aveva già espresso il suo totale dissenso prima di partire, definendola una cosa “estremamente arcaica” per togliersi dall’imbarazzo di dover rivelare di aver già perso la verginità con Kei mesi prima. Elena lo sapeva, ma non volle mettere in imbarazzo sua figlia in quell’occasione.
- La strigliata di Rei è servita tanto, sai? E anche Mystel ora è molto più attento con sua figlia riguardo certe questioni. Colpa mia, non avrei dovuto raccontarle tutte quelle cose- cominciò Mao, cercando di scusarsi a suo modo.
Elena avrebbe tanto voluto gongolare per un altro po’, ma da donna buona ed elegante qual era, tolse l’altra dall’impaccio.
- Non preoccuparti, è tutto risolto, è passato così tanto tempo- si affrettò a rassicurarla, cominciando ad avvertire una sensazione strana, esattamente nel basso ventre. Tentò di restare calma, pensando che forse aveva un po’ esagerato col cibo e, di certo, non ci era andata cauta anche con il secondo round.
- Anche tra noi è tutto risolto?- chiese impaziente l’altra.
- Sono stata una vera stronza, lo ammetto. Solo ora, vedendo Lyn che si sposa e prende il suo posto nella Tribù e che vuole essere vicina a mia figlia, una ragazza estremamente chiusa e introversa, ho realizzato quanto sia importante coltivare un buon rapporto fra noi, non credi?- proseguì Mao, parlando quasi a mitraglietta, ed Elena, di tutta risposta, strinse gli occhi e le afferrò forte i polsi, dopo aver poggiato in malo modo il piatto da portata sul tavolo del buffet, facendo strabordare anche parte delle pietanze.
Quel dolore non era decisamente sintomo di una cattiva digestione, pensò Elena.
- Ahi!- urlò Mao e poi cambiò completamente espressione e tono di voce, assumendo il suo solito arrogante e saccente, mentre l’italiana le stringeva ancora di più i polsi.
- Ok, se vuoi litigare non ho problemi a farlo!- rispose la cinese innervosendosi, ma l’altra si lasciò sfuggire un grugnito di dolore, costringendo Mao a rivalutare il suo gesto.
- Elena, va tutto bene?- chiese poi, improvvisamente preoccupata.
- Credo mi si siano rotte le acque- mormorò Elena in panico, sentendosi le gambe bagnate e appiccicose e Mao sgranò gli occhi.
- Va bene, d’accordo, resta calma, ok? Me ne occuperò io- la rassicurò l’ex di Rei.
- Tu respira, respiri lunghi e profondi, così- le ordinò ed Elena la imitò alla lettera. Avrebbe creduto a chiunque in quel momento pur di stare meglio.
- Io voglio il mio ospedale a Roma e il mio medico, non può nascere qui, assolutamente non può!- disse Elena stridula, tenendosi la pancia.
- Faccio nascere più bambini io qui che il tuo dottore a Roma, da brava, vieni con me- disse Mao con fare risoluto e la Prescelta si ritrovò costretta a seguire l’ultima persona che si sarebbe aspettata di trovarsi accanto al momento del parto.
Senza destare molti sospetti, Mao fece appoggiare Elena su di sé e la accompagnò nella sua tenuta, aiutandola ad adagiarsi sul suo letto.
- Vado a chiamare Emily ed Hilary, avrò bisogno di loro, tu sdraiati qui intanto- Elena poteva sentire il profumo fresco e fruttato di quelle lenzuola candide, mentre trovava la posizione più comoda e cercava di sollevare le ginocchia per trovare sollievo, mentre Mao fece per uscire, raccomandandosi di continuare a respirare e restare calma.
- Voglio anche Rei- aggiunse Elena in un lamento, prima che Mao la lasciasse sola.
- Deve stare qui, al mio fianco, ti prego- la implorò ancora e la donna dagli occhi color miele sorrise teneramente.
- Vado contro le regole della Tribù, agli uomini non è permesso assistere al parto- cominciò cauta.
- Me ne frego delle vostre fottute regole, io voglio mio marito!- la interruppe Elena stridula.
- Lo immaginavo, però Rei è il Capo e sicuramente faremo un’eccezione- la informò Mao in tono rassicurante.
- Grazie- rispose sincera Elena, una volta accertatasi che avrebbe avuto Rei accanto a sé in quella situazione, proprio come quando nacque la loro primogenita.
- Vuoi che chiami anche Lyn?- domandò poi la cinese ed Elena scosse la testa, continuando a respirare a ritmo.
- No, è il momento più bello della sua vita, non voglio rovinarglielo-
- Come vuoi, resta lì, continua a respirare. Io torno subito- e poi sparì dietro la porta di legno e la Beyblader italiana pensò che avrebbe preferito riaffrontare il Team delle Tenebre altre cento volte, che patire quel dolore tremendo, senza i farmaci per sopportarlo.
Pregò con tutta sé stessa che non le venisse un attacco di panico a realizzare che stava per dare alla luce suo figlio in un tenuta modesta, all’interno di un villaggio modesto, senza gli strumenti adatti e che soprattutto non sorgessero complicazioni al momento del parto, visti tutti i problemi di salute che aveva avuto in passato.
- Dai, Elena, non pensarci, andrà tutto bene- disse a sé stessa, quando arrivò un’altra contrazione fortissima che dovette soffocare tenendosi forte alle lenzuola.
- Mao torna presto- mormorò, stupendosi di sé stessa nel pronunciare quelle parole.
 

