Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
John non ricorda la sua reazione quando ha assaggiato
lo zucchero per la prima volta. Come potrebbe? Doveva essere stato piccolino.
Sa, però, che deve essere stato come la prima volta
che ha baciato Paul.
Un’esplosione di dolcezza che dalla sua bocca lo
avvolgeva, facendolo sentire protetto, senza problemi.
Sicuro come un rifugio, come casa.
A lui può rivolgersi quando ne ha bisogno.
Così ora, davanti a Paul, lo guarda sorridendo, prima
di attirarlo a sé improvvisamente, rubandogli un bacio.
“Che ti prende ora, Johnny?”
Vuole sembrare indignato, ma John non ha perso il
sorrisino compiaciuto, né il luccichio felice negli occhi.
“Avevo solo bisogno di un po’ di zucchero.”
110 parole
Note dell’autrice: buondì
a tutti, fa stranissimo tornare dopo 3 anni nel fandom
dei Beatles. Sono successe un sacco di cose nel mentre. Lol.
Devo dire che mi è mancato molto e colto l’occasione
della challenge di Quelli
di fanwriter.it per costringermi a scrivere e sì, sono un sacco
arrugginita. Per cui la storia sarà una semplice raccolta di ff, che vanno da oneshot a drabble. Una al giorno,
in teoria, se riesco. Ahaha XD
Comunque non
ho grandi aspettative, nel senso che le prime cose uscite per ora sono
abbastanza banali, ma almeno son contenta di essere tornata a scrivere.
Nella challenge ci sono varie liste,e una di queste era blank, quindi si poteva prendete ispirazione dai prompt
delle altre liste. Io ho scelto di fare così.
Talvolta la vita è così opprimente che a John manca il
respiro.
Talvolta i suoi problemi sembrano così insormontabili
e soffocanti che John ne ha paura, come un bambino che si sveglia da un incubo
spaventoso.
Talvolta si guarda allo specchio, pensando che mai,
mai uno come lui potrà riuscire a superare le sue difficoltà, a raggiungere i
proprio obiettivi.
Talvolta l’ansia lo spinge ad allentarsi il colletto
della camicia, solo per poter respirare.
Breathe
some soul in me
Poi Paul arriva e lo abbraccia da dietro, gli sfiora l’orecchio
con le sue labbra, gli fa il solletico e John ride. Un sollievo per la sua
anima tormentata.
Breatheyourgift of love to me
Poi Paul lo stringe teneramente, infondendogli il suo
calore, il suo amore. Il suo regalo più grande.
Breathe
life to lay 'fore me
Poi Paul, la sua presenza, il suo essere, gli
ricordano che c’è una vita davanti a lui, che c’è qualcosa per cui vivere, per
cui combattere quegli ostacoli che sembrano insormontabili.
Breathe
to make me breathe
Così John ritrova quello che gli sembra di aver perso,
di cui ha bisogno per vivere, di cui ha bisogno per stare ancora con Paul.
Respiro.
200 parole
Note dell’autrice: yey,
andiamo col secondo capitolo. Una double drabble
veloce veloce sul prompt Respiro.
Ho tardato un pochino ma per un motivo valido: i
prompt arrivano dalle varie liste della challenge Writober
perché avendo scelto la lista blank, cioè quella che
potevo comporre io con i prompt delle altre liste, ho preso quello di oggi
dalla lista notturna che aveva una piccola clausola in più, ovvero che
se si riusciva si doveva scrivere o postare dalle 19 di sera alle 7 di mattina.
E quindi insomma, finché riesco voglio essere il più possibile coerente alla
challenge.
Un giorno come tanti a Liverpool, John e Paul che
tornavano da scuola con le loro chitarre sulle spalle, passeggiando per il golf
club di Allerton.
Faceva un freddo cane, ma a Paul non dispiaceva perché
quella notte il freddo aveva fatto comparire la brina e gli alberi e i fili
d’erba ne erano completamente ricoperti. Il risultato era un quadro magico, quasi
fatato. Sembrava fossero passate delle fatine che con la bacchetta magica
avevano dipinto di bianco le foglie, i rami e ogni singolo filo d’erba del
campo.
Paul ne era rimasto incantato, sembrava di stare a
Narnia.
Ma a giudicare da come borbottava fra sé non si poteva
dire che John ne fosse altrettanto affascinato.
Era delizioso però, con le guance rosso fuoco, gli
occhiali già appannati dal suo caldo respiro, le spalle sollevate per non
disperdere calore e le mani ben piantate nelle tasche.
Ritornare nella casa di Forthlin
road dopo tanti anni stava avendo un certo impatto su Paul.
Forse era l’età che avanzava, forse era per tutti i
ricordi che quella casa risvegliava in lui. Certo era che una serie di emozioni
tutte diverse fra loro si stavano agitando in lui e lo stavano sopraffacendo.
Ma era insieme ai suoi nipotini e doveva restare lucido:
li aveva portati per la prima volta a vedere la casa di quando era ragazzino,
di quando aveva conosciuto John, George, Ringo, di quando erano nati i Beatles.
Paul mostrò ai nipotini le varie stanze, spiegando
loro cosa era solito fare: in salotto ascoltava il padre suonare il pianoforte,
in cucina mille e più volte aveva preparato da mangiare per il padre e suo
fratello. Le scale erano strette e lui le aveva percorse in molti modi, di
soppiatto quando tornava la notte tardi, di corsa se era in ritardo per la
scuola, passandosi alla bell’e meglio un pettine tra i capelli.
“Ma nonno, sono così strette queste scale.” esclamò
Arthur, “Come facevi a passare?”
Paul ridacchiò e continuò a guidare i ragazzi al piano
di sopra, lì dove c’erano le loro camere da letto e il piccolo bagno con
l’ottima acustica per suonare le sue canzoni.
E sì, poi c’era la sua cameretta, piccolina ma
abbastanza spaziosa per far stare lui e John uno di fronte all’altro, intenti a
scrivere una nuova canzone. Paul poteva ancora facilmente rivedere se stesso e John, chitarre in mano, posizionati in modo
speculare, il quadernetto con i loro testi di fronte a loro.
John con il suo maglioncino scuro e la camicia sotto,
sempre ben stirata, come si assicurava sempre Mimi, John con gli occhiali
perché altrimenti non vedeva un cazzo, gli occhiali che sparivano appena
compariva una ragazza all’orizzonte, ma con Paul, beh con lui poteva mostrarsi
così. Quella camera racchiudeva i momenti di vulnerabilità che John aveva
mostrato a Paul e questo, questo era forse il ricordo più doloroso ora.
“Nonno, questa era camera tua?”
Ma era anche la camera dove molte volte avevano riso
di tutto, a partire da cose stupidissime che solo due adolescenti potevano
realmente trovare divertenti.
“Sì.”
Ed era la camera che aveva consolidato quel rapporto,
portandoli a diventare indispensabili l’uno per l’altro, a completarsi a
vicenda, a scrivere brani che sarebbero stati ascoltati, studiati, amati da generazioni
di fans.
“E cosa facevi qui? È così piccola.”
Piccola sì, ma che aveva dato origine a qualcosa di
infinitamente grande e magico.
“Qui accadeva la magia.”
Note dell’autrice:
oggi pubblico relativamente presto, perché ho trovato un momento e ne sto
approfittando.
Allora il prompt di oggi deriva da una lista di scritte
su segnali neon. Mi piaceva ricollegare l’idea di magia a quanto accaduto con
John e Paul. Ho sempre visto qualcosa di magico dietro il loro rapporto, il
modo in cui si sono incontrati, come scrivevano le canzoni.
E mi piaceva l’idea di Paul che ricordava queste
piccole cose rivisitando la sua casa a Forthlin road.
Io ci sono stata nel 2017 ed effettivamente essere lì è qualcosa di magico.
Vorrei essere un artista per poter incidere le mie
emozioni su di te.
Scrivere la poesia più struggente.
Creare il dipinto più mozzafiato.
Comporre la mia canzone preferita.
Forse non sarò mai capace di fare tutto questo e anche
se dovessi riuscirci, non ne sarei degno.
Ma tu mi ci fai sentire.
Degno e capace di fare qualunque cosa.
Mi dai l’opportunità di osare e sognare.
Non è quello che fa, in fondo, una pagina bianca?
La mia pagina bianca.
110 parole
Note dell’autrice: eccoci
qua con un’altra storia da pubblicare dopo le 19. Mi ispirava molto il prompt
pagina, lo trovo molto adatto a John in particolare.
