La Spada Fiammeggiante - Spin Off Trilogia della Luna

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Cap.1
 
 
 
 
 
Leggenda narra che, alla fine di ogni cosa, quando l’Universo stesso volgerà al termine e ogni vita, mortale o immortale che sia, verrà sfiorata dal bacio della Nera Tessitrice, il Ragnarök investirà i Nove Regni.

Devastazione, angoscia e caos avvolgeranno ogni cosa, ogni luogo, ogni anfratto oscuro o luminosa terra promessa.

I Regni di Jötunheimr, Muspellheimr e Niflheimr condurranno nel reame di Hel schiere di cadaveri, invano combattuti da Odino e i suoi figli mentre le genti degli altri Reami verranno circonfuse da paura e terrore.

Fenrir, Hati e Sköll porteranno vendetta dopo i torti subiti, mentre il Sole e la Luna – governati da Sól e Mani – cadranno per sempre, gettando nell’oscurità perpetua i Mondi.

Questo, almeno in teoria.

E tra molti, moltissimi millenni.

Nel Regno di Muspell, come in altri reami dell’Universo, vi erano ben poche persone impegnate a pensare a simili scenari apocalittici.

Di certo, chi non aveva neppure un cruccio per la testa, era il giovane Sthiggar Glenrson, della dinastia di Sól e figlio del Grande Sacerdote della Fiamma, il sommo Snorri.

Mille e più erano state le punizioni che, nel corso dei decenni, i suoi precettori – financo il re! – gli avevano comminato per raffreddare i suoi bollori adolescenziali, ma nulla era parso valere allo scopo.

La sua immensa curiosità, unita all’impavido coraggio e alla sfrontata mancanza di paura, lo avevano reso noto ai più come la peggior calamità vivente dopo gli aesir1.

Essere un ragazzino dall’animo solare e allegro - oltre che orfano di madre - lo aveva salvato dalle punizioni più terribili ma era chiaro a tutti che, prima o poi, Sthiggar avrebbe fatto il passo più lungo della gamba, cacciandosi in guai seri.

Quando questo fosse successo, neppure suo padre Snorri avrebbe potuto salvarlo dal pesante maglio della penitenza. Un'altra cosa di cui tutti erano più che sicuri.
 
***

Forse, dopotutto, tentare di penetrare nel tempio delle Sacerdotesse Vergini di Sól – un termine davvero ambiguo, visto ciò che si accingeva a fare –, poteva rivelarsi per lui un compito davvero troppo complesso.

D’altra parte, non poteva tornare con la coda tra le gambe dai suoi amici, Bhirger e Gottfrid, millantando fantomatici e insormontabili ostacoli.

A dire la sacrosanta verità, l’unico vero ostacolo a frapporsi fra lui e le stanze delle bellissime sacerdotesse era l’immagine della sua ava che, con sguardo ammonitore, scrutava chiunque da ogni angolo del tempio in cui ci si trovasse.

L’ingegnere che aveva ideato il progetto di quel luogo così sacro e virginale si era rivelato davvero geniale, almeno a suo avviso. Apporre l’immagine di Sól su ogni parete, angolo, colonna o arco di quell’enorme, stramaledettissimo tempio, poteva davvero intimidire anche il più folle tra gli uomini.

Persino lui, entro certi limiti.

Dopotutto, voleva bene a quella stupenda, meravigliosa creatura che aveva dato inizio alla sua stirpe, pur se non aveva mai avuto l’onore – e l’onere – di conoscerla in prima persona.

Per volere degli dèi, adirati con Sól per aver concesso la sua verginità a un mortale, la dea aveva abbandonato l’amato compagno Glenr e non aveva più potuto mettere piede su nessuno dei Nove Regni.

Le divinità, irritate al pensiero che una dea sua pari – votata alla verginità – potesse aver ceduto il proprio cuore a un essere ritenuto indegno, l’avevano punita relegandola nel cielo. Alla guida del carro dell’astro del mattino, Sól aveva quindi preso su di sé quell’incombenza, guardando da lontano la sua dinastia senza avere con alcuno il seppur minimo rapporto.

Così facendo, e sacrificando se stessa per il marito e i figli, Sól aveva potuto salvare la sua stirpe, ma era stata costretta a osservarli – e amarli – da lontano, sempre divisi, mai veramente insieme.

Per questo, l’idea di penetrare – ma non esisteva un termine meno ambiguo? – nel suo tempio gli costava così tanta fatica. Amarla era una delle cose che gli venivano spontanee, perciò fare qualcosa contro di Lei gli pesava molto sull'animo.

Purtroppo per tutti, però, il pensiero di perdere una scommessa gli rimordeva ancor di più la coscienza.

Fu per questo che, in barba a qualsiasi divieto, scavalcò la recinzione, sgattaiolò all’interno del cerchio di colonne che delimitavano il pronao dopodiché, con un ghigno beffardo dipinto sul bel volto, si avviò verso il compimento del suo misfatto.

O almeno, i suoi piani avrebbero dovuto essere questi.

Quando i suoi calzari di cuoio sfiorarono la superficie liscia e iridescente del quarzo citrino con cui era costruito il pavimento del tempio, tre lance sciabordarono l’aere profumato e si puntarono contro il suo collo robusto, bloccandolo.

Immediatamente, fiammelle spontanee presero ad ardere negli incensieri appesi alle pareti di ossidiana, e gli occhi scarlatti di tre guerriere in armatura scagliarono strali contro l’invasore.

Perfettamente immobile di fronte alle Fiamme Nere – nobili guerriere che proteggevano, tra le altre cose, le Sacerdotesse di Sól, oltre a essere al servizio diretto del re – Sthiggar deglutì a fatica e si lasciò andare a un mezzo sorriso, mormorando: “Signore,  ...buonasera.”

Una delle lance si avvicinò ulteriormente, segnandogli le carni all’altezza del pomo d’Adamo e una singola, brillante stilla di sangue macchiò il metallo prezioso dell’arma.

Sthiggar, però, non diede adito di aver patito alcun dolore, all’atto del ferimento e, nel sollevare lentamente le mani in segno di resa, disse con minore ironia: “Non avevo intenti irriguardosi. Era una semplice scommessa. Il furto di una tunica, tutto qui.”

“E ti pare poco?” replicò la guerriera che lo aveva ferito, sollevando finalmente l’elmo che ne nascondeva il volto e mostrando così la sua identità.

Accigliandosi non appena scoprì l’identità della guerriera, Sthiggar sbuffò sonoramente e replicò: “Da te non me l’aspettavo, cugina. Davvero pensi che farei del male alle fanciulle che si trovano qui? Io amo le donne, non le circuisco di sicuro. Non ne ho bisogno.”

Reclinando con un movimento armonioso la sua lancia – e dando così il la alle due compagne per fare lo stesso – Hildur ribatté gelida: “Il figlio di un Sacerdote non dovrebbe prendere alla leggera le leggi dei templi a noi sacri, a maggior ragione trattandosi del tempio di una tua ava. Quanto al resto, sei talmente giovane che dovrei punire le donne che ti hanno avuto nel letto, piuttosto che il contrario. Il solo pensiero mi infastidisce più di quanto non ammetterò mai.”

Scrollando leggermente le spalle e piantando con aria irriverente le mani sui fianchi, il giovane muspell si limitò a dire: “La fai più grande di quanto non sia, cugina. Chiederò scusa a tutte voi e me ne andrò, visto che non vi è stato alcun danno. Quanto alle donne di cui parli, alcune sono tue colleghe, perciò andrei piano a parlare di punizioni.”

Nel dirlo, ghignò malizioso e Hildur, nel tentare di mantenere la calma, preferì soprassedere su quest’ultima affermazione per concentrarsi sul problema di quel momento, e cioè le intemperanze del cugino.

“Lasceremo giudicare a Sua Maestà Surtr che punizione dovrai ricevere. Ancora una volta” sentenziò a quel punto lei, portando il cugino a sgranare gli occhi color lapislazzulo.

Sbattendo le palpebre con espressione a metà tra lo sconvolto e il timoroso, Sthiggar esalò meno baldanzoso: “Sei pazza, a voler disturbare il re per una simile scemenza?”

Le colleghe di Hildur parvero dello stesso avviso, almeno a giudicare dai loro sguardi dubbiosi ma si guardarono bene dal replicare alle parole del loro superiore.

“Sei tu a pensare che lo sia, Sthiggar, ma non certo io. Mio compito è difendere queste ragazze dalle mire degli idioti come te, o dai codardi che pensano di sottrarre dall’occhio di Sól le sue magiche armi, perciò capirai bene perché io sia costretta a fargli rapporto.”

Nel dirlo, la guerriera scosse il capo con espressione spiacente e aggiunse: “Lo zio ti ha ripetuto per anni di mettere la testa a posto, ma tu non hai mai voluto ascoltarlo. Pensi che mi diverta l’idea di essere proprio io quella che ti porterà da Surtr? Credimi, non mi piace per niente.”

“Bene. Non piace neanche a me, quindi chiudi un occhio e lasciami andare” ritentò Sthiggar, muovendo un passo verso la cugina per sfiorarle la spalla.

Lei, però, lo scansò, tornò a sfiorare il bel viso del cugino con i penetranti occhi color rubino e sibilò: “Non tentare di blandirmi, Sthigg. La nostra parentela non può e non deve rendermi cieca di fronte alla tua infrazione delle regole, perciò verrai condotto dal re senza opporre alcuna resistenza.”

“Mi deludi davvero, Hildur” replicò Sthiggar, accigliandosi a quelle ultime parole.

“Potrei dire lo stesso di te” sospirò a quel punto la donna, accennando un assenso alle sue compagne.

Queste ultime lo bloccarono ai polsi con i Lacci di Fenrir, manette così chiamate perché create dai nani di Svartallfheimr con lo stesso materiale con cui il famoso figlio di Loki era stato imprigionato con l’inganno.

Leggere quanto resistenti, le manette di impalpabile tessuto color carbone si avvolsero come spire attorno ai polsi di Sthiggar che, immediatamente, ne percepì il potere subdolo e dolente.

Non solo era impossibile per chiunque spezzarle, ma quelle mefistofeliche trappole depredavano altresì qualsiasi energia di colui – o colei – che veniva da esse ghermito.

La pelle bronzea e rilucente di Sthiggar perse immediatamente fulgore, al tocco di quelle manette e, nel rendersene conto, il giovane mormorò orripilato: “Che schifo! Sembro un misero umano!”

“Un misero umano, come tu definisci gli abitanti di Midghardr, non avrebbe di che preoccuparsi di gleipnir. Non gli farebbe alcun effetto” replicò Hildur, sospingendo verso l’esterno il cugino. “Forse dopotutto, se lo fossi stato, saresti riuscito nei tuoi intenti, perché non avremmo percepito la tua aura.”

Sthiggar borbottò un’imprecazione tra i denti, ben comprendendo ciò che intendeva dire la cugina.

In quanto figlio di stirpe divina – essendo uno dei pochi nipoti di Sól – il suo potere era particolarmente forte e la sua aura, o chioma, era localizzabile anche in fase quiescente.

“Ora basta, comunque. Subirai il giudizio del re, e io prego soltanto che stavolta tu possa comprendere i tuoi errori” tagliò corto Hildur, sospingendolo lontano dal Tempio di Sól.
 
***

Re Surtr, signore incontrastato di Muspellheimr, padrone della Fiamma Viva, Gran Generale delle schiere dei Giganti di Fuoco e almeno un'altra mezza dozzina di titoli – che il Gran Ciambellano ripeteva ampolloso a ogni visita di altisonanti ospiti – viveva nello splendido Palazzo Reale di Hindarall.

Fiero e imponente maniero costruito tra i monti che sovrastavano l’imponente capitale di Muspellheimr e del Continente Boreale, il Palazzo Reale poteva vantare una linea sontuosa, slanciata e dai molteplici stili.

Era infatti stato costruito e ampliato nel corso dei millenni, regalandogli così una livrea unica e non eguagliabile ad alcun’altra reggia nei Nove Regni.

Bracieri di ogni origine e forma illuminavano gli ampi locali di cui era composto l'immenso palazzo, mentre pietre tra le più preziose dei Nove Regni riflettevano la luce altalenante dei fuochi, creando giochi di colore sempre differenti alle pareti.

Diamanti della grandezza di un pugno d'uomo si intervallavano a infinite distese di rubini dalle forme eleganti, intessendo arabeschi sulle pareti e sulle volte a botte dei saloni.

Smeraldi impreziositi da sontuose montature in oro erano abbinati a opali dalle mille e variegate tinte arcobaleno, e ogni pietra era incastonata ad arte per ricreare i blasoni delle più importanti famiglie nobiliari del pianeta.

Per completare in bellezza quell'orgia di colori e ricchezze, il sommo sovrano Surtr aveva voluto per sé un enorme quanto barocco trono in marmo di Carrara, giunto direttamente da Midghardr. Checché ne pensassero i suoi scalpellini reali, l'artigianato umano era degno di nota, e in particolare quello italiano.

Avere degli ottimi contatti su Midghardr serviva anche a quello, oltre a farsi inviare dei preziosi manufatti in vetro di Murano, o dei magnifici broccati di seta cinese per la sua dolce - e modaiola - signora.

L'unico difetto del Palazzo Reale della Corona Muspell era, a ben vedere, anche il suo più grande pregio; l'ampiezza. Sovente, le persone ivi accolte si perdevano.

Non era insolito che zelanti servitori dovessero passare anche intere giornate per recuperare non tanto zelanti ospiti che, tra una bevuta di troppo o una scappatella in più rispetto al consentito, finivano con il trovarsi ben lontani dalle proprie stanze.

Quando non venivano visti alla tavola del grande sovrano, o non si presentavano a qualche appuntamento ufficiale, i più veloci e intraprendenti tra i Cercatori - come ormai venivano chiamati i servitori di Surtr inviati in queste fantomatiche Cerche - erano invitati a procedere al recupero dei malcapitati.

A volte, Surtr aveva anche pensato di trasferirsi in un palazzo meno sontuoso e, soprattutto, meno vasto ma, alla fine, avevano sempre vinto la vanità e l'affetto per quel mastodontico, esagerato agglomerato di cristalli, quarzi e pietre preziose.

"Caro, ...dove sta divagando la tua mente iperattiva? Sembra quasi che dalle tue orecchie esca del fumo" ironizzò la sua signora, servendosi un acino d'uva prima di pizzicargli un bicipite con aria birichina.

Surtr le sorrise ghignante, sapendo bene che sì, le sue orecchie stavano effettivamente fumando ma, essendo lui il capo dei Giganti di Fuoco, era anche un tantino normale, no?

A ogni buon conto, poggiò la guancia sbarbata di fresco contro il pugno sollevato e replicò: "Stavo in effetti ripensando all'ultima volta in cui Guntrudd si perse nell'ala ovest del palazzo. Ricordi quanto tempo impiegò, il povero Mithrag, per ritrovarlo? Alla fine, dovemmo ricoverarli entrambi per mancanza di forze!"

Il solo ripensare a quell'epica Cerca lo fece scoppiare in una grassa, sgraziata risata a cui si unì, più modestamente, la moglie. Moglie che, ammiccando con i profondi occhi color amaranto e sormontati da lunghe ciglia brune, mormorò: "Credo che il nostro caro cugino non venga più da noi proprio perché ha il terrore di perdersi. Ma forse, se lo facessimo accompagnare dalla bella Sildahir, non si perderebbe più."

"Per carità divina!" esclamò Surtr, protestando con un gran tramestio di pugni sui braccioli del trono. "Non pensarlo neppure! Non farei mai perdere del tempo in questo modo a quella cara ragazza! Dovrebbe passare metà della giornata a tenere lontane le mani di mio cugino, e l'altra metà a tenere d'occhio i suoi passi."

Picchiettandosi l'unghia laccata sul mento a punta, Ilya ammise quel piccolo inconveniente e, con un sospiro, soggiunse: "Beh, allora potremmo affiancargli Johr, o Friggher."

"Stesso problema... ma, in questo caso, scateneremmo una rissa" sospirò Surtr. "Mio cugino è un gran simpaticone, ma ha lo stesso autocontrollo di un margrario reale."

"Oh, dèi!" esalò Ilya, scoppiando in una risatina maliziosa. 

Era infatti noto a qualsiasi abitante di Muspellheimr quanto, i margrari reali - piccoli roditori dalla pelliccia dorata - fossero famosi per la loro attitudine alla riproduzione e alla copulazione frequente.

"Dovrò dotarlo di un sonaglio, caso mai decidesse di tornare... oppure lo affiancheremo a un soldato così arcigno e impietoso che neppure a lui verrà voglia di infastidirlo con le sue avances."

Nel dirlo, Surtr ghignò soddisfatto, divertito dal suo stesso piano, piano che però non ebbe il tempo di mettere pienamente a punto perché il possente portone che li divideva dal salone reale venne battuto con grazia.

Due rintocchi del bastone del cerimoniere. A quanto pareva, c'erano dei guai alla porta, e il Gran Ciambellano desiderava metterlo al corrente della cosa.

Scusandosi con Ilya, Surtr acconsentì a che la porta venisse aperta e, sull'entrata della loro saletta privata - ove la coppia era solita pranzare e cenare in solitudine, se era loro piacere - il giovane paggio di nome Synian si inchinò per poi dire: "Sommo Surtr, Somma Ilya, chiedo perdono per il disturbo, ma le Fiamme Nere sono a palazzo e domandano udienza alle loro maestà."

Levando un bruno sopracciglio, Surtr si levò dal suo trono - ne aveva fatto fare uno più piccolo su cui accomodarsi nella saletta privata, tanto gli piaceva lo stile dell'originale - ed esalò: "Le... Fiamme Nere? Che diavolo è successo?"

"Un caso di insubordinazione, a quanto pare" sospirò il paggio, scuotendo poi il capo con fare leggermente esasperato.

Accigliandosi maggiormente, Surtr allungò una mano alla sua consorte perché lo accompagnasse nel Salone delle Udienze e, nell'avvicinarsi a Synian, lo scrutò incuriosito e chiosò: "C'è una sola persona di nostra conoscenza che riesce a farti perdere le staffe, ragazzo. Non dirmi che è lui."

"Ebbene sì, mio re. So che dovrei rimanere impassibile, ma... ma lui è così... così..." tentennò il paggio prima di inchinarsi nel lasciarli passare e terminare di dire: "...insomma, non riesco proprio a capire cosa gli passi per la testa."

"Credo che neppure Madre lo sappia" celiò Surtr, avviandosi a grandi passi assieme alla consorte che, a quanto pareva, stava sfoggiando un nuovo paio di sandali di provenienza elfica.

Sorridendo a Ilya - che pareva assai soddisfatta dell'assoluto silenzio prodotto dal suo passo lungo e slanciato - Surtr chiosò: "Dovrò mettere un sonaglio anche a te, ora. Quei calzari in seta di ragno provenienti da Elfheimr sono silenziosissimi."

"Oooh, non sono adorabili? Me li ha mandati Titania, dicendomi che sono l'ultima invenzione del suo Mastro Calzaturiere, e devo dire che sono magnificamente comode!" sorrise tutta contenta Ilya. "Mi mancano, ovviamente, le mie décolté francesi, ma i tacchi fanno effettivamente troppo baccano, lungo i corridoi. Troppa eco."

"Le indosserai solo per me, se lo vorrai" le propose allora lui, trovando che le scarpe che le aveva fatto arrivare da Midghard le slanciassero in modo sensualissimo le gambe.

"Ma certo" mormorò allora Ilya prima di sorridere comprensiva a un imbarazzato Synian.

Non era insolito che i sovrani tubassero anche in presenza del personale o di estranei, e Synian era al loro servizio solo da un anno, perciò Ilya si sentiva sempre un po' in colpa, quando lo metteva in imbarazzo.

Ma flirtare con suo marito la metteva sempre così di buon umore che, beh... era difficile rinunciare a un simile piacere!

Dovette comunque lasciar perdere il suo sorriso malizioso, quando mise piede nella Sala delle Udienze e, a dirla tutta, neppure le venne voglia di sorridere quando, per la settemilionesima volta, vide il volto ineffabile di Sthiggar in attesa del loro arrivo.

Le tre Fiamme Sacre che lo tenevano al laccio erano in evidente stato alterato, segno che il loro prigioniero aveva fatto loro perdere la pazienza ben prima dell'arrivo a palazzo. Cosa non insolita, quando si aveva a che fare con Sthiggar.

Gli dèi soli sapevano - forse - cosa ronzasse in quella bella testolina affascinante, ma di sicuro non certo loro. 

Di una sola cosa erano certi, e che sarebbe stata comminata l'ennesima punizione al figlio del Gran Sacerdote.

Surtr non arrivò neppure a mettere piede sul primo scalino che conduceva al Podio Reale. Si fermò dinanzi al quartetto, piantò a sorpresa un pugno sul grugno di Sthiggar - che emise un gracidio di dolore in risposta - e ringhiò furente: "Che cosa #### hai combinato, stavolta?!"

(La parola pronunciata da re Surtr era così antica, oltre che così terribile e volgare, da non avere una trasposizione nella lingua moderna. Di sicuro, comunque, fece impallidire le tre Fiamme Nere.)

"Come ho tentato di spiegare alle tue valenti guerriere, Sommo Surtr, si è trattato di un fraintendimento. Uno stupido scherzo... peraltro, neppure portato a termine, visto che queste ingegnose paladine della giustizia mi hanno fermato prima di arrivare a destino, e..." cominciò col dire Sthiggar, sorridendo affascinante al possente sovrano, venendo però azzittito da un altro pugno sul grugno.

"Dèi! Se hai parlato così fino a palazzo, mi sorprende che non ti abbiano ancora ammazzato, ragazzo! Sei peggio di una spilonga marina!" sbottò il re, lasciandosi cadere a sedere sul primo gradino del Podio Reale.

Sthiggar storse appena la bocca, al pensiero di essere stato paragonato a uno starnazzante pennuto che sorvolava senza sosta i mari di lava del Continente Boreale di Muspellheimr.

Ugualmente, pensò bene di tacere, per una volta e il re, lanciando uno sguardo a Hildur, domandò: "Cos'ha combinato, stavolta, questo sciagurato ragazzo?"

"Si è introdotto nel tempio di Sól, a suo dire per rubare una veste delle Sacerdotesse. Sono incline a credergli, perché posso dire molte cose di mio cugino, ma di certo non che è un approfittatore di donne, o un bugiardo. Però..." iniziò col dire la guerriera prima di sospirare e aggiungere: "...non posso dire che questo, a sua difesa. Non mente. Quanto al resto..."

"Già. Quanto al resto..." borbottò Surtr, cercando con la mano la presenza della moglie perché gli impedisse di spaccare la testa di quel ragazzo così indisciplinato.

Gli voleva bene al pari dei suoi molti figli perché, alla fin fine, sapeva essere adorabile, quando voleva, e aveva la capacità innata di saper sorridere col cuore... ma era una tale pestilenza!

"D'accordo, vedo bene che hai la testa più dura di un diamante grezzo, perciò dovrò trovare il modo di incastonarti in una montatura sopraffina. Sei arruolato d'imperio nel mio esercito e bandito per cinquant’anni dalla Capitale. Sosterrai l'addestramento più duro che esista, e sotto il comandante più duro e puro che esista su tutti i Nove..."

"Otto..." ci tenne a dire Sthiggar prima di venire frizzato da un'occhiata furente - e fumante - di Surtr.

"...Otto Regni, come hai giustamente - quanto incautamente - sottolineato tu. Diverrai un Gigante di Fuoco, padroneggerai fino all'ultima stilla del tuo potere divino e ti verrà consegnata - se lo meriterai – il grado di Fiamma Purpurea, con cui mi servirai con onore e serietà. Non dovessi superare questo addestramento, ti verrà bloccato per sempre qualsiasi dono legato alla Fiamma, e verrai messo a spalare carbone nelle segrete di palazzo. Ti è chiaro, stavolta, quanto io sia furioso con te?"

Sthiggar deglutì a fatica e assentì silenzioso, ora realmente terrorizzato, e mormorò soltanto: "Sì, mio re."

"Partirai domattina e, naturalmente, dirai a tuo padre che hai deciso di tua spontanea volontà di arruolarti, così da mettere le briglie al tuo carattere bizzoso. Non voglio che lui soffra per la tua idiozia. Ho troppo a cuore la sua amicizia perché tu la rovini, è chiaro?" dichiarò Surtr, tornando a levarsi in piedi per poterlo guardare dall'alto al basso.

Il giovane assentì una sola volta e Hildur, nel strattonarlo per riaccompagnarlo fuori, disse: "Scusate ancora per il disturbo, sire. Farò in modo che Sthiggar non combini altri guai."

"So bene che tu non c'entri, Hildur. Tu e le tue compagne avete fatto solo il vostro dovere" assentì Surtr, lasciando che andassero via.

Non appena furono soli, Ilya si permise di parlare e disse: "Caro... non esiste una miniera di carbone, sotto il palazzo."

"Io lo so, tu lo sai... ma lui no. E' bene che parta debitamente terrorizzato dalle estreme conseguenze di un suo potenziale fallimento" replicò il re con un sogghigno. "Quel ragazzo ha bisogno di una strigliata coi fiocchi e, comunque, era ormai giunto il tempo che decidesse del suo futuro. L'adolescenza è ormai finita, ed è giusto che cresca."

“Oh, da quel che so, in certe cose, è già grande a sufficienza” ironizzò Ilya, coprendosi le labbra arcuate per nascondere un sorriso.

Surtr sospirò esasperato, borbottando: “Lo so, purtroppo.”

"Comunque… nelle mani di Yothan? Davvero?" sottolineò turbata Ilya.

"Ora non essere sdolcinata con quel ragazzo, anche se so che ti fa pena" brontolò Surtr. “Yothan è un ottimo comandante, oltre che mio vecchio amico.”

"Non sono sdolcinata, ma realista. Yothan lo distruggerà" sottolineò accigliata la regina.

"Se Sthiggar dimostrerà di avere carattere, oltre alla stupidità più nera che io abbia mai conosciuto, sopravvivrà" si limitò a dire il re.

"Se lo dici tu..." sospirò allora la regina, mettendo qualche dubbio nel cuore del suo sovrano.

 
 
1 aesir: termine per indicare gli abitanti di Asghardr.
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N.d.A.: Non vi stupite, quando sentite parlare di decenni, perché i Giganti di Fuoco vivono per migliaia di anni. 
Qui iniziano le avventure di Sthiggar e, nel corso dei prossimi capitoli, scopriremo sia più cose su di lui, sia il perché sia in qualche modo legato alla Terra e ai berserkir. Buona lettura e buon ritorno nel mio mondo!
P.S.: se qualcuno si stesse chiedendo perché Sthiggar corregge il re, in merito ai Nove Regni, vi rammento che Vanaheimr (dove regnavano i fomoriani) fu distrutto millenni addietro dalla morte della stella del sistema galattico dove si trovava quel pianeta. Per questo, Sthiggar dice che sono otto, i Regni, e non più nove.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

Cap. 2

 

 

48 anni dopo

 

La penisola infuocata di Dorthagg non era il posto migliore in cui soggiornare né, tanto meno, dove allenarsi in santa pace, ma tant'era.

Yothan aveva scelto per i suoi 'ragazzi', come era solito chiamare i cadetti al suo comando, quella piacevolissima, graziosissima e comodissima lingua di terra nel Continente Australe di Muspellheimr.

Un ammasso infuocato di rocce appuntite come coltelli, rivoli di lava che spuntavano da ogni cantone, venti di burrasca così caldi da irritare anche la pelle di un Gigante di Fuoco e lande assolate come non se ne vedevano in altri luoghi.

Non un solo giorno di maltempo. Solo, e sempre, sole. Oh, certo, anche vento.

Come dimenticarsi del vento?

Yothan aveva ritenuto scontato che, dopo decenni passati a sobbarcarsi camminate interminabili nei deserti di sabbia rossa di Nustesheill, nuotate senza fine tra i mari di lava di Kantorshain e scalate prive di alcuna logica sulle aspre montagne di Mundratt, i suoi 'ragazzi' dovessero sperimentare anche quel genere di villeggiatura estrema.

Il tutto era stato accolto con il solito entusiasmo - solo quattro defezioni avevano macchiato la loro Compagnia, il che era un autentico record - e, forti di uno stato di esasperazione che avrebbe potuto raggiungere i cieli viola indaco di Muspellheimr, erano partiti.

Raggiunta quindi la penisola più meridionale del Continente Australe, avevano eretto il loro campo di tende - dopo averne perse una decina a causa del vento terribile che batteva quelle coste seghettate - e lì si erano stabiliti.

Solo allora Yothan aveva spiegato loro i motivi di quella scelta così discutibile.

La penisola di Dorthagg racchiudeva in sé tutti gli elementi più distruttivi di Muspellheimr, ed era perciò il luogo più adatto per mettere alla prova ciò che avevano imparato in quegli ultimi quarantantotto anni di addestramento.

A volte, essere una creatura millenaria poteva essere uno svantaggio non da poco, specialmente se gran parte della tua post-adolescenza la passavi sotto le mani di Yothan Starrinsson, detto il Terribile.

Questo si era detto Sthiggar, durante i primi tre anni di quell'infinito calvario. Giunto al suo acquartieramento come punizione per le sue intemperanze, si era detto pronto a far vedere i sorci verdi anche al comandante di guarnigione, così da tornare quanto prima a Hindarall.

Nella sua mente si era prefigurato già il piano; esasperare a tal punto i suoi superiori da costringerli a rimandarlo di volata dal re, così che a occuparsi di lui pensasse soltanto il sovrano.

Quando, però, aveva incontrato per la prima volta Yothan il Terribile, aveva compreso il motivo della sua nomea e, per la prima volta, aveva avuto paura.

Come i suoi commilitoni, si era quindi messo a obbedire a testa bassa, a sottostare agli ordini del suo comandante senza battere ciglio e, per quasi un anno e mezzo, non aveva più rimesso piede a Hindarall.

Rivedere il padre durante quel breve, primo congedo di un paio di settimane non lo aveva certo aiutato e, anzi, in qualche modo rientrare in caserma dopo essere stato con il genitore, lo aveva fatto stare peggio rispetto all’inizio di quel supplizio.

Una mattina d'inverno del suo terzo anno di arruolamento forzato, però, sotto una fitta nevicata di ceneri espulse dal vulcano Jondurthan, aveva a sorpresa scoperto di apprezzare quel genere di vita.

Imparare a utilizzare i suoi doni era stato difficile - come figlio di stirpe divina, possedeva una forza superiore ai suoi compagni, e questo aveva spesso creato delle forti gelosie, in alcuni suoi commilitoni – e aveva finito con il legare solo con pochissimi ragazzi.

Non pochi avevano detto, sia alle sue spalle che direttamente in faccia, di avere paura di lui e del suo scarso autocontrollo, della sua capacità di causare guai anche dove non se ne potevano causare e, non da ultimo, del suo legame con Sól.

Avere come nonna una divinità del fuoco non era esattamente cosa comune, neppure su Muspellheimr, e questo aveva causato non poche difficoltà.

Sthiggar aveva dovuto impegnarsi strenuamente per far comprendere ai suoi compagni quanto, la sua mezza divinità, fosse più un impedimento che un vantaggio.

Solo il tempo gli aveva concesso di annoverare tra i suoi commilitoni pochi, ma veri amici ma, per la maggioranza di essi, l’atteggiamento sospettoso e restio a fidarsi era rimasto.

A lungo andare, però, Sthiggar vi aveva fatto l’abitudine e, forte delle poche – ma care – amicizie che aveva saputo farsi,  si era dato da fare per scacciare almeno dal suo comandante l’idea che lui fosse un perdigiorno, o peggio, un raccomandato.

Col tempo, non soltanto i modi grezzi e spicci di Yothan avevano iniziato a piacergli, ma anche il rigido e spartano modo di vivere della caserma era entrato dentro di lui, dandogli parte dell’autocontrollo che, da sempre, aveva invano cercato. 

Poco alla volta, gli estenuanti allenamenti di spada, giavellotto e corpo libero gli erano divenuti propri, mutandolo in qualcuno di più simile alla sua forma ideale, e la gestione delle sue energie era andata migliorando.

A ogni nuovo permesso, era perciò tornato a casa del padre con una sicurezza e una maturità sempre nuove e maggiori, forte dei traguardi ottenuti e dell'appagamento che gli stava dando la vita militare.

Di questo, suo padre si era dichiarato più che lieto; fin dall'inizio, infatti, la decisione del figlio di arruolarsi gli era parsa strana, oltre che davvero imprevista. Vedere invece Sthiggar così fiero dei suoi mezzi e sì, finalmente appagato da qualcosa che non fossero i guai che combinava, lo aveva rasserenato.

Come promesso al re, Sthiggar non aveva mai menzionato al padre cosa lo avesse realmente spinto verso la vita militare, pur se il giovane poteva immaginare che il padre avesse infine compreso la verità. Dopotutto, Snorri non era uno sprovveduto, e conosceva bene suo figlio.

"Hai pensieri profondi, ragazzo?" domandò a un certo punto Yothan, giungendo silenzioso alle spalle di Sthiggar e strappandolo ai suoi ricordi.

Questi si volse, Sthigg sorrise appena al suo comandante, dopodiché tornò in contemplazione dell'agitato mare di lava che lambiva le coste della penisola. 

Quel giorno, il vento sembrava essersi preso una pausa, perciò la brezza calda che spirava da quell’oceano immenso di roccia fusa non era molto fastidioso.

"Stavo rammentando la scalata del monte Kytro mentre ripercorrevo gli anni passati qui con voi, comandante. Abbiamo davvero rischiato l'osso del collo, quella volta" chiosò Sthiggar, ghignando al suo indirizzo.

Grattandosi una guancia barbuta, l'uomo assentì leggermente, ammettendo: "Beh, di certo non avrei mai immaginato che, contemporaneamente alla nostra scalata, si sarebbe abbattuta su di noi una tempesta di cenere, una colata di lava un lahar1 proveniente da un vulcano a monte rispetto a quello che noi stavamo scalando. Ammetto che erano un po' troppe variabili a nostro svantaggio."

Ridacchiando, Sthiggar celiò: "Un po'? Ammettete pure che abbiamo portato a casa il culo per puro miracolo!"

"Vero, vero. Perdemmo Wilthan, per colpa del lahar. Aveva preso davvero una paura del diavolo, quella volta" accennò una risatina Yothan, ripensando a quegli eventi davvero drammatici, pur se finiti bene per tutti loro.

Sthiggar ricordava bene il suo ex compagno di lotte. Wilthan era sempre stato il collante del gruppo, colui che tutti - anche i più riottosi - seguivano volentieri ma, suo malgrado, si era imbattuto in qualcosa per cui il suo coraggio non era bastato.

Il lahar che li aveva investiti aveva quasi del tutto distrutto l'animo di Wilthan che, il giorno seguente a quell'ascesa disastrosa, si era ritirato dall'esercito per poi chiudersi in un Tempio di Studio dei Sacri Scritti.

Da quel che gli aveva detto suo padre - che era a capo della Congregazione degli Studiosi della Fiamma - l'amico era diventato Sacerdote delle Fiamme Dorate di Sól, il primo grado di studi per poter puntare a divenire Gran Sacerdote.

"Mio padre mi ha detto che farà carriera in fretta. Sembra molto portato per la teologia" chiosò Sthiggar, tornando serio. "Ammetto che però mi manca, a volte."

"Perché sapeva tenere a freno la tua lingua lunga meglio di chiunque altro" celiò il comandante, dandogli una pacca sulla spalla. “La verità è bella, Sthiggar, ma a volte devi pensare a essere diplomatico. Non puoi sempre dire quello che ti passa per la testa, senza filtri tra cervello e bocca. Ancora mi stupisco che il re non ti abbia fritto il culo, prima di venire assegnato a me.”

"Ci avrà pensato almeno in una ventina di occasioni, io credo” convenne Sthiggar. “Ma spero di essere migliorato, almeno un po'. Dopotutto, non mi caccio più nei guai da almeno otto anni" ammiccò a quel punto il giovane soldato, facendo sorridere divertito il suo comandante.

"Non cantar vittoria troppo presto, cadetto. Manca ancora un anno e mezzo alla fine del tuo periodo di addestramento, e posso sempre cambiare idea su di te e prolungare la tua ferma per altri tre anni" gli rammentò il comandante, battendo una mano sulla sua spalla.

"Non mi dispiacerebbe" replicò Sthiggar, sorprendendolo non poco. "Forse, dopotutto, cacciarmi nei guai mi ha fatto capire chi dovevo diventare in realtà."

"E quindi, cosa ti ha insegnato il mio Villaggio Vacanze?" domandò curioso Yothan, facendolo sorridere divertito.

"Stenterei a vederlo come tale, comandante ma, parlando seriamente, dico che mi trovo bene nelle vesti del soldato. Nella mia vita mancava una disciplina ferrea che riuscisse ad addomesticare il mio carattere riottoso, e uno scopo che mi spronasse a migliorarmi, e qui li ho ottenuti entrambi."

"Uno scopo?" replicò Yothan, ora dubbioso.

Sorridendo appena, Sthiggar ammise: "Mio padre è sempre stato molto indulgente, con me, forse perché soffrii molto per la perdita di mia madre quando ero un bambino. Il sovrano, per parte sua, ha sempre sopportato più del necessario le mie birichinate, e anche questo ha contribuito a non rendermi pienamente cosciente di quanto io stessi in realtà facendo soffrire chi avevo intorno. Qui, invece, ho compreso cosa fosse veramente importante, che ruolo mi spettasse come nipote di Sól."

"Un pensiero maturo in te, ragazzo?" ironizzò Yothan, pur se segretamente lieto di udire quelle parole.

Sthiggar rise della sua incredulità e annuì, asserendo: "Prima di andarmene dalla Capitale, vidi mia cugina Hildur piangere per me, e questo mi fece soffrire molto perché sapevo che quel pianto lo avevo causato io. Non voglio più vedere nessuno piangere a cagion di un mio errore."

"E' una promessa difficile da mantenere" gli ricordò il comandante, accigliandosi.

"Lo so. Ma mi impegnerò con tutto me stesso per portarla a buon fine" assentì sicuro di sé Sthiggar prima di levare una mano verso il mare agitato, concentrarsi sulle correnti di energia che fuoriuscivano dal terreno e convertirle in catene di atomi legati tra loro per controllare il flusso lavico.

Come sotto la spinta di una mano gigantesca, le onde di roccia fusa si bloccarono, defluirono dai bordi della scogliera su cui si trovavano e si levarono in una colonna alta una decina di miriat.

Yothan stette a guardare in silenzio il modo in cui il giovane soldato metteva a frutto anni e anni passati a studiare il suo potenziale praticamente infinito e, tra sé, sorrise.

Un simile potere sarebbe stato prezioso per l'esercito di Surtr, e avrebbe messo addosso agli jotun una tale paura da rendere vana qualsiasi idea di muovere guerra contro di loro.

Come avrebbero potuto, di fronte a un simile potere, soprattutto se combinato assieme alla Fiamma Viva di re Surtr? Nessun abitante di Jötunheimr sarebbe stato tanto folle da attaccarli, conoscendo le capacità di Sthiggar.

"Molto bene, ragazzo. Davvero molto bene" dichiarò il comandante, stringendo le mani dietro la schiena e ammirando ciò che il soldato stava magistralmente compiendo coi suoi poteri.

Sthiggar sorrise compiaciuto, lasciò lentamente andare la presa sulla lava e, poco alla volta, il mare tornò a essere agitato e rombante come lo era stato prima della sua esibizione.

Esibizione che, non solo colpì Yothan, ma anche qualcuno alle loro spalle e che, non visto, si allontanò dal suo punto di osservazione dietro cui si era nascosto per masticare in silenzio il livore che stava provando.

Accettare che quel potere, quella forza distruttiva, non fosse suo appannaggio, era problema di difficile accettazione ma, forse, poteva trovare il modo di eliminare alla radice il suo tedio.

Con le armi giuste, e le persone giuste, forse Sthiggar non sarebbe più stato un callo fastidioso sotto il suo nobile piede.

Per anni aveva dovuto sopportare la sua faccia tosta, la risposta positiva dei suoi superiori a ogni suo nuovo successo mentre lui, pur se nobile e di antica stirpe, non era riuscito a ottenere gli stessi risultati.

Aveva dovuto masticare bocconi amari più volte di quante non volesse ricordare, era stato richiamato all’ordine – e punito! – per aver tentato di danneggiare un amico di Sthiggar e, alla fine, persino il padre lo aveva rabberciato.

Nessuno di loro aveva capito cosa gli spettasse davvero, come figlio di un membro del Consiglio, come nobile titolato, come erede di una dinastia dalla storia persa nei meandri del mito.

Lui non poteva essere messo in ombra dal figlio di un uomo nato, sì, dal grembo di una dea, ma della cui stirpe paterna non si poteva certo andare fieri, in quanto del tutto priva di sangue nobile.

No, Sthiggar avrebbe smesso ben presto di primeggiare. Divinità o meno che fosse.

***

Protettorati Dokkalfar – sei mesi dopo.

 

Essere richiamati sul Continente per sedare dei tafferugli non sembrava essere un compito degno della compagnia di Yothan il Terribile ma, quando Sthiggar vide effettivamente il perché di quella richiesta, non esitò un attimo a ritenerla importante.

I dokkalfar, i nani oscuri che, per concessione reale, abitavano su Muspellheimr come armaioli della corona, sembravano aver inscenato nella piccola cittadina di Rytthorer un’autentica guerriglia urbana.

Fumo alto e scuro si levava in lontananza, segno del loro passaggio nelle campagne e, quando gli uomini di Yothan misero piede nella ridente Capitale del Vasellame, trovarono ad attenderli distruzione e morte.

Un intero contingente dokkalfar aveva messo a ferro e fuoco l’intero abitato, uccidendo uomini inermi e stuprando donne di ogni ordine ed età, lasciando poi cadaveri lungo la strada a monito del loro passaggio.

Quando Yothan vide un simile scempio, non perse tempo in quisquiglie e ordinò ai suoi uomini di attaccare.

Primo fra tutti, e nipote più giovane del re, Khyddar Rehuelson si lanciò contro il nemico con la spada levata e il viso trasfigurato dal desiderio di rivalsa. Forte della sua possanza e del suo spregiudicato uso delle cavalcature da guerra che solevano usare in battaglia, non tardò a raggiungere i primi dokkalfar ma, quando egli levò mano contro di loro, avvenne l’impensabile.

Un’esplosione terribile investì il nipote del re, sbalzando il suo corpo dalla cavalcatura e lasciandolo a terra morto, deprivato di parte del volto e della spalla destra.

Quella visione sconvolse non solo Yothan, ma anche i suoi soldati che, per un attimo, interruppero l’attacco per soffermarsi sulle miserevoli condizioni del compagno.

Questo permise a diversi dokkarlfar di avvicinarsi per compiere un’autentica strage di muspell, ma l’urlo di guerra di Yothan fece riprendere a sufficienza i suoi ragazzi perché si apprestassero a combattere nuovamente.

Non da meno fu Sthiggar che, lanciandosi pieno di furore cieco contro il nemico, ne abbatté un paio prima di venire disarcionato e placcato alle spalle da un dokkalfar.

Scostando all’ultimo istante il nemico, prima che il nano potesse colpirlo con la strana arma che aveva ucciso Khyddar, Shiggar avvertì feroce un dolore al collo e, subito dopo, un’esplosione che quasi lo rese sordo.

La rabbia per l’uccisione dell’amico, unita al dolore per la ferita subita gli fecero perdere temporaneamente il controllo e questo, per la prima volta, produsse l’incanto.

Sulla sua schiena, lunghe bruciature striate emisero per lui una sentenza di unicità e, al tempo stesso, permisero a Sthiggar di padroneggiare, al pari del re, la Fiamma Viva.

Altissime lingue di fuoco si sprigionarono dalle sue mani, incontrollate e incontrollabili, mentre i dokkalfar, sconvolti, tentavano invano di sfuggire a quel potere primigenio e inaspettato.

Sthiggar le osservò – e fu osservato – con estrema sorpresa e, mentre il suo corpo sembrava ardere con lo stesso calore del pianeta, Yothan gli si avvicinò lesto per poi urlare: “Centra la tua aura con il tuo potere, Sthiggar! Puoi farcela!”

Il giovane lo fissò autenticamente spaventato ma, ancora, Yothan urlò con sicurezza: “Sei in grado di farcela, lo so! Aura e potere, Sthiggar! Devono diventare un tutt’uno!”

Il muspell assentì nonostante non si sentisse all’altezza di tale compito e, sempre trattenuto alle spalle da Yothan, cercò di controllare quell’esplosione di potere primigenio, dirottando quelle lingue di fuoco soltanto sui dokkalfar.

Ne seguì una strage senza precedenti e, quand’anche l’ultimo nemico fu divorato da quelle fiamme terribili, Sthiggar crollò a terra stremato, il collo grondante di sangue e gli occhi ricolmi di lacrime per l’amico morto.

Yothan fu lesto a controllarne le condizioni e, mentre i superstiti accorrevano per curare i feriti, il resto della compagnia controllò il perimetro per evitare eventuali attacchi a sorpresa.

Ben presto, una barella raccolse da terra anche Sthiggar ma il giovane, nel trattenere una mano del suo comandante, mormorò terrorizzato: “Cosa… c-cosa è successo?”

“E’ successo che sei stato bravo, Sthiggar, e hai ridotto al minimo le perdite. Del resto, parleremo un’altra volta, quando sarai guarito” gli promise Yothan, lasciando che i medici si prendessero cura di lui.

Non avendo più forze per mantenersi desto, Sthiggar si lasciò quindi andare a un sonno convulso e confuso, in cui realtà e finzione si fusero assieme in una singolarità senza senso e senza tempo.

Voci, grida, paura e speranza si confusero attorno a lui, mentre il sonno perdeva la sua battaglia contro la veglia, e i suoi sensi cercavano di riprendere il controllo.

Udì imprecazioni, una minaccia, delle proteste veementi e altrettanto veementi repliche. Seppe – o credette di sapere – di esserne la causa, ma gli mancò la forza di intervenire.

Quando finalmente riprese conoscenza, era passata quasi una settimana dalla morte di Khyddar e, nel chiedere notizie dei suoi commilitoni, Sthiggar scoprì di aver perso una decina di compagni, e tutti per mano dei dokkalfar.

Pur se il sollievo di non aver fatto del male a nessuno dei suoi lo colmò pienamente, gli sguardi di sospetto e terrore che si ritrovò a dover sopportare al suo risveglio lo portarono quasi a odiare ciò che aveva scoperto.

La sua pelle portava i segni della Fiamma Viva, e questo non avrebbe potuto cambiare in alcun modo. La sua schiena era indelebilmente segnata dalla prima fiammata del suo potere primigenio, e lo stesso fulgore della sua aura dichiarava a chiare lettere chi lui ora fosse.

Lo stesso Yothan glielo confermò, dopo circa una ventina di giorni dal suo ricovero in ospedale, spiegandogli inoltre perché fosse rimasto ferito dall’arma dokkalfar, e cosa avesse causato la morte dell’amico.

Nel mostrargli l’arma costruita dai nani, Yothan asserì torvo: “Quando ci siamo recati a Dakka per confiscare tutto, non hai idea di quanta attrezzatura illegale abbiamo trovato. Quei folli stavano costruendo un intero arsenale all’insaputa del re.”

“Il sovrano ha già saputo di Khyddar? I suoi familiari?” domandò a quel punto Sthiggar, tastandosi la gola dolente e pesantemente fasciata per proteggere la bruciatura innaturale causata dall’arma dei nani.

Yothan assentì con un sospiro, ammettendo: “Non so dire chi dei due mi sia apparso più triste e addolorato, se il re o il padre di Khyddar, il nobile Mikell.”

“Surtr è stato qui?” esalò sorpreso Sthiggar.

Annuendo, Yothan asserì: “Ha accompagnato personalmente il cognato con il suo cocchio dorato guidato da quattro dei più bei ragnhild che io abbia mai visto e, per tutto il tempo, ha sorretto il nobile Mikell mentre riceveva con tutti gli onori le spoglie del figlio.”

Sospirando, Sthiggar chiuse per un istante gli occhi e mormorò: “Avrei tanto voluto porgergli le mie condoglianze.”

“Ho spiegato loro cosa è successo, e re Surtr è passato in infermeria per vederti” ammise a quel punto Yothan, sorprendendolo ulteriormente. “Ha saputo della Fiamma Viva ed è molto orgoglioso di te, oltre che del fatto che tu ti sia dimostrato capace di contenerla nonostante fosse la tua prima volta.”

“Non ho ammazzato nessuno solo grazie a voi, comandante, non certo per mio merito” sospirò a quel punto Sthiggar, reclinando mesto il capo.

“E’ sempre così, per ogni Fiamma Viva. Ma ne riparleremo più avanti, quando tu starai meglio e avrai terminato il tuo addestramento” lo rassicurò Yothan, battendogli una mano sulla spalla.

Il giovane assentì ma, nello scrutare alle spalle del suo comandante, da cui era visibile il cortile della caserma e, così, anche i suoi compagni in schieramento di riposo, mormorò roco: “E i miei compagni? Riparleremo anche di loro?”

Yothan comprese immediatamente cosa volesse dire, e cosa stesse vedendo il giovane soldato in quel momento.

Paura, rabbia, risentimento… gelosia.

La scoperta della Fiamma Viva di Sthiggar aveva causato tutto questo e altro ancora, e non pochi nobili della Capitale si erano rivolti a Yothan, indispettiti, reclamando spiegazioni in merito e rassicurazioni sulla sicurezza dei propri figli.

Come se essere un soldato dell’esercito fosse una semplice scampagnata tra i boschi!

Yothan aveva speso parole benevole sul suo sottoposto, sottolineando non solo la capacità di Sthiggar di trattenere la fiamma, ma altresì di come avesse impedito ai dokkalfar di uccidere i loro preziosi figli.

Ciò sembrava non essere bastato, però, perché numerose lettere di protesta erano giunte sulla sua scrivania, aventi tutte come argomento principale Sthiggar Glenrson. Yothan aveva demandato al re per almeno una di esse e il sovrano, suo malgrado, era dovuto intervenire durante una seduta del Consiglio Reale. Nella lettera di un membro consigliare, infatti, si parlava della follia del giovane Glenrson, e di sue presunte colpe in merito alla morte di Khyddar.

Per mettere a tacere quelle insulse e becere chiacchiere che, come fuoco nella steppa, stavano circolando in merito alla pericolosità del giovane, il re non aveva lesinato con le parole.

I membri del Consiglio non erano stati affatto felici di essere stati richiamati all’ordine ma, non avendo per le mani nessuna prova effettiva del pericolo insito nell’avere una seconda Fiamma Viva sul pianeta, si erano astenuti da altre requisitorie.

Yothan, però, temeva che quel serpeggiare maligno che circondava il giovane muspell non sarebbe andato scemando, con il tempo, perciò era vitale che Sthiggar imparasse a padroneggiare quanto prima la fiamma.

La sua guarigione e il termine del suo addestramento dovevano venire prima di qualsiasi altra cosa, però, perciò Yothan lasciò il giovane con la promessa di tornare a trovarlo e, ciò detto, si allontanò.

Una volta al di fuori del reparto ospedaliero della loro caserma, per ogni buon conto, chiamò a sé uno dei suoi sottoposti e ringhiò: “Un’altra voce irriguardosa nei confronti di quel ragazzo, e vi faccio deportare tutti. Vi ha salvato la vita, e non merita il vostro ostracismo!”

Il soldato reclinò subito il capo per non dover incontrare lo sguardo fiammeggiante del comandante e, annuendo lesto, si allontanò per riferire le sue ultime parole, non prima però di aver lanciato uno sguardo disgustato all’ospedale.

Checché ne dicesse il comandante, avere un’altra Fiamma Viva su Muspellheimr non poteva portare a nulla di buono e, nelle mani di uno come Sthiggar, avrebbe potuto generare solo guai.

Raggiunti quindi i suoi compagni, Trhydann Handerson lanciò un’occhiata generale ai presenti prima di ciangottare irrispettoso gli ordini di Yothan. Al suo dire così pantomimato, in molti risero beffardi, altri fecero finta di nulla mentre altri ancora, infine, replicarono disgustati con sbuffi sonori e occhiate venefiche.

Non contento, Trhydann osservò coloro che si erano mostrati in disaccordo con lui e aggiunse: “Che c’è? Volete essere i cagnolini di un pazzo? Non vi siete stancati di lustrargli le scarpe?”

“Sthiggar non è pazzo. Vorrei vedere te, se ti fosse successa una cosa simile durante una battaglia come quella che abbiamo appena vissuto! E’ stato fin troppo bravo, per i miei gusti” replicò piccato Rahdd Kahn, uno dei fidi amici di Sthiggar.

“Parli così solo perché ti ha parato il culo un sacco di volte… e scommetto che ha fatto anche altro, con il tuo bel didietro sodo e la tua faccina così elegante e raffinata” lo prese in giro Trhydann, scoppiando in una grassa risata di scherno, che coinvolse anche il gruppo di soldati di sangue nobile. “Con il fisichino esile e longilineo che ti ritrovi, potresti essere scambiato per una femmina, di notte!”

Rahdd non rispose alla pesante accusa, ma lo fece per lui Fyodr Olyghson che, con uno spintone ben piazzato, azzitttì Trhydann. Ciò fatto, gli si parò innanzi con sguardo omicida, forte di un fisico tutt’altro che segaligno, e ringhiò: “La tua è solo gelosia, perché Sthiggar è nipote di Sól mentre tu, per quanto nobile e figlio di un membro del Consiglio, non puoi vantare il suo stesso potere né tanto meno il suo valore in battaglia. Quanto ti brucia, eh, Trhyd, non avere i suoi occhi azzurri? Quanto vorresti averli ereditati tu?”

Il giovane muspell incassò il colpo, e alcune risatine di scherno aumentarono il suo disagio, tanto che un pugno si levò inaspettato e centrò il volto di Fyodr, impreparato a quell’attacco.

Ne nacque immediatamente una baruffa, a cui si unirono Rahdd e un’altra mezza dozzina di commilitoni, il tutto seguito da urla, insulti, sostegno morale più o meno feroce da ambo le parti e tanta, tantissima adrenalina spesa inutilmente.

Fu così che Yothan lì trovò, feriti e sanguinanti e con occhi che sprizzavano odio come mai, tra commilitoni, avrebbe dovuto accadere.

Con un grido che ferì le orecchie dei presenti, il comandante richiamò tutti all’ordine e, senza voler sapere né perché né chi avesse iniziato, condannò tutti al rigore per tre giorni.

Non contento, chiamò nei propri uffici sia Rahdd che Fyodr ma, una volta soli, Yothan si calmò immediatamente e, sospirando, si limitò a domandare: “Era per Sthiggar, vero?”

“Lo accusano di cose innominabili, signore” intervenne subito Rahdd, asciugandosi il labbro spaccato con un fazzoletto. “Non potevamo ascoltare e basta!”

Fyodr assentì con vigore, ma Yothan scosse il capo e replicò: “E cosa ne avete guadagnato? Che ora non potrete vegliare sul sonno del vostro amico perché siete malconci e in punizione.”

I due giovani lo fissarono turbati e Fyodr, con tono ansioso, domandò: “E’… Sthiggar è forse in pericolo?”

“Chi può dirlo? Conosco anch’io le voci che circolano su di lui, e so benissimo cosa dicono le leggende, e perché una seconda Fiamma Viva incuta così ansia e timori nelle persone ignoranti” spiegò loro Yothan con un pesante sospiro. “Proprio per questo, voi due avreste dovuto avere abbastanza cervello da non farvi cogliere in fallo a questo modo, ma tant’è. Stanchi o meno, vigilerete su di lui finché non starà meglio. Il vostro periodo di rigore lo passerete così. Nel frattempo, io stilerò un rapporto su quanto avvenuto e su chi è stato coinvolto nella rissa. E’ tutto.”

I due assentirono ma Rahdd, sulla porta, si fermò e attese che l’amico si fosse allontanato prima di mormorare: “Sthiggar non è il richiamo di Ragnarök. Lo so per certo, ma non so come cominvincere gli altri del contrario.”

“Sii suo amico, se questo ti dice il cuore, e ciò basterà per proteggerlo. Quanto al resto, sanno solo gli dèi come si risolverà” mormorò stanco Yothan. “Sei ancora certo di voler proseguire con l’addestramento? Dopotutto, tu…”

Interrompendolo sul nascere, Rahdd scosse il capo, strinse la mano sul pomolo dell’elsa della spada che portava al fianco e disse recisamente: “Sono servo fedele di Sua Maestà re Surtr, soldato scelto del suo esercito e sono qui per onorare la fiducia che il re diede a mio padre e a mia madre, tanti anni addietro.”

“So quanto possa essere difficile, per i mezzosangue, adattarsi a un regno che non si sente interamente proprio, perciò abbi fiducia nei tuoi mezzi e in me, Rahdd. Dimostrerai a tutti quanto vali, foss’anche l’ultima cosa che farò. Ora, però, raggiungi il tuo amico. Al momento ha più bisogno lui di te, che tu di me.”

Rahdd assentì con un cenno del capo, allontanandosi lesto dall’ufficio del suo comandante.

Quando Yothan fu finalmente solo, si concesse di ripensare a ciò che aveva visto a Ritthorer. No, non serviva solo una seconda Fiamma Viva, per scatenare il Ragnarök, ma le armi che avevano trovato a Dakka, oltre all’attacco dei dokkalfar su suolo muspell, non promettevano davvero nulla di buono.

 

 

 

1 lahar: colata di fango di proporzioni immani, creata dalla fusione di neve e ghiaccio sulle pendici di un vulcano.

 

 

N.d.A.: Scopriamo che Sthiggar non è solo un Gigante di Fuoco come tutti i muspell, ma possiede altresì la rarissima Fiamma Viva, la capacità di creare dal nulla il fuoco e che, oltre a lui, possiede solo re Surtr. Ne riparleremo più avanti, ovviamente, ma tenete conto che è un'abilità rarissima e molto, molto pericolosa.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

Cap. 3

 

 

Sei mesi dopo i fatti di Ritthorer.

 

 

Tornare a Hindarall1, la Capitale del Regno, poter rivedere i profili a lui famigliari delle colline che circondavano la baia di Gantur e tornare nella villa di famiglia - sita su uno dei colli più a nord della città - fu per Sthiggar un piacere e un sollievo.

Aveva ovviamente trascorso svariate licenze a casa, in quegli anni, ma si era sempre trattato di poche settimane, settimane in cui aveva passato gran parte del tempo assieme al padre e poco altro.

Ora, però, era tornato davvero, aveva terminato il suo addestramento, e ritrovare i luoghi della sua adolescenza con occhi e animo diversi rispetto a quando era partito per la prima volta, stava rimestando il suo sangue in un modo davvero imprevisto.

I cinquant'anni passati nell'esercito erano stati un'autentica illuminazione, per lui.

La vita militare gli aveva dato un nuovo equilibrio e le poche – ma sincere – amicizie che aveva saputo creare all’interno del suo gruppo gli avevano dato la somma di quanto, in passato, fosse stato superficiale e sciocco.

La madre aveva lasciato lui e il padre quando era poco più che un bambino, strappata loro da una malattia che i dottori avevano chiamato consunzione. Solo in seguito, una volta cresciuto, aveva però capito pienamente il senso delle loro parole.

Sua madre, semplicemente, aveva smesso di vivere perché non aveva più avuto la forza, o la volontà, di proseguire oltre il suo cammino. Né lui né Snorri avevano rappresentato una motivazione sufficiente per farle amare la vita che Madre le aveva donato e, in un caldo giorno della stagione delle piogge, si era semplicemente addormentata per non risvegliarsi mai più.

Questo lo aveva reso irrequieto, irrefrenabile e facile all'ira, e ben poco avevano potuto fare il padre, la tata o i parenti, financo il re, per placarlo.

La mancanza della madre aveva contribuito a far nascere dentro di lui un'indomabile ansia e un’irrequietezza senza pari che poi, nell'adolescenza, era sfociata in ciò che lo aveva reso famoso. O peggio, famigerato.

Le sue effimere amicizie lo avevano spesso cacciato nei guai ma nulla, né l’amore del padre, né il suo rapporto quasi filiale con Hildur, né tanto meno la solida presenza del re nella sua vita, avevano portato il miracolo.

I suoi irrefrenabili istinti lo avevano cacciato in pasticci sempre più gravi e il buon cuore del padre, invece di farlo sentire in colpa per i mali commessi, lo aveva portato a sfidarlo ancora e ancora, forse in cerca di una sua reazione.

Era sempre stato il sovrano - vecchio amico di famiglia - a sopperire a questa particolare mancanza di Snorri e, in un qualche modo contorto e sordido, Sthiggar se n'era dispiaciuto fin quasi a detestare il padre.

In cuor suo, Sthigg aveva agognato di ricevere una punizione dal genitore anche se, ora che era adulto e più consapevole, non comprendeva appieno i motivi di quel puntiglio assurdo di un tempo.

Quando perciò mise piede a casa fu con una sorta di aspettativa e di disagio, quasi si aspettasse un rimprovero... o lo cercasse.

Naturalmente non ricevette nessun rimbrotto, e Snorri lo accolse con un abbraccio e una pacca sulla spalla, un sorriso fiero a piegargli la bocca sottile e gli scuri occhi color vinaccia che brillavano di orgoglio.

"Sono tornato, padre. Ho terminato il mio addestramento" gli disse con semplicità Sthiggar, quasi si sentisse in obbligo di sottolineare l'ovvio.

Snorri annuì più volte, come se da parte sua vi fosse bisogno di compiere qualche gesto, uno qualsiasi, per rendersi conto dell'effettiva veridicità delle parole del figlio.

La mancanza di Sthiggar si era fatta sentire, nella sua vita, e poco erano contate le rade visite che il figlio gli aveva concesso durante le sue licenze. Non avere più lo scapestrato figliolo tra quelle quattro mura, gli era pesato più di quanto non avesse voluto esso stesso ammettere.

Snorri aveva compreso fin da subito di non poter essere inflessibile, col pargolo; gli ricordava troppo la madre, per riuscire a imporsi con volontà ferrea. L'intervento del re era stato provvidenziale, e questo gli aveva permesso di sperare che, in un futuro non così lontano, Sthiggar avrebbe potuto mettere la testa a posto.

L'ennesima burla, però - checché gli avesse raccontato Sthiggar - gli era costata l'arruolamento forzato e, per qualche tempo, non aveva avuto la forza di presiedere alla tavola del sovrano, timoroso di poter dire troppo.

Di potersela prendere con il Sommo Surtr per quella forzata lontananza del figlio.

Rivederlo dopo i primi anni di leva forzata, però, gli aveva fatto comprendere una cosa molto importante; Sthiggar aveva trovato qualcosa che poteva spingerlo a migliorarsi, a chetare il perenne stato di inquietudine in cui era sempre vissuto.

Per quanto le lagnanze - almeno in quei primi anni - non fossero mancate, Snorri aveva potuto scorgere una nuova luce nei brillanti occhi azzurri di Sthiggar, e questo era stato per lui la panacea migliore da ogni dolore fin lì provato.

Saperlo finalmente a casa, pur se non sapeva per quanto, lo rendeva comunque felice e soddisfatto. L'acquartieramento non sarebbe avvenuto che di lì a due mesi, perciò aveva tutto il tempo di conoscere di nuovo il figlio che, lontano da lui, era divenuto uomo.

Accompagnatolo quindi nell'ampio salone della lettura, dove era solito rinchiudersi per chetare i suoi dolori, Snorri aprì le imposte e disse: "Per pranzo ci saranno i tuoi piatti preferiti. Lystra è scesa in città appositamente per comprare tutto il necessario."

"Scommetto che, quando la cuoca mi vedrà, scapperà a gambe levate" ironizzò Sthiggar, ripensando a Lystra e a tutti i guai che aveva combinato in cucina negli anni seguenti alla morte di sua madre.

Quella donna avrebbe dovuto essere assurta al titolo di Fiamma Celeste, tante gliene aveva fatte passare!

"Le sei mancato, posso assicurartelo. Anche se sarei felice che tu non le facessi qualche brutto scherzo. Comincia ad andare su con gli anni anche lei" sottolineò Snorri, dandogli una pacca su una spalla prima di invitarlo ad accomodarsi.

Sthiggar assentì con un sorriso, si slacciò spada e daga - che portava rispettivamente sul fianco sinistro e dietro la schiena - e, dopo averle riposte accanto al divano, si accomodò.

Snorri sorrise sotto i baffi nel vederlo così marziale nella postura, anche  se si trovava in un contesto famigliare e a lui noto. Sthigg sembrava davvero essere cambiato.

"Prima che tu arrivassi, ho avvisato Hildur del tuo ritorno. Dovrebbe arrivare qui a breve per un saluto" lo avvertì Snorri, servendo per entrambi dell'acquavite di Elfheimr.

Accettato il bicchiere panciuto, e dove galleggiava dell'aromatico liquore ambrato dai riflessi purpurei, Sthiggar disse: "Dovrei ringraziarla. E' anche merito suo se ho scoperto la mia vocazione."

"Credo che si accontenterà della promessa di non rivederti più nel Tempio di Sól in orari non consoni" ironizzò Snorri, vedendolo sobbalzare per diretta conseguenza.

"Sante Fiamme! Te l'ha detto lei? O è stato il sovrano?" gracchiò Sthiggar, arrossendo suo malgrado.

Chi era stato il delatore del suo penoso segreto giovanile?!

"Per la verità, ho dovuto incalzare tua cugina, perché ammettesse con me la verità. Mi sembrava davvero troppo furiosa con te, per essere soltanto risentita dalla tua decisione di arruolarti, così ho usato la mia parlantina per farla capitolare" ammise Snorri scrollando appena le spalle.

Scoppiando in un'allegra risata, Sthigg sorseggiò subito dopo il liquore e chiosò: "Ho pena per mia cugina. Sai essere logorroico in maniera splendida, quando vuoi, padre."

"Ne sono cosciente" assentì divertito l'uomo.

Quando la porta d'entrata si aprì e si chiuse, Sthiggar si levò subito in piedi, riconoscendo l'aura latente di Hildur e, non appena la vide comparire nello specchio della porta del salone, le tributò un leggero inchino prima di dire: "Ben trovata, Hildur. E' un piacere rivederti."

La donna, ancora in tenuta da Fiamma Nera - con l'elaborata armatura brunita che la ricopriva quasi per intero - lo squadrò da capo a piedi con espressione sorpresa, notò i suoi gradi di Seconda Fiamma Purpurea dopodiché si avvicinò al cugino ed esordì dicendo: "Non c'è che dire. L'esercito ti si confà. E vedo che hai fatto in fretta a salire di grado. Conosco ben poche persone che hanno raggiunto il grado di Fiamma Purpurea in meno di cinquant’anni."

Sthiggar si passò distrattamente un dito sulla spilletta che svettava sul bavero della tunica che aveva indossato per il suo rientro a casa e, sorridendo appena, ammise: "Ho avuto fortuna. Un tafferuglio nelle regioni di confine con il Protettorato dei Nani mi ha dato l'opportunità di mettere in campo le mie capacità."

Sollevando sorpresa un sopracciglio, Hildur borbottò: "I dokkalfar hanno di nuovo combinato un guaio?"

"Niente che non fossimo in grado di tenere sotto controllo" minimizzò Sthiggar, pur rammentando più che bene quanto, in realtà, quelle scaramucce fossero state pericolose per la vita sua e dei suoi commilitoni. 

No, non era stato per niente facile.

Ugualmente, preferì non mettere in agitazione il padre e si limitò a dire: "Hanno alzato troppo il gomito durante una festa, e così siamo dovuti intervenire per sedare un po' gli animi."

Hildur non si lasciò ingannare dal tono falsamente tranquillo del cugino ma, comprendendo le ragioni di quella sottostima del pericolo, celiò: "Quelli, alzano sempre il gomito. Non fosse che sono degli ottimi forgiatori di armi, avrei consigliato al re di rispedirli su Svartalfheimr."

"Sai qual è il detto; tieniti stretti gli amici, ma ancor più stretti i nemici, specialmente quelli che sanno far bene le armi" chioso Sthiggar, facendo spallucce.

"Beh, zio, a quanto pare il comandante Yothan è riuscito a mettere un po' di sale in zucca a Sthigg" rise a quel punto Hildur, scacciando così a quel modo l'argomento spinoso dovuto ai nani oscuri presenti su Muspellheimr.

Argomento che, comunque, Hildur riportò a galla molte ore dopo, non appena Sthiggar si offrì di riaccompagnarla in città, dopo il luculliano pranzo offerto da Snorri, e il pomeriggio passato a chiacchierare delle avventure vissute da Sthigg.

Nel discendere lungo la via lastricata - illuminata da lampade a fiamma perenne - Hildur lanciò un'occhiata traversa al cugino prima di domandargli: "Ebbene? Solo una scazzottata? Qui alla Capitale non si è saputo quasi niente, di ciò che è successo. E’ tutto secretato. Perché?"

Sthiggar sbuffò in risposta, replicando: "Se, per scazzottata, posso inserire anche dei tirapugni esplosivi e un’autentica guerriglia urbana, allora sì. E' stata una scazzottata."

Hildur strabuzzò gli occhi, a quella notizia, e borbottò: "Che intendi dire?"

"I dokkalfar hanno posizionato sui tirapugni delle micro cariche di polvere pirica e Fiato di Drago così che, al primo contatto con il corpo del nemico, si possa sprigionare una piccola detonazione" le spiegò Sthiggar.

"Piccola quanto?"

"Abbastanza da cavare un occhio... e metà faccia con esso" borbottò Sthiggar, grattandosi nervosamente il collo, dove recava ancora gli strascichi di una bruciatura dovuta a quei maledetti tirapugni. 

Era stato dannatamente fortunato, quella volta. Se non avesse ricevuto quel colpo di striscio, gli avrebbe fatto saltare via sicuramente la testa.

"Merda!" sbottò senza tanti complimenti la cugina, adombrandosi. "Il re ne è stato messo al corrente?"

"Il giorno seguente la battaglia, con tanto di campione gratuito, manuale informativo e saluti dall'azienda produttrice" ironizzò caustico Sthiggar prima di sospirare e ammettere: "Abbiamo mandato al re una prova di ciò che abbiamo trovato a Dakka, unitamente al conteggio finale di sei morti, tra cui uno dei suoi nipoti."

Hildur impallidì visibilmente, mormorando turbata: "Khyddar… è morto lì?"

"Esatto" replicò Sthiggar prima di imprecare irritato e aggiungere: "Dèi! Quel ragazzo mi stava simpatico, ed era uno dei pochi che potessi vantare come amico leale... solo che aveva una gran voglia di dimostrare che non era solo il nipote del re, e così si è lanciato a testa bassa contro il nemico, non sapendo di questa ultima diavoleria."

Hildur scosse il capo, sinceramente spiacente. Kyddhar si era dimostrato davvero entusiasta all'idea di poter entrare nell'elitario gruppo guidato dal comandate Yothan e, da ben prima della partenza per l'apprendistato, si era dato un gran daffare per far sapere a tutti della sua enorme fortuna.

Non faceva specie che il sovrano, in quell'ultimo periodo, sembrasse così ombroso e con la testa tra le nuvole. Kyddhar era da sempre uno dei suoi nipoti preferiti.

"Come si sono dichiarati, i dokkalfar?" domandò dopo alcuni istanti Hildur.

"Hanno tenuto a sottolineare che avevamo sconfinato nei loro territori, donatigli direttamente dal re, per cui abbiamo dovuto ricordare loro che, tra i loro Protettorati, non faceva parte la vicina cittadina di Rytthorer, che è stata data alle fiamme da nani un po' troppo alticci" le spiegò Sthiggar, lasciando passare una carrozza prima di attraversare il viale d'ingresso alla capitale e dirigersi verso la caserma delle Fiamme Nere.

"Quei balordi, allora, erano davvero ubriachi" sbuffò la donna.

"Tra le altre cose. Quando abbiamo messo piede a Dakka con il nostro carico di dokkalfar morti e di armi sequestrate, il borgomastro ha quasi avuto un collasso isterico ma, di fronte alla faccia nera di Yothan, non ha osato replicare. Così, abbiamo confiscato le altre armi illegali presenti in città, preteso tutta la documentazione inerente a tali archibugi dopodiché, con un ultimo ammonimento, ce ne siamo andati" terminò di dirle Sthiggar.

"E il tuo Secondo Grado di Fiamma Purpurea?"

"Sono sbarellato un po', quando ho visto morire Khyddar, così ho pensato bene di evitare che anche altri rischiassero la sua stessa fine e..." sospirò Sthigg, levando entrambe le mani per scrutarne i palmi. In quel momento, poteva vedere solo lunghe dita coperte di calli e poco altro, ma sapeva bene cosa si fosse sviluppato da esse, quel maledetto giorno.

Hildur coprì una mano del cugino con la propria e, dopo averla stretta, mormorò sbalordita: "Hai creato la fiamma dal nulla?"

"Già. Come la nonna" assentì Sthiggar, sospirando tremulo. “O come il re.”

"L'hai contenuta?"

Lui assentì, mormorando: "Per fortuna, successe quando il comandante mi era al fianco, e lui riuscì a trattenermi dal perdere del tutto il controllo, aiutandomi a contenere il mio furore. Diversamente, non so come avrebbe potuto concludersi quello scontro."

"Hai mai più riprovato a evocarla?" domandò allora Hildur.

"No. E’ successo più di sei mesi fa, ma Yothan mi ha proibito di provarci ancora. Il comandante ha detto che farà parte del mio prossimo addestramento, quando entrerò ufficialmente nella sua Compagnia" le spiegò Sthiggar.

La cugina allora gli sorrise, esalando: "Dèi! Niente meno che con il comandante Yothan. Davvero, non pensavo che la vita militare avrebbe potuto piacerti tanto, ma penso di non averti mai visto così sicuro di te e così appagato come in questo momento."

Annuendo, Sthiggar ammise: "Ne sono stimolato e, al tempo stesso, ciò che imparo e ciò che faccio riescono a chetarmi. E' un connubio strano, ma funziona."

"Sei sempre stato una testa calda ma, se Yothan riesce a contenerti, ben venga" asserì a quel punto Hildur, dandogli una pacca sulla spalla. "Io adesso devo rientrare in caserma, mentre tu avrai sicuramente la serata libera. Non credo che Yothan vi abbia messo i ceppi alle caviglie fin dal vostro ritorno a casa."

"No, infatti. Abbiamo il libera tutti per due mesi, dopodiché dovremo presentarci nei rispettivi acquartieramenti locali e decidere se firmare o meno per il servizio militare stabile" assentì Sthiggar. 

"Allora, ti lascio ai tuoi divertimenti, ma vedi di contenerti. Non vorrai cacciarti in un guaio quando hai appena finito di scontare la punizione per il precedente, vero?" ironizzò la cugina, stringendolo in un rapido abbraccio.

Sthiggar rise, scosse il capo e Hildur, nel congedarsi, mormorò: "Passa a trovare i miei, quando puoi. Anche loro hanno sentito la tua mancanza."

Il giovane glielo promise prima di avventurarsi verso il centro della Capitale, fresco dei suoi gradi e della sua divisa d'ordinanza - un elegante connubio tra una lunga tunica scarlatta, una cotta di maglie e alti schinieri dorati - e, nell'entrare in un bar a caso per una bevuta, si chiese se cercare o meno i suoi commilitoni.

Tra i giovani suoi coetanei che, come lui, erano stati addestrati da Yothan, la maggior parte proveniva dalle campagne, non certo dalla Capitale, perciò poteva contare su un esiguo numero di compagni, lì a Hindarall.

Per quanto riguardava i suoi vecchi amici, poi, molti si erano allontanati da lui dopo la sua ultima bravata e, quei pochi che gli erano rimasti fedeli, ora erano impegnati in altro loco, con ben altri pensieri che una birra e dello stufato.

Non fosse stato per il padre e per la famiglia di Hildur, forse non sarebbe neppure tornato alla Capitale. In fondo, lui si trovava infinitamente meglio con i suoi nuovi amici, e la città gli dava quasi un senso di soffocamento.

Vivere lontano dai suoi sfarzi, dalle sue continue distrazioni e dalla sua opulenza, sembrava davvero averlo cambiato.

Il mondo cameratesco e intenso del servizio militare - che tanto aveva deriso in adolescenza - ora gli dava stabilità, gli rendeva più semplice trattenere quell'energia sempre desta che, in gioventù, lo aveva cacciato nei guai fin troppo spesso.

Nell'accomodarsi a un tavolo d'angolo dopo aver ordinato per sé una pinta di birra e dello stufato, Sthiggar lanciò un'occhiata sul variopinto mondo multiforme che gravitava in quel bar.

Vi erano viaggiatori di molti mondi, gente semplice e anche personaggi all’apparenza poco limpidi ma, in generale, Sthigg non vide potenziali pericoli per gli avventori, né attaccabrighe pronti a sfidare un soldato del re in congedo. Di scazzottate ne aveva avute a sufficienza per due vite, in quegli anni di vita militare e, ciò che un tempo lo avrebbe fatto divertire, ora gli dava solo noia.

Ridendo di sé, si domandò mentalmente se, per caso, la vita militare lo avesse anche castrato nell'animo ma, ripensando alla battaglia nei Protettorati Dokkalfar, si smentì da solo.

No, non era l'aver raggiunto l'età adulta lontano da casa e tra mille difficoltà, ad averlo reso più parco nei suoi divertimenti, quanto l'aver visto la morte in faccia e aver tenuto tra le braccia il suo amico privo di vita.

Quando infine giunsero birra e stufato di carne, Sthiggar scacciò quei pensieri e mormorò un ringraziamento, quindi lasciò sul tavolo una moneta per il servizio e un'altra come mancia.

Ciò fatto, iniziò a mangiare in silenzio, ascoltando distrattamente il vociare cacofonico attorno a sé.

Pranzare con il padre e Hildur era stato piacevole, così come passare tutto il pomeriggio assieme a loro e rivangare aneddoti più o meno divertenti riguardanti il passato di tutti loro.

Col fare della sera, però, aveva sentito la necessità di allontanarsi e, complice il ritorno alla Capitale di Hildur, lui si era accodato.

Voleva bene al padre, ma non riusciva a guardarlo per lungo tempo senza pensare anche alla madre, e non voleva che il rimpianto di non averla più accanto si scorgesse sul suo volto. Il padre ne avrebbe sofferto, e Sthiggar non lo voleva per nessun motivo al mondo.

"Posso occupare la panca dinanzi a te, soldato? Il locale è pieno, e l'unico posto libero è qui con te" esordì all'improvviso una voce, strappandolo ai suoi pensieri.

Sthiggar levò il capo per scrutare con curiosità il volto tarchiato di un uomo di mezza età, dall'avanzata stempiatura e una lunga e sottile cicatrice che gli cingeva il collo.

Gli abiti erano quelli classici di un commerciante e, a giudicare dal suo forte odore d'erbe, oltre che dal suo accento marcato del Sud, doveva trattarsi di uno speziale delle terre australi.

"Prego. Non disdegno mai la compagnia" assentì quindi Sthiggar, indicando all'uomo di accomodarsi.

Il commerciante lo ringraziò con un cenno del capo, si accomodò e, dopo aver portato una mano al cuore, lo salutò come consuetudine su Muspellheimr: "Io sono Gorth, figlio di Arin, speziale di Rutharlayn. Con chi ho l'onore di dividere il tavolo?"

"Sthiggar, figlio di Snorri. Secondo Ufficiale della Fiamma Purpurea di Vatrha" disse per contro il giovane, imitando il gesto di Gorth di poggiare la mano destra sul cuore. "Sei lontano da casa. Cosa ti porta nella Capitale, se è lecito chiedere?"

"Nessun disturbo" replicò l'uomo, ordinando per sé del vino elfico abbinato a un pasticcio di cervo nero. "Il re ha richiesto un ingente carico di spezie elfiche che, guarda caso, la mia famiglia esporta da generazioni, così sono giunto qui ieri sera per portare il mio carico a palazzo e domani, con il fare del nuovo giorno, ripartirò con il primo bastimento disponibile."

Sollevando un sopracciglio con aria curiosa, Sthiggar domandò: "C'è qualche celebrazione in atto? Sono tornato solo oggi, e non mi sono informato in merito."

"Credo che il re stia organizzando un ricevimento per festeggiare l'anniversario di matrimonio, o qualcosa del genere. Da quel che mi ha detto la servitù, il sovrano ha ordinato libagioni da ogni parte del pianeta, e oggetti tra i più disparati da tutti i Regni" gli confidò Gorth con un sorrisino furbo.

Sthiggar fischiò sorpreso, esalando: "Allora, la città sarà invasa di genti di ogni dove. I Cancelli del Bifrost fumeranno per il troppo lavoro. E mancano quasi due mesi, a quella data, se la memoria non mi inganna! Cieli stellati, il sovrano ha davvero deciso di fare le cose in grande!"

"Credo che, per onorare la regina, niente sia mai abbastanza" assentì il mercante con un sorrisino. “Pare che persino i principi, di stanza nei continenti a Sud, faranno ritorno a casa per festeggiare l’evento.”

In quel mentre, la cameriera si avvicinò per consegnare vino e carne al commerciante ma un uomo dell'ovest, in barba a qualsiasi genere di educazione, urtò con violenza la donna per poter avere la precedenza. Questo portò a un impatto violento quanto a una violenta caduta di ciò che la donna portava con sé e che, con drammatica precisione, finì addosso a Sthiggar.

Gocciolante di vino - la carne, per fortuna, era finita sul tavolo - Sthiggar si fissò per alcuni istanti con aria spaesata prima di accorrere accanto a una indolenzita cameriera, ancora a terra dopo il colpo ricevuto. Dell'uomo dell'ovest, complice anche la confusione nel locale, non v'era già traccia.

Il commerciante si affrettò a sua volta a dare una mano alla incolpevole donna che, fissando spiacente Sthiggar, esalò: "Le mie umili scuse, soldato. Non era davvero mia intenzione ridurvi così."

"Ho visto di peggio, credetemi" rise lui, sistemandole con dita delicate la cuffietta che la cameriera portava in testa. "Se mi garantite che non vi siete fatta nulla, per me possiamo chiuderla qui."

"Oh, a parte una gran sorpresa e un po' di indolenzimento dove quell'uomo mi ha colpita, non ho altro. Ma voi..."

"Andrò a lavarmi il viso nei bagni del locale. Per il resto, la mia tunica ha visto cose peggiori di un po' di buon vino" rise Sthiggar.

"Baderò io alla tua spada, soldato. Fai pure con comodo" gli promise allora Gorth.

“Nessun problema. Nessuno può toccare la spada di una Fiamma” replicò con candore il giovane, imponendo un blocco magico sull’arma dopo averla poggiata sulla panca su cui si era assiso all’arrivo.

I muspell non praticavano magia ai livelli dei liòsalfar, neppure lontanamente, ma alcuni trucchetti erano a conoscenza dei più e, soprattutto i militari, venivano addestrati ad apporre blocchi magici sulle armi perché non venissero rubate.

Non v’era cosa più disdicevole di perdere la propria spada, e di certo Sthiggar non voleva essere richiamato per aver perso la propria.

Non appena il blocco fu stabile, Sthiggar si levò in piedi e il mercante, strabiliato, esalò: “Non sapevo che usaste la magia sulle armi.”

“Qualcosina sappiamo fare, ma niente di trascendentale” ammise Sthiggar, scusandosi con l’uomo per poi dirigersi verso i bagni.

Quando tornò al tavolo, qualche minuto più tardi, dichiarò: "Mio padre penserà che non sono neppure più capace di portarmi un bicchiere alla bocca."

Gorth rise di gusto, sollevò il secondo bicchiere che gli era stato portato - con tanto di scuse da parte del proprietario, a detta del mercante - e chiosò: "Nessuna donna che possa accusarti della stessa cosa?"

"Ah, no. Cinquant’anni di leva sono molti per qualsiasi donna e, le ragazze che lasciai alla mia partenza, ora sono donne che non mi vorrebbero neppure alla porta, temo" ironizzò Sthiggar, facendo tintinnare la sua pinta contro il bicchiere del mercante.

Ingollando subito dopo la birra, Sthiggar proseguì dicendo: "In realtà, non credo che mi interesserò alle donne se non tra molto, moltissimo tempo. Ho in previsione di tornare al mio acquartieramento quanto prima e proseguire nel mio addestramento."

"Oh, un giovane convinto, allora" dichiarò il mercante con fare divertito. "Spero, però, che tu abbia almeno potuto goderne prima, altrimenti ti si prospetta una vita piuttosto dura!"

"Ho avuto le mie avventure adolescenziali, e qualcuna anche più tardi" chiosò Sthiggar, sogghignando.

"Allora, mi sento più tranquillo. Diversamente, avrei pregato Sól di benedirti con una giovane donna fedele e generosa"  dichiarò Gorth con un gran sorriso.

"Non credo che mia nonna, al momento, mi permetterebbe di toccare qualsivoglia fanciulla. Ho idea che sia ancora furiosa con me per certe mie bravate adolescenziali" ridacchiò Sthiggar, terminando di bere la sua birra.

"Oh... un figlio di divina stirpe! Ora mi spiego gli occhi così chiari e il loro colore così inconsueto!" mormorò impressionato l'uomo. "E' davvero un onore insperato averti conosciuto."

"Lei non lo direbbe... o forse no. Non so bene cosa pensi di me, al momento" dichiarò Sthiggar con fare fiacco. "Credo che andrò a fare una passeggiata per smaltire questa birra. Doveva essere più speziata del previsto."

"In effetti, in questo locale servono bevande del confine con le Terre Desertiche. Tutte assai alcoliche" convenne l'uomo, scrutandolo dubbioso. "Sicuro di farcela? Desideri che ti accompagni fino a casa?"

"Ti ringrazio, buon amico ma, alla peggio, mi fermerò in caserma. Comunque, credo che un po' d'aria mi farà bene e mi schiarirà le idee" disse per contro Sthiggar, levandosi in piedi. "Passa una buona serata e fai buon viaggio, domani."

"Grazie, soldato. E buona serata anche a te."

Sthiggar assentì e, con passo claudicante, uscì lento dal bar, infilandosi poi lungo la via per concedersi un po' d'aria profumata e di quiete, dopo quel trambusto e i forti odori della locanda. Non sapeva spiegarsi bene perché, ma ne aveva davvero bisogno.

Forse, dopotutto, avrebbe dovuto rimanere a casa del padre, se il viaggio lo aveva ridotto a un simile straccio.

 

 

 

 

1 Hindarall: Dai “Nibelunghi”, ‘roccia circondata da fiamme altissime’. Nella mia storia, nome della capitale di Muspell.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Cap. 4

 

 

 

L'aria fresca fuori dal locale, in effetti, lo aiutò a riprendersi parzialmente dallo strano torpore che lo aveva preso all'interno del bar e, per qualche centinaio di iarde, Sthiggar camminò sul ciglio della strada senza particolari problemi.

Quando, però, svoltò per raggiungere il parco cittadino - doveva aveva deciso di fermarsi e godere del profumo dei fiori notturni -, i suoi piedi incespicarono malamente, caracollò per qualche passo e, infine, sbatté il grugno contro un torace ampio e freddo.

Subito, Sthiggar levò il capo per scusarsi ma, quando incrociò gli occhi di ghiaccio di uno jotun, ogni desiderio di chiedere venia venne meno e, digrignando i denti nel notare le armi appese alla cintola dell'uomo del gelo, ringhiò: "E' vietato, per gli stranieri, girare armati per la Capitale, non lo sai?!"

"Ma davvero... Sthiggar?" ghignò lo jotun, sorprendendolo non poco.

Sgranando gli occhi color del cielo, il giovane muspell esalò confuso: "Come puoi sapere il mio nome?!"

"Ma come? Non sei contento che il tuo nome sia conosciuto anche in altri Regni? Non è questo che volevi?" ciangottò una voce querula alle sue spalle.

Sthiggar si volse a mezzo per capire chi si fosse rivolto a lui con quel tono derisorio ma, prima ancora di poter incrociare lo sguardo con il suo secondo interlocutore, un colpo ben assestato alla nuca lo mandò al tappeto.

Prima di svenire, picchiò con violenza il volto sul selciato e, mentre i suoi sensi andavano svanendo, udì la risata del secondo uomo che lo aveva interpellato mentre chiosava: "Bene! Una scocciatura in meno a cui pensare. Finalmente potrò liberarmi di te una volta per tutte."

Sthigg tentò con tutte le sue forze di riprendersi, di costringere il suo corpo a non cedere al torpore ma, prima ancora di poter aprire bocca per rabberciare il suo assalitore, l'oscurità lo avvolse e per lui non esistette più nulla.

***

Aveva dolore in ogni parte del corpo e sentiva qualcosa di appiccicoso all'altezza dell'occhio, di cui però non riusciva a comprendere la natura.

Con un grugnito e una spinta di mani, Sthiggar cercò quindi di mettersi a sedere - perché era sdraiato a terra? - e, quando riuscì finalmente a sollevare le palpebre, scorse un'enorme camera attorno a sé, offuscata da una colata di sangue sul suo viso.

Tergendoselo a fatica con una mano mentre, con movenze lente e controllate, si sedeva sul pavimento, Sthiggar mise maggiormente a fuoco ciò che lo circondava e, quando finalmente ne comprese la natura, imprecò tra sé.

La chiglia enorme e splendente di Naglfar si stagliava dinanzi a lui come una lama dorata slanciata verso le vetrate blindate, imponente e maestosa nei suoi ottanta metri di lunghezza e apparentemente pronta alla battaglia. Pur se sistemata su scivoli di legno e rinchiusa in un palazzo protetto da incantesimi e guerrieri in armi, incuteva tutto il timore che gli ancestrali racconti decantavano su di lei.

Quel particolare gli mozzò il fiato, portandolo a guardarsi intorno con espressione preoccupata – dov’erano i soldati preposti alla difesa di Naglfar?! – ma, non appena vide ciò che si trovava a poca distanza da lui, imprecò.

Due guardie cittadine erano stese a terra - apparentemente morte - con la gola tagliata di netto, annegati in un lago di sangue.

"Ma cosa diamine..." borbottò Sthiggar, rimettendosi a fatica in piedi prima di udire un tintinnio inconsueto in corrispondenza dei suoi piedi.

Immediatamente, i suoi occhi cercarono la fonte di quell'insolito suono ma, quando vide accanto agli stivali la gemma di volta del timone di Naglfar, la sua confusione raggiunse le stelle, ben presto sostituita da un autentico panico.

Che ci faceva, lì, quel rubino maestoso e dai poteri incommensurabili?!

"Non un passo, Sthiggar" ringhiò una voce alle sue spalle, raggelandolo sul posto.

Levando lentamente le mani, Sthigg si volse poco alla volta per incrociare lo sguardo della cugina – avrebbe riconosciuto la sua voce tra mille persone – che, ai limiti del pianto e con la morte nel cuore, aggiunse: "Stavolta hai davvero passato il segno."

"Ascolta, Hildur, io..." tentò di dire Sthiggar, subito fermato dal gesto imperioso della mano della cugina.

"Non una parola di più" gli ordinò lei, furiosa. "Ci hanno avvisato di alcuni disordini nei pressi delle Sacre Stanze dei Cimeli, così siamo intervenuti... ma mai, mai avrei pensato che la tua follia si potesse spingere a tanto."

Scuotendo il capo mentre un paio di Fiamme Nere mettevano i ceppi a un confuso Sthiggar, Hildur si avvicinò al cugino per recuperare il rubino che ancora si trovava a terra dopodiché, con sguardo addolorato, puntò gli occhi sui soldati morti e sibilò: "Stavolta, neppure il re potrà salvarti. A nessuno è concesso toccare le Sacre Reliquie... e tu hai rubato l'Occhio di Muspell! Che diamine ti è saltato in mente, Sthiggar?!"

"Pensi davvero che possa essere stato io a compiere un simile scempio? Mi credi dunque un tale mostro?" replicò ferito il cugino, sconvolto all’idea che la cugina potesse pensare questo, di lui, nonostante in apparenza le prove dicessero proprio questo.

"Maledizione, Sthiggar! Guarda la tua lama!" sbraitò a quel punto Hildur, indicando la spada del cugino, che giaceva abbandonata a terra... ricoperta da sangue rosso e corposo.

Sthigg dilatò ulteriormente gli occhi fino a farsi male e, boccheggiando, mormorò: "Non... non ricordo... non ricordo affatto di averlo fatto, Hildur. Davvero!"

"Puzzi d'alcool come un qualsiasi beone di città, Sthigg" ringhiò furente Nanaok, una delle Fiamme Nere che lo stava trattenendo per i ceppi. "Chi mi dice che il vino non ti ha dato alla testa, e hai pensato bene di rivivere i buoni, vecchi tempi in cui ti cacciavi nei guai per una qualsiasi scemenza?"

"Mi hanno rovesciato addosso del vino, la notte scorsa" protestò Sthiggar mentre, di malagrazia, veniva trascinato via dalle Sacre Stanze dei Cimeli.

"Raccontala a qualcun altro" ironizzò una terza Fiamma Nera, mentre Hildur rimaneva al suo fianco in un pesante, straziante silenzio.

"Provate a chiedere al bar che si trova vicino alla Stazione di Posta. Sono stato lì, ieri notte, e una cameriera mi ha rovesciato addosso una brocca. Se lo ricorderà di sicuro!" protestò a quel punto Sthiggar.

Una lama interruppe qualsiasi sua protesta, andando a posarsi minacciosa sul suo collo. La terza Fiamma Nera - Ryka - gli intimò: "Non una parola di più, Sthiggar, figlio di Snorri. Non mi interessa nulla se sei nipote di Sól e figlio del Gran Sacerdote. Per me potresti anche essere il figlio del re, ma ti abbiamo trovato qui dentro con gli abiti sporchi di sangue e alcool, la tua arma a terra e l'Occhio di Muspell nelle tue mani. Cos'altro vorresti raccontarci per evitare la verità dei fatti, e cioè che sei solo uno sporco bugiardo con una mente malata?!"

"Hildur..." mormorò a quel punto Sthiggar, lanciando un'occhiata dolente alla cugina.

Lei sospirò, accettò quello sguardo addolorato e sì, innocente, e domandò: "Com'era, quella cameriera?"

Colto da un moto di speranza, lui gliela descrisse con dovizia di particolari ma, prima di poterla ringraziare, le sentì dire: "Voi conducetelo dal re. Io controllerò la veridicità delle sue parole, dopodiché verrò a palazzo."

"Dovrebbe andare uno di noi. Tu potresti essere tentata di coprirlo" replicò caustico Ryka, fissando la sua superiore con aria torva.

Hildur, per tutta risposta, gli puntò la daga contro il torace e ribatté: "Io sono una Fiamma Nera, insignita a questo ruolo dallo stesso re Surtr. Nulla è più importante, per me, della difesa del sovrano, e nulla mi impedirà di portare a termine il mio compito. Neppure mio cugino. Quindi, ora taci e fai come ti è stato ordinato, oppure leva la tua spada e combatti con me."

Ciò detto, lanciò un'occhiata furente all'indirizzo di Sthiggar, allontanandosi in fretta dalla Sala dei Cimeli soltanto quando Rika ebbe reclinato obbediente il capo.

"Coraggio. Andiamo. Hai già creato abbastanza problemi a noi e a tua cugina. Non crearne altri" borbottò Nanaok, sospingendolo verso la porta che conduceva all'esterno. "La morte di due soldati ti dovrebbe costare il carcere a vita, ma io spero che il re ti tagli la testa. Così, per lo meno, non infastidirai più Hildur con le tue cazzate."

Sthiggar non replicò alle sue parole e si lasciò guidare fuori dal salone senza più provare a opporre resistenza. Lì, venne issato a bordo di una delle bighe volanti delle Fiamme Nere e, mentre si dirigevano a tutta velocità verso l'imponente palazzo di Surtr, Sthigg tentò con tutto se stesso di rammentare quel che la sua mente si ostinava a non mostrargli.

Non ricordava nulla di quanto era accaduto al di fuori del bar. Rammentava a malapena di aver salutato... come si chiamava l'uomo con cui aveva dialogato quella sera? Perché non riusciva a riportarlo a galla dalla sua memoria confusa?

Mentre la biga si avvicinava sempre più al Palazzo Reale, Sthiggar cominciò seriamente a preoccuparsi quando, nel ripensare alle stranezze della sera precedente, si rese conto di non rammentare quasi più nulla.

Era mai possibile che il colpo che aveva ricevuto alla testa - chi glielo aveva dato, tra l'altro? - gli avesse fatto dimenticare gli eventi di quella notte?

Aveva realmente perso il controllo di se stesso e ucciso due persone innocenti, e tutto perché... perché si era diretto proprio alla Sala dei Cimeli? Perché?!

Con quelle domande senza risposta, Sthiggar venne infine condotto all'interno del palazzo, dove fervevano i lavori di preparazione dell’immane festa che, da lì a un paio di mesi, avrebbe visto giungere invitati da ogni Regno.

Né lo splendore delle sete e dei drappeggi, né l’opulenza dei quadri e degli affreschi appesi alle pareti, catturò per un istente l’attenzione di Sthiggar, che ancora stava chiedendosi perché fosse finito in quel guaio colossale.

Suo padre non sarebbe sopravvissuto a quell'ennesima bravata. Aveva appena condannato a morte il suo unico genitore rimasto, e per una cosa che non ricordava neppure di aver commesso.

Quando infine raggiunse le porte della Sala Reale assieme alle due Fiamme Nere, e il paggio ne ufficializzò l'entrata, Sthiggar si perse in un dejà-vu di cinquant'anni addietro quando, spavaldo e sfrontato, aveva affrontato il re a testa alta pur sapendo di essere nei guai. E sapendo di essersi cacciato in un pasticcio per sua colpa e suo dolo.

Questa volta, però, non ricordava affatto di aver commesso alcunché, eppure i reati di cui era accusato erano ben più che reali e avrebbero potuto davvero costargli la testa.

Nel bloccare i propri passi di fronte alle scale che conducevano al palco reale, Sthiggar levò il capo a scrutare il volto furioso - e fumante - del re che, picchiando un pugno sul bracciolo del trono marmoreo, bestemmiò un insulto prima di urlare: "Perché diamine devo vedere la tua brutta faccia di primo mattino, Sthiggar?! Perché?!"

Il giovane reclinò il capo, i fulvi capelli a coprire la vergogna di non sapere cosa dire al proprio sovrano.

Questo colpì immediatamente il re – assolutamente non pronto a vedere uno Sthiggar remissivo e confuso – che, ora più calmo, aggiunse: "Parlate, Fiamme Nere, e siate precise nell’esposizione dei fatti."

Nanaok prese la parola per primo e disse con voce sicura: "Ci hanno chiamato a causa di rumori sospetti nei pressi delle Sacre Sale dei Cimeli e, quando siamo sopraggiunti, abbiamo trovato due guardie a terra, morte, e lui, sanguinante e con l'Occhio di Muspell ai piedi. E' evidente come Sthiggar volesse compiere l'atto finale della sua condanna, con questo colpo di testa."

Surtr grugnì una parola intelligibile prima di ordinare lapidario: "Lascia i tuoi giudizi personali per un altro momento, Fiamma Nera. Limitati ai fatti."

Annuendo rigido, irritato per essere stato richiamato all’ordine, Nanaok lasciò la parola a Ryka, che aggiunse: "Ciò che Nanaok vi ha riportato è vero, sire. Abbiamo trovato Sthiggar nella grande sala di Naglfar, con il rubino a portata di mano e la sua spada a terra, ancora sanguinante, mentre lui si riprendeva dallo scontro avuto con un paio di guardie."

"Un'altra supposizione, visto che nessuno di voi due era presente per dire che vi sia stato uno scontro che ha visto contrapposti il qui presente ragazzo e le due guardie morte. O mi sbaglio? Alla terza ipotesi non suffragata da prove, darò di matto" ringhiò Surtr, fissando le Fiamme Nere con aria iraconda prima di rivolgersi a Sthiggar e domandare: "Cos'hai da dire a tua discolpa, ragazzo?"

"Non rammento di aver fatto nulla di ciò di cui vengo accusato, ma non posso negare di essere stato trovato dove le due Fiamme Nere hanno detto, né che la mia spada fosse lorda di sangue. Quanto al rubino, non so davvero cosa ci facesse ai miei piedi" ammise Sthiggar con tono sconfitto.

Ancora, Surtr si sorprese di quel comportamento stranamente remissivo, davvero insolito per un ragazzo sanguigno come Sthiggar e, dubbioso, asserì: "Il tuo comandante mi ha portato un resoconto preciso di ogni uomo che ha avuto al suo comando in questi cinquant'anni, compreso il tuo e mai, neppure una volta, ha annotato nei tuoi confronti comportamenti sfrontati o ai limiti della follia. Certo, ci sono state risse… ma quando mai non ve ne sono, tra uomini confinati in una caserma per così tanto tempo? E' dunque questa città a metterti le fregole addosso, ragazzo, portandoti a impazzire?"

"Non ho risposte da darvi, mio sire. Posso solo dire di non rammentare nulla di ciò che è accaduto da quando ho lasciato il bar dove ho desinato la scorsa notte" si limitò a dire Sthiggar, levando finalmente lo sguardo per incrociare quello del re.

A sorpresa, Sthiggar notò solo una profonda confusione negli occhi color granato del sovrano, oltre a una chiara domanda a lui rivolta. Veramente si era macchiato di simili colpe?

Il giovane muspell, però, non poté rispondergli poiché neppure lui era in possesso di quella verità.

In quel mentre, Hildur fece il suo ingresso nella Sala Reale e, dopo essersi inchinata al sovrano, mise al corrente i presenti di quanto aveva scoperto.

"Mi sono recata al bar indicatomi da Sthiggar per chiedere informazioni in merito alle sue affermazioni, ma l'oste mi ha confermato che nessuna donna bruna lavora nel suo locale. Rammenta però Sthiggar, seduto al tavolo con un mercante straniero per almeno un'ora, oltre alla sua uscita dal locale intorno all'ora undicesima."

Accigliandosi, Surtr borbottò: "Ieri sera la città brulicava di turisti provenienti da ogni dove... come può ricordarselo?"

"Dice di ricordarsi di lui perché è raro che una Fiamma Purpurea scelga di fermarsi nel suo locale dove, di solito, gli avventori sono in gran parte commercianti e portuali" dichiarò Hildur, atona.

"Ricordi chi fosse quell'uomo?" domandò allora il re, rivolgendosi a Sthiggar.

"Rammento soltanto che era un forestiero proveniente dalle terre del Sud ma, quanto al resto, ho un vuoto totale nella mente" sospirò Sthiggar prima di aggiungere: "Non posso difendermi in alcun modo dalle accuse che mi vengono mosse, sire, perché non rammento nulla di ciò che è accaduto. Speravo che almeno la cameriera potesse parlare per me ma, a quanto pare, me la sono solo sognata."

Surtr si accigliò non poco, a quelle ultime parole e, nello stringere le mani dietro la schiena, dichiarò: "Non comminerò mai una condanna a morte senza prova alcuna di colpevolezza certa nei tuoi confronti. D'altro canto, sei stato trovato in un luogo in cui non dovevi essere, in possesso di una pietra che non dovevi avere e accanto a due uomini che non avrebbero dovuto morire. Non posso passare sopra a tutto questo."

"Ne sono consapevole, sire" assentì Sthiggar, tornando a reclinare il capo.

"Sarai perciò bandito dal regno e confinato su Midhgardr fino a data da destinarsi. Ti sarà precluso il rientro su Muspellheimr fino a mio nuovo ordine e, se infrangerai i confini della tua prigione terrestre, allora ti depriverò della testa, Sthiggar" decretò a quel punto il sovrano, irrigidendosi in volto.

Il giovane assentì muto e il re, nel rivolgersi a Nanaok e Ryka, aggiunse: "Conducetelo nelle celle del palazzo finché non appronterò il suo trasferimento. Hildur, tu rimani."

Mentre le Fiamme Nere conducevano fuori dalla Sala Reale un silenzioso Sthiggar, il re lanciò uno sguardo turbato all'indirizzo di Hildur e ammise: "Questa faccenda non mi quadra per nulla."

"Posso dire molte cose di mio cugino, ma non che è un assassino a sangue freddo" assentì torva la donna. "L'oste mi ha confermato che Sthiggar si è assentato per qualche minuto dal tavolo, durante la serata. Lo ha incrociato mentre lui tornava dal magazzino, e Sthiggar entrava nei bagni del locale. Ha notato che la sua tunica era bagnata, ma non ha saputo dirmi altro."

"Trovo strano che il ragazzo ricordi poco o nulla, di quella notte. Ha sempre retto bene l’alcol, perciò non può essere stato questo a obnubilargli la mente. Inoltre, l'ho guardato negli occhi, e non mentiva. Quel ragazzo può essere ciò che vogliamo, ma non mente mai. Sthiggar non sa davvero ciò che è successo" sospirò Surtr, scuotendo turbato il capo.

"C'è un'altra cosa, sire. Le guardie trovate morte nella sala di Naglfar non erano le Fiamme Dorate preposte al controllo dei Cimeli, ma due guardie cittadine del Porto Commerciale. La loro presenza accanto a Sthiggar, quanto nella Sala dei Cimeli, non ha alcun senso" mormorò roca Hildur.

Accigliandosi ulteriormente, Surtr borbottò: "Le Sacre Sale dei Cimeli si trovano nei paraggi del porto, perciò potrebbero aver visto Sthiggar e averlo seguito mentre entrava nella sala di Niglfar... ma hai ragione, qualcosa non torna. Avrebbero dovuto esserci le Fiamme Dorate, dinanzi a quelle sale. Dove accidentaccio erano, in quel momento?!"

"Ho mandato una Fiamma Nera a interrogare chi era di turno ieri notte e, nel giro di mezza giornata, dovremmo sapere qualcosa di più" lo informò Hildur.

"Per come stanno le cose, comunque, non posso impedirmi di punirlo, oppure scatenerei le ire dei genitori delle guardie assassinate, oltre alle noiosissime domande del mio Consiglio Reale. Già odiano quando prendo decisioni sommarie, figurarsi se lasciassi Sthiggar fuori dalla galera, con prove circostanziali così pesanti a suo carico" sospirò a quel punto Surtr, passandosi una mano sul volto irritato.

"Essere sovrano non è facile, al momento" chiosò Hildur.

"Da quando si è votato per un regno democratico?" ironizzò Surtr, dandole ragione. "Per niente. Vorrei tornare ai bei vecchi tempi quando ero solo io a decidere e, se mi andava di staccare una testa, non dovevo renderne conto a nessuno, ma sai... le mire repubblicane di certe frange del mio popolo mi hanno costretto a un leggero cambio di rotta. Checché se ne pensi, non sono un guerrafondaio e non mi andrebbe di dover sedare una rivolta col sangue, perciò ho acconsentito a creare un Consiglio Reale di nobili che rappresentino i vari Continenti di Muspellheimr e che, di quando in quando, mi ricordo di interpellare per creare nuove leggi."

Hildur sorrise leggermente, di fronte al suo tono ironico ma, con voce roca e stanca, disse: "Se me lo consentirete, proseguirò nelle indagini per conto mio. Credo sia un fatto che vada chiarito."

"Hai il mio permesso. Se qualcuno ha pensato di togliere di mezzo Sthiggar, rischiando che finisse persino sulla forca, ci deve essere un motivo, e io voglio saperlo. Detesto essere manipolato, né amo particolarmente comminare condanne a chi mi piace."

Sospirando, Surtr si grattò una guancia prima di guardare Hildur, riprendere la parola e domandare: "Il ragazzo ti ha detto di aver sviluppato Fiamme Naturali?"

"Sì, me l'ha accennato. Ha ammesso di aver perso la testa, quando ha visto Kyddhar morire, ma che il comandante Yothan lo ha aiutato a mantenerne il controllo."

Surtr assentì e, con un sospiro, disse: "Mia cognata è ancora inconsolabile, a causa della morte di Kyddhar, ma è stata lieta di sapere che è stato degnamente vendicato. Quanto a Mikell, gli dèi soli sanno cosa stia passando per la testa di mio cognato. E’ diventato ombroso e taciturno, e non parla neppure con Ilya di ciò che è accaduto.”

“Sono eventi difficili da assimilare” convenne Hildur.

“Ma possono accadere, malgrado tutto. Kyddhar lo sapeva, quando decise di arruolarsi contro il volere paterno ma, a quanto pare, Mikell non è tutt’ora di questo parere” sospirò Surtr prima di aggiungere: “Yothan ha scritto sul fascicolo di Sthiggar che il ragazzo è maturato molto e che, tra alcuni suoi commilitoni, c'è chi lo vede come un leader nato. Il punto, però, è un altro."

Accigliandosi leggermente, Hildur domandò: "Solo alcuni, eh? E gli altri?"

"Cosa porta il potere?" replicò sardonico il re.

"Gelosie" assentì Hildur, torva in viso. "Indagherò anche su questa pista e cercherò di essere discreta. Se veramente lo hanno incastrato e, per farlo, hanno ucciso due persone incolpevoli, deve trattarsi di qualcuno davvero senza scrupoli, e pronto a tutto per farla pagare a Sthiggar."

Il sovrano annuì e, torvo in viso, mormorò: "Forse, dopotutto, questa reclusione terrà il ragazzo al sicuro."

"Può darsi... anche se lui non la vedrà così. Era davvero confuso e addolorato, quando lo abbiamo portato qui" dichiarò Hildur con tono fiacco.

"Parla con Snorri. Rassicuralo. Non voglio che pensi che suo figlio sia veramente colpevole" si premurò di dire Surtr. "La Corte, però, deve pensarlo perché, se è chiaro a entrambi che la faccenda è ben lungi dall'essere stata chiarita, è altrettanto evidente che, se Sthiggar rimarrà nei paraggi, qualcuno tenterà in altro modo di toglierlo di mezzo. Stavolta, forse, agendo più direttamente e piantandogli un coltello nel cuore."

"Siete certo della sua innocenza" disse Hildur con tono fermo.

"Ragazza, io mi fido di ciò che vedo, e Sthiggar non è capace di mentire. Può essere un fanfarone, ma non mente mai. Lo sai tu come lo so io e, visto che non vogliamo che qualcuno gli faccia del male, dovremo comportarci di conseguenza."

"Sì, sire."

Sbuffando, Surtr borbottò: "Vorrei davvero capire cosa sta succedendo. Odio i segreti!"

Hildur sorrise comprensiva e, dopo essersi congedata, utilizzò la sua biga alata per raggiungere le colline della Capitale e, da lì, la casa dello zio.

Trovandolo ancora in loco, lo pregò di accomodarsi in salotto e lì, con tono accorato e dolente, gli spiegò cosa fosse successo e cosa, in gran segreto, il re le avesse detto di fare.

Sottolineò più e più volte l'innocenza di Sthiggar e lo pregò di non lasciarsi andare allo sconforto dopodiché, assieme allo zio, scelse abiti adatti a poter essere utilizzati anche su Midghardr, dopodiché preparò un borsone per il cugino e tornò a palazzo.

Lì, si fece accompagnare fino alle celle di detenzione, dove trovò ancora i suoi due colleghi impegnati a piantonare il prigioniero.

Prigioniero che, a capo chino e deprivato di armi e gradi militari, sembrava essere ormai divenuto l'ombra di se stesso.

"Lasciateci soli. Devo conferire in privato con mio cugino" ordinò Hildur, lanciando occhiate significative ai suoi sottoposti.

Nanaok e Ryka si allontanarono obbedienti e la donna, dopo aver aperto la cella, vi entrò e poggiò il borsone ai piedi di Sthiggar.

Ciò fatto, si lasciò andare sulla panca accanto a quella del cugino e disse: "Il re e io siamo convinti che tu non menta, cugino. Qualcuno ti vuole lontano da qui. Fuori dai piedi e, possibilmente, rovinato a vita."

Sthiggar levò il capo con chiara sorpresa e Hildur, nel dargli una pacca sulla spalla, aggiunse: "Non sei mai stato un bugiardo, Sthigg. Uno sbruffone, forse, uno che amava aggirare le regole, ma non un mentitore, né tanto meno un assassino a sangue freddo. Inoltre, è strano che tu non ricordi affatto ciò che è successo ieri notte. Sei un problema per qualcuno, ma hanno avuto paura di ucciderti. Perché?"

"A me, lo chiedi?" sospirò il cugino, scrollando le spalle.

"Forse temevano la tua discendenza. Chissà. Fatto sta che tu sei vivo, mentre due guardie no, e persone che pensano di poter uccidere così gratuitamente, e al solo scopo di allontanarti da Muspellheimr, hanno qualcosa di grosso in mente. Qualcosa di grosso e pericoloso."

"Lo hai detto a papà?" domandò turbato il giovane.

"E' informato, non temere. Il re voleva che Snorri lo sapesse da me" lo rassicurò Hildur. "Indagherò, e..."

"No" sottolineò subito Sthiggar, lapidario.

Hildur sobbalzò per la sorpresa, già pronta a ribattere, ma Sthiggar le prese una mano e aggiunse: "Se hanno ucciso senza scrupoli pur di tenermi lontano da qui, non esiteranno a farti del male, se scopriranno che stai indagando su chiunque mi voglia fuori da Muspellheimr. Non voglio che tu rischi così per me."

"Sei mio cugino. E il re me l'ha ordinato" replicò con semplicità la donna. "Copriti bene, su Midghard, perché fa un freddo assurdo ma, soprattutto, abbi la certezza che io scoprirò cosa sta succedendo e riabiliterò il tuo nome."

"Pensa prima di tutto alla tua sicurezza. Non potrei vivere più, se sapessi che sei morta a causa mia" mormorò Sthiggar, abbracciando con calore Hildur.

La donna assentì per rassicurarlo, pur se era più che pronta a fare di testa sua per riabilitare il nome del cugino, gli baciò una guancia dopodiché, nell'alzarsi, disse: "Vieni. Il re avrà ormai pronti i documenti per poterti inviare alle prigioni di Midghardr, perciò rimarremo insieme ancora per un po'."

A Sthiggar non rimase che assentire e, preso con sé il suo bagaglio, si accodò - con le mani legate - alla cugina, ormai pronto ad affrontare la sua condanna e ciò che ne sarebbe venuto.

 

 

N.d.A.:  La faccenda si complica velocemente e, per Sthiggar, diventa davvero difficile cavarsi dall'impiccio, stavolta. Inoltre, non ricordando nulla di ciò che è avvenuto, non sa se credere alla ricostruzione delle Fiamme Nere, e dichiararsi colpevole, o credere ancora in se stesso e nella sua buona fede.

Che accadrà a questo punto, e cosa potrà fare Hildur per salvarlo?

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 

Cap. 5

 

 

Il Portale di Bifröst altro non era che un'immensa struttura a cupola in vetro smerigliato, in cui nove enormi arcate e altrettante porte di pesante metallo brunito e bulinato con raffinata maestria conducevano ad altrettanti Regni.

La porta di Vanaheimr, diversamente dalle altre, era ormai sbarrata da millenni, poiché il reame dei Vani era perito a causa della morte della stella che ne aveva consentito la vita per milioni di anni.

Quanto alle altre porte, erano regolarmente utilizzate e tenute sotto controllo ma, nel caso di Jötunheimr, Svartalfheimr e Niflheimr, armigeri presenti a ogni ora del giorno e della notte garantivo la sicurezza del passatto e la contingentazione delle entrate.

Non che fosse vietato il passaggio da quelle porte, ma era meglio non rischiare, con i popoli abitanti quei pianeti così oscuri e minacciosi.

Quando la coppia di cugini si apprestò a raggiungere il portale che conduceva su Midghardr, Sthiggar interruppe i propri passi per fissare sgomento e sorpreso una figura a lui familiare.

Hildur si accigliò nel riconoscere il giovane che li stava attendendo a pochi passi dal portale di Midghardr ma, ben sapendo quanto avrebbe potuto essere dura, per il cugino, da lì in avanti, lasciò correre e permise al nuovo venuto di avvicinarsi.

A un cenno di Hildur, quindi, Rhad Kahnn si approssimò all’amico per stringerlo in un abbraccio fraterno e Sthiggar, nel replicare a tale stretta, mormorò: “Come? Come hai saputo?”

“Ho i miei metodi” ammiccò l’altro, sorridendogli speranzoso nello scostarsi da lui. “Thrydann ha già saputo ogni cosa, grazie al padre, perciò la notizia si sta spargendo per tutta Hindarall con la forza di un incendio, ma i tuoi amici sinceri non credono a una sola parola di quello che il bastardo va dicendo in giro, non temere.”

Sthiggar assentì leggermente tremante, percependo senza sforzo le lacrime che, feroci, stavano sorgendo nei suoi occhi, pronte a sgorgare al minimo segnale di debolezza.

Aveva sempre visto Rhadd come un giovane troppo gentile, troppo gracile e inadatto al ruolo di soldato dell’esercito e, per questo, lo aveva preso fin dall’inizio sotto la sua ala.

Lo aveva sempre considerato alla stregua di un fratello minore, di qualcuno da proteggere e amare, e a questo si era attenuto ma ora, di fronte a quel Portale, i ruoli sembravano essersi ribaltati.

Ora era Rhadd a proteggerlo dalla paura di quel balzo nel vuoto, di quel futuro privo di certezze, e lui ne era così felice da sentirsi scoppiare il cuore nel petto.

“Resisti, e vedrai che risolveremo la cosa” soggiunse Rhadd, dandogli una stretta sulle spalle per infondergli coraggio. “Se potessi, io…”

Hildur intervenne gelida, asserendo: “Se potessi, nulla, Fiamma Purpurea. E’ tempo che andiamo.”

Ciò detto, spinse Sthiggar verso il Guardiano di Bifröst perché il cugino espletasse tutte le pratiche prima della partenza ma Rhadd, nel passare accanto a Hildur, mormorò al suo orecchio: “Indagherò alla mia maniera e, se troverò qualcosa, te lo dirò.”

Lei assentì rapida e, con tono secco, lo scacciò prima che occhi od orecchie indiscrete si interessassero troppo al loro scambio di battute segreto, dopodiché si rivolse a suo cugino perché non perdesse altro tempo.

Era inutile dargli false speranze quando, al momento, non v’erano certezze su niente. Non appena furono al cospetto del Guardiano di Bifrost, questi li scrutò incuriosito per alcuni attimi prima di ricevere da Hildur le istruzioni in merito al viaggio di Sthiggar.

Quando il Guardiano lesse le interdizioni a lui legate, assentì brevemente, chiese a Sthiggar di allungare un braccio dopodiché, nel poggiarvi sopra il pennino in oro con cui redigeva i suoi registri, disse: "Interdizione al passaggio per settantadue anni."

Dalla punta del pennino scaturì un fluido nerastro che, ben presto, si attorcigliò attorno al polso di Sthiggar formando un arabesco geometrico che, poco alla volta, penetrò sottopelle alla stregua di un tatuaggio.

Quando il processo ebbe termine, il Guardiano gli spiegò atono: "Se tenterai di passare dal portale, il tatuaggio si spezzerà, inondando il tuo sangue di veleno. Al compimento del settantaduesimo anno di interdizione, invece, semplicemente sparirà dalla tua pelle, e tu sarai libero di tornare. Ti è tutto chiaro?"

"Sì" assentì rapido Sthiggar, scrutando dubbioso lo strano marchio che ora adornava il suo polso. 

"Ti accompagnerò fino al luogo della tua detenzione, dove troverai altri due muspell che, prima di te, sono stati banditi dal regno e che, d'ora innanzi, avranno il compito di spiegarti le regole di Midghardr" gli spiegò Hildur, attendendo che il Guardiano aprisse per loro il portale. "Grazie a te, otterranno trent'anni di sconto sulla loro pena, perciò troverai in loro dei compagni di prigionia piuttosto ben disposti."

"Perché sono stati banditi?" le chiese Sthiggar, storcendo il naso.

"Ricettazione e furto. Sono stati beccati a rubare nei forzieri reali e, a quel tempo, il re non era molto bendisposto nei confronti dei ladri" si limitò a dire Hildur, accigliandosi quando un bagliore immane li investì nel momento dell'apertura del portale. "Merda... dimentico ogni volta che il passaggio verso Midghardr corrisponde al colore giallo. Spacca sempre gli occhi."

Anche Sthiggar si coprì il volto di fronte a quella luce così violenta ma, non appena ebbero oltrepassato il portale, la luminosità si fece più tenue e, poco alla volta, il passaggio sul ponte dell'arcobaleno comparve dinanzi ai loro occhi.

Dabbasso, a molte iarde di distanza, il rombo del fiume che era Bifröst riempiva ogni meandro della grotta in cui ora si trovavano e, mentre Hildur e Sthiggar attraversavano il ponte di pietra che conduceva a Midghardr, quest'ultimo domandò: "Cosa devo aspettarmi?"

"Qualsiasi cosa la tua fantasia possa suggerirti... e forse non basterà" lo mise in guardia lei, indicandogli di seguirlo lungo una ripida scalinata che volgeva verso l'alto.

Sthiggar non accolse bene quelle parole - lui era un uomo pratico, ben poco propenso a fantasticare a occhi aperti - ma, quando finalmente poté scorgere il cielo di quel nuovo mondo, ogni suo pensiero perse di interesse.

A bocca aperta e con uno sguardo pieno di meraviglia, uscì dal cunicolo che fin lì aveva percorso assieme alla cugina per sbucare nel bel mezzo di un campo erboso e circondato da alte pietre grigie. Queste, disposte in linea retta per centinaia di iarde e ricoperte da sottili strati di licheni giallastri, erano illuminate dagli ultimi residui di un tramonto dai colori magnifici, che investirono Sthiggar in tutta la loro bellezza.

La brezza proveniente da una vasta distesa di acqua, che lui ipotizzò essere un mare, lo inondò di profumi a lui sconosciuti e, quando Hildur lo raggiunse, le sentì dire: "Quella laggiù è acqua salata, perciò non farti venire in mente di berla."

"E' un mare come i nostri, però?" domandò curioso Sthiggar.

"E' simile ma, per poterlo bere, devono desalinizzarlo e ripulirlo da scorie artificiali" gli spiegò sommariamente la donna.

"Scorie... artificiali?" domandò dubbioso il giovane.

"Scoprirai che gli umani hanno idee ancora poco chiare, in merito alla salute del proprio pianeta o al grado di civiltà da tenersi con le altrui persone" ironizzò la cugina. "Ti dovrai dare alla lettura, se vorrai capire come evitare problemi."

"A proposito di lettura... come farò con il vocabolario?" si domandò Sthiggar, vagamente preoccupato.

Hildur allora sorrise dolcemente e replicò: "Non ti sei ascoltato mentre parlavi, vero?"

"In che senso?" borbottò lui prima di sgranare lentamente gli occhi e gracchiare: "Ma... in che lingua mi sto esprimendo?!"

"Non ti sei accorto che, mentre attraversavamo il ponte sul Bifröst, siamo stati investiti da una sorta di nebbiolina?" gli ricordò allora la cugina, tastando con attenzione alcuni dei monoliti del sito megalitico, come alla ricerca di qualcosa.

Vagamente ansioso, Sthigg assentì e disse: "Sì, me lo ricordo. Ho pensato che fosse semplice umidità."

"Serve ai viandanti dei mondi per non avere problemi con le lingue dei vari pianeti. Ora, tu ti esprimi nella lingua del luogo in cui ci troviamo e che, per la cronaca, si chiama Svezia. Naturalmente, se vorrai imparare altre lingue, dovrai farlo tu stesso ma, per cominciare, sapere lo svedese ti aiuterà a non sembrare un completo idiota" dichiarò lei, sorridendo quando finalmente trovò quel che cercava.

La mano di Hildur affondò letteralmente nella roccia, ma questo non turbò affatto Sthiggar. Non era nuovo a incantesimi di quel genere e non lo stupiva che, anche lì su Midghardr, si fosse ricorsi a simili trucchetti per nascondere ciò che era di loro interesse.

Su Muspellheimr, simili alcove magiche erano utilizzatissime.

Quando Hildur ritrasse la mano, estrasse alcuni piccoli libercoli colorati e, quando lei gliene mostrò uno, lui domandò curioso: "Perché c'è un mio piccolo ritratto, all'interno?"

"Non è un ritratto, ma una fotografia. Scoprirai presto che qui la tecnologia sostituisce la magia e, spesso, la surclassa" gli spiegò Hildur, consegnandogli i suoi documenti prima di aggiungere: "Per raggiungere Luleå, il luogo in cui sconterai la tua pena detentiva, dovremo prendere un apparecchio tecnologico chiamato aeroplano e, te lo dico fin d'ora, non ti piacerà per nulla. D'altro canto, non possiamo fare altrimenti, o impiegheremmo giorni a raggiungere quel luogo a piedi, e io non ho tutto questo tempo a disposizione."

L'idea di allontanarsi da Hildur fece sorgere una smorfia sul viso di Sthiggar che, con un sospiro, disse: "Giusto. Questa non è una gita."

"No. Niente affatto. Scoprirai ben presto perché il sovrano ha scelto proprio la Svezia come nostro luogo detentivo" sospirò a sua volta Hildur. "Ritengo, comunque, che al momento tu sia più al sicuro qui, rispetto a Muspellheimr, perciò porta pazienza e lascia fare a me, cugino. Scoprirò chi ti ha cacciato in questo guaio."

Lui assentì, ma disse: "Parla con il comandante Yothan. Digli che non c'entro nulla."

"Dubito che potrebbe credere il contrario. E' entusiasta di te, e il re lo sa" lo rincuorò Hildur prima di guardarlo, scuotere il capo e borbottare: "Non possiamo raggiungere Målmo con te e me conciati a questo modo."

"Cos'hanno che non vanno i nostri abiti?" domandò a quel punto lui, guardando entrambi con espressione confusa.

"Lo scoprirai presto" chiosò lei, afferrando un paio di calzoni dal borsone di Sthiggar, dove aveva infilato anche alcuni suoi indumenti.

Ben presto furono abbiglianti in modo più consono per un viaggetto a piedi fino alla cittadina di Målmo che, comunque, raggiunsero solo tredici ore dopo.

