L'Oro del Drago

di _Lightning_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nube non fa tempesta (forse) ***
Capitolo 2: *** Tra il dire e il fare c'è di mezzo... un drago? ***
Capitolo 3: *** L'appetito vien (non) mangiando ***
Capitolo 4: *** Non è tutto oro quel che luccica (ma a volte sì) ***



Capitolo 1
*** Una nube non fa tempesta (forse) ***


1. Una nube non fa tempesta (forse)

 

 

La Baia di Hạ Long era una distesa di smeraldo liquido, con pennellate di bianco dove le onde si arricciavano sotto il vento afoso. Immensi pinnacoli di roccia ricoperti di fitta giungla si innalzavano dalle acque, svettando verso il cielo come dita di giganti sepolti sotto il mare.

Elena si sporse a prua della giunca che fendeva i flutti, aggrappandosi alla grande polena di legno a forma di testa di drago. La giunca virò all’improvviso a tribordo: una ciocca di capelli biondi le frustò il viso e goccioline d’acqua le picchiettarono il volto; alcune venivano dall’alto.

Alzando lo sguardo, notò i contorni plumbei delle nubi addensate sopra la giunca. Inspirò l’aria salmastra, pregna dell’impronta tropicale dei monsoni carichi d’ozono, poi si voltò verso il piccolo castello di poppa:

«Perché ho il sospetto che questa non sia una fuga romantica?»

Nathan, una zazzera di capelli castani seminascosta dal timone, si alzò sulle punte, sbucando oltre la finestra del gabbiotto:

«Perché, in fondo, speri che non lo sia?»

Elena alzò gli occhi al cielo, sopprimendo un sorrisetto.

«No, perché ti conosco troppo bene, e andare in Vietnam nella stagione dei monsoni non ha niente di romantico.»

Vide Nathan correre ai ripari dietro al timone, storcendo la bocca in un’espressione colpevole che sfumò nel silenzio.

Elena attraversò il ponte scivoloso della piccola giunca, entrò nella cabina di comando e si poggiò indolente al tavolino su cui era spiegata una carta nautica della zona. Incrociò le braccia al petto, facendo un cenno del mento verso Nathan, che si ostinava a fissare alternatamente bussola e timone, nascondendole gli occhi.

«Andiamo, cowboy, sputa il rospo.»

«Il drago, vorrai dire,» sogghignò Nathan, prima di bloccare il timone e decidersi ad abbandonare la farsa.

Elena alzò un sopracciglio con fare interrogativo, sapendo che il suo compagno aspettava soltanto il minimo accenno d’interesse per lanciarsi in una delle sue digressioni storiche, corredata da abbellimenti di leggende, miti e tesori perduti.

E non vedeva l’ora di ascoltarlo – altrimenti, perché l’avrebbe seguito fin lì?

Gli occhi azzurri di Nate si accesero di quella luce particolare, come se ci fosse qualcosa, dietro, a scintillare ogni volta che parlava di ciò che più amava fare al mondo: esplorare, scoprire, lanciarsi nell’ennesima peripezia.

Elena avrebbe potuto esserne gelosa, ma provò solo una punta d’emozione sincera, al pensiero che volesse condividere tutto questo con lei. D’altronde, senza l’ennesimo tesoro, loro due non si sarebbero nemmeno mai conosciuti... e innamorarsi di Nathan Drake voleva dire amare anche la sua sete d’avventura. E lei era certa di amare entrambi.

«Hai la mia attenzione, sono tutta orecchi.»

Nathan fa un altro sorrisetto e fu chiaro che non vedesse l’ora di rivelarle tutto.

«Allora... c’era una volta un drago, come in tutte le migliori storie,» cominciò, con uno svolazzo delle mani brunite dal sole. «Un drago molto irascibile che, invocato dall’Imperatore di Giada per aiutare in guerra il popolo vietnamita, discese dal cielo in una nube di fuoco proprio su questa baia, seminando distruzione tra le file nemiche.»

«Partiamo bene,» commentò Elena, inclinando appena di lato la testa.

«Ehi, non è colpa mia se dietro ogni tesoro c’è una storia sanguina—Ah, cavolo!»

«Tranquillo, mi era chiaro che ci fosse di mezzo un tesoro,» ridacchiò Elena, nel vedere la sua espressione afflitta per aver rovinato il colpo di scena. «Quindi... il drago discende dal cielo, salva i vietnamiti... poi?»