È una piccola drabble, senza
tante pretese dopotutto.
Spero vi piaccia.
Prossimocapitolo: If we ever stop
talking, send me a song.
Capitolo 6 *** If we ever stop talking, send me a song ***
𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢𝘢𝘭𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳𝘥𝘪𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵
In my life I love
you more
Giorno 6: If we ever
stop talking, send me a song
“Se un giorno smettiamo di parlarci, mandami una
canzone.”
Lo aveva detto John molto tempo prima, quando tutta
quella storia dei Beatles era appena cominciata. Stava scherzando, ma Paul
sapeva che spesso John nascondeva le sue paure dietro battute scherzose o
scatti d’ira.
Paul ci aveva fatto abbastanza caso quella volta
perché era anche una sua paura.
Allontanarsi da John. Non parlare più per giorni,
mesi… anni.
Beh, alla fine era successo con la fine dei Beatles.
Già negli ultimi giorni dei Beatles, Paul poteva
contare sulle dita di una mano le volte in cui aveva parlato con John, senza
nessuno tra i piedi, come accadeva quando erano ancora a Liverpool.
Continuavano ancora a vedersi agli studi, ma c’era
sempre qualcun altro con loro, qualcuno che parlava al loro posto. Talvolta
John non lo guardava neanche e questo faceva male più di tutto il resto.
Prima era passato solo qualche giorno, poi settimane e
ora mesi. Non aveva aiutato il fatto che
John si fosse trasferito in America. Ancora più difficile parlargli, ora.
Avrebbe potuto telefonargli, certo, ma aveva paura: paura che rispondesse lei e
non John, paura che John non volesse parlargli, paura che John capisse tutto di
quanto stava male dal semplice suo respiro nella cornetta.
Faceva ancora male sapere che lui fosse tanto lontano,
ma che potesse ancora leggergli dentro con così raffinata precisione.
Allora doveva trovare un altro modo per parlare con
lui e la soluzione gliel’aveva data lo stesso John, con quella stupida
richiesta di molti anni prima.
Una canzone.
Una canzone per fargli sapere che stava bene.
Una canzone che potesse accompagnarlo dolcemente nel
suo sonno, quando non riusciva a dormire.
Una canzone per dirgli che, anche con un oceano fra di
loro, Paul sapeva sempre come raggiungerlo e fargli sentire la sua presenza.
Così si alzò dal suo letto e si abbandonò sul sedile
del pianoforte.
Le sue dita accarezzarono i tasti prima di premerne
leggermente alcuni.
E alcuni versi sfuggirono alle sue labbra.
“Dear friend,
what’s the time?”
Note dell’autrice: altro
prompt dalla lista dei segnali al neon. Ora tutto di questo prompt chiamava
John e Paul, con tutte le canzoni che si sono dedicati negli anni.
Il risultato è questa flashfic
dal punto di vista di Paul. Ho riletto da poco infatti
una sua intervista dove diceva che Dear friend l’aveva
scritta proprio per parlare con John nel periodo più difficile per loro.
Un gingerbread latte era
quello che lui chiedeva. E con lui intendeva Paul, quel ragazzo
affascinante dagli occhi grandi e le guance soffici che puntualmente ogni
mattina passava da Starbucks e ordinava sempre la stessa cosa.
Un gingerbread latte, per favore.
E quei dieci minuti in cui
Paul aspettava l'ordine era il momento della giornata che John preferiva.
Si era ripromesso che prima o
poi gli avrebbe chiesto il numero ma la vita da barista di Starbucks era molto frenetica la mattina presto. Quindi non aveva mai avuto
l'occasione.
Eppureeppure... che tentazione
quegli occhi!
Li sognava ogni notte, rivolti a
lui e lui solo. Grandi, immensi, scuri e incantevoli.
Anche i suoi colleghi ormai
avevano capito la sua evidentissima cotta
e cercavano di lasciare che fosse sempre lui
a servirlo.
John era grato, e diciamolo,
quel sorriso che Paul gli rivolgeva insieme al suo ordine era così meraviglioso che gli avrebbe dato la forza
di affrontare il resto della giornata e dei clienti e delle loro assurde
richieste.
Almeno fino al giorno successivo.
Non aveva ancora capito se fosse single, ma di certo non poteva aspettare
di scoprirlo senza mai neanche parlarci per più di due secondi, durante
l’ordinazione.
E non poteva di certo distrarsi in continuazione, soffermandosi come un
babbeo a guardarlo incantato mentre prendeva il suo caffè, gli sorrideva e
sorseggiandolo si allontanava. Di questo passo sarebbe presto arrivato il
giorno in cui lo avrebbero ripreso.
Insomma era arrivato al punto in cui o
rischiava di perdere il lavoro perun richiamo
di troppo, oppure si buttava, magari rischiando di fare a pezzi il suo cuore se
avesse ricevuto un no, o peggio ancora un “sono già impegnato”, e provava a
fare il primo, spaventoso, maledetto passo.
Una mattina quindi, puntuale come sempre, Paul si presentò in cassa per
ordinare, e come sempre John lo servì.
“Il solito?” gli chiese John.
Paul ridacchiò e annuì e le farfalle nella pancia di John si agitarono
particolarmente, come un buon presagio.
Così si affrettò a preparare il suo gingerbread
latte, di tanto in tanto lanciando un’occhiata a Paul, a quel suo profilo
perfetto, a quelle labbra da baciare, mentre controllava il cellulare. Sembrava
avesse particolarmente fretta quel giorno, dato che la gamba destra non
sembrava voler stare ferma, quindi John si sbrigò.
E quando prese il pennarello per scrivere il nome di Paul sul bicchiere, in
un lampo John aggiunse:
“Oh, ain't
that nice?
Well, look it over once or twice
Yes, I ask you very confidentially Ain't he nice?”
Tanto dolce da far venire la carie, ma perlomeno si era buttato.
Consegnò il bicchiere a Paul, aspettando che lui si accorgesse del testo.
Ma quel giorno, a quanto pare, era davvero, davvero, di fretta e lo
salutò velocemente, prima di uscire.
Inutile dire che la giornata fu nera da quel momento per John: sbagliò
diverse ordinazioni, ruppe una tazza, che dovette pagare, e per uno strano
scherzo del destino, si rovesciò addosso un gingerbread
latte appena fatto. Il capo lo riprese a fine turno, prima che John se ne
andasse, e si raccomandò che non capitasse più niente del genere.
L’umore di John quindi era decisamente cattivo
quando uscì dal locale. Il cielo era grigio, forse avrebbe piovuto. Aveva fatto
schifo a lavoro e per di più si era ridicolizzato di fronte a Paul, che
probabilmente aveva gettato il bicchiere appena terminato il suo latte.
Eppure, tutto era destinato a cambiare quando Paul lo raggiunse di corsa,
appena svoltato l’angolo.
“Ehi!”
John si fermò, incredulo, ritrovandosi davanti un adorabile e affannato
Paul.
“Cosa…” iniziò a balbettare, “…cosa ci fai qui?”
Paul rise, recuperando fiato, “Volevo solo ringraziarti per questo.”
E così dicendo gli mostrò la scritta sul bicchiere di quella mattina.
Allora non lo aveva buttato.
John arrossì, sentendosi improvvisamente molto stupido, “Oh quello… quello
è…”
“Mi dispiace, oggi ero un po’ di fretta.” gli spiegò Paul, “Ti avrei
ringraziato subito altrimenti.”
“Non c’è problema.”
“Lo hai scritto tu?”
“E’ preso in prestito da una canzone.” rispose
John, sempre più rosso in viso e così maledettamente in imbarazzo che a
malapena riusciva a guardarlo nei suoi grandi occhi scuri.
Paul gli sorrise dolcemente come se sapesse perfettamente cosa stava
provando John, “Che ne dici di parlarne davanti a un caffè?”
Così, all’improvviso John si sentì l’uomo più felice del mondo. Il cielo
era ancora grigio, ma ora il sole brillava proprio davanti a lui.
“Dico… andiamo!”
Note dell’autrice:ahhh mi
sarebbe piaciuto scrivere una au con John nel ruolo
di barista. Mamma mia. Peccato non averlo fatto. Comunque
intanto ne ho approfittato con questo piccolo prompt.
Che la cosa del falso fidanzato gli si sarebbe ritorta
contro era una verità che George aveva pensato subito.
