Come fossero stati due stelle

di anonimo_21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Notte stellata ***
Capitolo 2: *** Due amiche ***
Capitolo 3: *** Come fossero stati due stelle ***



Capitolo 1
*** Notte stellata ***


Prima era più semplice. Prima Ochaco si ritrovava a pensare ad Izuku solo occasionalmente. Il più delle volte le capitava quando i due, tornando da scuola, dovevano smettere di chiacchierare, separarsi ed andare ognuno per la sua strada. Dall’inizio della scuola si era creata questa nuova gradevole abitudine: lei, il ragazzo dai capelli verdi e Tenya stavano diventando amici ed a tutti loro non dispiaceva sfruttare quel poco di tempo dopo la scuola per camminare un po’ insieme e parlare allegramente, se potevano. Iida era il primo a doversi separare per ovvie necessità di percorso, gli altri due potevano proseguire insieme ancora per una decina di minuti buoni, accompagnati da un’inevitabile quanto sottile velo d’imbarazzo. Già allora i due provavano attrazione reciproca, ma non ne erano ancora del tutto coscienti, sicuramente non Izuku, ma forse Ochaco si: dopo che il momento di separarsi era giunto la ragazza, camminando sola verso casa, rifletteva su quanto fosse fuori dagli schemi quel ragazzo, a partire dall’imprevista rapidità con cui le era entrato nella vita. Ricordava bene quel periodo.
Per l’esame di ammissione del corso per eroi della U.A. si era allenata duramente. Il suo obiettivo era diplomarsi così da essere autorizzata ad utilizzare il suo quirk per aiutare i genitori nella loro attività: ciò la spingeva a fare del suo meglio, e l’allenamento, condito da una determinazione ferrea come quella che la spingeva, aveva dato i suoi frutti. Era arrivata alla prova soddisfatta della sua preparazione, sebbene fosse comunque un poco agitata, com’è naturale essere quando si sta per affrontare un test che potrebbe avere una notevole influenza sul proprio futuro. Izuku era apparso allora: camminava verso l’entrata della U.A. con un sorriso luminoso stampato in volto, il quale non poteva che tradire una certa e pura contentezza, e, subito dopo, anche un bel po’ di sbadataggine, visto che con quella medesima espressione allegra il ragazzo era inciampato e stava per sbattere con forza a terra. Fortunatamente lei lo stava guardando ed era riuscita ad arrivare in tempo per salvarlo con il suo quirk. Era stata contenta di aver trovato qualcuno con cui condividere, per quel che poteva, la sua agitazione, era un modo per alleviarla, anche se in quell’occasione Izuku non aveva proprio parlato. Di lì a poco sarebbero entrati nell’aula in cui il Voice Hero e Professore Present Mike avrebbe spiegato le regole dell’esame, che sarebbe iniziato una mezz’oretta dopo.

Ad Ochaco l’esame stava perfino andando a gonfie vele, quando l’improvviso arrivo di un gimmick di dimensioni mastodontiche aveva cambiato totalmente le carte in tavola. Esso aveva causato ingenti danni all’intera area in cui anche lei si trovava a suon di onde d’urto. La ragazza non se l’aspettava affatto e non era riuscita a reagire di conseguenza: era caduta rovinosamente e sentiva dolore ovunque, inoltre, la gamba le era finita sotto un cumulo di detriti piovuti dai palazzi lì attorno. Il robot enorme stava proseguendo nella sua direzione e non accennava a rallentare. In quei momenti non pensava davvero che sarebbe stata ferita dalla macchina più di quanto non avessero fatto già fatto i detriti, si trattava comunque di un esame controllato, tuttavia temeva che questo evento potesse comprometterle l’andamento fino a quel momento positivo della prova. Non sapeva che fare: non riuscendo a liberarsi da sé aveva cercato di combinare i suoi sforzi al suo quirk, ma oramai stava esaurendo le forze e non era più in grado di sollevare oggetti di una simile mole senza scatenarsi un attacco di nausea molto violento. Al senso di impotenza che derivava da quella situazione seguì una sincera disperazione dalla quale Ochaco si sentì opprimere in modo abbastanza forte da annebbiarle la vista. Proprio allora Izuku, passando di lì, si era accorto di lei, e, senza pensarci nemmeno un secondo, era corso ad aiutarla distruggendo il gimmick con un'incredibile dimostrazione di forza, rompendosi completamente un braccio ed entrambe le gambe durante il processo: lei era riuscito a vederlo,e, siccome l’onda d’urto le aveva liberato la gamba, all’ultimo secondo aveva frenato la rovinosa caduta del ragazzo con uno schiaffo che le era parso fin troppo violento, poi era stata colta da una forte nausea per l‘eccessivo sforzo e gli altoparlanti avevano decretato la fine del tempo a disposizione.
Ochaco, avendo ottenuto un totale di 45 punti, poteva ritenersi soddisfatta della sua prestazione, però, dopo la prova non aveva potuto fare a meno di riflettere su quanto era accaduto: quel ragazzo non aveva avuto esitazioni e l’aveva effettivamente salvata distruggendo l’enorme macchina, la quale non valeva nulla per quanto riguardasse il punteggio ed il superamento effettivo della prova. Inoltre, secondo ciò che sapeva ed aveva potuto sentire di sfuggita durante la prova, Izuku in quel momento stava rischiando la bocciatura poiché in folle ritardo con l’accumulo dei punti, ma nonostante ciò, dopo averla vista in pericolo, non ci aveva pensato due volte. Per questo motivo lei si era sentita molto in colpa e temeva che quel ragazzo così gentile non sarebbe stato ammesso forse proprio per la decisione di aiutare lei. Non voleva che andasse in quel modo, dunque, prima di andarsene, aveva deciso di andare a parlare con i professori che si occupavano della gestione dell’esame per chiedere loro il permesso di dividere con lui i punti da lei ottenuti per permettergli di passare l’esame: ignorava che nel punteggio si tenesse conto anche dei cosiddetti “Rescue Point”, ovvero dei punti ottenuti per merito della propria attitudine al sacrificare ciò che si ha di più caro, si trattasse anche di sé stessi, per salvare vite altrui, grazie ai quali il giovane Midoriya aveva superato la prova con un punteggio complessivo perfino superiore al suo.

Nonostante questa scoperta inaspettata, da quel momento per un breve periodo Ochaco si era sentita comunque in debito con il (poi scopertosi essere) compagno di classe per il favore che le aveva fatto, pur essendo contenta e per certi versi lusingata da quel gesto, tuttavia tale sentimento si era estinto quando Ochaco aveva compreso che l’eroismo di Izuku era un qualcosa di assoluto: il ragazzo non si risparmiava mai per nessuno, era una colonna portante del suo carattere, era un suo modo di essere. Era in grado di prendersi a cuore chiunque incontrasse, a prescindere da tutto. Si prendeva a cuore anche i suoi stessi avversari, com’era accaduto durante lo scontro con Todoroki al torneo scolastico, nel quale aveva sostanzialmente aiutato il suo compagno di classe a risolvere, o quantomeno per la prima volta affrontare davvero, un dilemma psicologico che lo attanagliava ormai da anni, anche a costo di rendersi da solo la vita più difficile in maniera gratuita, non traendone vantaggio personale alcuno, tant’è vero che alla fine era stato sconfitto da Shoto.
Più Ochaco ci rifletteva e più comprendeva di non aver mai conosciuto nessun altro con una simile bontà d’animo ed una mentalità così positivamente testarda come la sua: era un caso eccezionale. Tuttavia, a rendere agrodolce l’intera vicenda c’era il fatto che egli non esitava affatto nemmeno quando si trattava di sacrificare il suo corpo, spingendolo oltre ogni limite fisicamente accettabile,se quel sacrificio fosse servito a salvare anche solo una persona in più. Avventato, seppur coraggioso, com’era, era arrivato a riportare danni che, se non ben trattati, sarebbero potuti divenire ancor più gravi ma soprattutto perenni. Izuku voleva sempre proteggere tutti ad ogni costo, ma non c’era mai nessuno a proteggere lui.

Col progredire dell’anno scolastico Ochaco si era resa conto di essersi affezionata a lui. Il suo nome da eroe… Deku… di fatto era stata lei a renderlo tale. Da soprannome canzonatorio qual era lei lo aveva trasformato in qualcosa di cui Izuku sembrava andare fiero, e questo fatto, anche se non lo aveva mai detto a nessuno, la rendeva sinceramente orgogliosa. Inoltre, la ragazza aveva realizzato che nell’ultimo periodo, quando le capitava di trovarsi insieme a lui (ossia molto spesso, dato che ora sostanzialmente vivevano insieme, per così dire, nel dormitorio con tutta la classe), il suo sguardo fuggiva alla ricerca di Izuku sempre più spesso. “Solo un’occhiata”, si diceva, ma a volte, per guardarlo, finiva per distogliere totalmente l’attenzione da ciò che stava facendo. Tutto ciò cominciava a divenire debilitante, perfino controproducente, ma non era l’unico problema: certi professori talvolta l’avevano anche già ripresa per via della sua distrazione e Aoyama era addirittura arrivato a chiederle se fosse innamorata di Midoriya, scatenando in lei un’esplosione d’imbarazzo che nemmeno lei era riuscita a giustificarsi appieno. Tralasciando la decisione quantomeno discutibile di porre una simile domanda durante un importante esame scolastico, comunque la sua stessa reazione a quel quesito l’aveva stupita. Dopo quell'episodio le era capitato altre volte: quando in presenza di Izuku pensava al sentimento che provava per lui le sue reazioni d'imbarazzo erano sempre esagerate, poiché doveva reprimere con forza le emozioni che provava: non poteva esternarle. Era convinta che dovessero essere messe a tacere e null’altro. Forse semplicemente non riusciva totalmente ad accettarlo, ma in cuor suo doveva aver capito di essersi infatuata del compagno di classe, per quanto cercasse di negarlo. Eppure il vero problema non era l’innamoramento, nel quale di per sé non c’era niente di male: Izuku era veramente una brava persona. Non era nemmeno il fatto che lei si distraesse spesso a causa sua, c’era un altro sentimento a turbarla, un’ombra sconosciuta di cui sentiva interamente il peso senza vie di scampo di sorta. E pensare che di solito, quando era necessario spostare qualcosa di troppo pesante, le bastava attivare il suo quirk ed il problema era risolto: per lei era quasi crudele non poter fare lo stesso con le proprie emozioni, specie se negativamente invadenti come in quel caso, anche se sapeva che così sarebbe stato troppo facile. Più volte aveva riflettuto su questo tarlo che l’assillava, più e più volte non era giunta ad una conclusione soddisfacente. Proprio non riusciva a capire…

