Writober 2022

di NPC_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 1. Whistling ***
Capitolo 3: *** 2. Drowning ***
Capitolo 4: *** 3. Necklace ***
Capitolo 5: *** 4. Blizzard ***
Capitolo 6: *** 5. Fog ***
Capitolo 7: *** 6. Fangs ***
Capitolo 8: *** 7. Travel ***
Capitolo 9: *** 8. Break up ***
Capitolo 10: *** 9. Injuried ***
Capitolo 11: *** 10. Brainwashed ***
Capitolo 12: *** 11. Diner ***
Capitolo 13: *** 12. Roadtrip ***
Capitolo 14: *** 13. Hiking ***
Capitolo 15: *** 14. Pond ***
Capitolo 16: *** 15. First date ***
Capitolo 17: *** 16. Witch ***
Capitolo 18: *** 17. Accident ***
Capitolo 19: *** 18. Storm ***
Capitolo 20: *** 19. Fight ***
Capitolo 21: *** 20. Love ***
Capitolo 22: *** 21. Lost ***
Capitolo 23: *** 22. Forest ***
Capitolo 24: *** 23. 3AM ***
Capitolo 25: *** 24. Broken ***
Capitolo 26: *** 25. Mythical ***
Capitolo 27: *** 26. Folktale ***
Capitolo 28: *** 27. Discovery ***
Capitolo 29: *** 28. Wings ***
Capitolo 30: *** 29. Party ***
Capitolo 31: *** 30. Eerie ***
Capitolo 32: *** 31. Apocalypse ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


BENVENUTI!


Per il quarto anno di fila sto per affrontare la sfida del Writober.
Non so proprio se riuscirò a garantire una continuità, ma come sempre farò del mio meglio.

Quest'anno ho scelto una lista trovata su internet, la qualità dell'immagine era pessima e ho dovuto rifarla,
ma ho lasciato il credito all'autore o autrice (credo autrice) originale


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Indice dei capitoli:

1. Whistling - fantasy
2. Drowning - fantasy, song-fic
3. Necklace - fantasy
4. Blizzard - fantasy, lore
5. Fog - fantasy
6. Fangs - fantasy
7. Travel - fantasy
8. Break Up - sentimentale, triste
9. Injuried - fantasy
10. Brainwashed - fantasy, introspettivo
11. Diner - slice of life
12. Roadtrip - slice of life, fantasy, comico
13. Hiking - fantasy, triste
14. Pond - narrativa
15. First date - romantico, slice of life
16. Witch - fantasy
17. Accident - comico
18. Storm - romantico (seguito di Pond)
19. Fight - fantasy
20. Love - introspettivo, triste (seguito di Drowning, Pond e Storm)
21. Lost - lore
22. Forest - fantasy
23. 3AM - introspettivo, fantasy
24. Broken - fantasy
25. Mythical - fantasy, lore
26. Folktale - fluff
27. Discovery - fantasy, lore
28. Wings - fluff, comico
29. Party - fantasy, comico (seguito di Witch)
30. Eerie - fantasy
31. Apocalypse - lore, fantasy (sequel di Discovery)


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Capitolo 2
*** 1. Whistling ***


Genere: Fantasy
Personaggi: Daren, Faerinaal (citato), Karasel (citata), altri
Note: storia vagamente legata ad Abyss e con riferimenti a dinamiche e personaggi introdotti in Jolly Adventures

1. Whistling


1375 DR, Corte delle Stelle, semipiano contiguo ai Cancelli della Luna

"Che cosa dobbiamo fare con lui?" Il firre aveva un'aria stanca, la sua pelle solitamente tonica e perfetta appariva grigia e smorta, i capelli di fuoco brillavano sempre con la stessa intensità ma ormai proiettavano ombre più profonde sul suo volto scarno. La creatura simile a un elfo era in realtà un celestiale, un eladrin del reame fatato.[1]
"Hai notato qualche anomalia nel suo comportamento?" La sua collega, una ghaele dai fluenti i capelli verdi come il muschio, scosse la testa facendo tintinnare le perline di metallo che chiudevano le sue trecce. "Perché io per ora non so cosa fare con lui. Insomma, a regola dovremmo distruggerlo, è un elfo scuro, un non morto, si è introdotto chissà come nel nostro regno e ha ancora addosso la puzza dei demoni."
"Il suo comportamento è un'anomalia" replicò il firre. "Ti ricordo che non è arrivato da solo. Perché lord Faerinaal era con lui, e perché non si sveglia?”
“Il nostro povero principe” la ghaele abbassò il capo tristemente. “Ha una ferita contaminata da essenza demoniaca, ma la regina Morwel lo sta curando, e so che riuscirà a riportarlo fra noi. Forse potrà dirci qualcosa in più, svelare l'arcano rappresentato dal nostro prigioniero.”
"Prego ogni momento che qualcuno prenda una decisione. Sto cominciando a desiderare una lunga vacanza" sospirò l'altro.
"Per quale ragione?" La ghaele lo guardò con i suoi occhi inespressivi, eppure indagatori. "Ti minaccia? Quali turpi oscenità escono dalla sua bocca?"
"Oh no, lui" l'eladrin celestiale strinse le mani intorno alla sua picca, a disagio "fischietta…"
La soldatessa sbatté le palpebre. "Come?"
"Fischietta" ripeté, prendendo coraggio.
"Una inquietante melodia sacrilega?"
"Uhm, no. Musica elfica. Un po' ipnotica, una variazione sul tema, ma decisamente elfica."
"…" la ghaele aprì la bocca per dire qualcosa. Poi la richiuse. Non voleva risultare sgradevole con il suo giovane sottoposto, ma alla fine trovò le parole. "È così terribile da farti desiderare di lasciare il tuo posto di guardia?"
"Fischietta tutto il tempo. Da quanto è qui?"
"Ma di cosa parli, amico mio? Il tempo non passa qui alla Corte delle Stelle."[2]
"Oh, no, passa. I nostri corpi non ne risentono, noi non invecchiamo, il tempo non ha effetto, ma ti assicuro che passa. Dopo aver ascoltato almeno cinquanta volte La fata e la luna non solo ci si rende conto del tempo che passa, ma si comincia anche a invidiare la mortalità."
"Non mi sembri per nulla in salute, Aegnir."
"A volte ho la sensazione che la mia mente sanguini" sussurrò lui, con occhi spiritati. "È brutto se spero che riesca ad evadere?"
"Sì, è molto brutto" confermò la ghaele. "Manderò qualcuno a sostituirti."
"Per il momento, Maër mi sta dando il cambio. Però ha detto che lo farà solo finché non torno, neppure lei lo sopporta."
"Manderò qualcuno a sostituire entrambi" decise la saggia eladrin. "Per fortuna a breve Karasel dovrebbe tornare da quella missione nel Piano Etereo. È sempre stata il braccio destro del principe Faerinaal, anche se lui non dovesse svegliarsi a breve lei ci aiuterà a prendere una decisione."
"O quello, o quantomeno ci fornirà della musica migliore" Aegnir cercò di scherzare, ma la piega delle sue labbra sembrava più il ghigno di un folle che il sorriso di un celestiale.

Lungo i corridoi del palazzo della regina Morwel, nei momenti di perfetto silenzio, si poteva udire la lontana eco di un fischiettio. Aegnir non era nemmeno perfettamente certo che fosse reale, forse era solo il parto della sua immaginazione. Un suono residuo che gli si era infilato nel cervello e non se ne sarebbe mai andato.
Quello che era certo era che, nella sua cella, il drow stava fischiettando. In qualsiasi momento. Aveva cominciato il giorno stesso della sua cattura e non aveva più smesso, se non una volta sola, dopo poche ore che aveva iniziato, per sorridere con cattiveria alle sue guardie e sussurrare: "Pensate che io sia prigioniero? Ah. Benvenuti nel mio inferno".



**********
Note:
[1] Nell'edizione 3.5 di D&D - su cui si basano le mie storie - e in edizioni precedenti, gli eladrin sono i Celestiali degli elfi, riassunti molto bene in questa pagina. Nella 4a edizione sono diventati la controparte fatata degli elfi, molto simili agli elfi alti o agli elfi grigi; in pratica, elfi che non hanno mai abbandonato il Feywild. In 5a edizione gli eladrin sono sempre elfi del Feywild, ma sono fortemente legati alle stagioni, potete leggere di loro in questa pagina (in inglese).
[2] Quando si suol dire che un Piano ha il tratto planare "Senza Tempo", non significa che letteralmente il tempo non passi - altrimenti gli incantesimi non avrebbero una durata e resterebbero attivi per sempre, non si potrebbe riposare e preparare incantesimi nuovi, ecc - vuol dire semplicemente che, e qui cito la SRD, "il tempo passa ancora, ma gli effetti del tempo si attenuano. Il modo in cui il tratto "senza tempo" può influenzare determinate attività o condizioni come la fame, la sete, l'invecchiamento, gli effetti del veleno e la guarigione varia da piano a piano. Il pericolo di un piano senza tempo è che una volta che si lascia un piano del genere per uno in cui il tempo scorre normalmente, condizioni come la fame e l'invecchiamento si verificano retroattivamente."

Nota dell'autrice: ho sempre voluto scrivere una storia in cui Daren tormenta il prossimo fischiettando senza posa la musica che sente in testa, condividendo generosamente la sua "maledizione" con gli altri. Potrebbero zittirlo con un incantesimo? Sì, ma Silenzio ha una durata limitata, andrebbe lanciato a ripetizione.

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Capitolo 3
*** 2. Drowning ***


Genere: fantasy, song-fic (la canzone è Loreley dei Blackmore's Night)
Personaggi: Yrga

2. Drowning


-643 DR, lago Ashane

Alcune storie sono state dimenticate perché appartengono a epoche remote. Migliaia di anni separano gli studiosi del presente dai misteri della magia Imaskari, o dai motivi che portarono i popoli elfici alle Guerre della Corona, o dagli antichi regni dei giganti che si contendevano l’alba del mondo contro schiere dei draghi.
Altre storie invece, sebbene non altrettanto remote, vengono dimenticate perché non c’è più nessuno a cui interessi raccontarle. È questo il caso del Narfell e del Raumathar, imperi di magia e portenti, fondati da popoli fratelli più o meno nello stesso periodo, e che come ogni coppia di imperi confinanti hanno dato sfogo alle loro usanze di buon vicinato fino ad annichilirsi a vicenda. Dopo ottocento anni di vita. Neppure la decenza di arrivare a un millennio. Un elfo avrebbe potuto vedere la nascita e la morte di questi imperi nel tempo di una vita, anche se avrebbe dovuto essere un elfo caparbiamente longevo.
In definitiva, non possono lamentarsi di non essere ben ricordati. Hanno disfatto tutto con le loro mani, e sull’antico territorio del Raumathar ora sorge la nazione del Thay, che in appena una manciata di secoli ha guadagnato una fama tanto sinistra da far pensare alla gente di essere lì da sempre. È l’effetto che fa, di solito, una terra governata da un lich…
Ma questa è un’altra storia.
La nostra storia ha luogo prima che il Narfell e il Raumathar venissero ai ferri corti, quando ancora intrattenevano dei tesi rapporti diplomatici e commerciali.
L’anno è quello dei Menestrelli Melodiosi, così il Calendario di Harptos ha rinominato il -643 DR, e il luogo è il Lago Ashane, il Lago delle Lacrime, in quella sua sponda meridionale che converge nel fiume Mulsantir. Una zona in cui le acque sono ingannevolmente calme vicino alle sponde, ma verso il centro del lago si sentono, forti, le correnti che vogliono diventare fiume. Ma questo è solo un riferimento geografico, dal momento che all’epoca di questa storia il lago Mulsantir formalmente non esisteva - non era stata ancora fondata la città di Mulsantir sulle sue sponde - e l’intero specchio d’acqua portava il nome di Lago Ashane.[1] Un lago vagamente a clessidra, con l’acqua che fluiva da nord a sud attraverso la pericolosa strettoia.
Era in quel luogo che molte barche naufragavano. Il Lago Ashane non aveva ancora guadagnato il triste nomignolo di Lago delle Lacrime (la guerra non era ancora scoppiata), ma i rapporti tesi fra le due grandi nazioni richiedevano un intenso flusso diplomatico, e non tutte quelle navi arrivavano a destinazione.

A Yrga non interessava affatto il balletto diplomatico degli umani. Una volta forse si era interessata di politica estera - era stata una donna acculturata, una studiosa, una cittadina di Narfell - ma ormai era semplicemente un’anima tormentata con un passato sempre più confuso.
Di tutto ciò che aveva imparato quando era viva non le importava più niente.
Adesso era una cantora spettrale, morta tra i flutti, e per i flutti cantava.

You would not believe your eyes, how a voice could hypnotize
Promises are only lies from Loreley
In a shade of mossy green, seashell in her hand
She was born the river queen, ne'er to grace the land…


Cantava per i flutti, perché le acque avevano fame. Non udivano la sua canzone, ma gli umani sì. Gli umani seguivano la sua voce e la cercavano, incuranti delle correnti, incuranti degli scogli.
Yrga ne prendeva un po' per sé. Volava, leggera e intangibile, sopra gli uomini che nuotavano a stento fra i resti delle loro navi, tentando di afferrare una trave, una tavola spezzata. Qualsiasi cosa li tenesse a galla fino a riva.
I più deboli li lasciava al fiume, al lago. I più forti, quelli che pretendevano di sopravvivere, se li prendeva lei.
Lo shock dell'acqua fredda permetteva loro di riprendere momentaneamente il controllo - quel tanto che bastava per assaporare la paura della morte - ma quando lei ricominciava a cantare per loro, volando sopra di loro, smettevano di nuovo di lottare.
La amavano.
Come lui non l'aveva mai amata.
Morivano per lei, mentre lui l'aveva lasciata morire.

And the winds would cry, and many men would die
And all the waves would bow down to the Loreley…
And the winds would cry, and many men would die
And all the waves would bow down to the Loreley…


Lei prendeva la loro voglia di vivere. Prendeva il loro amore per sé stessi. Il suo tocco strappava agli uomini perfino la consapevolezza di chi erano, di quanto valevano. Di quanto credevano di valere, perché ai suoi occhi già non valevano nulla. La sua era una promessa di eternità, che però nascondeva un amaro doppio senso. La morte è pur sempre eterna…
Ma non per un'amante tradita.
Non per Yrga.
Una cosa patetica come la morte non l'aveva fermata.
E invece loro… nessuno di loro era abbastanza forte da voler tornare. Lei non lo permetteva. Lei toglieva loro ogni forza d'animo nel momento della morte. Il fiume lo avrebbe avuti, li avrebbe custoditi per sempre. Così come custodiva il cadavere della giovane cantora, morta annegata molti anni prima a causa di un naufragio, dei suoi vestiti troppo pesanti, e di una mano che non si era tesa per lei.
L'unico pensiero che aveva riportato lo spirito di Yrga nel Piano Materiale e che l'aveva ancorato a quel luogo era la vendetta.
Vendetta su vittime innocenti, perché l'unico colpevole era già morto, si poteva uccidere una volta sola. Ma nessun uomo era mai davvero innocente. Ingannavano le donne con le loro promesse d'amore, e Yrga li ingannava con le sue.

Oh, the song of Loreley Charms the moon right from the sky...
She will get inside your mind, lovely Loreley…
When she cries "Be with me until the end of time"
You know you will ever be with your Loreley…

And the winds would cry, and many men would die
And all the waves would bow down to the Loreley...
And the winds would cry, and many men would die
And all the waves would bow down to the Loreley…



*******

Note:
[1] Mi stavo chiedendo “è nato prima il nome del lago o quello della città?”, sono andata a verificare e nella prima mappa ufficiale di Faerûn, in AD&D 1ed non sono citati né il lago né la città. Siccome è impossibile capire cosa abbia dato il nome a cosa, mi accontenterò del fatto che a livello editoriale un tempo non esistesse nessuno dei due.

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Capitolo 4
*** 3. Necklace ***


Genere: Fantasy
Personaggi: Oscar, Sinistra, Bennu, Yrga, Erika, famiglia Domedias, altri

3. Necklace

1349 DR, cittadina di Beregost

Mani scheletriche sfiorarono la tenera pelle, la carne morbida del neonato. Il tocco del non morto era freddo e senza vita. Forse il piccolo in qualche modo lo aveva percepito - che c'era qualcosa di strano, di innaturale, nell'adulto chino su di lui, che erano l'uno l'opposto dell'altro, natura e antinatura, vita e antivita - o forse, semplicemente, il tocco delle dita fredde non era ciò che si aspettava e l'aveva indisposto.
"Non piangere, creatura" la voce era crepitante, come un foglio di carta vecchia e fragile che viene accartocciato "questo sarà molto più odioso per me di quanto lo sarà per te…"
Prese un respiro profondo, anche se ovviamente non ne aveva bisogno. Era la forza dell'abitudine… ma se ne pentì subito. L'odore dei vivi a volte era rivoltante.
Odiava quel compito. Lo odiava, e si sentiva troppo superiore per dover fare una cosa del genere.
"Uhuh" s'inserì una voce sottile, spettrale, canzonatoria. Ma non c'era nessuno in vista. "Uhuhuh" ripeté lo spirito. Era una risatina, ma suonava falsa. "Qualche problema, mago? Avevi detto di averlo già fatto in passato."
Una figura umana ma semi-trasparente prese forma accanto al necropolitano, comparendo dal nulla silenziosa come un refolo d'aria. Se non avesse parlato, forse lui non si sarebbe accorto di lei, intento com'era nel suo compito.
Il bambino aveva ormai smesso di piangere.
"Sì, è vero che l'ho già fatto. Ma è stato secoli fa."
"Oh? Ma non è come andare a cavallo, che una volta imparato non si scorda mai?"
"No, Yrga, non è come andare a cavallo. Cambiare le fasce a un neonato è tante cose, ma non come andare a cavallo."
"Sei sicuro che vada allacciato proprio così…?" Inquisì la creatura incorporea, indicando il lavoro del collega con un dito.
"A questo punto non sono più sicuro di niente" ammise lui.
Il bambino gorgogliò, soddisfatto. Le dita fredde erano fastidiose, ma sentirsi di nuovo pulito era piacevole. Agitò le braccia e le gambe, e l'adulto davanti a lui fece uno scatto indietro, uscendo dal suo limitato campo visivo.
"Sinistra!" Abbaiò il mago. "Sinistra! Vieni qui e prendi questo coso!"
"Sì, padre" la donnina bionda, che fino a quel momento era rimasta al bordo della stanza vicino alla porta, si avvicinò al fasciatoio con la sua andatura lenta. Con grande cura sollevò il neonato e lo prese in braccio.
Il piccolo fece una smorfia. Altre mani fredde. Questa volta però il viso a cui quelle mani appartenevano era molto più rassicurante, quindi non scoppiò a piangere. Era un volto di donna, il volto che lui vedeva più spesso, e che l'abitudine stava rendendo piacevole.
Erano giorni che sentiva solo il tocco di mani fredde e ormai si stava quasi rassegnando, per quanto un neonato non abbia la padronanza di simili concetti. Si stava abituando, piuttosto, perché gli umani hanno una grandissima capacità di adattamento. Così come si stava abituando a vivere in un luogo con una concentrazione di energia negativa che, sebbene non ancora ostile alla vita, era superiore alla media nel mondo dei vivi.

* * *


"Bennu, hai trovato qualcosa in merito alla collana?" Il necropolitano andò dritto al sodo. Voleva sbarazzarsi del bambino il prima possibile, e il modo più veloce era trovare una connessione fra la collana che avevano messo nella sua cesta e la sua possibile famiglia di origine.
Chiunque fosse stato a lasciare quel bambino davanti alla loro porta aveva fatto una scelta veramente stupida. Non tanto perché gli occupanti di quell'edificio fossero dei non morti - nessuno poteva saperlo, nascondevano bene la loro identità - quanto piuttosto perché avevano lasciato un bambino, in forma anonima, davanti a un'agenzia investigativa. Che senso poteva avere? Sarebbero bastati pochi giorni per trovare la famiglia del piccolo… in realtà sarebbero bastate poche ore se solo l'incantesimo di divinazione sulla collana avesse funzionato. Invece, chiunque fosse il precedente proprietario, era impenetrabile alla magia. L'agenzia investigativa aveva dovuto ricorrere a metodi più classici, come le ricerche araldiche. Il ciondolo che spiccava fra le perle recava uno stemma nobiliare legato alla città di Waterdeep. Il bambino era probabilmente un figlio bastardo di qualche nobile di Waterdeep, ma come ci era finito nella lontana cittadina di Beregost? Chi ce lo aveva portato? Perché non lo avevano lasciato davanti alla porta della villa del sindaco, come da tradizione?
E se invece fosse stato rapito, e la sua famiglia fosse stata alla disperata ricerca del pargoletto perduto?
La mummia, ancora china su un grosso tomo ingiallito, girò lentamente una pagina.
"Oh, sì. È stato facile. Casa Belabranta, antica nobiltà di Waterdeep, allevatori di grifoni. Spiega anche come mai il ragazzino sia arrivato così lontano, immagino che l'abbiano portato a cavallo di un grifone."
"Che cosa irresponsabile."
"Non più irresponsabile di incaricare te di cambiargli le fasce, vecchio mio. Dobbiamo trovare qualcun altro che sappia farlo per davvero" commentò lei, aggiungendo una specie di risata che era tutto uno schiocco di mandibole.
"Il tuo criticismo costruttivo è sempre utile, Bennu. Vuoi pensarci tu? Le bende ce le hai già."
Lei glissò graziosamente sulla provocazione.
"Sono commossa dalla tua fiducia, Oscar, ma sai benissimo che se sfiorassi l'infante diventerebbe un mucchietto di cenere. Preferisco studiare i vivi leggendo i loro libri, piuttosto che averci a che fare direttamente" indicò con gesto ostentato il grosso tomo che aveva davanti, il cui autore probabilmente era già morto, ma morto da così pochi decenni che Bennu ancora lo considerava alla stregua dei vivi. Per quella creatura antica 'vivo' non era uno stato esistenziale, era semplicemente un sinonimo di 'contemporaneo'. "A proposito, è probabile che la madre del bambino sia la sorella dell'attuale lord Belabranta. Mi sono procurata alcuni libelli di pettegolezzi di Waterdeep. Pare che la signora non si accontenti di cavalcare grifoni."
"Non usare quel tono giudicante, amica mia, i viventi hanno altre necessità rispetto a noi" le ricordò il necropolitano, che era stato vivo molto più recentemente rispetto alla mummia millenaria.
"Questo me lo ricordo, ma da dove vengo io un simile comportamento sarebbe stato ricompensato con il rogo. È una donna sposata."
"La signora è fortunata a non vivere nell'antico Mulhorand, allora" osservò il mago, alzando gli occhi al cielo per l'atteggiamento eccessivamente severo della sacerdotessa. "Questo però non ci aiuta, un bambino illegittimo non può essere restituito alla famiglia. Quindi, che cosa ce ne facciamo?"
"Posso dire con assoluta certezza" annunciò la mummia "che non è un problema mio. Ero tornata solo per fare rapporto sulla missione nel Chult. Sono in partenza per Zakhara questa notte stessa. Quindi parlane con qualcuno a cui interessi."

* * *


"Prima di cominciare questa riunione," esordì Oscar, prendendo la parola, "voglio cogliere un suggerimento: mi è stato consigliato di 'parlarne con qualcuno a cui interessi', e lo trovo sensato." Lasciò scorrere lo sguardo sulla sala e su quella decina scarsa di non morti presenti intorno al tavolo. "Vorrei chiedere a coloro che non sono interessati all'argomento di rimuoversi da soli dal contesto, nella considerazione del mio e del vostro prezioso tempo. L'argomento, ovviamente, è il nostro piccolo ospite umano."
Un coro di mugugni di delusione seguì l'annuncio e buona parte dei presenti si alzarono e uscirono, o svolacchiarono fuori passando attraverso le pareti.
Rimasero soltanto in quattro. Oscar, Sinistra con in braccio il neonato, Yrga, e una giovane vampira che sembrava molto divertita dalla situazione. Be', cinque, contando il piccolo umano.
"Grazie per essere rimaste" Oscar fece un cenno del capo alla cantora spettrale e alla vampira. Non avrebbe ringraziato Sinistra, era soltanto uno zombie ai suoi comandi, non aveva una vera volontà. "Avete un'opinione sulla faccenda?"
"Nah" Yrga trillò, tutta felice. "Sono solo curiosa di vedere cosa deciderai di fare."
Il necropolitano sospirò di nuovo, sebbene continuasse a non averne bisogno.
"Erika?"
La vampira si rigirò una ciocca di capelli intorno a un dito, mentre rifletteva velocemente. "Gli umani sono utili. Un servitore umano è un investimento, potrebbe agire come portavoce, prendersi carico dei rapporti con il pubblico, oppure fare da prestanome per l'acquisizione di proprietà. Forse conviene tenerselo, non credi?"
"Ci ho pensato, in effetti" le confidò Oscar "ma anche se ciò che dici è vero, è un investimento troppo gravoso. Non sono in grado di occuparmi di un neonato e non lo è nemmeno Sinistra, che può solamente obbedire agli ordini ma non sa prendere iniziative. Serve un vivente per crescere un altro vivente, questo bambino non può sopravvivere per sempre con il latte creato con Creare cibo. E nemmeno posso fidarmi del fatto che mi ricorderò sempre a che ora vada sfamato. Ho altre cose importanti da fare. Se vogliamo tenere questo bambino dobbiamo procurarci una balia, ma questo implica interagire spesso con lei e rimanere tutto il tempo sotto una falsa identità umana."
Erika scrollò le spalle. Per lei era normale rimanere tutto il tempo sotto una falsa identità umana, e davvero non capiva che cosa Oscar ci trovasse di bello nell'andare in giro assomigliando a un baccalà rinsecchito. Se lei fosse stata un necropolitano avrebbe fatto carte false pur di assomigliare a un vivente, con qualunque incantesimo di illusione disponibile sul mercato.
"E allora non tenerlo, se lo consideri un fardello" replicò. "Scaricalo davanti a qualche orfanotrofio e via."
Sinistra ebbe un sussulto. Strinse a sé il bambino. "No!"
Oscar, Yrga ed Erika conversero gli sguardi verso di lei, stupiti che avesse parlato di sua iniziativa.
"Come dici, cara?" Il tono del necropolitano non era per nulla infastidito, anzi era gentile e interessato. Sinistra era la sua creazione più recente, una zombie che lui aveva animato e in cui aveva risvegliato un'intelligenza artificiale con la magia. Stava pazientemente aspettando di vedere se la zombie avrebbe sviluppato, prima o poi, anche una personalità. Di solito lei era poco più di un automa, ma ogni tanto se ne veniva fuori con qualche idea o addirittura con qualche obiezione, cosa che incoraggiava le speranze di suo 'padre'.
"Io… non so…" Lei sembrò incontrare qualche difficoltà quando si rese conto di avere obiettato ad alta voce. Era come se avesse agito d'impulso e ora non riuscisse ad esprimere a parole il motivo del suo rifiuto.
Oscar le concesse alcuni minuti per mettere in ordine le idee.
"È… è un bambino. Ha bisogno di una famiglia. Mi ricordo che quando ero viva avevo una famiglia e questo mi rendeva felice."
I tre non morti superiori accolsero quelle parole con un momento di silenzio.
"Tu desideri che questo bambino sia felice, mia cara?" Domandò il mago.
Sinistra esitò, perché non l'avrebbe messa in quei termini. Aveva la sensazione che Oscar le stesse parlando di qualcosa che era ancora al di là della sua comprensione, era una delle cose super intelligenti che diceva suo padre e che lei non riusciva a processare.
"N-non lo so" balbettò. "È un bambino, deve avere una famiglia. È così che funziona. È così che è normale."
"Capisco" Oscar si rese conto del suo errore, era saltato a conclusioni affrettate: era troppo presto per attribuire a Sinistra delle intenzioni, lei stava solo riproducendo l'unico modello che ricordava. Il commento sulla felicità però era già un gran passo avanti: lei ricordava le emozioni e ne conosceva il significato. "Allora troverò una famiglia per questo bambino. In questo modo sarà felice come lo eri tu quando eri viva." Promise. "Questo ti soddisfa?"
Dopo qualche esitazione, lei annuì. "Sì, padre. In questo modo tutto andrà come deve andare, e mi soddisfa" spiegò, tutta seria. Forse stava cominciando a provare degli accenni di emozioni, ma di sicuro non ricordava come esprimerle. Il suo viso rimaneva sempre immutato, l'unica emozione che esprimeva era il suo perenne senso di inadeguatezza. "Io sono… grata… per la considerazione che hai della mia opinione, padre. Anche se sono solo… sono solo…" sembrò fare fatica a trovare un modo per definirsi, poi decise: "uno strumento."
"Non sei solo uno strumento." Negò il mago. Sei un esperimento, che è molto più importante, pensò, ma non lo disse, perché un esperimento può essere rovinato se troppe informazioni vengono rivelate. "Uno strumento non ha la possibilità di crescere e di evolversi, mentre tu sì. Non pensare a te stessa come a un semplice strumento, tu sei uno dei miei miracoli, figlia. E adesso hai perfino preso una decisione per un vivente. È una buona decisione. Ho già in mente qualcuno a cui affidarlo, e appena avrò effettuato delle verifiche condividerò con te le mie idee."
Erika fischiò lentamente, in approvazione. "Impressionante. Mio padre sarebbe stato davvero molto interessato ai tuoi progressi. La piccola Sinistra si è evoluta così tanto dall'ultima volta in cui l'ho vista." Spostò lo sguardo dalla ragazza zombie, che sembrava quasi viva perché era stata trasformata praticamente nel momento stesso della morte, al bambino che invece era decisamente vivo e scalciante. "Hai bisogno di un budget per il neonato, o intendi darlo a una famiglia ricca?"
"Perché? Vuoi contribuire, Erika?"
"Ah! Mi piacerebbe tanto ricalcare lo stereotipo del vampiro ricco, ma ti ricordo che al momento lavoro in un negozio di ciambelle. Non posso contribuire di tasca mia, ma se ci sarà una votazione per stanziare dei fondi…"
"No" il necropolitano scartò l'idea agitando una mano come per scacciare una mosca. "Penserò a tutto io. La nostra organizzazione non si occupa dei viventi. Lascerò la collana nella sua cesta, dopo aver rimosso il ciondolo con lo stemma nobiliare. Le perle da sole varranno qualcosa."
"Come vuoi. Allora se è tutto deciso, io me ne andrei. Ah… siamo a Beregost, vero?"
"Sì. Se vuoi tornare a Silverymoon devi passare dal portale nella tua stanza" le rammentò Oscar, zelante.
"Sì, me lo ricordo, ma non ho mai visitato Beregost, vado prima a farmi un giro" si alzò di scatto. "Saranno ancora aperti i negozi? Vorrei comprarmi un cappello…"
"Vengo con te" Yrga le svolazzò dietro. "Non posso fare shopping ma mi piace guardare!"
"È bello vedere come avete chiare le vostre priorità" borbottò Oscar, guardandole uscire. "Sinistra, seguimi con il bambino. Prepariamo una cesta per lui e poi… facciamo un viaggetto a Waterdeep."

* * *


Era una notte serena sotto il cielo di Waterdeep. Oscar non era un tipo affettuoso, ma aveva preso una decisione in merito a questo bambino - farlo sopravvivere - e si sarebbe impegnato per mantenerla. Non avrebbe mai lasciato un neonato sotto la pioggia, o esposto al freddo.
Aveva scelto per il piccolo una casa in particolare, vicina al cimitero, abitata da una famiglia antica e nobile ma ormai povera. La magione era cupa e decadente, rattoppata quel tanto che bastava perché non cadesse sulla testa dei suoi abitanti.
Oscar scosse la testa. Era triste vedere la casa dei suoi discendenti in quello stato pietoso. Cinquecento anni di storia avevano imposto un tributo non indifferente sulla costruzione di pietra e legno. Eppure gli incantesimi di protezione erano ancora forti, con tutta evidenza venivano rinnovati periodicamente. Oscar ne poteva vedere le auree magiche: soprattutto divinazione e abiurazione. Se si fosse avvicinato, lui, un non morto, avrebbe fatto scattare di sicuro qualche allarme.
"È qui, la nuova famiglia dell'umano?"
"Sì, figlia. È la casa dei miei discendenti. Loro hanno sempre bisogno di due braccia in più. Come minimo lo prenderanno come servo, se va bene lo adotteranno come figlio. C'è un tasso di morte più alto della norma in questa famiglia, un figlio in più è meglio che uno in meno."
Sinistra non disse nulla, perché non aveva capito proprio tutto.
Oscar agitò una mano nell'aria e mormorò una formula magica. Il bambino divenne leggero come una piuma fra le braccia di Sinistra e la zombie capì che poteva allentare la presa. L'incantesimo sollevò il neonato nell'aria e lo trasportò con tutta la cesta fino agli scalini della porta di casa Domedias.
Un altro semplice incantesimo fece in modo che una mano invisibile bussasse alla porta della magione. Era improbabile che tutti gli occupanti stessero dormendo, quella famiglia viveva più di notte che di giorno.
Oscar e Sinistra rimasero a distanza di sicurezza, coperti da un incantesimo di invisibilità, fino a quando finalmente qualcuno aprì la porta.
"Oh, per tutti i diavoli!" Sbottò una voce maschile. L'uomo aveva il volto illuminato da una lanterna. Era abbastanza giovane, ben vestito, probabilmente il padrone di casa. La sua esclamazione sembrava più dovuta alla sorpresa che allo scontento.
Il neonato si svegliò e scoppiò a piangere.
"Oh, no, no, piccoletto" l'uomo si chinò e raccolse la cesta. "Così sveglierai tutto il cimitero. E proprio nel mio giorno libero!"
"Che succede papà?" Si sentì una vocetta infantile da dentro la casa. "È il lamento di una banshee?"
"Herz? Che ci fai sveglio a quest'ora, ometto? Va' in camera tua!"
Il pesante portone di legno si chiuse con un tonfo, tagliando via il resto della conversazione e anche, ma solo in parte, gli strilli del fagottino. Oscar batté una volta le mani, soddisfatto.
"Bene, e questa è fatta. I bambini sono un problema dei vivi."

Dall'altra parte della strada, proprio dirimpetto al portone di Casa Domedias, ombre oscure si muovevano dietro alle inferriate del cimitero.
Spesso anche i non morti erano un problema dei vivi, specialmente dei vivi che per lavoro e per vocazione erano i custodi del camposanto. Ma per qualche motivo Alec Domedias, figlio adottivo di lord Ichabold Domedias, crescendo non avrebbe mai avuto paura di zombie, scheletri e altri cadaveri animati.



**********

Note dell'autrice:

Ci sono storie in questo Writober a cui tengo di più e altre a cui tengo di meno. Questa è una di quelle a cui tengo di più, soprattutto perché è un "nodo", una storia in cui diversi fili si intrecciano. In questa storia viene rivelato per la prima volta che alcuni dei miei personaggi non morti ricorrenti si conoscono tra loro, hanno anche una sorta di base operativa, e ogni tanto si riuniscono per prendere decisioni. È anche una storia che reintroduce la famiglia Domedias - una famiglia di PNG minori delle mie giocate e delle mie storie (cfr. Darkness e Necromancer di Promptober 2020) - e viene per la prima volta accennato a una loro parentela con il necropolitano Oscar, un altro mio PNG e personaggio che tornerà ancora in questo Writober. Di questa famiglia, Alec è sempre stato il fratello "strano", cazzone e rozzo mentre gli altri erano cupi e seri. Questo perché gli altri discendono da un non morto e, sebbene siano vivi, hanno questa piccola contaminazione dentro di sé. Alec è stato in mezzo all'energia negativa quando era piccolissimo, ha assunto suo malgrado il talento Tomb-tainted soul (richiede un allineamento non buono e non vi stupirà scoprire che i neonati sono considerati neutrali), ma questo non ha oscurato la sua personalità. Lo ha solo reso molto poco timoroso verso i non morti.

Ultima nota, quando la mummia dice che ai suoi tempi "una donna sarebbe stata arsa sul rogo per adulterio" non me lo sono inventata, ho fatto ricerche sulle consuetudini degli antichi egizi in merito alla libertà sessuale e alle questioni matrimoniali. Quello che ho trovato si può riassumere in "finché sei single puoi fare come vuoi, ma dalle coppie sposate ci si aspetta fedeltà" (con punizioni più gravi per la donna adultera, che strano). https://www.worldhistory.org/article/934/love-sex-and-marriage-in-ancient-egypt/

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Capitolo 5
*** 4. Blizzard ***


Genere: Fantasy, Lore[1]
Pesonaggi: Lossarwyn

4. Blizzard

950 DR circa, pendici del Grande Ghiacciaio

Era stata un'estate calda, fino a quel momento. La più calda a memoria d'uomo in quella regione del mondo. Il cuore del Grande Ghiacciaio rimaneva congelato, sostenuto dalla magia del gelo, ma talvolta nelle estati molto calde i suoi confini più esterni si scioglievano, facendo retrocedere l'immensa parete di ghiaccio di qualche metro.
Gli uomini, le donne e i bambini della piccola tribù dell'orso bianco, che vivevano semi-stanziali ai piedi del ghiacciaio nella regione del Sossal, avevano notato un aumento considerevole della portata dei fiumi e dei torrenti: era segno che il ghiaccio, che gli era sempre parso immobile ed eterno, si stava sciogliendo. Non si aspettavano una cosa simile, già diversi torrenti erano andati in piena ed erano esondati abbattendo le case dei pescatori e dei costruttori di barche. I pochi campi coltivati che erano stati seminati con piante resistenti al freddo erano stati allagati, e le sementi, con tutta probabilità, erano state portate via.
Un po' d'acqua era una buona cosa, un po' di calore era un'ottima cosa, ma a questi livelli era assurdo e pericoloso. La gente cominciava a sospettare che ci fosse addirittura una motivazione soprannaturale, dietro quella calura estiva così fuori misura.
E mentre tutti si preoccupavano che il caldo avrebbe distrutto l'equilibrio della loro piccola comunità… dal ghiacciaio si rovesciò una bufera di neve.
Sembrava un crudele scherzo del destino, sembrava l'arrivo della fine del mondo. Eppure… questa volta la gente ci avrebbe visto giusto, se avessero supposto un'origine soprannaturale. Non ebbero tempo di supporre un bel niente perché l'intero villaggio congelò nel giro di pochi minuti.
Al centro della bufera, per nulla disturbato dai venti freddi e dai fiocchi di neve che sferzavano veloci come grandine, si librava un elfo dalla pelle sottile come carta, rinsecchito come una mummia dei ghiacci, con due pozzi di oscurità al posto degli occhi.
La sua bocca era aperta in un ghigno che pareva quello di un teschio. Non stava sorridendo, non aveva più veramente le labbra; però, se avesse potuto, avrebbe sorriso.
Lossarwyn, il flagello degli umani, il druido della morte, era tornato.
Il sole - simbolo di vita, com'è paradossale a volte il mondo - lo aveva liberato dalla sua prigione di ghiaccio.
E ora che era un lich, destinato a un'esistenza eterna, nessuno lo avrebbe fermato.
Avrebbe portato la sua bufera di ghiaccio nel mondo, liberando il Faerûn dalla presenza dei parassiti umani.



**********
Note:
[1] Lossarwyn è un villain presentato nel manuale Campioni della Rovina, e la sua timeline non viene ben chiarita. Si sa solo che comincia a viaggiare per fare le sue ricerche dopo l'anno 1 DR, viene inseguito e combattuto da druidi del Cormanthyr (e non viene detto chiaramente ma penso abbia senso che ciò accada prima della caduta di Myth Drannor nel 711-714 DR, anche considerando lo span di vita di un elfo), conseguentemente diventa un lich e rimane intrappolato nei ghiacci per "diversi secoli"; viene liberato da un'estate molto calda che scioglie il ghiaccio ma anche qui non c'è una data certa. Ad un certo punto trova riparo presso la cabala della Twisted Rune, fondata nel 864 DR e diventata davvero potente all'epoca del 1018 DR. Il mio headcanon è che lui sia stato intrappolato nel ghiaccio intorno al 500 DR, si sia liberato intono al 950 DR, si sia spostato a ovest, inizialmente nel nord-ovest per poi scendere nell'Amn in seguito e unirsi alla Twisted Rune in qualche momento dopo il 1018 DR (dopotutto non viene detto da nessuna parte che abbia trovato subito quegli alleati).

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Capitolo 6
*** 5. Fog ***


Genere: Fantasy
Personaggi: Daren
Note: Missing moment di Jolly Adventures

5. Fog


“Ebbene sì, dopo la mia morte ho proseguito il mio cammino verso il Cormyr e ho effettivamente svolto la mia missione.” Raccontò. “Ho trovato il Portale misterioso di cui avevamo sentito parlare, e da esso emana davvero una strana malvagità. (...) Si apre solo con la luna piena, per pochi minuti, e quando si apre ne esce un fitto banco di nebbia.”
“Nebbia? Ti ha fatto qualcosa?”
Holly scosse la testa. “Ero già un fantasma, Signora. Non so se la nebbia sia velenosa o se provochi confusione nelle menti deboli… ero al di là di simili problemi. Per me è stata solo nebbia.”

~ Jolly Adventures, Epilogo (Parte 4)


1314 DR, mese di Nightal, nei pressi della città drow di Sschindylryn. Da qualche parte nel Middledark sotto il regno umano del Cormyr.

La grotta era mezza crollata, l’ingresso all’alcova secondaria pareva completamente ostruito da detriti. L’elfo scuro allungò una mano verso quel mucchio disordinato, con cautela, e afferrò uno dei sassi più piccoli. Provò a muoverlo: era incastrato. Riprovò, dando un deciso strattone. Si aspettava di causare un crollo, magari di piccola entità, ma il sasso continuò a rimanere bloccato come a volersi beffare dei suoi sforzi.
Tentò con un’altra pietra e questa volta riuscì a ottenere un piccolo smottamento nel cumulo di rocce, ma capì con una sola occhiata che non sarebbe stato prudente continuare in quel modo. Avrebbe potuto far crollare anche una parte di soffitto.
Il drow non temeva per la propria vita, ma se fosse rimasto bloccato sotto le macerie non avrebbe potuto portare a termine la sua missione.
Perse un po’ di tempo a studiare con cura la zona. Attorno alla sua persona fluttuavano delle sferette di luce che creavano ombre strane e irregolari, che gli rendevano difficile capire bene la natura del paesaggio. Dal momento che non poteva liberarsi di quel fastidio, decise di direzionare le luci a illuminare il crollo, in modo da capire se ci fosse un pertugio da qualche parte, un passaggio o una fessura da cui sbirciare cosa c’era oltre.
Gli avevano detto che c’era un Portale, ma come avessero fatto a scoprirlo, per lui era un mistero.