Tutto era cominciato perché Paul era stato invitato al
matrimonio della sua ex, Jane Asher. Nonostante il fatto che Paul avesse fatto
coming out mentre stava con lei, il che aveva portato inevitabilmente alla fine
della loro relazione, erano rimasti amici.
Tuttavia
Paul era così orgoglioso che proprio non voleva andare al matrimonio da solo.
Soprattutto perché, pur avendo fatto coming out da un paio di anni, non aveva
ancora trovato la persona giusta e non voleva che le persone che lo conoscevano
al matrimonio gli facessero domande indiscrete, o addirittura mettessero in
dubbio la consapevolezza che aveva acquisito.
Ecco perché si era rivolto a una agenzia di
accompagnatori, assumendone uno per spacciarlo come fidanzato al matrimonio.
Il ragazzo in questione si era presentato a casa sua un
mese prima del matrimonio. Non era niente di che, secondo George, ma a Paul era
andato bene. Si chiamava John Lennon.
Paul si era mosso in anticipo perché voleva che
passassero del tempo insieme prima del matrimonio per conoscersi meglio e fare
alcune esperienze insieme. Così avrebbero dato l’impressione a tutti che si
frequentassero seriamente.
In qualità di migliore amico, nonché coinquilino,
George aveva espresso in quel momento i suoi dubbi, ma Paul non lo aveva
ascoltato.
“Sono perfettamente in grado di gestire questa cosa,
George.”
Allora George scrollò le spalle e si arrese. Era una
battaglia persa cercare di farlo ragionare.
La prima volta che Paul uscì con John andarono
semplicemente in un pub a bere qualcosa. Quando Paul tornò a casa, George gli
chiese com’era andata.
“E’ a posto.” gli disse Paul, “Abbiamo parlato un
sacco e abbiamo molte cose in comune.”
E a George non era sfuggito l’entusiasmo nella sua
voce che Paul aveva cercato di mascherare.
Ma decise di ignorarlo, Paul sapeva cosa stava
facendo.
La seconda volta andarono al cinema e poi a mangiare
qualcosa. Paul aveva scelto il film e John invece il locale.
“Ti rendi conto, George? Non ha pianto mentre
guardavamo Big hero 6! Dovevo ancora conoscere
qualcuno che fosse capace di non piangere con quel film!”
George sorrise amaramente. Per quanto Paul fosse
indignato, sotto sotto era anche piacevolmente sorpreso. Era un problema,
perché Paul amava essere sorpreso.
La terza volta andarono a una mostra d’arte che gli
aveva consigliato John.
“Lo sai che sta studiando all’istituto d’arte,
George?”
George alzò le sopracciglia. Come avrebbe potuto
saperlo?
“E con questo lavoro si paga gli studi. Però dice che
farebbe di tutto, sai, per terminare gli studi. Ah sì, e poi dovevi sentirlo
mentre mi spiegava tutti i quadri. Sa un sacco di cose, sai, George? Un sacco.
È stato… interessante.”
George avrebbe voluto sospirare, ma avrebbe fatto
preoccupare Paul. E per la prima volta dopo tanto tempo, Paul sembrava così
felice che George non voleva fare il guastafeste.
Al quarto appuntamento John aveva deciso di portarlo a
fare un picnic. Aveva preparato da mangiare lui e lo aveva portato fuori
Londra, a Runnymede.
Un po’ troppo suggestivo per i gusti di George, ma
ormai aveva deciso che non si sarebbe intromesso.
Non lo avrebbe fatto, anche se Paul era già caduto
nella trappola perché…
“L’ho baciato oggi, George.”
George non poteva dire di non aspettarselo.
“Ho chiesto se potessi farlo e mi ha detto di sì.”
“E?”
“E niente. Forse non avrei dovuto farlo.” rispose Paul
e si morse il labbro, preoccupato.
“Era solo un bacio, alla fine, Paul. Non ci penserei
troppo se fossi in te.”
George sapeva che Paul era tanto intelligente da non
crederci e sapeva anche che aveva detto una grandissima cazzata. Ma il percorso
di accettazione di Paul era stato tanto difficile, che questi piccoli passi per
lui erano grandi conquiste.
L’ultimo appuntamento prima del matrimonio Paul aveva
chiesto a George di lasciargli la casa libera per quella sera. Voleva preparare
una cena completa per John.
A malincuore, perché sapeva che cosa sarebbe seguito,
George aveva accettato e si era rifugiato a casa di Pattie,
la sua ragazza.
Quando uscì di casa, Paul era tutto contento, cercando
di capire come muoversi tra una padella e una pentola.
E quando rientrò la mattina dopo, John era già andato
via, mentre Paul era in cucina, sorseggiando il suo tè mattutino,
distrattamente. Aveva addosso solo la maglietta del pigiama, i capelli
arruffati dal sonno, sicuramente, ma anche dalle mani frenetiche di qualcuno, e
lo sguardo felice, come di chi aveva appena trovato il posto nel suo mondo.
Il giorno del matrimonio Paul si era preparato di
tutto punto. John sarebbe passato a prenderlo di lì a poco. Paul era felice,
sì, ma c’era anche un’ombra sul suo volto, di chi sapeva che la propria
felicità sarebbe andata in frantumi di lì a poco, alla fine della giornata, per
essere precisi.
“Cerca di goderti la giornata e non pensarci, ok?” gli
consigliò George.
Paul annuì e gli sorrise.
Non fu una sorpresa, perciò, che quando Paul rincasò,
il sorriso con cui era uscito era sparito. Al suo posto c’era solo una
sconsolata tristezza. Non pianse, però. Si limitò a raggiungere George sul
divano, sedersi accanto a lui e farsi abbracciare.
Era proprio di questo di cui George aveva avuto paura
all’inizio. Trovare Paul in quello stato, sentendosi impotente di fronte alla
sua sofferenza.
Non seppe quanto tempo passò così, ma di sicuro ci
volle il suono del campanello a costringerlo ad allontanarsi da Paul e andare
alla porta.
La persona che si ritrovò davanti, probabilmente, era
l’ultima persona che si aspettava di vedere lì e in quel momento.
John.
“C’è Paul?”
George, ancora senza parole, annuì lentamente,
lasciandolo passare.
Paul lo vide e scattò in piedi, “Hai… hai dimenticato
qualcosa?”
John fece di no con la testa.
“So che ti ho detto che non potevamo più vederci, ma…
ecco, appena girato l’angolo mi sono reso conto di quanto fosse sbagliato e volevo
solo sapere se potessimo continuare a frequentarci.”
La richiesta di John fece spalancare gli occhi di Paul
e una ritrovata felicità sembrò illuminare nuovamente il suo volto.
“Intendi… non come il mio falso ragazzo?” chiese Paul,
e George dovette trattenersi dal ridere.
Povero, piccolo Paul.
“Intendo… come il tuo vero ragazzo.”
L’ultima cosa che George vide fu Paul corrergli
davanti per gettarsi in braccio a John.
Sospirando per il sollievo dell’insperato lieto fine,
George decise che era proprio il caso di uscire ora. E quando si chiuse la
porta alle spalle, Paul aveva attirato John in un appassionato bacio.
Forse sì, l’idea di un falso fidanzato gli si era
ritorta contro, ma decisamente non nel modo in cui George aveva immaginato.
Note dell’autrice:
ammetto che questa del fake dating mi ha messo in crisi, ma poi una volta iniziato
sono riuscita a scrivere. Ho scelto dei prompt un po’ strani per il mio stile proprio
per mettermi alla prova. ^^’
Difficilmente mi arrabbio. Ho sempre pensato che
arrabbiarsi fosse un’inutile perdita di tempo e spreco di energie.
Eppure
questa volta John ha davvero superato il limite. Quello che ha fatto potrebbe
creare una frattura irreparabile tra di noi. È imperdonabile.
Altre volte mi è capitato di perdonarlo, ma ora no.
Non posso farlo, non può chiedermelo.
Sento la rabbia che ribolle in me, parte da un punto
della pancia, si spande in tutto il corpo. Mi fa tremare le mani.
Forse sono anche diventato tutto rosso in viso.
Forse John lo ha notato, perché ora m guarda
preoccupato.
“Suvvia, Paul, non fare così.”
“Come puoi dirmi una cosa simile? Dopo quello che hai
fatto?”
“Era solo un piccolo pezzettino di dolce.”
“Già, e lo hai terminato, sapendo perfettamente che è
il mio preferito.”