«Poi...»

Un brontolio improvviso scosse la giunca, rotolando dall’alto come una frana. Elena e Nathan puntarono in sincrono lo sguardo verso il cielo che, in quei pochi minuti, aveva assunto sfumature livide e quasi violacee, tingendo le acque smeraldine della baia di un verde cupo.

«Poi, probabilmente, è successo esattamente ciò che sta per succedere,» concluse Nathan, riprendendo in fretta il timone.

«Cioè, ritrovarsi in mezzo a una tempesta tropicale?» commentò Elena, mantenendo un tono leggero a dispetto del lampo accecante che illuminò il mondo, seguito da un altro boato da far vibrare le ossa.

«Beh, nelle leggende c’è sempre un fondo di verità... "drago" potrebbe essere una metafora per "tempesta", la "nube di fuoco" sono molti fulmini, e...»

Un’onda repentina si abbatté sulla fiancata della giunca, mandandola in rollio: Nathan si aggrappò al timone; Elena riuscì appena in tempo ad afferrare un salvagente appeso al muro per non finire gambe all’aria. Adocchiò un’altra onda, più grande, che si ingrossava appresso alla prima.

«Nate, lascia perdere le metafore!» esclamò, facendoglisi accanto. Trovò un appoggio stabile sulla sua spalla e su una maniglia del timone proprio quando la seconda onda impattò contro la giunca, insinuandosi oltre la bordata e spedendo spruzzi salini nella cabina di guida. «Portaci al riparo!»

«Ci provo!» ribatté Nathan, le braccia rigide nel mantenere la rotta contro la brezza tesa che era diventata un vento gonfio e burrascoso, con la repentinità tipica dei monsoni. «Dobbiamo raggiungere l’Isola di Mắt Rồng, l’Occhio del Drago.»

Elena lo fulminò con lo sguardo, non troppo stupita:

«Perché è un luogo sicuro o perché c’è il tesoro?»

«Beh, una cosa non esclude l’altr–»

Un’imbardata della giunca fece perdere l’appoggio a entrambi; a Nathan sfuggì di mano il timone, che roteò pericolosamente a vuoto in un mulinello.

Per svariati minuti, fu una lotta alternata tra loro e gli elementi, nel tentativo di portare la giunca verso uno dei migliaia di isolotti dell’arcipelago. La spinta combinata di vento, onde e corrente rendeva difficile persino mantenere dritta la giunca, figurarsi governarla in una direzione precisa.

Infine, la barca si ribellò del tutto alla loro volontà: s’inclinò da un lato sotto la spinta del vento, con le vele scarlatte che si tendevano allo stremo – finché uno schiocco ligneo non si fuse con l’ennesimo tuono. L’albero di prua collassò su se stesso, abbattendosi sul ponte e sbilanciando del tutto lo scafo.

«Chi diavolo ti ha venduto questa bagnarola?!» sbottò Elena, balzando ancora in piedi per riprendere il timone.

«Sully mi aveva assicurato che quel pescatore in pensione di Vung Viêng era un tipo affidabile!» ribatté Nathan, portandosi dietro di lei e piazzando le mani sulle sue per aiutarla.

«Pescatore in pensione?!»

Elena emise un verso esasperato, e lo guardò da sopra la spalla con espressione più temporalesca del monsone. Non ebbe modo di rimbeccarlo, né lui di difendersi, perché un improvviso schianto zittì entrambi. La giunca sussultò sotto di loro, per poi inclinarsi all’indietro e beccheggiare fuori controllo. La ruota del timone, d’un tratto, non oppose più resistenza, molle nelle loro mani.

«Oh, cavolo,» bofonchiò Nathan, sembrando per la prima volta preoccupato. «Quello non era...»

«Il timone, già,» confermò Elena, rassegnata, un attimo prima di udire un gorgoglio tetro. «E lo scafo, a quanto sento. Dev’essere stato uno scoglio.»

«Ma stiamo scherzando?» sbottò Nathan, staccandosi da lei e sparendo nella botola che portava sottocoperta.

«Nate?»

«Arrivo!»

La giunca, o quel che ne rimaneva, cominciò a sprofondare; il mare grosso la schiaffeggiava da ogni lato e il vento sferzava le vele, disarticolandole dalle steccature.

