La Spada Fiammeggiante - Spin Off Trilogia della Luna di Mary P_Stark (/viewuser.php?uid=86981)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Cap.1
Leggenda narra che, alla fine di ogni cosa, quando l’Universo stesso volgerà al termine e ogni vita, mortale o immortale che sia, verrà sfiorata dal bacio della Nera Tessitrice, il Ragnarök investirà i Nove Regni.
Devastazione, angoscia e caos avvolgeranno ogni cosa, ogni luogo, ogni anfratto oscuro o luminosa terra promessa.
I Regni di Jötunheimr, Muspellheimr e Niflheimr condurranno nel reame di Hel schiere di cadaveri, invano combattuti da Odino e i suoi figli mentre le genti degli altri Reami verranno circonfuse da paura e terrore.
Fenrir, Hati e Sköll porteranno vendetta dopo i torti subiti, mentre il Sole e la Luna – governati da Sól e Mani – cadranno per sempre, gettando nell’oscurità perpetua i Mondi.
Questo, almeno in teoria.
E tra molti, moltissimi millenni.
Nel Regno di Muspell, come in altri reami dell’Universo, vi erano ben poche persone impegnate a pensare a simili scenari apocalittici.
Di certo, chi non aveva neppure un cruccio per la testa, era il giovane Sthiggar Glenrson, della dinastia di Sól e figlio del Grande Sacerdote della Fiamma, il sommo Snorri.
Mille e più erano state le punizioni che, nel corso dei decenni, i suoi precettori – financo il re! – gli avevano comminato per raffreddare i suoi bollori adolescenziali, ma nulla era parso valere allo scopo.
La sua immensa curiosità, unita all’impavido coraggio e alla sfrontata mancanza di paura, lo avevano reso noto ai più come la peggior calamità vivente dopo gli aesir1.
Essere un ragazzino dall’animo solare e allegro - oltre che orfano di madre - lo aveva salvato dalle punizioni più terribili ma era chiaro a tutti che, prima o poi, Sthiggar avrebbe fatto il passo più lungo della gamba, cacciandosi in guai seri.
Quando questo fosse successo, neppure suo padre Snorri avrebbe potuto salvarlo dal pesante maglio della penitenza. Un'altra cosa di cui tutti erano più che sicuri.
***
Forse, dopotutto, tentare di penetrare nel tempio delle Sacerdotesse Vergini di Sól – un termine davvero ambiguo, visto ciò che si accingeva a fare –, poteva rivelarsi per lui un compito davvero troppo complesso.
D’altra parte, non poteva tornare con la coda tra le gambe dai suoi amici, Bhirger e Gottfrid, millantando fantomatici e insormontabili ostacoli.
A dire la sacrosanta verità, l’unico vero ostacolo a frapporsi fra lui e le stanze delle bellissime sacerdotesse era l’immagine della sua ava che, con sguardo ammonitore, scrutava chiunque da ogni angolo del tempio in cui ci si trovasse.
L’ingegnere che aveva ideato il progetto di quel luogo così sacro e virginale si era rivelato davvero geniale, almeno a suo avviso. Apporre l’immagine di Sól su ogni parete, angolo, colonna o arco di quell’enorme, stramaledettissimo tempio, poteva davvero intimidire anche il più folle tra gli uomini.
Persino lui, entro certi limiti.
Dopotutto, voleva bene a quella stupenda, meravigliosa creatura che aveva dato inizio alla sua stirpe, pur se non aveva mai avuto l’onore – e l’onere – di conoscerla in prima persona.
Per volere degli dèi, adirati con Sól per aver concesso la sua verginità a un mortale, la dea aveva abbandonato l’amato compagno Glenr e non aveva più potuto mettere piede su nessuno dei Nove Regni.
Le divinità, irritate al pensiero che una dea sua pari – votata alla verginità – potesse aver ceduto il proprio cuore a un essere ritenuto indegno, l’avevano punita relegandola nel cielo. Alla guida del carro dell’astro del mattino, Sól aveva quindi preso su di sé quell’incombenza, guardando da lontano la sua dinastia senza avere con alcuno il seppur minimo rapporto.
Così facendo, e sacrificando se stessa per il marito e i figli, Sól aveva potuto salvare la sua stirpe, ma era stata costretta a osservarli – e amarli – da lontano, sempre divisi, mai veramente insieme.
Per questo, l’idea di penetrare – ma non esisteva un termine meno ambiguo? – nel suo tempio gli costava così tanta fatica. Amarla era una delle cose che gli venivano spontanee, perciò fare qualcosa contro di Lei gli pesava molto sull'animo.
Purtroppo per tutti, però, il pensiero di perdere una scommessa gli rimordeva ancor di più la coscienza.
Fu per questo che, in barba a qualsiasi divieto, scavalcò la recinzione, sgattaiolò all’interno del cerchio di colonne che delimitavano il pronao dopodiché, con un ghigno beffardo dipinto sul bel volto, si avviò verso il compimento del suo misfatto.
O almeno, i suoi piani avrebbero dovuto essere questi.
Quando i suoi calzari di cuoio sfiorarono la superficie liscia e iridescente del quarzo citrino con cui era costruito il pavimento del tempio, tre lance sciabordarono l’aere profumato e si puntarono contro il suo collo robusto, bloccandolo.
Immediatamente, fiammelle spontanee presero ad ardere negli incensieri appesi alle pareti di ossidiana, e gli occhi scarlatti di tre guerriere in armatura scagliarono strali contro l’invasore.
Perfettamente immobile di fronte alle Fiamme Nere – nobili guerriere che proteggevano, tra le altre cose, le Sacerdotesse di Sól, oltre a essere al servizio diretto del re – Sthiggar deglutì a fatica e si lasciò andare a un mezzo sorriso, mormorando: “Signore, ...buonasera.”
Una delle lance si avvicinò ulteriormente, segnandogli le carni all’altezza del pomo d’Adamo e una singola, brillante stilla di sangue macchiò il metallo prezioso dell’arma.
Sthiggar, però, non diede adito di aver patito alcun dolore, all’atto del ferimento e, nel sollevare lentamente le mani in segno di resa, disse con minore ironia: “Non avevo intenti irriguardosi. Era una semplice scommessa. Il furto di una tunica, tutto qui.”
“E ti pare poco?” replicò la guerriera che lo aveva ferito, sollevando finalmente l’elmo che ne nascondeva il volto e mostrando così la sua identità.
Accigliandosi non appena scoprì l’identità della guerriera, Sthiggar sbuffò sonoramente e replicò: “Da te non me l’aspettavo, cugina. Davvero pensi che farei del male alle fanciulle che si trovano qui? Io amo le donne, non le circuisco di sicuro. Non ne ho bisogno.”
Reclinando con un movimento armonioso la sua lancia – e dando così il la alle due compagne per fare lo stesso – Hildur ribatté gelida: “Il figlio di un Sacerdote non dovrebbe prendere alla leggera le leggi dei templi a noi sacri, a maggior ragione trattandosi del tempio di una tua ava. Quanto al resto, sei talmente giovane che dovrei punire le donne che ti hanno avuto nel letto, piuttosto che il contrario. Il solo pensiero mi infastidisce più di quanto non ammetterò mai.”
Scrollando leggermente le spalle e piantando con aria irriverente le mani sui fianchi, il giovane muspell si limitò a dire: “La fai più grande di quanto non sia, cugina. Chiederò scusa a tutte voi e me ne andrò, visto che non vi è stato alcun danno. Quanto alle donne di cui parli, alcune sono tue colleghe, perciò andrei piano a parlare di punizioni.”
Nel dirlo, ghignò malizioso e Hildur, nel tentare di mantenere la calma, preferì soprassedere su quest’ultima affermazione per concentrarsi sul problema di quel momento, e cioè le intemperanze del cugino.
“Lasceremo giudicare a Sua Maestà Surtr che punizione dovrai ricevere. Ancora una volta” sentenziò a quel punto lei, portando il cugino a sgranare gli occhi color lapislazzulo.
Sbattendo le palpebre con espressione a metà tra lo sconvolto e il timoroso, Sthiggar esalò meno baldanzoso: “Sei pazza, a voler disturbare il re per una simile scemenza?”
Le colleghe di Hildur parvero dello stesso avviso, almeno a giudicare dai loro sguardi dubbiosi ma si guardarono bene dal replicare alle parole del loro superiore.
“Sei tu a pensare che lo sia, Sthiggar, ma non certo io. Mio compito è difendere queste ragazze dalle mire degli idioti come te, o dai codardi che pensano di sottrarre dall’occhio di Sól le sue magiche armi, perciò capirai bene perché io sia costretta a fargli rapporto.”
Nel dirlo, la guerriera scosse il capo con espressione spiacente e aggiunse: “Lo zio ti ha ripetuto per anni di mettere la testa a posto, ma tu non hai mai voluto ascoltarlo. Pensi che mi diverta l’idea di essere proprio io quella che ti porterà da Surtr? Credimi, non mi piace per niente.”
“Bene. Non piace neanche a me, quindi chiudi un occhio e lasciami andare” ritentò Sthiggar, muovendo un passo verso la cugina per sfiorarle la spalla.
Lei, però, lo scansò, tornò a sfiorare il bel viso del cugino con i penetranti occhi color rubino e sibilò: “Non tentare di blandirmi, Sthigg. La nostra parentela non può e non deve rendermi cieca di fronte alla tua infrazione delle regole, perciò verrai condotto dal re senza opporre alcuna resistenza.”
“Mi deludi davvero, Hildur” replicò Sthiggar, accigliandosi a quelle ultime parole.
“Potrei dire lo stesso di te” sospirò a quel punto la donna, accennando un assenso alle sue compagne.
Queste ultime lo bloccarono ai polsi con i Lacci di Fenrir, manette così chiamate perché create dai nani di Svartallfheimr con lo stesso materiale con cui il famoso figlio di Loki era stato imprigionato con l’inganno.
Leggere quanto resistenti, le manette di impalpabile tessuto color carbone si avvolsero come spire attorno ai polsi di Sthiggar che, immediatamente, ne percepì il potere subdolo e dolente.
Non solo era impossibile per chiunque spezzarle, ma quelle mefistofeliche trappole depredavano altresì qualsiasi energia di colui – o colei – che veniva da esse ghermito.
La pelle bronzea e rilucente di Sthiggar perse immediatamente fulgore, al tocco di quelle manette e, nel rendersene conto, il giovane mormorò orripilato: “Che schifo! Sembro un misero umano!”
“Un misero umano, come tu definisci gli abitanti di Midghardr, non avrebbe di che preoccuparsi di gleipnir. Non gli farebbe alcun effetto” replicò Hildur, sospingendo verso l’esterno il cugino. “Forse dopotutto, se lo fossi stato, saresti riuscito nei tuoi intenti, perché non avremmo percepito la tua aura.”
Sthiggar borbottò un’imprecazione tra i denti, ben comprendendo ciò che intendeva dire la cugina.
In quanto figlio di stirpe divina – essendo uno dei pochi nipoti di Sól – il suo potere era particolarmente forte e la sua aura, o chioma, era localizzabile anche in fase quiescente.
“Ora basta, comunque. Subirai il giudizio del re, e io prego soltanto che stavolta tu possa comprendere i tuoi errori” tagliò corto Hildur, sospingendolo lontano dal Tempio di Sól.
***
Re Surtr, signore incontrastato di Muspellheimr, padrone della Fiamma Viva, Gran Generale delle schiere dei Giganti di Fuoco e almeno un'altra mezza dozzina di titoli – che il Gran Ciambellano ripeteva ampolloso a ogni visita di altisonanti ospiti – viveva nello splendido Palazzo Reale di Hindarall.
Fiero e imponente maniero costruito tra i monti che sovrastavano l’imponente capitale di Muspellheimr e del Continente Boreale, il Palazzo Reale poteva vantare una linea sontuosa, slanciata e dai molteplici stili.
Era infatti stato costruito e ampliato nel corso dei millenni, regalandogli così una livrea unica e non eguagliabile ad alcun’altra reggia nei Nove Regni.
Bracieri di ogni origine e forma illuminavano gli ampi locali di cui era composto l'immenso palazzo, mentre pietre tra le più preziose dei Nove Regni riflettevano la luce altalenante dei fuochi, creando giochi di colore sempre differenti alle pareti.
Diamanti della grandezza di un pugno d'uomo si intervallavano a infinite distese di rubini dalle forme eleganti, intessendo arabeschi sulle pareti e sulle volte a botte dei saloni.
Smeraldi impreziositi da sontuose montature in oro erano abbinati a opali dalle mille e variegate tinte arcobaleno, e ogni pietra era incastonata ad arte per ricreare i blasoni delle più importanti famiglie nobiliari del pianeta.
Per completare in bellezza quell'orgia di colori e ricchezze, il sommo sovrano Surtr aveva voluto per sé un enorme quanto barocco trono in marmo di Carrara, giunto direttamente da Midghardr. Checché ne pensassero i suoi scalpellini reali, l'artigianato umano era degno di nota, e in particolare quello italiano.
Avere degli ottimi contatti su Midghardr serviva anche a quello, oltre a farsi inviare dei preziosi manufatti in vetro di Murano, o dei magnifici broccati di seta cinese per la sua dolce - e modaiola - signora.
L'unico difetto del Palazzo Reale della Corona Muspell era, a ben vedere, anche il suo più grande pregio; l'ampiezza. Sovente, le persone ivi accolte si perdevano.
Non era insolito che zelanti servitori dovessero passare anche intere giornate per recuperare non tanto zelanti ospiti che, tra una bevuta di troppo o una scappatella in più rispetto al consentito, finivano con il trovarsi ben lontani dalle proprie stanze.
Quando non venivano visti alla tavola del grande sovrano, o non si presentavano a qualche appuntamento ufficiale, i più veloci e intraprendenti tra i Cercatori - come ormai venivano chiamati i servitori di Surtr inviati in queste fantomatiche Cerche - erano invitati a procedere al recupero dei malcapitati.
A volte, Surtr aveva anche pensato di trasferirsi in un palazzo meno sontuoso e, soprattutto, meno vasto ma, alla fine, avevano sempre vinto la vanità e l'affetto per quel mastodontico, esagerato agglomerato di cristalli, quarzi e pietre preziose.
"Caro, ...dove sta divagando la tua mente iperattiva? Sembra quasi che dalle tue orecchie esca del fumo" ironizzò la sua signora, servendosi un acino d'uva prima di pizzicargli un bicipite con aria birichina.
Surtr le sorrise ghignante, sapendo bene che sì, le sue orecchie stavano effettivamente fumando ma, essendo lui il capo dei Giganti di Fuoco, era anche un tantino normale, no?
A ogni buon conto, poggiò la guancia sbarbata di fresco contro il pugno sollevato e replicò: "Stavo in effetti ripensando all'ultima volta in cui Guntrudd si perse nell'ala ovest del palazzo. Ricordi quanto tempo impiegò, il povero Mithrag, per ritrovarlo? Alla fine, dovemmo ricoverarli entrambi per mancanza di forze!"
Il solo ripensare a quell'epica Cerca lo fece scoppiare in una grassa, sgraziata risata a cui si unì, più modestamente, la moglie. Moglie che, ammiccando con i profondi occhi color amaranto e sormontati da lunghe ciglia brune, mormorò: "Credo che il nostro caro cugino non venga più da noi proprio perché ha il terrore di perdersi. Ma forse, se lo facessimo accompagnare dalla bella Sildahir, non si perderebbe più."
"Per carità divina!" esclamò Surtr, protestando con un gran tramestio di pugni sui braccioli del trono. "Non pensarlo neppure! Non farei mai perdere del tempo in questo modo a quella cara ragazza! Dovrebbe passare metà della giornata a tenere lontane le mani di mio cugino, e l'altra metà a tenere d'occhio i suoi passi."
Picchiettandosi l'unghia laccata sul mento a punta, Ilya ammise quel piccolo inconveniente e, con un sospiro, soggiunse: "Beh, allora potremmo affiancargli Johr, o Friggher."
"Stesso problema... ma, in questo caso, scateneremmo una rissa" sospirò Surtr. "Mio cugino è un gran simpaticone, ma ha lo stesso autocontrollo di un margrario reale."
"Oh, dèi!" esalò Ilya, scoppiando in una risatina maliziosa.
Era infatti noto a qualsiasi abitante di Muspellheimr quanto, i margrari reali - piccoli roditori dalla pelliccia dorata - fossero famosi per la loro attitudine alla riproduzione e alla copulazione frequente.
"Dovrò dotarlo di un sonaglio, caso mai decidesse di tornare... oppure lo affiancheremo a un soldato così arcigno e impietoso che neppure a lui verrà voglia di infastidirlo con le sue avances."
Nel dirlo, Surtr ghignò soddisfatto, divertito dal suo stesso piano, piano che però non ebbe il tempo di mettere pienamente a punto perché il possente portone che li divideva dal salone reale venne battuto con grazia.
Due rintocchi del bastone del cerimoniere. A quanto pareva, c'erano dei guai alla porta, e il Gran Ciambellano desiderava metterlo al corrente della cosa.
Scusandosi con Ilya, Surtr acconsentì a che la porta venisse aperta e, sull'entrata della loro saletta privata - ove la coppia era solita pranzare e cenare in solitudine, se era loro piacere - il giovane paggio di nome Synian si inchinò per poi dire: "Sommo Surtr, Somma Ilya, chiedo perdono per il disturbo, ma le Fiamme Nere sono a palazzo e domandano udienza alle loro maestà."
Levando un bruno sopracciglio, Surtr si levò dal suo trono - ne aveva fatto fare uno più piccolo su cui accomodarsi nella saletta privata, tanto gli piaceva lo stile dell'originale - ed esalò: "Le... Fiamme Nere? Che diavolo è successo?"
"Un caso di insubordinazione, a quanto pare" sospirò il paggio, scuotendo poi il capo con fare leggermente esasperato.
Accigliandosi maggiormente, Surtr allungò una mano alla sua consorte perché lo accompagnasse nel Salone delle Udienze e, nell'avvicinarsi a Synian, lo scrutò incuriosito e chiosò: "C'è una sola persona di nostra conoscenza che riesce a farti perdere le staffe, ragazzo. Non dirmi che è lui."
"Ebbene sì, mio re. So che dovrei rimanere impassibile, ma... ma lui è così... così..." tentennò il paggio prima di inchinarsi nel lasciarli passare e terminare di dire: "...insomma, non riesco proprio a capire cosa gli passi per la testa."
"Credo che neppure Madre lo sappia" celiò Surtr, avviandosi a grandi passi assieme alla consorte che, a quanto pareva, stava sfoggiando un nuovo paio di sandali di provenienza elfica.
Sorridendo a Ilya - che pareva assai soddisfatta dell'assoluto silenzio prodotto dal suo passo lungo e slanciato - Surtr chiosò: "Dovrò mettere un sonaglio anche a te, ora. Quei calzari in seta di ragno provenienti da Elfheimr sono silenziosissimi."
"Oooh, non sono adorabili? Me li ha mandati Titania, dicendomi che sono l'ultima invenzione del suo Mastro Calzaturiere, e devo dire che sono magnificamente comode!" sorrise tutta contenta Ilya. "Mi mancano, ovviamente, le mie décolté francesi, ma i tacchi fanno effettivamente troppo baccano, lungo i corridoi. Troppa eco."
"Le indosserai solo per me, se lo vorrai" le propose allora lui, trovando che le scarpe che le aveva fatto arrivare da Midghard le slanciassero in modo sensualissimo le gambe.
"Ma certo" mormorò allora Ilya prima di sorridere comprensiva a un imbarazzato Synian.
Non era insolito che i sovrani tubassero anche in presenza del personale o di estranei, e Synian era al loro servizio solo da un anno, perciò Ilya si sentiva sempre un po' in colpa, quando lo metteva in imbarazzo.
Ma flirtare con suo marito la metteva sempre così di buon umore che, beh... era difficile rinunciare a un simile piacere!
Dovette comunque lasciar perdere il suo sorriso malizioso, quando mise piede nella Sala delle Udienze e, a dirla tutta, neppure le venne voglia di sorridere quando, per la settemilionesima volta, vide il volto ineffabile di Sthiggar in attesa del loro arrivo.
Le tre Fiamme Sacre che lo tenevano al laccio erano in evidente stato alterato, segno che il loro prigioniero aveva fatto loro perdere la pazienza ben prima dell'arrivo a palazzo. Cosa non insolita, quando si aveva a che fare con Sthiggar.
Gli dèi soli sapevano - forse - cosa ronzasse in quella bella testolina affascinante, ma di sicuro non certo loro.
Di una sola cosa erano certi, e che sarebbe stata comminata l'ennesima punizione al figlio del Gran Sacerdote.
Surtr non arrivò neppure a mettere piede sul primo scalino che conduceva al Podio Reale. Si fermò dinanzi al quartetto, piantò a sorpresa un pugno sul grugno di Sthiggar - che emise un gracidio di dolore in risposta - e ringhiò furente: "Che cosa #### hai combinato, stavolta?!"
(La parola pronunciata da re Surtr era così antica, oltre che così terribile e volgare, da non avere una trasposizione nella lingua moderna. Di sicuro, comunque, fece impallidire le tre Fiamme Nere.)
"Come ho tentato di spiegare alle tue valenti guerriere, Sommo Surtr, si è trattato di un fraintendimento. Uno stupido scherzo... peraltro, neppure portato a termine, visto che queste ingegnose paladine della giustizia mi hanno fermato prima di arrivare a destino, e..." cominciò col dire Sthiggar, sorridendo affascinante al possente sovrano, venendo però azzittito da un altro pugno sul grugno.
"Dèi! Se hai parlato così fino a palazzo, mi sorprende che non ti abbiano ancora ammazzato, ragazzo! Sei peggio di una spilonga marina!" sbottò il re, lasciandosi cadere a sedere sul primo gradino del Podio Reale.
Sthiggar storse appena la bocca, al pensiero di essere stato paragonato a uno starnazzante pennuto che sorvolava senza sosta i mari di lava del Continente Boreale di Muspellheimr.
Ugualmente, pensò bene di tacere, per una volta e il re, lanciando uno sguardo a Hildur, domandò: "Cos'ha combinato, stavolta, questo sciagurato ragazzo?"
"Si è introdotto nel tempio di Sól, a suo dire per rubare una veste delle Sacerdotesse. Sono incline a credergli, perché posso dire molte cose di mio cugino, ma di certo non che è un approfittatore di donne, o un bugiardo. Però..." iniziò col dire la guerriera prima di sospirare e aggiungere: "...non posso dire che questo, a sua difesa. Non mente. Quanto al resto..."
"Già. Quanto al resto..." borbottò Surtr, cercando con la mano la presenza della moglie perché gli impedisse di spaccare la testa di quel ragazzo così indisciplinato.
Gli voleva bene al pari dei suoi molti figli perché, alla fin fine, sapeva essere adorabile, quando voleva, e aveva la capacità innata di saper sorridere col cuore... ma era una tale pestilenza!
"D'accordo, vedo bene che hai la testa più dura di un diamante grezzo, perciò dovrò trovare il modo di incastonarti in una montatura sopraffina. Sei arruolato d'imperio nel mio esercito e bandito per cinquant’anni dalla Capitale. Sosterrai l'addestramento più duro che esista, e sotto il comandante più duro e puro che esista su tutti i Nove..."
"Otto..." ci tenne a dire Sthiggar prima di venire frizzato da un'occhiata furente - e fumante - di Surtr.
"...Otto Regni, come hai giustamente - quanto incautamente - sottolineato tu. Diverrai un Gigante di Fuoco, padroneggerai fino all'ultima stilla del tuo potere divino e ti verrà consegnata - se lo meriterai – il grado di Fiamma Purpurea, con cui mi servirai con onore e serietà. Non dovessi superare questo addestramento, ti verrà bloccato per sempre qualsiasi dono legato alla Fiamma, e verrai messo a spalare carbone nelle segrete di palazzo. Ti è chiaro, stavolta, quanto io sia furioso con te?"
Sthiggar deglutì a fatica e assentì silenzioso, ora realmente terrorizzato, e mormorò soltanto: "Sì, mio re."
"Partirai domattina e, naturalmente, dirai a tuo padre che hai deciso di tua spontanea volontà di arruolarti, così da mettere le briglie al tuo carattere bizzoso. Non voglio che lui soffra per la tua idiozia. Ho troppo a cuore la sua amicizia perché tu la rovini, è chiaro?" dichiarò Surtr, tornando a levarsi in piedi per poterlo guardare dall'alto al basso.
Il giovane assentì una sola volta e Hildur, nel strattonarlo per riaccompagnarlo fuori, disse: "Scusate ancora per il disturbo, sire. Farò in modo che Sthiggar non combini altri guai."
"So bene che tu non c'entri, Hildur. Tu e le tue compagne avete fatto solo il vostro dovere" assentì Surtr, lasciando che andassero via.
Non appena furono soli, Ilya si permise di parlare e disse: "Caro... non esiste una miniera di carbone, sotto il palazzo."
"Io lo so, tu lo sai... ma lui no. E' bene che parta debitamente terrorizzato dalle estreme conseguenze di un suo potenziale fallimento" replicò il re con un sogghigno. "Quel ragazzo ha bisogno di una strigliata coi fiocchi e, comunque, era ormai giunto il tempo che decidesse del suo futuro. L'adolescenza è ormai finita, ed è giusto che cresca."
“Oh, da quel che so, in certe cose, è già grande a sufficienza” ironizzò Ilya, coprendosi le labbra arcuate per nascondere un sorriso.
Surtr sospirò esasperato, borbottando: “Lo so, purtroppo.”
"Comunque… nelle mani di Yothan? Davvero?" sottolineò turbata Ilya.
"Ora non essere sdolcinata con quel ragazzo, anche se so che ti fa pena" brontolò Surtr. “Yothan è un ottimo comandante, oltre che mio vecchio amico.”
"Non sono sdolcinata, ma realista. Yothan lo distruggerà" sottolineò accigliata la regina.
"Se Sthiggar dimostrerà di avere carattere, oltre alla stupidità più nera che io abbia mai conosciuto, sopravvivrà" si limitò a dire il re.
"Se lo dici tu..." sospirò allora la regina, mettendo qualche dubbio nel cuore del suo sovrano.
1 aesir: termine per indicare gli abitanti di Asghardr.
-----------------------------------------------
N.d.A.: Non vi stupite, quando sentite parlare di decenni, perché i Giganti di Fuoco vivono per migliaia di anni.
Qui iniziano le avventure di Sthiggar e, nel corso dei prossimi capitoli, scopriremo sia più cose su di lui, sia il perché sia in qualche modo legato alla Terra e ai berserkir. Buona lettura e buon ritorno nel mio mondo!
P.S.: se qualcuno si stesse chiedendo perché Sthiggar corregge il re, in merito ai Nove Regni, vi rammento che Vanaheimr (dove regnavano i fomoriani) fu distrutto millenni addietro dalla morte della stella del sistema galattico dove si trovava quel pianeta. Per questo, Sthiggar dice che sono otto, i Regni, e non più nove.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
48
anni dopo
La penisola
infuocata di Dorthagg non
era il posto migliore in cui soggiornare né, tanto meno,
dove allenarsi in
santa pace, ma tant'era.
Yothan
aveva scelto per i suoi 'ragazzi',
come era solito chiamare i
cadetti al suo comando, quella piacevolissima, graziosissima e
comodissima
lingua di terra nel Continente Australe di Muspellheimr.
Un ammasso
infuocato di rocce appuntite
come coltelli, rivoli di lava che spuntavano da ogni cantone, venti di
burrasca
così caldi da irritare anche la pelle di un Gigante di Fuoco
e lande assolate
come non se ne vedevano in altri luoghi.
Non un solo
giorno di maltempo. Solo,
e sempre, sole.
Oh, certo, anche vento.
Come
dimenticarsi del vento?
Yothan
aveva ritenuto scontato che, dopo
decenni passati a sobbarcarsi camminate interminabili nei deserti di
sabbia
rossa di Nustesheill, nuotate senza fine tra i mari di lava di
Kantorshain e
scalate prive di alcuna logica sulle aspre montagne di Mundratt, i suoi
'ragazzi' dovessero sperimentare
anche
quel genere di villeggiatura estrema.
Il tutto
era stato accolto con il solito
entusiasmo - solo quattro defezioni avevano macchiato
la loro Compagnia, il che era un autentico record - e, forti di uno
stato di
esasperazione che avrebbe potuto raggiungere i cieli viola indaco di
Muspellheimr, erano partiti.
Raggiunta
quindi la penisola più
meridionale del Continente Australe, avevano eretto il loro campo di
tende -
dopo averne perse una decina a causa del vento terribile che batteva
quelle
coste seghettate - e lì si erano stabiliti.
Solo allora Yothan
aveva spiegato loro i
motivi di quella scelta così discutibile.
La penisola
di Dorthagg racchiudeva in
sé tutti gli elementi più distruttivi di
Muspellheimr, ed era perciò il luogo
più adatto per mettere alla prova ciò che avevano
imparato in quegli ultimi quarantantotto
anni di addestramento.
A volte,
essere una creatura millenaria
poteva essere uno svantaggio non da poco, specialmente se gran parte
della tua
post-adolescenza la passavi sotto le mani di Yothan Starrinsson, detto
il
Terribile.
Questo si
era detto Sthiggar, durante i
primi tre anni di quell'infinito calvario. Giunto al suo
acquartieramento come
punizione per le sue intemperanze, si era detto pronto a far vedere i
sorci
verdi anche al comandante di guarnigione, così da tornare
quanto prima a
Hindarall.
Nella sua
mente si era prefigurato già
il piano; esasperare a tal punto i suoi superiori da costringerli a
rimandarlo
di volata dal re, così che a occuparsi di lui pensasse
soltanto il sovrano.
Quando,
però, aveva incontrato per la
prima volta Yothan il Terribile, aveva compreso il motivo della sua
nomea e,
per la prima volta, aveva avuto paura.
Come i suoi
commilitoni, si era quindi
messo a obbedire a testa bassa, a sottostare agli ordini del suo
comandante
senza battere ciglio e, per quasi un anno e mezzo, non aveva
più rimesso piede
a Hindarall.
Rivedere il
padre durante quel breve,
primo congedo di un paio di settimane non lo aveva certo aiutato e,
anzi, in
qualche modo rientrare in caserma dopo essere stato con il genitore, lo
aveva
fatto stare peggio rispetto all’inizio di quel supplizio.
Una mattina
d'inverno del suo terzo anno
di arruolamento forzato, però, sotto una fitta nevicata di
ceneri espulse dal
vulcano Jondurthan, aveva a sorpresa scoperto di apprezzare quel genere
di
vita.
Imparare a
utilizzare i suoi doni era
stato difficile - come figlio di stirpe divina, possedeva una forza
superiore
ai suoi compagni, e questo aveva spesso creato delle forti gelosie, in
alcuni suoi
commilitoni – e aveva finito con il legare solo con
pochissimi ragazzi.
Non pochi
avevano detto, sia alle sue
spalle che direttamente in faccia, di avere paura di lui e del suo
scarso
autocontrollo, della sua capacità di causare guai anche dove
non se ne potevano
causare e, non da ultimo, del suo legame con Sól.
Avere come
nonna una divinità del fuoco
non era esattamente cosa comune, neppure su Muspellheimr, e questo
aveva
causato non poche difficoltà.
Sthiggar
aveva dovuto impegnarsi
strenuamente per far comprendere ai suoi compagni quanto, la sua mezza
divinità, fosse più un impedimento che un
vantaggio.
Solo il
tempo gli aveva concesso di
annoverare tra i suoi commilitoni pochi, ma veri amici ma, per la
maggioranza
di essi, l’atteggiamento sospettoso e restio a fidarsi era
rimasto.
A lungo
andare, però, Sthiggar vi aveva
fatto l’abitudine e, forte delle poche – ma care
– amicizie che aveva saputo
farsi, si era dato
da fare per scacciare
almeno dal suo comandante l’idea che lui fosse un
perdigiorno, o peggio, un
raccomandato.
Col tempo,
non soltanto i modi grezzi e
spicci di Yothan avevano iniziato a piacergli, ma anche il rigido e
spartano
modo di vivere della caserma era entrato dentro di lui, dandogli parte
dell’autocontrollo
che, da sempre, aveva invano cercato.
Poco alla
volta, gli estenuanti
allenamenti di spada, giavellotto e corpo libero gli erano divenuti
propri,
mutandolo in qualcuno di più simile alla sua forma ideale, e
la gestione delle
sue energie era andata migliorando.
A ogni
nuovo permesso, era perciò
tornato a casa del padre con una sicurezza e una maturità
sempre nuove e
maggiori, forte dei traguardi ottenuti e dell'appagamento che gli stava
dando
la vita militare.
Di questo,
suo padre si era dichiarato
più che lieto; fin dall'inizio, infatti, la decisione del
figlio di arruolarsi
gli era parsa strana, oltre che davvero imprevista. Vedere invece
Sthiggar così
fiero dei suoi mezzi e sì, finalmente appagato da qualcosa
che non fossero i
guai che combinava, lo aveva rasserenato.
Come
promesso al re, Sthiggar non aveva
mai menzionato al padre cosa lo avesse realmente spinto verso la vita
militare,
pur se il giovane poteva immaginare che il padre avesse infine compreso
la
verità. Dopotutto, Snorri non era uno sprovveduto,
e conosceva bene suo
figlio.
"Hai
pensieri profondi,
ragazzo?" domandò a un certo punto Yothan, giungendo
silenzioso alle
spalle di Sthiggar e strappandolo ai suoi ricordi.
Questi si
volse, Sthigg sorrise appena
al suo comandante, dopodiché tornò in
contemplazione dell'agitato mare di lava
che lambiva le coste della penisola.
Quel
giorno, il vento sembrava essersi
preso una pausa, perciò la brezza calda che spirava da
quell’oceano immenso di
roccia fusa non era molto fastidioso.
"Stavo
rammentando la scalata del
monte Kytro mentre ripercorrevo gli anni passati qui con voi,
comandante.
Abbiamo davvero rischiato l'osso del collo, quella volta"
chiosò Sthiggar,
ghignando al suo indirizzo.
Grattandosi
una guancia barbuta, l'uomo
assentì leggermente, ammettendo: "Beh, di certo non avrei
mai immaginato
che, contemporaneamente alla nostra scalata,
si sarebbe
abbattuta su di noi una tempesta di cenere, una colata di lava e un
lahar1 proveniente da un vulcano a monte
rispetto a quello che noi
stavamo scalando. Ammetto che erano un po' troppe variabili a nostro
svantaggio."
Ridacchiando,
Sthiggar celiò: "Un po'?
Ammettete pure che abbiamo
portato a casa il culo per puro miracolo!"
"Vero,
vero. Perdemmo Wilthan, per
colpa del lahar. Aveva preso davvero una paura del diavolo, quella
volta"
accennò una risatina Yothan, ripensando a quegli eventi
davvero drammatici, pur
se finiti bene per tutti loro.
Sthiggar
ricordava bene il suo ex
compagno di lotte. Wilthan era sempre stato il collante del gruppo,
colui che
tutti - anche i più riottosi - seguivano volentieri ma, suo
malgrado, si era
imbattuto in qualcosa per cui il suo coraggio non era bastato.
Il lahar
che li aveva investiti aveva
quasi del tutto distrutto l'animo di Wilthan che, il giorno seguente a
quell'ascesa
disastrosa, si era ritirato dall'esercito per poi chiudersi in un
Tempio di
Studio dei Sacri Scritti.
Da quel che
gli aveva detto suo padre -
che era a capo della Congregazione degli Studiosi della Fiamma -
l'amico era
diventato Sacerdote delle Fiamme Dorate di Sól, il primo
grado di studi per
poter puntare a divenire Gran Sacerdote.
"Mio padre
mi ha detto che farà
carriera in fretta. Sembra molto portato per la teologia"
chiosò Sthiggar,
tornando serio. "Ammetto che però mi manca, a volte."
"Perché
sapeva tenere a freno la
tua lingua lunga meglio di chiunque altro" celiò il
comandante, dandogli
una pacca sulla spalla. “La verità è
bella, Sthiggar, ma a volte devi pensare a
essere diplomatico. Non puoi sempre dire quello che ti passa per la
testa, senza
filtri tra cervello e bocca. Ancora mi stupisco che il re non ti abbia
fritto
il culo, prima di venire assegnato a me.”
"Ci
avrà pensato almeno in una
ventina di occasioni, io credo” convenne Sthiggar.
“Ma spero di essere
migliorato, almeno un po'. Dopotutto, non mi caccio più nei
guai da almeno otto
anni" ammiccò a quel punto il giovane soldato, facendo
sorridere divertito
il suo comandante.
"Non cantar
vittoria troppo presto,
cadetto. Manca ancora un anno e mezzo alla fine del tuo periodo di
addestramento,
e posso sempre cambiare idea su di te e prolungare la tua ferma per
altri tre
anni" gli rammentò il comandante, battendo una mano sulla
sua spalla.
"Non mi
dispiacerebbe" replicò
Sthiggar, sorprendendolo non poco. "Forse, dopotutto, cacciarmi nei
guai
mi ha fatto capire chi dovevo diventare in realtà."
"E quindi,
cosa ti ha insegnato il
mio Villaggio Vacanze?" domandò curioso Yothan, facendolo
sorridere
divertito.
"Stenterei
a vederlo come tale,
comandante ma, parlando seriamente, dico che mi trovo bene nelle vesti
del
soldato. Nella mia vita mancava una disciplina ferrea che riuscisse ad
addomesticare il mio carattere riottoso, e uno scopo che mi spronasse a
migliorarmi, e qui li ho ottenuti entrambi."
"Uno
scopo?" replicò Yothan,
ora dubbioso.
Sorridendo
appena, Sthiggar ammise:
"Mio padre è sempre stato molto indulgente, con me, forse
perché soffrii
molto per la perdita di mia madre quando ero un bambino. Il sovrano,
per parte
sua, ha sempre sopportato più del necessario le mie
birichinate, e anche questo
ha contribuito a non rendermi pienamente cosciente di quanto io stessi
in
realtà facendo soffrire chi avevo intorno. Qui, invece, ho
compreso cosa fosse
veramente importante, che ruolo mi spettasse come nipote di
Sól."
"Un
pensiero maturo in te, ragazzo?"
ironizzò Yothan, pur se segretamente lieto di udire quelle
parole.
Sthiggar
rise della sua incredulità e
annuì, asserendo: "Prima di andarmene dalla Capitale, vidi
mia cugina
Hildur piangere per me, e questo mi fece soffrire molto
perché sapevo che
quel pianto lo avevo causato io. Non voglio più vedere
nessuno piangere a
cagion di un mio errore."
"E' una
promessa difficile da
mantenere" gli ricordò il comandante, accigliandosi.
"Lo so. Ma
mi impegnerò con tutto
me stesso per portarla a buon fine" assentì sicuro di
sé Sthiggar prima di
levare una mano verso il mare agitato, concentrarsi sulle correnti di
energia
che fuoriuscivano dal terreno e convertirle in catene di atomi legati
tra loro
per controllare il flusso lavico.
Come sotto
la spinta di una mano
gigantesca, le onde di roccia fusa si bloccarono, defluirono dai bordi
della
scogliera su cui si trovavano e si levarono in una colonna alta una
decina
di miriat.
Yothan
stette a guardare in silenzio il
modo in cui il giovane soldato metteva a frutto anni e anni passati a
studiare
il suo potenziale praticamente infinito e, tra sé, sorrise.
Un simile
potere sarebbe stato prezioso
per l'esercito di Surtr, e avrebbe messo addosso agli jotun una tale
paura da
rendere vana qualsiasi idea di muovere guerra contro di loro.
Come
avrebbero potuto, di fronte a un
simile potere, soprattutto se combinato assieme alla Fiamma Viva di re
Surtr?
Nessun abitante di Jötunheimr sarebbe stato tanto folle da
attaccarli,
conoscendo le capacità di Sthiggar.
"Molto
bene, ragazzo. Davvero molto
bene" dichiarò il comandante, stringendo le mani dietro la
schiena e
ammirando ciò che il soldato stava magistralmente compiendo
coi suoi poteri.
Sthiggar
sorrise compiaciuto, lasciò
lentamente andare la presa sulla lava e, poco alla volta, il mare
tornò a
essere agitato e rombante come lo era stato prima della sua esibizione.
Esibizione
che, non solo colpì Yothan,
ma anche qualcuno alle loro spalle e che, non visto, si
allontanò dal suo punto
di osservazione dietro cui si era nascosto per masticare in silenzio il
livore
che stava provando.
Accettare
che quel potere, quella forza
distruttiva, non fosse suo appannaggio, era problema di difficile
accettazione
ma, forse, poteva trovare il modo di eliminare alla radice il suo tedio.
Con le armi
giuste, e le persone giuste, forse
Sthiggar non sarebbe più stato un callo
fastidioso sotto il suo nobile piede.
Per anni
aveva dovuto sopportare la sua
faccia tosta, la risposta positiva dei suoi superiori a ogni suo nuovo
successo
mentre lui, pur se nobile e di antica stirpe, non era riuscito a
ottenere gli
stessi risultati.
Aveva
dovuto masticare bocconi amari più
volte di quante non volesse ricordare, era stato richiamato
all’ordine – e
punito! – per aver tentato di danneggiare un amico di
Sthiggar e, alla fine,
persino il padre lo aveva rabberciato.
Nessuno di
loro aveva capito cosa gli
spettasse davvero, come figlio di un membro del Consiglio, come nobile
titolato, come erede di una dinastia dalla storia persa nei meandri del
mito.
Lui non
poteva essere messo in ombra dal figlio di un uomo nato,
sì, dal grembo di
una dea, ma della cui stirpe paterna non si poteva certo andare fieri,
in
quanto del tutto priva di sangue nobile.
No,
Sthiggar avrebbe smesso ben presto
di primeggiare. Divinità o meno che fosse.
Protettorati
Dokkalfar – sei mesi dopo.
Essere
richiamati sul Continente per sedare dei tafferugli non sembrava
essere un compito degno della compagnia di Yothan il Terribile ma,
quando
Sthiggar vide effettivamente il
perché di quella richiesta, non esitò un attimo a
ritenerla importante.
I
dokkalfar, i nani oscuri che, per concessione reale, abitavano
su Muspellheimr come armaioli della corona, sembravano aver inscenato
nella
piccola cittadina di Rytthorer un’autentica guerriglia urbana.
Fumo alto e
scuro si levava in lontananza, segno del loro
passaggio nelle campagne e, quando gli uomini di Yothan misero piede
nella
ridente Capitale del Vasellame, trovarono ad attenderli distruzione e
morte.
Un intero
contingente dokkalfar aveva messo a ferro e fuoco
l’intero abitato, uccidendo uomini inermi e stuprando donne
di ogni ordine ed
età, lasciando poi cadaveri lungo la strada a monito del
loro passaggio.
Quando
Yothan vide un simile scempio, non perse tempo in
quisquiglie e ordinò ai suoi uomini di attaccare.
Primo fra
tutti, e nipote più giovane del re, Khyddar Rehuelson
si lanciò contro il nemico con la spada levata e il viso
trasfigurato dal
desiderio di rivalsa. Forte della sua possanza e del suo spregiudicato
uso
delle cavalcature da guerra che solevano usare in battaglia, non
tardò a
raggiungere i primi dokkalfar ma, quando egli levò mano
contro di loro, avvenne
l’impensabile.
Un’esplosione
terribile investì il nipote del re, sbalzando il
suo corpo dalla cavalcatura e lasciandolo a terra morto, deprivato di
parte del
volto e della spalla destra.
Quella
visione sconvolse non solo Yothan, ma anche i suoi
soldati che, per un attimo, interruppero l’attacco per
soffermarsi sulle
miserevoli condizioni del compagno.
Questo
permise a diversi dokkarlfar di avvicinarsi per compiere
un’autentica strage di muspell, ma l’urlo di guerra
di Yothan fece riprendere a
sufficienza i suoi ragazzi perché si apprestassero a
combattere nuovamente.
Non da meno
fu Sthiggar che, lanciandosi pieno di furore cieco
contro il nemico, ne abbatté un paio prima di venire
disarcionato e placcato
alle spalle da un dokkalfar.
Scostando
all’ultimo istante il nemico, prima che il nano
potesse colpirlo con la strana arma che aveva ucciso Khyddar, Shiggar
avvertì
feroce un dolore al collo e, subito dopo, un’esplosione che
quasi lo rese
sordo.
La rabbia
per l’uccisione dell’amico, unita al dolore per la
ferita subita gli fecero perdere temporaneamente il controllo e questo,
per la
prima volta, produsse l’incanto.
Sulla sua
schiena, lunghe bruciature striate emisero per lui una
sentenza di unicità e, al tempo stesso, permisero a Sthiggar
di padroneggiare,
al pari del re, la Fiamma Viva.
Altissime
lingue di fuoco si sprigionarono dalle sue mani,
incontrollate e incontrollabili, mentre i dokkalfar, sconvolti,
tentavano
invano di sfuggire a quel potere primigenio e inaspettato.
Sthiggar le
osservò – e fu osservato – con estrema
sorpresa e,
mentre il suo corpo sembrava ardere con lo stesso calore del pianeta,
Yothan
gli si avvicinò lesto per poi urlare: “Centra la
tua aura con il tuo potere,
Sthiggar! Puoi farcela!”
Il giovane
lo fissò autenticamente spaventato ma, ancora, Yothan
urlò con sicurezza: “Sei in grado di farcela, lo
so! Aura e potere, Sthiggar!
Devono diventare un tutt’uno!”
Il muspell
assentì nonostante non si sentisse all’altezza di
tale compito e, sempre trattenuto alle spalle da Yothan,
cercò di controllare
quell’esplosione di potere primigenio, dirottando quelle
lingue di fuoco
soltanto sui dokkalfar.
Ne
seguì una strage senza precedenti e, quand’anche
l’ultimo
nemico fu divorato da quelle fiamme terribili, Sthiggar
crollò a terra
stremato, il collo grondante di sangue e gli occhi ricolmi di lacrime
per
l’amico morto.
Yothan fu
lesto a controllarne le condizioni e, mentre i
superstiti accorrevano per curare i feriti, il resto della compagnia
controllò
il perimetro per evitare eventuali attacchi a sorpresa.
Ben presto,
una barella raccolse da terra anche Sthiggar ma il
giovane, nel trattenere una mano del suo comandante, mormorò
terrorizzato:
“Cosa… c-cosa è successo?”
“E’
successo che sei stato bravo, Sthiggar, e hai ridotto al
minimo le perdite. Del resto, parleremo un’altra volta,
quando sarai guarito”
gli promise Yothan, lasciando che i medici si prendessero cura di lui.
Non avendo
più forze per mantenersi desto, Sthiggar si
lasciò
quindi andare a un sonno convulso e confuso, in cui realtà e
finzione si fusero
assieme in una singolarità senza senso e senza tempo.
Voci,
grida, paura e speranza si confusero attorno a lui, mentre
il sonno perdeva la sua battaglia contro la veglia, e i suoi sensi
cercavano di
riprendere il controllo.
Udì
imprecazioni, una minaccia, delle proteste veementi e
altrettanto veementi repliche. Seppe – o credette di sapere
– di esserne la
causa, ma gli mancò la forza di intervenire.
Quando
finalmente riprese conoscenza, era passata quasi una
settimana dalla morte di Khyddar e, nel chiedere notizie dei suoi
commilitoni,
Sthiggar scoprì di aver perso una decina di compagni, e
tutti per mano dei
dokkalfar.
Pur se il
sollievo di non aver fatto del male a nessuno dei suoi
lo colmò pienamente, gli sguardi di sospetto e terrore che
si ritrovò a dover
sopportare al suo risveglio lo portarono quasi a odiare ciò
che aveva scoperto.
La sua
pelle portava i segni della Fiamma Viva, e questo non
avrebbe potuto cambiare in alcun modo. La sua schiena era
indelebilmente
segnata dalla prima fiammata del suo potere primigenio, e lo stesso
fulgore
della sua aura dichiarava a chiare lettere chi lui ora fosse.
Lo stesso
Yothan glielo confermò, dopo circa una ventina di
giorni dal suo ricovero in ospedale, spiegandogli inoltre
perché fosse rimasto
ferito dall’arma dokkalfar, e cosa avesse causato la morte
dell’amico.
Nel
mostrargli l’arma costruita dai nani, Yothan
asserì torvo:
“Quando ci siamo recati a Dakka per confiscare tutto, non hai
idea di quanta
attrezzatura illegale abbiamo trovato. Quei folli stavano costruendo un
intero
arsenale all’insaputa del
re.”
“Il
sovrano ha già saputo di Khyddar? I suoi
familiari?” domandò
a quel punto Sthiggar, tastandosi la gola dolente e pesantemente
fasciata per
proteggere la bruciatura innaturale causata dall’arma dei
nani.
Yothan
assentì con un sospiro, ammettendo: “Non so dire
chi dei
due mi sia apparso più triste e addolorato, se il re o il
padre di Khyddar, il
nobile Mikell.”
“Surtr
è stato qui?” esalò sorpreso Sthiggar.
Annuendo,
Yothan asserì: “Ha accompagnato personalmente il
cognato con il suo cocchio dorato guidato da quattro dei più
bei ragnhild che io abbia mai
visto e, per
tutto il tempo, ha sorretto il nobile Mikell mentre riceveva con tutti
gli
onori le spoglie del figlio.”
Sospirando,
Sthiggar chiuse per un istante gli occhi e mormorò:
“Avrei tanto voluto porgergli le mie condoglianze.”
“Ho
spiegato loro cosa è successo, e re Surtr è
passato in
infermeria per vederti” ammise a quel punto Yothan,
sorprendendolo
ulteriormente. “Ha saputo della Fiamma Viva ed è
molto orgoglioso di te, oltre
che del fatto che tu ti sia dimostrato capace di contenerla nonostante
fosse la
tua prima volta.”
“Non
ho ammazzato nessuno solo grazie a voi, comandante, non
certo per mio merito” sospirò a quel punto
Sthiggar, reclinando mesto il capo.
“E’
sempre così, per ogni Fiamma Viva. Ma ne riparleremo
più
avanti, quando tu starai meglio e avrai terminato il tuo
addestramento” lo
rassicurò Yothan, battendogli una mano sulla spalla.
Il giovane
assentì ma, nello scrutare alle spalle del suo
comandante, da cui era visibile il cortile della caserma e,
così, anche i suoi
compagni in schieramento di riposo, mormorò roco:
“E i miei compagni?
Riparleremo anche di loro?”
Yothan
comprese immediatamente cosa volesse dire, e cosa stesse
vedendo il giovane soldato in quel momento.
Paura,
rabbia, risentimento… gelosia.
La scoperta
della Fiamma Viva di Sthiggar aveva causato tutto questo
e altro ancora, e non pochi nobili della Capitale si erano rivolti a
Yothan,
indispettiti, reclamando spiegazioni in merito e rassicurazioni sulla
sicurezza
dei propri figli.
Come se
essere un soldato dell’esercito fosse una semplice
scampagnata tra i boschi!
Yothan
aveva speso parole benevole sul suo sottoposto,
sottolineando non solo la capacità di Sthiggar di trattenere
la fiamma, ma
altresì di come avesse impedito ai dokkalfar di uccidere i
loro preziosi figli.
Ciò
sembrava non essere bastato, però, perché
numerose lettere
di protesta erano giunte sulla sua scrivania, aventi tutte come
argomento
principale Sthiggar Glenrson. Yothan aveva demandato al re per almeno
una di
esse e il sovrano, suo malgrado, era dovuto intervenire durante una
seduta del
Consiglio Reale. Nella lettera di un membro consigliare, infatti, si
parlava
della follia del giovane Glenrson, e di sue presunte colpe in merito
alla morte
di Khyddar.
Per mettere
a tacere quelle insulse e becere chiacchiere che,
come fuoco nella steppa, stavano circolando in merito alla
pericolosità del
giovane, il re non aveva lesinato con le parole.
I membri
del Consiglio non erano stati affatto felici di essere
stati richiamati all’ordine ma, non avendo per le mani
nessuna prova effettiva
del pericolo insito nell’avere una seconda
Fiamma Viva sul pianeta, si erano astenuti da altre requisitorie.
Yothan,
però, temeva che quel serpeggiare maligno che circondava
il giovane muspell non sarebbe andato scemando, con il tempo,
perciò era vitale
che Sthiggar imparasse a padroneggiare quanto prima la fiamma.
La sua
guarigione e il termine del suo addestramento dovevano venire
prima di qualsiasi altra cosa, però, perciò
Yothan lasciò il giovane con la
promessa di tornare a trovarlo e, ciò detto, si
allontanò.
Una volta
al di fuori del reparto ospedaliero della loro caserma,
per ogni buon conto, chiamò a sé uno dei suoi
sottoposti e ringhiò: “Un’altra
voce irriguardosa nei confronti di quel ragazzo, e vi faccio deportare
tutti.
Vi ha salvato la vita, e non merita il vostro ostracismo!”
Il soldato
reclinò subito il capo per non dover incontrare lo
sguardo fiammeggiante del comandante e, annuendo lesto, si
allontanò per
riferire le sue ultime parole, non prima però di aver
lanciato uno sguardo
disgustato all’ospedale.
Checché
ne dicesse il comandante, avere un’altra Fiamma Viva su
Muspellheimr non poteva portare a nulla di buono e, nelle mani di uno
come
Sthiggar, avrebbe potuto generare solo guai.
Raggiunti
quindi i suoi compagni, Trhydann Handerson lanciò
un’occhiata generale ai presenti prima di ciangottare
irrispettoso gli ordini
di Yothan. Al suo dire così pantomimato, in molti risero
beffardi, altri fecero
finta di nulla mentre altri ancora, infine, replicarono disgustati con
sbuffi
sonori e occhiate venefiche.
Non
contento, Trhydann osservò coloro che si erano mostrati in
disaccordo con lui e aggiunse: “Che c’è?
Volete essere i cagnolini di un pazzo?
Non vi siete stancati di lustrargli le scarpe?”
“Sthiggar
non è pazzo. Vorrei vedere te, se ti fosse successa
una cosa simile durante una battaglia come quella che abbiamo appena
vissuto!
E’ stato fin troppo bravo, per i miei gusti”
replicò piccato Rahdd Kahn, uno
dei fidi amici di Sthiggar.
“Parli
così solo perché ti ha parato il culo un sacco di
volte…
e scommetto che ha fatto anche altro, con il tuo bel didietro sodo e la
tua
faccina così elegante e raffinata” lo prese in
giro Trhydann, scoppiando in una
grassa risata di scherno, che coinvolse anche il gruppo di soldati di
sangue
nobile. “Con il fisichino esile e longilineo che ti ritrovi,
potresti essere
scambiato per una femmina, di notte!”
Rahdd non
rispose alla pesante accusa, ma lo fece per lui Fyodr
Olyghson che, con uno spintone ben piazzato, azzitttì
Trhydann. Ciò fatto, gli
si parò innanzi con sguardo omicida, forte di un fisico
tutt’altro che
segaligno, e ringhiò: “La tua è solo
gelosia, perché Sthiggar è nipote di
Sól
mentre tu, per quanto nobile e figlio di un membro del Consiglio, non
puoi
vantare il suo stesso potere né tanto meno il suo valore in
battaglia. Quanto
ti brucia, eh, Trhyd, non avere i suoi occhi azzurri? Quanto vorresti
averli
ereditati tu?”
Il giovane
muspell incassò il colpo, e alcune risatine di
scherno aumentarono il suo disagio, tanto che un pugno si
levò inaspettato e
centrò il volto di Fyodr, impreparato a
quell’attacco.
Ne nacque
immediatamente una baruffa, a cui si unirono Rahdd e
un’altra mezza dozzina di commilitoni, il tutto seguito da
urla, insulti,
sostegno morale più o meno feroce da ambo le parti e tanta,
tantissima
adrenalina spesa inutilmente.
Fu
così che Yothan lì trovò, feriti e
sanguinanti e con occhi
che sprizzavano odio come mai, tra commilitoni, avrebbe dovuto accadere.
Con un
grido che ferì le orecchie dei presenti, il comandante
richiamò tutti all’ordine e, senza voler sapere
né perché né chi avesse
iniziato, condannò tutti al rigore per tre giorni.
Non
contento, chiamò nei propri uffici sia Rahdd che Fyodr ma,
una volta soli, Yothan si calmò immediatamente e,
sospirando, si limitò a
domandare: “Era per Sthiggar, vero?”
“Lo
accusano di cose innominabili, signore” intervenne subito
Rahdd, asciugandosi il labbro spaccato con un fazzoletto.
“Non potevamo
ascoltare e basta!”
Fyodr
assentì con vigore, ma Yothan scosse il capo e
replicò: “E
cosa ne avete guadagnato? Che ora non potrete vegliare sul sonno del
vostro
amico perché siete malconci e in
punizione.”
I due
giovani lo fissarono turbati e Fyodr, con tono ansioso,
domandò: “E’… Sthiggar
è forse in pericolo?”
“Chi
può dirlo? Conosco anch’io le voci che circolano
su di lui,
e so benissimo cosa dicono le
leggende, e perché una seconda Fiamma Viva incuta
così ansia e timori nelle
persone ignoranti” spiegò loro Yothan con un
pesante sospiro. “Proprio per questo,
voi due avreste
dovuto avere abbastanza cervello da non farvi cogliere in fallo a
questo modo,
ma tant’è. Stanchi o meno, vigilerete su di lui
finché non starà meglio. Il
vostro periodo di rigore lo passerete così. Nel frattempo,
io stilerò un
rapporto su quanto avvenuto e su chi è stato coinvolto nella
rissa. E’ tutto.”
I due
assentirono ma Rahdd, sulla porta, si fermò e attese che
l’amico si fosse allontanato prima di mormorare:
“Sthiggar non è
il richiamo di Ragnarök. Lo so per certo, ma non so come
cominvincere gli altri del contrario.”
“Sii
suo amico, se questo ti dice il cuore, e ciò
basterà per
proteggerlo. Quanto al resto, sanno solo gli dèi come si
risolverà” mormorò
stanco Yothan. “Sei ancora certo di voler proseguire con
l’addestramento?
Dopotutto, tu…”
Interrompendolo
sul nascere, Rahdd scosse il capo, strinse la
mano sul pomolo dell’elsa della spada che portava al fianco e
disse
recisamente: “Sono servo fedele di Sua Maestà re
Surtr, soldato scelto del suo
esercito e sono qui per onorare la fiducia che il re diede a mio padre
e a mia
madre, tanti anni addietro.”
“So
quanto possa essere difficile, per i mezzosangue, adattarsi
a un regno che non si sente interamente proprio, perciò abbi
fiducia nei tuoi
mezzi e in me, Rahdd. Dimostrerai a tutti quanto vali,
foss’anche l’ultima cosa
che farò. Ora, però, raggiungi il tuo amico. Al
momento ha più bisogno lui di
te, che tu di me.”
Rahdd
assentì con un cenno del capo, allontanandosi lesto
dall’ufficio del suo comandante.
Quando
Yothan fu finalmente solo, si concesse di ripensare a ciò
che aveva visto a Ritthorer. No, non serviva solo una seconda Fiamma
Viva, per
scatenare il Ragnarök, ma le armi che avevano trovato a Dakka,
oltre all’attacco
dei dokkalfar su suolo muspell, non promettevano davvero nulla di buono.
1 lahar: colata di fango di
proporzioni immani, creata dalla
fusione di neve e ghiaccio sulle pendici di un vulcano.
N.d.A.: Scopriamo che
Sthiggar non è solo un Gigante di Fuoco come tutti i
muspell, ma possiede altresì la rarissima Fiamma Viva, la
capacità di creare dal nulla il fuoco e che, oltre a lui,
possiede solo re Surtr. Ne riparleremo più avanti,
ovviamente, ma tenete conto che è un'abilità
rarissima e molto, molto pericolosa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Cap. 3
Sei
mesi dopo i fatti di Ritthorer.
Tornare a
Hindarall1, la
Capitale del Regno, poter rivedere i profili a lui famigliari delle
colline che
circondavano la baia di Gantur e tornare nella villa di famiglia - sita
su uno
dei colli più a nord della città - fu per
Sthiggar un piacere e un sollievo.
Aveva ovviamente trascorso svariate
licenze a casa, in
quegli anni, ma si era sempre trattato di poche settimane, settimane in
cui
aveva passato gran parte del tempo assieme al padre e poco altro.
Ora, però, era
tornato davvero, aveva
terminato il suo addestramento, e ritrovare i luoghi della sua
adolescenza con
occhi e animo diversi rispetto a quando era partito per la prima volta,
stava rimestando
il suo sangue in un modo davvero imprevisto.
I
cinquant'anni passati nell'esercito
erano stati un'autentica illuminazione, per lui.
La vita
militare gli aveva dato un nuovo
equilibrio e le poche – ma sincere – amicizie che
aveva saputo creare all’interno
del suo gruppo gli avevano dato la somma di quanto, in passato, fosse
stato
superficiale e sciocco.
La madre
aveva lasciato lui e il padre
quando era poco più che un bambino, strappata loro da una
malattia che i
dottori avevano chiamato consunzione.
Solo in seguito, una volta
cresciuto, aveva però capito pienamente il senso delle loro
parole.
Sua madre,
semplicemente, aveva smesso
di vivere perché non aveva più avuto la forza, o
la volontà, di proseguire
oltre il suo cammino. Né lui né Snorri avevano
rappresentato una motivazione
sufficiente per farle amare la vita che Madre le aveva donato e, in un
caldo
giorno della stagione delle piogge, si era semplicemente addormentata
per non
risvegliarsi mai più.
Questo lo aveva reso irrequieto,
irrefrenabile e
facile all'ira, e ben poco avevano potuto fare il padre, la tata o i
parenti,
financo il re, per placarlo.
La mancanza della madre aveva
contribuito a far
nascere dentro di lui un'indomabile ansia e un’irrequietezza
senza pari che
poi, nell'adolescenza, era sfociata in ciò che lo aveva reso
famoso. O peggio,
famigerato.
Le sue effimere amicizie lo avevano
spesso cacciato
nei guai ma nulla, né l’amore del padre,
né il suo rapporto quasi filiale con
Hildur, né tanto meno la solida presenza del re nella sua
vita, avevano portato
il miracolo.
I suoi
irrefrenabili istinti lo avevano
cacciato in pasticci sempre più gravi e il buon cuore del
padre, invece di
farlo sentire in colpa per i mali commessi, lo aveva portato a sfidarlo
ancora
e ancora, forse in cerca di una sua reazione.
Era sempre
stato il sovrano - vecchio
amico di famiglia - a sopperire a questa particolare mancanza di Snorri
e, in
un qualche modo contorto e sordido, Sthiggar se n'era dispiaciuto fin
quasi a
detestare il padre.
In cuor
suo, Sthigg aveva agognato di
ricevere una punizione dal genitore anche se, ora che era adulto e
più
consapevole, non comprendeva appieno i motivi di quel puntiglio assurdo
di un
tempo.
Quando
perciò mise piede a casa fu con
una sorta di aspettativa e di disagio, quasi si aspettasse un
rimprovero... o
lo cercasse.
Naturalmente
non ricevette nessun rimbrotto,
e Snorri lo accolse con un abbraccio e una pacca sulla spalla, un
sorriso fiero
a piegargli la bocca sottile e gli scuri occhi color vinaccia che
brillavano di
orgoglio.
"Sono
tornato, padre. Ho terminato
il mio addestramento" gli disse con semplicità Sthiggar,
quasi si sentisse
in obbligo di sottolineare l'ovvio.
Snorri
annuì più volte, come se da parte
sua vi fosse bisogno di compiere qualche gesto, uno qualsiasi, per
rendersi
conto dell'effettiva veridicità delle parole del figlio.
La mancanza
di Sthiggar si era fatta
sentire, nella sua vita, e poco erano contate le rade visite che il
figlio gli
aveva concesso durante le sue licenze. Non avere più lo
scapestrato figliolo
tra quelle quattro mura, gli era pesato più di quanto non
avesse voluto esso
stesso ammettere.
Snorri
aveva compreso fin da subito di
non poter essere inflessibile, col pargolo; gli ricordava troppo la
madre, per
riuscire a imporsi con volontà ferrea. L'intervento del re
era stato
provvidenziale, e questo gli aveva permesso di sperare che, in un
futuro non
così lontano, Sthiggar avrebbe potuto mettere la testa a
posto.
L'ennesima
burla, però - checché gli
avesse raccontato Sthiggar - gli era costata l'arruolamento forzato e,
per
qualche tempo, non aveva avuto la forza di presiedere alla tavola del
sovrano,
timoroso di poter dire troppo.
Di
potersela prendere con il Sommo Surtr
per quella forzata lontananza del figlio.
Rivederlo
dopo i primi anni di leva
forzata, però, gli aveva fatto comprendere una cosa molto
importante; Sthiggar
aveva trovato qualcosa che poteva spingerlo a migliorarsi, a chetare il
perenne
stato di inquietudine in cui era sempre vissuto.
Per quanto
le lagnanze - almeno in quei
primi anni - non fossero mancate, Snorri aveva potuto scorgere una
nuova luce
nei brillanti occhi azzurri di Sthiggar, e questo era stato per lui la
panacea
migliore da ogni dolore fin lì provato.
Saperlo
finalmente a casa, pur se non
sapeva per quanto, lo rendeva comunque felice e soddisfatto.
L'acquartieramento
non sarebbe avvenuto che di lì a due mesi, perciò
aveva tutto il tempo di
conoscere di nuovo il figlio che, lontano da lui, era divenuto uomo.
Accompagnatolo
quindi nell'ampio salone
della lettura, dove era solito rinchiudersi per chetare i suoi dolori,
Snorri
aprì le imposte e disse: "Per pranzo ci saranno i tuoi
piatti preferiti.
Lystra è scesa in città appositamente per
comprare tutto il necessario."
"Scommetto
che, quando la cuoca mi
vedrà, scapperà a gambe levate"
ironizzò Sthiggar, ripensando a Lystra e a
tutti i guai che aveva combinato in cucina negli anni seguenti alla
morte di
sua madre.
Quella
donna avrebbe dovuto essere
assurta al titolo di Fiamma Celeste, tante gliene aveva fatte passare!
"Le sei
mancato, posso
assicurartelo. Anche se sarei felice che tu non le facessi qualche
brutto
scherzo. Comincia ad andare su con gli anni anche lei"
sottolineò Snorri,
dandogli una pacca su una spalla prima di invitarlo ad accomodarsi.
Sthiggar
assentì con un sorriso, si
slacciò spada e daga - che portava rispettivamente sul
fianco sinistro e dietro
la schiena - e, dopo averle riposte accanto al divano, si
accomodò.
Snorri
sorrise sotto i baffi nel vederlo
così marziale nella postura, anche se si trovava
in un contesto
famigliare e a lui noto. Sthigg sembrava davvero essere cambiato.
"Prima che
tu arrivassi, ho
avvisato Hildur del tuo ritorno. Dovrebbe arrivare qui a breve per un
saluto" lo avvertì Snorri, servendo per entrambi
dell'acquavite di
Elfheimr.
Accettato
il bicchiere panciuto, e dove
galleggiava dell'aromatico liquore ambrato dai riflessi purpurei,
Sthiggar
disse: "Dovrei ringraziarla. E' anche merito suo se ho scoperto la mia
vocazione."
"Credo che
si accontenterà della
promessa di non rivederti più nel Tempio di Sól
in orari non consoni"
ironizzò Snorri, vedendolo sobbalzare per diretta
conseguenza.
"Sante
Fiamme! Te l'ha detto lei? O
è stato il sovrano?" gracchiò Sthiggar,
arrossendo suo malgrado.
Chi era
stato il delatore del suo penoso
segreto giovanile?!
"Per la
verità, ho dovuto incalzare
tua cugina, perché ammettesse con me la verità.
Mi sembrava davvero troppo
furiosa con te, per essere soltanto risentita dalla tua decisione di
arruolarti, così ho usato la mia parlantina per farla
capitolare" ammise
Snorri scrollando appena le spalle.
Scoppiando
in un'allegra risata, Sthigg
sorseggiò subito dopo il liquore e chiosò: "Ho
pena per mia cugina. Sai
essere logorroico in maniera splendida, quando vuoi, padre."
"Ne sono
cosciente" assentì
divertito l'uomo.
Quando la
porta d'entrata si aprì e si
chiuse, Sthiggar si levò subito in piedi, riconoscendo
l'aura latente di Hildur
e, non appena la vide comparire nello specchio della porta del salone,
le
tributò un leggero inchino prima di dire: "Ben trovata,
Hildur. E' un
piacere rivederti."
La donna,
ancora in tenuta da Fiamma
Nera - con l'elaborata armatura brunita che la ricopriva quasi per
intero - lo
squadrò da capo a piedi con espressione sorpresa,
notò i suoi gradi di Seconda
Fiamma Purpurea dopodiché si avvicinò al cugino
ed esordì dicendo: "Non
c'è che dire. L'esercito ti si confà. E vedo che
hai fatto in fretta a salire
di grado. Conosco ben poche persone che hanno raggiunto il grado di
Fiamma
Purpurea in meno di cinquant’anni."
Sthiggar si
passò distrattamente un dito
sulla spilletta che svettava sul bavero della tunica che aveva
indossato per il
suo rientro a casa e, sorridendo appena, ammise: "Ho avuto fortuna. Un
tafferuglio nelle regioni di confine con il Protettorato dei Nani mi ha
dato
l'opportunità di mettere in campo le mie
capacità."
Sollevando
sorpresa un sopracciglio,
Hildur borbottò: "I dokkalfar hanno di nuovo combinato un
guaio?"
"Niente che
non fossimo in grado di
tenere sotto controllo" minimizzò Sthiggar, pur rammentando
più che bene
quanto, in realtà, quelle scaramucce fossero state
pericolose per la vita sua e
dei suoi commilitoni.
No, non
era stato per niente
facile.
Ugualmente,
preferì non mettere in
agitazione il padre e si limitò a dire: "Hanno alzato troppo
il gomito
durante una festa, e così siamo dovuti intervenire per
sedare un po' gli
animi."
Hildur non
si lasciò ingannare dal tono
falsamente tranquillo del cugino ma, comprendendo le ragioni di quella
sottostima del pericolo, celiò: "Quelli, alzano sempre il
gomito. Non fosse che sono degli ottimi forgiatori di armi, avrei
consigliato
al re di rispedirli su Svartalfheimr."
"Sai qual
è il detto; tieniti
stretti gli amici, ma ancor più stretti i nemici,
specialmente quelli che sanno
far bene le armi" chioso Sthiggar, facendo spallucce.
"Beh, zio,
a quanto pare il
comandante Yothan è riuscito a mettere un po' di sale in
zucca a Sthigg"
rise a quel punto Hildur, scacciando così a quel modo
l'argomento spinoso
dovuto ai nani oscuri presenti su Muspellheimr.
Argomento
che, comunque, Hildur riportò
a galla molte ore dopo, non appena Sthiggar si offrì di
riaccompagnarla in
città, dopo il luculliano pranzo offerto da Snorri, e il
pomeriggio passato a
chiacchierare delle avventure vissute da Sthigg.
Nel
discendere lungo la via lastricata -
illuminata da lampade a fiamma perenne - Hildur lanciò
un'occhiata traversa al
cugino prima di domandargli: "Ebbene? Solo una
scazzottata? Qui
alla Capitale non si è
saputo quasi niente, di ciò che è successo.
E’ tutto secretato. Perché?"
Sthiggar
sbuffò in risposta, replicando:
"Se, per scazzottata, posso inserire anche dei tirapugni esplosivi e
un’autentica guerriglia urbana, allora sì. E'
stata una scazzottata."
Hildur
strabuzzò gli occhi, a quella
notizia, e borbottò: "Che intendi dire?"
"I
dokkalfar hanno posizionato sui
tirapugni delle micro cariche di polvere pirica e Fiato di Drago
così che, al
primo contatto con il corpo del nemico, si possa sprigionare una
piccola
detonazione" le spiegò Sthiggar.
"Piccola
quanto?"
"Abbastanza
da cavare un occhio...
e metà faccia con esso" borbottò Sthiggar,
grattandosi nervosamente il
collo, dove recava ancora gli strascichi di una bruciatura dovuta a
quei
maledetti tirapugni.
Era stato
dannatamente fortunato, quella
volta. Se non avesse ricevuto quel colpo di striscio, gli avrebbe fatto
saltare
via sicuramente la testa.
"Merda!"
sbottò senza tanti
complimenti la cugina, adombrandosi. "Il re ne è stato messo
al
corrente?"
"Il giorno
seguente la battaglia,
con tanto di campione gratuito, manuale informativo
e saluti dall'azienda produttrice" ironizzò caustico
Sthiggar prima di
sospirare e ammettere: "Abbiamo mandato al re una prova di
ciò che abbiamo
trovato a Dakka, unitamente al conteggio finale di sei morti, tra cui
uno dei
suoi nipoti."
Hildur
impallidì visibilmente,
mormorando turbata: "Khyddar… è morto
lì?"
"Esatto"
replicò Sthiggar
prima di imprecare irritato e aggiungere: "Dèi! Quel ragazzo
mi stava
simpatico, ed era uno dei pochi che potessi vantare come amico leale...
solo
che aveva una gran voglia di dimostrare che non era solo
il nipote del
re, e così si è lanciato a testa bassa
contro il nemico, non sapendo di
questa ultima diavoleria."
Hildur
scosse il capo, sinceramente
spiacente. Kyddhar si era dimostrato davvero entusiasta all'idea di
poter
entrare nell'elitario gruppo guidato dal comandate Yothan e, da ben
prima della
partenza per l'apprendistato, si era dato un gran daffare per far
sapere a
tutti della sua enorme fortuna.
Non faceva
specie che il sovrano, in
quell'ultimo periodo, sembrasse così ombroso e con la testa
tra le nuvole.
Kyddhar era da sempre uno dei suoi nipoti preferiti.
"Come si
sono dichiarati, i dokkalfar?"
domandò dopo alcuni istanti Hildur.
"Hanno
tenuto a sottolineare che
avevamo sconfinato nei loro territori, donatigli direttamente dal re,
per cui
abbiamo dovuto ricordare loro che,
tra i loro Protettorati,
non faceva parte la vicina cittadina di Rytthorer, che è
stata data alle fiamme
da nani un po' troppo alticci" le spiegò Sthiggar, lasciando
passare una
carrozza prima di attraversare il viale d'ingresso alla capitale e
dirigersi
verso la caserma delle Fiamme Nere.
"Quei
balordi, allora, erano davvero ubriachi"
sbuffò la donna.
"Tra le
altre cose. Quando abbiamo
messo piede a Dakka con il nostro carico di dokkalfar morti e di armi
sequestrate, il borgomastro ha quasi avuto un collasso isterico ma, di
fronte
alla faccia nera di Yothan, non ha osato replicare. Così,
abbiamo confiscato le
altre armi illegali presenti in città, preteso tutta la
documentazione inerente
a tali archibugi dopodiché, con un ultimo ammonimento, ce ne
siamo andati"
terminò di dirle Sthiggar.
"E il tuo
Secondo Grado di Fiamma
Purpurea?"
"Sono
sbarellato un po', quando ho
visto morire Khyddar, così ho pensato bene di evitare che
anche altri
rischiassero la sua stessa fine e..." sospirò Sthigg,
levando entrambe le
mani per scrutarne i palmi. In quel momento, poteva vedere solo lunghe
dita
coperte di calli e poco altro, ma sapeva bene cosa si fosse sviluppato
da esse,
quel maledetto giorno.
Hildur
coprì una mano del cugino con la
propria e, dopo averla stretta, mormorò sbalordita: "Hai
creato la fiamma dal nulla?"
"Già.
Come la nonna" assentì
Sthiggar, sospirando tremulo. “O come il re.”
"L'hai
contenuta?"
Lui
assentì, mormorando: "Per
fortuna, successe quando il comandante mi era al fianco, e lui
riuscì a
trattenermi dal perdere del tutto il controllo, aiutandomi a contenere
il mio
furore. Diversamente, non so come avrebbe potuto concludersi quello
scontro."
"Hai mai
più riprovato a
evocarla?" domandò allora Hildur.
"No.
E’ successo più di sei mesi fa,
ma Yothan mi ha proibito di provarci ancora. Il comandante ha detto che
farà
parte del mio prossimo addestramento, quando entrerò
ufficialmente nella sua
Compagnia" le spiegò Sthiggar.
La cugina
allora gli sorrise, esalando:
"Dèi! Niente meno che con il comandante Yothan. Davvero, non
pensavo che
la vita militare avrebbe potuto piacerti tanto, ma penso di non averti
mai
visto così sicuro di te e così appagato come in
questo momento."
Annuendo,
Sthiggar ammise: "Ne sono
stimolato e, al tempo stesso, ciò che imparo e
ciò che faccio riescono a
chetarmi. E' un connubio strano, ma funziona."
"Sei sempre
stato una testa calda
ma, se Yothan riesce a contenerti, ben venga" asserì a quel
punto Hildur,
dandogli una pacca sulla spalla. "Io adesso devo rientrare in caserma,
mentre tu avrai sicuramente la serata libera. Non credo che Yothan vi
abbia
messo i ceppi alle caviglie fin dal vostro ritorno a casa."
"No,
infatti. Abbiamo il libera
tutti per due mesi, dopodiché dovremo
presentarci nei rispettivi
acquartieramenti locali e decidere se firmare o meno per il servizio
militare
stabile" assentì Sthiggar.
"Allora, ti
lascio ai tuoi
divertimenti, ma vedi di contenerti. Non vorrai cacciarti in un guaio
quando
hai appena finito di scontare la punizione per il precedente, vero?"
ironizzò la cugina, stringendolo in un rapido abbraccio.
Sthiggar
rise, scosse il capo e Hildur,
nel congedarsi, mormorò: "Passa a trovare i miei, quando
puoi. Anche loro
hanno sentito la tua mancanza."
Il giovane
glielo promise prima di
avventurarsi verso il centro della Capitale, fresco dei suoi gradi e
della sua
divisa d'ordinanza - un elegante connubio tra una lunga tunica
scarlatta, una
cotta di maglie e alti schinieri dorati - e, nell'entrare in un bar a
caso per
una bevuta, si chiese se cercare o meno i suoi commilitoni.
Tra i
giovani suoi coetanei che, come
lui, erano stati addestrati da Yothan, la maggior parte proveniva dalle
campagne, non certo dalla Capitale, perciò poteva contare su
un esiguo numero di
compagni, lì a Hindarall.
Per quanto
riguardava i suoi vecchi
amici, poi, molti si erano allontanati da lui dopo la sua ultima
bravata e,
quei pochi che gli erano rimasti fedeli, ora erano impegnati in altro
loco, con
ben altri pensieri che una birra e dello stufato.
Non fosse
stato per il padre e per la
famiglia di Hildur, forse non sarebbe neppure tornato alla Capitale. In
fondo,
lui si trovava infinitamente meglio con i suoi nuovi amici, e la
città gli dava
quasi un senso di soffocamento.
Vivere
lontano dai suoi sfarzi, dalle
sue continue distrazioni e dalla sua opulenza, sembrava davvero averlo
cambiato.
Il mondo
cameratesco e intenso del
servizio militare - che tanto aveva deriso in adolescenza - ora gli
dava
stabilità, gli rendeva più semplice trattenere
quell'energia sempre desta che,
in gioventù, lo aveva cacciato nei guai fin troppo spesso.
Nell'accomodarsi
a un tavolo d'angolo
dopo aver ordinato per sé una pinta di birra e dello
stufato, Sthiggar lanciò
un'occhiata sul variopinto mondo multiforme che gravitava in quel bar.
Vi erano
viaggiatori di molti mondi,
gente semplice e anche personaggi all’apparenza poco limpidi
ma, in generale,
Sthigg non vide potenziali pericoli per gli avventori, né
attaccabrighe pronti
a sfidare un soldato del re in congedo. Di scazzottate ne aveva avute a
sufficienza per due vite, in quegli anni di vita militare e,
ciò che un tempo
lo avrebbe fatto divertire, ora gli dava solo noia.
Ridendo di
sé, si domandò mentalmente
se, per caso, la vita militare lo avesse anche castrato nell'animo ma,
ripensando alla battaglia nei Protettorati Dokkalfar, si
smentì da solo.
No, non era
l'aver raggiunto l'età
adulta lontano da casa e tra mille difficoltà, ad averlo
reso più parco nei
suoi divertimenti, quanto l'aver visto la morte in faccia e aver tenuto
tra le
braccia il suo amico privo di vita.
Quando
infine giunsero birra e stufato
di carne, Sthiggar scacciò quei pensieri e
mormorò un ringraziamento, quindi lasciò
sul tavolo una moneta per il servizio e un'altra come mancia.
Ciò
fatto, iniziò a mangiare in
silenzio, ascoltando distrattamente il vociare cacofonico attorno a
sé.
Pranzare
con il padre e Hildur era stato
piacevole, così come passare tutto il pomeriggio assieme a
loro e rivangare
aneddoti più o meno divertenti riguardanti il passato di
tutti loro.
Col fare
della sera, però, aveva sentito
la necessità di allontanarsi e, complice il ritorno alla
Capitale di Hildur,
lui si era accodato.
Voleva bene
al padre, ma non riusciva a
guardarlo per lungo tempo senza pensare anche alla madre, e non voleva
che il
rimpianto di non averla più accanto si scorgesse sul suo
volto. Il padre ne
avrebbe sofferto, e Sthiggar non lo voleva per nessun motivo al mondo.
"Posso
occupare la panca dinanzi a
te, soldato? Il locale è pieno, e l'unico posto libero
è qui con te"
esordì all'improvviso una voce, strappandolo ai suoi
pensieri.
Sthiggar
levò il capo per scrutare con
curiosità il volto tarchiato di un uomo di mezza
età, dall'avanzata stempiatura
e una lunga e sottile cicatrice che gli cingeva il collo.
Gli abiti
erano quelli classici di un
commerciante e, a giudicare dal suo forte odore d'erbe, oltre che dal
suo
accento marcato del Sud, doveva trattarsi di uno speziale delle terre
australi.
"Prego. Non
disdegno mai la
compagnia" assentì quindi Sthiggar, indicando all'uomo di
accomodarsi.
Il
commerciante lo ringraziò con un
cenno del capo, si accomodò e, dopo aver portato una mano al
cuore, lo salutò
come consuetudine su Muspellheimr: "Io sono Gorth, figlio di Arin,
speziale di Rutharlayn. Con chi ho l'onore di dividere il tavolo?"
"Sthiggar,
figlio di Snorri.
Secondo Ufficiale della Fiamma Purpurea di Vatrha" disse per contro il
giovane, imitando il gesto di Gorth di poggiare la mano destra sul
cuore.
"Sei lontano da casa. Cosa ti porta nella Capitale, se è
lecito
chiedere?"
"Nessun
disturbo" replicò
l'uomo, ordinando per sé del vino elfico abbinato a un
pasticcio di cervo nero.
"Il re ha richiesto un ingente carico di spezie elfiche che, guarda
caso,
la mia famiglia esporta da generazioni, così sono giunto qui
ieri sera per
portare il mio carico a palazzo e domani, con il fare del nuovo giorno,
ripartirò con il primo bastimento disponibile."
Sollevando
un sopracciglio con aria
curiosa, Sthiggar domandò: "C'è qualche
celebrazione in atto? Sono tornato
solo oggi, e non mi sono informato in merito."
"Credo che
il re stia organizzando
un ricevimento per festeggiare l'anniversario di matrimonio, o qualcosa
del
genere. Da quel che mi ha detto la servitù, il sovrano ha
ordinato libagioni da
ogni parte del pianeta, e oggetti tra i più disparati da
tutti i Regni"
gli confidò Gorth con un sorrisino furbo.
Sthiggar
fischiò sorpreso, esalando:
"Allora, la città sarà invasa di genti di ogni
dove. I Cancelli del
Bifrost fumeranno per il troppo lavoro. E mancano quasi due mesi, a
quella
data, se la memoria non mi inganna! Cieli stellati, il sovrano ha
davvero
deciso di fare le cose in grande!"
"Credo che,
per onorare la regina,
niente sia mai abbastanza" assentì il mercante con un
sorrisino. “Pare
che persino i principi, di stanza nei continenti a Sud, faranno ritorno
a casa
per festeggiare l’evento.”
In quel
mentre, la cameriera si avvicinò
per consegnare vino e carne al commerciante ma un uomo dell'ovest, in
barba a
qualsiasi genere di educazione, urtò con violenza la donna
per poter avere la
precedenza. Questo portò a un impatto violento quanto a una
violenta caduta di
ciò che la donna portava con sé e che, con
drammatica precisione, finì addosso
a Sthiggar.
Gocciolante
di vino - la carne, per
fortuna, era finita sul tavolo - Sthiggar si fissò per
alcuni istanti con aria
spaesata prima di accorrere accanto a una indolenzita cameriera, ancora
a terra
dopo il colpo ricevuto. Dell'uomo dell'ovest, complice anche la
confusione nel
locale, non v'era già traccia.
Il
commerciante si affrettò a sua volta
a dare una mano alla incolpevole donna che, fissando spiacente
Sthiggar, esalò:
"Le mie umili scuse, soldato. Non era davvero mia intenzione ridurvi
così."
"Ho visto
di peggio,
credetemi" rise lui, sistemandole con dita delicate la cuffietta che la
cameriera portava in testa. "Se mi garantite che non vi siete fatta
nulla,
per me possiamo chiuderla qui."
"Oh, a
parte una gran sorpresa e un
po' di indolenzimento dove quell'uomo mi ha colpita, non ho altro. Ma
voi..."
"Andrò
a lavarmi il viso nei bagni
del locale. Per il resto, la mia tunica ha visto cose peggiori di un
po' di
buon vino" rise Sthiggar.
"Baderò
io alla tua spada, soldato.
Fai pure con comodo" gli promise allora Gorth.
“Nessun
problema. Nessuno può toccare la
spada di una Fiamma” replicò con candore il
giovane, imponendo un blocco magico
sull’arma dopo averla poggiata sulla panca su cui si era
assiso all’arrivo.
I muspell
non praticavano magia ai
livelli dei liòsalfar, neppure lontanamente, ma alcuni
trucchetti erano a
conoscenza dei più e, soprattutto i militari, venivano
addestrati ad apporre
blocchi magici sulle armi perché non venissero rubate.
Non
v’era cosa più disdicevole di
perdere la propria spada, e di certo Sthiggar non voleva essere
richiamato per
aver perso la propria.
Non appena
il blocco fu stabile,
Sthiggar si levò in piedi e il mercante, strabiliato,
esalò: “Non sapevo che
usaste la magia sulle armi.”
“Qualcosina
sappiamo fare, ma niente di
trascendentale” ammise Sthiggar, scusandosi con
l’uomo per poi dirigersi verso
i bagni.
Quando
tornò al tavolo, qualche minuto
più tardi, dichiarò: "Mio padre
penserà che non sono neppure più capace di
portarmi un bicchiere alla bocca."
Gorth rise
di gusto, sollevò il secondo
bicchiere che gli era stato portato - con tanto di scuse da parte del
proprietario, a detta del mercante - e chiosò: "Nessuna
donna che possa
accusarti della stessa cosa?"
"Ah, no.
Cinquant’anni di leva sono
molti per qualsiasi donna e, le ragazze che lasciai alla mia partenza,
ora sono
donne che non mi vorrebbero neppure alla porta, temo"
ironizzò Sthiggar,
facendo tintinnare la sua pinta contro il bicchiere del mercante.
Ingollando
subito dopo la birra,
Sthiggar proseguì dicendo: "In realtà, non credo
che mi interesserò alle
donne se non tra molto, moltissimo tempo. Ho in previsione di tornare
al mio
acquartieramento quanto prima e proseguire nel mio addestramento."
"Oh, un
giovane convinto,
allora" dichiarò il mercante con fare divertito. "Spero,
però, che tu
abbia almeno potuto goderne prima,
altrimenti ti si prospetta una
vita piuttosto dura!"
"Ho avuto
le mie avventure
adolescenziali, e qualcuna anche più tardi"
chiosò Sthiggar, sogghignando.
"Allora, mi
sento più tranquillo.
Diversamente, avrei pregato Sól di benedirti con una giovane
donna fedele e
generosa" dichiarò Gorth con un gran sorriso.
"Non credo
che mia nonna, al
momento, mi permetterebbe di toccare qualsivoglia fanciulla. Ho idea
che sia
ancora furiosa con me per certe mie bravate adolescenziali"
ridacchiò
Sthiggar, terminando di bere la sua birra.
"Oh... un
figlio di divina stirpe!
Ora mi spiego gli occhi così chiari e il loro colore
così inconsueto!"
mormorò impressionato l'uomo. "E' davvero un onore insperato
averti
conosciuto."
"Lei non lo
direbbe... o forse no.
Non so bene cosa pensi di me, al momento" dichiarò Sthiggar
con fare
fiacco. "Credo che andrò a fare una passeggiata per smaltire
questa birra.
Doveva essere più speziata del previsto."
"In
effetti, in questo locale
servono bevande del confine con le Terre Desertiche. Tutte assai
alcoliche" convenne l'uomo, scrutandolo dubbioso. "Sicuro di farcela?
Desideri che ti accompagni fino a casa?"
"Ti
ringrazio, buon amico ma, alla
peggio, mi fermerò in caserma. Comunque, credo che un po'
d'aria mi farà bene e
mi schiarirà le idee" disse per contro Sthiggar, levandosi
in piedi.
"Passa una buona serata e fai buon viaggio, domani."
"Grazie,
soldato. E buona serata
anche a te."
Sthiggar
assentì e, con passo
claudicante, uscì lento dal bar, infilandosi poi lungo la
via per concedersi un
po' d'aria profumata e di quiete, dopo quel trambusto e i forti odori
della
locanda. Non sapeva spiegarsi bene perché, ma ne aveva
davvero bisogno.
Forse,
dopotutto, avrebbe dovuto
rimanere a casa del padre, se il viaggio lo aveva ridotto a un simile
straccio.
1
Hindarall: Dai
“Nibelunghi”, ‘roccia
circondata da fiamme altissime’. Nella mia storia, nome della
capitale di
Muspell.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Cap. 4
L'aria
fresca fuori dal locale, in
effetti, lo aiutò a riprendersi parzialmente dallo strano
torpore che lo aveva
preso all'interno del bar e, per qualche centinaio di iarde, Sthiggar
camminò
sul ciglio della strada senza particolari problemi.
Quando,
però, svoltò per raggiungere il
parco cittadino - doveva aveva deciso di fermarsi e godere del profumo
dei
fiori notturni -, i suoi piedi incespicarono malamente,
caracollò per qualche passo
e, infine, sbatté il grugno contro un torace ampio e freddo.
Subito,
Sthiggar levò il capo per
scusarsi ma, quando incrociò gli occhi di ghiaccio di uno
jotun, ogni desiderio
di chiedere venia venne meno e, digrignando i denti nel notare le armi
appese
alla cintola dell'uomo del gelo, ringhiò: "E' vietato, per
gli stranieri,
girare armati per la Capitale, non lo sai?!"
"Ma
davvero... Sthiggar?"
ghignò lo jotun, sorprendendolo non poco.
Sgranando
gli occhi color del cielo, il
giovane muspell esalò confuso: "Come puoi sapere il mio
nome?!"
"Ma come?
Non sei contento che il
tuo nome sia conosciuto anche in altri Regni? Non è questo
che volevi?" ciangottò
una voce querula alle sue spalle.
Sthiggar si
volse a mezzo per capire chi
si fosse rivolto a lui con quel tono derisorio ma, prima ancora di
poter
incrociare lo sguardo con il suo secondo interlocutore, un colpo ben
assestato
alla nuca lo mandò al tappeto.
Prima di
svenire, picchiò con violenza
il volto sul selciato e, mentre i suoi sensi andavano svanendo,
udì la risata
del secondo uomo che lo aveva interpellato mentre chiosava: "Bene! Una
scocciatura in meno a cui pensare. Finalmente potrò
liberarmi di te una volta
per tutte."
Sthigg
tentò con tutte le sue forze di
riprendersi, di costringere il suo corpo a non cedere al torpore ma,
prima
ancora di poter aprire bocca per rabberciare il suo assalitore,
l'oscurità lo
avvolse e per lui non esistette più nulla.
***
Aveva
dolore in ogni parte del corpo e
sentiva qualcosa di appiccicoso all'altezza dell'occhio, di cui
però non
riusciva a comprendere la natura.
Con un
grugnito e una spinta di mani,
Sthiggar cercò quindi di mettersi a sedere -
perché era sdraiato a terra? - e,
quando riuscì finalmente a sollevare le palpebre, scorse
un'enorme camera
attorno a sé, offuscata da una colata di sangue sul suo viso.
Tergendoselo
a fatica con una mano
mentre, con movenze lente e controllate, si sedeva sul pavimento,
Sthiggar mise
maggiormente a fuoco ciò che lo circondava e, quando
finalmente ne comprese la
natura, imprecò tra sé.
La chiglia
enorme e splendente di
Naglfar si stagliava dinanzi a lui come una lama dorata slanciata verso
le
vetrate blindate, imponente e maestosa nei suoi ottanta metri di
lunghezza e
apparentemente pronta alla battaglia. Pur se sistemata su scivoli di
legno e
rinchiusa in un palazzo protetto da incantesimi e guerrieri in armi,
incuteva
tutto il timore che gli ancestrali racconti decantavano su di lei.
Quel
particolare gli mozzò il fiato,
portandolo a guardarsi intorno con espressione preoccupata – dov’erano i soldati preposti alla difesa
di
Naglfar?! – ma, non appena vide ciò che
si trovava a poca distanza da lui,
imprecò.
Due guardie
cittadine erano stese a terra
- apparentemente morte - con la gola tagliata di netto, annegati in un
lago di
sangue.
"Ma cosa
diamine..." borbottò
Sthiggar, rimettendosi a fatica in piedi prima di udire un tintinnio
inconsueto
in corrispondenza dei suoi piedi.
Immediatamente,
i suoi occhi cercarono
la fonte di quell'insolito suono ma, quando vide accanto agli stivali
la gemma
di volta del timone di Naglfar, la sua confusione raggiunse le stelle,
ben
presto sostituita da un autentico panico.
Che ci
faceva, lì, quel rubino maestoso
e dai poteri incommensurabili?!
"Non un
passo, Sthiggar"
ringhiò una voce alle sue spalle, raggelandolo sul posto.
Levando
lentamente le mani, Sthigg si
volse poco alla volta per incrociare lo sguardo della cugina
– avrebbe
riconosciuto la sua voce tra mille persone – che, ai limiti
del pianto e con la
morte nel cuore, aggiunse: "Stavolta hai davvero passato il segno."
"Ascolta,
Hildur, io..." tentò
di dire Sthiggar, subito fermato dal gesto imperioso della mano della
cugina.
"Non una
parola di più" gli
ordinò lei, furiosa. "Ci hanno avvisato di alcuni disordini
nei pressi
delle Sacre Stanze dei Cimeli, così siamo intervenuti... ma
mai, mai avrei
pensato che la tua follia si potesse spingere a tanto."
Scuotendo
il capo mentre un paio di
Fiamme Nere mettevano i ceppi a un confuso Sthiggar, Hildur si
avvicinò al
cugino per recuperare il rubino che ancora si trovava a terra
dopodiché, con
sguardo addolorato, puntò gli occhi sui soldati morti e
sibilò: "Stavolta,
neppure il re potrà salvarti. A nessuno è
concesso toccare le Sacre Reliquie...
e tu hai rubato l'Occhio di Muspell! Che
diamine ti è
saltato in mente, Sthiggar?!"
"Pensi
davvero che possa essere
stato io a compiere un simile scempio? Mi credi dunque un tale mostro?"
replicò ferito il cugino, sconvolto all’idea che
la cugina potesse pensare
questo, di lui, nonostante in apparenza le prove dicessero proprio questo.
"Maledizione,
Sthiggar! Guarda la
tua lama!" sbraitò a quel punto Hildur, indicando la spada
del cugino, che
giaceva abbandonata a terra... ricoperta da sangue
rosso e corposo.
Sthigg
dilatò ulteriormente gli occhi
fino a farsi male e, boccheggiando, mormorò: "Non... non
ricordo... non
ricordo affatto di averlo fatto,
Hildur. Davvero!"
"Puzzi
d'alcool come un qualsiasi
beone di città, Sthigg" ringhiò furente Nanaok,
una delle Fiamme Nere che
lo stava trattenendo per i ceppi. "Chi mi dice che il vino non ti ha
dato
alla testa, e hai pensato bene di rivivere i buoni, vecchi tempi in cui
ti
cacciavi nei guai per una qualsiasi scemenza?"
"Mi hanno
rovesciato addosso del
vino, la notte scorsa" protestò Sthiggar mentre, di
malagrazia, veniva
trascinato via dalle Sacre Stanze dei Cimeli.
"Raccontala
a qualcun altro"
ironizzò una terza Fiamma Nera, mentre Hildur rimaneva al
suo fianco in un pesante,
straziante silenzio.
"Provate a
chiedere al bar che si
trova vicino alla Stazione di Posta. Sono stato lì, ieri
notte, e una cameriera
mi ha rovesciato addosso una brocca. Se lo ricorderà di
sicuro!" protestò
a quel punto Sthiggar.
Una lama
interruppe qualsiasi sua
protesta, andando a posarsi minacciosa sul suo collo. La terza Fiamma
Nera -
Ryka - gli intimò: "Non una parola di più,
Sthiggar, figlio di Snorri. Non
mi interessa nulla se sei nipote di Sól e figlio del Gran
Sacerdote. Per me
potresti anche essere il figlio del re, ma ti abbiamo trovato qui
dentro con
gli abiti sporchi di sangue e alcool, la tua arma a terra e l'Occhio di
Muspell
nelle tue mani. Cos'altro vorresti raccontarci per evitare la
verità dei fatti,
e cioè che sei solo uno sporco bugiardo con una mente
malata?!"
"Hildur..."
mormorò a quel
punto Sthiggar, lanciando un'occhiata dolente alla cugina.
Lei
sospirò, accettò quello sguardo addolorato
e sì, innocente, e domandò: "Com'era, quella
cameriera?"
Colto da un
moto di speranza, lui gliela
descrisse con dovizia di particolari ma, prima di poterla ringraziare,
le sentì
dire: "Voi conducetelo dal re. Io controllerò la
veridicità delle sue
parole, dopodiché verrò a palazzo."
"Dovrebbe
andare uno di noi. Tu
potresti essere tentata di coprirlo" replicò caustico Ryka,
fissando la
sua superiore con aria torva.
Hildur, per
tutta risposta, gli puntò la
daga contro il torace e ribatté: "Io sono una Fiamma Nera,
insignita a
questo ruolo dallo stesso re Surtr. Nulla è più
importante, per me, della
difesa del sovrano, e nulla mi impedirà di portare a termine
il mio compito.
Neppure mio cugino. Quindi, ora taci e fai come ti è stato
ordinato, oppure
leva la tua spada e combatti con me."
Ciò
detto, lanciò un'occhiata furente
all'indirizzo di Sthiggar, allontanandosi in fretta dalla Sala dei
Cimeli
soltanto quando Rika ebbe reclinato obbediente il capo.
"Coraggio.
Andiamo. Hai già creato
abbastanza problemi a noi e a tua cugina. Non crearne altri"
borbottò
Nanaok, sospingendolo verso la porta che conduceva all'esterno. "La
morte
di due soldati ti dovrebbe costare il carcere a vita, ma io spero che
il re ti
tagli la testa. Così, per lo meno, non infastidirai
più Hildur con le tue
cazzate."
Sthiggar
non replicò alle sue parole e
si lasciò guidare fuori dal salone senza più
provare a opporre resistenza. Lì,
venne issato a bordo di una delle bighe volanti delle Fiamme Nere e,
mentre si
dirigevano a tutta velocità verso l'imponente palazzo di
Surtr, Sthigg tentò
con tutto se stesso di rammentare quel che la sua mente si ostinava a
non
mostrargli.
Non
ricordava nulla di quanto era
accaduto al di fuori del bar. Rammentava a malapena di aver salutato...
come si
chiamava l'uomo con cui aveva dialogato quella sera? Perché
non riusciva a
riportarlo a galla dalla sua memoria confusa?
Mentre la
biga si avvicinava sempre più
al Palazzo Reale, Sthiggar cominciò seriamente a
preoccuparsi quando, nel
ripensare alle stranezze della sera precedente, si rese conto di non
rammentare
quasi più nulla.
Era mai
possibile che il colpo che aveva
ricevuto alla testa - chi glielo aveva dato, tra l'altro? - gli avesse
fatto
dimenticare gli eventi di quella notte?
Aveva
realmente perso il controllo di se
stesso e ucciso due persone innocenti, e tutto
perché... perché si
era diretto proprio alla Sala dei Cimeli? Perché?!
Con quelle
domande senza risposta,
Sthiggar venne infine condotto all'interno del palazzo, dove fervevano
i lavori
di preparazione dell’immane festa che, da lì a un
paio di mesi, avrebbe visto
giungere invitati da ogni Regno.
Né
lo splendore delle sete e dei
drappeggi, né l’opulenza dei quadri e degli
affreschi appesi alle pareti,
catturò per un istente l’attenzione di Sthiggar,
che ancora stava chiedendosi
perché fosse finito in quel guaio colossale.
Suo padre
non sarebbe sopravvissuto a
quell'ennesima bravata. Aveva appena condannato a morte il suo unico
genitore
rimasto, e per una cosa che non ricordava neppure di aver commesso.
Quando
infine raggiunse le porte della
Sala Reale assieme alle due Fiamme Nere, e il paggio ne
ufficializzò l'entrata,
Sthiggar si perse in un dejà-vu di cinquant'anni addietro
quando, spavaldo e
sfrontato, aveva affrontato il re a testa alta pur sapendo di essere
nei guai.
E sapendo di essersi cacciato in un pasticcio per sua colpa e suo dolo.
Questa
volta, però, non ricordava
affatto di aver commesso alcunché, eppure i reati di cui era
accusato erano ben
più che reali e avrebbero potuto davvero costargli la testa.
Nel
bloccare i propri passi di fronte
alle scale che conducevano al palco reale, Sthiggar levò il
capo a scrutare il
volto furioso - e fumante - del re che, picchiando un pugno sul
bracciolo del
trono marmoreo, bestemmiò un insulto prima di urlare:
"Perché diamine devo
vedere la tua brutta faccia di primo mattino, Sthiggar?! Perché?!"
Il giovane
reclinò il capo, i fulvi
capelli a coprire la vergogna di non sapere cosa dire al proprio
sovrano.
Questo
colpì immediatamente il re –
assolutamente non pronto a vedere uno Sthiggar remissivo e confuso
– che, ora più
calmo, aggiunse: "Parlate, Fiamme Nere, e siate precise
nell’esposizione
dei fatti."
Nanaok
prese la parola per primo e disse
con voce sicura: "Ci hanno chiamato a causa di rumori sospetti nei
pressi
delle Sacre Sale dei Cimeli e, quando siamo sopraggiunti, abbiamo
trovato due
guardie a terra, morte, e lui, sanguinante e con l'Occhio di Muspell ai
piedi.
E' evidente come Sthiggar volesse compiere l'atto finale della sua
condanna,
con questo colpo di testa."
Surtr
grugnì una parola intelligibile
prima di ordinare lapidario: "Lascia i tuoi giudizi personali per un
altro
momento, Fiamma Nera. Limitati ai fatti."
Annuendo
rigido, irritato per essere
stato richiamato all’ordine, Nanaok lasciò la
parola a Ryka, che aggiunse:
"Ciò che Nanaok vi ha riportato è vero, sire.
Abbiamo trovato Sthiggar
nella grande sala di Naglfar, con il rubino a portata di mano e la sua
spada a
terra, ancora sanguinante, mentre lui si riprendeva dallo scontro avuto
con un
paio di guardie."
"Un'altra
supposizione, visto che
nessuno di voi due era presente per dire che vi sia stato uno scontro
che ha
visto contrapposti il qui presente ragazzo e le due guardie morte. O mi
sbaglio? Alla terza ipotesi non suffragata da prove, darò di
matto"
ringhiò Surtr, fissando le Fiamme Nere con aria iraconda
prima di rivolgersi a
Sthiggar e domandare: "Cos'hai da dire a tua discolpa, ragazzo?"
"Non
rammento di aver fatto nulla
di ciò di cui vengo accusato, ma non posso negare di essere
stato trovato dove
le due Fiamme Nere hanno detto, né che la mia spada fosse
lorda di sangue.
Quanto al rubino, non so davvero cosa ci facesse ai miei piedi" ammise
Sthiggar con tono sconfitto.
Ancora,
Surtr si sorprese di quel
comportamento stranamente remissivo, davvero insolito per un ragazzo
sanguigno
come Sthiggar e, dubbioso, asserì: "Il tuo comandante mi ha
portato un
resoconto preciso di ogni uomo che ha avuto al suo comando in questi
cinquant'anni,
compreso il tuo e mai, neppure una volta, ha annotato nei tuoi
confronti
comportamenti sfrontati o ai limiti della follia. Certo, ci sono state
risse…
ma quando mai non ve ne sono, tra uomini confinati in una caserma per
così
tanto tempo? E' dunque questa città a metterti le fregole
addosso, ragazzo,
portandoti a impazzire?"
"Non ho
risposte da darvi, mio
sire. Posso solo dire di non rammentare nulla di ciò che
è accaduto da quando
ho lasciato il bar dove ho desinato la scorsa notte" si
limitò a dire
Sthiggar, levando finalmente lo sguardo per incrociare quello del re.
A sorpresa,
Sthiggar notò solo una
profonda confusione negli occhi color granato del sovrano, oltre a una
chiara
domanda a lui rivolta. Veramente si era macchiato di simili colpe?
Il giovane
muspell, però, non poté
rispondergli poiché neppure lui era in possesso di quella
verità.
In quel
mentre, Hildur fece il suo ingresso
nella Sala Reale e, dopo essersi inchinata al sovrano, mise al corrente
i
presenti di quanto aveva scoperto.
"Mi sono
recata al bar indicatomi
da Sthiggar per chiedere informazioni in merito alle sue affermazioni,
ma
l'oste mi ha confermato che nessuna donna bruna lavora nel suo locale.
Rammenta
però Sthiggar, seduto al tavolo con un mercante straniero
per almeno un'ora,
oltre alla sua uscita dal locale intorno all'ora undicesima."
Accigliandosi,
Surtr borbottò:
"Ieri sera la città brulicava di turisti provenienti da ogni
dove... come
può ricordarselo?"
"Dice di
ricordarsi di lui perché è
raro che una Fiamma Purpurea scelga di fermarsi nel suo locale dove, di
solito,
gli avventori sono in gran parte commercianti e portuali"
dichiarò Hildur,
atona.
"Ricordi
chi fosse
quell'uomo?" domandò allora il re, rivolgendosi a Sthiggar.
"Rammento
soltanto che era un
forestiero proveniente dalle terre del Sud ma, quanto al resto, ho un
vuoto
totale nella mente" sospirò Sthiggar prima di aggiungere:
"Non posso
difendermi in alcun modo dalle accuse che mi vengono mosse, sire,
perché non
rammento nulla di ciò che è accaduto. Speravo che
almeno la cameriera potesse
parlare per me ma, a quanto pare, me la sono solo sognata."
Surtr si
accigliò non poco, a quelle
ultime parole e, nello stringere le mani dietro la schiena,
dichiarò: "Non
comminerò mai una condanna a morte senza prova alcuna di
colpevolezza certa nei
tuoi confronti. D'altro canto, sei stato trovato in un luogo in cui non
dovevi
essere, in possesso di una pietra che non dovevi avere e accanto a due
uomini
che non avrebbero dovuto morire. Non posso passare sopra a tutto
questo."
"Ne sono
consapevole, sire"
assentì Sthiggar, tornando a reclinare il capo.
"Sarai
perciò bandito dal regno e
confinato su Midhgardr fino a data da destinarsi. Ti sarà
precluso il rientro
su Muspellheimr fino a mio nuovo ordine e, se infrangerai i confini
della tua
prigione terrestre, allora ti depriverò della testa,
Sthiggar" decretò a
quel punto il sovrano, irrigidendosi in volto.
Il giovane
assentì muto e il re, nel
rivolgersi a Nanaok e Ryka, aggiunse: "Conducetelo nelle celle del
palazzo
finché non appronterò il suo trasferimento.
Hildur, tu rimani."
Mentre le
Fiamme Nere conducevano fuori
dalla Sala Reale un silenzioso Sthiggar, il re lanciò uno
sguardo turbato
all'indirizzo di Hildur e ammise: "Questa faccenda non mi quadra per
nulla."
"Posso dire
molte cose di mio
cugino, ma non che è un assassino a sangue freddo"
assentì torva la donna.
"L'oste mi ha confermato che Sthiggar si è assentato per
qualche minuto
dal tavolo, durante la serata. Lo ha incrociato mentre lui tornava dal
magazzino, e Sthiggar entrava nei bagni del locale. Ha notato che la
sua tunica
era bagnata, ma non ha saputo dirmi altro."
"Trovo
strano che il ragazzo
ricordi poco o nulla, di quella notte. Ha sempre retto bene
l’alcol, perciò non
può essere stato questo a obnubilargli la mente. Inoltre,
l'ho guardato negli
occhi, e non mentiva. Quel ragazzo può essere ciò
che vogliamo, ma non mente mai.
Sthiggar non sa davvero ciò
che è successo" sospirò Surtr, scuotendo turbato
il capo.
"C'è
un'altra cosa, sire. Le guardie
trovate morte nella sala di Naglfar non
erano le Fiamme
Dorate preposte al controllo dei Cimeli, ma due guardie cittadine del
Porto
Commerciale. La loro presenza accanto a Sthiggar, quanto nella Sala dei
Cimeli,
non ha alcun senso" mormorò roca Hildur.
Accigliandosi
ulteriormente, Surtr
borbottò: "Le Sacre Sale dei Cimeli si trovano nei paraggi
del porto,
perciò potrebbero aver visto Sthiggar e averlo seguito
mentre entrava nella
sala di Niglfar... ma hai ragione, qualcosa non torna. Avrebbero dovuto
esserci
le Fiamme Dorate, dinanzi a quelle sale. Dove accidentaccio erano, in
quel
momento?!"
"Ho mandato una
Fiamma Nera a
interrogare chi era di turno ieri notte e, nel giro di mezza giornata,
dovremmo
sapere qualcosa di più" lo informò Hildur.
"Per come stanno le cose, comunque,
non posso
impedirmi di punirlo, oppure scatenerei le ire dei genitori delle
guardie
assassinate, oltre alle noiosissime domande del mio Consiglio Reale.
Già odiano
quando prendo decisioni sommarie, figurarsi se lasciassi Sthiggar fuori
dalla
galera, con prove circostanziali così pesanti a suo carico"
sospirò a quel
punto Surtr, passandosi una mano sul volto irritato.
"Essere sovrano non è
facile, al momento"
chiosò Hildur.
"Da quando si è votato
per un regno
democratico?" ironizzò Surtr, dandole ragione. "Per niente. Vorrei tornare ai bei vecchi
tempi quando ero solo io a
decidere e, se mi andava di staccare una testa, non dovevo renderne
conto a
nessuno, ma sai... le mire repubblicane di certe frange del mio popolo
mi hanno
costretto a un leggero cambio di rotta. Checché se ne pensi,
non sono un
guerrafondaio e non mi andrebbe di dover sedare una rivolta col sangue,
perciò
ho acconsentito a creare un Consiglio Reale di nobili che rappresentino
i vari
Continenti di Muspellheimr e che, di quando in quando, mi ricordo di
interpellare per creare nuove leggi."
Hildur sorrise leggermente, di
fronte al suo tono
ironico ma, con voce roca e stanca, disse: "Se me lo consentirete,
proseguirò nelle indagini per conto mio. Credo sia un fatto
che vada
chiarito."
"Hai il mio permesso. Se qualcuno
ha pensato di
togliere di mezzo Sthiggar, rischiando che finisse persino sulla forca,
ci deve
essere un motivo, e io voglio saperlo. Detesto essere manipolato,
né amo
particolarmente comminare condanne a chi mi piace."
Sospirando, Surtr si
grattò una guancia prima di
guardare Hildur, riprendere la parola e domandare: "Il ragazzo ti ha
detto
di aver sviluppato Fiamme Naturali?"
"Sì, me l'ha accennato.
Ha ammesso di aver perso
la testa, quando ha visto Kyddhar morire, ma che il comandante Yothan
lo ha
aiutato a mantenerne il controllo."
Surtr assentì e, con un
sospiro, disse: "Mia cognata
è ancora inconsolabile, a causa della morte di Kyddhar, ma
è stata lieta di
sapere che è stato degnamente vendicato. Quanto a Mikell,
gli dèi soli sanno
cosa stia passando per la testa di mio cognato. E’ diventato
ombroso e
taciturno, e non parla neppure con Ilya di ciò che
è accaduto.”
“Sono eventi difficili da
assimilare” convenne Hildur.
“Ma possono accadere,
malgrado tutto. Kyddhar lo
sapeva, quando decise di arruolarsi contro il volere paterno ma, a
quanto pare,
Mikell non è tutt’ora di questo parere”
sospirò Surtr prima di aggiungere: “Yothan
ha scritto sul fascicolo di Sthiggar che il ragazzo è
maturato molto e che, tra
alcuni suoi commilitoni, c'è chi lo vede come un leader
nato. Il punto, però, è
un altro."
Accigliandosi leggermente, Hildur
domandò: "Solo alcuni,
eh? E gli altri?"
"Cosa porta il potere?"
replicò sardonico il
re.
"Gelosie" assentì
Hildur, torva in viso.
"Indagherò anche su questa pista e cercherò di
essere discreta. Se
veramente lo hanno incastrato e, per farlo, hanno ucciso due persone
incolpevoli, deve trattarsi di qualcuno davvero senza scrupoli, e
pronto a
tutto per farla pagare a Sthiggar."
Il sovrano annuì e,
torvo in viso, mormorò:
"Forse, dopotutto, questa reclusione terrà il ragazzo al
sicuro."
"Può darsi... anche se
lui non la vedrà così. Era
davvero confuso e addolorato, quando lo abbiamo portato qui"
dichiarò
Hildur con tono fiacco.
"Parla con Snorri. Rassicuralo. Non
voglio che
pensi che suo figlio sia veramente colpevole" si premurò di
dire Surtr.
"La Corte, però, deve pensarlo perché, se
è chiaro a entrambi che la
faccenda è ben lungi dall'essere stata chiarita,
è altrettanto evidente che, se
Sthiggar rimarrà nei paraggi, qualcuno tenterà in
altro modo di toglierlo di
mezzo. Stavolta, forse, agendo più direttamente e
piantandogli un coltello nel
cuore."
"Siete certo della sua innocenza"
disse
Hildur con tono fermo.
"Ragazza, io mi fido di
ciò che vedo, e Sthiggar
non è capace di mentire. Può essere un fanfarone,
ma non mente mai. Lo sai tu
come lo so io e, visto che non vogliamo che qualcuno gli faccia del
male,
dovremo comportarci di conseguenza."
"Sì, sire."
Sbuffando, Surtr
borbottò: "Vorrei davvero capire
cosa sta succedendo. Odio i segreti!"
Hildur sorrise comprensiva e, dopo
essersi congedata,
utilizzò la sua biga alata per raggiungere le colline della
Capitale e, da lì,
la casa dello zio.
Trovandolo ancora in loco, lo
pregò di accomodarsi in
salotto e lì, con tono accorato e dolente, gli
spiegò cosa fosse successo e
cosa, in gran segreto, il re le avesse detto di fare.
Sottolineò
più e più volte l'innocenza di Sthiggar e
lo pregò di non lasciarsi andare allo sconforto
dopodiché, assieme allo zio,
scelse abiti adatti a poter essere utilizzati anche su Midghardr,
dopodiché
preparò un borsone per il cugino e tornò a
palazzo.
Lì, si fece accompagnare
fino alle celle di
detenzione, dove trovò ancora i suoi due colleghi impegnati
a piantonare il
prigioniero.
Prigioniero che, a capo chino e
deprivato di armi e
gradi militari, sembrava essere ormai divenuto l'ombra di se stesso.
"Lasciateci soli. Devo conferire in
privato con
mio cugino" ordinò Hildur, lanciando occhiate significative
ai suoi sottoposti.
Nanaok e Ryka si allontanarono
obbedienti e la donna,
dopo aver aperto la cella, vi entrò e poggiò il
borsone ai piedi di Sthiggar.
Ciò fatto, si
lasciò andare sulla panca accanto a
quella del cugino e disse: "Il re e io siamo convinti che tu non menta,
cugino. Qualcuno ti vuole lontano da qui. Fuori dai piedi e,
possibilmente,
rovinato a vita."
Sthiggar levò il capo
con chiara sorpresa e Hildur,
nel dargli una pacca sulla spalla, aggiunse: "Non sei mai stato un
bugiardo, Sthigg. Uno sbruffone, forse, uno che amava aggirare le
regole, ma
non un mentitore, né tanto meno un assassino a sangue
freddo. Inoltre, è strano
che tu non ricordi affatto ciò
che è successo ieri notte.
Sei un problema per qualcuno, ma hanno avuto paura di ucciderti.
Perché?"
"A me, lo chiedi?"
sospirò il cugino,
scrollando le spalle.
"Forse temevano la tua discendenza.
Chissà. Fatto
sta che tu sei vivo, mentre due guardie no, e persone che pensano di
poter
uccidere così gratuitamente, e al solo scopo di allontanarti
da Muspellheimr,
hanno qualcosa di grosso in mente. Qualcosa di grosso e pericoloso."
"Lo hai detto a papà?"
domandò turbato il
giovane.
"E' informato, non temere. Il re
voleva che
Snorri lo sapesse da me" lo rassicurò Hildur.
"Indagherò, e..."
"No" sottolineò subito
Sthiggar, lapidario.
Hildur sobbalzò per la
sorpresa, già pronta a
ribattere, ma Sthiggar le prese una mano e aggiunse: "Se hanno ucciso
senza scrupoli pur di tenermi lontano da qui, non esiteranno a farti
del male,
se scopriranno che stai indagando su chiunque mi voglia fuori da
Muspellheimr.
Non voglio che tu rischi così per me."
"Sei mio cugino. E il re me l'ha
ordinato"
replicò con semplicità la donna. "Copriti bene,
su Midghard, perché fa un
freddo assurdo ma, soprattutto, abbi la certezza che io
scoprirò cosa sta
succedendo e riabiliterò il tuo nome."
"Pensa prima di tutto alla tua
sicurezza. Non potrei
vivere più, se sapessi che sei morta a causa mia"
mormorò Sthiggar,
abbracciando con calore Hildur.
La donna assentì per
rassicurarlo, pur se era più che
pronta a fare di testa sua per riabilitare il nome del cugino, gli
baciò una
guancia dopodiché, nell'alzarsi, disse: "Vieni. Il re
avrà ormai pronti i
documenti per poterti inviare alle prigioni di Midghardr,
perciò rimarremo
insieme ancora per un po'."
A Sthiggar non rimase che assentire
e, preso con sé il
suo bagaglio, si accodò - con le mani legate - alla cugina,
ormai pronto ad
affrontare la sua condanna e ciò che ne sarebbe venuto.
N.d.A.: La
faccenda si complica velocemente e, per Sthiggar, diventa davvero
difficile cavarsi dall'impiccio, stavolta. Inoltre, non ricordando
nulla di ciò che è avvenuto, non sa se credere
alla ricostruzione delle Fiamme Nere, e dichiararsi colpevole, o
credere ancora in se stesso e nella sua buona fede.
Che accadrà
a questo punto, e cosa potrà fare Hildur per salvarlo?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Cap. 5
Il Portale di Bifröst
altro non era che
un'immensa struttura a cupola in vetro smerigliato, in cui nove enormi
arcate e
altrettante porte di pesante metallo brunito e bulinato con raffinata
maestria
conducevano ad altrettanti Regni.
La porta di Vanaheimr, diversamente
dalle altre, era ormai sbarrata da millenni, poiché il reame
dei Vani era
perito a causa della morte della stella che ne aveva consentito la vita
per
milioni di anni.
Quanto alle altre porte, erano
regolarmente utilizzate e tenute sotto controllo ma, nel caso di
Jötunheimr,
Svartalfheimr e Niflheimr, armigeri presenti a ogni ora del giorno e
della
notte garantivo la sicurezza del passatto e la contingentazione delle
entrate.
Non che fosse vietato il passaggio
da
quelle porte, ma era meglio non rischiare, con i popoli abitanti quei
pianeti
così oscuri e minacciosi.
Quando la coppia di cugini si
apprestò a
raggiungere il portale che conduceva su Midghardr, Sthiggar interruppe
i propri
passi per fissare sgomento e sorpreso una figura a lui familiare.
Hildur si accigliò nel
riconoscere il
giovane che li stava attendendo a pochi passi dal portale di Midghardr
ma, ben
sapendo quanto avrebbe potuto essere dura, per il cugino, da
lì in avanti,
lasciò correre e permise al nuovo venuto di avvicinarsi.
A un cenno di Hildur, quindi, Rhad
Kahnn
si approssimò all’amico per stringerlo in un
abbraccio fraterno e Sthiggar, nel
replicare a tale stretta, mormorò: “Come? Come hai
saputo?”
“Ho i miei
metodi” ammiccò l’altro,
sorridendogli speranzoso nello scostarsi da lui. “Thrydann ha
già saputo ogni
cosa, grazie al padre, perciò la notizia si sta spargendo
per tutta Hindarall
con la forza di un incendio, ma i tuoi amici sinceri non credono a una
sola
parola di quello che il bastardo va dicendo in giro, non
temere.”
Sthiggar assentì
leggermente tremante,
percependo senza sforzo le lacrime che, feroci, stavano sorgendo nei
suoi
occhi, pronte a sgorgare al minimo segnale di debolezza.
Aveva sempre visto Rhadd come un
giovane
troppo gentile, troppo gracile e inadatto al ruolo di soldato
dell’esercito e,
per questo, lo aveva preso fin dall’inizio sotto la sua ala.
Lo aveva sempre considerato alla
stregua
di un fratello minore, di qualcuno da proteggere e amare, e a questo si
era
attenuto ma ora, di fronte a quel Portale, i ruoli sembravano essersi
ribaltati.
Ora era Rhadd a proteggerlo dalla
paura
di quel balzo nel vuoto, di quel futuro privo di certezze, e lui ne era
così
felice da sentirsi scoppiare il cuore nel petto.
“Resisti, e vedrai che
risolveremo la
cosa” soggiunse Rhadd, dandogli una stretta sulle spalle per
infondergli
coraggio. “Se potessi, io…”
Hildur intervenne gelida,
asserendo: “Se
potessi, nulla, Fiamma Purpurea.
E’
tempo che andiamo.”
Ciò detto, spinse
Sthiggar verso il
Guardiano di Bifröst perché il cugino espletasse
tutte le pratiche prima della
partenza ma Rhadd, nel passare accanto a Hildur, mormorò al
suo orecchio:
“Indagherò alla mia
maniera e, se
troverò qualcosa, te lo dirò.”
Lei assentì rapida e,
con tono secco, lo
scacciò prima che occhi od orecchie indiscrete si
interessassero troppo al loro
scambio di battute segreto, dopodiché si rivolse a suo
cugino perché non
perdesse altro tempo.
Era inutile dargli false speranze
quando, al momento, non v’erano certezze su niente. Non
appena furono al
cospetto del Guardiano di Bifrost, questi li scrutò
incuriosito per alcuni
attimi prima di ricevere da Hildur le istruzioni in merito al viaggio
di
Sthiggar.
Quando il Guardiano lesse le
interdizioni a lui legate, assentì brevemente, chiese a
Sthiggar di allungare
un braccio dopodiché, nel poggiarvi sopra il pennino in oro
con cui redigeva i
suoi registri, disse: "Interdizione al passaggio per settantadue
anni."
Dalla punta del pennino
scaturì un
fluido nerastro che, ben presto, si attorcigliò attorno al
polso di Sthiggar
formando un arabesco geometrico che, poco alla volta,
penetrò sottopelle alla
stregua di un tatuaggio.
Quando il processo ebbe termine, il
Guardiano gli spiegò atono: "Se tenterai di passare dal
portale, il
tatuaggio si spezzerà, inondando il tuo sangue di veleno. Al
compimento del
settantaduesimo anno di interdizione, invece, semplicemente
sparirà dalla tua
pelle, e tu sarai libero di tornare. Ti è tutto chiaro?"
"Sì" assentì
rapido Sthiggar,
scrutando dubbioso lo strano marchio che ora adornava il suo
polso.
"Ti accompagnerò fino al
luogo
della tua detenzione, dove troverai altri due muspell che, prima di te,
sono
stati banditi dal regno e che, d'ora innanzi, avranno il compito di
spiegarti
le regole di Midghardr" gli spiegò Hildur, attendendo che il
Guardiano
aprisse per loro il portale. "Grazie a te, otterranno trent'anni di
sconto
sulla loro pena, perciò troverai in loro dei compagni di
prigionia piuttosto
ben disposti."
"Perché sono stati
banditi?"
le chiese Sthiggar, storcendo il naso.
"Ricettazione e furto. Sono stati
beccati a rubare nei forzieri reali e, a quel tempo, il re non era
molto
bendisposto nei confronti dei ladri" si limitò a dire
Hildur,
accigliandosi quando un bagliore immane li investì nel
momento dell'apertura
del portale. "Merda... dimentico ogni volta che il passaggio verso
Midghardr corrisponde al colore giallo. Spacca sempre gli occhi."
Anche Sthiggar si coprì
il volto di
fronte a quella luce così violenta ma, non appena ebbero
oltrepassato il
portale, la luminosità si fece più tenue e, poco
alla volta, il passaggio sul
ponte dell'arcobaleno comparve dinanzi ai loro occhi.
Dabbasso, a molte iarde di
distanza, il
rombo del fiume che era Bifröst riempiva ogni meandro della
grotta in cui ora
si trovavano e, mentre Hildur e Sthiggar attraversavano il ponte di
pietra che
conduceva a Midghardr, quest'ultimo domandò: "Cosa devo
aspettarmi?"
"Qualsiasi cosa la tua fantasia
possa suggerirti... e forse non basterà" lo mise in guardia
lei,
indicandogli di seguirlo lungo una ripida scalinata che volgeva verso
l'alto.
Sthiggar non accolse bene quelle
parole
- lui era un uomo pratico, ben poco propenso a fantasticare a occhi
aperti -
ma, quando finalmente poté scorgere il cielo di quel nuovo
mondo, ogni suo
pensiero perse di interesse.
A bocca aperta e con uno sguardo
pieno
di meraviglia, uscì dal cunicolo che fin lì aveva
percorso assieme alla cugina per
sbucare nel bel mezzo di un campo erboso e circondato da alte pietre
grigie.
Queste, disposte in linea retta per centinaia di iarde e ricoperte da
sottili
strati di licheni giallastri, erano illuminate dagli ultimi residui di
un
tramonto dai colori magnifici, che investirono Sthiggar in tutta la
loro
bellezza.
La brezza proveniente da una vasta
distesa di acqua, che lui ipotizzò essere un mare, lo
inondò di profumi a lui
sconosciuti e, quando Hildur lo raggiunse, le sentì dire:
"Quella laggiù è
acqua salata, perciò non farti venire in mente di berla."
"E' un mare come i nostri,
però?" domandò curioso Sthiggar.
"E' simile ma, per poterlo bere,
devono
desalinizzarlo e ripulirlo da scorie artificiali" gli spiegò
sommariamente
la donna.
"Scorie... artificiali?"
domandò dubbioso il giovane.
"Scoprirai
che gli umani hanno idee ancora poco chiare, in merito alla salute del
proprio
pianeta o al grado di civiltà da tenersi con le altrui
persone" ironizzò
la cugina. "Ti dovrai dare alla lettura, se vorrai capire come evitare
problemi."
"A proposito di lettura... come
farò con il vocabolario?" si
domandò Sthiggar, vagamente preoccupato.
Hildur allora sorrise dolcemente e
replicò: "Non ti sei ascoltato
mentre parlavi, vero?"
"In che senso?" borbottò
lui prima di sgranare lentamente gli
occhi e gracchiare: "Ma... in che lingua mi sto esprimendo?!"
"Non ti sei accorto che, mentre
attraversavamo il ponte sul Bifröst,
siamo stati investiti da una sorta di nebbiolina?" gli
ricordò allora la
cugina, tastando con attenzione alcuni dei monoliti del sito
megalitico, come
alla ricerca di qualcosa.
Vagamente ansioso, Sthigg
assentì e disse: "Sì, me lo ricordo. Ho
pensato che fosse semplice umidità."
"Serve ai viandanti dei mondi per
non avere problemi con le lingue dei
vari pianeti. Ora, tu ti esprimi nella lingua del luogo in cui ci
troviamo e
che, per la cronaca, si chiama Svezia. Naturalmente, se vorrai imparare
altre
lingue, dovrai farlo tu stesso ma, per cominciare, sapere lo svedese ti
aiuterà
a non sembrare un completo idiota" dichiarò lei, sorridendo
quando
finalmente trovò quel che cercava.
La mano di Hildur
affondò letteralmente nella roccia, ma questo non
turbò
affatto Sthiggar. Non era nuovo a incantesimi di quel genere e non lo
stupiva
che, anche lì su Midghardr, si fosse ricorsi a simili
trucchetti per nascondere
ciò che era di loro interesse.
Su Muspellheimr, simili alcove
magiche erano utilizzatissime.
Quando Hildur ritrasse la mano,
estrasse alcuni piccoli libercoli colorati
e, quando lei gliene mostrò uno, lui domandò
curioso: "Perché c'è un mio
piccolo ritratto, all'interno?"
"Non è un ritratto, ma
una fotografia. Scoprirai presto che qui la
tecnologia sostituisce la magia e, spesso, la surclassa" gli
spiegò
Hildur, consegnandogli i suoi documenti prima di aggiungere: "Per
raggiungere Luleå, il luogo in cui sconterai la tua pena
detentiva, dovremo
prendere un apparecchio tecnologico chiamato aeroplano e, te lo dico
fin d'ora,
non ti piacerà per nulla. D'altro canto, non possiamo fare
altrimenti, o
impiegheremmo giorni a raggiungere quel luogo a piedi, e io non ho
tutto questo
tempo a disposizione."
L'idea di allontanarsi da Hildur
fece sorgere una smorfia sul viso di
Sthiggar che, con un sospiro, disse: "Giusto. Questa non è
una gita."
"No. Niente affatto. Scoprirai ben
presto perché il sovrano ha scelto
proprio la Svezia come nostro luogo detentivo" sospirò a sua
volta Hildur.
"Ritengo, comunque, che al momento tu sia più al sicuro qui,
rispetto a
Muspellheimr, perciò porta pazienza e lascia fare a me,
cugino. Scoprirò chi ti
ha cacciato in questo guaio."
Lui assentì, ma disse:
"Parla con il comandante Yothan. Digli che non
c'entro nulla."
"Dubito che potrebbe credere il
contrario. E' entusiasta di te, e il
re lo sa" lo rincuorò Hildur prima di guardarlo, scuotere il
capo e
borbottare: "Non possiamo raggiungere Målmo con te e me
conciati a questo
modo."
"Cos'hanno che non vanno i nostri
abiti?" domandò a quel punto
lui, guardando entrambi con espressione confusa.
"Lo scoprirai presto"
chiosò lei, afferrando un paio di calzoni
dal borsone di Sthiggar, dove aveva infilato anche alcuni suoi
indumenti.
Ben presto furono abbiglianti in
modo più consono per un viaggetto a piedi
fino alla cittadina di Målmo che, comunque, raggiunsero solo
tredici ore dopo.
Lì, Sthiggar
iniziò a comprendere cosa avesse voluto intendere la cugina
con 'usare la fantasia'. Mentre i
suoi occhi registravano
migliaia di input, l'uno più sconvolgente dell'altro, Hildur
si occupò di
acquistare per entrambi un biglietto aereo per Luleå.
Sthiggar, a quel punto,
pensò bene di usare un vecchio trucco insegnatogli
in addestramento da Yothan, perciò lasciò perdere
qualsiasi cosa lo
circondasse, qualsiasi rumore venisse in contatto con il suo udito per
concentrarsi su un'unica cosa; raggiungere la sua meta finale.