Lì, Sthiggar iniziò a comprendere cosa avesse voluto intendere la cugina con 'usare la fantasia'. Mentre i suoi occhi registravano migliaia di input, l'uno più sconvolgente dell'altro, Hildur si occupò di acquistare per entrambi un biglietto aereo per Luleå.

Sthiggar, a quel punto, pensò bene di usare un vecchio trucco insegnatogli in addestramento da Yothan, perciò lasciò perdere qualsiasi cosa lo circondasse, qualsiasi rumore venisse in contatto con il suo udito per concentrarsi su un'unica cosa; raggiungere la sua meta finale.

Trovò comunque difficile venire imbottigliato in un'enorme scatola metallica e imbottita di piccoli scranni ricoperti di tessuto, dove decine di altre persone - umani - sembravano non essere affatto preoccupati all'idea che quel coso alato potesse volare.

Lui sapeva benissimo che anche le loro navi, così come le loro bighe, volavano, ma erano mosse dalla magia. Da quel che gli aveva detto Hildur, invece, su Midghardr non esisteva nulla del genere per cui, non conoscendo il genere di tecnologia che muoveva quei cosi, non poteva certo sentirsi incoraggiato a usarli.

Per tutta la durata del viaggio tenne quindi le mani serrate sui braccioli, contando mentalmente fino a un milione in tutte le lingue di sua conoscenza, utilizzando anche lo svedese, quella strana nuova lingua che gli era stata inculcata in testa dalla magia di Bifröst.

Quando finalmente scesero, comunque, Sthiggar lanciò una silenziosa preghiera di ringraziamento a sua nonna Sól, mentre Hildur recuperava i bagagli e trascinava lontano dall'aeroporto un tramortito cugino.

Cugino che, nel ritrovarsi a dover combattere il peggior freddo patito in vita sua, cominciò a battere i denti, osservò inorridito dei cumuli di robaccia bianca e che emanava il tremendo umidore gelido che lo stava mandando ai matti e borbottò: "Che diavolo è quella roba?!"

"Neve. Siamo ad aprile, qui, e a queste latitudini ancora nevica, in questo periodo" dichiarò comprensiva Hildur, estraendo dalla sacca di Sthiggar un paio di giacche di pelle. Non erano il massimo, quando a protezione, ma erano quanto di più simile a un

capo umano che potessero vantare.

Rabbrividendo da capo a piedi, Sthiggar indossò in tutta fretta la sua blusa di pelle di yrtan dopodiché, fissando disgustato la neve, ringhiò: "Chiunque sia stato a rinchiudermi in questo posto, la pagherà cara!"

"Prima di congelare, sarà meglio se raggiungiamo i tuoi due nuovi coinquilini" dichiarò Hildur, muovendosi a passo spedito.

"Perché tu sai esattamente cosa fare e come farlo, scusa?" domandò a quel punto Sthiggar, sfregandosi con violenza le mani perché si scaldassero almeno un poco. Quel luogo sembrava inibire la sua aura infuocata in un modo che mai, prima di allora, aveva sperimentato. 

Non faticava a comprendere perché Surtr avesse scelto quel posto per esiliare e riportare a più miti consigli gli abitanti di Muspellhemir. Quel posto sembrava essere debilitante come Jötunheimr, per loro.

"Sono le Fiamme Nere a occuparsi dei prigionieri, Sthiggar... e questo comprende qualche capatina qua e là dal confine."

"Dovrò sentirmi sempre così svuotato, freddo e senza forze, qui?" si lagnò a quel punto Sthiggar, squadrando con aria malevola le casette che lo circondavano, gli ordinati giardini che le cingevano e le strade dove, ogni tanto, qualche carro meccanizzato e rumoroso spezzava la quiete del luogo.

"Come muspell saresti risultato troppo potente, in un altro luogo, mentre qui hai più o meno le stesse capacità di un umano. Il freddo annienta la tua aura. A maggior ragione tu, che sei di stirpe divina" gli spiegò Hildur, conducendolo lungo una selva apparentemente infinita di stradine, viottoli e selciati.

Sthiggar si chiuse in un mutismo irritato e, senza darsi pena di apparire simpatico, non degnò neppure di un'occhiata le poche persone che, a quell'ora antelucana, incrociarono al loro passaggio.

La notte stava scendendo rapidamente, in quelle lande a lui del tutto sconosciute e apparentemente inospitali, e la strana luminosità residua del cielo cominciava a dargli qualche problema. Perché mai, invece di diventare semplicemente buio pesto, il cielo stava iniziando a striarsi di verde?

Nel notare il suo sguardo, Hildur sorrise appena e disse: "Si chiama aurora boreale. La vedrai spesso, qui, la notte. E' un fenomeno magnetico che ha a che fare con la stella che illumina Midghardr, che è chiamata Sol."

"Come mia nonna?" gracchiò Sthiggar, confuso.

Hildur rise comprensiva e replicò: "Sì, il nome in suo onore è rimasto, nonostante siano secoli che i terrestri non la adorano più."

"Quello lassù, invece, è il satellite di Midghardr?" indicò Sthigg, puntando il dito verso il disco argentato che brillava nel cielo.

Hildur assentì e mormorò: "Non è bellissima? La chiamano, indovina un po'... måne."

"Come Mani. Allora, i terrestri non si sono del tutto dimenticati degli antichi dèi" mormorò pensieroso Sthiggar, sinceramente strabiliato. 

"Forse, sono più romantici e malinconici di quanto essi stessi non pensino" chiosò Hildur, indirizzandolo verso un viottolo laterale rispetto alla strada che stavano percorrendo.

Sthiggar non replicò al commento della cugina, si limitò a seguirla lungo le strade di Luleå e la cugina, suo malgrado, non poté che avere pietà di lui.

Non faticava a comprendere la sua confusione e la sua paura. Si trovava in un luogo a lui del tutto sconosciuto, non aveva la minima idea di quando sarebbe tornato a casa, né se avrebbero mai trovato colui o coloro che lo avevano voluto allontanare da Muspellheimr e, non da ultimo, ora era del tutto inerme.

Deprivato dei suoi poteri del fuoco, Sthiggar doveva davvero sentirsi denudato, del tutto fuori luogo e per nulla a suo agio.

Si era spesso arrabbiata con lui per i suoi colpi di testa e le sue smanie di protagonismo, ma in quel momento desiderò solo proteggerlo, pur non potendo fare molto, per il cugino.

"Ti prometto che risolverò tutto" mormorò Hildur dopo alcuni istanti di silenzio.

Sthiggar ancora non rispose alle sue affermazioni, ma sorprese la cugina nell'abbracciarla e stringerla a sé, tremante come una foglia, e quasi sicuramente non per il freddo.

Hildur fermò i suoi passi, poggiò il capo contro il torace del cugino e le mani su quelle del cugino, strette a pugno attorno a lei dopodiché, dolcemente, sussurrò: "Mio krishar, vedrai che ci ritroveremo presto."

Lui gorgogliò una risata, si scostò da lei dopo averle dato un bacetto sui capelli e mormorò: "Non mi chiamavi 'cucciolotto' da quando avevo dieci anni."

Hildur si limitò a scrollare le spalle e, indicandogli una via, disse: "Vieni. Siamo quasi arrivati."

Sthiggar assentì, rabbrividì nuovamente - stavolta per il freddo - e, nell'osservare le casupole colorate attorno a lui e i bei giardinetti circondati da bassi steccati, disse: "Non hanno bisogno di mura di cinta per difendere le loro case, a quanto pare."

"Qui la delinquenza è bassa. Come ben presto noterai, la gente è cordiale ed educata, da queste parti, anche se potrà sembrarti un po'... controllata?"

"Non vanno a bisbocciare ogni santa ora, vuoi dire?" cercò di ironizzare Sthiggar.

"Magari lo fanno, ma con contegno" buttò lì Hildur prima di fermarsi dinanzi a una casetta da un piano, a cui era annessa una dependance di poco più piccola.

Re Surtr aveva fatto in modo che la prigionia su Midghardr non fosse disagevole - avendo già il demerito di togliere ogni potere ai muspell - e, in quel luogo di pace, i detenuti solitamente riuscivano a venire a patti con i propri misfatti e a redimersi.

Certo, si conoscevano anche delle eccezioni, eccezioni a cui da anni mancava la testa dal corpo, ma si potevano davvero contare sulla punta delle dita di una mano.

"Qui abitano Flyka e Trym, e saranno i tuoi compagni" disse Hildur prima di suonare il campanello accanto al cancelletto d'ingresso.

Mentre Sthiggar annuiva meccanicamente, una bionda statuaria aprì la porta della casetta color pervinca e, nel vederli, aprì subito il cancelletto per poi dire: "Vi è andata bene. Ieri nevicava di brutto."

Sthigg rabbrividì al solo sentir parlare della neve e, mentre la coppia entrava in casa - riscaldata da una enorme stufa a legna - domandò dubbioso: "Ma qui nevica sempre?"

La bionda, di nome Flyka, rise sguaiata e replicò: "No, ragazzo, ma diversi mesi l'anno dovrai pregare tutti gli dèi di Muspell per scaldarti un po'."

"Lo rincuori di sicuro, dicendogli così, Flyka" intervenne una nuova voce, stavolta maschile.

Pochi istanti dopo, da una porta socchiusa fece il suo ingresso un uomo imponente e alto all'incirca due metri, dai cortissimi capelli rosso scuro e occhi di un profondo nero ossidiana.

Sul collo, portava il tatuaggio inequivocabile delle Fiamme Purpuree, bannato però da un singolo colpo di colore, che ne denunciava a chiare lettere il tradimento.

Istintivamente, Sthiggar se ne risentì - lui era una novella Fiamma Purpurea, e l'idea di trovarsi assieme a un traditore del Corpo non gli piaceva per nulla - ma, sapendo bene di trovarsi forzatamente in quel luogo, preferì soprassedere.

"Ebbene... lui sarà il nostro nuovo coinquilino?" domandò Trym, fissando pieno di curiosità il nuovo arrivato.

"Lui è Sthiggar, figlio di Snorri, e rimarrà con voi per un po'. E' accusato di furto come voi, perciò avete almeno questo, in comune" chiosò Hildur, chiedendo quindi loro di allungare i rispettivi avambracci.

Come il Guardiano di Bifröst aveva fatto con Sthiggar, così Hildur toccò i loro tatuaggi al polso con un pennino dorato e, subito, questi mutarono, facendosi più sottili e ambrati.

"Ora vi sono stati scontati gli anni pattuiti per essere i suoi guardiani, perciò comportatevi bene. Passerò di qui ogni sei mesi, come al solito, perciò fatemi contenta e non combinate guai, altrimenti lo sconto di pena verrà tolto" ciò detto, si volse verso Sthiggar e si limitò a dire: "Lo stesso vale per te, ragazzo."

Sthiggar sapeva bene che Hildur non poteva rendere nota la loro parentela, o questo avrebbe messo in pericolo lui e sminuito lei. Avrebbero dovuto salutarsi come due perfetti estranei che si sopportavano a malapena.

"Cercherò di non peggiorare la mia situazione" dichiarò quindi Sthiggar facendo spallucce.

"Tanto volevo sentire" motteggiò a quel punto Hildur, andandosene dopo un ultimo saluto al trio appena formatosi.

Fu un attimo, e Hildur era già scomparsa, lasciandolo lì in un mondo alieno, tra persone che non conosceva e di cui non sapeva se poteva fidarsi o meno.

Se fosse stato un bambino, avrebbe iniziato a piangere a dirotto ma ormai era un uomo fatto e finito, e doveva sopravvivere abbastanza a lungo per vedere riabilitato il proprio nome.

Sperava soltanto che, per farlo, sua cugina non rischiasse la vita, o peggio, non perisse nel tentativo.

Una pacca sulla spalla lo strappò ai suoi tristi pensieri e l'uomo che Hildur gli aveva presentato come Trym gli disse: "Immagino avrai fame, oltre a mille domande. Vieni di là. Ho preparato qualcosa che dovrebbe piacerti."

Annuendo, Sthiggar lo seguì in una stanza adiacente, dove un gradevole tepore - unito a un profumo accattivante - lo accolsero come un abbraccio un po' rude ma rinvigorente, sciogliendo definitivamente il freddo che aveva fin lì patito.

Accomodandosi a un loro cenno, Sthiggar notò la loro confidenza, il loro modo di muoversi all'unisono e, dopo aver sorseggiato un abbondante bicchiere d’acqua colorata che loro chiamarono ‘tè’, domandò: "Siete una coppia?"

"Da almeno sei anni" assentì Flyka. "La prigionia ha avuto anche i suoi vantaggi, dopotutto. Quando avremo finito di scontare la nostra pena, torneremo su Muspellheimr e ci trasferiremo al nord, dove costruiremo la nostra fattoria e alleveremo krontos."

Sorridendo nel sentir nominare le loro bestie da soma più comuni, Sthiggar esalò: "Sarà davvero un cambiamento radicale."

"Scoprirai ben presto che qui la vita è tranquilla e, per persone nevrotiche come noi eravamo, è stato un bel cambiamento. Subito ci siamo trovati spaesati, persino disgustati da una simile quiete, ma ora non la cambieremmo per nulla al mondo" soggiunse Trym, consegnandogli un piatto fumante di carne e verdure. “Per questo ci è venuto in mente di diventare allevatori. Sarà un bel cambiamento, ma sarà positivo per entrambi.”

Le parole calma tranquillità non facevano parte del suo vocabolario, quindi Sthiggar le trovò fastidiose quanto un cazzotto in faccia ma, memore della sua situazione, soprassedette e accettò di buon grado di ascoltare le loro storie.

La presenza rilassante di Flyka che, nonostante l’aspetto da guerriera, aveva modi di fare molto materni, lo aiutò a rilassarsi gradatamente e, a notte inoltrata, la coppia gli mostrò il luogo in cui avrebbe dimorato da lì in poi.

L'appartamento dove avrebbe risieduto per i prossimi tempi - almeno finché Hildur non avesse provato la sua innocenza - era molto più piccolo rispetto all'enorme villa signorile del padre, ma decisamente più ampio rispetto alle minuscole stamberghe dove aveva soggiornato come soldato.

Con Trym e Flyka si era astenuto dall'ammettere tutta la verità, non sapendo ancora se fidarsi o meno di loro, perciò si era limitato a dire di aver tentato di trafugare una reliquia, e di essere stato preso con le mani nel sacco.

Era una mezza verità ma, d'altra parte, non ricordava un accidenti di quel che era successo la notte che lo aveva condannato all’esilio. Dubitava, comunque, di essere ricaduto nei vecchi schemi comportamentali dopo aver rimesso piede nella Capitale da solo un giorno.

Sapeva di non essere perfetto, ma da lì a comportarsi da emerito idiota, ce ne correva. Il punto era capire perché lo avessero incastrato, e perché si fossero spinti a uccidere due soldati pur di spedirlo lontano da Muspellheimr.

Se avessero voluto eliminarlo, avrebbero potuto benissimo ucciderlo, invece avevano fatto in modo di creare una situazione abbastanza grave perché venisse esiliato, ma senza prove certe che lo condannassero a morte. Avevano sicuramente contato sul suo stretto rapporto con il re, che avrebbe spinto il sovrano a cercare di salvarlo dalla forca a ogni costo.

Lo volevano fuori dai piedi, ma non morto, pur se i motivi gli sfuggivano completamente.

Rigirandosi nel letto, a suo modo di vedere fin troppo morbido, Sthiggar ripensò alle parole di Trym, al racconto del suo tradimento - causato dal suo bisogno di denaro per salvare la famiglia dal tracollo - e al momento in cui aveva deciso di commettere quel furto clamoroso.

Introdursi nel Palazzo d'Estate del sovrano era stato complesso e articolato, degno di una mente davvero brillante, ma il furto era sfociato in un autentico disastro quando, a causa del suo buon cuore, si era fatto distrarre da una fanciulla in difficoltà.

Flyka, per l'appunto. Rimasta bloccata in una delle trappole costruite all'interno del palazzo per proteggere il tesoro reale, la donna era stata aiutata da Trym a salvarsi da una morte per soffocamento, ma questo era costato a entrambi la libertà.

Scoperti dai soldati presenti nel Palazzo d'Estate, erano stati messi ai ceppi e condotti al cospetto del sovrano che, reso da poco padre dall'amata moglie, aveva mal accettato che qualcuno avesse tentato di rovinare quei lieti giorni.

Per questo motivo, i due muspell erano stati condannati a ottant'anni di esilio su Midghardr, di cui la coppia aveva già scontato una trentina d’anni, spostandosi da una prigione all’altra per non destare sospetti nei terrestri. Grazie al guaio in cui si era cacciato Sthiggar, però, il loro tempo su Midghardr si sarebbe drasticamente ridotto, riconducendoli su Muspellheimr ben prima del previsto.

Con un sospiro, Sthigg mormorò tra sé: "Speriamo per lo meno che non se la prendano con mio padre."

Il fatto di non poterlo proteggere in alcun modo gli pesava sul cuore più di un macigno, ma l'unica cosa che poteva fare in quel momento era tenere i piedi ben piantati per terra e fidarsi di Hildur. Dubitava che la cugina non avesse pensato anche a quell'eventualità, per cui doveva dare per scontato che suo padre fosse degnamente protetto.

Non poteva fare altro, per sé e per gli altri.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Cap. 6

 

 

 

Il comandante Yothan stava camminando nervosamente avanti e indietro nello studio del sovrano, la mente attraversata da mille pensieri e la mascella resa rigida dall'ansia.

Aveva passato trent'anni della sua vita a tirare fuori il meglio da Sthiggar e, nel corso di quel tempo trascorso assieme, aveva scorto in lui una crescita mentale e fisica notevoli.

La morte di Kyddhar lo aveva ovviamente segnato, come tutti, del resto, ma era anche stata il fattore scatenante la nascita della Fiamma Viva in lui, rendendo così noto a tutti quanto, in Sthiggar, vi fossero potere e coraggio. Forse troppo?

Qualcuno lo aveva voluto fuori dai giochi per qualche motivo? O le gelosie nei suoi confronti erano sfociate in quel tentativo di distruggerlo a livello sociale?

"Ancora un po', amico mio, e scaverai una fossa nel mio ufficio" ironizzò fiacco Surtr, poggiando la guancia contro il pugno sollevato.

Bloccando i propri passi, Yothan sorrise a mezzo al suo sovrano, assiso sullo scranno in pelle che usava nel suo studio privato, e chiosò: "Prima che io riesca a consumare un pavimento in ossidiana, occorrerà ancora molto tempo, sire."

"Ciò nondimeno, il tuo incedere così nervoso fa aumentare il mio, di nervoso. Perciò è il caso che tu ti ferma, amico mio, prima che io perda la calma" sottolineò il sovrano, perdendo di colpo il sorriso.

"Sapete benissimo, sire, che quel ragazzo è stato incastrato. Avete comminato una pena ingiusta!" sbottò a quel punto Yothan, perdendo a sua volta il desiderio di fare dell’ironia.

"E io voglio renderti edotto in merito a ciò che posso o non posso fare, mio vecchio commilitone" borbottò Surtr, levandosi irritato dallo scranno per oltrepassare la scrivania e poggiarvisi contro. "A causa di quel maledettissimo Consiglio, non potevo prendere d'imperio la decisione di assolvere Sthiggar. Con quali prove, poi? Il ragazzo si trovava in un posto in cui non doveva trovarsi, con due guardie morte a pochi passi da lui, la spada lorda di sangue e l'Occhio di Muspell accanto ai piedi. Capisci bene che, se avessi soprasseduto su tutto, sarebbero stati guai in primo luogo per lui, e in seconda istanza per me. Non ho bisogno che i repubblicani trovino nuove scuse per attaccarmi, e lo sai."

"Quindi, sacrifichiamo Sthiggar per permettere a voi di stare sul trono?" lo rabberciò Yothan con sguardo iracondo.

Surtr si accigliò nell'udire quelle parole piene di veleno, ma si trattenne dall'ingiuriare l'amico di vecchia data. Sapeva bene quanto, in quanto detto dal comandante, vi fosse innanzitutto preoccupazione per il proprio pupillo, e non tanto rabbia nei suoi confronti.

"Sthiggar sa bene che è su Midghardr per essere protetto, non punito. Hildur si occuperà delle indagini per scoprire chi lo ha voluto fuori da Muspellheimr ma, per il momento, dobbiamo far passare che il ragazzo è colpevole" sospirò il sovrano, palando con tono franco ma fiacco. Quella situazione lo stava già snervando.

"Sapete quale sarà il danno, per lui, a livello psicologico? Già si sta sparlando di lui, in caserma, ed è passato solo un giorno dall'incidente. Più la cosa andrà avanti e più sarà difficile riabilitarlo, e voi lo sapete!" protestò Yothan con veemenza. “Il fatto di essere la seconda Fiamma Viva di Muspellheimr gli aveva scatenato contro già sufficienti nemici, ma ora… ora, come farà a sopravvivere, quand’anche Hildur lo avrà scagionato?”

Sospirando, Surtr poggiò le mani sui fianchi con fare stanco, mosse mollemente il capo a destra e a manca per sciogliere i nodi formatisi nella muscolatura del collo e infine ammise: "Lo so. Non pensare che non lo abbia messo in conto, ma preferisco saperlo vivo e sbugiardato, che morto ed eroe."

Yothan non seppe che dire, di fronte a quella realtà dei fatti e Surtr, fiacco, aggiunse: "Inoltre, dobbiamo ancora capire i motivi che hanno spinto questi fantomatici nemici a prendersela con lui. Perché mi hanno spinto ad allontanarlo e basta? Se lo avessero voluto morto, avrebbero dovuto inscenare il tutto in modo che le prove fossero inconfutabili, invece così mi hanno spinto a esiliare Sthiggar, ma non a ucciderlo.”

"Considerate un’altra cosa, mio sire. Su Muspellheimr, Sthiggar è praticamente imbattibile, essendo addestrato da me e possedendo la Fiamma Viva. Su Midghardr, invece, è un comune umano o poco più. Nessun potere a dargli man forte e nessuna aura a proteggerlo dalla magia. E se fosse stato questo il vero motivo che ha spinto i nemici del ragazzo a costringervi a esiliarlo? Renderlo debole per poi usarlo in qualche modo?" domandò preoccupato Yothan, facendo impallidire per diretta conseguenza Surtr.

"Voi lo avete mandato là per proteggerlo, ma lo avete anche reso debole" aggiunse infine Yothan, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.

Aggrappandosi rabbiosamente alla scrivania, il corpo improvvisamente teso come una corda di violino, Surtr eruppe in un ringhio poderoso quanto terribile e, senza attendere un altro attimo, convocò il Guardiano di Bifröst per conferire con lui.

Ordinato poi a Yothan di non muoversi, chiamò il suo paggio personale perché facesse condurre Hildur al suo cospetto dopodiché, ben oltre la soglia del nervosismo, sibilò: "Odio farmi manovrare a questo modo."

"Ne sono più che certo" assentì Yothan.

Yothan non avrebbe voluto mai trovarsi nella situazione del vecchio amico neppure per tutte le gemme di Muspellheimr, ma per nulla al mondo lo avrebbe lasciato solo in quella battaglia. Soprattutto adesso che, nel mirino, si trovava un ragazzo incolpevole.

***

Il Guardiano di Bifröst giunse a palazzo meno di venti minuti dopo essere stato convocato e, quando entrò nello studio del re, trovò ad attenderlo il sovrano, una Fiamma Nera e una Fiamma Purpurea di grado elevato.

Inchinandosi frettolosamente, il guardiano riconobbe la Fiamma Nera che il giorno precedente aveva condotto su Midghardr un prigioniero e, dopo averla guardata con espressione dubbiosa, domandò: "Vi sono problemi, sire?"

"Tutto dipenderà dalla tua risposta. Vi sono stati movimenti in direzione di Midhgardr, da quando questa Fiamma Nera è tornata da quei luoghi?" domandò il sovrano, la mano poggiata - no, artigliata - alla spalla di Hildur, quasi temesse di cadere a terra per l'ansia.

"Oh, no mio signore. Il Bifröst è fermo da ore" asserì sempre più confuso il Guardiano, fissandoli a momenti alterni con espressione turbata.

Un sospiro collettivo trasfigurò i volti dei presenti, ma ugualmente il re domandò ancora: "Ti è possibile sapere se, sugli altri mondi, il Bifröst è stato attivato in direzione di Midhgardr nelle medesime ore?"

"Ah, beh... potrei, ma sarebbe illegale" tentennò il Guardiano, torcendosi le mani. "Fa parte degli Accordi di Pace, non controllare i movimenti dei singoli pianeti. Voi lo sapete meglio di me."

"Beh, ora lo renderò legale, almeno in questo caso. Sappi fin d'ora che sto agendo al di fuori del controllo del Consiglio, perciò puoi anche rifiutare di obbedirmi, ma è in gioco la sicurezza del regno, oltre che del ragazzo che ho spedito su Midhgardr senza che avesse colpe da redimere" si limitò a dire il re con tono lapidario.

Il Guardiano di Bifröst sgranò lentamente gli occhi, turbato e sconvolto da quelle parole ma, annuendo frettolosamente, si inchinò e disse: "Sono servo fedele di vostra maestà e, se posso esprimermi in tutta sincerità, abolirei il Consiglio anche domani. Farò quel che mi dite e riferirò a voi."

"Potrai riferire anche al comandante Yothan delle Fiamme Purpuree, o al comandante Hildur delle Fiamme Nere, se non troverai me. Sono informati, e sanno tutto" replicò il sovrano prima di sorridere a mezzo e aggiungere: "Anche domani, eh?"

Il Guardiano sorrise appena e assentì, chiosando: "Trovo che il Consiglio pensi più ad arricchirsi che ad arricchire il popolo... con rispetto parlando, s'intende."

"S'intende" ripeté divertito il re prima di congedarlo con un ringraziamento.

Rimasto solo con Yothan e Hildur, il re si rivolse a quest'ultima e domandò: "Ci si può fidare di Trym e Flyka? Possono essere corruttibili? Mettere in qualche modo in pericolo il ragazzo?"

"Non ho mai pensato a loro come a degli assassini, sire, ma neppure pensavamo che Sthiggar avrebbe potuto essere in pericolo, su Midghardr" replicò cauta la Fiamma Nera.

"Anche questo è vero... e risulterebbe davvero strano se tu, di punto in bianco, tornassi su Midghardr dopo solo un giorno per spostare Sthiggar in altro loco" sospirò Surtr. "Dobbiamo dare per scontato che quei due non siano invischiati in questo pasticcio, e che Sthiggar possa difendersi da solo, nel caso in cui si creassero dei problemi."

"Se venisse attaccato da uno jotun..." sospirò Hildur prima di scuotere il capo per scacciare quel pensiero.

"Sì, lo so. Quelle terre li favoriscono" sbottò Surtr, dando un pugno sulla scrivania. "Ho sempre pensato che la Svezia fosse una prigione ideale. Niente poteri legati al fuoco, impossibilità di tornare su Muspellheimr così come di lasciare il suolo svedese. Insomma, abbastanza libertà da non sentirsi oppressi, ma sufficiente controllo per non perderli di vista. In fondo, quel genere di detenzione era stata pensata per essere correzionale, non punitiva. Le prigioni punitive sono tutte qui su Muspellheimr."

"Eravate animato dalle migliori intenzioni, sire, è chiaro a tutti" sostenne Yothan, conciliante.

"Vorrei sapere perché, più che altro, si siano tanto accaniti su Sthiggar. Sarei quasi tentato di annullare la festa che ho indetto per il mio anniversario di matrimonio, ma dovrei spiegare a Ilya il perché, e non voglio turbarla inutilmente" sospirò il sovrano, non sapendo che pesci prendere.

"Finché abbiamo così tanti ospiti provenienti dagli Otto Regni, sarà più semplice ascoltare le loro conversazioni e captare qualcosa di potenzialmente interessante" replicò Hildur. "Farò del mio meglio e metterò in campo le Fiamme Nere a me più fedeli. Alcune, purtroppo, provano risentimento per Sthiggar e non sarebbero di nessun aiuto, perciò dovrò fare una cernita tra i membri delle milizie."

"Quel ragazzo ha combinato così tanti guai in gioventù che ora, in tanti, non riconoscono il suo cambiamento" sbottò il sovrano, passandosi una mano tra i neri capelli. "Fai pure come ritieni sia meglio, Hildur. Mi fido del tuo giudizio, ma voglio aggiornamenti frequenti, è chiaro?"

"Sarà fatto" assentì la donna, congedandosi dai due uomini.

Rimasti soli, i due ex commilitoni si scrutarono vicendevolmente in silenzio per diversi attimi, prima che Yothan prendesse la parola per dire: "Potrebbe anche esserci un altro motivo per cui la presenza di Sthiggar su Midghardr gioverebbe a qualcuno."

"Parla" borbottò Surtr, ormai pronto a qualsiasi ipotesi plausibile.

"Se qualcuno volesse usare contro di voi la Fiamma Viva di Sthiggar, avrebbe gioco facile, ora come ora. La magia è connaturata negli elfi, sia chiari che scuri, e noi non ne siamo immuni, soprattutto quando siamo privi di difese mistiche come ora è il ragazzo."

"Parli di molti nemici, Yothan. Non ti sembra una esagerazione?" ribatté caustico Surtr.

"Dopo ciò che ho visto nel Protettorato dei Nani, non posso più permettermi di non pensarlo. Quelle armi erano destinate a una guerra. Quale che fosse, non ne ho idea, ma hanno usato noi come banco di prova e, devo ammetterlo, sono davvero efficaci" sospirò il comandante, avvilito.

Surtr brontolò un'imprecazione tra i denti e, cominciando davvero a irritarsi, borbottò: "In pratica, mi stai dicendo che qualsiasi cosa io avessi fatto per quel ragazzo, avrei sbagliato. Se lo avessi lasciato qui, avrebbero tentato di ucciderlo. Mandandolo su Midghardr, rischia la stessa cosa, o peggio, potrebbe essere plagiato e indirizzato contro di noi. Sia come sia, quel ragazzo è in seri guai e io non posso aiutarlo perché non so chi lo voglia ben infilato in questi guai."

"E' un riassunto plausibile, sire" convenne Yothan.

"A volte, odio essere re" sbottò Surtr.

***

Svegliarsi e ritrovare, a sorpresa, una gradevole brezza tiepida proveniente da sud, neppure una traccia della neve del giorno precedente e un bel cielo limpido, fu per Sthiggar un piacevole buongiorno.

Stando a ciò che Trym gli aveva detto, quella mattina si sarebbero diretti all'Ettans Bathamn, un porticciolo turistico di Luleå dove ci sarebbe stato ad attenderlo un lavoro come manovale.

Questo gli avrebbe permesso di guadagnare i soldi sufficienti per il proprio sostentamento, oltre a togliersi qualche sfizio non compreso nel 'pacchetto prigionia'. Lavorare, inoltre, faceva parte del periodo riabilitativo previsto dalla pena detentiva su Midghardr.

Non da ultimo, lavorare permetteva di non impazzire di noia.

Dopo aver indossato una delle giacche a vento di Trym, gentilmente offerta da quest'ultimo, Sthiggar oltrepassò la breve passerella sopraelevata che collegava le due casette e bussò alla porta prima di entrare.

Lì, trovò Trym e Flyka impegnati a fare colazione e, dopo aver accettato il loro invito a servirsi, domandò: "Posso sapere qual è la tua occupazione, Flyka?"

"Al momento, lavoro come commessa in un negozio. E' colei che sta al bancone del locale e serve i clienti, per intenderci" gli spiegò la donna, servendogli del tè caldo aromatizzato al miele.

"Immagino che il re ci abbia dotato di un passato, altrimenti sarebbe difficile integrarsi. O sbaglio?" si informò a quel punto Sthiggar.

"A questo pensano i nostri carcerieri. Nel momento stesso in cui varchiamo il Ponte dell'Arcobaleno e attraversiamo la bruma, oltre alla lingua ci viene impiantato un passato plausibile e, al tempo stesso, viene fatto all'interno dei database svedesi" gli spiegò Flyka, passandogli della marmellata di lamponi. "Se provi a pensare al tuo passato, troverai informazioni che prima non c'erano e che servono a rispondere meccanicamente a quel che ti verrà chiesto durante la tua permanenza su Midghardr."

Accigliandosi, Sthiggar provò a pensare a quel che aveva fatto assieme al padre poco prima di quel pasticcio e, come aveva detto Flyka, il suo passato venne mescolato a immagini umane, più adatte a essere esposte.

Onde per cui, il sontuoso pranzo alla villa del padre venne sostituito da un più comune brunch in un locale di Stoccolma, e la passeggiata con Hildur venne sovrapposta a un giro per pub del centro città.

"Wow..." gracchiò sorpreso Sthiggar. "... e questa magia è..."

"In parte, di Bifröst, in parte delle Fiamme Arcane del re. I suoi stregoni hanno blindato i confini della Svezia per impedirci di andare dove avremmo la possibilità di ristabilire il nostro potere di muspell, così possiamo gironzolare per questo Paese come meglio ci aggrada, ma non possiamo oltrepassarne le frontiere, sennò ci frizzano il culo e veniamo spediti per direttissima in una cella di Muspellheimr" ironizzò Flyka. "Cosa che, personalmente, non agogno. Preferisco starmene qui al freddo e non poter sentire la mia aura, che avere otto metri quadrati di cella in cui marcire a tempo indeterminato."

"In effetti..." mugugnò Sthigg, terminando di bere il suo tè. 

"Coraggio, ragazzo, muovi le chiappe e preparati a lavorare. Il nostro nuovo capo è un bastardo matricolato, ma è leale al re e ti tratterà con rispetto" dichiarò Trym, levandosi in piedi per raggiungere l'appendiabiti e afferrare un giaccone di pelle.

"Quindi, saremo controllati a vista da un umano che sa di noi?" domandò Sthiggar.

"Chi ha parlato di umano?" ghignò Trym, indicandogli col capo di seguirlo.

Sempre più confuso, a Sthiggar non rimase altro che accodarsi al suo nuovo compagno di avventure e, dopo essere salito sul mostro meccanico che sapeva essere un'automobile, si diresse con lui fino al porticciolo turistico di Luleå.

Lì, si guardò intorno per ammirare le linee moderne e insolite di quei luoghi, curiosò con occhiate veloci le persone presenti e le linee sinuose degli scafi delle barche ormeggiate ma, quando finalmente incontrò il suo futuro datore di lavoro, trasalì.

Era la copia esatta di Yothan, fatta eccezione per i capelli, che apparivano grigi come una giornata uggiosa.

"Lui è Sthiggar, capo. Penso ti sia già arrivata la sua scheda” esordì Trym, indicando il compagno con il pollice.

L'uomo, che si presentò come Gunther Olegsson, assentì torvo, afferrò una carpetta e la sbatté contro il torace di un sorpreso Sthiggar, borbottando: "Il re mi ha fatto avere la tua scheda, e devo dire che mi stupisce scoprire che lui pensi di correggere uno scavezzacollo come te. Hai collezionato tanti di quei disastri, nella tua gioventù, che ancora mi chiedo come mai non ti abbiano già tagliato la testa, ragazzo."

Accennando un sorrisino nervoso, soprattutto in risposta allo sguardo sorpreso di Trym, Sthigg replicò: "Beh, i miei guai giovanili li ho già pagati, in effetti."

"Perché ti hanno mandato a baciare il culo di mio fratello Yothan? Lui è una mammoletta, al mio confronto" ringhiò l'uomo, accigliandosi ulteriormente. "Qui capirai veramente cosa vuol dire lavorare, non con quel damerino che hai avuto il discutibile onore di chiamare comandante."

L'ultima parola quasi la sputò e Sthiggar, per un istante, fu tentato di spaccare il muso di quell'arrogante muspell ma, nel notare il suo veloce occhiolino, decise di dargli il beneficio del dubbio. Mettersi a litigare durante il suo primo giorno di lavoro non era consigliabile, anche se sapeva che il re non lo considerava colpevole.

Decise quindi di mantenersi sul vago e replicò dicendo: "Il comandante Yothan sarà felice di sapere che lo considera una mammoletta."

"Lui ha il culo in un altro universo, perciò non mi tange" ribatté ghignante l'uomo prima di tirarselo dietro, sbraitare due ordini a Trym e infine indirizzarlo verso un molo in particolare.

Quando furono abbastanza lontani per poter parlare agevolmente, Gunther mollò la presa sul braccio di Sthiggar e, con tono più conciliante, disse: "Scusa la pantomima, ma bisogna far capire a Trym che non sei uno sbarbatello."

"In che senso?"

"Nel senso che lui è un attaccabrighe mentre tu, almeno stando al rapporto che ho ricevuto, sei qui per un fraintendimento che non poteva essere risolto su Muspellheimr in tempi brevi. Non senza farti finire all'obitorio, per lo meno" precisò Gunther, fissandolo ombroso.

Annuendo, Sthiggar ammise: "E' successo tutto molto in fretta, e ho ancora le idee piuttosto confuse in merito a quanto mi è accaduto, ma non penso di essere diventato un assassino da un giorno all'altro."

"E' quanto hanno sostenuto sia il re che mio fratello" dichiarò Gunther, picchiettando un dito sulla carpetta con cui aveva colpito Sthigg. "Se Yothan si è lasciato andare a una così vivida difesa nei tuoi confronti, non posso che credergli."

"Crede più a lui che al re?" domandò dubbioso Sthiggar.

"Al re devo obbedienza e rispetto, pur se nel caso di Surtr c'è anche un rapporto di amicizia che ci lega, ma con mio fratello c'è tutt'altro genere di legame. Se Yothan mi dice che sei un bravo ragazzo, io non ho bisogno di alcuna prova in tuo favore. Punto" si limitò a dire Gunther.

"Beh, grazie" mormorò il giovane.

"Ora veniamo a noi, ragazzo. Immagino che i tuoi due compagni di avventura ti abbiano spiegato più o meno come funzionano le cose, qui, e gli Stregoni ti avranno sicuramente riempito la testa di nozioni e immagini sufficienti per farti venire un mal di testa coi fiocchi, ma il mio consiglio è un altro" gli disse a quel punto Gunther. "Osserva la gente, usa internet per ficcanasare il più possibile e ascolta. Ascoltare è vitale, se vuoi capire come interagire con le persone di questo posto. Non bastano quattro magie e uno schiocco di dita. E' la vita che vivi qui a darti i giusti input."

"E lei perché è qui?" si chiese a quel punto Sthiggar.

Gunther sorrise sornione e replicò: "Quando conoscerai mia moglie, capirai."

"E’ sposato... con un'umana?" esalò sorpreso Sthigg.

"Quando venni qui, in principio, era solo per controllare i prigionieri. Non avevo altro compito che questo ma, con il passare degli anni, il mio attaccamento a Midghardr, alle persone del posto e, alla fine, a mia moglie Astrid, mi hanno spinto a chiedere di essere spostato qui in pianta stabile. Anche se, ovviamente, ciò comporta degli effetti collaterali."

Ciò detto, si toccò i capelli e Sthiggar, annuendo, disse: "Si invecchia prima, vero?"

"Esatto. Ma non mi tocca. L'importante, è stare con Astrid" si limitò a dire Gunther prima di recuperare il suo tono burbero e aggiungere: "E ora che sai come sono, vediamo di metterci al lavoro. Mio fratello ti ha insegnato a usare la ramazza? Perché qui ti consumerai le dita, a pulire paglioli e chiglie."

Sthiggar ripensò al suo addestramento, ai lavori sfiancanti e umili a cui Yothan li aveva sottoposti - cosa per cui molte nobili famiglie si erano scagliate indignate contro di lui, reo di aver fatto lavorare i loro preziosissimi figli - e, sorridendo, assentì.

"Oserei dire che le mie capacità di lavandaia sono quasi pari a quelle di spadaccino" ironizzò Sthiggar, facendo scoppiare Gunther in una grassa risata.

"Molto bene, ragazzo. Allora, adesso ti farò vedere come usare la lancia di quel compressore, così potrai darti da fare con i cirripedi che si sono arpionati alle chiglie di queste barche" dichiarò l'uomo, indicandogli dell'attrezzatura color canarino.

A Sthiggar non spiaceva lavorare, perciò si mise di buona lena per imparare, anche se il contatto con l'acqua fredda lo fece rabbrividire da capo a piedi.

Il freddo, probabilmente, non gli sarebbe mai più passato, stando su Midghardr.

 

 N.d.A.: Il primo approccio di Sthiggar a Midghardr non è di certo dei più calorosi, e questo rende subito chiaro al muspell perché re Surtr abbia scelto la Terra, come luogo di detenzione per i suoi sudditi. Resta da capire se e quando Hildur riuscirà a scoprire i fautori della condanna del cugino, e se l'essere confinati sulla Terra rimarrà l'unico problema.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Cap. 7

 

 

 

Cominciava seriamente a comprendere cosa avesse voluto dire dire Gunther, quando aveva parlato di lavori 'da mammoletta'.

A ben vedere, ciò che aveva svolto quel giorno era molto, ma molto più pesante rispetto a quello che aveva fatto negli ultimi anni, anche se sembrava folle il solo pensarlo.

Il motivo, però, risiedeva in un unico, piccolo ma importantissimo particolare; l'aura.

Su Midghardr, la sua aura fiammeggiante era spenta, non avvertiva il potere del pianeta sotto i suoi piedi, non poteva attingere all'energia del suo fulcro come avrebbe fatto su Muspellheimr, e questo lo limitava pesantemente.

Ogni muscolo gli doleva, sembrava aver sviluppato nervature ove non pensava di averne e anche quelle dolevano da impazzire.

Non da ultimo, l'idea di affrontare il mondo umano senza una guida, lo stava terrorizzando più di quanto non avrebbe mai ammesso con se stesso o con il suo nuovo custode. O capo. La faccenda non cambiava molto.

Gunther gli aveva ordinato - o urlato, era più specifico - di non rimanere dietro la gonna di Trym e di sbrigare da solo ciò che doveva fare. 

Il punto, però, non era tentare di fare le cose da solo, di imparare sbagliando – ormai ci era abituato, perché Yothan usava la stessa tecnica – quanto di riuscire a fare tutto correttamente, ed era lì che nasceva l’inghippo maggiore.

L’idea di non poter usare la sua aura, di dover affrontare ogni nuova sfida senza avere il caldo e rassicurante tepore della fiamma che ardeva dentro di lui, lo faceva sentire inerme, indifeso, ed era una sensazione che odiava.

Ammetterlo, e rendersi conto di questa enorme, paradossale paura, era difficile da mandare giù, ma Gunther sembrava ben deciso a non tenerlo per mano, e non poteva certo chiedere aiuto a Flyka o Thrym.

Non sapeva ancora se poteva fidarsi di loro e, secondariamente, essere costretto ad appoggiarsi a persone che non fossero più che fidate, gli risultava impossibile.

Trovarsi su Midghardr per motivi ancora sconosciuti, dover affrontare quel genere di prigionia senza sbarre – ma anche senza poteri – e accettare di essere come nudo, di fronte a quel mondo alieno, era per lui già troppo.

Se avesse anche dovuto abbassarsi a chiedere l’intervento di due persone che si trovavano lì per scontare realmente una pena detentiva, sarebbe stato il colmo.

Ergo, Sthiggar si era munito di una mappa digitale - ottenuta grazie all'aggeggio che gli avevano presentato come smartphone - e si era avventurato in solitudine per le vie di Luleå.

Entrato in un negozio, aveva fatto scorta di abiti e aveva usato per la prima volta la tessera magnetica che sostituiva il denaro che lui era sempre stato solito usare.

Il fatto di non avere una scarsella con le sue monete d'oro e di rame, lo aveva fatto sentire assai a disagio, ma la commessa gli aveva sorriso nel consegnargli quanto acquistato, quindi aveva dedotto di non aver commesso errori.

Ora, però, se ne stava in un piccolo parco pubblico nei pressi di una chiesa, le sue tre borse di acquisti poggiate accanto alla panchina che occupava, e non aveva idea di cosa fare con il tempo che gli rimaneva prima del tramonto.

Non voleva rientrare a casa e fare finta di essere accomodante con i suoi compagni di prigionia, né desiderava essere negativo a prescindere, rovinando l’atmosfera rilassata che era riuscito a instaurare con Thrym e Flyka

La situazione era confusa e priva di logica e, in tutta onestà, non sapeva davvero come approcciare quel nuovo pianeta, così alieno ai suoi occhi.

Si trovava a Mondi interi di distanza dal suo luogo di nascita, privato della sua fiamma, e non aveva la più pallida idea di come risolvere il pasticcio in cui altri lo avevano messo.

Non si era mai sentito così solo e debole come in quel momento e...

Sbattendo le palpebre quando si accorse di essere osservato da due occhi color cannella, incorniciati da un visino infantile e dall’aspetto curioso, Sthiggar sobbalzò leggermente prima di esalare: "Ah... cosa c'è?"

Dinanzi a lui, ritto in piedi e con le mani intrecciate dietro la schiena, Sthiggar incrociò lo sguardo con un ragazzino dall’aria apparentemente simpatica e che, con la sua occhiata penetrante, l’aveva strappato ai suoi lugubri pensieri.

Il ragazzino in questione, ottenuta la sua attenzione, sorrise allegro e disse: "Volevo sapere perché, un uomo grande e grosso come te, sembra tanto spaventato."

"Spaventato? Io?" replicò Sthiggar, raddrizzandosi per assumere una posa militaresca e un tantino meno demoralizzata rispetto a prima.

Il ragazzino, però, non si lasciò impressionare e aggiunse: "La mamma mi dice che parlo troppo e dico sempre quello che penso, anche quando non dovrei."

"Beh, probabilmente ha ragione" borbottò Sthiggar prima di lasciarsi andare a un sorriso e aggiungere: "Dov'è, ora, la tua mamma?"

"A casa. Io sono qui perché mi piace giocare a palla tra gli alberi" ammise con candore il ragazzino, indicando un pallone che vegetava in solitudine accanto a una betulla. Allungata quindi una mano verso Sthiggar, asserì: "Io mi chiamo Mattias, e tu?"

Dopo un attimo di tentennamento, il soldato strinse quella piccola mano e replicò: "Io sono Sthiggar."

Mattias lo squadrò pieno di curiosità, inclinò il capo e scrutò le loro mani giunte con aria dubbiosa dopodiché, stupendo ulteriormente il giovane muspell, domandò: "Da che mondo vieni?"

Sthigg fissò pieno di dubbio e sconcerto il ragazzino di fronte a lui e Mattias, nel rendersi conto troppo tardi di quello che aveva detto, si tappò la bocca con le mani, arrossì copiosamente e borbottò: "Che scemo che sono! Fai finta di niente, per favore!"

Piuttosto perplesso da quella catena di eventi apparentemente senza senso, Sthiggar si piegò in avanti per scrutarlo da distanza ravvicinata e, nell'additarlo con espressione guardinga, domandò: "Ma tu chi saresti, ragazzino?"

Prima ancora di poter ricevere una risposta, Stigghar vide avvicinarsi una donna dalla corta chioma bionda, fulminanti occhi verde acqua e una bocca bellissima ma piegata in una smorfia, che si catapultò su di loro a passo di carica.

Sthiggar si alzò immediatamente, subodorando guai in formato gigante ma Mattias, parandosi a sorpresa dinanzi a lui, sollevò le mani per difenderlo ed esclamò: "Ragnhild, calma! Non facevamo niente di male!"

La donna, alta e dal fisico slanciato quanto atletico, si fermò a pochi passi da loro, l'aria non ancora del tutto pacificata e, dopo aver lanciato un'occhiata inquisitoria a Sthiggar, domandò roca: "Sai benissimo che non devi allontanarti da casa senza dire dove vai. La mamma si spaventa da matti, se non sa dove sei!"

Con fare da cospiratore, e ignorando completamente la donna che lui aveva chiamato Ragnhild, Mattias si portò una mano di fianco alla bocca per coprire il suo labiale e sussurrò, rivolto a Sthiggar: "Pensano ancora che io abbia due anni."

Sthigg faticò non poco a non ridere, di fronte a quell'aperta sfida nei confronti della Valchiria che li stava raggelando con lo sguardo ma, preferendo non combinare casini durante il suo primo giorno in giro per Luleå, disse per contro: "Anche mia madre si sarebbe preoccupata, se fossi uscito di casa senza dire nulla."

Soprattutto, temendo i guai che avrei potuto combinare, aggiunse poi tra sé Sthiggar.

"Bene, ora che abbiamo stabilito che non mi porti il minimo rispetto, torniamo a casa, Matt" borbottò Ragnhild, allungando una mano all'indirizzo del fratello minore.

Mettendo il broncio, il ragazzino non accennò però a muoversi e, intrecciate le braccia sul torace, replicò scorbutico: "Ho dodici anni e posso stare al parco quanto voglio, se mi va. E poi, lui è un guerriero assai potente e sono sicuro che potrebbe difendermi, se ci fossero problemi."

Sia Ragnhild che Sthiggar sobbalzarono, di fronte a quell'ulteriore riprova della stranezza di Mattias ma, se per il giovane muspell fu motivo di nuovi dubbi, per la donna fu l'occasione per ringhiare un improperio.

"Oh… sei uno di quelli" sibilò irritata, afferrando Mattias a un braccio per trascinarlo lontano da Sthiggar, che appariva sempre più confuso.

"Ragnhild, smettila! Lui è buono!" sbottò a quel punto il ragazzino, svincolandosi dalla sorella per poi tornare accanto a Sthiggar, afferrargli una mano e aggiungere: "E' qui perché qualcuno vuole fargli del male, non perché sia cattivo."

Sthiggar, a quel punto, rabbrividì e si allontanò di un passo da Mattias, lo sguardo ceruleo pieno di domande e, con voce rotta dal dubbio, domandò: "Sei una Norna?"

Ragnhild imprecò nuovamente, a quell’accenno, si passò una mano sul volto e, con voce un poco più calma, disse: "Non è il caso di parlare di queste cose proprio qui, con così tante orecchie pronte ad ascoltare. E, visto che mio fratello non riesce a tenere la lingua a freno, ti devo almeno una spiegazione. Se Matt ha ragione, non avrai timore a seguire una donna, vero?"

Punto sul vivo, Sthiggar si fece ombroso in volto e, dopo aver afferrato le sue ben poco virili borse della spesa, dichiarò: "Andiamo pure."

Lei lo squadrò leggermente divertita, notò gli abiti all'interno delle borse e domandò: "Primo giorno?"

"Quasi. Sono al terzo" ringhiò lui, assottigliando le iridi color cielo.

Ragnhild sollevò le mani con aria fintamente remissiva, pur mantenendo un sorrisino derisorio stampato sul volto e, senza più nulla dire, si avviò per uscire dal parco mentre Mattias, al fianco di Sthiggar, mormorava delle scuse profuse.

Il giovane muspell stette a sentirlo per un po' senza dire nulla ma, dopo il quarto minuto di dichiarazioni autolesioniste, disse: "Guarda che ho capito. Non c'è bisogno che ti fustighi da solo."

"Dovrei imparare a gestire meglio ciò che sento, ma sono ancora piccolo" sospirò afflitto il ragazzino, ammettendo i propri limiti.

Sthigg, allora, gli diede una pacca sul capo e, dopo avergli scompigliato i capelli, replicò: "Ne so qualcosa di forza mal gestita, credimi."

Ragnhild li sbirciò da sopra una spalla a più riprese e, quando infine raggiunsero una spiaggia completamente deserta - ad aprile, non erano in molti a voler fare il bagno nel fiordo - , indicò a Sthiggar una panchina e disse: "Qui può andare."

"Se lo dici tu..." scrollò le spalle il giovane muspell.

La donna allora sospirò, diede un piccolo pugno sulla testa del fratello, che sorrise contrito, e aggiunse: "Non hai sbagliato, poco prima. Lui possiede lo spirito di Urd dentro di sé e, come hai potuto notare, i poteri della Dea del Destino Passato prendono il sopravvento, spesso e volentieri, e senza che lui possa in alcun modo controllarli."

Accigliandosi leggermente, Sthiggar replicò: "Per essere a conoscenza delle anime senzienti, e di noi, non dovete essere dei semplici esseri umani, o sbaglio?"

"No, in effetti, come tu non appartieni a questo mondo come ha detto Matt, vero?" replicò Ragnhild con una scrollata negligente delle spalle.

"Sono un muspell. Sai chi siamo?" ammise lui con una spallucciata, imitando inconsciamente il comportamento della ragazza.

Annuendo pensierosa, Ragnhild asserì: "Un Gigante di Fuoco. Il nostro clan ha un trattato millenario di non belligeranza con le vostre genti. Onestamente, però, vi immaginavo più grossi, a dire la verità."

Sthiggar storse la bocca di fronte a quel velato insulto e borbottò: "Non è colpa mia se questo posto è freddo come Jötunheimr! Qui, la nostra fiamma si estingue!"

"Oh... è per questo che vi mandano quassù, allora? Per punirvi in qualche modo e tenervi meglio al guinzaglio?" ironizzò allora la donna prima di venire richiamata all'ordine dal fratello, che le tirò l'orlo del maglioncino. "Che c'è, Matt?"

"Ti ho detto che lui non è cattivo" sottolineò il fratello, accigliando il faccino d'angelo.

"Sto parlando con lui proprio perché mi fido delle tue visioni, e ormai avevi già detto troppo, per cui questo tizio necessitava per lo meno una spiegazione" sospirò allora Ragnhild, lanciando uno sguardo pieno d'affetto all'indirizzo del fratello.

Ciò detto, si rivolse a Sthiggar alcuni istanti dopo – la dolcezza del tutto scomparsa dai suoi occhi color acquamarina – e aggiunse: "Non so quanto sai di razze senzienti del pianeta Terra, ma noi siamo berserkir. Per questo conosciamo le anime senzienti e, mio fratello in particolare, è prezioso all'interno del clan per le sue doti divinatorie, anche se è piccolo e sa usarle solo a sproposito. Una volta adulto, e con il pieno controllo dei suoi doni, porterà immenso onore e potere al clan."

Sthiggar si accigliò leggermente, a quelle parole, non tanto per il loro contenuto quanto piuttosto per il tono che Ragnhild usò nel dirle. Gli parve una frase fatta, una sorta di mantra imparato a memoria, ma in cui lei non credeva molto o che, comunque, non le faceva piacere ripetere.

Mattias bofonchiò una replica in tal senso, quasi a voler sminuire le parole della sorella, o correggerle, ma Ragnhild non vi fece caso.

Sthiggar, allora, annuì pensieroso e disse: "Davo per scontato che avrei trovato solo umani, sul mio cammino ma sì, conosco la vostra razza, così come so che ve ne sono altre, su Midghardr, a parte voi e gli umani. Onestamente, però, vi credevo più grossi."

Il commento - del tutto identico a quello che Ragnhild gli aveva rivolto - strappò un sorriso alla donna che, con triste ironia, ammise: "Sono solo gli uomini a diventare grandi come montagne e pelosi come tappeti. Noi donne restiamo tali e non possiamo mutare in orsi, ma sappiamo mordere che è un piacere."

"Me ne sto facendo un'idea" ammise Sthiggar, abbozzando un sorrisetto.

Tornando seria, Ragnhild allora gli domandò: "Cosa significano le parole di mio fratello? Puoi essere un pericolo per noi?"

"Riguardo al fatto che sono qui per la mia stessa protezione? Bella domanda" sospirò allora Sthiggar, allungando gli avambracci sulle cosce possenti. "Non ne ho la più pallida idea, e così il mio re. E' successo un guaio, su Muspellheimr, ma nessuno di noi ha saputo venirne a capo, così io sono stato mandato qui per mantenere calme le acque sul mio pianeta e, dall'altra parte, c'è chi lotta per me in gran segreto."

"Matt ti ha definito un guerriero. Si sbagliava?" domandò ancora la giovane, imitandone la postura per poterlo osservare meglio in volto.

"No, lo sono, anche se qui mi sento... nudo, senza la mia spada e la mia fiamma" sbuffò Sthiggar, guardandosi i palmi delle mani, arrossati e sfibrati dal lungo lavoro, e su cui stava iniziando a formarsi una vescica. Di bene in meglio.

"Quindi, ne deduco che il fatto di rimanere inerme e non lottare per smentire le colpe che ti hanno condotto qui, ti farà andare fuori dai gangheri" motteggiò perspicace Ragnhild, picchiettandosi un dito contro il mento.

Sthiggar la guardò di traverso, borbottando: "Non riesco a capire se la cosa ti regali un perverso piacere, o se la tua mente stia partorendo qualche idea malsana."

Mattias rise sotto i baffi, asserendo: "Ragnhild ha bisogno di un Campione, ma tutti le hanno dato buca."

"Cosa?" gracchiò Sthiggar, fissando il ragazzino con aria smarrita.

Ragnhild arrossì suo malgrado, di fronte all’ennesimo segreto svelato da quella boccaccia del fratellino e, non potendo fare altro, borbottò: "A parte che non sarebbero affari suoi, Matt, e tu dovresti davvero imparare a murarti la bocca... comunque, purtroppo per me è vero."

"Un. Campione" ripeté con tono bislacco Sthiggar.

Reclinando esasperata le spalle, Ragnhild annuì suo malgrado e ammise: "C'è un berserkr che mi corteggia in modo piuttosto... plateale?... beh, io l'ho rifiutato in ogni modo possibile, o anche socialmente accettabile, ma lui non ne vuole sapere di capire, così ho pensato bene di dirgli che, se vincerà contro il mio Campione, allora sarò sua ma, se vincerà il mio Campione, lui si dovrà dimenticare che esisto. Pensavo l'avrebbe presa sul ridere, che avrebbe capito che non ne voglio sapere, di lui... ma quell'idiota ha accettato."

"Scusa... ma perché ti è venuto in mente di proporgli una cosa del genere?" domandò a quel punto Sthigg, indeciso se riderle in faccia o fissarla con espressione penosa.

"Questa pratica andava di moda un secolo fa, anche se nel nostro clan si può ancora utilizzare, visto quanto siamo ‘ligi’ alle regole" brontolò lei, mimando le virgolette e scrollando le spalle con espressione esasperata. "Il punto è che, da quando ho lanciato la sfida, è quasi passato un mese - tempo in cui io avrei dovuto trovare il mio Campione - e nessuno, all’interno del clan, vuole mettersi contro il berserkr che mi corteggia, visto quanto è forte. Io combatterei anche da sola, ma Ludvig avrebbe un indubbio vantaggio, su di me. Morale, sono nei guai fino al collo."

"E tu vorresti che io te li risolvessi?" le domandò Sthiggar con una buona dose di ironia nella voce.

"Beh, se ti senti fuori posto e annoiato, una bella lotta ti servirebbe per sgranchirti un po' le gambe e menare le mani. Non è questo che fa un guerriero?" gli buttò lì Ragnhild, aprendosi in un sorrisone falso e tutto fossette.

Sthigg la fissò scettico, chiaramente sconcertato da tanta spavalderia e, cauto, replicò: "Non è esattamente questo, che facciamo. Siamo l'ultima linea di difesa del re, il baluardo del suo esercito, il vessillo di Muspellheimr, il..."

Bloccando sul nascere la filippica di Sthiggar, Ragnhild borbottò: "Sì, sì, ho capito. Siete duri e puri come diamanti. Esattamente ciò che mi serve. Nel discorsetto base dell'eroe, non c'è anche quello di difendere le donzelle indifese?"

"Tu? Indifesa? Con la lingua che ti ritrovi puoi anche uccidere!" brontolò Sthiggar, scuotendo recisamente il capo.

Mattias rise sguaiato, divertito da quel commento e segno che anche altri avevano accusato la sorella di essere un tantino velenosa nelle risposte. Ragnhild, per contro, arrossì copiosamente e mormorò scocciata: "Non è colpa mia se non mi hanno dotato di muscoli, grugniti e un carattere di merda."

"Sull'ultimo punto, dissentirei" rise a quel punto Sthiggar, guadagnandosi per contro un'occhiata venefica da parte della donna. "Comunque è vero, anche il mio giuramento prevede che io salvi le donzelle in pericolo e, anche se non capisco perché le attenzioni di questo Ludvig ti stiano così strette, accetterò di aiutarti. A patto, però, che tu mi insegni un po' di cose su questo pianeta. Sono ancora piuttosto confuso in merito a un sacco di particolari e la prima cosa da comprendere, per uno stratega, è il campo di battaglia in cui si trova a combattere."

"Se vincerai, ti farò da insegnante. Quanto a Ludvig, capirai perché non mi vanno le sue attenzioni quando lo conoscerai" dichiarò Ragnhild, estraendo dalla tasca del suo maglione il proprio smartphone. "Allora, posso dire che il combattimento si farà?"

"Avrai il mio appoggio" assentì lui, prima di domandarle: "Ma si trasformano davvero in orsi? I tuoi simili, intendo."

"I maschi, sì. Ma il combattimento si svolgerà come uomini. Sarebbe difficile spiegare ai comuni mortali delle ferite da artiglio o da morso. Lividi e fasciature, invece, sono più comprensibili, specialmente quando vieni da un inverno artico come il nostro. La gente tende a essere un po' irritabile, dopo tanti mesi senza sole" si limitò a dire lei, digitando in fretta un SMS sul cellulare.

"Il solo pensiero che possa essere più freddo di così, non mi rallegra" rabbrividì a quel punto Sthiggar, fissando irritato il profilo delle montagne a ovest.

Per quanto potesse trovare quel paesaggio affascinante e bucolico, l’idea di avere perennemente freddo per più di settant’anni, non lo rallegrava per nulla.

Ragnhild sorrise divertita a quel commento e Mattias, pieno di curiosità, domandò al nuovo amico: "Com'è Muspellheimr? Un regno di fuoco come dicono le leggende?"

"Ha pianure, laghi, fiumi, montagne e mari come Midghardr, ma sono diversi. La temperatura è mooolto più alta, i colori predominanti sono il rosso e l'arancione, il cielo è azzurro-violaceo solo al mattino presto, o poco prima della notte, altrimenti tende ad avere sfumature bianche e gialle" iniziò con il dire Sthiggar, perdendosi nei ricordi del Paese natale. "La città in cui sono nato sorge ai piedi di un monte dalle linee seghettate, scuro come ossidiana e dalle ripe scoscese. Sulla parete a sud, a metà del percorso che conduce alla vetta, sorge il palazzo di re Surtr, sovrano incontrastato di Muspellheimr, e..."

Bloccandolo a sorpresa con un cenno della mano, Ragnhild esalò sconcertata: "No, aspetta. Surtr? Ma... i vostri re si chiamano tutti così?"

"No, perché?" domandò dubbioso Sthiggar.

"Perché questo nome fa parte della mitologia norrena, le nostre storie mitologiche, per intenderci e quindi, secondo i miei calcoli, dovrebbe essere un tantinello vecchio!" protestò la donna.

"Beh, non direi che il nostro re è vecchio. E' nel fiore dei suoi anni. Però, visto con occhio umano, risulterebbe anzianotto, in effetti. Comunque, ha sui cinquemilaottocento anni o giù di lì" dichiarò pensieroso Sthigg, facendo due rapidi calcoli.

Una serie di esternazioni più o meno colorite seguirono la sua notizia bomba e Mattias, nell'afferrare un braccio di Sthiggar con espressione ammirata, domandò confuso: "Ma tu, allora, quanti anni hai?"

"Duecentoquarantasei, perché?" replicò sorpreso Sthiggar, non comprendendo appieno la domanda.

Ragnhild schizzò in piedi come una molla, lo fissò piena di confusione ed esclamò: "Come, duecentoquarantasei?!"

Sthiggar reclinò il capo su un lato, perplesso, prima sgranare gli occhi di fronte all’ovvietà della loro domanda, ed esalare: "Oh, certo. Tu hai detto di avere dodici anni. Il tempo scorre diversamente, qui da voi."

"Oh, Dio!" esalò sconvolta la donna, mentre Mattias rideva a crepapelle di fronte alla reazione della sorella.

Passandosi le mani sul volto, Ragnhild tornò a scrutarlo, gli strizzò senza alcun ritegno una guancia, studiò le rade rughe attorno a occhi e bocca, tirò una ciocca dei capelli ramati di Sthigg dopodiché, perplessa, borbottò: "Non dimostri più di venticinque anni."

"Il nostro volto non cambia molto, nel corso dei secoli. La crescita fisica avviene intorno ai venti-trent’anni, dopodiché diveniamo sessualmente attivi attorno ai settanta, ottant'anni e raggiungiamo la maturità legale a centonovant’anni. Infine, diventiamo vecchi e canuti solo intorno agli otto-novemila anni" gli spiegò Sthiggar, scrollando le spalle. “Chi possiede auree particolarment potenti, può raggiungere i diecimila anni.”

Lei deglutì a fatica quella informazione, gli occhi sgranati quanto un pesce palla, e gracchiò: "Quindi sei come un venticinquenne, per l'appunto."

Accigliandosi, Sthiggar precisò: "Non so esattamente cosa voglia dire, per te, essere un venticinquenne. In generale, passiamo circa duecento anni presso la famiglia, così da poter studiare, divenire adulti e trovare il nostro posto nel mondo, dopodiché intraprendiamo la nostra carriera al di fuori del nucleo famigliare."

"E quanto dura, da voi, un anno?" domandò inquisitoria Ragnhild.

"Quattrocentodue giorni, suddivisi in ventidue ore. Abbiamo tre stagioni, una di riposo, una di fresco e una di caldo assoluto. Le chiamiamo Aptann1, Kala2 e Dagar3” le spiegò a macchinetta Sthiggar. "Ma non è tanto questo a contare, quanto piuttosto l'aura. E' lei a determinare l'età di un muspell. Più l'aura è potente, più si vivrà, e quella del nostro re è immane."

"Aura? Come una sorta di... energia interna?" domandò dubbiosa Ragnhild, tamburellandosi un dito sul mento.

Lui assentì e, tornando a guardarsi le mani, asserì: "La mia aura a riposo poteva essere percepita a decine di metri, ma ora..."

Storcendo la bocca, Ragnhild domandò: "Quindi, per combattere bene, servirebbe un luogo caldo?"

"Luogo che in questa landa ghiacciata non esiste" ironizzò caustico Sthiggar. "Comunque, grazie a Sól, anche il vostro astro diurno può essermi d'aiuto."

"Sól? Sei devoto alla dea del sole?" esalò sorpresa la donna, raddrizzandosi leggermente, a quell’appunto. Chissà perché, ma aveva pensato che fosse più devoto a Odino, essendo lui un guerriero, o a Thor.

"Sól è mia nonna" precisò lui, facendo sobbalzare entrambi.

"Che?!" sbottarono all'unisono i due giovani berserkir.

Sthigg sospirò esasperato, di fronte a quella reazione. Era davvero così strano accettare che Sól potesse essere la sua progenitrice? Di tutte le cose che aveva fin lì detto, proprio quella suonava assurda?

A ogni modo, e per la decimillesima volta nella sua vita, raccontò di come sua nonna Sól avesse deciso di scendere su Muspellheimr per accoppiarsi con un essere mortale, generare dei figli e, per questo, essere punita dagli dèi suoi fratelli.

Non che gli spiacesse parlare di sua nonna, ma aveva come la sensazione di farle un torto, parlando degli affari suoi con le altrui persone. Vero era anche che, quando eri una dea, la privacy andava a farsi benedire piuttosto presto.

***

Era rientrato ben oltre il tramonto, quella sera, perso com'era stato nel raccontare le storie di dèi ed eroi a Ragnhild e Mattias e, quando era rincasato, Flyka gli aveva chiesto un po' in ansia se fosse successo qualcosa di spiacevole.

Rincuorandola, le aveva mostrato i suoi acquisti per cambiare in fretta argomento e, dopo aver ricevuto il suo plauso, si era diretto verso la sua casetta per una doccia bollente e un cambio d'abito.

Flyka era inflessibile, su questo; non ci si avvicinava alla tavola se non si era più che puliti e in ordine. Lo aveva imparato immediatamente, quando l'aveva sentita sbraitare cose terribili in lingua knutyan all’indirizzo di Thrym, e solo perché si era presentato con una camicia sporca di grasso.

La lingua knutyan gli aveva sempre messo addosso una strizza del diavolo, perché sembrava davvero che le parole sgorgassero dal buco più nero di Helheimr. Non a caso, era la lingua preferita di Hel, da quel che si sapeva sulla dea dei morti.

Mentre l'acqua calda gli scivolava addosso, strappandolo ai brividi che lo avevano accompagnato fino a casa, Sthiggar ripensò all'assurda contesa in cui si era voluto infilare e, tra sé, ridacchiò.

Finché non avesse avuto notizie da Hildur, non avrebbe potuto fare niente per risolvere i suoi personali problemi, e il lavoro al cantiere avrebbe potuto diventare non sufficiente per tenere a freno il suo carattere esplosivo.

Se si fosse fatto amico qualche berserkir, forse avrebbe potuto divertirsi in modo costruttivo durante le ore libere, ammesso e non concesso che il Ludvig innamorato di Ragnhild non gli spaccasse la testa con un pugno. Allora, avrebbero risolto in un colpo solo qualsiasi problema legato a lui e a Muspellheimr.

La sola idea di perdere, però, lo fece ridere beffardo, riportandolo invariabilmente agli anni della sua scapestrata gioventù, in cui non cedeva il passo di fronte a nessuna sfida e il suo scopo ultimo era sempre e solo vincere.

"Se Hildur sapesse che ho scommesso su una cosa simile, mi taglierebbe la testa su un ceppo lei stessa" ghignò Sthiggar, chiudendo l'acqua per uscire dalla doccia, stillante d’acqua e nuovamente lindo e profumato.

Niente strigliate, per lui, almeno per quella sera.

Guardandosi dubbioso nell'alto specchio a muro che si trovava nel bagno - ora appannato a causa del vapore della doccia - Sthiggar si sfiorò una recente cicatrice sul fianco destro, ancora rosea e morbida al tatto.

Lo avevano ferito poco dopo la morte di Kyddhar, alcuni istanti prima che lui scatenasse la Fiamma Viva e si rendesse conto, per la prima volta, di poterlo fare.

In quel frangente, la sua pelle era divenuta sfolgorante, perdendo il suo solito colore bronzeo per divenire come il sole che splendeva su Midghardr.

Dalle sue mani era scaturita la fiamma che aveva messo in fuga i dokkalfar ma, senza l'aiuto di Yothan, forse avrebbe potuto divenire un pericolo anche per i suoi compagni e non solo per i loro nemici.

Non si dava il merito di avere avuto il pieno controllo su quel potere. Per nulla.

Ora, invece, la sua pelle appariva sì abbronzata, ma niente affatto lucida e salubre come su Muspellheimr. Certo, nessun pianeta avrebbe potuto togliergli il suo metro e novantotto di altezza, così come i suoi centoventi chili di muscoli, ma gli sembrava di aver lasciato sul pianeta natio la sua vera essenza.

Lo Sthiggar che lo stava guardando dallo specchio, non era il solito scavezzacollo con cui era abituato a confrontarsi. Allungata una mano per sfiorare la superficie liscia del vetro, il giovane mormorò tra sé: "Sarò davvero in grado di battermi, qui su Midghardr?"

 

 

1 Aptann: “sera”, in lingua norrena.

2 Kala: “gelare” in lingua norrena.

3 Dagar: “giorno” in lingua norrena.

 

 

 

N.d.A.: facciamo finalmente conoscenza di due berserkir, Mattias e Ragnhild (si legge con la “g” di gatto, e non come “gn” di gnomo) e scopriamo che quest’ultima ha per le mani una gatta da pelare non indifferente e che, forse, proprio Sthiggar può risolvere. E poteva, il nostro scapestrato eroe, rimanere indifferente di fronte alla possibilità di menare le mani, visto quanto si sente fuori posto e indispettito da tutta questa situazione?

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Cap. 8
 
 
 
"Allora, com'è andata in questi primi quattro giorni, con Gunther? Ho sentito che ieri, a un certo punto, si è messo a ridere. Insegna anche a me come fare" chiosò Thrym, sorseggiando del buon vino rosso, accompagnato da un ottimo stufato di carne di renna.

"Per la verità, mi stava prendendo per i fondelli, ritenendo che io fossi solo una mammoletta" replicò Sthiggar, prendendo a prestito le parole del muspell. "Così, ho dovuto dimostrargli che ci sapevo fare con lancia e scalpello."

"Ho visto. Quella chiglia era uno specchio, a fine giornata" assentì ammirato Thrym.

"Oh, lo sanno anche le mie mani" ammiccò Sthiggar, levando i palmi per mostrare i punti dove aveva sistemato prudenzialmente dei cerotti.

Flyka rise divertita al pari di Thrym, che dichiarò: "Ti è andata bene. Il primo giorno, io le ho fatte sanguinare, le mani."

Sthigg fece tanto d'occhi, replicando: "Ah... passo. Vorrei preservare le mani per altro."

Thrym colse il tono ironico di Sthiggar e, levando un sopracciglio con evidente curiosità, lo fissò ghignante e ribatté: "Oh oh... hai già adocchiato qualche pollastra?"

"Thrym..." lo richiamò subito Flyka, raggelandolo con un’occhiata.

"Gradevole ragazza, scusa" si affrettò a correggersi Thrym, sorridendo alla compagna con aria di scuse.

"Voi e il vostro cameratismo da uomini. Mi domando come chiamavi me, quando ancora c'erano Dolfarr e Riggher, nell'appartamento che ora usa Sthigg" sospirò esasperata Flyka, scuotendo il capo.

"Ho sempre e solo usato epiteti bellissimi, credimi" ci tenne a sottolineare Thrym,  facendo sorridere Sthiggar di fronte a quel goffo tentativo di salvare il salvabile.

Flyka, però, lo ignorò, rivolgendosi interamente a Sthiggar per poi dirgli con tono un tantino materno: "Ricordati, Sthigg. Le donne vanno rispettate anche quando non sono qui ad ascoltare, sennò non vale."

"Afferrato il concetto" assentì lui con un gran sorriso e tante buone intenzioni.

"Non riesco a capire se mi stai prendendo in giro, o se sei serio" brontolò a quel punto la donna, scrutandolo con i profondi occhi neri.

"Serissimo, lo giuro" disse ancora Sthiggar, cercando di non ridere.

"Lascialo in pace, Flyka. Sembri la Santa Inquisizione" brontolò per diretta conseguenza Thrym, dandole un buffetto sulla guancia.

"Neanche sa cos'è, probabilmente" sottolineò per contro Flyka, ma abbandonò comunque il confronto visivo con Sthiggar.

Il giovane muspell ne approfittò per darsela a gambe e, dopo aver ringraziato Flyka per la cena, se ne tornò nel suo appartamento, attraversando la passerella sopraelevata che lo divideva dall’appartamento della coppia.

Non appena si fu chiuso la porta alle spalle, lanciò un'occhiata verso il cielo sgombro di nubi e punteggiato di candide stelle e lì, solitaria e splendente come una perla, vide la luna.

Il potere di Mani proveniva da essa come una morbida coperta di velluto, stesa su di lui alla stregua di un mantello, la carezza affettuosa di un amico, o di un padre.

Non avendo alcun genere di parentela con Mani, però, non poteva goderne come avrebbe fatto con le emanazioni energetiche di Sól, ma Sthiggar ne apprezzò comunque la sensazione.

Era come poter sentire ancora il fruscio dei poteri di Muspellheimr, il suo respiro lieve dentro l’animo, il tocco caldo del suo Centro.

Quel genere di energia lo faceva sentire meno spaesato, meno solo su quel mondo alieno.

Dopo un ultimo saluto al satellite perlaceo, e a Mani che lo controllava, Sthiggar se ne tornò nelle proprie stanze e si domandò per l'ennesima volta se mai avrebbe incontrato la potente ava.

Era cresciuto con la storia di sua nonna che, pur di stare con il compagno, aveva sacrificato ogni cosa e si era rinchiusa per sempre in una dimensione onirica dove era divenuta un’entità celestiale distaccata dal mondo mortale.

Grazie al culto di Sól che, ancora, sopravviveva su Muspellheimr, era sfuggita all’annientamento nella sua identità di dea come invece, altri dèi, non avevano potuto. A causa della sua decisione di rinunciare alla purezza per amare un mortale, si era però condannata all'esilio perituro.

Dopo la nascita dei suoi figli, era stata infatti imprigionata per dare la salvezza alla sua progenie e, da quel momento, non le era più stato permesso di vedere il compagno o coloro che avevano formato la sua stirpe.

Sthiggar sapeva che lei era cosciente della loro presenza sui mondi - ne sentiva gli effluvi ogni volta che la evocava - però, una volta tanto, avrebbe voluto udire la sua voce, percepire il suo tocco, accarezzare le sue chiome ramate.

Da quando la madre era venuta a mancare, aveva sentito il bisogno di avere accanto a sé una figura femminile e, forse, combinare così tanti pasticci gli era servito per attirare anche la sua, di attenzione, pur se nel modo sbagliato.

"Buonanotte, nonna" mormorò nell'ombra il giovane, sdraiandosi sul suo letto troppo morbido, in quel mondo così estraneo.
 
***

Di tutte le cose che si era immaginato, dopo essere uscito dal suo turno di lavoro, quella di un minivan pieno stivato di armadi a muro non l'aveva di sicuro messa in conto.

Non di meno, Ragnhild si era presentata assieme a Mattias alla guida di un furgoncino color fumo proprio dinanzi al parco dove si erano incontrati la prima volta. Sthigg aveva preferito che lei non si presentasse al porto, così da non incuriosire Thrym.

Dopo esserne scesa con aria imbarazzata, la giovane si era quindi scusata per la compagnia aggiuntiva e l'aveva pregato di salire.

A Sthiggar non era rimasto altro che stringersi il più possibile per incastrarsi in mezzo a quelli che, ben presto, aveva scoperto essere i cugini di Ragnhild.

Ora, tutto preso dall'ascoltare le chiacchiere dei tre berserkir tatuati e sovraeccitati, quasi non si accorse del sopraggiungere di una foresta di betulle dagli alti fusti e dall’aria centenaria.

Quando, però, la luce del sole venne schermata dalle ramificazioni sempre più fitte delle piante, Sthiggar interruppe il suo dire per guardarsi intorno ed esalare: "Wow! Sembrano davvero molto delicate."

"Avete foreste, su Muspellheimr?" domandò Boris, il più grande dei cugini di Ragnhild e Mattias.

"Soprattutto piante pirofite, ma sono molto più robuste di queste. Hanno tronchi rugosi e scuri, una chioma a ombrello e radici profonde" spiegò Sthiggar, scendendo dal minivan quando Ragnhild lo bloccò in una piccola radura sterrata. "Questo bosco sembra adatto ai racconti delle fate che ho letto su internet. Dà davvero l'idea di poter essere abitato da folletti e gnomi."

"Ti sei dato alle letture curiose, straniero" ironizzò Adam, il cugino mediano, dandogli una pacca sulla spalla.

"Ammetto di essere molto curioso riguardo al vostro mondo e, visto che non so quando si risolverà il mio problema in patria, tanto vale capire come vivere qui senza commettere errori clamorosi" ammiccò Sthiggar, poggiando le mani sui fianchi per poi guardarsi intorno.

Nel bosco si potevano intravedere ancora alcune macchie biancastre di neve che si intervallavano a un sottobosco brullo e spoglio, non ancora sfiorato dal calore della primavera. Al pari del sottobosco, anche le chiome degli alberi apparivano disadorne e spettrali, ma la magia di quei luoghi perdurava, gratificata dal vento placido che soffiava leggero e dal canto degli uccelli che echeggiavano tutt’attorno.

Sthiggar trovò quei luoghi insolitamente affascinanti e, per una volta, l'aria fredda non gli diede noia. Che fosse per la compagnia inaspettatamente gradevole?

Non avrebbe saputo dirlo con certezza ma, segretamente, apprezzò la sensazione di tranquillità che foresta e persone gli lasciarono dentro.

"Andiamo. La radura del combattimento si trova più avanti" lo incitò Ragnhild, mentre Mattias scalpitava per correre lungo il sentiero e precederli.

La sorella però non glielo permise, raggelandolo con lo sguardo ma Wulff, il cugino più giovane, la irrise per tutta risposta e celiò: "Lo accompagno io, chioccia che non sei altro. Andiamo, Matt."

Ciò detto, prese per mano il ragazzino e si allontanò di buon passo assieme a lui, lasciando Ragnhild con il muso lungo e l'aria di una persona pronta a vendicarsi quanto prima.

Sinceramente confuso, Sthiggar lanciò un'occhiata a Boris in cerca di spiegazioni e lui, con una scrollata di spalle, si limitò a dire: "Ragnhild gli fa da mamma fin da quando mia zia Ingrid ha avuto un ictus ed è finita su una sedia a rotelle. Purtroppo non parla, né si muove agevolmente. Così, Raggie si è presa carico della famiglia."

Lei lo frizzò con occhi glaciali ma Boris non vi fece alcun caso e, indicandola con aria saputa, proseguì dicendo: "Nessuno oserebbe contraddirla, quando fa questa faccia. Solo sua madre riesce a metterla in riga, a ben vedere."

Sthiggar si lasciò andare a un sorrisino e disse: "Conosco qualcuno che potrebbe rivaleggiare coi suoi sguardi. Mia cugina me li lancia da anni."

Ragnhild lo squadrò con aria raggelante prima di dire: "Beh, visto che sei abituato, non avrai problemi a stare a cuccia al momento giusto, soprattutto se vuoi che io ti faccia da insegnante."

Non fu una semplice affermazione, quanto una vera e propria minaccia, così Sthigg assentì con un gran sorriso e preferì lasciar perdere, cambiando radicalmente argomento.

"Mi sono beccato cinquant'anni di punizione, per la mia ultima scorreria. Forse, se avessi avuto qualcuno a dirmi cosa dovevo fare, non mi sarei cacciato nei guai. Ma non è detto, perché mia cugina Hildur ha trascorso anni e anni a urlarmi contro le peggiori minacce. Grazie a quella leva obbligatoria, comunque, ho capito cosa voler fare di me stesso, perciò mi viene da dire che non tutti i mali siano venuti per nuocere. Ora, però, vorrei capire chi mi ha cacciato in questo, di guaio."

I due cugini indicarono Ragnhild, che sibilò loro contro per tutta risposta, ma Sthiggar rise e replicò: "No! Intendevo dire, chi mi ha voluto qui su Midghardr a tutti i costi!"

"Magari, qualcuno che ti teme" ipotizzò Adam. "Di solito, non si toglie il pedone più forte dalla scacchiera, così attaccare è più semplice?"

"La tua ipotesi è valida, ma questo sottintenderebbe che qualcuno conosce ciò che sono in grado di fare, e non è esattamente una cosa sulla bocca di tutti" ammise Sthiggar, incuriosendoli.

"E sarebbe?" domandò per tutti Ragnhild.

"La Fiamma Viva. Posso creare le fiamme dal nulla" si limitò a dire Sthiggar, sorprendendoli non poco.

"Sei come la Torcia Umana dei Fantastici 4?" domandò con una certa ironia Boris.

Sthigg si limitò a fissarlo con espressione basita e Ragnhild, esasperata, borbottò: "Non ascoltarlo. E' un malato di fumetti e, guarda caso, esiste un personaggio che si può incendiare come una torcia. E vola."

"Beh, quanto alla torcia, posso farlo, ma non so volare. Mi sembra davvero troppo" scrollò le spalle Sthiggar, guadagnandosi le occhiate perplesse dei suoi tre accompagnatori. "Che ho detto?"

"Che sai accenderti come una torcia. Ti pare poco?" gracchiò Boris.

"Qui, in ogni caso, non potrei combinare granché. C'è troppo freddo, e la mia aura non si accende per nulla" sospirò avvilito Sthigg.

"Oh, poverino... non gli si accende lo stoppino!" ironizzò a quel punto Adam, dandogli una pacca sulla spalla.

Ragnhild fece tanto d'occhi di fronte a quel doppio senso piuttosto volgare e, fissando basita il cugino, esclamò: "Adam! Neppure sa quel che hai detto! Non è giusto!"

Adam scoppiò in una grassa risata e, mentre dava pacche consolatore sulle spalle di Sthiggar, quest'ultimo fece due più due e borbottò un mezzo insulto prima di dire: "Dovrei farti conoscere mia cugina Hildur. Con lei non faresti tanto il furbo."

"Oh oh... e come mai?" rise ancora Adam.

"E' una Fiamma Nera" gli spiegò Sthiggar. "Il Corpo delle Fiamme Nere è l'ultima linea di difesa del re e presiede tutti i templi della Capitale, dove soggiornano le Vergini Sacre di..."

Interrompendosi a metà della frase, Sthiggar si guardò le mani, imprecò e disse sconcertato: "Ecco cosa non mi quadrava!"

I suoi accompagnatori lo guardarono dubbiosi e lui, senza perdere tempo, spiegò loro i motivi ufficiali che lo avevano portato alla condanna all'esilio. Raccontò della strana notte passata al bar, del successivo vuoto di memoria e, alla fine del racconto, aggiunse: "Quel che non riuscivo a capire era perché vi fossero proprio due soldati semplici del corpo delle Fiamme Argento, nel salone della nave. Quei luoghi sono presidiati solo dalle Fiamme Dorate."

"Qualcuno ha inscenato il tutto, ma senza sapere di questo particolare, forse" ipotizzò Boris, accigliandosi.

"Già. Sul momento, non ci ho fatto caso e, a quanto pare, neppure il re. Trovare due cadaveri e una reliquia fuori posto può far perdere la brocca a chiunque. Spero soltanto che mia cugina se ne sia resa conto" sospirò Sthiggar prima di aggiungere: "Ora come ora, in ogni caso, ho altro di cui preoccuparmi."

Ragnhild ne seguì lo sguardo e, quando comprese cosa il muspell avesse visto, si grattò una guancia con aria imbarazzata e domandò: "Non ti avevo accennato al fatto che era un tantino robusto?"

"No" si limitò a dire Sthigg, storcendo il naso. "Non così tanto, per lo meno."

Ludvig era, a tutti gli effetti, un esemplare di berserkr degno di tale nome e superava i due metri di altezza, oltre ai centocinquanta chili di muscoli.

Assieme a lui, altri due uomini e una donna - oltre a Mattias e Wulff - attendevano il loro arrivo e, quando li videro oltrepassare i confini della radura, la femmina esordì dicendo: "Ben trovato, sfidante di un altro mondo. Ti siamo grati per aver dato appoggio alle richieste della nostra consorella. Ti è stato spiegato come avverrà il combattimento?"

Annuendo, Sthiggar lanciò un'altra fuggevole occhiata al possente Ludvig prima di dire: "Sì. Mi è stato detto che sarà una lotta a mani nude, senza l'utilizzo di mutazioni di forma e che terminerà con la resa, o con il primo sangue."

La femmina assentì seriosa e aggiunse: "Ciò è corretto. Il tuo gesto ha impedito al nostro clan degli inutili imbarazzi, perciò di questo ti siamo grati. Spero, però, che una tua eventuale sconfitta non ci metta nella condizione di aprire una faida con il tuo popolo."

Sthiggar ghignò per tutta risposta e replicò: "Affatto. Anzi, credo che il mio re potrebbe trovare divertente che qualcuno riesca a darmi qualche botta in testa. Sogna da decenni di poterlo fare lui stesso."

Questo commento strappò un sorriso ai presenti e portò Ludvig a dire: "Sarò lieto di accontentarlo, straniero."

"Preferirei di no" asserì per contro Sthiggar, lanciando uno sguardo alle mani enormi di Ludvig. Se quelle mani chiuse a pugno lo avessero raggiunto, avrebbero tranquillamente potuto ridurlo in pezzi.

I due uomini che accompagnavano Ludvig - rimasti in silenzio fino a quel momento - presero la parola e, in coro, dichiararono con voci baritonali: "Si dia inizio alla disfida. Sia accettato il verdetto, senza pretesa di vendetta o di secondo duello. La legge dell'Occhio Solo sia rispettata."

"Odino?" borbottò Sthiggar, vedendo Ragnhild annuire.

"Wothan, sì. E' il nostro dio supremo" gli spiegò in fretta la donna.

Assentendo meccanicamente, Sthiggar si piazzò nel centro della radura per attendere l'arrivo del suo nemico che, però, lo colse del tutto di sorpresa strappandosi di dosso la maglia per rimanere a torso nudo. Torso su cui, tra le altre cose, Sthiggar poté notare una ramificata e complessa serie di tatuaggi rossi e neri, apparentemente riguardanti le guerre dei berserkir.

La sorpresa, però, durò solo un attimo, sostituita dalla fredda concentrazione che aveva imparato a trovare in battaglia e, quando si vide caricare a testa bassa dal nemico, comprese subito come contrattaccare.

Di fronte a una simile potenza del tutto deprivata di un minimo di controllo, era facile avere il sopravvento, anche con una disparità fisica come c'era tra loro.

Balzando via senza alcuna difficoltà, Sthiggar lo vide però muoversi con estrema velocità per tornare all'attacco, dimostrando quindi non solo immane forza, ma anche agilità.

Non lasciandosi però scoraggiare, si scostò nuovamente quando Ludvig tentò di afferrarlo con una mano. Poggiato di traverso il piede a terra per farlo inciampare, lo vide cadere lungo riverso sull'erba riarsa dall'inverno, mandandolo a mangiare polvere e foglie secche.

Mattias lanciò un grido di esultanza, ma Sthiggar non vi badò.

Sapeva bene che Ludvig era ben lungi dall'essere stato sconfitto. Non a caso, un istante dopo, lo rivide in piedi, più furente che mai e pronto a staccargli a testa a morsi, se necessario.

Indietreggiando di un paio di passi, Sthiggar si piegò sulle ginocchia per affrontare la carica dell'avversario e, quando se lo vide abbattere contro, strinse i denti e imprecò tra sé nell'avvertire tutto il peso dell'uomo contro la spalla.

A ogni buon conto, si contrappose a lui con tutte le sue forze, pur affondando di molto i piedi nel terreno smosso. Fu a quel punto che allentò la presa di colpo, si piegò all'indietro e, lasciando che l'energia di Ludvig tornasse ad avanzare, usò lo stesso peso dell'uomo per scagliarlo oltre le sue spalle.

Nuovamente, il berserk cadde a terra, stavolta in una posizione tale da impedirgli un movimento subitaneo di risposta così Sthiggar, approfittando della sua condizione di svantaggio, afferrò un piccolo sasso, lo graffiò a un braccio e disse lesto: "Primo sangue."

Una piccola goccia di linfa vitale macchiò le carni di Ludvig e il sasso usato come arma, ma ciò non bastò a fermarlo. Rialzatosi con un diavolo per capello, il berserkr falciò l'aria per negare l'evidenza e, sorprendendo tutti, lanciò un grido tonante che, ben presto, si trasformò in ruggito terrificante.

Isolde, la donna che aveva aperto la disfida, urlò a Ludvig di interrompere la trasformazione, ma la berserksgangr1 procedette senza poter essere interrotta. Ossa e muscoli mutarono, pelo fulvo e ruvido prese il posto della pelle tatuata e così, di fronte agli occhi sconvolti di tutti, il berserkr prese forma in tutto il suo terrificante splendore.

Un orso di più di tre metri si parò quindi dinanzi a uno sgomento Sthiggar che, allontanandosi in tutta fretta dal suo avversario, esclamò: "Sbaglio o questo è molto negativo?!"

"Decisamente, visto che la furia di un berserkr si ferma solo a missione ultimata" ansimò turbata Ragnhild, guardando i suoi cugini con espressione ansiosa.
Boris assentì al suo indirizzo, andando a posizionarsi alle spalle di Sthiggar al pari dei suoi fratelli, pronti a contenere l’onda distruttiva di Ludvig nel caso in cui avesse attaccato nelle forme di uomo-orso.

Isolde, nel frattempo, tentò nuovamente di bloccare Ludvig ma il berserkr, ormai lanciato in caccia, scaraventò via la donna e i suoi due lacchè dopodiché guardò furente Sthiggar e si preparò ad attaccare.

Mattias, però, attirò l’attenzione di tutti urlando all'indirizzo di Sthigg: "Ehi! Prendi questi! Servono per fare il fuoco!"

Sthiggar fu lesto a prendere al volo ciò che il ragazzino gli lanciò e, nel vedere tra le sue mani un accendino e una piccola bottiglietta di alcool etilico, ghignò e disse: "Vediamo un po' che succede."

Senza pensarci troppo, e sotto gli occhi sconcertati dei presenti, si ricoprì di liquido infiammabile e si diede fuoco con l'accendino, attendendo trepidante che le fiamme lo inglobassero.

Il fuoco si elevò libero e feroce sulla pelle ambrata di Sthiggar che, finalmente avvolto dal suo elemento naturale, sollevò le mani con espressione soddisfatta e disse: "E ora, a noi due."

Mentre gli abiti di Sthigg andavano a fuoco, la sua aura si risvegliò come da un lungo letargo, irradiandosi sotto la sua pelle e facendo sfrigolare la sua chioma ramata. Le fiamme presero a danzare sulle sue dita così come attorno al suo corpo e, quando il berserkr si abbatté contro di lui, Sthiggar non ne venne minimamente assoggettato.

Lo scansò con relativa facilità, sospingendolo all’indietro per diversi metri dopodiché, non contento, avanzò verso di lui per marchiarlo su una spalla, asserendo atono: "Non si colpisce mai una signora, ragazzone."

Il berserkr urlò per il dolore, quando il fuoco gli marchiò le carni e bruciò il pelo fulvo, e questo bastò a far rinsavire Ludvig che, tornato poco a poco uomo, levò le mani per proteggersi da Sthiggar ed esalò: "Scusa... scusa! Non avrei dovuto!"

"Vorrei ben vedere" chiosò Sthiggar, lasciando che la fiamma si estinguesse attorno a lui.

Poco per volta, l'aura tornò a chetarsi fino a scomparire e il consueto calore interno del suo potere, deprivato del fuoco di cui si era cibato, si chetò del tutto, tornando a riposare nel suo animo.

Rilassando le membra non appena si resero conto che Ludvig non era più un pericolo, i berserkir osservarono sconcertati il muspell che si era esibito in quell’incredibile combattimento. Notando, però, come il fuoco avesse conciato i suoi abiti, si lasciarono andare a una risata collettiva e Boris, gettandogli addosso la sua maglietta, esclamò: "Ehi, torcia umana! Copriti le pudenda!"

Sthiggar si guardò quindi con aria confusa ma, non appena si rese conto di ciò che il fuoco aveva combinato, si coprì prudentemente le parti intime con l’indumento di Boris ed esalò: "Ehm... scusate. I miei vestiti, solitamente, sono ignifughi."

"Chissà perché ma lo avevamo immaginato" rise sguaiato Adam, togliendosi a sua volta la maglia per poi ricavarne una sorta di pareo, da poter legare attorno ai fianchi del muspell.

Ragnhild, che aveva smesso di guardare il muspell fin da quando gli abiti di Sthiggar avevano iniziato a prendere fuoco, chiosò con ironia: "Alla faccia del temperamento focoso! Non c'è che dire... ti scaldi per un nonnulla."

"Già" ammiccò il giovane muspell, mentre sistemava alla bell'è meglio ciò che gli era stato dato per coprirsi.

Ludvig, ancora a terra e dolorante, si tastò il punto in cui Sthiggar lo aveva marchiato a fuoco e borbottò: "E chi pensava che poteste prendere davvero fuoco?"

"Quello che hai visto non era niente" si limitò a dire Sthigg prima di ringraziare Mattias. "Grazie per il tuo passaggio, amico. Come ti è venuto in mente di portarti dietro accendino e alcool?"

"Sai com'è... i berserkir sono facili all'ira e, se fosse successo qualcosa, l'unico modo che avevi per difenderti era il fuoco, no? Ho dedotto che ti sarebbe stato utile" scrollò le spalle Mattias, ricevendo per ringraziamento una pacca sulla testa.

"Hai pensato bene. Anche se ora dovrò fare di nuovo shopping" ammiccò Sthiggar, ammirando divertito il mezzo disastro che aveva combinato.

Isolde e i suoi guardiani, in quel mentre, si avvicinarono al muspell e la donna, con un cenno del capo, disse: "Grazie per aver pensato anche alla nostra incolumità. Purtroppo è successa una cosa che non avrebbe dovuto avvenire, e il membro del clan che si è macchiato di un tale disonore sarà adeguatamente punito per non aver seguito le regole."

"A me basta non aver ricevuto un colpo in testa" replicò con un sorriso Sthiggar. "Ma un paio di pantaloni mi servirebbero davvero. Non posso rientrare così conciato."

Isolde allora assentì con un sorriso, sinceramente più rilassata rispetto a qualche minuto addietro, e disse: "In auto abbiamo sempre degli abiti di ricambio. Dovremmo avere qualcosa della tua misura."

Sthiggar si limitò ad assentire e, mentre Isolde e i suoi sottoposti si allontanavano assieme a un contrito Ludvig - che aveva lanciato un ultimo sguardo dolente a Ragnhild prima di seguirli - Adam domandò: "Che intendevi dire con 'non era niente'. A me è parsa una cosa grandiosa!"

Il giovane muspell si grattò pensieroso una guancia e replicò: "Beh, innanzitutto, su Muspellheimr non mi sarebbe servito un accelerante, per prendere fuoco e attizzare la mia aura. Secondariamente, sarei diventato davvero un Gigante di Fuoco. I più potenti guerrieri di Muspell, coloro i quali beneficiano delle auree più pure, possono divenire alti anche dieci metri."

I tre cugini fischiarono di ammirazione e sorpresa ma Ragnhild, turbata, gli domandò: "Divenire così grande non ti procura dei problemi?"

"Credo che sia naturale come, per i vostri uomini, lo è diventare orsi" replicò il giovane, indicando Ludvig, ormai lontano. "Personalmente, non ho mai tentato di diventare un Gigante di Fuoco e, quando ho usato la Fiamma Viva, non ho avuto molto tempo per badare a quel che succedeva al mio corpo, perché ho dovuto pensare a salvare la mia vita e quella dei miei commilitoni."

"Ci sono guerre, su Muspellheimr?" domandò allora Wulff.

"Non proprio. Quella a cui ho partecipato io è stata più che altro una scaramuccia coi Nani Oscuri, ma il loro arsenale ci ha colto del tutto di sorpresa" spiegò loro Sthigg prima di sospirare e ammettere: "Sono stato costretto a stringere tra le braccia un mio amico morente, a causa delle loro armi illegali."

Quelle parole misero fine alle domande e Sthiggar, nel lanciare uno sguardo verso il cielo - a malapena visibile tra le ramificazioni fitte e scure delle chiome delle betulle - scrutò pensieroso l'astro che era Sol e si chiese cosa stesse succedendo sul suo mondo.

Non ricevere notizie era snervante e, più ancora, lo era attendere che gli eventi compissero il loro corso senza che lui potesse mettere voce in capitolo.






1 berserksgangr: stato di furia del berserkr. Quando l'animale prende il sopravvento sull'uomo e avviene la mutazione in orso... e il berserkr perde la brocca. ;-)


N.d.A.: abbiamo avuto un assaggino (perché sappiamo che Sthigg può fare molto di più) di ciò che un Gigante di Fuoco può fare con la propria fiamma, e questo ha scosso non poco i berserkir, che mai si sarebbero immaginati una cosa simile. Ora che Sthiggar ha permesso a Ragnhild di salvarsi da Ludvig, però, come verrà visto dal resto del branco? Ci saranno ripercussioni?
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

 

Cap. 9

 

 

Com'era possibile che ogni muscolo del corpo gli dolesse, e così pure gli occhi?

Sulle prime, diede la colpa al combattimento intercorso con Ludvig, che aveva risvegliato i suoi istinti di guerriero ma, dopo alcuni minuti di incessanti dolori seguiti al suo risvegli, si  lagnò per mille altri motivi, e tutti non inerenti alla lotta.

Cosa stava succedendo?

Scendere da letto si rivelò quasi un'impresa, a quel punto e, quando Sthiggar si presentò alla tavola di Flyka e Thrym, quest'ultimo sorrise sornione e disse: "Qualcuno ha esagerato col lavoro e con internet. O sbaglio?"

"Perché dici questo?" brontolò Sthiggar, strofinandosi gli occhi pesti e arrossati.

Flyka sorrise indulgente nel passargli un caffè nero e fumante, che Sthigg ingollò quasi per intero prima di lasciarsi cadere su una sedia e aggiungere: "Diamine! Vengo da una cinquantina d'anni sotto il comando di uno dei generali più spietati che esistano, eppure mi sento uno straccio."

"Sthiggar, non siamo più su Muspellheimr, mettitelo in testa. Qui, ogni cosa per noi è più difficoltosa perché non abbiamo l'aura a sostenerci. E' come se il pianeta stesso ci prosciugasse, perciò devi prendere le cose con calma, prima di abituarti, o ti ridurrai all'ombra di te stesso in men che non si dica" lo redarguì bonariamente Flyka. "Chiedilo a Thrym, se scherzo."

Sthiggar, allora, fissò dubbioso l'imponente muspell che, però, assentì e disse: "Volli strafare, il primo mese in cui mi trovai qui, giusto per far vedere a Gunther che non ero una schiappa, così finii con l'ammalarmi. Credimi, le medicine umane sono uno spettacolo, quanto a velocità di guarigione, ma è meglio evitarle se non vuoi avere effetti collaterali davvero spiacevoli."

Sospirando, il giovane assentì suo malgrado dopodiché, nell'accettare con un 'grazie' il piatto di uova e pancetta che gli offrì Flyka, domandò: "Quanto a internet, cosa c'entra con la mia stanchezza?"

"I nostri occhi non sono abituati agli schermi di un computer e, anche se ammetto che stare lì davanti a leggere è molto più semplice che girovagare per Luleå a guardare come si comporta la gente, devi darti una regolata, o finirai con il rovinarti la vista e ridurti ad aver bisogno degli occhiali" lo redarguì Flyka. 

Ciò detto, si portò dietro di lui e, dopo aver sfiorato il collo e le spalle di Sthiggar con precisi passaggi delle dita, aggiunse in un mormorio: “Senti come sono tesi i muscoli, in quesi punti? E’ la posizione che tieni dinanzi al computer. Finirai con lo strapparti un muscolo, di questo passo, e non è piacevole. Anche se ti sembra sciocco, devi fare esercizio fisico per sciogliere la muscolatura, prima e dopo il lavoro.”

Lui assentì grato, trovando quelle attenzioni gratuite molto piacevoli e sì, rassicuranti.

Sthiggar dubitava fortemente che Flyka si stesse comportando a quel modo per corromperlo o circuirlo; pareva semplicemente una donna buona, alle prese con un ragazzino da accudire.

Dopotutto, forse, era vero che entrambi i suoi compagni di sventura si erano ritrovati a rubare per poter salvare loro stessi e le proprie famiglie dalla morte per fame. Li conosceva da poco, eppure non gli erano parse persone arriviste o mosse da fini reconditi.

Forse, la vita era stata dura, con loro, mettendoli alla prova e facendoli fallire, ma ora stavano facendo ciò che era stato loro detto per potersi redimere.

"Questo mondo è davvero più complesso di quanto non avessi immaginato" sospirò infine Sthiggar, mangiando ciò che Flyka gli aveva preparato. "Da domani, inizierò a prepararmi i pasti da solo. Non voglio gravare sulla vostra vita di coppia e, visto che ne sono in grado, ci penserò io."

"Come preferisci. Per me non è un problema cucinare per due o per tre" scrollò le spalle Flyka, pur sorridendogli.

"Tu non cucini?" domandò curioso Sthigg, scurtando il volto contrito di Thrym.

A sorpresa, il possente muspell arrossì e ammise: "Non mi metteresti mai volontariamente a cucinare qualcosa. Credimi."

Ad avvalorare le sue parole pensò Flyka, che tremò al solo pensiero.

Sorridendo a mezzo, Sthiggar allora disse: "Vorrà dire che una di queste sere, se troverò il necessario per farlo, vi preparerò il mio stufato di carne. Quello, riesco a farlo bene."

"D'accordo. Ci conto. Ma ora, filate a lavorare prima che Gunther arrivi qui con i taser. Gli orari sono inflessibili, per noi carcerati" sorrise furba Flyka, andandosene in camera per cambiarsi.

"Anche lei è controllata come noi?" domandò Sthiggar, curioso.

"Non siamo proprio controllati. Essendo un carcere rieducativo, abbiamo un'ampia possibilità di movimento, ma ricorda; la notte dobbiamo per forza dormire in casa, altrimenti saranno guai. Per il resto, puoi fare gite fuori porta, se vuoi, e conoscere gente, ma niente pernottamenti lontano da qua. Gunther lo saprebbe subito, e allora sarebbero dolori" gli spiegò Thrym, levandosi in piedi per poi prendere le chiavi dell'auto. "Se ti andrà, ti darò una mano a prendere la patente. Per quel che ne so, la tua pena è bella lunga e avrai tutto il tempo di capire quanto sia utile averla."

Sthiggar annuì, pur sperando davvero di non averne affatto bisogno. Se Hildur avesse scoperto i piani che si celavano dietro al complotto che lo avevano fatto finire lì, sarebbe tornato a Muspellheimr molto prima di capire come diavolo potesse funzionare un'auto.

Nel frattempo, in ogni caso, si sarebbe tenuto occupato, così che la sua mente non perdesse lucidità a causa dello strano effetto che il pianeta aveva su di loro.

Salito che fu in auto, quindi, osservò con occhi attenti ciò che lo circondava, notando subito l'estrema pulizia dei luoghi, i colori accesi delle case e l'aspetto apparentemente cortese e gentile delle persone.

Tolti Mattias, Ragnhild e i loro cugini, non aveva avuto altre occasioni per parlare con qualcuno del posto. Inoltre, aveva idea che i berserkir fossero un tantino diversi dalle persone che abitavano quei luoghi.

Non sapeva bene come spiegarselo, ma era quasi certo che far parte di una razza senziente e segreta, comportasse comportamenti e atteggiamenti di un certo tipo.

Su Muspellheimr, razze diverse coabitavano sul pianeta in maniera più o meno pacifica - se si toglieva l'attacco dei dokkalfar di un anno addietro - mentre, da quel poco che aveva capito, su Midghardr l'unica razza senziente riconosciuta era quella umana.

Di berserkir, mannari, fomoire e quant'altro, gli umani non erano a conoscenza, e li consideravano soltanto dei miti ancestrali senza alcuna base reale alle spalle.

Doveva essere strano, per non dire snervante, vivere in un mondo in cui non veniva riconosciuta l’esistenza della razza a cui si apparteneva.

Quando Thrym fermò l'auto nel parcheggio, lui gli diede un colpetto contro la spalla con un pugno e disse: "Ragazzo, fai lavorare meno il cervello, o ti colerà. Devi prendere ciò che succede con la giusta calma, o impazzirai. Un passo alla volta, davvero."

Sthiggar accennò un sorriso di scuse, mormorando: "Sono stato un pessimo compagno di viaggio, perdonami. Ma questa situazione mi sta portando a riconsiderare un sacco di cose, e mi è quasi impossibile non pensarci."

"Beh, io ti do solo un consiglio, poi vedi tu se seguirlo o meno. Fai domande a Gunther, così si sentirà importante e farà meno lo stronzo. Dopotutto, lui vive qui da vent'anni e conosce questo posto come le sue tasche" buttò lì Thrym, uscendo dall'auto al pari di Sthiggar.

Nell'avviarsi verso il molo, il giovane muspell decise che avrebbe fatto così. In parte, per fare quanto consigliato da Thrym, e in parte per chiedere ulteriori informazioni sui suoi compagni di prigionia.

Più cose sapeva, minore sarebbe stato il pericolo di trovarsi nei guai.

***

Intento a spazzolare il pavimento in legno di tek di una tre alberi, Sthiggar si passò una mano sul viso per asciugare il sudore formatosi durante quelle ore di duro lavoro e, tra sé, imprecò.

La mancanza dell'aura si faceva sentire più di quanto non avesse immaginato e, anche se lavorare lo teneva al caldo come gli abiti, invece, non riuscivano a fare, la stanchezza che ne conseguiva gli rubava tutta l'energia, riducendolo uno straccio.

"Devi andare con calma e prenderti delle pause, ragazzo" disse dietro di lui Gunther. "Qui non siamo su Muspellheimr e il tuo corpo, i tuoi polmoni, il tuo cuore, ogni cosa di te deve abituarsi a un mondo in cui non puoi fare affidamento sulla fiamma interna."

Bloccandosi e mettendosi carponi, Sthiggar gettò la spazzola nel secchio ricolmo di materiale detergente e, con un placido sospiro, disse: "Me ne sto rendendo conto mio malgrado. Anche Thrym me lo ha consigliato, comunque."

"Perché quel ragazzo ci è già passato. Ho dovuto curarlo di persona, quando gli venne la febbre per lo stress fisico, visto che non avremmo saputo come spiegare una temperatura corporea di cinquantotto gradi a un medico terrestre" ironizzò Gunther, facendolo sorridere. "Così, ho preso tutto ciò che era possibile acquistare per fargli passare quel febbrone da cavallo, dopodiché l'ho strigliato per bene e l'ho minacciato di piantonarlo a casa coi ceppi, se non si dava una calmata."

"Immagino che Flyka sia più facile da gestire." 

"Non del tutto. Essere una donna non la rende esente dall'essere testarda come un mulo e, sulle prime, insegnarle a non prendere a coltellate gli uomini che facevano apprezzamenti sulla sua bellezza, è stata dura. Ora, sa che non deve ucciderli, per tenerli alla larga" sospirò Gunther, scuotendo esasperato il capo.

Sthiggar rise nervosamente, esalando: "Beh, Flyka merita sicuramente dei complimenti, ma mi asterrò dal farglieli. Non si sa mai."

"E' diventata brava, non temere. E poi, adesso sta con Thrym, e la gente del paese li vede insieme abbastanza spesso da aver capito che sono una coppia. Non ci sono più problemi di quel genere" gli spiegò Gunther, allungandogli una bottiglia d'acqua per dissetarsi.

"E gli altri?" si informò Sthiggar. “Immagino che vi siano altre carceri di questo tipo, in giro per la Svezia.”

Sbuffando, Gunther asserì: "Diverse, e non tutte con carcerati bravi come voi. C'è stato un tentativo di fuga su al nord, un paio di mesi addietro, nella zona di detenzione di Gällivare, ma è stato arginata per tempo e il fuggitivo è stato ricondotto su Muspellheimr per essere sistemato in una prigione vera."

Sthiggar assentì meditabondo, sorseggiando con calma l'acqua. "Di Thrym e Flyka puoi dirmi altro?"

"Niente di trascendentale. Stando ai rapporti che ho ricevuto al loro arrivo, non sono considerati personaggi ad alto rischio, non a caso li hanno mandati qui perché venissero rieducati. Si sono trovati in una condizione di disagio estremo e hanno trovato il modo sbagliato per risolvere le cose. Tutto qui. Però, vorrei comunque che non dessi troppa confidenza a Thrym. Tende a essere un attaccabrighe e, non di rado, è finito in risse da bar. Una coltellata potrebbe ucciderti, qui, e preferirei renderti al re tutto intero."

"Starò attento a dove vado a bere" gli promise Sthiggar, guardando in alto nel cielo, dove il disco solare splendeva solitario, senza una sola nube ad accompagnarlo.

"Tua nonna ti parla?" domandò Gunther.

"No. Non può. Ma mi piacerebbe, ogni tanto, sentire la sua voce" sospirò lui, tornando a guardare il suo datore di lavoro per chiedere. "Com'è stare qui? Come ti sei abituato alla mancanza dell'aura e a tutto il resto?"

"E' semplice. L'ho fatta bloccare per sempre, così che il mio corpo potesse diventare umano e non fosse più muspell" dichiarò lui, sorprendendolo non poco.

"L'hai... bloccata?" esalò Sthiggar, rialzandosi di colpo, troppo sconcertato per poter accettare una simile risposta.

Annuendo, Gunther lanciò uno sguardo all'abitazione che sorgeva dinanzi all'entrata del porticciolo, dove si trovava sua moglie Astrid, in compagnia del loro figlio di quattordici anni, Markl.

"Ero qui da almeno quattro anni come guardiano dei prigionieri, e portavo avanti questa impresa per dare un lavoro a coloro i quali volevano tenersi in attività senza dover cercare qualcosa in giro per Luleå e dintorni" gli spiegò l'uomo, con tono pensoso. "Sai, lavorare su Midghardr fa parte degli obblighi di un carcerato così, per facilitare le cose, il re ha pensato di acquistare questo posto e metterci, di volta in volta, un proprietario nuovo. Quella volta, toccò a me.”

“Quindi, questo posto appartiene a re Surtr?” esalò sorpreso Sthiggar, guardandosi intorno curioso.

Gunther assentì e, nel gettare la bottiglia d’acqua ormai vuota nel recipiente per la plastica, continuò dicendo: “Un giorno, mentre ero intento a sistemare le schede degli ultimi arrivati, incontrai Astrid. Venne qui per prendere a noleggio uno sloop e, quando incrociai il suo sguardo, non capii più niente."

Sorridendo a mezzo, Sthiggar esalò divertito: "Deve essere una persona non comune, per mettere nel sacco un guerriero tuo pari."

"Lo è. Passammo molto tempo insieme, da quel giorno. Ogni scusa era buona per passare qua al porticciolo e fare quattro chiacchiere. Naturalmente, io sapevo bene che, presto o tardi, si sarebbe accorta che non sarei mai e poi mai cambiato, così le dissi la verità e attesi l'inevitabile."

"Pensavi ti avrebbe rifiutato?" domandò sorpreso Sthiggar.

"Devi capire, ragazzo, che gli umani credono di essere l'unica razza senziente dell'Universo e, anche se molti millantano di credere agli UFO e quant'altro, mediamente non sono molto aperti a questo genere di sorprese" gli spiegò Gunther con un mezzo sorriso. "Così, attesi rassegnato che lei urlasse, o mi cacciasse da casa, ma lei si limitò a scrutarmi con aria curiosa, dicendomi che finalmente aveva capito perché la mia calligrafia era terribile."

"La... calligrafia?" esalò Sthiggar, scoppiando a ridere.

"Già. Potremo anche leggere e parlare la loro lingua, ma il rapporto occhio-mano è diverso, e usare il loro alfabeto è sempre stato ostico, almeno per me" ammise l'uomo con un risolino.

"Disse altro?" mormorò allora Sthiggar, interessato.

"Si dimostrò da subito molto curiosa e impressionata, e mi tenne sveglio per notti intere perché le raccontassi ogni cosa del nostro mondo e degli altri" gli spiegò Gunther. "Forse, il suo essere una professoressa universitaria l'ha resa più aperta mentalmente o, magari, le piacevo abbastanza per passare sopra a tutto il resto."

Sthiggar annuì con un sorrisino e Gunther, nel tossicchiare imbarazzato, terminò di dire: "Quando Hildur venne per uno dei suoi consueti controlli, le chiesi di rimanere qualche giorno in più per permettermi di tornare su Muspellheimr. Una volta giunto a Hindarall, dissi al sovrano ciò che avevo intenzione di fare e lui, acconsentendo, chiuse i Centri della mia aura perché potessi diventare a tutti gli effetti un essere umano. Posso dirti che il mio ritorno a Bifröst fu terribile. Non mi ero mai reso conto di quanto facesse caldo, su Muspellheimr!"

Nel dirlo, rise di quel ricordo e Sthiggar si domandò cosa volesse dire rinunciare a tutto per amore di qualcuno.

Lui aveva vissuto avventure di una notte, aveva conosciuto l'amore carnale di molte donne - quasi sempre più adulte di lui - e aveva preso sesso e divertimento a piene mani, nella sua adolescenza scapestrata.

Molto probabilmente, se non si fosse cacciato nei guai e non lo avessero mandato sotto il comando di Yothan, sarebbe morto a causa di un contenzioso amoroso per mano di un marito infuriato. Chissà.

Una cosa, però, l'aveva imparata, in quel lungo pellegrinaggio tra donne sempre diverse e accoppiamenti scevri di qualsiasi sentimento. Una vita simile non regalava nulla, a parte un vuoto sempre maggiore nell'animo.

Non a caso, dopo i primi anni sotto il comando di Yothan, non aveva più cercato il calore di una donna. Lo aveva ritenuto del tutto inutile, ai fini di una sua crescita personale.

"Non sei mai stato innamorato, eh?" chiosò Gunther.

"Per nulla. Non a caso, trovo tutto ciò estremamente affascinante" asserì Sthiggar. "Trovare qualcuno che possa cambiare così tanto la tua vita, deve essere incredibile."

"Non è di certo tutto rose e fiori, e ci sono state volte in cui mi sono sentito vuoto, senza la mia fiamma interna, ma credimi, ne è valsa comunque la pena, per lei" asserì Gunther prima di guardare l'orologio, sogghignare e aggiungere: "Pausa finita, ragazzo. E ricorda, tutti i giorni dovrai lavorare due ore e fermarti per almeno un quarto d'ora. Così eviterai crolli, va bene?"

"D'accordo" assentì lui, rimettendosi al lavoro mentre il suo datore di lavoro scendeva dalla barca.

Sthiggar lo osservò allontanarsi dopodiché, nel rimettersi a pulire il ponte, si domandò se lui sarebbe mai stato in grado di rinunciare a ciò che gli dèi gli avevano dato e che, solo a stento, sapeva usare.

Essere una Fiamma Viva comportava enormi responsabilità e, ora che non poteva più avvertire neppure una stilla di quel potere dentro di sé, si sentiva nudo come un bambino appena nato.

Trovarsi lì, lontano da casa e senza essere più se stesso, era snervante e lo rendeva sempre nervoso, perciò faticava a capire come, una donna, potesse essere riuscita in una simile impresa.

Doveva trattarsi di una persona davvero speciale.

***

Sbadigliando mentre attendeva paziente l'uscita di Ragnhild dall'università - lei gli aveva detto di dover studiare in quel luogo fino alle quattro del pomeriggio - Sthiggar ricontrollò sul suo cellulare nuovo di zecca ciò che aveva imparato.

Rispetto ai giorni precedenti, in cui aveva combinato guai a non finire, aveva finalmente compreso come far funzionare le applicazioni che si trovavano all'interno dello smartphone. Pur non capendo come quell'affare così piccolo potesse funzionare, godeva comunque degli indubbi vantaggi dell’averlo.

Google, poi, si era rivelato una miniera di informazioni davvero eccellente, ma alcune cose proprio non riusciva a comprenderle, pur leggendole su quello schermo lucente e liscio come seta.

Dopotutto, sancire quel patto con Ragnhild avrebbe potuto essergli più utile di quanto non avesse immaginato in principio. Alcuni comportamenti umani gli erano del tutto alieni e chi, meglio di un abitante di Midghardr, poteva renderlo edotto in merito?

"Ehi, stoppino. Allora sei venuto" disse una voce di donna alle sue spalle, e che lui riconobbe subito.

Levato lo sguardo dal cellulare, Sthiggar si alzò dalla panchina dove aveva aspettato Ragnhild fin a quel momento e, con un mezzo sorriso, disse: "Buongiorno. O buonasera. Il cielo diventa scuro in fretta, in questo periodo dell'anno?"

"Abbastanza" assentì lei, incamminandosi con il giovane muspell lungo il marciapiede. "Allora, sei davvero deciso a usarmi come un dizionario umano?"

"Pur ottenendo molte informazioni dai vostri apparati tecnologici, molte vostre decisioni mi restano oscure perché non capisco perché le facciate" sottolineò lui, attraversando la strada con la giovane.

"Oh, quindi il tuo è più un problema etico e morale, che tecnico" dichiarò lei, scrutandolo piena di curiosità. "Davvero un guerriero pensa a queste cose?"

"Dovrebbe essere la prima cosa a cui pensare, io credo" replicò lui, accigliandosi di fronte agli indubbi sottintesi di quell’affermazione. Pensava davvero che fosse uno zotico senza cervello?

"Ma come... non è 'armiamoci e ammazziamoli tutti'?" ironizzò Ranghild prima di notare il suo cipiglio.

Bloccandosi a metà di un passo, la giovane allora sospirò, si guardò intorno con espressione meditabonda e, dopo aver trovato ciò che cercava, lo condusse verso un piccolo parco pubblico per poter parlare agevolmente.

Accompagnatolo fino a un laghetto palustre, Ragnhild lo invitò a sedersi su una panchina e lì, con un sospiro, disse con maggiore delicatezza: "Perdonami. Ho dato per scontato - sbagliando - che tu fossi come un berserkr, che ama solo combattere in modo piuttosto virile e... sbrigativo."

"Ne ho avuto un discreto esempio l'altro ieri" assentì Sthiggar, cauto.

Battendo le mani, quindi, Ragnhild aggiunse: "Posso immaginare che molto di quel che facciamo qui sia contraddittorio ma, nello specifico, cosa ti ha creato più problemi?"

"Perché state distruggendo la vostra casa?" domandò a sorpresa Sthiggar, portandola a sorridere con aria dolente.

"Oh, cielo, stoppino! Questa è la domanda del secolo!" ironizzò lei con una risatina. "Non esiste una risposta sensata, né semplice. Per semplificare, direi che ha tutto a che fare coi soldi e il potere. Chi ha potere, ne vuole di più, chi ha soldi, uguale, e tutto si riduce a questo. Per ottenerli, si passa sopra a tutto, alla logica, alle persone, alla sicurezza... al pianeta. E non c'è modo di far capire a chi potrebbe cambiare le cose, che tutto questo è sbagliato. Anche se in molti ci stanno provando, per carità."

Sthiggar allungò gli avambracci lungo le cosce per poterla guardare in volto con più facilità e, dubbioso, le domandò: "Ma... una volta che non ci sarà più nulla, mangerete le carte di credito e berrete quella roba puzzolente che va nei serbatoi delle barche?"

"Non sbagli, stoppino. Il problema è tutto lì ma visto che, come ti dicevo, siamo un popolo contraddittorio, risolviamo cose apparentemente complicatissime ma non quelle facili" annuì lei prima di notare il suo sguardo e domandare: "Che c'è adesso?"

"Saresti molto carina se la piantassi di usare quel nomignolo idiota" precisò lui, fissandola torvo.

"Cosa? Stoppino? Ma se l'altro giorno hai fatto proprio questo?" ironizzò lei, dandogli una pacca sulla spalla, che risultò dura come l'acciaio. "Ahia."

"Se intendi dire che ho manovrato il fuoco a mio piacimento, è vero, e proprio per questo il nomignolo è poco conforme alla verità. Gli stoppini non manovrano un bel niente" sottolineò lui con aria furba.

"Oh. Abbiamo un filosofo, qui, e un libero pensatore" celiò lei, sinceramente sorpresa. "Va bene... Sthiggar. Non userò più la parola stoppino, visto che la reputi impropria. Hai qualche nomignolo che ti sei tirato dietro dal tuo mondo, per caso?"

"Non li usiamo spesso. Abbiamo più che altro dei titoli onorifici. Ben pochi nomignoli" le spiegò lui con una scrollatina di spalle.

"E la faccenda della fiamma? Hai sicuramente utilizzato quelle prodotte dall’alcool bruciato l'altro giorno, e ne sei uscito del tutto indenne, ma vedo sul tuo collo che hai una bella bruciatura in via di guarigione. Quindi?" gli domandò allora lei, indicando curiosa la zona di tessuto roseo e cicatriziale visibile sopra il colletto del dolcevita che indossava Sthiggar.

"Le fiamme naturali, o che provengono da materiali naturali come l'alcol etilico, non ci ustionano. Quelle artificiali, ottenute da polvere pirica o altri materiali esplodenti creati artificialmente, possono farci del male" si limitò a dire lui, facendo spallucce.

"E quella, da cosa è stata causata?" si informò a quel punto Ragnhild.

"Una fiamma artificiale creata dai nani oscuri. Un marchingegno a carica esplodente, che detona a contatto con la nostra carne" borbottò Sthiggar, passandosi distrattamente una mano sul punto incriminato.

Il dolore che aveva provato era stato terribile e, tutt'ora adesso, la pelle stentava a guarire, segno che il danno era stato immane, anche per una creatura del fuoco come lui.

Aveva urlato fino a farsi dolere la gola e, quando era stato in grado di risollevarsi da terra e vedere lo scempio che era seguito al primo attacco dei dokkalfar, aveva perso la testa, sprigionando la fiamma.

"Perdemmo diversi uomini, a causa di quelle armi improprie e, tra essi, morì anche uno dei nipoti del re, e mio amico" sospirò il giovane muspell, stringendo per un istante le mani tra loro prima di rilassarsi forzatamente.

"Mi spiace" mormorò Ragnhild perdendo ogni desiderio di fare dell'ironia. "Io non ho mai perso nessuno della mia famiglia. Ho ancora i nonni e i genitori, anche se non si può certo dire che il nostro sia un rapporto idilliaco."

"Non andate d'accordo?"

"E' un tantino più complesso di così. Poiché mio fratello porta dentro di sé un'anima divina, è tenuto in grandissima considerazione e io, beh... sono vista un po' come la sua ancella, o qualcosa del genere. Sono al suo servizio, prima che al mio, per intenderci" gli spiegò grossolanamente lei, gesticolando nervosamente con le mani.

"Non mi è sembrato, però, che tu e tuo fratello foste ai ferri corti."

"Oh, no, affatto. Lui è adorabile, e anche Urd mi è simpatica. Un po' troppo acuta e misteriosa, a volte, ma sembra tenerci, a me" dichiarò Ragnhild con un mezzo sorriso. "Il punto è che, in una società chiusa come la nostra, è difficile sfuggire alle regole e, lo ammetto, a me stanno un po' strette."

"Quindi, quel che abbiamo fatto noi non rientra nelle regole?"

"Beh, è stata una forzatura. Avrei dovuto chiedere l'intervento di un berserkr interno al clan o, comunque, a nessun berserkir esterno al nostro branco. Gli altri berserkir si sono però rifiutati di aiutarmi, perché non volevano litigare con Ludvig così, quando ci siamo conosciuti, ero davvero nei guai.”

“Lo avevo notato” ammiccò lui. “E i tuoi cugini?”

“Niente parenti stretti, fa sempre parte delle regole” sospirò lei, scuotendo il capo.

“Avete davvero regolamenti restrittivi” esalò sorpreso Sthiggar.

Lei accennò un sorrisino e, facendo la lingua con aria birichina, terminò di dire: “Visto che non sta scritto da nessuna parte che io non potessi chiedere a un essere esterno al pianeta, ho potuto aggirare il divieto e sfruttare la tua forza. Inoltre, non è che io conosca poi così tanti ragazzi che sarebbero disposti a battersi per me.”

