On the wrong side of Heaven

di Eneri_Mess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


On the wrong side of Heaven


On the wrong side of Heaven



 

Ad Aredhel,
questa storia è nata
e sta crescendo con lei.
Grazie.

 




 

Capitolo 1




 

Aspetta! Io ho... una cosa da chiederti...

Pensavo che incontrare All Might di persona mi avrebbe cambiato la vita. 

All'epoca avevo un unico sogno e avrei voluto fargli quella domanda che mi premeva nel petto da sempre.

Anche senza un quirk... si può diventare un Hero?

Non ho avuto questa possibilità.



 

8 anni dopo.

 

 

You found me
Drowning in the dark
Waiting for the rain to stop
I tried my best
To light this burning heart
But you can't start a fire without its burn

[Numb - Declan J Donovan]



 

La giornata stava finendo di merda. 

Dopo l’ultima pioggia torrenziale, Luglio aveva optato per tre giorni di sole ustionante e un’afa in cui si poteva nuotare. Alle cinque passate di pomeriggio, il clima che avrebbe dovuto rendere più facile il lavoro a Bakugou, visto il quantitativo di sudore che sentiva in rivoli sulla pelle, lo stava solo irritando. Avrebbe potuto riempire una cassa di granate se ne avesse avuto il tempo, ma il tempo era un’altra cosa che stava scivolando via rapidamente, insieme al rapinatore di cui era partito all’inseguimento. 

«Bakugou! Dove stai andando!?» 

«Sei rincoglionito, Bastardo a metà!? Uno sta scappando!» 

Qualsiasi cosa avesse replicato Todoroki si perse nello scoppio delle esplosioni delle sue mani e nelle urla dei passanti che si scostarono impauriti. 

«Dove pensi di andare, mezzasega!?» gridò l’Hero quando si trovò a correggere di improvviso la traiettoria per inseguire il ladro nel vicolo in cui si era infilato. 

I palazzi erano alti, grigi e incombenti. L’aria sapeva di chiuso ed era anche più fredda, come se il sole non fosse solito riscaldare quella parte di mondo. Bakugou avvertì un brivido, il sudore caldo improvvisamente smorzato sulla pelle da quella temperatura più bassa. Questo non lo rallentò nella caccia, ma alimentò maggiormente il suo malumore. 

«Non ho tutta la sera per correrti dietro!»

All’ennesima svolta repentina e al nuovo muro contro cui Bakugou dovette calcolare la sterzata, sia per non farsi male sia per non creare un buco in casa di qualcuno - sempre che quel posto dimenticato da Dio fosse abitato - l’eroe accelerò per chiudere la questione con un ultimo sprint. 

La sue dita si allungarono per afferrare il fuggitivo alla spalla. Un ghigno gli attraversò il viso. 

«Sei mio

«Uaaah! Nooo! Ti prego, lasciami stare! Aiutooo!»

In pochi secondi successero tre cose assurde. 

Bakugou comprese dal tono di voce del ladro, e da un rapidissimo scorcio del suo viso da sotto il cappuccio, che non aveva più di quattordici o quindici anni. Il che cozzò enormemente con l’aspetto dei complici che Todoroki aveva già assicurato, una banda con un’età media di trenta, quarant’anni, più che navigata.

La seconda assurdità furono due miagolii da battaglia. Lo colsero di sorpresa, distraendolo e facendogli sfuggire l’occasione di cattura. Un gatto tigrato e uno rosso gli balzarono addosso da qualche finestra o ringhiera sopra di loro, gli artigli spianati e indirizzati alla sua faccia. 

«Che cazzo-» 

Con una manovra evasiva per evitare le rampate, e allo stesso tempo, non far esplodere i due felini, Bakugou perse il proprio baricentro e finì addosso ad alcuni bidoni abbandonati. Il fracasso riecheggiò per tutto il vicolo, accompagnato da una sonora bestemmia. 

Questo non intimorì i gatti né smorzò la loro combattività. Una volta atterrati, le code gonfie e i peli rizzati, soffiarono all’Hero e il loro vociare forò i timpani. 

In quel casino, il terzo evento, forse il più normale, che però rimise sull’attenti Bakugou, fu un fischio. 

Un chiaro fischio umano. Un richiamo. 

«Levatevi dalle palle!» sbraitò Bakugou, balzando via dall’immondizia e dai due felini. 

Il ragazzino che stava inseguendo aveva guadagnato terreno. La sua felpa da college bianca e blu fuori stagione era una macchia di colore in fondo al grigiore del vicolo, dove stava riprendendo fiato. 

«Mi sono davvero rotto i coglioni.» 

Al borbottio dell’eroe seguì un nuovo scoppio e una propulsione in avanti. 

Macinare la distanza che lo separava dal ladruncolo fu come varcare una soglia con un passo. Appena gli fu a un metro dalla schiena impresse una nuova spinta e, per non ripetere lo stesso errore, eseguì un arco in volo sopra il bersaglio con l’intenzione di atterrargli davanti. 

L’incredulità nello sguardo del moccioso non fu sufficiente a dare il comando al resto del suo corpo per tentare una manovra all'ultimo ed evitarlo. Questo disse molto a Bakugou, in quella frazione di secondo rubata al tempo. 

Che fosse complice o meno del resto della banda, per il ragazzino doveva essere la prima volta faccia a faccia con un inseguitore. Correva veloce, ma non aveva testa per calcolare la mossa successiva, il piano b, e non aveva la prontezza di ribaltare le carte in tavola. 

Bakugou non provò rimorsi per la sorte che gli sarebbe toccata una volta consegnato alla polizia, minore o meno. Aveva fatto una cazzata e avrebbe pagato. 

Se le cose fossero andate secondo i calcoli del Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva Dynamight. 



 

Non avvertì alcuna presenza, ma la coda del suo occhio lo vide arrivare.

Quando fu troppo tardi, ma lo vide, a rallentatore. 

Non si trattò di un terzo gatto, eppure la velocità parve quella. L’impatto del calcio contro il suo fianco, invece, fu decisamente umano. 

La parabola in aria di Bakugou si trasformò nella traiettoria diagonale di un proiettile. 

Venne scaraventato sull’asfalto crepato del vicolo che incrociava quello in cui il giovane ladro stava scappando. Katsuki non ci impiegò molto a mettere insieme i pezzi e capire cosa fosse successo. Si diede dell’idiota. 

Il fischio. Era stato un segnale verso cui correre. Le due stradine che si intersecavano il punto x dove portarlo. 

Si mise seduto con una smorfia, sentendo un dolore a lato del torace che per quella giornata noiosa e assurdamente calda si sarebbe risparmiato. 

«Mi dispiace…! Mi dispiace! Io non… non volevo-» 

Il moccioso ladruncolo stava ansimando all’angolo del palazzo. La quasi cattura e quella folle fuga diedero l’impressione di non avere valore paragonate al chiedere scusa al suo salvatore. 

Salvatore a cui Bakugou rivolse tutta la propria attenzione e anche un’imprecazione mentale. 

Non dava l’idea di essere un altro ragazzino. La statura era quella di un giovane adulto sul metro e settanta o qualcosa in più. Il fisico era allenato, a giudicare dai polpacci e dagli avambracci coperti da due fasce scure aderenti. Una maglia troppo larga, dei pantaloncini e una felpa smanicata con cappuccio lo rendevano niente meno di un tizio qualunque. 

Tuttavia, a coprirgli il viso, e ad annullare quell’aura di anonimato, c’era una maschera. Totalmente coprente, artigianale e di qualità, soprattutto nei dettagli. Raffigurava un coniglio, ma uscito da un horror. 

Prima che l’Hero potesse esprimersi, il nuovo arrivato fece un gesto secco con la mano, sopra la spalla, come a tagliare l’aria. Un ordine. 

Dietro di lui, il ragazzino pigolò, si agitò sul posto, espresse un nuovo Mi dispiace e poi riprese a correre. 

«Né tu né lui andrete lontani» ci tenne a precisare Bakugou, riassestando la propria posizione e preparandosi a scattare. Per quanto volesse acchiappare il ladruncolo, aveva l’impressione di trovarsi di fronte un pesce più grosso. Le movenze e i gesti calibrati ne erano la conferma. 

«Cos’è quella maschera da sfigati?» lo derise l’eroe. «Sei un Villain di quartiere?» 

Se non avesse notato la maglietta alzarsi a abbassarsi leggermente per il respiro, Bakugou avrebbe creduto di avere di fronte un manichino. 

«Capisco. Sei di quelli intelligenti che non rivelano le proprie carte» concluse, sgranchendosi il collo. Per quanto il petto gli facesse male - e l’idea di una costola incrinata lo mandasse in bestia - era gestibile. Era tutto carburante per la sua rabbia. 

«Va bene. Allora facciamo a modo mio

Partì così veloce che il rumore dello scoppio sembrò arrivare in ritardo. 

Non ci fu impatto, se non quello di Bakugou contro l’asfalto. 

La sua mente ci mise di più a elaborare cosa fosse successo. Il gesto dello sconosciuto era stato invisibile e leggero: non aveva fatto altro che ridirezionare la collisione verso il suolo invece che contro di sé. Una semplice mossa da arte marziale, qualcosa di simile all’Aikido. 

Bakugou si rialzò di nuovo con un ringhio bloccato tra i denti, ma non diede seguito ad alcun insulto. Fissò invece lo sconosciuto in cerca di qualche dettaglio. 

Un parente del ragazzino? Un suo senpai? pensò, senza avvertire alcuna vibrazione. Non emanava ostilità. Non c’era volontà di battersi. 

Un pensiero attraversò l’eroe, incupendolo. 

Quel ragazzo di fronte a lui non stava mostrando alcuna emozione, come le pareti che li circondavano, piene di crepe e senza finestre. Abbandonate. Non era diverso da uno di quei muri, senza appigli e senza considerazione di lui. Katsuki ebbe l’impressione che, se si fosse voltato per andarsene, non sarebbe stato inseguito. 

«Ti conviene tirare fuori il tuo quirk e prepararti.»

Le scintille nei suoi palmi si animarono, parlando per la sua incazzatura. 

«Muori!» urlò e puntò la mano come un la bocca di un cannone. La luce dell’esplosione diede colore al vicolo per qualche secondo. Ciò che rimase fu una traccia nerastra di bruciato che lasciò Bakugou interdetto. 

Dov’era…? Non era stato un colpo con una potenza tale da uccidere sul serio. 

Di nuovo, furono i suoi occhi ad accorgersene, non il suo istinto. 

Lo sconosciuto gli stava piombando addosso dall’alto, da uno dei lati della stradina. L’eroe non ebbe tempo di capire a cosa si fosse aggrappato per farlo che si ritrovò un’altra volta in terra. Aveva avvertito la presa questa volta, le dita che si ancoravano a lui, ma il tutto era stato così rapido da sembrare quasi un gesto pieno di senso, quotidiano. Una forza giusta, non incombente, men che meno spaventosa. 

Eppure il dolore che provò nel finire faccia a terra fu intenso e reale. Si aggiunse a quello ricevuto dal calcio e gli fece serrare la mascella per non farsi scappare gemiti. 

L’avversario si allontanò con due balzi e l’eroe si tirò in piedi per l’ennesima volta, ingoiando aria dalla bocca. 

Possibile che siano solo delle merdose mosse di arti marziali!? 

Avrebbe voluto dirlo a voce, esplodere in un ruggito tinto di frustrazione, ma a ventitre anni, di cui quasi cinque pieni da Hero sul campo, Bakugou aveva parzialmente imparato a controllarsi. Lo scatto delle sue mani nel direzionare una serie di AP Shot raccontarono un’altra storia, nonostante gli occhi di Katsuki rimasero fissi sui movimenti fluidi, quanto velocissimi, con cui lo sconosciuto li evitò. 

Non aveva realmente intenzione di colpirlo. Era più il bisogno di comprendere se ci fosse un segreto dietro, un quirk. Gli sembrò però solo di osservare una lucertola svicolare con rapidità. Non era previsione, era una più consumata esperienza

Questo bloccò Bakugou. 

«Ehi, coniglio di merda, lo sai cosa ha combinato quel moccioso che hai aiutato a far scappare? I suoi complici sono stati consegnati alle autorità. Credi che non lo verranno a cercare?»

Aveva toccato il tasto che cercava. L’irrigidimento che notò fu minimo, ma lo percepì. 

«Cosa sei, suo fratello maggiore? Un suo amico? O magari un senpai ladro del cazzo come lui? Ha combinato un bel casino» continuò, concedendosi quella bugia sull’ultima parte. Non aveva capito - e non gli interessava - la dinamica della rapina, però aveva notato l’intesa tra il moccioso e un altro della banda. Non serbava ricordi lucidi, ma non era il momento di soffermarcisi. 

«Ce l’hai la lingua o qualcuno te l’ha tagliata!?»

Non ottenne nulla, se non la voglia impellente di sbatterlo contro una parete e strappargli quella maschera raccapricciante. Un’altra cosa che però aveva imparato negli anni era leggere gli avversari. 

A quel tipo non importava di farsi male. Poteva anche essere il capo della gang, ma il suo scopo era di diversivo per permettere al moccioso di filarsela. A Bakugou costava ammetterlo, e cambiare linea di attacco era frustrante, ma, se voleva concludere qualcosa, doveva lasciar perdere l’idea di acchiappare il coniglio… e farsi invece inseguire. 

La decisione fu repentina per lui quanto per lo sconosciuto. Il lato interessante fu una reazione più umana, probabilmente anche un verso o un imperativo, ma la sua voce non raggiunse Bakugou attraverso il rumore delle esplosioni con cui l’Hero si spostò all’inizio del vicolo e quindi in quello in cui tutto era iniziato. 

Non aveva idea di dove fosse finito il ladruncolo, ma avrebbe continuato a frugare ogni stradina se significava avere alle calcagne il coniglio. Più avesse alzato il livello di minaccia, più sarebbe riuscito a coglierlo di sorpresa. Quirk di merda permettendo. 

Un’incognita da non sottovalutare, come gli ricordò una vocina nella testa che aveva il tono fastidioso di Todoroki. Tutto ciò a cui voleva pensare era come far esplodere la maschera a quel ficcanaso. 

«Avanti moccioso, dove diavolo ti sei ficcato!?» urlò Katsuki, rimbalzando da una parete all’altra senza più freni, avvertendo a malapena i mattoni sbriciolarsi all’impatto con le suole rinforzate. 

Non credeva davvero di stanarlo, ma un lembo di felpa blu balenò all’angolo di uno dei vicoli, attirando la sua attenzione. 

«Beccato!» 

Era proprio un ragazzino e doveva avere un saldo legame con lo sconosciuto se non si era allontanato più di tanto. Cieca fiducia? pensò. Dava per scontato che il coniglio sarebbe riuscito a metterlo k.o.? 

Per quanto furono illazioni nella sua mente, corroborarono la sua rabbia e, a posteriori, Bakugou si diede dell’idiota una seconda volta. Idiota perché tutto andò a puttane in quell’istante. 

O tutto trovò la propria strada, per quanto la foresta in cui stava per addentrarsi fosse profonda e cupa



 

See the waves approaching the city
There'd be no hiding from this
September memories they hit me
You're all the things that I miss

[Try again - Walking on cars]



 

Bakugou non arrivò a svoltare l’angolo. 

Non fu importante. Il suo proposito si concretizzò e tanto bastò. 

«Non mi freghi due volte» se lo disse a voce alta, per quanto risultò un mormorio tra sé e sé, fu soltanto per definire il proprio intento. 

Le esplosioni propulsive dalle sue mani cessarono di colpo e il suo corpo sfidò la gravità per un ventaglio di brevissimi istanti che si dipanarono a rallentatore. 

Lo sconosciuto con la maschera da coniglio gli stava piombando addosso dall’alto. La sua gamba era rigida e spianata come una lancia. L’eroe non aveva visto i suoi movimenti, come avesse fatto sia a stargli dietro sia a ottenere quel breve vantaggio. Di nuovo, non gli diede peso.

In quella stasi che presto si sarebbe consumata, portandolo a cadere, Bakugou frugò la figura del suo avversario in cerca di dettagli che gli dicessero qualcosa. Invano. Gli aveva bruciato il bordo di felpa e maglietta con la maxi esplosione nel vicolo ed erano l’unica cosa che saltasse all’occhio. Non aveva un orologio da polso, braccialetti o catenine. Se c’erano altri segni riconoscibili dovevano essere sotto i vestiti e, soprattutto, sotto la maschera. 

Dynamight raggiunse il momento culmine per attuare la propria contromossa. I suoi palmi crepitarono e, in un attimo, ribaltò le posizioni e la situazione. 

Le opzioni erano due: o il suo avversario avrebbe sfoderato un quirk capace di avvantaggiarlo a mezz’aria, o lì era più debole. 

Sospesi com’erano, senza punti di appoggio, era una questione di forza. Ed esperienza. Bakugou le aveva entrambe e dubitò che il suo avversario avesse potuto sperimentare combattimenti a gravità zero, a differenza sua - e quello non era un grazie a Uraraka, precisò tra sé. 

Le leggi della fisica tornarono a fare il loro dovere, con una spinta più che distruttiva da parte dell’eroe. 

Katsuki diede potenza alle proprie mani e impattò contro il petto dello sconosciuto come un ariete. Gli mozzò il respiro in gola e, in meno di un battito di ciglia, si schiantarono entrambi sul manto stradale del vicolo. 

Con una mano a minacciargli la faccia, un’altra a tenergli un braccio bloccato in terra e il resto del corpo a tenaglia per minimizzare i gesti improvvisi, Bakugou si proclamò vincitore. Rilasciò tutta la tensione dell’ultima mossa e si accorse di aver trattenuto il fiato fino a quel momento. 

Intorno a loro, il silenzio si depositò come il polverone che avevano sollevato con la caduta, senza tuttavia durare a lungo. L’Hero aveva diverse domande e imprecazioni da rivolgere allo sconosciuto, ma queste si sfaldarono nell’udire il suono di una manciata di parole. 

«Sei rimasto brutale come alle medie, Kacchan.»



 

I should have seen the warning
This heavy weight inside my chest
I should have told you sooner
Thought that I could wait instead

[Too far gone - Hidden Citizens feat. Svrcina]



 

Prima che il suo cervello capisse, le dita di Bakugou si erano già mosse seguendo un’urgenza che tentò di sfondargli la cassa toracica. 

La maschera da coniglio volò sull’asfalto, cozzando contro uno dei muri e rimanendo lì, inutile. Inutile come il vuoto che avvolse i suoi pensieri, che sentì scendergli in gola e arrivare ad abbracciargli le ossa. 

Deku.

… Deku?

«… Deku.» 

Ci sarebbe dovuto essere qualcosa a seguire quel nome. Dei basilari avverbi grammaticali - quando, come, perché - o delle domande che cercassero risposte a quella situazione. Bakugou però sperimentò qualcosa di simile a un blackout cognitivo. A uno shock, avrebbe puntualizzato Iida probabilmente. 

C’era un peso, da qualche parte dentro di lui, che Bakugou aveva seppellito molto tempo prima. Un rimorso che aveva scavato la sua coscienza per anni, lasciando un buco che aveva cercato di ignorare e ignorare e ignorare, finché la vita quotidiana, i cambiamenti, il silenzio e l’arroganza non avevano cominciato a riempire quel vuoto. Una diga irregolare, fatta di pezzi che non combaciavano, che a volte si scheggiavano tra loro, ma che alla fine, con gli anni, avevano trovato un incastro. 

L’equilibrio di un bugiardo sulla corda di un funambolo, comprese Bakugou quando dentro di sé risuonò la frana di una montagna e fu solo il primo sassolino a cadere - proprio quel silenzio, quell’ignorare un’esistenza che conosceva da tutta la vita

Non si soffermò sui dettagli. Li avrebbe ricordati più tardi, si sarebbe lasciato graffiare da quei particolari che portavano con sé domande e ipotesi come spilli fastidiosi. 

Ignorò anche la situazione e i rumori lontani. Qualcuno lo stava chiamando, lo stava cercando, conosceva quella voce, ma la sua mente non riuscì a connetterla a un volto, a un significato. 

Non con Deku lì. 

Con Deku che non vedeva da più di cinque anni. 

Che aveva dimenticato, nascondendolo, soffocandolo in fondo all’anima, come un burattino di legno abbandonato in soffitta, tra i ricordi di un’infanzia che esisteva solo nei residui fotografici resistenti al tempo, non più nella memoria. 

Boccheggiò, cercando una parola che avesse senso. Una. Un dolore fisico sarebbe stato più gestibile di quell’allagamento improvviso dentro di sé. Di un arto mozzato se ne sarebbe fatto una ragione. Una cicatrice deturpante sarebbe riuscita a guardarla. 

Deku no

Era un rimpianto e non sapeva come comportarsi. 

Fu Deku stesso a togliergli dalle mani la responsabilità di fare qualcosa. Gli risparmiò la scelta di cosa dire o cosa tentare.

Non lo ringraziò perché fece un male cane. 

Ma il dolore fisico era gestibile, si ripeté. 

Con le dita, Deku gli appoggiò qualcosa sul petto, nello scollo della tuta. Katsuki non ebbe il tempo di chiedersi cosa fosse. Una scarica elettrica che avrebbe retto il confronto con Kaminari lo attraversò. Serrò la mascella e subì.

Cadde su un fianco, intorpidito, mentre l’altro balzò in piedi, allontanandosi di due, tre, quattro passi. 

«D-Deku…» 

Il dolore rese il mormorio dell’Hero graffiante ed evitò che il soprannome suonasse nell’atmosfera tra di loro zuppo di quel vuoto che era un pozzo di sentimenti densi come pece. 

Deku non sembrò scalfito. Non sembrò interessato

Quel ragazzo di fronte a lui non stava mostrando alcuna emozione, come le pareti che li circondavano, piene di crepe e senza finestre. Abbandonate. Non era diverso da uno di quei muri, senza appigli e senza considerazione di lui.

«M-Merda… a-aspetta-»

Deku si voltò verso le voci che stavano cercando Bakugou. Poi si girò di nuovo dall’altra parte e iniziò a correre verso l’estremità del vicolo. 

L’eroe riuscì a tirarsi su, sbandando contro la parete. Il focus delle sue azioni era seguire quella macchia di capelli verdi che si dileguava, ma il corpo non gli stette dietro. Vide Deku saltare e aggrapparsi al bordo di una scaletta antincendio arrugginita e mezza distrutta. Si tirò su come se non pesasse nulla. E poi salì e salì, sempre più lontano. 

Bakugou digrignò i denti dovendosi fermare. 

Ma voleva fermare lui

La voce gli forzò la gola. Non la sentì neanche come propria. Desiderò solo che qualcosa di sé lo raggiungesse e gli desse un motivo per aspettare

«IZUKU!» 

Non fu sufficiente. 



 

I don't want you to run away
But you're fading out of sight
Haven't seen you for an eternity
Are you leaving me behind?

[I miss you - Nathan Wagner]




 

To be continued





 

Angolino autrice

Grazie di aver letto questo primo capitolo
(Qui trovate entrambe le cover, dark e light vers!)

Heilà. Sbarco sui lidi di My Hero Academia con tanto ritardo. 

Immagino che non sia nulla di nuovo per chi naviga il fandom da molto tempo, ma spero possa tenervi compagnia. 

On the wrong side of Heaven è la prima parte di quattro. Saranno 10 capitoli, che posterò a cadenza settimanale salvo impicci. L’inizio di questo viaggio =)) 

Ho tante idee in cantiere e le mani che prudono. 

 

Due righe sulla storia: questo plot mi ha grattato il cranio un giovedì pomeriggio mentre lavoravo. Ringrazio Aredhel e la nostra chattina che ha raccolto le prime idee sconclusionate e ha dato loro la spinta a crescere *love* 

Come avete letto, è un What If senza pretese che parte dalla scena in cui Izuku incontra All Might nel primo capitolo, subito dopo essere stato salvato dal villain di fango. In questa storia, Izuku non si è mai aggrappato a All Might e, così facendo, le bottiglie con il villain fangoso non sono mai andate perse. Insomma, niente scena con Bakugou in pericolo e Midoriya che si getta a salvarlo. Nessun “atto eroico” degno di nota agli occhi di All Might. 

Insomma, la vita di Deku e Bakugou ha preso rotte un po’ diverse ;) 

 

Fatemi sapere se qualcosa vi ha attirato e vi è piaciuto! O anche no XD 

Mi trovate su Twitter e Instagram come @enerimess ! Con i miei scleri fandomici e ogni tanto con qualche spoiler sulla storia *shush*

 

Chiudo con i ringraziamenti di rito: ad Aredhel per infinite ragioni per cui servirebbero tre pagine *love* alla Socia Ode To Joy che sta sempre penna e penna, metaforicamente, con me *love* ad Alessia, Shiroi e Shichan, che hanno ascoltato questa storia e mi hanno dato il loro supporto e affetto *love* A Europa91 che aspettava che sfornassi questa storia *love*

 

Alla prossima!

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 2




 

Tonight the monsters in my head
Are screaming so damn loud
But I built walls so high
So they never even make a sound
It's a mask, it's a lie
It's the only home I've ever known
'Cause being who I really am
Has only left me more alone

[I’m not okay - Citizen Soldier]






 

Bakugou si massaggiò il petto inconsciamente. 

Erano le otto del mattino del giorno dopo. Erano passate circa quattordici ore dall’incontro fortuito con Deku. Ogni minuto, soprattutto il tempo del sonno, in cui Katsuki si era convinto di essere svenuto per la spossatezza, era trascorso impregnato di sensazioni, di ricordi, di se, di ma, di luoghi e di parole - poche, troppe poche e insignificanti - che riguardavano il passato. Questo insieme agli otto anni in cui sistematicamente, ora dopo ora, giorno dopo giorno, Bakugou aveva marginalizzato Midoriya Izuku dalla sua vita. 

L’ultima volta che si erano visti era accaduta cinque anni prima. 

O meglio, l’ultima volta che Katsuki aveva visto Izuku, perché quel giorno non c’era modo di essere scorti dai suoi occhi, resi vuoti dalla perdita della madre. 

Bakugou si era precipitato. Si era precipitato al funerale con tre anni di rimorsi a stagnare, ammucchiati nella mente come abiti fradici che non si asciugavano, con un odore di muffa e senso di colpa a formare un miasma che chiedeva di essere sanificato. 

Alla veglia per Midoriya Inko, Katsuki era andato con l’intenzione di riallacciare i rapporti, sicuro che la sua sola presenza avrebbe riscattato quella frattura densa di silenzi, frammentati solo da vaghi Non mi scocciare Deku, non ho tempo o Sono occupato a diventare un eroe, non sto mica giocando

Izuku lo avrebbe perdonato e avrebbe accettato la sua presenza, la sua spalla, per piangere quella perdita. Sarebbe tornato tutto, o quasi, come prima. 

Perché Bakugou continuava a ripetere ai demoni nella sua testa che era giusto così. Lui sarebbe stato l’Hero e Deku lo avrebbe ammirato, avrebbe ricominciato a seguirlo. Sarebbe tornato a essere quella costante invariabile nella sua vita. Si trovavano su strade differenti perché era inevitabile. Deku il Senza Quirk non poteva essere un eroe. 

Sarebbe morto altrimenti. Se ci avesse provato, sarebbe morto. Morto come Midoriya Inko che gli sorrideva dalla foto sull’altare.

Il funerale era stato troppo veloce e così veloce era stato il loro ultimo incontro. 

Se di incontro si poteva parlare. Deku gli aveva a malapena rivolto un’occhiata e Bakugou non aveva visto nessuno in quegli occhi. Erano stati specchi per quei demoni che tanto lo avevano ascoltato e che, maligni, lo incoraggiavano a dire qualcosa, fare un balzo in quel fosso che si era aperto tra di loro. 

Mi dispiace, Izuku. 

Ti chiedo scusa per tutto quello che ti ho fatto.

Ci sono un sacco di cose che voglio… no, ci sono un sacco di cose che ho bisogno di dirti!

Deku se ne era andato prima che Bakugou avesse trovato il coraggio di parlare. 

Ed era finita così. 

L’ultima pagina di due vite cresciute fianco a fianco, ma che non si erano mai davvero toccate. 



 

I don't quite know
How to say
How I feel

If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the world?

[Chasing Cars - The Wind and the Wave]



 

Bakugou imputò il fastidio al petto alla scarica ricevuta il giorno prima. Continuò a marciare per strada senza guardare nessuno, ignorando qualsiasi comparsa entrasse nel suo campo visivo. 

Convincere Todoroki a non seguirlo nel giro di pattuglia dopo la faccenda della rapina era stata la prima bega della mattina, ma gli aveva messo addosso un malumore abituale in grado di controbilanciare il veleno che gli scorreva dentro. I sensi di colpa. I sospesi. I rimorsi. 

Non era più un adolescente e non era più un pulcino di eroe che aveva bisogno di una balia, per quanto Todoroki glielo avesse detto in faccia che preferiva stargli al fianco ed essere pronto ad aiutarlo. 

È successo qualcosa? 

Era stata una domanda irritante, ma non c’era nulla che Shouto potesse dire senza infondergli la voglia di picchiarlo, con quella sua capacità di cogliere sempre quando qualcosa fosse fuori posto. Il suo atteggiamento troppo serio, che non sapeva distinguere battute e metafore, da otto anni, in maniera consapevole o meno, riusciva a bucare gli strati che Bakugou sovrapponeva tra sé e le realtà scomode seppellite nell’animo. 

Todoroki aveva intuito all’epoca del liceo che dentro di lui ci fosse qualcosa di sigillato. Era stato banale rispondergli che tutti avevano dei segreti. Era quando questi producevano spifferi e si insinuavano nel quotidiano, mandando a rotoli le situazioni, che nello sguardo di Shouto la preoccupazione si acuiva ed esprimeva un semplice Puoi parlarmene.

Neanche morto.  

Bakugou non era per le mezze misure.

Non è successo un cazzo. Quel ladruncolo mi è sfuggito in questo dedalo di vicoli merdosi. 

I segni dello scontro intercorso tra lui e Deku erano stati più che evidenti, come anche l’occhiata di Todoroki in attesa del proseguo. 

Tutto qua?

Tutto stracazzo qua, Ghiacciolo caldo.

Il silenzio e l’espressione giudicante Bakugou li aveva subiti senza fiatare, marciando verso l’Agenzia di Endeavor senza più una parola, ma con un’eco in testa che non se ne era più andata. 

Kacchan

Kacchan

Kacchan

Tra un pensiero e l’altro, Katsuki mise a tacere quei ricordi recenti quando si ritrovò all’ingresso del vicolo dove era iniziato l’inseguimento. L’Hero alzò lo sguardo sui palazzi fatiscenti e silenziosi, intoccati dalla vivacità circostante, dal brusio e dalla folla trotterellante per la strada principale. 

Fece un passo e l’atmosfera cambiò. 



 

Wasuno era un quartiere grande quanto spettrale. 

Bakugou non ne sapeva molto. Fino a meno di ventiquattr'ore prima lo avrebbe definito un posto anonimo e noioso. Per quanto gli fosse capitato più volte di vigilare nelle strade limitrofe, non aveva mai avuto motivo per addentrarcisi. Il giorno precedente era stata la prima volta e difficilmente se ne sarebbe dimenticato. Questione di Deku a parte. 

Non dovendo correre dietro a nessuno, Katsuki si poté concentrare sul circondario e sui dettagli, a cominciare dagli occhi che lo stavano seguendo. 

Sguardi discreti, presenze minime. Di guardia

Se anche il giorno prima erano state presenti, non le aveva notate. Passare inosservate sembrava lo scopo e con le comparse doveva funzionare.

Bakugou le ignorò, continuando a camminare nella desolazione. Fu solo arrivando in una strada più grande che iniziò a incrociare qualcuno. Poche persone, così anonime e spente da uniformarsi alle pareti grigie dei palazzi. 

Nessuno gli rivolse la parola, ma tutti lo guardarono storto o timorosi. Chi sembrava solo di passaggio accelerò e svoltò agli angoli della strada, altri fecero finta che non ci fosse uno straniero tra loro. 

«Ohi.»

Bakugou si fermò davanti all’officina di un meccanico. Due operai lo ignorarono, un altro si infilò in una porta e scomparve. Quello sotto a una macchina rialzata, il più anziano e probabilmente il capo baracca, gli lanciò appena un'occhiata indifferente. L’eroe rimarcò la propria presenza con un passo in più, restando poi ben piantato sul posto. 

«Sto cercando Midoriya Izuku.»

Il capo meccanico continuò a lavorare come se non avesse sentito o capito la domanda. 

«Non ho tutto il giorno, vecchio.»

«Anche io non ho tutto il giorno. Non conosco nessun Midoriya Izuku.» 

Mordersi la lingua fu frustrante, ma Bakugou fece dietro-front e tornò per strada. L’atteggiamento del vecchio aveva messo in chiaro che non avrebbe ricavato nulla neanche insistendo. 

Le persone sembrarono ulteriormente diminuite. Non incontrò nessuno di vagamente riconducibile a un agente di polizia o un eroe. Diversi negozi avevano le vetrine oscurate o i vetri attraversati da crepe, un aspetto modesto e che non invitava particolarmente a entrare. Non vide nessun franchising di spicco, ma notò almeno un paio di insegne famose avvolte in sacchi neri e scotch, o sradicate e lasciate a deteriorarsi agli angoli delle strade.  

La parte di lui che vestiva i panni dell’Hero, e che stava constatando la desolazione imperante, si chiese con scarsa ironia se qualche divinità abitasse ancora quei luoghi, o se spiriti e spettri, visibili negli occhi delle persone, fossero le uniche entità a considerare Wasuno. 