Trovò comunque difficile
venire imbottigliato in un'enorme scatola
metallica e imbottita di piccoli scranni ricoperti di tessuto, dove
decine di
altre persone - umani - sembravano non essere affatto preoccupati
all'idea che
quel coso alato potesse volare.
Lui sapeva benissimo che anche le
loro navi, così come le loro bighe,
volavano, ma erano mosse dalla magia.
Da quel che gli aveva detto Hildur, invece, su Midghardr non esisteva
nulla del
genere per cui, non conoscendo il genere di tecnologia che muoveva quei
cosi,
non poteva certo sentirsi incoraggiato a usarli.
Per tutta la durata del viaggio
tenne quindi le mani serrate sui braccioli,
contando mentalmente fino a un milione in tutte le lingue di sua
conoscenza,
utilizzando anche lo svedese, quella strana nuova lingua che gli era
stata
inculcata in testa dalla magia di Bifröst.
Quando finalmente scesero,
comunque, Sthiggar lanciò una silenziosa
preghiera di ringraziamento a sua nonna Sól, mentre Hildur
recuperava i bagagli
e trascinava lontano dall'aeroporto un tramortito cugino.
Cugino che, nel ritrovarsi a dover
combattere il peggior freddo patito in
vita sua, cominciò a battere i denti, osservò
inorridito dei cumuli di robaccia
bianca e che emanava il tremendo umidore gelido che lo stava mandando
ai matti
e borbottò: "Che diavolo è quella roba?!"
"Neve. Siamo ad aprile, qui, e a
queste latitudini ancora nevica, in
questo periodo" dichiarò comprensiva Hildur, estraendo dalla
sacca di
Sthiggar un paio di giacche di pelle. Non erano il massimo, quando a
protezione, ma erano quanto di più simile a un
capo umano che potessero vantare.
Rabbrividendo da capo a piedi,
Sthiggar indossò in tutta fretta la sua
blusa di pelle di yrtan dopodiché,
fissando disgustato la
neve, ringhiò: "Chiunque sia stato a rinchiudermi in questo
posto, la
pagherà cara!"
"Prima di congelare,
sarà meglio se raggiungiamo i tuoi due nuovi
coinquilini" dichiarò Hildur, muovendosi a passo spedito.
"Perché tu sai
esattamente cosa fare e come farlo, scusa?"
domandò a quel punto Sthiggar, sfregandosi con violenza le
mani perché si
scaldassero almeno un poco. Quel luogo sembrava inibire la sua aura
infuocata
in un modo che mai, prima di allora, aveva sperimentato.
Non faticava a comprendere
perché Surtr avesse scelto quel posto per esiliare
e riportare a più miti consigli gli abitanti di
Muspellhemir. Quel posto
sembrava essere debilitante come Jötunheimr, per loro.
"Sono le Fiamme Nere a occuparsi
dei prigionieri, Sthiggar... e questo
comprende qualche capatina qua e là dal confine."
"Dovrò sentirmi sempre
così svuotato, freddo e senza forze, qui?"
si lagnò a quel punto Sthiggar, squadrando con aria malevola
le casette che lo
circondavano, gli ordinati giardini che le cingevano e le strade dove,
ogni
tanto, qualche carro meccanizzato e rumoroso spezzava la quiete del
luogo.
"Come muspell saresti risultato
troppo potente, in un altro luogo,
mentre qui hai più o meno le stesse capacità di
un umano. Il freddo annienta la
tua aura. A maggior ragione tu, che sei di stirpe divina" gli
spiegò Hildur,
conducendolo lungo una selva apparentemente infinita di stradine,
viottoli e
selciati.
Sthiggar si chiuse in un mutismo
irritato e, senza darsi pena di apparire
simpatico, non degnò neppure di un'occhiata le poche persone
che, a quell'ora
antelucana, incrociarono al loro passaggio.
La notte stava scendendo
rapidamente, in quelle lande a lui del tutto
sconosciute e apparentemente inospitali, e la strana
luminosità residua del
cielo cominciava a dargli qualche problema. Perché mai,
invece di diventare
semplicemente buio pesto, il cielo stava iniziando a striarsi di verde?
Nel notare il suo sguardo, Hildur
sorrise appena e disse: "Si chiama
aurora boreale. La vedrai spesso, qui, la notte. E' un fenomeno
magnetico che
ha a che fare con la stella che illumina Midghardr, che è
chiamata Sol."
"Come mia nonna?"
gracchiò Sthiggar, confuso.
Hildur rise comprensiva e
replicò: "Sì, il nome in suo onore è
rimasto, nonostante siano secoli che i terrestri non la adorano
più."
"Quello
lassù, invece, è il satellite di Midghardr?"
indicò Sthigg, puntando il
dito verso il disco argentato che brillava nel cielo.
Hildur assentì e
mormorò: "Non è bellissima? La chiamano, indovina
un
po'... måne."
"Come
Mani. Allora, i terrestri non si sono del tutto dimenticati degli
antichi
dèi" mormorò pensieroso Sthiggar, sinceramente
strabiliato.
"Forse,
sono più romantici e malinconici di quanto essi stessi non
pensino" chiosò
Hildur, indirizzandolo verso un viottolo laterale rispetto alla strada
che
stavano percorrendo.
Sthiggar non replicò al
commento della cugina, si limitò a seguirla lungo
le strade di Luleå e la cugina, suo malgrado, non
poté che avere pietà di lui.
Non faticava a comprendere la sua
confusione e la sua paura. Si trovava in
un luogo a lui del tutto sconosciuto, non aveva la minima idea di
quando
sarebbe tornato a casa, né se avrebbero mai trovato colui o
coloro che lo
avevano voluto allontanare da Muspellheimr e, non da ultimo, ora era
del tutto
inerme.
Deprivato dei suoi poteri del
fuoco, Sthiggar doveva davvero sentirsi
denudato, del tutto fuori luogo e per nulla a suo agio.
Si era spesso arrabbiata con lui
per i suoi colpi di testa e le sue smanie
di protagonismo, ma in quel momento desiderò solo
proteggerlo, pur non potendo
fare molto, per il cugino.
"Ti prometto che
risolverò tutto" mormorò Hildur dopo alcuni
istanti di silenzio.
Sthiggar ancora non rispose alle
sue affermazioni, ma sorprese la cugina
nell'abbracciarla e stringerla a sé, tremante come una
foglia, e quasi
sicuramente non per il freddo.
Hildur fermò i suoi
passi, poggiò il capo contro il torace del cugino e le
mani su quelle del cugino, strette a pugno attorno a lei
dopodiché, dolcemente,
sussurrò: "Mio krishar, vedrai
che ci ritroveremo
presto."
Lui gorgogliò una
risata, si scostò da lei dopo averle dato un bacetto sui
capelli e mormorò: "Non mi chiamavi 'cucciolotto' da
quando avevo dieci anni."
Hildur si limitò a
scrollare le spalle e, indicandogli una via, disse:
"Vieni. Siamo quasi arrivati."
Sthiggar assentì,
rabbrividì nuovamente - stavolta per il freddo - e,
nell'osservare le casupole colorate attorno a lui e i bei giardinetti
circondati da bassi steccati, disse: "Non hanno bisogno di mura di
cinta
per difendere le loro case, a quanto pare."
"Qui la delinquenza è
bassa. Come ben presto noterai, la gente è
cordiale ed educata, da queste parti, anche se potrà
sembrarti un po'...
controllata?"
"Non vanno a bisbocciare ogni santa
ora, vuoi dire?" cercò di
ironizzare Sthiggar.
"Magari lo fanno, ma con contegno"
buttò lì Hildur prima di fermarsi
dinanzi a una casetta da un piano, a cui era annessa una dependance di
poco più
piccola.
Re Surtr aveva fatto in modo che la
prigionia su Midghardr non fosse
disagevole - avendo già il demerito di togliere ogni potere
ai muspell - e, in
quel luogo di pace, i detenuti solitamente riuscivano a venire a patti
con i
propri misfatti e a redimersi.
Certo, si conoscevano anche delle
eccezioni, eccezioni a cui da anni
mancava la testa dal corpo, ma si potevano davvero contare sulla punta
delle
dita di una mano.
"Qui abitano Flyka e Trym, e
saranno i tuoi compagni" disse
Hildur prima di suonare il campanello accanto al cancelletto d'ingresso.
Mentre Sthiggar annuiva
meccanicamente, una bionda statuaria aprì la porta
della casetta color pervinca e, nel vederli, aprì subito il
cancelletto per poi
dire: "Vi è andata bene. Ieri nevicava di brutto."
Sthigg rabbrividì al
solo sentir parlare della neve e, mentre la coppia
entrava in casa - riscaldata da una enorme stufa a legna -
domandò dubbioso:
"Ma qui nevica sempre?"
La bionda, di nome Flyka, rise
sguaiata e replicò: "No, ragazzo, ma
diversi mesi l'anno dovrai pregare tutti gli dèi di Muspell
per scaldarti un
po'."
"Lo rincuori di sicuro, dicendogli
così, Flyka" intervenne una
nuova voce, stavolta maschile.
Pochi istanti dopo, da una porta
socchiusa fece il suo ingresso un uomo
imponente e alto all'incirca due metri, dai cortissimi capelli rosso
scuro e
occhi di un profondo nero ossidiana.
Sul collo, portava il tatuaggio
inequivocabile delle Fiamme Purpuree, bannato
però da un singolo colpo di colore, che ne denunciava a
chiare lettere il
tradimento.
Istintivamente, Sthiggar se ne
risentì - lui era una novella Fiamma
Purpurea, e l'idea di trovarsi assieme a un traditore del Corpo non gli
piaceva
per nulla - ma, sapendo bene di trovarsi forzatamente in quel luogo,
preferì
soprassedere.
"Ebbene... lui sarà il
nostro nuovo coinquilino?" domandò Trym,
fissando pieno di curiosità il nuovo arrivato.
"Lui è Sthiggar, figlio
di Snorri, e rimarrà con voi per un po'. E' accusato
di furto come voi, perciò avete almeno questo, in comune"
chiosò Hildur,
chiedendo quindi loro di allungare i rispettivi avambracci.
Come il Guardiano di
Bifröst aveva fatto con Sthiggar, così Hildur
toccò i
loro tatuaggi al polso con un pennino dorato e, subito, questi
mutarono,
facendosi più sottili e ambrati.
"Ora vi sono stati scontati gli
anni pattuiti per essere i suoi
guardiani, perciò comportatevi bene. Passerò di
qui ogni sei mesi, come al
solito, perciò fatemi contenta e non combinate guai,
altrimenti lo sconto di
pena verrà tolto" ciò detto, si volse verso
Sthiggar e si limitò a dire:
"Lo stesso vale per te, ragazzo."
Sthiggar sapeva bene che Hildur non
poteva rendere nota la loro parentela,
o questo avrebbe messo in pericolo lui e sminuito lei. Avrebbero dovuto
salutarsi come due perfetti estranei che si sopportavano a malapena.
"Cercherò di non
peggiorare la mia situazione" dichiarò quindi
Sthiggar facendo spallucce.
"Tanto volevo sentire"
motteggiò a quel punto Hildur, andandosene
dopo un ultimo saluto al trio appena formatosi.
Fu un attimo, e Hildur era
già scomparsa, lasciandolo lì in un mondo
alieno, tra persone che non conosceva e di cui non sapeva se poteva
fidarsi o
meno.
Se fosse stato un bambino, avrebbe
iniziato a piangere a dirotto ma ormai
era un uomo fatto e finito, e doveva sopravvivere abbastanza a lungo
per vedere
riabilitato il proprio nome.
Sperava soltanto che, per farlo,
sua cugina non rischiasse la vita, o
peggio, non perisse nel tentativo.
Una pacca sulla spalla lo
strappò ai suoi tristi pensieri e l'uomo che
Hildur gli aveva presentato come Trym gli disse: "Immagino avrai fame,
oltre a mille domande. Vieni di là. Ho preparato qualcosa
che dovrebbe
piacerti."
Annuendo, Sthiggar lo
seguì in una stanza adiacente, dove un gradevole
tepore - unito a un profumo accattivante - lo accolsero come un
abbraccio un
po' rude ma rinvigorente, sciogliendo definitivamente il freddo che
aveva fin
lì patito.
Accomodandosi a un loro cenno,
Sthiggar notò la loro confidenza, il loro
modo di muoversi all'unisono e, dopo aver sorseggiato un abbondante
bicchiere
d’acqua colorata che loro chiamarono ‘tè’,
domandò: "Siete una coppia?"
"Da almeno sei anni"
assentì Flyka. "La prigionia ha avuto
anche i suoi vantaggi, dopotutto. Quando avremo finito di scontare la
nostra
pena, torneremo su Muspellheimr e ci trasferiremo al nord, dove
costruiremo la
nostra fattoria e alleveremo krontos."
Sorridendo nel sentir nominare le
loro bestie da soma più comuni, Sthiggar
esalò: "Sarà davvero un cambiamento radicale."
"Scoprirai ben presto che qui la
vita è tranquilla e, per persone
nevrotiche come noi eravamo, è stato un bel cambiamento.
Subito ci siamo
trovati spaesati, persino disgustati da una simile quiete, ma ora non
la
cambieremmo per nulla al mondo" soggiunse Trym, consegnandogli un
piatto
fumante di carne e verdure. “Per questo ci
è venuto in mente di diventare
allevatori. Sarà un bel cambiamento, ma sarà
positivo per entrambi.”
Le parole calma e tranquillità non
facevano parte del suo vocabolario, quindi Sthiggar le trovò
fastidiose quanto
un cazzotto in faccia ma, memore della sua situazione, soprassedette e
accettò
di buon grado di ascoltare le loro storie.
La presenza rilassante di Flyka
che, nonostante l’aspetto da guerriera,
aveva modi di fare molto materni, lo aiutò a rilassarsi
gradatamente e, a notte
inoltrata, la coppia gli mostrò il luogo in cui avrebbe
dimorato da lì in poi.
L'appartamento dove avrebbe
risieduto
per i prossimi tempi - almeno finché Hildur non avesse
provato la sua innocenza
- era molto più piccolo rispetto all'enorme villa signorile
del padre, ma
decisamente più ampio rispetto alle minuscole stamberghe
dove aveva soggiornato
come soldato.
Con Trym e Flyka si era astenuto
dall'ammettere tutta la verità, non sapendo ancora se
fidarsi o meno di loro,
perciò si era limitato a dire di aver tentato di trafugare
una reliquia, e di
essere stato preso con le mani nel sacco.
Era una mezza verità ma,
d'altra parte,
non ricordava un accidenti di quel che era successo la notte che lo
aveva
condannato all’esilio. Dubitava, comunque, di essere ricaduto
nei vecchi schemi
comportamentali dopo aver rimesso piede nella Capitale da solo un
giorno.
Sapeva di non essere perfetto, ma
da lì
a comportarsi da emerito idiota, ce ne correva. Il punto era
capire perché lo
avessero incastrato, e perché si fossero spinti a uccidere
due soldati pur di
spedirlo lontano da Muspellheimr.
Se avessero voluto eliminarlo,
avrebbero
potuto benissimo ucciderlo, invece avevano fatto in modo di creare una
situazione
abbastanza grave perché venisse esiliato, ma senza prove
certe che lo
condannassero a morte. Avevano sicuramente contato sul suo stretto
rapporto con
il re, che avrebbe spinto il sovrano a cercare di salvarlo dalla forca
a ogni
costo.
Lo volevano fuori dai piedi, ma non
morto, pur se i motivi gli sfuggivano completamente.
Rigirandosi nel letto, a suo modo
di
vedere fin troppo morbido, Sthiggar ripensò alle parole di
Trym, al racconto
del suo tradimento - causato dal suo bisogno di denaro per salvare la
famiglia
dal tracollo - e al momento in cui aveva deciso di commettere quel
furto
clamoroso.
Introdursi nel Palazzo d'Estate del
sovrano era stato complesso e articolato, degno di una mente davvero
brillante,
ma il furto era sfociato in un autentico disastro quando, a causa del
suo buon
cuore, si era fatto distrarre da una fanciulla in difficoltà.
Flyka, per l'appunto. Rimasta
bloccata
in una delle trappole costruite all'interno del palazzo per proteggere
il
tesoro reale, la donna era stata aiutata da Trym a salvarsi da una
morte per
soffocamento, ma questo era costato a entrambi la libertà.
Scoperti dai soldati presenti nel
Palazzo d'Estate, erano stati messi ai ceppi e condotti al cospetto del
sovrano
che, reso da poco padre dall'amata moglie, aveva mal accettato che
qualcuno
avesse tentato di rovinare quei lieti giorni.
Per questo motivo, i due muspell
erano
stati condannati a ottant'anni di esilio su Midghardr, di cui la coppia
aveva
già scontato una trentina d’anni, spostandosi da
una prigione all’altra per non
destare sospetti nei terrestri. Grazie al guaio in cui si era cacciato
Sthiggar, però, il loro tempo su Midghardr si sarebbe
drasticamente ridotto,
riconducendoli su Muspellheimr ben prima del previsto.
Con un sospiro, Sthigg
mormorò tra sé:
"Speriamo per lo meno che non se la prendano con mio padre."
Il fatto di non poterlo proteggere
in
alcun modo gli pesava sul cuore più di un macigno, ma
l'unica cosa che poteva
fare in quel momento era tenere i piedi ben piantati per terra e
fidarsi di Hildur.
Dubitava che la cugina non avesse pensato anche a
quell'eventualità, per cui
doveva dare per scontato che suo padre fosse degnamente protetto.
Non poteva fare altro, per
sé e per gli
altri.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Cap. 6
Il comandante Yothan stava
camminando nervosamente
avanti e indietro nello studio del sovrano, la mente attraversata da
mille
pensieri e la mascella resa rigida dall'ansia.
Aveva passato trent'anni della sua
vita
a tirare fuori il meglio da Sthiggar e, nel corso di quel tempo
trascorso
assieme, aveva scorto in lui una crescita mentale e fisica notevoli.
La morte di Kyddhar lo aveva
ovviamente
segnato, come tutti, del resto, ma era anche stata il fattore
scatenante la
nascita della Fiamma Viva in lui, rendendo così noto a tutti
quanto, in Sthiggar,
vi fossero potere e coraggio. Forse troppo?
Qualcuno lo aveva voluto fuori dai
giochi per qualche motivo? O le gelosie nei suoi confronti erano
sfociate in
quel tentativo di distruggerlo a livello sociale?
"Ancora un po', amico mio, e
scaverai una fossa nel mio ufficio" ironizzò fiacco Surtr,
poggiando la
guancia contro il pugno sollevato.
Bloccando i propri passi, Yothan
sorrise
a mezzo al suo sovrano, assiso sullo scranno in pelle che usava nel suo
studio
privato, e chiosò: "Prima che io riesca a consumare un
pavimento in
ossidiana, occorrerà ancora molto tempo, sire."
"Ciò nondimeno, il tuo
incedere
così nervoso fa aumentare il mio, di nervoso.
Perciò è il caso che tu ti ferma,
amico mio, prima che io perda la calma" sottolineò il
sovrano, perdendo di
colpo il sorriso.
"Sapete benissimo, sire, che quel
ragazzo è stato incastrato. Avete comminato una pena
ingiusta!" sbottò a
quel punto Yothan, perdendo a sua volta il desiderio di fare
dell’ironia.
"E io voglio renderti edotto in
merito a ciò che posso o non posso fare, mio vecchio
commilitone" borbottò
Surtr, levandosi irritato dallo scranno per oltrepassare la scrivania e
poggiarvisi contro. "A causa di quel maledettissimo Consiglio, non
potevo
prendere d'imperio la decisione di assolvere Sthiggar. Con quali prove,
poi? Il
ragazzo si trovava in un posto in cui non doveva
trovarsi, con
due guardie morte a pochi passi da lui, la spada lorda di sangue e
l'Occhio di
Muspell accanto ai piedi. Capisci bene che, se avessi
soprasseduto su
tutto, sarebbero stati guai in primo luogo per lui, e in
seconda istanza
per me. Non ho bisogno che i repubblicani trovino nuove scuse per
attaccarmi, e
lo sai."
"Quindi, sacrifichiamo Sthiggar per
permettere a voi di stare sul trono?" lo rabberciò Yothan
con sguardo
iracondo.
Surtr si accigliò
nell'udire quelle
parole piene di veleno, ma si trattenne dall'ingiuriare l'amico di
vecchia
data. Sapeva bene quanto, in quanto detto dal comandante, vi fosse
innanzitutto
preoccupazione per il proprio pupillo, e non tanto rabbia nei suoi
confronti.
"Sthiggar sa bene che è
su
Midghardr per essere protetto, non
punito. Hildur si occuperà
delle indagini per scoprire chi lo ha voluto fuori da Muspellheimr ma,
per il
momento, dobbiamo far passare che il ragazzo è colpevole"
sospirò il sovrano,
palando con tono franco ma fiacco. Quella situazione lo stava
già snervando.
"Sapete quale sarà il
danno, per
lui, a livello psicologico? Già si sta sparlando di lui, in
caserma, ed è
passato solo un giorno dall'incidente. Più la cosa
andrà avanti e più sarà
difficile riabilitarlo, e voi lo sapete!" protestò Yothan
con veemenza.
“Il fatto di essere la seconda Fiamma Viva di Muspellheimr
gli aveva scatenato
contro già sufficienti nemici, ma ora… ora,
come farà a sopravvivere, quand’anche Hildur lo
avrà scagionato?”
Sospirando, Surtr poggiò
le mani sui
fianchi con fare stanco, mosse mollemente il capo a destra e a manca
per
sciogliere i nodi formatisi nella muscolatura del collo e infine
ammise:
"Lo so. Non pensare che non lo abbia messo in conto, ma preferisco
saperlo
vivo e sbugiardato, che morto ed eroe."
Yothan non seppe che dire, di
fronte a
quella realtà dei fatti e Surtr, fiacco, aggiunse: "Inoltre,
dobbiamo
ancora capire i motivi che hanno spinto questi fantomatici nemici a
prendersela
con lui. Perché mi hanno spinto ad allontanarlo e basta? Se lo avessero voluto morto,
avrebbero dovuto inscenare il
tutto in modo che le prove fossero inconfutabili, invece
così mi hanno spinto a
esiliare Sthiggar, ma non a
ucciderlo.”
"Considerate un’altra
cosa, mio
sire. Su Muspellheimr, Sthiggar è praticamente imbattibile,
essendo addestrato
da me e possedendo la Fiamma Viva. Su Midghardr, invece, è
un comune umano o
poco più. Nessun potere a dargli man forte e nessuna aura a
proteggerlo dalla
magia. E se fosse stato questo il vero
motivo che ha spinto i nemici del ragazzo a costringervi a esiliarlo?
Renderlo
debole per poi usarlo in qualche modo?" domandò preoccupato
Yothan,
facendo impallidire per diretta conseguenza Surtr.
"Voi lo avete mandato là
per proteggerlo,
ma lo avete anche reso debole" aggiunse infine Yothan, passandosi
nervosamente una mano tra i capelli.
Aggrappandosi rabbiosamente alla
scrivania, il corpo improvvisamente teso come una corda di violino,
Surtr
eruppe in un ringhio poderoso quanto terribile e, senza attendere un
altro
attimo, convocò il Guardiano di Bifröst per
conferire con lui.
Ordinato poi a Yothan di non
muoversi,
chiamò il suo paggio personale perché facesse
condurre Hildur al suo cospetto
dopodiché, ben oltre la soglia del nervosismo,
sibilò: "Odio farmi
manovrare a questo modo."
"Ne sono più che certo"
assentì Yothan.
Yothan non avrebbe voluto mai
trovarsi
nella situazione del vecchio amico neppure per tutte le gemme di
Muspellheimr,
ma per nulla al mondo lo avrebbe lasciato solo in quella battaglia.
Soprattutto
adesso che, nel mirino, si trovava un ragazzo incolpevole.
***
Il Guardiano di Bifröst
giunse a palazzo
meno di venti minuti dopo essere stato convocato e, quando
entrò nello studio
del re, trovò ad attenderlo il sovrano, una Fiamma Nera e
una Fiamma Purpurea
di grado elevato.
Inchinandosi frettolosamente, il
guardiano riconobbe la Fiamma Nera che il giorno precedente aveva
condotto su
Midghardr un prigioniero e, dopo averla guardata con espressione
dubbiosa,
domandò: "Vi sono problemi, sire?"
"Tutto dipenderà dalla
tua
risposta. Vi sono stati movimenti in direzione di Midhgardr, da quando
questa
Fiamma Nera è tornata da quei luoghi?" domandò il
sovrano, la mano
poggiata - no, artigliata - alla
spalla di Hildur, quasi temesse di cadere a terra per l'ansia.
"Oh, no mio signore. Il
Bifröst è
fermo da ore" asserì sempre più confuso il
Guardiano, fissandoli a momenti
alterni con espressione turbata.
Un sospiro collettivo
trasfigurò i volti
dei presenti, ma ugualmente il re domandò ancora: "Ti
è possibile sapere
se, sugli altri mondi, il Bifröst è stato attivato
in direzione di Midhgardr
nelle medesime ore?"
"Ah, beh... potrei, ma
sarebbe illegale" tentennò il
Guardiano, torcendosi le mani.
"Fa parte degli Accordi di Pace, non controllare i movimenti dei
singoli
pianeti. Voi lo sapete meglio di me."
"Beh, ora lo renderò
legale, almeno
in questo caso. Sappi fin d'ora che sto agendo al di fuori del
controllo del
Consiglio, perciò puoi anche rifiutare di obbedirmi, ma
è in gioco la sicurezza
del regno, oltre che del ragazzo che ho spedito su Midhgardr senza che
avesse
colpe da redimere" si limitò a dire il re con tono lapidario.
Il Guardiano di Bifröst
sgranò
lentamente gli occhi, turbato e sconvolto da quelle parole ma, annuendo
frettolosamente,
si inchinò e disse: "Sono servo fedele di vostra
maestà e, se posso
esprimermi in tutta sincerità, abolirei il Consiglio anche
domani. Farò quel
che mi dite e riferirò a voi."
"Potrai riferire anche al
comandante Yothan delle Fiamme Purpuree, o al comandante Hildur delle
Fiamme
Nere, se non troverai me. Sono informati, e sanno tutto"
replicò il
sovrano prima di sorridere a mezzo e aggiungere: "Anche domani, eh?"
Il Guardiano sorrise appena e
assentì,
chiosando: "Trovo che il Consiglio pensi più ad arricchirsi che ad arricchire il popolo... con
rispetto parlando, s'intende."
"S'intende" ripeté
divertito
il re prima di congedarlo con un ringraziamento.
Rimasto solo con Yothan e Hildur,
il re
si rivolse a quest'ultima e domandò: "Ci si può
fidare di Trym e Flyka?
Possono essere corruttibili? Mettere in qualche modo in pericolo il
ragazzo?"
"Non ho mai pensato a loro come a
degli assassini, sire, ma neppure pensavamo che Sthiggar avrebbe potuto
essere
in pericolo, su Midghardr" replicò cauta la Fiamma Nera.
"Anche questo è vero...
e risulterebbe davvero
strano se tu, di punto in bianco, tornassi su Midghardr dopo solo un
giorno per
spostare Sthiggar in altro loco" sospirò Surtr. "Dobbiamo
dare per
scontato che quei due non siano invischiati in questo pasticcio, e che
Sthiggar
possa difendersi da solo, nel caso in cui si creassero dei problemi."
"Se venisse attaccato da uno
jotun..."
sospirò Hildur prima di scuotere il capo per scacciare quel
pensiero.
"Sì, lo so. Quelle terre
li favoriscono" sbottò
Surtr, dando un pugno sulla scrivania. "Ho sempre pensato che la Svezia
fosse una prigione ideale. Niente poteri legati al fuoco,
impossibilità di
tornare su Muspellheimr così come di lasciare il suolo
svedese. Insomma,
abbastanza libertà da non sentirsi oppressi, ma sufficiente
controllo per non
perderli di vista. In fondo, quel genere di detenzione era stata
pensata per
essere correzionale, non
punitiva. Le prigioni punitive sono
tutte qui su Muspellheimr."
"Eravate animato dalle migliori
intenzioni, sire,
è chiaro a tutti" sostenne Yothan, conciliante.
"Vorrei sapere perché,
più che altro, si siano
tanto accaniti su Sthiggar. Sarei quasi tentato di annullare la festa
che ho
indetto per il mio anniversario di matrimonio, ma dovrei spiegare a
Ilya il perché,
e non voglio turbarla inutilmente" sospirò il sovrano, non
sapendo che
pesci prendere.
"Finché abbiamo
così tanti ospiti provenienti
dagli Otto Regni, sarà più semplice ascoltare le
loro conversazioni e captare
qualcosa di potenzialmente interessante" replicò Hildur.
"Farò del
mio meglio e metterò in campo le Fiamme Nere a me
più fedeli. Alcune,
purtroppo, provano risentimento per Sthiggar e non sarebbero di nessun
aiuto,
perciò dovrò fare una cernita tra i membri delle
milizie."
"Quel ragazzo ha combinato
così tanti guai in
gioventù che ora, in tanti, non riconoscono il suo
cambiamento" sbottò il
sovrano, passandosi una mano tra i neri capelli. "Fai pure come ritieni
sia meglio, Hildur. Mi fido del tuo giudizio, ma voglio aggiornamenti
frequenti,
è chiaro?"
"Sarà fatto"
assentì la donna, congedandosi
dai due uomini.
Rimasti soli, i due ex commilitoni
si scrutarono
vicendevolmente in silenzio per diversi attimi, prima che Yothan
prendesse la
parola per dire: "Potrebbe anche esserci un altro motivo per cui la
presenza di Sthiggar su Midghardr gioverebbe a qualcuno."
"Parla" borbottò Surtr,
ormai pronto a
qualsiasi ipotesi plausibile.
"Se qualcuno volesse usare contro
di voi la
Fiamma Viva di Sthiggar, avrebbe gioco facile, ora come ora. La magia
è connaturata
negli elfi, sia chiari che scuri, e noi non ne siamo immuni,
soprattutto quando
siamo privi di difese mistiche come ora è il ragazzo."
"Parli di molti nemici, Yothan. Non
ti sembra una
esagerazione?" ribatté caustico Surtr.
"Dopo ciò che ho visto
nel Protettorato dei Nani,
non posso più permettermi di non pensarlo.
Quelle armi erano
destinate a una guerra. Quale che fosse, non ne ho idea, ma hanno usato
noi
come banco di prova e, devo ammetterlo, sono davvero efficaci"
sospirò il
comandante, avvilito.
Surtr brontolò
un'imprecazione tra i denti e,
cominciando davvero a irritarsi, borbottò: "In pratica, mi
stai dicendo
che qualsiasi cosa io avessi fatto per quel ragazzo, avrei sbagliato.
Se lo
avessi lasciato qui, avrebbero tentato di ucciderlo. Mandandolo su
Midghardr,
rischia la stessa cosa, o peggio, potrebbe essere plagiato e
indirizzato contro
di noi. Sia come sia, quel ragazzo è in seri guai e io non
posso aiutarlo
perché non so chi lo
voglia ben infilato in questi
guai."
"E' un riassunto plausibile, sire"
convenne
Yothan.
"A volte, odio essere re"
sbottò Surtr.
***
Svegliarsi e ritrovare, a sorpresa,
una gradevole
brezza tiepida proveniente da sud, neppure una traccia della neve del
giorno
precedente e un bel cielo limpido, fu per Sthiggar un piacevole
buongiorno.
Stando a ciò che Trym
gli aveva detto, quella mattina
si sarebbero diretti all'Ettans Bathamn, un porticciolo turistico di
Luleå dove
ci sarebbe stato ad attenderlo un lavoro come manovale.
Questo gli avrebbe permesso di
guadagnare i soldi
sufficienti per il proprio sostentamento, oltre a togliersi qualche
sfizio non
compreso nel 'pacchetto prigionia'.
Lavorare, inoltre, faceva
parte del periodo riabilitativo previsto dalla pena detentiva su
Midghardr.
Non da ultimo, lavorare permetteva
di non impazzire di
noia.
Dopo aver indossato una delle
giacche a vento di Trym,
gentilmente offerta da quest'ultimo, Sthiggar oltrepassò la
breve passerella
sopraelevata che collegava le due casette e bussò alla porta
prima di entrare.
Lì, trovò
Trym e Flyka impegnati a fare colazione e,
dopo aver accettato il loro invito a servirsi, domandò:
"Posso sapere qual
è la tua occupazione, Flyka?"
"Al momento, lavoro come commessa
in un negozio.
E' colei che sta al bancone del locale e serve i clienti, per
intenderci"
gli spiegò la donna, servendogli del tè caldo
aromatizzato al miele.
"Immagino che il re ci abbia dotato
di un passato,
altrimenti sarebbe difficile integrarsi. O sbaglio?" si
informò a quel
punto Sthiggar.
"A questo pensano i nostri
carcerieri. Nel
momento stesso in cui varchiamo il Ponte dell'Arcobaleno e
attraversiamo la
bruma, oltre alla lingua ci viene impiantato un passato plausibile e,
al tempo
stesso, viene fatto all'interno dei database svedesi" gli
spiegò Flyka,
passandogli della marmellata di lamponi. "Se provi a pensare al tuo
passato, troverai informazioni che prima non c'erano e che servono a
rispondere
meccanicamente a quel che ti verrà chiesto durante la tua
permanenza su
Midghardr."
Accigliandosi, Sthiggar
provò a pensare a quel che aveva
fatto assieme al padre poco prima di quel pasticcio e, come aveva detto
Flyka,
il suo passato venne mescolato a
immagini umane, più adatte
a essere esposte.
Onde per cui, il sontuoso pranzo
alla villa del padre
venne sostituito da un più comune brunch in un locale di
Stoccolma, e la
passeggiata con Hildur venne sovrapposta a un giro per pub del centro
città.
"Wow..." gracchiò
sorpreso Sthiggar.
"... e questa magia è..."
"In parte, di Bifröst, in
parte delle Fiamme Arcane
del re. I suoi stregoni hanno blindato i confini della Svezia per
impedirci di
andare dove avremmo la possibilità di ristabilire il nostro
potere di muspell,
così possiamo gironzolare per questo Paese come meglio ci
aggrada, ma non
possiamo oltrepassarne le frontiere, sennò ci frizzano il
culo e veniamo
spediti per direttissima in una cella di Muspellheimr"
ironizzò Flyka.
"Cosa che, personalmente, non agogno. Preferisco starmene qui al freddo
e
non poter sentire la mia aura, che avere otto metri quadrati di cella
in cui
marcire a tempo indeterminato."
"In effetti..." mugugnò
Sthigg, terminando
di bere il suo tè.
"Coraggio, ragazzo, muovi le
chiappe e preparati
a lavorare. Il nostro nuovo capo è un bastardo matricolato,
ma è leale al re e
ti tratterà con rispetto" dichiarò Trym,
levandosi in piedi per
raggiungere l'appendiabiti e afferrare un giaccone di pelle.
"Quindi, saremo controllati a vista
da un umano
che sa di noi?" domandò Sthiggar.
"Chi ha parlato di umano?"
ghignò Trym,
indicandogli col capo di seguirlo.
Sempre più confuso, a
Sthiggar non rimase altro che
accodarsi al suo nuovo compagno di avventure e, dopo essere salito sul
mostro
meccanico che sapeva essere un'automobile, si diresse con lui fino al
porticciolo turistico di Luleå.
Lì, si guardò
intorno per ammirare le linee moderne e
insolite di quei luoghi, curiosò con occhiate veloci le
persone presenti e le
linee sinuose degli scafi delle barche ormeggiate ma, quando finalmente
incontrò il suo futuro datore di lavoro, trasalì.
Era la copia esatta di Yothan,
fatta eccezione per i
capelli, che apparivano grigi come una giornata uggiosa.
"Lui è Sthiggar, capo.
Penso ti sia già arrivata
la sua scheda” esordì Trym, indicando il compagno
con il pollice.
L'uomo, che si presentò
come Gunther Olegsson, assentì
torvo, afferrò una carpetta e la sbatté contro il
torace di un sorpreso
Sthiggar, borbottando: "Il re mi ha fatto avere la tua scheda, e devo
dire
che mi stupisce scoprire che lui pensi di correggere uno scavezzacollo
come te.
Hai collezionato tanti di quei disastri, nella tua gioventù,
che ancora mi
chiedo come mai non ti abbiano già tagliato la testa,
ragazzo."
Accennando un sorrisino nervoso,
soprattutto in
risposta allo sguardo sorpreso di Trym, Sthigg replicò:
"Beh, i miei guai
giovanili li ho già pagati, in effetti."
"Perché ti hanno mandato
a baciare il culo di mio
fratello Yothan? Lui è una mammoletta, al mio confronto"
ringhiò l'uomo,
accigliandosi ulteriormente. "Qui capirai veramente cosa
vuol dire lavorare, non con quel damerino che hai avuto il discutibile
onore di
chiamare comandante."
L'ultima parola quasi la
sputò e Sthiggar, per un
istante, fu tentato di spaccare il muso di quell'arrogante muspell ma,
nel
notare il suo veloce occhiolino, decise di dargli il beneficio del
dubbio.
Mettersi a litigare durante il suo primo giorno di lavoro non era
consigliabile, anche se sapeva che il re non lo considerava colpevole.
Decise quindi di mantenersi sul
vago e replicò
dicendo: "Il comandante Yothan sarà felice di sapere che lo
considera una
mammoletta."
"Lui ha il culo in un altro
universo, perciò non
mi tange" ribatté ghignante l'uomo prima di tirarselo
dietro, sbraitare
due ordini a Trym e infine indirizzarlo verso un molo in particolare.
Quando furono abbastanza lontani
per poter parlare
agevolmente, Gunther mollò la presa sul braccio di Sthiggar
e, con tono più
conciliante, disse: "Scusa la pantomima, ma bisogna far capire a Trym
che
non sei uno sbarbatello."
"In che senso?"
"Nel senso che lui è
un
attaccabrighe mentre tu, almeno stando al
rapporto che ho
ricevuto, sei qui per un fraintendimento che non poteva essere risolto
su
Muspellheimr in tempi brevi. Non senza farti finire all'obitorio, per
lo meno"
precisò Gunther, fissandolo ombroso.
Annuendo, Sthiggar ammise: "E'
successo tutto
molto in fretta, e ho ancora le idee piuttosto confuse in merito a
quanto mi è
accaduto, ma non penso di essere diventato un assassino da un giorno
all'altro."
"E' quanto hanno sostenuto sia il
re che mio
fratello" dichiarò Gunther, picchiettando un dito sulla
carpetta con cui
aveva colpito Sthigg. "Se Yothan si è lasciato andare a una
così vivida
difesa nei tuoi confronti, non posso che credergli."
"Crede più a lui che al
re?" domandò
dubbioso Sthiggar.
"Al re devo obbedienza e rispetto,
pur se nel
caso di Surtr c'è anche un rapporto di amicizia che ci lega,
ma con mio
fratello c'è tutt'altro genere di legame. Se Yothan mi dice
che sei un bravo
ragazzo, io non ho bisogno di alcuna prova in tuo favore. Punto" si
limitò
a dire Gunther.
"Beh, grazie" mormorò il
giovane.
"Ora veniamo a noi, ragazzo.
Immagino che i tuoi
due compagni di avventura ti abbiano spiegato più o meno
come funzionano le
cose, qui, e gli Stregoni ti avranno sicuramente riempito la testa di
nozioni e
immagini sufficienti per farti venire un mal di testa coi fiocchi, ma
il mio
consiglio è un altro" gli disse a quel punto Gunther.
"Osserva la
gente, usa internet per ficcanasare il più possibile
e ascolta.
Ascoltare è vitale, se vuoi capire come interagire con le
persone di questo
posto. Non bastano quattro magie e uno schiocco di dita. E' la vita che
vivi
qui a darti i giusti input."
"E lei perché
è qui?" si chiese a quel punto
Sthiggar.
Gunther sorrise sornione e
replicò: "Quando
conoscerai mia moglie, capirai."
"E’ sposato... con
un'umana?" esalò sorpreso
Sthigg.
"Quando venni qui, in principio,
era solo per
controllare i prigionieri. Non avevo altro compito che questo ma, con
il
passare degli anni, il mio attaccamento a Midghardr, alle persone del
posto e,
alla fine, a mia moglie Astrid, mi hanno spinto a chiedere di essere
spostato
qui in pianta stabile. Anche se, ovviamente, ciò comporta
degli effetti
collaterali."
Ciò detto, si
toccò i capelli e Sthiggar, annuendo,
disse: "Si invecchia prima, vero?"
"Esatto. Ma non mi tocca.
L'importante, è stare
con Astrid" si limitò a dire Gunther prima di recuperare il
suo tono
burbero e aggiungere: "E ora che sai come sono, vediamo di metterci al
lavoro. Mio fratello ti ha insegnato a usare la ramazza?
Perché qui ti
consumerai le dita, a pulire paglioli e chiglie."
Sthiggar ripensò al suo
addestramento, ai lavori
sfiancanti e umili a cui Yothan li aveva sottoposti - cosa per cui
molte nobili
famiglie si erano scagliate indignate contro di lui, reo di
aver fatto lavorare i loro preziosissimi figli - e, sorridendo,
assentì.
"Oserei dire che le mie
capacità di lavandaia
sono quasi pari a quelle di spadaccino" ironizzò Sthiggar,
facendo
scoppiare Gunther in una grassa risata.
"Molto bene, ragazzo. Allora,
adesso ti farò
vedere come usare la lancia di quel compressore, così potrai
darti da fare con
i cirripedi che si sono arpionati alle chiglie di queste barche"
dichiarò
l'uomo, indicandogli dell'attrezzatura color canarino.
A Sthiggar non spiaceva lavorare,
perciò si mise di
buona lena per imparare, anche se il contatto con l'acqua fredda lo
fece
rabbrividire da capo a piedi.
Il freddo, probabilmente, non gli
sarebbe mai più
passato, stando su Midghardr.
N.d.A.: Il
primo approccio di Sthiggar a Midghardr non è di certo dei
più calorosi,
e questo rende subito chiaro al muspell perché re Surtr
abbia scelto la Terra, come luogo di detenzione per i suoi sudditi.
Resta da capire se e quando Hildur riuscirà a scoprire i
fautori della condanna del cugino, e se l'essere confinati sulla Terra
rimarrà l'unico problema.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Cominciava seriamente a comprendere
cosa avesse voluto
dire dire Gunther, quando aveva parlato di lavori 'da
mammoletta'.
A ben vedere, ciò che
aveva svolto quel giorno era
molto, ma molto più
pesante rispetto a quello che aveva
fatto negli ultimi anni, anche se sembrava folle il solo pensarlo.
Il motivo, però,
risiedeva in un unico, piccolo ma
importantissimo particolare; l'aura.
Su Midghardr, la sua aura
fiammeggiante era spenta,
non avvertiva il potere del pianeta sotto i suoi piedi, non poteva
attingere
all'energia del suo fulcro come avrebbe fatto su Muspellheimr, e questo
lo
limitava pesantemente.
Ogni muscolo gli doleva, sembrava
aver sviluppato nervature
ove non pensava di averne e anche quelle dolevano da impazzire.
Non da ultimo, l'idea di affrontare
il mondo umano
senza una guida, lo stava terrorizzando più di quanto non
avrebbe mai ammesso
con se stesso o con il suo nuovo custode. O capo. La faccenda non
cambiava
molto.
Gunther gli aveva ordinato - o
urlato, era più
specifico - di non rimanere dietro la gonna di Trym e di sbrigare da
solo ciò
che doveva fare.
Il punto, però, non era
tentare di fare le cose da
solo, di imparare sbagliando – ormai ci era abituato,
perché Yothan usava la
stessa tecnica – quanto di riuscire a fare tutto
correttamente, ed era lì che
nasceva l’inghippo maggiore.
L’idea di non poter usare
la sua aura, di dover
affrontare ogni nuova sfida senza avere il caldo e rassicurante tepore
della
fiamma che ardeva dentro di lui, lo faceva sentire inerme, indifeso, ed
era una
sensazione che odiava.
Ammetterlo, e rendersi conto di
questa enorme,
paradossale paura, era difficile da mandare giù, ma Gunther
sembrava ben deciso
a non tenerlo per mano, e non poteva certo chiedere aiuto a Flyka o
Thrym.
Non sapeva ancora se poteva fidarsi
di loro e,
secondariamente, essere costretto ad appoggiarsi a persone che non
fossero più
che fidate, gli risultava impossibile.
Trovarsi su Midghardr per motivi
ancora sconosciuti,
dover affrontare quel genere di prigionia senza sbarre – ma
anche senza poteri
– e accettare di essere come nudo, di fronte a quel mondo
alieno, era per lui
già troppo.
Se avesse anche
dovuto
abbassarsi a chiedere l’intervento di due persone che si
trovavano lì per
scontare realmente una pena
detentiva, sarebbe stato il colmo.
Ergo, Sthiggar si era munito di una
mappa digitale -
ottenuta grazie all'aggeggio che gli avevano presentato come smartphone -
e si era avventurato in solitudine per le vie di Luleå.
Entrato in un negozio, aveva fatto
scorta di abiti e
aveva usato per la prima volta la tessera magnetica che sostituiva il
denaro
che lui era sempre stato solito usare.
Il fatto di non avere una scarsella
con le sue monete
d'oro e di rame, lo aveva fatto sentire assai a disagio, ma la commessa
gli
aveva sorriso nel consegnargli quanto acquistato, quindi aveva dedotto
di non
aver commesso errori.
Ora, però, se ne stava
in un piccolo parco pubblico
nei pressi di una chiesa, le sue tre borse di acquisti poggiate accanto
alla
panchina che occupava, e non aveva idea di cosa fare con il tempo che
gli
rimaneva prima del tramonto.
Non voleva rientrare a casa e fare
finta di essere
accomodante con i suoi compagni di prigionia, né desiderava
essere
negativo a prescindere, rovinando l’atmosfera
rilassata che era riuscito a
instaurare con Thrym e Flyka.
La situazione era confusa e priva
di logica e, in
tutta onestà, non sapeva davvero come approcciare quel nuovo
pianeta, così
alieno ai suoi occhi.
Si trovava a Mondi interi di
distanza dal suo luogo di
nascita, privato della sua fiamma, e non aveva la più
pallida idea di come
risolvere il pasticcio in cui altri lo avevano messo.
Non si era mai sentito
così solo e debole come in quel
momento e...
Sbattendo le palpebre quando si
accorse di essere
osservato da due occhi color cannella, incorniciati da un visino
infantile e
dall’aspetto curioso, Sthiggar sobbalzò
leggermente prima di esalare:
"Ah... cosa c'è?"
Dinanzi a lui, ritto in piedi e con
le mani
intrecciate dietro la schiena, Sthiggar incrociò lo sguardo
con un ragazzino
dall’aria apparentemente simpatica e che, con la sua occhiata
penetrante,
l’aveva strappato ai suoi lugubri pensieri.
Il ragazzino in questione, ottenuta
la sua attenzione,
sorrise allegro e disse: "Volevo sapere perché, un uomo
grande e grosso
come te, sembra tanto spaventato."
"Spaventato? Io?"
replicò Sthiggar,
raddrizzandosi per assumere una posa militaresca e un tantino meno
demoralizzata rispetto a prima.
Il ragazzino, però, non
si lasciò impressionare e aggiunse:
"La mamma mi dice che parlo troppo e dico sempre quello che penso,
anche
quando non dovrei."
"Beh, probabilmente ha ragione"
borbottò
Sthiggar prima di lasciarsi andare a un sorriso e aggiungere:
"Dov'è, ora,
la tua mamma?"
"A casa. Io sono qui
perché mi piace giocare a
palla tra gli alberi" ammise con candore il ragazzino, indicando un
pallone che vegetava in solitudine accanto a una betulla. Allungata
quindi una
mano verso Sthiggar, asserì: "Io mi chiamo Mattias, e tu?"
Dopo un attimo di tentennamento, il
soldato strinse
quella piccola mano e replicò: "Io sono Sthiggar."
Mattias lo squadrò pieno
di curiosità, inclinò il capo
e scrutò le loro mani giunte con aria dubbiosa
dopodiché, stupendo
ulteriormente il giovane muspell, domandò: "Da che mondo
vieni?"
Sthigg fissò pieno di
dubbio e sconcerto il ragazzino
di fronte a lui e Mattias, nel rendersi conto troppo tardi di quello
che aveva
detto, si tappò la bocca con le mani, arrossì
copiosamente e borbottò:
"Che scemo che sono! Fai finta di niente, per favore!"
Piuttosto perplesso da quella
catena di eventi
apparentemente senza senso, Sthiggar si piegò in avanti per
scrutarlo da
distanza ravvicinata e, nell'additarlo con espressione guardinga,
domandò:
"Ma tu chi saresti, ragazzino?"
Prima ancora di poter ricevere una
risposta, Stigghar
vide avvicinarsi una donna dalla corta chioma bionda, fulminanti occhi
verde
acqua e una bocca bellissima ma piegata in una smorfia, che si
catapultò su di
loro a passo di carica.
Sthiggar si alzò
immediatamente, subodorando guai in
formato gigante ma Mattias, parandosi a sorpresa dinanzi a lui,
sollevò le mani
per difenderlo ed esclamò: "Ragnhild, calma! Non facevamo
niente di
male!"
La donna, alta e dal fisico
slanciato quanto atletico,
si fermò a pochi passi da loro, l'aria non ancora del tutto
pacificata e, dopo
aver lanciato un'occhiata inquisitoria a Sthiggar, domandò
roca:
"Sai benissimo che non devi
allontanarti da casa senza
dire dove vai. La mamma si spaventa da matti, se non sa dove sei!"
Con fare da cospiratore, e
ignorando completamente la
donna che lui aveva chiamato Ragnhild, Mattias si portò una
mano di fianco alla
bocca per coprire il suo labiale e sussurrò, rivolto a
Sthiggar: "Pensano
ancora che io abbia due anni."
Sthigg faticò non poco a
non ridere, di fronte a
quell'aperta sfida nei confronti della Valchiria che li stava
raggelando con lo
sguardo ma, preferendo non combinare casini durante il suo primo giorno
in giro
per Luleå, disse per contro: "Anche mia madre si sarebbe
preoccupata, se
fossi uscito di casa senza dire nulla."
Soprattutto, temendo i guai che
avrei potuto
combinare, aggiunse
poi tra sé
Sthiggar.
"Bene, ora che abbiamo stabilito
che non mi porti
il minimo rispetto, torniamo a casa, Matt" borbottò
Ragnhild, allungando
una mano all'indirizzo del fratello minore.
Mettendo il broncio, il ragazzino
non accennò però a
muoversi e, intrecciate le braccia sul torace, replicò
scorbutico: "Ho
dodici anni e posso stare al parco quanto voglio, se mi va. E poi, lui
è un
guerriero assai potente e sono sicuro che potrebbe difendermi, se ci
fossero
problemi."
Sia Ragnhild che Sthiggar
sobbalzarono, di fronte a
quell'ulteriore riprova della stranezza di Mattias ma, se per il
giovane
muspell fu motivo di nuovi dubbi, per la donna fu l'occasione per
ringhiare un
improperio.
"Oh… sei uno di
quelli"
sibilò irritata, afferrando Mattias a un braccio per
trascinarlo lontano da
Sthiggar, che appariva sempre più confuso.
"Ragnhild, smettila! Lui è
buono!"
sbottò a quel punto il ragazzino, svincolandosi dalla
sorella per poi tornare
accanto a Sthiggar, afferrargli una mano e aggiungere: "E' qui
perché
qualcuno vuole fargli del male, non perché sia cattivo."
Sthiggar, a quel punto,
rabbrividì e si allontanò di
un passo da Mattias, lo sguardo ceruleo pieno di domande e, con voce
rotta dal
dubbio, domandò: "Sei una Norna?"
Ragnhild imprecò
nuovamente, a quell’accenno, si passò
una mano sul volto e, con voce un poco più calma, disse:
"Non è il caso di
parlare di queste cose proprio qui, con
così tante orecchie
pronte ad ascoltare. E, visto che mio fratello non riesce a tenere la
lingua a
freno, ti devo almeno una spiegazione. Se Matt ha ragione, non avrai
timore a
seguire una donna, vero?"
Punto sul vivo, Sthiggar si fece
ombroso in volto e,
dopo aver afferrato le sue ben poco virili borse della spesa,
dichiarò:
"Andiamo pure."
Lei lo squadrò
leggermente divertita, notò gli abiti
all'interno delle borse e domandò: "Primo giorno?"
"Quasi. Sono al terzo"
ringhiò lui,
assottigliando le iridi color cielo.
Ragnhild sollevò le mani
con aria fintamente
remissiva, pur mantenendo un sorrisino derisorio stampato sul volto e,
senza
più nulla dire, si avviò per uscire dal parco
mentre Mattias, al fianco di
Sthiggar, mormorava delle scuse profuse.
Il giovane muspell stette a
sentirlo per un po' senza
dire nulla ma, dopo il quarto minuto di dichiarazioni autolesioniste,
disse:
"Guarda che ho capito. Non c'è bisogno che ti fustighi da
solo."
"Dovrei imparare a gestire meglio
ciò che sento,
ma sono ancora piccolo" sospirò afflitto il ragazzino,
ammettendo i propri
limiti.
Sthigg, allora, gli diede una pacca
sul capo e, dopo
avergli scompigliato i capelli, replicò: "Ne so qualcosa di
forza mal gestita,
credimi."
Ragnhild li sbirciò da
sopra una spalla a più riprese e,
quando infine raggiunsero una spiaggia completamente deserta - ad
aprile, non
erano in molti a voler fare il bagno nel fiordo - , indicò a
Sthiggar una
panchina e disse: "Qui può andare."
"Se lo dici tu..."
scrollò le spalle il
giovane muspell.
La donna allora sospirò,
diede un piccolo pugno sulla
testa del fratello, che sorrise contrito, e aggiunse: "Non hai
sbagliato,
poco prima. Lui possiede lo spirito di Urd dentro di sé e,
come hai potuto
notare, i poteri della Dea del Destino Passato prendono il sopravvento,
spesso
e volentieri, e senza che lui possa in alcun modo controllarli."
Accigliandosi leggermente, Sthiggar
replicò: "Per
essere a conoscenza delle anime senzienti, e
di noi, non dovete essere dei semplici esseri umani, o
sbaglio?"
"No, in effetti, come tu non
appartieni a questo
mondo come ha detto Matt, vero?" replicò Ragnhild con una
scrollata
negligente delle spalle.
"Sono un muspell. Sai chi siamo?"
ammise lui
con una spallucciata, imitando inconsciamente il comportamento della
ragazza.
Annuendo pensierosa, Ragnhild
asserì: "Un Gigante
di Fuoco. Il nostro clan ha un trattato millenario di non belligeranza
con le
vostre genti. Onestamente, però, vi immaginavo
più grossi, a dire la
verità."
Sthiggar storse la bocca di fronte
a quel velato
insulto e borbottò: "Non è colpa mia se questo
posto è freddo come Jötunheimr!
Qui, la nostra fiamma si estingue!"
"Oh... è per questo che
vi mandano quassù, allora?
Per punirvi in qualche modo e tenervi meglio al guinzaglio?"
ironizzò
allora la donna prima di venire richiamata all'ordine dal fratello, che
le tirò
l'orlo del maglioncino. "Che c'è, Matt?"
"Ti ho detto che lui non
è cattivo"
sottolineò il fratello, accigliando il faccino d'angelo.
"Sto parlando con lui proprio perché
mi fido delle tue visioni, e ormai avevi già detto troppo,
per cui questo tizio
necessitava per lo meno una spiegazione" sospirò allora
Ragnhild,
lanciando uno sguardo pieno d'affetto all'indirizzo del fratello.
Ciò detto, si rivolse a
Sthiggar alcuni istanti dopo –
la dolcezza del tutto scomparsa dai suoi occhi color acquamarina
– e aggiunse:
"Non so quanto sai di razze senzienti del pianeta Terra, ma noi siamo
berserkir. Per questo conosciamo le anime senzienti e, mio fratello in
particolare, è prezioso all'interno del clan per le sue doti
divinatorie, anche
se è piccolo e sa usarle solo a sproposito. Una volta
adulto, e con il pieno
controllo dei suoi doni, porterà immenso onore e potere al
clan."
Sthiggar si accigliò
leggermente, a quelle parole, non
tanto per il loro contenuto quanto piuttosto per il tono che Ragnhild
usò nel
dirle. Gli parve una frase fatta, una sorta di mantra imparato a
memoria, ma in
cui lei non credeva molto o che, comunque, non le faceva piacere
ripetere.
Mattias bofonchiò una
replica in tal senso, quasi a
voler sminuire le parole della sorella, o correggerle, ma Ragnhild non
vi fece
caso.
Sthiggar, allora, annuì
pensieroso e disse: "Davo
per scontato che avrei trovato solo umani, sul mio cammino ma
sì, conosco la
vostra razza, così come so che ve ne sono altre, su
Midghardr, a parte voi e
gli umani. Onestamente, però, vi credevo più
grossi."
Il commento - del tutto identico a
quello che Ragnhild
gli aveva rivolto - strappò un sorriso alla donna che, con
triste ironia,
ammise: "Sono solo gli uomini a diventare grandi come montagne e pelosi
come tappeti. Noi donne restiamo tali e non possiamo mutare in orsi, ma
sappiamo mordere che è un piacere."
"Me ne sto facendo un'idea" ammise
Sthiggar,
abbozzando un sorrisetto.
Tornando seria, Ragnhild allora gli
domandò:
"Cosa significano le parole di mio fratello? Puoi essere un pericolo
per
noi?"
"Riguardo al fatto che sono qui per
la mia stessa
protezione? Bella domanda" sospirò allora Sthiggar,
allungando gli
avambracci sulle cosce possenti. "Non ne ho la più pallida
idea, e così il
mio re. E' successo un guaio, su Muspellheimr, ma nessuno di noi ha
saputo
venirne a capo, così io sono stato mandato qui per mantenere
calme le acque sul
mio pianeta e, dall'altra parte, c'è chi lotta per me in
gran segreto."
"Matt ti ha definito un guerriero.
Si sbagliava?" domandò ancora la giovane, imitandone la
postura per
poterlo osservare meglio in volto.
"No, lo sono, anche se qui mi
sento... nudo,
senza la mia spada e la mia fiamma" sbuffò Sthiggar,
guardandosi i palmi
delle mani, arrossati e sfibrati dal lungo lavoro, e su cui stava
iniziando a
formarsi una vescica. Di bene in meglio.
"Quindi, ne deduco che il fatto di
rimanere
inerme e non lottare per smentire le colpe che ti hanno condotto qui,
ti farà
andare fuori dai gangheri" motteggiò perspicace Ragnhild,
picchiettandosi
un dito contro il mento.
Sthiggar la guardò di
traverso, borbottando: "Non
riesco a capire se la cosa ti regali un perverso piacere, o se la tua
mente
stia partorendo qualche idea malsana."
Mattias rise sotto i baffi,
asserendo: "Ragnhild
ha bisogno di un Campione, ma tutti le hanno dato buca."
"Cosa?" gracchiò
Sthiggar, fissando il ragazzino
con aria smarrita.
Ragnhild arrossì suo
malgrado, di fronte all’ennesimo
segreto svelato da quella boccaccia del fratellino e, non potendo fare
altro, borbottò:
"A parte che non sarebbero affari suoi,
Matt, e tu dovresti
davvero imparare a murarti la bocca... comunque, purtroppo per me
è vero."
"Un. Campione" ripeté
con tono bislacco
Sthiggar.
Reclinando esasperata le spalle,
Ragnhild annuì suo
malgrado e ammise: "C'è un berserkr che mi corteggia in modo
piuttosto...
plateale?... beh, io l'ho rifiutato in ogni modo possibile, o anche
socialmente
accettabile, ma lui non ne vuole sapere di capire, così ho
pensato bene di
dirgli che, se vincerà contro il mio Campione, allora
sarò sua ma, se vincerà
il mio Campione, lui si dovrà dimenticare che esisto.
Pensavo l'avrebbe presa
sul ridere, che avrebbe capito che non ne voglio sapere, di lui... ma
quell'idiota ha accettato."
"Scusa... ma perché ti
è venuto in mente di
proporgli una cosa del genere?" domandò a quel punto Sthigg,
indeciso se
riderle in faccia o fissarla con espressione penosa.
"Questa pratica andava di moda un
secolo fa,
anche se nel nostro clan si può ancora utilizzare, visto
quanto siamo ‘ligi’ alle
regole" brontolò lei,
mimando le virgolette e scrollando le spalle con espressione
esasperata.
"Il punto è che, da quando ho lanciato la sfida,
è quasi passato un mese -
tempo in cui io avrei dovuto trovare il mio Campione - e nessuno,
all’interno
del clan, vuole mettersi contro il berserkr che mi corteggia, visto
quanto è
forte. Io combatterei anche da sola, ma Ludvig avrebbe un indubbio
vantaggio, su
di me. Morale, sono nei guai fino al collo."
"E tu vorresti che io te li
risolvessi?" le
domandò Sthiggar con una buona dose di ironia nella voce.
"Beh, se ti senti fuori posto e
annoiato, una
bella lotta ti servirebbe per sgranchirti un po' le gambe e menare le
mani. Non
è questo che fa un guerriero?" gli buttò
lì Ragnhild, aprendosi in un
sorrisone falso e tutto fossette.
Sthigg la fissò
scettico, chiaramente sconcertato da
tanta spavalderia e, cauto, replicò: "Non
è esattamente questo,
che facciamo. Siamo l'ultima linea di difesa del re, il baluardo del
suo
esercito, il vessillo di Muspellheimr, il..."
Bloccando sul nascere la filippica
di Sthiggar,
Ragnhild borbottò: "Sì, sì, ho capito.
Siete duri e puri come diamanti.
Esattamente ciò che mi serve. Nel discorsetto base
dell'eroe, non c'è anche
quello di difendere le donzelle indifese?"
"Tu? Indifesa? Con
la lingua
che ti ritrovi puoi anche uccidere!" brontolò Sthiggar,
scuotendo
recisamente il capo.
Mattias rise sguaiato, divertito da
quel commento e segno
che anche altri avevano accusato la sorella di essere un tantino
velenosa nelle
risposte. Ragnhild, per contro, arrossì copiosamente e
mormorò scocciata:
"Non è colpa mia se non mi hanno dotato di muscoli, grugniti
e un
carattere di merda."
"Sull'ultimo punto, dissentirei"
rise a quel
punto Sthiggar, guadagnandosi per contro un'occhiata venefica da parte
della
donna. "Comunque è vero, anche il mio giuramento prevede che
io salvi le
donzelle in pericolo e, anche se non capisco perché le
attenzioni di questo
Ludvig ti stiano così strette, accetterò di
aiutarti. A patto, però, che tu mi
insegni un po' di cose su questo pianeta. Sono ancora piuttosto confuso
in
merito a un sacco di particolari e la prima cosa da comprendere, per
uno
stratega, è il campo di battaglia in cui si trova a
combattere."
"Se vincerai,
ti farò da
insegnante. Quanto a Ludvig, capirai perché non mi vanno le
sue attenzioni
quando lo conoscerai" dichiarò Ragnhild, estraendo dalla
tasca del suo
maglione il proprio smartphone.
"Allora, posso dire che il combattimento si farà?"
"Avrai il mio appoggio"
assentì lui, prima
di domandarle: "Ma si trasformano davvero in orsi? I tuoi simili,
intendo."
"I maschi, sì. Ma il
combattimento si svolgerà
come uomini. Sarebbe difficile spiegare ai comuni mortali delle ferite
da
artiglio o da morso. Lividi e fasciature, invece, sono più
comprensibili,
specialmente quando vieni da un inverno artico come il nostro. La gente
tende a
essere un po' irritabile, dopo tanti mesi
senza sole" si
limitò a dire lei, digitando in fretta un SMS sul cellulare.
"Il solo pensiero che possa essere
più freddo di
così, non mi rallegra" rabbrividì a quel punto
Sthiggar, fissando irritato
il profilo delle montagne a ovest.
Per quanto potesse trovare quel
paesaggio affascinante
e bucolico, l’idea di avere perennemente freddo per
più di settant’anni, non lo
rallegrava per nulla.
Ragnhild sorrise divertita a quel
commento e Mattias,
pieno di curiosità, domandò al nuovo amico:
"Com'è Muspellheimr? Un regno
di fuoco come dicono le leggende?"
"Ha pianure, laghi, fiumi, montagne
e mari come
Midghardr, ma sono diversi. La temperatura è mooolto
più alta, i colori
predominanti sono il rosso e l'arancione, il cielo è
azzurro-violaceo solo al
mattino presto, o poco prima della notte, altrimenti tende ad avere
sfumature
bianche e gialle" iniziò con il dire Sthiggar, perdendosi
nei ricordi del
Paese natale. "La città in cui sono nato sorge ai piedi di
un monte dalle
linee seghettate, scuro come ossidiana e dalle ripe scoscese. Sulla
parete a
sud, a metà del percorso che conduce alla vetta, sorge il
palazzo di re Surtr,
sovrano incontrastato di Muspellheimr, e..."
Bloccandolo a sorpresa con un cenno
della mano,
Ragnhild esalò sconcertata: "No, aspetta. Surtr? Ma... i
vostri re si
chiamano tutti così?"
"No, perché?"
domandò dubbioso Sthiggar.
"Perché questo nome fa
parte della mitologia
norrena, le nostre storie
mitologiche, per intenderci e quindi, secondo i miei calcoli, dovrebbe
essere
un tantinello vecchio!" protestò la donna.
"Beh, non direi che il nostro re
è vecchio. E'
nel fiore dei suoi anni. Però, visto con occhio umano,
risulterebbe anzianotto,
in effetti. Comunque, ha sui cinquemilaottocento anni o giù
di lì"
dichiarò pensieroso Sthigg, facendo due rapidi calcoli.
Una serie di esternazioni
più o meno colorite
seguirono la sua notizia bomba e Mattias, nell'afferrare un braccio di
Sthiggar
con espressione ammirata, domandò confuso: "Ma tu, allora,
quanti anni
hai?"
"Duecentoquarantasei,
perché?" replicò
sorpreso Sthiggar, non comprendendo appieno la domanda.
Ragnhild schizzò in
piedi come una molla, lo fissò
piena di confusione ed esclamò: "Come, duecentoquarantasei?!"
Sthiggar reclinò il capo
su un lato, perplesso, prima
sgranare gli occhi di fronte all’ovvietà della
loro domanda, ed esalare:
"Oh, certo. Tu hai detto di avere dodici anni. Il tempo scorre
diversamente, qui da voi."
"Oh, Dio!" esalò
sconvolta la donna, mentre
Mattias rideva a crepapelle di fronte alla reazione della sorella.
Passandosi le mani sul volto,
Ragnhild tornò a
scrutarlo, gli strizzò senza alcun ritegno una guancia,
studiò le rade rughe
attorno a occhi e bocca, tirò una ciocca dei capelli ramati
di Sthigg
dopodiché, perplessa, borbottò: "Non dimostri
più di venticinque
anni."
"Il nostro volto non cambia molto,
nel corso dei
secoli. La crescita fisica avviene intorno ai
venti-trent’anni, dopodiché
diveniamo sessualmente attivi attorno ai settanta, ottant'anni e
raggiungiamo
la maturità legale a centonovant’anni. Infine,
diventiamo vecchi e canuti solo
intorno agli otto-novemila anni" gli spiegò Sthiggar,
scrollando le
spalle. “Chi possiede auree particolarment potenti,
può raggiungere i diecimila
anni.”
Lei deglutì a fatica
quella informazione, gli occhi
sgranati quanto un pesce palla, e gracchiò: "Quindi sei come
un
venticinquenne, per l'appunto."
Accigliandosi, Sthiggar
precisò: "Non so
esattamente cosa voglia dire, per te, essere un
venticinquenne. In
generale, passiamo circa duecento anni presso la famiglia,
così da poter
studiare, divenire adulti e trovare il nostro posto nel mondo,
dopodiché
intraprendiamo la nostra carriera al di fuori del nucleo famigliare."
"E quanto dura, da voi, un anno?"
domandò
inquisitoria Ragnhild.
"Quattrocentodue giorni, suddivisi
in ventidue
ore. Abbiamo tre stagioni, una di riposo, una di fresco e una di caldo
assoluto. Le chiamiamo Aptann1, Kala2
e Dagar3”
le spiegò a macchinetta Sthiggar. "Ma non è tanto
questo a contare, quanto
piuttosto l'aura. E' lei a determinare l'età di un muspell.
Più l'aura è
potente, più si vivrà, e quella del nostro re
è immane."
"Aura? Come una sorta di... energia
interna?" domandò dubbiosa Ragnhild, tamburellandosi un dito
sul mento.
Lui assentì e, tornando
a guardarsi le mani, asserì:
"La mia aura a riposo poteva essere percepita a decine di metri, ma
ora..."
Storcendo la bocca, Ragnhild
domandò: "Quindi,
per combattere bene, servirebbe un luogo caldo?"
"Luogo che in questa landa
ghiacciata non
esiste" ironizzò caustico Sthiggar. "Comunque, grazie a
Sól, anche il
vostro astro diurno può essermi d'aiuto."
"Sól? Sei devoto alla
dea del sole?" esalò
sorpresa la donna, raddrizzandosi leggermente, a
quell’appunto. Chissà perché,
ma aveva pensato che fosse più devoto a Odino, essendo lui
un guerriero, o a
Thor.
"Sól è mia
nonna" precisò lui, facendo
sobbalzare entrambi.
"Che?!" sbottarono all'unisono i
due giovani
berserkir.
Sthigg sospirò
esasperato, di fronte a quella
reazione. Era davvero così strano
accettare che Sól potesse essere la sua progenitrice? Di
tutte le cose che
aveva fin lì detto, proprio quella
suonava assurda?
A ogni modo, e per la decimillesima
volta nella sua
vita, raccontò di come sua nonna Sól avesse
deciso di scendere su Muspellheimr
per accoppiarsi con un essere mortale, generare dei figli e, per
questo, essere
punita dagli dèi suoi fratelli.
Non che gli spiacesse parlare di
sua nonna, ma aveva
come la sensazione di farle un torto, parlando degli affari suoi con le
altrui
persone. Vero era anche che, quando eri una dea, la privacy andava a
farsi
benedire piuttosto presto.
Era rientrato ben oltre il
tramonto,
quella sera, perso com'era stato nel raccontare le storie di
dèi ed eroi a
Ragnhild e Mattias e, quando era rincasato, Flyka gli aveva chiesto un
po' in
ansia se fosse successo qualcosa di spiacevole.
Rincuorandola, le aveva mostrato i
suoi
acquisti per cambiare in fretta argomento e, dopo aver ricevuto il suo
plauso,
si era diretto verso la sua casetta per una doccia bollente e un cambio
d'abito.
Flyka era inflessibile, su questo;
non
ci si avvicinava alla tavola se non si era più che puliti e
in ordine. Lo aveva
imparato immediatamente, quando l'aveva sentita sbraitare cose
terribili in
lingua knutyan all’indirizzo
di Thrym, e solo perché si era
presentato con una camicia sporca di grasso.
La lingua knutyan gli
aveva sempre messo addosso una strizza del diavolo, perché
sembrava davvero che
le parole sgorgassero dal buco più nero di Helheimr. Non a
caso, era la lingua
preferita di Hel, da quel che si sapeva sulla dea dei morti.
Mentre l'acqua calda gli scivolava
addosso, strappandolo ai brividi che lo avevano accompagnato fino a
casa,
Sthiggar ripensò all'assurda contesa in cui si era voluto
infilare e, tra sé,
ridacchiò.
Finché non avesse avuto
notizie da
Hildur, non avrebbe potuto fare niente per risolvere i suoi personali
problemi,
e il lavoro al cantiere avrebbe potuto diventare non sufficiente per
tenere a
freno il suo carattere esplosivo.
Se si fosse fatto amico qualche
berserkir, forse avrebbe potuto divertirsi in modo costruttivo durante
le ore
libere, ammesso e non concesso che il Ludvig innamorato di Ragnhild non
gli
spaccasse la testa con un pugno. Allora, avrebbero risolto in un colpo
solo
qualsiasi problema legato a lui e a Muspellheimr.
La sola idea di perdere,
però, lo fece
ridere beffardo, riportandolo invariabilmente agli anni della sua
scapestrata
gioventù, in cui non cedeva il passo di fronte a nessuna
sfida e il suo scopo
ultimo era sempre e solo vincere.
"Se Hildur sapesse che ho scommesso
su una cosa simile, mi taglierebbe la testa su un ceppo lei stessa"
ghignò
Sthiggar, chiudendo l'acqua per uscire dalla doccia, stillante
d’acqua e
nuovamente lindo e profumato.
Niente strigliate, per lui, almeno
per
quella sera.
Guardandosi dubbioso nell'alto
specchio
a muro che si trovava nel bagno - ora appannato a causa del vapore
della doccia
- Sthiggar si sfiorò una recente cicatrice sul fianco
destro, ancora rosea e
morbida al tatto.
Lo avevano ferito poco dopo la
morte di
Kyddhar, alcuni istanti prima che lui scatenasse la Fiamma Viva e si
rendesse
conto, per la prima volta, di poterlo fare.
In quel frangente, la sua pelle era
divenuta sfolgorante, perdendo il suo solito colore bronzeo per
divenire come
il sole che splendeva su Midghardr.
Dalle sue mani era scaturita la
fiamma
che aveva messo in fuga i dokkalfar ma, senza l'aiuto di Yothan, forse
avrebbe
potuto divenire un pericolo anche per i suoi compagni e non solo per i
loro
nemici.
Non si dava il merito di avere
avuto il
pieno controllo su quel potere. Per nulla.
Ora, invece, la sua pelle appariva
sì
abbronzata, ma niente affatto lucida e salubre come su Muspellheimr.
Certo,
nessun pianeta avrebbe potuto togliergli il suo metro e novantotto di
altezza,
così come i suoi centoventi chili di muscoli, ma gli
sembrava di aver lasciato
sul pianeta natio la sua vera essenza.
Lo Sthiggar che lo stava guardando
dallo
specchio, non era il solito scavezzacollo con cui era abituato a
confrontarsi.
Allungata una mano per sfiorare la superficie liscia del vetro, il
giovane
mormorò tra sé: "Sarò davvero in grado
di battermi, qui su
Midghardr?"
1 Aptann:
“sera”, in lingua norrena.
2 Kala:
“gelare” in lingua norrena.
3 Dagar:
“giorno” in lingua norrena.
N.d.A.:
facciamo finalmente conoscenza di due berserkir,
Mattias e Ragnhild (si legge con la “g” di gatto, e
non come “gn” di gnomo) e
scopriamo che quest’ultima ha per le mani una gatta da pelare
non indifferente
e che, forse, proprio Sthiggar può risolvere. E poteva, il
nostro scapestrato
eroe, rimanere indifferente di fronte alla possibilità di menare
le mani, visto
quanto si sente fuori posto e indispettito da tutta questa situazione?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Cap. 8
"Allora, com'è andata in questi primi quattro giorni, con Gunther? Ho sentito che ieri, a un certo punto, si è messo a ridere. Insegna anche a me come fare" chiosò Thrym, sorseggiando del buon vino rosso, accompagnato da un ottimo stufato di carne di renna.
"Per la verità, mi stava prendendo per i fondelli, ritenendo che io fossi solo una mammoletta" replicò Sthiggar, prendendo a prestito le parole del muspell. "Così, ho dovuto dimostrargli che ci sapevo fare con lancia e scalpello."
"Ho visto. Quella chiglia era uno specchio, a fine giornata" assentì ammirato Thrym.
"Oh, lo sanno anche le mie mani" ammiccò Sthiggar, levando i palmi per mostrare i punti dove aveva sistemato prudenzialmente dei cerotti.
Flyka rise divertita al pari di Thrym, che dichiarò: "Ti è andata bene. Il primo giorno, io le ho fatte sanguinare, le mani."
Sthigg fece tanto d'occhi, replicando: "Ah... passo. Vorrei preservare le mani per altro."
Thrym colse il tono ironico di Sthiggar e, levando un sopracciglio con evidente curiosità, lo fissò ghignante e ribatté: "Oh oh... hai già adocchiato qualche pollastra?"
"Thrym..." lo richiamò subito Flyka, raggelandolo con un’occhiata.
"Gradevole ragazza, scusa" si affrettò a correggersi Thrym, sorridendo alla compagna con aria di scuse.
"Voi e il vostro cameratismo da uomini. Mi domando come chiamavi me, quando ancora c'erano Dolfarr e Riggher, nell'appartamento che ora usa Sthigg" sospirò esasperata Flyka, scuotendo il capo.
"Ho sempre e solo usato epiteti bellissimi, credimi" ci tenne a sottolineare Thrym, facendo sorridere Sthiggar di fronte a quel goffo tentativo di salvare il salvabile.
Flyka, però, lo ignorò, rivolgendosi interamente a Sthiggar per poi dirgli con tono un tantino materno: "Ricordati, Sthigg. Le donne vanno rispettate anche quando non sono qui ad ascoltare, sennò non vale."
"Afferrato il concetto" assentì lui con un gran sorriso e tante buone intenzioni.
"Non riesco a capire se mi stai prendendo in giro, o se sei serio" brontolò a quel punto la donna, scrutandolo con i profondi occhi neri.
"Serissimo, lo giuro" disse ancora Sthiggar, cercando di non ridere.
"Lascialo in pace, Flyka. Sembri la Santa Inquisizione" brontolò per diretta conseguenza Thrym, dandole un buffetto sulla guancia.
"Neanche sa cos'è, probabilmente" sottolineò per contro Flyka, ma abbandonò comunque il confronto visivo con Sthiggar.
Il giovane muspell ne approfittò per darsela a gambe e, dopo aver ringraziato Flyka per la cena, se ne tornò nel suo appartamento, attraversando la passerella sopraelevata che lo divideva dall’appartamento della coppia.
Non appena si fu chiuso la porta alle spalle, lanciò un'occhiata verso il cielo sgombro di nubi e punteggiato di candide stelle e lì, solitaria e splendente come una perla, vide la luna.
Il potere di Mani proveniva da essa come una morbida coperta di velluto, stesa su di lui alla stregua di un mantello, la carezza affettuosa di un amico, o di un padre.
Non avendo alcun genere di parentela con Mani, però, non poteva goderne come avrebbe fatto con le emanazioni energetiche di Sól, ma Sthiggar ne apprezzò comunque la sensazione.
Era come poter sentire ancora il fruscio dei poteri di Muspellheimr, il suo respiro lieve dentro l’animo, il tocco caldo del suo Centro.
Quel genere di energia lo faceva sentire meno spaesato, meno solo su quel mondo alieno.
Dopo un ultimo saluto al satellite perlaceo, e a Mani che lo controllava, Sthiggar se ne tornò nelle proprie stanze e si domandò per l'ennesima volta se mai avrebbe incontrato la potente ava.
Era cresciuto con la storia di sua nonna che, pur di stare con il compagno, aveva sacrificato ogni cosa e si era rinchiusa per sempre in una dimensione onirica dove era divenuta un’entità celestiale distaccata dal mondo mortale.
Grazie al culto di Sól che, ancora, sopravviveva su Muspellheimr, era sfuggita all’annientamento nella sua identità di dea come invece, altri dèi, non avevano potuto. A causa della sua decisione di rinunciare alla purezza per amare un mortale, si era però condannata all'esilio perituro.
Dopo la nascita dei suoi figli, era stata infatti imprigionata per dare la salvezza alla sua progenie e, da quel momento, non le era più stato permesso di vedere il compagno o coloro che avevano formato la sua stirpe.
Sthiggar sapeva che lei era cosciente della loro presenza sui mondi - ne sentiva gli effluvi ogni volta che la evocava - però, una volta tanto, avrebbe voluto udire la sua voce, percepire il suo tocco, accarezzare le sue chiome ramate.
Da quando la madre era venuta a mancare, aveva sentito il bisogno di avere accanto a sé una figura femminile e, forse, combinare così tanti pasticci gli era servito per attirare anche la sua, di attenzione, pur se nel modo sbagliato.
"Buonanotte, nonna" mormorò nell'ombra il giovane, sdraiandosi sul suo letto troppo morbido, in quel mondo così estraneo.
***
Di tutte le cose che si era immaginato, dopo essere uscito dal suo turno di lavoro, quella di un minivan pieno stivato di armadi a muro non l'aveva di sicuro messa in conto.
Non di meno, Ragnhild si era presentata assieme a Mattias alla guida di un furgoncino color fumo proprio dinanzi al parco dove si erano incontrati la prima volta. Sthigg aveva preferito che lei non si presentasse al porto, così da non incuriosire Thrym.
Dopo esserne scesa con aria imbarazzata, la giovane si era quindi scusata per la compagnia aggiuntiva e l'aveva pregato di salire.
A Sthiggar non era rimasto altro che stringersi il più possibile per incastrarsi in mezzo a quelli che, ben presto, aveva scoperto essere i cugini di Ragnhild.
Ora, tutto preso dall'ascoltare le chiacchiere dei tre berserkir tatuati e sovraeccitati, quasi non si accorse del sopraggiungere di una foresta di betulle dagli alti fusti e dall’aria centenaria.
Quando, però, la luce del sole venne schermata dalle ramificazioni sempre più fitte delle piante, Sthiggar interruppe il suo dire per guardarsi intorno ed esalare: "Wow! Sembrano davvero molto delicate."
"Avete foreste, su Muspellheimr?" domandò Boris, il più grande dei cugini di Ragnhild e Mattias.
"Soprattutto piante pirofite, ma sono molto più robuste di queste. Hanno tronchi rugosi e scuri, una chioma a ombrello e radici profonde" spiegò Sthiggar, scendendo dal minivan quando Ragnhild lo bloccò in una piccola radura sterrata. "Questo bosco sembra adatto ai racconti delle fate che ho letto su internet. Dà davvero l'idea di poter essere abitato da folletti e gnomi."
"Ti sei dato alle letture curiose, straniero" ironizzò Adam, il cugino mediano, dandogli una pacca sulla spalla.
"Ammetto di essere molto curioso riguardo al vostro mondo e, visto che non so quando si risolverà il mio problema in patria, tanto vale capire come vivere qui senza commettere errori clamorosi" ammiccò Sthiggar, poggiando le mani sui fianchi per poi guardarsi intorno.
Nel bosco si potevano intravedere ancora alcune macchie biancastre di neve che si intervallavano a un sottobosco brullo e spoglio, non ancora sfiorato dal calore della primavera. Al pari del sottobosco, anche le chiome degli alberi apparivano disadorne e spettrali, ma la magia di quei luoghi perdurava, gratificata dal vento placido che soffiava leggero e dal canto degli uccelli che echeggiavano tutt’attorno.
Sthiggar trovò quei luoghi insolitamente affascinanti e, per una volta, l'aria fredda non gli diede noia. Che fosse per la compagnia inaspettatamente gradevole?
Non avrebbe saputo dirlo con certezza ma, segretamente, apprezzò la sensazione di tranquillità che foresta e persone gli lasciarono dentro.
"Andiamo. La radura del combattimento si trova più avanti" lo incitò Ragnhild, mentre Mattias scalpitava per correre lungo il sentiero e precederli.
La sorella però non glielo permise, raggelandolo con lo sguardo ma Wulff, il cugino più giovane, la irrise per tutta risposta e celiò: "Lo accompagno io, chioccia che non sei altro. Andiamo, Matt."
Ciò detto, prese per mano il ragazzino e si allontanò di buon passo assieme a lui, lasciando Ragnhild con il muso lungo e l'aria di una persona pronta a vendicarsi quanto prima.
Sinceramente confuso, Sthiggar lanciò un'occhiata a Boris in cerca di spiegazioni e lui, con una scrollata di spalle, si limitò a dire: "Ragnhild gli fa da mamma fin da quando mia zia Ingrid ha avuto un ictus ed è finita su una sedia a rotelle. Purtroppo non parla, né si muove agevolmente. Così, Raggie si è presa carico della famiglia."
Lei lo frizzò con occhi glaciali ma Boris non vi fece alcun caso e, indicandola con aria saputa, proseguì dicendo: "Nessuno oserebbe contraddirla, quando fa questa faccia. Solo sua madre riesce a metterla in riga, a ben vedere."
Sthiggar si lasciò andare a un sorrisino e disse: "Conosco qualcuno che potrebbe rivaleggiare coi suoi sguardi. Mia cugina me li lancia da anni."
Ragnhild lo squadrò con aria raggelante prima di dire: "Beh, visto che sei abituato, non avrai problemi a stare a cuccia al momento giusto, soprattutto se vuoi che io ti faccia da insegnante."
Non fu una semplice affermazione, quanto una vera e propria minaccia, così Sthigg assentì con un gran sorriso e preferì lasciar perdere, cambiando radicalmente argomento.
"Mi sono beccato cinquant'anni di punizione, per la mia ultima scorreria. Forse, se avessi avuto qualcuno a dirmi cosa dovevo fare, non mi sarei cacciato nei guai. Ma non è detto, perché mia cugina Hildur ha trascorso anni e anni a urlarmi contro le peggiori minacce. Grazie a quella leva obbligatoria, comunque, ho capito cosa voler fare di me stesso, perciò mi viene da dire che non tutti i mali siano venuti per nuocere. Ora, però, vorrei capire chi mi ha cacciato in questo, di guaio."
I due cugini indicarono Ragnhild, che sibilò loro contro per tutta risposta, ma Sthiggar rise e replicò: "No! Intendevo dire, chi mi ha voluto qui su Midghardr a tutti i costi!"
"Magari, qualcuno che ti teme" ipotizzò Adam. "Di solito, non si toglie il pedone più forte dalla scacchiera, così attaccare è più semplice?"
"La tua ipotesi è valida, ma questo sottintenderebbe che qualcuno conosce ciò che sono in grado di fare, e non è esattamente una cosa sulla bocca di tutti" ammise Sthiggar, incuriosendoli.
"E sarebbe?" domandò per tutti Ragnhild.
"La Fiamma Viva. Posso creare le fiamme dal nulla" si limitò a dire Sthiggar, sorprendendoli non poco.
"Sei come la Torcia Umana dei Fantastici 4?" domandò con una certa ironia Boris.
Sthigg si limitò a fissarlo con espressione basita e Ragnhild, esasperata, borbottò: "Non ascoltarlo. E' un malato di fumetti e, guarda caso, esiste un personaggio che si può incendiare come una torcia. E vola."
"Beh, quanto alla torcia, posso farlo, ma non so volare. Mi sembra davvero troppo" scrollò le spalle Sthiggar, guadagnandosi le occhiate perplesse dei suoi tre accompagnatori. "Che ho detto?"
"Che sai accenderti come una torcia. Ti pare poco?" gracchiò Boris.
"Qui, in ogni caso, non potrei combinare granché. C'è troppo freddo, e la mia aura non si accende per nulla" sospirò avvilito Sthigg.
"Oh, poverino... non gli si accende lo stoppino!" ironizzò a quel punto Adam, dandogli una pacca sulla spalla.
Ragnhild fece tanto d'occhi di fronte a quel doppio senso piuttosto volgare e, fissando basita il cugino, esclamò: "Adam! Neppure sa quel che hai detto! Non è giusto!"
Adam scoppiò in una grassa risata e, mentre dava pacche consolatore sulle spalle di Sthiggar, quest'ultimo fece due più due e borbottò un mezzo insulto prima di dire: "Dovrei farti conoscere mia cugina Hildur. Con lei non faresti tanto il furbo."
"Oh oh... e come mai?" rise ancora Adam.
"E' una Fiamma Nera" gli spiegò Sthiggar. "Il Corpo delle Fiamme Nere è l'ultima linea di difesa del re e presiede tutti i templi della Capitale, dove soggiornano le Vergini Sacre di..."
Interrompendosi a metà della frase, Sthiggar si guardò le mani, imprecò e disse sconcertato: "Ecco cosa non mi quadrava!"
I suoi accompagnatori lo guardarono dubbiosi e lui, senza perdere tempo, spiegò loro i motivi ufficiali che lo avevano portato alla condanna all'esilio. Raccontò della strana notte passata al bar, del successivo vuoto di memoria e, alla fine del racconto, aggiunse: "Quel che non riuscivo a capire era perché vi fossero proprio due soldati semplici del corpo delle Fiamme Argento, nel salone della nave. Quei luoghi sono presidiati solo dalle Fiamme Dorate."
"Qualcuno ha inscenato il tutto, ma senza sapere di questo particolare, forse" ipotizzò Boris, accigliandosi.
"Già. Sul momento, non ci ho fatto caso e, a quanto pare, neppure il re. Trovare due cadaveri e una reliquia fuori posto può far perdere la brocca a chiunque. Spero soltanto che mia cugina se ne sia resa conto" sospirò Sthiggar prima di aggiungere: "Ora come ora, in ogni caso, ho altro di cui preoccuparmi."
Ragnhild ne seguì lo sguardo e, quando comprese cosa il muspell avesse visto, si grattò una guancia con aria imbarazzata e domandò: "Non ti avevo accennato al fatto che era un tantino robusto?"
"No" si limitò a dire Sthigg, storcendo il naso. "Non così tanto, per lo meno."
Ludvig era, a tutti gli effetti, un esemplare di berserkr degno di tale nome e superava i due metri di altezza, oltre ai centocinquanta chili di muscoli.
Assieme a lui, altri due uomini e una donna - oltre a Mattias e Wulff - attendevano il loro arrivo e, quando li videro oltrepassare i confini della radura, la femmina esordì dicendo: "Ben trovato, sfidante di un altro mondo. Ti siamo grati per aver dato appoggio alle richieste della nostra consorella. Ti è stato spiegato come avverrà il combattimento?"
Annuendo, Sthiggar lanciò un'altra fuggevole occhiata al possente Ludvig prima di dire: "Sì. Mi è stato detto che sarà una lotta a mani nude, senza l'utilizzo di mutazioni di forma e che terminerà con la resa, o con il primo sangue."
La femmina assentì seriosa e aggiunse: "Ciò è corretto. Il tuo gesto ha impedito al nostro clan degli inutili imbarazzi, perciò di questo ti siamo grati. Spero, però, che una tua eventuale sconfitta non ci metta nella condizione di aprire una faida con il tuo popolo."
Sthiggar ghignò per tutta risposta e replicò: "Affatto. Anzi, credo che il mio re potrebbe trovare divertente che qualcuno riesca a darmi qualche botta in testa. Sogna da decenni di poterlo fare lui stesso."
Questo commento strappò un sorriso ai presenti e portò Ludvig a dire: "Sarò lieto di accontentarlo, straniero."
"Preferirei di no" asserì per contro Sthiggar, lanciando uno sguardo alle mani enormi di Ludvig. Se quelle mani chiuse a pugno lo avessero raggiunto, avrebbero tranquillamente potuto ridurlo in pezzi.
I due uomini che accompagnavano Ludvig - rimasti in silenzio fino a quel momento - presero la parola e, in coro, dichiararono con voci baritonali: "Si dia inizio alla disfida. Sia accettato il verdetto, senza pretesa di vendetta o di secondo duello. La legge dell'Occhio Solo sia rispettata."
"Odino?" borbottò Sthiggar, vedendo Ragnhild annuire.
"Wothan, sì. E' il nostro dio supremo" gli spiegò in fretta la donna.
Assentendo meccanicamente, Sthiggar si piazzò nel centro della radura per attendere l'arrivo del suo nemico che, però, lo colse del tutto di sorpresa strappandosi di dosso la maglia per rimanere a torso nudo. Torso su cui, tra le altre cose, Sthiggar poté notare una ramificata e complessa serie di tatuaggi rossi e neri, apparentemente riguardanti le guerre dei berserkir.
La sorpresa, però, durò solo un attimo, sostituita dalla fredda concentrazione che aveva imparato a trovare in battaglia e, quando si vide caricare a testa bassa dal nemico, comprese subito come contrattaccare.
Di fronte a una simile potenza del tutto deprivata di un minimo di controllo, era facile avere il sopravvento, anche con una disparità fisica come c'era tra loro.
Balzando via senza alcuna difficoltà, Sthiggar lo vide però muoversi con estrema velocità per tornare all'attacco, dimostrando quindi non solo immane forza, ma anche agilità.
Non lasciandosi però scoraggiare, si scostò nuovamente quando Ludvig tentò di afferrarlo con una mano. Poggiato di traverso il piede a terra per farlo inciampare, lo vide cadere lungo riverso sull'erba riarsa dall'inverno, mandandolo a mangiare polvere e foglie secche.
Mattias lanciò un grido di esultanza, ma Sthiggar non vi badò.
Sapeva bene che Ludvig era ben lungi dall'essere stato sconfitto. Non a caso, un istante dopo, lo rivide in piedi, più furente che mai e pronto a staccargli a testa a morsi, se necessario.
Indietreggiando di un paio di passi, Sthiggar si piegò sulle ginocchia per affrontare la carica dell'avversario e, quando se lo vide abbattere contro, strinse i denti e imprecò tra sé nell'avvertire tutto il peso dell'uomo contro la spalla.
A ogni buon conto, si contrappose a lui con tutte le sue forze, pur affondando di molto i piedi nel terreno smosso. Fu a quel punto che allentò la presa di colpo, si piegò all'indietro e, lasciando che l'energia di Ludvig tornasse ad avanzare, usò lo stesso peso dell'uomo per scagliarlo oltre le sue spalle.
Nuovamente, il berserk cadde a terra, stavolta in una posizione tale da impedirgli un movimento subitaneo di risposta così Sthiggar, approfittando della sua condizione di svantaggio, afferrò un piccolo sasso, lo graffiò a un braccio e disse lesto: "Primo sangue."
Una piccola goccia di linfa vitale macchiò le carni di Ludvig e il sasso usato come arma, ma ciò non bastò a fermarlo. Rialzatosi con un diavolo per capello, il berserkr falciò l'aria per negare l'evidenza e, sorprendendo tutti, lanciò un grido tonante che, ben presto, si trasformò in ruggito terrificante.
Isolde, la donna che aveva aperto la disfida, urlò a Ludvig di interrompere la trasformazione, ma la berserksgangr1 procedette senza poter essere interrotta. Ossa e muscoli mutarono, pelo fulvo e ruvido prese il posto della pelle tatuata e così, di fronte agli occhi sconvolti di tutti, il berserkr prese forma in tutto il suo terrificante splendore.
Un orso di più di tre metri si parò quindi dinanzi a uno sgomento Sthiggar che, allontanandosi in tutta fretta dal suo avversario, esclamò: "Sbaglio o questo è molto negativo?!"
"Decisamente, visto che la furia di un berserkr si ferma solo a missione ultimata" ansimò turbata Ragnhild, guardando i suoi cugini con espressione ansiosa.
Boris assentì al suo indirizzo, andando a posizionarsi alle spalle di Sthiggar al pari dei suoi fratelli, pronti a contenere l’onda distruttiva di Ludvig nel caso in cui avesse attaccato nelle forme di uomo-orso.
Isolde, nel frattempo, tentò nuovamente di bloccare Ludvig ma il berserkr, ormai lanciato in caccia, scaraventò via la donna e i suoi due lacchè dopodiché guardò furente Sthiggar e si preparò ad attaccare.
Mattias, però, attirò l’attenzione di tutti urlando all'indirizzo di Sthigg: "Ehi! Prendi questi! Servono per fare il fuoco!"
Sthiggar fu lesto a prendere al volo ciò che il ragazzino gli lanciò e, nel vedere tra le sue mani un accendino e una piccola bottiglietta di alcool etilico, ghignò e disse: "Vediamo un po' che succede."
Senza pensarci troppo, e sotto gli occhi sconcertati dei presenti, si ricoprì di liquido infiammabile e si diede fuoco con l'accendino, attendendo trepidante che le fiamme lo inglobassero.
Il fuoco si elevò libero e feroce sulla pelle ambrata di Sthiggar che, finalmente avvolto dal suo elemento naturale, sollevò le mani con espressione soddisfatta e disse: "E ora, a noi due."
Mentre gli abiti di Sthigg andavano a fuoco, la sua aura si risvegliò come da un lungo letargo, irradiandosi sotto la sua pelle e facendo sfrigolare la sua chioma ramata. Le fiamme presero a danzare sulle sue dita così come attorno al suo corpo e, quando il berserkr si abbatté contro di lui, Sthiggar non ne venne minimamente assoggettato.
Lo scansò con relativa facilità, sospingendolo all’indietro per diversi metri dopodiché, non contento, avanzò verso di lui per marchiarlo su una spalla, asserendo atono: "Non si colpisce mai una signora, ragazzone."
Il berserkr urlò per il dolore, quando il fuoco gli marchiò le carni e bruciò il pelo fulvo, e questo bastò a far rinsavire Ludvig che, tornato poco a poco uomo, levò le mani per proteggersi da Sthiggar ed esalò: "Scusa... scusa! Non avrei dovuto!"
"Vorrei ben vedere" chiosò Sthiggar, lasciando che la fiamma si estinguesse attorno a lui.
Poco per volta, l'aura tornò a chetarsi fino a scomparire e il consueto calore interno del suo potere, deprivato del fuoco di cui si era cibato, si chetò del tutto, tornando a riposare nel suo animo.
Rilassando le membra non appena si resero conto che Ludvig non era più un pericolo, i berserkir osservarono sconcertati il muspell che si era esibito in quell’incredibile combattimento. Notando, però, come il fuoco avesse conciato i suoi abiti, si lasciarono andare a una risata collettiva e Boris, gettandogli addosso la sua maglietta, esclamò: "Ehi, torcia umana! Copriti le pudenda!"
Sthiggar si guardò quindi con aria confusa ma, non appena si rese conto di ciò che il fuoco aveva combinato, si coprì prudentemente le parti intime con l’indumento di Boris ed esalò: "Ehm... scusate. I miei vestiti, solitamente, sono ignifughi."
"Chissà perché ma lo avevamo immaginato" rise sguaiato Adam, togliendosi a sua volta la maglia per poi ricavarne una sorta di pareo, da poter legare attorno ai fianchi del muspell.
Ragnhild, che aveva smesso di guardare il muspell fin da quando gli abiti di Sthiggar avevano iniziato a prendere fuoco, chiosò con ironia: "Alla faccia del temperamento focoso! Non c'è che dire... ti scaldi per un nonnulla."
"Già" ammiccò il giovane muspell, mentre sistemava alla bell'è meglio ciò che gli era stato dato per coprirsi.
Ludvig, ancora a terra e dolorante, si tastò il punto in cui Sthiggar lo aveva marchiato a fuoco e borbottò: "E chi pensava che poteste prendere davvero fuoco?"
"Quello che hai visto non era niente" si limitò a dire Sthigg prima di ringraziare Mattias. "Grazie per il tuo passaggio, amico. Come ti è venuto in mente di portarti dietro accendino e alcool?"
"Sai com'è... i berserkir sono facili all'ira e, se fosse successo qualcosa, l'unico modo che avevi per difenderti era il fuoco, no? Ho dedotto che ti sarebbe stato utile" scrollò le spalle Mattias, ricevendo per ringraziamento una pacca sulla testa.
"Hai pensato bene. Anche se ora dovrò fare di nuovo shopping" ammiccò Sthiggar, ammirando divertito il mezzo disastro che aveva combinato.
Isolde e i suoi guardiani, in quel mentre, si avvicinarono al muspell e la donna, con un cenno del capo, disse: "Grazie per aver pensato anche alla nostra incolumità. Purtroppo è successa una cosa che non avrebbe dovuto avvenire, e il membro del clan che si è macchiato di un tale disonore sarà adeguatamente punito per non aver seguito le regole."
"A me basta non aver ricevuto un colpo in testa" replicò con un sorriso Sthiggar. "Ma un paio di pantaloni mi servirebbero davvero. Non posso rientrare così conciato."
Isolde allora assentì con un sorriso, sinceramente più rilassata rispetto a qualche minuto addietro, e disse: "In auto abbiamo sempre degli abiti di ricambio. Dovremmo avere qualcosa della tua misura."
Sthiggar si limitò ad assentire e, mentre Isolde e i suoi sottoposti si allontanavano assieme a un contrito Ludvig - che aveva lanciato un ultimo sguardo dolente a Ragnhild prima di seguirli - Adam domandò: "Che intendevi dire con 'non era niente'. A me è parsa una cosa grandiosa!"
Il giovane muspell si grattò pensieroso una guancia e replicò: "Beh, innanzitutto, su Muspellheimr non mi sarebbe servito un accelerante, per prendere fuoco e attizzare la mia aura. Secondariamente, sarei diventato davvero un Gigante di Fuoco. I più potenti guerrieri di Muspell, coloro i quali beneficiano delle auree più pure, possono divenire alti anche dieci metri."
I tre cugini fischiarono di ammirazione e sorpresa ma Ragnhild, turbata, gli domandò: "Divenire così grande non ti procura dei problemi?"
"Credo che sia naturale come, per i vostri uomini, lo è diventare orsi" replicò il giovane, indicando Ludvig, ormai lontano. "Personalmente, non ho mai tentato di diventare un Gigante di Fuoco e, quando ho usato la Fiamma Viva, non ho avuto molto tempo per badare a quel che succedeva al mio corpo, perché ho dovuto pensare a salvare la mia vita e quella dei miei commilitoni."
"Ci sono guerre, su Muspellheimr?" domandò allora Wulff.
"Non proprio. Quella a cui ho partecipato io è stata più che altro una scaramuccia coi Nani Oscuri, ma il loro arsenale ci ha colto del tutto di sorpresa" spiegò loro Sthigg prima di sospirare e ammettere: "Sono stato costretto a stringere tra le braccia un mio amico morente, a causa delle loro armi illegali."
Quelle parole misero fine alle domande e Sthiggar, nel lanciare uno sguardo verso il cielo - a malapena visibile tra le ramificazioni fitte e scure delle chiome delle betulle - scrutò pensieroso l'astro che era Sol e si chiese cosa stesse succedendo sul suo mondo.
Non ricevere notizie era snervante e, più ancora, lo era attendere che gli eventi compissero il loro corso senza che lui potesse mettere voce in capitolo.
1 berserksgangr: stato di furia del berserkr. Quando l'animale prende il sopravvento sull'uomo e avviene la mutazione in orso... e il berserkr perde la brocca. ;-)
N.d.A.: abbiamo avuto un assaggino (perché sappiamo che Sthigg può fare molto di più) di ciò che un Gigante di Fuoco può fare con la propria fiamma, e questo ha scosso non poco i berserkir, che mai si sarebbero immaginati una cosa simile. Ora che Sthiggar ha permesso a Ragnhild di salvarsi da Ludvig, però, come verrà visto dal resto del branco? Ci saranno ripercussioni?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Cap.
9
Com'era possibile che ogni muscolo
del corpo gli
dolesse, e così pure gli occhi?
Sulle prime, diede la colpa al
combattimento
intercorso con Ludvig, che aveva risvegliato i suoi istinti di
guerriero ma, dopo
alcuni minuti di incessanti dolori seguiti al suo risvegli, si lagnò per mille
altri motivi, e tutti non inerenti
alla lotta.
Cosa stava succedendo?
Scendere da letto si
rivelò quasi un'impresa, a quel
punto e, quando Sthiggar si presentò alla tavola di Flyka e
Thrym, quest'ultimo
sorrise sornione e disse: "Qualcuno ha esagerato col lavoro e con
internet. O sbaglio?"
"Perché dici questo?"
brontolò Sthiggar,
strofinandosi gli occhi pesti e arrossati.
Flyka sorrise indulgente nel
passargli un caffè nero e
fumante, che Sthigg ingollò quasi per intero prima di
lasciarsi cadere su una
sedia e aggiungere: "Diamine! Vengo da una cinquantina d'anni sotto il
comando di uno dei generali più spietati che esistano,
eppure mi sento uno
straccio."
"Sthiggar, non siamo più
su Muspellheimr,
mettitelo in testa. Qui, ogni cosa per noi è più
difficoltosa perché non
abbiamo l'aura a sostenerci. E' come se il pianeta stesso ci
prosciugasse,
perciò devi prendere le cose con calma, prima di abituarti,
o ti ridurrai
all'ombra di te stesso in men che non si dica" lo redarguì
bonariamente
Flyka. "Chiedilo a Thrym, se scherzo."
Sthiggar, allora, fissò
dubbioso l'imponente muspell
che, però, assentì e disse: "Volli strafare, il
primo mese in cui mi trovai
qui, giusto per far vedere a Gunther che non ero una schiappa,
così finii con
l'ammalarmi. Credimi, le medicine umane sono uno spettacolo, quanto a
velocità
di guarigione, ma è meglio evitarle se non vuoi avere
effetti collaterali
davvero spiacevoli."
Sospirando, il giovane
assentì suo malgrado dopodiché,
nell'accettare con un 'grazie' il
piatto di uova e pancetta
che gli offrì Flyka, domandò: "Quanto a internet,
cosa c'entra con la mia
stanchezza?"
"I nostri occhi non sono abituati
agli schermi di
un computer e, anche se ammetto che stare lì davanti a
leggere è molto più
semplice che girovagare per Luleå a guardare come si comporta
la gente, devi
darti una regolata, o finirai con il rovinarti la vista e ridurti ad
aver
bisogno degli occhiali" lo redarguì Flyka.
Ciò detto, si
portò dietro di lui e, dopo aver
sfiorato il collo e le spalle di Sthiggar con precisi passaggi delle
dita,
aggiunse in un mormorio: “Senti come sono tesi i muscoli, in
quesi punti? E’ la
posizione che tieni dinanzi al computer. Finirai con lo strapparti un
muscolo,
di questo passo, e non è piacevole. Anche se ti sembra
sciocco, devi fare
esercizio fisico per sciogliere la muscolatura, prima e dopo il
lavoro.”
Lui assentì grato,
trovando quelle attenzioni gratuite
molto piacevoli e sì, rassicuranti.
Sthiggar dubitava fortemente che
Flyka si stesse
comportando a quel modo per corromperlo o circuirlo; pareva
semplicemente una
donna buona, alle prese con un ragazzino da accudire.
Dopotutto, forse, era vero che
entrambi i suoi
compagni di sventura si erano ritrovati a rubare per poter salvare loro
stessi
e le proprie famiglie dalla morte per fame. Li conosceva da poco,
eppure non
gli erano parse persone arriviste o mosse da fini reconditi.
Forse, la vita era stata dura, con
loro, mettendoli
alla prova e facendoli fallire, ma ora stavano facendo ciò
che era stato loro
detto per potersi redimere.
"Questo mondo è davvero
più complesso di quanto
non avessi immaginato" sospirò infine Sthiggar, mangiando
ciò che Flyka
gli aveva preparato. "Da domani, inizierò a prepararmi i
pasti da solo.
Non voglio gravare sulla vostra vita di coppia e, visto che ne sono in
grado,
ci penserò io."
"Come preferisci. Per me non
è un problema
cucinare per due o per tre" scrollò le spalle Flyka, pur
sorridendogli.
"Tu non cucini?" domandò
curioso Sthigg,
scurtando il volto contrito di Thrym.
A sorpresa, il possente muspell
arrossì e ammise:
"Non mi metteresti mai volontariamente a
cucinare
qualcosa. Credimi."
Ad avvalorare le sue parole
pensò Flyka, che tremò al
solo pensiero.
Sorridendo a mezzo, Sthiggar allora
disse: "Vorrà
dire che una di queste sere, se troverò il necessario per
farlo, vi preparerò
il mio stufato di carne. Quello, riesco a farlo bene."
"D'accordo. Ci conto. Ma ora,
filate a lavorare
prima che Gunther arrivi qui con i taser. Gli orari sono inflessibili,
per noi
carcerati" sorrise furba Flyka, andandosene in camera per cambiarsi.
"Anche lei è controllata
come noi?" domandò
Sthiggar, curioso.
"Non siamo proprio controllati.
Essendo un carcere rieducativo, abbiamo un'ampia possibilità
di movimento, ma
ricorda; la notte dobbiamo per forza dormire
in casa,
altrimenti saranno guai. Per il resto, puoi fare gite fuori porta, se
vuoi, e
conoscere gente, ma niente pernottamenti lontano da qua. Gunther lo
saprebbe
subito, e allora sarebbero dolori" gli spiegò Thrym,
levandosi in piedi
per poi prendere le chiavi dell'auto. "Se ti andrà, ti
darò una mano a
prendere la patente. Per quel che ne so, la tua pena è bella
lunga e avrai
tutto il tempo di capire quanto sia utile averla."
Sthiggar annuì, pur
sperando davvero di non
averne affatto bisogno. Se Hildur avesse scoperto i piani
che si celavano
dietro al complotto che lo avevano fatto finire lì, sarebbe
tornato a
Muspellheimr molto prima di capire come diavolo potesse funzionare
un'auto.
Nel frattempo, in ogni caso, si
sarebbe tenuto
occupato, così che la sua mente non perdesse
lucidità a causa dello strano
effetto che il pianeta aveva su di loro.
Salito che fu in auto, quindi,
osservò con occhi
attenti ciò che lo circondava, notando subito l'estrema
pulizia dei luoghi, i
colori accesi delle case e l'aspetto apparentemente cortese e gentile
delle
persone.
Tolti Mattias, Ragnhild e i loro
cugini, non aveva
avuto altre occasioni per parlare con qualcuno del posto. Inoltre,
aveva idea
che i berserkir fossero un tantino diversi dalle persone che abitavano
quei
luoghi.
Non sapeva bene come spiegarselo,
ma era quasi certo
che far parte di una razza senziente e segreta,
comportasse
comportamenti e atteggiamenti di un certo tipo.
Su Muspellheimr, razze diverse
coabitavano sul pianeta
in maniera più o meno pacifica - se si toglieva l'attacco
dei dokkalfar di un
anno addietro - mentre, da quel poco che aveva capito, su Midghardr
l'unica
razza senziente riconosciuta era quella umana.
Di berserkir, mannari, fomoire e
quant'altro, gli umani non erano a conoscenza, e li consideravano
soltanto dei
miti ancestrali senza alcuna base reale alle spalle.
Doveva essere strano, per non dire
snervante, vivere
in un mondo in cui non veniva riconosciuta l’esistenza della
razza a cui si
apparteneva.
Quando Thrym fermò
l'auto nel parcheggio, lui gli
diede un colpetto contro la spalla con un pugno e disse: "Ragazzo, fai
lavorare meno il cervello, o ti colerà. Devi prendere
ciò che succede con la
giusta calma, o impazzirai. Un passo alla volta, davvero."
Sthiggar accennò un
sorriso di scuse, mormorando:
"Sono stato un pessimo compagno di viaggio, perdonami. Ma questa
situazione mi sta portando a riconsiderare un sacco di cose, e mi
è quasi
impossibile non pensarci."
"Beh, io ti do solo un consiglio,
poi vedi tu se
seguirlo o meno. Fai domande a Gunther, così si
sentirà importante e farà meno
lo stronzo. Dopotutto, lui vive qui da vent'anni e conosce questo posto
come le
sue tasche" buttò lì Thrym, uscendo dall'auto al
pari di Sthiggar.
Nell'avviarsi verso il molo, il
giovane muspell decise
che avrebbe fatto così. In parte, per fare quanto
consigliato da Thrym, e in
parte per chiedere ulteriori informazioni sui suoi compagni di
prigionia.
Più cose sapeva, minore
sarebbe stato il pericolo di
trovarsi nei guai.
***
Intento a spazzolare il pavimento
in legno di tek di
una tre alberi, Sthiggar si passò una mano sul viso per
asciugare il sudore
formatosi durante quelle ore di duro lavoro e, tra sé,
imprecò.
La mancanza dell'aura si faceva
sentire più di quanto
non avesse immaginato e, anche se lavorare lo teneva al caldo come gli
abiti,
invece, non riuscivano a fare, la stanchezza che ne conseguiva gli
rubava tutta
l'energia, riducendolo uno straccio.
"Devi andare con calma e prenderti
delle pause,
ragazzo" disse dietro di lui Gunther. "Qui non siamo su Muspellheimr
e il tuo corpo, i tuoi polmoni, il tuo cuore, ogni cosa di te deve
abituarsi a
un mondo in cui non puoi fare affidamento sulla fiamma interna."
Bloccandosi e mettendosi carponi,
Sthiggar gettò la
spazzola nel secchio ricolmo di materiale detergente e, con un placido
sospiro,
disse: "Me ne sto rendendo conto mio malgrado. Anche Thrym me lo ha
consigliato, comunque."
"Perché quel ragazzo ci
è già passato. Ho dovuto
curarlo di persona, quando gli venne la febbre per lo stress fisico,
visto che
non avremmo saputo come spiegare una temperatura corporea di
cinquantotto gradi
a un medico terrestre" ironizzò Gunther, facendolo
sorridere. "Così,
ho preso tutto ciò che era possibile acquistare per fargli
passare quel febbrone
da cavallo, dopodiché l'ho strigliato per bene e l'ho
minacciato di piantonarlo
a casa coi ceppi, se non si dava una calmata."
"Immagino che Flyka sia
più facile da
gestire."
"Non del tutto. Essere una donna
non la rende
esente dall'essere testarda come un mulo e, sulle prime, insegnarle a
non
prendere a coltellate gli uomini che facevano apprezzamenti sulla sua
bellezza,
è stata dura. Ora, sa che non deve ucciderli,
per tenerli alla
larga" sospirò Gunther, scuotendo esasperato il capo.
Sthiggar rise nervosamente,
esalando: "Beh, Flyka
merita sicuramente dei complimenti, ma mi asterrò dal
farglieli. Non si sa
mai."
"E' diventata brava, non temere. E
poi, adesso
sta con Thrym, e la gente del paese li vede insieme abbastanza spesso
da aver
capito che sono una coppia. Non ci sono più problemi di quel
genere" gli
spiegò Gunther, allungandogli una bottiglia d'acqua per
dissetarsi.
"E gli altri?" si
informò Sthiggar.
“Immagino che vi siano altre carceri di questo tipo, in giro
per la Svezia.”
Sbuffando, Gunther
asserì: "Diverse, e non tutte
con carcerati bravi come voi. C'è stato un tentativo di fuga
su al nord, un
paio di mesi addietro, nella zona di detenzione di Gällivare,
ma è stato
arginata per tempo e il fuggitivo è stato ricondotto su
Muspellheimr per essere
sistemato in una prigione vera."
Sthiggar assentì
meditabondo, sorseggiando con calma
l'acqua. "Di Thrym e Flyka puoi dirmi altro?"
"Niente di trascendentale. Stando
ai rapporti che
ho ricevuto al loro arrivo, non sono considerati personaggi ad alto
rischio,
non a caso li hanno mandati qui perché venissero rieducati.
Si sono trovati in
una condizione di disagio estremo e hanno trovato il modo sbagliato per
risolvere le cose. Tutto qui. Però, vorrei comunque che non
dessi troppa
confidenza a Thrym. Tende a essere un attaccabrighe e, non di rado,
è finito in
risse da bar. Una coltellata potrebbe ucciderti, qui, e preferirei
renderti al
re tutto intero."
"Starò attento a dove
vado a bere" gli
promise Sthiggar, guardando in alto nel cielo, dove il disco solare
splendeva
solitario, senza una sola nube ad accompagnarlo.
"Tua nonna ti parla?"
domandò Gunther.
"No. Non può. Ma mi
piacerebbe, ogni tanto,
sentire la sua voce" sospirò lui, tornando a guardare il suo
datore di
lavoro per chiedere. "Com'è stare qui? Come ti sei abituato
alla mancanza
dell'aura e a tutto il resto?"
"E' semplice. L'ho fatta bloccare
per sempre,
così che il mio corpo potesse diventare umano e non fosse
più muspell"
dichiarò lui, sorprendendolo non poco.
"L'hai... bloccata?"
esalò
Sthiggar, rialzandosi di colpo, troppo sconcertato per poter accettare
una
simile risposta.
Annuendo, Gunther lanciò
uno sguardo all'abitazione
che sorgeva dinanzi all'entrata del porticciolo, dove si trovava sua
moglie Astrid,
in compagnia del loro figlio di quattordici anni, Markl.
"Ero qui da almeno quattro anni
come guardiano
dei prigionieri, e portavo avanti questa impresa per dare un lavoro a
coloro i
quali volevano tenersi in attività senza dover cercare
qualcosa in giro per
Luleå e dintorni" gli spiegò l'uomo, con tono
pensoso. "Sai, lavorare
su Midghardr fa parte degli obblighi di un carcerato così,
per facilitare le
cose, il re ha pensato di acquistare questo posto e metterci, di volta
in
volta, un proprietario nuovo. Quella volta, toccò a
me.”
“Quindi, questo posto
appartiene a re Surtr?” esalò
sorpreso Sthiggar, guardandosi intorno curioso.
Gunther assentì e, nel
gettare la bottiglia d’acqua
ormai vuota nel recipiente per la plastica, continuò
dicendo: “Un giorno,
mentre ero intento a sistemare le schede degli ultimi arrivati,
incontrai Astrid.
Venne qui per prendere a noleggio uno sloop e,
quando
incrociai il suo sguardo, non capii più niente."
Sorridendo a mezzo, Sthiggar
esalò divertito:
"Deve essere una persona non comune, per mettere nel sacco un guerriero
tuo pari."
"Lo è. Passammo molto
tempo insieme, da quel
giorno. Ogni scusa era buona per passare qua al porticciolo e fare
quattro
chiacchiere. Naturalmente, io sapevo bene che, presto o tardi, si
sarebbe
accorta che non sarei mai e poi mai cambiato, così le dissi
la verità e attesi
l'inevitabile."
"Pensavi ti avrebbe rifiutato?"
domandò
sorpreso Sthiggar.
"Devi capire, ragazzo, che gli
umani credono di
essere l'unica razza senziente dell'Universo e,
anche se molti
millantano di credere agli UFO e quant'altro, mediamente non sono molto
aperti
a questo genere di sorprese" gli spiegò Gunther con un mezzo
sorriso.
"Così, attesi rassegnato che lei urlasse, o mi cacciasse da
casa, ma lei
si limitò a scrutarmi con aria curiosa, dicendomi che
finalmente aveva capito
perché la mia calligrafia era terribile."
"La... calligrafia?"
esalò Sthiggar, scoppiando a ridere.
"Già. Potremo anche
leggere e parlare la loro
lingua, ma il rapporto occhio-mano è diverso, e usare il
loro alfabeto è sempre
stato ostico, almeno per me" ammise l'uomo con un risolino.
"Disse altro?" mormorò
allora Sthiggar,
interessato.
"Si dimostrò da subito
molto curiosa e
impressionata, e mi tenne sveglio per notti intere perché le
raccontassi ogni
cosa del nostro mondo e degli altri" gli spiegò Gunther.
"Forse, il
suo essere una professoressa universitaria l'ha resa più
aperta mentalmente o,
magari, le piacevo abbastanza per passare sopra a tutto il resto."
Sthiggar annuì con un
sorrisino e Gunther, nel
tossicchiare imbarazzato, terminò di dire: "Quando Hildur
venne per uno
dei suoi consueti controlli, le chiesi di rimanere qualche giorno in
più per
permettermi di tornare su Muspellheimr. Una volta giunto a Hindarall,
dissi al
sovrano ciò che avevo intenzione di fare e lui,
acconsentendo, chiuse i Centri
della mia aura perché potessi diventare a tutti gli effetti
un essere umano.
Posso dirti che il mio ritorno a Bifröst fu terribile.
Non mi ero
mai reso conto di quanto facesse caldo, su Muspellheimr!"
Nel dirlo, rise di quel ricordo e
Sthiggar si domandò
cosa volesse dire rinunciare a tutto per amore di qualcuno.
Lui aveva vissuto avventure di una
notte, aveva
conosciuto l'amore carnale di molte donne - quasi sempre più
adulte di lui - e
aveva preso sesso e divertimento a piene mani, nella sua adolescenza
scapestrata.
Molto probabilmente, se non si
fosse cacciato nei guai
e non lo avessero mandato sotto il comando di Yothan, sarebbe morto a
causa di
un contenzioso amoroso per mano di un marito infuriato.
Chissà.
Una cosa, però, l'aveva
imparata, in quel lungo pellegrinaggio
tra donne sempre diverse e accoppiamenti scevri di qualsiasi
sentimento. Una
vita simile non regalava nulla, a parte un vuoto sempre maggiore
nell'animo.
Non a caso, dopo i primi anni sotto
il comando di
Yothan, non aveva più cercato il calore di una donna. Lo
aveva ritenuto del
tutto inutile, ai fini di una sua crescita personale.
"Non sei mai stato innamorato, eh?"
chiosò
Gunther.
"Per nulla. Non a caso, trovo tutto
ciò
estremamente affascinante" asserì Sthiggar. "Trovare
qualcuno che
possa cambiare così tanto la
tua vita, deve essere
incredibile."
"Non è di certo tutto
rose e fiori, e ci sono
state volte in cui mi sono sentito vuoto, senza la mia fiamma interna,
ma
credimi, ne è valsa comunque la pena, per lei"
asserì Gunther prima di
guardare l'orologio, sogghignare e aggiungere: "Pausa finita, ragazzo.
E
ricorda, tutti i giorni dovrai lavorare due ore e fermarti per almeno
un quarto
d'ora. Così eviterai crolli, va bene?"
"D'accordo" assentì lui,
rimettendosi al
lavoro mentre il suo datore di lavoro scendeva dalla barca.
Sthiggar lo osservò
allontanarsi dopodiché, nel
rimettersi a pulire il ponte, si domandò se lui sarebbe mai
stato in grado di
rinunciare a ciò che gli dèi gli avevano dato e
che, solo a stento, sapeva
usare.
Essere una Fiamma Viva comportava
enormi
responsabilità e, ora che non poteva più
avvertire neppure una stilla di quel
potere dentro di sé, si sentiva nudo come un bambino appena
nato.
Trovarsi lì, lontano da
casa e senza essere più se
stesso, era snervante e lo rendeva sempre nervoso, perciò
faticava a capire
come, una donna, potesse essere riuscita in una simile impresa.
Doveva trattarsi di una persona
davvero speciale.
***
Sbadigliando mentre attendeva
paziente l'uscita di
Ragnhild dall'università - lei gli aveva detto di dover
studiare in quel luogo
fino alle quattro del pomeriggio - Sthiggar ricontrollò sul
suo cellulare nuovo
di zecca ciò che aveva imparato.
Rispetto ai giorni precedenti, in
cui aveva combinato
guai a non finire, aveva finalmente compreso come far funzionare le
applicazioni che si trovavano all'interno dello smartphone.
Pur non capendo come quell'affare così piccolo potesse
funzionare, godeva comunque degli indubbi vantaggi
dell’averlo.
Google, poi, si era rivelato una miniera
di informazioni
davvero eccellente, ma alcune cose proprio non riusciva a comprenderle,
pur
leggendole su quello schermo lucente e liscio come seta.
Dopotutto, sancire quel patto con
Ragnhild avrebbe
potuto essergli più utile di quanto non avesse immaginato in
principio. Alcuni
comportamenti umani gli erano del tutto alieni e chi, meglio di un
abitante di
Midghardr, poteva renderlo edotto in merito?
"Ehi, stoppino. Allora sei venuto"
disse una
voce di donna alle sue spalle, e che lui riconobbe subito.
Levato lo sguardo dal cellulare,
Sthiggar si alzò
dalla panchina dove aveva aspettato Ragnhild fin a quel momento e, con
un mezzo
sorriso, disse: "Buongiorno. O buonasera. Il cielo diventa scuro in
fretta, in questo periodo dell'anno?"
"Abbastanza" assentì
lei, incamminandosi con
il giovane muspell lungo il marciapiede. "Allora, sei davvero deciso a
usarmi come un dizionario umano?"
"Pur ottenendo molte informazioni
dai vostri
apparati tecnologici, molte vostre decisioni mi restano oscure
perché non capisco perché
le facciate" sottolineò lui, attraversando la strada con la
giovane.
"Oh, quindi il tuo è
più un problema etico e
morale, che tecnico" dichiarò lei, scrutandolo piena di
curiosità.
"Davvero un guerriero pensa a queste cose?"
"Dovrebbe essere la prima
cosa a
cui pensare, io credo" replicò lui, accigliandosi di fronte
agli indubbi
sottintesi di quell’affermazione. Pensava davvero che fosse
uno zotico senza
cervello?
"Ma come... non
è 'armiamoci e
ammazziamoli tutti'?" ironizzò Ranghild prima di
notare il suo
cipiglio.
Bloccandosi a metà di un
passo, la giovane allora
sospirò, si guardò intorno con espressione
meditabonda e, dopo aver trovato ciò
che cercava, lo condusse verso un piccolo parco pubblico per poter
parlare
agevolmente.
Accompagnatolo fino a un laghetto
palustre, Ragnhild
lo invitò a sedersi su una panchina e lì, con un
sospiro, disse con maggiore
delicatezza: "Perdonami. Ho dato per scontato - sbagliando - che tu
fossi
come un berserkr, che ama solo combattere in modo piuttosto virile
e... sbrigativo."
"Ne ho avuto un discreto esempio
l'altro
ieri" assentì Sthiggar, cauto.
Battendo le mani, quindi, Ragnhild
aggiunse:
"Posso immaginare che molto di quel che facciamo qui sia
contraddittorio
ma, nello specifico, cosa ti ha creato più problemi?"
"Perché state
distruggendo la vostra casa?"
domandò a sorpresa Sthiggar, portandola a sorridere con aria
dolente.
"Oh, cielo, stoppino! Questa
è la domanda del
secolo!" ironizzò lei con una risatina. "Non esiste una
risposta
sensata, né semplice. Per semplificare, direi che ha tutto a
che fare coi soldi
e il potere. Chi ha potere, ne vuole di più, chi ha soldi,
uguale, e tutto si
riduce a questo. Per ottenerli, si passa sopra a tutto, alla logica,
alle
persone, alla sicurezza... al pianeta. E non c'è modo di far
capire a chi
potrebbe cambiare le cose, che tutto questo è sbagliato.
Anche se in molti ci
stanno provando, per carità."
Sthiggar allungò gli
avambracci lungo le cosce per
poterla guardare in volto con più facilità e,
dubbioso, le domandò: "Ma...
una volta che non ci sarà più nulla, mangerete le
carte di credito e berrete
quella roba puzzolente che va nei serbatoi delle barche?"
"Non sbagli, stoppino. Il problema
è tutto lì ma
visto che, come ti dicevo, siamo un popolo contraddittorio, risolviamo
cose
apparentemente complicatissime ma non quelle facili" annuì
lei prima di
notare il suo sguardo e domandare: "Che c'è adesso?"
"Saresti molto carina se la
piantassi di usare
quel nomignolo idiota" precisò lui, fissandola torvo.
"Cosa? Stoppino? Ma se l'altro
giorno hai fatto proprio
questo?" ironizzò lei, dandogli una pacca sulla
spalla, che risultò
dura come l'acciaio. "Ahia."
"Se intendi dire che ho manovrato
il fuoco a mio
piacimento, è vero, e proprio per questo il
nomignolo è poco
conforme alla verità. Gli stoppini non manovrano un bel
niente" sottolineò
lui con aria furba.
"Oh. Abbiamo un filosofo, qui, e un
libero
pensatore" celiò lei, sinceramente sorpresa. "Va
bene... Sthiggar.
Non userò più la parola stoppino,
visto che la reputi impropria. Hai qualche nomignolo che ti sei tirato
dietro
dal tuo mondo, per caso?"
"Non li usiamo spesso. Abbiamo
più che altro dei
titoli onorifici. Ben pochi nomignoli" le spiegò lui con una
scrollatina
di spalle.
"E la faccenda della fiamma? Hai
sicuramente
utilizzato quelle prodotte dall’alcool bruciato l'altro
giorno, e ne sei uscito
del tutto indenne, ma vedo sul tuo collo che hai una bella bruciatura
in via di
guarigione. Quindi?" gli domandò allora lei, indicando
curiosa la zona di
tessuto roseo e cicatriziale visibile sopra il colletto del dolcevita
che
indossava Sthiggar.
"Le fiamme naturali, o che
provengono da
materiali naturali come l'alcol etilico, non ci ustionano. Quelle
artificiali,
ottenute da polvere pirica o altri materiali esplodenti creati
artificialmente,
possono farci del male" si limitò a dire lui, facendo
spallucce.
"E quella, da cosa è
stata causata?" si
informò a quel punto Ragnhild.
"Una fiamma artificiale creata dai
nani oscuri.
Un marchingegno a carica esplodente, che detona a contatto con la
nostra
carne" borbottò Sthiggar, passandosi distrattamente una mano
sul punto
incriminato.
Il dolore che aveva provato era
stato terribile e,
tutt'ora adesso, la pelle stentava a guarire, segno che il danno era
stato
immane, anche per una creatura del fuoco come lui.
Aveva urlato fino a farsi dolere la
gola e, quando era
stato in grado di risollevarsi da terra e vedere lo scempio che era
seguito al
primo attacco dei dokkalfar, aveva perso la testa, sprigionando la
fiamma.
"Perdemmo diversi uomini, a causa
di quelle armi
improprie e, tra essi, morì anche uno dei nipoti del re, e
mio amico"
sospirò il giovane muspell, stringendo per un istante le
mani tra loro prima di
rilassarsi forzatamente.
"Mi spiace" mormorò
Ragnhild perdendo ogni
desiderio di fare dell'ironia. "Io non ho mai perso nessuno della mia
famiglia. Ho ancora i nonni e i genitori, anche se non si
può certo dire che il
nostro sia un rapporto idilliaco."
"Non andate d'accordo?"
"E' un tantino più
complesso di così. Poiché mio
fratello porta dentro di sé un'anima divina, è
tenuto in grandissima
considerazione e io, beh... sono vista un po' come la sua ancella, o
qualcosa
del genere. Sono al suo servizio, prima che al mio, per intenderci" gli
spiegò grossolanamente lei, gesticolando nervosamente con le
mani.
"Non mi è sembrato,
però, che tu e tuo fratello
foste ai ferri corti."
"Oh, no, affatto. Lui è
adorabile, e anche Urd mi
è simpatica. Un po' troppo acuta e misteriosa, a volte, ma
sembra tenerci, a
me" dichiarò Ragnhild con un mezzo sorriso. "Il punto
è che, in una
società chiusa come la nostra, è difficile
sfuggire alle regole e, lo ammetto,
a me stanno un po' strette."
"Quindi, quel che abbiamo fatto noi
non rientra
nelle regole?"
"Beh, è stata una
forzatura. Avrei dovuto
chiedere l'intervento di un berserkr interno al clan o, comunque, a
nessun
berserkir esterno al nostro branco. Gli altri berserkir si sono
però rifiutati
di aiutarmi, perché non volevano litigare con Ludvig
così, quando ci siamo
conosciuti, ero davvero nei guai.”
“Lo avevo
notato” ammiccò lui. “E i tuoi
cugini?”
“Niente parenti stretti,
fa sempre parte delle regole”
sospirò lei, scuotendo il capo.
“Avete davvero
regolamenti restrittivi” esalò sorpreso
Sthiggar.
Lei accennò un sorrisino
e, facendo la lingua con aria
birichina, terminò di dire: “Visto che non sta
scritto da nessuna parte che io
non potessi chiedere a un essere esterno al
pianeta, ho potuto aggirare il divieto e sfruttare la tua
forza. Inoltre,
non è che io conosca poi così tanti ragazzi che
sarebbero disposti a battersi
per me.”
"Ancora non capisco
perché tu abbia dovuto
sottostare a questa pratica barbara. O le donne, qui su Midghardr,
necessitano
ancora del benestare familiare, per avere un marito?" le
domandò lui,
vedendola arrossire in risposta.
"Oh, ma... non si sarebbe trattato
di ...matrimonio!
Solo di una relazione" esalò lei, facendo tanto d'occhi e
arrossendo
imbarazzata, quasi che il solo pensiero la mettesse in agitazione.
"Ancora peggio" brontolò
Sthiggar. "Se
mio zio decidesse, un bel giorno, di dire a mia cugina Hildur di non
poter
frequentare il suo attuale compagno, proponendogliene poi un altro,
credo lo
impalerebbe. Pur volendogli molto bene, ma gli farebbe passare le pene
dell'inferno. Nessuno dice a
Hildur con chi andare a
letto."
"Ha tutta la mia stima"
mormorò Ragnhild,
annuendo con vigore. "Beh, nel mio clan vigono regole vecchie come il
mondo e noiose come il mal di pancia e io, mio malgrado, le devo
rispettare.
Inoltre, il fatto di non essere... speciale,
a suo tempo deluse
molto mia madre, che sperava di avere un maschio. Non potendo fare
altro, con
me, oltre a rendermi la migliore,
venni addestrata al meglio delle mie possibilità e poi, una
volta terminato il
mio apprendistato, i miei concepirono un altro figlio, e
così nacque Mattias."
