At dawn they sleep ~ Light slips away di My Pride (/viewuser.php?uid=39068)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Love me like you love the sun ***
Capitolo 2: *** Until sun goes down ***
Capitolo 1 *** Love me like you love the sun ***
Love me like you love the sun
Titolo: Love me like you love the
sun
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 3114 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Jonathan Samuel Kent,
Damian Wayne
Rating: Arancione
Genere: Generale, Azione,
Light Angst
Avvertimenti: Vampire AU, What
if?, Hurt/Comfort, Slash
200 summer prompts: "Come hai
potuto?" || "Non lo fare!" || "Non lo sento più"
SUPER
SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Jon
aveva cercato di non pensarci ma, da quando lui e Damian si erano
conosciuti quasi sei mesi addietro, aveva sentito qualcosa di strano
nel giovane pettirosso.
Se non fosse sembrato inquietante, Jon avrebbe
potuto persino stilare una lista delle cose che risultavano bizzarre, a
partire dal fatto che non partecipasse mai agli eventi giornalieri
delle Wayne Enterprises nonostante fosse il giovane figlio di un ricco
miliardario eccentrico. Ogni volta che andava con sua madre a qualcuno
di quegli eventi per assistere ad una conferenza stampa o semplicemente
per “imparare il mestiere”, essendo il figlio di due grandi giornalisti
come Lois Lane e Clark Kent – inutile dire che a lui non piaceva
affatto come lavoro, e che dall’alto dei suoi quattordici anni avrebbe
preferito qualcos’altro –, Jon sperava di distrarsi un po’ col suo
amico, ma ogni non riusciva mai a vederlo in giro e finiva con
l’annoiarsi come non mai; alcune volte riusciva a scorgere qualcuno
degli altri fratelli, ma sparivano così in fretta che Jon non riusciva
a domandare loro nulla e anche le risposte di Bruce risultavano
piuttosto evasive. “Damian ha il corso di teatro”, “Damian deve
recuperare delle lezioni di violino”, “Oggi Damian non si sente bene”,
tutte scuse diverse che Bruce gli rifilava e, per quanto cercasse di
leggere la bugia nei suoi occhi, Jon non era mai in grado di guardare
oltre gli occhiali da sole che l’uomo indossava nemmeno con i suoi
poteri kryptoniani.
Suo padre gli aveva detto che Bruce Wayne era un
tipo particolare così come lo erano i suoi figli – non solo perché
erano tutti dei vigilanti – e che quindi non avrebbe dovuto prendersela
se Bruce sembrava evitarlo, ma Jon aveva cominciato a pensare che nella
famiglia Wayne ci fosse ben più di quanto il padre stesso volesse
ammettere, identità segrete o meno. Riusciva a vedere Damian solo di
notte e la maggior parte solo ed esclusivamente quando dovevano uscire
di pattuglia, giacché Damian aveva sempre ignorato i suoi inviti a casa
per roba come i “pigiama party” e cose del genere; una volta ogni tanto
riusciva a strappargli un’uscita al cinema o alla sala giochi per
divertirsi un po’, ma Damian non restava mai fino a tardi e si
volatilizzava letteralmente, dato che Jon non riusciva a focalizzarsi
su di lui nemmeno provandoci, quasi scomparisse del tutto dai radar.
Una volta aveva provato ad ascoltare il suo battito
cardiaco, lo ammetteva. Aveva imparato a riconoscerlo e lo aveva
memorizzato come un piccolo segreto da custodire, ma c’era stata una
notte, una strana notte, in cui il battito di Damian si era affievolito
e lui era andato nel panico, volando a Gotham come una scheggia
impazzita; era arrivato alla villa ad una velocità tale che per poco
non era stato fatto arrosto dalle difese perimetrali della proprietà,
accigliandosi quando il battito del cuore era tornato normale e Damian
l’aveva fulminato con lo sguardo al di là della finestra della sua
stanza. I suoi genitori gli avevano fatto una bella ramanzina e anche
Bruce non si era risparmiato dal ricordargli che se aveva degli allarmi
era per un buon motivo e che non gradiva quelle improvvisate, ma era
stato Damian a dirgli di non presentarsi mai più alla sua finestra
senza prima informarlo. Jon quel giorno si era sentito così imbarazzato
che non si era fatto vedere per un po’, ma alla fine era tornato tutto
alla normalità e ci avevano messo una pietra sopra. Almeno fino a
quella sera.
Aveva cercato di non pensarci, davvero. Eppure,
quando aveva sentito l’odore del sangue di Damian a chilometri di
distanza e quel cuore perdere un battito, era schizzato fuori dalla
finestra della sua stanza prima ancora di realizzare di averlo fatto.