Alla fine, grazie alle luci fluttuanti, il drow individuò un passaggio fra i detriti laddove un costone di roccia sporgente aveva impedito ai sassi più piccoli di accatastarsi fino in cima. Era un cunicolo troppo stretto per poterci strisciare dentro, forse un gatto ci sarebbe passato ma non certo un elfo.
Si accorse di quel passaggio perché qualcosa, in effetti, vi stava passando attraverso: nebbia.
È così che anche altri si sono accorti che c'era qualcosa di strano? si chiese Daren, facendo passare una mano in mezzo a uno sbuffo di nebbia. Hanno osservato un fenomeno naturale insolito e lo hanno indagato con la magia?
La foschia era sottile, quasi trasparente, non era un impedimento alla vista, però si muoveva come se ci fosse vento che in realtà non c'era, o come se avesse una sorta di autocoscienza. Girò lentamente intorno all'esploratore drow, sfiorando la sua figura come se lo stesse studiando.
Daren non se ne curò molto, perché non aveva comunque i mezzi per indagare magicamente quello strano fenomeno. Forse avrebbe capito qualcosa in più spostandosi nella grotta adiacente, da cui la nebbia aveva origine.
Il suo corpo non poteva passare attraverso lo stretto pertugio, non finché era solido. Lui però aveva ancora una freccia al suo arco. Si tolse dalle spalle lo zaino magico, che si apriva su uno spazio extradimensionale che gli consentiva di portarsi dietro molti più oggetti di quanto le dimensioni della borsa lasciassero intendere. Con cura ripose all'interno dello zaino tutti quegli oggetti che non avrebbe potuto portare con sé di lì a breve. Infine poggiò lo zaino a terra, si sfilò dal collo una striscia di cuoio che reggeva un amuleto, e lasciò cadere tutto quanto nella borsa ancora aperta.
Nel momento in cui l'amuleto scivolò all'interno dello spazio extradimensionale, l'effetto dell'incantesimo venne interrotto[1] e il campo magico di Trappola Fantasma smise di impregnare l'aria della piccola grotta. Daren tornò a essere quello che era in realtà: un fantasma, una creatura incorporea.
C'è un fatto poco noto a proposito dei fantasmi: possono conservare alcuni oggetti che in vita gli erano cari, ma solo se quegli oggetti sono stati sepolti insieme a loro. Quando Daren era stato ucciso e sepolto grossolanamente aveva con sé solo i suoi vestiti. Prima di interrare il suo corpo gli avevano tolto qualsiasi cosa fosse remotamente utile. Una volta tornato come fantasma era andato a recuperare il suo equipaggiamento, che ora poteva indossare grazie all'amuleto di Trappola Fantasma, ma senza il potere di quell'oggetto magico…
"Merda. Gli stivali." Bofonchiò. Aveva dimenticato di metterli nella borsa conservante. Ora non sarebbe riuscito ad afferrarli, le sue dita vi sarebbero passate attraverso.
Decise di lasciarli lì. Tanto non c'era nessuno che potesse rubarglieli.
Il suo corpo senza peso, non più consistente di un refolo d'aria, si sollevò fino a fluttuare a metà strada tra il terreno e il soffitto. Sbirciò attraverso il pertugio fra le rocce. Le luci fluttuanti, spinte dalla sua volontà a illuminare il passaggio in tutta la sua lunghezza, gli rivelarono che la frana in quel punto vicino al soffitto non doveva essere più profonda di metro o poco più. Era tutto quello che gli serviva sapere.[2]
Controllare il movimento in assenza di un punto d'appoggio e senza attrito dell'aria non era semplice, era un puro esercizio di volontà, e Daren non c'era abituato. Di solito andava in giro in forma corporea, solida, grazie all'oggetto magico di cui ora si era privato. Di solito fingeva di essere un vivente.
Riuscì comunque a mettersi in posizione orizzontale, dando la schiena al soffitto, poi fluttuò oltre la piccola frana usando lo spiraglio fra le rocce come punto di riferimento.
Al di là di quell'apertura sigillata c'era più o meno quello che si era aspettato, una seconda caverna più piccola. La luminosità tenue delle sue luci danzanti rendeva la nebbia ancora più vibrante e cangiante, come se fosse stata viva.
E forse in un certo senso lo era. Il modo in cui si muoveva intorno alla sua figura, attraverso essa ora che era incorporeo, era invadente e un po' inquietante. Di certo era intenzionale.
In mezzo a quella nebbia, scolpita in una parete di roccia, c'era la sagoma di una porta ad arco gotico. Un Portale magico. I contorni della porta erano abbelliti da diverse fila di glifi magici, ma difficilmente erano solo un vezzo estetico. Cos'erano, protezioni? O erano una descrizione delle condizioni che avrebbero attivato il portale?
Daren sapeva di non poter scoprire la vera natura di quella nebbia o di quel portale con i suoi limitati mezzi, non era un mago, ma c'era almeno una cosa che poteva fare: scoprire se la magia che aveva creato l'oggetto fosse maligna oppure no. Quello era un potere che gli veniva naturale per elargizione della sua dea.
Il drow chiuse le palpebre e si concentrò. Non era semplice, perché la sua mente era invasa dalla melodia di una musica lontana, esotica. Era un effetto collaterale del suo contatto con la sua dea, Eilistraee. Lei amava la musica, quindi lui udiva la sua musica. Tutto il tempo, sempre al confine della sua sfera cosciente.
Quel giorno, poi, era particolarmente molesta.
Daren riuscì a concentrarsi abbastanza da evocare il suo potere di divinazione e poi riaprì gli occhi, che ora brillavano di una luce argentata. Gli bastò uno sguardo a tutto quel tetro panorama per rendersi conto che sì, era malvagio. L'arco di pietra, la nebbia, le pareti e il terreno stesso della caverna: tutto era impregnato di malvagità.
Il Portale brillava di una luce oscura, invisibile senza quel particolare potere divinatorio.
Ma è aperto? È questo che fa, il Portale? Fa uscire dalla nebbia?
La musica nella sua mente riverberò con più vigore.
Sì, sì, ho capito, dev'essere una notte di luna piena e qualcuno sta celebrando.[3] Bello, ma io qui sto lavorando, sarebbe troppo chiedere un po' di silenzio?
Parlare sarebbe stato inutile, se non dannoso (perché avrebbe potuto attirare dei predatori), ma il drow cercò almeno di pensare con tutte le sue forze.
La musica non accennò nemmeno per sbaglio a diminuire. L'elfo scuro scrollò le spalle e decise che avrebbe dovuto semplicemente sopportare. Come sempre.
Cercò di concentrarsi sul Portale. L'aura di malvagità era così intensa che rendeva confuse e sfocate le iscrizioni nella pietra. All'interno del Portale ora non vedeva più la pietra della caverna, ma un'oscurità fredda e vuota, come se stesse guardando da una finestra che dava su un cielo senza stelle. Solo che era qualcosa di più sinistro, qualcosa che non avrebbe saputo bene come descrivere.
Daren era un fantasma e sentimenti come la paura e l'inquietudine non facevano più parte di ciò che poteva sperimentare. Non aveva i mezzi per comprendere appieno ciò che stava vedendo.
Per fortuna, neppure il Portale aveva i mezzi per comprendere lui.

*****


Il Portale si era aperto, stuzzicato dalla presenza di un essere senziente nei suoi pressi. Erano secoli che nessuno si avvicinava così tanto. Le Nebbie erano affamate. Le Nebbie volevano sempre gente nuova, e questo individuo sembrava interessante. Quando la foschia era fuoriuscita dal Portale, era perché le Nebbie volevano assaggiare e tastare l'intruso. Era un non morto, quindi era molto interessante. Le Nebbie percepivano un grosso bagaglio emotivo di dolore e senso di colpa,[4] rendendo il fantasma un bocconcino appetitoso, adorabilmente manipolabile. Sembrava una creatura dall'animo buono, ma sporcato da antichi e nuovi crimini e da sentimenti ossessivi. Sarebbe stato divertente reclamare quel fantasma, portarlo oltre le Nebbie e vedere quanto ci avrebbero messo a corromperlo, o a spezzarlo.
Se non fosse stato per…
La sua anima non era pura, ma aveva un nucleo di purezza che era qualcos'altro. Come una presenza esterna, ma dentro di lui. Una possessione? Era mai possibile possedere un fantasma? No, era impossibile. Un parassita spirituale allora?
Qualunque cosa fosse, quella presenza infestante era come un fuoco che teneva lontana la nebbia. Non era sufficientemente forte da dissiparla, ma riusciva a impedirle di ghermire il fantasma. Era come una piccola scintilla di luce che proteggeva il suo ospite e lo rendeva immune al tocco della foschia… e nessuno avrebbe dovuto avere un simile potere, tranne una divinità.[5]
Le Nebbie di Ravenloft aleggiarono ancora per qualche minuto intorno alla creatura, cercando una via, un modo, un passaggio per accedere a quell'anima sventurata… ma non c'era verso. E forse, se questo individuo era davvero protetto da un dio o da una dea, non era il caso di reclamarlo.
Ci sono cose che nel Semipiano del Terrore non sono mai benvenute. Al primo posto in quella lista, le divinità.



**********

Note:

[1] Ci ho riflettuto parecchio, può un incantesimo a emanazione ad area passare oltre l'apertura di una borsa conservante quando questa è aperta? (Secondo le regole di D&D 3.5, su cui sono basate le mie storie). Non c'è una risposta assolutamente definitiva ma ho trovato diversi brandelli di informazione che mi fanno propendere per il no, nello specifico:
  • Il talento Incantesimi Transdimensionali specifica che occorre proprio questo talento per fare in modo che gli incantesimi lanciati sul piano materiale abbiano effetto anche in spazi extradimensionali (tuttavia vengono citati Trucco della corda e Buco portatile, non specificatamente la Borsa Conservante);
  • L'incantesimo alla base di una Borsa Conservante è Scrigno Segreto, che parla semplicemente di nascondere un baule sul piano etereo; l'incantesimo alla base di un Buco Portatile è Spostamento Planare, che serve a spostare creature e oggetti su un altro Piano. Se occorre Incantesimi Transdimensionali per colpire qualcosa che si trova in un Buco Portatile creato con un incantesimo che serve a spostare qualcosa su un altro Piano, perché non dovrebbe servire anche per colpire qualcosa che si trova all'interno di una Borsa Dimensionale creata con un incantesimo che serve a spostare qualcosa su un altro Piano?
  • L'incantesimo Trucco della Corda specifica che le creature all'interno di quello spazio extradimensionale non possono essere colpite da incantesimi, certo si potrebbe obiettare che vale solo per questo incantesimo ma è da confrontare con il secondo punto, cioè che una borsa dimensionale sia creata con un incantesimo di Scrigno Segreto, che non ha bisogno di specificare che un oggetto sul Piano Etereo non può essere colpito da incantesimi: è già così nelle regole di base;
  • Sempre parlando di regole di base, l'incantesimo descritto in questa storia è trappola fantasma che è un incantesimo di abiurazione. La Guida del Dungeon Master, p293 dice: Un effetto di forza originato sul Piano Materiale si estende sul Piano Etereo, (...) gli effetti basati sullo sguardo e le abiurazioni si estendono dal Piano Materiale al Piano Etereo. Nessuno di questi effetti si estende dal Piano Etereo al Piano Materiale.
  • Ultima obiezione: ma la Borsa Conservante è aperta, quindi non c'è un varco diretto su quello spazio extradimensionale? Mi sembra una domanda concettuale simile a: può un incantesimo passare attraverso un Portale (che sia un incantesimo Gate o un oggetto magico Portal)? Qualcuno se l'è domandato qui e la risposta sembra essere "tendenzialmente no";
  • Ultima piccola nota: perché un incantesimo possa avere una linea di effetto, se si trova davanti un ostacolo solido, deve poter passare liberamente almeno da un'apertura larga un piede quadrato (circa 30×30 cm), quindi anche volendo concedere a un incantesimo di passare attraverso l'apertura su uno spazio extradimensionale, bisogna vedere se l'apertura di una borsa o zaino è abbastanza grande.
[2] Secondo le regole di D&D 3.5 una creatura incorporea può passare attraverso gli oggetti solidi ma deve rimanere adiacente ai confini dell'oggetto, quindi non può passare interamente attraverso un oggetto che occupi più spazio di quanto non ne occupi la creatura incorporea stessa. A livello di regole significa che una creatura di taglia umana non può passare oltre un oggetto più spesso di 1,5 m.
Edit: ma questa regola non si applica ai fantasmi manifestati, ammetto che non lo sapevo.
[3] Daren in seguito riferisce alla somma sacerdotessa che il Portale si apre solo con la luna piena, ma non è vero. Non c'è modo di misurare il passaggio di lunghi periodi di tempo nel selvaggio Buio Profondo, lui crede che sia luna piena a causa della musica che sente, e ha perso il senso del tempo quindi non si accorge dell'errore.
[4] Questa storia è un missing moment del capitolo La Caccia di Jolly Adventurers, Daren era appena morto dopo non essere riuscito a impedire un massacro di elfi, cosa di cui si attribuiva la colpa.
[5] Come spiegato in Jolly Adventurers, in Lezioni di sopravvivenza e in altre storie, Daren e altri della sua linea e di sangue hanno un rapporto speciale con la divinità che venerano: una linea diretta di comunicazione e la possibilità di essere posseduti, cosa che, con il passare del tempo, fa in modo che una piccola scintilla di quella essenza divina resti dentro di loro, di solito senza effetti particolari.

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Capitolo 7
*** 6. Fangs ***


Genere: Fantasy
Personaggi: Erika

6. Fangs


1296 DR, città di Silverymoon

Operazione F.A.N.G.S., così la chiamavano. Fiduciaria Attività Notturna e Giornaliera di Sorveglianza, o qualcosa del genere. Non dicevano cosa dovessero sorvegliare, solo che era un compito assegnato sulla fiducia e che doveva essere svolto notte e giorno. L’oggetto di quella sorveglianza era suggerito fra le righe: fangs, la parola illuskan per zanne, indicava lei. Il vampiro di Silverymoon. Il vampiro a malapena tollerato, a Silverymoon.
Erika aveva sempre trovato che Operazione F.A.N.G.S. fosse un nome molto stupido per riferirsi a lei. Sì, aveva delle piccole zanne, si notava specialmente di notte (i suoi poteri erano resi più deboli dalla luce del sole, e quindi i suoi denti aguzzi tendevano a non mostrarsi di giorno). Però non è che fosse così rilevante. Per succhiare il sangue di un umano fino a ucciderlo ci volevano diversi sorsi, era questione di molti e molti secondi. Per uccidere qualcuno con un pugno in faccia le sarebbe bastato un istante.
Non che lei avesse intenzione di fare alcuna delle due cose. Però avrebbe potuto, e questo era un pensiero rassicurante.
"Non mi piace questo nome" annunciò di punto in bianco, mettendo il broncio.
"Hm? Quale nome?" Chiese distrattamente il sacerdote che stava sempre a un passo da lei.
"Fangs. Il nome che usate voi baciapile di Deneir per riferirvi a me. Mi sento oggettificata e feticizzata, io non sono i miei denti."
Il chierico la fissò in silenzio per quasi un minuto, chiedendosi se fosse uno strano scherzo di cattivo gusto.
"Nessuno ti sta feticizzando" rispose infine, con evidente fatica. "Ci fai ribrezzo."

Erika accolse le sue parole con un silenzio tanto profondo da ovattare perfino i suoni della città intorno a loro. Rimase solo il frinire dei grilli.
"Ribrezzo è una parola un po' forte per qualcuno che non mi conosce nemmeno."
"Sei un cadavere che cammina, un abominio contro natura. Nessuno vuole conoscerti. Dobbiamo solo sorvegliarti." Chiarì l'uomo, stringendo fra le dita il suo simbolo sacro. Se lei avesse tentato qualche trucco, lui era pronto a invocare il potere del suo dio.
"Ah…" era come un inizio di risata, ma sembrava una risata triste che non riesce nemmeno a sorgere completamente e si ferma ad uno sbuffo. La ragazza aveva abbassato la testa, si era tirata indietro sulla panchina per appoggiare bene la schiena allo schienale e aveva iniziato a far ciondolare le gambe che non toccavano più terra. Era sempre stata bassa per la sua età e ora che era morta non sarebbe più cresciuta. "Un sacerdote di Deneir che rivendica così fieramente il suo desiderio di restare ignorante. Non farai piangere il tuo dio in questo modo? Deneir non è un dio della conoscenza?"
"Sappiamo già tutto quello che c'è da sapere sui vampiri."
"Lo sapete? Davvero?" Il suo tono era di nuovo un misto fra la derisione e l'autocommiserazione. "Sapete quanto a lungo può resistere in vampiro senza bere sangue umano?"
"È una dipendenza mentale prima che fisica" il sacerdote recitò quelle parole come se avesse davanti un libro. "Il vampiro sente il desiderio di nutrirsi ogni giorno di sangue umano. In mancanza di sangue, la sete si fa intollerabile, l'astinenza lo porta alla pazzia trasformandolo in una belva senza autocontrollo. In questa fase il vampiro è estremamente pericoloso. Dopo un periodo variabile di alcuni mesi, il vampiro privato del sangue è troppo debole per muoversi e cade in una sorta di coma."
Erika accolse di nuovo le sue parole con il silenzio. Per qualche secondo raccolse le idee, poi si esibì in un sospiro teatrale.
"È il più grosso cumulo di inesattezze e luoghi comuni che io abbia mai sentito" lamentò. "Da che libro hai tratto questa perla, 'Rimedi della nonna contro i vampiri'?"
L'uomo corrugò la fronte. "Che cosa c'è di sbaglia…"
"Primo" la ragazza sollevò un dito "non è affatto vero che si tratta di una dipendenza mentale, è soprattutto una dipendenza fisica. Si può dominare attraverso la volontà, ma è solo perché i non morti in generale dominano il loro fisico attraverso la mente. Non abbiamo una padronanza sul nostro corpo come ce l'avete voi vivi, il nostro corpo è morto. Non posso abituare il mio stomaco a mangiare di meno facendo una dieta, posso solo impormi di non bere sangue grazie alla mia volontà. Però la dipendenza dal sangue, di per sé, è fisica.
Secondo." Sollevò un altro dito. "Non abbiamo bisogno di nutrirci di sangue tutti i giorni, anche se è piacevole farlo. Una volta ogni tre giorni basta e avanza per non sentire la fame bruciante. È un'altra, la dipendenza che scalpita tutti i giorni, che mette a dura prova i nostri nervi morti, e che è di natura mentale e non fisica: il bisogno di risucchiare energia vitale."
"Risucchiare che cosa?" Il chierico impallidì.
"Energia vitale. Non so dirti perché, ma ci fa sentire bene. Forse è una sorta di nostalgia della vita. Un solo giorno senza risucchiare energia vitale e ti senti già come se volessi spaccare qualsiasi cosa. Il che mi porta a dover specificare: non ci servono i denti, per quello. Una schicchera è sufficiente."
Erika alzò lo sguardo verso il cielo. Le poche nuvole stavano iniziando a tingersi di rosa, segno che il sole sarebbe tramontato in meno di un'ora.
"Non è neanche vero che abbiamo questa fissa per gli umani o per gli umanoidi. Sia il sangue che l'energia vitale possono venire da qualsiasi creatura, anche animali. Gli animali sono meno buoni, ma quando un vampiro vuole vivere in mezzo alla civiltà non ha scelta. Se è in incognito, bere da esseri senzienti prima o poi lo farà scoprire. Se è come me, sotto la sorveglianza delle autorità, deve mantenere una reputazione immacolata."
"Mi stai dicendo che non hai mai bevuto sangue umano? Allora come fai a sapere che è più buono di quello animale?" Inquisì lui, per nulla convinto.
Ho bevuto da un essere umano. Ho anche preso la sua energia vitale. Solo che l’ho sempre fatto con moderazione, perché il mio donatore era anche il mio amante, e non avrei mai voluto ucciderlo. Mi sono sempre assicurata che tornasse in buona salute, dopo.”
“Certo, se fosse morto avresti dovuto trovare qualcun altro da incantare con i tuoi poteri vampirici” replicò l’umano, in tono amaro.
“Che non funzionano a Silverymoon, a causa del mythal che protegge la città” puntualizzò lei, ricordandogli indirettamente che lady Alustriel proteggeva da sempre i suoi cittadini. “No, il nostro era un sodalizio vero. Il nostro sentimento era reale.”
“E poi?” incalzò lui, suo malgrado ormai coinvolto nella storia.
“E poi niente. Gli umani non vivono per sempre.” Concluse Erika, anche se era una mezza bugia: il suo ex amato era ancora vivo, e a modo suo era immortale. Lei, però, non avrebbe tradito quel segreto. Non come aveva fatto lui, spifferando alle autorità che la sua amante era una vampira. “Il sole sta tramontando, è ora che torni a casa mia.”
“Giusto. Non hai scelta.” Lui spostò il peso da un piede all’altro e fece un passo indietro, lasciandole spazio perché si alzasse dalla panchina.
“Peccato, però. Mi piace rimanere in questo angolo a osservare il fiume. Una volta qui era tutta campagna, sai? Ci si veniva a fare i pic-nic nei giorni liberi.”
“Sì, lo so. Ho familiarità con la storia dello sviluppo urbanistico.” Rispose lui con ben poco sentimento. “Nemmeno la casa dove abiti esisteva fino a pochi decenni fa.” Indicò la strada davanti a loro, che conduceva al quartiere-dormitorio dove sorgeva la casetta della vampira. “Come l’hai acquistata? Insomma, avevi… documenti falsi o…”
“Una donazione da parte del mio amante. Era un funzionario cittadino, aveva accesso ai documenti dell’anagrafe, e faceva in modo che in ogni generazione spuntasse fuori una signorina Lesmiere. Fece intestare la casa a Karola Lesmiere, che formalmente era mia madre.”
“Ereditare il cognome per via matrilineare. Insolito.”
“Ma non illegale” puntualizzò Erika. “Da quando la linea maschile dei Lesmiere si è estinta, ho vantato solo antenate che hanno avuto una figlia fuori dal matrimonio. Discendo da una fiera genealogia di sgualdrine… che in realtà ero sempre io” Erika si esibì in un ghigno soddisfatto. “Ho ancora la magione storica della famiglia Lesmiere, ma è un rudere, non è abitabile.”
“Ma che ti importa? Sei morta. Non ti serve restare al caldo o all’asciutto, e nemmeno ti polverizzi sotto il sole…” il purtroppo rimase lì, ad aleggiare, non detto.
“Ho bisogno di un posto dove riporre la mia collezione di teschi di sacerdoti che fanno domande stupide. Oh guarda! Siamo arrivati” indicò la sua casa, un edificio uguale a tutti gli altri ma tinteggiato di azzurro. “Grazie per avermi accompagnata fino a casa.”
“Non avevo scelta.”
“Allora buonanotte” lo congedò, armeggiando con le chiavi per aprire la porta.
“Aspetta” lui la fermò sulla soglia. “Non mi hai più confermato o smentito se è vero che i vampiri vanno in stato catatonico quando non si nutrono da un po’.”
Erika sorrise, e nel crepuscolo i suoi piccoli canini cominciavano già a farsi vedere.
“Prima o poi, sì. Ma prima o poi per un vampiro molto potente vuol dire anni. E appena sente la presenza di un vivo, potrebbe essere in grado di risvegliarsi. Non è un coma, è più… risparmiare le energie, entrare in uno stato alterato di coscienza per non soffrire la terribile sete. Io l’ho fatto, quando lady Alustriel ha giudicato che fosse corretto tenermi in isolamento in una segreta per un anno intero.”
“L’hai fatto… perché stavi soffrendo troppo per l’astinenza?”
“L’ho fatto perché stavo soffrendo per l’astinenza e perché la tentazione di spaccare tutto e uscire si faceva ogni giorno più forte.”
“Ma… eri in una segreta” balbettò il chierico. “Mi hanno detto dov’eri, molti metri sotto il livello del terreno, con le porte murate con la magia, pareti spesse come un tronco di quercia e…”
Con tutta calma, Erika si chinò e raccolse un sasso decorativo che teneva per terra accanto all’uscio. Qualcuno un tempo vi aveva dipinto sopra un gatto acciambellato, ma ormai la vernice era tutta scolorita.
“La pietra non mi può fermare” senza interrompere il contatto visivo, strinse il sasso fra le mani e quello iniziò a creparsi. Dopo un istante si spezzò, dividendosi in schegge e pezzettoni. La vampira si lavorò i pezzi di roccia fra le mani finché non divennero sassolini, poi sabbia, il tutto in una manciata di secondi. “La mia volontà . Per fortuna è più forte delle stupide mura di una prigione.”
Le parole di lei erano rassicuranti, ma l’atteggiamento era tutto l’opposto. Era solo una ragazzina magra e minuta, di solito era fastidiosa e basta, ma al calare delle tenebre il prete si ricordò con assoluta chiarezza che lei era un vampiro. Perché un conto era saperlo, un conto era vederlo. Le ombre del tramonto avevano fatto sprofondare quella strada di periferia nell’oscurità, e la pelle di lei sembrava ancora più pallida per contrasto. L’espressione neutra della donna rafforzava l’impressione che fosse non viva, ma non come un cadavere, più come una statua di alabastro.
Il chierico si rese conto all’improvviso che non c’era nessuno lì, a quell’ora, oltre a loro due. Il suo volto si fece cinereo e l’uomo barcollò all’indietro, inciampando quasi nei ciottoli della strada.
“P-per… per la grazia di Deneir…” balbettò, afferrando il simbolo sacro e tenendolo alto davanti al volto, fra lui e la vampira. “Immonda creatura, io… io…”
Tu niente. Hai troppa paura per farti udire dal tuo dio.” Lo schernì Erika, con una voce che era la stessa di sempre eppure era anche la voce di una dea che parlava dall’altra parte del velo della morte. Non era cambiata all’aspetto, ma c’era tutto un nuovo peso nella sua presenza. Era come se fosse gigantesca e proiettasse un'ombra immensa su di lui. “Poniti un obiettivo più alla tua portata, sciocco ometto. Per esempio, tornare al tuo tempio senza pisciarti addosso. E vai a dire ai tuoi compari che Fangs è un nome davvero stupido.”
La vampira si ritrasse in casa sua, sbattendosi la porta alle spalle… e all’improvviso era tutto finito. Quella sensazione di oppressione si dissipò nell’aria della sera come se non fosse mai esistita.
E, in effetti, né per polverizzare il sasso né per intimidire il chierico Erika aveva avuto bisogno di usare le zanne.

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Capitolo 8
*** 7. Travel ***


Genere: Fantasy
Personaggi: Nezoot

7. Travel


Piano degli Specchi. Molto tempo fa.

Qual è la distanza fra una persona e il suo riflesso nello specchio? Un passo, un soffio, nulla. Eppure un riflesso in uno specchio rimane irraggiungibile, un mondo oltre una barriera invisibile, e per di più è un mondo che non esiste davvero.
Non è così nel Piano degli Specchi.
Il più enigmatico dei Piani di Transizione, inaccessibile ai normali viaggiatori e raggiungibile solo dai suoi abitanti nativi, è un luogo spoglio di vita ma comunque non privo di pericoli. Gli unici a chiamare casa quel labirinto di vetro sono i piccoli mephit degli specchi e gli enigmatici nerra, Esterni di forma umanoide ma dalla pelle riflettente e dai volti inespressivi. Non sono molti gli umani a poter vantare di aver visto un nerra, ma chi l'ha fatto racconta di loro come di un incubo. C'è qualcosa nel modo in cui il proprio volto viene riflesso nel loro, come se potessero rubarti l'identità, che li rende alieni e terrificanti.
Se però qualcuno riuscisse ad andare oltre la propria innata ripugnanza e a parlare con uno di loro, potrebbe ottenere tutta una nuova prospettiva sulla domanda "qual è la distanza fra una persona e il suo riflesso nello specchio?" Perché nel Piano degli Specchi questo quesito ha tante risposte diverse.
Ci sono specchi che sono soltanto specchi, ci sono specchi che esistono solo per confondere le idee ai viaggiatori planari rimbalzandoli in altri punti del Piano degli Specchi come Portali ingannevoli, e poi ci sono specchi che sono vere vie d'uscita che conducono a luoghi remoti. Soltanto i nativi di quel Piano conoscono - entro certi limiti - i suoi specchi. Ci sono dei modi sottili e segreti per capire dove porti uno specchio, ma non è una scienza esatta: perfino gli abili esploratori varoot - che fra le tre sottorazze dei nerra sono i più curiosi e intuitivi quando si tratta di viaggi planari - ogni tanto si sbagliano.

Gli specchi più facili in assoluto erano quelli a una via: oggetti comuni, creati in altri mondi. Tutti gli specchi del multiverso si aprono sul Piano degli Specchi, solo che la gente non lo sa. Questi oggetti, visti dal Piano degli Specchi, appaiono come finestre su altri luoghi. In questo caso non ci si può sbagliare: non riflettono, sono come buchi nel vuoto che mostrano lo scenario del luogo in cui si trova lo specchio originale. Il problema è che, dopo molto tempo che uno specchio esiste, smette di essere soltanto a una via: il Piano lo fa proprio, lo ingloba in un certo senso, costruendo una patina riflettente su di esso come un'ostrica costruisce una perla intorno a un granello di sabbia. E quindi, quello che era solo il retro di uno specchio che appariva come una finestra, diventa uno specchio vero e proprio, quasi indistinguibile dagli altri. Diventa uno specchio a due vie, un oggetto molto più potente ma anche molto più instabile. Cessa di avere solo una destinazione e comincia ad avere, oltre alla sua controparte principale, anche altri possibili sbocchi: di solito, specchi che gli sono simili per dimensioni o per qualità.
Gli specchi che hanno qualcosa in comune (ad esempio sono stati creati dallo stesso artigiano, originati dalla stessa fonte, o prodotti nello stesso posto) tendono a trovarsi vicini fra loro nel Piano degli Specchi, e sono chiamati Costellazione.
Gli specchi di una costellazione spesso si mescolavano fra loro quando diventavano a due vie, anche se sul loro mondo non si trovavano più geograficamente vicini. Un abile artigiano avrebbe potuto creare mille specchi nella Città d'Ottone, venderli a mille diversi viaggiatori planari, spargere il suo lavoro attraverso decine di Piani diversi, mondi diversi, continenti diversi, eppure le sue opere sarebbero sempre rimaste una singola costellazione sul Piano degli Specchi.
Le conseguenze di questo processo si possono facilmente intuire: quello che fino al giorno prima era semplicemente uno specchio a una via che ti avrebbe portato nello studio di un nobile a Westgate, il giorno dopo poteva diventare uno specchio a due vie e condurti - sebbene con una probabilità minore - a una qualsiasi delle destinazioni degli altri specchi della sua costellazione. Il covo di un arcimago nel Thay? La sala delle divinazioni di un Efreet sul Piano del Fuoco? Il fondo del mare, nel relitto di una nave divorata dalle onde? Il camerino di un attore di teatro del regno di Wa? Non c'era modo di saperlo.
Ci voleva un esploratore davvero, davvero esperto, per mappare una costellazione.

Nezoot era il più intraprendente e il più intelligente fra gli esploratori della sua squadra. Se lo diceva da solo, ma era convinto che fosse la verità. Era talmente bravo che nel corso della sua vita aveva mappato diverse costellazioni di specchi - costellazioni ormai vecchie e consolidate, certo, ma di solito nessuno si azzardava a mappare le costellazioni che si stavano ancora formando - e nei secoli aveva sempre provato, sbagliato, imparato dai suoi errori, provato ancora. Questo era l'unico modo per procedere: andare alla cieca, sopravvivere, prendere appunti. Lui era bravo a sopravvivere. In condizioni in cui questo era oggettivamente possibile, però.
"Una costellazione instabile? Come è possibile, Signore?" La lingua in cui si era espresso era quella dei nerra, che suona un po' come vetro graffiato dalla pietra, ma il senso delle parole sarebbe stato più o meno questo.
Il sillit che aveva di fronte fece un solenne cenno di assenso e poi mugugnò una risposta in qualche modo, nonostante quelli come lui non avessero nemmeno una bocca.
"Gli specchi si sono spostati. Non nel luogo in cui si trovano, ma qui, sul nostro Piano. Antichi specchi a due vie si sono spostati e ora si trovano… in posizione disordinata, ma quel che è peggio, gli uni riflettono gli altri. Cerchiamo sempre di evitare che succeda ma ogni tanto si muovono per volontà loro."
I più imperscrutabili fra i nerra, gli incantatori arcani che prendevano il nome di sillit erano anche a capo della gerarchia sociale. Se un sillit ordinava, un semplice varoot poteva solo ubbidire. L'esploratore aveva la sensazione che stesse per essergli imposto un ordine alquanto sgradevole. E infatti…
"Quella costellazione ci serve, è il fulcro degli accordi commerciali con i Tessitori del Fato. La tua squadra deve sistemare quegli specchi. Una costellazione così antica è già abbastanza pasticciata senza bisogno di avere specchi che si riflettono gli uni negli altri, creando corridoi di rifrazioni." Il sillit fece una pausa a effetto. "Sai a cosa portano i corridoi di rifrazioni, esploratore veterano?"
Nezoot pensò allo scenario appena descritto. Un corridoio di rifrazioni si creava quando due specchi, uno davanti all'altro, si riflettevano all'infinito creando l'illusione che ci fosse una galleria di riflessi. Solo che non era un'illusione. Il solo specchiarcisi dentro poteva creare altre versioni di sé.
"Al rischio di frammentazione della realtà, Signore" rispose Nezoot, zelante. "O se siamo fortunati, solo alla frammentazione del viaggiatore che li attraversa, con conseguente morte raccapricciante dello stesso."
Il tono in cui si era espresso era neutro e privo di emozioni, perché questo è il modo in cui parlano i nerra. Nulla lasciava intendere che fosse preoccupato per il suo stesso destino, anche se in realtà lo era. Non era un completo imbecille.
"Sì. Raccapricciante. Se siamo fortunati. Confido che il lavoro sia svolto entro cento giorni standard. Se ti occorre una clessidra puoi fare richiesta al mio ufficio."
"Non sarà necessario, Signore."

"Non riusciamo a spostare gli specchi, capo" qualche mese dopo, un varoot della sua squadra gli diede la notizia che tanto temeva di ricevere. "Fanno resistenza."
"Hanno aperto un corridoio frammentato… anzi, non un corridoio, un dedalo" considerò Nezoot osservando la disposizione tutt'altro che ordinata e simmetrica in cui gli specchi si erano posizionati. "Una serie di corridoi che si incastrano e si separano, specchi che riflettono angoli di altri specchi. Non è solo pericoloso, è anche un incubo logico. Siamo a tanto così da richiamare i Reami Remoti nel Piano degli Specchi" annunciò, e non stava esagerando. I nerra non parlano per metafore o per iperboli. "L'unica cosa sicura da fare sarebbe innescare una serie di Disintegrazioni e distruggere l'intera costellazione."
"I sillit non accetteranno mai, capo" obiettò il suo collega, una cosa che Nezoot già sapeva. "Non c'è altro modo?"
Nezoot d'abitudine non esprimeva mai emozioni, ma quella volta gli sfuggì un brivido. Sulla sua pelle a specchio sembrava un'increspatura in una pozza di mercurio.
"Capire dove vanno questi Portali, cominciare dal meno compromesso, recarsi nel luogo di destinazione e trovare il modo di interrompere il collegamento da lì… come dipingendo lo specchio di vernice o qualcosa del genere. Dobbiamo impedire che rifletta. Poi tornare qui in qualche modo, attraverso un altro specchio, ritrovare questa costellazione" indicò il luogo dove si trovavano "e ripetere l'operazione con il secondo specchio meno compromesso… un lavoro infinito, come sbrogliare decine di gomitoli."
"Ma… ma ognuno di quegli specchi, anche se è meno compromesso perché riflette solo in parte gli altri, è comunque parte di una costellazione. Se ci salti dentro, capo, non hai la certezza di arrivare alla destinazione di quello specchio. Potresti essere deviato verso la destinazione di uno degli altri, e questo significa… essere sbalzato in uno di quei corridoi… nel dedalo."
"Oh, mio povero amico" Nezoot si sforzò di piegare le labbra di vetro in una specie di sorriso. "Un corridoio di rifrazioni non è un luogo fisico. È più come uno stato di esistenza. Precario. Se finisci in un corridoio di rifrazioni l'unico momento diventa il presente e l'unica cosa che puoi fare, in ogni istante, è controllare se sei ancora vivo o no. È un anello di Moebius infinito che ti proietta attraverso lo spazio ma, se sei fortunato, dopo molto tempo il corridoio ti sputa fuori tutto inte… vivo" si corresse. "Finire in un dedalo di corridoi di rifrazione è peggio di così. È una cosa che ti strappa a brandelli. Il tuo corpo, la tua coscienza. Puoi anche non morire, ma ricomparire in molti posti diversi sdoppiato in tanti te che non sono che una frazione della tua identità. Oppure alcune parti di te ti possono essere strappate e poi fatte scontrare di nuovo, ricomposte in modo casuale. Se dovessi commettere un errore ed essere risucchiato in quell'incubo, datemi per morto. Pregate che io sia morto."
"Uhm… chi… chi dovremmo pregare?"
Nezoot si strinse nelle spalle. "Non lo so. Un dio dei morti, magari. Uno qualsiasi."

Con tutta calma, nelle ore successive, Nezoot studiò una carta planare di quella costellazione - ci avevano lavorato per mesi, per capire un po' come fosse incastrata quella matassa di corridoi di rifrazione, ma era comunque una mappa approssimativa - e poi si sedette alla sua scrivania e fece testamento. Non aveva affetti, non aveva nessuno a cui lasciare i suoi possedimenti, perché i nerra non hanno concetti come famiglia e parentela. Lasciò metà dei suoi beni ai suoi colleghi, perché erano la cosa più simile a degli amici che avesse. L'altra metà, la lasciò a se stesso nel caso in cui fosse ricomparso in qualche forma meno completa ma ancora autocosciente.
Nezoot non aveva intenzione di morire o di essere fatto a brandelli, ma quella missione era pericolosa. Aveva calcolato un 30% di possibilità di essere sbalzato a una destinazione non voluta nel corso del primo viaggio, ma quella percentuale diventava sempre più alta man mano che avrebbe dovuto approcciare specchi dalle angolazioni più compromesse. Nel lungo periodo la possibilità di evitare errori si riduceva a meno del 5%.
Lo consolava solo il pensiero che, fine orrenda o no, sarebbe stato un viaggio senz'altro interessante.



**********
Nota dell'autrice:
Il Piano degli Specchi è descritto sommariamente nel Manuale dei Piani di terza edizione. Trovo che la descrizione ufficiale sia un po' noiosa (corridoi con file di "retri di specchi" che non riflettono, ma permettono di vedere dall'altra parte come se fossero finestre). Ho deciso di cambiare l'aspetto di questo Piano nelle mie storie perché secondo me aveva un sacco di potenziale non sfruttato.

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Capitolo 9
*** 8. Break up ***


Genere: Sentimentale, triste
Personaggi: Bennu
TW: accenni a relazione di un adulto con un minore a causa del contesto culturale (cfr. note finali)

8. Break up


-637 DR, Mulhorand

"Oggi ho portato molte offerte al tempio di Hathor. Sono certa che con la benedizione della dea i bambini arriveranno."
L'affermazione speranzosa veniva da una ragazzina che non poteva avere più di quindici anni. L'uomo truccato e imbellettato davanti a lei, invece, ne aveva quasi ventitré ma si atteggiava come se fosse molto più vecchio.
Oh, a lui non piaceva quella parola; maturo, piuttosto.
"Sono sicuro che sarà così, mia cara" annuì. Nonostante fosse un nobile che si prendeva molto sul serio, che si ammantava di una coltre di tedio come se fosse motivo d'orgoglio, c'era anche una certa tenerezza nei suoi occhi. Come spesso accadeva nell'antico Mulhorand, il loro era stato un matrimonio d'amore.

* * *


"La sacerdotessa ha pregato per me, oggi. Mi ha concesso uno dei suoi miracoli per guarire qualunque cosa non vada nel mio corpo. Ora credo che i bambini verranno…"
"Bennu" il marito prese le mani della donna nelle sue, guardando con preoccupazione il volto dell'amata così segnato da rughe premature. Erano sposati da dieci anni, lui si avvicinava ai trenta e di prole non ce n'era ancora l'ombra. "Capisco la tua ansia di diventare madre, ma fino ad ora hai avuto diversi aborti spontanei. Tutto questo finirà per imporre un tributo alla tua salute" ipotizzò lui.
Lei divincolò le mani dalla presa del marito, a disagio. "Tutti i nostri coetanei hanno già almeno quattro figli, Paheri. Non posso essere… quella che non ci riesce. Non posso darti questa delusione."
"Possiamo adottare" le ricordò lui, cercando di placare le sue ansie.
Bennu non sembrò entusiasta all'idea. "Sì, ma è una pratica da popolani. Di solito i nobili vogliono figli propri. Non desidero che poi la gente parli male di noi."
"E se fossi io, e non tu?" Chiese l'uomo, cogliendola di sorpresa. "Se fosse colpa mia se non abbiamo figli?"
La moglie rimase scioccata per qualche secondo, poi si coprì la bocca con una mano e rise sommessamente. "È un gioco per risollevare il mio umore? Mio caro, la dea della fertilità è donna, quindi è chiaro che tutto ciò che riguarda la gravidanza è responsabilità o colpa della donna."
"E se…"
"E se tu ora smettessi di ribattere e mi portassi in camera da letto? Non voglio sprecare il prezioso rituale della sacerdotessa, tentiamo ora, il mio corpo non sarà mai più così sano."
Questa affermazione a cuor leggero fece calare un'ombra di tristezza e preoccupazione sul volto del marito, ma cercò di non darlo a vedere.

