The Ship Has a Secret. Writober 2022

di Ladyhawke83
(/viewuser.php?uid=149981)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un segno ***
Capitolo 2: *** Semi di Alfirin ***
Capitolo 3: *** Il sacro albero ***



Capitolo 1
*** Un segno ***


The ship has a secret

 

“Furono i primi a emigrare verso ovest, attraversando l’Eriador per giungere fino al Colle Vento, mentre gli altri erano rimasti nelle Terre Selvagge. Erano la razza più tipica e caratteristica, e di gran lunga la più numerosa. Inclinavano a stabilirsi definitivamente in un posto, e conservarono a lungo l’antico costume di vivere in caverne e gallerie sotterranee.” (1)

 

Tutti, nella Terra di mezzo, alzarono gli occhiali al cielo nello stesso momento.

Impossibile non vederlo, impossibile non pensare che quella freccia di fuoco, che squarciava le nuvole e faceva tremare le fredde stelle, fosse un segno.

Se di buon auspicio o di malaugurio era difficile da stabilire, ma il vecchio Sadoc Burrows della tribù dei Pelopiedi sembrava vedere ogni cosa nuova, e differente dalle tradizioni, come qualcosa di cui diffidare e questa palla infuocata che schizzava sopra i loro nasi, non faceva eccezione.

“I cieli sono arrabbiati”. Disse sottovoce, “forse questo è il segno che stavamo aspettando”, ripetè il vecchio, con fare circospetto, quasi avesse paura della sua stessa ombra proiettata dalle lanterne.

“Dobbiamo affrettarci per la migrazione, solo questo conta, lo dice anche il sacro libro, affrettarci dico, prima che succeda qualcosa di brutto”. Ribadì Sadoc, a sé stesso, più che ad altri, grattandosi i radi capelli bianchi sulla testa, i quali formavano un curioso contrasto con la sua pelle scura, come terra bruciata dal sole. 

 

“Nori! Nori!” Torna indietro, finirai per farti ammazzare, o per farci scoprire…” Le gridava dietro Poppy, la sua amica, arrancando su per la collina, proprio a ridosso dell’impatto.

L’intrepida Nori, rimase senza fiato nel constatare le dimensioni del cratere fumante, ai propri piedi: se per un “gigante” esso poteva apparire grande, per un Pelopiedi di statura media quel buco rasentava le dimensioni di un intero lago prosciugato.

Al centro dell’esplosione c’era una persona, un uomo forse, più probabilmente un gigante, Nori non lo sapeva chi fosse costui, né se fosse ancora tra i vivi oppure no, ma fu vinta dalla curiosità e dall’incoscienza e vi si avvicinò, incurante degli avvertimenti di Poppy che pareva sul punto di perdere i sensi.

“Nori… Nori… vieni via di lì, magari è morto, lascialo lì potresti morire anche tu…” bisbigliava Poppy mentre Nori si avvicinava sempre più a quell’uomo nudo che era precipitato giù dal cielo come una meteora.

“Se non dovessi fare tutte le cose che sono pericolose, non farei più niente”, penso Nori, mentre sfiorava il corpo dell’uomo, per sincerarsi che fosse ancora vivo.

Di colpo, con uno scatto improvviso l’uomo spalancò i suoi grandi occhi grigio/azzurri e, afferrato il braccio della giovane Pelopiedi, iniziò a recitare parole arcane di cui forse più nessuno conosce il significato.

Nori perse il respiro, quasi perse il senso del tempo,dello spazio e del luogo, poi ritornò in sé, con un nuovo sguardo negli occhi. Qualunque cosa avesse visto in quegli, attimi di comunicazione mistica con quel gigante straniero, prima che quest’ultimo svenisse, non ne fece parola con Poppy, si limitò solo a dire che lo dovevano aiutare; lei sentiva che lui era una sua responsabilità.

 

Galadriel veleggiava con gli altri elfi, solcando le acque dei Mari della Separazione, su una nave velocissima e leggera, andavano tutti verso la terra promessa, Valinor, verso la pace, la luce.

Lo spirito combattivo di Lady Galadriel però, non si dava pace, non importava quanto grande fosse la nostalgia di casa, così come non le importava di tradire, a suo modo, le benevolenza dell’Alto Re Gil Galad, lei sentiva che qualcosa nel suo cuore, nel suo animo non riusciva ad acquietarsi. Non riusciva a lasciare andare nemmeno il pugnale, un tempo appartenuto al suo amato fratello, morto nella scontro contro Sauron, anzi quello era divenuto il simbolo tangibile della sua resistenza, della sua tenacia a voler estirpare il male da tutte le terre, soprattutto dalla Terra di Mezzo.