L’arrivo a Gotham era stato pazzesco, i capelli scarmigliati gli si
erano incollati alla fronte e il mantello si era letteralmente
impigliato ovunque durante quel folle volo, ma ciò che aveva sconvolto
maggiormente Jon era stata la vista di Damian completamente ricoperto
di sangue; ad occhi sgranati, Jon lo aveva visto reclinare la testa
all’indietro e aveva notato quanto sporco fosse il suo viso, e alla
vista del cadavere ai suoi piedi una sola domanda si era affacciata
nella mente di Jon.
“Come hai potuto?!” gridavano i suoi occhi, ma si
rifiutava di credere che Damian, il suo migliore amico, il ragazzo che
in quei mesi aveva imparato a conoscere e che gli aveva mostrato quanto
fosse sensibile ed empatico… avesse ucciso un uomo. Conosceva il
passato di Damian, tutto ciò che aveva dovuto passare nella Lega degli
Assassini e non voleva credere che fosse tornato su quella strada, ma
l’uomo riverso a faccia in giù nello sporco di quel vicolo semibuio e
Damian immobile, con qualcosa stretto in una mano da cui colava ancora
del sangue e l’arma stretta nell’altro palmo… non lasciava molto spazio
a fraintendimenti, anche se Jon stava davvero tentando in tutti i modi
di non saltare a conclusioni affrettate nonostante la domanda che
sembrava pronta a fuggire dalle sue labbra schiuse.
«D… lo hai…»
«No». La voce di Damian era ferma, gorgogliante come
un ruscello, e lo interruppe prima ancora che potesse formulare qualche
parola. «È stato Croc. Io… sono arrivato tardi. Ho… ho cercato di
contenermi», sussurrò, e Jon lo vide stringere maggiormente la mano a
pugno, notando il sangue ricominciare a scorrere fra le dita.
«D… cosa intendi dire?»
Gli attimi di silenzio che susseguirono furono
carichi di elettricità, di qualcosa che Jon non aveva mai avvertito
prima di allora, e per un momento, un lungo e terrificante momento, gli
parve che il cuore di Damian avesse smesso di battere e Jon deglutì.
Non lo sentiva più. Era normale che non lo sentisse più? Gli era
capitato di sentirlo debole, ma mai di sentire il più completo silenzio
provenire dal petto di Damian. Infine l’amico sospirò, aprendo la mano
solo per lasciar cadere quello che aveva tutta l’aria di essere un
sacchetto di plastica, uno di quelli che venivano usati in ospedale per
le trasfusioni.
«Non volevo mi vedessi così». Damian non si voltò,
Jon lo vide semplicemente prendere una vecchia coperta stracciata
accanto ai cassonetti per abbassarsi e coprire il corpo di quell’uomo,
un poveraccio che nessuno avrebbe probabilmente reclamato, dato il modo
in cui era vestito. «Avrei preferito che le cose andassero
diversamente».
«D… mi stai spaventando», ammise Jon, e la risata
che proruppe dalle labbra di Damian parve risuonare stridente come
unghie su di un vetro rotto. Era come se fosse stato circondato da una
cappa di gelo che si era estesa fra loro, ma fu quando finalmente si
voltò che Jon trattenne il fiato.
Il sangue sulle guance e sulla bocca di Damian passò
in secondo piano, poiché gli occhi spalancati di Jon si soffermarono
sulle lunghe zanne che spuntavano dal labbro superiore; gli occhi di
Damian erano rossi, completamente lontani da quel bel verde che aveva
imparato a conoscere, e il modo in cui il naso fremeva, quasi fosse
ancora in totale frenesia a causa dell’odore del sangue che impregnava
ormai quel vicolo, lo faceva somigliare ad un grosso cane che fiutava
la sua preda. Il petto si alzava e si abbassava a ritmi irregolari e
Damian non aveva perso di vista Jon nemmeno per un istante, per quanto
quest’ultimo avesse deglutito e avesse allargato le palpebre,
incredulo. Non era certo di cosa stesse guardando o se la sua mente gli
stesse facendo degli strani scherzi, ma i comportamenti di Damian, le
sue sparizioni, il modo in cui spesso cercava di evitarlo e le risposte
evasive di Bruce… tutto aveva un senso, adesso. Tutti i pezzi
sembravano essere andati al loro posto, tutti quei segreti che non
includevano solo la vita da vigilante ma l’esistenza stessa di Damian.
Per quanto strano potesse sembrare, però, quello che
aveva davanti era pur sempre il suo migliore amico e Jon ne aveva viste
di cose strane nel corso della sua vita. Lui stesso non poteva
considerarsi umano, aveva incontrato altri alieni, esseri magici,
persone di altri mondi e animali parlanti… non sarebbe stato questo a
preoccuparlo; provò quindi ad avvicinarsi, a fare solo qualche piccolo
passo verso Damian, ma quest’ultimo parve soffiargli contro come un
grosso felino, rintanandosi nelle tenebre del vicolo.