Sthiggar annuì
pensieroso, le dita che grattavano
distratte il tatuaggio che lo confinava su Midghardr e Ragnhild, nel
notarlo,
lo indicò dicendo: "E' molto bello. Lo fate voi guerrieri?"
"No. E' una trappola, in
realtà. Una sorta di
catena. Se tentassi di tornare su Muspellheimr prima del termine della
mia
prigionia, o prima che il Guardiano sciolga la magia che mi lega al tuo
pianeta,
questo tatuaggio si scioglierebbe nel mio sangue, avvelenandomi."
Ragnhild sgranò gli
occhi per il terrore, di fronte a
quella notizia così, bloccando immediatamente la mano di
Sthiggar, esclamò:
"Piantala, allora! Non stuzzicarlo!"
Il giovane sorrise divertito per
tutta risposta e,
battendo la mano libera su quella di lei, replicò: "Non
temere. Non si
rompe così. Serve la
magia di Bifröst, perché si
spezzi."
"Oh" esalò lei,
ritirando la mano prima di
fissargli stranita la mano. "Certo che hai la pelle davvero
fredda!"
"Mi è impossibile
scaldarmi" sospirò lui,
estraendo dei guanti di pelle imbottita dalle tasche del giubbotto che
indossava. "E' un immenso scorno, per me che sono una Fiamma Viva."
"Cosa che capisco sì e
no. Che differenza c'è tra
te e gli altri muspell?"
"Oltre al fatto che sono
più bello?"
ironizzò lui, portandola a sorridere e sbuffare al tempo
stesso. "In
realtà, è una rarità. Al momento,
esistono solo due Fiamme Vive accertate, e
siamo io e il re. Naturalmente, potrebbero esservene altre ma,
finché la Fiamma
non si scatena, è impossibile saperlo a priori. Il punto
è che, tra il
popolino, circolano leggende secondo le quali, quando esistono due
Fiamme Vive
nello stesso momento, questo non porta che morte e guai e, alla peggio,
il
Ragnarök.”
Facendo tanto d'occhi, Ragnhild
assentì ed esalò:
"Beh, non è di certo una cosa carina da sentirsi dire.
Quindi, siete più
rari dei diamanti."
"Non sul mio pianeta. I diamanti,
intendo. Potrei
fartene portare uno enorme da mia cugina, la prossima volta che
verrà qui"
scrollò le spalle lui prima di vedere la sua faccia
sgomenta. "Che
c'è?"
"Vuoi... vuoi dirmi che i diamanti,
da voi, sono
come le noccioline?" gracchiò sconcertata Ragnhild.
"Non ho controllato, ma li usiamo
per un sacco di
cose. Non sono neppure gemme, a dir la verità, quanto
piuttosto pietre di uso
comune. Anche se alcune donne si fanno confezionare gioielli da orafi
terrestri
perché amano i loro articoli."
"Oddio!" esalò Ragnhild,
passandosi le mani
sul viso. "Quindi, se ti chiedessi un diamante da cento carati, tu lo
potresti avere come se niente fosse."
"Ti porterei la pietra grezza. Non
certo le elaborate pietre lavorate che ho visto in rete. Per quelle, ci
vorrebbe un orafo in gamba" sottolineò lui.
Lei, però, rise
divertita ed esalò: "Sì, peccato
che, se mi presentassi da un orafo con una pietra grande quanto un
arancio, mi
metterebbero in galera, pensando che io lo abbia rubato a qualcuno."
"Lo dicevo, io. Il vostro mondo
è strano e faccio
fatica a capirlo" si dichiarò impotente Sthiggar, sollevando
le mani con
aria di resa.
"Credimi, per me è
strano quel che hai appena
detto tu in merito ai diamanti" celiò lei prima di guardare
l'orologio e
aggiungere: "Mi accompagni a casa, così chiacchieriamo
durante il
percorso?"
"Volentieri. Anche se non ho notato
persone
dall'aria sospetta, è sempre meglio che una donna disarmata
non cammini da
sola" dichiarò lui, offrendole una mano per alzarsi dalla
panchina.
Lei la rifiutò, dicendo
per contro: "Non c'è
bisogno di tanta galanteria, anche se ho apprezzato."
"D'accordo" annuì lui,
infilando le mani in
tasca.
"Quanto alle persone dall'aria
sospetta, perché
credi che non ce ne siano?" si informò a quel punto
Ragnhild, fissandolo
curiosa.
"Perché, mentre
parlavamo, tenevo anche d'occhio
le persone che camminavano lungo il marciapiede a poca distanza da qui,
e
ascoltavo i rumori di fondo alle nostre spalle" gli spiegò
lei,
sorprendendola. "Un bravo soldato non può mai veramente
abbassare la
guardia, soprattutto se deve difendere una donna inerme."
"Non mi definirei... inerme. So
difendermi, sai?" precisò lei, accigliandosi.
"Con le armi, o con le mani?" si
informò
allora lui.
"Con entrambe, in effetti. Le donne
berserkir,
pur non potendo diventare potenti e temibili orsi, sono comunque in
grado di
difendersi perché vengono addestrate a
farlo" gli
spiegò lei con supponenza. “E il mio addestramento
è stato superlativo, nel
bene e nel male.”
"Allora, chiedo scusa. Non lo
sapevo"
dichiarò con semplicità lui, sorprendendola
ancora.
"Ma tu dici tutto quello che
pensi?"
gorgogliò confusa la giovane.
"Non sempre ma, se è la
verità, e se è necessario
dirla, la dico. Nel caso specifico, avevo erroneamente pensato che non
fossi in
grado di proteggerti da sola, così ti ho offerto i miei
servigi in caso di
bisogno ma, poiché mi hai detto che puoi difenderti
agevolmente con le tue mani,
ti presterò servizio solo se me lo chiederai" si
limitò a dire lui con
naturalezza.
"Sei uno strano caso di guerriero
con il
frac" chiosò lei, sbattendo le palpebre con aria comica.
"In che senso, scusa?"
domandò lui, confuso.
"Sì, sai pestare la
gente egregiamente, come ho
avuto modo di vedere, ma sei anche raffinato ed educato" si
spiegò meglio
lei. "Tua madre ti ha mandato alle serali per imparare il bon
ton?"
Sorridendo mesto, lui scosse il
capo, replicando:
"Mia madre morì quando ancora ero un infante. Ma credo lo
avrebbe fatto,
se avesse potuto."
Ragnhild si bloccò di
colpo, a quella notizia e,
stringendo impulsivamente il polso di Sthiggar con la mano,
mormorò addolorata:
"Dio, scusami! Non avrei mai, mai fatto
una battuta del
genere, se lo avessi saputo."
"Non c'è nulla per cui
scusarsi, Ragnhild. Come
potevi sapere? Inoltre, credo che qualsiasi madre farebbe
ciò che hai detto tu,
per tirare su un figlio beneducato e gentile, no?"
"Sì. Credo ... di
sì" assentì lei,
reclinando colpevole il capo.
"Ragnhild" la richiamò
però lui, forzandola
a risollevare il viso con il solo suono della sua voce. "Davvero. Non
è
successo nulla. E, in merito alla mia educazione, posso dirti che in
parte
deriva da mio padre, che è forse la persona più
educata di tutti i Nove Regni,
e in parte viene dal mio comandante, che ci puniva in maniera terribile
se non
ci comportavamo bene."
"E perché?"
"Perché il binomio
soldato/persona rozza non
doveva esistere, nella sua compagnia" ammiccò lui con aria
divertita.
"Ricordo di una volta in cui...”
Sthiggar proseguì con il
suo racconto per tutta la
durata del loro percorso verso la casa di Ragnhild e, ben presto, il
disagio
provato dalla ragazza a causa della sua gaffe,
venne dimenticato.
Il suono ritmico e piacevole della
voce di Sthiggar
riuscì a strapparla alla contrizione e, quasi a sorpresa, si
ritrovò a costeggiare
la staccionata di casa propria che, ancora, il giovane non aveva
terminato il
suo racconto.
Fu con dispiacere che lei dovette
interromperlo e,
sorridendo spiacente, disse: “Sono arrivata. Potrai terminare
il racconto
domani, se vuoi.”
“Se Gunther non mi
ucciderà con i suoi lavori, direi
di sì” assentì lui prima di salutare
con un cenno Mattias, che stava
gesticolando dalla finestra.
Ragnhild sorrise spontaneamente,
nel vederlo e
Sthiggar, nel reclinare la mano, mormorò: “Mi
sarebbe piaciuto avere un
fratello.”
“Se vuoi te lo
presterò, finché rimarrai qui”
ironizzò
lei, aprendo il cancelletto d’ingresso per poi aggiungere:
“Grazie per la tua
protezione, valente guerriero muspell, e scusa se hai parlato
più tu di me.
Prometto che mi saprò sdebitare.”
Grattandosi pensieroso la guancia,
Sthiggar però
replicò: “In realtà, credo sia stato un
bene, per me, parlare. Non ho pensato
né al freddo, né ai dubbi che mi
arrovellano.”
“Allora, grazie a
entrambi noi” ammiccò Ragnhild,
salutandolo.
Una volta sulla porta,
però, si volse per un nuovo
saluto e, solo quando lo vide riprendere la via di casa,
entrò.
Lì, trovò ad
attenderla Mattias che, nel prenderla per
mano, domandò: “Avete chiacchierato come
pattuito?”
“Più lui di
me, in effetti” ammise lei.
“Per questo
sorridi?” buttò lì il fratello,
sorprendendola.
“Che intendi dire,
sbruffoncello?” borbottò lei,
mimando l’attacco di un orso, con tanto di grugnito.
Mattias corse via ridendo ma, prima
ancora di poterlo
inseguire, il padre si affacciò dalla porta dello studio e
la chiamò dentro per
poter parlare.
Storcendo appena la bocca, e
presagendo guai di
qualsiasi genere, Ragnhild salutò con un cenno il fratello
prima di chiudersi
alle spalle la porta dell’ufficio del padre,
dopodiché domandò: “Qualche
problema?”
“Non propriamente. Il
giovane con te era il muspell
che si è prestato a essere il tuo Campione? Non
l’ho mai visto prima, qui”
domandò suo padre, sistemando alcuni incartamenti in una
carpetta.
Come tutti i berserkir, poteva
vantare su una
corporatura robusta e spalle ampie ma, diversamente dai cugini,
appariva più
modesto, meno inquietante o pericoloso. Non che Ragnhild avesse paura
della sua
forza.
Era altro, a turbarla, del padre.
“Sì, era
Sthiggar. Per il suo aiuto, gli ho promesso
assistenza per comprendere meglio il nostro mondo. Siamo
d’accordo che, quando gli
impegni lavorativi glielo consentiranno, mi verrà a prendere
a lezione per poi
accompagnarmi a casa, così avremo il tempo di
parlare” gli spiegò Ragnhild, ben
sapendo di aver procrastinato fino all’ultimo quel confronto.
Con il padre, aveva solo detto di
aver trovato una
soluzione legale ai suoi problemi, e che Urd aveva avallato la sua
scelta. Solo
la sera successiva al confronto, aveva accennato
al fatto che il suo Campione era, tra le altre cose, un muspell.
Ben sapendo quanto, la presenza di
creature di altri
mondi, disturbasse e rendesse nervoso il padre, si era affrettata a
dirgli
quanto egregiamente si fosse comportato durante la lotta, salvando da
un brutto
pestaggio la loro Saggia, Isolde.
Mattias, a quel punto, era
intervenuto con veemenza,
dando corpo alla sua storia e, solo a quel punto, il padre aveva
desistito
dall’insistere oltre.
Quella chiamata in privato,
però, poteva voler dire
che non proprio tutto era stato
discusso
in merito a quell’incontro.
“Vorrei chiarire con te
un punto. Ho permesso che tu
rifiutassi la corte di Ludvig tramite l’utilizzo
dell’antica regola del
combattimento rituale, ma sappi che non potrai usarla una seconda
volta. Non
desidero che si dica in giro che mia figlia scansa i propri doveri di
donna e
moglie” sottolineò l’uomo con tono atono.
Cercando in ogni modo di non
prendersela – lei amava
suo padre, pur se non comprendeva perché, con lei, fosse
sempre così duro e
implacabile – Ragnhild desiderò comunque che il
genitore avesse parole più
dolci da tributarle.
In quegli anni, da quando la madre
si era ammalata,
aveva speso tutta se stessa per aiutare la famiglia, per rendere meno
difficile
la vita con una persona inferma in casa ma, a quanto pareva, non era
bastato.
Prima ancora, durante il suo
decennale addestramento,
aveva tentato con ogni mezzo di essere sempre perfetta, di eccellere in
ogni
cosa ma, a ogni nuovo risultato, il padre non aveva risposto con
orgoglio o
compiacenza. Ciò che aveva ottenuto erano state soltanto
nuove prove, nuovi
modi in cui metterla in difficoltà.
Per temprarla, per renderla la
migliore, avevano detto
i genitori.
Lei, però, avrebbe tanto
voluto essere accettata per
quello che era, e non solo per quello che avrebbe potuto diventare.
Ancora una volta, come in passato,
le si chiedeva di
piegare la testa, di cedere un’altra parte di se stessa al
clan.
“Con tutto il rispetto,
padre, ma nel
duemilaventiquattro dobbiamo ancora
parlare di matrimoni di comodo e proliferazione della razza?”
domandò amara
Ragnhild.
“Ti ricordo che il mio
compito principale è quello di
mantenere saldo e compatto il clan e tu, come mia figlia, devi darmi
una mano,
visto che tua madre non può più”
replicò il padre con un sospiro. “So che voi
giovani preferireste divertirvi e basta, ma tu hai dei doveri superiori
a cui
devi sottostare.”
“Non parlo di…
divertimento,
padre” protestò debolmente Ragnhild, sentendo il
sangue ribollirle dentro.
“Parlo di rispetto verso di me. Quando mai avrò
voce in capitolo su qualcosa che riguarda la
mia vita?!”
“Mi pare tu
l’abbia fatto giusto due giorni fa”
replicò serafico il padre, rinfacciandole con gentilezza il
suo rifiuto di
unirsi a Ludvig.
“Tu avresti voluto che io
mi mettessi con un buzzurro
capace soltanto di grugnire, senza minimamente pensare se lui potesse o meno piacermi?”
esalò sgomenta
Ragnhild.
“Ludvig è un
potente guerriero, di stirpe antica e
valorosa e non è un
buzzurro come tu
lo definisci” ribatté il padre, iniziando ad
accigliarsi.
“Ha attaccato Sthiggar dopo che lui aveva regolarmente vinto il
duello, trasformandosi in
berserkr quando non avrebbe dovuto,
e
rischiando di fare del male a Isolde. Per me, una persona simile
è un buzzurro”
gli fece notare per contro Ragnhild.
“Sia come sia, ti
concederò di vederti con il muspell
finché un altro berserkr non chiederà la tua
mano, dopodiché
interromperai qualsiasi rapporto con il gigante di fuoco.
Non vorrei mai si pensasse che mia figlia frequenta due uomini nello
stesso
momento” dichiarò lapidario il padre, mettendo
fine alla discussione.
Ragnhild fece tanto
d’occhi, a quella notizia e,
boccheggiando, esalò: “Chi… chi
altri…”
“Nessuno. Per il momento.
Ma ques’tanno compirai
venticinque anni, e sei in età da marito. Più
avrai tempo per avere figli e
meglio sarà per il clan. La tua stirpe è forte, e
Wothan ha voluto per te un
corpo sano e gradevole, perciò darai alla luce figli
altrettanto belli e sani.”
La giovane ammutolì, di
fronte a quella che pareva
essere null’altro che una sentenza di prigionia a vita e, nel
mordersi il
labbro inferiore, si accomiatò per raggiungere in silenzio
in camera sua, dove
si chiuse dentro per non avere a che fare con nessuno.
Naturalmente, però,
Mattias passò dalla botola nel
muro che divideva le loro stanze e, nel vederla in lacrime e stesa sul
letto,
si accoccolò accanto a lei e la abbracciò.
Non disse nulla, limitandosi a
stringerla tra le sue
esili braccia e, tra sé, pregò di diventare in
fretta adulto, così da poterla
difendere una volta per tutte.
N.d.A.:
A quanto pare, la situazione di Ragnhild è solo
temporaneamente sistemata e, anzi, è addirittura peggiorata
perché, se si presentasse qualcun altro alla porta, stavolta
Sthiggar non potrebbe essere il suo Campione. Di fatto, Ragnhild si
sente in gabbia e non sa come fare a gestire questa situazione
perché, in cuor suo, non
vuole essere più trattata come un semplice
pedone su una scacchiera. Sthiggar saprà aiutarla in qualche
modo?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Cap.
10
Nel
buio di un salone all’interno di un palazzo signorile alle
porte di Hindarall,
dove le ombre cupe del monte Kytlos si allungavano come lunghe mani
artigliate,
una voce ruppe il silenzio, facendo trasalire i presenti.
"Esattamente, cosa vi
ha detto la
testa, quando avete ucciso due guardie cittadine?" borbottò
contrariato la
voce nell'oscurità, rivolta a due tozzi dokkalfar.
I nani presi in causa
si torsero le mani,
bofonchiarono stentate scuse in merito a presunti problemi logistici ma
la voce
li azzittì, replicando caustica: "E' così
difficile capire che le Fiamme
Sacre che presiedono la stanza di Naglfar sono vestite di nero e oro,
mentre le
divise delle Fiamme Argento sono color grigio e blu? Come avrebbe
potuto non destare qualche sospetto
trovare due
Fiamme Argento morte, in un luogo non di loro competenza? Non avreste
dovuto
fare altro che ascoltare quello che
vi era stato detto, incontrarvi con le Fiamme Sacre come da accordi, e poi uccidere loro.
Cosa non vi era chiaro, in tutto questo?"
"Non… non
sapevamo come smarcarci,
vossignoria" mugugnò uno dei nani, subito richiamato invano
da una
gomitata del compagno. “Inoltre, quelle due Fiamme Argento
sembravano un po’
troppo incuriosite da noi e così abbiamo…
improvvisato.”
"Loro hanno
improvvisato…"
scandì irritata la voce, fissando il giovane uomo al fianco
dello scranno su
cui era seduto l’oscuro personaggio che stava interrogando i
due dokkalfar.
I due nani ebbero la
decenza di non
rispondere, stavolta, e la voce proseguì dicendo: "A questo
modo, avete
messo in allarme non soltanto il re, ma anche i suoi più
fedeli seguaci."
"Ma il ragazzo
è stato bandito come
volevate!" si impuntò il nano più ciarliero.
"Cosa non coglie, la
tua mente
ottusa?" ringhiò a quel punto la voce. "Eliminare
temporaneamente il
ragazzo e indebolirlo per i nostri scopi, era solo parte del
piano! Tutto doveva essere perfetto, e voi invece avete insinuato dei
dubbi
nella mente del re, che ora sta facendo pattugliare ogni centimetro di
questa
maledetta città dai suoi fedelissimi cagnolini!"
"Diteci chi uccidere,
e lo
faremo" promise ossequioso il nano più loquace.
"Esattamente come
avete ucciso le
guardie sbagliate? No, grazie. E' chiaro che devo dare ad altri un
simile
compito" si lagnò la voce, scuotendo irritato un braccio.
L'attimo seguente,
due sibili minacciosi
fenderono l'aria e, l'istante successivo, i dokkalfar vennero trafitti
da
enormi lance forcute, uccidendoli sul colpo.
I due corpi caddero
all'indietro, sparendo
nell'oscurità che cingeva il salone adombrato dai pesanti
tendaggi, tirati
dinanzi alle ampie vetrate per nascondere quell’incontro
segreto.
"Fateli sparire.
Bruciateli.
Inventatevi qualcosa, ma non fatemi più pensare a loro"
disse infine la
voce a un paio di ombre alle sue spalle. "A quanto pare,
dovrò velocizzare
le cose, prima che il re pensi di bloccare i Portali di
Bifröst."
"Non siamo pronti per
attaccare, mio
signore" mormorò una voce di donna, a poca distanza
dall’uomo accomodato
sullo scranno. “Inoltre, la Fiamma Viva risiede su Midghardr
da troppo poco
tempo, per poter mettere in atto il nostro piano.”
"Agiremo quando la
guardia sarà
abbassata, come stabilito ma, se dovranno morire anche persone
innocenti, poco
male. Avrei preferito evitarlo ma, se la Fiamma Viva non
potrà essere utilizzata
per i nostri scopi, attaccheremo comunque e faremo strage del popolo di
Hindarall, pur di far soccombere Surtr. L'importante è
catturare il re e fare
nostra la Spada Fiammeggiante" dichiarò il mandante della
congiura.
"Non sarà
rischioso muovere proprio durante i
festeggiamenti, quando
Bifröst sarà necessariamente aperto e molte
compagnie armate fedeli al re si
troveranno nella Capitale?" fece notare la donna.
"La festa per
l'anniversario di
matrimonio sarà l’anfiteatro ideale per la nostra
apparizione. La confusione
sarà tale che, per le Fiamme Nere, sarà
impossibile tenere d'occhio ogni
cosa" assentì soddisfatta la voce. “Inoltre,
ricorda una cosa, mia
timorosa sacerdotessa… ci saranno sì molti
soldati, ma tutti disarmati. Sai
che non si può presiedere
alle feste del re armati di tutto punto.”
"Questo è
vero, ma i soldati del
sovrano sono comunque avversari temibili. Inoltre, Fiamme Purpuree,
Fiamme
Grigie e Fiamme Verdi saranno presenti nella capitale per monitorare
gli
spostamenti di coloro che non parteciperanno ai festeggiamenti nel
palazzo"
sottolineò per contro la donna. “ Di contro, le
Fiamme Sacre saranno sul piede
di guerra, dopo ciò che è avvenuto con
Sthiggar.”
"Poco
importerà, visto che gli stessi
reggimenti sono stati contaminati dai miei uomini. Il re ha una serpe
in seno
più grande di quanto non pensi, e verrà ucciso
dal suo letale morso"
ghignò il mandante, scoppiando in una risata mefistofelica.
"Quanto al muspell su
Midghardr, lo
terremo comunque come ultima risorsa?"
"Dovremo attendere
fino all’ultimo
minuto utile, con lui, e solo allora tenteremo di soggiogarlo. Avrei
preferito
che fosse più debilitato dall'atmosfera terrestre ma,
poiché il re ha
anticipato i festeggiamenti di un intero mese – adducendo
assurde scuse con la
Corte – non possiamo che adeguarci. Non appena i
liòsalfar saranno pronti con i
loro intrugli, manderemo gli jotun a rapirlo, sperando che
l’impresa ci
consegni l'arma ultima per distruggere Surtr."
"Sì, mio
signore" assentì la
donna, allontanandosi come un'ombra nell'oscurità sempre
più fitta.
Rimasto solo con
un’unica ombra al suo fianco,
il mandante della congiura si levò dallo scranno per
raggiungere con passo
tranquillo i tendaggi e, dopo averli scostati, osservò
meditabondo il contorno
della città, offuscato dalla nebbia.
L’ombra al
suo fianco, seguendolo devoto,
mormorò: “Non dovremmo ucciderlo, invece di
attendere di averlo soggiogato?
Dopotutto, Sthiggar non sarà poi tanto importante per i
nostri scopi, se
attaccheremo congiuntamente con…”
Il mandante
frizzò con uno sguardo gelido
il giovane al suo fianco, azzittendolo a metà della frase e,
irritato, replicò:
“Cosa ti turba tanto, Thrydann? Pensi che potremmo essere
sconfitti da lui come
è capitato a te in svariate occasioni?”
Il giovane strinse i
denti per l’ira ma
non replicò così il mandante, aprendosi in un
sogghigno sardonico, aggiunse:
“E’ chiaro come il sole quanto vorresti essere al
suo posto, una Fiamma Viva in
grado di detenere lo stesso potere del re… ma non
è capitato, perciò devi
abbassare la cresta e lasciar fare a chi ne sa più di te.
Naturalmente, ti
siamo tutti grati per le informazioni che ci hai dato in merito ai suoi
poteri,
ma ora non devi essere avido e pretendere più di quel che ti
spetta.”
“Quel
ragazzo è malato!
Potrebbe causare guai anche da addormentato! Averlo tra le
nostre fila, anche se bloccato dalla magia elfica, potrebbe portarci
alla
disfatta” protestò Thrydann con veemenza.
“Non dirmi
che anche tu, che sei cresciuto
tra le sete più fini e i soldi di tuo padre, credi alle
sciocchezze di cui
parla il popolino?” lo irrise il mandante. “Due
Fiamme Vive non sono sintomo di una
crisi quanto,
piuttosto, un’opportunità. Per sconfiggere il
sovrano di Muspellheimr, che è sempre
una Fiamma Viva, ne serve gioco
forza un’altra, perché è
l’unica arma che può ucciderlo. Se non avessimo i
poteri del tuo amico al nostro soldo, dovremmo mettere sotto scacco
l’intera
città pur di far cedere Surtr, e questo comporterebbe un
costo – in termini
umani – che non voglio pagare, se non costretto. Capisci
quindi bene che, senza
Sthiggar, non potremmo mai uccidere Surtr.”
“Non voglio
combattere al suo fianco!”
sbottò a quel punto il giovane.
“Tu farai
quello che ti verrà detto, se
vorrai ottenere quanto pattuito” ringhiò a quel
punto il mandante, rimettendolo
in buon ordine. “Ora, fai quanto ti è stato
ordinato e sobilla i tuoi compagni
perché perdano fiducia nel tuo commilitone e nel loro
comandante. Voglio il
maggior numero possibile di Fiamme Purpuree dalla nostra parte. Sarai
capace di
fare almeno questo?”
Thrydann
sibilò un assenso stentato
dopodiché, con un rigido inchino, se ne andò a
sua volta. Avrebbe dimostrato a
tutti che, pur non essendo una Fiamma Viva, poteva ottenere comunque
ciò che
voleva e, più di qualsiasi altra cosa, avrebbe riso in
faccia a Sthiggar una
volta che fosse stato costretto a uccidere il suo caro Surtr.
Quando fosse stato
libero dall’incantesimo
e messo di fronte a ciò che aveva compiuto, sarebbe
impazzito di dolore e, solo
a quel punto, lui si sarebbe ritenuto soddisfatto.
Aveva dovuto
sopportare per anni
l’ammirazione sempre crescente di Yothan nei confronti di
Sthiggar, i suoi
successi così come l’aumentare esponenziale del
suo potere. Lui, Thrydann
Handersson, che era figlio di nobili di antichissima stirpe, aveva
dovuto chinare
il capo a ogni nuovo successo del commilitone, sopportando di dover
stringere
la mano al figlio di una genia impura e della casta nobiliare
più bassa.
Poco importava che
Sól fosse sua nonna, e
suo padre il Grande Sacerdote di Hindarall. Nel suo sangue scorreva il
sangue
di una dea che aveva copulato con un mortale, insozzando la propria
dinastia
con qualcuno di indegno, e questo non poteva sopportarlo.
Il clan a cui era
appartenuto Glern non
era stato neppure lontanamente così importante come gli
Handersson, eppure la
dea lo aveva voluto come compagno, elevandolo sopra a ogni altro uomo.
Gli dèi si
erano giustamente adirati con
lei, per questa scelta, e l’avevano bandita dal mondo dei
mortali per
confinarla nei Cieli ma, a suo modo di vedere, era stata una pena anche
troppo
lieve.
Se lui fosse stato un
dio, avrebbe ucciso
sia Glern che Snorri, invece di limitare la possibilità
della dea impura di
vederli. A quel modo, Sthiggar non sarebbe mai nato e non si sarebbe
mai
permesso di metterlo in ombra.
***
"Ancora nessuna
notizia da parte dei
tuoi commilitoni, Hildur?" domandò Surtr nell'osservare
ombroso la
guerriera.
Scuotendo il capo, la
Fiamma Nera si
limitò a dire: "Credo che il punto sia un altro, sire. Ci
sono fin troppe
speculazioni che confondono le idee. L'approssimarsi dei festeggiamenti
per il
vostro anniversario, così come il fatto che voi li abbiate
anticipati per
accontentare la vostra regina – cosa per cui, io credo,
dovrete pagare salato,
almeno stando alle espressioni di vostra moglie Ilya – hanno
messo in subbuglio
i complottisti di ogni ordine e forma, perciò c'è
chi sospetta degli ospiti
jotun, così come chi è sicuro che i dokkalfar
attaccheranno dal mare, la notte,
su brigantini elfici. Altri ancora temono una collaborazione tra elfi
chiari ed
elfi scuri per spodestare vostra altezza e, non da ultimo,
c'è persino chi
sostiene che Sthiggar stesso abbia messo in scena ogni cosa per poter
tornare a
sorpresa da Midghardr, salvare la baracca ed essere eletto eroe di
Muspellheimr."
Surtr
mugugnò un'imprecazione antica
quanto il mondo prima di bofonchiare: "Non mi ricordare di Ilya, ti
prego.
E’ stato dannatamente difficile evitare di dirle la
verità, e ancora adesso sto
assaggiando i suoi strali.”
“Succede,
quando si usano le mogli per
coprire i propri misfatti” sorrise comprensiva la Fiamma
Nera, vedendo
bofonchiare il re per diretta conseguenza.
“I
complottasti, comunque, davvero non mi
servivano, in questo momento" concluse il re, passandosi una mano
nervosa
tra la chioma scura.
"Continuerò
a cercare, maestà ma per
favore, durante il ricevimento indossate le vostre scaglie di drago
sotto alla
tunica. E fatele indossare anche alla regina Ilya. Non è
più il tempo di essere
cauti" dichiarò torva Hildur.
Sollevando un
sopracciglio con evidente sorpresa,
il sovrano mormorò: "Pensi che siamo già a questo
punto?"
"Se una sola delle
dicerie che stiamo
vagliando risultasse vera, sarebbe la guerra.
Non possiamo
lasciare nulla al caso, e una freccia avvelenata può mettere
al tappeto anche
il sovrano più potente, se il veleno è quello
giusto" sottolineò Hildur
con tono lapidario. “Mancano solo due mesi alla festa,
perciò dobbiamo
cominciare a preparare un piano alternativo alla semplice difesa del
regno.”
Il re
assentì muto e Hildur, nell'inchinarsi,
chiese il permesso di accomiatarsi. Surtr, però, le disse
un'ultima cosa:
"Se si dovesse arrivare allo scontro, dovrai fare una cosa per me,
Hildur."
"Qualsiasi cosa,
sire" annuì la
guerriera.
Il sovrano, allora,
le espose i suoi
piani, attese che la Fiamma Nera assentisse e, solo a quel punto, le
concesse
di andare. Quando infine rimase solo, sospirò,
lanciò uno sguardo alla porta
che lo separava dalle stanze dove in quel momento si trovavano figlio e
moglie
e, tra sé, chiese perdono.
***
Fermo dinanzi
all'entrata della Luleå
University of Technology, Sthiggar stava attendendo con pazienza che
Ragnhild
uscisse dalla sua facoltà.
Era ormai un mese che
si incontravano,
quasi giornalmente, per le lezioni che Sthiggar le aveva estorto dopo
aver
vinto la battaglia contro Ludvig.
Non proprio di buon
grado, la ragazza
aveva ceduto alla richiesta del muspell perché fosse ligia
alla propria parola,
pur se Sthigg era consapevole di quanto, le sue mille domande,
stressassero la
terrestre.
Non che ne avesse
compreso i motivi - era
tutt'ora convinto di aver posto, fin lì, domande
più che sensate e niente
affatto sciocche - ma, da bravo stratega quale sapeva essere, era
divenuto
sempre più cosciente dell’accentuarsi
dell’irritabilità della ragazza.
Gli era infatti parso
più che chiaro come,
con il passare dei giorni, l’umore di Ragnhild fosse
progressivamente
peggiorato perciò, per quel giorno, aveva previsto
tutt’altro tipo di attività,
invece dello studio.
Non le avrebbe posto
alcuna domanda e, per
contro, l'avrebbe condotta a fare una gita in barca, complice la
mancanza di Thrym
all'imbarcadero, così da concederle del tempo per rilassarsi
e non pensare a
nulla.
Quel giorno, Thrym
avrebbe accompagnato
Flyka a un pranzo offerto dai proprietari del negozio dove lavorava
quest'ultima, perciò non sarebbe stato presente in sede,
consentendogli di
muoversi senza suscitare domande scomode.
Gunther aveva
avallato la sua uscita -
considerata come un permesso-premio per buona condotta - e, al tempo
stesso, avrebbe
permesso a Sthiggar di prendere a noleggio una delle barche a vela del
porticciolo, così da poter portare Ragnhild in mare.
Naturalmente, il
giovane si era dovuto
sorbire un'infinita serie di commenti più o meno piccanti in
merito a
quell'uscita, ai quali Sthiggar aveva risposto con uno stoicismo
impeccabile.
Non appena Gunther
avesse assaggiato la
lingua forcuta di Ragnhild, si sarebbe ricreduto da solo,
perciò non c'era
stato alcun bisogno di difendersi dalle sue accuse di essersi
già trovato la
fidanzatina.
Ma anche quanto, lo
credeva un bambinetto?
Quando
perciò la vide uscire in auto
dall'università, si rese visibile con un cenno della mano, a
cui però lei non
rispose minimamente, passandogli davanti come se nulla fosse.
Sthiggar
fissò esasperato l’auto procedere
lungo la via, gli occhi azzurri che sprizzavano scintille mentre lei, a
poche
centinaia di metri, interrompeva la sua corsa prima di fare retromarcia.
Il giovane muspell
non mosse un muscolo
per andarle incontro e la ragazza, quando finalmente lo raggiunse,
abbassò il
vetro della portiera e dichiarò dispettosa: "Avresti anche
potuto
avvicinarti, no?"
"E tu avresti potuto
fermarti quando
mi sono fatto vedere" sottolineò per contro Sthiggar prima
di prendere un
gran respiro, darsi una calmata e aggiungere: "Com'è andata,
oggi?"
"Il professore di
meccanica ha
cercato di guardarmi le tette, perciò ho passato la maggior
parte del tempo a
coprirmi con il libro" gli buttò lì la ragazza
mentre Sthiggar saliva in
auto sul sedile del passeggero.
Lui la
squadrò con aria accigliata, notò
il maglioncino bianco a collo alto, i jeans scoloriti e gli alti
stivali neri
e, confuso, domandò: "Esattamente, come avrebbe potuto? E'
forse dotato di
vista ai raggi X?"
"Gli uomini fissano
le tette delle
donne anche se sono coperte da strati e strati di tessuto. Siamo
soltanto delle
riviste porno in 3D, per molti di loro. Queste cose si capiscono a
pelle,
stopp… Sthiggar" motteggiò querula Ragnhild,
prendendo la via per raggiungere
il parco pubblico dove, di solito, lei impartiva lezioni al muspell.
"Ah. Sono talmente
abituato a donne
in armi, che la cosa mi sembra un po' strana" replicò
Sthiggar,
sinceramente perplesso. “Se pensassi di guardare un mio
commilitone donna in
modo meno che rispettoso, perderei l’uso dei miei attributi
maschili in men che
non si dica.”
"Vorrei stringere le
mani a tutte
loro" lo punzecchiò allora Ragnhild, sogghignando con tono
vagamente
malefico. “Quindi, non hai avuto possibilità di
farti nessuna donna, visto
quanto sono cazzute?”
Ancora, Sthiggar, si
chiese cosa stesse
prendendo alla ragazza, in quei giorni ma, nuovamente, soprassedette.
Desiderava sinceramente l’aiuto di Ragnhild ma, al tempo
stesso, avrebbe voluto
capire cosa la stesse turbando tanto, facendola divenire ancor
più acida e aspra
del solito.
"Tutte le umane sono
così sboccate e
prive del minimo senso del pudore?" replicò allora lui prima
di contenersi
nuovamente e aggiungere: "Puoi dirigerti verso il porticciolo dove
lavoro,
per favore?"
"Hai dimenticato
qualcosa?"
domandò lei, ignorando volutamente il quesito di Sthiggar.
"No. In
realtà, vorrei accompagnarti
a fare un giro in barca" disse lui a sorpresa, azzittendola per qualche
momento. "Mi sono reso conto che sono giorni e giorni che ti sommergo
di
domande e, visto che già passi molte ore a studiare, credo
di averti un
tantino... saturato.
Così ho pensato
di ringraziarti, portandoti fuori in barca."
"Tu. In barca. Su una
distesa di acqua
fredda" elencò sconcertata Ragnhild, sbattendo frenetica le
palpebre.
Sthiggar allora
scosse il capo per
l'esasperazione e, con quanta più calma gli
riuscì di trovare, disse atono:
"Parte del nostro addestramento si svolge in mare. Impariamo a portare
le
navi dell'esercito sia su mari d'acqua che di lava, perciò
sono abituato a
navigare. Le nostre acque non saranno fredde come le vostre, ma so
tenere il
vento e controllare le correnti."
"Okay"
replicò lei con una
scrollatina di spalle.
Sthiggar non seppe
dire se quell'assenso
mogio gli desse più o meno fastidio rispetto ai suoi modi
spicci e spesso
discutibili. Di sicuro, c’era qualcosa che non andava, ed era
ben intenzionato
a scoprirlo.
In un certo qual
modo, vederla così
nervosa e irritata lo angustiava, e desiderava porvi rimedio in qualche
modo.
Quando finalmente
raggiunsero il porto, Ragnhild
parcheggiò l'auto a poca distanza dall'entrata
dell'imbarcadero e, dopo essere
scesa assieme a Sthiggar, gli domandò: "Devo prepararmi a
rifiutare le
tue avances?"
"CHE COSA?!"
sbraitò Sthigg
prima di sospirare pesantemente e, allontanandosi da lei, borbottare
contrariato: "Ma chi me l'ha fatto fare?"
Dietro di lui, non
vista, Ragnhild sorrise
soddisfatta e, con passo baldanzoso, lo sorpassò fino a
raggiungere il punto in
cui si trovavano le barche a vela a noleggio. Lì,
trovò il proprietario dell'imbarcadero
e, nel salutare Gunther, disse: "Spero che il tuo dipendente sappia
tenere
il mare come ha millantato di saper fare. Non voglio dover chiamare la
guardia
costiera per un salvataggio in extremis."
Gunther la
squadrò sorpreso per alcuni
attimi prima di scoppiare a ridere, offrirle una mano per salire sulla
barca a
vela e infine dire: "E' un ragazzo che sa il fatto suo."
"Bene. Altrimenti me
la prenderò
anche con te, se mi farà finire in mare"
sottolineò per contro Ragnhild,
togliendosi gli stivali per indossare un paio di mocassini messi a
disposizione
dalla società di noleggio.
Sthiggar li raggiunse
in quel momento e
Gunther, ancora preso dalle sue risate, gli diede due sonore pacche
sulle
spalle e dichiarò: "Te la sei scelta riottosa, eh?"
"Con te non ci parlo"
borbottò
per contro Sthiggar, salendo a bordo per poi mollare gli ormeggi.
Senza degnare di uno
sguardo Ragnhild, che
si era sistemata a prua, Sthiggar regolò la randa, mosse il
timone e diresse
lo sloop1 verso
sud per uscire dal fiordo e ritrovarsi
così in mare aperto.
Dimostrando una
competenza molto superiore
a quella che Ragnhild si era aspettata, Sthiggar li condusse senza
alcun
problema fuori dalla stretta insenatura che si apriva sulle coste di
Luleå.
Dopo essersi lasciato
alle spalle le
insidiose correnti meridionali, il giovane muspell diresse quindi la
prua verso
est-nordest dopodiché, con tono più rilassato
rispetto a quando erano arrivati
al porto, domandò: "Rimarrai lì da sola per tutto
il tempo?"
Ragnhild si
allontanò dalla prua per
raggiungere la poppa e il piccolo divanetto che correva da dritta a
sinistra
della coperta, quindi si sedette per poi ammirare in silenzio Sthiggar
che
conduceva la barca.
Ora che aveva il
tempo di osservarlo,
Ragnhild si rese finalmente conto di quanto fosse imponente, di come il
suo
portamento fosse, effettivamente, quello di un guerriero e, dentro di
sé, non
si sentì più così spavalda.
In quelle settimane
aveva giocato con lui
perché, bene o male, si era sempre trovata in ambienti a lei
congegnali, dove
si era sentita al sicuro, e il muspell aveva fatto comunque la sua
parte, non
mettendola mai a disagio.
Inoltre, andava anche
detto che Sthiggar
non aveva mai lontanamente cercato alcun approccio con lei, rimanendo
sempre ad
alcuni passi di distanza, o seduto all’altro capo della
panchina dove si erano
spesso accomodati.
Mai, in nessuna
occasione, aveva fatto
battute maliziose, o usato le sue domande per portarla su terreni
pericolosi
perciò, inconsciamente, aveva finito con il crederlo
innocuo. Per nulla
pericoloso.
Lì in
mezzo al mare, da soli e senza la
protezione potenziale dei cugini, o di un membro qualsiasi del suo
clan, non si
sentiva più tanto sicura di sé.
Il solo pensarlo,
però, la mandò in bestia
così, più scorbutica di quanto non volesse
essere, borbottò: "Non è che
sia poi questa gran cosa, stare qui a guardarti mentre tieni il timone,
sai?"
Sthiggar si volse
sorpreso, nell'udire
quel tono così difensivo e irritato e, da sopra la spalla,
replicò: "Non
devi per forza guardarmi. Il paesaggio è sicuramente
più affascinante di me.
Neppure su Muspellheimr abbiamo coste così belle o
dall’aspetto tanto struggente.
Lo riconosco persino io, che non sono un’intenditore
d’arte."
Lei lo prese in
parola, pur se dentro di
sé era inorridita dal suo stesso comportamento.
Irritata, volse
quindi lo sguardo per
osservare l'orizzonte, dove era possibile scorgere l'isolotto di
Fjardgrundet,
oltre alla più maestosa isola di Germandön, con le
sue coste brulle e i piccoli
villaggi che si allungavano sulle spiagge.
Tutt'attorno, erano
presenti ben poche
barche da diporto, e la maggior parte delle imbarcazioni che
stazionavano in
mare erano per lo più di natura commerciale.
L'aria salubre e
salmastra, comunque, era
piacevole e il silenzio protratto di Sthiggar aiutò Ragnhild
a calmarsi a
sufficienza per dire: "Sono stata una stronza. Scusa."
"Mi piacerebbe capire
perché"
replicò lui con una scrollata di spalle.
Ciò detto,
si avvicinò a una cala, gettò
l'ancora e ritirò le vele, dopodiché si
appoggiò alla paratia di dritta e la
scrutò a braccia conserte, gli occhi azzurri pieni di
domande inespresse e la
bocca piegata in una smorfia.
Ragnhild si
lasciò andare a un sospiro e
un brivido e, nel ritirare le ginocchia al petto, le avvolse con le
braccia e
borbottò: "La mamma non può più fare
nulla, in casa, e io la aiuto per
quello che posso, ma non so se riesco a fare tutto bene come vorrebbe
lei.
Inoltre, tenere al sicuro Mattias non è esattamente facile,
visto quanto è
vivace. Cerco di dargli tutta la libertà che un ragazzino di
dodici anni merita
ma, a volte, i miei genitori reputano queste mie scelte troppo morbide, e ne nascono discussioni.
Inoltre,
papà lavora tutto il santo giorno nel Datacenter di
Facebook, perciò non posso
pretendere che, una volta tornato a casa, si occupi anche delle
faccende
domestiche."
Sthiggar
assentì lentamente, non ancora
del tutto sicuro che lei avesse detto la verità e Ragnhild,
non udendo alcuna
sua replica, proseguì dicendo: "Mi sento in dovere di
aiutare, ma non posso fare a meno di pensare che... che..."
Stringendo i pugni,
la giovane nascose il
viso contro le ginocchia e mormorò contrariata: "Mia madre
non mi ha mai
sopportato. Ha sempre e solo portato in palmo di mano Mattias
perché è speciale.
Io sono sempre e solo stata la sua guardia del corpo, il suo
lacchè, la sua
schiavetta, a voler essere gentili e, quando lei ha avuto quell'ictus,
noi
stavamo litigando proprio in merito a questo."
Sthigg allora
sospirò, iniziò a
comprendere gli umori altalenanti della ragazza e, rilassando le
braccia lungo
i fianchi, domandò: "Ti senti responsabile per
ciò che le è
successo?"
Ragnhild si mosse
nervosa sul divanetto,
distese le gambe per alzarsi in piedi e, afferrando il parapetto di
poppa con
mani tremanti, borbottò: "Il dottore fu chiaro. L'ictus fu
causato dalle
quaranta e più sigarette al giorno che lei aveva fumato fin
da giovane, non
certo dalla nostra lite, però..."
"Però, tu
colleghi la sua condizione
a quel litigio, ed è difficile conviverci"
terminò per lei Sthiggar,
vedendola annuire recisamente.
"La guardo negli
occhi, e vedo che mi
incolpa di tutto. Non può parlare, ma è come se
mi urlasse il suo disprezzo
ogni giorno e anche mio padre, in parte, lo fa. L'unico a non
rendersene conto
è Mattias, ma preferisco che la veda come la mamma amorevole
che è sempre stata
con lui."
Il tremore delle mani
di Ragnhild si fece
più forte e Sthiggar, che aveva pensato di farle un favore,
portandola a fare
quel giro in barca, si pentì amaramente di averlo fatto.
A quanto pareva,
liberarsi la mente non
stava affatto portando i benefici sperati ma, anzi, le aveva riportato
a galla
antichi dolori, dolori che a quanto pareva non le permettevano di
vivere come
desiderava.
"Forse ho fatto male
a proporti
questa gita" mormorò lui, spiacente.
Lei allora, fece
tanto d'occhi, lo squadrò
contrita ed esclamò: "No! Mi piace!"
"Non si direbbe"
replicò lui,
inclinando il capo su un lato per guardarla con il dubbio negli occhi.
Ragnhild allora
sbuffò e, mettendo il
broncio, intrecciò le braccia sul petto e ammise: "Non sono
una che si
presta volentieri ai giochi delle parti."
"Neanche so di cosa
stai
parlando" ironizzò a quel punto lui. "Ragnhild, gli ultimi
cinquant’anni
della mia vita li ho passati in mezzo a un branco di uomini –
e donne –sudaticci
e con diversi problemi gastrointestinali."
A quell'accenno, lei
sorrise appena,
divertita da quell’accenno, così il giovane
muspell proseguì dicendo:
"Nella migliore delle ipotesi, ci lavavamo una volta la settimana e, di
solito, nei torrenti che trovavamo lungo tratte estenuanti e senza
fine. Il mio
comandante godeva nel vederci sputare sangue a ogni allenamento e, se
almeno
uno non crollava per la stanchezza, gli altri non si potevano fermare.
Il punto
era che, chi crollava, veniva messo di corvè alle cucine, e
nessuno voleva
andarci, per cui..."
Lei sgranò
leggermente gli occhi, ed
esalò: "... per cui, vi riducevate a degli stracci?"
"Esatto. Questo,
però, ci ha resi più
forti, più saldi e più convinti delle nostre
capacità" ammiccò lui,
facendola finalmente ridere.
"Tutto questo per
dire?" domandò
a quel punto lei.
"Non so cosa ti
aspettassi che
succedesse, o cosa temessi succedesse,
ma di certo non ti
salterò addosso solo perché non vado con una
donna da tempi immemori" si
limitò a dire Sthiggar, lasciandosi scivolare a terra a
gambe incrociate.
"Anche quando ero un disgraziato che si cacciava sempre nei guai, non
sono mai e poi mai andato con
una donna che non mi volesse
nel suo letto, per cui non comincerò certo ora a comportarmi
da stronzo."
Un tantino
più rilassata, Ragnhild disse:
"Non pensavo necessariamente che
tu volessi comportarti
da stronzo ma non ci so fare coi ragazzi, e speravo davvero di non
averti
portato a pensare che io fossi, beh, disponibile."
Lui allora rise di
gusto, si asciugò una
lacrima di ilarità ed esalò: "Davvero non ci sai
fare, con i ragazzi? Non
credevo!"
Ragnhild si
accigliò immediatamente e
borbottò: "Ora non devi per forza fare il furbo, sai?"
"Ammetto che la cosa
mi diverte un
po', invece" celiò il giovane. "Gunther, il mio capo, mi ha
stressato
a morte per ore, quando gli ho detto che mi serviva una barca a nolo e,
di
sicuro, ora starà pensando le cose peggiori su di noi... per
cui trovo
esilarante pensare a quello che effettivamente sta succedendo, e
cioè niente!"
La ragazza
sbuffò rumorosamente e Sthiggar
rise ancor più forte, lasciandosi andare su un fianco per
poi sdraiarsi sul
ponte della barca.
"Dai, smettila!"
sbottò a quel
punto Ragnhild, ora vermiglia in viso.
Sthiggar non la
ascoltò affatto e continuò
a ridere, e ridere, finché il riso non si
trasformò in pianto silenzioso -
pianto che sorprese non poco Ragnhild - e in una confessione che, fino
a quel
momento, non aveva mai detto a nessuno.
"Mia madre non mi
amava abbastanza
per vivere. Né amava abbastanza mio padre per continuare a
stare con lui. Si
lasciò andare fino a consumarsi e una mattina la trovai
così, stesa sul
pavimento della stanza dove soleva leggere, senza più alcun
alito di vita a
illuminarle gli occhi" mormorò lui, la guancia poggiata
sulle assi
levigate e lo sguardo perso nel vuoto.
"Mi... mi dispiace"
mormorò
Ragnhild, raggiungendolo per poi sedersi a gambe intrecciate a pochi
centimetri
da lui.
Sthigg non si mosse,
il corpo enorme steso
sulle assi cerate di fresco, e sussurrò: "Ho passato anni a
chiedermi perché, ma
non ho mai trovato una risposta. Credo
di aver combinato un sacco di pasticci, in gioventù, per
sopperire alla sua
mancanza. Per attirare l'attenzione e ricevere affetto ma, alla fine,
desideravo qualcosa che non avrei mai potuto avere."
"Lei" disse soltanto
Ragnhild,
vedendolo poi annuire.
"C'è un
nome, per questo, sulla
Terra?" le domandò, scrutandola attraverso il velo
di lacrime che gli
inumidiva gli occhi.
"Senso di perdita" si
limitò a
dire lei, scrollando le spalle.
"Rende l'idea"
annuì Sthiggar,
rimettendosi lentamente a sedere. "Scusa. L'idea della gita era
permetterti di rilassarti, non certo farti piangere o vedermi piangere."
"Per la
verità, mi sorprende che tu
non ti senta a disagio, nel farlo di fronte a una donna. Tra di noi,
molti
uomini si sentirebbero disonorati al solo pensare
di farlo" replicò lei, allungando una mano per tergere una
lacrima dalla
gota del muspell.
Sthiggar la
lasciò fare, replicando:
"Ho pianto più di quanto non vorrei ammettere e, il
più delle volte, per
il dolore. Il nostro addestramento ci ha insegnato che, se necessario,
servono
anche le lacrime. Ci ricordano che siamo vivi, che il nostro cuore
ancora batte
per qualcosa, che non siamo diventati solo macchine spietate pronte
unicamente
a uccidere."
"Ha una sua logica"
assentì
Ragnhild, osservando la lacrima ancora posata sul suo dito. "Cosa
succede,
se la assaggio? Saprà di sale come le nostre?"
"Per la
verità, sono dolci"
ammise lui, sorprendendola.
Subito, lei se la
portò alle labbra e,
scoppiando in una risatina, esalò: "Oddio, è
vero!"
"Pensavi ti prendessi
in giro?"
"Non del tutto...
più che altro,
pensavo stessi esagerando ma, in effetti, sono davvero dolcissime. Come
mai?"
"Le nostre lacrime
creano una patina
cristallina sul vetrino dell'occhio, per proteggerlo dal caldo del
pianeta
Muspell. Non so dirti i nomi terrestri delle componenti chimiche, ma
tant'è.
Niente lacrime salate" scrollò le spalle lui.
"Le mie fanno schifo,
invece"
replicò lei, asciugandosi il viso con gesti secchi delle
mani.
Sthiggar,
però, gliele bloccò,
allontanandole dal viso e, più gentilmente, le deterse le
gote asserendo:
"Perché devi essere così scortese con te stessa?"
Lei lo
lasciò fare con aria accigliata,
quindi disse burbera: "Cosa vedi, quando mi guardi?"
"E' una domanda
trabocchetto?"
replicò lui, cauto.
"No, rispondi
sinceramente"
scosse il capo lei.
"Vedo una bella
ragazza, che però
pare essere scontenta di questa cosa. Conosco delle donne che
pagherebbero per
avere una pelle chiara e liscia come la tua. Su Muspellheimr abbiamo
tutti la
pelle ambrata o color caramello, o
anche
nera come il carbone, in talune parti del Continente Orientale,
soprattutto per
sopperire al caldo e al sole. Molte donne, però, tentano di
schiarirla con
prodotti di cosmesi per apparire più simili agli elfi chiari
di Elfheimr. Una
vanità inutile, visto il pianeta dove viviamo,
però succede" le spiegò
lui, sorprendendola un poco.
"Quindi, mi reputi
bella. E che
diresti, se ti dicessi che ho tentato il suicidio? Che ho cercato di
distruggere
questa bellezza?" gli
domandò
lei a bruciapelo.
Sthigg si
accigliò, replicando: "A
causa di tua madre?"
Lei
nicchiò, non rispondendo alla domanda
e Sthiggar, con un sospiro, si limitò a dire: "Rimarresti
comunque una
bella ragazza. La bellezza non ha niente a che fare con chi si
è realmente.
Perciò, tu potresti essere la persona più crudele
al mondo, ma rimarresti
comunque bella. L'interiorità e l'esteriorità
sono due cose diverse. Perciò,
ritenta."
Sbuffando
sonoramente, Ragnhild borbottò:
"Sei un pubblico più difficile di quanto non pensassi."
"Mi credevi solo
capace di tirare
pugni o grugnire?" ironizzò allora lui.
"Qualcosa del genere
anche se, dalle
domande che mi hai fatto in queste settimane, mi sono progressivamente
ricreduta"
ammise lei, lasciando ciondolare una mano come se il suo commento non
fosse
importante. "Quindi, dopo quello che ti ho detto, cosa pensi di me?"
"Cosa dovrei pensare,
Ragnhild? Ti
conosco solo da alcune settimane, e reputo sia un periodo troppo breve
per
farmi un'idea di chi tu sia realmente. So che rispondi a tono, che hai
un
carattere mordace e ti piace tenere le persone sulle spine. Con tuo
fratello,
però, sei amorevole e protettiva, e non lo fai
perché ti è stato imposto, ma
perché gli vuoi bene davvero" disse lui con una scrollata di
spalle.
Lei allora sorrise
commossa, ripensò alle
terribili parole del padre e replicò: "Sthiggar... hai
notato più cose tu,
in questo mese passato assieme, di persone che conosco da una vita e
frequento
spesso."
"Allora, conosci solo
persone
superficiali" si limitò a dire il giovane.
"Comincio a pensarlo"
mormorò
lei, sgranando lentamente gli occhi di fronte a quella sconcertante
quanto
semplice verità.
Nessuno,
all’interno del suo clan, si era
mai preso la briga di chiederle cosa pensasse, cosa la rendesse felice
o
triste. Lei era sempre e solo stata la
figlia del capo, oppure la sorella
di
Mattias, ma mai soltanto Ragnhild.
Anche Ludvig
l’aveva cercata per le stesse
ragioni, e a questo lei si era opposta con ferocia. Ma dopo
l’ultimatum del
padre, con tutta probabilità, Sthiggar sarebbe stata
l’ultima persona, l’ultimo
uomo con cui avrebbe potuto
parlare a cuore aperto, e questo la terrorizzò a morte.
Inconsapevole delle
paure della giovane, Sthiggar
tornò a sdraiarsi, intrecciò le mani dietro la
nuca e chiuse gli occhi,
concedendosi un minimo di tranquillità dopo
l'intensità raggiunta nel parlare così
sinceramente con Ragnhild.
Ben di rado riusciva
ad aprirsi a quel
modo, e subito dopo si sentiva svuotato e senza forze, per quanto fosse
difficile ammetterlo.
Sentire su di
sé il tenero bacio dei raggi
solari fu di consolazione, come se sua nonna volesse in qualche modo
abbracciarlo e Ragnhild, nell'osservare il suo volto pacifico e il
tenue
sorriso che ne piegava le labbra morbide, domandò: "Parli
con tua
nonna?"
"Non posso parlarle.
Le è vietato
interagire con noi, ma sento la sua energia, perciò mi
accontento" le spiegò
lui, aprendo un occhio per scrutarla curioso.
Appariva dubbiosa,
come se desiderasse
fare qualcosa ma non avesse il coraggio di metterlo in pratica.
Sollevandosi
perciò su un gomito, la guardò con aria
interrogativa e domandò: "Cos'è
che ti rode tanto?"
"Giudicheresti
stupido se io mi
sdraiassi lì accanto a te? Lo vedresti come un...
approccio?" brontolò
lei, accigliandosi.
Sthiggar non le
rispose. Si limitò ad
avvolgerle le spalle con un braccio, trascinarla giù con
sé e farle poggiare il
capo contro il suo torace. Il tutto, sentendola bofonchiare stentate
proteste
prima di azzittirsi completamente.
"Non devi essere dura
e pura con me,
Ragnhild. Io non ci vedo del torbido, se ti serve un po' di forza
altrui per
tenerti in piedi, ogni tanto" le disse a quel punto lui, tenendo il
braccio attorno alle sue spalle perché lei rimanesse accanto
al suo corpo
mastodontico.
Ragnhild non disse
nulla, poggiò una mano
sul suo torace fino a trovare il cuore e, nel chiudere gli occhi,
ascoltò quel
suono lento e ritmico che, poco alla volta, la portò a un
sonno privo di sogni.
1: barca a vela a un
solo albero, con due
vele, la randa e il boma.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Cap.
11
Quante
volte aveva dormito al fianco di
una
donna senza cercare il suo tocco, le sue carezze, la passione
travolgente
dell’unione carnale?
Sthiggar
si rese conto di non poter contare nessun episodio simile, nella sua
memoria e,
per qualche motivo, la cosa lo intristì.
Le
sue avventure erano state vuote, prive di sostanza o di qualsiasi
genere di sentimento
e, anche se gli avevano insegnato cosa volesse dire avere un rapporto
sessuale,
ogni altra cosa gli era rimasta preclusa.
L’aprirsi
sinceramente, il colloquiare con leggerezza, ridere con
spontaneità così come
piangere in silenzio e con il cuore aperto, ognuna di queste emozioni
gli erano
fin lì rimaste precluse. Inavvicinabili.
Con
Ragnhild, per quanto non avesse inteso regalarle quella giornata
tranquilla per
tentare un approccio, come lo aveva chiamato lei, si era ritrovato a
sperimentare ciò che, negli anni, non era mai riuscito a
provare con nessuna
donna. E suo malgrado, lo aveva trovato incredibile.
Il
desiderio sessuale non aveva fatto parte dell’equazione o,
per meglio dire, per
quanto la trovasse bella, questo non aveva costituito un ostacolo per
poter
approfondire ciò che realmente gli stava a cuore.
Conoscere
lei.
Scoprire
come fosse Midghardr, apprendere ciò che era importante
sapere di quei luoghi e
di quelle genti, stava diventando man mano meno interessante o
importante,
soppiantato dal desiderio di apprendere come fosse in realtà
Ragnhild.
Le
sue mille sfaccettature lo intrigavano, affascinandolo. Quei suoi
voltafaccia
improvvisi, che alcune volte lo portavano ad avere uno strano
formicolio alle
mani, erano ammalianti al pari delle rare occasioni in cui la giovane
si
lasciava andare a un sorriso spontaneo.
Quando
succedeva, ogni cosa si azzerava, dentro di lui, portandogli la pace.
Pace
che però sarebbe stato costretto a interrompere anzitempo,
visto ciò che stava
per succedere.
Quando il cielo
sgombro iniziò a
ricoprirsi di nuvole e la luce si fece più fievole, Sthiggar
non poté esimersi
dallo svegliare Ragnhild con un leggero richiamo. Quest'ultima,
sobbalzando, sbatté
le palpebre per diversi secondi prima di sollevarsi sulle mani,
scrutare Sthigg
con espressione confusa ed esalare: "Ma... ho dormito?!"
"Direi di
sì. Sembravi averne davvero
bisogno" assentì lui, mettendosi a sedere per poi poggiare
la schiena
contro il parabordo della barca.
La giovane lo
fissò arcigna per un istante
prima di tastarsi gli abiti, i capelli, il volto e infine gracchiare:
"Cristo santo! Quando mi sveglio sembro uno zombie! Non dovevi vedermi
così!"
Lui
accennò un risolino, replicando: "
Hai dormito troppo poco perché potesse avvenire una simile
mutazione,
credimi."
Lei smise di
tastarsi, notò il segno di
sgualcitura sul maglione di Sthiggar e, più dolcemente,
mormorò: "Mi hai
fatto da cuscino. Grazie."
"Come ti ho detto,
sembravi averne
bisogno" si limitò a dire lui. "Da quanto tempo non riposavi
così
tranquilla?"
"Da troppo" ammise
lei,
lanciando poi uno sguardo verso il cielo. "Sarà il caso di
rientrare. Si
sta avvicinando una tempesta."
"Ne avevo il sentore,
ma non conosco
ancora molto bene le correnti terrestri" assentì il muspell,
balzando in
piedi con facilità per poi ritirare l'ancora.
Ragnhild, nel
frattempo, si mise al timone
e, non appena la barca fu libera, lo ruotò verso ovest
mentre Sthiggar riapriva
le vele.
La barca si mosse non
appena le tele
cerate di randa e fiocco si gonfiarono grazie al vento proveniente da
sud e,
muovendosi con maestria mentre Sthigg rimaneva alla scotta per
manovrare la
velatura, disse: "Se hai sentito l'odore del temporale è
già tanto. Ci
sono persone che se ne accorgono troppo tardi, e finisce sempre che la
guardia
costiera deve correre ai ripari."
"Faceva parte del
nostro
addestramento, anche se va detto che il profumo di questa tempesta non
è
neppure sgradevole. Quando si scatenano i temporali sui nostri mari,
sembra di
finire dentro a un vulcano sulfureo" chiosò il muspell,
manovrando con
abilità le vele.
"Deve essere davvero
strano, per te,
il nostro pianeta" commentò incuriosita Ragnhild.
"E' bello, per la
verità ma, come ha
detto mia cugina, è anche strano perché non ve ne
prendete minimamente
cura."
"Vero. Siamo un po'
contraddittori,
come avrai ormai notato" ammise la giovane.
"E’ una
cosa che mi è balzata
all’occhio di recente" celiò lui, ricevendo per
diretta conseguenza
un'occhiataccia.
Lui allora rise,
sistemò la scotta
nell'avvolgitore dopodiché raggiunse Ragnhild al timone e
aggiunse: "E'
inutile che mi guardi come se ti avessi detto il peggiore degli
insulti.
E' vero che sei contraddittoria,
come è vero che io tendo a
essere una testa calda e a dire la verità anche quando
dovrei tacere. Ne sono
perfettamente consapevole perciò non capisco
perché tu, pur sapendo di essere
ciò che ti ho detto, devi risentirtene se te lo dico."
La giovane lo
fissò piena di sorpresa,
prima di domandare: "Ma non ti passa mai per la mente di dire una
bugia?"
"Tendenzialmente non
lo faccio"
ammise lui con una scrollata di spalle. "Ritengo sia preferibile dire
il
vero e, non a caso, non mi piace mentire ai miei compagni di prigionia
ma, non
conoscendoli, non posso fare altro."
"Non conosci molto
neppure me o i
miei cugini, eppure ti sei confidato" gli fece notare Ragnhild,
passandogli il timone quando il vento divenne trasversale e tenere la
rotta fu
più difficile.
Mantenendo salda la
ruota di metallo del
timone, Sthiggar replicò: "Non vi ritenevo un pericolo per
me.
Contrariamente, Flyka e Thrym potrebbero esserlo, soprattutto se
sapessero che
sono una Fiamma Viva."
"Che, se ho ben
capito, è una cosa
piuttosto rara e, nel tuo caso, la notizia è stata mantenuta
pressoché segreta
al popolo" soggiunse la giovane.
Lui
assentì, mormorando: "Esattamente."
"Ma qui non conti
nulla, no?"
Sthiggar la
guardò con espressione
sconcertata mentre Ragnhild, tappandosi la bocca e sgranando gli occhi,
esalava
subito dopo: "Oddio! Detta così suonava malissimo."
"No, davvero?"
gracchiò il
giovane, scuotendo esasperato il capo. "Ora so che stai meglio."
"Perché ti
ho insultato?"
borbottò lei.
"Qualcosa del genere"
celiò lui,
forzando maggiormente sul timone per contrastare il vento. "Cazza la
randa, per favore, e ritira il fiocco. Il vento sta diventando
così forte che
non servirà la doppia velatura, per rientrare."
"Signorsì,
comandante" ciangottò
lei, muovendosi con fare capace tra le varie scotte della barca.
Sthiggar ne
seguì i movimenti per essere
sicuro che non avesse difficoltà nel fare ciò che
le aveva chiesto ma, dopo
averne notato la competenza e l'agilità, tornò a
fissare l'orizzonte e
l'entrata del fiordo.
Ragnhild era forte
abbastanza per
compensare ciò che la natura non le aveva dato, e
cioè la possanza di un
berserkr. Lei ne avrebbe avuto diritto a pieno titolo, a suo modo di
vedere, e
trovò ingiusto che dovesse trovare in
lui
protezione e conforto.
Perché la sua famiglia la
stava costringendo a
condurre una vita così tribolata?!
Sopra di loro, nel
frattempo, le nubi
stavano diventando sempre più scure e il vento, ormai, aveva
raggiunto picchi
da trenta nodi. Rientrare era imperativo. Costeggiando quindi la riva
sinistra
della Riserva Naturale di Tjuvholmssundet, Sthiggar percorse
il canale che
riconduceva al fiordo di Luleå e, da lì,
virò a sinistra, ritenendosi
finalmente al sicuro.
Questo non
impedì loro, però, di venire
accolti al rientro nel fiordo da un temporale coi fiocchi e, mentre
Ragnhild
correva a prendere le cerate sottocoperta, Sthiggar maledisse il tempo
inclemente e l'acqua ghiacciata.
"Infila questa!" gli
gridò in
fretta Ragnhild, armeggiando con la cerata per aiutarlo a indossarla.
Sthigg si
prestò a essere aiutato mentre
cercava di non far scuffiare la barca così Ragnhild
tentò, alla bell'è meglio,
di avvolgerlo nella cerata per proteggerlo dagli scrosci di pioggia
sempre più
forti.
Una folata di vento,
però, la portò a
scivolare sul piano di legno e Sthiggar, per evitarle una caduta, la
avvolse
con un braccio, portandola accanto a sé con un gesto secco e
piuttosto rude.
Nel farlo, Ragnhild
urtò il naso contro il
suo torace e, per bella posta, borbottò: "Ma di cosa sei
fatto? Di
cemento?"
"Lo
prenderò per un complimento"
chiosò lui con un ghigno.
Lei non
replicò al suo sorrisetto,
rimanendo però ancorata al muspell, che sembrava non
risentire affatto delle
raffiche di vento, né del temporale violento.
Tutt’altro.
Sembrava quasi che
quella battaglia contro
le intemperie lo stesse divertendo.
Quando finalmente
raggiunsero il
porticciolo, videro Gunther attenderli sul molo, coperto a sua volta da
una
cerata e con l'aria di essere sul punto di dare in escandescenze.
Sthiggar, a quel
punto, lasciò Ragnhild al
timone ritenendola abbastanza al sicuro e capace di gestire la
situazione,
quindi si approcciò alle cime per lanciarne una a Gunther e
quest'ultimo,
sovrastando il boato del vento turbinante, sbraitò: "Che ti
diceva la
testa?! Non hai visto il temporale?!"
"Infatti siamo
rientrati" chiosò
prosaico Sthiggar, sistemando i parabordi prima di tornare a prendere
Ragnhild.
Questa lo
afferrò a un braccio, mise piede
sul molo e, rivolgendosi a Gunther, disse: "E' colpa mia. Mi ero
addormentata."
L'uomo
scoppiò in una risata rombante, a
quelle parole e, nel dare una pacca sulla spalla a Sthiggar,
replicò: "Sei
messo bene, se fai dormire le tue donne invece di dar loro piacere."
Sthigg si
adombrò in viso e si limitò a
dire: "Non ti rispondo neanche."
Ciò detto,
trascinò via Ragnhild fino
all'auto e lì, dubbioso, disse: "Si bagnerà
tutta."
"Chi se ne frega!
Sali!" sbottò
lei, aprendo in tutta fretta la portiera.
Lui la
imitò senza attendere oltre e,
mentre la giovane accendeva auto e riscaldamento, Sthiggar
cominciò a battere i
denti per il freddo. Passandosi poi le mani sul viso bagnato,
borbottò:
"Non è per niente così
che volevo andasse la
giornata."
Ragnhild allora rise,
fece retromarcia per
uscire dal parcheggio e, dopo avergli domandato dove abitasse,
replicò:
"Io invece mi sono divertita. Davvero."
"Anche se ora siamo
bagnati
fradici?" bofonchiò lui contrariato.
"L'hai detto tu che
sono
contraddittoria, no?" ironizzò a quel punto la giovane.
"Su questo non ci
piove. Anzi,
sì" chiosò lui, guardando disgustato le nubi
temporalesche che si erano
chiuse come un mantello sulla cittadina di Luleå.
Ragnhild rise ancora
e a Sthiggar, in
tutta onestà, bastò questo a renderlo un
po’ meno tetro e congelato, quasi che
quella risata riuscisse a scacciare il senso di desolazione causato dal
freddo
che sentiva nelle membra.
Quando finalmente la
giovane raggiunse la
casa di Sthiggar, lui la invitò a entrare per scaldarsi un
po' e, dovette
ammetterlo dopo un istante, per continuare a stare ancora un
po’ con lei.
Non era ancora pronto
a concludere la
giornata.
La giovane
accettò di buon grado e, dopo
essere entrata nella piccola abitazione a un piano, accolse con piacere
il
calore che avvolgeva tutto l'ambiente.
"L'ho impostata
perché non mi
lasciasse al freddo" le spiegò lui, indicando una stufetta a
pellet
nell'angolo della zona giorno in cui si trovavano.
Ragnhild
approvò in pieno e, mentre
entrambi si liberavano delle cerate per lasciarle nel disimpegno
all'entrata,
Sthiggar le indicò la cucina e disse: "Ho del tè
e qualche brioche. Non
avevo previsto di avere ospiti, scusa."
"Basteran..."
cominciò col dire
lei prima di interrompersi nel vedere Sthiggar nudo fino alla cintola.
Certo, aveva visto il
suo torace anche diverse
settimane addietro... ma non la sua schiena!
Basita, lo
squadrò mentre si toglieva la
maglia fradicia per riporla in una cesta e, sgomenta, esalò:
"Ma cos'hai
sulla schiena?"
Lui si
bloccò a metà di un passo, la
squadrò confusa e, con le mani, si tastò la pelle
come a voler cercare ferite
sanguinanti o altro. Nulla trovando, le domandò: "Cosa vedi?"
La giovane si
avvicinò guardinga e,
sfiorando appena la pelle umida del muspell, ne sentì la
fredda consistenza e
morbidezza. Quando, però, si avvicinò ai segni
che tanto l'avevano sgomentata, percepì
un calore inusuale e, dubbiosa, disse: "Sei più caldo, nel
punto che sto
toccando."
Levando un
sopracciglio con evidente
sorpresa, Sthiggar allora si diresse in tutta fretta verso il vicino
bagno e
Ragnhild, colta da estrema curiosità, lo seguì
dappresso.
Volgendosi quindi a
mezzo per scrutare il
suo riflesso nello specchio a muro, Sthiggar gracchiò
un'imprecazione prima di
esalare: "Ma non è possibile!"
"Che intendi dire?"
volle sapere
lei.
"Non... non dovrebbe
esserci!"
gracchiò confuso, tastandosi in più punti prima
di domandarle di seguire con le
dita il percorso tracciato sulla sua schiena.
Lei obbedì
e, nel portarsi dietro di lui,
lo sfiorò in corrispondenza delle strane linee rosse e
sinuose che si
sviluppavano dalla sua cintola per proseguire verso l'alto in una serie
intricata di...
"Sono fiamme?"
domandò a quel
punto Ragnhild cominciando a capire cosa vi fosse sulla superficie
liscia della
schiena di Sthiggar.
"A quanto pare,
sì" mormorò lui,
ancora sconcertato. "Ma non capisco perché siano visibili.
E’ il lascito
della Fiamma Viva, ma pensavo che su Midghardr non potesse essere
visibile. In
fondo, non è un pianeta come Muspellheimr."
"Cosa serve,
perché si vedano?"
domandò la giovane, sfiorando la pelle del muspell nei punti
freddi per poi passare
a quelli caldi. Era una sensazione davvero stranissima, come se
effettivamente
una fiamma stesse scorrendo sotto la sua pelle.
"Beh, il centro del
pianeta Muspell è
una palla infuocata e, per quelli come me, il fulcro è il
nostro centro di
potere. Ma qui..."
"Sthiggar, anche la
Terra ha un
nucleo interno rovente. Non so quanto lo sia il vostro, ma neppure il
nostro
scherza" sottolineò a quel punto Ragnhild, sorprendendolo.
"Sapevo che avrei
dovuto studiare di
più" brontolò Sthigg, scuotendo furioso il capo.
"Quindi, la mia
Fiamma reagisce al centro della Terra, a quanto pare. Ma
perché non ho i miei
poteri, allora?"
Scostandosi da lui,
Ragnhild osservò la
piccola pozzanghera formatasi ai loro piedi e, sbrigativa, disse:
"Sarà
meglio se, prima di tutto, ti fai una doccia bollente. Cominci ad avere
la
pelle d'oca e hai un colorito preoccupante. Io, nel frattempo, mi
asciugherò
con un telo di spugna e mi cambierò. Hai qualcosa che possa
mettere, dopo?"
"In camera ci sono le
mie cose. Ma
non vorresti fare tu una doccia, prima?"
"Lascia stare. Sei tu
quello che sta
diventando viola" ironizzò lei, sospingendolo verso la
doccia prima di
afferrare un salviettone e andarsene dal bagno.
A Sthigg non rimase
che fare quanto
ordinatogli e, dopo aver aperto la porta della doccia, aprì
l'acqua bollente e
vi si tuffò sotto dopo essersi tolto i jeans congelati.
***
Ragnhild era seduta
sul letto di Sthiggar
quando lui si presentò in camera avvolto solo da un
salviettone. Tutta presa da
ciò che stava guardando, non si accorse di lui
finché non lo sentì armeggiare
con l'armadio e, nel vederlo così discinto, storse il naso e
commentò:
"Comincio a credere che tu lo faccia apposta a sbattermi in faccia
tanto
ben di Dio."
"Non avevo preso
nulla di ricambio
così, o rimanevo per sempre in bagno, o venivo a
recuperarlo" si limitò a
dire lui prima di aggiungere: "Copriti gli occhi, per favore."
Lei obbedì
con un sorrisino e, nel battere
una mano su ciò che tanto l'aveva colpita, disse: "Non ci
capisco un'acca
ma, se questo coso lo hai scritto tu, posso dire che hai una bellissima
grafia."
Sthiggar si
affrettò a indossare una
comoda tuta di felpa dopodiché, nel sedersi a sua volta sul
letto, osservò con
aria intenerita la figura di Ragnhild inglobata in abiti troppo grandi
per lei.
Appariva più docile e fragile di quanto non fosse in
realtà e, per qualche
motivo che preferì non indagare, si sentì spinto
a proteggerla, pur se sapeva
bene che la ragazza ci sapeva fare anche da sola.
Scacciando quel
pensiero, quindi, si
limitò a dire: "Sto tenendo un diario di ciò che
vedo, perché è importante
per farmi un'idea di com'è il vostro mondo."
"Quindi, l'hai
scritto tu. Ribadisco,
bellissima grafia."
"Grazie. Vuoi sapere
se ci siete
anche tu e i berserkir?" le domandò a quel punto, sfogliando
il quaderno
per tornare alle prime pagine.
La giovane
riaprì gli occhi per scrutarlo
e, nel notare sul collo di Sthiggar la bruciatura in via di guarigione
che
tempo addietro tanto l’aveva incuriosita, domandò:
"Ma...stenta così tanto
a guarire?”
Lui si
tastò il collo con fare distratto,
asserendo: "La ferita era molto profonda e, per poco, non mi ha
asportato
parti vitali. Sono vivo per miracolo."
Lei fece tanto
d’occhi, a quella notizia
e, dentro di sé, rabbrividì. Per qualche motivo
che non voleva analizzare
proprio in quel momento l’idea che, a causa di quella ferita,
avrebbe potuto
non conoscere Sthiggar, la fece trasalire.
“Hai
freddo” mormorò lui, mal
interpretando il suo brivido e afferrando per diretta conseguenza una
coperta così
da drappeggiargliela sulle spalle. “Avresti dovuto fare una
doccia anche tu. E
asciugarti i capelli.”
Ciò detto,
e senza darle il tempo di
replicare, tornò in bagno per afferrare il phon e, dopo
averlo attaccato alla
presa, glielo offrì.
A lei non
restò altro che asciugarsi la
corta chioma dinanzi allo sguardo di Sthiggar e, pur non volendo, si
sentì
gratificata all’idea di essere così coccolata e
curata da qualcuno che non
fosse se stessa, o suo fratello.
Questo,
però, non avrebbe dovuto in nessun
caso divenire un’abitudine o, per lei, sarebbero stati guai
seri. E non solo
perché suo padre si sarebbe infuriato.
Anche il suo cuore ne
avrebbe sofferto e,
già così, era difficile non lasciarsi andare alle
cure di Sthiggar e
desiderare, agognare di
più.
Per non lasciarsi
andare a quei pensieri
pericolosi, Ragnhild quindi chiese: “Qual è il mio
nome?”
“Questo”
le fece vedere lui, indicando un
fronzolo sul quaderno.
Ragnhild lo
ammirò senza parole,
osservando rapita le longilinee curve di quelle lettere incomprensibili
ma che,
però, creavano una parola dalla bellezza sottile ed elegante.
"Ho sempre pensato
che il mio nome
fosse poco adatto a una donna. Troppo duro, troppo poco femminile"
mormorò
lei prima di guardarlo e chiosare: "Sai che significa? Avviso
di
battaglia. Non ti sembra un po' troppo macho?"
Non aspettando una
sua replica, la giovane
sfiorò la parola muspell che formava il suo nome e aggiunse:
"Guardando
questa parola, però, inizia a piacermi un po' di
più."
Lo scoppio improvviso
di un fulmine
squarciò l'aria, interrompendo quel momento di
tranquillità e facendoli
sobbalzare entrambi per la paura, portandoli l'istante seguente a
ridere di
gusto.
Spegnendo il phon
mentre lacrime di
ilarità le solcavano le gote, Ragnhild esalò:
"Oddio! Pensavo fosse
esploso qualcosa!"
"Di sicuro, si
è impegnato a fare
baccano" assentì lui, lasciandole il diario prima di
aggiungere:
"Ragnhild non è un nome macho, ma forte, esattamente come lo
sei tu.
Perciò, non disprezzarlo. Se poi potessi mostrarti cosa
sono, per noi, i ragnhild,
rimarresti meravigliata. Sono
tra le creature più misteriose e affascinanti di
Muspellheimr."
Ciò detto,
si levò in piedi per andare in
cucina e Ragnhild, dopo un istante, lo seguì, il diario
ancora stretto in una
mano.
In silenzio, lo
osservò mettere sul fuoco
un bollitore per poi accendere il forno a microonde e inserirvi due
brioche
perché si scaldassero.
Solo a quel punto
disse: "Non
blandirmi."
"Non lo faccio"
scrollò le
spalle lui, restando voltato per controllare il bollitore. "Siamo
finiti
nel bel mezzo di una tempesta, ma tu non ti sei spaventata
né hai aspettato che
io impersonassi il cavaliere pronto a salvarti. Hai fatto la tua parte
senza
strepiti o lagnanze e mi hai aiutato a non morire congelato sotto la
pioggia.
Perciò, direi che non cerco di blandirti."
"Ma io non
voglio essere
sempre e solo forte" disse a sorpresa Ragnhild, portandolo a volgere lo
sguardo per lo sconcerto. “Né voglio sapere che
c’è una creatura splendida che
si chiama come me!”
La voce che
uscì dalla gola di Ragnhild
sapeva di stanchezza e di desiderio di rivalsa al tempo stesso e,
quando
Sthiggar posò gli occhi su di lei, vide una donna pronta a
tutto pur di non
essere vista solo come una
roccia.
I suoi occhi
gridavano quanto, quel ruolo
di eterna guerriera, cominciasse a starle stretto, e quanto le continue
lotte
tra lei e i genitori l'avessero logorata.
Lasciando
perciò perdere il bollitore, che
spense, tornò in fretta da lei, la afferrò per le
spalle e, scuotendola, le
disse: "Come ti ho detto oggi, non devi essere sempre indistruttibile,
con
me."
"Perché?"
volle sapere a quel
punto.
"Essere chi non si
vuole può farti
crollare, e io ho visto cosa succede" si limitò a dire lui,
e Ragnhild
sgranò poco alla volta gli occhi, consapevole di cosa stesse
parlando.
Sua madre. Sua madre
si era consumata fino
a morire, e tutto perché - molto probabilmente - si era
sforzata di essere
qualcosa che in realtà non era, finendo con il ferire per
sempre il figlio e il
marito.
***
Seduti al tavolo del cucinotto del
suo appartamento,
Sthiggar le spiegò cosa gli avessero detto i medici, dopo
aver constatato la
morte di sua madre.
Non potendo ammettere con lui cosa,
realmente,
l'avesse fatta spegnere, gli avevano raccontato di una fantomatica
malattia del
sangue che, poco alla volta, l'aveva consumata. Solo molti anni dopo
avevano
confermato quello che, invece, lui aveva sempre sospettato e temuto;
era stata
la consunzione.
Troppe cose, nei suoi ricordi, gli
avevano dato l’idea
che quella terribile e silenziosa malattia l’avesse portata
via e, quando
finalmente la verità era venuta a galla, lui ne aveva
sofferto
moltissimo.
In parte, a causa dei significati
reconditi legati a
quel malanno - la madre non li aveva amati abbastanza per continuare a
vivere?
- e, in parte, perché ciò che gli avevano
raccontato erano state solo bugie, e
questo lo aveva fatto sentire un idiota.
"Per questo, dici di non voler mai
mentire?"
domandò a un certo punto Ragnhild, sorseggiando il
tè che, nel frattempo,
Sthiggar aveva terminato di preparare.
Annuendo, l'uomo ammise: "So che la
verità può
essere terribile, a volte, ma si sta peggio quando scopri che ti hanno
mentito,
anche se a fin di bene. Io, per lo meno, la penso così."
Ragnhild assentì
silenziosa, lasciando che il tepore
della bevanda le scaldasse le viscere e la punta delle dita.
Sthiggar, nel frattempo, aveva
sistemato i suoi abiti
nell'asciugatrice. Mentre l'elettrodomestico ronzava nel seminterrato,
lei se
ne stava dinanzi a lui, con la sua camicia enorme e i pantaloni della
tuta
arrotolati sulle caviglie, pensando a ciò che il muspell le
aveva detto.
Sarebbe stato quindi peggio, se sua
madre avesse
mentito, facendole credere di volerle bene quando invece non era vero?
Sarebbe
stato terribile se suo padre, per una volta, le avesse detto
– fingendo – di
poter decidere senza pensare al
clan,
per poi dirle che non era vero? Non era certa di voler conoscere la
risposta,
ma sapeva che molti dei suoi comportamenti derivavano dal suo conflitto
con le
regole che le erano state imposte per tutta la vita.
Essere sempre pronta a difendere
Mattias dipendeva in
parte dal suo amore per lui ma, non poteva negarlo, anche dalla
certezza che,
se a lui fosse successo qualcosa, i suoi genitori non glielo avrebbero
mai
perdonato.
Per quanto detestasse ammetterlo,
viveva ancora nella
segreta speranza che, un giorno o l’altro, da loro potesse
venire un qualche
segno che, in fondo, avevano amato anche lei.
Aiutare in tutto e per tutto suo
padre la faceva
sentire in qualche modo a credito di affetto, come se il suo prodigarsi
dovesse
per forza risolversi in un complimento da parte sua, se non della madre.
Tutto ciò,
però, non solo era infantile e stupido, ma
anche utopistico. Ormai avrebbe dovuto aver capito quanto,
l’essere al servizio
del clan, fosse l’unica cosa che contava, nella sua famiglia.
Sperare che, prima o poi, uno dei
due le rivolgesse un
sincero sorriso di apprezzamento l’aveva fatta diventare
debole e, al tempo stesso,
mostrarsi perennemente rigida e forte era un mascheramento per non
ammettere la
verità.
In altre parole, era finita in
un loop catastrofico,
da cui non sapeva come uscire. Ed era stato un alieno, un essere
proveniente da
un altro mondo, a renderla edotta del suo errore.
Sorridendo mesta, Ragnhild
mormorò: "E dire che
Adam mi sgrida sempre, per i miei modi da dispotico generale. Forse,
anche lui
tentava di dirmi qualcosa."
"E' ben difficile che si ascoltino
i propri cari,
quando c'è di mezzo una ramanzina" chiosò
Sthiggar. "Io, non a caso,
sono sempre stato punito dal re, quando combinavo un casino."
Scoppiando in una risatina, la
giovane esalò:
"Questa faccenda che Surtr esiste davvero, mi fa morire dal ridere. Io
lo
conosco per via delle leggende su di lui, e un film di qualche anno fa
lo aveva
dipinto come un gigante orrendo, ricolmo di oscurità e senza
scrupoli. Tu,
invece, mi dici che non è così."
"Oh, se volesse potrebbe esserlo.
Un gigante
orrendo, ricolmo di oscurità e senza scrupoli, intendo"
ironizzò lui.
"Ma, per la maggior parte del tempo, ha forme squisite e un buon
carattere,
come direbbe sua moglie."
Il solo pensiero di Ilya lo
portò a sorridere
dolcemente e Ragnhild, avvedendosene, ironizzò dicendo: "Oh
oh... qualcuno
ha una cotta per la regina?"
Sthiggar scoppiò a
ridere, di fronte a
quell'affermazione e, scuotendo il capo, esalò: "Oh, santi
dèi, davvero
no! Se potesse, Ilya farebbe sfilatini di me, per tutte le volte che ho
disturbato suo marito con le mie fesserie ma, alla fin fine, so che mi
vuole
bene e che è preoccupata per me. Fu la prima a giungere a
casa nostra, quando
la notizia della morte di mia madre venne data a Palazzo. Mi strinse a
sé e mi
baciò sulle guance, cantandomi una ninna nanna
perché mi addormentassi."
"Un pensiero dolce"
commentò Ragnhild.
"Ilya è dolce,
ma non
guastarle i momenti con suo marito, perché allora diventa
una belva assetata di
sangue. Mi sono sempre salvato dai suoi rimbrotti solo
perché le sto simpatico
ma, quando mi vedeva, sospirava sempre" ironizzò lui,
scrollando le
spalle.
"E tu ti comportavi così
perché, a quel modo,
ottenevi attenzione?"
"Anche. E, paradossalmente,
perché così venivo
punito. Volevo fosse mio padre a mettermi in castigo, ma non ottenevo
mai un
rimbrotto, da parte sua, così combinavo guai sempre maggiori
nella speranza
che, prima o poi, si sbloccasse. Ma non successe mai"
scrollò le spalle
Sthiggar. "Ridicolo, vero?"
"Mica tanto. Io faccio lo stesso,
ma al
contrario, per ottenere l'approvazione di mia madre. Cerco di essere
perfetta, sempre
al posto giusto e al momento giusto e, ogni volta, devo fare tutto da
sola per
dimostrare di esserne in grado. E tutto per cosa? Con mio padre,
invece…"
ironizzò lei, passandosi le mani sul viso con espressione
esasperata prima di
cambiare argomento e chiedere: "Almeno, tuo padre ti vuole bene?"
"Moltissimo. Ma è troppo
malleabile, quando si
tratta di me. Vorrei che usasse più nerbo ma, come dicevo
prima, essere ciò che
non si è porta a risultati terribili, a volte. Ormai l'ho
capito" le
rispose lui, soprassedendo sul fatto che Ragnhild non avesse voluto
parlargli
del padre.
Cos’altro era taciuto,
dentro di lei, e perché la
angustiava al punto di non poterne parlare?
"Perciò, dovrei
piantarla di essere sempre
impostata e fare un po' di più quello che voglio, senza per
questo sentirmi in
colpa per averlo fatto" motteggiò Ragnhild scrutandolo con i
profondi
occhi color acquamarina.
"Se è quello che
desideri" si limitò a dire
lui prima di accigliarsi non appena udì il rombo di un'auto
avvicinarsi alla
casa. "Ah... Thrym e Flyka sono tornati. Si chiederanno così
ci fa la tua
auto davanti a casa nostra."
"Se vuoi, faccio finta di niente.
Non è un
problema. Che copertura usate?"
"Cugini. Io e Thrym abbiamo
entrambi i capelli
rossi, siamo entrambi alti e robusti, perciò possiamo
passare per parenti.
Flyka, invece, è giuridicamente sua moglie, per quel che so"
le spiegò
Sthigg.
"Allora mi atterrò a
questo. Credo tu abbia già
abbastanza pensieri a cui badare, senza pensare anche a quello che
potrebbero
dire i tuoi vicini di cella, se sapessero che io
so" ammiccò lei prima di indicarsi e aggiungere:
"Potresti dire che sono la tua ultima conquista, e che il temporale ti
ha
obbligato a portarmi qui per proseguire il nostro
appuntamento."
Lui ghignò in risposta
al suo piano e replicò:
"Sei sicura di volerti far passare per una conquista?"
"Potrebbe essere divertente, e sa
il cielo se ho
bisogno di cose divertenti con cui svagarmi" sospirò lei,
accendendo il
suo viso con un sorriso tutto fossette. Suo padre sarebbe impazzito di
rabbia
se fosse girata una simile voce per Luleå e, per un attimo,
desiderò davvero
con tutta se stessa rovinarsi la reputazione per potergli dare una
lezione.
Dubitava, però, che i
tizi che condividevano la
prigionia con Sthiggar fossero persone così addentro alla
società del paese. Di
quel poco che sapeva sui trattati tra muspell e berserkir, era certa
che l’anonimato,
la segretezza e l’essere poco appariscenti rientrassero nel
pacchetto.
"Uhm... e fin dove posso spingermi,
per reggere
il gioco?" si informò a quel punto Sthiggar, dipingendo sul
suo volto
un'aria da manigoldo che fece scoppiare a ridere di gusto Ragnhild.
"Toccami dove non dovresti e non
accenderai mai
più il tuo stoppino" ironizzò a quel punto lei,
vedendolo muovere le mani
per portarle fino all'inguine.
"Come la mia signora comanda"
ammiccò
Sthigg, levandosi in piedi per poi raggiungere la porta sotto gli occhi
un po'
confusi di Ragnhild.
Aprendola poi all'improvviso,
trovò Thrym con il pugno
levato e l'aria truffaldina, mentre Flyka se ne stava a pochi passi da
lui,
giustamente imbarazzata e le mani ingombre di pacchi della spesa.
"Ah... ciao, Sthigg. Tutto bene?
Abbiamo visto
un'auto che non conoscevamo, e così ci siamo preoccupati"
iniziò col dire
Thrym prima di allungare il collo, vedere Ragnhild e aggiungere: "Ma
forse
ti abbiamo disturbato."
"Hai. Hai
disturbato. Non mettere in
mezzo anche me, Thrym" sottolineò subito Flyka.
Sorridendo subito alla muspell, che
stava sbuffando
sonoramente all’indirizzo del compagno, Sthiggar si rivolse
poi all’uomo per
dire: "Nessun disturbo. Lei è la mia amica Ragnhild e,
purtroppo, siamo
stati presi in pieno dal temporale mentre ci trovavamo fuori per una
passeggiata, così l'ho portata qui perché si
asciugasse gli abiti e si
riscaldasse un po'."
"Ottima cosa, ragazzo. Bisogna
sempre prendersi
cura delle proprie donne" sorrise con aria orgogliosa Thrym. "Non
disturbiamo
oltre ma, se volete cenare con noi, non ci sono problemi."
"Vieni via, Thrym, e lasciali
stare"
brontolò Flyka, afferrando il compagno a un braccio per
trascinarlo lontano.
"Arrivederci, Ragnhild! Molto
piacere di averti
vista!" riuscì a dire Thrym prima che Sthiggar chiudesse la
porta per
tornare al tavolo.
"Ecco fatto" scrollò le
spalle lui.
"Flyka lo terrà buono, e noi non saremo costretti a cenare
con loro, visto
che pensano che vogliamo goderci una serata a due."
"Grazie" mormorò
Ragnhild.
"Per cosa?"
"Per aver detto 'amica'.
Non hai
detto 'ragazza'" disse con
semplicità la giovane.
"Sai che dico la verità,
no?"
Lei assentì, gli sorrise
e domandò: "Ti
scoccerebbe se facessimo davvero una
cena a due? Non mi va
di tornare a casa."
"E' meglio mangiare in compagnia,
se si ama
chiacchierare, e si dà il caso che io apprezzi"
motteggiò lui.
Ragnhild, allora,
afferrò il telefono per dire che non
sarebbe tornata a casa per la cena - che comunque aveva preparato prima
di
andare in ateneo - dopodiché ordinò del cibo da
asporto perché venisse loro
consegnato.
Ciò fatto, si
alzò in piedi, oltrepassò la tavola che
li divideva e, nel piegarsi su di lui, sorrise e disse: "Dopotutto, non
sei solo un guerriero capace di grugnire e pestare i pugni."
"Lieto che tu lo pensi" alzandosi a
sua
volta per sovrastarla con la sua imponenza. Lei, però, non
si scostò. "Non
dovrai mai avere timore di me, Ragnhild. Mai."
"Ora lo so" assentì lei,
dandogli un
colpetto con la testa contro il torace prima di ridacchiare e
raggiungere il
cucinotto per preparare la tavola.
Sthiggar la seguì con un
sorriso, indicandole dove si
trovasse ogni cosa e, mentre sistemavano assieme le vettovaglie, si
ritrovò a
rendersi conto di un particolare non da poco.
In quelle ore passate con Ragnhild,
non aveva affatto
pensato ai guai che si era lasciato alle spalle, giungendo sulla Terra.
Aveva
del tutto perso di vista i pericoli insidiosi di Muspellheimr, pensando
unicamente a come passare una bella giornata con un'amica.
Il solo rendersene conto lo
lasciò interdetto,
bloccandolo a metà di un passo e la giovane, nell'avvedersi
del suo strano
comportamento, poggiò i piatti in tavola e
domandò curiosa: "Ti è venuto
un collasso sul momento?"
"Direi di no. Pensavo, piuttosto,
che non ho
affatto rimuginato sui motivi che mi hanno condotto qui, nelle ultime
ore"
ammise lui, fissandola con occhi sorpresi.
Ragnhild, allora, gli sorrise con
dolcezza e replicò:
"Allora, la giornata ha fatto bene anche a te, non solo a me. Ne sono
contenta."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Cap. 12
Del temporale del giorno precedente
non v'era più
traccia, nel cielo e, quando Sthiggar si alzò da letto per
fare colazione e
recarsi al lavoro, il gelo provato soltanto poche ore addietro era
già un
ricordo.
Mentre scaldava il tè,
gli occhi gli caddero sui bicchieri
usati la sera precedente, messi in scolo sopra il lavandino. Ragnhild
era
rimasta a casa sua fino a tardi e, solo verso l’una di notte,
si era decisa a
tornare alla sua abitazione.
Sthigg l'aveva accompagnata fino
all'auto e lì, con la
promessa che si sarebbero rivisti il giorno seguente, le aveva augurato
la
buonanotte.
Era stato stupefacente scoprire
quanto, il carattere
mordace di Ragnhild, dipendesse in gran parte dal suo rapporto teso e
complesso
con i genitori. Certo, non era una fragile ragazza dalla parlantina
morbida e
svenevole neppure quando era di buon umore ma, di sicuro, molti suoi
comportamenti ora gli risultavano più chiari.
L'atmosfera perennemente tesa in
cui viveva ne aveva
trasformato almeno in parte il carattere, e questo l’aveva
resa più dura del
necessario, guardinga e poco propensa a fidarsi degli altri.
Quel che però turbava
Sthiggar era l’aver notato come
la giovane, in sua presenza, si fosse sfogata in merito al suo
difficile
rapporto con la madre, ma fosse riuscita a dire poco o nulla sul padre.
Cosa stava succedendo, tra di loro,
da spingerla a
quella chiusura totale? O non voleva essere considerata una persona
malevola,
parlando male di entrambi i genitori?
Sthiggar immaginava senza fatica
che la sua nuova
amica potesse pensare questo, di se stessa, e gli spiaceva che ella
fosse
finita in un simile circolo vizioso.
D’altra parte, non era
compito suo trovare una
soluzione ai suoi problemi; per il tempo che fosse rimasto a
Luleå, però,
avrebbe potuto cercare di alleviare il peso che sembrava gravare sulle
sue
spalle.
Dopo aver buttato giù
una colazione veloce, Sthiggar
afferrò la sua giacca impermeabile, lasciò quei
pensieri per un altro momento
e, in fretta, si diresse nell'appartamento accanto per chiamare Thrym.
Forse, dopotutto, avrebbe dovuto
mettersi in pista per
prendere la patente dell'auto, visto che non aveva la più
pallida idea di
quanto tempo sarebbe rimasto lì. Il pensiero di farsi
scarrozzare sempre dagli
altri cominciava a venirgli stretto.
***
Hildur si lasciò andare
su una sedia con espressione
stanca, sul volto i segni della mancanza di sonno e della frustrazione.
Erano settimane che lei e i suoi
colleghi più fidati
stavano studiando, uno per uno, i più di tremila invitati
alla festa del
sovrano, cercando di scoprire su di loro quanto più si
potesse e sempre senza
farsi scoprire. Oltre a ciò, come se già non
fosse abbastanza snervante, si
erano dati alle perlustrazioni notturne nei bassifondi, così
da cercare – o
notare – eventuali anomalie.
Ovviamente, sia nella Capitale che
nelle città
limitrofe, giusto per non farsi mancare nulla.
Le ipotesi su un potenziale
attentato, però, non erano
né diminuite, né si erano fatte più
certe. Tutt'altro.
Sembrava addirittura che qualcuno
si fosse divertito a
spargere idee complottiste ogni dove, così da complicare
loro la vita; se
davvero fosse stato così, stavano riuscendo davvero bene nei
loro intenti.
Hildur non aveva idea di dove
convogliare le loro
forze, né di chi diffidare. A quel punto, lei stessa avrebbe
potuto essere una
minaccia, confusa com'era su ciò che stava succedendo
intorno a lei.
"Di questo passo, qualsiasi cosa
stia per
succedere, ci piomberà addosso come un macigno, e senza che
noi ce ne rendiamo
conto" sospirò Vania, una delle Fiamme Nere più
anziane e, a sorpresa, più
che convinta a sua volta che Sthiggar fosse stato incastrato.
Vania – che conosceva
Hildur fin da quando aveva preso
la livrea delle Fiamme Nere – non era mai stata molto
propensa a scusare le
intemperanze di Sthiggar, avendolo da sempre ritenuto un bambino
viziato e fin
troppo coccolato.
Quando, però, aveva
scoperto i motivi
dell’allontanamento dal pianeta della giovane Fiamma
Purpurea, si era recata di
sua spontanea volontà nell’ufficio di Hildur per
chiedere spiegazioni.
Solo a quel punto, la cugina di
Sthiggar se l’era
sentita di ammettere con la collega l’intera
verità e Vania, scoperti i dubbi
ben più che seri del re, si era unita al gruppo ristretto di
Fiamme Nere che
Hildur stava creando per cercare la verità.
"Lo so, ma non ho davvero idea di
come scremare
tutte le notizie che abbiamo raccolto" sospirò nel frattempo
Hildur,
allungando gli avambracci sulle cosce per poi scrutare pensierosa la
sua
vecchia insegnante. "Sono sempre più convinta che Sthiggar
sia in
pericolo, ma non riesco a visualizzare questo
pericolo."
"Di certo, più tempo
rimane su Midghardr, più
sarà facile soggiogarlo, se questi sono gli intenti di chi
lo ha cacciato nei
guai" borbottò pensosa Vania. "Anche se è una
Fiamma Viva, come mi
hai detto, la sua aura si sarà sicuramente azzerata, lontano
da Muspellheimr, e
questo lo renderà una preda facile dei maghi oscuri."
"Può darsi... ma di
quali maghi stiamo
parlando?" sospirò Hildur. "Ne esistono di molte tipologie,
e noi non
abbiamo abbastanza forze per tenerli sott’occhio tutti."
"Questo è vero, ma non
possiamo..." iniziò
col dire Vania prima di venire interrotta dall'arrivo precipitoso di
una Fiamma
Nera.
"L'ho trovato! L'ho trovato!"
esclamò il
giovane Khirstel, ansimante ma col volto percorso dalla soddisfazione.
Le due donne si levarono leste in
piedi ed esclamarono
quasi all'unisono: "Di chi parli?!"
"Dell'uomo che cenò
assieme a Sthiggar!"
rivelò a quel punto, sorprendendole. "Ero sotto copertura a
Flastavv,
fingendomi un mercante di pellami e, durante una cena in una bettola
del porto,
ho sentito un uomo vantarsi di aver cenato 'niente
meno che con il
nipote di Sól'. Millantava di avergli
giocato un tiro mancino per
vincere una scommessa con un tizio che ha dichiarato di essere
commilitone di
Sthiggar."
"Un... commilitone?!"
esalò
sconvolta Hildur.
"Non so quanto vi sia di vero ma,
dalla
descrizione fatta, la sua storia mi è parsa essere coerente
con quella che
Sthiggar ti ha raccontato, così l'ho messo ai ceppi e
l’ho condotto qui in gran
segreto" asserì Khirstel, tornando serio e competente. "Vi
aspetta
nei sotterranei della caserma, ben lontano da occhi e orecchie
indiscreti."
"Ben fatto, ragazzo"
chiosò Vania, dandogli
una pacca sulla spalla mentre Hildur si affrettava a uscire per
raggiungere le
segrete.
A grandi passi e con aria di
rinnovata sfida, la donna
fece a due a due i gradini che conducevano dabbasso.
Seguita a ruota da Vania e
Khirstel, quando Hildur
giunse finalmente alle prigioni si avventurò nel lungo
corridoio dove si
aprivano le porte di ferro delle celle; solo lì si
fermò, giusto per racimolare
una parvenza spaventosa e determinata.
Un attimo dopo, si
affacciò per un istante per
visionare il volto - terrorizzato - di colui che per primo aveva
cacciato nei
guai Sthiggar ma, quando vide un semplice commerciante dall'aria
spaesata, capì
di avere di fronte solo l'ennesima pedina di quell'intricato gioco
delle parti.
Nonostante ciò, Hildur
entrò con la sua peggior
aria 'da interrogatorio' e,
posizionatasi dinanzi all'uomo,
disse: "Bene. Quindi sei tu che hai ordito il piano per uccidere due
guardie del re e far incolpare un uomo innocente."
"Uccidere?!
No! Ma cosa dite!? Non mi permetterei mai, Fiamma Nera! Mai!"
esclamò cinereo l'uomo, gettandosi carponi e poggiando la
fronte sul pavimento
freddo della cella.
Incurante del suo terrore genuino
così come del suo
tremore profuso, Hildur proseguì domandando sarcastica: "Non
sei tu che
hai cenato con una Fiamma Purpurea di nome Sthiggar Glenrson?"
"S-sì, ma... ma io..."
tentennò l'uomo,
arrischiandosi a sollevare un po' la testa per scrutare la guerriera
dinanzi a
sé.
Trovando solo disprezzo nei suoi
occhi scarlatti,
Guntr tornò a calare il capo e, farfugliando stentate scuse,
ammise:
"A-abbiamo desinato assieme e chiacchierato un po'. P-poi s-sono
entrati
in... in scena due ragazzi p-per causare un piccolo incidente. Ma era
solo uno
scherzo! Un innocente scherzo di un commilitone dell'uomo chiamato
Sthiggar. Lo
giuro!"
"Il suo nome, o non
crederò a una sola parola da
te proferita" replicò gelida Hildur.
"Non... non mi ha detto il suo
nome. M-mi ha solo
dato un sacco di monete di rame per dare a ...a Sthiggar un sonnifero,
così che
lui e i suoi amici potessero portarlo in caserma per uno scherzo
innocente" piagnucolò a quel punto il commerciante. "N-non
ci si deve
fidare delle Fiamme, forse? Siete al servizio del re, dopotutto! Ho
solo
pensato che volessero divertirsi un po’ e basta. Chi non lo
fa, tra ragazzi?"
Sospirando, Hildur ammise tra
sé questa verità – il
fatto che ci si potesse fidare di una Fiamma del re era un mantra
conosciuto
persino dagli infanti – ma non si mostrò per nulla
impietosita dal mercante,
non avendo ancora terminato con lui.
"La sua descrizione o,
quant'è sacra Sól, io ti
farò fustigare, prima di mandarti al cospetto del re per una
degna
punizione!" sbottò Hildur, facendolo trasecolare.
"E-era alto, con una l-leggera
barba bruna e...
aveva gli occhi scuri, forse carminio. Non saprei dire di preciso,
perché era
sera, ma la luce riflessa dalle lanterne era rossastra, niente affatto
simili a
quelli della Fiamma Purpurea, ...di Sthiggar, insomma"
mormorò agitato il
mercante. "Aveva una cicatrice sulla guancia, ed era fresca. Come
un'ustione. Mi è parsa strana, perché
è difficile che un muspell possa
ustionarsi, così l'ho notata subito."
Accigliandosi, Hildur
ripensò alla ferita di Sthiggar,
alla bruciatura che i dokkalfar gli avevano procurato con i loro
tirapugni
esplodenti e, tra sé, si chiese se quella strana ferita
avesse la stessa
origine. Se era così, quell'uomo era davvero un
commilitone
di Sthigg, e lo aveva tradito nel modo più terribile
possibile.
"Un'ultima cosa. Quell'uomo,
quel soldato
era solo, quando ti ha proposto quell'affare?"
"Sì, anche se continuava
a guardarsi alle spalle,
come se qualcuno fosse lì per controllarlo"
mormorò Guntr, ora fattosi
pensieroso. "Lì per lì non ci ho fatto caso ma,
quando ho notato che i
suoi occhi correvano sempre a un vicolo alle sue spalle, mi sono
chiesto se vi
fosse qualcuno che lo stesse aspettando al varco. Solo, ho pensato che
fosse
qualcuno dei suoi compagni, deputato a controllare che non si tirasse
indietro
da quella scommessa."
"Capisco" assentì Hildur
prima di
aggiungere: "Sappi che aver accettato quella borsa di monete
è costata la
vita a due guardie cittadine, oltre che all'esilio della Fiamma
Purpurea
chiamata Sthiggar. Ora, per quanto mi piacerebbe sbatterti dentro per
qualche
anno, non c'è una legge che vieta di essere stupidi e, a
parte un richiamo
formale e una diffida dal ripresentarti alla Capitale per almeno dieci
anni,
non potrò fare di più. Vorrei però che
tu pensassi a quello che hai fatto,
perché niente potrò fare per quelle due povere
guardie."
Il mercante, ormai in lacrime,
assentì ripetutamente
e, mentre Hildur usciva dalla cella con aria frustrata, Vania le
toccò la
spalla per darle il suo silenzioso conforto.
Khirstel, evidentemente frustrato
all'idea di aver
fatto l'ennesimo buco nell'acqua, domandò scusa alla sua
superiore ma Hildur
replicò: "Non è stato tempo mal speso. Ora
sappiamo che tutto ciò che
Sthigg aveva detto corrisponde al vero. E' stato messo in mezzo a
qualcosa di
veramente grosso... ed è implicato un suo commilitone."
Le due Fiamme Nere di fronte a
Hildur sgranarono gli
occhi per la sorpresa e la preoccupazione e quest'ultima, grattandosi
nervosamente una guancia, aggiunse: "A quanto pare, abbiamo a che fare
con
un figlio di Alta Stirpe, visto che il commerciante è certo
che avesse
gli occhi che emanavano riflessi rossastri.
Bruno di capelli, e
con una cicatrice da ustione sul viso. Quasi sicuramente, era presente
alla
battaglia contro i dokkalfar che si è svolta nei
Protettorati."
"Dovremo chiedere al comandante
Yothan una lista
dei suoi sottoposti, oltre alle loro cartelle mediche. In questo modo,
non
attireremo l'attenzione e ci avvicineremo a un potenziale colpevole"
ipotizzò Vania.
"Non è tutto. Il
mercante dice che questo soldato
era controllato a vista da qualcuno, perciò sono coinvolte
altre persone in
questo pasticcio clamoroso" borbottò Hildur, facendosi scura
in volto.
"Io mi occuperò del
comandante Yothan..."
disse subito Khirstel, mettendosi sull'attenti. "...
dopodiché tornerò al
porto per chiedere se, quella sera, è stato visto qualcuno
di strano aggirarsi
nei pressi del bar."
"Fai attenzione. Non abbiamo idea
di chi stiamo
cercando, e una domanda di troppo potrebbe essere pericolosa" gli
raccomandò Hildur prima di congedarlo.
Lanciata poi un'occhiata a Vania,
domandò turbata:
"Perché un nobile si è spinto a tanto? E
perché colpire proprio
Sthiggar?"
"Non so davvero, Hildur, ma vorrei
che il re
rinunciasse alla sua festa. Ci saranno troppe personalità
provenienti da mondi
esterni, e non è mai una bella cosa."
"Lo so, ma il sovrano teme di
inimicarsi il Consiglio,
facendolo. Verrebbe ritenuta una forzatura bella e buona, visti i soldi
che
sono stati spesi per organizzare la festa, e nessuno vuole l'intera
classe
nobiliare dietro alle caviglie a mordicchiare" sbottò
indispettita la
Fiamma Nera.
"Vorrei tanto che il Consiglio
sparisse. Sono
solo delle palle al piede" sbuffò a sua volta Vania,
scuotendo il capo.
"Del mercante, che ne facciamo?"
"Gli ho promesso una multa
esemplare e tanta
paura, ma nient'altro. Dopotutto, essere stupidi e creduloni non
è un
reato" sospirò Hildur, facendo spallucce.
"D'accordo. Me ne
occuperò io. Tu vai a riferire
al sovrano."
Hildur assentì e, senza
aver particolarmente voglia di
vedere il re, si avviò verso il capanno delle bighe con il
desiderio di
prendere un lanciafiamme e uccidere il primo che le fosse capitato a
tiro.
Quella situazione stava rapidamente diventato insopportabile, ed era
più che
certa che Surtr sarebbe andato su tutte le furie, non appena avesse
saputo
quelle novità.
***
Riferire a re Surtr quanto appena
scoperto non fu
piacevole. Le ire del sovrano, come già sospettato da
Hildur, non tardarono ad
arrivare. In breve tempo, il volto piacente del sovrano si fece
ombroso, le
orecchie presero a fumargli e i suoi occhi si fecero scarlatti di
rabbia.
Hildur non poté che
comprendere la sua frustrazione
poiché, a propria volta, ne provava in gran
quantità, e non dissimile.
Qualcuno di amico aveva
tradito la
fiducia di Sthiggar e, molto probabilmente, non aveva puntato soltanto
a
incastrare il commilitone, ma sembrava con quasi assoluta certezza in
combutta
con qualcun altro, in questo articolato e oscuro piano.
A cosa puntassero, era ancora
difficile da dire ma, a
due giorni dalla grande festa organizzata per i sovrani, la tensione
era alle
stelle.
"So che sarebbe troppo chiedervi di
annullare i
festeggiamenti ma, per come stanno le cose, non possiamo davvero
fidarci di
nessuno" mormorò spiacente Hildur.
Surtr grugnì
un'imprecazione prima di ammettere:
"Non mi dici nulla a cui io stesso non abbia già pensato, ma
il problema è
che il Consiglio ha remato contro a questa decisione. Dicono che
l'affronto
sarebbe tale da scatenare una guerra, e che annullare tutto per un mio
presunto
capriccio sarebbe oltraggioso."
"Ovviamente, non sapendo nulla, i
membri del Consiglio
non possono sapere i vari perché legati
a questa
richiesta" assentì turbata Hildur.
"Non mi fido a sufficienza di loro,
per metterli
al corrente ma, così facendo, non ho scuse plausibili per
chiarire i motivi del
mio voltafaccia. Inoltre, continuare a mentire a Ilya non mi piace
affatto, e
sono sempre più tentato di dirle ogni cosa, ma non saprei
davvero come potrebbe
reagire. Per quanto dia a me dello smidollato, quando
c’è di mezzo Sthiggar,
lei potrebbe esplodere, se sapesse
che è stato incastrato" sbottò il sovrano con
tono assai contrariato.
"Giuro che chi mi ha messo in questo guaio la pagherà cara.
Detesto
sentirmi in gabbia!"
"Vi capisco bene"
assentì Hildur, dandogli
pienamente ragione. Se la regina avesse saputo ogni cosa, avrebbe raso
al suolo
il palazzo per l’ira. Surtr poteva terrorizzare, quando era
furioso, ma Ilya…
Hildur non voleva neppure pensarci.
Surtr allora scrutò la
sua Fiamma Nera più fedele,
sospirò e disse: "Se dovesse succedere il peggio, ricordati
che dovrai
fare una cosa per me, e questa cosa non ammetterà repliche
di alcun
genere."
Hildur si fece ombrosa e, scuotendo
il capo, replicò:
“Ci ho pensato, sire, e trovo che sia inaccettabile. Io non
posso..."
Bloccandola prima che potesse
aggiungere altro, il
sovrano ribatté: "Sei adatta per il compito che ti ho
assegnato, e Ilya si
fida di te. Farai esattamente ciò
che ti ho detto, se
l'occasione dovesse rendersi necessaria. Spero davvero che non accada,
ma non
voglio correre il rischio di trovarmi impreparato di fronte a un
potenziale
disastro."
Hildur sospirò
sconfitta, reclinò il capo per
assentire e disse: "Farò ciò che mi dite
ma per favore...
tenete al vostro fianco Yothan! La sua spada vi proteggerà
degnamente, e so che
di lui posso fidarmi a occhi chiusi. Inoltre, vi chiederei di mandare
il vostro
ultimogenito lontano da palazzo, dove potrà essere al sicuro
da attacchi lampo."
"Posso concederti questi favori
senza problemi,
visto che ho già predisposto che il piccolo Grantr sia
inviato dai nonni nella
loro villa al mare" gli sorrise appena Surtr, dandole una pacca sul
braccio. "Ricorda, avrai meno di dieci minuti per poter fare
ciò che di ho
detto. Diversamente, non so cosa potrebbe succedere."
"Spero nulla" mormorò
lei, pur sentendo le
viscere rimescolarsi al solo pensare a quella dannata festa.
***
Tenendo l’ampio ombrello
aperto per entrambi – come
poteva, il tempo, cambiare così in fretta?! –
Sthiggar disse pensieroso: “Sai,
ripensavo a ciò che mi hai detto in merito a Midghardr e al
suo Centro di
Fuoco.”
“Parli della
conformazione del pianeta?” domandò lei,
tenendo sottobraccio il muspell mentre camminavano lungo il marciapiede.
Come promesso, non appena aveva
potuto sganciarsi dal
lavoro in tempo per passare a prenderla, Sthiggar si era presentato
all’università per un nuovo incontro.
Quando però Ragnhild
aveva potuto liberarsi di alcune
ragazze che l’avevano bloccata sull’uscita per un
paio di chiacchiere, aveva
trovato il muspell in compagnia di un paio di sue compagne di corso.
Accigliandosi leggermente, si era
quindi avvicinata
per comprendere cosa diavolo volessero dal suo
muspell ma, non appena si era resa conto di aver formulato
quel pensiero,
era inorridita, bloccandosi a metà di un passo.
In primo luogo, lui non era suo in nessunissimo caso e, in seconda
istanza, Sthiggar non
sarebbe mai andato bene alla sua famiglia anche nella remota,
impossibile
ipotesi che il muspell fosse suo in
quel particolare modo. Non era un
berserkr, era un prigioniero politico proveniente da un altro mondo e,
con
tutta probabilità, entro breve se ne sarebbe andato.
Era totalmente
fuori dalla sua portata … se mai avesse deciso di guardare
da quella parte per quel motivo.
Cosa che ovviamente non
era.
O sì?
A ogni buon conto, per sincerarsi
che il giovane non
dicesse più del necessario, cacciandosi così nei
guai, Ragnhild aveva ripreso a
camminare in tutta fretta, e solo per scoprire che Sthiggar aveva la
situazione
pienamente sotto controllo.
Le sue amiche si erano avvicinate a
lui perché
incuriosite dal fatto che, nelle ultime settimane, Sthiggar si fosse
trovato
spesso a girovagare assieme a Ragnhild per le vie del paese. Il muspell
però, ben
conscio di doversi proteggere dai curiosi, aveva raccontato loro di
essere un
parente in visita da Stoccolma, calmando immediatamente gli animi
iperattivi
delle due studentesse.
Naturalmente, questo non aveva
sedato le loro domande
– né i loro sguardi ammiccanti – e,
quando Ragnhild aveva infine tossicchiato
per rendere evidente la sua presenza, le sue amiche erano sobbalzate,
piene di
imbarazzo.
Ragnhild, allora, aveva salutato
Sthiggar con fare
affabile e confidenziale e, mentre le prime gocce di pioggia avevano
ripreso a
cadere dal cielo, la coppia aveva salutato le ragazze per andarsene
lungo il
marciapiede.
A quel punto, Ragnhild si era
sincerata che le sue
amiche non lo avessero infastidito e Sthiggar, ridendo divertito, aveva
replicato che, se i fastidi avessero sempre avuto quei volti, ben
volentieri si
sarebbe prestato ad accoglierli.
Questo, com’era scontato
che avvenisse – trattandosi
di Ragnhild – aveva innescato una serie di battute in merito
agli uomini senza
controllo e al loro desiderio di fare sesso con qualsiasi donna che si
muovesse.
Sthiggar però non le aveva risposto, nicchiando con malizia
e la giovane, piena
di irritazione, si era chiesta se una delle sue due compagne di corso
avesse
attirato l’attenzione del muspell.
Dopotutto, il pomeriggio passato a
casa di Sthiggar le
aveva fatto pensare che, tra loro, fosse emerso qualcosa di simile a
una
discreta attrazione da parte di entrambi, ma cosa ne sapeva, lei, delle
abitudini sessuali dei muspell?
Non contenta, quindi, Ragnhild
l’aveva accusato di
voler usare quelle ragazze per scoprire se il suo stoppino fosse ancora
in
grado di fare scintille e, a quel punto, Sthigg era scoppiato a ridere
di
gusto.
L’attimo seguente,
però, si era fatto pensieroso e, di
punto in bianco, se n’era uscito con quella teoria
riguardante il centro
rovente della Terra, spiazzando del tutto Ragnhild e chetandola al
tempo stesso.
“Visto e considerato che
il tuo pianeta ha un interno infuocato
e dalle discrete temperature di fusione, potrei cercare di capire se
sono in
grado o meno di sincronizzarmi con esso. Un comune muspell non avrebbe
energia
sufficiente ma, essendo io una Fiamma Viva, potrei anche
farcela.”
“E questo ti aiuterebbe a
non essere sempre gelido come
un ghiacciolo?” gli domandò lei, avvertendo senza
alcun problema la freddezza
del suo corpo, anche attraverso gli abiti che indossava.
Se non avesse saputo che era vivo e
vegeto, avrebbe
detto di trovarsi accanto a un cadavere.
“Non me ne
parlare… tra un po’ infilerò nelle
tasche
uno di quegli affari che servono per chetare i reumatismi”
brontolò Sthiggar,
rabbrividendo quando una folata di vento li investì assieme
alla pioggerellina
che ora stava cadendo dal cielo. “Questo tempo è
davvero terribile. Ma come
fate a sopportarlo?”
“Credo sia
l’abitudine anche se è vero che, con i
cambiamenti climatici in corso, la settimana prossima potremmo anche
avere
trentacinque gradi” asserì lei, sollevando
istintivamente una mano per
sfiorargli la guancia leggermente punteggiata di barba fulva.
“Dio! Sei davvero
congelato! Dobbiamo andare a bere qualcosa di caldo, o cadrai ibernato
da un
momento all’altro.”
“Sarebbe preferibile
evitarlo. Se ti cadessi addosso,
ti ammazzerei” esalò lui, scrutandola
dall’alto al basso prima di scuotere la
testa.
“Non so se mi
ammazzeresti ma, di sicuro, mi faresti
male” ammise Ragnhild, sospingendolo verso un localino poco
distante.
Non appena entrarono, il tepore
della stanza rinfrancò
immediatamente Sthiggar che, con un sospiro di sollievo,
sistemò l’ombrello nel
suo apposito contenitore per poi seguire la giovane a un tavolo
riparato da un
separé.
Lì, Ragnhild
ordinò cioccolata calda per entrambi e un
paio di fette di torta alle more dopodiché, con fare da
cospiratore, domandò:
“Esattamente, come ti proponi di scoprire se la cosa
può funzionare o meno?”
“Pensavo di tornare nel
luogo in cui ho combattuto. Mi
sembrava abbastanza isolato da non dovermi preoccupare di eventuali
curiosi, e
poi potrei tentare un collegamento con le energie del
pianeta” le spiegò lui
prima di azzittirsi quando una cameriera consegnò loro le
torte, promettendo
loro l’arrivo immantinente delle cioccolate.
Ciò detto, la ragazza
strizzò l’occhio a Ragnhild prima
di allontanarsi con andatura ancheggiante e Sthiggar, curioso, le
domandò: “Vi
conoscete?”
“Fa parte del clan. Si
chiama Ludmilla” gli spiegò
velocemente lei. “Con tutta probabilità, entro
stasera il branco saprà che ero
qui con te.”
“Ed è un
problema?” domandò lui, dubbioso.
“Finché non mi
metteranno un guinzaglio al collo, no”
borbottò sprezzante Ragnhild, azzittendosi quando Ludmilla
portò loro le
cioccolate calde.
“Spero siano di vostro
gradimento” mormorò la giovane,
lanciando un’occhiata penetrante a Sthiggar per poi tornare
al bancone, in
attesa di altre commesse.
“Sbaglio, o quello era
uno sguardo ‘da cattura’?”
le chiese Sthiggar,
inspirando con piacere il gradevole profumo proveniente dalla tazza.
“Uhm,
sembra ottima.”
“Se non hai mai
assaggiato nulla come la cioccolata,
allora preparati. E’ droga pura”
ironizzò lei prima di ammettere: “Quanto alla
tua domanda… beh, in un certo qual modo, sì, era
un incoraggiamento a farsi
avanti. Visto che sei stato il mio Campione, e hai
vinto, la legge prevede che tu possa divertirti
con un membro del clan a tua scelta.”
A Sthiggar andò quasi di
traverso la cioccolata e,
fissandola con occhi smarriti, esalò:
“Ma… ma
che dici?”
“E’ la
verità. Te l’ho detto, no, che nel mio branco
vigono ancora le vecchie regole?” sbuffò Ragnhild,
ingollando un po’ di
cioccolata senza veramente sentirne il sapore. A ben vedere, era amara
come
fiele.
“Scusa, fammi capire.
Cos’è, una sorta di premio?”
gorgogliò Sthiggar con occhi sgranati e increduli.
“Già.
E’ il ringraziamento del clan per aver ben
servito un suo membro di alto rango, quale io sono”
sospirò Ragnhild, tirando
fuori la verità a spizzichi e bocconi.
Sthiggar tornò a
scrutare la cioccolata con occhi
improvvisamente serissimi e, senza più dire nulla,
mangiò educatamente la torta
e terminò la sua bevanda calda. Estratte quindi due
banconote per pagare, si
recò al bancone e salutò con un cenno la
cameriera sorridente, seguito subito dopo
da una spiacente Ragnhild.
La pioggia aveva nuovamente smesso
di cadere ma, a
giudicare dalla faccia ombrosa di Sthiggar, il temporale doveva essersi
spostato nel bel mezzo del suo cervello, e Ragnhild aveva paura di
scoprire
quale fulmine sarebbe caduto sulla sua testa.
Quasi senza accorgersene, il
giovane muspell finì con
il giungere dinanzi a casa propria e Ragnhild, continuando a pedinarlo
in
silenzio, salì le scale assieme a lui, ritrovandosi a
fissare l’entrata di casa
con sentimenti contrastanti nell’animo.
Dopo un attimo di tentennamento,
però, lo seguì anche dentro
l’abitazione.
Non avendo il coraggio di lasciarlo
solo, dopo aver
sganciato una simile bomba, si chiuse infine la porta alle spalle e
attese di
scoprire cosa, il muspell, stesse rimuginando con tanta determinazione.
Non dubitava che Sthiggar glielo
avrebbe detto.
Dopotutto, lui non mentiva mai.
Fu solo dopo diversi minuti di
assoluto silenzio che
Sthiggar sbottò, esclamando: “Forse,
era una cosa che avrei dovuto sapere prima!”
Già… ma come
dirgli che il padre le aveva ricordato
che lei, al contrario degli altri
membri del branco, non avrebbe mai potuto essere il pegno per Sthiggar,
e
proprio perché era stato il suo Campione?
Come dirgli che il padre si era
raccomandato di fargli
notare che, solo in questo caso, e solo per una volta, lui avrebbe
potuto
toccare un membro del suo clan?
Come
dirgli
che il padre lo riteneva poco più che una creatura
fastidiosa ma che, a causa di vecchi accordi millenari tra muspell e
berserkir,
doveva sopportare?
Sthiggar, però, meritava
la verità, meritava che lei
si comportasse onestamente poiché ormai sapeva che, tutto il
resto, sarebbe
stato come pugnalarlo alle spalle.
Presolo per mano,
perciò, lo condusse fino al divano
e, dopo averlo spinto a sedersi, prese per sé una sedia e vi
si sedette per
poterglisi piazzare dinanzi, quindi asserì fiacca:
“Mio padre è il capoclan,
perciò per me la legge vale ancor più che per gli
altri membri del branco e io,
all’interno del clan, sono… sono solo una merce di
scambio, un jolly da usare
per alleanze e intimidazioni.”
Il giovane sobbalzò,
calmandosi immediatamente a
quelle parole e, accigliandosi vistosamente, borbottò:
“Che intendi dire?”
“Ho potuto usufruire
della legge del Campione solo
questa volta. Se un altro uomo appartenente al clan – e di
stimato grado
sociale – si interessasse a me, sarei costretta ad accettare
le sue attenzioni…
e la mia mano sarebbe sua”
sospirò
Ragnhild reclinando il capo in avanti per nascondere il viso tra le
mani.
“Ragnhild…”
mormorò Sthiggar, stringendo le dita sulle
ginocchia, il desiderio di proteggerla reso ancor più forte
dal suo stato di
prostrazione.
“Quando…
quando sono rientrata dopo il combattimento e
ho spiegato a mio padre quel che aveva fatto Ludvig, lui non ha battuto
ciglio.
Non gli interessava che io potessi finire con un uomo violento, o
disinteressato alle regole di condotta durante le ordalie. Era solo
preoccupato
che io fossi … fossi
ancora illibata e pronta per
accogliere il
prossimo uomo che mi avesse voluta per sé!”
Nel dirlo, risollevò lo
sguardo, gli occhi colmi di
lacrime che mai avrebbe versato e Sthiggar, stringendo i pugni,
esalò: “Non può
davvero volere questo, da te. Non sei una fattrice!”
“Lo sono”
replicò lei con tragica semplicità.
“No”
ribadì Sthiggar, ora nero in volto.
Sorridendo mesta, Ragnhild
mormorò: “Servo solo a
protrarre la specie, a figliare il più possibile e a essere
una moglie fedele.”
Sthiggar scosse il capo, incredulo
e disgustato e
Ragnhild, lasciandosi scivolare contro la sedia, domandò:
“Allora, come ti
sembra la mia verità?”
“Orribile”
sentenziò lui, afferrando d’istinto una
delle mani di Ragnhild per portarsela al petto.
Questo costrinse la giovane ad
avvicinarsi
pericolosamente a lui e, per un istante, fu tentata di chiedergli di
lanciare
tutto alle ortiche e renderla non
più
pura.
L’istante seguente,
però, si diede dell’idiota e
preferì tacere. Non si faceva sesso per motivi
così puerili, o almeno lei la
pensava così. Inoltre, era dell’idea che sarebbe
stato un terribile errore,
usare Sthiggar a quel modo.
“Come può
vederti come un oggetto?” mormorò straziato
Sthiggar, incredulo.
“Perché la
cosa ti turba tanto, Sthiggar?” gli domandò
per contro lei, un po’ sorpresa da quella reazione
così violenta.
Passandosi una mano tra i capelli
con fare nervoso,
lui disse con totale, disarmante sincerità: “Trovo
ignobile che un padre si comporti a
questo modo con la propria
figlia, che dovrebbe invece venerare e proteggere.”
Sorridendo appena, Ragnhild allora
mormorò: “Sono
parole molto belle.”
“Mio padre avrebbe tanto
voluto che io avessi una
sorella e, non ha caso, ha sempre avuto un rapporto speciale con mia
cugina
Hildur. Lei nacque seicento anni prima di me e, dopo la morte di mia
madre,
Hildur cercò di essere questo, per me. Mi
consolò, mi strappò agli incubi e,
ogni qualvolta io mi cacciavo nei guai, lei era lì per
risolverli. Come potrei
anche solo pensare che una persona simile possa essere trattata come
sei stata
trattata tu?”
L’abbraccio le venne
naturale.
Ragnhild si lasciò
scivolare dalla sedia per
avvolgergli le braccia attorno al collo e Sthiggar la strinse a
sé gentilmente,
avvertendo tutto il suo bisogno di essere accettata, compresa e
sì, amata per quello che
era.
“Poiché
viviamo così a lungo, la nostra capacità
riproduttiva è molto scarsa, o il pianeta sarebbe
già sovrappopolato da tempo…
perciò, ogni bambino è
sacro, e la
vita di ognuno di loro viene portata in palmo di mano da ogni abitante
di
Muspellheimr, sia esso o meno figlio proprio. Per
questo trovo inaccettabile ciò che ti stanno
facendo.”
Accentuando l’abbraccio
al suono di quelle parole così
accorate, Ragnhild ammise con tono desolato:
“Potrò parlare con te, vedermi con
te, solo finché sarò libera.
Dopodiché, sarò relegata nel mio ruolo di moglie
e
madre e, del mondo, io non vedrò più nulla. Come
vedi, noi non siamo così
protettivi, invece.”
Quell’ultima bordata lo
fece irrigidire e, dentro di
sé, Sthiggar avvertì prepotente il desiderio di
uccidere l’uomo che voleva
costringerla a un simile futuro privo di prospettive.
Com’era anche solo
immaginabile che suo padre
desiderasse questo, per la figlia?
“Perché i
berserkir fanno questo alle loro figlie?”
ringhiò lui, continuando a stringerla a sé, il
cuore di Ragnhild che pompava
furioso al pari del proprio.
“Non tutti. Ogni clan ha
le sue regole e, purtroppo,
il nostro statuto è assai antiquato”
sospirò lei, scostandosi da Sthiggar per
mettersi a sedere accanto al giovane. “Sarà per
questo che mio padre non
gradisce i rapporti con gli altri clan. Potremmo scoprire che, altrove,
si vive
meglio.”
“Affronterò
tuo padre e gli farò cambiare idea. Sono
il tuo Campione, no?” gli propose allora Sthiggar, speranzoso.
Lei gli tributò uno dei
suoi rari sorrisi ma, nello
scuotere il capo, disse: “Non funziona così.
Nessuno può sfidare il capoclan, a
meno di non voler scatenare una rappresaglia. Ci si deve adeguare e
chinare la
testa, altrimenti si viene banditi e nessun altro branco può
prenderti con sé.
La pena sarebbe una guerra intestina tra clan, e nessuno lo vuole
davvero.