"Ancora non capisco perché tu abbia dovuto sottostare a questa pratica barbara. O le donne, qui su Midghardr, necessitano ancora del benestare familiare, per avere un marito?" le domandò lui, vedendola arrossire in risposta.

"Oh, ma... non si sarebbe trattato di ...matrimonio! Solo di una relazione" esalò lei, facendo tanto d'occhi e arrossendo imbarazzata, quasi che il solo pensiero la mettesse in agitazione.

"Ancora peggio" brontolò Sthiggar. "Se mio zio decidesse, un bel giorno, di dire a mia cugina Hildur di non poter frequentare il suo attuale compagno, proponendogliene poi un altro, credo lo impalerebbe. Pur volendogli molto bene, ma gli farebbe passare le pene dell'inferno. Nessuno dice a Hildur con chi andare a letto."

"Ha tutta la mia stima" mormorò Ragnhild, annuendo con vigore. "Beh, nel mio clan vigono regole vecchie come il mondo e noiose come il mal di pancia e io, mio malgrado, le devo rispettare. Inoltre, il fatto di non essere... speciale, a suo tempo deluse molto mia madre, che sperava di avere un maschio. Non potendo fare altro, con me, oltre a rendermi la migliore, venni addestrata al meglio delle mie possibilità e poi, una volta terminato il mio apprendistato, i miei concepirono un altro figlio, e così nacque Mattias."

Sthiggar annuì pensieroso, le dita che grattavano distratte il tatuaggio che lo confinava su Midghardr e Ragnhild, nel notarlo, lo indicò dicendo: "E' molto bello. Lo fate voi guerrieri?"

"No. E' una trappola, in realtà. Una sorta di catena. Se tentassi di tornare su Muspellheimr prima del termine della mia prigionia, o prima che il Guardiano sciolga la magia che mi lega al tuo pianeta, questo tatuaggio si scioglierebbe nel mio sangue, avvelenandomi."

Ragnhild sgranò gli occhi per il terrore, di fronte a quella notizia così, bloccando immediatamente la mano di Sthiggar, esclamò: "Piantala, allora! Non stuzzicarlo!"

Il giovane sorrise divertito per tutta risposta e, battendo la mano libera su quella di lei, replicò: "Non temere. Non si rompe così. Serve la magia di Bifröst, perché si spezzi."

"Oh" esalò lei, ritirando la mano prima di fissargli stranita la mano. "Certo che hai la pelle davvero fredda!"

"Mi è impossibile scaldarmi" sospirò lui, estraendo dei guanti di pelle imbottita dalle tasche del giubbotto che indossava. "E' un immenso scorno, per me che sono una Fiamma Viva."

"Cosa che capisco sì e no. Che differenza c'è tra te e gli altri muspell?"

"Oltre al fatto che sono più bello?" ironizzò lui, portandola a sorridere e sbuffare al tempo stesso. "In realtà, è una rarità. Al momento, esistono solo due Fiamme Vive accertate, e siamo io e il re. Naturalmente, potrebbero esservene altre ma, finché la Fiamma non si scatena, è impossibile saperlo a priori. Il punto è che, tra il popolino, circolano leggende secondo le quali, quando esistono due Fiamme Vive nello stesso momento, questo non porta che morte e guai e, alla peggio, il Ragnarök.”

Facendo tanto d'occhi, Ragnhild assentì ed esalò: "Beh, non è di certo una cosa carina da sentirsi dire. Quindi, siete più rari dei diamanti."

"Non sul mio pianeta. I diamanti, intendo. Potrei fartene portare uno enorme da mia cugina, la prossima volta che verrà qui" scrollò le spalle lui prima di vedere la sua faccia sgomenta. "Che c'è?"

"Vuoi... vuoi dirmi che i diamanti, da voi, sono come le noccioline?" gracchiò sconcertata Ragnhild.

"Non ho controllato, ma li usiamo per un sacco di cose. Non sono neppure gemme, a dir la verità, quanto piuttosto pietre di uso comune. Anche se alcune donne si fanno confezionare gioielli da orafi terrestri perché amano i loro articoli."

"Oddio!" esalò Ragnhild, passandosi le mani sul viso. "Quindi, se ti chiedessi un diamante da cento carati, tu lo potresti avere come se niente fosse."

"Ti porterei la pietra grezza. Non certo le elaborate pietre lavorate che ho visto in rete. Per quelle, ci vorrebbe un orafo in gamba" sottolineò lui.

Lei, però, rise divertita ed esalò: "Sì, peccato che, se mi presentassi da un orafo con una pietra grande quanto un arancio, mi metterebbero in galera, pensando che io lo abbia rubato a qualcuno."

"Lo dicevo, io. Il vostro mondo è strano e faccio fatica a capirlo" si dichiarò impotente Sthiggar, sollevando le mani con aria di resa.

"Credimi, per me è strano quel che hai appena detto tu in merito ai diamanti" celiò lei prima di guardare l'orologio e aggiungere: "Mi accompagni a casa, così chiacchieriamo durante il percorso?"

"Volentieri. Anche se non ho notato persone dall'aria sospetta, è sempre meglio che una donna disarmata non cammini da sola" dichiarò lui, offrendole una mano per alzarsi dalla panchina.

Lei la rifiutò, dicendo per contro: "Non c'è bisogno di tanta galanteria, anche se ho apprezzato."

"D'accordo" annuì lui, infilando le mani in tasca. 

"Quanto alle persone dall'aria sospetta, perché credi che non ce ne siano?" si informò a quel punto Ragnhild, fissandolo curiosa.

"Perché, mentre parlavamo, tenevo anche d'occhio le persone che camminavano lungo il marciapiede a poca distanza da qui, e ascoltavo i rumori di fondo alle nostre spalle" gli spiegò lei, sorprendendola. "Un bravo soldato non può mai veramente abbassare la guardia, soprattutto se deve difendere una donna inerme."

"Non mi definirei... inerme. So difendermi, sai?" precisò lei, accigliandosi.

"Con le armi, o con le mani?" si informò allora lui.

"Con entrambe, in effetti. Le donne berserkir, pur non potendo diventare potenti e temibili orsi, sono comunque in grado di difendersi perché vengono addestrate a farlo" gli spiegò lei con supponenza. “E il mio addestramento è stato superlativo, nel bene e nel male.”

"Allora, chiedo scusa. Non lo sapevo" dichiarò con semplicità lui, sorprendendola ancora.

"Ma tu dici tutto quello che pensi?" gorgogliò confusa la giovane.

"Non sempre ma, se è la verità, e se è necessario dirla, la dico. Nel caso specifico, avevo erroneamente pensato che non fossi in grado di proteggerti da sola, così ti ho offerto i miei servigi in caso di bisogno ma, poiché mi hai detto che puoi difenderti agevolmente con le tue mani, ti presterò servizio solo se me lo chiederai" si limitò a dire lui con naturalezza.

"Sei uno strano caso di guerriero con il frac" chiosò lei, sbattendo le palpebre con aria comica.

"In che senso, scusa?" domandò lui, confuso.

"Sì, sai pestare la gente egregiamente, come ho avuto modo di vedere, ma sei anche raffinato ed educato" si spiegò meglio lei. "Tua madre ti ha mandato alle serali per imparare il bon ton?"

Sorridendo mesto, lui scosse il capo, replicando: "Mia madre morì quando ancora ero un infante. Ma credo lo avrebbe fatto, se avesse potuto."

Ragnhild si bloccò di colpo, a quella notizia e, stringendo impulsivamente il polso di Sthiggar con la mano, mormorò addolorata: "Dio, scusami! Non avrei mai, mai fatto una battuta del genere, se lo avessi saputo."

"Non c'è nulla per cui scusarsi, Ragnhild. Come potevi sapere? Inoltre, credo che qualsiasi madre farebbe ciò che hai detto tu, per tirare su un figlio beneducato e gentile, no?" 

"Sì. Credo ... di sì" assentì lei, reclinando colpevole il capo.

"Ragnhild" la richiamò però lui, forzandola a risollevare il viso con il solo suono della sua voce. "Davvero. Non è successo nulla. E, in merito alla mia educazione, posso dirti che in parte deriva da mio padre, che è forse la persona più educata di tutti i Nove Regni, e in parte viene dal mio comandante, che ci puniva in maniera terribile se non ci comportavamo bene."

"E perché?"

"Perché il binomio soldato/persona rozza non doveva esistere, nella sua compagnia" ammiccò lui con aria divertita. "Ricordo di una volta in cui...”

Sthiggar proseguì con il suo racconto per tutta la durata del loro percorso verso la casa di Ragnhild e, ben presto, il disagio provato dalla ragazza a causa della sua gaffe, venne dimenticato.

Il suono ritmico e piacevole della voce di Sthiggar riuscì a strapparla alla contrizione e, quasi a sorpresa, si ritrovò a costeggiare la staccionata di casa propria che, ancora, il giovane non aveva terminato il suo racconto.

Fu con dispiacere che lei dovette interromperlo e, sorridendo spiacente, disse: “Sono arrivata. Potrai terminare il racconto domani, se vuoi.”

“Se Gunther non mi ucciderà con i suoi lavori, direi di sì” assentì lui prima di salutare con un cenno Mattias, che stava gesticolando dalla finestra.

Ragnhild sorrise spontaneamente, nel vederlo e Sthiggar, nel reclinare la mano, mormorò: “Mi sarebbe piaciuto avere un fratello.”

“Se vuoi te lo presterò, finché rimarrai qui” ironizzò lei, aprendo il cancelletto d’ingresso per poi aggiungere: “Grazie per la tua protezione, valente guerriero muspell, e scusa se hai parlato più tu di me. Prometto che mi saprò sdebitare.”

Grattandosi pensieroso la guancia, Sthiggar però replicò: “In realtà, credo sia stato un bene, per me, parlare. Non ho pensato né al freddo, né ai dubbi che mi arrovellano.”

“Allora, grazie a entrambi noi” ammiccò Ragnhild, salutandolo.

Una volta sulla porta, però, si volse per un nuovo saluto e, solo quando lo vide riprendere la via di casa, entrò.

Lì, trovò ad attenderla Mattias che, nel prenderla per mano, domandò: “Avete chiacchierato come pattuito?”

“Più lui di me, in effetti” ammise lei.

“Per questo sorridi?” buttò lì il fratello, sorprendendola.

“Che intendi dire, sbruffoncello?” borbottò lei, mimando l’attacco di un orso, con tanto di grugnito.

Mattias corse via ridendo ma, prima ancora di poterlo inseguire, il padre si affacciò dalla porta dello studio e la chiamò dentro per poter parlare.

Storcendo appena la bocca, e presagendo guai di qualsiasi genere, Ragnhild salutò con un cenno il fratello prima di chiudersi alle spalle la porta dell’ufficio del padre, dopodiché domandò: “Qualche problema?”

“Non propriamente. Il giovane con te era il muspell che si è prestato a essere il tuo Campione? Non l’ho mai visto prima, qui” domandò suo padre, sistemando alcuni incartamenti in una carpetta.

Come tutti i berserkir, poteva vantare su una corporatura robusta e spalle ampie ma, diversamente dai cugini, appariva più modesto, meno inquietante o pericoloso. Non che Ragnhild avesse paura della sua forza.

Era altro, a turbarla, del padre.

“Sì, era Sthiggar. Per il suo aiuto, gli ho promesso assistenza per comprendere meglio il nostro mondo. Siamo d’accordo che, quando gli impegni lavorativi glielo consentiranno, mi verrà a prendere a lezione per poi accompagnarmi a casa, così avremo il tempo di parlare” gli spiegò Ragnhild, ben sapendo di aver procrastinato fino all’ultimo quel confronto.

Con il padre, aveva solo detto di aver trovato una soluzione legale ai suoi problemi, e che Urd aveva avallato la sua scelta. Solo la sera successiva al confronto, aveva accennato al fatto che il suo Campione era, tra le altre cose, un muspell.

Ben sapendo quanto, la presenza di creature di altri mondi, disturbasse e rendesse nervoso il padre, si era affrettata a dirgli quanto egregiamente si fosse comportato durante la lotta, salvando da un brutto pestaggio la loro Saggia, Isolde.

Mattias, a quel punto, era intervenuto con veemenza, dando corpo alla sua storia e, solo a quel punto, il padre aveva desistito dall’insistere oltre.

Quella chiamata in privato, però, poteva voler dire che non proprio tutto era stato discusso in merito a quell’incontro.

“Vorrei chiarire con te un punto. Ho permesso che tu rifiutassi la corte di Ludvig tramite l’utilizzo dell’antica regola del combattimento rituale, ma sappi che non potrai usarla una seconda volta. Non desidero che si dica in giro che mia figlia scansa i propri doveri di donna e moglie” sottolineò l’uomo con tono atono.

Cercando in ogni modo di non prendersela – lei amava suo padre, pur se non comprendeva perché, con lei, fosse sempre così duro e implacabile – Ragnhild desiderò comunque che il genitore avesse parole più dolci da tributarle.

In quegli anni, da quando la madre si era ammalata, aveva speso tutta se stessa per aiutare la famiglia, per rendere meno difficile la vita con una persona inferma in casa ma, a quanto pareva, non era bastato.

Prima ancora, durante il suo decennale addestramento, aveva tentato con ogni mezzo di essere sempre perfetta, di eccellere in ogni cosa ma, a ogni nuovo risultato, il padre non aveva risposto con orgoglio o compiacenza. Ciò che aveva ottenuto erano state soltanto nuove prove, nuovi modi in cui metterla in difficoltà.

Per temprarla, per renderla la migliore, avevano detto i genitori.

Lei, però, avrebbe tanto voluto essere accettata per quello che era, e non solo per quello che avrebbe potuto diventare.

Ancora una volta, come in passato, le si chiedeva di piegare la testa, di cedere un’altra parte di se stessa al clan.

“Con tutto il rispetto, padre, ma nel duemilaventiquattro dobbiamo ancora parlare di matrimoni di comodo e proliferazione della razza?” domandò amara Ragnhild.

“Ti ricordo che il mio compito principale è quello di mantenere saldo e compatto il clan e tu, come mia figlia, devi darmi una mano, visto che tua madre non può più” replicò il padre con un sospiro. “So che voi giovani preferireste divertirvi e basta, ma tu hai dei doveri superiori a cui devi sottostare.”

“Non parlo di… divertimento, padre” protestò debolmente Ragnhild, sentendo il sangue ribollirle dentro. “Parlo di rispetto verso di me. Quando mai avrò voce in capitolo su qualcosa che riguarda la mia vita?!”

“Mi pare tu l’abbia fatto giusto due giorni fa” replicò serafico il padre, rinfacciandole con gentilezza il suo rifiuto di unirsi a Ludvig.

“Tu avresti voluto che io mi mettessi con un buzzurro capace soltanto di grugnire, senza minimamente pensare se lui potesse o meno piacermi?” esalò sgomenta Ragnhild.

“Ludvig è un potente guerriero, di stirpe antica e valorosa e non è un buzzurro come tu lo definisci” ribatté il padre, iniziando ad accigliarsi.

“Ha attaccato Sthiggar dopo che lui aveva regolarmente vinto il duello, trasformandosi in berserkr quando non avrebbe dovuto, e rischiando di fare del male a Isolde. Per me, una persona simile è un buzzurro” gli fece notare per contro Ragnhild.

“Sia come sia, ti concederò di vederti con il muspell finché un altro berserkr non chiederà la tua mano, dopodiché interromperai qualsiasi rapporto con il gigante di fuoco. Non vorrei mai si pensasse che mia figlia frequenta due uomini nello stesso momento” dichiarò lapidario il padre, mettendo fine alla discussione.

Ragnhild fece tanto d’occhi, a quella notizia e, boccheggiando, esalò: “Chi… chi altri…”

“Nessuno. Per il momento. Ma ques’tanno compirai venticinque anni, e sei in età da marito. Più avrai tempo per avere figli e meglio sarà per il clan. La tua stirpe è forte, e Wothan ha voluto per te un corpo sano e gradevole, perciò darai alla luce figli altrettanto belli e sani.”

La giovane ammutolì, di fronte a quella che pareva essere null’altro che una sentenza di prigionia a vita e, nel mordersi il labbro inferiore, si accomiatò per raggiungere in silenzio in camera sua, dove si chiuse dentro per non avere a che fare con nessuno.

Naturalmente, però, Mattias passò dalla botola nel muro che divideva le loro stanze e, nel vederla in lacrime e stesa sul letto, si accoccolò accanto a lei e la abbracciò.

Non disse nulla, limitandosi a stringerla tra le sue esili braccia e, tra sé, pregò di diventare in fretta adulto, così da poterla difendere una volta per tutte.

 

 

 

N.d.A.: A quanto pare, la situazione di Ragnhild è solo temporaneamente sistemata e, anzi, è addirittura peggiorata perché, se si presentasse qualcun altro alla porta, stavolta Sthiggar non potrebbe essere il suo Campione. Di fatto, Ragnhild si sente in gabbia e non sa come fare a gestire questa situazione perché, in cuor suo, non vuole essere più trattata come un semplice pedone su una scacchiera. Sthiggar saprà aiutarla in qualche modo?

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Cap. 10

 

 

 

Nel buio di un salone all’interno di un palazzo signorile alle porte di Hindarall, dove le ombre cupe del monte Kytlos si allungavano come lunghe mani artigliate, una voce ruppe il silenzio, facendo trasalire i presenti.

"Esattamente, cosa vi ha detto la testa, quando avete ucciso due guardie cittadine?" borbottò contrariato la voce nell'oscurità, rivolta a due tozzi dokkalfar.

I nani presi in causa si torsero le mani, bofonchiarono stentate scuse in merito a presunti problemi logistici ma la voce li azzittì, replicando caustica: "E' così difficile capire che le Fiamme Sacre che presiedono la stanza di Naglfar sono vestite di nero e oro, mentre le divise delle Fiamme Argento sono color grigio e blu? Come avrebbe potuto non destare qualche sospetto trovare due Fiamme Argento morte, in un luogo non di loro competenza? Non avreste dovuto fare altro che ascoltare quello che vi era stato detto, incontrarvi con le Fiamme Sacre come da accordi, e poi uccidere loro. Cosa non vi era chiaro, in tutto questo?"

"Non… non sapevamo come smarcarci, vossignoria" mugugnò uno dei nani, subito richiamato invano da una gomitata del compagno. “Inoltre, quelle due Fiamme Argento sembravano un po’ troppo incuriosite da noi e così abbiamo… improvvisato.”

"Loro hanno improvvisato…" scandì irritata la voce, fissando il giovane uomo al fianco dello scranno su cui era seduto l’oscuro personaggio che stava interrogando i due dokkalfar.

I due nani ebbero la decenza di non rispondere, stavolta, e la voce proseguì dicendo: "A questo modo, avete messo in allarme non soltanto il re, ma anche i suoi più fedeli seguaci."

"Ma il ragazzo è stato bandito come volevate!" si impuntò il nano più ciarliero.

"Cosa non coglie, la tua mente ottusa?" ringhiò a quel punto la voce. "Eliminare temporaneamente il ragazzo e indebolirlo per i nostri scopi, era solo parte del piano! Tutto doveva essere perfetto, e voi invece avete insinuato dei dubbi nella mente del re, che ora sta facendo pattugliare ogni centimetro di questa maledetta città dai suoi fedelissimi cagnolini!"

"Diteci chi uccidere, e lo faremo" promise ossequioso il nano più loquace.

"Esattamente come avete ucciso le guardie sbagliate? No, grazie. E' chiaro che devo dare ad altri un simile compito" si lagnò la voce, scuotendo irritato un braccio.

L'attimo seguente, due sibili minacciosi fenderono l'aria e, l'istante successivo, i dokkalfar vennero trafitti da enormi lance forcute, uccidendoli sul colpo.

I due corpi caddero all'indietro, sparendo nell'oscurità che cingeva il salone adombrato dai pesanti tendaggi, tirati dinanzi alle ampie vetrate per nascondere quell’incontro segreto.

"Fateli sparire. Bruciateli. Inventatevi qualcosa, ma non fatemi più pensare a loro" disse infine la voce a un paio di ombre alle sue spalle. "A quanto pare, dovrò velocizzare le cose, prima che il re pensi di bloccare i Portali di Bifröst."

"Non siamo pronti per attaccare, mio signore" mormorò una voce di donna, a poca distanza dall’uomo accomodato sullo scranno. “Inoltre, la Fiamma Viva risiede su Midghardr da troppo poco tempo, per poter mettere in atto il nostro piano.”

"Agiremo quando la guardia sarà abbassata, come stabilito ma, se dovranno morire anche persone innocenti, poco male. Avrei preferito evitarlo ma, se la Fiamma Viva non potrà essere utilizzata per i nostri scopi, attaccheremo comunque e faremo strage del popolo di Hindarall, pur di far soccombere Surtr. L'importante è catturare il re e fare nostra la Spada Fiammeggiante" dichiarò il mandante della congiura.

"Non sarà rischioso muovere proprio durante i festeggiamenti, quando Bifröst sarà necessariamente aperto e molte compagnie armate fedeli al re si troveranno nella Capitale?" fece notare la donna.

"La festa per l'anniversario di matrimonio sarà l’anfiteatro ideale per la nostra apparizione. La confusione sarà tale che, per le Fiamme Nere, sarà impossibile tenere d'occhio ogni cosa" assentì soddisfatta la voce. “Inoltre, ricorda una cosa, mia timorosa sacerdotessa… ci saranno sì molti soldati, ma tutti disarmati. Sai che non si può presiedere alle feste del re armati di tutto punto.”

"Questo è vero, ma i soldati del sovrano sono comunque avversari temibili. Inoltre, Fiamme Purpuree, Fiamme Grigie e Fiamme Verdi saranno presenti nella capitale per monitorare gli spostamenti di coloro che non parteciperanno ai festeggiamenti nel palazzo" sottolineò per contro la donna. “ Di contro, le Fiamme Sacre saranno sul piede di guerra, dopo ciò che è avvenuto con Sthiggar.”

"Poco importerà, visto che gli stessi reggimenti sono stati contaminati dai miei uomini. Il re ha una serpe in seno più grande di quanto non pensi, e verrà ucciso dal suo letale morso" ghignò il mandante, scoppiando in una risata mefistofelica.

"Quanto al muspell su Midghardr, lo terremo comunque come ultima risorsa?"

"Dovremo attendere fino all’ultimo minuto utile, con lui, e solo allora tenteremo di soggiogarlo. Avrei preferito che fosse più debilitato dall'atmosfera terrestre ma, poiché il re ha anticipato i festeggiamenti di un intero mese – adducendo assurde scuse con la Corte – non possiamo che adeguarci. Non appena i liòsalfar saranno pronti con i loro intrugli, manderemo gli jotun a rapirlo, sperando che l’impresa ci consegni l'arma ultima per distruggere Surtr."

"Sì, mio signore" assentì la donna, allontanandosi come un'ombra nell'oscurità sempre più fitta.

Rimasto solo con un’unica ombra al suo fianco, il mandante della congiura si levò dallo scranno per raggiungere con passo tranquillo i tendaggi e, dopo averli scostati, osservò meditabondo il contorno della città, offuscato dalla nebbia.

L’ombra al suo fianco, seguendolo devoto, mormorò: “Non dovremmo ucciderlo, invece di attendere di averlo soggiogato? Dopotutto, Sthiggar non sarà poi tanto importante per i nostri scopi, se attaccheremo congiuntamente con…”

Il mandante frizzò con uno sguardo gelido il giovane al suo fianco, azzittendolo a metà della frase e, irritato, replicò: “Cosa ti turba tanto, Thrydann? Pensi che potremmo essere sconfitti da lui come è capitato a te in svariate occasioni?”

Il giovane strinse i denti per l’ira ma non replicò così il mandante, aprendosi in un sogghigno sardonico, aggiunse: “E’ chiaro come il sole quanto vorresti essere al suo posto, una Fiamma Viva in grado di detenere lo stesso potere del re… ma non è capitato, perciò devi abbassare la cresta e lasciar fare a chi ne sa più di te. Naturalmente, ti siamo tutti grati per le informazioni che ci hai dato in merito ai suoi poteri, ma ora non devi essere avido e pretendere più di quel che ti spetta.”

“Quel ragazzo è malato! Potrebbe causare guai anche da addormentato! Averlo tra le nostre fila, anche se bloccato dalla magia elfica, potrebbe portarci alla disfatta” protestò Thrydann con veemenza.

“Non dirmi che anche tu, che sei cresciuto tra le sete più fini e i soldi di tuo padre, credi alle sciocchezze di cui parla il popolino?” lo irrise il mandante. “Due Fiamme Vive non sono sintomo di una crisi quanto, piuttosto, un’opportunità. Per sconfiggere il sovrano di Muspellheimr, che è sempre una Fiamma Viva, ne serve gioco forza un’altra, perché è l’unica arma che può ucciderlo. Se non avessimo i poteri del tuo amico al nostro soldo, dovremmo mettere sotto scacco l’intera città pur di far cedere Surtr, e questo comporterebbe un costo – in termini umani – che non voglio pagare, se non costretto. Capisci quindi bene che, senza Sthiggar, non potremmo mai uccidere Surtr.”

“Non voglio combattere al suo fianco!” sbottò a quel punto il giovane.

“Tu farai quello che ti verrà detto, se vorrai ottenere quanto pattuito” ringhiò a quel punto il mandante, rimettendolo in buon ordine. “Ora, fai quanto ti è stato ordinato e sobilla i tuoi compagni perché perdano fiducia nel tuo commilitone e nel loro comandante. Voglio il maggior numero possibile di Fiamme Purpuree dalla nostra parte. Sarai capace di fare almeno questo?”

Thrydann sibilò un assenso stentato dopodiché, con un rigido inchino, se ne andò a sua volta. Avrebbe dimostrato a tutti che, pur non essendo una Fiamma Viva, poteva ottenere comunque ciò che voleva e, più di qualsiasi altra cosa, avrebbe riso in faccia a Sthiggar una volta che fosse stato costretto a uccidere il suo caro Surtr.

Quando fosse stato libero dall’incantesimo e messo di fronte a ciò che aveva compiuto, sarebbe impazzito di dolore e, solo a quel punto, lui si sarebbe ritenuto soddisfatto.

Aveva dovuto sopportare per anni l’ammirazione sempre crescente di Yothan nei confronti di Sthiggar, i suoi successi così come l’aumentare esponenziale del suo potere. Lui, Thrydann Handersson, che era figlio di nobili di antichissima stirpe, aveva dovuto chinare il capo a ogni nuovo successo del commilitone, sopportando di dover stringere la mano al figlio di una genia impura e della casta nobiliare più bassa.

Poco importava che Sól fosse sua nonna, e suo padre il Grande Sacerdote di Hindarall. Nel suo sangue scorreva il sangue di una dea che aveva copulato con un mortale, insozzando la propria dinastia con qualcuno di indegno, e questo non poteva sopportarlo.

Il clan a cui era appartenuto Glern non era stato neppure lontanamente così importante come gli Handersson, eppure la dea lo aveva voluto come compagno, elevandolo sopra a ogni altro uomo.

Gli dèi si erano giustamente adirati con lei, per questa scelta, e l’avevano bandita dal mondo dei mortali per confinarla nei Cieli ma, a suo modo di vedere, era stata una pena anche troppo lieve.

Se lui fosse stato un dio, avrebbe ucciso sia Glern che Snorri, invece di limitare la possibilità della dea impura di vederli. A quel modo, Sthiggar non sarebbe mai nato e non si sarebbe mai permesso di metterlo in ombra.

***

"Ancora nessuna notizia da parte dei tuoi commilitoni, Hildur?" domandò Surtr nell'osservare ombroso la guerriera.

Scuotendo il capo, la Fiamma Nera si limitò a dire: "Credo che il punto sia un altro, sire. Ci sono fin troppe speculazioni che confondono le idee. L'approssimarsi dei festeggiamenti per il vostro anniversario, così come il fatto che voi li abbiate anticipati per accontentare la vostra regina – cosa per cui, io credo, dovrete pagare salato, almeno stando alle espressioni di vostra moglie Ilya – hanno messo in subbuglio i complottisti di ogni ordine e forma, perciò c'è chi sospetta degli ospiti jotun, così come chi è sicuro che i dokkalfar attaccheranno dal mare, la notte, su brigantini elfici. Altri ancora temono una collaborazione tra elfi chiari ed elfi scuri per spodestare vostra altezza e, non da ultimo, c'è persino chi sostiene che Sthiggar stesso abbia messo in scena ogni cosa per poter tornare a sorpresa da Midghardr, salvare la baracca ed essere eletto eroe di Muspellheimr."

Surtr mugugnò un'imprecazione antica quanto il mondo prima di bofonchiare: "Non mi ricordare di Ilya, ti prego. E’ stato dannatamente difficile evitare di dirle la verità, e ancora adesso sto assaggiando i suoi strali.”

“Succede, quando si usano le mogli per coprire i propri misfatti” sorrise comprensiva la Fiamma Nera, vedendo bofonchiare il re per diretta conseguenza.

“I complottasti, comunque, davvero non mi servivano, in questo momento" concluse il re, passandosi una mano nervosa tra la chioma scura.

"Continuerò a cercare, maestà ma per favore, durante il ricevimento indossate le vostre scaglie di drago sotto alla tunica. E fatele indossare anche alla regina Ilya. Non è più il tempo di essere cauti" dichiarò torva Hildur.

Sollevando un sopracciglio con evidente sorpresa, il sovrano mormorò: "Pensi che siamo già a questo punto?"

"Se una sola delle dicerie che stiamo vagliando risultasse vera, sarebbe la guerra. Non possiamo lasciare nulla al caso, e una freccia avvelenata può mettere al tappeto anche il sovrano più potente, se il veleno è quello giusto" sottolineò Hildur con tono lapidario. “Mancano solo due mesi alla festa, perciò dobbiamo cominciare a preparare un piano alternativo alla semplice difesa del regno.”

Il re assentì muto e Hildur, nell'inchinarsi, chiese il permesso di accomiatarsi. Surtr, però, le disse un'ultima cosa: "Se si dovesse arrivare allo scontro, dovrai fare una cosa per me, Hildur."

"Qualsiasi cosa, sire" annuì la guerriera.

Il sovrano, allora, le espose i suoi piani, attese che la Fiamma Nera assentisse e, solo a quel punto, le concesse di andare. Quando infine rimase solo, sospirò, lanciò uno sguardo alla porta che lo separava dalle stanze dove in quel momento si trovavano figlio e moglie e, tra sé, chiese perdono.

***

Fermo dinanzi all'entrata della Luleå University of Technology, Sthiggar stava attendendo con pazienza che Ragnhild uscisse dalla sua facoltà.

Era ormai un mese che si incontravano, quasi giornalmente, per le lezioni che Sthiggar le aveva estorto dopo aver vinto la battaglia contro Ludvig.

Non proprio di buon grado, la ragazza aveva ceduto alla richiesta del muspell perché fosse ligia alla propria parola, pur se Sthigg era consapevole di quanto, le sue mille domande, stressassero la terrestre.

Non che ne avesse compreso i motivi - era tutt'ora convinto di aver posto, fin lì, domande più che sensate e niente affatto sciocche - ma, da bravo stratega quale sapeva essere, era divenuto sempre più cosciente dell’accentuarsi dell’irritabilità della ragazza.

Gli era infatti parso più che chiaro come, con il passare dei giorni, l’umore di Ragnhild fosse progressivamente peggiorato perciò, per quel giorno, aveva previsto tutt’altro tipo di attività, invece dello studio.

Non le avrebbe posto alcuna domanda e, per contro, l'avrebbe condotta a fare una gita in barca, complice la mancanza di Thrym all'imbarcadero, così da concederle del tempo per rilassarsi e non pensare a nulla.

Quel giorno, Thrym avrebbe accompagnato Flyka a un pranzo offerto dai proprietari del negozio dove lavorava quest'ultima, perciò non sarebbe stato presente in sede, consentendogli di muoversi senza suscitare domande scomode.

Gunther aveva avallato la sua uscita - considerata come un permesso-premio per buona condotta - e, al tempo stesso, avrebbe permesso a Sthiggar di prendere a noleggio una delle barche a vela del porticciolo, così da poter portare Ragnhild in mare.

Naturalmente, il giovane si era dovuto sorbire un'infinita serie di commenti più o meno piccanti in merito a quell'uscita, ai quali Sthiggar aveva risposto con uno stoicismo impeccabile.

Non appena Gunther avesse assaggiato la lingua forcuta di Ragnhild, si sarebbe ricreduto da solo, perciò non c'era stato alcun bisogno di difendersi dalle sue accuse di essersi già trovato la fidanzatina.

Ma anche quanto, lo credeva un bambinetto?

Quando perciò la vide uscire in auto dall'università, si rese visibile con un cenno della mano, a cui però lei non rispose minimamente, passandogli davanti come se nulla fosse.

Sthiggar fissò esasperato l’auto procedere lungo la via, gli occhi azzurri che sprizzavano scintille mentre lei, a poche centinaia di metri, interrompeva la sua corsa prima di fare retromarcia.

Il giovane muspell non mosse un muscolo per andarle incontro e la ragazza, quando finalmente lo raggiunse, abbassò il vetro della portiera e dichiarò dispettosa: "Avresti anche potuto avvicinarti, no?"

"E tu avresti potuto fermarti quando mi sono fatto vedere" sottolineò per contro Sthiggar prima di prendere un gran respiro, darsi una calmata e aggiungere: "Com'è andata, oggi?"

"Il professore di meccanica ha cercato di guardarmi le tette, perciò ho passato la maggior parte del tempo a coprirmi con il libro" gli buttò lì la ragazza mentre Sthiggar saliva in auto sul sedile del passeggero.

Lui la squadrò con aria accigliata, notò il maglioncino bianco a collo alto, i jeans scoloriti e gli alti stivali neri e, confuso, domandò: "Esattamente, come avrebbe potuto? E' forse dotato di vista ai raggi X?"

"Gli uomini fissano le tette delle donne anche se sono coperte da strati e strati di tessuto. Siamo soltanto delle riviste porno in 3D, per molti di loro. Queste cose si capiscono a pelle, stopp… Sthiggar" motteggiò querula Ragnhild, prendendo la via per raggiungere il parco pubblico dove, di solito, lei impartiva lezioni al muspell.

"Ah. Sono talmente abituato a donne in armi, che la cosa mi sembra un po' strana" replicò Sthiggar, sinceramente perplesso. “Se pensassi di guardare un mio commilitone donna in modo meno che rispettoso, perderei l’uso dei miei attributi maschili in men che non si dica.”

"Vorrei stringere le mani a tutte loro" lo punzecchiò allora Ragnhild, sogghignando con tono vagamente malefico. “Quindi, non hai avuto possibilità di farti nessuna donna, visto quanto sono cazzute?”

Ancora, Sthiggar, si chiese cosa stesse prendendo alla ragazza, in quei giorni ma, nuovamente, soprassedette. Desiderava sinceramente l’aiuto di Ragnhild ma, al tempo stesso, avrebbe voluto capire cosa la stesse turbando tanto, facendola divenire ancor più acida e aspra del solito.

"Tutte le umane sono così sboccate e prive del minimo senso del pudore?" replicò allora lui prima di contenersi nuovamente e aggiungere: "Puoi dirigerti verso il porticciolo dove lavoro, per favore?"

"Hai dimenticato qualcosa?" domandò lei, ignorando volutamente il quesito di Sthiggar.

"No. In realtà, vorrei accompagnarti a fare un giro in barca" disse lui a sorpresa, azzittendola per qualche momento. "Mi sono reso conto che sono giorni e giorni che ti sommergo di domande e, visto che già passi molte ore a studiare, credo di averti un tantino... saturato. Così ho pensato di ringraziarti, portandoti fuori in barca."

"Tu. In barca. Su una distesa di acqua fredda" elencò sconcertata Ragnhild, sbattendo frenetica le palpebre.

Sthiggar allora scosse il capo per l'esasperazione e, con quanta più calma gli riuscì di trovare, disse atono: "Parte del nostro addestramento si svolge in mare. Impariamo a portare le navi dell'esercito sia su mari d'acqua che di lava, perciò sono abituato a navigare. Le nostre acque non saranno fredde come le vostre, ma so tenere il vento e controllare le correnti."

"Okay" replicò lei con una scrollatina di spalle.

Sthiggar non seppe dire se quell'assenso mogio gli desse più o meno fastidio rispetto ai suoi modi spicci e spesso discutibili. Di sicuro, c’era qualcosa che non andava, ed era ben intenzionato a scoprirlo.

In un certo qual modo, vederla così nervosa e irritata lo angustiava, e desiderava porvi rimedio in qualche modo.

Quando finalmente raggiunsero il porto, Ragnhild parcheggiò l'auto a poca distanza dall'entrata dell'imbarcadero e, dopo essere scesa assieme a Sthiggar, gli domandò: "Devo prepararmi a rifiutare le tue avances?"

"CHE COSA?!" sbraitò Sthigg prima di sospirare pesantemente e, allontanandosi da lei, borbottare contrariato: "Ma chi me l'ha fatto fare?"

Dietro di lui, non vista, Ragnhild sorrise soddisfatta e, con passo baldanzoso, lo sorpassò fino a raggiungere il punto in cui si trovavano le barche a vela a noleggio. Lì, trovò il proprietario dell'imbarcadero e, nel salutare Gunther, disse: "Spero che il tuo dipendente sappia tenere il mare come ha millantato di saper fare. Non voglio dover chiamare la guardia costiera per un salvataggio in extremis."

Gunther la squadrò sorpreso per alcuni attimi prima di scoppiare a ridere, offrirle una mano per salire sulla barca a vela e infine dire: "E' un ragazzo che sa il fatto suo."

"Bene. Altrimenti me la prenderò anche con te, se mi farà finire in mare" sottolineò per contro Ragnhild, togliendosi gli stivali per indossare un paio di mocassini messi a disposizione dalla società di noleggio.

Sthiggar li raggiunse in quel momento e Gunther, ancora preso dalle sue risate, gli diede due sonore pacche sulle spalle e dichiarò: "Te la sei scelta riottosa, eh?"

"Con te non ci parlo" borbottò per contro Sthiggar, salendo a bordo per poi mollare gli ormeggi.

Senza degnare di uno sguardo Ragnhild, che si era sistemata a prua, Sthiggar regolò la randa, mosse il timone e diresse lo sloop1 verso sud per uscire dal fiordo e ritrovarsi così in mare aperto.

Dimostrando una competenza molto superiore a quella che Ragnhild si era aspettata, Sthiggar li condusse senza alcun problema fuori dalla stretta insenatura che si apriva sulle coste di Luleå.

Dopo essersi lasciato alle spalle le insidiose correnti meridionali, il giovane muspell diresse quindi la prua verso est-nordest dopodiché, con tono più rilassato rispetto a quando erano arrivati al porto, domandò: "Rimarrai lì da sola per tutto il tempo?"

Ragnhild si allontanò dalla prua per raggiungere la poppa e il piccolo divanetto che correva da dritta a sinistra della coperta, quindi si sedette per poi ammirare in silenzio Sthiggar che conduceva la barca.

Ora che aveva il tempo di osservarlo, Ragnhild si rese finalmente conto di quanto fosse imponente, di come il suo portamento fosse, effettivamente, quello di un guerriero e, dentro di sé, non si sentì più così spavalda.

In quelle settimane aveva giocato con lui perché, bene o male, si era sempre trovata in ambienti a lei congegnali, dove si era sentita al sicuro, e il muspell aveva fatto comunque la sua parte, non mettendola mai a disagio.

Inoltre, andava anche detto che Sthiggar non aveva mai lontanamente cercato alcun approccio con lei, rimanendo sempre ad alcuni passi di distanza, o seduto all’altro capo della panchina dove si erano spesso accomodati.

Mai, in nessuna occasione, aveva fatto battute maliziose, o usato le sue domande per portarla su terreni pericolosi perciò, inconsciamente, aveva finito con il crederlo innocuo. Per nulla pericoloso.

Lì in mezzo al mare, da soli e senza la protezione potenziale dei cugini, o di un membro qualsiasi del suo clan, non si sentiva più tanto sicura di sé.

Il solo pensarlo, però, la mandò in bestia così, più scorbutica di quanto non volesse essere, borbottò: "Non è che sia poi questa gran cosa, stare qui a guardarti mentre tieni il timone, sai?"

Sthiggar si volse sorpreso, nell'udire quel tono così difensivo e irritato e, da sopra la spalla, replicò: "Non devi per forza guardarmi. Il paesaggio è sicuramente più affascinante di me. Neppure su Muspellheimr abbiamo coste così belle o dall’aspetto tanto struggente. Lo riconosco persino io, che non sono un’intenditore d’arte."

Lei lo prese in parola, pur se dentro di sé era inorridita dal suo stesso comportamento.

Irritata, volse quindi lo sguardo per osservare l'orizzonte, dove era possibile scorgere l'isolotto di Fjardgrundet, oltre alla più maestosa isola di Germandön, con le sue coste brulle e i piccoli villaggi che si allungavano sulle spiagge.

Tutt'attorno, erano presenti ben poche barche da diporto, e la maggior parte delle imbarcazioni che stazionavano in mare erano per lo più di natura commerciale.

L'aria salubre e salmastra, comunque, era piacevole e il silenzio protratto di Sthiggar aiutò Ragnhild a calmarsi a sufficienza per dire: "Sono stata una stronza. Scusa."

"Mi piacerebbe capire perché" replicò lui con una scrollata di spalle.

Ciò detto, si avvicinò a una cala, gettò l'ancora e ritirò le vele, dopodiché si appoggiò alla paratia di dritta e la scrutò a braccia conserte, gli occhi azzurri pieni di domande inespresse e la bocca piegata in una smorfia.

Ragnhild si lasciò andare a un sospiro e un brivido e, nel ritirare le ginocchia al petto, le avvolse con le braccia e borbottò: "La mamma non può più fare nulla, in casa, e io la aiuto per quello che posso, ma non so se riesco a fare tutto bene come vorrebbe lei. Inoltre, tenere al sicuro Mattias non è esattamente facile, visto quanto è vivace. Cerco di dargli tutta la libertà che un ragazzino di dodici anni merita ma, a volte, i miei genitori reputano queste mie scelte troppo morbide, e ne nascono discussioni. Inoltre, papà lavora tutto il santo giorno nel Datacenter di Facebook, perciò non posso pretendere che, una volta tornato a casa, si occupi anche delle faccende domestiche."

Sthiggar assentì lentamente, non ancora del tutto sicuro che lei avesse detto la verità e Ragnhild, non udendo alcuna sua replica, proseguì dicendo: "Mi sento in dovere di aiutare, ma non posso fare a meno di pensare che... che..."

Stringendo i pugni, la giovane nascose il viso contro le ginocchia e mormorò contrariata: "Mia madre non mi ha mai sopportato. Ha sempre e solo portato in palmo di mano Mattias perché è speciale. Io sono sempre e solo stata la sua guardia del corpo, il suo lacchè, la sua schiavetta, a voler essere gentili e, quando lei ha avuto quell'ictus, noi stavamo litigando proprio in merito a questo."

Sthigg allora sospirò, iniziò a comprendere gli umori altalenanti della ragazza e, rilassando le braccia lungo i fianchi, domandò: "Ti senti responsabile per ciò che le è successo?"

Ragnhild si mosse nervosa sul divanetto, distese le gambe per alzarsi in piedi e, afferrando il parapetto di poppa con mani tremanti, borbottò: "Il dottore fu chiaro. L'ictus fu causato dalle quaranta e più sigarette al giorno che lei aveva fumato fin da giovane, non certo dalla nostra lite, però..."

"Però, tu colleghi la sua condizione a quel litigio, ed è difficile conviverci" terminò per lei Sthiggar, vedendola annuire recisamente.

"La guardo negli occhi, e vedo che mi incolpa di tutto. Non può parlare, ma è come se mi urlasse il suo disprezzo ogni giorno e anche mio padre, in parte, lo fa. L'unico a non rendersene conto è Mattias, ma preferisco che la veda come la mamma amorevole che è sempre stata con lui."

Il tremore delle mani di Ragnhild si fece più forte e Sthiggar, che aveva pensato di farle un favore, portandola a fare quel giro in barca, si pentì amaramente di averlo fatto.

A quanto pareva, liberarsi la mente non stava affatto portando i benefici sperati ma, anzi, le aveva riportato a galla antichi dolori, dolori che a quanto pareva non le permettevano di vivere come desiderava.

"Forse ho fatto male a proporti questa gita" mormorò lui, spiacente.

Lei allora, fece tanto d'occhi, lo squadrò contrita ed esclamò: "No! Mi piace!"

"Non si direbbe" replicò lui, inclinando il capo su un lato per guardarla con il dubbio negli occhi.

Ragnhild allora sbuffò e, mettendo il broncio, intrecciò le braccia sul petto e ammise: "Non sono una che si presta volentieri ai giochi delle parti."

"Neanche so di cosa stai parlando" ironizzò a quel punto lui. "Ragnhild, gli ultimi cinquant’anni della mia vita li ho passati in mezzo a un branco di uomini – e donne –sudaticci e con diversi problemi gastrointestinali."

A quell'accenno, lei sorrise appena, divertita da quell’accenno, così il giovane muspell proseguì dicendo: "Nella migliore delle ipotesi, ci lavavamo una volta la settimana e, di solito, nei torrenti che trovavamo lungo tratte estenuanti e senza fine. Il mio comandante godeva nel vederci sputare sangue a ogni allenamento e, se almeno uno non crollava per la stanchezza, gli altri non si potevano fermare. Il punto era che, chi crollava, veniva messo di corvè alle cucine, e nessuno voleva andarci, per cui..."

Lei sgranò leggermente gli occhi, ed esalò: "... per cui, vi riducevate a degli stracci?"

"Esatto. Questo, però, ci ha resi più forti, più saldi e più convinti delle nostre capacità" ammiccò lui, facendola finalmente ridere.

"Tutto questo per dire?" domandò a quel punto lei.

"Non so cosa ti aspettassi che succedesse, o cosa temessi succedesse, ma di certo non ti salterò addosso solo perché non vado con una donna da tempi immemori" si limitò a dire Sthiggar, lasciandosi scivolare a terra a gambe incrociate.  "Anche quando ero un disgraziato che si cacciava sempre nei guai, non sono mai e poi mai andato con una donna che non mi volesse nel suo letto, per cui non comincerò certo ora a comportarmi da stronzo."

Un tantino più rilassata, Ragnhild disse: "Non pensavo necessariamente che tu volessi comportarti da stronzo ma non ci so fare coi ragazzi, e speravo davvero di non averti portato a pensare che io fossi, beh, disponibile."

Lui allora rise di gusto, si asciugò una lacrima di ilarità ed esalò: "Davvero non ci sai fare, con i ragazzi? Non credevo!"

Ragnhild si accigliò immediatamente e borbottò: "Ora non devi per forza fare il furbo, sai?"

"Ammetto che la cosa mi diverte un po', invece" celiò il giovane. "Gunther, il mio capo, mi ha stressato a morte per ore, quando gli ho detto che mi serviva una barca a nolo e, di sicuro, ora starà pensando le cose peggiori su di noi... per cui trovo esilarante pensare a quello che effettivamente sta succedendo, e cioè niente!"

La ragazza sbuffò rumorosamente e Sthiggar rise ancor più forte, lasciandosi andare su un fianco per poi sdraiarsi sul ponte della barca.

"Dai, smettila!" sbottò a quel punto Ragnhild, ora vermiglia in viso.

Sthiggar non la ascoltò affatto e continuò a ridere, e ridere, finché il riso non si trasformò in pianto silenzioso - pianto che sorprese non poco Ragnhild - e in una confessione che, fino a quel momento, non aveva mai detto a nessuno.

"Mia madre non mi amava abbastanza per vivere. Né amava abbastanza mio padre per continuare a stare con lui. Si lasciò andare fino a consumarsi e una mattina la trovai così, stesa sul pavimento della stanza dove soleva leggere, senza più alcun alito di vita a illuminarle gli occhi" mormorò lui, la guancia poggiata sulle assi levigate e lo sguardo perso nel vuoto.

"Mi... mi dispiace" mormorò Ragnhild, raggiungendolo per poi sedersi a gambe intrecciate a pochi centimetri da lui.

Sthigg non si mosse, il corpo enorme steso sulle assi cerate di fresco, e sussurrò: "Ho passato anni a chiedermi perché, ma non ho mai trovato una risposta. Credo di aver combinato un sacco di pasticci, in gioventù, per sopperire alla sua mancanza. Per attirare l'attenzione e ricevere affetto ma, alla fine, desideravo qualcosa che non avrei mai potuto avere."

"Lei" disse soltanto Ragnhild, vedendolo poi annuire.

"C'è un nome, per questo, sulla Terra?" le domandò, scrutandola attraverso il velo di lacrime che gli inumidiva gli occhi.

"Senso di perdita" si limitò a dire lei, scrollando le spalle. 

"Rende l'idea" annuì Sthiggar, rimettendosi lentamente a sedere. "Scusa. L'idea della gita era permetterti di rilassarti, non certo farti piangere o vedermi piangere."

"Per la verità, mi sorprende che tu non ti senta a disagio, nel farlo di fronte a una donna. Tra di noi, molti uomini si sentirebbero disonorati al solo pensare di farlo" replicò lei, allungando una mano per tergere una lacrima dalla gota del muspell.

Sthiggar la lasciò fare, replicando: "Ho pianto più di quanto non vorrei ammettere e, il più delle volte, per il dolore. Il nostro addestramento ci ha insegnato che, se necessario, servono anche le lacrime. Ci ricordano che siamo vivi, che il nostro cuore ancora batte per qualcosa, che non siamo diventati solo macchine spietate pronte unicamente a uccidere."

"Ha una sua logica" assentì Ragnhild, osservando la lacrima ancora posata sul suo dito. "Cosa succede, se la assaggio? Saprà di sale come le nostre?"

"Per la verità, sono dolci" ammise lui, sorprendendola.

Subito, lei se la portò alle labbra e, scoppiando in una risatina, esalò: "Oddio, è vero!"

"Pensavi ti prendessi in giro?"

"Non del tutto... più che altro, pensavo stessi esagerando ma, in effetti, sono davvero dolcissime. Come mai?"

"Le nostre lacrime creano una patina cristallina sul vetrino dell'occhio, per proteggerlo dal caldo del pianeta Muspell. Non so dirti i nomi terrestri delle componenti chimiche, ma tant'è. Niente lacrime salate" scrollò le spalle lui.

"Le mie fanno schifo, invece" replicò lei, asciugandosi il viso con gesti secchi delle mani.

Sthiggar, però, gliele bloccò, allontanandole dal viso e, più gentilmente, le deterse le gote asserendo: "Perché devi essere così scortese con te stessa?"

Lei lo lasciò fare con aria accigliata, quindi disse burbera: "Cosa vedi, quando mi guardi?"

"E' una domanda trabocchetto?" replicò lui, cauto.

"No, rispondi sinceramente" scosse il capo lei.

"Vedo una bella ragazza, che però pare essere scontenta di questa cosa. Conosco delle donne che pagherebbero per avere una pelle chiara e liscia come la tua. Su Muspellheimr abbiamo tutti la pelle ambrata o color caramello,  o anche nera come il carbone, in talune parti del Continente Orientale, soprattutto per sopperire al caldo e al sole. Molte donne, però, tentano di schiarirla con prodotti di cosmesi per apparire più simili agli elfi chiari di Elfheimr. Una vanità inutile, visto il pianeta dove viviamo, però succede" le spiegò lui, sorprendendola un poco.

"Quindi, mi reputi bella. E che diresti, se ti dicessi che ho tentato il suicidio? Che ho cercato di distruggere questa bellezza?" gli domandò lei a bruciapelo.

Sthigg si accigliò, replicando: "A causa di tua madre?"

Lei nicchiò, non rispondendo alla domanda e Sthiggar, con un sospiro, si limitò a dire: "Rimarresti comunque una bella ragazza. La bellezza non ha niente a che fare con chi si è realmente. Perciò, tu potresti essere la persona più crudele al mondo, ma rimarresti comunque bella. L'interiorità e l'esteriorità sono due cose diverse. Perciò, ritenta."

Sbuffando sonoramente, Ragnhild borbottò: "Sei un pubblico più difficile di quanto non pensassi."

"Mi credevi solo capace di tirare pugni o grugnire?" ironizzò allora lui.

"Qualcosa del genere anche se, dalle domande che mi hai fatto in queste settimane, mi sono progressivamente ricreduta" ammise lei, lasciando ciondolare una mano come se il suo commento non fosse importante. "Quindi, dopo quello che ti ho detto, cosa pensi di me?"

"Cosa dovrei pensare, Ragnhild? Ti conosco solo da alcune settimane, e reputo sia un periodo troppo breve per farmi un'idea di chi tu sia realmente. So che rispondi a tono, che hai un carattere mordace e ti piace tenere le persone sulle spine. Con tuo fratello, però, sei amorevole e protettiva, e non lo fai perché ti è stato imposto, ma perché gli vuoi bene davvero" disse lui con una scrollata di spalle.

Lei allora sorrise commossa, ripensò alle terribili parole del padre e replicò: "Sthiggar... hai notato più cose tu, in questo mese passato assieme, di persone che conosco da una vita e frequento spesso."

"Allora, conosci solo persone superficiali" si limitò a dire il giovane.

"Comincio a pensarlo" mormorò lei, sgranando lentamente gli occhi di fronte a quella sconcertante quanto semplice verità.

Nessuno, all’interno del suo clan, si era mai preso la briga di chiederle cosa pensasse, cosa la rendesse felice o triste. Lei era sempre e solo stata la figlia del capo, oppure la sorella di Mattias, ma mai soltanto Ragnhild.

Anche Ludvig l’aveva cercata per le stesse ragioni, e a questo lei si era opposta con ferocia. Ma dopo l’ultimatum del padre, con tutta probabilità, Sthiggar sarebbe stata l’ultima persona, l’ultimo uomo con cui avrebbe potuto parlare a cuore aperto, e questo la terrorizzò a morte.

Inconsapevole delle paure della giovane, Sthiggar tornò a sdraiarsi, intrecciò le mani dietro la nuca e chiuse gli occhi, concedendosi un minimo di tranquillità dopo l'intensità raggiunta nel parlare così sinceramente con Ragnhild.

Ben di rado riusciva ad aprirsi a quel modo, e subito dopo si sentiva svuotato e senza forze, per quanto fosse difficile ammetterlo.

Sentire su di sé il tenero bacio dei raggi solari fu di consolazione, come se sua nonna volesse in qualche modo abbracciarlo e Ragnhild, nell'osservare il suo volto pacifico e il tenue sorriso che ne piegava le labbra morbide, domandò: "Parli con tua nonna?"

"Non posso parlarle. Le è vietato interagire con noi, ma sento la sua energia, perciò mi accontento" le spiegò lui, aprendo un occhio per scrutarla curioso.

Appariva dubbiosa, come se desiderasse fare qualcosa ma non avesse il coraggio di metterlo in pratica. Sollevandosi perciò su un gomito, la guardò con aria interrogativa e domandò: "Cos'è che ti rode tanto?"

"Giudicheresti stupido se io mi sdraiassi lì accanto a te? Lo vedresti come un... approccio?" brontolò lei, accigliandosi.

Sthiggar non le rispose. Si limitò ad avvolgerle le spalle con un braccio, trascinarla giù con sé e farle poggiare il capo contro il suo torace. Il tutto, sentendola bofonchiare stentate proteste prima di azzittirsi completamente.

"Non devi essere dura e pura con me, Ragnhild. Io non ci vedo del torbido, se ti serve un po' di forza altrui per tenerti in piedi, ogni tanto" le disse a quel punto lui, tenendo il braccio attorno alle sue spalle perché lei rimanesse accanto al suo corpo mastodontico.

Ragnhild non disse nulla, poggiò una mano sul suo torace fino a trovare il cuore e, nel chiudere gli occhi, ascoltò quel suono lento e ritmico che, poco alla volta, la portò a un sonno privo di sogni.

 

 

 

 

1: barca a vela a un solo albero, con due vele, la randa e il boma.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Cap. 11

 

 

 

Quante volte aveva dormito al fianco di una donna senza cercare il suo tocco, le sue carezze, la passione travolgente dell’unione carnale?

Sthiggar si rese conto di non poter contare nessun episodio simile, nella sua memoria e, per qualche motivo, la cosa lo intristì.

Le sue avventure erano state vuote, prive di sostanza o di qualsiasi genere di sentimento e, anche se gli avevano insegnato cosa volesse dire avere un rapporto sessuale, ogni altra cosa gli era rimasta preclusa.

L’aprirsi sinceramente, il colloquiare con leggerezza, ridere con spontaneità così come piangere in silenzio e con il cuore aperto, ognuna di queste emozioni gli erano fin lì rimaste precluse. Inavvicinabili.

Con Ragnhild, per quanto non avesse inteso regalarle quella giornata tranquilla per tentare un approccio, come lo aveva chiamato lei, si era ritrovato a sperimentare ciò che, negli anni, non era mai riuscito a provare con nessuna donna. E suo malgrado, lo aveva trovato incredibile.

Il desiderio sessuale non aveva fatto parte dell’equazione o, per meglio dire, per quanto la trovasse bella, questo non aveva costituito un ostacolo per poter approfondire ciò che realmente gli stava a cuore.

Conoscere lei.

Scoprire come fosse Midghardr, apprendere ciò che era importante sapere di quei luoghi e di quelle genti, stava diventando man mano meno interessante o importante, soppiantato dal desiderio di apprendere come fosse in realtà Ragnhild.

Le sue mille sfaccettature lo intrigavano, affascinandolo. Quei suoi voltafaccia improvvisi, che alcune volte lo portavano ad avere uno strano formicolio alle mani, erano ammalianti al pari delle rare occasioni in cui la giovane si lasciava andare a un sorriso spontaneo.

Quando succedeva, ogni cosa si azzerava, dentro di lui, portandogli la pace.

Pace che però sarebbe stato costretto a interrompere anzitempo, visto ciò che stava per succedere.

Quando il cielo sgombro iniziò a ricoprirsi di nuvole e la luce si fece più fievole, Sthiggar non poté esimersi dallo svegliare Ragnhild con un leggero richiamo. Quest'ultima, sobbalzando, sbatté le palpebre per diversi secondi prima di sollevarsi sulle mani, scrutare Sthigg con espressione confusa ed esalare: "Ma... ho dormito?!"

"Direi di sì. Sembravi averne davvero bisogno" assentì lui, mettendosi a sedere per poi poggiare la schiena contro il parabordo della barca.

La giovane lo fissò arcigna per un istante prima di tastarsi gli abiti, i capelli, il volto e infine gracchiare: "Cristo santo! Quando mi sveglio sembro uno zombie! Non dovevi vedermi così!"

Lui accennò un risolino, replicando: " Hai dormito troppo poco perché potesse avvenire una simile mutazione, credimi."

Lei smise di tastarsi, notò il segno di sgualcitura sul maglione di Sthiggar e, più dolcemente, mormorò: "Mi hai fatto da cuscino. Grazie."

"Come ti ho detto, sembravi averne bisogno" si limitò a dire lui. "Da quanto tempo non riposavi così tranquilla?"

"Da troppo" ammise lei, lanciando poi uno sguardo verso il cielo. "Sarà il caso di rientrare. Si sta avvicinando una tempesta."

"Ne avevo il sentore, ma non conosco ancora molto bene le correnti terrestri" assentì il muspell, balzando in piedi con facilità per poi ritirare l'ancora.

Ragnhild, nel frattempo, si mise al timone e, non appena la barca fu libera, lo ruotò verso ovest mentre Sthiggar riapriva le vele.

La barca si mosse non appena le tele cerate di randa e fiocco si gonfiarono grazie al vento proveniente da sud e, muovendosi con maestria mentre Sthigg rimaneva alla scotta per manovrare la velatura, disse: "Se hai sentito l'odore del temporale è già tanto. Ci sono persone che se ne accorgono troppo tardi, e finisce sempre che la guardia costiera deve correre ai ripari."

"Faceva parte del nostro addestramento, anche se va detto che il profumo di questa tempesta non è neppure sgradevole. Quando si scatenano i temporali sui nostri mari, sembra di finire dentro a un vulcano sulfureo" chiosò il muspell, manovrando con abilità le vele.

"Deve essere davvero strano, per te, il nostro pianeta" commentò incuriosita Ragnhild.

"E' bello, per la verità ma, come ha detto mia cugina, è anche strano perché non ve ne prendete minimamente cura."

"Vero. Siamo un po' contraddittori, come avrai ormai notato" ammise la giovane.

"E’ una cosa che mi è balzata all’occhio di recente" celiò lui, ricevendo per diretta conseguenza un'occhiataccia.

Lui allora rise, sistemò la scotta nell'avvolgitore dopodiché raggiunse Ragnhild al timone e aggiunse: "E' inutile che mi guardi come se ti avessi detto il peggiore degli insulti. E' vero che sei contraddittoria, come è vero che io tendo a essere una testa calda e a dire la verità anche quando dovrei tacere. Ne sono perfettamente consapevole perciò non capisco perché tu, pur sapendo di essere ciò che ti ho detto, devi risentirtene se te lo dico."

La giovane lo fissò piena di sorpresa, prima di domandare: "Ma non ti passa mai per la mente di dire una bugia?"

"Tendenzialmente non lo faccio" ammise lui con una scrollata di spalle. "Ritengo sia preferibile dire il vero e, non a caso, non mi piace mentire ai miei compagni di prigionia ma, non conoscendoli, non posso fare altro."

"Non conosci molto neppure me o i miei cugini, eppure ti sei confidato" gli fece notare Ragnhild, passandogli il timone quando il vento divenne trasversale e tenere la rotta fu più difficile.

Mantenendo salda la ruota di metallo del timone, Sthiggar replicò: "Non vi ritenevo un pericolo per me. Contrariamente, Flyka e Thrym potrebbero esserlo, soprattutto se sapessero che sono una Fiamma Viva."

"Che, se ho ben capito, è una cosa piuttosto rara e, nel tuo caso, la notizia è stata mantenuta pressoché segreta al popolo" soggiunse la giovane.

Lui assentì, mormorando: "Esattamente."

"Ma qui non conti nulla, no?"

Sthiggar la guardò con espressione sconcertata mentre Ragnhild, tappandosi la bocca e sgranando gli occhi, esalava subito dopo: "Oddio! Detta così suonava malissimo."

"No, davvero?" gracchiò il giovane, scuotendo esasperato il capo. "Ora so che stai meglio."

"Perché ti ho insultato?" borbottò lei.

"Qualcosa del genere" celiò lui, forzando maggiormente sul timone per contrastare il vento. "Cazza la randa, per favore, e ritira il fiocco. Il vento sta diventando così forte che non servirà la doppia velatura, per rientrare."

"Signorsì, comandante" ciangottò lei, muovendosi con fare capace tra le varie scotte della barca.

Sthiggar ne seguì i movimenti per essere sicuro che non avesse difficoltà nel fare ciò che le aveva chiesto ma, dopo averne notato la competenza e l'agilità, tornò a fissare l'orizzonte e l'entrata del fiordo. 

Ragnhild era forte abbastanza per compensare ciò che la natura non le aveva dato, e cioè la possanza di un berserkr. Lei ne avrebbe avuto diritto a pieno titolo, a suo modo di vedere, e trovò ingiusto che dovesse trovare in lui protezione e conforto.

Perché la sua famiglia la stava costringendo a condurre una vita così tribolata?!

Sopra di loro, nel frattempo, le nubi stavano diventando sempre più scure e il vento, ormai, aveva raggiunto picchi da trenta nodi. Rientrare era imperativo. Costeggiando quindi la riva sinistra della Riserva Naturale di Tjuvholmssundet, Sthiggar percorse il canale che riconduceva al fiordo di Luleå e, da lì, virò a sinistra, ritenendosi finalmente al sicuro.

Questo non impedì loro, però, di venire accolti al rientro nel fiordo da un temporale coi fiocchi e, mentre Ragnhild correva a prendere le cerate sottocoperta, Sthiggar maledisse il tempo inclemente e l'acqua ghiacciata.

"Infila questa!" gli gridò in fretta Ragnhild, armeggiando con la cerata per aiutarlo a indossarla.

Sthigg si prestò a essere aiutato mentre cercava di non far scuffiare la barca così Ragnhild tentò, alla bell'è meglio, di avvolgerlo nella cerata per proteggerlo dagli scrosci di pioggia sempre più forti.

Una folata di vento, però, la portò a scivolare sul piano di legno e Sthiggar, per evitarle una caduta, la avvolse con un braccio, portandola accanto a sé con un gesto secco e piuttosto rude.

Nel farlo, Ragnhild urtò il naso contro il suo torace e, per bella posta, borbottò: "Ma di cosa sei fatto? Di cemento?"

"Lo prenderò per un complimento" chiosò lui con un ghigno.

Lei non replicò al suo sorrisetto, rimanendo però ancorata al muspell, che sembrava non risentire affatto delle raffiche di vento, né del temporale violento. Tutt’altro.

Sembrava quasi che quella battaglia contro le intemperie lo stesse divertendo.

Quando finalmente raggiunsero il porticciolo, videro Gunther attenderli sul molo, coperto a sua volta da una cerata e con l'aria di essere sul punto di dare in escandescenze.

Sthiggar, a quel punto, lasciò Ragnhild al timone ritenendola abbastanza al sicuro e capace di gestire la situazione, quindi si approcciò alle cime per lanciarne una a Gunther e quest'ultimo, sovrastando il boato del vento turbinante, sbraitò: "Che ti diceva la testa?! Non hai visto il temporale?!"

"Infatti siamo rientrati" chiosò prosaico Sthiggar, sistemando i parabordi prima di tornare a prendere Ragnhild.

Questa lo afferrò a un braccio, mise piede sul molo e, rivolgendosi a Gunther, disse: "E' colpa mia. Mi ero addormentata."

L'uomo scoppiò in una risata rombante, a quelle parole e, nel dare una pacca sulla spalla a Sthiggar, replicò: "Sei messo bene, se fai dormire le tue donne invece di dar loro piacere."

Sthigg si adombrò in viso e si limitò a dire: "Non ti rispondo neanche."

Ciò detto, trascinò via Ragnhild fino all'auto e lì, dubbioso, disse: "Si bagnerà tutta."

"Chi se ne frega! Sali!" sbottò lei, aprendo in tutta fretta la portiera.

Lui la imitò senza attendere oltre e, mentre la giovane accendeva auto e riscaldamento, Sthiggar cominciò a battere i denti per il freddo. Passandosi poi le mani sul viso bagnato, borbottò: "Non è per niente così che volevo andasse la giornata."

Ragnhild allora rise, fece retromarcia per uscire dal parcheggio e, dopo avergli domandato dove abitasse, replicò: "Io invece mi sono divertita. Davvero."

"Anche se ora siamo bagnati fradici?" bofonchiò lui contrariato.

"L'hai detto tu che sono contraddittoria, no?" ironizzò a quel punto la giovane.

"Su questo non ci piove. Anzi, sì" chiosò lui, guardando disgustato le nubi temporalesche che si erano chiuse come un mantello sulla cittadina di Luleå.

Ragnhild rise ancora e a Sthiggar, in tutta onestà, bastò questo a renderlo un po’ meno tetro e congelato, quasi che quella risata riuscisse a scacciare il senso di desolazione causato dal freddo che sentiva nelle membra.

Quando finalmente la giovane raggiunse la casa di Sthiggar, lui la invitò a entrare per scaldarsi un po' e, dovette ammetterlo dopo un istante, per continuare a stare ancora un po’ con lei.

Non era ancora pronto a concludere la giornata.

La giovane accettò di buon grado e, dopo essere entrata nella piccola abitazione a un piano, accolse con piacere il calore che avvolgeva tutto l'ambiente.

"L'ho impostata perché non mi lasciasse al freddo" le spiegò lui, indicando una stufetta a pellet nell'angolo della zona giorno in cui si trovavano.

Ragnhild approvò in pieno e, mentre entrambi si liberavano delle cerate per lasciarle nel disimpegno all'entrata, Sthiggar le indicò la cucina e disse: "Ho del tè e qualche brioche. Non avevo previsto di avere ospiti, scusa."

"Basteran..." cominciò col dire lei prima di interrompersi nel vedere Sthiggar nudo fino alla cintola.

Certo, aveva visto il suo torace anche diverse settimane addietro... ma non la sua schiena!

Basita, lo squadrò mentre si toglieva la maglia fradicia per riporla in una cesta e, sgomenta, esalò: "Ma cos'hai sulla schiena?" 

Lui si bloccò a metà di un passo, la squadrò confusa e, con le mani, si tastò la pelle come a voler cercare ferite sanguinanti o altro. Nulla trovando, le domandò: "Cosa vedi?"

La giovane si avvicinò guardinga e, sfiorando appena la pelle umida del muspell, ne sentì la fredda consistenza e morbidezza. Quando, però, si avvicinò ai segni che tanto l'avevano sgomentata, percepì un calore inusuale e, dubbiosa, disse: "Sei più caldo, nel punto che sto toccando."

Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, Sthiggar allora si diresse in tutta fretta verso il vicino bagno e Ragnhild, colta da estrema curiosità, lo seguì dappresso.

Volgendosi quindi a mezzo per scrutare il suo riflesso nello specchio a muro, Sthiggar gracchiò un'imprecazione prima di esalare: "Ma non è possibile!" 

"Che intendi dire?" volle sapere lei.

"Non... non dovrebbe esserci!" gracchiò confuso, tastandosi in più punti prima di domandarle di seguire con le dita il percorso tracciato sulla sua schiena.

Lei obbedì e, nel portarsi dietro di lui, lo sfiorò in corrispondenza delle strane linee rosse e sinuose che si sviluppavano dalla sua cintola per proseguire verso l'alto in una serie intricata di...

"Sono fiamme?" domandò a quel punto Ragnhild cominciando a capire cosa vi fosse sulla superficie liscia della schiena di Sthiggar.

"A quanto pare, sì" mormorò lui, ancora sconcertato. "Ma non capisco perché siano visibili. E’ il lascito della Fiamma Viva, ma pensavo che su Midghardr non potesse essere visibile. In fondo, non è un pianeta come Muspellheimr."

"Cosa serve, perché si vedano?" domandò la giovane, sfiorando la pelle del muspell nei punti freddi per poi passare a quelli caldi. Era una sensazione davvero stranissima, come se effettivamente una fiamma stesse scorrendo sotto la sua pelle.

"Beh, il centro del pianeta Muspell è una palla infuocata e, per quelli come me, il fulcro è il nostro centro di potere. Ma qui..."

"Sthiggar, anche la Terra ha un nucleo interno rovente. Non so quanto lo sia il vostro, ma neppure il nostro scherza" sottolineò a quel punto Ragnhild, sorprendendolo.

"Sapevo che avrei dovuto studiare di più" brontolò Sthigg, scuotendo furioso il capo. "Quindi, la mia Fiamma reagisce al centro della Terra, a quanto pare. Ma perché non ho i miei poteri, allora?"

Scostandosi da lui, Ragnhild osservò la piccola pozzanghera formatasi ai loro piedi e, sbrigativa, disse: "Sarà meglio se, prima di tutto, ti fai una doccia bollente. Cominci ad avere la pelle d'oca e hai un colorito preoccupante. Io, nel frattempo, mi asciugherò con un telo di spugna e mi cambierò. Hai qualcosa che possa mettere, dopo?"

"In camera ci sono le mie cose. Ma non vorresti fare tu una doccia, prima?"

"Lascia stare. Sei tu quello che sta diventando viola" ironizzò lei, sospingendolo verso la doccia prima di afferrare un salviettone e andarsene dal bagno.

A Sthigg non rimase che fare quanto ordinatogli e, dopo aver aperto la porta della doccia, aprì l'acqua bollente e vi si tuffò sotto dopo essersi tolto i jeans congelati.

***

Ragnhild era seduta sul letto di Sthiggar quando lui si presentò in camera avvolto solo da un salviettone. Tutta presa da ciò che stava guardando, non si accorse di lui finché non lo sentì armeggiare con l'armadio e, nel vederlo così discinto, storse il naso e commentò: "Comincio a credere che tu lo faccia apposta a sbattermi in faccia tanto ben di Dio."

"Non avevo preso nulla di ricambio così, o rimanevo per sempre in bagno, o venivo a recuperarlo" si limitò a dire lui prima di aggiungere: "Copriti gli occhi, per favore."

Lei obbedì con un sorrisino e, nel battere una mano su ciò che tanto l'aveva colpita, disse: "Non ci capisco un'acca ma, se questo coso lo hai scritto tu, posso dire che hai una bellissima grafia."

Sthiggar si affrettò a indossare una comoda tuta di felpa dopodiché, nel sedersi a sua volta sul letto, osservò con aria intenerita la figura di Ragnhild inglobata in abiti troppo grandi per lei. Appariva più docile e fragile di quanto non fosse in realtà e, per qualche motivo che preferì non indagare, si sentì spinto a proteggerla, pur se sapeva bene che la ragazza ci sapeva fare anche da sola.

Scacciando quel pensiero, quindi, si limitò a dire: "Sto tenendo un diario di ciò che vedo, perché è importante per farmi un'idea di com'è il vostro mondo."

"Quindi, l'hai scritto tu. Ribadisco, bellissima grafia."

"Grazie. Vuoi sapere se ci siete anche tu e i berserkir?" le domandò a quel punto, sfogliando il quaderno per tornare alle prime pagine.

La giovane riaprì gli occhi per scrutarlo e, nel notare sul collo di Sthiggar la bruciatura in via di guarigione che tempo addietro tanto l’aveva incuriosita, domandò: "Ma...stenta così tanto a guarire?”

Lui si tastò il collo con fare distratto, asserendo: "La ferita era molto profonda e, per poco, non mi ha asportato parti vitali. Sono vivo per miracolo."

Lei fece tanto d’occhi, a quella notizia e, dentro di sé, rabbrividì. Per qualche motivo che non voleva analizzare proprio in quel momento l’idea che, a causa di quella ferita, avrebbe potuto non conoscere Sthiggar, la fece trasalire.

“Hai freddo” mormorò lui, mal interpretando il suo brivido e afferrando per diretta conseguenza una coperta così da drappeggiargliela sulle spalle. “Avresti dovuto fare una doccia anche tu. E asciugarti i capelli.”

Ciò detto, e senza darle il tempo di replicare, tornò in bagno per afferrare il phon e, dopo averlo attaccato alla presa, glielo offrì.

A lei non restò altro che asciugarsi la corta chioma dinanzi allo sguardo di Sthiggar e, pur non volendo, si sentì gratificata all’idea di essere così coccolata e curata da qualcuno che non fosse se stessa, o suo fratello.

Questo, però, non avrebbe dovuto in nessun caso divenire un’abitudine o, per lei, sarebbero stati guai seri. E non solo perché suo padre si sarebbe infuriato.

Anche il suo cuore ne avrebbe sofferto e, già così, era difficile non lasciarsi andare alle cure di Sthiggar e desiderare, agognare di più.

Per non lasciarsi andare a quei pensieri pericolosi, Ragnhild quindi chiese: “Qual è il mio nome?”

“Questo” le fece vedere lui, indicando un fronzolo sul quaderno.

Ragnhild lo ammirò senza parole, osservando rapita le longilinee curve di quelle lettere incomprensibili ma che, però, creavano una parola dalla bellezza sottile ed elegante.

"Ho sempre pensato che il mio nome fosse poco adatto a una donna. Troppo duro, troppo poco femminile" mormorò lei prima di guardarlo e chiosare: "Sai che significa? Avviso di battaglia. Non ti sembra un po' troppo macho?"

Non aspettando una sua replica, la giovane sfiorò la parola muspell che formava il suo nome e aggiunse: "Guardando questa parola, però, inizia a piacermi un po' di più."

Lo scoppio improvviso di un fulmine squarciò l'aria, interrompendo quel momento di tranquillità e facendoli sobbalzare entrambi per la paura, portandoli l'istante seguente a ridere di gusto.

Spegnendo il phon mentre lacrime di ilarità le solcavano le gote, Ragnhild esalò: "Oddio! Pensavo fosse esploso qualcosa!"

"Di sicuro, si è impegnato a fare baccano" assentì lui, lasciandole il diario prima di aggiungere: "Ragnhild non è un nome macho, ma forte, esattamente come lo sei tu. Perciò, non disprezzarlo. Se poi potessi mostrarti cosa sono, per noi, i ragnhild, rimarresti meravigliata. Sono tra le creature più misteriose e affascinanti di Muspellheimr."

Ciò detto, si levò in piedi per andare in cucina e Ragnhild, dopo un istante, lo seguì, il diario ancora stretto in una mano.

In silenzio, lo osservò mettere sul fuoco un bollitore per poi accendere il forno a microonde e inserirvi due brioche perché si scaldassero.

Solo a quel punto disse: "Non blandirmi."

"Non lo faccio" scrollò le spalle lui, restando voltato per controllare il bollitore. "Siamo finiti nel bel mezzo di una tempesta, ma tu non ti sei spaventata né hai aspettato che io impersonassi il cavaliere pronto a salvarti. Hai fatto la tua parte senza strepiti o lagnanze e mi hai aiutato a non morire congelato sotto la pioggia. Perciò, direi che non cerco di blandirti."

"Ma io non voglio essere sempre e solo forte" disse a sorpresa Ragnhild, portandolo a volgere lo sguardo per lo sconcerto. “Né voglio sapere che c’è una creatura splendida che si chiama come me!”

La voce che uscì dalla gola di Ragnhild sapeva di stanchezza e di desiderio di rivalsa al tempo stesso e, quando Sthiggar posò gli occhi su di lei, vide una donna pronta a tutto pur di non essere vista solo come una roccia.

I suoi occhi gridavano quanto, quel ruolo di eterna guerriera, cominciasse a starle stretto, e quanto le continue lotte tra lei e i genitori l'avessero logorata.

Lasciando perciò perdere il bollitore, che spense, tornò in fretta da lei, la afferrò per le spalle e, scuotendola, le disse: "Come ti ho detto oggi, non devi essere sempre indistruttibile, con me."

"Perché?" volle sapere a quel punto.

"Essere chi non si vuole può farti crollare, e io ho visto cosa succede" si limitò a dire lui, e Ragnhild sgranò poco alla volta gli occhi, consapevole di cosa stesse parlando.

Sua madre. Sua madre si era consumata fino a morire, e tutto perché - molto probabilmente - si era sforzata di essere qualcosa che in realtà non era, finendo con il ferire per sempre il figlio e il marito.

***

Seduti al tavolo del cucinotto del suo appartamento, Sthiggar le spiegò cosa gli avessero detto i medici, dopo aver constatato la morte di sua madre.

Non potendo ammettere con lui cosa, realmente, l'avesse fatta spegnere, gli avevano raccontato di una fantomatica malattia del sangue che, poco alla volta, l'aveva consumata. Solo molti anni dopo avevano confermato quello che, invece, lui aveva sempre sospettato e temuto; era stata la consunzione.

Troppe cose, nei suoi ricordi, gli avevano dato l’idea che quella terribile e silenziosa malattia l’avesse portata via e, quando finalmente la verità era venuta a galla, lui ne aveva sofferto moltissimo. 

In parte, a causa dei significati reconditi legati a quel malanno - la madre non li aveva amati abbastanza per continuare a vivere? - e, in parte, perché ciò che gli avevano raccontato erano state solo bugie, e questo lo aveva fatto sentire un idiota.

"Per questo, dici di non voler mai mentire?" domandò a un certo punto Ragnhild, sorseggiando il tè che, nel frattempo, Sthiggar aveva terminato di preparare.

Annuendo, l'uomo ammise: "So che la verità può essere terribile, a volte, ma si sta peggio quando scopri che ti hanno mentito, anche se a fin di bene. Io, per lo meno, la penso così."

Ragnhild assentì silenziosa, lasciando che il tepore della bevanda le scaldasse le viscere e la punta delle dita. 

Sthiggar, nel frattempo, aveva sistemato i suoi abiti nell'asciugatrice. Mentre l'elettrodomestico ronzava nel seminterrato, lei se ne stava dinanzi a lui, con la sua camicia enorme e i pantaloni della tuta arrotolati sulle caviglie, pensando a ciò che il muspell le aveva detto.

Sarebbe stato quindi peggio, se sua madre avesse mentito, facendole credere di volerle bene quando invece non era vero? Sarebbe stato terribile se suo padre, per una volta, le avesse detto – fingendo – di poter decidere senza pensare al clan, per poi dirle che non era vero? Non era certa di voler conoscere la risposta, ma sapeva che molti dei suoi comportamenti derivavano dal suo conflitto con le regole che le erano state imposte per tutta la vita.

Essere sempre pronta a difendere Mattias dipendeva in parte dal suo amore per lui ma, non poteva negarlo, anche dalla certezza che, se a lui fosse successo qualcosa, i suoi genitori non glielo avrebbero mai perdonato.

Per quanto detestasse ammetterlo, viveva ancora nella segreta speranza che, un giorno o l’altro, da loro potesse venire un qualche segno che, in fondo, avevano amato anche lei.

Aiutare in tutto e per tutto suo padre la faceva sentire in qualche modo a credito di affetto, come se il suo prodigarsi dovesse per forza risolversi in un complimento da parte sua, se non della madre.

Tutto ciò, però, non solo era infantile e stupido, ma anche utopistico. Ormai avrebbe dovuto aver capito quanto, l’essere al servizio del clan, fosse l’unica cosa che contava, nella sua famiglia.

Sperare che, prima o poi, uno dei due le rivolgesse un sincero sorriso di apprezzamento l’aveva fatta diventare debole e, al tempo stesso, mostrarsi perennemente rigida e forte era un mascheramento per non ammettere la verità.

In altre parole, era finita in un loop catastrofico, da cui non sapeva come uscire. Ed era stato un alieno, un essere proveniente da un altro mondo, a renderla edotta del suo errore.

Sorridendo mesta, Ragnhild mormorò: "E dire che Adam mi sgrida sempre, per i miei modi da dispotico generale. Forse, anche lui tentava di dirmi qualcosa."

"E' ben difficile che si ascoltino i propri cari, quando c'è di mezzo una ramanzina" chiosò Sthiggar. "Io, non a caso, sono sempre stato punito dal re, quando combinavo un casino."

Scoppiando in una risatina, la giovane esalò: "Questa faccenda che Surtr esiste davvero, mi fa morire dal ridere. Io lo conosco per via delle leggende su di lui, e un film di qualche anno fa lo aveva dipinto come un gigante orrendo, ricolmo di oscurità e senza scrupoli. Tu, invece, mi dici che non è così."

"Oh, se volesse potrebbe esserlo. Un gigante orrendo, ricolmo di oscurità e senza scrupoli, intendo" ironizzò lui. "Ma, per la maggior parte del tempo, ha forme squisite e un buon carattere, come direbbe sua moglie."

Il solo pensiero di Ilya lo portò a sorridere dolcemente e Ragnhild, avvedendosene, ironizzò dicendo: "Oh oh... qualcuno ha una cotta per la regina?"

Sthiggar scoppiò a ridere, di fronte a quell'affermazione e, scuotendo il capo, esalò: "Oh, santi dèi, davvero no! Se potesse, Ilya farebbe sfilatini di me, per tutte le volte che ho disturbato suo marito con le mie fesserie ma, alla fin fine, so che mi vuole bene e che è preoccupata per me. Fu la prima a giungere a casa nostra, quando la notizia della morte di mia madre venne data a Palazzo. Mi strinse a sé e mi baciò sulle guance, cantandomi una ninna nanna perché mi addormentassi."

"Un pensiero dolce" commentò Ragnhild.

"Ilya è dolce, ma non guastarle i momenti con suo marito, perché allora diventa una belva assetata di sangue. Mi sono sempre salvato dai suoi rimbrotti solo perché le sto simpatico ma, quando mi vedeva, sospirava sempre" ironizzò lui, scrollando le spalle.

"E tu ti comportavi così perché, a quel modo, ottenevi attenzione?"

"Anche. E, paradossalmente, perché così venivo punito. Volevo fosse mio padre a mettermi in castigo, ma non ottenevo mai un rimbrotto, da parte sua, così combinavo guai sempre maggiori nella speranza che, prima o poi, si sbloccasse. Ma non successe mai" scrollò le spalle Sthiggar. "Ridicolo, vero?"

"Mica tanto. Io faccio lo stesso, ma al contrario, per ottenere l'approvazione di mia madre. Cerco di essere perfetta, sempre al posto giusto e al momento giusto e, ogni volta, devo fare tutto da sola per dimostrare di esserne in grado. E tutto per cosa? Con mio padre, invece…" ironizzò lei, passandosi le mani sul viso con espressione esasperata prima di cambiare argomento e chiedere: "Almeno, tuo padre ti vuole bene?"

"Moltissimo. Ma è troppo malleabile, quando si tratta di me. Vorrei che usasse più nerbo ma, come dicevo prima, essere ciò che non si è porta a risultati terribili, a volte. Ormai l'ho capito" le rispose lui, soprassedendo sul fatto che Ragnhild non avesse voluto parlargli del padre.

Cos’altro era taciuto, dentro di lei, e perché la angustiava al punto di non poterne parlare?

"Perciò, dovrei piantarla di essere sempre impostata e fare un po' di più quello che voglio, senza per questo sentirmi in colpa per averlo fatto" motteggiò Ragnhild scrutandolo con i profondi occhi color acquamarina.

"Se è quello che desideri" si limitò a dire lui prima di accigliarsi non appena udì il rombo di un'auto avvicinarsi alla casa. "Ah... Thrym e Flyka sono tornati. Si chiederanno così ci fa la tua auto davanti a casa nostra."

"Se vuoi, faccio finta di niente. Non è un problema. Che copertura usate?"

"Cugini. Io e Thrym abbiamo entrambi i capelli rossi, siamo entrambi alti e robusti, perciò possiamo passare per parenti. Flyka, invece, è giuridicamente sua moglie, per quel che so" le spiegò Sthigg.

"Allora mi atterrò a questo. Credo tu abbia già abbastanza pensieri a cui badare, senza pensare anche a quello che potrebbero dire i tuoi vicini di cella, se sapessero che io so" ammiccò lei prima di indicarsi e aggiungere: "Potresti dire che sono la tua ultima conquista, e che il temporale ti ha obbligato a portarmi qui per proseguire il nostro appuntamento."

Lui ghignò in risposta al suo piano e replicò: "Sei sicura di volerti far passare per una conquista?"

"Potrebbe essere divertente, e sa il cielo se ho bisogno di cose divertenti con cui svagarmi" sospirò lei, accendendo il suo viso con un sorriso tutto fossette. Suo padre sarebbe impazzito di rabbia se fosse girata una simile voce per Luleå e, per un attimo, desiderò davvero con tutta se stessa rovinarsi la reputazione per potergli dare una lezione.

Dubitava, però, che i tizi che condividevano la prigionia con Sthiggar fossero persone così addentro alla società del paese. Di quel poco che sapeva sui trattati tra muspell e berserkir, era certa che l’anonimato, la segretezza e l’essere poco appariscenti rientrassero nel pacchetto.

"Uhm... e fin dove posso spingermi, per reggere il gioco?" si informò a quel punto Sthiggar, dipingendo sul suo volto un'aria da manigoldo che fece scoppiare a ridere di gusto Ragnhild.

"Toccami dove non dovresti e non accenderai mai più il tuo stoppino" ironizzò a quel punto lei, vedendolo muovere le mani per portarle fino all'inguine.

"Come la mia signora comanda" ammiccò Sthigg, levandosi in piedi per poi raggiungere la porta sotto gli occhi un po' confusi di Ragnhild.

Aprendola poi all'improvviso, trovò Thrym con il pugno levato e l'aria truffaldina, mentre Flyka se ne stava a pochi passi da lui, giustamente imbarazzata e le mani ingombre di pacchi della spesa.

"Ah... ciao, Sthigg. Tutto bene? Abbiamo visto un'auto che non conoscevamo, e così ci siamo preoccupati" iniziò col dire Thrym prima di allungare il collo, vedere Ragnhild e aggiungere: "Ma forse ti abbiamo disturbato."

"Hai. Hai disturbato. Non mettere in mezzo anche me, Thrym" sottolineò subito Flyka.

Sorridendo subito alla muspell, che stava sbuffando sonoramente all’indirizzo del compagno, Sthiggar si rivolse poi all’uomo per dire: "Nessun disturbo. Lei è la mia amica Ragnhild e, purtroppo, siamo stati presi in pieno dal temporale mentre ci trovavamo fuori per una passeggiata, così l'ho portata qui perché si asciugasse gli abiti e si riscaldasse un po'."

"Ottima cosa, ragazzo. Bisogna sempre prendersi cura delle proprie donne" sorrise con aria orgogliosa Thrym. "Non disturbiamo oltre ma, se volete cenare con noi, non ci sono problemi."

"Vieni via, Thrym, e lasciali stare" brontolò Flyka, afferrando il compagno a un braccio per trascinarlo lontano.

"Arrivederci, Ragnhild! Molto piacere di averti vista!" riuscì a dire Thrym prima che Sthiggar chiudesse la porta per tornare al tavolo.

"Ecco fatto" scrollò le spalle lui. "Flyka lo terrà buono, e noi non saremo costretti a cenare con loro, visto che pensano che vogliamo goderci una serata a due."

"Grazie" mormorò Ragnhild.

"Per cosa?"

"Per aver detto 'amica'. Non hai detto 'ragazza'" disse con semplicità la giovane.

"Sai che dico la verità, no?"

Lei assentì, gli sorrise e domandò: "Ti scoccerebbe se facessimo davvero una cena a due? Non mi va di tornare a casa."

"E' meglio mangiare in compagnia, se si ama chiacchierare, e si dà il caso che io apprezzi" motteggiò lui.

Ragnhild, allora, afferrò il telefono per dire che non sarebbe tornata a casa per la cena - che comunque aveva preparato prima di andare in ateneo - dopodiché ordinò del cibo da asporto perché venisse loro consegnato.

Ciò fatto, si alzò in piedi, oltrepassò la tavola che li divideva e, nel piegarsi su di lui, sorrise e disse: "Dopotutto, non sei solo un guerriero capace di grugnire e pestare i pugni."

"Lieto che tu lo pensi" alzandosi a sua volta per sovrastarla con la sua imponenza. Lei, però, non si scostò. "Non dovrai mai avere timore di me, Ragnhild. Mai."

"Ora lo so" assentì lei, dandogli un colpetto con la testa contro il torace prima di ridacchiare e raggiungere il cucinotto per preparare la tavola.

Sthiggar la seguì con un sorriso, indicandole dove si trovasse ogni cosa e, mentre sistemavano assieme le vettovaglie, si ritrovò a rendersi conto di un particolare non da poco.

In quelle ore passate con Ragnhild, non aveva affatto pensato ai guai che si era lasciato alle spalle, giungendo sulla Terra. Aveva del tutto perso di vista i pericoli insidiosi di Muspellheimr, pensando unicamente a come passare una bella giornata con un'amica.

Il solo rendersene conto lo lasciò interdetto, bloccandolo a metà di un passo e la giovane, nell'avvedersi del suo strano comportamento, poggiò i piatti in tavola e domandò curiosa: "Ti è venuto un collasso sul momento?"

"Direi di no. Pensavo, piuttosto, che non ho affatto rimuginato sui motivi che mi hanno condotto qui, nelle ultime ore" ammise lui, fissandola con occhi sorpresi.

Ragnhild, allora, gli sorrise con dolcezza e replicò: "Allora, la giornata ha fatto bene anche a te, non solo a me. Ne sono contenta."

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Cap. 12

 

 

 

Del temporale del giorno precedente non v'era più traccia, nel cielo e, quando Sthiggar si alzò da letto per fare colazione e recarsi al lavoro, il gelo provato soltanto poche ore addietro era già un ricordo.

Mentre scaldava il tè, gli occhi gli caddero sui bicchieri usati la sera precedente, messi in scolo sopra il lavandino. Ragnhild era rimasta a casa sua fino a tardi e, solo verso l’una di notte, si era decisa a tornare alla sua abitazione.

Sthigg l'aveva accompagnata fino all'auto e lì, con la promessa che si sarebbero rivisti il giorno seguente, le aveva augurato la buonanotte.

Era stato stupefacente scoprire quanto, il carattere mordace di Ragnhild, dipendesse in gran parte dal suo rapporto teso e complesso con i genitori. Certo, non era una fragile ragazza dalla parlantina morbida e svenevole neppure quando era di buon umore ma, di sicuro, molti suoi comportamenti ora gli risultavano più chiari.

L'atmosfera perennemente tesa in cui viveva ne aveva trasformato almeno in parte il carattere, e questo l’aveva resa più dura del necessario, guardinga e poco propensa a fidarsi degli altri.

Quel che però turbava Sthiggar era l’aver notato come la giovane, in sua presenza, si fosse sfogata in merito al suo difficile rapporto con la madre, ma fosse riuscita a dire poco o nulla sul padre.

Cosa stava succedendo, tra di loro, da spingerla a quella chiusura totale? O non voleva essere considerata una persona malevola, parlando male di entrambi i genitori?

Sthiggar immaginava senza fatica che la sua nuova amica potesse pensare questo, di se stessa, e gli spiaceva che ella fosse finita in un simile circolo vizioso.

D’altra parte, non era compito suo trovare una soluzione ai suoi problemi; per il tempo che fosse rimasto a Luleå, però, avrebbe potuto cercare di alleviare il peso che sembrava gravare sulle sue spalle.

Dopo aver buttato giù una colazione veloce, Sthiggar afferrò la sua giacca impermeabile, lasciò quei pensieri per un altro momento e, in fretta, si diresse nell'appartamento accanto per chiamare Thrym.

Forse, dopotutto, avrebbe dovuto mettersi in pista per prendere la patente dell'auto, visto che non aveva la più pallida idea di quanto tempo sarebbe rimasto lì. Il pensiero di farsi scarrozzare sempre dagli altri cominciava a venirgli stretto.

***

Hildur si lasciò andare su una sedia con espressione stanca, sul volto i segni della mancanza di sonno e della frustrazione.

Erano settimane che lei e i suoi colleghi più fidati stavano studiando, uno per uno, i più di tremila invitati alla festa del sovrano, cercando di scoprire su di loro quanto più si potesse e sempre senza farsi scoprire. Oltre a ciò, come se già non fosse abbastanza snervante, si erano dati alle perlustrazioni notturne nei bassifondi, così da cercare – o notare – eventuali anomalie.

Ovviamente, sia nella Capitale che nelle città limitrofe, giusto per non farsi mancare nulla. 

Le ipotesi su un potenziale attentato, però, non erano né diminuite, né si erano fatte più certe. Tutt'altro. 

Sembrava addirittura che qualcuno si fosse divertito a spargere idee complottiste ogni dove, così da complicare loro la vita; se davvero fosse stato così, stavano riuscendo davvero bene nei loro intenti.

Hildur non aveva idea di dove convogliare le loro forze, né di chi diffidare. A quel punto, lei stessa avrebbe potuto essere una minaccia, confusa com'era su ciò che stava succedendo intorno a lei.

"Di questo passo, qualsiasi cosa stia per succedere, ci piomberà addosso come un macigno, e senza che noi ce ne rendiamo conto" sospirò Vania, una delle Fiamme Nere più anziane e, a sorpresa, più che convinta a sua volta che Sthiggar fosse stato incastrato.

Vania – che conosceva Hildur fin da quando aveva preso la livrea delle Fiamme Nere – non era mai stata molto propensa a scusare le intemperanze di Sthiggar, avendolo da sempre ritenuto un bambino viziato e fin troppo coccolato.

Quando, però, aveva scoperto i motivi dell’allontanamento dal pianeta della giovane Fiamma Purpurea, si era recata di sua spontanea volontà nell’ufficio di Hildur per chiedere spiegazioni.

Solo a quel punto, la cugina di Sthiggar se l’era sentita di ammettere con la collega l’intera verità e Vania, scoperti i dubbi ben più che seri del re, si era unita al gruppo ristretto di Fiamme Nere che Hildur stava creando per cercare la verità.

"Lo so, ma non ho davvero idea di come scremare tutte le notizie che abbiamo raccolto" sospirò nel frattempo Hildur, allungando gli avambracci sulle cosce per poi scrutare pensierosa la sua vecchia insegnante. "Sono sempre più convinta che Sthiggar sia in pericolo, ma non riesco a visualizzare questo pericolo."

"Di certo, più tempo rimane su Midghardr, più sarà facile soggiogarlo, se questi sono gli intenti di chi lo ha cacciato nei guai" borbottò pensosa Vania. "Anche se è una Fiamma Viva, come mi hai detto, la sua aura si sarà sicuramente azzerata, lontano da Muspellheimr, e questo lo renderà una preda facile dei maghi oscuri."

"Può darsi... ma di quali maghi stiamo parlando?" sospirò Hildur. "Ne esistono di molte tipologie, e noi non abbiamo abbastanza forze per tenerli sott’occhio tutti."

"Questo è vero, ma non possiamo..." iniziò col dire Vania prima di venire interrotta dall'arrivo precipitoso di una Fiamma Nera.

"L'ho trovato! L'ho trovato!" esclamò il giovane Khirstel, ansimante ma col volto percorso dalla soddisfazione.

Le due donne si levarono leste in piedi ed esclamarono quasi all'unisono: "Di chi parli?!"

"Dell'uomo che cenò assieme a Sthiggar!" rivelò a quel punto, sorprendendole. "Ero sotto copertura a Flastavv, fingendomi un mercante di pellami e, durante una cena in una bettola del porto, ho sentito un uomo vantarsi di aver cenato 'niente meno che con il nipote di Sól'. Millantava di avergli giocato un tiro mancino per vincere una scommessa con un tizio che ha dichiarato di essere commilitone di Sthiggar."

"Un... commilitone?!" esalò sconvolta Hildur.

"Non so quanto vi sia di vero ma, dalla descrizione fatta, la sua storia mi è parsa essere coerente con quella che Sthiggar ti ha raccontato, così l'ho messo ai ceppi e l’ho condotto qui in gran segreto" asserì Khirstel, tornando serio e competente. "Vi aspetta nei sotterranei della caserma, ben lontano da occhi e orecchie indiscreti."

"Ben fatto, ragazzo" chiosò Vania, dandogli una pacca sulla spalla mentre Hildur si affrettava a uscire per raggiungere le segrete.

A grandi passi e con aria di rinnovata sfida, la donna fece a due a due i gradini che conducevano dabbasso.

Seguita a ruota da Vania e Khirstel, quando Hildur giunse finalmente alle prigioni si avventurò nel lungo corridoio dove si aprivano le porte di ferro delle celle; solo lì si fermò, giusto per racimolare una parvenza spaventosa e determinata.

Un attimo dopo, si affacciò per un istante per visionare il volto - terrorizzato - di colui che per primo aveva cacciato nei guai Sthiggar ma, quando vide un semplice commerciante dall'aria spaesata, capì di avere di fronte solo l'ennesima pedina di quell'intricato gioco delle parti.

Nonostante ciò, Hildur entrò con la sua peggior aria 'da interrogatorio' e, posizionatasi dinanzi all'uomo, disse: "Bene. Quindi sei tu che hai ordito il piano per uccidere due guardie del re e far incolpare un uomo innocente."

"Uccidere?! No! Ma cosa dite!? Non mi permetterei mai, Fiamma Nera! Mai!" esclamò cinereo l'uomo, gettandosi carponi e poggiando la fronte sul pavimento freddo della cella.

Incurante del suo terrore genuino così come del suo tremore profuso, Hildur proseguì domandando sarcastica: "Non sei tu che hai cenato con una Fiamma Purpurea di nome Sthiggar Glenrson?"

"S-sì, ma... ma io..." tentennò l'uomo, arrischiandosi a sollevare un po' la testa per scrutare la guerriera dinanzi a sé.

Trovando solo disprezzo nei suoi occhi scarlatti, Guntr tornò a calare il capo e, farfugliando stentate scuse, ammise: "A-abbiamo desinato assieme e chiacchierato un po'. P-poi s-sono entrati in... in scena due ragazzi p-per causare un piccolo incidente. Ma era solo uno scherzo! Un innocente scherzo di un commilitone dell'uomo chiamato Sthiggar. Lo giuro!"

"Il suo nome, o non crederò a una sola parola da te proferita" replicò gelida Hildur.

"Non... non mi ha detto il suo nome. M-mi ha solo dato un sacco di monete di rame per dare a ...a Sthiggar un sonnifero, così che lui e i suoi amici potessero portarlo in caserma per uno scherzo innocente" piagnucolò a quel punto il commerciante. "N-non ci si deve fidare delle Fiamme, forse? Siete al servizio del re, dopotutto! Ho solo pensato che volessero divertirsi un po’ e basta. Chi non lo fa, tra ragazzi?"

Sospirando, Hildur ammise tra sé questa verità – il fatto che ci si potesse fidare di una Fiamma del re era un mantra conosciuto persino dagli infanti – ma non si mostrò per nulla impietosita dal mercante, non avendo ancora terminato con lui.

"La sua descrizione o, quant'è sacra Sól, io ti farò fustigare, prima di mandarti al cospetto del re per una degna punizione!" sbottò Hildur, facendolo trasecolare.

"E-era alto, con una l-leggera barba bruna e... aveva gli occhi scuri, forse carminio. Non saprei dire di preciso, perché era sera, ma la luce riflessa dalle lanterne era rossastra, niente affatto simili a quelli della Fiamma Purpurea, ...di Sthiggar, insomma" mormorò agitato il mercante. "Aveva una cicatrice sulla guancia, ed era fresca. Come un'ustione. Mi è parsa strana, perché è difficile che un muspell possa ustionarsi, così l'ho notata subito."

Accigliandosi, Hildur ripensò alla ferita di Sthiggar, alla bruciatura che i dokkalfar gli avevano procurato con i loro tirapugni esplodenti e, tra sé, si chiese se quella strana ferita avesse la stessa origine. Se era così, quell'uomo era davvero un commilitone di Sthigg, e lo aveva tradito nel modo più terribile possibile.

"Un'ultima cosa. Quell'uomo, quel soldato era solo, quando ti ha proposto quell'affare?"

"Sì, anche se continuava a guardarsi alle spalle, come se qualcuno fosse lì per controllarlo" mormorò Guntr, ora fattosi pensieroso. "Lì per lì non ci ho fatto caso ma, quando ho notato che i suoi occhi correvano sempre a un vicolo alle sue spalle, mi sono chiesto se vi fosse qualcuno che lo stesse aspettando al varco. Solo, ho pensato che fosse qualcuno dei suoi compagni, deputato a controllare che non si tirasse indietro da quella scommessa."

"Capisco" assentì Hildur prima di aggiungere: "Sappi che aver accettato quella borsa di monete è costata la vita a due guardie cittadine, oltre che all'esilio della Fiamma Purpurea chiamata Sthiggar. Ora, per quanto mi piacerebbe sbatterti dentro per qualche anno, non c'è una legge che vieta di essere stupidi e, a parte un richiamo formale e una diffida dal ripresentarti alla Capitale per almeno dieci anni, non potrò fare di più. Vorrei però che tu pensassi a quello che hai fatto, perché niente potrò fare per quelle due povere guardie."

Il mercante, ormai in lacrime, assentì ripetutamente e, mentre Hildur usciva dalla cella con aria frustrata, Vania le toccò la spalla per darle il suo silenzioso conforto.

Khirstel, evidentemente frustrato all'idea di aver fatto l'ennesimo buco nell'acqua, domandò scusa alla sua superiore ma Hildur replicò: "Non è stato tempo mal speso. Ora sappiamo che tutto ciò che Sthigg aveva detto corrisponde al vero. E' stato messo in mezzo a qualcosa di veramente grosso... ed è implicato un suo commilitone."

Le due Fiamme Nere di fronte a Hildur sgranarono gli occhi per la sorpresa e la preoccupazione e quest'ultima, grattandosi nervosamente una guancia, aggiunse: "A quanto pare, abbiamo a che fare con un figlio di Alta Stirpe, visto che il commerciante è certo che avesse gli occhi che emanavano riflessi rossastri. Bruno di capelli, e con una cicatrice da ustione sul viso. Quasi sicuramente, era presente alla battaglia contro i dokkalfar che si è svolta nei Protettorati."

"Dovremo chiedere al comandante Yothan una lista dei suoi sottoposti, oltre alle loro cartelle mediche. In questo modo, non attireremo l'attenzione e ci avvicineremo a un potenziale colpevole" ipotizzò Vania.

"Non è tutto. Il mercante dice che questo soldato era controllato a vista da qualcuno, perciò sono coinvolte altre persone in questo pasticcio clamoroso" borbottò Hildur, facendosi scura in volto.

"Io mi occuperò del comandante Yothan..." disse subito Khirstel, mettendosi sull'attenti. "... dopodiché tornerò al porto per chiedere se, quella sera, è stato visto qualcuno di strano aggirarsi nei pressi del bar."

"Fai attenzione. Non abbiamo idea di chi stiamo cercando, e una domanda di troppo potrebbe essere pericolosa" gli raccomandò Hildur prima di congedarlo.

Lanciata poi un'occhiata a Vania, domandò turbata: "Perché un nobile si è spinto a tanto? E perché colpire proprio Sthiggar?"

"Non so davvero, Hildur, ma vorrei che il re rinunciasse alla sua festa. Ci saranno troppe personalità provenienti da mondi esterni, e non è mai una bella cosa."

"Lo so, ma il sovrano teme di inimicarsi il Consiglio, facendolo. Verrebbe ritenuta una forzatura bella e buona, visti i soldi che sono stati spesi per organizzare la festa, e nessuno vuole l'intera classe nobiliare dietro alle caviglie a mordicchiare" sbottò indispettita la Fiamma Nera.

"Vorrei tanto che il Consiglio sparisse. Sono solo delle palle al piede" sbuffò a sua volta Vania, scuotendo il capo. "Del mercante, che ne facciamo?"

"Gli ho promesso una multa esemplare e tanta paura, ma nient'altro. Dopotutto, essere stupidi e creduloni non è un reato" sospirò Hildur, facendo spallucce.

"D'accordo. Me ne occuperò io. Tu vai a riferire al sovrano."

Hildur assentì e, senza aver particolarmente voglia di vedere il re, si avviò verso il capanno delle bighe con il desiderio di prendere un lanciafiamme e uccidere il primo che le fosse capitato a tiro. Quella situazione stava rapidamente diventato insopportabile, ed era più che certa che Surtr sarebbe andato su tutte le furie, non appena avesse saputo quelle novità.

***

Riferire a re Surtr quanto appena scoperto non fu piacevole. Le ire del sovrano, come già sospettato da Hildur, non tardarono ad arrivare. In breve tempo, il volto piacente del sovrano si fece ombroso, le orecchie presero a fumargli e i suoi occhi si fecero scarlatti di rabbia.

Hildur non poté che comprendere la sua frustrazione poiché, a propria volta, ne provava in gran quantità, e non dissimile.

Qualcuno di amico aveva tradito la fiducia di Sthiggar e, molto probabilmente, non aveva puntato soltanto a incastrare il commilitone, ma sembrava con quasi assoluta certezza in combutta con qualcun altro, in questo articolato e oscuro piano.

A cosa puntassero, era ancora difficile da dire ma, a due giorni dalla grande festa organizzata per i sovrani, la tensione era alle stelle.

"So che sarebbe troppo chiedervi di annullare i festeggiamenti ma, per come stanno le cose, non possiamo davvero fidarci di nessuno" mormorò spiacente Hildur.

Surtr grugnì un'imprecazione prima di ammettere: "Non mi dici nulla a cui io stesso non abbia già pensato, ma il problema è che il Consiglio ha remato contro a questa decisione. Dicono che l'affronto sarebbe tale da scatenare una guerra, e che annullare tutto per un mio presunto capriccio sarebbe oltraggioso."

"Ovviamente, non sapendo nulla, i membri del Consiglio non possono sapere i vari perché legati a questa richiesta" assentì turbata Hildur.

"Non mi fido a sufficienza di loro, per metterli al corrente ma, così facendo, non ho scuse plausibili per chiarire i motivi del mio voltafaccia. Inoltre, continuare a mentire a Ilya non mi piace affatto, e sono sempre più tentato di dirle ogni cosa, ma non saprei davvero come potrebbe reagire. Per quanto dia a me dello smidollato, quando c’è di mezzo Sthiggar, lei potrebbe esplodere, se sapesse che è stato incastrato" sbottò il sovrano con tono assai contrariato. "Giuro che chi mi ha messo in questo guaio la pagherà cara. Detesto sentirmi in gabbia!"

"Vi capisco bene" assentì Hildur, dandogli pienamente ragione. Se la regina avesse saputo ogni cosa, avrebbe raso al suolo il palazzo per l’ira. Surtr poteva terrorizzare, quando era furioso, ma Ilya…

Hildur non voleva neppure pensarci.

Surtr allora scrutò la sua Fiamma Nera più fedele, sospirò e disse: "Se dovesse succedere il peggio, ricordati che dovrai fare una cosa per me, e questa cosa non ammetterà repliche di alcun genere."

Hildur si fece ombrosa e, scuotendo il capo, replicò: “Ci ho pensato, sire, e trovo che sia inaccettabile. Io non posso..."

Bloccandola prima che potesse aggiungere altro, il sovrano ribatté: "Sei adatta per il compito che ti ho assegnato, e Ilya si fida di te. Farai esattamente ciò che ti ho detto, se l'occasione dovesse rendersi necessaria. Spero davvero che non accada, ma non voglio correre il rischio di trovarmi impreparato di fronte a un potenziale disastro."

Hildur sospirò sconfitta, reclinò il capo per assentire e disse: "Farò ciò che mi dite ma per favore... tenete al vostro fianco Yothan! La sua spada vi proteggerà degnamente, e so che di lui posso fidarmi a occhi chiusi. Inoltre, vi chiederei di mandare il vostro ultimogenito lontano da palazzo, dove potrà essere al sicuro da attacchi lampo."

"Posso concederti questi favori senza problemi, visto che ho già predisposto che il piccolo Grantr sia inviato dai nonni nella loro villa al mare" gli sorrise appena Surtr, dandole una pacca sul braccio. "Ricorda, avrai meno di dieci minuti per poter fare ciò che di ho detto. Diversamente, non so cosa potrebbe succedere."

"Spero nulla" mormorò lei, pur sentendo le viscere rimescolarsi al solo pensare a quella dannata festa.

***

Tenendo l’ampio ombrello aperto per entrambi – come poteva, il tempo, cambiare così in fretta?! – Sthiggar disse pensieroso: “Sai, ripensavo a ciò che mi hai detto in merito a Midghardr e al suo Centro di Fuoco.”

“Parli della conformazione del pianeta?” domandò lei, tenendo sottobraccio il muspell mentre camminavano lungo il marciapiede.

Come promesso, non appena aveva potuto sganciarsi dal lavoro in tempo per passare a prenderla, Sthiggar si era presentato all’università per un nuovo incontro.

Quando però Ragnhild aveva potuto liberarsi di alcune ragazze che l’avevano bloccata sull’uscita per un paio di chiacchiere, aveva trovato il muspell in compagnia di un paio di sue compagne di corso.

Accigliandosi leggermente, si era quindi avvicinata per comprendere cosa diavolo volessero dal suo muspell ma, non appena si era resa conto di aver formulato quel pensiero, era inorridita, bloccandosi a metà di un passo.

In primo luogo, lui non era suo in nessunissimo caso e, in seconda istanza, Sthiggar non sarebbe mai andato bene alla sua famiglia anche nella remota, impossibile ipotesi che il muspell fosse suo in quel particolare modo. Non era un berserkr, era un prigioniero politico proveniente da un altro mondo e, con tutta probabilità, entro breve se ne sarebbe andato.

Era totalmente fuori dalla sua portata … se mai avesse deciso di guardare da quella parte per quel motivo. Cosa che ovviamente non era.

O sì?

A ogni buon conto, per sincerarsi che il giovane non dicesse più del necessario, cacciandosi così nei guai, Ragnhild aveva ripreso a camminare in tutta fretta, e solo per scoprire che Sthiggar aveva la situazione pienamente sotto controllo.

Le sue amiche si erano avvicinate a lui perché incuriosite dal fatto che, nelle ultime settimane, Sthiggar si fosse trovato spesso a girovagare assieme a Ragnhild per le vie del paese. Il muspell però, ben conscio di doversi proteggere dai curiosi, aveva raccontato loro di essere un parente in visita da Stoccolma, calmando immediatamente gli animi iperattivi delle due studentesse.

Naturalmente, questo non aveva sedato le loro domande – né i loro sguardi ammiccanti – e, quando Ragnhild aveva infine tossicchiato per rendere evidente la sua presenza, le sue amiche erano sobbalzate, piene di imbarazzo.

Ragnhild, allora, aveva salutato Sthiggar con fare affabile e confidenziale e, mentre le prime gocce di pioggia avevano ripreso a cadere dal cielo, la coppia aveva salutato le ragazze per andarsene lungo il marciapiede.

A quel punto, Ragnhild si era sincerata che le sue amiche non lo avessero infastidito e Sthiggar, ridendo divertito, aveva replicato che, se i fastidi avessero sempre avuto quei volti, ben volentieri si sarebbe prestato ad accoglierli.

Questo, com’era scontato che avvenisse – trattandosi di Ragnhild – aveva innescato una serie di battute in merito agli uomini senza controllo e al loro desiderio di fare sesso con qualsiasi donna che si muovesse. Sthiggar però non le aveva risposto, nicchiando con malizia e la giovane, piena di irritazione, si era chiesta se una delle sue due compagne di corso avesse attirato l’attenzione del muspell.

Dopotutto, il pomeriggio passato a casa di Sthiggar le aveva fatto pensare che, tra loro, fosse emerso qualcosa di simile a una discreta attrazione da parte di entrambi, ma cosa ne sapeva, lei, delle abitudini sessuali dei muspell?

Non contenta, quindi, Ragnhild l’aveva accusato di voler usare quelle ragazze per scoprire se il suo stoppino fosse ancora in grado di fare scintille e, a quel punto, Sthigg era scoppiato a ridere di gusto.

L’attimo seguente, però, si era fatto pensieroso e, di punto in bianco, se n’era uscito con quella teoria riguardante il centro rovente della Terra, spiazzando del tutto Ragnhild e chetandola al tempo stesso.

“Visto e considerato che il tuo pianeta ha un interno infuocato e dalle discrete temperature di fusione, potrei cercare di capire se sono in grado o meno di sincronizzarmi con esso. Un comune muspell non avrebbe energia sufficiente ma, essendo io una Fiamma Viva, potrei anche farcela.”

“E questo ti aiuterebbe a non essere sempre gelido come un ghiacciolo?” gli domandò lei, avvertendo senza alcun problema la freddezza del suo corpo, anche attraverso gli abiti che indossava.

Se non avesse saputo che era vivo e vegeto, avrebbe detto di trovarsi accanto a un cadavere.

“Non me ne parlare… tra un po’ infilerò nelle tasche uno di quegli affari che servono per chetare i reumatismi” brontolò Sthiggar, rabbrividendo quando una folata di vento li investì assieme alla pioggerellina che ora stava cadendo dal cielo. “Questo tempo è davvero terribile. Ma come fate a sopportarlo?”

“Credo sia l’abitudine anche se è vero che, con i cambiamenti climatici in corso, la settimana prossima potremmo anche avere trentacinque gradi” asserì lei, sollevando istintivamente una mano per sfiorargli la guancia leggermente punteggiata di barba fulva. “Dio! Sei davvero congelato! Dobbiamo andare a bere qualcosa di caldo, o cadrai ibernato da un momento all’altro.”

“Sarebbe preferibile evitarlo. Se ti cadessi addosso, ti ammazzerei” esalò lui, scrutandola dall’alto al basso prima di scuotere la testa.

“Non so se mi ammazzeresti ma, di sicuro, mi faresti male” ammise Ragnhild, sospingendolo verso un localino poco distante.

Non appena entrarono, il tepore della stanza rinfrancò immediatamente Sthiggar che, con un sospiro di sollievo, sistemò l’ombrello nel suo apposito contenitore per poi seguire la giovane a un tavolo riparato da un separé.

Lì, Ragnhild ordinò cioccolata calda per entrambi e un paio di fette di torta alle more dopodiché, con fare da cospiratore, domandò: “Esattamente, come ti proponi di scoprire se la cosa può funzionare o meno?”

“Pensavo di tornare nel luogo in cui ho combattuto. Mi sembrava abbastanza isolato da non dovermi preoccupare di eventuali curiosi, e poi potrei tentare un collegamento con le energie del pianeta” le spiegò lui prima di azzittirsi quando una cameriera consegnò loro le torte, promettendo loro l’arrivo immantinente delle cioccolate.

Ciò detto, la ragazza strizzò l’occhio a Ragnhild prima di allontanarsi con andatura ancheggiante e Sthiggar, curioso, le domandò: “Vi conoscete?”

“Fa parte del clan. Si chiama Ludmilla” gli spiegò velocemente lei. “Con tutta probabilità, entro stasera il branco saprà che ero qui con te.”

“Ed è un problema?” domandò lui, dubbioso.

“Finché non mi metteranno un guinzaglio al collo, no” borbottò sprezzante Ragnhild, azzittendosi quando Ludmilla portò loro le cioccolate calde.

“Spero siano di vostro gradimento” mormorò la giovane, lanciando un’occhiata penetrante a Sthiggar per poi tornare al bancone, in attesa di altre commesse.

“Sbaglio, o quello era uno sguardo ‘da cattura’?” le chiese Sthiggar, inspirando con piacere il gradevole profumo proveniente dalla tazza. “Uhm, sembra ottima.”

“Se non hai mai assaggiato nulla come la cioccolata, allora preparati. E’ droga pura” ironizzò lei prima di ammettere: “Quanto alla tua domanda… beh, in un certo qual modo, sì, era un incoraggiamento a farsi avanti. Visto che sei stato il mio Campione, e hai vinto, la legge prevede che tu possa divertirti con un membro del clan a tua scelta.”

A Sthiggar andò quasi di traverso la cioccolata e, fissandola con occhi smarriti, esalò: “Ma… ma che dici?”

“E’ la verità. Te l’ho detto, no, che nel mio branco vigono ancora le vecchie regole?” sbuffò Ragnhild, ingollando un po’ di cioccolata senza veramente sentirne il sapore. A ben vedere, era amara come fiele.

“Scusa, fammi capire. Cos’è, una sorta di premio?” gorgogliò Sthiggar con occhi sgranati e increduli.

“Già. E’ il ringraziamento del clan per aver ben servito un suo membro di alto rango, quale io sono” sospirò Ragnhild, tirando fuori la verità a spizzichi e bocconi.

Sthiggar tornò a scrutare la cioccolata con occhi improvvisamente serissimi e, senza più dire nulla, mangiò educatamente la torta e terminò la sua bevanda calda. Estratte quindi due banconote per pagare, si recò al bancone e salutò con un cenno la cameriera sorridente, seguito subito dopo da una spiacente Ragnhild.

La pioggia aveva nuovamente smesso di cadere ma, a giudicare dalla faccia ombrosa di Sthiggar, il temporale doveva essersi spostato nel bel mezzo del suo cervello, e Ragnhild aveva paura di scoprire quale fulmine sarebbe caduto sulla sua testa.

Quasi senza accorgersene, il giovane muspell finì con il giungere dinanzi a casa propria e Ragnhild, continuando a pedinarlo in silenzio, salì le scale assieme a lui, ritrovandosi a fissare l’entrata di casa con sentimenti contrastanti nell’animo.

Dopo un attimo di tentennamento, però, lo seguì anche dentro l’abitazione.

Non avendo il coraggio di lasciarlo solo, dopo aver sganciato una simile bomba, si chiuse infine la porta alle spalle e attese di scoprire cosa, il muspell, stesse rimuginando con tanta determinazione.

Non dubitava che Sthiggar glielo avrebbe detto. Dopotutto, lui non mentiva mai.

Fu solo dopo diversi minuti di assoluto silenzio che Sthiggar sbottò, esclamando: “Forse, era una cosa che avrei dovuto sapere prima!”

Già… ma come dirgli che il padre le aveva ricordato che lei, al contrario degli altri membri del branco, non avrebbe mai potuto essere il pegno per Sthiggar, e proprio perché era stato il suo Campione?

Come dirgli che il padre si era raccomandato di fargli notare che, solo in questo caso, e solo per una volta, lui avrebbe potuto toccare un membro del suo clan?

Come dirgli che il padre lo riteneva poco più che una creatura fastidiosa ma che, a causa di vecchi accordi millenari tra muspell e berserkir, doveva sopportare?

Sthiggar, però, meritava la verità, meritava che lei si comportasse onestamente poiché ormai sapeva che, tutto il resto, sarebbe stato come pugnalarlo alle spalle.

Presolo per mano, perciò, lo condusse fino al divano e, dopo averlo spinto a sedersi, prese per sé una sedia e vi si sedette per poterglisi piazzare dinanzi, quindi asserì fiacca: “Mio padre è il capoclan, perciò per me la legge vale ancor più che per gli altri membri del branco e io, all’interno del clan, sono… sono solo una merce di scambio, un jolly da usare per alleanze e intimidazioni.”

Il giovane sobbalzò, calmandosi immediatamente a quelle parole e, accigliandosi vistosamente, borbottò: “Che intendi dire?”

“Ho potuto usufruire della legge del Campione solo questa volta. Se un altro uomo appartenente al clan – e di stimato grado sociale – si interessasse a me, sarei costretta ad accettare le sue attenzioni… e la mia mano sarebbe sua” sospirò Ragnhild reclinando il capo in avanti per nascondere il viso tra le mani.

“Ragnhild…” mormorò Sthiggar, stringendo le dita sulle ginocchia, il desiderio di proteggerla reso ancor più forte dal suo stato di prostrazione.

“Quando… quando sono rientrata dopo il combattimento e ho spiegato a mio padre quel che aveva fatto Ludvig, lui non ha battuto ciglio. Non gli interessava che io potessi finire con un uomo violento, o disinteressato alle regole di condotta durante le ordalie. Era solo preoccupato che io fossi … fossi ancora illibata e pronta per accogliere il prossimo uomo che mi avesse voluta per sé!”

Nel dirlo, risollevò lo sguardo, gli occhi colmi di lacrime che mai avrebbe versato e Sthiggar, stringendo i pugni, esalò: “Non può davvero volere questo, da te. Non sei una fattrice!”

“Lo sono” replicò lei con tragica semplicità.

“No” ribadì Sthiggar, ora nero in volto.

Sorridendo mesta, Ragnhild mormorò: “Servo solo a protrarre la specie, a figliare il più possibile e a essere una moglie fedele.”

Sthiggar scosse il capo, incredulo e disgustato e Ragnhild, lasciandosi scivolare contro la sedia, domandò: “Allora, come ti sembra la mia verità?”

“Orribile” sentenziò lui, afferrando d’istinto una delle mani di Ragnhild per portarsela al petto.

Questo costrinse la giovane ad avvicinarsi pericolosamente a lui e, per un istante, fu tentata di chiedergli di lanciare tutto alle ortiche e renderla non più pura.

L’istante seguente, però, si diede dell’idiota e preferì tacere. Non si faceva sesso per motivi così puerili, o almeno lei la pensava così. Inoltre, era dell’idea che sarebbe stato un terribile errore, usare Sthiggar a quel modo.

“Come può vederti come un oggetto?” mormorò straziato Sthiggar, incredulo.

“Perché la cosa ti turba tanto, Sthiggar?” gli domandò per contro lei, un po’ sorpresa da quella reazione così violenta.

Passandosi una mano tra i capelli con fare nervoso, lui disse con totale, disarmante sincerità: “Trovo ignobile che un padre si comporti a questo modo con la propria figlia, che dovrebbe invece venerare e proteggere.”

Sorridendo appena, Ragnhild allora mormorò: “Sono parole molto belle.”

“Mio padre avrebbe tanto voluto che io avessi una sorella e, non ha caso, ha sempre avuto un rapporto speciale con mia cugina Hildur. Lei nacque seicento anni prima di me e, dopo la morte di mia madre, Hildur cercò di essere questo, per me. Mi consolò, mi strappò agli incubi e, ogni qualvolta io mi cacciavo nei guai, lei era lì per risolverli. Come potrei anche solo pensare che una persona simile possa essere trattata come sei stata trattata tu?”

L’abbraccio le venne naturale.

Ragnhild si lasciò scivolare dalla sedia per avvolgergli le braccia attorno al collo e Sthiggar la strinse a sé gentilmente, avvertendo tutto il suo bisogno di essere accettata, compresa e sì, amata per quello che era.

“Poiché viviamo così a lungo, la nostra capacità riproduttiva è molto scarsa, o il pianeta sarebbe già sovrappopolato da tempo… perciò, ogni bambino è sacro, e la vita di ognuno di loro viene portata in palmo di mano da ogni abitante di Muspellheimr, sia esso o meno figlio proprio. Per questo trovo inaccettabile ciò che ti stanno facendo.”

Accentuando l’abbraccio al suono di quelle parole così accorate, Ragnhild ammise con tono desolato: “Potrò parlare con te, vedermi con te, solo finché sarò libera. Dopodiché, sarò relegata nel mio ruolo di moglie e madre e, del mondo, io non vedrò più nulla. Come vedi, noi non siamo così protettivi, invece.”

Quell’ultima bordata lo fece irrigidire e, dentro di sé, Sthiggar avvertì prepotente il desiderio di uccidere l’uomo che voleva costringerla a un simile futuro privo di prospettive.

Com’era anche solo immaginabile che suo padre desiderasse questo, per la figlia?

“Perché i berserkir fanno questo alle loro figlie?” ringhiò lui, continuando a stringerla a sé, il cuore di Ragnhild che pompava furioso al pari del proprio.

“Non tutti. Ogni clan ha le sue regole e, purtroppo, il nostro statuto è assai antiquato” sospirò lei, scostandosi da Sthiggar per mettersi a sedere accanto al giovane. “Sarà per questo che mio padre non gradisce i rapporti con gli altri clan. Potremmo scoprire che, altrove, si vive meglio.”

“Affronterò tuo padre e gli farò cambiare idea. Sono il tuo Campione, no?” gli propose allora Sthiggar, speranzoso.