«Non venirmi vicino!» gli urlò contro, e Jon si
fermò solo perché non aveva mai sentito quel tono provenire da lui.
Damian era sempre stato un po’ altezzoso e saccente, arrabbiato e
annoiato, ma stavolta sembrava terrorizzato e la sua voce era più alta
di un’ottava.
Jon sollevò le mani in segno di resa, gettando uno
sguardo al cadavere prima di tornare a fissare le ombre. Damian si era
mimetizzato alla perfezione, e persino con i suoi poteri era difficile
riuscire a distinguerlo senza strizzare un po’ gli occhi. «D… va tutto
bene», provò, ma Damian scosse la testa, Jon sentì il fruscio dei suoi
capelli mentre lo faceva.
«Non fingere che sia così». Stavolta la voce di
Damian era bassa, e se non avesse avuto il super udito probabilmente
Jon non lo avrebbe nemmeno sentito. «Sono lo stesso mostro che ha
vissuto per secoli alla Lega, quello che finiva i suoi avversari
assaporandone il sangue e nutrendosi dell’acqua di Lazzaro».
«L’hai morso?»
In un primo momento Damian parve non capire la
domanda, poiché Jon lo vide fare leggermente capolino dall’oscurità con
sguardo smarrito, le cornee e le iridi così rosse da brillare sotto la
luce del lampione a pochi metri. Di tanto in tanto in essi riusciva a
scorgere un bagliore di verde, quel verde così intenso da sembrare
illuminato dal sole, ma erano ancora ben lontani a tornare del loro
colore naturale.
«…no». Damian deglutì, umettandosi le labbra. «Una
parte di me mi diceva di dargli il colpo di grazia e di dissanguarlo,
l’altra mi urlava in continuazione “non lo fare!”... e io non sapevo
più chi o cosa ascoltare».
«E cosa hai fatto?»
Jon poneva una domanda dietro l’altra,
approfittandone anche per avvicinarsi poco a poco di qualche passo. Ma,
se Damian se n’era accorto, a quanto sembrava non gli importava
nemmeno. Si era spostato ancora un po’ dall’ombra per rendersi
parzialmente visibile, la schiena poggiata contro il muro sudicio di
quel vicolo e lo sguardo fisso sul corpo dell’uomo che lui stesso aveva
nascosto alla vista. Sembrava davvero sconvolto, e Jon si chiese quale
fosse realmente il motivo di quella sua espressione. Aveva chiuso la
bocca per celare le zanne alla vista ma, adesso che sapeva che c’erano,
la cosa era così strana che Jon non sapeva esattamente come
comportarsi.
«Aveva diverse ferite da taglio, molte delle quali
mortali. Avrei voluto portarlo in ospedale, ma… non sarei arrivato in
tempo. Perdeva troppo sangue». Al pensiero si leccò inconsciamente le
labbra, stringendo forte una mano a pugno per allontanare chissà quale
sensazione dalle sue membra. «Ho cercato di controllarmi e gli sono
rimasto accanto finché non è morto. Non… non aveva nessuno. Si chiamava
Frank».
Fisso com’era a guardare l’uomo sotto quella sudicia
coperta, Damian sussultò quando si rese conto che due esili braccia lo
avevano stretto intorno al busto; Jon si era avvicinato e lo aveva
abbracciato con tanta forza che non riuscì a divincolarsi, per quanto
avesse provato a muoversi e a spingerlo via. Era sporco di sangue, i
suoi occhi erano rossi e la voglia di nutrirsi non era del tutto
sparita nonostante la sacca di sangue che aveva prosciugato, e non
voleva che Jon, l’unica persona oltre la sua famiglia che in quei mesi
l’aveva trattato come una persona normale, potesse rischiare di
rimanere coinvolto a causa dei suoi istinti. Jon lo stringeva così
forte che Damian inspirò a fondo il suo odore, e sentì le zanne fremere
quando sfiorò la vena del collo, poggiandogi immediatamente le mani sul
petto.
«Lasciami e andiamocene, Superboy», disse subito per
spintonarlo lontano da sé senza problemi, ma Jon sbatté le palpebre -
era sempre stato così forte? - e gettò uno sguardo verso l'uomo riverso
per terra.
«E cosa ne facciamo di lui?»
«Ho allertato la GCPD. Saranno qui a momenti per
occuparsene». Damian indugiò per un istante, passandosi una mano fra i
capelli. «Non lo avrei lasciato qui», soggiunse in un soffio,
afferrando il rampino che aveva alla cintura proprio nello stesso
istante in cui Jon sentì le sirene della polizia in lontananza; si
voltò per un secondo e si rese conto che Damian era già sparito,
sollevando lo sguardo per vederlo saltare oltre il bordo di un tetto.