Potresti chiedere un’Ordalia per il predominio solo se tu
fossi un berserkr, e
fossi certo di sconfiggerlo in duello.”
“Non è
giusto” sospirò a quel punto Sthigg.
“Posso approfittare
ancora una volta del tuo
abbraccio?” domandò allora lei, sentendosi al
sicuro da un’implosione solo
entro il raggio delle sue braccia.
Era quasi certa che, se si fosse
allontanata, sarebbe
sicuramente caduta a pezzi.
“Come ti ho detto, puoi
prendere la mia forza ogni
volta che ti serve” le sorrise lui, allargando un braccio per
accoglierla nuovamente
accanto a sé.
Ragnhild non si fece pregare e,
lasciandosi stringere
da quel braccio così forte, dimenticò subito le
sue paure, le sue ansie e
assaporò il calore del suo corpo e…
Calore?
Sbattendo le palpebre per la
sorpresa, Ragnhild si
rialzò di colpo per guardarlo dubbiosa e, senza chiedere il
permesso, gli sollevò
il maglione per tastargli lo stomaco piatto.
Ridacchiando divertito, Sthiggar a
quel punto esalò:
“Ti è venuta un’improvvisa voglia di
spogliarmi?”
Ignorandolo, Ragnhild
tastò la sua pelle liscia e
glabra, avvertendo un leggero tepore non previsto e, nel tornare a
guardare gli
occhi ridenti di Sthiggar, esalò: “Sei
caldo!”
Il muspell sobbalzò
leggermente, a quelle parole e,
nel muovere a sua volta le mani sul proprio grembo,
gorgogliò: “Merda! E’
vero!”
Guardandolo piena di eccitazione e
speranza, Ragnhild
si portò le mani alla bocca per soffocare uno strillo ed
esclamò: “Puoi usare
l’aura?”
Sthiggar fece per parlare ma, sotto
la sua mano,
l’addome tornò a essere freddo come il ghiaccio
perciò, vagamente piccato,
tornò a guardarsi con fare burbero, borbottando:
“Questa è una presa in giro.”
Dubbiosa, Ragnhild tastò
a sua volta con un dito e,
sbuffando, grugnì: “Cazzo. Speravo fossi riuscito
nel miracolo.”
L’istante successivo,
facendosi maliziosa, lo guardò
dal basso all’alto e mormorò: “Magari,
se spingessi la mano più in basso,
tornerebbe la fiamma. Ti pare?”
Sthiggar rise per diretta
conseguenza, strappando la
mano della ragazza dal proprio addome piatto per sollevarla in alto e
Ragnhild,
ridendo con lui, esclamò: “Oh, andiamo! Sarebbe un
esperimento scientifico! Non
vorresti essere la mia cavia sacrificale?”
“Sono stato il tuo
Campione, e tanto mi è bastato”
replicò lui, cercando di evitare che il continuo
divincolarsi di Ragnhild li
facesse cadere entrambi dal divano.
“Non sei affatto
coraggioso, Sthiggar” lo prese in
giro lei, strillando l’istante successivo quando le gambe del
muspell la
bloccarono al pari di una morsa. “No, dai!”
Sthigg rise, rise sempre
più forte, la costrinse a
sdraiarsi sul divano dopodiché, deponendo se stesso sopra di
lei, chiuse gli
occhi, poggiò la fronte contro la sua spalla e
sentenziò: “Buonanotte.”
Completamente schiacciata dal suo
peso non
indifferente, Ragnhild tossicchiò per prendere aria e, nel
tamburellare i pugni
sulla sua schiena, bofonchiò: “Così
è barare. E poi non ti ho detto che potevi
toccarmi a questo modo.”
“Ci
stiamo
toccando, è reciproco”
precisò lui, ghignando al suo indirizzo non appena
ebbe risollevato il viso per guardarla. “Ed è un
ottimo sistema per tenerti
ferma.”
“E sentire le mie tette
contro il tuo petto” bofonchiò
Ragnhild, accigliandosi.
“Non esaltarti. Ho tenuto
tra le mani seni più
floridi” la prese in giro lui, ricevendo per diretta
conseguenza un pizzicotto
sul sedere. “Ahia!”
“Questo è per
i seni
poco floridi” bofonchiò lei,
indispettita.
“Non
ho detto
poco floridi. Ho detto che ne ho toccati di più grandi. Sono
cose ben diverse”
sottolineò lui, tornando serio e scrutandola negli occhi da
quella posizione
privilegiata.
Lei si tranquillizzò
nonostante la posizione piuttosto
compromettente, gli carezzò le onde ramate con gesti
delicati e mormorò con
tono più dolce: “Quindi, i miei come
sono?”
“Giusti per te”
sussurrò lui, chinandosi sulla sua
bocca dopo un istante di esitazione.
Le loro labbra si trovarono a
metà strada,
conoscendosi, esplorandosi, cercando nel contatto l’una
dell’altra le risposte
a ciò che stava accadendo tra di loro.
Ragnhild mugolò,
muovendo le mani per sollevare la
maglia di Sthiggar e carezzare la sua pelle morbida e, come in
precedenza, la
sentì calda al tatto, ora quasi febbricitante.
Stavolta, però, non
interruppe il contatto, desiderò
di più e il giovane, scendendo sul suo collo per baciarla
delicatamente,
mormorò contrariato: “Devo fermarmi.”
“Non ancora”
ansimò Ragnhild, artigliando le dita sulla
sua carne, che ora sembrava andare a fuoco sotto le sue dita vogliose.
Non potendo più evitare
di nascondere l’ovvio, però,
la giovane esalò un attimo dopo: “La tua pelle,
Sthigg…”
Lui non la ascoltò, si
sollevò con potente agilità
trascinandola sul grembo e, solo in quel momento, si rese conto di
ciò che
stava accadendo al proprio corpo.
La pelle era rilucente, tonica, del
giusto colore e, nel bloccarsi di
colpo
per scrutare le proprie mani, esalò: “Ma
come…?”
Lei gli diede un bacio con lo
schiocco non appena si
avvide del suo stupore, scese a malincuore da quel corpo che cominciava
a
bramare come l’aria stessa e, nel sospirare, disse:
“Prima di tutto, dobbiamo
scoprire cosa ti succede, e perché succede con
me.”
“Ne sei certa?”
“Sì”
annuì lei. “Per quanto io desideri approfondire tutto questo, voglio prima di tutto che
tu scopra cosa sta accadendo. E’ della tua salute che stiamo
parlando.”
Sthiggar si levò con
sorprendente agilità, le sfiorò
il collo e i capelli con una mano e, sorridendo sghembo,
mormorò: “Solo tu, a
quanto pare, sei in grado di svuotarmi il cervello. Qualcosa ci deve
essere
davvero.”
“Neanche ora stavi
pensando a casa?” domandò lei.
“Pensavo a te”
si limitò a dire Sthiggar.
A Ragnhild non servì
sapere altro.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Cap. 13
Il corpo sinuoso e slanciato di
Ragnhild era sopra di
lui mentre le mani della giovane, delicate e maliziose, scendevano
verso la
cinta per liberare la sua virilità, ormai pronta per
prenderla come desiderava.
Le loro labbra si trovarono
istintivamente mentre in
un unico, fluido movimento, lui la faceva sua, muovendosi all'unisono
in
un'antica danza universale, che né le distanze,
né le differenze tra i loro
mondi, potevano mutare.
Fu a quel punto che Sthiggar le
carezzò il viso,
sorrise alla sua amante e... cadde rovinosamente dal letto,
svegliandosi di
colpo e mandando all'aria lenzuola e cuscino.
Scuotendo furiosamente il capo per
la sorpresa,
Sthiggar si guardò intorno pieno di confusione e, non
trovando affatto Ragnhild
nella stanza, iniziò a comprendere cosa fosse successo.
Ciò che era avvenuto la
sera precedente, il gioco
scherzoso nato per tranquillizzarla, ma che poi era sfociato in un
bacio tutt'altro che
tranquillizzante, lo aveva portato a questo. A un sogno erotico
che nulla aveva
di scherzoso ma che implicava ripercussioni non da poco.
Non tanto perché fosse
strano che lui sognasse di fare
sesso - in gioventù, erano stati sogni ricorrenti e, non di
rado, gli era
capitato anche durante l’apprendistato - quanto
perché, per la prima
volta, la donna al suo fianco aveva avuto un volto.
Un volto che lui conosceva. Un
volto che lui
apprezzava, e della cui persona provava un grande rispetto.
Passandosi le mani sul viso umido
di sudore, Sthiggar
si rimise in piedi per poi sistemare le coltri del letto terribilmente
disfatte
e, ancora, ricordi del sogno appena spezzato gli tornarono alla mente,
irrigidendolo, pieno di un desiderio non espresso.
"Che diavolo..." mormorò
lui, lasciandosi
cadere a sedere sul letto, l'aria smarrita e confusa. "Non posso
pensare a
lei in questo modo!"
Difficile a farsi, visto che la
sola presenza di
Ragnhild era in grado di cancellare ogni altro pensiero.
Per quanto la sua lingua tagliente,
a volte, lo avesse
trafitto, sentirla parlare era divenuto, in breve tempo, un placebo per
tutti i
suoi dolori, per le sue preoccupazioni e, ben presto, la vita di lei
aveva
iniziato a interessargli più della
propria.
Lasciare che si sfogasse con lui,
permetterle di
mettere a voce i suoi disagi e, per contro, tentare di aiutarla a
cancellare la
pena che si portava dietro, era divenuta per Sthiggar una ragione
sempre più
incombente per vederla.
Sul lavoro, aveva deciso di
presentarsi a orari sempre
più antelucani, così da terminare quanto prima le
incombenze sottopostegli da
Gunther. A quel modo era riuscito a trovarsi sempre più
spesso all'uscita
dell'università, in tempo per vederla.
Inconsciamente, si era detto di
voler conoscere il
maggior numero di informazioni per mere ragioni statistiche,
perché così era
stato addestrato a fare ma, a ogni nuovo incontro, si era ritrovato a
parlare di lei, non del mondo su cui era
stato confinato.
Al tempo stesso, Sthiggar le aveva
parlato di sé
perché lei arrivasse a
conoscerlo, a
fidarsi di lui, ad aprirsi in totale libertà ...
finché non si era lasciato
andare a quel bacio.
Quel bacio aveva cambiato le carte
in tavola, le aveva
decisamente sparigliate, mettendogli
di fronte una verità che aveva deciso di non vedere,
contrariamente a quanto
faceva di solito.
Tutto ciò,
perché?
"Perché io non
rimarrò qui" mormorò tra sé
Sthiggar, passandosi le mani sul volto per la frustrazione.
Per quanto trovasse attraente quel
luogo, per quanto
la compagnia di Ragnhild stesse in fretta diventando importante, per
lui, non
sarebbe comunque rimasto per poterla approfondire come desiderava.
Inoltre, se lei era disposta a
cedere agli ordini del
padre ed evitare l'esilio, sarebbe ben presto diventata la sposa di
qualcuno.
Levandosi in piedi, pieno di
frustrazione e rabbia,
aprì le imposte per osservare il cielo sgombro di nubi e il
sole basso
sull'orizzonte ma, per una volta, non badò all'aria
frizzante della mattina.
Ristette in piedi dinanzi alla
finestra, il torace
nudo esposto alla brezza, cercando di fare chiarezza in se stesso
così da non
rovinare ciò che era accaduto con Ragnhild.
Non voleva in alcun modo che le sue
pulsioni la
portassero ad allontanarsi, né desiderava rimanere
invischiato in qualcosa che
li avrebbe portati a soffrire più del necessario, una volta
che si fossero
detti addio.
Ragnhild doveva in ogni caso
rimanere un'amica, o
sarebbe stato un disastro su entrambi i fronti.
"Facile a dirsi"
borbottò tra sé subito dopo
aver formulato quel pensiero, chiudendo infine le finestre per gettarsi
sotto
una doccia calda e, sperò, rinvigorente.
Una volta che l'avesse vista, si
sarebbe scusato con
lei per il suo comportamento indecente e avrebbe tentato di mantenere
il tutto
entro i confini dell'amicizia più pura. Ammesso e non
concesso che il suo cuore
glielo permettesse.
Il solo pensare a Ragnhild come a
una donna da
sfiorare solo con lo sguardo, lo faceva stare male perché lui desiderava che
lo abbracciasse, che si sentisse al sicuro entro il cerchio delle sue
braccia... che lo baciasse.
"Cazzo... sono nei guai fino al
collo"
borbottò Sthiggar, lasciandosi andare sotto il soffione
della doccia.
L'acqua bollente lo
colpì in pieno e, nel ripensare a
come il tocco della giovane avesse risvegliato la sua aura, si
sentì ancora
peggio.
Il pensiero delle sue dita
sull'addome, il
risvegliarsi dell'aura dentro di lui che, come un'arpa, aveva cercato
le sue
mani per essere pizzicata con maestria, lo facevano sentire debole e
spaesato.
E per nulla pronto ad affrontare un
simile compito.
Tenere a freno i suoi istinti che, primordiali, lo spingevano verso di
lei, gli
sembrava un’impresa già persa in partenza.
Poggiando la fronte contro la
parete piastrellata
della doccia, Sthiggar borbottò: "Se Hildur sapesse che mi
sto comportando
come un ragazzino alla sua prima cotta, mi prenderebbe in giro a vita."
Ma tant'era. Non c'era solo il
desiderio fisico, a
spingerlo, o l'esigenza di sapere se Ragnhild fosse davvero in grado di
guidare
la sua aura a galla.
Desiderava rivederla,
stare con lei. Punto.
Peccato fosse un punto grande
quanto una montagna, e di difficile risoluzione.
***
Passa a prendere Mattias, per
favore. Ha detto di
voler partecipare al nostro esperimento.
Sthiggar aveva trovato questo
messaggio, sul suo
smartphone, quando era rientrato dalla pausa per il pranzo
perciò, dopo aver
terminato di lavorare sotto la supervisione di Gunther, era uscito
dall'imbarcadero per dirigersi verso l'abitazione di Ragnhild.
Avendola vista un paio di volte,
rammentava la
posizione della sua casa, quindi non gli fu difficile raggiungerla.
Quel che lo
preoccupava era, però, l'accoglienza che avrebbe ricevuto al
suo arrivo.
Ragnhild era stata chiara. Per i
berserkir, lui era
solo una distrazione, un giocattolo per passare il tempo, ma niente
affatto un
uomo a cui dare un certo tipo di confidenza.
Quell'uscita, quindi, come sarebbe
stata interpretata
visto che, di fatto, poteva apparire come una gita fuori porta o,
peggio
ancora, un appuntamento?
Quando suonò il
campanello, perciò, si tenne pronto
per qualsiasi evenienza ma, quando vide Mattias alla porta, tutto
allegro e
pimpante, ben deciso a invitarlo a entrare, si domandò se
non avesse mal
interpretato le parole di Ragnhild.
Un poco più rilassato,
oltrepassò il piccolo giardino
fino a raggiungere la porta d'ingresso e, dopo essere entrato, se la
chiuse
alle spalle trovandosi davanti una figura di donna in sedia a rotelle.
Mattias, al fianco della donna che,
per colori e
tratti del viso, somigliava molto al figlio, disse con un sorriso: "Ti
presento la mamma. Si chiama Ingrid. Mamma, lui è Sthiggar,
il guerriero di cui
ti ho parlato."
"Spero tu sia stato generoso, nel
descrivermi" sorrise appena Sthiggar prima di esibirsi in un leggero e
formale inchino e aggiungere: "Sono lieto di fare la vostra
conoscenza."
La donna assentì
recisamente dopodiché gli porse un
foglio mentre Mattias, scusandosi, asseriva con tono vagamente
contrito:
"La mamma non può parlare, ma vorrebbe porti alcune domande,
se non è un
problema."
"Affatto. Sono ospite, ed
è cortesia rispondere
alla padrona di casa" replicò con candore lui cercando di
essere il più
possibile accomodante, sperando nel contempo che non vi fossero domande
troppo
specifiche, o a cui sarebbe stato difficile rispondere… o
mentire.
Dopo averle scorse con lo sguardo,
e averne trovata
una davvero singolare, Sthiggar iniziò col dire: "Ho
accettato di essere
il Campione di vostra figlia perché, tra i miei compiti di
soldato, vi è quello
di aiutare le persone in difficoltà. Inoltre, vostra figlia
mi ha offerto aiuto
per comprendere meglio il luogo in cui mi trovo, quindi ha ripagato
egregiamente il favore che le ho fatto."
La donna annuì, lo
sguardo color smeraldo
imperscrutabile e che nulla aveva a che vedere con gli occhi piedi di
fuoco e
di vita della figlia.
Non avendo conosciuto il padre di
Ranghild, non poteva
sapere se lei somigliasse al genitore, ma Sthiggar non riusciva a
trovare
nulla, della ragazza, sul viso freddo e rigido di quella donna.
Né di Mattias, se era
per questo. Tolti i colori di
occhi e capelli, non sembravano neppure parenti.
"Sono qui per la mia stessa
protezione poiché, su
Muspellheimr, ci sono dei problemi che devono essere risolti tenendo me
fuori
dall'equazione. Non posso dirvi di più perché, in
tutta onestà, quando sono
partito non sapevo molto più di questo" ciò
detto, aggiunse: "In
merito a un potenziale pericolo per voi, non ve n'è alcuno,
perché non
rientrate nel novero dei nemici dei nostri eventuali avversari. Siete,
scusate
il termine, poco pericolosi, perciò inutili ai fini di
un'eventuale
disputa."
Ingrid storse appena il naso, a
quel commento, e
Sthiggar si scusò ancora. Era difficile spiegare come,
guerrieri come i
berserkir, pur se potenti e quasi invincibili su Midghardr, fossero
potenziali
pedine inermi, su altri mondi.
"La quarta domanda
è molto specifica e
non so se..." tentennò Sthiggar nel leggere il foglio
vergato dalla donna,
guardando poi dubbioso Mattias, che però
ridacchiò e scosse una mano per
chetare i suoi timori.
"Le ho lette tutte, prima. Parla
pure... sono
curioso anch'io" ironizzò il ragazzino, fissandolo con i
suoi furbi occhi
color smeraldo.
Sthiggar, allora, si
schiarì la voce e ammise:
"Non... non ho approfittato del
vostro gentile premio
perché non lo ritenevo necessario. Il ruolo di insegnante
che sta svolgendo
vostra figlia è pegno sufficiente, credetemi. Posso solo
dire che il vostro
clan è fortunato ad avere simili bellezze al suo interno, e
che ben poche donne
muspell potrebbero vantare una bellezza altrettanto delicata."
Ingrid sollevò un
sopracciglio, a quell'ultima parola
e Mattias, nel notare il movimento rapido delle mani della madre,
disse:
"Vuole sapere cosa intendi per 'delicata'.”
"La carnagione delle nostre donne
è simile alle
genti umane che abitano la zona del Magreb o del Medio Oriente, per
citare un
esempio a voi comprensibile. La mia, se fossi in forze, sarebbe
sicuramente più
salubre e color del bronzo..." le descrisse Sthiggar con un leggero
sospiro. "...per cui, pelli chiare come le vostre sarebbero viste come
delicate e sopraffine, e perciò assai preziose e ambite.
Conosco donne muspell
che spendono fior di soldi per acquistare trattamenti sbiancanti su
Elfheimr,
pur di ottenere qualcosa di neppure paragonabile al colore della vostra
pelle.
Io ritengo sia assurdo, perché le donne muspell sono
già affascinanti così, ma
sono solo un uomo e non mi addentro a comprendere simili misteri."
Forse ritenendosi soddisfatta,
Ingrid annuì e Sthigg,
nel rispondere all'ultima domanda, dichiarò: "Proteggerei
Mattias con la
mia stessa vita. I bambini sono il bene più prezioso, su
Muspellheimr, e io lo
tratterei alla stregua di un fratello. Non dovete temere che sia in
pericolo,
insieme a me. Il mio braccio e la mia forza sono suoi."
"Fico! Ci pensi, mamma? Ho un
guerriero
personale" sorrise eccitato Mattias, dandole un bacetto sulla guancia.
Lei assentì,
carezzandogli una guancia e sorridendo di
rimando ma Sthiggar, dentro di sé, si chiese perché, tra
le
domande a lui fatte, la donna non avesse mai menzionato Ragnhild.
Forse,
dopotutto, le parole della giovane in merito alla madre non erano state
neppure
troppo dure.
C'era qualcosa di molto peggio del
disinteresse nei
confronti della figlia, nello sguardo venerante con cui la donna stava
osservando il secondogenito. Non aveva chiesto
di proteggere
entrambi i figli, ma solo Mattias, per cui Ragnhild non contava nulla, per lei.
Ragnhild era soltanto una pedina,
buona solo come uno
strumento e, all’occorrenza, scartata perché
inutile, perciò non aveva bisogno
di essere difesa. Mattias, al contrario, era raro e prezioso, e andava
portato
in palmo di mano.
Il desiderio di aggiungere altro fu
forte ma, ben
conscio di non dover rovinare l'immagine che sperava di aver creato
nella mente
della donna, rimase in religioso silenzio. Solo quando fu fuori di casa
assieme
a Mattias, si permise di prendere un sospiro di sollievo.
Nel notarlo, il ragazzino
mormorò spiacente:
"Scusa. La mamma può essere un po' dura, quando ci si mette."
"Non temere. Ho affrontato di
peggio"
replicò lui, poggiandogli una mano sulla spalla e sorridendo
a mezzo.
"Sarebbe carino se, ogni tanto, si
preoccupasse
anche di Raggie, ma non lo fa mai e io ci rimango male"
sospirò allora
Mattias, sorprendendo un poco Sthiggar. "Non metto becco nelle cose dei
grandi, perché so che sarebbero indulgenti con me, e mi
direbbero delle bugie
per blandirmi, però..."
...non blandirmi...
Anche Ragnhild l'aveva pregato di
non farlo, forse
memore di ciò che i genitori avevano sempre fatto con il
fratello e forse, anni
addietro, con lei, per evitare che la figlia dall'animo ribelle potesse
causare
loro disagi o imbarazzi.
"...però, vorresti che
ti dessero ascolto"
disse per lui Sthiggar, vedendolo annuire. "Credimi, le cose dei grandi
sono incasinate e folli, a volte. Capisco la sensazione di disagio che
provi."
"Non dirlo a Raggie,
però, ti prego. Non voglio
che sappia che mi preoccupo per lei. Ha già così
tante cose a cui pensare!"
lo pregò a quel punto Mattias, intrecciando penitente le
mani.
Inclinando il capo a guardarlo, lui
replicò: "E'
difficile che io dica una bugia ma, se non entreremo mai in argomento,
io di
certo non glielo dirò."
"Grazie" gli sorrise speranzoso il
ragazzino,
prendendolo fiducioso per mano.
"Urd che dice, della situazione?"
si informò
a quel punto, sentendosi a proprio agio con quel ragazzino dalla
personalità
così matura.
"In merito a te, ha detto che ti
aiuterà a
sintonizzarti col pianeta. Quando a Ragnhild... vorrebbe dire due
paroline ai
miei genitori, ma preferisco che non lo faccia. Ho il terrore che, se
si
immischiasse, le cose peggiorerebbero e a pagarne le conseguenze
sarebbe solo
mia sorella" sospirò Mattias.
Istintivamente, Sthiggar si
irrigidì e il ragazzino,
nel notarlo, mormorò con un sorriso: "Ci tieni, a lei?"
"Sì" disse soltanto lui,
ottenendo in
risposta un sorriso tutto fossette, che tanto gli ricordò
quello di Ragnhild.
"Bene" assentì Mattias,
iniziando a
saltellare al suo fianco, la mano ancora ben stretta in quella di
Sthiggar.
Il giovane muspell sorrise e,
dentro di sé, sentì come
sempre la mancanza di un fratellino. Probabilmente, se fossero stati in
due,
non si sarebbe cacciato in tutti quei guai.
***
Fermi su una panchina in attesa che
Ragnhild
terminasse la sua lezione di tecnologia, Sthiggar sorrise a mezzo
quando vide
comparire la figura di Boris.
Come tutti i berserkir aveva un
fisico possente e
un’altezza importante e, da quel poco che poteva comprendere
dal comportamento
delle donne, doveva essere anche abbastanza piacente da attirare
sguardi
interessati da parte del sesso femminile.
Con un cenno di saluto,
l’alto berserkr si accomodò
accanto a Mattias, gli passò un involto e, dopo aver
ammiccato all’indirizzo di
Sthiggar, celiò: “Allora? Non hai ancora dato
fuoco al tuo stoppino?”
Sthigg sospirò
– ma erano proprio fissati
con quella faccenda dello stoppino! – e disse atono:
“Tu e
tua cugina siete a schema fisso. E poi, sono discorsi da tenersi
dinanzi a un
ragazzino?”
Mattias ghignò divertito
mentre controllava ciò che
gli aveva portato il cugino e Boris, per tutta risposta,
replicò: “Matt ha
visto e sentito di peggio, durante le riunioni del clan. Noi berserkir
siamo un
po’ chiassosi, quando discutiamo, e neanche tanto educati, a
volte.”
Sthiggar scosse il capo, sorridendo
a mezzo di fronte
all’assoluto candore di Boris e, nel fissarlo curioso,
domandò: “Sei qui per un
motivo, o dovevi solo consegnare di nascosto dei dolciumi a
Mattias?”
Il ragazzino sollevò
godurioso una barretta di KitKat
e, nello scartarla, ammise: “Mamma non vuole che io li mangi
perché non li
reputa cibi adatti al possessore di un’anima come la mia ma,
in tutta onestà,
piacciono anche a Urd, per cui…”
“Come fai a dire di no a
un simile angioletto?” ironizzò
quindi Boris, dando una pacca sulla testa del cugino.
“Per me non ci sono
problemi. Ho patito così tanta
fame, durante uno dei miei tanti addestramenti, che pensare di privare
qualcuno
del cibo, di qualsiasi cibo, mi
farebbe rabbrividire” ammise Sthiggar, rammentando
più che bene quando, durante
una marcia nel deserto, avevano perso l’orientamento
trovandosi ben oltre i limiti
conosciuti dei
territori fin lì esplorati.
Raggiungere il primo avamposto
muspell disponibile li
aveva quasi uccisi, e anche Yothan aveva convenuto che, per il
successivo
allenamento, avrebbero atteso di recuperare il peso ottimale. Alcuni
suoi
commilitoni avevano utilizzato così tanta aura per
sopravvivere, da essersi
ridotti all’ombra di loro stessi.
Boris allungò le
possenti braccia sulle coscie e, del
tutto serio, asserì: “Non ho mai osato mettere in
discussione l’educazione dei
miei cugini perché, ehi, chi sono io per giudicare? Ma il
fatto di non aver
potuto essere io a proteggere mia cugina dalle mire di Ludvig, mi ha
dato fastidio.”
“Sì, ricordo
che Ragnhild mi ha detto che ai parenti
non è concesso farlo” assentì pensieroso
Sthiggar.
“Infatti. Deve essere per forza un membro esterno alla famiglia
e non facente parte di
clan esterni, perché non devono nascere lotte intestinte tra
berserkir di diversi
branchi, e di certo non per colpa di una donna. Tu hai potuto farlo
perché, nei
trattati, voi muspell qui detenuti siete parte del branco, pur se come
ospiti
esterni, e perciò rientrate nel novero delle persone
controllate dal padre di
Ragnhild” sospirò Boris, con l’accenno
di un sorriso sprezzante. “Inoltre, non
essendo un berserkr e neppure un umano ignaro, hai potuto servirla a
dovere,
come ogni bravo guerriero dovrebbe fare.”
“Gli accordi
interspecie…” mormorò Sthiggar,
annuendo.
“Non ho chiesto molto ma, nella sostanza, non
devo necessariamente obbedire a tutte le
vostre regole ma non devo dare
fastidio a nessuno di voi, visto che noi muspell usufruiamo della
vostra
cittadina come si farebbe per una prigione.”
“Precisamente”
annuì debolmente Boris. “Siete ospidi
sgraditi, ma fruttate bei soldi al clan, perciò…
come lamentarsi? Personalmente,
avrei voluto spaccare la faccia a Ludvig per il solo fatto di aver
guardato
concupiscente mia cugina, ma non ho il potere di mettermi contro mio
zio.
Volente o nolente, è ancora un berserkr dannatamente forte
e, in uno scontro,
non sono davvero sicuro che potrei avere la meglio.”
Sthigg lanciò uno
sguardo preoccupato all’indirizzo di
Mattias ma, a giudicare dalla sua calma, comprese quanto
quell’argomento fosse
stato più volte toccato dai due cugini, in assenza di
Ragnhild.
“Wulff e Adam la pensano
come te?” chiese dunque
Sthiggar.
Boris assentì,
mormorando: “La lealtà che dobbiamo a
nostro zio Elias è totale, ma comincia a venirci stretta.
Vedere ciò che hai
fatto per Ragnhild ci ha fatto capire quanto possiamo essere fortunati,
nell’essere nati maschi, mentre lei è costretta a
sottostare a regole ben più
restrittive e disagevoli.”
“Parlarne con il vostro
capoclan sarebbe dunque
inutile?”
Sorridendo con triste ironia, Boris
ammise: “Siamo
stati così idioti da non averci mai provato. Abbiamo sempre
visto Ragnhild come
la donna più forte e coraggiosa del mondo ma, solo di fronte
a ciò che stava
per succederle, abbiamo compreso di esserci sempre ingannati.”
Assottigliando lo sguardo per il
dubbio, Sthiggar
domandò: “Non sarebbe
stata solo una
relazione come mi disse lei, vero?”
“E’
così che te l’ha venduta Raggie?”
replicò Boris,
vedendolo annuire: “No, mio caro. Raggie avrebbe dovuto
sposare Ludvig, se tu
avessi perso.”
Lo sguardo di Sthiggar si
incendiò al solo sentire
quelle parole e Boris, nell’accentuare il proprio sorriso,
proseguì dicendo:
“Sai cosa vorrei, Sthiggar? Che tu la portassi via da qui,
lontano da questo
posto. Magari, con te che la proteggi, nessun berserkr potrebbe
minacciarla.”
Mattias lanciò uno
sguardo a Sthiggar, quasi
desiderasse a sua volta la stessa cosa ma il giovane muspell,
sospirando,
allungò a sua volta gli avambracci sulle cosce e ammise:
“Ragazzi, forse
dimenticate che io sono confinato qui.
Per quanto questa prigionia sia fittizia, e serva solo a raddrizzare i
nostri
caratteracci, non posso abbandonare il suolo svedese, né
posso muovermi
liberamente come vorrei. Ho comunque qualcuno a cui rendere conto.
Inoltre, prima
di tutto, dovremmo chiedere a Ragnhild
se intende fare una cosa del genere.”
“E’ questo il
punto, bello” sottolineò per contro
Boris. “Nessuno le ha mai
chiesto
cosa pensasse davvero. Ha sempre e solo dovuto eseguire degli
ordini.”
“Non voglio che mia
sorella soffra ancora, ma non sono
ancora diventato un berserkr a tutti gli effetti e non posso
proteggerla come
vorrei” insistette a quel punto Mattias, afferrando
speranzoso le mani di
Sthiggar. “Inoltre, finché non ne avrò
la forza, Urd non potrà uscire dal mio
corpo, né io potrò usare pienamente i suoi
poteri, perciò non potrò mai
difenderla dalle angherie degli altri.”
Il muspell lo guardò
comprensivo, ma disse: “Se lo
vorrà, io le darò ancora il mio aiuto ma, al
momento, non posso fare di più.”
Sia Mattias che Boris sospirarono
e, nell’annuire,
quest’ultimo chiosò: “Beh, è
pur sempre un inizio.”
Già sul punto di
aggiungere altro, Sthiggar sorrise a
mezzo e borbottò: “Vi converrà cambiare
espressione, perché sta arrivando
Ragnhild.”
Subito, Boris si alzò
dalla pachina e, strizzando
l’occhio a Sthiggar, sussurrò complice:
“Pensaci sopra e, se ti viene in mente
un modo per scappare, tiratela dietro, a costo di sedarla e caricartela
su una
spalla.”
“Mi ammazzerebbe, se ci
provassi” replicò ridendo
Sthiggar, vedendolo poi correre via di buon passo, quasi avesse il
terrore di
incrociare lo sguardo della cugina.
Mattias, a quel punto, ammise:
“Ragnhild sa capire al
volo Boris, ed è per questo che è scappato. Se
scoprisse che si preoccupa per
lei, potrebbe dare in escandescenze.”
“O forse le farebbe
piacere” asserì Sthiggar,
sorprendendo il ragazzo. “Tua sorella sa apprezzare le
attenzioni, se le
vengono offerte nel modo giusto.”
“Oppure, le piacciono
solo le tue” precisò per contro
Mattias, portando Sthiggar ad arrossire.
Assottigliando le palpebre con fare
inquisitorio,
Sthigg disse subito dopo: “Ti converrà tenere per
te questa affermazione, se
non vuoi che tua sorella dia in escandescenze con
te.”
Mattias allora scoppiò a
ridere e, quando Ragnhild
fermò il minivan proprio dinanzi a loro, aprì la
portiera per salire ed
esclamò: “Sthiggar è uno spasso,
sai?”
Vagamente confusa, la giovane
assentì dubbiosa e,
mentre un ombroso Sthiggar saliva sul sedile anteriore, lei
domandò: “Posso
anche sapere a che proposito, è così
spassoso?”
“Naah. Sono cose da
uomini” ciangottò Mattias.
Sempre più perplessa,
Ragnhild lanciò uno sguardo al
suo fianco per incrociare lo sguardo di Sthiggar ma, a sorpresa, lo
scoprì a
guardare fuori, il volto adombrato da qualche brutto pensiero.
Quasi sul punto di chiedergli
cos’avesse, si trattenne
soltanto a causa della presenza di Mattias.
Avrebbe tanto voluto parlare del
loro bacio, di cosa
avesse pensato dopo quel loro momento di intimità, ma Urd
aveva insistito con
il voler partecipare a quell’uscita, perciò aveva
dovuto lasciar perdere
l’argomento per un secondo momento.
Vederlo così ansioso, e
senza conoscerne i motivi,
fece però nascere in lei il desiderio di mettere a voce le
proprie
preoccupazioni ma, come al solito, la sua ritrosia ebbe il sopravvendo,
perciò
disse soltanto: “Se Matt ti ha fatto arrabbiare, lascialo
perdere. A volte, si
comporta ancora come se avesse cinque anni.”
Ciò detto,
ingranò la marcia e partì alla volta dei
boschi, sperando che l’umore di Sthiggar migliorasse a
sufficienza perché fosse
lui a mettere a voce i suoi dubbi.
Il muspell, però, rimase
silenzioso e pensieroso per
tutta la durata del viaggio, perciò Ragnhild
sperò per lo meno che il loro
esperimento andasse a buon fine.
Se anche quello avesse avuto esito
negativo, non aveva
idea di quanto avrebbe potuto peggiorare l’umore di Sthiggar
e, a voler essere
del tutto onesti, lei voleva vederlo sorridere.
Ne aveva bisogno.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Cap. 14
Seduto a gambe incrociate nel mezzo
della radura dove,
ormai un mese addietro, si era battuto con Ludvig, Sthiggar
poggiò i palmi
delle mani sull'erbetta rinsecchita dal gelo invernale e, nel sentire
la sua
crespa consistenza, sorrise appena.
I prati di Muspellheimr erano
dannatamente diversi,
con toni del verde oliva e del ciano, che degradavano in un viola
acceso quando
l'erba rinsecchiva durante la stagione calda.
Gli steli erano più
sottili, lanceolati e ricchi di
peluria, in grado di raccogliere la scarsa rugiada notturna ma, a
renderli così
diversi da quelli terrestri, c'era una cosa ben specifica.
L'erba del suo pianeta era velenosa.
Se un solo stelo fosse stato
portato alla bocca, lo
sventurato che l'avesse assaggiata sarebbe morto tra dolori atroci e
terribili
sofferenze.
L'unico modo in cui si poteva usare
l’erba del loro
pianeta era bollirla, così da creare decotti e coloranti
naturali per gli
abiti. Diversamente, un singolo stelo avrebbe ucciso un uomo in poco
meno di
un'ora.
Sulla Terra, invece, poteva
starsene seduto su quel
prato rinsecchito, e che tentava di tornare ai suoi antichi splendori,
senza
averne paura. Poteva ascoltarne lo scricchiolio sotto di sé
ogni volta che si
muoveva, percepirne la delicatezza sotto le dita o il leggero aroma
bruciato
sotto la lingua e nel naso.
"Sembri pensieroso. Non vuoi
più provare?"
domandò Ragnhild, seduta a pochi passi da lui mentre
Mattias, curioso e
sovraeccitato, terminava di sistemare una fila di sassi attorno a
Sthiggar. Nel
caso in cui qualche lingua di fuoco si fosse sprigionata dal muspell,
si
sarebbe fermata entro il cerchio di pietruzze erette attorno a lui.
Scrollando una spalla, Sthigg
replicò: "Pensavo
ai nostri prati velenosi e al fatto che nessuno si arrischierebbe a
fare un
pic-nic in mezzo all'erba come fate voi."
Ragnhild sgranò
leggermente gli occhi, assentendo, e
disse: "In effetti, suona piuttosto pericoloso."
"Lo è. Qui, invece,
starmene in mezzo al bosco, a
diretto contatto con la terra, mi rilassa e mi permette di ascoltare il
rombo
del pianeta con più facilità" le
spiegò lui, sospirando nel chiudere gli
occhi e concentrarsi sui flussi sotterranei e l'energia più
profonda del
pianeta.
Mattias andò ad
accomodarsi accanto alla sorella e,
con una voce che non era sua, disse: "Se avrai bisogno di una mano a
creare un Centro di Fuoco con il pianeta, io interverrò,
guerriero."
"Non sapevo che foste in grado di
farlo, Rygr1
Urd" replicò
Sthiggar con tono ossequioso.
"Posso percepire le tue correnti
spirituali,
visto che sono addentro ai destini degli uomini e, perciò, a
ciò che è scritto
nelle loro cellule. Questo mi permette di aiutare a
capire
dove possono esserci degli intoppi" spiegò allora Urd
tramite la bocca di
Mattias.
"Ogni aiuto sarà
gradito" mormorò allora
lui, prendendo un gran respiro prima di concentrarsi nuovamente sulle
correnti
sotterranee e sul calore residuo della crosta terrestre.
Poco alla volta, il suo spirito e
la sua aura
sprofondarono nel tessuto poroso del terreno fino a trovare
l'astenosfera, dove
la sua aura sfrigolò di rinnovata forza, portandolo a
provare calore per la
prima volta da settimane.
Sorridendo appena, Sthiggar
provò a spingersi oltre,
sprofondando nella mesozona ma Urd, atona, disse: "Rallenta. Le
correnti
sono diverse da quelle di Muspellheimr. Devi dare il tempo alla tua
aura di
entrare in risonanza con questo pianeta, prima di cercare altra energia
dal
nucleo interno."
Sthiggar assentì
distrattamente, accettando il
consiglio e restando fermo ai bordi della mesozona per assorbire in
tutta la
sua pienezza ciò che il pianeta gli stava concedendo.
Questo, inevitabilmente,
portò a un cambiamento fisico
in lui. La sua pelle ritrovò la consueta lucentezza, i
capelli divennero più
salubri e belli e, sulla schiena, i tracciati della Fiamma Viva si
inspessirono, prendendo vigore.
Ragnhild deglutì a
fatica di fronte a quel cambiamento
improvviso e inaspettato e, suo malgrado, non poté non
notare quanto il volto
di Sthiggar si fosse addirittura trasfigurato, dopo aver assorbito
anche solo
in minima parte l'energia del pianeta.
Ora capiva cosa
avesse inteso dire
il muspell, sentendolo parlare di quanto si sentisse spaesato e svuotato. Era davvero una persona
diversa, sul suo pianeta d'origine, e rimanere su Midghardr doveva
farlo
soffrire in modi che lei non riusciva neppure lontanamente a
comprendere.
D'istinto, allungò una
mano per sfiorare quella che
Sthigg teneva poggiata su un ginocchio e, sobbalzando leggermente, la
percepì
calda al tacco e morbida sul dorso.
Sthiggar strinse le dita di lei con
leggerezza,
creando un legame con la giovane pur rimanendo sempre a occhi chiusi e,
forse
per la prima volta, Ragnhild desiderò che quelle dita la
trattenessero in
eterno.
Anche se sapeva di non poterselo
permettere. Anche se
sapeva che lui, un domani, se ne sarebbe andato.
Mattias li fissò
sorridente per alcuni istanti prima
di distogliere lo sguardo; se sua sorella lo avesse beccato a
guardarla, si
sarebbe certamente scostata, e lui non lo voleva.
Desiderava per lei tutto il bene
possibile, ma sapeva
che la sua presenza in famiglia la frenava molto. Stare con Sthiggar,
invece,
gli era parso la spingesse a riemergere dal buco grigio in cui lui
l'aveva
vista rintanarsi in quegli anni, e ora non voleva che vi ricadesse a
causa di
un suo errore grossolano.
Non aveva mai voluto affrontare il
problema con la
sorella perché, quasi sicuramente, lei avrebbe negato, ma
ormai lui non era più
un bambino. Certe cose riusciva a notarle, e la tensione crescente tra
Ragnhild
e i loro genitori non poteva più essere nascosta.
Da cosa dipendesse, lui non lo
sapeva per certo, ma
voleva troppo bene alla sorella per non soffrirne.
Non pensarci, Mattias. Tua sorella
è abbastanza forte
per risolvere da sola i suoi problemi, disse Urd dentro di lui.
"Posso anche crederci, ma vorrei
aiutarla, anche
se sono piccolo", replicò il
bambino.
Questo ti fa onore ma credimi, io so per certo che
lei ha le carte in regola
per farcela, replicò la dea con tono dolce e
comprensivo.
"Posso preoccuparmi solo un
pochino?"
Appena appena. Non di più, concesse allora Urd prima di
tornare a monitorare
Sthiggar.
***
Il centro caldo e
vibrante di Midghardr
differiva molto da quello di Muspellheimr, che risuonava come una
musica
perfettamente accordata all'interno del suo sangue.
Lì sulla
Terra, invece, il suono era più
tenue, fluido e delicato come l’onda armonica di un singolo
strumento ma
incompleto per chi, come lui, aveva avuto l’onore di
assorbire il potere immane
di Muspellheimr.
Era comunque
gradevole riprovare antiche
sensazioni credute perdute e, pur se il suo potere era fortemente
condizionato
da quell'energia a malapena passabile, provare di nuovo quel debole
tepore
nell'animo lo rincuorò.
Quando finalmente
riaprì gli occhi,
Ragnhild sgranò i propri e sbottò dicendo: "Porca
vacca!"
Mattias
scoppiò in una risatina allegra -
era rarissimo che la sorella imprecasse davanti a lui - e la giovane,
nello
sbuffare contrariata a causa del suo stesso errore,
borbottò: "Beh, adesso
hai due fanali, al posto degli occhi."
"Oh. Scusate"
mormorò lui,
controllando che i centri nervosi e sensoriali tornassero a livelli
accettabili
per un essere umano. Su Muspellheimr, l'aura visibile non era una cosa
così
rara a vedersi e, il più delle volte, quasi nessuno vi dava
peso, ma sulla
Terra doveva essere strano vedere qualcuno dalla pelle simile al
fulgore del
bronzo fresco di conio, e gli occhi letteralmente luminosi
come fiamme danzanti.
"Meglio"
mormorò allora
Ragnhild, recuperando la propria mano per poi massaggiarla
distrattamente,
quasi che il contatto prolungato con quella di Sthiggar le avesse
procurato un indolenzimento.
Nel notarlo, Sthiggar
asserì: "Devi
aver percepito sulla pelle l'energia dell'aura. Il fastidio dovrebbe
passare
tra qualche minuto."
"Beh... non era
propriamente... fastidio"
ci tenne a dire lei prima di arrossire, distogliere lo sguardo dal suo
torace
nudo - che ormai stava vedendo un po' troppo spesso - e puntarlo a caso
su un
albero qualsiasi del bosco.
Le sensazioni provate
nel tenere la mano
di Sthiggar le erano parse molto
più
forti di quelle provate nel suo appartamento, quando avevano notato per
la
prima volta la presenza della sua aura. Come dire però,
davanti al fratello,
che quello da lei provato era stato simile a un atto sessuale?
In tutta
sincerità, sarebbe morta
piuttosto che dirlo a voce alta di fronte a Mattias!
Sthiggar
ignorò volutamente il suo
imbarazzo, immaginando cosa le stesse passando per la testa e,
nell’indossare
nuovamente camicia e maglione, udì Mattias esclamare: "Ha
funzionato! Ha
funzionato! Hai toccato il Nucleo, vero?!"
"Sì. Non
è rovente come quello del
mio pianeta natio ma, ora che ho capito come raggiungerlo,
sarà più semplice
richiamare le energie del Nucleo perché mi sostentino"
annuì soddisfatto
il giovane, battendo il cinque con Mattias.
"Spero ti ricorderai
di non diventare
una lampadina, quando sarai assieme alle persone comuni. Potresti
mandarle al
manicomio" brontolò a sorpresa Ragnhild, levandosi in piedi
per poi
passeggiare nervosamente lì attorno per alcuni attimi e
infine allontanarsi
progressivamente da loro.
Sinceramente
spiacente, Sthigg si levò in
piedi per osservare la giovane mentre prendeva la via del ritorno e
Mattias,
con un sogghigno, mormorò con fare complice: "Mi sa che
è rimasta colpita dal
tuo cambiamento, e non vuole ammetterlo."
"A quanto
pare…" si limitò a
dire lui, guardandosi distrattamente la pelle delle mani, non
più emaciata e
molto più salubre rispetto a prima.
"Allora, andiamo?!"
sbraitò a quel
punto Ragnhild, ormai già arrivata al sentiero che avevano
percorso per
raggiungere la radura.
Mattias
scoppiò brutalmente a ridere, di
fronte all'espressione ombrosa della sorella ma Sthiggar,
nell'arruffargli i
capelli, mormorò: "Lasciala stare. Non è giusto
prenderla in giro."
"Però, ti
fa piacere che ti abbia
guardato con interesse, no?" domandò malizioso il ragazzino,
affrettandosi
a muovere i primi passi verso la sorella.
Sthiggar non disse
niente, si limitò a
guardare Mattias perché si murasse la bocca
dopodiché, raggiunta che ebbero
Ragnhild, si incamminarono per tornare all'auto di lei e, subito dopo,
a Luleå.
Il silenzio tra
Ragnhild e Sthiggar
perdurò per tutta la durata del rientro a piedi, spezzato
soltanto dalle
chiacchiere incessanti di Mattias e le risposte telegrafiche del
muspell.
In auto non
andò meglio. Ragnhild inserì
nel lettore un CD degli AC-DC, impedendo di fatto qualsiasi dialogo ma,
ancora,
Sthiggar non protestò né disse alla ragazza di
abbassare il volume.
Per tutta risposta,
Mattias cantò a
squarciagola le canzoni della band australiana e alla fine, quando
rimisero
piede a Luleå, anche Ragnhild aveva recuperato la parvenza di
un sorriso sul
volto dapprima accigliato.
Quando infine
Ragnhild fermò l'auto
dinanzi a casa propria, Mattias capì più che bene
di essere stato congedato così,
dopo aver salutato Sthiggar, uscì dal minivan e
sgattaiolò nell'abitato senza
più voltarsi indietro.
Era chiaro che sua
sorella aveva bisogno
di spazio e di qualcuno con cui parlare che non fosse lui
e, se Sthigg poteva aiutarla a essere più felice, si sarebbe
fatto da parte, anche se stare con Ragnhild e Sthiggar gli piaceva un
sacco.
Voleva bene alla sua
sorellona, e avrebbe
fatto il tutto e per tutto perché la sua vita potesse
migliorare.
***
Silenziosa e ancora accigliata,
Ragnhild si avviò
verso l'abitazione di Sthiggar dopo essersi sincerata che il fratello
fosse al
sicuro tra le pareti di casa e, quando fermò l'auto dinanzi
al cancello
d'ingresso, sospirò e spense il motore.
Fu solo a quel punto che Sthiggar
disse: "Guarda
che non succede nulla se hai trovato piacevole l'esperienza. So che
può
succedere, perciò non lo troverei affatto strano. Poi, come
abbiamo entrambi
notato, succede qualcosa quando
stiamo assieme."
Irrigidendosi, la giovane si volse
a mezzo per
sfidarlo con lo sguardo, già pronta a fargli rimangiare ogni
singola parola ma,
quando si trovò a incrociare i suoi occhi color
lapislazzulo, si ammutolì.
Per quanto ora non brillassero
più come era avvenuto
nel bosco, Ragnhild era convinta di avere finalmente dinanzi
il vero
volto di Sthiggar, e ciò che vedeva la
metteva a disagio, oltre che
in imbarazzo.
Non si era mai ritenuta una donna
così debole o
sensibile da crollare davanti a un bel faccino ma, a conti fatti, era
così che
si sentiva in quel momento, e non le piaceva per
nulla.
A quel punto, piccata,
sibilò: "Mi piacerebbe
graffiarti in faccia, sai?"
Trasalendo, Sthiggar
esalò sconcertato: "E
perché?"
"Per renderti... più
brutto" sbuffò lei,
ammettendo finalmente la verità.
Sthigg allora rise sommessamente,
si concentrò un
momento per annullare quel poco di aura che era riuscito a risvegliare
dentro
di sé e, immediatamente, il freddo e la sensazione di
disagio tornarono. Se quel
sacrificio poteva mettere maggiormente a suo agio Ragnhild, avrebbe
sopportato
stoicamente quell'antipatica situazione.
"No, ma che fai!" sbottò
per contro lei,
afferrandogli entrambe le mani, ora gelide come ghiaccioli.
"Piantala!"
"Sai che accontentarti è
impossibile, vero?"
ironizzò a quel punto lui, scrutandola con espressione
divertita.
"Lo so benissimo, grazie. Ma
ciò non vuol dire
che ti permetterò di farti del male. Mi...
abituerò, va bene?" borbottò
lei, sfregandogli le mani con le proprie perché
riacquistassero colore e
calore.
"Ragnhild, mi dici che succede?" le
domandò
a quel punto lui, facendosi serio in viso.
Poco alla volta
risvegliò un poco di aura, giusto quel
tanto per non morire di freddo e Ragnhild, nell'interrompere il
massaggio alle
sue mani, mormorò roca: "Mi demoralizza essere
così debole."
"Debole? E perché
dovresti dire una cosa del
genere?" esalò lui, ora più che mai confuso.
Lei allora risollevò il
volto per scrutarlo, scostò le
mani da quelle di Sthiggar e, a sorpresa, prese tra pollice e indice le
gote
del giovane per poi dire: "Mi irrita essere sensibile a un bel faccino.
Ecco cosa!"
"Ahia" borbottò lui,
rimanendo però
perfettamente immobile.
Ragnhild allora mollò la
presa, sospirò e aggiunse:
"Non... non sono mai stata una che sbavava davanti al poster di un
attore,
o che perdeva la testa per la celebrità del momento. Mi sono
sempre reputata
superiore a queste cose."
"Mentre ora?"
Lei sbuffò,
ammutolendosi e Sthiggar, sorridendo
spiacente al suo indirizzo, si chiese turbato quanto l'avessero
condizionata,
in passato, per farle credere che qualsiasi debolezza
fosse
inammissibile. Anche quella nei confronti di una persona che a lei
poteva
interessare.
Perché l'avevano
convinta di non dover mai esprimere
alcun tipo di cedimento, o di sentimento?
"Entra. Ti preparo un piatto
tipicamente muspell,
ti va?"
"E come fai? C'è un
supermercato che vede cibo
etnico intergalattico?" fece dell'ironia lei, apprezzando che Sthigg
non
avesse insistito nel proseguire con le sue domande.
Non dubitava che sarebbe tornato
all'attacco ma,
almeno per il momento, era salva.
Sorridendo divertito, lui scosse il
capo ma replicò:
"Ho trovato dei prodotti che hanno gusti simili ai nostri, e che si
possono abbinare bene assieme. Persino Flyka ha approvato,
perciò sono
abbastanza sicuro che il gusto sia accettabile."
"Vi insegnano anche a cucinare,
nell'esercito?" domandò lei, chiudendo l'auto per poi
seguirlo lungo il
marciapiede e, da lì, alle scale che conducevano alla porta
d'ingresso.
"Se non vuoi morire di fame,
impari. Il mio
comandante ci voleva il più possibile indipendenti... anche
se credo pianga
ancora in segreto, di fronte ai nostri lavori di cucito. Siamo delle
vere
schiappe" ammiccò lui, facendola sorridere divertita.
"Già l'idea delle tue
mani enormi che afferrano
un ago, mi fa ridere... figurarsi il resto" celiò Ragnhild,
ora
sicuramente più tranquilla rispetto a prima.
Sthiggar rise sommessamente, a quel
commento e, nel
farle strada perché entrasse, si diresse poi verso la cucina
e iniziò a mettere
insieme il necessario per preparare uno stufato di verdure come era
solito fare
la sua cuoca, al palazzo del padre.
Il solo pensare a loro lo rese
nostalgico e, tra sé,
pregò che non fosse successo nulla, a casa, e che Hildur non
si fosse spinta
troppo oltre con le ricerche.
Sarebbe stato terribile scoprire
che, mentre lui
viveva un’esistenza tutto sommato tranquilla, pur se lontano
da casa, i suoi
cari stavano rischiando la vita senza che lui potesse proteggerli.
"Posso darti una mano?"
domandò Ragnhild,
osservando la sequela di ortaggi presenti sul tavolo da cucina.
"Se vuoi, puoi tagliare a
listarelle sottili la
carota, il sedano e la cipolla. Io penserò a massaggiare la
carne con gli odori
e l'olio" le spiegò lui, offrendole tagliere e coltello.
Lei assentì e,
concentrando tutta la sua attenzione sulle
verdure incriminate, non si accorse dello sguardo compiaciuto e, al
tempo
stesso, spiacente che Sthiggar le lanciò.
La mano della giovane si mosse
abile per sminuzzare
sottilmente il tutto e, mentre lei terminava il suo compito,
magicamente un
tegame comparve al suo fianco, dove poté posizionare le
verdure appena
preparate.
Nel frattempo, Sthiggar mise in
frigorifero la carne
trattata perché riposasse, quindi servì a se
stesso e a Ragnhild un bicchiere
di succo di frutta dopodiché disse: "Niente vino. Non voglio
che ti
ubriachi, visto che sei a stomaco vuoto."
"Le metto a stufare, ora?"
domandò la
giovane, indicando la pentola che teneva in mano.
"Con poco olio e a fuoco
bassissimo" assentì
lui.
Dopo averlo fatto, Ragnhild
accettò il succo di frutta
e, nell'accomodarsi sul divano della cucina, domandò: "Hai
imparato
durante il servizio militare, o sapevi già fare qualcosa da
prima?"
"Prima di arruolarmi ero bravissimo
a combinare
guai, trovare donne da portarmi a letto e far disperare mio padre e il
re"
ammise con assoluta sincerità lui, spiazzandola.
"In... in quest'ordine?"
esalò lei,
sorseggiando il succo di frutta per stemperare la sua sorpresa.
"Non necessariamente. Come ti
dissi, non mi sono
mai fatto mancare nulla, nella mia gioventù scapestrata e,
grazie alla mia
faccia, non molte donne mi resistevano. Non dovevo preoccuparmi troppo
di
trovarle. Mi trovavano loro e, spesso e volentieri, erano tutte
più grandi di me"
disse con tranquillità Sthiggar, poggiando la guancia contro
il pugno sollevato
per poi guardarla con curiosità per capirne le reazioni.
Lei allora lo studiò con
estrema attenzione, terminò
il suo succo e, trattenendo tra le dita ad artiglio il bicchiere,
dichiarò
senza mezzi termini: "Sei sfacciato, questo è sicuro. Ma
anche
smaccatamente sincero, vero?"
"Te l'ho detto. La
verità è più semplice e più
giusta" scrollò le spalle lui. "Sarebbe stato più
cortese dirti che
sono stato una persona morigerata e casta, ma già ti avevo
detto che non ero
stato un ragazzo tranquillo, perciò perché
ammorbidire il resto? Non mi pento
di quel che ho fatto con quelle donne, perché mi hanno
insegnato molto, e spero
di averle lasciate soddisfatte del nostro incontro. Quanto al resto, di
pentimenti ne ho collezionati a bizzeffe, ma ho pagato per essi e mi
ritengo
soddisfatto del grado raggiunto."
Quando sentì sfrigolare
la verdura, Sthiggar si alzò
un attimo per controllare, rimescolò il tutto
dopodiché, spegnendo, controllò
l'orologio e infine disse: "Ti ho già detto che sei una
bella ragazza, ma
se vuoi te lo ripeterò. Non dico una bugia, né
cerco di blandirti. Tu, invece,
reprimi sempre tutto per non dire la verità per quella che
è, come se essere
sinceri rendesse deboli e, piuttosto, usi l'arma del sarcasmo e del
disappunto
per tenerti a distanza dagli altri. Perché? Solo a causa di
tua madre? O c'è di
più?"
Ragnhild deglutì a
fatica, si levò in piedi per
servirsi un po' di succo di frutta per combattere
l’improvvisa arsura che
sentiva alla gola e, nel rimanere in piedi dinanzi a lui, ammise: "I
berserkir sono creature potenti e fiere, e noi donne dobbiamo
dimostrarci più
forti e determinate dei comuni umani per poter tenere testa ai nostri
uomini.
So che può sembrarti assurdo, ma è
così. A tredici anni, le femmine di ogni
clan partono per una prova in solitaria che viene svolta
in taighe o
tundre, il tutto senza la presenza di un solo adulto, o di strumenti
moderni da
utilizzare per aiutarci."
Sthiggar levò un
sopracciglio per la sorpresa, non
aspettandosi niente del genere e lei, con un sospiro,
proseguì dicendo:
"Fosse solo questo, però, sarebbe quasi accettabile. In
fondo, durante la
mia Prova, mi sono anche divertita. Il nostro clan, però, ha
regole ancor più
severe degli altri. Il capobranco ha infatti vietato a
tutti di
avere relazioni extra-specie, perché il sangue berserkr non
venga contaminato
da quello umano. Rimanere imperturbabili al mondo umano è
difficile, perciò
devi diventare insensibile a tutto e a tutti... ma
è snervante!"
Il giovane muspell
sgranò gli occhi, di fronte a
quell'ultima affermazione e, allungando le braccia lungo le cosce, la
guardò
perplesso e replicò: "Vi sono precluse le unioni al di fuori
del
clan?"
"Non tanto del clan, ma con gli
umani" precisò
lei. "Ho potuto evitare Ludvig solo perché tu, di
fatto, appartieni al clan finché sarai
recluso, perciò potevi batterti per
me, diversamente avrei dovuto
accettare la richiesta di Ludvig, visto che non avrei mai potuto
battermi
personalmente."
"Quindi, potresti sposarti con un
membro di un
clan diverso, immagino di alto rango, visto che sei figlia del
capoclan, ma
sempre un berserkr. E se non lo facessi?" si
informò lui,
sinceramente impreparato a quella notizia.
"Verrei bandita. Sarei sola. Non
potrei rivedere neppure mio fratello, o continuare a vivere qui a
Luleå"
sospirò Ragnhild, lasciandosi andare su una sedia accanto a
Sthiggar.
Sthigg allora si passò
una mano sul viso, disgustato
da quella regola assurda e, nell'osservare il volto abbattuto di
Ragnhild, le
domandò: "Non ti permetti mai neppure di apprezzare
superficialmente
qualcuno per il timore di affezionarti in qualche modo, quindi? O sei
già a
questo punto? Hai un umano che ti interessa, per caso?"
Lei scosse il capo,
scacciò rapida una lacrima ribelle
e sbottò dicendo: "No, nessun umano mi interessa in quel senso, ma pensi sia facile stare
davanti a un bel ragazzo,
che magari è anche gentile e premuroso con te, e non pensare
mai a niente?!"
"No, immagino non sia per nulla
facile"
annuì lui, ora più consapevole dei suoi blocchi
mentali. "Non ho mai
pensato alla mia vita in questi termini. Tra di noi c'è
molta libertà. Non
sarebbe strano se un nobile sposasse una liberta - una donna di
estrazione
sociale inferiore, per intenderci - o viceversa. E' successo spesso, e
la
stessa regina Ilya proviene da una casata meno importante rispetto a
quella di
re Surtr, ma nessuno ha mai avuto niente da obiettare."
Sorridendo poi divertito, aggiunse:
"Anche
perché, nel caso specifico, il sovrano arrostirebbe tutti, e
subito."
Ragnhild sorrise appena, ma il
divertimento non
raggiunse mai i suoi occhi verde acqua.
"Mi spiace che tu non sia libera di
fare ciò che
vuoi, e nei termini in cui tu desideri muoverti" mormorò a
quel punto
Sthiggar, poggiando una mano sulla spalla con aria partecipativa.
“Anche per
questo, dovrei scusarmi per il bacio di ieri. Ti ho messo sicuramente a
disagio.”
"Smettila di essere gentile con
me!" sbottò
improvvisamente lei, stringendo le mani a pugno e reclinando il capo
verso il
basso.
Lui non disse nulla in merito a
quello scoppio
improvviso di rabbia. Si limitò ad alzarsi, inginocchiarsi
dinanzi a lei per
prendere tra le proprie le sue mani tremanti e, impositivo, dire:
"Ragnhild. Guardami."
La giovane non poté
impedirselo e, dinanzi a lei,
Ragnhild tornò a vedere lo Sthiggar della foresta,
luminescente e ricolmo di un
potere mai visto prima.
Man mano che i secondi passavano,
la luminosità
crebbe, i capelli morbidi e mossi di Sthigg presero a volteggiare
leggeri e,
attorno a lui, un alone dorato iniziò a danzare come un
mantello scosso dal
vento.
Imbrigliata dal suo sguardo rovente
e protettivo,
Ragnhild si ritrovò a sorpresa in piedi, dinanzi a lui,
piccola al suo
confronto ma stranamente al sicuro e del tutto padrona di se stessa.
"Pensi davvero che uno qualsiasi
dei tuoi simili
potrebbe reggere i miei poteri?" domandò lui con una buona
dose di
supponenza. "Sono il tuo Campione, e lo sarò
finché ti servirà. Con me non
dovrai mai e poi mai fingere, ti è chiaro? Sii te stessa, la
te stessa che gli
altri ti impediscono di essere e, se qualcuno oserà dire
qualcosa, lo farò
tacere."
"Verrei bandita"
sottolineò lei,
rammentandogli quel particolare pur apprezzando le sue parole.
"Non se lo fai qui, tra queste
quattro mura"
le strizzò l'occhio a sorpresa, facendola ridere per diretta
conseguenza.
“Anche se dovremo smettere di approfondire ciò che
è successo tra noi.”
Ragnhild allora lo
abbracciò a sorpresa, poggiò il
capo contro il suo ampio torace e mormorò: "Posso stare
così per un po', a
godermi questo calduccio?"
"Certo. Nessun problema. Anzi,
passa dietro, così
riesco a lavorare in cucina mentre tu ti scaldi comunque" le disse lui,
sollevando le braccia perché lei si spostasse alle sue
spalle senza mai
scostarsi.
Ridendo di quella manovra un po'
infantile, Ragnhild
si sporse per guardarlo armeggiare con la carne, massaggiarla
delicatamente con
le dita forti e delicate al tempo stesso e sistemare poi il tutto nella
casseruola.
Con mosse studiate,
rosolò il tutto, ricoprì con vino
rosso dopodiché sistemò un coperchio sulla
pentola, abbassò il fuoco e,
volgendosi a mezzo, domandò: "Va meglio?"
"Più calda,
sì" assentì lei, scostandosi.
"Detta così, suona male"
ironizzò allora
lui, facendola scoppiare a ridere.
Sthiggar ascoltò con
piacere quel suono così raro e
piacevole e, mentre lei tornava a sedersi al tavolo della cucina, lui
le disse:
"Ti farò vedere come cucio, così mi dirai dove
sbaglio."
"D'accordo. Accetto la sfida"
annuì la
giovane, vedendolo armeggiare con una sacca dall'aspetto inusuale, che
lui
estrasse dal mobile dove si nascondeva l'attaccapanni. "E' un prodotto
di
Muspellheimr?"
Lui si bloccò con la
sacca in mano, assentì e gliela
porse, tenendo per sé il piccolo kit da cucito che
l'esercito gli aveva
consegnato all'inizio della sua leva. Ormai era vecchio e consunto, ma
era
ancora tutto perfettamente funzionante, perciò non si era
ancora deciso a
cambiarlo.
Ragnhild, nel frattempo, prese tra
le mani la sacca,
ne studiò il pellame singolare e morbido al tatto,
analizzò le intricate e
particolareggiate cuciture e, dopo averla poggiata sul tavolo,
dichiarò
divertita: "Se sono queste le
cuciture che vi
insegnano, capisco bene la vostra difficoltà. Sono
spaventosamente complicate!"
"Esiste qualcosa di più
semplice?" domandò
pieno di speranza Sthiggar, scrutandola con occhi pieni di aspettativa.
La giovane allora
scoppiò a ridere di gusto, di fronte
alla sua aria eccitata e, nel farsi passare ago e filo,
esalò: "Non ho mai
visto un uomo così felice di imparare a fare il mezzo punto."
***
Lo stomaco ormai satollo e
l'espressione ebbra - e non
solo di vino - Ragnhild si lasciò andare sul divano della
cucina di Sthiggar,
mentre lui afferrava il telecomando per guardare qualcosa alla TV.
La cena si era svolta nella
più totale tranquillità e,
tra aneddoti sulla vita militare di Sthigg e storie sugli antenati
berserkir di
Ragnhild, la serata si era protratta gradevolmente e senza intoppi.
Flyka era passata per portare loro
una torta alla
panna e, dopo aver strizzato l'occhio a Sthiggar, se n'era andata con
la
promessa che avrebbe tenuto Thrym legato al letto, pur di non farlo
sbirciare
dallo spioncino della porta.
Ragnhild aveva riso a crepapelle,
di quella battuta -
visto che la porta non aveva lo
spioncino - e, mentre
Sthiggar brontolava in merito ai vicini troppo curiosi, le aveva
servito
un'abbondante fetta di torta assieme a un leggero vinello dolce.
"Cosa vuoi vedere, stasera?" gli
domandò lei
prima di picchiettarsi un dito sul mento e domandare: "Ma voi avete
la TV?"
"No. Non utilizziamo né
elettricità, né strumenti
radio o satelliti. La nostra è una società che tu
definiresti preindustriale,
ma che è dotata di magia in ogni sua forma,
perciò è più o meno evoluta della
vostra a seconda dei casi" le spiegò lui, facendo zapping per trovare qualcosa di
interessante.
Davano ancora le repliche delle
repliche di Grey's Anatomy.
"Magia? E tu ne sai fare qualcuna?"
domandò
lei, scrutandolo con occhi spalancati.
"Mi sembra di essermi esibito,
prima"
ammiccò lui, rammentandoglielo.
"Oh, già, tutto quello
sfarfallio dorato"
assentì Ragnhild. "Ora, però, non lo fai
più."
"E' difficile controllare l'aura,
qui su
Midghardr. Devo ancora abituarmi alle correnti eufoniche dell'energia
sotterranea. Inoltre, i miei vicini non sanno che io sono una Fiamma
Viva, né
devono saperlo, per il momento, perciò non possono scoprire
che io sono in
grado di usare parte dei miei doni" le spiegò lui,
bloccandosi su un film
poliziesco americano.
"Sì, ho afferrato. Il
tuo segreto morirà con
me" gli promise lei con tono solenne.
"Hai bevuto troppo"
chiosò allora Sthiggar,
sorridendole a mezzo. "Non devi affatto morire, comunque."
Lei ridacchiò per tutta
risposta, poggiò il capo
contro la sua spalla e, dopo un sonoro sbadiglio, mormorò:
"Se morissi,
risparmierei un mal di testa a mia madre e a mio padre e, di sicuro,
non dovrei
sposarmi con chi non voglio."
"Ragnhild, niente discorsi tristi,
con me"
la redarguì bonariamente lui. "Guarda Chris Pratt,
piuttosto. Non hai
detto che ti intriga, come attore?"
La giovane scrutò la
televisione con aria aggrottata,
inclinò il capo per capire cosa stesse guardando e, quando
finalmente capì di
cosa si trattasse, borbottò: "Ho già visto questo
film."
"Cerca tu, allora" le propose lui,
allungandole il telecomando.
Lei però non lo
afferrò mai. Si era semplicemente
addormentata contro la sua spalla.
Sorridendo affabile, Sthiggar
afferrò perciò il suo
cellulare, mandò un rapido messaggio a Mattias per dirgli
che la sorella
avrebbe dormito da lui dopodiché, con delicatezza, la
sollevò per portarla in
camera.
Lì, la
sistemò tra le coltri e, dopo aver spento la
luce, si sistemò sopra le coperte e, lasciando che la sua
aura si liberasse,
chiuse gli occhi e mormorò: "Buonanotte, Ragnhild."
N.d.A.: Sthiggar è
riuscito a padroneggiare la sua
aura, mostrando finalmente a Ragnhild quale sia il suo vero
aspetto. Questo, ovviamente, non solo ha sorpreso la giovane,
ma l’ha resa ancor più consapevole di quanto sia
già tremendamente attratta dal
muspell, e questo l’ha innervosita non poco.
Dove potrebbe mai andare a
terminare, infatti, la sua
infatuazione, visto che appartengono a due mondi diversi e
così distanti tra
loro?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Cap. 15
Quali altri significati potevano esservi se il suo corpo era rilassato e, al tempo stesso, pieno di energia, ogni volta che si ritrovava accanto a quello morbido e sinuoso di Ragnhild?
Non poteva più ingannarsi né ingannare lei e, per quanto sapesse che, se avesse messo a parole quel che sentiva sprigionare dal suo cuore al pari di una fiamma, si sarebbe cacciato nei guai, era altresì certo di non poter mentire oltre.
Baciando su una tempia Ragnhild, profondamente assopita e ignara dei suoi pensieri, Sthiggar poggiò il capo sul cuscino e, nel chiudere gli occhi, si lasciò andare al sonno, sapendo già che avendo lei al suo fianco sarebbe stato splendido. Sereno. Pieno di pace.
***
Ritto di fronte alla finestra, le rade stelle che stavano lasciando il posto ai primi barlumi del mattino, Sthiggar ascoltava distrattamente il suono dell’acqua della doccia, dove in quel momento si trovava Ragnhild.
Risvegliatosi intorno alle cinque e mezza del mattino, non l’aveva trovata nel letto così, preoccupato, ne era subito uscito per cercarla e solo per bloccarsi non appena aveva udito lo scrosciare della doccia.
Quel fruscio gli aveva fatto desiderare di raggiungerla ma, ben sapendo quanto questo fosse sbagliato, si era trattenuto dal farlo e, dopo aver aperto le imposte, si era messo a scrutare il cielo limpido e punteggiato di stelle.
Il silenzio di quei momenti, prima del sorgere del sole, gli permise di pensare a se stesso, a Ragnhild e a ciò che desiderava ma che, per un motivo o per un altro, non avrebbe mai potuto avere.
Anelare a tal punto una donna da dimenticare ogni altra cosa, quanto poteva rivelarsi pericoloso per un guerriero suo pari? Ma, a conti fatti, lui voleva non sentirsi così?
Quando l’acqua smise di scorrere, subitaneo lo sguardo corse a cercare lei, l’oggetto dei suoi pensieri.
La vista di Ragnhild in accappatoio, calda e profumata e ferma a pochi passi da lui, lo bloccò e, non potendo impedirselo, sentì il cuore perdere un battito e il respiro farsi difficile.
Lei parve comprendere al volo cosa stesse succedendo e, nell’abbandonare qualsiasi reticenza, lo raggiunse per avvolgergli il volto tra le mani, attirando poi a sé le sue labbra.
Sthiggar non si fece pregare. La circondò con le braccia, schiacciandola contro il torace nudo e, mentre le sue labbra divenivano puro fuoco sulla sua pelle, sentì sgorgare dalle proprie labbra: “Non voglio che un berserkr ti abbia!”
“Neppure io” ansimò lei in risposta, armeggiando per togliere l’accappatoio.
Sthigg, però, la bloccò sul nascere, affondò il viso nella curva meravigliosa del suo collo inarcato all’indietro e sussurrò: “No! Non così! Non per ripicca verso tuo padre.”
“Non si tratterebbe di ripicca, Sthiggar” ammise a quel punto lei, scostandosi per guardarlo negli occhi. “Desidero te. E al diavolo il bando, il fatto che tu andrai via o le mille altre cose che mi urlano nella testa che non devo farlo. Sei l’unica persona che mi abbia mai davvero concesso di essere me stessa, e la me stessa che non sapevo di poter lasciare libera, vuole te.”
“Anche se dovrai dire addio a tutto e tutti?” mormorò lui, stringendo le mani a pugno per costringersi a resistere a qualsiasi tipo di tentazione.
Non voleva causarle più guai di quanti già non stesse patendo a causa sua, ma Ragnhild sapeva toccare corde, dentro di lui, che neppure sapeva di avere.
Mai prima di allora, stando tra le braccia di una donna, si era sentito appagato per il solo fatto di poterla toccare, non solo con le mani ma con il cuore e l’anima e la mente.
Ragnhild poteva questo, quando stava con lui, e Sthiggar non era certo sarebbe mai riuscito a trovare qualcun altro come la donna che ora, in pratica, gli si stava offrendo senza remore.
Il punto era un altro. Se la sarebbe mai sentita, un domani, di abbandonarla? Di lasciarla al suo destino di esiliata?
Tornando a baciarlo, Ragnhild mormorò: “Non pensare a niente, Sthigg. Non ora. Non qui.”
Lui allora si limitò a raccoglierla tra le braccia, la scortò fino al letto e lì, nel più tenero dei movimenti, la liberò dell’accappatoio e osservò privo di favella quel corpo perfetto e tonico, del colore dell’alabastro.
Ragnhild arrossì sotto il suo sguardo ma non vi si sottrasse e Sthiggar, nel liberarsi dei pantaloni, mormorò: “Non aver paura, Ragnhild.”
“Non ne ho. Non con te” mormorò lei, sapendo di dire la verità.
***
Il cielo violetto che si allargava all’infinito sopra la sua testa era percorso da rade nubi azzurrine e, al limitare pallido dell’orizzonte, seghettate montagne corvine spezzavano la linea pulita del mare dinanzi a lei.
L’acqua sciabordava il terreno roccioso su cui si trovava, creando un leggero droplet che andò a bagnarle il viso e gli abiti. Abiti che però non riconobbe, nell’osservarli con aria stranita, e che le fecero pensare a certi film in costume ambientati su pianeti sconosciuti.
Sollevando una mano per sfiorare la tunica che indossava, Ragnhild riconobbe le strane e articolate cuciture che aveva visto sulla sacca di Sthiggar e, sorpresa, iniziò a capire.
Quella non era affatto la Terra. Era mai possibile che si trovasse su Muspellheimr? E se sì, come, e perché?
Guardandosi alle spalle con espressione spaventata, la giovane fu sollevata quando vide la figura di Sthiggar a pochi passi da lei ma, nel momento stesso in cui i suoi occhi lo inquadrarono, egli cambiò.
Gli abiti terrestri vennero sostituiti da una complessa armatura color porpora e oro brunito, da cui pendeva una lunga spada dall’elsa elaborata.
Le sue onde ramate che lei tanto amava ora erano coperte da un elmo dotato di pennacchio e, attorno a lui, un alone di fiamma stava allargandosi fino a divenire quasi accecante.
Sthiggar, a quel punto, le sorrise orgoglioso, si avvicinò a lei con la sua falcata possente e morbida dopodiché, allungandole una mano, disse: “Vieni con me, Ragnhild. Lascia che ti mostri il mio mondo.”
Lei afferrò spontaneamente la sua mano ma, inaspettata, la fiamma la avvolse, spaventandola.
Gridando dal panico, cercò aiuto in Sthiggar ma lui, imperturbabile, la strinse in un abbraccio e Ragnhild, in un ultimo terribile rantolo terrorizzato, … si svegliò.
Ansimando spaventata e confusa, Ragnhild si guardò intorno con espressione sconvolta, le mani artigliate a un letto che non era il suo, circondata da una stanza che non era sua… e da braccia che non comprese perché si trovassero lì!
La sua confusione crebbe a dismisura quando vide al suo fianco uno Sthiggar profondamente addormentato e, per un attimo, non comprese cosa stesse succedendo.
Quando, però, i ricordi di quella mattinata così speciale giunsero in suo aiuto, il suo respiro si fece più calmo e un lento sorriso le salì al volto, riscaldandola.
Sthiggar era stato infinitamente dolce e paziente, con lei, accompagnandola nella scoperta dell’atto amoroso perché tutto le apparisse il più naturale e spontaneo possibile.
L’aveva baciata delicatamente su ogni centimetro disponibile di pelle, risvegliandole sensi e brama dopodiché, con occhi annebbiati dal desiderio, l’aveva stimolata ad aprirsi a lui, titillandola come uno strumento a corda.
Lei era letteralmente sbocciata sotto il suo tocco, sotto le sue mani esperte e le sue labbra che sembravano essere state create appositamente per darle piacere e, quando si erano infine uniti, il suo corpo lo aveva accolto con naturalezza.
La danza universale che avevano ricreato l’aveva lasciata senza fiato e appagata pur sapendo quanto, quel gesto dettato da una passione così a lungo trattenuta, l’avesse definitivamente condannata all’esilio e alla solitudine.
Tra le braccia di Sthiggar, però, si era sentita più forte che mai e niente affatto sola o in procinto di diventarlo e, quasi con sollievo, si era infine addormenta.
Quel che ne sarebbe venuto dopo, non le importava. Aveva gettato dalla finestra qualsiasi precetto, qualsiasi restrizione e qualsiasi comandamento per stare con l’unica persona che, mai prima di allora, era riuscita a far emergere la vera Ragnhild.
Anche solo per questo, gliene sarebbe stata per sempre grata.
Un tantino più tranquilla, quindi, scrutò il quadrante dell’orologio da polso, rendendosi conto che erano le tre del pomeriggio e che, di fatto, Sthiggar aveva saltato un giorno di lavoro per stare con lei.
Ora dormiva saporitamente, il corpo nudo e ancora tiepido offerto al suo sguardo e Ragnhild, con un dolce sorriso, lo osservò finalmente con svogliata lentezza, assaporando ogni attimo.
Con dita leggere percorse vecchie cicatrici ormai bianche e ben guarite dopodiché, vagamente più turbata, sfiorò quella sul suo collo che, pur se migliorata, ancora stentava a rimarginarsi.
Lui gliene aveva spiegato i motivi ma, istintivamente, si allungò per baciargliela, sperando scioccamente che il suo tocco potesse compiere il miracolo.
Fu in quel momento che si ritrovò stretta tra le sue braccia così, strillando per la sorpresa, finì con l’urtare il naso contro il suo torace e scoppiare a ridere per diretta conseguenza.
Sthiggar, allora, si volse a mezzo, lasciandola andare, e mormorò malizioso: “Devo essere stato terribilmente negligente, stamani, se hai ancora desiderio di stare con me.”
Lei arrossì suo malgrado, di fronte al suo sguardo incendiato e, scuotendo il capo, mormorò: “Scioccamente, pensavo che dandoti un bacio sulla bruciatura, questa sarebbe guarita.”
“Un gesto molto carino” mormorò lui, dandole un bacetto sul naso mentre la sua gamba si poneva a cavallo di quelle di Ragnhild, trascinandola verso di sé.
Lei lo lasciò fare, trovandosi così completamente avvolta dal suo corpo mastodontico e, subito, l’aura di Sthiggar si risvegliò per cullarla nel suo calore.
“Gunther si arrabbierà, visto che hai saltato un giorno di lavoro?” mormorò lei, giocherellando con le onde ramate di Sthiggar.
“Gli ho mandato un messaggio vocale per spiegargli sbrigativamente la faccenda, dopodiché ho intimato a Thrym di non presentarsi qui, pena l’evirazione” le spiegò lui, facendola sorridere divertita.
“Sono sicura che, con presupposti simili, non si farà neppure vedere in lontananza” ironizzò lei, baciandolo alla base della gola. “Grazie.”
“Sono io a ringraziare te per l’immenso dono che mi hai concesso. A causa di ciò, sarai bandita e io, con tutta probabilità, non potrò fare nulla per impedirlo” mormorò lui, tornando serio.
“Sono certa che tu non possa fare nulla per me, ma mi hai insegnato a non tenere più nascosta la vera me stessa, e la vera me stessa non vuole essere usata come una pedina o una merce di scambio” replicò in un mormorio la giovane. “Me ne andrò e mi ricreerò una vita dove non vi sono berserkir e, non appena mio fratello sarà legalmente in diritto di fare ciò che vuole, lo porterò via per sempre da una famiglia che non lo merita.”
Annuendo, Sthiggar sospirò e ammise: “Se fosse possibile, vi porterei con me, ma Muspellheimr non è un pianeta adatto a voi.”
“In che senso?”
“La temperatura, a grandi linee, dovrebbe attestarsi sui vostri settanta gradi Celsius, con punte estive che toccano anche i novanta. Capisci bene che morireste in breve tempo, in un luogo simile” sussurrò spiacente Sthiggar, stringendola a sé per poi poggiare la fronte contro quella di Ragnhild.
Sorridendo nonostante quella notizia devastante, lei gli chiese: “Davvero ci avresti voluti al tuo fianco?”
“Sì” mormorò con semplicità, sorridendo. “Perché sento che la mia vita avrebbe più senso, con te e lui al mio fianco. Perché tu sola sei riuscita a darmi pace quando, per decenni, non sono mai riuscito a trovarla. Perché, dentro di me, sento che la tua mancanza mi farebbe sprofondare di nuovo nell’oblio oscuro in cui ero caduto dopo la morte di mia madre. E’ amore, questo? Non so dirlo, poiché mai ho amato le donne con cui mi sono unito, e l’amore può assumere molte forme e generi diversi, ma ciò che sento per te è abbastanza forte da farmi desiderare di stare qui per sempre, anche se so di dover tornare su Muspellheimr.”
Lei gli carezzò il viso, commossa da quelle parole e da ciò che in esse era contenuto.
Non era così presuntuoso da avere tutte le risposte a ciò che sentiva, né era tanto precipitoso da essere certo del suo dire, ma il fatto stesso che lui non desiderasse separarsi da lei, era già una certezza.
Sthiggar provava un sentimento così forte da fargli sorgere dei dubbi sul proprio futuro, e Ragnhild sentiva dentro di sé una forza nuova, una certezza nuova a sorreggerla, al suono di quelle parole.
Non sarebbe rimasto, perché troppo ligio al suo dovere, ma per lei contava anche soltanto il fatto che fosse combattuto dal desiderio di farlo. Che lui volesse con tutto il cuore stare con lei pur non potendo.
La giovane allora si risollevò, liberandolo dalla sua stretta e, nel sedersi sul letto mentre Sthiggar si liberava delle coperte, cambiò argomento per non crollare – e farlo crollare – nella disperazione più nera e gli domandò: “Stavi sognando il tuo pianeta, per caso, prima?”
“Sì. Mi trovavo al mare e osservavo l’orizzonte dalla baia dove sorge Hindarall, la capitale del Regno del Nord. Perché?” le chiese sorpreso lui, sbattendo confuso le palpebre.
“Il cielo era violetto e le montagne apparivano scure e seghettate?” domandò a quel punto lei, sempre più curiosa.
Sthigg a quel punto sorrise dolcemente nell’annuire e, sistemandole una ciocca di capelli, mormorò: “Hai percepito la mia aura anche nel sonno, Ragnhild. Non pensavo fosse possibile ma, essendo una berserkr, potresti anche esserne in grado.”
“Quindi, quello è Muspellheimr?” domandò ancora lei, cercando di non pensare alle fiamme che l’avevano bruciata viva ma solo all’ambientazione suggestiva e così diversa da ciò che conosceva.
“Una parte, e neppure la più bella, se è per questo” scrollò le spalle lui. “Cos’altro hai visto?”
Devo dirglielo? O prenderà male la cosa?, pensò tra sé la donna prima di ricordare un particolare.
Sthiggar odiava le bugie, perciò era meglio dire tutto, senza tralasciare nulla.
“C’ero anch’io, ed ero abbigliata – immagino – come una delle vostre donne. Con una lunga tunica amaranto e nera e intricati ricami dorati. Tu avevi un’armatura purpurea e un elmo con pennacchio e, all’improvviso, ti ricoprivi di fuoco ardente.”
Sorpreso, lui mormorò: “Quella che hai descritto è la mia armatura da cerimonia. E’ stupefacente che tu sia riuscita a vedere così tanti particolari. Cos’altro?”
“Mi bruciavi” storse il naso lei, sgomentandolo.
“Ah. Curioso anche questo” esalò Sthiggar prima di afferrarle una mano e aggiungere: “Perché non fanno affatto male.”
Ciò detto, infiammò la sua mano facendola sobbalzare per il panico ma, quando fu sul punto di gridare dal terrore, si accorse di non avvertire nulla, se non il calore piacevole delle dita di Sthiggar.
Non certo pacificata, gli diede un pugno sul braccio con la mano libera e, inviperita, esclamò: “Potevi anche avvertire, idiota!”
Lui ghignò in risposta, come se non avesse affatto sentito il suo pugno, e replicò: “Non me l’avresti mai permesso.”
“Vero” borbottò lei, scrutando affascinata quelle fiamme. “Puoi avvolgerti come nel sogno?”
“Potrei, ma sarebbe sfiancante, oltre che del tutto inutile. Questo genere di fiamma è puramente decorativo. Spaventa i nemici. Quelle vere sono molto pericolose, invece e, al momento, non sarei davvero in grado di richiamarle” ammise lui, facendo sparire le lingue di fuoco. “Ci vuole molta più concentrazione, bravura e capacità e, visto che non ho ancora iniziato alcun addestramento in merito, non posso certo confidare solo sul fatto che, stando accanto a te, io riesca a ricreare fiamma e aura.”
“Quindi, in via del tutto ipotetica, se tu mi avvolgessi con le tue fiamme finte, non succederebbe niente” ipotizzò lei.
“Assolutamente nulla, ma mi incuriosisce molto il tuo sogno. Perché non ne parliamo a pranzo, visto che ormai siamo svegli e io comincio ad avere fame?”
Lei assentì e scese d’un balzo dal letto ma, non appena i suoi piedi nudi toccarono il parquet del pavimento in rovere, calde lacrime scesero sul suo viso mentre, dolente, esalava: “Dio, l’ho fatto! Ho mandato alla malora ogni cosa.”
Sthiggar la strinse silenzioso a sé, cullandola come tante volte, in passato, era stato coccolato da Hildur e, nel baciarle i capelli, mormorò: “Per quanto mi sarà possibile, io sarò il tuo porto e la tua roccia e, non appena potrò, chiederò a Gunther di esserti di appoggio. Non me lo negherà, te lo prometto.”
“Il tuo scorbutico capo?” ironizzò lei, asciugandosi le lacrime con mani tremanti.
“E’ molto più gentile di quanto non sembri” la tranquillizzò lui, domandandole poi: “A Mattias ho detto che avresti dormito qui, ma non so che scusa abbia usato per te.”
“Non temere. Ho un paio di amiche che mi possono coprire, e spero che Mattias abbia sfruttato la cosa a mio vantaggio. Per ogni evenienza, comunque, ho anche bloccato il segnale satellitare del cellulare, così che non possano risalire alla mia posizione” scosse il capo lei. “Quel che mi preoccupa è che, ben presto, mi taglieranno i fondi e sarò al verde. Mio padre ha la firma sul mio conto e, visto che finora non avevo mai pensato a una fuga in grande stile, non l’ho fatta bloccare una volta divenuta maggiorenne.”
“A quello penseremo a tempo debito. Per ora, tu rimarrai con me e non ci saranno problemi. Neppure tuo padre, per quanto adirato, può pensare di mettersi contro re Surtr, quindi con me sarai al sicuro.”
“Per ora” sospirò Ragnhild prima di darsi uno schiaffetto sulla guancia e borbottare: “Basta! Non sono un fragile oggetto di cristallo. Devo solo capire come fare a non permettergli di fregarmi più del necessario.”
Ciò detto, fissò arcigna Sthiggar e, nell’indicare la cucina, borbottò: “E ora, uomo, preparami il pranzo.”
Sthigg rise di gusto, si mise sull’attenti e, ancora completamente nudo, se andò in cucina per fare quanto ordinatogli.
***
Ragnhild dovette abbondantemente ricredersi, in merito alla maturità del fratello. Pur avendo solo dodici anni, e non ancora l’età sessuale per mutare in berserkr, era riuscito a salvarla da spiacevoli incontri con i genitori e gli altri membri del clan.
Con il fare della sera, Boris si era presentato furtivamente a casa di Sthiggar e, armato di una sacca da viaggio e la borsetta di Ragnhild, aveva detto con orgoglio malcelato quanto fosse fiero della cugina.
A Sthiggar aveva tributato una stretta di mano degna di un berserkr dopodiché, con la promessa di mantenere il segreto sulla sua ubicazione, promise di far passare tramite amici compiacenti la voce che lei se ne fosse già andata da Luleå.
Ciò detto, l’aveva abbracciata stretta, scusandosi per non aver mai potuto proteggerla adeguatamente dopodiché, non volendo mostrare il suo lato più vulnerabile, se n’era andato di volata.
Seduta sul divano a gambe intrecciate, mentre Sthiggar preparava una cena leggera a base di pesce e verdure, Ragnhild passò in rassegna ciò che Mattias era riuscito a fare non appena aveva ricevuto il suo SMS.
Forse rendendosi conto di un prossimo quanto veloce precipitare degli eventi, il fratellino aveva ben pensato di portare via dalla sua stanza il necessario per una fuga precipitosa, e cioè i suoi documenti e qualche cambio d’abito.
Naturalmente, Mattias non aveva ben compreso la differenza tra completo intimo ‘da appuntamento’ e quello più classico per qualsiasi giorno. Oppure, da vero truffaldino, lo aveva fatto di proposito, mandandole solo completini di pizzo nero che comprivano solo pochi centimetri di pelle.
Su quel punto, Ragnhild preferì non soffermarsi troppo.
“Quello che tieni in mano, esattamente, cos’è?” domandò Sthiggar, coprendo il suo intingolo per lasciarlo sobbollire piano.
“Un completo intimo che, in teoria, dovrebbe fare impazzire gli uomini” celiò lei, gettandolo nel mucchio dei suoi pochi abiti.
Sollevando un sopracciglio con evidente scetticismo, il muspell si poggiò contro il tavolo a braccia conserte e replicò: “Cosa ci può essere di più piacevole del vederti nuda?”
Lei sorrise divertita e, ammiccando, asserì: “Infatti ho parlato di uomini in generale. A quanto pare, a te non interessa molto.”
“Ho goduto della tua bellezza e del tuo corpo, non mi servono simili orpelli per trovarti desiderabile” scrollò le spalle lui, sconvolgendola come al solito con la sua onestà disarmante.
“Aaah… okay. Anch’io ne ho… goduto. Della tua bellezza e del tuo corpo, intendo” gracchiò lei, arrossendo.
“Non so quanto un guerriero mio pari possa essere definito bello, per i vostri standard, ma grazie” le sorrise lui, muovendosi per raggiungerla.
Ragnhild fece per parlare, per dirgli che lei lo riteneva non solo bellissimo, ma anche una bella persona, ma un trambusto improvviso prevenne qualsiasi sua risposta.
Sthiggar si bloccò immediatamente, nell’udire a sua volta quei sinistri rumori e, nel tornare in fretta accanto al piano cucina, afferrò un coltello dal cassetto e si preparò al peggio. Quel genere di trambusto non era mai un bel segnale.
N.d.A.: indovinate un po' chi è arrivato?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Cap. 16
Nuovi tonfi e, stavolta, un
grugnito – di Thrym –
confermarono a Sthiggar che qualcosa di strano stava avvenendo nel
vicino
appartamento così, dopo essersi guardato in fretta intorno,
estrasse un secondo
coltello e lo passò a Ragnhild.
“Sai usarlo?”
“Se intendi non
per sfilettare il pesce, sì. Ogni donna berserkr sa
difendersi, all’occorrenza,
e con i coltelli ci so fare” mormorò lei,
determinata.
“Bene”
assentì lui, lasciando che la fiamma interna iniziasse
a ribollire dentro di lui, attraversando i suoi gangli di potere al
pari di un
fiume in piena.
L’istante seguente, la
porta venne abbattuta e, sotto
gli occhi sorpresi di Sthiggar e quelli sgomenti di Ragnhild, Thrym
centrò in
pieno volto un essere dalla pelle color del ghiaccio e lo sguardo
d’acciaio.
Jotun.
Nella sua casa di Midghardr, nella
sua prigione di Midghardr, era
appena
piombato uno jotun e Thrym, armato di una mannaia dall’aria
tutt’altro che
rassicurante, lo centrò alla fronte prima di ringhiare:
“Passami un accendino,
Sthiggar!”
Sthigg fu lesto ad accontentarlo e
l’imponente
muspell, afferratolo al volo, lo accese a poca distanza dal volto dello
jotun
prima di ghignare e dire: “Muori flambato, stronzo!”
Ciò detto,
abbassò la fiamma sullo jotun che, sotto
gli occhi sconcertati di Ragnhild, prese fuoco come un carbone ardente.
Thrym tappò la bocca
allo jotun perché non urlasse –
svegliando così mezzo vicinato – e, mentre le
fiamme lo consumavano al pari di
un ghiacciolo al sole, il muspell scrutò pieno di dubbi
Sthiggar prima di
domandare a sorpresa: “Che diavolo hai combinato, su
Muspellheimr, perché degli
jotun piombassero qui per ammazzarti?”
Prima ancora di poter rispondere,
Thrym emise un
rantolo spezzato e crollò a terra per il dolore, la spalla
trafitta da una lama
jotun lanciata da pochi metri di distanza.
Dall’appartamento accanto
non si udiva alcuna voce e
Sthiggar, turbato, si chiese se Flyka fosse morta a causa sua, e per
motivi di
cui ancora non conosceva la natura.
Questo scatenò in lui la
rabbia e l’aura, richiamata a
gran voce dal suo stato di furia, esplose in lui creando
un’unica, gigantesca
fiammata che lo avviluppò interamente.
“Sthiggar! Controllati, o
brucerai tutto!” gli urlò
subito Ragnhild, turbata da quanto stava accadendo.
Accucciandosi accanto a Thrym per
controllare che
fosse ancora vivo, Ragnhild sospirò di sollievo quando,
poggiando due dita a
lato della giugulare, ne avvertì ancora il battito cardiaco.
Tranquillizzata da questo, la donna
scrutò Sthiggar
mentre, combattendo una battaglia di sguardi con lo jotun che aveva
colpito Thrym,
era in procinto di decidere come abbattere il nemico.
Alzandosi lentamente,
afferrò la mano di Sthiggar –
come aveva detto già una volta, quel
genere
di fiamme non creavano danni, ma
facevano davvero molta, moltissima impressione
– quindi, determinata, sibilò: “Flambalo
come l’altro… ma senza farci diventare
un barbecue vivente.”
“Fosse facile”
ringhiò Sthiggar, pur levando la mano
libera verso lo jotun che, un tantino preoccupato da quella piega
imprevista
degli eventi, fece un paio di passi indietro, non sapendo bene cosa
aspettarsi
da quel risvolto del tutto inspiegabile.
“ORA!”
urlò a quel punto Ragnhild.
Sthiggar aggrottò la
fronte e cercò di concentrarsi
sul palmo della sua mano levata, mentre l’altro era a diretto
contatto con
quello di Ragnhild.
Questo gli concesse di trovare un
Centro all’aura fin
lì instabile ed erratica, un nuovo equilibrio del tutto
adatto a quello strano
pianeta e, come guidato da una mano invisibile, la fiamma fece
egregiamente il
suo dovere, colpendo al petto lo jotun.
Questi, impreparato a un muspell in
grado di usare la
propria aura su Midghardr, venne avvolto dalle fiamme prima di poter
fuggire e
Sthiggar, nel caricarselo su una spalla in tutta fretta, lo
portò dentro casa
perché non ardesse sulla veranda.
Ragnhild si affrettò a
chiudersi la porta alle spalle,
prevenendo qualsiasi sguardo indiscreto da parte dei vicini. Subito
dopo, seguì
dappresso Sthiggar, vedendolo quindi gettare il corpo ormai morto dello
jotun
all’interno della doccia, dove si sciolse come il precedente.
“M-ma… sono
fatti d’acqua?” gracchiò Ragnhild
aggrappandosi allo stipite della porta per non crollare a terra, il
panico e lo
sgomento a farle compagnia in quei momenti concitati quanto assurdi.
Che diavolo
stava
succedendo, per tutti gli dèi?!
“Non proprio, ma
reagiscono a questo modo, a contatto
col fuoco” mormorò roco Sthiggar, il fiato corto
per la reazione nervosa e la
mente che galoppava a mille a causa di ciò che era appena
avvenuto.
Come diavolo
era possibile che il semplice tocco di Ragnhild gli avesse permesso di
trovare
il proprio Centro, mentre i tentativi precedenti erano stati quantomeno
grossolani e ben poco produttivi?
Cos’aveva, quella
ragazza, da rendergli così semplice
usare la Fiamma Viva anche se non avrebbe potuto, su un pianeta diverso
da
Muspellheimr?
Volgendosi per fissarla con uno
sguardo pieno di
domande, lei scosse il capo come avendo capito cosa lo turbasse e,
mogia,
mormorò: “Non so cosa sia successo…
davvero. Sapevo solo che dovevo farlo.
Tutto qui.”
“Beh, lo scopriremo dopo.
Ora dobbiamo occuparci di Thrym
e Flyka” dichiarò lapidario Sthiggar, uscendo
lesto dal bagno, subito seguito a
ruota da Ragnhild.
Ci sarebbe stato tempo per
inquadrare anche quel
particolare. Per il momento, era vitale salvare Thrym dal
dissanguamento e
scoprire se Flyka era ancora viva.
***
Aiutando Flyka a raddrizzare un
paio di mobili
crollati a terra durante lo scontro, la spalla palesemente fasciata
dopo le
prime cure offertele da Sthiggar, Ragnhild osservò di
straforo quest’ultimo,
impegnato a curare Thrym, e mormorò:
“Così, hanno chiesto espressamente
di lui.”
“Già. Sono
sempre più convinta che non lo volessero
morto, infatti hanno attaccato solo perché Thrym ha perso la
testa per la
rabbia e si è messo a inscenare una rivisitazione di Venerdì 13. Diversamente,
credo lo avrebbero legato con quella”
dichiarò Flyka, indicando una
corda sottile e scura che si trovava ancora sul pavimento.
“Mi sembra davvero un
misero orpello, per trattenere
guerrieri come Thrym
o Sthiggar” replicò
scettica Ragnhild.
“Non se pensi che
è una tela creata dai Nani Oscuri, e
che persino il potente Fenrir non riuscì a
spezzare” si limitò a dire Flyka, spazzandosi
le mani prima di aggiungere con un sorriso: “Grazie,
Ragnhild.”
“Figurati. Preferisco
agire piuttosto che lasciarmi
andare al panico o allo sconforto” scrollò le
spalle lei, osservando poi i due
uomini non appena Sthiggar si rialzò da terra.
“Ebbene? Come stai, Thrym?”
“Beh, per essere stato
appena centrato da una lama
jotun, e cauterizzato da una Fiamma Viva, non sto neanche
malaccio” ironizzò Thrym,
tastandosi poi dolorante la spalla trafitta dall’arma dei
loro nemici
“Una… Fiamma
Viva?” esalò Flyka, scrutando a occhi
sbarrati un imbarazzato Sthiggar.
“Mi spiace non avervi
detto nulla ma, quando giunsi
qui, non sapevo davvero di chi fidarmi, visto che non
so ancora chi mi abbia incastrato in questo casino
intergalattico” mormorò lui, passandosi
nervosamente una mano sulla nuca.
Flyka scrollò una
spalla, replicando pacifica: “Hai
fatto bene. Mi sarei comportata allo stesso modo. Resta però
il dubbio di
capire cosa volessero quei tizi da te.”
“Hanno detto qualcosa di
preciso?” si informò allora
Sthiggar.
“Solo che cercavano
Sthiggar, figlio di Snorri” disse
Thrym, mettendosi a fatica a sedere sul divano, sul volto una
bruciatura da
freddo causata dal tocco di uno degli jotun che li avevano attaccati.
Ghiaccio e fuoco non andavano
davvero d’accordo.
“Evidentemente, sapevano
soltanto che eri grande e
grosso e coi capelli rossi, sennò non ci avrebbero confuso.
Io sono molto più bello
di te” aggiunse il
muspell, scoppiando in una breve risata.
Sthiggar rispose con un mezzo
sorriso, ma fu Ragnhild
a mettere a voce dei dubbi più che reali.
“Se sapevano dov’eri,
quanti altri ne potranno arrivare, visto che non vedranno tornare
quelli che
avete ucciso?”
I tre muspell non seppero cosa
rispondere, e persino
la caparbia ironia di Thrym andò presto scemando. Ragnhild,
a quel punto, non
poté esimersi dall’aggiungere: “Non
potete più rimanere qui. Dobbiamo spostarvi
da qualche altra parte.”
“Dobbiamo?”
ripeté dubbioso Thrym, scrutandola con aria confusa.
“Vi darò una
mano a sparire e, nel frattempo,
chiederemo aiuto alle alte sfere”
gli
propose lei prima di guardare Sthiggar in attesa di una risposta.
“Sei sicura di voler
entrare nel merito? Non è un
problema che riguarda i berserkir” replicò
Sthiggar, turbato.
“Per come stanno le cose,
mio padre neppure mi considererà
più tale, perciò non devo rendere conto a nessuno
di me stessa o di ciò che
faccio” brontolò contrariata Ragnhild.
“Semplicemente, la mia fuga sarà un po’
più numerosa del previsto.”
Flyka le poggiò una mano
sulla spalla, mormorando: “Se
il tuo scopo è allontanarti, farlo assieme a noi potrebbe
rivelarsi assai
pericoloso.”
“Ma voi non potete
tornare a casa per via di
quell’affare…” replicò
Ragnhild, indicando il tatuaggio ben evidente sui loro
polsi. “…e io sono l’unica che sa chi
contattare di abbastanza potente da
potervi dare una mano.”
“E lo faresti per
noi?” domandò allora Thrym prima di
sollevare le sopracciglia di fronte all’evidenza dei fatti e
aggiungere: “Oh…
siamo a questo punto, eh?”
“C’è
molto in ballo. Sì” ammise Ragnhild con un mezzo
sorriso.
“A questo punto, però, non posso esimermi
dall’avvisare mio padre. Per quanto
mi roda ammetterlo, gli jotun potrebbero invadere il nostro territorio
e creare
problemi, e non sono così ipocrita da non pensare alle
persone a cui voglio
bene.”
“Non fa una
piega” ammise Thrym. “Cosa ci consigli,
quindi, donna-orso?”
Ragnhild sorrise divertita, scosse
il capo nel
prendere il telefono dalla tasca dei pantaloni e disse: “Io
non divento un
orso, Thrym. Solo i maschi lo diventano.”
“Che peccato! Avrei
voluto vedere come diventavi”
sbuffò il muspell.
“Impediremo che ti
trattenga” le promise nel frattempo
Sthiggar, dando una pacca sulla spalla a Ragnhild.
“Non ne dubito. Dopo
quello che ho visto, di sicuro mio
padre non mi fa più paura.
Mi affretto a contattarlo, comunque” dichiarò
ironica Ragnhild, già digitando
un numero sul cellulare.
Dopo tre squilli, quindi, disse
atona: “Papà, abbiamo
un problema e, prima che tu parta con gli insulti, ti conviene
ascoltare. E’ il branco
che ha un problema, non io.
Accetterai di ascoltarmi, quindi? Te lo chiedo come berserkr, non come
tua
figlia.”
“Non mi pare di avere
altra scelta, a quanto pare. Ma
sarà l’ultima volta che ascolterò la
tua voce, Ragnhild” replicò gelido il
padre.
“E sia”
mormorò la giovane, chiudendo la chiamata per
poi assentire ai suoi nuovi compagni di fuga.
Indipendentemente da come sarebbe
andata a finire
quella chiacchierata, Ragnhild sapeva per certo una cosa; suo padre
l’aveva
appena disconosciuta.
***
Accolti in una confortevole casa a
due piani dai
colori caldi e il mobilio moderno, i tre muspell si presentarono al
capoclan
dei berserkir, Elias Thomasson, accompagnati da una seriosa quanto
determinata
Ragnhild.
Mattias cercò in tutti i modi di non apparire
sconvolto dalla presenza
della sorella e, fingendosi ignaro di tutto, corse subito a salutare
Sthiggar
dopodiché, scrutando curioso i volti di Thrym e Flyka, disse
con sincerità
disarmante: “Avete avuto un passato incerto, ma avete uno
spirito potente e
fiero come quello di Sthiggar.”
I due muspell, allora, squadrarono
dubbiosi Ragnhild
che, con un sospiro, ammise: “La norna Urd rivive in lui.
Ogni tanto parla a
sproposito, scusate.”
“Oh, uno spirito
errante” mormorò sorpreso Thrym.
Prendendo la parola e fissando
accigliato la figlia –
che lo stava apertamente sfidando con aria altrettanto cupa
–, Elias disse
sgarbato: “Non ti è concesso parlare dei doni di
Mattias di fronte a degli
sconosciuti.”
“Sconosciuti che ne sanno
più di noi, di cose del
genere” brontolò lei, riuscendo finalmente a
guardare negli occhi il padre
senza provare vergogna o paura.
Quanto aveva atteso, prima di
poterlo fare? Era però
servito Sthiggar per farle comprendere di essere in grado non soltanto
di
farlo, ma di accettarne le conseguenze.
“Ragnhild ha accennato a
un problema che riguarda il
branco, perciò vorrei sapere di cosa si tratta.
Dopodiché, vi chiederò di
andarvene” asserì lapidario l’uomo,
conducendoli nel salotto di casa. “Mattias,
tu non hai ragione di rimanere qui. Torna in camera tua.”
Mordendosi il labbro inferiore, il
ragazzino lanciò
una veloce occhiata alla sorella dopodiché, con un assenso
rapido, se ne andò
di corsa al piano superiore, sbattendo sonoramente la porta per dare
voce alla
sua stizza.
Il padre di Ragnhild
sospirò nell’udire quel suono
sgraziato e, nel rivolgersi alla figlia, dichiarò:
“Questo lo ha imparato da
te.”
Sthiggar fece per parlare ma
Ragnhild scosse il capo
e, nell’osservare sia il padre che la madre – che
li aveva attesi in salotto
come avrebbe fatto una regina con i suoi postulanti – disse
serafica: “Sono
lieta di avergli trasmesso un po’ di grinta.”
Elias sbuffò sprezzante,
ma disse: “Parlate, e siate
concisi. La vostra presenza non è gradita.”
Fu Sthiggar a prendere la parola e,
in breve, raccontò
al capoclan berserkr ciò che era accaduto, oltre a quello
che temevano avrebbe
potuto succedere in un prossimo futuro.
“E’ quasi certo
che verranno, e unicamente per cercare
me. Ci è sembrato perciò corretto avvertirvi di
un potenziale sconfinamento nei
vostri confini, anche se la minaccia non vi riguarda
direttamente.”
Elias assentì una sola
volta, rigido nella postura
così come nell’espressione, ma fu Ingrid a voler
parlare, pur se a modo suo.
I suoi occhi di falco sembravano
voler sondare l’animo
dei suoi ospiti e la mancanza della parola non rendeva meno grave la
sua
presenza così come il suo spirito, all’interno
della stanza.
Sthiggar non fece fatica a
comprendere le difficoltà
di Ragnhild nel rapportarsi con una donna dalla simile tempra. Essere
giudicati
costantemente da uno sguardo così duro non doveva essere
stato piacevole, né
semplice.
Dopo una lunga occhiata alla
moglie, Elias mormorò al
suo indirizzo per poi ricevere una risposta che fece irrigidire
Ragnhild, che
aveva compreso perfettamente il linguaggio dei segni e ciò
che la donna aveva
testé dichiarato.
“I berserkir non hanno
contenziosi con Jötunheimr e
Muspellheimr” esordì quindi Elias, traducendo
quanto detto dalla moglie. “Ciò
che avete scatenato non ci riguarda, perciò siete invitati
ad andarvene dai
nostri territori. Ragnhild, però, rimarrà qui e
farà esattamente ciò che è
stato designato per lei dal suo ruolo di figlia primogenita.”
Pur essendosi immaginato una
risposta simile – chi mai
avrebbe accettato di mettere in pericolo la propria vita, e il proprio
clan,
per un estraneo? – Sthiggar provò ugualmente un
moto di delusione, che comunque
stemperò con facilità.
Essendo un amante della
verità, non poteva permettersi
di negarla a se stesso quando gli veniva concessa, anche se questa era
amara
come fiele e difficile ad accettarsi.
Annuendo alle sue parole,
perciò, Sthiggar disse: “Lo
comprendo e lo accetto, almeno in parte. Era un mio obbligo morale
avvertirvi
del potenziale pericolo, e a questo mi sono attenuto. Ce ne andremo
immediatamente. Ma con Ragnhild.”
“Non credo di essermi
spiegato bene. Lei deve rimanere
per adempiere al suo compito e ripagare il clan per tutti i suoi
peccati”
replicò Elias scuotendo recisamente il capo.
Ragnhild fece per ribattere ma
Sthiggar, nello
scrutare i suoi occhi incendiati dall’ira, le chiese
silenziosamente di poter essere
ancora una volta il suo Campione. Di fronte a quella silente richiesta,
lei
assentì grave e Sthiggar, nel tornare a scrutare Elias,
parlò con un tono così
definitivo da azzittire il padrone di casa.
“Se, per peccato, lei
intende dire che sua figlia ha
la capacità di illuminare una stanza con i suoi sorrisi,
è peccatrice. Se, per
peccato, lei intende dire che sua figlia ha il diritto di vivere come
la
persona che desidera essere, è peccatrice. Se, per peccato, lei intende dire che sua
figlia ha a cuore la
giustizia allora, per tutti gli dèi, è
peccatrice.”
Elias lo fissò rabbioso
e tremante di furia ma non
parlò, così Ragnhild prese la parola e aggiunse
lapidaria: “Per anni mi sono
sentita dire che i berserkir sono coraggiosi e combattivi, ma
l’unica cosa a
cui tu pensi è preservare la sicurezza di un clan che non fa
nulla per aprirsi agli altri. Ti
interessa soltanto proteggere la dea che ha scelto tuo figlio per
rinascere,
così che il tuo clan sia prospero e osannato dagli altri ma,
quando l’occasione
richiede forza e determinazione, ti tiri indietro.”
Elias non controbatté
alle parole di fiele della
figlia, ma pensò la moglie a farlo. Si spinse avanti con la
sedia a rotelle con
l’unica mano salvatasi dall’ictus, fissò
Ragnhild con il gelo negli occhi e,
con movimenti lenti, indicò la porta.
“Tu non sai cosa vuol
dire proteggere un intero clan.
Hai sempre pensato che bastasse prenderti cura di tuo fratello, ma
avere sulle
spalle la vita di tante persone è
ben
diverso” disse a quel punto Elias, atono e di nuovo
controllato.
“Io non
mi sono
presa cura di mio fratello. Gli ho voluto bene!”
sbottò Ragnhild.
“Se hai scelto di
disobbedire, così sia. Sarai bandita
dalla tua stessa casa per aver deciso di seguire persone che non sono
sangue
del tuo sangue, o della tua stessa razza. Decidi di te stessa per tuo
conto,
dunque, ma non pensare di tornare qui una volta che i tuoi amici ti avranno abbandonata per tornare
nel loro mondo.”
“Così
sarà” sibilò lei, allontanandosi di un
passo da
loro e finendo con l’urtare contro Sthiggar.
Levato il capo, lo
guardò con occhi lucidi mentre lui,
protettivo, le poggiava una mano sulla spalla, replicando:
“Nel cacciarla,
venite meno ai precetti familiari che dovrebbero esservi propri. Lei
è carne
della vostra carne. Non potete bandirla solo perché ha buon
cuore.”
“Ciò che posso
o non posso fare di mia figlia non ti
compete, muspell. Le nostre regole non sono le vostre
perciò, per favore,
andatevene” replicò Elias, volgendo loro le spalle
senza più dire nulla. “Ormai
è contaminata, perciò non posso più
avere a che fare con una traditrice di tal
fatta.”
Ragnhild tremò per un
istante, sotto la mano di
Sthiggar e quest’ultimo, con un cenno del capo,
mormorò: “Ci lasciamo in pace,
ma non senza dolore. Addio.”
Elias non rispose e i tre muspell,
accompagnati da
Ragnhild, uscirono dall’abitazione per dirigersi al minivan
di quest’ultima.
“Ora,
dobbiamo
solo capire dove dirigerci. Non credo che, andando nelle altre colonie
penali,
avremo maggiore protezione rispetto a qui. Degli jotun ti volevano
prelevare e,
molto probabilmente, torneranno quanto prima, quando vedranno che la
prima
ondata ha fallito. Al momento, dobbiamo nasconderci e pensare a un
piano per
contrattaccare” disse a quel punto Thrym, afferrando la
maniglia della portiera
del minivan.
Sthigg assentì prima di
bloccarsi, guardare i suoi
compagni di fuga e mormorare sgomento: “Come facevano a
sapere che ci trovavamo
proprio qui?”
***
Mentre Ragnhild si dirigeva verso
la casa di Gunther
per avvertirlo del pericolo incombente, Sthiggar rimuginò
sul particolare che
aveva notato prima di partire dall’abitazione del capoclan
berserkr e Thrym,
turbato, disse: “Di tua cugina puoi fidarti ciecamente, hai
detto.”
“Assolutamente. Affiderei
la mia vita a lei anche a
occhi chiusi” assentì Sthiggar, passandosi
nervosamente una mano tra le onde
fulve. “Qualcun altro, su Muspellheimr, sapeva del mio
dislocamento proprio a
Luleå, e proprio in
quell’abitazione. Perciò ci deve essere stata una
defezione anche tra gli
uomini del re. Non è solo un attacco esterno al
regno.”
“Si parla della
più alta forma di tradimento” mormorò
sgomenta Flyka.
“Se il re è
circondato da serpi, allora il guaio è più
grande di quanto non avessi immaginato” ringhiò
furioso Sthiggar.
Ragnhild bloccò
l’auto di fronte alla casa di Gunther,
nei pressi del porticciolo dove avevano lavorato sia Thrym che Sthiggar
fino al
giorno precedente dopodiché, guardando i suoi compagni di
fuga, domandò: “Non
potete contattare Muspellheimr per metterli al corrente del
pericolo?”
Sthigg sollevò il
proprio polso destro, mostrandole il
tatuaggio che gli era stato fatto alla sua partenza e, ombroso, disse:
“Purtroppo,
come non possiamo attraversare Bifröst, ugualmente non
possiamo avvicinarci
alle sue porte per lasciare una missiva. Il veleno si espanderebbe al
solo
contatto con le porte del Varco dimensionale.”
Ragnhild imprecò
sottilmente mentre Thrym scendeva
dall’auto per raggiungere la casa di Gunther.
Il resto del gruppo lo raggiunse in
fretta e, quando
il muspell anziano giunse finalmente alla porta e li lasciò
entrare con aria
palesemente interrogativa, domandò ruvido:
“E’ mai possibile che non riusciate
a star tranquilli neanche di notte, quando fa un freddo becco e i
vostri
cervelli dovrebbero essere ibernati?”
“Esigenze gravi ci hanno
portato qui, Gunther” esordì
Sthiggar prima di aggiungere: “Due jotun sono giunti qui per
attaccarmi e,
presumibilmente, rapirmi.”
Gunther fece tanto
d’occhi nell’accorgersi della
presenza di Ragnhild ma, notando la sua assoluta calma,
borbottò dicendo:
“Qualcuno ha avuto la lingua più lunga del dovuto
con una umana, mi pare di
capire.”
“E’ una
berserkr, perciò sapeva già
di noi da un bel po’” sottolineò
Sthiggar, sorprendendolo
ulteriormente. “La faccenda è seria, Gunther.
Dobbiamo allontanarci per non
mettere a rischio gli abitanti della cittadina. Quando si renderanno
conto che
i primi due emissari inviati qui hanno fallito, torneranno con un
contingente
maggiorato, e a quel punto non so cosa potrà
succedere.”
Imprecando tra i denti, Gunther
guardò addolorato la
moglie che, in vestaglia da notte, li stava osservando con
l’ansia nello
sguardo ma, nel tornare con l’attenzione sui suoi ospiti,
disse: “Sapete bene
che attorno alla Svezia c’è una barriera mistica.
Non potrei farvi uscire da
essa neppure volendo. Non è di mia competenza.”
“Al momento ci interessa
soltanto sparire per un po’.
Conosci qualche posto dove potremmo andare? Non credo che raggiungere
le altre
zone detentive sia l’idea migliore perciò, se hai
suggerimenti, siamo
tutt’orecchi” domandò Thrym con tono
sbrigativo.
“In effetti, le prigioni
sono tutte più a nord, perciò
non vi faciliterà di certo la vita avvicinarvi al Circolo
Polare Artico.
Inoltre, portereste guai soltanto ad altri muspell e ad altri
umani” scosse il
capo Gunther, massaggiandosi pensoso la barba sale e pepe.
“E se andassero a sud,
verso il portale? Non esiste
neppure un modo legale per mandare un messaggio a
Muspellheimr?” domandò a quel
punto la moglie, Astrid, sfiorando comprensiva il braccio del marito.
“Il solo tentare di
avvicinarsi alle porte, li
ucciderebbe. Deve essere una Fiamma Nera a scortarli
all’interno, altrimenti
una loro entrata non regolamentare farebbe scattare la rottura del
sigillo che
portano al polso” scosse il capo Gunther, fissandola
spiacente. “Quanto a me,
avendo l’aura sigillata, non verrei riconosciuto
né come ex Fiamma Nera, né
tantomeno come muspell, perciò il risultato sarebbe lo
stesso. Loro morirebbero
all’istante.”
“Se neppure a lei viene
in mente qualcosa, allora non
ci rimane che una cosa da fare. Andare a Jotunheim”
dichiarò a sorpresa
Ragnhild, sgomentandoli tutti.
I quattro muspell la fissarono
senza parole, credendola
anche un tantino pazza ma lei, ammiccando, guardò Sthiggar
con un accenno di
ironia e aggiunse: “Scusa. Ce l’avevo sulla punta
della lingua fin da quando siamo
stati attaccati dagli jotun, e non vedevo l’ora di
dirla.”
“Cosa c’entra
Jötunheimr con la nostra fuga, scusa?”
esalò lui, sempre più confuso.
“Jötunheimr
è il pianeta degli uomini-ghiaccio, ma Jotunheim
è il nome di un parco naturale
della Norvegia dove, tra le altre cose, vivono dei berserkir molto
speciali e
che, io spero, potranno aiutarvi a scappare da qui” gli
spiegò lei,
mostrandogli la cartina della Scandinavia su Google
Maps.
“Resta il fatto che
è in Norvegia, dove noi
non possiamo andare” precisò Sthiggar,
accigliandosi.
“Malfidato che non sei
altro. La mia presenza serve a
questo” sottolineò per contro Ragnhild.
Sthiggar la fissò
malamente e borbottò: “Ti detesto
quando fai la dispettosa.”
“Non è
vero” ironizzò lei per poi guardare i suoi
compagni di fuga. “Ci dirigeremo verso il confine svedese e
lì attenderemo che
faccia giorno. A quel punto, chiamerò il clan dove si trova
il più potente
berserkr che esista e chiederò aiuto per voi. E’
l’unica cosa che possa
funzionare, al momento.”
“Cos’ha di
così speciale, questo berserkr, da renderti
così convinta che potrà aiutarci?”
domandò a quel punto Thrym, ancora piuttosto
scettico. “E perché dovrebbe farlo, visto che
siamo estranei?”
“Forse il fatto che lui,
in realtà, è Odino, oltre al
ragazzo più gentile che io abbia mai conosciuto?”
buttò lì Ragnhild, sorridendo
poi soddisfatta quando li vide fare degli strani scongiuri al solo
sentirlo
nominare.
“Ragazza, forse non
rammenti che Odino, a conti fatti,
sarà nostro nemico, durante il Ragnarök”
precisò Thrym, sorridendo nervoso.
“Non mi pare che il mondo
stia cadendo a pezzi, e il
ragazzo che lo ospita è di una gentilezza squisita.
L’ho visto solo una volta,
e non ho potuto parlargli direttamente, ma ho notato subito il suo
connaturato
candore. Sono sicura che ci ascolterà”
dichiarò lei prima di farsi gelida in
volto e aggiungere: “Non posso credere neppure lontanamente
che tutti i
berserkir siano vili e calcolatori come mio padre.”
Questo mise fine alle repliche di
tutti e Astrid, in
tutta fretta, disse: “Vi preparo dei panini e delle bibite
per il viaggio.”
Gunther annuì grato alla
moglie e, nel tornare a guardare
Sthiggar, disse turbato: “C’è un solo
motivo se quegli jotun ti volevano vivo,
ragazzo.”
“Lo so. Vogliono la mia
Fiamma per loro e, adesso che
sono qui, all’apparenza senza poteri, pensano di potermi
soggiogare con qualche
trucchetto magico” assentì Sthiggar prima di
sogghignare e aggiungere: “Quello
che non sanno è che le Fiamme Vive possono attingere potere
da qualsiasi pianeta, non solo da
Muspellheimr, a quanto pare. L’importante è che il
centro del pianeta abbia un
nucleo infuocato.”
Ciò detto,
lasciò che la sua aura emergesse fino a
farlo risplendere e Astrid, nel tornare con delle bottigliette
d’acqua,
sobbalzò sconcertata ed esclamò: “Oh,
Signore! Ma che succede?”
“Che mi venga un
colpo” esalò Gunther, sfiorandogli
reverenziale una spalla mentre Flyka, senza parole, lo ammirava basita.
Thrym,
che lo aveva già visto all’opera, non si
stupì più di tanto, ma rimase comunque
in religioso silenzio di fronte a un simile spettacolo.
Nella sua vita, aveva avuto il
dubbio piacere di
vedere soltanto re Surtr in quelle vesti, ed era stato un evento che lo
aveva
traumatizzato non poco, visto che aveva coinciso con la sua
incarcerazione.
Stavolte, le fiamme non gli fecero
così paura, ma
comprese anche quanto potenziale distruttivo fosse contenuto in esse;
non
faceva specie che qualcuno lo volesse per i propri scopi malvagi.
Gunther sorrise benevolo di fronte
a quello spettacolo
imprevisto e, nell’annuire orgoglioso, disse:
“Questo sarà un vantaggio, quando
vi attaccheranno di nuovo… perché succederà.
Rammenta però questo, ragazzo. La Fiamma Viva va usata con
parsimonia, o ti
logorerà, bruciando anche te.”
“Non la userò.
Mi basterà l’aura” assentì il
giovane
muspell, mentre Flyka accettava la borsa che Astrid aveva preparato per
loro.
“Mi spiace ripagare la vostra gentilezza con queste notizie,
ma…”
Scuotendo una mano per cancellare
le sue scuse,
Gunther gli strinse le mani con forza e replicò:
“Il tuo dovere è verso il
sovrano. Vai, e proteggilo anche per me.”
Sthiggar assentì,
salutandolo come avrebbe fatto con
Yothan e, dopo aver fatto un cenno di ringraziamento anche ad Astrid,
uscì di
casa con il resto del gruppo.
“Bene, ora portaci a
Jotunheim” commentò a quel punto
Sthiggar, sorridendo a Ragnhild.
“Poco ma
sicuro” assentì lei, mettendo in moto per poi
sparire in tutta fretta da Luleå.
Forse, per sempre.
Fu però sul confine
della cittadina, proprio
all’altezza del cartello che dava l’arrivederci a
Luleå, che Ragnhild dovette
interrompere sul nascere la loro fuga.
La macchina dei cugini era
posizionata in modo tale da
essere più che visibile dalla strada e la giovane, nel
rallentare fino a
fermarsi, indicò a Sthiggar di prepararsi al peggio,
dopodiché uscì per sondare
la situazione.
A uscire per primo da una Volvo
familiare blu scuro fu
Boris che, senza dire nulla, corse ad abbracciare Ragnhild e
mormorò contro di
lei: “Matt ci ha avvisati. Ci dispiace tanto,
Raggie.”
Quasi sciogliendosi contro
l’ampio torace del cugino,
lei assentì tremante e sussurrò: “Non
c’era altro modo.”
“Hai fatto bene, altro
che storie!” sbottò lui,
scostandola per scrutarla con i profondi e addolorati occhi scuri.
“Avrei
voluto avere io il tuo coraggio, per oppormi allo zio. Non mi
è mai piaciuto
come ti trattava, perciò ben venga la tua
decisione.”
“Questo, però,
mi impedirà di rivedervi” replicò lei,
scacciando con una mano una lacrima ribelle.
“Non se verremo con te.
Quando avrai deciso dove
andare, noi ti seguiremo” dichiarò lui,
sorprendendola. “Sappiamo che ora
saremmo solo d’intralcio, visto che non dovete dare
nell’occhio. Ma, nel caso
in cui dovessi aver bisogno di noi, ti raggiungeremo in quattro e
quattr’otto.”
“Boris…”
mormorò lei, mordendosi il labbro inferiore
per l’emozione.
“Sei nostra cugina,
Raggie. E sei il nostro capoclan,
per quel che mi riguarda” dichiarò a quel punto
Wulff, apparendo alle spalle
del fratello. “Cavoli, dai! Ci hai comandati a bacchetta fin
da piccoli!”
Lei scoppiò in una
tremante risata e, nell’abbracciare
anche Wulff e Adam, mormorò: “Mi
metterò in contatto con voi, promesso.”
“E noi cercheremo di
perorare la tua causa con lo zio
ma, se non ne otterremo che aria fritta, faremo come ha detto Boris. Ti
seguiremo ovunque tu deciderai di andare” le promise Adam,
lanciando poi uno
sguardo a Sthiggar per aggiungere: “La proteggerai tu
finché sarà necessario,
vero?”
“Non devi neppure
chiedermelo” acconsentì lui con un
sorriso.
“Molto bene,
Campione” ammiccò Adam, tornandosene
all’auto per non mostrare a nessuno i suoi occhi lucidi.
“Andate, ora, prima che
lo zio ci ripensi e vi mandi
addosso i suoi berserkir migliori” borbottò Boris,
prima di celiare: “Aspetta
un momento… siamo noi, i migliori!”
Ragnhild rise ancora, lo
baciò sulle guance e, nel
tornare alla sua auto, disse: “Abbraccia Mattias da parte mia
e digli che, non
appena potrò, tornerò a prenderlo.”
“Dubito che abbia bisogno
di sentirselo dire. Quel
ragazzino sa tutto”
ironizzò Boris,
salutando con un cenno militare Sthiggar prima di tornare alla sua
volvo.
Ragnhild non attese oltre. Si
rimise alla guida e, con
uno sbuffo tremulo, accese il motore e borbottò:
“Spero non mi fermi qualcun
altro, stanotte, perché non ho nessuna voglia di
piangere.”
I tre muspell sorrisero comprensivi
e, mentre la
mezzanotte si approssimava, il quartetto si allontanò
finalmente da Luleå.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Cap. 17
L’interminabile
serpentone di ospiti che, lentamente,
stava penetrando all’interno del Palazzo Reale di Hindarall
avrebbe potuto
somigliare, senza timore di esser smentiti su tale argomento,
all’infinita coda
di Jörmungandr(1).
Osservandola dall’alto di
una delle torri del palazzo,
re Surtr non si sentiva per nulla tranquillo, né aveva la
presunzione di essere
certo che le pareti gigantesche che lo circondavano, o il suo potente
esercito,
fossero in grado di proteggerli, in caso di problemi.
Se non sapeva da che parte
guardare, come poteva
contare di coprire ogni angolo utile e impedire che lo pugnalassero
alle
spalle?
“Avete pensieri
così profondi, sire, che le vostre
orecchie fumano” dichiarò al suo fianco Yothan,
accigliato al pari del re e
altrettanto preoccupato.
“Hildur sta ancora
studiando le carte riguardanti i
commilitoni di Sthiggar per capire chi sia stato ferito in volto
durante la
battaglia nei Protettorati, dopodiché mostrerà al
mercante un ritratto di
coloro i quali corrispondono alla sua descrizione. Fino ad allora,
però, non ho
idea alcuna della serpe in seno che sto covando da tempo, e senza
saperlo, o di
quante persone sia composto il complotto ai miei danni”
asserì torvo Surtr. “Ho
le mani legate, e detesto ammetterlo. Rivoglio la monarchia assoluta,
amico
mio!”
Yothan sorrise appena, nel sentirlo
lamentarsi a quel
modo e, annuendo affabile, asserì: “Non lo metto
in dubbio, sire. Così come non
metto in dubbio che Hildur riuscirà nel suo
compito.”
“Ammesso e non concesso
che non attacchino prima
dell’ultimazione delle sue indagini. Sai quale
sarà il suo ruolo, se dovessimo trovarci
nei guai, vero?” gli domandò il re.
“Sì. Me
l’ha accennato con aria assai contrariata, ma
io penso che abbiate scelto bene. Saprà portare a termine il
suo compito
egregiamente” dichiarò Yothan, invitando il re a
rientrare. “Dobbiamo dare il
benvenuto agli invitati.”
“Come se me ne importasse
qualcosa, a questo punto.”
Il comandante non poté
replicare in alcun modo, a
quelle parole. Sapeva perfettamente cosa intendesse dire il suo
sovrano, ed era
pienamente partecipe delle sue preoccupazioni. Chi non lo sarebbe
stato,
dopotutto?
***
Il volto sconvolto di Mikell, padre
di Kyddhar e
fratello della regina Ilya, si trasfigurò al punto tale che
il giovane soldato
al suo fianco indietreggiò turbato, forse temendo una
punizione a causa delle
notizie appena giunte da Midghardr.
La spedizione dei due jotun inviati
sul pianeta degli
umani, contrariamente a quanto avevano pensato e sperato, non era
andata affatto
a buon fine.
Sthiggar non era stato condotto in
catene dal liòsalfar
che avrebbe dovuto soggiogarlo con la sua magia e renderlo loro schiavo
e, quel
che era peggio, i resti dei due jotun erano stati trovati nel luogo in
cui
erano stati mandati per rapire il muspell.
Lo jotun che aveva riferito la
notizia, però, non si
fece spaventare dallo sguardo di fiamme del nobile muspell e,
scrollando una
spalla con noncuranza, replicò al suo disappunto con aria
spavalda.
“Manderemo altri uomini,
e stavolta saranno più
numerosi e armati. Pensare che un
soldato suo pari potesse essere messo al tappeto così
facilmente, anche se su
terra umana, è stata una sottovalutazione sciocca delle sue
potenzialità ma,
ora che sarò io a
prendere simili
decisioni, non avremo più problemi.”
Mikell, di fronte a tanta
sfacciataggine, preferì
astenersi dal fare commenti e soffermò i suoi occhi di
fiamma su colui che
tanto aveva denigrato le abilità di Sthiggar. Irato, quindi,
esclamò: “Sbaglio,
o avevi detto che quel ragazzo sarebbe stato una facile preda, una
volta
deprivato della sua Fiamma?! Ci hai quindi raccontato menzogne,
disprezzando
con così tanta veemenza le sue capacità
tattiche?”
Resistendo a stento
all’imperativo desiderio di
rattrappirsi nelle spalle, Thrydann replicò piccato:
“E’ stato sicuramente
aiutato dai carcerati che si trovano a Luleå con lui. Non
può essere che così.
Sthiggar ha il solo vantaggio di avere sangue divino nelle vene, e
perciò è
stato beneficiato della Fiamma Viva, ma non
ne è degno! E’ un incapace, se preso da
solo!”
Sogghignando di fronte a quella
replica un tantino
querula, Mikell asserì perfido: “Qui, a parlare,
è la gelosia, caro il mio Thrydann.