* * *


"Bennu, è arrivato il momento di guardare in faccia la realtà. Siamo sposati da quasi vent'anni e la nostra unione non ha dato frutti. Ti stai uccidendo a forza di diete, rimedi miracolosi, e sfiancanti rituali a cui ti sottoponi. Non puoi fare questo al tuo corpo."
"Ma Paheri, io… io non posso semplicemente arrendermi al fatto di averti deluso" mormorò lei, sdraiata sul letto e ancora spossata dopo l'ennesima interruzione di gravidanza, solo due giorni prima. Il feto non era più grande di un chicco di grano, perché allora lei era così stanca? I medici avevano detto che aveva perso troppo sangue, ma perché? "E se morirò tentando, almeno saprai che ho tentato fino alla fine, che non sono venuta meno ai miei doveri."
"Bennu, ti prego. Ho quarant'anni. Tu ne hai trentadue. Siamo troppo vecchi per mettere su famiglia adesso. A parte lo stress a cui sottoporresti il tuo corpo, pensa alla fatica di crescere un figlio alla nostra età. Dobbiamo semplicemente accettare il fatto che gli dèi non ci hanno concesso altro che la reciproca compagnia, dovremmo godere dei nostri giorni insieme anziché vivere nell'infelicità per ciò che non abbiamo."
"Ma questa è una resa, e non lo accetto…"
"Maledizione, Bennu, io ti amo. Per me questo è sufficiente. Tu sei sufficiente. Io non lo sono per te?"
La donna, che ormai dimostrava più dei suoi trentadue anni, rimase a fissare il soffitto con aria svuotata.
"Ti amo" gli fece eco lei. "Ma anche se tu sei abbastanza, io non lo sono. Noi non lo siamo. Avevo sognato una famiglia. Avevo sognato che sarei stata una madre e tu saresti stato fiero di me. Quella sarebbe stata la coronazione del nostro amore, invece siamo ancora qui. Ci amiamo, ma è come se fossimo… incompleti."
Paheri si sedette accanto a lei, le prese le mani e abbassò lo sguardo.
"Se noi non siamo abbastanza, vuol dire che io non sono abbastanza per te. Finché staremo insieme non farai altro che continuare a tentare. Mi lasci con una sola opzione, amore mio. Mi lasci con soltanto la fuga."
Bennu spalancò gli occhi, sconcertata.
"Mi stai lasciando?"
Paheri continuò a fissare ostinatamente le loro mani intrecciate. Sarebbe stato il loro ultimo contatto e il pensiero lo perseguitava, lo tormentava. "Non accetto di stare a guardare mentre ti suicidi. Se mi allontanerò, tu desisterai da questo stupido proposito. So che non vuoi figli senza un marito. Sarà doloroso non vederti più, ma almeno saprò che sarai viva."
"Tu…" Bennu lo guardò in volto, o almeno ci provò, perché lui cercava di negarsi. "Tu pensi di rimuovere la causa di un'ossessione, ma invece stai rimuovendo la mia ragione per andare avanti."
"Troverai un'altra ragione. Troverai… una vocazione, o forse un nuovo amore. So che tu hai le risorse per riuscirci, devi solo lasciare andare la zavorra di questo matrimonio che non ti ha portato gioia."
Bennu avrebbe voluto obiettare, avrebbe voluto dirgli che aveva provato vera gioia con lui. Ma non era vero. Se ne rese conto soltanto in quel momento: lo aveva amato fin dall'inizio, avrebbe potuto essere felice con lui, ma si era sempre e solo concentrata su quello che non riusciva a dargli, aveva lasciato che l'ansia rovinasse tutto e tenesse lontana la felicità.
"Potrei… cercare conforto nella religione" mormorò. "Diventare una sacerdotessa. Sono vecchia, ma mio padre ha i contatti giusti. Potrei trovare delle risposte e allo stesso tempo soddisfare il mio bisogno di essere utile." Nel suo tono non c'era entusiasmo, ma cominciava a vedersi almeno rassegnazione. Dopo aver vissuto tutta una vita all'insegna della testardaggine, anche la rassegnazione era un passo avanti.
"Sarai meravigliosa, qualunque cosa tu decida di fare" Paheri si chinò su di lei e le baciò la fronte un'ultima volta.
E poi, prima che lei potesse accorgersene, lui se n'era andato.
Il silenzio era assordante nella stanza vuota, nella casa vuota. E c'era silenzio anche dentro di lei, nella sua vita all'improvviso così vuota.
Bennu scoppiò a piangere. Almeno il suono dei suoi lamenti riempiva il silenzio.
Con il tempo, però, avrebbe capito che il silenzio era comunque preferibile alla voce interiore che continuava a rammentarle i suoi fallimenti, e che l'aveva accompagnata nei vent'anni del suo matrimonio.



**********
Note dell'autrice:
La cultura del Mulhorand è basata su quella dell'Antico Egitto. Per le informazioni su come funzionasse il matrimonio, rimando a questo link https://www.wondriumdaily.com/marriage-in-ancient-egypt-egyptian-family-system/

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Capitolo 10
*** 9. Injuried ***


Genere: Fantasy
Personaggi: Sinistra

9. Injuried


1371 DR, città di Neverwinter, una qualunque notte d'estate

"Cosa è successo?" La ragazza si sentì una sciocca nel momento stesso in cui poneva quella domanda. Aveva parlato senza riflettere, perché era piuttosto evidente che cosa fosse successo.
"La solita rissa da taverna" il suo collega si passò una mano sul volto e scosse la testa. Julius era lo stereotipo del gigante gentile, un omone alto quasi due metri e capace di sollevare un tavolo, ma usava la sua prestanza fisica per aiutare il prossimo; il suo compito era trasportare i malati e i feriti al sanatorio. "Ma questa volta c'è scappato qualche morto e un pezzo di soffitto è pure caduto. Mi serve che tu faccia la tua magia, Sinistra."
Già, perché Sinistra aveva una sorta di potere, era famosa per quello, al sanatorio. Sinistra sapeva riconoscere un morto da un ferito semplicemente con uno sguardo. A volte era capace di percepire la presenza di persone vive anche sotto un crollo, o anche se erano nascoste da qualcosa. I suoi colleghi lo chiamavano sesto senso, magia. Sinistra lo chiamava col suo vero nome: Percepire vita, un potere proprio di alcuni non morti e di alcuni costrutti. Poter vedere la luce che i viventi emanavano. Era impossibile scambiare un ferito per un morto, perché il primo risplendeva di una meravigliosa ed effimera luminescenza, il secondo no.
"Quello è svenuto ma vivo" indicò la zombie a colpo sicuro, indicando uno dei corpi riversi a terra. "Quello sul tavolo all'angolo è vivo, dietro al bancone c'è un tizio vivo. Forse due. Quello vicino alla porta sta morendo, bisogna fermare l'emorragia. I due sotto al tavolo sono morti. C'è un vivo nascosto nel sottoscala, credo sia solo spaventato."
"Come diavolo ci riesci?" Domandò Julius, incredulo.
"È la mia magia. Questo mondo è pieno di magia, perché ti sorprendi? Basta domande oziose, non c'è tempo. Dobbiamo pensare ai feriti."
Julius si riscosse dal suo stupore e annuì, con rinnovata dedizione.
Sinistra era lieta che il suo lavoro avesse sempre un carattere di urgenza. Non lasciava alle persone il tempo di farsi troppe domande su di lei.

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Capitolo 11
*** 10. Brainwashed ***


Genere: Fantasy, introspettivo
Personaggi: Bennu, Oscar
Note: storia collegata a Break Up

10. Brainwashed


1091 DR, Mulhorand

Il sole batte sulle sabbie della Terra dei Morti con la forza di mille soli.
Oscar si bloccò, stupefatto dall'idiozia di quel pensiero. Infilò una mano sotto al cappuccio di lino bianco e si grattò la testa. Possibile che il calore gli stesse friggendo il cervello?
No, avrebbe dovuto essere impossibile. Lui era un non morto, era al di là dei disagi del caldo e del freddo, il suo corpo era sostenuto dalla magia e non era vulnerabile alle condizioni che destabilizzano la salute dei vivi.
Eppure.
Eppure, anche se non avrebbe saputo indicare con certezza il perché, preferiva di gran lunga i climi freddi.
"Io non andrò oltre, signore" annunciò il monello di strada, piantando con decisione i piedi nella sabbia.
"E io non ti chiederò di farlo, Khaem" infilò la mano sinistra in una piega della veste da viaggio e ne tirò fuori un sacchetto di monete. La mano destra la teneva dietro la schiena, pronta a lanciare un incantesimo nel caso in cui il ragazzino lo avesse condotto in un'imboscata di briganti.
Per fortuna la transazione economica si svolse senza incidenti, e presto Oscar rimase solo in quel luogo sterile e proibito ai profani, sacro ma pregno anche di energie sacrileghe.
Chiusa fra le Montagne della Spada e la fertile Grande Valle, la zona che circondava la cittadina di Mintarn appariva come un deserto, una caratteristica geografica che non poteva essere dovuta solo al clima. Nessun deserto naturale poteva essere così piccolo. Forse la magia sacerdotale che veniva usata per rendere più fertile la terra delle vicine regioni aveva imposto un tributo alle zone che invece non ne erano toccate, ma Oscar aveva un'altra opinione: quello era un luogo di morte, e per quanto i mulhorandi antichi e moderni avessero rispetto per la morte, la loro idea di proteggere le spoglie dei cari estinti era mettere dei non morti a loro protezione. Avere una concentrazione di creature animate da energia negativa in una stessa area geografica poteva portare a conseguenze, rendere sterile il suolo era la più comune. Questo, unito al fatto che nessuno si fosse mai impegnato per rendere quelle terre coltivabili, e anche a causa del disboscamento di quella zona collinare per lasciare spazio alle tombe, nel tempo aveva trasformato l'area in una secca steppa calda e poi in un deserto.

Oscar non era lì per godersi il sole. Era in viaggio per cultura personale, per così dire. Era interessato alla cultura del Mulhorand, che più di molte altre culture al mondo mescolava elementi che altrove erano considerati negativi e perfino malvagi, con una moralità unica, ordinata, dagli alti valori sociali.
Avevano la schiavitù, ma uno schiavo nel Mulhorand aveva più diritti di un cittadino nel Calimshan. Facevano uso di non morti, cosa che di solito è considerata profana nei confronti dei cadaveri, ma li usavano per proteggere l’integrità di altri morti.
Un popolo strano, con un dio dei morti - Anubis - che aveva il ruolo primario di protettore delle tombe e il ruolo secondario di giudice dei morti, e un dio della morte - Osiris - che era non solo il principale giudice dei morti, ma anche colui che si assicurava della continuazione del ciclo della vita; nel Mulhorand la morte era concettualmente legata al ciclo naturale, alla vegetazione, al raccolto.
Era una prospettiva culturale unica nel Faerûn, dove era molto più comune separare nettamente la morte e la vita, considerare la prima negativa e la seconda positiva. Nel resto del continente, il Dio dei morti riconosciuto dagli umani era malvagio e godeva del poter stendere la sua lunga mano e portare dolore a chi era sotto la sua sfera di influenza. Conoscendo i misfatti di una divinità come Myrkul, era molto difficile credere che potesse esistere un dio della morte giusto, retto, ma anche gentile e compassionevole come i sacerdoti dipingevano Osiris.
Dal canto suo, Oscar… non è esatto dire che fosse il fedele di un dio. Sarebbe stato più corretto dire che lavorava per un dio: Jergal, il Tetro Siniscalco, colui che nel pantheon umano del Faerûn occidentale era riconosciuto come il burocrate dell'Aldilà, un dio minore al servizio di Myrkul.
Non era passato molto tempo da quando Oscar era stato precettato, quasi contro la sua volontà, a lavorare per lord Jergal. Non che il suo fosse un lavoro pesante o sgradevole: il dio era semplicemente interessato alle sue ricerche, e gli aveva ordinato di continuare a svolgerle, per… interesse personale. Oscar era stato lieto di accettare; quando una divinità si impone come tuo capo e ti fa capire che tollera la tua esistenza di non morto solo perché lavori per lui, è un sollievo che ti dica "devi solo continuare a fare quello che già stavi facendo".

Le ricerche di Oscar giravano molto intorno alla non morte e alla domanda: "perché quasi tutti i non morti sono malvagi?", e alla sua conseguenza diretta "c'è un modo per prevenire o evitare che i non morti siano malvagi?"
Oscar era stato sul piano dell'energia negativa per indagare la natura di quest'ultima. Aveva scoperto che l'energia negativa non è malvagia in sé, l'energia della morte è come l'energia della vita: una forza neutrale dell'universo. In un certo senso fa parte della natura, perché la natura è figlia dell'equilibrio fra la morte e la vita. Ma se l'energia negativa non era malvagia, perché la maggior parte delle creature animate da essa invece lo erano?
Fino a quel momento aveva già fatto delle scoperte interessanti. Le sue ricerche si erano concentrate sui più semplici fra i non morti: zombie. Uno zombie è solo un cadavere rianimato con il più semplice degli incantesimi, e Oscar lavorava su cadaveri freschi, quasi indistinguibili dai vivi. Secondo lui la somiglianza fisica era anche uno specchio della somiglianza spirituale, senza considerare che avere ancora tutti gli organi intatti, compreso il cervello, poteva solo aiutare. Oscar all'inizio era fermamente convinto che gli zombie, per le ricerche necromantiche, fossero l'equivalente dei topini da laboratorio per le ricerche scientifiche: abbondanti e uniformi, il soggetto più neutro possibile su cui sperimentare.
Nel tempo aveva dovuto rivedere un po' quella sua posizione, perché perfino fra gli zombie vi erano delle differenze… ma questo è un discorso per un altro momento.
La cosa più interessante in assoluto che aveva scoperto era che il processo di animazione di un cadavere con la necromanzia attirava l'attenzione di spiriti maligni. Non aveva ben chiaro che cosa fossero questi spiriti maligni, non erano davvero delle creature senzienti. Se fossero stati creature formate, definibili, come i demoni ad esempio o come altri non morti, avrebbe potuto facilmente distruggerli; invece erano inconsistenti come vento, spiriti disincarnati che spesso non avevano nemmeno una vera identità. Oscar aveva scoperto che questi spiriti non amavano essere disincarnati, perché si buttavano sui cadaveri in fase di rianimazione come avvoltoi famelici. Quello che facevano ai cadaveri era… profano. Si legavano indissolubilmente all'energia negativa che muoveva gli zombie, dando loro un animo malvagio e distruttivo. Andavano a sporcare e corrompere quell'impronta di anima che rimane sempre nei cadaveri dopo la morte.
Dopo aver visto, dopo aver capito, che cosa facessero quelle entità spirituali, Oscar aveva cominciato a considerare la rianimazione dei morti come un gesto profano e malvagio… se fatta male. Lui però aveva imparato come farla bene. Aveva sviluppato tecniche per tenere quegli spiriti maligni lontani dai suoi preziosi cadaveri.
Quello però era come tappare un buco. Oscar voleva capire perché. Perché gli spiriti maligni erano attirati dal processo di animazione dei cadaveri? Lui sospettava che la risposta fosse: perché è una pratica culturalmente ritenuta malvagia; e purtroppo quanto più questi spiriti maligni andavano a infestare i cadaveri, tanto più la necromanzia veniva considerata una pratica malvagia. Oscar sospettava che esistesse una specie di coscienza collettiva che andava veramente a impattare anche sulla dimensione sottile; era mai possibile che ciò che credevano le persone, se ripetuto nel tempo e nello spazio, potesse influenzare la realtà?
Per questo era nel Mulhorand: per capire in che modo funzionasse l'interazione fra i vivi e i morti, e la necromanzia stessa, in un luogo culturalmente diverso in cui la non morte in certi contesti era accettata.
Aveva qualche speranza di approfondire la sua comprensione della materia. Come si è detto, non c'era un altro luogo come il Mulhorand.

La porta della tomba recava il sigillo di Anubis, ma quel sigillo era stato spezzato. A riparare la porta, era stato creato un muro che andava a incastrarsi perfettamente nelle crepe e nelle spaccature dell'uscio originale, segno che doveva essere stato creato con la magia. In seguito qualcuno ci aveva inciso sopra una sequela di geroglifici che per Oscar non significavano nulla, ma che dovevano avere uno scopo apotropaico.
Quando una tomba veniva depredata e un cadavere veniva privato di tutti i suoi beni e tesori che avrebbe dovuto portare nell'Aldilà, la gente comune rimaneva molto scossa. Era un crimine serio, un tabù culturale. Si pensava subito a pacificare l'anima del morto sepolto lì… e a bloccare la via d'uscita per eventuali mummie che potevano essere rimaste, e voler andare in cerca di vendetta.
Nella cultura mulhorandi c'era posto per le mummie e altre simili creature, ma quel posto era dentro le tombe. Il mondo dei morti rimaneva comunque separato geograficamente rispetto al mondo dei vivi. Tutte le tombe venivano erette nella stessa valle, tutti i morti e non morti venivano relegati dentro le tombe. L'idea che i morti potessero camminare in mezzo ai vivi non piaceva nemmeno ai mulhorandi.
La tomba con la porta rotta apparteneva ad un faraone così antico che i mulhorandi stessi ne avevano dimenticato il nome. Da una parte questo aveva rappresentato un sollievo - era più disturbante quando qualcuno depredava tombe di faraoni di cui si aveva memoria - ma dall'altra parte… il passato più antico del Mulhorand era praticamente mitico. Quella piramide a gradoni era stata stimata appartenere alla prima epoca, quando gli dei del Mulhorand avevano camminato sulla terra accanto agli uomini. Che qualcuno avesse potuto scegliere di mancare di rispetto a un passato così glorioso era impensabile, e lasciava i mulhorandi con una sola, solida convinzione: erano stati degli stranieri.
Per questo nessuno aveva accettato di guidare Oscar nella Terra dei Morti: in quanto straniero era un depredatore di tombe fino a prova contraria.
E forse non avevano del tutto torto. Oscar voleva davvero entrare in quella tomba, ma non per cercare eventuali tesori dimenticati.

La porta spaccata era stata sigillata bene. Talmente bene che non c'era nemmeno uno spiraglio, nemmeno una fessura in cui una creatura in forma gassosa potesse entrare. Oscar aveva sperato di poter usare un incantamento per diventare consistente quanto un refolo d'aria e passare. Non avrebbe funzionato. Il mago non si lasciò abbattere, aveva ancora un asso nella manica: qualche pergamena di Forma del Fantasma. Perché essere fatti di gas è una cosa - permette di passare attraverso i più piccoli pertugi - ma essere incorporei risolve il problema alla radice.
Il mago sapeva che neppure quello avrebbe funzionato se la barriera davanti a lui fosse stata costituita di pietra più spessa di un metro e mezzo, ma confidava che non fosse così. Si guardò intorno, per accertarsi che non ci fosse nessuno, poi recitò l'incantesimo dalla pergamena.

L'interno della tomba era buio e l'aria era stantia, ma nessuna di queste cose era un problema per un non morto che vede al buio e che non ha bisogno di respirare.
Per terra c'era il segno del passaggio di piedi che avevano camminato contaminando una patina di polvere che nel corso dei secoli, dei millenni, aveva creato come uno strato di terriccio. Qualcuno era passato di lì, di recente, anche se di recente poteva voler dire qualche anno prima.
I contemporanei avevano dato per scontato che la tomba fosse stata depredata visto che era stata aperta; Oscar si rese conto che avevano ragione. Lui non capiva perché dessero così tanta importanza al tesoro che accompagnava un morto, tanto nell'Aldilà i beni terreni non servono a nulla… ne era abbastanza sicuro. Secondo lui sarebbe stato meglio che quelle risorse venissero utilizzate per migliorare l'esistenza dei vivi, anziché per riempire le tombe. Però quella non era la sua cultura e aveva già deciso di sospendere il giudizio.
Proseguendo nei corridoi trovò almeno un cadavere, ormai uno scheletro col cranio sfondato dopo aver probabilmente attivato una trappola. Oscar venne abbandonato dal suo incantesimo di incorporeità proprio nel bel mezzo di un corridoio che, a giudicare dalla presenza del cadavere, doveva avere delle trappole. Per fortuna il necropolitano era un maestro abiuratore, la magia di autoprotezione non aveva segreti per lui. Riuscì a passare oltre trappole meccaniche e antichissime trappole magiche senza farsi un graffio, anche perché molte di quelle trappole erano pensate per nuocere a creature viventi. Che cosa importava a lui se un gas velenoso usciva dalle fessure di una parete?

La cosa particolare, e un po' deludente, era che fino a quel momento non aveva trovato nessun non morto all'interno della tomba. Ne capì la ragione solo quando arrivò, dopo aver girato un po' a vuoto, a una stanza in cui palesemente si era svolto un combattimento. Per terra c'erano due mucchietti di polvere che non sembravano essere causati dal semplice accumulo; Oscar supponeva che fossero persone colpite dalla maledizione della mummia, e lo credeva perché in quella stanza c'era una mummia.
Non appena la creatura si accorse che qualcuno era entrato nella stanza cominciò ad agitarsi, ma inutilmente. I predoni dovevano essere riusciti a neutralizzare quell'essere non morto con una qualche tattica, perché avevano trovato il modo di rovesciarle addosso il suo stesso sarcofago di pietra pesante. La mummia non era stata distrutta ma era incapacitata, non poteva muoversi da lì.

* * *


Le mummie non sono famose per la loro capacità di provare sentimenti, ma Bennu aveva avuto molto tempo per riflettere sulla cosa ed era abbastanza convinta che i sentimenti negativi fossero qualcosa che quelli come lei erano ancora in grado di provare. Lo stava sperimentando in prima persona: l'odio era sicuramente un sentimento che ancora le apparteneva, così come la frustrazione e la rabbia. In realtà aveva la sensazione di essere composta solo e interamente di odio, frustrazione e rabbia. Prima c'era anche il senso del dovere. Anzi, le sembrava di ricordare un tempo - remoto come un'altra vita - in cui era stata guidata mente e anima dal senso del dovere. Le sue idee sul suo posto nel mondo si erano infrante dolorosamente quando un gruppo di predoni era riuscito a forzare le difese della tomba che lei proteggeva, dita sottili avevano disattivato la maggior parte delle trappole - e degli artigiani erano morti per portarsi nella tomba il segreto di quelle trappole, brave persone che come lei conoscevano il proprio dovere - e infine mani profane si erano posate sui tesori del suo faraone. Aveva cercato di impedirlo, ma alla fine a cosa erano valsi i suoi sforzi? A cosa era servito a uccidere un paio di loro se poi non era riuscita a proteggere il sepolcro di un sovrano divino?
E infine, per aggiungere beffa al danno, dopo qualche tempo uno di loro era tornato. Bennu non aveva idea di quanto tempo fosse passato, il tempo non ha nessun valore per una mummia, ma se quella tomba vuota stava di nuovo udendo l'eccheggiare di passi umani allora voleva dire che uno di loro era tornato.
Quando l'uomo entrò nella stanza in cui Bennu aveva conosciuto la sconfitta, lei si accorse che si trattava di un vecchio. Era ancora capace di riconoscere gli stadi della vita degli umani, e questo intruso aveva i capelli grigi e la pelle solcata dalle rughe.
Ma quanto tempo era passato? Possibile che uno di quei ladri fosse già invecchiato così tanto? Forse aveva sbagliato la sua valutazione e si trattava di un nuovo ladro? In effetti dall'aspetto pareva straniero, la sua pelle era troppo chiara.
"Qui non è rimasto nulla da rubare" sibilò con una voce secca che prometteva solo morte. Avrebbe voluto essere libera dal sarcofago che la schiacciava, perché da quella posizione probabilmente non stava facendo paura a nessuno.
L'uomo rispose con una sequela di parole incomprensibili, in un'altra lingua. Poi sembrò recitare una specie di nenia e un momento dopo le sue parole erano in mulhorandi antico - il mulhorandi giusto, quello che la mummia ricordava.

"Ti saluto, venerabile guardiano. Vengo dal mondo esterno in cerca della saggezza degli antichi."
La mummia sembrò veramente presa in contropiede.
"Cosa cerchi qui, ladro? Questo è un luogo di eterno riposo che non dev'essere violato!"
"Non sono un ladro né un profanatore di tombe. Ho scelto di entrare in questa struttura funeraria unicamente perché è stata già depredata da qualcun altro. Non ho idea se qui ci sia ancora qualcosa che un uomo potrebbe rubare, ma non mi interessa. Questa è una valutazione che spetta solo a un guardiano."
Poi fece qualcosa che la mummia non si sarebbe mai aspettata: recitò un incantesimo e il pesante sarcofago si sollevò, andando a rimettersi in posizione verticale, appoggiato alla parete.
Per la prima volta dopo anni, Bennu era libera.
Avrebbe potuto attaccare l'umano, a regola avrebbe dovuto, ma il suo comportamento non era quello di un predone. Per di più sapeva che tutti gli umani hanno paura delle mummie, è una paura ancestrale che li attanaglia al primo sguardo; ma lo straniero non stava reagendo in alcun modo. Quanto poteva essere grande la sua forza di volontà?
"Ho davanti a me un potente sacerdote?"
"No, venerabile guardiano. Soltanto un potente mago" si schermì l'intruso. Bennu si mise subito sulla difensiva: i maghi non erano neanche lontanamente rispettati quanto i sacerdoti, gli unici che nel Mulhorand avevano il rispetto del faraone pur usando la magia arcana erano gli appartenenti al culto di Thoth o di Isis. Ai suoi tempi le benedette da Isis erano tutte donne, restava solo la possibilità che fosse un seguace di Thoth, ma era quasi certa che fosse uno straniero quindi era da escludere che un dio mulhorandi avesse esteso la sua benedizione su di lui. Doveva essere un profano.
"I maghi non sono degni di alcuna fiducia" ringhiò la mummia. "E non c'è conoscenza o saggezza che gli antichi Faraoni debbano condividere con voi. Andate via senza toccare nulla e vi lascerò vivere."
Non si trattava di rispetto o di gratitudine, solo di convenienza: Bennu era una sacerdotessa e una mummia di grado superiore, più forte e più saggia delle comuni mummie, ma non era affatto sicura di poter sconfiggere questo intruso. La magia arcana era disprezzata, ma era potente.
"Non potete lasciarmi vivere perché io, come voi, sono già morto" annunciò l'uomo. Con una certa solennità si sfilò dal collo un medaglione che sembrava un piccolo specchio allacciato a una catenina d'argento, e il suo aspetto mutò come il giorno muta nella notte. Al posto di un umano di mezza età, dritto e distinto, ora si ergeva una fragile creatura non morta, con la pelle secca e sottile tirata sulle ossa.
Non era una mummia, di questo Bennu era sicura. Però non sembrava un ghast, era troppo ben educato per essere un wight, e troppo intelligente per essere uno zombie. Non aveva idea di che cosa fosse.
Bennu stava provando una sensazione insolita: sorpresa. Be', non che la sorpresa fosse un sentimento a lei del tutto estraneo, ma di solito si accompagnava a rabbia, desiderio di uccidere. Di solito era la sorpresa di vedere che qualcuno era stato così folle da cercare di derubare la sua tomba.
Ora non era esattamente… arrabbiata, ma la sorpresa che stava provando era comunque contaminata da un altro sentimento: indignazione.
"Cosa ci fate nella tomba che io difendo? Non avete una tomba vostra da infestare? Dov'è il vostro senso del dovere?"

* * *


Oscar fu preso alla sprovvista da questo improvviso rimprovero. Non sapeva che cosa aspettarsi da una mummia millenaria, ma di sicuro non si aspettava questo. Ostilità, l'aveva messa in conto. Sospetto, senza dubbio. Ma… essere rimproverato come un bambino che ha saltato un giorno di scuola? Non era una cosa a cui l'anziano mago fosse preparato.
"Io… uh… no. Non ho una tomba da infestare."
"Non potete comunque prendervi la mia!" sibilò la mummia.
Al necropolitano saettò nella mente la prospettiva di passare l'eternità rinchiuso fra quattro mura, ad attendere con pazienza il nulla. Il solo pensiero gli fece accapponare la pelle.
"Non ho alcuna intenzione di occupare la tomba di chicchessia! Io non sono un guardiano di tombe, non sono prigioniero in un mausoleo. Io sono un libero cittadino della Costa della Spada!"
Calò un lungo silenzio. La mummia lo fissò con i suoi occhi fatti di oscurità.
"Avevo supposto che foste straniero. Rivendicate di essere un libero cittadino di un luogo che non ho mai udito nominare, ma cosa significa? Esiste un luogo in cui i vivi e i morti possono camminare fianco a fianco, senza alcun ordine, senza alcun criterio?"
Oscar non rispose subito. C’era qualcosa nella domanda della mummia… incredulità, ma con un accenno di sfida.
"Ehm. No, in effetti. Sono un libero cittadino, ma la mia condizione non è nota."
"Siete un libero cittadino finchè la vostra condizione resta ignota" indovinò l’antica creatura. "Dopo di che, siete un mostro. Io invece sarò anche prigioniera in un mausoleo, ma qui ho uno scopo, la mia società mi accetta…"
"Vi hanno sigillata qui dentro perché temono la vostra vendetta dopo che questa tomba è stata depredata…"
"Come è giusto! I vivi devono temerci, altrimenti come potrei proteggere le spoglie del grande, eroico Ramenhorus I?"[1]
"Pensavo che questa tomba regale fosse stata già… come dire…"
"Sì. Sì, in effetti" la mummia sembrò un po’ imbarazzata. "Ma vi sto parlando del principio generale. Io ho un ruolo nel grande ordine del mondo, e il mio ruolo non è essere al servizio dei vivi o esistere al loro fianco. Non è quello che ci si aspetta da me."
"Sì… lo vedo, ma… ora che questa tomba è vuota, perché restare?"
Seguì un altro, lunghissimo silenzio. La mummia sembrava intenta in una riflessione profonda quanto spiacevole.
"Ciò che dite non è privo di senso. Ho fallito il mio compito, quindi il mio compito è terminato. Dovrei… cessare di esistere. Ma questo è senza precedenti. Non c’è mai stata una mummia che abbia fallito e sia perdurata per raccontarlo."
"Oppure, un altro modo di vedere la cosa è che avete fallito il vostro compito e questo vi ha reso la libertà."
"Libertà?" Di nuovo quello sguardo indagatore, angoscioso. "Non esiste la libertà dove esiste l’ordine. Ogni uomo e ogni donna, nella vita come nella morte, ha un ruolo e un compito. Non esiste la libertà, esiste il dovere. Chi compie il proprio dovere ha il diritto a esistere, chi non lo fa… no."
"Be’, ma… non c’è alcuna fretta, giusto? Siete in questa condizione da millenni. Potete prendere il tempo di rifletterci."
“Non capisco."
"Vorrei solo che mi accordaste il permesso di tornare. Vorrei parlare con voi, imparare gli usi e i costumi del vostro popolo, le vostre credenze sull’Aldilà. E in cambio, vorrei parlarvi del mondo esterno. Potrei portarvi dei libri, delle storie. Cosa ne pensate?"
La mummia si prese il suo tempo per rispondere.
"Che senso ha tutto questo? Il mio compito era servire. Sono solo un tratto d’inchiostro nelle scritture della storia del mondo. Sono priva di importanza, ma non posso permettermi sbavature o l’intera pagina sarà in disordine."
"Sì. Ma adesso" Oscar indicò intorno a sé, la stanza svuotata dopo il combattimento. "Che cosa cambia che continuiate a esistere o no? La tomba è stata depredata. La vostra distruzione non rimetterà le cose a posto."
"Lo so, ma io non ho il diritto di essere qui se non ho un compito."
"Qui? Qui in una tomba vuota, in uno spazio che nessun vivente vuole e può occupare? Che fastidio date?"
Se la mummia fosse stata viva avrebbe avuto uno spasmo muscolare involontario. "Sono cose che un moderno, uno straniero, evidentemente non può capire. Non è una questione di fastidio, ma di ordine… di come il mondo dovrebbe essere…"
"Onestamente, vi ha mai dato un po’ di felicità? Il mondo come dovrebbe essere?" chiese Oscar, perché sebbene si considerasse una persona rispettosa sia delle leggi che del proprio codice morale, non aveva mai rasentato un simile livello di fanatismo, di… lavaggio del cervello.
Ma sono io che non capisco la sua cultura, o è la sua cultura che è estremamente limitante? Mi sto comportando con arroganza oppure questa mummia è una vittima della sua cultura?

* * *


"La… la felicità non è in alcun modo rilevante." Ragionò la mummia. "Certo, è preferibile provare soddisfazione e gioia e senso di completezza per i propri doveri. Ma anche se non accade… anche se…"
Le balenarono nella mente immagini di un tempo antichissimo, un discorso simile - in modo disturbante - a quello dello straniero. Un tempo era stata viva, era stata una moglie, aveva avuto un marito. Aveva cercato anche di essere madre, ma senza successo.
Il mio primo fallimento.
Alla fine suo marito aveva divorziato da lei, per darle un’altra occasione di felicità.
Aveva preferito svincolarla dal suo dovere naturale, e lei si era rifugiata nella religione perché meglio di niente, un altro posto nella società andava pure trovato.
Il suo sentimento religioso era stato sincero… altrimenti nessuna divinità le avrebbe mai concesso dei poteri… ma era stato soprattutto veicolato dal bisogno di servire, di avere una qualche utilità.
La stessa ragione per cui, all’approssimarsi della fine della sua vita, aveva accettato di farsi mummificare per proteggere le spoglie del suo re-dio. Non voleva andare nell’Aldilà senza avere a suo attivo qualcosa di cui essere fiera.
Bennu non si era fermata a riflettere a lungo sulle conseguenze della sua scelta - che con ogni probabilità in quel modo non sarebbe mai arrivata nell’Aldilà - sapeva solo che in quel momento non si sentiva pronta, voleva continuare a essere utile. Non erano molte le persone che si offrivano volontariamente per quel destino di servitù eterna, e lei era stata lodata per la sua abnegazione e per il suo senso del dovere… prima di essere trasformata.
Il processo di mummificazione è molto diverso per un morto e per un vivo. Un morto viene trasformato in un cadavere perfettamente preservato; un vivo viene trasformato in un non morto attraverso un procedimento di rituali complessi. Il corpo viene prima indotto ad assumere uno stato di morte temporanea, una specie di coma, poi viene attuato un processo di mummificazione "manuale" che in condizioni normali ucciderebbe qualunque vivente, ma la magia divina interviene in quel delicato momento fra la vita e la morte per cristallizzare l’esistenza della nuova mummia e mantenerla… funzionale, nonostante non abbia organi, e autocosciente, nonostante non abbia più un cervello. Semovente, nonostante non abbia più una vita.
Eterna. Come eterno è il suo servizio.[2]
No, la felicità non era in alcun modo rilevante. La felicità non era neanche contemplabile quando il tuo destino era rimanere chiusa in un sarcofago, in una stanza, in un complesso di cunicoli e sale, in una tomba, in una valle, per tutta l’eternità.
"Potete tornare" decise infine, prendendo la prima decisione impulsiva da quando aveva accettato di diventare una mummia. "Non ho null’altro da… fare… al momento" né mai più aggiunse fra sé e sé.
Lo straniero davanti a lei annuì e si piegò in un rigido inchino.
"Sarà un onore. Mi piacerebbe moltissimo poter imparare qualcosa da voi. E, con il vostro permesso, mi piacerebbe parlarvi un po’ del mondo esterno."

Bennu non sapeva cosa pensare. L’idea dell’esistenza del mondo esterno era terrificante e intrigante insieme. Il mondo esterno era un luogo di infinite possibilità, dove c’era tutto… tranne un qualche riconoscimento per lei, che era l’unica cosa che le importasse. Eppure… c’era riconoscimento per lei, lì dentro quella tomba profanata e vuota? C’era, nell’Aldilà che era la sua unica altra possibilità?
"Non faccio parte del mondo. Ma non mi oppongo all’idea di informarmi" decise infine, in tono riluttante.
Nonostante fossero passati millenni, non si sentiva ancora pronta ad andare oltre.



**********
Note:
[1] Ramenhorus I fu il secondo faraone del Mulhorand, morto in battaglia nel -623 DR (14 anni dopo la storia Break Up) per proteggere il suo regno contro il Narfell.
[2] Il procedimento per la creazione di mummie a partire da individui viventi è soltanto una mia invenzione, da regole una mummia è creata a partire da un cadavere. Ho voluto inserire questa dinamica per creare una differenza tra le mummie del Mulhorand e le mummie di altri luoghi, create lanciando incantesimi su cadaveri. Ritengo sia giusto così visto che il Mulhorand ha tutta una cultura funeraria che contempla l'uso di mummie, e per loro è una sacra missione proteggere le tombe. Questo è anche il motivo per cui Bennu conserva qualche ricordo della sua vita mortale.

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Capitolo 12
*** 11. Diner ***


Genere: slice of life
Personaggi: Erika, Terrence

11. Diner


1367 DR, Silverymoon

"E dopo un mese di prova mi hanno assunta al diner. Non potevano non farlo, si capisce, gli ho fatto triplicare i guadagni" si vantò la ragazza, agitando in aria un cucchiaino. Una cameriera di passaggio interpretò quel gesto come una richiesta di attenzione e si avvicinò con l'aria di volersi rendere utile.
"Volete qualcos'altro, signorina?"
Erika si accorse di aver agitato il cucchiaino e lo poggiò sul tavolo con aria imbarazzata.
"Un'altra tazza di infuso, per favore" spinse la sua tazza vuota verso la donnina in attesa. "Con doppio miele, stavolta."
La cameriera annuì, prese la tazza e si allontanò in fretta.
"Ti piace il dolce, adesso?"
"Non direi che mi piace, ma almeno è un sapore" la vampira si strinse nelle spalle. "E tu cosa mi racconti, Terry?"
"Il solito. Carriera accademica, per l'ennesima volta. Mi conosci, dove altro potrei essere?"
"Hmpf. Già. Sei sempre a studiare, se non è magia è storia, e se non è storia è magia."
"Lo dici come se questo mi rendesse noioso" il giovane uomo si rabbuiò un pochino. "Ma più la mia conoscenza è estesa, meglio mi riuscirà quel certo progetto…"
"Sì, sì, il tuo progetto segretissimo della magia di non so cosa" sbuffò lei. "So tutto del tuo progetto di cui non si sa niente, cioè, non ne so niente ma ne hai accennato ogni volta che non avevi tempo per stare con me. Ti rendi conto che saranno sei settimane che non uscivamo?"
"Mi dispiace, non era una scusa, io…"
"Sei un uomo impegnato, ho capito il senso della cosa" borbottò lei, contrariata. "Be', ora sono una donna impegnata anch'io. Non mi divertivo così tanto da quando lavoravo in quel negozio di ciambelle."
"Mi fa piacere… ma che cos'è esattamente un diner?"
"È… un luogo dove si serve cibo."
"Cioè, una taverna?"
"No… solo cibo. Niente alcol."
Terrence rimase basito per qualche secondo, guardando la compagna come se non riuscisse ad afferrare il concetto.
"Cioè? Esiste una cosa del genere?"
In quel momento la cameriera tornò con l'ordinazione di Erika. Infuso con doppio miele. Lei ne assaggiò a malapena un sorso.
"Ma come, mio caro, mi sei diventato un ubriacone? Che problema c'è in un posto che non serve alcol? In un diner ci vanno persone che vogliono mangiare e non hanno tempo da perdere, magari perché poi devono tornare al lavoro, o perché devono restare sobrie, o vogliono semplicemente evitare il caos delle risse da taverna. Lo sai quante risse ci sono, in media, in un diner?"
"Onesta opinione? Sembra un posto troppo noioso per chiamare risse."
"Esat… ehi, non è noioso. È tranquillo. È piacevole. Ed è frequentato soprattutto da guardie cittadine, gente di chiesa e anziani accademici, sai, quelli che non hanno più lo stress di dover insegnare e quindi non gli serve più l'alcol."
"Ah, sì, conosco il genere… aspetta. Aspetta. Tu fai la cameriera in un posto frequentato da gente di chiesa, guardie e maghi? Tu??" Terrence lasciò che la preoccupazione che provava trasparisse del tutto dal suo tono e dalla sua espressione.
"Sì! Per questo è divertente!"
"Erika… c'è il rischio costante che ti scoprano."
"Ieri ho servito uova strapazzate a un accolito di Lathander. A parte essere divertente il concetto in sé, non ha notato niente di strano. Gli incantesimi e le illusioni che mi proteggono da Individuazione dei non morti funzionano a meraviglia. E Rupert è molto contento che io lavori lì, così può controllarmi restando seduto in un diner e siccome è con me può mangiare gratis. Be', non sarebbe proprio così, ma mi sono rigirata il mio capo e ora mi lascia fare quello che voglio."
"Rupert?"
"Ma sì, quello che mi sta sempre accollato, il paladino…"
"Credo che si chiami Richard, sai."
Erika si strinse nelle spalle.
"È già fortunato che abbia indovinato la prima lettera. Ora non puoi pretendere… Rudolph, Robert o Rick… ma chi se ne frega. Tanto fra poco me lo sostituiscono, cambiano sempre ogni qualche anno. Sarà morto di vecchiaia prima che io memorizzi il suo stupido nome."
"È effettivamente Richard. Grazie, Terrence" commentò il paladino, che era seduto al tavolo accanto al loro.
"Chiudi il becco, Rickard, è una conversazione privata" sibilò Erika.
"Come mai hai sempre con te un paladino? Una volta non ti affidavano a un chierico?"
"Ho spaventato un chierico di troppo e così il tempio di Deneir ha cambiato registro. I paladini hanno l'anima temprata nel coraggio, a quanto pare."
"Ah, sì. L'ho sentito dire anch'io."
"Non che faccia una qualche differenza, se Rupert mi starà troppo fra i piedi troverò un modo… non violento, come sempre… per farmelo sostituire."
"Dimmi la verità, anche questo ti diverte. Trovare sempre nuovi modi per cacciare via i tuoi controllori."
"Non cercare di metterla in questo modo, non sminuire il mio disagio." Erika gli puntò contro un dito accusatore. "Può darsi che io trovi divertente sbarazzarmi di loro in modi creativi, ma è perché di base non li sopporto. Dal mio punto di vista è come se mettessero a sorvegliarmi dei neonati con ancora la fontanella aperta. Strillano e danno un sacco di fastidio e vogliono starmi sempre appiccicati, potrei facilmente ucciderli lanciandoli contro un muro ma mi sentirei male se lo facessi."
Terrence sollevò un sopracciglio, ma il sorvegliante in questione non si scompose nemmeno un po'.
"Io non sto odiando poi così tanto questo lavoro, se a qualcuno interessa" intervenne Richard con un sorriso gentile. "Alla mia età non pensavo che mi avrebbero affidato ancora un qualche compito importante, e la signorina Erika non è cattiva per essere… una sorvegliata."
La vampira addolcì un pochino il suo cipiglio e rivolse uno sguardo divertito all'anziano paladino. "Anche tu sei meno sgradevole di molti altri, Richard. Ma so che parli così solo per i pancakes alla cannella gratis."
"Che dici, sono uno stoico guerriero consacrato" negò, cercando di darsi un tono di serietà. "Non mi faccio corrompere da un piatto di pancakes. Ci vuole per lo meno anche della pancetta."
Stava scherzando, Erika lo sapeva; se lei avesse fatto qualcosa di sospetto, o perfino di criminale, l'uomo non avrebbe esitato un attimo a fare appello al potere della sua fede per distruggerla.
Però, per il momento, era il più gentile e comprensivo vecchio scassapalle a cui l'avessero affidata. Aveva appoggiato la sua richiesta di cercare un nuovo lavoro - tutto quello che lei faceva doveva essere approvato dal Tempio di Deneir - perché aveva capito che lei non era solo una bestia succhia-sangue ma aveva la necessità di avere qualche soldo da spendere se voleva mantenere una facciata di normalità. Le occorrevano vestiti, accessori, oggetti per la casa, libri, e soprattutto cappelli. Aveva una vera passione per i cappelli. Quelli più alla moda, quelli più insoliti, l'importante era che la riparassero un po' dal sole. Il sole non la uccideva, ma le dava dei fastidi.
E soprattutto il paladino aveva capito che quei soldi poteva trovarli solo lavorando, perché di solito i vampiri sono ricchi perché derubano le loro vittime, ma lei non aveva ancora incontrato nessun topo che andasse in giro con un borsellino.
"È stato un pomeriggio piacevole ma adesso devo andare a lavorare" annunciò Erika. "Mi hanno messo al turno serale, cosa che non mi dispiace affatto. Sono più produttiva quando cala il sole" ammiccò, poi poggiò sul tavolo una moneta d'argento. "Oggi offro io. Ma Terry, passa a trovarmi al lavoro ogni tanto. C'è qualche studente che reclama un tavolo e si ferma tutto il giorno per studiare, nutrendosi solo di fette di torta. Potresti farlo anche tu."
"Credo di non avere più l'età per un'alimentazione a base di zucchero" sbuffò lui, che però non dimostrava più di ventidue o ventitré anni. "Però conto di accettare il tuo invito prossimamente. Ho in mente un regalo per te e quando sarà pronto verrò a portartelo al diner."
A Erika brillarono gli occhi, perché i regali di Terrence di solito erano magici e avevano un valore che lei non avrebbe mai potuto comprare con le sue finanze da comune cittadina. Per fortuna la natura magica di quegli oggetti era un dettaglio che il tempio di Deneir non aveva ancora scoperto.