“Caspita però… un’altra sera che ci penso”
Ochaco aprì gli occhi e riemerse dal suo flusso di coscienza accompagnata da questo pensiero. Si rese conto di essere nel letto della sua stanza ai dormitori della U.A. e dal buio profondo che ancora dominava le quattro mura attorno a lei suppose che dovesse essere ancora notte inoltrata. Non lo ricordava ma doveva essersi svegliata prima del tempo e non era più riuscita a prendere sonno: era l’unica spiegazione. Svogliatamente scostò le coperte verde foglia che la ricoprivano e dopo essersi stiracchiata un pochino si alzò in piedi, infilò le ciabatte ordinatamente abbandonate al bordo del letto e partì alla ricerca del suo cellulare, il quale era poggiato sulla sua scrivania, al fine di verificare la correttezza della sua teoria. Camminò a passi lenti e, raggiunta la metà, tastò il buio bramando il dispositivo di cui infine premette il tasto di accensione. Dopo qualche secondo lo schermo s’illuminò e la sentenza da esso decretata fu fin troppo franca: accidenti… erano quasi le due di notte. La ragazza sapeva di aver bisogno di dormire e di rifocillarsi: l’indomani la sveglia avrebbe suonato alle sette in punto come al solito, inoltre avrebbero dovuto continuare gli allenamenti speciali riguardanti le loro tecniche speciali in vista dell’esame per la licenza temporanea da eroi che avrebbero affrontato di lì a breve. Quegli allenamenti in particolare erano molto duri ed ogni volta lei, come tutti gli altri compagni di classe, ne tornava sfiancata, esattamente com’era accaduto nella giornata appena passata. Perciò aveva così tanto bisogno di dormire, tuttavia, siccome si conosceva bene, le era chiaro che quella notte non sarebbe riuscita a prendere sonno facilmente forse proprio a causa di tutti quei pensieri che le ronzavano per la mente.
Ochaco sospirò rassegnata ed un poco infastidita, e, mentre posava il cellulare, cominciò a pensare a che cosa potesse fare per distrarsi e, chissà, rilassarsi a dovere. La risposta che le venne in mente era in realtà tanto ovvia quanto semplice: la ragazza camminò attenta a fare poco rumore verso la porta di vetro, scostò le tende giallo pastello e fu rapita da una meravigliosa visione: migliaia di stelle illuminavano quella notte buia e la lunga fila di dormitori, i quali, con il loro rosso accogliente reso pallido dalla notte, risaltavano sul blu profondo del cielo. Ognuno di essi era collegato agli altri da spaziosi sentieri adatti sia a mezzi che a pedoni e dentro le centinaia di aiuole che costeggiavano l’intrico di percorsi si scorgevano fiori fra i più vari e variopinti, fiocamente illuminati dai lampioni ordinatamente sparsi sull’intera rete di strade. Era tutto estremamente calmo, placido, quasi pacifico. La luna nelle sue prime fasi chiudeva il quadretto, al quale comunque Ochaco, per via dei suoi gusti allenati dall’esperienza, riteneva mancasse qualcosa. Si voltò e si diresse verso l’unico mobile di media grandezza presente nella sua camera. Si chinò per aprire il più basso fra i cassetti, alla ricerca di uno specifico indumento.Tirò fuori una felpa nero chiaro classica ed all’apparenza identica a molte altre, che in realtà nascondeva un significato particolare, poiché si trattava di un regalo dei suoi genitori fattole per festeggiare la sua ammissione alla U.A.
Indossò sopra il pigiama quell’indumento che profumava di casa ed uscì nel freddo gentile di quella notte, dove l’elemento mancante finalmente le diede il benvenuto: una dolce brezza l'abbracciò e le accarezzò il viso, causandole un brivido che le attraversò la schiena per poi diffondersi in tutto il resto del corpo. Da lì fuori si poteva vedere tutto il panorama con una maggior chiarezza assai appagante. Il vento scuoteva sporadicamente la vegetazione silenziosa e da quella balconata Ochaco poteva udire il canto di qualche uccello notturno, forse qualche gufo. Si potevano distinguere più chiaramente gli sporadici fasci di luce provenienti dalle camere di altri studenti di altre sezioni a lei ignoti: non era l’unica ad essere sveglia a quell’ora, a quanto pareva. Per il resto la spaziosa balconata era vuota e pulita in maniera rigorosa. La ragazza si prese ancora qualche secondo per osservare la dettagliata interezza dell'ambiente di fronte ed attorno a lei,che mai aveva visto da quella prospettiva in vesti notturne. Dopodiché, inspirò, appoggiò le braccia sulla balaustra, sospirò lentamente e vide il suo fiato disperdersi nella notte, dunque si rilassò.
Era sempre stata una sua abitudine: quando si sentiva spaesata, confusa o non sapeva che fare, si rifugiava in un posto lontano da ogni forma di trambusto dal quale si potesse ammirare l’immensità della volta celeste. In qualche modo questa pratica la metteva a suo agio, la faceva sentire meglio. Un testimone materiale di quella durevole tradizione era la mappa delle costellazioni che riempiva parzialmente la parete affianco al suo letto: nel corso delle sue innumerevoli sessioni di contemplazione, momenti talvolta condivisi con i genitori, aveva sviluppato un interesse verso gli astri ed i vari enti celesti che non l’aveva mai più abbandonata del tutto, anche se non sempre nel corso del tempo aveva avuto modo di dedicarcisi quanto le sarebbe piaciuto.
Quando le sue stesse emozioni la travolgevano e minacciavano di sovrastarla, lei cercava una simile, familiare bellezza che le permetteva di gestire quei sentimenti, sfogarli, se necessario, calmarsi e riappropriarsi così del pieno controllo di sé stessa. Poi, ogni volta, quasi ne fosse una diretta ripercussione, cominciava a pensare al suo trascorso, a tutte le altre volte in cui si era ritrovata d’innanzi alla magnificenza della sera e della notte in situazioni analoghe, e conseguentemente, in maniera per certi versi speculare, anche al suo futuro, che in quei momenti appariva radioso, almeno dal suo punto di vista.
Così era sempre stato, così era anche quella sera. Le stelle brillavano come diamanti e sembravano sussurrarle un messaggio in modo molto chiaro: “Non c’è difficoltà che tu non possa superare, puoi stare tranquilla, ce la farai come l’hai sempre fatta. Ogni confine può essere varcato, anche i più irraggiungibili.” Pensieri del genere facevano parte dell’individualità psicologica più intima di Ochaco già da molto tempo: aveva sempre cercato di spingersi oltre i propri limiti e dare il massimo, soprattutto quando si trattava di aiutare i suoi genitori ogni qualvolta fosse possibile. Questa sua attitudine si era poi espansa arrivando a includere chiunque potesse aver bisogno del suo aiuto e si trovasse nelle sue vicinanze. Adorava il sorriso solare che compariva sul volto di coloro a cui dava una mano: la rendeva felice. Solo dopo l’entrata alla U.A. aveva scoperto e compreso appieno il significato del motto della scuola “Plus Ultra” ed era stata felicemente soddisfatta di scoprire che la filosofia dell’istituto che frequentava, il migliore nel suo campo di tutto il Giappone, era perfettamente compatibile con il suo modo di concepire i motivi per i quali aveva senso vivere e continuare ad andare avanti. Da quel momento aveva deciso di interiorizzare del tutto quello spirito così pregno di quel significato a lei caro rendendolo in questo modo il suo faro, la sua unica guida.
Difatti ora, seguendone psicologicamente e spiritualmente gli insegnamenti e precetti standosene lì, in piedi su quel balcone, si sentiva speranzosa, com’era stata in passato ed era anche adesso, ma soprattutto si sentiva colmata da un’idilliaca tranquillità: era una sensazione che amava, forse proprio perché era sfuggente, rara, inafferrabile, dunque non semplice da ottenere. Rimase ferma dov’era, sola con l’immensità della notte a godersi quei pensieri tranquilli e quella leggerezza che le riempiva l’animo e gliene alleviava totalmente il peso.
 
Passò un tempo indefinito la cui misurazione non avrebbe avuto alcun significato. La ragazza sarebbe potuta rimanere lì, cristallizzata in quell'attimo infinito, ancora a lungo, ma la sua coscienza di studentessa ligia, sinora rimasta silente, non poteva più essere d’accordo: ora doveva rientrare. Ochaco distolse controvoglia lo sguardo da quel panorama benedetto, si voltò verso il dormitorio ma comunque sorrise, pensando che Izuku, quel ragazzo modesto che tanto le dava da pensare, era lì, anche lui. Si chiese cosa stesse facendo in quel momento: sperava dormisse, come lei ne aveva un gran bisogno. Rientrando in camera Ochaco ripensò proprio a quanto lui si stesse allenando duramente in quel periodo: nei suoi ricordi lo vedeva sforzarsi, tentare, ritentare, cadere, ferirsi, rialzarsi, sorridere d'imbarazzo e serena buona volontà ogni qual volta gli veniva posta una richiesta di un consiglio o gli venisse fatta notare una sua stranezza, ne udiva la voce tremante che ben mascherava, in maniera involontaria, la forza impetuosa del suo animo… Quel ragazzo la rendeva determinata a tentare con tutte le sue forze di non essere assolutamente da meno, la spronava indirettamente ad essere una persona migliore, e lei di questo gli era infinitamente grata, com'era anche per tutto il resto: era grata al destino di avergli tutto incrociare Izuku, che era in grado di portare felicità e passione nei cuori di chi aveva intorno, lei in particolare, solo esistendo. Ed era grata di tutto ciò che aveva ottenuto e per cui aveva combattuto finora, era soddisfatta di sé stessa, pur tenendo a mente ciò la strada che ancora aveva da percorrere.
Lungo tutto il tempo passato lì fuori, siccome sola con la notte, aveva potuto abbattere gli argini psicologici che contenevano ogni pensiero e sentimento che di giorno ed in compagnia di altre persone non poteva sfogare così liberamente o che comunque conveniva contenesse. Difatti ora si sentiva liberata da quel peso che le aveva reso il sonno difficile, sentiva di stare bene.
Finalmente raggiunto il buon umore, Ochaco rientrò, sistemò felpa e ciabatte, e si rimise a letto. Rimettersi sdraiata ricondusse alla sua mente il pensiero del turbamento che prima la opprimeva, ma ormai non le importava più. Certo, rimaneva quel fastidioso interrogativo ancora più che presente, ma ora sapeva, anzi percepiva, che sarebbe riuscita a dormire leggera. Avrebbe affrontato quel problema un’altra volta se si fosse rivelato necessario; ora poteva dormire.