Non ti garba essere nato senza i sui speciali e unici occhi chiari, o
sbaglio?
Sia come sia, agiremo come ha stabilito il comandante Lennart e tu, nel
frattempo, andrai a palazzo a presenziare ai festeggiamenti,
così come il tuo
ruolo di figlio primogenito ti impone.”
Impallidendo leggermente, Thrydann
esalò: “Ma… sarò
nel bel mezzo del…”
“Dell’attacco?
Certo. Non vorrai davvero che i membri
del Consiglio – e tuo padre – dicano che uno dei
loro figli è un negletto e un
uomo irrispettoso, ti pare?” ironizzò Mikell prima
di farsi mortalmente serio e
aggiungere: “Tu ti troverai là esattamente
come me, ti siederai alla destra di tuo padre e farai la tua
parte come ti
ho ordinato, o non diverrai mai ciò che desideri
essere.”
“Sì, mio
signore” mormorò a quel punto il giovane,
reclinando rigidamente il capo.
“Inizia a chiamarmi con
il mio nome, ragazzo” ghignò
Mikell.
“Sì… mio re”
assentì Thrydann prima di accomiatarsi.
Sospirando, Mikell tornò
a scrutare il viso pallido
del Gigante di Ghiaccio che gli aveva portato quel triste messaggio e,
scuro in
volto, aggiunse: “Rammenta al tuo sovrano i nostri accordi,
comandante, e tutto
andrà per il meglio.”
“Re Lafhey è
uomo d’onore, nobile muspell, e agogna la
caduta di Surtr esattamente come te” replicò il
comandante jotun con un
sorrisino furbo.
“Molto bene.
Avrà il mio aiuto e appoggio, quando
vorrà attaccare Svartalfheimr ma, per il momento, sfruttiamo
fino all’ultimo i
dokkalfar e il loro odio nei confronti di Surtr. Che almeno il
sacrificio di
mio figlio sia valso a qualcosa” dichiarò con tono
aspro Mikell. “Su di loro mi
prenderò una rivincita dopo
aver
spodestato mio cognato.”
Lo jotun assentì
serafico e, con un leggero inchino,
si allontanò dalle stanze del nobile muspell, pronto a
tornare dai suoi uomini,
oltre le porte di Bifröst.
Ben presto, l’invasione
sarebbe avvenuta e, Fiamma
Viva o meno, avrebbero distrutto Surtr in un modo o
nell’altro.
Da lì a radere al suolo
ogni cosa, il passo sarebbe
stato breve, e re Lafhey avrebbe ottenuto quanto desiderato.
Il Ragnarök avrebbe avuto
inizio, ma non sarebbe stato
Surtr a primeggiare e vincere sui Mondi, né a brandire
l’Arma Definitiva, ma il
grande Lafhey, re di Jötunheimr.
***
Ragnhild stava ormai guidando da un
paio d’ore quando,
dal bagagliaio, Thrym udì giungere dei rumori sospetti.
Nel chiedere perciò alla
ragazza di fermarsi presso la
prima piazzola utile, guardò Sthiggar al suo fianco e scese
dall’auto non
appena questa ebbe interrotto la sua corsa.
Ragnhild e Flyka, armate di
coltello, li seguirono
dappresso e, quando Sthigg aprì a sorpresa il bagagliaio, le
urla dei due
uomini fecero trasalire di paura l’ospite inatteso che, di
nascosto, si era
imbucato in quel viaggio improvvisato.
Mattias sollevò le mani
per proteggersi da un loro
eventuale attacco mentre Ragnhild, sconvolta al pari degli altri,
esalava
irritata e terrorizzata: “Ma che ci fai qui?!”
“Scusa, scusa,
scusa!” esclamò il ragazzino, fissando
spiacente la sorella prima di uscire in tutta fretta dal bagagliaio per
abbracciarla.
Ragnhild rispose
all’abbraccio per poi baciargli il
capo ma, ancora turbata, disse: “Questa è stata la
cosa più idiota che tu abbia
mai fatto, Matt. Che ti diceva la testa?!”
“Dovevo
venire”
sottolineò lui, non fornendo però ulteriori
spiegazioni.
La giovane scrutò
dolente il fratello, si fece dura in
volto e disse: “Sarà meglio che tu mi dica perché
sei voluto venire ma, per ora, dobbiamo allontanarci il
più possibile per nascondere
la nostra auto. Farà giorno a breve e, non appena
papà si accorgerà della tua
mancanza, sguinzaglierà i berserkir per
riprenderti.”
Mattias assentì
spiacente, ma replicò: “A tempo debito
ti dirò tutto, solo non ora.”
Accigliandosi leggermente nel
tornare al posto di
guida, mentre il resto del gruppo faceva spazio a Mattias sui sedili
posteriori
e Sthiggar si sistemava al fianco della giovane, Ragnhild
domandò al fratello:
“C’è di mezzo Urd?”
Matt si murò la bocca,
fissandola poi spiacente e la
giovane, sospirando, borbottò: “Voi possessori di
anime senzienti siete delle
rotture di scatole uniche.”
“Sc…”
“Non dirlo” lo
minacciò Ragnhild, fissandolo bieca.
Mattias si morse il labbro
inferiore prima di guardare
spiacente anche Sthiggar e aggiungere: “Non volevo peggiorare
ancora di più la
situazione, ma dovevo venire
anch’io.”
“Va tutto bene. Ti
porterò sulle spalle, se sarai
stanco, così non avremo problemi. Potendo usare
l’aura, non ne risentirò
affatto” scrollò le spalle Sthiggar.
“Ma ti renderai visibile
alla magia degli jotun, così”
gli ricordò Thrym, accigliandosi.
“E’ un rischio
che dobbiamo correre, ma prometto che
la userò solo quando sarà strettamente
necessario” assentì lui, lanciando poi
uno sguardo a Ragnhild, che lo stava scrutando turbata.
Lui si limitò a
sorriderle e la giovane, a sorpresa,
rispose al sorriso prima di accelerare e dire: “Preparatevi.
Prenderò delle
strade secondarie e molte non saranno esattamente piacevoli.”
“Fai quello che puoi,
ragazza. Qui, siamo tutti dalla
tua parte” dichiarò Thrym, allungandosi per darle
una pacca sulla spalla.
Ragnhild accentuò il
proprio sorriso, a quel tocco e,
consapevole di cosa stesse rischiando, cercò di non crollare
proprio sul più
bello.
Aveva deciso consapevolmente di
aiutarli, di scappare
da ogni certezza lei avesse mai avuto fino a quel momento, ma non aveva
tenuto
in conto che Mattias avrebbe potuto imbucarsi. Ora, doveva pensare
anche a lui,
ma non poteva lasciarsi andare al panico solo per questo.
Sthiggar l’avrebbe
aiutata. Di questo era certa.
***
Le libagioni erano state servite
con abbondanza ai
mille e più dignitari muspell, oltre agli ospiti provenienti
da Elfheimr,
Svartalfheimr, Jötunheimr e Niflheimr presentatisi per i
festeggiamenti
dell’anniversario di matrimonio dei Reali.
Mentre musici e saltimbanchi
intrattenevano gli
ospiti, Surtr chiacchierava con apparente leggerezza con sovrani e
nobili,
semplici conoscenti o vecchi amici.
Ilya, a poca distanza da lui, era
fedelmente
accompagnata da Hildur, per l’occasione abbigliata con la
divisa ufficiale
delle Fiamme Nere, una lunga tunica dorata e corvina che le raggiungeva
le
caviglie.
La tunica, elegantemente ricamata e
decorata con
fiamme dai colori scarlatti su maniche e colletto rigido, nascondeva
sotto di
essa una cotta di maglie di provenienza elfica.
Legato alla coscia destra, e
nascosto dalle coltri
della tunica, un sottile stiletto avvelenato era l’unica
– quanto preziosa –
arma in dotazione alla Fiamma, per quella sera.
Surtr non aveva potuto darle il
permesso di entrare in
armatura, visto che il banchetto doveva apparire normale
a tutti i costi, e anche Yothan si era dovuto adeguare,
indossando
per l’occasione la Divisa Ufficiale delle Fiamme Purpuree.
Naturalmente, aveva fatto sistemare
armi in abbondanza
sotto ai tavoli delle libagioni, ben protette alla vista dalle lunghe
tovaglie,
e i soldati in borghese che si nascondevano tra gli invitati erano gli
unici a
conoscere quel particolare.
Neppure i membri del Consiglio ne
erano stati messi al
corrente. Surtr sperava che tutto ciò bastasse a scongiurare
il peggio e,
soprattutto, che le persone da loro scelte per mantenere quel segreto
fossero
anche degne di fiducia.
Essendo il traditore un membro
della compagnia di
Sthiggar, Surtr aveva dovuto diffidare di ognuno dei membri del
Consiglio della
Corona. Quasi tutti loro, infatti, avevano un figlio che era stato al
comando
di Yothan ed era stato compagno del ragazzo.
Il mercante, forse troppo turbato
dal suo
inconsapevole ruolo, o forse realmente incapace di dare una risposta,
non era
stato in grado di riconoscere il soldato che lo aveva tratto in
inganno.
Hindur non aveva dunque potuto
agire per bloccare il
commilitone di Sthiggar, reo di averlo cacciato in quel guaio e ora,
suo
malgrado, anche la donna doveva comportarsi al pari del re, educata
ospite nei
confronti dei potenziali nemici che si trovavano in quella sala.
“Complimenti per la
magnifica festa, Surtr” esordì
Lafhey, avvicinandosi al re muspell e tenendo in mano un calice di buon
vino
elfico.
Imperturbabile, Surtr
salutò il sovrano jotun e disse:
“Grazie. Sempre il meglio per i miei stimati
ospiti.”
“Hai davvero superato te
stesso, stavolta” chiosò lo
jotun, guardandosi attorno con espressione sorridente. “Mi
chiedo, però, se
tanta opulenza non nasconda un po’ di stanchezza e
noia.”
“Potrei divorare i miei
nemici con un solo boccone,
non temere” ghignò Surtr, spingendo lo jotun a
brindare a lui.
Lafhey accettò la sfida
e, dopo aver fatto tintinnare
il proprio bicchiere con quello del muspell, replicò:
“Oh, non lo metto in
dubbio. Tu sei sempre stato un grande guerriero… ma i tuoi
giovani soldati, che
mai hanno combattuto una vera guerra, sarebbero in grado di sostenerne
una? E’
così difficile capire se i nostri eserciti sono
all’altezza dei loro
altisonanti nomi!”
Nel dirlo, sospirò
afflitto, come se Lafhey stesso
pensasse di non avere schiere di soldati all’altezza del loro
nome e Surtr,
laconico, asserì: “Avere comandanti come il mio
fidato Yothan mi fa credere che
nulla al mondo possa sconfiggere le mie Fiamme.”
Il re jotun sorrise mellifluo al
vecchio soldato –
solido come una roccia al fianco del proprio re – e,
annuendo, convenne
dicendo: “Oh, di persone come il rinomato comandante Yothan
si può sempre fare
affidamento. Pagherei qualunque cifra per avere un simile guerriero tra
le mie
schiere. Nessuna possibilità che io possa
rubartelo?”
Surtr sorrise appena, a
quell’accenno e Yothan, con un
grazioso inchino rivolto allo jotun, disse: “Vi ringrazio
sentitamente per il
complimento, sire, ma ho un problema con le basse temperature. Sono
sensibile
ai geloni.”
Lafhey scoppiò in
un’allegra risata, a quel commento
e, annuendo, esalò: “Cielo! Avere anche una simile
simpatia tra le mie fila! I
miei generali sono così… freddi
e rigidi!”
Persino Surtr si lasciò
andare a un mezzo sorriso, di
fronte a quel tentativo di fare dell’ironia e Lafhey,
ritenendosi soddisfatto,
terminò di dire: “Non voglio monopolizzarvi oltre.
La festa è ancora agli
inizi, e voi dovete parlare con un sacco di persone.”
“Il tuo punto di vista
è sempre gradito, Lafhey,
perciò il tempo passato con te è sempre speso
bene” dichiarò Surtr,
stringendogli la mano.
Lo jotun sorrise appena nel
replicare alla stretta e,
misterioso, replicò: “E’ un peccato
quando il tempo non sembra mai bastare.”
Surtr lo fissò confuso
per un istante prima di
sobbalzare quando, all’improvviso, una terribile esplosione
fece vibrare i
vetri del salone delle feste e un’alta colonna di fuoco si
sprigionò dalla
città di Hindarall.
“Ma
cosa…” borbottò il re prima di tornare
a cercare Lafhey
con lo sguardo.
Quest’ultimo,
però, si era già dileguato in mezzo alla
folla, folla che si stava assiepando sgomenta nei pressi delle alte
vetrate, in
trepidante osservazione del fuoco divampato nei pressi del Portale di
Bifröst.
La distanza era troppa per
comprendere cosa stesse
succedendo ma, quando le esplosioni si susseguirono e, dalle vie della
città,
cominciarono a levarsi grida talmente forti da raggiungere il palazzo,
Surtr
urlò: “Siamo sotto attacco! Alle armi,
presto!”
L’istante successivo, il
re cercò con lo sguardo
Hildur e Ilya e, addolorato quanto deciso, assentì
all’indirizzo della
guerriera.
Alla Fiamma Nera non
servì altro. Afferrò a un braccio
la regina e, senza attendere oltre, la portò con
sé ignorando le proteste
veementi della sua sovrana.
Con occhi che bruciavano di
indignazione, Hildur raggiunse
quindi la porta di un vicino disimpegno e lì, lapidaria,
ordinò alla regina:
“Non una parola. Tornerò subito da voi e voglio
ritrovarvi qui, è chiaro?!”
Ilya assentì torva, non
certo abituata a ricevere
ordini quando, per millenni, era stata lei
a darne agli altri.
Ben sapendo di essere apparsa
aspra, nel suo agire,
aprì la tunica con una mano, afferrò lo stiletto
avvelenato per passarlo alla
sovrana e, più gentilmente, aggiunse: “Uccidete
chiunque non sia io, o mio zio
Snorri. Non possiamo fidarci di nessun altro.”
“Va bene”
mormorò secca la regina, trattenendo tra le
mani la letale arma.
Hildur assentì veloce,
chiuse dietro di sé la porta –
che nascondeva un piccolo andito conosciuto solo dalla
servitù – e, con occhi
attenti, cercò in fretta la figura dello zio.
Snorri sarebbe divenuto in breve
tempo una delle prede
più ambite dai loro nemici, essendo il possessore delle
chiavi del più grande
tesoro contenuto nel tempio di Sól. Era perciò
vitale che nessuno lo trovasse
prima di lei.
Sperando perciò che lo
zio si fosse posizionato nel
luogo in cui lei lo aveva pregato di trovarsi, qualora si fossero
scatenati
disordini, Hildur corse verso il tavolo delle bevande mentre, sul fondo
del
salone, i primi armigeri dokkalfar facevano irruzione in armi.
L’istinto di muovere in
direzione del nemico fu forte,
ma la visione di Snorri che procedeva verso di lei con passo spedito le
rammentò il suo compito e, con esso, il suo dovere.
Afferrando gentilmente lo zio al
gomito, lo condusse
in fretta dove aveva lasciato la regina, ignorando volutamente le grida
disperate degli ospiti, quelle iraconde degli armigeri del re e quelle
rabbiose
dei nemici.
Se fosse rimasta un solo attimo di
più, le sue gambe
si sarebbero mosse verso la battaglia, ignorando ogni altra cosa, ogni
altra
imposizione, pur sapendo che non avrebbe dovuto farlo.
Non ascoltare quanto stava
accadendo dietro di lei, la
distruzione, la morte e la devastazione, era vitale per compiere quella missione. Diversa da quella che
stavano combattendo i suoi compagni, ma non meno importante.
Aperta perciò la porta
del disimpegno dove aveva
nascosto Ilya, gridò subito: “Sono io, mia
regina!”
Ciò detto, spinse dentro
Snorri, sbarrò la porta spezzandone
la maniglia dopodiché, rapida, picchiettò con le
nocche il muro dinanzi a sé,
mormorando: “Dobbiamo recarci quanto prima al Portale di
Bifröst, sperando che
non abbiano abbattuto le porte per raggiungere i ponti.”
“Ma… dovremo
attraversare tutta la città, per
raggiungerlo!” esclamò turbato Snorri, guardando
preoccupato la sua regina.
“Non in questo caso,
zio” dichiarò la guerriera, trovando
finalmente il punto in cui far scattare la sicura del passaggio
segreto.
Sorridendo poi a entrambi, aggiunse: “Questo palazzo non
è solo bello e
maestoso, ma anche pratico, e offre una gamma infinita di vie
d’uscita.”
Nell’invitarli a scendere
lungo l’oscura scalinata
nascosta dietro la porta segreta, Hildur azionò il campo
magico che correva
lungo le pareti di roccia e, immediatamente, reti infinite di muschi
bioluminescenti presero vita.
Sotto i loro occhi, la via venne
illuminata per
intero, lasciando intravedere un’interminabile scalinata che
sembrava giungere
fino al centro del pianeta.
Mentre i gradini si dipanavano
dinanzi a loro
portandoli sempre più in basso, sempre più
lontani dalla battaglia che si stava
svolgendo nel salone delle feste, Ilya sollevò un poco le
gonne per correre più
agevolmente e domandò piccata: “Tu e mio marito
eravate d’accordo, vero? Perché
non ne ero stata informata?!”
“Non eravamo sicuri di
nulla, maestà, perciò era
inutile tediarvi con teorie cospirative che non avevano alcuna base
certa”
replicò cauta Hildur, non sapendo quanto esporsi.
Ilya non era la fragile donna che
molti pensavano lei
fosse e, se la sua rabbia raggiungeva il culmine, poteva essere
temibile al
pari di quella di Surtr. Era perciò imperativo non farsela
nemica, per poter
compiere agevolmente quella missione.
“Sicuri di nulla, eh? Per
questo eri armata, sotto la
tunica? Per questo, sotto i tavoli,
era pieno zeppo di spade?” ribatté aspramente la
regina, imboccando l’ennesima
scala.
“Non sapevamo contro chi
avremmo dovuto eventualmente
combattere, ma eravamo praticamente certi che qualcosa stava muovendosi
nell’ombra, e aveva a che fare con il bando di Sthiggar da
Muspellheimr” le
spiegò a quel punto Hildur, sorprendendola.
“Che c’entra
quel benedetto ragazzo?” esalò sorpresa
la regina mentre Snorri scrutava interrogativo la nipote.
“Ve lo
spiegherò dopo, lo giuro solennemente. Ora,
però, dovete seguire strettamente i miei ordini. Me ne scuso
in anticipo”
replicò sbrigativa Hildur, sopravanzando la regina per
essere la prima a
oltrepassare la porta di ferro che li separava dalle gallerie
sotterranee,
un’intricata serie di passaggi che correvano al di sotto
dello strato roccioso
della baia.
Ilya storse il naso contrariata,
pur accettando le
parole della guerriera e Snorri, nell’annuire a sua volta,
disse: “Non saremo
d’impiccio, cara… ma dicci; cosa faremo, una volta
raggiunto il Portale di
Bifröst?”
“Dovremo andare su
Midghardr e cercare Sthiggar per
riportarlo indietro… ammesso e non concesso che non sia
successo nulla nel
frattempo” sospirò lei, aprendo la porta per poi
scrutare guardinga le
gallerie. “Il fatto che non ce lo siamo ritrovati addosso,
comunque, è già un
buon segno, o credo che l’avrebbero usato per abbattere il re
in un colpo
solo.”
I due muspell sospirarono sgomenti,
di fronte a
quell’ipotesi e Hildur, nell’aprire la porta,
controllò la situazione oltre
essa.
Nulla e nessuno sembrava aver
utilizzato quelle
gallerie da tempo immemore e, quando Hildur azionò la stessa
magia
bioluminescente usata in precedenza, le arcate scavate a mano
rifletterono onde
di luce che crearono ombre lunghe e minacciose.
Non di meno, Hildur
avanzò sprezzante e pronta a
menare fendenti al primo che si fosse messo contro di lei. Alle sue
spalle,
Ilya e Snorri la seguirono molto meno baldanzosi, tenendosi fianco a
fianco per
sostenersi a vicenda.
“Cosa intendi dire,
Hildur? Cosa mai può essergli
successo?” domandò quindi turbato Snorri,
avanzando quasi di corsa al pari
della regina.
“Temiamo che le stesse
persone che ci hanno attaccati
stanotte, possano aver cospirato per indebolire Sthiggar,
così da poterlo
soggiogare e usare contro re Surtr la sua Fiamma Viva,
l’unica in grado di
uccidere il sovrano” mormorò pensierosa Hildur,
muovendosi lesta lungo la
galleria sgombra e che rifletteva in un’eco infinita solo il
suono dei loro
passi.
Snorri inspirò con
forza, turbato da quella notizia e
Ilya, nello stringere la mano che teneva poggiata sul braccio
dell’uomo, disse
incoraggiante: “Se c’è una cosa che ho
imparato, di quel ragazzo, è che trova
sempre il modo di saltare fuori dai guai. Abbi fede, Snorri.
E’ pur sempre il
nipote di Sól.”
L’uomo assentì
con un mezzo sorriso, pur non
sentendosi affatto tranquillo e Hildur, nell’indirizzarli
verso l’ennesima
scalinata, disse: “Da qui, raggiungeremo il salone centrale
del Portale di
Bifröst. Io entrerò per prima e
controllerò che non ci siano pericoli ma, se
dovessero esserci dei problemi, voi andrete comunque a Midghardr,
preleverete
una CercaFiamma per trovare Sthiggar e il pennino di un Guardiano per
liberarlo
dal veleno, dopodiché gli direte ciò che sta
accadendo. Io vi coprirò le spalle
durante la fuga.”
“Hildur, no!”
sbottò Snorri, bloccandola a un braccio
perché non compisse un solo passo in più.
La donna scrutò con
profondo affetto il gentile e
pacifico zio, l’uomo che aveva tentato con tutto se stesso di
offrire amore e
protezione all’animo tormentato del figlio e, sorridendo,
replicò: “Sono una
Fiamma Nera, zio, e il mio compito è proteggervi. Se non
potrò condurvi io
stessa a Midghardr, dovrai promettermi che proteggerai tu stesso la
regina e
che troverete Sthiggar a ogni costo.”
Snorri assentì suo
malgrado alla nipote e Hildur, nel
liberarsi gentilmente dalla stretta dello zio, tastò un muro
nei pressi della
porta che li divideva dal Portale di Bifröst quindi aggiunse:
“Ora, dovrete
indossare abiti più consoni al regno degli umani. Questi,
attirerebbero troppo
l’attenzione e, obiettivamente, rendono scomodo qualsiasi
movimento.”
Prelevando da una nicchia del muro
gli abiti che,
giorni prima, aveva preparato per tutti loro, Hildur
consegnò il necessario a
Snorri e Ilya dopodiché, sfilandosi in fretta la tunica, la
sostituì con un
maglione e dei comodi stivaletti di cuoio.
Ai pantaloni non badò
– erano di pelle scamosciata e
rientravano tra l’abbigliamento che avrebbe potuto benissimo
passare per moda
umana – e, subito, si concentrò
nell’aiutare la regina, alle prese con un paio
di jeans.
“Mi scuso con voi, Ilya
ma, per fuggire, i pantaloni
sono decisamente più comodi” le disse Hildur,
aiutandola poi con le scarpe da
ginnastica.
“Oh, dopo questa
scampagnata forzata, mi farò arrivare
da Midghardr un carico intero di questi abiti”
cercò di ironizzare lei,
tastando coi piedi la morbidezza delle scarpe.
“Tu come sei messo,
zio?” chiese a quel punto Hildur.
“Direi che sono a
posto” le disse lui, guardandosi con
aria curiosa.
Dopo averlo controllato
velocemente, la donna assentì,
aprì guardinga la porta dopo aver creato un elaborato
ologramma magico dinanzi
alla serratura e, sgomenta, vide i primi, terrificanti effetti
dell’esplosione
che avevano udito da palazzo.
La cupola del Portale di
Bifröst era completamente
distrutta e i suoi residui di vetro, legno e ferro si trovavano
sparpagliati un
po’ ovunque, creando un vero e proprio cimitero
architettonico.
Oltre a quello, Hildur scorse
diversi muspell morti
sotto le macerie, altri dilaniati da ferite esplosive –
forse, dovute alle armi
dei dokkalfar – e, altri ancora, squarciati dalle armi di
ghiaccio degli jotun.
L’odore acre del fuoco
artificiale creato dai nani
oscuri ammorbava l’aria ma, almeno a una prima occhiata, i
nemici erano passati
senza lasciare nessuno a controllare le porte di Bifröst.
Da quella posizione privilegiata,
Hildur poté udire
anche i suoni di lotta provenire dal porto e, più in
là, dalla città in fiamme
ma, non potendo far altro che continuare nella sua missione,
proseguì oltre,
concedendo ai suoi protetti di passare.
Ilya gorgogliò irata nel
vedere il totale sfacelo di
quei luoghi e i corpi esamini stesi a terra ma Snorri, al suo fianco,
la trattenne
dall’avvicinarsi ai morti, così da non rischiare
eventuali agguati imprevisti.
Non v’era tempo per la
pietà, né per gli scatti d’ira.
Il loro imperativo principale era raggiungere Midghardr e riunirsi con
Sthiggar. Per tutto il resto, anche per l’umano struggimento,
avrebbero dovuto
attendere.
Muovendosi perciò tra le
macerie fumanti, i corpi dei
valorosi Guardiani che avevano difeso le Porte e ciò che era
rimasto del
passaggio distruttivo dei loro nemici, Hildur raggiunse finalmente il
Portale
di Midghardr.
Lì, sotto il suo sguardo
sgomento e contrito, vide infine
il Guardiano di Porta che aveva tatuato Sthiggar il giorno del suo
esilio. Poggiato
contro il portale chiuso e con una evidente ferita al torace, sembrava
sul
punto di cedere e il suo respiro affannato era un chiaro indice di
quanto fosse
vicino alla fine.
Non avrebbe vissuto ancora per
molto; i rivoli di
sangue e schiuma che uscivano dalla sua bocca glielo confermavano senza
ombra
di dubbio.
Bloccata l’avanzata dei
suoi protetti, la guerriera si
avvicinò quindi all’uomo morente e, con sguardo
tenero, sfiorò quel viso
pallido e stanco e mormorò: “Dimmi, buon
guardiano, qualcuno si è recato a Midghardr?”
“H-hanno r-rubato una
C-CercaFiamma” gorgogliò l’uomo,
indicando poi con un cenno del capo il suo pennino spezzato e le altre
CercaFiamme – distrutte – sparse sul pavimento.
Accigliandosi nel vedere il pennino
ridotto a
brandelli – l’unico oggetto in grado di liberare
Sthiggar dal giogo della magia
che lo teneva bloccato su Midghardr – Hildur strinse i denti
ma disse ancora:
“Hai fatto ciò che hai potuto, con quello che ci
era concesso sapere. Nessun
guerriero avrebbe potuto essere più coraggioso di te, e il
re lo saprà per
bocca mia.”
“E mia”
soggiunse la regina, accucciandosi accanto
all’uomo, che boccheggiò nel vederla.
“M-mia
r-regina” annaspò il guardiano, cercando di
alzarsi.
La regina, però, gli
carezzò gentilmente il viso,
scosse il capo e replicò: “Riposa, mio buon
guardiano, e sappi che il tuo
sacrificio non sarà stato fatto invano. Libereremo
Muspellheimr dagli invasori,
in un modo o nell’altro.”
L’uomo mosse appena il
capo per annuire e, nel muovere
febbrilmente una mano in direzione di una delle tasche della tunica,
mormorò
stanco: “Una C-CercaFiamma. L’ho s-salvata p-prima
che le distruggessero
t-tutte.”
Hildur prese la sua mano nelle
proprie, chinò il capo
per sfiorare con la fronte quelle dita lorde di sangue e, benedicente,
disse:
“Sól ti guiderà nel cammino verso il
Valhalla, il luogo più puro e limpido di
Helheimr. Di questo sono sicura.”
A questo punto, Snorri si
inginocchiò accanto a loro,
sfiorò con indice e medio la fronte dell’uomo e,
salmodiando una preghiera
mentre Hildur prendeva per sé la CercaFiamma,
mormorò roco ma con voce
controllata: “Sii benedetto, figlio di Muspellheimr. La tua
anima immortale
assurgerà al regno degli eroi e la tua vita sarà
cantata nei secoli a venire.”
Con un ultimo gorgoglio, il
guardiano mormorò un inno
al re e Hildur, nello stringere tra le dita la CercaFiamma, un semplice
oggetto
tondeggiante e ricoperto di perle opalescenti, dichiarò:
“Ammazzerò fino
all’ultimo jotun che mi capiterà a tiro. Ma ora
dobbiamo andare. Non sappiamo
quanto tempo abbia ancora a
disposizione
Sthiggar. Se gli jotun sono andati su Midghardr, vuol dire che
è ancora vivo,
perciò abbiamo speranza di trovarlo prima di loro.”
I suoi due protetti assentirono nel
rialzarsi e, dopo
un’ultima occhiata al guardiano ormai morto, si avviarono con
la guerriera
attraverso la porta che conduceva a Midghardr.
“Cosa pensi faranno, se
raggiungeranno Sthiggar prima
di noi?” domandò preoccupato Snorri, oltrepassando
il ponte di Bifröst a occhi
socchiusi, quasi accecato dal lampo giallo che li investì al
loro arrivo.
“Sicuramente, avranno un
mago liòsalfar in grado di
annullare il blocco sul braccio di Sthiggar e imbrigliare la sua anima
per
soggiogarlo ai loro voleri” gli spiegò Hildur,
indicando loro un’intricata
scalinata che conduceva verso l’alto. “Era uno dei
nostri timori e, visto ciò
che hanno fatto, diventa più reale a ogni minuto che
passa.”
“E la CercaFiamma, come
funziona? Non li condurrà agli
altri detenuti?” domandò Ilya, in ansia.
“Sono pur sempre figli di Muspell.”
“No, mia regina. Ogni
firma è peculiare e, se hanno
preso con loro le CercaFiamma, non solo sapevano della loro esistenza,
ma
sapranno anche come usarle e regolarle sul tratto energetico di
Sthiggar”
borbottò Hildur. “Se solo sapessi chi è
il delatore, lo avrei già sgozzato.”
“Io, invece,
farò installare qualcosa di più comodo di
queste interminabili scale. Non ne posso davvero
più” sbuffò la regina,
accennando poi un sorrisino teso a Hildur.
“Vi capisco, regina Ilya.
Sono davvero noiose” assentì
la guerriera, accelerando il passo al pari dei suoi protetti.
Non avevano idea di quando si
fossero mossi gli jotun
che erano partiti alla volta di Midghardr ma, di sicuro, non potevano
perdere
tempo alcuno.
Sthiggar era solo e senza poteri,
nel mondo degli
uomini e, contro un contingente jotun, sarebbe sicuramente stato
catturato, se
non fossero arrivati in tempo.
1:
Jormungandr: fratello di Fenrir. E’ il demone-serpente che,
nel mito, circonda
la Terra e che, alla fine dei tempi, divorerà tutti.
I
liòsalfar, invece, sono in generale gli elfi – sia
chiari che scuri – che hanno peculiari doti magiche e
possono, all’occorrenza,
irretire anche guerrieri del calibro di Sthiggar, se presi nel loro
momento di
maggiore debolezza.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Cap.
18
Dopo
aver abbandonato in un vecchio fienile fatiscente l’auto di
Ragnhild, il gruppo
di Sthiggar si era immerso nella taiga per sfuggire agli occhi
indiscreti delle
persone, e a quelli ancor più pericolosi dei berserkir.
Boris
non l’aveva ancora contattata per darle notizie di suo padre,
ma Ragnhild non
poteva basarsi solo su quello, per essere certa di non avere decine di
uomini-orso
alle calcagna.
Inoltre,
ora che si trovavano nel bosco, la linea era quasi sempre assente,
perciò la
giovane non poteva essere certa che il cugino non l’avesse
cercata per
avvertirla di un eventuale pericolo.
La
mossa più saggia era ripararsi e, nel contempo, avvicinarsi
il più possibile al
confine, sperando poi di trovare un luogo in cui chiamare i loro
potenziali
salvatori.
Non
poteva fidarsi di suo padre, perciò doveva credere che li
avrebbe attaccati al
primo momento utile.
Se
avesse instillato nei loro guerrieri la bersersgangr
con il solo scopo di ritrovare Mattias, nulla li avrebbe fermati fino a
compimento della missione, e un berserkir invaso dall’ira era
quanto di più
spaventoso lei conoscesse.
Tolti
gli jotun che li avevano attaccati, ovviamente.
Quello
che però, al momento, la preoccupava in misura maggiore, era
non riuscire a
trovare uno straccio di segnale per il suo cellulare.
Camminare
così addentro nel bosco comportava, inevitabilmente, qualche
problema tecnico,
problema che le impediva di mettersi in contatto con la persona con cui
aveva
così disperato bisogno di parlare.
Inoltre,
cosa non meno importante, l’idea che Sthiggar dovesse partire
per Muspellheimr
e, presumibilmente, per una guerra, non le solleticava di certo
l’animo.
Era
difficile ammettere che una persona che conosceva da così
poco tempo potesse
essere riuscita a scavare talmente a fondo dentro di lei, eppure era
successo.
Faticava
a sopportare il solo pensiero che lui se ne andasse, che lei non
potesse più
parlare con l’unica persona, tolto suo fratello, che
sembrasse aver compreso davvero chi
fosse.
Non
poteva però impedirgli di correre a proteggere il suo re e,
più di ogni altra
cosa, non poteva obbligarlo a rimanere solo perché lei,
diversamente, si
sarebbe sentita sola.
Soltanto
perché il suo cuore si sarebbe spezzato in due, tagliato
dalla mannaia
dell’amor perduto.
Sarebbe
stato tremendamente ingiusto, oltre che egoistico.
Non
poteva però impedirsi di soffrire al pensiero di non poterlo
conoscere meglio,
di non ascoltare più il suono della sua voce, o il tepore
della sua aura. Tutto
questo le stava scavando un solco sempre più profondo nel
cuore, e non riusciva
a trovare un modo per impedirlo.
“Ehi,
sorellina… sorellina…” la
richiamò a lungo Mattias.
Riprendendosi
solo a stento, Ragnhild si volse a mezzo per rispondergli ma, tanta era
la sua
distrazione, la giovane urtò contro una pianta, finendo con
l’imprecare in
mezzo a rami d’abete e alle risate del fratello.
Mattias
non riuscì a non ridere di fronte a quella scena tragicomica
e Ragnhild,
esplodendo in una furiosa sequela di insulti – sentendosi al
contempo un’idiota
patentata – lo mandò a quel paese prima di
allontanarsi a grandi passi.
Sthiggar
osservò l’intera scena senza saper bene cosa dire
mentre Thrym, dando una pacca
sulla spalla a Mattias, mormorava: “Lasciala stare,
piccoletto. Ha fin troppi
pensieri per la mente.”
“Scusa,
ma non ce l’ho proprio fatta” esalò
Mattias, tergendosi lacrime d’ilarità.
“E’
così turbata dalla verità da non stare attenta a
dove mette i piedi.”
Thrym
levò un sopracciglio per il dubbio, di fronte a quella
risposta apparentemente
senza senso e Sthiggar, nel sospirare, borbottò:
“E’ Urd che parla. Ma non
cambia la sostanza delle cose. Ragnhild non ha bisogno di ulteriori
problemi.”
Ciò
detto, rincorse la giovane perché non rimanesse da sola col
proprio imbarazzo e
i propri pensieri funesti e Flyka, nel poggiarsi contro il tronco morto
di un
abete, scrutò Mattias e domandò: “Tu
sai più di quanto ci dici, vero,
ragazzino?”
“Non
mi è ancora concesso parlare, mi spiace. Ma loro due devono
viaggiare assieme,
checché ne pensi mia sorella” si limitò
a dire Mattias, tornando serio.
Flyka
assentì pensierosa, ma disse: “Questo viaggio li
farà soffrire entrambi. Poco
ma sicuro.”
***
Avvicinandosi
ulteriormente a Ragnhild, che stava borbottando insulti
all’indirizzo del mondo
intero, Sthiggar le avvolse le spalle con un braccio e, conciliante,
disse: “E
dire che dovresti essere più esperta di me, in merito alla
lingua lunga di tuo
fratello. O non è così che succede, quando si ha
un fratellino piccolo? Scusa,
ma non sono molto ferrato in materia.”
“Non
lo sopporto quando mi prende in giro. Lo
sa che sono suscettibile, eppure a volte proprio non riesce
a frenare la
lingua. Sono appena stata bandita dal nostro clan, ci inseguono dei
pazzi
furiosi che vogliono farti la pelle e non sono ancora riuscita a
parlare con Magnus,
il guardiano di Odino. Direi che ne ho di motivi per essere distratta e
incazzata!” sbottò Ragnhild, guardando furiosa la
totale mancanza di segnale
del suo cellulare.
Lui
accentuò appena la stretta e aumentò un poco la
sua aura perché anche lei
potesse avvertirla e, immediatamente, Ragnhild si chetò.
Quel calore benefico
sembrava essere la risposta ai suoi malumori e, ciò che era
successo solo poche
ore prima, pareva avergli dato la conferma anche su altre cose.
Suo
malgrado, Sthiggar aveva notato altro, oltre alla reazione di Ragnhild
al tocco
della sua aura.
"Ragnhild, cosa succede realmente?"
domandò Sthiggar, avvertendo chiaramente il suo
irrigidimento.
"E se io volessi qualcosa a
qualsiasi costo, e non volessi perdere
tutto ciò per nessun motivo perché...
perché sento che mi
appartiene, anche se non so bene perché?" domandò
lei reclinando il viso e
mordendosi il labbro inferiore dall'ansia.
Non sapeva cosa provava, sapeva
soltanto che, più si avvicinavano alla
partenza di Sthiggar, più sentiva il cuore trafitto da mille
lame e, il solo
pensare ai perché di
quel dolore immane, la faceva sentire a
disagio.
Poteva davvero credere di provare
qualcosa per lui, visto che non si
conoscevano da molto? Poteva, il tempo, essere un concetto aleatorio,
se si
trovava la persona che faceva risuonare la propria anima come uno
strumento ben
accordato?
Oppure, si era lasciata blandire
dalla sua bellezza e dal fatto che lui era
tutto ciò che non erano mai stati i
membri del suo clan?
Detestava così tanto la
sua genia da voler allontanarsi il più possibile
con il primo venuto, foss'anche bello ed educato com'era Sthiggar? O
c'era
qualcosa di più?
Sospirando, Sthiggar le prese
entrambe le mani e, nell'osservare i raggi di
sole che, sempre più fitti, penetravano nella taiga che
stavano attraversando,
ammise: "Quando giunsi qui ero distrutto, confuso, sperduto. Detestavo
il
freddo che sentivo dentro e odiavo il fatto di non essere
più me stesso. E'
demoralizzante ammetterlo, ma l'essere una Fiamma Viva mi ha fatto
sentire
... speciale. Stando qui, invece, ero solo
l'ombra di me stesso, e
non capivo chi mi avesse messo in questo guaio colossale,
perciò l'angoscia si
mescolava alla rabbia in un loop
senza fine che mi stava velocemente portando alla pazzia. Ma poi ho
incontrato
te e Mattias."
"E quindi?" mugugnò lei,
ostinandosi a non guardarlo in volto.
"Il fatto che tu e Mattias
foste speciali e, al tempo
stesso, integrati nel tessuto societario umano, mi ha fatto sentire
meno solo.
Sarà paradossale, forse un tantino infantile, ma
è così. Anche per questo ho
accettato di essere il tuo Campione. Ho visto un'opportunità
di sentirmi utile
in qualche modo e, al tempo stesso, di sentirmi meno spaesato in questo
mondo
che non conoscevo. Potevo essere del tutto onesto con
qualcuno
che era anche del posto."
"Perché
tu ami la verità" assentì lei in un mormorio.
"Esatto.
Parlare con te, ascoltare ciò che avevi da dirmi su
Midghardr, su ciò che
vedevo e non capivo, mi ha fatto sentire meglio, e la mancanza
dell'aura ha
cominciato a essere un problema sempre minore. Riuscivo a lavorare,
a fare
cose senza di essa e ho iniziato a essere
più consapevole di me
stesso, di me come persona senza il
mio potere."
"Ti eri
convinto di essere solo questo? Forza e potere?" replicò
Ragnhild, così
sorpresa da quell'ammissione da tornare a sollevare il viso per
guardarlo.
Negli occhi
di lapislazzulo di Sthiggar la giovane lesse solo verità e,
spiacente per lui,
aggiunse: "Davvero credevi che le persone vedessero solo questo, in
te?"
"Molte
di esse, sì, e questo ha scatenato invariabilmente gelosie e
solitudine. Solo
poche persone mi hanno visto per quello che ero ma è stato
venendo qui, stando
con te, che anch'io mi sono reso conto di valere anche per
qualcosa che non
fosse la Fiamma Viva" dichiarò lui, carezzandole il viso con
delicatezza.
"Cosa?" esalò lei,
incatenata
al suo sguardo.
"Non so cosa mi stia passando per
la testa, né se sia giusto provare quello
che sto provando,
ma sto bene con te, e il desiderio di tornare a casa per proteggere il
mio re è
pari a quello che ho di rimanere qui e parlare ancora con te, ascoltare
la tua
voce, provocare in te una qualsiasi reazione" disse lui con
semplicità.
"Non sono avvezzo a queste cose, Ragnhild. Ho passato gli ultimi
cinquant'anni
in mezzo a fango, roccia e spade, e prima ero troppo sciocco e
superficiale per
capire realmente i sentimenti delle persone. Ora, non so bene come
comportarmi,
ma so questo. Mi mancherai, mi mancherai più di quanto io
possa dire a parole,
e so che allontanarmi da te mi costerà moltissimo."
"Perché hai dovuto
dirmelo?"
chiese allora lei, sentendo montare le lacrime che non voleva
assolutamente
versare.
"Perché mentirti sarebbe
stato
peggio. Dirti che non conti nulla, per me, sarebbe stato sbagliato,
perché non
è così" mormorò Sthiggar.
"So ciò che c'è da sapere, su di te, e
quel che so mi piace. Mi dà pace... e tu ben sai quanto io
l'abbia sempre
agognata."
"Sì, lo so"
mormorò Ragnhild,
ingabbiata dai suoi magnetici occhi di lapislazzulo.
"Il primo sonno tranquillo che io
abbia mai dormito da che ho memoria, l'ho avuto con te al fianco,
Ragnhild.
Vorrà pur dire qualcosa, no?" ammise a quel punto lui,
facendola
sobbalzare per la sorpresa.
“Unirmi a te, sentire
l’odore della tua
pelle, la morbidezza dei tuoi baci, mi ha fatto dimenticare chi ero, mi
ha
fatto desiderare di essere una
persona diversa. Una persona che andasse bene per
te” aggiunse lui, sfiorandole le labbra con un
bacio.
Lei accettò quel tocco,
bramandolo come
si brama l’aria stessa e, nell’aggrapparsi a lui,
seppe di non aver scampo
alcuno. Non soltanto Sthiggar si sarebbe sentito malissimo, alla sua
partenza.
"Farò ciò che
devo fare, dopodiché
tornerò qui per te e scoprirò se quello che sento
è reale o se è solo il frutto
di un tuo meraviglioso incantesimo, va bene?" le propose a quel punto
lui,
sorridendole.
"No" replicò
però a sorpresa
lei, facendolo sobbalzare.
"Perché? E' dunque
diverso, quello
che senti tu?" domandò lui turbato, facendo l'atto di
allontanarsi da
Ragnhild.
Lei però lo trattenne,
fece forza sulla
mano che ancora stringeva la sua e disse con veemenza: "Non
è questo.
Non voglio che torni qui perché
qui soffriresti sempre,
anche se ora sei in grado in una certa misura di usare l'aura. Credi
che non mi
accorga della fatica che fai, ogni volta che la utilizzi? La
Terra non
è Muspellheimr. Tu sei fatto per
stare là, non qui e,
per quanto io detesti dirtelo, devi andare via."
"Lo detesti?" ripeté
lui, sorridendo appena.
Ragnhild assentì,
ammettendo finalmente ad alta voce: "Pensavo ci
volesse di più per capire di volere qualcuno al fianco, ma
tu... tu mi completi. Riempi i
buchi che mi
danno dolore e, al tempo stesso, non ne crei altri."
Sthiggar
inclinò il capo per scrutarla con affetto e disse: "Potrei
fare come
Gunther. Chiudere i centri di accesso all'aura per non sentire
più il richiamo
del potere. Diverrei un comune umano e vivrei qui con te."
"No"
disse ancora lei, scuotendo furiosamente il capo. "Dio! Sarebbe come
squarciare con un coltello la Monna Lisa!"
"In che
senso?" esalò lui, sobbalzando.
"Sthigg,
tu sei speciale, non solo perché
sei la Fiamma Viva, voglio
chiarirlo subito, ma non possiamo nascondere che tu lo sia. Lo porti
inciso
sulla pelle, per Dio! Io ho toccato quelle
fiamme!"
sbottò a quel punto Ragnhild.
"Oh, lo
so. C'ero anch'io quando le hai toccate" sorrise allora malizioso lui,
facendola sbuffare.
"Piantala.
Non cambiare atteggiamento per fuorviarmi" lo rimproverò
Ragnhild,
dandogli un colpetto con la mano libera prima di accorgersi di cosa
aveva
appena fatto Sthiggar. "Ed ecco che ci risiamo. Vedi?"
"Vedere
cosa? Te? Sì, gli occhi mi funzionano ancora bene, te lo
assicuro" celiò
lui.
Lei lo fissò
esasperata prima di dire: "Ero triste e confusa, e tu mi hai trascinata
via dalla melma in cui stavo cadendo sempre di più. Lo fai
fin da quando ci
siamo conosciuti e, più mi conoscevi, più ti
impegnavi nel farlo. Non so se lo
fanno tutti i muspell, ma tu sei speciale anche
per questo. Per me sei speciale.
Io ti dono pace?
Beh, tu la doni a me, Sthiggar, ed è per
questo che non voglio
che tu cambi di una virgola. Sarebbe come deturpare un'opera d'arte!"
"Beh,
non mi hanno mai dato dell'opera d'arte" sorrise a quel punto lui.
"Ma ho capito cosa intendi dire, e ti ringrazio. Il problema,
però,
rimane."
"Non se
io vengo con te" buttò allora lì Ragnhild,
sorprendendolo.
"Come?
Ma..." tentennò lui, lanciando un'occhiata al gruppetto poco
lontano ma
che, con pazienza, stava attendendo il loro ritorno. "... e tuo
fratello?
Lo abbandoneresti così?"
"Sarebbe
doloroso, straziante, ma non sarebbe un addio definitivo, visto che
esistono
portali che conducono qui, no?" replicò lei.
"Ragnhild,
te l’ho già detto. Muspellheimr ha temperature
troppo alte perché tu possa pensare
di sopravvivere a esse” le rammentò a quel punto
il giovane muspell, sorridendo
spiacente.
Lei si morse
un labbro, dubbiosa, e mormorò turbata: "Nessun
posto andrebbe bene, per me?"
Sospirando,
lui ammise: "Beh, esistono posti un poco più freschi e si
trovano ai poli,
ma sono disabitati. Davvero
accetteresti di rimanere lì, e solo per stare con me?
Davvero ti
accontenteresti di vivere lì con me, senza alcun altro se
non noi due?"
Lo sconforto
si abbatté su Ragnhild che, rabbiosa, strappò la
mano da quella di Sthiggar e
iniziò a tempestarlo di pugni sul torace, sibilando in preda
al pianto:
"Perché? Perché hai
dovuto venire proprio qui? Perché ti
ho incontrato, se ora ti devo perdere?!"
Sthigg la
lasciò fare per qualche attimo prima di avvolgerla tra le
braccia, calmarne la
rabbia e mormorare contro i suoi capelli: "Pensi che anch'io non provi
rabbia? Ma te l'ho detto. Una soluzione c'è, e io
rinuncerò ai miei poteri per
stare con te. Sempre che tu possa accettarmi freddo come un ghiacciolo
e perennemente
alla ricerca di una stufetta."
Lei rise tra
le lacrime, assentì contro di lui e replicò: "Ti
accetterei sempre,
ma non è giusto. Non
è giusto per te."
"Lascia
decidere a me, ciò che ritengo giusto per me stesso. Proprio
come tu hai fatto
con tuo padre" le sussurrò lui, sollevandole il capo per poi
baciarla.
Ragnhild gli
avvolse le braccia attorno al collo e, dentro di sé
e attorno a
sé, avvertì la fiamma di
Sthiggar farsi più forte, più avvolgente,
più
potente che mai.
Il rimorso
tornò inevitabile e, pur accogliendo tutto ciò
che Sthiggar le stava donando,
prese la sua decisione. Avrebbe chiesto a Odino di impedirgli di
tornare,
qualsiasi fosse stato il prezzo da pagare.
Sthiggar non
poteva e non doveva rinunciare a
tutto questo per lei. Non
glielo avrebbe mai permesso.
Fu solo
quando lo sentì irrigidirsi, che capì che
qualcosa non andava.
Scostandosi
mentre lui la sospingeva contro un albero, facendole poi da scudo col
proprio
corpo, lei mormorò: "Che succede?"
"Non so
come, ma ci hanno trovati. Gli jotun" le disse lui, richiamando a
sé
l'aura.
Non era
ancora in grado di controllarla a dovere, e le correnti contrastanti
del
pianeta non gli rendevano di certo facile il compito, ma doveva
difendere
Ragnhild e gli altri a qualunque costo.
La giovane,
nel frattempo, armeggiò con i suoi stivaletti, estrasse un
coltello e lo passò
a un sorpreso Sthiggar, dicendo: "Una berserkr non esce mai senza
essere
armata, ricordalo."
"Lo
farò" assentì lui con un sorriso, le narici che
prudevano a causa
dell'odore sempre più pungente proveniente
dai nemici.
Giganti di
Ghiaccio e Giganti di Fuoco non sarebbero mai andati d'accordo, e
l'odore
terribile che percepivano reciprocamente era uno dei motivi di tanta
inimicizia.
Poteva però
tornare dannatamente utile, in uno scontro dove era quasi impossibile
vedere
per tempo il nemico. Combattere in una taiga non era il massimo, ma
tanto
avevano perciò, dopo aver lanciato un’occhiata di
avvertimento a Thrym che, in
lontananza, sembrava aver colto a sua volta il pericolo, si
accucciò assieme a
Ragnhild e attese l’inevitabile.
Di colpo, e
nel momento stesso in cui udì Thrym gridare un
possente 'dannato
ghiacciolo dei miei stivali!', Sthiggar si
scostò sulla destra mentre
spingeva a terra Ragnhild. A quel punto, lanciò il suo grido
di battaglia e si
gettò su un altro jotun scatenando la sua aura.
Il colpo,
però, fu del tutto fuori scala e letteralmente
mandò in fumo il nemico e una
decina di alberi, lasciando Sthiggar quasi senza fiato e con le mani
tremanti,
quasi incontrollabili.
"Merda!"
sbottò lui, poggiando le mani sulle cosce per riprendere
fiato e controllo di
sé.
"Maledizione,
Sthigg! Volevi incenerire mezza taiga?!" esplose Ragnhild,
raggiungendolo
di corsa mentre, a poca distanza, gli jotun si stavano avvicinando loro
e agli
altri.
Sthiggar la
guardò con occhi accecati dal furore, il fiato corto e gli
arti tremanti e,
nell'afferrare la mano che Ragnhild gli allungò,
esalò: "Non... non
pensavo che gestirla in azione fosse
così dannatamente
difficile. Ma ora dobbiamo pensare agli altri."
"Pensa
a noi, prima!" strillò lei, sollevando la mano libera per
indicargli un
secondo nemico, che li stava caricando al pari di un panzer.
Sthigg
allora si concentrò sul pugnale che teneva in mano, lo fece
diventare rovente e
pugnalò lo jotun, che indietreggiò sorpreso e
sgomento, esalando: "Non
puoi... non puoi usare l'aura, qui!"
"Beh, a
quanto pare ci sbagliavamo tutti" ghignò lui, stringendo
maggiormente la
mano di Ragnhild per poi avventarsi sul nemico.
La giovane
lo seguì in quell'assalto e, per lo jotun, non vi fu scampo.
Impreparato a
subire un attacco da un muspell in grado di usare i suoi poteri, non
riuscì a
racimolare le energie necessarie per difendersi in alcun modo.
Ansimando
per la sorpresa, Sthiggar si concesse un attimo per sorridere a
Ragnhild, che
appariva sconcertata al pari suo, ma le urla dei loro amici non
concesse loro
il tempo di pensare a ciò che era successo.
Correndo
verso il trio, scavalcarono cespugli e rocce sempre tenendosi per mano
e, solo
all'ultimo, Ragnhild lasciò le dita di Sthiggar
perché si lanciasse contro i
nemici.
Fu in quel
momento che Mattias la raggiunse, trafelato e con occhi leggermente
sgranati a
causa dell'adrenalina che gli scorreva nel sangue e lei, stringendolo a
sé
mentre osservava la battaglia, esalò: "Come stai,
fratellino?"
"Bene.
Thrym mi ha protetto senza problemi. E' un potente guerriero anche
senza
poteri" dichiarò lui, sorridendole. "Tu come stai?"
"Te lo
dirò a breve" gracchiò la sorella, scostandosi in
fretta quando uno jotun
si lanciò contro di loro.
Sthiggar fu
subito al loro fianco – gli avversari di Thrym e Flyka
già debitamente
eliminati – e, nel lanciare il coltello a Ragnhild,
esclamò: "Proviamo
ancora!"
Lei assentì
con coraggio, gli afferrò una mano e Sthigg, nel sollevare
quella libera, si
concentrò sul nemico per convogliare la sua fiamma solo
contro di lui.
Il colpo
andò a segno senza procurare danni alla foresta e, solo un
poco ansimante,
Sthiggar si volse sorpreso e affascinato all'indirizzo di Ragnhild che,
eccitata, esalò: "Wow... meglio di un bazooka."
"Ehi,
mister lanciafiamme! Qui c'è di nuovo bisogno di te!"
gridò a gran voce Thrym,
tirando un destro in pieno volto all’ennesimo jotun giunto contro di loro e che,
imperturbabile, non
demorse e tornò all'attacco.
Non vi fu
bisogno di nessun intervento da parte di Sthiggar, però.
In un lampo
improvviso, tre figure apparvero nel bel mezzo della battaglia e una
lama
lucente si scagliò sugli impreparati jotun che, uno dopo
l'altro, caddero
vittime dell'arma muspell.
Fu solo quando
la calma tornò sul campo, che Sthiggar capì chi
fosse il misterioso guerriero
giunto in loro aiuto.
Quando
Hildur rinfoderò l'arma magica nel suo fodero, Sthiggar la
fissò sgomento e
sollevato al tempo stesso, prima di rendersi conto della presenza di
due
persone del tutto improbabili al fianco della cugina.
La regina
Ilya e Snorri, suo padre, si tenevano a debita distanza dagli jotun
morti,
apparentemente storditi ma sani e salvi.
"Padre..."
mormorò a quel punto Sthiggar, muovendo un passo verso di
lui.
Fu però la
regina a muoversi per prima. Corse verso il giovane sorprendendo tutti
i
presenti e, gettandosi tra le sue braccia, esclamò: "Ti
prego, Sthiggar,
salva mio marito!"
Stringendola
a sé mentre Ragnhild lo fissava con espressione
inquisitoria, Sthiggar carezzò
gentilmente la schiena tremante della regina, mormorando: "Stavo
giustappunto tentando di tornare, mia regina. Ma voi, perché
siete qui? Cos'è
successo, su Muspellheimr?"
Hildur prese
la parola mentre Ilya, ancora tremante e in lacrime, si teneva stretta
a
Sthiggar e, dopo aver scrutato l'eterogeneo gruppo che li stava
squadrando con
espressioni tra lo sconcertato e il dubbioso, disse: "Siamo stati
attaccati, e temevamo che gli jotun sarebbero venuti qui per rapirti e
condurti
da un mago liòsalfar per sottometterti alla loro
volontà ma, a quanto pare, non
abbiamo tenuto conto della tua unicità."
Nel dirlo,
fissò con aria inquisitoria il leggero alone dorato che
Sthiggar stava ancora
emanando. Quasi inconsciamente, Sthigg cercò la mano di
Ragnhild e, subito, lei
lo accontentò, aiutandolo a gestire l'aura perché
questa tornasse sotto
controllo.
Il gesto non
passò inosservato a Hildur che, accigliandosi un poco,
borbottò: "Un
catalizzatore?"
Sthiggar
fece per domandarle spiegazioni ma Snorri, dopo essersi avvicinato al
figlio,
lo abbracciò a sua volta, mormorando: "Sono così
felice di saperti
vivo!"
"Anch'io
sono felice di vederti, padre" mormorò commosso Sthiggar
mentre Snorri,
scostandosi dal figlio, sorrideva gentilmente a Ragnhild.
"Grazie
per aver permesso a mio figlio di gestire la Fiamma" disse quindi
Snorri,
stringendo la mano libera di Ragnhild con espressione commossa.
"Come?"
esalarono in coro i due diretti interessati.
Un bip improvviso
interruppe qualsiasi spiegazione e Ragnhild, in fretta,
afferrò il suo
cellulare dalla tasca per poi dire eccitata: "C'è campo!"
"Bene,
per tutti gli dèi! Chiama subito il tuo amico Odino, prima
che ci si avventino
contro anche gli zombie di The Walking dead!"
sbottò a quel
punto Thrym, guardando disgustato il corpo in liquefazione di uno jotun.
"Che
cosa?!" esclamarono quasi in coro i nuovi venuti, mentre Hildur
sguainava
spontaneamente la spada al solo sentir nominare il loro futuro nemico.
"Non
osare farlo, umana, se non vuoi che ti tagli la mano con cui ancora
stai
toccando mio cugino" ringhiò furiosa Hildur, avvicinandosi
minacciosa.
Sthiggar agì
d'istinto e, scostando gentilmente la regina e suo padre per fare da
scudo a
Ragnhild - perplessa da quella reazione del tutto inaspettata da parte
della muspell
- sibilò furente: "Non un solo passo, Hildur, o giuro che ti
pentirai di
ciò che hai detto."
Aggrappandosi
a Sthiggar al pari di Mattias, Ragnhild mormorò quindi
turbata: "E' quella,
tua cugina?"
"Già.
Lei è Hildur e, come avrai capito, lui è mio
padre Snorri, mentre la signora
mora è la mia regina, Ilya" celiò lui, scrollando
una spalla.
"Le hai
parlato di noi?!" sbottò a quel punto Hildur. "A degli
umani?!"
"Ehi,
dico!" sbottò Ragnhild, accigliandosi immediatamente mentre
Mattias
nascondeva il viso nel maglione di Sthiggar. "Offendi qualcun altro,
valchiria!"
"Non
sono una valchiria, ma una Fiamma Nera di re Surtr!" ringhiò
per contro Hildur.
Ilya si
passò una mano sul volto con espressione esasperata,
sfiorò un braccio di
Sthiggar per chetarlo e, con tono conciliante, disse: "Ora ci calmiamo
tutti, per favore, e vediamo di chiarire la
situazione, va
bene?"
"Sì,
mia regina" mormorò subito ossequioso Sthiggar mentre
Hildur, seppur a
fatica, tornò a inguainare l'arma e acconsentire a sua volta
all’ordine della
sovrana.
"Detto
da quello che dice di non avere una cotta per la propria regina" si
lasciò
sfuggire Ragnhild con tono ironico, subito guardata storta da Sthiggar.
A quel
commento, Ilya sorrise divertita alla giovane berserkr, replicando:
"Oh,
tesorino caro, se avessi qualche migliaio d'anni in meno, sarei
felicissima di
avere un simile pretendente, ma non è questo il caso. Il
piccolo Sthiggar è
solo come un figlio, per me."
"Vostro
figlio minore è al sicuro, maestà?"
domandò a quel punto Sthiggar, preoccupato.
"Trasferito
d'imperio al mare su ordine di Surtr" sbuffò a quel punto la
regina.
"Se solo mi avesse spiegato perché,
mi sarei arrabbiata molto
meno ma, stando così le cose, posso capirlo. Ora,
però, vorrei sapere perché
voi fanciulli volete chiamare Occhiosolo... e perché,
soprattutto, pensate di
poterlo fare. E' spirito da eoni, ormai."
"A
questo posso rispondere io, maestà" intervenne Ragnhild,
arrischiandosi a
scostarsi appena da Sthiggar per poter guardare la regina. "Lo spirito
di
Odino risiede nel corpo di un berserkr, e berserkir siamo io e mio
fratello."
Proseguendo
dopo alcuni attimi di sincero e ovvio smarrimento da parte dei nuovi
venuti, la
giovane ammise: "Sthiggar ci ha detto che Odino sarà il
vostro nemico,
durante Ragnarök ma, visto e considerato che - spero - siamo
ben lungi
dall'essere a quel punto, abbiamo ritenuto che fosse l'unico in grado
di
riportare lui e i suoi compagni a Muspellheimr."
Ilya,
allora, scrutò dubbiosa i due muspell facenti parte della
spedizione prima di accigliarsi
e dire atona: "Ah. Voi."
Flyka e Thrym
ebbero la decenza di arrossire e inchinarsi, ma Sthiggar intervenne
dicendo:
"Mi hanno difeso durante il primo assalto, avvenuto più o
meno trenta ore
fa."
Ilya soppesò
quell'informazione, carezzò la guancia di Sthiggar e
mormorò: "E tu ti
fidi di loro, caro?"
"Sì"
assentì senza alcun problema lui, annuendo all'indirizzo dei
suoi compagni di
avventura.
"Raccomandato"
sussurrò piano Ragnhild all'indirizzo di Sthiggar, che
ghignò in risposta.
"E
così, ti sei accompagnato a dei berserkir, cugino"
borbottò Hildur,
avvicinandosi a lui prima di abbracciarlo e, più
gentilmente, esalare:
"Ero spaventata a morte, nel giungere qui."
"Posso
immaginarlo" chiosò lui prima di scostarsi e dirle: "Ora,
però,
scusati con Ragnhild. L'hai offesa a morte, prima."
Notando
come, ancora, si tenessero per mano e come, a tutti gli effetti, non
solo
l'aura di Sthiggar fosse pienamente sotto controllo, ma anche piuttosto
forte,
sospirò e disse: "Mi scuso con te, Ragnhild. Il nome di
Odino non suscita
in noi gradevoli pensieri, ma avrei dovuto sapere che mio cugino non
sarebbe
stato così sciocco da accompagnarsi a persone meno che
fidate."
"E'
tutta una situazione assurda, perciò non fa nulla"
scrollò le spalle lei
prima di domandare a Sthiggar: "Come stai, ora? Mollo la presa?"
"Proviamo"
acconsentì lui.
Il flusso
tornò irregolare ma, tutto sommato, sopportabile. Annuendo
quindi alla giovane,
disse: "Chiama Odino, mentre io discorro con mia cugina in merito a
questa... novità."
"Okay" assentì la giovane, armeggiando con il suo cellulare
mentre i
due muspell si allontanavano di qualche passo dal gruppo.
"Ebbene?"
sollevò le mani Sthiggar, in attesa di risposte.
"La
ragazza potrebbe essere un catalizzatore. Il tuo catalizzatore,
per la precisione" sospirò Hildur, lanciando un'occhiata
dubbia a
Ragnhild. "Non so molto bene come funzionano le Fiamme Vive
perché, ehi,
guarda caso siete solo in due, al momento, a essere tali,
perciò scusa se mi
arrampico sugli specchi."
"Perché
sei così irritata?" le domandò a quel punto lui,
confuso.
Hildur
allora sbottò, lo strinse in un nuovo abbraccio e, contro di
lui, disse:
"Perché pensavo di arrivare tardi, invece non solo ti
raggiungo in questo
buco di mondo freddo come il peccato e tu sai usare la Fiamma Viva, ma
sei
anche circondato da uno stuolo di guardie del corpo!"
"E
questo ti fa incazzare?" domandò ancora lui, sempre
più sconcertato.
"No. Mi
fa sentire un'idiota" sbottò Hildur, scostandosi dal cugino
per
carezzargli gentilmente una guancia. "Ho sempre avuto una paura folle
che,
a causa delle tue pazzie, non avrei potuto aiutarti e, quando finisti
qui, per
me fu un supplizio. Non potevo starti accanto, proteggerti come avevo
sempre
fatto."
Sthiggar le
sorrise dolcemente, mormorando: "Mi hai sempre fatto da madre, e questo
casino ti ha fatto sbarellare. Scusa."
Scrollando
una spalla come se niente fosse, Hildur allora gli chiese: "Cosa
è
successo, tra te e la berserkr, se è lecito chiedere?"
"Beh, non
sarebbe carino parlartene senza prima dirlo a lei. Ma tengo molto a
Ragnhild, e
abbiamo notato che riusciamo a chetare vicendevolmente i rispettivi
animi.
Pensi sia questo che le permette di aiutarmi?" le spiegò
Sthiggar.
"Come
dicevo, non ne so molto di Fiamme Vive ma..."
Interrompendosi
quando Ragnhild si avvicinò dubbiosa a loro, Hildur
domandò: "Cosa
succede?"
"Beh, a
quanto pare ci stavano aspettando."
N.d.A.:
chi li sta aspettando, oltre ovviamente a Marcus?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Cap. 19
Tenendo
dubbiosa in mano la scatoletta rettangolare che la berserkr aveva
chiamato cellulare, la regina Ilya vi
avvicinò il volto e disse
scettica: "Sono Ilya di Hindarall, regina di Muspellheimr e Signora
delle
Fiamme."
"Niente
meno che la fascinosa moglie di Surtr! Ma che piacere risentirti!"
esclamò
una voce conosciuta all'altro capo.
Aggrottando
immediatamente la fronte, Ilya squadrò male il cellulare
prima di proseguire
nella conversazione e dire più sicura di sé:
"Riconoscerei questa voce tra
un milione, Occhiosolo. Cosa ti porta su questo remoto pianeta?"
"La
compagnia squisita, direi. Non hai idea di chi io abbia trovato,
quaggiù!"
rise Odino, portandola a scuotere il capo per l'esasperazione.
C'era un
motivo se muspell ed ӕsir non
andavano propriamente d'accordo.
"Sei in
grado di aiutare i miei figli a tornare su Muspellheimr senza che i
loro corpi
vengano distrutti dal veleno?" domandò a bruciapelo la
regina, andando
subito al punto.
"Piano,
piano, mia cara. Prima dobbiamo trattare un po', o non godrò
neppure un poco
della tua squisita compagnia" dichiarò per contro Odino,
prima che
qualcuno lo obbligasse a cedergli il telefono.
Ancora, Ilya
scostò il cellulare per guardarlo in malo modo e Sthiggar,
dubbioso, le
domandò: "Qualcosa non va?"
"Pare
che stia litigando con qualcuno" borbottò lei prima di
aggiungere:
"E' sempre il solito fanfarone. I millenni non lo hanno cambiato."
Ragnhild e
Mattias deglutirono impressionati, di fronte a quell'ultima
affermazione e
Sthiggar, nel guardare gli amici, sorrise spiacente e disse: "Difetti
del
sistema. Sai, quando si vive per tanto tempo..."
"Chiamalo difetto..."
borbottò lei, scuotendo esasperata il capo.
Quando
finalmente qualcuno riprese la conversazione, Ilya sentì
un'altra voce familiare
e, stavolta sorridendo, esclamò: "Oh, Fenrir caro! Ma cosa
ci fai al
fianco di quel mammalucco di Odino?!"
La risata
piacente di Fenrir giunse fino a Ilya. Conciliante, quindi, disse:
"Siamo
più o meno arrivati a una tregua perciò, quando
le sue sacerdotesse berserkir
mi hanno avvisato della loro visione nel Sopramondo, sono venuto qui
assieme
alla mia famiglia per attendere la vostra venuta."
"Famiglia?
Ti sei riunito alla tua genia, caro?"
"Direi
di sì. Ma vorrei tranquillizzare Sól e Mani. I
miei figli non hanno alcuna
intenzione di dare loro la caccia, per ora."
"Il mio
piccolo Sthiggar ne sarà felice, visto quanto tiene alla
nonna" sorrise
Ilya, strizzando l'occhio a un sorpreso Sthigg.
"Oh,
abbiamo un giovane di stirpe divina che cammina tra noi? Buono a
sapersi. Sarà
per questo che le mie veggenti erano un po' sul piede di guerra"
ironizzò
Fenrir. "La giovane che ha chiamato ci ha accennato a un problema di
interdizioni magiche, per cui verremo da voi nel più breve
tempo possibile e
troveremo il sistema di risolvere la cosa. Nessuno di noi vuole che si
scateni
il Ragnarök e, se jotun e dokkalfar hanno attaccato Surtr, non
può essere un
buon affare."
"Parole
di pace che sgorgano dalla tua bellissima bocca diabolica, Fenrir? La
tua umana
ha davvero compiuto il miracolo più grande di tutti" sorrise
Ilya.
"Vi attenderemo qui, allora."
"Non
tarderemo, promesso" terminò di dire Fenrir, chiudendo la
chiamata.
Ilya, a quel
punto, riconsegnò il cellulare a Ragnhild e, nel guardare
Sthiggar, disse:
"Fenrir mi ha garantito che i suoi figlioli non faranno nulla a
Sól."
Annuendo,
Sthigg dichiarò: "Fenrir può essere tante cose,
ma è un dio di parola, non
certo come suo padre. Lo accoglierò come un amico, promesso."
"Benissimo,
caro" ciangottò Ilya, dandogli una carezza per poi guardarsi
intorno e
domandare: "C'è un posto in cui io mi possa accomodare senza
sporcarmi i
pantaloni?"
Subito, Thrym
si tolse la giacca per coprire un tronco caduto e, mentre la regina si
faceva
accompagnare da Snorri per sistemarsi sotto le fronde di un abete,
Ragnhild
mormorò: "Ma sei sicuro che non sia lei ad
avere una
cotta per te?"
"Ilya è
solo affettuosa" sospirò esasperato Sthiggar.
"Se lo
dici tu..." ghignò Ragnhild, portandolo a sospirare con
ancor maggiore
enfasi.
***
Il cielo stellato
brillava sopra di loro e un meteorite, nel solcare la calotta oscura e
punteggiata di stelle, scintillò per un momento prima di
svanire
nell'atmosfera.
Sorridendo
pensierosa, Ragnhild mormorò: "La nostra mitologia dice che
le comete e le
meteore sono scintille di Muspellheimr che cadono su Midghardr."
"Posso
giurarti che non perdiamo pezzi in giro per il cosmo"
replicò con un
sorrisino Sthiggar, sdraiato al pari suo su una stuola, la mano
sinistra
stretta alla destra di lei.
Mattias,
sdraiato accanto alla sorella, dormiva saporitamente e Ragnhild, nel
sollevare
le loro mani giunte, domandò: "Hildur, quindi, non sa
esattamente cosa
stiamo combinando?"
"Dice
solo che potresti essere un catalizzatore, una sorta di persona in
grado di
aiutarmi a... mettere a fuoco le
correnti di potere. Visto che siamo su Midghardr, il tuo corpo
è sintonizzato
su queste frequenze e, a rigor di logica, aiuta me a
sintonizzarsi su di esse" mormorò lui, lanciandole uno
sguardo dubbioso.
"Non so se per te sia una cosa bella o brutta, ma a me fa piacere."
"In un
qualche modo perverso, potrebbe anche spiegare perché siamo
in grado di colmare
i rispettivi vuoti, ma questo fa sembrare il resto solo
una
bugia" sospirò lei, sciogliendo la stretta per poggiare la
mano in
corrispondenza del proprio cuore. "Credi che questa mia
capacità mi abbia
indotto a credere cose false su di te?"
"Tipo
questa?" mormorò lui, sollevandosi su un gomito per portarsi
sopra di lei
e baciarla.
Lei ansimò
per un istante, apprezzando il suo tocco, dopodiché lo
respinse gentilmente e
borbottò: "Come minimo, ci stanno guardando tutti e
rideranno di me non
appena ve ne sarete andati."
"Posso
assicurarti che dormono tutti della grossa. Dopo una giornata simile,
chi vuoi
che non abbia i nervi abbastanza a pezzi per dormire?" cercò
di
tranquillizzarla lui.
"E noi
due?" si indicò Ragnhild prima di fissarlo con intenzione.
"Siamo
speciali, lo abbiamo già appurato" le sorrise lui prima di
tornare serio e
ammettere: "Non credere che non ci abbia pensato, ma trovo assurdo
credere
di essere così manipolabile da non capire la differenza."
"Differenza
tra cosa?"
"Tra il
potere e l'affetto" replicò lui. "Sento che tu mi aiuti a
gestire il
potere che ho dentro di me ma, prima di scoprire che potevo usare la
Fiamma
anche qui, sentivo che tu e io,
beh..."
"Il
giorno in barca?" ipotizzò lei.
Annuendo,
Sthiggar ammise: "La sera che sei venuta da me e abbiamo parlato e
cenato
assieme. Ero completamente assorbito da te, non pensavo ad
altro che a
te. Non esistevano i miei problemi, o Muspellheimr. Nulla.
C'eri solo tu. E
vorrà pur dire qualcosa."
"Beh,
anche questo, in un modo assai perverso, potrebbe spiegare
perché non
volevo tornare a casa, quella notte" ammise lei,
sorridendogli a
mezzo.
Lui sorrise
speranzoso e, nell'attirarla nel suo abbraccio, mormorò: "Mi
permetterai
di tornare da te?"
"No. Te
l'ho già detto. Non voglio ridurti a una Monna Lisa
stagliuzzata" brontolò
lei, pur affondando il viso contro la sua spalla.
"Di
tutte le opere eccelse che ci sono su questo mondo... mi paragoni al
ritratto
di una donna?" ironizzò a quel punto Sthiggar.
"Vorresti
il David di Michelangelo?" gli propose allora lei con una punta di
malizia.
"Beh,
si attesta di più sui miei standard... più o
meno" ironizzò lui,
scrutandola con occhi fiammeggianti.
Dubbiosa,
lei si sollevò a mezzo per squadrarlo dall'alto al basso e,
accigliandosi, gli
domandò: "In che senso, più o meno?
Il David è un pezzo
d'uomo!"
Sthiggar,
allora, intrecciò le mani dietro la nuca con espressione
truffaldina e replicò
bonario: "Beh, non è abbastanza... dotato."
Inevitabilmente,
gli occhi di Ragnhild corsero per un attimo al cavallo dei jeans di
Sthiggar e,
arrossendo copiosamente, lei li richiamò all'ordine per poi
bofonchiare
contrariata: "Oh, tu... non giocare su queste cose!"
"Non
sto giocando. E' vero"
sottolineò lui. "Sai che non mento
mai. Inoltre, lo hai sperimentato di persona, no?"
Avvampando
come un cerino, Ragnhild tornò a sdraiarsi,
scostò Mattias in modo tale da
usarlo come separé tra lei e Sthiggar e, irritata,
bofonchiò: "Ora
sarà impossibile dormire.
Grazie."
"Farai
solo bei sogni" le promise lui sdraiandosi e, col braccio, avvolse sia
il
piccolo Mattias che Ragnhild.
Ciò detto,
sospirò e chiuse gli occhi, lasciando che le sue stesse
parole lo conducessero
la riposo tanto sperato.
***
Accucciata
accanto a Sthiggar, l'aria sognante e gli occhi lucidi, la regina Ilya
mosse
una mano in direzione di Snorri, impegnato a sistemare la stuoia su cui
aveva
dormito, e mormorò eccitata: "Snorri, Snorri, vieni qui."
"Sì, mia
regina" acconsentì l'uomo per poi notare cosa Ilya stesse
ammirando con
tanto interesse.
Sthiggar
stava abbracciando il piccolo berserkr e la sorella come se, anche nel
sonno,
volesse proteggerli dal mondo intero e i loro volti, rilassati e
sereni, erano
specchio di questa certezza inconscia.
"Non
sono carini?" cinguettò la regina, rialzandosi.
"Credo
di non averlo mai visto così sereno. Non posso dire per gli
anni passati con Yothan
ma, almeno con me, non è mai stato così pacifico
e tranquillo" ammise Snorri,
sorridendo.
Sthiggar
scelse quel momento per risvegliarsi e, nel notare la coppia a pochi
passi da
lui, sorrise a mezzo e disse insonnolito: "Buongiorno. Vi godevate lo
spettacolo?"
"Ho
visto così tante brutture che, se posso approfittarne un po'
per ritemprarmi,
ben venga" replicò la regina, divenendo del tutto seria.
Sthiggar si
alzò senza svegliare Mattias e Ragnhild e, nel poggiare una
mano sulla spalla
della regina, disse: "Vi prometto che non sarete più
costretta a vedere
simili scempi."
Lei assentì
con fare leggermente tremante, ben sapendo che il giovane voleva solo
rincuorarla, pur non potendole promettere realmente
una simile eventualità. Per quanto capace e dotato di
immensi poteri, Sthiggar
avrebbe trovato un mondo in fiamme e una guerra da affrontare, al loro
ritorno
perciò, volente o nolente, avrebbe nuovamente visto morte e
fuoco.
Poggiando in
ogni caso una mano su quella del giovane, dichiarò con tono
solenne:
"Fosse anche l'ultima cosa che faccio, ma riabiliteremo il tuo nome,
caro."
"Ora
come ora, mi interessa di più tornare a casa e aiutare il
re" dichiarò lui
prima di irrigidirsi e puntare lo sguardo verso ovest, ritrovandosi
così
addosso le occhiate curiose della regina e Snorri.
Sthiggar
fece loro segno di mantenere il più assoluto silenzio e,
quando anche Hildur
diede segni di risveglio, il cugino fu lesto a tapparle la bocca, prima
che
potesse emettere qualsiasi suono.
Lo sguardo
interrogativo della cugina lo portò a sussurrare la parola ‘ospiti’ prima di
risollevarsi e fare cenno a Thrym e Flyka – a
loro volta destatisi – di prepararsi ai nuovi arrivi.
L’avvicinarsi
di quattro divinità ӕsir
non poteva
di certo passare inosservata a chi, come Sthiggar, era dotato di poteri
sovraumani ed era in grado di percepire le auree delle persone, grazie
al
risveglio della sua Fiamma.
A sorpresa,
però, anche Ragnhild si destò e, nel vederli in
piedi e vigili, si passò una
mano sugli occhi e mormorò: "Sta succedendo qualcosa?"
Sthiggar si
accucciò per darle un bacetto sulla fronte e, sorridendole,
disse: "Sono
arrivati i visitatori che aspettavamo. Tu resta qui con Mattias e gli
altri.
Andremo io e la regina, ad accoglierli."
"D'accordo"
mormorò lei mentre Snorri si accomodava al fianco di
Mattias, poggiando
protettivo una mano sulla sua spalla.
Rivolto a
Hildur e Thrym, Sthiggar disse: "Voi controllate il perimetro. Flyka,
tu
rimani qui con loro."
Tutti
assentirono recisamente e Ilya, nel sollevare una mano
perché Sthiggar potesse
scortarla, sorrise e disse: "Detto da vero comandante."
Sthigg ghignò
a mezzo senza dire nulla e, nel far poggiare la mano della regina sul
suo
braccio, la scortò attraverso il sottobosco, allontanandosi
dal campo.
Per quanto
fossero buone le intenzioni dei nuovi venuti, non voleva mettere a
repentaglio
la vita di tutti per non aver seguito le più semplici regole
d’ingaggio. Al
tempo stesso, però, la regina doveva essere presente in
quanto membro più alto
in grado del regno muspell.
Sperò
soltanto di essere in grado di usare la Fiamma, se necessario, senza
causare
danni seri a nessuno.
Quando si
furono allontanati di quasi mezzo chilometro, quattro figure comparvero
dinanzi
a loro e Sthiggar, bloccandosi, esordì dicendo: "Do il mio
benvenuto a
Odino Occhiosolo, signore degli Æsir
e sovrano di Asghardr. Il mio benvenuto anche a Fenrir e alla sua
progenie,
Hati e Sköll, figli di Avya."
Il primo a
prendere la parola e a rendersi visibile fu Odino che, abbigliato come
si
conveniva a un dio guerriero, poggiò le mani sulla cintura
che sorreggeva la
pesante spada e replicò: "E io ti ringrazio della cortesia,
giovane
scudiero della regina Ilya, signora di Muspellheimr e degna erede della
bellezza sopraffina delle donne muspell."
Ilya sorrise
divertita da tanta ampollosa serietà e, con candore,
replicò con ironia:
"Voi uomini sapete davvero come riempirvi la bocca con paroloni
altisonanti. Sarà anche per questo che mi piace tanto
ascoltarvi."
"Si fa
quel che si può per piacere, mia cara" ghignò
furbo Odino, mentre Fenrir e
i suoi figli avanzavano per porsi al suo fianco.
Sthiggar si irrigidì
un poco, alla vista di Sköll ma quest'ultimo, sollevando le
mani in
atteggiamento remissivo, chiosò: "Giuro che non voglio
mordere le caviglie
di nessuno, ancora per un bel po'."
"Sköll"
lo richiamò all'ordine Hati, da sempre più
serioso e calmo rispetto al più pimpante
fratello.
"Ragazzi"
intervenne quindi Fenrir prima di inchinarsi leggermente e dire: "Siamo
lieti di incontrarvi in pace. E' così raro poterlo fare."
"Madre
è stata generosa, concedendovi di rinascere nella stessa
Era. E' dunque con voi
anche Avya?" domandò Ilya, guardandosi intorno.
Sospirando,
Fenrir scosse il capo e replicò: "Non ci è
concesso camminare assieme in
queste forme, né parlarci in nessun caso. E' questo il patto
che strinsi per
poter rinascere al tempo dei miei figli e della mia diletta amata, ma
il
Caso...o il Caos, vedete voi, ci ha permesso di essere comunque una
famiglia."
"Paparino,
in realtà, è il più piccolo della
cucciolata, a questo giro, e vive nel corpo
di una donna" ironizzò Sköll, guadagnandosi una
gomitata da parte del
fratello.
Fenrir
sospirò con espressione di dolce esasperazione, chiosando
rassegnato: "Mio
Sköll, prima della fine di questa impresa lascerò
che Brianna ti abbia tra le sue
grinfie. Te lo giuro su quanto ho di più caro."
Sköll
impallidì leggermente, di fronte a questa promessa e, nel
mettere il broncio,
borbottò: "Non si può mai scherzare, con voi."
A mo' di
spiegazione, Fenrir quindi disse: "Brianna è il nome della
splendida donna
in cui ho la fortuna di vivere e che, tra le altre cose, è
la wicca più
potente mai esistita, dopo la mia Avya."
"Capisco
le reticenze di tuo figlio a incontrarla, allora" chiosò la
regina prima
di tornare a guardare Odino e domandare: "Puoi tu dunque aiutarci,
Occhiosolo? Il mio re sta combattendo senza la sua arma più
formidabile, e
questo mi mette in grande ansia."
"Avete
portato qui la Spada Fiammeggiante?" esalò turbato la
divinità.
Sbuffando,
Ilya lo fissò sprezzante e replicò: "Su questo
microscopico pianeta? Lo
avremmo distrutto al solo sguainarla. No, parlavo del pupillo al mio
fianco. E'
una Fiamma Viva come mio marito."
"E
perché è qui?" sbottò confuso il dio
orbo.
"Ma non
sei troppo anziano per essere ancora nella fase dei perché?" domandò
piccata la regina, subito chetata da Sthiggar.
"Ha
mille ragioni per chiedere spiegazioni, mia signora" replicò
cauto
Sthiggar prima di spiegare, a grandi linee, cosa fosse successo su
Muspellheimr.
Alla fine
del racconto, Odino borbottò: "Un autentico cul
de sac.
Qualsiasi cosa avesse deciso, sarebbe stata un errore."
"Esatto.
La scelta meno dolorosa è stata quindi inviarlo qui, ma ora
dobbiamo tornare, e
l'unico modo per farlo lo ucciderebbe" sospirò Ilya,
sollevando il polso
di Sthiggar dove era ben evidente il tatuaggio costrittivo che lo
legava a
Midghardr.
Odino assottigliò
le palpebre, a quella vista e, nello sfiorare l'intricata rete di
arabeschi
dipinti sul polso di Sthigg, borbottò: "Una magia davvero
potente che,
ahimé, non sono in grado di spezzare. Ma so chi potrebbe
farlo."
"Siamo
tutt'orecchi" sussurrò speranzosa la regina.
"Dovremo
prendere una via traversa e raggiungere Yggdrasil attraverso un
passaggio
diverso da Bifröst" spiegò a sorpresa Odino,
lasciandoli senza parole.
"A quel punto, parleremo con le Norne che sorvegliano la Sorgente di
Vita
di Madre e..."
"Norne?"
esalò Sthiggar, guardandosi indietro con aria speranzosa.
"Ecco perché è
venuto!"
"Che
intendi, ragazzo?" domandò curioso Odino.
"Con
noi abbiamo Urd" dichiarò allora a sorpresa Sthiggar,
sorprendendo tutti i
presenti.
"Beh,
allora dovremo convincere solo Verdandi e Skuld, a darci una mano. E'
già
qualcosa" sospirò sollevato Odino per poi celiare: "Certo
che
Midghardr sta diventando davvero affollato!"
***
L'arrivo delle divinità
nel piccolo accampamento
provocò un certo trambusto, come prevedibile.
I berserkir si inchinarono
ossequiosi verso il loro
dio mentre i muspell, un poco più sospettosi, rimasero a
debita distanza,
nonostante la regina e Sthiggar apparissero piuttosto rilassati, in sua
presenza.
Quanto a Fenrir e ai suoi figli,
nessuno disse nulla
in merito, poiché la loro partecipazione a quella strana
avventura
rappresentava un'incognita gigantesca e di difficile comprensione.
Quando, però, Odino
prese parola, l'intera faccenda
cominciò a prendere tutt'altra piega.
Rivolgendosi a Mattias con tono
formale, Odino
domandò: "E' un'occasione ben strana in cui incontrarsi, mia
vecchia
amica. Avevi tu dunque visto questa opportunità insolita di
rivederci?"
"E' ancor più strana per
me, Odino, ma sì, sapevo
che ci saremmo rivisti lontano dalla Sorgente di Ogni Vita, pur se non
avevo
idea del quando. Voglio però approfittare di questo momento
per scusarmi con
te, Fenrir, per i dolori infiniti che ti ho fatto patire, e che ho
fatto patire
alla tua famiglia. Asservendo il mio compito, non ho però
badato al dolore che
avrei provocato, e questo ha dato il via a un conto alla rovescia che
avrei
preferito non far avviare" mormorò Urd, tramite la bocca di
Mattias.
Fenrir sospirò, ben
sapendo a cosa si stesse riferendo
la dea del Fato. Le sue parole di monito avevano spinto Odino a
ritenere lui, Jörmungandr
e sua sorella Hel dei pericoli per l'intera esistenza dei Nove Regni, e
questo
aveva portato a un'infinita serie di nefandezze nei loro confronti.
Come ultimo spregio, lui era morto
nella menzogna e
sua moglie aveva dovuto lottare per difendere se
stessa e i loro figli, scatenando così una
faida secolare ancora viva e feroce.
Era però convinto che la
permanenza su Midghardr, e la
possibilità di parlare con Odino a cuore aperto, potesse
aver cambiato le sorti
degli altri Regni, oltre che della Terra. Quanto meno, ci sperava.
Perciò, con tono pacato,
Fenrir disse: "E' tutto
perdonato, Urd. Ognuno di noi ha un ruolo da compiere, e Madre sola sa
perché
certe cose sono state dette o fatte. Per parte mia, ho cercato di
rimediare ai
miei errori e, per parte sua, credo che anche Odino lo abbia fatto, o
stia
cercando di farlo."
Nel dirlo, lanciò
un'occhiata obliqua al barbuto dio
che, per bella posta, rise imbarazzato e annuì.
"Vero, vero. Questo ragazzo me ne
ha fatte
passare di tutti i colori, ma va anche detto che pure io non sono stato
un
santarellino. Ergo, la tua presenza qui ha qualcosa a che fare con
ciò che sta
succedendo a Muspellheimr?"
"Niente avviene mai per caso anche
se, tra un
Evento e l'altro, le genti hanno più o meno
libertà di azione" asserì la
dea, provocando una serie di mugugni di disgusto.
L'avere un libero arbitrio 'a tempo' non piaceva mai a nessuno.
"Ergo, immagino che la presenza di
Fenrir al mio
villaggio non fosse casuale. Vuoi
qualcosa da lui e da me"
sottolineò Odino con tono furbo.
"Ciò che hanno fatto gli
jotun, i dokkalfar, i
liòsalfar e i muspell non deve e non
può
portare a Ragnarök, perché non è
né il tempo né il luogo" assentì Urd,
facendo rabbrividire tutti nel sentir nominare quella terribile parola
dall’ancestrale
sapore di morte.
Fu però Hildur a
chiedere dubbiosa: "E' quindi
certo che ci sia di mezzo più di un muspell, in questa
cospirazione?"
"Ben più d'uno, anche se
non è mio compito
svelare l'arcano" asserì Urd, rivolgendosi
all’alta guerriera muspell.
"Ciò che dovete fare ora è raggiungere la Fonte
della Vita di Yggdrasil, e
io verrò con voi per parlare con le mie sorelle."
"Ora ho capito a cosa servo io,
allora"
chiosò Fenrir, aprendosi in un mezzo sorriso.
"Caro mio, io posso aprire il varco
tra i Baffi
di Ymir1, ma sei tu che hai parenti stretti
oltre la Barriera"
celiò Odino, scrollando le spalle.
I presenti apparirono
assai dubbiosi, di fronte
a quelle parole, così Odino si schiarì la voce e
si spiegò meglio: "Oltre
i confini di Midghardr, esiste una barriera anti-mostro formata dai
baffi di
Ymir. Essa venne eretta da colui che nacque prima di tutti noi e che,
tutt'ora,
protegge il vostro pianeta dall'invasione di..."
"Attento a come ti esprimi"
sottolineò
Fenrir, ammutolendo Odino per un istante.
"Ehm, sì..., ecco,
diciamo che impedisce a Jörmungandr
di cadere inavvertitamente di sotto, per così dire, e tiene
lontani i tipacci
più scontrosi e antipatici dalla Terra"
tossicchiò imbarazzato Odino.
"Ecco, bravo. Se vogliamo il suo
aiuto, non è il
caso di essere scortesi" sottolineò Fenrir, sgomentando
tutti.
Fu Ragnhild, però, a
mettere a voce la perplessità di
tutti e, dubbiosa, domandò: "Ehm... ho capito bene e state
parlando del
serpente che... che, secondo il mito, circonda Midghardr?"
"Esattamente" disse con
semplicità Fenrir.
Scuotendo nervosamente il capo,
Ragnhild esalò:
"No, aspettate un attimo. Forse dimenticate un particolare non da poco.
La
Terra non ha confini. E'
sferica!"
"Ragazza di poca fede"
ironizzò Odino, dandole
una pacca leggera sulla spalla.
Per quanto leggera, comunque,
quella pacca fece
tossire la giovane per mancanza d'aria e Sthiggar, protettivo, le
avvolse le
spalle dicendo: "Ricorda che sono creature delicate, Occhiosolo. Sono
nate
da frassino e olmo2."
"Sì, sì...
forse sarebbe stato meglio usare tek e
palissandro, ma sai che caratteracci avrebbero ammucchiato, con gli
anni?"
brontolò Odino, scuotendo esasperato il capo.
Ragnhild squadrò le
divinità con espressione
esacerbata e, passandosi una mano sul volto, borbottò:
"Preferisco non
sapere altro, al momento. E' già troppo, per i miei gusti."
"Scusa" mormorò
Sthiggar, dandole un bacetto
sui capelli prima di allontanarsi per parlare con Fenrir e gli altri in
merito
alle strategie da tenersi per l'incontro con Jörmungandr.
Questo impedì a Ragnhild
di avere uno scudo umano
contro i curiosi così, arrossendo come uno stoppino,
bofonchiò minacciosa
all’indirizzo del fratello: "Se parli, Mattias, ti faccio
incenerire anche
sei hai Urd dentro di te. Ho la mia palla da cannone personale, adesso."
Per tutta risposta, il fratellino
si tappò la bocca
per non ridere e la sorella, assottigliando ulteriormente le palpebre,
ringhiò:
“Non sei divertente, sai?”
“Scusa, ma…
è così strano
vederti con un uomo senza dare in escandescenze”
celiò Mattias dopo alcuni
momenti di inutile lotta per tenere la bocca chiusa.
Thrym tossicchiò
nervosamente, a quell'accenno, mentre
Flyka sospirava esasperata, scuotendo il capo. Hildur, invece,
passò
silenziosamente uno stiletto a Ragnhild prima di mormorare: "Quando
vuoi,
ragazza."
"Oh, cielo!" esalò Ilya,
coprendosi la bocca
per non ridere sguaiata.
Snorri, per parte sua,
poggiò una mano sulla spalla di
Ragnhild per rasserenarla, nonostante la giovane apparisse sempre
più pronta a
un’esplosione di rabbia, e disse: "Non avertene a male, cara.
Sono certo
che tuo fratello non volesse denigrare ciò che senti per mio
figlio."
Ancor più imbarazzata,
Ragnhild si fece purpurea in
volto e Mattias, scoppiando ora in una frenetica risata, le
indirizzò il più
malizioso dei sorrisi prima di piegarsi in due dal ridere.
Era più che chiaro che
Urd doveva essersi rintanata in
un angolino, lasciando che Mattias tornasse il dodicenne quale era
normalmente…
ma questo non aiutò Ragnhild a calmarsi. Per
niente.
Hildur, a quel punto,
celiò divertita: "E' la tua
morte, ragazzino. Non si scherniscono così i sentimenti di
una donna, pensando
poi di passarla liscia.”
"Poco. Ma. Sicuro"
ringhiò Ragnhild prima di
scusarsi gentilmente con Snorri e sollevare su una spalla Mattias,
ancora
intento a ridersela a crepapelle.
"Digliene quattro, Ragnhild!"
gridò a quel
punto Flyka, del tutto dalla sua parte, mentre Thrym si esibiva in uno
scongiuro silenzioso.
La giovane avanzò
bellicosa per allontanarsi dal
gruppo e dirne quattro al beffardo fratellino ma, prima di poter
parlare a
quattr’occhi con Mattias, Sthiggar la intercettò,
fece scendere Mattias dalla
sua spalla e, in fretta, intimò al ragazzo di tornare nel
gruppo.
Ciò fatto, prese per
mano Ragnhild e si allontanò dai presenti
per parlare con la giovane senza orecchie a disturbare il loro dialogo.
Ragnhild lo seguì
silenziosa e furente, già pronta a
cantarne quattro anche a lui, a quel punto, visto che il
fratellino era stato salvato dalle sue tenere
attenzioni.
"Mi spieghi perché te la
prendi nel momento
stesso in cui Mattias ti punzecchia?" la redarguì
bonariamente lui, quando
furono abbastanza lontani per non essere a portata
d’orecchio. “Ha dodici anni
e, anche se Urd vive in lui, è pur sempre un ragazzino. Lo
sai che sono
pestiferi per natura.”
"Non fa che prendermi in giro,
quando sa
benissimo che non sono abituata a certe situazioni!" sbottò
lei,
inferocita.
"Perché tu glielo
permetti" disse con
semplicità Sthiggar, azzittendola con quelle semplici
parole. "Perché ti
vergogni di mostrare agli altri che provi affetto per me? Non ci vedo
niente di
male."
"Solo perché tu sei la
Bocca della Verità"
bofonchiò lei, pur se in parte ammansita.
"Non so cosa vuoi dire, con questo,
ma tant'è.
Lui ti prende in giro perché sa che
tu reagirai proprio come
stavi per fare. Dopotutto, è ancora un bambino e il suo
ruolo di fratello
minore è punzecchiare la sorella maggiore. Questo, per lo
meno, è quel che
dicono tutti. Vuoi davvero darla vinta a un bambino?"
Nel dirlo, le sorrise gentilmente,
carezzandole una
guancia con le nocche e Ragnhild, sospirando suo malgrado, ammise in un
borbottio: “Non so ancora cosa io senta di
preciso per te e, quando Mattias ne ride, mi sento
stupida.”
“Non lo sei, e dovresti
saperlo” sospirò Sthiggar,
abbracciandola d’istinto. “Ciò che ti
hanno fatto i tuoi genitori è impedirti
di credere pienamente in te stessa, ma tu sei più forte di
così. Mattias, dal
canto suo, si comporta come un normale dodicenne, perciò non
devi prendertela
se, ogni tanto, usa i tuoi punti deboli per farti inalberare.
Dopotutto, l’affetto
si dimostra anche così.”
“Lo so… ma
quando ci sei di mezzo tu, perdo il
controllo” sospirò Ragnhild, nascondendo per un
momento il viso contro il suo
torace.
Sthiggar sorrise a quelle parole e,
nello scostarsi da
lei, le sorrise incoraggiante prima di prenderla per mano e
riaccompagnarla in
mezzo al gruppo, dove Mattias ora attendeva pieno di contrizione.
Il giovane muspell, nel notarlo,
domandò: “Ti sei
pentito di aver parlato, amico mio?”
“Un po’. Urd mi
ha detto che dovrei starmene zitto, a
volte” borbottò Mattias, spiacente.
Sthiggar allora accentuò
il proprio sorriso, si
inginocchiò dinanzi al ragazzino per essere più o
meno alla sua altezza e,
pieno di serietà, mormorò: "Sento per tua sorella
un profondo legame, e
lei ha saputo trovare la forza per aprirsi a me quando maggiormente
temeva di
venire ferita. Questo suo coraggio mi ha permesso di scorgere la luce
che è
dentro di lei, e questa luce mi ha dato altresì la
possibilità di risvegliare
l'aura che pensavo non avrebbe mai potuto destarsi, su Midghardr."
"Come?" esalò lei,
sorprendendosi nel
sentirgli dire ciò.
Lui accennò un sorrisino
al suo indirizzo prima di
proseguire il suo monologo a beneficio di Mattias e, serio, aggiunse:
“So che a
volte, tra fratelli, viene spontaneo prendersi in giro e battibeccare,
ma ti
prego, non usare il suo legame con me per punzecchiarla. Stiamo
entrambi
affrontando un momento molto difficile.”
Mattias annuì contrito e
si fece immediatamente
triste, ma Sthiggar lo abbracciò dolcemente, terminando di
dire: “Lei ti vuole
un bene dell’anima ma, a volte, è fragile. Sei tu,
allora, a doverla proteggere
da quelle fragilità ed essere il suo Campione.”
“Lo farò.
Scusami, Sthigg” gorgogliò dolente il
ragazzino.
“Non
c’è niente da scusare, Mattias. Davvero.”
A quel punto, anche Ragnhild si
unì all’abbracciò e
Snorri, nell’osservare il sorriso della regina e i suoi occhi
lucidi, mormorò:
“Oserei dire che è diventato grande.”
“Oh, direi proprio di
sì” sussurrò la regina,
asciugandosi le lacrime ribelli che sfuggirono ai suoi occhi.
***
Ragnhild stava ancora piangendo,
quando disse
imbronciata: "Mi hai fatto diventare una pappamolle. E di fronte a tuo
padre, poi!"
Nell’osservare il gruppo
di persone che stavano
abbandonando la taiga per raggiungere il confine con la Norvegia,
Sthiggar
sorrise per tutta risposta e replicò con candore: "Guarda
che mio padre
stenderebbe tappeti d'oro al tuo passaggio, cara mia, per il solo fatto
che hai
saputo cambiare in meglio il suo figliolo.”
"Ah" gracchiò lei,
facendo tanto d'occhi e
smettendo così di piangere.
"Ammetto di essere stato un
po’ melodrammatico,
con Mattias ma, a volte, è giusto che certe cose vengano
dette. Inoltre, non ho
che elencato la verità nuda e cruda, e tuo fratello doveva
conoscerla" le
spiegò quindi lui, asciugandole le lacrime con un gesti
gentili.
"Puoi essere un po' vanaglorioso,
te lo
concedo" ammise a quel punto Ragnhild.
"Troppo buona" sorrise allora
Sthiggar,
tornando serio. "Quel che ho detto, comunque, è vero. Senza
il tuo aiuto,
non avrei trovato la scintilla dentro di me in grado di connettermi con
Midghardr e, da lì, alla mia Fiamma, e di questo ti
ringrazio. Ma ciò non vuol
dire che io non senta anche altro, per
te, oltre a riconoscenza.
Vorrei fosse chiaro."
"Sei così gentile e
premuroso che, a volte, mi
dimentico che sei anche e soprattutto un uomo" motteggiò la
giovane,
tornando a sorridere.
Lui si accigliò appena,
replicando: "In che
senso, scusa? Dovrei essere più... fisico,
nelle esternazioni?"
"Sono cresciuta in mezzo agli orsi,
Sthiggar"
ironizzò lei.
"Questo è vero. Forse,
allora, dovrei fare questo" mormorò
roco lui, guardandosi intorno per un attimo per poi sospingenrla contro
una
pianta perché i loro due corpi aderissero completamente.
"E questo."
Ciò detto, si
piegò su di lei per un bacio per
nulla educato e, mentre le mani di Sthiggar
risalivano lungo i fianchi,
la sua lingua la depredò fino a farla sciogliere
completamente sotto il suo
tocco.
Scostandosi quel poco per poter
parlare, Sthiggar allora
domandò: "Così va meglio?"
Lei assentì rapida,
aggrappandosi a lui per non cadere
a terra e, con un risolino, esalò: "Hai ragione, il David
dovrebbe nascondersi."
"Il che presuppone un problemino
non da
poco..." ridacchiò lui, scostandosi per poi poggiare la
fronte contro
quella di Ragnhild. "... non posso certo tornare in mezzo al gruppo, e
al
cospetto della regina, con un’erezione più che
evidente nei calzoni, ti
pare?"
Ragnhild scoppiò a
ridere, strinse le sue braccia al
collo di Sthigg e mormorò al suo orecchio: "Come fai a farmi
sorridere ogni volta?"
"So chi sei" disse semplicemente
lui.
Lei assentì,
tornò a poggiare i piedi a terra -
aggrapparsi a Sthiggar era un'impresa! - e, annuendo, ammise: "Non dici
solo la verità. La vedi."
"Così parrebbe"
ammiccò lui, afferrandola
per le spalle per poi piazzarsela dinanzi e aggiungere: "Resta
lì finché
non te lo dico io."
Ragnhild assentì con un
risolino e, insieme, tornarono
in coda al gruppo camminando con molta, moltissima calma.
Mattias, che stava avanzando mano
nella mano con Thrym,
sorrise loro e li salutò con una mano ma, ben sapendo di non
dover calcare la
mano con la sorella, non disse nulla e tornò alla sua
chiacchierata con il
nuovo amico muspell.
Quando infine raggiunsero il
gruppo, Odino si rivolse
a Sthiggar e, facendo finta di non notare la strategica posizione di
Ragnhild,
disse: "Porgimi il braccio senza tatuaggio, ragazzo."
Lui assentì,
allungandolo senza problemi e Odino,
nell'incidere la propria mano e quella del muspell con uno stiletto,
disse
roco: "Sia cancellata la nera gabbia che si intreccia alla rossa
fiamma.
Il dio onniveggente così comanda."
Ciò detto, la
divinità unì le due ferite e, subito, uno
strano sfrigolio percorse il corpo di Sthiggar, portandolo a
rabbrividire per
diretta conseguenza. Nel notarlo, Thrym chiosò: "Passa tra
un minuto, più
o meno."
"Buono a sapersi. Mi sembrava di
aver preso la
scossa" esalò Sthiggar, grattandosi il braccio della mano
incisa.
"Tutto bene?" domandò
turbata Ragnhild.
"Ho sentito di peggio"
ammiccò lui.
"Bene. Ora che potete almeno attraversare il confine, possiamo
raggiungere le jeep e
dirigerci verso le Isole Lofoten. Non abbiamo tempo da perdere, e le
chiacchiere ormai stanno a zero" dichiarò Odino, sfregandosi
le mani per
l'impazienza.
Il gruppo assentì
all'unisono e, senza indugiare
oltre, riprese la via per la Norvegia senza alcun impedimento a
bloccare i loro
passi.
E, se mai gli jotun avessero
attaccato un'altra volta,
avrebbero trovato pane per i loro denti.
1 “Baffi di
Ymir”: Ciò che rimane del corpo di Ymir,
il primo Essere nato dal nulla che era Ginnungagap. I suoi baffi
proteggono i
confini della Terra dall’assalto dei mostri.
2 “… Frassino
e olmo”: secondo il mito norreno, gli
uomini sono stati plasmati utilizzando il legno di queste due piante.
N.d.A.:
questa settimana ho postato due capitoli in più
perché, per un po', sarò via e non
potrò postare. Ci rivediamo verso metà
agosto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Cap. 20
Il lungo viaggio che li aveva
tenuti impegnati per più
di dieci ore, era ormai giunto al termine.
Valicare i confini della Norvegia
senza veder
stramazzare al suolo Sthiggar, Thrym e Flyka era già stato
un successo. A ben
vedere, però, era stato solo il punto più
semplice del loro travagliato viaggio
verso i confini di Midghardr e il ritorno su Muspellheimr.
Stando alle parole di Odino, una
volta raggiunto
l'avamposto di Andenes, sulle isole Lofoten e, da lì, il
faro che puntava verso
l'oceano e le sue gelide acque, avrebbero dovuto attraversare i baffi
di Ymir e
incontrare finalmente il serpente di Midghardr.
Non c'era stato molto tempo per
chiedere a Fenrir
quale fosse, effettivamente, l'aspetto
del tanto vituperato Jörmungandr.
Inoltre, il viaggio in compagnia della regina Ilya, del padre di
Sthiggar e di
Mattias aveva tolto occasioni a Ragnhild per raccogliere informazioni.
Jerome Rowley, che aveva preso il
posto di Sköll per
poter guidare il Defender che avevano lasciato oltre il confine
norvegese prima
di giungere da loro, aveva dichiarato di non aver ancora avuto il
piacere di
conoscere lo zio.
Il fatto che, in effetti, non fosse
realmente un suo
parente ma un congiunto dell'anima che deteneva, pareva essere
irrilevante, per
lui. Non a caso, si era rivolto a Brianna, la guida dell'anima di
Fenrir, con
nomignoli come 'papino' o altri
sberleffi simili, portandola
più volte a sospirare esasperata.
"Sono davvero curioso di scoprire
se siano
effettivamente baffi, quelli di cui ha
parlato Odino. Sarà che
ormai sono anni che non partecipo a nessuna avventura - essere il
secondo in
comando mi porta spesso a starmene rinchiuso a casa, mentre Duncan e
Lance si
prendono tutto il divertimento - perciò, anche una cosa
assurda come questa mi
eccita da matti."
Ragnhild fissò
apertamente sconcertata l'avvenente
licantropo, non tanto per il suo profilo regale o il suo tono morbido e
dall'accento accattivante, quanto perché, in dieci
ore, non aveva
taciuto un solo momento.
Per quanto l'adrenalina avesse
tenuto svegli per la
maggior parte del tempo tutti loro, alla fine Snorri, Mattias e la
regina erano
crollati per la stanchezza, e anche Sthiggar e Ragnhild a tratti
avevano
riposato.
Jerome, invece, aveva resistito
senza mai chiedere il
cambio a Ragnhild e, per tutto il tempo, aveva dialogato con loro di
mille e
più argomenti, senza mai interrompersi per un attimo.
"Devo chiedertelo... ma non hai la
gola
secca?" sbadigliò Ragnhild, lanciando un'occhiata alla
figura slanciata
del faro di Andenes, che si stagliava come una lancia insanguinata e
puntata
verso il cielo, al limitare di una scogliera che si allungava lungo
tutta la
linea di costa dell’isola.
Tutt'attorno, il paesaggio brullo e
quasi del tutto
privo di vegetazione faceva da contraltare a infiniti spazi e a un
orizzonte
azzurro e limpido che quasi spezzava il fiato, ma Ragnhild non era
abbastanza
serena per coglierne la bellezza.
Probabilmente, se si fosse trovata
lì per una vacanza,
avrebbe perso ore e ore a cogliere anche il più piccolo
particolare di quei
luoghi, immortalandolo con il suo smartphone, ma ora le sembrava che
nulla
potesse più sorprenderla.
O scuoterla davvero.
Jerome rise del suo commento,
strappandola così a quei
pensieri, e asserì: "Chiediti come mai Brianna non
è salita con noi in
auto, ma ha preferito andare con Marcus, Lance, Thrym, Hildur e Flyka.
Quando
uso la mia forma originale, cioè questo fantastico uomo
quale io sono, non
taccio mai. Persino mia moglie, a volte, vorrebbe tranciarmi
la lingua a
morsi."
"Comincio a comprenderne i
motivi… con tutto il
rispetto parlando" esalò lei.
"Sarà meglio se ci
fermiamo a fare colazione,
prima di approcciare Jor e tutto il corollario. Non è detto
che, dove andremo,
riusciremo a trovare qualcosa da mangiare" dichiarò con un
risolino
Jerome, cambiando radicalmente argomento e mandando poi un messaggio
vocale a
Brianna, che si trovava nel Gran Voyager che li precedeva.
"La trovo una scelta saggia.
Abbiamo bisogno di
energie, visto il luogo in cui dovremo andare" mormorò
Sthiggar,
svegliando gentilmente il padre, la regina e Mattias.
Quest'ultimo, nello stiracchiarsi,
abbracciò
sentitamente Sthiggar, dandogli il buongiorno e Snorri, nel notare sia
il
sorriso del figlio che il modo protettivo in cui rispondeva al saluto,
non poté
che felicitarsi e, al tempo stesso, rattristarsi.
Per Sthiggar sarebbe stata
l'ennesima perdita di cui
avrebbe dovuto portare il peso ma era ugualmente felice che, durante la
sua
breve permanenza su Midghardr, avesse potuto conoscere una persona
così
speciale come quel ragazzino.
Notare lo sguardo struggente di
Ragnhild, però, portò
Snorri a desiderare di avere più potere, e più
forza, per darle quello che
entro breve avrebbe perso e che, forse, non avrebbe più
potuto ottenere.
Per quanto Sthiggar le avesse
promesso che, una volta
sistemata ogni cosa, sarebbe tornato da lei, Snorri sapeva bene quanto
la
guerra potesse essere foriera di disastri e non era così
sciocco da dare per
scontato che suo figlio avrebbe vinto a prescindere.
Inoltre, v’era anche un
altro problema, legato al
ritorno su Midghardr di Sthiggar, ma in quel momento non se la sentiva
di
pensarci, né di dare l’idea al figlio che stesse
preoccupandosi di qualcosa in particolare.
Non era ancora il tempo di parlare.
"Guarda, Mattias. Sól ci
benedice con il suo
abbraccio" disse nel frattempo Sthiggar, indicando il disco solare che,
ormai alto in cielo, splendeva sulle loro teste.
"Sai com'è, in
realtà, tua nonna?" gli
domandò il ragazzino, pieno di curiosità.
Lanciando un'occhiata a Snorri,
Sthiggar replicò:
"Tu che mi dici, papà?"
"Purtroppo per noi tutti, non ci
è mai stato
possibile vederla. Se ne andò quando io ero ancora troppo
piccolo per
ricordarmi di lei, perciò so soltanto quello che mi trasmise
mio padre, e ciò
che dicono le leggende" gli spiegò Snorri spiacente.
Mattias annuì silenzioso
e, mentre Jerome rallentava
fino a interrompere la marcia nel parcheggio di un bar, Ragnhild disse:
"Sono sicura che è bellissima e in gamba."
"Tutte le donne muspell sono
ingamba. Molto di
più, quindi, le sue dee" chiosò la regina,
sorridendo poi a Ragnhild e
aggiungendo: "Ma anche alcune donne terrestri paiono avere lo stesso
nerbo."
"Ce la mettiamo tutta"
mormorò lei, annuendo
grata.
Nello scendere, il gruppo si
stiracchiò pesantemente -
chi in modo plateale, chi con maggiore grazia - e, mentre si sincerava
sulle
condizioni di Mattias, Brianna si avvicinò a loro per dire:
"Jerome, ce
l'hai fatta a sfiancarli?"
"Ci ho provato, ma questi due sono
rocce. Hanno
resistito quasi tutto il tempo"
ironizzò Jerome,
indirizzando un'occhiata ammirata a Sthiggar e Ragnhild.
Brianna scosse il capo e,
scusandosi con lo sguardo
con Sthiggar, mormorò: "Mi spiace avervi sottoposto a questa
tortura, ma
dovevo parlare approfonditamente con Lance e Magnus, così ho
dovuto darvi in
pasto a lui, come autista."
"Cos'è che dovevi dire a
loro e non a me?"
brontolò Jerome per tutta risposta, mentre Sthiggar
sorrideva divertito.
"Gli ho solo detto che, durante il
nostro viaggio
verso la Sorgente della Vita, Lance dovrà badare alla
sicurezza dei nostri
amici muspell più che alla mia, e sai quanti condizionamenti
mentali abbia un
Hati, quando deve proteggere la Prima Lupa. Ho dovuto lavorare di
taglia e cuci
per un bel po', con lui" gli spiegò esasperata Brianna.
"Oh, già, giusto,
è vero. Lui e le sue paturnie
mistiche" ciangottò Jerome. "Che bello essere il secondo in
comando!
Non ho di questi problemi."
"Mettiamola così"
sospirò Brianna, scuotendo
il capo.
"Immagino sia complesso gestire una
società
piramidale che ha anche condizionamenti imposti dal titolo stesso"
chiosò
Sthiggar mentre, al gran completo, entravano nel bar per la colazione.
"Diciamo che, bene o male, non
abbiamo mai grossi
problemi ma, nel caso specifico, Lance è dovuto venire meno
al suo primo
compito, cioè proteggere mio marito, e ora deve rinunciare
anche al secondo, e
cioè proteggere me. Davvero molto, da chiedere a un Hati"
ammise lei, con
un sorriso.
Mentre Lance organizzava le
ordinazioni per poter poi
andare al banco a parlare con la barista - che stava osservando
sorpresa il
gran numero di persone entrate in un sol botto nel locale - Sthiggar le
domandò: "Cosa ne pensa, tuo marito, di saperti
così lontana da casa e dai
tuoi figli, e per aiutare persone che, fino al giorno precedente,
neppure
conoscevi?"
"Vedi, Sthiggar, non si tratta
tanto di
conoscenza o meno. Ci fidiamo ciecamente di coloro che proteggono il
branco attraverso
il mondo spirituale perciò, se la mia amica veggente mi
parla di una visione
riguardante il tuo mondo, e Magnus mi chiama per dirmi la stessa cosa,
io non
ho bisogno di sapere altro. Ormai, ho visto così tante cose,
e vissuto così
tante esperienze, da non sorprendermi più di quel tanto."
Ammiccando poi all'indirizzo del
muspell, aggiunse:
"Se poi, le nuove conoscenze si rivelano piacevoli, meglio ancora."
"Beh, grazie, allora"
mormorò grato il
guerriero lanciando poi uno sguardo addolorato all'indirizzo di
Ragnhild, che
stava raccogliendo su un vassoio tutti i cappuccini man mano preparati
dalla
barista.
"Per quello in particolare non ho
aiuti da dare,
però" disse Brianna, dandogli una pacca consolatoria sul
braccio.
"Lo immaginavo. Ma ho
già i miei piani in mente,
per non perderla" scrollò le spalle Sthiggar.
"Lascerò Muspellheimr
una volta compiuto il mio dovere e tornerò qui da lei."
"Una decisione piuttosto
importante... e
definitiva. Sei certo di poter rinunciare alla tua essenza,
per lei? E che
a lei vada bene?" gli domandò percettiva Brianna, portandolo
a sorridere a
mezzo.
"Dimostri una saggezza
antica, wicca.
Capisco perché Fenrir è così
orgoglioso di te. Ma non devi temere per me. So
che, per Ragnhild, ne vale la pena."
"E lei è d'accordo." Non
fu una domanda, ma
un'affermazione ricolma di quesiti che Sthiggar non ebbe il coraggio di
affrontare.
Ragnhild era stata lapidaria,
dicendogli che non
avrebbe dovuto rinunciare né a Muspellheimr né
alla sua fiamma. D'altro canto,
lui non voleva abbandonarla perché era ormai convinto che,
catalizzatore o
meno, lei fosse l'unica in grado di completarlo, come lui sembrava
completare
lei.
Il resto, sarebbe venuto dopo.
***
L'insenatura rocciosa alle spalle
della scogliera su
cui sorgeva il faro, era battuta da un vento inclemente e onde
schiumose, mentre
il volo di uccelli marini dallo struggente canto ne era il romantico
sfondo.
Fu lì che il folto
gruppo di Sthiggar si diresse e,
dopo aver controllato che nessuno fosse in zona - o stesse puntando
droni o
macchine fotografiche nella loro direzione - Magnus disse: "Opera pure
la
tua magia, wicca. Il portale è
pronto per essere aperto."
"Sarà un onore,
Occhiosolo" mormorò con
falso ossequio Brianna, strizzando l'occhio al giovane, che
ridacchiò.
Poggiata la mano destra su un masso
in particolare,
portante una runa incisa su di esso talmente in profondità
da non essere stata
consumata dal tempo e dal mare, Brianna socchiuse gli occhi e
mormorò:
"Madre, Sorgente di Vita, questa tua umile figlia chiede udienza.
Lascia
che si apra il sentiero per il confine di Midghardr, e che io e i miei
compagni
possiamo procedere in sicurezza."
Spero tu abbia chiesto il permesso
a Jörmungandr,
perché sappiamo bene entrambi quanto sia permaloso, quel
ragazzo.
Brianna sorrise di quell'imprevisto
commento di Madre
- era raro che intervenisse così direttamente - e, nello
schiudere il portale,
replicò: "Io e Jor ci siamo visti in un
paio di occasioni, e
siamo più o meno arrivati a diventare amici."
Sarà meglio per te,
fanciulla portatrice del
Crepuscolo, o dovrò anzitempo vedere fuoco e fiamme su
questo mondo e sugli
altri Regni.
"Vedrò di evitarlo" promise Brianna,
scostandosi per poi dire:
"Prego, signore e signori. A voi il passaggio."
Uno dopo l'altro, i presenti
imboccarono delle ripide
scale dirette verso il basso ma, quando fu il turno di Ilya, la regina
sbuffò e
borbottò: "Ancora scale. Giuro,
farò un esposto per
abolirle."
Tutti risero sommessamente e,
quand'anche la regina
ebbe oltrepassato il portale, Brianna penetrò nello stretto
cunicolo e infine
richiuse il passaggio, così che nessuna creatura umana - e
non - potesse
percorrerlo dopo di loro.
"Qualcuno ha portato una torcia?"
domandò a
quel punto Jerome, fermo a pochi passi da Lance.
"A questo posso pensare io"
dichiarò
Sthiggar.
Immediatamente, Ragnhild lo prese
per mano perché gli
fosse più semplice gestire la sinergia tra le reti di potere
del pianeta e la
sua aura e Sthigg, nel ringraziarla con un sorriso, si
illuminò da capo a
piedi, rischiarando l'ambiente.
Dinanzi a loro, quindi, si
aprì una vasta e apparentemente
interminabile grotta calcarea dalle lunghe e slanciate stalattiti, sul
cui
pavimento roccioso cresceva un fitto prato di qualcosa di molto simile
alle
alghe marine.
"I baffi?" domandò
Jerome, sfiorando quelle
protuberanze vegetali color sabbia.
"Esattamente. Per noi mutaforma
sarà un po' più
difficile avanzare, poiché le escrescenze potrebbero
rilevarci come nemici, in
un primo momento, ma confido che la presenza di una wicca possa
chetare il loro sistema di difesa" disse Odino, riprendendo le sue
forme
divine.
"Oh. Allora aspetterò
fino alla fine, prima di
lasciare a Fenrir la palla" dichiarò Brianna, sfiorando
quelle strane
alghe prima di sorridere divertita e dire: "Buongiorno a voi."
"Ti parlano?" gracchiò
Jerome, fissandola
stranito.
"Quando mai una pianta non mi
parla?" brontolò per contro la donna, avanzando all'interno
di quello
strano prato all'apparenza infinito.
Il resto del gruppo si
accodò a lei e, come previsto,
per berserkir e lupi fu più difficile avanzare, pur se non
impossibile.
Brianna, nel frattempo, accarezzò le alghe che, al suo
contatto, brillarono per
alcuni istanti per poi tornare al loro tenue colore naturale.
Dopo alcune centinaia di metri,
volgendosi a mezzo per
scrutare il suo gruppo, la wicca
disse: "Sono sorprese di trovare così tante creature
diverse, tra di noi.
Sono affascinate, per dire la
verità.
Non ricevono visite da molto, moltissimo tempo."
"Beh, non sono esattamente su
Tripadvisor"
chiosò Jerome, ricevendo più di un'occhiata
sconcertata in risposta.
Brianna, però, non vi
fece caso - fin troppo abituata
alle sue battute di spirito - e, nel proseguire la sua avanzata,
aggiunse:
"Troveremo Jor più avanti, quando cominceremo a scorgere una
luce in fondo
a questa grotta. Ci sta aspettando."
"Lo percepisci?" domandò
Lance, vagamente
preoccupato.
"E' solo, non temere. Per il
momento, non ci sono
coinquilini scomodi che potrebbero rovinarci la giornata" lo
rassicurò
Brianna, continuando ad avanzare con passo sempre più
spedito.
"Prevedevi l'arrivo di un esercito
di zombie o di
qualche Titano pazzo?" ironizzò a quel punto Jerome, facendo
ridere sia Magnus
che Mattias.
Lance lo guardò
malissimo, replicando caustico:
"Queste alghe tengono fuori i mostri, J.
E' ovvio pensare
che possano essercene, al
di là da
questo sbarramento."
Jerome si azzittì
subito, a quelle parole e, un po'
meno baldanzoso, gracchiò: "Beh, ma dai... lo zio ci avrebbe
parato il
culo, no?"
Lance lasciò perdere,
scuotendo il capo e portandosi
più vicino a Brianna che, sorniona, sorrise al patrigno.
Quando i due amici
battibeccavano a quel modo, Lance cercava sempre in lei
un’àncora a cui
aggrapparsi per evitare di strangolare Jerome, il che era paradossale,
se si
pensava che era la più piccola della loro strana Triade.
Questo, inevitabilmente, la fece
pensare a Duncan, e
alla sua mancanza in quella missione letteralmente
intergalattica.
Le spiaceva non essere potuta
uscire in missione con
Duncan, ma le rigide restrizioni di Madre prevedevano che mai
più Fenrir e Avya potessero vedersi al
di fuori dei confini di
Midghardr, così come al di dentro. L'esperienza fatta su
Elfheimr sarebbe
rimasta unica e non replicabile, perciò Duncan era dovuto
rimanere a Gungnir
con Nathan e Hannah, in compagnia dei genitori di Magnus.
Non che al marito spiacesse stare
più tempo coi figli,
ma sapeva bene cosa volesse dire, per lui, non poterla proteggere in
prima
persona. Ne avevano passate troppe, insieme, perché questo
pensiero non lo
lasciasse anche solo vagamente ansioso.
Scacciando quesi tristi pensieri
quando infine il
prato di alghe ebbe termine e, al suo posto, roccia scura e una parete
di
solito granito sbarrò loro la strada, Brianna
mormorò: "Arrivederci. E’
stato un piacere fare la vostra conoscenza."
Ciò detto, si
lasciò alle spalle il mare di alghe al
pari degli altri e, congiunte le mani sulla parete di roccia, chiese il
permesso di uscire.
Immediatamente, lo sbarramento
naturale formato dalla
parete svanì dinanzi ai suoi occhi, sorprendendo il resto
dei presenti e, nel
bagliore di un tramonto senza tempo, terminarono la loro camminata su
un'ampia
spiaggia di sabbia bianca.
Il cielo, color zaffiro e rosso
amaranto, era
ammantato di stelle e galassie lontane, ove comete viaggiavano veloci
per poi
perdersi in quell'infinito orizzonte senza dimensione apparente.
In lontananza, la spiaggia si
perdeva in una linea
color perla sempre più sottile mentre, alle loro spalle, la
grotta andò a
chiudersi così come si era aperta al tocco di Brianna. Al
suo posto, si creò una
scogliera di nera roccia che si innalzava a perdita d'occhio, fin quasi
a
divenire un tutt'uno col cielo.
Il silenzio più totale
incombeva su quel luogo di pace
apparente, anche se i resti di antichi scheletri potevano scorgersi tra
i
cristalli di sabbia, a memoria di vecchie battaglie e sanguinosi esiti.
Mentre tutti si guardavano attorno
per studiare quel
luogo così fuori dal tempo, Brianna riprese le forme di
Fenrir e, dal mare
piatto e calmo, una figura d'uomo emerse lentamente, accompagnata dallo
sciabordio leggero delle acque.
Di nero vestito e a piedi nudi,
Jörmungandr portava su
una spalla una lunga treccia di corvini e lisci capelli che terminava
ben oltre
la vita sottile, sottolineata da un’alta cintura dorata.
Dopo essersi fermato a pochi passi
dal gruppo, li
scrutò tutti con i profondi occhi blu mare prima di dire con
voce roca e
profonda, melodiosa come il suono sussurrato di un flauto: "Ben
trovato,
fratello. Perché non hai lasciato che fosse Brianna, a
parlare? La fanciulla mi
aggrada, lo sai."
"Se vuoi, la faccio tornare"
replicò Fenrir,
levando un sopracciglio corvino con evidente sorpresa.
Jor scrollò una spalla
con noncuranza, mormorando con la
sua voce ammaliante: "Fa sempre piacere vedere una bella donna,
rispetto
al tuo viso rozzo e sgraziato. Ancora non mi capacito che Avya ti abbia
voluto
come suo amante."
Fenrir se ne uscì con
un'esclamazione indefinibile, ma
non replicò. Capire cosa passasse per la testa del fratello
non era mai stato
semplice, e la solitudine non aveva certo aiutato a migliorare il
carattere da
sempre ambiguo di Jörmungandr.
Di vero, però,
c’era una cosa; la bellezza del
fratello sembrava davvero ultraterrena e, almeno a giudicare dagli
sguardi
sbigottiti di tutti, nessuno si sarebbe mai aspettato tanto fascino ed
eleganza
nel Serpente di Midghardr.
Jor, comunque, stava già
pensando ad altro e,
muovendosi morbido e flessuoso come un serpente, giunse in un lampo
dinanzi a
Odino, che ebbe la buona creanza di starsene fermo dov'era.
Dopotutto era stato lui, millenni
addietro, a
confinarlo in quelle acque al di fuori del tempo e dello spazio,
perciò era
tutto sommato giusto che Jor si prendesse qualche libertà,
con Occhiosolo.
"Devo dire che ti sei fatto proprio
un bel
giovane" celiò nervoso il dio, guardandolo con l'unico
occhio mentre Jörmungandr
giocava con il suo angolo cieco con movenze degne di una étoile.
"Oh, te ne sono grato, Padre Tutto.
Convieni con
me che, nonostante le parole delle Norne, non sono venuto su male?"
ironizzò il dio-serpente, sogghignando ferale.
"Aaah, beh... come dissi a tuo
fratello, le
persone sbagliano, a volte. Persino io" tentennò Odino, non
sapendo
esattamente come agire.
Jörmungandr si
bloccò a metà di uno dei suoi agili
passi e, fissandolo aspramente coi suoi occhi - di colpo divenuti
quelli di un
serpente - replicò secco: "Bere alla sorgente di Mimir e
perdere un
occhio, quindi, non ti ha reso tanto più saggio di uno
qualsiasi di noi, mi
pare."
"Fratello... ne avevamo
già parlato"
intervenne a quel punto Fenrir, già subodorando guai.
L'eccessiva solitudine di Jor lo
aveva portato a
essere una persona amara e assai lunatica e, posto di fronte a colui
che lo
aveva bandito in un luogo così distante da qualsiasi altra
forma di vita
senziente, non poteva certo apparire felice e spensierato.
Evitare una rissa tra
dèi, però, era preferibile,
perciò Fenrir si mosse per bloccarlo sul nascere quando
Sköll, presa la parola,
disse: "Senti, zio... papà non ci ha presentati, vista la
sua solita
ritrosia all’uso delle forme di cortesia più
elementari, ma noi siamo i tuoi
nipoti."
Jor si volse quindi verso
Sköll e, immediatamente, i
suoi occhi tornarono quelli di un uomo, riportando in quello sguardo la
sanità
mentale che, per un momento, aveva vacillato.
Scrutando il giovane dallo sguardo
leggermente
spavaldo e i capelli color ruggine, il dio-serpente allora si
avvicinò, sollevò
una mano del color della giada più pura1
per carezzargli il viso e,
annuendo, disse: "Sììì, sento il
sangue di mio fratello, in te. Dunque,
sei tu il più giovane dei figli di Fenrir e Avya."
"Beh... di due minuti"
brontolò Sköll,
scrutando male Hati, che sorrise affabile in risposta.
"Tu cosa ne pensi, nipote mio?
Dovrei punire
costui per la mia prigionia, o dovrei dirigere altrove la mia
vendetta?"
domandò allora il dio-serpente, lanciando un'occhiata
raggelante a Odino che,
ancora una volta, ebbe la decenza di tacere.
"Ah, beh, io non sono un campione
di diplomazia,
zio. Quello calmo è Hati però, secondo me, avere
un dio come Odino che ti è
debitore di un favore, potrebbe essere divertente, non ti pare?"
buttò lì
Sköll, guadagnandosi un'occhiataccia dal dio orbo.
Sollevando entrambe le sopracciglia
con espressione
interessata, Jörmungandr si trasfigurò in volto,
divenendo bellezza pura,
crudele e selvaggia, ammaliatrice e suadente come un serpente che danza
ingannatore prima di attaccare.
"Mio caro nipote, tu sì
che hai trasfigurato la
mia intera giornata!" esclamò Jor, lanciando poi un'occhiata
a Fenrir.
"Tuo figlio è davvero astuto."
"Ne sono moderatamente fiero"
assentì Fenrir
con un ghigno.
"E sia! Vi condurrò
attraverso i fiumi di
ghiaccio sino alla Sorgente di Vita, dove Yggdrasil accoglie i
ghiacciai di Jötunheimr
e la lava dei vulcani di Muspellheimr. Lì, parlerete con le
Norne..."
asserì Jor prima di sorridere mellifluo a Mattias,
aggiungendo furbo: "...
o a due di loro, per lo meno, poiché la terza già
cammina tra noi. Scusa se ho
impiegato tanto a scorgerti, Rygr
Urd, ma sai mimetizzarti bene."
"Si cerca di sorprendere sempre,
mio vecchio amico" mormorò Urd, attraverso la bocca di
Mattias.
Jörmungandr allora sorrise
brevemente,
si lasciò avvolgere dalle acque placide dello strano mare
dove si trovava da
un'eternità e Fenrir, nell'accostarsi a Odino,
domandò: "Perché non è
giunto in Helheimr con gli altri dèi, quando avete perso
corporeità?"
"Per lo stesso motivo per cui mi
costrinsi a confinarlo qui all'inizio dei tempi. Sarebbe diventato
maestoso, fin troppo, per qualsiasi
mondo, anche
quello dei morti. Queste acque sono speciali, perché gli
hanno permesso di
vivere a prescindere del tempo passato e della mancanza di fede degli
umani" gli spiegò ombroso Odino, osservando la stupefacente
mutazione del
giovane Jor.
"Ma è rimasto solo"
sottolineò
Fenrir.
"Sì. Soltanto ora mi
rendo conto di
cosa possa aver significato per lui, sopravvivere a te, a sua madre, ai
suoi
nipoti... a tutti coloro che avrebbero potuto costituire la sua
famiglia"
sospirò Odino, scuotendo il capo. “Sono
stati commessi fin troppi errori,
all’epoca, ma posso risolvere solo quelli di oggi, non quelli
di ieri.”
L'enorme testa del bianco rettile
che
ora era divenuto Jörmungandr si volse a mezzo e, rivolgendo
uno sguardo
imperscrutabile a Occhiosolo, replicò: "Il tempo della
contrizione non è
questo, Dio Orbo. Ora, dobbiamo fermare i folli che desiderano aprire
le porte
di Ragnarök quando ancora non è il momento.