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Capitolo 13
*** 12. Roadtrip ***


Genere: Slice of life, fantasy, comico
Personaggi: Seyda, altri

12. Roadtrip


1371 DR, inizio estate, Marche d'Argento, sulla strada fra Rivermoot e High Hold

"Ehi, buon uomo" il soldato in armatura alzò una mano per richiamare l'attenzione del contadino.
Aveva un accento buffo e grossi mustacchi, quel soldato, e il suo stemma non apparteneva a nessuna delle città della regione. Il contadino fermò il carro, ma con titubanza. Non si fidava degli stranieri. Il soldato però aveva il fiatone e non sembrava poi molto pericoloso.
"Buongiorno, buon uomo. Avete visto passare uno scudiero? Aveva uno stemma simile al mio" chiese il baffone in armatura, indicando il simbolo che portava sul petto.
L'uomo di mezza età fissò il soldato con sospetto da sotto la tesa del suo cappello di paglia.
"Ho visto qualcuno con un simbolo così, ma non sembrava uno scudiero. Era una ragazzetta troppo piccola con una spada troppo grossa. A circa un'ora di cammino in quella direzione" indicò alle proprie spalle. "Sta con un cavallo azzurro, un carro senza ruote e una cassa ingombrante. Quando mi ha visto ha tirato fuori la spada e mi ha gridato di stare lontano dalla sua cassa."
L'uomo si passò una mano sul volto, sospirando pesantemente. "Era ferita?"
"Be'! Troppo bene non stava. Ma ferita penso di no, magari ha preso un colpo in testa" fece un gesto universale agitando un dito vicino alla tempia.
"Grazie, buon uomo!" Il soldato si avviò di buon passo - quasi al trotto, se una simile definizione si può applicare agli esseri umani - nella direzione che il contadino gli aveva indicato.

"State lontani, gaglioffi! Alla larga!" La ragazza stava in piedi su una grossa cassa, agitando una spada che ovviamente non arrivava neppure vicino alle teste degli uomini che circondavano il suo carro.
"Calma, calma, signorina. Non siamo briganti."
"È quello che direste se foste briganti…"
"Ma! Siamo una pattuglia di guardie di Silverymoon, di stanza a High Hold" obiettò uno di loro, indicando la propria uniforme.
"È quello che direste se foste briganti!" Ripeté lei. "E non sono una signorina, sono una… una… attendente di retrovie… dei Compagni della Maschera Pallida di Bezantur. E alzare le mani su di me equivale ad inimicarsi l'enclave thayan di Luskan, cosa che non vi conviene proprio. La nostra maga è una divinatrice! Se mi accadrà qualcosa di male, lei lo saprà."
"Se non smettete di agitare quell'arma verrete multata per atti minacciosi in luogo pubblico" promise l'uomo che aveva parlato prima. "Questo farebbe piacere all'enclave thayan di Luskan?"
"Lo dite per potermi comodamente disarmare!"
"Cessate il vostro ogni ignominioso comportamento!, prima di causare un incidente diplomatico."
"Ah! Qualcuno ha mangiato una biblioteca" ribatté la giovane scudiera. "Se siete davvero delle guardie, ditemi quale legge sto mai violando per meritare un simile trattamento."
"State occupando metà della larghezza della strada commerciale!" Sbottò una delle guardie, esasperata.
"Sì, adorerei non farlo, ma questo carro non ha le ruote, nel caso non l'aveste notato! Come faccio a spostarlo fuori dalla strada, secondo voi?"
"Sembra proprio un lavoro per il Sergente Cazzituoi" intervenne un altro dei soldati. "Lo chiamerei, ma risponde sempre 'sono cazzi tuoi'..."
"Ah! Avrei dovuto capire che dite la verità e siete guardie: tutti i gendarmi sono bastardi!"
"Venite giù da quella cassa subito!" Sbraitò la prima guardia, al colmo della pazienza.
"SEYDA!" Gridò un uomo, sopraggiungendo di corsa e col fiato corto. "Seyda… maledizione… cosa stai facendo?"
"Mi difendo da questi gendarmi senza onore né buonsenso, sir Dralas."
Sir Dralas, dopo averla a lungo cercata, all'improvviso provò il forte desiderio di poter girare i tacchi e andarsene.
"Seyda, per grazia degli dèi, riponi la spada e collabora con le dannatissime autorità. E perché questo carro non ha più le ruote?"
"Me le hanno rubate dei gremlins."
"Stai scherzando!"
"Signorina, non ci sono gremlins nelle Marche d'Argento" intervenne una guardia. "Fate come dice il cavaliere e riponete la spada."
"Ah! Perché lui è un cavaliere e io sono una signorina? Sono una scudiera!"
"Quale scudiera non obbedisce al cavaliere che serve? Signorina, faccia come le è stato consigliato."
"Non è lui che servo, ci sto solo viaggiando insieme. E vi dico che io sono la vittima qui! Un gruppo di gremlins alati, tozzi e panciuti e nudi, hanno smontato le ruote del mio carro e se le sono portate via!"
"E hanno colorato d'azzurro il vostro destriero?"
"Eh? No, lord Archibald Betser II è azzurro perché gli piace."
Seguì un breve silenzio.
"È azzurro perché una volta hanno cercato di rubarcelo" sospirò sir Dralas. "Un gruppo di truffatori si sono fermati con noi per la notte a qualche giorno da Mirabar, e poi si sono presi il nostro cavallo cercando di farlo passare per uno dei loro."
"Hanno avuto la faccia di merda di accusarci di mentire e di volerli derubare perché siamo gente del Thay. Un gruppo di avventurieri di passaggio ha quasi attaccato noi sulla scia di quella truffa!"
"Dopo quell'esperienza l'abbiamo colorato di azzurro per renderlo diverso dagli altri cavalli, anche al primo sguardo."
Le guardie ormai cominciavano a trovare la storia abbastanza divertente da valere la pena di tutto quel disturbo.
"Qualcos'altro?"
"In che senso?"
Le guardie nascosero un sorrisetto sotto i baffi, quelle che li avevano. "No, è che sembra una storia avvincente. È successo qualcos'altro a parte i gremlins nudi e i truffatori?"
Seyda e sir Dralas si guardarono in silenzio. Quel viaggio sembrava stare durando un'eternità.
"C'è stata quella notte in cui la piazzola dei carri dei mercanti era già tutta piena e abbiamo dovuto accamparci più lontano dalla strada, e abbiamo montato la tenda sopra un cerchio delle fate." Racconta il cavaliere sopprimendo un brivido. "Il giorno successivo qualunque frase io cercassi di pronunciare mi usciva con un tono malizioso e seducente. È stato un assoluto incubo perché la strada era intasata di carri e ho dovuto chiedere in giro che cosa stesse succedendo, c'era un banale problema con del fango che aveva fatto impantanare una diligenza, ma prima del tramonto una cinquantina di persone mi hanno preso a male parole pensando che stessi flirtando con loro… e alcuni altri hanno cercato di infilarsi nella mia armatura."
Metà delle guardie a questo punto stavano ridendo.
"A me è andata molto meglio" intervenne Seyda, rinfoderando finalmente la spada. "Per tutto il giorno successivo il mio elmo ha puzzato di formaggio."
Le guardie che già stavano ridendo adesso erano piegate in due. Uno era particolarmente roboante.
"Basta, basta" supplicò il più giovane dei soldati. "Mi fa male la pancia!"
"Che è esattamente l'effetto che mi fa l'odore del formaggio" sospirò Seyda, sconsolata, scatenando una nuova cascata di risate.

Alla fine le guardie ebbero pietà di loro, e si misero di buona lena per spostare almeno il carretto dalla strada. Sir Dralas partì in sella al cavallo, sempre azzurro, per recarsi al più vicino insediamento e comprare delle ruote per il carro. Seyda rimase con i gendarmi, una volta capito che era solo una ragazzina si dimostrarono anche abbastanza protettivi. Abbastanza da offrirle un po' di birra e scoprire che il formaggio non era l'unica cosa che il fisico della ragazza non digeriva.
"Queeesto è" gridò lei, puntando un dito verso il fuoco da campo. "Questo. È il viaggio. Più stupido della mia vita, eh. Io devo solo consegnare dei silveri a Librimoon. No. No. Dei libri… dei libri a Silver Moon. Così? O… boh, ma perché io, alla fine? Sono così stanca di essere l'ultima ruota del carro."
"Se eri una ruota del carro" una guardia appena meno ubriaca di lei le sbatté una manata dietro la schiena. "I gremlins alati rubavano pure te."
"Non me lo ho inventato!" Protestò Seyda, facendo ridere tutti. "Erano alati ed erano nudi e… vi ho mai detto che… una volta ho visto uno scoiattolo che parla? Uno… scopattolo? Eheh… scopattolo… si chiamava… Frittol, penso. Viveva in un cappello."
"Certo, certo. E mio zio vive in una scarpa."
Seyda cercò di mettere a fuoco la guardia che aveva parlato.
"Scoooomodo."
Altre risate.
"E quindi, vieni dal Thay. La terra dei Maghi Rossi?"
"Sì. Sono degli stronzi. Non… proprio tutti, quella che sta… a Laskan… che fa i bulabula e vede il futuro…"
"La divinatrice dell'enclave?"
"Eh, lei" la scudiera annuì con solennità. "Lei non è malaccio. Però poteva darmelo uno straccio di cavallo in più. Di questo passo non ci arriviamo mai a Slipperymoon. Un… un viaggio su ruote. Bah. Come fossimo nel sesto secolo!"
"Ruote? Io non ne vedo tante, per ora!"
La battuta fece ridere anche Seyda.
"La prossima volta perché non assumete dei corrieri professionisti?" Consigliò un altro soldato.
Seyda rivolse un pensiero agli unici corrieri che conosceva. C'era una chierica di Lathander fra loro - due, in verità - e non poteva certo mandare quella gente a consegnare un pacco a una vampira. Neppure a una relativamente civilizzata.
"È… complicato."
Non che fare sto viaggio io me medesima sia semplice, rifletté, di malumore.

Sir Dralas tornò la mattina dopo con delle ruote, e si rimisero in viaggio. Lui guidava il carretto, lei stava riversa sulla cassa, mezza svenuta e in doposbornia.
"Non stiamo dando una buona immagine del Thay" commentò lui, non appena lei si mostrò un po' più lucida.
"Embè? Il Thay non ha una buona nomea comunque. Abbiamo quella roba caffè?"
"No. L'hai bevuto tutto il primo giorno."
"Ah, già." Lei esitò. "Ne ho ricordi confusi."
"Hai rischiato che ti scoppiasse il cuore" le rammentò lui, zelante.
Seyda ci pensò un attimo, poi fece spallucce.
"Jergal mi prenderà quando sarà il momento della mia morte" commentò in tono fatalista. "E qualunque grande viaggio ci sia dopo, non sarà peggiore di questo."
Sir Dralas annuì. Non era un seguace del dio dei morti, era solo uno sfortunato cavaliere thayan incaricato di scortare quella ragazzina e la sua dannata cassa a Silverymoon. Però non poteva che concordare con quell'affermazione.



**********
Note dell'autrice:
Seyda è un png incontrato dai miei giocatori in una campagna di D&D; lo stesso gruppo che si forma alla fine di Lathander take the wheel (più un paio di amici raccattati lungo la strada). La chierica di Lathander a cui si riferisce è Dora Honeycomb.
PS: i gremlins alati e nudi non se li ha inventati, sono Fremlins.

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Capitolo 14
*** 13. Hiking ***


Genere: Fantasy, triste
Personaggi: Sinistra, Destra, Oscar (citato)

13. Hiking


1370 DR, Neverwinter

Camminare, scarpinare, arrampicarsi. Un passatempo di cui Destra Da Masd non capiva lo scopo. A suo parere era una perdita di tempo, anche se il suo parere non aveva importanza per nessuno, nemmeno per lei stessa.
Però…
"Devo porre un'obiezione" esclamò, afferrando il braccio della ragazza quasi identica a lei. "Questa scalata è troppo pericolosa per la tua incolumità, Sinistra. Nessuna di noi due è molto agile, e la tua esistenza è preziosa."
Sinistra guardò la sorella con espressione neutra. Avrebbe voluto mostrare disappunto con una smorfia, ma non ricordava come si facesse.
Si consolò al pensiero che Destra probabilmente non avrebbe capito comunque il suo linguaggio non verbale.
"Sono insoddisfatta" rispose in modo schietto. "Nostro padre ti ha ordinato di accompagnarmi. Perché ora ti rifiuti?"
"Il nostro creatore mi ha ordinato di proteggerti, non di obbedire ai tuoi capricci. Specialmente se ti espongono al pericolo."
Sinistra tacque per un momento, ragionando a tutta la velocità che il suo cervello non morto le consentiva. "Nostro padre asseconda sempre i miei progetti. Vuole vedere in che direzione si sviluppa la mia personalità."
"La tua incolumità è più importante di questo. La tua personalità, qualunque cosa sia, non farà alcun passo avanti se il tuo corpo finirà sfracellato sulle rocce umide della scogliera di Neverwinter. O di qualsiasi altro luogo."
Sinistra sostenne con testardaggine lo sguardo della sorella, ma c'era una sola creatura al mondo con una mentalità più ristretta e più inflessibile di un non morto risvegliato: un costrutto risvegliato. Destra poteva anche avere un'intelligenza superiore alla sua, e una maggiore dose di buon senso (anche se questo era tutto da vedere), ma non avrebbe mai sviluppato una personalità, o curiosità, o desiderio di indipendenza. La magia che aveva animato il cadavere di Sinistra come uno zombie senziente aveva utilizzato come innesco quel pallido residuo di anima che rimane sempre nei cadaveri; come risultato, Sinistra stava lentamente sviluppando una sua identità, sulla base dei ricordi che aveva della sua vita precedente. Il cadavere di Destra invece era mosso solo da pura magia arcana, il suo rimasuglio di anima non era stato toccato; per questo il rituale che l'aveva rianimata ad alcuni appariva più neutrale, meno blasfemo. A Sinistra sembrava solo più asettico. Il costrutto davanti a lei aveva l'aspetto di sua sorella, la voce di sua sorella, ma non ne aveva la mente. Non ne aveva nemmeno i ricordi.
Sinistra sapeva che sotto a tutta quella magia arcana, da qualche parte, una pallida impronta dell'anima di Destra era ancora lì. Forse prima o poi sarebbe venuta fuori… era una speranza ridicola, ma lei non voleva abbandonarla.
"Ti prego, oggi dovrebbero schiudersi le uova delle alche! L'intera scogliera si illuminerà come un cielo stellato quando quei piccoli pulcini mostreranno la loro luce."
"La luce dei viventi" ricordò Destra. "Ne hai parlato centinaia di volte. A che scopo ripeti sempre le stesse cose?"
"E tu a che scopo mi fai questa domanda?" Sinistra diede un forte strattone, riuscendo a liberare il braccio dalla presa dell'altra. "Saresti in grado di comprendere la risposta?"
"Il mio cervello funziona alla perfezione. Gli incantesimi del nostro creatore hanno impedito la sua decomposizione. Se mi spieghi una cosa, sono in grado di comprenderla."
"Non è vero! Tu capisci le parole, ma non… non… tutto quello che c'è dietro. Vuoi una risposta? Bene. Siamo qui perché voglio che tu veda la luce dei vivi. Voglio mostrarti quello che vedo io."
"Ma" Destra la guardò con la solita espressione insondabile "io non ho il potere che hai tu. Non vedo le luci."
"Le potrai vedere… con questi" Sinistra infilò una mano nella borsa che portava a tracolla e ne tirò fuori un paio di occhiali. "Erano gli occhi di Dester Secundo, uno dei suoi costrutti animati. Visse abbastanza a lungo da sviluppare gli Occhi, e quando venne distrutto nostro padre riuscì a salvare qualcosa di quegli occhi. Con questi" agitò gli occhiali davanti al volto della sorella "tu riuscirai a vedere ciò che vedo io!"
Destra si prese la briga di sollevare un sopracciglio, come aveva visto fare ai vivi.
"Il nostro creatore è al corrente del fatto che hai preso un oggetto di sua proprietà?"
Quel sentimento che Sinistra stava provando, una tiepida imitazione dell'entusiasmo, si sgonfiò in un istante.
"È davvero tutto quello che hai da dire?"
Destra sembrò non capire il senso della domanda.
"Al momento la mia priorità è assicurare la tua incolumità, e ora mi si è aggiunto l'obbligo di assicurare l'integrità del prezioso oggetto magico che hai sottratto."
"Interessante. Se non sali con me su questa roccia" Sinistra indicò un alto scoglio che era la sua destinazione fin dall'inizio, che avrebbe permesso alle due una perfetta vista sulla scogliera "io spezzo questi occhiali, e lo spiegherai tu a nostro padre."
"Tu provarci e io ti spezzo il braccio" promise Destra. Non era una minaccia, era un'affermazione.
"Ah! Sono una zombie, non sento dolore."
"No, ma non riuscirai a guarire come si deve. Tutti i vivi intorno a te si accorgeranno che sei una storpia con un braccio rotto, ma siccome è la magia a muoverti non avrai nessun impedimento nei movimenti. Capiranno tutti che non sei umana. Dovremo lasciare la città in fretta. Niente più lavoro al sanatorio, niente più escursioni per vedere la schiusa delle uova di alche, qualunque cosa siano."
Questa minaccia - anzi, questa affermazione - ebbe davvero il potere di zittire Sinistra. Per alcuni momenti l'unico rumore che spezzava l'atmosfera del tramonto fu il suono delle onde sulla piccola spiaggia sassosa.
"Destra, tu sei mia sorella. Questo non significa nulla per te?"
"Lo stesso mago ci ha create, cosa c'è di speciale in questo?"
"Eri mia sorella anche prima!" E per la prima volta in tutta la sua esistenza non morta, Sinistra Da Masd alzò la voce contro qualcuno. "Quando eravamo vive e tutto il villaggio di Masd è stato spazzato via dalla peste polmonare. Quando i nostri genitori viventi sono morti soffocati dalla tosse e tu mi hai dato le tue medicine perché speravi che almeno io ce l'avrei fatta! Tu eri mia sorella ed eravamo tutto l'una per l'altra. Non ricordi… niente?"
Destra ascoltò il suo sfogo con lo stesso disinteresse con cui ascoltava il suono delle onde e il verso degli uccelli di scogliera.
"Non capisco cosa dici. Le persone di cui parli sono morte. Sei morta tu, sono morta io. Ora siamo strumenti di limitata importanza. Non abbiamo un'identità. Abbiamo un nome che è un codice, un numero. Sinistra Quinta. Destra Tertia. Siamo al servizio del nostro creatore e non c'è altro. Non c'è passato, non ci sono memorie, non c'è futuro. Non c'è nemmeno un presente. C'è solo obbedire agli ordini."
Sinistra non aveva moltissima familiarità con le emozioni, ma quello che stava provando in quel momento non era affatto piacevole. Anzi, era terribile. Era come un macigno, ma pesava sulla mente, non sui muscoli.
"E quindi… tu sei svanita, è così? Al di là di ogni possibilità di recupero. Se nostro padre ti ordinasse di uccidermi, lo faresti. La stessa sorella che sarebbe morta per me, ora non mi conosce nemmeno."
"Ciò che dici non ha senso" insistette Destra. "Non sei viva, non posso ucciderti. Posso solo distruggerti. Il nostro creatore non lo comanderà, per lui sei importante."
"Ma se lo facesse…"
"Le domande ipotetiche sono oziose, inutili e incomprensibili."
"Non lo sono!" Protestò la non morta. "È una domanda molto semplice. Se nostro padre ti ordinasse di distruggermi…?"
"Obbedisco ai suoi ordini. Perché mi fai domande se già conosci la risposta? Se lui ordinasse a te di distruggermi, lo faresti."
"Non lo farei!"
"Potrebbe costringerti con la magia" notò Destra.
"Be', sì ma… lotterei, almeno."
"Senza risultato. Quindi senza scopo." Obiettò ancora il costrutto. "Se lui mi ordinasse di distruggere me stessa, parimenti lo farei. Il tuo turbamento è fuori luogo e privo di senso. Siamo strumenti, Sinistra. Non siamo nulla."
"No… no, io non sono un nulla. Io sono…" un nome le balenò in mente, appena emerso dalle nebbie confuse del passato. "Judith. Judith Mills. E tu sei Juniper. Questo era il tuo nome!"
I nomi avevano potere. Sinistra lo aveva sentito dire così tante volte. Adesso aveva ricordato il suo nome, il nome di sua sorella. Non poteva essere un caso, non poteva essere tutto inutile…
"I nomi sono solo lettere messe in un certo ordine." Destra smontò le sue speranze con poche, taglienti parole. "Che importa? Destra, Juniper. Chiamami come ti pare, ma non dimenticare che Juniper Mills è morta più di duecento anni fa. È inutile che tu la cerchi in me. La sua anima è andata nell'aldilà, così come quella di Judith. Quelle due sorelle sono in pace da tempo, noi siamo solo i loro gusci. Non ti dovrebbe nemmeno importare. Nella mia opinione tu sei difettosa, ma il nostro creatore considera i tuoi difetti come un progresso, quindi non mi ordinerà mai di distruggerti. Ora andiamo a casa. O vuoi ancora vedere la schiusa delle uova?"
"No, io…" nelle ombre sempre più lunghe del tramonto, Sinistra gettò uno sguardo all'alta scogliera su cui sorgeva la città di Neverwinter. Andarsene ora avrebbe voluto dire rinunciare a uno spettacolo che toglieva il respiro, ma dopotutto lei non respirava affatto. "A questo punto non credo che abbia più alcun senso. Torniamo a casa."

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Capitolo 15
*** 14. Pond ***


Genere: Narrativa
Personaggi: Yrga

14. Pond

-735 DR, Sossal, vicino al Grande Ghiacciaio

Ci sono luoghi nel mondo in cui l'acqua è preziosa. Deserti caldi, deserti freddi ma asciutti come la carta, infinite steppe in cui l'acqua è solo sottoterra e gli uomini devono scavare pozzi per recuperarla.
Poi ci sono luoghi dove è disponibile solo in alcune stagioni. La regione del Sossal, per esempio, anche se all'epoca di questa storia non aveva ancora un nome. Era una landa fredda abitata da tribù barbariche, umani provenienti dal Rashemen che vi erano migrati ormai più di millecinquecento anni prima.
Gli abitanti della landa senza nome che sarebbe un giorno diventata il regno del Sossal non avevano più alcun ricordo del Rashemen, ma avevano conservato alcune tradizioni, riadattate per necessità alla geografia e al clima del luogo dove vivevano. Nel Sossal gli uomini non andavano a caccia sulle montagne per provare il loro valore, all'inizio della primavera; andavano sul ghiacciaio.
Yrga la considerava una cosa stupida. Sul ghiacciaio c'era poco da cacciare, e quelle poche bestie che c'erano erano pericolose. Perfino gli uomini che vivevano sul ghiacciaio erano ostili e parlavano in una lingua sconosciuta.
Ma quelle spedizioni per qualche motivo erano considerate di grande importanza. Forse non era per la caccia in sé; forse era per il ghiaccio. Gli uomini tornavano sempre con le slitte cariche di ghiaccio purissimo, che veniva accatastato in ghiacciaie durante l'estate e sciolto un po' alla volta in pentole di bronzo sui braceri. Era la loro fonte d'acqua per l'inverno.
L'inverno era la stagione più terribile, quando i torrenti che ruscellavano dal ghiacciaio si congelavano alla fonte e non c'era più acqua né vita nei loro letti vuoti. I pochi pesci che vivevano in quei torrenti si rifugiavano in pozze d'acqua sotterranee e bisognava cercarle, spezzare la crosta di terreno ghiacciato per recuperare un po' di cibo. A volte era più la fatica della pesca, che le energie recuperate mangiando. Le mandrie di animali migravano a sud e rimanevano solo gli enormi mammut, che erano pericolosi da cacciare, e le foche che vivevano nel mare che si ghiacciava solo in parte. La tribù di Yrga non viveva vicino al mare, quindi la carne di foca era una rarità ottenuta solo tramite il commercio con altre tribù. Il commercio era un'attività estiva e la carne di foca non durava fino all'inverno.
I bambini abbastanza grandi da cavarsela un minimo da soli, e gli anziani ancora in grado di camminare, venivano inviati a cercare il pesce e raccogliere radici… sapendo benissimo che alcuni di essi non sarebbero tornati. In un modo o nell'altro, la comunità sarebbe sopravvissuta, perché si sarebbe trovato del cibo o perché ci sarebbero state meno bocche da sfamare.

Yrga era una dei bambini inviati a cercare le tane dei pesci. Avevano già scavato nei punti del ruscello che erano più vicini al villaggio, nelle precedenti settimane, e ora dovevano spingersi sempre più lontano. Il suo gruppetto era incaricato di cercare a ovest, in direzione del ghiacciaio. Sperava di trovare uno strato di ghiaccio un po' più sottile ora che era quasi primavera, invece trovò qualcos'altro: acqua. Il torrente si stava nuovamente riempiendo, l'acqua non era ancora arrivata all'altezza del suo villaggio però stava lentamente ricominciando a ruscellare in quella zona più occidentale, dove il letto del fiume creava delle pozze che rallentavano la corrente.
Yrga non se lo aspettava così presto. Quest'anno il disgelo stava arrivando prima del solito. Che non era necessariamente un male, la sua gente aveva fame… ma i cacciatori erano ancora sul ghiacciaio e sarebbero stati in pericolo se le zone esterne avessero cominciato a sciogliersi. Yrga non conosceva i dettagli, aveva solo sentito storie favolistiche sulle insidie del ghiacciaio quando la primavera lo colpiva all'improvviso. Rimase per un po' immersa nei suoi pensieri, guardando distrattamente il suo riflesso nella pozza d'acqua che andava riempiendosi. La figura di una bambina infagottata nelle pellicce ricambiò il suo sguardo. Nell'acqua che tremolava leggermente non riusciva a vedere il colore dei suoi occhi violetti, sembravano grigi come il riflesso del cielo. La sua carnagione pallida e i pochi ciuffi di capelli argentati che spuntavano fra il basco e la sciarpa la facevano assomigliare a un fantasma. A volte alcuni ragazzini più grandi la prendevano in giro, perché era più pallida degli altri, ma non era l'unica con quelle fattezze. Sembrava che la sua generazione avesse la pelle più bianca di quella dei loro nonni, che a loro volta erano più pallidi dei loro antenati rashemi. Yrga non sapeva perché, aveva solo sentito storie di antichi cacciatori che si dipingevamo il volto con pitture di polvere gesso, e perfino lei riusciva a capire che la polvere di gesso non avrebbe fatto abbastanza contrasto sulla pelle dei suoi contemporanei. Ma questo era solo un pensiero ozioso che la sfiorava ogni tanto, quando aveva occasione di vedere il suo riflesso in uno specchio d'acqua.
Spinta da un impulso del momento, si tolse una muffola e infilò una mano in acqua. Era gelida, così gelida da bruciare. Ritirò subito la mano, imprecando come sua madre le aveva detto di non fare. Quel giorno non sarebbe stato facile trovare del pesce, era troppo presto perché quei piccoli animali bastardi risalissero nelle pozze esterne ma l'acqua era troppo fredda per immergersi fino alle ginocchia e sfondare il terreno con il suo bastone d'osso. Era proprio una stagione di merda, il disgelo. Non aveva più la solidità dell'inverno, non portava ancora i germogli promessi dalla primavera.
Portava qualcos'altro, però.
Viaggiatori.

Yrga fece in tempo solo a vedere le sagome di due adulti vestiti in modo strano, prima che un sacco di cuoio calasse sulla sua testa.
Gli schiavisti delle terre di confine sapevano che il tardo inverno era il periodo migliore in cui far sparire qualche ragazzino sossrim. I barbari non si facevano domande se qualcuno non tornava.
Tutto quello che i suoi compagni di pesca trovarono di lei, tutto quello che fu restituito alla sua famiglia, fu una muffola di pelliccia di lupo caduta sulla riva di una pozza d'acqua.

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Capitolo 16
*** 15. First date ***


Genere: Romantico, slice of life
Personaggi: Erika, Terrence

15. First date


862 DR, autunno, Silverymoon

Per Erika era molto strano il pensiero di avere un appuntamento con Terrence. Si erano visti solo quella mattina per una questione burocratica e poi si erano salutati con un imbarazzato "ci vediamo dopo" perché entrambi sapevano che dopo, quella sera, si sarebbero visti per il loro primo vero appuntamento. Un appuntamento romantico, non un appuntamento per studiare o per vedersi come amici.
La vampira era molto indecisa. Non sapeva che cosa indossare, non sapeva dove sarebbero andati, né cosa avrebbero fatto. In realtà come amici avevano già fatto più o meno tutto quello che Silverymoon poteva offrire. Erano andati in biblioteca e avevano visitato musei e luoghi di interesse culturale, erano andati a fare picnic sulle rive del fiume (anche se ovviamente aveva mangiato solo lui), erano usciti la sera per andare a bere in taverna, si erano trovati la mattina per fare colazione insieme. Si erano accordati spesso per studiare insieme anche se all'università frequentavano corsi diversi. Ogni volta che facevano una di queste cose, intorno a loro vedevano coppiette che si tenevano per mano o che si scambiavano effusioni, per questo lei sapeva che tutte le cose che avevano già fatto erano anche attività papabili per un appuntamento romantico.
Erika cercò di ricordare com'era stata la sua vita prima. Prima di essere trasformata in una progenie vampirica. Era stata una normale ragazza di sedici anni, all'epoca come avrebbe fatto per attirare un ragazzo? E cosa ci avrebbe fatto, una volta attirato?
In realtà non ne era sicura. Aveva lasciato la città il giorno del suo quindicesimo compleanno per andare a trasferirsi in campagna da suo padre, e laggiù non c'era molta possibilità di fare vita sociale. Nell'epoca in cui aveva vissuto a Silverymoon sotto la tutela di suo zio, il barone Lesmiere, aveva partecipato a balli di gala e altre occasioni sociali per nobili, aveva occasionalmente flirtato con qualche giovanotto, ma era più per la sua stessa vanità che per interesse verso il prossimo. Una ragazza di quattordici anni poteva essere considerata adulta per il popolo, ma era ancora giovane per il matrimonio nell'élite nobiliare. Suo zio avrebbe potuto disporre di lei e fidanzarla a qualcuno, ma secondo la morale di Silverymoon sarebbe stato considerato indelicato procedere senza il consenso di lei - sebbene fosse legale - e i ragazzini non erano considerati in grado di dare un vero consenso prima dei quindici anni. Quindi si era ritirata ad una vita più modesta e lontana dagli occhi della società appena prima di diventare effettivamente maritabile, e circa un anno dopo era stata vampirizzata contro la sua volontà, ponendo quindi fine a qualunque possibilità di una vita normale.
Cercare di trovare una nuova normalità, una loro normalità, era sempre la più grande sfida per lei e per Terrence. Facevano tutte quelle cose che facevano gli umani, ma lo facevano per imitazione, per integrarsi, per sembrare uguali a loro. Non c'era malizia, non lo facevano per ingannare il prossimo: lo facevano perché la vita umana era l'unica normalità che anche loro avevano conosciuto, da giovani. Era l'unico punto di riferimento che avevano.
La prima volta in cui Erika aveva confessato a Terrence di essere una creatura vampirica, lui le aveva fatto una promessa:

"Ti aiuterò. Non mi sembri una cattiva persona, Erika Lesmiere, ma potresti diventarlo se venissi abbandonata a te stessa. Tu sei un predatore, la tua natura vampirica ti spinge a nutrirti dei viventi, anche di noi umani. Se venissi anche estromessa dalla società, potresti facilmente perdere il contatto con ciò che resta della tua natura umana."
"E credi che standomi accanto non accadrà?"
"Questo non lo so. Ma perfino noi umani possiamo diventare bestie quando ci sentiamo abbandonati. Non voglio correre questo rischio con qualcuno che ha un alto potenziale distruttivo, come te."


E lui parlava per esperienza personale dicendo che neppure gli umani hanno vita facile quando vengono abbandonati dalla società. Tecnicamente lui lo era, umano. Forse. Poteva definirsi umano qualcuno che ti rubava anni di vita solo toccandoti?
Immersa nei suoi pensieri, Erika alla fine indossò dei vestiti a caso, scelti solo in base al colore. In quel periodo le piaceva molto il color pesca, anche se aveva smesso di andare di moda un paio d'anni prima. Aveva anche un bellissimo cappello che si intonava con il vestito - Erika aveva una vasta collezione di cappelli - e l'unica cosa che le mancava erano delle scarpe coordinate, ma tanto si sa, gli uomini non guardano mai le scarpe.

Si erano dati appuntamento fuori dalla biblioteca Vault of the Sages, un luogo dove la consultazione dei libri era permessa dietro pagamento, ma il prestito era severamente vietato. Erano previsti degli sconti e delle convenzioni per gli studenti del collegio di magia, per fortuna. Erika e Terrence avevano già passato lunghi e piacevoli pomeriggi in quell'edificio elegante; a volte era bello anche solo parcheggiarsi lì nei giorni di pioggia e rimanere a guardare il panorama dalle splendide finestre, circondati di cultura. Era un bel posto, ma non era nulla di nuovo, quindi lei sospettava che Terry avesse scelto la biblioteca solo come punto d’incontro e non come luogo dell’appuntamento.

Si sbagliava.
"Cioè vuoi davvero passare l’ennesimo pomeriggio in biblioteca?" Lei si sentiva un po’ delusa, e non si curò di nasconderlo.
"Non è solo l’ennesimo pomeriggio al Vault of the Sages. Tempo fa ti avevo accennato al mio piano: ho bisogno di copiare di straforo i tre tomi di Teoria dei Mythal Oscuri" le ricordò, perché in effetti gliel’aveva già detto, la prima volta che avevano parlato di un eventuale appuntamento. "E non è facile, perché i libri che trattano quel tipo di magia, pur se in modo teorico, non sono nemmeno disponibili per la consultazione… men che meno per la copia."
"Ma… per un appuntamento? Pensavo scherzassi."
"No no" il giovane uomo scosse la testa, convinto. "Mia madre, pace all’anima sua, mi ha dato un ottimo consiglio. Mi ha detto ‘Terry, se mai ti troverai una compagna o un compagno, c’è una cosa che devi tenere a mente. La complicità è la cosa più importante in un rapporto. Quindi trovati qualcuno che sia un buon complice’." Si fece una risata. "E ti assicuro che lo intendeva anche in senso criminale!"
Questo risvegliò l’interesse della vampira. Sapeva che Terrence provava un grande affetto per sua madre, anche se lei era morta da tempo, ma non ne parlava mai.
"Detto così, sembra un saggio consiglio in effetti. E va bene! Hai un piano, o ne dobbiamo discutere insieme?"
"Ho un abbozzo di piano, ma richiede la tua approvazione. Come te la cavi a distrarre vecchi bibliotecari?"
"Dipende. Pacchetto studentessa carina che vuole consigli, o rovesciamento a catena di librerie?"
Lui sorrise come un manigoldo. "Bella domanda. Da una parte, detesto l’idea di chiederti di fare la carina con altri al nostro primo appuntamento. Dall’altra, l’idea di rovinare dei libri mi fa accapponare la pelle…"
"Uhm. Una via di mezzo: e se…" Erika sapeva ragionare in fretta quando voleva "…studentessa carina ma svampita che causa un sacco di piccoli disguidi ma nessuno letale per i libri?"
Lui allargò ancora di più il suo sorriso. "Adesso ci siamo! E se riesci a tenere i bibliotecari impegnati per una mezz'oretta, tanto meglio. Dopo, prometto che andiamo a prenderci un gelato."
"Il gelato non fa esattamente parte della mia alimentazione" scherzò lei.
"Lo so… il gelato è per me. Dopo ti lascerò bere il mio sangue" promise con totale tranquillità.
La mente di Erika decise di andare in blackout. Se lui le avesse detto ‘e dopo faremo sesso matto fino all’alba’ lei non avrebbe potuto essere più sorpresa. Fino a quel momento c’era stato a malapena contatto fisico, e lui proponeva di punto in bianco qualcosa di così… così intimo.
"Io… uh… non ho mai bevuto sangue umano" mormorò lei.
Terrence si strinse nelle spalle. "E io non sono mai stato abbracciato da una bella ragazza, ma c'è una prima volta per tutto, no?"
Lei ci mise un po’ a ricollegare le parole di lui a concetti intelligibili.
"Non stai sul serio mettendo sullo stesso piano queste due cose? Non ho mai bevuto sangue umano!" sussurrò, ma in modo ansioso. Non erano proprio davanti alle porte della biblioteca, ma erano comunque nelle vicinanze e qualcuno avrebbe potuto sentirli. "Che accadrebbe se la cosa si rivelasse una specie di droga e io non riuscissi a controllarmi?"
"Penso di poterti gestire, sai?" Le rammentò, facendo riferimento ai suoi poteri arcani.
"Ma non voglio rischiare che il nostro appuntamento diventi un momento di conflitto! Preferisco procedere per gradi… con il contatto fisico e con la familiarità."
"Ah. Uhm. Allora che ne dici di un bacio sul ponte? Tutte le coppie lo fanno, prima o poi."
"Stare sul ponte mi fa venire la nausea. Scusa, è l’acqua corrente…"
"Hm. Giusto, giusto. Non ci avevo pensato."
"Un bacio da qualche altra parte?"
"Sono aperto a suggerimenti."
"Sotto la casa di quel tuo collega coglione che ha cercato di flirtare con me?"
"Wow. Ammiro il tuo livello di meschinità, ma preferirei che il nostro primo appuntamento girasse solo intorno a noi due."
"Un bacio nella nostra caffetteria preferita?"
"Dai! Sono sicuro che metà delle cameriere facciano il tifo per noi come coppia."
"Cosa, solo metà?" Erika si finse offesa. "E l'altra metà?"
"L'altra metà, sono innamorate di me" Terry sospirò in modo teatrale. "Sarà doloroso per loro dover ingoiare questo amaro calice, ma…"
"Ma smettila, fanfarone" lo rimbrottò la vampira. "Non sei il rubacuori di Silverymoon."
"No, è vero, ho mentito" ammise lui. E dopotutto, era un ragazzo piacente ma nella norma, nessuno si girava due volte a guardarlo. "Tanto c'è un solo cuore che mi interessa."
Erika sorrise. Non si erano proprio dichiarati amore - era troppo presto per quello - ma il reciproco interesse ormai era chiaro. E che lui facesse quel primo passo, ammettendo di avere dei sentimenti, per lei significava moltissimo.
Anche perché era stata lei, fin dall'inizio, la prima dei due a prendersi una cotta.