Jon spiccò il volo non appena una delle auto di
pattuglia parcheggiò proprio oltre il vicolo, cercando di stare al
passo di Damian che correva veloce di tetto in tetto; adesso che lo
guardava con occhi diversi, consapevole di che cosa fosse, i suoi
movimenti sembravano più veloci, più calcolati e scattanti, come se
Damian si fosse sempre contenuto fino a quel momento per non far
saltare la propria copertura. Come aveva fatto a non rendermi mai conto
di niente? Come aveva fatto a non notare il suo odore, il guizzo dei
suoi muscoli, i cambiamenti del suo corpo?
Adesso che non doveva nascondersi, Damian correva
nella notte con scatti felini e sembrava letteralmente volare, e Jon
quasi faticava a stargli dietro come aveva sempre fatto. «D, aspetta!»
esclamò, e il suo grido si perse nella notte circostante, rimbombando
fra i palazzi che stavano superando; Damian sembrava intenzionato a non
fermarsi, e Jon stava cominciando a chiedersi se non fosse per quanto
aveva appena scoperto o se semplicmente aveva paura di affrontare
l'argomento con lui. Entrambe le ipotesi sembravano in realtà
terrificanti, e Jon cercò di volare il più velocemente possibile per
raggiungerlo, andando quasi a sbattere contro di lui quando
improvvisamente si fermò.
«Dovresti andartene», affermò Damian. Sembrava
mortalmente serio, e non si voltò nemmeno quando Jon gli poggiò una
mano su una spalla.
«Non ho intenzione di farlo», replicò, stringendo un
po' la presa. «Sei un vampiro, e con questo? Io sono un mezzo alieno».
«Ho ucciso delle persone, J». Quella forse era la
cosa che gli faceva più male. Era vissuto con l'idea che tutto gli
fosse dovuto, che appartenendo al millenario clan degli Al Ghul la sua
sete di sangue fosse giustificata e che un giorno sarebbe diventato un
potente vampiro che avrebbe conquistato il mondo, ma suo padre,
nonostante l'orrore che aveva vissuto e la sua ciecità, gli aveva
mostrato che avrebbe potuto controllarsi senza cedere ai propri
istinti, per quanto difficile fosse. «Alla Lega era la prassi. Il
sangue non andava mai sprecato. Avrei dovuto bere il sangue di
quell'uomo come ogni vampiro che si rispetti, ma--»
«--ma non l’hai fatto», sentenziò Jon per lui. «Non
sei il mostro che credi di essere, D».
Damian tacque per un lungo istante, con le mani
chiuse a pugno; poi scosse il capo, rilassando finalmente le
spalle irrigidite fino a quel momento. «Vedi il buono anche dove non
dovrebbe esserci, J», sussurrò con quello che parve essere un vago tono
di rimprovero, ma Jon sorrise.
«Conosco il mio migliore amico. Anche se avresti
dovuto fidarti di me».
«C'erano... regole da seguire, cose di cui dover
tener conto».
«Me l'avresti detto?»
Raschiandosi il labbro inferiore, Damian parve
rifletterci per un momento, finché alla fine non si voltò verso di lui
per fissarlo dritto in viso con quegli occhi che erano tornati di quel
verde splendente che Jon conosceva bene. «A tempo debito», volle essere
sincero, e Jon annuì.
«Mi basta».
Rimasero a guardarsi per attimi che parvero
interminabili, l'uno specchiato negli occhi dell'altro e il cuore di
Damian che aveva ricominciato a battere possente nel petto; Jon sentiva
ancora l'odore del ferro che lo avvolgeva come una nuvola, il fluire
del sangue in tutto il suo corpo e poteva benissimo scorgere le zanne
che, luminose, sporgevano un po' dalle sue labbra, sembrando
stranamente invitanti. Non sepper perché, ma Jon si ritrovò a deglutire
e a domandarsi che sensazione avrebbe provato nel sentire quei denti,
quel corpo premere contro il suo, e probabilmente anche Damian ebbe lo
stesso pensiero, poiché fece un passo indietro quando il suo cuore
parve perdere un battito.
«Devo tornare alla caverna prima che faccia giorno»,
sentenziò subito, infrangendo la strana bolla che si era creata tra
loro; difatti Jon ci mise un po' a recepire ciò che aveva detto,
sbattendo le palpebre prima di tossicchiare.
«Vuoi... che ti accompagni?»
Damian soppesò quell'offerta, poi scosse il capo.