Quando vide quella luce nel cielo, comprese che quello era il segno che stava aspettando.

Si gettò nelle acque scure di quel mare senza fine e lascio ai suoi compagni di varcare il confine delle terre di Valinor, loro potevano trovare la pace, lei no. Lei voleva, doveva dimostrare a se stessa che non si sbagliava, che non si era mai sbagliata, nell’inseguire il nemico, Sauron. 

Galadriel sentiva che la malvagità e l’oscurità stavano di nuovo, dopo secoli di relativa calma, cercando di riconquistarsi un posto d’onore nel mondo soffocando la bellezza e la luce di tutti i popoli, non solo degli elfi.

“Mio fratello ha dato la vita dando la caccia al nemico. Il suo compito ora è mio”. Risuona forte, ancora e sempre, nella sua mente l’antico giuramento che fece al fratello Finrod.

Galadriel restò sola nel grande mare, ma non temeva nulla, non più.

 

***
(1) 
Citazione dal Prologo de “Il signore degli anelli”

 

***

 

1 ottobre Prompt: “This is the sign you’ve been looking for”

Fandom: “Il signore degli Anelli - Gli anelli del potere”

Rating: verde

Words: 820

***

Note dell’autrice: è tanto che non scrivo, ma questa serie tv mi ha dato nuova ispirazione e voglia di fare, spero di riuscire a essere costante con i Prompt del writober, quest’anno, di solito fallisco miseramente.

È la prima volta che mi cimento in questo fandom e sono un po’ fuori allenamento, non abbiate paura a dirmi se qualcosa non funziona, o se vi piace!

A presto. 

Ladyhawke83

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Semi di Alfirin ***


Semi di Alfirin

 

 

Argento scorrono i fiumi di Celos ed Erui
nei verdi campi del Lebennin!
L'erba alta cresce lì. Nel vento del mare
ondeggiano i gigli bianchi;
e dai mallos e dagli alfirin si agitano le campane d'oro
nei prati verdi del
Lebennin ,
nel vento del mare.

(Il Signore degli Anelli ~ poesia cantata da Legolas)

 

Per più di settant’anni Arrondir aveva vegliato, insieme al Custode Guardiano, quegli esseri umani, quel minuscolo aggregato di vita e miseria nelle terre del Sud, Tirharad, inconsapevole della vastità del mondo e della Terra di Mezzo, che possedeva poco più che la torre di Ostirith come baluardo e la paura della morte come costante compagnia.

All’inizio gli era risultato facile, persino naturale pensare che quegli esseri umani, quelle vite piene di fatica e ombre, non potevano che essere corrotti, avendo servito ed essendo stati assoggettati in passato da Sauron e dalla sua oscurità, che tutto pervade lentamente, ma senza posa, col tempo però aveva mutato opinione.

Si dice che lo sguardo degli elfi vada molto oltre l’umana comprensione, e che veda la luce del sole, quando ancora esso non è sorto, gli occhi di Arrondir avevano sempre indugiato lontano, all’orizzonte, colmi di una velata malinconia per la sua terra, per la vita elfica che aveva dovuto abbandonare per servire l’Alto Re Gil Galad e diventare guardiano degli umani.

Proprio perché aveva spesso il cuore altrove, Arrondir non si era mai accorto di Bronwin, almeno fino al giorno in cui lei stessa non gli si era presentata davanti, con i capelli arruffati, il volto pallido e tirato, e con un neonato urlante fra le braccia.

 

“So che non dovrei disturbarti, ma non so più cosa fare. Il mio bambino sta male e io non riesco a curarlo…” Gli aveva detto lei, sull’uscio, con le lacrime agli occhi.

Arrondir si era voltato verso il suo superiore, il custode guardiano, come in attesa di qualcosa: una parola, un ordine, un suggerimento, ma nulla era uscito dalle labbra tirate del nobile elfo, solo uno sguardo sprezzante e indifferente insieme, come a voler dire: “le loro vite e le loro morti non mi riguardano”.