Poiché tu e mio fratello vi siete
riappacificati, i tempi sono ben lungi dall’essere maturi,
per cui…"
Mattias si schiarì la
voce e, lasciando
parlare Urd, disse: “Ti prego,
Jörmungandr… sarebbero cose da tenere per noi.”
Il serpente sgranò
leggermente gli
occhi, si esibì in una risatina e replicò:
“Dimentico la cortesia, Rygr.
Ma è così raro parlare con
qualcuno che non siate voi Norne!”
“Lo comprendo, lo
comprendo…” ammise Urd
tramite la bocca di Mattias.
Ciò detto,
indicò a Fenrir di salire
così, uno dopo l’altro, i membri di quella
stranamente assortita combriccolare
montò a cavallo del gigantesco rettile, che poteva contare
un’ampiezza di non
meno di dieci metri e una lunghezza indefinita.
Il serpente di Midghardr,
nell'iniziare
il suo viaggio verso le vette traslucide che si potevano scorgere in
lontananza, disse con tono leggermente sibilante: "Un suggerimento per
le
personalità non divine. Non
arrischiatevi a toccare il ghiaccio
su cui io scivolerò, poiché esso è
più freddo di qualsiasi cosa abbiate mai
provato, e potrebbe uccidervi al solo sfiorarlo."
Ilya si affrettò a
sedersi sul dorso
color perla, gli occhi vitrei per il terrore e Jor, con maggiore tatto,
aggiunge: "Non avete di che temere, se rimarrete seduti sul mio dorso.
Le
mie squame vi tratterranno egregiamente, nonostante la mia andatura
ondulatoria."
Snorri, in ogni caso, si sedette
accanto
alla sua regina per darle coraggio e Sthiggar, nell'aiutare Ragnhild e
Mattias
a fare lo stesso, si accomodò accanto a loro, mentre il
resto del gruppo decise
dove sistemarsi per affrontare quello strano viaggio.
"Come stai, Mattias? Nessun
timore?" domandò Sthigg, sorridendo al ragazzino.
"Oh, no! E' tutto molto
eccitante" esclamò lui, lanciando poi un'occhiata a
Ragnhild, che invece
stava fissando l'orizzonte con occhi tristi ma decisi.
Presa tra le sue una mano della
sorella,
quindi le domandò: "Sei pronta?"
Lei sobbalzò a quella
domanda,
lanciandogli uno sguardo ricolmo di domande e sì, di una
paura così primordiale
da spingere il fratellino ad accentuare la stretta sulle sue dita
fredde e
tremanti.
"Non lo so" mormorò
infine
lei, abbracciandolo stretto e tentando di trattenere, al tempo stesso,
le
lacrime che le stavano ferendo gli occhi.
"Sono sicuro che riuscirai"
replicò lui con una strana solennità nella voce.
Sthiggar si alzò per
lasciarli soli,
comprendendo quanto i due fratelli avessero bisogno di parlare e, nel
dirigersi
verso Thrym e Flyka, si accomodò loro accanto per chiedere
notizie in merito
alle ferite del compagno.
"Tutto okay? La tua ferita come
sta, Thrym? Si è più riaperta?" chiese infine
Sthigg.
L'uomo si tastò la
spalla dolorante - e
che Sthiggar aveva curato con la Fiamma Viva - e, nello scuotere il
capo,
replicò: "La tua cauterizzazione ha retto e, anche se fa un
male
dell'inferno, sto bene."
"Flyka?" domandò allora
Sthiggar.
"Nessun problema. Ma sono un po'
preoccupata per la tua amica. Non credo reggerà il colpo,
una volta che te ne
sarai andato" mormorò la muspell, lanciando un'occhiata
turbata
all'indirizzo di Ragnhild.
Ragnhild sembrava impegnata in una
profonda conversazione con il fratello e Mattias, sempre tenendole le
mani,
stava annuendo al suo dire con fare molto serio. Pareva quasi di vedere
un
padre confortare la figlia, e non una sorella maggiore alle prese col
fratellino.
Sthiggar allora sorrise tranquillo
e
replicò: "Tornerò da lei. Farò come
Gunther e lascerò che la mia aura si
spenga, così potrò stare al suo fianco."
"E lei lo sa? Te lo
permetterà?" ribatté scettica Flyka.
Sthiggar non disse nulla in merito
e Thrym,
nel dargli una pacca sul braccio, ghignò ironico e disse:
"Stai attento a
quel che fai, ragazzo, perché le donne non
apprezzano sempre i
nostri sacrifici. Ti converrà parlargliene seriamente, o
potresti trovarti in
guai più grossi di questo."
"Ne dubito" esalò
scettico
Sthiggar.
"Vuoi davvero metterti contro una
donna delusa dalle scelte dell'uomo che ama? Auguri"
ironizzò allora Thrym.
Sthigg si accigliò, a
quelle parole e,
nell'accomiatarsi, raggiunse Hildur, che si trovava nel punto
più lontano di
tutti, in direzione della coda del serpente, e con lo sguardo rivolto
alla
spiaggia che avevano lasciato.
Lui le sfiorò una spalla
per rendere
nota la sua presenza, dopodiché le sorrise a mezzo e
domandò: "Temi
possano attaccarci?"
"Ricordi i resti delle carcasse che
si trovavano sulla spiaggia? Erano di qualcosa.
E, visto che noi
ci troviamo sul dorso di Jörmungandr, lui non sarebbe in grado
di proteggerci,
in caso di attacco. Stando così le cose, mi tengo pronta
qualora un qualsiasi
mostro marino decidesse di venire a banchettare con noi"
sottolineò lei,
scrutando il mare placido con occhio attento.
Sthiggar assentì grave,
non avendo per
nulla tenuto in conto quel particolare. Ancora una volta, la
preoccupazione per
Ragnhild aveva avuto la meglio su di lui e, con un sospiro, fu
costretto ad
ammettere: "Ho il sentore di non essere di molto aiuto, ora come ora.
Sono
piuttosto... distratto."
"Oh, l'ho notato!"
chiosò
Hildur con un sorriso indulgente. "Mi stupisce ancora che tu possa
esserti
innamorato con così tanta facilità ma, a quanto
pare, quella ragazza riesce a
far risuonare le corde giuste dentro di te."
"Non so se si possa parlare
d'amore, cugina, ma..." mormorò lui, grattandosi
nervosamente la nuca.
"... vedi, ci conosciamo da poco e, in tutta onestà, non so
se il tempo
passato qui sia bastato a ..."
Hildur lo interruppe con una
carezza sul torace e,
sorridendogli, replicò: "Non si tratta mai di quanto,
ma di come. E il
tempo che tu hai passato su Midghardr devi averlo speso bene,
perché quello che
ho visto nei tuoi occhi quando ho minacciato la tua Ragnhild, mi ha
detto molte
cose."
Lui la fissò spaventato,
forse realmente terrorizzato
per la prima volta in vita sua e Hildur, nell'abbracciarlo con
gentilezza,
aggiunse: "Lo so, fa una paura del diavolo ritrovarsi a camminare su
questa
sottile lastra di ghiaccio in particolare, perché potrebbe
spezzarsi da un
momento all'altro senza lasciarti possibilità di scampo."
"Farà male, quando...
quando ci divideremo"
mormorò lui.
La sua non fu una domanda, ma
un'affermazione, sintomo
di un dolore che il giovane muspell già stava provando e la
cugina, nel dargli
un colpetto sulla spalla, asserì: "Vedi? E' il come, non il
quanto."
Preso un gran respiro, Sthiggar si
raddrizzò fiero,
scrutò l'orizzonte e la spiaggia che velocemente stava
scomparendo alla loro
vista e, lapidario, dichiarò: "Salverò il re e,
in premio, chiederò che mi
chiuda i centri del potere."
"Piuttosto ti ucciderà,
ma puoi sempre
tentare" ironizzò tristemente Hildur, vedendolo accigliarsi
di fronte a
una tale risposta.
"Perché mai dovrebbe
farlo?!" esalò
Sthiggar, sconcertato.
"Perché sei una Fiamma
Viva, Sthigg. Non
puoi bloccare i centri di potere come un qualsiasi
muspell. Tu sei fuoco,
non lo sprigioni soltanto" sottolineò spiacente lei,
addolorata dalla
reazione che, quelle parole, sprigionarono nel cugino.
Il suo volto andò
metaforicamente in frantumi e le
gambe tremarono sotto il peso terribile di quella condanna, portandolo
a
piegarsi in avanti per poggiare le mani sulle cosce e sorreggersi alla
bell'e
meglio.
"Dunque, non c'è... non
c'è speranza, per
me" mormorò roco il giovane.
"Un modo lo troveremo, figliolo."
A sorpresa, le mani di Snorri si
posarono sulle spalle
incurvate del figlio e Sthigg, raddrizzandosi di colpo,
esalò: "Padre!"
Sorridendogli orgoglioso, Snorri
gli carezzò il viso
punteggiato di barba e, nei suoi occhi, corsero i ricordi del figlio
appena
nato, della sua adolescenza tormentata e infine della sua
maturità più
consapevole.
Amava il figlio in un modo
così totalitario e pieno da
non aver mai avuto cuore di punirlo o rabberciarlo, anche quando tutto
aveva
congiurato perché lui lo facesse. Si era sempre trincerato
dietro al suo amore
per Sthiggar e alla consapevolezza che, tutte quelle dimostrazioni di
disagio,
venissero dalla morte di Seryaffhin.
La moglie li aveva abbandonati
troppo presto,
consumata da un dolore sordo e senza fine che, poco alla volta, aveva
prosciugato
la sua aura fino a spegnerla del tutto.
I dottori non erano stati in grado
di comprendere perché
la consunzione si fosse palesata in lei, ma Snorri aveva sempre avuto
il
sentore che, la sua eccessiva mansuetudine, l'avesse portata a pentirsi
di
averlo sposato.
La consapevolezza di aver fallito
come marito si era
aggravata quando, nel corso degli anni, il comportamento di Sthiggar
era andato
peggiorando, palesando così anche la sua incompetenza di
padre.
Il suo caro figliolo,
però, non era mai venuto meno al
legame che da sempre li aveva visti uniti e, pur nella sua
inadeguatezza, non
aveva mai smesso di amare Sthiggar né il figlio di amare lui.
Vederlo perciò
così distrutto, così privo di difese
nonostante la sua possanza e il suo potere, lo aveva fatto muovere
istintivamente e, dopo aver chiesto congedo alla regina, si era
avvicinato al
figlio per dargli quantomeno conforto morale.
"A questo punto, non so quale altra
possibilità
vi sia, per noi due, se Hildur ha ragione" mormorò il
giovane muspell
reclinando sconfortato il capo.
"Se servirà,
chiederò alle Norne di accettare la
mia vita in dono, per permettere a Ragnhild di stare al tuo fianco"
disse
con disarmante sincerità Snorri, sorridendogli tranquillo.
Sthiggar, però, non
prese per niente bene
quell'offerta giunta con fin troppa serenità e, incupendosi
per diretta
conseguenza - mentre Hildur soffocava un'imprecazione per la sorpresa -
replicò
caustico: "Cosa ti fa pensare, padre, che accetterei mai una
simile offerta? O che la stessa Ragnhild la accetterebbe?"
"Figliolo, io ho vissuto millenni
interi e, per
mio figlio, posso benissimo offrirmi per un simile scambio. Te lo
meriti e, se
è l'unica azione valida che posso fare per te, ben
volentieri la farò"
ribatté sereno Snorri.
Il volto di Sthiggar si fece ancor
più cupo, quasi un
temporale si fosse addensato attorno a lui e, nell'afferrare le spalle
del
padre con una presa ferrea che lo squassò,
ringhiò furioso: "Non ho mai
voluto che tu morissi ma, se sei tanto ansioso di
riunirti a tua
moglie nel regno dei morti, così sia. Io non ti
fermerò. Ma non usare Ragnhild
o me come scusa per mollare."
Ciò detto, si
allontanò piccato e pieno di un furore
quasi incontenibile, lasciando uno sconcertato Snorri in compagnia di
Hildur
che, dopo aver dato una carezza sulla spalla allo zio,
chiosò: "Non dovevi
dirlo, zio. Proprio no."
"Ma potrebbe essere l'unica
possibilità, per loro
due, di stare insieme!" replicò addolorato Snorri, fissando
la donna in
cerca di aiuto. "Non sono forte come lui, né saprei mai
brandire un'arma
per proteggerlo, perciò l'unica cosa che posso offrirgli
è la mia vita."
"O il tuo amore" replicò
Hildur.
"Sthiggar ti ama, zio, e da te ha sempre e solo voluto amore, non
compassione o indulgenza. Tu hai sempre compatito il povero bambino
senza la
sua mamma, senza però renderti conto che c'era altro da
fare, oltre a
consolarlo e far finta che lui non avesse difetti."
"Non avevo cuore di punirlo...
anche se sapevo
bene che avrei dovuto, in alcuni casi" sospirò l'uomo,
lanciando uno
sguardo in direzione del figlio che, in quel momento, era appollaiato
sul capo
gigantesco di Jörmungandr, apparentemente intento a parlare
con il
dio-serpente.
"Per questo re Surtr si
è sempre sostituito a te,
in questo compito" sorrise appena Hildur. "Ma Sthigg voleva le
tue punizioni, i tuoi rimbrotti,
perché solo il tuo
sguardo contrito e i tuoi abbracci pieni di compassione non gli
bastavano.
Offrire te stesso, ora, è stato quasi uno schiaffo, per lui,
perché
perderti a causa sua sarebbe
l'ennesimo scorno del destino,
non un dono per il suo futuro."
Snorri reclinò colpevole
il capo, annuendo e Hildur,
nell'accentuare il proprio sorriso, aggiunse: "Lascialo sbollire,
dopodiché affrontalo nuovamente, ma non con sacrifici
estremi come ultima
risorsa. Nessuno ti vuole morto, zio, men che meno lui."
N.d.A.: conosciamo finalmente
Jor, l'ultimo dei fratelli di Fenrir e anche il più
misterioso. Ovviamente, essendo stato isolato per millenni in una zona
spazio-temporale a sè stante, dimostra di avere un certo
caratterino... ma credo sia normale. Vi pare? Ben presto, scopriremo
cosa potrà fare Urd - e forse anche lo stesso Mattias - per
perorare la causa dei nostri eroi ma, soprattutto, faremo finalmente la
conoscenza con le altre due Norne. E non solo con loro.
1 ‘…una
mano del colore della giada più pura’: Parlo
della giada bianca, la più rara e preziosa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
Cap. 21
Dal padre, davvero non si sarebbe
mai aspettato un
simile discorso! Come poteva anche solo immaginare che
il
suo sacrificio estremo avrebbe potuto renderlo felice?!
Inoltre, neppure Ragnhild avrebbe
accettato uno
scambio simile. Era da folli il solo pensarlo.
"Non avercela troppo con tuo padre,
Giovane Fiamma"
chiosò Jörmungandr con la sua strana voce nasale.
La bocca di un serpente non era
fatta per parlare,
perciò i suoni che ne uscivano erano sibilanti e attutiti,
quasi ovattati ma,
non di meno, suonavano affascinanti alle orecchie dei presenti.
"Non può pensare che la
sua morte potrebbe
rendermi felice!" sbottò Sthiggar, fissando ombroso
l'orizzonte, dove
ormai era visibile il ghiacciaio che conduceva alle sorgenti di
Yggdrasil.
Le alte montagne di ghiaccio
apparivano impervie al
pari dell'ampia lingua di ghiacciaio su cui, entro breve, Jor avrebbe
proceduto.
In cuor suo, Sthiggar pregò che quel luogo così
impervio non brulicasse di
jotun.
Non era davvero il posto adatto in
cui combattere.
"Non temere, qui non abita nessuno"
dichiarò
il serpente per poi aggiungere: "Quanto alla tua affermazione, ci sono
figli
che avrebbero pagato qualsiasi cifra pur di portare alla morte i propri
genitori, ricordalo."
Sollevando un sopracciglio con
evidente sorpresa,
Sthigg replicò dopo un attimo: "Immagino che Loki non sia
stato il
migliore dei padri… ma neppure tua madre era degna di
fiducia?"
"Loki ci allevò
perché divenissimo armi da utilizzare
contro Odino e i suoi aesir ma alla
fine, tolta Hel, sia io che Fenrir ci rivoltammo contro di lui. Quanto
a mia
madre, si rifiutò persino di riconoscerci e, per quanto lei
abbia aiutato
Fenrir e Avya durante la gestazione dei miei nipoti, non credo di
poterla
considerare una brava mamma."
dichiarò ironico Jor.
"Perché lo facesti?
Sì, insomma, metterti contro
Loki" si informò Sthiggar, sinceramente curioso.
“Non mi interessavano i
suoi piani di dominio, e
detestavo l’idea che lui volesse solo usarmi come
un’arma, ma non pensasse
minimamente ai miei sentimenti. Inoltre, per quanto mi spiaccia
ammetterlo,
Odino ebbe dei buoni motivi per lasciarmi qui. Sarei diventato
davvero troppo
grande per qualsiasi luogo” gli
spiegò Jor con un sospiro a
corollario.
Sthiggar assentì
silenzioso, lasciando che il serpente
si prendesse il suo tempo prima di proseguire nel suo dire e, quando
finalmente
ciò avvenne, il muspell si spiacque ulteriormente per lui.
“Indipendentemente da
quel che pensano i più su di me,
io non ho mai voluto morte e
distruzione" sottolineò Jor,
portando il muspell a carezzare istintivamente una delle squame
protudenti che
si trovavano sulla fronte del rettile. "Avrei soltanto desiderato un
po'
più di compagnia ma, come ben immaginerai, i mostri del
cosmo non sono così
carini e simpatici e, dopotutto, io non volevo che loro attaccassero il
mondo
in cui camminavano i figli di mio fratello, per cui..."
"Per cui, divenisti il protettore
di Midghardr, a
dispetto di tutto" esalò Sthiggar, ripensando alle carcasse
presenti sulla
spiaggia.
"Da un grande male come mio padre
Loki è venuto
un bene per Midghardr" ironizzò suo malgrado Jor. "Per
questo, non me
la prenderei troppo per le parole di tuo padre. Per quanto espresso in
modo
errato, il suo amore per te è sconfinato e pensa a cosa
potrebbe portare, se
veicolato nel modo giusto!"
"Da un grande amore, quindi,
potrebbe venire
ancor più bene? Non si rischia, però, che nasca
per contro anche un male
enorme, giusto per riequilibrare le sorti dell'universo?"
brontolò
Sthiggar, poggiando una mano per sorreggersi quando Jor
iniziò la sua risalita
lungo il ghiacciaio.
Il sobbalzo iniziale
passò e il dio-serpente, con un
risolino, chiosò: "Tu parli di bilancia cosmica, ma
né tu né io siamo in
grado di sapere cosa serva per riequilibrare il Cosmo. Per
questo dobbiamo
prima parlare con le Norne e, solo dopo, dirigerci verso il regno di
Muspell."
Lanciando uno sguardo alle sue
spalle, dove Ragnhild e
Mattias stavano osservando il ghiaccio stando sdraiati proni sulla
schiena di
Jörmungandr, Sthiggar sorrise appena e mormorò:
"Varrà qualcosa il fatto
che con noi abbiamo Urd?"
"Solo le Tre Sorelle possono
saperlo"
replicò misterioso Jor, aggiungendo subito dopo:
"Perché tu lo sappia, una
volta raggiunta la sorgente di Yggdrasil, dovrò discutere un
po' con Nidhoggr1,
il nero drago che vive nelle acque di scioglimento di questo
ghiacciaio, perciò
ci sarà da ballare. Avverti tu gli altri."
"Potrei scaldargli le squame, se
servisse"
gli propose Sthiggar.
Jor rise sommessamente e
replicò: "E' un serpente
abituato al ghiaccio e al fuoco. Solo io posso chiarire chi
è che comanda, tra
i rettili che vivono in queste lande."
Nel dirlo, le iridi perlescenti di
Jor emisero uno
scintillio foriero di tempesta perciò Sthiggar, nel
discendere dal capo del
dio-serpente, avvisò le divinità presenti prima
di recarsi da Ilya -
avvicinatasi nel frattempo a Mattias e Ragnhild - e dire: "Tra un po'
balleremo, perciò tenetevi ben saldi alle squame."
I tre assentirono al pari di Thrym
e Flyka, poco
lontani da loro, perciò a Sthigg non restò altro
che raggiungere nuovamente
Hildur e suo padre per avvisare anche loro.
Quando finalmente si fu avvicinato
a sufficienza alla
sua famiglia per parlare agevolmente, spiegò la situazione a
entrambi
dopodiché, prima che il padre potesse aggiungere altro,
disse: "Ne
riparleremo a tempesta finita. Ora, per favore, raggiungi la regina e
pensa a
lei."
L'uomo assentì spiacente
e si allontanò in tutta
fretta, lasciando soli i due cugini.
Cugini che si scrutarono
vicendevolmente per alcuni
istanti, prima che Hildur domandasse: "Come percepisci l'aura, in
questo
posto?"
Sthiggar si concentrò
per un attimo prima di imprecare
e dire: "Ancor più caotica che su Midghardr. Troppi mondi
collegati tra
loro, troppo ghiaccio a creare interferenza e..."
Di colpo, nella mente di Sthiggar
si aprì un varco e,
mentre le braccia di Ragnhild lo avvolgevano da dietro, facendolo
sobbalzare,
Hildur sorrise divertita alla giovane e celiò: "Il passo del
cagnolino ti
viene bene, berserkr, e il nostro Sthiggar era troppo impegnato a
imprecare per
accorgersi del tuo arrivo."
"Avevo il terrore di cadere, lo
ammetto"
mormorò lei, poggiando la guancia contro la schiena di
Sthiggar per poi
aggiungere: "Come va, ora?"
"Dannatamente meglio"
replicò lui,
volgendosi a mezzo per trascinarla davanti a sé e guardarla
sconcertato.
"Come hai capito che stavo tentando di aprire i centri dell'aura?"
"Succede da quando abbiamo..."
tentennò
Ragnhild, guardando poi di straforo Hildur, che si limitò a
scrollare
indifferente le spalle. "... beh, insomma, da quando ti ho tastato
l'addome perché sentivo provenire calore dal tuo corpo."
Sollevando incuriosita le
sopracciglia, Hildur allora
le domandò: "Quindi, percepisci il suo stato di bisogno
anche a
distanza?"
"Non so se lo chiamerei bisogno.
Ho
come l'impressione di percepire una fiamma che si attizza, ma nel modo
sbagliato, e io so come correggerla" cercò di spiegarsi
Ragnhild,
aggrottando la fronte. "Scusate, non so bene come esprimere
ciò che
sento."
"Credimi, nessuno di noi sa
un'accidente di cosa
succeda a una Fiamma Viva con il proprio catalizzatore" ammise con
candore
Hildur. "Neppure so chi sia quello del re. So soltanto che non
è la
regina."
"Ma... anche su Muspellheimr
servirebbe un
catalizzatore?" domandò sorpresa Ragnhild, sempre rimanendo
ancorata al
corpo di Sthiggar.
"Solo all'inizio, per permettere
alla Fiamma Viva
di trovare il Centro di Fuoco del pianeta" le spiegò Hildur.
"Le
Fiamme Vive, però, sono così rare che non esiste
una letteratura in tal senso,
e quindi conosco solo voci riportate e poco più."
Preferendo non pensare alle
implicazioni legate a quel
particolare - visto che lei non poteva mettere piede su Muspellheimr,
Sthiggar
non sarebbe stato in grado di usare con competenza la sua Fiamma -
Ragnhild a
quel punto domandò al muspell: "Tolto questo...
perché stavi tentando di
richiamare l'aura, visto che siamo circondati dal ghiaccio?"
"Perché volevo scoprire
se potevo essere d'aiuto
a Jörmungandr, visto che si dovrà scontrare contro
un drago" le spiegò
Sthiggar.
"Quindi, temi che il
dio-serpente… questo
dio-serpente…” gorgogliò lei,
indicando la creatura sotto i loro piedi con espressione costernata.
“…non sia
abbastanza forte?"
"Tutt'altro. Ma è sempre
meglio pensare a un
piano B, quando si va in battaglia" ammise il giovane, dandole un
bacetto
sulla fronte. "Tu e Mattias siete al sicuro, non temere."
Hildur a quel punto sorrise
sorniona e,
nell'allontanarsi dalla coppia, chiosò: "Oooh, è
sicuramente come,
non quanto."
Ragnhild fissò con aria
dubbiosa Sthiggar ma
quest’ultimo non replicò alle parole della cugina,
limitandosi a dire: “Vediamo
di capire come raccapezzarci in questa confusione di reti di
potere… di mia
cugina e della sua ironia spicciola, mi occuperò
più tardi.”
“Come vuoi”
acconsentì la giovane, portandosi dinanzi
a lui per poi prendere tra le proprie le mani di Sthiggar.
Chiusi gli occhi, la giovane
avvertì il tocco della
fronte di Sthiggar contro la propria e, subito dopo, il lieve borbottio
della
sua voce. Sembrava quasi stesse cantando una litania nella sua lingua,
dato che
non comprendeva una sola parola di quanto stava dicendo.
I suoni da lui emessi,
però, la rilassarono al punto
tale da farla crollare tra le sue braccia in uno stato di trance e,
soltanto
dopo un tempo indefinito, riprese conoscenza. Quando lo fece,
però, non vide
più il solito Sthiggar ma il guerriero che aveva intravisto
nel suo sogno.
Neppure quando aveva risvegliato la
Fiamma sulla Terra
gli era apparso così sfolgorante e, nel ritrovarsi
circondata dal fuoco gentile
che lui già le aveva mostrato, stavolta non ne ebbe paura.
Sorridendole, lui la
baciò con delicatezza sulle
labbra e, in un sussurro, mormorò: “Grazie a te
posso sentire Madre.”
“Questa è la
Sua energia?” esalò a quel punto la
giovane, strabiliata.
Lui assentì, eccitato e
sorpreso non meno di lei e,
nel tenerla per mano, tornò verso la testa di
Jörmungandr, attirando
l’inevitabile attenzione di tutto il loro strano ed
eterogeneo gruppo.
Se, per il Hildur, la sua vista fu
quasi del tutto
naturale – avendo già avuto modo di vedere re
Surtr sul campo di battaglia
nelle vesti di Fiamma Viva – persino per Ilya e Snorri un
simile fulgore
incandescente risultò strabiliante.
Quanto alle divinità
presenti, si dimostrarono parimenti
meravigliate e anche Jor fischiò ammirato, chiosando con
tono divertito: “Beh,
alla tua vista, Nidhoggr potrebbe anche non alzare tanto la cresta,
dopotutto.”
Solo Mattias non disse nulla,
limitandosi a raggiungere
Sthiggar per poi dire: “Era tempo che qualcuno attingesse
alla più pura fonte
di potere.”
Ciò detto, strinse la
mano libera del muspell e, sotto
gli occhi stupiti di tutti, il ragazzino che era stato Mattias venne
sostituito
da Urd, che prese le forme di una donna dai capelli bianchi come neve e
lunghi
e pesanti abiti color della notte.
Braccia e braccia di tessuto in
broccato di velluto si
strinsero attorno alla donna dall’età indefinita
che rappresentava la figura
divina di Urd che, finalmente libera dal suo involucro umano,
poté mostrarsi al
mondo dopo millenni.
Ragnhild più di tutti
rimase sgomenta da quella
trasformazione improvvisa ma, prima di poter cedere allo sconforto, Urd
la
confortò con un sorriso e una carezza, dicendo con tono
sereno: “Non temere,
bambina. Grazie al potere di Yggdrasil, che tanto gentilmente hai
permesso a
Sthiggar di attingere, ho potuto riappropriarmi delle mie sembianze
primigenie
senza fare del male a Mattias.”
Assentendo muta, la giovane la
guardò comunque piena
di un profondo turbamento, ma la dea ancora la confortò.
“Era giusto che io mi
presentassi alle mie sorelle in
queste vesti, così come era giusto che anche Sthiggar
mostrasse ciò di cui era
capace… e anche tu.”
Quelle ultime parole lasciarono la
platea senza parole
e la dea, sorridendo misteriosa, aggiunse: “Non posso
spiegare ogni cosa
proprio ora. L’equilibrio ha i suoi tempi, come qualsiasi
altro evento del
Cosmo.”
“Non sei una che fa
spoiler, insomma” borbottò
contrariato Sköll, guadagnandosi più di
un’occhiata irritata.
Urd, però, la prese sul
ridere e assentì, ammettendo:
“No. Li ho sempre detestati. Scusami, caro.”
Ciò detto,
lanciò un’occhiata a Sthiggar e Ragnhild,
dopodiché li incitò a seguirli per raggiungere il
capo di Jörmungandr, che si
piegò in avanti per permettere loro di sistemarsi
più agevolmente.
Il chiarore che adornava i tre
divenne sempre più
brillante, le fiamme più alte e scarlatte e persino le
divinità presenti non
ebbero la volontà di dire nulla, al cospetto di un simile
potere.
Solo dopo molto tempo, Odino
poggiò le mani sui
fianchi e, fissando le tre figure coronate di fiamma che si ergevano
sul capo
del serpente, chiosò pensieroso: “In questo
frastuono il cielo si fenderà e
avanzeranno allora i figli di Muspell. Surtr cavalcherà per
primo, con un fuoco
ardente davanti e dietro di lui; la sua spada è formidabile,
da essa emana un
chiarore più brillante del sole. Quando cavalcheranno su
Bifröst, essi lo
demoliranno, com’era stato detto in precedenza. Le schiere di
Muspell
avanzeranno fino al campo chiamato Vigrond, ove arriveranno anche il
lupo
Fenrir e Jörmungandr2.”
“Ti dai alle citazioni,
Occhiosolo?” mormorò Fenrir,
ancora in aperta ammirazione di quella spettacolare dimostrazione di
potere.
“Da chi pensi abbia preso
ispirazione, l’autore di
questo libro, citando ciò che avverrà durante
Ragnarök? Da quella signora
lassù, che ora è più brillante di una
stella proprio grazie a uno dei
soldati di Surtr e che, molto
probabilmente, sarà la
sua spada
fiammeggiante” mormorò pieno di meraviglia Odino,
ormai certo di aver compreso
il reale significato di quel particolare brano dell’Edda in
Prosa.
Hildur lo fissò
sinceramente confusa e, dopo alcuni
istanti di comprensibile dubbio, portò lo sguardo su Snorri
che, però, non si
permise di aprire bocca in merito, apparentemente preso da
tutt’altro genere di
pensieri.
Era mai possibile che, in
realtà, Odino avesse visto
giusto e la tanto glorificata spada fiammeggiante di cui si parlava da
millenni,
e che nessuno però aveva mai visto, non
fosse una vera arma, ma piuttosto una persona?
Il tesoro nel Tempio di
Sól, e di cui suo zio
possedeva le chiavi, quindi, cos’era? O era un mascheramento?
Ilya cercò di frenare
qualsiasi tipo di speculazione
in merito e, fissando Occhiosolo con espressione divertita,
celiò forzatamente:
“Pensi davvero che il mio
Surtr
lascerebbe andare in giro per il Cosmo un’arma
così potente? Suvvia, caro mio…”
Odino però le sorrise
sornione e replicò: “Non metto
in dubbio che Surtr sia intelligente ma, se lui
è chi penso che sia, Ragnarök non è poi
così lontano.”
“E’ qui che ti
sbagli, Occhiosolo. L’età di un muspell
dipende dall’intensità della sua fiamma e,
poiché lui ora è in grado di
attingere al potere stesso di Yggdrasil, Sthiggar è
pressoché immortale”
sorrise melliflua Ilya, ammiccando perspicace.
Questo ammutolì
l’ӕsir
e permise alla regina di tornare a osservare – stavolta con
preoccupazione – la
figura del giovane muspell che, come un’ardente stella, stava
mostrando una
sempre maggiore padronanza del potere della Fonte della Vita.
Ciò che aveva detto a
Odino era reale, e Sthiggar
aveva il potenziale per vivere in eterno, ma il punto era un altro; un
simile
potere era davvero alla portata di
un
Gigante di Fuoco, o sarebbe stata necessaria la forza degli
dèi, per
imbrigliarlo?
***
Non appena il ghiaccio che dava la
vita a Jötunheimr
prese a sciogliersi per formare l’immenso lago da cui si
generava Yggdrasil, le
rade nebbie che circondavano l’Albero del Mondo presero a
dipanarsi, mettendo
in mostra Madre nella sua essenza.
Dinanzi agli occhi sbigottiti di
tutti coloro che,
fino a quel momento, non erano mai stati in presenza della
Madre-di-ogni-cosa,
emerse in tutto il suo splendore l’enorme frassino immortale
da cui ogni
creatura, ogni atomo era nato.
Candida corteccia, chioma di un
verde brillante e
persa nell’infinità degli spazi incommensurabili
di quei luoghi e, infine,
enormi radici che ci inerpicavano dal lago in cui erano immerse per
raggiungere
ogni Mondo.
Ogni particolare di
Colei-che-tutto-è, della
sfolgorante Yggdrasil, meritava a pieno diritto l’uso di
superlativi assoluti,
tanto le dimensioni di ciò che era visibile erano
incomprensibili e fuori qualsiasi
scala conosciuta in ogni Regno.
Quando però Nidhoggr, il
drago che viveva nel lago
prossimo a Yggdrasil, decise di emergere a sorpresa dalla Fonte della
Vita, ogni
meraviglia e ogni soggezione vennero spazzate via per essere sostituite
dall’ansia.
Un’onda pari a quella
generata dalle Cascate del
Niagara si levò per abbattersi contro di loro, ma la maggior
parte svaporò a
contatto con il calore di Sthiggar, lasciando che solo una debole
nebbiolina
colpisse i suoi compagni di viaggio.
Quella vista sconcertò
non poco Nidhoggr che,
bloccando sul nascere qualsiasi altro attacco, scrutò
rabbioso prima Jörmungandr
e infine Sthiggar, sibilando furente: “Come osi
giungere qui con una simile arma al tuo fianco?! Hai dunque paura di
me,
serpente di Midghardr?!”
Jor rise per tutta risposta,
replicando serafico:
“Dovresti ben sapere che di te non ho mai avuto paura,
Nidhoggr, infida serpe
che non ha il coraggio di vivere in mare aperto per paura di doversi
sporcare
le mani con chi lo abita.”
Fenrir sibilò
un’imprecazione, di fronte a
quell’affronto bello e buono e Odino,
nell’accostarsi al dio-lupo, mormorò:
“Vedo che in famiglia avete tutti la lingua forcuta,
eh?”
“Lui è un
serpente… vorrei vedere” borbottò
Fenrir,
pur sapendo perfettamente cosa intendesse dire Occhiosolo.
“Anche domani, io
verrò nel regno di cui detieni
un’immeritata corona!” protestò per
bella posta Nidhoggr, già pronto a dar
battaglia.
Urd, però,
levò una mano per bloccare quel nascente –
e ben conosciuto – conflitto ed esclamò:
“Ora basta, ragazzi. Non è tempo per
queste schermaglie! Il tempo è tiranno, e a noi ne rimane
ben poco.”
Il drago nero osservò
cupo la Norna ma, ben sapendo di
non poterla contraddire, pena il bando dalla Fonte della Vita,
chinò il capo e
li lasciò passare, ricevendo per diretta conseguenza
un’occhiata derisoria da
parte di Jor.
Urd, però,
batté il piedino sulla testa del dio-serpente,
mormorando: “Anche tu, però... non fare il
guastafeste.”
“Le mie scuse, Rygr
Urd… ma è così facile fargli perdere
le staffe” sghignazzò il dio-serpente,
smettendo però di cercare la rissa con Nidhoggr.
Urd a quel punto sbuffò
e, nello scuotere il capo,
borbottò: “Bambini. Possono avere anche migliaia
di anni, ma si comportano
ancora come bambini.”
Sthiggar e Ragnhild sorrisero
debolmente, a quel
commento e Urd, nel fare spallucce, indicò a
Jörmungandr dove approdare perché
tutti potessero scendere.
Sempre sotto l’occhio
vigile di Nidhoggr, la comitiva
mise quindi piede sui verdi prati che circondavano l’immenso
tronco di Yggdrasil,
subito raggiunti dal piccolo e vispo Ratatosk.
Lo scoiattolo li scrutò
per alcuni istanti, emise uno
squittio di benvenuto nel vedere Urd dopodiché, risalendo in
fretta lungo il
tronco di Yggdrasil, urlò con voce trillante:
“Sono giunti nemici dal confine!
Ci sarà da divertirsi, adesso!”
“Ma che
diavolo…” borbottò Sthiggar prima di
notare il
sorriso indulgente di Urd.
“Non fare caso a
Ratatosk. E’ un sobillatore nato ma,
nel caso specifico, essendo io una vostra compagna, gli ospiti di
Yggdrasil non
ci degneranno di uno sguardo” lo tranquillizzò la
dea, battendogli una mano sul
braccio.
“Un altro dei motivi per
cui Mattias doveva venire con
noi, giusto?” ipotizzò quindi Ragnhild.
“Esatto, mia
cara” si limitò a dire Urd.
L’istante seguente
sorrise e, dalle nebbie che
circondavano l’Albero della Vita apparvero due nuove figure,
l’una con fluenti
capelli bruni e l’altra con vaporosi capelli biondo-rossi,
entrambe abbigliate
con lunghi abiti color dell’arcobaleno.
“Verdandi,
Skuld… è un piacere rivedervi”
esordì Urd,
allungando le mani per stringere quelle delle sorelle.
“E’ dunque
giunto il tempo, sorella?” replicò
Verdandi, sorridendole prima di concedere uno sguardo alle persone
presenti.
Imperturbabile, sorrise a tutti
prima di soffermarsi
su Odino e Fenrir. Le sopracciglia si levarono leggermente, a quella
vista e,
accentuando il proprio sorriso, la dea del Presente esalò:
“E io che ti avevo
dato della pazza! Sorella, davvero non avrei mai pensato a una simile
congiuntura!”
“Lo so, è un
evento assai curioso e anch’io rimasi
meravigliata, quando mi giunse in sogno la Visione” ammise
Urd. “Ciò non di
meno l’evento è reale, e ha portato a queste
ripercussioni.”
Nel dirlo, indicò
Sthiggar con espressione
imperscrutabile e Skuld, con un fischio modulato quanto ammirato, lo
aggirò per
scrutarlo attentamente prima di domandare: “E’ mai
possibile, sorellona?”
“Lo è,
poiché vi è il sole, in lui”
assentì Urd. “Il
riappacificamento di Odino e Fenrir ha destabilizzato gli altri Regni,
portando
la guerra in Muspellheimr, ma ciò non avrebbe dovuto
avvenire poiché il tempo
non è maturo per simili esplosioni di rabbia e
furore.”
Le due divinità
coinvolte si guardarono
vicendevolmente con aria dubbiosa, perciò fu Verdandi a
spiegare l’arcano
esposto da Urd.
“La Bilancia Cosmica
opera in modi misteriosi e, se un
tassello viene spostato in una parte della scacchiera, da
un’altra parte si
otterrà un movimento speculare e contrario.”
“Una farfalla batte le
ali a New York, e a Hong Kong
spunta il sole invece di piovere” borbottò
sconcertata Ragnhild. “E’ la Teoria
del Caos.”
“E
dell’equilibrio” sottolineò sorridente
Verdandi. “L’una non può esistere senza
l’altra, in un continuo bilanciarsi e sbilanciarsi
perché la vita prosegua fino
al suo ultimo respiro, e da lì ricominciare in
un’altra forma.”
“Tutto ciò
come può spiegare l’attacco a mio marito e
al mio mondo, però?” domandò Ilya con
aria aggrottata.
“Due nemici sono divenuti
amici, e due amici si sono dichiarati
guerra” disse allora Skuld con semplicità.
“Lafhey? Ma Lafhey e mio
marito non sono mai stati…”
iniziò col dire la regina prima di venire interrotta dalla
Dea del Futuro.
Skuld sorrise misteriosa e
replicò: “Non ho mai detto
che fosse Lafhey, l’amico di Surtr.”
Ilya impallidì
visibilmente, a quell’accenno e
Sthiggar, nel prendere la parola, disse: “Permetteteci di
oltrepassare i
confini della Fonte della Vita per poter raggiungere Muspellheimr. Permettetemi di difendere il mio
re.”
“Non puoi”
dissero all’unisono le tre sorelle,
sgomentando i presenti.
Ragnhild, a quel punto, strinse con
maggiore forza la
mano di Sthiggar - che ancora tratteneva nella propria - ed
esclamò: “Ma…Urd!
Perché ora ti metti contro di noi? Ci hai portati fino a qui
solo per
disilluderci all’ultimo momento?!”
“Bambina… mi
credi davvero crudele, se pensi che io
abbia agito in questo modo, ma in realtà sei
tu che impedisci a Sthiggar di oltrepassare la
Fonte” replicò con
gentilezza infinita Urd.
La giovane sbarrò gli
occhi per lo sgomento, a quelle
parole e, subito, lasciò andare la mano di Sthiggar,
esclamando: “Ecco! Ora può
passare, no?”
“Pensano sempre che sia
tutto facile” sorrise Skuld,
prendendo quindi sottobraccio una sgomenta Ragnhild per condurla nei
pressi della
Fonte della Vita. “Ora guarda, bambina, e comprendi finalmente perché Sthiggar non
può passare oltre.”
Lei assentì turbata, non
sapendo bene cosa aspettarsi quando
improvvisamente, sulla superficie liscia della Fonte della Vita,
apparvero le
immagini di Sthiggar al loro primo incontro, quando il suo turbamento
aveva
attirato l’attenzione di Mattias.
Man mano che la giovane osservava,
il tempo proseguì,
mostrandole ciò che lei non era stata in grado di vedere.
Sthiggar che si
impegnava per terminare prima il suo lavoro e raggiungerla
all’università, lui
che tentava di studiare in solitudine per poi preparare mille e
più domande
che, in seguito, non le avrebbe mai chiesto perché impegnato
ad ascoltare lei.
Ancora, Sthiggar mentre le
carezzava i capelli nel
sonno, osservando il sorriso sereno che le tendeva le labbra, o anche
Sthiggar
che la cercava con lo sguardo quando lei era impegnata in altro.
Di colpo, però, lo
scenario mutò e, come nel più
orribile degli incubi, vide i suoi cugini nei pressi
dell’abitazione dei
genitori mentre, spalla contro spalla, impedivano agli uomini del loro
capoclan
di procedere con le ricerche di Mattias.
Sgomenta, strinse il braccio di
Skuld quando Boris
venne ferito per impedire a uno dei berserkir di oltrepassare lo
sbarramento e,
nel mordersi il labbro inferiore, mormorò:
“Come… c-come può, questo,
impedirgli di passare?”
“Pensi davvero che
Sthiggar non immagini ciò che sta
avvenendo a casa tua, a causa sua?”
le
fece allora notare Skuld con un candore disarmante.
Ragnhild lanciò
un’occhiata a Sthiggar, ancora fermo
al fianco di Urd e brillante come una stella nel suo alone di fiamma
scarlatta,
quindi mormorò con tono lapidario: “E’
stata una loro decisione, e Sthiggar non
deve portarne il peso. Lasciali andare.”
Il solo dire quelle due ultime
parole la portò a
tremare e Skuld, con maggiore comprensione, mormorò
dolcemente: “Un cuore che
ama non può lasciar andare
con così
tanta leggerezza. Lui sa di aver causato danni enormi
all’equilibrio del tuo
clan e se ne sente responsabile. Inoltre, l’abbandonare te
è quasi impossibile
poiché, dentro di lui, il legame tra voi è
già troppo forte per essere
spezzato.”
Ragnhild crollò in
ginocchio, di fronte a quelle
parole e, subito, Sthiggar fece per muoversi e raggiungerla, ma Urd lo
bloccò
sul nascere quindi, perentoria, dichiarò: “Non
puoi aiutarla ora, ragazzo. La
scelta spetta a lei, e solo lei può prenderla.”
“Perché non
posso essere il suo Campione anche
adesso?” protestò Sthiggar, accigliandosi.
“Non è il
tempo dei Campioni, mio giovane amico, ma
delle decisioni e, poiché tu non hai scelta, solo lei
può compierla per
entrambi” sospirò Urd nello scuotere il capo.
“Perché…
non ho scelta?” tentennò Sthiggar, lanciando
un’occhiata addolorata all’indirizzo di Ragnhild.
“Sei una Fiamma Viva con
sangue divino, bambino mio, e
il tuo posto può essere uno e uno solo. Muspellheimr. Tua
non è quindi la
scelta” dichiarò Urd. “Non ti
è concesso seguire il tuo cuore, ma solo il tuo
dovere.”
“Come… come
nonna” mormorò sgomento Sthiggar.
“Esattamente. Solo
Ragnhild, quindi, può decidere per
se stessa e per te” dichiarò a quel punto
Verdandi, avvicinandosi a sua volta
alla giovane berserkr per poi aggiungere: “Dinanzi a te si
aprono due strade,
fanciulla. La prima, è seguire il tuo sangue e tornare con
tuo fratello a
Luleå, dove fermerai la lotta fratricida che ora si sta
combattendo e prenderai
sulle tue spalle la guida del Clan al posto di tuo padre.
L’altra, è
abbandonare tuo fratello in favore di Sthiggar e lasciare per sempre il
Regno
di Midghardr.”
La fiamma del muspell
divampò, a quelle parole e,
irato, Sthiggar esclamò: “Non potete chiederle
questo! Lei ama Mattias!”
“La Bilancia Cosmica non
fa sconti, guerriero… neppure
per un cuore generoso come il tuo” replicò Urd,
sfiorandogli una spalla con la
mano.
“Per quanto tutto questo
sia romantico e
strappalacrime, come potete pretendere che una terrestre possa seguire
un
muspell nel Regno del Fuoco?” intervenne a quel punto Odino,
ombroso in viso.
“State per caso giocando con il cuore di queste creature,
facendo credere loro
l’impensabile?! Ella morrà dopo pochi minuti dal
suo arrivo su Muspellheimr, e
la Fiamma Viva di questo ragazzo esploderà come una furia,
deprivata del suo
Fulcro.”
Urd sorrise misteriosa a
Occhiosolo, esalando con tono
deliberatamente sorpreso: “Ma come? Comprensione e
preoccupazione altruistica
in te, Dio Orbo? Davvero mi sorprendi.”
Borbottando
un’imprecasione, Odino replicò: “Ho solo
fretta di menar le mani.”
“Cosa che non
farai, perché tu non potrai mettere piede su
Muspellheimr” replicò a
sorpresa Urd, sgomentando il dio. “Il tuo compito era e
sarà un altro, e finora
l’hai svolto egregiamente.”
“Come ti permetti
di…” cominciò col dire Occhiosolo,
subito bloccato da Fenrir, che gli intimò di non andare
oltre.
Hati e Sköll, al tempo
stesso, presero sottobraccio
Odino per evitare qualsiasi eventuale colpo di testa e
quest’ultimo, nel
brontolare come una pentola di fagioli, borbottò:
“Non volevo mica farle del
male…”
“Prevenire è
meglio che curare. Lo dice sempre la
mamma” ammiccò Sköll, accentuando la
stretta.
Urd indirizzò un sorriso
ai due licantropi prima di
tornare con lo sguardo su Sthiggar, tornare del tutto seria e infine
aggiungere: “Hai davvero così poca fiducia in
Ragnhild, da non crederla in
grado di prendere una decisione per se stessa e per te?”
“Non si tratta di questo!
Io ho sempre avuto fiducia in lei!”
sbottò Sthiggar, muovendosi ancora
una volta per raggiungerla.
Nuovamente, Urd lo
bloccò e Ragnhild, nell’osservarlo
con occhi liquidi e pieni di dolorosa accettazione, si morse un labbro
e tornò
infine a scrutare ciò che stava accadendo ai suoi cugini.
Apparivano feriti ma niente affatto
in difficoltà e,
sui loro volti accigliati e pieni di feroce determinazione, splendeva
un
sorriso fiero e orgoglioso, come mai aveva visto in loro. Forse per la
prima
volta, Boris, Wulff e Adam stavano facendo ciò che sentivano
giusto fare, e non erano
più spinti a
muoversi da un’imposizione del loro capoclan.
Per la prima volta in vita loro, si
erano concessi di
essere dei berserkir con un onore personale da difendere, e lo stavano
facendo
per lei, per Sthiggar e per Mattias.
Fu con quella consapevolezza che,
nella mente di
Ragnhild, balenò improvvisa la domanda che, poche ore
addietro, Mattias le
aveva fatto.
Sei
pronta?
Ora sapeva cosa aveva voluto
intendere, e quali
sarebbero state le conseguenze della sua risposta.
Con un sorriso che aveva il gusto
della piena
accettazione di sé, di ciò che era e del peso che
avrebbe pagato per ciò che
aveva deciso di fare, Ragnhild si levò da terra dopo un
ultimo sguardo all’immagine
dei cugini, si rivolse a Urd e dichiarò: “Sono
pronta.”
“Ragnhild…”
tentennò Sthiggar, turbato.
Lei però scosse il capo
al suo indirizzo, come a
volerlo tranquillizzare, quindi si volse in direzione di Skuld e
aggiunse:
“Avevo paura che Mattias avrebbe potuto rimanere solo e senza
protezione, ma mi
sbagliavo. Al suo fianco avrà i tre più valenti
berserkir che possano esserci,
e i nostri genitori non avranno più alcun potere su di lui,
ora che Urd può
palesarsi per difenderlo.”
Avanzando di un passo,
lanciò un’occhiata a Verdandi e
proseguì dicendo: “Non mi è mai stato
concesso di decidere per me stessa ma,
ora che posso farlo, la decisione è terribile
perché mi costerà tutto. Non mi
avete di certo reso la vita facile.”
“Più si ha un
ruolo importante, più le scelte debbono
essere difficili” chiosò misteriosa Verdandi,
sorprendendola un po’.
“Mattias è
importante, non certo io” sottolineò per
contro Ragnhild.
“Sei importante per
me” precisò Sthiggar prima di
guardare le Tre Sorelle per poi aggiungere caustico: “Il
punto, però, è un
altro. La state facendo soffrire senza offrirle nulla in
cambio.”
“Tu non saresti
un’offerta sufficiente?” replicò
Verdandi.
“Io? Le offrirei un mondo
in guerra, un mondo dove non potrebbe
sopravvivere e, soprattutto,
un mondo dove non c’è suo fratello. Bel modo
sarebbe, il mio, di dimostrarle
quanto tengo a lei!” protestò Sthiggar, sempre
più furioso. “Preferisco saperla
su Midghardr, al sicuro, piuttosto che averla al fianco senza poterle
offrire
nulla per proteggerla dal mio mondo, e unicamente per vederla morire
alcuni
istanti dopo aver messo piede sul mio pianeta natale.”
“Ma così, ti
spezzeresti” sottolineò Skuld.
“Ben venga. Posso battere
i miei nemici anche senza un
arto, o due, ma non permetterò che voi la facciate soffrire
oltre” ringhiò a
quel punto Sthiggar, facendo rifulgere la fiamma al pari di una stella.
“C’è
altro che volevi udire, Madre?” domandò a quel
punto Urd, levando il capo per scrutare Yggdrasil.
Quella domanda sorprese tutti,
azzittendo anche il
riottoso Sthiggar che, scrutando a sua volta l’immenso Albero
della Vita,
esalò: “Che intendi dire?”
“Che ogni cosa deve
avvenire per un motivo più che
valido, e che i cuori deboli non possono brandire le più
incommensurabili forze
del Cosmo” declamò una voce alle loro spalle.
Il gruppo si volse in maniera
uniforme, come guidato
da fili invisibili e, con loro enorme sorpresa, videro giungere una
giovane
donna dalla folta e lunga chioma fulva, avvolta da sottili vesti dorate
e
portante una piccola ampolla di cristallo tra le mani.
“Audhumla ha dunque
accettato?” domandò Urd,
sorridendo lieta.
Annuendo, la donna fulva si
avvicinò al gruppo e, dopo
aver lanciato un’occhiata interessata a Sköll,
raggiunse Sthiggar e lo
abbracciò a sorpresa, mormorando: “Mio
Sthiggar… mio dolce, caro nipote!”
“N-nonna?”
gracchiò Sthiggar, sobbalzando nello
scoprire la verità prima di stringere a sé la
donna che, per una vita, era
stata un’autentica incognita, per lui. “Oh,
dèi… nonna!”
“Non potevo lasciare a
nessun altro questo compito”
mormorò la donna, scostandosi per sorridere al nipote e
carezzargli le gote
punteggiate di barba.
Nel volgere lo sguardo dopo alcuni
istanti di
sofferente adorazione nei confronti del nipote, sorrise quindi a
Snorri,
avvicinatosi con passo caracollante alla madre e, carezzando anche lui,
aggiunse: “Avrei tanto voluto essere al vostro fianco, miei
cari, aiutarvi
quando ne avreste avuto bisogno, ma non
ho mai potuto.”
“Sono stato unicamente
una delusione, per te” mormorò
a quel punto Snorri, sospirando afflitto.
“Come puoi dire questo,
figlio mio? Hai dato alla luce
la Spada Fiammeggiante ed essa è più brillante e
più forte che mai” sorrise per
contro Sól, sbalordendo i presenti e facendo sogghignare
Odino. “Sei stato il
suo guardiano, il suo abbraccio amorevole, la sua protezione contro il
dolore,
e lui è cresciuto forte e…”
“Non con il mio
aiuto” precisò Snorri, interrompendola
sul nascere. “Non sono mai stato in grado di essere
ciò che dici, perché non ho
mai avuto la forza di mio figlio.”
“Niente accade mai per
caso, Snorri, e tu dovevi
essere esattamente ciò che sei stato, per Sthiggar,
così che lui compisse i
suoi sbagli, e pagasse per essi, per divenire ciò che
è ora” ammise Sól prima
di sorridere a un gongolante Odino e aggiungere:
“Sì, mio buon Occhiosolo,
avevi visto bene, ma di cosa dovrei stupirmi, da parte di colui che ha
bevuto
alla fonte di Mimir?”
“E’ la
dimostrazione che non sono poi così
arrugginito, dopotutto” ghignò Odino, lanciando
poi un’occhiata a un’imbarazzata
Ilya.
Sól accentuò
il proprio sorriso e, dopo aver annuito
al nipote – che ancora sembrava frastornato
all’idea di essere realmente
la Spada Fiammeggiante – si
volse verso Ragnhild per porgerle l’ampolla di cristallo con
cui era giunta,
mormorando: “Nessuna lama può essere definita tale
senza la sua elsa e tu, mia
cara, sei cresciuta temprandoti e divenendo la donna coraggiosa e forte
che sei
ora.”
Sia Sthiggar che Ragnhild si
guardarono confusi, così
come la confusione apparve evidente negli occhi di tutti –
stavolta, anche in
quelli di Odino – e Sól, nell’aprire
l’ampolla, proseguì dicendo: “La Lama di
Fuoco e l’Elsa della Spada Fiammeggiante non potevano nascere
nello stesso
luogo, o questo avrebbe creato squilibrio nei Regni ma, se e quando il
bisogno
fosse nato, le due parti del tutto si sarebbero ricongiunte. Tu,
Ragnhild, sei
la creatura più unica che esista nei Nove Regni,
perché solo tu puoi essere
l’elsa della lama che è mio nipote.”
“Quindi, io e
lui…” tentennò Ragnhild, lanciando
un’occhiata disperata all’indirizzo di Sthiggar,
che sembrava angustiato al
pari suo.
Erano solo questo, dunque? Due
ingranaggi cosmici
pronti a incastrarsi l’un l’altra per creare
un’arma leggendaria? I loro
sentimenti non contavano nulla?
Ed erano poi reali, tali
sentimenti, o frutto di ciò
che erano?
“Le due cose non vanno di
pari passo” sottolineò Sól,
come avendo interpretato il suo sguardo ferito e pieno
d’angoscia. “Voi siete
una cosa sola, e mille altre e più. Tu sei sorella, amante,
cugina, donna,
figlia ed elsa. Sei una creatura pensante che ha preso la sua terribile
scelta,
vagliando ciò che sapeva per ottenere una
risposta.”
Ciò detto, la dea si
volse per scrutare il nipote e
aggiunse: “Tu sei uomo, soldato, amante, figlio, nipote
adorato e lama, ma sei
anche una creatura pensante che ha scelto di rinunciare a colei che lo
fa
sentire completo, decidendo di spezzarsi, pur di non
spezzare lei e il suo legame con l’amato
fratellino.”
“Ma non si può
avere la gioia completa, vero?” mormorò
addolorato Sthiggar.
“La gioia completa si ha
quando si accettano pregi e
difetti di se stessi e delle decisioni prese”
asserì Sól, tornando con lo
sguardo su Ragnhild. “Bevi, dunque, e sii ciò che
hai scelto di essere prima di
sapere della tua unicità.”
Ragnhild lanciò
un’occhiata a Urd che, assentendo,
permise a Mattias di riemergere perché lei potesse vederlo
un’ultima volta.
Il fratellino, allora, corse ad
abbracciarla e,
annuendo all’indirizzo della sorella, disse:
“Sapevo che eri super speciale.”
“Ma così
dovrò abbandonarti” sottolineò lei,
spiacente.
“Ma io so che mi vuoi
bene, e tu sai che ne voglio a
te, perciò non saremo mai veramente lontani” disse
con semplicità Mattias.
Di fronte a quella sconcertante
quanto ovvia verità,
Ragnhild bevve dall’ampolla il candido latte che la saggia
Audhmula le aveva
concesso, risvegliando ciò che per anni era rimasto sopito
dentro di lei.
Le ingiurie, i dinieghi, il
rancore, ogni cosa svanì
per lasciare il posto alla consapevolezza universale del suo reale
posto
nell’Universo e, quand’anche l’ultimo
sorso di latte scivolò nella sua gola,
seppe di aver compiuto il passo giusto.
1 Nidhoggr: drago nero che vive
nella fonte da cui
nascono le radici di Yggdrasil.
2 In questo
frastuono…(…): Brano appartenente
all’Edda
in Prosa - l’inganno di Gylfi.
N.d.A.:
Audhmula altri non è che la bianca mucca che
diede il proprio latte a Ymir, così da permettergli di
vivere. Ha quindi un
potere immenso, e il suo latte può consentire quindi a
Ragnhild di oltrepassare
i confini del Regno di Muspell senza morire nel farlo e di diventare in
tutto e
per tutto l’Elsa della Spada Fiammeggiante.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
22
Mai avrebbe desiderato per sé e per i suoi sudditi una Hindarall in fiamme, eppure era ciò che stava avvenendo sotto i suoi occhi.
Surtr sperava soltanto che la missione di Hildur si stesse svolgendo secondo i piani e che la sua Ilya fosse ancora viva, perché non avrebbe accettato l’eventualità di vincere la guerra, ma senza di lei al suo fianco.
Non che, al momento, le sorti del conflitto stessero pendendo verso l’uno o l’altro schieramento.
Dove gli jotun arretravano avanzavano i dokkalfar e, dove gli elfi chiari riuscivano a rintuzzare gli attacchi magici, dall’altra i liòsalfar oscuri colpivano proditori con nuove malie.
La situazione era quanto mai in stallo e Surtr, asserragliato nella sua fortezza, sbraitava ordini su ordini alle varie compagnie di Fiamme schierate in diversi punti della Capitale.
Allo stesso modo sembrava fare Lafhey, o chi per lui, dato che ancora Surtr non era stato in grado di comprendere chi davvero si celasse dietro a quell’attacco al suo Regno.
Di una cosa, però, era certo. Non avrebbe ceduto la corona per nessun motivo e, presto o tardi, la testa di colui che lo aveva tradito sarebbe stata infilzata su una picca ed esposta nel punto più alto della fortezza, come monito per coloro che lo avevano voluto morto.
***
L’ira di Mikell non avrebbe potuto essere seconda neppure a quella di Surtr e, quando l’attendente di Lafhey giunse a lui con la terribile notizia della mancata cattura di Sthiggar, il suo umore, se possibile, peggiorò.
Scagliando contro il muro la brocca di vino che stava centellinando da ore, in spasmodica attesa di un positivo riscontro dei loro piani, Mikell sbraitò sconcertato: “E’ mai possibile che sia sparito nel nulla?! Gli è preclusa qualsiasi fuga da quei luoghi, eppure non siete in grado di trovarlo! Siete solo degli incapaci! Quel ragazzo rappresenta l’unica nostra possibilità di uccidere Surtr, lo volete capire?!”
L’attendente jotun reclinò ossequioso il capo, per nulla turbato dallo scoppio d’ira del nobile muspell e, atono, replicò: “Non sono risposte che posso darvi, edel(1) Mikell, poiché io mi limito a riferire quanto dettomi. Chiederò lumi e, se possibile, vi raggiungerò ancora per esporvi ciò che mi diranno.”
“Vattene, mio untuoso uomo di ghiaccio. Il tuo parlare mellifluo e accomodante mi urta ancor più i nervi del vedere come, nonostante tre eserciti schierati assieme, ancora non siate riusciti a bucare le difese della fortezza di Surtr” ringhiò Mikell, lanciando un’occhiata in direzione delle montagne dove sorgeva il palazzo reale.
Dopo il primo attacco dei dokkalfar, le Fiamme del re erano riuscite in poche ore a rintuzzare il nemico e a cacciarlo dal castello ma, in città, il peggio era avvenuto. Nonostante i contingenti di Fiamme Grigie e Fiamme Dorate schierate assieme lungo le vie principali della Capitale, molti cittadini erano ugualmente morti sotto l’attacco congiunto di dokkalfar e jotun.
I giganti di ghiaccio e i liòsalfar oscuri si erano quindi uniti ai dokkarlfar scacciati dal palazzo per ritentare un secondo attacco, ma l’aiuto degli elfi chiari – unitisi nella lotta al fianco di Surtr – aveva impedito un nuovo sfondamento delle difese.
Alte mura di pura magia erano state erette a difesa della fortezza per proteggerla dagli attacchi esterni, mentre i civili presenti nel palazzo erano stati fatti evacuare da condotti sotterranei sconosciuti ai più perché raggiungessero rifugi sicuri.
Anche Mikell era stato fatto evacuare a quel modo ma, quando aveva tentato di spiegare ai suoi sottoposti come riutilizzare quei passaggi segreti, non era stato in grado di ritrovarne l’ubicazione.
Solo a quel punto si era reso conto di essere stato ingannato dalla magia che, come una trama a ragnatela, percorreva tutte le pareti dei condotti al pari di un incantesimo perpetuo.
Sconfitto ma non domo, si era quindi lasciato portare dai dokkalfar al centro di comando degli jotun, dove aveva trovato Lafhey ad attenderlo, assieme a un paio dei suoi comandanti e a qualche luogotenente dei nani oscuri.
Da quel momento, era rimasto in costante attesa di un risultato degno di tale nome ma nulla era giunto, sia dal fronte interno che da Midghardr.
Quell’ultimo scorno non aveva fatto altro che peggiorare la situazione e ora, come un topo in gabbia, Mikell non sapeva come volgere a suo vantaggio una guerra che sembrava destinata a rimanere in stallo per sempre.
Ma che fine aveva fatto quel maledetto ragazzo?
Volgendosi a osservare Thrydann che, tremante come una foglia, se ne stava in un angolo del salone in ansiosa osservazione dei danni causati dai dokkalfar sulla città, Mikell ringhiò furente: “A quanto pare, il ragazzo che tanto hai denigrato è più furbo e abile di quanto tu pensassi, visto che nessuno riesce né a trovarlo, né tanto meno a soggiogarlo! Abbiamo puntato praticamente tutto sulla sua cattura e sulla sua Fiamma Viva, fidandoci delle tue parole e dei tuoi rapporti quotidiani sul suo comportamento sul campo, ma ora scopro che ci hai mentito!”
Il giovane muspell sobbalzò, nel sentirsi prendere in causa e, rabbioso quanto pallido in viso, sibilò isterico: “E’ stato sicuramente aiutato. Non è né intelligente, né scaltro! Di sicuro, gli jotun si sono fatti mettere nel sacco da qualcun altro, non certo da lui!”
Mikell lo fissò apertamente contrariato, l’aura a cingere il suo corpo in una sorta di alone rossastro e sfrigolante e, nell’avvicinarsi al giovane, gli disse con tono lapidario: “Non accampare scuse. La prima regola d’ingaggio, in una guerra, è saper valutare il nemico e tu, a quanto pare, non l’hai fatto. Mi sono fidato di te perché tuo padre si è sempre sperticato in lodi eccelse su di te ma, a quanto pare, non solo tu hai mentito a me, ma anche a lui. Ergo, punirò la tua famiglia così che tu capisca quanto, il solo fatto di avermi detto una bugia, potrà costarti.”
Thrydann impallidì ulteriormente, a quelle parole e, mentre Mikell richiamava all’ordine un paio di Fiammer Purpuree traditrici, il giovane si aggrappò alla tunica del nobile muspell per chiedere perdono.
Mikell, però, non lo degnò di una parola e, gelido, ordinò ai suoi sottoposti: “Trovate gli Handerson. I loro appartamenti si trovano al piano settantesimo, nell’ala sud del palazzo. Non vi chiederanno nulla, vista la divisa che indossate e, soprattutto, perché questo inetto vi accompagnerà.”
“Come? Ma cosa…?” tentennò Thrydann, fissandolo sgomento.
Mikell sorrise sarcastico e aggiunse: “Che veda cosa vuol dire tradire la mia fiducia. Uccidete la madre e la sorella davanti a lui e al padre. Non deve rimanere nessuno di quel ramo della famiglia.”
“Nessun divertimento, mio signore?” domandò allora una delle Fiamme Purpuree.
Levando un sopracciglio, Mikell indirizzò uno sguardo interessato a Thrydann prima di chiedere: “A quante persone hai pestato i piedi, ragazzo?”
Il giovane preferì non rispondere e, di fronte allo sguardo pieno di soddisfazione delle due Fiamme Purpuree – che lo stavano fissando come un agnello sacrificale –, si limitò a rimanere in silenzio.
Senza protestare, si unì ai commilitoni traditori e, mentre imboccavano il corridoio per raggiungere l’esterno della villa e, da lì, le vie di Hindarall, si domandò come sopravvivere a quel massacro premeditato.
***
Stringendo a sé per l’ultima volta Mattias, Ragnhild lo baciò sulle guance e disse con tono accorato: “Ricorda di fare esattamente ciò che ti dirà Magnus e, quando sarai tornato a casa, saluta i nostri cugini per me. Di’ loro che non avrei potuto essere più orgogliosa.”
Il ragazzino assentì con aria serena, la certezza di aver agito al meglio delle proprie possibilità. Pur avvertendo un dolore cociente al pensiero di dover dire addio alla sorella, sapeva fin dall’inizio che, presto o tardi, lei avrebbe dovuto andarsene.
Non era mai stato destino che loro due potessero camminare negli stessi luoghi per tutta la durata della loro vita ma, fino all’arrivo di Sthiggar, non aveva capito in che modo quell’evento avrebbe potuto prendere forma.
Conoscerlo, vedere come la sorella si fosse lasciata andare con il muspell e come il giovane Gigante di Fuoco fosse stato, a sua volta, coinvolto dalla vita di Ragnhild, gli aveva dato qualche speranza.
Giungere a quella soluzione definitiva, però, non era stato facile, né lo era accettarlo anche in quel momento.
In quel mentre, strappandolo a quei pensieri vorticosi, Odino avanzò verso di loro e, nell’avvolgere le spalle di Mattias, sorrise quindi a Ragnhild e asserì: “Speravo di combattere ma, a quanto pare, il mio compito sarà cambiare il mondo dei berserkir una volta per tutte, non aiutare voi. Baderò io a Mattias e se lo vorrà, quando verrà il momento, sarà ben accolto nel mio clan. Nessun pensiero dovrà turbare il tuo compito, fanciulla.”
“Te ne sono grata, Occhiosolo” mormorò la giovane prima di poggiare lo sguardo su Jörmungandr, in silenziosa contemplazione di tutti loro, e aggiungere: “Voglio ringraziare anche te. Ci hai permesso di giungere qui, e ora riporterai indietro mio fratello. So che sarà al sicuro, con te e Odino a proteggerlo.”
Il dio-serpente, ben poco abituato a simili dimostrazioni di gratitudine, lanciò uno sguardo schivo alla giovane e, roco, replicò: “Ho fatto ben poco, a dir la verità.”
“Più di quanto io possa dire, ora come ora” sorrise allora Ragnhild, abbracciandolo a sorpresa sotto gli occhi sconcertati di tutti. “So cosa vuol dire crescere senza l’affetto dei genitori e, anche se non posso paragonarmi a te, ti capisco.”
Fenrir sorrise nel vedere Jor sciogliersi in quell’abbraccio, e replicare a tale stretta con una più delicata e goffa. Pur se poteva immaginare quanto, i millenni, avessero reso coriaceo il fratello, non tradiva una certa soddisfazione al pensiero che qualcuno potesse dimostrare gratitudine, o affetto, nei suoi confronti, e che lui potesse apprezzare un simile gesto.
Sapevano gli dèi quanto ne aveva bisogno e, pur se si trattava di un semplice ‘grazie’, contava davvero moltissimo che fosse stato detto con purezza d’intenti e sincerità.
Nell’osservare Sthiggar, ritto al suo fianco in silenziosa contemplazione dell’amata, Fenrir quindi asserì: “La tua donna è speciale sotto molti aspetti.”
“E’ quello che le ho sempre detto, ma sono contento che ora cominci a crederci anche lei” annuì Sthiggar prima di domandare a Verdandi, che attendeva accanto alle radici di Yggdrasil: “Come potranno, i nostri compagni, sopportare il calore della lava di Muspellheimr?”
La dea del Presente indicò i fiumi di lava che scivolavano sui ghiacci di Jötunheimr, a poca distanza da loro e, sorridendo, disse: “Ora che tu e Ragnhild siete insieme, e siete entrambi consapevoli del vostro ruolo, non vi sarà difficile risalire controcorrente il fiume.”
Sthiggar levò un sopracciglio con aria dubbiosa e, nell’osservare il palmo della propria mano, mormorò: “L’aura di fiamma?”
“Precisamente, guerriero. Avvolgi i tuoi compagni nell’aura e punta verso Muspellheimr. Navigherete controcorrente senza alcun problema e giungerete nelle polle di fuoco di Hindarall. Ma presta attenzione, Sthiggar, e ricorda una cosa; la Spada Fiammeggiante sarà usata solo durante Ragnarök, non un attimo prima. Gestisci dunque bene il potere appena conseguito, o scatenerai la Fine prima del tempo.”
Sthiggar assentì grave, di certo non gradendo una simile raccomandazione ma, ben sapendo di non poter giocare con i propri poteri pur avendo un gran desiderio di testarli, mormorò un ringraziamento alla dea.
Nell’osservare nuovamente la figura di Ragnhild, ritta accanto a Mattias per le ultime raccomandazioni, disse con sicurezza: “Ho chi mi aiuterà a trovare il Centro di ogni problema. Anche di questo.”
Verdandi annuì lieta e, con un cenno di congedo, si allontanò nel momento stesso in cui Sól si avvicinò per dare l’ultimo saluto a coloro che, per una vita intera, non aveva potuto né abbracciare né vedere in prima persona.
Sorridendo spiacente a figlio e nipote, la dea carezzò loro le guance e mormorò: “Un nuovo Equilibrio si sta generando e, solo grazie a questo, Madre mi ha concesso di vedervi. Ora, però, è tempo che io torni dove devo, e che voi facciate rientro per salvare coloro che non devono pagare per il tradimento di pochi.”
“Di chi dobbiamo diffidare, dunque?” domandò Sthiggar.
“Questo non mi è concesso dirlo” replicò la dea scuotendo il capo. “Sappi però questo, Sthiggar. Nulla è mai bianco o nero, e il peggior nemico si può nascondere tra chi più ci è vicino.”
“Non ho mai amato gli Oracoli, nonna” celiò Sthiggar, abbracciandola con calore.
“Lo so, caro” assentì lei prima di rivolgersi a Snorri e aggiungere: “Non mi sono mai pentita di averti dato al mondo e, ora che sono qui con te, sono ancor più felice di averlo fatto.”
Snorri si limitò ad assentire e, dopo un abbraccio alla madre, la vide scostarsi per osservare dubbiosa il trio di licantropi che, silenti, erano in attesa di nuovi sviluppi.
Gli occhi turchesi della dea si posarono sul più giovane tra essi e, con un mezzo sorriso, Sòl mormorò: “Trovo difficile credere che, alla Fine dei Tempi, questo baldo giovane vorrà sgozzarmi. E’ mai possibile che gli Oracoli possano cambiare, Urd?”
Mattias si rivolse alla dea con un sorriso enigmatico mentre Sköll, palesemente a disagio, borbottava: “Fosse per me, le chiederei un appuntamento… così, per dire.”
Quella battuta fece ridere Sól e sospirare sia Fenrir che Hati, mentre un sorridente Sthiggar replicava: “Temo che mio nonno avrebbe qualcosa da ridire. Scusa.”
Sköll fece spallucce, chiosando: “Uno ci deve pur provare, no? Sennò come fai a saperlo?”
Mattias, a quel punto, prese la mano del giovane licantropo, gli diede una stretta leggera e, con la voce di Urd, disse: “Hai ragione, mio giovane lupo. Uno deve pur provare… e voi lo avete fatto, accettando di parlare con Odino, perciò sì, il Ragnarök avverrà perché ogni Ciclo deve avere un Inizio e una Fine, ma non sarà quello scritto all’inizio dei tempi.”
“Quindi navighiamo alla cieca, da ora?” domandò sorpreso Fenrir.
Gli sguardi dubbiosi di tutti si posarono sul ragazzino che, però, si limitò a sorridere spiacente per poi dire, con la propria voce: “Mi spiace, si è trincerata dietro un ‘no comment’.”
“Peggio dei politici” sbuffò Sköll, scuotendo schifato la testa.
Sól sorrise al giovane licantropo e, dopo avergli dato una carezza a mo’ di saluto, svaporò dinanzi a tutti i presenti per tornare laddove, per millenni, era rimasta in solitaria contemplazione dei Mondi.
“Non c’è più tempo, Sthiggar” intervenne a quel punto la regina, lo sguardo turbato e puntato verso il fiume di lava.
Il giovane muspell assentì, tornando del tutto serio e, mentre Ragnhild sfiorava il capo di Mattias per un ultimissimo saluto, si avvicinò a lei per stringerle fiducioso la mano.
Jörmungandr salutò con un cenno il fratello dopodiché, riprese le sue forme animali, si posizionò in modo tale da permettere a Odino e Mattias di salire sulla sua groppa.
Non potendo procrastinare oltre, Sthiggar abbracciò brevemente Mattias e disse: “Mi prenderò cura di lei, e lascerò che lei si prenda cura di me.”
“Non vorrei niente di meglio” assentì Mattias, salutandolo con un cenno della mano dopo essersi scostato per raggiungere Odino. “Grazie per esserti cacciato nei guai, Sthiggar. Almeno, ora so che Ragnhild sarà con una persona che la ama.”
Scoppiando a ridere, Sthiggar annuì divertito e, nello stringere a sé Ragnhild, chiosò: “Spero di aver finito, coi guai. Non cominciare tu, però.”
“Promesso!” esclamò il ragazzino mentre il movimento fluente di Jor li conduceva sempre più lontani.
Il giovane muspell concesse ancora qualche secondo a Ragnhild per osservare il fratello allontanarsi, ma fu lei stessa a volgere lo sguardo, sorridergli con tutto il coraggio che le riuscì di trovare per poi dire: “Cominciamo. Insieme.”
Lui assentì con vigore e, nello stringere la sua mano, percepì quanto il latte di Audhmula stesse cambiando – a livello cellulare – la sua Ragnhild. Poteva percepire senza sforzo il risveglio dell’aura che, silente e mai utilizzata, era sempre rimasta addormentata nell’animo della giovane.
Ora che poteva divenire ciò che il Fato aveva predisposto per lei, i suoi gangli di potere, le sue sinapsi, ogni più piccola particella di Ragnhild stava prendendo forme nuove per adeguarsi al suo ruolo di Elsa.
Mentre i suoi occhi lo scrutavano ansiosi, ogni più piccolo atomo che la componeva stava velocemente evolvendosi, mutandola in ciò che sarebbe infine diventata e, con lei, mutava anche il suo Centro.
La fiamma, da sempre sopita nei terrestri, stava esplodendo a nuova vita, rigogliosa come la stessa Yggdrasil e apparentemente senza limiti.
L’Elsa della Spada Fiammeggiante era dunque questa?, si chiese a quel punto Sthiggar, lasciandosi avvolgere dal potere dell’Albero della Vita grazie all’intercessione di Ragnhild.
La fiamma si sprigionò con una velocità e una facilità disarmante e, ora che possedeva anche le chiavi per utilizzare il potere di Yggdrasil, quel che poté creare Sthiggar colse di sorpresa persino i muspell presenti.
“Ora possiamo proseguire. Unite le vostre mani alle nostre e non abbandonatele per nessun motivo” disse quindi Sthiggar, avvolgendo in pochi istanti i presenti per poi puntare al fiume di lava che li avrebbe condotti su Muspellheimr.
Verdandi e Skuld, nell’osservarli prendere la via verso meridione, si strinsero l’una all’altra in trepidante osservazione dei loro ospiti mentre, avvolti dalla fiamma, risalivano il fiume di lava per giungere nel Reame del Fuoco.
La più giovane tra le dee attese che la strana compagnia giunta ai piedi di Yggdrasil si allontanasse a sufficienza prima di sospirare e mormorare sconfortata: “E’ così difficile sopportare di non sapere cosa accadrà dopo!”
“E’ sempre così, quando avvengono simili cambiamenti epocali. Ogni cosa viene riscritta e anche noi, per qualche tempo, restiamo cieche e sorde al dipanarsi delle nuove linee cosmiche” replicò Verdandi carezzando la chioma ramata della sorella minore. “Solo Madre sa e, come ben sai, neppure lei ama gli spoiler.”
Skuld rise divertita e annuì e, piegandosi per afferrare al volo Ratatosk, ridisceso dai rami dell’Albero della Vita per un altro giro di minacce e scongiuri, lo fece volteggiare per alcuni istanti sopra la sua testa prima di esclamare: “Allora, mio piccolo guastafeste… cosa si dice lassù?”
“Di tutto e di più!” trillò lo scoiattolo, raccontando tutto e il contrario di tutto e facendo ridere a crepapelle Skuld che, grazie al suo ciangottare assurdo, non dovette pensare alla propria cecità momentanea e al peso di non sapere cosa sarebbe successo a tutti loro.
***
L'energia di Yggdrasil fluiva in Sthiggar con la stessa dirompenza con cui, il fiume di lava in cui stavano navigando controcorrente, procedeva verso il centro dell'Universo e la Fonte della Vita.
Il muspell trovava quasi impensabile l’idea di poter governare un simile agglomerato energetico e primordiale ma, per quanto la cosa lo rendesse incredulo, non poteva non pensare che tale prodigio era costato tutto, a Ragnhild.
Il suo mondo, i suoi cugini, il suo amato fratello. Ragnhild aveva abbandonato ogni cosa per permettere a entrambi di divenire la Spada Fiammeggiante, e poco importava che lei fosse stata destinata dal Fato per essere l'Elsa di tale spada.
Sthiggar sentiva unicamente il vuoto che si era venuto a creare nell'animo di Ragnhild, e questo lo faceva stare malissimo.
Il silenzio prolungato di lei, inoltre, non gli consentiva di stare tranquillo perciò, nell'attirarla accanto, mormorò al suo orecchio: "Sei assolutamente certa di voler venire? Possiamo sempre tornare indietro."
Lei scosse il capo contro il suo torace e un sospiro tremulo scaturì dalle sue labbra, facendolo sprofondare ulteriormente nell'angoscia.
Era dunque solo questo ciò che poteva donare alla donna che amava? Dolore, solitudine e una guerra dagli esiti incerti a cui approcciarsi?
Accentuando la stretta sulla giovane, Sthiggar mormorò ancora: "Non posso sopportare di vederti così addolorata. Davvero non posso fare nulla?"
"Sto così ancora un poco" sussurrò allora lei con voce roca.
Il muspell assentì sconsolato, dandole un bacio sui capelli prima di sospirare affranto e lanciare un'occhiata al padre, che era al suo fianco, in cerca di un qualsiasi genere di aiuto da parte sua.
Poco importava che fosse ancora irritato con lui a causa della sua assurda proposta. Aveva bisogno di un aiuto, e lo voleva dal padre.
Snorri allora gli sorrise comprensivo dopodiché, nello scostarsi perché Hildur prendesse la mano del cugino, si portò alla sinistra di Ragnhild e la abbracciò dolcemente.
Potendo muoversi senza problemi all’interno della bolla creata da Sthiggar e Ragnhild, essendo Snorri un muspell, l’uomo andò a sistemarsi dove pensava – e sperava – di essere maggiormente d’aiuto.
Al tocco di Snorri, Ragnhild scoppiò in un pianto silenzioso e si lasciò andare contro la spalla del muspell, mantenendo comunque il contatto con Sthiggar, così che la bolla di energia che li stava proteggendo non venisse meno.
Sthigg strinse le mascelle fin quasi a farsele dolere, nell’udire il pianto sconsolato dell’amata, lo sguardo pieno di furia e di contrizione, ma Hildur gli mormorò comprensiva: "Accetta il suo sacrificio e trasformalo in orgoglio. Ragnhild non mi sembra una persona che prende decisioni senza averci prima ragionato sopra, o non avrebbe rischiato così tanto, per te."
"Sì, ma..." tentennò lui, scrutandola con occhi dolenti.
"L'amore è anche questo, Sthigg. Non sempre è fatto di luce e di calore. A volte c'è dolore, c'è tenebra e, altre volte, sacrificio, ma ogni suo aspetto va accettato e apprezzato" lo rincuorò la cugina, accentuando la sua stretta sulla mano di Sthiggar. "Lascia che lo zio si occupi di lei. Ha così tanto amore da offrire, e tu lo sai bene, no?"
"Certo" assentì lui dopo alcuni istanti.
Hildur gli diede un colpetto con la spalla, sorridendogli ottimista mentre Ilya, osservando attenta la loro veloce progressione lungo il fiume di lava, disse pensierosa: "Noi donne siamo abituate ai grandi sacrifici, Sthiggar, e la fanciulla che il Fato ha scelto per essere l’Elsa della Spada Fiammeggiante mi sembra abbia spina dorsale da vendere. Non temere che possa cedere. Sii solo pronto a essere alla sua altezza."
"Non temo che non abbia forza a sufficienza, quanto piuttosto che soffra troppo. Non amo vederla stare male" sottolineò per contro Sthiggar, prima di ricevere un pizzicotto sulla mano che lo univa a Ragnhild. "Ahia! Ma che ti prende?"
"Lascia per un’altra volta questi pensieri melensi riguardo alle mie lacrime, stoppino. Abbiamo ben altro a cui pensare, ora" brontolò lei, lanciandogli un'occhiata maliziosa nonostante gli occhi lucidi di lacrime.
Lui storse la bocca, di fronte a quel vecchio nomignolo che mai aveva apprezzato ma, comprendendo il bisogno di Ragnhild di spezzare quella spirale di dolore, borbottò con tono fintamente contrariato: "Sai benissimo che odio quel nomignolo. Perché continui a usarlo?"
"Cosa vorrebbe dire, poi, bellissima donna-orso?" domandò truffaldino Sköll, infilandosi bellamente nella loro discussione.
Esibendosi in una risatina fiacca, Ragnhild lanciò allora un'occhiata in direzione dell’imponente licantropo e disse: "E' un nomignolo a sfondo sessuale."
Sköll scoppiò a ridere per diretta conseguenza, nell’udire quella spiegazione, coinvolgendo persino il restante gruppo con la sua ilarità e Sthiggar, dopo un sospiro, lanciò uno sguardo esasperato alla sua donna e asserì: "Godi un mondo a mettermi in imbarazzo, vero?"
"Non ho specificato se sei uno stoppino acceso o spento, dopotutto. Per cosa te la prendi, quindi?" ironizzò allora lei con tono maggiormente sicuro e Snorri, al suo fianco, emise un risolino in risposta.
Sthiggar sorrise nonostante al centro di quello scherzo, lieto che Ragnhild si stesse riprendendo – pur se a spese sue – dal dolore provato all’atto della separazione dal fratello perciò, sardonico, replicò: "Beh, sono sicuramente acceso. Ma darmi dello stoppino, Ragnhild? Sai benissimo che non è così."
"Oh oh, il nostro ragazzo si sente sminuito dalle parole della sua donna!" si intromise allora Thrym, ben deciso a dare il suo contributo per strappare Ragnhild dalla tristezza.
Flyka sorrise divertita a sua volta e aggiunse: "In effetti, solo lei può dirci se le parole di Sthiggar sono vere o meno."
Il giovane muspell, stando al gioco nonostante si sentisse un po’ idiota a parlare di simili argomenti dinanzi al padre e alla regina, li squadrò falsamente sconcertato ed esalò: "Ma come? Mettete in dubbio la mia virilità!?"
"Io non ho testato sul campo, quindi mi posso fidare solo di quel che dice Ragnhild, ti pare?" strizzò l'occhio Thrym, lanciando un'occhiata ironica alla ragazza, che assentì.
"In effetti è vero, Sthiggar. Solo io posso dire se sei dotato oppure no" buttò lì la giovane, facendo esplodere in una calda risata Hildur, mentre Ilya cercava con ogni mezzo di rimanere compassata, pur se con scarsi risultati, e Snorri tentava di non ridere in faccia al figlio.
"Non vorrete costringermi a fare uno spogliarello per dimostrarvi le mie potenzialità, spero?!" esclamò per bella posta Sthiggar, ritrovandosi bombardato dai 'NO' accesi degli uomini presenti, Snorri compreso.
Sthigg, allora, si volse verso il padre, ormai paonazzo per il gran ridere, e disse con tono gracchiante: "Sono felice di sapere che neppure tu voglia conferme in merito, padre."
"Se rendi felice la tua compagna, chi sono io per chiedere spiegazioni?" replicò allora Snorri, sorridendo grandemente.
Sthiggar scosse il capo per l’esasperazione – unitamente a una buona dose di ilarità – , reclinò il volto a scrutare inquisitorio Ragnhild, che aveva recuperato colore e smesso di piangere, e infine domandò: "Quindi, mia signora, cosa vogliamo dire a questi curiosoni patentati?"
"Sei promosso, te lo concedo" celiò lei, scrollando le spalle.
"Promosso. Solo" gracchiò Sthiggar, facendo tanto d’occhi.
Furono soltanto due parole, ma fecero esplodere Ragnhild in una calda risata di gola, a cui si unirono le donne del gruppo, ivi compresa la regina, non più in grado di ostentare la calma olimpica fin lì difficilmente sostenuta.
"Benissimo. La mia signora mi trova solo sufficientemente adeguato al mio ruolo" brontolò Sthiggar prima di rivolgersi alla regina, in lacrime per il gran ridere, e domandare: "E' un problema se tardiamo un po' e dimostro alla mia compagna cosa vuol dire avere me, come compagno?"
"Per quanto sarebbe divertente lasciartelo fare, credo che Surtr abbia fretta di rivederti" ammise la regina, tergendosi lacrime di ilarità dal volto.
"Già, lo credo anch'io" assentì Sthiggar prima di notare lo sguardo di Fenrir fisso su di lui.
Sorridendo a mezzo, accettò il cenno orgoglioso del capo che gli tributò il dio-lupo, dopodiché tornò a guardare dinanzi a sé con rinnovato vigore.
Stemperare il clima di imbarazzato silenzio e profondo dolore che era calato sul gruppo era stata la scelta giusta e, pur se tutti sapevano bene che, a tempesta finita, questi si sarebbero ripresentati, ora dovevano pensare a mente lucida.
Farsi prendere in giro era un piccolo prezzo da pagare, pur di avere i pensieri sgombri da sentimenti traditori.
Quando infine una vivida luce si fece strada dinanzi a loro, e il fiume di lava divenne una cascata imponente e tonante come il maglio di Thor scagliato tra i cieli, il potere di Sthiggar e Ragnhild li condusse verso l'alto e, finalmente, a Muspellheimr.
Il fulgore dell’ascesa durò pochi istanti e, quando questo scemò, il gruppo si ritrovò in una sala circolare, dall’alto soffitto a botte e adornato da affreschi raffiguranti l'inizio dei tempi e la nascita di Yggdrasil.
Nel momento in cui la compagnia di Sthiggar mise infine piede sul solido pavimento di ossidiana della sala, Fenrir, Hati e Sköll mutarono di comune accordo le loro forme per prendere sembianze animali.
"A questo modo, sarà più semplice sopportare il caldo di Muspellheimr" spiegò loro l'imponente Fenrir, dal manto di un traslucido color perlaceo. “Dopotutto, questa è la nostra forma primigenia, e il potere che deteniamo è più facilmente gestibile.”
Hati e Sköll, seppur più piccoli del padre, potevano vantare un'altezza al garrese di ben due metri e Ragnhild, nel vederli, sgranò gli occhi ed esalò: "Non sapevo poteste divenire così grandi! I licantropi sono molto più piccoli."
"Solo noi siamo così, infatti, bambina" le spiegò Fenrir prima di guardare Sthiggar e domandare: "Come conti di agire, ora?"
Sogghignando a Hildur, che si accigliò immediatamente, a quella vista, dichiarò: "Beh, visto che sono stato accusato di aver rubato l'Occhio di Muspell, perché non farlo davvero?"
"Vuoi rubare Naglfar?" esalò la regina, squadrandolo piena di sorpresa.
"Siamo in molti, e per nessun motivo vi lascerò sprovvisti di una difesa, o in un qualsiasi luogo in cui io non possa tenervi sott'occhio, perciò Naglfar fa al caso nostro" le spiegò il giovane muspell, con tono perentorio. "Inoltre, quella nave da guerra può essere risvegliata solo da una Fiamma Viva, e si da il caso che io lo sia."
La regina lo fissò sgomenta ma, dopo un attimo di tentennamento, lanciò le braccia al cielo e sbottò: "Oooh, al diavolo le regole! Andiamo a prendere quella dannata nave e facciamo quel che sappiamo fare meglio noi muspell. Spaccare culi ai nemici!"
I presenti la osservarono un tantino basiti ma Ilya non vi fece alcun caso, limitandosi a guardare Hildur prima di chiederle inquisitoria: "Non ci sono altre scale da fare, vero, per raggiungerla?"
Scoppiando in una risatina, la guerriera scosse il capo e replicò: "No, mia regina. Basterà usare i passaggi sotterranei che collegano questa sala agli imbarcaderi del porto."
"Dovrò farmi dare una mappa da Surtr, una volta finito questo caos" brontolò la regina, attendendo che le facessero strada.
Fenrir, a quel punto, pregò tutti di salire sulle loro groppe per non perdere ulteriore tempo così, dietro la guida di Hildur, il gruppo prese la via degli imbarcaderi, da cui avrebbero raggiunto la Sala dei Cimeli e Naglfar.
Il contrattacco era iniziato.
(1)edel: ‘nobile’ in lingua norvegese.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
23
Pur
se si trovavano nei sotterranei di Hindarall, ben protetti dai
combattimenti, il
frastuono terribile della battaglia che stava infuriando in superificie
giungeva comunque alle loro orecchie.
Ragnhild
lanciò un’occhiata preoccupata a Sthiggar ma, nel
notare unicamente la sua
determinazione, si sentì in parte rincuorata. Chi la
preoccupò però fu la
regina che, invece, recava evidenti sul viso piacente i segni
dell’ansia e
della tensione fin lì accumulate.
Il
loro viaggio di ritorno verso Muspellheimr, almeno agli occhi della
sovrana,
dava l’idea di essere durato settimane pur se, nella
realtà, era trascorso poco
più di un giorno e mezzo.
Il
pericolo di non ritrovare più i propri cari, o un Regno su
cui governare,
doveva essere stato così terribile da averle dato
l’impressione di aver
trascorso un tempo infinito, lontano dalla propria patria.
“Non
temere per la regina. E’ più forte di quanto non
pensi” mormorò Sthiggar,
sorridendole non appena ne intercettò lo sguardo.
Lei
assentì al suo dire, sapendo quanto l’altro
conoscesse la donna e, sempre
tenendosi salda al pelo corvino di Hati, domandò turbata:
“Cosa dovrò
aspettarmi, là fuori?”
“Credo
che la cosa che ci si avvicini di più siano le battaglie dei
vostri film
fantasy. Non saprei in che altro modo spiegartelo” le disse
spiacente Sthiggar,
vedendola sgranare lentamente gli occhi in risposta.
“O-okay…
quindi, navi volanti, nani ed elfi che sparano laser, oppure cavalieri
in arme
e spade un po’ ovunque?” tentennò lei,
non sapendo fino a che punto avrebbe
potuto sopportare quel nuovo genere di realtà.
Lei
era cresciuta in un mondo mitologico e circondato da quello reale e fin
troppo
semplicistico degli umani, perciò era abituata a un buon
numero di stranezze.
Non era però certa fino a che
punto potesse
arrivare, con le assurdità e, finora, ne aveva viste
decisamente molte.
Così
tante, a ben vedere che, presto o tardi il suo cervello le avrebbe
chiesto il
conto.
“Metti
tutto insieme e ci sei vicina” ammise Sthiggar nel frattempo,
ammiccando
spiacente al suo indirizzo.
“Non
temere, ragazza. Se la vista di nostro zio non ti ha turbato, neppure
il resto
lo farà. O, per lo meno, non lo farà ora”
intervenne Hati con tono rassicurante.
“Cioè,
vuoi dire che avrò una crisi di nervi
dopo aver fatto quel che ci si aspetta che io
faccia” borbottò Ragnhild,
annuendo recisamente. “Che sarebbe, poi?”
“Lo
vedrai” tergiversò Sthiggar, inclinandosi
leggermente al pari di Ragnhild
quando Hati scartò velocemente a destra per imboccare un
nuovo cunicolo.
L’interminabile
rete di bioluminescenza intessuta nelle maglie stesse delle pareti
illuminava i
condotti l’uno dopo l’altro, rendendoli agibili e
percorribili anche alla
velocità sostenuta che stavano tenendo.
Di
quella strabiliante magia, però, Ragnhild notò
ben poco.
A
rimanerle impresso fu il tentennare evidente di Sthiggar che, forse per
la
prima volta, evitò di dirle la verità.
Fu
per questo che lo colpì allo stomaco col dorso della mano
– pur facendosi un
male del diavolo – e sbottò dicendo:
“Perché cavolo
non mi dici cosa succederà? Ho il diritto di
sapere!”
Lui
sbuffò per diretta conseguenza e, dopo essersi passato una
mano tra le folte
onde fulve come a voler trovare il coraggio di parlare,
borbottò: “Sto solo cercando
una spiegazione semplice alla
tua domanda. Non è molto facile spiegarti cosa
succederà dopo.”
“Beh,
trova le parole alla svelta, perché vorrei prepararmi
psicologicamente”
brontolò a quel punto lei, fissandolo arcigna. “Io non sono abituata alle battaglie come
te, anche se sono nata in
un branco di guerrafondai e mi hanno addestrata a menar le mani, quando
serve.”
“Diverrà
un gigante di fuoco” intervenne a quel punto Hildur, parlando
dalla groppa di
Fenrir, che li sopravanzava tutti. “In tutti i
sensi.”
Mentre
Ragnhild sbottava con un ‘porca
vacca’
piuttosto sentito, Sthiggar ringhiò
un’imprecazione all’indirizzo della cugina,
ma quest’ultima aggiunse serafica: “E’
inutile che ci giri intorno, Sthigg.
Prima o poi ti vedrà anche
in quella
forma.”
“Sei
così terribile a vedersi?” domandò a
quel punto Ragnhild, sbattendo
furiosamente le palpebre nell’osservarlo con aria sgomenta.
Lui
allora poggiò un momento il capo contro la spalla della
giovane, sospirò e
ammise: “Diverrò alto come un palazzo di otto
piani, per lo meno, almeno a
giudicare dall’energia che mi sta vorticando dentro, e
sarò completamente
circonfuso di fiamme. Quanto al resto, beh… dovrai farlo tu.”
“Io?
In che senso?” sbottò Ragnhild, senza capire.
“Verdandi
è stata chiara. Non posso semplicemente
usare
ciò che mi è stato concesso, e cioè
l’energia vitale di Yggdrasil. Dovrò dosare
ogni particella di quel potere, o scatenerò io stesso il
Ragnarök, perciò entri
in gioco tu e il tuo ruolo di Elsa. Dovrai aiutarmi a gestire il potere
della
Spada Fiammeggiante e, per farlo, sarai con me durante la
battaglia” le spiegò
Sthiggar, spiacente. “Non so in che altro modo affrontare la
cosa e, visto che
non ho ancora potuto addestrarmi in tal senso, dovremo andare a braccio, come abbiamo fatto finora, ma
in modo più scrupoloso.”
Ragnhild
assentì lentamente, i denti bianchissimi a mordere il labbro
inferiore ormai
rosso e martoriato dal suo timore crescente e, nello stringere una mano
di
Sthiggar, mormorò: “Anch’io
diventerò così grande?”
“Non
serve. Siederai su una mia spalla e ti reggerai a me, aiutandomi a
compensare
le energie primigenie dell’Albero della Vita”
dichiarò a quel punto lui.
“Abbiamo già visto che ne sei in grado, solo che
stavolta l’energia sarà un tantino
più grande rispetto a quella di
Midghardr.”
Ragnhild
sbuffò di fronte a quell’ovvia osservazione ma,
riuscendo in qualche modo a
raffazzonare un sorriso che fosse convincente, carezzò quel
volto ormai a lei
così tanto caro e mormorò: “Mi piace
l’idea di non doverti aspettare inerme
sulla nave… anche se ho una fifa blu al pensiero di quello
che dovremo
affrontare.”
“Credimi,
non sei l’unica ad avere timore di quello che dovremo fare
là fuori perché, in
tutta onestà, è la mia prima
volta,
nelle vesti di Spada Fiammeggiante. Dopotutto, però, abbiamo
già affrontato una
tempesta assieme, no?” ammiccò Sthiggar, dandole
un buffetto sul naso.
“E
siamo stati bravi” assentì Ragnhild, sentendosi un
tantino meno in ansia, al
pensiero che anche Sthiggar non si sentisse così
sicuro di sé.
Lui
si limitò ad anuire e, nel darle un bacio,
sussurrò subito dopo: “Domeremo
assieme anche questa tempesta, e
faremo vedere a tutti cosa vuol dire far incazzare una donna
berserkr.”
“Una
muspell” replicò lei, scrutandosi le mani prima di
aggiungere: “Percepisco la
differenza, in qualche modo e, anche se ti sembrerà strano,
mi sento… giusta.”
“Immagino
sia perché, finalmente, l’Elsa è stata
risvegliata e tu sei nel posto che ti
competeva fin dall’inizio” convenne Sthiggar mentre
l’andatura dei tre
licantropi andava rallentando.
Ragnhild
assentì pensierosa alle sue parole, sperando che
ciò bastasse a renderla degna
del compito che il Cosmo, o chi per esso, aveva posto sulle sue spalle.
Per
dodici anni aveva vissuto nell’ombra del fratello, sentendosi
solo una parte
insignificante del Tutto che li circondava mentre ora, su quel mondo
sconosciuto, sarebbe stata la protagonista della sua vita per la prima
volta.
Sperò
davvero che non fosse anche l’ultima.
Hildur
indicò un portone brunito, nel frattempo e, torva,
osservò il gruppo prima di dire:
“Quella è l’entrata secondaria degli
imbarcaderi. Preparatevi, perché potrebbe
esserci di tutto, oltre quella porta.”
Sthiggar
lanciò un’occhiata a Thrym e Flyka che, annuendo,
dissero: “Alla regina e a tuo
padre pensiamo noi.”
Lui
assentì rapido e Hildur, nel recuperare diverse armi da una
nicchia magica
nascosta nel muro, le consegnò a ognuno di loro, aggiungendo
lapidaria:
“Nessuna pietà, neppure per i nostri. Non sappiamo
di chi fidarci, a questo
punto. Chiunque ci attaccherà dovrà essere
considerato un nemico, anche se avrà
un volto conosciuto.”
Il
gruppo assentì in toto e Ragnhild, nel tenere la daga che
Hildur le porse, borbottò:
“Beh, se non altro il mio addestramento verrà
buono a qualcosa.”
“Poco
ma sicuro, ragazza” dichiarò Hildur, dandole una
pacca sulla spalla prima di
aprire il portone d’ingresso per poter controllare
l’interno dell’imbarcadero.
Ciò
che ne seguì fu caos allo stato puro.
Un
contingente di dokkalfar li assaltò, sorpresi dalla loro
presenza all’interno
del pontile coperto e Hildur, nello snudare la spada, lanciò
un grido di battaglia
a cui si unì quello di Sthiggar, parimenti al ringhio corale
dei tre
licantropi.
Thrym
e Flyka, nelle retrovie, si posero invece a difesa della regina e di
Snorri,
mantenendosi radenti al muro e procedendo lentamente verso la Sala dei
Cimeli,
dove avrebbero trovato Naglfar.
Forte
del suo addestramento e piena di una rabbia fin lì mai
veramente lasciata
esplodere, Ragnhild non ebbe problemi a combattere il nemico e, memore
di ciò
che era accaduto a Sthiggar, si tenne ben lontana dalle armi dei
dokkalfar.
Sfruttando
le sue abilità evasive e l’agilità
ferina che le derivava dall’essere stata addestrata
dai più potenti berserkir del branco, la giovane
schivò egregiamente i primi
attacchi, puntando a rendere inermi i suoi nemici con controffensive
mirate.
Colpendo
chirurgicamente i talloni dei nani per renderli inermi,
lasciò a Sthiggar il
compito di finirli, non sentendosi ancora del tutto pronta a terminare
una
vita, foss’anche quella di un nemico.
Trovò
comunque strano poter mettere finalmente in pratica il suo
addestramento ma,
quel che la sorprese di più, fu percepire la risposta del
suo corpo al calore
interno che avvertiva sempre più forte.
La
sua fiamma si stava svegliando per la prima volta, e le stava dando una
mano a
combattere, a reggere la richiesta fisica di energia che, quel
combattimento
all’ultimo sangue, stava esigendo. Il solo pensiero la rese
impavida e, senza
alcuna paura, proseguì nel suo attacco al fianco di Sthiggar.
Quand’anche
l’ultimo dokkalfar fu reso inerme, Ragnhild si concesse di
lanciare un grido di
furore e soddisfazione tale da far sorridere i presenti.
Hildur
fu la prima a congratularsi con lei, dandole un forte quanto rapido
abbraccio
dopodiché, nel controllare che non avesse ferite, le sorrise
complice e disse:
“Certe tue mosse erano davvero degne di nota. Ricevete un
addestramento niente
male, nel vostro clan.”
“Mi
spiace ammetterlo, ma su questo punto mio padre fu
inflessibile” ammise suo
malgrado Ragnhild prima di sorridere a un orgogliosissimo Sthiggar.
“Ordinò che
i miei cugini mi addestrassero al meglio, perché la figlia
del capoclan non
poteva essere seconda a nessuna, tra le donne berserkir, e questo
è il
risultato.”
“Non
posso che compiacermi del lavoro fatto da quei ragazzoni,
allora” chiosò lui,
stringendola a sua volta in un rapido abbraccio. “Hai
avvertito la fiamma
risvegliarsi, vero?”
“Sì”
assentì lei, ancora sovraccarica di energie.
“E’ stato strano ma… bello.”
“Ti
abituerai, e sarà sempre meglio” le
spiegò lui, scostandosi per poi darle un
veloce bacio sulla fronte accaldata.
Quando
Hildur li vide separarsi, replicò il controllo anche sul
cugino che, ormai
abituato alle sue attenzioni, la lasciò fare senza lagnarsi.
Era da una vita
che la cugina si preoccupava per lui e, se non l’avesse fatto
anche in quel momento,
gli sarebbe parso davvero strano.
Soddisfatta
dal proprio esame, la donna sorrise quindi a Ragnhild e disse:
“Ho avuto paura per
la tua sorte per circa due secondi ma, già al terzo, ho
temuto per i nostri
nemici.”
La
giovane arrossì deliziata per quel complimento e Hildur,
ridendo nel dare una
pacca sulla spalla al cugino, chiosò: “Non potevi
che trovarti una compagna di
tal fatta, Sthigg.”
Nell’avvicinarsi
nuovamente a Sthiggar, Ragnhild scrollò le spalle e ammise:
“Avevo un po’ di
rabbia repressa da smaltire.”
“Spero
tu ne abbia ancora” ammiccò a quel punto Sthiggar,
lanciando quindi un’occhiata
al resto dei loro amici.
Fenrir
si stava ripulendo una zampa dal sudiciume, mentre Hati era intento a
leccare
una lieve ferita che Sköll aveva rimediato a causa di un
archibugio dei
dokkalfar. Nel complesso, comunque, il gruppo poteva ancora vantare il
pieno
delle proprie forze.
Non
restava che raggiungere Naglfar e, con essa, attaccare i loro nemici
per poi
dare man forte a Surtr e alle truppe alleate.
***
L'oceano senza tempo né
spazio in cui viveva Jörmungandr
era ancora placido e immoto, quando tornarono dai ghiacci di
Jötunheimr e
Mattias, nel lanciare uno sguardo alle proprie spalle,
sospirò ansioso e disse:
"Spero davvero che Raggie non abbia problemi, e non si senta troppo in
colpa. Era giusto che accadesse,
anche se è stato più
doloroso di quanto pensassi."
"Sapevi fin dall'inizio che se ne
sarebbe
andata?" gli domandò Odino con tono comprensivo.
"Non del tutto. Sapevo soltanto che
mia sorella
era speciale in modi che nessuno poteva comprendere a parte me e che, a
causa
di questa sua unicità, non avremmo potuto vivere assieme, se
non per un breve
periodo. Per questo ho sempre
tentato di far capire ai miei
genitori che anche lei meritava le loro attenzioni, ma loro vedevano
unicamente
me e l'anima di Urd che risiede nel mio animo" sospirò il
ragazzino,
scrutando l'orizzonte e il tramonto eterno che tingeva il cielo con
colori
variopinti.
Quella calma apparente e quei
paesaggi di dolente
bellezza dovevano essere piacevoli, nel breve periodo, ma Mattias aveva
il
sospetto che, a lungo andare, potesse venire a noia anche la perfezione
più
abbagliante.
Nella sua breve esistenza aveva
tentato di fare questo,
per Ragnhild; rendere tutto più bello e più
accettabile possibile, in vista di
ciò che sarebbe avvenuto nel suo futuro, ma sapeva di non
esserci riuscito.
Aveva potuto darle soltanto tutto
il suo amore,
essendo mancato pienamente quello dei genitori, ma non era certo che
fosse
bastato a renderla felice. Solo l’arrivo di Sthiggar aveva
riempito le sue
giornate, portandola a sorridere pienamente come lui aveva da sempre
sperato
che accadesse.
"Niente è mai veramente perfetto,
vero?" domandò a quel punto il ragazzino, lanciando
un'occhiata
interrogativa al dio. “Anche se ce la mettiamo tutta
perché sia così.”
"No, niente lo è. Anche
se, come hai giustamente
fatto notare, tentiamo di avvicinarci il più possibile alla
perfezione. Donai
il mio occhio per ottenere la conoscenza, ma neppure questa mi fece
divenire la
creatura perfetta che sognavo di essere. Ero pieno di boria, di
supponenza e di
malcelata superiorità nei confronti dei miei simili, e
questo mi condusse in
errore" gli spiegò il dio orbo con tono fiacco. "Feci del
male ai
figli di Loki unicamente perché non mi fidavo del mio
congiunto, e questo diede
il via al conto alla rovescia che ci avrebbe condotti al
Ragnarök perciò, come
vedi, non basta il potere per ottenere il sapere assoluto. Anche se ora
abbiamo
scongiurato quel finale, non lo
eviteremo in ogni caso."
"Ma, indipendentemente da tutto, il
Ragnarök
avrebbe avuto il suo inizio" replicò Mattias con candore.
"Niente
dura in eterno e ogni cosa ha il suo cerchio esistenziale a cui fare
riferimento. Ora come ora, le lancette del Ragnarök sono state
scardinate a
causa della tregua venutasi a creare tra te e Fenrir. Inoltre, essendo
stata
risvegliata la Spada Fiammeggiante di Surtr, nessuno sa cosa
potrà avvenire.
L’entropia è la Legge che domina ogni Universo,
solo che ora le sue regole non
sono più quelle che, fino a questo momento, abbiamo sempre
conosciuto."
Odino levò un
sopracciglio con aria ancora perplessa
e, divertito, esalò: "Trovo ancora assurdo il pensiero che
sia bastato che
io e Fenrir parlassimo, per cambiare le carte in tavola."
"Non siete due semplici pedoni su
una scacchiera.
Le vostre parole hanno un peso specifico ben diverso dagli altri
perciò sì,
avete cambiato le regole del gioco, venendo a patti col vostro passato.
Sól non
avrebbe mai dovuto incontrare Sköll, se non alla fine dei
tempi, e questo
avrebbe permesso al figlio di Fenrir di compiere la sua opera di
distruzione
senza alcuna pietà. Essere venuto in contatto con lei, aver parlato con lei, ha cambiato le carte
in tavola per l’ennesima
volta. Allo stesso modo, la nascita di mia sorella ha dato il via a una
serie
di eventi che ci ha condotti fino a qui."
"E' nata in un momento particolare,
per
caso?" domandò dubbioso Odino.
"Il trentun dicembre 1999, alle
23.59 e 59
secondi" sottolineò Mattias con un sorrisino.
"E' nata con il nascente nuovo
millennio…"
mormorò sorpreso Odino. "… e Mercurio era in
Capricorno1, in
quel momento. Un carattere forte e determinato, oltre che diretto,
quindi."
"Mia sorella avrebbe potuto
sverniciare le
persone con le sole parole, se avesse veramente
voluto” ironizzò suo malgrado Mattias,
annuendo alle parole del dio. “I
miei genitori avrebbero dovuto cogliere i segni, comprendere che un
simile
evento astrologico non era casuale,
ma
non si resero conto di cosa, quella data, volesse dire. Raggie avrebbe
dovuto
nascere due settimane dopo, stando
a
quanto detto dal medico, ma neppure di questo si
preoccuparono.”
Ciò detto, Mattias
scosse il capo per la frustrazione
e, fiacco, ammise: “Quando nacqui io, ascoltarono solo
ciò che disse la nostra Saggia,
e cioè che dentro di me era rinata Urd. Nessuno si
chiese perché fosse
discesa dentro di me,
pensarono solo agli onori che sarebbero spettati al nostro clan."
"Urd rinacque per essere al fianco
di Ragnhild
nel momento della Rivelazione, dunque" ipotizzò Odino,
levando sorpreso le
sopracciglia.
"Esattamente. Per parte mia, ho
cercato di essere
un buon fratello, anche se so che a volte la facevo ammattire" sorrise
appena Mattias. "Mi mancherà da matti, ma so che doveva
andare.
Lei è nata su Midghardr solo perché non poteva
trovarsi su Muspellheimr, quando
Sthiggar si fosse risvegliato. Sthigg doveva giungere da solo alla
coscienza di
sé e della sua Fiamma Viva, altrimenti anche Ragnhild si
sarebbe risvegliata al
pari suo, e allora..."
"Dovevano avere un bagaglio emotivo
di un certo
tipo ma, soprattutto, diverso, per
poter contenere i loro rispettivi poteri, scoprendo di essere
interconnessi
unicamente quando non potevano essere pericolosi per loro stessi e per
i Nove
Regni" disse per lui Odino, comprendendo finalmente ciò che
era accaduto.
A sorpresa, anche Jor intervenne in
quella
dissertazione, asserendo: "Su Midghardr avrebbero potuto imparare a
interconnettersi senza, per questo, risvegliare la Spada Fiammeggiante,
che ha
bisogno del potere di Yggdrasil, per risorgere, vero?"
"Esattamente" mormorò
Mattias, annuendo al
suo dire. "Ogni cosa doveva avvenire secondo una tabella prestabilita
solo
che, nel frattempo, si sono innamorati."
"Beh, a volte capita"
ammiccò Odino,
scendendo dalla schiena di Jörmungandr quando quest'ultimo si
fermò in
prossimità della spiaggia da cui erano partiti poche ore
prima.
Aiutato Mattias a discendere,
Occhiosolo scrutò
pensieroso l'uomo che era tornato a essere Jor e, con un pesante
sospiro,
asserì: "Vorrei poter sbrogliare anche la tua matassa, ma
credo non si
possa fare nulla."
"Lo so perfettamente, Occhiosolo.
Sono
incommensurabilmente grande per qualsiasi mondo e, contrariamente a mio
fratello Fenrir, non posso mantenere la mia forma umana se non qui in
questa
realtà, perciò capisco e accetto il mio esilio.
Ora che ho potuto conoscere la
mia famiglia, posso almeno credere che la mia solitudine sia valsa a
qualcosa" scrollò una spalla Jor con aria beffarda pur se
rasserenata.
"Vedrò se mi
è possibile aprire altri varchi,
così che sia più facile, per Brianna, giungere
qui. Il sito megalitico di Long
Meg, da cui è riuscita a giungere qui per la prima volta,
è un po’ troppo
affollato di turisti, perciò vedrò di capire come
trovare altri passaggi più
agevoli. Sono sicuro che lei ci tenga molto" dichiarò a quel
punto Odino,
abbozzando un sorriso.
Jor gli tributò un cenno
grato del capo dopodichè,
rivolgendosi a Mattias, aggiunse: "Tua sorella è stata
gentile, con me, e
di questo io non mi dimenticherò. Sappi che, semmai avrai
bisogno di qualsiasi
cosa, avrai il mio appoggio."
Mattias assentì con un
sorriso e, proprio come aveva
fatto Ragnhild, abbracciò Jörmungandr, lasciandosi
a sua volta stringere tra le
braccia di quel giovane immortale e dall’animo
così dolente.
Il bacio che gli diede sulla
guancia fu istintivo,
così come istintivo fu salutarlo con un largo sorriso,
sorriso che Jor replicò
con un candore a lui insolito e che, nel cuore di Odino,
risvegliò il desiderio
di portare un po’ di pace al fratello di Fenrir.
Prima di dirigersi verso la
scogliera che nascondeva i
Baffi di Ymir perciò, Occhiosolo disse: “Fosse
anche l’ultima delle mie azioni,
ma non sarai più solo, Jörmungandr. Te lo
prometto.”
Il figlio di Loki
assentì recisamente e, nel volgersi
verso l’oceano infinito dell’eternità,
riprese forme animali e svanì alla loro
vista.
Non appena il varco venne riaperto,
la coppia
attraversò a ritroso il percorso, lasciandosi sfiorare dalla
pianura ricoperta
dai Baffi di Ymir. Quando infine si trovarono dinanzi ai cancelli che
li
dividevano dalla spiaggia di Andenes, Odino sfiorò la runa
per aprire il varco
e mormorò: "Grazie per la tua intercessione, Madre."
In un bagliore rosato, i due furono
nuovamente
all'esterno ma, quando Mattias posò lo sguardo sul suo
compagno di viaggio,
trovò ad attenderlo il giovane Magnus e non più
Occhiosolo.
"Meglio non farci vedere in giro
con quel burbero
di Odino" ammiccò lui, dandogli una pacca sulla spalla prima
di afferrare
il cellulare dalla tasca dei jeans. “Tra
l’armatura e la spada, sarebbe
stato un po’ anacronistico.”
Mattias annuì con un
risolino e Magnus, dopo aver
digitato un numero breve, disse: “Zio Bjorn, siamo usciti. Tu
dove ti
trovi?"
"Sono nel parcheggio antistante il
faro di
Andenes. Com'è andata?" replicò l’altro.
"Per il momento, tutto secondo i
piani. Ora,
spetta ai ragazzi su Muspellheimr, fare il loro dovere. Noi, a quanto
pare, ne
abbiamo un altro" disse Marcus, risalendo il sentiero per tornare sulla
strada principale.
"E cioè?"
domandò dubbioso Bjorn.
"Riformare il mondo dei berserkir.
Il tempo
dell'isolamento è ormai giunto al termine. Dobbiamo
evolvere, per sopravvivere,
e la mancanza di uniformità tra i vari clan deve finire. Non
possiamo più
essere divisi, o ci estingueremo."
"Vuoi portare avanti una Riforma?
Adesso?"
esalò suo zio, sorpreso.
"Non proprio. Al momento,
dovrò muovere guerra
per poter salvare le persone innocenti che Ragnhild e Mattias si sono
lasciati
alle spalle" sospirò Magnus, sorprendendo non poco lo zio.
"Creerai un bel casino. Questo
è poco ma
sicuro" dichiarò torvo Bjorn, facendo loro un cenno con la
mano non appena
li vide comparire sulla strada che conduceva al faro.
Chiusa la comunicazione, Magnus e
Mattias lo
raggiunsero e, con aria determinata, il portatore di Odino
dichiarò: "Non
sono venuto al mondo solo per essere un contenitore, zio. Né
lo è Mattias.
Siamo qui perché è tempo che i berserkir si
evolvano. Il punto è che, per il
momento, non ho dato prove di essere un buon portavoce, mi sono
limitato a
vivere di rendita grazie al nome del dio che alberga in me, ma non ho
fatto nulla perché le
cose cambiassero. E ora
ne paghiamo lo scotto."
"Non vorrai certo farti carico di
ciò che è
avvenuto prima della tua nascita, o quando tu eri un infante,
spero…” dichiarò
allora Bjorn.
"Avrei dovuto chiarire i reali
motivi per cui
Odino si è reincarnato, e che non hanno unicamente
a che fare con la rinascita di Fenrir”
sottolineò Magnus. "Avrei
dovuto inviare messaggeri nei clan, sancire che l’isolamento
doveva essere
progressivamente smantellato, a favore di una politica di apertura al
mondo, ma
non l’ho fatto. Ho procrastinato troppo a lungo e, a questo
modo, persone come
Ragnhild ne hanno sofferto. Ciò deve finire una volta per
tutte e, poiché i
berserkir conoscono solo la guerra e la violenza, dovrò
agire a questo modo,
per inculcare un po’ di buonsenso alle persone, almeno per il
momento.”
“Vuoi scoperchiare il
nord della Svezia?” tentennò
Bjorn, turbato da quella svolta inaspettata degli eventi.
“Niente di
così tragico. Ci recheremo a Luleå e
chiederò di essere ascoltato ma, se non lo faranno,
combatterò al primo sangue
per la supremazia sul clan” dichiarò lapidario
Magnus. “E’ tempo che anch’io
mostri le zanne perché, per troppo tempo, sono rimasto
acquattato nel mio
angolo senza fare nulla.”
"Beh, dobbiamo metterci in pista,
allora, perché
la nostra meta non è esattamente a due passi, ti pare?"
chiosò Bjorn,
facendoli salire sull'auto.
Mattias balzò sul sedile
posteriore e scrutò dubbioso
il volto ombroso di Magnus, riflesso nello specchietto retrovisore
dell’auto
che, nel ripartire, tremò leggermente. Turbato, quindi,
domandò: “Davvero
combatterai contro mio padre?”
“Pensi mi
ascolterà, diversamente?” replicò
Magnus,
scrutando meditabondo il contorno del mare all’orizzonte.
“Non cederà
mai lo scettro, neppure in nome di Odino.
Il potere gli ha ottenebrato la vista, e dubito ascolterà
ciò che hai da
dirgli” sospirò sconfortato Mattias.
“Allora,
combatterò. E’ tempo che io faccia la mia
parte” sentenziò Magnus, poggiando quindi il capo
contro il vetro per poi
chiudere gli occhi.
Sei
sicuro di
potercela fare, ragazzo? So benissimo che tu non ami menar le mani, si preoccupò
immediatamente Odino.
“Non
mi
rimangono molte alternative. Ho sperato che il tuo ritorno bastasse a
far
comprendere alle nostre genti che il tempo del cambiamento era giunto
e, come
uno sciocco, sono rimasto a disposizione dei tuoi figli, ma senza mai
ricevere
richieste da parte loro. Nessuno
voleva cambiare. La beserksgangr
è un potere allettante perché offre dominio
e dà libero sfogo alla sete di sangue insita negli
uomini-orso, perciò cambiare
avrebbe voluto dire asservirsi a regole che avrebbero reso meno potenti
i
berserkir.”
Perché
tu
desideri che essi vivano in armonia con gli altri, non separati da
tutto e da tutti, sottolineò Odino.
“Non
credo di
essere l’unico. Tu stesso avevi al tuo diretto servizio delle
invincibili
guerriere, non solo baldi soldati in arme. Le Valchirie potevano
rivaleggiare
con i più potenti guerrieri dei Nove Regni, ma non mi pare
tu ti sia mai
sentito screditato dalla loro presenza” tenne
a precisare Magnus.
Ora
capisco…
mi stai parlando della condizione di assoluta sudditanza femminile nei
clan più
ortodossi, mormorò
Odino, spiacente.
“Ciò
che è
accaduto a Ragnhild ne è solo l’esempio ultimo, ma
potremmo citarne a migliaia.
Mia cugina Elsa non ha solo ricevuto l’addestramento come le
altre donne del
branco, ha anche potuto studiare all’estero, sposare un
berserkr di un altro
clan, lavorare in un contesto cittadino e fare esperienza al di fuori
del mondo
degli uomini-orso. A molte donne-orso tutto questo non viene concesso,
ed è
terribile” si lagnò irritato
Magnus. “Troppe di loro vivono una
condizione di
perpetua sudditanza e, sempre a causa
dell’estraneità con il mondo moderno, a
tante di loro non vengono date possibilità di sbocco
lavorativo se non
all’interno del clan. Tutto questo deve finire.”
E vuoi
cominciare così lontano dal tuo clan di appartenenza?
“Comincerò
dove devo. La legge dei berserkir mi consente di combattere per il
predominio
e, anche se la sola idea mi fa tremare di rabbia, la userò,
se servirà a farmi
udire da tutti.”
Sia
come
vuoi. Io sarò al tuo fianco. Sempre.
“Grazie,
Allfǫðr.”
***
Raggiunto che ebbero il salone dove
si trovava
Naglfar, Sthiggar ebbe solo un breve flash dell’istante in
cui si era
risvegliato in quel medesimo luogo, con la spada ricoperta di sangue e
l'Occhio
di Muspell ai suoi piedi.
Il ricordo delle due guardie morte
a poca distanza da
lui rinfocolò la sua determinazione e, quando si
fermò a pochi passi dalla
nave, sorrise determinato e dichiarò: "Provo una certa
soddisfazione nel
poter violare le regole con il benestare reale."
"Non abituartici, caro. E' solo un
evento dettato
dall'esigenza" sottolineò per contro Ilya, avvicinandosi a
sua volta alla
nave per sbloccarne i sigilli.
Dopo aver apposto la sua mano sulla
chiglia di
Naglfar, questa emise un bagliore che la percorse da prua a poppa,
liberandosi
dai blocchi magici che ne impedivano il furto.
Ciò fatto,
lanciò un'occhiata a Sthiggar e dichiarò:
"Cerca di non ridurla in frantumi. Sarebbe carino se raggiungesse la
fine
dei tempi intatta."
"Cercherò di fare del
mio meglio" acconsentì
lui, poggiando la mano nel punto in cui era possibile azionare i
congegni
magici della nave.
Al suo tocco, una scala discese dal
ponte per poter
permettere a tutti loro di salire, mentre due rostri laterali
fuoriuscivano dal
fondo della chiglia fino a formare imponenti ali di ferro brunito.
Fu solo a quel punto che Sthiggar
rammentò un
particolare non da poco e, nel volgersi verso la regina,
aggrottò la fronte e
disse: “L’Occhio di Muspell… come
è possibile che…”
Accigliata a sua volta, la donna
assentì torva e
replicò: “Ho il dubbio che anche Surtr se lo sia
chiesto per tutto questo tempo
e, ora che me lo fai notare, non posso che chiedermelo a mia volta. Fin
dove si
è spinto il tradimento?”
Ciò detto,
osservò Hildur che, però, scosse il capo e
asserì: “Prima dell’attacco, non avevamo
ancora i nomi dei delatori ma, come
avete giustamente notato voi, chi mai avrebbe potuto sbloccare la teca
dove si
trova l’Occhio di Muspell, se non un membro della famiglia
reale? Serve il
vostro codice genetico, per aprire i blocchi magici.”
Seguendo il gruppo verso il ponte,
Sthiggar si
affrettò quindi a portarsi a poppa, dove si trovavano il
timone e il prezioso
Occhio di Muspell e, nello sfiorarlo, Sthiggar borbottò
contrariato: “Dovremo
pensarci per forza dopo. Ora, vediamo di muovere questa
barchetta.”
All’assenso di tutti,
Sthiggar poggiò una mano
sull’Occhio, che iniziò a brillare di una fosca
luce rossastra e, mentre Ragnhild
lo affiancava, la giovane fissò l'intera struttura navale
con occhi
pietrificati.
Avvinghiandosi al braccio di
Sthiggar quando la nave
iniziò a muoversi, lei domandò turbata: "Sono io
che ci vedo male o ci
sono delle ossa, inserite
nell'intelaiatura della nave?"
"E' così, infatti. Ma
non turbarti troppo. Non
sono ossa vere. Sono scolpite in modo
magistrale, e hanno il solo
scopo di incutere timore nel nemico" le sorrise lui, muovendo
leggermente
la mano sull'Occhio di Muspell, che si trovava nel mezzo del timone.
Accigliandosi, Sthiggar
mormorò un'imprecazione tra i
denti e, subito, Ragnhild lo imitò, mormorando contrariata:
"E'
dannatamente potente, vero?"
Immediatamente, coprì
con la propria la mano di
Sthiggar che poggiava sull’Occhio e, in pochi secondi,
l’aura della pietra si
fece più stabile e il potere maggiormente controllabile.
"Hai capito subito che ero in
difficoltà..."
le sorrise lui, dandole un colpetto con la spalla.
"...perciò il legame
c'è ancora."
"E' molto più forte, per
la verità" dichiarò
lei, lasciando andare la presa sull'Occhio quando fu certa che Sthiggar
avesse
il controllo su di esso. “Da quando ho bevuto quella specie
di latte
ultraterreno, sento le cose in modo diverso. Mi sento
diversa.”
"Scopriremo insieme
cos’altro puoi fare. Per il
momento, portiamo fuori dal capannone questa bagnarola"
dichiarò il
giovane, scostando la mano dall'Occhio per porla sul timone.
Nel farlo, la rete di potere magico
che percorreva la
nave si illuminò a giorno, mettendo in evidenza ogni singola
rifinitura del
legno, ogni sartia, ogni velatura.
Il tutto durò alcuni
istanti, ma fu sufficiente per
avere un'idea chiara di quanta magia fosse stata inglobata in quella
singola
nave.
Nel mentre, gli enormi portoni del
salone si aprirono,
al sentore della magia di Naglfar che andava espandendosi e, quando
finalmente
ebbero libero accesso all'uscita, Sthiggar ordinò che le
vele venissero
spiegate.
Flyka e Trym obbedirono all'istante
e, scosse da un
vento che non c'era, le velature si
gonfiarono, conducendo così
l'enorme nave al di fuori del salone.
Leggermente turbata, Ragnhild
domandò: "Ehm...
cosa le fa muovere? E perché noi non stiamo raschiando il
pavimento del
salone?"
"La magia che hai visto prima
è la cosa che la fa
muovere... e levitare" le
spiegò succintamente lui, indicandole
di osservare la nave dal parabordo.
Lei si affrettò a farlo
e, stupefatta, osservò il
movimento sinuoso dei rostri che, come veri e propri timoni di un'ala
d'aereo,
permettevano a Sthiggar di controllare la nave.
Quando finalmente furono
all'esterno del salone, la
visione di Hindarall in fiamme, e battuta dagli eserciti congiunti di
jotun e
dokkalfar, tolse però il fiato ai presenti, raggelando
qualsiasi tentativo di dire
qualsiasi cosa.
Le vie erano un campo di battaglia
uniforme e
brulicante di uomini in armi, mentre i corpi di incolpevoli civili
giacevano a
terra privi di vita, falciati da armi straniere che mai avrebbero
dovuto
colpirli.
Ogni luogo, in Hindarall, era stato
colpito, sventrato
o dato alle fiamme e, quando Sthiggar vide che anche i colli della
città
presentavano i segni dell'assedio, temette per le persone che abitavano
nella
villa del padre.
Lykha, la loro fida governante,
abitava con loro fin
da prima della sua nascita, e non poteva pensare che i loro nemici
l'avessero
uccisa. Con lei, inoltre, vivevano anche i nipoti, che si occupavano
del
giardino della villa, oltre ad almeno un paio di animali domestici, che
Snorri
aveva allevato fin da quando erano cuccioli.
Questi pensieri lo spinsero a
distogliere disgustato lo
sguardo per puntarlo verso sud, dove si trovava il Palazzo Reale che, a
quanto
pareva, stava subendo un attacco magico da parte dei
liòsalfar oscuri.
A giudicare dalla barriera magica
eretta attorno al
palazzo, però, gli elfi chiari dovevano aver pensato di dare
una mano al
sovrano di Muspellheimr. Per quanto ne poteva sapere di magia, Sthiggar
dubitava che i loro Saggi fossero in grado - da soli - di contrastare
le malie
dei liòsalfar, perciò doveva esserci quasi di
sicuro lo zampino degli abitanti
di Elfheimr.
Cercando in Ilya una risposta ai
suoi dubbi, lei
assentì e disse: "A Palazzo erano presenti non pochi elfi
chiari, oltre ai
sovrani di Elfheimr, quindi è possibile che si siano
schierati dalla parte di
Surtr."
Hildur, nel frattempo, si
avvicinò al cugino e, dopo
aver lanciato un'occhiata a Ragnhild per sincerarsi che non avesse
problemi,
domandò: "Quando pensi di usare la Spada?"
"Avviciniamoci il più
possibile al palazzo"
dichiarò lui prima di guardare Fenrir e i suoi figli e
domandare: "Potete
occuparvi dei soldati in città?"
Fenrir assentì senza
problemi, dichiarando:
"Avremo maggiore fortuna combattendo a terra, che sul ponte di questa
nave. Faremo piazza pulita, non temere."
Sthiggar annuì al suo
dire e, mentre i tre licantropi
si lanciavano senza alcun problema verso l'esercito nemico, lui diresse
la nave
verso il Palazzo Reale per poi dire a Hildur: "Quando
muterò, dovrai
pensare tu al governo della nave e alla protezione di papà e
della regina. Trym
e Flyka ti aiuteranno, ma saranno impegnati con il sartiame,
perciò la parte
della spadaccina indomita spetterà a te."
"Sapremo badare a noi stessi. Tu,
piuttosto, sei
pronto a scatenarla?"
domandò
turbata Hildur, stringendo una mano sulla sua spalla.
"Non ho altra scelta. Se voglio
chiudere la
partita prima che altra gente muoia, devo calare il pezzo da novanta,
per così
dire" ghignò lui, cercando istintivamente la mano di
Ragnhild.
Lei la afferrò con
sicurezza e Hildur, a quel punto,
disse: "Tornate interi. Devo conoscere meglio la mia futura cugina."
Sia Sthiggar che Ragnhild
assentirono con vigore, così
a Hildur non restò altro che prendere il timone tra le mani
e gridare:
"Per il re!"
Con una virata potente, spinse
quindi la nave contro
l'esercito nemico, asserragliato sul piazzale antistante il Palazzo
Reale e
Sthiggar, non potendo attendere oltre, si lanciò con
Ragnhild dal parabordo per
poter dare il via al mutamento.
Stretta a Sthiggar, Ragnhild
socchiuse gli occhi
quando la fiamma li avvolse, accecandola per alcuni attimi. In pochi
istanti,
lui infine mutò, il suo corpo divenne fuoco vivente e la sua
statura
magnificente crebbe, e crebbe, divenendo ciò che aveva
predetto solo una
mezz’ora addietro.
Sollevata di peso e con
facilità estrema, Ragnhild si
posizionò quindi sulla spalla di Sthiggar come
già pianificato ma, quando ciò
avvenne, la giovane avvertì dentro di sé il
respiro dei Nove Regni e di
Yggdrail tutta.