Lei gli tributò uno dei suoi rari sorrisi ma, nello scuotere il capo, disse: “Non funziona così. Nessuno può sfidare il capoclan, a meno di non voler scatenare una rappresaglia. Ci si deve adeguare e chinare la testa, altrimenti si viene banditi e nessun altro branco può prenderti con sé. La pena sarebbe una guerra intestina tra clan, e nessuno lo vuole davvero. Potresti chiedere un’Ordalia per il predominio solo se tu fossi un berserkr, e fossi certo di sconfiggerlo in duello.”

“Non è giusto” sospirò a quel punto Sthigg.

“Posso approfittare ancora una volta del tuo abbraccio?” domandò allora lei, sentendosi al sicuro da un’implosione solo entro il raggio delle sue braccia.

Era quasi certa che, se si fosse allontanata, sarebbe sicuramente caduta a pezzi.

“Come ti ho detto, puoi prendere la mia forza ogni volta che ti serve” le sorrise lui, allargando un braccio per accoglierla nuovamente accanto a sé.

Ragnhild non si fece pregare e, lasciandosi stringere da quel braccio così forte, dimenticò subito le sue paure, le sue ansie e assaporò il calore del suo corpo e…

Calore?

Sbattendo le palpebre per la sorpresa, Ragnhild si rialzò di colpo per guardarlo dubbiosa e, senza chiedere il permesso, gli sollevò il maglione per tastargli lo stomaco piatto.

Ridacchiando divertito, Sthiggar a quel punto esalò: “Ti è venuta un’improvvisa voglia di spogliarmi?”

Ignorandolo, Ragnhild tastò la sua pelle liscia e glabra, avvertendo un leggero tepore non previsto e, nel tornare a guardare gli occhi ridenti di Sthiggar, esalò: “Sei caldo!”

Il muspell sobbalzò leggermente, a quelle parole e, nel muovere a sua volta le mani sul proprio grembo, gorgogliò: “Merda! E’ vero!”

Guardandolo piena di eccitazione e speranza, Ragnhild si portò le mani alla bocca per soffocare uno strillo ed esclamò: “Puoi usare l’aura?”

Sthiggar fece per parlare ma, sotto la sua mano, l’addome tornò a essere freddo come il ghiaccio perciò, vagamente piccato, tornò a guardarsi con fare burbero, borbottando: “Questa è una presa in giro.”

Dubbiosa, Ragnhild tastò a sua volta con un dito e, sbuffando, grugnì: “Cazzo. Speravo fossi riuscito nel miracolo.”

L’istante successivo, facendosi maliziosa, lo guardò dal basso all’alto e mormorò: “Magari, se spingessi la mano più in basso, tornerebbe la fiamma. Ti pare?”

Sthiggar rise per diretta conseguenza, strappando la mano della ragazza dal proprio addome piatto per sollevarla in alto e Ragnhild, ridendo con lui, esclamò: “Oh, andiamo! Sarebbe un esperimento scientifico! Non vorresti essere la mia cavia sacrificale?”

“Sono stato il tuo Campione, e tanto mi è bastato” replicò lui, cercando di evitare che il continuo divincolarsi di Ragnhild li facesse cadere entrambi dal divano.

“Non sei affatto coraggioso, Sthiggar” lo prese in giro lei, strillando l’istante successivo quando le gambe del muspell la bloccarono al pari di una morsa. “No, dai!”

Sthigg rise, rise sempre più forte, la costrinse a sdraiarsi sul divano dopodiché, deponendo se stesso sopra di lei, chiuse gli occhi, poggiò la fronte contro la sua spalla e sentenziò: “Buonanotte.”

Completamente schiacciata dal suo peso non indifferente, Ragnhild tossicchiò per prendere aria e, nel tamburellare i pugni sulla sua schiena, bofonchiò: “Così è barare. E poi non ti ho detto che potevi toccarmi a questo modo.”

Ci stiamo toccando, è reciproco” precisò lui, ghignando al suo indirizzo non appena ebbe risollevato il viso per guardarla. “Ed è un ottimo sistema per tenerti ferma.”

“E sentire le mie tette contro il tuo petto” bofonchiò Ragnhild, accigliandosi.

“Non esaltarti. Ho tenuto tra le mani seni più floridi” la prese in giro lui, ricevendo per diretta conseguenza un pizzicotto sul sedere. “Ahia!”

“Questo è per i seni poco floridi” bofonchiò lei, indispettita.

Non ho detto poco floridi. Ho detto che ne ho toccati di più grandi. Sono cose ben diverse” sottolineò lui, tornando serio e scrutandola negli occhi da quella posizione privilegiata.

Lei si tranquillizzò nonostante la posizione piuttosto compromettente, gli carezzò le onde ramate con gesti delicati e mormorò con tono più dolce: “Quindi, i miei come sono?”

“Giusti per te” sussurrò lui, chinandosi sulla sua bocca dopo un istante di esitazione.

Le loro labbra si trovarono a metà strada, conoscendosi, esplorandosi, cercando nel contatto l’una dell’altra le risposte a ciò che stava accadendo tra di loro.

Ragnhild mugolò, muovendo le mani per sollevare la maglia di Sthiggar e carezzare la sua pelle morbida e, come in precedenza, la sentì calda al tatto, ora quasi febbricitante.

Stavolta, però, non interruppe il contatto, desiderò di più e il giovane, scendendo sul suo collo per baciarla delicatamente, mormorò contrariato: “Devo fermarmi.”

“Non ancora” ansimò Ragnhild, artigliando le dita sulla sua carne, che ora sembrava andare a fuoco sotto le sue dita vogliose.

Non potendo più evitare di nascondere l’ovvio, però, la giovane esalò un attimo dopo: “La tua pelle, Sthigg…”

Lui non la ascoltò, si sollevò con potente agilità trascinandola sul grembo e, solo in quel momento, si rese conto di ciò che stava accadendo al proprio corpo.

La pelle era rilucente, tonica, del giusto colore e, nel bloccarsi di colpo per scrutare le proprie mani, esalò: “Ma come…?”

Lei gli diede un bacio con lo schiocco non appena si avvide del suo stupore, scese a malincuore da quel corpo che cominciava a bramare come l’aria stessa e, nel sospirare, disse: “Prima di tutto, dobbiamo scoprire cosa ti succede, e perché succede con me.”

“Ne sei certa?”

“Sì” annuì lei. “Per quanto io desideri approfondire tutto questo, voglio prima di tutto che tu scopra cosa sta accadendo. E’ della tua salute che stiamo parlando.”

Sthiggar si levò con sorprendente agilità, le sfiorò il collo e i capelli con una mano e, sorridendo sghembo, mormorò: “Solo tu, a quanto pare, sei in grado di svuotarmi il cervello. Qualcosa ci deve essere davvero.”

“Neanche ora stavi pensando a casa?” domandò lei.

“Pensavo a te” si limitò a dire Sthiggar.

A Ragnhild non servì sapere altro.


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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Cap. 13

 

 

 

Il corpo sinuoso e slanciato di Ragnhild era sopra di lui mentre le mani della giovane, delicate e maliziose, scendevano verso la cinta per liberare la sua virilità, ormai pronta per prenderla come desiderava.

Le loro labbra si trovarono istintivamente mentre in un unico, fluido movimento, lui la faceva sua, muovendosi all'unisono in un'antica danza universale, che né le distanze, né le differenze tra i loro mondi, potevano mutare.

Fu a quel punto che Sthiggar le carezzò il viso, sorrise alla sua amante e... cadde rovinosamente dal letto, svegliandosi di colpo e mandando all'aria lenzuola e cuscino.

Scuotendo furiosamente il capo per la sorpresa, Sthiggar si guardò intorno pieno di confusione e, non trovando affatto Ragnhild nella stanza, iniziò a comprendere cosa fosse successo.

Ciò che era avvenuto la sera precedente, il gioco scherzoso nato per tranquillizzarla, ma che poi era sfociato in un bacio tutt'altro che tranquillizzante, lo aveva portato a questo. A un sogno erotico che nulla aveva di scherzoso ma che implicava ripercussioni non da poco.

Non tanto perché fosse strano che lui sognasse di fare sesso - in gioventù, erano stati sogni ricorrenti e, non di rado, gli era capitato anche durante l’apprendistato - quanto perché, per la prima volta, la donna al suo fianco aveva avuto un volto.

Un volto che lui conosceva. Un volto che lui apprezzava, e della cui persona provava un grande rispetto.

Passandosi le mani sul viso umido di sudore, Sthiggar si rimise in piedi per poi sistemare le coltri del letto terribilmente disfatte e, ancora, ricordi del sogno appena spezzato gli tornarono alla mente, irrigidendolo, pieno di un desiderio non espresso.

"Che diavolo..." mormorò lui, lasciandosi cadere a sedere sul letto, l'aria smarrita e confusa. "Non posso pensare a lei in questo modo!"

Difficile a farsi, visto che la sola presenza di Ragnhild era in grado di cancellare ogni altro pensiero. 

Per quanto la sua lingua tagliente, a volte, lo avesse trafitto, sentirla parlare era divenuto, in breve tempo, un placebo per tutti i suoi dolori, per le sue preoccupazioni e, ben presto, la vita di lei aveva iniziato a interessargli più della propria.

Lasciare che si sfogasse con lui, permetterle di mettere a voce i suoi disagi e, per contro, tentare di aiutarla a cancellare la pena che si portava dietro, era divenuta per Sthiggar una ragione sempre più incombente per vederla.

Sul lavoro, aveva deciso di presentarsi a orari sempre più antelucani, così da terminare quanto prima le incombenze sottopostegli da Gunther. A quel modo era riuscito a trovarsi sempre più spesso all'uscita dell'università, in tempo per vederla.

Inconsciamente, si era detto di voler conoscere il maggior numero di informazioni per mere ragioni statistiche, perché così era stato addestrato a fare ma, a ogni nuovo incontro, si era ritrovato a parlare di lei, non del mondo su cui era stato confinato.

Al tempo stesso, Sthiggar le aveva parlato di sé perché lei arrivasse a conoscerlo, a fidarsi di lui, ad aprirsi in totale libertà ... finché non si era lasciato andare a quel bacio.

Quel bacio aveva cambiato le carte in tavola, le aveva decisamente sparigliate, mettendogli di fronte una verità che aveva deciso di non vedere, contrariamente a quanto faceva di solito.

Tutto ciò, perché?

"Perché io non rimarrò qui" mormorò tra sé Sthiggar, passandosi le mani sul volto per la frustrazione.

Per quanto trovasse attraente quel luogo, per quanto la compagnia di Ragnhild stesse in fretta diventando importante, per lui, non sarebbe comunque rimasto per poterla approfondire come desiderava.

Inoltre, se lei era disposta a cedere agli ordini del padre ed evitare l'esilio, sarebbe ben presto diventata la sposa di qualcuno.

Levandosi in piedi, pieno di frustrazione e rabbia, aprì le imposte per osservare il cielo sgombro di nubi e il sole basso sull'orizzonte ma, per una volta, non badò all'aria frizzante della mattina.

Ristette in piedi dinanzi alla finestra, il torace nudo esposto alla brezza, cercando di fare chiarezza in se stesso così da non rovinare ciò che era accaduto con Ragnhild.

Non voleva in alcun modo che le sue pulsioni la portassero ad allontanarsi, né desiderava rimanere invischiato in qualcosa che li avrebbe portati a soffrire più del necessario, una volta che si fossero detti addio.

Ragnhild doveva in ogni caso rimanere un'amica, o sarebbe stato un disastro su entrambi i fronti.

"Facile a dirsi" borbottò tra sé subito dopo aver formulato quel pensiero, chiudendo infine le finestre per gettarsi sotto una doccia calda e, sperò, rinvigorente.

Una volta che l'avesse vista, si sarebbe scusato con lei per il suo comportamento indecente e avrebbe tentato di mantenere il tutto entro i confini dell'amicizia più pura. Ammesso e non concesso che il suo cuore glielo permettesse.

Il solo pensare a Ragnhild come a una donna da sfiorare solo con lo sguardo, lo faceva stare male perché lui desiderava che lo abbracciasse, che si sentisse al sicuro entro il cerchio delle sue braccia... che lo baciasse.

"Cazzo... sono nei guai fino al collo" borbottò Sthiggar, lasciandosi andare sotto il soffione della doccia.

L'acqua bollente lo colpì in pieno e, nel ripensare a come il tocco della giovane avesse risvegliato la sua aura, si sentì ancora peggio.

Il pensiero delle sue dita sull'addome, il risvegliarsi dell'aura dentro di lui che, come un'arpa, aveva cercato le sue mani per essere pizzicata con maestria, lo facevano sentire debole e spaesato.

E per nulla pronto ad affrontare un simile compito. Tenere a freno i suoi istinti che, primordiali, lo spingevano verso di lei, gli sembrava un’impresa già persa in partenza.

Poggiando la fronte contro la parete piastrellata della doccia, Sthiggar borbottò: "Se Hildur sapesse che mi sto comportando come un ragazzino alla sua prima cotta, mi prenderebbe in giro a vita."

Ma tant'era. Non c'era solo il desiderio fisico, a spingerlo, o l'esigenza di sapere se Ragnhild fosse davvero in grado di guidare la sua aura a galla. 

Desiderava rivederla, stare con lei. Punto.

Peccato fosse un punto grande quanto una montagna, e di difficile risoluzione.

***

Passa a prendere Mattias, per favore. Ha detto di voler partecipare al nostro esperimento. 

Sthiggar aveva trovato questo messaggio, sul suo smartphone, quando era rientrato dalla pausa per il pranzo perciò, dopo aver terminato di lavorare sotto la supervisione di Gunther, era uscito dall'imbarcadero per dirigersi verso l'abitazione di Ragnhild.

Avendola vista un paio di volte, rammentava la posizione della sua casa, quindi non gli fu difficile raggiungerla. Quel che lo preoccupava era, però, l'accoglienza che avrebbe ricevuto al suo arrivo.

Ragnhild era stata chiara. Per i berserkir, lui era solo una distrazione, un giocattolo per passare il tempo, ma niente affatto un uomo a cui dare un certo tipo di confidenza.

Quell'uscita, quindi, come sarebbe stata interpretata visto che, di fatto, poteva apparire come una gita fuori porta o, peggio ancora, un appuntamento?

Quando suonò il campanello, perciò, si tenne pronto per qualsiasi evenienza ma, quando vide Mattias alla porta, tutto allegro e pimpante, ben deciso a invitarlo a entrare, si domandò se non avesse mal interpretato le parole di Ragnhild.

Un poco più rilassato, oltrepassò il piccolo giardino fino a raggiungere la porta d'ingresso e, dopo essere entrato, se la chiuse alle spalle trovandosi davanti una figura di donna in sedia a rotelle.

Mattias, al fianco della donna che, per colori e tratti del viso, somigliava molto al figlio, disse con un sorriso: "Ti presento la mamma. Si chiama Ingrid. Mamma, lui è Sthiggar, il guerriero di cui ti ho parlato."

"Spero tu sia stato generoso, nel descrivermi" sorrise appena Sthiggar prima di esibirsi in un leggero e formale inchino e aggiungere: "Sono lieto di fare la vostra conoscenza."

La donna assentì recisamente dopodiché gli porse un foglio mentre Mattias, scusandosi, asseriva con tono vagamente contrito: "La mamma non può parlare, ma vorrebbe porti alcune domande, se non è un problema."

"Affatto. Sono ospite, ed è cortesia rispondere alla padrona di casa" replicò con candore lui cercando di essere il più possibile accomodante, sperando nel contempo che non vi fossero domande troppo specifiche, o a cui sarebbe stato difficile rispondere… o mentire.

Dopo averle scorse con lo sguardo, e averne trovata una davvero singolare, Sthiggar iniziò col dire: "Ho accettato di essere il Campione di vostra figlia perché, tra i miei compiti di soldato, vi è quello di aiutare le persone in difficoltà. Inoltre, vostra figlia mi ha offerto aiuto per comprendere meglio il luogo in cui mi trovo, quindi ha ripagato egregiamente il favore che le ho fatto."

La donna annuì, lo sguardo color smeraldo imperscrutabile e che nulla aveva a che vedere con gli occhi piedi di fuoco e di vita della figlia.

Non avendo conosciuto il padre di Ranghild, non poteva sapere se lei somigliasse al genitore, ma Sthiggar non riusciva a trovare nulla, della ragazza, sul viso freddo e rigido di quella donna.

Né di Mattias, se era per questo. Tolti i colori di occhi e capelli, non sembravano neppure parenti.

"Sono qui per la mia stessa protezione poiché, su Muspellheimr, ci sono dei problemi che devono essere risolti tenendo me fuori dall'equazione. Non posso dirvi di più perché, in tutta onestà, quando sono partito non sapevo molto più di questo" ciò detto, aggiunse: "In merito a un potenziale pericolo per voi, non ve n'è alcuno, perché non rientrate nel novero dei nemici dei nostri eventuali avversari. Siete, scusate il termine, poco pericolosi, perciò inutili ai fini di un'eventuale disputa."

Ingrid storse appena il naso, a quel commento, e Sthiggar si scusò ancora. Era difficile spiegare come, guerrieri come i berserkir, pur se potenti e quasi invincibili su Midghardr, fossero potenziali pedine inermi, su altri mondi.

"La quarta domanda è molto specifica e non so se..." tentennò Sthiggar nel leggere il foglio vergato dalla donna, guardando poi dubbioso Mattias, che però ridacchiò e scosse una mano per chetare i suoi timori.

"Le ho lette tutte, prima. Parla pure... sono curioso anch'io" ironizzò il ragazzino, fissandolo con i suoi furbi occhi color smeraldo.

Sthiggar, allora, si schiarì la voce e ammise: "Non... non ho approfittato del vostro gentile premio perché non lo ritenevo necessario. Il ruolo di insegnante che sta svolgendo vostra figlia è pegno sufficiente, credetemi. Posso solo dire che il vostro clan è fortunato ad avere simili bellezze al suo interno, e che ben poche donne muspell potrebbero vantare una bellezza altrettanto delicata."

Ingrid sollevò un sopracciglio, a quell'ultima parola e Mattias, nel notare il movimento rapido delle mani della madre, disse: "Vuole sapere cosa intendi per 'delicata'.

"La carnagione delle nostre donne è simile alle genti umane che abitano la zona del Magreb o del Medio Oriente, per citare un esempio a voi comprensibile. La mia, se fossi in forze, sarebbe sicuramente più salubre e color del bronzo..." le descrisse Sthiggar con un leggero sospiro. "...per cui, pelli chiare come le vostre sarebbero viste come delicate e sopraffine, e perciò assai preziose e ambite. Conosco donne muspell che spendono fior di soldi per acquistare trattamenti sbiancanti su Elfheimr, pur di ottenere qualcosa di neppure paragonabile al colore della vostra pelle. Io ritengo sia assurdo, perché le donne muspell sono già affascinanti così, ma sono solo un uomo e non mi addentro a comprendere simili misteri."

Forse ritenendosi soddisfatta, Ingrid annuì e Sthigg, nel rispondere all'ultima domanda, dichiarò: "Proteggerei Mattias con la mia stessa vita. I bambini sono il bene più prezioso, su Muspellheimr, e io lo tratterei alla stregua di un fratello. Non dovete temere che sia in pericolo, insieme a me. Il mio braccio e la mia forza sono suoi."

"Fico! Ci pensi, mamma? Ho un guerriero personale" sorrise eccitato Mattias, dandole un bacetto sulla guancia.

Lei assentì, carezzandogli una guancia e sorridendo di rimando ma Sthiggar, dentro di sé, si chiese perché, tra le domande a lui fatte, la donna non avesse mai menzionato Ragnhild. Forse, dopotutto, le parole della giovane in merito alla madre non erano state neppure troppo dure.

C'era qualcosa di molto peggio del disinteresse nei confronti della figlia, nello sguardo venerante con cui la donna stava osservando il secondogenito. Non aveva chiesto di proteggere entrambi i figli, ma solo Mattias, per cui Ragnhild non contava nulla, per lei.

Ragnhild era soltanto una pedina, buona solo come uno strumento e, all’occorrenza, scartata perché inutile, perciò non aveva bisogno di essere difesa. Mattias, al contrario, era raro e prezioso, e andava portato in palmo di mano.

Il desiderio di aggiungere altro fu forte ma, ben conscio di non dover rovinare l'immagine che sperava di aver creato nella mente della donna, rimase in religioso silenzio. Solo quando fu fuori di casa assieme a Mattias, si permise di prendere un sospiro di sollievo.

Nel notarlo, il ragazzino mormorò spiacente: "Scusa. La mamma può essere un po' dura, quando ci si mette."

"Non temere. Ho affrontato di peggio" replicò lui, poggiandogli una mano sulla spalla e sorridendo a mezzo.

"Sarebbe carino se, ogni tanto, si preoccupasse anche di Raggie, ma non lo fa mai e io ci rimango male" sospirò allora Mattias, sorprendendo un poco Sthiggar. "Non metto becco nelle cose dei grandi, perché so che sarebbero indulgenti con me, e mi direbbero delle bugie per blandirmi, però..."

...non blandirmi...

Anche Ragnhild l'aveva pregato di non farlo, forse memore di ciò che i genitori avevano sempre fatto con il fratello e forse, anni addietro, con lei, per evitare che la figlia dall'animo ribelle potesse causare loro disagi o imbarazzi.

"...però, vorresti che ti dessero ascolto" disse per lui Sthiggar, vedendolo annuire. "Credimi, le cose dei grandi sono incasinate e folli, a volte. Capisco la sensazione di disagio che provi."

"Non dirlo a Raggie, però, ti prego. Non voglio che sappia che mi preoccupo per lei. Ha già così tante cose a cui pensare!" lo pregò a quel punto Mattias, intrecciando penitente le mani.

Inclinando il capo a guardarlo, lui replicò: "E' difficile che io dica una bugia ma, se non entreremo mai in argomento, io di certo non glielo dirò."

"Grazie" gli sorrise speranzoso il ragazzino, prendendolo fiducioso per mano.

"Urd che dice, della situazione?" si informò a quel punto, sentendosi a proprio agio con quel ragazzino dalla personalità così matura.

"In merito a te, ha detto che ti aiuterà a sintonizzarti col pianeta. Quando a Ragnhild... vorrebbe dire due paroline ai miei genitori, ma preferisco che non lo faccia. Ho il terrore che, se si immischiasse, le cose peggiorerebbero e a pagarne le conseguenze sarebbe solo mia sorella" sospirò Mattias.

Istintivamente, Sthiggar si irrigidì e il ragazzino, nel notarlo, mormorò con un sorriso: "Ci tieni, a lei?"

"Sì" disse soltanto lui, ottenendo in risposta un sorriso tutto fossette, che tanto gli ricordò quello di Ragnhild.

"Bene" assentì Mattias, iniziando a saltellare al suo fianco, la mano ancora ben stretta in quella di Sthiggar.

Il giovane muspell sorrise e, dentro di sé, sentì come sempre la mancanza di un fratellino. Probabilmente, se fossero stati in due, non si sarebbe cacciato in tutti quei guai.

***

Fermi su una panchina in attesa che Ragnhild terminasse la sua lezione di tecnologia, Sthiggar sorrise a mezzo quando vide comparire la figura di Boris.

Come tutti i berserkir aveva un fisico possente e un’altezza importante e, da quel poco che poteva comprendere dal comportamento delle donne, doveva essere anche abbastanza piacente da attirare sguardi interessati da parte del sesso femminile.

Con un cenno di saluto, l’alto berserkr si accomodò accanto a Mattias, gli passò un involto e, dopo aver ammiccato all’indirizzo di Sthiggar, celiò: “Allora? Non hai ancora dato fuoco al tuo stoppino?”

Sthigg sospirò – ma erano proprio fissati con quella faccenda dello stoppino! – e disse atono: “Tu e tua cugina siete a schema fisso. E poi, sono discorsi da tenersi dinanzi a un ragazzino?”

Mattias ghignò divertito mentre controllava ciò che gli aveva portato il cugino e Boris, per tutta risposta, replicò: “Matt ha visto e sentito di peggio, durante le riunioni del clan. Noi berserkir siamo un po’ chiassosi, quando discutiamo, e neanche tanto educati, a volte.”

Sthiggar scosse il capo, sorridendo a mezzo di fronte all’assoluto candore di Boris e, nel fissarlo curioso, domandò: “Sei qui per un motivo, o dovevi solo consegnare di nascosto dei dolciumi a Mattias?”

Il ragazzino sollevò godurioso una barretta di KitKat e, nello scartarla, ammise: “Mamma non vuole che io li mangi perché non li reputa cibi adatti al possessore di un’anima come la mia ma, in tutta onestà, piacciono anche a Urd, per cui…”

“Come fai a dire di no a un simile angioletto?” ironizzò quindi Boris, dando una pacca sulla testa del cugino.

“Per me non ci sono problemi. Ho patito così tanta fame, durante uno dei miei tanti addestramenti, che pensare di privare qualcuno del cibo, di qualsiasi cibo, mi farebbe rabbrividire” ammise Sthiggar, rammentando più che bene quando, durante una marcia nel deserto, avevano perso l’orientamento trovandosi ben oltre i limiti conosciuti dei territori fin lì esplorati.

Raggiungere il primo avamposto muspell disponibile li aveva quasi uccisi, e anche Yothan aveva convenuto che, per il successivo allenamento, avrebbero atteso di recuperare il peso ottimale. Alcuni suoi commilitoni avevano utilizzato così tanta aura per sopravvivere, da essersi ridotti all’ombra di loro stessi.

Boris allungò le possenti braccia sulle coscie e, del tutto serio, asserì: “Non ho mai osato mettere in discussione l’educazione dei miei cugini perché, ehi, chi sono io per giudicare? Ma il fatto di non aver potuto essere io a proteggere mia cugina dalle mire di Ludvig, mi ha dato fastidio.”

“Sì, ricordo che Ragnhild mi ha detto che ai parenti non è concesso farlo” assentì  pensieroso Sthiggar.

“Infatti. Deve essere per forza un membro esterno alla famiglia e non facente parte di clan esterni, perché non devono nascere lotte intestinte tra berserkir di diversi branchi, e di certo non per colpa di una donna. Tu hai potuto farlo perché, nei trattati, voi muspell qui detenuti siete parte del branco, pur se come ospiti esterni, e perciò rientrate nel novero delle persone controllate dal padre di Ragnhild” sospirò Boris, con l’accenno di un sorriso sprezzante. “Inoltre, non essendo un berserkr e neppure un umano ignaro, hai potuto servirla a dovere, come ogni bravo guerriero dovrebbe fare.”

“Gli accordi interspecie…” mormorò Sthiggar, annuendo. “Non ho chiesto molto ma, nella sostanza,  non devo necessariamente obbedire a tutte le vostre regole ma non devo dare fastidio a nessuno di voi, visto che noi muspell usufruiamo della vostra cittadina come si farebbe per una prigione.”

“Precisamente” annuì debolmente Boris. “Siete ospidi sgraditi, ma fruttate bei soldi al clan, perciò… come lamentarsi? Personalmente, avrei voluto spaccare la faccia a Ludvig per il solo fatto di aver guardato concupiscente mia cugina, ma non ho il potere di mettermi contro mio zio. Volente o nolente, è ancora un berserkr dannatamente forte e, in uno scontro, non sono davvero sicuro che potrei avere la meglio.”

Sthigg lanciò uno sguardo preoccupato all’indirizzo di Mattias ma, a giudicare dalla sua calma, comprese quanto quell’argomento fosse stato più volte toccato dai due cugini, in assenza di Ragnhild.

“Wulff e Adam la pensano come te?” chiese dunque Sthiggar.

Boris assentì, mormorando: “La lealtà che dobbiamo a nostro zio Elias è totale, ma comincia a venirci stretta. Vedere ciò che hai fatto per Ragnhild ci ha fatto capire quanto possiamo essere fortunati, nell’essere nati maschi, mentre lei è costretta a sottostare a regole ben più restrittive e disagevoli.”

“Parlarne con il vostro capoclan sarebbe dunque inutile?”

Sorridendo con triste ironia, Boris ammise: “Siamo stati così idioti da non averci mai provato. Abbiamo sempre visto Ragnhild come la donna più forte e coraggiosa del mondo ma, solo di fronte a ciò che stava per succederle, abbiamo compreso di esserci sempre ingannati.”

Assottigliando lo sguardo per il dubbio, Sthiggar domandò: “Non sarebbe stata solo una relazione come mi disse lei, vero?”

“E’ così che te l’ha venduta Raggie?” replicò Boris, vedendolo annuire: “No, mio caro. Raggie avrebbe dovuto sposare Ludvig, se tu avessi perso.”

Lo sguardo di Sthiggar si incendiò al solo sentire quelle parole e Boris, nell’accentuare il proprio sorriso, proseguì dicendo: “Sai cosa vorrei, Sthiggar? Che tu la portassi via da qui, lontano da questo posto. Magari, con te che la proteggi, nessun berserkr potrebbe minacciarla.”

Mattias lanciò uno sguardo a Sthiggar, quasi desiderasse a sua volta la stessa cosa ma il giovane muspell, sospirando, allungò a sua volta gli avambracci sulle cosce e ammise: “Ragazzi, forse dimenticate che io sono confinato qui. Per quanto questa prigionia sia fittizia, e serva solo a raddrizzare i nostri caratteracci, non posso abbandonare il suolo svedese, né posso muovermi liberamente come vorrei. Ho comunque qualcuno a cui rendere conto. Inoltre, prima di tutto, dovremmo chiedere a Ragnhild se intende fare una cosa del genere.”

“E’ questo il punto, bello” sottolineò per contro Boris. “Nessuno le ha mai chiesto cosa pensasse davvero. Ha sempre e solo dovuto eseguire degli ordini.”

“Non voglio che mia sorella soffra ancora, ma non sono ancora diventato un berserkr a tutti gli effetti e non posso proteggerla come vorrei” insistette a quel punto Mattias, afferrando speranzoso le mani di Sthiggar. “Inoltre, finché non ne avrò la forza, Urd non potrà uscire dal mio corpo, né io potrò usare pienamente i suoi poteri, perciò non potrò mai difenderla dalle angherie degli altri.”

Il muspell lo guardò comprensivo, ma disse: “Se lo vorrà, io le darò ancora il mio aiuto ma, al momento, non posso fare di più.”

Sia Mattias che Boris sospirarono e, nell’annuire, quest’ultimo chiosò: “Beh, è pur sempre un inizio.”

Già sul punto di aggiungere altro, Sthiggar sorrise a mezzo e borbottò: “Vi converrà cambiare espressione, perché sta arrivando Ragnhild.”

Subito, Boris si alzò dalla pachina e, strizzando l’occhio a Sthiggar, sussurrò complice: “Pensaci sopra e, se ti viene in mente un modo per scappare, tiratela dietro, a costo di sedarla e caricartela su una spalla.”

“Mi ammazzerebbe, se ci provassi” replicò ridendo Sthiggar, vedendolo poi correre via di buon passo, quasi avesse il terrore di incrociare lo sguardo della cugina.

Mattias, a quel punto, ammise: “Ragnhild sa capire al volo Boris, ed è per questo che è scappato. Se scoprisse che si preoccupa per lei, potrebbe dare in escandescenze.”

“O forse le farebbe piacere” asserì Sthiggar, sorprendendo il ragazzo. “Tua sorella sa apprezzare le attenzioni, se le vengono offerte nel modo giusto.”

“Oppure, le piacciono solo le tue” precisò per contro Mattias, portando Sthiggar ad arrossire.

Assottigliando le palpebre con fare inquisitorio, Sthigg disse subito dopo: “Ti converrà tenere per te questa affermazione, se non vuoi che tua sorella dia in escandescenze con te.”

Mattias allora scoppiò a ridere e, quando Ragnhild fermò il minivan proprio dinanzi a loro, aprì la portiera per salire ed esclamò: “Sthiggar è uno spasso, sai?”

Vagamente confusa, la giovane assentì dubbiosa e, mentre un ombroso Sthiggar saliva sul sedile anteriore, lei domandò: “Posso anche sapere a che proposito, è così spassoso?”

“Naah. Sono cose da uomini” ciangottò Mattias.

Sempre più perplessa, Ragnhild lanciò uno sguardo al suo fianco per incrociare lo sguardo di Sthiggar ma, a sorpresa, lo scoprì a guardare fuori, il volto adombrato da qualche brutto pensiero.

Quasi sul punto di chiedergli cos’avesse, si trattenne soltanto a causa della presenza di Mattias.

Avrebbe tanto voluto parlare del loro bacio, di cosa avesse pensato dopo quel loro momento di intimità, ma Urd aveva insistito con il voler partecipare a quell’uscita, perciò aveva dovuto lasciar perdere l’argomento per un secondo momento.

Vederlo così ansioso, e senza conoscerne i motivi, fece però nascere in lei il desiderio di mettere a voce le proprie preoccupazioni ma, come al solito, la sua ritrosia ebbe il sopravvendo, perciò disse soltanto: “Se Matt ti ha fatto arrabbiare, lascialo perdere. A volte, si comporta ancora come se avesse cinque anni.”

Ciò detto, ingranò la marcia e partì alla volta dei boschi, sperando che l’umore di Sthiggar migliorasse a sufficienza perché fosse lui a mettere a voce i suoi dubbi.

Il muspell, però, rimase silenzioso e pensieroso per tutta la durata del viaggio, perciò Ragnhild sperò per lo meno che il loro esperimento andasse a buon fine.

Se anche quello avesse avuto esito negativo, non aveva idea di quanto avrebbe potuto peggiorare l’umore di Sthiggar e, a voler essere del tutto onesti, lei voleva vederlo sorridere.

Ne aveva bisogno.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Cap. 14

 

 

 

 

Seduto a gambe incrociate nel mezzo della radura dove, ormai un mese addietro, si era battuto con Ludvig, Sthiggar poggiò i palmi delle mani sull'erbetta rinsecchita dal gelo invernale e, nel sentire la sua crespa consistenza, sorrise appena.

I prati di Muspellheimr erano dannatamente diversi, con toni del verde oliva e del ciano, che degradavano in un viola acceso quando l'erba rinsecchiva durante la stagione calda.

Gli steli erano più sottili, lanceolati e ricchi di peluria, in grado di raccogliere la scarsa rugiada notturna ma, a renderli così diversi da quelli terrestri, c'era una cosa ben specifica.

L'erba del suo pianeta era velenosa.

Se un solo stelo fosse stato portato alla bocca, lo sventurato che l'avesse assaggiata sarebbe morto tra dolori atroci e terribili sofferenze.

L'unico modo in cui si poteva usare l’erba del loro pianeta era bollirla, così da creare decotti e coloranti naturali per gli abiti. Diversamente, un singolo stelo avrebbe ucciso un uomo in poco meno di un'ora.

Sulla Terra, invece, poteva starsene seduto su quel prato rinsecchito, e che tentava di tornare ai suoi antichi splendori, senza averne paura. Poteva ascoltarne lo scricchiolio sotto di sé ogni volta che si muoveva, percepirne la delicatezza sotto le dita o il leggero aroma bruciato sotto la lingua e nel naso.

"Sembri pensieroso. Non vuoi più provare?" domandò Ragnhild, seduta a pochi passi da lui mentre Mattias, curioso e sovraeccitato, terminava di sistemare una fila di sassi attorno a Sthiggar. Nel caso in cui qualche lingua di fuoco si fosse sprigionata dal muspell, si sarebbe fermata entro il cerchio di pietruzze erette attorno a lui.

Scrollando una spalla, Sthigg replicò: "Pensavo ai nostri prati velenosi e al fatto che nessuno si arrischierebbe a fare un pic-nic in mezzo all'erba come fate voi."

Ragnhild sgranò leggermente gli occhi, assentendo, e disse: "In effetti, suona piuttosto pericoloso."

"Lo è. Qui, invece, starmene in mezzo al bosco, a diretto contatto con la terra, mi rilassa e mi permette di ascoltare il rombo del pianeta con più facilità" le spiegò lui, sospirando nel chiudere gli occhi e concentrarsi sui flussi sotterranei e l'energia più profonda del pianeta.

Mattias andò ad accomodarsi accanto alla sorella e, con una voce che non era sua, disse: "Se avrai bisogno di una mano a creare un Centro di Fuoco con il pianeta, io interverrò, guerriero."

"Non sapevo che foste in grado di farlo, Rygr1 Urd" replicò Sthiggar con tono ossequioso.

"Posso percepire le tue correnti spirituali, visto che sono addentro ai destini degli uomini e, perciò, a ciò che è scritto nelle loro cellule. Questo mi permette di aiutare a capire dove possono esserci degli intoppi" spiegò allora Urd tramite la bocca di Mattias.

"Ogni aiuto sarà gradito" mormorò allora lui, prendendo un gran respiro prima di concentrarsi nuovamente sulle correnti sotterranee e sul calore residuo della crosta terrestre.

Poco alla volta, il suo spirito e la sua aura sprofondarono nel tessuto poroso del terreno fino a trovare l'astenosfera, dove la sua aura sfrigolò di rinnovata forza, portandolo a provare calore per la prima volta da settimane.

Sorridendo appena, Sthiggar provò a spingersi oltre, sprofondando nella mesozona ma Urd, atona, disse: "Rallenta. Le correnti sono diverse da quelle di Muspellheimr. Devi dare il tempo alla tua aura di entrare in risonanza con questo pianeta, prima di cercare altra energia dal nucleo interno."

Sthiggar assentì distrattamente, accettando il consiglio e restando fermo ai bordi della mesozona per assorbire in tutta la sua pienezza ciò che il pianeta gli stava concedendo.

Questo, inevitabilmente, portò a un cambiamento fisico in lui. La sua pelle ritrovò la consueta lucentezza, i capelli divennero più salubri e belli e, sulla schiena, i tracciati della Fiamma Viva si inspessirono, prendendo vigore.

Ragnhild deglutì a fatica di fronte a quel cambiamento improvviso e inaspettato e, suo malgrado, non poté non notare quanto il volto di Sthiggar si fosse addirittura trasfigurato, dopo aver assorbito anche solo in minima parte l'energia del pianeta.

Ora capiva cosa avesse inteso dire il muspell, sentendolo parlare di quanto si sentisse spaesato e svuotato. Era davvero una persona diversa, sul suo pianeta d'origine, e rimanere su Midghardr doveva farlo soffrire in modi che lei non riusciva neppure lontanamente a comprendere.

D'istinto, allungò una mano per sfiorare quella che Sthigg teneva poggiata su un ginocchio e, sobbalzando leggermente, la percepì calda al tacco e morbida sul dorso.

Sthiggar strinse le dita di lei con leggerezza, creando un legame con la giovane pur rimanendo sempre a occhi chiusi e, forse per la prima volta, Ragnhild desiderò che quelle dita la trattenessero in eterno.

Anche se sapeva di non poterselo permettere. Anche se sapeva che lui, un domani, se ne sarebbe andato.

Mattias li fissò sorridente per alcuni istanti prima di distogliere lo sguardo; se sua sorella lo avesse beccato a guardarla, si sarebbe certamente scostata, e lui non lo voleva.

Desiderava per lei tutto il bene possibile, ma sapeva che la sua presenza in famiglia la frenava molto. Stare con Sthiggar, invece, gli era parso la spingesse a riemergere dal buco grigio in cui lui l'aveva vista rintanarsi in quegli anni, e ora non voleva che vi ricadesse a causa di un suo errore grossolano.

Non aveva mai voluto affrontare il problema con la sorella perché, quasi sicuramente, lei avrebbe negato, ma ormai lui non era più un bambino. Certe cose riusciva a notarle, e la tensione crescente tra Ragnhild e i loro genitori non poteva più essere nascosta.

Da cosa dipendesse, lui non lo sapeva per certo, ma voleva troppo bene alla sorella per non soffrirne.

Non pensarci, Mattias. Tua sorella è abbastanza forte per risolvere da sola i suoi problemi, disse Urd dentro di lui.

"Posso anche crederci, ma vorrei aiutarla, anche se sono piccolo", replicò il bambino.

Questo ti fa onore ma credimi, io so per certo che lei ha le carte in regola per farcela, replicò la dea con tono dolce e comprensivo.

"Posso preoccuparmi solo un pochino?"

Appena appena. Non di più, concesse allora Urd prima di tornare a monitorare Sthiggar.

***

Il centro caldo e vibrante di Midghardr differiva molto da quello di Muspellheimr, che risuonava come una musica perfettamente accordata all'interno del suo sangue.

Lì sulla Terra, invece, il suono era più tenue, fluido e delicato come l’onda armonica di un singolo strumento ma incompleto per chi, come lui, aveva avuto l’onore di assorbire il potere immane di Muspellheimr.

Era comunque gradevole riprovare antiche sensazioni credute perdute e, pur se il suo potere era fortemente condizionato da quell'energia a malapena passabile, provare di nuovo quel debole tepore nell'animo lo rincuorò.

Quando finalmente riaprì gli occhi, Ragnhild sgranò i propri e sbottò dicendo: "Porca vacca!"

Mattias scoppiò in una risatina allegra - era rarissimo che la sorella imprecasse davanti a lui - e la giovane, nello sbuffare contrariata a causa del suo stesso errore, borbottò: "Beh, adesso hai due fanali, al posto degli occhi."

"Oh. Scusate" mormorò lui, controllando che i centri nervosi e sensoriali tornassero a livelli accettabili per un essere umano. Su Muspellheimr, l'aura visibile non era una cosa così rara a vedersi e, il più delle volte, quasi nessuno vi dava peso, ma sulla Terra doveva essere strano vedere qualcuno dalla pelle simile al fulgore del bronzo fresco di conio, e gli occhi letteralmente luminosi come fiamme danzanti.

"Meglio" mormorò allora Ragnhild, recuperando la propria mano per poi massaggiarla distrattamente, quasi che il contatto prolungato con quella di Sthiggar le avesse procurato un indolenzimento.

Nel notarlo, Sthiggar asserì: "Devi aver percepito sulla pelle l'energia dell'aura. Il fastidio dovrebbe passare tra qualche minuto."

"Beh... non era propriamente... fastidio" ci tenne a dire lei prima di arrossire, distogliere lo sguardo dal suo torace nudo - che ormai stava vedendo un po' troppo spesso - e puntarlo a caso su un albero qualsiasi del bosco.

Le sensazioni provate nel tenere la mano di Sthiggar le erano parse molto più forti di quelle provate nel suo appartamento, quando avevano notato per la prima volta la presenza della sua aura. Come dire però, davanti al fratello, che quello da lei provato era stato simile a un atto sessuale?

In tutta sincerità, sarebbe morta piuttosto che dirlo a voce alta di fronte a Mattias!

Sthiggar ignorò volutamente il suo imbarazzo, immaginando cosa le stesse passando per la testa e, nell’indossare nuovamente camicia e maglione, udì Mattias esclamare: "Ha funzionato! Ha funzionato! Hai toccato il Nucleo, vero?!"

"Sì. Non è rovente come quello del mio pianeta natio ma, ora che ho capito come raggiungerlo, sarà più semplice richiamare le energie del Nucleo perché mi sostentino" annuì soddisfatto il giovane, battendo il cinque con Mattias.

"Spero ti ricorderai di non diventare una lampadina, quando sarai assieme alle persone comuni. Potresti mandarle al manicomio" brontolò a sorpresa Ragnhild, levandosi in piedi per poi passeggiare nervosamente lì attorno per alcuni attimi e infine allontanarsi progressivamente da loro.

Sinceramente spiacente, Sthigg si levò in piedi per osservare la giovane mentre prendeva la via del ritorno e Mattias, con un sogghigno, mormorò con fare complice: "Mi sa che è rimasta colpita dal tuo cambiamento, e non vuole ammetterlo."

"A quanto pare…" si limitò a dire lui, guardandosi distrattamente la pelle delle mani, non più emaciata e molto più salubre rispetto a prima.

"Allora, andiamo?!" sbraitò a quel punto Ragnhild, ormai già arrivata al sentiero che avevano percorso per raggiungere la radura.

Mattias scoppiò brutalmente a ridere, di fronte all'espressione ombrosa della sorella ma Sthiggar, nell'arruffargli i capelli, mormorò: "Lasciala stare. Non è giusto prenderla in giro."

"Però, ti fa piacere che ti abbia guardato con interesse, no?" domandò malizioso il ragazzino, affrettandosi a muovere i primi passi verso la sorella.

Sthiggar non disse niente, si limitò a guardare Mattias perché si murasse la bocca dopodiché, raggiunta che ebbero Ragnhild, si incamminarono per tornare all'auto di lei e, subito dopo, a Luleå.

Il silenzio tra Ragnhild e Sthiggar perdurò per tutta la durata del rientro a piedi, spezzato soltanto dalle chiacchiere incessanti di Mattias e le risposte telegrafiche del muspell.

In auto non andò meglio. Ragnhild inserì nel lettore un CD degli AC-DC, impedendo di fatto qualsiasi dialogo ma, ancora, Sthiggar non protestò né disse alla ragazza di abbassare il volume.

Per tutta risposta, Mattias cantò a squarciagola le canzoni della band australiana e alla fine, quando rimisero piede a Luleå, anche Ragnhild aveva recuperato la parvenza di un sorriso sul volto dapprima accigliato.

Quando infine Ragnhild fermò l'auto dinanzi a casa propria, Mattias capì più che bene di essere stato congedato così, dopo aver salutato Sthiggar, uscì dal minivan e sgattaiolò nell'abitato senza più voltarsi indietro.

Era chiaro che sua sorella aveva bisogno di spazio e di qualcuno con cui parlare che non fosse lui e, se Sthigg poteva aiutarla a essere più felice, si sarebbe fatto da parte, anche se stare con Ragnhild e Sthiggar gli piaceva un sacco.

Voleva bene alla sua sorellona, e avrebbe fatto il tutto e per tutto perché la sua vita potesse migliorare.

***

Silenziosa e ancora accigliata, Ragnhild si avviò verso l'abitazione di Sthiggar dopo essersi sincerata che il fratello fosse al sicuro tra le pareti di casa e, quando fermò l'auto dinanzi al cancello d'ingresso, sospirò e spense il motore.

Fu solo a quel punto che Sthiggar disse: "Guarda che non succede nulla se hai trovato piacevole l'esperienza. So che può succedere, perciò non lo troverei affatto strano. Poi, come abbiamo entrambi notato, succede qualcosa quando stiamo assieme."

Irrigidendosi, la giovane si volse a mezzo per sfidarlo con lo sguardo, già pronta a fargli rimangiare ogni singola parola ma, quando si trovò a incrociare i suoi occhi color lapislazzulo, si ammutolì.

Per quanto ora non brillassero più come era avvenuto nel bosco, Ragnhild era convinta di avere finalmente dinanzi il vero volto di Sthiggar, e ciò che vedeva la metteva a disagio, oltre che in imbarazzo.

Non si era mai ritenuta una donna così debole o sensibile da crollare davanti a un bel faccino ma, a conti fatti, era così che si sentiva in quel momento, e non le piaceva per nulla.

A quel punto, piccata, sibilò: "Mi piacerebbe graffiarti in faccia, sai?"

Trasalendo, Sthiggar esalò sconcertato: "E perché?"

"Per renderti... più brutto" sbuffò lei, ammettendo finalmente la verità.

Sthigg allora rise sommessamente, si concentrò un momento per annullare quel poco di aura che era riuscito a risvegliare dentro di sé e, immediatamente, il freddo e la sensazione di disagio tornarono. Se quel sacrificio poteva mettere maggiormente a suo agio Ragnhild, avrebbe sopportato stoicamente quell'antipatica situazione.

"No, ma che fai!" sbottò per contro lei, afferrandogli entrambe le mani, ora gelide come ghiaccioli. "Piantala!"

"Sai che accontentarti è impossibile, vero?" ironizzò a quel punto lui, scrutandola con espressione divertita.

"Lo so benissimo, grazie. Ma ciò non vuol dire che ti permetterò di farti del male. Mi... abituerò, va bene?" borbottò lei, sfregandogli le mani con le proprie perché riacquistassero colore e calore.

"Ragnhild, mi dici che succede?" le domandò a quel punto lui, facendosi serio in viso.

Poco alla volta risvegliò un poco di aura, giusto quel tanto per non morire di freddo e Ragnhild, nell'interrompere il massaggio alle sue mani, mormorò roca: "Mi demoralizza essere così debole."

"Debole? E perché dovresti dire una cosa del genere?" esalò lui, ora più che mai confuso.

Lei allora risollevò il volto per scrutarlo, scostò le mani da quelle di Sthiggar e, a sorpresa, prese tra pollice e indice le gote del giovane per poi dire: "Mi irrita essere sensibile a un bel faccino. Ecco cosa!"

"Ahia" borbottò lui, rimanendo però perfettamente immobile. 

Ragnhild allora mollò la presa, sospirò e aggiunse: "Non... non sono mai stata una che sbavava davanti al poster di un attore, o che perdeva la testa per la celebrità del momento. Mi sono sempre reputata superiore a queste cose."

"Mentre ora?"

Lei sbuffò, ammutolendosi e Sthiggar, sorridendo spiacente al suo indirizzo, si chiese turbato quanto l'avessero condizionata, in passato, per farle credere che qualsiasi debolezza fosse inammissibile. Anche quella nei confronti di una persona che a lei poteva interessare.

Perché l'avevano convinta di non dover mai esprimere alcun tipo di cedimento, o di sentimento?

"Entra. Ti preparo un piatto tipicamente muspell, ti va?"

"E come fai? C'è un supermercato che vede cibo etnico intergalattico?" fece dell'ironia lei, apprezzando che Sthigg non avesse insistito nel proseguire con le sue domande.

Non dubitava che sarebbe tornato all'attacco ma, almeno per il momento, era salva.

Sorridendo divertito, lui scosse il capo ma replicò: "Ho trovato dei prodotti che hanno gusti simili ai nostri, e che si possono abbinare bene assieme. Persino Flyka ha approvato, perciò sono abbastanza sicuro che il gusto sia accettabile."

"Vi insegnano anche a cucinare, nell'esercito?" domandò lei, chiudendo l'auto per poi seguirlo lungo il marciapiede e, da lì, alle scale che conducevano alla porta d'ingresso.

"Se non vuoi morire di fame, impari. Il mio comandante ci voleva il più possibile indipendenti... anche se credo pianga ancora in segreto, di fronte ai nostri lavori di cucito. Siamo delle vere schiappe" ammiccò lui, facendola sorridere divertita.

"Già l'idea delle tue mani enormi che afferrano un ago, mi fa ridere... figurarsi il resto" celiò Ragnhild, ora sicuramente più tranquilla rispetto a prima.

Sthiggar rise sommessamente, a quel commento e, nel farle strada perché entrasse, si diresse poi verso la cucina e iniziò a mettere insieme il necessario per preparare uno stufato di verdure come era solito fare la sua cuoca, al palazzo del padre.

Il solo pensare a loro lo rese nostalgico e, tra sé, pregò che non fosse successo nulla, a casa, e che Hildur non si fosse spinta troppo oltre con le ricerche.

Sarebbe stato terribile scoprire che, mentre lui viveva un’esistenza tutto sommato tranquilla, pur se lontano da casa, i suoi cari stavano rischiando la vita senza che lui potesse proteggerli.

"Posso darti una mano?" domandò Ragnhild, osservando la sequela di ortaggi presenti sul tavolo da cucina.

"Se vuoi, puoi tagliare a listarelle sottili la carota, il sedano e la cipolla. Io penserò a massaggiare la carne con gli odori e l'olio" le spiegò lui, offrendole tagliere e coltello.

Lei assentì e, concentrando tutta la sua attenzione sulle verdure incriminate, non si accorse dello sguardo compiaciuto e, al tempo stesso, spiacente che Sthiggar le lanciò.

La mano della giovane si mosse abile per sminuzzare sottilmente il tutto e, mentre lei terminava il suo compito, magicamente un tegame comparve al suo fianco, dove poté posizionare le verdure appena preparate.

Nel frattempo, Sthiggar mise in frigorifero la carne trattata perché riposasse, quindi servì a se stesso e a Ragnhild un bicchiere di succo di frutta dopodiché disse: "Niente vino. Non voglio che ti ubriachi, visto che sei a stomaco vuoto."

"Le metto a stufare, ora?" domandò la giovane, indicando la pentola che teneva in mano.

"Con poco olio e a fuoco bassissimo" assentì lui.

Dopo averlo fatto, Ragnhild accettò il succo di frutta e, nell'accomodarsi sul divano della cucina, domandò: "Hai imparato durante il servizio militare, o sapevi già fare qualcosa da prima?"

"Prima di arruolarmi ero bravissimo a combinare guai, trovare donne da portarmi a letto e far disperare mio padre e il re" ammise con assoluta sincerità lui, spiazzandola.

"In... in quest'ordine?" esalò lei, sorseggiando il succo di frutta per stemperare la sua sorpresa.

"Non necessariamente. Come ti dissi, non mi sono mai fatto mancare nulla, nella mia gioventù scapestrata e, grazie alla mia faccia, non molte donne mi resistevano. Non dovevo preoccuparmi troppo di trovarle. Mi trovavano loro e, spesso e volentieri, erano tutte più grandi di me" disse con tranquillità Sthiggar, poggiando la guancia contro il pugno sollevato per poi guardarla con curiosità per capirne le reazioni.

Lei allora lo studiò con estrema attenzione, terminò il suo succo e, trattenendo tra le dita ad artiglio il bicchiere, dichiarò senza mezzi termini: "Sei sfacciato, questo è sicuro. Ma anche smaccatamente sincero, vero?"

"Te l'ho detto. La verità è più semplice e più giusta" scrollò le spalle lui. "Sarebbe stato più cortese dirti che sono stato una persona morigerata e casta, ma già ti avevo detto che non ero stato un ragazzo tranquillo, perciò perché ammorbidire il resto? Non mi pento di quel che ho fatto con quelle donne, perché mi hanno insegnato molto, e spero di averle lasciate soddisfatte del nostro incontro. Quanto al resto, di pentimenti ne ho collezionati a bizzeffe, ma ho pagato per essi e mi ritengo soddisfatto del grado raggiunto."

Quando sentì sfrigolare la verdura, Sthiggar si alzò un attimo per controllare, rimescolò il tutto dopodiché, spegnendo, controllò l'orologio e infine disse: "Ti ho già detto che sei una bella ragazza, ma se vuoi te lo ripeterò. Non dico una bugia, né cerco di blandirti. Tu, invece, reprimi sempre tutto per non dire la verità per quella che è, come se essere sinceri rendesse deboli e, piuttosto, usi l'arma del sarcasmo e del disappunto per tenerti a distanza dagli altri. Perché? Solo a causa di tua madre? O c'è di più?"

Ragnhild deglutì a fatica, si levò in piedi per servirsi un po' di succo di frutta per combattere l’improvvisa arsura che sentiva alla gola e, nel rimanere in piedi dinanzi a lui, ammise: "I berserkir sono creature potenti e fiere, e noi donne dobbiamo dimostrarci più forti e determinate dei comuni umani per poter tenere testa ai nostri uomini. So che può sembrarti assurdo, ma è così. A tredici anni, le femmine di ogni clan partono per una prova in solitaria che viene svolta in taighe o tundre, il tutto senza la presenza di un solo adulto, o di strumenti moderni da utilizzare per aiutarci."

Sthiggar levò un sopracciglio per la sorpresa, non aspettandosi niente del genere e lei, con un sospiro, proseguì dicendo: "Fosse solo questo, però, sarebbe quasi accettabile. In fondo, durante la mia Prova, mi sono anche divertita. Il nostro clan, però, ha regole ancor più severe degli altri. Il capobranco ha infatti vietato a tutti di avere relazioni extra-specie, perché il sangue berserkr non venga contaminato da quello umano. Rimanere imperturbabili al mondo umano è difficile, perciò devi diventare insensibile a tutto e a tutti... ma è snervante!"

Il giovane muspell sgranò gli occhi, di fronte a quell'ultima affermazione e, allungando le braccia lungo le cosce, la guardò perplesso e replicò: "Vi sono precluse le unioni al di fuori del clan?"

"Non tanto del clan, ma con gli umani" precisò lei. "Ho potuto evitare Ludvig solo perché tu, di fatto, appartieni al clan finché sarai recluso, perciò potevi batterti per me, diversamente avrei dovuto accettare la richiesta di Ludvig, visto che non avrei mai potuto battermi personalmente."

"Quindi, potresti sposarti con un membro di un clan diverso, immagino di alto rango, visto che sei figlia del capoclan, ma sempre un berserkr. E se non lo facessi?" si informò lui, sinceramente impreparato a quella notizia.

"Verrei bandita. Sarei sola. Non potrei rivedere neppure mio fratello, o continuare a vivere qui a Luleå" sospirò Ragnhild, lasciandosi andare su una sedia accanto a Sthiggar.

Sthigg allora si passò una mano sul viso, disgustato da quella regola assurda e, nell'osservare il volto abbattuto di Ragnhild, le domandò: "Non ti permetti mai neppure di apprezzare superficialmente qualcuno per il timore di affezionarti in qualche modo, quindi? O sei già a questo punto? Hai un umano che ti interessa, per caso?"

Lei scosse il capo, scacciò rapida una lacrima ribelle e sbottò dicendo: "No, nessun umano mi interessa in quel senso, ma pensi sia facile stare davanti a un bel ragazzo, che magari è anche gentile e premuroso con te, e non pensare mai a niente?!"

"No, immagino non sia per nulla facile" annuì lui, ora più consapevole dei suoi blocchi mentali. "Non ho mai pensato alla mia vita in questi termini. Tra di noi c'è molta libertà. Non sarebbe strano se un nobile sposasse una liberta - una donna di estrazione sociale inferiore, per intenderci - o viceversa. E' successo spesso, e la stessa regina Ilya proviene da una casata meno importante rispetto a quella di re Surtr, ma nessuno ha mai avuto niente da obiettare."

Sorridendo poi divertito, aggiunse: "Anche perché, nel caso specifico, il sovrano arrostirebbe tutti, e subito."

Ragnhild sorrise appena, ma il divertimento non raggiunse mai i suoi occhi verde acqua.

"Mi spiace che tu non sia libera di fare ciò che vuoi, e nei termini in cui tu desideri muoverti" mormorò a quel punto Sthiggar, poggiando una mano sulla spalla con aria partecipativa. “Anche per questo, dovrei scusarmi per il bacio di ieri. Ti ho messo sicuramente a disagio.”

"Smettila di essere gentile con me!" sbottò improvvisamente lei, stringendo le mani a pugno e reclinando il capo verso il basso.

Lui non disse nulla in merito a quello scoppio improvviso di rabbia. Si limitò ad alzarsi, inginocchiarsi dinanzi a lei per prendere tra le proprie le sue mani tremanti e, impositivo, dire: "Ragnhild. Guardami."

La giovane non poté impedirselo e, dinanzi a lei, Ragnhild tornò a vedere lo Sthiggar della foresta, luminescente e ricolmo di un potere mai visto prima. 

Man mano che i secondi passavano, la luminosità crebbe, i capelli morbidi e mossi di Sthigg presero a volteggiare leggeri e, attorno a lui, un alone dorato iniziò a danzare come un mantello scosso dal vento.

Imbrigliata dal suo sguardo rovente e protettivo, Ragnhild si ritrovò a sorpresa in piedi, dinanzi a lui, piccola al suo confronto ma stranamente al sicuro e del tutto padrona di se stessa.

"Pensi davvero che uno qualsiasi dei tuoi simili potrebbe reggere i miei poteri?" domandò lui con una buona dose di supponenza. "Sono il tuo Campione, e lo sarò finché ti servirà. Con me non dovrai mai e poi mai fingere, ti è chiaro? Sii te stessa, la te stessa che gli altri ti impediscono di essere e, se qualcuno oserà dire qualcosa, lo farò tacere."

"Verrei bandita" sottolineò lei, rammentandogli quel particolare pur apprezzando le sue parole.

"Non se lo fai qui, tra queste quattro mura" le strizzò l'occhio a sorpresa, facendola ridere per diretta conseguenza. “Anche se dovremo smettere di approfondire ciò che è successo tra noi.”

Ragnhild allora lo abbracciò a sorpresa, poggiò il capo contro il suo ampio torace e mormorò: "Posso stare così per un po', a godermi questo calduccio?"

"Certo. Nessun problema. Anzi, passa dietro, così riesco a lavorare in cucina mentre tu ti scaldi comunque" le disse lui, sollevando le braccia perché lei si spostasse alle sue spalle senza mai scostarsi.

Ridendo di quella manovra un po' infantile, Ragnhild si sporse per guardarlo armeggiare con la carne, massaggiarla delicatamente con le dita forti e delicate al tempo stesso e sistemare poi il tutto nella casseruola.

Con mosse studiate, rosolò il tutto, ricoprì con vino rosso dopodiché sistemò un coperchio sulla pentola, abbassò il fuoco e, volgendosi a mezzo, domandò: "Va meglio?"

"Più calda, sì" assentì lei, scostandosi.

"Detta così, suona male" ironizzò allora lui, facendola scoppiare a ridere.

Sthiggar ascoltò con piacere quel suono così raro e piacevole e, mentre lei tornava a sedersi al tavolo della cucina, lui le disse: "Ti farò vedere come cucio, così mi dirai dove sbaglio."

"D'accordo. Accetto la sfida" annuì la giovane, vedendolo armeggiare con una sacca dall'aspetto inusuale, che lui estrasse dal mobile dove si nascondeva l'attaccapanni. "E' un prodotto di Muspellheimr?"

Lui si bloccò con la sacca in mano, assentì e gliela porse, tenendo per sé il piccolo kit da cucito che l'esercito gli aveva consegnato all'inizio della sua leva. Ormai era vecchio e consunto, ma era ancora tutto perfettamente funzionante, perciò non si era ancora deciso a cambiarlo.

Ragnhild, nel frattempo, prese tra le mani la sacca, ne studiò il pellame singolare e morbido al tatto, analizzò le intricate e particolareggiate cuciture e, dopo averla poggiata sul tavolo, dichiarò divertita: "Se sono queste le cuciture che vi insegnano, capisco bene la vostra difficoltà. Sono spaventosamente complicate!"

"Esiste qualcosa di più semplice?" domandò pieno di speranza Sthiggar, scrutandola con occhi pieni di aspettativa.

La giovane allora scoppiò a ridere di gusto, di fronte alla sua aria eccitata e, nel farsi passare ago e filo, esalò: "Non ho mai visto un uomo così felice di imparare a fare il mezzo punto."

***

Lo stomaco ormai satollo e l'espressione ebbra - e non solo di vino - Ragnhild si lasciò andare sul divano della cucina di Sthiggar, mentre lui afferrava il telecomando per guardare qualcosa alla TV.

La cena si era svolta nella più totale tranquillità e, tra aneddoti sulla vita militare di Sthigg e storie sugli antenati berserkir di Ragnhild, la serata si era protratta gradevolmente e senza intoppi.

Flyka era passata per portare loro una torta alla panna e, dopo aver strizzato l'occhio a Sthiggar, se n'era andata con la promessa che avrebbe tenuto Thrym legato al letto, pur di non farlo sbirciare dallo spioncino della porta.

Ragnhild aveva riso a crepapelle, di quella battuta - visto che la porta non aveva lo spioncino - e, mentre Sthiggar brontolava in merito ai vicini troppo curiosi, le aveva servito un'abbondante fetta di torta assieme a un leggero vinello dolce.

"Cosa vuoi vedere, stasera?" gli domandò lei prima di picchiettarsi un dito sul mento e domandare: "Ma voi avete la TV?"

"No. Non utilizziamo né elettricità, né strumenti radio o satelliti. La nostra è una società che tu definiresti preindustriale, ma che è dotata di magia in ogni sua forma, perciò è più o meno evoluta della vostra a seconda dei casi" le spiegò lui, facendo zapping per trovare qualcosa di interessante. 

Davano ancora le repliche delle repliche di Grey's Anatomy.

"Magia? E tu ne sai fare qualcuna?" domandò lei, scrutandolo con occhi spalancati.

"Mi sembra di essermi esibito, prima" ammiccò lui, rammentandoglielo.

"Oh, già, tutto quello sfarfallio dorato" assentì Ragnhild. "Ora, però, non lo fai più."

"E' difficile controllare l'aura, qui su Midghardr. Devo ancora abituarmi alle correnti eufoniche dell'energia sotterranea. Inoltre, i miei vicini non sanno che io sono una Fiamma Viva, né devono saperlo, per il momento, perciò non possono scoprire che io sono in grado di usare parte dei miei doni" le spiegò lui, bloccandosi su un film poliziesco americano.

"Sì, ho afferrato. Il tuo segreto morirà con me" gli promise lei con tono solenne.

"Hai bevuto troppo" chiosò allora Sthiggar, sorridendole a mezzo. "Non devi affatto morire, comunque."

Lei ridacchiò per tutta risposta, poggiò il capo contro la sua spalla e, dopo un sonoro sbadiglio, mormorò: "Se morissi, risparmierei un mal di testa a mia madre e a mio padre e, di sicuro, non dovrei sposarmi con chi non voglio."

"Ragnhild, niente discorsi tristi, con me" la redarguì bonariamente lui. "Guarda Chris Pratt, piuttosto. Non hai detto che ti intriga, come attore?"

La giovane scrutò la televisione con aria aggrottata, inclinò il capo per capire cosa stesse guardando e, quando finalmente capì di cosa si trattasse, borbottò: "Ho già visto questo film."

"Cerca tu, allora" le propose lui, allungandole il telecomando.

Lei però non lo afferrò mai. Si era semplicemente addormentata contro la sua spalla.

Sorridendo affabile, Sthiggar afferrò perciò il suo cellulare, mandò un rapido messaggio a Mattias per dirgli che la sorella avrebbe dormito da lui dopodiché, con delicatezza, la sollevò per portarla in camera.

Lì, la sistemò tra le coltri e, dopo aver spento la luce, si sistemò sopra le coperte e, lasciando che la sua aura si liberasse, chiuse gli occhi e mormorò: "Buonanotte, Ragnhild."

 

 

 

N.d.A.: Sthiggar è riuscito a padroneggiare la sua aura, mostrando finalmente a Ragnhild quale sia il suo vero aspetto. Questo, ovviamente, non solo ha sorpreso la giovane, ma l’ha resa ancor più consapevole di quanto sia già tremendamente attratta dal muspell, e questo l’ha innervosita non poco.

Dove potrebbe mai andare a terminare, infatti, la sua infatuazione, visto che appartengono a due mondi diversi e così distanti tra loro?

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Cap. 15
 
 
 
Quali altri significati potevano esservi se il suo corpo era rilassato e, al tempo stesso, pieno di energia, ogni volta che si ritrovava accanto a quello morbido e sinuoso di Ragnhild?

Non poteva più ingannarsi né ingannare lei e, per quanto sapesse che, se avesse messo a parole quel che sentiva sprigionare dal suo cuore al pari di una fiamma, si sarebbe cacciato nei guai, era altresì certo di non poter mentire oltre.

Baciando su una tempia Ragnhild, profondamente assopita e ignara dei suoi pensieri, Sthiggar poggiò il capo sul cuscino e, nel chiudere gli occhi, si lasciò andare al sonno, sapendo già che avendo lei al suo fianco sarebbe stato splendido. Sereno. Pieno di pace.
 
***

Ritto di fronte alla finestra, le rade stelle che stavano lasciando il posto ai primi barlumi del mattino, Sthiggar ascoltava distrattamente il suono dell’acqua della doccia, dove in quel momento si trovava Ragnhild.

Risvegliatosi intorno alle cinque e mezza del mattino, non l’aveva trovata nel letto così, preoccupato, ne era subito uscito per cercarla e solo per bloccarsi non appena aveva udito lo scrosciare della doccia.

Quel fruscio gli aveva fatto desiderare di raggiungerla ma, ben sapendo quanto questo fosse sbagliato, si era trattenuto dal farlo e, dopo aver aperto le imposte, si era messo a scrutare il cielo limpido e punteggiato di stelle.

Il silenzio di quei momenti, prima del sorgere del sole, gli permise di pensare a se stesso, a Ragnhild e a ciò che desiderava ma che, per un motivo o per un altro, non avrebbe mai potuto avere.

Anelare a tal punto una donna da dimenticare ogni altra cosa, quanto poteva rivelarsi pericoloso per un guerriero suo pari? Ma, a conti fatti, lui voleva non sentirsi così?

Quando l’acqua smise di scorrere, subitaneo lo sguardo corse a cercare lei, l’oggetto dei suoi pensieri.

La vista di Ragnhild in accappatoio, calda e profumata e ferma a pochi passi da lui, lo bloccò e, non potendo impedirselo, sentì il cuore perdere un battito e il respiro farsi difficile.

Lei parve comprendere al volo cosa stesse succedendo e, nell’abbandonare qualsiasi reticenza, lo raggiunse per avvolgergli il volto tra le mani, attirando poi a sé le sue labbra.

Sthiggar non si fece pregare. La circondò con le braccia, schiacciandola contro il torace nudo e, mentre le sue labbra divenivano puro fuoco sulla sua pelle, sentì sgorgare  dalle proprie labbra: “Non voglio che un berserkr ti abbia!”

“Neppure io” ansimò lei in risposta, armeggiando per togliere l’accappatoio.

Sthigg, però, la bloccò sul nascere, affondò il viso nella curva meravigliosa del suo collo inarcato all’indietro e sussurrò: “No! Non così! Non per ripicca verso tuo padre.”

“Non si tratterebbe di ripicca, Sthiggar” ammise a quel punto lei, scostandosi per guardarlo negli occhi. “Desidero te. E al diavolo il bando, il fatto che tu andrai via o le mille altre cose che mi urlano nella testa che non devo farlo. Sei l’unica persona che mi abbia mai davvero concesso di essere me stessa, e la me stessa che non sapevo di poter lasciare libera, vuole te.”

“Anche se dovrai dire addio a tutto e tutti?” mormorò lui, stringendo le mani a pugno per costringersi a resistere a qualsiasi tipo di tentazione.

Non voleva causarle più guai di quanti già non stesse patendo a causa sua, ma Ragnhild sapeva toccare corde, dentro di lui, che neppure sapeva di avere.

Mai prima di allora, stando tra le braccia di una donna, si era sentito appagato per il solo fatto di poterla toccare, non solo con le mani ma con il cuore e l’anima e la mente.

Ragnhild poteva questo, quando stava con lui, e Sthiggar non era certo sarebbe mai riuscito a trovare qualcun altro come la donna che ora, in pratica, gli si stava offrendo senza remore.

Il punto era un altro. Se la sarebbe mai sentita, un domani, di abbandonarla? Di lasciarla al suo destino di esiliata?

Tornando a baciarlo, Ragnhild mormorò: “Non pensare a niente, Sthigg. Non ora. Non qui.”

Lui allora si limitò a raccoglierla tra le braccia, la scortò fino al letto e lì, nel più tenero dei movimenti, la liberò dell’accappatoio e osservò privo di favella quel corpo perfetto e tonico, del colore dell’alabastro.

Ragnhild arrossì sotto il suo sguardo ma non vi si sottrasse e Sthiggar, nel liberarsi dei pantaloni, mormorò: “Non aver paura, Ragnhild.”

“Non ne ho. Non con te” mormorò lei, sapendo di dire la verità.

 
***

Il cielo violetto che si allargava all’infinito sopra la sua testa era percorso da rade nubi azzurrine e, al limitare pallido dell’orizzonte, seghettate montagne corvine spezzavano la linea pulita del mare dinanzi a lei.

L’acqua sciabordava il terreno roccioso su cui si trovava, creando un leggero droplet che andò a bagnarle il viso e gli abiti. Abiti che però non riconobbe, nell’osservarli con aria stranita, e che le fecero pensare a certi film in costume ambientati su pianeti sconosciuti.

Sollevando una mano per sfiorare la tunica che indossava, Ragnhild riconobbe le strane e articolate cuciture che aveva visto sulla sacca di Sthiggar e, sorpresa, iniziò a capire.

Quella non era affatto la Terra. Era mai possibile che si trovasse su Muspellheimr? E se sì, come, e perché?

Guardandosi alle spalle con espressione spaventata, la giovane fu sollevata quando vide la figura di Sthiggar a pochi passi da lei ma, nel momento stesso in cui i suoi occhi lo inquadrarono, egli cambiò.

Gli abiti terrestri vennero sostituiti da una complessa armatura color porpora e oro brunito, da cui pendeva una lunga spada dall’elsa elaborata.

Le sue onde ramate che lei tanto amava ora erano coperte da un elmo dotato di pennacchio e, attorno a lui, un alone di fiamma stava allargandosi fino a divenire quasi accecante.

Sthiggar, a quel punto, le sorrise orgoglioso, si avvicinò a lei con la sua falcata possente e morbida dopodiché, allungandole una mano, disse: “Vieni con me, Ragnhild. Lascia che ti mostri il mio mondo.”

Lei afferrò spontaneamente la sua mano ma, inaspettata, la fiamma la avvolse, spaventandola.

Gridando dal panico, cercò aiuto in Sthiggar ma lui, imperturbabile, la strinse in un abbraccio e Ragnhild, in un ultimo terribile rantolo terrorizzato, … si svegliò.

Ansimando spaventata e confusa, Ragnhild si guardò intorno con espressione sconvolta, le mani artigliate a un letto che non era il suo, circondata da una stanza che non era sua… e da braccia che non comprese perché si trovassero lì!

La sua confusione crebbe a dismisura quando vide al suo fianco uno Sthiggar profondamente addormentato e, per un attimo, non comprese cosa stesse succedendo.
Quando, però, i ricordi di quella mattinata così speciale giunsero in suo aiuto, il suo respiro si fece più calmo e un lento sorriso le salì al volto, riscaldandola.

Sthiggar era stato infinitamente dolce e paziente, con lei, accompagnandola nella scoperta dell’atto amoroso perché tutto le apparisse il più naturale e spontaneo possibile.

L’aveva baciata delicatamente su ogni centimetro disponibile di pelle, risvegliandole sensi e brama dopodiché, con occhi annebbiati dal desiderio, l’aveva stimolata ad aprirsi a lui, titillandola come uno strumento a corda.

Lei era letteralmente sbocciata sotto il suo tocco, sotto le sue mani esperte e le sue labbra che sembravano essere state create appositamente per darle piacere e, quando si erano infine uniti, il suo corpo lo aveva accolto con naturalezza.

La danza universale che avevano ricreato l’aveva lasciata senza fiato e appagata pur sapendo quanto, quel gesto dettato da una passione così a lungo trattenuta, l’avesse definitivamente condannata all’esilio e alla solitudine.

Tra le braccia di Sthiggar, però, si era sentita più forte che mai e niente affatto sola o in procinto di diventarlo e, quasi con sollievo, si era infine addormenta.

Quel che ne sarebbe venuto dopo, non le importava. Aveva gettato dalla finestra qualsiasi precetto, qualsiasi restrizione e qualsiasi comandamento per stare con l’unica persona che, mai prima di allora, era riuscita a far emergere la vera Ragnhild.

Anche solo per questo, gliene sarebbe stata per sempre grata.

Un tantino più tranquilla, quindi, scrutò il quadrante dell’orologio da polso, rendendosi conto che erano le tre del pomeriggio e che, di fatto, Sthiggar aveva saltato un giorno di lavoro per stare con lei.

Ora dormiva saporitamente, il corpo nudo e ancora tiepido offerto al suo sguardo e Ragnhild, con un dolce sorriso, lo osservò finalmente con svogliata lentezza, assaporando ogni attimo.

Con dita leggere percorse vecchie cicatrici ormai bianche e ben guarite dopodiché, vagamente più turbata, sfiorò quella sul suo collo che, pur se migliorata, ancora stentava a rimarginarsi.

Lui gliene aveva spiegato i motivi ma, istintivamente, si allungò per baciargliela, sperando scioccamente che il suo tocco potesse compiere il miracolo.

Fu in quel momento che si ritrovò stretta tra le sue braccia così, strillando per la sorpresa, finì con l’urtare il naso contro il suo torace e scoppiare a ridere per diretta conseguenza.

Sthiggar, allora, si volse a mezzo, lasciandola andare, e mormorò malizioso: “Devo essere stato terribilmente negligente, stamani, se hai ancora desiderio di stare con me.”

Lei arrossì suo malgrado, di fronte al suo sguardo incendiato e, scuotendo il capo, mormorò: “Scioccamente, pensavo che dandoti un bacio sulla bruciatura, questa sarebbe guarita.”

“Un gesto molto carino” mormorò lui, dandole un bacetto sul naso mentre la sua gamba si poneva a cavallo di quelle di Ragnhild, trascinandola verso di sé.

Lei lo lasciò fare, trovandosi così completamente avvolta dal suo corpo mastodontico e, subito, l’aura di Sthiggar si risvegliò per cullarla nel suo calore.

“Gunther si arrabbierà, visto che hai saltato un giorno di lavoro?” mormorò lei, giocherellando con le onde ramate di Sthiggar.

“Gli ho mandato un messaggio vocale per spiegargli sbrigativamente la faccenda, dopodiché ho intimato a Thrym di non presentarsi qui, pena l’evirazione” le spiegò lui, facendola sorridere divertita.

“Sono sicura che, con presupposti simili, non si farà neppure vedere in lontananza” ironizzò lei, baciandolo alla base della gola. “Grazie.”

“Sono io a ringraziare te per l’immenso dono che mi hai concesso. A causa di ciò, sarai bandita e io, con tutta probabilità, non potrò fare nulla per impedirlo” mormorò lui, tornando serio.

“Sono certa che tu non possa fare nulla per me, ma mi hai insegnato a non tenere più nascosta la vera me stessa, e la vera me stessa non vuole essere usata come una pedina o una merce di scambio” replicò in un mormorio la giovane. “Me ne andrò e mi ricreerò una vita dove non vi sono berserkir e, non appena mio fratello sarà legalmente in diritto di fare ciò che vuole, lo porterò via per sempre da una famiglia che non lo merita.”

Annuendo, Sthiggar sospirò e ammise: “Se fosse possibile, vi porterei con me, ma Muspellheimr non è un pianeta adatto a voi.”

“In che senso?”

“La temperatura, a grandi linee, dovrebbe attestarsi sui vostri settanta gradi Celsius, con punte estive che toccano anche i novanta. Capisci bene che morireste in breve tempo, in un luogo simile” sussurrò spiacente Sthiggar, stringendola a sé per poi poggiare la fronte contro quella di Ragnhild.

Sorridendo nonostante quella notizia devastante, lei gli chiese: “Davvero ci avresti voluti al tuo fianco?”

“Sì” mormorò con semplicità, sorridendo. “Perché sento che la mia vita avrebbe più senso, con te e lui al mio fianco. Perché tu sola sei riuscita a darmi pace quando, per decenni, non sono mai riuscito a trovarla. Perché, dentro di me, sento che la tua mancanza mi farebbe sprofondare di nuovo nell’oblio oscuro in cui ero caduto dopo la morte di mia madre. E’ amore, questo? Non so dirlo, poiché mai ho amato le donne con cui mi sono unito, e l’amore può assumere molte forme e generi diversi, ma ciò che sento per te è abbastanza forte da farmi desiderare di stare qui per sempre, anche se so di dover tornare su Muspellheimr.”

Lei gli carezzò il viso, commossa da quelle parole e da ciò che in esse era contenuto.

Non era così presuntuoso da avere tutte le risposte a ciò che sentiva, né era tanto precipitoso da essere certo del suo dire, ma il fatto stesso che lui non desiderasse separarsi da lei, era già una certezza.

Sthiggar provava un sentimento così forte da fargli sorgere dei dubbi sul proprio futuro, e Ragnhild sentiva dentro di sé una forza nuova, una certezza nuova a sorreggerla, al suono di quelle parole.

Non sarebbe rimasto, perché troppo ligio al suo dovere, ma per lei contava anche soltanto il fatto che fosse combattuto dal desiderio di farlo. Che lui volesse con tutto il cuore stare con lei pur non potendo.

La giovane allora si risollevò, liberandolo dalla sua stretta e, nel sedersi sul letto mentre Sthiggar si liberava delle coperte, cambiò argomento per non crollare – e farlo crollare – nella disperazione più nera e gli domandò: “Stavi sognando il tuo pianeta, per caso, prima?”

“Sì. Mi trovavo al mare e osservavo l’orizzonte dalla baia dove sorge Hindarall, la capitale del Regno del Nord. Perché?” le chiese sorpreso lui, sbattendo confuso le palpebre.

“Il cielo era violetto e le montagne apparivano scure e seghettate?” domandò a quel punto lei, sempre più curiosa.

Sthigg a quel punto sorrise dolcemente nell’annuire e, sistemandole una ciocca di capelli, mormorò: “Hai percepito la mia aura anche nel sonno, Ragnhild. Non pensavo fosse possibile ma, essendo una berserkr, potresti anche esserne in grado.”

“Quindi, quello è Muspellheimr?” domandò ancora lei, cercando di non pensare alle fiamme che l’avevano bruciata viva ma solo all’ambientazione suggestiva e così diversa da ciò che conosceva.

“Una parte, e neppure la più bella, se è per questo” scrollò le spalle lui. “Cos’altro hai visto?”

Devo dirglielo? O prenderà male la cosa?, pensò tra sé la donna prima di ricordare un particolare.

Sthiggar odiava le bugie, perciò era meglio dire tutto, senza tralasciare nulla.

“C’ero anch’io, ed ero abbigliata – immagino – come una delle vostre donne. Con una lunga tunica amaranto e nera e intricati ricami dorati. Tu avevi un’armatura purpurea e un elmo con pennacchio e, all’improvviso, ti ricoprivi di fuoco ardente.”

Sorpreso, lui mormorò: “Quella che hai descritto è la mia armatura da cerimonia. E’ stupefacente che tu sia riuscita a vedere così tanti particolari. Cos’altro?”

“Mi bruciavi” storse il naso lei, sgomentandolo.

“Ah. Curioso anche questo” esalò Sthiggar prima di afferrarle una mano e aggiungere: “Perché non fanno affatto male.

Ciò detto, infiammò la sua mano facendola sobbalzare per il panico ma, quando fu sul punto di gridare dal terrore, si accorse di non avvertire nulla, se non il calore piacevole delle dita di Sthiggar.

Non certo pacificata, gli diede un pugno sul braccio con la mano libera e, inviperita, esclamò: “Potevi anche avvertire, idiota!”

Lui ghignò in risposta, come se non avesse affatto sentito il suo pugno, e replicò: “Non me l’avresti mai permesso.”

“Vero” borbottò lei, scrutando affascinata quelle fiamme. “Puoi avvolgerti come nel sogno?”

“Potrei, ma sarebbe sfiancante, oltre che del tutto inutile. Questo genere di fiamma è puramente decorativo. Spaventa i nemici. Quelle vere sono molto pericolose, invece e, al momento, non sarei davvero in grado di richiamarle” ammise lui, facendo sparire le lingue di fuoco. “Ci vuole molta più concentrazione, bravura e capacità e, visto che non ho ancora iniziato alcun addestramento in merito, non posso certo confidare solo sul fatto che, stando accanto a te, io riesca a ricreare fiamma e aura.”

“Quindi, in via del tutto ipotetica, se tu mi avvolgessi con le tue fiamme finte, non succederebbe niente” ipotizzò lei.

“Assolutamente nulla, ma mi incuriosisce molto il tuo sogno. Perché non ne parliamo a pranzo, visto che ormai siamo svegli e io comincio ad avere fame?”

Lei assentì e scese d’un balzo dal letto ma, non appena i suoi piedi nudi toccarono il parquet del pavimento in rovere, calde lacrime scesero sul suo viso mentre, dolente, esalava: “Dio, l’ho fatto! Ho mandato alla malora ogni cosa.”

Sthiggar la strinse silenzioso a sé, cullandola come tante volte, in passato, era stato coccolato da Hildur e, nel baciarle i capelli, mormorò: “Per quanto mi sarà possibile, io sarò il tuo porto e la tua roccia e, non appena potrò, chiederò a Gunther di esserti di appoggio. Non me lo negherà, te lo prometto.”

“Il tuo scorbutico capo?” ironizzò lei, asciugandosi le lacrime con mani tremanti.

“E’ molto più gentile di quanto non sembri” la tranquillizzò lui, domandandole poi: “A Mattias ho detto che avresti dormito qui, ma non so che scusa abbia usato per te.”

“Non temere. Ho un paio di amiche che mi possono coprire, e spero che Mattias abbia sfruttato la cosa a mio vantaggio. Per ogni evenienza, comunque, ho anche bloccato il segnale satellitare del cellulare, così che non possano risalire alla mia posizione” scosse il capo lei. “Quel che mi preoccupa è che, ben presto, mi taglieranno i fondi e sarò al verde. Mio padre ha la firma sul mio conto e, visto che finora non avevo mai pensato a una fuga in grande stile, non l’ho fatta bloccare una volta divenuta maggiorenne.”

“A quello penseremo a tempo debito. Per ora, tu rimarrai con me e non ci saranno problemi. Neppure tuo padre, per quanto adirato, può pensare di mettersi contro re Surtr, quindi con me sarai al sicuro.”

“Per ora” sospirò Ragnhild prima di darsi uno schiaffetto sulla guancia e borbottare: “Basta! Non sono un fragile oggetto di cristallo. Devo solo capire come fare a non permettergli di fregarmi più del necessario.”

Ciò detto, fissò arcigna Sthiggar e, nell’indicare la cucina, borbottò: “E ora, uomo, preparami il pranzo.”

Sthigg rise di gusto, si mise sull’attenti e, ancora completamente nudo, se andò in cucina per fare quanto ordinatogli.
 
***

Ragnhild dovette abbondantemente ricredersi, in merito alla maturità del fratello. Pur avendo solo dodici anni, e non ancora l’età sessuale per mutare in berserkr, era riuscito a salvarla da spiacevoli incontri con i genitori e gli altri membri del clan.

Con il fare della sera, Boris si era presentato furtivamente a casa di Sthiggar e, armato di una sacca da viaggio e la borsetta di Ragnhild, aveva detto con orgoglio malcelato quanto fosse fiero della cugina.

A Sthiggar aveva tributato una stretta di mano degna di un berserkr dopodiché, con la promessa di mantenere il segreto sulla sua ubicazione, promise di far passare tramite amici compiacenti la voce che lei se ne fosse già andata da Luleå.

Ciò detto, l’aveva abbracciata stretta, scusandosi per non aver mai potuto proteggerla adeguatamente dopodiché, non volendo mostrare il suo lato più vulnerabile, se n’era andato di volata.

Seduta sul divano a gambe intrecciate, mentre Sthiggar preparava una cena leggera a base di pesce e verdure, Ragnhild passò in rassegna ciò che Mattias era riuscito a fare non appena aveva ricevuto il suo SMS.

Forse rendendosi conto di un prossimo quanto veloce precipitare degli eventi, il fratellino aveva ben pensato di portare via dalla sua stanza il necessario per una fuga precipitosa, e cioè i suoi documenti e qualche cambio d’abito.

Naturalmente, Mattias non aveva ben compreso la differenza tra completo intimo ‘da appuntamento’ e quello più classico per qualsiasi giorno. Oppure, da vero truffaldino, lo aveva fatto di proposito, mandandole solo completini di pizzo nero che comprivano solo pochi centimetri di pelle.

Su quel punto, Ragnhild preferì non soffermarsi troppo.

“Quello che tieni in mano, esattamente, cos’è?” domandò Sthiggar, coprendo il suo intingolo per lasciarlo sobbollire piano.

“Un completo intimo che, in teoria, dovrebbe fare impazzire gli uomini” celiò lei, gettandolo nel mucchio dei suoi pochi abiti.

Sollevando un sopracciglio con evidente scetticismo, il muspell si poggiò contro il tavolo a braccia conserte e replicò: “Cosa ci può essere di più piacevole del vederti nuda?”

Lei sorrise divertita e, ammiccando, asserì: “Infatti ho parlato di uomini in generale. A quanto pare, a te non interessa molto.”

“Ho goduto della tua bellezza e del tuo corpo, non mi servono simili orpelli per trovarti desiderabile” scrollò le spalle lui, sconvolgendola come al solito con la sua onestà disarmante.

“Aaah… okay. Anch’io ne ho… goduto. Della tua bellezza e del tuo corpo, intendo” gracchiò lei, arrossendo.

“Non so quanto un guerriero mio pari possa essere definito bello, per i vostri standard, ma grazie” le sorrise lui, muovendosi per raggiungerla.

Ragnhild fece per parlare, per dirgli che lei lo riteneva non solo bellissimo, ma anche una bella persona, ma un trambusto improvviso prevenne qualsiasi sua risposta.

Sthiggar si bloccò immediatamente, nell’udire a sua volta quei sinistri rumori e, nel tornare in fretta accanto al piano cucina, afferrò un coltello dal cassetto e si preparò al peggio. Quel genere di trambusto non era mai un bel segnale.




N.d.A.: indovinate un po' chi è arrivato?




 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Cap. 16

 

 

 

Nuovi tonfi e, stavolta, un grugnito – di Thrym – confermarono a Sthiggar che qualcosa di strano stava avvenendo nel vicino appartamento così, dopo essersi guardato in fretta intorno, estrasse un secondo coltello e lo passò a Ragnhild.

“Sai usarlo?”

“Se intendi non per sfilettare il pesce, sì. Ogni donna berserkr sa difendersi, all’occorrenza, e con i coltelli ci so fare” mormorò lei, determinata.

“Bene” assentì lui, lasciando che la fiamma interna iniziasse a ribollire dentro di lui, attraversando i suoi gangli di potere al pari di un fiume in piena.

L’istante seguente, la porta venne abbattuta e, sotto gli occhi sorpresi di Sthiggar e quelli sgomenti di Ragnhild, Thrym centrò in pieno volto un essere dalla pelle color del ghiaccio e lo sguardo d’acciaio.

Jotun.

Nella sua casa di Midghardr, nella sua prigione di Midghardr, era appena piombato uno jotun e Thrym, armato di una mannaia dall’aria tutt’altro che rassicurante, lo centrò alla fronte prima di ringhiare: “Passami un accendino, Sthiggar!”

Sthigg fu lesto ad accontentarlo e l’imponente muspell, afferratolo al volo, lo accese a poca distanza dal volto dello jotun prima di ghignare e dire: “Muori flambato, stronzo!”

Ciò detto, abbassò la fiamma sullo jotun che, sotto gli occhi sconcertati di Ragnhild, prese fuoco come un carbone ardente.

Thrym tappò la bocca allo jotun perché non urlasse – svegliando così mezzo vicinato – e, mentre le fiamme lo consumavano al pari di un ghiacciolo al sole, il muspell scrutò pieno di dubbi Sthiggar prima di domandare a sorpresa: “Che diavolo hai combinato, su Muspellheimr, perché degli jotun piombassero qui per ammazzarti?”

Prima ancora di poter rispondere, Thrym emise un rantolo spezzato e crollò a terra per il dolore, la spalla trafitta da una lama jotun lanciata da pochi metri di distanza.

Dall’appartamento accanto non si udiva alcuna voce e Sthiggar, turbato, si chiese se Flyka fosse morta a causa sua, e per motivi di cui ancora non conosceva la natura.

Questo scatenò in lui la rabbia e l’aura, richiamata a gran voce dal suo stato di furia, esplose in lui creando un’unica, gigantesca fiammata che lo avviluppò interamente.

“Sthiggar! Controllati, o brucerai tutto!” gli urlò subito Ragnhild, turbata da quanto stava accadendo.

Accucciandosi accanto a Thrym per controllare che fosse ancora vivo, Ragnhild sospirò di sollievo quando, poggiando due dita a lato della giugulare, ne avvertì ancora il battito cardiaco.

Tranquillizzata da questo, la donna scrutò Sthiggar mentre, combattendo una battaglia di sguardi con lo jotun che aveva colpito Thrym, era in procinto di decidere come abbattere il nemico.

Alzandosi lentamente, afferrò la mano di Sthiggar – come aveva detto già una volta, quel genere di fiamme non creavano danni,  ma facevano davvero molta, moltissima impressione – quindi, determinata, sibilò: “Flambalo come l’altro… ma senza farci diventare un barbecue vivente.”

“Fosse facile” ringhiò Sthiggar, pur levando la mano libera verso lo jotun che, un tantino preoccupato da quella piega imprevista degli eventi, fece un paio di passi indietro, non sapendo bene cosa aspettarsi da quel risvolto del tutto inspiegabile.

“ORA!” urlò a quel punto Ragnhild.

Sthiggar aggrottò la fronte e cercò di concentrarsi sul palmo della sua mano levata, mentre l’altro era a diretto contatto con quello di Ragnhild.

Questo gli concesse di trovare un Centro all’aura fin lì instabile ed erratica, un nuovo equilibrio del tutto adatto a quello strano pianeta e, come guidato da una mano invisibile, la fiamma fece egregiamente il suo dovere, colpendo al petto lo jotun.

Questi, impreparato a un muspell in grado di usare la propria aura su Midghardr, venne avvolto dalle fiamme prima di poter fuggire e Sthiggar, nel caricarselo su una spalla in tutta fretta, lo portò dentro casa perché non ardesse sulla veranda.

Ragnhild si affrettò a chiudersi la porta alle spalle, prevenendo qualsiasi sguardo indiscreto da parte dei vicini. Subito dopo, seguì dappresso Sthiggar, vedendolo quindi gettare il corpo ormai morto dello jotun all’interno della doccia, dove si sciolse come il precedente.

“M-ma… sono fatti d’acqua?” gracchiò Ragnhild aggrappandosi allo stipite della porta per non crollare a terra, il panico e lo sgomento a farle compagnia in quei momenti concitati quanto assurdi.

Che diavolo stava succedendo, per tutti gli dèi?!

“Non proprio, ma reagiscono a questo modo, a contatto col fuoco” mormorò roco Sthiggar, il fiato corto per la reazione nervosa e la mente che galoppava a mille a causa di ciò che era appena avvenuto.

Come diavolo era possibile che il semplice tocco di Ragnhild gli avesse permesso di trovare il proprio Centro, mentre i tentativi precedenti erano stati quantomeno grossolani e ben poco produttivi?

Cos’aveva, quella ragazza, da rendergli così semplice usare la Fiamma Viva anche se non avrebbe potuto, su un pianeta diverso da Muspellheimr?

Volgendosi per fissarla con uno sguardo pieno di domande, lei scosse il capo come avendo capito cosa lo turbasse e, mogia, mormorò: “Non so cosa sia successo… davvero. Sapevo solo che dovevo farlo. Tutto qui.”

“Beh, lo scopriremo dopo. Ora dobbiamo occuparci di Thrym e Flyka” dichiarò lapidario Sthiggar, uscendo lesto dal bagno, subito seguito a ruota da Ragnhild.

Ci sarebbe stato tempo per inquadrare anche quel particolare. Per il momento, era vitale salvare Thrym dal dissanguamento e scoprire se Flyka era ancora viva.

***

Aiutando Flyka a raddrizzare un paio di mobili crollati a terra durante lo scontro, la spalla palesemente fasciata dopo le prime cure offertele da Sthiggar, Ragnhild osservò di straforo quest’ultimo, impegnato a curare Thrym, e mormorò: “Così, hanno chiesto espressamente di lui.”

“Già. Sono sempre più convinta che non lo volessero morto, infatti hanno attaccato solo perché Thrym ha perso la testa per la rabbia e si è messo a inscenare una rivisitazione di Venerdì 13. Diversamente, credo lo avrebbero legato con quella” dichiarò Flyka, indicando una corda sottile e scura che si trovava ancora sul pavimento.

“Mi sembra davvero un misero orpello, per trattenere guerrieri come  Thrym o Sthiggar” replicò scettica Ragnhild.

“Non se pensi che è una tela creata dai Nani Oscuri, e che persino il potente Fenrir non riuscì a spezzare” si limitò a dire Flyka, spazzandosi le mani prima di aggiungere con un sorriso: “Grazie, Ragnhild.”

“Figurati. Preferisco agire piuttosto che lasciarmi andare al panico o allo sconforto” scrollò le spalle lei, osservando poi i due uomini non appena Sthiggar si rialzò da terra. “Ebbene? Come stai, Thrym?”

“Beh, per essere stato appena centrato da una lama jotun, e cauterizzato da una Fiamma Viva, non sto neanche malaccio” ironizzò Thrym, tastandosi poi dolorante la spalla trafitta dall’arma dei loro nemici

“Una… Fiamma Viva?” esalò Flyka, scrutando a occhi sbarrati un imbarazzato Sthiggar.

“Mi spiace non avervi detto nulla ma, quando giunsi qui, non sapevo davvero di chi fidarmi, visto che non so ancora chi mi abbia incastrato in questo casino intergalattico” mormorò lui, passandosi nervosamente una mano sulla nuca.

Flyka scrollò una spalla, replicando pacifica: “Hai fatto bene. Mi sarei comportata allo stesso modo. Resta però il dubbio di capire cosa volessero quei tizi da te.”

“Hanno detto qualcosa di preciso?” si informò allora Sthiggar.

“Solo che cercavano Sthiggar, figlio di Snorri” disse Thrym, mettendosi a fatica a sedere sul divano, sul volto una bruciatura da freddo causata dal tocco di uno degli jotun che li avevano attaccati.

Ghiaccio e fuoco non andavano davvero d’accordo.

“Evidentemente, sapevano soltanto che eri grande e grosso e coi capelli rossi, sennò non ci avrebbero confuso. Io sono molto più bello di te” aggiunse il muspell, scoppiando in una breve risata.

Sthiggar rispose con un mezzo sorriso, ma fu Ragnhild a mettere a voce dei dubbi più che reali.

“Se sapevano dov’eri, quanti altri ne potranno arrivare, visto che non vedranno tornare quelli che avete ucciso?”

I tre muspell non seppero cosa rispondere, e persino la caparbia ironia di Thrym andò presto scemando. Ragnhild, a quel punto, non poté esimersi dall’aggiungere: “Non potete più rimanere qui. Dobbiamo spostarvi da qualche altra parte.”

Dobbiamo?” ripeté dubbioso Thrym, scrutandola con aria confusa.

“Vi darò una mano a sparire e, nel frattempo, chiederemo aiuto alle alte sfere” gli propose lei prima di guardare Sthiggar in attesa di una risposta.

“Sei sicura di voler entrare nel merito? Non è un problema che riguarda i berserkir” replicò Sthiggar, turbato.

“Per come stanno le cose, mio padre neppure mi considererà più tale, perciò non devo rendere conto a nessuno di me stessa o di ciò che faccio” brontolò contrariata Ragnhild. “Semplicemente, la mia fuga sarà un po’ più numerosa del previsto.”

Flyka le poggiò una mano sulla spalla, mormorando: “Se il tuo scopo è allontanarti, farlo assieme a noi potrebbe rivelarsi assai pericoloso.”

“Ma voi non potete tornare a casa per via di quell’affare…” replicò Ragnhild, indicando il tatuaggio ben evidente sui loro polsi. “…e io sono l’unica che sa chi contattare di abbastanza potente da potervi dare una mano.”

“E lo faresti per noi?” domandò allora Thrym prima di sollevare le sopracciglia di fronte all’evidenza dei fatti e aggiungere: “Oh… siamo a questo punto, eh?”

“C’è molto in ballo. Sì” ammise Ragnhild con un mezzo sorriso. “A questo punto, però, non posso esimermi dall’avvisare mio padre. Per quanto mi roda ammetterlo, gli jotun potrebbero invadere il nostro territorio e creare problemi, e non sono così ipocrita da non pensare alle persone a cui voglio bene.”

“Non fa una piega” ammise Thrym. “Cosa ci consigli, quindi, donna-orso?”

Ragnhild sorrise divertita, scosse il capo nel prendere il telefono dalla tasca dei pantaloni e disse: “Io non divento un orso, Thrym. Solo i maschi lo diventano.”

“Che peccato! Avrei voluto vedere come diventavi” sbuffò il muspell.

“Impediremo che ti trattenga” le promise nel frattempo Sthiggar, dando una pacca sulla spalla a Ragnhild.

“Non ne dubito. Dopo quello che ho visto, di sicuro mio padre non mi fa più paura. Mi affretto a contattarlo, comunque” dichiarò ironica Ragnhild, già digitando un numero sul cellulare.

Dopo tre squilli, quindi, disse atona: “Papà, abbiamo un problema e, prima che tu parta con gli insulti, ti conviene ascoltare. E’ il branco che ha un problema, non io. Accetterai di ascoltarmi, quindi? Te lo chiedo come berserkr, non come tua figlia.”

“Non mi pare di avere altra scelta, a quanto pare. Ma sarà l’ultima volta che ascolterò la tua voce, Ragnhild” replicò gelido il padre.

“E sia” mormorò la giovane, chiudendo la chiamata per poi assentire ai suoi nuovi compagni di fuga.

Indipendentemente da come sarebbe andata a finire quella chiacchierata, Ragnhild sapeva per certo una cosa; suo padre l’aveva appena disconosciuta.

***

Accolti in una confortevole casa a due piani dai colori caldi e il mobilio moderno, i tre muspell si presentarono al capoclan dei berserkir, Elias Thomasson, accompagnati da una seriosa quanto determinata Ragnhild.

Mattias cercò in tutti i  modi di non apparire sconvolto dalla presenza della sorella e, fingendosi ignaro di tutto, corse subito a salutare Sthiggar dopodiché, scrutando curioso i volti di Thrym e Flyka, disse con sincerità disarmante: “Avete avuto un passato incerto, ma avete uno spirito potente e fiero come quello di Sthiggar.”

I due muspell, allora, squadrarono dubbiosi Ragnhild che, con un sospiro, ammise: “La norna Urd rivive in lui. Ogni tanto parla a sproposito, scusate.”

“Oh, uno spirito errante” mormorò sorpreso Thrym.

Prendendo la parola e fissando accigliato la figlia – che lo stava apertamente sfidando con aria altrettanto cupa –, Elias disse sgarbato: “Non ti è concesso parlare dei doni di Mattias di fronte a degli sconosciuti.”

“Sconosciuti che ne sanno più di noi, di cose del genere” brontolò lei, riuscendo finalmente a guardare negli occhi il padre senza provare vergogna o paura.

Quanto aveva atteso, prima di poterlo fare? Era però servito Sthiggar per farle comprendere di essere in grado non soltanto di farlo, ma di accettarne le conseguenze.

“Ragnhild ha accennato a un problema che riguarda il branco, perciò vorrei sapere di cosa si tratta. Dopodiché, vi chiederò di andarvene” asserì lapidario l’uomo, conducendoli nel salotto di casa. “Mattias, tu non hai ragione di rimanere qui. Torna in camera tua.”

Mordendosi il labbro inferiore, il ragazzino lanciò una veloce occhiata alla sorella dopodiché, con un assenso rapido, se ne andò di corsa al piano superiore, sbattendo sonoramente la porta per dare voce alla sua stizza.

Il padre di Ragnhild sospirò nell’udire quel suono sgraziato e, nel rivolgersi alla figlia, dichiarò: “Questo lo ha imparato da te.”

Sthiggar fece per parlare ma Ragnhild scosse il capo e, nell’osservare sia il padre che la madre – che li aveva attesi in salotto come avrebbe fatto una regina con i suoi postulanti – disse serafica: “Sono lieta di avergli trasmesso un po’ di grinta.”

Elias sbuffò sprezzante, ma disse: “Parlate, e siate concisi. La vostra presenza non è gradita.”

Fu Sthiggar a prendere la parola e, in breve, raccontò al capoclan berserkr ciò che era accaduto, oltre a quello che temevano avrebbe potuto succedere in un prossimo futuro.

“E’ quasi certo che verranno, e unicamente per cercare me. Ci è sembrato perciò corretto avvertirvi di un potenziale sconfinamento nei vostri confini, anche se la minaccia non vi riguarda direttamente.”

Elias assentì una sola volta, rigido nella postura così come nell’espressione, ma fu Ingrid a voler parlare, pur se a modo suo.

I suoi occhi di falco sembravano voler sondare l’animo dei suoi ospiti e la mancanza della parola non rendeva meno grave la sua presenza così come il suo spirito, all’interno della stanza.

Sthiggar non fece fatica a comprendere le difficoltà di Ragnhild nel rapportarsi con una donna dalla simile tempra. Essere giudicati costantemente da uno sguardo così duro non doveva essere stato piacevole, né semplice.

Dopo una lunga occhiata alla moglie, Elias mormorò al suo indirizzo per poi ricevere una risposta che fece irrigidire Ragnhild, che aveva compreso perfettamente il linguaggio dei segni e ciò che la donna aveva testé dichiarato.

“I berserkir non hanno contenziosi con Jötunheimr e Muspellheimr” esordì quindi Elias, traducendo quanto detto dalla moglie. “Ciò che avete scatenato non ci riguarda, perciò siete invitati ad andarvene dai nostri territori. Ragnhild, però, rimarrà qui e farà esattamente ciò che è stato designato per lei dal suo ruolo di figlia primogenita.”

Pur essendosi immaginato una risposta simile – chi mai avrebbe accettato di mettere in pericolo la propria vita, e il proprio clan, per un estraneo? – Sthiggar provò ugualmente un moto di delusione, che comunque stemperò con facilità.

Essendo un amante della verità, non poteva permettersi di negarla a se stesso quando gli veniva concessa, anche se questa era amara come fiele e difficile ad accettarsi.

Annuendo alle sue parole, perciò, Sthiggar disse: “Lo comprendo e lo accetto, almeno in parte. Era un mio obbligo morale avvertirvi del potenziale pericolo, e a questo mi sono attenuto. Ce ne andremo immediatamente. Ma con Ragnhild.”

“Non credo di essermi spiegato bene. Lei deve rimanere per adempiere al suo compito e ripagare il clan per tutti i suoi peccati” replicò Elias scuotendo recisamente il capo.

Ragnhild fece per ribattere ma Sthiggar, nello scrutare i suoi occhi incendiati dall’ira, le chiese silenziosamente di poter essere ancora una volta il suo Campione. Di fronte a quella silente richiesta, lei assentì grave e Sthiggar, nel tornare a scrutare Elias, parlò con un tono così definitivo da azzittire il padrone di casa.

“Se, per peccato, lei intende dire che sua figlia ha la capacità di illuminare una stanza con i suoi sorrisi, è peccatrice. Se, per peccato, lei intende dire che sua figlia ha il diritto di vivere come la persona che desidera essere, è peccatrice. Se, per peccato, lei intende dire che sua figlia ha a cuore la giustizia allora, per tutti gli dèi, è peccatrice.”

Elias lo fissò rabbioso e tremante di furia ma non parlò, così Ragnhild prese la parola e aggiunse lapidaria: “Per anni mi sono sentita dire che i berserkir sono coraggiosi e combattivi, ma l’unica cosa a cui tu pensi è preservare la sicurezza di un clan che non fa nulla per aprirsi agli altri. Ti interessa soltanto proteggere la dea che ha scelto tuo figlio per rinascere, così che il tuo clan sia prospero e osannato dagli altri ma, quando l’occasione richiede forza e determinazione, ti tiri indietro.”

Elias non controbatté alle parole di fiele della figlia, ma pensò la moglie a farlo. Si spinse avanti con la sedia a rotelle con l’unica mano salvatasi dall’ictus, fissò Ragnhild con il gelo negli occhi e, con movimenti lenti, indicò la porta.

“Tu non sai cosa vuol dire proteggere un intero clan. Hai sempre pensato che bastasse prenderti cura di tuo fratello, ma avere sulle spalle la vita di tante persone è ben diverso” disse a quel punto Elias, atono e di nuovo controllato.

“Io non mi sono presa cura di mio fratello. Gli ho voluto bene!” sbottò Ragnhild.

“Se hai scelto di disobbedire, così sia. Sarai bandita dalla tua stessa casa per aver deciso di seguire persone che non sono sangue del tuo sangue, o della tua stessa razza. Decidi di te stessa per tuo conto, dunque, ma non pensare di tornare qui una volta che i tuoi amici ti avranno abbandonata per tornare nel loro mondo.”

“Così sarà” sibilò lei, allontanandosi di un passo da loro e finendo con l’urtare contro Sthiggar.

Levato il capo, lo guardò con occhi lucidi mentre lui, protettivo, le poggiava una mano sulla spalla, replicando: “Nel cacciarla, venite meno ai precetti familiari che dovrebbero esservi propri. Lei è carne della vostra carne. Non potete bandirla solo perché ha buon cuore.”

“Ciò che posso o non posso fare di mia figlia non ti compete, muspell. Le nostre regole non sono le vostre perciò, per favore, andatevene” replicò Elias, volgendo loro le spalle senza più dire nulla. “Ormai è contaminata, perciò non posso più avere a che fare con una traditrice di tal fatta.”

Ragnhild tremò per un istante, sotto la mano di Sthiggar e quest’ultimo, con un cenno del capo, mormorò: “Ci lasciamo in pace, ma non senza dolore. Addio.”

Elias non rispose e i tre muspell, accompagnati da Ragnhild, uscirono dall’abitazione per dirigersi al minivan di quest’ultima.

 “Ora, dobbiamo solo capire dove dirigerci. Non credo che, andando nelle altre colonie penali, avremo maggiore protezione rispetto a qui. Degli jotun ti volevano prelevare e, molto probabilmente, torneranno quanto prima, quando vedranno che la prima ondata ha fallito. Al momento, dobbiamo nasconderci e pensare a un piano per contrattaccare” disse a quel punto Thrym, afferrando la maniglia della portiera del minivan.

Sthigg assentì prima di bloccarsi, guardare i suoi compagni di fuga e mormorare sgomento: “Come facevano a sapere che ci trovavamo proprio qui?”

***

Mentre Ragnhild si dirigeva verso la casa di Gunther per avvertirlo del pericolo incombente, Sthiggar rimuginò sul particolare che aveva notato prima di partire dall’abitazione del capoclan berserkr e Thrym, turbato, disse: “Di tua cugina puoi fidarti ciecamente, hai detto.”

“Assolutamente. Affiderei la mia vita a lei anche a occhi chiusi” assentì Sthiggar, passandosi nervosamente una mano tra le onde fulve. “Qualcun altro, su Muspellheimr, sapeva del mio dislocamento proprio a Luleå, e proprio in quell’abitazione. Perciò ci deve essere stata una defezione anche tra gli uomini del re. Non è solo un attacco esterno al regno.”

“Si parla della più alta forma di tradimento” mormorò sgomenta Flyka.

“Se il re è circondato da serpi, allora il guaio è più grande di quanto non avessi immaginato” ringhiò furioso Sthiggar.

Ragnhild bloccò l’auto di fronte alla casa di Gunther, nei pressi del porticciolo dove avevano lavorato sia Thrym che Sthiggar fino al giorno precedente dopodiché, guardando i suoi compagni di fuga, domandò: “Non potete contattare Muspellheimr per metterli al corrente del pericolo?”

Sthigg sollevò il proprio polso destro, mostrandole il tatuaggio che gli era stato fatto alla sua partenza e, ombroso, disse: “Purtroppo, come non possiamo attraversare Bifröst, ugualmente non possiamo avvicinarci alle sue porte per lasciare una missiva. Il veleno si espanderebbe al solo contatto con le porte del Varco dimensionale.”

Ragnhild imprecò sottilmente mentre Thrym scendeva dall’auto per raggiungere la casa di Gunther.

Il resto del gruppo lo raggiunse in fretta e, quando il muspell anziano giunse finalmente alla porta e li lasciò entrare con aria palesemente interrogativa, domandò ruvido: “E’ mai possibile che non riusciate a star tranquilli neanche di notte, quando fa un freddo becco e i vostri cervelli dovrebbero essere ibernati?”

“Esigenze gravi ci hanno portato qui, Gunther” esordì Sthiggar prima di aggiungere: “Due jotun sono giunti qui per attaccarmi e, presumibilmente, rapirmi.”

Gunther fece tanto d’occhi nell’accorgersi della presenza di Ragnhild ma, notando la sua assoluta calma, borbottò dicendo: “Qualcuno ha avuto la lingua più lunga del dovuto con una umana, mi pare di capire.”

“E’ una berserkr, perciò sapeva già di noi da un bel po’” sottolineò Sthiggar, sorprendendolo ulteriormente. “La faccenda è seria, Gunther. Dobbiamo allontanarci per non mettere a rischio gli abitanti della cittadina. Quando si renderanno conto che i primi due emissari inviati qui hanno fallito, torneranno con un contingente maggiorato, e a quel punto non so cosa potrà succedere.”

Imprecando tra i denti, Gunther guardò addolorato la moglie che, in vestaglia da notte, li stava osservando con l’ansia nello sguardo ma, nel tornare con l’attenzione sui suoi ospiti, disse: “Sapete bene che attorno alla Svezia c’è una barriera mistica. Non potrei farvi uscire da essa neppure volendo. Non è di mia competenza.”

“Al momento ci interessa soltanto sparire per un po’. Conosci qualche posto dove potremmo andare? Non credo che raggiungere le altre zone detentive sia l’idea migliore perciò, se hai suggerimenti, siamo tutt’orecchi” domandò Thrym con tono sbrigativo.

“In effetti, le prigioni sono tutte più a nord, perciò non vi faciliterà di certo la vita avvicinarvi al Circolo Polare Artico. Inoltre, portereste guai soltanto ad altri muspell e ad altri umani” scosse il capo Gunther, massaggiandosi pensoso la barba sale e pepe.

“E se andassero a sud, verso il portale? Non esiste neppure un modo legale per mandare un messaggio a Muspellheimr?” domandò a quel punto la moglie, Astrid, sfiorando comprensiva il braccio del marito.

“Il solo tentare di avvicinarsi alle porte, li ucciderebbe. Deve essere una Fiamma Nera a scortarli all’interno, altrimenti una loro entrata non regolamentare farebbe scattare la rottura del sigillo che portano al polso” scosse il capo Gunther, fissandola spiacente. “Quanto a me, avendo l’aura sigillata, non verrei riconosciuto né come ex Fiamma Nera, né tantomeno come muspell, perciò il risultato sarebbe lo stesso. Loro morirebbero all’istante.”

“Se neppure a lei viene in mente qualcosa, allora non ci rimane che una cosa da fare. Andare a Jotunheim” dichiarò a sorpresa Ragnhild, sgomentandoli tutti.

I quattro muspell la fissarono senza parole, credendola anche un tantino pazza ma lei, ammiccando, guardò Sthiggar con un accenno di ironia e aggiunse: “Scusa. Ce l’avevo sulla punta della lingua fin da quando siamo stati attaccati dagli jotun, e non vedevo l’ora di dirla.”

“Cosa c’entra Jötunheimr con la nostra fuga, scusa?” esalò lui, sempre più confuso.

“Jötunheimr è il pianeta degli uomini-ghiaccio, ma Jotunheim è il nome di un parco naturale della Norvegia dove, tra le altre cose, vivono dei berserkir molto speciali e che, io spero, potranno aiutarvi a scappare da qui” gli spiegò lei, mostrandogli la cartina della Scandinavia su Google Maps.

“Resta il fatto che è in Norvegia, dove noi non possiamo andare” precisò Sthiggar, accigliandosi.

“Malfidato che non sei altro. La mia presenza serve a questo” sottolineò per contro Ragnhild.

Sthiggar la fissò malamente e borbottò: “Ti detesto quando fai la dispettosa.”

“Non è vero” ironizzò lei per poi guardare i suoi compagni di fuga. “Ci dirigeremo verso il confine svedese e lì attenderemo che faccia giorno. A quel punto, chiamerò il clan dove si trova il più potente berserkr che esista e chiederò aiuto per voi. E’ l’unica cosa che possa funzionare, al momento.”

“Cos’ha di così speciale, questo berserkr, da renderti così convinta che potrà aiutarci?” domandò a quel punto Thrym, ancora piuttosto scettico. “E perché dovrebbe farlo, visto che siamo estranei?”

“Forse il fatto che lui, in realtà, è Odino, oltre al ragazzo più gentile che io abbia mai conosciuto?” buttò lì Ragnhild, sorridendo poi soddisfatta quando li vide fare degli strani scongiuri al solo sentirlo nominare.

“Ragazza, forse non rammenti che Odino, a conti fatti, sarà nostro nemico, durante il Ragnarök” precisò Thrym, sorridendo nervoso.

“Non mi pare che il mondo stia cadendo a pezzi, e il ragazzo che lo ospita è di una gentilezza squisita. L’ho visto solo una volta, e non ho potuto parlargli direttamente, ma ho notato subito il suo connaturato candore. Sono sicura che ci ascolterà” dichiarò lei prima di farsi gelida in volto e aggiungere: “Non posso credere neppure lontanamente che tutti i berserkir siano vili e calcolatori come mio padre.”

Questo mise fine alle repliche di tutti e Astrid, in tutta fretta, disse: “Vi preparo dei panini e delle bibite per il viaggio.”

Gunther annuì grato alla moglie e, nel tornare a guardare Sthiggar, disse turbato: “C’è un solo motivo se quegli jotun ti volevano vivo, ragazzo.”

“Lo so. Vogliono la mia Fiamma per loro e, adesso che sono qui, all’apparenza senza poteri, pensano di potermi soggiogare con qualche trucchetto magico” assentì Sthiggar prima di sogghignare e aggiungere: “Quello che non sanno è che le Fiamme Vive possono attingere potere da qualsiasi pianeta, non solo da Muspellheimr, a quanto pare. L’importante è che il centro del pianeta abbia un nucleo infuocato.”

Ciò detto, lasciò che la sua aura emergesse fino a farlo risplendere e Astrid, nel tornare con delle bottigliette d’acqua, sobbalzò sconcertata ed esclamò: “Oh, Signore! Ma che succede?”

“Che mi venga un colpo” esalò Gunther, sfiorandogli reverenziale una spalla mentre Flyka, senza parole, lo ammirava basita. Thrym, che lo aveva già visto all’opera, non si stupì più di tanto, ma rimase comunque in religioso silenzio di fronte a un simile spettacolo.

Nella sua vita, aveva avuto il dubbio piacere di vedere soltanto re Surtr in quelle vesti, ed era stato un evento che lo aveva traumatizzato non poco, visto che aveva coinciso con la sua incarcerazione.

Stavolte, le fiamme non gli fecero così paura, ma comprese anche quanto potenziale distruttivo fosse contenuto in esse; non faceva specie che qualcuno lo volesse per i propri scopi malvagi.

Gunther sorrise benevolo di fronte a quello spettacolo imprevisto e, nell’annuire orgoglioso, disse: “Questo sarà un vantaggio, quando vi attaccheranno di nuovo… perché succederà. Rammenta però questo, ragazzo. La Fiamma Viva va usata con parsimonia, o ti logorerà, bruciando anche te.”

“Non la userò. Mi basterà l’aura” assentì il giovane muspell, mentre Flyka accettava la borsa che Astrid aveva preparato per loro. “Mi spiace ripagare la vostra gentilezza con queste notizie, ma…”

Scuotendo una mano per cancellare le sue scuse, Gunther gli strinse le mani con forza e replicò: “Il tuo dovere è verso il sovrano. Vai, e proteggilo anche per me.”

Sthiggar assentì, salutandolo come avrebbe fatto con Yothan e, dopo aver fatto un cenno di ringraziamento anche ad Astrid, uscì di casa con il resto del gruppo.

“Bene, ora portaci a Jotunheim” commentò a quel punto Sthiggar, sorridendo a Ragnhild.

“Poco ma sicuro” assentì lei, mettendo in moto per poi sparire in tutta fretta da Luleå.

Forse, per sempre.

Fu però sul confine della cittadina, proprio all’altezza del cartello che dava l’arrivederci a Luleå, che Ragnhild dovette interrompere sul nascere la loro fuga.

La macchina dei cugini era posizionata in modo tale da essere più che visibile dalla strada e la giovane, nel rallentare fino a fermarsi, indicò a Sthiggar di prepararsi al peggio, dopodiché uscì per sondare la situazione.

A uscire per primo da una Volvo familiare blu scuro fu Boris che, senza dire nulla, corse ad abbracciare Ragnhild e mormorò contro di lei: “Matt ci ha avvisati. Ci dispiace tanto, Raggie.”

Quasi sciogliendosi contro l’ampio torace del cugino, lei assentì tremante e sussurrò: “Non c’era altro modo.”

“Hai fatto bene, altro che storie!” sbottò lui, scostandola per scrutarla con i profondi e addolorati occhi scuri. “Avrei voluto avere io il tuo coraggio, per oppormi allo zio. Non mi è mai piaciuto come ti trattava, perciò ben venga la tua decisione.”

“Questo, però, mi impedirà di rivedervi” replicò lei, scacciando con una mano una lacrima ribelle.

“Non se verremo con te. Quando avrai deciso dove andare, noi ti seguiremo” dichiarò lui, sorprendendola. “Sappiamo che ora saremmo solo d’intralcio, visto che non dovete dare nell’occhio. Ma, nel caso in cui dovessi aver bisogno di noi, ti raggiungeremo in quattro e quattr’otto.”

“Boris…” mormorò lei, mordendosi il labbro inferiore per l’emozione.

“Sei nostra cugina, Raggie. E sei il nostro capoclan, per quel che mi riguarda” dichiarò a quel punto Wulff, apparendo alle spalle del fratello. “Cavoli, dai! Ci hai comandati a bacchetta fin da piccoli!”

Lei scoppiò in una tremante risata e, nell’abbracciare anche Wulff e Adam, mormorò: “Mi metterò in contatto con voi, promesso.”

“E noi cercheremo di perorare la tua causa con lo zio ma, se non ne otterremo che aria fritta, faremo come ha detto Boris. Ti seguiremo ovunque tu deciderai di andare” le promise Adam, lanciando poi uno sguardo a Sthiggar per aggiungere: “La proteggerai tu finché sarà necessario, vero?”

“Non devi neppure chiedermelo” acconsentì lui con un sorriso.

“Molto bene, Campione” ammiccò Adam, tornandosene all’auto per non mostrare a nessuno i suoi occhi lucidi.

“Andate, ora, prima che lo zio ci ripensi e vi mandi addosso i suoi berserkir migliori” borbottò Boris, prima di celiare: “Aspetta un momento… siamo noi, i migliori!”

Ragnhild rise ancora, lo baciò sulle guance e, nel tornare alla sua auto, disse: “Abbraccia Mattias da parte mia e digli che, non appena potrò, tornerò a prenderlo.”

“Dubito che abbia bisogno di sentirselo dire. Quel ragazzino sa tutto” ironizzò Boris, salutando con un cenno militare Sthiggar prima di tornare alla sua volvo.

Ragnhild non attese oltre. Si rimise alla guida e, con uno sbuffo tremulo, accese il motore e borbottò: “Spero non mi fermi qualcun altro, stanotte, perché non ho nessuna voglia di piangere.”

I tre muspell sorrisero comprensivi e, mentre la mezzanotte si approssimava, il quartetto si allontanò finalmente da Luleå.

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Cap. 17

 

 

 

L’interminabile serpentone di ospiti che, lentamente, stava penetrando all’interno del Palazzo Reale di Hindarall avrebbe potuto somigliare, senza timore di esser smentiti su tale argomento, all’infinita coda di Jörmungandr(1).

Osservandola dall’alto di una delle torri del palazzo, re Surtr non si sentiva per nulla tranquillo, né aveva la presunzione di essere certo che le pareti gigantesche che lo circondavano, o il suo potente esercito, fossero in grado di proteggerli, in caso di problemi.

Se non sapeva da che parte guardare, come poteva contare di coprire ogni angolo utile e impedire che lo pugnalassero alle spalle?

“Avete pensieri così profondi, sire, che le vostre orecchie fumano” dichiarò al suo fianco Yothan, accigliato al pari del re e altrettanto preoccupato.

“Hildur sta ancora studiando le carte riguardanti i commilitoni di Sthiggar per capire chi sia stato ferito in volto durante la battaglia nei Protettorati, dopodiché mostrerà al mercante un ritratto di coloro i quali corrispondono alla sua descrizione. Fino ad allora, però, non ho idea alcuna della serpe in seno che sto covando da tempo, e senza saperlo, o di quante persone sia composto il complotto ai miei danni” asserì torvo Surtr. “Ho le mani legate, e detesto ammetterlo. Rivoglio la monarchia assoluta, amico mio!”

Yothan sorrise appena, nel sentirlo lamentarsi a quel modo e, annuendo affabile, asserì: “Non lo metto in dubbio, sire. Così come non metto in dubbio che Hildur riuscirà nel suo compito.”

“Ammesso e non concesso che non attacchino prima dell’ultimazione delle sue indagini. Sai quale sarà il suo ruolo, se dovessimo trovarci nei guai, vero?” gli domandò il re.

“Sì. Me l’ha accennato con aria assai contrariata, ma io penso che abbiate scelto bene. Saprà portare a termine il suo compito egregiamente” dichiarò Yothan, invitando il re a rientrare. “Dobbiamo dare il benvenuto agli invitati.”

“Come se me ne importasse qualcosa, a questo punto.”

Il comandante non poté replicare in alcun modo, a quelle parole. Sapeva perfettamente cosa intendesse dire il suo sovrano, ed era pienamente partecipe delle sue preoccupazioni. Chi non lo sarebbe stato, dopotutto?

***

Il volto sconvolto di Mikell, padre di Kyddhar e fratello della regina Ilya, si trasfigurò al punto tale che il giovane soldato al suo fianco indietreggiò turbato, forse temendo una punizione a causa delle notizie appena giunte da Midghardr.

La spedizione dei due jotun inviati sul pianeta degli umani, contrariamente a quanto avevano pensato e sperato, non era andata affatto a buon fine.

Sthiggar non era stato condotto in catene dal liòsalfar che avrebbe dovuto soggiogarlo con la sua magia e renderlo loro schiavo e, quel che era peggio, i resti dei due jotun erano stati trovati nel luogo in cui erano stati mandati per rapire il muspell.

Lo jotun che aveva riferito la notizia, però, non si fece spaventare dallo sguardo di fiamme del nobile muspell e, scrollando una spalla con noncuranza, replicò al suo disappunto con aria spavalda.

“Manderemo altri uomini, e stavolta saranno più numerosi e armati. Pensare che un soldato suo pari potesse essere messo al tappeto così facilmente, anche se su terra umana, è stata una sottovalutazione sciocca delle sue potenzialità ma, ora che sarò io a prendere simili decisioni, non avremo più problemi.”

Mikell, di fronte a tanta sfacciataggine, preferì astenersi dal fare commenti e soffermò i suoi occhi di fiamma su colui che tanto aveva denigrato le abilità di Sthiggar. Irato, quindi, esclamò: “Sbaglio, o avevi detto che quel ragazzo sarebbe stato una facile preda, una volta deprivato della sua Fiamma?! Ci hai quindi raccontato menzogne, disprezzando con così tanta veemenza le sue capacità tattiche?”