“Ha la febbre alta ed è pallido e assetato, in queste condizioni non vedrà la luce del giorno”. Constatò Arrondir quasi come se avesse detto una cosa di poco conto, un’ovvietà. Ma, per l’elfo a quei tempi, le vite umane di assomigliavano tutte, e tutte erano fin troppo brevi e tribolate perché lui potesse capire e scorgere la bellezza fugace che albergava in esse.

“Mi stai dicendo che sta morendo? E io dovrei lasciarlo morire? Io sono la guaritrice del villaggio e non riesco a curare l’unica persona a cui tengo più a questo mondo?” La disperazione nelle parole di Bronwin era qualcosa di nuovo e insolito per Arrondir, non aveva mai sperimentato sentimenti simili, o almeno non così da vicino e non certo riflessi negli occhi di una semplice donna giovane ed esausta, che in quel momento, però, stava mostrando una determinazione senza pari.

“Aiutami, te ne prego, mi è rimasto solo lui…” arrivò a pregarlo lei, e Arrondir incrociando i suoi occhi e le lacrime trattenute a stento, sentì incrinarsi tutte le granitiche certezze e i giudizi di valore che si era fatto sugli esseri umani, in quegli anni di vicinanza forzata.

Bronwin era determinata, e per quel bambino avrebbe fatto qualsiasi cosa.

“Vieni, portalo dentro, vedrò cosa posso fare”. Arrondir guardò il suo superiore, ma il nobile elfo non diede cenno. Non lo fermò e non gli disse nemmeno che poteva aiutare quella donna.

“Noi elfi curiamo con la luce, la musica e l’armonia con il creato. Se in questo bambino c’è abbastanza volontà e forza, allora vivrà”. E, dicendo questo, Arrondir pose una mano sul piccolo, che smise di piangere. Mentre intonava delle parole in elfico che Bronwin non capiva, sparse della polvere sul piccolo.

Era polvere ricavata dai fiori di Alfirin, fiori molto rari in quelle terre del sud, ma che crescevano copiosi e profumati là, da dove veniva Arrondir. Tutti gli elfi ne conoscevano gli usi.

“Che cos’è?” Bronwin si fece vicino e parlò con voce sospettosa.

“Non sei l’unica a curare e medicare con le erbe e in armonia con la natura. Questo è polvere di fiori di Alfirin. Alfirin significa “immortale” nella vostra lingua... vedrai che la forza del fiore donerà salute al tuo bambino. La febbre scenderà...”.

“Il suo nome è Theo”. Gli confidò Bronwin, quando il piccolo, poco dopo si fu addormentato.

“E dov’è suo padre?”. Domandò Arondin, più per curiosità, che per indiscrezione.

Lei non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo e, così come era venuta a bussare alla loro porta per chiedere aiuto, così se ne andò. Ma all’orecchio attento di Arrondir, non sfuggì il suo “grazie” quasi sussurrato, e quell’ultimo suo cenno di gratitudine.

Cominciò tutto così: semi di Alfirin per curare una febbre e parole sussurrate nel vento di una notte qualsiasi. Arrondir e Bronwin sarebbero stati per sempre legati, solo che ancora non lo sapevano.

 

***

2 ottobre

Prompt “febbre”

Fandom: Gli anelli del potere

Rating Verde

Words: 837

 

***

 

Note dell’autrice: con un po’ di ritardo arrivo a pubblicare questo capitolo dedicato al prompt del due ottobre.

Se non si è già intuito, mi piace molto la coppia impossibile e osteggiata “Arondir/Bronwin. Mi ricorda un po’ la mia coppia originale Vargas/Isabeau. Lui mago mezzelfo/ druida... Qui ho pensato ad un missing moment sul passato di loro due, dato che, nella serie al momento non viene detto nulla di come si sono conosciuti e innamorati Arrondir e Bronwin...

Buona lettura e, come sempre fatemi sapere se vi piace oppure no. 

Ladyhawke83

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il sacro albero ***


Il sacro albero

 

 

 Iluvatar creò questo Mondo per gli Elfi e gli Uomini e li mise tra le mani dei Potenti: essi stanno nell’Ovest. Sono santi benedetti, amati – tranne il Nero: egli è caduto. Alcar è stato gettato fuori del Mondo: ciò è bene. Per elfi hanno fatto la Luna, per gli uomini il caldo Sole. Sono belli, loro. A tutti essi [i Potenti] diedero in misura eguale i doni di Iluvatar. Il Mondo è bello, il cielo, i mari, la terra e tutto ciò che vi si trova. Numenor è bella.