Elena corse fuori dalla cabina quando l’acqua iniziò a invaderla, combattendo contro l’inclinazione sempre più verticale del ponte e contro gli strascichi di pioggia che prese ad abbattersi su di loro, ingrigendo il mondo. No, non c’era speranza di poter in qualche modo mettere in salvo la giunca: stavano affondando, senza se né ma.

Non c’era una scialuppa di salvataggio, su quel trabiccolo?!

«Nate!» chiamò di nuovo, vedendo che tardava a riemergere.


Stava per fiondarsi a recuperarlo, quando lo vide sbucare dalla botola, affannato e coi pantaloni fradici. Si cacciò qualcosa in tasca. Un fulmine colpì l’albero maestro, a un palmo da lui, e Nathan accelerò per evitare il crollo e le lingue di fuoco che sibilavano sotto lo scroscio della pioggia.

«Direi che questo è il nostro segnale,» annunciò, afferrandole la mano.

Elena annuì e la strinse prontamente, seguendo la sua corsa verso la bordata della giunca.

«Abbandonare la nave!» gridò, prima di lanciarsi con lei fuoribordo, nell’acqua color smeraldo della baia.


 

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Capitolo 2
*** Tra il dire e il fare c'è di mezzo... un drago? ***


2. Tra il dire e il fare c’è di mezzo... un drago?




«Noi dovremmo essere...» l’indice di Nathan esitò a qualche centimetro dalla carta cerata zuppa, tracciando linee incerte. «Qui?»

«Lo chiedi a me?» sospirò Elena, strizzandosi i capelli fradici e sfregandosi via la sabbia dai calzoni. «Eri tu al timone, tu hai tracciato la rotta e tu sapevi dove stiamo andando, quindi–»

«Ehi, troppi tu, cioè io, in questa frase,» si allarmò Nathan, staccando gli occhi dalla cartina e scostandosi i capelli spiaccicati sulla fronte. «So perfettamente dove siamo e so che siamo fortunati.»

«Ma davvero?»

Elena sollevò un sopracciglio nel modo più scettico che le riuscì, con il piede che tamburellava un ritmo rapido nella fanghiglia battuta dalla pioggia, a sottolineare la loro situazione –  naufraghi su un isolotto sperduto nel bel mezzo di una tempesta. Almeno erano illesi, a parte qualche livido.

«Sì, davvero,» sbuffò Nathan, accostandosi a lei con la mappa. «Guarda, l’isola non è lontana e su questa dovrebbe esserci un villaggio di pescatori. Troviamo un riparo, aspettiamo che si plachi il monsone, affittiamo una qualsiasi cosa che galleggi e arriviamo all’Occhio del Drago. Facile.»

«È a tre ore di marcia... sempre che siamo sull’isola giusta.»

«Dai, ’Lena, quando mai ci ho fatti perdere?»

«Vuoi una lista in ordine cronologico o di rilevanza?»


Nathan sospirò, cedendo a lei la mappa con un gesto esasperato. Elena la studiò per un paio di minuti, trovandosi costretta ad ammettere che, sì, lipotesi del suo compagno aveva senso.

«Sembra anche a me di essere qui...»

«Visto?!»

«... ovvero su un isolotto sperduto privo di nome, senza provviste né telefoni, in mezzo a un monsone e con meta un villaggio probabilmente abbandonato cinquantanni fa.»

«Pff, ne abbiamo passate di peggiori.»

Su questo, Elena non poteva dargli torto. Si limitò a rivolgergli un sorrisetto complice che si specchiò nel suo.

«Mettiamoci in marcia, prima che faccia buio,» stabilì, ripiegando la mappa.

Si incamminò per prima tra gli alberi di mangrovia che orlavano la costa, facendosi largo tra la foresta di radici, grovigli simili a intricati merletti. Abbandonato il terreno sabbioso, la marcia non si fece meno ardua: priva di sentieri battuti, la giungla si stendeva impenetrabile di fronte a loro, costretti a farsi largo a bracciate tra enormi foglie e arbusti.

Sopra di loro oscillavano gli alberi più alti, battuti dal vento, le cui chiome divoravano la poca luce che riusciva a filtrare oltre le nubi dense. A parte il tamburellare serrato della poggia, il gemito del vento e loccasionale scricchiolio di legno, la giungla era silenziosa, disturbata solo dallo sciacquio dei loro piedi e dal fruscio della vegetazione.