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Capitolo 17
*** 16. Witch ***


Genere: Fantasy
Personaggi: Daren, Yrga, Bahostegym, Krystel (citata)
Note: questa storia è un breve prequel di Party

16. Witch


1378 DR, in un piccolo semipiano privato da qualche parte nel Piano Etereo

La sala delle conferenze era ancora vuota, ad eccezione della figura nera e sottile di un elfo avvolto in un mantello scuro. Gli era stato detto di entrare ed aspettare, e per una volta aveva fatto quello che gli avevano consigliato. Dopotutto non aveva niente di meglio da fare e non conosceva quel luogo.
Era abbastanza sicuro di trovarsi sul Piano Etereo - la sua natura di fantasma vibrava in risonanza con quel Piano, facendolo sentire a suo agio, a casa - ma c'era sufficiente interferenza di energia arcana da fargli supporre di trovarsi piuttosto in un semipiano artificiale che fluttuava nel Piano Etereo. Era difficile spiegare cosa fosse, esattamente, a farglielo supporre. Una specie di mal di mare, se solo i non morti potessero provare nausea.
"Buongiorno" una vocetta infantile spezzò il flusso dei suoi pensieri.
Daren si aspettava quasi di vedere una bambina - infatti si guardò intorno perplesso, perché i bambini non morti sono una cosa molto rara - e invece la proprietaria di quella voce era una donna minuta, giovane, ma sicuramente adulta.
"Uh… buongiorno?" Non era nemmeno certo che fosse giorno. Il giorno e la notte non esistevano sul Piano Etereo. Però, a parte quella curiosità, fu un altro dettaglio a catturare la sua attenzione: la donna era entrata passando attraverso una parete. In effetti, a guardarla bene, si poteva vedere attraverso di lei. Non era una cosa che si notasse immediatamente perché i suoi vestiti molto colorati riuscivano a renderla in qualche modo più opaca, ma ad un secondo sguardo non restavano dubbi: trasparente. Incorporea.
"Yrga. Piacere di conoscerti. Ti stringerei la mano, ma…"
"Uh. Tranquilla. In realtà sono sicuro di averti già vista. Non sei un fantasma, altrimenti qui sul Piano Etereo saresti corporea. Sei… vith, ce l'ho sulla punta della lingua…"
"Cantora spettrale" tagliò corto lei. "Non ti biasimo per non averlo capito subito, siamo piuttosto rari e di solito non siamo lucidi nella testa" sottolineò la sua affermazione picchiettandosi un dito contro una tempia.
"Ah, ma certo! E ora so anche dove ti ho già vista. Una quindicina di anni fa ti ho sentita cantare al Questers' Club" ricordò lui.[1]
"Molto probabile! Ogni tanto frequento il Questers' Club per affidare missioni a qualcuno o per raccogliere informazioni."
"In effetti è un ottimo posto dove trovare disperati che accetterebbero qualsiasi missione, anche suicida" concordò l'elfo scuro, ricordando come anche lui stesso, solo sei anni prima, avesse reclutato un gruppetto di persone facendo leva proprio sul loro desiderio di morire in modo eroico. "Scusa se non ti ho riconosciuta subito, ma hai una voce veramente molto diversa quando canti."
Non era proprio un insulto, ma Yrga sapeva cosa lui intendesse dire: la sua voce normale era come una specie di squittio infantile, mentre invece quando cantava riusciva a tirare fuori una vasta gamma di sonorità.
"Sì. Lo so. E tu invece, perché all'epoca non ti ho notato? Di solito ho occhio per riconoscere gli altri non morti."
"In quel periodo ero vivo."
Yrga sollevò le sopracciglia.
"Uno strano modo di esprimersi" commentò, ma lo attribuì al fatto che la lingua madre del drow, forse, avesse delle espressioni gergali differenti dal linguaggio Comune.
"Non intendo dire semplicemente che ero ancora vivo" chiarì lui. "Voglio proprio dire che in quel periodo ero vivo. Sono stato morto altre volte in passato. Sono stato un fantasma. Poi sono tornato in vita."
Yrga cercò di non lasciar trasparire emozioni per gentilezza, perché comunque era un argomento delicato e forse doloroso, ma i suoi occhi brillarono di curiosità. "Ero convinta che l'unico modo in cui un fantasma potesse essere riportato in vita fosse… prima raggiungere l'aldilà, ed è possibile solo risolvendo le sue questioni in sospeso, e poi essere resuscitato con un incantesimo divino di grande potere. Ma se il fantasma ha già raggiunto la pace, perché dovrebbe voler tornare indietro?"
"Le tue nozioni non sono sbagliate, ma… credo che tu veda la questione troppo in bianco e nero" ragionò Daren. "Se avere una questione in sospeso che occupa i tuoi pensieri in modo ossessivo fosse l'unico motivo per voler tornare in vita, allora tutte le anime che rispondono positivamente a un incantesimo di resurrezione avrebbero dovuto diventare fantasmi in primo luogo. Si può voler tornare indietro anche se non si hanno gravi questioni in sospeso. Si può voler tornare indietro semplicemente perché il proprio tempo non è ancora scaduto, o perché si hanno degli affetti nel mondo dei vivi." I suoi occhi erano puntati contro la parete alle spalle di Yrga ma lo sguardo era vuoto, come quello di chi è perso nei propri pensieri. O forse nei ricordi. "Ma per rispondere alla tua implicita domanda: non ho mai risolto le mie questioni in sospeso. Non ho mai trovato e affrontato il nocciolo delle ossessioni che mi tengono ancorato al mondo, altrimenti non diventerei un fantasma ogni volta che muoio. L'unico modo in cui sono riuscito a tornare da fantasma a vivente, in passato, è stato grazie a un miracolo. E intendo proprio dire… un incantesimo clericale di somma potenza, un Miracolo. Il mio consenso era necessario, così come la mia fiducia, ma la mia guarigione non lo era. Tanto io sono sempre stato guidato da una granitica convinzione: se ho un'ossessione di qualche tipo, posso remare in quella direzione sia da morto che da vivo. Sapevo che tornare in vita non mi sarebbe stato di ostacolo, quindi ho accettato di farlo."
"Hai amici potenti" indovinò la cantora spettrale. "Non sono molte le persone, nel mondo dei vivi, che sono capaci di simili incantesimi."
"Hm-mh" annuì il drow, senza smettere di fissare il vuoto. "Mia sorella è una strega. È stata lei a indovinare il giusto corso di azioni per bypassare il problema 'solo le anime che sono già nell'aldilà possono essere richiamate nell'aldiquà'. Parola mia, è più di un secolo che la conosco ma ancora non ho capito la logica dietro alla sua magia. Sembra che, quando le serve ottenere un effetto particolare, le basti investirci tempo e risorse e in qualche modo le cose poi funzionano. Ma non importa, non mi serve capirlo, le femmine hanno sempre poteri strani."
"Le femmine?" Yrga appariva perplessa.
"Le femmine drow" specificò lui.
Yrga sbuffò una risatina prima di riuscire a trattenersi. "Mi sembra un approccio molto superstizioso, questo."
"Sì?" Daren le lanciò uno sguardo obliquo. "Può darsi. In fondo al cuore io sono un guerriero, anche se ho visto la mia parte di stranezze soprannaturali. Non sono un teorico della magia."
"E non sei una strega" scherzò l'incantatrice.
"Non saprei da che parte cominciare."
"A proposito di cominciare" Yrga spostò una sedia con la forza del pensiero e vi fluttuò sopra. Si era messa in una posizione seduta, ma non era appoggiata al mobile, era una creatura senza peso e stava galleggiando nell'aria. "La nostra riunione comincerà a breve. Bahostegym dovrebbe arrivare a momenti."
"Così finalmente scoprirò chi è questo tizio di cui Oscar parla sempre" commentò l'elfo scuro, riferendosi al mago necropolitano che aveva praticamente una fissa per quel Bahostegym.[2]
"È il suo antico maestro di magia, un dracolich che ha accompagnato la vita sul nostro mondo fin dall'alba dei tempi. È il più antico e il più rispettato membro della nostra organizzazione…"
Mentre Yrga tesseva le lodi della veneranda creatura, la porta della sala conferenze si spalancò per far passare un coboldo alto un metro scarso, bardato in vesti da mago.
"Ma come, ci siete solo voi?" Sbuffò il rettile, guardandosi intorno contrariato. "Sarà meglio che gli altri arrivino entro due minuti o mi sentiranno."
"Uh… il signor Bahostegym?" indagò Daren per sicurezza.
"In carn… in pelle e ossa e forma umanoide" il coboldo si toccò la falda del cappello da mago in segno di saluto. "Tu sei quello nuovo?"
Lentamente, senza distogliere gli occhi dalla buffa creatura, l'elfo scuro annuì.
"Oscar il mago ha chiesto la mia disponibilità per una missione. Non so se posso definirmi quello nuovo, non faccio parte della vostra organizzazione."
"Ah, un collaboratore. Se non l'avessi notato, le nostre regole non sono così ferree. Hai qualche domanda mentre aspettiamo gli altri?"
"Sì. Bahostegym è un nome dannatamente lungo. Posso chiamarti Bae? O Jim, magari?"
Sulla stanza scese un silenzio così gelido da rivaleggiare con quello di un un cimitero.
"Bahostegym è già un ipocoristico del mio vero nome" rivelò, in tono lapidario. "Non intendo tollerare altre menomazioni. Confido che un elfo che è anche un non morto possa trovare dentro di sé la pazienza di usare una frazione del suo infinito tempo per mostrare rispetto al prossimo."
Daren prese nota mentalmente di quell'improvviso cambio di registro, sia comportamentale che linguistico. Forse non era partito col piede giusto, con quel dracolich millenario.
Avrei dovuto chiedere a Krystel di riportarmi in vita prima di finire in questa magagna, pensò, alzando gli occhi al soffitto. Ecco, è quello che mi merito per la mia incapacità di vivere una vita pacifica. Dopo questa missione dovrò andare a chiederle di fare un altro dei suoi trucchi da strega.
…Forse. A meno che la missione non si riveli interessante.



**********
Note:
[1] Scena che avviene in Lezioni di sopravvivenza - Primo livello (capitolo "Amicizia condizionata")
[2] Non ho ho ancora narrato la storia in cui Daren fa la conoscenza di Oscar, ma si sa che alcuni anni prima ha collaborato con la famiglia Domedias (cfr. la storia Necromancer) e quelli sono discendenti di Oscar, che lui tiene d'occhio discretamente (come fa nella storia Necklace)

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Capitolo 18
*** 17. Accident ***


Genere: Comico
Personaggi: Seyda, Oscar, altri (citati)

17. Accident


1369 DR, in un piccolo semipiano privato da qualche parte nel Piano Etereo

"E così, vuoi venire a lavorare per questa specifica branca dei Compagni della Maschera Pallida".
Il tono era inquisitorio e per nulla accomodante, ma Seyda Nadenka, figlia di una famiglia nobile di Bezantur, era abituata a essere costantemente sotto l'occhio del giudizio. Non era intimidita dal vecchio segaligno che aveva davanti. Lui era un non morto di qualche tipo, ma lei era una nobile del Thay: era cresciuta vedendo zombie che facevano lavori pesanti per strada accanto agli schiavi.
"Sì signore. Mio cugino Ky… sir Kyelet Nadenko lavora per voi, è uno scartoffione."
"Un… cosa?" Il necropolitano sollevò un sopracciglio.
"Un segretario" si corresse, come se avesse ricordato solo in quel momento la parola giusta.
"Avere un parente che lavora qui non è una via preferenziale per l’assunzione, signorina Nadenka."
"Non intendevo quello" ribatté lei. "Volevo solo dire che so come funzionano le cose qui, e non mi spaventa."
"Lo sai? A me non sembra. Qui noi non trattiamo con sussiego il nostro apparato burocratico. Il lavoro dei segretari è importante. Coordinano e pianificano le missioni, passano le comunicazioni alla branca principale dei Compagni della Maschera Pallida, e cosa ancora più importante, si occupano delle pubbliche relazioni con le popolazioni locali. È questo che vuoi fare, Seyda Nadenka? Anche se significa fare la scartoffiona?"
"Ecco… no, non proprio. Io sogno l’azione! Combattimenti, astute indagini, duelli di magia…"
Il non morto sospirò, e Seyda capì che non era un buon segno. Quelli come lui non hanno bisogno di respirare.
Si sedette più composta. Li separava una scrivania, ma la giovane ragazza aveva l’impressione che fosse una distanza infinita. "Naturalmente so che all’inizio c’è da fare la gavetta, e il lavoro duro non mi spaventa. Dico solo che vorrei tanto avere qualche incarico d’azione, non solo d’ufficio. Certo non mi aspetto di poter mai diventare una dei grandi agenti, quelli che vengono inviati a combattere lich millenari e sommi necromanti. So che quella carriera mi è preclusa, non ho il nome giusto."
Oscar reagì con uno scatto nervoso delle dita, picchiettando sulla lettera di presentazione della ragazzina. "E questo cosa vorrebbe dire? Stai insinuando che attribuiamo incarichi e onorificenze per nepotismo?"
"No, signore!" Lei si affrettò a negare. "Voglio dire, io mi chiamo Seyda."
Lui sollevò un morto sopracciglio. "...E?"
"E, quindi il mio nome inizia per ‘s’…"
"Continuo a non comprendere il merito della questione…"
Seyda era confusa. Si trattava di un test, o doveva iniziare a sentirsi stupida?
"Lo so che il nome di questa branca è Beyond"
"Quello è il nome dell’agenzia investigativa che usiamo come copertura. La branca non ha un nome ufficiale."
"No, d’accordo, ma il nome non ufficiale è Beyond. È così che la gente si riferisce a voi, in particolare agli agenti principali. E il mio nome non inizia con nessuna di quelle lettere."
"…lettere?" Oscar era sempre più confuso.
"Be’ sì… c’è il fondatore, il signor Bahostegym, e l’investigatrice personale di Jergal, lady Yrga. C’è la signora Bennu, l’archeologa ufficiale della squadra, e quella ragazza di nome Erica o Elena o quel che è, che ha sconfitto un dracolich con qualche parola e un pugno. E poi ovviamente ci siete voi, signor Oscar. So che non ho composto la parola intera, ma il modello mi è chiaro: diventa un agente solo chi ha un nome che inizia per…" Seyda si fermò, perché il non morto aveva chiuso gli occhi e il suo fisico sottile stava tremando leggermente.
Seyda si allarmò, pensando che lui stesse per lanciarle addosso un incantesimo. Invece, il suono che sentì provenire dalle sue labbra poco dopo assomigliava più a… una risata. La risata di qualcuno che ha dimenticato da tempo come si faceva a ridere.
"Tu sei una ragazzina strana, te l’hanno mai detto? La squadra si chiama Beyond perché indaghiamo su cose che sono oltre la morte, e perché noi stessi lo siamo. Il signor Bahostegym è un dracolich, lady Yrga è una cantora spettrale, la signora Bennu è una mummia, Erika è una progenie vampirica e io sono un necropolitano. C’è bisogno di gente immune agli attacchi dei non morti, quando li vuoi combattere. Per questo ci occupiamo noi dei casi più pericolosi."
Seyda arrossì. Forse sentirsi stupida era l'opzione giusta dopotutto.
"Concordo con la tua valutazione: non puoi diventare un'agente. Non perché il tuo nome inizi con la lettera sbagliata, ma perché sei viva."
"Sì, signore" mormorò lei, sempre rossa come un pomodoro. "Ho capito."
"Se la tua condizione esistenziale in futuro dovesse mutare, abbi fiducia nel fatto che rivaluteremo la tua richiesta. Per il momento, se vuoi lavorare per noi, dovrai accontentarti di una mansione più modesta."
"Sì, signore. Voglio ancora lavorare per voi. Non è che possa tornare a casa, dopo tutto."
"Ecco, veniamo al punto" Oscar prese in mano la lettera di presentazione di Seyda. "Come mai una nobile destinata al servizio sacerdotale decide di abbassare le sue prospettive e andare a lavorare per una branca geograficamente lontana di una organizzazione che è soltanto affiliata alla sua chiesa?"
Seyda si appoggiò allo schienale della sedia e cominciò a fissarsi con interesse le punte delle scarpe. "Potrei… aver combinato un guaio."
"Potresti?"
"Ho. Ho combinato un guaio. Non ti promuovono ad accolita se hai dato fuoco alle vesti del tuo sacerdote capo perché non avevi chiuso bene un incensiere."
"Dato fuoco! Complimenti."
"È stato un incidente!"
"Non mi aspettavo certo che tu lo avessi fatto di proposito. Ma sei stata bandita semplicemente per aver bruciato delle vesti?"
"Con il prete dentro" chiarì lei.
Il necropolitano incrociò le braccia sul tavolo e usò quella posizione per nascondere discretamente il suo tremolio, dovuto a una risata trattenuta a stento.
Seyda continuò la sua confessione.
"Per fortuna lui è riuscito a sfilarsi le vesti e le ha gettate via. Purtroppo… in quel momento di panico le ha gettate davanti a sé senza pensarci, così le vesti hanno incendiato anche i paramenti di tessuto sull'altare. Che era di legno. Lo sapevate che il legno trattato con gli olii sacri prende fuoco a meraviglia? Ecco io ora lo so. E il sacerdote è rimasto in mutandoni davanti al suo stesso altare che bruciava."
Oscar cominciò a ridere come non faceva da secoli.
"A quel punto è entrato il vescovo per una visita a sorpresa" continuò lei, la sua voce ormai ridotta a un mormorio. Oscar aveva nascosto il viso tra le braccia incrociate e rideva in silenzio perché non trovava il tempo di respirare, per fortuna non ne aveva bisogno. "E niente. Non è stato contento."
Seyda attese pazientemente che il suo intervistatore smettesse di ridere. Dopotutto c'era in gioco il suo futuro.
"Puoi restare" sentenziò infine il mago. "Lavorerai per tuo cugino sir Kyelet. Vedrà lui cosa farti fare. È un cavaliere quindi nominalmente sarai la sua scudiera, ma non aspettarti avventura, almeno per ora."
Seyda si illuminò. "Grazie signore! Non vi deluderò. E prometto che starò lontana da qualunque fonte di fiamme o carboni accesi o…"
"Sarà meglio" Oscar si alzò, comunicando con quel gesto che il colloquio era finito.

Oscar la guardò uscire dalla stanza con passo veloce, forse nel timore che lui cambiasse idea. Di solito il necropolitano dimenticava i dettagli sul personale vivente nel momento in cui non l’aveva più davanti agli occhi, ma aveva il sospetto che si sarebbe ricordato di lei. Nessuno lo faceva ridere così da quasi cinquecento anni.

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Capitolo 19
*** 18. Storm ***


Genere: Romantico
Personaggi: Yrga, altri
Note: seguito di Pond
TW: schiavitù; descrizione di una relazione romantica che per i canoni moderni può essere disturbante, e che va letta nel suo contesto storico e culturale

18. Storm


-727 DR ~ -724 DR, antico impero del Narfell

Il destino di una schiava nel Narfell era un tiro di dado degli dei. Schiavitù era una definizione generica che copriva diversi ruoli sociali, accomunati solo dalla mancanza di potere decisionale sulla propria vita. Dal fatto di essere proprietà di qualcun altro.
Lavoratori di fatica nei campi e nelle città, assistenti artigiani 'pagati' con vitto e alloggio, istitutori per i figli dei nobili, donne (e uomini) di piacere d’alto bordo, vittime sacrificali per i riti dei maghi e dei chierici che stringevano patti con i demoni: ad alcuni schiavi andava abbastanza bene, ad altri andava malissimo.
Yrga si considerava molto fortunata. La sua prima, grandissima fortuna era che era stata catturata quando era molto piccola, così piccola che ormai i suoi ricordi dell'infanzia e della vita prima del Narfell stavano sbiadendo. Ricordare sarebbe stato doloroso. La seconda ragione per cui si considerava fortunata era che il suo aspetto esotico e la sua costituzione fragile l'avevano resa perfetta per una funzione decorativa, e pessima per il duro lavoro. Dopo la cattura era stata portata in quel paese meridionale governato da maghi ed era stata venduta a quello che in gergo veniva definito 'un serraglio'. Un luogo dove bambini e bambine di bell'aspetto ricevevano un'istruzione sufficiente per intrattenere i nobili e i potenti. Non si trattava assolutamente di un bordello: era un luogo di preparazione quasi accademica, solo che oltre ad imparare a leggere e scrivere si impara anche a suonare, recitare, danzare, compiacere, perfino mescere bevande e preparare infusi. Quando ragazzi e ragazze raggiungevano l'adolescenza venivano venduti al miglior offerente, ancora illibati e puri. Diventavano amanti, giocattoli, decorazioni, servitori incaricati di portare piacere a tutti i cinque sensi. I più fortunati diventavano concubini e concubine.
Quelli che fallivano negli studi oppure crescendo diventavano più brutti venivano venduti comunque, perché per la magia del Narfell si basava in gran parte sui patti con i demoni e i sacrifici di vergini per qualche motivo erano molto apprezzati.
Yrga, dopo la sfortuna della cattura, era stata graziata dalla buona sorte. Le era rimasta una vocina sottile, infantile e quasi fastidiosa, ma la sua voce si trasforma completamente quando cantava, e ad una schiava non era richiesto di parlare quindi il suo difetto non era una cosa grave. Avevano trovato per lei un buon compratore, un mago di mezza età che si era innamorato della sublime capacità di Yrga di mescere i liquori con un perfetto equilibrio di sapori. Il mago sembrava non volere altro da lei, perché un incidente magico anni prima gli aveva spento ogni desiderio per le donne. Più che altro, l'aveva comprata per suo figlio.
Il figlio del mago era giovane e ragionevolmente carino. In realtà era di aspetto comune, ma sapeva come valorizzarsi. La cosa che però Yrga apprezzava di più era il suo carattere: il giovane era timido, cauto, non perdeva mai le staffe. Lei non l'aveva mai sentito alzare la voce contro un servo, né l'aveva mai visto percuotere qualcuno. Con lei era particolarmente silenzioso. Quando la chiamava nelle sue stanze era solo per farle suonare la lira mentre studiava o lavorava. Yrga non era nemmeno certa che lui la considerasse una donna, dopo tutto lei aveva tredici anni e lui quasi sedici. Lei poteva essere considerata adulta per il lavoro di concubina, ma non aveva ancora le forme di una donna, e lui era praticamente un adulto con in testa solo il futuro, la carriera, lo studio. Era convinta che vivessero su due mondi separati, due mondi che si sfioravano solo quando lui le chiedeva di suonare.

Fu costretta a cambiare idea alcuni mesi dopo il suo arrivo in quella casa. Thaus, così si chiamava il giovane padrone, le aveva chiesto di suonare come al solito, eppure era chiaro che non riusciva bene a concentrarsi sulla pergamena davanti a lui. Ogni tanto si massaggiava le tempie come se avesse mal di testa. Yrga si accorse che la sua smorfia si accentuava quando lei pizzicava la lira creando particolari virtuosismi musicali. Se anche lui amava la musica, in quel momento di sicuro avrebbe preferito il silenzio. Ma allora perché l'aveva chiamata?
La schiava non avrebbe dovuto prendere decisioni autonome, ma scelse di smettere di suonare. Non di botto, non voleva essere così palese, ma mise in atto un diminuendo cominciando a ripetere in loop sempre lo stesso breve ritornello e pizzicando le corde sempre più dolcemente, fino a far svanire la musica.
Il suo padrone si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e continuò a lavorare per qualche minuto, prima che la sua mente cosciente si rendesse conto del silenzio.
Girò lo sguardo verso Yrga, che se ne stava nel suo angolo con la lira in mano, molto a disagio. Non era stata congedata, non poteva andarsene, ma non poteva nemmeno ricominciare a suonare senza un nuovo ordine esplicito.
"Come mai hai smesso? Sei stanca?"
La voce del padrone non era contrariata, sembrava solo… stanco anche lui.
"No, padrone. Ho pensato vi servisse una pausa. Perdonatemi se ho sbagliato."
Lui poggiò i gomiti sulla scrivania e la fissò con sguardo stranito. "È questa la tua voce? Per tutti i demoni, quanti anni hai?"
Yrga arrossì per l'imbarazzo. Reagivano tutti così quando la sentivano parlare per la prima volta.
"Ne ho tredici, padrone."
Lui sembrò rendersi conto della gaffe. "Ah… ora sono io che devo scusarmi."
Yrga scosse la testa, perché nel Narfell chi era di rango superiore non doveva mai scusarsi con i suoi sottoposti. Ma un sottoposto non poteva nemmeno contraddire un suo superiore. "Non è necessario, ma vi ringrazio per la vostra considerazione e gentilezza."
Lui rimase in silenzio ancora per un po', poi sospirò. "È questo che insegnano al serraglio, giusto? Educazione e rispetto. Scommetto che vorresti essere a mille miglia da questa casa."
Yrga adesso impallidì. Lui non avrebbe dovuto prendersi certe confidenze. Era un padrone, poteva darle ordini, poteva anche pretendere di possederla, ma non avrebbe dovuto cercare alcun tipo di intimità mentale. "Mi mettete in una posizione difficile, padrone. Non posso mentirvi, ma non posso nemmeno dire ciò che mi passa per la mente."
"Perché?" Lui stava sorridendo, si capiva dal tono. "Perché no, se io ti ordino di farlo? Prometto che non ci saranno punizioni o conseguenze."
Lei strinse le piccole mani intorno alla sua lira, molto a disagio. "Non dubito della buona fede di un uomo libero, tantomeno di un nobile mago. So che l'onore è importante per voi. Ma non avete alcun obbligo d'onore di rispettare una promessa fatta a una schiava. Io qui non sono una persona. E dunque… se mi ordinate di parlare lo farò, ma non è necessario né dignitoso sprecare promesse per me."
Il giovane uomo sospirò e si passò una mano sul volto, poi le fece cenno di avvicinarsi.
"Vieni qui. Porgimi le mani" ordinò, poi tese le mani verso di lei come per invitarla a prenderle.
Yrga non aveva molta scelta: si alzò dal suo pouf, posò la lira dove poco prima era seduta e andò a posare i palmi su quelli di lui. Quelle mani erano più grandi delle sue, un poco più scure, e altrettanto morbide. Il padrone era un uomo che impugnava la penna, non la spada. Aveva anche i palmi leggermente sudati.
Lui accarezzò i polsi della ragazza con le dita, poi lasciò andare la mano destra e si concentrò solo sulla sinistra. La ragazza non sapeva che aspettarsi, ma udì un leggero clic e un attimo dopo lui le stava sfilando il braccialetto d'oro che aveva portato negli ultimi mesi. Il braccialetto che la identificava come schiava di quella famiglia.
"Ecco, sei una persona adesso. Sei libera. Non posso più ordinarti di fare nulla. Accetterai le mie promesse, ora?"
Yrga sentì un improvviso capogiro. Essere libera, così tutto a un tratto, non aveva senso. Il padre di quel ragazzo aveva pagato una piccola fortuna per lei. Era costata quanto dieci cavalli, aveva sentito dire. E ora il figlio la stava buttando via così? Che avrebbe fatto? Non aveva altro che la sua arte, non aveva soldi per andarsene, sarebbe solo finita a fare la schiava per qualcun altro.
"Vi siete stancato di me" mormorò, spaventata. "Vi ho deluso… è per la mia voce? È molto meglio quando canto, lo giuro!"
"No…" lui parve confuso. "Perché reagisci così? Non sei contenta? Essere una schiava è la più bassa forma di esistenza qui, non hai diritti nemmeno sul tuo corpo. Non sei contenta di essere libera?"
Lui non aveva ancora lasciato andare la sua mano, e si vide rivolgere uno sguardo da cerbiatta smarrita.
"Io… non voglio essere una schiava, ma non mi aspettavo questa improvvisa liberazione. Ho paura, non so cosa farò adesso, non conosco nessuno, non so dove andare… se la vostra famiglia non mi vuole più, io… f-finirò ricatturata e schiava di qualcun altro, e la vostra famiglia è gentile. Ho paura di cosa troverò là fuori."
"Ehi, non ti sto mandando via" il giovanotto le si rivolse in tono confortante e gentile. "Non mi sono stancato di te, per niente. Se vorrai rimanere al mio servizio mi farai veramente felice. Volevo solo che tu avessi la possibilità di scegliere, che mi potessi parlare su un piano di maggiore parità."
"Non so che cosa dire…"
"Per il momento mi basta che tu mi dica una cosa sola: vuoi rimanere a servizio qui? Le tue mansioni non cambieranno, ma riceverai più rispetto dalla servitù e avrai una stanza migliore."
"In quale veste? Fino a questo momento ero la vostra schiava personale, ora che cosa sarò? Per una donna libera è inusuale fare il lavoro di una schiava di intrattenimento."
"È inusuale ma non è proibito. Rimarrai la mia serva personale, poi magari nel tempo… magari le cose cambieranno. Non ti nascondo che ci spero."
Lei sgranò gli occhi. "Mi volete nel vostro letto? Sarebbe bastato ordinarmelo…" cercò di mantenere un tono tranquillo, anche spavaldo, ma in realtà lei non aveva idea di che cosa aspettarsi. Conosceva la teoria, ma questo era tutto.
"Non dire sciocchezze, hai tredici anni" lui lasciò finalmente andare la sua mano. "E io non voglio una bambina tremante nel mio letto. So che ci sono persone a cui piace, io lo trovo disgustoso. La disparità della nostra condizione di nascita non mi potrà mai garantire che tu voglia veramente stare al mio fianco, quindi non so se mi riuscirà di rispettare la tua volontà e il tuo consenso, perché in futuro potresti sentirti costretta a fare delle cose per me oppure potresti farle come compromesso per migliorare la tua condizione. Non saprò mai se i tuoi saranno sinceri, ma ci sono delle cose che intendo rispettare a prescindere: la tua età e la tua ripugnanza. Non ti toccherò mai finché ci sarà paura nella tua voce. Non ti chiederò di comportarti da donna finché non sarai davvero una donna."
"Però… però avevo ragione, mi desiderate."
Lui esitò. "Non è così semplice. Riconosco la tua bellezza, ma sei bella come un bocciolo, non come un fiore. Non ti desidero, ma so che in futuro lo farò. Fino ad allora mi piacerebbe che stabilissimo un rapporto un po' più intimo di quello fra un padrone e una schiava, per questo ti ho liberata."
Lei prese nota mentalmente del fatto che lui non avesse fatto minimamente cenno alla possibilità che lei si facesse una vita, che scegliesse qualcun altro. Il giovane dava per scontato che prima o poi lei avrebbe scelto lui, perché era cresciuto in una cultura che lo aveva convinto di essere il meglio che qualunque ragazza potesse desiderare. Lo status era molto più importante di sciocchezze come l'amore, l'aspetto fisico o la capacità di conquistare una donna.
Yrga mise da parte quei pensieri, perché la vita era semplicemente così. Ricordò a se stessa che a lei era andata ancora bene. Lui non era un brutto ragazzo e soprattutto era gentile. Certo adesso era libera ma quale scelta aveva davvero? Se anche per qualche miracolo fosse riuscita a procurarsi abbastanza denaro da comprare un cavallo e fuggire dalla regione, sarebbe mai potuta tornare a casa? Che cosa ricordava della sua gente, della sua famiglia? Solo vaghe memorie di una terra fredda e sconfinata, di inverni in cui si soffriva la fame.
Lui aveva ragione, di sicuro prima o poi si sarebbe concessa per migliorare la sua posizione sociale. Il figlio di un potente mago aveva molto da offrire, e tanto per cominciare le stava offrendo un rapporto di cui avrebbero beneficiato entrambi, anziché una relazione unilaterale in cui lui aveva il diritto di pretendere e lei aveva il dovere di obbedire.
"Resterò volentieri a servizio presso questa famiglia, e presso di voi in particolare" accettò, con un grazioso inchino.

Da allora erano passati tre anni e com'era prevedibile Yrga e Thaus erano diventati amanti. Lei non aveva avuto davvero la possibilità di scegliere qualcun altro, ma più passava il tempo più si convinceva di non volerlo fare comunque. Il motivo era che lui invece aveva tutta la libertà e il diritto di frequentare anche altre donne, ma non lo faceva. Yrga sapeva che Thaus era innamorato di lei. Si era preso una cotta la prima volta in cui l'aveva vista e per moltissimo tempo aveva messo da parte i suoi sentimenti per aspettarla, come promesso. Ma quando lei era giunta alla maturazione fisica i sentimenti di lui si erano rinsaldati ed era stato difficile nasconderli, perché nonostante tutto Yrga era davvero una donnina graziosa. Aveva avuto un improvviso scatto di crescita intorno ai quindici anni e nel giro di un'estate si era trasformata da ragazzina appena adolescente a giovane bellezza. Gli altri servitori del castello si giravano sempre due volte a guardarla, quando passava per i corridoi. Nessuno, però, osava toccarla: anche se non era una proprietà di Thaus - perché era una donna libera - nessuno sarebbe stato così folle da mettersi contro il padrone.
Le sue giornate si svolgevano all'insegna del piacere e di quel minimo di lavoro necessario per poterla ancora definire una serva: suonava per il padrone, rassettava le sue stanze, preparava il suo bagno. Spesso usufruivano insieme di quelle stanze e di quel bagno. Erano amanti, ma non era solo una cosa fisica. Nel tempo lei era arrivata ad apprezzarlo come persona, come amico in un certo senso, e quando avevano iniziato a dormire insieme aveva cominciato a sviluppare anche un altro genere di sentimenti. Non era innamorata persa come lo era lui, che aveva già rifiutato alcuni buoni contratti di fidanzamento per poter continuare a stare con lei, però anche Yrga si stava pian piano affezionando.

"È te che vorrei sposare" le confidò una sera, mentre erano languidamente sdraiati sotto le coltri del letto.
"Hm. Difficilmente sarà possibile, io non ho nulla da offrire alla tua famiglia." Yrga stava accarezzando il petto dell'uomo con le punte delle dita, non per stuzzicarlo ma solo per tenersi impegnata.
Avevano fatto l'amore ma nessuno dei due riusciva a dormire, perché all'esterno si stava scatenando una terribile tempesta. Non era una tempesta qualsiasi, era magica. All'epoca le tempeste magiche non erano affatto inusuali nel Narfell, il continuo e sconsiderato uso di poteri arcani e clericali - soprattutto clericali a dire il vero - aveva impregnato la terra e il cielo di magia. Quella che stava infuriando al momento era una tempesta di magia divina di tratto caotico: nulla di strano in una nazione che basava il suo potere sull'evocazione di demoni, che erano una delle tante incarnazioni del caos.
La stanza di Thaus aveva delle meravigliose vetrate che di solito lasciavano vedere il panorama della città e del cielo stellato, ma in quel momento cominciarono a farsi opache quando le normali gocce di pioggia si trasformarono in sangue.
"Uff. Sangue, ancora" sospirò l'arcanista. "Avevo sperato che piovesse normale acqua, o neve. Domani sarà un disastro dover ripulire tutto il palazzo."
Yrga si sistemò meglio fra le sue braccia. In quel momento era davvero felice di non essere più una schiava, l'ultima cosa che desiderava era dover ripulire quel disastro.
"È stato peggio quella volta che sono piovute rane" gli rammentò. "Scrostarle via dal tetto è stata un'opera eroica."
"Non me lo ricordare" lui lasciò vagare lo sguardo oltre le finestre, che stavano rapidamente diventando troppo opache per avere una qualche utilità. Quando non fu più possibile vedere niente, nemmeno le sagome dei palazzi vicini, si arrese e tornò a fissare il soffitto. "Vorrei inventare un incantesimo per proteggere la mia casa da questi contrattempi. Ma non ho così tanta inventiva, serve una conoscenza assoluta della magia per creare nuovi incantesimi. E mio padre è sempre più anziano e debole, anche nella mente." Sospirò di nuovo e intrecciò le dita della mano sinistra con quelle di Yrga. "Anche per questo, lui insiste che mi sposi in fretta. Vuole assicurarsi che la nostra famiglia prosegua. Se solo potessi rimanere libero, rimanere con te."
Lei non rispose subito. Rimase abbracciata al compagno, ad ascoltare il suo respiro calmo, a godere dell'intimità delle loro mani allacciate.
"C’è una cosa che volevo chiederti da tempo. Mi rendo conto che questa è una richiesta sfacciata da parte di una ex-schiava, ma… se tu mi insegnassi la magia arcana?"
Lui si sollevò su un gomito e la guardò stranito. "La magia?" Per un attimo sembrò che stesse per scoppiare a ridere - in effetti era un’idea ridicola, quel tipo di istruzione era solo per nobili - ma poi si fermò a riflettere. "Uhm… capisco le tue ragioni. Non potrai essere la mia amante per sempre, e quando io non potrò più proteggerti dovrai farti strada nel mondo da sola. Sì, è solo giusto che io ti dia gli strumenti per farlo. È il minimo per la donna che amo…"
"Be’, veramente stavo pensando," tentennò un momento, quasi si vergognava a esporre quel pensiero "se io diventassi una brava maga, un aiuto indispensabile per la tua famiglia, pensi che tuo padre considererebbe l’idea di concederci il matrimonio?"
Thaus esitò, preso in contropiede. Poi, questa volta, scoppiò davvero a ridere. Non era una risata di scherno, ma di stupore.
"Ah, sei incredibile!" Si sporse a baciarla sulla fronte. "La mia topina ingegnosa. Adoro il tuo ottimismo, ma se per un nobile è sufficiente una conoscenza mediocre dell’arte arcana, una serva dovrebbe diventare la mano destra di Mystryl per essere considerata un membro dell’alta società."
"E se volessi comunque tentare?" Yrga allacciò lo sguardo di Thaus nel suo, serissima. "Mi impegnerò fino allo stremo per stare con te."
Lui continuò a sorriderle. C’era una punta di paternalismo nel suo tono, quando rispose. "Perché no. Non abbiamo nulla da perdere, e mal che vada ti farà bene apprendere queste competenze. Ma dovrà restare un segreto, è proibito insegnare la magia ai popolani. Lo riveleremo a mio padre solo se… solo quando sarai in grado di operare portenti."
Dal suo tono, Yrga intuì che lui non ci credeva un granché. Ma non aveva importanza. Lei avrebbe dimostrato a tutti quanto valeva. Avrebbe guadagnato il diritto di essere la moglie di un nobile, dell’uomo che amava.
Un giorno sarebbe diventata così potente da portare nel Narfell una nuova ondata di tempeste magiche, e Thaus sarebbe stato orgoglioso di lei.



**********
Nota dell’autrice:
Per le tempeste magiche mi sono ispirata a un articolo di Dragon Magazine #308, "Arcane Weather: Master the Power of Magical Storms", che potete trovare anche qui.

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Capitolo 20
*** 19. Fight ***


Genere: Fantasy
Personaggi: Sinister Secundo, Oscar, Sinister Tertio

19. Fight


1057 DR, da qualche parte fra i Monti Galena, Faerûn settentrionale

Alcune persone sono nate per combattere. È la loro natura, la loro vocazione.
Roderig sapeva che morire con gli stivali ai piedi era il suo destino. Dopotutto gli era già successo una volta, anche se non gli piaceva affatto parlare di quell'argomento.
Aveva fatto carte false per tornare in vita - ma questa è un'altra storia - e ora eccolo di nuovo qui, all'avventura, davanti al pericolo.
Nella tana del drago.
Non metaforicamente.
C'era una sola cosa che Roderig amava più dell'avventura e del brivido del pericolo: i soldi.

Ci sono due abitudini per cui i draghi sono famosi: accumulare montagne di tesori, e mangiarsi gli avventurieri che cercano di rubarglieli.
Roderig sapeva che avrebbe fatto una fine o l'altra: ricchezza o una morte epica.
Preferiva la prima opzione, ma la seconda non era un vero deterrente.

Roderig non era solo, aveva un party di avventurieri al suo fianco. Suoi colleghi, suoi amici, suoi soci.
Morirono tutti al suo fianco.
Ma Roderig aveva anche qualcun altro a vegliare su di lui, o meglio a sorvegliare, da lontano, con una sfera magica.

* * *


"Sinister Secundo è stato mangiato da un drago" annunciò l'incantatore, senza la minima inflessione nella voce.
"Era inevitabile, prima o poi" rispose il servitore del mago. "Roderig è… era un'anima inquieta. Lo era ancora di più da quando era tornato a vivere."
"La morte di Sin… di Roderig, ti ha per caso turbato, Sinister Tertio?"
Lo zombie risvegliato esitò un momento, ponderando la sua risposta.
"Non comprendo la domanda, padre. Me lo aspettavo. Quindi non mi ha sorpreso."
"No, è chiaro, non sei sorpreso. Ma provi qualcos'altro? Sei dispiaciuto? Soddisfatto? Divertito?"
"…Mi dispiace, padre. Non capisco."
Il mago annuì. "Immagino che tu non provi ancora nessun tipo di sentimento. Va bene comunque. Forse tu sei troppo giovane, o forse era Secundo ad essere un'eccezione."
Sinister Tertio si sforzò davvero di pensarci. "Sono… curioso. Roderig è riuscito a uccidere il drago? Prima di morire?"
"È riuscito, sì" Oscar sbirciò ancora nella sfera di cristallo. "Ma solo dopo la sua morte."
"Non capisco."
"Per poterlo far tornare umano gli avevo innestato nella carne un oggetto magico di potente trasmutazione. L'alternativa era distruggerlo e riportarlo in vita, ma temevo che non sarei riuscito a richiamare la sua anima artificiale dall'aldilà. Quindi ho solo trasformato il suo corpo in quello di un uomo vivente."
Lo zombie guardò il suo creatore senza capire. "Questo come porta alla sconfitta del drago?"
Oscar si concesse un ghignetto. Provava soddisfazione per la morte della bestia che aveva distrutto la sua creatura.
"A quanto pare, uccidere e ingoiare qualcuno è sufficiente per diventare fisicamente e… legalmente, in un certo senso esistenziale… proprietario di tutti gli oggetti che aveva con sé."
Sinister Tertio oramai aveva fatto l'abitudine al modo di parlare di Oscar, al suo innestare frasi dentro altre frasi. Quindi ci mise solo alcuni secondi a capire cosa il necropolitano avesse detto.
"Ah… il drago è diventato proprietario dell'oggetto magico. Quello che teneva Roderig trasformato in umano?"
"Eccellente, figlio mio. Ho fatto proprio un ottimo lavoro con te." Si complimentò, ma era soprattutto una lode rivolta a se stesso. "Il drago ha ingoiato l'oggetto di trasmutazione ed è diventato a sua volta un umano… proprio mentre aveva il cadavere di un altro umano ancora in gola. È stato esilarante. Se non fossi stato in collera per la morte di Secundo, avrei anche riso."
Lo zombie non aveva un'immagine mentale per i concetti di 'esilarante' e 'ridere', quindi rimase in silenzio.
"Vai a dire al mio segretario di annullare i miei appuntamenti di oggi. È un vero crimine sprecare la morte di un drago."
Oscar uscì dalla stanza della divinazione, sfregandosi le mani. Un drago morto e nessun avventuriero sopravvissuto per reclamarne il tesoro. Il denaro gratis non si rifiuta mai, soprattutto quando si ha il pallino degli esperimenti costosi.
La giornata non era stata uno spreco completo.

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Capitolo 21
*** 20. Love ***


Genere: Introspettivo, triste
Personaggi: Yrga
Note: storia in cui si riallacciano le storyline di Drowning, Pond e Storm. Prequel spirituale di Predator Turned Protector.

20. Love


-717 DR, lago Ashane
-623 DR, lago Ashane



Che cos’è l’amore?
Che cos’è l’amore?

Forse l’amore è un po’ come un viaggio in nave.
Salire sulla stessa barca, affidarsi allo stesso destino e sperare di arrivare da qualche parte.
E pregare che nulla si metta di traverso.
L’amore è vedere splendidi panorami mano nella mano, mentre si veleggia verso una destinazione nuova,
e sapere che quelle mani unite servono anche a non traballare.
L’amore è non lasciarsi andare nemmeno in caso di naufragio, quando lo scafo sbatte contro gli scogli e i piedi scivolano sul legno lucido.
L’amore è non lasciarsi andare nemmeno quando il canto ammaliante di una sirena, o di qualche simile creatura, ci attira verso false promesse di delizie ultraterrene. L’amore è non lasciare la mano della persona amata.
L’amore è una scelta. Continua.
Una scelta che si rinnova ad ogni avversità.
L’amore è tornare indietro quando l’altra metà di te si perde nei flutti.
L’amore è impegno, perfino sacrificio.
L’amore non è…
Codardia.
Tirarsi indietro in caso di avversità.
Restare a guardare la nave che affonda, e la tua amata con lei.
L’amore non è guadagnare una scialuppa e scappare senza voltarsi più indietro.
L’amore è tornare indietro, esserci.
Trovare un pezzo di legno che faccia da zattera e poi lasciarlo perché la persona amata è scomparsa.
Perché non avresti dovuto lasciare la sua mano, non avresti mai dovuto, ma a volte succede per causa di forza maggiore e allora il meglio che puoi fare è tornare indietro, rituffarti in acqua.
Perché tanto non respiri comunque, senza il tuo amore.

Yrga smise di cantare quando si accorse di quello che stava succedendo.
Un uomo stava cercando di salvare la sua innamorata.
Anziché salvarsi…
…come ha fatto Thaus…

Yrga smise di cantare e abbassò perfino la lira. Ci era morta, con quella lira in spalla, il suo peso aveva contribuito a trascinarla a fondo. E ora la usava per trascinare a fondo altri che, come aveva fatto lei, vivevano nella menzogna.
Nell’illusione che la vita desse delle prospettive e che l’amore fosse una cosa reale.
Yrga aveva smesso di crederci quando Thaus era fuggito a nuoto senza di lei.

Ma anche una cantora spettrale, anche un non morto intrappolato dalla sua ossessione e dal suo odio verso la vita, ad un certo punto deve arrendersi all’evidenza.
In quel mare di cadaveri, trascinati pigramente dalle onde del lago come relitti, ce n’erano due che erano morti amandosi, e cercandosi.

La creatura chiuse e riaprì gli occhi, sentendosi come se una maledizione si fosse appena spezzata.

Che cosa ho fatto?

Solo perché un’altra maledizione potesse prendere il suo posto.


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Capitolo 22
*** 21. Lost ***


Genere: Lore
Personaggi: Sinistra, Oscar

21. Lost


1312 DR, villaggio di Zirta, che in seguito sarà noto come Scornubel

Il ragazzo delle consegne arrivò alla porta del negozio, trafelato. Aveva corso, anche se era solo l’alba; arrivava da una stazione di posta, o forse direttamente da un’altra città? Al destinatario del pacchetto non interessava. Gli importava solo del contenuto.
Lanciò una moneta d’argento al ragazzino e gli fece cenno di levarsi dai piedi. Il giovane si affrettò a nascondere la moneta in tasca - prima che il bottegaio si accorgesse di avergli dato una moneta d’argento anziché una di rame - e si allontanò di corsa com’era arrivato.