“La tentazione è stata troppa.”
Incrocio le braccia e mi volto dall’altra parte. Non
doveva farlo, nossignore. Ha esagerato.
“Dai Paul, non mi tenere il muso.” dice lui,
abbracciandomi da dietro, “C’è una piccola speranza di farmi perdonare se te lo
ricompro tutto intero?”
L’offerta è interessante, per cui esito un minuto,
solo perché posso, prima di voltarmi verso di lui e sorridergli.
“Una piccola speranza c’è.”
200 parole
Note dell’autrice: ok
allora so già che molti prompt ispireranno angst, e
insomma, non mi andava di fare l’ennesima angst con
Paul seriamente arrabbiato per qualcosa. Quindi ecco, plot twistone
finale per questa finta angst.
Sto aggiornando un po’ in ritardo, dato che questa
apparteneva a ieri, ma ieri praticamente non ho avuto tempo. Stasera pubblico
quella di oggi.
La sua vita finora non è stata il massimo. Non gli ha
regalato grandi gioie, con suo padre che se n’era andato, e sua madre che…
insomma, John fa ancora fatica ad accettare quanto accaduto ai suoi genitori.
Ma oggi sembra che ci sia qualcosa di diverso nell’aria,
qualcosa di positivo.
Oggi si esibirà per la prima volta con i Quarrymen alla festa di Woolton.
Non può negare di non essere emozionato. Per
l’agitazione si è svegliato prestissimo, non era ancora l’alba ma non riusciva
più a dormire.
Dalla finestra può però vedere la luce iniziare a
diffondersi nel cielo.
È fioca, ma calda. Un semplice accenno che si fa
strada facilmente nell’oscurità della notte appena trascorsa.
Chissà se deve considerarlo come un segnale.
Chissà se quella giornata sarà un nuovo inizio per
lui, una nuova vita.
Forse al concerto potrà incontrare qualcuno talmente
colpito dalla sua band che gli proporrà un contratto, magari, o addirittura un
album intero.
Sarebbe un sogno.
Forse incontrerà i suoi primi fans, firmerà il primo
autografo.
Oh sì, deve stare molto attento a quello che succederà
oggi.
Perché oggi, proprio oggi, la sua vita cambierà.
200 parole
Note dell’autrice: allora
ero partita con un altro prompt per oggi, ovvero fantasy, ma non mi veniva
assolutamente niente in mente, quindi ho cambiato.
Mi pareva appropriato paragonare l’incontro tre John e
Paul all’aurora del fantastico periodo che è stato quello dei Beatles.
Spero vi sia piaciuto.
Prossimo capitolo, se riesco a scriverlo: Weseewhatwewant.
E John vuole vedere solo la nostra insofferenza verso Yoko:
Ringo la maschera bene, glielo concedo; George cerca di non pensarci, ma
evidentemente non gli sta bene; ed io provo ad andare d’accordo, ma certe volte
è più forte di me.
È vero, lo ammetto. Non la sopporto.
Non sopporto come è arrivata, si è appropriata di
John.
Come si intromette nei nostri affari.
Come gli sta addosso.
Non lo sopporto. Ma è lei con cui John vuole stare
ora. Tutti noi, io, non contiamo più nulla. E per quanto faccia male, so che
non è giusto punire né John né lei per questo.
L’ho accettato, con difficoltà, ma l’ho fatto e su
questa si concentra John.
È questo che lui vede.
Non vede i miei sforzi per restargli accanto
nonostante tutto.
Non vede il mio dolore, quando cerco di parlargli come
abbiamo sempre fatto, quando cerco di scherzare con lui.
Non vede nulla di tutto ciò.
Vede solo un ambiente in cui non sono i benvenuti.
Lo vede solo perché è quello che vuole vedere.
Lo vede solo perché è quello che vuole fare.
Andarsene via da qui.
Andarsene dai Beatles.
Andarsene da me.
200 parole
Note dell’autrice:
sicuro è per ora la storia che mi convince meno. Era difficile sto giro. ^^’
Gli piace svegliarsi presto, stiracchiarsi piano, stringersi
addosso a Paul, accanto a lui.
Gli piace strofinare il viso contro i suoi capelli
arruffati, mentre ancora dorme.
Gli piace lasciare che la sua mano vaghi curiosa lungo
la sua coscia, facendogli il solletico.
Gli piace come Paul, ancora mezzo addormentato,
percepisca e risponda al suo tocco, sospirando.
Gli piace far scivolare la mano sotto la sua
maglietta, accarezzando il petto, con Paul che nel suo dormiveglia, mormora,
piacevolmente infastidito, “Dai, John…”
E John ride, e gli piace perché basta solo che appoggi
le labbra sul suo collo per trovare quello che cerca.
Brividi.
110 parole
Note dell’autrice: una
drabble veloce veloce e
decisamente fluff. :D
Credo che prima o poi arriverà anche qualcosa di più
da rating arancione…
Intanto spero vi sia piaciuta.
Prossimocapitolo: I am the
designer of my own catastrophy.
Capitolo 14 *** I am the designer of my own catastrophy ***
𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢𝘢𝘭𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳𝘥𝘪𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵
In my life I love you more
Giorno 14: I am the designer of my own catastrophy
Sono l’autore dei miei disastri.
Come potrebbe essere altrimenti?
Mio padre mi ha abbandonato, ha deciso di punto in
bianco che non aveva alcun desiderio di fare il padre.
Mia madre ha rinunciato a me, si è rifatta una vita,
senza di me, senza mio padre. Era felice, credo, prima che io entrassi
nuovamente nella sua vita. Pochi mesi ancora insieme, e poi… poi un ubriaco al
volante l’ha portata via, per sempre questa volta.
Stuart era il mio migliore amico. Pensi che da un
amico non potrai mai essere abbandonato. Invece prima ha deciso di trasferirsi
definitivamente ad Amburgo, e poi così, di punto in bianco, anche lui mi ha
lasciato per sempre. Troppo presto, troppo all’improvviso.
Che fretta avevi, Stu, di
lasciare me e questa vita così presto?
E poi… Paul, Paul, il compagno della mia più grande
avventura, la prima persona che ha scritto i testi dei nostri successi, insieme
a me, il mio inizio, il mio tutto. Paul che ha dato tutto se
stesso a me, Paul che mi ha mostrato la sua forza e le sue debolezze.
Paul, che io ho spinto così tanto lontano che, alla
fine, mi ha abbandonato anche lui. Non lo biasimo. Anche quando una persona si
avvicina a me e si apre, io mi assicuro di usare le sue vulnerabilità contro se stesso.
E non è colpa di nessuno. O perlomeno, non è colpa di
nessuno, al di là del sottoscritto.
Perché cosa hanno in comune tutti coloro che mi hanno
abbandonato, se non me?
Perché, io, e nessun altro, sono l’autore dei miei
disastri.
Note dell’autrice:
ok, non ne sono per niente soddisfatta, ammetto che questa mi ha fatto penare e
si vede.
Spero sia piaciuta un pochino. ^^’
Prossimocapitolo: People like
you need to fuck people like me.
Capitolo 15 *** People like you need to fuck people like me ***
𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢𝘢𝘭𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳𝘥𝘪𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵
In my life I love you more
Giorno 15: People like you need to fuck people like me
Non era gentile, a volte.
A volte John lo prendeva con poca delicatezza.
A volte lo stringeva mordendogli le spalle, il collo,
il petto.
A volte spingeva in lui con forza, come se non ci
fosse un domani, come se John fosse sicuro che sarebbe morto tra le sue gambe,
in profondità dentro di lui.
A volte, ansimando, gli sussurrava nell’orecchio,
“Quelli come te hanno bisogno di scopare quelli come me.”
Paul non sapeva cosa volesse dire, John diceva tante
cose durante il sesso, soprattutto quel tipo di sesso.
Ma poi capiva.
Dietro la forza di John, dietro il suo vigore, dietro
la sua eccitazione, c’era solo paura.
Paura che uno come Paul potesse scivolargli via tra le
dita, per sempre, lasciandolo solo.
Paura che uno come Paul potesse abbandonarlo a se stesso, senza offrirgli più un rifugio sicuro dal mondo
crudele.
E allora lo prendeva, lo scopava, lo marchiava, come
se fosse suo, come se volesse lasciargli impresso il suo ricordo indelebile
sulla pelle.