Al contrario, la parte che era Kacchan, e che stava cercando Deku, non demorse dal chiedere di lui a chi incrociasse. Ottenne risposte irritate o piene di un rancore ingiustificato, ma il problema più grande fu non scorgerci bugie. Nessuno lo aveva mai sentito nominare.

Tempo un’ora e si ritrovò di nuovo da solo e nell’ennesimo labirinto di strade. Bestemmiò e la voce si esaurì assorbita dal rumore bianco del resto della città. Faticò a credere che un quartiere della metropoli più popolosa del Giappone potesse risultare tanto deserto in pieno giorno, eppure non pareva esserci più nessuno.  

Si guardò intorno finché furono gli occhi a trovare ciò che il suo istinto non riuscì a fiutare. Trattenne il respiro, come se si fosse dovuto preparare a uno schianto. 

Una spalla di Deku - perché era lui, con quello scorcio di ciocche verdi - era tutto ciò che si vedeva. Gli diede l’idea di essere in attesa. 

«Non sai più leggere, Kacchan?» 

Qualsiasi cosa Bakugou fosse intenzionato a dire nell’aprire la bocca, si bloccò, interdetto. 

Un dito di Deku spuntò da sopra la spalla e indicò la parete del palazzo di fianco. 

«Ce ne sono vari, per tutta Wasuno.» 

Dynamight comprese, fissando il murales e serrando la mascella. Probabilmente l’aveva letto e ignorato, come avrebbe fatto in qualsiasi altra situazione. Sentirlo rimarcare da Deku ebbe però un altro significato. 

No Heroes

«Perché sei tornato?»

«E tu cosa ci fai qui

I dettagli

Bakugou ci aveva ripensato la notte prima nel tornare a casa, poi sotto la doccia, infine rigirandosi nel letto. Quando aveva tolto a Deku la maschera raccapricciante da coniglio, un volto che un tempo era stato quello di Midoriya Izuku aveva riempito il suo campo visivo.

C’erano stati diversi particolari che nell’insieme si erano persi, a cui Katsuki, sul momento, non era riuscito a dare rilevanza, ma che, messi a confronto con i suoi ricordi, gli avevano fatto dubitare di avere avuto davanti il suo amico di infanzia

L’Hero poteva percepire quelle parti fuori posto anche senza che Deku si mostrasse apertamente. La stanchezza. Occhiaie come quelle le aveva viste indossate giornalmente solo da Aizawa e da Shinsou. Il pallore, che si sarebbe spiegato con l’assenza di sole e calore in quel posto dimenticato, ma che restituiva più l’idea di una sfumatura malaticcia. Infine, lo sguardo vuoto

Lo sguardo di Deku era stato uno specchio che non rifletteva niente

Strinse i pugni. 

«Ohi. Che diavolo ti è successo, Deku!?»

«Fai le domande sbagliate, anche se ora hai usato il nome giusto.» 

C’era una nota dissonante nel suo tono, nonostante la leggerezza quasi da risata. 

«Nessuno mi conosce più come Midoriya o… Izuku.»

Si soffermò sul proprio nome e lo pronunciò come quello di un conoscente, con un velato punto di domanda alla fine. Poi rise davvero e fece male alle orecchie ascoltarlo.

«Dai, mi avrai chiamato Izuku due volte in tutta la vita, compreso ieri. Cos’è questa nostalgia, Kacchan?» 

Bakugou scattò in avanti prima di processare il passo. Il gesto improvviso mise in allerta Deku. Lasciò la protezione del vicolo e si piantò in mezzo alla strada, inchiodando l’altro con uno sguardo senza emozioni, ma ricco di promesse per nulla piacevoli. Nonostante se ne fregò della sua occhiata perentoria, l’Hero non avanzò per un altro motivo. 

Stretto in mano, Izuku aveva quello che sembrava senza troppi dubbi un telecomando a distanza. L’istinto e l’esperienza si imposero sul caos nella mente dell’eroe, bloccandolo dall’avvicinarsi. 

«Se la scossa di ieri ti è piaciuta, allora prosegui» fu l’avvertimento di Deku in un tono che Bakugou non conosceva. Cercando di mitigare quel malessere all’altezza dello sterno che continuava a gonfiarsi invece di diminuire, Katsuki si guardò intorno e, per la seconda volta, si accorse di quello che gli era sfuggito. 

Mimetizzati, c’erano diversi piccoli dispositivi, non più grandi di vecchi bottoni, ma uguali a quello che il giorno prima gli aveva scaricato in corpo un quantitativo doloroso di volt

«Non sono qui per giocare» lo mise in guardia l’eroe a propria volta. Poteva sentire aggrappate alle sue spalle le mani di tutti i sensi di colpa nei riguardi di Izuku, ma non avrebbe sprecato quell’occasione come un codardo. 

Deku, però, non parve minimamente toccato dalla minaccia. Piegò un angolo di labbro, ma nessun sentimento si estese al resto del viso.

«Già. L’Hero Bakugou Katsuki non gioca, si impone e basta.»

Il suo nome, pronunciato per intero, suonò spiacevole.

«Diciamo che non dovresti trovarti qui» continuò Deku, annullando anche quell’unica nota ironica insita nel suo sorrisetto. «Te lo dico a voce se non l’hai capito leggendo: Wasuno non è un posto per eroi.» 

Spinto da una volontà che andava oltre i pensieri e l’istinto di sopravvivenza, Bakugou calcò lo stivale in avanti in un nuovo passo. Sentì la rabbia iniziare a infettarlo tanto quanto il veleno dei propri errori. 

«E sentiamo, merDeku qui gli eroi non ci piacciono più, cosa c’entri con la rapina di ieri!?» 

Incazzarsi avrebbe degenerato la situazione, ma forse avrebbe anche portato a galla qualcosa di vivo. Perché quello non era Deku. Non era Izuku. Era un cazzo di fantoccio senz’anima

«Nulla» rispose asciutto l’altro, senza retrocedere. «Ma il ragazzino che inseguivi ieri era dei miei. Farsi coinvolgere è stato un suo errore, ma ha già avuto la punizione che meritava.»

Bakugou restò senza parole per il tono sistematico e che non lasciò spazio a dubbi. 

«Tu…» tentennò, cercando le parole. Parole che messe nella stessa frase con Izuku suonarono sbagliate. «Sei il capo della banda?»

Tu… chi sei? 

«Mi stai interrogando? Non mi hai letto i diritti e, se ricordo, neanche ti spetterebbe.» 

Il modo in cui le labbra di Deku si curvarono fu qualcosa di totalmente agghiacciante. 

Chi. Sei. Tu.

«Che cazzo c’entri tu con tutta questa merda!?» 

Bakugou era livido. Fu a un passo dal lanciarglisi addosso e non avrebbe contenuto le esplosioni. Non mentre sentiva quell’acqua nera densa di è colpa mia arrivargli alla gola. 

Le spalle di Deku si abbassarono, insieme anche alla mano che teneva il dispositivo di innesco. Guardò in faccia l’eroe e questi, con ancora più intensità, desiderò soltanto di essere colpito fisicamente e avere un pretesto per muoversi. 

«Tutta questa merda» ripeté Deku con uno sguardo che abbracciò i palazzi limitrofi e parve spingersi anche più in là. «È casa mia. Wasuno è casa mia. Il ragazzo che hai inseguito? Fa parte della mia gente, come le persone che hai importunato con le tue domande su Midoriya Izuku. Tutto questo è la mia vita adesso.» 

Lo trapassò con uno sguardo in cui, per la prima volta, Bakugou vide qualcosa che credeva Izuku non sarebbe mai stato in grado di esprimere. 

«Vattene, Kacchan. Non sei il benvenuto qui.»

Non sarebbe finita come il giorno prima. 

Bakugou se l’era promesso quella mattina quando aveva deciso di tornare a cercarlo. La consapevolezza che il cielo fuori dalla finestra fosse esattamente quello che Deku avrebbe guardato, ora che sapeva dove fosse, era stata la ragione che lo aveva spinto ad alzarsi. 

Fregandosene delle ritorsioni, l’eroe si lanciò in avanti. Non sapeva cosa avrebbe fatto, ma afferrare Deku era l’inizio. 

Izuku non sembrò aspettarsi nulla di diverso e non mostrò esitazione nell’attivare i piccoli dispositivi disseminati in giro. Vedendo formarsi una rete ad alta tensione di fronte a sé, l’Hero ricalibrò la spinta delle esplosioni e salì in verticale per superare la parete elettrificata. Nel mentre, i suoi occhi non persero mai davvero di vista il suo obiettivo, messosi a correre con la stessa agilità e rapidità dimostrata in precedenza. 

«Deku!» urlò Katsuki, buttandosi in picchiata. 

Fermati. Aspetta. 

Bakugou digrignò i denti quando Izuku gli sfuggì all’ultimo. Smorzò l’impatto con un’altra esplosione che distrusse parte della strada, ma si rimise all’inseguimento in un istante. 

La mancanza di quirk non fu uno svantaggio per Deku. Non ci fu un solo istante in cui Bakugou non imprecò nello stargli dietro, nel vederselo sfuggire all’ultimo istante, nel ritrovarsi impedimenti o altre piccole trappole nascoste qui e là nei vicoli. Ugualmente al giorno prima, furono soltanto loro due, come se Wasuno sapesse e dovesse lasciare loro campo libero. 

Deku, fermati! Deku! 

Possibile che io non riesca mai ad afferrarti…?

Quel pensiero fu una distrazione inutile che costò a Bakugou la chance di prenderlo. Ottenne invece un dolore bruciante alla guancia, in un taglio verticale che, per miracolo, mancò l’occhio. 

L’eroe direzionò le mani di fronte a sé ed esplose una carica sufficiente a mettere qualche metro di distanza tra di loro. 

Il momento di esitazione lo pagò perdendo di vista Deku. 

Ansimando e frugando i dintorni con lo sguardo, l’Hero si premette le dita sulla ferita alla guancia, liberando un’imprecazione carica di frustrazione. 

«Merda! Merda…»

«Questo inutile Deku senza quirk è riuscito a sorprenderti, Kacchan?» 

Bakugou si voltò più volte su se stesso, cercando da dove Izuku stesse parlando. C’era un’eco fastidiosa e il suo nomignolo sostò nell’aria un tempo sgradevolmente lungo. 

«Non ho finito con te, Deku!» sbraitò a un tono di voce fin troppo alto, usandolo come valvola di sfogo. 

«Se vuoi dirmi qualcosa, fallo adesso. Poi vattene. Non abbiamo più niente da spartire da diverso tempo» fu la replica incolore. «Ti assicuro che la gente di Wasuno pensa solo a se stessa e non va in giro a pestare i piedi a nessuno. E come ti ho già detto, il ragazzo è stato punito. Puoi smettere di fare l’eroe da queste parti.»

«Cosa gli è successo?» 

Cosa ti è successo? 

Per qualche secondo il silenzio fu l’unico rumore percepibile. 

Quando Deku parlò, la sua voce sembrò ancora più distante. 

«Conosci il detto occhio per occhio?» 

Le parole, il tono, le implicazioni, rimasero sospese nelle orecchie di Bakugou, non diverse da un sibilo impossibile da far smettere. Ciò che Katsuki avvertì fu una nuova sensazione dilaniante, come se la lama usata per ferirlo gli fosse appena stata conficcata nello sterno. Tuttavia, invece del calore del sangue, sentì penetrargli dentro del gelo. 

Quando esplose la propria frustrazione in quel vicolo, Deku se ne era già andato. 



 

You take the breath right out of me
You left a hole where my heart should be
You got to fight just to make it through
'Cause I will be the death of you

[Breath - Breaking Benjamin]



 

To be continued




 

Grazie di aver letto il nuovo capitolo! (ノ◕ヮ◕)ノ*:・゚✧

Avete accolto il primo con un calore che non mi aspettavo, grazie mille davvero! (I secondi cap sono sempre un po' ostici e di passaggio...)

Questa volta sarò breve e lascio solo un paio di note: 

In questa storia troverete più volte battute originali del manga. Anche se gli eventi canonici non sono (ancora) successi, alcune cose credo che siano proprio nelle corde dei personaggi, per questo la volontà di Bakugou di chiedere scusa a Deku ricalca quello che dice nel volume 33 (se non sbaglio il numero). Sottigliezze che mi piace infilare qui e lì. 

La seconda nota è su Wasuno.
Da quello che ho capito, BNHA è pieno di quartieri inventati, quindi eccone un altro UU L’idea base è venuta da “Kamino”, ma poi si è evoluta. Il nome “Wasuno” contiene il kanji 忘 wasu, che vuol dire “dimenticare”, “lasciare qualcosa indietro”. Ci tenevo che avesse un significato del genere. 

 

Vi ringrazio ancora per aver iniziato a seguire questa storia!
A Martedì (!?) (o Mercoledì?) prossimo con il Capitolo 3!

 

Ps: mi trovate su twitter o su ig come @enerimess ;) 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 3




 

And we were running out,
through the storms,
through the night
We were running in the dark,
we were following our hearts
And we would fall down,
and we would slowly fall apart
We would slowly fall into the dark

[Falling apart - Michael Schulte]





 

Ohi, vecchia. Devo chiederti una cosa. 

Ciao, eh! Per fortuna ti servo, se no chissà quando chiamavi! Hai mangiato le zucchine che ho lasciato a Todoroki? 

Zitta! Stammi a sentire. Riguarda… 

Le porte dentro Bakugou continuavano a fare rumori orribili quando venivano aperte. Nulla di umano. Il suono di un frammento gettato in un pozzo di cui non si vede il fondo, quello di un fiore calpestato perché non visto, un sorriso distratto - senza sapere che sarebbe stato l’ultimo

Riguarda…? Ehi, ci sei? È caduta la linea?

Riguarda la zia Inko… Midoriya Inko. 

Oh. Dimmi.  

Altri rumori da quella porta di cinque anni prima. Una frenata improvvisa. Un’auto che sbanda. Il corpo di una donna che vola in terra. Preghiere che non servono a niente. 

Sono stato alla tomba. Qualcuno ha portato dei fiori. Sei stata tu? La zia Inko non ricordo avesse molti amici. 

Se erano freschi non sono stata io. L’ultima volta… fammi pensare, credo di esserci andata un mesetto fa. Probabilmente è stato Izuku a portarli. 

Ne sei sicura!?

Ehi, prima di tutto non urlare, idiota! Mi hai fatto prendere un colpo! Poi perché dovrebbe essere così strano? Se erano delle margherite gialle è stato di certo lui. 

Tu… l’hai visto? Ci hai parlato?!

Una volta sola, sarà successo due anni fa, non ricordo. Non ci siamo davvero incrociati. Doveva avere un impegno perché è corso via. Porta sempre gli stessi fiori, ma mai negli stessi giorni. E comunque te lo avrei detto se rispondessi alle mie chiamate o ti facessi vivo ogni tanto! Finisco col dimenticarmi-

Sei davvero sicura fosse lui!?

E chi altri? Lo sai che Izuku era molto legato a sua madre. Spero tu sarai così gentile da portarmi dei fiori quando sarà la mia ora! … Ehi!? Ci sei anc- 



 

Erano passati tre giorni dall’ultima volta che Bakugou si era trovato davanti a quel vicolo. 

Wasuno era ancora più silenzioso e tetro di notte, anche solo osservandolo dallo stradone con cui confinava su quel lato. Una barriera invisibile sembrava dividere il quartiere dal resto del mondo: la vita brulicava sul marciapiede e le macchine sfrecciavano intorno all’eroe, eppure i palazzi di Wasuno restavano una quarta parete incolore e ignorata. 

A causa della pioggia mattutina, l’aria della sera era fresca, a tratti pungente per l’umidità. Con la ferita sulla guancia in via di guarigione, ma coperta con un cerotto color carne per non attirare l’attenzione più del dovuto, Bakugou restò stretto nelle proprie spalle, nella giacca di pelle nera, il mento basso, le mani in tasca e lo sguardo fisso nel buio della stradina di fronte. La gente lo ignorava passandogli davanti, non riconoscendolo con il semplice cappello da baseball e un’aura che invitava a stare alla larga. 

Erano passati tre giorni perché Bakugou aveva avuto bisogno di capire. O, quantomeno, avvicinarsi a una storia che Deku non pareva intenzionato a raccontare. 

Che cazzo c’entri tu con tutta questa merda!?

Le risposte che aveva raccolto erano state vaghe e indigeribili. Ma erano solo delle risposte. Non certezze. Per quelle avrebbe dovuto avere le conferme da Deku. Fargliele sputare avrebbe voluto dire, ma era una minaccia vacua. Katsuki si trovava nell’irritante situazione di stare in punta di piedi per sopravvivere alla mareggiata delle proprie colpe. 

Tre giorni di ricerche serrate avevano solo allargato quel buco che sentiva dentro. Aveva tentato di rimettere insieme le pagine strappate di un libro di cui non conosceva la trama, ma di cui aveva vissuto in prima persona, addosso, gli ultimi capitoli scritti. Ed era una merda. Non c’era proprio nulla che gli piacesse di quella storia. 



 

Dopo il funerale di Inko, Deku era stato affidato ad alcuni parenti. 

Ah, sei un vecchio amico di Izuku? Vedi, era complicato trattare con lui. Pensavamo fosse un ragazzo più aperto, invece era sempre così mogio e chiuso in sé. Abbiamo faticato un sacco per fargli finire gli ultimi mesi del liceo, non si impegnava per niente, per fortuna la scuola è stata comprensiva. Speravamo andasse a lavorare subito per, ecco, aiutarci con le spese. È stato tutto così imprevisto e mantenerlo ci ha gravato molto con altri due figli nostri… Invece si è impuntato col voler frequentare l’università perché l’aveva promesso alla madre… non si rendeva conto, così giovane… Ci ha fatto patire parecchio, è stata dura finché non ha trovato un lavoretto, anche se non ci ha mai detto molto a riguardo. Non è mai stato socievole nei nostri confronti, onestamente. Un giorno si è presentato dicendo che non ci avrebbe più disturbarti e che aveva trovato un posto dove stare… insomma, ha riempito un borsone e ci ha lasciato un rimborso per il tempo che è stato qui. Almeno su questo è stato riconoscente, anche se non ci ha più chiamati… 

De… Izuku aveva diverse cose sue. Dove sono ora? 

Cose? Ah, intendi quegli scatoloni pieni di roba sugli eroi? Per un po’ ci hanno giocato i nostri figli, ma non erano davvero interessati, così abbiamo portato al negozio dell’usato quello che si poteva vendere e il resto lo abbiamo buttato. Capisci, Izuku non ci ha neanche lasciato un numero dove rintracciarlo e la sua roba occupava spazio… 

Bakugou aveva faticato a uscire da quella casa senza far esplodere almeno l’ingresso. O urlare contro quella sottocategoria di comparse quanto fossero delle merde. 

Tu non sei stato migliore di loro, no? 

Non c’era modo di soffocare la voce che continuava a riproporgli il volto del nuovo Deku per solleticare la sua coscienza, facendo gocciolare i liquami dei suoi errori. 



 

Trovare all’università di Deku qualcuno che lo conoscesse era stato frustrante. 

Midoriya? No, mi spiace. 

Midoriya… Midoriya Izuku… non mi dice niente questo nome.

Forse intendi Midori Izaku del corso di matematica?

Eeeh? Midoriya? Alto più o meno così, capelli verdi che non stanno al posto, lentiggini imbarazzanti? Ma chi, quello che spacciava?

Bakugou non aveva mai sperimentato quanto in fretta lo stomaco potesse contorcersi e fare male per una sola parola. 

Lo conoscevo. O almeno, per un periodo abbiamo frequentato gli stessi corsi e studiato insieme per gli esami, ma se dovessi dirti qualcosa di lui… boh, un tipo qualsiasi? Passava un po’ inosservato e se ne stava sulle sue. Dava l’idea di uno che si impegnava, ma credo abbia superato forse un paio di esami in tutto. Ho provato ad aiutarlo, ma era abbastanza messo male…

Cos’è questa storia dello spaccio? 

Sssh… amico, abbassa la voce. 

Non sono tuo amico, mezzasega. Rispondi. 

Wow, che modi. Perché hai detto di essere interessato a Midoriya? Ma io ti ho già visto da qualche parte? Cosa hai detto che fai?

Rispondi, non ho tempo da perdere. 

Senti, se ti deve dei soldi io non so nulla, ok? Era uno sfigato che si è trovato a frequentare persone poco raccomandabili… Insomma, probabilmente tutti gli universitari prima o poi vogliono sballarsi un po’, no? Non che io abbia mai provato! Midoriya invece ci andava giù. Non pesante, ma era quasi più simpatico da fatto. E posso capirlo, se fossi stato come lui forse avrei provato anche io. Se si è senza quirk magari si ha voglia di sentire qualcosa di diverso una volta ogni tanto.



 

So give me reason
To prove me wrong
To wash this memory clean
Let the floods cross
The distance in your eyes
Give me reason
To fill this hole
Connect this space between
Let it be enough to reach the truth that lies
Across this new divide

[New Divide - Linkin Park]



 

Le ombre del vicolo accolsero Bakugou con le loro occhiate celate qui e lì. 

C’erano meno sentinelle della volta precedente, poche presenze che seguirono i suoi passi riecheggianti nella bolla di silenzio surreale che permeava il posto. L’eroe non cercò contatti visivi e proseguì, mani in tasca, ricalcando i passi del sé stesso che era stato lì giorni addietro. 

Nonostante l’oscurità quasi palpabile, smorzata in alcuni punti dalla poca luce proveniente da lampioni esausti o da finestra sporche, Bakugou si accorse di diversi particolari, a iniziare da quei murales ignorati in precedenza. 

No Heroes 

No welcome for heroes 

GO AWAY SHITTY HEROES

La voce di Deku li lesse nella sua mente per lui, con un timbro sfasato tra passato e presente. C’erano tante cose sbagliate in quella storia, ma l’astio che Katsuki aveva percepito in Izuku verso gli eroi era l’antitesi stessa della verità che stava alla base del suo essere. 

Continuò a camminare, curvo in avanti, i palmi piantati contro la stoffa interna delle tasche per asciugare la voglia di sfogarsi e annerire quelle scritte. Non gliene fregava niente di essere insultato per ciò che aveva scelto di essere. Era avere quelle voci in testa ad ammattirlo, come se quel Deku e il Deku delle medie fossero entrambi appoggiati sulle sue spalle, a scandire ogni sillaba. 

Passo dopo passo, arrivò nelle strade dove aveva avuto l’ultimo incontro con Deku. O almeno, così credette. Il suo naso pizzicò per l’odore di vernice fresca e per quello di lavori edilizi, lì dove si ricordò di aver fatto danni. Come una pezza nuova su una vecchia coperta, i segni del suo passaggio erano stati cancellati. 

Il che era logico, logico, si ripeté. Rompi una cosa e la ripari. Così semplice. 

Un pensiero irrazionale lo colse. Sentì il bisogno di rimarcare quei danni, la propria presenza passata di lì, nella nuova vita di Deku. 

Sono qui, Izuku.

Bruciò pensarlo. Bruciò la consapevolezza che, per non superare il punto di non ritorno, sarebbero bastate quelle tre parole in innumerevoli occasioni distrutte invece dai silenzi. 

E Bakugou non sapeva più cosa farsene del silenzio. 

«Ohi, ficcanaso del cazzo, lo so che mi state osservando» vociò, alzando lo sguardo sui palazzi che lo circondavano, verso quegli occhi discreti quanto fastidiosi. Non incrociò una sola sentinella, ma fu certo di averle tutte addosso. 

«Andate a riferire a Deku di venire fuori. Avete cinque minuti o mi metterò a fare tanto casino da far arrivare Endeavor in persona» precisò, scostando una mano dalla tasca e alzando il palmo verso l’alto. Una serie di crepitii scintillò nel buio come promessa e avvertimento.

Di minuti ne passarono due in più, ma alla fine Bakugou avvertì qualcuno arrivare dai passi indolenti sull’asfalto. Gli servì alzare lo sguardo per capire che fosse Izuku. Il suo istinto continuava a non riconoscerne la presenza e fu l’ennesimo boccone amaro da ingoiare. 

Deku restò a una certa distanza, una scarsa dozzina di falcate, metri di vantaggio sufficienti a permettergli uno scatto per distanziarlo. Il corpo di Bakugou si tese per la volontà di accorciare quel divario, ma la sua mente era impegnata a distinguere le ombre sul suo viso. 

Era pallido, di nuovo, e le sfumature viola sotto i suoi occhi erano più marcate. Tuttavia, aveva un’espressione distesa, distante, nonostante non ci fosse il minimo accenno di sorriso sulle labbra.

Deku inclinò la testa, squadrandolo a propria volta. 

«Non sei in servizio» constatò, osservandone l’abbigliamento senza reale interesse. 

«Gli eroi lavorano anche in borghese.» 

Un primo sospiro, carico di condiscendenza. 

«L’hai detto davvero» mormorò così piano da essere appena udibile. «E quale sarebbe il lavoro di stasera? Disturbare la mia pazienza?» 

Bakugou non rispose, ma il suo sguardo tentò di agganciarsi al suo come un uncino. 

Le dita di Deku premettero le due curve dell’attaccatura del naso con un secondo sbuffo carico di sopportazione. Nonostante percepisse in lui la guardia abbassata, l’eroe non azzardò a muoversi. 

«Non stento a immaginare che saresti in grado di scomodare Endeavor in persona se lo volessi, Signor Sarò-il-numero-uno. Però poi i guai li passerebbe lui ad aver scatenato il caos in un tranquillo quartiere dove non succede mai niente. Crescere non ha mitigato la tua arroganza neanche un po’, eh? Non ti sprecare a rispondere, è retorico.» Poi ci pensò un attimo, alzando lo sguardo soprappensiero e si corresse. «No, è più semplice. È la verità. O non saremo qui.» 

«Voglio parlare con te» tagliò corto Bakugou a denti stretti. 

Lo sguardo vacuo di Deku si focalizzò, lasciando intendere che anche nella foschia impalpabile che lo circondava fosse in grado di dimostrare lucidità.

«E io no. Voglio tornare alla mia festa. È il mio compleanno.»

Fu come se qualcuno avesse aperto una porta troppo velocemente, sbattendola in faccia a Bakugou. Restò spaesato per un attimo imbarazzante. Quando la consapevolezza che fosse il quindici Luglio viaggiò attraverso le sue sinapsi fu troppo tardi per nascondere l’espressione sul suo volto. Un altro errore. 

Deku accolse quello spettacolo penoso con un’alzatina di spalle. 

«Te ne sei dimenticato, come tutto il resto» commentò incolore, con un Non mi interessa, sai? che fece capolino tra le sillabe. «Sul serio, Kacchan, dammi una buona ragione per cui dovrei ascoltarti.»

Ehi, amico, senti: a volte devi dire le cose di pancia, perché più ci pensi, più diventano complicate e finirai col tenertele dentro. 

Nel caos spigoloso che era diventata la sua mente, Bakugou avvertì la voce di Kirishima come una mano tesa. 

«Tu volevi diventare un eroe.»

Deku sbatté un paio di volte le palpebre. La sua bocca si dischiuse, ma prima che la voce vi scappasse attraverso, tornò padrone di sé. Si portò le mani alle tempie, massaggiandole con una spossatezza solo in parte simulata.

«Sul serio, Kacchan?» buttò fuori esasperato. «Sei venuto qui ora a fare cosa? Il sentimentale? Il buon samaritano?» Scosse la testa, come a scollarsi l’idea ridicola di dosso. «Nessuno ha mai creduto che potessi farcela a diventare un eroe, quindi perché continuare con un sogno tanto stupido?»

Una nota cattiva, cinica e accusatoria, scivolò tra le sue parole. 

«Ma poi tra tutti proprio tu vieni qui a dirmelo? Mi hai picchiato per anni ripetendomi che non potevo essere ciò che desideravo. Te lo sei dimenticato? Mi stai prendendo in giro?» 

All’espressione contratta - costipata di pensieri - di Bakugou, Deku realizzò quella verità seppellita viva che da giorni stava sgorgando incessantemente dai recessi più profondi dell’eroe. 

«Oh.»

Bastò la sorpresa densa di sottesi per irrigidire Katsuki. Non sarebbe stato sufficiente tutto il tempo del mondo a prepararlo al pugno invisibile che lo stava per colpire dritto in faccia. 

«Tu sei tornato qui per i tuoi sensi di colpa…?»

Il tono da domanda fu una maschera feroce che rese le zanne sottostanti soltanto più spiacevoli. Quel dolore al petto - l’ennesimo fastidio ignorato e sostituito con una bugia - tornò a dilagare. L’acqua alla gola dentro l’eroe gli arrivò in bocca, impedendogli di rispondere. Di respirare.

«… flash news, Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva Dynamight - o quello che era: non me ne frega niente.» 

Incolore. Spento. Vuoto. 

«I tuoi sensi di colpa non sono buoni neanche a concimare la terra. Ma non è un problema, ok? Ho seppellito Midoriya Izuku diverso tempo fa, non è rimasto niente. Niente ammirazione, niente odio nei tuoi confronti. Acqua passata.» 

Sbagliato

È. Tutto. Sbagliato. 

«Se ti fa sentire meglio posso ringraziarti per il soprannome. Deku è davvero comodo. Non attiro l’attenzione ed è ottimo per gli affari. Quindi grazie di essere sparito dalla mia vita, Kacchan.» 

Bakugou digrignò i denti e soffocò un verso che non aveva forma. Poi aprì la bocca, ma le parole morirono prima di sfiorargli il palato. Tremò e avvertì i muscoli così rigidi da fare male. 

Quando annullò i metri tra sé e Deku, non distinse più la consistenza della sofferenza che provava, da quale parte di lui provenisse, se dalla testa, dai ricordi, dal petto, da parti di sé che non conosceva. Afferrò l’altro per la spalla e lo costrinse a guardarlo. La sua bocca, però, continuò a essere incapace di esprimersi. 

Ho bisogno che mi ascolti. 

Io devo chiederti scusa. 

Scusa Izuku, scusa per quello che ti ho fatto, scusa per non esserci stato, scusa per-



 

Il dolore fisico fu un sovraccarico che gli mandò in blackout la mente. 

Non fu diverso da un fulmine bianco. Improvviso, attivò ogni allarme, e poi spense tutto. 

Bakugou si lasciò scappare una sillaba ciancicata, metà sorpresa, metà sofferta. Il suo sguardo ebbe bisogno di seguire un elementare percorso dal volto imperturbabile e bianco, quasi galleggiante, di Izuku, scendendo sulla sua spalla, poi al braccio allungato verso di lui, alla mano e, infine, al coltello spuntato dal nulla e piantato nel suo stomaco. Solo così capì la dinamica, perché il restò rimase slavato, annacquato da qualcosa di salato e amaro. 

L’eroe barcollò. Con una mano tentò di reggersi a - chiunque fosse - Deku, ma lui si sottrasse. Gli spinse invece la lama più a fondo, facendogli sfuggire un nuovo gemito e sbilanciandolo all’indietro. Katsuki non cadde sull’asfalto soltanto per un’ultima scintilla di orgoglio alla base del proprio essere. 

Orgoglio che lo sguardo di Deku gli disse quanto trovasse disgustoso.

«Mi hai proprio rovinato il compleanno, Kacchan.»



 

* * *



 

Ah, ah, ah
Honestly, what will become of me?
Don't like reality
It's way too clear to me
But really, life is dandy
We are what we don't see
We miss everything daydreaming

[All good things - Nelly Furtado]



 

Bakugou aveva perso il conto delle volte in cui, svegliandosi, si era ritrovato a fissare un asettico soffitto d’ospedale. Faceva parte del mestiere. Una pessima abitudine che, a detta di molti, lui rimarcava troppo spesso. 

Ciò a cui però non riusciva ad abituarsi era aprire gli occhi e trovare quelli di Todoroki fissi su di sé. 

«… ma tu non hai mai un cazzo di meglio da fare?» mormorò rauco, sentendo la gola così arida da valutare di aver fatto una stronzata a parlare di getto, invece di constatare le proprie condizioni. Fu il pensiero chiave per ricordare. 

Nelle sue orecchie risuonò uno schiocco, mentre gli avvenimenti delle ultime ore - giorni? - si spandevano in lui come metallo fuso; ustionanti all’inizio, ma che presto si sarebbero raffreddati, induriti e sarebbero rimasti lì in eterno. 

Wasuno. Deku. 

Le sue parole vuote.

La pugnalata.

Strinse involontariamente tra le dita le lenzuola del letto e non gli sfuggì come l’altro eroe si accorse di quel movimento. 

«Da quanto sono qui? Che ore sono?» si affrettò a chiedere e a rivolgere un’occhiata intorno in cerca di acqua.

Todoroki ignorò il suo bisogno, nonostante ci fosse una bottiglietta sul tavolino di fianco a sé.

Bakugou aveva imparato negli anni come sotto quell’imperturbabilità - che per i più pareva rappresentare una qualche concentrazione lungimirante, ma che per lui sfiorava soltanto il ridicolo - emergesse talvolta una personalità tanto testarda da confondersi con dei tratti di sadismo. Quando Todoroki voleva delle risposte era peggio di un gatto che ti ha scelto e ti fa la posta per essere sfamato. 

«Sei stato ricoverato stanotte. Sono le cinque di pomeriggio. Dei passanti ti hanno visto accasciato a terra al limitare di Wasuno e hanno allertato la polizia. La ferita non è grave, niente lesioni permanenti, forse solo la cicatrice.»

Telegrafico e pragmatico come sempre, ma a Bakugou non sfuggì il modo in cui il suo tono avesse insistito sul nome del quartiere - e come lui stesso avesse distolto l’attenzione a quell’insieme di sillabe. 

«Cos’è successo, Bakugou?»