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Spazio Autore:
Anzitutto vi ringrazio per essere giunti fin qui. Dovete sapere che ho lavorato a questa fanfiction per tutta l'estate e tutto settembre, solo nello scorso periodo mi è sembrato di essere vicino alla conclusione, ed effettivamente lo sono. Anzi, si potrebbe dire che io abbia finito, ma negli ultimi due capitoli ci sono ancora delle parti che non mi convincono appieno. Nel frattempo che attendo il parere di qualche amico e ci rifletto ancora su, ho deciso di pubblicare almeno il primo capitolo, che avete appena letto. Spero vi sia piaciuto. Il personaggio di Ochaco non mi ha mai soddisfatto del tutto, dunque ho voluto cercare di conferirle una profondità maggiore rispetto a quella da me percepita, e per questo motivo sono finito col riversare nella sua caratterizzazione psicologica una parte importante di me. Spero che ne sia venuto fuori qualcosa di gradevole, io non lo so più dire: quando si lavora così tanto ad un testo, ad un certo punto non si riesce più a vederlo con gli occhi di qualcuno che non lo conosce e lo approccia per la prima volta. Tutto questo per dire: non so cosa ne sia venuto fuori. Ed a questo proposito, ogni commento, parere, opinione, anche se breve, mi è davvero d'aiuto e gratificherà il mio impegno. Vi ringrazio in anticipo e vi ringrazio nuovamente per avermi dedicato parte del vostro tempo. 
I prossimi capitoli non tarderanno ad uscire 😉
-Anonimo_21

 

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Capitolo 2
*** Due amiche ***


Quella giornata era stata esattamente come aveva pronosticato: assolutamente sfiancante. Ne erano una conferma i numerosi lamenti affaticati che riempivano ininterrottamente lo spogliatoio femminile della Palestra Gamma, all’interno della quale aveva avuto luogo l’allenamento odierno. Ochaco, dal canto suo, piuttosto che darsi sfogo in quel modo, si era persa fra quelle vorticose nubi che erano i suoi pensieri. Mentre riponeva il suo costume nell’apposita valigetta si rese conto che, nonostante pensasse di averci già fatto l’abitudine, continuava a stupirsi di come ogni volta la U.A. riuscisse a ribadire tutte le qualità per le quali era da anni ritenuta la miglior scuola per Heroes di tutto il Giappone, e forse la migliore al mondo. Di giorno in giorno le lezioni e gli allenamenti aumentavano d’intensità, o forse si trattava di un fattore percettivo: presumibilmente più andavano avanti, più loro studenti erano stanchi, ed ancor più lo diventavano con lo scorrere del tempo, dunque gli allenamenti erano sempre gli stessi, o forse erano stati programmati in un certo modo volontariamente… la verità era che non aveva la minima importanza. La bussola interiore di Ochaco, più che tutto, era orientata verso l’esame che si sarebbe tenuto fra qualche giorno, nel quale l’intera classe avrebbe cercato di ottenere la tanto agognata licenza temporanea da eroi. Si chiedeva, a parte la fatica, cosa passasse nella testa dei suoi compagni. Lei in particolare era spaccata a metà fra il desiderio che quella settimana terminasse, e con essa tutte le fatiche necessarie per il raggiungimento di quella dannata licenza, e l’ansia per la prova che avrebbero affrontato di lì a poco meno di una settimana. Quella forzata ricerca di una preferenza non era che un dubbio amletico assai fastidioso e completamente inutile, ma si concedeva di rimuginarci sopra poiché questo le permetteva di allontanare la mente da fatica e lavoro.
A proposito di allontanare il lavoro: con una conversazione avvenuta qualche ora prima, le ragazze avevano concordato che quella sera avrebbero passato del tempo tutte assieme. Se il giorno precedente avevano chiacchierato comodamente sedute sui divani dell’area comune del dormitorio, questa volta volevano rimanere nella camera di una di loro: intendevano fare a rotazione ed era il turno di Mina, la cui stanza si trovava al quarto piano del dormitorio, come quella di Ochaco. Ad ogni modo, la ragazza castana non si era resa conto che nel frattempo le ragazze l’avevano preceduta, e mentre lei se ne stava imbambolata fra i suoi pensieri, loro erano già uscite dagli spogliatoi, capì che doveva sbrigarsi e raggiungerle. Accidenti… due notti fa le era capitato di svegliarsi nel bel mezzo della notte e, siccome non riusciva a riprendere sonno, aveva deciso di prendere un po’ d’aria sul suo balcone. Alla fine era rimasta fuori forse fin troppo tempo, ed ora rimpiangeva quei preziosissimi minuti di sonno di cui si era volontariamente privata, poiché si era resa conto di essere molto più stanca del solito. Ne era una prova il fatto che lei fosse l’ultima ad uscire dagli spogliatoi, dato che non accadeva spesso. Smise di tergiversare, maledicendosi per essersi nuovamente persa a riflettere inutilmente, dunque chiuse la valigia, raccolse il suo zaino rosa, ed uscì lasciandosi andare la porta alle spalle.
Fuori, le sue compagne di classe la stavano aspettando: le raggiunse e insieme s’incamminarono verso la fermata del bus scolastico, il cui compito era quello di riportare gli studenti (principalmente quelli del corso per eroi) ai rispettivi dormitori dopo gli allenamenti nelle palestre che si trovavano in una diversa sezione della scuola, troppo distanti dalla loro destinazione perché si potesse percorrere il tragitto "a piedi", ossia servendosi del proprio quirk, in tempi utili per le lezioni, a seconda delle occasioni e degli orari. Il mezzo era già arrivato, in orario come sempre, in perfetto stile U.A. In un periodo normale sarebbe stato il professor Aizawa a decidere se gli studenti avrebbero raggiunto la Palestra Gamma, ossia la struttura che solitamente ospitava i loro allenamenti, per conto loro o a bordo di un bus scolastico, e ciò valeva sia per l'andata che per il ritorno: l'eroe neutralizzatore utilizzava questo metodo per appesantire, o alleggerire, ogni allenamento ai suoi studenti, cosicché essi fossero costretti a restare sempre all'erta ed ad abituarsi all'imprevedibilità di cui la vita di un eroe professionista è profondamente intrisa. Tuttavia, da quando la U.A. era finita al centro di polemiche, dubbi e lamentele di ogni tipo a causa delle spiacevoli situazioni di cui era ritenuta unica responsabile quali gli attacchi dell'Unione dei Villain alla U.S.J e nei terreni del gruppo delle Pussycats, il preside Nezu aveva deciso che ogni spostamento degli studenti in gruppo avrebbe dovuto essere controllato in maniera più rigorosa per banali questioni di sicurezza ed immagine mediatica. Dunque ora ogni viaggio di ritorno palestra-dormitorio di fine giornata avveniva obbligatoriamente in un autobus, per la gioia di un po’ tutti gli studenti, ed in particolare per quelli della 1-A che erano grati di avere una fatica in meno da compiere, dato il pesante periodo che stavano attraversando.
Nel tempo speso sull'autobus le ragazze chiacchierarono quel tanto che le loro stanche membra concedevano loro (e questo valeva per tutta la classe) anche con Ojiro, Koda, Kaminari e Tokoyami, che sedevano loro vicino. Ochaco era colpita dal semi-silenzio che regnava sovrano lungo tutto il mezzo, solitamente il brusio era molto più evidente, tuttavia era contenta di avere un’ulteriore conferma del fatto che la stanchezza era un problema che in quel periodo riguardava tutti quanti. Passò il breve viaggio di ritorno a guardare fuori dai finestrini ed a rivolgere una scarsa attenzione alle conversazioni sporadiche talvolta accennate da qualcuno.