E Paul lo lasciava fare, dolcemente, assecondando i
suoi bisogni per rassicurarlo. Lo stringeva a sé, intrappolandolo tra le sue
braccia, sulla sua bocca.
Perché dopotutto…
“Uno come me ha bisogno di uno come te.”
200 parole
Note dell’autrice:
diciamo che questo capitolo è il motivo per cui ho messo arancione, sapevo che
il prompt avrebbe richiamato un innalzamento del rating.
Niente da dire su questa, spero solo vi sia piaciuta.
D’altra parte
John veniva da una piccola cittadina dell’Inghilterra, da un orfanotrofio, per
di più.
Era stata una sorpresa ricevere la lettera da
Hogwarts.
Eppure
eccolo lì, ora, insieme a tanti altri studenti, che varcava la soglia di quella
che a quanto pareva, sarebbe stata la sua scuola, la sua casa per i prossimi
sette anni.
John era spaventato, non sapeva cosa sarebbe stato di
lui d’ora in poi, ma era certo che sarebbe stata una grande avventura.
Quando arrivarono all’interno di una grande sala con
lunghi tavoli strabordanti di pietanze, John rimase sorpreso e colpito. C’erano
candele sospese a mezz’aria che illuminavano la sala, mentre il soffitto
sembrava trasparente e si intravedevano le stelle di quella notte chiara di
fine estate. Sicuramente di grande impatto. Sarebbe stato divertente cenare lì
ogni sera.
Alla fine
il gruppo di nuovi studenti fu condotto lungo il corridoio principale, passando
in mezzo ai tavoli degli studenti più grandi.
John si sentì osservato, ma ben presto la sua attenzione
fu catturata dalla professoressa che li guidava e si fermò vicino a uno
sgabello con un cappello sopra.
La professoressa McGranitt
iniziò a spiegare come uno per uno sarebbero stati chiamati per indossare il Cappello
Parlante ed essere smistati nelle quattro case.
Il pensiero di essere al centro dell’attenzione di
quella sala così grande e piena di persone lo terrorizzò improvvisamente tanto
che divenne bianco in volto e senza accorgersene, arretrò di un passo.
“Non ti preoccupare.” Gli sussurrò il ragazzo accanto
a lui, “Mio cugino ha detto che non devi fare niente, a parte stare fermo.”
John si voltò verso di lui: il ragazzo che aveva
parlato aveva gli occhi più grandi che John avesse mai visto e i capelli più
scuri della notte.
“Davvero?” chiese John, mentre la professoressa McGranitt aveva iniziato a chiamarli uno per uno.
“Certo, non preoccuparti. Sarà una passeggiata.” Lo rassicurò.
John sospirò felice, “Grazie.”
“Magari ci troveremo nella stessa casa.” Gli disse il
ragazzo, sorridendo amichevolmente.
John sorrise a sua volta. Non aveva mai avuto un
amico, neanche all’orfanotrofio.
“Sì, sarebbe bello.”
John avrebbe voluto chiedergli come si chiamava,
parlare ancora con lui, ma poi…
“John Lennon.” Chiamò la McGranitt.
John a malincuore dovette allontanarsi e si sedette
sullo sgabello.
Un attimo dopo il cappello fu appoggiato sulla sua
testa.
“Oh sì, un grande cervello, e voglia di fare amicizia,
vedo… mm, sì, certo, so perfettamente dove metterti. Corvonero!”
John saltò giù dallo sgabello e si unì al tavolo dei
suoi compagni di Corvonero. Seguì con lo sguardo il
ragazzo di prima, sperando che lo avrebbe raggiunto presto.
Finalmente lo chiamarono, “Paul McCartney.”
John vide Paul raggiungere la professoressa e ripetere
lo stesso passaggio che avevano già fatto molti ragazzi prima di lui.
Alla fine
il cappello urlò, “Corvonero!”
John esultò felice, e guardò Paul correre verso di lui
sorridendo soddisfatto.
“Ehi, ce l’hai fatta.”
“Beh, sì, gli ho chiesto di mettermi a Corvonero.”
“Si può fare?”
“Se è quello che vuoi veramente, sì!” esclamò Paul
facendogli l’occhiolino.
John sorrise.
Sì, sarebbero stati decisamente sette anni
interessanti.
Note dell’autrice:
per il prompt Magic school non potevo certo non scrivere di questi due a
Hogwarts. Avevo già scritto una au sui Beatles a Hogwarts,
in cui ognuno era in una casa diversa ma per questa ho preferito mettere John e
Paul nella stessa.
Con tutti i miei difetti e problemi. I miei alti e
bassi. Pochi riescono a starmi accanto.
Inopportuno, basato su un errore.
Quello dei miei genitori, autori della mia persona.
Probabilmente mi avranno concepito dopo un bicchiere di troppo. Non mi
stupirei.
Non quello giusto, scambiato con qualcun
altro.
Lo penso spesso. Doveva esserci qualcun altro al mio
posto, qualcuno più gentile, meno instabile, difficile. Qualcuno più paziente,
più educato, più talentuoso, più simpatico.
Qualcuno diverso da me.
Ma poi Paul mi guarda, e questo mi basta per farmi
sentire cosa sono davvero.
Qualcuno giusto per lui.
110 parole
Note dell’autrice: un’altra
piccola drabble su John.
Devo dire che sono un po’ stanca perché mi si stanno
sovrapponendo lavoro, penultimo esame in uni e ogni giorno provare a scrivere
qualcosa. Ma ci sto riuscendo quindi evviva. :D
Da qualche tempo andare a
lavoro è diventato più piacevole.
Sicuramente sarete meravigliati nel sapere che mi
sveglio la mattina, felice di prepararmi e incamminarmi verso l’ufficio. Sarete
sorpresi se non mi pesa per niente svegliarmi presto e sedermi ad una scrivania
fino alle cinque del pomeriggio.
Forse lo sarete meno nel sapere che quella scrivania
confina con quella dell’impiegato appena assunto, l’uomo più affascinante che
abbia mai visto. Si chiama Paul, ha gli occhi dolci e grandi, le labbra piene e
invitanti. I capelli scuri sono così ordinati che talvolta mi soffermo a
guardarlo e immaginare come sarebbe scompigliarli con le mie mani. Poi
ovviamente lui si accorge che lo sto fissando e arrossendo, torno al mio
lavoro.
Abbiamo fatto amicizia subito. Ho cercato di aiutarlo
all’inizio e lui mi ringrazia ancora per quello.
Di tanto in tanto mi chiede cosa può fare per
sdebitarsi. Gli dico di non pensarci, ma dio, la voglia di chiedergli di uscire
con me è tanta.
Non voglio però che si senta costretto.
Vorrei che lo desiderasse, come lo desidero io.
Vorrei che si sentisse felice quando mi vede, come io
lo sono quando vedo lui.
Ecco, mi sono incantato di nuovo a guardarlo. E lui mi
ha scoperto.
Dannazione!
Mi sorride leggermente e io distolgo subito lo
sguardo.
Dio, quanto sono patetico.
Quanto bisogna essere idioti per farsi scoprire così
tante volte?
Sto giusto per maledirmi per l’ennesima volta, quando
il suono di una notifica dal pc mi avvisa che è arrivata una nuova mail.
Il tempo di leggerla che uno stupido sorriso ritorna
sul mio viso.
“Da: Paul McCartney
A: John Lennon
Caro John, che ne dici di trovarci dopo
per un caffè?”
Lo guardo e Paul arrossisce, conscio che io abbia
letto la sua mail.
Allora sorrido fra me, prima di affrettarmi a
rispondere:
“Ci sto!”
Oh, amo davvero il mio lavoro!
Note dell’autrice:
ok non è un granché, però mi piaceva il prompt perché sto facendo il binge watching di The Office in questi giorni e mamma mia, quanto
mi sta piacendo. Ovviamente ho preso ispirazione per questi due da Jim e Pam. :3
In realtà lo vedeva solo passare ogni mattina davanti
al suo piccolo negozio di fiori. Paul aveva ipotizzato che probabilmente il
ragazzo lavorasse nella vicina scuola elementare e che fosse un’insegnante di musica,
considerato che ogni giorno aveva con sé una chitarra sulle spalle.
Un’altra cosa su cui poteva essere sicuro era che il
ragazzo in questione dovesse essere un ritardatario cronico: molte mattine
passava di fronte al negozio correndo a perdifiato e controllando l’ora sul
cellulare. Paul si ritrovò a ridere ripensandoci su: non aveva mai visto un insegnante
di scuola così ritardatario.