Resistendo a stento all’imperativo desiderio di rattrappirsi nelle spalle, Thrydann replicò piccato: “E’ stato sicuramente aiutato dai carcerati che si trovano a Luleå con lui. Non può essere che così. Sthiggar ha il solo vantaggio di avere sangue divino nelle vene, e perciò è stato beneficiato della Fiamma Viva, ma non ne è degno! E’ un incapace, se preso da solo!”

Sogghignando di fronte a quella replica un tantino querula, Mikell asserì perfido: “Qui, a parlare, è la gelosia, caro il mio Thrydann. Non ti garba essere nato senza i sui speciali e unici occhi chiari, o sbaglio? Sia come sia, agiremo come ha stabilito il comandante Lennart e tu, nel frattempo, andrai a palazzo a presenziare ai festeggiamenti, così come il tuo ruolo di figlio primogenito ti impone.”

Impallidendo leggermente, Thrydann esalò: “Ma… sarò nel bel mezzo del…”

“Dell’attacco? Certo. Non vorrai davvero che i membri del Consiglio – e tuo padre – dicano che uno dei loro figli è un negletto e un uomo irrispettoso, ti pare?” ironizzò Mikell prima di farsi mortalmente serio e aggiungere: “Tu ti troverai là esattamente come me, ti siederai alla destra di tuo padre e farai la tua parte come ti ho ordinato, o non diverrai mai ciò che desideri essere.”

“Sì, mio signore” mormorò a quel punto il giovane, reclinando rigidamente il capo.

“Inizia a chiamarmi con il mio nome, ragazzo” ghignò Mikell.

“Sì… mio re” assentì Thrydann prima di accomiatarsi.

Sospirando, Mikell tornò a scrutare il viso pallido del Gigante di Ghiaccio che gli aveva portato quel triste messaggio e, scuro in volto, aggiunse: “Rammenta al tuo sovrano i nostri accordi, comandante, e tutto andrà per il meglio.”

“Re Lafhey è uomo d’onore, nobile muspell, e agogna la caduta di Surtr esattamente come te” replicò il comandante jotun con un sorrisino furbo.

“Molto bene. Avrà il mio aiuto e appoggio, quando vorrà attaccare Svartalfheimr ma, per il momento, sfruttiamo fino all’ultimo i dokkalfar e il loro odio nei confronti di Surtr. Che almeno il sacrificio di mio figlio sia valso a qualcosa” dichiarò con tono aspro Mikell. “Su di loro mi prenderò una rivincita dopo aver spodestato mio cognato.”

Lo jotun assentì serafico e, con un leggero inchino, si allontanò dalle stanze del nobile muspell, pronto a tornare dai suoi uomini, oltre le porte di Bifröst.

Ben presto, l’invasione sarebbe avvenuta e, Fiamma Viva o meno, avrebbero distrutto Surtr in un modo o nell’altro.

Da lì a radere al suolo ogni cosa, il passo sarebbe stato breve, e re Lafhey avrebbe ottenuto quanto desiderato.

Il Ragnarök avrebbe avuto inizio, ma non sarebbe stato Surtr a primeggiare e vincere sui Mondi, né a brandire l’Arma Definitiva, ma il grande Lafhey, re di Jötunheimr.

***

Ragnhild stava ormai guidando da un paio d’ore quando, dal bagagliaio, Thrym udì giungere dei rumori sospetti.

Nel chiedere perciò alla ragazza di fermarsi presso la prima piazzola utile, guardò Sthiggar al suo fianco e scese dall’auto non appena questa ebbe interrotto la sua corsa.

Ragnhild e Flyka, armate di coltello, li seguirono dappresso e, quando Sthigg aprì a sorpresa il bagagliaio, le urla dei due uomini fecero trasalire di paura l’ospite inatteso che, di nascosto, si era imbucato in quel viaggio improvvisato.

Mattias sollevò le mani per proteggersi da un loro eventuale attacco mentre Ragnhild, sconvolta al pari degli altri, esalava irritata e terrorizzata: “Ma che ci fai qui?!”

“Scusa, scusa, scusa!” esclamò il ragazzino, fissando spiacente la sorella prima di uscire in tutta fretta dal bagagliaio per abbracciarla.

Ragnhild rispose all’abbraccio per poi baciargli il capo ma, ancora turbata, disse: “Questa è stata la cosa più idiota che tu abbia mai fatto, Matt. Che ti diceva la testa?!”

Dovevo venire” sottolineò lui, non fornendo però ulteriori spiegazioni.

La giovane scrutò dolente il fratello, si fece dura in volto e disse: “Sarà meglio che tu mi dica perché sei voluto venire ma, per ora, dobbiamo allontanarci il più possibile per nascondere la nostra auto. Farà giorno a breve e, non appena papà si accorgerà della tua mancanza, sguinzaglierà i berserkir per riprenderti.”

Mattias assentì spiacente, ma replicò: “A tempo debito ti dirò tutto, solo non ora.”

Accigliandosi leggermente nel tornare al posto di guida, mentre il resto del gruppo faceva spazio a Mattias sui sedili posteriori e Sthiggar si sistemava al fianco della giovane, Ragnhild domandò al fratello: “C’è di mezzo Urd?”

Matt si murò la bocca, fissandola poi spiacente e la giovane, sospirando, borbottò: “Voi possessori di anime senzienti siete delle rotture di scatole uniche.”

“Sc…”

“Non dirlo” lo minacciò Ragnhild, fissandolo bieca.

Mattias si morse il labbro inferiore prima di guardare spiacente anche Sthiggar e aggiungere: “Non volevo peggiorare ancora di più la situazione, ma dovevo venire anch’io.”

“Va tutto bene. Ti porterò sulle spalle, se sarai stanco, così non avremo problemi. Potendo usare l’aura, non ne risentirò affatto” scrollò le spalle Sthiggar.

“Ma ti renderai visibile alla magia degli jotun, così” gli ricordò Thrym, accigliandosi.

“E’ un rischio che dobbiamo correre, ma prometto che la userò solo quando sarà strettamente necessario” assentì lui, lanciando poi uno sguardo a Ragnhild, che lo stava scrutando turbata.

Lui si limitò a sorriderle e la giovane, a sorpresa, rispose al sorriso prima di accelerare e dire: “Preparatevi. Prenderò delle strade secondarie e molte non saranno esattamente piacevoli.”

“Fai quello che puoi, ragazza. Qui, siamo tutti dalla tua parte” dichiarò Thrym, allungandosi per darle una pacca sulla spalla.

Ragnhild accentuò il proprio sorriso, a quel tocco e, consapevole di cosa stesse rischiando, cercò di non crollare proprio sul più bello.

Aveva deciso consapevolmente di aiutarli, di scappare da ogni certezza lei avesse mai avuto fino a quel momento, ma non aveva tenuto in conto che Mattias avrebbe potuto imbucarsi. Ora, doveva pensare anche a lui, ma non poteva lasciarsi andare al panico solo per questo.

Sthiggar l’avrebbe aiutata. Di questo era certa.

***

Le libagioni erano state servite con abbondanza ai mille e più dignitari muspell, oltre agli ospiti provenienti da Elfheimr, Svartalfheimr, Jötunheimr e Niflheimr presentatisi per i festeggiamenti dell’anniversario di matrimonio dei Reali.

Mentre musici e saltimbanchi intrattenevano gli ospiti, Surtr chiacchierava con apparente leggerezza con sovrani e nobili, semplici conoscenti o vecchi amici.

Ilya, a poca distanza da lui, era fedelmente accompagnata da Hildur, per l’occasione abbigliata con la divisa ufficiale delle Fiamme Nere, una lunga tunica dorata e corvina che le raggiungeva le caviglie.

La tunica, elegantemente ricamata e decorata con fiamme dai colori scarlatti su maniche e colletto rigido, nascondeva sotto di essa una cotta di maglie di provenienza elfica.

Legato alla coscia destra, e nascosto dalle coltri della tunica, un sottile stiletto avvelenato era l’unica – quanto preziosa – arma in dotazione alla Fiamma, per quella sera.

Surtr non aveva potuto darle il permesso di entrare in armatura, visto che il banchetto doveva apparire normale a tutti i costi, e anche Yothan si era dovuto adeguare, indossando per l’occasione la Divisa Ufficiale delle Fiamme Purpuree.

Naturalmente, aveva fatto sistemare armi in abbondanza sotto ai tavoli delle libagioni, ben protette alla vista dalle lunghe tovaglie, e i soldati in borghese che si nascondevano tra gli invitati erano gli unici a conoscere quel particolare.

Neppure i membri del Consiglio ne erano stati messi al corrente. Surtr sperava che tutto ciò bastasse a scongiurare il peggio e, soprattutto, che le persone da loro scelte per mantenere quel segreto fossero anche degne di fiducia.

Essendo il traditore un membro della compagnia di Sthiggar, Surtr aveva dovuto diffidare di ognuno dei membri del Consiglio della Corona. Quasi tutti loro, infatti, avevano un figlio che era stato al comando di Yothan ed era stato compagno del ragazzo.

Il mercante, forse troppo turbato dal suo inconsapevole ruolo, o forse realmente incapace di dare una risposta, non era stato in grado di riconoscere il soldato che lo aveva tratto in inganno.

Hindur non aveva dunque potuto agire per bloccare il commilitone di Sthiggar, reo di averlo cacciato in quel guaio e ora, suo malgrado, anche la donna doveva comportarsi al pari del re, educata ospite nei confronti dei potenziali nemici che si trovavano in quella sala.

“Complimenti per la magnifica festa, Surtr” esordì Lafhey, avvicinandosi al re muspell e tenendo in mano un calice di buon vino elfico.

Imperturbabile, Surtr salutò il sovrano jotun e disse: “Grazie. Sempre il meglio per i miei stimati ospiti.”

“Hai davvero superato te stesso, stavolta” chiosò lo jotun, guardandosi attorno con espressione sorridente. “Mi chiedo, però, se tanta opulenza non nasconda un po’ di stanchezza e noia.”

“Potrei divorare i miei nemici con un solo boccone, non temere” ghignò Surtr, spingendo lo jotun a brindare a lui.

Lafhey accettò la sfida e, dopo aver fatto tintinnare il proprio bicchiere con quello del muspell, replicò: “Oh, non lo metto in dubbio. Tu sei sempre stato un grande guerriero… ma i tuoi giovani soldati, che mai hanno combattuto una vera guerra, sarebbero in grado di sostenerne una? E’ così difficile capire se i nostri eserciti sono all’altezza dei loro altisonanti nomi!”

Nel dirlo, sospirò afflitto, come se Lafhey stesso pensasse di non avere schiere di soldati all’altezza del loro nome e Surtr, laconico, asserì: “Avere comandanti come il mio fidato Yothan mi fa credere che nulla al mondo possa sconfiggere le mie Fiamme.”

Il re jotun sorrise mellifluo al vecchio soldato – solido come una roccia al fianco del proprio re – e, annuendo, convenne dicendo: “Oh, di persone come il rinomato comandante Yothan si può sempre fare affidamento. Pagherei qualunque cifra per avere un simile guerriero tra le mie schiere. Nessuna possibilità che io possa rubartelo?”

Surtr sorrise appena, a quell’accenno e Yothan, con un grazioso inchino rivolto allo jotun, disse: “Vi ringrazio sentitamente per il complimento, sire, ma ho un problema con le basse temperature. Sono sensibile ai geloni.”

Lafhey scoppiò in un’allegra risata, a quel commento e, annuendo, esalò: “Cielo! Avere anche una simile simpatia tra le mie fila! I miei generali sono così… freddi e rigidi!”

Persino Surtr si lasciò andare a un mezzo sorriso, di fronte a quel tentativo di fare dell’ironia e Lafhey, ritenendosi soddisfatto, terminò di dire: “Non voglio monopolizzarvi oltre. La festa è ancora agli inizi, e voi dovete parlare con un sacco di persone.”

“Il tuo punto di vista è sempre gradito, Lafhey, perciò il tempo passato con te è sempre speso bene” dichiarò Surtr, stringendogli la mano.

Lo jotun sorrise appena nel replicare alla stretta e, misterioso, replicò: “E’ un peccato quando il tempo non sembra mai bastare.”

Surtr lo fissò confuso per un istante prima di sobbalzare quando, all’improvviso, una terribile esplosione fece vibrare i vetri del salone delle feste e un’alta colonna di fuoco si sprigionò dalla città di Hindarall.

“Ma cosa…” borbottò il re prima di tornare a cercare Lafhey con lo sguardo.

Quest’ultimo, però, si era già dileguato in mezzo alla folla, folla che si stava assiepando sgomenta nei pressi delle alte vetrate, in trepidante osservazione del fuoco divampato nei pressi del Portale di Bifröst.

La distanza era troppa per comprendere cosa stesse succedendo ma, quando le esplosioni si susseguirono e, dalle vie della città, cominciarono a levarsi grida talmente forti da raggiungere il palazzo, Surtr urlò: “Siamo sotto attacco! Alle armi, presto!”

L’istante successivo, il re cercò con lo sguardo Hildur e Ilya e, addolorato quanto deciso, assentì all’indirizzo della guerriera.

Alla Fiamma Nera non servì altro. Afferrò a un braccio la regina e, senza attendere oltre, la portò con sé ignorando le proteste veementi della sua sovrana.

Con occhi che bruciavano di indignazione, Hildur raggiunse quindi la porta di un vicino disimpegno e lì, lapidaria, ordinò alla regina: “Non una parola. Tornerò subito da voi e voglio ritrovarvi qui, è chiaro?!”

Ilya assentì torva, non certo abituata a ricevere ordini quando, per millenni, era stata lei a darne agli altri.

Ben sapendo di essere apparsa aspra, nel suo agire, aprì la tunica con una mano, afferrò lo stiletto avvelenato per passarlo alla sovrana e, più gentilmente, aggiunse: “Uccidete chiunque non sia io, o mio zio Snorri. Non possiamo fidarci di nessun altro.”

“Va bene” mormorò secca la regina, trattenendo tra le mani la letale arma.

Hildur assentì veloce, chiuse dietro di sé la porta – che nascondeva un piccolo andito conosciuto solo dalla servitù – e, con occhi attenti, cercò in fretta la figura dello zio.

Snorri sarebbe divenuto in breve tempo una delle prede più ambite dai loro nemici, essendo il possessore delle chiavi del più grande tesoro contenuto nel tempio di Sól. Era perciò vitale che nessuno lo trovasse prima di lei.

Sperando perciò che lo zio si fosse posizionato nel luogo in cui lei lo aveva pregato di trovarsi, qualora si fossero scatenati disordini, Hildur corse verso il tavolo delle bevande mentre, sul fondo del salone, i primi armigeri dokkalfar facevano irruzione in armi.

L’istinto di muovere in direzione del nemico fu forte, ma la visione di Snorri che procedeva verso di lei con passo spedito le rammentò il suo compito e, con esso, il suo dovere.

Afferrando gentilmente lo zio al gomito, lo condusse in fretta dove aveva lasciato la regina, ignorando volutamente le grida disperate degli ospiti, quelle iraconde degli armigeri del re e quelle rabbiose dei nemici.

Se fosse rimasta un solo attimo di più, le sue gambe si sarebbero mosse verso la battaglia, ignorando ogni altra cosa, ogni altra imposizione, pur sapendo che non avrebbe dovuto farlo.

Non ascoltare quanto stava accadendo dietro di lei, la distruzione, la morte e la devastazione, era vitale per compiere quella missione. Diversa da quella che stavano combattendo i suoi compagni, ma non meno importante.

Aperta perciò la porta del disimpegno dove aveva nascosto Ilya, gridò subito: “Sono io, mia regina!”

Ciò detto, spinse dentro Snorri, sbarrò la porta spezzandone la maniglia dopodiché, rapida, picchiettò con le nocche il muro dinanzi a sé, mormorando: “Dobbiamo recarci quanto prima al Portale di Bifröst, sperando che non abbiano abbattuto le porte per raggiungere i ponti.”

“Ma… dovremo attraversare tutta la città, per raggiungerlo!” esclamò turbato Snorri, guardando preoccupato la sua regina.

“Non in questo caso, zio” dichiarò la guerriera, trovando finalmente il punto in cui far scattare la sicura del passaggio segreto. Sorridendo poi a entrambi, aggiunse: “Questo palazzo non è solo bello e maestoso, ma anche pratico, e offre una gamma infinita di vie d’uscita.”

Nell’invitarli a scendere lungo l’oscura scalinata nascosta dietro la porta segreta, Hildur azionò il campo magico che correva lungo le pareti di roccia e, immediatamente, reti infinite di muschi bioluminescenti presero vita.

Sotto i loro occhi, la via venne illuminata per intero, lasciando intravedere un’interminabile scalinata che sembrava giungere fino al centro del pianeta.

Mentre i gradini si dipanavano dinanzi a loro portandoli sempre più in basso, sempre più lontani dalla battaglia che si stava svolgendo nel salone delle feste, Ilya sollevò un poco le gonne per correre più agevolmente e domandò piccata: “Tu e mio marito eravate d’accordo, vero? Perché non ne ero stata informata?!”

“Non eravamo sicuri di nulla, maestà, perciò era inutile tediarvi con teorie cospirative che non avevano alcuna base certa” replicò cauta Hildur, non sapendo quanto esporsi.

Ilya non era la fragile donna che molti pensavano lei fosse e, se la sua rabbia raggiungeva il culmine, poteva essere temibile al pari di quella di Surtr. Era perciò imperativo non farsela nemica, per poter compiere agevolmente quella missione.

“Sicuri di nulla, eh? Per questo eri armata, sotto la tunica? Per questo, sotto i tavoli, era pieno zeppo di spade?” ribatté aspramente la regina, imboccando l’ennesima scala.

“Non sapevamo contro chi avremmo dovuto eventualmente combattere, ma eravamo praticamente certi che qualcosa stava muovendosi nell’ombra, e aveva a che fare con il bando di Sthiggar da Muspellheimr” le spiegò a quel punto Hildur, sorprendendola.

“Che c’entra quel benedetto ragazzo?” esalò sorpresa la regina mentre Snorri scrutava interrogativo la nipote.

“Ve lo spiegherò dopo, lo giuro solennemente. Ora, però, dovete seguire strettamente i miei ordini. Me ne scuso in anticipo” replicò sbrigativa Hildur, sopravanzando la regina per essere la prima a oltrepassare la porta di ferro che li separava dalle gallerie sotterranee, un’intricata serie di passaggi che correvano al di sotto dello strato roccioso della baia.

Ilya storse il naso contrariata, pur accettando le parole della guerriera e Snorri, nell’annuire a sua volta, disse: “Non saremo d’impiccio, cara… ma dicci; cosa faremo, una volta raggiunto il Portale di Bifröst?”

“Dovremo andare su Midghardr e cercare Sthiggar per riportarlo indietro… ammesso e non concesso che non sia successo nulla nel frattempo” sospirò lei, aprendo la porta per poi scrutare guardinga le gallerie. “Il fatto che non ce lo siamo ritrovati addosso, comunque, è già un buon segno, o credo che l’avrebbero usato per abbattere il re in un colpo solo.”

I due muspell sospirarono sgomenti, di fronte a quell’ipotesi e Hildur, nell’aprire la porta, controllò la situazione oltre essa.

Nulla e nessuno sembrava aver utilizzato quelle gallerie da tempo immemore e, quando Hildur azionò la stessa magia bioluminescente usata in precedenza, le arcate scavate a mano rifletterono onde di luce che crearono ombre lunghe e minacciose.

Non di meno, Hildur avanzò sprezzante e pronta a menare fendenti al primo che si fosse messo contro di lei. Alle sue spalle, Ilya e Snorri la seguirono molto meno baldanzosi, tenendosi fianco a fianco per sostenersi a vicenda.

“Cosa intendi dire, Hildur? Cosa mai può essergli successo?” domandò quindi turbato Snorri, avanzando quasi di corsa al pari della regina.

“Temiamo che le stesse persone che ci hanno attaccati stanotte, possano aver cospirato per indebolire Sthiggar, così da poterlo soggiogare e usare contro re Surtr la sua Fiamma Viva, l’unica in grado di uccidere il sovrano” mormorò pensierosa Hildur, muovendosi lesta lungo la galleria sgombra e che rifletteva in un’eco infinita solo il suono dei loro passi.

Snorri inspirò con forza, turbato da quella notizia e Ilya, nello stringere la mano che teneva poggiata sul braccio dell’uomo, disse incoraggiante: “Se c’è una cosa che ho imparato, di quel ragazzo, è che trova sempre il modo di saltare fuori dai guai. Abbi fede, Snorri. E’ pur sempre il nipote di Sól.”

L’uomo assentì con un mezzo sorriso, pur non sentendosi affatto tranquillo e Hildur, nell’indirizzarli verso l’ennesima scalinata, disse: “Da qui, raggiungeremo il salone centrale del Portale di Bifröst. Io entrerò per prima e controllerò che non ci siano pericoli ma, se dovessero esserci dei problemi, voi andrete comunque a Midghardr, preleverete una CercaFiamma per trovare Sthiggar e il pennino di un Guardiano per liberarlo dal veleno, dopodiché gli direte ciò che sta accadendo. Io vi coprirò le spalle durante la fuga.”

“Hildur, no!” sbottò Snorri, bloccandola a un braccio perché non compisse un solo passo in più.

La donna scrutò con profondo affetto il gentile e pacifico zio, l’uomo che aveva tentato con tutto se stesso di offrire amore e protezione all’animo tormentato del figlio e, sorridendo, replicò: “Sono una Fiamma Nera, zio, e il mio compito è proteggervi. Se non potrò condurvi io stessa a Midghardr, dovrai promettermi che proteggerai tu stesso la regina e che troverete Sthiggar a ogni costo.”

Snorri assentì suo malgrado alla nipote e Hildur, nel liberarsi gentilmente dalla stretta dello zio, tastò un muro nei pressi della porta che li divideva dal Portale di Bifröst quindi aggiunse: “Ora, dovrete indossare abiti più consoni al regno degli umani. Questi, attirerebbero troppo l’attenzione e, obiettivamente, rendono scomodo qualsiasi movimento.”

Prelevando da una nicchia del muro gli abiti che, giorni prima, aveva preparato per tutti loro, Hildur consegnò il necessario a Snorri e Ilya dopodiché, sfilandosi in fretta la tunica, la sostituì con un maglione e dei comodi stivaletti di cuoio.

Ai pantaloni non badò – erano di pelle scamosciata e rientravano tra l’abbigliamento che avrebbe potuto benissimo passare per moda umana – e, subito, si concentrò nell’aiutare la regina, alle prese con un paio di jeans.

“Mi scuso con voi, Ilya ma, per fuggire, i pantaloni sono decisamente più comodi” le disse Hildur, aiutandola poi con le scarpe da ginnastica.

“Oh, dopo questa scampagnata forzata, mi farò arrivare da Midghardr un carico intero di questi abiti” cercò di ironizzare lei, tastando coi piedi la morbidezza delle scarpe.

“Tu come sei messo, zio?” chiese a quel punto Hildur.

“Direi che sono a posto” le disse lui, guardandosi con aria curiosa.

Dopo averlo controllato velocemente, la donna assentì, aprì guardinga la porta dopo aver creato un elaborato ologramma magico dinanzi alla serratura e, sgomenta, vide i primi, terrificanti effetti dell’esplosione che avevano udito da palazzo.

La cupola del Portale di Bifröst era completamente distrutta e i suoi residui di vetro, legno e ferro si trovavano sparpagliati un po’ ovunque, creando un vero e proprio cimitero architettonico.

Oltre a quello, Hildur scorse diversi muspell morti sotto le macerie, altri dilaniati da ferite esplosive – forse, dovute alle armi dei dokkalfar – e, altri ancora, squarciati dalle armi di ghiaccio degli jotun.

L’odore acre del fuoco artificiale creato dai nani oscuri ammorbava l’aria ma, almeno a una prima occhiata, i nemici erano passati senza lasciare nessuno a controllare le porte di Bifröst.

Da quella posizione privilegiata, Hildur poté udire anche i suoni di lotta provenire dal porto e, più in là, dalla città in fiamme ma, non potendo far altro che continuare nella sua missione, proseguì oltre, concedendo ai suoi protetti di passare.

Ilya gorgogliò irata nel vedere il totale sfacelo di quei luoghi e i corpi esamini stesi a terra ma Snorri, al suo fianco, la trattenne dall’avvicinarsi ai morti, così da non rischiare eventuali agguati imprevisti.

Non v’era tempo per la pietà, né per gli scatti d’ira. Il loro imperativo principale era raggiungere Midghardr e riunirsi con Sthiggar. Per tutto il resto, anche per l’umano struggimento, avrebbero dovuto attendere.

Muovendosi perciò tra le macerie fumanti, i corpi dei valorosi Guardiani che avevano difeso le Porte e ciò che era rimasto del passaggio distruttivo dei loro nemici, Hildur raggiunse finalmente il Portale di Midghardr.

Lì, sotto il suo sguardo sgomento e contrito, vide infine il Guardiano di Porta che aveva tatuato Sthiggar il giorno del suo esilio. Poggiato contro il portale chiuso e con una evidente ferita al torace, sembrava sul punto di cedere e il suo respiro affannato era un chiaro indice di quanto fosse vicino alla fine.

Non avrebbe vissuto ancora per molto; i rivoli di sangue e schiuma che uscivano dalla sua bocca glielo confermavano senza ombra di dubbio.

Bloccata l’avanzata dei suoi protetti, la guerriera si avvicinò quindi all’uomo morente e, con sguardo tenero, sfiorò quel viso pallido e stanco e mormorò: “Dimmi, buon guardiano, qualcuno si è recato a Midghardr?”

“H-hanno r-rubato una C-CercaFiamma” gorgogliò l’uomo, indicando poi con un cenno del capo il suo pennino spezzato e le altre CercaFiamme – distrutte – sparse sul pavimento.

Accigliandosi nel vedere il pennino ridotto a brandelli – l’unico oggetto in grado di liberare Sthiggar dal giogo della magia che lo teneva bloccato su Midghardr – Hildur strinse i denti ma disse ancora: “Hai fatto ciò che hai potuto, con quello che ci era concesso sapere. Nessun guerriero avrebbe potuto essere più coraggioso di te, e il re lo saprà per bocca mia.”

“E mia” soggiunse la regina, accucciandosi accanto all’uomo, che boccheggiò nel vederla.

“M-mia r-regina” annaspò il guardiano, cercando di alzarsi.

La regina, però, gli carezzò gentilmente il viso, scosse il capo e replicò: “Riposa, mio buon guardiano, e sappi che il tuo sacrificio non sarà stato fatto invano. Libereremo Muspellheimr dagli invasori, in un modo o nell’altro.”

L’uomo mosse appena il capo per annuire e, nel muovere febbrilmente una mano in direzione di una delle tasche della tunica, mormorò stanco: “Una C-CercaFiamma. L’ho s-salvata p-prima che le distruggessero t-tutte.”

Hildur prese la sua mano nelle proprie, chinò il capo per sfiorare con la fronte quelle dita lorde di sangue e, benedicente, disse: “Sól ti guiderà nel cammino verso il Valhalla, il luogo più puro e limpido di Helheimr. Di questo sono sicura.”

A questo punto, Snorri si inginocchiò accanto a loro, sfiorò con indice e medio la fronte dell’uomo e, salmodiando una preghiera mentre Hildur prendeva per sé la CercaFiamma, mormorò roco ma con voce controllata: “Sii benedetto, figlio di Muspellheimr. La tua anima immortale assurgerà al regno degli eroi e la tua vita sarà cantata nei secoli a venire.”

Con un ultimo gorgoglio, il guardiano mormorò un inno al re e Hildur, nello stringere tra le dita la CercaFiamma, un semplice oggetto tondeggiante e ricoperto di perle opalescenti, dichiarò: “Ammazzerò fino all’ultimo jotun che mi capiterà a tiro. Ma ora dobbiamo andare. Non sappiamo quanto tempo abbia ancora  a disposizione Sthiggar. Se gli jotun sono andati su Midghardr, vuol dire che è ancora vivo, perciò abbiamo speranza di trovarlo prima di loro.”

I suoi due protetti assentirono nel rialzarsi e, dopo un’ultima occhiata al guardiano ormai morto, si avviarono con la guerriera attraverso la porta che conduceva a Midghardr.

“Cosa pensi faranno, se raggiungeranno Sthiggar prima di noi?” domandò preoccupato Snorri, oltrepassando il ponte di Bifröst a occhi socchiusi, quasi accecato dal lampo giallo che li investì al loro arrivo.

“Sicuramente, avranno un mago liòsalfar in grado di annullare il blocco sul braccio di Sthiggar e imbrigliare la sua anima per soggiogarlo ai loro voleri” gli spiegò Hildur, indicando loro un’intricata scalinata che conduceva verso l’alto. “Era uno dei nostri timori e, visto ciò che hanno fatto, diventa più reale a ogni minuto che passa.”

“E la CercaFiamma, come funziona? Non li condurrà agli altri detenuti?” domandò Ilya, in ansia. “Sono pur sempre figli di Muspell.”

“No, mia regina. Ogni firma è peculiare e, se hanno preso con loro le CercaFiamma, non solo sapevano della loro esistenza, ma sapranno anche come usarle e regolarle sul tratto energetico di Sthiggar” borbottò Hildur. “Se solo sapessi chi è il delatore, lo avrei già sgozzato.”

“Io, invece, farò installare qualcosa di più comodo di queste interminabili scale. Non ne posso davvero più” sbuffò la regina, accennando poi un sorrisino teso a Hildur.

“Vi capisco, regina Ilya. Sono davvero noiose” assentì la guerriera, accelerando il passo al pari dei suoi protetti.

Non avevano idea di quando si fossero mossi gli jotun che erano partiti alla volta di Midghardr ma, di sicuro, non potevano perdere tempo alcuno.

Sthiggar era solo e senza poteri, nel mondo degli uomini e, contro un contingente jotun, sarebbe sicuramente stato catturato, se non fossero arrivati in tempo.

 

 

1: Jormungandr: fratello di Fenrir. E’ il demone-serpente che, nel mito, circonda la Terra e che, alla fine dei tempi, divorerà tutti.

I liòsalfar, invece, sono in generale gli elfi – sia chiari che scuri – che hanno peculiari doti magiche e possono, all’occorrenza, irretire anche guerrieri del calibro di Sthiggar, se presi nel loro momento di maggiore debolezza.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Cap. 18

 

 

 

Dopo aver abbandonato in un vecchio fienile fatiscente l’auto di Ragnhild, il gruppo di Sthiggar si era immerso nella taiga per sfuggire agli occhi indiscreti delle persone, e a quelli ancor più pericolosi dei berserkir.

Boris non l’aveva ancora contattata per darle notizie di suo padre, ma Ragnhild non poteva basarsi solo su quello, per essere certa di non avere decine di uomini-orso alle calcagna.

Inoltre, ora che si trovavano nel bosco, la linea era quasi sempre assente, perciò la giovane non poteva essere certa che il cugino non l’avesse cercata per avvertirla di un eventuale pericolo.

La mossa più saggia era ripararsi e, nel contempo, avvicinarsi il più possibile al confine, sperando poi di trovare un luogo in cui chiamare i loro potenziali salvatori.

Non poteva fidarsi di suo padre, perciò doveva credere che li avrebbe attaccati al primo momento utile.

Se avesse instillato nei loro guerrieri la bersersgangr con il solo scopo di ritrovare Mattias, nulla li avrebbe fermati fino a compimento della missione, e un berserkir invaso dall’ira era quanto di più spaventoso lei conoscesse.

Tolti gli jotun che li avevano attaccati, ovviamente.

Quello che però, al momento, la preoccupava in misura maggiore, era non riuscire a trovare uno straccio di segnale per il suo cellulare.

Camminare così addentro nel bosco comportava, inevitabilmente, qualche problema tecnico, problema che le impediva di mettersi in contatto con la persona con cui aveva così disperato bisogno di parlare.

Inoltre, cosa non meno importante, l’idea che Sthiggar dovesse partire per Muspellheimr e, presumibilmente, per una guerra, non le solleticava di certo l’animo.

Era difficile ammettere che una persona che conosceva da così poco tempo potesse essere riuscita a scavare talmente a fondo dentro di lei, eppure era successo.

Faticava a sopportare il solo pensiero che lui se ne andasse, che lei non potesse più parlare con l’unica persona, tolto suo fratello, che sembrasse aver compreso davvero chi fosse.

Non poteva però impedirgli di correre a proteggere il suo re e, più di ogni altra cosa, non poteva obbligarlo a rimanere solo perché lei, diversamente, si sarebbe sentita sola.

Soltanto perché il suo cuore si sarebbe spezzato in due, tagliato dalla mannaia dell’amor perduto.

Sarebbe stato tremendamente ingiusto, oltre che egoistico.

Non poteva però impedirsi di soffrire al pensiero di non poterlo conoscere meglio, di non ascoltare più il suono della sua voce, o il tepore della sua aura. Tutto questo le stava scavando un solco sempre più profondo nel cuore, e non riusciva a trovare un modo per impedirlo.

“Ehi, sorellina… sorellina…” la richiamò a lungo Mattias.

Riprendendosi solo a stento, Ragnhild si volse a mezzo per rispondergli ma, tanta era la sua distrazione, la giovane urtò contro una pianta, finendo con l’imprecare in mezzo a rami d’abete e alle risate del fratello.

Mattias non riuscì a non ridere di fronte a quella scena tragicomica e Ragnhild, esplodendo in una furiosa sequela di insulti – sentendosi al contempo un’idiota patentata – lo mandò a quel paese prima di allontanarsi a grandi passi.

Sthiggar osservò l’intera scena senza saper bene cosa dire mentre Thrym, dando una pacca sulla spalla a Mattias, mormorava: “Lasciala stare, piccoletto. Ha fin troppi pensieri per la mente.”

“Scusa, ma non ce l’ho proprio fatta” esalò Mattias, tergendosi lacrime d’ilarità. “E’ così turbata dalla verità da non stare attenta a dove mette i piedi.”

Thrym levò un sopracciglio per il dubbio, di fronte a quella risposta apparentemente senza senso e Sthiggar, nel sospirare, borbottò: “E’ Urd che parla. Ma non cambia la sostanza delle cose. Ragnhild non ha bisogno di ulteriori problemi.”

Ciò detto, rincorse la giovane perché non rimanesse da sola col proprio imbarazzo e i propri pensieri funesti e Flyka, nel poggiarsi contro il tronco morto di un abete, scrutò Mattias e domandò: “Tu sai più di quanto ci dici, vero, ragazzino?”

“Non mi è ancora concesso parlare, mi spiace. Ma loro due devono viaggiare assieme, checché ne pensi mia sorella” si limitò a dire Mattias, tornando serio.

Flyka assentì pensierosa, ma disse: “Questo viaggio li farà soffrire entrambi. Poco ma sicuro.”

***

Avvicinandosi ulteriormente a Ragnhild, che stava borbottando insulti all’indirizzo del mondo intero, Sthiggar le avvolse le spalle con un braccio e, conciliante, disse: “E dire che dovresti essere più esperta di me, in merito alla lingua lunga di tuo fratello. O non è così che succede, quando si ha un fratellino piccolo? Scusa, ma non sono molto ferrato in materia.”

“Non lo sopporto quando mi prende in giro. Lo sa che sono suscettibile, eppure a volte proprio non riesce a frenare la lingua. Sono appena stata bandita dal nostro clan, ci inseguono dei pazzi furiosi che vogliono farti la pelle e non sono ancora riuscita a parlare con Magnus, il guardiano di Odino. Direi che ne ho di motivi per essere distratta e incazzata!” sbottò Ragnhild, guardando furiosa la totale mancanza di segnale del suo cellulare.

Lui accentuò appena la stretta e aumentò un poco la sua aura perché anche lei potesse avvertirla e, immediatamente, Ragnhild si chetò. Quel calore benefico sembrava essere la risposta ai suoi malumori e, ciò che era successo solo poche ore prima, pareva avergli dato la conferma anche su altre cose.

Suo malgrado, Sthiggar aveva notato altro, oltre alla reazione di Ragnhild al tocco della sua aura.

"Ragnhild, cosa succede realmente?" domandò Sthiggar, avvertendo chiaramente il suo irrigidimento.

"E se io volessi qualcosa a qualsiasi costo, e non volessi perdere tutto ciò per nessun motivo perché... perché sento che mi appartiene, anche se non so bene perché?" domandò lei reclinando il viso e mordendosi il labbro inferiore dall'ansia.

Non sapeva cosa provava, sapeva soltanto che, più si avvicinavano alla partenza di Sthiggar, più sentiva il cuore trafitto da mille lame e, il solo pensare ai perché di quel dolore immane, la faceva sentire a disagio.

Poteva davvero credere di provare qualcosa per lui, visto che non si conoscevano da molto? Poteva, il tempo, essere un concetto aleatorio, se si trovava la persona che faceva risuonare la propria anima come uno strumento ben accordato?

Oppure, si era lasciata blandire dalla sua bellezza e dal fatto che lui era tutto ciò che non erano mai stati i membri del suo clan?

Detestava così tanto la sua genia da voler allontanarsi il più possibile con il primo venuto, foss'anche bello ed educato com'era Sthiggar? O c'era qualcosa di più?

Sospirando, Sthiggar le prese entrambe le mani e, nell'osservare i raggi di sole che, sempre più fitti, penetravano nella taiga che stavano attraversando, ammise: "Quando giunsi qui ero distrutto, confuso, sperduto. Detestavo il freddo che sentivo dentro e odiavo il fatto di non essere più me stesso. E' demoralizzante ammetterlo, ma l'essere una Fiamma Viva mi ha fatto sentire ... speciale. Stando qui, invece, ero solo l'ombra di me stesso, e non capivo chi mi avesse messo in questo guaio colossale, perciò l'angoscia si mescolava alla rabbia in un loop senza fine che mi stava velocemente portando alla pazzia. Ma poi ho incontrato te e Mattias."

"E quindi?" mugugnò lei, ostinandosi a non guardarlo in volto.

"Il fatto che tu e Mattias foste speciali e, al tempo stesso, integrati nel tessuto societario umano, mi ha fatto sentire meno solo. Sarà paradossale, forse un tantino infantile, ma è così. Anche per questo ho accettato di essere il tuo Campione. Ho visto un'opportunità di sentirmi utile in qualche modo e, al tempo stesso, di sentirmi meno spaesato in questo mondo che non conoscevo. Potevo essere del tutto onesto con qualcuno che era anche del posto."

"Perché tu ami la verità" assentì lei in un mormorio.

"Esatto. Parlare con te, ascoltare ciò che avevi da dirmi su Midghardr, su ciò che vedevo e non capivo, mi ha fatto sentire meglio, e la mancanza dell'aura ha cominciato a essere un problema sempre minore. Riuscivo a lavorare, a fare cose senza di essa e ho iniziato a essere più consapevole di me stesso, di me come persona senza il mio potere."

"Ti eri convinto di essere solo questo? Forza e potere?" replicò Ragnhild, così sorpresa da quell'ammissione da tornare a sollevare il viso per guardarlo.

Negli occhi di lapislazzulo di Sthiggar la giovane lesse solo verità e, spiacente per lui, aggiunse: "Davvero credevi che le persone vedessero solo questo, in te?"

"Molte di esse, sì, e questo ha scatenato invariabilmente gelosie e solitudine. Solo poche persone mi hanno visto per quello che ero ma è stato venendo qui, stando con te, che anch'io mi sono reso conto di valere anche per qualcosa che non fosse la Fiamma Viva" dichiarò lui, carezzandole il viso con delicatezza.

"Cosa?" esalò lei, incatenata al suo sguardo.

"Non so cosa mi stia passando per la testa, né se sia giusto provare quello che sto provando, ma sto bene con te, e il desiderio di tornare a casa per proteggere il mio re è pari a quello che ho di rimanere qui e parlare ancora con te, ascoltare la tua voce, provocare in te una qualsiasi reazione" disse lui con semplicità. "Non sono avvezzo a queste cose, Ragnhild. Ho passato gli ultimi cinquant'anni in mezzo a fango, roccia e spade, e prima ero troppo sciocco e superficiale per capire realmente i sentimenti delle persone. Ora, non so bene come comportarmi, ma so questo. Mi mancherai, mi mancherai più di quanto io possa dire a parole, e so che allontanarmi da te mi costerà moltissimo."

"Perché hai dovuto dirmelo?" chiese allora lei, sentendo montare le lacrime che non voleva assolutamente versare.

"Perché mentirti sarebbe stato peggio. Dirti che non conti nulla, per me, sarebbe stato sbagliato, perché non è così" mormorò Sthiggar. "So ciò che c'è da sapere, su di te, e quel che so mi piace. Mi dà pace... e tu ben sai quanto io l'abbia sempre agognata."

"Sì, lo so" mormorò Ragnhild, ingabbiata dai suoi magnetici occhi di lapislazzulo.

"Il primo sonno tranquillo che io abbia mai dormito da che ho memoria, l'ho avuto con te al fianco, Ragnhild. Vorrà pur dire qualcosa, no?" ammise a quel punto lui, facendola sobbalzare per la sorpresa.

“Unirmi a te, sentire l’odore della tua pelle, la morbidezza dei tuoi baci, mi ha fatto dimenticare chi ero, mi ha fatto desiderare di essere una persona diversa. Una persona che andasse bene per te” aggiunse lui, sfiorandole le labbra con un bacio.

Lei accettò quel tocco, bramandolo come si brama l’aria stessa e, nell’aggrapparsi a lui, seppe di non aver scampo alcuno. Non soltanto Sthiggar si sarebbe sentito malissimo, alla sua partenza.

"Farò ciò che devo fare, dopodiché tornerò qui per te e scoprirò se quello che sento è reale o se è solo il frutto di un tuo meraviglioso incantesimo, va bene?" le propose a quel punto lui, sorridendole.

"No" replicò però a sorpresa lei, facendolo sobbalzare.

"Perché? E' dunque diverso, quello che senti tu?" domandò lui turbato, facendo l'atto di allontanarsi da Ragnhild.

Lei però lo trattenne, fece forza sulla mano che ancora stringeva la sua e disse con veemenza: "Non è questo. Non voglio che torni qui perché qui soffriresti sempre, anche se ora sei in grado in una certa misura di usare l'aura. Credi che non mi accorga della fatica che fai, ogni volta che la utilizzi? La Terra non è Muspellheimr. Tu sei fatto per stare , non qui e, per quanto io detesti dirtelo, devi andare via."

"Lo detesti?" ripeté lui, sorridendo appena.

Ragnhild assentì, ammettendo finalmente ad alta voce: "Pensavo ci volesse di più per capire di volere qualcuno al fianco, ma tu... tu mi completi. Riempi i buchi che mi danno dolore e, al tempo stesso, non ne crei altri."

Sthiggar inclinò il capo per scrutarla con affetto e disse: "Potrei fare come Gunther. Chiudere i centri di accesso all'aura per non sentire più il richiamo del potere. Diverrei un comune umano e vivrei qui con te."

"No" disse ancora lei, scuotendo furiosamente il capo. "Dio! Sarebbe come squarciare con un coltello la Monna Lisa!"

"In che senso?" esalò lui, sobbalzando.

"Sthigg, tu sei speciale, non solo perché sei la Fiamma Viva, voglio chiarirlo subito, ma non possiamo nascondere che tu lo sia. Lo porti inciso sulla pelle, per Dio! Io ho toccato quelle fiamme!" sbottò a quel punto Ragnhild.

"Oh, lo so. C'ero anch'io quando le hai toccate" sorrise allora malizioso lui, facendola sbuffare.

"Piantala. Non cambiare atteggiamento per fuorviarmi" lo rimproverò Ragnhild, dandogli un colpetto con la mano libera prima di accorgersi di cosa aveva appena fatto Sthiggar. "Ed ecco che ci risiamo. Vedi?"

"Vedere cosa? Te? Sì, gli occhi mi funzionano ancora bene, te lo assicuro" celiò lui.

Lei lo fissò esasperata prima di dire: "Ero triste e confusa, e tu mi hai trascinata via dalla melma in cui stavo cadendo sempre di più. Lo fai fin da quando ci siamo conosciuti e, più mi conoscevi, più ti impegnavi nel farlo. Non so se lo fanno tutti i muspell, ma tu sei speciale anche per questo. Per me sei speciale. Io ti dono pace? Beh, tu la doni a me, Sthiggar, ed è per questo che non voglio che tu cambi di una virgola. Sarebbe come deturpare un'opera d'arte!"

"Beh, non mi hanno mai dato dell'opera d'arte" sorrise a quel punto lui. "Ma ho capito cosa intendi dire, e ti ringrazio. Il problema, però, rimane."

"Non se io vengo con te" buttò allora lì Ragnhild, sorprendendolo.

"Come? Ma..." tentennò lui, lanciando un'occhiata al gruppetto poco lontano ma che, con pazienza, stava attendendo il loro ritorno. "... e tuo fratello? Lo abbandoneresti così?"

"Sarebbe doloroso, straziante, ma non sarebbe un addio definitivo, visto che esistono portali che conducono qui, no?" replicò lei.

"Ragnhild, te l’ho già detto. Muspellheimr ha temperature troppo alte perché tu possa pensare di sopravvivere a esse” le rammentò a quel punto il giovane muspell, sorridendo spiacente.

Lei si morse un labbro, dubbiosa, e mormorò turbata: "Nessun posto andrebbe bene, per me?"

Sospirando, lui ammise: "Beh, esistono posti un poco più freschi e si trovano ai poli, ma sono disabitati. Davvero accetteresti di rimanere lì, e solo per stare con me? Davvero ti accontenteresti di vivere lì con me, senza alcun altro se non noi due?"

Lo sconforto si abbatté su Ragnhild che, rabbiosa, strappò la mano da quella di Sthiggar e iniziò a tempestarlo di pugni sul torace, sibilando in preda al pianto: "Perché? Perché hai dovuto venire proprio qui? Perché ti ho incontrato, se ora ti devo perdere?!"

Sthigg la lasciò fare per qualche attimo prima di avvolgerla tra le braccia, calmarne la rabbia e mormorare contro i suoi capelli: "Pensi che anch'io non provi rabbia? Ma te l'ho detto. Una soluzione c'è, e io rinuncerò ai miei poteri per stare con te. Sempre che tu possa accettarmi freddo come un ghiacciolo e perennemente alla ricerca di una stufetta."

Lei rise tra le lacrime, assentì contro di lui e replicò: "Ti accetterei sempre, ma non è giusto. Non è giusto per te."

"Lascia decidere a me, ciò che ritengo giusto per me stesso. Proprio come tu hai fatto con tuo padre" le sussurrò lui, sollevandole il capo per poi baciarla.

Ragnhild gli avvolse le braccia attorno al collo e, dentro di sé e attorno a sé, avvertì la fiamma di Sthiggar farsi più forte, più avvolgente, più potente che mai.

Il rimorso tornò inevitabile e, pur accogliendo tutto ciò che Sthiggar le stava donando, prese la sua decisione. Avrebbe chiesto a Odino di impedirgli di tornare, qualsiasi fosse stato il prezzo da pagare.

Sthiggar non poteva e non doveva rinunciare a tutto questo per lei. Non glielo avrebbe mai permesso.

Fu solo quando lo sentì irrigidirsi, che capì che qualcosa non andava.

Scostandosi mentre lui la sospingeva contro un albero, facendole poi da scudo col proprio corpo, lei mormorò: "Che succede?"

"Non so come, ma ci hanno trovati. Gli jotun" le disse lui, richiamando a sé l'aura.

Non era ancora in grado di controllarla a dovere, e le correnti contrastanti del pianeta non gli rendevano di certo facile il compito, ma doveva difendere Ragnhild e gli altri a qualunque costo.

La giovane, nel frattempo, armeggiò con i suoi stivaletti, estrasse un coltello e lo passò a un sorpreso Sthiggar, dicendo: "Una berserkr non esce mai senza essere armata, ricordalo."

"Lo farò" assentì lui con un sorriso, le narici che prudevano a causa dell'odore sempre più pungente  proveniente dai nemici.

Giganti di Ghiaccio e Giganti di Fuoco non sarebbero mai andati d'accordo, e l'odore terribile che percepivano reciprocamente era uno dei motivi di tanta inimicizia.

Poteva però tornare dannatamente utile, in uno scontro dove era quasi impossibile vedere per tempo il nemico. Combattere in una taiga non era il massimo, ma tanto avevano perciò, dopo aver lanciato un’occhiata di avvertimento a Thrym che, in lontananza, sembrava aver colto a sua volta il pericolo, si accucciò assieme a Ragnhild e attese l’inevitabile.

Di colpo, e nel momento stesso in cui udì Thrym gridare un possente 'dannato ghiacciolo dei miei stivali!', Sthiggar si scostò sulla destra mentre spingeva a terra Ragnhild. A quel punto, lanciò il suo grido di battaglia e si gettò su un altro jotun scatenando la sua aura.

Il colpo, però, fu del tutto fuori scala e letteralmente mandò in fumo il nemico e una decina di alberi, lasciando Sthiggar quasi senza fiato e con le mani tremanti, quasi incontrollabili.

"Merda!" sbottò lui, poggiando le mani sulle cosce per riprendere fiato e controllo di sé.

"Maledizione, Sthigg! Volevi incenerire mezza taiga?!" esplose Ragnhild, raggiungendolo di corsa mentre, a poca distanza, gli jotun si stavano avvicinando loro e agli altri.

Sthiggar la guardò con occhi accecati dal furore, il fiato corto e gli arti tremanti e, nell'afferrare la mano che Ragnhild gli allungò, esalò: "Non... non pensavo che gestirla in azione fosse così dannatamente difficile. Ma ora dobbiamo pensare agli altri."

"Pensa a noi, prima!" strillò lei, sollevando la mano libera per indicargli un secondo nemico, che li stava caricando al pari di un panzer.

Sthigg allora si concentrò sul pugnale che teneva in mano, lo fece diventare rovente e pugnalò lo jotun, che indietreggiò sorpreso e sgomento, esalando: "Non puoi... non puoi usare l'aura, qui!"

"Beh, a quanto pare ci sbagliavamo tutti" ghignò lui, stringendo maggiormente la mano di Ragnhild per poi avventarsi sul nemico.

La giovane lo seguì in quell'assalto e, per lo jotun, non vi fu scampo. Impreparato a subire un attacco da un muspell in grado di usare i suoi poteri, non riuscì a racimolare le energie necessarie per difendersi in alcun modo.

Ansimando per la sorpresa, Sthiggar si concesse un attimo per sorridere a Ragnhild, che appariva sconcertata al pari suo, ma le urla dei loro amici non concesse loro il tempo di pensare a ciò che era successo.

Correndo verso il trio, scavalcarono cespugli e rocce sempre tenendosi per mano e, solo all'ultimo, Ragnhild lasciò le dita di Sthiggar perché si lanciasse contro i nemici.

Fu in quel momento che Mattias la raggiunse, trafelato e con occhi leggermente sgranati a causa dell'adrenalina che gli scorreva nel sangue e lei, stringendolo a sé mentre osservava la battaglia, esalò: "Come stai, fratellino?"

"Bene. Thrym mi ha protetto senza problemi. E' un potente guerriero anche senza poteri" dichiarò lui, sorridendole. "Tu come stai?"

"Te lo dirò a breve" gracchiò la sorella, scostandosi in fretta quando uno jotun si lanciò contro di loro.

Sthiggar fu subito al loro fianco – gli avversari di Thrym e Flyka già debitamente eliminati – e, nel lanciare il coltello a Ragnhild, esclamò: "Proviamo ancora!"

Lei assentì con coraggio, gli afferrò una mano e Sthigg, nel sollevare quella libera, si concentrò sul nemico per convogliare la sua fiamma solo contro di lui.

Il colpo andò a segno senza procurare danni alla foresta e, solo un poco ansimante, Sthiggar si volse sorpreso e affascinato all'indirizzo di Ragnhild che, eccitata, esalò: "Wow... meglio di un bazooka."

"Ehi, mister lanciafiamme! Qui c'è di nuovo bisogno di te!" gridò a gran voce Thrym, tirando un destro in pieno volto all’ennesimo jotun  giunto contro di loro e che, imperturbabile, non demorse e tornò all'attacco.

Non vi fu bisogno di nessun intervento da parte di Sthiggar, però.

In un lampo improvviso, tre figure apparvero nel bel mezzo della battaglia e una lama lucente si scagliò sugli impreparati jotun che, uno dopo l'altro, caddero vittime dell'arma muspell.

Fu solo quando la calma tornò sul campo, che Sthiggar capì chi fosse il misterioso guerriero giunto in loro aiuto.

Quando Hildur rinfoderò l'arma magica nel suo fodero, Sthiggar la fissò sgomento e sollevato al tempo stesso, prima di rendersi conto della presenza di due persone del tutto improbabili al fianco della cugina.

La regina Ilya e Snorri, suo padre, si tenevano a debita distanza dagli jotun morti, apparentemente storditi ma sani e salvi.

"Padre..." mormorò a quel punto Sthiggar, muovendo un passo verso di lui.

Fu però la regina a muoversi per prima. Corse verso il giovane sorprendendo tutti i presenti e, gettandosi tra le sue braccia, esclamò: "Ti prego, Sthiggar, salva mio marito!"

Stringendola a sé mentre Ragnhild lo fissava con espressione inquisitoria, Sthiggar carezzò gentilmente la schiena tremante della regina, mormorando: "Stavo giustappunto tentando di tornare, mia regina. Ma voi, perché siete qui? Cos'è successo, su Muspellheimr?"

Hildur prese la parola mentre Ilya, ancora tremante e in lacrime, si teneva stretta a Sthiggar e, dopo aver scrutato l'eterogeneo gruppo che li stava squadrando con espressioni tra lo sconcertato e il dubbioso, disse: "Siamo stati attaccati, e temevamo che gli jotun sarebbero venuti qui per rapirti e condurti da un mago liòsalfar per sottometterti alla loro volontà ma, a quanto pare, non abbiamo tenuto conto della tua unicità."

Nel dirlo, fissò con aria inquisitoria il leggero alone dorato che Sthiggar stava ancora emanando. Quasi inconsciamente, Sthigg cercò la mano di Ragnhild e, subito, lei lo accontentò, aiutandolo a gestire l'aura perché questa tornasse sotto controllo.

Il gesto non passò inosservato a Hildur che, accigliandosi un poco, borbottò: "Un catalizzatore?"

Sthiggar fece per domandarle spiegazioni ma Snorri, dopo essersi avvicinato al figlio, lo abbracciò a sua volta, mormorando: "Sono così felice di saperti vivo!"

"Anch'io sono felice di vederti, padre" mormorò commosso Sthiggar mentre Snorri, scostandosi dal figlio, sorrideva gentilmente a Ragnhild.

"Grazie per aver permesso a mio figlio di gestire la Fiamma" disse quindi Snorri, stringendo la mano libera di Ragnhild con espressione commossa.

"Come?" esalarono in coro i due diretti interessati.

Un bip improvviso interruppe qualsiasi spiegazione e Ragnhild, in fretta, afferrò il suo cellulare dalla tasca per poi dire eccitata: "C'è campo!"

"Bene, per tutti gli dèi! Chiama subito il tuo amico Odino, prima che ci si avventino contro anche gli zombie di The Walking dead!" sbottò a quel punto Thrym, guardando disgustato il corpo in liquefazione di uno jotun.

"Che cosa?!" esclamarono quasi in coro i nuovi venuti, mentre Hildur sguainava spontaneamente la spada al solo sentir nominare il loro futuro nemico.

"Non osare farlo, umana, se non vuoi che ti tagli la mano con cui ancora stai toccando mio cugino" ringhiò furiosa Hildur, avvicinandosi minacciosa.

Sthiggar agì d'istinto e, scostando gentilmente la regina e suo padre per fare da scudo a Ragnhild - perplessa da quella reazione del tutto inaspettata da parte della muspell - sibilò furente: "Non un solo passo, Hildur, o giuro che ti pentirai di ciò che hai detto."

Aggrappandosi a Sthiggar al pari di Mattias, Ragnhild mormorò quindi turbata: "E' quella, tua cugina?"

"Già. Lei è Hildur e, come avrai capito, lui è mio padre Snorri, mentre la signora mora è la mia regina, Ilya" celiò lui, scrollando una spalla.

"Le hai parlato di noi?!" sbottò a quel punto Hildur. "A degli umani?!"

"Ehi, dico!" sbottò Ragnhild, accigliandosi immediatamente mentre Mattias nascondeva il viso nel maglione di Sthiggar. "Offendi qualcun altro, valchiria!"

"Non sono una valchiria, ma una Fiamma Nera di re Surtr!" ringhiò per contro Hildur.

Ilya si passò una mano sul volto con espressione esasperata, sfiorò un braccio di Sthiggar per chetarlo e, con tono conciliante, disse: "Ora ci calmiamo tutti, per favore, e vediamo di chiarire la situazione, va bene?"

"Sì, mia regina" mormorò subito ossequioso Sthiggar mentre Hildur, seppur a fatica, tornò a inguainare l'arma e acconsentire a sua volta all’ordine della sovrana.

"Detto da quello che dice di non avere una cotta per la propria regina" si lasciò sfuggire Ragnhild con tono ironico, subito guardata storta da Sthiggar.

A quel commento, Ilya sorrise divertita alla giovane berserkr, replicando: "Oh, tesorino caro, se avessi qualche migliaio d'anni in meno, sarei felicissima di avere un simile pretendente, ma non è questo il caso. Il piccolo Sthiggar è solo come un figlio, per me."

"Vostro figlio minore è al sicuro, maestà?" domandò a quel punto Sthiggar, preoccupato.

"Trasferito d'imperio al mare su ordine di Surtr" sbuffò a quel punto la regina. "Se solo mi avesse spiegato perché, mi sarei arrabbiata molto meno ma, stando così le cose, posso capirlo. Ora, però, vorrei sapere perché voi fanciulli volete chiamare Occhiosolo... e perché, soprattutto, pensate di poterlo fare. E' spirito da eoni, ormai."

"A questo posso rispondere io, maestà" intervenne Ragnhild, arrischiandosi a scostarsi appena da Sthiggar per poter guardare la regina. "Lo spirito di Odino risiede nel corpo di un berserkr, e berserkir siamo io e mio fratello."

Proseguendo dopo alcuni attimi di sincero e ovvio smarrimento da parte dei nuovi venuti, la giovane ammise: "Sthiggar ci ha detto che Odino sarà il vostro nemico, durante Ragnarök ma, visto e considerato che - spero - siamo ben lungi dall'essere a quel punto, abbiamo ritenuto che fosse l'unico in grado di riportare lui e i suoi compagni a Muspellheimr."

Ilya, allora, scrutò dubbiosa i due muspell facenti parte della spedizione prima di accigliarsi e dire atona: "Ah. Voi."

Flyka e Thrym ebbero la decenza di arrossire e inchinarsi, ma Sthiggar intervenne dicendo: "Mi hanno difeso durante il primo assalto, avvenuto più o meno trenta ore fa."

Ilya soppesò quell'informazione, carezzò la guancia di Sthiggar e mormorò: "E tu ti fidi di loro, caro?"

"Sì" assentì senza alcun problema lui, annuendo all'indirizzo dei suoi compagni di avventura.

"Raccomandato" sussurrò piano Ragnhild all'indirizzo di Sthiggar, che ghignò in risposta.

"E così, ti sei accompagnato a dei berserkir, cugino" borbottò Hildur, avvicinandosi a lui prima di abbracciarlo e, più gentilmente, esalare: "Ero spaventata a morte, nel giungere qui."

"Posso immaginarlo" chiosò lui prima di scostarsi e dirle: "Ora, però, scusati con Ragnhild. L'hai offesa a morte, prima."

Notando come, ancora, si tenessero per mano e come, a tutti gli effetti, non solo l'aura di Sthiggar fosse pienamente sotto controllo, ma anche piuttosto forte, sospirò e disse: "Mi scuso con te, Ragnhild. Il nome di Odino non suscita in noi gradevoli pensieri, ma avrei dovuto sapere che mio cugino non sarebbe stato così sciocco da accompagnarsi a persone meno che fidate."

"E' tutta una situazione assurda, perciò non fa nulla" scrollò le spalle lei prima di domandare a Sthiggar: "Come stai, ora? Mollo la presa?"

"Proviamo" acconsentì lui. 

Il flusso tornò irregolare ma, tutto sommato, sopportabile. Annuendo quindi alla giovane, disse: "Chiama Odino, mentre io discorro con mia cugina in merito a questa... novità."
"Okay" assentì la giovane, armeggiando con il suo cellulare mentre i due muspell si allontanavano di qualche passo dal gruppo.

"Ebbene?" sollevò le mani Sthiggar, in attesa di risposte.

"La ragazza potrebbe essere un catalizzatore. Il tuo catalizzatore, per la precisione" sospirò Hildur, lanciando un'occhiata dubbia a Ragnhild. "Non so molto bene come funzionano le Fiamme Vive perché, ehi, guarda caso siete solo in due, al momento, a essere tali, perciò scusa se mi arrampico sugli specchi."

"Perché sei così irritata?" le domandò a quel punto lui, confuso.

Hildur allora sbottò, lo strinse in un nuovo abbraccio e, contro di lui, disse: "Perché pensavo di arrivare tardi, invece non solo ti raggiungo in questo buco di mondo freddo come il peccato e tu sai usare la Fiamma Viva, ma sei anche circondato da uno stuolo di guardie del corpo!"

"E questo ti fa incazzare?" domandò ancora lui, sempre più sconcertato.

"No. Mi fa sentire un'idiota" sbottò Hildur, scostandosi dal cugino per carezzargli gentilmente una guancia. "Ho sempre avuto una paura folle che, a causa delle tue pazzie, non avrei potuto aiutarti e, quando finisti qui, per me fu un supplizio. Non potevo starti accanto, proteggerti come avevo sempre fatto."

Sthiggar le sorrise dolcemente, mormorando: "Mi hai sempre fatto da madre, e questo casino ti ha fatto sbarellare. Scusa."

Scrollando una spalla come se niente fosse, Hildur allora gli chiese: "Cosa è successo, tra te e la berserkr, se è lecito chiedere?"

"Beh, non sarebbe carino parlartene senza prima dirlo a lei. Ma tengo molto a Ragnhild, e abbiamo notato che riusciamo a chetare vicendevolmente i rispettivi animi. Pensi sia questo che le permette di aiutarmi?" le spiegò Sthiggar.

"Come dicevo, non ne so molto di Fiamme Vive ma..."

Interrompendosi quando Ragnhild si avvicinò dubbiosa a loro, Hildur domandò: "Cosa succede?"

"Beh, a quanto pare ci stavano aspettando."

 

N.d.A.: chi li sta aspettando, oltre ovviamente a Marcus?

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


 

Cap. 19

 

 

 

 

Tenendo dubbiosa in mano la scatoletta rettangolare che la berserkr aveva chiamato cellulare, la regina Ilya vi avvicinò il volto e disse scettica: "Sono Ilya di Hindarall, regina di Muspellheimr e Signora delle Fiamme."

"Niente meno che la fascinosa moglie di Surtr! Ma che piacere risentirti!" esclamò una voce conosciuta all'altro capo.

Aggrottando immediatamente la fronte, Ilya squadrò male il cellulare prima di proseguire nella conversazione e dire più sicura di sé: "Riconoscerei questa voce tra un milione, Occhiosolo. Cosa ti porta su questo remoto pianeta?"

"La compagnia squisita, direi. Non hai idea di chi io abbia trovato, quaggiù!" rise Odino, portandola a scuotere il capo per l'esasperazione.

C'era un motivo se muspell ed ӕsir non andavano propriamente d'accordo.

"Sei in grado di aiutare i miei figli a tornare su Muspellheimr senza che i loro corpi vengano distrutti dal veleno?" domandò a bruciapelo la regina, andando subito al punto.

"Piano, piano, mia cara. Prima dobbiamo trattare un po', o non godrò neppure un poco della tua squisita compagnia" dichiarò per contro Odino, prima che qualcuno lo obbligasse a cedergli il telefono.

Ancora, Ilya scostò il cellulare per guardarlo in malo modo e Sthiggar, dubbioso, le domandò: "Qualcosa non va?"

"Pare che stia litigando con qualcuno" borbottò lei prima di aggiungere: "E' sempre il solito fanfarone. I millenni non lo hanno cambiato."

Ragnhild e Mattias deglutirono impressionati, di fronte a quell'ultima affermazione e Sthiggar, nel guardare gli amici, sorrise spiacente e disse: "Difetti del sistema. Sai, quando si vive per tanto tempo..."

"Chiamalo difetto..." borbottò lei, scuotendo esasperata il capo.

Quando finalmente qualcuno riprese la conversazione, Ilya sentì un'altra voce familiare e, stavolta sorridendo, esclamò: "Oh, Fenrir caro! Ma cosa ci fai al fianco di quel mammalucco di Odino?!"

La risata piacente di Fenrir giunse fino a Ilya. Conciliante, quindi, disse: "Siamo più o meno arrivati a una tregua perciò, quando le sue sacerdotesse berserkir mi hanno avvisato della loro visione nel Sopramondo, sono venuto qui assieme alla mia famiglia per attendere la vostra venuta."

"Famiglia? Ti sei riunito alla tua genia, caro?"

"Direi di sì. Ma vorrei tranquillizzare Sól e Mani. I miei figli non hanno alcuna intenzione di dare loro la caccia, per ora."

"Il mio piccolo Sthiggar ne sarà felice, visto quanto tiene alla nonna" sorrise Ilya, strizzando l'occhio a un sorpreso Sthigg.

"Oh, abbiamo un giovane di stirpe divina che cammina tra noi? Buono a sapersi. Sarà per questo che le mie veggenti erano un po' sul piede di guerra" ironizzò Fenrir. "La giovane che ha chiamato ci ha accennato a un problema di interdizioni magiche, per cui verremo da voi nel più breve tempo possibile e troveremo il sistema di risolvere la cosa. Nessuno di noi vuole che si scateni il Ragnarök e, se jotun e dokkalfar hanno attaccato Surtr, non può essere un buon affare."

"Parole di pace che sgorgano dalla tua bellissima bocca diabolica, Fenrir? La tua umana ha davvero compiuto il miracolo più grande di tutti" sorrise Ilya. "Vi attenderemo qui, allora."

"Non tarderemo, promesso" terminò di dire Fenrir, chiudendo la chiamata.

Ilya, a quel punto, riconsegnò il cellulare a Ragnhild e, nel guardare Sthiggar, disse: "Fenrir mi ha garantito che i suoi figlioli non faranno nulla a Sól."

Annuendo, Sthigg dichiarò: "Fenrir può essere tante cose, ma è un dio di parola, non certo come suo padre. Lo accoglierò come un amico, promesso."

"Benissimo, caro" ciangottò Ilya, dandogli una carezza per poi guardarsi intorno e domandare: "C'è un posto in cui io mi possa accomodare senza sporcarmi i pantaloni?"

Subito, Thrym si tolse la giacca per coprire un tronco caduto e, mentre la regina si faceva accompagnare da Snorri per sistemarsi sotto le fronde di un abete, Ragnhild mormorò: "Ma sei sicuro che non sia lei ad avere una cotta per te?"

"Ilya è solo affettuosa" sospirò esasperato Sthiggar.

"Se lo dici tu..." ghignò Ragnhild, portandolo a sospirare con ancor maggiore enfasi.

***

Il cielo stellato brillava sopra di loro e un meteorite, nel solcare la calotta oscura e punteggiata di stelle, scintillò per un momento prima di svanire nell'atmosfera.

Sorridendo pensierosa, Ragnhild mormorò: "La nostra mitologia dice che le comete e le meteore sono scintille di Muspellheimr che cadono su Midghardr."

"Posso giurarti che non perdiamo pezzi in giro per il cosmo" replicò con un sorrisino Sthiggar, sdraiato al pari suo su una stuola, la mano sinistra stretta alla destra di lei.

Mattias, sdraiato accanto alla sorella, dormiva saporitamente e Ragnhild, nel sollevare le loro mani giunte, domandò: "Hildur, quindi, non sa esattamente cosa stiamo combinando?"

"Dice solo che potresti essere un catalizzatore, una sorta di persona in grado di aiutarmi a... mettere a fuoco le correnti di potere. Visto che siamo su Midghardr, il tuo corpo è sintonizzato su queste frequenze e, a rigor di logica, aiuta me a sintonizzarsi su di esse" mormorò lui, lanciandole uno sguardo dubbioso. "Non so se per te sia una cosa bella o brutta, ma a me fa piacere."

"In un qualche modo perverso, potrebbe anche spiegare perché siamo in grado di colmare i rispettivi vuoti, ma questo fa sembrare il resto solo una bugia" sospirò lei, sciogliendo la stretta per poggiare la mano in corrispondenza del proprio cuore. "Credi che questa mia capacità mi abbia indotto a credere cose false su di te?"

"Tipo questa?" mormorò lui, sollevandosi su un gomito per portarsi sopra di lei e baciarla.

Lei ansimò per un istante, apprezzando il suo tocco, dopodiché lo respinse gentilmente e borbottò: "Come minimo, ci stanno guardando tutti e rideranno di me non appena ve ne sarete andati."

"Posso assicurarti che dormono tutti della grossa. Dopo una giornata simile, chi vuoi che non abbia i nervi abbastanza a pezzi per dormire?" cercò di tranquillizzarla lui.

"E noi due?" si indicò Ragnhild prima di fissarlo con intenzione.

"Siamo speciali, lo abbiamo già appurato" le sorrise lui prima di tornare serio e ammettere: "Non credere che non ci abbia pensato, ma trovo assurdo credere di essere così manipolabile da non capire la differenza."

"Differenza tra cosa?"

"Tra il potere e l'affetto" replicò lui. "Sento che tu mi aiuti a gestire il potere che ho dentro di me ma, prima di scoprire che potevo usare la Fiamma anche qui, sentivo che tu e io, beh..."

"Il giorno in barca?" ipotizzò lei.

Annuendo, Sthiggar ammise: "La sera che sei venuta da me e abbiamo parlato e cenato assieme. Ero completamente assorbito da te, non pensavo ad altro che a te. Non esistevano i miei problemi, o Muspellheimr. Nulla. C'eri solo tu. E vorrà pur dire qualcosa."

"Beh, anche questo, in un modo assai perverso, potrebbe spiegare perché non volevo tornare a casa, quella notte" ammise lei, sorridendogli a mezzo.

Lui sorrise speranzoso e, nell'attirarla nel suo abbraccio, mormorò: "Mi permetterai di tornare da te?"

"No. Te l'ho già detto. Non voglio ridurti a una Monna Lisa stagliuzzata" brontolò lei, pur affondando il viso contro la sua spalla.

"Di tutte le opere eccelse che ci sono su questo mondo... mi paragoni al ritratto di una donna?" ironizzò a quel punto Sthiggar.

"Vorresti il David di Michelangelo?" gli propose allora lei con una punta di malizia.

"Beh, si attesta di più sui miei standard... più o meno" ironizzò lui, scrutandola con occhi fiammeggianti.

Dubbiosa, lei si sollevò a mezzo per squadrarlo dall'alto al basso e, accigliandosi, gli domandò: "In che senso, più o meno? Il David è un pezzo d'uomo!"

Sthiggar, allora, intrecciò le mani dietro la nuca con espressione truffaldina e replicò bonario: "Beh, non è abbastanza... dotato."

Inevitabilmente, gli occhi di Ragnhild corsero per un attimo al cavallo dei jeans di Sthiggar e, arrossendo copiosamente, lei li richiamò all'ordine per poi bofonchiare contrariata: "Oh, tu... non giocare su queste cose!"

"Non sto giocando. E' vero" sottolineò lui. "Sai che non mento mai. Inoltre, lo hai sperimentato  di persona, no?"

Avvampando come un cerino, Ragnhild tornò a sdraiarsi, scostò Mattias in modo tale da usarlo come separé tra lei e Sthiggar e, irritata, bofonchiò: "Ora sarà impossibile dormire. Grazie."

"Farai solo bei sogni" le promise lui sdraiandosi e, col braccio, avvolse sia il piccolo Mattias che Ragnhild. 

Ciò detto, sospirò e chiuse gli occhi, lasciando che le sue stesse parole lo conducessero la riposo tanto sperato.

***

Accucciata accanto a Sthiggar, l'aria sognante e gli occhi lucidi, la regina Ilya mosse una mano in direzione di Snorri, impegnato a sistemare la stuoia su cui aveva dormito, e mormorò eccitata: "Snorri, Snorri, vieni qui."

"Sì, mia regina" acconsentì l'uomo per poi notare cosa Ilya stesse ammirando con tanto interesse.

Sthiggar stava abbracciando il piccolo berserkr e la sorella come se, anche nel sonno, volesse proteggerli dal mondo intero e i loro volti, rilassati e sereni, erano specchio di questa certezza inconscia.

"Non sono carini?" cinguettò la regina, rialzandosi. 

"Credo di non averlo mai visto così sereno. Non posso dire per gli anni passati con Yothan ma, almeno con me, non è mai stato così pacifico e tranquillo" ammise Snorri, sorridendo.

Sthiggar scelse quel momento per risvegliarsi e, nel notare la coppia a pochi passi da lui, sorrise a mezzo e disse insonnolito: "Buongiorno. Vi godevate lo spettacolo?"

"Ho visto così tante brutture che, se posso approfittarne un po' per ritemprarmi, ben venga" replicò la regina, divenendo del tutto seria.

Sthiggar si alzò senza svegliare Mattias e Ragnhild e, nel poggiare una mano sulla spalla della regina, disse: "Vi prometto che non sarete più costretta a vedere simili scempi."

Lei assentì con fare leggermente tremante, ben sapendo che il giovane voleva solo rincuorarla, pur non potendole promettere realmente una simile eventualità. Per quanto capace e dotato di immensi poteri, Sthiggar avrebbe trovato un mondo in fiamme e una guerra da affrontare, al loro ritorno perciò, volente o nolente, avrebbe nuovamente visto morte e fuoco.

Poggiando in ogni caso una mano su quella del giovane, dichiarò con tono solenne: "Fosse anche l'ultima cosa che faccio, ma riabiliteremo il tuo nome, caro."

"Ora come ora, mi interessa di più tornare a casa e aiutare il re" dichiarò lui prima di irrigidirsi e puntare lo sguardo verso ovest, ritrovandosi così addosso le occhiate curiose della regina e Snorri.

Sthiggar fece loro segno di mantenere il più assoluto silenzio e, quando anche Hildur diede segni di risveglio, il cugino fu lesto a tapparle la bocca, prima che potesse emettere qualsiasi suono.

Lo sguardo interrogativo della cugina lo portò a sussurrare la parola ‘ospiti’ prima di risollevarsi e fare cenno a Thrym e Flyka – a loro volta destatisi – di prepararsi ai nuovi arrivi.

L’avvicinarsi di quattro divinità ӕsir non poteva di certo passare inosservata a chi, come Sthiggar, era dotato di poteri sovraumani ed era in grado di percepire le auree delle persone, grazie al risveglio della sua Fiamma.

A sorpresa, però, anche Ragnhild si destò e, nel vederli in piedi e vigili, si passò una mano sugli occhi e mormorò: "Sta succedendo qualcosa?"

Sthiggar si accucciò per darle un bacetto sulla fronte e, sorridendole, disse: "Sono arrivati i visitatori che aspettavamo. Tu resta qui con Mattias e gli altri. Andremo io e la regina, ad accoglierli."

"D'accordo" mormorò lei mentre Snorri si accomodava al fianco di Mattias, poggiando protettivo una mano sulla sua spalla.

Rivolto a Hildur e Thrym, Sthiggar disse: "Voi controllate il perimetro. Flyka, tu rimani qui con loro."

Tutti assentirono recisamente e Ilya, nel sollevare una mano perché Sthiggar potesse scortarla, sorrise e disse: "Detto da vero comandante."

Sthigg ghignò a mezzo senza dire nulla e, nel far poggiare la mano della regina sul suo braccio, la scortò attraverso il sottobosco, allontanandosi dal campo.

Per quanto fossero buone le intenzioni dei nuovi venuti, non voleva mettere a repentaglio la vita di tutti per non aver seguito le più semplici regole d’ingaggio. Al tempo stesso, però, la regina doveva essere presente in quanto membro più alto in grado del regno muspell.

Sperò soltanto di essere in grado di usare la Fiamma, se necessario, senza causare danni seri a nessuno.

Quando si furono allontanati di quasi mezzo chilometro, quattro figure comparvero dinanzi a loro e Sthiggar, bloccandosi, esordì dicendo: "Do il mio benvenuto a Odino Occhiosolo, signore degli Æsir e sovrano di Asghardr. Il mio benvenuto anche a Fenrir e alla sua progenie, Hati e Sköll, figli di Avya."

Il primo a prendere la parola e a rendersi visibile fu Odino che, abbigliato come si conveniva a un dio guerriero, poggiò le mani sulla cintura che sorreggeva la pesante spada e replicò: "E io ti ringrazio della cortesia, giovane scudiero della regina Ilya, signora di Muspellheimr e degna erede della bellezza sopraffina delle donne muspell."

Ilya sorrise divertita da tanta ampollosa serietà e, con candore, replicò con ironia: "Voi uomini sapete davvero come riempirvi la bocca con paroloni altisonanti. Sarà anche per questo che mi piace tanto ascoltarvi."

"Si fa quel che si può per piacere, mia cara" ghignò furbo Odino, mentre Fenrir e i suoi figli avanzavano per porsi al suo fianco.

Sthiggar si irrigidì un poco, alla vista di Sköll ma quest'ultimo, sollevando le mani in atteggiamento remissivo, chiosò: "Giuro che non voglio mordere le caviglie di nessuno, ancora per un bel po'."

"Sköll" lo richiamò all'ordine Hati, da sempre più serioso e calmo rispetto al più pimpante fratello.

"Ragazzi" intervenne quindi Fenrir prima di inchinarsi leggermente e dire: "Siamo lieti di incontrarvi in pace. E' così raro poterlo fare."

"Madre è stata generosa, concedendovi di rinascere nella stessa Era. E' dunque con voi anche Avya?" domandò Ilya, guardandosi intorno.

Sospirando, Fenrir scosse il capo e replicò: "Non ci è concesso camminare assieme in queste forme, né parlarci in nessun caso. E' questo il patto che strinsi per poter rinascere al tempo dei miei figli e della mia diletta amata, ma il Caso...o il Caos, vedete voi, ci ha permesso di essere comunque una famiglia."

"Paparino, in realtà, è il più piccolo della cucciolata, a questo giro, e vive nel corpo di una donna" ironizzò Sköll, guadagnandosi una gomitata da parte del fratello.

Fenrir sospirò con espressione di dolce esasperazione, chiosando rassegnato: "Mio Sköll, prima della fine di questa impresa lascerò che Brianna ti abbia tra le sue grinfie. Te lo giuro su quanto ho di più caro."

Sköll impallidì leggermente, di fronte a questa promessa e, nel mettere il broncio, borbottò: "Non si può mai scherzare, con voi."

A mo' di spiegazione, Fenrir quindi disse: "Brianna è il nome della splendida donna in cui ho la fortuna di vivere e che, tra le altre cose, è la wicca più potente mai esistita, dopo la mia Avya."

"Capisco le reticenze di tuo figlio a incontrarla, allora" chiosò la regina prima di tornare a guardare Odino e domandare: "Puoi tu dunque aiutarci, Occhiosolo? Il mio re sta combattendo senza la sua arma più formidabile, e questo mi mette in grande ansia."

"Avete portato qui la Spada Fiammeggiante?" esalò turbato la divinità.

Sbuffando, Ilya lo fissò sprezzante e replicò: "Su questo microscopico pianeta? Lo avremmo distrutto al solo sguainarla. No, parlavo del pupillo al mio fianco. E' una Fiamma Viva come mio marito."

"E perché è qui?" sbottò confuso il dio orbo.

"Ma non sei troppo anziano per essere ancora nella fase dei perché?" domandò piccata la regina, subito chetata da Sthiggar.

"Ha mille ragioni per chiedere spiegazioni, mia signora" replicò cauto Sthiggar prima di spiegare, a grandi linee, cosa fosse successo su Muspellheimr.

Alla fine del racconto, Odino borbottò: "Un autentico cul de sac. Qualsiasi cosa avesse deciso, sarebbe stata un errore."

"Esatto. La scelta meno dolorosa è stata quindi inviarlo qui, ma ora dobbiamo tornare, e l'unico modo per farlo lo ucciderebbe" sospirò Ilya, sollevando il polso di Sthiggar dove era ben evidente il tatuaggio costrittivo che lo legava a Midghardr.

Odino assottigliò le palpebre, a quella vista e, nello sfiorare l'intricata rete di arabeschi dipinti sul polso di Sthigg, borbottò: "Una magia davvero potente che, ahimé, non sono in grado di spezzare. Ma so chi potrebbe farlo."

"Siamo tutt'orecchi" sussurrò speranzosa la regina.

"Dovremo prendere una via traversa e raggiungere Yggdrasil attraverso un passaggio diverso da Bifröst" spiegò a sorpresa Odino, lasciandoli senza parole. "A quel punto, parleremo con le Norne che sorvegliano la Sorgente di Vita di Madre e..."

"Norne?" esalò Sthiggar, guardandosi indietro con aria speranzosa. "Ecco perché è venuto!"

"Che intendi, ragazzo?" domandò curioso Odino.

"Con noi abbiamo Urd" dichiarò allora a sorpresa Sthiggar, sorprendendo tutti i presenti.

"Beh, allora dovremo convincere solo Verdandi e Skuld, a darci una mano. E' già qualcosa" sospirò sollevato Odino per poi celiare: "Certo che Midghardr sta diventando davvero affollato!"

***

L'arrivo delle divinità nel piccolo accampamento provocò un certo trambusto, come prevedibile.

I berserkir si inchinarono ossequiosi verso il loro dio mentre i muspell, un poco più sospettosi, rimasero a debita distanza, nonostante la regina e Sthiggar apparissero piuttosto rilassati, in sua presenza.

Quanto a Fenrir e ai suoi figli, nessuno disse nulla in merito, poiché la loro partecipazione a quella strana avventura rappresentava un'incognita gigantesca e di difficile comprensione.

Quando, però, Odino prese parola, l'intera faccenda cominciò a prendere tutt'altra piega.

Rivolgendosi a Mattias con tono formale, Odino domandò: "E' un'occasione ben strana in cui incontrarsi, mia vecchia amica. Avevi tu dunque visto questa opportunità insolita di rivederci?"

"E' ancor più strana per me, Odino, ma sì, sapevo che ci saremmo rivisti lontano dalla Sorgente di Ogni Vita, pur se non avevo idea del quando. Voglio però approfittare di questo momento per scusarmi con te, Fenrir, per i dolori infiniti che ti ho fatto patire, e che ho fatto patire alla tua famiglia. Asservendo il mio compito, non ho però badato al dolore che avrei provocato, e questo ha dato il via a un conto alla rovescia che avrei preferito non far avviare" mormorò Urd, tramite la bocca di Mattias.

Fenrir sospirò, ben sapendo a cosa si stesse riferendo la dea del Fato. Le sue parole di monito avevano spinto Odino a ritenere lui, Jörmungandr e sua sorella Hel dei pericoli per l'intera esistenza dei Nove Regni, e questo aveva portato a un'infinita serie di nefandezze nei loro confronti.

Come ultimo spregio, lui era morto nella menzogna e sua moglie aveva dovuto lottare per difendere se  stessa e i loro figli, scatenando così una faida secolare ancora viva e feroce.

Era però convinto che la permanenza su Midghardr, e la possibilità di parlare con Odino a cuore aperto, potesse aver cambiato le sorti degli altri Regni, oltre che della Terra. Quanto meno, ci sperava.

Perciò, con tono pacato, Fenrir disse: "E' tutto perdonato, Urd. Ognuno di noi ha un ruolo da compiere, e Madre sola sa perché certe cose sono state dette o fatte. Per parte mia, ho cercato di rimediare ai miei errori e, per parte sua, credo che anche Odino lo abbia fatto, o stia cercando di farlo."

Nel dirlo, lanciò un'occhiata obliqua al barbuto dio che, per bella posta, rise imbarazzato e annuì.

"Vero, vero. Questo ragazzo me ne ha fatte passare di tutti i colori, ma va anche detto che pure io non sono stato un santarellino. Ergo, la tua presenza qui ha qualcosa a che fare con ciò che sta succedendo a Muspellheimr?"

"Niente avviene mai per caso anche se, tra un Evento e l'altro, le genti hanno più o meno libertà di azione" asserì la dea, provocando una serie di mugugni di disgusto.

L'avere un libero arbitrio 'a tempo' non piaceva mai a nessuno.

"Ergo, immagino che la presenza di Fenrir al mio villaggio non fosse casuale. Vuoi qualcosa da lui e da me" sottolineò Odino con tono furbo.

"Ciò che hanno fatto gli jotun, i dokkalfar, i liòsalfar e i muspell non deve e non può portare a Ragnarök, perché non è né il tempo né il luogo" assentì Urd, facendo rabbrividire tutti nel sentir nominare quella terribile parola dall’ancestrale sapore di morte.

Fu però Hildur a chiedere dubbiosa: "E' quindi certo che ci sia di mezzo più di un muspell, in questa cospirazione?"

"Ben più d'uno, anche se non è mio compito svelare l'arcano" asserì Urd, rivolgendosi all’alta guerriera muspell. "Ciò che dovete fare ora è raggiungere la Fonte della Vita di Yggdrasil, e io verrò con voi per parlare con le mie sorelle."

"Ora ho capito a cosa servo io, allora" chiosò Fenrir, aprendosi in un mezzo sorriso.

"Caro mio, io posso aprire il varco tra i Baffi di Ymir1, ma sei tu che hai parenti stretti oltre la Barriera" celiò Odino, scrollando le spalle.

I  presenti apparirono assai dubbiosi, di fronte a quelle parole, così Odino si schiarì la voce e si spiegò meglio: "Oltre i confini di Midghardr, esiste una barriera anti-mostro formata dai baffi di Ymir. Essa venne eretta da colui che nacque prima di tutti noi e che, tutt'ora, protegge il vostro pianeta dall'invasione di..."

"Attento a come ti esprimi" sottolineò Fenrir, ammutolendo Odino per un istante.

"Ehm, sì..., ecco, diciamo che impedisce a Jörmungandr di cadere inavvertitamente di sotto, per così dire, e tiene lontani i tipacci più scontrosi e antipatici dalla Terra" tossicchiò imbarazzato Odino.

"Ecco, bravo. Se vogliamo il suo aiuto, non è il caso di essere scortesi" sottolineò Fenrir, sgomentando tutti.

Fu Ragnhild, però, a mettere a voce la perplessità di tutti e, dubbiosa, domandò: "Ehm... ho capito bene e state parlando del serpente che... che, secondo il mito, circonda Midghardr?"

"Esattamente" disse con semplicità Fenrir.

Scuotendo nervosamente il capo, Ragnhild esalò: "No, aspettate un attimo. Forse dimenticate un particolare non da poco. La Terra non ha confini. E' sferica!"

"Ragazza di poca fede" ironizzò Odino, dandole una pacca leggera sulla spalla.

Per quanto leggera, comunque, quella pacca fece tossire la giovane per mancanza d'aria e Sthiggar, protettivo, le avvolse le spalle dicendo: "Ricorda che sono creature delicate, Occhiosolo. Sono nate da frassino e olmo2."

"Sì, sì... forse sarebbe stato meglio usare tek e palissandro, ma sai che caratteracci avrebbero ammucchiato, con gli anni?" brontolò Odino, scuotendo esasperato il capo.

Ragnhild squadrò le divinità con espressione esacerbata e, passandosi una mano sul volto, borbottò: "Preferisco non sapere altro, al momento. E' già troppo, per i miei gusti."

"Scusa" mormorò Sthiggar, dandole un bacetto sui capelli prima di allontanarsi per parlare con Fenrir e gli altri in merito alle strategie da tenersi per l'incontro con Jörmungandr.

Questo impedì a Ragnhild di avere uno scudo umano contro i curiosi così, arrossendo come uno stoppino, bofonchiò minacciosa all’indirizzo del fratello: "Se parli, Mattias, ti faccio incenerire anche sei hai Urd dentro di te. Ho la mia palla da cannone personale, adesso."

Per tutta risposta, il fratellino si tappò la bocca per non ridere e la sorella, assottigliando ulteriormente le palpebre, ringhiò: “Non sei divertente, sai?”

“Scusa, ma… è così strano vederti con un uomo senza dare in escandescenze” celiò Mattias dopo alcuni momenti di inutile lotta per tenere la bocca chiusa.

Thrym tossicchiò nervosamente, a quell'accenno, mentre Flyka sospirava esasperata, scuotendo il capo. Hildur, invece, passò silenziosamente uno stiletto a Ragnhild prima di mormorare: "Quando vuoi, ragazza."

"Oh, cielo!" esalò Ilya, coprendosi la bocca per non ridere sguaiata.

Snorri, per parte sua, poggiò una mano sulla spalla di Ragnhild per rasserenarla, nonostante la giovane apparisse sempre più pronta a un’esplosione di rabbia, e disse: "Non avertene a male, cara. Sono certo che tuo fratello non volesse denigrare ciò che senti per mio figlio."

Ancor più imbarazzata, Ragnhild si fece purpurea in volto e Mattias, scoppiando ora in una frenetica risata, le indirizzò il più malizioso dei sorrisi prima di piegarsi in due dal ridere.

Era più che chiaro che Urd doveva essersi rintanata in un angolino, lasciando che Mattias tornasse il dodicenne quale era normalmente… ma questo non aiutò Ragnhild a calmarsi. Per niente.

Hildur, a quel punto, celiò divertita: "E' la tua morte, ragazzino. Non si scherniscono così i sentimenti di una donna, pensando poi di passarla liscia.”

"Poco. Ma. Sicuro" ringhiò Ragnhild prima di scusarsi gentilmente con Snorri e sollevare su una spalla Mattias, ancora intento a ridersela a crepapelle.

"Digliene quattro, Ragnhild!" gridò a quel punto Flyka, del tutto dalla sua parte, mentre Thrym si esibiva in uno scongiuro silenzioso.

La giovane avanzò bellicosa per allontanarsi dal gruppo e dirne quattro al beffardo fratellino ma, prima di poter parlare a quattr’occhi con Mattias, Sthiggar la intercettò, fece scendere Mattias dalla sua spalla e, in fretta, intimò al ragazzo di tornare nel gruppo.

Ciò fatto, prese per mano Ragnhild e si allontanò dai presenti per parlare con la giovane senza orecchie a disturbare il loro dialogo.

Ragnhild lo seguì silenziosa e furente, già pronta a cantarne quattro anche a lui, a quel punto, visto che il fratellino era stato salvato dalle sue tenere attenzioni.

"Mi spieghi perché te la prendi nel momento stesso in cui Mattias ti punzecchia?" la redarguì bonariamente lui, quando furono abbastanza lontani per non essere a portata d’orecchio. “Ha dodici anni e, anche se Urd vive in lui, è pur sempre un ragazzino. Lo sai che sono pestiferi per natura.”

"Non fa che prendermi in giro, quando sa benissimo che non sono abituata a certe situazioni!" sbottò lei, inferocita.

"Perché tu glielo permetti" disse con semplicità Sthiggar, azzittendola con quelle semplici parole. "Perché ti vergogni di mostrare agli altri che provi affetto per me? Non ci vedo niente di male."

"Solo perché tu sei la Bocca della Verità" bofonchiò lei, pur se in parte ammansita.

"Non so cosa vuoi dire, con questo, ma tant'è. Lui ti prende in giro perché sa che tu reagirai proprio come stavi per fare. Dopotutto, è ancora un bambino e il suo ruolo di fratello minore è punzecchiare la sorella maggiore. Questo, per lo meno, è quel che dicono tutti. Vuoi davvero darla vinta a un bambino?"

Nel dirlo, le sorrise gentilmente, carezzandole una guancia con le nocche e Ragnhild, sospirando suo malgrado, ammise in un borbottio: “Non so ancora cosa io senta di preciso per te e, quando Mattias ne ride, mi sento stupida.”

“Non lo sei, e dovresti saperlo” sospirò Sthiggar, abbracciandola d’istinto. “Ciò che ti hanno fatto i tuoi genitori è impedirti di credere pienamente in te stessa, ma tu sei più forte di così. Mattias, dal canto suo, si comporta come un normale dodicenne, perciò non devi prendertela se, ogni tanto, usa i tuoi punti deboli per farti inalberare. Dopotutto, l’affetto si dimostra anche così.”

“Lo so… ma quando ci sei di mezzo tu, perdo il controllo” sospirò Ragnhild, nascondendo per un momento il viso contro il suo torace.

Sthiggar sorrise a quelle parole e, nello scostarsi da lei, le sorrise incoraggiante prima di prenderla per mano e riaccompagnarla in mezzo al gruppo, dove Mattias ora attendeva pieno di contrizione.

Il giovane muspell, nel notarlo, domandò: “Ti sei pentito di aver parlato, amico mio?”

“Un po’. Urd mi ha detto che dovrei starmene zitto, a volte” borbottò Mattias, spiacente.

Sthiggar allora accentuò il proprio sorriso, si inginocchiò dinanzi al ragazzino per essere più o meno alla sua altezza e, pieno di serietà, mormorò: "Sento per tua sorella un profondo legame, e lei ha saputo trovare la forza per aprirsi a me quando maggiormente temeva di venire ferita. Questo suo coraggio mi ha permesso di scorgere la luce che è dentro di lei, e questa luce mi ha dato altresì la possibilità di risvegliare l'aura che pensavo non avrebbe mai potuto destarsi, su Midghardr."

"Come?" esalò lei, sorprendendosi nel sentirgli dire ciò.

Lui accennò un sorrisino al suo indirizzo prima di proseguire il suo monologo a beneficio di Mattias e, serio, aggiunse: “So che a volte, tra fratelli, viene spontaneo prendersi in giro e battibeccare, ma ti prego, non usare il suo legame con me per punzecchiarla. Stiamo entrambi affrontando un momento molto difficile.”

Mattias annuì contrito e si fece immediatamente triste, ma Sthiggar lo abbracciò dolcemente, terminando di dire: “Lei ti vuole un bene dell’anima ma, a volte, è fragile. Sei tu, allora, a doverla proteggere da quelle fragilità ed essere il suo Campione.”

“Lo farò. Scusami, Sthigg” gorgogliò dolente il ragazzino.

“Non c’è niente da scusare, Mattias. Davvero.”

A quel punto, anche Ragnhild si unì all’abbracciò e Snorri, nell’osservare il sorriso della regina e i suoi occhi lucidi, mormorò: “Oserei dire che è diventato grande.”

“Oh, direi proprio di sì” sussurrò la regina, asciugandosi le lacrime ribelli che sfuggirono ai suoi occhi.

***

Ragnhild stava ancora piangendo, quando disse imbronciata: "Mi hai fatto diventare una pappamolle. E di fronte a tuo padre, poi!"

Nell’osservare il gruppo di persone che stavano abbandonando la taiga per raggiungere il confine con la Norvegia, Sthiggar sorrise per tutta risposta e replicò con candore: "Guarda che mio padre stenderebbe tappeti d'oro al tuo passaggio, cara mia, per il solo fatto che hai saputo cambiare in meglio il suo figliolo.”

"Ah" gracchiò lei, facendo tanto d'occhi e smettendo così di piangere. 

"Ammetto di essere stato un po’ melodrammatico, con Mattias ma, a volte, è giusto che certe cose vengano dette. Inoltre, non ho che elencato la verità nuda e cruda, e tuo fratello doveva conoscerla" le spiegò quindi lui, asciugandole le lacrime con un gesti gentili.

"Puoi essere un po' vanaglorioso, te lo concedo" ammise a quel punto Ragnhild.

"Troppo buona" sorrise allora Sthiggar, tornando serio. "Quel che ho detto, comunque, è vero. Senza il tuo aiuto, non avrei trovato la scintilla dentro di me in grado di connettermi con Midghardr e, da lì, alla mia Fiamma, e di questo ti ringrazio. Ma ciò non vuol dire che io non senta anche altro, per te, oltre a riconoscenza. Vorrei fosse chiaro."

"Sei così gentile e premuroso che, a volte, mi dimentico che sei anche e soprattutto un uomo" motteggiò la giovane, tornando a sorridere.

Lui si accigliò appena, replicando: "In che senso, scusa? Dovrei essere più... fisico, nelle esternazioni?"

"Sono cresciuta in mezzo agli orsi, Sthiggar" ironizzò lei.

"Questo è vero. Forse, allora, dovrei fare questo" mormorò roco lui, guardandosi intorno per un attimo per poi sospingenrla contro una pianta perché i loro due corpi aderissero completamente. "E questo."

Ciò detto, si piegò su di lei per un bacio per nulla educato e, mentre le mani di Sthiggar risalivano lungo i fianchi, la sua lingua la depredò fino a farla sciogliere completamente sotto il suo tocco.

Scostandosi quel poco per poter parlare, Sthiggar allora domandò: "Così va meglio?"

Lei assentì rapida, aggrappandosi a lui per non cadere a terra e, con un risolino, esalò: "Hai ragione, il David dovrebbe nascondersi."

"Il che presuppone un problemino non da poco..." ridacchiò lui, scostandosi per poi poggiare la fronte contro quella di Ragnhild. "... non posso certo tornare in mezzo al gruppo, e al cospetto della regina, con un’erezione più che evidente nei calzoni, ti pare?"

Ragnhild scoppiò a ridere, strinse le sue braccia al collo di Sthigg e mormorò al suo orecchio: "Come fai a farmi sorridere ogni volta?"

"So chi sei" disse semplicemente lui.

Lei assentì, tornò a poggiare i piedi a terra - aggrapparsi a Sthiggar era un'impresa! - e, annuendo, ammise: "Non dici solo la verità. La vedi."

"Così parrebbe" ammiccò lui, afferrandola per le spalle per poi piazzarsela dinanzi e aggiungere: "Resta lì finché non te lo dico io."

Ragnhild assentì con un risolino e, insieme, tornarono in coda al gruppo camminando con molta, moltissima calma.

Mattias, che stava avanzando mano nella mano con Thrym, sorrise loro e li salutò con una mano ma, ben sapendo di non dover calcare la mano con la sorella, non disse nulla e tornò alla sua chiacchierata con il nuovo amico muspell.

Quando infine raggiunsero il gruppo, Odino si rivolse a Sthiggar e, facendo finta di non notare la strategica posizione di Ragnhild, disse: "Porgimi il braccio senza tatuaggio, ragazzo."

Lui assentì, allungandolo senza problemi e Odino, nell'incidere la propria mano e quella del muspell con uno stiletto, disse roco: "Sia cancellata la nera gabbia che si intreccia alla rossa fiamma. Il dio onniveggente così comanda."

Ciò detto, la divinità unì le due ferite e, subito, uno strano sfrigolio percorse il corpo di Sthiggar, portandolo a rabbrividire per diretta conseguenza. Nel notarlo, Thrym chiosò: "Passa tra un minuto, più o meno."

"Buono a sapersi. Mi sembrava di aver preso la scossa" esalò Sthiggar, grattandosi il braccio della mano incisa.

"Tutto bene?" domandò turbata Ragnhild.

"Ho sentito di peggio" ammiccò lui.

"Bene. Ora che potete almeno attraversare il confine, possiamo raggiungere le jeep e dirigerci verso le Isole Lofoten. Non abbiamo tempo da perdere, e le chiacchiere ormai stanno a zero" dichiarò Odino, sfregandosi le mani per l'impazienza.

Il gruppo assentì all'unisono e, senza indugiare oltre, riprese la via per la Norvegia senza alcun impedimento a bloccare i loro passi.

E, se mai gli jotun avessero attaccato un'altra volta, avrebbero trovato pane per i loro denti.

 

 

 

1 “Baffi di Ymir”: Ciò che rimane del corpo di Ymir, il primo Essere nato dal nulla che era Ginnungagap. I suoi baffi proteggono i confini della Terra dall’assalto dei mostri.

2 “… Frassino e olmo”: secondo il mito norreno, gli uomini sono stati plasmati utilizzando il legno di queste due piante.

 

 

 




N.d.A.: questa settimana ho postato due capitoli in più perché, per un po', sarò via e non potrò postare. Ci rivediamo verso metà agosto. 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


 

Cap. 20

 

 

 

 

Il lungo viaggio che li aveva tenuti impegnati per più di dieci ore, era ormai giunto al termine.

Valicare i confini della Norvegia senza veder stramazzare al suolo Sthiggar, Thrym e Flyka era già stato un successo. A ben vedere, però, era stato solo il punto più semplice del loro travagliato viaggio verso i confini di Midghardr e il ritorno su Muspellheimr.

Stando alle parole di Odino, una volta raggiunto l'avamposto di Andenes, sulle isole Lofoten e, da lì, il faro che puntava verso l'oceano e le sue gelide acque, avrebbero dovuto attraversare i baffi di Ymir e incontrare finalmente il serpente di Midghardr.

Non c'era stato molto tempo per chiedere a Fenrir quale fosse, effettivamente, l'aspetto del tanto vituperato Jörmungandr. Inoltre, il viaggio in compagnia della regina Ilya, del padre di Sthiggar e di Mattias aveva tolto occasioni a Ragnhild per raccogliere informazioni.

Jerome Rowley, che aveva preso il posto di Sköll per poter guidare il Defender che avevano lasciato oltre il confine norvegese prima di giungere da loro, aveva dichiarato di non aver ancora avuto il piacere di conoscere lo zio.

Il fatto che, in effetti, non fosse realmente un suo parente ma un congiunto dell'anima che deteneva, pareva essere irrilevante, per lui. Non a caso, si era rivolto a Brianna, la guida dell'anima di Fenrir, con nomignoli come 'papino' o altri sberleffi simili, portandola più volte a sospirare esasperata.

"Sono davvero curioso di scoprire se siano effettivamente baffi, quelli di cui ha parlato Odino. Sarà che ormai sono anni che non partecipo a nessuna avventura - essere il secondo in comando mi porta spesso a starmene rinchiuso a casa, mentre Duncan e Lance si prendono tutto il divertimento - perciò, anche una cosa assurda come questa mi eccita da matti."

Ragnhild fissò apertamente sconcertata l'avvenente licantropo, non tanto per il suo profilo regale o il suo tono morbido e dall'accento accattivante, quanto perché, in dieci ore, non aveva taciuto un solo momento.

Per quanto l'adrenalina avesse tenuto svegli per la maggior parte del tempo tutti loro, alla fine Snorri, Mattias e la regina erano crollati per la stanchezza, e anche Sthiggar e Ragnhild a tratti avevano riposato.

Jerome, invece, aveva resistito senza mai chiedere il cambio a Ragnhild e, per tutto il tempo, aveva dialogato con loro di mille e più argomenti, senza mai interrompersi per un attimo.

"Devo chiedertelo... ma non hai la gola secca?" sbadigliò Ragnhild, lanciando un'occhiata alla figura slanciata del faro di Andenes, che si stagliava come una lancia insanguinata e puntata verso il cielo, al limitare di una scogliera che si allungava lungo tutta la linea di costa dell’isola.

Tutt'attorno, il paesaggio brullo e quasi del tutto privo di vegetazione faceva da contraltare a infiniti spazi e a un orizzonte azzurro e limpido che quasi spezzava il fiato, ma Ragnhild non era abbastanza serena per coglierne la bellezza.

Probabilmente, se si fosse trovata lì per una vacanza, avrebbe perso ore e ore a cogliere anche il più piccolo particolare di quei luoghi, immortalandolo con il suo smartphone, ma ora le sembrava che nulla potesse più sorprenderla.

O scuoterla davvero.

Jerome rise del suo commento, strappandola così a quei pensieri, e asserì: "Chiediti come mai Brianna non è salita con noi in auto, ma ha preferito andare con Marcus, Lance, Thrym, Hildur e Flyka. Quando uso la mia forma originale, cioè questo fantastico uomo quale io sono, non taccio mai. Persino mia moglie, a volte, vorrebbe tranciarmi la lingua a morsi."

"Comincio a comprenderne i motivi… con tutto il rispetto parlando" esalò lei.

"Sarà meglio se ci fermiamo a fare colazione, prima di approcciare Jor e tutto il corollario. Non è detto che, dove andremo, riusciremo a trovare qualcosa da mangiare" dichiarò con un risolino Jerome, cambiando radicalmente argomento e mandando poi un messaggio vocale a Brianna, che si trovava nel Gran Voyager che li precedeva.

"La trovo una scelta saggia. Abbiamo bisogno di energie, visto il luogo in cui dovremo andare" mormorò Sthiggar, svegliando gentilmente il padre, la regina e Mattias.

Quest'ultimo, nello stiracchiarsi, abbracciò sentitamente Sthiggar, dandogli il buongiorno e Snorri, nel notare sia il sorriso del figlio che il modo protettivo in cui rispondeva al saluto, non poté che felicitarsi e, al tempo stesso, rattristarsi.

Per Sthiggar sarebbe stata l'ennesima perdita di cui avrebbe dovuto portare il peso ma era ugualmente felice che, durante la sua breve permanenza su Midghardr, avesse potuto conoscere una persona così speciale come quel ragazzino.

Notare lo sguardo struggente di Ragnhild, però, portò Snorri a desiderare di avere più potere, e più forza, per darle quello che entro breve avrebbe perso e che, forse, non avrebbe più potuto ottenere.

Per quanto Sthiggar le avesse promesso che, una volta sistemata ogni cosa, sarebbe tornato da lei, Snorri sapeva bene quanto la guerra potesse essere foriera di disastri e non era così sciocco da dare per scontato che suo figlio avrebbe vinto a prescindere.

Inoltre, v’era anche un altro problema, legato al ritorno su Midghardr di Sthiggar, ma in quel momento non se la sentiva di pensarci, né di dare l’idea al figlio che stesse preoccupandosi di qualcosa in particolare.

Non era ancora il tempo di parlare.

"Guarda, Mattias. Sól ci benedice con il suo abbraccio" disse nel frattempo Sthiggar, indicando il disco solare che, ormai alto in cielo, splendeva sulle loro teste.

"Sai com'è, in realtà, tua nonna?" gli domandò il ragazzino, pieno di curiosità.

Lanciando un'occhiata a Snorri, Sthiggar replicò: "Tu che mi dici, papà?"

"Purtroppo per noi tutti, non ci è mai stato possibile vederla. Se ne andò quando io ero ancora troppo piccolo per ricordarmi di lei, perciò so soltanto quello che mi trasmise mio padre, e ciò che dicono le leggende" gli spiegò Snorri spiacente.

Mattias annuì silenzioso e, mentre Jerome rallentava fino a interrompere la marcia nel parcheggio di un bar, Ragnhild disse: "Sono sicura che è bellissima e in gamba."

"Tutte le donne muspell sono ingamba. Molto di più, quindi, le sue dee" chiosò la regina, sorridendo poi a Ragnhild e aggiungendo: "Ma anche alcune donne terrestri paiono avere lo stesso nerbo."

"Ce la mettiamo tutta" mormorò lei, annuendo grata.

Nello scendere, il gruppo si stiracchiò pesantemente - chi in modo plateale, chi con maggiore grazia - e, mentre si sincerava sulle condizioni di Mattias, Brianna si avvicinò a loro per dire: "Jerome, ce l'hai fatta a sfiancarli?"

"Ci ho provato, ma questi due sono rocce. Hanno resistito quasi tutto il tempo" ironizzò Jerome, indirizzando un'occhiata ammirata a Sthiggar e Ragnhild.

Brianna scosse il capo e, scusandosi con lo sguardo con Sthiggar, mormorò: "Mi spiace avervi sottoposto a questa tortura, ma dovevo parlare approfonditamente con Lance e Magnus, così ho dovuto darvi in pasto a lui, come autista."

"Cos'è che dovevi dire a loro e non a me?" brontolò Jerome per tutta risposta, mentre Sthiggar sorrideva divertito.

"Gli ho solo detto che, durante il nostro viaggio verso la Sorgente della Vita, Lance dovrà badare alla sicurezza dei nostri amici muspell più che alla mia, e sai quanti condizionamenti mentali abbia un Hati, quando deve proteggere la Prima Lupa. Ho dovuto lavorare di taglia e cuci per un bel po', con lui" gli spiegò esasperata Brianna.

"Oh, già, giusto, è vero. Lui e le sue paturnie mistiche" ciangottò Jerome. "Che bello essere il secondo in comando! Non ho di questi problemi."

"Mettiamola così" sospirò Brianna, scuotendo il capo.

"Immagino sia complesso gestire una società piramidale che ha anche condizionamenti imposti dal titolo stesso" chiosò Sthiggar mentre, al gran completo, entravano nel bar per la colazione.

"Diciamo che, bene o male, non abbiamo mai grossi problemi ma, nel caso specifico, Lance è dovuto venire meno al suo primo compito, cioè proteggere mio marito, e ora deve rinunciare anche al secondo, e cioè proteggere me. Davvero molto, da chiedere a un Hati" ammise lei, con un sorriso.

Mentre Lance organizzava le ordinazioni per poter poi andare al banco a parlare con la barista - che stava osservando sorpresa il gran numero di persone entrate in un sol botto nel locale - Sthiggar le domandò: "Cosa ne pensa, tuo marito, di saperti così lontana da casa e dai tuoi figli, e per aiutare persone che, fino al giorno precedente, neppure conoscevi?"

"Vedi, Sthiggar, non si tratta tanto di conoscenza o meno. Ci fidiamo ciecamente di coloro che proteggono il branco attraverso il mondo spirituale perciò, se la mia amica veggente mi parla di una visione riguardante il tuo mondo, e Magnus mi chiama per dirmi la stessa cosa, io non ho bisogno di sapere altro. Ormai, ho visto così tante cose, e vissuto così tante esperienze, da non sorprendermi più di quel tanto."

Ammiccando poi all'indirizzo del muspell, aggiunse: "Se poi, le nuove conoscenze si rivelano piacevoli, meglio ancora."

"Beh, grazie, allora" mormorò grato il guerriero lanciando poi uno sguardo addolorato all'indirizzo di Ragnhild, che stava raccogliendo su un vassoio tutti i cappuccini man mano preparati dalla barista.

"Per quello in particolare non ho aiuti da dare, però" disse Brianna, dandogli una pacca consolatoria sul braccio.

"Lo immaginavo. Ma ho già i miei piani in mente, per non perderla" scrollò le spalle Sthiggar. "Lascerò Muspellheimr una volta compiuto il mio dovere e tornerò qui da lei."

"Una decisione piuttosto importante... e definitiva. Sei certo di poter rinunciare alla tua essenza, per lei? E che a lei vada bene?" gli domandò percettiva Brianna, portandolo a sorridere a mezzo.

"Dimostri una saggezza antica, wicca. Capisco perché Fenrir è così orgoglioso di te. Ma non devi temere per me. So che, per Ragnhild, ne vale la pena."

"E lei è d'accordo." Non fu una domanda, ma un'affermazione ricolma di quesiti che Sthiggar non ebbe il coraggio di affrontare.

Ragnhild era stata lapidaria, dicendogli che non avrebbe dovuto rinunciare né a Muspellheimr né alla sua fiamma. D'altro canto, lui non voleva abbandonarla perché era ormai convinto che, catalizzatore o meno, lei fosse l'unica in grado di completarlo, come lui sembrava completare lei.

Il resto, sarebbe venuto dopo.

***

L'insenatura rocciosa alle spalle della scogliera su cui sorgeva il faro, era battuta da un vento inclemente e onde schiumose, mentre il volo di uccelli marini dallo struggente canto ne era il romantico sfondo.

Fu lì che il folto gruppo di Sthiggar si diresse e, dopo aver controllato che nessuno fosse in zona - o stesse puntando droni o macchine fotografiche nella loro direzione - Magnus disse: "Opera pure la tua magia, wicca. Il portale è pronto per essere aperto."

"Sarà un onore, Occhiosolo" mormorò con falso ossequio Brianna, strizzando l'occhio al giovane, che ridacchiò.

Poggiata la mano destra su un masso in particolare, portante una runa incisa su di esso talmente in profondità da non essere stata consumata dal tempo e dal mare, Brianna socchiuse gli occhi e mormorò: "Madre, Sorgente di Vita, questa tua umile figlia chiede udienza. Lascia che si apra il sentiero per il confine di Midghardr, e che io e i miei compagni possiamo procedere in sicurezza."

Spero tu abbia chiesto il permesso a Jörmungandr, perché sappiamo bene entrambi quanto sia permaloso, quel ragazzo.

Brianna sorrise di quell'imprevisto commento di Madre - era raro che intervenisse così direttamente - e, nello schiudere il portale, replicò: "Io e Jor ci siamo visti in un paio di occasioni, e siamo più o meno arrivati a diventare amici."

Sarà meglio per te, fanciulla portatrice del Crepuscolo, o dovrò anzitempo vedere fuoco e fiamme su questo mondo e sugli altri Regni.

"Vedrò di evitarlo" promise Brianna, scostandosi per poi dire: "Prego, signore e signori. A voi il passaggio."

Uno dopo l'altro, i presenti imboccarono delle ripide scale dirette verso il basso ma, quando fu il turno di Ilya, la regina sbuffò e borbottò: "Ancora scale. Giuro, farò un esposto per abolirle."

Tutti risero sommessamente e, quand'anche la regina ebbe oltrepassato il portale, Brianna penetrò nello stretto cunicolo e infine richiuse il passaggio, così che nessuna creatura umana - e non - potesse percorrerlo dopo di loro.

"Qualcuno ha portato una torcia?" domandò a quel punto Jerome, fermo a pochi passi da Lance.

"A questo posso pensare io" dichiarò Sthiggar.

Immediatamente, Ragnhild lo prese per mano perché gli fosse più semplice gestire la sinergia tra le reti di potere del pianeta e la sua aura e Sthigg, nel ringraziarla con un sorriso, si illuminò da capo a piedi, rischiarando l'ambiente.

Dinanzi a loro, quindi, si aprì una vasta e apparentemente interminabile grotta calcarea dalle lunghe e slanciate stalattiti, sul cui pavimento roccioso cresceva un fitto prato di qualcosa di molto simile alle alghe marine.

"I baffi?" domandò Jerome, sfiorando quelle protuberanze vegetali color sabbia.

"Esattamente. Per noi mutaforma sarà un po' più difficile avanzare, poiché le escrescenze potrebbero rilevarci come nemici, in un primo momento, ma confido che la presenza di una wicca possa chetare il loro sistema di difesa" disse Odino, riprendendo le sue forme divine.

"Oh. Allora aspetterò fino alla fine, prima di lasciare a Fenrir la palla" dichiarò Brianna, sfiorando quelle strane alghe prima di sorridere divertita e dire: "Buongiorno a voi."

"Ti parlano?" gracchiò Jerome, fissandola stranito.

"Quando mai una pianta non mi parla?" brontolò per contro la donna, avanzando all'interno di quello strano prato all'apparenza infinito.

Il resto del gruppo si accodò a lei e, come previsto, per berserkir e lupi fu più difficile avanzare, pur se non impossibile. Brianna, nel frattempo, accarezzò le alghe che, al suo contatto, brillarono per alcuni istanti per poi tornare al loro tenue colore naturale.

Dopo alcune centinaia di metri, volgendosi a mezzo per scrutare il suo gruppo, la wicca disse: "Sono sorprese di trovare così tante creature diverse, tra di noi. Sono affascinate, per dire la verità. Non ricevono visite da molto, moltissimo tempo."

"Beh, non sono esattamente su Tripadvisor" chiosò Jerome, ricevendo più di un'occhiata sconcertata in risposta.

Brianna, però, non vi fece caso - fin troppo abituata alle sue battute di spirito - e, nel proseguire la sua avanzata, aggiunse: "Troveremo Jor più avanti, quando cominceremo a scorgere una luce in fondo a questa grotta. Ci sta aspettando."

"Lo percepisci?" domandò Lance, vagamente preoccupato.

"E' solo, non temere. Per il momento, non ci sono coinquilini scomodi che potrebbero rovinarci la giornata" lo rassicurò Brianna, continuando ad avanzare con passo sempre più spedito.

"Prevedevi l'arrivo di un esercito di zombie o di qualche Titano pazzo?" ironizzò a quel punto Jerome, facendo ridere sia Magnus che Mattias.

Lance lo guardò malissimo, replicando caustico: "Queste alghe tengono fuori i mostri, J. E' ovvio pensare che possano essercene,  al di là da questo sbarramento."

Jerome si azzittì subito, a quelle parole e, un po' meno baldanzoso, gracchiò: "Beh, ma dai... lo zio ci avrebbe parato il culo, no?"

Lance lasciò perdere, scuotendo il capo e portandosi più vicino a Brianna che, sorniona, sorrise al patrigno. Quando i due amici battibeccavano a quel modo, Lance cercava sempre in lei un’àncora a cui aggrapparsi per evitare di strangolare Jerome, il che era paradossale, se si pensava che era la più piccola della loro strana Triade.

Questo, inevitabilmente, la fece pensare a Duncan, e alla sua mancanza in quella missione letteralmente intergalattica.

Le spiaceva non essere potuta uscire in missione con Duncan, ma le rigide restrizioni di Madre prevedevano che mai più Fenrir e Avya potessero vedersi al di fuori dei confini di Midghardr, così come al di dentro. L'esperienza fatta su Elfheimr sarebbe rimasta unica e non replicabile, perciò Duncan era dovuto rimanere a Gungnir con Nathan e Hannah, in compagnia dei genitori di Magnus.

Non che al marito spiacesse stare più tempo coi figli, ma sapeva bene cosa volesse dire, per lui, non poterla proteggere in prima persona. Ne avevano passate troppe, insieme, perché questo pensiero non lo lasciasse anche solo vagamente ansioso.

Scacciando quesi tristi pensieri quando infine il prato di alghe ebbe termine e, al suo posto, roccia scura e una parete di solito granito sbarrò loro la strada, Brianna mormorò: "Arrivederci. E’ stato un piacere fare la vostra conoscenza."

Ciò detto, si lasciò alle spalle il mare di alghe al pari degli altri e, congiunte le mani sulla parete di roccia, chiese il permesso di uscire.

Immediatamente, lo sbarramento naturale formato dalla parete svanì dinanzi ai suoi occhi, sorprendendo il resto dei presenti e, nel bagliore di un tramonto senza tempo, terminarono la loro camminata su un'ampia spiaggia di sabbia bianca.

Il cielo, color zaffiro e rosso amaranto, era ammantato di stelle e galassie lontane, ove comete viaggiavano veloci per poi perdersi in quell'infinito orizzonte senza dimensione apparente.

In lontananza, la spiaggia si perdeva in una linea color perla sempre più sottile mentre, alle loro spalle, la grotta andò a chiudersi così come si era aperta al tocco di Brianna. Al suo posto, si creò una scogliera di nera roccia che si innalzava a perdita d'occhio, fin quasi a divenire un tutt'uno col cielo.

Il silenzio più totale incombeva su quel luogo di pace apparente, anche se i resti di antichi scheletri potevano scorgersi tra i cristalli di sabbia, a memoria di vecchie battaglie e sanguinosi esiti.

Mentre tutti si guardavano attorno per studiare quel luogo così fuori dal tempo, Brianna riprese le forme di Fenrir e, dal mare piatto e calmo, una figura d'uomo emerse lentamente, accompagnata dallo sciabordio leggero delle acque.

Di nero vestito e a piedi nudi, Jörmungandr portava su una spalla una lunga treccia di corvini e lisci capelli che terminava ben oltre la vita sottile, sottolineata da un’alta cintura dorata.

Dopo essersi fermato a pochi passi dal gruppo, li scrutò tutti con i profondi occhi blu mare prima di dire con voce roca e profonda, melodiosa come il suono sussurrato di un flauto: "Ben trovato, fratello. Perché non hai lasciato che fosse Brianna, a parlare? La fanciulla mi aggrada, lo sai."

"Se vuoi, la faccio tornare" replicò Fenrir, levando un sopracciglio corvino con evidente sorpresa.

Jor scrollò una spalla con noncuranza, mormorando con la sua voce ammaliante: "Fa sempre piacere vedere una bella donna, rispetto al tuo viso rozzo e sgraziato. Ancora non mi capacito che Avya ti abbia voluto come suo amante."

Fenrir se ne uscì con un'esclamazione indefinibile, ma non replicò. Capire cosa passasse per la testa del fratello non era mai stato semplice, e la solitudine non aveva certo aiutato a migliorare il carattere da sempre ambiguo di Jörmungandr.

Di vero, però, c’era una cosa; la bellezza del fratello sembrava davvero ultraterrena e, almeno a giudicare dagli sguardi sbigottiti di tutti, nessuno si sarebbe mai aspettato tanto fascino ed eleganza nel Serpente di Midghardr.

Jor, comunque, stava già pensando ad altro e, muovendosi morbido e flessuoso come un serpente, giunse in un lampo dinanzi a Odino, che ebbe la buona creanza di starsene fermo dov'era. 

Dopotutto era stato lui, millenni addietro, a confinarlo in quelle acque al di fuori del tempo e dello spazio, perciò era tutto sommato giusto che Jor si prendesse qualche libertà, con Occhiosolo.

"Devo dire che ti sei fatto proprio un bel giovane" celiò nervoso il dio, guardandolo con l'unico occhio mentre Jörmungandr giocava con il suo angolo cieco con movenze degne di una étoile.

"Oh, te ne sono grato, Padre Tutto. Convieni con me che, nonostante le parole delle Norne, non sono venuto su male?" ironizzò il dio-serpente, sogghignando ferale.

"Aaah, beh... come dissi a tuo fratello, le persone sbagliano, a volte. Persino io" tentennò Odino, non sapendo esattamente come agire.

Jörmungandr si bloccò a metà di uno dei suoi agili passi e, fissandolo aspramente coi suoi occhi - di colpo divenuti quelli di un serpente - replicò secco: "Bere alla sorgente di Mimir e perdere un occhio, quindi, non ti ha reso tanto più saggio di uno qualsiasi di noi, mi pare."

"Fratello... ne avevamo già parlato" intervenne a quel punto Fenrir, già subodorando guai.

L'eccessiva solitudine di Jor lo aveva portato a essere una persona amara e assai lunatica e, posto di fronte a colui che lo aveva bandito in un luogo così distante da qualsiasi altra forma di vita senziente, non poteva certo apparire felice e spensierato.

Evitare una rissa tra dèi, però, era preferibile, perciò Fenrir si mosse per bloccarlo sul nascere quando Sköll, presa la parola, disse: "Senti, zio... papà non ci ha presentati, vista la sua solita ritrosia all’uso delle forme di cortesia più elementari, ma noi siamo i tuoi nipoti."

Jor si volse quindi verso Sköll e, immediatamente, i suoi occhi tornarono quelli di un uomo, riportando in quello sguardo la sanità mentale che, per un momento, aveva vacillato.

Scrutando il giovane dallo sguardo leggermente spavaldo e i capelli color ruggine, il dio-serpente allora si avvicinò, sollevò una mano del color della giada più pura1 per carezzargli il viso e, annuendo, disse: "Sììì, sento il sangue di mio fratello, in te. Dunque, sei tu il più giovane dei figli di Fenrir e Avya."

"Beh... di due minuti" brontolò Sköll, scrutando male Hati, che sorrise affabile in risposta.

"Tu cosa ne pensi, nipote mio? Dovrei punire costui per la mia prigionia, o dovrei dirigere altrove la mia vendetta?" domandò allora il dio-serpente, lanciando un'occhiata raggelante a Odino che, ancora una volta, ebbe la decenza di tacere.

"Ah, beh, io non sono un campione di diplomazia, zio. Quello calmo è Hati però, secondo me, avere un dio come Odino che ti è debitore di un favore, potrebbe essere divertente, non ti pare?" buttò lì Sköll, guadagnandosi un'occhiataccia dal dio orbo.

Sollevando entrambe le sopracciglia con espressione interessata, Jörmungandr si trasfigurò in volto, divenendo bellezza pura, crudele e selvaggia, ammaliatrice e suadente come un serpente che danza ingannatore prima di attaccare.

"Mio caro nipote, tu sì che hai trasfigurato la mia intera giornata!" esclamò Jor, lanciando poi un'occhiata a Fenrir. "Tuo figlio è davvero astuto."

"Ne sono moderatamente fiero" assentì Fenrir con un ghigno.

"E sia! Vi condurrò attraverso i fiumi di ghiaccio sino alla Sorgente di Vita, dove Yggdrasil accoglie i ghiacciai di Jötunheimr e la lava dei vulcani di Muspellheimr. Lì, parlerete con le Norne..." asserì Jor prima di sorridere mellifluo a Mattias, aggiungendo furbo: "... o a due di loro, per lo meno, poiché la terza già cammina tra noi. Scusa se ho impiegato tanto a scorgerti, Rygr Urd, ma sai mimetizzarti bene."

"Si cerca di sorprendere sempre, mio vecchio amico" mormorò Urd, attraverso la bocca di Mattias.

Jörmungandr allora sorrise brevemente, si lasciò avvolgere dalle acque placide dello strano mare dove si trovava da un'eternità e Fenrir, nell'accostarsi a Odino, domandò: "Perché non è giunto in Helheimr con gli altri dèi, quando avete perso corporeità?"

"Per lo stesso motivo per cui mi costrinsi a confinarlo qui all'inizio dei tempi. Sarebbe diventato maestoso, fin troppo, per qualsiasi mondo, anche quello dei morti. Queste acque sono speciali, perché gli hanno permesso di vivere a prescindere del tempo passato e della mancanza di fede degli umani" gli spiegò ombroso Odino, osservando la stupefacente mutazione del giovane Jor.

"Ma è rimasto solo" sottolineò Fenrir.

"Sì. Soltanto ora mi rendo conto di cosa possa aver significato per lui, sopravvivere a te, a sua madre, ai suoi nipoti... a tutti coloro che avrebbero potuto costituire la sua famiglia" sospirò Odino, scuotendo il capo. “Sono stati commessi fin troppi errori, all’epoca, ma posso risolvere solo quelli di oggi, non quelli di ieri.”