E così dopo cena le ragazze effettivamente s’incontrarono nella stanza di Mina. Rimasero lì un’oretta e mezza a chiacchierare ed a spassarsela. Durante il ritiro nei boschi quelle studentesse e quegli studenti avevano già avuto un piacevole seppur faticoso (per motivi che non c’entravano direttamente con quella condizione) assaggio di cosa significasse vivere nello stesso luogo a stretto contatto gli uni con gli altri. Non si erano ancora abituate, né loro né i loro compagni maschi, a quella nuova convivenza scolastica, la quale era a tutti gli effetti obbligata. Riflettendoci, contro quegli ultimi terribili accadimenti da cui il Giappone era stato sconvolto non vi era contromisura migliore: era l’unica scelta da compiere, a prescindere dall’opinione singola di studenti e famiglie, favorevoli o contrari che fossero, le quali comunque avevano potuto decidere singolarmente se aderire all’iniziativa oppure andare a rivolgersi ad un altro istituto. Fortunatamente per il destino della U.A. erano poche le famiglie che avevano optato per la seconda opzione, tuttavia si trattava comunque di una perdita di studenti.
 Nonostante quest’alone oscuro che appesantiva quella condizione, la nuova esperienza cui erano obbligati gli alunni era comunque da loro senz’altro gradita. Andare a vivere con i propri amici più affiatati è un sogno assai comune fra gli adolescenti, e perlopiù loro non dovevano preoccuparsi di niente a livello economico-organizzativo: le spese erano tutte coperte dalla scuola, o per meglio dire dallo stato, dunque non c’erano problemi. Di certo a qualcuno pesava la maggiore distanza perenne dai propri genitori, dai parenti e dai vecchi amici che avevano intrapreso corsi diversi in altre scuole, ma il solo fatto di vivere a stretto contatto con persone della loro età generava in loro un’atmosfera di spensieratezza che solo un adolescente può conoscere e comprendere appieno. Ciononostante non erano nemmeno degli sprovveduti: erano perfettamente coscienti del motivo per il quale si trovavano tutti insieme in quel luogo, lontani dalle loro famiglie. Proprio per questa ragione tutti, chi più chi meno, cercavano di vedere il bicchiere mezzo pieno e di godersi tutti i piacevoli vantaggi di quella loro nuova condizione. Ecco perché, quella sera anche più del solito, le ragazze passarono insieme un sacco di tempo senza che se ne rendessero conto e bene o male restando lontane dalle loro preoccupazioni più intime. Risero un sacco alle battute idiote di Mina, ascoltarono gli aneddoti di YaoMomo colme di un divertito interesse ogni qualvolta lei cercasse di mascherare la sua provenienza da una classe sociale elevata fallendo miseramente, spettegolarono insieme seguendo la direzione di Tooru, sempre attenta ai vari gossip… non riuscirono a far cantare Kyoka che quella sera non se la sentiva molto. Ecco, quella fu l’unica nota storta, se così la si vuol chiamare, della serata, ma non era niente di che. E poi giocarono a giochi semplici come lo shiritori (ossia il gioco delle parole concatenate), volarono cuscinate violentemente scherzose e tanto altro ancora…
Giunse però, sotto astuto consiglio di YaoMomo (anche se a ben vedere si trattava più di un ordine) l’ora di tornare nelle rispettive camere, decisione appoggiata quasi all’unanimità, quantomeno sicuramente condivisa da Ochaco il cui senso di stanchezza non l’aveva abbandonata per tutta la sera, nonostante il divertimento. Percorrendo le scale del dormitorio ogni ragazza si dirigeva verso la propria camera spesso in coppia, dato che vi erano almeno due ragazze per ogni piano dell’edifico (escluso il secondo, che era vuoto), ragion per cui Momo si aspettava che Tsuyu sarebbe salita con lei, difatti la stava attendendo in procinto di salire le scale. La ragazza-rana invece si era inaspettatamente fermata poco prima. Quando la sua compagna di piano la chiamò rivolgendole perplessa una domanda implicita, lei le rispose di non preoccuparsi e di salire senza di lei.
“Volevo parlare un secondo con Ochaco.” 
“Ah capisco, allora buonanotte!”
“Buonanotte Momo.”
La ragazza-rana rivolse alla mora un cenno di saluto con la mano sinistra mentre con l’altra bussava tre volte alla porta di Ochaco, la quale era già tornata in camera e difatti, dopo qualche secondo, aprì la porta.
“Ciao Ochaco.” – La ragazza non si aspettava una sua visita a quell’ora.
“Ehi Tsuyu.” –  La salutò con fare interrogativo.
“Scusa se vengo qui a quest’ora, ma volevo parlarti.”
“Ah… beh entra.”
La padrona di casa, o meglio, della camera fece capire all’amica che poteva sedersi sul suo letto con un cenno della mano destra, nel mentre la sinistra era impegnata a strofinare l’occhio sinistro con veemenza. Purtroppo il tavolino sul quale era solita prendere il thé era dotato di una sedia soltanto, esattamente come la sua scrivania, perciò dovevano accontentarsi del letto se volevano parlare guardandosi in faccia comodamente.
Mentre chiudeva la porta sbadigliando esordì: “Allora dimmi pure.”
La ragazza dai capelli verdi attese che la compagna prendesse posto affianco a lei per poi rompere gli indugi ed andare dritta al punto, come suo solito: “Come sai Ochaco io sono una persona che dice sempre tutto quello che pensa”.
“Di recente ti ho vista sempre più pensierosa, talvolta distaccata e mi stavo chiedendo come mai, poi, ieri sera… beh a dirla tutta già lo sospettavo ma è diventato ovvio.”

Tsuyu faceva riferimento a quando la sera precedente le ragazze chiacchieravano comodamente sedute sui divani dell’area comune, momento che, doveva ammettere, anche Ochaco ricordava molto bene. Durante quella conversazione, poiché alle altre sembrava che lei fosse particolarmente distratta, Mina le aveva chiesto cosa avesse e lei aveva detto di sentire “come una sensazione di vuoto dentro”. Allora l’amica era saltata a conclusioni affrettate sostenendo che la ragazza fosse innamorata di qualcuno: ironia della sorte, ci aveva preso ma non poteva saperlo.
“Chi è il fortunato? Izuku o Iida?” le aveva chiesto.
Per l’imbarazzo lei si era coperta il volto con le mani, mettendosi involontariamente a fluttuare per la sala negando tutto, mentre le gote le divenivano un’unica sfumatura di rosso acceso. Mina e Kyoka avevano cercato di farle sputare il rospo ma non avevano ottenuto la risposta da loro cercata, dopo di che era intervenuta proprio la ragazza-rana, affermando che “non stesse bene impicciarsi”, indirettamente appoggiata da YaoMomo, che, come di consueto, ricordava a tutte che si era fatto tardi e sarebbe stato meglio se fossero andate a dormire. E così, mentre le ragazze si avviavano verso le loro camere, Ochaco, guardando fuori dalla vetrata, aveva notato Izuku intento ad allenarsi nonostante l’ora tarda, e si era persa a guardarlo per chissà quanto tempo senza nemmeno accorgersene.

A ripensarci la ragazza castana si sentiva riempire dall’imbarazzo… non sapeva nemmeno lei come avesse fatto, era stata veramente una stupida, per non parlare delle risposte per nulla credibili che aveva dato ai quesiti delle ragazze. Ad ogni modo aveva già intuito dove l’amica sarebbe andata a parare nell’attuale conversazione, difatti la vide avvicinarsi l’indice della mano destra vicino alla bocca come faceva sempre prima di porre una domanda, di cui, questa volta, pensava di conoscere in anticipo il contenuto, quantomeno per sommi capi.
“Ti sei resa conto di esserti letteralmente imbambolata a fissare Midoriya dalla finestra in quel modo strano subito dopo quello che le altre avevano detto?”
Scacco matto. Era stata beccata. Già sospettava che qualcuno se ne fosse accorto ma quella fu la prima conferma davvero incontrovertibile. Il tono mezzo divertito con cui Tsuyu aveva pronunciato la domanda la fece arrossire di vergogna.
Ochaco non riuscì a reagire dicendo qualcosa prima che l’amica l’anticipasse – “Sinceramente non capisco come abbiano fatto le altre a non accorgersene. Secondo me qualcuna ha capito ma non ha detto niente. D’altronde io ci sono arrivata, anche se avevo già qualche sospetto.”
“Ti prego non me ne parlare…” – disse affondando il viso color pomodoro nelle mani, questa volta però rimanendo attenta a non toccarsi con tutti e cinque i polpastrelli di ambedue le mani così da non attivare involontariamente il suo quirk, come invece era accaduto il giorno prima.
“Non so neanch’io come abbia fatto! È da un po’ di tempo che mi capita d’imbambolarmi in quel modo, prima solo ogni tanto, ma ora che viviamo qui tutti insieme mi accade molto più spesso.”
Sentendo Ochaco parlare con quel tono imbarazzato che solo lei sapeva fare, e che lei conosceva bene, la ragazza dai capelli verdi non riuscì più a trattenersi, era diventato impossibile. Scoppiò in una fragorosa risata condita da qualche occasionale “Cra” divertito. Ochaco, vedendo la sua amica, la quale non rideva spesso, ridere di lei, fu come colpita da uno schiaffo dritto al viso. Era scioccata, scioccata dal suo essere così tanto comicamente ingenua. Si era resa conto di quanto quella situazione facesse effettivamente ridere in senso positivo. Ripensò a tutte le volte nelle quali, dopo aver pensato a ciò che le aveva detto Aoyama, aveva avuto assunto atteggiamenti che non potevano che farla risultare quantomeno stravagante, per non dire bizzarra, agli occhi altrui. Era già successo troppe volte, ed in quel momento la ragazza castana fu convinta di aver capito cosa gli altri pensassero di lei quando si comportava in quei modi, anche se loro non ne conoscevano il motivo alla base: era comico. La risata dell’amica le fece capire qualcosa a cui mai prima aveva pensato: era ingenua, genuinamente, comicamente ingenua. Per questo motivo sul suo volto si formò un sorriso che dopo un attimo si tramutò in una risata lunga quanto quella della ragazza-rana. Andarono avanti almeno trenta secondi buoni, prima che Tsuyu, asciugandosi una lacrima divertita dal viso, parlasse di nuovo  –  “Cra. E dire che prima di ieri sera pensavo fosse qualcosa di grave. Sei una sagoma.”
Smise del tutto di ridere, ed Ochaco con lei poco dopo, poi la sua espressione si fece più seria  –  ”Sai Ochaco? Non ho ancora avuto modo di ringraziarti come si deve per avermi aiutata, una settimana fa.”
La ragazza castana non si aspettava che il discorso prendesse una piega simile così apparentemente diversa dalla precedente, il suo viso pareva perplesso, non aveva compreso subito a quale avvenimento l’altra stesse facendo riferimento  –  ”Di che parli?” – “Di ciò che è successo con Todoroki, Kirishima e gli altri…”