«La prossima volta», affermò, indietreggiando verso il bordo
dell'edificio sotto lo sguardo di Jon che, automanticamente, fece
qualche passo avanti come se fosse pronto a riacchiapparlo.
«Possiamo vederci domani?» chiese subito, e stavolta
Damian allargò il sorriso da un orecchio all'altro, mostrando i canini
senza vergogna alcuna.
«Solo perché adesso conosci il mio segreto, non
penserai che il tuo allenamento sia finito, vero?» Damian sorrise
maggiormente, in bilico sul bordo. «Lascia aperta la finestra della tua
stanza e il tuo consenso per farmi entrare, ragazzo di campagna»,
affermò, spalancando le braccia per gettarsi all'indietro nel vuoto
sotto lo sguardo sconcertato di Jon; quest'ultimo si lanciò
immediatamente verso il bordo dell'edificio per volare in basso, ma una
folata di vento lo costrinse a coprirsi gli occhi con entrambe le
braccia e ad indietreggiare di nuovo, sollevando lo sguardo verso il
cielo quando uno strano stridore gli giunse alle orecchie.
Incredulo, Jon spalancò la bocca nel vedere un
pipistrello schizzare verso l'alto e fermarsi giusto per un istante,
certo che lo stesse fissando con la stessa intensità con cui lo stava
fissando lui. «D...?» soffiò quell'unica lettera come se non ci
credesse, ma Damian - perché, sì, era palesemente il suo amico -
sbatté due volte le ali e si dileguò, lasciandosi alle spalle uno
scombussolato Superboy completamente immobile sul tetto.
Damian gli gettò solo un'ultima occhiata e sorrise
internamente, volando più veloce in direzione della villa, con la sua
figura minuta che si stagliava nel cielo notturno. Sapere di essere
stato accettato, di non aver allontanato il proprio amico a causa di
ciò che era e di non aver infranto nessun patto poiché Jon l'aveva
scoperto da solo, gli riempiva il cuore di gioia. Non aveva mai provato
nulla di simile nel centoquattordici anni che aveva vissuto, ed era
bizzarro che fosse riuscito a farlo proprio con un ragazzo che era
completamente l'opposto di lui.
La sua vita era sempre stata colma di tenebre, ma
Jon, con la sua gioia e vivacità, era riuscito a mostrargli il sole.
_Note inconcludenti dell'autrice
Scritta per l'iniziativa #200summerprompts
indetta dal gruppo Non solo
Sherlock - gruppo eventi multifandom
Dunque.
Come credo si sia capito, questa è una Vampire!AU in cui tutta la
Bat-Family è un clan di vampiri, non cambia altro. Tutti i personaggi
sono pressocché gli stessi, ma la famigliola di pipistrelli è
letteralmente composta da gente che si trasforma in pipistrelli e beve
sangue. Basically è solo una scusa per scrivere scemenze, e la DC
stessa ha tramutato alcuni personaggi in vampiri con la saga DC vs
Vampires (la qui presente storia non ha nulla a che vedere con la run
l'avevo già in testa prima ancora che uscisse)
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
Messaggio
No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Until sun goes down ***
Until sun goes down
Titolo: Until sun goes down
Autore: My Pride
Fandom: Batman
Tipologia: One-shot [ 2192 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Damian Wayne, Jonathan
Samuel Kent (Bat-Family menzionata)
Rating: Giallo
Genere: Generale, Azione,
Sovrannaturale
Avvertimenti: What if?, Slash,
Vampire!AU
May I write: 1. Bamboccio || 3.
"Non sapevo te ne intendessi" || 4. Sanguinare
SUPER
SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Intorno a lui c’era
così tanto rumore che aveva la sensazione che i suoi padiglioni
auricolari stessero per esplodere, e anche premere forte i palmi contro
le orecchie sembrava perfettamente inutile.
Damian voleva mettere a tacere quelle voci, cercare
di scacciarle mentre brusii e grida si accavallavano le une alle altre
senza sosta, ma tutto ciò che riusciva a fare era starsene rannicchiato
in un angolo completamente al buio, nascosto dal resto del mondo e
persino da se stesso. Aveva trovato riparo lì a Coventry prima che
sorgesse il sole, strisciando senza forze nella metropolitana ormai in
disuso da anni nel tentativo di riprendere fiato, ma aveva avvertito la
pressione della luce solare anche sotto strati e strati di calce e
cemento, con quelle voci che si facevano beffe di lui e gli ricordavano
la sua inesperienza, facendolo sentire come uno stupido bamboccio che
non conosceva il mondo.