«Passami quella fottuta bottiglia d’acqua.»

Shouto strinse lo sguardo con un No, prima rispondi in faccia che lo fece sembrare un bambino di cinque anni impuntato nelle proprie richieste. Dal canto proprio, Katsuki era forse la testa di legno più coriacea che avrebbe mai potuto incontrare, quindi il buon senso alla lunga vinse e Todoroki gli allungò la bottiglietta. 

Mandare giù l’acqua fu fastidioso e Bakugou avvertì i punti alla ferita - e con l’esperienza poté indovinarne il numero - tirare abbastanza da farlo quasi strozzare con una parolaccia. Accartocciò la plastica stringendo il palmo, mentre la sua testa non gli regalò un secondo di tregua, ricordando fotogramma dopo fotogramma quell’ultimo incontro con Deku. 

Era già il terzo e non aveva concluso nulla. 

Ho seppellito Midoriya Izuku diverso tempo fa, non è rimasto niente.

Bakugou bestemmiò e lanciò la bottiglietta contro la parete di fronte, facendo sobbalzare l’unico altro paziente e l’infermiera presente nella grande stanza. Per nulla sorpreso dal gesto, Todoroki chiese scusa con un gesto della mano e tornò a fissare il compagno. 

«Da quel caso di rapina sei tornato a Wasuno più di una volta, vero? Non è da te. Stai seguendo una pista?»

Katsuki non lo ascoltò, se non per comprendere che stava cercando risposte. 

E lui non aveva in mano niente. Solo cenere di ricordi. 

«Non ti riguarda» ringhiò, osservandosi quegli stessi palmi di cui tanto andava orgoglioso, trovandoli inutili. «Stanne fuori o ti ammazzo, Shouto. Sono stato chiaro?» 

Todoroki si zittì. Non proferì più parola, ma non fu per la minaccia - un atteggiamento talmente ricorrente da essere diventato più famigliare di qualsiasi saluto. Dopo un attimo di spaesamento, restò quieto a osservare la fronte corrugata di Bakugou e come le sue mani inerti trasmettessero un senso di impotenza. 

Shouto

Il suono del proprio nome pronunciato da Bakugou aveva delle note rare. Nel silenzio della notte e nel buio di una camera gli era sfuggito un numero di volte che si contava sulla punta delle dita. Le occasioni più incisive erano invece state quando si erano trovati immersi in qualche disastrosa situazione e in gioco c’era la vita. Erano stralci di momenti così unici, intensi, che rubavano appena un respiro al tempo e finivano archiviati l’istante dopo. Il proprio nome pronunciato dalla bocca di Katsuki per Todoroki equivaleva per lo più a sentire un brivido di allerta sulla nuca.  

Dal modo in cui Bakugou non lo stava calcolando, capì che chiamarlo così gli era sfuggito involontariamente. Fu l’inizio per comprendere che la situazione inseguita da Katsuki fosse per lui tanto importante da fargli perdere la misura della realtà. 

Shouto si lasciò andare contro lo schienale della sedia, desistendo da ogni intento ragionevole. Riuscire a far sbottonare Bakugou sarebbe stato impossibile. Quello che aveva davanti non sembrava più l’eroe ventitreenne scorbutico che si era conquistato un posto di merito nonostante il proprio caratteraccio. 

No. Chi era stato portato d’urgenza al pronto soccorso quella notte era il quindicenne arrogante e violento che Shouto aveva conosciuto il primo giorno di liceo alla Yuuei. Quel Bakugou che aveva un obiettivo e passava sopra tutto e tutti, mentre le sabbie mobili dentro di lui lo tiravano sempre più a fondo.

Ne erano passati di anni e di vicende, di incidenti, di momenti tesi fino a spezzarsi che avevano modellato quei modi di fare, smussandone gli angoli. Anni che pochi giorni parevano aver spazzato via con un colpo di vento. 

Era sicuramente successo qualcosa e Katsuki non voleva parlarne. Una combinazione che agli occhi di Todoroki fece diventare quella pugnalata allo stomaco la metafora di un prologo dalle tinte molto poco allettanti.



 

To be continued



 

Grazie di aver letto questo terzo capitolo ♥

Si potrebbe intitolare “provaci ancora, Katsuki!” visto che non sta demordendo. 

Intanto entra in scena ufficialmente anche Todoroki ♥ Bisogna volergli bene che avrà bisogno di taaanta pazienza. 

Spero che le parti iniziali siano chiare… mi piace raccontare direttamente con dialoghi spogli di didascalie avvenimenti specifici. 

Per il resto… ci addentriamo insieme a Bakugou nei meandri di questa storia. Izuku arriviamo UU 

 

Cambiando discorso, questo weekend sarò a Romics, la domanda è: riuscirò a non spendere tutto il mio stipendio in gadget di My Hero? Sono sei anni che li snobbo… 

 

Alla prossima!

Nene

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 4




 

Yeah, it was better back when we were kids
Thought we knew everything, we really did
Had no money but so rich

Nobody cared about what we did
Another fight and another kiss
But now it's water under the bridge

[When we were kids - Walking on cars]



 

Nonostante l’umidità e il sole a picco del dopo pranzo, Bakugou sperimentò ancora una volta come la temperatura variasse bruscamente una volta entrati nei vicoli di Wasuno. Il sudore gli si freddò sulla pelle, restituendogli una sensazione simile a un brivido. 

Era in piedi da meno di due giorni. Una pugnalata non era un gran problema comparata a ferite e traumi passati, ma non per questo provò meno fastidio nel camminare e sentirla tirare. Rimase una lamentela inascoltata - come lo sguardo di Todoroki degli ultimi giorni - di fronte a quello che era l’obiettivo di Katsuki. 

Con il cappellino da baseball calato sulla testa e i Ray-Ban sul naso, camminò fino a piazzarsi nella stessa stradina già scena dei precedenti incontri. Si riempì i polmoni al limite. 

«Deku! Io e te non abbiamo finito!» 

La sua voce rimbombò sui muri e fu certo che gli occhi fossero in ascolto. 

«Ehi, segaioli! Andate a chiamare il vostro merdoso capo! ORA!»

Restò in attesa qualche manciata di secondi, avvertendo di ritorno solo il sangue che gli martellava nelle orecchie. Era troppo su di giri e impaziente per attendere. 

«MerDeku! Giuro che scaverò ogni anfratto di questo posto per stanarti!» 

Alla decima minaccia urlata e alla prima esplosione frustrata contro il nulla, il sesto senso di Bakugou avvertì una presenza. Non era Izuku - dubitava di essere in grado ancora di riconoscerlo - ma percepì approcciarsi qualcuno di altrettanto silenzioso nei modi. 

Aggrottò la fronte, tirando su il mento nell’osservare la donna che sbucò con le mani in alto. 

Si scambiarono uno sguardo che lasciò Bakugou con una sgradevole sensazione addosso. Nulla che avesse a che fare con le vibrazioni neutre che emanava, quanto con l’idea che la nuova arrivata avesse compreso più di quanto si trovò a fare lui. 

«Chi sei, bionda? Non tratto con i galoppini» borbottò, sfruttando il momento per registrare il suo aspetto e i segni particolari, come una piccola cicatrice che le deturpava le labbra sul lato della bocca. 

Lei restò quieta, con le dita diafane inerti e a trasmettere l’esatta idea di arrendevolezza che l’intera sua aura emanava. Questo fece incazzare l’eroe senza un motivo preciso. La totale assenza di qualsiasi insinuazione o pericolo alzava in maniera irritante il suo stato di guardia. 

«Deku mi ha chiesto di portarti da lui. È parecchio indaffarato e non può venire.» 

Bakugou comprese molto dalle poche parole di quella ambasciatrice. Sapeva parlare. Non ci fu il minimo tentennamento nel suo tono. Né timore né minacce. Era quello che si sarebbe aspettato da un potenziale braccio destro, che fu il ruolo in cui l’intuito di Bakugou la collocò. In più, aveva pronunciato il soprannome di Deku con una sicurezza e una dimestichezza che fece fremere qualcosa dentro di lui. 

Di fronte alla sua mancanza di repliche, la donna continuò. 

«Ha però delle condizioni per parlare.» 

L’Hero sbuffò. 

«Spara.»

Sulle labbra della donna spuntò un breve sorriso. Ironico, quanto morbido. Bakugou si sentì preso in contropiede. Non la conosceva, ma intuì quanto dovesse essere raro. 

«Grazie per averlo detto.»

E quanto lui avesse appena fatto una cazzata. 

Il sibilo fu troppo breve per evitarlo prontamente. Quando si strappò dal collo l’ago soporifero comprese che fosse tardi per reagire. Le sue mani emisero un blando crepitio, mentre il mondo si rovesciava e diventava buio. 



 

La coscienza tornò con un grugnito che avrebbe voluto essere un ringhio. 

Bakugou sbatté le palpebre diverse volte cercando di mettere a fuoco la cosa più basilare che aveva davanti, ossia il pavimento. Era in cemento grezzo e questo gli diede un primo indizio, mentre strattonava le mani, sentendole sigillate in qualcosa che gli impedì di provocare la minima scintilla. Ne aveva viste a centinaia di manette per criminali con quirk, ma era dal festival scolastico che non ne sperimentava un paio. 

Scrollò testa e spalle per liberarsi dell’intorpidimento residuo e fare un quadro della situazione. Intento che si arrestò appena alzò lo sguardo e si accorse di non essere solo. Di nuovo, non lo aveva percepito.

Deku era a qualche metro di distanza, verso il fondo di quella grande stanza arredata come un ufficio moderno, nonostante di base non sembrasse che parte di un magazzino. L’Hero che era in lui stava già valutando l’ambiente in cerca di punti di fuga - tre porte, una era probabilmente il bagno, le altre due avevano vetri smerigliati, una doveva portare in una seconda stanza e una era illuminata da della luce esterna, mitigata, forse un cortile o uno spiazzo privato - e di quello che avrebbe potuto usare in una colluttazione o per segnalare la propria posizione - diversi oggetti e un telefono fisso. Mentre queste informazioni viaggiavano in background nella tua testa, Katsuki non smise di tenere Deku nel proprio campo visivo. 

Era seduto su una poltrona reclinabile, i piedi sulla scrivania e una pezza umida a coprirgli gli occhi. Come la prima volta, aveva una tenuta sportiva, anonima, e due copribraccia neri, ma nessun altro particolare di rilievo. 

Quando prese un respiro profondo, Bakugou trattenne inconsciamente il proprio. 

«Dimmelo subito» mugugnò Izuku, stiracchiandosi un poco in cerca di una posizione più comoda. «Intendi tornare qui anche dopo che ti avrò tagliato una gamba?»

Katsuki era troppo occupato a squadrarlo per rispondere a qualcosa di ovvio. Era di nuovo in sua presenza e, nonostante questo, nonostante continuasse a ripetere Dobbiamo parlare o Non abbiamo chiuso i conti, ancora una volta si trovò a corto di parole. 

Deku buttò fuori un respiro sfinito, togliendosi la pezza dalla faccia e lasciandola cadere sulla scrivania. Si alzò con indolenza e si trascinò davanti a Bakugou, massaggiandosi la faccia con le dita e sciogliendo i muscoli delle spalle e del collo con qualche movimento lento. 

L’ultima volta che erano stati così vicini Deku lo aveva pugnalato. La precedente invece lo aveva folgorato con una scossa. Eppure, la minaccia alla sua gamba era già sparita dalla mente di Katsuki. Aveva gli occhi fissi in quelli verdi dell’altro, frugandoli in cerca di un appiglio. 

«Sei un Pro Hero ora, Kacchan… non hai del lavoro da fare? Gente da salvare? Catastrofi in cui intervenire?»

«Ho settimane di ferie in abbondanza.» 

Un verso di infastidito vibrò nella gola di Deku. Recuperò una sedia e prese posto davanti a Bakugou, puntellando il gomito su uno dei braccioli e affondando la guancia nella mano per osservarlo. Più precisamente, contemplarlo. Non nascose i suoi processi mentali, lo sguardo pieno di pensieri, ma non ne lasciò trapelare nemmeno uno. 

«Non posso permettermi di stare dietro ai tuoi capricci. Ho delle giornate piene.»

Katsuki si sporse in avanti per quanto le catene glielo permettessero. Anche di più. Lui i limiti proprio non li sopportava, a costo di farsi male. 

«Sei occupato a vendere droga?» 

La fronte di Deku si contrasse, ma non per le accuse. Lo stava studiando a propria volta, ma Bakugou non capì cosa potesse cercare in lui. 

«A vendere droga, anche» replicò con un sorrisetto, quasi stessero parlando di qualcosa di piacevole. Izuku gli andò incontro, chinandosi di più in avanti, entrando in quello spazio che diede a Bakugou l’illusione di poterlo raggiungere. «Ti disturba tanto questa cosa? Spacciare non è negli schemi del Deku che ricordi?» 

Per la prima volta Izuku interruppe il contatto visivo, ma senza rivolgerlo a qualcosa in particolare. La sua espressione si fece meno tesa, ma non si ammorbidì. 

«Posso concederti il dubbio, penso sia lecito. Se a quindici anni mi avessero detto che sarei finito a gestire gli affari in nero di un intero quartiere, avrei faticato a crederci anche io.» Fece spallucce, liquidando l’argomentazione e mettendo su un sorriso sghembo. «Come si dice? Quando la vita ti da limoni…»

«Porti ancora i fiori sulla tomba di tua madre.»

Bakugou stava odiando la propria testa. Se avesse potuto liberarsi di quelle catene, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata sbatterla contro il muro. C’era troppa, troppa confusione. 

Un’ombra calò sul viso di Deku, ma quella linea scolpita sulle sue labbra rimase invariata. 

«È un crimine anche quello?» domandò con un tono dolciastro, amaro, eppure capace di scivolare dentro l’eroe come un liquido corrosivo. «Le volevo sinceramente bene… anche se non cambia quello che è successo dopo che sono rimasto solo.» 

Deku lo fissò e Bakugou non vide in quel volto più nessuno che conosceva. Una copia fisicamente conciliabile con l’età che Midoriya Izuku avrebbe avuto a ventitré anni, ma nient’altro. Nient’altro

Deku si picchiettò un dito sul naso, fingendo di pensare. Sapeva esattamente cosa dire. 

«Hai da ribattere anche su questo, Kacchan? Vuoi pulirti la coscienza con qualche discorso motivazionale?» 

Stava solo sussurrando, eppure l’impressione che l’udito restituì all’Hero fu quello di un urlo. 

Katsuki scoprì i limiti della propria ostinazione. Sostenne lo sguardo di Izuku finché quelle ultime parole - rimasto solo - non finirono di scavargli dentro, raggiungendo un punto scoperto che lo portò ad abbassare la testa, serrando la mascella e digrignando i denti con frustrazione. 

«Perfetto…» concluse Deku. Si chinò ulteriormente in avanti e annullò qualsiasi spazio tra di loro. Con un braccio circondò le spalle di Bakugou. 

Non fu un abbraccio. Fu troppo delicato, privo di consistenza, distante nonostante il contatto esplicito. La bocca arrivò abbastanza vicina all’orecchio dell’eroe da fargli rizzare i capelli più corti sulla nuca nel sentirne il fiato caldo. 

«Kacchan…» sussurrò, volutamente piano, cadenzato, premendo i tasti esatti che potevano conficcare spine lì dove faceva male. «Te lo spiego una volta per tutte: non ci sarebbe proprio nulla che tu potresti dire per redimerti ai miei occhi. O per cambiare qualcosa del passato. Davvero niente.» 

Bakugou non percepì più nessuno dei propri muscoli. Era come se fossero diventati vuoti di colpo, precludendogli ogni reazione, fosse stata anche solo quella di irrigidirsi. 

Il grido che però si spanse in queste cavità, rimbombando con una tenacia quasi fisica, lo riconobbe. Era lui stesso. La sua rabbia, la sua frustrazione, il basilare istinto che continuava da giorni a ripetere Deku è lì. 

Deku è davanti a te. 

Afferra Deku. 

Chiedigli scusa. 

Chiedigli scusa. 

Chiedigli scusa.  

«… lo so che sei una testa dura, Kacchan, ma mi sono stancato di ripetertelo. Ormai non mi importa più nulla. Ti sei fatto una vita, stai lavorando sodo per il tuo obiettivo. Io mi sono arrangiato per conto mio. Quindi perché non torni a ignorare la mia esistenza e facciamo finta che nulla di questo sia mai accaduto? Sconosciuti come prima?»

L’eroe non lo stava ascoltando. Non poteva accettare quel tono conciliante del cazzo. O se lo stava facendo, la risposta gli si lesse in faccia e Deku non sembrò contento. 

«Questa merda… non sei tu.»

Izuku si alzò di scatto. Il suo atteggiamento accomodante sparì dalla sua espressione, mentre la sedia si rovesciava in terra. Per un solo barlume di istante, Bakugou fu certo di vedere dell’ostilità più veritiera, con radici profonde, al di là di tutta la pantomima. Colse dell’odio. Questo riattivò una scintilla in lui, senza che neanche capisse perché lo facesse sentire pronto a reagire. 

«Kacchan… la pugnalata era un avvertimento.» 

Deku lo afferrò per la maglietta e Bakugou ebbe la conferma che, in fondo a quegli occhi spenti, qualcosa si stava agitando. 

«Tu non sai nulla di chi sono!»

Il pugno in faccia fece male. 

«Cazzo! Deku-»

«Sta zitto! Non provare a giudicarmi! O credere di avere qualche diritto per-»

«Deku.»

Furono interrotti. 

L’atmosfera nella stanza diventò pesante all’improvviso, premendo sulle loro spalle e smorzando il loro animo. Allo stesso tempo, l’attenzione di entrambi fu attirata dalla figura sulla porta. Bakugou riconobbe la donna venutagli incontro nel vicolo. Per la seconda volta, sentire la confidenza con cui pronunciò il soprannome di Izuku gli stritolò le viscere. 

Al contrario, Deku sembrò calmarsi di colpo, come se fosse stato premuto un interruttore. Si staccò da Bakugou. Fece un paio di passi indietro, massaggiandosi le nocche con cui aveva cercato di spaccargli il naso - quest’ultimo non si era neanche accorto del sangue che gli stava colando dalle narici - e prese un respiro più stabile.

«Ho tempo di cambiarmi?» e nel dirlo, tornò padrone del proprio tono, della propria presenza, raddrizzando le spalle. La donna assentì, rivolgendo poi l’attenzione al loro ospite. 

«Ohi bionda, Deku è occupato. Smamma» ringhiò l’eroe, non gradendo essere fissato. 

La tipa non si mosse. Bakugou non trovò né ostilità in lei, né la più basilare curiosità. Lo stava solo scrutando, ma ebbe la sgradevole sensazione che riuscisse a vedergli attraverso e stesse prendendo da sé informazioni senza chiedere. 

«Cosa faccio con lui?» 

Deku si allungò sulla scrivania per aprire un cassetto e recuperare un astuccio rigido. 

«Oggi vieni con me, Gin. Mi dispiace, ma ho bisogno di un backup fidato e non ho ancora trovato un sostituto per Tarou» spiegò sovrappensiero, mentre apriva la zip del contenitore e tirava fuori una boccetta e una siringa. «Lui può aspettare qui. Dice che ha preso le ferie, dubito lo verranno a cercare, non subito almeno. Devo finire di spiegargli un paio di cose.» 

Mentre lo diceva, Deku estrasse il contenuto della boccetta con l’ago, dando poi un colpo al cilindro in plastica. Il cervello di Bakugou realizzò che quella roba fosse per lui solo quando vide Izuku avvicinarsi. 

«Che cazzo credi di fare!? Non mi inietterai quella schifezza!» 

L’Hero si agitò tanto sulla sedia che fu sul punto di rovesciarsi, ma Deku lo afferrò dai capelli, obbligandolo a piegare la testa - e Katsuki constatò quanto quelle braccia fossero diventate forti. L’iniezione entrò con appena un pizzico. 

«Manda qualcuno a tenerlo d’occhio» continuò intanto Izuku, mentre osservava l’espressione di Bakugou mitigarsi e il suo corpo smettere di opporre resistenza. 

«Deku… aspetta…» 

L’eroe sentì la testa farsi pesante e la presa sui capelli sciogliersi. Vedeva ancora le scarpe di Izuku - avrebbe potuto dire qualcosa, ma la sua bocca era insensibile e non reagì. Deku parlò e la sua voce fu l’unica cosa nel buio a cui Bakugou si aggrappò. 

«Dicevo. Chiama qualcuno di discreto che lo tenga d’occhio. Solo d’occhio, nient’altro. Non si sveglierà prima di tre o quattro ore. Dovremmo essere tornati per allora.»



 

Ooh, tell me what I’m gonna do now
'Cause I feel a little lost without you
I'm a little bit lost without you
Hear me, hear me out
Tell me what I’m gonna do now
Because I realise now I need you
I'd do anything now to see you

[When we were kids - Walking on cars]



 

Katsuki si svegliò dall’ennesimo sonno sintetico e senza riposo. La tensione nei suoi muscoli era puro nervosismo concentrato, come se una parte di lui non si fosse mai sopita, ma non avesse neanche potuto vigilare la situazione come desiderava. 

Il grugnito che emise somigliò a un gemito. Si diede una scrollata controproducente che portò a sferragliare tutto quello che lo teneva ancorato alla sedia. Un gasp di sorpresa gli arrivò all’orecchio, mettendo sull’attenti la sua coscienza. Non era solo. 

Manda qualcuno a tenerlo d’occhio.

Le parole di Deku gli sfrecciarono in testa come un razzo di segnalazione, illuminando quegli spazi ancora al buio. Alzò la testa di scatto, i denti sbarrati come una bestia pronta a sbranare - catene permettendo

La minaccia si riassunse in un ragazzino di non più di quattordici anni. Seduto a gambe incrociate sulla poltrona di Deku, la testa incassata nelle spalle per lo spavento, aveva le dita strette intorno a una console portatile da cui proveniva una canzoncina troppo gioiosa per accompagnare la situazione. 

Dimentico del gioco, il più giovane sembrò tornare padrone di sé dopo aver deglutito, anche se non accennò a muoversi. 

«H-Hai sete?»

Bakugou aggrottò ancora di più la fronte alla domanda fuori contesto, ma la sua mente era impegnata a ricordarsi dove lo avesse già visto. Lo sguardo guardingo del ragazzino si sovrappose a un ricordo recente. 

«Tu sei il moccioso della rapina. Quello che Deku ha aiutato a scappare.»

Il teenager si ritrasse maggiormente nelle spalle, ma con un sentimento diverso, più simile all’avvilimento. Sviò l’argomento, restano nel presente. 

«Deku ha detto che non devo avvicinarmi perché mordi.» 

Katsuki replicò con uno sguardo confuso. Nonostante l’ennesima sensazione fastidiosa legata al sentire quel soprannome usato da tutti, mise su uno dei suoi ghigni mordaci, prendendosi una pausa dal nervoso che provava. 

«E come farai a farmi bere?»

Il ragazzino si decise a spegnere la console e appoggiarla a caso sulla scrivania, senza smettere di fissare Bakugou e la sua aria di sfida. Era così palese che stesse raccogliendo il proprio coraggio da fare quasi tenerezza. 

«… ho una cannuccia» rispose serio, mentre la sua testa pareva intenta a valutare la distanza da tenere con l’eroe per non vedersi staccato qualche dito. «Dovrai accontentarti di una coca cola, è l’unica cosa fresca che c’è. Deku l’ha comprata per me, ma si è dimenticato di prendere altro. Quindi ringrazia che la divida con te.»

Bakugou si arrese all’assurdità che stava vivendo. I pezzi del quadro generale continuavano a incastrarsi, ma restituivano un disegno incoerente. Passava da una situazione paradossale a un’altra, senza capirne la logicità. 

Quello che desiderava lui non riusciva a stringerlo a parole neanche quando l’occasione - Deku - era davanti a lui. Non sarebbe stato minacciare quel moccioso che lo avrebbe portato fuori dal vicolo cieco dove si era infilato. Anche se la voglia di urlare gli era rimasta incastrata in gola. 

Se ti limiti sempre e solo a sbraitare finirai col mancare informazioni importanti. Ogni tanto prova ad ascoltare e basta!

L'ammonizione di Jirou fu la ciliegina sulla torta che lo fece ringhiare tra sé. 

«Allora? Datti una mossa che ho sete.»

Il ragazzino saltò su a molla. 

«Sai… tu non sembri per niente un eroe.»

Il coraggio di parlare al moccioso sembrò venirgli dall’osservare la bocca di Katsuki impegnata, come se rispondergli a tono - o morderlo - gli fosse precluso in quel frangente. 

«Quando mi sei piombato addosso e mi hai dato la caccia avevi in tutto e per tutto l’atteggiamento di un Villain!» 

Bakugou grugnì di disappunto, ma si limitò a buttare giù la bevanda fresca, trovandola più confortante del previsto. Anche se odiava dover bere dalla stupida cannuccia. Non trattenne un rutto alla fine. 

«Se tu fossi stato a scuola io non avrei dovuto stanarti.»

«Cosa sei, un vecchio?» borbottò il teenager, constatando tristemente che non fosse rimasto neanche un goccio di coca cola. «La mia scuola è piena di bulli, non mi piace. E a Deku va bene così. Mi sta insegnando un sacco di cose.» 

«Come rapinare una banca?» insinuò mordace Bakugou, ritrovando il proprio malumore. 

Si accorse di aver toccato un nervo scoperto. Il sentore lo aveva avuto anche prima, ma ne ebbe la conferma dal disagio del ragazzino, da come tenne occupate le dita stritolando la cannuccia, guardando altrove. 

«… quello è stato un mio sbaglio.»

Katsuki restò in silenzio e in ascolto. 

«Non avevo capito cosa sarebbe successo… avevo sentito Deku e mio padre discutere… sai, nella rapina era coinvolto anche lui… rubare è sempre stato un suo vizio… ero contento che lavorasse per Deku, pensavo bastasse a tenerlo fuori dai suoi vecchi giri…»

Il moccioso fece spallucce, ma sul suo viso c’era una delusione e una tristezza che Bakugou non poté ignorare, anche se lo lasciò continuare senza interromperlo. 

«L’ho seguito stupidamente e una volta lì mi ha chiesto di fare da palo.» Passò a torturarsi un labbro coi denti, dando a intendere un muto Non avrei voluto, ma non sapevo cosa fare. «… giuro che non ho fatto male a nessuno. A Deku non piace quando chi non c’entra niente ci finisce in mezzo.» 

Il teenager si accorse di aver confessato più del necessario quando incrociò lo sguardo dell’Hero. 

«Q-Questo per dire che, insomma, non ho davvero preso parte alla rapina… è vero che forse ho, ecco… un po’ contribuito… ma…»

Katsuki sbuffò. Che situazione di merda… Ma aveva compreso più cose in quelle due chiacchiere che in tre giorni appresso a Deku. 

«Come ti chiami?»

Le spalle del più giovane si afflosciarono. 

«Vuoi arrestarmi davvero?»

Bakugou roteò gli occhi. 

«Moccioso andrà bene come nome.»

«Eeh!? No! Momo! Mi chiamo Momo! Ma il cognome non te lo dico!» 

«È più facile moccioso

Il ragazzino lo fissò a bocca aperta. 

«Tu sei impossibile! Perché ronzi intorno a Deku!?»

L’eroe si sentì pizzicato fastidiosamente dall’allusione.

«Chiariamo una cosa, pulce. Io non ronzo intorno a nessuno. Meno che mai a Deku.»

Di punto in bianco, un pensiero gli attraversò la mente. Qualcosa che aveva messo da parte, ma che ora non combaciava più con quello che aveva sentito in precedenza. L’Hero squadrò Momo da capo a piedi, assottigliando la propria occhiataccia.

«Ohi. Come ti ha punito?»

«Eh?»

«Deku. Cosa ti ha fatto? Aveva detto che avevi avuto quello che meritavi dopo la rapina.» 

Momo lo fissò spaesato, inclinando la testa, ma trasalì e balzò indietro quando la porta dell’ufficio si aprì senza preavviso. 

Deku e Gin erano sulla soglia. Il semplice incrocio di sguardi ribaltò lo stomaco di Katsuki. Un’ombra scura calò anche negli occhi di Izuku, ma prima che l’intera atmosfera ne fosse infettata, quest’ultimo sospirò dalla bocca, spezzando l’impasse sul nascere. 

Deku si grattò la nuca con un atteggiamento molto simile a un Speravo di non ritrovarti davvero qui. L’eroe ringhiò di rimando un muto quanto intuitivo Mi ci hai mollato tu qua, stronzo. 

Momo saltellò verso i nuovi arrivati, ignorando il loro spazio personale nel girargli intorno. Gin gli diede un buffetto sulla testa. 

«Bentornati! È stata una riunione noiosa?» 

«Anche» replicò stanco Deku, mentre si allentava la cravatta. Non staccò gli occhi da Bakugou neanche un secondo, ma non gli si rivolse mai direttamente. «Da quanto è sveglio?»

«Boh, dieci minuti?» e Momo sembrò chiedere conferma all’eroe stesso.

«Quindi la dose era giusta…»

Katsuki aveva la sua espressione più truce. Non replicò a quell’inezia, continuando a cercare di perforare Izuku con lo sguardo. Non gli era sfuggita la menzione di una “riunione” o il completo scuro che indossava e di cui, pezzo dopo pezzo, si stava liberando.  

L’ultima volta che aveva visto Deku conciato in maniera simile era stato al funerale della madre, ma il paragone risultò misero. Davanti a lui c’era un adulto abituato a vestire quei panni con disinvoltura, per quanto si percepisse un vago senso di costrizione. Non sembrava Izuku da nessuna angolazione, ma non poteva neanche dire che ci stesse male. Semplicemente, era fuori luogo. L’ennesimo dettaglio incongruente. 

Nel mentre, Momo si stava dondolando sui talloni, passando lo sguardo tra gli adulti. 

«… cosa ne facciamo di lui? Lo teniamo?»

«Ohi, moccioso, non sono un cazzo di cane!» 

Quello di Bakugou suonò proprio come un latrato. Il suo agitarsi non migliorò la situazione, facendo stridere le costrizioni che lo tenevano bloccato. 

«Toglimi ‘ste catene di merda, Deku! Devo andare a pisciare!»

Izuku finì di arrotolarsi le maniche della camicia ai gomiti per massaggiarsi le palpebre e lasciarsi scappare un nuovo sospiro spossato. 

«Sembri proprio un cane!» rise Momo senza freni, piegato in due, buttando benzina sul fuoco. «Prima ha accettato una coca cola, forse dovrà davvero fare i suoi bisogni!»

Bakugou passò agli ululati incomprensibili, fondendo insieme una sequela di improperi che rimbombarono per tutto l’ufficio.

«Deku…» 

La calma con cui Gin si rivolse al proprio capo in quella baraonda, rimarcando con un muto Cosa ne facciamo? la domanda di ore prima, riportò Izuku sui binari della realtà. 

«Prendi Momo e andate, ormai è ora di cena.»

Per quanto si stesse rivolgendo solo al proprio braccio destro, il sentirlo parlare ridiede calma alla stanza. Deku si ostinò a fissare Gin, nonostante Bakugou lo stesse bruciando con lo sguardo. 

«Finisco di sistemare le ultime cose e mi occupo di lui.» Trovò il contatto visivo con l’ex amico e non fu generoso. «Del cane.»

Katsuki diventò paonazzo. 

«Io ti ammazzo, Deku!»



 

I still call out for you
Oh, I still call out for you
Hear me, hear me
I still call out for you
’Cause I feel a little lost without you
I’m a little bit lost without you
Hear me, hear me

[When we were kids - Walking on cars]



 

Momo fu restio ad andarsene. Riempì Deku di domande mentre raccoglieva le sue quattro cose sparse ovunque, dalla console portatile, a una felpa leggera, una borsa a tracolla e un paio di manga. In tre ore che era stato lì - Una noia a fissarlo dormire! - aveva colonizzato l’ufficio. Izuku fu paziente. O quello, o probabilmente avrebbe drogato tutti per della sana quiete, perché Bakugou non la smise un secondo di abbaiare minacce. 

Quando Gin si chiuse la porta dell’ufficio alle spalle con un’ultima occhiata, lasciandoli soli, il silenzio che scese fu così intenso da fare male ai timpani. Ma durò poco. 

«Occhio per occhio, eh? Che bluff del cazzo, mezzasega.» 

Bakugou si liberò di quel pensiero dandogli un peso concreto a parole, schernendo Deku in un tono intriso solo in parte di una derisione cattiva. Il resto non fu dissimile dal sollevare una pietra dal fondo umido e trovarci sotto un nugolo di sentimenti aggrovigliati e agitati. 

Non si rese necessario specificare il soggetto. Izuku lo guardò dritto negli occhi, senza dare appigli di essere stato colpito da quell’osservazione. 

«Anche grazie al tuo intervento, Momo si è spaventato abbastanza da capire da sé che non deve più infilarsi in situazioni del genere. E suo padre è stato arrestato. Una punizione più che sufficiente.»

«Seh, me l’ha detto, il moccioso è loquace. Ma meglio che il suo vecchio se ne stia in prigione se l’alternativa è coinvolgere il figlio in una rapina» sentenziò Bakugou, indurendo lo sguardo quando Izuku fece altrettanto, senza ribattere. Anche se non fu una vittoria, l’eroe poté constatare che almeno su una cosa furono d’accordo. Peccato che la quiete non perdurò, perché da dire Katsuki ne aveva tante. «Dovrebbe andarsene a scuola invece di farsi insegnare dall’inestimabile Deku come stare al mondo.»