Non era mai stato convinto che ci si potesse
innamorare solo così, senza neanche mai rivolgere la parola a qualcuno. Tuttavia quando si rese conto che aspettava con trepidazione
l’orario in cui solitamente quel ragazzo passava sia di mattina che di
pomeriggio, iniziò a mettere in dubbio le proprie convinzioni.
Senza contare il fatto che si ritrovasse ad arrossire
stupidamente e con il cuore che batteva forte nel momento in cui lui si fermava
a guardare la sua vetrina. Dalla prima volta che lui lo aveva fatto, Paul aveva
iniziato a curare le composizioni nei minimi dettagli, provando a capire dalle
sue espressioni cosa gli piacesse di più.
Da quello che era riuscito a intuire, riusciva a
catturare la sua attenzione con piccole semplici composizioni in cui la
bellezza dei fiori potesse risaltare.
Il giorno in cui aveva scoperto il suo nome, Paul si
sentì felice come non gli capitava da tempo. Era fuori dal suo negozio a
sistemare alcune composizioni, quando lui era apparso, probabilmente di ritorno
da scuola. Paul, come gli capitava sempre, aveva interrotto quello che stava
facendo per seguirlo con lo sguardo: stava camminando per i fatti suoi, quando
un altro ragazzo, da dietro, aveva iniziato a chiamarlo.
“John, aspettami!”
Lui si era voltato subito.
John…
“George, che ci fai qui?” gli aveva chiesto una volta
che l’amico l’avesse raggiunto.
Insieme passarono di fronte al negozio di Paul, il
quale si ritrovò a osservarli senza neanche cercare di nasconderlo. Ma che
importava? Il ragazzo… John… continuava a scherzare con l’amico e sorridere. A
quanto Paul aveva potuto origliare gli alunni di John gli avevano regalato un
piccolo mazzo di margherite gialle. John aveva raccontato questo all’amico con
il sorriso che illuminava il suo viso.
Il suo sorriso trasmetteva un calore che Paul non
sentiva da tempo. Avrebbe voluto che lui sorridesse per sempre.
Avrebbe anche voluto che un giorno John potesse
sorridere per lui. Era un sogno, ma nulla gli vietava di farlo. E nello stesso
momento era fin troppo felice di aver scoperto il suo nome.
Paul ci vide un segno del destino. Il negozio di fiori
era gestito dalla sua famiglia da generazioni e lui non era mai stato
particolarmente convinto di prenderne le redini. Ma ora aveva capito che c’era
un motivo e aveva benedetto il giorno in cui aveva preso quella decisione. Il
motivo era incontrare John.
Inutile dire che pochi giorni dopo in vetrina
comparvero bouquet di margherite gialle con una piccola chitarra a chiudere il
tutto.
Paul era abbastanza soddisfatto e lo fu ancora di più
quando vide che John non solo si fermò a guardare la vetrina sorpresa, ma si
decise anche a entrare nel negozio.
Improvvisamente Paul divenne rigido come un tronco di
legno e iniziò a sudare freddo, nonostante fosse diventato totalmente rosso in
viso. Il suo cuore batteva così forte nel petto che sicuramente lui lo sentiva
dall’ingresso.
“E’ permesso?” domandò lui timidamente.
“S-sì, prego.”
“Scusami se ti disturbo, ma ho visto le tue nuove
composizioni e mi piacerebbe tanto comprarne una.” disse John, indicando i
bouquet in vetrina.
“Ah sì, sì, certo.”
Paul dovette richiamare tutte le sue forze per
rilassarsi, costringere il suo corpo a muoversi e passare di fianco a lui.
“Ehm se… se lo devi regalare a qualcuno, ti posso fare
una confezione regalo.” gli propose lui, la voce tremava terribilmente.
“Grazie, ma vorrei solo portarlo a casa mia.”
John gli sorrise e Paul, che non era mai stato così
vicino a lui prima d’ora, si accorse del bellissimo verde giada dei suoi occhi.
Pensò che avrebbe volentieri passato il resto della sua vita a specchiarsi nel
suo sguardo meraviglioso.
“Tutto ok?” gli chiese lui all’improvviso, lo sguardo
chiaramente preoccupato.
Paul spalancò gli occhi, accorgendosi di essersi
incantato a guardarlo, e arrossì.
“Oh sì…sì, scusa.”
Così, maledicendosi per quanto fosse imbranato, si affrettò a preparargli una confezione semplice
con carta trasparente e un bel nastro di raso verde. Aveva scelto proprio quel
colore in modo che richiamasse il colore dei suoi occhi. Non che sperasse che lui
se ne accorgesse, ma era stato più forte di lui.
Se ora lui lo avesse trovato goffo e imbranato, beh, Paul l’avrebbe anche capito.
“Ecco a te.” gli disse infine, porgendogli la
confezione.
“Wow! Sei bravissimo! Quanto ti devo?”
“Il primo acquisto lo offre la casa, non ti
preoccupare.”
Non era esattamente vero, ma non poteva certo
lasciarsi scappare questa occasione. Sarebbe stato stupido, oltre che
imbranato.
“Sei sicuro?”
“Certo.”
John sorrise grato, “Beh se è così, devo comunque
sdebitarmi in qualche modo.”
“Non ce n’è bisogno, davvero.”
Ma John a quanto pareva era deciso e non lo ascoltò,
“Per ringraziarti domani ti porterò la colazione, che ne dici?”
Paul arrossì vistosamente all’idea di rivederlo, “Ma
io…”
“Allora è deciso.” esclamò John e prese il bouquet.
Si avviò verso la porta, ma si fermò improvvisamente,
“Ah quasi dimenticavo… Come ti chiami?”
“Paul… Paul McCartney.”
“Io sono John Lennon.”
“Sì, sì, lo so.”
Paul rispose senza neanche rendersi conto di quello
che implicasse la sua risposta.
“Eh?”
John lo guardò sorpreso e lui arrossì nuovamente,
agitandosi tutto d’un tratto.
“Ecco io ti… ehm, volevo dire… un giorno eri con un tuo
amico e ho sentito lui che ti chiamava per nome.” si affrettò a spiegargli tutto
d’un fiato.
John si portò un dito sulle labbra, cercando di
ricordare, “Ah, sì. Ero con George.”
“E’ per questo che lo so.” ribadì Paul, sperando con
tutto se stesso di non aver fatto l’ennesima brutta
figura.
Ma evidentemente non era affatto così perché lui gli
sorrise con dolcezza.
“Beh, puoi chiamarmi John anche tu, se vuoi. Passo
davanti al tuo negozio ogni giorno e mi sembra ormai di conoscerti da sempre.”
Paul rise leggermente, rilassandosi un po’, “Solo se
tu mi chiami Paul.”
“Perfetto. A domani allora, Paul.”
“A domani, John.”
Paul lo guardò andar via ancora incapace di credere
che questo fosse successo davvero. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe riuscito
a parlargli?
Realizzando che quanto accaduto non era stato un
sogno, piano piano ansia e agitazione presero il sopravvento sul suo corpo.
Cos’era quello? Un appuntamento?
E come avrebbe dovuto comportarsi domani?
Cosa avrebbe dovuto fare? Cosa avrebbe dovuto dirgli?
Ma più di tutto questo… come avrebbe dormito stanotte?
Note dell’autrice:
ok allora, questa diciamo che non è super inedita. Nel senso che è una ff che avevo
scritto tempo fa nel fandom di Card Captor Sakura e ho
adattato nel fandom Beatles.
Ogni sera in quel locale notturno Paul volteggiava
attorno a quel palo, indossando solo un paio di pantaloncini aderenti che non
lasciavano assolutamente nulla all’immaginazione.
Andava bene, era solo uno stupido lavoro per potersi
pagare gli studi.
La paga era buona e le mance abbondavano. Alla fine
del suo numero, gli uomini che avevano assistito, sventolavano eccitati le
banconote e Paul, soddisfatto, si affrettava a fare il giro permettendo loro di
infilare le belle banconote nel bordo del suo pantaloncino. Paul ringraziava
sempre con un occhiolino malizioso che mandava l’uomo di fronte a sé su di giri
come sempre.
Così facendo riusciva a racimolare un bel bottino per
pagarsi l’affitto o la rata del Conservatorio. Era difficile essere uno
studente fuorisede.