Ogni singola vita, ogni singolo
atomo del cosmo la
attraversò, dandole l'esatta dimensione del potere che
avrebbe avuto Sthiggar,
o meglio, avrebbero avuto alla
Fine
di Ogni Cosa.
Non faceva specie che la Spada
Fiammeggiante fosse
l'arma con cui Surtr avrebbe distrutto i mondi. Come avrebbe potuto
essere il contrario, con una tale energia
a disposizione?
Questo spiegava anche
perché essa fosse stata spezzata
in due. Un simile potere, nelle mani di una persona sola, avrebbe
potuto essere
distruttivo in mille altri modi diversi dal Ragnarök. Due
persone, per lo meno,
potevano garantire un certo grado di equità di pensiero.
Ciò che ora le spettava
era convogliare solo parte di
quell'energia nel corpo di Sthiggar, permettendo al resto di essa di
tornare al
suo luogo d'origine, così che i Mondi non venissero a
collassare per la troppa
richiesta di potere.
Così, agiva
la Spada. Depredava ogni singolo atomo di energia per poi lasciare
senza vita
ciò che la circondava. Per questo,
nel Mito si parlava della Spada come dell’arma che avrebbe
spazzato via i
Mondi… li avrebbe letteralmente risucchiati dentro di Lei!
Per evitare che ciò
accadesse molto prima del previsto,
e Ragnhild sperò mai,
avrebbe dovuto
gestire quelle energie per donare a Sthiggar solo quanto necessario per
vincere.
Non un solo atomo in più
avrebbe dovuto giungere nelle
mani dell’amato.
"Andiamo pure, Sthigg. Ci sono"
dichiarò
quindi Ragnhild, levandosi in piedi sulla sua spalla e trattenendo se
stessa al
corpo imponente del muspell tramite l’energia che stava
permettendo venisse
convogliata in lui.
Sthiggar assentì con un
ruggito e, nonostante la mole,
si scagliò contro il nemico con impressionante
velocità.
Sbaragliò le schiere
jotun con la sola imposizione di
una mano e, quando i liòsalfar si volsero contro di lui per
attaccarlo con la
magia, lui semplicemente la divorò,
divenendo ancora più forte.
Ragnhild, però, non
permise a Sthiggar di sfruttare un
simile potere, ritenendolo eccessivo e controproducente,
così convogliò altrove
quell'energia, così che non portasse il suo amato oltre il
limite di pericolo.
Non fu esattamente la cosa
più semplice da fare ma,
proprio come aveva iniziato a fare sulla Terra, accarezzò i
centri di potere di
Sthiggar perché non si sovraccaricassero, disperdendo quindi
l’energia in
eccesso.
Questo la portò a
stringere i denti per
l’affaticamento ma, non di meno, proseguì nella
sua opera, tenendosi ben
stretta a Sthiggar mentre lui combatteva.
Era dannatamente difficile non
farsi prendere la mano,
e il sentore del potere primigenio che le solleticava le papille era
così
delizioso da attirarla verso il baratro, ma ugualmente si contenne.
Sinergicamente, quindi, si mossero
per sbaragliare
ogni ostacolo si pose dinanzi a loro e, quando finalmente ebbero fatto
piazza
pulita, puntarono lo sguardo in direzione di Hindarall.
Nel frattempo, forti della loro
velocità, possanza e
abilità, i tre licantropi stavano facilmente avendo la
meglio sui nemici ma,
quando Sthiggar vide un nuovo contingente di dokkalfar puntare contro
di loro,
urlò d'ira e frustrazione.
Le loro armi avevano ucciso
Kyddhar, e
ora stavano mietendo vittime in tutta Hindarall, perciò
andavano fermati a qualsiasi
costo.
L'intervento a sorpresa di Lafhey,
però,
interruppe la sua corsa e Sthiggar, nell'osservare il Gigante di
Ghiaccio che
gli si parò innanzi, urlò: "Cedi il passo, re di
Jötunheimr. Non sei tu la
mia preda!"
"Ma tu sarai la mia, Spada!"
ringhiò il re, gettandoglisi addosso con tutta la sua forza.
Sthiggar contrastò
abilmente il
contraccolpo ma, per sicurezza, domandò rapido alla sua
compagna: "Tutto
bene, lassù?"
"Sono legata a te a livello
subatomico! Non potrei cadere neppure volendo!" lo
tranquillizzò lei,
fissando iraconda il volto del loro nemico.
Ancora, avvertì il
piacevole sapore del
potere sulla punta della lingua e, nuovamente, Ragnhild venne
invogliata a
usarlo per rigonfiare i centri di energia di Sthiggar. Sapendo che dare
voce a
quelle sirene ammaliatrici sarebbe stato pericolo, Ragnhild
rifiutò per
l’ennesima volta quel gradevole dono ma, dentro di
sé, percepì senza sforzo
quanto, quei continui rifiuti, la stessero indebolendo.
Pizzicandosi un braccio per
scacciare
quei pensieri col dolore, Ragnhild tornò con lo sguardo al
loro nemico più
diretto, il Gigante di Ghiaccio Lafhey e, stringendo maggiormente i
propri
atomi a quelli di Sthiggar, gridò:
“Abbattilo!”
Sthiggar assentì alle
sue parole,
colpendo quindi Lafhey con un possente diretto che lo mandò
a terra,
direttamente contro la parete rocciosa della montagna dove sorgeva il
Palazzo
Reale.
Quella caduta produsse un'onda
tellurica
che fece tremare l'intero maniero perciò Sthiggar, per
evitare ulteriori scosse
- e potenziali crolli - si allontanò da esso, trascinandosi
dietro un rabbioso
Lafhey.
Con tutta la forza che Ragnhild gli
permise di usare, lo scagliò quindi fuori città,
dopodiché lo raggiunse con
possenti balzi a mezz'aria fino ad atterrare a pochi metri da lui.
Lì, sempre
più furioso ma ben conscio di
non potersi lasciare andare all’ira più cieca,
Sthiggar ringhiò al suo
indirizzo: "Vattene finché sei in tempo, re di
Jötunheimr. Non è il tempo
di guerreggiare, e tu lo sai! Non potrai mantenere a lungo quelle
forme, su un
pianeta come Muspellheimr, perciò perché
continuare a rischiare la morte?!”
"Il fatto stesso che tu sia sorto,
Spada Fiammeggiante, dice il contrario. Ma sarò io a
brandirti, non certo
Surtr!" replicò Lafhey, scagliandosi nuovamente contro di
lui. “Per questo vale la
pena battersi.”
"Tienilo lontano da te, Sthiggar!
Ha qualcosa in mano!" gridò immediatamente Ragnhild,
terrorizzata.
Grazie a quell’intervento
dell’ultimo
secondo, Sthiggar evitò di un soffio l’attacco
diretto del suo nemico, si
scostò a distanza di sicurezza e domandò
trafelato: "Cos'hai visto?!"
"La sua mano destra...
c'è qualcosa
che pende tra le sue dita" disse subito Ragnhild, acuendo lo sguardo
mentre il suo respiro si faceva affannoso, irregolare.
Era dannatamente difficile rimanere
vigile, gestire quel flusso di energia continuo e non farsi sopraffare
dal
desiderio di attingere a piene mani a ciò che
l’Universo stesso le stava
offrendo. Combattere per impedire che l’entropia prendesse il
sopravvento non
era esattamente la cosa più semplice da fare, e il suo
fisico stava cominciando
a cedere, a chiedere più di quanto fosse in grado di dare.
Ragnhild non era certa che, di quel
passo, sarebbe riuscita a reggere ma, almeno finché avesse
avuto fiato nei
polmoni, non avrebbe lasciato il fianco di Sthiggar.
Grazie al loro legame, nel
frattempo, Sthigg
comprese subito cosa avesse notato la giovane e, digrignando i denti,
sibilò:
"Gleipnir? Davvero pensavi di legarmi con
il Laccio di
Fenrir?"
"Lo userò su tutti voi,
così non
solo avrò alla mia mercé la potente spada di
Surtr, ma anche i figli di Loki e
la sua progenie" sghignazzò follemente Lafhey.
"Può farlo?"
mormorò Ragnhild,
turbata.
"Se ci prende? Eccome. Non potremmo
liberarci e, con la complicità dei liòsalfar, ci
soggiogherebbe, perché il
Laccio di Fenrir è in grado di inibire l’aura
degli esseri viventi… qualsiasi
aura di qualsiasi essere
vivente" ringhiò Sthiggar, accigliandosi non poco.
"Se ti fossi lasciato catturare su
Midghardr, non avresti dovuto essere testimone della sconfitta del tuo
regno
ma, visto che hai preferito venire, te lo farò godere fino
all'ultimo muspell
ucciso" lo minacciò a quel punto Lafhey con tono vagamente
ansimante, pur
se ancora tronfio.
Ciò detto, si volse per
tornare verso
Hindarall col chiaro intento di attaccare i licantropi ma Sthiggar,
forte del
suo nuovo potere, lo precedette con un balzo, atterrando sulla sua
schiena e
mandandolo lungo riverso sul suolo.
Questo provocò la caduta
di diversi
edifici già in fiamme e, suo malgrado, anche di uno dei
templi di Sól.
Procedi e non pensare a quelle
pietre.
Le case si ricostruiscono... le vite no! E voi dovete salvarne il
più
possibile!
Sthiggar perse un battito, quando
la voce
di sua nonna gli rimbombò nella mente, chiara e forte come
se fosse stata al
suo fianco.
Confuso, il guerriero si
bloccò a metà di
un passo per guardarsi intorno ma Ragnhild, che gestiva attivamente le
energie
che stava incanalando in Sthiggar, gridò: "La percepiamo
grazie alla
nostra connessione con Yggdrasil! Ricorda che Lei è ovunque!
Per questo, Sól può
parlarci attraverso l'Albero!"
Annuendo in fretta, Sthiggar
riprese la
sua corsa per raggiungere Lafhey che, nel frattempo, aveva ridotto le
sue
dimensioni per non disperdere ulteriore energia.
Contrariamente a loro, che erano su
territorio ameno, Lafhey poteva mantenere le sue forme di Gigante di
Ghiaccio
per pochissimo tempo, in un luogo inospitale come era Muspellheimr per
lui.
Lanciata subito un'occhiata a
Naglfar per
sincerarsi che non avesse subito danni, Sthiggar raggiunse in fretta i
tre licantropi
e, a gran voce, esclamò: "Raccoglietevi dietro di me! Ho
intenzione di
provare una cosa!"
"Ti pare il momento di fare
esperimenti?!" esclamò contrariato Sköll,
fissandolo bieco.
Sthiggar ghignò in
risposta, sfiorò con un
dito Ragnhild e, in un mormorio, le spiegò cosa avesse
intenzione di fare. Da
lì al metterlo in pratica, dipendeva tutto da lei, a quel
punto.
N.d.A.: direi che si
è capito cos'è un Gigante di Fuoco, ormai,
così come un Gigante di Ghiaccio, anche se ovviamente Lafhey
è svantaggiato, su Muspellheimr, e lui lo sa benissimo. Ora,
resta da vedere se il resto dei nemici di Surtr si
spaventerà a sufficienza di fronte al potere di Sthiggar e
Ragnhild, o se penseranno comunque di riuscire nel colpo di Stato.
(1) Mercurio in Capricorno= mi riferisco al calcolo delle Effemeridi, in abito Astrologico. Danno un'idea di massima del carattere e delle tendenze comportamentali di una persona.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** Capitolo 24 ***
24
Terminato che ebbe di spiegare il
suo
piano a Ragnhild, Sthiggar le domandò speranzoso: "Riesci a
convogliare la
nostra energia sui dispositivi dei dokkalfar? Hanno polvere pirica
all'interno,
perciò sono infiammabili."
La giovane sbatté le
palpebre, perplessa
dal suo dire, prima di sorridere e ammettere con una certa
soddisfazione:
"E' come una redistribuzione dei pesi su più appoggi,
così da non sbilanciare
la struttura."
"Sbaglio, o parli di ciò
che stavi
studiando su Midghardr?" le domandò a quel punto Sthiggar,
piegandosi
sulle gambe per prepararsi a lasciarsi colpire dai dokkalfar, che
stavano
giungendo alla carica verso di loro.
Di Lafhey, per il momento, non
v'era
traccia. Che si fosse nascosto, quel vile? O era davvero
così stremato da aver
dovuto trovare un luogo in cui ritemprarsi? Era possibile, visto quanto
il
corpo degli jotun fosse inviso al mondo dei muspell, ma non poteva
fidarsi del
tutto di quello scaltro uomo di ghiaccio.
Ragnhild, nel frattempo,
assentì alla
domanda di Shiggar, mormorando: "Devo solo concentrarmi e..."
Non troppo, ragazza, o finirai con
il
penetrare all’interno di Sthiggar per creare una sinergia
totale, generando
l'assoluta connessione tra te e lui, la mise in guardia Sól,
sorprendendola.
"Oh... non andrebbe bene, giusto?"
domandò sorpresa, bloccando immediatamente ciò
che aveva iniziato a fare quasi
inconsapevolmente. Era mai possibile che i loro poteri, una volta
risvegliati, agognassero alla
formazione della Spada
Fiammeggiante?
La sinergia tra voi due vorrebbe
dire
unire Elsa e Lama, creando la vera Spada
Fiammeggiante, e non è davvero
il caso di farla emergere ora.
"Cioè... potremmo essere
più potenti di
così?" gracchiò Ragnhild, apertamente turbata.
Già utilizzare quei
poteri per lei del
tutto nuovi, la stava prosciugando di ogni energia… cosa
sarebbe successo, se
avessero aumentato ancora la loro interconnessione?
“Ma io non sto affatto usando tutta l’energia
messa a disposizione da Yggdrasil!”
sbottò dopo alcuni istanti la giovane, chiaramente in
difficoltà.
Non si tratta soltanto di energia
utilizzata, ma di come viene utilizzata. Se le vostre
menti
fossero in totale sincrono, la Spada Fiammeggiante diverrebbe
finalmente una
cosa sola, e questo scatenerebbe l’inizio del
Ragnarök. Voi distruggerete i
mondi, mia cara, perciò sì... dare il via a un
nuovo universo richiede
un'energia cosmica senza pari e, per distruggere i dokkalfar, non ve
n'è certo
bisogno.
"Ah... no di certo"
assentì
Ragnhild, cancellando a piè pari ciò che aveva
tentato di fare.
Rammenta
che questa è la tua prima battaglia, e i tuoi centri di
potere si stanno
abituando in modo traumatico al risveglio della tua fiamma,
perciò entro breve
dovrai fermarti e concedere al tuo corpo un po’ di requie.
Non forzare la mano
perché te lo dice il cuore. Devi dare tempo al
tempo… anche tu che sei Elsa.
“Ma
Sthiggar…” tentennò Ragnhild, subito
sfiorata da un dito dell’amato, che le stava carezzando il
corpo con fare
delicato.
“Dai retta alla nonna.
Quando non te la
sentirai più, lascia andare il legame. Sapremo batterli in
ogni caso, a questo
punto” la rassicurò lui con un sorriso.
Annuendo, Ragnhild si
concentrò unicamente
su loro nemici, aggrottò la fronte nel convogliare
l’energia doveva aveva
deciso di ridistribuirla, dopodiché disse: "Okay... posso
inquadrare i
punti in cui indirizzare la fiamma. Riesci a vederli anche tu?"
Annuendo, Sthiggar
allargò le gambe per
avere maggiore stabilità quindi, con un grido tale da far
tremare l'intera
città, scagliò le sue lingue di fuoco con
precisione chirurgica.
I tirapugni dokkalfar esplosero
addosso ai
rispettivi padroni, riducendo a brandelli l'intera armata e portando
Ragnhild a
coprirsi gli occhi per nascondere a se stessa l'orrore appena commesso.
Per quanto abituata alla violenza,
c’erano
cose che neppure lei riusciva a sopportare.
"Scusa..." mormorò
quindi
Sthiggar.
"Fa niente. Avrò incubi
per mesi, ma
conto che mi coccolerai" replicò lei, volgendosi a mezzo per
controllare
che i loro amici licantropi stessero bene.
A parte qualche graffio qua e
là, parvero
non avere altro perciò, nel tornare a guardarsi intorno con
espressione
turbata, domandò: "La barriera sul castello è
ancora attiva. Sarà il caso
di fare il culo a strisce anche a quelli lassù?"
Sthiggar, però, scosse
il capo e,
indicando Naglfar, asserì: "Riprendi fiato e osserva.
Naglfar non è solo
una bella nave... ha anche un sacco di giocattolini al suo interno."
"In che..." iniziò col
dire
Ranghild prima di sobbalzare quando vide lo scafo della nave aprirsi
sopra il
contingente di maghi liòsalfar e scaricare su di loro
un'autentica pioggia di
scintille colorate, simili a coriandoli di carta stagnola.
I maghi, sorpresi da quello strano
attacco, si bloccarono un istante per spolverarsi le tonache ma, quando
lo
fecero, grida terrificanti iniziarono a levarsi tra i presenti,
giungendo fino
a loro.
"Che succede, lassù?"
domandò
Hati, scrutando curioso Sthiggar dopo aver uggiolato per la sorpresa.
"Erba" disse criptico il gigante
di fuoco. "La nostra erba è tossica e, mescolata con la
pietra pomice dei
vulcani, crea una mistura aerobica velenosa al tatto."
"Alla faccia! Questa sì
che è guerra
sporca!" celiò Sköll. "Con rispetto parlando,
s'intende."
Sthiggar sorrise a mezzo,
replicando:
"A nessuno piace usarla ma, per salvare il re, non ci sarebbe un solo
muspell che preferirebbe agire diversamente."
"A parte coloro che vi hanno
tradito" sottolineò Ragnhild, accigliandosi.
Dopo essersi seduta sulla spalla di
Sthiggar, gli occhi lesti e attenti che scandagliavano il circondario
in fiamme
alla ricerca di Lafhey, Ragnhild si concesse qualche minuto per
rifiatare.
Maneggiare l’energia
primigenia di
Yggdrasil, l’aura e la fiamma contemporaneamente
l’aveva stremata, ma sapeva
che non era ancora giunto il tempo per cedere.
Per quanto si sentisse debole, e
necessitasse del più grande carico di Aspirina del mondo per
calmare il mal di
testa sempre più forte che le stava massacrando le tempie,
sapeva di non poter
ancora fermarsi.
"Chiudi gli occhi e respira
profondamente" le mormorò a quel punto Sthiggar, scrutando a
sua volta la
città al pari dei licantropi. “Devi lasciare che
la fiamma si sprigioni perché
curi il tuo dolore… non serve solo a creare potere, ma anche
a dissipare le
tossine prodotte durante il combattimento.”
“Fico…”
mormorò a quel punto lei, lasciandosi
andare contro il collo di Sthiggar, in posizione del tutto rilassata.
“…così va
bene?”
“Riesci a lisciare le
linee di potere come
fai con me? Io, purtroppo, non riesco a farlo, con te. E’ una
cosa a senso
unico” le disse lui, spiacente.
Ragnhild sorride
nell’udire il suo tono
contrito e, sempre a occhi chiusi, si passò le mani sul
torace, sussurrando:
“L’Elsa sono io,… per forza che non puoi
farlo.”
“Dispettosa”
ammiccò lui, accigliandosi
attimo dopo attimo mentre, invano, tentava di scoprire il nascondiglio
di
Lafhey.
Cosa stava tramando, quel dannato?
Dove
diavolo si era cacciato?
Mentre Ragnhild tentava di lisciare
le
increspature prodottesi all’interno dei gangli di potere,
così come avrebbe
fatto con una ciocca di capelli piena di nodi, Sthiggar le
domandò: "Ragnhild...
tra le tue conoscenze, esiste per caso un sistema per polarizzare al
contrario
il nostro potere, così da percepire il freddo, invece del
caldo?"
"Più che al caldo e al
freddo, si
potrebbe sfruttare il magnetismo di questo pianeta" replicò
lei
meditabonda, continuando nella sua opera di ripulitura.
Come aveva detto Sthiggar, la
fiamma stava
divorando le tossine fin lì accumulate, facendole passare il
mal di testa, ma
le risultava ancora così difficile, muoversi
all’interno di se stessa!
"Voi muspell..."
"Noi" sottolineò lui con
un
sorriso.
Annuendo con un risolino, lei
proseguì
dicendo: "Giusto. Noi muspell
abbiamo un magnetismo
interno che è coerente con quello del pianeta, stando a
quello che ho percepito
finora ma, se tanto mi dà tanto, gli jotun lo hanno diverso
e, quel gigante
cattivone di prima lo avrà sicuramente più
potente rispetto agli altri."
"Può funzionare"
assentì
Sthiggar prendendo un respiro per poi concentrarsi sulle energie del
pianeta,
lasciando che Ragnhild pensasse a curare se stessa.
Ora che era su Muspellheimr, tutto
gli
veniva naturale e avvertire il respiro del pianeta, così
come quello dei suoi
abitanti, fu come bere un bicchiere d'acqua. Fu così che,
non solo comprese che
il suo re era ancora vivo, ma scoprì anche dove si stesse
nascondendo Lafhey.
L'attacco in grande stile contro di
lui,
evidentemente, lo aveva prosciugato più di quanto loro non
si fossero aspettati
e ora, stravolto dalla fatica, stava attendendo al riparo di una casa
semidistrutta a poca distanza da loro.
Lanciata quindi un'occhiata a
Fenrir,
mormorò: "A meno di mezzo miglio da noi, in una casa
diroccata. Dinanzi
c'è una fontana. Lafhey si trova lì, ed
è letteralmente sfinito."
"Mi sembrava strano che un Gigante
di
Giaccio potesse resistere così tanto in quelle forme, in un
mondo come
Muspellheimr" ghignò soddisfatto Fenrir, zampettando via per
raggiungere
il loro nemico.
Guardandosi intorno mentre il padre
raggiungeva il nascondiglio di Lafhey, Sköll
domandò: "Visto che i
dokkalfar non sembrano voler contrattaccare, che ne dici se cominciamo
a
controllare se c'è qualcuno ancora vivo, tra le macerie?"
Annuendo, Sthiggar si
guardò intorno prima
di spiegare ai due lupi dove stesse percependo energia vitale
dopodiché,
lanciato uno sguardo torvo al palazzo, disse: "Ora, è il
caso di liberarsi
degli ultimi jotun che ancora si trovano all'interno del maniero."
"Aspetta, Sthiggar!" lo
richiamò
Fenrir, la zampa enorme premuta sul torace di Lafhey mentre le sue
zanne, a un
passo dalla testa dello jotun, scintillavano ferali alla luce delle
fiamme.
"Questo avanzo di ghiaccio vuole dirti qualcosa."
Sorpreso, Sthiggar lo raggiunse in
poche,
rapide falcate prima di tornare alla sua forma naturale e permettere a
Ragnhild
di mettere i piedi a terra.
La giovane ne approfittò
per appoggiarsi a
Hati che, premuroso, le si affiancò per sorreggerla e
proteggerla al tempo
stesso.
Ombroso, quindi, Sthiggar
fissò uno
stravolto Lafhey, ormai ridotto all'ombra di se stesso, e
ringhiò: "Come
mai desideri parlarmi, re di Jötunheimr, dopo aver millantato
il desiderio di
possedermi?"
"Risparmiami, e ti farò
i nomi dei
delatori" lo pregò lui, mellifluo.
"Perché dovrei crederti?
Potresti
dirmi i nomi degli unici muspell che conosci e io finirei con
l'uccidere
persone innocenti" replicò Sthiggar, scuotendo il capo.
"C'è un vincolo magico,
tra di noi.
Se uno di noi avesse tentato di colpire l'altro alle spalle, sarebbe
morto sul
colpo" sottolineò Lafhey, sogghignando.
"Non è quello che stai
facendo tu
ora? Colpirli alle spalle, smascherandoli?" replicò
Sthiggar, scettico.
Lafhey gorgogliò una
risata, risata che
gli valse anche un'espulsione di sangue azzurro pallido dalla bocca
riarsa.
"Ho usato ogni straccio di energia
per bloccarti, ma non è servito e, se non tornerò
in fretta su Jötunheimr,
morirò. Per questo avresti
dovuto
essere messo in catene su Midghardr. Una Fiamma Viva mi avrebbe
condotto alla
vittoria, pur se non immaginavo che tu nascondessi la tanto agognata
Spada
Fiammeggiante” mormorò roco Lafhey, lanciando
un’occhiata incuriosita a
Ragnhild, che lo degnò di uno sguardo gelido.
“Pensi che sia nelle condizioni
di mentirti? Inoltre, se ci pensi bene, io non sto letteralmente pugnalando
alle spalle i miei alleati."
Ragnhild lo fissò
burbera, dopo aver udito
quelle parole sibilline, quindi borbottò: "Gli incantesimi
sono letterali,
vero?"
"Sì, giovane Elsa. I
liòsalfar non
amano i modi di dire, perché le parole hanno un peso
specifico unico,
all’interno delle malie... ma non ero tenuto a farlo sapere
anche agli
altri" scrollò a fatica le spalle Lafhey prima di guardare
ansioso
Sthiggar e aggiungere: "Ti prego... decidi in fretta."
Il guerriero sospirò
disgustato, indicò a
Fenrir di lasciarlo andare e infine disse: "Come qualcuno parecchio
più in
alto di noi mi ha fatto notare, il Ragnarök è
ancora ben lontano dallo
scatenarsi e tu sarai comunque partecipe di quella guerra, Lafhey,
indipendentemente
da come si svolgeranno i fatti. Non avrebbe quindi senso farti morire
ora e
scatenare forze che non conosciamo appieno. Dimmi come
riconoscerò i delatori,
e io ti lascerò vivere. La tua vita non mi interessa, al
momento."
Lafhey allora si levò a
sedere non appena
Fenrir scostò la zampa e, nel mostrare il palmo della mano
destra, disse:
"Cerca questa energia, Spada, e troverai chi ha voluto la morte di
Surtr."
Fu Ragnhild a sfiorare il palmo
proteso
dello jotun e, dopo alcuni secondi, se ne scostò con un
brivido, asserendo:
"Ho registrato la frequenza. Non dovrei avere problemi a capire chi si
cela dietro al complotto."
Fenrir, a quel punto,
ringhiò furioso
dinanzi a Lafhey, le zanne snudate e pericolose e quest'ultimo,
strillando
terrorizzato, si levò in piedi e corse via zoppicando con il
chiaro intento di
raggiungere le porte di Bifröst.
"Ci stava mettendo troppo, a
scappare" chiosò Fenrir, scrollando appena le spalle.
Sthiggar e Ragnhild sorrisero
divertiti,
lasciando che il fuggitivo Lafhey si allontanasse. Non era compito loro
annientarlo, né era il tempo giusto per farlo.
Purtroppo per loro, Lafhey aveva un
peso
troppo grande, all’interno del Grande Disegno Cosmico, per
eliminarlo prima del
tempo.
Ora come ora, dovevano pensare a
come
chiudere quella partita una volta per tutte.
Lasciata Ragnhild nelle mani di
Sthiggar,
Hati si unì quindi a Sköll nella ricerca dei
superstiti e il guerriero muspell,
nel tenerla stretta a sé, osservò Fenrir e disse:
“Cerchiamo i traditori e
andiamo a occuparci del re. Fenrir, aiuta i tuoi figli con le ricerche.
La
città dovrebbe essere più o meno sgombra di
nemici, a questo punto."
Il licantropo assentì e,
mentre il gruppo
tornava a dividersi, Sthiggar lanciò un’occhiata a
Naglfar e al suo atterraggio
dinanzi alle porte del palazzo.
Era il momento di rientrare a
palazzo, per
lui, ma stavolta lo avrebbe fatto con tutt’altro spirito.
***
Il ritorno in Svezia era stato
estenuante.
Raggiungere Luleå aveva
richiesto dieci
ore di viaggio quasi ininterrotto ma, ben sapendo quanto i cugini
stessero
rischiando, Mattias aveva preferito non fermarsi se non per pochi
minuti alla
volta.
Il timore che suo padre potesse
reagire
in modo sconsiderato di fronte al tradimento dei nipoti lo aveva
talmente
spaventato da convincere Magnus a dargli retta, spingendo Bjorn a usare
tutte
le sue abilità al volante.
Quando, perciò, giunsero
nella piccola
cittadina marittima, il trio era piuttosto stanco e provato, ma ben
determinato
a evitare che accadesse il peggio.
Dopo aver ricevuto da Mattias
indicazioni su dove recarsi, Bjorn si affrettò a imboccare
le piccole stradine
del centro abitato fino a inchiodare la Land Rover nei pressi
dell'abitazione
indicatagli.
All’esterno
dell’abitazione, il trio
trovò diversi berserkir intenti a chiacchierare tra loro con
apparente
tranquillità. Se una persona qualsiasi fosse passata di
lì per caso, avrebbe
pensato a una festa familiare e nulla più.
Soltanto gli occhi esperti dei
berserkir
all’interno della Land Rover, compresero cosa stesse
realmente accadendo.
Quella era una Guardia Solenne
preposta
al controllo dell’abitazione del loro capoclan e nessuno, se
non coloro che
erano stati invitati a entrare, avrebbe potuto avvicinarsi.
A quella vista, Mattias
sospirò affranto
e, nel notare l’unica coppia di persone in evidente stato di
nervosismo,
mormorò: "Quelli laggiù, nei pressi del gazebo,
sono gli zii. Ho idea che
i miei cugini siano già all'interno, forse in stato di
fermo, e a loro sia
stato vietato di vederli, così come di allontanarsi dalla
città."
A quell’accenno, Mattias
indicò il
berserkr che, con aria in apparenza noncurante, se ne stava a pochi
passi dal
gazebo con le mani in tasca, l’espressione serafica ma lo
sguardo fisso sulle
sue prede.
"Beh, questa condizione
perdurerà
ancora per poco" dichiarò livido Magnus scendendo dall'auto,
subito
seguito da Mattias e Bjorn. Quest’ultimo si mise al fianco
del nipote con fare
protettivo, pur se il giovane berserkr non ne aveva affatto bisogno.
Detenere l'anima di Odino al suo
interno
aveva fatto crescere più del normale il giovane Magnus che,
pur avendo solo quindici
anni, appariva già come un adulto pienamente formato.
Inoltre, proprio grazie al dio,
poteva
contare su una forza senza pari, ancora ineguagliata da nessuno dei
suoi
simili.
Non appena il capannello di persone
dinanzi a casa Thomasson notò la loro presenza, vi furono
diversi cori di
sollievo, alla vista di Mattias ma, prima ancora di poter esprimere in
qualche
modo i personali pensieri in merito, Magnus ringhiò feroce:
"E' dunque a
questo, ciò a cui si sono abbassati i miei fedeli servitori?"
L’istante successivo, il
potere di Odino
riverberò furente dal corpo di Magnus, avvolgendo l'intero
giardino e
schiacciando sotto la sua cappa qualsiasi tipo di replica o movimento.
I berserkir, semplicemente,
rimasero
paralizzati al solo tocco di quell’immane energia primigenia
e unicamente Sonja
e Olaf, gli zii di Mattias, poterono muoversi nonostante la bordata
energetica
emessa da Odino.
Vistisi liberi da qualsiasi genere
di
prigionia, i due si discostarono dal loro aguzzino per correre ad
abbracciare
Mattias, riversando in quell’abbraccio tutta la loro ansia,
unitamente al
sollievo di poterlo rivedere. Turbata, quindi, Sonja mormorò
in lacrime:
"Hanno fatto di tutto per proteggere la vostra fuga... come mai sei
tornato, Mattias?"
"Non preoccuparti, zia. Il mio
comportamento verrà presto spiegato" la rassicurò
lui, tornando ad
abbracciarla per un istante prima di guardare Magnus, che
assentì torvo.
"Andiamo dentro, ora. E' tempo che mio padre ceda il passo."
Magnus lanciò occhiate
ferali ai
presenti, ancora increduli per quanto accaduto e terrorizzati dal
potere devastante
che li aveva resi inermi come moscerini.
Sibilando tra i denti, il giovane
berserkr intimò quindi loro: "Andatevene, se non volete che
mi
arrabbi sul serio, e avvertite gli altri membri del
clan. Wotan è assai scontento di tutti
voi, e richiede un’Ordalia immediata con il capoclan."
Ciò detto, sorrise
benevolo a Mattias e
aggiunse, con tutt’altro genere di tono: "Procediamo pure."
Mattias assentì cupo al
giovane berserkr
così, accompagnato dagli zii, Magnus e Bjorn, si
affrettò a entrare in casa
mentre gli uomini-orso, poco alla volta, si allontanarono dalla
villetta dei
Thomasson con aria sconvolta e tremante.
Non appena il ragazzino
aprì la porta,
trovò ad attenderlo Ludvig, pienamente in armi e con il
volto adombrato dalla berserksgangr.
Apparentemente, gli ordini che gli
erano
stati comminati riguardavano solo e unicamente difendere
l’interno dell’abitato
o, quasi sicuramente, Ludvig si sarebbe precipitato fuori, al solo
avvertire
l’onda di energia lanciata da Magnus.
La berserkgangr
gli aveva però impedito qualsiasi scelta
indipendente, perciò il guerriero
si era limitato ad attendere sull’entrata, pronto a difendere
la casa del suo
capoclan a qualsiasi costo.
La vista di Mattias,
perciò, lo lasciò
interdetto, bloccando qualsiasi suo attacco e, confuso di trovarselo
dinanzi, si
chetò un poco e mormorò subito dopo: "Ah, ecco...
sei stato forse tu
a..."
Il possente guerriero non
terminò mai la
frase; se la vista di Sonja e Olaf lo mise subito sul chi va
là, scoprire la
presenza di due berserkir sconosciuti rinfocolò
immediatamente la berserkgangr.
Magnus, però, gli
impedì di compiere
qualsiasi genere di gesto inconsulto. Levata immediatamente una mano
per
schiacciarlo contro la parete, utilizzando il potere di Odino, disse
poi con
tono minaccioso: "Avverti i tuoi fratelli che si tengano pronti. Il
vostro
signore Wotan desidera parlarvi, e non è per
niente fiero di voi."
Ludvig tentò una debole
protesta, ma
bastò lo sguardo di Magnus per farlo desistere. Annuendo
quindi con fare cupo,
il berserkr ritirò la berserksgangr
e
lo squadrò impotente per qualche istante ancora, prima di
uscire
dall'abitazione non appena Magnus lasciò andare la presa su
di lui.
A quel punto, Magnus
sospirò dolente,
scuotendo il capo con aria combattuta e Bjorn, nel dargli una pacca
sulla
spalla, mormorò: “Sapevi che sarebbe potuto
succedere. Devi accettarne il peso
ora, o ritirarti in buon ordine.”
“Lo so… ma non mi piace”
borbottò contrariato Magnus prima di prendere un gran
respiro, tornare a scrutare Mattias e dire: "Conducimi dove si trova
tuo padre."
Annuendo grave e immaginando senza
difficoltà dove potesse trovarsi, Mattias chiese agli zii di
non seguirli - già
temendo cosa potesse essere successo - dopodiché
guidò Magnus e Bjorn verso una
porta che conduceva al seminterrato.
Lì, dopo aver aperto, si
volse a
scrutare dubbioso il suo ospite e domandò: "Cosa farai?"
"Giustizia. Non ucciderò
nessuno,
Mattias, ma farò quanto devo, anche se mi costerà
non poco. Non amo impormi, ma
la corda che ho lasciato scorrere tra le mani per dare
libertà al mio popolo è
diventata troppo lunga, e l’errore è stato solo
mio. Ora, devo rimediare in
qualche modo e, visto che so come ragionano i berserkir,
dovrò usare le maniere
forti" si limitò a dire Magnus, scendendo le scale assieme a
Bjorn.
Dopo un istante, anche Mattias si
accodò
a loro, non sapendo bene cosa aspettarsi da Magnus.
Lo aveva visto; era combattuto,
all’idea
di usare il suo potere, così come il suo titolo di Portatore
di Wotan.
Ugualmente, sapeva di dover portare giustizia e giudizio,
perché era ormai
chiaro che, almeno per quel che riguardava il loro clan, si era giunti
a un’anarchia
a senso unico che non avrebbe portato a nulla di buono.
Non odiava i suoi genitori, ma
sapeva
bene che avevano commesso molti errori, negli ultimi anni, e aveva il
timore
che ora si fossero macchiati di crimini per cui non vi fosse redenzione
possibile.
D'altro canto non poteva accettare
che,
solo per il fatto che erano i suoi genitori, non fossero degnamente
condannati
per quello che, eventualmente, avevano fatto di sbagliato.
In un modo o nell'altro, avrebbe
sofferto a causa delle decisioni prese da Magnus, ma non poteva evitare
che il
giovane berserkir le prendesse. Era nel suo pieno diritto fin da quando
era
nato come detentore dell’anima di Odino, e questo era ben
noto a ogni clan, a
ogni capobranco.
Solo la sua enorme gentilezza, e il
suo
desiderio di non comportarsi da leader, aveva permesso a ogni branco di
comportarsi come meglio credeva, ma questo aveva portato ad aberrazioni
come
quelle in cui era nata e cresciuta sua sorella.
Era chiaro che, ormai, la pazienza
di
Magnus – e la speranza che il suo popolo capisse da solo come essere migliore –
era giunta al termine. Restava solo
da capire come avrebbe portato
avanti
il suo personale cambiamento all’interno dei clan.
Quando infine raggiunsero il piano
inferiore, Mattias dovette tapparsi le orecchie, sgomento e
terrorizzato,
quando udì i lamenti terribili di Wulff provenire dal fondo
del corridoio.
Ciò che aveva temuto, si
era infine
realizzato, dunque.
Suo padre aveva davvero passato il
segno, compiendo l’unico atto per cui non avrebbe mai potuto
essere perdonato.
Colpire un membro della sua famiglia, e per motivi del tutto insensati.
Accigliandosi immediatamente,
Magnus
indicò a Bjorn di affrettarsi a controllare le
stanze alla sua destra, da
dove provenivano le grida agghiaccianti appena udite.
Assieme a Mattias – e
sperando
concretamente di non ritrovarsi davanti a un cadavere –
Magnus aprì la porta dinanzi
a lui, trovando al suo interno un giovane legato mani e piedi con
pesanti
catene.
Accanto al giovane inerme, armato
di un
gatto a nove code e con occhi che sprizzavano furore a ogni battito di
ciglio,
un berserkr levò lesto il capo a scrutarli sorpreso, non
appena udì il battente
aprirsi.
Quando i suoi occhi animaleschi si
posarono su Mattias, lo sgomento salì alle stelle,
soppiantando la berserksgangr che
lo aveva animato fino
a quel momento.
Ignorando del tutto il torturatore
– che
mai avrebbe creduto essere in grado di compiere un simile scempio
– Mattias gridò
il nome del cugino Adam, dopodiché scansò il
giovane berserkr reo del pestaggio
che, turbato dalla sua prsenza, borbottò contrariato:
“Non dovresti essere qui,
Matt. Queste scene non sono per i tuoi occhi.”
Ciò detto, si rivolse al
nuovo venuto
con un gelido monito ad andarsene ma, quando poggiò lo
sguardo sul viso
trasfigurato dell’alto e giovane berserkr, tremò.
Il suo corpo venne
avvolto dall’aura devastante di Magnus che,
livido d’ira in volto, avanzò di un passo prima di
sibilare gelido: “Il tuo
compito qui è finito.”
Non appena ebbe proferito queste
parole,
l’aura di Magnus divenne devastante, tanto da costringere il
giovane berserkr
in ginocchio, deprivato della possibilità di compiere
qualsiasi gesto.
Ora tremante, il torturatore
lanciò
prima uno sguardo disperato all’indirizzo di Mattias
– che però non rispose
alla sua richiesta di aiuto – quindi si rivolse al nuovo
venuto, esalando: “Chi
sei, tu, per avere il potere di una divinità tra le tue
mani?!”
“Sono il
tuo dio! La vostra guida!
E voi avete offeso la nostra persona, il nostro Credo, comportandovi
peggio
delle bestie di cui detenete la forza!” esclamò a
quel punto Magnus con voce
ormai distorta dall’ira.
Per quanto gli costasse una fatica
terribile, non voleva ancora far emergere Odino dalle sue carni
perché, gli
piacesse o meno, quello era un problema tra
berserkir e non tra divinità. Ma era
così difficile non lasciare a lui il
comando, a lui il fardello di compiere atti a lui così
invisi.
Falciando l’aria con un
braccio, lo
scaraventò a terra con la semplice imposizione del suo
potere devastante
dopodiché, raggiunto Mattias accanto al corpo sanguinante
del giovane che il
ragazzo aveva chiamato Adam, domandò ansioso:
“E’ ancora vivo?”
Mattias assentì in
lacrime, tenendo tra
le braccia il capo del cugino. Presumibilmente svenuto a causa delle
percosse
ricevute – il suo corpo recava i segni inequivocabili delle
violenze a cui era
stato sottoposto – Adam si riscosse a malapena, nell'udire il
lamento di
Mattias.
Attraverso l'unico occhio salvatosi
dal
pestaggio, scrutò quindi il cugino attraverso un velo di
lacrime e gorgogliò
dolente il suo nome.
"P-perché s-sei qui?"
mormorò quindi
sgomento Adam mentre una singola lacrima scivolava sulla sua gota
tumefatta.
Mattias lo abbracciò con
delicatezza
mentre Margnus spezzava una a una le catene con il suo potere divino e,
quando
finalmente Adam fu libero, il cugino lo fece scivolare dolcemente a
terra,
carezzandogli poi il viso con fare contrito.
"Mi dispiace... mi dispiace... mi
dispiace…" piagnucolò Mattias, addolorato,
fissando Adam con la morte nel
cuore.
Come aveva osato,
suo padre, comportarsi in modo così dissennato?!
"Se Raggie è salva, va
bene
così" biascicò Adam prima di lasciarsi andare a
una sospirata perdita di
sensi.
Mattias si preoccupò
immediatamente ma
Bjorn, tornato sui suoi passi per non lasciare solo Magnus,
scrutò arcigno il
berserkr steso a terra e tramortito dal potere del suo signore,
dopodiché si
avvicinò al ferito per controllarlo.
Dopo alcuni istanti di attento e
scrupoloso esame, in cui Mattias lo osservò pieno di
speranza, decretò:
"Starà bene. Ora è solo la stanchezza a parlare."
"Nelle altre stanze?" si
informò subito Magnus, fissando livido il berserkr che aveva
torturato Adam.
"In quella accanto, è
presente un
altro berserkr ed è messo più o meno come
lui…” dichiarò Bjorn indicando Adam.
“… ma, del suo torturatore, non
c’è traccia. Al momento, il ragazzo è
cosciente
e sta aspettando il nostro arrivo. Quanto ai rumori che abbiamo
avvertito
prima, provengono dall’ultima stanza in fondo del corridoio,
ma ho immaginato
che volessi occupartene di persona."
"Hai ragione. Procediamo pure"
assentì Magnus per poi lanciare un lungo sguardo a Mattias.
"Se vuoi
rimanere qui con i tuoi cugini, puoi farlo. Mi occuperò io
del resto."
Lanciata poi un’ultima
occhiata al
torturatore di Adam, afferrò le catene, le avvolse rabbioso
attorno al suo
corpo dopodiché, fondendo gli anelli per creare una chiusura
indissolubile,
ringhiò: “Non farmi pentire di non averti
ucciso.”
Il giovane non disse niente,
immobilizzato dal terrore di fronte ai poteri devastanti di colui che
lo aveva
atterrato con il semplice utilizzo dell’aura, così
a Magnus non restò altro che
uscire.
A quel punto, Mattias scosse il
capo e,
dopo un'ultima carezza ad Adam, si levò in piedi e
dichiarò: "Sono i miei
genitori, perciò cercherò di portarli a
più miti consigli ma, se non si
atterranno alle tue parole, ti lascerò carta bianca."
Magnus assentì grave,
comprendendo senza
alcun problema cosa volesse dire, per lui, dover affrontare
una simile prova.
Magnus sapeva bene che, molti anni
addietro, i suoi stessi zii si erano trovati nella scomoda situazione
di essere
stati ingannati da chi avevano creduto essere un alleato, e questo
aveva
causato la morte di molti di loro.
Credere che Loki fosse Tyr aveva
quasi
portato alla guerra contro i licantropi e, solo grazie al coraggio di
Brianna e
dei suoi lupi, si era evitato il peggio, ma lo scorno di essere stati
ingannati
non era passato sotto silenzio.
Molti di loro avevano accettato
l'errore
soltanto dopo molti anni di contrizione e, quando lui stesso era stato
abbastanza grande da comprendere ciò che era successo, aveva
dedicato la sua
adolescenza alla conoscenza e al sapere, anche grazie a Odino.
Con Fenrir era quindi sceso a
patti,
stringendo un'alleanza più che ferrea, ma ancora non era
bastato per chetare il
suo desiderio di portare pace. Agire solo nell'ombra, con piccoli gesti
e
deboli consigli, non era servito a evitare che interi clan si
isolassero sempre
di più fino a creare piccoli reami del terrore, incuranti
del ritorno del loro
dio.
Si era detto che imporre il proprio
pensiero sarebbe stato troppo, ma neppure fare nulla, era risultato
vantaggioso.
Avrebbe dovuto diventare una guida,
non
soltanto una creatura da idolatrare. Fino a quel momento,
però, si era
accontentato di far conoscere la propria esistenza al mondo dei
berserkir,
pensando che il solo sentire nominare il nome di Wotan, potesse bastare
per
dare il via a una nuova epifania.
Le regole erano invece state
esasperate,
distorcendole fino a cambiarle e lui, ancora, era rimasto in silenzio
per non
apparire un despota, dando quindi l’impressione di approvare
simili
cambiamenti.
Contrariamente ai lupi, che
svolgevano annualmente
delle riunioni tra clan proprio per dirimere dispute, discutere di
nuove regole
o favorire l'apertura a nuove idee, per i berserkir non era mai stato
così.
Da sempre chiusi e ben lungi dal
creare coalizioni,
gli uomini-orso avevano finito, in molti casi, con lo scomparire per la
totale
mancanza di ricombinazione genetica. In altri casi, si erano
addirittura
autodistrutti poiché totalmente idiosincratici nei confronti
di un mondo sempre
più avanzato e alieno ai loro sguardi.
Tutto ciò aveva creato
delle autentiche isole
indipendenti tra loro che sì, avevano accettato di buon
grado l'avvento della
loro divinità sovrana, ma non lo avevano visto come un segno
di cambiamento.
Tutt'altro.
Era giunto il momento, per Magnus,
di chiarire le cose
una volta per tutte e impedire che i guerrieri che, in tempi immemori,
avevano
servito fedelmente Wotan, sprofondassero nell'autodistruzione.
Aperta quindi l'ultima porta del
lungo corridoio dove
si trovavano quelle celle di detenzione di stampo medievale, Magnus
fissò
inorridito un uomo affondare un ferro arroventato nella spalla del
giovane
legato dinanzi a sé.
Quel che più lo
sgomentò, però, fu trovare una donna
in sedia a rotelle che, gelida in volto, osservava l'intera scena senza
colpo
ferire, come se desiderasse ella stessa colpire e dilaniare, ma che per
ovvi
motivi non ne fosse in grado.
Il loro arrivo a sorpresa non solo
stupì i presenti,
ma interruppe temporaneamente anche la tortura.
Guardandosi in fretta attorno,
Magnus comprese subito
perché la coppia di carcerieri non si fosse accorta
dell'onda di energia che
aveva riversato sulla casa e, poco dopo, sul carceriere di Adam.
Accigliandosi, il giovane berserkr
borbottò:
"Piombare tutte le stanze per impedire interventi magici dall'esterno,
mi
sembra un sistema davvero paranoico di agire. Torturare un vostro
consanguineo,
poi, ha dell'inaccettabile e viola qualsiasi regola fin qui esistita
nei
branchi."
Elias lanciò un'occhiata
sconcertata ai nuovi arrivati
prima di notare la presenza del figlio. Fu però Ingrid a
muoversi per
raggiungerlo.
Mattias si affrettò a
scostarsi, nascondendosi alle
spalle dell'imponente figura di Bjorn quindi, scuotendo il capo,
mormorò roco:
"No, mamma. E' inutile che ti avvicini. Ora che non c'è
più Ragnhild, non
devo fingere di non sapere chi siete veramente."
La donna si bloccò a
metà di una spinta, accigliandosi
e, con movimenti secchi e sgarbati dell’unica mano scampata
all’ictus, replicò
all'accusa del figlio, fissandolo malamente.
Mattias, ancora, sospirò
affranto e asserì: "E'
inutile che cerchi di mascherare l'ovvio. Raggie non ha mai avuto colpe
di
nulla, ma ora è dove deve stare, tra persone che sapranno
capirla meglio di
quanto non abbiate mai fatto voi."
Al suo dire, Elias si
oscurò in viso, replicando
piccato: "Ragnhild avrebbe dovuto seguire le mie
regole, non scappare come una codarda e rapire te. Ma, visto
che sei tornato a casa, posso anche smettere di interrogare i tuoi
cugini."
Ciò detto,
gettò il ferro arroventato in un vicino
secchio ricolmo d'acqua che, a contatto con il metallo livido,
sfrigolò con
violenza, gettando fuori dal bordo una lieve nuvola di droplet
e vapor acqueo.
"Devo ringraziarvi per aver salvato
mio figlio ma,
come gestisco le cose nel mio clan, non vi compete" aggiunse a quel
punto
Elias, barricandosi dietro una gelida cortesia.
Bjorn rise sprezzante di fronte al
suo dire e Magnus,
nello scuotere il capo, asserì contrariato: "E' chiaro come
il sole quanto
io mi sia fidato troppo delle tribù dei berserkir. Davo per
scontato che,
essendo venuti a sapere della rinascita di Wotan, avreste visto in
questo
evento uno sprone a cambiare, a migliorarvi, ma avete percorso la via
inversa.
Questo scempio è... è
inaccettabile!"
L'aura di Magnus
sfrigolò quindi con violenza e
Mattias, turbato, aggiunse: "Papà, mamma... lui Magnus
Rønningen,
detentore dell'anima di Wotan, e ha aiutato Ragnhild a far emergere il
suo
lascito divino."
Pur se sorpreso da quella notizia,
Elias replicò
confuso: "Ragnhild non è affatto come
te! Cosa vai
dicendo, ragazzo?!"
"No, non è come il
vostro giovane e dolce
figliolo" intervenne furibondo Magnus. "E' una creatura unica,
di cui non esistono eguali in
nessuno dei Nove Regni. Lei è l'Elsa della Spada
Fiammeggiante di Surtr, e
l'uomo che avete scacciato da qui in malo modo, credendolo solo un
estraneo
senza valore, è la Lama, l'arma che il re muspell
sguainerà alla fine di ogni
mondo e di ogni tempo."
I coniugi rimasero
comprensibilmente storditi nell’apprendere
quella verità, ma Mattias non lasciò loro il
tempo di riprendersi perché
rincarò la dose, esclamando: "Prima di tutto,
però, prima di qualsiasi
titolo altisonante, Ragnhild era pur sempre vostra figlia! E voi non
l'avete considerata
tale neppure una volta nel corso della sua vita! Era solo uno strumento
per
mantenere la supremazia sul branco! Mai una sola volta le avete parlato
con
affetto!"
Scoppiando quindi a piangere,
Mattias si addossò al
protettivo Bjorn e, assieme a lui, si accostò a Wulff, per
sincerarsi delle sue
condizioni.
Pieno di rabbia cieca, mentre le
mani si muovevano
insicure sulle catene che ancora tenevano prigioniero il cugino,
Mattias infine
aggiunse: "Ho sempre cercato di farvi capire che avere Urd dentro di me
non costituiva una scusa per fare delle differenze tra noi, ma voi non
mi avete
mai ascoltato così, adesso, vostra figlia non
tornerà mai più, né io
rimarrò
oltre in questi luoghi, quando mi sarà concesso di
andarmene, e sarà solo colpa vostra!"
Elias si adombrò in
volto, di fronte a quelle parole
così cariche d’ira e di rimpianto, ma su Ingrid
ebbero un effetto ancor più
dirompente.
La donna sospinse la sedia a
rotelle verso il figlio
con rabbia malcelata nello sguardo, lo afferrò a un polso
per strattonarlo con
violenza e allontanarlo da Wulff. Ciò fatto,
tracciò dei segni veloci e
ferocemente ruvidi con l’unica mano sana, mettendo in quei
gesti tutta la sua
frustrazione e il suo rifiuto di accettare una simile condanna.
Il ragazzino, però, la
fissò pieno di rammarico e
distacco assieme e, nel guardare con occhi spenti la donna che lo aveva
messo
al mondo, mormorò: "E' inutile che ti arrabbi. Non avete
allevato Ragnhild
perché diventasse forte. L'avete deprivata di qualsiasi
affetto, addestrandola
fin da piccolissima perché divenisse la migliore tra le
donne berserkir solo per poterla
vendere meglio al più
forte del branco. Quando, però, sono nato io,
l’avete deprivata di una qualsiasi
guida, di quell’ultimo straccio di interesse che provavate
per lei, e solo
perché eravate troppo concentrati su di me, così
lei è diventata forte da
sola. Quando più aveva bisogno di voi,
quando è iniziato il suo
addestramento ufficiale e si è dovuta allontanare da
Luleå per dimostrare
quanto fosse superiore alle altre, voi non avete avuto occhi che per
me. Le
avete fatto affrontare prove durissime senza
alcun aiuto!"
"Se lei è ciò
che dite, lo deve a noi"
sottolineò cocciuto Elias.
"Non vi prenderete meriti che
spettano solo a
lei" intervenne a quel punto Magnus, lanciando un'occhiata spiacente al
giovane amico che, sospirando, annuì. "In base
all’antica legge, io ti
sfido a singolar tenzone per detenere il potere di questo branco e,
prima che
tu dica qualcosa, non userò i doni che mi sono stati dati
dalla mia illustre
anima. Saremo solo io e te, come le regole berserkir prevedono."
Elias fece tanto d’occhi
di fronte a quell’aperta
sfida e, con tono fermo ma rabbioso, replicò: “Con
tutto il rispetto, ma tu non
hai l’autorità di presentarti qui e pretendere di
darmi degli ordini, anche
se…”
"Non ne avrei
l'autorità?! Da chi
pensi arrivi, il vostro potere? Da chi pensi nasca, la berserksgangr di cui andate tanto fieri? DA
ODINO! Lui ci donò quel potere
perché fossimo i più grandi guerrieri
mai visti su Midghardr, non perché diventassimo dei bulli
invasati e pieni di
autocompiacimento!" sbraitò Magnus, facendosi nero in viso.
Cercando di contenersi per non far
crollare sulle loro
teste l'intera costruzione, il giovane berserkr prese un gran respiro
e, con
tono più quieto - ma non meno lapidario -,
dichiarò: “Parlerai con Lui,
così ti saranno più chiari i nostri
intenti. Ma la sfida non svanirà per magia. E’
stata lanciata, e si svolgerà.”
Ciò detto, Magnus
permise a Odino di emergere in un
bagliore dorato e fu così che, dinanzi agli occhi sgomenti
dei coniugi
Thomasson, il dio monocolo fece la sua comparsa.
Pur se accigliato e irritato, la
divinità si astenne
dal fare commenti aspri in merito al comportamento dei due berserkir,
limitandosi a dire: "Peccai di vanità, in epoche immemori, e
uccisi un
innocente per il gusto di poterlo fare.
Questo diede inizio al
Ragnarök, e di questa colpa io porterò per sempre
il peso. Voi siete pronti a
fare lo stesso, con le vostre colpe, o ancora pensate di essere
superiori a
qualsiasi errore?"
Elias strinse i denti, piccato
all'idea di essere
stato ripreso a quel modo, ma disse ugualmente: "La mia famiglia
detiene
il potere da almeno venti generazioni, su questo clan. Per quanto io
possa
rispettare la vostra autorità, non posso accettare che voi
permettiate al
vostro involucro di sfidarmi a duello."
"Parlare di involucro
mi sembra quanto meno riduttivo, per non dire insultante,
specialmente
parlando di Magnus che, se fosse stato per me, vi avrebbe
già strappato la
testa dal collo, per ciò che avete fatto ai vostri
nipoti” sottolineò aspro il
dio. “A quanto vedo, è tempo di cambiamenti se non
siete in grado di capire che
la carica di capoclan non è solo un onore, ma
è soprattutto un
onere. Avete perso di vista il vero ruolo di un capobranco, e questo vi
ha
portati a credere di poter disporre della vita e della morte dei vostri
sottoposti come meglio credete. Questo va contro a tutto ciò
che io vi ho
insegnato, e non lo accetterò un attimo di più."
Lanciata quindi un'occhiata a
Wulff, che era sostenuto
da Mattias e controllato a livello medico da Bjorn, aggiunse: "Non
meriti
di possedere la berserksgangr, perché
hai abusato di essa
così come del tuo sangue."
Elias fece tanto d'occhi, a quelle
parole e,
infuriandosi, strinse i pugni e protestò vibratamente,
esclamando: "Voi
non avete la minima idea di quale cruccio sia stato, per noi, allevare
quell'ingrata di Ragnhild. Non era mai disposta a seguire le regole, e
ha
istigato il nostro figliolo contro di noi! Solo così posso
spiegarmi il
tradimento del nostro Mattias!"
Odino, allora, sorrise malevolo,
avanzò di un passo e
borbottò minaccioso: "Pensi davvero che potrei farmi
ingannare da un
ragazzino di dodici anni? O dai begli occhioni di una giovane? Io, che
ho
bevuto alla fonte di Mimir, ottenendo la Saggezza più
profonda?"
"Non... non intendevo dire che..."
tentennò
Elias, finalmente rendendosi conto dell'errore appena commesso.
Ingrid tentò di mettersi
in mezzo, di protestare a sua
volta contro quella decisione, ma Odino la squadrò con
sufficienza, asserendo:
"Ancora non hai compreso il perché della punizione che ti fu
comminata?"
La donna sbarrò gli
occhi, sgomenta, e Mattias assentì
grave, mormorando con la voce di Urd: "Non fu né colpa dello
scoppio d'ira
che avesti con Ragnhild, né delle tue sigarette. Mia sorella
Verdandi agì in
nome di Yggdrasil e ti punì per ciò che stavi
facendo alla sua Elsa. Più di
tutto, ti colpì perché avevi tradito ogni regola
del ruolo di madre, con tua
figlia, e questo era divenuto inaccettabile.”
Ancora, Ingrid gesticolò
indignata, ma Mattias non le
diede soddisfazione, lasciando che a parlare fosse ancora Urd.
“Non si trattò
mai di capire chi fosse Ragnhild.
Si trattò sempre e solo di amarla come
una madre avrebbe dovuto fare con la propria figlia. Deprivarla di ogni
affetto, di ogni libertà, l’ha resa sì
più forte, ma anche più sola, e solo
l’amore
di Mattias e adesso, di Sthiggar, le hanno impedito di
crollare.”
A quel punto, Odino aggiunse
lapidario: “Se l’Elsa si
fosse spezzata, si sarebbe creata una frattura nel continuum
spazio-tempo, tale da produrre un collasso sistemico in
tutto l’Universo. Questo
avete
rischiato di produrre. Spero ne siate fieri.”
Per la prima volta in tutta la sua
vita, Ingrid non
ebbe nulla da dire. Nulla da replicare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** Capitolo 25 ***
Cap. 25
“Non
è possibile… non
è possibile…”
ringhiò esterrefatto Mikell, osservando disgustato la veloce
quanto inesorabile
ritirata delle armate jotun rimaste.
Come
se avessero ricevuto un ordine a lui sconosciuto, o un segnale di cui
non si
era avveduto, gli uomini di ghiaccio smisero di combattere quasi
all’unisono e,
come un sol uomo, iniziarono a riversarsi verso le porte di
Bifröst a grandi
ondate.
Questo
comportò nuovi
attacchi da parte di
Naglfar che, guidata sulle orde nemiche in ritirata dal piazzale e
dalle mura
del palazzo, riversò sul nemico autentici marosi di polvere
velenosa.
Non
potendo più contare su di loro, Mikell non poté
che rintanarsi nel suo studiolo
all’interno dell’abitazione ove risiedeva a
Hindarall, in cui si era nascosto
dopo l’inizio dell’assedio.
Assieme
al liòsalfar che Lafhey gli aveva affiancato
perché lo proteggesse, tentò quindi
di mettersi in contatto con il sovrano jotun, ma ogni tentativo fu vano.
A
nulla valsero le capacità magiche dell’elfo oscuro
e, quando quest’ultimo si
dichiarò infine sconfitto, Mikell iniziò a
imprecare, lanciandosi verso le
finestre dello studio per controllare la situazione a Hindarall.
Le
orde dokkalfar sembravano essere state sbaragliate dai figli di Loki,
incomprensibilmente
presenti su Muspellheimr e affiancati dall’unica arma che
mai, nella sua
esistenza, Mikell avrebbe pensato di vedere.
Le
parole di Trhydann erano state non solo imprecise, ma assolutamente
sottostimate
e lui, da autentico sciocco, si era lasciato accecare dalla
possibilità di
vendicarsi del cognato, dando credito a un ragazzino petulante e al suo
altisonante nome.
A
cagione di questo errore, aveva fatto confinare su Midghardr non
soltanto un
muspell in grado di detenere il potere della Fiamma Viva.
No,
tutt’altro.
Quel
giovane che gli era stato descritto unicamente come il nipote di
Sól e
l’indegno possessore di un potere più unico che
raro, era risultato essere,
invece, la potente e invincibile Spada Fiammeggiante. L’arma
ultima che Surtr
avrebbe utilizzato durante il Ragnarök, e lui aveva
contribuito a risvegliarla,
ordendo quel piano per vendicarsi del sovrano.
Crollando
ginocchia a terra, Mikell si passò le mani sul volto terreo,
le sue membra iniziarono
a tremare per la paura di ciò che avrebbe potuto accadere a
causa di quel
risveglio e, nello scrutare il liòsalfar, esalò
terrorizzato: “Nascondici.
Nascondici a lui.”
L’elfo
oscuro, avvicinandosi a sua volta alle finestre per osservare la
disfatta del
loro esercito congiunto, aggrottò la fronte e
replicò rassegnato: “La Spada
Fiammeggiante può vedere ovunque,
nobile muspell, e vedrà anche noi, se saprà cosa
cercare.”
Sbattendo
le palpebre con aria confusa, Mikell lo scrutò in cerca di
spiegazioni prima di
sobbalzare, piegare il capo verso la mano con cui aveva suggellato il
patto con
Lafhey e, inorridito, esalare: “Il
patto parlava di non… attaccare
alle
spalle.”
“Sì,
nobile muspell. E la magia lascia sempre una traccia, su coloro che
accettano di
sottostare a essa” gli rammentò l’elfo
oscuro, scrutando con occhi serafici il
veloce diradarsi delle orde jotun lungo tutta la linea del golfo, su
cui si
affacciava una Hindarall in fiamme. “Siete marchiato al pari
di re Lafhey, così
come di tutti coloro che hanno sottoscritto il patto di alleanza contro
re
Surtr.”
Ciò
detto, srotolò del sottile filo setoso color della notte e,
con un complesso
movimento di mani e braccia, avvolse un attonito Mikell prima di
aggiungere:
“Voi avete tradito il vostro sovrano e ora io, Kylass
Thorndayn, vi consegnerò
a lui per avere salva la vita.”
“Non
puoi!” sbraitò a quel punto Mikell, tentando
invano di muoversi.
Il
laccio sottile si strinse sempre più a ogni suo movimento e,
quando finalmente
il nobile muspell si rese conto di essere in trappola, sputò
a terra tutto il
suo livore prima di ringhiare: “Ti farò
condannare. Dirò ogni cosa a mio
cognato e così perderai la testa al pari mio. Non ti
salverai, maledetto!”
L’elfo
oscuro, del tutto insensibile alle sue minacce, sogghignò
nel replicare: “Invece,
otterrò la libertà grazie ai
nomi dei
cospiratori che confiderò. Non tutti hanno siglato il patto,
poiché in molti hanno
partecipato alla congiura senza per questo stringere accordi con
Lafhey. Tutti
voi… eravate così sicuri di vincere da non aver
badato a coprirvi le spalle, così
certi che il re jotun sarebbe riuscito a ingabbiare la Fiamma Viva per
uccidere
il re muspell!”
Mikell
lo fissò a occhi sgranati, un leggero filo di bava a
scorrere lungo le labbra
livide, ma l’elfo oscuro non si lasciò ingannare
dalla sua aria sconfitta. Un
muspell poteva attaccare in qualsiasi momento, anche quando lo si
pensava
sconfitto.
Scoppiando
in un’aspra risata piena di soddisfazione, Kylass aggiunse un
istante dopo: “La
rabbia derivante dalla perdita di vostro figlio vi ha reso cieco e
sordo alla
cautela, nobile muspell, così vi siete fidato di un uomo
che, da sempre, vi è
nemico soltanto perché vi ha offerto ciò che
più volevate, ma non vi siete mai
fermato a chiedervi perché ve
l’avesse offerto.”
Mikell
si scosse ancora, e ancora il laccio che era gleipnir
si strinse attorno a lui, quasi strappandogli ogni stilla
di fiato dai polmoni. Fissando quindi arcigno l’elfo oscuro,
sibilò: “Credi
davvero che non avessi pensato alle mire di Lafhey? Pensi che non
sapessi che
voleva per sé il potere della Fiamma Viva per farne
ciò che voleva? Per
ottenere financo il trono di Muspellheimr?”
“Avete
ancora una visione troppo semplicistica dell’intera commedia
che è andata in
atto, nobile muspell” replicò a sorpresa il
liòsalfar, sorprendendolo. “Re Lafhey
non se ne farebbe nulla di una Fiamma
Viva, quando può contare sul potere del ghiaccio e delle
nebbie, che gli viene
dalla sua alleanza con Nifhleimr. Due pianeti contro uno, nobile
muspell. Una
semplice Fiamma Viva non avrebbe contato nulla, nelle sue
schiere…” ghignò
l’elfo oscuro, piegandosi su di lui fin quasi a sbavare il
proprio odio sul suo
volto aggrottato. “… ma, se avesse avuto tra le
mani la Chiave per la Spada
Fiammeggiante, cos’avrebbe potuto fare?”
Mikell
si bloccò di fronte a quella notizia e, sgomento,
esalò: “Snorri! Lui voleva…
Snorri!”
Annuendo
nel notare la sua espressione esterrefatta, Kylass asserì:
“Nessuno di noi
immaginava che la Chiave altro non fosse che il
padre della Spada Fiammeggiante, e non un oggetto inanimato
contenuto nel Tempio Maggiore di Sól, dove Snorri
è Sommo Sacerdote, e questo
ci ha condotti in errore. Un errore che, però, non
cadrà sulla testa di re
Lafhey, a quanto pare, ma solo sulla vostra.”
“Tuuu…
maledetto! Tu sapevi ogni
cosa!”
sbottò Mikell, riprendendo a dimenarsi e urlare come un
ossesso, causandosi
così un tale schiacciamento polmonare da rischiare la
sincope.
Kylass,
a quel punto, interruppe i suoi movimenti lanciando un semplice
incantesimo costrittivo
quindi, con un ultimo sogghigno, disse: “Certo che sapevo
ogni cosa…
altrimenti, re Lafhey non mi avrebbe mai messo al vostro
fianco.”
“Che…
che intendi dire? Perché
Lafhey ti
voleva con me? Dimmelo. DIMMELO!”
sbraitò allora Mickell.
L’elfo
oscuro sbuffò contrariato, passò una mano sul
volto di Mickell per indurre su
di lui il sonno dopodiché, dopo averlo visto crollare a
terra, aggiunse con un
sogghigno: “E’ semplice, mio sciocco amico.
Così da far ricadere su di voi ogni
colpa, qualora il piano fosse fallito.”
***
“Qualcosa
non quadra… perché gli jotun stanno fuggendo in
massa dal palazzo?” domandò
Hildur, osservando le orde degli uomini-ghiaccio mentre venivano
colpite dal
veleno che Naglfar stava scaricando su di loro.
Anche
Ilya parve confusa da quello strano risvolto della situazione ma Thrym,
sbrigativo, esclamò: “A quanto pare, re Lafhey
deve essersi cacato sotto dalla
paura, dopo aver visto Sthiggar e Ragnhild combattere come Spada
Fiammeggiante!
E’ sparito da Hindarall già da qualche minuto e,
come minimo, se l’è data a
gambe levate da bravo ghiacciolino imparito quale
è!”
Nell’osservare
la città, ora stranamente calma nonostante gli incendi che
ancora la
devastavano, Hildur assentì torva e la regina,
nell’indicare dabbasso i tre
licantropi che stavano setacciando meticolosamente tra le macerie,
disse:
“Anche i figli di Loki hanno smesso di combattere.
Evidentemente, l’ultimo
colpo di genio di Sthiggar e della sua giovane compagna, ha dato i suoi
frutti.”
“Qualsiasi
cosa sia successa, non scenderemo da qui finché non saremo
sicuri che il
castello è in sicurezza” brontolò
Hildur mentre, sotto di loro, le figure di
Sthiggar e Ragnhild raggiungevano di corsa il piazzale del palazzo.
Nel
notare i gesti del cugino, Hildur fece comunque abbassare la nave quel
che
bastò per poter udire le sue parole.
Levando
un braccio per farle cenno di bloccare la discesa, a sua volta incerto
sul far
discendere coloro che Naglfar stava trasportando come prezioso carico,
Sthiggar
gridò: “I dokkalfar sono stati sgominati! Quanto
agli jotun, hanno dichiarato
la resa! Lafhey si sta ritirando!”
“Cosa
vuoi che facciamo?” gli urlò in risposta Hildur.
“Mantieni
al sicuro mio padre e la regina, finché non ci saremo
sincerati che non ci sia veramente
più nessuno di pericoloso a
palazzo. Solo dopo, potrai scendere.”
“Fai
attenzione” si raccomandò la cugina, riportando
quindi la nave a un’altezza
accettabile e più sicura.
Sthiggar
assentì rapido dopodiché, annuendo
all’indirizzo di Ragnhild, disse:
“Entriamo.”
Lei
annuì debolmente, riprendendo la corsa verso il palazzo
tenendolo saldamente
per mano. I suoi piedi non erano del tutto saldi, e la presenza di
Sthiggar era
quanto mai necessaria, così da impedirle di inciampare
clamorosamente e finire
riversa sul pavimento.
L’uso
smodato dei suoi nuovi poteri l’aveva prosciugata come il
sole avrebbe fatto su
una distesa di neve estiva, e ora si stentiva davvero al limite delle
forze, ma
il loro compito non era finito.
Avrebbe
dovuto resistere ancora un po’, prima di chiedere un letto,
un cuscino, e
dormire per un mese intero.
“Sbaglio,
o le maniglie del portone sono in oro?” domandò a
un certo punto Ragnhild,
avendo notato quel particolare non da poco in ogni battente fin
lì superato in
tutta fretta.
“Non
ti sbagli. E non sarà l’unica cosa luccicante che
vedrai, qui dentro” le
sorrise lui, accentuando la stretta sulla sua mano.
Levando
un sopracciglio con interesse, Ragnhild strinse maggiormente nella mano
destra sulla
sua spada ricurva quindi, indirizzando occhiate sorprese alle prime
meraviglie
che le si pararono innanzi, chiosò: “Beh, questo
palazzo fa un baffo all’Ermitage, poco
ma sicuro.”
Lui
rise, assentì divertito nel darle ragione
dopodiché la indirizzò verso una
piccola scala di servizio, asserendo: “La presenza
più massiccia di persone
proviene dai piani superiori. Utilizzando queste scale, raggiungeremo
prima i
luoghi che ci interessano.”
“Non
rischieremo un agguato, in un luogo così stretto e
angusto?” replicò lei,
accigliandosi un poco quando vide l’onnipresente
bioluminescenza ardere sulle
pareti del cunicolo ascendente che avevano appena imboccato.
“Ricorda
chi sei ora. Puoi avvertire chi si trova tutt’attorno a te.
Inoltre, avendo
dentro di te le onde di risonanza della traccia che ci ha dato Lafhey,
sapremo
se ci sono dei delatori nelle vicinanze” le spiegò
Sthiggar, salendo a due a
due i gradini.
Iniziando
ad avere il fiato corto, Ragnhild rallentò un poco, e
così Sthiggar, ma riuscì comunque
a dire: “Tutto verissimo, Sthigg… ma non hai
pensato che qualcuno dei nostri
nemici potrebbe non avere quella
traccia?”
Il
muspell si bloccò a metà di un passo, quasi
costringendo Ragnhild a urtarlo dopodiché,
fissandola sgomento, esalò: “Merda…
è vero. Dubito che Lafhey abbia stretto
mani a ogni singolo traditore.”
“Appunto.
Perciò, forse, dovremmo
agire con un
tantino più di prudenza, non ti pare?”
ammiccò lei, ironica.
Lui
storse appena la bocca, annuì suo malgrado e
borbottò: “Questa faccenda della
Spada Fiammeggiante mi sta un po’ sfuggendo di mano. Hai
ragione. Ora che siamo
in questa forma, siamo vulnerabili al pari di qualsiasi altro muspell,
e
dobbiamo prestare molta più attenzione a ciò che
facciamo. Oddio, non che prima
non dovessimo, però… insomma, è meglio
procedere meno speditamente, forse.”
“Bene…
sapevo che saresti giunto a più miti consigli”
motteggiò lei, utilizzando
comunque la tecnica suggeritale da Sthiggar per comprendere se vi fosse
qualcuno nelle vicinanze.
Grazie
al potere dei muspell – pur se lei lo era divenuta da poche
ore – si poteva
esser quasi certi della presenza di una creatura vivente fino a un
raggio di
una decina di metri, se l’aura era attiva. Avendo
già sfruttato in precedenza
quell’abilità, estese quindi il proprio potere di
Elsa per comprendere se vi
fosse qualcuno nei paraggi.
Il
fiato le venne a mancare in pochissimi secondi, però, segno
che ormai la sua
forza era agli sgoccioli ma, nonostante tutto, proseguì
nell’esame al pari di
Sthiggar.
Sthiggar
che, nonostante le scale strette e la situazione non certo allettante,
la
costrinse a salire sulle sue spalle perché non dovesse
affaticarsi
ulteriormente, quindi procedette nel proseguire la loro ascesa.
L’utilizzo
della sua aura per mappare il castello, però,
mandò nella confusione più totale
la mente di Ragnhild e Sthiggar, nell’avvedersi della sua
indecisione, mormorò
bonario: “Utilizzando il dono a questo modo, ascolterai ogni singola creatura di Muspellheimr,
vicina e lontana, perché
stai utilizzando il potere di Yggdrasil e non la
tua aura, mentre bisogna fare un po’ di cernita, per avere le
idee più chiare.”
“E’
per questo che il raggio d’azione diminuisce?”
domandò allora lei, leggermente
sorpresa.
Annuendo,
Sthiggar avanzò più lentamente assieme a lei
lungo le scale e aggiunse: “Esatto.
Convogliare l’energia in un un’unica direzione la
rende più precisa, ma il suo
arco d’azione cala drasticamente. Un po’ come
abbiamo fatto prima con i
dokkalfar.”
“Vuoi
dire che si sarebbero disintegrati, se l’energia fosse stata
la stessa che, per
esempio, abbiamo usato contro Lafhey?”
“Esatto.
Così, invece, sono soltanto
andati in
pezzi” assentì lui prima di azzittirsi e
aggrottare la fronte, in ascolto.
L’istante
seguente, Sthiggar si aprì in un sorriso più
tranquillo e, nel dirigersi verso
una porticina seminascosta dietro un mobile, mormorò:
“Possiamo uscire anche
qui. Ci sono i nostri.”
“Ne
sei sicuro?” borbottò Ragnhild, dando comunque una
spinta al battente per
aprire e lasciarli quindi uscire dal cunicolo.
“A
loro affiderei la mia vita, così come l’ho
affidata a te” assentì lui, lasciandola
scendere nel momento stesso in cui si ritrovarono in un ampio corridoio
adornato da stupendi tappeti e drappi di seta rossa a circondare
stupendi
arazzi di chiara medievale.
Medievale
terrestre.
Pur
se sconcertata da quella vista – che re Surtr fosse un
appassionato
collezionista di arte terrestre? – Ragnhild tornò
a concentrarsi su coloro che
stavano avvicinandosi a grandi passi, armati fino ai denti e ricoperti
di
sangue in gran quantità.
Lei
sperò non fosse il loro.
Le
Fiamme Purpuree che si avvicinarono di tutta fretta non impiegarono
molto a
riconoscere Sthiggar e, nel vederlo, l’intera compagnia si
aprì un corale
sorriso di bentornato.
Primo
tra tutti, Rahdd Khan si avvicinò con la mano levata e,
stringendo quella del
vecchio amico, esalò: “Ehi, Sthigg! Che ci fai
qui? Il re è riuscito a darti la
grazia mentre noi venivamo attaccati dai ghiaccioli?”
Sthiggar
strinse con gioia la mano dell’amico mentre anche Fyodr, un
altro dei
commilitoni a lui più cari, si avvicinava per conoscere la
situazione.
“E’
andata un po’ diversamente, ma avremo tempo di
spiegarvi” dichiarò Sthigg prima
di far avanzare Ragnhild, visibilmente dubbiosa, e aggiungere:
“Vorrei
presentarvi Ragnhild. Lei è…
beh…”
Mordendosi
dubbiosa il labbro inferiore, la giovane squadrò per un
momento Sthiggar prima
di allungare a sua volta la mano e domandare: “La sua
ragazza? Lo dite anche
qui?”
Sia
Rhadd che Fyodr la fissarono al colmo della confusione, al pari delle
altre
Fiamme Purpuree presenti nel corridoio. Quando però i
secondi si protrassero
silenziosi e imbarazzati, fu il più anziano tra tutti loro a
sbloccare quella
situazione di stallo.
Battendo
una mano sulla spalla di Rhadd per sbriciolare la sua aria raggelata e
confusa,
Nyath Ranaldsson squadrò per un istante Ragnhild prima di
osservare Sthiggar e chiedergli:
“Puoi spiegarci perché gli jotun se la sono data a
gambe giusto qualche minuto
fa? E perché tu sei rientrato da Midghardr con una fidanzata
fresca di connio?”
“Vi
spiegherò ogni cosa mentre raggiungiamo il re. Sapete dove
si trova? Con tutte
le reti di protezione che ci sono a palazzo, ho i sensi un
po’ confusi” disse
sbrigativo Sthiggar, ammiccando poi a Ragnhild, che scrollò
le spalle con
divertimento.
Annuendo,
Nyad indicò il corridoio con un cenno del capo
dopodiché, assieme all’intera
compagnia, si avviò verso le scale che conducevano ai piani
superiori, subito
seguito da Sthiggar e Ragnhild. “Vi accompagnamo noi, non
temere.”
Solo
a quel punto sogghignò all’indirizzo
dell’amico e celiò: “Allora? Non ci dici
proprio nulla? Era una prigioniera come te?”
“Vacci
piano con gli insulti” brontolò per contro
Ragnhild, tenendosi allacciata alla
maglia di Sthiggar mentre risalivano in fretta le scale.
“Sono… beh, ero
una libera cittadina midghardiana,
fino a prova contraria, e una figlia dei berserkir, se sai cosa
sono.”
Lo
sconcerto di Nyad crebbe di pari misura a quello del resto dei
commilitoni ma
Sthiggar, nel levare una mano, disse perentorio: “Dopo. Ne
parleremo dopo. Ora, devo conferire
con il re.”
“Solo
tu potevi incasinarti tanto la vita, finendo in una galera midghardiana
e
portandoti a casa questo schianto di ragazza”
celiò Nyad, scoppiando in una
grassa risata mentre Ragnhild sospirava con aria accigliata.
Sthiggar
preferì non commentare. Le battute tra commilitoni erano
spesso goliardiche e sboccate,
ma sapeva bene che Ragnhild aveva la pelle dura e non si sarebbe
lasciata
intimidire dalla curiosità dei suoi amici.
Avrebbe
avuto tutto il tempo in seguito per redarguirli.
Ora,
dovevano pensare alla missione.
Lasciando
per un secondo momento anche il dolore e la rabbia che crebbero in lui,
alla
vista dei corpi inermi che la battaglia aveva lasciato sul campo,
Sthiggar pensò
unicamente a ciò che doveva dire a Surtr, e a come
dirlo.
I
traditori andavano trovati al più presto ma, come aveva
fatto giustamente
notare Ragnhild, avrebbero dovuto anche escogitare un modo per scoprire
chi
altri si fosse celato dietro le macchinazioni che li avevano portati a
questo.
Quando,
perciò, raggiunsero il salone delle feste dove ancora si
trovavano il re e le
sue Fiamme Nere, Sthiggar, pur se lieto di vedere in vita il suo
sovrano, si
avvicinò torvo alla figura di Surtr e, dopo un inchino
formale, dichiarò: “Ho
notizie dei delatori, mio sire.”
Sia
tra le Fiamme Nere che sul volto di Yothan comparvero espressioni
esterrefatte,
così come commenti tra i più disparati e sgomenti
si elevarono nell’aria satura
dell’odore acre del sangue, di fronte alla ricomparsa a
sorpresa di Sthiggar.
Tutti
sapevano del suo esilio su Midghardr, perciò la sua presenza
a palazzo era
quanto mai fuori luogo ma, di fronte alla sua sicurezza e, soprattutto,
alle
sue parole, nessuno riuscì ad aprire bocca.
Surtr,
per contro, non diede a vedere di essere meravigliato –
dopotutto, aveva un
buon nome da difendere – perciò, mentre batteva
una mano sulla spalla del
giovane, ghignò e disse: “A quanto pare, neppure i
divieti ti tengono lontano
da questo palazzo, ragazzo. Come diavolo hai fatto a tornare?”
“Ve
lo spiegherò più tardi…”
mormorò lui prima di lanciare un sorriso sollevato
all’indirizzo
di Yothan che, pur se ferito a un braccio, appariva in buono stato.
“… ma
adesso dobbiamo approntare un sistema di vigilanza per bloccare coloro
i quali
hanno attentato alla vostra vita. Sono tuttora qui, e sono ben lungi
dall’essere unicamente stranieri.”
Accigliandosi,
Surtr rinfoderò la propria spada dopodiché
lanciò un’occhiata a Yothan, che
sbraitò ordini a destra e a manca per sigillare la sala del
trono.
Mentre
il suo comandante in campo si occupava della sicurezza, redistribuendo
anche le
Fiamme Purpuree giunte con Sthiggar, Surtr scrutò
incuriosito Ragnhild ed
esalò: “Beh… che mi venga un colpo! E
tu da dove salti fuori, giovincella?”
“Lei
fa parte delle cose che devo spiegarvi, sire” si
affrettò a dire Sthiggar
mentre Ragnhild, a occhi sgranati, osservava Surtr come se fosse stata
un
cerbiatto abbagliato dai fari.
“Ho
qualcosa che non va sulla faccia?” domandò a quel
punto Surtr, tastandosi
dubbioso il viso.
Scoppiando
a ridere, Sthiggar scosse il capo, replicando: “No. Credo
soltanto che la mia
amica si aspettasse tutt’altro, da voi.”
“Spero,
non di meglio” gracchiò Surtr prima di richiamare
accanto a sé Yothan per ordinare:
“Presidiate il salone in qualsiasi
caso.
Tolta mia moglie, Snorri e Hildur, non voglio che nessun altro entri
qui
dentro. Non dovrebbero più esserci attacchi, ma è
meglio non abbassare la
guardia.”
Ciò
detto, si rivolse a Sthiggar e aggiunse: “Quanto a te,
ragazzo, andiamo nel mio
studio, così che tu possa spiegami che diavolo è
successo là fuori. Ho
percepito un’energia pazzesca, ma non ne ho compreso
l’origine.”
Sthiggar
e Ragnhild si osservarono ammiccanti, a quel punto ma Surtr, preferendo
non
parlare di fronte a troppe orecchie, lasciò per un secondo
momento le domande.
Era
stanco, affamato e irritato. Due giorni di lotte gli erano bastati per
un
millennio e più, inoltre detestava dover combattere senza
sapere chi fosse
davvero il suo nemico.
***
Raggiunto
che ebbero lo studio del re, Sthiggar non si sorprese più di
tanto nel trovarlo
ancora intatto. Quelle porte erano spesse più di mezzo
metro, e solo su ordine
del sovrano potevano essere aperte.
La
magia liòsalfar non era di solo appannaggio di re Lafhey e,
a suo tempo, lo
stesso Surtr aveva fatto in modo che intere ali del palazzo fossero
protette
dalle arti magiche elfiche.
Dopo
essersi appoggiato alla scrivania di palissandro, ingombra come sempre
di
ciarpame di ogni tipo, Surtr lanciò un’occhiata a
Yothan, entrato assieme a
loro, quindi ordinò: “Corri a cercare Oberon e
Titania. Ora che lo scontro è
cessato, è necessario che ascoltino a loro volta
ciò che il giovane ha da dire.
Se lo sono guadagnato sul campo, questo privilegio.”
Il
comandante assentì e, dopo un rapido sguardo orgoglioso a
Sthiggar, uscì di
gran carriera dall’ufficio, lasciando così soli il
re e i due giovani.
A
quel punto, tornando a osservare Ragnhild, Surtr disse: “Non
sei nata qui,
fanciulla, eppure sei una muspell. Che strano inghippo è
questo?”
Non
potendo più procrastinare oltre, Sthiggar spiegò
al suo sovrano ciò che la
prigionia midghardiana aveva messo in luce e, con un mezzo sorriso,
ammise con
Surtr non solo il suo affetto profondo per Ragnhild, ma anche la sua
reale
identità.
Questo
sconvolse non poco il re, ora non più in grado di contenere
la sorpresa e, nel
passarsi una mano sul volto, poggiò l’altra sulla
scrivania per sorreggersi e,
basito, esalò: “Niente meno che Elsa e Lama! E tu
mi dici che là fuori vi sono
anche i figli di Loki.”
Annuendo
a più riprese, Sthiggar asserì: “Ho
trovato validi alleati, su Midghardr, unanimemente
convinti che fosse imperativo bloccare sul nascere questo tentativo di
sovvertire le leggi del Cosmo.”
“Non
sono state già sovvertite, unendo le vostre due
entità?” domandò a quel punto
Surtr, assai turbato.
“Stando
a ciò che Urd ci ha detto, la riappacificazione di Odino e
Fenrir ha procrastinato
l’evento e cambiato le regole d’ingaggio. La nostra
unione, invece, non ha a
che fare direttamente con
Ragnarök.
Per lo meno, non finché saremo in grado di mantenere
separate Elsa e Lama” gli
spiegò succintamente Sthiggar, scrollando le spalle.
Il
re si passò stancamente una mano tra i capelli irruviditi da
sudore e sangue
ma, sapendo bene di non potersi riposare un attimo di più,
disse: “Avremo tempo
di parlare di tutto ciò, ma…”
Nel
veder rientrare Yothan, stavolta accompagnato dalla reale coppia di
Elfheimr,
il sovrano muspell aggiunse torvo: “… ma ora,
sarà il caso di aggiornare i
nostri validi alleati.”
Oberon
e Titania, con evidenti segni di lotta sui loro abiti sgualciti,
osservarono
dubbiosi la coppia di giovani finché il sovrano elfico,
storcendo il naso,
domandò a sorpresa: “Perché diamine
Fenrir si trova nel cortile del palazzo? Da
dove è saltato fuori quel cagnaccio?!”
Surtr
sobbalzò leggermente di fronte a quell’insulto
bello e buono e, dubbioso,
replicò: “Hai qualche contesa che non conosco con
il figlio di Loki?”
Oberon
si limitò a un mpfh non
ben definito
mentre Titania sorrideva divertita e sì, vagamente
soddisfatta perciò Surtr,
preferendo evitare di sorbirsi una filippica dall’elfo
– che sapeva essere
esasperante, quando voleva – si limitò a dire:
“Il mio sottoposto, qui presente,
ha ottenuto il suo sostegno in battaglia, per questo si trova qui
assieme ai
figli.”
“Beh,
stavolta non ti farà fare la figura del fesso,
caro” celiò a quel punto
Titania, ritrovandosi addosso lo sguardo livido del marito che,
però, ancora
non replicò.
Surtr
si guardò bene, ancora una volta, dall’indagare
– sapeva fin troppo bene quanto
quei due potessero diventare litigiosi, quando volevano –
quindi, rivolgendosi
a Sthiggar, domandò ansioso: “Mia moglie
è sana e salva, vero?”
“E’
al sicuro insieme a mia cugina, mio padre e alla coppia di muspell che
si
trovavano a Luleå con me… su Naglfar”
assentì Sthiggar, ammiccando comicamente.
“Alla
fine, l’hai rubata sul serio quella dannata nave,
eh?” borbottò il sovrano, pur
ghignando divertito. “Mi toccherà dare la grazia a
quei due disgraziati, a
questo punto.”
“Credo
di sì” annuì il giovane, accennando un
sorrisino. “Sono stati dei validi
compagni di lotte.”
Sbuffando,
Surtr allora disse: “Va bene, una cosa alla volta. Voi
ragguagliate i nostri
nobili ospiti, mentre io cerco di rallentare un po’ il
cervello. Tutte queste
novità mi hanno fatto un poco uscire dalle grazie degli
dèi.”
Sthiggar
non fece fatica a comprendere quanto assurdo fosse stato il loro
racconto – lui
per primo non vi avrebbe creduto, ascoltandolo –
perciò non si sorprese di
fronte a quella richiesta di tregua.
Di
buon grado, quindi, fece un riassunto edulcorato anche a favore dei due
liòsalfar,
aiutato in più punti da Ragnhild, che argomentò
soprattutto ciò che riguardava
gli eventi avvenuti su Midghardr.
Yothan
ascoltò in totale silenzio mentre Oberon e Titania,
interrompendo più volte il
racconto, vollero ulteriori notizie in merito a Jörmungandr e
a Yggdrasil,
rimanendo strabiliati a ogni nuova informazione ottenuta.
Al
termine della loro dissertazione, Oberon apparve assai accigliato, ma
annuì
ugualmente e disse: “Quando ebbi modo di incontrare Odino e
Fenrir assieme, non
pensai subito ai risvolti diretti di quell’alleanza ma,
effettivamente, tutto
ciò avrebbe senso. Se i fautori del Ragnarök
primordiale hanno trovato il
sistema per non odiarsi più, quel conto alla rovescia
è come venuto a svanire,
soppiantato da altro.”
Annuendo,
Sthiggar asserì: “Esattamente, maestà.
Non ci è dato sapere quale altra
scadenza avrà il nostro universo conosciuto,
poiché ogni energia cosmica si sta
riequilibrando, in particolar modo dopo gli eventi di oggi, quando Elsa
e Lama
hanno combattuto assieme per la prima volta. Non dubito,
però, che l’alleanza
dei nostri popoli, e la certezza da parte di re Lafhey di non poter
avere per
sé l’arma del mio sovrano, possa scongiurare il
Crepuscolo degli dèi per molti
millenni ancora.”
Titania
assentì con un sorriso soddisfatto e, ammiccando maliziosa
all’indirizzo di
Sthiggar, mormorò: “Beh, se avessi saputo che la
fantomatica spada di Surtr eri tu,
ci avrei fatto un pensierino anch’io,
a dir la verità.”
Sorridendo
imbarazzato, Sthiggar si passò nervosamente una mano dietro
la nuca e,
reclinando compito il capo, esalò: “Ah…
mi onorate, maestà.”
Lappandosi
le labbra con espressione famelica e scrutando il marito con aria di
lesa
maestà, Titania aggiunse serafica: “Ho anni e anni
di sano tradimento da
recuperare, mio caro muspell perciò, casomai volessi farti
un viaggetto ad
Avalon, sarò lieta di ospitarti. Con la tua cara compagna,
s’intende. Sono
molto aperta di vedute, quanto a… festeggiamenti.
E una vittoria simile andrà festeggiata negli anni
a venire per molto, moltissimo tempo.”
Oberon
fece finta di non aver sentito e Ragnhild, non del tutto certa di aver
capito
che ruolo avrebbe avuto lei in
quei
fantomatici festeggiamenti, si limitò al silenzio
più totale mentre Surtr,
tossicchiando, riportava i presenti al nocciolo della questione.
Sthiggar,
da parte sua, si limitò a diventare una statua, preferendo
non esprimersi in
nessun senso. Non era mai finito preda di mariti cornificati, e non
aveva di
certo intenzione di iniziare in quel momento, e per un evento che non
si era ancora verificato.
“Ah,
bene… tornando alle questioni pratiche, e cioè
trovare i traditori che mi hanno
voluto colpire alle spalle…” iniziò col
dire Surtr, lanciando quindi
un’occhiata alla coppia di giovani muspell.
“… potremmo cominciare dai nomi che
voi potete cogliere attraverso il legame stretto con Lafhey,
giusto?”
I
due assentirono rapidi perciò Surtr, invitando Sthiggar ad
accomodarsi sul suo
scranno – mentre porgeva una sedia a Ragnhild
perché gli sedesse a fianco –
lasciò loro campo libero perché usassero i loro
nuovi poteri.
Sthigg,
a quel punto, prese la mano di Ragnhild, chiuse gli occhi e
mormorò: “Concentra
i tuoi sensi sull’onda di risonanza del segnale di Lafhey.
Riesci a farlo?”
“E’
come regolare una radio…” sussurrò
pensierosa Ragnhild, aggrottando la fronte
nel concentrarsi. “…perciò, non appena
sentirò che… oh, eccone uno. E’ anche
vicino, direi.”
I
presenti sobbalzarono per la sorpresa ma Sthiggar, non appena comprese
di chi si trattasse,
aggrottò pericolosamente
la fronte, scrisse un nome sul foglio dinanzi a lui con la sua fluente
grafia
e, stringendo i denti per l’ira, ringhiò:
“Mikell Throndheim.”
Bastò
quel nome, perché Surtr divenisse il demone furioso, feroce
e terribile che le
storie midghardiane raccontavano. E non fu per niente piacevole, come
spettacolo.
N.d.A.:
Che dite… Surtr mangerà vivo il cognato, o
aspetterà di sentirlo almeno
parlare?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** Capitolo 26 ***
26
Dopo aver provveduto a sistemare i tre fratelli Thomasson nelle camere da letto della villetta, Bjorn si premurò di curare le ferite riportate durante il pesante pestaggio che i giovani berserkir avevano subito.
Nel mentre, Magnus supervisionò l’intero processo al pari dei genitori dei ragazzi, lo sguardo duro e perso in mille pensieri.
Avrebbe potuto procrastinare l’incontro con i genitori di Mattias ancora per poco, e controllare che Bjorn facesse un buon lavoro era come assicurarsi che il sole sorgesse a Est.
Con un sospiro, quindi, Magnus si scusò con i coniugi Thomasson e discese le scale del primo piano per raggiungere il salone al piano inferiore, così da poter raggiungere il suo improbabile uditorio nel salotto della stessa.
Controllati a vista da Urd – che aveva preferito sostituirsi a Mattias per dare maggiore enfasi all’ordine perentorio di Odino – Elias e Ingrid attendevano silenti il ritorno di colui che li avrebbe giudicati.
Come da ordini di Magnus, nella casa si erano riversati i guerrieri più potenti del clan, unitamente alla Veggente che, tanti anni addietro, aveva scorto Urd nel corpo di Mattias.
Isolde si era dichiarata estremamente sorpresa di scoprire che proprio Wotan si fosse presentato alla loro porta e, più ancora, lo era stata nel venire a sapere dell’Ordalia lanciata contro il loro capoclan.
Come le era stato ordinato, comunque, si era presentata a casa Thomasson e, quando finalmente vide entrare il giovane Magnus, si inchinò educatamente prima di mormorare un benvenuto formale alla celebre entità dentro di lui.
Come pensi si svolgerà l’Ordalia?, domandò Mattias, rivolto alla divinità del destino.
“Ci è possibile bloccare Odino perché non aiuti Magnus, perciò il combattimento si svolgerà ad armi pari. Quel che ne verrà deciderà le sorti dei tuoi genitori e di tutto il clan, perciò non credo sarà una battaglia così facile o scontata” replicò spiacente la dea, osservando turbata l’assurda postura indispettita dei due berserkir padroni di casa.
Perché si ostinavano a mantenere quella posizione oltranzista nei confronti di un dio? Davvero non avevano compreso a cosa stavano andando incontro?
Non appena Magnus ebbe scrutato in volto i presenti, assentì leggermente alla figura di Urd prima di esordire dicendo: “Poiché è corretto che tutti voi siate messi a conoscenza di ciò che è avvenuto tra queste mura, sappiate che tre dei vostri guerrieri sono stati torturati in spregio alla Legge del Sangue, che vieta espressamente a un consanguineo di ferirne un altro se non in una contesa onorevole. Oltre a questo, in questo triste giorno, sono stato costretto a lanciare una sfida per il predominio al vostro capoclan, il qui presente Elias Thomasson.”
Questa ultima notizia fece levare dei cori di sgomento e sorpresa tra i presenti e Ludvig, che già aveva assaggiato la sferza del potere di Magnus, replicò cauto: “Non sarà un combattimento iniquo, visto ciò che porti dentro di te?”
“E’ una giusta domanda, e a questo può rispondere la vostra Veggente” replicò Magnus, incoraggiando Isolde a parlare.
Chiamata in causa, la donna si schiarì nervosamente la voce ma asserì: “Ciò che tu domandi è corretto, Ludvig, ma la presenza di Urd consente a questo giovane di vedersi escluso il potere del dio dentro di sé, e io posso garantire che ciò avvenga perché sono in grado di avvertire distintamente il potere di uno, così come dell’altro.”
Annuendo torvo, Ludvig allora disse: “Se ciò è fattibile, non ho altro da dire. Non va contro le regole, essere sfidati per la supremazia sul clan e, se è stata violata la Legge del Sangue, è giusto che vi sia un’Ordalia per contestare il predominio del Vertice.”
Di fronte a quelle parole, proferite da uno dei più potenti guerrieri del branco, il resto dei presenti ebbe ben poco da aggiungere ed Elias, nel fissarli pieni di livore, sibilò: “E’ solo questo quello che avete da offrire al vostro capoclan? Soltanto capi chini e nessuna parola a nostro favore?!”
“Con tutto il rispetto, Elias, ma non vi sono ragioni per non accettare l’Ordalia, poiché non contravviene nessuna regola e, poiché hai agito contro i tuoi stessi nipoti senza dirci cosa stavi realmente compiendo contro di loro, meriti di essere giudicato con imparzialità, al pari di qualsiasi altro berserk” replicò Ludvig, atono. “Inoltre, io ho un debito di sangue nei confronti del muspell che aiutò tua figlia nella lotta al primo sangue contro di me, perciò non me la sento di giocare oltre con la sorte. Il giovane Magnus non ha violato nessuna regola a noi conosciuta, perciò dovrai lottare contro di lui per continuare a essere il nostro capo.”
Scrutando poi Urd, domandò cauto: “E’ possibile sapere se Ragnhild sta bene?”
“Sappiamo soltanto che è dove dovrebbe essere. Null’altro ci è permesso vedere” scosse il capo spiacente.
Ludvig assentì recisamente e Magnus, nel tornare a osservare Isolde, disse: “All’alba di domani, nel luogo a voi sacro, si svolgerà l’Ordalia. Fino a quel momento, nessuno oserà levare più la mano sui giovani Thomasson, o ne risponderà a me.”
Dopo aver proferito quelle parole, chiese – o meglio, ordinò – che tra i berserkir presenti si trovasse qualcuno disposto ad aiutarli a condurre Adam, Wulff e Boris presso la loro abitazione dopodiché, senza null’altro dire, Magnus se ne andò.
Urd osservò l’intera scena in silenzio dopodiché, con un cenno a Elias e Ingrid, disse: “Mattias andrà assieme agli zii, fino a domani. Non intendo lasciarlo un attimo di più sotto questo tetto.”
Nessuno dei presenti ebbe nulla da dire perciò la dea, dopo essere uscita dal salone, si recò al piano superiore, preparò una borsa leggera per il ragazzo dopodiché, in un sussurro spiacente, lasciò che Mattias riemergesse.
Il ragazzino sospirò amaro nell’afferrare la sua borsa ma, quando si volse per uscire dalla sua stanza, sorrise un poco nel trovare la zia sull’entrata.
Dopo avergli carezzato la guancia e averlo stretto in un rapido abbraccio, Sonja disse: “Andiamo, tesoro. E’ tempo che tu riposi un po’, dopo questi tragici eventi.”
“Perché non hanno capito, zia?” domandò per contro il ragazzo, discendendo piano con lei lungo le scale.
La donna si limitò a scuotere il capo e, il braccio ad avvolgere le sue esili spalle, lo condusse fuori dalla casa dei cognati con l’intenzione di non mettervi più piede.
***
A molti mondi di distanza, pur se in tutt’altro ambito, gli animi erano similmente in ansia, e per svariati motivi.
Il nome del cognato fece perdere del tutto le staffe a re Surtr che, fino a quel momento, era stato in grado di controllarsi, di mantenere del tutto sotto controllo la propria Fiamma.
Al solo sentire nominare Mikell, il sovrano si ammantò d’ira e di lanceolate lingue di fuoco scarlatto, tali da far sobbalzare Ragnhild e portarla a nascondersi prudentemente alle spalle di Sthiggar.
Preoccupata, quindi, la giovane chiese: “Che succede? Perché quel nome lo ha fatto alterare tanto?”
“Si tratta di suo cognato. Il padre di Khyddar… ti ricordi di lui?” le spiegò Sthiggar, avvolgendola protettivo nell’arco del suo braccio.
Lei fece tanto d’occhi, rammentando ciò che il giovane le aveva detto in merito alla sua ferita e alla morte del caro amico perciò, scrutando il sovrano con occhi diversi, replicò: “Beh, stando così le cose, mi stupisce che riesca anche solo a controllarsi, allora.”
“Non credo durerà ancora per molto, bambina” asserì turbato Oberon, lanciando un’occhiata preoccupata all’indirizzo del sovrano. “Ti serve assistenza, Surtr?”
“Ci penso io” intervenne a sorpresa Yothan, poggiando una mano sulla spalla di Surtr che, annuendo grato, riprese gradatamente a respirare con un ritmo più blando.
La fiamma, a sua volta, arse con minore violenza fino a ridursi a un quieto bagliore e Sthiggar, più che mai sorpreso, esalò: “Siete… siete voi il Catalizzatore del re! Per questo foste in grado di aiutarmi, quella volta!”
Yothan gli sorrise nel ritirare la mano dalla spalla del re e, assentendo, disse: “Sapevo come fare e, pur non essendo in grado di adeguarmi alle tue onde energetiche, potei aiutarti a riprendere il controllo di te stesso.”
Annuendo a sua volta, Surtr si massaggiò il collo teso e ringhiò: “Non è una cosa che tendiamo a pubblicizzare, viste le inevitabili ripercussioni a livello militare, ma tant’è.”
Oberon e Titania lanciarono un’occhiata significativa al sovrano muspell e il re degli elfi, nell’annuire ammirato, mormorò: “Ci hai reso un enorme privilegio, Surtr, e io non lo dimenticherò.”
“Come io non dimenticherò che avete combattuto al mio fianco, oltre a salvare il mio palazzo dalla distruzione” replicò Surtr prima di lanciare uno sguardo a Elsa e Lama per domandare: “Dove si trova, ora, quel traditore?”
I due giovani, ancora piuttosto frastornati da quella scoperta, fissarono dubbiosi il re e Sthiggar, storcendo appena il naso, ammise: “Beh, per la verità, sta venendo da questa parte, a giudicare da come la sua aura si sta muovendo.”
A questo punto fu Surtr a sorprendersi e, nell’espandere la propria energia spirituale in modo da cercare quella del cognato, si rese effettivamente conto di quel particolare assai curioso.
Nell’avvertire altresì un’altrui presenza, e di natura del tutto differente rispetto a un muspell, sguainò prudentemente la spada e ringhiò: “Con lui c’è qualcuno e, per quanto io vi ritenga degnamente in grado di difendervi, vi pregherei di rimanere qui dentro mentre io affronto mio cognato.”
Ragnhild e Sthiggar assentirono mentre Yothan, armandosi a sua volta, uscì dallo studio per raggiungere la sala del trono assieme al proprio re. Oberon e Titania rimasero a loro volta nella stanza e, nell’accomodarsi sulle poltrone libere dinanzi alla scrivania, sospirarono fiacchi.
Poggiando il capo biondo platino contro la spalla del marito, Titania quindi mormorò: “La prossima volta che ci invitano per una gita fuori porta, per favore, declina. Sono stravolta!”
“Per quanto darti retta sia potenzialmente fonte di problemi, stavolta devo dartene atto; non è una cattiva idea” chiosò Oberon, carezzandole il viso a discapito della risposta non proprio educata.
“Io ho sempre buone idee, sei tu che spesso e volentieri non le sai cogliere” replicò la regina elfica sorridendo pacifica nel lasciare che il marito la coccolasse un po’.
Oberon a quel punto sospirò, lanciò un’occhiata alle sue spalle – dove Ragnhild e Sthiggar se ne stavano in assoluto silenzio – e asserì esasperato: “Pensa bene a cosa potresti andare incontro, giovane muspell, decidendo di prendere moglie, un domani. Le menti femminili sono molto più complesse e intricate dei più temibili Oracoli, e dipanarne i segreti è praticamente impossibile.”
Sthiggar lanciò un’occhiata divertita e dolente al tempo stesso a Ragnhild, che ghignò beffarda in risposta. A quel punto, con un leggero sospiro, il giovane ammise: “Temo di essere già invischiato nei rovi che assediano la mente della mia donna. Ma grazie per il gentile consiglio, sire.”
Oberon sospirò nuovamente, scosse il capo come per dolersi di non aver salvato una giovane vita e chiosò: “Temevo potesse essere già successo, vista l’indubbia avvenenza della tua Elsa, ma speravo di poter essere giunto per tempo per scongiurare il peggio. Ahimé, ciò non è avvenuto, perciò rinnovo l’invito che la mia Titania vi ha fatto pochi minuti addietro. Sarete sempre i benvenuti, ad Avalon, poiché bellezza e armonia sono sempre gradite, alla nostra porta.”
“E tenersi buono un alleato come la Spada Fiammeggiante, aiuta sempre” aggiunse mentalmente Sthiggar per sé e Ragnhild, portandola a sorridere.
A mezza voce, però, il giovane muspell disse ossequioso: “Ci riteniamo onorati di un simile invito, e ben volentieri accetteremo di giungere in visita presso i vostri gaudenti lidi.”
Ragnhild si limitò a un sorriso e a un cenno di assenso, trovando un tantino assurdo esprimersi come se stesse esibendosi in un ruolo da operetta.
Quando, però, il palazzo tremò e la voce feroce quanto terribile di Surtr si espanse tutt’attorno come un tuono senza fine, lasciò perdere qualsiasi pensiero e si aggrappò lesta a Sthiggar.
“Ma che succede?!” gracchiò poi, sgranando terrorizzata gli occhi.
“Non hai detto che, su Midghardr, Surtr è visto come un essere oscuro, terribile e facile all’ira? Beh, è quello che sta succedendo ora” chiosò lui, scrollando le spalle con noncuranza.
“E perché tu sei tanto tranquillo? Non rischiamo che il palazzo ci crolli addosso?” esalò a quel punto Ragnhild, fissandolo come se fosse di colpo impazzito.
“C’è un motivo se il palazzo è così grande, e con pareti così robuste. Ha una struttura ad alveare, tale da rifrangere e redistribuire le energie di una Fiamma Viva” le spiegò per diretta conseguenza Sthiggar, rincuorandola. “Ogni singola pietra, ogni più piccola gemma è stata posizionata in un punto preciso del palazzo per impedire che Surtr lo faccia collassare su se stesso quando perde le staffe.”
“Perché, succede spesso che perda il senno?” mormorò turbata Ragnhild.
“Non si può mai sapere, quando sei una Fiamma Viva e, visto quello che siamo stati in grado di fare noi, te ne stupisci?” le fece notare Sthiggar.
Lei ci pensò su un attimo, scosse il capo e, vagamente più tranquilla, mugugnò: “No, per niente. Ma fa comunque paura.”
“Niente da dire, in merito” assentì Sthiggar mentre nuove urla e insulti sempre più spaventosi riverberavano tra le pareti del palazzo, risuonando come campane suonate da una mano sincopata.
***
Non appena Mikell fu entrato nella sala del trono, legato strettamente ai polsi e accompagnato dall’alto liòsalfar che, al cospetto del re, si presentò col nome di Kylass Thorndayn, Surtr perse temporaneamente il senno.
La sua ira sforbiciò come un’onda di energia primigenia in direzione del cognato, che stramazzò a terra pallido come un cencio, mentre l’ondata si espandeva ogni dove, assorbita e reindirizzata dalle pietre catalizzatrici sparse un po’ ovunque, a palazzo.
Il liòsalfar, forse aspettandoselo, lasciò la presa da gleipnir giusto in tempo perché l’attacco di Surtr si riversasse solo su Mikell dopodiché, con manovre caute, riprese possesso del laccio e si inchinò al re.
Pur se ancora furente, Surtr ritirò aura e fiamma ma, con tono reboante, gridò all’indirizzo del cognato: “E’ così che dimostri amore e rispetto verso tua sorella?! Tentando di distruggere il suo regno?!”
Mikell non riuscì a rispondere, ancora del tutto frastornato dal colpo del re, così Surtr proseguì nella sua reprimenda, urlando: “Cosa potrò mai dire, alla mia Ilya, di fronte al tuo manifesto tradimento? COSA?!”
Ancora, Mikell non aprì bocca per replicare e Surtr, ora del tutto deprivato del desiderio di infierire, si rivolse al liòsalfar, domandando burbero: “Perché ti sei rivoltato contro il tuo alleato? Vuoi che ti grazi, in cambio della sua vita?”
Reclinando ossequioso il capo, Kylass mormorò mellifluo: “Non vi porgo solo la sua vita, sire, ma anche di tutti i restanti cospiratori. So bene quanto questo attacco proditorio sia costato la vita di molte persone, perciò una sola esistenza da offrirvi sarebbe infima, a dispetto di quanto avete perso.”
Pur accigliandosi, Surtr lo spinse a proseguire così il liòsalfar, sorridendo appena, aggiunse: “Se già sapevate del tradimento di vostro cognato, immagino che re Lafhey vi abbia detto come scovare i vostri nemici, ma dubito crediate che vi siano solo coloro con cui il re jotun ha stretto un’alleanza diretta.”
“Sono ben cosciente che la rete è vasta e ramificata, visto che io stesso ho dovuto abbattere diverse mie Fiamme che, mendaci, si sono rivoltate contro il proprio re” ringhiò Surtr, rinfoderando lentamente la propria spada.
Non dovendo temere una malia da parte dell’elfo oscuro – Oberon lo aveva protetto egregiamente da una simile eventualità già durante il primo assalto dei dokkalfar – Surtr non ritenne necessario doversi proteggere con la propria arma.
Per ogni evenienza, comunque, Yothan tenne sguainata la sua spada mentre Surtr, rabbiosamente, aggiungeva: “Resta il fatto, però, che tu potresti mentirmi. O esiste un sistema di riscontro anche per questi traditori?”
Il liòsalfar assentì mellifluo prima di dire: “Certamente. Quando si ordisce un piano di conquista, si deve necessariamente pensare anche all’eventuale disfatta… e al modo per sfuggire alla morte.”
Surtr, allora, lo fissò sprezzante, replicando disgustato: “Ti sei parato il culo, per farla breve.”
“Non lo avrei esposto in questi termini, sire, ma sì. Sono stato invitato a farlo” mormorò gentilmente Kylass.
Assottigliando sospettoso le palpebre, Surtr ringhiò: “Lafhey?”
L’elfo oscuro non disse nulla e Mikell, nello scrutare il volto livido del cognato, finalmente esclamò: “Non potevi pensare che avrei lasciato correre sulla morte di mio figlio!”
Surtr lo fissò pieno di disgusto, replicando: “Pensi abbia gioito, nel sapere della sua morte? Piansi non meno di te, poiché Kyddhar mi era caro come uno dei miei stessi figli, perciò imprecai al cielo e alla terra contro coloro che lo uccisero.”
“Tu lo mandasti a morire, lasciandolo nelle mani del tuo sciocco servo!” sbraitò irato Mikell, fissando pieno di livore Yothan, che però non replicò.
“Non Yothan levò la mano su Kyddhar, ma un dokkalfar. Entrare nelle Fiamme significa mettere la propria vita al servizio del re e, per quanto io desideri il contrario, qualche Fiamma può spegnersi, durante il percorso” ribatté il re con tono stanco. “Tu hai dato il tuo appoggio proprio alle creature che lo hanno ucciso, decidendo di allearti con loro e con Lafhey che però, a quanto pare, non ha fatto altro che fomentare il tuo odio e la tua cecità per i suoi sporchi fini. Ti reputi dunque nella ragione, cognato, o comprendi infine il tuo errore?”
“Avresti dovuto morire tu, e per mano di quello scellerato che ti ostini sempre a proteggere!” sibilò dolente Mikell, reclinando il capo e fissare il pavimento traslucido.
Surtr, a quelle parole, lanciò un’occhiata al liòsalfar che, disponibile, asserì: “Il piano originale prevedeva che il vostro giovane Sthiggar, indebolito dalle reti di energia di Midghardr, venisse soggiogato da un mio pari e poi ricondotto su Muspellheimr per darvi la morte. Sapevamo, per bocca di un commilitone del giovane Glenrson, della sua Fiamma Viva, perciò sarebbe stata l’unica arma utile per uccidervi.”
“Non avete però immaginato – come me, del resto – che una Fiamma Viva potesse connettersi con qualsiasi pianeta, non solo con il proprio, perciò avete fallito” replicò Surtr con un mezzo sorriso beffardo.
“Esattamente, sire. Non riuscendo in alcun modo a mettere ai ceppi il muspell, l’alleanza si vide costretta ad attaccare per non vanificare gli sforzi profusi e così, approfittando della festa e dei portali di Bifröst sovraccarichi, i soldati misero piede a Hindarall” aggiunse Kylass.
“Controlli ridotti al minimo e una presenza massiccia – quanto giustificata – di stranieri su suolo muspell” assentì torvo Surtr, scuotendo disgustato il capo. Non avrebbe dato mai più una festa, questo era poco ma sicuro.
“La comparsa della Spada Fiammeggiante ha posto in evidenza come le forze dell’alleanza fossero in netto svantaggio, così re Lafhey ha ritirato il suo esercito, lasciando a voi quale decisione prendere in merito al tradimento di coloro che vi hanno mosso contro” mormorò Kylass, lanciando un’occhiata all’indirizzo di Mikell.
“Non indagherò su chi ha pensato per primo di attaccarmi perché, se la Spada Fiammeggiante ha deciso di graziare Lafhey, avrà avuto i suoi buoni motivi…” iniziò col dire Surtr, avvicinandosi per scrutare da vicino il volto livido del cognato. “…ma, dato che tu hai tradito prima di tutto tua sorella, mi consulterò con lei su quale punizione comminarti.”
Mikell lo fissò sprezzante e, nello sputargli ai piedi, ringhiò: “Ilya non avrebbe mai dovuto lasciarsi irretire da te. Sei senza pietà, se non comprendi cosa mi ha spinto!”
“Oh, lo so bene cosa ti ha spinto. Ma se non comprendi perché tuo figlio si è lanciato per primo contro il nemico, non sarò certo io a spiegartelo. Piangi una persona che non hai mai compreso, e ne odi un’altra che non ti ha dato mai motivi per essere detestata.”
Ciò detto, Surtr lanciò una nuova occhiata all’indirizzo di Kylass, domandando: “Come possiamo trovare tutti i traditori?”
“Ciascuno di loro ha sottoscritto verbalmente un patto. Troverete la traccia dell’incantesimo legata a quel vincolo direttamente nelle menti di ciascun traditore” gli spiegò Kylass. “Per ogni evenienza, comunque, l’incantesimo si rende evidente sulla pelle del diretto interessato con il simbolo runico della menzogna. Giusto per convincere anche i più miscredenti.”
Surtr sogghignò a quella notizia, annuendo di fronte all’ingegnosità di quel particolare.
“C’è un motivo, se la magia scorre nelle vostre vene” chiosò il sovrano.
“Siamo depositari di un discreto sapere, sì” assentì modesto il liòsalfar.
Surtr, a quel punto, indicò a Yothan di prendere in custodia Mikell dopodiché, scortato Kylass nel proprio studio, dichiarò: “Poiché mi hai reso un gradevole servizio, è giusto che tu incontri la Spada Fiammeggiante che così sorprendentemente è apparsa per distruggere le mire di mio cognato e di quel doppiogiochista di Lafhey.”
Sentendosi prendere in causa, Ragnhild e Sthiggar lanciarono un’occhiata dubbiosa all’elfo oscuro che il sovrano aveva condotto con sé.
Mentre Titania e Oberon se ne discostavano disgustati – non era mai corso buon sangue tra elfi chiari ed elfi oscuri – il re non li degnò neppure di un’occhiata e, gioviale, accompagnò alla scrivania il liòsalfar, aggiungendo: “Siate cortesi, ragazzi, e permettere a costui di aiutarci com’è nelle sue possibilità.”
In fretta, e presagendo qualcosa di sordido dietro il sorriso soddisfatto di Surtr, Sthiggar assentì e si allontanò dalla scrivania al pari di Ragnhild, che scrutò sgomenta l’ultimo arrivato prima di nascondersi nell’abbraccio del suo compagno.
Il liòsalfar, per contro, li scrutò sinceramente sorpreso prima di prendere penna e calamaio e ammettere: “Pensavo a due soldati, non certo a una coppia di giovani innamorati… ma le più grandi magie si nascondono quasi sempre dietro a eventi imprevisti.”
“Niente di più vero” assentì Surtr, gli occhi scarlatti ora rilucenti come granati squisitamente intagliati.
L’elfo oscuro iniziò a scrivere il testo dell’incantesimo mentre Oberon, proteggendo preventivamente Titania col proprio corpo, osservava disgustato il veloce evolversi di quella malia sulla carta pergamenata.
Quando il brano fu completo, l’elfo chiaro sibilò indispettito: “Una tale sozzura non poteva che essere stata creata da una mente oscura come la tua, immonda creatura.”
“Sono lieto che troviate geniale il mio incantesimo, sire” replicò per contro il liòsalfar, sogghignando al suo indirizzo prima di rivolgersi a Surtr e aggiungere: “Ora, se vorrete concedermi la grazia, vi dirò come attivare la runa della menzogna.”
Fu a quel punto che Surtr, sorridendo con lo stesso gelido trasporto di un cobra prima di colpire la preda, mormorò: “Chi ha mai parlato di grazia?”
L’elfo oscuro ebbe solo alcuni istanti per registrare quelle ultime parole. Quando finalmente si rese conto del suo destino, la lama di Surtr aveva già trapassato le sue carni, inchiodandolo al pregiato legno di palissandro della scrivania.
Ragnhild sobbalzò, a quella vista, nascondendo il volto contro la spalla di Sthiggar mentre Oberon, lanciando un’occhiata ora più tranquilla all’indirizzo di Surtr, esalava: “Mi stavo giust’appunto domandando se il senno ti era scivolato fuori dagli orifizi al pari delle fiamme.”
“Non direi. Quel che il liòsalfar non poteva sapere era che, non solo Lafhey ha sempre avuto al suo servizio degli elfi oscuri, ma anche io” ammiccò Surtr, lanciando poi un’occhiata all’indirizzo di un sorpreso Sthiggar. “Non mi dire che non ti sei mai accorto che il tuo amico Rhadd aveva qualcosa di strano.”
“Cosa?!” gracchiò sgomento Sthiggar, colto del tutto di sorpresa.
I pensieri corsero lesti all’amico, al suo volto efebico e alla sua struttura esile e longilinea, ai suoi occhi purpurei così come agli splendidi capelli chiari ma, a quel punto, si domandò cosa non avesse notato.
“Se ti stai domandando come, è presto detto; Rahdd è un mezzosangue, per questo ha i colori di un muspell ma il fisico di un liòsalfar” gli spiegò Surtr, estraendo la lama per poi gettare a terra il corpo ormai morto dell’elfo scuro. “Il tuo amico ha seguito un addestramento sia come mago che come guerriero, perciò non avevo alcun bisogno che questo traditore mellifluo rimanesse in vita per più del tempo necessario.”
Sthiggar non seppe che dire, né Surtr gliene diede il tempo. Sbraitò il nome di Rahdd dopodiché, scostando dai piedi della scrivania il corpo del liòsalfar, borbottò: “Dovrò disinfettare tutto il palazzo, dopo questo casino.”
N.d.A.: le cose cominciano a dipanarsi poco alla volta anche se, con quasi totale certezza, rimarranno comunque cicatrici indelebili nell'animo di molti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** Capitolo 27 ***
Cap.
27
Quarant’anni
prima
Sthiggar
non si era mai tirato indietro, di fronte a una scazzottata ma, da
quando era
entrato a far parte dell’esercito, i motivi per mettersi nei
guai erano
drammaticamente scemati.
Non
tanto perché non sentisse più
l’esigenza di fare a botte, o cacciarsi nei guai,
quanto perché il comandante Yothan avrebbe tirato loro il
collo, se avessero
macchiato il buon nome delle Fiamme Purpuree, il reggimento a cui
appartenevano.
Sthiggar,
perciò, aveva sempre cercato di evitare di causare disagi al
Corpo, visti
soprattutto i motivi per cui era finito in quella Compagnia.
Rischiare
di far infuriare il re in maniera definitiva non era auspicabile,
né tantomeno
dare quell’ennesimo dolore a suo padre. Era già
abbastanza dura doverlo vedere
una sola volta l’anno, e per poche settimane.
Combinare
ulteriori casini avrebbe forse voluto dire finire in galera, e per un
tempo a
lui sconosciuto.
Vedere
come Thrydann e compagni avevano messo all’angolo il giovane
Rahdd, però, lo
aveva mandato in bestia e, accecato dall’ira, non si era
guardato indietro,
calando come una mannaia sui bulli che avevano osato attaccare
l’amico. Era
andato a testa bassa contro il gruppo di commilitoni che lo stavano
prendendo
di mira e aveva usato le sue conoscenze in fatto di risse per menare
duro.
Quel
che ne era seguito, era stata un’autentica zuffa di
proporzioni colossali e
aveva finito con il coinvolgere ben più dei cinque elementi
iniziali, da cui
era partito tutto.
Alla
fine, quando erano intervenuti i loro superiori per dividerli
– malmenandoli
con dei pungoli raggelanti – nel piazzale della caserma erano
rimaste a terra
non meno di trenta persone.
Uno
a uno, i soldati erano stati chiamati al cospetto del comandante per
vagliare
le rispettive versioni dei fatti e, quando infine toccò a
Sthiggar, il giovane
entrò a testa alta, con un labbro spaccato e diverse
contusioni a fargli
compagnia.
Sulla
schiena portava evidenti le ustioni da freddo dei pungoli usati dai
suoi
superiori e, quando Yothan finalmente lo squadrò, non
poté che sogghignare per
un istante, di fronte alla sua espressione di lesa maestà.
Fin
da quando Yothan lo aveva visto la prima volta, irritato e spaesato
come un
cucciolo rifiutato da tutti ma ben deciso a non lasciarsi schiacciare
dalle
avversità, aveva ipotizzato che Sthiggar potesse provenire
da una famiglia
disastrata.
Leggere
la sua scheda personale e scoprire che, non solo era figlio del Gran
Sacerdote
Snorri Glenrson, ma era anche uno dei pupilli del re, lo aveva non poco
confuso
e la curiosità era montata in lui come una piena. Per questo
motivo, Yothan lo
aveva tenuto d’occhio e si era scoperto a sorprendersi a ogni
suo nuovo
risultato, a ogni traguardo raggiunto con facilità.
Non
certo una volta sola, si era chiesto il perché un giovane
così promettente
fosse stato punito dal re ma, ogni qualvolta la lingua era corsa per
mettere a
parole quella domanda, il suo cervello l’aveva bloccata.
Ben
presto, e non certo per un suo intervento personale, Yothan lo aveva
osservato
primeggiare in ogni corso svolto in Accademia, così come lo
aveva visto
brillare nelle esercitazioni pratiche e nei combattimenti a fil di
spada.
La
sua bravura era andata a cozzare sempre di più con
l’immagine del teppistello
da strada che il suo caro amico – e sovrano – Surtr
gli aveva dipinto tramite
una lettera privata allegata alla scheda personale del ragazzo,
portandolo a
tenere d’occhio il ragazzo con sempre maggiore attenzione.
Questo,
ovviamente, gli aveva altresì permesso di notare come, nel
corso degli anni, la
bravura di Sthiggar fosse diventata la causa di maggiore astio tra lui
e molti
suoi commilitoni, in gran parte figli dei nobili del Concilio della
Corona.
L’unico
membro della Gilda dei Nobili a essergli sempre stato accanto, invero,
era
stato lo scapestrato Kyddhar, nipote del re e uno tra i migliori
cavallerizzi
dell’esercito.
Kyddhar
era sempre stato al fianco di Sthiggar, durante la sua crescita
all’interno del
Corpo, ne aveva plaudito i risultati ed era sempre riuscito a chetarlo
nei
momenti di irrequietudine.
L’essere
nipote della dea Sól aveva portato a Sthiggar più
danni che soddisfazioni, allontanandolo
da molti compagni di corso, gelosi della sua bravura e dalle indubbie
caratteristiche genetiche derivanti da un simile avo.
La
maggiore forza, agilità e abilità nel combattere
erano apparse quasi subito
lapalissiane, tanto che in molti avevano iniziato a rifiutare di
allenarsi con
lui. Soltanto pochissimi ragazzi, tra cui Kyddhar, Rhadd e Fyodr non si
erano
mai tirati indietro, rimanendo fedeli alleati di Sthiggar.
Yothan
non si era perciò preoccupato di controllarlo a vista, dopo
diversi anni
passati a osservare quello strano quartetto farsi sempre più
solido e compatto,
non più timoroso che il giovane potesse essere vittima di
atti di bullismo
becero.
Ligio
alle direttive del re, si era quindi preoccupato del duplice
addestramento di Rhadd
Kahn, altro elemento unico,
all’interno del suo gruppo di future Fiamme Purpuree, tolto
lo stesso Sthiggar.
Figlio
mezzosangue di una muspell e un liósalfar oscuro –
sfuggito alle maglie di
Svartalfheimr per aver attaccato pubblicamente il re e le sue politiche
oscurantiste – Rhadd era cresciuto nella campagna nei pressi
di Hindarall senza
conoscere nulla del passato di suo padre.
Assoldato
dal re perché fosse il suo mago di corte, Keynan Kahn
– padre di Rahdd – si era
prodigato con tutto se stesso per ripagare la fiducia di Surtr e
attorno al
palazzo, come nei suoi sotterranei, aveva esteso una rete magica a
protezione
della famiglia reale.
Nei
cunicoli segreti della magione reale aveva inserito bioluminescenze
reattive e
incantesimi di occultamento, utili per nascondere approvvigionamenti e
armi.
Non soddisfatto, quindi, aveva esteso tali accorgimenti a tutta la
Hindarall
sotterranea, così da poter dare un luogo sicuro alle genti
che lo avevano
accolto in seno.
Una
volta divenuto il figlio adulto, Keynan aveva raccontato del proprio
passato a
Rhadd e, da quel momento, per il giovane virgulto di casa Kahn, servire
Surtr
era stato il primo dei pensieri.
Giunto
all’età minima per arruolarsi, si era unito alle
schiere di soldati del
Comandante Yothan, incurante del nomignolo affibiato da molti
all’illustre
soldato; il Terribile.
In
lui, Rhadd aveva trovato una guida sicura e niente affatto temibile
come aveva paventato
ma, proprio a causa della sua duplice natura, era ben presto diventato
l’oggetto di scherno dei suoi compagni.
Il
suo essere un mezzosangue era un segreto che era stato mantenuto per la
sua
stessa sicurezza ma, proprio a causa di questi silenzi, le sue
diversità – come
l’avvenenza efebica o il suo essere assai longilineo
– lo avevano comunque
cacciato spesso nei guai.
Grazie
alle disposizioni del re, che aveva voluto per lui una duplice
preparazione,
sia militare che magica, le possibilità dei compagni di
trovarlo solo, o a
disposizione dei loro scherzi, erano state ridotte al
lumicino… ma a volte non
era bastato.
Nel
corso degli anni, Rhadd si era impegnato a sopperire alla sua scarsa
prestanza
fisica – i muspell erano autentici giganti di muscoli, mentre
lui aveva ereditato
il fisico slanciato degli elfi – con
l’agilità e la furbizia.
Fortunatamente
per il giovane, la vicinanza di pochi ma fidati compagni aveva evitato
il
peggio. Nella maggior parte dei casi, per lo meno.
Yothan
era perciò quasi certo che, dietro il motivo di quella rissa
degenerata in caos
puro, vi fossero Rhadd e Thrydann. Era sempre stato così,
negli anni, e
dubitava fortemente che quel giorno le cose fossero andate diversamente.
Quel
che lo stupiva, però, era che stavolta fosse intervenuto
attivamente anche
Sthiggar.
Fino
a quel momento, si era tenuto alla larga dai guai e, quando si erano
scatenati
battibecchi o villanie, era sempre intervenuto per pacificare,
non per fomentare la rissa. Per anni aveva cercato con
tutto se stesso di non finire nella sua agenda rossa dei riottosi e,
contrariamente ai suoi precedenti poco lusinghieri, non era mai stato
causa di
problemi.
Perché,
dunque, stavolta era intervenuto attivamente?
Nell’indicargli
di sedersi, Yothan si levò dalla sua poltrona per
oltrepassare la scrivania e,
nell’osservare il suo sottoposto, intrecciò le
mani dietro la schiena e domandò
a bruciapelo: “Cosa ti ha spinto a cacciarti volontariamente
in un potenziale
viatico per una nota di demerito, soldato?”
Sthiggar
non abbassò lo sguardo, sicuro dei propri mezzi
così come delle proprie
motivazioni e, roco, disse: “La cricca di Thrydann stava
infastidendo più del lecito
un mio amico, così non
sono riuscito a trattenermi, signore.”
“Per
cricca, intendi i figli dei nobili
di
Corte che fanno capo all’erede degli Handerson?”
sottolineò Yothan, sfidandolo
con lo sguardo.
Ancora,
Sthiggar lo sostenne e, annuendo, replicò: “Posso
farvi tutti i nomi, signore,
ma sono quasi certo che voi sappiate a chi mi sto riferendo.”
Sbuffando,
Yothan annuì e scosse una mano con fare infastidito,
asserendo: “Non ho bisogno
di udire quei nomi anche dentro il
mio ufficio. Il motivo della rissa? E parla chiaro, stavolta. Non sono
delicato
d’orecchi.”
Stringendo
i denti per l’ira a stento trattenuta, Sthiggar
puntò i pugni sui braccioli
della poltrona e, reclinando il capo a scrutare le ginocchia illividite
dalla
lotta – visibili attraverso i calzoni strappati –
ringhiò: “Avevano messo in
dubbio la virilità del mio amico.”
“Tutto
qui?” sottolineò Yothan, accigliandosi.
Ancora
un ringhio. La postura di Sthiggar si fece ancor più rigida,
le spalle
incurvate in avanti e il corpo pronto a dare nuovamente battaglia, ma
Yothan lo
bloccò poggiandogli una mano sulla spalla.
Quel
che avvertì l’uomo fu un calore smisurato, molto
più grande e anomalo rispetto
a un comune muspell, e questo lo sorprese.
Non
era soltanto l’aura, a sfrigolare, ma qualcosa di
più profondo, di più
viscerale, che però ancora non sembrava pronto a emergere.
“Hanno
cercato di spogliarlo e di gettarlo nelle latrine, signore”
sibilò quindi Sthiggar, tornando a sollevare gli occhi di
lapislazzulo che, in quel momento, erano simili a due stelle cangianti.
La
forza dell’aura di cui era padrone scorreva possente in lui,
in quel momento e,
se Yothan non lo avesse ritenuto impossibile, gli diede
l’idea di poter spingere
fino a limiti inimmaginabili quel potere già di per
sé enorme.
Accentuando
la stretta sulla spalla del giovane, lo vide progressivamente chetarsi
fino a
riprendere pieno possesso della propria aura, dopodiché
Yothan disse
conciliante: “Volevo solo essere certo che i miei subalterni
avessero visto
correttamente. Non temere che non venga fatta giustizia, soldato.