L'enorme testa del bianco rettile che ora era divenuto Jörmungandr si volse a mezzo e, rivolgendo uno sguardo imperscrutabile a Occhiosolo, replicò: "Il tempo della contrizione non è questo, Dio Orbo. Ora, dobbiamo fermare i folli che desiderano aprire le porte di Ragnarök quando ancora non è il momento. Poiché tu e mio fratello vi siete riappacificati, i tempi sono ben lungi dall’essere maturi, per cui…"

Mattias si schiarì la voce e, lasciando parlare Urd, disse: “Ti prego, Jörmungandr… sarebbero cose da tenere per noi.”

Il serpente sgranò leggermente gli occhi, si esibì in una risatina e replicò: “Dimentico la cortesia, Rygr. Ma è così raro parlare con qualcuno che non siate voi Norne!”

“Lo comprendo, lo comprendo…” ammise Urd tramite la bocca di Mattias.

Ciò detto, indicò a Fenrir di salire così, uno dopo l’altro, i membri di quella stranamente assortita combriccolare montò a cavallo del gigantesco rettile, che poteva contare un’ampiezza di non meno di dieci metri e una lunghezza indefinita.

Il serpente di Midghardr, nell'iniziare il suo viaggio verso le vette traslucide che si potevano scorgere in lontananza, disse con tono leggermente sibilante: "Un suggerimento per le personalità non divine. Non arrischiatevi a toccare il ghiaccio su cui io scivolerò, poiché esso è più freddo di qualsiasi cosa abbiate mai provato, e potrebbe uccidervi al solo sfiorarlo."

Ilya si affrettò a sedersi sul dorso color perla, gli occhi vitrei per il terrore e Jor, con maggiore tatto, aggiunge: "Non avete di che temere, se rimarrete seduti sul mio dorso. Le mie squame vi tratterranno egregiamente, nonostante la mia andatura ondulatoria."

Snorri, in ogni caso, si sedette accanto alla sua regina per darle coraggio e Sthiggar, nell'aiutare Ragnhild e Mattias a fare lo stesso, si accomodò accanto a loro, mentre il resto del gruppo decise dove sistemarsi per affrontare quello strano viaggio.

"Come stai, Mattias? Nessun timore?" domandò Sthigg, sorridendo al ragazzino.

"Oh, no! E' tutto molto eccitante" esclamò lui, lanciando poi un'occhiata a Ragnhild, che invece stava fissando l'orizzonte con occhi tristi ma decisi.

Presa tra le sue una mano della sorella, quindi le domandò: "Sei pronta?"

Lei sobbalzò a quella domanda, lanciandogli uno sguardo ricolmo di domande e sì, di una paura così primordiale da spingere il fratellino ad accentuare la stretta sulle sue dita fredde e tremanti.

"Non lo so" mormorò infine lei, abbracciandolo stretto e tentando di trattenere, al tempo stesso, le lacrime che le stavano ferendo gli occhi.

"Sono sicuro che riuscirai" replicò lui con una strana solennità nella voce.

Sthiggar si alzò per lasciarli soli, comprendendo quanto i due fratelli avessero bisogno di parlare e, nel dirigersi verso Thrym e Flyka, si accomodò loro accanto per chiedere notizie in merito alle ferite del compagno.

"Tutto okay? La tua ferita come sta, Thrym? Si è più riaperta?" chiese infine Sthigg.

L'uomo si tastò la spalla dolorante - e che Sthiggar aveva curato con la Fiamma Viva - e, nello scuotere il capo, replicò: "La tua cauterizzazione ha retto e, anche se fa un male dell'inferno, sto bene."

"Flyka?" domandò allora Sthiggar.

"Nessun problema. Ma sono un po' preoccupata per la tua amica. Non credo reggerà il colpo, una volta che te ne sarai andato" mormorò la muspell, lanciando un'occhiata turbata all'indirizzo di Ragnhild.

Ragnhild sembrava impegnata in una profonda conversazione con il fratello e Mattias, sempre tenendole le mani, stava annuendo al suo dire con fare molto serio. Pareva quasi di vedere un padre confortare la figlia, e non una sorella maggiore alle prese col fratellino.

Sthiggar allora sorrise tranquillo e replicò: "Tornerò da lei. Farò come Gunther e lascerò che la mia aura si spenga, così potrò stare al suo fianco."

"E lei lo sa? Te lo permetterà?" ribatté scettica Flyka.

Sthiggar non disse nulla in merito e Thrym, nel dargli una pacca sul braccio, ghignò ironico e disse: "Stai attento a quel che fai, ragazzo, perché le donne non apprezzano sempre i nostri sacrifici. Ti converrà parlargliene seriamente, o potresti trovarti in guai più grossi di questo."

"Ne dubito" esalò scettico Sthiggar.

"Vuoi davvero metterti contro una donna delusa dalle scelte dell'uomo che ama? Auguri" ironizzò allora Thrym.

Sthigg si accigliò, a quelle parole e, nell'accomiatarsi, raggiunse Hildur, che si trovava nel punto più lontano di tutti, in direzione della coda del serpente, e con lo sguardo rivolto alla spiaggia che avevano lasciato.

Lui le sfiorò una spalla per rendere nota la sua presenza, dopodiché le sorrise a mezzo e domandò: "Temi possano attaccarci?"

"Ricordi i resti delle carcasse che si trovavano sulla spiaggia? Erano di qualcosa. E, visto che noi ci troviamo sul dorso di Jörmungandr, lui non sarebbe in grado di proteggerci, in caso di attacco. Stando così le cose, mi tengo pronta qualora un qualsiasi mostro marino decidesse di venire a banchettare con noi" sottolineò lei, scrutando il mare placido con occhio attento.

Sthiggar assentì grave, non avendo per nulla tenuto in conto quel particolare. Ancora una volta, la preoccupazione per Ragnhild aveva avuto la meglio su di lui e, con un sospiro, fu costretto ad ammettere: "Ho il sentore di non essere di molto aiuto, ora come ora. Sono piuttosto... distratto."

"Oh, l'ho notato!" chiosò Hildur con un sorriso indulgente. "Mi stupisce ancora che tu possa esserti innamorato con così tanta facilità ma, a quanto pare, quella ragazza riesce a far risuonare le corde giuste dentro di te."

"Non so se si possa parlare d'amore, cugina, ma..." mormorò lui, grattandosi nervosamente la nuca. "... vedi, ci conosciamo da poco e, in tutta onestà, non so se il tempo passato qui sia bastato a ..."

Hildur lo interruppe con una carezza sul torace e, sorridendogli, replicò: "Non si tratta mai di quanto, ma di come. E il tempo che tu hai passato su Midghardr devi averlo speso bene, perché quello che ho visto nei tuoi occhi quando ho minacciato la tua Ragnhild, mi ha detto molte cose."

Lui la fissò spaventato, forse realmente terrorizzato per la prima volta in vita sua e Hildur, nell'abbracciarlo con gentilezza, aggiunse: "Lo so, fa una paura del diavolo ritrovarsi a camminare su questa sottile lastra di ghiaccio in particolare, perché potrebbe spezzarsi da un momento all'altro senza lasciarti possibilità di scampo."

"Farà male, quando... quando ci divideremo" mormorò lui.

La sua non fu una domanda, ma un'affermazione, sintomo di un dolore che il giovane muspell già stava provando e la cugina, nel dargli un colpetto sulla spalla, asserì: "Vedi? E' il come, non il quanto."

Preso un gran respiro, Sthiggar si raddrizzò fiero, scrutò l'orizzonte e la spiaggia che velocemente stava scomparendo alla loro vista e, lapidario, dichiarò: "Salverò il re e, in premio, chiederò che mi chiuda i centri del potere."

"Piuttosto ti ucciderà, ma puoi sempre tentare" ironizzò tristemente Hildur, vedendolo accigliarsi di fronte a una tale risposta.

"Perché mai dovrebbe farlo?!" esalò Sthiggar, sconcertato.

"Perché sei una Fiamma Viva, Sthigg. Non puoi bloccare i centri di potere come un qualsiasi muspell. Tu sei fuoco, non lo sprigioni soltanto" sottolineò spiacente lei, addolorata dalla reazione che, quelle parole, sprigionarono nel cugino.

Il suo volto andò metaforicamente in frantumi e le gambe tremarono sotto il peso terribile di quella condanna, portandolo a piegarsi in avanti per poggiare le mani sulle cosce e sorreggersi alla bell'e meglio.

"Dunque, non c'è... non c'è speranza, per me" mormorò roco il giovane.

"Un modo lo troveremo, figliolo."

A sorpresa, le mani di Snorri si posarono sulle spalle incurvate del figlio e Sthigg, raddrizzandosi di colpo, esalò: "Padre!"

Sorridendogli orgoglioso, Snorri gli carezzò il viso punteggiato di barba e, nei suoi occhi, corsero i ricordi del figlio appena nato, della sua adolescenza tormentata e infine della sua maturità più consapevole.

Amava il figlio in un modo così totalitario e pieno da non aver mai avuto cuore di punirlo o rabberciarlo, anche quando tutto aveva congiurato perché lui lo facesse. Si era sempre trincerato dietro al suo amore per Sthiggar e alla consapevolezza che, tutte quelle dimostrazioni di disagio, venissero dalla morte di Seryaffhin.

La moglie li aveva abbandonati troppo presto, consumata da un dolore sordo e senza fine che, poco alla volta, aveva prosciugato la sua aura fino a spegnerla del tutto.

I dottori non erano stati in grado di comprendere perché la consunzione si fosse palesata in lei, ma Snorri aveva sempre avuto il sentore che, la sua eccessiva mansuetudine, l'avesse portata a pentirsi di averlo sposato.

La consapevolezza di aver fallito come marito si era aggravata quando, nel corso degli anni, il comportamento di Sthiggar era andato peggiorando, palesando così anche la sua incompetenza di padre.

Il suo caro figliolo, però, non era mai venuto meno al legame che da sempre li aveva visti uniti e, pur nella sua inadeguatezza, non aveva mai smesso di amare Sthiggar né il figlio di amare lui.

Vederlo perciò così distrutto, così privo di difese nonostante la sua possanza e il suo potere, lo aveva fatto muovere istintivamente e, dopo aver chiesto congedo alla regina, si era avvicinato al figlio per dargli quantomeno conforto morale.

"A questo punto, non so quale altra possibilità vi sia, per noi due, se Hildur ha ragione" mormorò il giovane muspell reclinando sconfortato il capo.

"Se servirà, chiederò alle Norne di accettare la mia vita in dono, per permettere a Ragnhild di stare al tuo fianco" disse con disarmante sincerità Snorri, sorridendogli tranquillo.

Sthiggar, però, non prese per niente bene quell'offerta giunta con fin troppa serenità e, incupendosi per diretta conseguenza - mentre Hildur soffocava un'imprecazione per la sorpresa - replicò caustico: "Cosa ti fa pensare, padre, che accetterei mai una simile offerta? O che la stessa Ragnhild la accetterebbe?"

"Figliolo, io ho vissuto millenni interi e, per mio figlio, posso benissimo offrirmi per un simile scambio. Te lo meriti e, se è l'unica azione valida che posso fare per te, ben volentieri la farò" ribatté sereno Snorri.

Il volto di Sthiggar si fece ancor più cupo, quasi un temporale si fosse addensato attorno a lui e, nell'afferrare le spalle del padre con una presa ferrea che lo squassò, ringhiò furioso: "Non ho mai voluto che tu morissi ma, se sei tanto ansioso di riunirti a tua moglie nel regno dei morti, così sia. Io non ti fermerò. Ma non usare Ragnhild o me come scusa per mollare."

Ciò detto, si allontanò piccato e pieno di un furore quasi incontenibile, lasciando uno sconcertato Snorri in compagnia di Hildur che, dopo aver dato una carezza sulla spalla allo zio, chiosò: "Non dovevi dirlo, zio. Proprio no."

"Ma potrebbe essere l'unica possibilità, per loro due, di stare insieme!" replicò addolorato Snorri, fissando la donna in cerca di aiuto. "Non sono forte come lui, né saprei mai brandire un'arma per proteggerlo, perciò l'unica cosa che posso offrirgli è la mia vita."

"O il tuo amore" replicò Hildur. "Sthiggar ti ama, zio, e da te ha sempre e solo voluto amore, non compassione o indulgenza. Tu hai sempre compatito il povero bambino senza la sua mamma, senza però renderti conto che c'era altro da fare, oltre a consolarlo e far finta che lui non avesse difetti."

"Non avevo cuore di punirlo... anche se sapevo bene che avrei dovuto, in alcuni casi" sospirò l'uomo, lanciando uno sguardo in direzione del figlio che, in quel momento, era appollaiato sul capo gigantesco di Jörmungandr, apparentemente intento a parlare con il dio-serpente.

"Per questo re Surtr si è sempre sostituito a te, in questo compito" sorrise appena Hildur. "Ma Sthigg voleva le tue punizioni i tuoi rimbrotti, perché solo il tuo sguardo contrito e i tuoi abbracci pieni di compassione non gli bastavano. Offrire te stesso, ora, è stato quasi uno schiaffo, per lui, perché perderti a causa sua sarebbe l'ennesimo scorno del destino, non un dono per il suo futuro."

Snorri reclinò colpevole il capo, annuendo e Hildur, nell'accentuare il proprio sorriso, aggiunse: "Lascialo sbollire, dopodiché affrontalo nuovamente, ma non con sacrifici estremi come ultima risorsa. Nessuno ti vuole morto, zio, men che meno lui."

 

 

N.d.A.: conosciamo finalmente Jor, l'ultimo dei fratelli di Fenrir e anche il più misterioso. Ovviamente, essendo stato isolato per millenni in una zona spazio-temporale a sè stante, dimostra di avere un certo caratterino... ma credo sia normale. Vi pare? Ben presto, scopriremo cosa potrà fare Urd - e forse anche lo stesso Mattias - per perorare la causa dei nostri eroi ma, soprattutto, faremo finalmente la conoscenza con le altre due Norne. E non solo con loro.

 

1 ‘…una mano del colore della giada più pura’: Parlo della giada bianca, la più rara e preziosa.


 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


 

Cap. 21

 

 

 

 

Dal padre, davvero non si sarebbe mai aspettato un simile discorso! Come poteva anche solo immaginare che il suo sacrificio estremo avrebbe potuto renderlo felice?!

Inoltre, neppure Ragnhild avrebbe accettato uno scambio simile. Era da folli il solo pensarlo.

"Non avercela troppo con tuo padre, Giovane Fiamma" chiosò Jörmungandr con la sua strana voce nasale.

La bocca di un serpente non era fatta per parlare, perciò i suoni che ne uscivano erano sibilanti e attutiti, quasi ovattati ma, non di meno, suonavano affascinanti alle orecchie dei presenti.

"Non può pensare che la sua morte potrebbe rendermi felice!" sbottò Sthiggar, fissando ombroso l'orizzonte, dove ormai era visibile il ghiacciaio che conduceva alle sorgenti di Yggdrasil.

Le alte montagne di ghiaccio apparivano impervie al pari dell'ampia lingua di ghiacciaio su cui, entro breve, Jor avrebbe proceduto. In cuor suo, Sthiggar pregò che quel luogo così impervio non brulicasse di jotun. 

Non era davvero il posto adatto in cui combattere.

"Non temere, qui non abita nessuno" dichiarò il serpente per poi aggiungere: "Quanto alla tua affermazione, ci sono figli che avrebbero pagato qualsiasi cifra pur di portare alla morte i propri genitori, ricordalo."

Sollevando un sopracciglio con evidente sorpresa, Sthigg replicò dopo un attimo: "Immagino che Loki non sia stato il migliore dei padri… ma neppure tua madre era degna di fiducia?"

"Loki ci allevò perché divenissimo armi da utilizzare contro Odino e i suoi aesir ma alla fine, tolta Hel, sia io che Fenrir ci rivoltammo contro di lui. Quanto a mia madre, si rifiutò persino di riconoscerci e, per quanto lei abbia aiutato Fenrir e Avya durante la gestazione dei miei nipoti, non credo di poterla considerare una brava mamma." dichiarò ironico Jor.

"Perché lo facesti? Sì, insomma, metterti contro Loki" si informò Sthiggar, sinceramente curioso.

“Non mi interessavano i suoi piani di dominio, e detestavo l’idea che lui volesse solo usarmi come un’arma, ma non pensasse minimamente ai miei sentimenti. Inoltre, per quanto mi spiaccia ammetterlo, Odino ebbe dei buoni motivi per lasciarmi qui. Sarei diventato davvero troppo grande per qualsiasi luogo” gli spiegò Jor con un sospiro a corollario.

Sthiggar assentì silenzioso, lasciando che il serpente si prendesse il suo tempo prima di proseguire nel suo dire e, quando finalmente ciò avvenne, il muspell si spiacque ulteriormente per lui.

“Indipendentemente da quel che pensano i più su di me, io non ho mai voluto morte e distruzione" sottolineò Jor, portando il muspell a carezzare istintivamente una delle squame protudenti che si trovavano sulla fronte del rettile. "Avrei soltanto desiderato un po' più di compagnia ma, come ben immaginerai, i mostri del cosmo non sono così carini e simpatici e, dopotutto, io non volevo che loro attaccassero il mondo in cui camminavano i figli di mio fratello, per cui..."

"Per cui, divenisti il protettore di Midghardr, a dispetto di tutto" esalò Sthiggar, ripensando alle carcasse presenti sulla spiaggia.

"Da un grande male come mio padre Loki è venuto un bene per Midghardr" ironizzò suo malgrado Jor. "Per questo, non me la prenderei troppo per le parole di tuo padre. Per quanto espresso in modo errato, il suo amore per te è sconfinato e pensa a cosa potrebbe portare, se veicolato nel modo giusto!"

"Da un grande amore, quindi, potrebbe venire ancor più bene? Non si rischia, però, che nasca per contro anche un male enorme, giusto per riequilibrare le sorti dell'universo?" brontolò Sthiggar, poggiando una mano per sorreggersi quando Jor iniziò la sua risalita lungo il ghiacciaio.

Il sobbalzo iniziale passò e il dio-serpente, con un risolino, chiosò: "Tu parli di bilancia cosmica, ma né tu né io siamo in grado di sapere cosa serva per riequilibrare il Cosmo. Per questo dobbiamo prima parlare con le Norne e, solo dopo, dirigerci verso il regno di Muspell."

Lanciando uno sguardo alle sue spalle, dove Ragnhild e Mattias stavano osservando il ghiaccio stando sdraiati proni sulla schiena di Jörmungandr, Sthiggar sorrise appena e mormorò: "Varrà qualcosa il fatto che con noi abbiamo Urd?"

"Solo le Tre Sorelle possono saperlo" replicò misterioso Jor, aggiungendo subito dopo: "Perché tu lo sappia, una volta raggiunta la sorgente di Yggdrasil, dovrò discutere un po' con Nidhoggr1, il nero drago che vive nelle acque di scioglimento di questo ghiacciaio, perciò ci sarà da ballare. Avverti tu gli altri."

"Potrei scaldargli le squame, se servisse" gli propose Sthiggar.

Jor rise sommessamente e replicò: "E' un serpente abituato al ghiaccio e al fuoco. Solo io posso chiarire chi è che comanda, tra i rettili che vivono in queste lande."

Nel dirlo, le iridi perlescenti di Jor emisero uno scintillio foriero di tempesta perciò Sthiggar, nel discendere dal capo del dio-serpente, avvisò le divinità presenti prima di recarsi da Ilya - avvicinatasi nel frattempo a Mattias e Ragnhild - e dire: "Tra un po' balleremo, perciò tenetevi ben saldi alle squame."

I tre assentirono al pari di Thrym e Flyka, poco lontani da loro, perciò a Sthigg non restò altro che raggiungere nuovamente Hildur e suo padre per avvisare anche loro.

Quando finalmente si fu avvicinato a sufficienza alla sua famiglia per parlare agevolmente, spiegò la situazione a entrambi dopodiché, prima che il padre potesse aggiungere altro, disse: "Ne riparleremo a tempesta finita. Ora, per favore, raggiungi la regina e pensa a lei."

L'uomo assentì spiacente e si allontanò in tutta fretta, lasciando soli i due cugini.

Cugini che si scrutarono vicendevolmente per alcuni istanti, prima che Hildur domandasse: "Come percepisci l'aura, in questo posto?"

Sthiggar si concentrò per un attimo prima di imprecare e dire: "Ancor più caotica che su Midghardr. Troppi mondi collegati tra loro, troppo ghiaccio a creare interferenza e..."

Di colpo, nella mente di Sthiggar si aprì un varco e, mentre le braccia di Ragnhild lo avvolgevano da dietro, facendolo sobbalzare, Hildur sorrise divertita alla giovane e celiò: "Il passo del cagnolino ti viene bene, berserkr, e il nostro Sthiggar era troppo impegnato a imprecare per accorgersi del tuo arrivo."

"Avevo il terrore di cadere, lo ammetto" mormorò lei, poggiando la guancia contro la schiena di Sthiggar per poi aggiungere: "Come va, ora?"

"Dannatamente meglio" replicò lui, volgendosi a mezzo per trascinarla davanti a sé e guardarla sconcertato. "Come hai capito che stavo tentando di aprire i centri dell'aura?"

"Succede da quando abbiamo..." tentennò Ragnhild, guardando poi di straforo Hildur, che si limitò a scrollare indifferente le spalle. "... beh, insomma, da quando ti ho tastato l'addome perché sentivo provenire calore dal tuo corpo."

Sollevando incuriosita le sopracciglia, Hildur allora le domandò: "Quindi, percepisci il suo stato di bisogno anche a distanza?"

"Non so se lo chiamerei bisogno. Ho come l'impressione di percepire una fiamma che si attizza, ma nel modo sbagliato, e io so come correggerla" cercò di spiegarsi Ragnhild, aggrottando la fronte. "Scusate, non so bene come esprimere ciò che sento."

"Credimi, nessuno di noi sa un'accidente di cosa succeda a una Fiamma Viva con il proprio catalizzatore" ammise con candore Hildur. "Neppure so chi sia quello del re. So soltanto che non è la regina."

"Ma... anche su Muspellheimr servirebbe un catalizzatore?" domandò sorpresa Ragnhild, sempre rimanendo ancorata al corpo di Sthiggar.

"Solo all'inizio, per permettere alla Fiamma Viva di trovare il Centro di Fuoco del pianeta" le spiegò Hildur. "Le Fiamme Vive, però, sono così rare che non esiste una letteratura in tal senso, e quindi conosco solo voci riportate e poco più."

Preferendo non pensare alle implicazioni legate a quel particolare - visto che lei non poteva mettere piede su Muspellheimr, Sthiggar non sarebbe stato in grado di usare con competenza la sua Fiamma - Ragnhild a quel punto domandò al muspell: "Tolto questo... perché stavi tentando di richiamare l'aura, visto che siamo circondati dal ghiaccio?"

"Perché volevo scoprire se potevo essere d'aiuto a Jörmungandr, visto che si dovrà scontrare contro un drago" le spiegò Sthiggar.

"Quindi, temi che il dio-serpente… questo dio-serpente…” gorgogliò lei, indicando la creatura sotto i loro piedi con espressione costernata. “…non sia abbastanza forte?"

"Tutt'altro. Ma è sempre meglio pensare a un piano B, quando si va in battaglia" ammise il giovane, dandole un bacetto sulla fronte. "Tu e Mattias siete al sicuro, non temere."

Hildur a quel punto sorrise sorniona e, nell'allontanarsi dalla coppia, chiosò: "Oooh, è sicuramente come, non quanto."

Ragnhild fissò con aria dubbiosa Sthiggar ma quest’ultimo non replicò alle parole della cugina, limitandosi a dire: “Vediamo di capire come raccapezzarci in questa confusione di reti di potere… di mia cugina e della sua ironia spicciola, mi occuperò più tardi.”

“Come vuoi” acconsentì la giovane, portandosi dinanzi a lui per poi prendere tra le proprie le mani di Sthiggar.

Chiusi gli occhi, la giovane avvertì il tocco della fronte di Sthiggar contro la propria e, subito dopo, il lieve borbottio della sua voce. Sembrava quasi stesse cantando una litania nella sua lingua, dato che non comprendeva una sola parola di quanto stava dicendo.

I suoni da lui emessi, però, la rilassarono al punto tale da farla crollare tra le sue braccia in uno stato di trance e, soltanto dopo un tempo indefinito, riprese conoscenza. Quando lo fece, però, non vide più il solito Sthiggar ma il guerriero che aveva intravisto nel suo sogno.

Neppure quando aveva risvegliato la Fiamma sulla Terra gli era apparso così sfolgorante e, nel ritrovarsi circondata dal fuoco gentile che lui già le aveva mostrato, stavolta non ne ebbe paura.

Sorridendole, lui la baciò con delicatezza sulle labbra e, in un sussurro, mormorò: “Grazie a te posso sentire Madre.”

“Questa è la Sua energia?” esalò a quel punto la giovane, strabiliata.

Lui assentì, eccitato e sorpreso non meno di lei e, nel tenerla per mano, tornò verso la testa di Jörmungandr, attirando l’inevitabile attenzione di tutto il loro strano ed eterogeneo gruppo.

Se, per il Hildur, la sua vista fu quasi del tutto naturale – avendo già avuto modo di vedere re Surtr sul campo di battaglia nelle vesti di Fiamma Viva – persino per Ilya e Snorri un simile fulgore incandescente risultò strabiliante.

Quanto alle divinità presenti, si dimostrarono parimenti meravigliate e anche Jor fischiò ammirato, chiosando con tono divertito: “Beh, alla tua vista, Nidhoggr potrebbe anche non alzare tanto la cresta, dopotutto.”

Solo Mattias non disse nulla, limitandosi a raggiungere Sthiggar per poi dire: “Era tempo che qualcuno attingesse alla più pura fonte di potere.”

Ciò detto, strinse la mano libera del muspell e, sotto gli occhi stupiti di tutti, il ragazzino che era stato Mattias venne sostituito da Urd, che prese le forme di una donna dai capelli bianchi come neve e lunghi e pesanti abiti color della notte.

Braccia e braccia di tessuto in broccato di velluto si strinsero attorno alla donna dall’età indefinita che rappresentava la figura divina di Urd che, finalmente libera dal suo involucro umano, poté mostrarsi al mondo dopo millenni.

Ragnhild più di tutti rimase sgomenta da quella trasformazione improvvisa ma, prima di poter cedere allo sconforto, Urd la confortò con un sorriso e una carezza, dicendo con tono sereno: “Non temere, bambina. Grazie al potere di Yggdrasil, che tanto gentilmente hai permesso a Sthiggar di attingere, ho potuto riappropriarmi delle mie sembianze primigenie senza fare del male a Mattias.”

Assentendo muta, la giovane la guardò comunque piena di un profondo turbamento, ma la dea ancora la confortò.

“Era giusto che io mi presentassi alle mie sorelle in queste vesti, così come era giusto che anche Sthiggar mostrasse ciò di cui era capace… e anche tu.

Quelle ultime parole lasciarono la platea senza parole e la dea, sorridendo misteriosa, aggiunse: “Non posso spiegare ogni cosa proprio ora. L’equilibrio ha i suoi tempi, come qualsiasi altro evento del Cosmo.”

“Non sei una che fa spoiler, insomma” borbottò contrariato Sköll, guadagnandosi più di un’occhiata irritata.

Urd, però, la prese sul ridere e assentì, ammettendo: “No. Li ho sempre detestati. Scusami, caro.”

Ciò detto, lanciò un’occhiata a Sthiggar e Ragnhild, dopodiché li incitò a seguirli per raggiungere il capo di Jörmungandr, che si piegò in avanti per permettere loro di sistemarsi più agevolmente.

Il chiarore che adornava i tre divenne sempre più brillante, le fiamme più alte e scarlatte e persino le divinità presenti non ebbero la volontà di dire nulla, al cospetto di un simile potere.

Solo dopo molto tempo, Odino poggiò le mani sui fianchi e, fissando le tre figure coronate di fiamma che si ergevano sul capo del serpente, chiosò pensieroso: “In questo frastuono il cielo si fenderà e avanzeranno allora i figli di Muspell. Surtr cavalcherà per primo, con un fuoco ardente davanti e dietro di lui; la sua spada è formidabile, da essa emana un chiarore più brillante del sole. Quando cavalcheranno su Bifröst, essi lo demoliranno, com’era stato detto in precedenza. Le schiere di Muspell avanzeranno fino al campo chiamato Vigrond, ove arriveranno anche il lupo Fenrir e Jörmungandr2.”

“Ti dai alle citazioni, Occhiosolo?” mormorò Fenrir, ancora in aperta ammirazione di quella spettacolare dimostrazione di potere.

“Da chi pensi abbia preso ispirazione, l’autore di questo libro, citando ciò che avverrà durante Ragnarök? Da quella signora lassù, che ora è più brillante di una stella proprio grazie a uno dei soldati di Surtr e che, molto probabilmente, sarà la sua spada fiammeggiante” mormorò pieno di meraviglia Odino, ormai certo di aver compreso il reale significato di quel particolare brano dell’Edda in Prosa.

Hildur lo fissò sinceramente confusa e, dopo alcuni istanti di comprensibile dubbio, portò lo sguardo su Snorri che, però, non si permise di aprire bocca in merito, apparentemente preso da tutt’altro genere di pensieri.

Era mai possibile che, in realtà, Odino avesse visto giusto e la tanto glorificata spada fiammeggiante di cui si parlava da millenni, e che nessuno però aveva mai visto, non fosse una vera arma, ma piuttosto una persona?

Il tesoro nel Tempio di Sól, e di cui suo zio possedeva le chiavi, quindi, cos’era? O era un mascheramento?

Ilya cercò di frenare qualsiasi tipo di speculazione in merito e, fissando Occhiosolo con espressione divertita, celiò forzatamente: “Pensi davvero che il mio Surtr lascerebbe andare in giro per il Cosmo un’arma così potente? Suvvia, caro mio…”

Odino però le sorrise sornione e replicò: “Non metto in dubbio che Surtr sia intelligente ma, se lui è chi penso che sia, Ragnarök non è poi così lontano.”

“E’ qui che ti sbagli, Occhiosolo. L’età di un muspell dipende dall’intensità della sua fiamma e, poiché lui ora è in grado di attingere al potere stesso di Yggdrasil, Sthiggar è pressoché immortale” sorrise melliflua Ilya, ammiccando perspicace.

Questo ammutolì l’ӕsir e permise alla regina di tornare a osservare – stavolta con preoccupazione – la figura del giovane muspell che, come un’ardente stella, stava mostrando una sempre maggiore padronanza del potere della Fonte della Vita.

Ciò che aveva detto a Odino era reale, e Sthiggar aveva il potenziale per vivere in eterno, ma il punto era un altro; un simile potere era davvero alla portata di un Gigante di Fuoco, o sarebbe stata necessaria la forza degli dèi, per imbrigliarlo?

***

Non appena il ghiaccio che dava la vita a Jötunheimr prese a sciogliersi per formare l’immenso lago da cui si generava Yggdrasil, le rade nebbie che circondavano l’Albero del Mondo presero a dipanarsi, mettendo in mostra Madre nella sua essenza.

Dinanzi agli occhi sbigottiti di tutti coloro che, fino a quel momento, non erano mai stati in presenza della Madre-di-ogni-cosa, emerse in tutto il suo splendore l’enorme frassino immortale da cui ogni creatura, ogni atomo era nato.

Candida corteccia, chioma di un verde brillante e persa nell’infinità degli spazi incommensurabili di quei luoghi e, infine, enormi radici che ci inerpicavano dal lago in cui erano immerse per raggiungere ogni Mondo.

Ogni particolare di Colei-che-tutto-è, della sfolgorante Yggdrasil, meritava a pieno diritto l’uso di superlativi assoluti, tanto le dimensioni di ciò che era visibile erano incomprensibili e fuori qualsiasi scala conosciuta in ogni Regno.

Quando però Nidhoggr, il drago che viveva nel lago prossimo a Yggdrasil, decise di emergere a sorpresa dalla Fonte della Vita, ogni meraviglia e ogni soggezione vennero spazzate via per essere sostituite dall’ansia.

Un’onda pari a quella generata dalle Cascate del Niagara si levò per abbattersi contro di loro, ma la maggior parte svaporò a contatto con il calore di Sthiggar, lasciando che solo una debole nebbiolina colpisse i suoi compagni di viaggio.

Quella vista sconcertò non poco Nidhoggr che, bloccando sul nascere qualsiasi altro attacco, scrutò rabbioso prima Jörmungandr e infine Sthiggar, sibilando furente: “Come osi giungere qui con una simile arma al tuo fianco?! Hai dunque paura di me, serpente di Midghardr?!”

Jor rise per tutta risposta, replicando serafico: “Dovresti ben sapere che di te non ho mai avuto paura, Nidhoggr, infida serpe che non ha il coraggio di vivere in mare aperto per paura di doversi sporcare le mani con chi lo abita.”

Fenrir sibilò un’imprecazione, di fronte a quell’affronto bello e buono e Odino, nell’accostarsi al dio-lupo, mormorò: “Vedo che in famiglia avete tutti la lingua forcuta, eh?”

“Lui è un serpente… vorrei vedere” borbottò Fenrir, pur sapendo perfettamente cosa intendesse dire Occhiosolo.

“Anche domani, io verrò nel regno di cui detieni un’immeritata corona!” protestò per bella posta Nidhoggr, già pronto a dar battaglia.

Urd, però, levò una mano per bloccare quel nascente – e ben conosciuto – conflitto ed esclamò: “Ora basta, ragazzi. Non è tempo per queste schermaglie! Il tempo è tiranno, e a noi ne rimane ben poco.”

Il drago nero osservò cupo la Norna ma, ben sapendo di non poterla contraddire, pena il bando dalla Fonte della Vita, chinò il capo e li lasciò passare, ricevendo per diretta conseguenza un’occhiata derisoria da parte di Jor.

Urd, però, batté il piedino sulla testa del dio-serpente, mormorando: “Anche tu, però... non fare il guastafeste.”

“Le mie scuse, Rygr Urd… ma è così facile fargli perdere le staffe” sghignazzò il dio-serpente, smettendo però di cercare la rissa con Nidhoggr.

Urd a quel punto sbuffò e, nello scuotere il capo, borbottò: “Bambini. Possono avere anche migliaia di anni, ma si comportano ancora come bambini.

Sthiggar e Ragnhild sorrisero debolmente, a quel commento e Urd, nel fare spallucce, indicò a Jörmungandr dove approdare perché tutti potessero scendere.

Sempre sotto l’occhio vigile di Nidhoggr, la comitiva mise quindi piede sui verdi prati che circondavano l’immenso tronco di Yggdrasil, subito raggiunti dal piccolo e vispo Ratatosk.

Lo scoiattolo li scrutò per alcuni istanti, emise uno squittio di benvenuto nel vedere Urd dopodiché, risalendo in fretta lungo il tronco di Yggdrasil, urlò con voce trillante: “Sono giunti nemici dal confine! Ci sarà da divertirsi, adesso!”

“Ma che diavolo…” borbottò Sthiggar prima di notare il sorriso indulgente di Urd.

“Non fare caso a Ratatosk. E’ un sobillatore nato ma, nel caso specifico, essendo io una vostra compagna, gli ospiti di Yggdrasil non ci degneranno di uno sguardo” lo tranquillizzò la dea, battendogli una mano sul braccio.

“Un altro dei motivi per cui Mattias doveva venire con noi, giusto?” ipotizzò quindi Ragnhild.

“Esatto, mia cara” si limitò a dire Urd.

L’istante seguente sorrise e, dalle nebbie che circondavano l’Albero della Vita apparvero due nuove figure, l’una con fluenti capelli bruni e l’altra con vaporosi capelli biondo-rossi, entrambe abbigliate con lunghi abiti color dell’arcobaleno.

“Verdandi, Skuld… è un piacere rivedervi” esordì Urd, allungando le mani per stringere quelle delle sorelle.

“E’ dunque giunto il tempo, sorella?” replicò Verdandi, sorridendole prima di concedere uno sguardo alle persone presenti.

Imperturbabile, sorrise a tutti prima di soffermarsi su Odino e Fenrir. Le sopracciglia si levarono leggermente, a quella vista e, accentuando il proprio sorriso, la dea del Presente esalò: “E io che ti avevo dato della pazza! Sorella, davvero non avrei mai pensato a una simile congiuntura!”

“Lo so, è un evento assai curioso e anch’io rimasi meravigliata, quando mi giunse in sogno la Visione” ammise Urd. “Ciò non di meno l’evento è reale, e ha portato a queste ripercussioni.”

Nel dirlo, indicò Sthiggar con espressione imperscrutabile e Skuld, con un fischio modulato quanto ammirato, lo aggirò per scrutarlo attentamente prima di domandare: “E’ mai possibile, sorellona?”

“Lo è, poiché vi è il sole, in lui” assentì Urd. “Il riappacificamento di Odino e Fenrir ha destabilizzato gli altri Regni, portando la guerra in Muspellheimr, ma ciò non avrebbe dovuto avvenire poiché il tempo non è maturo per simili esplosioni di rabbia e furore.”

Le due divinità coinvolte si guardarono vicendevolmente con aria dubbiosa, perciò fu Verdandi a spiegare l’arcano esposto da Urd.

“La Bilancia Cosmica opera in modi misteriosi e, se un tassello viene spostato in una parte della scacchiera, da un’altra parte si otterrà un movimento speculare e contrario.”

“Una farfalla batte le ali a New York, e a Hong Kong spunta il sole invece di piovere” borbottò sconcertata Ragnhild. “E’ la Teoria del Caos.”

E dell’equilibrio” sottolineò sorridente Verdandi. “L’una non può esistere senza l’altra, in un continuo bilanciarsi e sbilanciarsi perché la vita prosegua fino al suo ultimo respiro, e da lì ricominciare in un’altra forma.”

“Tutto ciò come può spiegare l’attacco a mio marito e al mio mondo, però?” domandò Ilya con aria aggrottata.

“Due nemici sono divenuti amici, e due amici si sono dichiarati guerra” disse allora Skuld con semplicità.

“Lafhey? Ma Lafhey e mio marito non sono mai stati…” iniziò col dire la regina prima di venire interrotta dalla Dea del Futuro.

Skuld sorrise misteriosa e replicò: “Non ho mai detto che fosse Lafhey, l’amico di Surtr.”

Ilya impallidì visibilmente, a quell’accenno e Sthiggar, nel prendere la parola, disse: “Permetteteci di oltrepassare i confini della Fonte della Vita per poter raggiungere Muspellheimr. Permettetemi di difendere il mio re.”

“Non puoi” dissero all’unisono le tre sorelle, sgomentando i presenti.

Ragnhild, a quel punto, strinse con maggiore forza la mano di Sthiggar - che ancora tratteneva nella propria - ed esclamò: “Ma…Urd! Perché ora ti metti contro di noi? Ci hai portati fino a qui solo per disilluderci all’ultimo momento?!”

“Bambina… mi credi davvero crudele, se pensi che io abbia agito in questo modo, ma in realtà sei tu che impedisci a Sthiggar di oltrepassare la Fonte” replicò con gentilezza infinita Urd.

La giovane sbarrò gli occhi per lo sgomento, a quelle parole e, subito, lasciò andare la mano di Sthiggar, esclamando: “Ecco! Ora può passare, no?”

“Pensano sempre che sia tutto facile” sorrise Skuld, prendendo quindi sottobraccio una sgomenta Ragnhild per condurla nei pressi della Fonte della Vita. “Ora guarda, bambina, e comprendi finalmente perché Sthiggar non può passare oltre.”

Lei assentì turbata, non sapendo bene cosa aspettarsi quando improvvisamente, sulla superficie liscia della Fonte della Vita, apparvero le immagini di Sthiggar al loro primo incontro, quando il suo turbamento aveva attirato l’attenzione di Mattias.

Man mano che la giovane osservava, il tempo proseguì, mostrandole ciò che lei non era stata in grado di vedere. Sthiggar che si impegnava per terminare prima il suo lavoro e raggiungerla all’università, lui che tentava di studiare in solitudine per poi preparare mille e più domande che, in seguito, non le avrebbe mai chiesto perché impegnato ad ascoltare lei.

Ancora, Sthiggar mentre le carezzava i capelli nel sonno, osservando il sorriso sereno che le tendeva le labbra, o anche Sthiggar che la cercava con lo sguardo quando lei era impegnata in altro.

Di colpo, però, lo scenario mutò e, come nel più orribile degli incubi, vide i suoi cugini nei pressi dell’abitazione dei genitori mentre, spalla contro spalla, impedivano agli uomini del loro capoclan di procedere con le ricerche di Mattias.

Sgomenta, strinse il braccio di Skuld quando Boris venne ferito per impedire a uno dei berserkir di oltrepassare lo sbarramento e, nel mordersi il labbro inferiore, mormorò: “Come… c-come può, questo, impedirgli di passare?”

“Pensi davvero che Sthiggar non immagini ciò che sta avvenendo a casa tua, a causa sua?” le fece allora notare Skuld con un candore disarmante.

Ragnhild lanciò un’occhiata a Sthiggar, ancora fermo al fianco di Urd e brillante come una stella nel suo alone di fiamma scarlatta, quindi mormorò con tono lapidario: “E’ stata una loro decisione, e Sthiggar non deve portarne il peso. Lasciali andare.”

Il solo dire quelle due ultime parole la portò a tremare e Skuld, con maggiore comprensione, mormorò dolcemente: “Un cuore che ama non può lasciar andare con così tanta leggerezza. Lui sa di aver causato danni enormi all’equilibrio del tuo clan e se ne sente responsabile. Inoltre, l’abbandonare te è quasi impossibile poiché, dentro di lui, il legame tra voi è già troppo forte per essere spezzato.”

Ragnhild crollò in ginocchio, di fronte a quelle parole e, subito, Sthiggar fece per muoversi e raggiungerla, ma Urd lo bloccò sul nascere quindi, perentoria, dichiarò: “Non puoi aiutarla ora, ragazzo. La scelta spetta a lei, e solo lei può prenderla.”

“Perché non posso essere il suo Campione anche adesso?” protestò Sthiggar, accigliandosi.

“Non è il tempo dei Campioni, mio giovane amico, ma delle decisioni e, poiché tu non hai scelta, solo lei può compierla per entrambi” sospirò Urd nello scuotere il capo.

“Perché… non ho scelta?” tentennò Sthiggar, lanciando un’occhiata addolorata all’indirizzo di Ragnhild.

“Sei una Fiamma Viva con sangue divino, bambino mio, e il tuo posto può essere uno e uno solo. Muspellheimr. Tua non è quindi la scelta” dichiarò Urd. “Non ti è concesso seguire il tuo cuore, ma solo il tuo dovere.”

“Come… come nonna” mormorò sgomento Sthiggar.

“Esattamente. Solo Ragnhild, quindi, può decidere per se stessa e per te” dichiarò a quel punto Verdandi, avvicinandosi a sua volta alla giovane berserkr per poi aggiungere: “Dinanzi a te si aprono due strade, fanciulla. La prima, è seguire il tuo sangue e tornare con tuo fratello a Luleå, dove fermerai la lotta fratricida che ora si sta combattendo e prenderai sulle tue spalle la guida del Clan al posto di tuo padre. L’altra, è abbandonare tuo fratello in favore di Sthiggar e lasciare per sempre il Regno di Midghardr.”

La fiamma del muspell divampò, a quelle parole e, irato, Sthiggar esclamò: “Non potete chiederle questo! Lei ama Mattias!”

“La Bilancia Cosmica non fa sconti, guerriero… neppure per un cuore generoso come il tuo” replicò Urd, sfiorandogli una spalla con la mano.

“Per quanto tutto questo sia romantico e strappalacrime, come potete pretendere che una terrestre possa seguire un muspell nel Regno del Fuoco?” intervenne a quel punto Odino, ombroso in viso. “State per caso giocando con il cuore di queste creature, facendo credere loro l’impensabile?! Ella morrà dopo pochi minuti dal suo arrivo su Muspellheimr, e la Fiamma Viva di questo ragazzo esploderà come una furia, deprivata del suo Fulcro.”

Urd sorrise misteriosa a Occhiosolo, esalando con tono deliberatamente sorpreso: “Ma come? Comprensione e preoccupazione altruistica in te, Dio Orbo? Davvero mi sorprendi.”

Borbottando un’imprecasione, Odino replicò: “Ho solo fretta di menar le mani.”

“Cosa che non farai, perché tu non potrai mettere piede su Muspellheimr” replicò a sorpresa Urd, sgomentando il dio. “Il tuo compito era e sarà un altro, e finora l’hai svolto egregiamente.”

“Come ti permetti di…” cominciò col dire Occhiosolo, subito bloccato da Fenrir, che gli intimò di non andare oltre.

Hati e Sköll, al tempo stesso, presero sottobraccio Odino per evitare qualsiasi eventuale colpo di testa e quest’ultimo, nel brontolare come una pentola di fagioli, borbottò: “Non volevo mica farle del male…”

“Prevenire è meglio che curare. Lo dice sempre la mamma” ammiccò Sköll, accentuando la stretta.

Urd indirizzò un sorriso ai due licantropi prima di tornare con lo sguardo su Sthiggar, tornare del tutto seria e infine aggiungere: “Hai davvero così poca fiducia in Ragnhild, da non crederla in grado di prendere una decisione per se stessa e per te?”

“Non si tratta di questo! Io ho sempre avuto fiducia in lei!” sbottò Sthiggar, muovendosi ancora una volta per raggiungerla.

Nuovamente, Urd lo bloccò e Ragnhild, nell’osservarlo con occhi liquidi e pieni di dolorosa accettazione, si morse un labbro e tornò infine a scrutare ciò che stava accadendo ai suoi cugini.

Apparivano feriti ma niente affatto in difficoltà e, sui loro volti accigliati e pieni di feroce determinazione, splendeva un sorriso fiero e orgoglioso, come mai aveva visto in loro. Forse per la prima volta, Boris, Wulff e Adam stavano facendo ciò che sentivano giusto fare, e non erano più spinti a muoversi da un’imposizione del loro capoclan.

Per la prima volta in vita loro, si erano concessi di essere dei berserkir con un onore personale da difendere, e lo stavano facendo per lei, per Sthiggar e per Mattias.

Fu con quella consapevolezza che, nella mente di Ragnhild, balenò improvvisa la domanda che, poche ore addietro, Mattias le aveva fatto.

Sei pronta?

Ora sapeva cosa aveva voluto intendere, e quali sarebbero state le conseguenze della sua risposta.

Con un sorriso che aveva il gusto della piena accettazione di sé, di ciò che era e del peso che avrebbe pagato per ciò che aveva deciso di fare, Ragnhild si levò da terra dopo un ultimo sguardo all’immagine dei cugini, si rivolse a Urd e dichiarò: “Sono pronta.”

“Ragnhild…” tentennò Sthiggar, turbato.

Lei però scosse il capo al suo indirizzo, come a volerlo tranquillizzare, quindi si volse in direzione di Skuld e aggiunse: “Avevo paura che Mattias avrebbe potuto rimanere solo e senza protezione, ma mi sbagliavo. Al suo fianco avrà i tre più valenti berserkir che possano esserci, e i nostri genitori non avranno più alcun potere su di lui, ora che Urd può palesarsi per difenderlo.”

Avanzando di un passo, lanciò un’occhiata a Verdandi e proseguì dicendo: “Non mi è mai stato concesso di decidere per me stessa ma, ora che posso farlo, la decisione è terribile perché mi costerà tutto. Non mi avete di certo reso la vita facile.”

“Più si ha un ruolo importante, più le scelte debbono essere difficili” chiosò misteriosa Verdandi, sorprendendola un po’.

“Mattias è importante, non certo io” sottolineò per contro Ragnhild.

“Sei importante per me” precisò Sthiggar prima di guardare le Tre Sorelle per poi aggiungere caustico: “Il punto, però, è un altro. La state facendo soffrire senza offrirle nulla in cambio.”

“Tu non saresti un’offerta sufficiente?” replicò Verdandi.

“Io? Le offrirei un mondo in guerra, un mondo dove non potrebbe sopravvivere e, soprattutto, un mondo dove non c’è suo fratello. Bel modo sarebbe, il mio, di dimostrarle quanto tengo a lei!” protestò Sthiggar, sempre più furioso. “Preferisco saperla su Midghardr, al sicuro, piuttosto che averla al fianco senza poterle offrire nulla per proteggerla dal mio mondo, e unicamente per vederla morire alcuni istanti dopo aver messo piede sul mio pianeta natale.”

“Ma così, ti spezzeresti” sottolineò Skuld.

“Ben venga. Posso battere i miei nemici anche senza un arto, o due, ma non permetterò che voi la facciate soffrire oltre” ringhiò a quel punto Sthiggar, facendo rifulgere la fiamma al pari di una stella.

“C’è altro che volevi udire, Madre?” domandò a quel punto Urd, levando il capo per scrutare Yggdrasil.

Quella domanda sorprese tutti, azzittendo anche il riottoso Sthiggar che, scrutando a sua volta l’immenso Albero della Vita, esalò: “Che intendi dire?”

“Che ogni cosa deve avvenire per un motivo più che valido, e che i cuori deboli non possono brandire le più incommensurabili forze del Cosmo” declamò una voce alle loro spalle.

Il gruppo si volse in maniera uniforme, come guidato da fili invisibili e, con loro enorme sorpresa, videro giungere una giovane donna dalla folta e lunga chioma fulva, avvolta da sottili vesti dorate e portante una piccola ampolla di cristallo tra le mani.

“Audhumla ha dunque accettato?” domandò Urd, sorridendo lieta.

Annuendo, la donna fulva si avvicinò al gruppo e, dopo aver lanciato un’occhiata interessata a Sköll, raggiunse Sthiggar e lo abbracciò a sorpresa, mormorando: “Mio Sthiggar… mio dolce, caro nipote!”

“N-nonna?” gracchiò Sthiggar, sobbalzando nello scoprire la verità prima di stringere a sé la donna che, per una vita, era stata un’autentica incognita, per lui. “Oh, dèi… nonna!”

“Non potevo lasciare a nessun altro questo compito” mormorò la donna, scostandosi per sorridere al nipote e carezzargli le gote punteggiate di barba.

Nel volgere lo sguardo dopo alcuni istanti di sofferente adorazione nei confronti del nipote, sorrise quindi a Snorri, avvicinatosi con passo caracollante alla madre e, carezzando anche lui, aggiunse: “Avrei tanto voluto essere al vostro fianco, miei cari, aiutarvi quando ne avreste avuto bisogno, ma non ho mai potuto.”

“Sono stato unicamente una delusione, per te” mormorò a quel punto Snorri, sospirando afflitto.

“Come puoi dire questo, figlio mio? Hai dato alla luce la Spada Fiammeggiante ed essa è più brillante e più forte che mai” sorrise per contro Sól, sbalordendo i presenti e facendo sogghignare Odino. “Sei stato il suo guardiano, il suo abbraccio amorevole, la sua protezione contro il dolore, e lui è cresciuto forte e…”

“Non con il mio aiuto” precisò Snorri, interrompendola sul nascere. “Non sono mai stato in grado di essere ciò che dici, perché non ho mai avuto la forza di mio figlio.”

“Niente accade mai per caso, Snorri, e tu dovevi essere esattamente ciò che sei stato, per Sthiggar, così che lui compisse i suoi sbagli, e pagasse per essi, per divenire ciò che è ora” ammise Sól prima di sorridere a un gongolante Odino e aggiungere: “Sì, mio buon Occhiosolo, avevi visto bene, ma di cosa dovrei stupirmi, da parte di colui che ha bevuto alla fonte di Mimir?”

“E’ la dimostrazione che non sono poi così arrugginito, dopotutto” ghignò Odino, lanciando poi un’occhiata a un’imbarazzata Ilya.

Sól accentuò il proprio sorriso e, dopo aver annuito al nipote – che ancora sembrava frastornato all’idea di essere realmente la Spada Fiammeggiante – si volse verso Ragnhild per porgerle l’ampolla di cristallo con cui era giunta, mormorando: “Nessuna lama può essere definita tale senza la sua elsa e tu, mia cara, sei cresciuta temprandoti e divenendo la donna coraggiosa e forte che sei ora.”

Sia Sthiggar che Ragnhild si guardarono confusi, così come la confusione apparve evidente negli occhi di tutti – stavolta, anche in quelli di Odino – e Sól, nell’aprire l’ampolla, proseguì dicendo: “La Lama di Fuoco e l’Elsa della Spada Fiammeggiante non potevano nascere nello stesso luogo, o questo avrebbe creato squilibrio nei Regni ma, se e quando il bisogno fosse nato, le due parti del tutto si sarebbero ricongiunte. Tu, Ragnhild, sei la creatura più unica che esista nei Nove Regni, perché solo tu puoi essere l’elsa della lama che è mio nipote.”

“Quindi, io e lui…” tentennò Ragnhild, lanciando un’occhiata disperata all’indirizzo di Sthiggar, che sembrava angustiato al pari suo.

Erano solo questo, dunque? Due ingranaggi cosmici pronti a incastrarsi l’un l’altra per creare un’arma leggendaria? I loro sentimenti non contavano nulla?

Ed erano poi reali, tali sentimenti, o frutto di ciò che erano?

“Le due cose non vanno di pari passo” sottolineò Sól, come avendo interpretato il suo sguardo ferito e pieno d’angoscia. “Voi siete una cosa sola, e mille altre e più. Tu sei sorella, amante, cugina, donna, figlia ed elsa. Sei una creatura pensante che ha preso la sua terribile scelta, vagliando ciò che sapeva per ottenere una risposta.”

Ciò detto, la dea si volse per scrutare il nipote e aggiunse: “Tu sei uomo, soldato, amante, figlio, nipote adorato e lama, ma sei anche una creatura pensante che ha scelto di rinunciare a colei che lo fa sentire completo, decidendo di spezzarsi, pur di non spezzare lei e il suo legame con l’amato fratellino.”

“Ma non si può avere la gioia completa, vero?” mormorò addolorato Sthiggar.

“La gioia completa si ha quando si accettano pregi e difetti di se stessi e delle decisioni prese” asserì Sól, tornando con lo sguardo su Ragnhild. “Bevi, dunque, e sii ciò che hai scelto di essere prima di sapere della tua unicità.”

Ragnhild lanciò un’occhiata a Urd che, assentendo, permise a Mattias di riemergere perché lei potesse vederlo un’ultima volta.

Il fratellino, allora, corse ad abbracciarla e, annuendo all’indirizzo della sorella, disse: “Sapevo che eri super speciale.”

“Ma così dovrò abbandonarti” sottolineò lei, spiacente.

“Ma io so che mi vuoi bene, e tu sai che ne voglio a te, perciò non saremo mai veramente lontani” disse con semplicità Mattias.

Di fronte a quella sconcertante quanto ovvia verità, Ragnhild bevve dall’ampolla il candido latte che la saggia Audhmula le aveva concesso, risvegliando ciò che per anni era rimasto sopito dentro di lei.

Le ingiurie, i dinieghi, il rancore, ogni cosa svanì per lasciare il posto alla consapevolezza universale del suo reale posto nell’Universo e, quand’anche l’ultimo sorso di latte scivolò nella sua gola, seppe di aver compiuto il passo giusto.

 

 

 

 

1 Nidhoggr: drago nero che vive nella fonte da cui nascono le radici di Yggdrasil.

2 In questo frastuono…(…): Brano appartenente all’Edda in Prosa - l’inganno di Gylfi.

 

N.d.A.: Audhmula altri non è che la bianca mucca che diede il proprio latte a Ymir, così da permettergli di vivere. Ha quindi un potere immenso, e il suo latte può consentire quindi a Ragnhild di oltrepassare i confini del Regno di Muspell senza morire nel farlo e di diventare in tutto e per tutto l’Elsa della Spada Fiammeggiante.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


 
22
 
 
 
Mai avrebbe desiderato per sé e per i suoi sudditi una Hindarall in fiamme, eppure era ciò che stava avvenendo sotto i suoi occhi.

Surtr sperava soltanto che la missione di Hildur si stesse svolgendo secondo i piani e che la sua Ilya fosse ancora viva, perché non avrebbe accettato l’eventualità di vincere la guerra, ma senza di lei al suo fianco.

Non che, al momento, le sorti del conflitto stessero pendendo verso l’uno o l’altro schieramento.

Dove gli jotun arretravano avanzavano i dokkalfar e, dove gli elfi chiari riuscivano a rintuzzare gli attacchi magici, dall’altra i liòsalfar oscuri colpivano proditori con nuove malie.

La situazione era quanto mai in stallo e Surtr, asserragliato nella sua fortezza, sbraitava ordini su ordini alle varie compagnie di Fiamme schierate in diversi punti della Capitale.

Allo stesso modo sembrava fare Lafhey, o chi per lui, dato che ancora Surtr non era stato in grado di comprendere chi davvero si celasse dietro a quell’attacco al suo Regno.

Di una cosa, però, era certo. Non avrebbe ceduto la corona per nessun motivo e, presto o tardi, la testa di colui che lo aveva tradito sarebbe stata infilzata su una picca ed esposta nel punto più alto della fortezza, come monito per coloro che lo avevano voluto morto.
 
***

L’ira di Mikell non avrebbe potuto essere seconda neppure a quella di Surtr e, quando l’attendente di Lafhey giunse a lui con la terribile notizia della mancata cattura di Sthiggar, il suo umore, se possibile, peggiorò.

Scagliando contro il muro la brocca di vino che stava centellinando da ore, in spasmodica attesa di un positivo riscontro dei loro piani, Mikell sbraitò sconcertato: “E’ mai possibile che sia sparito nel nulla?! Gli è preclusa qualsiasi fuga da quei luoghi, eppure non siete in grado di trovarlo! Siete solo degli incapaci! Quel ragazzo rappresenta l’unica nostra possibilità di uccidere Surtr, lo volete capire?!”

L’attendente jotun reclinò ossequioso il capo, per nulla turbato dallo scoppio d’ira del nobile muspell e, atono, replicò: “Non sono risposte che posso darvi, edel(1) Mikell, poiché io mi limito a riferire quanto dettomi. Chiederò lumi e, se possibile, vi raggiungerò ancora per esporvi ciò che mi diranno.”

“Vattene, mio untuoso uomo di ghiaccio. Il tuo parlare mellifluo e accomodante mi urta ancor più i nervi del vedere come, nonostante tre eserciti schierati assieme, ancora non siate riusciti a bucare le difese della fortezza di Surtr” ringhiò Mikell, lanciando un’occhiata in direzione delle montagne dove sorgeva il palazzo reale.

Dopo il primo attacco dei dokkalfar, le Fiamme del re erano riuscite in poche ore a rintuzzare il nemico e a cacciarlo dal castello ma, in città, il peggio era avvenuto. Nonostante i contingenti di Fiamme Grigie e Fiamme Dorate schierate assieme lungo le vie principali della Capitale, molti cittadini erano ugualmente morti sotto l’attacco congiunto di dokkalfar e jotun.

I giganti di ghiaccio e i liòsalfar oscuri si erano quindi uniti ai dokkarlfar scacciati dal palazzo per ritentare un secondo attacco, ma l’aiuto degli elfi chiari – unitisi nella lotta al fianco di Surtr – aveva impedito un nuovo sfondamento delle difese.

Alte mura di pura magia erano state erette a difesa della fortezza per proteggerla dagli attacchi esterni, mentre i civili presenti nel palazzo erano stati fatti evacuare da condotti sotterranei sconosciuti ai più perché raggiungessero rifugi sicuri.

Anche Mikell era stato fatto evacuare a quel modo ma, quando aveva tentato di spiegare ai suoi sottoposti come riutilizzare quei passaggi segreti, non era stato in grado di ritrovarne l’ubicazione.

Solo a quel punto si era reso conto di essere stato ingannato dalla magia che, come una trama a ragnatela, percorreva tutte le pareti dei condotti al pari di un incantesimo perpetuo.

Sconfitto ma non domo, si era quindi lasciato portare dai dokkalfar al centro di comando degli jotun, dove aveva trovato Lafhey ad attenderlo, assieme a un paio dei suoi comandanti e a qualche luogotenente dei nani oscuri.

Da quel momento, era rimasto in costante attesa di un risultato degno di tale nome ma nulla era giunto, sia dal fronte interno che da Midghardr.

Quell’ultimo scorno non aveva fatto altro che peggiorare la situazione e ora, come un topo in gabbia, Mikell non sapeva come volgere a suo vantaggio una guerra che sembrava destinata a rimanere in stallo per sempre.

Ma che fine aveva fatto quel maledetto ragazzo?

Volgendosi a osservare Thrydann che, tremante come una foglia, se ne stava in un angolo del salone in ansiosa osservazione dei danni causati dai dokkalfar sulla città, Mikell ringhiò furente: “A quanto pare, il ragazzo che tanto hai denigrato è più furbo e abile di quanto tu pensassi, visto che nessuno riesce né a trovarlo, né tanto meno a soggiogarlo! Abbiamo puntato praticamente tutto sulla sua cattura e sulla sua Fiamma Viva, fidandoci delle tue parole e dei tuoi rapporti quotidiani sul suo comportamento sul campo, ma ora scopro che ci hai mentito!”

Il giovane muspell sobbalzò, nel sentirsi prendere in causa e, rabbioso quanto pallido in viso, sibilò isterico: “E’ stato sicuramente aiutato. Non è né intelligente, né scaltro! Di sicuro, gli jotun si sono fatti mettere nel sacco da qualcun altro, non certo da lui!”

Mikell lo fissò apertamente contrariato, l’aura a cingere il suo corpo in una sorta di alone rossastro e sfrigolante e, nell’avvicinarsi al giovane, gli disse con tono lapidario: “Non accampare scuse. La prima regola d’ingaggio, in una guerra, è saper valutare il nemico e tu, a quanto pare, non l’hai fatto. Mi sono fidato di te perché tuo padre si è sempre sperticato in lodi eccelse su di te ma, a quanto pare, non solo tu hai mentito a me, ma anche a lui. Ergo, punirò la tua famiglia così che tu capisca quanto, il solo fatto di avermi detto una bugia, potrà costarti.”

Thrydann impallidì ulteriormente, a quelle parole e, mentre Mikell richiamava all’ordine un paio di Fiammer Purpuree traditrici, il giovane si aggrappò alla tunica del nobile muspell per chiedere perdono.

Mikell, però, non lo degnò di una parola e, gelido, ordinò ai suoi sottoposti: “Trovate gli Handerson. I loro appartamenti si trovano al piano settantesimo, nell’ala sud del palazzo. Non vi chiederanno nulla, vista la divisa che indossate e, soprattutto, perché questo inetto vi accompagnerà.”

“Come? Ma cosa…?” tentennò Thrydann, fissandolo sgomento.

Mikell sorrise sarcastico e aggiunse: “Che veda cosa vuol dire tradire la mia fiducia. Uccidete la madre e la sorella davanti a lui e al padre. Non deve rimanere nessuno di quel ramo della famiglia.”

“Nessun divertimento, mio signore?” domandò allora una delle Fiamme Purpuree.

Levando un sopracciglio, Mikell indirizzò uno sguardo interessato a Thrydann prima di chiedere: “A quante persone hai pestato i piedi, ragazzo?”

Il giovane preferì non rispondere e, di fronte allo sguardo pieno di soddisfazione delle due Fiamme Purpuree – che lo stavano fissando come un agnello sacrificale –, si limitò a rimanere in silenzio.

Senza protestare, si unì ai commilitoni traditori e, mentre imboccavano il corridoio per raggiungere l’esterno della villa e, da lì, le vie di Hindarall, si domandò come sopravvivere a quel massacro premeditato.
 
***

Stringendo a sé per l’ultima volta Mattias, Ragnhild lo baciò sulle guance e disse con tono accorato: “Ricorda di fare esattamente ciò che ti dirà Magnus e, quando sarai tornato a casa, saluta i nostri cugini per me. Di’ loro che non avrei potuto essere più orgogliosa.”

Il ragazzino assentì con aria serena, la certezza di aver agito al meglio delle proprie possibilità. Pur avvertendo un dolore cociente al pensiero di dover dire addio alla sorella, sapeva fin dall’inizio che, presto o tardi, lei avrebbe dovuto andarsene.

Non era mai stato destino che loro due potessero camminare negli stessi luoghi per tutta la durata della loro vita ma, fino all’arrivo di Sthiggar, non aveva capito in che modo quell’evento avrebbe potuto prendere forma.

Conoscerlo, vedere come la sorella si fosse lasciata andare con il muspell e come il giovane Gigante di Fuoco fosse stato, a sua volta, coinvolto dalla vita di Ragnhild, gli aveva dato qualche speranza.

Giungere a quella soluzione definitiva, però, non era stato facile, né lo era accettarlo anche in quel momento.

In quel mentre, strappandolo a quei pensieri vorticosi, Odino avanzò verso di loro e, nell’avvolgere le spalle di Mattias, sorrise quindi a Ragnhild e asserì: “Speravo di combattere ma, a quanto pare, il mio compito sarà cambiare il mondo dei berserkir una volta per tutte, non aiutare voi. Baderò io a Mattias e se lo vorrà, quando verrà il momento, sarà ben accolto nel mio clan. Nessun pensiero dovrà turbare il tuo compito, fanciulla.”

“Te ne sono grata, Occhiosolo” mormorò la giovane prima di poggiare lo sguardo su  Jörmungandr, in silenziosa contemplazione di tutti loro, e aggiungere: “Voglio ringraziare anche te. Ci hai permesso di giungere qui, e ora riporterai indietro mio fratello. So che sarà al sicuro, con te e Odino a proteggerlo.”

Il dio-serpente, ben poco abituato a simili dimostrazioni di gratitudine, lanciò uno sguardo schivo alla giovane e, roco, replicò: “Ho fatto ben poco, a dir la verità.”

“Più di quanto io possa dire, ora come ora” sorrise allora Ragnhild, abbracciandolo a sorpresa sotto gli occhi sconcertati di tutti. “So cosa vuol dire crescere senza l’affetto dei genitori e, anche se non posso paragonarmi a te, ti capisco.”

Fenrir sorrise nel vedere Jor sciogliersi in quell’abbraccio, e replicare a tale stretta con una più delicata e goffa. Pur se poteva immaginare quanto, i millenni, avessero reso coriaceo il fratello, non tradiva una certa soddisfazione al pensiero che qualcuno potesse dimostrare gratitudine, o affetto, nei suoi confronti, e che lui potesse apprezzare un simile gesto.

Sapevano gli dèi quanto ne aveva bisogno e, pur se si trattava di un semplice ‘grazie’, contava davvero moltissimo che fosse stato detto con purezza d’intenti e sincerità.

Nell’osservare Sthiggar, ritto al suo fianco in silenziosa contemplazione dell’amata, Fenrir quindi asserì: “La tua donna è speciale sotto molti aspetti.”

“E’ quello che le ho sempre detto, ma sono contento che ora cominci a crederci anche lei” annuì Sthiggar prima di domandare a Verdandi, che attendeva accanto alle radici di Yggdrasil: “Come potranno, i nostri compagni, sopportare il calore della lava di Muspellheimr?”

La dea del Presente indicò i fiumi di lava che scivolavano sui ghiacci di Jötunheimr, a poca distanza da loro e, sorridendo, disse: “Ora che tu e Ragnhild siete insieme, e siete entrambi consapevoli del vostro ruolo, non vi sarà difficile risalire controcorrente il fiume.”

Sthiggar levò un sopracciglio con aria dubbiosa e, nell’osservare il palmo della propria mano, mormorò: “L’aura di fiamma?”

“Precisamente, guerriero. Avvolgi i tuoi compagni nell’aura e punta verso Muspellheimr. Navigherete controcorrente senza alcun problema e giungerete nelle polle di fuoco di Hindarall. Ma presta attenzione, Sthiggar, e ricorda una cosa; la Spada Fiammeggiante sarà usata solo durante Ragnarök, non un attimo prima. Gestisci dunque bene il potere appena conseguito, o scatenerai la Fine prima del tempo.”

Sthiggar assentì grave, di certo non gradendo una simile raccomandazione ma, ben sapendo di non poter giocare con i propri poteri pur avendo un gran desiderio di testarli, mormorò un ringraziamento alla dea.

Nell’osservare nuovamente la figura di Ragnhild, ritta accanto a Mattias per le ultime raccomandazioni, disse con sicurezza: “Ho chi mi aiuterà a trovare il Centro di ogni problema. Anche di questo.”

Verdandi annuì lieta e, con un cenno di congedo, si allontanò nel momento stesso in cui Sól si avvicinò per dare l’ultimo saluto a coloro che, per una vita intera, non aveva potuto né abbracciare né vedere in prima persona.

Sorridendo spiacente a figlio e nipote, la dea carezzò loro le guance e mormorò: “Un nuovo Equilibrio si sta generando e, solo grazie a questo, Madre mi ha concesso di vedervi. Ora, però, è tempo che io torni dove devo, e che voi facciate rientro per salvare coloro che non devono pagare per il tradimento di pochi.”

“Di chi dobbiamo diffidare, dunque?” domandò Sthiggar.

“Questo non mi è concesso dirlo” replicò la dea scuotendo il capo. “Sappi però questo, Sthiggar. Nulla è mai bianco o nero, e il peggior nemico si può nascondere tra chi più ci è vicino.”

“Non ho mai amato gli Oracoli, nonna” celiò Sthiggar, abbracciandola con calore.

“Lo so, caro” assentì lei prima di rivolgersi a Snorri e aggiungere: “Non mi sono mai pentita di averti dato al mondo e, ora che sono qui con te, sono ancor più felice di averlo fatto.”

Snorri si limitò ad assentire e, dopo un abbraccio alla madre, la vide scostarsi per osservare dubbiosa il trio di licantropi che, silenti, erano in attesa di nuovi sviluppi.

Gli occhi turchesi della dea si posarono sul più giovane tra essi e, con un mezzo sorriso, Sòl mormorò: “Trovo difficile credere che, alla Fine dei Tempi, questo baldo giovane vorrà sgozzarmi. E’ mai possibile che gli Oracoli possano cambiare, Urd?”

Mattias si rivolse alla dea con un sorriso enigmatico mentre Sköll, palesemente a disagio, borbottava: “Fosse per me, le chiederei un appuntamento… così, per dire.”

Quella battuta fece ridere Sól e sospirare sia Fenrir che Hati, mentre un sorridente Sthiggar replicava: “Temo che mio nonno avrebbe qualcosa da ridire. Scusa.”

Sköll fece spallucce, chiosando: “Uno ci deve pur provare, no? Sennò come fai a saperlo?”

Mattias, a quel punto, prese la mano del giovane licantropo, gli diede una stretta leggera e, con la voce di Urd, disse: “Hai ragione, mio giovane lupo. Uno deve pur provare… e voi lo avete fatto, accettando di parlare con Odino, perciò sì, il Ragnarök avverrà perché ogni Ciclo deve avere un Inizio e una Fine, ma non sarà quello scritto all’inizio dei tempi.”

“Quindi navighiamo alla cieca, da ora?” domandò sorpreso Fenrir.

Gli sguardi dubbiosi di tutti si posarono sul ragazzino che, però, si limitò a sorridere spiacente per poi dire, con la propria voce: “Mi spiace, si è trincerata dietro un ‘no comment’.”

“Peggio dei politici” sbuffò Sköll, scuotendo schifato la testa.

Sól sorrise al giovane licantropo e, dopo avergli dato una carezza a mo’ di saluto, svaporò dinanzi a tutti i presenti per tornare laddove, per millenni, era rimasta in solitaria contemplazione dei Mondi.

“Non c’è più tempo, Sthiggar” intervenne a quel punto la regina, lo sguardo turbato e puntato verso il fiume di lava.

Il giovane muspell assentì, tornando del tutto serio e, mentre Ragnhild sfiorava il capo di Mattias per un ultimissimo saluto, si avvicinò a lei per stringerle fiducioso la mano.

Jörmungandr  salutò con un cenno il fratello dopodiché, riprese le sue forme animali, si posizionò in modo tale da permettere a Odino e Mattias di salire sulla sua groppa.

Non potendo procrastinare oltre, Sthiggar abbracciò brevemente Mattias e disse: “Mi prenderò cura di lei, e lascerò che lei si prenda cura di me.”

“Non vorrei niente di meglio” assentì Mattias, salutandolo con un cenno della mano dopo essersi scostato per raggiungere Odino. “Grazie per esserti cacciato nei guai, Sthiggar. Almeno, ora so che Ragnhild sarà con una persona che la ama.”

Scoppiando a ridere, Sthiggar annuì divertito e, nello stringere a sé Ragnhild, chiosò: “Spero di aver finito, coi guai. Non cominciare tu, però.”

“Promesso!” esclamò il ragazzino mentre il movimento fluente di Jor li conduceva sempre più lontani.

Il giovane muspell concesse ancora qualche secondo a Ragnhild per osservare il fratello allontanarsi, ma fu lei stessa a volgere lo sguardo, sorridergli con tutto il coraggio che le riuscì di trovare per poi dire: “Cominciamo. Insieme.”

Lui assentì con vigore e, nello stringere la sua mano, percepì quanto il latte di Audhmula stesse cambiando – a livello cellulare – la sua Ragnhild. Poteva percepire senza sforzo il risveglio dell’aura che, silente e mai utilizzata, era sempre rimasta addormentata nell’animo della giovane.

Ora che poteva divenire ciò che il Fato aveva predisposto per lei, i suoi gangli di potere, le sue sinapsi, ogni più piccola particella di Ragnhild stava prendendo forme nuove per adeguarsi al suo ruolo di Elsa.

Mentre i suoi occhi lo scrutavano ansiosi, ogni più piccolo atomo che la componeva stava velocemente evolvendosi, mutandola in ciò che sarebbe infine diventata e, con lei, mutava anche il suo Centro.

La fiamma, da sempre sopita nei terrestri, stava esplodendo a nuova vita, rigogliosa come la stessa Yggdrasil e apparentemente senza limiti.

L’Elsa della Spada Fiammeggiante era dunque questa?, si chiese a quel punto Sthiggar, lasciandosi avvolgere dal potere dell’Albero della Vita grazie all’intercessione di Ragnhild.

La fiamma si sprigionò con una velocità e una facilità disarmante e, ora che possedeva anche le chiavi per utilizzare il potere di Yggdrasil, quel che poté creare Sthiggar colse di sorpresa persino i muspell presenti.

“Ora possiamo proseguire. Unite le vostre mani alle nostre e non abbandonatele per nessun motivo” disse quindi Sthiggar, avvolgendo in pochi istanti i presenti per poi puntare al fiume di lava che li avrebbe condotti su Muspellheimr.

Verdandi e Skuld, nell’osservarli prendere la via verso meridione, si strinsero l’una all’altra in trepidante osservazione dei loro ospiti mentre, avvolti dalla fiamma, risalivano il fiume di lava per giungere nel Reame del Fuoco.

La più giovane tra le dee attese che la strana compagnia giunta ai piedi di Yggdrasil si allontanasse a sufficienza prima di sospirare e mormorare sconfortata: “E’ così difficile sopportare di non sapere cosa accadrà dopo!”

“E’ sempre così, quando avvengono simili cambiamenti epocali. Ogni cosa viene riscritta e anche noi, per qualche tempo, restiamo cieche e sorde al dipanarsi delle nuove linee cosmiche” replicò Verdandi carezzando la chioma ramata della sorella minore. “Solo Madre sa e, come ben sai, neppure lei ama gli spoiler.”

Skuld rise divertita e annuì e, piegandosi per afferrare al volo Ratatosk, ridisceso dai rami dell’Albero della Vita per un altro giro di minacce e scongiuri, lo fece volteggiare per alcuni istanti sopra la sua testa prima di esclamare: “Allora, mio piccolo guastafeste… cosa si dice lassù?”

“Di tutto e di più!” trillò lo scoiattolo, raccontando tutto e il contrario di tutto e facendo ridere a crepapelle Skuld che, grazie al suo ciangottare assurdo, non dovette pensare alla propria cecità momentanea e al peso di non sapere cosa sarebbe successo a tutti loro.
 
***

L'energia di Yggdrasil fluiva in Sthiggar con la stessa dirompenza con cui, il fiume di lava in cui stavano navigando controcorrente, procedeva verso il centro dell'Universo e la Fonte della Vita.

Il muspell trovava quasi impensabile l’idea di poter governare un simile agglomerato energetico e primordiale ma, per quanto la cosa lo rendesse incredulo, non poteva non pensare che tale prodigio era costato tutto, a Ragnhild.

Il suo mondo, i suoi cugini, il suo amato fratello. Ragnhild aveva abbandonato ogni cosa per permettere a entrambi di divenire la Spada Fiammeggiante, e poco importava che lei fosse stata destinata dal Fato per essere l'Elsa di tale spada.

Sthiggar sentiva unicamente il vuoto che si era venuto a creare nell'animo di Ragnhild, e questo lo faceva stare malissimo.

Il silenzio prolungato di lei, inoltre, non gli consentiva di stare tranquillo perciò, nell'attirarla accanto, mormorò al suo orecchio: "Sei assolutamente certa di voler venire? Possiamo sempre tornare indietro."

Lei scosse il capo contro il suo torace e un sospiro tremulo scaturì dalle sue labbra, facendolo sprofondare ulteriormente nell'angoscia.

Era dunque solo questo ciò che poteva donare alla donna che amava? Dolore, solitudine e una guerra dagli esiti incerti a cui approcciarsi?

Accentuando la stretta sulla giovane, Sthiggar mormorò ancora: "Non posso sopportare di vederti così addolorata. Davvero non posso fare nulla?"

"Sto così ancora un poco" sussurrò allora lei con voce roca.

Il muspell assentì sconsolato, dandole un bacio sui capelli prima di sospirare affranto e lanciare un'occhiata al padre, che era al suo fianco, in cerca di un qualsiasi genere di aiuto da parte sua.

Poco importava che fosse ancora irritato con lui a causa della sua assurda proposta. Aveva bisogno di un aiuto, e lo voleva dal padre.

Snorri allora gli sorrise comprensivo dopodiché, nello scostarsi perché Hildur prendesse la mano del cugino, si portò alla sinistra di Ragnhild e la abbracciò dolcemente.

Potendo muoversi senza problemi all’interno della bolla creata da Sthiggar e Ragnhild, essendo Snorri un muspell, l’uomo andò a sistemarsi dove pensava – e sperava – di essere maggiormente d’aiuto.

Al tocco di Snorri, Ragnhild scoppiò in un pianto silenzioso e si lasciò andare contro la spalla del muspell, mantenendo comunque il contatto con  Sthiggar, così che la bolla di energia che li stava proteggendo non venisse meno.

Sthigg strinse le mascelle fin quasi a farsele dolere, nell’udire il pianto sconsolato dell’amata, lo sguardo pieno di furia e di contrizione, ma Hildur gli mormorò comprensiva: "Accetta il suo sacrificio e trasformalo in orgoglio. Ragnhild non mi sembra una persona che prende decisioni senza averci prima ragionato sopra, o non avrebbe rischiato così tanto, per te."

"Sì, ma..." tentennò lui, scrutandola con occhi dolenti.

"L'amore è anche questo, Sthigg. Non sempre è fatto di luce e di calore. A volte c'è dolore, c'è tenebra e, altre volte, sacrificio, ma ogni suo aspetto va accettato e apprezzato" lo rincuorò la cugina, accentuando la sua stretta sulla mano di Sthiggar. "Lascia che lo zio si occupi di lei. Ha così tanto amore da offrire, e tu lo sai bene, no?"

"Certo" assentì lui dopo alcuni istanti. 

Hildur gli diede un colpetto con la spalla, sorridendogli ottimista mentre Ilya, osservando attenta la loro veloce progressione lungo il fiume di lava, disse pensierosa: "Noi donne siamo abituate ai grandi sacrifici, Sthiggar, e la fanciulla che il Fato ha scelto per essere l’Elsa della Spada Fiammeggiante mi sembra abbia spina dorsale da vendere. Non temere che possa cedere. Sii solo pronto a essere alla sua altezza."

"Non temo che non abbia forza a sufficienza, quanto piuttosto che soffra troppo. Non amo vederla stare male" sottolineò per contro Sthiggar, prima di ricevere un pizzicotto sulla mano che lo univa a Ragnhild. "Ahia! Ma che ti prende?"

"Lascia per un’altra volta questi pensieri melensi riguardo alle mie lacrime, stoppino. Abbiamo ben altro a cui pensare, ora" brontolò lei, lanciandogli un'occhiata maliziosa nonostante gli occhi lucidi di lacrime.

Lui storse la bocca, di fronte a quel vecchio nomignolo che mai aveva apprezzato ma, comprendendo il bisogno di Ragnhild di spezzare quella spirale di dolore, borbottò con tono fintamente contrariato: "Sai benissimo che odio quel nomignolo. Perché continui a usarlo?"

"Cosa vorrebbe dire, poi, bellissima donna-orso?" domandò truffaldino Sköll, infilandosi bellamente nella loro discussione.

Esibendosi in una risatina fiacca, Ragnhild lanciò allora un'occhiata in direzione dell’imponente licantropo e disse: "E' un nomignolo a sfondo sessuale."

Sköll scoppiò a ridere per diretta conseguenza, nell’udire quella spiegazione, coinvolgendo persino il restante gruppo con la sua ilarità e Sthiggar, dopo un sospiro, lanciò uno sguardo esasperato alla sua donna e asserì: "Godi un mondo a mettermi in imbarazzo, vero?"

"Non ho specificato se sei uno stoppino acceso o spento, dopotutto. Per cosa te la prendi, quindi?" ironizzò allora lei con tono maggiormente sicuro e Snorri, al suo fianco, emise un risolino in risposta.

Sthiggar sorrise nonostante al centro di quello scherzo, lieto che Ragnhild si stesse riprendendo – pur se a spese sue – dal dolore provato all’atto della separazione dal fratello perciò, sardonico, replicò: "Beh, sono sicuramente acceso. Ma darmi dello stoppino, Ragnhild? Sai benissimo che non è così."

"Oh oh, il nostro ragazzo si sente sminuito dalle parole della sua donna!" si intromise allora Thrym, ben deciso a dare il suo contributo per strappare Ragnhild dalla tristezza.

Flyka sorrise divertita a sua volta e aggiunse: "In effetti, solo lei può dirci se le parole di Sthiggar sono vere o meno."

Il giovane muspell, stando al gioco nonostante si sentisse un po’ idiota a parlare di simili argomenti dinanzi al padre e alla regina, li squadrò falsamente sconcertato ed esalò: "Ma come? Mettete in dubbio la mia virilità!?"

"Io non ho testato sul campo, quindi mi posso fidare solo di quel che dice Ragnhild, ti pare?" strizzò l'occhio Thrym, lanciando un'occhiata ironica alla ragazza, che assentì.

"In effetti è vero, Sthiggar. Solo io posso dire se sei dotato oppure no" buttò lì la giovane, facendo esplodere in una calda risata Hildur, mentre Ilya cercava con ogni mezzo di rimanere compassata, pur se con scarsi risultati, e Snorri tentava di non ridere in faccia al figlio.

"Non vorrete costringermi a fare uno spogliarello per dimostrarvi le mie potenzialità, spero?!" esclamò per bella posta Sthiggar, ritrovandosi bombardato dai 'NO' accesi degli uomini presenti, Snorri compreso.

Sthigg, allora, si volse verso il padre, ormai paonazzo per il gran ridere, e disse con tono gracchiante: "Sono felice di sapere che neppure tu voglia conferme in merito, padre."

"Se rendi felice la tua compagna, chi sono io per chiedere spiegazioni?" replicò allora Snorri, sorridendo grandemente.

Sthiggar scosse il capo per l’esasperazione – unitamente a una buona dose di ilarità – , reclinò il volto a scrutare inquisitorio Ragnhild, che aveva recuperato colore e smesso di piangere, e infine domandò: "Quindi, mia signora, cosa vogliamo dire a questi curiosoni patentati?"

"Sei promosso, te lo concedo" celiò lei, scrollando le spalle.

"Promosso. Solo" gracchiò Sthiggar, facendo tanto d’occhi.

Furono soltanto due parole, ma fecero esplodere Ragnhild in una calda risata di gola, a cui si unirono le donne del gruppo, ivi compresa la regina, non più in grado di ostentare la calma olimpica fin lì difficilmente sostenuta.

"Benissimo. La mia signora mi trova solo sufficientemente adeguato al mio ruolo" brontolò Sthiggar prima di rivolgersi alla regina, in lacrime per il gran ridere, e domandare: "E' un problema se tardiamo un po' e dimostro alla mia compagna cosa vuol dire avere me, come compagno?"

"Per quanto sarebbe divertente lasciartelo fare, credo che Surtr abbia fretta di rivederti" ammise la regina, tergendosi lacrime di ilarità dal volto.

"Già, lo credo anch'io" assentì Sthiggar prima di notare lo sguardo di Fenrir fisso su di lui.

Sorridendo a mezzo, accettò il cenno orgoglioso del capo che gli tributò il dio-lupo, dopodiché tornò a guardare dinanzi a sé con rinnovato vigore.

Stemperare il clima di imbarazzato silenzio e profondo dolore che era calato sul gruppo era stata la scelta giusta e, pur se tutti sapevano bene che, a tempesta finita, questi si sarebbero ripresentati, ora dovevano pensare a mente lucida.

Farsi prendere in giro era un piccolo prezzo da pagare, pur di avere i pensieri sgombri da sentimenti traditori.

Quando infine una vivida luce si fece strada dinanzi a loro, e il fiume di lava divenne una cascata imponente e tonante come il maglio di Thor scagliato tra i cieli, il potere di Sthiggar e Ragnhild li condusse verso l'alto e, finalmente, a Muspellheimr.

Il fulgore dell’ascesa durò pochi istanti e, quando questo scemò, il gruppo si ritrovò in una sala circolare, dall’alto soffitto a botte e adornato da affreschi raffiguranti l'inizio dei tempi e la nascita di Yggdrasil.

Nel momento in cui la compagnia di Sthiggar mise infine piede sul solido pavimento di ossidiana della sala, Fenrir, Hati e Sköll mutarono di comune accordo le loro forme per prendere sembianze animali.

"A questo modo, sarà più semplice sopportare il caldo di Muspellheimr" spiegò loro l'imponente Fenrir, dal manto di un traslucido color perlaceo. “Dopotutto, questa è la nostra forma primigenia, e il potere che deteniamo è più facilmente gestibile.”

Hati e Sköll, seppur più piccoli del padre, potevano vantare un'altezza al garrese di ben due metri e Ragnhild, nel vederli, sgranò gli occhi ed esalò: "Non sapevo poteste divenire così grandi! I licantropi sono molto più piccoli."

"Solo noi siamo così, infatti, bambina" le spiegò Fenrir prima di guardare Sthiggar e domandare: "Come conti di agire, ora?"

Sogghignando a Hildur, che si accigliò immediatamente, a quella vista, dichiarò: "Beh, visto che sono stato accusato di aver rubato l'Occhio di Muspell, perché non farlo davvero?"

"Vuoi rubare Naglfar?" esalò la regina, squadrandolo piena di sorpresa.

"Siamo in molti, e per nessun motivo vi lascerò sprovvisti di una difesa, o in un qualsiasi luogo in cui io non possa tenervi sott'occhio, perciò Naglfar fa al caso nostro" le spiegò il giovane muspell, con tono perentorio. "Inoltre, quella nave da guerra può essere risvegliata solo da una Fiamma Viva, e si da il caso che io lo sia."

La regina lo fissò sgomenta ma, dopo un attimo di tentennamento, lanciò le braccia al cielo e sbottò: "Oooh, al diavolo le regole! Andiamo a prendere quella dannata nave e facciamo quel che sappiamo fare meglio noi muspell. Spaccare culi ai nemici!"

I presenti la osservarono un tantino basiti ma Ilya non vi fece alcun caso, limitandosi a guardare Hildur prima di chiederle inquisitoria: "Non ci sono altre scale da fare, vero, per raggiungerla?"

Scoppiando in una risatina, la guerriera scosse il capo e replicò: "No, mia regina. Basterà usare i passaggi sotterranei che collegano questa sala agli imbarcaderi del porto."

"Dovrò farmi dare una mappa da Surtr, una volta finito questo caos" brontolò la regina, attendendo che le facessero strada.

Fenrir, a quel punto, pregò tutti di salire sulle loro groppe per non perdere ulteriore tempo così, dietro la guida di Hildur, il gruppo prese la via degli imbarcaderi, da cui avrebbero raggiunto la Sala dei Cimeli e Naglfar.

Il contrattacco era iniziato.

 
 


(1)edel: ‘nobile’ in lingua norvegese.


 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


23

 

 

 

Pur se si trovavano nei sotterranei di Hindarall, ben protetti dai combattimenti, il frastuono terribile della battaglia che stava infuriando in superificie giungeva comunque alle loro orecchie.

Ragnhild lanciò un’occhiata preoccupata a Sthiggar ma, nel notare unicamente la sua determinazione, si sentì in parte rincuorata. Chi la preoccupò però fu la regina che, invece, recava evidenti sul viso piacente i segni dell’ansia e della tensione fin lì accumulate.

Il loro viaggio di ritorno verso Muspellheimr, almeno agli occhi della sovrana, dava l’idea di essere durato settimane pur se, nella realtà, era trascorso poco più di un giorno e mezzo.

Il pericolo di non ritrovare più i propri cari, o un Regno su cui governare, doveva essere stato così terribile da averle dato l’impressione di aver trascorso un tempo infinito, lontano dalla propria patria.

“Non temere per la regina. E’ più forte di quanto non pensi” mormorò Sthiggar, sorridendole non appena ne intercettò lo sguardo.

Lei assentì al suo dire, sapendo quanto l’altro conoscesse la donna e, sempre tenendosi salda al pelo corvino di Hati, domandò turbata: “Cosa dovrò aspettarmi, là fuori?”

“Credo che la cosa che ci si avvicini di più siano le battaglie dei vostri film fantasy. Non saprei in che altro modo spiegartelo” le disse spiacente Sthiggar, vedendola sgranare lentamente gli occhi in risposta.

“O-okay… quindi, navi volanti, nani ed elfi che sparano laser, oppure cavalieri in arme e spade un po’ ovunque?” tentennò lei, non sapendo fino a che punto avrebbe potuto sopportare quel nuovo genere di realtà.

Lei era cresciuta in un mondo mitologico e circondato da quello reale e fin troppo semplicistico degli umani, perciò era abituata a un buon numero di stranezze. Non era però certa fino a che punto potesse arrivare, con le assurdità e, finora, ne aveva viste decisamente molte.

Così tante, a ben vedere che, presto o tardi il suo cervello le avrebbe chiesto il conto.

“Metti tutto insieme e ci sei vicina” ammise Sthiggar nel frattempo, ammiccando spiacente al suo indirizzo.

“Non temere, ragazza. Se la vista di nostro zio non ti ha turbato, neppure il resto lo farà. O, per lo meno, non lo farà ora” intervenne Hati con tono rassicurante.

“Cioè, vuoi dire che avrò una crisi di nervi dopo aver fatto quel che ci si aspetta che io faccia” borbottò Ragnhild, annuendo recisamente. “Che sarebbe, poi?”

“Lo vedrai” tergiversò Sthiggar, inclinandosi leggermente al pari di Ragnhild quando Hati scartò velocemente a destra per imboccare un nuovo cunicolo.

L’interminabile rete di bioluminescenza intessuta nelle maglie stesse delle pareti illuminava i condotti l’uno dopo l’altro, rendendoli agibili e percorribili anche alla velocità sostenuta che stavano tenendo.

Di quella strabiliante magia, però, Ragnhild notò ben poco.

A rimanerle impresso fu il tentennare evidente di Sthiggar che, forse per la prima volta, evitò di dirle la verità.

Fu per questo che lo colpì allo stomaco col dorso della mano – pur facendosi un male del diavolo – e sbottò dicendo: “Perché cavolo non mi dici cosa succederà? Ho il diritto di sapere!”

Lui sbuffò per diretta conseguenza e, dopo essersi passato una mano tra le folte onde fulve come a voler trovare il coraggio di parlare, borbottò: “Sto solo cercando una spiegazione semplice alla tua domanda. Non è molto facile spiegarti cosa succederà dopo.”

“Beh, trova le parole alla svelta, perché vorrei prepararmi psicologicamente” brontolò a quel punto lei, fissandolo arcigna. “Io non sono abituata alle battaglie come te, anche se sono nata in un branco di guerrafondai e mi hanno addestrata a menar le mani, quando serve.”

“Diverrà un gigante di fuoco” intervenne a quel punto Hildur, parlando dalla groppa di Fenrir, che li sopravanzava tutti. “In tutti i sensi.”

Mentre Ragnhild sbottava con un ‘porca vacca’ piuttosto sentito, Sthiggar ringhiò un’imprecazione all’indirizzo della cugina, ma quest’ultima aggiunse serafica: “E’ inutile che ci giri intorno, Sthigg. Prima o poi ti vedrà anche in quella forma.”

“Sei così terribile a vedersi?” domandò a quel punto Ragnhild, sbattendo furiosamente le palpebre nell’osservarlo con aria sgomenta.

Lui allora poggiò un momento il capo contro la spalla della giovane, sospirò e ammise: “Diverrò alto come un palazzo di otto piani, per lo meno, almeno a giudicare dall’energia che mi sta vorticando dentro, e sarò completamente circonfuso di fiamme. Quanto al resto, beh… dovrai farlo tu.

“Io? In che senso?” sbottò Ragnhild, senza capire.

“Verdandi è stata chiara. Non posso semplicemente usare ciò che mi è stato concesso, e cioè l’energia vitale di Yggdrasil. Dovrò dosare ogni particella di quel potere, o scatenerò io stesso il Ragnarök, perciò entri in gioco tu e il tuo ruolo di Elsa. Dovrai aiutarmi a gestire il potere della Spada Fiammeggiante e, per farlo, sarai con me durante la battaglia” le spiegò Sthiggar, spiacente. “Non so in che altro modo affrontare la cosa e, visto che non ho ancora potuto addestrarmi in tal senso, dovremo andare a braccio, come abbiamo fatto finora, ma in modo più scrupoloso.”

Ragnhild assentì lentamente, i denti bianchissimi a mordere il labbro inferiore ormai rosso e martoriato dal suo timore crescente e, nello stringere una mano di Sthiggar, mormorò: “Anch’io diventerò così grande?”

“Non serve. Siederai su una mia spalla e ti reggerai a me, aiutandomi a compensare le energie primigenie dell’Albero della Vita” dichiarò a quel punto lui. “Abbiamo già visto che ne sei in grado, solo che stavolta l’energia sarà un tantino più grande rispetto a quella di Midghardr.”

Ragnhild sbuffò di fronte a quell’ovvia osservazione ma, riuscendo in qualche modo a raffazzonare un sorriso che fosse convincente, carezzò quel volto ormai a lei così tanto caro e mormorò: “Mi piace l’idea di non doverti aspettare inerme sulla nave… anche se ho una fifa blu al pensiero di quello che dovremo affrontare.”

“Credimi, non sei l’unica ad avere timore di quello che dovremo fare là fuori perché, in tutta onestà, è la mia prima volta, nelle vesti di Spada Fiammeggiante. Dopotutto, però, abbiamo già affrontato una tempesta assieme, no?” ammiccò Sthiggar, dandole un buffetto sul naso.

“E siamo stati bravi” assentì Ragnhild, sentendosi un tantino meno in ansia, al pensiero che anche Sthiggar non si sentisse così sicuro di sé.

Lui si limitò ad anuire e, nel darle un bacio, sussurrò subito dopo: “Domeremo assieme anche questa tempesta, e faremo vedere a tutti cosa vuol dire far incazzare una donna berserkr.”

“Una muspell” replicò lei, scrutandosi le mani prima di aggiungere: “Percepisco la differenza, in qualche modo e, anche se ti sembrerà strano, mi sento… giusta.

“Immagino sia perché, finalmente, l’Elsa è stata risvegliata e tu sei nel posto che ti competeva fin dall’inizio” convenne Sthiggar mentre l’andatura dei tre licantropi andava rallentando.

Ragnhild assentì pensierosa alle sue parole, sperando che ciò bastasse a renderla degna del compito che il Cosmo, o chi per esso, aveva posto sulle sue spalle.

Per dodici anni aveva vissuto nell’ombra del fratello, sentendosi solo una parte insignificante del Tutto che li circondava mentre ora, su quel mondo sconosciuto, sarebbe stata la protagonista della sua vita per la prima volta.

Sperò davvero che non fosse anche l’ultima.

Hildur indicò un portone brunito, nel frattempo e, torva, osservò il gruppo prima di dire: “Quella è l’entrata secondaria degli imbarcaderi. Preparatevi, perché potrebbe esserci di tutto, oltre quella porta.”

Sthiggar lanciò un’occhiata a Thrym e Flyka che, annuendo, dissero: “Alla regina e a tuo padre pensiamo noi.”

Lui assentì rapido e Hildur, nel recuperare diverse armi da una nicchia magica nascosta nel muro, le consegnò a ognuno di loro, aggiungendo lapidaria: “Nessuna pietà, neppure per i nostri. Non sappiamo di chi fidarci, a questo punto. Chiunque ci attaccherà dovrà essere considerato un nemico, anche se avrà un volto conosciuto.”

Il gruppo assentì in toto e Ragnhild, nel tenere la daga che Hildur le porse, borbottò: “Beh, se non altro il mio addestramento verrà buono a qualcosa.”

“Poco ma sicuro, ragazza” dichiarò Hildur, dandole una pacca sulla spalla prima di aprire il portone d’ingresso per poter controllare l’interno dell’imbarcadero.

Ciò che ne seguì fu caos allo stato puro.

Un contingente di dokkalfar li assaltò, sorpresi dalla loro presenza all’interno del pontile coperto e Hildur, nello snudare la spada, lanciò un grido di battaglia a cui si unì quello di Sthiggar, parimenti al ringhio corale dei tre licantropi.

Thrym e Flyka, nelle retrovie, si posero invece a difesa della regina e di Snorri, mantenendosi radenti al muro e procedendo lentamente verso la Sala dei Cimeli, dove avrebbero trovato Naglfar.

Forte del suo addestramento e piena di una rabbia fin lì mai veramente lasciata esplodere, Ragnhild non ebbe problemi a combattere il nemico e, memore di ciò che era accaduto a Sthiggar, si tenne ben lontana dalle armi dei dokkalfar.

Sfruttando le sue abilità evasive e l’agilità ferina che le derivava dall’essere stata addestrata dai più potenti berserkir del branco, la giovane schivò egregiamente i primi attacchi, puntando a rendere inermi i suoi nemici con controffensive mirate.

Colpendo chirurgicamente i talloni dei nani per renderli inermi, lasciò a Sthiggar il compito di finirli, non sentendosi ancora del tutto pronta a terminare una vita, foss’anche quella di un nemico.

Trovò comunque strano poter mettere finalmente in pratica il suo addestramento ma, quel che la sorprese di più, fu percepire la risposta del suo corpo al calore interno che avvertiva sempre più forte.

La sua fiamma si stava svegliando per la prima volta, e le stava dando una mano a combattere, a reggere la richiesta fisica di energia che, quel combattimento all’ultimo sangue, stava esigendo. Il solo pensiero la rese impavida e, senza alcuna paura, proseguì nel suo attacco al fianco di Sthiggar.

Quand’anche l’ultimo dokkalfar fu reso inerme, Ragnhild si concesse di lanciare un grido di furore e soddisfazione tale da far sorridere i presenti.

Hildur fu la prima a congratularsi con lei, dandole un forte quanto rapido abbraccio dopodiché, nel controllare che non avesse ferite, le sorrise complice e disse: “Certe tue mosse erano davvero degne di nota. Ricevete un addestramento niente male, nel vostro clan.”

“Mi spiace ammetterlo, ma su questo punto mio padre fu inflessibile” ammise suo malgrado Ragnhild prima di sorridere a un orgogliosissimo Sthiggar. “Ordinò che i miei cugini mi addestrassero al meglio, perché la figlia del capoclan non poteva essere seconda a nessuna, tra le donne berserkir, e questo è il risultato.”

“Non posso che compiacermi del lavoro fatto da quei ragazzoni, allora” chiosò lui, stringendola a sua volta in un rapido abbraccio. “Hai avvertito la fiamma risvegliarsi, vero?”

“Sì” assentì lei, ancora sovraccarica di energie. “E’ stato strano ma… bello.

“Ti abituerai, e sarà sempre meglio” le spiegò lui, scostandosi per poi darle un veloce bacio sulla fronte accaldata.

Quando Hildur li vide separarsi, replicò il controllo anche sul cugino che, ormai abituato alle sue attenzioni, la lasciò fare senza lagnarsi. Era da una vita che la cugina si preoccupava per lui e, se non l’avesse fatto anche in quel momento, gli sarebbe parso davvero strano.

Soddisfatta dal proprio esame, la donna sorrise quindi a Ragnhild e disse: “Ho avuto paura per la tua sorte per circa due secondi ma, già al terzo, ho temuto per i nostri nemici.”

La giovane arrossì deliziata per quel complimento e Hildur, ridendo nel dare una pacca sulla spalla al cugino, chiosò: “Non potevi che trovarti una compagna di tal fatta, Sthigg.”

Nell’avvicinarsi nuovamente a Sthiggar, Ragnhild scrollò le spalle e ammise: “Avevo un po’ di rabbia repressa da smaltire.”

“Spero tu ne abbia ancora” ammiccò a quel punto Sthiggar, lanciando quindi un’occhiata al resto dei loro amici.

Fenrir si stava ripulendo una zampa dal sudiciume, mentre Hati era intento a leccare una lieve ferita che Sköll aveva rimediato a causa di un archibugio dei dokkalfar. Nel complesso, comunque, il gruppo poteva ancora vantare il pieno delle proprie forze.

Non restava che raggiungere Naglfar e, con essa, attaccare i loro nemici per poi dare man forte a Surtr e alle truppe alleate.

***

L'oceano senza tempo né spazio in cui viveva Jörmungandr era ancora placido e immoto, quando tornarono dai ghiacci di Jötunheimr e Mattias, nel lanciare uno sguardo alle proprie spalle, sospirò ansioso e disse: "Spero davvero che Raggie non abbia problemi, e non si senta troppo in colpa. Era giusto che accadesse, anche se è stato più doloroso di quanto pensassi."

"Sapevi fin dall'inizio che se ne sarebbe andata?" gli domandò Odino con tono comprensivo.

"Non del tutto. Sapevo soltanto che mia sorella era speciale in modi che nessuno poteva comprendere a parte me e che, a causa di questa sua unicità, non avremmo potuto vivere assieme, se non per un breve periodo. Per questo ho sempre tentato di far capire ai miei genitori che anche lei meritava le loro attenzioni, ma loro vedevano unicamente me e l'anima di Urd che risiede nel mio animo" sospirò il ragazzino, scrutando l'orizzonte e il tramonto eterno che tingeva il cielo con colori variopinti.

Quella calma apparente e quei paesaggi di dolente bellezza dovevano essere piacevoli, nel breve periodo, ma Mattias aveva il sospetto che, a lungo andare, potesse venire a noia anche la perfezione più abbagliante.

Nella sua breve esistenza aveva tentato di fare questo, per Ragnhild; rendere tutto più bello e più accettabile possibile, in vista di ciò che sarebbe avvenuto nel suo futuro, ma sapeva di non esserci riuscito.

Aveva potuto darle soltanto tutto il suo amore, essendo mancato pienamente quello dei genitori, ma non era certo che fosse bastato a renderla felice. Solo l’arrivo di Sthiggar aveva riempito le sue giornate, portandola a sorridere pienamente come lui aveva da sempre sperato che accadesse.

"Niente è mai veramente perfetto, vero?" domandò a quel punto il ragazzino, lanciando un'occhiata interrogativa al dio. “Anche se ce la mettiamo tutta perché sia così.”

"No, niente lo è. Anche se, come hai giustamente fatto notare, tentiamo di avvicinarci il più possibile alla perfezione. Donai il mio occhio per ottenere la conoscenza, ma neppure questa mi fece divenire la creatura perfetta che sognavo di essere. Ero pieno di boria, di supponenza e di malcelata superiorità nei confronti dei miei simili, e questo mi condusse in errore" gli spiegò il dio orbo con tono fiacco. "Feci del male ai figli di Loki unicamente perché non mi fidavo del mio congiunto, e questo diede il via al conto alla rovescia che ci avrebbe condotti al Ragnarök perciò, come vedi, non basta il potere per ottenere il sapere assoluto. Anche se ora abbiamo scongiurato quel finale, non lo eviteremo in ogni caso."

"Ma, indipendentemente da tutto, il Ragnarök avrebbe avuto il suo inizio" replicò Mattias con candore. "Niente dura in eterno e ogni cosa ha il suo cerchio esistenziale a cui fare riferimento. Ora come ora, le lancette del Ragnarök sono state scardinate a causa della tregua venutasi a creare tra te e Fenrir. Inoltre, essendo stata risvegliata la Spada Fiammeggiante di Surtr, nessuno sa cosa potrà avvenire. L’entropia è la Legge che domina ogni Universo, solo che ora le sue regole non sono più quelle che, fino a questo momento, abbiamo sempre conosciuto."

Odino levò un sopracciglio con aria ancora perplessa e, divertito, esalò: "Trovo ancora assurdo il pensiero che sia bastato che io e Fenrir parlassimo, per cambiare le carte in tavola."

"Non siete due semplici pedoni su una scacchiera. Le vostre parole hanno un peso specifico ben diverso dagli altri perciò sì, avete cambiato le regole del gioco, venendo a patti col vostro passato. Sól non avrebbe mai dovuto incontrare Sköll, se non alla fine dei tempi, e questo avrebbe permesso al figlio di Fenrir di compiere la sua opera di distruzione senza alcuna pietà. Essere venuto in contatto con lei, aver parlato con lei, ha cambiato le carte in tavola per l’ennesima volta. Allo stesso modo, la nascita di mia sorella ha dato il via a una serie di eventi che ci ha condotti fino a qui."

"E' nata in un momento particolare, per caso?" domandò dubbioso Odino.

"Il trentun dicembre 1999, alle 23.59 e 59 secondi" sottolineò Mattias con un sorrisino.

"E' nata con il nascente nuovo millennio…" mormorò sorpreso Odino. "… e Mercurio era in Capricorno1, in quel momento. Un carattere forte e determinato, oltre che diretto, quindi."

"Mia sorella avrebbe potuto sverniciare le persone con le sole parole, se avesse veramente voluto” ironizzò suo malgrado Mattias, annuendo alle parole del dio. “I miei genitori avrebbero dovuto cogliere i segni, comprendere che un simile evento astrologico non era casuale, ma non si resero conto di cosa, quella data, volesse dire. Raggie avrebbe dovuto nascere due settimane dopo, stando a quanto detto dal medico, ma neppure di questo si preoccuparono.”

Ciò detto, Mattias scosse il capo per la frustrazione e, fiacco, ammise: “Quando nacqui io, ascoltarono solo ciò che disse la nostra Saggia, e cioè che dentro di me era rinata Urd. Nessuno si chiese perché fosse discesa dentro di me, pensarono solo agli onori che sarebbero spettati al nostro clan."

"Urd rinacque per essere al fianco di Ragnhild nel momento della Rivelazione, dunque" ipotizzò Odino, levando sorpreso le sopracciglia.

"Esattamente. Per parte mia, ho cercato di essere un buon fratello, anche se so che a volte la facevo ammattire" sorrise appena Mattias. "Mi mancherà da matti, ma so che doveva andare. Lei è nata su Midghardr solo perché non poteva trovarsi su Muspellheimr, quando Sthiggar si fosse risvegliato. Sthigg doveva giungere da solo alla coscienza di sé e della sua Fiamma Viva, altrimenti anche Ragnhild si sarebbe risvegliata al pari suo, e allora..."

"Dovevano avere un bagaglio emotivo di un certo tipo ma, soprattutto, diverso, per poter contenere i loro rispettivi poteri, scoprendo di essere interconnessi unicamente quando non potevano essere pericolosi per loro stessi e per i Nove Regni" disse per lui Odino, comprendendo finalmente ciò che era accaduto. 

A sorpresa, anche Jor intervenne in quella dissertazione, asserendo: "Su Midghardr avrebbero potuto imparare a interconnettersi senza, per questo, risvegliare la Spada Fiammeggiante, che ha bisogno del potere di Yggdrasil, per risorgere, vero?"

"Esattamente" mormorò Mattias, annuendo al suo dire. "Ogni cosa doveva avvenire secondo una tabella prestabilita solo che, nel frattempo, si sono innamorati."

"Beh, a volte capita" ammiccò Odino, scendendo dalla schiena di Jörmungandr quando quest'ultimo si fermò in prossimità della spiaggia da cui erano partiti poche ore prima. 

Aiutato Mattias a discendere, Occhiosolo scrutò pensieroso l'uomo che era tornato a essere Jor e, con un pesante sospiro, asserì: "Vorrei poter sbrogliare anche la tua matassa, ma credo non si possa fare nulla."

"Lo so perfettamente, Occhiosolo. Sono incommensurabilmente grande per qualsiasi mondo e, contrariamente a mio fratello Fenrir, non posso mantenere la mia forma umana se non qui in questa realtà, perciò capisco e accetto il mio esilio. Ora che ho potuto conoscere la mia famiglia, posso almeno credere che la mia solitudine sia valsa a qualcosa" scrollò una spalla Jor con aria beffarda pur se rasserenata.

"Vedrò se mi è possibile aprire altri varchi, così che sia più facile, per Brianna, giungere qui. Il sito megalitico di Long Meg, da cui è riuscita a giungere qui per la prima volta, è un po’ troppo affollato di turisti, perciò vedrò di capire come trovare altri passaggi più agevoli. Sono sicuro che lei ci tenga molto" dichiarò a quel punto Odino, abbozzando un sorriso.

Jor gli tributò un cenno grato del capo dopodichè, rivolgendosi a Mattias, aggiunse: "Tua sorella è stata gentile, con me, e di questo io non mi dimenticherò. Sappi che, semmai avrai bisogno di qualsiasi cosa, avrai il mio appoggio."

Mattias assentì con un sorriso e, proprio come aveva fatto Ragnhild, abbracciò Jörmungandr, lasciandosi a sua volta stringere tra le braccia di quel giovane immortale e dall’animo così dolente.

Il bacio che gli diede sulla guancia fu istintivo, così come istintivo fu salutarlo con un largo sorriso, sorriso che Jor replicò con un candore a lui insolito e che, nel cuore di Odino, risvegliò il desiderio di portare un po’ di pace al fratello di Fenrir.

Prima di dirigersi verso la scogliera che nascondeva i Baffi di Ymir perciò, Occhiosolo disse: “Fosse anche l’ultima delle mie azioni, ma non sarai più solo, Jörmungandr. Te lo prometto.”

Il figlio di Loki assentì recisamente e, nel volgersi verso l’oceano infinito dell’eternità, riprese forme animali e svanì alla loro vista.

Non appena il varco venne riaperto, la coppia attraversò a ritroso il percorso, lasciandosi sfiorare dalla pianura ricoperta dai Baffi di Ymir. Quando infine si trovarono dinanzi ai cancelli che li dividevano dalla spiaggia di Andenes, Odino sfiorò la runa per aprire il varco e mormorò: "Grazie per la tua intercessione, Madre."

In un bagliore rosato, i due furono nuovamente all'esterno ma, quando Mattias posò lo sguardo sul suo compagno di viaggio, trovò ad attenderlo il giovane Magnus e non più Occhiosolo.

"Meglio non farci vedere in giro con quel burbero di Odino" ammiccò lui, dandogli una pacca sulla spalla prima di afferrare il cellulare dalla tasca dei jeans. “Tra l’armatura e la spada, sarebbe stato un po’ anacronistico.”

Mattias annuì con un risolino e Magnus, dopo aver digitato un numero breve, disse: “Zio Bjorn, siamo usciti. Tu dove ti trovi?"

"Sono nel parcheggio antistante il faro di Andenes. Com'è andata?" replicò l’altro.

"Per il momento, tutto secondo i piani. Ora, spetta ai ragazzi su Muspellheimr, fare il loro dovere. Noi, a quanto pare, ne abbiamo un altro" disse Marcus, risalendo il sentiero per tornare sulla strada principale.

"E cioè?" domandò dubbioso Bjorn.

"Riformare il mondo dei berserkir. Il tempo dell'isolamento è ormai giunto al termine. Dobbiamo evolvere, per sopravvivere, e la mancanza di uniformità tra i vari clan deve finire. Non possiamo più essere divisi, o ci estingueremo."

"Vuoi portare avanti una Riforma? Adesso?" esalò suo zio, sorpreso.

"Non proprio. Al momento, dovrò muovere guerra per poter salvare le persone innocenti che Ragnhild e Mattias si sono lasciati alle spalle" sospirò Magnus, sorprendendo non poco lo zio.

"Creerai un bel casino. Questo è poco ma sicuro" dichiarò torvo Bjorn, facendo loro un cenno con la mano non appena li vide comparire sulla strada che conduceva al faro.

Chiusa la comunicazione, Magnus e Mattias lo raggiunsero e, con aria determinata, il portatore di Odino dichiarò: "Non sono venuto al mondo solo per essere un contenitore, zio. Né lo è Mattias. Siamo qui perché è tempo che i berserkir si evolvano. Il punto è che, per il momento, non ho dato prove di essere un buon portavoce, mi sono limitato a vivere di rendita grazie al nome del dio che alberga in me, ma non ho fatto nulla perché le cose cambiassero. E ora ne paghiamo lo scotto."

"Non vorrai certo farti carico di ciò che è avvenuto prima della tua nascita, o quando tu eri un infante, spero…” dichiarò allora Bjorn.

"Avrei dovuto chiarire i reali motivi per cui Odino si è reincarnato, e che non hanno unicamente a che fare con la rinascita di Fenrir” sottolineò Magnus. "Avrei dovuto inviare messaggeri nei clan, sancire che l’isolamento doveva essere progressivamente smantellato, a favore di una politica di apertura al mondo, ma non l’ho fatto. Ho procrastinato troppo a lungo e, a questo modo, persone come Ragnhild ne hanno sofferto. Ciò deve finire una volta per tutte e, poiché i berserkir conoscono solo la guerra e la violenza, dovrò agire a questo modo, per inculcare un po’ di buonsenso alle persone, almeno per il momento.”

“Vuoi scoperchiare il nord della Svezia?” tentennò Bjorn, turbato da quella svolta inaspettata degli eventi.

“Niente di così tragico. Ci recheremo a Luleå e chiederò di essere ascoltato ma, se non lo faranno, combatterò al primo sangue per la supremazia sul clan” dichiarò lapidario Magnus. “E’ tempo che anch’io mostri le zanne perché, per troppo tempo, sono rimasto acquattato nel mio angolo senza fare nulla.”

"Beh, dobbiamo metterci in pista, allora, perché la nostra meta non è esattamente a due passi, ti pare?" chiosò Bjorn, facendoli salire sull'auto.

Mattias balzò sul sedile posteriore e scrutò dubbioso il volto ombroso di Magnus, riflesso nello specchietto retrovisore dell’auto che, nel ripartire, tremò leggermente. Turbato, quindi, domandò: “Davvero combatterai contro mio padre?”

“Pensi mi ascolterà, diversamente?” replicò Magnus, scrutando meditabondo il contorno del mare all’orizzonte.

“Non cederà mai lo scettro, neppure in nome di Odino. Il potere gli ha ottenebrato la vista, e dubito ascolterà ciò che hai da dirgli” sospirò sconfortato Mattias.

“Allora, combatterò. E’ tempo che io faccia la mia parte” sentenziò Magnus, poggiando quindi il capo contro il vetro per poi chiudere gli occhi.

Sei sicuro di potercela fare, ragazzo? So benissimo che tu non ami menar le mani, si preoccupò immediatamente Odino.

“Non mi rimangono molte alternative. Ho sperato che il tuo ritorno bastasse a far comprendere alle nostre genti che il tempo del cambiamento era giunto e, come uno sciocco, sono rimasto a disposizione dei tuoi figli, ma senza mai ricevere richieste da parte loro. Nessuno voleva cambiare. La beserksgangr è un potere allettante perché offre dominio e dà libero sfogo alla sete di sangue insita negli uomini-orso, perciò cambiare avrebbe voluto dire asservirsi a regole che avrebbero reso meno potenti i berserkir.”

Perché tu desideri che essi vivano in armonia con gli altri, non separati da tutto e da tutti, sottolineò Odino.

“Non credo di essere l’unico. Tu stesso avevi al tuo diretto servizio delle invincibili guerriere, non solo baldi soldati in arme. Le Valchirie potevano rivaleggiare con i più potenti guerrieri dei Nove Regni, ma non mi pare tu ti sia mai sentito screditato dalla loro presenza” tenne a precisare Magnus.

Ora capisco… mi stai parlando della condizione di assoluta sudditanza femminile nei clan più ortodossi, mormorò Odino, spiacente.

“Ciò che è accaduto a Ragnhild ne è solo l’esempio ultimo, ma potremmo citarne a migliaia. Mia cugina Elsa non ha solo ricevuto l’addestramento come le altre donne del branco, ha anche potuto studiare all’estero, sposare un berserkr di un altro clan, lavorare in un contesto cittadino e fare esperienza al di fuori del mondo degli uomini-orso. A molte donne-orso tutto questo non viene concesso, ed è terribile” si lagnò irritato Magnus. “Troppe di loro vivono una condizione di perpetua sudditanza e, sempre a causa dell’estraneità con il mondo moderno, a tante di loro non vengono date possibilità di sbocco lavorativo se non all’interno del clan. Tutto questo deve finire.

E vuoi cominciare così lontano dal tuo clan di appartenenza?

“Comincerò dove devo. La legge dei berserkir mi consente di combattere per il predominio e, anche se la sola idea mi fa tremare di rabbia, la userò, se servirà a farmi udire da tutti.”

Sia come vuoi. Io sarò al tuo fianco. Sempre.

“Grazie, Allfǫðr.

***

Raggiunto che ebbero il salone dove si trovava Naglfar, Sthiggar ebbe solo un breve flash dell’istante in cui si era risvegliato in quel medesimo luogo, con la spada ricoperta di sangue e l'Occhio di Muspell ai suoi piedi.

Il ricordo delle due guardie morte a poca distanza da lui rinfocolò la sua determinazione e, quando si fermò a pochi passi dalla nave, sorrise determinato e dichiarò: "Provo una certa soddisfazione nel poter violare le regole con il benestare reale."

"Non abituartici, caro. E' solo un evento dettato dall'esigenza" sottolineò per contro Ilya, avvicinandosi a sua volta alla nave per sbloccarne i sigilli.

Dopo aver apposto la sua mano sulla chiglia di Naglfar, questa emise un bagliore che la percorse da prua a poppa, liberandosi dai blocchi magici che ne impedivano il furto.

Ciò fatto, lanciò un'occhiata a Sthiggar e dichiarò: "Cerca di non ridurla in frantumi. Sarebbe carino se raggiungesse la fine dei tempi intatta."

"Cercherò di fare del mio meglio" acconsentì lui, poggiando la mano nel punto in cui era possibile azionare i congegni magici della nave.

Al suo tocco, una scala discese dal ponte per poter permettere a tutti loro di salire, mentre due rostri laterali fuoriuscivano dal fondo della chiglia fino a formare imponenti ali di ferro brunito.

Fu solo a quel punto che Sthiggar rammentò un particolare non da poco e, nel volgersi verso la regina, aggrottò la fronte e disse: “L’Occhio di Muspell… come è possibile che…”

Accigliata a sua volta, la donna assentì torva e replicò: “Ho il dubbio che anche Surtr se lo sia chiesto per tutto questo tempo e, ora che me lo fai notare, non posso che chiedermelo a mia volta. Fin dove si è spinto il tradimento?”

Ciò detto, osservò Hildur che, però, scosse il capo e asserì: “Prima dell’attacco, non avevamo ancora i nomi dei delatori ma, come avete giustamente notato voi, chi mai avrebbe potuto sbloccare la teca dove si trova l’Occhio di Muspell, se non un membro della famiglia reale? Serve il vostro codice genetico, per aprire i blocchi magici.”

Seguendo il gruppo verso il ponte, Sthiggar si affrettò quindi a portarsi a poppa, dove si trovavano il timone e il prezioso Occhio di Muspell e, nello sfiorarlo, Sthiggar borbottò contrariato: “Dovremo pensarci per forza dopo. Ora, vediamo di muovere questa barchetta.”

All’assenso di tutti, Sthiggar poggiò una mano sull’Occhio, che iniziò a brillare di una fosca luce rossastra e, mentre Ragnhild lo affiancava, la giovane fissò l'intera struttura navale con occhi pietrificati.

Avvinghiandosi al braccio di Sthiggar quando la nave iniziò a muoversi, lei domandò turbata: "Sono io che ci vedo male o ci sono delle ossa, inserite nell'intelaiatura della nave?"

"E' così, infatti. Ma non turbarti troppo. Non sono ossa vere. Sono scolpite in modo magistrale, e hanno il solo scopo di incutere timore nel nemico" le sorrise lui, muovendo leggermente la mano sull'Occhio di Muspell, che si trovava nel mezzo del timone.

Accigliandosi, Sthiggar mormorò un'imprecazione tra i denti e, subito, Ragnhild lo imitò, mormorando contrariata: "E' dannatamente potente, vero?"

Immediatamente, coprì con la propria la mano di Sthiggar che poggiava sull’Occhio e, in pochi secondi, l’aura della pietra si fece più stabile e il potere maggiormente controllabile.

"Hai capito subito che ero in difficoltà..." le sorrise lui, dandole un colpetto con la spalla. "...perciò il legame c'è ancora."

"E' molto più forte, per la verità" dichiarò lei, lasciando andare la presa sull'Occhio quando fu certa che Sthiggar avesse il controllo su di esso. “Da quando ho bevuto quella specie di latte ultraterreno, sento le cose in modo diverso. Mi sento diversa.”

"Scopriremo insieme cos’altro puoi fare. Per il momento, portiamo fuori dal capannone questa bagnarola" dichiarò il giovane, scostando la mano dall'Occhio per porla sul timone.

Nel farlo, la rete di potere magico che percorreva la nave si illuminò a giorno, mettendo in evidenza ogni singola rifinitura del legno, ogni sartia, ogni velatura.

Il tutto durò alcuni istanti, ma fu sufficiente per avere un'idea chiara di quanta magia fosse stata inglobata in quella singola nave.

Nel mentre, gli enormi portoni del salone si aprirono, al sentore della magia di Naglfar che andava espandendosi e, quando finalmente ebbero libero accesso all'uscita, Sthiggar ordinò che le vele venissero spiegate.

Flyka e Trym obbedirono all'istante e, scosse da un vento che non c'era, le velature si gonfiarono, conducendo così l'enorme nave al di fuori del salone.

Leggermente turbata, Ragnhild domandò: "Ehm... cosa le fa muovere? E perché noi non stiamo raschiando il pavimento del salone?"

"La magia che hai visto prima è la cosa che la fa muovere... e levitare" le spiegò succintamente lui, indicandole di osservare la nave dal parabordo.

Lei si affrettò a farlo e, stupefatta, osservò il movimento sinuoso dei rostri che, come veri e propri timoni di un'ala d'aereo, permettevano a Sthiggar di controllare la nave.

Quando finalmente furono all'esterno del salone, la visione di Hindarall in fiamme, e battuta dagli eserciti congiunti di jotun e dokkalfar, tolse però il fiato ai presenti, raggelando qualsiasi tentativo di dire qualsiasi cosa.

Le vie erano un campo di battaglia uniforme e brulicante di uomini in armi, mentre i corpi di incolpevoli civili giacevano a terra privi di vita, falciati da armi straniere che mai avrebbero dovuto colpirli.

Ogni luogo, in Hindarall, era stato colpito, sventrato o dato alle fiamme e, quando Sthiggar vide che anche i colli della città presentavano i segni dell'assedio, temette per le persone che abitavano nella villa del padre.

Lykha, la loro fida governante, abitava con loro fin da prima della sua nascita, e non poteva pensare che i loro nemici l'avessero uccisa. Con lei, inoltre, vivevano anche i nipoti, che si occupavano del giardino della villa, oltre ad almeno un paio di animali domestici, che Snorri aveva allevato fin da quando erano cuccioli.

Questi pensieri lo spinsero a distogliere disgustato lo sguardo per puntarlo verso sud, dove si trovava il Palazzo Reale che, a quanto pareva, stava subendo un attacco magico da parte dei liòsalfar oscuri.

A giudicare dalla barriera magica eretta attorno al palazzo, però, gli elfi chiari dovevano aver pensato di dare una mano al sovrano di Muspellheimr. Per quanto ne poteva sapere di magia, Sthiggar dubitava che i loro Saggi fossero in grado - da soli - di contrastare le malie dei liòsalfar, perciò doveva esserci quasi di sicuro lo zampino degli abitanti di Elfheimr.

Cercando in Ilya una risposta ai suoi dubbi, lei assentì e disse: "A Palazzo erano presenti non pochi elfi chiari, oltre ai sovrani di Elfheimr, quindi è possibile che si siano schierati dalla parte di Surtr."

Hildur, nel frattempo, si avvicinò al cugino e, dopo aver lanciato un'occhiata a Ragnhild per sincerarsi che non avesse problemi, domandò: "Quando pensi di usare la Spada?"

"Avviciniamoci il più possibile al palazzo" dichiarò lui prima di guardare Fenrir e i suoi figli e domandare: "Potete occuparvi dei soldati in città?"

Fenrir assentì senza problemi, dichiarando: "Avremo maggiore fortuna combattendo a terra, che sul ponte di questa nave. Faremo piazza pulita, non temere."

Sthiggar annuì al suo dire e, mentre i tre licantropi si lanciavano senza alcun problema verso l'esercito nemico, lui diresse la nave verso il Palazzo Reale per poi dire a Hildur: "Quando muterò, dovrai pensare tu al governo della nave e alla protezione di papà e della regina. Trym e Flyka ti aiuteranno, ma saranno impegnati con il sartiame, perciò la parte della spadaccina indomita spetterà a te."

"Sapremo badare a noi stessi. Tu, piuttosto, sei pronto a scatenarla?" domandò turbata Hildur, stringendo una mano sulla sua spalla.

"Non ho altra scelta. Se voglio chiudere la partita prima che altra gente muoia, devo calare il pezzo da novanta, per così dire" ghignò lui, cercando istintivamente la mano di Ragnhild.

Lei la afferrò con sicurezza e Hildur, a quel punto, disse: "Tornate interi. Devo conoscere meglio la mia futura cugina."