Quanto tempo era passato? Ore? Non sarebbe potuto
tornare indietro fin quando non sarebbe calata la notte, ed era
piuttosto provato dalla pattuglia della sera precedente per sperare che
il suo riposo diurno stabilizzasse il suo corpo. I suoni del mondo
circostante ne erano una prova. In altri momenti sarebbe riuscito a
tenerli fuori e a insonorizzarli, ma in quel momento, privo di
nutrimento e ferito dalla battaglia, tutto ciò che poteva fare era solo
sopportare. Solitamente rientrava alla villa col resto della famiglia e
rimanevano chiusi nella caverna fino alla sera sotto ordine del padre,
che sfruttava le tarde ore diurne per essere Bruce Wayne. Essendo il
più anziano del clan con millenni alle sue spalle, riusciva a
sopportare molto più di tutti loro la luce del sole, per quanto non si
facesse mai vedere senza i suoi occhiali scuri per nascondere le iridi
innaturalmente azzurre, al punto da apparire bianche. Era cieco e si
affidava per lo più alla sua eco-localizzazione per spostarsi, ma
durante la notte era il combattente migliore della Justice League e
persino Superman, che teoricamente era un potente alieno che traeva i
suoi poteri dal sole stesso, a volte se ne teneva alla larga. Aveva
vissuto per secoli, visto il mondo cambiare sotto i suoi occhi finché
un cacciatore non gli aveva gettato dell’acqua santa in faccia e lo
aveva privato della vista, aveva continuato a prosperare e messo su il
proprio clan, diventando così potente da essere temuto da Ra’s Al Ghul
stesso, un vampiro che si vociferava avesse visto nascere persino il
mondo stesso. Suo padre era il vampiro più potente che conoscesse… e
Damian, in quel momento, invidiava tremendamente la sua capacità di
adattamento.
Respirare era diventato opprimente, e si accasciò
col capo contro il muro sudicio alle sue spalle, abbassando le
palpebre. Sentiva la gola secca e le labbra riarse, come se la sua
pelle fosse ormai incartapecorita, ed era certo che, se si fosse
sfilato uno dei guanti della sua uniforme, le sue dita sarebbero
apparse lunghe e scheletriche. Nessuno della famiglia avrebbe potuto
uscire per andare cercarlo – per quanto suo padre resistesse, girare
per la città avrebbe indebolito anche lui e sarebbero stati entrambi in
pericolo – e tutti loro erano ben lontani dall’essere rintracciabili
sui radar della Lega per ovvi motivi, quindi doveva solo cercare di
resistere. La sera sarebbe arrivata in fretta… doveva convincersi di
questo. Sapeva che Jason e Dick sarebbero stati i primi se solo
sarebbero potuti uscire ma, nonostante avessero sorpassato la soglia
dei trecento anni, erano ben lontani dal non diventare cenere a
distanza di poche ore dall’esposizione.
Damian trasse un lungo e doloroso respiro, cercando
almeno di strapparsi un lembo del mantello per fasciare la ferita
mentre le voci finalmente cominciavano a zittirsi. Il taglio sul suo
braccio faticava a rigenerarsi, e i suoi occhi erano troppo offuscati
per riuscire a vedere qualcosa; aveva sete, il suo corpo stava ormai
cercando di tenere attivo il suo cuore fittizio con la poca forza
vitale che ancora possedeva, e le sue sinapsi sembravano completamente
scollegate dalla sua corteccia cerebrale, cosa che gli impediva di
restare vigile, concentrato e soprattutto razionale. Era quasi ironico
pensare che, dopo essere sopravvissuto per più di centodieci anni nella
Lega degli Assassini, aver bevuto l’acqua di Lazzaro al posto del
sangue ed aver passato i successivi sette anni alla Corte di suo padre…
avrebbe probabilmente trovato la propria fine in una sudicia
metropolitana di Gotham. Che orribile scherzo del destino.
I suoi riflessi indeboliti ci misero troppo tempo
per accorgersi dei passi che risuonarono nella metropolitana, e Damian
sollevò debolmente le palpebre per cercare di mettere a fuoco la figura
che si stava avvicinando. Blu e rosso danzavano davanti ai suoi occhi
stanchi, come un lampo che sembrava conficcarsi nel suo cervello, e con
le poche forze rimaste si ritrasse e snudò le zanne, sibilando verso
quella sagoma che, sussultando, parve sollevare entrambe le braccia
verso l’alto.
«D, calmati… sono io».
La voce di Jon lo colse impreparato, e Damian
annaspò. Tra tutte le persone che si era aspettato – persino qualche
assassino umano che svolgeva i compiti diurni della Lega, lo ammetteva
–, il figlio di Superman era proprio l’ultimo a cui aveva pensato. Lui
e Jon erano diventati amici dopo un avvicinamento piuttosto burrascoso
– Damian aveva provato ad ucciderlo perché lo riteneva una minaccia,
cosa che suonava piuttosto ironica –, ma solitamente i kryptoniani come
lui cercavano di tenersi il più lontano possibile dal terreno del clan.