Izuku alzò il mento, con un sorriso simpatetico ad attraversargli le labbra. La voglia che Bakugou sentì di cancellarglielo a suon di pugni non fu quantizzabile. 

«Nella sua scuola ci sono dei bulli esattamente come lo eri tu. Piccoli megalomani con dei quirk usati in maniera impulsiva e senza supervisione.» 

Non ci fu alcuna indulgenza nella sua voce. Snudò crudelmente una realtà fredda quanto vera.

«Perché non lo incoraggi tu a tornarci? Stringi i denti, la vita è così. Come ti suona, Kacchan?» 

Katsuki non replicò, ma non distolse neanche lo sguardo. Deku invece distese le spalle e la posa. Fu serio, quanto amaro.  

«Momo manca da scuola ormai da tre settimane e neanche ai professori importa qualcosa. Alla fine è solo un ragazzino del quartiere di Wasuno. Dimenticabile.»

Nessuno dei due aggiunse altro. Deku si massaggiò gli occhi con le dita, per poi fissare Bakugou attraverso queste. Dal canto proprio, l’Hero non fece nulla per agevolarlo nella scelta di cosa dire. Lo vide pensare e fu molto diverso dal ragazzino sfigato che conosceva, che non riusciva a tenere le sue elucubrazioni per sé ma doveva esternarle in mormorii invadenti. Aveva l’impressione che l’unica cosa rimasta uguale in Deku fossero solo le lentiggini. 

«Non ho tempo per stare dietro ai tuoi capricci. Posso lasciarti qui e continuare a imbottirti di tranquillanti fino a ridurti in coma per tenerti buono, ma preferirei che te ne andassi.»

«E io preferisco restare.»

Un vicolo cieco. 

Era quello che si stavano offrendo a vicenda. Una gara a chi fosse il più ostinato. 

Deku cedette per primo con un’imprecazione pressata tra i denti. Aprì un cassetto della scrivania e recuperò qualcosa, senza però che Bakugou riuscisse a vedere che cosa fosse. Si avvicinò a lui. 

«Se stai pensando di drogarmi di nuovo-»

«Cosa farai? Mi ucciderai con le mani legate dietro la schiena?» sibilò Izuku con la prima nota di frustrazione reale, completamente intrisa di stanchezza. 

Katsuki trattenne involontariamente il respiro e lo seguì come poté quando si portò alle sue spalle. 

«Ohi-»

Ci fu un click e poi un paio di tonfi pesanti. Bakugou riuscì a flettere le dita, libere. Seguirono le catene, che caddero a terra come serpenti a cui era stata mozzata la testa. 

«Dovevi andare in bagno? È la porta lì a lato.» 

Katsuki fu cauto e incredulo nell’alzarsi. Fissò l’altro da sopra la spalla e, anche a causa di questo, sbandò leggermente, registrando l’intorpidimento residuo dei narcotici, ma tenne lo sguardo fisso su Deku. Girarsi per raggiungere i servizi fu il modo con cui l’eroe scappò di nuovo da un confronto di cui continuava a bruciare le opportunità. 



 

I pochi minuti che aveva passato in bagno non erano stati utili a Katsuki per mettere ordine tra i pensieri. 

Aveva fatto la cosa più basilare, sciacquarsi il viso con dell’acqua gelida, pulirsi in modo approssimativo il sangue secco dal naso e fissarsi allo specchio. Neanche una settimana prima stava vivendo una vita che si era convinto sarebbe rimasta uguale per sempre. Patetico

Asciugandosi la faccia col bordo della maglietta, tornò nell’ufficio. Deku non si era defilato.     

«Spero tu non abbia bevuto l’acqua del rubinetto. Potresti avere problemi di stomaco più tardi.»

Izuku gli indicò una bottiglia iniziata sulla propria scrivania e l’eroe ci si avventò, tracannandone il resto in lunghi sorsi. 

«Prego.» 

Passandosi il palmo sulla bocca per togliersi le gocce residue, l’eroe fissò l’ex amico, appoggiato indolente al muro di fianco a uno schedario, intento a sfogliare un’agenda. Gli si portò davanti in poche falcate e lì si fermò con la propria presenza insistente. Deku non alzò gli occhi. 

«A meno che tu non sia qui per un’indagine ufficiale, questi appunti saranno una noia indecifrabile.»

Katsuki aveva registrato l’agenda per il mero oggetto che era. Il suo focus rimase Izuku. Fece un altro passo e si assicurò di avere controllo su ogni possibile via di fuga. Deku interruppe la lettura, ma non alzò lo sguardo. 

«Intendi andartene?»

«No.»

Nel tempo che l’agenda ci impiegò per cadere ai loro piedi, nella mano di Izuku apparve una lama. Bakugou ne fermò il taglio a pochi centimetri dalla propria gola, in una risposta altrettanto veloce, ma meno precisa. 

Se bloccare il coltello fu un riflesso condizionato dall’esperienza e rapido quanto respirare, i gesti successivi portarono la firma inconfondibile dell’irruenza di Dynamight. 

L’eroe impresse una forza oggettivamente eccessiva nell’imporsi su Deku, allontanando la lama dalla zona vulnerabile e costringendo l’altro contro il muro, con un palmo aperto e premuto sullo stomaco, in una muta, quanto istintiva minaccia di uso del suo quirk. 

Izuku non perse mai lo sguardo di Katsuki. Inarcò la schiena con forza e assottigliò lo sguardo alla smorfia di Bakugou quando il dorso della sua stessa mano, pronta a esplodere, insistette contro la ferita all’addome non ancora del tutto rimarginata. 

«Io lo so che tu non mi ammazzerai» sussurrò Deku, riempiendo quella stasi, la voce carica di sottesi. Sostenere il suo sguardo non fu differente dal prepararsi a ricevere il colpo di un Villain. Bakugou non arretrò neanche col pensiero. «Chi ti dice che io non farò lo stesso se ne avessi l’occasione?»

Il sangue ribollì nelle vene di Katsuki. 

«Non farmi ridere, Deku.» 

Fu un ringhio raschiato, spinto fuori da un ruggito che si bloccò in gola. Non fu divertente, non fu neanche una minaccia. Nel fondo ultimo di quelle parole, opache di rabbia, c’era di nuovo quella viscosità di emozioni che scorrevano senza dargli pace. 

Come era scattato, così Izuku rilassò di colpo i muscoli rigidi. La mano con cui teneva il coltello perse di iniziativa e, dopo qualche secondo, Bakugou la lasciò andare. Si accorse che il palmo sanguinava solo quando lo abbassò e lo vide con la coda dell’occhio, registrandone anche il dolore, per quanto irrisorio. La vocina dell’eroe dentro di lui non fu clemente nel rimproverarlo di aver permesso all’avversario quel vantaggio - perché Deku lo aveva fatto apposta. Sapeva che un palmo ferito per lui era un problema

Di contro, Katsuki non allontanò l’altra mano dal suo stomaco. 

«Cerca di non sporcarmi il completo, è su misura» borbottò Izuku, lanciando un’occhiata al sangue che stava colando lungo il polso dell’eroe. 

«Tu mi devi una giacca di pelle da novemila yen.»

«Ringrazia di essere uscito da Wasuno ancora vestito.»

Bakugou grugnì, masticando un’altra imprecazione. Non stavano andando da nessuna parte. 

Per quanto continuassero a rispondersi per le rime, stavano solo esaurendo il tempo a loro disposizione. Le minacce di Deku stavano perdendo di intensità in fretta e una piccola, marginale zona di coscienza di Katsuki sapeva che stava soltanto tirando la corda. L’opinione di Izuku nei suoi confronti era ancora la stessa e irremovibile. 

Non me ne frega niente

Provocargli quella scintilla di odio gli aveva fatto capire che ci fosse ancora della brace, sotto tutta quella cenere di passato condiviso assieme. Ma, se lo disse onestamente, non era lì per farsi odiare. 

«Mi dispiace.»

Fu tanto facile quanto sgraziato. 

Non lo guardò, non direttamente, ma Bakugou neanche si mosse per liberarlo dalla propria presenza. Anzi, senza volerlo, sentì il proprio palmo irrigidirsi, ancora fermo sull’addome di Deku. Si detestò, ma non si allontanò. 

Izuku non lo respinse. Immobile - rigido - restò appoggiato alla parete, lo sguardo che non tentò di capire cosa stesse passando per la mente dell’eroe, ma fisso in un punto inesistente tra il suo collo e la clavicola. Katsuki lo vide dischiudere le labbra, ma le parole arrivarono dopo un po’. 

«Per cosa ti dispiace? Per tutto?»

Non era la replica che aspettava, eppure la morsa al petto di Bakugou non peggiorò. Abbassò e inclinò leggermente la testa per ridurre quei dieci, o poco più, centimetri di altezza che li separavano, cercarne gli occhi, ma Deku si rifiutò di andargli incontro. 

«Sei diventato noioso, Kacchan.»

Bakugou non apprezzò e sbuffò, ma la rispostaccia gli si fermò sulla punta della lingua nel vedere Izuku abbassare ulteriormente le difese. Non la guardia. Il modo in cui teneva ancora il manico del coltello era guardinga e l’Hero non stentò a credere che al primo - ennesimo - passo falso gli avrebbe aperto un secondo buco in pancia. Tuttavia, Deku si abbandonò completamente contro il muro, facendo emergere una fiacchezza fisica portata allo stremo. 

Katsuki non riuscì a lasciarlo andare. Non in quel momento che la polvere tra di loro si era parzialmente diradata e si intravedeva qualcosa. 

Deku non aveva accettato il suo stentato Mi dispiace, ma non lo aveva neanche rigettato. Era uno spiraglio e Bakugou avrebbe fatto di tutto per spalancare quella porta definitivamente. 

Izuku mugugnò infastidito e l’eroe tornò alla realtà. 

«Ti dispiace?» sbuffò irritato, indicandogli con un’occhiata quella mano insistente sull’addome che lo teneva bloccato. «Comincio ad avere fame.»

Bakugou si decise a fare un passo indietro, lasciando la presa. Per la prima volta in tutti quei disastrosi incontri, la sensazione che il contatto con Deku persistesse, anche se non fisicamente, corroborò per un istante il suo animo. Tanto da fargli ritrovare il proprio ghigno arrogante - che Izuku non gradì, ma non ebbe la forza di ignorare.

«Andiamo. Che cosa si mangia da queste parti?»



 

Dei due, quello che mangiò, anche fin troppo voracemente, fu solo Bakugou. 

Niente di impegnativo, qualcosa che Deku recuperò entrando dal retro di un locale, direttamente nella cucina; lo fece attendere fuori poco meno di dieci minuti, per poi lanciargli in mano un involto di alluminio. 

Che fosse per effetto dei narcotici o perché non aveva pranzato, l’Hero divorò il tutto senza neanche chiedersi che cosa fosse - e le stradine quasi al buio di Wasuno non lo aiutarono a distinguerne l’aspetto. Quando nel silenzio in cui stavano camminando Deku gli fece scivolare in mano anche la propria cena appena spizzicata, Katsuki non fece complimenti a divorarla. 

Per qualche manciata di minuti, camminando fianco a fianco, in quel silenzio scandito da qualche morso e solo da un ciancicato La prossima volta facci mettere più piccante, sembrò tutto normale. Due persone che condividevano uno spazio troppo esiguo per non conoscersi. Immerse in una quiete che si sarebbe potuta scambiare per tacita e reciproca compagnia. 

Aveva i contorni vaghi di una tregua - le spalle basse e la schiena leggermente curva di Deku parlarono più di una resa - ma, per quello che avevano passato negli ultimi giorni, era una scena insperata. Bakugou la accettò per quello che era: un momento indefinito, ma esistente. 

Anche quando furono al limitare di Wasuno e restarono nell’ombra del vicolo, osservando la vita brulicante della strada che si affacciava davanti a loro, Katsuki continuò a stringere interiormente quel filo sottile che si era teso tra di loro. 

Spezzarlo sarebbe stato un attimo. Tuttavia era lì, a testimoniare che anche l’altro capo, dal lato di Izuku, si era legato a qualcosa, creando una connessione. Il compito di Bakugou sarebbe stato di rendere quel filetto una corda solida e poi tirare su Deku dal pozzo oscuro in cui era caduto. 

Perso com’era nei suoi intenti futuri, si accorse solo abbassando lo sguardo che Izuku non era più al suo fianco. Si voltò indietro di istinto, ma il vicolo da cui erano arrivati era deserto e buio. 

Non tornò sui propri passi a cercarlo. Quella giornata era durata abbastanza e il risultato, per quanto meno di quello che avrebbe voluto, gli stava restituendo una sensazione tiepida che gli ammorbidì l’espressione senza che se ne rendesse realmente conto. 

Massaggiandosi il petto sovrappensiero, Bakugou lasciò Wasuno e tornò a casa. 



 

I'm sorry
It's all that I can say
You mean so much,
and I'd fix all that I've done
If I could start again
I'd throw it all away
To the shadows of regrets,
and you would have the best of me

[Best of me - Sum 41]



 

* * *



 

«Ammetto di aver perso la cognizione del tempo - oltre ad aver dimenticato l’agenda in macchina - ma sono abbastanza certo che avessimo un appuntamento al club stasera.»

Deku trasalì. A riportarlo alla realtà fu la voce che lo accolse nei pressi del proprio ufficio. Abbozzò un sorriso, sciogliendo in parte la tensione della giornata. 

«Daisuke…» salutò, terminando gli ultimi passi per trovarsi davanti al nuovo venuto. «Ho avuto un contrattempo» spiegò, portandosi una mano alla nuca e premendo le dita in uno dei punti che sentiva ancora rigidi. «Ma se vuoi possiamo andare ora.»

L’uomo, prossimo ai quaranta, lo squadrò con un’occhiata seria che Deku non sostenne del tutto. 

«È successo qualcosa?»

La leggerezza iniziale fu abbandonata per farsi seria, come anche la postura si fece più composta. Daisuke era una persona dalla presenza discreta, pensierosa il più delle volte, ma in grado di catalizzare l’attenzione quando lo riteneva necessario. 

Deku sospirò, passandosi la mano sul viso e premendosi le dita sugli occhi, lasciandole lì per qualche secondo di riflessione. 

«… nulla di ingestibile» mugugnò alla fine, suonando falso alle proprie orecchie, ma ringraziò la spossatezza che si miscelò al resto del tono e lo rese più coerente. 

«C’entra Akane?» 

Al nome, Izuku si irrigidì e serrò la mascella. 

«No. Non stavolta.» 

Daisuke incrociò le braccia con un altro sospiro condiscendente. Non c’erano spigoli nella sua espressività, ma solo un silenzioso invito.

«Deku… Se non mi dici qual è il problema non posso aiutarti.»  

La consumata saggezza nella sua voce, una nota abituata, calma e incoraggiante, riuscì a superare le difese del più giovane. Ci volle qualche istante ancora, esitante, ma alla fine Daisuke poté fare un passo in avanti, familiare come un padre, e permise a Izuku di appoggiare la fronte alla sua spalla. 

«Giornata molto lunga?» tentò di indagare di nuovo, dandogli una leggera pacca sulla schiena a rimarcare la propria presenza e conforto. 

Deku emise un verso che parve il principio di una breve risata cinica e che si risolse nel buttare fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni.

«Più di una.»

«Ho saputo della rapina e che un Hero è entrato a Wasuno inseguendo uno dei tuoi.»

Una sgradevole sensazione si arrampicò dentro Izuku. In meno di un secondo avvertì una morsa alla gola. Il volto di Bakugou gli si piantò nella mente in una sequenza di fotogrammi degli ultimi quattro incontri. Per quanto stanco, il suo cervello elaborò in fretta. Elaborò quel bivio che aveva sperato di non trovarsi a contemplare. 

Non dover fissare in faccia Daisuke lo aiutò. E fu il primo passo

«Sì… Me ne sono occupato e ho calmato le acque subito… però… purtroppo il mio autista è stato arrestato.»

«Capisco. Tarou, giusto? Non era la prima volta che si cacciava in qualche guaio, se ricordo. Stare al fresco gli schiarirà le idee. Ci occuperemo di trovare un nuovo autista presto. C’è altro?»

Deku trattenne inconsciamente il respiro, il cuore a martellargli nelle tempie per quella mezza - anzi, scarsissima - verità. Raccontare, confessare di Kacchan sarebbe stato liberatorio. 

Si ritrovò a meditare in fretta, mentre quei flash non se ne andavano e l’odore dell’Hero - la composizione esplosiva, vagamente dolciastra, del suo sudore - persisteva nella sua mente.

Bakugou era un problema. 

Un problema irrisolto che minava la stabilità della sua vita attuale. Lo faceva innervosire. Gli faceva perdere il controllo dei proprie pensieri. Ogni volta che i loro sguardi si erano incrociati, Deku aveva sentito delle mani frugargli dentro e trovare quelle scatole sigillate di ricordi che aveva seppellito a fatica. 

Tutti i suoi sforzi. Tutti i compromessi. Tutte le rinunce. Tutti gli sbagli. Tutto il dolore

Bakugou rischiava di distruggere ciò che aveva costruito.

Eppure… 

«No, nient’altro» sospirò, strusciando la fronte un’ultima volta sulla spalla di Daisuke, prima di tirarsi indietro. Si stropicciò gli occhi per tenersi occupato. 

L’uomo sospirò con pazienza e un sorrisetto. 

«Allora immagino che possiamo rimandare la nostra serata. Stai morendo dal sonno.»

Deku scosse la testa. 

«Ho bisogno di svagarmi. Andiamo.»



 

* * *



 

Il soffitto della camera era puntinato dai riflessi di luce della città. Le tende scure alla porta finestra erano tirate solo parzialmente, quel che bastava ad avere della privacy senza rinunciare del tutto al panorama. 

Dall’angolo in cui Bakugou era disteso nel proprio letto, gli occhi stavano vagando sui bagliori dei palazzi più alti e sul cielo di velluto blu. Il cellulare appoggiato all’orecchio gli restituì un terzo squillo, ma fu all’interruzione del sesto che Katsuki dovette riaccendere la mente e svuotarsi dal torpore. 

«Bakugou!? Tutto bene!? A quest’ora dovresti dormire!»

La premura gli strappò un sorrisetto che tenne per sé e per l’intimità della propria stanza. Quando parlò ci mise il solito sé stesso. 

«Sei troppo rumoroso. Sei di ronda?»

«Yup! Ma è una serata tranquilla, finalmente c’è un po’ di fresco! Tu invece? Ci sono per parlare, se ti va! So che ti sei preso le ferie finalmente! Ottima scelta! Pianifichi un viaggio?»

Bakugou cacciò una maledizione tra sé. La privacy non esisteva nella sua vita. 

«Non voglio sapere come cazzo lo hai saputo-»

«Ah, è stata Mina! Gliel’ha detto Sero, che credo abbia parlato con Kaminari l’altro giorno, dopo che ha incontrato Iida insieme a Todo-»

Bakugou mise la chiamata in pausa e cacciò verbalmente una bestemmia. A volte aveva l’impressione che la sua vecchia classe fosse un circolo di zitelle ficcanaso e non una squadra di eroi. 

«Dovete farvi i cazzi vostri, porca puttana» riprese. 

Dall’altro capo del telefono, Kirishima si zittì per un momento. 

«C’è qualcosa che non va?» e fu curiosamente serio. «Sembri scosso» aggiunse, ragionando tra sé a voce alta. 

Katsuki si massaggiò gli occhi, prendendo un respiro profondo. Ripensò a quel filo sottile e chiuse la mano a pugno - quella con l’ultima ferita lasciatagli da Deku - con la sensazione di poterlo afferrare per tenerlo vivo. 

«Stai solo zitto e ascoltami» borbottò. «Devo chiederti una cosa.»

Non poté vederlo, ma fu sicuro che Eijirou avesse appena raddrizzato la schiena, mettendosi in una sorta di posa più attenta, come se questo lo avesse potuto aiutare a concentrarsi meglio. 

«Sono qui per te, amico

Bakugou respirò forte con un grugnito finale.

«Perché hai voluto fare amicizia con me alla Yuuei?» 

«Ah-»

Kirishima non fu abbastanza veloce da soffocare per tempo l’evidente sorpresa. Tuttavia, Katsuki era troppo stanco per pressarlo sul momento. Stendersi a letto aveva acuito i residui del narcotico, ma aveva anche permesso alla tensione accumulata di sciogliersi e di fargli abbassare la guardia - o, come avrebbe commentato Sero, renderlo una gelatina

«Ehm, ecco… vuoi tipo discutere per qualcosa che ho detto all’epoca del liceo?»

Bakugou si rigirò nel letto, trovando per caso il telecomando dell’aria condizionata e accendendola. Il primo refolo freddo gli diede un brivido, tenendolo sveglio. 

«Rispondi e basta. Perché me?» 

Kirishima tergiversò. Fece avanti e indietro sul posto, si guardò in giro in cerca di parole, si grattò nervosamente una guancia col dito. A Katsuki bastò chiudere gli occhi per immaginare tutto questo. 

«Be’... perché mi sembravi un tipo interessante…»

«Eijirou.»

Dall’altro lato del telefono, Red Riot ingoiò e sbuffò pesantemente, cacciando un Accidenti tra i denti. Bakugou si rigirò di nuovo nel letto, sentendo un fastidio dettato dall’attesa alla bocca dello stomaco. 

«Ok, ok. Va bene, senza girarci intorno. Non te la prendere, eh? Parliamo di otto anni fa! Fu solo un pensiero del momento, all’epoca…» Kirishima si bloccò, trattenne il fiato e aspettò una qualche replica, ma Katsuki restò muto. «… dicevo. Ecco. La verità è che mi sembravi molto solo.» 

Bakugou corrugò la fronte. 

«Spiegati» non lo disse con irruenza, ma all’amico scappò comunque un altro mezzo verso soffocato. 

«Oh andiamo, ma perché proprio adesso questo discorso…» borbottò l’altro tra sé e sé, non rendendosi conto di aver tradotto a parole il proprio pensiero. «Ok, quando hanno formato la classe eravamo tutti nuovi tra noi - a parte Mina e me, ma non è che ci conoscessimo così tanto anche alle medie. Però, insomma, tu te ne stavi davvero tanto sulle tue. Cioè, anche Todoroki, ma, come dire… a te sembrava mancasse qualcuno.»

Ci fu uno strano suono, veloce, come se Eijirou avesse allontanato al volo il cellulare dall’orecchio, aspettandosi di essere investito da un’esplosione. Non successe. Sia perché era fisicamente impossibile, sia perché Katsuki si ritrovò a fissare spaesato il soffitto della propria camera. 

«… Bakugou? Ehi? Amico? Sei ancora lì? Lo sapevo, ho detto qualcosa che ti ha fatto incazzare. Senti….»

L’eroe lo ignorò. Lo ignorò perché un altro pezzo di quel buco che sentiva dentro si incrinò, lasciando fuoriuscire ricordi e sensazioni che aveva dimenticato - che aveva stipato in fondo, così in fondo da non poter essere aggredito alle spalle quando si fosse distratto. Ma quel tassello andò a unirsi agli altri, di un colore così triste da avere i bordi taglienti. 

Deku lo aveva sempre seguito. 

Da che aveva memoria, Deku era sempre stato lì, qualche passo dietro di lui, una presenza fissa. 

Poi… non c’era più stato. 

Strade diverse, semplicemente. Lui era entrato alla Yuuei e Deku non era stato lì con lui a fissargli la schiena, a chiamarlo, a esserci. Doveva andare così dall’inizio, no? Non c’erano altre possibilità. Quindi quell’emozione che aveva visto Kirishima era… la solitudine?

Gli era davvero mancato? 

«… e quindi ho pensato: Ehi! Anche se Bakugou ha questo caratteraccio e la gente preferisce evitarlo, io sono indistruttibile! Può picchiarmi o farmi esplodere, non mi farà male di certo! E penso che abbia funzionato, no? … ehi?»

Katsuki strinse il cellulare, tornando presente. Si umettò le labbra e si impose di tenere la voce ferma. 

«Quando passi di qui ti offro una birra.» 

«Oh? Oh!? Davvero!? Allora sarà-»

Bakugou chiuse la chiamata e lasciò cadere il cellulare sul letto per avere le mani libere e premersele in faccia. Se fosse stato sufficientemente incazzato con se stesso, qualche scintilla se la sarebbe fatta sfuggire, ma il suo umore era un altro.

Prese un respiro e suonò sgretolato, sofferto, come se l’aria facesse fatica a sgusciare intorno al groppo che gli ostruiva la gola. 

«Maledizione…» 

Con otto anni di ritardo, aveva appena realizzato che Deku gli era mancato. 



 

You were alone, left out in the cold
Clinging to the ruin of your broken home
Too lost and hurting to carry your load
We all need someone to hold

[Someone to Stay - Vancouver Sleep Clinic]




 

To be continued



 

Rieccoci =) Grazie per la lettura!
Un capitolo un po’ più lungo, un po’ più affollato e un po’ più risolutivo. O almeno. Un passetto in avanti siamo riusciti a farlo! Che ne pensate? 

Deku si è arreso davvero? Abbiamo capito che Bakugou è come un piranha, quando ti punta e inizia a morderti è la fine. 

Spero di non disorientare nessuno con tre degli OC che compariranno più di frequente in questa piccola saga. Per cominciare Momo, miccia di tutta la storia. Vogliategli un po’ bene, è piccolo e sarà la gioia di un altro personaggio più avanti UU Poi c’è Gin, che anche lei ha bisogno di tante coccole. Su Daisuke non mi sbilancio, sono curiosa dell’impressione che può avervi lasciato ;) 

Ma la vera stellina qui è Kirishima. È stato davvero un piacere scrivere di lui. Anzi, in realtà ha fatto tutto da solo, creandosi questa scena che in origine non era prevista. Bravo bravo UU 

 

Per chi avesse Spotify, lascio qui il link alla playlist della fanfic. Sto raccogliendo tutte le canzoni di cui leggete le cit, in ordine di apparizione (tranne quelle che si ripetono). Spero possano intrattenervi nella lettura ;) 

 

Alla prossima!
Nene

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 5




 

You're long gone but I'm still right here
You're ten thousand miles away
But I can't forget
So I hope you don't mind me letting you know
A piece of my heart is still on hold
I'm a little bit scarred, a little bit broke
But I'll be in

[Try Again - Walking on cars]






 

«Non ci credo…»

Bakugou non ci provò neanche a mitigare il ghigno tronfio con cui rispose all’espressione spaesata di Deku. 

Non erano ancora le sei del mattino.Il sole si stava ritagliando indolente il proprio spazio nel cielo, mentre molti ancora dormivano. L’aria era sopportabile, nonostante l’umidità già alta. 

«Sei diventato mattiniero. Hai due borse sotto gli occhi che sembri morto.» 

La delicatezza del buongiorno di Katsuki smosse l’incredulità che ancora languiva sul viso di Izuku. 

«Tu sei fin troppo vivo e rumoroso…» grugnì in risposta Deku, passandosi una mano sugli occhi e sprimacciandoli con vigore, come a cercare di cancellare quello che stava succedendo. 

Quando guardò di nuovo in faccia l’eroe, questi era rimasto fermo dov’era. Con una tuta nera a inserti arancioni, se ne stava ben piantato a gambe divaricate e braccia conserte, con una presenza forte e chiara a suggerire Non ti libererai di me. Non che Deku fosse realmente sorpreso. Non si era fatto illusioni. Un giorno di tregua era stato quasi un lusso. 

Quello che non riusciva a quadrargli era come Bakugou lo avesse trovato. Solo un paio di persone sapevano dove rintracciarlo a quell’ora, alle cinque piene del mattino, in cima a uno dei palazzi di Wasuno. 

Era un suo spazio personale e privato, utile a schiarirgli la mente e prepararlo ad affrontare il nuovo giorno. E Katsuki era riuscito a stanarlo con una facilità disarmante. 

Il Come? Deku se lo lasciò morire sulle labbra, insieme all’afflosciarsi delle spalle. Non avrebbe reso diverso il sapore della realtà. Ormai Kacchan era lì. 

«Ho visto come ti muovi. Sei allenato» lo distrasse l’Hero, senza più alcuna vena ironica. Si meritò un’occhiata infastidita, ma non così astiosa.

Izuku alla fine produsse un sorrisetto minimo, arreso. 

«È una vita difficile, il fisico aiuta.»

Bakugou non lo mise in dubbio. Rispetto al ragazzino gracilino che ricordava, anche sotto gli ennesimi vestiti sformati e ai copribraccia, poteva intuire la capacità dei suoi muscoli. 

Il completo di due giorni prima era stato più veritiero, con la stoffa della camicia a fasciargli il corpo e tirare in alcuni punti, delineandone il fisico, mentre avevano avuto quel breve interludio contro il muro. Izuku era diventato forte, agile e veloce. C’era solo una cosa che vanificava tutto, portando l’eroe a ringhiare interiormente. 

«Perché ti rovini con la droga?»

Deku roteò gli occhi. 

«Mai sentito parlare di svagarsi o di fuga dalla realtà?» si lamentò, riprendendo con il proprio stretching per avere qualcosa a tenerlo impegnato. «O di farsi i cazzi propri?»

«No, mai.»

Bakugou fu anche troppo serio nel rispondere, spazzando via il cinismo odioso dell’atteggiamento di Izuku. Quest’ultimo rise senza divertimento. 

«Magari una canna potrei offrirtela.» Non lo guardò, scuotendo la testa mentre si passava i palmi sotto le suole delle scarpe da ginnastica, in una routine consolidata. «Potrebbe rendere la tua compagnia più digeribile e meno moralista.»

«Si fotta la morale, Deku. Perché la droga?»

Izuku lo fissò, abbandonando di nuovo il proprio allenamento. 

«Te l’ho appena detto. Se ti fa sentire più a tuo agio e mi fa sembrare più un criminale, posso aggiungere che ci si guadagna bene, che dici?»

Bakugou fece un passo in avanti, intimidatorio. 

«Piantala di scherzare.»

Nulla in Deku si mosse. Né un guizzo, né un irrigidimento, niente.

«Non ti sembro serio?» 

Al contrario, Katsuki dovette sforzarsi nel non lasciare trapelare quanto quelle risposte gli stessero scavando le interiora, depositando i semi marci di una verità scomoda. 

Il sospiro di Izuku fu accondiscendente. 

«Non intraprendere discorsi di cui non ti piaceranno le risposte, Kacchan. Vuoi sapere come mi alleno?»

Il cambio di rotta del discorso fu inaspettato quanto lo scatto improvviso di Deku. 

In brevi quanto rapidissime falcate, attraversò il tetto su cui si trovavano. Sfrecciò di fianco all’eroe e si lanciò dal cornicione. 



 

Come to the end of all that you've seen
Have all the answers, but what do they mean?
Oh, when the end is near
What do they mean, yeah?
Who you gonna be when it crashes?
Find yourself covered in ashes
Is this the way it begins?
Is this the apocalypse?

[Apocalypse - Sleeperstar]



 

Bakugou gli fu dietro con qualcosa che iniziava dall’istinto, dato da anni di esperienza nell’agire nella frazione ultima di un secondo fondamentale, al basilare bisogno di non essere lasciato indietro. Che il suo cuore fosse schizzato in gola, ostruendogli il respiro, diventò subito un dettaglio irrilevante. 

Superato il bordo del palazzo realizzò cosa Izuku stesse facendo. Con l’elasticità di un felino, Deku atterrò sul bordo del tetto limitrofo; veicolò la forza dell’impatto in una capriola, raccogliendo la spinta per essere di nuovo in piedi e in corsa senza che il movimento venisse interrotto. 

Non si distrasse mai, anche quando alzò il mento sopra la spalla e sfidò Bakugou, piegando un angolo delle labbra. 

Pensi di raggiungermi? 

Katsuki risucchiò l’aria attraverso i denti serrati e si diede un’ulteriore spinta in avanti.

Attraversarono altri due tetti, prima che Bakugou riuscisse a tagliargli la strada con un piccolo aiuto del quirk e a ostruire il successivo slancio. Deku si controllò anche nell’arresto improvviso e non mostrò alcun fiatone, solo un respiro più prolungato, concentrato. L’aria di sfida non abbandonò il suo sguardo, soprattutto davanti alla fronte contratta dell’eroe. 

«Fai parkour» riconobbe Katsuki senza un tono o una motivazione precise. 

Izuku ghignò. Qualcosa in lui sembrava aver perso le redini, lasciando fuoriuscire un’euforia fuori luogo, la voglia di fuggire ed essere rincorso. 

«Prova a starmi dietro, Kacchan.»

Svicolò così rapidamente che le dita di Bakugou strinsero l’aria invece del suo braccio. L’Hero strozzò in bocca un Aspettami patetico e si mise a inseguirlo. 

«Non usare il quirk! Disturbi la quiete e la gente ancora dorme!» lo canzonò Izuku, atterrando sull’ennesimo palazzo senza fermarsi, come una raffica di vento. Katsuki ruggì frustrato. 

«Non darmi ordini!» 



 

Un’ora più tardi, il sole aveva reso l’atmosfera tiepida a sufficienza da lasciare intuire un’altra giornata bollente. 

Madido di sudore, Deku si fermò dopo l’ultimo salto. Impattò sulla superficie smorzando il colpo rotolando, ma, invece di sfruttare di nuovo l’energia residua per rialzarsi, restò accovacciato a terra a riprendere fiato. Stanco e soddisfatto. 

A distanza di pochi attimi, un secondo impatto, più irruento del suo, confermò l’arrivo di Bakugou. Izuku non lo guardò, ma poté figurarselo molto bene. Aveva avuto modo di osservarlo con la coda dell’occhio e valutarne i movimenti. Ammetterlo però avrebbe avuto delle implicazioni che andavano al di là della semplice critica fisica. 