L’uomo di mezza età si rifugiò all’interno del suo negozio, girò il cartellino sulla porta da “aperto” a “chiuso”, e poggiò il pacchetto sul bancone.
Sulla carta che lo avvolgeva era stato scritto, con calligrafia ordinata:

Alla cortese attenzione di: sig. Oscar, bottega Bacchette Perfette, Zirta.

Oscar stracciò la carta con gesti frettolosi, rivelando cosa c’era all’interno: un quadernetto rivestito di pelle. Lo aprì senza indugio e cominciò a leggere dalla prima pagina.

Rapporto di Sinistra Quinta in merito al caso Darkhold.

1312 DR, Ches, 30
Fatto: Sono arrivata al villaggio di Corm Orp nel primo pomeriggio.
Opinione: Il viaggio è stato lungo.
Fatto: La strada che da Zirta arriva a Hluthvar passa per i Boschi Remoti.
Opinione: Ho rischiato di perdermi nel bosco. Avrei dovuto passare da Hill’s Edge.
Fatto: Il villaggio di Corm Orp conta solo poche decine di case.
Opinione: Mi preoccupa la possibilità che in un villaggio così piccolo io attiri l’attenzione. I luminosi mi considerano sempre strana.

1312 DR, Tarsakh, 10
Fatto:
Il castello di Darkhold è vicino.
Opinione: I luminosi che vivono qui non sembrano contenti di questo.
Fatto: Nel castello di Darkhold risiede una regina lich.
Opinione: I luminosi che vivono qui non sembrano contenti di questo.
Fatto: I dintorni del castello sono spesso infestati di non morti, alcuni senzienti e altri no.
Opinione: Non capisco se la regina lich li risvegli con la magia di proposito, o se siano un sottoprodotto naturale dell’energia negativa che impregna la zona. Ad ogni modo, i luminosi che vivono qui non sembrano contenti di questo.

1312 DR, Tarsakh, 20
Fatto: Un gruppo di luminosi è arrivato a Corm Orp da qualche altro luogo. Si definiscono avventurieri.
Opinione: Moriranno entro una decina di giorni.
Fatto: Ho trovato lavoro come sguattera in una locanda.
Opinione: Penso che la locanda sopravviva grazie agli avventurieri.
Fatto: Ogni mese muoiono uno o due luminosi del posto, in aggiunta agli avventurieri.
Opinione: Sono pazzi a vivere qui.

1312 DR, Tarsakh, 30
Fatto: Gli avventurieri di cui ho scritto nella nota precedente sono morti.
Opinione: Credo di provare un sentimento in merito, ma non so cosa sia.
Fatto: Uno di loro era un bardo.
Opinione: Vorrei che non fosse morto. Non ho ancora deciso cosa provo riguardo alla musica, vorrei ascoltarla ancora per farmene un’idea.
Fatto: È primavera ma non si sono ancora visti i luminosi che commerciano.
Opinione: Dev’essere a causa dei non morti.

1312 DR, Mirtul, 10
Fatto: Il signor Bassett, proprietario della taverna, produce il liquore che vende perché non arrivano mercanti e di conseguenza non può acquistare alcolici prodotti da altri.
Opinione: Non ho un’opinione su questo.
Fatto: Il signor Bassett è morto sbranato da un ghoul mentre raccoglieva erbe per fare il liquore.
Opinione: Penso di provare un debole sentimento, ma non so cosa sia.
Fatto: La locanda ha chiuso e ho perso il lavoro.
Opinione: Dai luminosi ho appreso che in questi casi si dice “cazzo”. (Non so se questo sia un fatto o un’opinione. A volte la differenza non mi è così chiara.)

1312 DR, Mirtul, 20
Fatto: Ho trovato una nuova occupazione: sono vice sceriffo.
Opinione: È pericoloso, potrei essere scoperta, ma per qualche motivo provo una sensazione piacevole.
Fatto: Il mio compito è pattugliare di notte e assicurarmi che nessun luminoso se ne vada in giro mettendosi in pericolo.
Opinione: Questo è molto facile. I luminosi sono ben visibili al buio.
Fatto: Ieri notte ho usato la mia spada d’ordinanza per staccare la testa a uno zombie che aveva aggredito un luminoso.
Opinione: I luminosi producono troppi rumori e troppi odori quando hanno paura. Non capisco in che modo questo aiuti la sopravvivenza.
Opinione: non ho provato nulla distruggendo quello zombie. Non so se avrei dovuto provare qualcosa, ma ci deve essere una parola per descrivere la mia situazione. Ironia? Ipocrisia? Non lo ricordo.

1312 DR, Mirtul, 30
Fatto: Si ripete a ciclo continuo quanto ho già descritto: i luminosi muoiono e gli avventurieri arrivano. E muoiono.
Opinione: La mia esistenza è priva di scopo. Non vedo l’utilità di riportare queste informazioni se non s’intende fare nulla in merito.
Fatto: -
Opinione: -
Fatto: Stavolta non sono riuscita a riportare tre fatti e tre opinioni.
Opinione: Mi sento inadeguata per questo.

1312 DR, Kythorn, 10
Fatto: Un gruppo di luminosi è passato accanto a Corm Orp ieri notte.
Opinione: Penso lo abbiano fatto per non farsi vedere dai luminosi che vivono qui. Non so perché.
Fatto: Non li ho approcciati, anche se la mia professione avrebbe imposto di farlo.
Opinione: Ho avuto la sensazione che fossero più che semplici avventurieri.
Fatto: Negli ultimi tre giorni non ha fatto che piovere.
Opinione: I luminosi che vivono qui non sembrano contenti di questo.

1312 DR, Kythorn, 20
Fatto: Qualcosa è cambiato a Darkhold. Non ci sono più tutti quei non morti che giravano di notte. Molti sono stati trovati distrutti in mezzo ai campi. La cappa di energia negativa si è molto affievolita.
Opinione: Credo che c’entrino i luminosi che undici giorni fa sono passati di qui. Nessuno sa nulla.
Fatto: Se la regina di Darkhold è caduta, la mia missione è finita.
Opinione: Se la mia missione è finita, ho definitivamente perso il mio scopo, qui.
Fatto: C’è ancora molto da fare. I luminosi vogliono liberare i loro campi dai cadaveri e far rifiorire il villaggio.
Opinione: Nessuno sa cosa aspettarsi dai nuovi padroni di Darkhold e i luminosi hanno ancora paura.
Fatto: Mi è stato ordinato di monitorare la situazione creata dalla regina lich. Non mi è stato ordinato di rimanere qui e aiutare i luminosi dopo la scomparsa della regina lich.
Opinione: Non mi è stato neanche ordinato di non farlo. Rimanere non mi costa alcuna fatica, e non ho piacere di lasciare situazioni in sospeso. Vorrei essere considerata dispersa in missione per qualche mese, a meno che non ci siano altri ordini.


Il rapporto si concludeva così. Oscar si sedette alla sua poltrona da lavoro e rimuginò, per un lunghissimo tempo.
Se la regina lich Varalla era davvero stata distrutta, tanto meglio: meno lavoro per lui. Ma non era solo l’incantatrice non morta, il motivo per cui aveva inviato Sinistra a svolgere la sua prima missione in solitaria.
Sinistra era uno zombie a cui lui aveva dato l’intelletto e la capacità di vedere la luce emanata dai vivi - che lei chiamava luminosi per questo motivo, spesso attirando occhiate stranite - e lei era prima di tutto un importantissimo esperimento.
Oscar aveva espressamente chiesto che lei ogni dieci giorni riportasse almeno tre fatti e tre opinioni. Era cruciale che si sforzasse di interrogarsi, di capire non solo il mondo ma anche se stessa. Per avere opinioni non serve intelligenza, serve personalità, ed era un tratto che lui sperava di vederle sviluppare con le sue sole forze.
Dispersa in missione? il necropolitano che si fingeva un uomo sorrise, manifestando i suoi pensieri con una smorfia che era allegra e inquietante insieme. Al contrario, questo è un passo avanti per trovare te stessa, mia cara.

Andò allo scrittoio e prese carta e penna. Doveva inviare una risposta quanto prima.



**********
Note dell'autrice:
Questa storia narra di un evento realmente accaduto nel canon, ossia quando gli Zhentarim hanno distrutto la regina lich di Darkhold e conquistato il suo castello nel 1312 DR. A volte non tutti i mali vengono per nuocere, o magari vengono per nuocere in modo diverso.
Nota di colore, ho scelto Zirta come base operativa di Oscar in questa storia (sebbene Zirta non compaia su nessuna mappa, essendo il villaggio già stato inglobato in quello di Scornubel perfino all'epoca di Advanced 1e), perché Zirta è lo scenario della prima storia mai scritta sui Forgotten Realms, One Comes, Unheralded, to Zirta (che secondo la mia modesta opinione è di una noia mortale ma è un lavoro mirabile per un ragazzino di 8 anni)

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Capitolo 23
*** 22. Forest ***


Genere: Fantasy
Personaggi: Aesar
Note: a differenza degli altri personaggi di questa raccolta, Aesar non è un non morto, ma close enough, come sa chi ha già letto la sua storia in Collide, Open, Connect e Patch

22. Forest


1329 DR, Grande Foresta

La regione intorno alle rovine di Karse non era territorio elfico, ma il villaggio di Reitheillaethor non era poi molto lontano, quindi se succedeva qualcosa di strano nel territorio del lich Wulgreth, gli elfi dei boschi lo scoprivano quasi subito.
Di regola si cercava di non pestarsi i piedi a vicenda. A Wulgreth del Netheril non interessavano quei frivoli orecchi-a-punta, e gli elfi pur avendo orrore della creatura non morta erano abbastanza saggi da starne alla larga.
Tranne quando qualche dannato esperimento magico del lich finiva per disturbare la foresta.

Aesar Sarsantyr non aveva paura del lich e non sapeva perché.
Avrebbe dovuto, la sua mente razionale ne era consapevole, ma da quando era morto e tornato in vita le sue emozioni funzionavano in modo bizzarro. Prima era stato ossessionato da un amore illusorio per la strega drow che lo aveva resuscitato, poi aveva sviluppato una lealtà per la sua foresta che rasentava il fanatismo. Quando qualche altro elfo dei boschi parlava di ritirarsi a Evermeet, l’isola di soli elfi che era il loro porto sicuro nel mondo, Aesar lo guardava come se fosse un traditore della patria. Non si abbandona la nostra foresta, si diceva ogni giorno. Non importa se arriva una nuova ondata di mostri dal nord o se la natalità è sempre più bassa, o se il lich di Karse fa morire le piante, questa è la nostra foresta e dobbiamo prendercene cura.
E quei ‘nostra’, sempre più spesso, diventavano dei ‘mia’.
Aesar non pensava di possedere la foresta, è ovvio, ma sentiva piuttosto che era vero il contrario: lui apparteneva a quel bosco. Dalle rive del fiume Delimbyir a sud alla Brughiera Sterminata a nord, quello era il suo territorio, lui ne faceva parte, se lo sentiva addosso come una seconda pelle, era la sua casa e lui l’avrebbe protetta. Soprattutto gli alberi. Non sono forse gli alberi a rendere una landa una foresta?

L’elfo ranger non aveva paura del lich e non avrebbe esitato a sfidarlo e a imporgli di cessare le sue attività nefaste per la natura. Non sapeva cosa stesse seccando le piante in quell’area - sospettava fosse inquinamento magico dovuto a esperimenti di necromanzia - ma avrebbe preteso che il lich la finisse una volta per tutte.
Anche se avesse dovuto andarci da solo.
Anche se aveva dovuto andarci da solo.

Aesar si mise a campeggiare fra le rovine di Karse. Non sapeva dove fosse il lich, ma una cosa era nota a tutti: il non morto aveva un odio particolare per l’antico dio Karsus (o almeno, da quel che aveva capito Aesar, Karsus doveva essere un dio… forse un dio minore netherese). Lo odiava al punto da aver conquistato con l’inganno la città che portava il suo nome, solo allo scopo di distruggerla in sfregio al Culto di Karsus, e poi ci si era stabilito per essere sicuro che nessuno la reclamasse e la riportasse agli antichi fasti.
Quindi, se Aesar non voleva sprecare anni a cercare la tana del lich, c’era una cosa molto semplice che poteva fare.
“Oh, possente Karsus!” Urlò, sbattendo la spada contro lo scudo buckler e producendo un fastidioso rumore metallico. “Che onore essere nella città che reca il tuo nome! Gloria a Karsus l’Antico, il più potente fra… uhm… gli dei del Netheril. Ascolta la mia preghiera, magnificente Karsus…” e andò avanti così per dieci minuti buoni, sempre sbattendo la spada contro lo scudo mentre percorreva le vie della città in rovine.
Non dovette aspettare molto a lungo.

“CHI OSA?” La voce dall’oltretomba avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque. Un pochino, anche ad Aesar. “CHI OSA PROFANARE QUESTO LUOGO DI MORTE PRONUNCIANDO IL NOME DI QUEL CANE APPESTATO?”
Un teschio umano si alzò in volo spuntando da un qualche anfratto a poche decine di passi dall’elfo. Il demilich individuò facilmente l’unica persona vivente nella zona e si lanciò verso Aesar.
Aveva gemme al posto degli occhi, ma quelle riuscirono comunque a scintillare in modo malevolo, dandogli un’aria incollerita.
“CHI SIETE VOI, COSÌ FOLLE DA PREGARE KARSUS IL FOLLE? CON CHE SCOPO UN ELFO VIVO PREGA UN DIO MORTO? SE DESIDERATE SEGUIRE IL VOSTRO DIO NELLA TOMBA, SIETE NEL LUOGO GIUSTO.”
Aesar allontanò la spada dallo scudo, ma non la rinfoderò.
“No, in realtà non so nemmeno chi sia questo Karsus. Sono qui per pretendere la cessazione di qualunque nefando arcanismo stia causando la morte delle piante della foresta.”
“OH. PER PRETENDERE.”
“Mi avete inteso!”
“MA CERTO. CESSERÒ SUBITO DI RECARVI FASTIDIO. VUX LOREAT!
Le parole dell’incantesimo furono accompagnate da un contorto raggio nero che scaturì dal teschio e si avventò come un fulmine su Aesar.
L’elfo sentì la magia necromantica che faceva avvizzire la sua carne, ma sentì anche… qualcos’altro. Un’immensa forza dentro di sé, che lo invase come un’onda gentile e lo tenne in piedi. Una presenza antica come il mondo che lo animava come se fosse parte di lui, e ancora una volta ebbe la nettissima sensazione di essere un tutt’uno con la foresta.
Le sottili cicatrici che aveva sulle mani, sul petto e sotto le palme dei piedi, che erano tutto ciò che restava del rituale che l’aveva riportato in vita, cominciarono a pulsare e a trasmettergli un piacevole calore. La sua carne guarì immediatamente, respingendo con forza l’assalto dell’incantesimo necromantico.
Aesar si sentiva colmo di energia e invincibile come una montagna. Il demilich gli sembrava all’improvviso così piccolo! Poteva uccidere un elfo, certamente, poteva uccidere qualche albero, ma non poteva disseccare una foresta più grande di un regno. Gettò la testa indietro e rise, una risata vera e piena di gioia.
“Ho compassione di voi!” Gridò un momento dopo, agitando la spada verso il non morto. “Ve ne state qui, a giocare con i vostri vecchi rancori. Avete dimenticato del tutto cosa sia la vita, cosa sia la gioia. Ma la mia compassione non mi impedirà di fermarvi” promise, serio ma con un pizzico di folle entusiasmo negli occhi. Sollevò la spada. Ricominciò a batterla contro lo scudo. “Oh, ascoltami, grande Karsus, tu che sei il più magnifico…”
“BASTA!” ordinò il demilich. Venne ignorato.
“Questo parassita nella tua gloriosa città sta defecando sulla tua memoria. Grande Karsus, fai calare un fulmine e friggi questo non morto miscredente!”
“KARSUS È MORTO, FATELA FINITA! È INUTILE!”
“Non è inutile, vi sto dando fastidio” replicò l’elfo senza battere ciglio.
VUX LOREAT!
Ancora una volta l’incantesimo dito della morte fece presa solo parzialmente sull’elfo, ma questi sembrò guarire molto in fretta.
“Possente Karsus, questo pidocchio sulla tua sacra testa…”
“MA QUALE TESTA, STATE DELIRANDO?”
“Che è così arrogante da dare ordini nella città consacrata a un dio…” continuò, sbattendo la spada contro lo scudo ogni due parole.
“E VA BENE. OGGI NON HO INCANTESIMI ADEGUATI A SCROSTARE QUESTA IMMONDIZIA DALLA STRADA. CHE COSA VOLETE?” Si arrese il demilich.
Aesar sapeva - a livello istintivo - che il supporto dello spirito della foresta che lo teneva in vita si sarebbe spinto solo fino a proteggerlo dalla magia necromantica, ma non gli avrebbe dato il potere di attaccare il non morto. Quindi poteva solo giocare la carta della diplomazia. O esasperazione.
“Sono meravigliosamente bravo a perseguitare la gente, quando voglio” si vantò, perché conosceva il livello di ossessione di cui era capace. “Smettete di avvelenare la terra e il fiume con le vostre porcherie magiche, oppure mi avrete come abitante fisso di Karse.”
Il lich tentennò. Avrebbe potuto insistere e dare una prova di forza, ma la verità era che non stava riuscendo a capire che cosa fosse quel dannato elfo, e non gli piaceva avere davanti avversari che non sapeva valutare.
Alla fine accettò e diede la sua parola, contando sul fatto che prima o poi avrebbe ripreso con i suoi esperimenti, e per allora si sarebbe preparato meglio a uno scontro con quell’elfo. E poi, ad ogni modo, gli elfi sono longevi ma non eterni. Prima o poi quella fastidiosa pulce avrebbe lasciato questo mondo.
Quanto si sbagliava.

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Capitolo 24
*** 23. 3AM ***


Genere: Introspettivo, fantasy
Personaggi: Erika, Vinnifred, Sinistra, Oscar (citato)

23. 3AM


1372 DR, in un piccolo semipiano privato da qualche parte nel Piano Etereo

Una cosa interessante da sapere è che non esiste il concetto di fuso orario nel mondo di Toril. Formalmente.
È chiaro che, essendo un pianeta sferico che gira intorno a un sole e gira su se stesso, esistono differenze di orario fra le diverse parti del mondo nello stesso momento, ma questo non è mai stato codificato dalla gente in un sistema di fusi orari. Ad eccezione dei maghi, che devono consultare carte celesti e stabilire l'orario giusto per alcuni rituali, di solito la gente non ha bisogno di sapere con estrema precisione che ora sia. I punti di riferimento sono l'alba, il mezzogiorno, il tramonto e la mezzanotte (quest'ultima, solo per chi sa leggere le stelle).
Ad ogni modo, per chi ha la necessità o la fortuna di possedere un orologio, è importante ricordare che va tarato in base a criteri oggettivi, e quei criteri possono mutare a seconda del luogo del mondo in cui ci si trova.
La sede ufficiale del nucleo operativo più fringe dei Compagni della Mano Pallida si trovava in un luogo dove il tempo non aveva gran rilevanza: il Piano Etereo. Per la precisione, in un piccolo semipiano artificiale che galleggiava nel Piano Etereo. Eppure c'erano orologi, e molti. C'era un intero corridoio occupato da orologi ad acqua, ciascuno con una diversa targhetta di metallo affissa sopra: nomi come "Costa della Spada", "Cormyr", "Zakhara orientale", "Wa", "Semphar", "Thay" e altri. Ciascuno di quei nomi indicava un luogo del mondo di Toril, dove l'organizzazione era attiva. Era molto importante per loro conoscere l'orario dei luoghi in cui volevano recarsi, soprattutto per quelli di loro che avevano una spiccata sensibilità alla luce solare.

Una di quelle creature si trovava proprio lì in quel momento, nella galleria degli orologi. Era un ometto minuto, magro, pallido come la morte, con occhi infossati e biondissimi capelli corti. Teneva le mani dietro la schiena e stava guardando un quadro appeso in quel corridoio. Era il dipinto di un albero scheletrico che si stagliava contro una gigantesca luna pallida, molto più grande di come fosse in realtà. Lo sfondo era un cielo rosso cupo, quasi con un'ombra di viola. Non era il classico rosso allegro che trasmette energia, era più simile al colore del sangue.
L'uomo rimase a lungo lì, come mesmerizzato, finché un'altra figura pallida non gli si affiancò.
"Cosa ci trovi in questo quadro, Vinnifred? È così cupo."
Il vampiro spiò con la coda dell'occhio la nuova arrivata. Era così…
Erika era sempre un'esplosione di colori caldi. Con i suoi capelli fra il biondo e il castano sempre sciolti sulle spalle, morbidi e liberi come… come un fottuto campo di grano, anche se non aveva senso… e gli occhi castani ancora espressivi come quelli di un vivente, per non parlare del suo coraggioso gusto in fatto di vestiti. Quel giorno indossava un abitino estivo color ocra. Come sempre, se non era giallo era una sua variante, o al massimo virava verso il rosso-arancio. Erika non credeva nell'indossare il nero, o il rosso sangue, come un vampiro serio.
Era esasperante.
Eppure era anche così… magnetica. Quando Erika gli rivolgeva la parola, lui non sapeva mai cosa rispondere.
"Hm? Hai perso la lingua, Vin?"
Lei aveva deciso unilateralmente che aveva il diritto di dargli un soprannome, e quando Erika decideva una cosa, era così e basta.
"No… è vero, è cupo. Eppure mi piace. È come se mi parlasse. Il fatto che l'albero sia scheletrico ma abbia ancora delle foglie lo fa sembrare vivo e morto insieme, come siamo noi."
Non aveva bisogno di guardarla per sapere che stava facendo quella faccia lì. Quella smorfietta di quando si sforzava di capire qualcosa, che però per lei non aveva senso.
Odiosa. Adorabile.
"Oggi sei malinconico."
"Sono sempre malinconico." Ribatté lui. "È una cosa da vampiri. Non capiresti."
Erika non commentò. Era anche lei una creatura vampirica, solo… non era esattamente considerata tale dai suoi pari. Forse perché tecnicamente era solo una Progenie. Forse perché poteva muoversi sotto il sole.
Decise di cambiare argomento.
"Nel luogo da cui vengo sono le tre del mattino" annunciò, indicando l'orologio che segnava quell'orario per la Costa della Spada. Silverymoon non era esattamente sulla costa, ma era abbastanza vicina da avere circa lo stesso fuso orario. "Vieni a bere con me, non stare qui a deprimerti. Conosco una fattoria dove hanno mucche così grandi che ci puoi bere anche tre sorsi di sangue senza che nessuno si accorga di niente."
"Stanotte no" rifiutò lui senza battere ciglio. "C'è luna piena."
"Hm? E quindi?"
"E quindi la luna mi dà problemi quasi quanto il sole" spiegò, irritato.
Erika sbatté le palpebre un paio di volte, confusa.
"Cioè… sei sensibile alla luce della luna anziché a quella del sole?"
Lui sbuffò una risata amara. "Sono sensibile a entrambe. La luce del sole mi polverizza, quella della luna piena ha un effetto paralizzante. Alla fine è sempre luce solare, è solo riflessa dalla luna quindi ha un effetto più mitigato."
Erika fece un breve paragone mentale. Lei era praticamente immune a entrambe.
"Bella merda."
"Già!"
"È per questo che te ne stai sempre chiuso qui?"
Lui le scagliò un'occhiata in tralice. "Me ne sto sempre chiuso qui perché lavoro nell'archivio. I libri non si catalogano da soli."
"Non sarebbe un lavoro più adatto ad un costrutto? Oscar dovrebbe averne alcuni…"
"Ah! Pensi che il mio lavoro sia quello di un semplice esecutore? Catalogare libri richiede elasticità, capacità di risolvere i problemi in modo creativo, comprensione del testo… ma secondo te tutto questo è fattibile da una macchina?"
"Va bene, va bene, non ti arrabbiare così. Sei nervosetto perché negli ultimi giorni non hai potuto bere?"
"Ho un donatore che gode di ottima salute, ho bevuto ieri sera. Io non mi nutro di schifosi animali, come te."
"Ah, quindi sei stronzo di tuo? Interessante…" buttò lì Erika, in un tono che esprimeva tutto tranne che interesse. "Com'è che sei diventato Secondo Bibliotecario? I Compagni della Mano Pallida di solito non tollerano i non morti senzienti, fatta eccezione per quelli che si dimostrano utili al culto di Jergal."
Vinnifred fece una smorfia infastidita, mentre i ricordi dei suoi primi momenti da vampiro si riversavano nella sua mente, non invitati né benvenuti. Le domande personali avevano sempre il potere di scatenare un fiume di ricordi anche contro la sua volontà. Brevi flash della sua cattura quando era ancora solo un ragazzo umano, la prigionia nel covo dei vampiri, il suo futuro Sire che beveva da lui solo un sorso al giorno, lasciandolo sempre più debole senza mai ucciderlo. Poi le grida, le esplosioni, gli incantesimi, gli intrusi. La breve speranza che per lui fosse arrivata la liberazione. Poi il suo catturatore, quel vampiro di merda, che lo afferrava e correva con lui attraverso uno specchio, portandoselo dietro come un fottuto snack.
"Non ho voglia di parlarne" tagliò corto.
Erika non insistette. Tutti i non morti erano tali perché erano prima morti, tutti avevano un trauma. O un carro pieno di traumi.
"Non ti annoi a stare sempre qui da solo?" Tentò di cambiare argomento ancora una volta.
"Non sono veramente da solo. Il signor Oscar torna qui ogni giorno dopo il lavoro, lui è il Primo Bibliotecario. Non mi è davvero d'aiuto, ma sono lusingato che mi deleghi così tanti dei suoi compiti."
"Cioè sei contento di farti sfruttare?"
"Come hai detto tu, dobbiamo tutti renderci utili se vogliamo sopravvivere."
Per un po' rimasero in silenzio a fissare il quadro inquietante. Era una cosa molto facile per dei vampiri.
Dopo qualche minuto, una ragazza che reggeva uno straccio per la polvere si avvicinò a passi lenti.
"Perdonate il disturbo. Devo pulire gli orologi" annunciò, iniziando a spolverare uno di quegli oggetti.
"Ah, già, e poi ci sono quelli come lei. Ma non è davvero una persona, no?"
Erika si irrigidì. "Non saprei. Ma non è gentile dirlo così."
"Ma cosa vuoi che capisca! Lo sai anche tu che non è una persona, non ha un'anima. È questa la ragione per cui lord Jergal tollera gli esperimenti del signor Oscar, perché non impediscono a nessuna anima di gente viva di andare nell'Aldilà. Alla fine tutto quello che fa è giocare con cadaveri vuoti. Per noi è diverso. Non ci è consentito creare Progenie perché vorrebbe dire bloccare un'anima qui in questo mondo."
"Io non posso creare Progenie comunque, sono una Progenie" gli fece notare lei.
"Oh, e questo?" La ragazza con lo straccio della polvere si fermò alle loro spalle.
Erika le dedicò brevemente la sua attenzione. "Questo cosa, Sinistra?"
La ragazza zombie indicò il quadro. "Questo. Non lo avevo mai notato."
"È qui da anni" spiegò il vampiro, sprecando solo poche parole per lei.
"Ah… non ci avevo mai fatto caso. Mi scuso per il disturbo" la non morta accennò un inchino con il busto - le avevano insegnato come doveva rivolgersi a non morti superiori - ma poi il suo sguardo fu di nuovo calamitato dal dipinto. "Però è così strano."
"Dici? Come mai?" Erika era curiosa. Non verso quella questionabile opera d'arte, ma verso l'opinione che ne aveva la zombie. Se c'era una cosa strana, era che Sinistra esprimesse un giudizio su qualcosa.
"Perché… di solito la luna non è così grande."
"Certo che non lo è" convenne Vinnifred. "Secondo me si tratta di un banale espediente per mettere in risalto i rami neri e intricati dell'albero. L'albero stesso sembra una figura tormentata, contorto e secco con questi rami che formano un groviglio come a rappresentare il turbamento emotivo dell'autore."
Sinistra lo ammirò impressionata. "Hai detto una cosa così intelligente. Capisco perché sei il Secondo di mio padre."
Lui non fece una piega, perché l'ammirazione di una zombie era una cosa del tutto irrilevante.
"I rami più bassi" Erika indicò la parte inferiore del quadro "sono così dritti, come se l'albero fosse fatto apposta per impiccarsi."
Vinnifred studiò il dipinto un po' meglio. "È vero, c'è perfino un albero più piccolo sullo sfondo che se ne sta lì, come un tratto verticale che unisce uno dei rami al terreno e a prima vista sembra un corpo impiccato. Secondo te il fatto che i rami bassi non siano illuminati dalla luna può significare qualcosa?"
"Uh… che la luna è troppo piccola per illuminare tutto l'albero?" Erika si strinse nelle spalle.
"Non ha senso, questa luna è già molto più grande del normale, tanto valeva farla abbastanza grossa da far da sfondo a tutto l'albero. Secondo me i rami bassi hanno un significato."
"Magari simboleggiano davvero un desiderio di morte" lei tornò sulla sua ipotesi "ma celato, perché non illuminato dalla luna…"
"Siete così intelligenti" tornò a ripetere la zombie, con gli occhi sgranati. "In effetti penso che abbiate ragione. Il quadro è firmato qui" notò, indicando un punto fra l'albero e il bordo destro del quadro "anziché essere firmato dietro, o in un angolino. È perché l'autore si identificava nell'albero. Voleva far capire che era lui il protagonista del quadro, e che l'albero rappresentava lui."
I due vampiri si girarono a guardarla, senza parole. Un commento banale come "la luna è troppo grande" era una cosa, era praticamente solo attestare un fatto, ma questo…
"È una tua opinione? È interessante" riconobbe Erika.
"Oh, no" si schernì Sinistra. "Io non capisco l'arte e i simboli. Sto solo ripetendo quello che mi ha detto l'autore. Non avevo mai notato che questo quadro fosse qui, ma ricordo quando Sinister lo ha dipinto."
I due non morti più evoluti si scambiarono uno sguardo incredulo. Anche un po' turbato.
"Sinister…?"
"Sinister Tertio" specificò lei. "Il suo vero nome era Atticus DiPalma, il cognome è scritto qui sul quadro. Penso venisse dal sud, con un nome così strano" considerò, con l'aria di chi non ci aveva mai pensato prima. "Comunque ha dipinto questo quadro pochi mesi prima di morire. Quindi forse avete ragione sul desiderio di morte, il suo è stato praticamente suicidio. Siete davvero così bravi a capire le cose" mormorò con aria sognante e con una punta di invidia.
Erika e Vin si scambiarono l'ennesimo sguardo basito, ora con sempre maggiore inquietudine.
"Uno degli zombie di Oscar? Ha dipinto un quadro?" Domandò Erika, perché Vinnifred era senza parole.
Sinistra si strinse nelle spalle. "Già, nemmeno io lo capisco. È roba che fa la gente quando ha un'anima. Forse un giorno capirò. Mio padre dice che è molto probabile che un giorno anche io sviluppi una mia anima. Dice che faccio progressi." Senza scomporsi minimamente, scrollò lo straccio della polvere e si rimise al lavoro sull'orologio successivo.
"Porco mondo" sussurrò il vampiro. "Questo mi ha raggelato più della luce della luna."
Erika gli diede una pacca amichevole sulla spalla, mandandolo quasi a sbattere contro il muro. "Su, su, animo. Che Oscar fosse un fottuto scienziato pazzo lo sapevamo già."
"Pensavo fosse solo un visionario…"
"Non è molto che lavori qui, vero? Dai, sono quasi le quattro, andiamo a berci qualcosa. Se siamo fortunati, dovremmo beccare quel momento in cui la luna è già calata e il sole non è ancora sorto."
Vinnifred si riscosse un po'. Raddrizzò le spalle. "No, io non la bevo una fottuta mucca."
"Eh ma quanto ti credi importante" Erika alzò gli occhi al cielo. "Fa' come vuoi, ciccio, io vado."
Il ragazzo scosse la testa. Non aveva sete in ogni caso.
Trascorse il resto della notte a fissare il quadro, chiedendosi cosa volesse esprimere davvero il suo autore e, se era vero che aveva sviluppato un'anima prima di morire, che fine avesse fatto quell'anima dopo la distruzione del suo corpo.
Forse avrebbe dovuto chiederlo a Oscar. Lui doveva saperlo, giusto? Forse? Doveva importargli almeno un po', giusto?

Alla fine, dopo lunghe elucubrazioni, decise che non avrebbe chiesto. A volte è meglio restare con il dubbio piuttosto che essere delusi, e soprattutto una creatura morta due volte forse meritava finalmente il riposo dell'oblio.



**********
Note dell'autrice:
- In merito ai fusi orari nel Faerûn, rimando a questa discussione e questa illustrazione.
- In merito a Vinnifred, è un vampiro "anatema lunare" (moonbane vampire), variante presentata sul Libris Mortis. Alcuni erroneamente interpretano il vampiro anatema lunare come vulnerabile alla luce della luna anziché a quella del sole, ma non ha senso, perché il suo GS non cambia rispetto al vampiro base; se fosse libero da una simile limitazione (avendo in cambio solo una possibile paralisi sotto la luce lunare) dovrebbe avere un GS più alto, inoltre non è scritto da nessuna parte che sia invulnerabile al sole.

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Capitolo 25
*** 24. Broken ***


Genere: Fantasy
Personaggi: Bahostegym

24. Broken


1371 DR, primavera inoltrata, in un luogo che non è un luogo

C'è qualcosa di fatale e ironico in un bibliodrago rinchiuso in un libro. Il genere di oggetto che a Bahostegym era più caro era diventato anche la sua prigione.
Il dracolich avrebbe dovuto essere abituato all'idea che la sua anima fosse racchiusa in un oggetto - era quello che sarebbe successo se il suo corpo fosse morto: la sua anima sarebbe stata attirata all'interno del suo filatterio - solo che non gli era mai successo prima e soprattutto non si aspettava gli sarebbe mai successo di essere chiuso in un libro che non era il suo filatterio.
Oppure lo era?
I ricordi erano confusi. Ogni momento che passava, Bahostegym si faceva prendere sempre più dai dubbi. Cos'era quella sua prigione? Come romperne le sbarre per fuggire?
Era davvero una prigione, oppure un'entità potente quanto un dio aveva trasmutato a forza il suo corpo scheletrico facendolo diventare un libro? Rompere il libro avrebbe distrutto anche lui? O forse il libro era solo la forma esterna della sua prigione, e rompere il libro avrebbe per sempre gettato via la chiave della sua cella? O magari il libro era il suo filatterio, e lui non lo ricordava più?

Avere la mente in preda alla confusione era una sensazione stranissima per un non morto.
Finché…
Bahostegym era abituato al fatto che una o l'altra creatura maligna toccasse il libro. Era consapevole di essere prigioniero di qualcuno, non ricordava bene chi, ma era qualcuno di malvagio. Quel qualcuno ne aveva rivendicato la proprietà scrivendo la propria iniziale in prima pagina - sebbene in realtà non fosse l'autore della sua prigionia, ma solo un comune carceriere - e in seguito aveva scritto molte cose sul libro, imprimendo un incantesimo devastante in ogni pagina come forma di assicurazione, per evitare che Bahostegym si liberasse o fosse aiutato dai suoi colleghi.
Bahostegym si era rassegnato a dover aspettare un lungo tempo, per raccogliere le forze, prima di poter tentare di uscire da lì.
Però poi… un giorno percepì che qualcun altro stava toccando il tomo malefico. Qualcuno che era antico eppure giovane, caotico eppure un ingranaggio delle leggi universali.
Forse qualcuno con cui poteva comunicare? Chiedere aiuto?

Bahostegym avrebbe voluto usare le pagine del libro per mandare un messaggio, ma era così difficile. C'erano incantesimi su quelle pagine, erano fatti a regola d'arte, non poteva alterare gli scritti. Poteva a malapena modificare un po' la prima pagina, ma riuscì a scrivere quel tanto che bastava per far capire all'estraneo che c'era un'anima intrappolata nel libro.
Purtroppo per lui, l'estraneo non fu in grado di stabilire se l'anima prigioniera fosse buona o malvagia, un potenziale alleato o un nemico ancora peggiore di chi lo aveva rinchiuso.
E Bahostegym non se la sentiva di biasimare quella piccola creatura: lui stesso, in quel limbo di confusione, stava perdendo ogni cognizione di cosa fossero il bene e il male. Se solo fosse riuscito a pensare più chiaramente, se solo i suoi pensieri non fossero stati annebbiati, mutevoli, come in un sogno. L'antico dracolich era stato un drago vivente, decine di migliaia di anni prima, e ricordava come fossero i sogni: la sensazione orribile che il tuo pensiero sfuggisse al tuo controllo. Era la stessa cosa che stava provando da molto tempo… anni?... da quando era stato intrappolato nel libro.

Non aveva il potere di agire sul mondo esterno, non riusciva nemmeno a raccogliere i suoi stessi pensieri, che sfuggivano via come sabbia fra le dita. Eppure…
Dopo aver parlato con l'estraneo, la sua condizione cominciò lentamente a migliorare. Qualcosa era cambiato, nella sua prigionia. Era sempre chiuso nel libro, ma i suoi pensieri si facevano ogni giorno più lucidi.
Cominciò a ricordare.
L'incantatore che aveva scritto tutti quegli incantesimi di attacco e di protezione sulle pagine del libro era anche responsabile di averlo portato nel regno dei sogni. Come ulteriore misura cautelativa aveva nascosto il libro in un Piano di esistenza fluido e mutevole, un luogo in cui un non morto di solito non si recava mai, perché quelli come lui non dormono e non sognano. Gli unici che cadono in una sorta di coma che può talvolta indurre il sogno sono i vampiri, quando durante il giorno devono ritirarsi nelle loro bare. I lich non dormono mai, per questo Bahostegym si era trovato così a disagio e impotente in quel luogo. Il suo carceriere aveva paura che il potentissimo antico drago trovasse un modo per liberarsi, nonostante tutti gli incantesimi che lo costringevano, a patto che fosse stato capace di pensare lucidamente… e forse non aveva tutti i torti.
Chiunque fosse stato a portarlo fuori dal reame del sogno, gli aveva già fatto un favore. Anche se Bahostegym non fosse riuscito a trovare un aiuto esterno, forse un giorno il sigillo che lo tratteneva sarebbe comunque stato infranto dalla sua forza di volontà. Magari ci avrebbe messo anni, ma ogni minuto che passava il dracolich era sempre più convinto di avere una possibilità di farcela.

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Capitolo 26
*** 25. Mythical ***


Genere: Fantasy, lore
Personaggi: Terry, Arthindol

25. Mythical


1373 DR, rovine di Oreme, Anauroch

"Egli è venuto come avevi predetto, viandante" mormorò la voce nell'ombra. "L'altro astrofilo. Il folle."
Il viandante mantenne un'espressione impassibile sul volto pallido, ma dentro di sé sentì una fitta allo stomaco.
"Speravo tanto di sbagliarmi" mormorò. "Pregavo che non avesse alcun piano per il futuro…"
"Una mente matura non si lascia sviare dalla speranza, viandante" il sussurro dall'ombra aveva un tono secco, di rimprovero, quasi di delusione.
Ma dopotutto quella voce apparteneva a uno scaglioso, un rettiloide, una creatura a sangue freddo che già di suo non avrebbe lasciato molto spazio ai sentimenti… e per di più era anche un lich. E non un lich qualsiasi, ma uno dei più antichi del mondo. Era una leggenda, il mitico re sarrukh del regno di Isstosseffifil, o di quel che ne restava: le rovine della capitale, Oreme. Egli era lord Arthindol, il potente arcanista che aveva permesso agli antichi Netheresi di trovare i Papiri di Nether, atto che aveva portato a un avanzamento magico che quel popolo non avrebbe mai potuto contemplare altrimenti.
Per questo, per il suo inestimabile contributo alle tradizioni magiche degli umani, il viandante lo stimava come un vero e proprio padre della magia, più di quanto lo fossero gli stessi dèi. Era naturale, quindi, che si fosse rivolto a lui ora che la magia era in pericolo.
"L'astrofilo vuole impedire che la magia crolli, non lo posso definire folle per questo" commentò il viandante a denti stretti. "Se non sapessi che è troppo pericoloso, sarei d'accordo con lui."
"Ma sai che è troppo pericoloso. Sei consapevole che tentare di cambiare un evento nel futuro che hai già sperimentato nel tuo passato porterà solo a una frattura del continuum."
Il viandante esitò, ma poi annuì. "Certo. Per questo mi chiedo in che modo pensi di poterlo fare lui."
"Se fossi a conoscenza del suo piano, lo approveresti?" La voce sussurrante si avvicinò, segno che il sovrano di Oreme si era alzato dal suo trono. Nell'oscurità completa, il viandante sentì i suoi movimenti striscianti, e alla fine lo udì parlare così vicino che, se avesse allungato un braccio, probabilmente lo avrebbe toccato. O più probabilmente avrebbe toccato una sua barriera magica. "Fino a che punto si spinge il tuo desiderio di preservare il mondo in cui hai vissuto finora?"
"Non posso in alcun modo avallare il piano del mio simile" chiarì l'umano. "Se l'astrofilo riuscisse nel suo intento di impedire la Piaga della Magia, la mia esistenza diventerebbe un refuso e io scomparirei come se non fossi mai esistito. Tuttavia nonostante io abbia cercato di tenere sempre un profilo basso, ho comunque compiuto delle azioni che hanno avuto conseguenze. Se io non fossi mai esistito, oggi alcune cose sarebbero diverse nella città in cui vivo, e quindi una catena di cambiamenti seguirebbe la mia scomparsa. No, sono convinto che il mio destino sia esistere. Non lo dico solo per egoismo, sono convinto che l'astrofilo sia in errore."
Il sarrukh rimase in silenziosa contemplazione per quasi un minuto.
"Questi sono i pericoli connaturati in qualunque viaggio nel tempo" commentò. "Compiere azioni che hanno conseguenze, poi essere cancellati dal continuum, e veder cadere come un castello di carte tutte le proprie conseguenze sul mondo. Questo rischia di creare un buco nel tessuto spazio-temporale, sebbene sarebbe un buco molto più piccolo rispetto a tutte le altre possibili conseguenze a catena dell'impedire la Piaga della Magia. L'astrofilo ha pensato solo a come farlo, a mitigare le conseguenze della sua decisione di tornare indietro nel tempo e impedire un evento che lui stesso ha vissuto, ma non ha pensato a tutto il resto."
"Tutto il resto?" Domandò l'umano, senza capire. "Che altro c'è?"
Il sarrukh tacque di nuovo. Esitò così a lungo che il viandante iniziò a temere che non sarebbe giunta risposta.
"Voi umani non potete pretendere di capire tutto" commentò alla fine lo scaglioso. "Nemmeno uno come te, astrofilo viandante, che hai vissuto per secoli e hai viaggiato attraverso i millenni. Ascolta la voce di chi ha vissuto decine di millenni. Voi umani non potete avere il quadro generale di cosa accade nell'universo."
Il viandante non replicò, ma il suo non era un silenzio di accettazione, era più un silenzio di sfida.
Alla fine decise di non dare al sarrukh la soddisfazione, ma di cambiare argomento.
"Sono qui per parlare della mia soluzione. Una che non prevede di impedire il futuro, ma di porvi rimedio il prima possibile. Mi occorre la tua saggezza, Padre della magia. Puoi prestarmi ascolto?"
Il lich fece sibilare la lingua biforcuta, che ormai era secca quanto una striscia di cuoio.
"Perché no. L'esistenza è tediosa, nella città di Oreme. Ho ascoltato l'altro astrofilo, ascolterò anche te. Se il tuo piano è folle te lo dirò senza mezzi termini. Se non lo è… potremo negoziare."