Non perché fossero in pessimi rapporti, ma l’aria e lo smog di Gotham
sembravano appesantire la luce solare e renderla quasi dolorosa persino
per esseri che in realtà se ne cibavano.
«Come… come hai fatto a trovarmi?» chiese Damian in
un fil di voce, tossendo quella che ebbe tutta l’aria di essere polvere
prima che un liquido nero sgorgasse dalle sue labbra, macchiando il
mento e il collo nel colare verso il basso. Si era anche rannicchiato
di nuovo nella penombra, quasi non volesse farsi vedere in quella
condizioni. Si sentiva stanco, sfatto, lontano dal ragazzo grande e
grosso che incuteva timore ai propri avversari.
«Il tuo cuore», replicò Jon, e gli occhi di Damian
si ingigantirono per la confusione.
«Cosa?» chiese, cercando conferma su quanto aveva
appena sentito. Stava cominciando ad immaginare le cose? Era arrivato
al punto in cui non riusciva più a distinguere la realtà dalla
finzione? Per quanto ne sapeva, Jon non era nemmeno lì.
La sagoma di Jon, però, si avvicinò ancora, inginocchiandosi davanti a
lui nonostante gli avesse mostrato nuovamente le zanne in un gesto
inconscio, soffiando. «D… calmati. Va tutto bene». La sua voce era
calda, una carezza sulla pelle che non sembrava infastidirlo. «Voglio
aiutarti, non ti farò del male. Bruce ha mandato un segnale di soccorso
dicendo che l’edificio di Maschera Nera era esploso e che tu eri
disperso… la Lega ti stava cercando. Ho sentito il tuo battito e sono
volato subito qui».
Damian scosse la testa, cercando di scacciarlo. Era
tutto un delirio del suo cervello, niente di ciò che stava dicendo quel
finto Jon poteva essere in qualche modo vero. «È impossibile». Sputò
ancora un po’ di quel liquido nero, chiudendo gli occhi. «Il mio cuore
non batte».
«Non sapevo te ne intendessi più di me». Il tono di
Jon era impassibile, eppure suonava anche dolce e comprensivo, e Damian
trattenne il fiato nel sentire la mano di Jon poggiarsi sul suo petto.
Poteva avvertire la gabbia toracica premere contro quelle dita, la
divisa ormai floscia contro le ossa sporgenti. «Il tuo battito è
debole, ma costante. È… un suono leggero, come lo sbattere delle ali di
un pettirosso. Anche se ho letto parecchie dicerie su voi vampiri, in
realtà tutti voi avete un battito. Ma il tuo si sta indebolendo…»
Nonostante le poche forze, Damian lo spinse via
quanto possibile e premette la schiena contro il muro, quasi sperasse
che lo risucchiasse e lo facesse sparire. «Mi sto consumando. Non…
posso uscire, non ho con me le mie sacche di sangue, non…»
«Mordi me».
Damian spalancò le palpebre, fissando il volto di
Jon con gli occhi letteralmente fuori dalle orbite. Quelle parole erano
davvero uscite dalle sue labbra? «Non posso», soffiò, e per la prima
volta gli parve davvero di sentire la paura in tutte le sue membra.
Come poteva anche solo chiedergli una cosa del genere? Ma Jon sembrava
serio, tanto che si era aperto la zip della felpa e Damian deglutì alla
vista della vena pulsante della carotide. Sembrava così invitante, così
deliziosa, così… «No!- esclamò Damian in preda al panico, cercando di
strisciare via da lui con le poche forze che aveva. «Potrei
dissanguarti, io… potrei non controllarmi». Distolse lo sguardo da quel
collo candido, quel collo dalla pelle dura come l’acciaio che sotto le
sue dita sarebbe stata come semplice burro, sentendo le sue zanne
fremere. «Vattene. Resisterò».
A parole sembrava facile, ma sentiva che non avrebbe
resistito ancora a lungo; trasformarsi in pipistrello avrebbe aiutato a
diminuire il consumo di energia e lo avrebbe fatto resistere, ma non
riusciva a concentrarsi e a focalizzarsi su quella forma minuta. Il suo
corpo era arrivato al limite… e se ne rese conto anche Jon, poiché gli
afferrò un polso e Damian temette che potesse spezzarsi nonostante non
avesse messo nessuna pressione in quel tocco.
«Sta’ zitto e mordimi, D. Non ti lascerò morire qui
sotto». Nel vedere lo sguardo spiritato di Damian, quegli occhi
completamente rossi e iniettati di sangue, Jon provò a sorridergli
rassicurante e gli offrì nuovamente il collo, voltando il capo di lato.