Deku era stato incauto. Si era fatto attrarre dall’opportunità di staccare per un attimo la spina, di dominare il momento e gettarcisi a capofitto. Allenarsi come al solito, ma con l’adrenalina di essere inseguito dall’ultima persona al mondo che avrebbe rivoluto nella propria vita. Era riuscito a tenergli testa. Era riuscito a stargli avanti come mai era successo. 

Tuttavia, anche solo averlo intorno, a meno di tre metri da sé, come se non fosse accaduto nulla tra loro, gli diede idea che tutti i suoi sforzi fossero stati vani. 

Si alzò. Mantenne lo sguardo distante, fisso sull’orizzonte, continuando a riempirsi i polmoni finché non si sentì padrone del proprio fiato. 

«Sono esausto.»

Se nell’ultima ora aveva provato una sensazione di libertà da ogni pensiero, incombenza o preoccupazione, le sue sillabe suonarono si spossate, ma dalla gravità del mondo che riprese vigore sulle sue spalle. 

«… puttanate» ansò Bakugou. 

Ostinato a non guardarlo - come se questo avesse potuto renderlo meno reale - Deku poté immaginarsi la sua posa curva, probabilmente con i palmi piantati sulle ginocchia, il sudore di cui tanto andava fiero a rendere la sua pelle lucida e scivolosa. 

«Hai i movimenti rigidi. Sei quasi caduto più di una volta o hai calcolato male gli slanci.» 

Soppesò le proprie parole, vagliando l’ipotesi più vicina a spiegare quei frammenti tanto veloci che aveva colto dei suoi salti. 

«Non sei abituato a muoverti senza il tuo quirk» concluse, corrugando la fronte tra sé nel chiedersi perché stesse continuando a dargli corda. Eppure, frame dopo frame, quei momenti si infarcirono di spiegazioni e soluzioni che avrebbero potuto discutere. 

Chiuse gli occhi e impose alla mente il vuoto. Aveva fame, pensò. E aveva bisogno di una doccia fresca. 

«Ti sono stato dietro.»

Katsuki non demorse. Suonò più coerente dopo aver ripreso il controllo del proprio respiro. Ciò che stupì però Izuku, portandolo a voltarsi per dargli finalmente attenzione, fu proprio il contenuto della risposta. 

Aveva ammesso di averlo seguito. Di non essere riuscito a superarlo. 

Consapevole dei bordi seghettati di quel pensiero, Deku lo trattò con cautela, allontanandosene. Fu un’iniziativa solo della mente, perché il suo corpo non si mosse e la sua bocca parlò prima che fosse lui a decidere. 

«La prossima volta tieni gli occhi fissi sul passo successivo - il punto di atterraggio - non su cosa vuoi raggiungere.»  

Si odiò, ma non abbastanza da distogliere lo sguardo. 

«Vuoi darmi lezioni?»

Non c’era ironia nell’espressione di Bakugou. Fu Deku a usarla - a cercare una distanza per non inciampare

«In cambio mi lascerai in pace?»

La replica dell’eroe fu interrotta sul nascere dallo squillo di un cellulare. 

«Ehi, Gin, buongiorno. Dimmi.» 

Izuku gli diede le spalle. Dopo uno sbuffo impaziente, l’eroe si dedicò a detergersi il sudore alla bell’e meglio con il bordo della maglia, vagando col pensiero. 

Ripensò a quella cassa di granate che giorni addietro aveva pensato di riempire. L’idea gli diede coscienza del tempo che era passato. 

Erano al venti di Luglio. La rapina era successa il dieci. Aveva ritrovato Deku da una decina di giorni e stava forzando la propria presenza nella sua nuova vita in tutti i modi, cercando di stringere un risultato dai bordi fumosi. 

Gli sembrò passato molto più tempo, ma la verità giaceva tutta ammucchiata nel suo palmo, tra quella che sarebbe diventata una nuova cicatrice, la cenere dei loro ricordi e un filo rosso ancora troppo sottile per sopravvivere alle burrasche dei loro tentativi di dialogo. 

«… puoi occupartene tu? Io arriverò tra un’ora, ho tardato un po’ sul programma mattutino. Tempo di farmi una doccia.»

Chiudere la chiamata, alzare lo sguardo e trovarsi faccia a faccia con Bakugou non migliorò l’umore di Deku. Le notizie non dovevano essere state liete.  

«A differenza tua, io non sono in ferie» puntualizzò, abbandonando del tutto le sensazioni ricavate dall’allenamento. 

La presenza dell’eroe, insieme alla sua muta testardaggine, furono irremovibili. Avergli mostrato i dettagli della propria agilità fece riflettere Izuku sulla probabilità che prendere e svignarsela non sarebbe stato facile come le volte precedenti. 

Quando non sai come si comporterà l’avversario, fai la prima mossa. 

Non ricordò chi glielo avesse suggerito, forse Daisuke, ma fu il compromesso ideale su cui muoversi. In fondo, ragionandoci su, Bakugou voleva qualcosa da lui - “cosa” continuava a rimanere un mistero - e lui era diventato abbastanza bravo a gestire gli affari

Con pochi passi si portò davanti all’Hero, a una distanza risicata, solo in parte voluta, per essere certo di non dargli motivi di distrazione. 

«Vieni anche domani. Stessa ora, stesso tetto di stamattina.»

Nei secondi che Deku impiegò a finire di mettere insieme l’idea, l’attenzione di Bakugou si perse d’improvviso, nonostante la possibilità che si stava delineando. 

Fu più forte di lui quando si accorse di come la maglietta bianca, trasparente a causa del sudore, stesse rivelando di Deku una pelle troppo scura. La consapevolezza di un tatuaggio - di un tatuaggio molto esteso e complesso, su almeno metà del petto - gli fece scivolare una sensazione indefinita lungo la schiena. 

«Facciamo così per tre giorni, fino a Sabato.»

Katsuki dovette per forza tornare ad ascoltarlo e inventarsi una façade credibile. Ragionare sull’inaspettata proposta di Deku reindirizzò il suo stupore su qualcosa di importante. Ma anche quel tatuaggio lo sarebbe dovuto essere

«Tre giorni» ripeté Bakugou, per ridarsi un tono e per valutare l’offerta per niente convinto. Era un tempo irrisorio, per cosa poi? Saltare in giro? 

«Mi potrai fare una domanda ogni mattina e io sarò sincero nel risponderti.»

Il cipiglio dell’Hero si accuì nel sentire risposti i propri dubbi in maniera così diretta, ma questo allentò il suo scetticismo. Incrociò le braccia, in attesa del contenuto sull’altro piatto della bilancia. 

«In cambio, per il resto della giornata te ne starai lontano da Wasuno.»

Avrebbe potuto immaginarlo - ma il tatuaggio tornò a prendere possesso del suo campo visivo. Era l’ennesimo dettaglio che sconfinava dal perimetro in cui la mente di Bakugou aveva circoscritto Izuku. E - ammetterlo velocizzò il ritorno alla concentrazione - lo affascinò.   

«Ci stai?» concluse Deku, fissandolo e basta. Non allungò la mano per suggellare quel patto. Per quanto fossero vicini, a Bakugou non sfuggì come stesse evitando contatti diretti. 

Tirare quel piccolo filo e sfidarlo, avvicinandosi, sarebbe stato troppo facile. 

Troppo fragile

«Andata.»

Izuku assentì e nient’altro. Si voltò per andarsene e Katsuki non trovò davvero nessun altro pretesto per fermarlo. Ehi, idiota, il patto inizia da domani, oggi sto qui tutto il giorno. Sarebbe suonato così penoso

«Ohi.»

Deku era sul ciglio del palazzo e si voltò in risposta al richiamo, in attesa. Il suo viso si era asciugato di emozioni, salvo una curiosità distratta. 

«Se scopro che mi racconti fesserie ti gonfio di botte.»

La minaccia sembrò scuoterlo dal torpore mentale, perché Izuku sospirò scrollando la testa.

«Sono più dell’idea che non ti piacerà la verità.»

Lo disse con leggerezza, eppure fu l’ennesimo avvertimento che si conficcò come una freccia nella coscienza di Bakugou. Erano entrambi in piedi sul bordo di un pozzo nero che non regalava la visione del fondo. Le parole di Deku furono una spallata atta a fargli perdere l’equilibrio, ma, prima di cadere e segnare il definitivo punto di non ritorno, l’eroe avrebbe dovuto conoscere cosa si celasse nel buio. 

Nonostante la pesantezza che si prospettava all’orizzonte, il focus di Bakugou fu strattonato e portato a concentrarsi su tutt’altro ancora una volta. 

Fissò Izuku e la linguaccia con cui lo salutò.  

Più precisamente, fissò la piccola sfera metallica che brillò catturando i raggi del sole. Un piercing alla lingua

Deku colse il momento di distrazione e il mutismo dell’Hero per saltare via e piantarlo lì. 



 

* * *



 

You're like the opposite of all of my mistakes
Tear down the biggest walls and put me in my place
I know, that kind of comfortable you cannot replicate
You feel like home, hmm

[Bones - Galatins ft. OneRepubblic]



 

Oggi | 14:38
Ghiacciolo Caldo (ICE Todoroki)
È passata tua madre perché non ti ha trovato a casa. Ha lasciato delle melanzane e del curry piccante. Sembrava in pensiero per te. Non le ho detto del tuo ricovero.  


Oggi | 16:11
Ghiacciolo Caldo (ICE Todoroki)
Ti ho messo le melanzane in frigo. Fa troppo caldo per lasciarle fuori dalla porta. Perdona l’intrusione. Fuyumi ti vorrebbe a pranzo da noi domenica, ti va?


Oggi | 16:52
Ghiacciolo Caldo (ICE Todoroki)
Kirishima mi ha chiesto se va tutto bene. Vorrei saperlo anche io. Dove sei?


Bakugou espirò dal naso la propria frustrazione e si lasciò sfuggire un’imprecazione, facendo voltare il signore seduto in metro di fianco a lui. Digitò una risposta al volo. 


Oggi | 18:42
God Dynamight
Occupato. Ti levo le chiavi di casa mia. Ferie. 🖕🖕🖕


Con un altro respiro, per schiarirsi le idee, si dedicò a un secondo messaggio. 


Oggi | 18:43
God Dynamight
Vecchia, sto bene. Piantala di portare la roba da Todoroki, passo io. 


Aveva vagato per tutto il giorno senza meta. In un certo senso, continuava a farlo anche in quel momento in cui aveva preso una linea a caso della metro che, paradossalmente, lo aveva costretto a fermarsi, seduto in un vagone mezzo vuoto, per riprendere i contatti con il presente. 

Avrebbe volentieri messo via il cellulare, ma i numeri sulle icone delle app contavano ancora un discreto quantitativo di messaggi non letti. Scorse quelli dell’Agenzia cercando info utili, ma nulla gli saltò all’occhio. La sua casella di posta sul network degli Heroes era così piena di spam che cancellò tutto in blocco. C’era un unico sms e non fu stupito di riconoscere il mittente - la sola persona che ancora li usava. 


Da: All Might
18/07/20XX - 16:02
Giovane Bakugou, perdona il disturbo. Prossimamente vorrei poter parlare con te, quando saresti disponibile? Ho saputo che ti sei preso dei giorni di riposo. Mi sembra un’ottima iniziativa, sono contento. Riguardati. A presto. 


«C’è rimasto qualcuno che non sa che sono in ferie!?» ringhiò senza accorgersene, chiudendo il messaggio e passando a un’altra di quelle odiose applicazioni. Prima avesse fatto pulizia, prima le avrebbe disinstallate tutte. 


Da: aizawa.shouta@yuuei.co.jp
A: gdue.dynamight@gmail.com
Oggetto: Ti vedo 

Oggi - 7:34
 

Bakugou,

sarò breve: smetti di ignorare All Might. 

È dall’altro ieri che mi tartassa per capire come riuscire a parlarti. Siamo alle solite e io non ho tempo di stare dietro ai vostri capricci. 

La questione non è cambiata. Bisogna fare qualcosa. Scegli un giorno e fissa un appuntamento. 

Se non gli rispondi, passerò tramite Todoroki.
Sì, questa è una minaccia. Sono stanco. 

Spero tu stia bene,

A. 

 

PS: cos’è questa storia che sei in vacanza? È successo qualcosa?


Bakugou chiuse il programma di posta elettronica prima di trovarsi a far esplodere il cellulare in pieno vagone metro. Non era dell’umore per dare corda né a All Might né per sentire le ramanzine di Aizawa. Non era dell’umore proprio di niente. Si passò una mano sulla faccia e ripensò a quella mattinata passata a rincorrere Deku. 

Aveva realizzato dopo che non ci avesse neanche provato a superarlo, quirk o meno. Come se non avesse posseduto le capacità per farlo. Poteva ammettere che Izuku fosse molto, molto diverso dal ragazzino imbranato e sognatore che ricordava, ma questo non cambiava che lui, in un modo o nell’altro, gli fosse superiore. Fisicamente parlando, Deku poteva dargli filo da torcere, ma alla fine lo avrebbe acchiappato sempre. 

Quella mattina aveva inconsciamente scelto di non perderlo d’occhio. Di stargli dietro

C’erano troppe cose che avevano bisogno di sistemarsi, prima di reinvertire quelle posizioni. Il suo scopo ultimo non cambiava. Deku o non Deku, sarebbe diventato il numero uno. 

Tuttavia, dopo gli ultimi dieci giorni, nel quadro generale di quell’obiettivo, dopo che l’ombra di Izuku era tornata nel posto che gli spettava, lì dove per anni aveva omesso la sua esistenza, Bakugou aveva la sensazione che il mondo si fosse fatto più vivido. 

Anche se la presenza di Deku non era per niente nitida come figura, stava dando risalto a tutto il resto. Alla sua volontà. Come se oltre a Izuku, Katsuki avesse ritrovato qualcos’altro di più, a cui non sapeva dare nome, ma che era certo non avrebbe più potuto pensare di mettere da parte. 

Con uno sbuffo, riattivò il display del cellulare e affrontò l’ultima delle chat: Numbers A Heroes. Quella silenziata per una settimana, di settimana in settimana, che contava più di trecento messaggi. 

«Maledette comparse…» brontolò, iniziando a scorrere frasi, gif, troppe gif, meme, video, selfie dei suoi ex compagni. 


18/07 - 11:22 | Cececellofan
Se anche io avessi delle settimane di vacanze come Bakugou me ne andrei in Egitto e poi una scappata in Europa! 

 

18/07 - 11:23 | Pikaminari
Las Vegas! Dobbiamo andare tuttiiiii a Las Vegas!!!! Faremmo una fortuna e ci divertiremmo alla grande!!! 

 

18/07 - 11:25 | BeatYouLouder
@Pikaminari saresti capace di farti lasciare in mutande al primo tavolo da Black Jack e metterci tutti nei guai 

 

18/07 - 11:25 | Pikaminari
@BeatYouLouder cattiva!!! =((
Eddai! @Yaomomo sostienimi! Convinci Kyouka-chaaan che potremmo sposarci lì come nei film invece di aspettare ( ˘ ³˘)♥ 


Bakugou fece scorrere il dito per saltare quelle cavolate, arrivando agli ultimi messaggi. 


Oggi - 17:56 | AlienQueen
Ma quindi Bakugou è partito???? Non ci ha detto niente!!!
@Dynamight!!! Rispondi!!!! 

 

Oggi - 18:07 | Pikaminari
Esatto @Dynamight rispondi!!!! Manda qualche foto!!!

 

Oggi - 18:24 | SugarS
Magari vorrà un po’ di privacy. Lui che si prende delle vacanze è molto raro. 

 

Oggi - 18:32 | AlienQueen
Sono certa che @Todoroki sappia qualcosa!! Mica come @RedRiot che fa la tomba, uffa!!
Voglio sapere solo dov’è andatoooo! Anche io voglio partireeeee! 

 

Oggi - 18:35 | Yaomomo
@AlienQueen pensavo che potremmo organizzare qualcosa questo inverno nella tenuta in Hokkaidou della mia famiglia. Che ne dite? Turni permettendo. Il dovere viene prima. 

 

Oggi - 18:36 | AlienQueen
Sììììììì!!! ❤️❤️❤️🎉🎉🎉🎉

 

Oggi - 18:37 | Ingenium
Scusate ragazzi, recupero ora. Mi fate un riassunto dei punti principali?
@Yaomomo mi sembra una splendida idea. Una rimpatriata di classe.

 

Oggi - 18:37 | YourFavJuice
Perché in inverno e non ora ad agosto??
Come faccio a vedere le ragazze in bikini se andiamo al freddo!? 

 

AlienQueen ha eliminato YourFavJuice dal gruppo. 

 

Oggi - 18:38 | Ingenium
Mina ne abbiamo già parlato. 

 

Oggi - 18:38 | AlienQueen
Mi è scivolato il dito, giuro!!
Ma quindi, notizie di @Dynamight?????? 

 

Ingenium ha aggiunto YourFavJuice al gruppo. 

 

Oggi - 18:44 | Uravity
Bakugou non è partito, questo è certo. 

 

Oggi - 18:44 | AlienQueen
????

 

Oggi - 18:46 | Uravity
A meno che non abbia un gemello seduto davanti a me in metropolitana 😁😁



 

Bakugou ci impiegò qualche secondo a ricollegare l’affermazione alla realtà e alzare di scatto la testa. Ochako gli sorrise quasi ridendo, salutandolo con la mano. Era in piedi davanti a lui, il palo del vagone agganciato col gomito e lo smartphone in mano.

«Ho provato ad attirare la tua attenzione, ma eri decisamente molto immerso nei tuoi pensieri.»

«Da quanto diavolo sei qui!?» 

Anche se lentamente, e si odiò perché doveva aver espresso una gamma di espressioni ridicole, Katsuki tornò presente al cento per cento. Spense il display del cellulare, ormai inutile. 

«Quattro fermate?» rispose lei dubbiosa, allungando il collo per contarle sulla cartina sopra le loro teste. «Cinque con questa.»

L’eroe grugnì, incrociando le braccia e buttandosi completamente contro il sedile. Il signore di fianco a lui sbuffò, scostandosi più a lato. 

«Non hai la faccia di uno che si sta preparando a partire» osservò Uraraka, mentre ondeggiava insieme al treno. Aveva una borsa da palestra a tracolla e Bakugou preferì concentrarsi su quella che guardarla in viso. 

«Vi siete fatti voi un viaggio mentale.»

Uraraka assentì, senza perdere il proprio sorrisetto. 

«Hai un aspetto proprio di merda, per usare parole tue.»

Bakugou a volte si dimenticava quanta influenza avesse avuto su Uraraka. Dimenticava di come, raramente, in quegli spazi discreti e sporadici dove si trovavano soli, venisse fuori quel lato.

Non le risparmiò un’occhiata torva - e forse un’espressione in generale corrucciata a vederla ridacchiare - ma non la tirò per le lunghe. Sapeva che ascendente Ochako potesse avere su di lui e non aveva alcuna voglia di prolungare il silenzio e darle un appiglio per mettere a nudo i segreti del suo umore.

«Stai andando in palestra?»

Lei annuì, dando di riflesso una pacca al borsone. 

«Ti va di venire? Penso che il posto potrebbe piacerti. È un po’ nostalgico.»

«Aha?» 



 

C’erano rare volte in cui Bakugou si era fermato a pensare se le cose tra lui e Uraraka sarebbero potute evolvere come per le persone normali

Erano pensieri che iniziavano e finivano in un perimetro di spazio e tempo dettato spesso da un sorso di birra, mentre la osservava chiacchierare alle serate con gli altri. La risposta era sempre no e andava bene così. 

Di base loro non si potevano permettere la vita di persone normali e nessuno dei due aspirava davvero a rientrare in certi schemi. Oltre ad avere ognuno il proprio obiettivo. Ma, in definitiva, senza andare a cercare giustificazioni del perché quella storia non fosse sbocciata, nessuno dei due aveva dimostrato sentimenti profondi. Quel che avevano condiviso al liceo era stata una parentesi. Era chiusa e i segni li aveva lasciati. Per una volta, segni soltanto positivi. 

Per questo aveva accettato l’invito a seguirla in palestra. Per questo si era lasciato andare, sfogando il malumore degli ultimi dieci giorni senza preoccuparsi che Ochako potesse intuire o frugare nei suoi pensieri e riproporglieli. 

Entrambi conoscevano i confini l’uno dell’altra. Entrambi erano capaci di riconoscere quando o meno fosse il momento di attraversarli. Quella sera, Uraraka non lo fece. Rispettò il suo silenzio e si impegnò a tenere testa a quegli impulsi distruttivi che Bakugou stava lasciando fluire. 

Dopo quaranta minuti di sparring serrato, Katsuki si sentì padrone di se stesso e delle proprie emozioni più di quanto lo fosse stato negli ultimi giorni. Anche se era a terra, bloccato da una delle mosse da combattimento ravvicinato affinate da Ochako, non se ne lamentò, abbandonando invece la testa contro il suo addome per riprendere fiato. 

«Spero che tu…» iniziò lei, stravolta quanto lui. «Spero che tu non sia stanco.» Di nuovo, le servì un’altra boccata d’aria. «Perché il divertimento inizia adesso.»

L’Hero grugnì, ma accennò anche un ghigno a quella frase sibillina. 

Se c’era una cosa che gli mancava della vita alla Yuuei con Uraraka erano gli allenamenti costanti. 

Ci avevano messo qualche tempo a ingranare - Bakugou avrebbe sempre sorvolato sul fatto che tre quarti di colpa fosse sua e del suo muro tra le persone - ma poi era diventata una routine così stabile che, finito il liceo, per qualche tempo Katsuki ne aveva sentito seriamente la mancanza. 

Avevano iniziato dopo il Festival Scolastico e il loro scontro tanto criticato. Critiche che a lui erano rimbalzate, come a Ochako, che una settimana dopo si era presentata da lui chiedendogli con fermezza Allenati con me

Non c’era stata partita per tanto tempo. Bakugou le era superiore in tutto. 

Alcune volte lei era anche svenuta, attirando nuove accuse sul suo essere brutale e qualche ramanzina. Eppure, lei era sempre tornata come se nulla fosse. Aveva continuato a rialzarsi e chiedergli Rifacciamolo! 

E poi c’era riuscita. Lo aveva messo a terra una prima volta, lasciandoli entrambi stupiti. Era poi successo una seconda, una terza, una quarta volta… finché semplicemente Katsuki lo aveva interpretato per quello che era: la dimostrazione del suo impegno e della sua tenacia a migliorarsi.

Dal secondo anno, Bakugou aveva dovuto concentrarsi il doppio perché l’esito non era più scontato. 

Forse per il pensiero martellante di indagare ogni mossa della ragazza e anticiparla, un po’ l’ossessione di capire come ci riuscisse, il costante corpo a corpo e quella che era diventata una presenza fissa, dovevano essere stati gli elementi che, una sera, li aveva spinti a varcare un confine che non era nei piani. 

Per la prima volta, Katsuki si era ritrovato a non avere controllo su un’esplosione, per quanto metaforica. Erano stati entrambi irruenti, ma affiatati, coordinati come nelle loro sessioni di riscaldamento e lotta libera. Niente chiacchiere, se non imprecazioni da parte sua e qualche consumato gemito dalle labbra di Ochako. 

Era stata la prima volta per entrambi. Non era durata molto, ma era stato un inizio. A volte bastavano loro solo gli allenamenti, a volte il sesso si era rivelato un modo efficace per smussare quegli angoli spigolosi di vita che richiedevano un contatto più intimo, dove le parole non arrivavano. Semplicemente, il più delle volte, era stata la ricerca di piacere e sintonia. 

Era uno schema che Bakugou rifiutava di sentirsi addosso, ma che era ricapitato in maniera troppo simile con Todoroki per ignorare il pattern. Non capiva cosa gli facesse prudere le mani con un senso di nervosismo, quando in entrambe quelle - non - relazioni l’unico esito che ne aveva tratto erano stati risvolti positivi. 

Non aveva cercato altro. Non gli era interessato intraprendere storie affettive, né con Uraraka né, meno che mai, con Todoroki. Per loro era stato lo stesso. Nessuna promessa, nessuna ricerca di un di più, nessuna delusione. Riempire angoli vuoti dentro di sé senza pretese. 

O imbavagliare quelle voci rauche che gli chiedevano dove fosse Deku. 

Una sensazione bagnata sulla guancia lo riscosse, facendogli mettere a fuoco Uraraka china sopra di sé. Gli stava premendo una bottiglietta d’acqua gocciolante di condensa sulla guancia. Lui era ancora schiena a terra. Non si era neanche accorto che lei avesse sciolto la presa e si fosse alzata. 

«È fredda» spiegò e c’era qualcosa di trattenuto nel suo tono, e nel suo sguardo, che aiutò Katsuki a focalizzarsi ancora di più. Ci mise un attimo a capire che stesse parlando dell’acqua. «Hanno solo questa, non farti venire una cong-»

Ochako si interruppe con una risatina e una scrollata di spalle nell’osservare Bakugou svitare il tappo e rovesciarsi l’acqua direttamente in faccia. 

«Ne avevi proprio bisogno» concluse lei, allungandogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. 

Lui esitò un attimo e, alla fine, si tirò in piedi da solo. 

«Avevi parlato di una parte divertente» brontolò, accartocciando la bottiglietta e lanciandola nel cestino della plastica. 

Qualsiasi apprensione nello sguardo dell’eroina si dissipò. 

«Vieni con me.»



 

C’era un piacere primordiale nel poter distruggere qualcosa a mani nude e avere la libertà di farlo senza limitazioni. 

Bakugou lasciò andare quell’istinto ferino senza freni, se non per i confini del campo d’addestramento dove erano. Uraraka fu sua complice nei primi minuti, per poi cambiare tattica e rendergli l’allenamento più movimentato, facendo galleggiare metà dei tank di esercitazione presenti. 

Quando, dopo circa venti minuti, il pavimento fu disseminato di rottami con al centro Katsuki, ansante e soddisfatto, Ochako scivolò al suo fianco, dandogli una leggera gomitata. 

«Che ne dici? Ti avevo detto che era un posto nostalgico. Ho scoperto che qui collaborano con gli stessi ingegneri della Yuuei e offrono zone come il Ground Beta.»

Bakugou si limitò a grugnire, continuando a riprendere fiato, mentre si massaggiava il palmo dove la ferita inflittagli da Deku bruciava per l’eccessivo sforzo e il bisogno di essere rimedicata. 

Uraraka se ne era accorta già dal loro corpo a corpo, ma lo aveva lasciato fare. Non essendo però rimasto più nulla da demolire, lo afferrò per un polso e lo trascinò verso la zona delle panche lungo il muro e prese il kit medico a disposizione. 

«Questo posto mi fa venire in mente l’esame di ammissione» riprese la ragazza, armandosi di disinfettante e di una salvietta per pulire la ferita. «Quel giorno neanche lo ricordo bene perché sono svenuta verso la fine, quando uno dei tank da zero punti mi ha attaccata. Che imbarazzo a ripensarci ora. Iida ancora mi chiede scusa per non essere venuto in mio aiuto. A volte fatico a credere che siano passati già otto anni.» 

Il lieve bruciore della medicazione servì a Bakugou per dissimulare meglio i sentimenti contrastanti e freschi che l’argomento gli provocava.

«Tu però ti ostini davvero a non cambiare, guarda che disastro» borbottò Ochako, osservando il taglio. «Le ferite alle mani sono un tallone d’Achille per te, ma non fatico a immaginare che te la sei procurata mentre eri distratto.»

Bakugou ringhiò, detestando che avesse dedotto la situazione soltanto conoscendolo. 

«Posso fare da me» sbottò, ritirando la mano, ma Uraraka la riacchiappò subito. 

«Finisco io, me lo devi.»

Al suo verso confuso e aggressivo, lei replicò occhieggiandolo a tratti, mentre decideva le parole da usare. 

«Potrei farti il terzo grado per sapere che stai combinando o per cercare di capire perché sia Kirishima che Todoroki mi abbiano chiesto notizie di te, come se io dovessi sapere cosa ti passa per la mente.»

Bakugou serrò la mascella per un moto di allarme e rabbia improvvisi. 

«Dovete farvi-»

«… i cazzi nostri. Sì, immaginavo, ed è quello che ho detto a loro, con parole più carine e un discorso che non starò a ripeterti perché tu sei il Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva Dynamight e lo so che sai badare a te stesso. Distrazioni a parte.» 

Quando strinse il primo strato di garza lo fece con decisione, sottolineando quello che non stava dicendo apertamente. 

«… ciò non toglie» riprese dopo un po’, più gentilmente e ammorbidendo lo sguardo. «Che non puoi impedirci di preoccuparci. Lo faremo in modo discreto, aspettando che sia tu a cercarci, ok? Finché non sarà necessario l’intervento di un eroe, sia chiaro.»

Sull’ultima battuta lo fissò dritto in faccia, sfidandolo a sostenere il suo sguardo. Bakugou frenò l’impulso di guardare altrove alzando il mento, ma non gli venne nulla da risponderle che non fosse di seconda scelta o svilente. 

Era un cavallo di battaglia di Ochako ribadire che anche gli eroi, prima o poi, avrebbero potuto avere bisogno di un eroe per superare certe situazioni. Quando sarà un Hero a essere in difficoltà chi potrà aiutarlo? Un credo che Bakugou aveva deriso la prima volta, ma a cui l’esperienza aveva dato presto un sonoro schiaffo. 

Tuttavia, lui non era per nulla in quella fase. Aveva solo ritrovato Deku e ribaltato quasi per intero la propria vita, ma era ancora in piedi e così intendeva rimanere finché quella storia non si fosse conclusa. 

«Quando Mina e Kaminari si sono convinti che tu fossi partito per un viaggio, una parte di me ci ha quasi sperato» mugugnò stanca Uraraka, richiudendo il kit medico e spostandolo per sedersi di fianco a Bakugou. Fece scivolare la testa sulla sua spalla, mentre intrecciava da dietro le dita con la mano ferita dell’ex compagno, osservando la fasciatura. Katsuki la lasciò fare, sentendosi improvvisamente esausto e accettando quel piccolo momento di conforto. 

L’eroina fece trascorrere ancora qualche secondo di silenzio, beandosene a propria volta, prima di riprendere. 

«La parte invece che ti ha conosciuto un po’ di più sa che tu non hai idea di cosa significhi prendersi una pausa, anche quando ne avresti davvero bisogno. Quindi immagino che qualsiasi sia il motivo alla base di queste ferie… sia molto importante.»

Bakugou si sottrasse dalla sua presa, abbassando la mano sul ginocchio, ma non si ritrasse. Tuttavia, non rispose neanche, avvalorando col silenzio quelle parole. Uraraka ci sperò, solo per un istante, di sentirlo parlare, ma non successe. 

«Ok, Signor Muso Lungo, io per oggi ho dato.» 

Ochako si tirò su, stiracchiandosi tutta in punta di piedi, scacciando ogni brutto presentimento. 

«Doccia e poi ho un appuntamento al buio insieme alle altre della classe… speriamo sia divertente.» Si voltò a guardarlo, squadrandolo dall’alto in basso per poi stirare un breve ghignetto, ereditato proprio da lui. «Vedremo se i miei standard si sono elevati un po’ dal liceo.» 

«Ohi» latrò Bakugou, guardandola malissimo, per poi raccogliere quella ghignata e farla propria. «Dovresti ringraziare che questo Dio si sia concesso a una comparsa come te.» 

Uraraka scoppiò a ridere. 

«A questo Dio voglio ricordare quanto gli piacessero le mie curve!» 

Un vago rossore le colorò le guance dopo che, di istinto, si fu sporta in avanti, mettendo in evidenza il proprio seno. 

«E se non fosse sufficiente, potrei elencare tutti i punti dove basta solleticare un po’ per trasformare i tuoi ringhi in fusa» celiò con un dito sulle labbra, ottenendo uno Tzé, sei una strega imbronciato. 

«Seriamente. Un’esistenza rumorosa e caotica come la tua farebbe perdere la pazienza anche a un santo. E Todoroki lo è» sospirò lei, recuperando le proprie cose per avviarsi all’uscita. Bakugou la seguì mani in tasca, roteando gli occhi e replicando con un Li fotto i santi che lei ignorò. Invece, aumentò il passo, superandolo.

Katsuki la richiamò, ma Ochako non si voltò; si fermò all’improvviso, continuando a dargli fermamente la schiena. 

«Per quanto sia importante, stai attento, ok?» 

Bakugou sbuffò e le passò avanti con una leggera spallata.

«Certo.» 



 

To be continued



 

È super tardi!

Se per qualcuno di voi sarà la favola della buonanotte, grazie di aver letto e grazie di continuare a seguire la storia!

Da questo capitolo iniziamo il declino verso la fine. L’andazzo si è capito! Tre giorni, tre domande… e poi? Gh. 

Per la parte del parkour ero incappata in alcuni video su youtube che mi hanno affascinata un sacco, di un gruppo che gira il mondo e fa anche del parkour a volte illegale… tipo un video era tutto girato a Tokyo e non nascondo l’emozione e la voglia di scrivere di queste esperienze! 

So che non è niente di nuovo, però come molti ho immaginato che un Deku Quirkless, in una situazione in cui “è una vita difficile, il fisico aiuta”, abbia allenato un sacco il proprio corpo con varie discipline. Per buona pace di All Might e dei suoi “puliamo la spiaggia”. 

Che altro aggiungere. Bakugou ha avuto i suoi intrallazzi, bravo lui, come dargli torto. Questo spaccato con Ochako, come quello con Kirishima, non era previsto, si è scritto da solo. È stato un modo per esplorare le potenzialità della Kacchako e posso dire che li amo tanto e penso li metterò anche in altre storie future. Adoro quando una serie mi regala tante belle ship. 