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- Rei!- la voce di Mao si fece largo tra i festeggiamenti che ancora proseguivano, nonostante gli sposi si fossero già ritirati e l’urgenza nel tono della donna dai capelli rosati attirò l’attenzione del Capotribù, intento a brindare con Lai e Gao.
- Mao, cosa succede?- chiese sorridendo.
- So che sono l’ultima persona che probabilmente dovrebbe informarti, ma Elena è a casa mia e ha le doglie- disse sottovoce l’ultima frase, avvicinandosi a Rei e facendo attenzione a non farsi sentire dai suoi fratelli lì vicino. Ubriachi com’erano, pensò Mao, avrebbero scambiato un unicorno per un asino.
L’espressione rilassata di Rei lasciò spazio ad una di sorpresa, mista a terrore.
- Co… come? Il termine era il 3 di luglio, perché già ci siamo?- chiese nel panico il Capotribù.
- Vuole competere con sua sorella per il solstizio d’estate, che ne so?!- rispose stridula la donna.
- Sbrigati, coraggio, Elena ti vuole accanto- disse, togliendogli di mano la coppa di vino e lanciandogli uno sguardo pieno di dolcezza, misto ad affetto fraterno, che Rei ricambiò.
- Non è proibito qui?- chiese lui alzando un sopracciglio.
- Non per te, sei il Re dopo tutto, forza andiamo a recuperare Emily ed Hilary- disse Mao e Rei annuì sicuro, per poi seguirla velocemente.
Quando arrivarono nella tenuta le quattro persone di cui aveva chiesto, ad Elena sembrava fossero passate ore.
- Ma dove cazzo eravate?!- sbottò nel panico e Hilary ed Emily inarcarono ampiamente le sopracciglia, scambiandosi un’occhiata complice, pensando di non aver mai visto Elena parlare in modo così volgare.
- Signore, per l’amor del cielo, non avete mai affrontato un travaglio?- chiese Mao, affrettandosi a recuperare delle grosse forbici, degli asciugamani puliti e tutto l’occorrente.
- Oh sì, ben due volte e non ne ho un granché bel ricordo- disse Emily guardando la sua amica con un po’ di compassione.
- Già, neanche io, ma ho avuto un parto programmato con intervento chirurgico e non sono neanche arrivata a sentirmi così male- disse Hilary.
Rei si sedette accanto ad Elena e lei lo guardò con le lacrime gli occhi, prendendogli la mano.
- Amore, non lasciarmi- disse lei lamentosa.
- Non vado da nessuna parte, sono qui con te, come sempre- la rassicurò lui, massaggiandole la schiena.
- Hilary, ho bisogno di acqua calda, Emily, vieni qui, dobbiamo far ruotare le spalle- ordinò Mao.
- Cosa? Oh no, decisamente non io!- disse l’americana, muovendo velocemente le mani davanti a sé in segno di diniego.
- Forza! Sei una donna di scienza tu, te la caverai benissimo- la esortò la cinese.
- Emily, ti supplico, fa’ come dice!- ordinò Elena, mentre arrivava un’altra contrazione, che la costrinse a stringere forte la mano di Rei.
- Elena, amore, capisco il momento, ma se stringi così non potrò più né cucinare né lanciare un Beyblade- osservò Rei cercando di sdrammatizzare e lei sorrise tra gli affanni.
- Ecco l’acqua!- disse Hilary, apparendo con un secchio in camera.
- Ok, vediamo come siamo messi- disse Mao sollevando la gonna dell’abito di Elena e controllando la situazione.
- Fantastico, vedo già la testa!- comunicò felice la donna, facendo sorridere anche gli altri.
- Ora, devi spingere con tutta la forza che hai- le chiese Mao ed Elena si sforzò parecchio per compiere quel gesto, continuando sempre a ricordarsi di respirare ritmicamente.
- Brava, ancora un po’, forza!- la incoraggiò l’ex Beyblader dei White Tigers.
Elena spinse fin quando non sentì le forze mancarle completamente e a quel punto, quando proprio pensava che sarebbe svenuta lì, sul letto di Mao e Mystel, un pianto energico invase la stanza.
- Eccolo qui- disse Mao con un sorriso, mentre Emily tagliava emozionata il cordone ombelicale del piccolo.
Elena scoppiò a piangere non appena vide in braccio alla donna che aveva odiato per anni quel batuffolo rosa con tantissimi capelli neri e gli occhi già semi aperti che lasciavano intravedere lo stesso meraviglioso colore ambrato di sua sorella e suo padre.
Rei si sforzò di restare composto, ma avrebbe pianto volentieri anche lui di gioia.
- E’ bellissimo!- esclamò Hilary, sentendo le lacrime salirle agli occhi e persino Emily, che non si emozionava tanto facilmente, cedette alla felicità del momento.
- Va’ dalla tua mamma- mormorò Mao, posando il bambino tra le braccia di Elena, il quale si calmò di colpo sentendo il calore delle carezze dei suoi genitori.
- Grazie- disse Elena a Mao, con gli occhi colmi di lacrime e un tono d’immensa gratitudine.
Mao guardò il bambino e poi Rei e si rese conto in un attimo che nonostante l’amore immenso che l’aveva legata a quel ragazzo in gioventù e per il quale aveva profondamente sofferto, ora era felice di aver contribuito a rendere magico un momento della famiglia che lui tanto tempo prima si era creato.
Mao capì proprio in quell’istante che la loro scelta era stata giusta anni addietro, quella scelta che Rei prese per entrambi lasciandola al villaggio ed era stata proprio quella svolta a portarli dov’erano in quel momento: con le persone che erano destinate a loro e che amavano per davvero. Rifletté sull’amore che provava per Mystel e pensò che non ci fosse niente di più grande e potente al mondo. Assolutamente niente.
- Non c’è di che- rispose con un sorriso sincero ad Elena, forse il primo vero che aveva mai rivolto a quella donna.