«Allora,» esordì Elena dopo una ventina di minuti di marcia, coi polpacci che bruciavano, «questo tesoro?»

«Ti interessa ancora?» si stupì Nathan, di nuovo con quella luce trepidante in volto.

«Sì, vorrei che un naufragio e unescursione nella giungla non fossero invano, se possibile,» ribatté pronta lei. «Più che altro, dove hai trovato la traccia?»

«La traccia è stata...» Nathan esitò e, quando Elena si voltò a guardarlo, notò un misto dimbarazzo e sua tipica disinvoltura stampato sul suo viso solcato dalla pioggia. «Beh, una poesia.»

«Una poesia?»

«Sì, una poesia che... che mi è capitata tra le mani per caso,» si affrettò a spiegare lui, un po evasivo, per poi continuare deciso: «Una poesia di tale Chế Lan Viên, che parlava di draghi e della Baia di Hạ Long. Di come vi fosse un "drago nascosto" che "emergeva nelle notti di luna".»

«E cosa ci sarebbe di strano?» Elena si arrestò, sfruttando il riparo di uno sperone di roccia. «I draghi sono sacri in Vietnam, si ritengono la "stirpe del drago".»

«Questa baia è particolare,» insistette Nathan, stringendosi con lei al riparo. «Secondo la leggenda che ti raccontavo, dopo aver aiutato il suo popolo in guerra, la Madre Drago perse i denti e si rifugiò nei cieli. I denti sarebbero...»

«LArcipelago del Cát Bà?.»

Un lampo di ammirazione brillò sul volto di Nathan, che le cinse le spalle con un braccio – Elena lo accolse grata. A dispetto della temperatura mite, i vestiti bagnati iniziavano a instillarle un senso di gelo nelle ossa.

«Esatto. I denti, enormi smeraldi, si trasformarono in isole.»

«E noi cerchiamo gli "enormi smeraldi"?» commentò poco convinta Elena – gli sembrava esattamente il genere di fantasticheria a cui poteva abboccare Nathan.

«Uh, non esattamente. Il punto è che il drago è un simbolo. È lemblema dellimperatore. Vuol dire potere, autorevolezza... e ricchezza. Nello specifico, oro.» Nathan fece un ampio gesto col palmo, come a indicarne unintera distesa. «La Baia di Hạ Long è la baia del "drago che discende dal cielo". Esiste lIsola Occhio del Drago, in cui si specchia la luna, come nella poesia. E troppi altri autori hanno fatto riferimento ai draghi "nascosti" in relazione a questa baia, quindi...»

«Quindi pensi che ci sia delloro perduto, qui da qualche parte?»

«Loro del drago, sì,» sorrise Nathan con sicurezza. «Questa baia è facilmente difendibile, sterminata e difficile da navigare. Un luogo perfetto per unipotetica tesoriera reale. E, incrociando qualche fonte storica e un po... meno storica, non mi sembra così azzardata.»

Un tuono brontolò in sottofondo, suggellando quelle parole. Elena, suo malgrado, si sentì infiammare dalla stessa curiosità del suo compagno, anche sotto quella pioggia torrenziale e anche con la prospettiva di una notte alladdiaccio. Sospirò, stampando a Nathan un bacio sulla guancia.

«Va bene, cowboy, mi hai convinta: potrebbe essere unidea meno folle del solito.»

«E anche romantica?» azzardò Nathan, con un sorriso storto da discolo in volto.

«No,» ridacchio Elena, rimettendosi in marcia, «quello decisamente no.»

«Almeno un po, dai,» le tenne dietro Nathan, incespicando tra radici e arbusti. «Un... cinque su dieci?»

«Non arriva nemmeno a tre.»

«Tre?! Pensavo che tre fosse quella volta che abbiamo fatto il tour delle catacombe a Roma.»

«Quello è un due...»

«Ehi! A me è piaciuto!»

La pioggia coprì le loro voci, mentre continuavano ad avanzare nella giungla battuta dalla tempesta.

 

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Capitolo 3
*** L'appetito vien (non) mangiando ***


3. Lappetito vien (non) mangiando


Un giorno dopo...


«Uno,» dichiarò Elena, addossandosi di più alla parete rocciosa da cui scendevano a precipizio nastri dacqua. «Questa idea è decisamente un uno, in quanto a romanticismo.»