 

Alla prossima! ;) 

Nene

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 6




 

I've got thick skin and an elastic heart
But your blade it might be too sharp
I'm like a rubber band until you pull too hard
I may snap and I move fast
But you won't see me fall apart
'Cause I've got an elastic heart

[Elastic Heart - Sia]






 

«Come sei diventato capo di questo posto?»

«Buongiorno anche a te, Kacchan…»

Deku era seduto sul pavimento del tetto, le gambe piegate e la testa appoggiata sulle ginocchia. Era impossibile non sentire arrivare Bakugou, come era allucinante aspettarsi delle buone maniere. Alzò appena la testa, lanciandogli un’occhiata che bastò a farlo pentire del proprio patto. 

Stessa ora, stesso tetto.

Con le ore - se di ore si poteva parlare - di sonno che aveva, era tanto se Izuku era riuscito a trascinarsi fin lassù. 

Non c’era modo di fare altrimenti. Avrebbe scommesso qualsiasi cosa che, se non si fosse presentato, Katsuki avrebbe ricominciato a fare il diavolo a quattro per Wasuno. Finché rimanevano sui tetti, e lui manteneva quel che aveva promesso, la gente del quartiere avrebbe avuto intatta la quiete quotidiana; poi, durante la giornata, lui avrebbe potuto lavorare senza l’Hero tra i piedi. Era un piccolo prezzo da pagare. 

Solo tre giorni… 

«Ohi. Cos’è quell’aspetto di merda?» 

Deku respirò alla massima capacità del proprio torace, raddrizzando la schiena. 

«Me lo hai già fatto notare ieri» si lasciò sfuggire dopo aver buttato fuori l’aria. Squadrò finalmente l’ex amico, assottigliando lo sguardo. 

Dire che fosse in forma era un eufemismo. Izuku aveva abbastanza insonnia da fare concorrenza a un adolescente parassita della notte, mentre Katsuki dava l’impressione di aver riposato bene e tanto. 

Deku inclinò la testa, senza smettere di fissarlo. Una curiosità infingarda gli pungolò il fondo della gola, ma la lasciò morire lì. Meno si interessava, meno i fantasmi del passato avrebbero preso vigore. 

«Quindi, riguardo la tua prima domanda… sicuro o vuoi ritrattare?»

«Rispondi e non ci girare intorno.» 

Forse avrei dovuto prenderla quell’aspirina prima di uscire… 

Izuku si issò in piedi, sentendo i muscoli tirare. Avrebbe dovuto andarci piano quel giorno col saltare e correre, anche se non dubitava che Kacchan lo avrebbe acchiappato al volo, al primo piede in fallo, deformazione professionale o meno. 

Si massaggiò una spalla, a disagio con i propri pensieri. Non sapeva cosa sarebbe stato peggio, se cadere nel vuoto e sfracellarsi sull’asfalto o farsi afferrare dall’Hero. 

«Dopo il funerale della mamma sono andato a stare da alcuni parenti» iniziò, mentre stirava le braccia per un po’ di stretching. Un modo come un altro per tenersi occupato e sopportare meglio quello scivolo nei ricordi.

Li aveva rivissuti nella sua mente così tante volte che ormai sembravano appartenere a qualcun altro. Finché non si soffermava sulle emozioni, ma si limitava alla semplice realtà dei fatti, sarebbe stato come parlare di un violento, quanto inevitabile terremoto. Qualcosa che faceva tremare la memoria, ma non più le ossa, l’animo, il cuore. 

Era passato

«Non li conoscevo molto, erano dei suoi cugini alla lontana, ma i parenti più prossimi che avevo. In fondo, eravamo sempre stati solo io e la mamma. Tutt’ora non ho idea di dove sia mio padre.» 

Sciolse un po’ il collo, chiudendo gli occhi e lasciando che quei ricordi rotolassero dentro di lui come biglie. Scelse accuratamente di togliere dal mucchio quelli dove si trovava Kacchan. Solo un’ora e poi li avrebbe fatti ricadere tutti nel buio, dov’era il loro posto.

«Dicevo. Andai a stare da questi parenti. Ci misero una settimana a ricordarsi il mio nome» sorrise, come se fosse stata una battuta buffa, ma a Bakugou non sfuggì la freddezza con cui il suo sguardo restò impenetrabile. «Avevano - hanno? - due figli, ma non abbiamo mai stretto alcun legame. Non ero molto… in vena? Come dire, non fu un gran periodo per i miei rapporti sociali.»

E tu te ne eri appena andato per l’ultima volta. 

«Onestamente, non ricordo moltissimo di quei mesi. Finii il liceo perché i professori e il preside furono comprensivi» si strinse nelle spalle e riprese gli allungamenti, per poi rialzare gli occhi su Bakugou, Lo osservò in cerca di qualche reazione, ma gli restituì soltanto un’attenzione fin troppo inflessibile. «Faresti bene a fare un po’ di stretching anche tu, magari eviti di essere rigido come ieri.»

«Non dirmi cosa fare» gli ricordò caustico. «Va avanti.»

Deku insistette nel fissarlo, infischiandosene del broncio infantile in cui strinse le labbra e corrugò la fronte. Ma di nuovo, qualsiasi intenzione di ribattere morì sul nascere. 

Non dare adito a implicazioni non necessarie. 

«Impiegai l’estate a studiare come un matto per passare il test di ingresso di una qualsiasi facoltà. Non lo volevo, ma la mamma qualche volta mi parlava dell’università e del vedermi laureato… Penso fosse il suo modo di darmi una prospettiva diverso rispetto… al resto.»

Al mio stupido sogno

Quando si accorse della propria nota sospesa e di come il viso della madre fosse sfuggito alle sue restrizioni, galleggiandogli in mente, prese un respiro profondo, dedicandosi a stirare le dita delle mani. 

«Alla fine fu solo una faticaccia per-»

«Deku. Taglia corto.»

Izuku lo fissò, questa volta corrugando la fronte e perdendo qualsiasi parvenza di cordialità. 

«Se vuoi sentire la storia, è questa.»

Bakugou gli si avvicinò. Di istinto, Deku avrebbe voluto ritrarsi, avere quel margine che gli garantisse una fuga rapida ed evitare di essere intossicato dalla presenza opprimente di Kacchan. Si controllò e restò fermo dov’era, alzando il mento. 

«Me l’hai chiesta tu.»

«Queste cose le so da me. Quindi taglia e va avanti

Le dita di Izuku si strinsero a pugno, per poi sciogliersi di colpo, tremanti. Niente emozioni, si ripeté. 

«Ti sei premurato di fare ricerche su di me?» 

Un guizzo all’angolo dell’occhio gli diede ragione. Mascherare il ruggito di rabbia che avvertì nascergli dalle viscere gli costò tutto l’aplomb imparato nel tempo. 

«Cinque anni di silenzio… anzi, anche tutti e otto, direi…» 

Izuku inchiodò lo sguardo di Katsuki con il proprio. Controllati. Controllati. Controllati. 

«Otto anni di silenzio e in poco più di dieci giorni pensi di poter ribaltare le cose successe? Di sapere cos’è successo?»

Si odiò per aver lasciato spillare il proprio risentimento. Lo caricò della più fredda e impenetrabile indifferenza. Fece quel passo indietro, ma non col desiderio di scappare. Ci tenne a rimarcare la distanza, il pozzo, il precipizio su cui Bakugou si trovava. Non c’era alcun ponte che avrebbe potuto usare per attraversarlo. 

Sull’altra sponda, però, Katsuki non sembrò né impressionato né preoccupato. Continuò a tenere lo sguardo su di lui, come se gli fosse bastato quello per mantenere la posizione. Non era importante che fosse di vantaggio o meno. Era questione di esserci. La sua figura non irradiava altro. 

Ora sono qui, parve dire. 

Deku avrebbe voluto così tanto cedere a quel sentimento più scuro e denso della pece e sputarglielo addosso. 

«Sentiamo, da dove vuoi che racconti la mia storia?» 

«Un tuo ex compagno di università ha spiattellato che spacciavi. Parti da lì. Perché?»

Le spalle di Izuku si tesero, ma di nuovo, dopo un lungo respiro, senza interrompere il contatto visivo, si quietò. 

«Guadagnetela la risposta.»

Scattò.

Quando Deku saltò dal cornicione, focalizzando il punto di arrivo, non c’era più nulla. 

La sua mente si svuotò. Il suo corpo fece altrettanto. Stanchezza, pesantezza, torpore, sofferenza. Nel profondo, intorno a lui, esisteva soltanto un confine fisico, come una linea complessa e chiusa, che evitava di far coincidere il mondo esterno con quello che aveva dentro. 

Niente ebbe più consistenza. Paura, brivido, rabbia, nostalgia, preoccupazioni. In quell’attimo che coincise per caso con un battito di cuore o uno sbattere di ciglia, Izuku cessò di esistere. E per la sua mente stanca, troppo stanca, fu una panacea inestimabile. 

La gravità fu la prima nemica, ma era un’avversaria con cui aveva imparato a giocare. L’impatto col cemento del tetto sottostante fu la schicchera che riavviò il suo cervello. 

Veloce. Veloce. Veloce. 

Non si guardò indietro per sapere che Bakugou stava incombendo su di lui. Se le sue dita lo sfiorarono, non se ne accorse. Era già al bordo successivo, pronto a ripetere il volo, quando l’istinto abbracciò un’idea diversa. 

Smorzò di colpo lo slancio, roteò su se stesso - così rapido che il viso dell’eroe non fu che un’immagine residua e distorta - e compì un salvo diverso, parallelo al palazzo, in caduta. La memoria fu essenziale e guidò quella manovra eversiva, facendolo aggrappare alla grondaia la frazione di secondo che servì a direzionare le gambe e il corpo per infilarsi nel ballatoio dell’ultimo piano dello stabile. 

Non si fermò, ma la sua mente tornò ulteriormente presente quando sentì Bakugou imprecare, ancora sul tetto. Deku corse lungo tutto il corridoio di porte di ingresso fino all’angolo e saltò sul parapetto, occhieggiando quello del palazzo vicino. Strinse i denti, avvertendo la morsa ai polpacci, ma saltò. 

La luce del sole, già tenue di suo, fu schermata da un’ombra. Izuku si accorse di Katsuki sopra di sé, intento anche lui in uno slancio in caduta nella stessa direzione. 

Il concetto di morte era un argomento che Deku aveva assaporato e vagliato, mentalmente e fisicamente, più di una volta. Lo spaventava. Gli dava quella pelle d’oca, quel martellante Non ancora che, in un modo o nell’altro, lo tirava fuori dalle situazioni. 

In quel frangente, il sussurro della fine suggerì che lui e Bakugou si sarebbero urtarti malissimo poco prima dell’approdo. Se il cozzare avesse fatto mancare loro il bordo di quel secondo ballatoio, avrebbero compiuto una caduta di dodici piani. 

Eppure, Deku strinse i denti, corroborato da un senso di sfida che gli si riversò nelle vene come doping. 

Lo schianto tra corpi, e subito dopo con la ringhiera, fu doloroso e confuso. Lasciando le redini all’intuito e all’abitudine, Izuku attutì come riuscì l’impatto e lo scontro con Katsuki. Rotolarono sul pavimento del pianerottolo in una massa incasinata, ma Deku tenne presente ogni parte di sé, lì dove si trovò a colpire quella fortezza di muscoli nervosi che era l’eroe.

In piedi. In piedi. In piedi

Registrando dolori sparsi, futuri lividi, ma non così gravi, Izuku si svincolò da quel corpo che avrebbe ustionato le sue difese se avesse esitato. C’erano ombre di memorie obliate che ricordavano ancora cosa significasse avercelo vicino. 

Neanche la vide la balaustra che separava il ballatoio dallo strapiombo sulla strada. Ci saltò sopra, soltanto vagamente conscio che non fosse la migliore delle basi, ma si lanciò comunque, visualizzando prima nella mente, e poi con gli occhi, il basso tetto limitrofo. Avrebbe potuto percorrere Wasuno bendato. Non era quello il problema. 

Il problema fu continuare a sminuire la stanchezza e chiedere al proprio fisico di più.

Strinse i denti. 

Atterrò. 

Rotolò e- 

«Preso.» 

Deku si ritrovò a sbattere sul piastrellato. Le ossa delle braccia vibrarono dolorosamente per aver attutito all’ultimo la caduta. Bakugou gli era sopra, ansante e vittorioso. O così lo immaginò. Quando Izuku voltò la testa per fissarlo, non vide alcun trionfo nel suo sguardo. 

«Allora…» Katsuki si mosse, sedendosi senza riguardi sulla sua schiena e provocandogli un gemito involontario. «Dove diavolo eravamo rimasti?»

Deku ingoiò. Cos’era cambiato?

Nulla. Bakugou era ancora un ammasso di arroganza, capace di spadroneggiare in ogni situazione. Era ancora quel ragazzino straordinario e cattivo. 

Lui, al contrario, continuava a finire nella polvere. 

«La prima volta che ho provato della droga non è stata una mia scelta, però si è rivelata piacevole.»

Riprese col proprio copione, monocorde, anche se azzerare la frustrazione non si rivelò facile. Non vide la reazione di Bakugou, ma ne percepì la rigidezza e il respiro attraverso i denti serrati. 

«Spiegati.»

«Ero a una festa dell’università. Forse qualcuno mi ha visto poco a mio agio e ha pensato di farmi un favore infilandomi qualcosa nel bicchiere, tutto qui. Non ho ricordi lucidi, anzi, non ho proprio ricordi, qualche frammento e poi il risveglio.»

«Quale merda dovrebbe essere la parte piacevole, Deku!?»

«Quella dove il mio cervello si è spento e tutto ha perso di peso.»

La morte della mamma… I miei fallimenti… I miei sogni…

Tu, Kacchan. 

Tu. 

Katsuki non replicò e Izuku non perse tempo a voltarsi. Non gli interessava leggere il giudizio nei suoi occhi. 

«Vuoi il resto della storia o ti basta questo?» chiese quando quel silenzio si fece troppo lungo. 

«Va avanti.» 

«Allora alzati. Mi stai facendo male.»

Non ci sperò davvero, non con ancora le scene chiare di quando erano bambini e Bakugou non aveva mai dato retta a nessuna delle sue richieste. Eppure, gli si tolse di dosso davvero, superandolo di qualche passo e obbligando Deku a rialzarsi osservandogli la schiena. Un tempo una vista fin troppo famigliare. 

L’Hero aveva la testa voltata di profilo, ma non lo stava guardando, se non con la coda dell’occhio. Quel tanto che gli fosse utile ad accorgersi dei suoi movimenti repentini. 

Izuku avrebbe davvero voluto buttarsi in un altro scatto di pura adrenalina, ma la fatica e la tensione nel suo corpo avevano superato la soglia di attenzione. 

«Per farla breve» riprese, optando per chiudere quel teatrino il prima possibile, e nel mentre cercare di sciogliere i muscoli con qualche lento movimento. «Sono risalito a chi stava dietro al giro delle feste dell’università e sono diventato un cliente diretto. All’inizio consumavo e basta, cercavo di limitarmi e tenere quelle caramelle per i momenti davvero no.» 

Sul suo viso si aprì qualcosa che nelle intenzioni sarebbe dovuto essere un sorriso, ma la piega non rifletté nulla che non sembrasse uscito da uno schianto diretto con una verità crudele. 

«Però mentirei se dicessi che sentivo ancora qualcosa per cui valesse la pena provarci. Non avevo nulla da perdere.» 

La quiete di Wasuno assorbì le sue parole quanto fecero le spalle rigide di Bakugou. L’Hero si voltò a guardarlo in faccia e c’era una durezza a margine dei suoi occhi che Izuku riuscì a trovare tediosa, quasi fastidiosa. Il resto di lui non sembrò discostarsi dal suo costante e impenetrabile stato di malumore rabbioso.  

«Per un po’ sono entrato nel giro come corriere» riprese, guardando altrove e contando quante biglie di ricordi ancora mancassero da snocciolare. «Dovevo solo portare la roba, piccole quantità, nulla di che. Avere dei soldi mi evitava le lamentele dei parenti sul mio mantenimento e non si sono mai interessati della fonte. In più, sembrava che la mia faccia anonima e cordiale piacesse. Deku poi è stato un soprannome facile da usare. Anche se non è durata molto.»

Izuku si mosse, avvicinandosi al bordo del tetto. Iniziò a valutare dove saltare, mentre osservava pezzi della propria memoria, decidendo la narrazione, estirpando ancora una volta qualsiasi sentimentalismo inutile. 

«Poi, un giorno qualsiasi, uno dei miei senpai si mise nei guai» continuò, individuando dove scendere. Si arrampicò sul cornicione e iniziò a stimare il salto. L’aria era tiepida, indice del caldo che stava aumentando lentamente, ma Izuku non registrò nulla. Era così stanco. Sfibrato. 

Vide Bakugou salire nello spazio di fianco a lui e rimasero così, fermi, fianco a fianco, ma con quella voragine a separarli. 

Per un attimo, Izuku si dimenticò di cosa stessero parlando. Lasciò che un sospiro del vento gli accarezzasse la faccia. 

«Sai…» si umettò le labbra secche, perso a fissare il cielo sempre uguale. «Dopotutto, Wasuno è solo il lato sbagliato del paradiso.» 

Avvertì gli occhi di Katsuki su di sé e fu come un’onda calda. Gli fece pensare per un attimo a quanto volesse soltanto sgusciare a letto e abbandonarsi all’oblio. Ma la giornata era appena iniziata. 

«Il resto della città…» ricominciò, con un gesto vago che incluse tutto. «Il fermento che la anima, i cuori pulsanti che la vivono, le menti che la colorano ogni giorno… qui non arrivano. Qui c’è quella pace che troveresti in una casa lasciata vuota. E va bene così.»

Sorrise, di nuovo, e fu pieno di niente, come le macerie che da anni aveva dentro. 

«Forse, se fossi nei tuoi panni… questo sarebbe da definire il lato giusto dell’inferno, vero? Punti di vista, immagino…»

Fletté le gambe e saltò.

Non fu nulla di particolare, ma la vibrazione che attraversò ogni sua cellula quando atterrò gli restituì la chiave della realtà e del suo posto nel mondo. 

«Deku-» 

«Ero arrivato al punto in cui uno dei miei senpai si è trovato nei guai» lo anticipò Izuku, camminando per non stare fermo e non lasciare scoperti punti fragili. Si concentrò per trovare dove saltare, costringendo l’eroe a seguirlo per ascoltarlo.

«Mise il piede in due scarpe con i suoi fornitori e se la vide brutta. Non era un mio amico, non penso che lo sia qualcuno che ti ficca nei guai… ma io finii coinvolto in quella diatriba e forse avrei proprio avuto bisogno di un eroe» ironizzò con un sorrisetto cattivo, per poi scegliere il nuovo punto di slancio che lo avrebbe portato su una scaletta antincendio. 

«Ne uscii con diversi lividi, molti piunti, piccole ustioni, un braccio rotto… e una casa nuova.» 

Saltò prima di sentire cosa Bakugou avesse da dire. 

L’atterraggio fu molto più rumoroso dei precedenti e l’intera struttura in metallo tremò. Deku si mosse per svicolare nell’ennesimo ballatoio, percorrerlo, trovare l’appiglio giusto e risalire sul tetto. Tutto con l’Hero a seguirlo a breve distanza. Il sole era sempre più bruciante e il sudore iniziò a rendergli le mani scivolose. 

«Per farla breve, l’organizzazione di cui faceva parte il mio senpai venne a riprenderselo. Non si aspettavano di trovare me insieme a una mezza dozzina di tirapiedi dell’altra banda a terra. Non che io fossi molto in piedi, ma ero rimasto l’unico cosciente.»

«Li hai stesi tu?» 

Deku scelse di prendere quella lieve inflessione sorpresa di Bakugou con orgoglio. Si strinse nelle spalle. 

«Non avevo fatto altro che quello che facevo di solito: sopravvivere. Sono cresciuto con te che mi picchiavi, qualcosa mi hai insegnato.»

Smettila con le frecciatine, si disse. Per quanto dal sapore piacevole in bocca, rischiavano di essere una lama a doppio taglio. 

«In definitiva, per rispondere alla tua domanda, sono diventato il capo di Wasuno perché ho fatto una buona impressione. Anche se capo non è il termine giusto. È stato un colloquio fuori programma, ma è andato bene. Buona parte dei miei problemi si sono risolti così.»

L’altra metà l’avevo seppellita e lì tornerà a stare presto. 

«A chi hai fatto una buona impressione?» ringhiò Bakugou e si piazzò di nuovo di fronte a lui, sbarrandogli la strada. 

«Un uomo. Alto circa così, capelli scuri, corporatura nella media di chi si allena e-»

«Non prendermi per il culo!»

«Te l’ho detto che sarei stato onesto, ma per una domanda al giorno, che implica un argomento al giorno. Fammela domani questa, se ci tieni.»

La mano di Bakugou scattò per afferrarlo, ma Deku reagì nello stesso momento. Sembrò quasi una dimostrazione di arti marziali di fronte a una platea. Furono coordinati, precisi, soprattutto reattivi. Katsuki non si fece sorprendere e cambiò presa, ma lo stesso fece Izuku, riuscendo a svicolare. Si misero entrambi in posizione, distanti due passi, pronti, le dita nervose nel caso dello scatto di uno o dell’altro. 

E in silenzio. Che fu più logorante dell’attesa. 

«Io non ti ho insegnato proprio niente» sibilò l’eroe, caustico. 

Izuku sbatté le palpebre, confuso, ricollegando con un secondo di ritardo la frase alla propria battuta. 

«Essere tuo amico implicava temerti. Pensi che i nostri compagni delle medie ti seguissero perché ti ammiravano? Eri quello prepotente, Kacchan. Gli altri avevano capito che il servilismo era la carta migliore da giocare con te.» 

Deku ignorò il petto che gli si stava chiudendo in una morsa, nell’ultimo tentativo di arginare lo straripare di emozioni che sarebbero dovute marcire sul fondo. 

«Come io ero un perdente e nessuno aveva voglia di starmi intorno, così quelli che ti si avvicinavano ammiravano la tua aura e volevano stare nella scia del vincente.»

«Allora perché tu continuavi a seguirmi!?»

I palmi di Bakugou brillarono e Deku spostò il peso, preparandosi all’impatto. Cambiò idea all’ultimo, perché non sarebbe finita come ogni volta che Kacchan lo aveva aggredito

Si voltò. Sentì appena il calore raggiungergli la nuca, ma la forza con cui caricò lo scatto lo allontanò in tempo. 

Non si guardò indietro, solo avanti, raggiungendo il bordo del palazzo per l'ennesima volta. 

«Deku!» 

È troppo tardi

E fu troppo tardi per ascoltare anche i limiti del suo fisico. 

Lo slancio risultò imperfetto, i polpacci contratti non lo aiutarono. La traiettoria sballò fin da subito e Izuku immaginò velocemente cosa lo potesse aspettare sotto, senza tuttavia osare occhieggiare giù. Se fosse stato fortunato, si sarebbe schiantato sul tettuccio di una macchina.  

Se, al contrario, fosse stato sfortunato, la mano della persona da cui stava cercando di tenere le distanze lo avrebbe afferrato. 

Il palmo di Bakugou era caldo di deflagrazione e gli si serrò sul polso. L’Hero stava compiendo una parabola per aria, ma corresse la traiettoria con una seconda esplosione, quando il peso di Izuku si unì al suo, spingendoli entrambi oltre il cornicione del tetto vicino. 

Per la terza volta, un sonoro e doloroso - quanto voluto - impatto tolse il fiato a Deku. Sbatté la schiena e una scarica gli attraversò i nervi, irrigidendolo per un istante, prima di lasciargli liberare un gemito. Quando tentò di muoversi, avvertì ancora la presa ferrea di Katsuki sul braccio. L’Hero era atterrato quasi avesse fatto solo un semplice balzo, accovacciandosi vicino per sovrastarlo di nuovo. 

«Riprendi fiato, merDeku. E poi rispondimi.» 

Izuku serrò la mascella, pervaso dalla propria impotenza. 

Non sei più così. Non sei più così. Non sei più così. 

Per quanto se lo gridasse, era come se tutta la propria frustrazione fosse confinata in una stanza con le pareti in vetro antirumore. Non riusciva a sentirla, ma la vedeva dibattersi. 

«Tu avevi molte cose che io non possedevo!» urlò Deku, abbandonando ogni freno, ogni esitazione. «Eri la persona più vicina che conoscevo al sogno che volevo realizzare!»

Volevi sentirti dire questo? Ti basta?

Vattene, Kacchan. Vattene. 

Cercò di svincolarsi, ma Bakugou serrò la presa. 

Deku aveva annaspato nei propri incubi per molto tempo. Alla fine, erano diventati parte di lui. Avevano preso forme familiari, per ricordargli anche da sveglio quanti uncini avesse il passato, ma insegnandoli anche a sopportare il dolore. Eppure, in quel momento, tutto ciò che riusciva a sentire era solo uno strappo. 

«Io ero inutile! Come mi hai sempre ripetuto! Ma è proprio perché sono così… inutile e senza quirk… che riuscivo a vedere sia il tuo lato più odioso che quello incredibile!»

Se dopo otto anni era giunto il momento di annegare nei fallimenti, Izuku lo fece vomitandoli fuori. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per tornare a respirare. Una volta che avesse messo in mano a Katsuki quella massa informe di risentimento, forse non l’avrebbe più sentita come un dolore pulsante tra petto e gola. 

Tuttavia, ancora una volta, la realtà non fu gentile. 

Nulla cambiò. 



 

Hello, hello
Anybody out there?
'Cause I don't hear a sound
Alone, alone
I don't really know where the world is
But I miss it now

[Echo - Jason Walker]

 


* * *



 

«Lo sai che se c’è qualche casino che ti da noia puoi lasciarlo gestire a me, vero?» sospirò l’uomo, trafficando col kit di primo soccorso. «Questa sera sei molto distratto.»

«Non preoccuparti. È colpa del caldo.» 

«Mpfh… non ti do torto. La gente diventa più molesta e irritante con queste temperature. Anche tu non scherzi. Ci hai rimediato un pugno in faccia… ma credo che l’altro ancora non ricordi il proprio nome. Sembravi un gatto messo all’angolo.»

La breve risata dell’uomo, liscia come seta, spezzò l’atmosfera. Izuku mise su un muso lungo, fissando il proprio interlocutore. 

«Questo ti darà fastidio.» 

«Non sono un bambino…»

Ma dirlo non servì ad arginare la smorfia nel sentire il disinfettante sul taglio al labbro. Durò solo un istante e poi fluì via con tutto il resto. Izuku si distrasse, fissando un punto senza significato dell’immenso locale.

La musica era assordante, ma lì dove si trovavano arrivava come un rumore di sottofondo, insieme alle grida degli avventori. 

«Ah, Gin, silenziosa e discreta come sempre. Grazie.»

Deku riportò la propria attenzione sull’uomo e quindi sulla donna appena arrivata con un involto in mano. Si scambiarono un brevissimo sguardo e si dissero più di quello che avrebbero potuto mettere a parole, ma lei non si trattenne. Con un cenno del capo si congedò, lasciandoli di nuovo soli. 

«Questo eviterà che ti si gonfi troppo.»

Izuku accettò il ghiaccio istantaneo avvolto in un tovagliolo di stoffa. Se lo premette sulla bocca e, dopo un brivido iniziale, si rilassò, lasciandosi andare contro la spalliera del divano.  

«Sei esausto. Riesci a dormire?»

Con le dita libere, Deku si sprimacciò gli occhi, prendendo un po’ di tempo. 

«Preferirei di più, ma l’estate non è la mia stagione.»

«Non la risposta che mi aspetterei da qualcuno nato nel cuore di questo periodo. Sei più tipo da mezze stagioni, eh? Peccato che non esistano più.»

Si scambiarono uno sguardo, prima di scoppiare a ridere, anche se Deku sentì la ferita tirare con fastidio. 

«Parlo proprio con un vecchio ormai, vero?»

«A me va bene così.» 

«Tu sei troppo buono, Deku.» 

Izuku non replicò. Di nuovo, restò a fissare qualcosa di indefinito, lasciando che il rumore riempisse la sua mente, con la speranza di mettere a tacere i sussurri che, come spifferi, sfuggivano al suo controllo. 

«Daisuke… ti ricordi quando mi hai trovato?»

L’uomo abbassò il drink che stava sorseggiando per osservarlo stupito. 

«Certo. Macchiasti il mio completo migliore.»

Entrambi risero. 

«Perché mi hai portato qui? Perché… mi hai dato questa possibilità?»

«È un giro contorto per chiedermi cosa ho visto in te?»

Izuku abbassò lo sguardo, scostando l’involto freddo dal labbro per osservare il sangue che aveva sporcato la stoffa. Non confermò, né ritrattò la domanda. Daisuke si mise più comodo con un sorrisetto che dava l’idea di essere stato scolpito molto tempo prima. 

«La prima cosa che ho pensato è stata, se ricordo, Questo ragazzino deve avere un quirk niente male per averli stesi tutti così. Ma mi bastò una seconda occhiata per capire la situazione.» 

Mandò giù un ultimo sorso, abbandonando poi il bicchiere sul tavolino. Si prese un momento per riflettere, ma dalla sua espressione, se uno fosse stato attento, si sarebbe capito che sapeva già cosa dire. 

«Durante il nostro primo colloquio mi hai lasciato con un pensiero martellante. Non comprendevo perché avessi lottato così strenuamente per restare vivo e per aiutare l’idiota che ti aveva messo nei guai. E a guardare com’eri ridotto, contusioni a parte, sembravi qualcuno a cui non importava di respirare ancora. Chiunque altro, alla prima occasione, sarebbe scappato o si sarebbe arreso. Tu no.» 

La pausa fu appoggiata per dare tempo alle parole di scendere a fondo. 

«Hai capito cosa ho trovato in te quella notte, Deku?» Assottigliò lo sguardo. «Del potenziale.»

Daisuke accavallò le gambe, corrugando la fronte nell’inseguire un pensiero. 

«Anzi, permetti la correzione: ho visto la forza di restare in piedi nonostante tutto.»

Izuku non replicò. Si sforzò di mantenersi calmo, di mettere a tacere il nervosismo che gli si stava arrampicando dentro. Lottò con se stesso, si passò la mano tra i capelli umidi di sudore, per poi prendersi il braccio all’altezza del polso. 

Lì dove Bakugou lo aveva stretto per salvarlo

Era un pessimo uso di parole, considerando quanto la presenza dell’ex amico lo stesse spingendo in un metaforico mare aperto, lontano dalla riva che si era conquistato a fatica. 

«Hai dei ripensamenti, Deku?» 

«… no» fu troppo blando per suonare convincente, così si ripremette il tovagliolo freddo contro il labbro, in cerca di qualcosa che lo smuovesse. «Sono solo stanco. È un periodo intenso.» 

«È normale. Questo posto ha iniziato a ingranare davvero solo negli ultimi mesi e, a proposito di questo, vorrei discutere con te l’ampliamento del personale. Ho qualche persona fidata che potrebbe aiutarti e levarti le beghe noiose dalla lista delle cose da fare.» 

Izuku abbozzò un sorriso. 

«Sarebbe fantastico. Gin non batte ciglio, ma so che è stanca anche lei nello stare dietro a tutto.»

Daisuke annuì, i suoi occhi chiari si ammorbidirono. 

«State facendo un gran lavoro, entrambi. Il vostro impegno non passerà inosservato. Perfino Akane dovrà tapparsi la bocca.» 

Le spalle di Deku si irrigidirono, ma minimizzò nell’allungarsi a recuperare il proprio drink abbandonato sul tavolino. L’alcool bruciò i margini della ferita; tuttavia ogni stimolo, per quanto sofferente, era meglio dell’ascoltare gli echi tra le rovine dove i ricordi di Katsuki si muovevano.  

«Deku.»

Izuku alzò l’attenzione sull’uomo, che si curvò verso di lui. Era serio nello sguardo, ma non gli negò una nota più mite, con una punta di qualcosa che il più giovane faticò davvero a riconoscere. 

«Non so cosa ti stia tormentando, ma se per rassicurarti dovrò ripeterti quanta strada tu abbia fatto e quanti sono i traguardi che hai raggiunto, lo farò.» 

Deku tentò di non arrossire come un quindicenne, ma avvertì lo stesso le orecchie e il collo scaldarsi. 

«D-Davvero, non è necessario…»

«Continui a migliorare negli affari e le tue idee sono sempre molto apprezzate. Hai domato Wasuno e l’hai reso un quartiere così tranquillo che neanche gli eroi ci mettono più piede. Questo Ren lo tiene da conto.»

Izuku ingoiò un groppo amaro. 

Diglielo.

Digli di Kacchan

Le parole si rifiutarono di risalire dal fondo della gola. 

«Quel giorno che ti trovai, ti feci una singola proposta. Di seguirmi.» 

Daisuke allargò le braccia e i suoi palmi indicarono metaforicamente quello che li circondava. 

«Darti un posto in cui stare e la sicurezza di non dover dipendere da chi ti riteneva un peso erano soltanto la base da cui ricominciare. Il minimo. La scommessa è stata farti conferire il titolo di Comandante. E tu, Deku, hai preso tutto quello che ti ho dato e lo hai trasformato ulteriormente in altre possibilità. Sei andato oltre ogni mia aspettativa. Ma non ho mai avuto dubbi che tu potessi farcela.»

«… grazie.»

«Di cosa, Deku?» 

Digli di Kacchan.

Digli di Kacchan.

Digli di Kacchan.

«Faccio chiamare Gin, è meglio se per stasera vai a riposare. La prossima settimana vediamo di ritagliarci un po’ di tempo per parlare e staccare.»  