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Capitolo 40
*** Un Nuovo Inizio ***


ATTENZIONE: CAPITOLO RANKING ROSSO

Capitolo 40: Finale

Lyn e Kei erano arrivati nella loro residenza trascinati dalle donne sposate e dai guerrieri della Tribù, era stata un’esperienza divertente nel complesso, ma Lyn per un attimo si stupì di non aver visto sua madre tra quelle donne.
Kei, invece, in un primo momento aveva minacciato di prendere a calci chiunque avesse solo provato a sollevarlo da terra, ma quando il figlio di Gao, alto il doppio di lui e largo il triplo lo aveva afferrato senza sforzo, si dovette rassegnare a farsi accompagnare in quel corteo festoso all’interno di quella che per quella notte sarebbe stata casa sua e di Lyn.
- Credevo di non divertirmi per niente e invece devo ammetterlo, quei tizi sanno esattamente come organizzare una festa, non che avessi partecipato a molti eventi mondani prima di stasera- esordì lo sposo, togliendosi il mantello e adagiandolo su una delle sedie di legno.
- A parte quelle feste schifosamente eleganti di Vorkov, ovviamente- si sentì di aggiungere e Lyn sorrise brevemente.
- Te l’avevo detto- si trovò d’accordo e poi scrollò le spalle.
- Sai, quando sono venuta qui un anno fa, mi sentivo totalmente estranea ai loro modi di fare e di vedere le cose- confessò poi la ragazza.
- Ah sì?- chiese Kei interessato, mentre si sfilava il resto dei vestiti senza badare troppo allo sguardo languido di sua moglie.
- Beh, molte delle ragazze della mia età erano già sposate o, quantomeno, promesse in procinto di compiere il grande passo, quando ho affrontato il mio rito di passaggio e non avrei mai immaginato che avrei rispettato questa tradizione della Tribù tanto presto, a dire il vero- confessò Lyn con un sorrisetto.
- In effetti, ci ho messo un po’ a realizzare che me l’avevi davvero chiesto...- osservò divertita socchiudendo gli occhi e ricordando quanto era stato impacciato e tremendamente tenero Kei in quella circostanza.
Era la notte di Capodanno e loro si erano incontrati esattamente nello stesso posto dell’anno precedente, sul punto panoramico di Villa Borghese e mentre impazzava la mezzanotte con i tipici fuochi d’artificio, Kei aveva fatto la proposta a Lyn velocemente, senza darle il tempo di capire le parole di quella frase così importante, coperta dal frastuono dei botti. Soltanto al terzo tentativo, Kei aveva mandato al diavolo quel chiasso, aveva tirato fuori lo scatolino contenente un meraviglioso solitario e lo aveva messo all’anulare sinistro di Lyn senza proferire parola, mentre lei era ancora sotto schock.
Kei si avvicinò a sua moglie, quando era rimasto soltanto con quei pantaloni paurosamente a vita bassa addosso, lasciando alla vista di Lyn quei fianchi scolpiti che la facevano assolutamente impazzire, così come il resto del corpo del suo uomo.
- Hai qualche rimpianto?- le sussurrò, facendola lentamente voltare e cominciandole a sbottonare l’abito da sposa. Un delicato bottone di perle alla volta e quella piacevole tortura fece eccitare Lyn in modo irreparabile.
- Riguardo cosa?- chiese lei in un soffio, godendosi il tocco freddo delle dita affusolate di Kei sulla sua schiena nuda.
- All’esserti sposata così giovane- continuò lui, prendendo a baciarle il collo e Lyn chiuse gli occhi, rapita da quella coccola così intensa.
- Beh, perché dovrei esserlo? Io ti amo così tanto e poi… sei giovane anche tu- concluse la ragazza, sospirando con soddisfazione per poi lasciarsi sfuggire un gemito quando lui le morse la base del collo.
- Teoricamente avrei quasi quarantotto anni, tecnicamente ne compirò venti tra un paio di mesi, tira tu le somme sulla mia giovinezza- ricordò Kei a voce bassa.
I due scoppiarono a ridere e lui fece voltare la sua sposa nuovamente verso di sé per ammirarla prima di sfilarle l’abito bianco di dosso.
- Mi sono piaciuti i festeggiamenti, ma fra tutti i momenti di questa giornata, era esattamente questo che attendevo...- sussurrò a Lyn facendole venire i brividi, per poi lasciar cadere il vestito di pregiata manifattura sul pavimento, lasciandola con indosso solo gli slip in pizzo bianchi.
Lyn gli lanciò uno sguardo languido e poi gli accarezzò il viso e lo baciò, attirandolo subito a sé e facendo incontrare i loro corpi seminudi. Lyn strusciava i seni sul torace scolpito di Kei, mentre il bacio aumentava di intensità, sentendo diventare i capezzoli sempre più duri per il piacere incontrollabile che l’aveva pervasa, poi lui la prese in braccio sollevandola per i glutei e la intrappolò al muro, catturando nuovamente la bocca di lei nella sua, mentre Lyn serrava le gambe intorno alla sua vita sentendo l’eccitazione di lui farsi sempre più concreta contro il suo basso ventre. Kei le sfilò velocemente gli slip con una mano sola, quasi glieli strappò e poi la penetrò proprio lì contro il muro, in un solo, unico colpo. Lyn si tenne forte alle spalle di suo marito quando lo sentì entrare completamente nella sua cavità umida, incapace di soffocare l’urlo di piacere che quel gesto così repentino le aveva provocato e Kei cominciò a dettare il ritmo del rapporto, affondando colpi sempre più decisi con i fianchi, invadendo completamente il corpo di Lyn, fino all’ultimo centimetro, mentre si perdevano tra gemiti e ansimi di puro godimento.
- Ti amo, Kei- gli sussurrò Lyn all’orecchio per poi mordergli il lobo, sentendo il metallo freddo del suo diamantino nero contro la sua lingua e quello fece perdere definitivamente il controllo al giovane, sull’orlo dell’orgasmo.
- Ti amo anch’io, Lyn- e poi si lasciò andare, riversandosi dentro di lei fino all’ultima goccia di piacere, tenendosi forte alla colonna che reggeva il muro e sospirando soddisfatto tra i capelli di lei.