«Non puoi dirmi che la vista non è romantica,» cercò di scherzare lui, zittendosi nel notare la sua occhiata omicida.

Elena trattenne una rispostaccia, fissando in basso, oltre il sottile cornicione di roccia sul quale stavano avanzando dietro quellimmensa cascata – perché, secondo Nathan, il famigerato "oro del drago" poteva trovarsi proprio lì, in una grotta di cui però non avevano trovato traccia.

Ovviamente, il villaggio di pescatori sullisolotto era abbandonato, offrendo un magro riparo dalle piogge e dal vento notturno. Ovviamente, lunica barca in grado di stare a galla era sopravvissuta a malapena il tempo di approdare sullOcchio del Drago.

E ovviamente Nathan, come sempre dimentico di fame, sete e fatica, si era voluto lanciare a capofitto verso la loro mèta: il lago cristallino al centro dellisola, da cui essa prendeva il nome. Strada facendo, Nathan aveva trovato un drago scolpito nella roccia.

Dopo varie divagazioni sul fatto che fosse chiaramente della Dinastia Nguyễn, visto che aveva cinque artigli e muso di leone, e che simboleggiasse quindi lImperatore, si era lanciato in direzione della cascata.

Elena, dal canto suo, stava iniziando a esaurire la pazienza. Era abituata ai colpi di testa di Nathan ed erano partiti sulle tracce di tesori perduti molto più labili di questa... ma, stavolta, sembrava ancora più incosciente del solito. Addirittura, distratto.

Come se stesse pensando a tuttaltro mentre si scervellavano per cercare di capirci qualcosa in più, su questo fantomatico tesoro.

E, se non si fossero affrettati a trovarlo, avrebbero davvero cominciato a pensare a come sopravvivere, visto che i crampi della fame già si facevano sentire. Elena lanciò uno sguardo alla muraglia bianca della cascata a pochi metri da lei: almeno, lacqua non mancava.

«Ok, niente grotta. Peccato, ho sempre voluto trovare una grotta dietro una cascata,» disse Nathan con uno sbuffo deluso, non appena misero piede su terra solida. «Non ci resta che il lago,» stabilì, sfogliando il suo taccuino mezzo cancellato dallacqua e bofonchiando tra sé a mezza voce.

Elena si scrollò le goccioline impigliate tra i capelli, prima di scuotere la testa.

«Nate, se non troviamo qualcosa da mangiare, il tesoro sarà lultimo dei nostri problemi.»

Quellaffermazione sembrò riportare Nathan coi piedi per terra.

«Uh, sì, in effetti ho un certo languorino... ma siamo a un passo dal tesoro!» esclamò poi, indicando il lago sotto di loro, una scheggia di turchese incastonata nel verde lussureggiante.

«O forse a chilometri interi,» ribatté Elena. «Se davvero il drago è un simbolo così ovvio, tu nasconderesti il tuo oro su unisola che si chiama Occhio del Drago?»

«Beh... re e imperatori non sono esattamente noti per la loro modestia, no?» sogghignò Nathan, prima di interrompersi, quando il suo stomaco levò un lamento improvviso e sonoro.

Un velo rosso gli scurì le guance ed Elena sorrise vittoriosa.

«Pausa pranzo?»

Nathan annuì, sconfitto.

«Oh, guarda! Che carina,» commentò Nathan, facendo un mezzo sorrisetto e puntando il dito in mezzo al sottobosco


«Oh, guarda! Che carina,» commentò Nathan, facendo un mezzo sorrisetto e puntando il dito in mezzo al sottobosco.

Una lepre si rizzò allarmata sulle zampe posteriori, con le lunghe orecchie tese a intercettare ogni suono.

Elena scoccò unocchiata a Nathan, sentendosi un po in colpa per il fatto che il suo primo pensiero, nel vedere l’animale, fosse stato “potenziale cibo”. Sospirò a mezza voce e guardò Nathan che, di rimando, continuava a guardare ignaro la lepre, adesso focalizzato su di loro, il naso fremente che annusava l’aria.

Erano a digiuno quasi completo da due giorni, avevano la prospettiva di rimanere su quellisola per chissà quanto... eppure, la prima cosa che a Nathan veniva in mente nel vedere il loro potenziale pranzo era "che carina". Sapeva che moriva dalla voglia di avvicinarsi e accarezzarla.