Izuku si morse l’interno della guancia, ma assentì, restando a capo chino per non guardarlo. Immobile così, si accorse della mano di Daisuke che si allungò ad appoggiare qualcosa sul tavolino. Una bustina con tre piccole pasticche di un verde tenue, pastello. 

«Spero che il colore ti piaccia. Saranno meglio di un antidolorifico. Farai dei sogni grandiosi.» 

Deku accettò senza dire una parola e se le mise in tasca. 



 

I'm out on the edge
and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes
I pretend I'm alright
But it's never enough

'Cause my echo, echo
Is the only voice coming back
Shadow, shadow
Is the only friend that I have

[Echo - Jason Walker]




 

To be continued.



 

Grazie per aver letto! Questo capitolo mi ha fatto pensare abbastanza in fase di correzione… e non escludo che in futuro lo rivedrò ancora, in vista di impaginare il tutto e rilegare la fanfic (queste mie manie inutili). 

Anche qui tornano pezzetti del manga qui e lì, rivisitati in un’altra chiave. Oltre alla spiegazione del titolo! Immagino quella scena a colori, a saper disegnare…! 

Torna in scena anche Daisuke. Non lo dice, ma ha circa 37 anni e non ho ancora deciso il suo segno zodiacale, ma penso che potrebbe essere di questo periodo qui. 

Qui trovate la playlist aggiornata a oggi!  

Alla prossima!

Nene

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 7




 

I'm tired of being
what you want me to be
Feeling so faithless,
lost under the surface
Don't know what
you're expecting of me
Put under the pressure
of walking in your shoes

[Numb - Linkin Park]






 

Con tutti i capricci di Luglio, Deku si sentì tradito dal proprio mese. 

Le nuvole si rincorrevano nel cielo, assembrandosi in masse via via più scure e rispecchiando significativamente il suo umore. Non aveva controllato le previsioni e non aveva intenzione di farlo in quel momento, per farsi cogliere impreparato dall’arrivo di Bakugou. 

Tornare a casa prima della mezzanotte sarebbe dovuto servirgli per dormire qualche ora in più, ma la sua memoria recente aveva scelto di torturarlo e gremire il silenzio con quello che era accaduto con la prima domanda. Il regalo lasciatogli da Daisuke era stato il biglietto per spegnere quella voce nostalgica e invadente, ma non un toccasana per il resto del corpo e il poco che aveva dormito.

Restò a fissare le nuvole grigie addensarsi insieme all’odore della pioggia che, presto o tardi, sarebbe caduta. Finché non fosse arrivata, avrebbe dovuto sopportare l’umidità calda contro la pelle. 

Il pensiero passò in secondo piano quando avvertì Katsuki alle proprie spalle. 

«Oggi niente salti.» 

Izuku sentì tutta l’imposizione nella sua voce come una mano stretta sulla nuca. Iniziavano male. 

«Finché non piove è sicuro» iniziò, fingendo con se stesso noncuranza, ma anche chi non lo conosceva avrebbe potuto intuire l’astio malcelato nel tono. «Se non te la senti, puoi restare qui. Per me va bene. Non so se riuscirai però a sentire la mia risposta alla tua domanda di oggi.» 

Ancora una volta, l’eroe ridusse, passo dopo passo, la loro distanza fisica, fino a piantarglisi di fronte. 

«Da quant’è che non dormi?» 

Izuku faticò a non tirargli un pugno. Bakugou era diventato capace di minare la sua pazienza in una manciata di parole, toni e atteggiamenti molto più velocemente di un tempo. Gli faceva saltare addosso l’impulso di imprimergli con violenza quello che a voce non capiva.

Stai zitto. 

Tieniti queste premure inopportune. 

Dimmi quello che ti serve a lavarti la coscienza e poi lasciami in pace

«L’estate non è il mio periodo preferito.» 

«Già. Al nerd piacevano i colori dell’autunno e i profumi della primavera, eh?» replicò annoiato Katsuki, per poi assottigliare lo sguardo. «Che hai fatto al labbro?»

«Fammi capire, ti ricordi quali stagioni preferisco, ma non il mio compleanno?» 

Izuku avrebbe voluto schiaffarsi una mano sulla bocca prima di parlare, ma quell’accusa infantile gli rotolò fuori con l’impeto di una cannonata. 

«Cos’è, volevi degli auguri?» nel replicare, l’Hero distolse lo sguardo, osservando il cielo che andava incupendosi, come il suo cipiglio. Schioccò la lingua, irritato. «Non l’ho dimenticato. So perfettamente che giorno sei nato. Non era tra i miei pensieri quella sera, chiaro? Non ero lì per festeggiarti.» 

Izuku aveva le dita così contratte da fare male. Artigliò l’aria invece di colpire Bakugou. Non era stata sufficiente la conclusione disastrosa del giorno prima, il dover toccare - bruciarsi, nel suo caso - ricordi che avrebbe voluto sminuzzare e spargere così lontani per rendere impossibile a chiunque rimetterli insieme. 

«Qual è la tua domanda di oggi?» sibilò, cambiando argomento per riuscire a calmarsi. 

«Prima dimmi che hai fatto al labbro.»

Deku scattò senza rendersene conto. Il suo corpo si mosse da solo. Prese le distanze e i suoi occhi registrarono il bordo del palazzo con un istante di anticipo rispetto alla decisione della sua mente. 

La mano che si strinse sul retro della sua maglietta quasi gliela strappò e smorzò del tutto lo slancio. 

«Niente. Salti.» 

«Allora fammi questa domanda del cavolo e piantiamola qui!» urlò Deku dopo avergli schiaffeggiato via il braccio. 

Non toccarmi

Ogni fibra di sé dovette gridarlo abbastanza forte da far incazzare l’eroe, ma anche da tenerlo al posto per una volta. 

Bakugou non smise di fissargli il labbro, ma a costo di stare a urlare per un’ora, Deku si sarebbe rifiutato di raccontargli qualsiasi cosa di quello che faceva nel suo tempo libero, nella sua vita. 

Il cielo rumoreggiò sopra di loro in un tentativo di mettersi in mezzo, tuttavia nessuno dei due lo ascoltò. 

«Perché hai rinunciato a diventare un eroe?»

Fu come se a Izuku avessero tolto la batteria. La sua rabbia di sciolse prima in un’espressione scoordinata, a metà tra l’incredulità e la delusione, per assestarsi in una che rifletteva il pensiero di quelle chiacchiere sprecate. 

«Io davvero faccio fatica a capirti, Kacchan.»

Avrebbe voluto caricare il tono di sarcasmo, di qualcosa che facesse sentire l’Hero stupido e patetico, ma vibrava ancora una brace di furia a lambire le sue parole. 

«Ho già risposto a questa domanda e tu lo sai, conosci il motivo. Lo sai benissimo il perché, cazzo!»

Anche senza un quirk... si può diventare un Hero?

No. Non si poteva. Lo aveva imparato da sé. 

La memoria di quel fugace incontro con All Might bucò qualsiasi sua difesa. Pensò a come si fosse risparmiato una risposta ovvia e patetica da parte dell’eroe numero uno perché non c’era stato il tempo di parlare. A otto anni di distanza era una cicatrice. Un silenzio così scontato da rimbombare e fare male alle orecchie. 

Izuku non si era reso conto di essersi afferrato la stoffa della maglietta all’altezza del petto. Non si era accorto neanche di aver urlato, di nuovo. 

«Ci ho provato! Lo sai perfettamente che ci ho provato! L’umiliazione all’esame di ingresso alla Yuuei è stato abbastanza! Non sono riuscito a fare niente, niente! Cosa mi ero messo in testa!?» 

Lasciò andare di colpo la presa e si guardò il palmo. C’erano i suoi fallimenti lì tra quelle dita e li vide tutti, uno per uno. 

«Ti sei arreso perché non hai superato un test!?»

«Cosa credi che avrei dovuto fare!? Nessuno credeva nel mio sogno!» 

Deku non si allontanò. Non provò più a prendere le distanze, ma si ritrovò quasi a mettere le mani addosso a Bakugou pur di fargli capire quanto facesse male. Se non lo sfiorò, fu solo perché l’ultimo baluardo di ragionevolezza si frappose all’istinto. 

Toccare Katsuki equivaleva a far crollare quei cinque anni in cui si era rimesso in piedi con le sue sole forze. 

«Chiunque mi compativa! Chiunque mi derideva! O tentava di farmi ragionare!»

«Chissene fotte delle comparse, Deku!»

«Mia madre non era una comparsa! Tu non lo eri!» 

La sua voce risuonò pari al tuono che attraversò l’aria. 

Bakugou serrò la mascella, senza smettere di fissarlo. Izuku fece altrettanto, ma a sguardo così sbarrato e colmo di emozioni che il suo viso sembrò trasfigurato, perdendo qualsiasi traccia di chi fosse. 

«Questo non sei tu, Deku…» 

Le parole Katsuki le raccolse e le posò tra loro con un’incredulità infettata da un qualcosa di così marcio e sbagliato che, per un attimo, gli fecero abbassare le spalle - lo fecero sembrare meno Dio e più umano

Non fu uno spegnimento di coscienza o un chiudere la porta ai ricordi. Fu rendersi conto che fossero passati davvero otto anni. Ed erano tutti impressi addosso a loro, nelle pieghe dell’anima dove avevano nascosto gli strappi, invece di ricucirli. Di Deku, in quel momento, non riuscì davvero a vedere cosa fosse rimasto. 

Iniziò a piovere. 

Furono poche gocce, neanche magnanime nell’essere fresche, ma cocenti come acido nel puntinare la pelle di lacrime. 

«Perché non lo vuoi capire…»

Izuku fece un passo indietro e sembrò sfilarsi quella maschera caotica e soffocante che gli pesava sul viso. Distolse lo sguardo e poi si incamminò verso la tettoia che riparava la porta di accesso al tetto. Superò Bakugou con poche sillabe, messe insieme in una sequenza di suoni il cui significato fu la strofa finale di un duetto che non avrebbe concesso il bis. 

«Il Deku che tu conoscevi non esiste più.»



 

I've become so numb
I can't feel you there
Become so tired
So much more aware

[Numb - Linkin Park]



 

* * *



 

Bakugou mise piede sul ballatoio di casa gocciolando pioggia.

Incurante di essere fradicio neanche si fosse buttato in una piscina, recuperò dalle tasche le chiavi, ma si fermò nell’alzare lo sguardo e trovare qualcuno acciambellato sullo zerbino. Un involto di impermeabile, vestiti umidi e uno zaino che sembrava uscito da un risciacquo della lavatrice. 

Katsuki gli diede una pedata, abbastanza per farlo scivolare di lato e svegliarlo. 

«Che diavolo fai qui?» 

Non suonò come avrebbe voluto. La voce gli uscì arrochita, svuotata. Aveva ancora le orecchie infestate dalle ultime parole di Deku. 

Il suo ospite grugnì, passandosi una mano sulla faccia prima di alzarla su di lui con un sorrisetto tutto denti accuminati, sonnolenza e soddisfazione. 

«Sono venuto a prendermi quella birra!» 



 

Ci vollero una doccia piuttosto lunga e una tazza colma di caffè prima che Katsuki concedesse a Kirishima di aprire bocca senza rischiare di essere morso. 

«Quindi posso dormire sul tuo divano…?» 

Bakugou grugnì qualcosa che anche in anni di amicizia non si capì se fosse un sì o un crepa

«Va bene anche il pavimento! Il tappeto del salone è morbidissimo!»

Questa volta Eijirou si beccò un’occhiataccia e seppe di meritarsela. 

«Non mi piacciono le improvvisate» chiarì Bakugou, sbattendo la tazza vuota di caffeina sul tavolo a sottolineare la cosa. 

«Dove starebbe la sorpresa se no…?»

Risposta sbagliata, ma Kirishima sapeva di starsi arrampicando sugli specchi. Era la seconda volta che il suo tono tentennava. C’era un argomento che pendeva sulle loro teste - Sono preoccupato per te - e che, soltanto sfiorarlo, significava scatenare un umore più nero del tempo fuori. 

«Ok, seeenti… è stata una cosa improvvisa e non pianificata anche per me! Era tanto che non tornavo da queste parti e Tamaki stanotte mi ha chiesto un cambio turno all’ultimo, quindi per due giorni sono libero… circa, ripartirei domani notte! Ti pregoooo!» e unì insieme le mani a preghiera, abbassando umilmente il capo. «Ti faccio la spesa per il disturbo! Sono diventato abbastanza bravo a cucinare un paio delle ricette che mi hai dato! E so fare un ottimo okonomiyaki a detta di FatGum!» 

«Quanto sei rumoroso» borbottò Bakugou, alzandosi da tavola e portando la tazza fino al lavello. 

«… è un sì?» 

«Fai colazione. In silenzio» specificò con un’occhiataccia, mentre andava a sdraiarsi sul divano e recuperava il telecomando della tv, accendendo un canale a caso. 

«Dove tieni le cialde? Non sono nel solito armadietto… ehi, Bakugou?»

Ma l’Hero si era già addormentato. 



 

«Ti rovini la schiena a dormire sul divano.» 

L’aroma del caffè fu piacevole, la voce che lo svegliò non lo fu per niente. 

Katsuki grugnì, il corpo per nulla interessato ad abbandonare il torpore del sonno. Servirono due dita, premute sull’addome - lì dove era stato pugnalato - per farlo scattare e imbestialire. 

«Tu vuoi proprio morire!»

Todoroki restò impassibile. Assiso sul basso tavolino di fronte al divano, una tazza di caffé in mano, occhieggiò l’ex compagno senza nulla di particolare nello sguardo. Bakugou si mise seduto contro la spalliera di malavoglia, passandosi inconsciamente la mano sul taglio ancora incerottato. 

«Cos’è oggi che spuntate come funghi. Che ci fai qui?»

Shouto lo fissò un attimo, inclinando la testa con un’occhiata indagatrice. 

«Sei preoccupato» sentenziò, ricevendo subito un ringhio in risposta insieme alle dita di Katsuki che scattarono nel tentare di conquistare la tazza. Todoroki si ritrasse e gliela allontanò. «Quando usi poche parolacce c’è qualcosa che non va.» 

«Va’ al diavolo!» 

«Mmh…» e nello squadrarlo in cerca di altri indizi - si accorse del palmo con una ferita rimarginata - si portò la tazza alle labbra, prendendone un sorso. 

Bakugou lo fissò come se gli avesse appena pestato il cane, se ne avesse avuto uno. 

«Ohi, quella dovrebbe essere per me!»

«Non l’ho mai detto.»

Il proprietario di casa, ma non evidentemente della propria vita, a giudicare dall’andirivieni che costellava il suo spazio personale, rinunciò al comfort del divano per raggiungere la cucina, masticando imprecazioni e pestando i piedi con forza. 

«Dove cavolo è Testa a punta!?»

«Kirishima è uscito a fare la spesa. Il caffè è finito. Ho recuperato l’ultima cialda dal cassetto delle emergenze.» 

Bakugou fu sul punto di far esplodere qualcosa. Tornò sui propri passi con la stessa intensità e si piantò di fronte al Bastardo a metà, detestandolo come soltanto uno sguardo esasperato poteva fare. Lo odiò soprattutto quando Shouto gli allungò la tazza di caffè con quel minuscolo accenno di sorriso che Katsuki avrebbe volentieri cancellato a pugni. 

«Prego.»

Ma Bakugou gli aveva già dato le spalle, ingollando un sorso. 

«Perché sei venuto a rompere?»

Todoroki si alzò e lo seguì in cucina. 

«È passata tua madre.»

«Ma porca puttana-» Katsuki tossì appena, piantando la tazza sul bancone. «Con che scusa stavolta che ero in casa!? Quella vecchia…» 

«Dice che ha suonato e nessuno le ha aperto. So che Kirishima ha passato la notte in bianco per il viaggio…» nel dirlo, si spostò appoggiandosi con la schiena al piano rialzato, di fianco all’ex compagno di scuola. Trovò lo sguardo di Bakugou, ma intuendo cosa sarebbe seguito, l’altro tornò al resto del caffè. 

«Dormi la notte?» 

«Sono in vacanza.» La risposta fu un ringhio così uguale a mille altri da perdere di insistenza e diventare solo un intercalare. «Faccio gli orari che mi pare.»  

«Capisco.»

Senza soffermarsi su quella risposta evasiva, Shouto si allungò a recuperare una borsa poggiata all’estremità del bancone, estraendone una cartellina da ufficio. La mise davanti a Bakugou. 

«Sono venuto principalmente per questi. Sono alcuni documenti da firmare per l’Agenzia.»

Katsuki roteò gli occhi come ogni volta che gli si mettevano davanti delle scartoffie. 

«Devi piantarla di fare la crocerossina e la segretaria.» 

Todoroki si strinse nelle spalle. «Non è un problema.» 

Scuotendo la testa, Bakugou sflilò i fogli e recuperò una penna, pronto a firmare prima di avere voglia di carbonizzarli. Si accorse però della data e lesse meglio l’incipit. 

La rapina del dieci Luglio. 

Bloccò la smania di chiudere la questione subito e si prese un momento a leggere il verbale, trascurando lo sguardo fisso con cui Todoroki lo stava misurando. Tempo una manciata di secondi, forse un minuto, e scarabocchiò la sua firma in calce. 

«Tutto qua?»

Katsuki gli riallungò i fogli, insieme a un’occhiata obliqua. 

«Volevi una firma, che altro c’è?»

«Hai appena confermato di aver inseguito un sospettato che non è risultato nella lista degli indagati e che non sei neanche riuscito a fermare.»

«Già. Invece di farmi perdere tempo a leggere potevi riassumerlo subito» lo rimbeccò sarcastico, buttando i documenti sul bancone quando Shouto non sembrò intenzionato ad afferrarli. 

«Lo hai lasciato andare?»

«Non c’entrava con la rapina, punto.»

«Quindi ti sei sbagliato?» 

C’erano occhiatacce di Dynamight che poche persone potevano sopportare senza uno spiacevole brivido lungo la schiena. 

Todoroki non era mai rimasto particolarmente colpito da quelle sferzate di astio e minacce fuse in un proiettile calibro esplosione - oltre a non temerle, preferiva vedere oltre, allungare la mano e capire

Lo aveva fatto in passato. Si era scottato, la prima volta. La seconda un po’ meno. Ed era andato avanti così, finché non aveva trovato Katsuki dietro quelle minacce - quei muri - che tenevano la gente a distanza. 

Una distanza che Shouto aveva percorso passo dopo passo, incuriosito, intrigato, a tratti ammaliato probabilmente, perché più Bakugou si impegnava per la vetta, più lui detestava restare indietro. Allo stesso tempo, aveva iniziato a desiderare più Katsuki della vittoria stessa. Anche se, in senso sia semantico sia figurato, era come assicurarseli entrambi. 

Insinuare qualcosa come uno sbaglio era il modo giusto di far saltare tutti insieme quegli strati da fullmetal jacket con cui Bakugou reprimeva le emozioni. Tuttavia, il risultato, la maggior parte delle volte, valeva l’azzardo. 

Non quel giorno. 

«Seh. Non era un sospettato. Contento?» 

Todoroki strinse a pugno le dita della mano non in vista, scaricandoci la frustrazione. 

Sperava di ottenere anche la minima informazione - nonostante la voce di Uraraka in testa lo stesse giudicando - ma la guardia di Bakugou era uno scudo più alto e spesso di quanto avesse valutato. 

Per la seconda volta, realizzò soltanto la dimensione di quanto importante e radicato in profondità dovesse essere il problema. Se di un problema si trattava, e non di qualcosa di più sfaccettato. 

Si umettò le labbra, testardo. 

«È una cosa seria. Se la persona che hai inseguito dovesse farsi avanti per sporgere denuncia riceveresti un richiamo e una penale, o peggio.»

Bakugou si scostò con uno Tzé. Si diresse verso il frigo per tenersi occupato e valutare cosa ci fosse da mangiare - senza neanche avere idea di che ore fossero. 

«Fammi sapere se qualcuno viene a rompere il cazzo, sarò felice di parlarci

Il Deku che tu conoscevi non esiste più.

Lo sportello subì il suo malumore nell’essere sbattuto. Imprecando tra i denti, Katsuki si massaggiò con le dita una tempia. Quelle fottute parole non avevano smesso un secondo di picconargli il cranio. 

Superò Todoroki e uscì dalla zona cucina, tornando in soggiorno. Si buttò di nuovo sul divano, dando retta a una volontà informe che non sapeva cosa fare se non attorcigliargli lo stomaco. Gli ci vollero quasi tre minuti pieni di silenzio per capire che l’altro eroe era rimasto in cucina, immobile nella stessa posizione. 

«Sei più fastidioso così che quando insisti nel voler sapere le cose.»

Senza muoversi, continuando a dargli la schiena, ancora appoggiata al bancone che divideva i due ambienti, Todoroki raddrizzò le spalle con un respiro pieno. Fissò i pensili scuri, proiettadoci quello che avrebbe voluto fare, ma senza riuscire a mettere insieme una strategia.

«C’è qualcosa di cui non vuoi parlarmi e sono preoccupato.»

Bakugou metabolizzò l’ennesima uscita rompiscatole cercando una posizione più comoda sul divano, prendendosela con un cuscino perché nulla stava andando nel verso giusto.

«Stai sprecando tempo. Non c’è nulla per cui tu debba darti pensiero.» 

Shouto non rispose. Dovette forzarsi a tenere la bocca serrata per non accendere la miccia sbagliata. In otto anni di conoscenza, non era ancora riuscito a capire se ci fosse un modo efficace per avere una conversazione normale con Bakugou. Quali fossero le parole da usare o i gesti per spingerlo a fidarsi. A contare su qualcun altro. 

Ce lo chiederà lui. Verrà lui da noi, quando sentirà di averne bisogno

Non riusciva a far coincidere la propria visione con quella di Uraraka. Quell’attesa lo stava sfibrando. Trovare nuove ferite addosso a Bakugou, quella pigrizia esausta, lo sguardo svestito della solita durezza lo stavano facendo tremare dentro. Aveva l’imperante sensazione di dover afferrare l’ultimo tratto di corda prima che fosse troppo tardi, muovendosi però alla cieca. 

Qualcosa di morbido si abbatté contro la sua nuca, facendolo riemergere dai pensieri. Uno dei cuscini decorativi del divano cadde per terra ai suoi piedi. 

«O vieni a farmi un pompino o te ne vai, hai capito!? Smettila di fare il soprammobile depresso nella mia cucina!»

«E ti farebbe sentire meglio se lo facessi?» replicò Todoroki, ma con un tono molto lontano dal vagliare seriamente la proposta. 

«Avrei uno straccio di buona ragione per sopportarti dentro casa mia.» 

Shouto roteò lo sguardo, rilanciandogli il cuscino. 

«Sei meno incline di me al momento per qualcosa del genere. E a breve tornerà Kirishima. Se non vuoi pensare, andiamo in palestra.» 

La risposta di Bakugou fu un dito medio e riaccendere la tv. 



 

* * *



 

I'm half asleep and half awake
A slave to every breaking day
I feel alone, I feel alone

[Call it what it is - Sleeperstar]



 

«Deku?»

La voce fu sottile, con una sfumatura morbida difficile da cogliere se non la si conosceva. Fu anche un appiglio alla realtà e portò Izuku ad aprire gli occhi, sbattendo le palpebre con ritrosia e un mugugno. Si rigirò su se stesso per sfuggire alla luce sopra la testa e tornare nel buio della coscienza. 

Si rese però conto che lo spazio era esiguo e non particolarmente comodo per dormire. Era su un divano, non nel suo letto. 

L’odore dell’ambiente sbloccò il resto dei sensi, costringendolo a raccogliere i pezzi sparsi di sé e tirarsi su. Era nell’ufficio del magazzino. Posò gli occhi su Gin e sul suo sguardo in attesa, tirato appena ai lati dalla preoccupazione. 

«Cosa-»

Questo non sei tu, Deku…

Si irrigidì e ricordò. 

Bakugou e il tetto. 

Perché hai rinunciato a essere un eroe? 

La pioggia e- 

Niente. Non trovò altro nella propria memoria. 

«Cos’è successo? Non ricordo di essere venuto qui…»

Gin gli mise in mano un bicchiere d’acqua e aspettò che lo bevesse, prima di parlare. 

«Eri in ritardo e sono venuta a cercarti. Ti ho trovato svenuto per strada.»

«Svenuto…?» 

Gin gli prese il bicchiere vuoto dalle mani, per poi fare scivolare le proprie dita sul suo polso, in una carezza piccola e confortante. La cicatrice sulle sue labbra sembrò accompagnare con tristezza le parole con cui gli si rivolse. 

«Da quant’è che non dormi, Deku?»

Da quant’è che non dormi?, ma nelle orecchie del giovane la domanda risuonò con la voce di Bakugou. Scrollò la testa, portandosi la mano libera alla faccia, nascondendoci gli occhi. 

Gin fu paziente e fece per scostarsi, interrompendo il proprio gesto, ma Deku la fermò, ricambiando la presa con irruenza, con qualcosa dal sapore acre. Non lasciarmi.  

«Che ore sono?»

«Quasi le quattro.» 

La testa di Izuku si alzò di scatto, in viso una nuova sfumatura di angoscia e di senso di colpa. 

«Maledizione! Devo andare da Akane!» 

Gin gli impedì di alzarsi. Dalla sua espressione Deku avrebbe dovuto intuire il perché. 

«Anche se facessi in tempo, lei ha già chiamato per disdire tutto. Ha fissato un nuovo appuntamento la settimana prossima. Mi dispiace.»

Izuku perse di iniziativa e si abbandonò contro lo schienale del divano. 

«… merda» si lasciò sfuggire Izuku con voce arresa. Strinse i pugni e se li batté sulle ginocchia, finendo solo col tremare. «Mi sta sfuggendo tutto di mano, dannazione…» 

Con il pollice, piano, Gin ricominciò ad accarezzargli il polso.

«Deku… quanto è profonda questa ferita?»

Quella domanda sarebbe arrivata, prima o poi. 

Izuku deglutì e la fissò solo per un attimo, spostando poi l’attenzione altrove. Per quanto Gin fosse discreta e sapesse leggere le situazioni, e lui si fidasse, quella ferita, come l’aveva chiamata, aveva più l’aspetto di un morso che si era portato via una parte importante. 

Deku aveva imparato a convivere con la mancanza, ma non era preparato a vedersela restituire, a guardarsi indietro come se non fosse successo. Aveva la sensazione che gli fosse stato dato un cerotto con cui medicare una pugnalata al petto. 

Quanto è profonda la ferita che ti ha lasciato Kacchan?

Se lo ripeté solo per sentire come ogni parola affondasse nella serratura che ormai non stava più reggendo l’impatto di quel ritorno. 

Consapevolmente, o forse no, si ritrovò a rannicchiarsi sul divano con le ginocchia al petto e la testa affondata tra le braccia, agognando a un momento in cui tutto smettesse di girare. Niente più tempo che scorresse e gli facesse presente che il giorno dopo lo avrebbe rivisto e affrontato di nuovo, con l’ormai chiara cognizione che Bakugou fosse in grado di scardinare le sue difese. 

Non sarebbe mai dovuto succedere. Non si sarebbero mai più dovuti rivedere. 

«È complicato.» 

Era così semplice, prima, quando eri solo un pensiero freddo e grigio, lasciato a impolverarsi, ad annichilirsi da una parte…

Ancora una volta, le dita di Gin furono un sollievo delicato, un promemoria affettuoso che andarono a cercare le sue mani per ricordargli che esisteva anche altro. 

«Scusami… Non voglio parlarne…» si lasciò sfuggire e fu un sussurro spezzato e gocciolante di delusione e sensi di colpa verso se stesso. 

Lui era rimasto, Kacchan se ne era andato via.

Lui si era rifatto una vita con le unghie e coi denti, mentre Kacchan non aveva fatto altro che seguire la strada che aveva sempre voluto intraprendere.

Lui era cambiato, Kacchan pretendeva di guardargli attraverso e ritirare fuori il passato.

Era stato un idiota a concedergli il suo tempo. Perché pensava di dover qualcosa a Bakugou? Perché non aveva agito in maniera definitiva quando aveva potuto, estirpando anche l’ultimo ricordo?

Perché non riusciva a cancellarselo da dentro?

«Va bene così, Deku.»

«No… Mi dispiace… Gin, mi dispiace…»

«Lo so, ma non me lo devi. Né a me, né a nessun altro. Prenditi il tempo necessario, penserò io al resto.»



 

* * *



 

I've got troubles
I've got sins
I'm my worst enemy
But I've still got a lot to give

[Sailor’s heart - Zyke]



 

«Ho vintoooo! Ho vintooooo!»

«Smettila di esaltarti!»

«Ma Bakugou, ho vinto contro di te! Come faccio a non esaltarmi!?»

«Strozzati con la cavolo di birra!»

«Ne voglio un’altra per la vittoria!»

«Col cazzo.»

Con il temporale della giornata, l’aria dopo il tramonto si era fatta più respirabile. Seduti ai tavolini esterni di un bar, Kirishima fece fare cin cin alle loro bottiglie, ridendo ancora per aver strappato la partita a bowling all’amico. 

«Non mi prendevo una pausa così da tre mesi! La fuga in piena notte è valsa la pena, mi sento rinato!» continuò il rosso, stiracchiandosi in maniera vistosa e attirando qualche sguardo, nonostante si fossero scelti un posto in disparte ed entrambi avessero indosso quanto servisse a passare del tutto come civili. 

«E sei venuto a rompere l’anima a me.»

Eijirou scelse la via dell’alcool con una lunga sorsata che lo portò a un rutto mascherato all’ultimo. Katsuki non fu magnanimo con l’occhiata disgustata. 

«Non sono capace come Uraraka o Todoroki di girarci intorno, quindi te lo dirò fuori dai denti: sono preoccupato per te amico. Quella telefonata che mi hai fatto, sei sicuro che non ce l’hai con me per qualcosa che ho detto o fatto? Ti giuro che qualsiasi cosa sia successa tra noi non è stata intenzionale! Lasciami rimediare!» 

Bakugou strinse la bottiglia fredda, ma guardò altrove, verso le cime dei palazzi puntinate di luci. Per un attimo fece scorrere lo sguardo, cercando di fare mente locale su dove fosse Wasuno rispetto a loro. 

«Non partire col dramma. Se ho qualcosa da dirti, ti prendo a pugni. E me ne stai facendo venire voglia.» 

«Bakugooou» uggiolò l’altro, stendendosi sul tavolino per tentare di stringerlo, ma ritrovandosi un palmo piantato in faccia con una chiara minaccia. 

«Abbassa la voce, per la miseria! E contieniti!»

«Prendimi un’altra birra! Io la prendo a te!»

«Ma sei scemo?» 

Alla fine Katsuki si rassegnò e fece cenno al cameriere per avere il bis. 

«Todoroki oggi era serissimo quando è passato.» 

Alla menzione, Bakugou ripensò a quella faccia da schiaffi del Bastardo a metà e alle sue velate provocazioni. Lo mandava fuori di testa che dimostrasse quegli atteggiamenti dimessi perché non sapeva cosa fare della propria preoccupazione, quando poi si comportava come un cazzone nel punzecchiarlo. 

«C’è nato con quell’espressione di merda, non sorprenderti.» 

«Voi due…? Insomma, siete ancora… amici di letto?»

Bakugou mandò giù un sorso insieme a un altro pezzetto di pazienza. 

«Hai ottant’anni, Cristo?! Le puttane le chiami cortigiane!? E non sono suo amico.»

Kirishima rise, finendosi la birra e attaccando le patatine in attesa della seconda. 

«Quindi scopate ancora?»

Il naso di Katsuki fremette per uno sbuffo sonoro. 

«Non ultimamente. C’è-» si maledì, mordendosi un angolo del labbro, ma ormai aveva iniziato la frase e non gli era sfuggita l’occhiata attenta che si stava cibando delle sue parole. «C’è qualche questione che devo sistemare. Fine della discussione.» 

«Vaaaa beneeee» capitolò il rosso, lanciandosi in bocca una patatina. «Però quando avrai voglia di buttare fuori tutto chiamami subito, ok?»

«Seh, speraci.» 

«Aaah. Ora che abbiamo parlato di persona mi sento meglio» sospirò Kirishima, fissando la nuova birra tra le mani e poi Bakugou con un sorrisetto. «Anche se il tuo aspetto è uno schifo. Senza offesa.»

«Ti rompo questa in testa appena l’avrò finita» fu la promessa piccata di Dynamight, buttando giù l’ennesimo sorso. 

«Ehi, capita a tutti di avere dei momenti no. Figurati, lavoro con Tamaki, lui vive di momenti no, è come una pietra depressa - gli voglio bene e lo stimo, eh! Però, in confronto tu sei un fiore.»

«Non paragonarmi a quello sfigato e neanche a delle fottute piante!»

«Eddai, hai capito, era per spiegarmi meglio. Se non ti senti in forma o le tue questioni ti tolgono il sonno non c’è niente di male! Le risolverai, in un modo o nell’altro! Magari ti servirà solo di fare esplodere qualcosa e ti sentirai meglio. Metodo alla Bakugou! Testardo come sei… ah, ho detto qualcosa di sbagliato? Che hai?»

Bakugou si riebbe e distolse lo sguardo stupito, portandosi la bottiglia alla bocca ma senza inclinarla. 

Risolverai

Sarebbe andata così? Risolvendo la questione con Deku? Venire a capo degli ultimi otto anni di allontanamenti, rifiuti e silenzi sarebbe stato così facile? Trovare un modo per tornare a prima…? 

No, quel prima, quell’infanzia, quell’inizio di adolescenza non sarebbero più tornati.