Parlava di quando, come classe, radunati dinanzi al letto in cui giaceva Midoriya ancora ferito, avevano discusso e valutato di un eventuale loro tentativo di salvare Bakugo, catturato dall’unione dei Villain durante l’attacco avvenuto durante il ritiro nei boschi. Midoriya, Todoroki e Kirishima erano fermamente convinti di non poter rimanere con le mani in quella situazione, dunque avevano deciso di agire all’insaputa di professori, adulti e qualsiasi altra autorità. Tsuyu invece si era opposta, tentando di farli desistere dai loro intenti, cercando di far capire loro che agire al di sopra delle regole come avevano intenzione di fare avrebbe reso loro e le loro azioni moralmente equivalenti agli stessi criminali contro cui centinaia di valorosi eroi combattevano faticosamente ogni giorno. Le sue parole, per quanto razionali, non avevano riportato i risultati sperati. I suoi compagni erano troppo determinati e per di più incapaci di mettere a tacere il senso di colpa che li attanagliava: sarebbero andati avanti per la loro strada, ma lei lo avrebbe scoperto solo più tardi.
Alla fine, sbagliando, nessuno di coloro che avevano assistito e partecipato al dibattito aveva denunciato gli intenti dei compagni ai docenti o a qualche autorità: quello era il motivo per cui il professor Aizawa li aveva severamente ripresi ed aveva rivelato loro che se le cose fossero andate diversamente lui non si sarebbe fatto problemi ad espellere tutta la classe all’infuori di Bakugo, Jiro e Hagakure: il primo per ovvi motivi, le seconde poiché quel giorno erano ancora ricoverate in quello stesso ospedale e dunque non potevano essere coinvolte nel misfatto o colpevoli di esso a prescindere. Ad ogni modo la ragazza-rana, riflettendoci a posteriori, riteneva di aver rivolto contro i suoi compagni parole fin troppo dure, dato che la loro iniziativa, per quanto azzardata e parecchio rischiosa, era andata a buon fine. Poco importava quanto avesse detto riguardo quella bravata l’eroe neutralizzatore, il quale le aveva di fatto dato ragione in maniera indiretta, pur non sapendolo e ritenendola comunque responsabile di quell’omertoso silenzio di classe tanto quanto gli altri; lei si sentiva lo stesso in errore per ciò che aveva detto.
A seguito di tutto ciò, Tsuyu non era riuscita ad eliminare i di sensi di colpa. Non era riuscita a godersi la loro prima giornata nel dormitorio come gruppo proprio a causa di essi. Quella sera non se l’era sentita di passare del tempo con i suoi compagni: non sarebbe riuscita a divertirsi e chiacchierare con i suoi amici come se non avesse mai rivolto loro parole a suo giudizio tanto pesanti. Dunque si era ritirata nella sua stanza, perdendosi così “il torneo delle camere”. Quando Ochaco era andata a bussare alla stanza della ragazza dai capelli verdi per chiederle se volesse unirsi a lei ed agli altri Tsuyu aveva rifiutato, spiegandole come mai preferisse passare la serata da sola anziché con i compagni.
Durante il giro delle camere i pensieri di Ochaco erano più volte corsi verso l'amica ed il suo triste stato d’animo. Capiva quel sentimento di colpevolezza, e le dispiaceva che l'amica soffrisse tanto per ciò che aveva detto. Dopo che la visita delle camere era terminata, la ragazza castana aveva deciso di andare un'altra volta da Tsuyu per vedere come stesse, ed aveva fatto bene: l'amica, dopo averle aperto, aveva ceduto ed era scoppiata in lacrime. Ochaco era rimasta colpita da quel pianto che le aveva mostrato in tutto e per tutto l'entità di ciò che la ragazza dai capelli verdi sentiva, entità che forse aveva sottovalutato come non avrebbe dovuto fare: aveva abbracciato e consolato la ragazza-rana, poi le due avevano parlato. Nel corso della serata che aveva passato da sola in camera Tsuyu aveva compreso che non doveva cercare un modo per convivere con quel senso di colpa, doveva solamente liberarsene al più presto, era la scelta migliore. Doveva andare incontro alle sue responsabilità e alle sue colpe verso i suoi amici, chiedendo il loro perdono nella speranza di poter così tornare a divertirsi e chiacchierare con loro tranquillamente, come aveva sempre fatto. Dunque, dopo essersi calmata, aveva comunicato ad Ochaco la sua decisione e le aveva chiesto di andare a chiamare per lei Izuku, Todoroki, Tenya, YaoMomo e Kirishima, affinché potesse scusarsi con loro per averli paragonati a dei criminali.
Dopo l’elezione di Sato a “Re delle camere”, i sette ragazzi si erano trovati ai piedi del loro dormitorio, dove aveva avuto luogo la fatidica conversazione, la quale era terminata fra le lacrime di quasi tutti. I suoi compagni avevano compreso i suoi sentimenti e accettato quelle scuse così sincere, scusandosi a loro volta per le loro azioni e ringraziandola per aver parlato con loro di tutto ciò. Tsuyu capì di aver compiuto la scelta giusta. E così i sette ragazzi avevano messo una pietra sopra quegli eventi. Finalmente, tutti avrebbero potuto cercare di ricostruire la loro normalità, nel tentativo di lasciarsi definitivamente alle spalle quel periodo tanto travagliato.

"Ah, capisco…" – Ochaco si era rabbuiata pensando a quella vicenda spiacevole – "In realtà non c'è bisogno di ringraziarmi: ti ho vista sofferente e mi sono preoccupata, niente di più. Sono contenta di come sia finita, nonostante tutto."
Tsuyu fissò i suoi occhi raneschi in quelli dell'amica  –  "Cra. Anch'io. Proprio per questo volevo ringraziarti per avermi aiutata. Hai pensato a come stessi e ti sei preoccupata per me.” – "Appunto ora mi sembrava che fossi tu quella bisognosa di una mano, e volevo restituirti il favore. Cra."
Ochaco ebbe l'impressione che l'amica le avesse detto qualcosa di molto importante, al di là della dichiarazione di affette e sincera preoccupazione per lei, che senz’altro le aveva fatto piacere…
“Ti ringrazio davvero molto Tsuyu, sei un’amica." –  Fece una pausa per riflettere un secondo, poi continuò – "In effetti c'è una cosa che mi fa stare male ma… è difficile, più che altro strano, perché non capisco bene neanche io in realtà. Cerco di spiegarti..."
Tsuyu annuì ranescamente, sperando di poter essere utile.
"Sicuramente è faticoso reprimere ciò che provo ma devo farlo, altrimenti mi distraggo e m'imbambolo come hai visto.”
 "Addirittura? È strano."
La ragazza castana si portò la mano sinistra dietro la testa ed accennò un sorriso  –  "Eh già… ma a quanto pare è così." –  "Mi preoccupo molto ogni volta che Izuku si fa male. Lui è sempre così convinto di voler salvare tutti che ogni volta si riduce in condizioni sempre peggiori e… vorrei che non accadesse più, ma so che è impossibile… Non so cosa fare sinceramente…” – seguì un silenzio di rassegnata riflessione per quanto riguardava Ochaco, nell'attesa che l'amica esponesse la sua opinione in merito.
"Ah capisco… Beh, il tuo in realtà è un sentimento positivo. Non c'è niente di male nel preoccuparsi per qualcuno, soprattutto se si tratta di qualcuno a cui si tiene." – Lo sguardo di Tsuyu trasmetteva una cristallina comprensione, che la ragazza castana colse. Annuì debolmente con una punta di sollievo, poiché era contenta di sentirsi confermare un qualcosa che già pensava. L'amica poi continuò: "E poi… è normale che accada: Izuku si butta sempre anche quando sarebbe più saggio evitare. Se qualcuno si trova in pericolo, niente e nessuno può contenere la sua forza di volontà. Che di per sé… è una cosa buona. L'unico problema è che quando si cerca di salvare tutti pensando solo a quell’obiettivo come fa lui, si finisce col dimenticarsi di sé stessi e di ogni rischio...”
Tale constatazione era tutto sommato semplice, eppure ad Ochaco, dopo aver sentito quanto aveva detto la ragazza-rana, tornò improvvisamente in mente un episodio per lei molto importante della sua infanzia, del quale per qualche motivo aveva rimosso il ricordo fino a quel momento…
Una folla di persone si era raccolta lungo il bordo di una strada, tutti osservavano un eroe che stava affrontando un villain. Lei si trovava in mezzo a quelle persone tanto più alte di lei, suo padre le teneva una mano sulla spalla per rassicurarla, e come lui anche sua madre le stava a fianco. La sua mente di bambina cercava di processare quello che stava accadendo, ma non ci riusciva, era tutto troppo veloce per lei: l’eroe vinse la sua battaglia, e decine di grida di esultanza si levarono verso il cielo azzurro. Nemmeno allora capì come dovesse comportarsi. Solo quando, voltandosi, vide la gioia che aveva pervaso anche i volti dei suoi genitori assunse quello che da quel momento in poi sarebbe diventato il più solare e tipico dei suoi sorrisi.
Quella fu la prima volta che vide un eroe in azione. Imparò ad amare la gioia che eventi del genere regalavano a lei ed a coloro che la circondavano. Tuttavia, già a seguito di quell’episodio nella sua neonata coscienza aveva preso vita anche un vasto dubbio che non sarebbe mai scomparso, ma che si sarebbe invece limitato a rimanere sopito fino a qualche tempo prima. Gli ultimi eventi della vita di Ochaco avevano fatto si che esso prendesse nuovamente forma nella mente della ragazza, che, finalmente, ne aveva carpito la presenza ma soprattutto la natura gravosa. Era quello l'interrogativo che la inquietava, non poteva che essere quello, ora che ci rifletteva meglio. E pensare che lo si poteva ridurre ad una sola domanda…
Chi protegge un eroe, quando è lui ad essere in difficoltà?”