Nathan avrebbe accarezzato uno bufalo inferocito, se gli fosse passato a portata di mano. E poi lo avrebbe adottato – come aveva quasi adottato un pappagallo in Colombia o uno yak in Tibet.

«Già... molto carina,» mormorò a mezza voce, sperando che il tono veicolasse il messaggio senza doverlo esplicitare.

Nathan girò la testa, fissandola con occhi leggermente sgranati non molto dissimili da quelli della lepre.

«Oh. Oh, giusto. Il pranzo,» realizzò, stringendo le labbra.

Elena fu quasi sicura di sentire le loro pance brontolare allunisono.

«Quindi... come vuoi, uh... catturarla?» chiede, ricomponendosi e muovendosi il meno possibile per non fare rumore nella boscaglia.

«Io?»

Elena batté le palpebre, guardando lui e poi la lepre. In effetti, era molto carina.

«In realtà, pensavo...» cominciò, indicandolo con cautela, ma Nathan scosse energicamente la testa.

«No, no, io non so come... come fare!» disse subito, scivolando in un sussurro agitato per non spaventare lanimale.

«Intanto acchiappala, sei sicuramente più atletico di me.»

«Certo, la prendo e... e poi? Che ci faccio?»

«Non– non lo so, perché dovrei saperlo?»

«Se la prendo, tu fai il resto,» decise Nathan, tagliando laria col palmo.

«Cos– no, non funziona così!»

«Senti, ci sono dei ruoli, ok? Cacciatori e raccoglitori, e io non sono chiaramente un cacciatore!»

«E io sì? Nate, se non–»

Un tramestio improvviso fa fece voltare di scatto, giusto in tempo per vedere la lepre che schizzava via, sparendo come un fulmine nel sottobosco.

«Addio pranzo,» scosse la testa Elena, lasciando ricadere i palmi contro le cosce e sentendo una voragine aprirsi nel suo stomaco.

«Non è colpa mia,» brontolò Nathan, anche se, dalla voce un po stridula, era chiaro che la ritenesse almeno in parte colpa sua.

Elena lo guardò con un misto di amore e rimprovero.

«No, non è colpa tua,» soffiò via, con un debole sorriso. «Non fa niente, troveremo altro da mangiare, non sarà certo lunica cosa commestibile in questa giungla,» continuò, con sicurezza un po fasulla.

Alzarono in sincrono la testa verso lalto, verso gli alberi carichi di frutti giusto sopra le loro teste. Gli scoccò unocchiata di sottecchi.

«Vai tu?»

«Sissignora.»

Quel giorno, pranzarono con più frutta di quanta ne avessero mai mangiata in vita loro.

«Magari è questo, il vero “"tesoro”,» scherzò Elena, sollevando un frutto del drago, di un rosso acceso e con sporgenze acuminate simili a spine.

«Non dirlo neanche per scherzo,» si imbronciò Nathan, addentando un mango.


«Non dirlo neanche per scherzo,» si imbronciò Nathan, addentando un mango

 

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Capitolo 4
*** Non è tutto oro quel che luccica (ma a volte sì) ***


4. Non è tutto oro quel che luccica (ma a volte sì)

 



«Non è possibile,» ripeté Nathan per la settima volta, marciando avanti e indietro davanti all’ingresso della grotta. «Ci dev’essere un errore.»

«Nate...» lo chiamò Elena, a metà tra l’affranto e il sollevato.

«No, no, non è... non può finire così! Questa è una truffa!»

«Da parte di chi?» inclinò un sopracciglio Elena.

«Da... da parte dell’ufficio del turismo vietnamita! Non lo so!» sbottò Nathan, additando il cartello che indicava l’ingresso a Hang Rồng, la "Grotta del Drago".

Una mezza dozzina di turisti girò la testa verso di loro, incuriosita dai loro schiamazzi, così Elena si decise a trascinare Nathan da parte, appena discosti dal sentiero allegramente percorso dai primi avventori del mattino. Lui non oppose resistenza, anche se gli rimase in viso un cipiglio torvo.

«A te sembra giusto?» le chiese, agitando le mani a dare enfasi a quelle parole.

«No, ma la buona notizia è che non dobbiamo nuotare fino alla costa o procacciarci cibo per giorni. È già una vittoria, no?»