«Ho fiducia in te. Fallo».
Gli attimi che si susseguirono furono i più lunghi
che Jon avesse mai passato. Il cuore di Damian, per quanto debole,
sembrava suonare come un tamburo nelle sue orecchie e sovrastava i
rumori e le voci al di fuori di quella metropolitana, persino il suo
continuo deglutire era così forte da risultare soffocante. Non era
affatto spaventato da ciò che stava per accadere… lo era piuttosto al
pensiero che il suono che stava cominciando ad ascolare in quel momento
erano le ossa di Damian che si consumavano attimo dopo attimo.
«Fallo, D», lo spronò ancora Jon, abbassando le
palpebre per carezzarsi il collo e sporgersi ancora. Sentì Damian
trattenere il fiato, i suoi movimenti impercettibili, poi il suo
respiro gli sfiorò il collo, un alito gelido che lo fece rabbrividire
un po’ prima che la lingua guizzasse fra quelle labbra sottili e aride.
Fu a quel punto che il mondo parve fermarsi. Damian
sentì le zanne palpitare nella sua bocca e, seppur avesse cercato di
resistere, le affondò senza ripensamenti nel collo di Jon, roteando gli
occhi all’indietro nel bearsi del gemito che scappò dalle labbra del
suo migliore amico; sentì quella pelle cedere sotto i suoi denti
affilati, si fece spazio in essa e inspirò a fondo l’odore ferruginoso
del sangue che sgorgò a fiotti da quei due fori perfetti, con i brividi
che serpeggiavano lungo la colonna vertebrale che sporgeva attraverso i
vestiti. Cominciò a succhiare, ingoiando quanto più sangue possibile
mentre avvolgeva un braccio intorno ai fianchi di Jon, sentendo la
forza tornare nelle sue membra e rinvigorire i muscoli; avvertiva il
sapore sulla lingua e nel palato, era così intenso da fargli venire il
capogiro e ne avrebbe voluto ancora e ancora, sempre di più, sentendo
nello stomaco il desiderio di continuare a succhiare senza sosta fino a
quando quel corpo che stringeva non fosse stato prosciugato anche dalla
più piccola goccia di sangue.
Damian aveva spalancato gli occhi e sentiva la
potenza di quel sangue scorrere come un fiume impetuoso dentro di lui,
ma fu il gemito doloroso che gli giunse alle orecchie che lo fermò,
sfilando le zanne da quel morbido collo così in fretta che il suono
osceno che ne susseguì e l’odore del sangue quasi lo fecero vomitare.
Aveva davvero desiderato prosciugare Jon al punto di vista da ridurlo
in fin di vita? Dio, era un mostro. Quei fori non smettevano di
sanguinare e si sentì male, ma l’unica cosa che fece Jon fu portarsi
una mano al collo per coprirlo col palmo della mano e voltarsi verso di
lui con un sorriso stanco ma soddisfatto.
«Stai meglio».
Quella di Jon non fu affatto una domanda, e Damian
si rese conto del perché solo quando si accorse che la sua uniforme,
per quanto completamente imbrattata, era tornata a calzargli aderente
contro la pelle, le sue labbra non erano più secche ma rosse di sangue
e gonfie, e persino i suoi capelli sembravano aver riacquistato un po’
di vigore. Era diverso dal sangue sintetico che beveva o dalla frutta
che solitamente rosicchiava: era caldo, vischioso, un sapore che gli
inebriava i sensi e che lo gettava in una sorta di oblio, ma fu nel
leccarsi le labbra per assaporare ancora quel sangue che si rese
davvero conto di quanto aveva fatto, e non riuscì a guardare negli
occhi il suo migliore amico per quelli che parvero minuti
interminabili.
Damian non lo disse, ma il “Grazie” che aleggiò fra
loro li accompagnò per tutto il tempo e Jon rimase al suo fianco fino
al calar della notte.
_Note inconcludenti dell'autrice
Scritta per l'iniziativa #MayIWrite
indetta dal gruppo Non solo
Sherlock - gruppo eventi multifandom
Sono assolutamente consapevole che sia raticamente passata una vita da
quando ho scritto questa storia (il may I write c'è stato a maggio e
noi siamo a, beh, novembre. Meglio tardi che mai insomma, eh?)
In realtà questa è stata la prima storia che ho scritto della saga,
anche se le sto postando in ordine (almeno per il momento, perché so
che finirò per fare i miei soliti casini), e qui vediamo non solo che
Jon conosce ovviamente il segreto di Damian, ma è anche stato in grado
di trovarlo sentendo addirittura il suo cuore. Gli vuole così bene che
è riuscito a fare qualcosa che in circostanze normali non sarebbe
riuscito a fare
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
Messaggio
No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=4038785
|