Riferirò al
re stesso quanto accaduto, e i diretti interessati riceveranno la
punizione che
meritano.”
“Ma
non li caccerete” sottolineò stanco Sthiggar,
avvertendo di colpo il dolore
causato dalle bruciature da pungolo e dalle lesioni riportate durante
lo
scontro.
“Non
mi è consentito. Per quanto mi spiaccia ammetterlo, il lungo
braccio del
Concilio giunge fino a qui perciò, oltre a una strigliata
coi fiocchi e alle
celle di rigore, non potrò fare altro… ma
inculcherò loro una lezione che non
dimenticheranno. Non toccheranno mai
più
Rhadd.”
“Non
lo faranno, questo è certo, perché non
terrò mai più la testa bassa come ho
fatto finora. Non mi interessa se dovrete darmi delle note di biasimo,
se mi
metterete ai ceppi o se finirò in prigione”
replicò lapidario Sthiggar,
levandosi in piedi. “Quant’è vera
Sól, io lo difenderò a costo della vita perché è mio amico,
e non permetterò mai
più alla mia paura di fermarmi.”
“Paura
che il re possa biasimarti?”
“Mio
padre” precisò Sthiggar,
accigliandosi. “Non vorrei mai dargli un dolore ma se, per
farlo, a rimetterci
fosse un mio amico, non potrei davvero sopportarlo, perciò
ora seguirò il mio
cuore e il mio istinto, non soltanto il desiderio di non cacciarmi nei
guai.”
Yothan
assentì e, dopo averlo congedato, lasciò che
infine entrasse Rhadd, l’oggetto
del contendere di quell’ennesima rissa.
Il
giovane appariva demoralizzato e, tolte le medicazioni già
ricevute, non
sembrava aver subito ulteriori danni. Sul piano psicologico,
però, Yothan non
era altrettanto sicuro.
“A
quanto pare, io e il re abbiamo sottovalutato l’idiozia di
quei figli di papà
dei tuoi compagni” esordì Yothan, indicandogli di
sedersi dove, in precedenza,
si era accomodato Sthiggar. “So già cosa
è successo, perciò non ti chiederò
nulla. Desidero, però, che tu faccia una cosa per me,
soldato.”
“Ditemi,
signore” assentì veloce Rahdd.
“Resta
sempre insieme a Sthiggar e ai suoi amici. Non aggirarti mai
più senza una scorta, anche se soltanto
all’interno della
caserma. Finché non avrai terminato i tuoi studi di magia,
sarai un bersaglio
facile, e io non voglio ricambiare la tua fiducia nel sistema con un
coltello
tra le scapole, è chiaro?”
Sospirando,
il giovane replicò: “Questo vorrebbe dire
diventare una palla al piede per
tutti loro.”
“Non
penso che uno solo dei tuoi amici ti consideri tale, o non si sarebbero
lanciati in mezzo alla rissa per difenderti”
replicò Yothan, accigliandosi. “In
ogni caso, non farti scrupoli di sorta. Saprai sdebitarti a tempo
debito, ne
sono sicuro. In questo momento, però, desidero, anzi voglio che tu arrivi sano e salvo alla
fine del Programma e se, per
farlo, dovrai diventare la loro ombra, lo farai. Sthiggar e gli altri
non
avranno alcun problema, credimi.”
“Speravo
di non averne bisogno.”
“Per
questo, hai sempre tentato di fare le cose da solo? Beh, è
stata una scemenza.
Gli amici servono a questo, e quel pazzo di Sthiggar mi ha appena detto
che
manderà all’aria tutto, anche la sua vita, pur di
proteggerti, perciò non
rendere vani i suoi sforzi e stai con
loro.”
Rhadd
sgranò gli occhi, di fronte a quella verità
sconcertante e, basito, esalò: “Ma…
perché?”
Sospirando,
Yothan sorrise divertito e replicò:
“Perché è un bravo ragazzo, a dispetto
di
tutti i guai in cui si è cacciato in gioventù, e
non sopporta i prepotenti e i
bulli. Inoltre, a quanto pare, gli stai simpatico, perciò si
è messo in testa
di farti da guardia del corpo.”
Rhadd
sorrise divertito e, nello scuotere il capo, mormorò:
“E’ sempre stato una
testa calda, ma non potrei mai avere un amico come lui in nessuno dei
Nove
Regni.”
“Non
posso che trovarmi d’accordo” celiò
Yothan. “Starai al loro fianco, allora?”
“Ne
sarei felice, signore” acconsentì Rahdd.
“Quando sarà il momento, saprò come
sdebitarmi.”
“Lo
credo anch’io.”
***
Oggi
Quando
Rhadd mise piede nello studio del re, Sthiggar lo squadrò
con aria palesemente
confusa e l’amico, nel sorridergli, scrollò le
spalle e ammise: “Beh, adesso
sai tutto, di me.”
“Perché
non me lo dicesti mai?” replicò Sthiggar,
completamente frastornato.
Fu
Surtr a parlare per Rhadd e, nel dare una pacca sulla spalla al giovane
mezzosangue, asserì: “Le abilità di
Rhadd dovevano rimanere segrete il più a
lungo possibile, perché non finisse nuovamente sotto la
lente d’ingrandimento
dei suoi persecutori. Per questo, le sue arti magiche non sono mai
state rese
note… e ammettiamolo, ragazzo; tu non sei molto bravo a
mantenere i segreti,
visto che sei incapace di raccontare bugie.”
Arrossendo
suo malgrado, Sthiggar reclinò contrito il capo, ammettendo:
“Non posso che
dichiararmi colpevole, sire.”
Ragnhild
sorrise di fronte a tanta contrizione e, nel dargli di gomito,
chiosò: “La tua
fama ti precede ovunque, a quanto pare.”
“Già”
assentì lui, prima di rivolgersi a Rhadd e domandare:
“Sei in grado di ripetere
l’incantesimo che ci è stato fornito?”
Lui
annuì senza problemi e, dopo un breve sguardo al
liòsalfar morto, si portò
all’altezza della scrivania e lesse la malia per comprenderne
la portata. Accigliandosi
più e più volte nel rendersi conto di cosa
avrebbe voluto dire, per i portatori
di un simile sigillo, dover subire gli effetti
dell’incantesimo, storse il naso
ma non si ritrasse.
Questo
era il suo compito, ed era giunto il momento di mettere in pratica il
suo
addestramento.
“Non
dovremmo avere grossi problemi a trovarli. Quando attiverò
l’incantesimo, i
diretti interessati stramazzeranno a terra per il dolore e, sulla
pelle, verrà
incisa a fuoco l’onta del
tradimento”
disse infine Rahdd, lanciando un’occhiata torva
all’indirizzo del re.
Surtr
non ebbe alcun problema a dire: “Fai quel che devi. Sono
stanco di aggirarmi
per il mio stesso palazzo come se non ne fossi più il
padrone.”
A
quelle parole, Rhadd poggiò un dito sullo scritto del
liòsalfar e, sotto gli occhi
sorpresi dei presenti – ma non del re o di Yothan –
attrasse letteralmente in
sé ogni svolazzo e ogni lettera vergata.
Dal
foglio ormai intonso scaturì un baluginio dorato che si
estese alle dita di Rhadd
che, con occhi invasi dalla fiamma della propria aura,
lasciò vagare ogni dove
l’incantesimo costrittivo, condannando con quel gesto i
cospiratori a venire
allo scoperto.
Nel
breve decorrere di alcuni istanti, le grida si espansero per il palazzo
come il
riverbero di un tamburo percosso dai magli della colpa e Surtr,
scrutando Elsa
e Lama, ghignò soddisfatto prima di dichiarare:
“Andiamo a caccia, figlioli.”
Non
vi fu bisogno di dire altro.
***
Legato
mani e piedi alla testiera del letto, impossibilitato a usare la
propria aura
per liberarsi a causa dei lacci di gleipnir
che lo bloccavano totalmente, Thrydann non poté
che sopportare inerme ciò
che le Fiamme Purpuree fecero alla sua famiglia.
Dopo
aver raggiunto i loro alloggi regali, gli ormai ex alleati avevano
gettato al
vento ogni prudenza e, con una crudeltà dettata dal panico e
dalla certezza di
avere poco tempo a disposizione, avevano soggiogato gli Handerson.
Reso
inerme il capo famiglia con un colpo ben assestato alla nuca, le due
Fiamme
Purpuree avevano quindi legato il nobile Handerson al pari del figlio,
dopodiché si erano occupati di moglie e figlia.
Spogliate
dei propri averi e della propria dignità, erano state
violentate dinanzi allo
sguardo inorridito degli uomini di famiglia, impossibilitati ad
aiutarle in
alcun modo.
Inutili
erano state le grida di Thrydann, unico fautore di quella disfatta e di
quell’orribile
condanna che, tramite lui, era caduta sulle amate madre e sorella.
Inutile
era anche stato rammentare ai suoi antichi compagni quanto, in quella
disputa,
la sua famiglia non c’entrasse nulla e solo lui avrebbe
dovuto essere punito
per ciò che non era riuscito a portare a termine.
Inutile,
infine, era stato pregarli di avere pietà di due donne
inermi e indifese e di
risparmiare almeno loro l’orrore di essere stuprate dinanzi
alla famiglia.
La
rabbia feroce, così come il sapore della vendetta perpetrata
con il massimo del
livore, erano state droghe sufficienti a rendere le due Fiamme Purpuree
delle bestie
dissennate e senza cuore.
A
violenza ultimata, i volti ricoperti da un velo di furia non ancora
dissipata,
avevano infine lasciato andare le due donne, denudate di qualsiasi
volontà e, non
ancora soddisfatti, si erano riversati nelle stanze adiacenti per
rubare ciò
che di valore era ivi presente.
Un
dolore cociente e mai provato prima, però, aveva paralizzato
le loro membra,
così come aveva tolto fiato e forza a Thrydann, costretto a
urlare con tutto il
fiato che aveva in gola per dare voce all’arsura che ne stava
dilaniando le
carni.
La
pelle aveva iniziato a bruciare, ad ardere di un fuoco riparatore e
sulle sue
carni, evidente quanto il sangue che macchiava i corpi di sua madre e
sua
sorella, era comparso il segno del tradimento.
Fu
a quel punto che le porte si erano spalancate, lasciando entrare non
solo il
re, fumante d’ira, ma anche un redivivo Sthiggar e diverse
Fiamme Purpuree al
suo seguito.
Ora,
livido in viso per l’ira e contorto dal dolore della colpa
– incisa a fuoco
vivo sulla sua carne – Thrydann osservava l’intera
scena senza sapere bene dove
scagliare la propria furia.
Una
donna a lui sconosciuta corse lesta a soccorrere sua madre e sua
sorella, ma
Thrydann la degnò solo di uno sguardo fuggevole, gli occhi
illividiti dal
dolore puntati unicamente su Sthiggar e Rhadd.
I
due amici, l’uno al fianco dell’altro, lo fissavano
parimenti disgustati e lui,
con un sorriso ghigno e iracondo, sibilò: “Quanta
soddisfazione vi da, vedermi
finalmente piegato? Non avete sempre sognato questo?!”
“Sarebbe
stato meglio che tu non avessi cercato di essere ciò che non
avresti mai potuto
diventare” sottolineò stanco Rhadd, scuotando il
capo.
“E
chi? Un mezzosangue che si è sempre nascosto sotto le gonne
del suo cagnolino?”
ironizzò Thrydann, sputando sangue e sentenze dalla sua
bocca litigiosa.
Rhadd
lasciò alla sorpresa solo un istante per farsi largo sul suo
volto – come aveva
saputo la verità, Thrydann? – dopodiché
tornò a mascherarsi dietro il disgusto
per l’ex commilitone, lasciando che a parlare fosse
l’amico.
“Se
è così che vedi la nostra amicizia, allora
c’è ben poco che noi possiamo dirti”
si limitò a sospirare Sthiggar, avvicinandosi al padre di
Thrydann per
liberarlo dai lacci di gleipnir.
Mentre
le Fiamme Purpuree erano intente a legare i traditori nella stanza
adiacente, e
Ragnhild si occupava delle donne ferite nei bagni privati
dell’appartamento
degli Handerson, Surtr si avvicinò a Thrydann quindi, occhi
negli occhi,
sibilò: “Spero sarai soddisfatto di aver portato
un simile disonore sulla tua
famiglia.”
Il
giovane distolse in fretta lo sguardo dal re per puntarlo con odio
contro
Sthiggar, che sorreggeva il nobile Handerson – palesemente
sconvolto e
inorridito dagli impliciti significati insiti nelle parole del re
– e, livido,
ringhiò: “Non avresti mai dovuto essere tu, la
Fiamma Viva. Non sei degno del
sangue di una dea… tuo nonno era solo un comune muspell,
senza una sola goccia
di sangue nobile nelle vene!”
Sthiggar
non diede adito di essersela presa e replicò beffardo:
“In fondo dovrei
ringraziarti, sai? Grazie alla mia deportazione su Midghardr, mi
è stato
concesso di trovare l’amore della mia vita, e questo mi ha
anche permesso di diventare
l’arma perfetta nelle mani del sovrano.”
Thrydann
lo fissò senza capire, a questo punto ma, quando Ragnhild
riapparve dai bagni
con aria torva prima di affiancare Sthiggar, il giovane nobile decaduto
ringhiò
irriverente all’indirizzo della ragazza e sibilò:
“Ti sei accompagnato a una
misera midghardiana che, per qualche strano motivo, può
respirare su
Muspellheimr. Sei davvero un insulto per tutti i Giganti di Fuoco.
Nella tua
famiglia, a quanto pare, siete abituati a unirvi al vile
popolino.”
Bloccandosi
a metà di un passo, già pronta a schiaffeggiarlo,
Ragnhild fissò per un istante
Sthiggar, che scrollò le spalle con aria ironica,
lasciandole implicitamente
ampia libertà decisionale.
Con
un mezzo sorriso, perciò, la giovane si posizionò
dinanzi al giovane nobile e
bofonchiò velenosa: “Spero ti
interesserà sapere che le donne che ho soccorso
non moriranno a causa degli abusi subiti per
causa tua. Quanto alla tua affermazione, ti
converrà tenere la bocca chiusa
finché ti permetteranno di avere ancora una testa in cui
farla muovere, perché
ho una mezza idea di usare il mio nuovo titolo per fartela pagare carissima.”
Surtr
ghignò all’indirizzo di Sthiggar, celiando:
“La ragazza mi piace! Ma sei sicuro
di riuscire a gestirla? Ci vuole un sacco di energia, anche se
è più che degna
di entrambi i suoi nomi.”
Sthiggar
utilizzò l’imbeccata del sovrano per dare il colpo
di grazia a Thrydann – che stava
ancora osservando Ragnhild tra l’accigliato e il disgustato
– quindi, serafico,
replicò: “Beh, come Lama della Spada
Fiammeggiante, devo per forza
imparare a gestire la mia Elsa.”
Quelle
parole portarono il giovane Handerson a sgranare inorridito gli occhi
scarlatti
e, nell’osservare il suo avversario da sempre inarrivabile
– e che lo aveva
spinto a compiere quella follia per eliminarlo dalla sua vita una volta
per
tutte – scosse violentemente il capo e sbraitò:
“No! Non ci credo! Non è
possibile!”
Ragnhild,
allora, prese la mano di Sthiggar con sicurezza e, accigliandosi
ulteriormente,
fissò furente Thrydann prima di dire: “Esibisciti
pure. Ti conterrò io… quel
che basta per farlo cacare sotto, ovviamente.”
Mentre
Surtr scoppiava vigorosamente a ridere, Sthiggar fece come richiestogli
e,
mentre le Fiamme Purpuree conducevano fuori dagli appartamenti un
urlante e
ormai folle Thrydann, Ellri1
Handerson fissò sgomento sia Sthiggar che Ragnhild.
Deprivato
di qualsiasi forza, quindi, esalò: “La Spada
è stata dunque risvegliata?”
“Sì,
Ellri. Ma abbiamo avuto
rassicurazioni in merito e, almeno per molto, moltissimo
tempo, Ragnarök non toccherà queste
lande” mormorò
Sthiggar con tono più tranquillo, facendo rientrare il
potere primigenio che
aveva sprigionato per impressionare Thridann.
Era
chiaro quanto il nobile Handerson fosse all’oscuro delle
macchinazioni del
figlio, perciò era inutile prendersela con lui, anche se i
nobili non erano mai
stati molto gentili nei confronti della sua famiglia.
L’uomo,
però, osservò la porta della stanza dei bagni da
cui era uscita Ragnhild e,
sospirando, replicò roco: “Per me, giovane
guerriero, il Crepuscolo è già
giunto.”
Rivolgendosi
poi a Ragnhild, che aveva sospirato spiacente a quelle parole,
reclinò il capo
a mò di ringraziamento e aggiunse con il tono più
umile che, in tanti millenni,
aveva mai usato: “Ti ringrazio per la solidarietà
dimostrata verso mia moglie e
mia figlia. Non avevo idea di cosa stesse tramando mio figlio, e il
fatto che
la sua follia sia ricaduta su di loro sarà il peso che
porterò fino alla fine
dei miei giorni. Spero che nel tuo cuore esista un briciolo di spazio
per
credere alle mie parole quando ti dico che non tutti, nella mia
famiglia,
abbiamo in odio il tuo giovane compagno.”
La
ragazza assentì recisamente, asserendo atona: “Non
giudico una famiglia dai
gesti di una singola persona. Ma sappiate questo; ora come ora, vostra
moglie e
vostra figlia avranno bisogno di tutto il supporto possibile, per
sopravvivere
a ciò che è accaduto loro.”
Surtr
precedette Ellri Handerson e, nel
battere una mano sulla spalla della giovane, dichiarò con
sicurezza: “Avranno
tutto l’aiuto necessario, non temere, giovane Elsa.”
Handerson
ringraziò con un cenno del capo il suo sovrano,
dopodiché mormorò stancamente:
“Se le urla che ho udito poco tempo addietro appartengono
agli altri traditori,
allora Vostra Maestà dovrà rivedere in
toto il Concilio della Corona. Ho riconosciuto le voci di
diversi miei
confratelli, perciò temo che…”
Surtr
scosse torvo il capo e, lapidario, replicò
all’indirizzo del nobile titolato:
“Il Concilio verrà smantellato.
E’
tempo che Muspellheimr torni a essere guidato da un re, e soltanto da un re. La democrazia non fa
per noi, a quanto pare.”
“Temo
di no, sire” assentì Ellri
Handerson,
spiacente.
Non
avendo null’altro da dire, Surtr invitò Sthiggar e
Ragnhild a uscire dagli
appartamenti e, una volta trovatisi nel corridoio di
quell’ala di palazzo, la
giovane domandò: “Cosa accadrà al
figlio di quell’uomo?”
“Quello
che tu hai millantato, giovane Elsa” le spiegò
Surtr, vedendola sgranare gli
occhi in risposta. “Verrà deprivato della testa,
così che il messaggio giunga
forte e chiaro in ogni angolo del pianeta. Chiunque voglia attentare
alla mia
vita, al mio regno e al mio popolo, dovrà pagare con la vita.”
Sthiggar
strinse maggiormente la mano di Ragnhild, a quelle parole scevre di
delicatezza
ma lei gli sorrise per tranquillizzarlo, scrollò una spalla
e chiosò: “Non
temere per me. Dopotutto, ero una berserkr. So cosa significano il
sangue e la guerra.”
“Avrei
preferito mostrarti Muspellheimr in un altro modo, e in un altro tempo,
così
che tu potessi apprezzarne solo la bellezza”
sottolineò per contro Sthiggar,
spiacente.
“Se
il tuo mondo fosse rimasto in pace, tu non saresti mai giunto su
Midghard, la
Spada Fiammeggiante non si sarebbe mai attivata e noi non saremmo qui,
ora”
replicò lei con un sorrisino. “Qualcuno, o
qualcosa, ci vuole qui insieme, nei
millenni a venire. Io, perciò, non mi porrei altri dilemmi,
né mi farei degli
scrupoli di coscienza.”
“Come
desideri” acconsentì Sthiggar prima di lanciare
uno sguardo verso la fine del
corridoio, da cui stava giungendo Rhadd di corsa, e
borbottò: “Ho idea che
servirà tutta la giornata, se non di
più.”
“Temo
di sì. Ho la testa che mi sta scoppiando, con tutti gli
input che la stanno
riempiendo, ma cercherò di reggere più che
posso” si lagnò Ragnhild, storcendo
la bocca.
“Ti
prometto una vacanza nei nostri luoghi più belli, giovane
Elsa ma, per il
momento, ho ancora bisogno di te” le propose allora Surtr.
Lei
lo fissò curiosa, accennò un sorriso divertito e
domandò: “Mi chiamerete sempre
Elsa, maestà?”
“Sto
solo gongolando al pensiero di avere la Spada Fiammeggiante, tutto qui.
Concedimi un po’ di vanagloria, ragazza. Prima o poi
passerà” ghignò il
sovrano, portandola a ridere divertita.
1
Ellri: più vecchio (norreno). Indica il suo stato di anziano
– o senior – all’interno
della famiglia.
N.d.A.: Le prime teste
cominciano a rotolare (per ora, solo metaforicamente) e alcuni segreti
vengono alla luce, sorprendendo lo stesso Sthiggar. Poco alla volta,
Muspellheimr sta tornando alla normalità, anche se nessuno
ne uscirà senza cicatrici.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** Capitolo 28 ***
Cap.
28
Quand’anche
l’ultimo muspell venne estratto dalle macerie di Hindarall
– fortunatamente,
molte persone si erano rifugiate nei sotterranei, protetti dalla magia
liòsalfar del padre di Rhadd – Fenrir
scrutò i suoi figli prima di indirizzarli
verso il palazzo.
Naglfar
stava ancora volteggiando sicura e inavvicinabile al di sopra del
cortile
antistante le ampie porte dell’immenso maniero in ossidiana
e, quando il trio
di licantropi giunse in loco, Hildur manovrò la nave per
discendere.
Scostandosi
quel tanto per non venire intercettati dai lunghi remi del veliero da
guerra,
Fenrir riprese sembianze umane al pari dei figli e,
nell’osservare per un
attimo il sole discendere lungo la linea dell’orizzonte,
sospirò nel dire: “Ora
si comincia a stare meglio.”
“Ci
saranno quaranta gradi, ma fa niente. Con il surriscaldamento globale,
ormai
sono diventate temperature normali anche sulla Terra” si
lagnò Sköll
attirandosi addosso lo sguardo esasperato del fratello. “Ehi!
Che ho detto? Non
è forse vero?”
“Devi
sempre lamentarti per qualcosa” gli fece notare Hati,
accostandosi alla
scaletta della nave per aiutare la regina a discenderne.
Fenrir
li richiamò all’ordine prima che la discussione
potesse degenerare – cominciava
finalmente a ricordare cosa avesse voluto dire crescere due maschi dai
caratteri così differenti – dopodiché,
osservata la devastazione che li
circondava, chiosò: “Gli indubbi vantaggi di una
simile nave da guerra iniziano
a sembrarmi chiari. E’ devastante.”
“Ha
qualche giocattolino utile” assentì Hildur,
allungandogli una mano per
complimentarsi con lui e i suoi figli. “La situazione in
città?”
“Stabile.
Abbiamo liberato le persone bloccate sotto le abitazioni e, per il
momento, i
cittadini in salute si stanno occupando dei feriti nei sotterranei
dove, a
quanto pare, c’è un autentico ospedale da
campo” le spiegò Fenrir, ammirato da
una simile organizzazione.
“Qualcuno
fu lungimirante, a suo tempo” ammise Hildur, lanciando uno
sguardo alle sue
spalle per osservare le alte torri di guardia da cui, fortunamente,
ancora
sventolava lo stendardo della casa regnante.
“Credi
si possa entrare, ora?” domandò ansiosa Ilya,
scrutando le porte del palazzo
con aria bramosa.
Hildur
cercò nello sguardo di Fenrir un qualsiasi genere di
rassicurazione – o
eventuale minaccia –, ma lui disse:
“All’interno non si sente più
battagliare,
e l’odore di Sthiggar e Ragnhild è privo di
tossine, segno che sono
relativamente tranquilli. Possiamo procedere, ma
la regina e il Gran Sacerdote procederanno accanto a noi.”
“La
trovo una cosa sensata” assentì Hildur, lanciando
quindi un’occhiata a Thrym e
Flyka, dicendo: “Non dovrebbero esserci problemi, ma non
voglio che Naglfar
rimanga sguarnita. Pensate voi a tenerla d’occhio?”
Ilya
fu sorpresa da tanta generosità, e anche i due muspell
parvero sorpresi da una
simile espressione di fiducia ma Thrym, nell’inchinarsi
dinanzi alla sovrana,
assentì e disse roco: “Onoreremo tale fiducia
dando la nostra vita per la nave,
qualora ve ne fosse bisogno.”
La
sovrana scosse il capo e, nel poggiare una mano sui fulvi capelli del
guerriero, replicò: “Salvate voi stessi, non la
nave, se ve ne fosse bisogno.
Ho visto fin troppi morti, e non ne voglio altri sulla
cosienza.”
“Ai
vostri ordini, maestà” mormorò allora
Thrym.
Annuendo
recisamente, Ilya si affiancò quindi a Fenrir, il quale le
offrì il braccio
mentre Hati si accostava a Snorri per proteggerlo. Sköll,
invece, levò il naso
per annusare l’aria, fu colto dalla curiosità e
domandò al padre: “Non senti
qualcosa di strano, papino?”
Fenrir
lo fissò esacerbato – quando sarebbe finita questa
cosa del papino, che proveniva al
novantanove
percento da Jerome? – ma acconsentì a controllare
a sua volta l’aria con i
propri sensi più che raffinati.
Sorpreso,
quindi, sobbalzò e, scrutando dubbioso la regina,
domandò: “Tra i vostri
invitati, per caso, vi erano anche i sovrani di Elfheimr?”
“Ma
certo” assentì la donna.
Persino
Hati scoppiò a ridere e, mentre Sköll teneva le
mani poggiate sullo stomaco,
piegato in due dall’ironia di tutta quella situazione, Fenrir
sospirò esasperato
e borbottò: “Non anche
loro. Non ho
la forza di sopportare anche degli elfi chiari, oggi.”
***
Ilya
riuscì a trovare il marito soltanto dopo una buona
mezz’ora di tentativi a
vuoto. Gli odori tendevano a sparpagliarsi attraverso i mille e
più corridoi di
palazzo, confondendo persino l’olfatto sopraffino di Fenrir.
Trovare la pista
giusta da prendere, perciò, richiese qualche tentativo a
vuoto e diverse
imprecazioni masticate tra i denti.
Gli
stessi poteri di Ilya parvero in difficoltà, resi maldestri
da uno strano
incantesimo liòsalfar che sembrava essere steso come una
ragnatela sull’intera
città.
Quando,
però, la regina scorse re Surtr in rapida discesa da una
scala secondaria,
seguito a ruota da un contingente di Fiamme Purpuree, oltre a Sthiggar
e
Ragnhild, la donna sospirò e gli corse incontro, esalando:
“Mio Surtr!”
Bloccandosi
a metà di un passo – l’espressione
stanca subito sostituita dal sollievo – il
muspell allargò le braccia per accoglierla in seno e, nel
baciarle i capelli
scarmigliati, mormorò: “Mio cuore! Sono lieto di
rivederti!”
Ciò
detto, indirizzò un’occhiata dubbiosa
all’indirizzo dei tre licantropi prima di
sorridere a Snorri e Hildur, aggiungendo: “Lieto di rivedere
anche voi. A
quanto pare, nel corso della tua missione, Hildur, hai reclutato
alleati
alquanto singolari.”
“Diciamo
che è stato un crescendo di sorprese”
ammiccò la donna, inchinandosi
formalmente al suo sovrano.
Levando
curioso un sopracciglio, Surtr si tenne al fianco la moglie
dopodiché,
avvicinatosi a Fenrir, allungò una mano e disse:
“Riconosco il tuo potere, pur
se non avevo mai avuto il piacere di incontrarti personalmente, Figlio
di Loki.
Ti sono riconoscente per ciò che hai fatto per il mio popolo
e per mia moglie.”
Fenrir
strinse la mano protesa del re, replicando: “Abbiamo reputato
fosse necessario
evitare il peggio, così ci siamo alleati alla tua
regina.”
Dopo
aver annuito brevemente, e aver concesso un cenno di ringraziamento a
Hati e
Sköll, il sovrano tornò mortalmente serio e
borbottò: “Temo di non potermi
fermare oltre, assieme a voi, poiché il compito di ripulire
il palazzo dai
traditori non è ancora terminato. Avremo tempo
più avanti per comprendere bene come
siete entrati a far parte di questa
strana e perversa equazione.”
“Lo
comprendiamo” assentì rapido Fenrir.
“Baderò
io ai nostri ospiti, non temere” intervenne Ilya prima di
chiedere: “Dove si
trovano Oberon e Titania?”
A
quel punto, Surtr sorrise divertito e celiò: “Nel
mio studio, cara e, se non
fosse che ho il fuoco alle calcagna, rimarrei per vedere questo
incontro, ma
purtroppo non posso.”
Sköll
ridacchiò a quell’accento ma Fenrir lo
frizzò con un’occhiataccia, riportandolo
al silenzio. Non era davvero il caso di fare dell’ironia su
ciò che era
avvenuto su Elfheimr, visto quel che si era rischiato.
***
Per
ogni evenienza, Ilya si tenne al braccio di Fenrir per tutto il tempo,
così che
fosse più che chiaro il loro reciproco rapporto di fiducia,
oltre che per
evitare che il dio-lupo si scagliasse contro Oberon al primo sguardo.
Non
sapeva cosa fosse accaduto tra i due ma, quando Surtr aveva accennato
alla
presenza dei reali di Elfheimr nel suo Studio, le era parso chiaro
quanto, tra
Fenrir e gli elfi, non corresse esattamente buon sangue.
Quando,
perciò, aprì la porta dello Studio per entrare
assieme ai licantropi, Ilya lo
fece con la segreta speranza di non dare il via a una seconda guerra.
Quel
che vide subito dopo, però, scacciò
immediatamente quel pensiero, e solo per
sostituirlo con uno di pura confusione e sconcerto.
Alla
vista del trio di licantropi, Titania si levò dalla poltrona
per accorrere
incontro a Fenrir e, dopo avergli gettato le braccia al collo, lo
baciò con
candore sulle guance sbarbate per poi esalare: “Oh, caro! Che
piacere
rivederti!”
Irrigidendosi
leggermente, Fenrir la scostò con educazione prima di
sorriderle con fredda
cortesia dopodiché, incrociato lo sguardo corvino con quello
color del cielo di
Oberon, il dio-lupo disse: “Mio Signore Oberon. Ben
trovato.”
“Dio-lupo…
a quanto vedo, la fortuna ti segue benevola, se anche stavolta sei
uscito
illeso da una battaglia” sottolineò leggermente
sarcastico il re degli elfi,
mettendo timidamente in allarme la regina Ilya e Titania.
Accennando
un sorrisino beffardo, Fenrir replicò: “Come dio
della distruzione, ho una
buona preparazione, in fatto di disastri, quindi so come
gestirli… e come evitarli.”
Titania
frizzò con lo sguardo Oberon prima che egli potesse
replicare con una
rispostaccia, così al sovrano liòsalfar non
rimase che chiedere: “La tua
prole?”
“Hati
e Sköll” assentì Fenrir,
presentandoglieli.
“E
la tua affascinante signora non è presente, in questa
sede?” si informò a quel
punto Oberon.
“Non
ci è concesso camminare assieme in nessuno dei Mondi, in
queste forme. Ciò che
tu vedesti fu solo la classica eccezione che conferma la
regola” asserì Fenrir
con tono fiacco.
“Un
vero peccato” chiosò quindi Oberon prima di
domandare: “A quale titolo siete
qui, visto il ruolo che avrete in Ragnarök?”
“A
titolo del tutto gratuito. Ragnarök per come lo conosciamo
è del tutto svanito
dai disegni del Cosmo e ora, con le nostre odierne azioni, stiamo
riscrivendo
il nostro futuro, a quanto ci è stato detto da persone ben informate”
replicò con candore Fenrir, ora realmente stupendo
il re degli elfi.
Titania
parve parimenti sorpresa così Fenrir, per quanto gli fu
concesso di esprimersi
– sapeva che alcune cose avrebbero dovuto rimanere segrete,
perciò non le disse
– narrò gli eventi per come lui li aveva vissuti.
Immane
sorpresa e sconcerto si confusero sui volti stupendi e perfetti dei due
liòsalfar, ma nessun commento fu possibile poiché
Fenrir, rabbrividendo di
colpo, si volse verso la porta quasi a voler fuggire e, turbato,
esalò: “Avya…
ma cosa…?”
“Cos’è
successo a mamma?” esalarono quasi all’unisono i
figli, turbati al pari del
padre.
Stringendosi
una mano al torace e torcendo la tunica di pelle bianca che indossava,
Fenrir
reclinò il viso con aria straziata dall’ansia e,
roco, esalò: “Sta utilizzando
un potere enorme… ma
perché?”
***
A
diversi Mondi di distanza, e per tutt’altro genere di
battaglia, Duncan
McKalister si presentò a Luleå in compagnia di sua
zia Sarah e dei suoi figli,
Nathan e Hannah.
Branson
– Geri del branco – si sarebbe occupato di guidare
il clan in sua assenza,
affiancato dai managarmr
più alti in
grado e da Spike Jefferson, Sköll di Bradford.
Alec
aveva concesso più che volentieri a Duncan gli aiuti
richiesti, con la speranza
che non dovesse servire altro al branco di Matlock. L’idea di
sapere Brianna su
un altro Mondo non aveva reso per niente felice Alec ma, ben conoscendo
l’amica
e il suo spirito altruistico, non se n’era per nulla stupito.
Duncan
era quindi partito subito dopo aver ricevuto la telefonata di Magnus,
grazie alla
quale aveva scoperto ciò che era avvenuto loro e cosa fosse
stato deputato a
fare suo malgrado.
Ora,
dinanzi alla porta d’entrata della casa di Olaf Thomasson,
Duncan strinse
affettuosamente la mano di Magnus prima di dire:
“E’ un piacere rivederti,
anche se in circostanze così insolite e
spiacevoli.”
“Mi
spiace averti disturbato proprio quando la tua Triade è
menomata e anche
Brianna non può esserti d’aiuto. Spero tu abbia
risolto in qualche modo”
replicò Magnus, invitandoli a entrare all’interno
dell’abitato.
“Ho
messo insieme un buon gruppo di supporto, non temere” lo
tranquillizzò lui
prima di sorridere quando Hannah, che teneva in braccio, premette per
raggiungere Magnus.
Magnus
allora sorrise alla bimba di due anni, la accolse tra le braccia e
mormorò:
“Sei sempre più bella, Hannah, lo sai?”
La
bimba si esibì in un sorriso tutto fossette davvero
adorabile e Nathan,
storcendo il naso, borbottò: “Appena ha saputo che
saremmo venuti qua, ha
cominciato a strillare come un’aquila.”
“Nat…”
lo richiamò gentilmente Duncan, sorridendo al figlio
primogenito che teneva la
mano di Sarah, poco dietro di lui.
“Ma
è vero, papà” brontolò per
contro il bambino, facendo sorridere Sarah e
sospirare il padre.
“Sarà
anche vero, tesoro, ma non è certo carino farlo
notare” sottolineò per contro Duncan.
“Se
lo dici tu…” mugugnò il bambino,
spallucciando.
Magnus
sorrise indulgente al bambino e, nel dare un buffetto sulla guancia
alla
bambina tra le sue braccia, asserì: “Spero che il
viaggio in aereo ti sia
piaciuto, Nathan.”
“Eccome!
Abbiamo incontrato anche delle turbo…”
iniziò col dire lui prima di
impappinarsi, scrutare dubbioso la zia e domandare:
“Com’è che si dice?”
“Turbolenze,
caro” gli spiegò Sarah.
“Ah,
ecco. Turbolenze. L’aereo ha saltato parecchio, ma io mi sono
divertito un
sacco” sorrise deliziato Nathan.
Duncan
rise diverito, a quel commento, e replicò: “Io
avrei preferito evitare ma, se
lui si è divertito, chi sono io per lamentarmi?”
Magnus
assentì pieno di letizia – lieto che gli amici
fossero così di buonumore
nonostante la situazione paradossale che stavano vivendo –
quindi, assieme,
raggiunsero il salone principale della casa, dove già si
trovavano i loro
ospiti, oltre a Mattias, il nipote dei padroni di casa.
Una
volta raggiuntili, Magnus fece gli onori di casa, presentando i nuovi
venuti
prima di ragguagliare Duncan in merito ai risvolti più gravi
della sfida da lui
lanciata al capoclan di Luleå.
Duncan
ascoltò in silenzio l’intera storia mentre Nathan
faceva la sua conoscenza con
Mattias dopodiché, assentendo rapido al racconto offertogli,
dichiarò: “Non ci
sono problemi. Posso bloccare Odino con i poteri di Avya, ma quello che
mi
chiedo è; sei disposto a mostrare le tue zanne, amico
mio?”
“Vi
sono costretto. Ho procrastinato troppo e questi sono i risultati.
Avrei dovuto
essere più incisivo, parlare al mio popolo e rendere noti i
miei pensieri e
quelli di Odino” sospirò Magnus, scuotendo il
capo. “Il nostro dio non è
risorto solo perché spinto alla rinascita dalla presenza di
Fenrir nel mondo.
Voleva che i suoi guerrieri tornassero a prosperare e io, fino a ora,
non ho
fatto nulla per portare avanti questo progetto.”
“Hai
quindici anni” sottolineò conciliante Duncan,
sorridendogli benevolo.
“Potrei
averne anche cinque, ma avrei dovuto cominciare ad agire al mio primo
pensiero
cosciente. Non posso contare su un’esistenza immortale,
perciò devo apportare
le modifiche che Odino desidera per i suoi protetti il più
in fretta possibile,
poiché anche io la
penso così, e
credo sia l’unico modo per permettere alla mia gente di
salvarsi e prosperare”
replicò Magnus, passandosi nervosamente una mano tra i corti
capelli biondo
cenere. “Solo, spero di essere all’altezza dei miei
propositi. Non ho mai
combattuto prima in vita mia.”
Quel
commento sconcertò non poco Duncan che, sorridendo divertito
all’amico, esalò:
“Beh, ti sei scelto davvero un bel banco di prova,
allora!”
“Puoi
dirlo” esalò lui, scoppiando a ridere con
l’amico e coinvolgendo in quella
risata anche il resto dei presenti.
Hannah,
che se ne stava ancora tra le braccia di Magnus, gli diede un bacetto
sulla
guancia e il giovane, sorridendole grato, mormorò:
“Grazie per
l’incoraggiamento, piccola.”
Soddisfatta,
Hannah chiamò il fratello perché la prendesse in
braccio e Nathan, nel
recuperarla, la rimise a terra e domandò: “Vuoi
giocare con noi, Hannah?”
“Sì”
dichiarò solenne la bambina, facendo scoppiare nuovamente a
ridere i presenti.
Nell’osservarla
allontanarsi assieme a Nathan e Mattias, Magnus si rasserenò
un poco, lieto di
poter avere almeno i suoi amici, al suo fianco.
Andrà
bene, non
temere. Noi tutti abbiamo fiducia in te, gli rammentò Odino con
tono
compiaciuto.
“La
fai facile.
Tu e Fenrir vi siete allenati assieme, ma io no”
sottolineò per contro il giovane.
La tua
memoria è
buona, però. Ricorda le mie mosse e quelle di Fenrir, e
vedrai che non avrai
problemi. Per quanto Fenrir possa essere elegante nei movimenti, rimane
pur
sempre una creatura mutaforma come il berserkr, e questo
sarà un vantaggio, per
te. Hai già visto come combatte una creatura per
metà animale, gli rammentò
Odino.
“Spero
tu abbia
ragione, o la mia sarà la rivoluzione più breve
della storia”, chiosò Magnus
sorridendo speranzoso all’indirizzo di Duncan che, annuendo,
gli batté
confortante una mano sulla spalla.
Non
doveva cedere allo sconforto e alla paura. Ormai aveva deciso e, per
nulla al
mondo, avrebbe ceduto di un passo.
Sperando
di non fare un autentico casino nel frattempo.
***
La
foresta di betulle nei pressi di Ale nascondeva il luogo sacro al
popolo di
berserkir di Luleå e, quando Magnus vi mise piede assieme ai
suoi
accompagnatori, percepì distintamente la presenza dei suoi
avversari.
Isolata
da tutti ed emblema super partes di
quell’Ordalia, Isolde accolse entrambe le fazioni con un
cenno del capo ma,
alla vista della donna al fianco di Magnus, impallidì
leggermente prima di
inchinarsi ossequiosa.
Avya
si scostò quindi dalla figura di Magnus per accostarsi a
quella di Isolde e,
con un debole sorriso, accennò un saluto col capo prima di
dire: “Bentrovata,
sorella.”
Lo
sguardo dubbioso del gruppo di berserkir capitanato da Elias
scrutò curioso la
figura esile e piccola della donna appena giunta che, da parte sua,
dimostrava
di avere un potere così devastante da surclassare quello di
Isolde.
Quest’ultima,
nel rivolgersi al suo capoclan, disse: “Costei è
la capostipite della razza Úlfheðnar,
la compagna del dio-lupo Fenrir, e
mi assisterà durante l’Ordalia.”
Elias
si accigliò
immediatamente, a quelle parole e, torvo, replicò:
“E’ amica del mio nemico.
Come potrà essere imparziale?”
Isolde
parve
personalmente insultata da quelle parole, perché
replicò piccata: “Costei parla
per conto di Madre e non potrebbe mai
mentire. Garantisco io per lei.”
Pur
scontento di
quella novità, Elias assentì cauto e
replicò: “Se sei convinta della sua buona
volontà, non posso che acconsentire alla sua
presenza.”
Sorridendo
sorniona,
Avya a quel punto ribattè: “Non ho bisogno delle
parole di alcun uomo,
licantropo o berserkr, per camminare su luogo sacro. Madre mi consente
questo e
altro, uomo-orso.”
Infastidito
da
quell’appunto, Elias emise un emblematico ‘mpfh’
prima di scrutare ombroso il suo giovane oppositore. L’essere
stato costretto a
quell’Ordalia non lo aveva di certo riempito di gioia ma, se
voleva riprendere
tra le mani il rispetto dei suoi uomini e il controllo del clan, non
poteva di
certo farsi battere.
Odino
o non Odino.
Suo
era il
predominio, sue le decisioni, e non avrebbe permesso a nessuno di
cambiare ciò
che con tanta fatica la sua famiglia aveva creato in quei lunghi secoli.
Se
il loro dio avesse
voluto cambiare le regole del gioco sarebbe riemerso dagli anfratti del
Valhalla molto tempo prima, perciò lui non aveva nulla da
recriminarsi. Aveva
fatto semplicemente del suo meglio per primeggiare e per portare avanti
i suoi
precetti.
Del
tutto ignara
delle ire di Elias, Avya si mosse verso il centro dell’arena
composta da rado
sottobosco e strati morbidi di muschio color giada, strappando
così il capoclan
berserkr ai suoi oscuri pellegrinaggi mentali e, con voce brillante,
esclamò:
“Come è in mio potere, bloccherò
l’energia di Odino perché Magnus possa
combattere unicamente con le sue doti di berserkr, e la vostra sorella
si
accerterà che la mia gabbia sia salda.”
Ciò
detto, si
avvicinò a Magnus e, dopo aver posto una mano sulla fronte
del giovane,
aggrottò la fronte e mormorò: “A noi
due, Occhiosolo.”
Vacci
piano, ragazza. Essere
ingabbiato non piace a nessuno,
le ricordò Odino.
“Non
avrai paura, per caso?”
replicò ironica la donna,
espandendo la propria aura tutt’attorno alla fonte di potere
generata dal dio.
Magnus
dovette
assestare i piedi sul terreno a causa del contraccolpo psichico e, per
la prima
volta da anni, percepì la propria mente stranamente vuota,
come liberata da un
peso, o da una scomoda presenza.
Anche
cercando con
attenzione, non avvertì in alcun modo l’energia
del dio che risiedeva dentro di
sé ma, quando osservò il volto di Avya per
chiederle spiegazioni, si preoccupò
immediatamente per lei.
La
donna appariva
pallida e imperlata di sudore, chiaramente frastornata
dall’uso smodato del
potere che aveva liberato per imprigionare Odino così,
afferrandola alle
spalle, mormorò turbato: “Sei sicura di
farcela?”
“Non
temere. Duncan
mi sta aiutando a reggere il colpo e, almeno per un po’,
riuscirò a contenerlo.
Ma tu non perderti in gloria, amico mio, perché non so
quanto tempo potrò
resistere. Stiamo pur sempre parlando di Occhiosolo”
sussurrò roca Avya,
allontanandosi da Magnus, subito sorretta da Isolde, che la
allontanò dal campo
di battaglia per poi farla accomodare su un masso ricoperto di muschio.
Lanciata
poi
un’occhiata all’indirizzo del suo capoclan,
asserì: “Potete dare inizio al
duello. La sua mente è sgombra.”
E
che gli dèi ce la mandino buona, pensò
tra sé Avya, stringendosi le
braccia al petto, la mente interamente concentrata sul dispiego
smisurato di
energie che stava utilizzando per tenere bloccato Odino entro il
cerchio della
sua prigione.
Elias
non se lo fece
ripetere due volte e, nell’arco di un paio di secondi, da
uomo che era mutò in
orso, scagliandosi contro Magnus con la berserksgangr
già attiva e desiderosa di sangue.
Magnus
respinse lesto
il primo colpo, balzando su un lato e mutando esso stesso in orso per
combattere più agevolmente contro il possente nemico.
L’avversario
non
perse tempo e contrattaccò immediatamente, scagliando i
lunghi artigli contro
la sua giugulare, ma ancora Magnus evitò il colpo,
replicando con un fendente
al basso ventre, che però venne evitato con
abilità.
In
fretta, i presenti
si scostarono dal campo di battaglia per dare maggiore spazio ai due
contendenti e Bjorn, nell’osservare il nipote alle prese con
il suo primo
duello, tremò.
Aveva
sempre reputato
sbagliato che il ragazzo venisse cresciuto nella bambagia, e che non
gli fosse
permesso di confrontarsi con gli altri al pari di qualsiasi altro
berserkir ma,
non essendo suo padre, aveva dovuto accettare silente.
Vederlo
alle prese
con un guerriero navigato e che, dalla sua, doveva avere invece anni e
anni di
esperienze nel combattimento, lo fece fremere di ansia ma, ugualmente,
non
cedette allo sconforto.
Tenendo
stretta a sé
la mano di Mattias, che stava osservando a sua volta con espressione
trepidante
lo svolgersi del duello, cercò di trasmettere al nipote
tutta la fiducia che
provava per lui e, tra sé, sperò che la presenza
di Avya potesse dargli
sicurezza.
Sapeva
quanto Magnus
tenesse in considerazione i suoi amici licantropi, e Avya era stata per
lui, in
più di un’occasione, una figura molto simile a una
madre, oltre che di
un’insegnante assai dotata.
Affrettandosi
a
scostare di peso Mattias quando Magnus venne scaraventato nella loro
direzione,
Bjorn lo rimise a terra giusto in tempo per vedere il nipote ripartire
alla
carica con un nuovo attacco.
Questa
volta,
l’aggressione andò a buon fine e, quando Bjorn
vide le zanne di Magnus
affondare nel braccio di Elias, seppe che il ragazzo stava cominciando
a prendere
le misure al proprio avversario.
Se
non fosse stato
che, da quel duello, sarebbero derivate fin troppe decisioni e
cambiamenti,
avrebbe persino detto che Magnus avesse cominciato a prenderci gusto.
Scuotendo
il capo di
fronte a quella stramba idea, Bjorn accennò un sorrisetto e,
nel dare una pacca
sulla spalla di Mattias, ancora palesemente in ansia,
asserì: “Comincia a
capire come gestire la berserksgangr.
E’ già un passo avanti.”
“Come
credi che
finirà?” domandò preoccupato Mattias,
non sapendo esattamente per chi tifare.
Per
quanto volesse la
vittoria di Magnus, sperare nella sconfitta del padre gli sembrava
tremendamente sbagliato, eppure sapeva che il duello non poteva
concludersi con
una parità.
Vedere
come la madre
stesse osservando livida Magnus, inoltre, non faceva ben sperare. A
giudicare
dal suo sguardo, se fosse stata lei a combattere, avrebbe
già tentato di
uccidere l’avversario senza badare all’etichetta o
al rispetto delle regole.
Questo
non faceva che
confermare ciò che, negli anni, Mattias aveva cercato
disperatamente di non
vedere; sua madre era più spietata del padre e forse, contro
di lei, Magnus non
avrebbe avuto scampo.
Suo
padre, invece,
per quanto deciso a sostenere le proprie idee, non sembrava propenso a
usare
dei mezzucci, pur di vincere, e questo pareva infastidire la moglie
che, ferma
sulla sua sedia a rotelle, osservava ogni loro mossa con astio aperto.
Non
badare a quel che fa tua madre.
Ormai sai già come la pensa, perciò non
angustiarti più del necessario,
gli ricordò Urd con tono
comprensivo.
“Ho
sperato fino all’ultimo che
potesse capire, ma questo spettacolo non fa che chiarire una volta di
più chi
sia lei davvero”
mormorò sconfortato
Mattias.
Per
questo, questa lotta è così
importante. Non solo noi abbiamo notato che tua madre sta osservando
l’avversario
del marito, e il suo stesso capoclan, con aperta
superiorità. I suoi stessi
sudditi stanno notando tutto questo, e ciò è
vitale per quanto ci riproponiamo
di fare. Ormai è divenuto lampante a tutti quanto, per lei,
Elias non sia mai
stato un degno capobranco, e questo sta rompendo le fila dei guerrieri
di tuo
padre.
“Lo
so, purtroppo”
assentì Mattias, scrutando
parimenti la madre e i guerrieri di suo padre, che stavano osservando
la scena
con espressioni sempre più disgustate.
Se
neppure la moglie
del capoclan aveva fiducia nel proprio partner, come avrebbero potuto
averne
loro?
Nel
vedere Avya
piegarsi in avanti, quasi colpita da un crampo, Urd intervenne rapida e
disse: Devo correre da lei. Te la senti di
fare da
tramite, o vuoi che esca?
“Farò
da tramite. Ormai ho capito
come fare” acconsentì
Mattias,
affrettandosi a raggiungere la donna per sostenerla durante la sua
lotta per
tenere bloccato il potere devastante di Odino.
Non
appena appoggiò
la mano sulla sua spalla, Mattias impallidì visibilmente e
Avya, nel notarlo,
esalò: “No, ragazzo! E’ ancora troppo
presto, per te!”
“Voglio
aiutare in
qualche modo. Lasciami fare, per favore” la pregò
a quel punto lui, mantenendo
il contatto e permettendo così a Urd di infondere nella
donna parte del suo
potere.
“Mattias…”
mormorò
spiacente Avya, poggiando una mano su quella del ragazzo.
Lui
sorrise appena,
annuì coraggiosamente e continuò a essere il
tramite tra la divinità e la wicca,
sopportando stoico anche le
occhiate velenose di sua madre che, ormai, sembrava essere del tutto
fuori
controllo.
La
sua gelida
facciata era caduta, lasciando intendere a tutti i presenti cosa
pensasse
realmente del marito, della sua apparente inadeguatezza come capo e,
più di
tutto, come vedesse il voltafaccia del figlio nei suoi confronti.
L’idolatria
e l’amore
incondizionato erano scomparsi dalle sue iridi d’acciaio
temprato, sostituite
dal disprezzo e dal disgusto.
Non
pensare a lei,
gli ricordò Urd con tono secco.
“E’
mia madre. Come posso non
pensare a lei?”
E’
la donna che ti ha dato la vita.
Tua madre è stata Ragnhild, e lei non ti guarderebbe mai
così. Lo sai,
gli rammentò Urd con voce più
dolce.
Mattias
fu costretto
ad annuire, ben sapendo che Urd aveva ragione. L’idolatria di
sua madre non era
mai stata diretta veramente a lui, ma a Urd, e i gesti
d’amore a lui rivolti
erano nati a causa di ciò che portava dentro di
sé. Se fosse stato un bambino
come tutti gli altri, probabilmente sarebbe stato trattato con ancor
più
freddezza rispetto a Ragnhild.
Sarebbe
stato solo
l’ennesimo guerriero da utilizzare per il predominio e per il
potere che lei non avrebbe mai
potuto avere.
Null’altro che questo.
Un
‘aaah’ collettivo
strappò Mattias a quei
torvi pensieri e, nel risollevare lo sguardo, si ritrovò a
fissare sgomento e
sorpreso la figura trionfante di Magnus che, fermo a zanne spalancate
sul collo
di Elias, attendeva da quest’ultimo la resa.
Già
pronto a veder
terminare con questo esito l’Ordalia, Mattias
sobbalzò sconcertato quando sua
madre, sbracciandosi dalla sedia a rotelle, gesticolò le
inequivocabili parole
che conficcarono l’ultimo chiodo sulla bara del suo amore per
lei.
Uccidilo.
Uccidi quel perdente.
Sua
madre. Sua madre
voleva che Magnus uccidesse il marito, reo di non aver vinto lo scontro.
A
tal punto arrivava
la sua follia.
Magnus,
per contro,
si risollevò, tornò uomo e allungò una
mano in direzione di Elias che, a sua
volta, riprese sembianze umane prima di accettare l’aiuto del
giovane così da
poter risollevarsi da terra.
Finalmente
libera,
Avya lasciò che Odino tornasse entro i confini della mente
di Magnus e il
giovane, con un sospiro, esalò all’indirizzo del
dio dentro di sé: “Ehi!
Bentornato! Ma cosa stavate
combinando, tu e Avya? Stava malissimo!”
Lei
è l’unica a poter gestire
questo genere di energia, ma non è una dea. Come pensavi
potesse stare?,
gli fece notare Odino prima di
aggiungere: Sei stato bravo, comunque. Ho
potuto vederti attraverso i suoi occhi, e posso dirti che hai fatto un
buon
lavoro.
“Non
mi sento molto felice,
comunque. Hai visto cos’è successo con la madre di
Mattias?”
Non
pensarci proprio ora. Dobbiamo
ancora completare l’Ordalia, e lo sai. Non puoi lasciarlo con
la berserksgangr attiva o, alla prima occasione, tornerà
sui suoi passi. Devi comminare
la condanna, sottolineò torvo Odino,
rammentandogli fin dove avrebbe dovuto
spingersi.
Magnus
assentì suo
malgrado e, con tono fiacco ma chiaro, disse: “Tua
è la sconfitta, Elias
Thomasson di Luleå, berserkr di Luleju1
e capoclan di detto branco.
Ti siano tolti i gradi e i poteri, in quanto reo di aver usato violenza
verso i
tuoi consanguinei e aver cagionato un danno fisico e morale a entrambi
i tuoi
figli.”
L’uomo
sgranò gli
occhi, di fronte a una simile condanna, ma nessuno osò
aprire bocca per contrariare
il vincitore. Come in qualsiasi Ordalia, chi vinceva aveva potere di
vita o di
morte sul proprio avversario, e ciò che si apprestava a fare
Magnus rientrava
nelle sue possibilità.
Reclinando
quindi il
capo, Elias si mise in ginocchio dinanzi a Magnus che,
nell’allungare una mano
ad Avya, mormorò: “Sacerdotessa della Madre, puoi
tu dunque privarlo dei suoi
poteri, perché essi tornino nel ventre di
Yggdrasil?”
“Mi
è concesso
acconsentire alla tua richiesta” annuì la giovane,
poggiando una mano sul capo
dell’uomo.
Chiusi
quindi gli
occhi, Avya scandagliò la memoria dell’uomo per
essere certa che le accuse di
Magnus fossero veritiere ma, quando giunse ai pensieri che riguardavano
Ragnhild, si scostò indignata ed esclamò:
“Questo è davvero troppo!”
Quell’esclamazione
sorprese i presenti e, inspiegabilmente, Isolde reclinò
colpevole il capo,
nascondendosi all’occhiata ferale che, subito dopo, Avya le
lanciò.
“Tu… anche tu la
tradisti!” sbottò furiosa Avya, illividendosi in
viso nell’osservare la sua sorella di culto.
“Mi
fu ordinato!” si
difese Isolde, lanciando occhiate alternate a Elias e Ingrid.
Un
brusio tra i
berserkir portò Avya a volgere lo sguardo verso di loro e
Ludvig, primo tra i
guerrieri, le chiese turbato: “Cosa non
sappiamo?”
“Tu
sei il guerriero
che chiese in moglie Ragnhild, giusto?” domandò
per contro Avya.
Lui
assentì
recisamente, così Avya domandò ancora:
“Sai che questa donna visitò Ragnhild
per provare ai genitori che fosse
illibata, così che potesse giungere a te pura e
intonsa?”
Ludvig
sobbalzò
sorpreso, scuotendo il capo e replicando: “E’ stato
assurdo farlo. Tutti noi
sappiamo che Ragnhild è sempre stata una ragazza a modo e
rispettosa delle
regole. La volevo in moglie anche per questo.”
“A
quanto pare,
qualcun altro non era così certo della sua buona condotta, e
l’ha trattata come
carne da macello”
sibilò a quel punto
Avya, fissando aspramente Elias prima di puntare lo sguardo su Ingrid e
aggiungere: “Non posso infierire su di te più di
quanto Madre non abbia già
fatto, ma sappi questo; tua figlia, ora, è
l’essere più potente dei Nove Regni,
al fianco del suo compagno, e non certo
per merito tuo.”
Ciò
detto, tornò a
rivolgersi a Elias e, nel poggiare nuovamente la mano sul suo capo,
mormorò
roca: “Meritereste di ardere vivi, per quanto avete fatto, ma
non è in mio
potere comminare una simile pena. Io agisco per conto di Madre, e
questo non è
il Suo desiderio.”
Chiusi
infine gli
occhi, disse con voce chiara: “Sia Tua l’energia di
quest’uomo, Madre. In
grazia ricevuta, in malagrazia strappata.”
Strette
le dita tra i
capelli di Elias, Avya procedette al recupero della berserksgangr
e l’uomo, digrignando i denti, poggiò entrambe le
mani a terra e urlò. Urlò come se ogni centimetro
della sua pelle gli fosse strappato
dalle membra e, quando infine anche l’ultima goccia di potere
venne
estrapolata, crollò a terra stremato.
Nessuno
lo aiutò e
Avya, nello scostarsi, lanciò un’occhiata a
Mattias, atterrito dalle ultime
parole della donna, e mormorò: “Scusami. Non
avresti dovuto saperlo così.”
Lui
scosse il capo,
si allontanò disgustato da Isolde e, correndo incontro a
Bjorn, si lasciò
abbracciare dall’uomo mentre sul suo volto calde lacrime
dilavavano le ultime
tracce di infantile meraviglia e ingenuità.
Sospirando,
Avya si
appoggiò al braccio levato di Magnus, sorrise a mezzo e
mormorò: “Dormirò per
un mese, dopo questo. Spero solo di non aver turbato troppo Fenrir.
Temo di avere
un tantino esagerato, poco fa, tenendo impegnato Odino.”
“Mi
vuoi dire, almeno
tu, cosa ti ha fatto?”
Lei
allora sollevò un
sopracciglio con ironia e replicò: “Come puoi
tenere sotto scacco un dio? O lo
imprigioni, o lo distrai. E, prima che tu pensi a cose peccaminose, ti
basti
sapere che abbiamo lottato.”
Magnus
fece tanto
d’occhi, a quelle parole e, nel rivolgersi
all’altro contendente, esalò: “Che
hai fatto?!”
Non
è colpa mia, se sono troppo
potente. Non posso essere semplicemente messo da parte, e non
è come quando tu
ti trastulli a baciare Ylsa e io mi chiudo nella mia stanzetta buia, gli ricordò il
dio.
Il
giovane arrossì
copiosamente nel sentirgli nominare la sua fidanzata e, irritato,
borbottò: “Sei pregato
di non ricordarmi che tu puoi
vederci.”
Tranquillo,
prima che tu raggiunga
i miei livelli, ce ne vorrà ancora…,
rise il dio. Tolto
questo, l’unico modo che Avya aveva per tenermi fuori dalla tua
lotta, era farmi lottare a mia volta, e
questo abbiamo fatto. Lei lo sapeva, io lo sapevo, e questo ti deve
bastare.
“Non
mi piace l’idea di usare i
miei amici a questo modo” borbottò
contrariato il giovane.
Ti
piaccia o meno, avere lo scettro
del potere richiede anche sacrifici, e questo è stato il tuo
primo atto come
re.
“Re?
Ma che vai dicendo?” gracchiò
Magnus, facendo tanto
d’occhi.
Preferisci
governatore, guida,
santo, primo ministro? Scegli tu. Ma questo sarai, d’ora in
poi, per i
berserkir che passeranno sotto il tuo dominio e questa, di sicuro, non
sarà la
tua ultima battaglia. Portare avanti le proprie idee per cambiare lo
stato
delle cose richiede tanta energia e sì, a volte qualche
lacrima.
Magnus
preferì
lasciar perdere quel discorso, per il momento. Ciò che
voleva, almeno per ora,
lo aveva ottenuto.
Mattias
era libero,
il branco di Luleå avrebbe seguito nuove regole e, a molti
mondi di distanza,
Ragnhild avrebbe potuto compiere indisturbata il suo destino.
Al
resto avrebbe
potuto pensare anche il giorno seguente, dopo una buona notte di riposo.
1 Luleju: nome sami della città di
Luleå.
N.d.A.:
Scusate tantissimo
questo ritardo mostruoso nell’aggiornare,
ma il lavoro mi ha riempito completamente le giornate, non concedendomi
neppure
un attimo per il betaggio. Spero davvero di essere più
puntuale, d’ora in poi,
visto che le cose sembrano essersi assestate.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 29 *** Capitolo 29 ***
Cap.
29
Fu
solo agli albori
dell’alba che la caccia ai traditori poté dirsi
conclusa – almeno per quel che
riguardava la città di Hindarall – e, quando
finalmente re Surtr poté schierare
i traditori nell’ampio piazzale antistante il palazzo, la sua
ira non avrebbe
potuto essere più funesta.
La
Fiamma Viva
brillava vivacemente quanto minacciosamente, intorno a lui, e lunghe
spire di
fuoco si espandevano dal suo corpo lanciando ogni dove lampi di luce
scarlatta
e funesta.
Al
suo fianco, vigile
come un falco e pronto a intervenire se necessario, Yothan manteneva
inguainata
la propria spada, gli occhi puntati sulle Fiamme che avevano tradito e
su
coloro che, nel Concilio, avevano voluto la morte del loro re.
Alle
spalle del
sovrano, mano nella mano e avvinti a loro volta dalle spire di fuoco
della
Spada Fiammeggiante, Sthiggar e Ragnhild osservavano impassibili la
scena e la
giovane, con tono ormai stanco, dichiarò lapidaria nella
mente del compagno: “Dormirò
un mese di seguito, dopo questa
maratona.”
“Tutto
quello che vuoi” le
concesse Sthiggar, sorridendole
brevemente.
“Hildur
ha già mandato gli emissari
nelle città vicine per scoprire se ci sono degli altri
traditori?” si
informò quindi Ragnhild.
“Sì.
Entro breve, conosceremo fino
a che punto le spirali del tradimento si sono estese e,alla fine di
tutto
questo, noi due potremo prenderci finalmente una pausa.”
“Non
vedo l’ora” sospirò
Ragnhild prima di volgersi
sorpresa per scrutare l’arrivo di una Fiamma Nera,
interamente ricoperta
dall’armatura e con il volto celato da un pesante elmo dal
pennacchio corvino.
Sorpresa
e confusa
assieme, Ragnhild inviò un pensiero dubbioso al compagno,
chiedendo: “Chi
è?”
“Non
credo sia Hildur, né mi pare
di aver mai visto quella guerriera… quindi
chi…”
mormorò Sthiggar prima di fare
tanto d’occhi quando, finalmente, comprese a chi appartenesse
l’aura di quella
Fiamma Nera in particolare.
Nel
vedere a sua
volta sopraggiungere la Fiamma Nera che tanto stupore aveva sollevato
nell’Elsa
e nella Lama della Spada fiammeggiante, il re declamò con
voce tonante quanto
gelida: “Spero abbiate finalmente compreso fin dove vi ha
condotto la stolta
ricerca della mia morte. Alla vostra!”
Uno
a uno, i membri
corrotti della Corte si ritrovarono loro malgrado a dover fronteggiare
lo
sguardo raggelante e insieme infuocato del loro sovrano che, con un
cenno
rapido e secco della mano, invitò la Fiamma Nera a compiere
gli ultimi passi
per raggiungerlo.
Dopo
aver osservato l’alta
guerriera sopravanzarlo con passo imperioso e sicuro, Surtr raggiunse
il
comandante delle Fiamme Dorate mentre Yothan si spostava per
raggiungere il suo
contingente di Fiamme Purpuree.
Sthiggar
e Ragnhild,
infine, si posizionarono dinanzi al battaglione delle Fiamme Nere,
lasciando
così che la guerriera in armi potesse compiere quanto
richiesto implicitamente
dal re.
Sollevata
la lama ricurva
che, fino a quel momento, aveva dimorato al sicuro nel fodero legato al
fianco
della guerriera, la Fiamma Nera compì un’autentica
danza di morte tra i
condannati, falciando l’aria e lasciando dietro di
sé una scia di cadaveri via
via maggiore.
A
ogni nuovo taglio,
a ogni elegante e ferale movimento di danza e lama, un fiotto di sangue
insozzò
l’armatura, ma la guerriera non se ne curò. Ella
procedette con meticolosa precisione,
non lasciando in vita neppure uno dei traditori fino a che, dopo aver
condotto alle
porte del regno di Hel una trentina di traditori, giunse infine dinanzi
a
Mikell e Thrydann.
Lì,
la guerriera si
levò finalmente l’elmo per mostrare ai presenti la
sua reale identità e, quando
Mikell si ritrovò a fronteggiare lo sguardo ribollente della
sorella, trasalì
visibilmente, impallidendo.
“Non
avresti mai, mai dovuto tentare di
uccidere il mio
amore, fratello. Neppure per dare requie al tuo dolore. Tutti noi
abbiamo amato
Khyddar, e lui per primo non avrebbe mai voluto vederti compiere una
simile
vendetta, ma ormai è tardi per le parole, per le
recriminazioni… per tutto.
Muori da traditore, senza il mio perdono.”
Ciò
detto, levò la
spada per trapassargli il cuore mentre, tutt’attorno, un
silenzio di morte
accompagnava quell’ennesima esecuzione.
Quand’anche
il corpo
di Mikell cadde a terra privo di vita, Ilya poggiò la lama
sul collo di un
tremante Thrydann e, nell’aprirsi in un leggero sorriso pieno
di gelida furia, aggiunse:
“Come la nostra Elsa ti disse prima di badare amorevolmente
alla tua famiglia, la tua bocca
avrebbe
dovuto essere usata con maggiore discernimento, ma ora non avrai
più
possibilità di farlo. Desiderare ciò che non si
potrà mai avere senza
comprendere quando fermarsi, può condurre alla morte. Muori
da traditore, senza
il perdono dei tuoi cari.”
Thrydann
chiese umile
perdono in un ultimo urlo disperato, sapendo quali atroci sofferenze
gli
sarebbero spettate in Hel, come traditore e condannato senza perdono,
ma la
lama di Ilya colpì con precisione, mozzandogli il capo senza
più proferir
parola.
A
quell’ultimo gesto
seguì il rinfodero della lama insanguinata; il fodero della
spada avrebbe pensato
autonomamente a rendere nuovamente lindo e intonso il metallo
intarsiato di
incantesimi elfici.
Solo
a quel punto si volse
verso il suo re e dichiarò con voce sicura:
“Grazie per avermi concesso di
punire i traditori di mia mano.”
“Non
avrei permesso a
nessun altro di farlo, visto che la richiesta è giunta
direttamente dalla tua
bocca, mio comandante in capo” mormorò in risposta
il re, raggiungendola per
stringerla in un abbraccio.
Ilya
si lasciò
avvolgere dalle sue braccia così come dalle sue fiamme e,
solo all’ombra della
sua possanza, poté finalmente lasciarsi andare a un pianto
silenzioso.
Quando
Surtr le aveva
detto non soltanto della colpevolezza del fratello, ma anche della
ferma
convinzione di Mikell che Khyddar fosse morto per
colpa loro, - del re in primis - Ilya non aveva avuto dubbi.
Lei,
e lei sola,
avrebbe dovuto mettere fine alla vita di coloro che avevano tradito il
re, di
coloro che avevano tradito il suo Surtr,
di coloro che avevano messo a rischio la sicurezza di tutto
Muspellheimr.
Khyddar
aveva sempre
amato Surtr, e il suo arruolamento nelle Fiamme Purpuree era nato dal
desiderio
del giovane di schierarsi nelle fila di soldati del suo amato zio, di
coloro
che erano deputati a servirlo e proteggerlo.
Mikell
non si era mai
sforzato di comprendere l’affetto che legava Khyddar a Surtr,
né aveva mai dato
peso alle ambizioni militari del figlio. Il suo ultimo gesto, per
quanto impulsivo,
aveva voluto essere l’estremo tentativo del giovane di
dimostrarsi un degno
combattente e, soprattutto un devoto e fedele suddito del sovrano.
Se
non fosse stato
per le subdole armi dokkalfaryan, Khyddar avrebbe potuto continuare a
fare
quanto aveva sempre desiderato per molti altri secoli ancora.
Questo,
Mikell non lo
aveva compreso, deputando a Surtr ogni colpa e imbastendo
così contro di lui
una vendetta che, però, non era stato in grado di gestire e
che aveva portato,
per diretta conseguenza, a ciò che era appena avvenuto.
Mikell
era stato
guidato dalla vendetta e si era fidato di persone gelose ed egoiste,
per
portare avanti il proprio piano e, questi sentimenti superficiali
quanto
effimeri, lo avevano condotto all’errore e, infine, alla
morte.
Quando
poté ritenersi
in grado di reggere lo sguardo delle altrui persone, Ilya si
scostò dal marito
e, nel volgersi verso il suo acquartieramento di Fiamme Nere,
richiamò a sé
Hildur e ordinò: “Fai sgomberare il piazzale da
questi traditori, dopodiché
riunisci tutti i comandanti delle Fiamme nel Salone dei Rinfreschi. Ho
intenzione di scambiare due parole con tutti loro.”
“Sì,
comandande”
mormorò Hildur con un inchino, sbraitando poi ordini ai suoi
sottoposti perché
mettessero in pratica le parole della regina.
Come
un sol uomo, i
soldati si mossero per eseguire gli ordini mentre Surtr, chiamati a
sé Sthiggar
e Ragnhild, disse: “Occorreranno giorni, forse settimane,
perché l’epurazione
venga terminata. Usate questo periodo per riposare. Quando
sarà il tempo,
verrete chiamati a Corte per la vostra investitura ufficiale.”
I
due giovani assentirono
silenti e Sthiggar, dopo un’ultima occhiata ammirata a Ilya,
mormorò: “Non
avevo davvero idea che il fantomatico comandante delle Fiamme Nere
foste voi,
maestà.”
La
regina gli sorrise
a mezzo, gli carezzò una guancia con fare materno e
replicò: “Noi donne
dobbiamo tenerci sempre qualche segreto nel cassetto, altrimenti come
faremmo a
stupire voi uomini?”
Lui
allora rise
debolmente, annuì e si inchinò, subito imitato da
Ragnhild che, non sapendo
bene quale fosse la riverenza giusta da fare, abbozzò un
inchino che aveva
visto tante volte alla TV, sperando potesse andare bene.
Ciò
fatto, afferrò la
mano di Sthiggar per allontanarsi e raggiungere Snorri, che li stava
aspettando
nei pressi delle porte d’ingresso del Palazzo e, solo in quel
momento, iniziò a
sentire sulle spalle il peso di quanto avvenuto.
Aggrappandosi
letteralmente al braccio del compagno, Ragnhild mormorò
fiacca: “E’ possibile
fare immediatamente un
riposino?”
Lui
le sorrise
comprensivo, annuendo e, quando finalmente raggiunsero Snorri, che
attendeva in
compagnia dei licantropi, di Thrym e Flyka, asserì
all’indirizzo della sua
donna: “Riposerai tutto il tempo che vorrai, Ragnhild. Hai
sentito il re…
abbiamo giorni interi, forse settimane, prima di dover ripresentarci
gioco
forza qui a palazzo.”
Guardando
poi i suoi
amici, aggiunse: “Quanto a voi, spero vorrete essere nostri
ospiti per tutto il
tempo che riterrete piacevole.”
Fenrir,
pur grato per
l’invito, scrutò un istante i suoi figli prima di
dire: “Attenderemo che Surtr
abbia sbrigato le sue faccende, poi ripartiremo quanto prima attraverso
il
varco di Bifröst. Sono in pensiero per Avya, perciò
vorrei rientrare quanto
prima su Midghardr.”
“Ti
capisco, e non vi
tratterrò oltre, allora” assentì
Sthiggar, allungando una mano verso il
dio-lupo. “Ringraziarvi mi sembra riduttivo ma, in mancanza
d’altro, sappiate
che sarò sempre vostro debitore. Potrete sempre contare su
di me, per qualsiasi
cosa.”
Fenrir
assentì nel
replicare alla stretta dopodiché, scrutando il volto ormai
provato di Ragnhild,
aggiunse: “Raggiungeremo tuo fratello per dirgli che stai
bene. Hai un
messaggio per lui?”
La
giovane gli
sorrise grata ma scosse il capo e replicò:
“Fategli solo sapere che sto bene.
Basterà. Ci eravamo già detti tutto il necessario
prima di separarci.”
“Spero
sinceramente di
potervi rivedere in momenti migliori” terminò di
dire Sthiggar, prendendo in
braccio un’ormai provata Ragnhild che, con un ultimo
sbadiglio, si lasciò
crollare contro la sua spalla. “E’ ormai tempo che
le trovi un letto in cui
riposare. Usare l’energia dell’Elsa senza aver mai
sperimentato prima un simile
potere deve essere stato devastante, per lei.”
“Occupati
della tua
compagna come è giusto che sia” assentì
Fenrir, dando una carezza al capo di
Ragnhild al pari di un padre con la propria figlia.
“E’ tempo per entrambi di
raccogliere i frutti del vostro operato, così come lo
è per noi quello di
tornare.”
Detto
ciò, Fenrir,
Hati e Sköll si allontanarono per raggiungere Surtr e
Sthiggar, nell’osservarli
con sguardo grato, mormorò: “Abbiamo davvero
cambiato le carte in tavola.”
“Se
ne parlerà nei
millenni a venire” annuì Snorri, dandogli una
pacca sulla spalla prima di
sorridere a una insonnolita Ragnhild. “Ma ora, è
meglio andare. Ancora non
sappiamo se casa nostra è stata colpita
dall’attacco.”
Annuendo
al padre,
Sthiggar scrutò Thrym e Flyka prima di dire: “Il
re vi concederà la grazia ma,
almeno per il momento, penso che avrà ben altro a cui
pensare. Rimarrete da noi
finché sarà il tempo.”
I
due muspell
assentirono grati e, mentre il sole lentamente si faceva largo tra le
guglie
scure dei monti, il gruppo di Sthiggar si allontanò con
passo leggero dal
palazzo reale.
***
Per
quanto
distruzione e morte avessero colpito il Portale di Bifröst,
l’entrata per il
regno di Midghardr era ancora in piedi e Surtr, dopo
un’ultima stretta di mano
a Fenrir, dichiarò: “Sarete sempre i benvenuti,
qualora desideraste tornare in
momenti più consoni. Per parte mia, consideratemi vostro
debitore. Ciò che
avete fatto per il mio regno si narrerà nei tempi a venire e
il buon nome della
tua famiglia, Fenrir, verrà riabilitato per i
posteri.”
“Mi
basta sapere che
la nostra missione è andata a buon fine. Il resto, possiamo
lasciarlo in mano
al Fato” dichiarò semplicemente Fenrir.
“Torniamo con la serenità nel cuore,
sapendo che Muspellheimr è in pace e che i suoi assalitori
si guarderanno bene
dall’attaccarvi, ora che la Spada Fiammeggiante
vive.”
Surtr
assentì
divertito, scoppiò in un’allegra risata e
chiosò: “E io che ho fatto di tutto
per liberarmi di quel ragazzo! Ora dovrò tenermelo ben
stretto, invece!”
Fenrir
rise la pari
dei figli e, dopo un ultimo saluto di commiato, prese la via del
Bifröst,
lasciando che un’intensa luce dorata li investisse,
riportandoli in un battito
di ciglia su suolo terrestre.
Quando
infine
emersero nel sud della Svezia, al riparo dagli sguardi dei curiosi
grazie alla
notte che avvolgeva quelle lande e a un cielo senza luna, Fenrir
scrutò i
propri figli con dolente rimpianto e, nel carezzare i loro volti di
giovani
uomini, mormorò: “E’ tempo di rientrare.
In tutti i sensi. Ma sono lieto di
aver potuto passare questi momenti assieme a voi, figli miei.”
Hati
e Sköll
annuirono orgogliosi e, senza dire nulla, abbracciarono con vigore il
padre per
imprimere nelle loro memorie la sensazione della sua forza, del suo
profumo,
del suo amore incondizionato.
Il
Dio della
Distruzione che tanto aveva terrorizzato i popoli e gli dèi
era divenuto uomo
per amore, si era battuto fino allo stremo per la sua famiglia e, come
ultimo
disperato tentativo di salvarli, aveva donato se stesso per loro.
Quale
altro figlio
avrebbe potuto dirsi più amato, più desiderato,
più protetto di loro?
Quando
infine i due
giovani lupi si scostarono dal padre, Hati disse: “Torniamo
dalla mamma.”
Fenrir
e Sköll
assentirono e, riprese forme di lupo, si confusero con la notte
divenendo
spettri, mescolandosi alla natura circostante e calpestando
l’antico suolo in
cui, in tempi immemori, dèi e demoni avevano dominato.
Fu
una lunga
cavalcata verso nord, mantenendosi sempre al limitare dei boschi,
nascosti agli
occhi dei curiosi o alle tecnologie più avanzate degli
umani, protetti dal
potere del sangue ancestrale di Fenrir e dai doni di Loki.
Per
quanto Fenrir
potesse disprezzare il padre, era pur sempre suo figlio e, nel corso
dei
millenni, le sue abilità gli erano divenute proprie,
consentendogli di compiere
le malie che lo avevano tenuto al sicuro dagli sguardi degli umani.
Solo
per Avya aveva
ceduto al desiderio di essere veramente
visto e, a cagion di ciò, aveva potuto
sperimentare il sentimento
dell’amore, così come della perdita.
Ora,
in quelle lande
a lui straniere, in compagnia dei suoi figli, sorrise nel pensare a
quanto,
quella sua vita travagliata, gli avesse comunque donato e, tra
sé, comprese di non
essere pentito di nulla.
Sono
lieto che tu lo pensi,
figliolo.
“Mi
hai tolto molto, Madre, ma ho
anche avuto molto. Ora lo so per certo”
rispose senza animosità il dio, rallentando
l’andatura quando si ritrovarono in prossimità
delle foreste di betulle nei
pressi di Luleå.
Madre
non rispose, ma
in fondo non ve n’era bisogno. Le parole di Fenrir
racchiudevano in sé ogni
risposta.
Bloccando
il proprio
passo nell’approssimarsi alle prime case, Fenrir infine
disse: “E’ tempo di
tornare, Brianna. Come stai?”
Sono
un po’ intorpidita, ma molto
orgogliosa di te. E ora potrò vantarmi finché
campo perché potrò dire di essere
stata anche
su Muspellheimr.
Fenrir
rise di quelle
ultime parole e, nel lasciare che Brianna riemergesse, le
mormorò un ‘grazie’
di puro cuore prima di tornare
nel suo angolo preferito, nella mente iperattiva della sua umana.
Parimenti,
Jerome e
Lance riemersero dai corpi di Hati e Sköll e, quando Brianna
poggiò nuovamente
lo sguardo sui membri della sua Triade, sorrise e mormorò
roca: “Stavolta è
stata dura.”
“Quando
è comparso Lafhey,
ho avuto davvero paura… ma Sthiggar e Ragnhild sono stati
davvero grandi. In
tutti i sensi” chiosò Jerome, accucciandosi a
terra per fare un po’ di
stretching. “Wow… non avevo mai passato
così tanto tempo fuori dal mio corpo, e
ora mi sembra che un TIR mi abbia investito.”
“Non
lo dire a me!”
esalò Lance, stiracchiandosi le braccia prima di sorridere a
Brianna, che
sembrava essere la più in forma tra loro. “Ora
capisco perché tu e Fenrir vi
allenate tanto a darvi il cambio.”
“Non
si può mai
sapere quando un casino inenarrabile può capitarti
addosso” scrollò le spalle
Brianna prima di socchiudere gli occhi e concentrarsi sulla presenza di
Duncan,
che avvertiva netta come un lampo nella notte. “Ehi…
tutto bene?”
“Brie!
Siete tornati! E lo chiedi a
me, se va tutto bene?” esclamò
sorpreso Duncan.
“Su
Muspellheimr abbiamo avvertito
l’energia di Avya, e Fenrir si è preoccupato
molto. Puoi dirmi cos’è successo?”
“Caspita!
Si è sentita fin lì? Beh,
ti racconterò tutto quando ci vedremo. Immagino abbiate
bisogno di abiti, per
venire a Luleå. Rimanete lì dove siete. Ti
rintraccerò con la tua aura e, in
breve, vi porterò tutto.”
“Tu,
comunque, stai bene, vero?” domandò
ancora Brianna, non del
tutto pacificata.
Lui
allora rise
dolcemente e replicò: “Sei
tu che sei
andata in guerra su un altro pianeta, non certo io.”
“Beh,
la faccenda della guerra è
opinabile, almeno a detta del mio alter ego. Quel che ha percepito
Fenrir era
spaventoso.”
“Come
ti ho detto, ti spiegherò
tutto.”
Sospirando,
Brianna si
scollegò, sapendo bene che Duncan non avrebbe aggiunto altro
quindi si sedette
su un masso ricoperto di muschio e mormorò: “A
quanto pare, ci sono stati
problemi anche qui, o Magnus non avrebbe mai chiamato Duncan.”
“Ecco
perché mi
sembrava di percepire l’aura del nostro amico
orsetto!” esclamò sorpreso Jerome
prima di ghignare e aggiungere: “Non voleva rimanere fuori
dai giochi, eh?”
“Se
questi li chiami giochi…”
borbottò Brianna, passandosi
una mano sul volto con aria esasperata.
Jerome
scoppiò a
ridere di fronte alla sua espressione e Brianna, nonostante tutto,
sorrise. In
fondo, le cose erano tornate quelle di sempre. Jerome la esasperava,
Lance
tentava di essere il pacere tra loro due e lei sbarellava comunque.
Niente
di strano.
Tutto andava bene, dopotutto.
***
Dopo
aver ricevuto da
Sarah abbastanza abiti per poter riprendere sembianze umane e potersi
presentare a casa dei Thomasson, Brianna, Lance e Jerome salirono in
auto con
Bjorn, che aveva accompagnato la lupa all’imbocco della
foresta.
Nel
riconoscere in
Bjorn uno degli zii di Magnus, Brianna domandò subito:
“Allora… com’è andata,
qui?”
“Meglio
del previsto…
e peggio. Magnus è devastato all’idea di essersi
imposto con la forza ma, visto
che dall’altra parte non si sono sentite ragioni, non
c’è stato modo di
evitarlo. Il capoclan aveva torturato diversi suoi famigliari e, quanto
a
Ragnhild, beh…”
Bjorn
tentennò un
momento e Brianna, presagendo un poco gradevole seguito della storia,
si
affrettò a dire: “Non ho bisogno dei particolari,
non temere. Il solo fatto che
abbiano trasgredito le vostre regole riguardanti le punizioni a un
membro della
famiglia, mi fa capire quanto la cosa si sia spinta oltre.”
Annuendo
torvo, il
berserkr aggiunse: “Avya ha tolto i poteri a coloro i quali
si sono macchiati
di tortura e il capoclan è stato destituito. Ora, a guidare
il branco è
temporaneamente Magnus ma, prima di andarcene da qui, eleggeremo un
nuovo
capobranco.”
“Come
l’hanno presa,
gli altri berserkir?” si informò a quel punto
Lance, turbato da quella
concatenazione di eventi traumatici.
Un
simile putiferio
non avveniva mai in pace e serenità e non era scontato che,
all’atto della loro
partenza, tutto non tornasse come in precedenza.
Bjorn
però lo
rasserenò subito, asserendo: “A quanto pare,
ciò che è stato fatto a Ragnhild
ha scosso molti berserkir che, evidentemente, tenevano in grande
considerazione
la ragazza. Questo ha impedito ogni tipo di rappresaglia. Pur se le
regole
d’ingaggio sono state rispettate pienamente, e
perciò non avrebbe dovuto
succedere in ogni caso, avere dalla nostra parte il rispetto dei
berserkir nei
confronti di Ragnhild ha aiutato molto.”
Brianna
ripensò alla
donna-orso che avevano lasciato poche ore prima, alla fierezza con cui
aveva
combattuto, allo sprezzo del pericolo dimostrato nonostante si trovasse
su un
pianeta del tutto sconosciuto, e utilizzando poteri che mai aveva usato
in vita
sua.
Aveva
dimostrato coi
fatti, oltre che con le parole, di essere un’autentica
guerriera, una leader
nata, una donna da seguire con ardore, e questo suo ardimento doveva
essere
giunto a toccare anche gli animi dei berserkir più
conservatori.
Forse,
a Ragnhild
avrebbe anche fatto piacere saperlo, ma dubitava che in quel momento ne
avrebbe
tratto alcuna soddisfazione.
Brianna
non dubitava
che, al momento, il ricordo del suo clan le procurasse ancora troppo
dolore. Un
domani, probabilmente, le sarebbe piaciuto conoscere anche questa parte
della
storia, ma non certo ora.
Quando
infine
raggiunsero casa Thomasson, Brianna scese in fretta dalla jeep non
appena vide
Nathan e Hannah giocare nell’antistante giardino in compagnia
di Mattias e,
sorridente, li avvicinò di corsa per poi avvolgerli tra le
braccia.
“Mamma!”
strillarono
in coro i due bambini, stringendosi a lei e baciandola ripetutamente
mentre
Brianna faceva lo stesso con loro.
Sulla
porta di casa,
Duncan si affacciò per sorridere a quella vista e, mentre
Lance e Jerome lo
raggiungevano assieme a Sarah e Bjorn, lui domandò:
“Tutto bene, dall’altro
lato dell’universo?”
“Abbiamo
fatto la
nostra parte… ma tu che hai combinato, con Avya?
Papà ha quasi dato di matto!”
ironizzò Jerome, indicando poi con un dito Brianna che, in
quel momento, stava
sollevando su ciascun braccio i figli per poter entrare in casa assieme
a loro.
Duncan
abbozzò un
sorriso e replicò: “Vi racconterò tutto
più tardi. Ora venite dentro… e non
farsi sentire da Brianna a chiamarla papà,
se non vuoi che ti spelli vivo.”
Jerome
ghignò in
risposta, ma non promise nulla.
I
tre Gerarchi, dopo
quel breve scambio di battute, si mossero quasi all’unisono
per entrare e,
mentre Brianna li raggiungeva, Mattias colse l’occasione per
chiederle: “Come
sta Ragnhild?”
Lei
gli sorrise
dolcemente, asserendo: “Sta benissimo, anche se è
stanca e provata dalla
battaglia. Mi ha detto di dirti che lei sta ottimamente e che non
avrà problemi
ad adattarsi a quel nuovo mondo. Pensava che ti sarebbe bastato sapere
questo,
ma posso dirti anche altro, se vuoi.”
Mattias,
però, scosse
il capo e replicò: “Ho visto come la trattava
Sthiggar, e come anche suo padre
l’ha accolta. Mi basta. E’ con persone che le
vorranno per sempre bene.”
Perdendo
il suo
sorriso, Brianna poggiò a terra Nathan e Hannah non appena
furono entro le mura
di casa e, abbracciando stretto Mattias, mormorò:
“Anche tu le vorrai per sempr
bene e, anche a così grande distanza, lei sentirà
in ogni momento il tuo
amore.”
Lui
assentì grato,
lasciando che il calore di Brianna lo avvolgesse e, quando anche Nathan
e
Hannah si unirono a quell’abbraccio – forse
avvertendo la necessità di rendersi
utili – trovò anche la forza di sorridere.
La
sorella gli
sarebbe mancata immensamente, ma ora era dove avrebbe sempre dovuto
essere
stata. Elsa della Spada Fiammeggiante, compagna di Sthiggar, fedele
suddita
muspell.
***
Brianna
fece tanto
d’occhi, dopo aver scoperto cosa
avesse causato l’onda di energia che aveva attraversato i
Mondi fino a
raggiungere Fenrir su Muspellheimr e Duncan, nel sorriderle divertito,
asserì:
“Alla fine dell’opera, Avya era devastata ma, sotto
sotto, credo si sia anche
divertita. Ora sta riposando saporitamente ma, poco prima di sentirla
assopirsi, mi è sembrata soddisfatta dell’operato
svolto.”
Credo
abbia sempre desiderato
snudare le armi contro Odino, nonostante i propositi di pace che
l’hanno sempre
guidata,
chiosò Fenrir,
facendo sorridere Brianna.
“Ci
piaccia o meno ricordarlo, lui
le aveva tolto il suo grande amore e, per quanto aperta di idee possa
essere
sempre stata, certe ferite non si cancellano facilmente”,
sottolineò Brianna per poi
guardare Magnus, che sedeva su una poltrona sul fondo del salone e,
silente,
osservava le ombre lunghe nel giardino e l’approssimarsi
della notte.
Sul
suo volto erano
evidenti i segni dell’affaticamento dovuto al combattimento
svoltosi poco tempo
prima ma, altresì, anche la ferita lasciata
dall’aver dovuto imporsi con la
forza.
Lui,
che da sempre
aveva cercato di evitare lo scontro, si era visto costretto non
soltanto a
punire i genitori di un ragazzo innocente, ma a imporsi a suon di pugni
per
poter riabilitare il nome della propria razza. Non faceva specie che
fosse
turbato.
“Ehi,
là dentro… come va?”
mormorò Brianna, tentando un
approccio.
Magnus
sobbalzò di
sorpresa e, nel volgersi per osservarla, accennò un sorriso
prima di tornare a
osservare il giardino.
Scusandosi
con i
presenti, quindi, Brianna si alzò in piedi, subito seguita
da Hannah, e si
diresse verso Magnus con l’intento di parlargli. Chiestogli
poi un incontro
privato, attese che il giovane berserks si elevasse dalla poltrona
dopodiché,
seguitolo fuori casa, raggiunsero insieme un piccolo gazebo e
lì, consolatoria,
Brianna disse: “Niente di ciò che hai fatto
è stato sbagliato.”
Hannah
allungò le
braccia per farsi accogliere dall’abbraccio di Magnus proprio
mentre lui cedeva
alle lacrime e, demoralizzato, il giovane si strinse al petto la
bambina e
mormorò: “Perché ho dovuto agire con la
forza? Perché non hanno
compreso i loro errori prima che si
arrivasse a questo?!”
Carezzandogli
dolcemente il viso, sul volto un sorriso dolente e che sapeva di
occasioni
perdute, di morti ingiuste e di decisioni terribili prese nel corso
degli anni,
Brianna confessò con candore: “Perché niente
è perfetto, Magnus. Siamo tutti fallibili, tutti
commettiamo errori e, dove
possiamo, cerchiamo di rimediare. A volte, però, proprio non
si può, e allora
dobbiamo distruggere tutto dalle fondamenta per poter ripartire, si
spera più
forti e più saggi di prima.”
“No
lacrime, Magnus”
mormorò addolorata Hannah, cancellando le sue lacrime con le
dita paffute prima
di stringerlo forte al collo e nascondere il viso contro la sua spalla.
“Oh,
Hannah…”
singhiozzò Magnus, stringendola maggiormente a sé
mentre Brianna faceva lo
stesso con lui. “Brianna, io…”
“E’
giusto che tu
pianga, Magnus, anche se Hannah è triste nel vederti
giù di corda, perché sei
un ragazzo buono, con un cuore grande, a cui è stata data in
sorte una missione
enorme da svolgere. Nulla si può risolvere in un batter di
ciglio, ogni cosa
richiede il suo tempo e, spesso, si inciampa durante il
percorso…” sussurrò
dolcemente la donna, cullandolo come meglio le riuscì, vista
l’evidente
differenza di statura e stazza. “… nel tuo caso,
però, gli inciampi ti potranno
sembrare abnormi, difficili da sopportare. Sappi comunque questo; noi
siamo con
te, noi crediamo in te e, come
è
avvenuto oggi, sarà così anche domani. E domani
ancora.”
“Non
volevo
danneggiare nessuno, ma ciò che hanno fatto i genitori di
Mattias era davvero troppo…”
singhiozzò Magnus,
piegandosi in avanti fino a crollare in ginocchio, accompagnato in
quella
caduta controllata da Brianna, che gli strinse il capo contro i seni
per poi
baciargli i capelli con calore.
“Lo
so, tesoro, lo
so…” mormorò lei, annuendo
più e più volte. “Molte morti mi
accompagnano da
tempo, Magnus, e alcune di loro sono difficili da sopportare, ma ho
anche avuto
molto, dalla vita.”
Nel
dirlo, sorrise a
Hannah, che diede un bacetto a Magnus prima di scivolare via e correre
in casa.
Rimasti
soli, i due
si strinsero in un abbraccio più completo e Magnus, con un
singhiozzo
addolorato, ansimò: “E’ così
difficile, Brianna! E’ così…
pesante!”
Lei
assentì ancora e
ancora finché, sorpresa, non avvertì il tocco di
Nathan, nuovamente quello di
Hannah e, sorprendentemente, quello di Mattias che,
all’unisono, si strinsero a
Magnus formando una sorta di scudo. Scudo che, nelle loro infantili
intenzioni,
fu eretto per proteggerlo da ogni male, da ogni dolore.
Magnus,
allora,
allargò le braccia per avvolgerli strettamente a
sé e a quel punto Brianna,
sollevandosi in piedi, li lasciò soli per rientrare in casa
dove Sonja, la zia
di Mattias, le sorrise mormorando: “Era così
abbattuto, dopo il termine
dell’Ordalia, che ho temuto per la sua salute. Ora,
però, sembra essersi
ripreso.”
“Magnus
ha un cuore
grande, e questo comporta anche grandi dolori, quando si devono
prendere
decisioni difficili, ma ora che li vedo insieme so che tutto
andrà per il
meglio. La nuova generazione, forse, saprà evitare gli
errori che compirono i
nostri predecessori e che noi stessi compimmo agli albori del nostro
dominio”
asserì Brianna, meditabonda.
Sonja
assentì grave
e, assieme a Brianna, rientrarono in casa, lasciando che la notte
avvolgesse i
giovani ancora strettamente abbracciati tra loro.
Il
dolore di ognuno
si curava in modo diverso, e quei ragazzi avevano trovato la loro
strada, il
loro sistema per curare le rispettive incertezze. Era giusto lasciare
che se la
cavassero con le proprie forze poiché, presto o tardi,
sarebbero stati soli, a
camminare verso il futuro.
Nel
rientrare in
salotto, Brianna si strinse a Duncan che, dopo averle baciato una
guancia,
mormorò: “Come sta?”
“Starà
bene” assentì
lei.
“E
tu?”
“Mai
stata meglio”
gli sorrise lei, accoccolandosi sulle sue ginocchia e lasciando che
l’aura del
marito la avvolgesse completamente.
Erano
passati anni
dal loro primo incontro, dalla prima vita che aveva strappato i legami
col suo
passato e la prima che si erano reciprocamente salvati, eppure
comprendeva ancora
più che bene come si sentisse Magnus.
Ogni
loro azione
avrebbe sempre comportato pesi da portare, cicatrici da rimarginare,
dolore da
sopportare e cancellare, poiché detenevano poteri
inimmaginabili e di difficile
gestione.
Ma,
proprio perché era
già passata in quel particolare tritacarne emotivo, sapeva
che anche il giovane
amico si sarebbe ripreso e forse, un domani, avrebbe avuto in dono le
stesse
gioie che aveva ricevuto lei.
N.d.A.:
siamo quasi
alla fine di questa avventura… spero che la soluzione di
ogni cosa abbia
risolto i quesiti fin qui sollevati e vi abbia concesso qualche momento
di
serenità.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 30 *** Capitolo 30 ***
Cap. 30
Stiracchiandosi
svogliatamente mentre, poco alla volta, il suo corpo e i suoi sensi
tornavano a
famigliarizzare con la vita di tutti i giorni, Ragnhild aprì
gli occhi al nuovo
giorno e sbatté confusa le palpebre.
Le
pareti intonacate
con stucchi color pesca erano intervallate da ampie vetrate, vaporosi
tendaggi
in leggera seta di ragno e arazzi di sopraffina bellezza.
Ragnhild
non aveva
idea se le scene ricreate da quelle magnificenti opere d’arte
fossero scorci di
antiche guerre o sprazzi di mistici racconti, ma amava osservarli a
ogni suo
risveglio.
In
quei giorni si era
spesso persa in contemplazione di quegli stupendi ricami e,
più di una volta,
Sthiggar l’aveva colta di sorpresa, abbracciandola alle
spalle prima di
sorridere della sua sorpresa.
Da
quel che era
venuta a sapere per bocca di Snorri, quegli arazzi erano stati
confezionati
dalla sua defunta moglie e, proprio per questo, Raghnild si era ben
guardata
dal fare ulteriori domande in merito ad essi.
Sapendo
le cause
della morte della madre di Sthiggar, aveva preferito non indagare
troppo, pur
se la curiosità ancora la accarezzava diabolica ogni
qualvolta i suoi occhi si
posavano su quelle opere.
Fu
proprio per questo
che distolse lo sguardo, lanciando un’occhiata oltre la
barriera trasparente
offerta dai vetri molati delle vetrate, scrutando il contorno morbido e
accarezzato dal vento delle chiome degli alberi al di là dei
confini della
villa.
Alte
mura di cinta ad
ali di gabbiano cingevano la vasta proprietà in cui ora
dimorava e, quand’anche
l’ultimo frammento di sonno fu scomparso, Ragnhild si
ritrovò a sorridere,
pensando a dove si trovasse esattamente
quella proprietà.
Le
colline che
sovrastavano Hindarall, capitale di tutti i regni muspell, erano state
risparmiate dalla battaglia e quando lei, Sthiggar, Snorri, Thrym e
Flyka
avevano raggiunto la villa, l’avevano trovata miracolosamente
intonsa.
Nascosti
in una
stanza e armati di bastoni e altre armi di fortuna, i domestici di casa
Glenrson avevano pianto di gioia, alla vista del loro signore e,
quand’anche
Sthiggar aveva fatto la sua apparizione, ognuno di loro aveva plaudito
il suo
ritorno.
Concitate
erano state
le domande in merito a quanto avvenuto in città e Snorri,
ben sapendo come
potessero sentirsi, aveva concesso a ogni membro della
servitù di recarsi
presso le rispettive famiglie per sincerarsi delle loro condizioni.
Solo
a quel punto
aveva mostrato ai suoi ospiti le camere in cui alloggiare, e a Sthiggar
era rimasto
il compito di mostrare a una assonnata Ragnhild dove si trovasse la sua
camera
da letto.
Con
movimenti
gentili, l’aveva quindi sistemata tra le coltri e, con un
bacetto, l’aveva
lasciata al suo sonno.
Che
era perdurato per
tre interi giorni, intervallato solo da brevissimi – quanto
confusi – stati di
veglia, in cui Sthiggar l’aveva nutrita con pasti leggeri
prima di lasciare che
tornasse al suo sonno rigenerante.
Al
quarto giorno,
Ragnhild si era infine risvegliata, più riposata di quanto
non fosse giunta in
quella casa enorme e bellissima, ma anche affamata come poche altre
volte era
stata in vita sua.
Ritrovarsi
Sthiggar
al fianco, addormentato e meraviglioso, con il simbolo della Fiamma
Viva ben
evidente sulla sua ampia schiena, l’aveva resa felice, ma la
fame l’aveva
comunque strappata alle coltri, spingendola a cercare la cucina.
Avvolgendosi
nella
vestaglia del compagno – ben decisa a non svegliarlo
– si era quindi aggirata
per casa finché non aveva trovato uno dei domestici che,
gentilmente, l’aveva
accompagnata fino alle cucine, lasciandola nelle mani della cuoca.
Lì,
era stata servita
con frutta fresca, latte caldo e aromatizzato con una spezia che le
aveva
ricordato molto la cannella dopodiché, ormai stremata dalla
fame, si era
gettata su dei panini dolci appena sfornati, facendo la
felicità della
domestica.
Sthiggar
l’aveva
trovata ancora in cucina e, quando si era avvicinato per darle il
buongiorno,
lei lo aveva accolto con un abbraccio e un sorriso.
Da
quel primo
risveglio erano passati almeno dieci giorni, eppure ogni mattina si
sentiva
stranita, quasi le sembrasse tutto un sogno e avesse il timore di
risvegliarsi davvero da un momento
all’altro.
“Ancora
dubbiosa, lylyhan?”
mormorò Sthiggar,
sorprendendola con un bacio sul collo e chiamandola teneramente con il
suo
nuovo nomignolo; fiammella.
Sthigg
l’aveva presa
bonariamente in giro, rammentandole quanto lei
si fosse divertita – a suo tempo – chiamandolo
ironicamente stoppino, coniando
così per lei quello
sciocco, ma dolcissimo, nomignolo.
Lei
sorrise appena
nel volgersi verso Sthiggar e, lasciatasi avvolgere dal suo corpo nudo
e
bollente, mormorò di piacere un dolce buongiorno prima di
ammettere: “Ho sempre
il terrore di svegliarmi di nuovo a Luleå e di scoprire che,
non solo tu non ci
sei, ma che tutto questo non è mai avvenuto.”
“Posso
assicurarti
che è tutto vero, e passerò il resto dei miei
giorni a convicerti” le promise
lui, carezzandole teneramente il corpo prima di sussurrare:
“Voltati piano e
guarda verso il bosco.”
Ragnhild
lo
accontentò e, nel portarsi una mano dinanzi alla bocca per
non lanciare un
grido di pura meraviglia, fissò costernata la stupenda
creatura che stava
passeggiando al limitare della boscaglia, proprio vicino al muro di
cinta.
Quando
Ragnhild aveva
scoperto la presenza di quei fantastici animali, ne era rimasta
strabiliata,
perciò Sthiggar era stato felice di dirle che, nei pressi
della loro
abitazione, ne esisteva un intero branco.
Sollevandosi
piano in
ginocchio per meglio ammirarlo, Ragnhild sentì le lacrime
bagnarle gli occhi
per l’emozione così, nello scacciarle con
rapidità, mormorò: “Ripetimi ancora
il loro nome, per favore.”
“Ragnhild” sussurrò
lui, dandole un bacio sulla spalla per poi
imitarne la postura. “I destrieri di fiamma di sua
maestà il re. Guidano il
cocchio del sovrano, e le loro ali di fiamma illuminano i cieli, quando
li
solcano portando Surtr verso la battaglia.”
“Avviso.
Di
battaglia” gorgogliò lei, rammentando il
significato del proprio nome che, per
tanti anni, aveva detestato.
Sthiggar
le baciò la
carne tenera dietro l’orecchio proprio mentre il ragnhild all’esterno della
villa si involava leggiadro verso il
centro della foresta e, in un mormorio sensuale, asserì:
“Te l’avevo detto di
non denigrare il tuo nome, o sbaglio?”
“Già”
assentì lei,
sorridendogli prima di gettargli le braccia al collo e sbilanciarlo
fino a
farlo cadere tra le coltri calde e stropicciate.
Sthiggar
rise
divertito, la avvolse gambe e braccia con le proprie e
mormorò divertito:
“Ricordo un’altra volta, in cui ci siamo trovati in
una posizione simile, sai?”
Lei
sorrise
deliziata, annuì e disse: “Il nostro primo bacio.
Lo rammento bene.”
“E
ti andrebbe di
ricordare anche altri momenti?”
“Con
vero piacere…”
sussurrò lei, affondando nella sua bocca per un bacio pieno
di passione. “… ma
dovremo fare in fretta. Oggi c’è la
cerimonia.”
“Abbiamo
tutto il
tempo” gorgogliò lui, lasciando che loro auree si
fondessero tra loro.
***
Molte
ore dopo, e
dopo diversi tentativi di venire a patti con gli strani abiti da
cerimonia che
il sarto della regina Ilya aveva personalmente confezionato per loro,
Ragnhild
lanciò un’occhiata alla se stessa riflessa nello
specchio.
Indossava
non meno di
quattro strati di abiti e armi, se non contava i confortevoli
– anche se strani
– indumenti intimi in seta scura che la regina aveva
commissionato per lei.
Una
leggera gonna a
balze color canna di fucile era stata abbinata a una camiciola rosso
fuoco, legata
sui fianchi da esili nastri ricamati in oro. Ragnhild ne aveva riso un
po’; che
senso aveva ricamarli, visto che sarebbero stati nascosti dal resto
degli abiti?
Quanto,
però,
Sthiggar le aveva spiegato che i ricami erano intessuti di magia
protettiva, la
giovane lasciò perdere qualsiasi altro commento per
continuare a indossare il
suo complesso abito da cerimonia.
Un
sopratunica
smanicato di un tono più scuro di rosso le era stato
sistemato sulle spalle,
mentre una leggera cotta di maglie in oro brunito le era stata posta
sul torace
per essere poi fissata sui fianchi e le spalle tramite stringhe di
cuoio
morbidissimo.
Alla
cotta di maglie
era stata affiancata una lunga e leggera spada dall’elsa
filigranata in oro e intrisa
di microscopici rubini, inserita in un elegante fodero di pelle bianca,
su cui
era stato ricamato il simbolo della Spada Fiammeggiante.
A
tutto ciò, infine,
era stata aggiunta una tunica nera a ricami d’oro sulla
schiena, in tutto
simile a quella che indossava Sthiggar, e che rappresentava la loro
unicità di
Elsa e Lama.
Non
ancora del tutto
convinta, si mosse dubbiosa di fronte allo specchio per osservare le
ampie
maniche della tunica che, leggere, galleggiavano nell’aria a
ogni suo
movimento, prima di domandare al compagno: “Sei sicuro che
sia giusto che io
indossi un’armatura, pur non essendo un soldato?”
“Tuo
malgrado, lo
diventerai. Yothan ha già fatto sapere che ci
prenderà come suoi allievi
personali, perciò mettiti il cuore in pace. Stai solo
anticipando di qualche
decennio ciò che avverrà in futuro” le
ricordò lui, vedendola storcere il naso
in risposta.
“Mi
sembra comunque
di rubare”
sottolineò lei, tastando
con un dito la cotta di maglie che, per quanto pesante, era davvero ben
confezionata.
Sapeva
che era un
indumento cerimoniale, più che un vero oggetto di guerra
– l’oro non era un
materiale resistente, e sarebbe stato disastroso combattere con una
simile
cotta di maglie – ma non le sembrava comunque giusto
indossarlo.
“Te
la sei meritata
sul campo, e nessuno avrà da ridire sull’armatura
da cerimonia da Fiamma
Purpurea che hai indosso” replicò lui,
sistemandosi l’orlo della tunica prima
di afferrare l’elmo con il pennacchio che Ragnhild aveva
scorto, mesi addietro,
nei suoi sogni.
Contrariamente
a lei,
Sthiggar indossava un’armatura più complessa,
comleta di schinieri, bracciali,
pettorale e, per l’appunto, elmo, ma anch’egli
indossava una tunica identica
alla sua, oltre a pesanti medaglioni e nappe colorate.
Ciò
che vedeva era
esattamente lo spettro di quello che aveva visto nella sua
visione/sogno di
qualche tempo addietro, solo che ora anche
lei indossava quelle vesti, ed era a pieno titolo una muspell
come l’uomo
che amava.
Era
strano pensare ai
percorsi così differenti che avevano avuto nelle loro vite e
al fatto che,
nonostante la distanza che li aveva separati alla nascita –
sia temporale che
fisica – loro erano comunque riusciti a incontrarsi e a far
risvegliare la Spada
Fiammeggiante.
Non
voleva dare il
merito al Destino del loro amore, perché era più
che certa che alcune cose –
almeno quelle – fossero ancora nelle loro mani, ma il fatto
di essere destinata
a divenire lo specchio di Sthiggar, la sorprendeva ancora.
Lei
e lui erano le
due parti di un Tutto, Elsa e Lama della Spada Fiammeggiante,
l’arma più
potente e temuta dei Nove Regni – ops, Otto – e,
per quanto si sentisse ancora
inadeguata a ricoprire quel ruolo, aveva dato mostra di sapere il fatto
suo.
“Tranquilla,
fanciulla. Avrai al
tuo fianco ottimi maestri, e confido che Sthiggar sia maturato
abbastanza per
esserti di aiuto, finalmente in grado di dimostrare l’amore
che ha dentro”
mormorò dentro di lei Sól.
La
giovane sorrise
nell’udire la voce della dea – da quando
l’avevano incontrata nei pressi di
Yggdrasil, spesso la sua presenza sicura e protettiva l’aveva
accompagnata per
mano – e, annuendo tra sé, replicò: “Mi
fido di loro. Soltanto, è strano poter dire di essere
felice.”
“Ci
si abitua anche alla felicità…
ma non permettere che ti venga a noia.”
“Dubito
succederà”
replicò sicura Ragnhild, prendendo
per mano Sthiggar per poi uscire dalle loro stanze.
Ad
attenderli nel
salone trovarono Snorri, abbigliato coi paramenti di Gran Sacerdote e,
quand’anche Thrym e Flyka li raggiunsero – in abiti
civili, ma sempre
abbigliati dal sarto reale – Sthiggar prese un gran respiro e
disse: “E’ ora di
andare.”
“Vedi
di non
cacciarci nei guai, guidando il cocchio reale” gli
strizzò l’occhio Thrym, facendolo
scoppiare a ridere.
“Ormai
ho capito come
evitare i casini, credimi, e ho chi mi fa buona guardia”
replicò Sthiggar,
ammiccando a una sorridente Ragnhild.
In
buon ordine, il
gruppo si spostò quindi nel cortile antistante la villa e,
da lì, poterono scorgere
i lavori di rigoverno della città e i segni ancora
inequivocabili della
battaglia avvenuta un paio di settimane addietro.
Hindarall
avrebbe
portato ancora a lungo le ferite di quell’assalto,
così come i suoi abitanti,
ma i muspell erano abbastanza forti e resilienti per resistere anche a
quello
scorno.
Si
sarebbero rialzati
ancora una volta, più forti di prima e, stavolta, a
governarli sarebbe stata
solo la mano forte e sicura del re, non più frenata
– o deviata – dagli istinti
corrotti dei traditori che avevano tentato di minarne il potere.
Elevatisi
sulla città
con il cocchio offerto loro dal sovrano, il gruppo raggiunse quindi la
reggia
senza perdere altro tempo e, quando infine gli zoccoli dei ragnhild si poggiarono sul pavimento del
cortile antistante il
palazzo, Sthiggar sorrise.
Lì,
radunati in
schiere ordinate, le Fiamme del re attendevano solo il loro arrivo e,
sul palco
predisposto innanzi alle immense porte del maniero, i reali attendevano
ritti e
immobili, in attesa che loro li raggiungessero.
Guidati
da Snorri,
che apriva la fila, Sthiggar, Ragnhild, Thrym e Flyka oltrepassarono
due ali di
Fiamme in alta uniforme e, quando sfilarono dinanzi a Hildur, lei
strizzò
l’occhio al cugino prima di vederli passare con passo sicuro.
Raggiunto
infine il
palco, Snorri ne salì gli scalini ricoperti da un pesante
tappeto rosso e nero,
mentre il resto del gruppo si inginocchiò ossequioso alla
presenza di Surtr e
della regina Ilya.
Dopo
essersi
sistemato al fianco della sovrana, il Gran Sacerdote sorrise al re,
dando così
ufficialmente inizio alla Cerimonia di Investitura.
Surtr
non si fece
certo attendere e, con voce tonante, rammentò ai presenti le
gesta dei
celebrati, sottolineando come la venuta della Spada Fiammeggiante fosse
un
orgoglio che tutto Muspellheimr doveva festeggiare.
In
privato, stavolta,
senza invitati esterni e con i cancelli di Bifrost ben chiusi. Giusto
per
evitare guai.
Questa
precisazione
fece sorgere diverse risatine a stento controllate, ma Surtr non si
scompose,
né se la prese. Aveva anzi sperato
che le Fiamme reagissero così.
Vi
erano stati troppi
caduti, troppi tradimenti e troppi voltafaccia, anche tra le file
dell’esercito,
e il cuore di ognuno di loro aveva sofferto e stava ancora soffrendo
per quanto
accaduto. Era perciò necessario che anche
la gioia tornasse a far parte delle loro vite.
Stringendo
quindi per
un momento la mano di Ilya, che aveva pianto per giorni la morte del
fratello,
essendo stata lei stessa l’artefice della sua fine, il
sovrano le consegnò la
scatola contenente le medaglie da designare ai celebrati.
La
regina, a quel
punto, discese dal palco e, dopo aver nominato uno a uno coloro che si
erano
distinti durante la battaglia di Hindarall, permise loro di sollevarsi
in piedi
e mise al collo di ognuno la medaglia per i servigi resi.
A
questo, seguì un
bacio sulla guancia in segno di ringraziamento.
Con
Sthiggar, però,
Ilya ruppe il protocollo e, strettolo in un abbraccio, gli
mormorò un grazie di puro cuore e Ragnhild, al
suo fianco,
sorrise ironica e sussurrò:
“Raccomandato.”
Sthiggar
rise di
quella battuta e Ilya, nello strizzare l’occhio alla giovane,
replicò: “Lo so,
sono di parte.”
Ciò
detto, tornò sul
palco assieme al marito – che stava sogghignando divertito
– e decretò il
termine ufficiale della premiazione per permettere ai presenti di
rompere le
righe.
Vi
sarebbero stati
momenti meno felici, nel futuro, una volta che anche i più
sperduti traditori
del regno fossero stati trovati e condotti a palazzo per una degna
punzione, ma
non era questo il giorno in cui pensarci.
Osservando
come gli
amici di Sthiggar stringevano le mani dell’amico, o si
complimentavano con
Ragnhild per il successo del loro arrivo a Muspellheimr in grande
stile, Surtr
sorrise soddisfatto.
Era
vitale che la
Spada Fiammeggiante fosse ben voluta, poiché molta della sua
forza dipendeva
dall’animo di coloro che la componevano.
Un
tempo, Sthiggar
non sarebbe mai stato in grado di padroneggiare un simile potere, e
neppure la
stessa Ragnhild ne avrebbe avuto la forza o la determinazione ma,
assieme,
creavano un Unico indissolubile. Una Leggenda divenuta reale,
un’arma dalle
inimmaginabili potenzialità ma, agli occhi di Surtr,
soprattutto due giovani
amanti che, insieme, avevano dimostrato di potersi riscattare dal loro
infelice
passato.
“Non
sono bellissimi,
insieme?” mormorò al suo fianco Ilya, stringendosi
al suo braccio.
Surtr
si limitò ad
assentire, sapendo di non poter mettere a parole le molteplici
motivazioni per
cui li trovava splendidi ma Ilya, ben conoscendo il marito, non si
aspettò una
risposta e aggiunse soltanto: “Sarà un peccato non
poterli avere qui con noi,
più avanti. Yothan ha detto che li addestrerà ben lontano dalla capitale.”
Il
re allora ghignò
all’indirizzo della sua regina e replicò:
“Ma non eri tu che ti esasperavi al
solo sentir nominare Sthiggar, quando ce lo portavano qui?”
La
regina fece finta
di non capire, limitandosi a replicare: “Ti sbagli con
qualcun altro. Io ho
sempre adorato quel ragazzo.”
Surtr
allora rise,
ammiccò a un orgoglioso Snorri e celiò:
“Forse mi confondo con qualcun altro,
vero amico mio?”
“Può
essere, Sire.
Può essere” ammiccò Snorri.
N.d.A.: qui terminano
gli eventi di Muspellheimr e, con l’epilogo della settimana
prossima, metterò la parola "Fine" su questa
storia. Non so se altre ne verranno, o se mi concentrerò
solo su storie brevi
od OS. Tutto dipenderà da cosa mi dirà la testa.
Per ora, vi ringrazio e vi
attendo per i saluti finali.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 31 *** Epilogo ***
Epilogo
Magnus
stava
osservando l’albeggiare lento e costante, la figura ritta e
silenziosa che si
stagliava come una statua alla luce dei primi raggi del sole mattutino.
La
sua postura
marziale e ombrosa avrebbe potuto trarre in inganno le menti
più superficiali
ma, quando Gunther Olegsson si avvicinò al nuovo capoclan ad interim del branco di berserkir di
Luleå, lo fece con assoluta
tranquillità.
Non
avrebbe mai avuto
nulla da temere da quel giovane, che si era presentato soltanto il
giorno prima
per metterlo al corrente dei cambi di potere in atto nel branco e della
buona
riuscita della missione su Muspellheimr.
Trovarlo
quella
mattina all’imbarcadero, con il volto rivolto a Est e
l’espressione cupa, lo
aveva sorpreso e, dopo aver tranquillizzato la moglie, era uscito di
casa fino
a raggiungerlo.
Quanto
infine si
posizionò al suo fianco, gli sorrise appena e disse:
“Buongiorno. Risveglio
tormentato, forse?”
“Il
peso delle mie
azioni comincia a ripercuotersi su di me e sì, anche sulla
qualità del mio
sonno” ammise il giovane, cancellano dopo alcuni attimi il
nero cipiglio che
fin lì aveva dipinto il suo volto imberbe.
“Non
mi permetterei
mai di darti consigli, visto colui che risiede dentro di te, ma
accetterai da
un vecchio qualche parola astuta?” ammiccò
Gunther, facendolo sorridere.
“Credimi,
qualsiasi
consiglio sarà ben accetto da entrambi, poiché
entrambi noi desideriamo non
commettere ulteriori errori. Per il bene della mia gente, ma anche
delle
persone che non sanno nulla di noi” lo pregò
quindi Magnus, annuendo con
fervore.
“Lascia
che ti dica
questo, giovane capoclan… ho vissuto più vite di
quanto potresti immaginare,
poiché non sempre sono stato un soldato e, da quando ho
perso la mia Fiamma per
poter abitare qui come umano, altre cose ho imparato in totale
autonomia, e
altrettante mi hanno segnato” esordì Gunther,
lasciando che il suo sguardo
d’acciaio vagasse sulle placide acque dalla baia, ora
illuminate dal sole ormai
sorto. “Vi saranno sempre ostacoli e sempre vi saranno
scorciatoie. Affronta
gli ostacoli a testa alta e utilizza le scorciatoie solo quando serve,
non
quando ti sembra più facile.
Vi
saranno sempre persone che cercheranno di impedirti di compiere
ciò che devi,
ma tu hai il dovere di affrontarli,
poiché aggirarli sarebbe pericoloso.”
“E
se avessi paura
del confronto?”
“Devi averne, o saresti stolto”
replicò Gunther con candore. “La paura
ci mantiene vigili e vivi ma, soprattutto, ci permette di essere umili.
Bada
bene, la paura, non il panico. Il panico rende ciechi e sordi a
qualsiasi consiglio. Sono due cose ben diverse.”
“Come
discernere le
due cose, però?” ribatté Magnus,
confuso.
“Finché
avrai dinanzi
a te il quadro completo, ma dubiterai e chiederai consiglio, allora la
tua sarà
una paura giustificata e sana. Quando niente ti sarà chiaro
e nessuna voce
riuscirà a giungere alle tue orecchie, allora saprai di
essere nei guai, perché
il panico avrà preso il sopravvento su di te”
ammise Gunther con tono più che
serio.
“E
se dovesse
succedere?”
Qualora
succedesse, interverrò io e
ti darò una sonora lavata di testa, intervenne
Odino con tono allegro.
Magnus
non poté
evitare di sorridere, a quel commento e Gunther, levando un
sopracciglio,
domandò: “Ti hanno già risposto in
merito, forse?”
“Già”
ammiccò Magnus,
un poco più tranquillo, tornando a osservare i colori
cangianti del mare,
baciati dai calorosi raggi del sole del mattino.
“Farai
bene, e forse
sbaglierai anche, ma fa parte dell’apprendimento e della
crescita” chiosò
quindi Gunther, dandogli una pacca sulla spalla.
“Così
è” annuì
debolmente il giovane, ammiccando al suo indirizzo.
“Colazione
e caffè?”
domandò allora Gunther, invitandolo a rientrare con lui.
“Sì,
grazie” rise
gentilmente Magnus, accodandosi al possente ex guerriero muspell.
***
Osservando
la scena
dalla strada, gli occhi inteneriti e il sorriso a piegare le labbra
piene,
Brianna tornò sui suoi passi assieme a Duncan e Hannah che,
teneramente
poggiata contro il petto della madre, mormorò:
“Ora meglio, Magnus?”
“Sì,
tesoro. Ora sta
meglio. Possiamo rientrare tranquillamente”
assentì la madre, dandole un bacio
sulla fronte.
Quando
Hannah era
piombata nella loro stanza, tremante e in lacrime e con il nome di
Magnus sulle
labbra, la coppia si era istantaneamente preoccupata per
l’amico, iniziando la
sua ricerca in casa Thomasson prima di uscire in tutta fretta.
Forte
del loro
olfatto, la coppia non aveva impiegato molto per trovare Magnus ma,
quando lo
aveva visto in compagnia di Gunther Olegsson – presentato
loro come Guardiano
dei prigionieri muspell su Midgardr – si erano immediatamente
tranquillizzati.
Hannah
aveva pestato
un po’ i piedi al pensiero di non potersi avvicinare al suo Magnus – quel modo di
parlare faceva rabbrividire entrambi i
genitori ogni volta – ma, alla fine, sia Duncan che Brianna
erano riusciti a
convincerla a desistere.
Per
quanto lei
potesse essere turbata al pensiero che Magnus fosse triste, dovevano
dare al
loro comune amico lo spazio necessario per trovare le risposte che
stava
cercando. In solitudine, se serviva, o grazie all’aiuto di
persone che non
necessariamente dovevano essere loro.
Quando
infine
rientrarono a casa Thomasson, Sonja li accolse con un sorriso un
po’ teso e
domandò: “Va tutto bene?”
“Sì,
lo abbiamo
trovato, ed era al sicuro. Dobbiamo solo concedergli un po’
di tregua” assentì
Brianna, rimettendo a terra Hannah che, tutta sorridente, si rivolse a
Sonja
per avere un po’ di latte.
La
donna la
accontentò volentieri mentre Nathan, ancora insonnolito,
compariva assieme a
Mattias per dare loro il buongiorno.
“Tutto
ok, là fuori?”
sbadigliò Nathan, dando un buffetto alla sorella quando la
vide passare assieme
a Sonja.
“Certamente.
Magnus
stava bene e…” cominciò col dire
Brianna prima di venire interrotta dal suono
del cellulare.
Sorpresa
– chi la
chiamava a quell’ora di mattina? –
sollevò lo smartphone per controllare chi
fosse e, quando vide un’immagine peculiare comparire sullo
schermo, rise
sommessamente e accettò la chiamata.
“Ciao,
Alec… non
potevi aspettare che ti chiamassi io?” sospirò
Brianna, sorridendo a Duncan
che, divertito, scosse la testa al suo indirizzo.
“Ho
dovuto sapere da Beverly che sei
finita all’altro capo
dell’Universo per giocare a Star Wars con la tua Triade
– menomata, tra
l’altro! – mentre tu, da brava idiota, non hai
pensato minimamente di aggiornarmi
su quanto stava accadendo in Svezia!”
sbraitò immediatamente Alec, costringendola ad allontanare
il cellulare per poi
lanciare un’occhiata curiosa all’indirizzo del
marito.
“Non
gliel’hai
detto?” esalò Brianna, stupita.
“Se
gliel’avessi
detto, si sarebbe catapultato qui con metà del suo
branco… e per cosa, poi,
visto che tu e i ragazzi eravate già su
Muspellheimr?” scrollò le spalle Duncan
con candore.
“Hai
sentito?” disse
quindi la giovane, tutta sorridente.
“Non
mi interessa un accidente quale
neurone si è fumato
il tuo uomo, per concepire questo pensiero insulso! Non puoi
semplicemente
andartene così, senza dirmelo!” ringhiò
Alec, ormai imbestialito.
Il
sorriso di Brianna
si fece dolce, di fronte all’ira funesta di Alec e, nel
sedersi accanto a
Nathan – che si strinse a lei come un koala – la
donna mormorò: “Sono la tua
migliore amica, Alec, e ho giurato che lo sarò fino alla
fine dei tuoi giorni. Pensi che non
manterrei la
promessa fatta? Mi giudichi una traditrice?”
“Cosa
ne sai di quel
che avrebbe potuto succedere, su un pianeta alieno? Avrei potuto
guardarti le
spalle!” sbottò Alec, la voce ora un poco
più controllata.
Duncan
le sorrise,
carezzandole il capo mentre Brianna osservava il volto contratto
dall’ira e dal
panico attraverso lo schermo del cellulare.
Non
aveva dimenticato
quando, durante una delle tante conferenze-dibattito che si svolgevano
ogni
anno tra i branchi, Alec le aveva fatto promettere – tramite
un giuramento di
sangue – di non lasciarlo mai solo, di essere per sempre
legati come fratello e
sorella.
Naturalmente,
aveva
voluto che a quel giuramento partecipassero anche Duncan ed Erin, per
chiarire senza ombra di dubbio
quale fosse la
natura di quel legame, e tutti avevano accettato.
L’animo
di Alec
sarebbe sempre stato spezzato, ricco di un’intricata serie di
cicatrici mai del
tutto rimarginate ma, grazie all’amore di Erin,
all’amicizia di Duncan e
all’affetto fraterno di Brianna, lui aveva potuto
ricominciare a vivere.
Con
quel giuramento aveva
voluto mettere in chiaro, più a se stesso che a qualsiasi
altra persona, che non era solo,
che le persone che
desiderava avere attorno sarebbero sempre state lì per lui
e, con lui. E viceversa.
Saperla
lontano anni
luce doveva averlo davvero sconvolto, ma Brianna comprendeva
più che bene perché
Duncan si fosse astenuto
dall’avvisarlo del precipitare degli eventi. Sarebbe stato
perfettamente
inutile portarlo all’esasperazione a causa della mancanza di
notizie da
Muspellheimr.
“Alec,
tu mi guardi sempre le spalle,
anche quando non ci
sei. Pensi davvero che tu debba essere necessariamente
presente, perché io senta la tua aura protettiva?”
gli sorrise Brianna mentre
Duncan annuiva alle sue spalle, lo sguardo rivolto al volto ancora
ombroso di
Alec.
“Dalle
ascolto,
invece di essere petulante” intervenne quindi Erin,
comparendo sullo schermo
per poi salutare la coppia all’altro capo del telefono.
“Scusa se ti ha
chiamato a quest’ora… voleva farlo appena Beverly
lo ha chiamato, ma era
davvero un orario assurdo.”
“Nessun
problema,
Erin. Io sono qui per lui, ogni volta che ne ha bisogno”
replicò Brianna prima
di puntare un dito sullo schermo, farsi più decisa e
aggiungere: “Hai capito,
sciocco che non sei altro? Sarò sempre
qui
per te.”
“Streghetta,
non
cominciare…” la minacciò Alec,
andombrandosi ulteriormente.
“Comincio
eccome,
visto che sei andato fuori di testa” rise divertita Brianna
per poi aggiungere
sdolcinata: “Sei il mio amico del cuore,
Aleksej…”
“Non osare…”
protestò Alec, cominciando a diventare vermiglio in
viso.
Brianna
non si
scompose e proseguì dicendo con tono ancora più
melenso: “…niente potrebbe mai
separarci, neppure guerre interstellari, guerrieri mitici o mostri
dissennati.
Io tornerò sempre da te perché te l’ho
promesso e…”
La
comunicazione
venne interrotta di colpo e Brianna, scoppiando in una dolce risatina,
poggiò
il telefono sul tavolo della cucina asserendo: “Quanto
conosco i miei polli!”
“Ma
perché zio Alec è
sempre così appiccicoso, con te?”
domandò Nathan prima di guardare dubbioso il
padre. “E tu, perché non sei neppure minimamente
geloso?”
“Alec
e io siamo solo
amici, ma si tratta di un’amicizia molto stretta e di un
legame assai forte,
nato in circostanze uniche. Tuo padre era presente, quando nacque
quest’amicizia, e sa che non vi è altro, tra di
noi, così come lo sa Erin.
Semplicemente, per certe cose, Alec ha bisogno di me, e solo di me e, a
volte,
vale il contrario” gli spiegò con
semplicità Brianna, carezzandogli il capo.
“E’
una cosa…
potente” mormorò ammirato il bambino, fissando i
genitori con aria
impressionata.
“Molto.
E io sono
grata ogni giorno per avermi dato un marito che possa comprendere e
accettare
un simile legame, così come due bambini che sanno darmi
tutte le gioie del
mondo” mormorò Brianna, dando un bacio sulla
fronte a Nathan prima di sorridere
quando Hannah riapparve al suo fianco.
“Anche
Alec ha zia
Erin, Penny e Gareth. Non basta?” domandò allora
Nat.
“A
volte, no. Per
questo esistono gli amici. Per riempire buchi che, a volte,
l’amore della
famiglia non può sistemare. Vi sono ferite di cui non si
può parlare con
l’amato, ma solo con l’amico… e questo
sono io per Alec, e lui per me” gli
spiegò Brianna.
“Perché
non possiamo
riempire tutte le tue ferite, mamma?” mormorò
turbato Nathan, abbracciandola stretto.
Dandogli
un bacio sui
capelli, Brianna lanciò poi uno sguardo a Duncan che, per
lei, disse: “La mamma
ci vuole difendere da cose che potrebbero farci soffrire molto. Ha
visto cose
terribili, così come le ha viste Alec, e noi soffriremmo
tantissimo, nel
conoscerle, così come soffrirebbero Erin, Penny e Gareth. La
mamma o Alec non
vogliono vederci soffrire, così parlano tra di loro per
riempire quei buchi.”
“Quindi,
è solo per
questo che ci sono gli amici?” domandò dubbioso
Nathan.
Brianna
allora rise,
scosse il capo e replicò: “Oh, no, tesoro! Ci sono
per ridere, per piangere,
per abbracciarsi e, a volte, anche per litigare. Danno corpo alla
nostra vita e
un colore sempre nuovo, ma sono
diversi da te, o da papà, o da Hannah. Sono… un
regalo. Qualcosa che la vita ci
dona per vivere meglio. A volte non succede ma, se capita, bisogna
esserne
grati.”
“Anche
se urlano come
Alec?”
“Sì,
anche se urlano
come Alec. Non rinuncerei ai suoi strepiti per tutto l’oro
del mondo” ammise
Brianna, prendendo in braccio Hannah, che desiderava la sua attenzione.
“E ora
che abbiamo fatto questi bei discorsi importanti… facciamo
colazione? Tra poco
si riparte per tornare a casa!”
A
quell’accenno, i
ragazzi assentirono allegri e Duncan, nel dare un bacio sul capo alla
moglie,
raggiunse Sonja al bancone della cucina per aiutare a servire la
colazione.
Brianna
sorrise nel
guardarlo allontanarsi e, quand’anche Sarah, Jerome e Lance
apparvero nella
cucina, la figura di Mattias al fianco e il buon vecchio Bjorn a fargli
da
silente cavaliere protettore, lei non poté che essere felice.
Sì,
gli amici erano
un dono che non sempre ci veniva concesso ma, quando accadeva, quali
gioie
potevano donare!
FINE
N.d.A.:
e qui
terminano le avventure di Brianna e soci. Per il momento mi
riposerò un po’,
quindi vedremo cosa uscirà dalla mia mente iperattiva.
Spero di potervi
rivedere in nuove avventure, ma per ora vi ringrazio per avermi seguita
in
questa. A presto!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=4020373
|