Terry deglutì, sentendosi nervoso per la prima volta dall'inizio di quel colloquio. Che cosa poteva mai voler negoziare quella creatura antica dal potere quasi divino?
Il suo istinto gli diceva che stava per addentrarsi in un terreno pericoloso.

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Capitolo 27
*** 26. Folktale ***


Genere: Fluff
Personaggi: Kethra, Liam, Killian, altri (citati)
Disclaimer: questi personaggi sono PNG inventati da Dira_ per la nostra campagna di D&D 3.5, Kethra in particolare compare già nella storia a più mani Lathander take the wheel

26. Folktale


1371 DR, al largo della costa della spada

L'oscillazione sulla nave era tollerabile, e Kethra Brightraven - figlia persa e ritrovata del capitano pirata Killian Brightraven - stava riuscendo a dormire bene per la prima volta da qualche giorno.
Era una ragazza abituata alla terraferma, un pesce d'acqua dolce come la chiamavano scherzosamente, e ci aveva messo un po' ad abituarsi a stare su una nave. Non era tanto il rollio delle onde ad aver disturbato i suoi sogni nei giorni precedenti, era più che altro una cosa psicologica. Navigare a decine di miglia dalla costa un pochino la inquietava, essere su una nave in mezzo all'oceano la faceva sentire vulnerabile. Una tempesta ben piazzata e lei, suo padre, suo fratello, la ciurma intera avrebbero potuto morire. All'inizio non riusciva a capire come i marinai potessero sentirsi a loro agio su una nave, tanto da preferirla alla sicurezza della terraferma. Ora, dopo qualche settimana di navigazione, stava cominciando a comprendere che loro vedevano la terraferma nello stesso modo in cui lei guardava al mare: una vastità incognita in cui era facile perdersi. Lei aveva la sensazione di non avere alcun controllo quando si trovava su una nave, quindi non riusciva a dormire nel timore che da un momento all'altro la nave incappasse in qualche guaio e lei non fosse abbastanza pronta per reagire. Per la ciurma era l'esatto contrario: quella piccola isola galleggiante di legno e tela era solida per loro, era sicura fino a prova contraria.
Ad un certo punto la vita diventava una questione di fiducia, e Kethra aveva deciso di fidarsi di Killian e dei suoi pirati, della loro competenza e del loro innegabile desiderio di sopravvivere.

Quindi, finalmente, stava riuscendo a dormire. Stava perfino sognando senza fare incubi… poi una mano l'afferrò per un gomito e la scosse leggermente.
Kethra si svegliò di scatto, i suoi primi pensieri confusi furono 'stiamo affondando!' e 'Cazzo, lo sapevo, non avrei dovuto dormire!', si rigirò nel letto in tutta fretta ma aveva dimenticato quanto fossero strette le brandine della nave e rovinò per terra. Atterrò addosso alla persona che l'aveva svegliata, ed entrambi si ritrovarono sul pavimento. Le assi scricchiolarono per la botta.
"Ouch!"
"Sssh!" Una mano le si posò sulla bocca, ma lei non si allarmò perché aveva riconosciuto la voce del suo fratellino, Liam.
"Kethra, sono io. Fai silenzio, papà non deve sentirci."
La donna cominciò a bestemmiare mentalmente, facendo pensieri impuri per nulla degni di una chierica di Lathander.
"Liam, è ancora notte?" Si guardò intorno, ma la stanza era avvolta nel buio più completo.
"Sì, credo manchino due ore all'alba, più o meno. Ma non potevo aspettare, è importante!"
Kethra prese un respiro profondo e ricordò a se stessa che non poteva strangolare Liam. Nonostante lei fosse una chierica del dio dell'alba aveva sempre odiato a svegliarsi presto, e adesso Liam l'aveva buttata giù dal letto molto prima che 'presto'.
"Che succede teppa?" Kethra aveva preso a chiamare in quel modo il fratellino, una parola che nel dialetto di Waterdeep significava 'monello' ma che in origine voleva dire 'criminale'. Era uno scherzo, perché per essere il figlio di un pirata il giovane Liam era un ragazzino stranamente coscienzioso e onorevole.
E poi, era una risposta adeguata al fatto che lui la chiamasse tappa. Solo perché a undici anni e mezzo Liam era alto quanto lei che ne aveva quasi ventidue, non significava che potesse bistrattare così una sorella maggiore.
"C'è un fantasma sulla nave" sussurrò lui in tono concitato. Kethra sentì rumore di stoffa smossa e capì che Liam stava frugando nelle tasche dei suoi abiti. Ne tirò fuori una fiala di vetro con il tappo di sughero, piena di un liquido che emanava una luce calda. Kethra la riconobbe come una dose di inchiostro luminoso che gli aveva regalato lei dopo uno dei suoi viaggi nell'entroterra. Era un oggetto di un certo valore su una nave dove il fuoco portava sempre con sé un pericolo, e dove comunque veniva imposto il coprifuoco la sera. La luce dell'inchiostro illuminava quanto una candela e in quel momento stava rischiarando il volto terreo di un ragazzino spaventato.
Merda. Non sta scherzando, realizzò la sacerdotessa mordendosi un labbro. Speriamo sia solo frutto della sua fervida fantasia.
"Cosa te lo fa pensare?"
"Ho sentito una voce. Era la voce di una donna. Ma ti assicuro che era una voce disincarnata perché non appartiene a nessuna delle donne della nave… Ander dice che questa nave prima apparteneva a qualcun altro e c'è stato un massacro, e gli spiriti inquieti ancora infestano la stiva."
"Ah sì? E Ander come fa a saperlo? Quel ragazzo giurerebbe di aver pescato uno squalo in un fiume se ciò gli portasse un po' di attenzioni." In cuor suo, Kethra maledisse il giovane mozzo della nave. Se ci teneva tanto a raccontare baggianate a Liam allora avrebbe dovuto esserci lui lì, sveglio a quell'ora infame del mattino, a rimediare allo spavento del ragazzino.
"Non me lo ha detto come fa a saperlo, però… potrebbe essere vero."
Kethra sospirò senza più nascondere la frustrazione. "Nostro padre che dice?"
"Uh, lui ha detto… 'Liam, io ti voglio bene, ma se rompi ancora le palle con questa storia finisci a pulire tutto il ponte con uno spazzolino'. Lui non mi crede, pensa che le leggende di fantasmi sulle navi siano solo storielle popolari per impressionare la gente."
"Ah! Per questo sei venuto da me."
"Be' sì… ma anche perché tu sei una chierica, di sicuro i fantasmi te li mangi a colazione." Liam la guardò con occhi talmente imploranti che Kethra proprio non se la sentì di rispedirlo indietro.
"E va bene, teppa. Operazione Scacciafantasmi. Andiamo a cercare questa voce disincarnata."

* * *


Un'ora di ricerche clandestine condotte a passi lentissimi per non fare rumore, su e giù per la nave, avanti e indietro, alla fine con grande sorpresa di Kethra rivelarono che c'era davvero una voce misteriosa.
Era tutt'altro che disincarnata però: apparteneva a un uccello grande quanto una colomba, ma di un mimetico color marrone-grigiastro, che era rimasto incastrato in una cassa. A quanto pare l'uccello era riuscito ad entrare ma poi non era più riuscito a uscire.
Kethra e Liam erano riusciti a individuare la fonte della voce, e una volta aperta la cassa il pennuto ne era svolacchiato fuori. Aveva riempito il contenuto - stoffe e abiti - di cacca di uccello, l'odore era terribile. Doveva saperlo benissimo, perché appena libero dalla sua prigione di legno volò subito fuori e si posò su un barile.
"Udite la mia maledizione, figli dell'uomo!" decretò il volatile, mimando perfettamente una voce umana. E poi, guardando Kethra e Liam con occhi neri e inespressivi: "Il peso dei vostri crimini ricadrà su di voi!"
I due fratelli Brightraven rimasero a fissare l'animale in silenzio basito per qualche secondo, poi Kethra perse la pazienza.
"Ma vaffanculo, uccellaccio!" Si tolse una scarpa e la lanciò al volatile, prendendolo in pieno. Il corollax aprì le ali per frenare la caduta, si alzò in volo sopra le loro teste (sebbene non ci fosse molto spazio nella stiva) e iniziò a gridare: "Le anime offese pretendono vendetta! Fa freddo, fa così freddo! Vi prego, vi prego, non voglio morire! Il mare vi inghiottirà tutti!"
"Così sveglierà tutta la ciurma" Liam impallidì. Era sollevato che la voce non appartenesse ad un fantasma, ma cominciava a intravedere all'orizzonte guai ancora più grossi. Saltò, cercando di afferrare il volatile, ma l'animale era elusivo e riuscì a non farsi prendere.
Purtroppo i corollax non sono solo dei graziosi uccellini che ripetono le parole che sentono dagli umani. Sono anche perfettamente in grado di difendersi quando si sentono minacciati.
Kethra percepì il pericolo e si lanciò su Liam, buttandolo a terra un attimo prima che l'uccello, con un battito d'ali particolarmente energico, li inondasse di una cascata di luci multicolori.
Spruzzo colorato non era un incantesimo che si potesse evitare, ma spingendo Liam a terra la sorella maggiore era riuscita a fare in modo che lui chiudesse gli occhi per istinto e in questo modo lo aveva salvato: si trattava di un incantesimo basato sulla vista. Se Liam non avesse chiuso gli occhi, senza difese contro la magia com'era, sarebbe svenuto e sarebbe rimasto momentaneamente accecato. Kethra invece aveva un po' più di esperienza contro gli incantesimi che influenzano la mente, e rimase soltanto confusa per un momento.
"Uccellaccio del malaugurio" sbottò, e prese in mano le due piccole mazze che usava per combattere. In origine non voleva far del male alla bestiola, ma aveva attaccato il suo fratellino.

* * *


"Che diavolo sta succedendo qui?!" Un furioso capitano pirata spalancò la porta, lasciando che sbattesse teatralmente contro la parete di legno della nave.
Si trovò davanti una scena assurda: suo figlio cercava di acchiappare un uccello impazzito usando una rete da pesca, mentre sua figlia saltava come una scimmia per intercettare il volo dell'animale con le sue mazze. Il corollax, spaventato, svolacchiava andando a sbattere contro cordame e lanterne appese (per fortuna spente), facendo un casino inenarrabile.
"LIAM! KETHRA!" Tuonò, richiamando all'ordine i due giovani.
I figli del capitano si congelarono sul posto.
"Uh… papà, posso spiegare…" abbozzò Liam.
Il corollax volò in direzione del capitano, andando a rifugiarsi sulla sua spalla.
"Cosa diamine pensavate di fare, ragazzi? Avete allarmato mezza ciurma con questo casino, e perché avete pensato che la piccola Polly meritasse di morire?"
"Cos… non volevamo uccidere l'uccello" chiarì Liam. "Kethra voleva solo spaventarlo per spingerlo nella rete."
"Polly?"
"Sì, Polly" il capitano aggrottò la fronte. "Ander l'ha comprata da un mercante di animali esotici all'ultima sosta. Non ve l'aveva detto? La sta addestrando a ripetere certe frasi, per mandarla sulle navi schiaviste e creare panico fra la ciurma prima del nostro attacco."
"Quel piccolo bastardo" sibilò Kethra. "Ha detto a Liam che c'era un fantasma sulla nave!"
"E io ho detto a Liam che erano baggianate" li rimbrottò il genitore. "Ma sembra proprio che Ander si sia divertito a farvi uno scherzo. Bene, bene, vuol dire che oggi sarete in tre!"
"In… tre?"
"A pulire il ponte della nave con uno spazzolino" spiegò Killian, in tono così serio e funereo che Kethra, pur essendo cresciuta senza genitori, riconobbe all'istante un tono di voce da 'questo non è negoziabile'. Mugugnò il suo dolore spirituale. Non solo era stata svegliata a un orario infame, avrebbe anche dovuto fare lavoro da mozzo.
Liam, dal canto suo, sembrava solo dispiaciuto e imbarazzato.
"Mi dispiace, papà…"
Killian sentì una fitta al suo morbido cuore di padre, sapeva che il ragazzino era stato tratto in inganno, ma in quanto capitano non poteva fare passi indietro. Doveva comunque insegnare una lezione ai suoi figli - una lezione sulla responsabilità, e sul rispetto per gli altri - e comunque lui doveva pensare al bene di tutta la ciurma. "Ti scuserai con tutti quelli che hai buttato giù dalla branda prima del tempo, ma lo farai dopo aver pulito il ponte" insistette, e Liam, che era un bravo bambino coscienzioso, annuì.
"Io invece prenderò Ander a calci nel culo" promise Kethra, in tono fermo. "…Dopo aver pulito il ponte, sì, ho capito." Aggiunse, prevedendo l'obiezione di Killian.
Il capitano sorrise sotto i baffi, e fu davvero difficile mantenere l'espressione arrabbiata e severa. Kethra e Liam erano la sua gioia, e il burbero pirata era sinceramente felice che avessero legato così tanto, considerando che fino a pochi mesi prima erano due estranei l'uno per l'altra. A dispetto dei suoi timori iniziali, non c'erano gelosie o dissapori fra i due fratelli Brightraven: Liam adorava la sua sorellona e lei sembrava essersi adattata bene a quel ruolo.
Non era poi così strano, in fin dei conti, che il giovane Ander gli avesse voluto tirare quello scherzo. Fino a poco prima era lui il 'ragazzo grande' di riferimento per Liam, e la saggezza popolare dice che non capisci quanto tenevi a una cosa finché non l'hai persa.

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Capitolo 28
*** 27. Discovery ***


Genere: Fantasy, lore
Personaggi: Jergal, Sinister Secundo, Yrga, Nezoot (citato)
Note: questa storia è una sorta di sequel di Fight

27. Discovery


1087 DR, Castello di Ossa, Dominio di Oinos, primo strato delle Grigie Distese dell'Ade

Lord Jergal non era mai stato un tipo espressivo. C'era qualcosa nei suoi tratti insettoidi, da mantide religiosa, che lo rendeva difficile da leggere agli occhi degli umani. Ogni tanto però tradiva un pizzico di emozione con i suoi gesti; fermava il suo incessante scribacchiare se qualcosa riusciva a sorprenderlo, poi riprendeva poco dopo con fretta e con gesti scattosi se era irritato.
Quel giorno si verificò una situazione così insolita da spingere Jergal a fermarsi e poi, incredibile, a posare la penna.
Il Tetro Siniscalco non posava la penna da quando, secoli prima, aveva accolto i Tre Morti e aveva ceduto a Myrkul il controllo sul dominio della morte.
Si sporse oltre la sua scrivania per guardare la fila di anime in attesa di essere contabilizzate correttamente. Lui non si occupava proprio di tutti tutti i casi, molte anime arrivavano ai loro Aldilà di destinazione senza nemmeno passare per il castello di Jergal e Myrkul, e venivano annotate automaticamente sui registri autocompilanti di Jergal. Quando i casi non richiedevano una particolare attenzione - e la maggior parte delle volte non la richiedevano - i registri potevano scriversi da soli registrando una sorta di partita doppia: alla nascita di un individuo, la sua anima veniva scritta come "ingresso" nel libro delle anime presenti nel regno dei vivi, e come "uscita" in quello delle anime che si trovavano ancora in uno stadio di non esistenza, oppure nel libro delle anime che si trovavano in qualche Aldilà, per quei pochi che si reincarnavano; alla morte dell'individuo, la sua anima veniva registrata come "uscita" nel libro delle anime dei vivi, e come "ingresso" nel tomo delle anime dei morti (con uno speciale asterisco per quelle dedicate a reincarnarsi).
Occasionalmente si verifica un caso particolare che richiedeva intelligenza per essere sbrogliato, e non era gestibile da un automatismo. Poteva capitare ad esempio che un individuo proveniente da un altro universo, da un'altra sfera di cristallo, finisse nel mondo di Toril. In quel caso bisognava trovare il suo mondo di provenienza e spedirlo laggiù, perché era competenza di un altro dio dei morti. Oppure poteva capitare che un umano proveniente dal continente di Kara-Tur morisse in terra straniera e fosse quindi impossibilitato ad andare nel suo Aldilà, che si trovava su un semipiano accessibile solo dalle terre di Kara-Tur. Questo era una caso molto semplice, simile al precedente ma che richiedeva molta meno energia per essere gestito. Infine ogni tanto accadeva che una persona nata all'interno di una cultura che prevedeva un altro Dio dei morti - ad esempio gli umani che veneravano un Pantheon specifico, o umanoidi di altre razze che di solito seguivano il loro Pantheon razziale - nel corso della sua vita si convertisse alla fede nel Pantheon Faerûniano e la sua anima diventasse materia di gestione di Jergal. In quel caso la volontà dell'anima doveva essere rispettata, però bisognava richiedere al dio della morte - o al dio della vita - del Pantheon di provenienza qualche informazione sull'anima in questione. Jergal non aveva nessun problema a lavorare con colleghi professionali come Anubis, Urogalan o Naralis Analor, mentre detestava avere a che fare con divinità approssimative, stupide e luride come Yurtrus.
Ad ogni modo era una rottura di scatole e quando Jergal incappava in un caso del genere di solito imponeva all'anima un periodo di stasi mentre i suoi sottoposti facevano ricerche sulla sua provenienza.
Il caso di quel giorno era particolare e insolito perché Jergal, rapporto dei sottoposti alla mano e anima di fronte, stava leggendo parole mai lette prima: provenienza incognita. Il suo primo pensiero era stato biasimare i suoi sottoposti per la loro negligenza, ma poi andando avanti a leggere il rapporto il Dio della contabilità dell'Aldilà si era reso conto che non avevano affatto lesinato gli sforzi. Jergal aveva diversi scribacchini al suo servizio, alcuni erano mummie, altri erano supplicanti che erano stati fedeli a Jergal già in vita, altri ancora erano anime che avrebbero dovuto essere condannate ad essere inglobate nella Città del Giudizio o nel Muro dei Miscredenti ma erano state graziate per via della loro spiccata intelligenza ed erano state messe al servizio - più o meno forzato - della grande macchina della burocrazia. Questi suoi dipendenti avevano preso contatto con gli dei della morte delle altre culture di Toril e non avevano ottenuto alcuna risposta positiva. A quel punto, seguendo i protocolli, il caso era stato passato in mano agli esploratori di universi, in particolare al migliore viaggiatore planare che facesse parte della squadra di Jergal, un nerra non morto di nome Nezoot che sapeva come raggiungere altri angoli del multiverso attraverso il Piano degli Specchi. Eppure nonostante le indubitabili qualità di dedizione e competenza di Nezoot, nessuna informazione era stata trovata in merito all'anima RS-F-1057-05-30-217.
A Jergal restavano solo due strade: occuparsi della questione in prima persona, cosa che avrebbe fatto solo come estrema contromisura, oppure affidare la ricerca alla sua agente migliore. Non era felice di doverlo fare perché Yrga era sempre impegnata a cercare anime che erano nate ma poi erano scomparse nella morte, e non era ottimale distrarla dai suoi compiti, però non c'era nessun altro a cui il Tetro Siniscalco avrebbe affidato un simile incarico.
"Ti stiamo facendo aspettare anche troppo, RS-F-1057-05-30-217" sussurrò con il suo tono monocorde. L'anima non reagì in alcun modo, forse perché era troppo intimorita dal gigante di aspetto alieno che la fissava da sopra una gigantesca scrivania.

"Yrga, devo affidarti una importante missione di ricerca. Devi scoprire per me da dove viene un'anima." Annunciò il dio, quando la sua servitrice fu finalmente al suo cospetto.
Yrga dei Sussurri era all'apparenza proprio l'opposto del suo dio: piccina e minuta laddove lui era un gigante come tutti gli dèi, di aspetto umano mentre lui era una specie di insetto alieno, carina tanto quanto lui era brutto, e infine la sua voce sottile faceva sorridere mentre quella monotona del Notaio dei Morti metteva a disagio. Eppure non c'era in tutto l'Ade una creatura che si impegnasse nel suo lavoro quanto lei… a parte Jergal stesso. Nell'abnegazione erano simili, e sembrava che entrambi agissero per motivi personali più che solo per deontologia professionale.
Yrga infatti non era contenta di dover mettere da parte il suo solito lavoro per questo.
"Volete che trovi l'origine di un'anima che è giunta qui? Non è più importante che io continui ad indagare sulle sparizioni di anime degli ultimi settant'anni? Credo di essere vicina a capire se c'è un comune denominatore oppure no…"
"Puoi passare il fascicolo con le tue ricerche a uno dei tuoi sottoposti, o anche a tutti per quel che m'importa. Quest'anima aspetta da trent'anni di essere correttamente smistata nel suo Aldilà di appartenenza, e non posso affidare questo compito a nessun altro che te, perché hai dimostrato di avere un intuito superiore e una buona capacità di comprendere le situazioni. Finora nessuno è riuscito a venire a capo delle origini di quest'anima e tu sai molto bene quanto le irregolarità mi irritino."
Yrga si morse la lingua e annuì. Sapeva molto bene quanto le irregolarità, cioè i disequilibri nel bilancio, dessero fastidio al suo capo. Lei stessa in quanto non morta era una di quelle irregolarità, il messaggio di Jergal era una implicita minaccia.
"Molto bene. Comincerò studiando i rapporti dei fallimenti di chi ha tentato prima di me, e poi parlerò con l'anima."
Jergal unì le punte delle dita, interessato. "Parlerai con l'anima."
"Sì… sono passati tre decenni ma è ancora possibile che ricordi qualcosa."
Il dio insettoide la fissò in silenzio per alcuni interminabili secondi.
"Apprezzo il tuo pensiero fuori dagli schemi. Parlare con un'anima, che idea moderna e irriverente" il suo tono era lo stesso di sempre, ma la perspicace cantora spettrale ebbe la sensazione che il dio fosse divertito. "Bene, purché funzioni."
Jergal fece un cenno con la mano che lei interpretò correttamente come un congedo, poi archiviò le pagine dedicate a quell'anima sfortunata e si dedicò al prossimo caso.
Yrga decise che non avrebbe perso tempo e si diresse subito verso gli uffici dei colleghi che avevano lavorato al caso prima di lei. Prima avesse portato a termine questa sua insolita missione di scoperta, prima avrebbe potuto tornare al suo vero lavoro.

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Capitolo 29
*** 28. Wings ***


Genere: Fluff, comico
Personaggi: Erika

28. Wings


853 DR, Silverymoon

Pulire ogni teca dell'armeria di famiglia, che compito ingrato. Erika lo considerava quasi un abuso, ma era abituata al fatto che suo zio trovasse sempre dei modi creativi per punirla per le sue marachelle.
Però, solo perché aveva corretto il vino speziato di mezzinverno con del whisky, dover pulire l'armeria le sembrava una punizione eccessiva. Che ne sapeva lei che la moglie del barone Goldwheat non reggeva l'alcol? Non è che avesse volontariamente messo in ridicolo gli ospiti di suo zio, anzi voleva aiutarli a divertirsi un po'… non era colpa sua se Bella Goldwheat era una mammoletta, avrebbe dovuto essere un dovere di qualunque nobile reggere l'alcool.

A forza di pulire i vetri con acqua e aceto aveva la sensazione che le si sarebbero sciolti gli occhi e che i suoi bellissimi capelli avrebbero puzzato per sempre di aceto.
Dovrebbe lasciarmi lucidare le armi, non solo le teche, pensò, tradendo un'espressione cupa. Così potrei infilarmi un pugnale nella manica e… nah, non posso uccidere lo zio, poi mi farebbero pulire il suo sangue dal pavimento.
La cosa più fastidiosa era che non arrivava alle teche più in alto, quindi doveva servirsi di una scala. Era sempre stata minuta per la sua età, e non aveva ancora avuto quello scatto di crescita promesso dall'adolescenza. Forse era troppo presto per quello, non aveva ancora compiuto tredici anni.
"Una mente disciplinata non teme alcun compito, Erika, gni gni gni, avrai finito prima di accorgertene, gni gni gni. Sì, come no!" Sbuffò, strizzando lo straccio fra le mani. "Che barba. Che schifo l'odore dell'aceto. Brutto leccapalle di troll!"

Non finì prima di accorgersene, tutt'altro. L'armeria era solo una stanza normale, più piccola del loro salotto, ma lo spazio era stato sfruttato al massimo per mettere in mostra il glorioso passato militare di Casa Lesmiere. Solo mezza stanza era occupata dalle teche con spade, coltelli, mazze ferrate. L'altra metà…
"Oh, sono arrivata alle armature! Bene, queste non sono nelle teche, non devo pulire niente" decise, buttando a terra lo straccio con aria di vittoria.
Quella però era la prima volta che le era consentito di girovagare nell'armeria da sola, e ne approfittò per andare a dare un'occhiata alla sua armatura preferita. Era un oggetto funzionale ma con fregi cerimoniali, in mithril, con il simbolo della guardia cittadina inciso sul petto e riempito di pasta di madreperla. Erika sapeva a chi era appartenuta quell'armatura: lady Aristia Lesmiere, prozia di suo padre, la prima donna ad essere diventata Comandante della Guardia d'Argento circa ottant'anni prima. Aveva servito in quella carica per più di dieci anni, ed era morta in servizio durante un'emergenza cittadina per l'esondazione del fiume Rauvin. Da allora probabilmente gli argini erano stati progettati meglio, o forse era stata messa in piedi della magia per il controllo del clima, perché un simile evento non si era mai più ripetuto… queste almeno erano le teorie di Erika.
Suo zio aveva la tendenza odiosa a minimizzare l'importanza e il ruolo di Aristia, perché secondo lui la guardia cittadina era il corpo armato meno importante di Silverymoon, ma Erika si sentiva ispirata dalla sua antenata. Aristia era riuscita a fare quello che voleva nella vita, non si era arresa a diventare una marionetta nelle mani di suo padre e contrarre un matrimonio combinato.

Mentre era lì che ammirava i riflessi del mithril, sentì improvvisamente il desiderio di fare una cosa proibita: smontare l'armatura dal manichino e provarla.
Non avrebbe dovuto, era un oggetto storico, armature come quelle non erano più d'ordinanza nella guardia cittadina da almeno cinquant'anni. Però le piaceva tanto, così come le piaceva il mantello bianco, che sembrava di tessuto così morbido.
Le ci volle un po' di tempo perché i ganci erano duri e le fibbie di cuoio non avevano più l'elasticità di una volta, ma alla fine riuscì a liberare l'armatura e a indossarla. Era troppo grande per lei, e probabilmente avrebbe dovuto avere anche un abito di cuoio da mettere sotto l'armatura, perché sentiva degli spigoli che sicuramente non avrebbe dovuto sentire. Decise di non allacciare le cinghie perché avrebbe solo reso molto difficile toglierla. Provò a camminare, con l'armatura che le traballava addosso tintinnando e il mantello che toccava quasi terra. Sia il metallo che la stoffa erano più leggeri di quanto avesse pensato.
"Ah! Sono Aristia Lesmiere, della Guardia d'Argento!" Annunciò, fingendo di brandire una spada. Fece un balzo avanti. "Arrend…AAAH!"
Gridò, perché non si sentiva più il pavimento sotto i piedi. Non era mai atterrata dal suo salto: il mantello bianco si era trasformato in un paio di ali piumate e ora stava volando.
Ebbe a malapena il tempo di andare nel panico, stava volando nella maledetta armeria e non sapeva come scendere… poi andò a sbattere contro il soffitto picchiando la testa. Per fortuna indossava l'elmo della sua pro-prozia, ma il colpo le fece comunque perdere i sensi per un momento.
Atterrò come un sacco di patate e le ali si ripiegarono sopra di lei, le piume scomparvero e il mantello tornò a essere solo un mantello.
Erika riprese conoscenza quasi subito e si slacciò il mantello con una fretta quasi offensiva.
"Ali?! Caccole di gnoll" sussurrò parole che una nobile non avrebbe dovuto conoscere.
Scommetto che quel vecchio orco non lo sa, altrimenti avrebbe venduto il mantello.

Erika si sfilò l'armatura e la rimise sul manichino con un po' di fatica.
Raccolse il mantello e lo riallacciò agli spallacci, capendo solo in quel momento perché fosse assicurato lì e non al collo.
Controllò di aver riallacciato bene ganci e cinghie, perché non voleva lasciare tracce di ciò che aveva fatto.
Aveva già deciso che le ali sarebbero dovute rimanere il suo piccolo segreto.

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Capitolo 30
*** 29. Party ***


Genere: Fantasy, comico
Personaggi: Bahostegym, Erika, Yrga, Oscar, Nezoot, Daren, Bennu (citata)
Note: questa storia è il seguito di Witch (e sì, Seyda Nadenka nella storia Accident aveva ragione sulle iniziali dei nomi)

29. Party


1378 DR, in un piccolo semipiano privato da qualche parte nel Piano Etereo

"Aspetta, ripeti più lentamente. Quale lich del cazzo è andato a fare cosa sul Piano dell'Energia negativa?" Il drow poggiò i gomiti sul ripiano di marmo del tavolo della sala conferenze, esibendo una stanchezza che era dell'anima e non del fisico.
"Il problema non è quel lich di per sé. Il problema è chi ce lo ha mandato" fece notare con pacatezza uno degli altri partecipanti al convegno, un coboldo che sfoggiava una impressionante e inusuale barba. Inusuale per la sua razza, quantomeno. Anche la sua voce era strana, molto meno gracchiante di come ci si sarebbe aspettato da un coboldo; in realtà aveva un tono profondo, quasi baritonale.
"Ah, sì. Il tuo arcinemico, la tua nemesi, la tua acqua santa" scherzò la vampira dall'altra parte del tavolo, arrotolandosi una ciocca di capelli intorno a un dito. Per molte persone l'autocontatto è un segno di disagio, lei amava solo controllare che i suoi capelli fossero sempre sani e lucidi. Un esercizio inutile, perché lo erano, che lei lo volesse o no. "Senti, ma se vado a dargli un pugno sul muso?"
"Non puoi dare un pugno sul muso a Daurgothoth. È un antichissimo dracolich, un arcimago a cui nemmeno la dea Mystra si oppone."
Erika Lesmiere, vampira condannata ad avere sedici anni per sempre, scrutò il coboldo con aria impassibile.
"Stai dicendo che non ha un muso? Perché se ce l'ha, posso darci un pugno" promise, stringendo le dita della mano destra e mostrando il pugno chiuso ai colleghi presenti.
"Sto dicendo che un arcimago che è anche un grande dragone e un lich merita un po' più di rispetto" precisò con pazienza il coboldo.
"Ooooh, capisco. Va affrontato con un duello di magia, o con una spada scintillante e un discorso sul proteggere il mondo." Gli occhi della vampira si spostarono inconsciamente sul drow, che le rivolse il classico universale gesto seccato per 'cazzo guardi?'
Una ragazza trasparente vestita da bardo alzò la mano per prendere la parola. "Io sono d'accordo con Bahostegym. Se devo essere costretta a deviare dal mio lavoro abituale perché qualche infame che gioca a fare il dio ha deciso di aprire un condotto fra il Piano dell'Energia Negativa e… e la metà degli altri Piani di esistenza, allora per l'inferno che sia una cosa epica. Una cosa che vale la pena raccontare. Non possiamo mandare Erika a dare un pugno sul naso a Daurgothoth."
"Ma allora cos…?"
"Dovremmo mandare qualcuno a parlare con il dracolich" propose il drow. "Convincerlo che il suo alleato lich umano ha intenzione di tradirlo, o che ha trovato qualcosa sul Piano dell'Energia Negativa che non vuole condividere. Spesso il sodalizio fra creature ambiziose è facile da rompere."
"Sarebbe più facile rompere il suo muso scheletrico" borbottò la vampira, insoddisfatta. "Ma se c'è da convincere qualcuno di cose implausibili, allora credo di potercela fare."
"Oh? E perché ci andresti tu?" Indagò l'elfo scuro. "Io sono il bugiardo migliore che conosco" affermò senza modestia, indicando se stesso.
"Sarai anche bravo a improvvisare balle, ma io sono più brava a persuadere" decantò Erika. "Una volta ho convinto un dracolich a distruggere il suo stesso filatterio."
"Buoni, buoni, bambini" s'intromise il coboldo. "Siete entrambi tagliati per il ruolo, ma possiamo mandare uno solo di voi."
La vampira e il fantasma si voltarono verso il dracolich in forma di coboldo, un po' perplessi e un po' infastiditi.
"Perché? Le missioni di solito non sono di squadra?" Domandò lei. "Quella volta che un necromante arcanaloth aveva cercato di estendere il suo regno fuori dalla Gehenna, erano andati Yrga e Nezoot."
"È vero, e anche questa volta sarà un lavoro di squadra, ma le squadre richiedono di essere bilanciate. Un combattente e un incantatore per squadra sono il minimo accettabile, e…"
"Ehi! Io sono uno stregone!" Protestò Erika.
"Io posso fare uso di alcuni incantesimi divini e di alcune capacità magiche arcane" lo informò il drow.
"Senza offesa, signorina Lesmiere, ma saper lanciare decine di volte al giorno Dardo Incantato non soddisfa i requisiti di versatilità e potenza che cerchiamo in un incantatore" la risposta del coboldo fu secca e lapidaria, ma espressa in tono quasi gentile. "E nemmeno, mi spiace dirlo, i limitati poteri divini di un guerriero consacrato a una dea minore."
"Wow, grazie. Adesso insulti anche la mia dea, scagliosetto?"
"Un po' di decoro, prego. Sono un dracolich."
"Scheletrino scagliosetto" si corresse Daren, con un piccolo ghigno sulle labbra nere.
"Mi chiedo se troveremo qualcuno disposto a cooperare in squadra con te, viste le peculiarità del tuo carattere" il finto coboldo si sistemò gli occhiali sul naso, deciso a mostrarsi superiore. Però era infastidito, suo malgrado: non gli piacevano gli elfi, non gli erano mai piaciuti, e questo qui nello specifico era uno stronzetto insopportabile.
"Io ci potrei collaborare con lui" intervenne Yrga, la ragazza incorporea. "È interessante e mi fa ridere. E sono un'incantatrice, quindi siamo a posto."
"Curioso, io ti faccio ridere ma sei tu quella vestita da pagliaccio" Daren abbandonò ogni formalismo verso quella creatura che conosceva appena. Non era abituato al fatto che altri ridessero di lui, casomai il contrario. "Io non vado in giro con i bardi. Mai. Metti che sia la missione che mi porterà finalmente ad abbandonare per sempre questa valle di lacrime, non voglio che l'ultima cosa che sento siano gli strimpellamenti di un maghetto canterino. Preferirei collaborare con Oscar, è un mago ed è la persona che conosco meglio qui dentro" propose, indicando il necropolitano che sedeva accanto al coboldo.
"Oh, fortunato me" il commento gli uscì con una voce che sembrava il suono di una vecchia pergamena che viene accartocciata. "Be', se non c'è altra possibilità, va bene, farò io squadra con lui. Dopotutto l'ho introdotto io, mi sento in col… responsabile."
"Ehi, non dovrò lavorare con 'Zoot, vero?" Erika si guardò intorno preoccupata fino a individuare la sagoma trasparente e quasi invisibile di un Nerra, un caso più unico che raro di Esterno che era diventato non morto. "Senza offesa, ma è praticamente uno specchio su due gambe. Vampiri e specchi non vanno d'accordo."
"Se ogni tanto ti capitasse di ascoltare qualcosa oltre alla tua stessa voce, signorina Lesmiere, ti ricorderesti che due combattenti non possono concorrere a formare lo stesso gruppo. Non ti rimane che fare squadra con…"
"Con te, scheletrino scagliosetto?" Ammiccò lei, prendendo in prestito l'insulto inventato dal drow.
"No. Io non parteciperò direttamente a questa missione. Bennu lo farà al posto mio, giungerà non appena avrà finito il suo lavoro nel deserto del Raurin."
"Cosa, Bennu la mummia?" Erika storse il naso. "Ma è una sacerdotessa! Non mi piacciono i chierici. E poi, senza offesa, le mummie fanno schi…"
"A nessuno piace collaborare con gli incantatori divini, hanno sempre una verga sacra nel culo" Yrga le diede man forte.
"Be', grazie tante…"
"Falla finita, drow, non sei un incantatore divino" tagliò corto Erika.
"Ah no? Vuoi una schicchera con contorno di Cura ferite, vampiretta?"
"Vuoi cinquanta dardi incantati nel culo?"
"Non puoi prendere di mira una specifica parte del corpo con un dardo incantato, colpisce in modo casuale" osservò il necropolitano, zelante.
"Sia come sia, non voglio lavorare con Bennu!" Ripeté la vampira. "Dovremmo metterla in squadra con il drow piuttosto, dal momento che lui è l'ultimo arrivato e non sembra avere problemi con i sacerdoti…"
"Grazie per il pensiero ma non ci tengo. Le mummie sono sempre così quadrate, e io detesto le costrizioni."
"Ah! Le mummie sono sempre quadrate e i drow sono sempre malvagi?"
"Commento ignorante e pretestuoso, ci sono centinaia di elfi scuri che non sono malvagi, ma non ci sono neppure una manciata di mummie che non siano rigide, quadrate, ciecamente fissate con il Dovere."
"Vorrei proprio sapere con quante mummie hai parlato…"
"Volete farla finita, per gentilezza?" s'inserì Yrga. "Entrambi avete delle valide argomentazioni, ma sono dell'idea che Daren e Bennu non lavorerebbero bene insieme. Il loro carattere è diametralmente opposto."
"Il carattere della signorina precisini è opposto anche al mio se è per questo" mugugnò Erika. "Ma a me nessuno ci pensa."
"Lo farò io."
Sulla stanza calò il silenzio. All'inizio alcuni dei presenti non capirono nemmeno chi avesse parlato, con quella voce aliena che tintinnava e stridiva come se il suo proprietario stesse masticando vetri rotti. Si guardarono tutti a vicenda, poi si girarono come un sol uomo verso la figura umanoide in parte traslucida e in parte specchiante.
"Be'... In effetti potrebbe funzionare. Mi mancherà fare squadra con te, Nezoot, ma forse sei più compatibile con la sacerdotessa di quanto lo siamo noialtri" ragionò Yrga. "Allora io andrò con Erika, pare."
"Sì!" L'adolescente non morta alzò un pugno al cielo. "Qualcuno che non detesto! Ormai non ci speravo più…"
"Se voi due riuscite a collaborare per mezza giornata senza perdervi a parlare di pettegolezzi e di… vestiti e cappellini… e altre cose futili come queste, allora direi che potete occuparvi del dracolich" Oscar cercò di riprendere le redini del discorso. "Il drow ha avuto una buona idea, bisogna rompere il suo sodalizio con Algashon Nathaire e possibilmente con il Culto del Drago nella sua interezza."
"Posso fingermi una damigella in difficoltà, farmi rapire e poi dargli…?"
"Nessuno gli darà un pugno sul muso, Erika!" Il coboldo ormai si tratteneva a stento, le sue mani tremavano e sul suo corpo bluastro iniziavano a emergere scaglie di colore bianco argenteo. "Il mio antico nemico verrà trattato con rispetto, finché io non avrò ripreso le forze abbastanza da cancellare la sua esistenza dal creato. Sono stato chiaro?"
"Uff. Potrei chiedere al mio ragazzo di farlo tornare a essere un uovo se tu mi dessi il via libera, sarebbe molto più fac…"
"Non nominare quell'eresia vivente del tuo fidanzato" il coboldo, suo malgrado, si lasciò sfuggire un brivido. "Quello che proponi è inconcepibile. Privare un drago del tempo che ha vissuto è un atto blasfemo, un crimine imperdonabile e inaccettabile in qualunque circostanza."
"Caro Bahostegym, ti rendi conto che il problema principale di questa organizzazione è che avete troppi, ma davvero troppi tabù culturali?" Argomentò Erika.
"Wow, qualcuno finalmente ha il coraggio di dirlo" l'appoggiò Daren. "A me sta bene prestare aiuto quando c'è un buon motivo, quando c'è qualcosa che minaccia il mondo, ci mancherebbe, ma questa è la prima volta che partecipo ad una vostra missione e già ho capito che ci sono più limitazioni interne che problemi esterni."
"Mi state facendo rimpiangere il periodo in cui ero prigioniero di Asmodeus" lamentò il dracolich in forma di coboldo. "Il fatto che qui non viga l'anarchia totale come vorreste voi giovani, e che non si possa fare tutto quello che vi capita per la testa, non significa che siamo incapaci di compromessi. Questa però è una missione delicata in cui bisogna avere tutto sotto controllo, e vorrei che Yrga ed Erika si occupassero di ostacolare il possente Daurgothoth, con la favella e non con i pugni. Oscar andrà sul Piano dell'Energia Negativa, accompagnato dal drow, per fermare qualunque pasticcio arcano il lich Algashon Nathaire stia creando laggiù… con licenza di distruggerlo, s'intende… e Bennu e Nezoot terranno sotto controllo l'ultimo membro del triumvirato che guida il Culto del Drago, l'infida draghessa Aurgloroasa. Non sappiamo moltissimo di lei ma dobbiamo partire dal presupposto che sia un dracolich anch'ella. In questo momento non ci interessa a muovere contro di lei ma dobbiamo assicurarci che non si attivi per dare supporto ai suoi colleghi."
"Hm. Due sole persone per squadra. Ce la possiamo davvero fare?" Domandò il drow.
"Che domanda è? Non sei forse andato nell'Abisso in missione solitaria? Non hai affrontato demoni e divinità maligne? Ora hai timore di un lich nel Piano dell'Energia Negativa?" Oscar lo guardò con quella che, nonostante i suoi occhi morti, forse era un'espressione di stupore.
"Sì, ci sono andato, ma non con uno scopo preciso. Ero inatteso, deciso ad agire a seconda del contesto, privo di una forte ambizione… mi muovevo come uno dei tanti agenti del caos che vagano per l'Abisso ed ero tanto incomprensibile e imprevedibile quanto i demoni, se non di più. Questa missione è diversa, è uno scontro frontale, il lich sta aprendo condotti per riversare energia negativa in altri Piani quindi probabilmente si aspetta che qualcuno cerchi di fermarlo."
"E quindi vorresti una squadra più sostanziosa di… me" ricapitolò il necropolitano.
"Non mi piace lavorare in squadra ma sono capace di riconoscere quando me ne serve una."
"Te ne serve una? Guarda che non sei tu a capo di questa missione, sei l'ultimo arrivato e non sei neanche un incantatore."
Erika incrociò le braccia sul tavolo e vi poggiò la testa fingendo di dormire. Yrga tirò fuori una lira, incorporea come lei, e pizzicò le corde strappandone qualche nota. Nezoot sedeva impassibile al suo posto, senza tradire alcuna emozione come sempre. Era chiaro che nessuno di loro voleva più prendere parte a quella discussione.
'Perché scegliere la squadra dev'essere sempre la parte più difficile della missione?' Si domandò Bahostegym, disilluso. 'E soprattutto, visto che ognuno qui si sta facendo gli affari suoi, quanto sarebbe maleducato se tirassi fuori uno dei miei libri?'
In fin dei conti era un bibliodrago, e i bibliodraghi preferiscono di gran lunga la compagnia dei libri a quella delle persone. Ogni sua interazione con i colleghi non faceva che rafforzare quella sua predisposizione naturale.