Quel lavoro era l’unica cosa compatibile con le sue
lezioni e lo studio. Finito il suo spettacolo a tarda notte, correva a casa a
dormire e ricaricarsi per il giorno successivo.
Non era certamente il lavoro dei suoi sogni, lui
avrebbe fatto il musicista. Sapeva suonare perfettamente pianoforte, basso e
chitarra. Questo era qualcosa di temporaneo.
Certamente aveva i suoi vantaggi: orari brevi, paghe
abbondanti, senza contare il fatto che gli aveva permesso di conoscere diversi
ragazzi. Tuttavia si erano rivelate storie di una
notte e via, la maggior parte erano solo uomini che volevano sbattersi il
ragazzo carino della pole dance. Alcuni erano stati anche sinceri con lui, cosa
che Paul aveva apprezzato. Altri lo avevano ingannato con tante belle parole
per poi abbandonarlo dopo una scopata.
I primi tempi era stato bello, sentirsi desiderato,
lui che arrivava da un piccolo paesino della campagna inglese in cui
sicuramente non potevi rimorchiare così facilmente, soprattutto se non
rientravi nei canoni classici della mentalità antica del paese.
Perciò dopo qualche tempo si era stufato di avere solo
avventure e mai una storia vera, una relazione in cui poter passare del tempo
con l’altro a fare qualunque cosa, anche bere solo un caffè uno di fronte
all’altro, senza il bisogno di saltarsi addosso al primo appuntamento.
Dubitava che avrebbe mai trovato qualcuno così in quel
locale. Gli uomini sbavavano quando lui ballava, fischiavano apprezzando il suo
corpo e i suoi movimenti. Paul poteva leggere nei loro occhi la lussuria che
accecava la loro mente.
E no, non era interessato a nulla di tutto ciò.
Eppure
una sera vide qualcosa di diverso, uno sguardo nel pubblico diverso dal solito.
Paul non era riuscito a vederlo bene durante la sua
esibizione, ma provò a cercarlo mentre raccoglieva le mance.
Era un ragazzo con capelli ramati e gli occhialini
tondi sul naso aquilino. Lo aveva guardato da lontano, con atteggiamento
contenuto. Di sicuro aveva apprezzato, ma non si metteva in mostra come gli
altri. E soprattutto non appena Paul tornava nel backstage, anche lui lasciava
il locale. Glielo aveva confermato il barista.
“Quello se ne va appena scendi dal palco.”
Questo lo incuriosì non poco. E sera dopo sera fu
attento a scorgere quel ragazzo tra il pubblico, studiando la sua espressione.
Sembrava un ragazzo tranquillo, molto diverso da tutti
quelli che Paul aveva conosciuto fino ad allora.
Non poteva negare che il suo non perdersi neanche una
esibizione lo intrigava, lo spingeva a chiedersi cosa lo portasse a essere lì
puntuale tutte le sere.
Decise che avrebbe fatto lui la prima mossa, visto che
il ragazzo non sembrava averne intenzione.
Aveva bisogno della complicità del barista, perciò gli
chiese di trattenerlo, dopo il suo spettacolo, offrendogli qualcosa da bere.
Appena terminata l’esibizione, corse in camerino a
cambiarsi, indossando vestiti più consoni. Si sistemò alla bell’e meglio i
capelli e uscì in mezzo agli spettatori, tutti intenti ora ad assistere
all’esibizione di un suo collega.
Paul cercò con lo sguardo il ragazzo con gli
occhialini tondi e lo vide al bancone del bar, con il suo drink in mano.
Si affrettò a raggiungerlo e appoggiarsi al bancone
accanto a lui.
“Ciao!”
Il ragazzo lo guardò e Paul poté vedere la sua
espressione passare da incuriosita a totalmente sorpresa.
“C-ciao.”
“Io sono Paul, tu come ti chiami?”
“Oh… sono John, John Lennon.”
“Piacere di conoscerti, John. Ti vedo ogni sera ma non
ho mai avuto il tempo di parlarti.”
“S-sì, vengo solo per vedere te.”
Paul sorrise, abbassando lo sguardo, “Ho notato. Sei
un mio fan, allora?”
“Oh sì. Ho sempre sperato di
dirtelo un giorno, ma sei veramente bravissimo.” esclamò John, l’emozione
sembrava essere sparita e gli occhi brillavano felici, “Quando sali sul palco,
è come se ti illuminassi e tutti vengono attirati da te.”
Paul arrossì, nessuno si era mai complimentato in quel
modo con lui. Sì, aveva ricevuto dei complimenti in passato, ma non aveva mai
avuto la sensazione che fossero sinceri. John invece lo sembrava davvero.
“Ti ringrazio. Tu cosa fai invece nella vita?”
“Io? Suono in una band.”
Paul spalancò gli occhi, sembrava davvero uno strano
segno del destino.
“Davvero?”
“Sì. Per ora siamo in tre, ma sto cercando qualcuno
che suoni il basso.”
“Sei serio? Io suono il basso.”
Paul non riusciva a credere alla fortuna che gli era
appena capitata tra le mani. Era forse la sua occasione per lasciare
definitivamente questo lavoro.
“Non ci credo.”
“Te lo assicuro, suono basso, pianoforte e chitarra.”
Se John prima lo guardava con occhi che brillavano,
ora sembrava incantato.
“Mi chiedevo…”
“Cosa?”
“Non pensavo che avrei mai avuto l’occasione di parlarti
un giorno, ma a questo punto devo chiedertelo.” si fece coraggio John, “Possiamo
andare a prendere un caffè? Così, sai, magari parliamo anche di questo tuo
basso…”
Paul sorrise, chissà cosa sarebbe successo se lo
avesse seguito. Non poteva sapere come sarebbe cambiata la sua vita, ma
qualcosa dentro di lui gli suggeriva di andare, che quel ragazzo avrebbe
cambiato la sua vita in più di un modo.
“Andiamo!”
Note dell’autrice:
bene, eccoci qua. Non so perché ho scelto poledancer
come prompt, mi sembra di aver scelto cose super difficili. Ahaha.
Così sto lottando per essere sempre puntuale.
Prossimocapitolo, che devo ancorascrivere: Find what you love and let it kill you.
Si è presentato a casa mia per sistemare alcune nuove
canzoni. Si è presentato con uno stupido lecca-lecca rosso in bocca.
Dovevo capirlo che prometteva nulla di buono.
Ha passato l’ultima mezz’ora sul mio letto, la
chitarra sulle gambe, la camicia leggermente slacciata e quello stupido
lecca-lecca che scivolava dentro e fuori dalla sua bocca, imitando cose che ho
sognato nelle mie fantasie più spinte.
Lo odio.
Sa perfettamente quello che mi sta causando,
un’erezione di dimensioni colossali nei pantaloni che faccio fatica a
contenere.
Dio, mi sto trattenendo dal saltargli addosso solo
perché vorrei finire prima queste dannatissime canzoni. E lui lo vuole, cazzo
se lo vuole!
Riconosco ogni suo gesto, il modo in cui stende la
schiena verso l’indietro esponendo il suo bel collo. Il modo in cui passa la
lingua per leccarsi le labbra, facendole luccicare con la saliva, così
fottutamente invitanti e dolci e rosse… rosse come quel dannato lecca-lecca. Mi
chiedo a che gusto è… forse fragola…
“Beh, direi che abbiamo finito.”
Distolgo la mia attenzione dalle mie fantasie e lo
guardo, “Così sembra.”
Paul sorride, “Abbiamo fatto presto.”
Non abbastanza, secondo me.
Lui mi guarda con i suoi grandi occhi sensuali, i suoi
occhi da camera da letto, mai più appropriati come in questo momento.
“Potremmo fare qualcosa, no?”
Diavolo tentatore.
“Già…” inizio a dire, mentre mi alzo e poggio la
chitarra di fianco, “Mi piacerebbe sapere a che gusto è quel lecca-lecca che
mangi così appassionatamente.”
Paul ride vittorioso, dando un’ultima leccata senza
distogliere lo sguardo da me, “Vieni a scoprirlo da te.”
Non me lo faccio ripetere due volte e in un secondo
sono sopra di lui, appropriandomi della sua dolce bocca che sa di…
Fragola!
Note dell’autrice:eheh, lecca-lecca non poteva che portarci a qualcosa di più
sensuale.
Mi son venuti in mente quegli scatti di Paul con la
camicia mezza slacciata che mangia sensualmente un bignè sotto gli occhi di un divertito
Brian. Sembrava una cosa proprio da lui.