Ochaco ebbe l’impressione che un intricato rompicapo si fosse risolto nella sua mente. Era come se la soluzione a quel problema fosse sempre stata lì ma lei non l’avesse mai notata, ed ora che Tsuyu con le parole l’aveva aiutata a raggiungerla la ragazza castana stava subendo uno shock pari a quello che scaturisce quando si viene colpiti da una porta in pieno volto all’improvviso. Finalmente aveva scovato le radici di quel suo dubbio, ed aveva compreso che lei non era solo infatuata. Lo era già stata in passato, alle medie, ma questa volta c’era qualcosa di diverso di cui finora non si era accorta minimamente, a cui non aveva pensato per nulla. Lei amava Izuku e gli era grata di tutto ciò che faceva, tutti gli aiuti che aveva dato a lei, a tutti e tutto il resto, tuttavia, era più che semplicemente innamorata di lui: lei voleva proteggerlo.
Era così semplice. Così semplice da lasciarla di stucco per tre secondi buoni, difatti la ragazza dai capelli verdi si era resa conto che, dopo la sua ultima frase e forse proprio a causa di essa, la sua amica sembrava avere la testa fra le nuvole: le pupille le si erano spalancate e le si era come illuminato il viso. La ragazza-rana se n’era accorta.
“Ochaco? Tutt’a un tratto la tua espressione è cambiata di colpo…”
Lei, invece, non se n’era nemmeno accorta. – “Ah davvero? Non ci avevo fatto caso” – Ed era vero. Eccome se lo era, ora che ci pensava. Si sentiva proprio meglio, finalmente aveva capito. Ma che cosa avrebbe fatto adesso? A causa di questo quesito il suo cervello era andato come su di giri, poiché stava pensando a troppe cose contemporaneamente e non riusciva più a concentrarsi su nulla di specifico. Non riusciva a capacitarsi di ciò che aveva capito ed al contempo era stupita di non esserci arrivata prima, sentendosi chiaramente molto stupida. Nella sua testa era tutto molto confuso, l’unica cosa di cui era certa era che ora si sentiva meglio, decisamente meglio. Cercò di riafferrare un qualche sprazzo di razionalità e lucidità, entrambe mancanti data l’ora tarda e la sua premente stanchezza, così da mettere in fila ciò che ora doveva o pensava di dover fare. Innanzitutto doveva un qualche tipo di spiegazione a Tsuyu.
“Tsuyu, so che quello che sto per dire potrà sembrarti assurdo, ma… le tue parole mi hanno aiutata. Come ti dicevo, da un po’ di tempo  provavo un senso di inquietudine verso i miei sentimenti per Deku che mi faceva star male senza nemmeno che io ne capissi la ragione. Ora però penso di aver capito, e mi sento davvero molto meglio.” – Tradurre simili pensieri in parole non era affatto facile, e per di più appunto lei era molto stanca: il risultato era quello che era. La ragazza-rana dal canto suo non sapeva bene come reagire a tutto ciò, era quasi stranita, anche se era stata contagiata dall’aura di radiosa contentezza che ora l’altra sprigionava: a quanto pareva andava tutto bene, dunque poteva smettere di preoccuparsi. – “Wow, non me l’aspettavo. È stato davvero molto veloce. Beh, meglio così allora, sono contenta di averti aiutata. Cra.” – Ochaco la ringraziò nuovamente di cuore. Non aveva capito bene che cosa l’amica avesse sbrogliato nella sua testa, ma vedeva che stava meglio, ed era sinceramente contenta per lei. Le due concordarono di rimandare una più precisa spiegazione ad un altro momento, e di andare a dormire. Sulla soglia che separava la stanza ed il lato sinistro del corridoio del quarto piano si strinsero vicendevolmente in un abbraccio affettuoso e si diedero la buonanotte.

Non potevano saperlo, ma l’aiuto che le due si erano scambiate in quel periodo aveva sancito per il loro rapporto il raggiungimento di un nuovo livello di profondità e supporto reciproco, che sarebbe poi cresciuto sempre più nel corso del tempo. Da quel momento avrebbero condiviso sempre più esperienze insieme, a partire dall’apprendistato dalla Dragon Hero Ryukyu, e la loro amicizia si sarebbe rafforzata notevolmente. Erano davvero diventate due amiche.

Richiusa la porta della camera, mentre finiva di sistemare vestiti, quaderni e libri ed iniziava a prepararne di altri per il giorno successivo, Ochaco incominciò a riflettere in maniera più profonda sul suo nuovo status psicologico riguardo i sentimenti che provava per Izuku: si rese conto di sentirsi pervasa di una strana trepidazione, un’eccitazione degna di un thé assai ricco di teina come quelli che prendeva di solito al mattino per arginare e rimandare gli effetti del suo sonno incombente. Che tempismo assurdo, proprio ora che doveva decisamente andare a dormire si sentiva così allegra, così pimpante. Avrebbe dovuto essere infastidita, ma non lo era poiché un quel suo senso di dolce soddisfazione copriva tutto il resto. E su queste note di contentezza, la ragazza finì di sistemare ciò che doveva e si mise a letto. Fortunatamente, si addormentò prima di quanto avesse immaginato, ed il suo fu un sonno completamente privo di disturbi, come non ne faceva da un po’.



 

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Spazio autore:
Ci è voluto più tempo di quanto avessi previsto ma eccomi tornato con il secondo capitolo. A posteriori devo dire che ho decisamente fatto bene ad attendere di pubblicarlo, poiché questo capitolo (ed in particolare il terzo) avevano ancora bisogno di una massiccia levigazione conclusiva, la quale ha portato degli ottimi frutti. Per quanto riguarda questo capitolo mi sono sbizzarrito nel tentare di rendere la vita alla U.A. concreta, dettagliata, reale com'è la vita che tutti viviamo: ho inserito molti dettagli di fatto supplementari che spero siano stati di vostro gradimento. 
Come sempre vi ringrazio per il tempo che mi avete dedicato leggendo questo mio scritto, e sono sempre curioso di conoscere il parere di chi legge quanto scrivo. 
A questo punto rimane solo il terzo ed ultimo capitolo, che ho ancora intenzione di rifinire (più che altro ricontrollare) un'ultima volta prima di pubblicare. 
Questa fanfiction mi avrà preso in totale (fra inizio scrittura e fine pubblicazione) circa cinque mesi. Mi fa strano pensare di essere vicino alla fine, ma tant'è.
Alla prossima.
-Anonimo_21 

 

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Capitolo 3
*** Come fossero stati due stelle ***