Il mattino seguente, Lyn venne svegliata dai raggi del sole che entravano prepotentemente dalle fenditure di legno della finestra sul camino.
Si accorse di essere ancora nuda, così come suo marito che dormiva beatamente accanto a lei, con il solito ciuffo a coprirgli gli occhi anche quando era addormentato.
Era di una bellezza mozzafiato persino nel sonno e lei gli lanciò uno sguardo dolcissimo, carezzandogli piano i capelli, felice di sapere che anche quella notte, come da qualche mese a quella parte, lui si era addormentato serenamente, senza più quegli incubi che lo avevano tormentato per tutta la vita.
Lyn si alzò con non poca fatica, notando il piacevole indolenzimento nel basso ventre e tra le gambe e ricordò con un sorriso soddisfatto le intense ore di passione della notte appena trascorsa. Fece correre lo sguardo su tutta la stanza, ricordando ogni punto in cui lei e Kei avevano fatto l’amore quella notte. Contro il muro, contro il camino, sul pavimento, contro la porta, su quel letto...
Il suo viaggio di fantasie erotiche venne interrotto da un lieve bussare alla porta.
La ragazza si affrettò a gettare la coperta addosso a Kei, quanto bastava a coprirgli le parti intime e poi afferrò la vestaglia di seta rossa e oro sulla sedia a dondolo accanto al letto, andando ad aprire, non prima di aver mandato diverse maledizioni a chi aveva osato bussare a quell’orario così mattutino.
Quando sarebbe diventata Capotribù, pensò Lyn, avrebbe istituito una regola che avrebbe vietato a tutti di disturbare gli sposi dopo la prima notte prima delle dieci.
- Zia Hilary, che fai qui a quest’ora?- chiese Lyn stranita, quando si ritrovò la moglie di Takao sulla soglia della porta.
- Tesoro, so che non è esattamente un buon momento, ma devo dirti una cosa- cominciò la donna, cercando di sbirciare oltre la spalla di Lyn e vedendo che Kei era mezzo nudo a letto.
- Non puoi dirmela dopo?- temporeggiò Lyn, chiudendo un altro po’ la porta e arrossendo violentemente.
- Temo che non possa aspettare- disse Hilary con un sorrisetto eloquente.