Faceva dannatamente freddo nelle stanzette dietro al cinema
con quella misera copertina per la notte.
Spesso Paul non riusciva a dormire per il freddo e
rabbrividiva. Si stringeva il più possibile, le braccia attorno al corpo, le
gambe piegate e avvicinate al busto, per non disperdere calore.
Spesso qualcuno in quella stanza lo sentiva. Poco dopo
Paul sentiva quel qualcuno infilarsi nel letto dietro di lui, un petto
appoggiarsi alla sua schiena, due braccia avvolgerlo e stringerlo.
“John?”
“Shh.”
“Ma… se gli altri ti vedono?”
“Non ti preoccupare, me ne vado domani mattina
presto.”
Poi John gli baciava il collo e Paul sorrideva.
Sicuramente ora non avrebbe più sentito freddo.
110 parole
Note dell’autrice: eccoci
qua, dopo questa giornata sfiancante.
Spero vi sia piaciuta, una piccola slice of life dal
periodo di Amburgo.
Non era possibile che non lo considerasse più, che
facesse finta di non vederlo nei corridoi degli studi.
Non era possibile che facesse tutto questo così, senza
motivo.
John aveva provato a fermarlo per parlargli ma niente,
Paul era sfuggente. Era bravissimo a evitarlo.
Allora John aveva iniziato a chiedersi cosa avesse
sbagliato, se fosse lui la causa di tutto come sempre. Se avesse detto qualcosa
di inappropriato, se avesse fatto qualche torto a Paul.
Ma più ci pensava e si scervellava, meno riusciva a
trovare una spiegazione a quel comportamento. Sapeva solo che lo mandava in
confusione e lui non capiva più nulla.
Non voleva essere ignorato. Essere ignorato era peggio
di qualunque altra cosa, peggio di urlarsi contro, peggio di litigare, perché
voleva dire che Paul non lo considerava neanche degno di un confronto.
Dio, non voleva che Paul lo trattasse così, come se
qualunque cosa fosse successa, fosse solo colpa di John.
Perché non poteva spiegargli?
John…
Perché gli faceva questo?
John, svegliati.
Poi, come per miracolo, John aprì gli occhi e si trovò
davanti il viso preoccupato di Paul, ritrovandosi sul divanetto negli studi di
Abbey road.
“Paul?”
“Tutto bene? Ti stavi agitando, e ho pensato di svegliarti.”
“Non lo so, era solo un sogno?”
“Cosa?”
“Tu, che mi ignoravi.”
Paul sorrise, arruffandogli i capelli, “Come potrei
ignorarti? Sei così maledettamente insopportabile.”
John sospirò sollevato.
Sì, per fortuna era solo un sogno.
Note dell’autrice:
eccoci qua, ormai siamo quasi alla fine. Ne mancano solo 5
che ovviamente devo ancora scrivere perché sia mai che mi porti avanti in
qualcosa.
Comunque spero vi sia piaciuta.
Approfitto per fare tanti auguri di buon compleanno a
Silvia, cara amica e fan dei Beatles. :3
La biblioteca era il suo posto preferito nel mondo.
C’era un silenzio che lo aiutava a studiare, e poi
tutti quei libri che potevi sfogliare e annusare. Ebbene sì, Paul era uno di
quelli a cui piaceva sentire l’odore dei libri.
Soprattutto quelli vecchi che sapevano di storia e
vita vissuta. Ecco perché, pur amando molti generi, il suo preferito in
assoluto erano i classici. Gli permettevano di immergersi in una realtà che era
assai diversa da quella frenetica in cui viveva.
Inoltre, in biblioteca, gli piaceva anche girovagare
tra i corridoi e lasciarsi incantare dalle copertine dei libri. Ogni volta si
lasciava conquistare da portarne a casa uno nuovo.
E poi, beh, un particolare non da meno era il nuovo bibliotecario.
Era arrivato da pochi giorni, ma Paul aveva già passato abbastanza tempo a
fissarlo da memorizzare ogni suo particolare: gli occhialini tondi gli davano
un’aria da intellettuale, trascorreva tutto il tempo a catalogare nuovi libri e
metterne a posto altri.
Si rendeva conto di essere patetico certe volte, ma
avrebbe tanto voluto avere un qualche pretesto per parlargli più spesso, oltre
che registrare i libri che si portava a casa o chiedere informazioni su un
determinato saggio che proprio non riusciva a trovare. Avrebbe voluto anche
sapere qualche cosa in più su di lui. Sapeva solo che si chiamava John e che
ogni tanto lo aveva beccato a leggere classici e saggi di musica.
Sicuramente non era mai stato molto bravo in questo
genere di cose. Non che fosse timido, ma non era portato.
Probabile però che qualcuno dall’alto avesse deciso di
dargli una mano, vista la sua imbranataggine.
Un giorno infatti, era
arrivato in biblioteca e non aveva visto John al solito bancone. Si era
preoccupato pensando che quel giorno proprio non l’avrebbe visto.
Poi però nel suo solito giro tra gli scaffali si
accorse che John era nel reparto novità, seduto a terra, per sistemare una
colonna infinita di nuovi libri.
Un’occasione d’oro che non gli si sarebbe ripresentata
nuovamente.
Sena pensarci troppo, Paul si avvicinò, “Ehi, tutto
bene?”
John lo guardò, sorridendo stanco, “Più o meno, sto
sistemando le ultime novità.”
“Sono tante, vedo.”
“Abbastanza, c’erano degli arretrati.”
“Vuoi una mano?”
“Sei gentile, ma non so se posso chiedertelo.”
Paul rise e si inginocchiò accanto a lui, “Beh allora
facciamo che sono io che ti ho chiesto di poterti aiutare.”
“Ah e perché mai lo faresti?” chiese John divertito.
“Ovviamente perché dopo mi hai promesso di venire al
cinema con me.” rispose Paul.
Lo disse ridendo, ma in realtà era arrossito
furiosamente, sperando che John cogliesse che il suo era un invito serio.
John lo guardò per un istante, enigmatico.
“Al cinema eh?”
“Sì, ritrasmettono Alice nel paese delle meraviglie
al cinema qua dietro.”
John sembrò pensarci un istante e Paul si morse il
labbro.
Era stato inopportuno? Forse John non era interessato
a lui?
Ma a lui andava anche bene frequentarsi come amici,
non era-
“Sai, mi tocca accettare. Adoro Alice.” esclamò John,
facendogli l’occhiolino.
Paul sospirò sollevato, prima di sedersi meglio
accanto a lui e iniziare a passargli i libri.
“Chi non la adora?”
Note dell’autrice:
ammetto che ero poco ispirata per questa, ma va bene.
John, ne era sicuro, avrebbe lasciato la band prima o
poi.
Avrebbe lasciato lui.
Avrebbe trovato una nuova vita altrove, forse in
America come aveva sempre sognato.
Paul non voleva essergli d’intralcio, ma dopotutto si
trattava anche del suo futuro. Sarebbe stato un grosso cambiamento. Niente più
Beatles, niente più registrazioni con i ragazzi.
Niente più John, né i suoi occhi che lo fissavano
mentre componevano o suonavano.
Non sarebbe stato più lui il suo futuro, Paul sarebbe
stato solo.
E questo lo spaventava dannatamente.
Tanto da non capirci più un cazzo, da stare male.
Tanto da trovare il futuro dentro una bottiglia di
whiskey.
110 parole
Note dell’autrice: ecco
qua, la terzultima ff del writober.
Mi sono ispirata a come Paul ha affrontato la fine dei
Beatles.
Capitolo 31 *** Bad decisions make good stories ***
𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢𝘢𝘭𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳𝘥𝘪𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵
In my life I love you more
Giorno 31: Bad decisions make good stories
Forse andare a Woolton era
stata una pessima decisione.
Forse, se avesse saputo la sofferenza che avrebbe seguito
il suo incontro con John, non sarebbe andato.
Se avesse saputo le gelosie, le mille paturnie, la
mancanza di vita privata, i litigi, gli scandali, i lutti, forse Paul sarebbe
rimasto a casa quel 6 luglio 1957.
Ma aver incontrato John non era solo quello.
Era stato musica.
Amicizia.
Successo.
Amore.
Vita.
Era stato come incontrare la sua anima gemella, la sua
metà, il suo tutto.
Perché dopotutto, anche una cattiva decisione poteva
nascondere una bellissima storia.