Sia Sthiggar che Ragnhild assentirono con vigore, così a Hildur non restò altro che prendere il timone tra le mani e gridare: "Per il re!"

Con una virata potente, spinse quindi la nave contro l'esercito nemico, asserragliato sul piazzale antistante il Palazzo Reale e Sthiggar, non potendo attendere oltre, si lanciò con Ragnhild dal parabordo per poter dare il via al mutamento.

Stretta a Sthiggar, Ragnhild socchiuse gli occhi quando la fiamma li avvolse, accecandola per alcuni attimi. In pochi istanti, lui infine mutò, il suo corpo divenne fuoco vivente e la sua statura magnificente crebbe, e crebbe, divenendo ciò che aveva predetto solo una mezz’ora addietro.

Sollevata di peso e con facilità estrema, Ragnhild si posizionò quindi sulla spalla di Sthiggar come già pianificato ma, quando ciò avvenne, la giovane avvertì dentro di sé il respiro dei Nove Regni e di Yggdrail tutta.

Ogni singola vita, ogni singolo atomo del cosmo la attraversò, dandole l'esatta dimensione del potere che avrebbe avuto Sthiggar, o meglio, avrebbero avuto alla Fine di Ogni Cosa.

Non faceva specie che la Spada Fiammeggiante fosse l'arma con cui Surtr avrebbe distrutto i mondi. Come avrebbe potuto essere il contrario, con una tale energia a disposizione?

Questo spiegava anche perché essa fosse stata spezzata in due. Un simile potere, nelle mani di una persona sola, avrebbe potuto essere distruttivo in mille altri modi diversi dal Ragnarök. Due persone, per lo meno, potevano garantire un certo grado di equità di pensiero.

Ciò che ora le spettava era convogliare solo parte di quell'energia nel corpo di Sthiggar, permettendo al resto di essa di tornare al suo luogo d'origine, così che i Mondi non venissero a collassare per la troppa richiesta di potere.

Così, agiva la Spada. Depredava ogni singolo atomo di energia per poi lasciare senza vita ciò che la circondava. Per questo, nel Mito si parlava della Spada come dell’arma che avrebbe spazzato via i Mondi… li avrebbe letteralmente risucchiati dentro di Lei!

Per evitare che ciò accadesse molto prima del previsto, e Ragnhild sperò mai, avrebbe dovuto gestire quelle energie per donare a Sthiggar solo quanto necessario per vincere.

Non un solo atomo in più avrebbe dovuto giungere nelle mani dell’amato.

"Andiamo pure, Sthigg. Ci sono" dichiarò quindi Ragnhild, levandosi in piedi sulla sua spalla e trattenendo se stessa al corpo imponente del muspell tramite l’energia che stava permettendo venisse convogliata in lui.

Sthiggar assentì con un ruggito e, nonostante la mole, si scagliò contro il nemico con impressionante velocità.

Sbaragliò le schiere jotun con la sola imposizione di una mano e, quando i liòsalfar si volsero contro di lui per attaccarlo con la magia, lui semplicemente la divorò, divenendo ancora più forte.

Ragnhild, però, non permise a Sthiggar di sfruttare un simile potere, ritenendolo eccessivo e controproducente, così convogliò altrove quell'energia, così che non portasse il suo amato oltre il limite di pericolo.

Non fu esattamente la cosa più semplice da fare ma, proprio come aveva iniziato a fare sulla Terra, accarezzò i centri di potere di Sthiggar perché non si sovraccaricassero, disperdendo quindi l’energia in eccesso.

Questo la portò a stringere i denti per l’affaticamento ma, non di meno, proseguì nella sua opera, tenendosi ben stretta a Sthiggar mentre lui combatteva.

Era dannatamente difficile non farsi prendere la mano, e il sentore del potere primigenio che le solleticava le papille era così delizioso da attirarla verso il baratro, ma ugualmente si contenne.

Sinergicamente, quindi, si mossero per sbaragliare ogni ostacolo si pose dinanzi a loro e, quando finalmente ebbero fatto piazza pulita, puntarono lo sguardo in direzione di Hindarall.

Nel frattempo, forti della loro velocità, possanza e abilità, i tre licantropi stavano facilmente avendo la meglio sui nemici ma, quando Sthiggar vide un nuovo contingente di dokkalfar puntare contro di loro, urlò d'ira e frustrazione.

Le loro armi avevano ucciso Kyddhar, e ora stavano mietendo vittime in tutta Hindarall, perciò andavano fermati a qualsiasi costo.

L'intervento a sorpresa di Lafhey, però, interruppe la sua corsa e Sthiggar, nell'osservare il Gigante di Ghiaccio che gli si parò innanzi, urlò: "Cedi il passo, re di Jötunheimr. Non sei tu la mia preda!"

"Ma tu sarai la mia, Spada!" ringhiò il re, gettandoglisi addosso con tutta la sua forza.

Sthiggar contrastò abilmente il contraccolpo ma, per sicurezza, domandò rapido alla sua compagna: "Tutto bene, lassù?"

"Sono legata a te a livello subatomico! Non potrei cadere neppure volendo!" lo tranquillizzò lei, fissando iraconda il volto del loro nemico.

Ancora, avvertì il piacevole sapore del potere sulla punta della lingua e, nuovamente, Ragnhild venne invogliata a usarlo per rigonfiare i centri di energia di Sthiggar. Sapendo che dare voce a quelle sirene ammaliatrici sarebbe stato pericolo, Ragnhild rifiutò per l’ennesima volta quel gradevole dono ma, dentro di sé, percepì senza sforzo quanto, quei continui rifiuti, la stessero indebolendo.

Pizzicandosi un braccio per scacciare quei pensieri col dolore, Ragnhild tornò con lo sguardo al loro nemico più diretto, il Gigante di Ghiaccio Lafhey e, stringendo maggiormente i propri atomi a quelli di Sthiggar, gridò: “Abbattilo!”

Sthiggar assentì alle sue parole, colpendo quindi Lafhey con un possente diretto che lo mandò a terra, direttamente contro la parete rocciosa della montagna dove sorgeva il Palazzo Reale.

Quella caduta produsse un'onda tellurica che fece tremare l'intero maniero perciò Sthiggar, per evitare ulteriori scosse - e potenziali crolli - si allontanò da esso, trascinandosi dietro un rabbioso Lafhey.

Con tutta la forza che Ragnhild gli permise di usare, lo scagliò quindi fuori città, dopodiché lo raggiunse con possenti balzi a mezz'aria fino ad atterrare a pochi metri da lui.

Lì, sempre più furioso ma ben conscio di non potersi lasciare andare all’ira più cieca, Sthiggar ringhiò al suo indirizzo: "Vattene finché sei in tempo, re di Jötunheimr. Non è il tempo di guerreggiare, e tu lo sai! Non potrai mantenere a lungo quelle forme, su un pianeta come Muspellheimr, perciò perché continuare a rischiare la morte?!”

"Il fatto stesso che tu sia sorto, Spada Fiammeggiante, dice il contrario. Ma sarò io a brandirti, non certo Surtr!" replicò Lafhey, scagliandosi nuovamente contro di lui. “Per questo vale la pena battersi.”

"Tienilo lontano da te, Sthiggar! Ha qualcosa in mano!" gridò immediatamente Ragnhild, terrorizzata.

Grazie a quell’intervento dell’ultimo secondo, Sthiggar evitò di un soffio l’attacco diretto del suo nemico, si scostò a distanza di sicurezza e domandò trafelato: "Cos'hai visto?!"

"La sua mano destra... c'è qualcosa che pende tra le sue dita" disse subito Ragnhild, acuendo lo sguardo mentre il suo respiro si faceva affannoso, irregolare.

Era dannatamente difficile rimanere vigile, gestire quel flusso di energia continuo e non farsi sopraffare dal desiderio di attingere a piene mani a ciò che l’Universo stesso le stava offrendo. Combattere per impedire che l’entropia prendesse il sopravvento non era esattamente la cosa più semplice da fare, e il suo fisico stava cominciando a cedere, a chiedere più di quanto fosse in grado di dare.

Ragnhild non era certa che, di quel passo, sarebbe riuscita a reggere ma, almeno finché avesse avuto fiato nei polmoni, non avrebbe lasciato il fianco di Sthiggar.

Grazie al loro legame, nel frattempo, Sthigg comprese subito cosa avesse notato la giovane e, digrignando i denti, sibilò: "Gleipnir? Davvero pensavi di legarmi con il Laccio di Fenrir?"

"Lo userò su tutti voi, così non solo avrò alla mia mercé la potente spada di Surtr, ma anche i figli di Loki e la sua progenie" sghignazzò follemente Lafhey.

"Può farlo?" mormorò Ragnhild, turbata.

"Se ci prende? Eccome. Non potremmo liberarci e, con la complicità dei liòsalfar, ci soggiogherebbe, perché il Laccio di Fenrir è in grado di inibire l’aura degli esseri viventi… qualsiasi aura di qualsiasi essere vivente" ringhiò Sthiggar, accigliandosi non poco.

"Se ti fossi lasciato catturare su Midghardr, non avresti dovuto essere testimone della sconfitta del tuo regno ma, visto che hai preferito venire, te lo farò godere fino all'ultimo muspell ucciso" lo minacciò a quel punto Lafhey con tono vagamente ansimante, pur se ancora tronfio.

Ciò detto, si volse per tornare verso Hindarall col chiaro intento di attaccare i licantropi ma Sthiggar, forte del suo nuovo potere, lo precedette con un balzo, atterrando sulla sua schiena e mandandolo lungo riverso sul suolo.

Questo provocò la caduta di diversi edifici già in fiamme e, suo malgrado, anche di uno dei templi di Sól.

Procedi e non pensare a quelle pietre. Le case si ricostruiscono... le vite no! E voi dovete salvarne il più possibile!

Sthiggar perse un battito, quando la voce di sua nonna gli rimbombò nella mente, chiara e forte come se fosse stata al suo fianco.

Confuso, il guerriero si bloccò a metà di un passo per guardarsi intorno ma Ragnhild, che gestiva attivamente le energie che stava incanalando in Sthiggar, gridò: "La percepiamo grazie alla nostra connessione con Yggdrasil! Ricorda che Lei è ovunque! Per questo, Sól può parlarci attraverso l'Albero!"

Annuendo in fretta, Sthiggar riprese la sua corsa per raggiungere Lafhey che, nel frattempo, aveva ridotto le sue dimensioni per non disperdere ulteriore energia.

Contrariamente a loro, che erano su territorio ameno, Lafhey poteva mantenere le sue forme di Gigante di Ghiaccio per pochissimo tempo, in un luogo inospitale come era Muspellheimr per lui.

Lanciata subito un'occhiata a Naglfar per sincerarsi che non avesse subito danni, Sthiggar raggiunse in fretta i tre licantropi e, a gran voce, esclamò: "Raccoglietevi dietro di me! Ho intenzione di provare una cosa!"

"Ti pare il momento di fare esperimenti?!" esclamò contrariato Sköll, fissandolo bieco.

Sthiggar ghignò in risposta, sfiorò con un dito Ragnhild e, in un mormorio, le spiegò cosa avesse intenzione di fare. Da lì al metterlo in pratica, dipendeva tutto da lei, a quel punto.

 

 

N.d.A.: direi che si è capito cos'è un Gigante di Fuoco, ormai, così come un Gigante di Ghiaccio, anche se ovviamente Lafhey è svantaggiato, su Muspellheimr, e lui lo sa benissimo. Ora, resta da vedere se il resto dei nemici di Surtr si spaventerà a sufficienza di fronte al potere di Sthiggar e Ragnhild, o se penseranno comunque di riuscire nel colpo di Stato. 

 

(1) Mercurio in Capricorno= mi riferisco al calcolo delle Effemeridi, in abito Astrologico. Danno un'idea di massima del carattere e delle tendenze comportamentali di una persona.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


 24

 

 

 

 

Terminato che ebbe di spiegare il suo piano a Ragnhild, Sthiggar le domandò speranzoso: "Riesci a convogliare la nostra energia sui dispositivi dei dokkalfar? Hanno polvere pirica all'interno, perciò sono infiammabili."

La giovane sbatté le palpebre, perplessa dal suo dire, prima di sorridere e ammettere con una certa soddisfazione: "E' come una redistribuzione dei pesi su più appoggi, così da non sbilanciare la struttura."

"Sbaglio, o parli di ciò che stavi studiando su Midghardr?" le domandò a quel punto Sthiggar, piegandosi sulle gambe per prepararsi a lasciarsi colpire dai dokkalfar, che stavano giungendo alla carica verso di loro.

Di Lafhey, per il momento, non v'era traccia. Che si fosse nascosto, quel vile? O era davvero così stremato da aver dovuto trovare un luogo in cui ritemprarsi? Era possibile, visto quanto il corpo degli jotun fosse inviso al mondo dei muspell, ma non poteva fidarsi del tutto di quello scaltro uomo di ghiaccio.

Ragnhild, nel frattempo, assentì alla domanda di Shiggar, mormorando: "Devo solo concentrarmi e..."

Non troppo, ragazza, o finirai con il penetrare all’interno di Sthiggar per creare una sinergia totale, generando l'assoluta connessione tra te e lui, la mise in guardia Sól, sorprendendola.

"Oh... non andrebbe bene, giusto?" domandò sorpresa, bloccando immediatamente ciò che aveva iniziato a fare quasi inconsapevolmente. Era mai possibile che i loro poteri, una volta risvegliati, agognassero alla formazione della Spada Fiammeggiante?

La sinergia tra voi due vorrebbe dire unire Elsa e Lama, creando la vera Spada Fiammeggiantee non è davvero il caso di farla emergere ora.

"Cioè... potremmo essere più potenti di così?" gracchiò Ragnhild, apertamente turbata.

Già utilizzare quei poteri per lei del tutto nuovi, la stava prosciugando di ogni energia… cosa sarebbe successo, se avessero aumentato ancora la loro interconnessione?

“Ma io non sto affatto usando tutta l’energia messa a disposizione da Yggdrasil!” sbottò dopo alcuni istanti la giovane, chiaramente in difficoltà.

Non si tratta soltanto di energia utilizzata, ma di come viene utilizzata. Se le vostre menti fossero in totale sincrono, la Spada Fiammeggiante diverrebbe finalmente una cosa sola, e questo scatenerebbe l’inizio del Ragnarök. Voi distruggerete i mondi, mia cara, perciò sì... dare il via a un nuovo universo richiede un'energia cosmica senza pari e, per distruggere i dokkalfar, non ve n'è certo bisogno.

"Ah... no di certo" assentì Ragnhild, cancellando a piè pari ciò che aveva tentato di fare.

Rammenta che questa è la tua prima battaglia, e i tuoi centri di potere si stanno abituando in modo traumatico al risveglio della tua fiamma, perciò entro breve dovrai fermarti e concedere al tuo corpo un po’ di requie. Non forzare la mano perché te lo dice il cuore. Devi dare tempo al tempo… anche tu che sei Elsa.

“Ma Sthiggar…” tentennò Ragnhild, subito sfiorata da un dito dell’amato, che le stava carezzando il corpo con fare delicato.

“Dai retta alla nonna. Quando non te la sentirai più, lascia andare il legame. Sapremo batterli in ogni caso, a questo punto” la rassicurò lui con un sorriso.

Annuendo, Ragnhild si concentrò unicamente su loro nemici, aggrottò la fronte nel convogliare l’energia doveva aveva deciso di ridistribuirla, dopodiché disse: "Okay... posso inquadrare i punti in cui indirizzare la fiamma. Riesci a vederli anche tu?"

Annuendo, Sthiggar allargò le gambe per avere maggiore stabilità quindi, con un grido tale da far tremare l'intera città, scagliò le sue lingue di fuoco con precisione chirurgica.

I tirapugni dokkalfar esplosero addosso ai rispettivi padroni, riducendo a brandelli l'intera armata e portando Ragnhild a coprirsi gli occhi per nascondere a se stessa l'orrore appena commesso.

Per quanto abituata alla violenza, c’erano cose che neppure lei riusciva a sopportare.

"Scusa..." mormorò quindi Sthiggar.

"Fa niente. Avrò incubi per mesi, ma conto che mi coccolerai" replicò lei, volgendosi a mezzo per controllare che i loro amici licantropi stessero bene.

A parte qualche graffio qua e là, parvero non avere altro perciò, nel tornare a guardarsi intorno con espressione turbata, domandò: "La barriera sul castello è ancora attiva. Sarà il caso di fare il culo a strisce anche a quelli lassù?"

Sthiggar, però, scosse il capo e, indicando Naglfar, asserì: "Riprendi fiato e osserva. Naglfar non è solo una bella nave... ha anche un sacco di giocattolini al suo interno."

"In che..." iniziò col dire Ranghild prima di sobbalzare quando vide lo scafo della nave aprirsi sopra il contingente di maghi liòsalfar e scaricare su di loro un'autentica pioggia di scintille colorate, simili a coriandoli di carta stagnola.

I maghi, sorpresi da quello strano attacco, si bloccarono un istante per spolverarsi le tonache ma, quando lo fecero, grida terrificanti iniziarono a levarsi tra i presenti, giungendo fino a loro.

"Che succede, lassù?" domandò Hati, scrutando curioso Sthiggar dopo aver uggiolato per la sorpresa.

"Erba" disse criptico il gigante di fuoco. "La nostra erba è tossica e, mescolata con la pietra pomice dei vulcani, crea una mistura aerobica velenosa al tatto."

"Alla faccia! Questa sì che è guerra sporca!" celiò Sköll. "Con rispetto parlando, s'intende."

Sthiggar sorrise a mezzo, replicando: "A nessuno piace usarla ma, per salvare il re, non ci sarebbe un solo muspell che preferirebbe agire diversamente."

"A parte coloro che vi hanno tradito" sottolineò Ragnhild, accigliandosi.

Dopo essersi seduta sulla spalla di Sthiggar, gli occhi lesti e attenti che scandagliavano il circondario in fiamme alla ricerca di Lafhey, Ragnhild si concesse qualche minuto per rifiatare.

Maneggiare l’energia primigenia di Yggdrasil, l’aura e la fiamma contemporaneamente l’aveva stremata, ma sapeva che non era ancora giunto il tempo per cedere.

Per quanto si sentisse debole, e necessitasse del più grande carico di Aspirina del mondo per calmare il mal di testa sempre più forte che le stava massacrando le tempie, sapeva di non poter ancora fermarsi.

"Chiudi gli occhi e respira profondamente" le mormorò a quel punto Sthiggar, scrutando a sua volta la città al pari dei licantropi. “Devi lasciare che la fiamma si sprigioni perché curi il tuo dolore… non serve solo a creare potere, ma anche a dissipare le tossine prodotte durante il combattimento.”

“Fico…” mormorò a quel punto lei, lasciandosi andare contro il collo di Sthiggar, in posizione del tutto rilassata. “…così va bene?”

“Riesci a lisciare le linee di potere come fai con me? Io, purtroppo, non riesco a farlo, con te. E’ una cosa a senso unico” le disse lui, spiacente.

Ragnhild sorride nell’udire il suo tono contrito e, sempre a occhi chiusi, si passò le mani sul torace, sussurrando: “L’Elsa sono io,… per forza che non puoi farlo.”

“Dispettosa” ammiccò lui, accigliandosi attimo dopo attimo mentre, invano, tentava di scoprire il nascondiglio di Lafhey.

Cosa stava tramando, quel dannato? Dove diavolo si era cacciato?

Mentre Ragnhild tentava di lisciare le increspature prodottesi all’interno dei gangli di potere, così come avrebbe fatto con una ciocca di capelli piena di nodi, Sthiggar le domandò: "Ragnhild... tra le tue conoscenze, esiste per caso un sistema per polarizzare al contrario il nostro potere, così da percepire il freddo, invece del caldo?"

"Più che al caldo e al freddo, si potrebbe sfruttare il magnetismo di questo pianeta" replicò lei meditabonda, continuando nella sua opera di ripulitura.

Come aveva detto Sthiggar, la fiamma stava divorando le tossine fin lì accumulate, facendole passare il mal di testa, ma le risultava ancora così difficile, muoversi all’interno di se stessa!

"Voi muspell..."

"Noi" sottolineò lui con un sorriso.

Annuendo con un risolino, lei proseguì dicendo: "Giusto. Noi muspell abbiamo un magnetismo interno che è coerente con quello del pianeta, stando a quello che ho percepito finora ma, se tanto mi dà tanto, gli jotun lo hanno diverso e, quel gigante cattivone di prima lo avrà sicuramente più potente rispetto agli altri."

"Può funzionare" assentì Sthiggar prendendo un respiro per poi concentrarsi sulle energie del pianeta, lasciando che Ragnhild pensasse a curare se stessa.

Ora che era su Muspellheimr, tutto gli veniva naturale e avvertire il respiro del pianeta, così come quello dei suoi abitanti, fu come bere un bicchiere d'acqua. Fu così che, non solo comprese che il suo re era ancora vivo, ma scoprì anche dove si stesse nascondendo Lafhey.

L'attacco in grande stile contro di lui, evidentemente, lo aveva prosciugato più di quanto loro non si fossero aspettati e ora, stravolto dalla fatica, stava attendendo al riparo di una casa semidistrutta a poca distanza da loro.

Lanciata quindi un'occhiata a Fenrir, mormorò: "A meno di mezzo miglio da noi, in una casa diroccata. Dinanzi c'è una fontana. Lafhey si trova lì, ed è letteralmente sfinito."

"Mi sembrava strano che un Gigante di Giaccio potesse resistere così tanto in quelle forme, in un mondo come Muspellheimr" ghignò soddisfatto Fenrir, zampettando via per raggiungere il loro nemico.

Guardandosi intorno mentre il padre raggiungeva il nascondiglio di Lafhey, Sköll domandò: "Visto che i dokkalfar non sembrano voler contrattaccare, che ne dici se cominciamo a controllare se c'è qualcuno ancora vivo, tra le macerie?"

Annuendo, Sthiggar si guardò intorno prima di spiegare ai due lupi dove stesse percependo energia vitale dopodiché, lanciato uno sguardo torvo al palazzo, disse: "Ora, è il caso di liberarsi degli ultimi jotun che ancora si trovano all'interno del maniero."

"Aspetta, Sthiggar!" lo richiamò Fenrir, la zampa enorme premuta sul torace di Lafhey mentre le sue zanne, a un passo dalla testa dello jotun, scintillavano ferali alla luce delle fiamme. "Questo avanzo di ghiaccio vuole dirti qualcosa."

Sorpreso, Sthiggar lo raggiunse in poche, rapide falcate prima di tornare alla sua forma naturale e permettere a Ragnhild di mettere i piedi a terra.

La giovane ne approfittò per appoggiarsi a Hati che, premuroso, le si affiancò per sorreggerla e proteggerla al tempo stesso.

Ombroso, quindi, Sthiggar fissò uno stravolto Lafhey, ormai ridotto all'ombra di se stesso, e ringhiò: "Come mai desideri parlarmi, re di Jötunheimr, dopo aver millantato il desiderio di possedermi?"

"Risparmiami, e ti farò i nomi dei delatori" lo pregò lui, mellifluo.

"Perché dovrei crederti? Potresti dirmi i nomi degli unici muspell che conosci e io finirei con l'uccidere persone innocenti" replicò Sthiggar, scuotendo il capo.

"C'è un vincolo magico, tra di noi. Se uno di noi avesse tentato di colpire l'altro alle spalle, sarebbe morto sul colpo" sottolineò Lafhey, sogghignando.

"Non è quello che stai facendo tu ora? Colpirli alle spalle, smascherandoli?" replicò Sthiggar, scettico.

Lafhey gorgogliò una risata, risata che gli valse anche un'espulsione di sangue azzurro pallido dalla bocca riarsa.

"Ho usato ogni straccio di energia per bloccarti, ma non è servito e, se non tornerò in fretta su Jötunheimr, morirò. Per questo avresti dovuto essere messo in catene su Midghardr. Una Fiamma Viva mi avrebbe condotto alla vittoria, pur se non immaginavo che tu nascondessi la tanto agognata Spada Fiammeggiante” mormorò roco Lafhey, lanciando un’occhiata incuriosita a Ragnhild, che lo degnò di uno sguardo gelido. “Pensi che sia nelle condizioni di mentirti? Inoltre, se ci pensi bene, io non sto letteralmente pugnalando alle spalle i miei alleati."

Ragnhild lo fissò burbera, dopo aver udito quelle parole sibilline, quindi borbottò: "Gli incantesimi sono letterali, vero?"

"Sì, giovane Elsa. I liòsalfar non amano i modi di dire, perché le parole hanno un peso specifico unico, all’interno delle malie... ma non ero tenuto a farlo sapere anche agli altri" scrollò a fatica le spalle Lafhey prima di guardare ansioso Sthiggar e aggiungere: "Ti prego... decidi in fretta."

Il guerriero sospirò disgustato, indicò a Fenrir di lasciarlo andare e infine disse: "Come qualcuno parecchio più in alto di noi mi ha fatto notare, il Ragnarök è ancora ben lontano dallo scatenarsi e tu sarai comunque partecipe di quella guerra, Lafhey, indipendentemente da come si svolgeranno i fatti. Non avrebbe quindi senso farti morire ora e scatenare forze che non conosciamo appieno. Dimmi come riconoscerò i delatori, e io ti lascerò vivere. La tua vita non mi interessa, al momento."

Lafhey allora si levò a sedere non appena Fenrir scostò la zampa e, nel mostrare il palmo della mano destra, disse: "Cerca questa energia, Spada, e troverai chi ha voluto la morte di Surtr."

Fu Ragnhild a sfiorare il palmo proteso dello jotun e, dopo alcuni secondi, se ne scostò con un brivido, asserendo: "Ho registrato la frequenza. Non dovrei avere problemi a capire chi si cela dietro al complotto."

Fenrir, a quel punto, ringhiò furioso dinanzi a Lafhey, le zanne snudate e pericolose e quest'ultimo, strillando terrorizzato, si levò in piedi e corse via zoppicando con il chiaro intento di raggiungere le porte di Bifröst.

"Ci stava mettendo troppo, a scappare" chiosò Fenrir, scrollando appena le spalle.

Sthiggar e Ragnhild sorrisero divertiti, lasciando che il fuggitivo Lafhey si allontanasse. Non era compito loro annientarlo, né era il tempo giusto per farlo.

Purtroppo per loro, Lafhey aveva un peso troppo grande, all’interno del Grande Disegno Cosmico, per eliminarlo prima del tempo.

Ora come ora, dovevano pensare a come chiudere quella partita una volta per tutte.

Lasciata Ragnhild nelle mani di Sthiggar, Hati si unì quindi a Sköll nella ricerca dei superstiti e il guerriero muspell, nel tenerla stretta a sé, osservò Fenrir e disse: “Cerchiamo i traditori e andiamo a occuparci del re. Fenrir, aiuta i tuoi figli con le ricerche. La città dovrebbe essere più o meno sgombra di nemici, a questo punto."

Il licantropo assentì e, mentre il gruppo tornava a dividersi, Sthiggar lanciò un’occhiata a Naglfar e al suo atterraggio dinanzi alle porte del palazzo.

Era il momento di rientrare a palazzo, per lui, ma stavolta lo avrebbe fatto con tutt’altro spirito.

***

Il ritorno in Svezia era stato estenuante.

Raggiungere Luleå aveva richiesto dieci ore di viaggio quasi ininterrotto ma, ben sapendo quanto i cugini stessero rischiando, Mattias aveva preferito non fermarsi se non per pochi minuti alla volta.

Il timore che suo padre potesse reagire in modo sconsiderato di fronte al tradimento dei nipoti lo aveva talmente spaventato da convincere Magnus a dargli retta, spingendo Bjorn a usare tutte le sue abilità al volante.

Quando, perciò, giunsero nella piccola cittadina marittima, il trio era piuttosto stanco e provato, ma ben determinato a evitare che accadesse il peggio.

Dopo aver ricevuto da Mattias indicazioni su dove recarsi, Bjorn si affrettò a imboccare le piccole stradine del centro abitato fino a inchiodare la Land Rover nei pressi dell'abitazione indicatagli.

All’esterno dell’abitazione, il trio trovò diversi berserkir intenti a chiacchierare tra loro con apparente tranquillità. Se una persona qualsiasi fosse passata di lì per caso, avrebbe pensato a una festa familiare e nulla più.

Soltanto gli occhi esperti dei berserkir all’interno della Land Rover, compresero cosa stesse realmente accadendo.

Quella era una Guardia Solenne preposta al controllo dell’abitazione del loro capoclan e nessuno, se non coloro che erano stati invitati a entrare, avrebbe potuto avvicinarsi.

A quella vista, Mattias sospirò affranto e, nel notare l’unica coppia di persone in evidente stato di nervosismo, mormorò: "Quelli laggiù, nei pressi del gazebo, sono gli zii. Ho idea che i miei cugini siano già all'interno, forse in stato di fermo, e a loro sia stato vietato di vederli, così come di allontanarsi dalla città."

A quell’accenno, Mattias indicò il berserkr che, con aria in apparenza noncurante, se ne stava a pochi passi dal gazebo con le mani in tasca, l’espressione serafica ma lo sguardo fisso sulle sue prede.

"Beh, questa condizione perdurerà ancora per poco" dichiarò livido Magnus scendendo dall'auto, subito seguito da Mattias e Bjorn. Quest’ultimo si mise al fianco del nipote con fare protettivo, pur se il giovane berserkr non ne aveva affatto bisogno.

Detenere l'anima di Odino al suo interno aveva fatto crescere più del normale il giovane Magnus che, pur avendo solo quindici anni, appariva già come un adulto pienamente formato.

Inoltre, proprio grazie al dio, poteva contare su una forza senza pari, ancora ineguagliata da nessuno dei suoi simili.

Non appena il capannello di persone dinanzi a casa Thomasson notò la loro presenza, vi furono diversi cori di sollievo, alla vista di Mattias ma, prima ancora di poter esprimere in qualche modo i personali pensieri in merito, Magnus ringhiò feroce: "E' dunque a questo, ciò a cui si sono abbassati i miei fedeli servitori?"

L’istante successivo, il potere di Odino riverberò furente dal corpo di Magnus, avvolgendo l'intero giardino e schiacciando sotto la sua cappa qualsiasi tipo di replica o movimento.

I berserkir, semplicemente, rimasero paralizzati al solo tocco di quell’immane energia primigenia e unicamente Sonja e Olaf, gli zii di Mattias, poterono muoversi nonostante la bordata energetica emessa da Odino.

Vistisi liberi da qualsiasi genere di prigionia, i due si discostarono dal loro aguzzino per correre ad abbracciare Mattias, riversando in quell’abbraccio tutta la loro ansia, unitamente al sollievo di poterlo rivedere. Turbata, quindi, Sonja mormorò in lacrime: "Hanno fatto di tutto per proteggere la vostra fuga... come mai sei tornato, Mattias?"

"Non preoccuparti, zia. Il mio comportamento verrà presto spiegato" la rassicurò lui, tornando ad abbracciarla per un istante prima di guardare Magnus, che assentì torvo. "Andiamo dentro, ora. E' tempo che mio padre ceda il passo."

Magnus lanciò occhiate ferali ai presenti, ancora increduli per quanto accaduto e terrorizzati dal potere devastante che li aveva resi inermi come moscerini. 

Sibilando tra i denti, il giovane berserkr intimò quindi loro: "Andatevene, se non volete che mi arrabbi sul serio, e avvertite gli altri membri del clan. Wotan è assai scontento di tutti voi, e richiede un’Ordalia immediata con il capoclan."

Ciò detto, sorrise benevolo a Mattias e aggiunse, con tutt’altro genere di tono: "Procediamo pure."

Mattias assentì cupo al giovane berserkr così, accompagnato dagli zii, Magnus e Bjorn, si affrettò a entrare in casa mentre gli uomini-orso, poco alla volta, si allontanarono dalla villetta dei Thomasson con aria sconvolta e tremante.

Non appena il ragazzino aprì la porta, trovò ad attenderlo Ludvig, pienamente in armi e con il volto adombrato dalla berserksgangr.

Apparentemente, gli ordini che gli erano stati comminati riguardavano solo e unicamente difendere l’interno dell’abitato o, quasi sicuramente, Ludvig si sarebbe precipitato fuori, al solo avvertire l’onda di energia lanciata da Magnus.

La berserkgangr gli aveva però impedito qualsiasi scelta indipendente, perciò il guerriero si era limitato ad attendere sull’entrata, pronto a difendere la casa del suo capoclan a qualsiasi costo.

La vista di Mattias, perciò, lo lasciò interdetto, bloccando qualsiasi suo attacco e, confuso di trovarselo dinanzi, si chetò un poco e mormorò subito dopo: "Ah, ecco... sei stato forse tu a..."

Il possente guerriero non terminò mai la frase; se la vista di Sonja e Olaf lo mise subito sul chi va là, scoprire la presenza di due berserkir sconosciuti rinfocolò immediatamente la berserkgangr.

Magnus, però, gli impedì di compiere qualsiasi genere di gesto inconsulto. Levata immediatamente una mano per schiacciarlo contro la parete, utilizzando il potere di Odino, disse poi con tono minaccioso: "Avverti i tuoi fratelli che si tengano pronti. Il vostro signore Wotan desidera parlarvi, e non è per niente fiero di voi."

Ludvig tentò una debole protesta, ma bastò lo sguardo di Magnus per farlo desistere. Annuendo quindi con fare cupo, il berserkr ritirò la berserksgangr e lo squadrò impotente per qualche istante ancora, prima di uscire dall'abitazione non appena Magnus lasciò andare la presa su di lui.

A quel punto, Magnus sospirò dolente, scuotendo il capo con aria combattuta e Bjorn, nel dargli una pacca sulla spalla, mormorò: “Sapevi che sarebbe potuto succedere. Devi accettarne il peso ora, o ritirarti in buon ordine.”

“Lo so… ma non mi piace” borbottò contrariato Magnus prima di prendere un gran respiro, tornare a scrutare Mattias e dire: "Conducimi dove si trova tuo padre."

Annuendo grave e immaginando senza difficoltà dove potesse trovarsi, Mattias chiese agli zii di non seguirli - già temendo cosa potesse essere successo - dopodiché guidò Magnus e Bjorn verso una porta che conduceva al seminterrato.

Lì, dopo aver aperto, si volse a scrutare dubbioso il suo ospite e domandò: "Cosa farai?"

"Giustizia. Non ucciderò nessuno, Mattias, ma farò quanto devo, anche se mi costerà non poco. Non amo impormi, ma la corda che ho lasciato scorrere tra le mani per dare libertà al mio popolo è diventata troppo lunga, e l’errore è stato solo mio. Ora, devo rimediare in qualche modo e, visto che so come ragionano i berserkir, dovrò usare le maniere forti" si limitò a dire Magnus, scendendo le scale assieme a Bjorn. 

Dopo un istante, anche Mattias si accodò a loro, non sapendo bene cosa aspettarsi da Magnus.

Lo aveva visto; era combattuto, all’idea di usare il suo potere, così come il suo titolo di Portatore di Wotan. Ugualmente, sapeva di dover portare giustizia e giudizio, perché era ormai chiaro che, almeno per quel che riguardava il loro clan, si era giunti a un’anarchia a senso unico che non avrebbe portato a nulla di buono.

Non odiava i suoi genitori, ma sapeva bene che avevano commesso molti errori, negli ultimi anni, e aveva il timore che ora si fossero macchiati di crimini per cui non vi fosse redenzione possibile.

D'altro canto non poteva accettare che, solo per il fatto che erano i suoi genitori, non fossero degnamente condannati per quello che, eventualmente, avevano fatto di sbagliato.

In un modo o nell'altro, avrebbe sofferto a causa delle decisioni prese da Magnus, ma non poteva evitare che il giovane berserkir le prendesse. Era nel suo pieno diritto fin da quando era nato come detentore dell’anima di Odino, e questo era ben noto a ogni clan, a ogni capobranco.

Solo la sua enorme gentilezza, e il suo desiderio di non comportarsi da leader, aveva permesso a ogni branco di comportarsi come meglio credeva, ma questo aveva portato ad aberrazioni come quelle in cui era nata e cresciuta sua sorella.

Era chiaro che, ormai, la pazienza di Magnus – e la speranza che il suo popolo capisse da solo come essere migliore – era giunta al termine. Restava solo da capire come avrebbe portato avanti il suo personale cambiamento all’interno dei clan.

Quando infine raggiunsero il piano inferiore, Mattias dovette tapparsi le orecchie, sgomento e terrorizzato, quando udì i lamenti terribili di Wulff provenire dal fondo del corridoio.

Ciò che aveva temuto, si era infine realizzato, dunque.

Suo padre aveva davvero passato il segno, compiendo l’unico atto per cui non avrebbe mai potuto essere perdonato. Colpire un membro della sua famiglia, e per motivi del tutto insensati.

Accigliandosi immediatamente, Magnus indicò a Bjorn di affrettarsi  a controllare le stanze alla sua destra, da dove provenivano le grida agghiaccianti appena udite.

Assieme a Mattias – e sperando concretamente di non ritrovarsi davanti a un cadavere – Magnus aprì la porta dinanzi a lui, trovando al suo interno un giovane legato mani e piedi con pesanti catene.

Accanto al giovane inerme, armato di un gatto a nove code e con occhi che sprizzavano furore a ogni battito di ciglio, un berserkr levò lesto il capo a scrutarli sorpreso, non appena udì il battente aprirsi.

Quando i suoi occhi animaleschi si posarono su Mattias, lo sgomento salì alle stelle, soppiantando la berserksgangr che lo aveva animato fino a quel momento.

Ignorando del tutto il torturatore – che mai avrebbe creduto essere in grado di compiere un simile scempio – Mattias gridò il nome del cugino Adam, dopodiché scansò il giovane berserkr reo del pestaggio che, turbato dalla sua prsenza, borbottò contrariato: “Non dovresti essere qui, Matt. Queste scene non sono per i tuoi occhi.”

Ciò detto, si rivolse al nuovo venuto con un gelido monito ad andarsene ma, quando poggiò lo sguardo sul viso trasfigurato dell’alto e giovane berserkr, tremò.

Il suo corpo venne  avvolto dall’aura devastante di Magnus che, livido d’ira in volto, avanzò di un passo prima di sibilare gelido: “Il tuo compito qui è finito.”

Non appena ebbe proferito queste parole, l’aura di Magnus divenne devastante, tanto da costringere il giovane berserkr in ginocchio, deprivato della possibilità di compiere qualsiasi gesto.

Ora tremante, il torturatore lanciò prima uno sguardo disperato all’indirizzo di Mattias – che però non rispose alla sua richiesta di aiuto – quindi si rivolse al nuovo venuto, esalando: “Chi sei, tu, per avere il potere di una divinità tra le tue mani?!”

“Sono il tuo dio! La vostra guida! E voi avete offeso la nostra persona, il nostro Credo, comportandovi peggio delle bestie di cui detenete la forza!” esclamò a quel punto Magnus con voce ormai distorta dall’ira.

Per quanto gli costasse una fatica terribile, non voleva ancora far emergere Odino dalle sue carni perché, gli piacesse o meno, quello era un problema tra berserkir e non tra divinità. Ma era così difficile non lasciare a lui il comando, a lui il fardello di compiere atti a lui così invisi.

Falciando l’aria con un braccio, lo scaraventò a terra con la semplice imposizione del suo potere devastante dopodiché, raggiunto Mattias accanto al corpo sanguinante del giovane che il ragazzo aveva chiamato Adam, domandò ansioso: “E’ ancora vivo?”

Mattias assentì in lacrime, tenendo tra le braccia il capo del cugino. Presumibilmente svenuto a causa delle percosse ricevute – il suo corpo recava i segni inequivocabili delle violenze a cui era stato sottoposto – Adam si riscosse a malapena, nell'udire il lamento di Mattias.

Attraverso l'unico occhio salvatosi dal pestaggio, scrutò quindi il cugino attraverso un velo di lacrime e gorgogliò dolente il suo nome.

"P-perché s-sei qui?" mormorò quindi sgomento Adam mentre una singola lacrima scivolava sulla sua gota tumefatta.

Mattias lo abbracciò con delicatezza mentre Margnus spezzava una a una le catene con il suo potere divino e, quando finalmente Adam fu libero, il cugino lo fece scivolare dolcemente a terra, carezzandogli poi il viso con fare contrito.

"Mi dispiace... mi dispiace... mi dispiace…" piagnucolò Mattias, addolorato, fissando Adam con la morte nel cuore.

Come aveva osato, suo padre, comportarsi in modo così dissennato?!

"Se Raggie è salva, va bene così" biascicò Adam prima di lasciarsi andare a una sospirata perdita di sensi.

Mattias si preoccupò immediatamente ma Bjorn, tornato sui suoi passi per non lasciare solo Magnus, scrutò arcigno il berserkr steso a terra e tramortito dal potere del suo signore, dopodiché si avvicinò al ferito per controllarlo.

Dopo alcuni istanti di attento e scrupoloso esame, in cui Mattias lo osservò pieno di speranza, decretò: "Starà bene. Ora è solo la stanchezza a parlare."

"Nelle altre stanze?" si informò subito Magnus, fissando livido il berserkr che aveva torturato Adam.

"In quella accanto, è presente un altro berserkr ed è messo più o meno come lui…” dichiarò Bjorn indicando Adam. “… ma, del suo torturatore, non c’è traccia. Al momento, il ragazzo è cosciente e sta aspettando il nostro arrivo. Quanto ai rumori che abbiamo avvertito prima, provengono dall’ultima stanza in fondo del corridoio, ma ho immaginato che volessi occupartene di persona."

"Hai ragione. Procediamo pure" assentì Magnus per poi lanciare un lungo sguardo a Mattias. "Se vuoi rimanere qui con i tuoi cugini, puoi farlo. Mi occuperò io del resto."

Lanciata poi un’ultima occhiata al torturatore di Adam, afferrò le catene, le avvolse rabbioso attorno al suo corpo dopodiché, fondendo gli anelli per creare una chiusura indissolubile, ringhiò: “Non farmi pentire di non averti ucciso.”

Il giovane non disse niente, immobilizzato dal terrore di fronte ai poteri devastanti di colui che lo aveva atterrato con il semplice utilizzo dell’aura, così a Magnus non restò altro che uscire.

A quel punto, Mattias scosse il capo e, dopo un'ultima carezza ad Adam, si levò in piedi e dichiarò: "Sono i miei genitori, perciò cercherò di portarli a più miti consigli ma, se non si atterranno alle tue parole, ti lascerò carta bianca."

Magnus assentì grave, comprendendo senza alcun problema cosa volesse dire, per lui, dover affrontare una simile prova.

Magnus sapeva bene che, molti anni addietro, i suoi stessi zii si erano trovati nella scomoda situazione di essere stati ingannati da chi avevano creduto essere un alleato, e questo aveva causato la morte di molti di loro.

Credere che Loki fosse Tyr aveva quasi portato alla guerra contro i licantropi e, solo grazie al coraggio di Brianna e dei suoi lupi, si era evitato il peggio, ma lo scorno di essere stati ingannati non era passato sotto silenzio.

Molti di loro avevano accettato l'errore soltanto dopo molti anni di contrizione e, quando lui stesso era stato abbastanza grande da comprendere ciò che era successo, aveva dedicato la sua adolescenza alla conoscenza e al sapere, anche grazie a Odino.

Con Fenrir era quindi sceso a patti, stringendo un'alleanza più che ferrea, ma ancora non era bastato per chetare il suo desiderio di portare pace. Agire solo nell'ombra, con piccoli gesti e deboli consigli, non era servito a evitare che interi clan si isolassero sempre di più fino a creare piccoli reami del terrore, incuranti del ritorno del loro dio.

Si era detto che imporre il proprio pensiero sarebbe stato troppo, ma neppure fare nulla, era risultato vantaggioso.

Avrebbe dovuto diventare una guida, non soltanto una creatura da idolatrare. Fino a quel momento, però, si era accontentato di far conoscere la propria esistenza al mondo dei berserkir, pensando che il solo sentire nominare il nome di Wotan, potesse bastare per dare il via a una nuova epifania.

Le regole erano invece state esasperate, distorcendole fino a cambiarle e lui, ancora, era rimasto in silenzio per non apparire un despota, dando quindi l’impressione di approvare simili cambiamenti.

Contrariamente ai lupi, che svolgevano annualmente delle riunioni tra clan proprio per dirimere dispute, discutere di nuove regole o favorire l'apertura a nuove idee, per i berserkir non era mai stato così.

Da sempre chiusi e ben lungi dal creare coalizioni, gli uomini-orso avevano finito, in molti casi, con lo scomparire per la totale mancanza di ricombinazione genetica. In altri casi, si erano addirittura autodistrutti poiché totalmente idiosincratici nei confronti di un mondo sempre più avanzato e alieno ai loro sguardi.

Tutto ciò aveva creato delle autentiche isole indipendenti tra loro che sì, avevano accettato di buon grado l'avvento della loro divinità sovrana, ma non lo avevano visto come un segno di cambiamento. Tutt'altro.

Era giunto il momento, per Magnus, di chiarire le cose una volta per tutte e impedire che i guerrieri che, in tempi immemori, avevano servito fedelmente Wotan, sprofondassero nell'autodistruzione.

Aperta quindi l'ultima porta del lungo corridoio dove si trovavano quelle celle di detenzione di stampo medievale, Magnus fissò inorridito un uomo affondare un ferro arroventato nella spalla del giovane legato dinanzi a sé.

Quel che più lo sgomentò, però, fu trovare una donna in sedia a rotelle che, gelida in volto, osservava l'intera scena senza colpo ferire, come se desiderasse ella stessa colpire e dilaniare, ma che per ovvi motivi non ne fosse in grado.

Il loro arrivo a sorpresa non solo stupì i presenti, ma interruppe temporaneamente anche la tortura.

Guardandosi in fretta attorno, Magnus comprese subito perché la coppia di carcerieri non si fosse accorta dell'onda di energia che aveva riversato sulla casa e, poco dopo, sul carceriere di Adam.

Accigliandosi, il giovane berserkr borbottò: "Piombare tutte le stanze per impedire interventi magici dall'esterno, mi sembra un sistema davvero paranoico di agire. Torturare un vostro consanguineo, poi, ha dell'inaccettabile e viola qualsiasi regola fin qui esistita nei branchi."

Elias lanciò un'occhiata sconcertata ai nuovi arrivati prima di notare la presenza del figlio. Fu però Ingrid a muoversi per raggiungerlo.

Mattias si affrettò a scostarsi, nascondendosi alle spalle dell'imponente figura di Bjorn quindi, scuotendo il capo, mormorò roco: "No, mamma. E' inutile che ti avvicini. Ora che non c'è più Ragnhild, non devo fingere di non sapere chi siete veramente."

La donna si bloccò a metà di una spinta, accigliandosi e, con movimenti secchi e sgarbati dell’unica mano scampata all’ictus, replicò all'accusa del figlio, fissandolo malamente.

Mattias, ancora, sospirò affranto e asserì: "E' inutile che cerchi di mascherare l'ovvio. Raggie non ha mai avuto colpe di nulla, ma ora è dove deve stare, tra persone che sapranno capirla meglio di quanto non abbiate mai fatto voi."

Al suo dire, Elias si oscurò in viso, replicando piccato: "Ragnhild avrebbe dovuto seguire le mie regole, non scappare come una codarda e rapire te. Ma, visto che sei tornato a casa, posso anche smettere di interrogare i tuoi cugini."

Ciò detto, gettò il ferro arroventato in un vicino secchio ricolmo d'acqua che, a contatto con il metallo livido, sfrigolò con violenza, gettando fuori dal bordo una lieve nuvola di droplet e vapor acqueo.

"Devo ringraziarvi per aver salvato mio figlio ma, come gestisco le cose nel mio clan, non vi compete" aggiunse a quel punto Elias, barricandosi dietro una gelida cortesia.

Bjorn rise sprezzante di fronte al suo dire e Magnus, nello scuotere il capo, asserì contrariato: "E' chiaro come il sole quanto io mi sia fidato troppo delle tribù dei berserkir. Davo per scontato che, essendo venuti a sapere della rinascita di Wotan, avreste visto in questo evento uno sprone a cambiare, a migliorarvi, ma avete percorso la via inversa. Questo scempio è... è inaccettabile!"

L'aura di Magnus sfrigolò quindi con violenza e Mattias, turbato, aggiunse: "Papà, mamma... lui Magnus Rønningen, detentore dell'anima di Wotan, e ha aiutato Ragnhild a far emergere il suo lascito divino."

Pur se sorpreso da quella notizia, Elias replicò confuso: "Ragnhild non è affatto come te! Cosa vai dicendo, ragazzo?!"

"No, non è come il vostro giovane e dolce figliolo" intervenne furibondo Magnus. "E' una creatura unica, di cui non esistono eguali in nessuno dei Nove Regni. Lei è l'Elsa della Spada Fiammeggiante di Surtr, e l'uomo che avete scacciato da qui in malo modo, credendolo solo un estraneo senza valore, è la Lama, l'arma che il re muspell sguainerà alla fine di ogni mondo e di ogni tempo."

I coniugi rimasero comprensibilmente storditi nell’apprendere quella verità, ma Mattias non lasciò loro il tempo di riprendersi perché rincarò la dose, esclamando: "Prima di tutto, però, prima di qualsiasi titolo altisonante, Ragnhild era pur sempre vostra figlia! E voi non l'avete considerata tale neppure una volta nel corso della sua vita! Era solo uno strumento per mantenere la supremazia sul branco! Mai una sola volta le avete parlato con affetto!"

Scoppiando quindi a piangere, Mattias si addossò al protettivo Bjorn e, assieme a lui, si accostò a Wulff, per sincerarsi delle sue condizioni.

Pieno di rabbia cieca, mentre le mani si muovevano insicure sulle catene che ancora tenevano prigioniero il cugino, Mattias infine aggiunse: "Ho sempre cercato di farvi capire che avere Urd dentro di me non costituiva una scusa per fare delle differenze tra noi, ma voi non mi avete mai ascoltato così, adesso, vostra figlia non tornerà mai più, né io rimarrò oltre in questi luoghi, quando mi sarà concesso di andarmene, e sarà solo colpa vostra!"

Elias si adombrò in volto, di fronte a quelle parole così cariche d’ira e di rimpianto, ma su Ingrid ebbero un effetto ancor più dirompente.

La donna sospinse la sedia a rotelle verso il figlio con rabbia malcelata nello sguardo, lo afferrò a un polso per strattonarlo con violenza e allontanarlo da Wulff. Ciò fatto, tracciò dei segni veloci e ferocemente ruvidi con l’unica mano sana, mettendo in quei gesti tutta la sua frustrazione e il suo rifiuto di accettare una simile condanna.

Il ragazzino, però, la fissò pieno di rammarico e distacco assieme e, nel guardare con occhi spenti la donna che lo aveva messo al mondo, mormorò: "E' inutile che ti arrabbi. Non avete allevato Ragnhild perché diventasse forte. L'avete deprivata di qualsiasi affetto, addestrandola fin da piccolissima perché divenisse la migliore tra le donne berserkir solo per poterla vendere meglio al più forte del branco. Quando, però, sono nato io, l’avete deprivata di una qualsiasi guida, di quell’ultimo straccio di interesse che provavate per lei, e solo perché eravate troppo concentrati su di me, così lei è diventata forte da sola. Quando più aveva bisogno di voi, quando è iniziato il suo addestramento ufficiale e si è dovuta allontanare da Luleå per dimostrare quanto fosse superiore alle altre, voi non avete avuto occhi che per me. Le avete fatto affrontare prove durissime senza alcun aiuto!"

"Se lei è ciò che dite, lo deve a noi" sottolineò cocciuto Elias.

"Non vi prenderete meriti che spettano solo a lei" intervenne a quel punto Magnus, lanciando un'occhiata spiacente al giovane amico che, sospirando, annuì. "In base all’antica legge, io ti sfido a singolar tenzone per detenere il potere di questo branco e, prima che tu dica qualcosa, non userò i doni che mi sono stati dati dalla mia illustre anima. Saremo solo io e te, come le regole berserkir prevedono."

Elias fece tanto d’occhi di fronte a quell’aperta sfida e, con tono fermo ma rabbioso, replicò: “Con tutto il rispetto, ma tu non hai l’autorità di presentarti qui e pretendere di darmi degli ordini, anche se…”

"Non ne avrei l'autorità?! Da chi pensi arrivi, il vostro potere? Da chi pensi nasca, la berserksgangr di cui andate tanto fieriDA ODINO! Lui ci donò quel potere perché fossimo i più grandi guerrieri mai visti su Midghardr, non perché diventassimo dei bulli invasati e pieni di autocompiacimento!" sbraitò Magnus, facendosi nero in viso.

Cercando di contenersi per non far crollare sulle loro teste l'intera costruzione, il giovane berserkr prese un gran respiro e, con tono più quieto - ma non meno lapidario -, dichiarò: “Parlerai con Lui, così ti saranno più chiari i nostri intenti. Ma la sfida non svanirà per magia. E’ stata lanciata, e si svolgerà.”

Ciò detto, Magnus permise a Odino di emergere in un bagliore dorato e fu così che, dinanzi agli occhi sgomenti dei coniugi Thomasson, il dio monocolo fece la sua comparsa.

Pur se accigliato e irritato, la divinità si astenne dal fare commenti aspri in merito al comportamento dei due berserkir, limitandosi a dire: "Peccai di vanità, in epoche immemori, e uccisi un innocente per il gusto di poterlo fare. Questo diede inizio al Ragnarök, e di questa colpa io porterò per sempre il peso. Voi siete pronti a fare lo stesso, con le vostre colpe, o ancora pensate di essere superiori a qualsiasi errore?"

Elias strinse i denti, piccato all'idea di essere stato ripreso a quel modo, ma disse ugualmente: "La mia famiglia detiene il potere da almeno venti generazioni, su questo clan. Per quanto io possa rispettare la vostra autorità, non posso accettare che voi permettiate al vostro involucro di sfidarmi a duello."

"Parlare di involucro mi sembra quanto meno riduttivo, per non dire insultante, specialmente parlando di Magnus che, se fosse stato per me, vi avrebbe già strappato la testa dal collo, per ciò che avete fatto ai vostri nipoti” sottolineò aspro il dio. “A quanto vedo, è tempo di cambiamenti se non siete in grado di capire che la carica di capoclan non è solo un onore, ma è soprattutto un onere. Avete perso di vista il vero ruolo di un capobranco, e questo vi ha portati a credere di poter disporre della vita e della morte dei vostri sottoposti come meglio credete. Questo va contro a tutto ciò che io vi ho insegnato, e non lo accetterò un attimo di più."

Lanciata quindi un'occhiata a Wulff, che era sostenuto da Mattias e controllato a livello medico da Bjorn, aggiunse: "Non meriti di possedere la berserksgangr, perché hai abusato di essa così come del tuo sangue."

Elias fece tanto d'occhi, a quelle parole e, infuriandosi, strinse i pugni e protestò vibratamente, esclamando: "Voi non avete la minima idea di quale cruccio sia stato, per noi, allevare quell'ingrata di Ragnhild. Non era mai disposta a seguire le regole, e ha istigato il nostro figliolo contro di noi! Solo così posso spiegarmi il tradimento del nostro Mattias!"

Odino, allora, sorrise malevolo, avanzò di un passo e borbottò minaccioso: "Pensi davvero che potrei farmi ingannare da un ragazzino di dodici anni? O dai begli occhioni di una giovane? Io, che ho bevuto alla fonte di Mimir, ottenendo la Saggezza più profonda?"

"Non... non intendevo dire che..." tentennò Elias, finalmente rendendosi conto dell'errore appena commesso.

Ingrid tentò di mettersi in mezzo, di protestare a sua volta contro quella decisione, ma Odino la squadrò con sufficienza, asserendo: "Ancora non hai compreso il perché della punizione che ti fu comminata?"

La donna sbarrò gli occhi, sgomenta, e Mattias assentì grave, mormorando con la voce di Urd: "Non fu né colpa dello scoppio d'ira che avesti con Ragnhild, né delle tue sigarette. Mia sorella Verdandi agì in nome di Yggdrasil e ti punì per ciò che stavi facendo alla sua Elsa. Più di tutto, ti colpì perché avevi tradito ogni regola del ruolo di madre, con tua figlia, e questo era divenuto inaccettabile.”

Ancora, Ingrid gesticolò indignata, ma Mattias non le diede soddisfazione, lasciando che a parlare fosse ancora Urd.

“Non si trattò mai di capire chi fosse Ragnhild. Si trattò sempre e solo di amarla come una madre avrebbe dovuto fare con la propria figlia. Deprivarla di ogni affetto, di ogni libertà, l’ha resa sì più forte, ma anche più sola, e solo l’amore di Mattias e adesso, di Sthiggar, le hanno impedito di crollare.”

A quel punto, Odino aggiunse lapidario: “Se l’Elsa si fosse spezzata, si sarebbe creata una frattura nel continuum spazio-tempo, tale da produrre un collasso sistemico in tutto l’Universo. Questo avete rischiato di produrre. Spero ne siate fieri.”

Per la prima volta in tutta la sua vita, Ingrid non ebbe nulla da dire. Nulla da replicare.

 

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


 

Cap. 25

 

 

 

“Non è possibile… non è possibile…” ringhiò esterrefatto Mikell, osservando disgustato la veloce quanto inesorabile ritirata delle armate jotun rimaste.

Come se avessero ricevuto un ordine a lui sconosciuto, o un segnale di cui non si era avveduto, gli uomini di ghiaccio smisero di combattere quasi all’unisono e, come un sol uomo, iniziarono a riversarsi verso le porte di Bifröst a grandi ondate.

Questo comportò  nuovi attacchi da parte di Naglfar che, guidata sulle orde nemiche in ritirata dal piazzale e dalle mura del palazzo, riversò sul nemico autentici marosi di polvere velenosa.

Non potendo più contare su di loro, Mikell non poté che rintanarsi nel suo studiolo all’interno dell’abitazione ove risiedeva a Hindarall, in cui si era nascosto dopo l’inizio dell’assedio.

Assieme al liòsalfar che Lafhey gli aveva affiancato perché lo proteggesse, tentò quindi di mettersi in contatto con il sovrano jotun, ma ogni tentativo fu vano.

A nulla valsero le capacità magiche dell’elfo oscuro e, quando quest’ultimo si dichiarò infine sconfitto, Mikell iniziò a imprecare, lanciandosi verso le finestre dello studio per controllare la situazione a Hindarall.

Le orde dokkalfar sembravano essere state sbaragliate dai figli di Loki, incomprensibilmente presenti su Muspellheimr e affiancati dall’unica arma che mai, nella sua esistenza, Mikell avrebbe pensato di vedere.

Le parole di Trhydann erano state non solo imprecise, ma assolutamente sottostimate e lui, da autentico sciocco, si era lasciato accecare dalla possibilità di vendicarsi del cognato, dando credito a un ragazzino petulante e al suo altisonante nome.

A cagione di questo errore, aveva fatto confinare su Midghardr non soltanto un muspell in grado di detenere il potere della Fiamma Viva.

No, tutt’altro.

Quel giovane che gli era stato descritto unicamente come il nipote di Sól e l’indegno possessore di un potere più unico che raro, era risultato essere, invece, la potente e invincibile Spada Fiammeggiante. L’arma ultima che Surtr avrebbe utilizzato durante il Ragnarök, e lui aveva contribuito a risvegliarla, ordendo quel piano per vendicarsi del sovrano.

Crollando ginocchia a terra, Mikell si passò le mani sul volto terreo, le sue membra iniziarono a tremare per la paura di ciò che avrebbe potuto accadere a causa di quel risveglio e, nello scrutare il liòsalfar, esalò terrorizzato: “Nascondici. Nascondici a lui.”

L’elfo oscuro, avvicinandosi a sua volta alle finestre per osservare la disfatta del loro esercito congiunto, aggrottò la fronte e replicò rassegnato: “La Spada Fiammeggiante può vedere ovunque, nobile muspell, e vedrà anche noi, se saprà cosa cercare.”

Sbattendo le palpebre con aria confusa, Mikell lo scrutò in cerca di spiegazioni prima di sobbalzare, piegare il capo verso la mano con cui aveva suggellato il patto con Lafhey e, inorridito, esalare: “Il patto parlava di non… attaccare alle spalle.”

“Sì, nobile muspell. E la magia lascia sempre una traccia, su coloro che accettano di sottostare a essa” gli rammentò l’elfo oscuro, scrutando con occhi serafici il veloce diradarsi delle orde jotun lungo tutta la linea del golfo, su cui si affacciava una Hindarall in fiamme. “Siete marchiato al pari di re Lafhey, così come di tutti coloro che hanno sottoscritto il patto di alleanza contro re Surtr.”

Ciò detto, srotolò del sottile filo setoso color della notte e, con un complesso movimento di mani e braccia, avvolse un attonito Mikell prima di aggiungere: “Voi avete tradito il vostro sovrano e ora io, Kylass Thorndayn, vi consegnerò a lui per avere salva la vita.”

“Non puoi!” sbraitò a quel punto Mikell, tentando invano di muoversi.

Il laccio sottile si strinse sempre più a ogni suo movimento e, quando finalmente il nobile muspell si rese conto di essere in trappola, sputò a terra tutto il suo livore prima di ringhiare: “Ti farò condannare. Dirò ogni cosa a mio cognato e così perderai la testa al pari mio. Non ti salverai, maledetto!”

L’elfo oscuro, del tutto insensibile alle sue minacce, sogghignò nel replicare: “Invece, otterrò la libertà grazie  ai nomi dei cospiratori che confiderò. Non tutti hanno siglato il patto, poiché in molti hanno partecipato alla congiura senza per questo stringere accordi con Lafhey. Tutti voi… eravate così sicuri di vincere da non aver badato a coprirvi le spalle, così certi che il re jotun sarebbe riuscito a ingabbiare la Fiamma Viva per uccidere il re muspell!”

Mikell lo fissò a occhi sgranati, un leggero filo di bava a scorrere lungo le labbra livide, ma l’elfo oscuro non si lasciò ingannare dalla sua aria sconfitta. Un muspell poteva attaccare in qualsiasi momento, anche quando lo si pensava sconfitto.

Scoppiando in un’aspra risata piena di soddisfazione, Kylass aggiunse un istante dopo: “La rabbia derivante dalla perdita di vostro figlio vi ha reso cieco e sordo alla cautela, nobile muspell, così vi siete fidato di un uomo che, da sempre, vi è nemico soltanto perché vi ha offerto ciò che più volevate, ma non vi siete mai fermato a chiedervi perché ve l’avesse offerto.”

Mikell si scosse ancora, e ancora il laccio che era gleipnir si strinse attorno a lui, quasi strappandogli ogni stilla di fiato dai polmoni. Fissando quindi arcigno l’elfo oscuro, sibilò: “Credi davvero che non avessi pensato alle mire di Lafhey? Pensi che non sapessi che voleva per sé il potere della Fiamma Viva per farne ciò che voleva? Per ottenere financo il trono di Muspellheimr?”

“Avete ancora una visione troppo semplicistica dell’intera commedia che è andata in atto, nobile muspell” replicò a sorpresa il liòsalfar, sorprendendolo. “Re Lafhey non se ne farebbe nulla di una Fiamma Viva, quando può contare sul potere del ghiaccio e delle nebbie, che gli viene dalla sua alleanza con Nifhleimr. Due pianeti contro uno, nobile muspell. Una semplice Fiamma Viva non avrebbe contato nulla, nelle sue schiere…” ghignò l’elfo oscuro, piegandosi su di lui fin quasi a sbavare il proprio odio sul suo volto aggrottato. “… ma, se avesse avuto tra le mani la Chiave per la Spada Fiammeggiante, cos’avrebbe potuto fare?”

Mikell si bloccò di fronte a quella notizia e, sgomento, esalò: “Snorri! Lui voleva… Snorri!”

Annuendo nel notare la sua espressione esterrefatta, Kylass asserì: “Nessuno di noi immaginava che la Chiave altro non fosse che il padre della Spada Fiammeggiante, e non un oggetto inanimato contenuto nel Tempio Maggiore di Sól, dove Snorri è Sommo Sacerdote, e questo ci ha condotti in errore. Un errore che, però, non cadrà sulla testa di re Lafhey, a quanto pare, ma solo sulla vostra.”

“Tuuu… maledetto! Tu sapevi ogni cosa!” sbottò Mikell, riprendendo a dimenarsi e urlare come un ossesso, causandosi così un tale schiacciamento polmonare da rischiare la sincope.

Kylass, a quel punto, interruppe i suoi movimenti lanciando un semplice incantesimo costrittivo quindi, con un ultimo sogghigno, disse: “Certo che sapevo ogni cosa… altrimenti, re Lafhey non mi avrebbe mai messo al vostro fianco.”

“Che… che intendi dire? Perché Lafhey ti voleva con me? Dimmelo. DIMMELO!” sbraitò allora Mickell.

L’elfo oscuro sbuffò contrariato, passò una mano sul volto di Mickell per indurre su di lui il sonno dopodiché, dopo averlo visto crollare a terra, aggiunse con un sogghigno: “E’ semplice, mio sciocco amico. Così da far ricadere su di voi ogni colpa, qualora il piano fosse fallito.”

***

“Qualcosa non quadra… perché gli jotun stanno fuggendo in massa dal palazzo?” domandò Hildur, osservando le orde degli uomini-ghiaccio mentre venivano colpite dal veleno che Naglfar stava scaricando su di loro.

Anche Ilya parve confusa da quello strano risvolto della situazione ma Thrym, sbrigativo, esclamò: “A quanto pare, re Lafhey deve essersi cacato sotto dalla paura, dopo aver visto Sthiggar e Ragnhild combattere come Spada Fiammeggiante! E’ sparito da Hindarall già da qualche minuto e, come minimo, se l’è data a gambe levate da bravo ghiacciolino imparito quale è!”

Nell’osservare la città, ora stranamente calma nonostante gli incendi che ancora la devastavano, Hildur assentì torva e la regina, nell’indicare dabbasso i tre licantropi che stavano setacciando meticolosamente tra le macerie, disse: “Anche i figli di Loki hanno smesso di combattere. Evidentemente, l’ultimo colpo di genio di Sthiggar e della sua giovane compagna, ha dato i suoi frutti.”

“Qualsiasi cosa sia successa, non scenderemo da qui finché non saremo sicuri che il castello è in sicurezza” brontolò Hildur mentre, sotto di loro, le figure di Sthiggar e Ragnhild raggiungevano di corsa il piazzale del palazzo.

Nel notare i gesti del cugino, Hildur fece comunque abbassare la nave quel che bastò per poter udire le sue parole.

Levando un braccio per farle cenno di bloccare la discesa, a sua volta incerto sul far discendere coloro che Naglfar stava trasportando come prezioso carico, Sthiggar gridò: “I dokkalfar sono stati sgominati! Quanto agli jotun, hanno dichiarato la resa! Lafhey si sta ritirando!”

“Cosa vuoi che facciamo?” gli urlò in risposta Hildur.

“Mantieni al sicuro mio padre e la regina, finché non ci saremo sincerati che non ci sia veramente più nessuno di pericoloso a palazzo. Solo dopo, potrai scendere.”

“Fai attenzione” si raccomandò la cugina, riportando quindi la nave a un’altezza accettabile e più sicura.

Sthiggar assentì rapido dopodiché, annuendo all’indirizzo di Ragnhild, disse: “Entriamo.”

Lei annuì debolmente, riprendendo la corsa verso il palazzo tenendolo saldamente per mano. I suoi piedi non erano del tutto saldi, e la presenza di Sthiggar era quanto mai necessaria, così da impedirle di inciampare clamorosamente e finire riversa sul pavimento.

L’uso smodato dei suoi nuovi poteri l’aveva prosciugata come il sole avrebbe fatto su una distesa di neve estiva, e ora si stentiva davvero al limite delle forze, ma il loro compito non era finito.

Avrebbe dovuto resistere ancora un po’, prima di chiedere un letto, un cuscino, e dormire per un mese intero.

“Sbaglio, o le maniglie del portone sono in oro?” domandò a un certo punto Ragnhild, avendo notato quel particolare non da poco in ogni battente fin lì superato in tutta fretta.

“Non ti sbagli. E non sarà l’unica cosa luccicante che vedrai, qui dentro” le sorrise lui, accentuando la stretta sulla sua mano.

Levando un sopracciglio con interesse, Ragnhild strinse maggiormente nella mano destra sulla sua spada ricurva quindi, indirizzando occhiate sorprese alle prime meraviglie che le si pararono innanzi, chiosò: “Beh, questo palazzo fa un baffo all’Ermitage, poco ma sicuro.

Lui rise, assentì divertito nel darle ragione dopodiché la indirizzò verso una piccola scala di servizio, asserendo: “La presenza più massiccia di persone proviene dai piani superiori. Utilizzando queste scale, raggiungeremo prima i luoghi che ci interessano.”

“Non rischieremo un agguato, in un luogo così stretto e angusto?” replicò lei, accigliandosi un poco quando vide l’onnipresente bioluminescenza ardere sulle pareti del cunicolo ascendente che avevano appena imboccato.

“Ricorda chi sei ora. Puoi avvertire chi si trova tutt’attorno a te. Inoltre, avendo dentro di te le onde di risonanza della traccia che ci ha dato Lafhey, sapremo se ci sono dei delatori nelle vicinanze” le spiegò Sthiggar, salendo a due a due i gradini.

Iniziando ad avere il fiato corto, Ragnhild rallentò un poco, e così Sthiggar, ma riuscì comunque a dire: “Tutto verissimo, Sthigg… ma non hai pensato che qualcuno dei nostri nemici potrebbe non avere quella traccia?”

Il muspell si bloccò a metà di un passo, quasi costringendo Ragnhild a urtarlo dopodiché, fissandola sgomento, esalò: “Merda… è vero. Dubito che Lafhey abbia stretto mani a ogni singolo traditore.”

“Appunto. Perciò, forse, dovremmo agire con un tantino più di prudenza, non ti pare?” ammiccò lei, ironica.

Lui storse appena la bocca, annuì suo malgrado e borbottò: “Questa faccenda della Spada Fiammeggiante mi sta un po’ sfuggendo di mano. Hai ragione. Ora che siamo in questa forma, siamo vulnerabili al pari di qualsiasi altro muspell, e dobbiamo prestare molta più attenzione a ciò che facciamo. Oddio, non che prima non dovessimo, però… insomma, è meglio procedere meno speditamente, forse.”

“Bene… sapevo che saresti giunto a più miti consigli” motteggiò lei, utilizzando comunque la tecnica suggeritale da Sthiggar per comprendere se vi fosse qualcuno nelle vicinanze.

Grazie al potere dei muspell – pur se lei lo era divenuta da poche ore – si poteva esser quasi certi della presenza di una creatura vivente fino a un raggio di una decina di metri, se l’aura era attiva. Avendo già sfruttato in precedenza quell’abilità, estese quindi il proprio potere di Elsa per comprendere se vi fosse qualcuno nei paraggi.

Il fiato le venne a mancare in pochissimi secondi, però, segno che ormai la sua forza era agli sgoccioli ma, nonostante tutto, proseguì nell’esame al pari di Sthiggar.

Sthiggar che, nonostante le scale strette e la situazione non certo allettante, la costrinse a salire sulle sue spalle perché non dovesse affaticarsi ulteriormente, quindi procedette nel proseguire la loro ascesa.

L’utilizzo della sua aura per mappare il castello, però, mandò nella confusione più totale la mente di Ragnhild e Sthiggar, nell’avvedersi della sua indecisione, mormorò bonario: “Utilizzando il dono a questo modo, ascolterai ogni singola creatura di Muspellheimr, vicina e lontana, perché stai utilizzando il potere di Yggdrasil e non la tua aura, mentre bisogna fare un po’ di cernita, per avere le idee più chiare.”

“E’ per questo che il raggio d’azione diminuisce?” domandò allora lei, leggermente sorpresa.

Annuendo, Sthiggar avanzò più lentamente assieme a lei lungo le scale e aggiunse: “Esatto. Convogliare l’energia in un un’unica direzione la rende più precisa, ma il suo arco d’azione cala drasticamente. Un po’ come abbiamo fatto prima con i dokkalfar.”

“Vuoi dire che si sarebbero disintegrati, se l’energia fosse stata la stessa che, per esempio, abbiamo usato contro Lafhey?”

“Esatto. Così, invece, sono soltanto andati in pezzi” assentì lui prima di azzittirsi e aggrottare la fronte, in ascolto.

L’istante seguente, Sthiggar si aprì in un sorriso più tranquillo e, nel dirigersi verso una porticina seminascosta dietro un mobile, mormorò: “Possiamo uscire anche qui. Ci sono i nostri.”

“Ne sei sicuro?” borbottò Ragnhild, dando comunque una spinta al battente per aprire e lasciarli quindi uscire dal cunicolo.

“A loro affiderei la mia vita, così come l’ho affidata a te” assentì lui, lasciandola scendere nel momento stesso in cui si ritrovarono in un ampio corridoio adornato da stupendi tappeti e drappi di seta rossa a circondare stupendi arazzi di chiara medievale.

Medievale terrestre.

Pur se sconcertata da quella vista – che re Surtr fosse un appassionato collezionista di arte terrestre? – Ragnhild tornò a concentrarsi su coloro che stavano avvicinandosi a grandi passi, armati fino ai denti e ricoperti di sangue in gran quantità.

Lei sperò non fosse il loro.

Le Fiamme Purpuree che si avvicinarono di tutta fretta non impiegarono molto a riconoscere Sthiggar e, nel vederlo, l’intera compagnia si aprì un corale sorriso di bentornato.

Primo tra tutti, Rahdd Khan si avvicinò con la mano levata e, stringendo quella del vecchio amico, esalò: “Ehi, Sthigg! Che ci fai qui? Il re è riuscito a darti la grazia mentre noi venivamo attaccati dai ghiaccioli?”

Sthiggar strinse con gioia la mano dell’amico mentre anche Fyodr, un altro dei commilitoni a lui più cari, si avvicinava per conoscere la situazione.

“E’ andata un po’ diversamente, ma avremo tempo di spiegarvi” dichiarò Sthigg prima di far avanzare Ragnhild, visibilmente dubbiosa, e aggiungere: “Vorrei presentarvi Ragnhild. Lei è… beh…”

Mordendosi dubbiosa il labbro inferiore, la giovane squadrò per un momento Sthiggar prima di allungare a sua volta la mano e domandare: “La sua ragazza? Lo dite anche qui?”

Sia Rhadd che Fyodr la fissarono al colmo della confusione, al pari delle altre Fiamme Purpuree presenti nel corridoio. Quando però i secondi si protrassero silenziosi e imbarazzati, fu il più anziano tra tutti loro a sbloccare quella situazione di stallo.

Battendo una mano sulla spalla di Rhadd per sbriciolare la sua aria raggelata e confusa, Nyath Ranaldsson squadrò per un istante Ragnhild prima di osservare Sthiggar e chiedergli: “Puoi spiegarci perché gli jotun se la sono data a gambe giusto qualche minuto fa? E perché tu sei rientrato da Midghardr con una fidanzata fresca di connio?”

“Vi spiegherò ogni cosa mentre raggiungiamo il re. Sapete dove si trova? Con tutte le reti di protezione che ci sono a palazzo, ho i sensi un po’ confusi” disse sbrigativo Sthiggar, ammiccando poi a Ragnhild, che scrollò le spalle con divertimento.

Annuendo, Nyad indicò il corridoio con un cenno del capo dopodiché, assieme all’intera compagnia, si avviò verso le scale che conducevano ai piani superiori, subito seguito da Sthiggar e Ragnhild. “Vi accompagnamo noi, non temere.”

Solo a quel punto sogghignò all’indirizzo dell’amico e celiò: “Allora? Non ci dici proprio nulla? Era una prigioniera come te?”

“Vacci piano con gli insulti” brontolò per contro Ragnhild, tenendosi allacciata alla maglia di Sthiggar mentre risalivano in fretta le scale. “Sono… beh, ero una libera cittadina midghardiana, fino a prova contraria, e una figlia dei berserkir, se sai cosa sono.”

Lo sconcerto di Nyad crebbe di pari misura a quello del resto dei commilitoni ma Sthiggar, nel levare una mano, disse perentorio: “Dopo. Ne parleremo dopo. Ora, devo conferire con il re.”

“Solo tu potevi incasinarti tanto la vita, finendo in una galera midghardiana e portandoti a casa questo schianto di ragazza” celiò Nyad, scoppiando in una grassa risata mentre Ragnhild sospirava con aria accigliata.

Sthiggar preferì non commentare. Le battute tra commilitoni erano spesso goliardiche e sboccate, ma sapeva bene che Ragnhild aveva la pelle dura e non si sarebbe lasciata intimidire dalla curiosità dei suoi amici.

Avrebbe avuto tutto il tempo in seguito per redarguirli.

Ora, dovevano pensare alla missione.

Lasciando per un secondo momento anche il dolore e la rabbia che crebbero in lui, alla vista dei corpi inermi che la battaglia aveva lasciato sul campo, Sthiggar pensò unicamente a ciò che doveva dire a Surtr, e a come dirlo.

I traditori andavano trovati al più presto ma, come aveva fatto giustamente notare Ragnhild, avrebbero dovuto anche escogitare un modo per scoprire chi altri si fosse celato dietro le macchinazioni che li avevano portati a questo.

Quando, perciò, raggiunsero il salone delle feste dove ancora si trovavano il re e le sue Fiamme Nere, Sthiggar, pur se lieto di vedere in vita il suo sovrano, si avvicinò torvo alla figura di Surtr e, dopo un inchino formale, dichiarò: “Ho notizie dei delatori, mio sire.”

Sia tra le Fiamme Nere che sul volto di Yothan comparvero espressioni esterrefatte, così come commenti tra i più disparati e sgomenti si elevarono nell’aria satura dell’odore acre del sangue, di fronte alla ricomparsa a sorpresa di Sthiggar.

Tutti sapevano del suo esilio su Midghardr, perciò la sua presenza a palazzo era quanto mai fuori luogo ma, di fronte alla sua sicurezza e, soprattutto, alle sue parole, nessuno riuscì ad aprire bocca.

Surtr, per contro, non diede a vedere di essere meravigliato – dopotutto, aveva un buon nome da difendere – perciò, mentre batteva una mano sulla spalla del giovane, ghignò e disse: “A quanto pare, neppure i divieti ti tengono lontano da questo palazzo, ragazzo. Come diavolo hai fatto a tornare?”

“Ve lo spiegherò più tardi…” mormorò lui prima di lanciare un sorriso sollevato all’indirizzo di Yothan che, pur se ferito a un braccio, appariva in buono stato. “… ma adesso dobbiamo approntare un sistema di vigilanza per bloccare coloro i quali hanno attentato alla vostra vita. Sono tuttora qui, e sono ben lungi dall’essere unicamente stranieri.”

Accigliandosi, Surtr rinfoderò la propria spada dopodiché lanciò un’occhiata a Yothan, che sbraitò ordini a destra e a manca per sigillare la sala del trono.

Mentre il suo comandante in campo si occupava della sicurezza, redistribuendo anche le Fiamme Purpuree giunte con Sthiggar, Surtr scrutò incuriosito Ragnhild ed esalò: “Beh… che mi venga un colpo! E tu da dove salti fuori, giovincella?”

“Lei fa parte delle cose che devo spiegarvi, sire” si affrettò a dire Sthiggar mentre Ragnhild, a occhi sgranati, osservava Surtr come se fosse stata un cerbiatto abbagliato dai fari.

“Ho qualcosa che non va sulla faccia?” domandò a quel punto Surtr, tastandosi dubbioso il viso.

Scoppiando a ridere, Sthiggar scosse il capo, replicando: “No. Credo soltanto che la mia amica si aspettasse tutt’altro, da voi.”

“Spero, non di meglio” gracchiò Surtr prima di richiamare accanto a sé Yothan per ordinare: “Presidiate il salone in qualsiasi caso. Tolta mia moglie, Snorri e Hildur, non voglio che nessun altro entri qui dentro. Non dovrebbero più esserci attacchi, ma è meglio non abbassare la guardia.”

Ciò detto, si rivolse a Sthiggar e aggiunse: “Quanto a te, ragazzo, andiamo nel mio studio, così che tu possa spiegami che diavolo è successo là fuori. Ho percepito un’energia pazzesca, ma non ne ho compreso l’origine.”

Sthiggar e Ragnhild si osservarono ammiccanti, a quel punto ma Surtr, preferendo non parlare di fronte a troppe orecchie, lasciò per un secondo momento le domande.

Era stanco, affamato e irritato. Due giorni di lotte gli erano bastati per un millennio e più, inoltre detestava dover combattere senza sapere chi fosse davvero il suo nemico.

***

Raggiunto che ebbero lo studio del re, Sthiggar non si sorprese più di tanto nel trovarlo ancora intatto. Quelle porte erano spesse più di mezzo metro, e solo su ordine del sovrano potevano essere aperte.

La magia liòsalfar non era di solo appannaggio di re Lafhey e, a suo tempo, lo stesso Surtr aveva fatto in modo che intere ali del palazzo fossero protette dalle arti magiche elfiche.

Dopo essersi appoggiato alla scrivania di palissandro, ingombra come sempre di ciarpame di ogni tipo, Surtr lanciò un’occhiata a Yothan, entrato assieme a loro, quindi ordinò: “Corri a cercare Oberon e Titania. Ora che lo scontro è cessato, è necessario che ascoltino a loro volta ciò che il giovane ha da dire. Se lo sono guadagnato sul campo, questo privilegio.”

Il comandante assentì e, dopo un rapido sguardo orgoglioso a Sthiggar, uscì di gran carriera dall’ufficio, lasciando così soli il re e i due giovani.

A quel punto, tornando a osservare Ragnhild, Surtr disse: “Non sei nata qui, fanciulla, eppure sei una muspell. Che strano inghippo è questo?”

Non potendo più procrastinare oltre, Sthiggar spiegò al suo sovrano ciò che la prigionia midghardiana aveva messo in luce e, con un mezzo sorriso, ammise con Surtr non solo il suo affetto profondo per Ragnhild, ma anche la sua reale identità.

Questo sconvolse non poco il re, ora non più in grado di contenere la sorpresa e, nel passarsi una mano sul volto, poggiò l’altra sulla scrivania per sorreggersi e, basito, esalò: “Niente meno che Elsa e Lama! E tu mi dici che là fuori vi sono anche i figli di Loki.”

Annuendo a più riprese, Sthiggar asserì: “Ho trovato validi alleati, su Midghardr, unanimemente convinti che fosse imperativo bloccare sul nascere questo tentativo di sovvertire le leggi del Cosmo.”

“Non sono state già sovvertite, unendo le vostre due entità?” domandò a quel punto Surtr, assai turbato.

“Stando a ciò che Urd ci ha detto, la riappacificazione di Odino e Fenrir ha procrastinato l’evento e cambiato le regole d’ingaggio. La nostra unione, invece, non ha a che fare direttamente con Ragnarök. Per lo meno, non finché saremo in grado di mantenere separate Elsa e Lama” gli spiegò succintamente Sthiggar, scrollando le spalle.

Il re si passò stancamente una mano tra i capelli irruviditi da sudore e sangue ma, sapendo bene di non potersi riposare un attimo di più, disse: “Avremo tempo di parlare di tutto ciò, ma…”

Nel veder rientrare Yothan, stavolta accompagnato dalla reale coppia di Elfheimr, il sovrano muspell aggiunse torvo: “… ma ora, sarà il caso di aggiornare i nostri validi alleati.”

Oberon e Titania, con evidenti segni di lotta sui loro abiti sgualciti, osservarono dubbiosi la coppia di giovani finché il sovrano elfico, storcendo il naso, domandò a sorpresa: “Perché diamine Fenrir si trova nel cortile del palazzo? Da dove è saltato fuori quel cagnaccio?!”

Surtr sobbalzò leggermente di fronte a quell’insulto bello e buono e, dubbioso, replicò: “Hai qualche contesa che non conosco con il figlio di Loki?”

Oberon si limitò a un mpfh non ben definito mentre Titania sorrideva divertita e sì, vagamente soddisfatta perciò Surtr, preferendo evitare di sorbirsi una filippica dall’elfo – che sapeva essere esasperante, quando voleva – si limitò a dire: “Il mio sottoposto, qui presente, ha ottenuto il suo sostegno in battaglia, per questo si trova qui assieme ai figli.”

“Beh, stavolta non ti farà fare la figura del fesso, caro” celiò a quel punto Titania, ritrovandosi addosso lo sguardo livido del marito che, però, ancora non replicò.

Surtr si guardò bene, ancora una volta, dall’indagare – sapeva fin troppo bene quanto quei due potessero diventare litigiosi, quando volevano – quindi, rivolgendosi a Sthiggar, domandò ansioso: “Mia moglie è sana e salva, vero?”

“E’ al sicuro insieme a mia cugina, mio padre e alla coppia di muspell che si trovavano a Luleå con me… su Naglfar” assentì Sthiggar, ammiccando comicamente.

“Alla fine, l’hai rubata sul serio quella dannata nave, eh?” borbottò il sovrano, pur ghignando divertito. “Mi toccherà dare la grazia a quei due disgraziati, a questo punto.”

“Credo di sì” annuì il giovane, accennando un sorrisino. “Sono stati dei validi compagni di lotte.”

Sbuffando, Surtr allora disse: “Va bene, una cosa alla volta. Voi ragguagliate i nostri nobili ospiti, mentre io cerco di rallentare un po’ il cervello. Tutte queste novità mi hanno fatto un poco uscire dalle grazie degli dèi.”

Sthiggar non fece fatica a comprendere quanto assurdo fosse stato il loro racconto – lui per primo non vi avrebbe creduto, ascoltandolo – perciò non si sorprese di fronte a quella richiesta di tregua.

Di buon grado, quindi, fece un riassunto edulcorato anche a favore dei due liòsalfar, aiutato in più punti da Ragnhild, che argomentò soprattutto ciò che riguardava gli eventi avvenuti su Midghardr.

Yothan ascoltò in totale silenzio mentre Oberon e Titania, interrompendo più volte il racconto, vollero ulteriori notizie in merito a Jörmungandr e a Yggdrasil, rimanendo strabiliati a ogni nuova informazione ottenuta.

Al termine della loro dissertazione, Oberon apparve assai accigliato, ma annuì ugualmente e disse: “Quando ebbi modo di incontrare Odino e Fenrir assieme, non pensai subito ai risvolti diretti di quell’alleanza ma, effettivamente, tutto ciò avrebbe senso. Se i fautori del Ragnarök primordiale hanno trovato il sistema per non odiarsi più, quel conto alla rovescia è come venuto a svanire, soppiantato da altro.”

Annuendo, Sthiggar asserì: “Esattamente, maestà. Non ci è dato sapere quale altra scadenza avrà il nostro universo conosciuto, poiché ogni energia cosmica si sta riequilibrando, in particolar modo dopo gli eventi di oggi, quando Elsa e Lama hanno combattuto assieme per la prima volta. Non dubito, però, che l’alleanza dei nostri popoli, e la certezza da parte di re Lafhey di non poter avere per sé l’arma del mio sovrano, possa scongiurare il Crepuscolo degli dèi per molti millenni ancora.”

Titania assentì con un sorriso soddisfatto e, ammiccando maliziosa all’indirizzo di Sthiggar, mormorò: “Beh, se avessi saputo che la fantomatica spada di Surtr eri tu, ci avrei fatto un pensierino anch’io, a dir la verità.”

Sorridendo imbarazzato, Sthiggar si passò nervosamente una mano dietro la nuca e, reclinando compito il capo, esalò: “Ah… mi onorate, maestà.”

Lappandosi le labbra con espressione famelica e scrutando il marito con aria di lesa maestà, Titania aggiunse serafica: “Ho anni e anni di sano tradimento da recuperare, mio caro muspell perciò, casomai volessi farti un viaggetto ad Avalon, sarò lieta di ospitarti. Con la tua cara compagna, s’intende. Sono molto aperta di vedute, quanto a… festeggiamenti. E una vittoria simile andrà festeggiata negli anni a venire per molto, moltissimo tempo.”

Oberon fece finta di non aver sentito e Ragnhild, non del tutto certa di aver capito che ruolo avrebbe avuto lei in quei fantomatici festeggiamenti, si limitò al silenzio più totale mentre Surtr, tossicchiando, riportava i presenti al nocciolo della questione.

Sthiggar, da parte sua, si limitò a diventare una statua, preferendo non esprimersi in nessun senso. Non era mai finito preda di mariti cornificati, e non aveva di certo intenzione di iniziare in quel momento, e per un evento che non si era ancora verificato.

“Ah, bene… tornando alle questioni pratiche, e cioè trovare i traditori che mi hanno voluto colpire alle spalle…” iniziò col dire Surtr, lanciando quindi un’occhiata alla coppia di giovani muspell. “… potremmo cominciare dai nomi che voi potete cogliere attraverso il legame stretto con Lafhey, giusto?”

I due assentirono rapidi perciò Surtr, invitando Sthiggar ad accomodarsi sul suo scranno – mentre porgeva una sedia a Ragnhild perché gli sedesse a fianco – lasciò loro campo libero perché usassero i loro nuovi poteri.

Sthigg, a quel punto, prese la mano di Ragnhild, chiuse gli occhi e mormorò: “Concentra i tuoi sensi sull’onda di risonanza del segnale di Lafhey. Riesci a farlo?”

“E’ come regolare una radio…” sussurrò pensierosa Ragnhild, aggrottando la fronte nel concentrarsi. “…perciò, non appena sentirò che… oh, eccone uno. E’ anche vicino, direi.”

I presenti sobbalzarono per la sorpresa ma Sthiggar, non appena comprese di chi si trattasse, aggrottò pericolosamente la fronte, scrisse un nome sul foglio dinanzi a lui con la sua fluente grafia e, stringendo i denti per l’ira, ringhiò: “Mikell Throndheim.”

Bastò quel nome, perché Surtr divenisse il demone furioso, feroce e terribile che le storie midghardiane raccontavano. E non fu per niente piacevole, come spettacolo.

 

 

 

N.d.A.: Che dite… Surtr mangerà vivo il cognato, o aspetterà di sentirlo almeno parlare?

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


 26
 
 
 
 
Dopo aver provveduto a sistemare i tre fratelli Thomasson nelle camere da letto della villetta, Bjorn si premurò di curare le ferite riportate durante il pesante pestaggio che i giovani berserkir avevano subito.

Nel mentre, Magnus supervisionò l’intero processo al pari dei genitori dei ragazzi, lo sguardo duro e perso in mille pensieri.

Avrebbe potuto procrastinare l’incontro con i genitori di Mattias ancora per poco, e controllare che Bjorn facesse un buon lavoro era come assicurarsi che il sole sorgesse a Est.

Con un sospiro, quindi, Magnus si scusò con i coniugi Thomasson e discese le scale del primo piano per raggiungere il salone al piano inferiore, così da poter raggiungere il suo improbabile uditorio nel salotto della stessa.

Controllati a vista da Urd – che aveva preferito sostituirsi a Mattias per dare maggiore enfasi all’ordine perentorio di Odino – Elias e Ingrid attendevano silenti il ritorno di colui che li avrebbe giudicati.

Come da ordini di Magnus, nella casa si erano riversati i guerrieri più potenti del clan, unitamente alla Veggente che, tanti anni addietro, aveva scorto Urd nel corpo di Mattias.

Isolde si era dichiarata estremamente sorpresa di scoprire che proprio Wotan si fosse presentato alla loro porta e, più ancora, lo era stata nel venire a sapere dell’Ordalia lanciata contro il loro capoclan.

Come le era stato ordinato, comunque, si era presentata a casa Thomasson e, quando finalmente vide entrare il giovane Magnus, si inchinò educatamente prima di mormorare un benvenuto formale alla celebre entità dentro di lui.

Come pensi si svolgerà l’Ordalia?, domandò Mattias, rivolto alla divinità del destino.

“Ci è possibile bloccare Odino perché non aiuti Magnus, perciò il combattimento si svolgerà ad armi pari. Quel che ne verrà deciderà le sorti dei tuoi genitori e di tutto il clan, perciò non credo sarà una battaglia così facile o scontata” replicò spiacente la dea, osservando turbata l’assurda postura indispettita dei due berserkir padroni di casa.

Perché si ostinavano a mantenere quella posizione oltranzista nei confronti di un dio? Davvero non avevano compreso a cosa stavano andando incontro?

Non appena Magnus ebbe scrutato in volto i presenti, assentì leggermente alla figura di Urd prima di esordire dicendo: “Poiché è corretto che tutti voi siate messi a conoscenza di ciò che è avvenuto tra queste mura, sappiate che tre dei vostri guerrieri sono stati torturati in spregio alla Legge del Sangue, che vieta espressamente a un consanguineo di ferirne un altro se non in una contesa onorevole. Oltre a questo, in questo triste giorno, sono stato costretto a lanciare una sfida per il predominio al vostro capoclan, il qui presente Elias Thomasson.”

Questa ultima notizia fece levare dei cori di sgomento e sorpresa tra i presenti e Ludvig, che già aveva assaggiato la sferza del potere di Magnus, replicò cauto: “Non sarà un combattimento iniquo, visto ciò che porti dentro di te?”

“E’ una giusta domanda, e a questo può rispondere la vostra Veggente” replicò Magnus, incoraggiando Isolde a parlare.

Chiamata in causa, la donna si schiarì nervosamente la voce ma asserì: “Ciò che tu domandi è corretto, Ludvig, ma la presenza di Urd consente a questo giovane di vedersi escluso il potere del dio dentro di sé, e io posso garantire che ciò avvenga perché sono in grado di avvertire distintamente il potere di uno, così come dell’altro.”

Annuendo torvo, Ludvig allora disse: “Se ciò è fattibile, non ho altro da dire. Non va contro le regole, essere sfidati per la supremazia sul clan e, se è stata violata la Legge del Sangue, è giusto che vi sia un’Ordalia per contestare il predominio del Vertice.”

Di fronte a quelle parole, proferite da uno dei più potenti guerrieri del branco, il resto dei presenti ebbe ben poco da aggiungere ed Elias, nel fissarli pieni di livore, sibilò: “E’ solo questo quello che avete da offrire al vostro capoclan? Soltanto capi chini e nessuna parola a nostro favore?!”

“Con tutto il rispetto, Elias, ma non vi sono ragioni per non accettare l’Ordalia, poiché non contravviene nessuna regola e, poiché hai agito contro i tuoi stessi nipoti senza dirci cosa stavi realmente compiendo contro di loro, meriti di essere giudicato con imparzialità, al pari di qualsiasi altro berserk” replicò Ludvig, atono. “Inoltre, io ho un debito di sangue nei confronti del muspell che aiutò tua figlia nella lotta al primo sangue contro di me, perciò non me la sento di giocare oltre con la sorte. Il giovane Magnus non ha violato nessuna regola a noi conosciuta, perciò dovrai lottare contro di lui per continuare a essere il nostro capo.”

Scrutando poi Urd, domandò cauto: “E’ possibile sapere se Ragnhild sta bene?”

“Sappiamo soltanto che è dove dovrebbe essere. Null’altro ci è permesso vedere” scosse il capo spiacente.

Ludvig assentì recisamente e Magnus, nel tornare a osservare Isolde, disse: “All’alba di domani, nel luogo a voi sacro, si svolgerà l’Ordalia. Fino a quel momento, nessuno oserà levare più la mano sui giovani Thomasson, o ne risponderà a me.”

Dopo aver proferito quelle parole, chiese – o meglio, ordinò – che tra i berserkir presenti si trovasse qualcuno disposto ad aiutarli a condurre Adam, Wulff e Boris presso la loro abitazione dopodiché, senza null’altro dire, Magnus se ne andò.

Urd osservò l’intera scena in silenzio dopodiché, con un cenno a Elias e Ingrid, disse: “Mattias andrà assieme agli zii, fino a domani. Non intendo lasciarlo un attimo di più sotto questo tetto.”

Nessuno dei presenti ebbe nulla da dire perciò la dea, dopo essere uscita dal salone, si recò al piano superiore, preparò una borsa leggera per il ragazzo dopodiché, in un sussurro spiacente, lasciò che Mattias riemergesse.

Il ragazzino sospirò amaro nell’afferrare la sua borsa ma, quando si volse per uscire dalla sua stanza, sorrise un poco nel trovare la zia sull’entrata.

Dopo avergli carezzato la guancia e averlo stretto in un rapido abbraccio, Sonja disse: “Andiamo, tesoro. E’ tempo che tu riposi un po’, dopo questi tragici eventi.”

“Perché non hanno capito, zia?” domandò per contro il ragazzo, discendendo piano con lei lungo le scale.

La donna si limitò a scuotere il capo e, il braccio ad avvolgere le sue esili spalle, lo condusse fuori dalla casa dei cognati con l’intenzione di non mettervi più piede.
 
***

A molti mondi di distanza, pur se in tutt’altro ambito, gli animi erano similmente in ansia, e per svariati motivi.

Il nome del cognato fece perdere del tutto le staffe a re Surtr che, fino a quel momento, era stato in grado di controllarsi, di mantenere del tutto sotto controllo la propria Fiamma.

Al solo sentire nominare Mikell, il sovrano si ammantò d’ira e di lanceolate lingue di fuoco scarlatto, tali da far sobbalzare Ragnhild e portarla a nascondersi prudentemente alle spalle di Sthiggar.

Preoccupata, quindi, la giovane chiese: “Che succede? Perché quel nome lo ha fatto alterare tanto?”

“Si tratta di suo cognato. Il padre di Khyddar… ti ricordi di lui?” le spiegò Sthiggar, avvolgendola protettivo nell’arco del suo braccio.

Lei fece tanto d’occhi, rammentando ciò che il giovane le aveva detto in merito alla sua ferita e alla morte del caro amico perciò, scrutando il sovrano con occhi diversi, replicò: “Beh, stando così le cose, mi stupisce che riesca anche solo a controllarsi, allora.”

“Non credo durerà ancora per molto, bambina” asserì turbato Oberon, lanciando un’occhiata preoccupata all’indirizzo del sovrano. “Ti serve assistenza, Surtr?”

“Ci penso io” intervenne a sorpresa Yothan, poggiando una mano sulla spalla di Surtr che, annuendo grato, riprese gradatamente a respirare con un ritmo più blando.

La fiamma, a sua volta, arse con minore violenza fino a ridursi a un quieto bagliore e Sthiggar, più che mai sorpreso, esalò: “Siete… siete voi il Catalizzatore del re! Per questo foste in grado di aiutarmi, quella volta!”

Yothan gli sorrise nel ritirare la mano dalla spalla del re e, assentendo, disse: “Sapevo come fare e, pur non essendo in grado di adeguarmi alle tue onde energetiche, potei aiutarti a riprendere il controllo di te stesso.”

Annuendo a sua volta, Surtr si massaggiò il collo teso e ringhiò: “Non è una cosa che tendiamo a pubblicizzare, viste le inevitabili ripercussioni a livello militare, ma tant’è.”

Oberon e Titania lanciarono un’occhiata significativa al sovrano muspell e il re degli elfi, nell’annuire ammirato, mormorò: “Ci hai reso un enorme privilegio, Surtr, e io non lo dimenticherò.”

“Come io non dimenticherò che avete combattuto al mio fianco, oltre a salvare il mio palazzo dalla distruzione” replicò Surtr prima di lanciare uno sguardo a Elsa e Lama per domandare: “Dove si trova, ora, quel traditore?”

I due giovani, ancora piuttosto frastornati da quella scoperta, fissarono dubbiosi il re e Sthiggar, storcendo appena il naso, ammise: “Beh, per la verità, sta venendo da questa parte, a giudicare da come la sua aura si sta muovendo.”

A questo punto fu Surtr a sorprendersi e, nell’espandere la propria energia spirituale in modo da cercare quella del cognato, si rese effettivamente conto di quel particolare assai curioso.

Nell’avvertire altresì un’altrui presenza, e di natura del tutto differente rispetto a un muspell, sguainò prudentemente la spada e ringhiò: “Con lui c’è qualcuno e, per quanto io vi ritenga degnamente in grado di difendervi, vi pregherei di rimanere qui dentro mentre io affronto mio cognato.”

Ragnhild e Sthiggar assentirono mentre Yothan, armandosi a sua volta, uscì dallo studio per raggiungere la sala del trono assieme al proprio re. Oberon e Titania rimasero a loro volta nella stanza e, nell’accomodarsi sulle poltrone libere dinanzi alla scrivania, sospirarono fiacchi.

Poggiando il capo biondo platino contro la spalla del marito, Titania quindi mormorò: “La prossima volta che ci invitano per una gita fuori porta, per favore, declina. Sono stravolta!”

“Per quanto darti retta sia potenzialmente fonte di problemi, stavolta devo dartene atto; non è una cattiva idea” chiosò Oberon, carezzandole il viso a discapito della risposta non proprio educata.

“Io ho sempre buone idee, sei tu che spesso e volentieri non le sai cogliere” replicò la regina elfica sorridendo pacifica nel lasciare che il marito la coccolasse un po’.

Oberon a quel punto sospirò, lanciò un’occhiata alle sue spalle – dove Ragnhild e Sthiggar se ne stavano in assoluto silenzio – e asserì esasperato: “Pensa bene a cosa potresti andare incontro, giovane muspell, decidendo di prendere moglie, un domani. Le menti femminili sono molto più complesse e intricate dei più temibili Oracoli, e dipanarne i segreti è praticamente impossibile.”

Sthiggar lanciò un’occhiata divertita e dolente al tempo stesso a Ragnhild, che ghignò beffarda in risposta. A quel punto, con un leggero sospiro, il giovane ammise: “Temo di essere già invischiato nei rovi che assediano la mente della mia donna. Ma grazie per il gentile consiglio, sire.”

Oberon sospirò nuovamente, scosse il capo come per dolersi di non aver salvato una giovane vita e chiosò: “Temevo potesse essere già successo, vista l’indubbia avvenenza della tua Elsa, ma speravo di poter essere giunto per tempo per scongiurare il peggio. Ahimé, ciò non è avvenuto, perciò rinnovo l’invito che la mia Titania vi ha fatto pochi minuti addietro. Sarete sempre i benvenuti, ad Avalon, poiché bellezza e armonia sono sempre gradite, alla nostra porta.”

“E tenersi buono un alleato come la Spada Fiammeggiante, aiuta sempre” aggiunse mentalmente Sthiggar per sé e Ragnhild, portandola a sorridere.

A mezza voce, però, il giovane muspell disse ossequioso: “Ci riteniamo onorati di un simile invito, e ben volentieri accetteremo di giungere in visita presso i vostri gaudenti lidi.”

Ragnhild si limitò a un sorriso e a un cenno di assenso, trovando un tantino assurdo esprimersi come se stesse esibendosi in un ruolo da operetta.

Quando, però, il palazzo tremò e la voce feroce quanto terribile di Surtr si espanse tutt’attorno come un tuono senza fine, lasciò perdere qualsiasi pensiero e si aggrappò lesta a Sthiggar.

“Ma che succede?!” gracchiò poi, sgranando terrorizzata gli occhi.

“Non hai detto che, su Midghardr, Surtr è visto come un essere oscuro, terribile e facile all’ira? Beh, è quello che sta succedendo ora” chiosò lui, scrollando le spalle con noncuranza.

“E perché tu sei tanto tranquillo? Non rischiamo che il palazzo ci crolli addosso?” esalò a quel punto Ragnhild, fissandolo come se fosse di colpo impazzito.

“C’è un motivo se il palazzo è così grande, e con pareti così robuste. Ha una struttura ad alveare, tale da rifrangere e redistribuire le energie di una Fiamma Viva” le spiegò per diretta conseguenza Sthiggar, rincuorandola. “Ogni singola pietra, ogni più piccola gemma è stata posizionata in un punto preciso del palazzo per impedire che Surtr lo faccia collassare su se stesso quando perde le staffe.”

“Perché, succede spesso che perda il senno?” mormorò turbata Ragnhild.

“Non si può mai sapere, quando sei una Fiamma Viva e, visto quello che siamo stati in grado di fare noi, te ne stupisci?” le fece notare Sthiggar.

Lei ci pensò su un attimo, scosse il capo e, vagamente più tranquilla, mugugnò: “No, per niente. Ma fa comunque paura.”

“Niente da dire, in merito” assentì Sthiggar mentre nuove urla e insulti sempre più spaventosi riverberavano tra le pareti del palazzo, risuonando come campane suonate da una mano sincopata.
 
***

Non appena Mikell fu entrato nella sala del trono, legato strettamente ai polsi e accompagnato dall’alto liòsalfar che, al cospetto del re, si presentò col nome di Kylass Thorndayn, Surtr perse temporaneamente il senno.

La sua ira sforbiciò come un’onda di energia primigenia in direzione del cognato, che stramazzò a terra pallido come un cencio, mentre l’ondata si espandeva ogni dove, assorbita e reindirizzata dalle pietre catalizzatrici sparse un po’ ovunque, a palazzo.

Il liòsalfar, forse aspettandoselo, lasciò la presa da gleipnir giusto in tempo perché l’attacco di Surtr si riversasse solo su Mikell dopodiché, con manovre caute, riprese possesso del laccio e si inchinò al re.

Pur se ancora furente, Surtr ritirò aura e fiamma ma, con tono reboante, gridò all’indirizzo del cognato: “E’ così che dimostri amore e rispetto verso tua sorella?! Tentando di distruggere il suo regno?!”

Mikell non riuscì a rispondere, ancora del tutto frastornato dal colpo del re, così Surtr proseguì nella sua reprimenda, urlando: “Cosa potrò mai dire, alla mia Ilya, di fronte al tuo manifesto tradimento? COSA?!

Ancora, Mikell non aprì bocca per replicare e Surtr, ora del tutto deprivato del desiderio di infierire, si rivolse al liòsalfar, domandando burbero: “Perché ti sei rivoltato contro il tuo alleato? Vuoi che ti grazi, in cambio della sua vita?”

Reclinando ossequioso il capo, Kylass mormorò mellifluo: “Non vi porgo solo la sua vita, sire, ma anche di tutti i restanti cospiratori. So bene quanto questo attacco proditorio sia costato la vita di molte persone, perciò una sola esistenza da offrirvi sarebbe infima, a dispetto di quanto avete perso.”

Pur accigliandosi, Surtr lo spinse a proseguire così il liòsalfar, sorridendo appena, aggiunse: “Se già sapevate del tradimento di vostro cognato, immagino che re Lafhey vi abbia detto come scovare i vostri nemici, ma dubito crediate che vi siano solo coloro con cui il re jotun ha stretto un’alleanza diretta.”

“Sono ben cosciente che la rete è vasta e ramificata, visto che io stesso ho dovuto abbattere diverse mie Fiamme che, mendaci, si sono rivoltate contro il proprio re” ringhiò Surtr, rinfoderando lentamente la propria spada.

Non dovendo temere una malia da parte dell’elfo oscuro – Oberon lo aveva protetto egregiamente da una simile eventualità già durante il primo assalto dei dokkalfar – Surtr non ritenne necessario doversi proteggere con la propria arma.

Per ogni evenienza, comunque, Yothan tenne sguainata la sua spada mentre Surtr, rabbiosamente, aggiungeva: “Resta il fatto, però, che tu potresti mentirmi. O esiste un sistema di riscontro anche per questi traditori?”

Il liòsalfar assentì mellifluo prima di dire: “Certamente. Quando si ordisce un piano di conquista, si deve necessariamente pensare anche all’eventuale disfatta… e al modo per sfuggire alla morte.”

Surtr, allora, lo fissò sprezzante, replicando disgustato: “Ti sei parato il culo, per farla breve.”

“Non lo avrei esposto in questi termini, sire, ma sì. Sono stato invitato a farlo” mormorò gentilmente Kylass.

Assottigliando sospettoso le palpebre, Surtr ringhiò: “Lafhey?”

L’elfo oscuro non disse nulla e Mikell, nello scrutare il volto livido del cognato, finalmente esclamò: “Non potevi pensare che avrei lasciato correre sulla morte di mio figlio!”

Surtr lo fissò pieno di disgusto, replicando: “Pensi abbia gioito, nel sapere della sua morte? Piansi non meno di te, poiché Kyddhar mi era caro come uno dei miei stessi figli, perciò imprecai al cielo e alla terra contro coloro che lo uccisero.”

Tu lo mandasti a morire, lasciandolo nelle mani del tuo sciocco servo!” sbraitò irato Mikell, fissando pieno di livore Yothan, che però non replicò.

“Non Yothan levò la mano su Kyddhar, ma un dokkalfar. Entrare nelle Fiamme significa mettere la propria vita al servizio del re e, per quanto io desideri il contrario, qualche Fiamma può spegnersi, durante il percorso” ribatté il re con tono stanco. “Tu hai dato il tuo appoggio proprio alle creature che lo hanno ucciso, decidendo di allearti con loro e con Lafhey che però, a quanto pare, non ha fatto altro che fomentare il tuo odio e la tua cecità per i suoi sporchi fini. Ti reputi dunque nella ragione, cognato, o comprendi infine il tuo errore?”

“Avresti dovuto morire tu, e per mano di quello scellerato che ti ostini sempre a proteggere!” sibilò dolente Mikell, reclinando il capo e fissare il pavimento traslucido.

Surtr, a quelle parole, lanciò un’occhiata al liòsalfar che, disponibile, asserì: “Il piano originale prevedeva che il vostro giovane Sthiggar, indebolito dalle reti di energia di Midghardr, venisse soggiogato da un mio pari e poi ricondotto su Muspellheimr per darvi la morte. Sapevamo, per bocca di un commilitone del giovane Glenrson, della sua Fiamma Viva, perciò sarebbe stata l’unica arma utile per uccidervi.”

“Non avete però immaginato – come me, del resto – che una Fiamma Viva potesse connettersi con qualsiasi pianeta, non solo con il proprio, perciò avete fallito” replicò Surtr con un mezzo sorriso beffardo.

“Esattamente, sire. Non riuscendo in alcun modo a mettere ai ceppi il muspell, l’alleanza si vide costretta ad attaccare per non vanificare gli sforzi profusi e così, approfittando della festa e dei portali di Bifröst sovraccarichi, i soldati misero piede a Hindarall” aggiunse Kylass.

“Controlli ridotti al minimo e una presenza massiccia – quanto giustificata – di stranieri su suolo muspell” assentì torvo Surtr, scuotendo disgustato il capo. Non avrebbe dato mai più una festa, questo era poco ma sicuro.

“La comparsa della Spada Fiammeggiante ha posto in evidenza come le forze dell’alleanza fossero in netto svantaggio, così re Lafhey ha ritirato il suo esercito, lasciando a voi quale decisione prendere in merito al tradimento di coloro che vi hanno mosso contro” mormorò Kylass, lanciando un’occhiata all’indirizzo di Mikell.

“Non indagherò su chi ha pensato per primo di attaccarmi perché, se la Spada Fiammeggiante ha deciso di graziare Lafhey, avrà avuto i suoi buoni motivi…” iniziò col dire Surtr, avvicinandosi per scrutare da vicino il volto livido del cognato. “…ma, dato che tu hai tradito prima di tutto tua sorella, mi consulterò con lei su quale punizione comminarti.”

Mikell lo fissò sprezzante e, nello sputargli ai piedi, ringhiò: “Ilya non avrebbe mai dovuto lasciarsi irretire da te. Sei senza pietà, se non comprendi cosa mi ha spinto!”

“Oh, lo so bene cosa ti ha spinto. Ma se non comprendi perché tuo figlio si è lanciato per primo contro il nemico, non sarò certo io a spiegartelo. Piangi una persona che non hai mai compreso, e ne odi un’altra che non ti ha dato mai motivi per essere detestata.”

Ciò detto, Surtr lanciò una nuova occhiata all’indirizzo di Kylass, domandando: “Come possiamo trovare tutti i traditori?”

“Ciascuno di loro ha sottoscritto verbalmente un patto. Troverete la traccia dell’incantesimo legata a quel vincolo direttamente nelle menti di ciascun traditore” gli spiegò Kylass. “Per ogni evenienza, comunque, l’incantesimo si rende evidente sulla pelle del diretto interessato con il simbolo runico della menzogna. Giusto per convincere anche i più miscredenti.”

Surtr sogghignò a quella notizia, annuendo di fronte all’ingegnosità di quel particolare.

“C’è un motivo, se la magia scorre nelle vostre vene” chiosò il sovrano.

“Siamo depositari di un discreto sapere, sì” assentì modesto il liòsalfar.

Surtr, a quel punto, indicò a Yothan di prendere in custodia Mikell dopodiché, scortato Kylass nel proprio studio, dichiarò: “Poiché mi hai reso un gradevole servizio, è giusto che tu incontri la Spada Fiammeggiante che così sorprendentemente è apparsa per distruggere le mire di mio cognato e di quel doppiogiochista di Lafhey.”
Sentendosi prendere in causa, Ragnhild e Sthiggar lanciarono un’occhiata dubbiosa all’elfo oscuro che il sovrano aveva condotto con sé.

Mentre Titania e Oberon se ne discostavano disgustati – non era mai corso buon sangue tra elfi chiari ed elfi oscuri – il re non li degnò neppure di un’occhiata e, gioviale, accompagnò alla scrivania il liòsalfar, aggiungendo: “Siate cortesi, ragazzi, e permettere a costui di aiutarci com’è nelle sue possibilità.”

In fretta, e presagendo qualcosa di sordido dietro il sorriso soddisfatto di Surtr, Sthiggar assentì e si allontanò dalla scrivania al pari di Ragnhild, che scrutò sgomenta l’ultimo arrivato prima di nascondersi nell’abbraccio del suo compagno.

Il liòsalfar, per contro, li scrutò sinceramente sorpreso prima di prendere penna e calamaio e ammettere: “Pensavo a due soldati, non certo a una coppia di giovani innamorati… ma le più grandi magie si nascondono quasi sempre dietro a eventi imprevisti.”

“Niente di più vero” assentì Surtr, gli occhi scarlatti ora rilucenti come granati squisitamente intagliati.

L’elfo oscuro iniziò a scrivere il testo dell’incantesimo mentre Oberon, proteggendo preventivamente Titania col proprio corpo, osservava disgustato il veloce evolversi di quella malia sulla carta pergamenata.

Quando il brano fu completo, l’elfo chiaro sibilò indispettito: “Una tale sozzura non poteva che essere stata creata da una mente oscura come la tua, immonda creatura.”

“Sono lieto che troviate geniale il mio incantesimo, sire” replicò per contro il liòsalfar, sogghignando al suo indirizzo prima di rivolgersi a Surtr e aggiungere: “Ora, se vorrete concedermi la grazia, vi dirò come attivare la runa della menzogna.”

Fu a quel punto che Surtr, sorridendo con lo stesso gelido trasporto di un cobra prima di colpire la preda, mormorò: “Chi ha mai parlato di grazia?”

L’elfo oscuro ebbe solo alcuni istanti per registrare quelle ultime parole. Quando finalmente si rese conto del suo destino, la lama di Surtr aveva già trapassato le sue carni, inchiodandolo al pregiato legno di palissandro della scrivania.

Ragnhild sobbalzò, a quella vista, nascondendo il volto contro la spalla di Sthiggar mentre Oberon, lanciando un’occhiata ora più tranquilla all’indirizzo di Surtr, esalava: “Mi stavo giust’appunto domandando se il senno ti era scivolato fuori dagli orifizi al pari delle fiamme.”

“Non direi. Quel che il liòsalfar non poteva sapere era che, non solo Lafhey ha sempre avuto al suo servizio degli elfi oscuri, ma anche io” ammiccò Surtr, lanciando poi un’occhiata all’indirizzo di un sorpreso Sthiggar. “Non mi dire che non ti sei mai accorto che il tuo amico Rhadd aveva qualcosa di strano.”

“Cosa?!” gracchiò sgomento Sthiggar, colto del tutto di sorpresa.

I pensieri corsero lesti all’amico, al suo volto efebico e alla sua struttura esile e longilinea, ai suoi occhi purpurei così come agli splendidi capelli chiari ma, a quel punto, si domandò cosa non avesse notato.

“Se ti stai domandando come, è presto detto; Rahdd è un mezzosangue, per questo ha i colori di un muspell ma il fisico di un liòsalfar” gli spiegò Surtr, estraendo la lama per poi gettare a terra il corpo ormai morto dell’elfo scuro. “Il tuo amico ha seguito un addestramento sia come mago che come guerriero, perciò non avevo alcun bisogno che questo traditore mellifluo rimanesse in vita per più del tempo necessario.”

Sthiggar non seppe che dire, né Surtr gliene diede il tempo. Sbraitò il nome di Rahdd dopodiché, scostando dai piedi della scrivania il corpo del liòsalfar, borbottò: “Dovrò disinfettare tutto il palazzo, dopo questo casino.”




N.d.A.: le cose cominciano a dipanarsi poco alla volta anche se, con quasi totale certezza, rimarranno comunque cicatrici indelebili nell'animo di molti.

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


 

 Cap. 27

 

 

Quarant’anni prima

 

Sthiggar non si era mai tirato indietro, di fronte a una scazzottata ma, da quando era entrato a far parte dell’esercito, i motivi per mettersi nei guai erano drammaticamente scemati.

Non tanto perché non sentisse più l’esigenza di fare a botte, o cacciarsi nei guai, quanto perché il comandante Yothan avrebbe tirato loro il collo, se avessero macchiato il buon nome delle Fiamme Purpuree, il reggimento a cui appartenevano.

Sthiggar, perciò, aveva sempre cercato di evitare di causare disagi al Corpo, visti soprattutto i motivi per cui era finito in quella Compagnia.

Rischiare di far infuriare il re in maniera definitiva non era auspicabile, né tantomeno dare quell’ennesimo dolore a suo padre. Era già abbastanza dura doverlo vedere una sola volta l’anno, e per poche settimane.

Combinare ulteriori casini avrebbe forse voluto dire finire in galera, e per un tempo a lui sconosciuto.

Vedere come Thrydann e compagni avevano messo all’angolo il giovane Rahdd, però, lo aveva mandato in bestia e, accecato dall’ira, non si era guardato indietro, calando come una mannaia sui bulli che avevano osato attaccare l’amico. Era andato a testa bassa contro il gruppo di commilitoni che lo stavano prendendo di mira e aveva usato le sue conoscenze in fatto di risse per menare duro.

Quel che ne era seguito, era stata un’autentica zuffa di proporzioni colossali e aveva finito con il coinvolgere ben più dei cinque elementi iniziali, da cui era partito tutto.

Alla fine, quando erano intervenuti i loro superiori per dividerli – malmenandoli con dei pungoli raggelanti – nel piazzale della caserma erano rimaste a terra non meno di trenta persone.

Uno a uno, i soldati erano stati chiamati al cospetto del comandante per vagliare le rispettive versioni dei fatti e, quando infine toccò a Sthiggar, il giovane entrò a testa alta, con un labbro spaccato e diverse contusioni a fargli compagnia.

Sulla schiena portava evidenti le ustioni da freddo dei pungoli usati dai suoi superiori e, quando Yothan finalmente lo squadrò, non poté che sogghignare per un istante, di fronte alla sua espressione di lesa maestà.

Fin da quando Yothan lo aveva visto la prima volta, irritato e spaesato come un cucciolo rifiutato da tutti ma ben deciso a non lasciarsi schiacciare dalle avversità, aveva ipotizzato che Sthiggar potesse provenire da una famiglia disastrata.

Leggere la sua scheda personale e scoprire che, non solo era figlio del Gran Sacerdote Snorri Glenrson, ma era anche uno dei pupilli del re, lo aveva non poco confuso e la curiosità era montata in lui come una piena. Per questo motivo, Yothan lo aveva tenuto d’occhio e si era scoperto a sorprendersi a ogni suo nuovo risultato, a ogni traguardo raggiunto con facilità.

Non certo una volta sola, si era chiesto il perché un giovane così promettente fosse stato punito dal re ma, ogni qualvolta la lingua era corsa per mettere a parole quella domanda, il suo cervello l’aveva bloccata.

Ben presto, e non certo per un suo intervento personale, Yothan lo aveva osservato primeggiare in ogni corso svolto in Accademia, così come lo aveva visto brillare nelle esercitazioni pratiche e nei combattimenti a fil di spada.

La sua bravura era andata a cozzare sempre di più con l’immagine del teppistello da strada che il suo caro amico – e sovrano – Surtr gli aveva dipinto tramite una lettera privata allegata alla scheda personale del ragazzo, portandolo a tenere d’occhio il ragazzo con sempre maggiore attenzione.

Questo, ovviamente, gli aveva altresì permesso di notare come, nel corso degli anni, la bravura di Sthiggar fosse diventata la causa di maggiore astio tra lui e molti suoi commilitoni, in gran parte figli dei nobili del Concilio della Corona.

L’unico membro della Gilda dei Nobili a essergli sempre stato accanto, invero, era stato lo scapestrato Kyddhar, nipote del re e uno tra i migliori cavallerizzi dell’esercito.

Kyddhar era sempre stato al fianco di Sthiggar, durante la sua crescita all’interno del Corpo, ne aveva plaudito i risultati ed era sempre riuscito a chetarlo nei momenti di irrequietudine.

L’essere nipote della dea Sól aveva portato a Sthiggar più danni che soddisfazioni, allontanandolo da molti compagni di corso, gelosi della sua bravura e dalle indubbie caratteristiche genetiche derivanti da un simile avo.

La maggiore forza, agilità e abilità nel combattere erano apparse quasi subito lapalissiane, tanto che in molti avevano iniziato a rifiutare di allenarsi con lui. Soltanto pochissimi ragazzi, tra cui Kyddhar, Rhadd e Fyodr non si erano mai tirati indietro, rimanendo fedeli alleati di Sthiggar.

Yothan non si era perciò preoccupato di controllarlo a vista, dopo diversi anni passati a osservare quello strano quartetto farsi sempre più solido e compatto, non più timoroso che il giovane potesse essere vittima di atti di bullismo becero.

Ligio alle direttive del re, si era quindi preoccupato del duplice addestramento di Rhadd Kahn, altro elemento unico, all’interno del suo gruppo di future Fiamme Purpuree, tolto lo stesso Sthiggar.

Figlio mezzosangue di una muspell e un liósalfar oscuro – sfuggito alle maglie di Svartalfheimr per aver attaccato pubblicamente il re e le sue politiche oscurantiste – Rhadd era cresciuto nella campagna nei pressi di Hindarall senza conoscere nulla del passato di suo padre.

Assoldato dal re perché fosse il suo mago di corte, Keynan Kahn – padre di Rahdd – si era prodigato con tutto se stesso per ripagare la fiducia di Surtr e attorno al palazzo, come nei suoi sotterranei, aveva esteso una rete magica a protezione della famiglia reale.

Nei cunicoli segreti della magione reale aveva inserito bioluminescenze reattive e incantesimi di occultamento, utili per nascondere approvvigionamenti e armi. Non soddisfatto, quindi, aveva esteso tali accorgimenti a tutta la Hindarall sotterranea, così da poter dare un luogo sicuro alle genti che lo avevano accolto in seno.

Una volta divenuto il figlio adulto, Keynan aveva raccontato del proprio passato a Rhadd e, da quel momento, per il giovane virgulto di casa Kahn, servire Surtr era stato il primo dei pensieri.

Giunto all’età minima per arruolarsi, si era unito alle schiere di soldati del Comandante Yothan, incurante del nomignolo affibiato da molti all’illustre soldato; il Terribile.

In lui, Rhadd aveva trovato una guida sicura e niente affatto temibile come aveva paventato ma, proprio a causa della sua duplice natura, era ben presto diventato l’oggetto di scherno dei suoi compagni.

Il suo essere un mezzosangue era un segreto che era stato mantenuto per la sua stessa sicurezza ma, proprio a causa di questi silenzi, le sue diversità – come l’avvenenza efebica o il suo essere assai longilineo – lo avevano comunque cacciato spesso nei guai.

Grazie alle disposizioni del re, che aveva voluto per lui una duplice preparazione, sia militare che magica, le possibilità dei compagni di trovarlo solo, o a disposizione dei loro scherzi, erano state ridotte al lumicino… ma a volte non era bastato.

Nel corso degli anni, Rhadd si era impegnato a sopperire alla sua scarsa prestanza fisica – i muspell erano autentici giganti di muscoli, mentre lui aveva ereditato il fisico slanciato degli elfi – con l’agilità e la furbizia.

Fortunatamente per il giovane, la vicinanza di pochi ma fidati compagni aveva evitato il peggio. Nella maggior parte dei casi, per lo meno.

Yothan era perciò quasi certo che, dietro il motivo di quella rissa degenerata in caos puro, vi fossero Rhadd e Thrydann. Era sempre stato così, negli anni, e dubitava fortemente che quel giorno le cose fossero andate diversamente.

Quel che lo stupiva, però, era che stavolta fosse intervenuto attivamente anche Sthiggar.

Fino a quel momento, si era tenuto alla larga dai guai e, quando si erano scatenati battibecchi o villanie, era sempre intervenuto per pacificare, non per fomentare la rissa. Per anni aveva cercato con tutto se stesso di non finire nella sua agenda rossa dei riottosi e, contrariamente ai suoi precedenti poco lusinghieri, non era mai stato causa di problemi.

Perché, dunque, stavolta era intervenuto attivamente?

Nell’indicargli di sedersi, Yothan si levò dalla sua poltrona per oltrepassare la scrivania e, nell’osservare il suo sottoposto, intrecciò le mani dietro la schiena e domandò a bruciapelo: “Cosa ti ha spinto a cacciarti volontariamente in un potenziale viatico per una nota di demerito, soldato?”

Sthiggar non abbassò lo sguardo, sicuro dei propri mezzi così come delle proprie motivazioni e, roco, disse: “La cricca di Thrydann stava infastidendo più del lecito un mio amico, così non sono riuscito a trattenermi, signore.”

“Per cricca, intendi i figli dei nobili di Corte che fanno capo all’erede degli Handerson?” sottolineò Yothan, sfidandolo con lo sguardo.

Ancora, Sthiggar lo sostenne e, annuendo, replicò: “Posso farvi tutti i nomi, signore, ma sono quasi certo che voi sappiate a chi mi sto riferendo.”

Sbuffando, Yothan annuì e scosse una mano con fare infastidito, asserendo: “Non ho bisogno di udire quei nomi anche dentro il mio ufficio. Il motivo della rissa? E parla chiaro, stavolta. Non sono delicato d’orecchi.”