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Quando i novelli sposi entrarono nella tenuta di Mao, Lyn aveva il cuore a duemila e un mix di sensazioni contrastanti aveva preso il comando del suo corpo. Quasi aveva dimenticato di vestirsi quando aveva svegliato Kei e lo aveva costretto a seguirla senza perdere troppo tempo.
Lì c’era tutta la famiglia riunita, i suoi zii e anche Lai e Mystel, venuti a rendere omaggio all’ultimo arrivato della Tribù.
Quando sarebbe passata quella sensazione di felicità, però, Lyn aveva in mente di fare una brutta ramanzina a sua madre per aver scelto di non chiamarla in quel momento così importante per loro come famiglia.
La scena che si trovò davanti, però, le fece cambiare nuovamente idea, facendole dimenticare il pensiero di strigliare sua madre.
Elena era seduta al centro del letto con un sorriso che Lyn non le aveva mai visto in volto, intenta a cullare quel fagottino che aveva tra le braccia e suo padre accanto a lei che le aveva appena dato un bacio sulla fronte pieno d’amore. Quella vista fece sciogliere la ragazza come neve al sole.
- Mamma- la voce di Lyn era un sussurro emozionato e quando Elena la vide non poté fare a meno di scoppiare a piangere, di nuovo.
La ragazza si avvicinò al letto lentamente e si sedette accanto a suo padre, che le cinse le spalle con un braccio, mentre Kei se ne stette in disparte, leggermente in imbarazzo in quella particolare occasione.
- Mantieni il primato per qualche minuto di differenza, sai?- cominciò Rei in tono confidenziale rivolto a sua figlia.
- Avrebbe potuto essere il figlio del solstizio d’estate anche lui- disse l’uomo con un sorrisetto e la ragazza lo guardò sbalordita.
- Davvero?- chiese emozionata.
- Era già il 22 quando è nato, era mezzanotte passata quando Mao lo ha preso- disse Elena, sorridendo alla donna che, neanche nei suoi sogni più strani, l’aveva aiutata a dare alla luce suo figlio durante quella nottata così movimentata. Lyn si stupì nell’apprendere quella notizia e si voltò verso Mao che le sorrise.
- Grazie- mormorò la giovane e la donna le rivolse un cenno del capo restando in silenzio, ma mantenendo quel sorriso proprio uguale al suo, con quei singolari canini appuntiti e scintillanti.
- Allora, non vuoi prendere tuo fratello in braccio?- chiese Rei impaziente e Lyn tirò su col naso, incapace di contenere l’emozione, ma Elena si fermò un attimo.
- Tesoro, io credo che l’onore spetti prima al suo padrino- disse la donna, interrompendo suo marito e Lyn sgranò gli occhi, vedendo che Rei annuiva.
Lo sguardo di tutti i presenti poi si spostò dal quadretto familiare e si posò su Kei, che guardava tutti confuso.
- Amore, vieni qui- lo invitò Lyn e lui si avvicinò lentamente, quasi spaventato, ma cercava di mantenere la sua solita compostezza senza sforare nell’atteggiamento freddo e distaccato che lo aveva sempre contraddistinto.
- Sai, abbiamo deciso di dargli questo nome ancor prima che sapessimo di te, Vorkov e tutta quella storia- cominciò Elena e il ragazzo annuì piano.