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Capitolo 31
*** 30. Eerie ***


Genere: Fantasy
Personaggi: Yrga, Gloria Crepuscolare

30. Eerie


1371 DR, in un luogo molto lontano

La cittadella dell'Amante Eterna era inquietante, lugubre, eppure a suo modo elegante. Palazzi di cristallo svettavano verso un cielo grigio e senza vita, senza sole. L'aria era così gelida che le torri avrebbero anche potuto essere di ghiaccio, se non fossero state così perfettamente trasparenti.
Il piccolo centro abitato, racchiuso tra mura cristalline come una bomboniera, aveva nome Eeriesistible perché la sua regina aveva un certo senso dell'umorismo: nel linguaggio del suo mondo natio era un gioco di parole fra "sinistro" e "irresistibile".
E così era lei, per l'appunto: sinistra, misteriosa, bellissima. Una dea nel vero senso della parola… e la cittadella di Eeriesistible con tutto il suo piccolo Semipiano fluttuava per suo comando attraverso il Piano Astrale, mai davvero legata a un Piano Esterno nello specifico, mai in stretto contatto con la triste realtà dei Supplicanti - le anime dei morti - che viaggiavano con reverente timore verso i rispettivi aldilà. I cittadini di Eeriesistible non sarebbero mai andati nell'aldilà. Era questo a contribuire al fascino di quel luogo: l'immortalità.
I seguaci dell'Amante Eterna che risiedevano a Eeriesistible erano tutti non morti. Lich, per la maggior parte. Ogni tanto qualche vampiro vi si recava in visita, ma l'assenza di creature viventi rendeva sgradevole l'esistenza dei non morti che devono nutrirsi della vita, erano costretti a portarsi dietro la loro piccola corte di amanti o servitori umani.
Gloria Crepuscolare, conosciuta anche come l'Amante Eterna, la Bellezza Immortale, era dea e regina di quel minuscolo regno ma non dava molto peso a cosa facessero i suoi seguaci: erano indipendenti, venivano incoraggiati a esserlo, potevano andare e venire come volevano.

Buona parte delle infrastrutture di quella città non erano state costruite dalla dea. Lei si curava solo della bellezza, dell'arte e dell'amore. Era una sognatrice, amava le poesie e le storie romantiche molto più di quanto le interessassero le banalità dell'esistenza quotidiana.
Non usava interferire nelle creazioni dei suoi sudditi. I lich suoi sacerdoti le avevano dedicato un tempio, quelli interessati alle arti arcane avevano fondato una biblioteca. Buon per loro. A lei importava solo che tutto fosse bello, e che i suoi seguaci fossero felici. La felicità perfetta secondo lei si realizzava solo attraverso l'amore, una forza così potente da sconfiggere anche la morte. Gloria Crepuscolare elargiva le sue benedizioni a chi cercava la non morte e l'immortalità per poter vivere in eterno accanto alla persona amata.
Il suo tempio e la biblioteca, sì, erano molto belli. Il quarzo con cui era stata costruita la chiesa era stato alterato con la magia per riflettere diversi colori a seconda dell'angolazione da cui lo si guardava. All'interno delle pareti erano presenti fratture invisibili a prima vista ma che, al momento giusto e dalla posizione giusta, lasciavano intravedere sagome umane appena abbozzate, inconsistenti come spettri, nell'atto di baciarsi o declamare il proprio amore a qualcuno.
La biblioteca era molto più sobria. Le pareti di cristallo erano state rese in qualche modo un po' più opache, lattee, dando un'impressione di opalescenza che, con la sua vaga colorazione cangiante, affascinava e distraeva da quella rottura con la tradizione: era l'unico edificio in città a non essere trasparente.
La struttura era senza pretese, ma l'interno era meraviglioso per qualcuno a cui piacciono i libri. La maggior parte di quei tomi erano saggi di magia teorica o pratica, manuali per la corretta esecuzione di riti arcani, o generici libri di leggende e storie di mondi lontani abitati da creature favolistiche come draghi e manticore e gattini… creature viventi di cui i lich di Eeriesistible avevano ormai solo un vago ricordo.
C'era però una sezione un po' defilata, relegata all'ultimo piano, un attico meraviglioso con un soffitto che grazie a un'illusione replicava il cielo stellato di un mondo lontano, abbellito da luci di un'aurora boreale (sebbene nessuno dei lich di quella città sapesse per quale ragione si formasse il fenomeno dell'aurora boreale, l'avevano solo visto illustrato in un libro). L'attico dava accesso a una terrazza privata, che garantiva una visione panoramica di tutta la cittadella. Quel luogo era ad uso esclusivo della dea e conteneva i suoi libri preferiti: biografie di vite eccezionali a forti contenuti romantici. Storie di amori tormentati, ma rigorosamente a lieto fine. Raccolte di epica, ma in cui le grandi sfide della vita venivano risolte grazie all'amore.
Alcuni di quei libri recavano un piccolo stemma sul dorso: una rosa nera.
Gloria Crepuscolare sapeva che quei libri erano copie esatte di quelli che si trovavano nella biblioteca di un dio della morte che prestava servizio in un piccolo angolo del multiverso. I libri della rosa nera che la Bellezza Immortale possedeva non erano molti, per un motivo semplice e desolante: terminavano sempre con la morte dei protagonisti. Erano biografie postume, e i pochi che potevano quasi essere definiti a lieto fine terminavano con una buona morte, una pacifica, al termine di una vita piena e soddisfacente. La piccola dea era molto interessata al lavoro dell'autore o autrice che si firmava con la rosa nera: sembrava che il suo lavoro fosse indagare sulle anime che per qualche motivo non erano giunte a destinazione nel loro aldilà, e risolvere la cosa rimettendole sul loro corretto sentiero. A volte questo significava aiutare le anime a raggiungere l'aldilà, altre volte voleva dire riportare in vita quelle persone e lasciare che terminassero le loro vite in pace, passando insieme il poco tempo che viene concesso ai mortali.
Gloria Crepuscolare avrebbe voluto poter intervenire in quelle storie, dare loro un lieto fine vero, non un contentino.

Un giorno, mentre se ne stava in una stanza del suo piccolo ma elegante palazzo a sbirciare la gente del Piano Materiale attraverso uno specchio magico, Gloria Crepuscolare percepì che qualcuno era entrato in quello spazio nella biblioteca dei maghi che era solo suo.
La cosa l'entusiasmò, perché quando accadeva voleva dire una sola cosa: qualcuno aveva recapitato un nuovo libro.
Corse subito al suo guardaroba, perché approcciare un nuovo libro era come andare a un appuntamento con un nuovo amante: un evento che imponeva cura, rispetto, e la comune decenza di presentarsi al meglio. La dea spazzolò i suoi capelli bianco-platino fino a farli risplendere, scelse un abito azzurro e blu con una gonna a balze rigide in angoli acuti, che ricordavano le onde di un mare in tempesta congelate in un istante. I suoi gusti erano sempre stati eccentrici. Con le mani fredde e morte, deturpate da un buco a forma di cuore su ogni palmo, si sistemò a fatica un diadema di zaffiri sul capo.
Non aveva fretta, Gloria Crepuscolare, perché gli immortali non hanno mai fretta e perché pensava di trovare nel suo attico soltanto un nuovo libro. Non si aspettava di trovare anche la sua autrice.

"L'aurora boreale dovrebbe muoversi" furono le parole con cui la strana intrusa la accolse nella sua stessa sala di lettura.
Gloria Crepuscolare sbatté gli occhi, perplessa. Non le capitava spesso che qualcosa riuscisse a prenderla alla sprovvista, ma la strana donna trasparente vestita da guitto ci era appena riuscita.
"Prego?"
La figurina indicò con un dito l'illusione di aurora boreale che decorava le pareti e il soffitto del suo antro privato.
"Quella. Ho notato che le stelle brillano e si muovono, anche l'aurora boreale dovrebbe muoversi" spiegò con una vocina infantile, acuta come il fischio di un flauto. "È generata dalla luce del sole dopotutto. Non possiamo pretendere che rimanga immobile."
"Grazie per il consiglio, ma oggi non attendevo un arredatore di interni" ironizzò la dea.
"Per fortuna io non lo sono! Mi fregio di essere Yrga dei Sussurri" s'inchinò in modo teatrale, presentandosi. "Poetessa di Jergal, cantora delle anime, e come qualcuno mi ha graziosamente definita di recente, la più pettegola puttana degli Inferi, dell'Ade e del mondo dei vivi. Ma credo voi mi conosciate soltanto come la rosa nera."
Tutto il fastidio che la bella dea dei non morti stava provando evaporò all'istante. Quella rosa nera?
"Non conosco nessuno dei titoli che avete citato, ma mi sembra di capire che siate l'autrice di quelle agrodolci biografie."
"È così" rispose la ragazza, rialzandosi dall'inchino. Non c'era servilismo nel suo tono, solo il rispetto tributato da una creatura eccezionale a un'altra. "Non condivido la vostra opinione, ma posso capire come mai una dea dell'eternità consideri deludente un finale diverso da 'per sempre felici e contenti'. Ed è anche per questo che sono qui oggi. Per recapitarvi un manoscritto… un po' diverso dal solito."
"Un manoscritto?" l'Amante Eterna aggrottò le sopracciglia perfette e quasi invisibili, bianche su un volto che pareva fatto di ghiaccio. "Non ho mai avuto un simile privilegio. Di solito riesco a ottenere solo copie dei vostri lavori conclusi da tempo, e anche per questo devo inviare una richiesta speciale ad Oinos, alla biblioteca della Città del Giudizio. Il dio della morte che vi risiede ha perfino osato negarmi questo permesso, di recente."
"Ah" Yrga dei Sussurri sbuffò qualcosa a metà fra una risatina e un suono che esprimeva rassegnazione. "Kelemvor, il nostro nuovo dio della morte. È fermamente contrario alla non morte usata scientemente per evitare il decesso, la considera un trucchetto maligno. Capisco che sia… fastidiosamente intransigente."
Gloria Crepuscolare sembrò fare fatica a digerire quella posizione. Piegò le labbra bluastre in una smorfia carina. "Compatisco i mondi su cui quel dio ha potere" declamò solenne. "Se nemmeno concede all'amore il diritto inalienabile di sconfiggere la morte."
"Quello di cui parlate è un potere, non un diritto. Un potere che, nel mondo che servo, l'amore non ha ancora dimostrato di avere. Io stessa non sono riuscita a conservare il mio amore nella morte… anche se onestamente il mio amore non partiva con le migliori premesse. Però non mi dispiacerebbe se per una volta l'amore vincesse. È per questo che vi ho portato un manoscritto incompiuto" indicò il fascicolo che aveva poggiato sul tavolo di legno fossile, lucido come uno specchio, su cui la Bellezza Immortale aveva accatastato tomi e rotoli di pergamena.
Prendendo in mano l'oggetto, la dea si accorse che non era davvero un libro; si trattava di una serie di fogli di appunti conservati in una copertina di cuoio.
"Un incompiuto. Un lavoro in corso?" Le pallide mani non morte sfiorarono con reverenza quei fogli. "Posso davvero leggerlo?"
"Assolutamente" Yrga le fece cenno di procedere pure. "Non è solo un libro incompiuto, la storia stessa che narra si sta ancora svolgendo davanti ai miei occhi. Per questo io ritengo che sia possibile… che sia quasi doveroso prendere una posizione."

Gloria Crepuscolare cominciò a far scorrere lo sguardo su quelle parole scribacchiate in una calligrafia frettolosa. La lingua non apparteneva al suo mondo, ma questo non la rallentò; comprendere tutti i linguaggi è una quisquilia per una divinità.
"Un'anima smarrita? Come mai è sempre questo il tema dei vostri racconti?"
"Perché non sono racconti, è il mio lavoro. Penso che dopo aver letto così tante mie opere lo abbiate indovinato da sola: io sono un'investigatrice. Cerco quelle anime che per qualche motivo non sono mai arrivate a destinazione nell'aldilà, e per trovarle mi servono prima le risposte giuste, e prima ancora le domande giuste. Alcune di quelle anime sono semplicemente diventate dei non morti, ma ce ne sono altre più particolari che riservano delle sorprese. Questa qui è la persona che per mio gusto personale ritengo più interessante, dal momento che la sua morte è stata accompagnata da una tragedia romantica. Altre anime sono scomparse in condizioni che a prima vista mi sembrano simili, ma non ho ancora la certezza che siano collegate. Quello che so è che mentre io indago su questa particolare pista non posso indagare anche sull'anima di questa donna nello specifico."
"Per questo avete coinvolto il marito" indovinò la dea, divorando con gli occhi una pagina dopo l'altra. "Più di trecento anni all'inferno e non ha mai dimenticato la sua amata? Per tutti i cieli, se questo non è un paladino dell'amore non so che cosa sia."
"Un medico, un assassino, un necromante" enumerò Yrga, contando sulla punta delle dita. "E, spero, un investigatore. Dovrà fare il mio lavoro mentre io indago a più ampio respiro."
"Quindi è questo il problema. Non sapete dove sia lei."
"Io… no. So di essere sulla pista giusta e potrei averne una vaga idea, ma non lo so nello specifico. Non mi ci vorrebbe molto a seguire la mia intuizione e andare a verificare la mia teoria, ma se lo facessi questa storia diventerebbe solo l'ennesimo libro su uno scaffale. Se invece io lasciassi che sia il marito a ritrovare l'anima della moglie, quante potenzialità porterebbe con sé una simile storia? Un eroe romantico, in grado di salvare forse non solo la sua amata ma anche altri. Un eroe che distruggerebbe un nemico molto antico, guadagnandosi forse la gratitudine del mio padrone."
"Vedo di quale nemico parlate" la bella non morta indicò la pagina che aveva appena letto. "Ma la vostra è ancora una teoria."
"Una teoria quasi certa, mi mancano solo le prove e i dettagli" chiarì lo spirito.
"E in che modo, anche se questo mortale riuscisse a sconfiggere un antico nemico, in che modo potrebbe guadagnarsi la riconoscenza del vostro padrone, e che cosa dovrebbe farsene?"
"È questo il punto, non se ne farà niente se resterà un mortale, ma Christopher Blackwood vuole diventare un non morto insieme alla moglie per non doverla perdere mai più" spiegò Yrga. "Il mio padrone, lord Jergal, è lo scriba di Kelemvor. Egli oggi non vanta più che una scintilla del suo antico potere, ma è stato il primo e il più antico dio della morte del nostro mondo. Kelemvor è un ragazzino in termini divini, e di conseguenza tiene l'opinione di Jergal in alta considerazione. Il mio padrone non è certo un amante dei non morti, ma li tollera quando servono i suoi scopi. Contrarre un credito nei confronti di Jergal, ad esempio liberando il mondo da un individuo che crea scompiglio e fa sparire anime, significherebbe prima di tutto mettere se stessi al riparo dall'ira di almeno due culti che perseguitano i non morti, quello di Jergal e quello di Kelemvor. Inoltre portare avanti questa missione significherebbe ritrovare un'anima perduta, riportare in vita una persona che è morta prima del suo giusto momento, e potenzialmente dimostrare che l'amore può sconfiggere la morte anche nel nostro mondo. Pensate a che cosa potrebbe significare per voi… se deciderete di credere nel mio progetto e di appoggiarlo."
Gloria Crepuscolare rimise in ordine le carte. Il suo viso, sebbene morto, brillava di interesse. "Nel migliore dei casi potrebbe significare… estendere la mia influenza in una nuova Sfera di Cristallo, quella dove esiste il vostro mondo" ragionò, perché sebbene le divinità esistessero negli stessi piani esterni, non tutte avevano influenza su tutti i mondi. Perché un dio o una dea potesse estendere il suo potere verso una Sfera di Cristallo, doveva avere in quell'angolo del Piano Materiale almeno un seguace. "Nel peggiore dei casi, rimarrò ignorata ma quantomeno avrò un bel libro da leggere. Uno in cui l'amore guadagna l'eternità."
Yrga annuì. "Sapevo che ci saremmo intese. Mi dispiace soltanto che, se riuscirete a mettere piede nel nostro mondo e a sviluppare un vostro culto, il mio padrone vi sarà nemico."
"Lo sarà? Io credo che quelli come lui, e anche come questo Kelemvor di cui parlate, non capiscono una cosa fondamentale del cuore dei mortali: tutti loro, nel profondo, desiderano l'immortalità." Per rafforzare il discorso si portò una mano all'altezza del cuore, che senza dubbio non batteva più. "Per coloro che hanno la forza d'animo e il coraggio di chiedere l'immortalità, possono perfino giungere delle risposte. Ma da chi? Divinità malvagie, poteri oscuri, signori della non morte che in cambio di una semplicissima elargizione di potere esigono un prezzo esagerato. Anime, sacrifici, corruzione dei loro mortali. A che cosa porta il cieco proibizionismo? La domanda esisterà sempre. Sempre. E non è meglio che sia una come me, a offrire una risposta?" Propugnò la sua causa con tanto ardore che Yrga, nonostante la lealtà a Jergal, si trovò a considerare sul serio quel punto di vista. La Bellezza Immortale sembrava davvero rattristata al pensiero che un normale desiderio umano venisse regolarmente traviato in qualcosa di malvagio. Alla fine la dea aggiunse, a bassa voce: "Riesco a stento a immaginare in quali modi turpi e atroci una divinità malvagia potrebbe approfittarsi del dolore per la perdita della persona amata. L'amore non deve essere trasformato in morte. L'amore deve vincere la morte."
Yrga annuì. Con un po' di fortuna, Jergal non avrebbe mai saputo del suo piccolo innocuo doppio gioco. O più probabilmente, gli sarebbe importato troppo poco per prendere provvedimenti.
"E forse questa volta lo farà."
L'intervento di Yrga riscosse la dea che era ancora persa nei suoi pensieri.
"Molto bene, ma passando all'atto pratico: io che posso fare? Non ho potere nella vostra Sfera. Non sono venerata laggiù, non posso entrare nel vostro mondo come una dea, né posso concedere incantesimi."
"No, ma siete una dea qui. I vostri poteri divini funzionano qui. Tutto ciò che mi serve è che forgiate per me un oggetto… una reliquia in grado di aiutare il nostro protagonista a trovare la sua amata."
"Questo… sarebbe possibile. Comprendo come mai un incantesimo per trovare le cose perdute, lanciato da un mortale, potrebbe non funzionare. Ma uno lanciato da un essere divino potrebbe. La creazione di una reliquia tuttavia non è una cosa semplice, e non c'è la garanzia assoluta che funzionerà senza essere costantemente corroborata dal mio potere. Io non potrò essere lì."
"Questa è una preoccupazione legittima, ma il mondo da cui provengo è altamente magico. Esiste uno stadio intermedio fra l'essere una divinità e il non essere una divinità. In questo stadio intermedio esistono creature dai grandi poteri che sponsorizzano incantatori, ed esistono divinità morte o non ancora reali che prendono la forma di vestigia. Queste creature sono in grado di stipulare patti con i mortali, e se riuscissero a fare evolvere questo rapporto da semplici patti a genuina venerazione, potrebbero diventare delle vere divinità. È vero che non potete venire nel mio mondo come dea, perché nessuno vi ha invitata. Io stessa lo farei, ma andrebbe in conflitto con i miei doveri. Se tuttavia voi riusciste a mettere una sufficiente quantità della vostra essenza in quella reliquia, abbastanza perché la vostra essenza abbia autocoscienza, potrebbe cominciare il suo percorso come vestigia e forse un giorno essere venerata come dea, e aprirvi un sentiero verso la nostra Sfera."
Gloria Crepuscolare tacque per un lungo momento, riflettendo su quella proposta azzardata.
"È… un impegno non indifferente. Vorrei del tempo per riflettere."
"Non c'è problema. Potete tenere i miei appunti, rileggerli, pensarci su…"
"Ma non vi servono?" Domandò la dea, porgendo il plico di fogli alla sua ospite.
"No, non vi crucciate, ne ho una copia" Yrga rivolse un sorriso mesto alla signora dei lich, che da parte sua sembrò colpita di poter conservare gli originali. Era senza dubbio un segno di fiducia, oltre che di rispetto. "Potrete comunicarmi la vostra decisione quando vorrete. Sarà sufficiente porvi davanti a uno specchio e chiamare tre volte il nome Nezoot. Un mio agente verrà da voi." La cantora spettrale si congedò togliendosi il cappello morbido e facendo un altro inchino. "Addio, splendida Signora. Se solo due millenni fa foste stata già una dea nel mio mondo, forse la mia stessa vita avrebbe seguito un corso diverso e migliore, quindi non posso che augurarvi ogni fortuna. Sinceramente."
Gloria Crepuscolare non poteva più arrossire, non aveva sangue nelle vene, ma quel commento le fece molto piacere. Si commuoveva sempre quando qualcuno riconosceva la sua utilità, e senza saperlo Yrga aveva detto la cosa giusta per convincerla: le aveva ricordato che quel piccolo mondo lontano da cui proveniva non era solo un investimento, un nuovo potenziale terreno dove raccogliere seguaci, e nemmeno rappresentava solo un rischio. Era prima di tutto un mondo dove non esisteva alcuna alternativa simile a lei, era un mondo che aveva bisogno di lei.
Gloria Crepuscolare rimase a fissare il fascicolo avvolto nella copertina di cuoio, ancora per molto tempo dopo la partenza di Yrga. Doveva capire quale sarebbe stata la forma migliore per una reliquia che avesse il compito di ritrovare le cose smarrite, eppure che potesse anche in qualche modo comunicare. Una bussola avrebbe assolto il primo compito ma non il secondo. Forse una piuma da scrittura, o era un oggetto troppo banale?
La dea passò molti minuti a riflettere su quel problema. Inoltre voleva anche un oggetto che fosse bello. Sì, quello era imprescindibile. Bello e inquietante. Come lei, come tutto ciò che amava.

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Capitolo 32
*** 31. Apocalypse ***


Genere: Lore, fantasy
Personaggi: Oscar, Yrga, Jergal
Note: seguito di Discovery

31. Apocalypse


1089 DR, Castello di Ossa, Dominio di Oinos, primo strato delle Grigie Distese dell'Ade

Oscar era confuso e arrabbiato, ma lo era da qualche parte nella sua mente inconscia. La sua mente conscia era soggiogata da un incantesimo di ammaliamento potentissimo, Dominare Mostri. Era questo a confonderlo: non l'effetto dell'incantesimo ma il fatto stesso che avesse funzionato. Un non morto come lui avrebbe dovuto essere immune alle magie che influenzano la mente. Ed era anche questo a farlo andare in collera: era arrabbiato con sé stesso perché aveva dato per scontato che la sua immunità preternaturale lo avrebbe protetto. Lui era un esperto abiuratore, aveva su di sé numerosi incantesimi che lo proteggevano contro i danni fisici, contro la divinazione, ma non aveva pensato di doversi difendere anche contro i trucchi mentali.
Quando una giovane donna vestita da bardo era entrata nel suo negozio di bacchette magiche, lui all'inizio l'aveva scambiata per una cliente: ci sono moltissimi incantesimi che sono preclusi ai bardi, non è strano che cerchino oggetti magici che permettono loro una maggiore varietà.
Poi lei aveva iniziato a parlargli ed era stato difficile concentrarsi sulle parole. La sua voce tendeva a distrarre.
"…e quindi sono specializzata in incantesimi di ammaliamento" stava spiegando lei. Ovvio, era un bardo. "Qualcosina, anche illusione. Però mi manca competenza su quasi tutti il resto. L'ultimo incantesimo che ho imparato, ad esempio… com'è che faceva…"
Oscar non era troppo preoccupato. La cliente era una a cui piaceva chiacchierare, ogni tanto capitava di incontrare qualcuno così. Era fastidioso, ma un sorriso di circostanza di solito era sufficiente a condurre in porto un buon affare.
E poi, sapeva che lei non era malintenzionata. Gli occhiali di Oscar avevano molte proprietà magiche, e una di esse era captare le intenzioni della gente. Qualcuno con intenzioni criminali, ai suoi occhi, avrebbe emanato un'aura di colore nero o rosso. Un amico avrebbe avuto un'aura bianca. Una persona a cui Oscar era indifferente - come tutti i suoi clienti normali - mostrava sempre un'aura blu. La barda era blu, com'era prevedibile. La sua cordialità era posticcia, le riusciva facile mostrarsi amichevole anche con persone che le erano indifferenti, ma al massimo avrebbe cercato di strappargli uno sconto facendo la carina.
Per questo Oscar rimase molto stupito quando lei schioccò le dita e concluse:
"Ah, sì! Ya tuor wux faestir arilex!"
La frase era in draconico, si poteva tradurre come Voglio che tu serva la mia parola, dove per parola si intendeva ogni mia parola. Ma non era una semplice frase, era stata pronunciata con un’inflessione che la rendeva un incantesimo arcano. Era una delle varianti per la formula magica di Dominare, che nella sua versione più debole influenzava solo umani e simili creature, ma in quella più potente… accessibile solo ai più eruditi fra i maghi… aveva effetto potenzialmente su qualsiasi creatura.
Be’, non qualsiasi; non avrebbe dovuto far presa su individui immuni agli effetti di influenza mentale, come Oscar.
In teoria.
Oscar riconobbe l’incantesimo nel momento in cui veniva lanciato, nella sua mente balenarono molti pensieri in contemporanea: ‘Non è un bardo’, ‘Quell'incantesimo è potente’, ‘Tanto sono immune’, ‘Perché la sua aura rimane blu?’, e poi, dopo un istante, ‘Che diavolo succede?’, perché la sua mente lo stava tradendo. I suoi pensieri, un momento prima chiari e logici, si stavano annebbiando.
Cercò di resistere, ma era troppo tardi. La sua mente poi non vi era più abituata.
Quando la barda vide il suo sguardo andare fuori fuoco si concesse un sorriso. Al suo incantesimo mancava un comando vero e proprio, e il momento era giunto: "Wux gethrisj ghent ya."
‘Seguimi.’

E così, dalla tranquilla cittadina in cui si era stabilito senza recare fastidio a nessuno, Oscar si era ritrovato a dover seguire una maga sconosciuta oltre un Portale. Una maga che aveva un concetto molto strano di non ostilità, perché quello era un rapimento in piena regola eppure lei manteneva ancora la stessa aura di indifferenza.
Per tornare al punto, Oscar era confuso e arrabbiato, ma quei sentimenti non raggiungevano la sua sfera cosciente. In quella c’era spazio solo per la compulsione a ubbidire.

Il Portale della maga li aveva condotti in una stanza enorme e anonima, dai soffitti così alti che si perdevano nelle ombre. Davanti a loro c'era una porta abbastanza alta da far passare un gigante, dietro di loro un'apertura ad arco oltre la quale si intravedeva un'altra stanza ancora più grande e piena di scaffali con libri che sembravano tutti uguali. Si udiva un rumore sottile, come di decine di pennini che grattano sulla carta.
La ragazza gli indicò un piccolo baule in quella specie di sala d'attesa. "Apri quel contenitore e indossa il suo contenuto" ordinò, questa volta in lingua comune, ma Oscar si sentì comunque obbligato ad obbedire.
Andò verso la scatola, notando solo con una parte del cervello che lei rimaneva indietro. Aprì il coperchio ligneo: all'interno c'erano due bracciali di mithril decorati con rune magiche.
Nel momento stesso in cui il mago li vide, percepi che emanavano un'aura di abiurazione. Dovevano essere una costrizione di qualche tipo.
No! Non voglio indossare questi… La sua volontà cercò di ribellarsi, ma di nuovo la magia della donna si rivelò più forte.
Afferrò i bracciali uno dopo l'altro e se li agganciò ai polsi. Le rune magiche si illuminarono per un momento.
"Non è nulla di nocivo, signor Oscar, è solo una misura per impedirvi la fuga."
La fuga da cosa? Si chiese lui.

* * *


Le porte giganti si aprirono ad uno schiocco delle dita di quella strana donna, e oltre c'era uno scenario che Oscar finora aveva sempre considerato mitologia. Il necropolitano non si era mai soffermato a pensare davvero a che cosa ci fosse per le anime dopo la morte: non era oggetto dei suoi studi e lui non aveva mai desiderato andare nell'Aldilà. Tuttavia chiunque avesse un minimo di cultura popolare su questi argomenti sapeva che c'erano due divinità della morte e che una di quelle aveva l'aspetto di una creatura aliena: Jergal, il Tetro Siniscalco.
"Siamo nella Città del Giudizio?" Domandò, raggelato. Quel luogo esisteva davvero?
E che genere di giudizio sarebbe stato riservato a uno come lui?

L'incantatrice gli aveva rinnovato l'obbligo di seguirla, quindi Oscar si trovò a non avere scelta. Procedette in direzione della gigantesca scrivania come un condannato diretto al patibolo.
Quando fu a qualche decina di metri dal dio, finalmente la sua catturatrice gli fece cenno di fermarsi.
"Mio signore" annunciò, con la sua voce sottile che echeggiò in quella sala enorme in un modo che faceva accapponare la pelle. "Ho terminato le mie ricerche sul caso RS-F-1057-05-30-217."
Il dio alzò lo sguardo dal suo lavoro e, per la prima volta, diede segno di averli notati.
"Continua" pronunciò lentamente, in tono annoiato. La sua voce, anche se bassa, riempiva la stanza.
"Ho scoperto per quale motivo avevamo un'anima morta che appariva come mai nata. Essa era la copia spirituale esatta dell'anima RS-F-802-01-06-181, che ho potuto rintracciare perché si sta attualmente decomponendo nel Muro dei Miscredenti."
Oscar sentì un altro brivido. Era quello che succedeva alle anime?
"Interessante" commentò il dio, anche se non sembrava interessato affatto. "Prosegui."
"Ho fatto ricerche sulle condizioni della morte di RS-F-802-01-06-181, e non voglio annoiarvi con i dettagli, ma alla fine ho scoperto che il suo cadavere era stato rianimato come zombie."
Jergal questa volta sollevò impercettibilmente le palpebre, la sua versione dello spalancare gli occhi. "In che modo uno zombie è legato alle anime? Sono solo gusci vuoti che perfino la mia Chiesa ha il permesso di creare."
"Come prima cosa ho interrogato RS-F-1057-05-30-217, che si trova ancora a vagare per le strade della città, in attesa di giudizio. A quanto pare era uno zombie risvegliato, e l'intelligenza artificiale conferita dall'incantesimo si è fusa in qualche modo con l'impronta di anima che rimane sempre nei cadaveri, nutrendola e permettendole di crescere fino a diventare una copia dell'anima originale" spiegò lei. "È per questo che sono andata in cerca di un'anima che gli somigliasse, trovandola nel Muro."
"Dunque ora il mistero è risolto, ma l'incongruenza sul mio bilancio no. Un'anima che si è formata da sola… concetto interessante." I suoi occhi morti si spostarono su Oscar e lo trapassarono come raggi roventi. "Per tua somma fortuna, piccolo mortale, posso correggere questa incongruenza creando un nuovo codice apposito per le anime auto-formate. Per quanto riguarda i tuoi esperimenti… congratulazioni, hai di fatto creato la vita dalla morte. Hai dimostrato qualcosa che neppure io avevo mai contemplato come possibile. Volevi giocare a fare il dio?"
Oscar tremò davanti a quell'essere gigantesco che si chinava su di lui, usando un tono neutro eppure minaccioso. Il suo incantesimo che rivelava l'atteggiamento delle persone non era così potente da indagare l'animo di un dio, quindi non sapeva proprio cosa aspettarsi.
Cercò di recuperare la sua compostezza, perché gli era stata fatta una domanda e uno scienziato come lui non poteva esimersi da rispondere.
"No. I miei esperimenti sono guidati dalla mia curiosità e dalla sete di conoscenza. Un giorno ho cominciato a chiedermi per quale motivo gli zombie, pur essendo solo cadaveri animati da energia negativa, si comportassero in modo distruttivo se lasciati senza controllo. Per me non aveva senso, ho cominciato a fare esperimenti e ho teorizzato l'esistenza di spiriti maligni che infestano un cadavere nel momento in cui cerco di rianimarlo. Ho tentato allora di condurre i miei esperimenti in luoghi protetti dalla magia, luoghi purificati e sigillati, e finalmente ho ottenuto zombie che anche lasciati senza controllo non facevano sostanzialmente nulla. A quel punto ho risvegliato in loro un'intelligenza artificiale. Volevo solo vedere cosa sarebbe successo, non mi aspettavo neppure io che interagisse con l'impronta di anima che resta in un cadavere. Lo giudico un risultato entusiasmante."
La grande sala era silenziosa come una tomba, finché il Tetro Siniscalco non decise di rompere quel silenzio e porre la domanda che sia lui che la sua serva si stavano facendo. "Qual è lo scopo di tutto questo?"
Oscar non esitò neppure un momento. "La conoscenza. L'applicanzione di questa conoscenza. Sapere che è possibile creare degli zombie più innocui, che anche se dovessero sfuggire al controllo non farebbero nient'altro che camminare in tondo, secondo me renderebbe molto più tollerabile la necromanzia agli occhi delle masse. Pensate alle implicazioni di poter usare una forza lavoro che non si stanca mai e non si usura. È perfino possibile fermare il processo di decomposizione, ottenendo dei servitori eterni."
"Un'alta concentrazione di non morti può portare problemi" gli ricordò Yrga. "Nel Thay vengono usati come dite voi, per i lavori pesanti, ma è necessario prendere delle contromisure."
"Non è un problema prendere delle contromisure. La concentrazione di energia negativa in un'area dipende anche dalla forza dei non morti che la occupano, e gli zombie non hanno molto peso. Dei ripetitori di energia positiva a contenimento delle aree di lavoro sarebbero sufficienti a impedire che la concentrazione di energia negativa raggiunga i viventi. In questo modo si potrebbe ottenere una società molto più funzionale, una in cui le creature senzienti sono libere dal peso del lavoro."
"È questo, dunque. Sei un visionario con in mente l'idea di un mondo migliore." Jergal ora appariva annoiato, più di prima, ma meno ostile. "Perché risvegliare in loro un'intelligenza?"
"Servirebbero dei coordinatori" spiegò semplicemente. "Qualcuno che possa dirigere il lavoro degli zombie senza mente, qualcuno che sia in grado di ragionare ma non abbia paura di camminare in mezzo a loro. I viventi di sicuro avrebbero problemi a fare una cosa del genere a causa dei loro stupidi tabù culturali. Perfino io mi rendo conto che per un vivo può essere disturbante vedere il cadavere di un caro estinto che svolge un lavoro pesante. I vivi hanno una mente fragile e irrazionale."
"Per poter portare avanti questo progetto su larga scala dovreste prima conquistare il mondo o qualcosa del genere" gli fece notare la barda.
"Sciocchezze, qualcosa di così grande non è nei miei progetti. Il mio proposito è migliorare la società, non imbrigliarla. Una volta terminati i miei esperimenti proporrò questo modello sociale a chi vorrà ascoltarmi, ma non lo imporrò."
"Oh? Perché no?"
"Perché sarebbe un dispendio di energie inutile. Preferisco usare il mio tempo e le mie risorse spostandomi su nuove ricerche, piuttosto che cercando di instillare un po' di buonsenso nella gente. Se i viventi non vogliono un miglioramento nella loro qualità di vita, è un problema loro."
Seguì un altro lungo silenzio.
"Sono giunto a una conclusione" decretò infine il dio Jergal, riprendendo la parola. "Questi esperimenti sono accettabili dal momento che non impediscono alle anime dei vivi di raggiungere l'Aldilà. Sono perfino interessanti, dal momento che creano nuove anime che giungeranno qui. Perché nessuno di voi può illudersi su questo, prima o poi giungeranno qui. Anche coloro che si credono immortali, che hanno raggiunto una longevità notevole grazie alla magia della vita o della morte, prima o poi si spengono. Forse il nostro ospite crede che essere un necropolitano lo terrà per sempre al sicuro dalla morte." Oscar si chiese brevemente come facesse lui a saperlo, ma era un dio, doveva avere poteri fuori dal comune. "Non è così. Prima o poi ogni creatura muore, di morte violenta o di usura. Sul piccolo mondo da cui entrambi provenite vi sono creature antiche trentamila anni, e sicuramente voi pensate che questa sia immortalità" dichiarò, e la sua voce neutra si sporcò di un tono vagamente canzonatorio. "Non esiste l'immortalità. Prima o poi anche il vostro mondo morirà. Alcuni la chiamano apocalisse, ma non è altro che il lento assopirsi della vita. Non è traumatico, è naturale. Perfino il vostro sole si spegnerà. Il vostro universo gradualmente collasserà diventando solo una fredda distesa di nulla. I vostri dèi moriranno. E quando accadrà anche io morirò, tornando a far parte dell'entità finale, la morte, il nulla eterno, di cui sono solo una manifestazione."
Oscar e Yrga non emisero un fiato. Non ne avevano bisogno, ma non l'avrebbero fatto neppure se fossero stati vivi.
"Signore, state di nuovo facendo quella cosa molto disturbante" intervenne lei, dopo un lungo silenzio pregno di disagio. Oscar non poteva che essere d’accordo. L’idea di eternità di cui parlava il dio era qualcosa di troppo immenso per essere concepito da creature abituate a pensare in termini di secoli, millenni.
Jergal si appoggiò allo schienale del suo trono, che assomigliava tanto a una pratica sedia da ufficio. "Un giorno moriremo. Ma nel frattempo la mia contabilità dev'essere in ordine, e tu, Oscar Domedias, sei un non morto senziente. Sai cos'è per me un non morto senziente, con un'anima?" Non attese una risposta. "Un ritardo nel mio bilancio, un credito congelato. Potrei distruggerti ora e pareggiare i conti, ma non stai portando scompiglio nel mondo e i tuoi esperimenti sono degni di attenzione, quindi ti consentirò di esistere se tu lavorerai per me."
Oscar sentì che stava camminando sulle uova. "In che modo…?"
"Servendo la causa della Morte, è chiaro."
"Uhm…" il necropolitano non sapeva come dirgli che no, non era chiaro per niente. "Ma avete appena accennato al fatto che sia positivo che io non porti scompiglio."
Il Tetro Siniscalco si mantenne inespressivo come sempre, ma la sua neutralità sembrava esprimere biasimo. Era incredibile come quella creatura riuscisse a far parlare i silenzi.
"La Morte non è scompiglio. La Morte è ordine. Voi chiamate 'morte' l'atto di terminare con violenza la vita altrui. Ma quella non è morte, quella è vita. Il serpente che mangia il topo uccide per vivere. L'uomo che uccide un altro uomo per difendersi, o per avere accesso alle sue risorse, lo fa per vivere. Ogni atto egoistico e distruttivo è compiuto solo per migliorare la propria qualità di vita, reale o percepita, e quindi per allungare la propria speranza di vita. La Morte che io difendo è quella naturale. Quella definitiva. La fine della vita a cui nemmeno una resurrezione può porre rimedio, perché la creatura morta ha vissuto tutto il tempo che le era dato vivere. In caso contrario… c’è solo altro disordine" affermò con assoluta sicurezza, passando una mano sulle carte disposte sulla scrivania. "Resurrezioni che mi costringono a riaprire una partita chiusa. Spiriti inquieti che diventano non morti per cercare la pace o la vendetta. Un disastro. Un pasticcio. La vita cerca sempre di riproporsi come un pasto non digerito. Io voglio il meno possibile di tutto ciò."
Il mago rifletté su quella visione del mondo completamente anti-intuitiva.
"State dicendo che servire la causa della Morte significa fare in modo che i vivi abbiano un'esistenza il più possibile lineare, pacifica e priva di pericoli?"
"La loro vita non è rilevante" la sentenza del dio arrivò granitica. "La tua idea di una società in cui lavorino solo gli zombie è una buona base per un possibile mondo in cui gli umani si possano elevare al di sopra dei loro bisogni primari. Ma che si tratti di una società illuminata, di una dittatura benevola, o di una prigione in cui ciascun umano vive in un cubicolo ed è impossibilitato a suicidarsi, non mi concerne minimamente. Qualunque metodo va bene purché porti a un ordine e ad avere umani che sopravvivono fino a morire di vecchiaia."
Per la prima volta nella sua vita, Oscar cominciò a comprendere come doveva apparire lui al suo prossimo. Trovarsi davanti una creatura così priva di pietà, che rifiutava con sdegno un qualsiasi orientamento morale, era… disturbante. Perfino uno come lui, un necropolitano che non sentiva molta affinità verso gli umani, era in grado di stabilire una preferenza personale fra una società illuminata e una prigione su scala mondiale.
Ma lui pensava in termini di secoli. Aveva senso per un non morto interessarsi all'evolversi di una società. Non ne aveva per un dio, per cui anche la vita di un intero mondo non era altro che uno scaffale di registri da archiviare.
Potrei cercare di essere un po' più gentile con gli umani. Ogni tanto, ecco. Si ripromise. Se riesco ad andarmene da qui.
"Io non credo che sarò in grado di realizzare un progetto così… ambizioso…" tentennò.
"Non te lo sto chiedendo. Una persona sola non può fare questo, ci sono troppe forze in campo, nel tuo mondo. Ci sono mortali che fanno gli interessi di altri dèi, o gli interessi della loro fazione arcana, e io non ho più il potere che avevo un tempo. A te… a quelli come voi" si corresse, includendo nel suo sguardo anche Yrga "si chiede di impedire che la non morte si intrometta e si mescoli con la vita. Non potete fermare gli umani dal divorarsi l’un l’altro, ma potete fare in modo che non vengano corrotti da forze esterne."
"E mi sarà consentito di continuare con i miei esperimenti?" Domandò Oscar, per ulteriore conferma.
"Su questo mi sono già espresso. Non sprecare il mio tempo."
Ah no, ma vedo che tu puoi pretendere il mio… pensò, ma si morse la lingua.
"Ho davvero una scelta se accettare o no?"
"Anche su questo mi sono già espresso. I senzienti hanno sempre una scelta: puoi accettare, o puoi morire."
Oscar si rese conto che il dio non era sarcastico. Nella sua ottica quella era davvero una scelta, perché poco prima aveva parlato della sua stessa morte - alla fine dei tempi - con totale indifferenza.
"Accetto" confermò subito.
A differenza del dio, lui vedeva ancora una differenza qualitativa fra essere e non essere.

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