Stringendo i denti per l’ira a stento trattenuta, Sthiggar puntò i pugni sui braccioli della poltrona e, reclinando il capo a scrutare le ginocchia illividite dalla lotta – visibili attraverso i calzoni strappati – ringhiò: “Avevano messo in dubbio la virilità del mio amico.”

“Tutto qui?” sottolineò Yothan, accigliandosi.

Ancora un ringhio. La postura di Sthiggar si fece ancor più rigida, le spalle incurvate in avanti e il corpo pronto a dare nuovamente battaglia, ma Yothan lo bloccò poggiandogli una mano sulla spalla.

Quel che avvertì l’uomo fu un calore smisurato, molto più grande e anomalo rispetto a un comune muspell, e questo lo sorprese.

Non era soltanto l’aura, a sfrigolare, ma qualcosa di più profondo, di più viscerale, che però ancora non sembrava pronto a emergere.

“Hanno cercato di spogliarlo e di gettarlo nelle latrine, signore” sibilò quindi Sthiggar, tornando a sollevare gli occhi di lapislazzulo che, in quel momento, erano simili a due stelle cangianti.

La forza dell’aura di cui era padrone scorreva possente in lui, in quel momento e, se Yothan non lo avesse ritenuto impossibile, gli diede l’idea di poter spingere fino a limiti inimmaginabili quel potere già di per sé enorme.

Accentuando la stretta sulla spalla del giovane, lo vide progressivamente chetarsi fino a riprendere pieno possesso della propria aura, dopodiché Yothan disse conciliante: “Volevo solo essere certo che i miei subalterni avessero visto correttamente. Non temere che non venga fatta giustizia, soldato. Riferirò al re stesso quanto accaduto, e i diretti interessati riceveranno la punizione che meritano.”

“Ma non li caccerete” sottolineò stanco Sthiggar, avvertendo di colpo il dolore causato dalle bruciature da pungolo e dalle lesioni riportate durante lo scontro.

“Non mi è consentito. Per quanto mi spiaccia ammetterlo, il lungo braccio del Concilio giunge fino a qui perciò, oltre a una strigliata coi fiocchi e alle celle di rigore, non potrò fare altro… ma inculcherò loro una lezione che non dimenticheranno. Non toccheranno mai più Rhadd.”

“Non lo faranno, questo è certo, perché non terrò mai più la testa bassa come ho fatto finora. Non mi interessa se dovrete darmi delle note di biasimo, se mi metterete ai ceppi o se finirò in prigione” replicò lapidario Sthiggar, levandosi in piedi. “Quant’è vera Sól, io lo difenderò a costo della vita perché è mio amico, e non permetterò mai più alla mia paura di fermarmi.”

“Paura che il re possa biasimarti?”

Mio padre” precisò Sthiggar, accigliandosi. “Non vorrei mai dargli un dolore ma se, per farlo, a rimetterci fosse un mio amico, non potrei davvero sopportarlo, perciò ora seguirò il mio cuore e il mio istinto, non soltanto il desiderio di non cacciarmi nei guai.”

Yothan assentì e, dopo averlo congedato, lasciò che infine entrasse Rhadd, l’oggetto del contendere di quell’ennesima rissa.

Il giovane appariva demoralizzato e, tolte le medicazioni già ricevute, non sembrava aver subito ulteriori danni. Sul piano psicologico, però, Yothan non era altrettanto sicuro.

“A quanto pare, io e il re abbiamo sottovalutato l’idiozia di quei figli di papà dei tuoi compagni” esordì Yothan, indicandogli di sedersi dove, in precedenza, si era accomodato Sthiggar. “So già cosa è successo, perciò non ti chiederò nulla. Desidero, però, che tu faccia una cosa per me, soldato.”

“Ditemi, signore” assentì veloce Rahdd.

“Resta sempre insieme a Sthiggar e ai suoi amici. Non aggirarti mai più senza una scorta, anche se soltanto all’interno della caserma. Finché non avrai terminato i tuoi studi di magia, sarai un bersaglio facile, e io non voglio ricambiare la tua fiducia nel sistema con un coltello tra le scapole, è chiaro?”

Sospirando, il giovane replicò: “Questo vorrebbe dire diventare una palla al piede per tutti loro.”

“Non penso che uno solo dei tuoi amici ti consideri tale, o non si sarebbero lanciati in mezzo alla rissa per difenderti” replicò Yothan, accigliandosi. “In ogni caso, non farti scrupoli di sorta. Saprai sdebitarti a tempo debito, ne sono sicuro. In questo momento, però, desidero, anzi voglio che tu arrivi sano e salvo alla fine del Programma e se, per farlo, dovrai diventare la loro ombra, lo farai. Sthiggar e gli altri non avranno alcun problema, credimi.”

“Speravo di non averne bisogno.”

“Per questo, hai sempre tentato di fare le cose da solo? Beh, è stata una scemenza. Gli amici servono a questo, e quel pazzo di Sthiggar mi ha appena detto che manderà all’aria tutto, anche la sua vita, pur di proteggerti, perciò non rendere vani i suoi sforzi e stai con loro.”

Rhadd sgranò gli occhi, di fronte a quella verità sconcertante e, basito, esalò: “Ma… perché?”

Sospirando, Yothan sorrise divertito e replicò: “Perché è un bravo ragazzo, a dispetto di tutti i guai in cui si è cacciato in gioventù, e non sopporta i prepotenti e i bulli. Inoltre, a quanto pare, gli stai simpatico, perciò si è messo in testa di farti da guardia del corpo.”

Rhadd sorrise divertito e, nello scuotere il capo, mormorò: “E’ sempre stato una testa calda, ma non potrei mai avere un amico come lui in nessuno dei Nove Regni.”

“Non posso che trovarmi d’accordo” celiò Yothan. “Starai al loro fianco, allora?”

“Ne sarei felice, signore” acconsentì Rahdd. “Quando sarà il momento, saprò come sdebitarmi.”

“Lo credo anch’io.”

***

Oggi

 

Quando Rhadd mise piede nello studio del re, Sthiggar lo squadrò con aria palesemente confusa e l’amico, nel sorridergli, scrollò le spalle e ammise: “Beh, adesso sai tutto, di me.”

“Perché non me lo dicesti mai?” replicò Sthiggar, completamente frastornato.

Fu Surtr a parlare per Rhadd e, nel dare una pacca sulla spalla al giovane mezzosangue, asserì: “Le abilità di Rhadd dovevano rimanere segrete il più a lungo possibile, perché non finisse nuovamente sotto la lente d’ingrandimento dei suoi persecutori. Per questo, le sue arti magiche non sono mai state rese note… e ammettiamolo, ragazzo; tu non sei molto bravo a mantenere i segreti, visto che sei incapace di raccontare bugie.”

Arrossendo suo malgrado, Sthiggar reclinò contrito il capo, ammettendo: “Non posso che dichiararmi colpevole, sire.”

Ragnhild sorrise di fronte a tanta contrizione e, nel dargli di gomito, chiosò: “La tua fama ti precede ovunque, a quanto pare.”

“Già” assentì lui, prima di rivolgersi a Rhadd e domandare: “Sei in grado di ripetere l’incantesimo che ci è stato fornito?”

Lui annuì senza problemi e, dopo un breve sguardo al liòsalfar morto, si portò all’altezza della scrivania e lesse la malia per comprenderne la portata. Accigliandosi più e più volte nel rendersi conto di cosa avrebbe voluto dire, per i portatori di un simile sigillo, dover subire gli effetti dell’incantesimo, storse il naso ma non si ritrasse.

Questo era il suo compito, ed era giunto il momento di mettere in pratica il suo addestramento.

“Non dovremmo avere grossi problemi a trovarli. Quando attiverò l’incantesimo, i diretti interessati stramazzeranno a terra per il dolore e, sulla pelle, verrà incisa a fuoco l’onta del tradimento” disse infine Rahdd, lanciando un’occhiata torva all’indirizzo del re.

Surtr non ebbe alcun problema a dire: “Fai quel che devi. Sono stanco di aggirarmi per il mio stesso palazzo come se non ne fossi più il padrone.”

A quelle parole, Rhadd poggiò un dito sullo scritto del liòsalfar e, sotto gli occhi sorpresi dei presenti – ma non del re o di Yothan – attrasse letteralmente in sé ogni svolazzo e ogni lettera vergata.

Dal foglio ormai intonso scaturì un baluginio dorato che si estese alle dita di Rhadd che, con occhi invasi dalla fiamma della propria aura, lasciò vagare ogni dove l’incantesimo costrittivo, condannando con quel gesto i cospiratori a venire allo scoperto.

Nel breve decorrere di alcuni istanti, le grida si espansero per il palazzo come il riverbero di un tamburo percosso dai magli della colpa e Surtr, scrutando Elsa e Lama, ghignò soddisfatto prima di dichiarare: “Andiamo a caccia, figlioli.”

Non vi fu bisogno di dire altro.

***

Legato mani e piedi alla testiera del letto, impossibilitato a usare la propria aura per liberarsi a causa dei lacci di gleipnir che lo bloccavano totalmente, Thrydann non poté che sopportare inerme ciò che le Fiamme Purpuree fecero alla sua famiglia.

Dopo aver raggiunto i loro alloggi regali, gli ormai ex alleati avevano gettato al vento ogni prudenza e, con una crudeltà dettata dal panico e dalla certezza di avere poco tempo a disposizione, avevano soggiogato gli Handerson.

Reso inerme il capo famiglia con un colpo ben assestato alla nuca, le due Fiamme Purpuree avevano quindi legato il nobile Handerson al pari del figlio, dopodiché si erano occupati di moglie e figlia.

Spogliate dei propri averi e della propria dignità, erano state violentate dinanzi allo sguardo inorridito degli uomini di famiglia, impossibilitati ad aiutarle in alcun modo.

Inutili erano state le grida di Thrydann, unico fautore di quella disfatta e di quell’orribile condanna che, tramite lui, era caduta sulle amate madre e sorella.

Inutile era anche stato rammentare ai suoi antichi compagni quanto, in quella disputa, la sua famiglia non c’entrasse nulla e solo lui avrebbe dovuto essere punito per ciò che non era riuscito a portare a termine.

Inutile, infine, era stato pregarli di avere pietà di due donne inermi e indifese e di risparmiare almeno loro l’orrore di essere stuprate dinanzi alla famiglia.

La rabbia feroce, così come il sapore della vendetta perpetrata con il massimo del livore, erano state droghe sufficienti a rendere le due Fiamme Purpuree delle bestie dissennate e senza cuore.

A violenza ultimata, i volti ricoperti da un velo di furia non ancora dissipata, avevano infine lasciato andare le due donne, denudate di qualsiasi volontà e, non ancora soddisfatti, si erano riversati nelle stanze adiacenti per rubare ciò che di valore era ivi presente.

Un dolore cociente e mai provato prima, però, aveva paralizzato le loro membra, così come aveva tolto fiato e forza a Thrydann, costretto a urlare con tutto il fiato che aveva in gola per dare voce all’arsura che ne stava dilaniando le carni.

La pelle aveva iniziato a bruciare, ad ardere di un fuoco riparatore e sulle sue carni, evidente quanto il sangue che macchiava i corpi di sua madre e sua sorella, era comparso il segno del tradimento.

Fu a quel punto che le porte si erano spalancate, lasciando entrare non solo il re, fumante d’ira, ma anche un redivivo Sthiggar e diverse Fiamme Purpuree al suo seguito.

Ora, livido in viso per l’ira e contorto dal dolore della colpa – incisa a fuoco vivo sulla sua carne – Thrydann osservava l’intera scena senza sapere bene dove scagliare la propria furia.

Una donna a lui sconosciuta corse lesta a soccorrere sua madre e sua sorella, ma Thrydann la degnò solo di uno sguardo fuggevole, gli occhi illividiti dal dolore puntati unicamente su Sthiggar e Rhadd.

I due amici, l’uno al fianco dell’altro, lo fissavano parimenti disgustati e lui, con un sorriso ghigno e iracondo, sibilò: “Quanta soddisfazione vi da, vedermi finalmente piegato? Non avete sempre sognato questo?!”

“Sarebbe stato meglio che tu non avessi cercato di essere ciò che non avresti mai potuto diventare” sottolineò stanco Rhadd, scuotando il capo.

“E chi? Un mezzosangue che si è sempre nascosto sotto le gonne del suo cagnolino?” ironizzò Thrydann, sputando sangue e sentenze dalla sua bocca litigiosa.

Rhadd lasciò alla sorpresa solo un istante per farsi largo sul suo volto – come aveva saputo la verità, Thrydann? – dopodiché tornò a mascherarsi dietro il disgusto per l’ex commilitone, lasciando che a parlare fosse l’amico.

“Se è così che vedi la nostra amicizia, allora c’è ben poco che noi possiamo dirti” si limitò a sospirare Sthiggar, avvicinandosi al padre di Thrydann per liberarlo dai lacci di gleipnir.

Mentre le Fiamme Purpuree erano intente a legare i traditori nella stanza adiacente, e Ragnhild si occupava delle donne ferite nei bagni privati dell’appartamento degli Handerson, Surtr si avvicinò a Thrydann quindi, occhi negli occhi, sibilò: “Spero sarai soddisfatto di aver portato un simile disonore sulla tua famiglia.”

Il giovane distolse in fretta lo sguardo dal re per puntarlo con odio contro Sthiggar, che sorreggeva il nobile Handerson – palesemente sconvolto e inorridito dagli impliciti significati insiti nelle parole del re – e, livido, ringhiò: “Non avresti mai dovuto essere tu, la Fiamma Viva. Non sei degno del sangue di una dea… tuo nonno era solo un comune muspell, senza una sola goccia di sangue nobile nelle vene!”

Sthiggar non diede adito di essersela presa e replicò beffardo: “In fondo dovrei ringraziarti, sai? Grazie alla mia deportazione su Midghardr, mi è stato concesso di trovare l’amore della mia vita, e questo mi ha anche permesso di diventare l’arma perfetta nelle mani del sovrano.”

Thrydann lo fissò senza capire, a questo punto ma, quando Ragnhild riapparve dai bagni con aria torva prima di affiancare Sthiggar, il giovane nobile decaduto ringhiò irriverente all’indirizzo della ragazza e sibilò: “Ti sei accompagnato a una misera midghardiana che, per qualche strano motivo, può respirare su Muspellheimr. Sei davvero un insulto per tutti i Giganti di Fuoco. Nella tua famiglia, a quanto pare, siete abituati a unirvi al vile popolino.”

Bloccandosi a metà di un passo, già pronta a schiaffeggiarlo, Ragnhild fissò per un istante Sthiggar, che scrollò le spalle con aria ironica, lasciandole implicitamente ampia libertà decisionale.

Con un mezzo sorriso, perciò, la giovane si posizionò dinanzi al giovane nobile e bofonchiò velenosa: “Spero ti interesserà sapere che le donne che ho soccorso non moriranno a causa degli abusi subiti per causa tua. Quanto alla tua affermazione, ti converrà tenere la bocca chiusa finché ti permetteranno di avere ancora una testa in cui farla muovere, perché ho una mezza idea di usare il mio nuovo titolo per fartela pagare carissima.”

Surtr ghignò all’indirizzo di Sthiggar, celiando: “La ragazza mi piace! Ma sei sicuro di riuscire a gestirla? Ci vuole un sacco di energia, anche se è più che degna di entrambi i suoi nomi.”

Sthiggar utilizzò l’imbeccata del sovrano per dare il colpo di grazia a Thrydann – che stava ancora osservando Ragnhild tra l’accigliato e il disgustato – quindi, serafico, replicò: “Beh, come Lama della Spada Fiammeggiante, devo per forza imparare a gestire la mia Elsa.”

Quelle parole portarono il giovane Handerson a sgranare inorridito gli occhi scarlatti e, nell’osservare il suo avversario da sempre inarrivabile – e che lo aveva spinto a compiere quella follia per eliminarlo dalla sua vita una volta per tutte – scosse violentemente il capo e sbraitò: “No! Non ci credo! Non è possibile!”

Ragnhild, allora, prese la mano di Sthiggar con sicurezza e, accigliandosi ulteriormente, fissò furente Thrydann prima di dire: “Esibisciti pure. Ti conterrò io… quel che basta per farlo cacare sotto, ovviamente.”

Mentre Surtr scoppiava vigorosamente a ridere, Sthiggar fece come richiestogli e, mentre le Fiamme Purpuree conducevano fuori dagli appartamenti un urlante e ormai folle Thrydann, Ellri1 Handerson fissò sgomento sia Sthiggar che Ragnhild.

Deprivato di qualsiasi forza, quindi, esalò: “La Spada è stata dunque risvegliata?”

“Sì, Ellri. Ma abbiamo avuto rassicurazioni in merito e, almeno per molto, moltissimo tempo, Ragnarök non toccherà queste lande” mormorò Sthiggar con tono più tranquillo, facendo rientrare il potere primigenio che aveva sprigionato per impressionare Thridann.

Era chiaro quanto il nobile Handerson fosse all’oscuro delle macchinazioni del figlio, perciò era inutile prendersela con lui, anche se i nobili non erano mai stati molto gentili nei confronti della sua famiglia.

L’uomo, però, osservò la porta della stanza dei bagni da cui era uscita Ragnhild e, sospirando, replicò roco: “Per me, giovane guerriero, il Crepuscolo è già giunto.”

Rivolgendosi poi a Ragnhild, che aveva sospirato spiacente a quelle parole, reclinò il capo a mò di ringraziamento e aggiunse con il tono più umile che, in tanti millenni, aveva mai usato: “Ti ringrazio per la solidarietà dimostrata verso mia moglie e mia figlia. Non avevo idea di cosa stesse tramando mio figlio, e il fatto che la sua follia sia ricaduta su di loro sarà il peso che porterò fino alla fine dei miei giorni. Spero che nel tuo cuore esista un briciolo di spazio per credere alle mie parole quando ti dico che non tutti, nella mia famiglia, abbiamo in odio il tuo giovane compagno.”

La ragazza assentì recisamente, asserendo atona: “Non giudico una famiglia dai gesti di una singola persona. Ma sappiate questo; ora come ora, vostra moglie e vostra figlia avranno bisogno di tutto il supporto possibile, per sopravvivere a ciò che è accaduto loro.”

Surtr precedette Ellri Handerson e, nel battere una mano sulla spalla della giovane, dichiarò con sicurezza: “Avranno tutto l’aiuto necessario, non temere, giovane Elsa.”

Handerson ringraziò con un cenno del capo il suo sovrano, dopodiché mormorò stancamente: “Se le urla che ho udito poco tempo addietro appartengono agli altri traditori, allora Vostra Maestà dovrà rivedere in toto il Concilio della Corona. Ho riconosciuto le voci di diversi miei confratelli, perciò temo che…”

Surtr scosse torvo il capo e, lapidario, replicò all’indirizzo del nobile titolato: “Il Concilio verrà smantellato. E’ tempo che Muspellheimr torni a essere guidato da un re, e soltanto da un re. La democrazia non fa per noi, a quanto pare.”

“Temo di no, sire” assentì Ellri Handerson, spiacente.

Non avendo null’altro da dire, Surtr invitò Sthiggar e Ragnhild a uscire dagli appartamenti e, una volta trovatisi nel corridoio di quell’ala di palazzo, la giovane domandò: “Cosa accadrà al figlio di quell’uomo?”

“Quello che tu hai millantato, giovane Elsa” le spiegò Surtr, vedendola sgranare gli occhi in risposta. “Verrà deprivato della testa, così che il messaggio giunga forte e chiaro in ogni angolo del pianeta. Chiunque voglia attentare alla mia vita, al mio regno e al mio popolo, dovrà pagare con la vita.

Sthiggar strinse maggiormente la mano di Ragnhild, a quelle parole scevre di delicatezza ma lei gli sorrise per tranquillizzarlo, scrollò una spalla e chiosò: “Non temere per me. Dopotutto, ero una berserkr. So cosa significano il sangue e la guerra.”

“Avrei preferito mostrarti Muspellheimr in un altro modo, e in un altro tempo, così che tu potessi apprezzarne solo la bellezza” sottolineò per contro Sthiggar, spiacente.

“Se il tuo mondo fosse rimasto in pace, tu non saresti mai giunto su Midghard, la Spada Fiammeggiante non si sarebbe mai attivata e noi non saremmo qui, ora” replicò lei con un sorrisino. “Qualcuno, o qualcosa, ci vuole qui insieme, nei millenni a venire. Io, perciò, non mi porrei altri dilemmi, né mi farei degli scrupoli di coscienza.”

“Come desideri” acconsentì Sthiggar prima di lanciare uno sguardo verso la fine del corridoio, da cui stava giungendo Rhadd di corsa, e borbottò: “Ho idea che servirà tutta la giornata, se non di più.”

“Temo di sì. Ho la testa che mi sta scoppiando, con tutti gli input che la stanno riempiendo, ma cercherò di reggere più che posso” si lagnò Ragnhild, storcendo la bocca.

“Ti prometto una vacanza nei nostri luoghi più belli, giovane Elsa ma, per il momento, ho ancora bisogno di te” le propose allora Surtr.

Lei lo fissò curiosa, accennò un sorriso divertito e domandò: “Mi chiamerete sempre Elsa, maestà?”

“Sto solo gongolando al pensiero di avere la Spada Fiammeggiante, tutto qui. Concedimi un po’ di vanagloria, ragazza. Prima o poi passerà” ghignò il sovrano, portandola a ridere divertita.

 

 

 

1 Ellri: più vecchio (norreno). Indica il suo stato di anziano – o senior – all’interno della famiglia.

 

 

N.d.A.: Le prime teste cominciano a rotolare (per ora, solo metaforicamente) e alcuni segreti vengono alla luce, sorprendendo lo stesso Sthiggar. Poco alla volta, Muspellheimr sta tornando alla normalità, anche se nessuno ne uscirà senza cicatrici.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


 

Cap. 28

 

 

Quand’anche l’ultimo muspell venne estratto dalle macerie di Hindarall – fortunatamente, molte persone si erano rifugiate nei sotterranei, protetti dalla magia liòsalfar del padre di Rhadd – Fenrir scrutò i suoi figli prima di indirizzarli verso il palazzo.

Naglfar stava ancora volteggiando sicura e inavvicinabile al di sopra del cortile antistante le ampie porte dell’immenso maniero in ossidiana e, quando il trio di licantropi giunse in loco, Hildur manovrò la nave per discendere.

Scostandosi quel tanto per non venire intercettati dai lunghi remi del veliero da guerra, Fenrir riprese sembianze umane al pari dei figli e, nell’osservare per un attimo il sole discendere lungo la linea dell’orizzonte, sospirò nel dire: “Ora si comincia a stare meglio.”

“Ci saranno quaranta gradi, ma fa niente. Con il surriscaldamento globale, ormai sono diventate temperature normali anche sulla Terra” si lagnò Sköll attirandosi addosso lo sguardo esasperato del fratello. “Ehi! Che ho detto? Non è forse vero?”

“Devi sempre lamentarti per qualcosa” gli fece notare Hati, accostandosi alla scaletta della nave per aiutare la regina a discenderne.

Fenrir li richiamò all’ordine prima che la discussione potesse degenerare – cominciava finalmente a ricordare cosa avesse voluto dire crescere due maschi dai caratteri così differenti – dopodiché, osservata la devastazione che li circondava, chiosò: “Gli indubbi vantaggi di una simile nave da guerra iniziano a sembrarmi chiari. E’ devastante.”

“Ha qualche giocattolino utile” assentì Hildur, allungandogli una mano per complimentarsi con lui e i suoi figli. “La situazione in città?”

“Stabile. Abbiamo liberato le persone bloccate sotto le abitazioni e, per il momento, i cittadini in salute si stanno occupando dei feriti nei sotterranei dove, a quanto pare, c’è un autentico ospedale da campo” le spiegò Fenrir, ammirato da una simile organizzazione.

“Qualcuno fu lungimirante, a suo tempo” ammise Hildur, lanciando uno sguardo alle sue spalle per osservare le alte torri di guardia da cui, fortunamente, ancora sventolava lo stendardo della casa regnante.

“Credi si possa entrare, ora?” domandò ansiosa Ilya, scrutando le porte del palazzo con aria bramosa.

Hildur cercò nello sguardo di Fenrir un qualsiasi genere di rassicurazione – o eventuale minaccia –, ma lui disse: “All’interno non si sente più battagliare, e l’odore di Sthiggar e Ragnhild è privo di tossine, segno che sono relativamente tranquilli. Possiamo procedere, ma la regina e il Gran Sacerdote procederanno accanto a noi.”

“La trovo una cosa sensata” assentì Hildur, lanciando quindi un’occhiata a Thrym e Flyka, dicendo: “Non dovrebbero esserci problemi, ma non voglio che Naglfar rimanga sguarnita. Pensate voi a tenerla d’occhio?”

Ilya fu sorpresa da tanta generosità, e anche i due muspell parvero sorpresi da una simile espressione di fiducia ma Thrym, nell’inchinarsi dinanzi alla sovrana, assentì e disse roco: “Onoreremo tale fiducia dando la nostra vita per la nave, qualora ve ne fosse bisogno.”

La sovrana scosse il capo e, nel poggiare una mano sui fulvi capelli del guerriero, replicò: “Salvate voi stessi, non la nave, se ve ne fosse bisogno. Ho visto fin troppi morti, e non ne voglio altri sulla cosienza.”

“Ai vostri ordini, maestà” mormorò allora Thrym.

Annuendo recisamente, Ilya si affiancò quindi a Fenrir, il quale le offrì il braccio mentre Hati si accostava a Snorri per proteggerlo. Sköll, invece, levò il naso per annusare l’aria, fu colto dalla curiosità e domandò al padre: “Non senti qualcosa di strano, papino?”

Fenrir lo fissò esacerbato – quando sarebbe finita questa cosa del papino, che proveniva al novantanove percento da Jerome? – ma acconsentì a controllare a sua volta l’aria con i propri sensi più che raffinati.

Sorpreso, quindi, sobbalzò e, scrutando dubbioso la regina, domandò: “Tra i vostri invitati, per caso, vi erano anche i sovrani di Elfheimr?”

“Ma certo” assentì la donna.

Persino Hati scoppiò a ridere e, mentre Sköll teneva le mani poggiate sullo stomaco, piegato in due dall’ironia di tutta quella situazione, Fenrir sospirò esasperato e borbottò: “Non anche loro. Non ho la forza di sopportare anche degli elfi chiari, oggi.”

***

Ilya riuscì a trovare il marito soltanto dopo una buona mezz’ora di tentativi a vuoto. Gli odori tendevano a sparpagliarsi attraverso i mille e più corridoi di palazzo, confondendo persino l’olfatto sopraffino di Fenrir. Trovare la pista giusta da prendere, perciò, richiese qualche tentativo a vuoto e diverse imprecazioni masticate tra i denti.

Gli stessi poteri di Ilya parvero in difficoltà, resi maldestri da uno strano incantesimo liòsalfar che sembrava essere steso come una ragnatela sull’intera città.

Quando, però, la regina scorse re Surtr in rapida discesa da una scala secondaria, seguito a ruota da un contingente di Fiamme Purpuree, oltre a Sthiggar e Ragnhild, la donna sospirò e gli corse incontro, esalando: “Mio Surtr!”

Bloccandosi a metà di un passo – l’espressione stanca subito sostituita dal sollievo – il muspell allargò le braccia per accoglierla in seno e, nel baciarle i capelli scarmigliati, mormorò: “Mio cuore! Sono lieto di rivederti!”

Ciò detto, indirizzò un’occhiata dubbiosa all’indirizzo dei tre licantropi prima di sorridere a Snorri e Hildur, aggiungendo: “Lieto di rivedere anche voi. A quanto pare, nel corso della tua missione, Hildur, hai reclutato alleati alquanto singolari.”

“Diciamo che è stato un crescendo di sorprese” ammiccò la donna, inchinandosi formalmente al suo sovrano.

Levando curioso un sopracciglio, Surtr si tenne al fianco la moglie dopodiché, avvicinatosi a Fenrir, allungò una mano e disse: “Riconosco il tuo potere, pur se non avevo mai avuto il piacere di incontrarti personalmente, Figlio di Loki. Ti sono riconoscente per ciò che hai fatto per il mio popolo e per mia moglie.”

Fenrir strinse la mano protesa del re, replicando: “Abbiamo reputato fosse necessario evitare il peggio, così ci siamo alleati alla tua regina.”

Dopo aver annuito brevemente, e aver concesso un cenno di ringraziamento a Hati e Sköll, il sovrano tornò mortalmente serio e borbottò: “Temo di non potermi fermare oltre, assieme a voi, poiché il compito di ripulire il palazzo dai traditori non è ancora terminato. Avremo tempo più avanti per comprendere bene come siete entrati a far parte di questa strana e perversa equazione.”

“Lo comprendiamo” assentì rapido Fenrir.

“Baderò io ai nostri ospiti, non temere” intervenne Ilya prima di chiedere: “Dove si trovano Oberon e Titania?”

A quel punto, Surtr sorrise divertito e celiò: “Nel mio studio, cara e, se non fosse che ho il fuoco alle calcagna, rimarrei per vedere questo incontro, ma purtroppo non posso.”

Sköll ridacchiò a quell’accento ma Fenrir lo frizzò con un’occhiataccia, riportandolo al silenzio. Non era davvero il caso di fare dell’ironia su ciò che era avvenuto su Elfheimr, visto quel che si era rischiato.

***

Per ogni evenienza, Ilya si tenne al braccio di Fenrir per tutto il tempo, così che fosse più che chiaro il loro reciproco rapporto di fiducia, oltre che per evitare che il dio-lupo si scagliasse contro Oberon al primo sguardo.

Non sapeva cosa fosse accaduto tra i due ma, quando Surtr aveva accennato alla presenza dei reali di Elfheimr nel suo Studio, le era parso chiaro quanto, tra Fenrir e gli elfi, non corresse esattamente buon sangue.

Quando, perciò, aprì la porta dello Studio per entrare assieme ai licantropi, Ilya lo fece con la segreta speranza di non dare il via a una seconda guerra.

Quel che vide subito dopo, però, scacciò immediatamente quel pensiero, e solo per sostituirlo con uno di pura confusione e sconcerto.

Alla vista del trio di licantropi, Titania si levò dalla poltrona per accorrere incontro a Fenrir e, dopo avergli gettato le braccia al collo, lo baciò con candore sulle guance sbarbate per poi esalare: “Oh, caro! Che piacere rivederti!”

Irrigidendosi leggermente, Fenrir la scostò con educazione prima di sorriderle con fredda cortesia dopodiché, incrociato lo sguardo corvino con quello color del cielo di Oberon, il dio-lupo disse: “Mio Signore Oberon. Ben trovato.”

“Dio-lupo… a quanto vedo, la fortuna ti segue benevola, se anche stavolta sei uscito illeso da una battaglia” sottolineò leggermente sarcastico il re degli elfi, mettendo timidamente in allarme la regina Ilya e Titania.

Accennando un sorrisino beffardo, Fenrir replicò: “Come dio della distruzione, ho una buona preparazione, in fatto di disastri, quindi so come gestirli… e come evitarli.”

Titania frizzò con lo sguardo Oberon prima che egli potesse replicare con una rispostaccia, così al sovrano liòsalfar non rimase che chiedere: “La tua prole?”

“Hati e Sköll” assentì Fenrir, presentandoglieli.

“E la tua affascinante signora non è presente, in questa sede?” si informò a quel punto Oberon.

“Non ci è concesso camminare assieme in nessuno dei Mondi, in queste forme. Ciò che tu vedesti fu solo la classica eccezione che conferma la regola” asserì Fenrir con tono fiacco.

“Un vero peccato” chiosò quindi Oberon prima di domandare: “A quale titolo siete qui, visto il ruolo che avrete in Ragnarök?”

“A titolo del tutto gratuito. Ragnarök per come lo conosciamo è del tutto svanito dai disegni del Cosmo e ora, con le nostre odierne azioni, stiamo riscrivendo il nostro futuro, a quanto ci è stato detto da persone ben informate” replicò con candore Fenrir, ora realmente stupendo il re degli elfi.

Titania parve parimenti sorpresa così Fenrir, per quanto gli fu concesso di esprimersi – sapeva che alcune cose avrebbero dovuto rimanere segrete, perciò non le disse – narrò gli eventi per come lui li aveva vissuti.

Immane sorpresa e sconcerto si confusero sui volti stupendi e perfetti dei due liòsalfar, ma nessun commento fu possibile poiché Fenrir, rabbrividendo di colpo, si volse verso la porta quasi a voler fuggire e, turbato, esalò: “Avya… ma cosa…?”

“Cos’è successo a mamma?” esalarono quasi all’unisono i figli, turbati al pari del padre.

Stringendosi una mano al torace e torcendo la tunica di pelle bianca che indossava, Fenrir reclinò il viso con aria straziata dall’ansia e, roco, esalò: “Sta utilizzando un potere enorme… ma perché?”

***

A diversi Mondi di distanza, e per tutt’altro genere di battaglia, Duncan McKalister si presentò a Luleå in compagnia di sua zia Sarah e dei suoi figli, Nathan e Hannah.

Branson – Geri del branco – si sarebbe occupato di guidare il clan in sua assenza, affiancato dai managarmr più alti in grado e da Spike Jefferson, Sköll di Bradford.

Alec aveva concesso più che volentieri a Duncan gli aiuti richiesti, con la speranza che non dovesse servire altro al branco di Matlock. L’idea di sapere Brianna su un altro Mondo non aveva reso per niente felice Alec ma, ben conoscendo l’amica e il suo spirito altruistico, non se n’era per nulla stupito.

Duncan era quindi partito subito dopo aver ricevuto la telefonata di Magnus, grazie alla quale aveva scoperto ciò che era avvenuto loro e cosa fosse stato deputato a fare suo malgrado.

Ora, dinanzi alla porta d’entrata della casa di Olaf Thomasson, Duncan strinse affettuosamente la mano di Magnus prima di dire: “E’ un piacere rivederti, anche se in circostanze così insolite e spiacevoli.”

“Mi spiace averti disturbato proprio quando la tua Triade è menomata e anche Brianna non può esserti d’aiuto. Spero tu abbia risolto in qualche modo” replicò Magnus, invitandoli a entrare all’interno dell’abitato.

“Ho messo insieme un buon gruppo di supporto, non temere” lo tranquillizzò lui prima di sorridere quando Hannah, che teneva in braccio, premette per raggiungere Magnus.

Magnus allora sorrise alla bimba di due anni, la accolse tra le braccia e mormorò: “Sei sempre più bella, Hannah, lo sai?”

La bimba si esibì in un sorriso tutto fossette davvero adorabile e Nathan, storcendo il naso, borbottò: “Appena ha saputo che saremmo venuti qua, ha cominciato a strillare come un’aquila.”

“Nat…” lo richiamò gentilmente Duncan, sorridendo al figlio primogenito che teneva la mano di Sarah, poco dietro di lui.

“Ma è vero, papà” brontolò per contro il bambino, facendo sorridere Sarah e sospirare il padre.

“Sarà anche vero, tesoro, ma non è certo carino farlo notare” sottolineò per contro Duncan.

“Se lo dici tu…” mugugnò il bambino, spallucciando.

Magnus sorrise indulgente al bambino e, nel dare un buffetto sulla guancia alla bambina tra le sue braccia, asserì: “Spero che il viaggio in aereo ti sia piaciuto, Nathan.”

“Eccome! Abbiamo incontrato anche delle turbo…” iniziò col dire lui prima di impappinarsi, scrutare dubbioso la zia e domandare: “Com’è che si dice?”

“Turbolenze, caro” gli spiegò Sarah.

“Ah, ecco. Turbolenze. L’aereo ha saltato parecchio, ma io mi sono divertito un sacco” sorrise deliziato Nathan.

Duncan rise diverito, a quel commento, e replicò: “Io avrei preferito evitare ma, se lui si è divertito, chi sono io per lamentarmi?”

Magnus assentì pieno di letizia – lieto che gli amici fossero così di buonumore nonostante la situazione paradossale che stavano vivendo – quindi, assieme, raggiunsero il salone principale della casa, dove già si trovavano i loro ospiti, oltre a Mattias, il nipote dei padroni di casa.

Una volta raggiuntili, Magnus fece gli onori di casa, presentando i nuovi venuti prima di ragguagliare Duncan in merito ai risvolti più gravi della sfida da lui lanciata al capoclan di Luleå.

Duncan ascoltò in silenzio l’intera storia mentre Nathan faceva la sua conoscenza con Mattias dopodiché, assentendo rapido al racconto offertogli, dichiarò: “Non ci sono problemi. Posso bloccare Odino con i poteri di Avya, ma quello che mi chiedo è; sei disposto a mostrare le tue zanne, amico mio?”

“Vi sono costretto. Ho procrastinato troppo e questi sono i risultati. Avrei dovuto essere più incisivo, parlare al mio popolo e rendere noti i miei pensieri e quelli di Odino” sospirò Magnus, scuotendo il capo. “Il nostro dio non è risorto solo perché spinto alla rinascita dalla presenza di Fenrir nel mondo. Voleva che i suoi guerrieri tornassero a prosperare e io, fino a ora, non ho fatto nulla per portare avanti questo progetto.”

“Hai quindici anni” sottolineò conciliante Duncan, sorridendogli benevolo.

“Potrei averne anche cinque, ma avrei dovuto cominciare ad agire al mio primo pensiero cosciente. Non posso contare su un’esistenza immortale, perciò devo apportare le modifiche che Odino desidera per i suoi protetti il più in fretta possibile, poiché anche io la penso così, e credo sia l’unico modo per permettere alla mia gente di salvarsi e prosperare” replicò Magnus, passandosi nervosamente una mano tra i corti capelli biondo cenere. “Solo, spero di essere all’altezza dei miei propositi. Non ho mai combattuto prima in vita mia.”

Quel commento sconcertò non poco Duncan che, sorridendo divertito all’amico, esalò: “Beh, ti sei scelto davvero un bel banco di prova, allora!”

“Puoi dirlo” esalò lui, scoppiando a ridere con l’amico e coinvolgendo in quella risata anche il resto dei presenti.

Hannah, che se ne stava ancora tra le braccia di Magnus, gli diede un bacetto sulla guancia e il giovane, sorridendole grato, mormorò: “Grazie per l’incoraggiamento, piccola.”

Soddisfatta, Hannah chiamò il fratello perché la prendesse in braccio e Nathan, nel recuperarla, la rimise a terra e domandò: “Vuoi giocare con noi, Hannah?”

“Sì” dichiarò solenne la bambina, facendo scoppiare nuovamente a ridere i presenti.

Nell’osservarla allontanarsi assieme a Nathan e Mattias, Magnus si rasserenò un poco, lieto di poter avere almeno i suoi amici, al suo fianco.

Andrà bene, non temere. Noi tutti abbiamo fiducia in te, gli rammentò Odino con tono compiaciuto.

“La fai facile. Tu e Fenrir vi siete allenati assieme, ma io nosottolineò per contro il giovane.

La tua memoria è buona, però. Ricorda le mie mosse e quelle di Fenrir, e vedrai che non avrai problemi. Per quanto Fenrir possa essere elegante nei movimenti, rimane pur sempre una creatura mutaforma come il berserkr, e questo sarà un vantaggio, per te. Hai già visto come combatte una creatura per metà animale, gli rammentò Odino.

“Spero tu abbia ragione, o la mia sarà la rivoluzione più breve della storia”, chiosò Magnus sorridendo speranzoso all’indirizzo di Duncan che, annuendo, gli batté confortante una mano sulla spalla.

Non doveva cedere allo sconforto e alla paura. Ormai aveva deciso e, per nulla al mondo, avrebbe ceduto di un passo.

Sperando di non fare un autentico casino nel frattempo.

***

La foresta di betulle nei pressi di Ale nascondeva il luogo sacro al popolo di berserkir di Luleå e, quando Magnus vi mise piede assieme ai suoi accompagnatori, percepì distintamente la presenza dei suoi avversari.

Isolata da tutti ed emblema super partes di quell’Ordalia, Isolde accolse entrambe le fazioni con un cenno del capo ma, alla vista della donna al fianco di Magnus, impallidì leggermente prima di inchinarsi ossequiosa.

Avya si scostò quindi dalla figura di Magnus per accostarsi a quella di Isolde e, con un debole sorriso, accennò un saluto col capo prima di dire: “Bentrovata, sorella.”

Lo sguardo dubbioso del gruppo di berserkir capitanato da Elias scrutò curioso la figura esile e piccola della donna appena giunta che, da parte sua, dimostrava di avere un potere così devastante da surclassare quello di Isolde.

Quest’ultima, nel rivolgersi al suo capoclan, disse: “Costei è la capostipite della razza Úlfheðnar, la compagna del dio-lupo Fenrir, e mi assisterà durante l’Ordalia.”

Elias si accigliò immediatamente, a quelle parole e, torvo, replicò: “E’ amica del mio nemico. Come potrà essere imparziale?”

Isolde parve personalmente insultata da quelle parole, perché replicò piccata: “Costei parla per conto di Madre e non potrebbe mai mentire. Garantisco io per lei.”

Pur scontento di quella novità, Elias assentì cauto e replicò: “Se sei convinta della sua buona volontà, non posso che acconsentire alla sua presenza.”

Sorridendo sorniona, Avya a quel punto ribattè: “Non ho bisogno delle parole di alcun uomo, licantropo o berserkr, per camminare su luogo sacro. Madre mi consente questo e altro, uomo-orso.”

Infastidito da quell’appunto, Elias emise un emblematico ‘mpfh’ prima di scrutare ombroso il suo giovane oppositore. L’essere stato costretto a quell’Ordalia non lo aveva di certo riempito di gioia ma, se voleva riprendere tra le mani il rispetto dei suoi uomini e il controllo del clan, non poteva di certo farsi battere.

Odino o non Odino.

Suo era il predominio, sue le decisioni, e non avrebbe permesso a nessuno di cambiare ciò che con tanta fatica la sua famiglia aveva creato in quei lunghi secoli.

Se il loro dio avesse voluto cambiare le regole del gioco sarebbe riemerso dagli anfratti del Valhalla molto tempo prima, perciò lui non aveva nulla da recriminarsi. Aveva fatto semplicemente del suo meglio per primeggiare e per portare avanti i suoi precetti.

Del tutto ignara delle ire di Elias, Avya si mosse verso il centro dell’arena composta da rado sottobosco e strati morbidi di muschio color giada, strappando così il capoclan berserkr ai suoi oscuri pellegrinaggi mentali e, con voce brillante, esclamò: “Come è in mio potere, bloccherò l’energia di Odino perché Magnus possa combattere unicamente con le sue doti di berserkr, e la vostra sorella si accerterà che la mia gabbia sia salda.”

Ciò detto, si avvicinò a Magnus e, dopo aver posto una mano sulla fronte del giovane, aggrottò la fronte e mormorò: “A noi due, Occhiosolo.”

Vacci piano, ragazza. Essere ingabbiato non piace a nessuno, le ricordò Odino.

“Non avrai paura, per caso?” replicò ironica la donna, espandendo la propria aura tutt’attorno alla fonte di potere generata dal dio.

Magnus dovette assestare i piedi sul terreno a causa del contraccolpo psichico e, per la prima volta da anni, percepì la propria mente stranamente vuota, come liberata da un peso, o da una scomoda presenza.

Anche cercando con attenzione, non avvertì in alcun modo l’energia del dio che risiedeva dentro di sé ma, quando osservò il volto di Avya per chiederle spiegazioni, si preoccupò immediatamente per lei.

La donna appariva pallida e imperlata di sudore, chiaramente frastornata dall’uso smodato del potere che aveva liberato per imprigionare Odino così, afferrandola alle spalle, mormorò turbato: “Sei sicura di farcela?”

“Non temere. Duncan mi sta aiutando a reggere il colpo e, almeno per un po’, riuscirò a contenerlo. Ma tu non perderti in gloria, amico mio, perché non so quanto tempo potrò resistere. Stiamo pur sempre parlando di Occhiosolo” sussurrò roca Avya, allontanandosi da Magnus, subito sorretta da Isolde, che la allontanò dal campo di battaglia per poi farla accomodare su un masso ricoperto di muschio.

Lanciata poi un’occhiata all’indirizzo del suo capoclan, asserì: “Potete dare inizio al duello. La sua mente è sgombra.”

E che gli dèi ce la mandino buona, pensò tra sé Avya, stringendosi le braccia al petto, la mente interamente concentrata sul dispiego smisurato di energie che stava utilizzando per tenere bloccato Odino entro il cerchio della sua prigione.

Elias non se lo fece ripetere due volte e, nell’arco di un paio di secondi, da uomo che era mutò in orso, scagliandosi contro Magnus con la berserksgangr già attiva e desiderosa di sangue.

Magnus respinse lesto il primo colpo, balzando su un lato e mutando esso stesso in orso per combattere più agevolmente contro il possente nemico.

L’avversario non perse tempo e contrattaccò immediatamente, scagliando i lunghi artigli contro la sua giugulare, ma ancora Magnus evitò il colpo, replicando con un fendente al basso ventre, che però venne evitato con abilità.

In fretta, i presenti si scostarono dal campo di battaglia per dare maggiore spazio ai due contendenti e Bjorn, nell’osservare il nipote alle prese con il suo primo duello, tremò.

Aveva sempre reputato sbagliato che il ragazzo venisse cresciuto nella bambagia, e che non gli fosse permesso di confrontarsi con gli altri al pari di qualsiasi altro berserkir ma, non essendo suo padre, aveva dovuto accettare silente.

Vederlo alle prese con un guerriero navigato e che, dalla sua, doveva avere invece anni e anni di esperienze nel combattimento, lo fece fremere di ansia ma, ugualmente, non cedette allo sconforto.

Tenendo stretta a sé la mano di Mattias, che stava osservando a sua volta con espressione trepidante lo svolgersi del duello, cercò di trasmettere al nipote tutta la fiducia che provava per lui e, tra sé, sperò che la presenza di Avya potesse dargli sicurezza.

Sapeva quanto Magnus tenesse in considerazione i suoi amici licantropi, e Avya era stata per lui, in più di un’occasione, una figura molto simile a una madre, oltre che di un’insegnante assai dotata.

Affrettandosi a scostare di peso Mattias quando Magnus venne scaraventato nella loro direzione, Bjorn lo rimise a terra giusto in tempo per vedere il nipote ripartire alla carica con un nuovo attacco.

Questa volta, l’aggressione andò a buon fine e, quando Bjorn vide le zanne di Magnus affondare nel braccio di Elias, seppe che il ragazzo stava cominciando a prendere le misure al proprio avversario.

Se non fosse stato che, da quel duello, sarebbero derivate fin troppe decisioni e cambiamenti, avrebbe persino detto che Magnus avesse cominciato a prenderci gusto.

Scuotendo il capo di fronte a quella stramba idea, Bjorn accennò un sorrisetto e, nel dare una pacca sulla spalla di Mattias, ancora palesemente in ansia, asserì: “Comincia a capire come gestire la berserksgangr. E’ già un passo avanti.”

“Come credi che finirà?” domandò preoccupato Mattias, non sapendo esattamente per chi tifare.

Per quanto volesse la vittoria di Magnus, sperare nella sconfitta del padre gli sembrava tremendamente sbagliato, eppure sapeva che il duello non poteva concludersi con una parità.

Vedere come la madre stesse osservando livida Magnus, inoltre, non faceva ben sperare. A giudicare dal suo sguardo, se fosse stata lei a combattere, avrebbe già tentato di uccidere l’avversario senza badare all’etichetta o al rispetto delle regole.

Questo non faceva che confermare ciò che, negli anni, Mattias aveva cercato disperatamente di non vedere; sua madre era più spietata del padre e forse, contro di lei, Magnus non avrebbe avuto scampo.

Suo padre, invece, per quanto deciso a sostenere le proprie idee, non sembrava propenso a usare dei mezzucci, pur di vincere, e questo pareva infastidire la moglie che, ferma sulla sua sedia a rotelle, osservava ogni loro mossa con astio aperto.

Non badare a quel che fa tua madre. Ormai sai già come la pensa, perciò non angustiarti più del necessario, gli ricordò Urd con tono comprensivo.

“Ho sperato fino all’ultimo che potesse capire, ma questo spettacolo non fa che chiarire una volta di più chi sia lei davvero” mormorò sconfortato Mattias.

Per questo, questa lotta è così importante. Non solo noi abbiamo notato che tua madre sta osservando l’avversario del marito, e il suo stesso capoclan, con aperta superiorità. I suoi stessi sudditi stanno notando tutto questo, e ciò è vitale per quanto ci riproponiamo di fare. Ormai è divenuto lampante a tutti quanto, per lei, Elias non sia mai stato un degno capobranco, e questo sta rompendo le fila dei guerrieri di tuo padre.

“Lo so, purtroppo” assentì Mattias, scrutando parimenti la madre e i guerrieri di suo padre, che stavano osservando la scena con espressioni sempre più disgustate.

Se neppure la moglie del capoclan aveva fiducia nel proprio partner, come avrebbero potuto averne loro?

Nel vedere Avya piegarsi in avanti, quasi colpita da un crampo, Urd intervenne rapida e disse: Devo correre da lei. Te la senti di fare da tramite, o vuoi che esca?

“Farò da tramite. Ormai ho capito come fare” acconsentì Mattias, affrettandosi a raggiungere la donna per sostenerla durante la sua lotta per tenere bloccato il potere devastante di Odino.

Non appena appoggiò la mano sulla sua spalla, Mattias impallidì visibilmente e Avya, nel notarlo, esalò: “No, ragazzo! E’ ancora troppo presto, per te!”

“Voglio aiutare in qualche modo. Lasciami fare, per favore” la pregò a quel punto lui, mantenendo il contatto e permettendo così a Urd di infondere nella donna parte del suo potere.

“Mattias…” mormorò spiacente Avya, poggiando una mano su quella del ragazzo.

Lui sorrise appena, annuì coraggiosamente e continuò a essere il tramite tra la divinità e la wicca, sopportando stoico anche le occhiate velenose di sua madre che, ormai, sembrava essere del tutto fuori controllo.

La sua gelida facciata era caduta, lasciando intendere a tutti i presenti cosa pensasse realmente del marito, della sua apparente inadeguatezza come capo e, più di tutto, come vedesse il voltafaccia del figlio nei suoi confronti.

L’idolatria e l’amore incondizionato erano scomparsi dalle sue iridi d’acciaio temprato, sostituite dal disprezzo e dal disgusto.

Non pensare a lei, gli ricordò Urd con tono secco.

“E’ mia madre. Come posso non pensare a lei?”

E’ la donna che ti ha dato la vita. Tua madre è stata Ragnhild, e lei non ti guarderebbe mai così. Lo sai, gli rammentò Urd con voce più dolce.

Mattias fu costretto ad annuire, ben sapendo che Urd aveva ragione. L’idolatria di sua madre non era mai stata diretta veramente a lui, ma a Urd, e i gesti d’amore a lui rivolti erano nati a causa di ciò che portava dentro di sé. Se fosse stato un bambino come tutti gli altri, probabilmente sarebbe stato trattato con ancor più freddezza rispetto a Ragnhild.

Sarebbe stato solo l’ennesimo guerriero da utilizzare per il predominio e per il potere che lei non avrebbe mai potuto avere. Null’altro che questo.

Un ‘aaah’ collettivo strappò Mattias a quei torvi pensieri e, nel risollevare lo sguardo, si ritrovò a fissare sgomento e sorpreso la figura trionfante di Magnus che, fermo a zanne spalancate sul collo di Elias, attendeva da quest’ultimo la resa.

Già pronto a veder terminare con questo esito l’Ordalia, Mattias sobbalzò sconcertato quando sua madre, sbracciandosi dalla sedia a rotelle, gesticolò le inequivocabili parole che conficcarono l’ultimo chiodo sulla bara del suo amore per lei.

Uccidilo. Uccidi quel perdente.

Sua madre. Sua madre voleva che Magnus uccidesse il marito, reo di non aver vinto lo scontro.

A tal punto arrivava la sua follia.

Magnus, per contro, si risollevò, tornò uomo e allungò una mano in direzione di Elias che, a sua volta, riprese sembianze umane prima di accettare l’aiuto del giovane così da poter risollevarsi da terra.

Finalmente libera, Avya lasciò che Odino tornasse entro i confini della mente di Magnus e il giovane, con un sospiro, esalò all’indirizzo del dio dentro di sé: “Ehi! Bentornato! Ma cosa stavate combinando, tu e Avya? Stava malissimo!”

Lei è l’unica a poter gestire questo genere di energia, ma non è una dea. Come pensavi potesse stare?, gli fece notare Odino prima di aggiungere: Sei stato bravo, comunque. Ho potuto vederti attraverso i suoi occhi, e posso dirti che hai fatto un buon lavoro.

“Non mi sento molto felice, comunque. Hai visto cos’è successo con la madre di Mattias?”

Non pensarci proprio ora. Dobbiamo ancora completare l’Ordalia, e lo sai. Non puoi lasciarlo con la berserksgangr attiva o, alla prima occasione, tornerà sui suoi passi. Devi comminare la condanna, sottolineò torvo Odino, rammentandogli fin dove avrebbe dovuto spingersi.

Magnus assentì suo malgrado e, con tono fiacco ma chiaro, disse: “Tua è la sconfitta, Elias Thomasson di Luleå, berserkr di Luleju1 e capoclan di detto branco. Ti siano tolti i gradi e i poteri, in quanto reo di aver usato violenza verso i tuoi consanguinei e aver cagionato un danno fisico e morale a entrambi i tuoi figli.”

L’uomo sgranò gli occhi, di fronte a una simile condanna, ma nessuno osò aprire bocca per contrariare il vincitore. Come in qualsiasi Ordalia, chi vinceva aveva potere di vita o di morte sul proprio avversario, e ciò che si apprestava a fare Magnus rientrava nelle sue possibilità.

Reclinando quindi il capo, Elias si mise in ginocchio dinanzi a Magnus che, nell’allungare una mano ad Avya, mormorò: “Sacerdotessa della Madre, puoi tu dunque privarlo dei suoi poteri, perché essi tornino nel ventre di Yggdrasil?”

“Mi è concesso acconsentire alla tua richiesta” annuì la giovane, poggiando una mano sul capo dell’uomo.

Chiusi quindi gli occhi, Avya scandagliò la memoria dell’uomo per essere certa che le accuse di Magnus fossero veritiere ma, quando giunse ai pensieri che riguardavano Ragnhild, si scostò indignata ed esclamò: “Questo è davvero troppo!”

Quell’esclamazione sorprese i presenti e, inspiegabilmente, Isolde reclinò colpevole il capo, nascondendosi all’occhiata ferale che, subito dopo, Avya le lanciò.

Tu… anche tu la tradisti!” sbottò furiosa Avya, illividendosi in viso nell’osservare la sua sorella di culto.

“Mi fu ordinato!” si difese Isolde, lanciando occhiate alternate a Elias e Ingrid.

Un brusio tra i berserkir portò Avya a volgere lo sguardo verso di loro e Ludvig, primo tra i guerrieri, le chiese turbato: “Cosa non sappiamo?”

“Tu sei il guerriero che chiese in moglie Ragnhild, giusto?” domandò per contro Avya.

Lui assentì recisamente, così Avya domandò ancora: “Sai che questa donna visitò Ragnhild per provare ai genitori che fosse illibata, così che potesse giungere a te pura e intonsa?”

Ludvig sobbalzò sorpreso, scuotendo il capo e replicando: “E’ stato assurdo farlo. Tutti noi sappiamo che Ragnhild è sempre stata una ragazza a modo e rispettosa delle regole. La volevo in moglie anche per questo.”

“A quanto pare, qualcun altro non era così certo della sua buona condotta, e l’ha trattata come carne da macello” sibilò a quel punto Avya, fissando aspramente Elias prima di puntare lo sguardo su Ingrid e aggiungere: “Non posso infierire su di te più di quanto Madre non abbia già fatto, ma sappi questo; tua figlia, ora, è l’essere più potente dei Nove Regni, al fianco del suo compagno, e non certo per merito tuo.

Ciò detto, tornò a rivolgersi a Elias e, nel poggiare nuovamente la mano sul suo capo, mormorò roca: “Meritereste di ardere vivi, per quanto avete fatto, ma non è in mio potere comminare una simile pena. Io agisco per conto di Madre, e questo non è il Suo desiderio.”

Chiusi infine gli occhi, disse con voce chiara: “Sia Tua l’energia di quest’uomo, Madre. In grazia ricevuta, in malagrazia strappata.”

Strette le dita tra i capelli di Elias, Avya procedette al recupero della berserksgangr e l’uomo, digrignando i denti, poggiò entrambe le mani a terra e urlò. Urlò come se ogni centimetro della sua pelle gli fosse strappato dalle membra e, quando infine anche l’ultima goccia di potere venne estrapolata, crollò a terra stremato.

Nessuno lo aiutò e Avya, nello scostarsi, lanciò un’occhiata a Mattias, atterrito dalle ultime parole della donna, e mormorò: “Scusami. Non avresti dovuto saperlo così.”

Lui scosse il capo, si allontanò disgustato da Isolde e, correndo incontro a Bjorn, si lasciò abbracciare dall’uomo mentre sul suo volto calde lacrime dilavavano le ultime tracce di infantile meraviglia e ingenuità.

Sospirando, Avya si appoggiò al braccio levato di Magnus, sorrise a mezzo e mormorò: “Dormirò per un mese, dopo questo. Spero solo di non aver turbato troppo Fenrir. Temo di avere un tantino esagerato, poco fa, tenendo impegnato Odino.”

“Mi vuoi dire, almeno tu, cosa ti ha fatto?”

Lei allora sollevò un sopracciglio con ironia e replicò: “Come puoi tenere sotto scacco un dio? O lo imprigioni, o lo distrai. E, prima che tu pensi a cose peccaminose, ti basti sapere che abbiamo lottato.”

Magnus fece tanto d’occhi, a quelle parole e, nel rivolgersi all’altro contendente, esalò: “Che hai fatto?!”

Non è colpa mia, se sono troppo potente. Non posso essere semplicemente messo da parte, e non è come quando tu ti trastulli a baciare Ylsa e io mi chiudo nella mia stanzetta buia,  gli ricordò il dio.

Il giovane arrossì copiosamente nel sentirgli nominare la sua fidanzata e, irritato, borbottò: “Sei pregato di non ricordarmi che tu puoi vederci.”

Tranquillo, prima che tu raggiunga i miei livelli, ce ne vorrà ancora…, rise il dio. Tolto questo, l’unico modo che Avya aveva per tenermi fuori dalla tua lotta, era farmi lottare a mia volta, e questo abbiamo fatto. Lei lo sapeva, io lo sapevo, e questo ti deve bastare.

“Non mi piace l’idea di usare i miei amici a questo modo” borbottò contrariato il giovane.

Ti piaccia o meno, avere lo scettro del potere richiede anche sacrifici, e questo è stato il tuo primo atto come re.

“Re? Ma che vai dicendo?” gracchiò Magnus, facendo tanto d’occhi.

Preferisci governatore, guida, santo, primo ministro? Scegli tu. Ma questo sarai, d’ora in poi, per i berserkir che passeranno sotto il tuo dominio e questa, di sicuro, non sarà la tua ultima battaglia. Portare avanti le proprie idee per cambiare lo stato delle cose richiede tanta energia e sì, a volte qualche lacrima.

Magnus preferì lasciar perdere quel discorso, per il momento. Ciò che voleva, almeno per ora, lo aveva ottenuto.

Mattias era libero, il branco di Luleå avrebbe seguito nuove regole e, a molti mondi di distanza, Ragnhild avrebbe potuto compiere indisturbata il suo destino.

Al resto avrebbe potuto pensare anche il giorno seguente, dopo una buona notte di riposo.

 

 

1 Luleju: nome sami della città di Luleå.

 

N.d.A.: Scusate tantissimo questo ritardo mostruoso nell’aggiornare, ma il lavoro mi ha riempito completamente le giornate, non concedendomi neppure un attimo per il betaggio. Spero davvero di essere più puntuale, d’ora in poi, visto che le cose sembrano essersi assestate.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***



Cap. 29

 

 

 

Fu solo agli albori dell’alba che la caccia ai traditori poté dirsi conclusa – almeno per quel che riguardava la città di Hindarall – e, quando finalmente re Surtr poté schierare i traditori nell’ampio piazzale antistante il palazzo, la sua ira non avrebbe potuto essere più funesta.

La Fiamma Viva brillava vivacemente quanto minacciosamente, intorno a lui, e lunghe spire di fuoco si espandevano dal suo corpo lanciando ogni dove lampi di luce scarlatta e funesta.

Al suo fianco, vigile come un falco e pronto a intervenire se necessario, Yothan manteneva inguainata la propria spada, gli occhi puntati sulle Fiamme che avevano tradito e su coloro che, nel Concilio, avevano voluto la morte del loro re.

Alle spalle del sovrano, mano nella mano e avvinti a loro volta dalle spire di fuoco della Spada Fiammeggiante, Sthiggar e Ragnhild osservavano impassibili la scena e la giovane, con tono ormai stanco, dichiarò lapidaria nella mente del compagno: “Dormirò un mese di seguito, dopo questa maratona.”

“Tutto quello che vuoi” le concesse Sthiggar, sorridendole brevemente.

“Hildur ha già mandato gli emissari nelle città vicine per scoprire se ci sono degli altri traditori?” si informò quindi Ragnhild.

“Sì. Entro breve, conosceremo fino a che punto le spirali del tradimento si sono estese e,alla fine di tutto questo, noi due potremo prenderci finalmente una pausa.”

“Non vedo l’ora” sospirò Ragnhild prima di volgersi sorpresa per scrutare l’arrivo di una Fiamma Nera, interamente ricoperta dall’armatura e con il volto celato da un pesante elmo dal pennacchio corvino.

Sorpresa e confusa assieme, Ragnhild inviò un pensiero dubbioso al compagno, chiedendo: “Chi è?”

“Non credo sia Hildur, né mi pare di aver mai visto quella guerriera… quindi chi…” mormorò Sthiggar prima di fare tanto d’occhi quando, finalmente, comprese a chi appartenesse l’aura di quella Fiamma Nera in particolare.

Nel vedere a sua volta sopraggiungere la Fiamma Nera che tanto stupore aveva sollevato nell’Elsa e nella Lama della Spada fiammeggiante, il re declamò con voce tonante quanto gelida: “Spero abbiate finalmente compreso fin dove vi ha condotto la stolta ricerca della mia morte. Alla vostra!”

Uno a uno, i membri corrotti della Corte si ritrovarono loro malgrado a dover fronteggiare lo sguardo raggelante e insieme infuocato del loro sovrano che, con un cenno rapido e secco della mano, invitò la Fiamma Nera a compiere gli ultimi passi per raggiungerlo.

Dopo aver osservato l’alta guerriera sopravanzarlo con passo imperioso e sicuro, Surtr raggiunse il comandante delle Fiamme Dorate mentre Yothan si spostava per raggiungere il suo contingente di Fiamme Purpuree.

Sthiggar e Ragnhild, infine, si posizionarono dinanzi al battaglione delle Fiamme Nere, lasciando così che la guerriera in armi potesse compiere quanto richiesto implicitamente dal re.

Sollevata la lama ricurva che, fino a quel momento, aveva dimorato al sicuro nel fodero legato al fianco della guerriera, la Fiamma Nera compì un’autentica danza di morte tra i condannati, falciando l’aria e lasciando dietro di sé una scia di cadaveri via via maggiore.

A ogni nuovo taglio, a ogni elegante e ferale movimento di danza e lama, un fiotto di sangue insozzò l’armatura, ma la guerriera non se ne curò. Ella procedette con meticolosa precisione, non lasciando in vita neppure uno dei traditori fino a che, dopo aver condotto alle porte del regno di Hel una trentina di traditori, giunse infine dinanzi a Mikell e Thrydann.

Lì, la guerriera si levò finalmente l’elmo per mostrare ai presenti la sua reale identità e, quando Mikell si ritrovò a fronteggiare lo sguardo ribollente della sorella, trasalì visibilmente, impallidendo.

“Non avresti mai, mai dovuto tentare di uccidere il mio amore, fratello. Neppure per dare requie al tuo dolore. Tutti noi abbiamo amato Khyddar, e lui per primo non avrebbe mai voluto vederti compiere una simile vendetta, ma ormai è tardi per le parole, per le recriminazioni… per tutto. Muori da traditore, senza il mio perdono.”

Ciò detto, levò la spada per trapassargli il cuore mentre, tutt’attorno, un silenzio di morte accompagnava quell’ennesima esecuzione.

Quand’anche il corpo di Mikell cadde a terra privo di vita, Ilya poggiò la lama sul collo di un tremante Thrydann e, nell’aprirsi in un leggero sorriso pieno di gelida furia, aggiunse: “Come la nostra Elsa ti disse prima di badare amorevolmente alla tua famiglia, la tua bocca avrebbe dovuto essere usata con maggiore discernimento, ma ora non avrai più possibilità di farlo. Desiderare ciò che non si potrà mai avere senza comprendere quando fermarsi, può condurre alla morte. Muori da traditore, senza il perdono dei tuoi cari.”

Thrydann chiese umile perdono in un ultimo urlo disperato, sapendo quali atroci sofferenze gli sarebbero spettate in Hel, come traditore e condannato senza perdono, ma la lama di Ilya colpì con precisione, mozzandogli il capo senza più proferir parola.

A quell’ultimo gesto seguì il rinfodero della lama insanguinata; il fodero della spada avrebbe pensato autonomamente a rendere nuovamente lindo e intonso il metallo intarsiato di incantesimi elfici.

Solo a quel punto si volse verso il suo re e dichiarò con voce sicura: “Grazie per avermi concesso di punire i traditori di mia mano.”

“Non avrei permesso a nessun altro di farlo, visto che la richiesta è giunta direttamente dalla tua bocca, mio comandante in capo” mormorò in risposta il re, raggiungendola per stringerla in un abbraccio.

Ilya si lasciò avvolgere dalle sue braccia così come dalle sue fiamme e, solo all’ombra della sua possanza, poté finalmente lasciarsi andare a un pianto silenzioso.

Quando Surtr le aveva detto non soltanto della colpevolezza del fratello, ma anche della ferma convinzione di Mikell che Khyddar fosse morto per colpa loro, - del re in primis - Ilya non aveva avuto dubbi.

Lei, e lei sola, avrebbe dovuto mettere fine alla vita di coloro che avevano tradito il re, di coloro che avevano tradito il suo Surtr, di coloro che avevano messo a rischio la sicurezza di tutto Muspellheimr.

Khyddar aveva sempre amato Surtr, e il suo arruolamento nelle Fiamme Purpuree era nato dal desiderio del giovane di schierarsi nelle fila di soldati del suo amato zio, di coloro che erano deputati a servirlo e proteggerlo.

Mikell non si era mai sforzato di comprendere l’affetto che legava Khyddar a Surtr, né aveva mai dato peso alle ambizioni militari del figlio. Il suo ultimo gesto, per quanto impulsivo, aveva voluto essere l’estremo tentativo del giovane di dimostrarsi un degno combattente e, soprattutto un devoto e fedele suddito del sovrano.

Se non fosse stato per le subdole armi dokkalfaryan, Khyddar avrebbe potuto continuare a fare quanto aveva sempre desiderato per molti altri secoli ancora.

Questo, Mikell non lo aveva compreso, deputando a Surtr ogni colpa e imbastendo così contro di lui una vendetta che, però, non era stato in grado di gestire e che aveva portato, per diretta conseguenza, a ciò che era appena avvenuto.

Mikell era stato guidato dalla vendetta e si era fidato di persone gelose ed egoiste, per portare avanti il proprio piano e, questi sentimenti superficiali quanto effimeri, lo avevano condotto all’errore e, infine, alla morte.

Quando poté ritenersi in grado di reggere lo sguardo delle altrui persone, Ilya si scostò dal marito e, nel volgersi verso il suo acquartieramento di Fiamme Nere, richiamò a sé Hildur e ordinò: “Fai sgomberare il piazzale da questi traditori, dopodiché riunisci tutti i comandanti delle Fiamme nel Salone dei Rinfreschi. Ho intenzione di scambiare due parole con tutti loro.”

“Sì, comandande” mormorò Hildur con un inchino, sbraitando poi ordini ai suoi sottoposti perché mettessero in pratica le parole della regina.

Come un sol uomo, i soldati si mossero per eseguire gli ordini mentre Surtr, chiamati a sé Sthiggar e Ragnhild, disse: “Occorreranno giorni, forse settimane, perché l’epurazione venga terminata. Usate questo periodo per riposare. Quando sarà il tempo, verrete chiamati a Corte per la vostra investitura ufficiale.”

I due giovani assentirono silenti e Sthiggar, dopo un’ultima occhiata ammirata a Ilya, mormorò: “Non avevo davvero idea che il fantomatico comandante delle Fiamme Nere foste voi, maestà.”

La regina gli sorrise a mezzo, gli carezzò una guancia con fare materno e replicò: “Noi donne dobbiamo tenerci sempre qualche segreto nel cassetto, altrimenti come faremmo a stupire voi uomini?”

Lui allora rise debolmente, annuì e si inchinò, subito imitato da Ragnhild che, non sapendo bene quale fosse la riverenza giusta da fare, abbozzò un inchino che aveva visto tante volte alla TV, sperando potesse andare bene.

Ciò fatto, afferrò la mano di Sthiggar per allontanarsi e raggiungere Snorri, che li stava aspettando nei pressi delle porte d’ingresso del Palazzo e, solo in quel momento, iniziò a sentire sulle spalle il peso di quanto avvenuto.

Aggrappandosi letteralmente al braccio del compagno, Ragnhild mormorò fiacca: “E’ possibile fare immediatamente un riposino?”

Lui le sorrise comprensivo, annuendo e, quando finalmente raggiunsero Snorri, che attendeva in compagnia dei licantropi, di Thrym e Flyka, asserì all’indirizzo della sua donna: “Riposerai tutto il tempo che vorrai, Ragnhild. Hai sentito il re… abbiamo giorni interi, forse settimane, prima di dover ripresentarci gioco forza qui a palazzo.”

Guardando poi i suoi amici, aggiunse: “Quanto a voi, spero vorrete essere nostri ospiti per tutto il tempo che riterrete piacevole.”

Fenrir, pur grato per l’invito, scrutò un istante i suoi figli prima di dire: “Attenderemo che Surtr abbia sbrigato le sue faccende, poi ripartiremo quanto prima attraverso il varco di Bifröst. Sono in pensiero per Avya, perciò vorrei rientrare quanto prima su Midghardr.”

“Ti capisco, e non vi tratterrò oltre, allora” assentì Sthiggar, allungando una mano verso il dio-lupo. “Ringraziarvi mi sembra riduttivo ma, in mancanza d’altro, sappiate che sarò sempre vostro debitore. Potrete sempre contare su di me, per qualsiasi cosa.”

Fenrir assentì nel replicare alla stretta dopodiché, scrutando il volto ormai provato di Ragnhild, aggiunse: “Raggiungeremo tuo fratello per dirgli che stai bene. Hai un messaggio per lui?”

La giovane gli sorrise grata ma scosse il capo e replicò: “Fategli solo sapere che sto bene. Basterà. Ci eravamo già detti tutto il necessario prima di separarci.”

“Spero sinceramente di potervi rivedere in momenti migliori” terminò di dire Sthiggar, prendendo in braccio un’ormai provata Ragnhild che, con un ultimo sbadiglio, si lasciò crollare contro la sua spalla. “E’ ormai tempo che le trovi un letto in cui riposare. Usare l’energia dell’Elsa senza aver mai sperimentato prima un simile potere deve essere stato devastante, per lei.”

“Occupati della tua compagna come è giusto che sia” assentì Fenrir, dando una carezza al capo di Ragnhild al pari di un padre con la propria figlia. “E’ tempo per entrambi di raccogliere i frutti del vostro operato, così come lo è per noi quello di tornare.”

Detto ciò, Fenrir, Hati e Sköll si allontanarono per raggiungere Surtr e Sthiggar, nell’osservarli con sguardo grato, mormorò: “Abbiamo davvero cambiato le carte in tavola.”

“Se ne parlerà nei millenni a venire” annuì Snorri, dandogli una pacca sulla spalla prima di sorridere a una insonnolita Ragnhild. “Ma ora, è meglio andare. Ancora non sappiamo se casa nostra è stata colpita dall’attacco.”

Annuendo al padre, Sthiggar scrutò Thrym e Flyka prima di dire: “Il re vi concederà la grazia ma, almeno per il momento, penso che avrà ben altro a cui pensare. Rimarrete da noi finché sarà il tempo.”

I due muspell assentirono grati e, mentre il sole lentamente si faceva largo tra le guglie scure dei monti, il gruppo di Sthiggar si allontanò con passo leggero dal palazzo reale.

***

Per quanto distruzione e morte avessero colpito il Portale di Bifröst, l’entrata per il regno di Midghardr era ancora in piedi e Surtr, dopo un’ultima stretta di mano a Fenrir, dichiarò: “Sarete sempre i benvenuti, qualora desideraste tornare in momenti più consoni. Per parte mia, consideratemi vostro debitore. Ciò che avete fatto per il mio regno si narrerà nei tempi a venire e il buon nome della tua famiglia, Fenrir, verrà riabilitato per i posteri.”

“Mi basta sapere che la nostra missione è andata a buon fine. Il resto, possiamo lasciarlo in mano al Fato” dichiarò semplicemente Fenrir. “Torniamo con la serenità nel cuore, sapendo che Muspellheimr è in pace e che i suoi assalitori si guarderanno bene dall’attaccarvi, ora che la Spada Fiammeggiante vive.”

Surtr assentì divertito, scoppiò in un’allegra risata e chiosò: “E io che ho fatto di tutto per liberarmi di quel ragazzo! Ora dovrò tenermelo ben stretto, invece!”

Fenrir rise la pari dei figli e, dopo un ultimo saluto di commiato, prese la via del Bifröst, lasciando che un’intensa luce dorata li investisse, riportandoli in un battito di ciglia su suolo terrestre.

Quando infine emersero nel sud della Svezia, al riparo dagli sguardi dei curiosi grazie alla notte che avvolgeva quelle lande e a un cielo senza luna, Fenrir scrutò i propri figli con dolente rimpianto e, nel carezzare i loro volti di giovani uomini, mormorò: “E’ tempo di rientrare. In tutti i sensi. Ma sono lieto di aver potuto passare questi momenti assieme a voi, figli miei.”

Hati e Sköll annuirono orgogliosi e, senza dire nulla, abbracciarono con vigore il padre per imprimere nelle loro memorie la sensazione della sua forza, del suo profumo, del suo amore incondizionato.

Il Dio della Distruzione che tanto aveva terrorizzato i popoli e gli dèi era divenuto uomo per amore, si era battuto fino allo stremo per la sua famiglia e, come ultimo disperato tentativo di salvarli, aveva donato se stesso per loro.

Quale altro figlio avrebbe potuto dirsi più amato, più desiderato, più protetto di loro?

Quando infine i due giovani lupi si scostarono dal padre, Hati disse: “Torniamo dalla mamma.”

Fenrir e Sköll assentirono e, riprese forme di lupo, si confusero con la notte divenendo spettri, mescolandosi alla natura circostante e calpestando l’antico suolo in cui, in tempi immemori, dèi e demoni avevano dominato.

Fu una lunga cavalcata verso nord, mantenendosi sempre al limitare dei boschi, nascosti agli occhi dei curiosi o alle tecnologie più avanzate degli umani, protetti dal potere del sangue ancestrale di Fenrir e dai doni di Loki.

Per quanto Fenrir potesse disprezzare il padre, era pur sempre suo figlio e, nel corso dei millenni, le sue abilità gli erano divenute proprie, consentendogli di compiere le malie che lo avevano tenuto al sicuro dagli sguardi degli umani.

Solo per Avya aveva ceduto al desiderio di essere veramente visto e, a cagion di ciò, aveva potuto sperimentare il sentimento dell’amore, così come della perdita.

Ora, in quelle lande a lui straniere, in compagnia dei suoi figli, sorrise nel pensare a quanto, quella sua vita travagliata, gli avesse comunque donato e, tra sé, comprese di non essere pentito di nulla.

Sono lieto che tu lo pensi, figliolo.

“Mi hai tolto molto, Madre, ma ho anche avuto molto. Ora lo so per certo” rispose senza animosità il dio, rallentando l’andatura quando si ritrovarono in prossimità delle foreste di betulle nei pressi di Luleå.

Madre non rispose, ma in fondo non ve n’era bisogno. Le parole di Fenrir racchiudevano in sé ogni risposta.

Bloccando il proprio passo nell’approssimarsi alle prime case, Fenrir infine disse: “E’ tempo di tornare, Brianna. Come stai?”

Sono un po’ intorpidita, ma molto orgogliosa di te. E ora potrò vantarmi finché campo perché potrò dire di essere stata anche su Muspellheimr.

Fenrir rise di quelle ultime parole e, nel lasciare che Brianna riemergesse, le mormorò un ‘grazie’ di puro cuore prima di tornare nel suo angolo preferito, nella mente iperattiva della sua umana.

Parimenti, Jerome e Lance riemersero dai corpi di Hati e Sköll e, quando Brianna poggiò nuovamente lo sguardo sui membri della sua Triade, sorrise e mormorò roca: “Stavolta è stata dura.”

“Quando è comparso Lafhey, ho avuto davvero paura… ma Sthiggar e Ragnhild sono stati davvero grandi. In tutti i sensi” chiosò Jerome, accucciandosi a terra per fare un po’ di stretching. “Wow… non avevo mai passato così tanto tempo fuori dal mio corpo, e ora mi sembra che un TIR mi abbia investito.”

“Non lo dire a me!” esalò Lance, stiracchiandosi le braccia prima di sorridere a Brianna, che sembrava essere la più in forma tra loro. “Ora capisco perché tu e Fenrir vi allenate tanto a darvi il cambio.”

“Non si può mai sapere quando un casino inenarrabile può capitarti addosso” scrollò le spalle Brianna prima di socchiudere gli occhi e concentrarsi sulla presenza di Duncan, che avvertiva netta come un lampo nella notte. “Ehi… tutto bene?”

“Brie! Siete tornati! E lo chiedi a me, se va tutto bene?” esclamò sorpreso Duncan.

“Su Muspellheimr abbiamo avvertito l’energia di Avya, e Fenrir si è preoccupato molto. Puoi dirmi cos’è successo?”

“Caspita! Si è sentita fin lì? Beh, ti racconterò tutto quando ci vedremo. Immagino abbiate bisogno di abiti, per venire a Luleå. Rimanete lì dove siete. Ti rintraccerò con la tua aura e, in breve, vi porterò tutto.”

“Tu, comunque, stai bene, vero?” domandò ancora Brianna, non del tutto pacificata.

Lui allora rise dolcemente e replicò: “Sei tu che sei andata in guerra su un altro pianeta, non certo io.”

“Beh, la faccenda della guerra è opinabile, almeno a detta del mio alter ego. Quel che ha percepito Fenrir era spaventoso.”

“Come ti ho detto, ti spiegherò tutto.”

Sospirando, Brianna si scollegò, sapendo bene che Duncan non avrebbe aggiunto altro quindi si sedette su un masso ricoperto di muschio e mormorò: “A quanto pare, ci sono stati problemi anche qui, o Magnus non avrebbe mai chiamato Duncan.”

“Ecco perché mi sembrava di percepire l’aura del nostro amico orsetto!” esclamò sorpreso Jerome prima di ghignare e aggiungere: “Non voleva rimanere fuori dai giochi, eh?”

“Se questi li chiami giochi…” borbottò Brianna, passandosi una mano sul volto con aria esasperata.

Jerome scoppiò a ridere di fronte alla sua espressione e Brianna, nonostante tutto, sorrise. In fondo, le cose erano tornate quelle di sempre. Jerome la esasperava, Lance tentava di essere il pacere tra loro due e lei sbarellava comunque.

Niente di strano. Tutto andava bene, dopotutto.

***

Dopo aver ricevuto da Sarah abbastanza abiti per poter riprendere sembianze umane e potersi presentare a casa dei Thomasson, Brianna, Lance e Jerome salirono in auto con Bjorn, che aveva accompagnato la lupa all’imbocco della foresta.

Nel riconoscere in Bjorn uno degli zii di Magnus, Brianna domandò subito: “Allora… com’è andata, qui?”

“Meglio del previsto… e peggio. Magnus è devastato all’idea di essersi imposto con la forza ma, visto che dall’altra parte non si sono sentite ragioni, non c’è stato modo di evitarlo. Il capoclan aveva torturato diversi suoi famigliari e, quanto a Ragnhild, beh…”

Bjorn tentennò un momento e Brianna, presagendo un poco gradevole seguito della storia, si affrettò a dire: “Non ho bisogno dei particolari, non temere. Il solo fatto che abbiano trasgredito le vostre regole riguardanti le punizioni a un membro della famiglia, mi fa capire quanto la cosa si sia spinta oltre.”

Annuendo torvo, il berserkr aggiunse: “Avya ha tolto i poteri a coloro i quali si sono macchiati di tortura e il capoclan è stato destituito. Ora, a guidare il branco è temporaneamente Magnus ma, prima di andarcene da qui, eleggeremo un nuovo capobranco.”

“Come l’hanno presa, gli altri berserkir?” si informò a quel punto Lance, turbato da quella concatenazione di eventi traumatici.

Un simile putiferio non avveniva mai in pace e serenità e non era scontato che, all’atto della loro partenza, tutto non tornasse come in precedenza.

Bjorn però lo rasserenò subito, asserendo: “A quanto pare, ciò che è stato fatto a Ragnhild ha scosso molti berserkir che, evidentemente, tenevano in grande considerazione la ragazza. Questo ha impedito ogni tipo di rappresaglia. Pur se le regole d’ingaggio sono state rispettate pienamente, e perciò non avrebbe dovuto succedere in ogni caso, avere dalla nostra parte il rispetto dei berserkir nei confronti di Ragnhild ha aiutato molto.”

Brianna ripensò alla donna-orso che avevano lasciato poche ore prima, alla fierezza con cui aveva combattuto, allo sprezzo del pericolo dimostrato nonostante si trovasse su un pianeta del tutto sconosciuto, e utilizzando poteri che mai aveva usato in vita sua.

Aveva dimostrato coi fatti, oltre che con le parole, di essere un’autentica guerriera, una leader nata, una donna da seguire con ardore, e questo suo ardimento doveva essere giunto a toccare anche gli animi dei berserkir più conservatori.

Forse, a Ragnhild avrebbe anche fatto piacere saperlo, ma dubitava che in quel momento ne avrebbe tratto alcuna soddisfazione.

Brianna non dubitava che, al momento, il ricordo del suo clan le procurasse ancora troppo dolore. Un domani, probabilmente, le sarebbe piaciuto conoscere anche questa parte della storia, ma non certo ora.

Quando infine raggiunsero casa Thomasson, Brianna scese in fretta dalla jeep non appena vide Nathan e Hannah giocare nell’antistante giardino in compagnia di Mattias e, sorridente, li avvicinò di corsa per poi avvolgerli tra le braccia.

“Mamma!” strillarono in coro i due bambini, stringendosi a lei e baciandola ripetutamente mentre Brianna faceva lo stesso con loro.

Sulla porta di casa, Duncan si affacciò per sorridere a quella vista e, mentre Lance e Jerome lo raggiungevano assieme a Sarah e Bjorn, lui domandò: “Tutto bene, dall’altro lato dell’universo?”

“Abbiamo fatto la nostra parte… ma tu che hai combinato, con Avya? Papà ha quasi dato di matto!” ironizzò Jerome, indicando poi con un dito Brianna che, in quel momento, stava sollevando su ciascun braccio i figli per poter entrare in casa assieme a loro.

Duncan abbozzò un sorriso e replicò: “Vi racconterò tutto più tardi. Ora venite dentro… e non farsi sentire da Brianna a chiamarla papà, se non vuoi che ti spelli vivo.”

Jerome ghignò in risposta, ma non promise nulla.

I tre Gerarchi, dopo quel breve scambio di battute, si mossero quasi all’unisono per entrare e, mentre Brianna li raggiungeva, Mattias colse l’occasione per chiederle: “Come sta Ragnhild?”

Lei gli sorrise dolcemente, asserendo: “Sta benissimo, anche se è stanca e provata dalla battaglia. Mi ha detto di dirti che lei sta ottimamente e che non avrà problemi ad adattarsi a quel nuovo mondo. Pensava che ti sarebbe bastato sapere questo, ma posso dirti anche altro, se vuoi.”

Mattias, però, scosse il capo e replicò: “Ho visto come la trattava Sthiggar, e come anche suo padre l’ha accolta. Mi basta. E’ con persone che le vorranno per sempre bene.”

Perdendo il suo sorriso, Brianna poggiò a terra Nathan e Hannah non appena furono entro le mura di casa e, abbracciando stretto Mattias, mormorò: “Anche tu le vorrai per sempr bene e, anche a così grande distanza, lei sentirà in ogni momento il tuo amore.”

Lui assentì grato, lasciando che il calore di Brianna lo avvolgesse e, quando anche Nathan e Hannah si unirono a quell’abbraccio – forse avvertendo la necessità di rendersi utili – trovò anche la forza di sorridere.

La sorella gli sarebbe mancata immensamente, ma ora era dove avrebbe sempre dovuto essere stata. Elsa della Spada Fiammeggiante, compagna di Sthiggar, fedele suddita muspell.

***

Brianna fece tanto d’occhi, dopo aver scoperto cosa avesse causato l’onda di energia che aveva attraversato i Mondi fino a raggiungere Fenrir su Muspellheimr e Duncan, nel sorriderle divertito, asserì: “Alla fine dell’opera, Avya era devastata ma, sotto sotto, credo si sia anche divertita. Ora sta riposando saporitamente ma, poco prima di sentirla assopirsi, mi è sembrata soddisfatta dell’operato svolto.”

Credo abbia sempre desiderato snudare le armi contro Odino, nonostante i propositi di pace che l’hanno sempre guidata, chiosò Fenrir, facendo sorridere Brianna.

“Ci piaccia o meno ricordarlo, lui le aveva tolto il suo grande amore e, per quanto aperta di idee possa essere sempre stata, certe ferite non si cancellano facilmente”, sottolineò Brianna per poi guardare Magnus, che sedeva su una poltrona sul fondo del salone e, silente, osservava le ombre lunghe nel giardino e l’approssimarsi della notte.

Sul suo volto erano evidenti i segni dell’affaticamento dovuto al combattimento svoltosi poco tempo prima ma, altresì, anche la ferita lasciata dall’aver dovuto imporsi con la forza.

Lui, che da sempre aveva cercato di evitare lo scontro, si era visto costretto non soltanto a punire i genitori di un ragazzo innocente, ma a imporsi a suon di pugni per poter riabilitare il nome della propria razza. Non faceva specie che fosse turbato.

“Ehi, là dentro… come va?” mormorò Brianna, tentando un approccio.

Magnus sobbalzò di sorpresa e, nel volgersi per osservarla, accennò un sorriso prima di tornare a osservare il giardino.

Scusandosi con i presenti, quindi, Brianna si alzò in piedi, subito seguita da Hannah, e si diresse verso Magnus con l’intento di parlargli. Chiestogli poi un incontro privato, attese che il giovane berserks si elevasse dalla poltrona dopodiché, seguitolo fuori casa, raggiunsero insieme un piccolo gazebo e lì, consolatoria, Brianna disse: “Niente di ciò che hai fatto è stato sbagliato.”

Hannah allungò le braccia per farsi accogliere dall’abbraccio di Magnus proprio mentre lui cedeva alle lacrime e, demoralizzato, il giovane si strinse al petto la bambina e mormorò: “Perché ho dovuto agire con la forza? Perché non hanno compreso i loro errori prima che si arrivasse a questo?!”

Carezzandogli dolcemente il viso, sul volto un sorriso dolente e che sapeva di occasioni perdute, di morti ingiuste e di decisioni terribili prese nel corso degli anni, Brianna confessò con candore: “Perché niente è perfetto, Magnus. Siamo tutti fallibili, tutti commettiamo errori e, dove possiamo, cerchiamo di rimediare. A volte, però, proprio non si può, e allora dobbiamo distruggere tutto dalle fondamenta per poter ripartire, si spera più forti e più saggi di prima.”

“No lacrime, Magnus” mormorò addolorata Hannah, cancellando le sue lacrime con le dita paffute prima di stringerlo forte al collo e nascondere il viso contro la sua spalla.

“Oh, Hannah…” singhiozzò Magnus, stringendola maggiormente a sé mentre Brianna faceva lo stesso con lui. “Brianna, io…”

“E’ giusto che tu pianga, Magnus, anche se Hannah è triste nel vederti giù di corda, perché sei un ragazzo buono, con un cuore grande, a cui è stata data in sorte una missione enorme da svolgere. Nulla si può risolvere in un batter di ciglio, ogni cosa richiede il suo tempo e, spesso, si inciampa durante il percorso…” sussurrò dolcemente la donna, cullandolo come meglio le riuscì, vista l’evidente differenza di statura e stazza. “… nel tuo caso, però, gli inciampi ti potranno sembrare abnormi, difficili da sopportare. Sappi comunque questo; noi siamo con te, noi crediamo in te e, come è avvenuto oggi, sarà così anche domani. E domani ancora.”

“Non volevo danneggiare nessuno, ma ciò che hanno fatto i genitori di Mattias era davvero troppo…” singhiozzò Magnus, piegandosi in avanti fino a crollare in ginocchio, accompagnato in quella caduta controllata da Brianna, che gli strinse il capo contro i seni per poi baciargli i capelli con calore.

“Lo so, tesoro, lo so…” mormorò lei, annuendo più e più volte. “Molte morti mi accompagnano da tempo, Magnus, e alcune di loro sono difficili da sopportare, ma ho anche avuto molto, dalla vita.”

Nel dirlo, sorrise a Hannah, che diede un bacetto a Magnus prima di scivolare via e correre in casa.

Rimasti soli, i due si strinsero in un abbraccio più completo e Magnus, con un singhiozzo addolorato, ansimò: “E’ così difficile, Brianna! E’ così… pesante!”

Lei assentì ancora e ancora finché, sorpresa, non avvertì il tocco di Nathan, nuovamente quello di Hannah e, sorprendentemente, quello di Mattias che, all’unisono, si strinsero a Magnus formando una sorta di scudo. Scudo che, nelle loro infantili intenzioni, fu eretto per proteggerlo da ogni male, da ogni dolore.

Magnus, allora, allargò le braccia per avvolgerli strettamente a sé e a quel punto Brianna, sollevandosi in piedi, li lasciò soli per rientrare in casa dove Sonja, la zia di Mattias, le sorrise mormorando: “Era così abbattuto, dopo il termine dell’Ordalia, che ho temuto per la sua salute. Ora, però, sembra essersi ripreso.”

“Magnus ha un cuore grande, e questo comporta anche grandi dolori, quando si devono prendere decisioni difficili, ma ora che li vedo insieme so che tutto andrà per il meglio. La nuova generazione, forse, saprà evitare gli errori che compirono i nostri predecessori e che noi stessi compimmo agli albori del nostro dominio” asserì Brianna, meditabonda.

Sonja assentì grave e, assieme a Brianna, rientrarono in casa, lasciando che la notte avvolgesse i giovani ancora strettamente abbracciati tra loro.

Il dolore di ognuno si curava in modo diverso, e quei ragazzi avevano trovato la loro strada, il loro sistema per curare le rispettive incertezze. Era giusto lasciare che se la cavassero con le proprie forze poiché, presto o tardi, sarebbero stati soli, a camminare verso il futuro.

Nel rientrare in salotto, Brianna si strinse a Duncan che, dopo averle baciato una guancia, mormorò: “Come sta?”

“Starà bene” assentì lei.

“E tu?”

“Mai stata meglio” gli sorrise lei, accoccolandosi sulle sue ginocchia e lasciando che l’aura del marito la avvolgesse completamente.

Erano passati anni dal loro primo incontro, dalla prima vita che aveva strappato i legami col suo passato e la prima che si erano reciprocamente salvati, eppure comprendeva ancora più che bene come si sentisse Magnus.

Ogni loro azione avrebbe sempre comportato pesi da portare, cicatrici da rimarginare, dolore da sopportare e cancellare, poiché detenevano poteri inimmaginabili e di difficile gestione.

Ma, proprio perché era già passata in quel particolare tritacarne emotivo, sapeva che anche il giovane amico si sarebbe ripreso e forse, un domani, avrebbe avuto in dono le stesse gioie che aveva ricevuto lei.

 

 

 

 

N.d.A.: siamo quasi alla fine di questa avventura… spero che la soluzione di ogni cosa abbia risolto i quesiti fin qui sollevati e vi abbia concesso qualche momento di serenità.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


 

Cap. 30

 

 

 

Stiracchiandosi svogliatamente mentre, poco alla volta, il suo corpo e i suoi sensi tornavano a famigliarizzare con la vita di tutti i giorni, Ragnhild aprì gli occhi al nuovo giorno e sbatté confusa le palpebre.

Le pareti intonacate con stucchi color pesca erano intervallate da ampie vetrate, vaporosi tendaggi in leggera seta di ragno e arazzi di sopraffina bellezza.

Ragnhild non aveva idea se le scene ricreate da quelle magnificenti opere d’arte fossero scorci di antiche guerre o sprazzi di mistici racconti, ma amava osservarli a ogni suo risveglio.

In quei giorni si era spesso persa in contemplazione di quegli stupendi ricami e, più di una volta, Sthiggar l’aveva colta di sorpresa, abbracciandola alle spalle prima di sorridere della sua sorpresa.

Da quel che era venuta a sapere per bocca di Snorri, quegli arazzi erano stati confezionati dalla sua defunta moglie e, proprio per questo, Raghnild si era ben guardata dal fare ulteriori domande in merito ad essi.

Sapendo le cause della morte della madre di Sthiggar, aveva preferito non indagare troppo, pur se la curiosità ancora la accarezzava diabolica ogni qualvolta i suoi occhi si posavano su quelle opere.

Fu proprio per questo che distolse lo sguardo, lanciando un’occhiata oltre la barriera trasparente offerta dai vetri molati delle vetrate, scrutando il contorno morbido e accarezzato dal vento delle chiome degli alberi al di là dei confini della villa.

Alte mura di cinta ad ali di gabbiano cingevano la vasta proprietà in cui ora dimorava e, quand’anche l’ultimo frammento di sonno fu scomparso, Ragnhild si ritrovò a sorridere, pensando a dove si trovasse esattamente quella proprietà.

Le colline che sovrastavano Hindarall, capitale di tutti i regni muspell, erano state risparmiate dalla battaglia e quando lei, Sthiggar, Snorri, Thrym e Flyka avevano raggiunto la villa, l’avevano trovata miracolosamente intonsa.

Nascosti in una stanza e armati di bastoni e altre armi di fortuna, i domestici di casa Glenrson avevano pianto di gioia, alla vista del loro signore e, quand’anche Sthiggar aveva fatto la sua apparizione, ognuno di loro aveva plaudito il suo ritorno.

Concitate erano state le domande in merito a quanto avvenuto in città e Snorri, ben sapendo come potessero sentirsi, aveva concesso a ogni membro della servitù di recarsi presso le rispettive famiglie per sincerarsi delle loro condizioni.

Solo a quel punto aveva mostrato ai suoi ospiti le camere in cui alloggiare, e a Sthiggar era rimasto il compito di mostrare a una assonnata Ragnhild dove si trovasse la sua camera da letto.

Con movimenti gentili, l’aveva quindi sistemata tra le coltri e, con un bacetto, l’aveva lasciata al suo sonno.

Che era perdurato per tre interi giorni, intervallato solo da brevissimi – quanto confusi – stati di veglia, in cui Sthiggar l’aveva nutrita con pasti leggeri prima di lasciare che tornasse al suo sonno rigenerante.

Al quarto giorno, Ragnhild si era infine risvegliata, più riposata di quanto non fosse giunta in quella casa enorme e bellissima, ma anche affamata come poche altre volte era stata in vita sua.

Ritrovarsi Sthiggar al fianco, addormentato e meraviglioso, con il simbolo della Fiamma Viva ben evidente sulla sua ampia schiena, l’aveva resa felice, ma la fame l’aveva comunque strappata alle coltri, spingendola a cercare la cucina.

Avvolgendosi nella vestaglia del compagno – ben decisa a non svegliarlo – si era quindi aggirata per casa finché non aveva trovato uno dei domestici che, gentilmente, l’aveva accompagnata fino alle cucine, lasciandola nelle mani della cuoca.

Lì, era stata servita con frutta fresca, latte caldo e aromatizzato con una spezia che le aveva ricordato molto la cannella dopodiché, ormai stremata dalla fame, si era gettata su dei panini dolci appena sfornati, facendo la felicità della domestica.

Sthiggar l’aveva trovata ancora in cucina e, quando si era avvicinato per darle il buongiorno, lei lo aveva accolto con un abbraccio e un sorriso.

Da quel primo risveglio erano passati almeno dieci giorni, eppure ogni mattina si sentiva stranita, quasi le sembrasse tutto un sogno e avesse il timore di risvegliarsi davvero da un momento all’altro.

“Ancora dubbiosa, lylyhan?” mormorò Sthiggar, sorprendendola con un bacio sul collo e chiamandola teneramente con il suo nuovo nomignolo; fiammella.

Sthigg l’aveva presa bonariamente in giro, rammentandole quanto lei si fosse divertita – a suo tempo – chiamandolo ironicamente stoppino, coniando così per lei quello sciocco, ma dolcissimo, nomignolo.

Lei sorrise appena nel volgersi verso Sthiggar e, lasciatasi avvolgere dal suo corpo nudo e bollente, mormorò di piacere un dolce buongiorno prima di ammettere: “Ho sempre il terrore di svegliarmi di nuovo a Luleå e di scoprire che, non solo tu non ci sei, ma che tutto questo non è mai avvenuto.”

“Posso assicurarti che è tutto vero, e passerò il resto dei miei giorni a convicerti” le promise lui, carezzandole teneramente il corpo prima di sussurrare: “Voltati piano e guarda verso il bosco.”

Ragnhild lo accontentò e, nel portarsi una mano dinanzi alla bocca per non lanciare un grido di pura meraviglia, fissò costernata la stupenda creatura che stava passeggiando al limitare della boscaglia, proprio vicino al muro di cinta.

Quando Ragnhild aveva scoperto la presenza di quei fantastici animali, ne era rimasta strabiliata, perciò Sthiggar era stato felice di dirle che, nei pressi della loro abitazione, ne esisteva un intero branco.

Sollevandosi piano in ginocchio per meglio ammirarlo, Ragnhild sentì le lacrime bagnarle gli occhi per l’emozione così, nello scacciarle con rapidità, mormorò: “Ripetimi ancora il loro nome, per favore.”

Ragnhild” sussurrò lui, dandole un bacio sulla spalla per poi imitarne la postura. “I destrieri di fiamma di sua maestà il re. Guidano il cocchio del sovrano, e le loro ali di fiamma illuminano i cieli, quando li solcano portando Surtr verso la battaglia.”

“Avviso. Di battaglia” gorgogliò lei, rammentando il significato del proprio nome che, per tanti anni, aveva detestato.

Sthiggar le baciò la carne tenera dietro l’orecchio proprio mentre il ragnhild all’esterno della villa si involava leggiadro verso il centro della foresta e, in un mormorio sensuale, asserì: “Te l’avevo detto di non denigrare il tuo nome, o sbaglio?”

“Già” assentì lei, sorridendogli prima di gettargli le braccia al collo e sbilanciarlo fino a farlo cadere tra le coltri calde e stropicciate.

Sthiggar rise divertito, la avvolse gambe e braccia con le proprie e mormorò divertito: “Ricordo un’altra volta, in cui ci siamo trovati in una posizione simile, sai?”

Lei sorrise deliziata, annuì e disse: “Il nostro primo bacio. Lo rammento bene.”

“E ti andrebbe di ricordare anche altri momenti?”

“Con vero piacere…” sussurrò lei, affondando nella sua bocca per un bacio pieno di passione. “… ma dovremo fare in fretta. Oggi c’è la cerimonia.”

“Abbiamo tutto il tempo” gorgogliò lui, lasciando che loro auree si fondessero tra loro.

***

Molte ore dopo, e dopo diversi tentativi di venire a patti con gli strani abiti da cerimonia che il sarto della regina Ilya aveva personalmente confezionato per loro, Ragnhild lanciò un’occhiata alla se stessa riflessa nello specchio.

Indossava non meno di quattro strati di abiti e armi, se non contava i confortevoli – anche se strani – indumenti intimi in seta scura che la regina aveva commissionato per lei.

Una leggera gonna a balze color canna di fucile era stata abbinata a una camiciola rosso fuoco, legata sui fianchi da esili nastri ricamati in oro. Ragnhild ne aveva riso un po’; che senso aveva ricamarli, visto che sarebbero stati nascosti dal resto degli abiti?

Quanto, però, Sthiggar le aveva spiegato che i ricami erano intessuti di magia protettiva, la giovane lasciò perdere qualsiasi altro commento per continuare a indossare il suo complesso abito da cerimonia.

Un sopratunica smanicato di un tono più scuro di rosso le era stato sistemato sulle spalle, mentre una leggera cotta di maglie in oro brunito le era stata posta sul torace per essere poi fissata sui fianchi e le spalle tramite stringhe di cuoio morbidissimo.

Alla cotta di maglie era stata affiancata una lunga e leggera spada dall’elsa filigranata in oro e intrisa di microscopici rubini, inserita in un elegante fodero di pelle bianca, su cui era stato ricamato il simbolo della Spada Fiammeggiante.

A tutto ciò, infine, era stata aggiunta una tunica nera a ricami d’oro sulla schiena, in tutto simile a quella che indossava Sthiggar, e che rappresentava la loro unicità di Elsa e Lama.

Non ancora del tutto convinta, si mosse dubbiosa di fronte allo specchio per osservare le ampie maniche della tunica che, leggere, galleggiavano nell’aria a ogni suo movimento, prima di domandare al compagno: “Sei sicuro che sia giusto che io indossi un’armatura, pur non essendo un soldato?”

“Tuo malgrado, lo diventerai. Yothan ha già fatto sapere che ci prenderà come suoi allievi personali, perciò mettiti il cuore in pace. Stai solo anticipando di qualche decennio ciò che avverrà in futuro” le ricordò lui, vedendola storcere il naso in risposta.

“Mi sembra comunque di rubare” sottolineò lei, tastando con un dito la cotta di maglie che, per quanto pesante, era davvero ben confezionata.

Sapeva che era un indumento cerimoniale, più che un vero oggetto di guerra – l’oro non era un materiale resistente, e sarebbe stato disastroso combattere con una simile cotta di maglie – ma non le sembrava comunque giusto indossarlo.

“Te la sei meritata sul campo, e nessuno avrà da ridire sull’armatura da cerimonia da Fiamma Purpurea che hai indosso” replicò lui, sistemandosi l’orlo della tunica prima di afferrare l’elmo con il pennacchio che Ragnhild aveva scorto, mesi addietro, nei suoi sogni.

Contrariamente a lei, Sthiggar indossava un’armatura più complessa, comleta di schinieri, bracciali, pettorale e, per l’appunto, elmo, ma anch’egli indossava una tunica identica alla sua, oltre a pesanti medaglioni e nappe colorate.

Ciò che vedeva era esattamente lo spettro di quello che aveva visto nella sua visione/sogno di qualche tempo addietro, solo che ora anche lei indossava quelle vesti, ed era a pieno titolo una muspell come l’uomo che amava.

Era strano pensare ai percorsi così differenti che avevano avuto nelle loro vite e al fatto che, nonostante la distanza che li aveva separati alla nascita – sia temporale che fisica – loro erano comunque riusciti a incontrarsi e a far risvegliare la Spada Fiammeggiante.

Non voleva dare il merito al Destino del loro amore, perché era più che certa che alcune cose – almeno quelle – fossero ancora nelle loro mani, ma il fatto di essere destinata a divenire lo specchio di Sthiggar, la sorprendeva ancora.

Lei e lui erano le due parti di un Tutto, Elsa e Lama della Spada Fiammeggiante, l’arma più potente e temuta dei Nove Regni – ops, Otto – e, per quanto si sentisse ancora inadeguata a ricoprire quel ruolo, aveva dato mostra di sapere il fatto suo.

“Tranquilla, fanciulla. Avrai al tuo fianco ottimi maestri, e confido che Sthiggar sia maturato abbastanza per esserti di aiuto, finalmente in grado di dimostrare l’amore che ha dentro” mormorò dentro di lei Sól.

La giovane sorrise nell’udire la voce della dea – da quando l’avevano incontrata nei pressi di Yggdrasil, spesso la sua presenza sicura e protettiva l’aveva accompagnata per mano – e, annuendo tra sé, replicò: “Mi fido di loro. Soltanto, è strano poter dire di essere felice.”

“Ci si abitua anche alla felicità… ma non permettere che ti venga a noia.”

“Dubito succederà” replicò sicura Ragnhild, prendendo per mano Sthiggar per poi uscire dalle loro stanze.

Ad attenderli nel salone trovarono Snorri, abbigliato coi paramenti di Gran Sacerdote e, quand’anche Thrym e Flyka li raggiunsero – in abiti civili, ma sempre abbigliati dal sarto reale – Sthiggar prese un gran respiro e disse: “E’ ora di andare.”

“Vedi di non cacciarci nei guai, guidando il cocchio reale” gli strizzò l’occhio Thrym, facendolo scoppiare a ridere.

“Ormai ho capito come evitare i casini, credimi, e ho chi mi fa buona guardia” replicò Sthiggar, ammiccando a una sorridente Ragnhild.

In buon ordine, il gruppo si spostò quindi nel cortile antistante la villa e, da lì, poterono scorgere i lavori di rigoverno della città e i segni ancora inequivocabili della battaglia avvenuta un paio di settimane addietro.

Hindarall avrebbe portato ancora a lungo le ferite di quell’assalto, così come i suoi abitanti, ma i muspell erano abbastanza forti e resilienti per resistere anche a quello scorno.

Si sarebbero rialzati ancora una volta, più forti di prima e, stavolta, a governarli sarebbe stata solo la mano forte e sicura del re, non più frenata – o deviata – dagli istinti corrotti dei traditori che avevano tentato di minarne il potere.

Elevatisi sulla città con il cocchio offerto loro dal sovrano, il gruppo raggiunse quindi la reggia senza perdere altro tempo e, quando infine gli zoccoli dei ragnhild si poggiarono sul pavimento del cortile antistante il palazzo, Sthiggar sorrise.

Lì, radunati in schiere ordinate, le Fiamme del re attendevano solo il loro arrivo e, sul palco predisposto innanzi alle immense porte del maniero, i reali attendevano ritti e immobili, in attesa che loro li raggiungessero.

Guidati da Snorri, che apriva la fila, Sthiggar, Ragnhild, Thrym e Flyka oltrepassarono due ali di Fiamme in alta uniforme e, quando sfilarono dinanzi a Hildur, lei strizzò l’occhio al cugino prima di vederli passare con passo sicuro.

Raggiunto infine il palco, Snorri ne salì gli scalini ricoperti da un pesante tappeto rosso e nero, mentre il resto del gruppo si inginocchiò ossequioso alla presenza di Surtr e della regina Ilya.

Dopo essersi sistemato al fianco della sovrana, il Gran Sacerdote sorrise al re, dando così ufficialmente inizio alla Cerimonia di Investitura.

Surtr non si fece certo attendere e, con voce tonante, rammentò ai presenti le gesta dei celebrati, sottolineando come la venuta della Spada Fiammeggiante fosse un orgoglio che tutto Muspellheimr doveva festeggiare.

In privato, stavolta, senza invitati esterni e con i cancelli di Bifrost ben chiusi. Giusto per evitare guai.

Questa precisazione fece sorgere diverse risatine a stento controllate, ma Surtr non si scompose, né se la prese. Aveva anzi sperato che le Fiamme reagissero così.

Vi erano stati troppi caduti, troppi tradimenti e troppi voltafaccia, anche tra le file dell’esercito, e il cuore di ognuno di loro aveva sofferto e stava ancora soffrendo per quanto accaduto. Era perciò necessario che anche la gioia tornasse a far parte delle loro vite.

Stringendo quindi per un momento la mano di Ilya, che aveva pianto per giorni la morte del fratello, essendo stata lei stessa l’artefice della sua fine, il sovrano le consegnò la scatola contenente le medaglie da designare ai celebrati.

La regina, a quel punto, discese dal palco e, dopo aver nominato uno a uno coloro che si erano distinti durante la battaglia di Hindarall, permise loro di sollevarsi in piedi e mise al collo di ognuno la medaglia per i servigi resi.

A questo, seguì un bacio sulla guancia in segno di ringraziamento.

Con Sthiggar, però, Ilya ruppe il protocollo e, strettolo in un abbraccio, gli mormorò un grazie  di puro cuore e Ragnhild, al suo fianco, sorrise ironica e sussurrò: “Raccomandato.”

Sthiggar rise di quella battuta e Ilya, nello strizzare l’occhio alla giovane, replicò: “Lo so, sono di parte.”

Ciò detto, tornò sul palco assieme al marito – che stava sogghignando divertito – e decretò il termine ufficiale della premiazione per permettere ai presenti di rompere le righe.

Vi sarebbero stati momenti meno felici, nel futuro, una volta che anche i più sperduti traditori del regno fossero stati trovati e condotti a palazzo per una degna punzione, ma non era questo il giorno in cui pensarci.

Osservando come gli amici di Sthiggar stringevano le mani dell’amico, o si complimentavano con Ragnhild per il successo del loro arrivo a Muspellheimr in grande stile, Surtr sorrise soddisfatto.

Era vitale che la Spada Fiammeggiante fosse ben voluta, poiché molta della sua forza dipendeva dall’animo di coloro che la componevano.

Un tempo, Sthiggar non sarebbe mai stato in grado di padroneggiare un simile potere, e neppure la stessa Ragnhild ne avrebbe avuto la forza o la determinazione ma, assieme, creavano un Unico indissolubile. Una Leggenda divenuta reale, un’arma dalle inimmaginabili potenzialità ma, agli occhi di Surtr, soprattutto due giovani amanti che, insieme, avevano dimostrato di potersi riscattare dal loro infelice passato.

“Non sono bellissimi, insieme?” mormorò al suo fianco Ilya, stringendosi al suo braccio.

Surtr si limitò ad assentire, sapendo di non poter mettere a parole le molteplici motivazioni per cui li trovava splendidi ma Ilya, ben conoscendo il marito, non si aspettò una risposta e aggiunse soltanto: “Sarà un peccato non poterli avere qui con noi, più avanti. Yothan ha detto che li addestrerà ben lontano dalla capitale.”

Il re allora ghignò all’indirizzo della sua regina e replicò: “Ma non eri tu che ti esasperavi al solo sentir nominare Sthiggar, quando ce lo portavano qui?”

La regina fece finta di non capire, limitandosi a replicare: “Ti sbagli con qualcun altro. Io ho sempre adorato quel ragazzo.”

Surtr allora rise, ammiccò a un orgoglioso Snorri e celiò: “Forse mi confondo con qualcun altro, vero amico mio?”

“Può essere, Sire. Può essere” ammiccò Snorri.

 

 

 

 

N.d.A.: qui terminano gli eventi di Muspellheimr e, con l’epilogo della settimana prossima, metterò la parola "Fine" su questa storia. Non so se altre ne verranno, o se mi concentrerò solo su storie brevi od OS. Tutto dipenderà da cosa mi dirà la testa. Per ora, vi ringrazio e vi attendo per i saluti finali.

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Capitolo 31
*** Epilogo ***


Epilogo

 

 

 

Magnus stava osservando l’albeggiare lento e costante, la figura ritta e silenziosa che si stagliava come una statua alla luce dei primi raggi del sole mattutino.

La sua postura marziale e ombrosa avrebbe potuto trarre in inganno le menti più superficiali ma, quando Gunther Olegsson si avvicinò al nuovo capoclan ad interim del branco di berserkir di Luleå, lo fece con assoluta tranquillità.

Non avrebbe mai avuto nulla da temere da quel giovane, che si era presentato soltanto il giorno prima per metterlo al corrente dei cambi di potere in atto nel branco e della buona riuscita della missione su Muspellheimr.

Trovarlo quella mattina all’imbarcadero, con il volto rivolto a Est e l’espressione cupa, lo aveva sorpreso e, dopo aver tranquillizzato la moglie, era uscito di casa fino a raggiungerlo.

Quanto infine si posizionò al suo fianco, gli sorrise appena e disse: “Buongiorno. Risveglio tormentato, forse?”

“Il peso delle mie azioni comincia a ripercuotersi su di me e sì, anche sulla qualità del mio sonno” ammise il giovane, cancellano dopo alcuni attimi il nero cipiglio che fin lì aveva dipinto il suo volto imberbe.

“Non mi permetterei mai di darti consigli, visto colui che risiede dentro di te, ma accetterai da un vecchio qualche parola astuta?” ammiccò Gunther, facendolo sorridere.

“Credimi, qualsiasi consiglio sarà ben accetto da entrambi, poiché entrambi noi desideriamo non commettere ulteriori errori. Per il bene della mia gente, ma anche delle persone che non sanno nulla di noi” lo pregò quindi Magnus, annuendo con fervore.

“Lascia che ti dica questo, giovane capoclan… ho vissuto più vite di quanto potresti immaginare, poiché non sempre sono stato un soldato e, da quando ho perso la mia Fiamma per poter abitare qui come umano, altre cose ho imparato in totale autonomia, e altrettante mi hanno segnato” esordì Gunther, lasciando che il suo sguardo d’acciaio vagasse sulle placide acque dalla baia, ora illuminate dal sole ormai sorto. “Vi saranno sempre ostacoli e sempre vi saranno scorciatoie. Affronta gli ostacoli a testa alta e utilizza le scorciatoie solo quando serve, non quando ti sembra più facile. Vi saranno sempre persone che cercheranno di impedirti di compiere ciò che devi, ma tu hai il dovere di affrontarli, poiché aggirarli sarebbe pericoloso.”

“E se avessi paura del confronto?”

Devi averne, o saresti stolto” replicò Gunther con candore. “La paura ci mantiene vigili e vivi ma, soprattutto, ci permette di essere umili. Bada bene, la paura, non il panico. Il panico rende ciechi e sordi a qualsiasi consiglio. Sono due cose ben diverse.”

“Come discernere le due cose, però?” ribatté Magnus, confuso.

“Finché avrai dinanzi a te il quadro completo, ma dubiterai e chiederai consiglio, allora la tua sarà una paura giustificata e sana. Quando niente ti sarà chiaro e nessuna voce riuscirà a giungere alle tue orecchie, allora saprai di essere nei guai, perché il panico avrà preso il sopravvento su di te” ammise Gunther con tono più che serio.

“E se dovesse succedere?”

Qualora succedesse, interverrò io e ti darò una sonora lavata di testa, intervenne Odino con tono allegro.

Magnus non poté evitare di sorridere, a quel commento e Gunther, levando un sopracciglio, domandò: “Ti hanno già risposto in merito, forse?”

“Già” ammiccò Magnus, un poco più tranquillo, tornando a osservare i colori cangianti del mare, baciati dai calorosi raggi del sole del mattino.

“Farai bene, e forse sbaglierai anche, ma fa parte dell’apprendimento e della crescita” chiosò quindi Gunther, dandogli una pacca sulla spalla.

“Così è” annuì debolmente il giovane, ammiccando al suo indirizzo.

“Colazione e caffè?” domandò allora Gunther, invitandolo a rientrare con lui.

“Sì, grazie” rise gentilmente Magnus, accodandosi al possente ex guerriero muspell.

***

Osservando la scena dalla strada, gli occhi inteneriti e il sorriso a piegare le labbra piene, Brianna tornò sui suoi passi assieme a Duncan e Hannah che, teneramente poggiata contro il petto della madre, mormorò: “Ora meglio, Magnus?”

“Sì, tesoro. Ora sta meglio. Possiamo rientrare tranquillamente” assentì la madre, dandole un bacio sulla fronte.

Quando Hannah era piombata nella loro stanza, tremante e in lacrime e con il nome di Magnus sulle labbra, la coppia si era istantaneamente preoccupata per l’amico, iniziando la sua ricerca in casa Thomasson prima di uscire in tutta fretta.

Forte del loro olfatto, la coppia non aveva impiegato molto per trovare Magnus ma, quando lo aveva visto in compagnia di Gunther Olegsson – presentato loro come Guardiano dei prigionieri muspell su Midgardr – si erano immediatamente tranquillizzati.

Hannah aveva pestato un po’ i piedi al pensiero di non potersi avvicinare al suo Magnus – quel modo di parlare faceva rabbrividire entrambi i genitori ogni volta – ma, alla fine, sia Duncan che Brianna erano riusciti a convincerla a desistere.

Per quanto lei potesse essere turbata al pensiero che Magnus fosse triste, dovevano dare al loro comune amico lo spazio necessario per trovare le risposte che stava cercando. In solitudine, se serviva, o grazie all’aiuto di persone che non necessariamente dovevano essere loro.

Quando infine rientrarono a casa Thomasson, Sonja li accolse con un sorriso un po’ teso e domandò: “Va tutto bene?”

“Sì, lo abbiamo trovato, ed era al sicuro. Dobbiamo solo concedergli un po’ di tregua” assentì Brianna, rimettendo a terra Hannah che, tutta sorridente, si rivolse a Sonja per avere un po’ di latte.

La donna la accontentò volentieri mentre Nathan, ancora insonnolito, compariva assieme a Mattias per dare loro il buongiorno.

“Tutto ok, là fuori?” sbadigliò Nathan, dando un buffetto alla sorella quando la vide passare assieme a Sonja.

“Certamente. Magnus stava bene e…” cominciò col dire Brianna prima di venire interrotta dal suono del cellulare.

Sorpresa – chi la chiamava a quell’ora di mattina? – sollevò lo smartphone per controllare chi fosse e, quando vide un’immagine peculiare comparire sullo schermo, rise sommessamente e accettò la chiamata.

“Ciao, Alec… non potevi aspettare che ti chiamassi io?” sospirò Brianna, sorridendo a Duncan che, divertito, scosse la testa al suo indirizzo.

“Ho dovuto sapere da Beverly che sei finita all’altro capo dell’Universo per giocare a Star Wars con la tua Triade – menomata, tra l’altro! – mentre tu, da brava idiota, non hai pensato minimamente di aggiornarmi su quanto stava accadendo in Svezia!” sbraitò immediatamente Alec, costringendola ad allontanare il cellulare per poi lanciare un’occhiata curiosa all’indirizzo del marito.

“Non gliel’hai detto?” esalò Brianna, stupita.

“Se gliel’avessi detto, si sarebbe catapultato qui con metà del suo branco… e per cosa, poi, visto che tu e i ragazzi eravate già su Muspellheimr?” scrollò le spalle Duncan con candore.

“Hai sentito?” disse quindi la giovane, tutta sorridente.

“Non mi interessa un accidente quale neurone si è fumato il tuo uomo, per concepire questo pensiero insulso! Non puoi semplicemente andartene così, senza dirmelo!” ringhiò Alec, ormai imbestialito.

Il sorriso di Brianna si fece dolce, di fronte all’ira funesta di Alec e, nel sedersi accanto a Nathan – che si strinse a lei come un koala – la donna mormorò: “Sono la tua migliore amica, Alec, e ho giurato che lo sarò fino alla fine dei tuoi giorni. Pensi che non manterrei la promessa fatta? Mi giudichi una traditrice?”

“Cosa ne sai di quel che avrebbe potuto succedere, su un pianeta alieno? Avrei potuto guardarti le spalle!” sbottò Alec, la voce ora un poco più controllata.

Duncan le sorrise, carezzandole il capo mentre Brianna osservava il volto contratto dall’ira e dal panico attraverso lo schermo del cellulare.

Non aveva dimenticato quando, durante una delle tante conferenze-dibattito che si svolgevano ogni anno tra i branchi, Alec le aveva fatto promettere – tramite un giuramento di sangue – di non lasciarlo mai solo, di essere per sempre legati come fratello e sorella.

Naturalmente, aveva voluto che a quel giuramento partecipassero anche Duncan ed Erin, per chiarire senza ombra di dubbio quale fosse la natura di quel legame, e tutti avevano accettato.

L’animo di Alec sarebbe sempre stato spezzato, ricco di un’intricata serie di cicatrici mai del tutto rimarginate ma, grazie all’amore di Erin, all’amicizia di Duncan e all’affetto fraterno di Brianna, lui aveva potuto ricominciare a vivere.

Con quel giuramento aveva voluto mettere in chiaro, più a se stesso che a qualsiasi altra persona, che non era solo, che le persone che desiderava avere attorno sarebbero sempre state lì per lui e, con lui. E viceversa.

Saperla lontano anni luce doveva averlo davvero sconvolto, ma Brianna comprendeva più che bene perché Duncan si fosse astenuto dall’avvisarlo del precipitare degli eventi. Sarebbe stato perfettamente inutile portarlo all’esasperazione a causa della mancanza di notizie da Muspellheimr.

“Alec, tu mi guardi sempre le spalle, anche quando non ci sei. Pensi davvero che tu debba essere necessariamente presente, perché io senta la tua aura protettiva?” gli sorrise Brianna mentre Duncan annuiva alle sue spalle, lo sguardo rivolto al volto ancora ombroso di Alec.

“Dalle ascolto, invece di essere petulante” intervenne quindi Erin, comparendo sullo schermo per poi salutare la coppia all’altro capo del telefono. “Scusa se ti ha chiamato a quest’ora… voleva farlo appena Beverly lo ha chiamato, ma era davvero un orario assurdo.”

“Nessun problema, Erin. Io sono qui per lui, ogni volta che ne ha bisogno” replicò Brianna prima di puntare un dito sullo schermo, farsi più decisa e aggiungere: “Hai capito, sciocco che non sei altro? Sarò sempre qui per te.”

“Streghetta, non cominciare…” la minacciò Alec, andombrandosi ulteriormente.

“Comincio eccome, visto che sei andato fuori di testa” rise divertita Brianna per poi aggiungere sdolcinata: “Sei il mio amico del cuore, Aleksej…”

Non osare…” protestò Alec, cominciando a diventare vermiglio in viso.

Brianna non si scompose e proseguì dicendo con tono ancora più melenso: “…niente potrebbe mai separarci, neppure guerre interstellari, guerrieri mitici o mostri dissennati. Io tornerò sempre da te perché te l’ho promesso e…”

La comunicazione venne interrotta di colpo e Brianna, scoppiando in una dolce risatina, poggiò il telefono sul tavolo della cucina asserendo: “Quanto conosco i miei polli!”

“Ma perché zio Alec è sempre così appiccicoso, con te?” domandò Nathan prima di guardare dubbioso il padre. “E tu, perché non sei neppure minimamente geloso?”

“Alec e io siamo solo amici, ma si tratta di un’amicizia molto stretta e di un legame assai forte, nato in circostanze uniche. Tuo padre era presente, quando nacque quest’amicizia, e sa che non vi è altro, tra di noi, così come lo sa Erin. Semplicemente, per certe cose, Alec ha bisogno di me, e solo di me e, a volte, vale il contrario” gli spiegò con semplicità Brianna, carezzandogli il capo.

“E’ una cosa… potente” mormorò ammirato il bambino, fissando i genitori con aria impressionata.

“Molto. E io sono grata ogni giorno per avermi dato un marito che possa comprendere e accettare un simile legame, così come due bambini che sanno darmi tutte le gioie del mondo” mormorò Brianna, dando un bacio sulla fronte a Nathan prima di sorridere quando Hannah riapparve al suo fianco.

“Anche Alec ha zia Erin, Penny e Gareth. Non basta?” domandò allora Nat.

“A volte, no. Per questo esistono gli amici. Per riempire buchi che, a volte, l’amore della famiglia non può sistemare. Vi sono ferite di cui non si può parlare con l’amato, ma solo con l’amico… e questo sono io per Alec, e lui per me” gli spiegò Brianna.

“Perché non possiamo riempire tutte le tue ferite, mamma?” mormorò turbato Nathan, abbracciandola stretto.

Dandogli un bacio sui capelli, Brianna lanciò poi uno sguardo a Duncan che, per lei, disse: “La mamma ci vuole difendere da cose che potrebbero farci soffrire molto. Ha visto cose terribili, così come le ha viste Alec, e noi soffriremmo tantissimo, nel conoscerle, così come soffrirebbero Erin, Penny e Gareth. La mamma o Alec non vogliono vederci soffrire, così parlano tra di loro per riempire quei buchi.”

“Quindi, è solo per questo che ci sono gli amici?” domandò dubbioso Nathan.

Brianna allora rise, scosse il capo e replicò: “Oh, no, tesoro! Ci sono per ridere, per piangere, per abbracciarsi e, a volte, anche per litigare. Danno corpo alla nostra vita e un colore sempre nuovo, ma sono diversi da te, o da papà, o da Hannah. Sono… un regalo. Qualcosa che la vita ci dona per vivere meglio. A volte non succede ma, se capita, bisogna esserne grati.”

“Anche se urlano come Alec?”

“Sì, anche se urlano come Alec. Non rinuncerei ai suoi strepiti per tutto l’oro del mondo” ammise Brianna, prendendo in braccio Hannah, che desiderava la sua attenzione. “E ora che abbiamo fatto questi bei discorsi importanti… facciamo colazione? Tra poco si riparte per tornare a casa!”

A quell’accenno, i ragazzi assentirono allegri e Duncan, nel dare un bacio sul capo alla moglie, raggiunse Sonja al bancone della cucina per aiutare a servire la colazione.

Brianna sorrise nel guardarlo allontanarsi e, quand’anche Sarah, Jerome e Lance apparvero nella cucina, la figura di Mattias al fianco e il buon vecchio Bjorn a fargli da silente cavaliere protettore, lei non poté che essere felice.

Sì, gli amici erano un dono che non sempre ci veniva concesso ma, quando accadeva, quali gioie potevano donare!

 

FINE

 

 

N.d.A.: e qui terminano le avventure di Brianna e soci. Per il momento mi riposerò un po’, quindi vedremo cosa uscirà dalla mia mente iperattiva.

Spero di potervi rivedere in nuove avventure, ma per ora vi ringrazio per avermi seguita in questa. A presto!

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