Il sole iniziava a calare sempre più presto sul liceo U.A. L’estate se ne stava andando a passo lento, portando via con sé il suo tipico abbondante calore insieme a tutti gli accadimenti dai quali era stata animata. Che il ritiro di All Might fosse avvenuto in quel periodo era quasi emblematico: il Simbolo della Pace aveva esaurito la sua luce durante la più luminosa fra le stagioni. Ora si avvicinava inesorabile l’avvento dell’inverno, che si prospettava essere uno dei più ardui mai affrontati dal Giappone nei precedenti quarant’anni, e non di certo per via delle basse temperature. La fiaccola che aveva indicato la strada da seguire, che era stata una guida ferma, forte, non c’era più. Era necessario riorganizzarsi, cercare nuovi riferimenti, continuare a crederci, ed ognuno doveva contribuire alla causa mediante i propri sforzi individuali, spingendosi a dare sempre il massimo ed anche di più.
Era proprio quello che facevano gli studenti della 1-A, i quali a breve avrebbero affrontato l’esame per l’ottenimento della licenza temporanea da eroi, sul quale stavano dunque concentrando tutti i loro sforzi. Ecco perché quella sera, nonostante non fosse così tardi, l’area comune del loro dormitorio si era già svuotata in buona parte. Fra i pochi rimasti, evidentemente non ancora sufficientemente assonati, vi erano Sero, Kaminari, Kyoka, Tsuyu, Ojiro e Tokoyami, comodamente stravaccati sui divani color foglia nelle posizioni più particolari e facilmente riconducibili alle loro individualità caratteriali; Ochaco era con loro.
Chiacchieravano di scuola, del più e del meno ed in generale degli ultimi accadimenti riguardanti il mondo degli eroi: in particolare si discusse della nuova posizione acquisita da Endeavor, il quale, anche se non era ancora stato ufficializzato, era divenuto il nuovo Number One Hero in seguito all’incidente di Kamino. Quella loro conversazione aveva potuto svolgersi solo perché Todoroki si era già ritirato in camera da letto, poiché, come aveva detto, aveva sonno: in classe più o meno tutti avevano avuto modo di comprendere per sommi capi la brutta aria che immaginavano tirasse in casa Todoroki, per questo motivo nessuno si osava mai a parlare troppo a lungo del Flame Hero in presenza del suo figlio ultimogenito, non per timore, bensì per rispetto. Anche Ochaco faceva parte di quel gruppetto di superstiti del sonno, sedeva di fianco a Kyoka, tuttavia la sua attenzione non era affatto concentrata sul dialogo in corso, per quanto interessante potesse essere. Da tutto il giorno si sentiva molto più distratta del solito, si sentiva quasi su di giri: effettivamente a pensarci non si spiegava come mai non si fosse anche lei ritirata nella sua stanza per dormire, visto quanto credeva di averne bisogno. Percepiva la stessa sensazione di quando, pronta a godersi un meritato riposo e dunque già rifilatasi sotto le coperte, rammentava di aver dimenticato qualcosa fuori posto, o di aver dimenticato di fare qualcosa che avrebbe dovuto fare: non riusciva più a non pensarci, finché non si alzava faticosamente per andare a mettere a posto ciò che non lo era. Solo così sarebbe poi riuscita a riprendere sonno, conosceva bene quell’aspetto di sé. Tuttavia quella peculiare sensazione d’incompletezza quella sera aveva uno lato negativo ulteriore rispetto al solito, ossia che nemmeno lei credeva di sapere che cosa ci fosse da sistemare, né dove questo qualcosa andasse riposto.
Da quando aveva parlato con Tsuyu la sera precedente si sentiva diversa, più leggera, ma ora a legarla psicologicamente era comparso un nodo allo stomaco, che lei percepiva su di sé proprio fisicamente, perfino in quell’istante. Che riguardasse nuovamente Izuku? Lo riguardava di sicuro, ma non capiva in che modo. Non riuscire a spiegarsi quella situazione era veramente frustrante, anche se oramai un minimo ci aveva fatto l’abitudine, dato che le accadeva molto spesso evidentemente. Erano tanti gli aspetti di lei che ancora non capiva appieno, oramai si era arresa a questa verità incrollabile. Decise di farsene una ragione e di pensare piuttosto al futuro più immediato: dato che non riusciva più a seguire la conversazione causa stanchezza, il meglio che potesse fare per sé, obiettivamente parlando, era ritirarsi ed andare a dormire, o quantomeno cambiare ambiente. E così fece.
 Le toccò interrompere Ojiro, il quale stava esprimendo il suo apprezzamento nei confronti di Endeavor come figura professionale modello a cui ispirarsi. Fece poi il suo annuncio: “Scusatemi ragazzi, buonanotte, vado a dormire.” – disse mentre si alzava in piedi.
Tutti i presenti la salutarono e le augurarono una buonanotte, per poi riprendere a parlare stavolta di uno degli ultimi casi più eclatanti risolti dall’agenzia del Flame Hero.
Nonostante la sua decisione, avviandosi verso il corridoio che portava alle scale del dormitorio Ochaco percepì ancora più chiaramente che qualcosa non andasse. Si chiese dove fosse Izuku in quel momento. Lo aveva visto abbandonare l’area comune, ma non sapeva con certezza se fosse andato a dormire, probabilmente sperava che non fosse così. Quasi per istinto, deviò dal suo percorso e si avvicinò ad una di quelle stesse vetrate dalle quali, due sere prima, si era imbambolata a guardare il ragazzo, volendo verificare una sua supposizione, la quale si rivelò corretta: Izuku era nel giardino esterno del dormitorio, ad allenarsi al chiaro di luna nonostante l’ora tarda. In effetti, a pensarci meglio, era ovvio che fosse ancora lì. Quel ragazzo non perdeva un secondo per continuare a migliorarsi quanto più fosse possibile, e lei lo sapeva bene. Ancora una volta si perse nell’osservarlo leggere i suoi appunti, parlare con sé stesso come faceva sempre, provare questa o l’altra mossa, e poi correggersi, ricontrollare e riprovare, ancora ed ancora. In quei gesti così semplici Ochaco vide di nuovo quella caparbietà mite che tanto apprezzava. Quel ragazzo era forte, ma parte di quella forza apparteneva anche a lei, poiché egli era in grado di trasmettere quella sua forza a tutti: lei gliene era grata. Quando poi lo vide fermarsi, rallentare il respiro e sedersi su di quella scintillante erba verde come i suoi capelli, le fu improvvisamente chiaro dove quel nodo allo stomaco la stesse trascinando. La ragazza si mosse senza pensarci, diretta verso l’uscita principale del dormitorio. Si interruppe solo per voltarsi verso la direzione da cui ancora udiva arrivare le voci dei suoi compagni, sentendosi colpevole di aver detto loro che stesse andando a dormire per poi essersi contraddetta. In quel momento Tsuyu le lanciò un’occhiata, di cui lei si accorse. La stava guardando, ed a giudicare dal suo ranesco sguardo scrutatore, la ragazza-rana doveva aver capito ciò che passava per la testa dell’amica ed in generale in quei momenti: aveva notato il suo atteggiamento distratto di quella sera, diverso da quello che aveva visto nei giorni precedenti. Doveva poi aver riflettuto su quanto accaduto la sera precedente, mettendo così insieme ogni pezzo in suo possesso di quello stravagante puzzle. Ora riteneva di aver compreso dove la ragazza castana stesse andando, e ne inoltre poteva immaginare a grandi linee le intenzioni. Dunque le aveva lanciato un’occhiata che era evidentemente d’intesa e d‘approvazione. Ochaco l’aveva colta e le fu grata per la sua attenzione e preoccupazione, si segnò mentalmente di ringraziarla a parole in un secondo momento, poi si voltò e proseguì per il suo cammino.
Nonostante fosse ancora estate inoltrata di notte s’incominciava già ad avvertire una frescura ancora tranquilla e tranquillamente sopportabile. Ochaco si rese conto che c’era una bella differenza di temperatura fra l’interno e l’esterno del dormitorio: lì fuori si stava meglio.
Izuku era seduto sul prato con le spalle rivolte verso il dormitorio, il viso mirava in alto verso quella meravigliosa notte stellata. Non si era accorto della ragazza castana fino a quando questa non lo ebbe praticamente raggiunto.
“Accidenti Deku, allenarsi anche a quest’ora?! Ti ho visto poco fa.” – Non sapeva bene da dove le arrivassero quelle parole, ma, guardando alla piacevolezza della prospettiva di una conversazione con lui, non si pose il problema, non ne aveva il tempo. Si sentiva emozionata, per qualche motivo.
Izuku sobbalzò un poco nell’accorgersi dell’arrivo della ragazza, e si colorò il viso di un leggero rosso nello scoprire di essere stato visto allenarsi. Sfoderò un sorriso imbarazzato di quelli che gli venivano tanto naturali. – “Ma no, non era niente di che. Stavo solo rivedendo qualche appunto, sto cercando un modo per migliorare ancora lo shoot style. Ho di nuovo bisogno di qualche consiglio di Iida...”
“Beh, però mi sembra che tu abbia già fatto dei bei progressi.” – Ed era davvero colpita: Izuku aveva concepito quel nuovo stile di combattimento solo qualche giorno prima ed aveva già capito come muoversi, ciò che doveva migliorare e ciò per cui avrebbe avuto bisogno di un aiuto esterno proveniente da qualcuno con più esperienza in quel campo per lui ancora troppo ignoto. La brillantezza del ragazzo non smetteva di essere notevole, ma non voleva perdersi in certi pensieri proprio ora.
“Ti ringrazio Uraraka. E tu che fai qua fuori?” – Era un pensiero stupido da farsi, ma dopo l’incidente di Kamino, durante il quale aveva conosciuto la sensazione di terrore più profonda che avesse mai percepito, e dopo aver avuto la mente forzamento colmata da immagini rappresentanti la morte sua e degli amici che erano con lui in quell’occasione, Izuku aveva cominciato ad avere decisamente meno paura di tenere conversazioni con delle ragazze.
“Non ho troppo sonno e mi andava di prendere un po’ d’aria, inoltre da qui il cielo è davvero magnifico.” – Disse alzando la testa, gesto imitato anche dal ragazzo subito dopo. Il modo in cui lei pronunciò quella frase trasmise ad Izuku una sensazione particolare: egli percepiva come se ci fosse una sorta di sentimento nascosto dietro quelle parole, un qualcosa che non riusciva a comprendere. – “Hai ragione, ci stavo pensando anch’io.”
Non sapeva che cosa il suo istinto gli stesse suggerendo, ma una cosa l’aveva capita: con il calar della notte qualsiasi adolescente diventa più fragile, più incline ad aprirsi ed a parlare apertamente di sé. Si chiese se non fosse quello il caso, ma non seppe rispondersi con precisione. Gli pareva di aver riconosciuto quella situazione poiché qualcosa di analogo gli era già capitato in passato: dopo aver ricevuto il One For All aveva dovuto imparare a convivere con il segreto che si portava dentro, del quale non poteva mettere al corrente nemmeno la sua preoccupatissima madre, d’altronde, quello era il metodo migliore che ci fosse per tenerla al sicuro. Alla sera però, stanco com’era dopo gli allenamenti e lo studio di tutta una giornata, talvolta percepiva i suoi sentimenti negativi spingere per uscire in un grande sfogo unico, che non si era mai potuto permettere, e sarebbe stato così per sempre. Poteva parlare apertamente di certe cose solo ed unicamente con All Might, non c’erano discussioni. Oramai si era abituato a quella situazione, anche se a volte era molto difficile continuare a resistere, ma doveva farlo. Aveva sbagliato una volta sola parlandone con Kacchan, niente di più, e si era ripromesso di non commettere mai più un errore simile. Comunque sia, in quella situazione non doveva preoccuparsi di nient’altro: di tutto quello che non riguardasse la sua unicità e la sua condizione di nato senza quirk poteva parlare liberamente.
E mentre lui era immerso in quei pensieri, in un impeto di coraggio Ochaco si era seduta sull’erba di fianco a lui, ed ora entrambi contemplavano il cielo, che anche quella sera era meraviglioso e quasi totalmente privo di nuvole. Era veramente emozionante per lei poter condividere quel momento con il ragazzo. Adorava osservare la volta celeste, ma farlo con Izuku al suo fianco era ancora meglio: non percepiva altro che le loro due sagome e quella bellezza smisurata che avevano d'innanzi, tutto il resto era silente o sarebbe potuto non esistere affatto. Era come svegliarsi in un sogno. La leggiadria di tutte quelle sensazioni che aveva imparato a conoscere la travolse, amplificata dalla presenza dell'amato con lei, e si mischiò alle sue emozioni già da loro molto forti quella sera. A quel punto era fatta: Ochaco sentiva di non provare più paure o dubbi, non c’era più nulla a fermarla. Dopo poco abbassò lo sguardo, si voltò verso il ragazzo e disse – “Sai Deku… c’è una cosa di cui vorrei parlarti.” – Ed era vero. In un momento simile non riusciva più a tradurre verbalmente le emozioni che provava abbastanza rapidamente da interpretarle, dunque si era detta che tanto valeva mollare il timone e vedere dove quei sentimenti intrisi di audacia l’avrebbero portata.
Izuku non si aspettava quella svolta della conversazione ma non si fece problemi. –“Ah certo… dimmi pure.”
Lo sguardo della ragazza era ora rivolto verso il basso. Fece un bel respiro ad occhi chiusi per calmare il tremore che le scuoteva tutto il corpo, poi lì riaprii, e parlò: “Devi sapere che io… ti ammiro molto. Te l'ho già detto più volte ma… volevo farlo ancora. E ti voglio bene, davvero, dal profondo. Mi hai spinto ad andare avanti e migliorarmi come nessuno mai aveva fatto. Sei una brava persona, ed un aspirante eroe veramente degno." – In quel momento le tornarono alla mente le parole che Tsuyu le aveva rivolto la sera prima: “…quando si cerca di salvare tutti pensando solo a quell’obiettivo come fa lui, si finisce col dimenticarsi di sé stessi e di ogni rischio…" . Sapeva già che cosa avrebbe detto, quel ricordo ne fu solo la conferma ultima. – “Ma proprio per questo… mi preoccupo per te. Nel corso del tempo sei finito per ferirti gravemente più e più volte… Io mi sono chiesta… chi può salvare un eroe, quando è lui ad essere in difficoltà? E così ho capito che voglio proteggerti. Per me sei davvero importante, non voglio che ti accada niente…"
Pronunciate quelle parole, la sua voce tremante si spense, come una piccola scintilla che svanisce esaurendo la sua luce troppo fragile. Era incredibile che avesse detto tutto ciò, non ci credeva neanche lei del tutto, ma il suo cuore non poteva decisamente mentirle: batteva all'impazzata e per di più lei si sentiva il viso tiepido. Si chiedeva ardentemente che cosa sarebbe accaduto ora e quale risposta avrebbe ricevuto, a prescindere dalla natura della stessa. Ochaco si rese conto di non sapere nemmeno con quale forza stesse sostenendo lo sguardo di lui…

