new york philarmonic

di StagTree
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #11 ***
Capitolo 2: *** #27 ***



Capitolo 1
*** #11 ***


 

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  1. verde

 

“Non credevo che un angelo avrebbe festeggiato Halloween con questo fervore, fattelo dire.”

“Oh, ma perché no?” muove le dita, e alza, Aziraphale, con gli angoli della bocca, le guance paffute, in un sorriso che gli tocca e piega gli occhi, “E’ una festa tanto simpatica. E i bambini si divertono.”

Crowley alza le gambe e le piega, con le mani in tasca, per non calpestare le candele accese. “Sì, se ne vedono molti qui, in effetti,” dice, e annusa, “Ma cos’è 'sta roba, cannella?”

“E noce moscata, e chiodi di garofano.”

Aziraphale – che indossa un completo marrone, e un blazer a quadri – si sposta teneramente tra pile di libri per cercare, sullo scaffale di un basso mobile in legno d’ebano, un disco in vinile di Modest Mussorgsky. Si avvicina al suo grammofono, schivando una grossa zucca intagliata con un movimento di fianchi; spegne le luci del locale, e le fiamme delle candele seguono la scia del suo vento, e tremano, al ronzio minaccioso di archi e flauti traversi. Ascoltano la musica in silenzio – Crowley lo osserva ancora in piedi, mentre Aziraphale distrattamente canterella, a bocca chiusa.

“Morte sul Monte Calvo?”

“Leonard Bernstein, mio caro.”

Sta spostando dei libri dalla vetrina. Crowley lo guarda fare avanti e indietro due volte prima di prestarsi ad aiutarlo, senza convenevoli, e impreca quando – e non si reputa sbadato, di norma, ma se per il mondo eterno ha occhi di serpe, per la povertà umana è considerato semplicemente fotofobico – nella luce precaria di candele profumate, inciampa quasi su un’altra, un’ennesima, decorazione stagionale, e si concede un piccolo intervento diabolico per proteggere dal contatto col pavimento i libri caduti per terra.

“Sarà meglio se accendi la luce se hai intenzione di farmi sgobbare, eh, Aziraphale?” Ma Aziraphale non sembra farsi infastidire – dalla mancanza di luce, e da lui.

“Sciocchezze!” dice, con moderato entusiasmo, “Aggiungono all’atmosfera, non trovi?”

E Crowley sbuffa, “Sì, fantastico,” ma la luce non l’accende.

“E a tal proposito, ho una cosa da darti.”

Aziraphale sparisce per un minuto, o due – o tre, o quattro, ma l’orologio a cucù appeso alla parete è elegante e artigianale, non illuminato – e torna sorridendo, con una cassetta in legno incartata con cura con una pellicola di plastica trasparente, a buchi. Aziraphale gliele porge – sono mele – e Crowley appoggia i libri per terra.

“Sarebbe?”

“Mele Mutsu, o Crispin. Le raccolgono solo questo periodo dell’anno. Le ho trovate al Borough Market, l’altro giorno, e ho pensato alla prima volta che ci siamo conosciuti. Sono squisite, davvero! Dovresti provarle.”

Crowley le guarda e avvicina il naso – è difficile, discernerne l’odore, dagli aromi autunnali e nauseabondi delle candele – ma se non altro dall’aspetto, ne riconosce il pregio; acciglia, le sopracciglia, con dubbioso rigore, e poi lo scruta da dietro le scure lenti degli occhiali – e fa un commento che, nei pressi di un regalo, non si definirebbe educato, o riconoscente. “La mela di Eva non era verde.”

 

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Capitolo 2
*** #27 ***


 

  1. linea

 

Si aggira nel locale e viaggia, sulle scarpe di pelle, si sposta, tra un peccatore e l’altro. Stanno bevendo; Aziraphale non c’è. Oh, caro, scimmiotta – nella sua testa; sempre nella sua testa – non mi piace quella musica da (e fa una pausa, è caratteristica) da buzzurri. Buzzurri! Perché Aziraphale non comprende l’emozione di vedere una chitarra accarezzata come si deve, e peggio per lui, se non sa stare al passo coi tempi.

Stasera si beve, si dice; si tiene le mani in tasca e fa a spallate con chi è troppo fritto per muoversi con un permesso. Qualcuno gli dice, attento a dove vai, coglione, ed è un caso se si sbrodoli il Brandy sul maglione nuovo di cachemire. Crowley, in tutto questo, non deve muovere un dito: chi lo vede e lo sa, lo sa già. Quando arriva al bancone chiede il solito, e il solito è uno shottino di Johnnie Walker.

Il barista sta pulendo un calice da birra con uno straccio e la luce sul soffitto gli brilla sulla pelata quando gli chiede, “Mi è appena arrivato un Chianti.”

E Crowley risponde, “Bah,” guardando i cubetti di ghiaccio muoversi e strofinarsi tra di loro nel bicchiere, “Se volevo bere il Chianti me ne andavo in Toscana.” Lo gira un po’, e manda giù.

Il barista se ne va e fa una smorfia – e Crowley pensa che Aziraphale avrebbe apprezzato il Chianti comunque; che le sgridate che gli fa sulla buona educazione non sono sempre tempo perso. Ma non adesso; adesso Crowley pensa che sarebbe potuto essere più cortese. Pensa al povero barista, pensa – lo pensa con la sua voce, Crowley, e guarda il fondo vuoto del bicchiere con un piccolo broncio – il povero barista! Povero lavoratore! Le cose che deve sopportare quando vede tutti quei maleducati arrivare. Direbbe forse, anche, quegli ubriaconi!, con piccolo entusiasmo, e gli uscirebbe con l’esitazione di un bambino che dice una parolaccia per la prima volta. Crowley fa fatica, a far complimenti. Aziraphale insulta con la vaga vergogna dell’essere malvagio senza motivo; è mangiare il frutto proibito, scoprire le regole e darle in pasto ai cani.

Ne chiede un altro – un altro Johnnie Walker – e lo beve; poi ne chiede un altro, e lo beve. Poi ne chiede un altro – e prima di berlo si ferma a considerare se non abbia senso, o se abbia senso, sentirsi il fantasma di vaniglia attorno al collo, che gli chiude la gola. C’è una cover band di Bowie che suona Moonage Daydream. “Non male,” si sussurra, “Ma niente piffero,”; lascia lo shottino sul bancone e si alza, cammina verso bagno.

Vaniglia, pensa, bianco; non tutte le entità del Cielo si vestono di bianco, non per forza. La santità è bianca perché e pura, perché il bianco è un’assenza di colori. Giusto?

E cosa succede, Angelo, quando il bianco è così insipido da scheggiare le ossa? Apre il bagno coprendo la maniglia con un fazzoletto di stoffa, ed eccoli – gliela tiene aperta, ai buzzurri, gli ubriaconi!, che si puliscono sotto il naso con le maniche. Cosa succede quando l’oro diventa bianco, cosa, poi? Ce n’è ancora sul lavandino, i pochi granelli che erano troppo distratti pure per lavare via con l’acqua. Nessuno nasconde nulla, qui. “Anni settanta, baby,” Crowley dice, alla sua ombra sulle piastrelle.

 

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