Nathan borbottò qualcosa che non sembrò molto convinto ed Elena colse un "rovinato tutto" in quella sequela di parole.

«Avrei dovuto capirlo,» aggiunse, incrociando le braccia con fare rassegnato. «"Oro del drago"... ovvio, che fosse un tempio buddhista.»

«Magari vale comunque la pensa visitarlo,» scrollò le spalle Elena, accennando alle due mastodontiche statue dell’Illuminato che fiancheggiavano l’ingresso alla caverna sormontate, quasi a sbeffeggiare loro, da un sinuoso drago a fauci spalancate scolpito direttamente nella montagna.

«Magari sì... però ho un’idea migliore,» sorrise d’un tratto lui.

«Cioè?» chiese Elena, sospettosa.

«Vieni,» non rispose lui, offrendole la mano, che lei accettò.

In pochi minuti, la condusse di nuovo al lago, sulle sponde perfettamente circolari che racchiudevano il suo occhio cristallino e rivolto al cielo. Una volta lì, si distanziò da lei di un passo, sotto il suo sguardo incuriosito. Puntò le mani sui fianchi, schiarendosi la voce come se fosse improvvisamente a corto di parole.

«Per una volta, avevi torto,» dichiarò infine, con una nota compiaciuta.

«Ah, sì? Questa è nuova,» rise lei, stupita da quel repentino cambiamento d’umore. «Su cosa, esattamente?»

«Sul fatto che non fosse una “fuga romantica”.»

Elena assottigliò gli occhi, squadrandolo attentamente.

«Tu hai una 
strana idea di romantico.»

«Senti chi parla!» la rimbeccò lui, senza malizia. «E comunque, sto per stupirti.»

Elena non capì subito cosa stesse accadendo, quando Nate poggiò un ginocchio a terra di fronte a lei.

«Nate?» riuscì a dire, col cuore che saltava un battito e decollava.

«Elena Fisher,» replicò lui, d’un tratto serio, ma con gli occhi che ridevano. «Il piano non era esattamente questo e c’è stato qualche... incidente di percorso. Qualche tempesta, qualche notte all’addiaccio e qualche pranzo improvvisato. E non posso prometterti che non sarà sempre così... perché, in realtà, vorrei che fosse 
sempre così, con te. Se lo vorrai,» aggiunse, con un sorriso timido.

Detto questo, con un tremito emozionato delle labbra schiuse la scatolina. Un semplice anello argenteo catturò i raggi del sole. Elena tacque, con la sensazione di galleggiare ancora tra i flutti della baia – salati come il velo che le offuscò gli occhi.

Sorrise, senza riuscire a trattenere una piccola, incredula risata: solo Nathan Drake poteva architettare un piano così folle per chiedere la sua mano.

«Sì,» rispose di getto Elena, senza nemmeno rifletterci, come se quella risposta ce l’avesse avuta incastrata in gola da sempre.

«Sì,» ripeté, quando l’anello le scivolò al dito e si lasciò trascinare da Nathan in un abbraccio, unendo subito le labbra alle sue.

Lui sorrise, con quel raro sorriso privo di malizia che portava una luce più dolce sul suo volto – la stessa luce di quando pensava a una nuova avventura. Si staccò brevemente, guardandola in volto con una scintilla commossa e divertita al contempo:

«Posso fare una battuta sdolcinata su quale sia il vero “oro del drago”?»

«No.» Elena lo baciò. «Non puoi.»

»

 


Note dell’Autrice:

Cari Lettori,
questa mini-storia molto scema è nata in occasione del contest a tema "Shipwreck" indetto da WattpadFanfictionIT ♥

Purtroppo il limite di parole, fissato a 4000, è stato un durissimo scoglio da superare. Mi sarebbero servite 3000 parole solo per spiegare i perché e i percome relativi al tesoro; nella storia trovate solo una piccolissima parte delle ricerche che ho fatto in merito :’)
Sicuramente, una volta finito il contest espanderò la storia, con molti più capitoli e una trama meno affrettata, ma qui volevo che il focus fosse la relazione tra Nathan ed Elena e, visto che non viene mai esplicitato quando si fidanzano, ne ho approfittato.
Spero che la lettura sia stata gradita, lasciate commenti se vi va ♥
Alla prossima,

-Light-

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