- Era un mio desiderio sin dalla notte ai mondiali, quando credevamo di averti perso per sempre- ammise Rei.
- Quindi...- continuò Elena sporgendosi in avanti.
- Direi che tocca a te dare il benvenuto al piccolo Kei Kon, con la speranza che cresca forte e coraggioso come il blader che non ha mai temuto la morte, in nessuna occasione- concluse la donna trattenendo le lacrime, e mentre la sorpresa si dipingeva sul volto del ragazzo, Lyn e Rei lo aiutarono a sistemare il bambino tra le braccia.
- Non aver paura- gli sussurrò Lyn, quando vide Kei irrigidirsi ai movimenti del piccolo che si stiracchiava.
Poi il bambino aprì gli occhi e osservò Kei, quasi scegliendolo come sua guida, quasi instaurando un legame sin da subito con quel ragazzo di cui portava il particolare nome.
- Non avevo mai tenuto un neonato in braccio- confessò il giovane, guardando quello scricciolo che era la copia sputata di Rei e Lyn, muoversi tra le sue braccia. Infine il giovane sospirò, poi sorrise.
- Diventerai un grande blader, proprio come me, ti insegnerò tutto e sarai fortissimo, vedrai- gli sussurrò Kei, sentendosi finalmente in pace con il mondo intero, persino con sé stesso.
Una cosa che non gli era decisamente mai successa fino a quel momento.
Quell’esperienza aveva segnato l’inizio di una nuova avventura, sia per lui che per il piccolo Kei letteralmente e giurò a sé stesso di essere sempre un esempio positivo da seguire per quel bambino.
Per tutta la vita.
E nei giorni più caldi dell’anno, considerati sacri per la Tribù della Tigre Bianca che aveva dato il benvenuto ad altri due importanti membri, Kei Hiwatari sentì che poteva fare finalmente qualcosa di buono nella sua nuova vita e doveva cominciare proprio da quel giorno.
Le sue azioni avrebbero costituito il ponte perfetto tra il passato, il presente tra le sue braccia e il meraviglioso futuro che attendeva lui e i suoi amici.
Lui e la sua famiglia.
I Bladebreakers per l’eternità.

*-.FINE.-*
 

Eccoci qua, siamo finalmente arrivati alla fine di questa avventura che va avanti dall'ottobre del 2021, quando ho deciso di pubblicare il primo capitolo di "Guard Me For Eternity". Un po' mi fa strano non rinnovare l'appuntamento con voi il prossimo lunedì, mi ci ero molto affezionata a questa storia e ai suoi personaggi, però come tutte le cose belle anche questa era destinata a finire e, spero soprattutto, di aver dato un finale degno a tutti i personaggi che hanno preso parte alla storia xD.
Passerei poi a ringraziare tutti: lettori, lettori/recensori e chiunque si sia fermato a leggere anche un solo insignificante capitolo delle mie storie in quasi due anni che sono diventata autrice su questo fantastico forum. Dal profondo del cuore, grazie.
Spero di rivederci presto in questo fandom, chissà che la mia mente non partorisca qualcos'altro, mai dire mai nella vita ahahahah.
Ancora grazie a tutti per tutto.
LadyYuna94

 

 

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