Il ragazzo, dal canto suo,era pervaso da un forte senso di stupore e meraviglia, ed il suo volto manifestava appieno quella condizione: non si sarebbe mai potuto aspettare una confessione simile. La sua amica gli aveva appena parlato a cuore aperto come nessun altro finora aveva mai fatto. Per la prima volta vide chiaramente la profonda complessità della ragazza castana: ogni persona ne ha una, in fin dei conti, ma fra essere soltanto cosciente della sua esistenza ed averne esperienza in maniera così diretta c'è una differenza notevole. Lei... era sinceramente preoccupata per lui, per il suo stato fisico, per il suo destino.
“Per me sei davvero importante, non voglio che ti accada niente.”
 Erano bastate quelle parole a fargli capire che da quel momento avrebbe potuto parlare apertamente anche lui, senza dover temere niente e nessuno: con Ochaco le sue insicurezze ed i suoi dubbi sarebbero stati al sicuro. Sentiva una struggente commozione crescergli in petto ogni secondo di più. Il suo era solo un sentimento, al quale decise di affidare tutto sé stesso. Le avrebbe risposto, ed avrebbe eguagliato la preziosa sincerità che aveva ricevuto in dono da lei. Mosso da queste emozioni, infine, parlò.
”Io… non so come ringraziarti… Non pensavo che tu mi ritenessi così importante per te, non pensavo di esserti stato tanto d'aiuto. Anche per me tu sei importante, ti voglio bene anch'io…" –  S'interruppe per asciugarsi una lacrima flebile. Non si era mai sentito così tanto apprezzato da qualcuno: la sua vita non era stata che un corollario di volte nelle quali, siccome lui era debole, qualcun altro risolveva i suoi problemi al posto suo. Ogni suo zoppicante passo era stato accompagnato da una qualche brava persona sinceramente interessata nel vederlo progredire, la quale lo aveva sorretto aiutandolo a non barcollare come fa una stampella per un ferito. E poi era caduto, più volte, e si era rialzato da sé, ma il suo obiettivo era sempre stato quello di poter, finalmente, camminare da solo, guadagnarsi l’indipendenza divenendo un eroe su cui gli altri davvero potessero contare, un eroe in grado di caricarsi le spalle del peso di chi non era in grado di salvarsi da sé, come lui era stato per tutt’una vita.
 "Ti ringrazio davvero per le tue parole gentili.” – Le disse poi.
 Ochaco era felice, nient’altro. Tutto il suo corpo tremava, accarezzato dalla brezza serale. Gettò il viso fra le mani per capire se si trovasse in un meraviglioso sogno o se invece era tutto vero. Probabilmente non sarebbe riuscita a parlare nemmeno se ci avesse provato. Aveva solo bisogno  di qualche secondo per realizzare, non riusciva a capacitarsi di quella situazione, non riusciva più a pensare lucidamente. Era come in estasi, come in un sogno.
E per Izuku, era lo stesso: anche lui teneva lo sguardo basso, incapace di sollevarlo ed andare oltre quel primo momento di travolgente emozione.
"Sai… nessuno mi aveva mai parlato così sinceramente. Sei la prima a farlo" – Le era davvero grato. Aveva compreso l'entità della fiducia che lei riponeva in lui, e ne andava fiero.  "Mi hai fatto pensare a mia madre: devi sapere che anche lei si preoccupa molto per me, ed io non ho tenuto conto dei suoi sentimenti troppo a lungo. Se non fosse intervenuto All Might lei mi avrebbe fatto cambiare scuola, per il mio bene. Non voleva che rischiassi un’altra volta di ferirmi gravemente in qualunque modo, e quella era la scelta migliore…" – poi continuò – “Tuttavia, sono contento di essere qui, ma non intendo più dimenticarmi delle preoccupazioni altrui, né le sue, né le tue, né quelle di nessun altro. Voglio diventare un eroe che non faccia preoccupare nessuno, ed è anche grazie all'aiuto che mi hai dato nel tempo se ho questa possibilità. D'altronde… anche il mio nome da eroe… è un tuo merito, ne vado fiero. Spero lo sia anche tu."
A sentire quelle parole Ochaco si sentì… sicura.
“Lo sono… lo sono sempre stata, a dirla tutta. Per me tu sei un esempio da seguire, Izuku...”
E non era solo colma di fierezza, ma era anche esterrefatta, estasiata. Non riusciva a capacitarsi di quanto fosse incantevole quel momento che stavano condividendo. Era ciò che aveva sempre sperato nelle pieghe più sottili di sé stessa, ed era molto meglio di qualsiasi immaginazione. C'erano solo loro due, le loro vere limpide identità esposte, atte a scambiarsi reciprocamente preoccupazioni, dubbi, ricordi, affetto, desideri. Oramai, nell'ambiente lì attorno, quei due brillavano di luce propria: tale era la percezione di Ochaco, che credette di vedere un fioco bagliore proveniente da loro stessi diffondersi sull'erba, nel cielo, ovunque, come fossero stati due stelle. Nella sua testa un'immagine radiosa stava assumendo dei contorni sempre più nitidi: un futuro possibile nel quale loro due, fianco a fianco ed immersi nella buia notte d'un mare in tempesta, si stagliavano come fari dalla luce calda e accogliente, pronti e decisi ad affrontare il male di tutto il mondo, salvando così chiunque potesse avere bisogno di aiuto, dovunque. Quello scenario mentale colmo di speranza la rese ancor più felice di quanto già non fosse: in fin dei conti quello era il suo obiettivo ultimo, ora che ci rifletteva. Era tutto ciò che poteva desiderare, ed era sicura che avrebbe corso, faticato, combattuto, per vederlo realizzarsi. Ora, non le restava che verificare se quel suo desiderio fosse corrisposto anche da colui che ne era il cardine.
“…Tu vuoi diventare un eroe che salva tutti, ed io voglio diventare un'eroina in grado di salvarti quando sarai tu a trovarti in difficoltà. Così facendo potremo salvarci a vicenda, come all’esame di ammissione. Che ne dici?” – Ochaco pronunciò quella domanda sussurrando, quasi non la sentì nemmeno lei.
“Certo, mi va benissimo… Accidenti… sembra passata una vita da quell’esame, sono successe così tante cose…” – Izuku si lasciò pervadere dai ricordi di tutte le avventure che avevano condiviso e proprio in quel momento, realizzò un fatto indiscutibile, un pensiero che non lasciava spazio ad alcun tipo di dubbio. Le porse il pugno chiuso. – “Sono contento di averti incontrata, Ochaco.”
La ragazza batté il suo pugno su quello di lui, quasi a sancire simbolicamente il loro accordo, e poi, incapace di contenere la gioia che aveva dentro, gli gettò quello stesso braccio al collo, stringendolo a sé. Lui ci rimase di sasso per qualche attimo, poi ricambiò l’abbraccio della ragazza. I loro corpi s'incastravano perfettamente, ed il calore che si stavano scambiando sapeva di protezione, serenità, casa…
Lo assaporarono con ogni fibra del loro essere. Dopodiché, la ragazza ruppe il silenzio paradisiaco:
 “Anch’io sono contenta di averti incontrato. Ogni giorno di più.”
Rimasero così per un po'...
 


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Spazio autore:
Siamo finalmente giunti alla fine. Ringrazio ancora una volta voi tutti per essere giunti fino al fondo di questo delirio durato quasi sei mesi in tutto. 
Questo è stato il mio primo testo dalla lunghezza più considerevole (attorno alle 11.700 parole): non ne avevo mai realizzato uno simile, perciò ho avuto modo di interfacciarmi per la prima volta con certe difficoltà dell'articolare una storia complessa (la mia tra l'altro è anche molto semplice come immagino avrete notato). Mi ha arricchito, anche se sono rimaste delle cose che avrei voluto rendere in maniera diversa, ma mi sono reso conto di non avere più voglia. In particolare, ho pensato che sarebbe stato carino specificare che questo finale si svolge in realtà la sera prima del giorno dell'esame, e che quindi i nostri due protagonisti si confortano anche in vista della prova per loro assai importante, ma questo dettaglio non mi è venuto in mente per tempo, ed ora il lavoro da fare per inserirlo e ri-sistemare tutto quanto sarebbe troppo. Ciò è anche dovuto al fatto che ultimamente mi è scomparsa del tutto la voglia di scrivere, non so come mai. 
La smetto di annoiarvi. Spero di avervi portati con successo in un viaggio all'interno del mondo di Boku no Hero Academia, che è veramente vasto già di suo ed offre un'incredibile quantità di spunti interessanti. Volevo allungare la vita a questo mondo immaginario: per me è stato semplice, mi è bastato mettermi a scrivere e cercare di immaginare come questo mondo funzionasse ed esso prendeva vita piano piano nella mia testa (andando fuori da quella che è la storia narrata da Horikoshi), per voi invece tutto questo non c'è stato, ma spero nonostante tutto che questo percorso vi sia piaciuto. 
Oggi sono inutilmente prolisso e poco chiaro nell'esprimermi, perdonatemi.
Alla prossima, vi auguro qualsiasi bene.
E per usare una formula a noi ben nota, vi saluto così:
"Sempre oltre il limite, Plus Ultra!"

-Anonimo_21 

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