 

 

L’Alto Re Gil Galad sembrava preoccupato, cosa assai rara da vedersi per chi lo conosceva bene.

Elrond era stato convocato dal Re, ma non sapeva nemmeno bene lui, il perché, anche se come cantore e consigliere del Re avrebbe potuto intuirlo.

“Lei è oltre la mia vista” disse Elrond con voce rassegnata, quasi addolorata.

L’alto Re volse il viso in direzione dell’orizzonte, senza curarsi del malessere palpabile di Elrond nel dare quella notizia.

Galadriel era passata oltre, partita con gli altri elfi verso le terre sacre e sempreverdi di Valinor, là dove gli elfi possono ritrovare la luce e la pace, che nella terra di mezzo era a loro preclusa.

Gil Galad disse con voce priva di emozione: “Hai fatto la scelta giusta”.

“Non sarà mai una scelta giusta per me, se devo scegliere tra qualcosa che è ugualmente importante nel mio cuore”. Sottolineò Elrond, per nulla intimorito dal potere del proprio Signore.

“Hai scelto il tuo popolo e il bene per lei. Galadriel non poteva restare fra noi, non dopo tutto quello che ha fatto, non dopo essere andata contro il suo Re, per un’antica promessa fatta su un letto di morte”.

“Galadriel era una mia amica, la metà del mio stesso cuore, e non sono del tutto sicuro che convincerla a partire sia stato giusto da parte mia”.

“Se fosse rimasta avrebbe portato l’oscurità che c’è in lei, anche all’esterno e avrebbe contaminato le nostre idee, il nostro futuro, i mostri sacri boschi, portandoci a sacrificare altri dei nostri uomini, per una visione”. Ribadì Gil Galad, il cui giudizio su Galadriel non sarebbe mai mutato.

“Se invece avesse avuto ragione? Se non fosse solo il dolore della sua perdita a parlare? Se il nemico fosse pronto a ritornare?” Elrond covava quei dubbi da tempo, ma l’Alto Re sembrava cieco e sordo a ogni parola, da anni.

“Il male può deviare la mente e infettare i cuori, anche i più puri, non farti traviare da queste sciocchezze paure. Noi siamo immortali e la luce splende su di noi, come sempre. Lasciamo che Galadriel trovi la pace che merita”.

Elrond tacque, avrebbe voluto fare di più per la sua amica, dire di più, ma comprendeva grazie ad un mente acuta e ad una grande empatia verso tutte le creature, che non era saggio contrariare ancora di più il suo Re.

Si congedò da Gil Galad con un grande peso sulle spalle e ombre nella testa, per quanto l’Alto Re cercasse di rassicurare gli elfi, Elrond sentiva che qualcosa si era messo in movimento, qualcosa di oscuro e di sinistro, qualcosa che avrebbe cambiato gli equilibri nella Terra di Mezzo e avrebbe richiesto un grande sacrificio.

Ciò che era sacro all’Alto Re degli elfi Gil Galad, poteva essere anche ciò che doveva essere distrutto per poter preservare il futuro delle genti di quella terra, ma il Re non era disposto ad accettarlo, a vedere al di là dello splendore e dell’immortale saggezza degli elfi che contemplavano il susseguirsi delle ere, ma non i tumulti del cuore. I sentimenti erano per i deboli, per i mortali, per gli uomini che tanto facilmente si facevano conquistare da essi, soggiogati dalla paura e dalla finitezza della loro breve vita.

Gil Galad non intendeva lasciare ulteriore spazio alla preoccupazione e il dubbio, Galadriel non sarebbe stata più un problema.

Quando, però, Elrond si fu congedato da lui, all’ombra del sacro albero e sotto la luce della madre Luna, l’Alto Elfo si rese finalmente conto che Galadriel diceva il vero: la foglia della grande quercia si stava annerendo mostrando la linfa nera tra le sue venature. La morte del bosco e degli elfi era già cominciata e, se per gli elfi non esisteva ancora un concetto definito è chiaro di “morte”, come lo era per gli uomini, quello era sicuramente un segnale, un simbolo di qualcosa che stava finendo e di un male oscuro che avanzava nel silenzio e nell’ombra della sfiducia.

 

***

 

Writober 2022

3 ottobre Prompt: “Sacro”

Fandom: Gli anelli del potere

Rating: Verde

Words: 750

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4034622