Gli occhi di Izuku non avevano nulla del ragazzino spaventato, piagnucolone e che gli stava attaccato alla coda come un cane. C’era la sfida nel suo sguardo, c’era il ribrezzo nello stargli vicino, c’erano delle incrinature che sanguinavano risentimenti nei suoi confronti. Ma nell’insieme, l’eroe avvertiva unicamente l’intenzione di mettere una croce sul passato. 

E a lui non stava bene

Izuku poteva essere cresciuto, ma non era cambiato. 

Droga, affari nei bassifondi e qualsiasi altra merdata erano per Bakugou soltanto la corazza che si era costruito intorno. Ma dentro, ci avrebbe scommesso le mani, era ancora il Deku che conosceva. Potevano fottersi le sue parole e i suoi comportamenti ambigui. 

«Ecco, questo è il solito Bakugou! Quel ghigno che ha capito dove colpire!» 

Katsuki si voltò verso Kirishima, trovandolo con un sorriso così ampio da essere abbagliante, insieme a un traboccare di emozioni appiccicose dai suoi occhi. Orgoglio, fiducia e ammirazione. Fu più forte di Bakugou dargli uno scapaccione per fargli abbassare la cresta. 

Eijirou rise e basta, passandosi le dita tra i capelli. 

«Ti senti un po’ più carico? Sono o non sono il tuo migliore amico?»

«Vedi di non sbavarmi sul divano stanotte.»

«Verrò a farti gli agguati notturni!»

«Provaci e ti ammazzo!» 

 

 

 

To be continued




 

Mi ero scordata che oggi fosse Martedì! Questi giorni di festa servivano, ma mi hanno sballata.

Grazie di aver letto questo capitolo! Ne mancano solo 3 alla fine prima parte, aiuto! 

Il secondo giorno di domande è andato peggio del previsto. Izuku non hai fatto un grande affare… 

Tornano in campo Kirishima e Todoroki, la “siamo preoccupati” Baku Squad. A volte scrivere questi siparietti pensando che Deku non ha vissuto niente di tutto questo mi stringe il cuore ;; che cattiveria che gli ho fatto. Ma viva i What If anche per questo. 

Grazie a chi continua a seguire la storia e per i commenti, mi danno tanta carica. Spero di iniziare a scrivere presto il seguito, che sarà molto più lungo e purtroppo temo non con la stessa cadenza settimanale. Vediamo come riesco *incrocia le dita* 

 

Alla prossima!

(mi trovate su twitter o su ig come @enerimess )

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 8




 

Your eyes stare right through me
Ignoring my failed attempts to
Breathe back life into your veins
But I can't start your cold heart beating
You're so far gone, but I'm not leaving
When all I know is you

[Let it die - Starset]



 

Bakugou si fermò ai piedi del palazzo dove Deku lo stava aspettando. Guardò su, verso la cima, e poi al cielo. 

L'aria della mattina era fresca e umida contro le sue braccia e la nuca scoperte. Era uscito sovrappensiero, scordando la felpa in cotone. Era uscito focalizzandosi unicamente su quello che avrebbe chiesto a Izuku. 

La domanda di quel giorno non l’aveva ponderata. Era nata da sé, appena si era destato alla prima vibrazione della sveglia. Come la continuazione di un sogno - di un ricordo che non era mai stato? - poche sillabe, senza voce, erano apparse nella sua mente tra l’intontimento dato dalle ore esigue e un sonno molto profondo.

Si trattava di qualcosa che avrebbe probabilmente fatto male nel mettere a parole. Tuttavia, supponeva che, nella peggiore delle ipotesi - nella peggiore delle risposte - avrebbe ottenuto almeno un punto di partenza necessario. 

Le domande degli ultimi due giorni avevano bussato intorno al muro costruito da Deku; ne avevano saggiato la consistenza, avevano bucato quelli che sembravano mattoni, rivelando invece la leggerezza della carta, facendo emergere le voci bisbiglianti che affollavano la testa di Izuku.

Ciò che intendeva chiedergli quella mattina voleva invece scavare alla radice.

Niente giri, niente compromessi. Era pronto a ricevere il colpo, verbale o fisico, non era importante, lo avrebbe lasciato decidere a Deku.

Voleva solo la verità. 



 

I've been looking for a way
to bring you back to life
And if I could find a way,
then I would bring you back tonight

[Let it die - Starset]



 

Deku dava le spalle al mondo. 

Fu la prima impressione che ebbe Katsuki nell’arrivare sul tetto. Non c’erano grossi impedimenti alla vista o angoli morti, ma lo sguardo di Izuku era rivolto all’orizzonte sbagliato, lontano dall’alba e dall’inizio di quella nuova giornata. 

Il vento non era lieve nello scompigliare capelli e vestiti, nell’infilarsi tra le dita e sospingere leggermente le spalle, maestro in quel suo sussurro giocoso con cui invitava il mondo ad andare avanti. 

A una di queste folate, Bakugou affidò la propria domanda. 

«Mi odi?»

Izuku non accennò di aver ascoltato, ma Katsuki non si ripeté. Aspettò e aspettò ancora, finché il mento di Deku non si abbassò verso la spalla, le labbra dischiuse, il disordine dei ciuffi a nascondere lo sguardo. 

«Un’altra domanda a cui ho già risposto.»

Nell’aura di Deku non c’erano tracce di ironia, nonostante il tono lo sgocciolasse come acqua dalle mani. A Katsuki arrivò l’ondata di disappunto, rovente, dai bordi frastagliati e taglienti. Non arretrò, ma attese ancora. 

Izuku strinse i pugni, ma anche lui non si mosse. Non tentennò in gesti inutili, slavati da quello che gli si agitava sottopelle. 

«Smettila di uscirtene con queste premure agghiaccianti…»

Finalmente lo aveva messo a parole. Lo aveva buttato fuori. Aveva tolto un pezzo dal puzzle, stringendolo tra le mani finché non si era piegato. 

Non gli serviva.

«Non ti seguo.»

Deku alzò la testa, rivelando lo sguardo. Occhi che non cercarono Katsuki, ma sottolinearono l’astio di ogni suono che si fece uscire di bocca nel ripetere frasi che si erano stipate nella sua mente senza il suo consenso. 

«Riprendi fiato. Oggi niente salti. Da quanto non dormi? Cosa hai fatto al labbro?... E te ne stai lì ad aspettare che parli. È un modo per dirmi che sei cambiato?»

«Tu rispondi alla mia domanda.» 

«Allora tu apri le orecchie una volta per tutte» ruggì Deku. 

Si voltò, senza più freni, e marciò verso Bakugou. Si arrestò a una distanza che gli permise di sputargli in faccia quello che aveva da dirgli, ma senza rischiare di sfiorarlo, sebbene sembrasse pronto a far cozzare le proprie nocche con i suoi zigomi. 

«Non c’è più Midoriya Izuku! O il Deku che viveva nella tua ombra! Smettila di cercarlo! Smettila di riempirlo di belle parole!» 



 

And you left me more dead
than you'll ever know
When you left me alone

[Let it die - Starset]



 

La voce di Izuku si disperse nell’aria e così parve fare anche quel moto di rabbia, sciogliendosi in qualcosa di più velenoso. Uno di quegli sguardi che riuscì a intaccare perfino Katsuki, facendo acuire la sua fronte aggrottata e guizzare gli angoli degli occhi.

L’astio di Deku si ritirò come una marea. Lasciò la falsità di un’espressione costruita, un tono morbido, lezioso nelle virgole. Occhi che guardarono altrove, pretendendo di cancellare Bakugou dal proprio campo visivo.

«Te l’ho detto, non è rimasto niente. Non provo più ammirazione e meno che mai provo dell’odio. Non c’è più nulla per te qui. Non devi nulla a me né a te stesso.» 

Il pugno arrivò così veloce che Izuku lo sentì prima di rendersi conto del movimento. 

Rischiò di finire in terra, ma Bakugou lo afferrò per la maglietta, portandoselo a un soffio dal viso, i canini snudati come se l’intenzione fosse stata quella di morderlo. 

«Ti avevo avvertito che se mi avessi raccontato stronzate ti avrei picchiato.»

Lo sguardo di Deku lampeggiò, ma si limitò a quello e a ritrarre il viso. Distanza. Non poteva permettere a quel baratro tra di loro di ridursi. Ma non aveva finito. Anche se ormai era caduto, non gliel’avrebbe data vinta. 

«Perché tutto dovrebbe ruotare intorno a te!?» sbottò, odiando di suonare come un naufrago che impreca contro la tempesta. «Pensi di non essere dimenticabile!? Credi di essere così importante nella mia vita da meritarti il mio odio!?» 

Katsuki serrò la mascella, ma non riuscì a ribattere. 

Il pugno in cui aveva serrato la maglietta tremava, mentre l'altro avrebbe voluto abbattersi di nuovo sulla faccia di Deku, ma il ricordo di una scena troppo simile a tante altre, lontane almeno dieci anni, lo fece desistere.

Era ancora quel moccioso furioso per avere una doppia ombra a seguirlo? A guardare a quelle dita tese come se avessero potuto scottarlo?

Solo perché Deku si rifiutava di ascoltarlo e rispondergli, avrebbe dovuto costringerlo?

Era molto più semplice.

Si immerse negli occhi di Izuku e la risposta che cercava la trovò lì. Nitida. Col suo nome scritto nel medesimo colore sanguinante. Eppure, Katsuki sentì il bisogno di ascoltarla vibrare nelle orecchie, avvertire quella doccia rovente di odio, un tempo di una tonalità molto diversa, tiepida e stucchevole, ribaltata nel significato. 

Sentire Deku dirgli Ti odio avrebbe fatto male, ma sarebbe stato un punto di partenza. 



 

I cut you into pieces
Searching for your imperfections
I had plans to make you whole
But all my threads couldn't stop the bleeding
There's nothing left, but I'm not leaving
When all I know is you

[Let it die - Starset]



 

Un rumore attirò la sua attenzione e l’istinto si scambiò di posto con la necessità di sapere.

In un gesto consolidato in anni di lavoro, l’eroe strattonò Deku in modo da portarlo alle proprie spalle rispetto alla possibile minaccia. 

Minaccia che si rivelò essere bionda, con una cicatrice a deturparle l’angolo della bocca.

Gin arrivò con la leggerezza di una piuma che si posa in terra. Priva di rumore, senza movimenti inutili, fissò lo sguardo in chi - Bakugou - si era improvvisato cacciatore. La donna non accettò né rifiutò il ruolo di preda. Una preda imprevista, disturbatrice, che raddrizzò le spalle e osò spostare l’attenzione sull’altro bottino che l’Hero stringeva ancora possessivamente. 

Deku ignorò quel teatro. Immaginò subito il motivo di quell’interruzione. Il suo braccio destro era l’unica a sapere dove rintracciarlo in caso di necessità. 

«Cos’è successo?» 

Gin non mise alcuna nota di urgenza nella voce, ma ciò che replicò fu sufficiente a scuotere Izuku.

«Hassaikai.» Spostò lo sguardo verso l’orizzonte dove il sole stava lasciando l’ombra della notte. «Confine est.»

Nel tempo che Katsuki impiegò ad assimilare il nome e a cercare qualcosa a cui ricollegarlo, Deku si liberò dalla sua presa, superandolo. 

«Ohi!» 

Izuku lo fissò distratto, lasciando scivolare gli occhi di lato, nel modo in cui avrebbe evitato di guardare qualcuno a cui aveva urtato per sbaglio.

«La finiamo qui.» 

«La finiamo un cazzo!» latrò Bakugou, mettendosi tra Deku e Gin, incurante di darle le spalle. Non avvertì da lei alcuna minaccia, se non quello sguardo in grado di rubargli pezzi di sé senza permesso. «Avevamo un accordo! E tu mi stai raccontando una marea di stronzate!» 

Deku parve sul punto di dare libero sfogo allo stress accumulato in quei tre giorni, ma persisteva un limite che continuava a non voler valicare. Bakugou lo vide e si piantò lì, su quel confine, a mento alto e sguardo di sfida. 

Avanti, sono qui. 

Non me ne vado

La mano di Izuku si mosse, ma per un gesto banale. Recuperò il cellulare dalla tasca dei pantaloncini, abbandonando il contatto visivo. Sbloccò lo schermo e digitò qualcosa, senza dare tempo a Katsuki di reagire. 

Il telefono dell’Hero vibrò rumorosamente. 

«Il tuo numero è rimasto lo stesso.» 

Un sorriso amarissimo si aprì sulle labbra di Deku, finendo mascherato da qualcosa che voleva essere indifferenza.

«Pensavo non mi rispondessi perché l’avessi cambiato.»

Lo guardò apertamente, fregandosene di mostrare una ferita tanto vecchia.

«Vieni all’indirizzo che ti ho mandato. Stasera alle ventitré. Proseguiremo la discussione lì.»

Si fece riscivolare il telefono in tasca, per poi scambiare uno sguardo di intesa con Gin. Con un’ultima occhiata rubata al profilo dell’eroe, la donna si avviò per prima. 

Izuku la seguì, ma senza guardare Katsuki in faccia. Si fermò solo un ultimo istante. 

«Mettiti dei vestiti comodi e a cui non tieni particolarmente. E cerca di essere discreto.» 

«Non dirmi che cazzo fare.»

«Come ti pare…»



 

* * *



 

Bakugou si accorse dello sguardo ostinato di Todoroki su di sé quando spostò l’attenzione dal cellulare. 

Anche se erano appena le otto, avrebbe dovuto mettere in conto di imbattersi nell’Impiastro a metà. La tipica sfiga di abitare ad appena un paio di palazzi di distanza. Aveva messo una pietra sopra  la propria privacy da diverso tempo, ma questo non sminuì la sensazione di essere stato colto in flagrante.

L’eterocromia di Shouto lo inchiodò con un’occhiata consapevole. Di cosa, Katsuki lo ignorò e non indagò, sfilandosi una delle cuffiette wireless dall’orecchio.

«Levati quell’espressione insistente dalla faccia.» 

In risposta, Todoroki frugò nel sacchetto del konbini che aveva con sé e gli lanciò contro il petto un involucro di plastica colorato. 

«Buongiorno. Sei andato a correre?»

Bakugou prestò attenzione soltanto alla merendina incartata. Detestava ammetterlo, ma era una delle sue preferite. Caramello salato. 

«Qualcosa del genere» tagliò corto, dando un morso alla prima forma di colazione che vedeva da quando si era svegliato. Non era ancora tornato a casa dall’incontro con Deku, anche se il suo corpo desiderava riappropriarsi di almeno un altro paio di ore di sonno. Si era fermato invece all’ingresso di un parchetto vicino, sul muretto libero, a contemplare quel messaggio inviatogli da Izuku. 

L’indirizzo indicato non aveva nulla di particolare. Lo aveva inserito su maps e gli era stata restituita la locazione di un punto dentro Wasuno. 

Quello che invece aveva fissato fino a quel momento, sfumando la sua attenzione di sentimenti corrosivi - e che Todoroki doveva aver colto - era il numero di telefono di Deku. Lo stesso di sempre, nonostante tutto. Lo stesso che si era rifiutato di imparare a memoria da adolescente, ma che era certo fosse rimasto quello. 

Un numero che aveva ignorato in tutti quegli anni. 

«Vuoi?»

Todoroki si appoggiò al muretto di fianco a lui, tirando fuori una lattina di caffè. 

Bakugou grugnì, ma accettò l’offerta, salvo che a prendere il primo sorso - di nuovo - fu Shouto. 

«Che programmi hai per oggi?»

«Farmi i cazzi miei.» 

«Papà mi ha chiesto se va tutto bene. L’ospedale ha notificato all’Agenzia il tuo ricovero della settimana scorsa.»

«Eccheccazzo…» sbuffò Katsuki. «È successo fuori dal lavoro, perché diavolo lo hanno avvertito?»

«Non eri ancora in ferie e il giorno dopo saresti dovuto essere di turno, ma ti ho coperto io. Dovrai una birra a Burnin’. Se non ha ficcanasato finora lo devi a lei.» 

Bakugou fissò la lattina che aveva in una mano e la merendina che aveva nell’altra. La fronte corrugata e l’espressione contrita stavolta furono rivolte a se stesso. 

Aveva perso la dimensione di quello che aveva intorno. 

Da quasi due settimane, l’unico pensiero fisso, che si spandeva nella sua mente affogando tutto il resto, era Deku. 

Un pezzettino alla volta, stava abbandonando ciò che si era costruito in quegli anni, solo per correre dietro a un fantasma che aveva creato lui stesso.

Avrebbe potuto dare retta a Izuku e lasciarlo andare. Ognuno sarebbe potuto tornare alla propria vita e- 



 

You're just a soul that blends into the crowd
I hear you so loud no one else hears a sound
You reach out your hand no one else feels a thing
And I'm just a stranger who could be a friend

[Ghost - Jacob Lee]



 

E niente. 

Non era un pensiero che Bakugou riusciva a completare. 

Voltare le spalle a Deku un’altra volta gli faceva scendere nello stomaco un peso opprimente e pieno di spigoli. Pensare di svegliarsi ogni giorno con la consapevolezza che Izuku fosse lì fuori, a pochi chilometri da lui, immerso in una vita che lo aveva trasformato in un guscio spesso e complicato da abbattere, che stava continuando ad avvelenarlo, era un’idea che lo mandava fuori giri. 

Katsuki ne sapeva ancora troppo poco. Alle domande degli ultimi due giorni, soprattutto la prima - Come sei diventato il capo di questo posto? - sapeva di aver ricevuto delle mezze verità. Izuku non gli aveva mentito, ma aveva omesso tutto ciò che poteva risultare scomodo o un appiglio a capire di più. 

Al contrario, quella mattina, la domanda che aveva rivolto a Deku era stata personale, mirata a stabilire da che punto iniziare a tirarlo fuori. Ma se pensava di aver aperto una porta, l’idea che aveva in quel momento era di trovarsi alla base di una scalinata di cui non vedeva la fine.

Fu tirato via dai labirinti della propria mente quando Shouto gli tolse di mano la lattina di caffè e mandò giù l’ultimo sorso. 

«Ehi-» 

Todoroki si alzò appena sulle punte, una mano sulla coscia di Bakugou per bilanciarsi, e annullò la distanza tra loro, prendendosi un bacio. 

Appena uno sfiorarsi, perché Katsuki si tirò indietro con uno scatto. Un’emozione che non aveva mai provato, e che non entrò in nessuna forma conosciuta, lo attraversò come una scarica elettrica, irrigidendolo. 

Il viso di Izuku si sovrappose a quella di Shouto

«Come immaginavo» disse quest’ultimo, facendo un passo indietro. «È davvero importante.» 

Bakugou gli lanciò addosso il resto del dolce smangiucchiato. 

«Ti ammazzo! Che cazzo fai!?» 

Todoroki abbassò gli occhi sul petto, spazzolandosi i vestiti e chinandosi a raccogliere la merendina sfortunata per buttarla. 

«Cerco di capire quello che non mi dici.»

«Forse non te lo dico perché non sono cazzi tuoi!?»

«Lo sono se quello che ti sta succedendo metterà un punto ai nostri extra o qualsiasi cosa fossero» fece presente Shouto con fermezza, tornando davanti a Bakugou e fissandolo apertamente. Non c’era alcun cruccio o delusione sul suo volto. «Vedi di fare chiarezza con te stesso.»

Katsuki guardò altrove, schioccando la lingua. E due. 

«Non dirmi che cazzo fare.» 

«Peccato.» 

Per quanto torva e obliqua, Bakugou tornò a rivolgergli un’occhiata. 

«Volevi qualcosa di più?» 

Todoroki si strinse nelle spalle. 

«Non lo so.»

La sincerità era sempre stata una base solida nelle sue risposte, di questo non si potevano muovere accuse al rampollo di Endeavor. Come altre volte, fece breccia. La rigidità di Bakugou si ammorbidì e Shouto si conquistò la sua totale attenzione.

«Vorrei non dover correre in piena notte in ospedale perché ti sei fatto pugnalare.» 

Rivolse lo sguardo in basso, all’asfalto, osservando le briciole dolci e le formiche che già le avevano fiutate. Sulle labbra gli si aprì un sorriso agrodolce. 

«Sapere di essere il tuo contatto in caso di emergenza mi fa piacere.»

Katsuki sbuffò, passandosi una mano tra i capelli e sul collo, sentendo una tensione nei muscoli impossibile da sciogliere a parole. Non sarebbero bastate tutte le bestemmie del suo repertorio per aggiustare in maniera indolore quella situazione. 

«È importante» confermò, non sapendo da dove iniziare e ancora restio ad aprirsi. «Riguarda qualcosa prima della Yuuei… ma per ora non voglio parlarne. Quindi smettila di insistere. Non credere di prendermi per sfinimento.» 

Anche se perseverò nell’irradiare una curiosità morbosa, Todoroki si limitò ad annuire. Nonostante fosse solo un frammento di informazione, parve bastargli per quietarsi un poco. 

«Visto che Kirishima è in città, per stasera stiamo organizzando una cena con la classe. Vorrei che venissi.» 

Bakugou passò dall’irritazione a un’espressione spaesata in maniera quasi comica di fronte al repentino cambio di discorso. Tuttavia, i suoi occhi caddero sulla tasca dove teneva il cellulare e la mente ripeté l’indirizzo datogli da Deku. 

«Non posso. Alle undici ho un impegno.»

Ancora una volta, le iridi di Shouto parlarono per i presentimenti che aveva, mentre la sua bocca prendeva un’altra direzione. 

«Ci vediamo intorno alle sette e mezza. Mangiamo presto e dopo potrai andare.» 

Katsuki sospirò sonoramente, scendendo dal muretto con uno slancio. La sua mente era prossima a cedere, tirata in più direzioni dal sonno, da Deku e dall’insistenza di Todoroki. Una parte di lui suggerì di afferrare Shouto per la maglietta e trascinarlo in casa per farlo zittire e sfogarsi, mettendo tutto a tacere. Un’altra parte, infingarda, troncò l’idea sul nascere, perseverando nel riproporgli l’espressione carica di sprezzo di Izuku come una sorta di monito. Vinse il bisogno di dormire.

«Vieni» insistette Shouto facendo un passo in avanti. «Non vediamo tutti gli altri da parecchio. E poi…» 

«Cos’altro c’è?» sbuffò Bakugou, incamminandosi verso casa. 

«Sei tornato scorbutico e chiuso come eri all’inizio del liceo.» 

«Tu un vaffanculo lo vuoi subito.» 

«Ti farà bene stare con gli altri» e Shouto si voltò per andarsene. «Vi passo a prendere alle sette.»

«Ohi, non ho mica detto che accetto!»

«Ci penserà Kirishima a finire di convincerti, io devo andare al lavoro.» 



 

* * *



 

«Io andrei alle Maldive!» 

«Un bel giro per le capitali europee?»

«Servirebbe un mese di ferie per una cosa del genere…» 

«Io non riesco a mettere insieme neanche tre giorni, sigh…» 

«Settimana prossima forse vado a Okinawa!… anche se è per un Team Up, ma magari un bagno riesco a farlo!» 

«Aaah, vorrei essere richiesto come Bakugou! Ricordate quei sei mesi che si è fatto in California per un tirocinio? È stata l’unica volta che ha intasato la chat di gruppo con le foto del viaggio per farci rosicare… Surf, feste e VIP!» 

«Imparate a essere dei protagonisti» grugnì il sopracitato, mandando giù un sorso di birra gelida. 

La classe al completo era stata impossibile da reclutare per quella cena accroccata all’ultimo, ma Ashido, Kaminari e Sero si stavano facendo sentire anche per gli assenti. 

«Possibile che tu stia sprecando tutte queste settimane di ferie per restartene in città? Afa, piogge improvvise, umidità, caaaaldo…» si lamentò Denki come se a patire quella scelta fosse lui stesso. «Una vacanzina da qualche parte al fresco…!» 

Bakugou lo ignorò, provando più interesse per un gyouza. Fu Yaoyorozu a consolare Kaminari con un pat pat sulla schiena. 

«Pensa che tra una settimana torna Kyouka.»

«Oh, sì» si riprese Denki in un attimo, alzando così velocemente le braccia da rischiare di rovesciare qualcosa o colpire qualcuno. «Spero ci porti dei souvenir fighissimi da Londra!» 

«Certo però che Kaminari ha ragione» si inserì Sero più pacato, allungandosi sul tavolo per recuperare una delle portate. «Passare delle vacanze in città non è per niente il massimo…»

Alle spalle di Katsuki, voltato a recuperare a sua volta uno dei piatti, sia Kirishima sia Todoroki, gesticolando e scuotendo la testa, fecero cenno di abortire l’argomento. 

Nell’osservare la scena al limite del tragicomico, Shinsou si massaggiò una tempia, per poi passarsi una mano sulla faccia. 

«Si può sapere cos’è successo a Bakugou?» sussurrò, tenendo la mano davanti la bocca e lanciando un’occhiata al proprio fianco, dove Uraraka stava osservando la pantomima a propria volta. 

«Non lo sappiamo e non vuole dircelo» fece spallucce lei, offrendogli uno degli antipasti che stavano transitando.

«Sembra… turbato.» 

Ochako accennò un sorriso morbido. 

«È bello che tu te ne sia accorto, anche se non andate particolarmente d’accordo, vero?» 

Hitoshi arrischiò una seconda occhiata a Katsuki - intento a cercare di raggiungere Kaminari dall’altra parte del tavolo mentre Eijirou lo tratteneva ridendo - e fece spallucce. 

«Caratteri incompatibili. Ancora mi chiedo Todoroki cosa ci trovi in lui.» 

Una risatina sommessa da parte della ex compagna di scuola gli fece corrugare la fronte. 

«La gelosia è dura a passare, eh?» 

Fu più il gesto di spostare l’attenzione - e per caso posare lo sguardo su Shouto - a dare la risposta all’eroina. Shinsou non parve neanche accorgersene. 

«Figurati. Non credo esista al mondo qualcuno in grado di sopportare completamente Bakugou. Se non ci sei riuscita tu...» 

Uraraka si schiarì la gola, anche se continuò a parlare abbastanza piano da farsi sentire solo da Hitoshi e a mangiare dando l’idea stessero discorrendo del tempo. 

«Ti assicuro che a letto sa come tenersi strette le persone. Credo sia stato impacciato due volte massimo - e parliamo delle sue prime volte, anni fa. Per il resto è un’esperienza che consiglio, se dovesse capitare.»

Mascherare in un leggero colpo di tosse la birra andata di traverso non fu facile, non con la giovane donna di fianco a lui a tirargli un pizzicotto sul fianco. 

«Lo stai consigliando come la recensione a un ristorante? No, grazie. Passo.» 

«Quindi la cotta per Todoroki al liceo non era una fase…?» ammiccò lei, le guance di un rosa pesca accentuato dall’alcool. 

«... può darsi.» 

«Penso che stia tornando sul mercato… anche se farei passare un po’ di tempo. Dovrà smaltire la mancanza di-» con la testa accennò a Katsuki.  

Shinsou tornò a corrugare la fronte e a prestarle totalmente la propria attenzione, ignorando il cibo. 

«Hanno litigato?» 

Uraraka rise, un po’ troppo forte per passare del tutto inosservata, ma nei posti più in là c’era chi stava dando più spettacolo di lei. 

«A Todoroki piacerebbe litigare. In quel caso, forse, Bakugou si aprirebbe un poco.»

Tornò seria, sfiorando qualcosa che sembrava malinconia mista a preoccupazione. 

«Sta cercando di capire cosa lo impensierisca, ma né lui né Kirishima né io siamo riusciti a tirargli fuori nulla. Solo che è importante.»

«Questo spiegherebbe il turbamento. Vederlo così scostante ti toglie una certezza. È come incontrare Monoma e non sentirlo vantarsi di qualcosa…» 

Toccò a Ochako finire quasi con lo strozzarsi, appoggiandosi alla spalla di Shinsou per ridere e tossire insieme. 

«Ohi.» 

Il soggetto della loro conversazione li beccò in flagranti. Shinsou si irrigidì, mentre Uraraka sventolò una mano a significare Tutto bene

Per buona sorte di Hitoshi, lo sguardo che incrociò con Katsuki fu breve. Kirishima fregò al migliore amico qualcosa dal piatto e l’attenzione del biondo su di loro sfumò. 

Ochako aveva ragione: la gelosia era una bestia sempre in agguato, pronta a rosicchiare il primo frammento di incertezza lasciato scoperto. 

Shinsou sapeva di non detestare davvero Bakugou. Se qualcosa lo impensieriva poteva arrischiarsi a dire che gli dispiacesse - non che al Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva sarebbe fregato - ma non poteva neanche ignorare il pungolamento costante che emergeva ogni volta che veniva nominato o si incontravano. Pensare poi a Shouto e Katsuki insieme, o a tutto il parco di possibilità che il solo figurarseli faceva emergere, era frustrante, ma soprattutto amaro. 

Eppure, le parole di Uraraka avevano già messo radici - una confidenza scanzonata quanto da prendere con le pinze, ma avrebbe mentito nel dire che non ci stava già sperando

Sei pessimo, Hitoshi

«Guardalo, è un riccio» mormorò Ochako, riportandolo coi piedi per terra, ancora addossata alla sua spalla, rinnovando una vicinanza e una complicità consolidate negli anni del liceo. «Tutto aculei e parolacce, ma sotto sotto c’è del morbido e vorresti che non gli succedesse mai nulla.» 

«Lo sai che suona come fantascienza?» 

«Ho avuto qualche privilegio per capire cosa c’è sotto quei capelli ispidi.»

«Perché non ha funzionato?» 

Uraraka ci pensò su, roteando il bicchiere con le ultime due dita di birra. 

«Gli voglio bene. A volte mi manca. È stato il primo in diversi aspetti della mia vita, ma non c’era niente di più. Vuoi per i nostri obiettivi, vuoi per come siamo fatti…» 

Si fermò, mandando giù l’ultimo sorso, continuando a meditare sulla domanda. 

«Ora che ci rifletto, non penso di aver mai visto Katsuki impegnarsi seriamente in una relazione. Né con me, né con Todoroki. Non che conosca tutti i retroscena, ma ho riconosciuto alcuni atteggiamenti simili. Non ho idea se ci siano state altre persone…» 

«Pensi che ora ci sia qualcuno?» 

«Potrebbe essere.»

Gli occhi di Uraraka non rifletterono i dubbi nella sua risposta, inseguendo un’insinuazione ancora priva di fondamenta, ma Hitoshi non si spinse oltre. La curiosità c’era, perché era difficile non interessarsi a una supernova in costante esplosione com’era Bakugou Katsuki, capace di catalizzare l’attenzione su di sé anche in mezzo all’apocalisse. 

Tuttavia, Shinsou aveva dei confini di interesse in cui Bakugou non rientrava. Di nuovo, non lo detestava davvero, ma, come anche Ochako aveva già sottolineato, esisteva dell’attrito tra di loro che nessuno dei due aveva trovato voglia o occasione per sanare - questione di Shouto a parte

L’occhiata di Shinsou scivolò presto - di nuovo - da Katsuki alla persona seduta al suo fianco. Tralasciando una vaga rigidezza agli angoli degli occhi, Todoroki sembrava intento a godersi la serata e questo lo fece sorridere.  

«Se avessi una coda staresti scodinzolando, te ne rendi conto?» sghignazzò la giovane eroina seguendo la linea del suo sguardo. «Sono contenta di averti dato una bella notizia, ma cerca di essere più discreto.»

«Non ho- Non sto-» balbettò Shinsou, salvo poi accorgersi dell’espressione maliziosa dell’amica e il chiaro Ti sto prendendo in giro. Mise su il muso e la guardò malissimo. «Che simpatica.» 

In risposta, gli arrivò una manata sulla spalla che gli fece quasi rovesciare il bicchiere.

«Divertiamoci!» gioì Ochako, buttando giù nuova birra. 

La sequenza bastò a Hitoshi per comprendere che avevano appena superato il primo step della sbronza molesta di Uravity. 

«Chi ti riaccompagna a casa?» chiese stancamente.  

«Mina!»

Shinsou guardò in direzione di Ashido, vedendola impegnata in una gara di shot contro Kirishima, con una bottiglia già oltre la metà. Sospirò. 

«Non credo proprio. Dammi le chiavi di casa prima di essere troppo ubriaca e infilartele nel reggiseno come l’ultima volta…» 



 

«Io vado.» 

Quando Bakugou si alzò, il resto della tavolata si ammutolì di colpo e si voltò verso di lui. 

«Coooshaa? Noooo, rweshtaaaah!» esordì melodrammatico Kaminari, con la stessa faccia instupidita di quando ci dava troppo dentro con le scariche elettriche. Anche se fu trattenuto da Yaoyorozu prima di sdraiarsi sul tavolo e mandare tutto all’aria, questo non lo fermò dal lamentarsi ancora. «La gnottee è appewna inisciata!»  

Katsuki lo liquidò con un gesto della mano, per dare poi un calcetto a Todoroki e farsi prestare attenzione. Ne ricavò soltanto una testa ciondolante e un profuso rossore da bevuta su mezza faccia. L’erede di Endeavor sembrava diventato una caramella latte e fragola. 

Bakugou fece schioccare la lingua.  

«Ohi, ci sei? Devi assicurarti che Testa a punta salga sul treno. Prendete un taxi. Recupererai la macchina quando ti sarai fatto passare la sbronza.» 

«... domani mi serve… pranzo a casa…» 

«E dove credi di andare ridotto in questo stato schifoso?» 

«Ci penso io.» 

Bakugou alzò lo sguardo su Shinsou, l’unica altra persona dell’intera combriccola, insieme a Yaomomo, ancora in grado di intendere e di volere. Sarebbe sembrato quasi serio, se non fosse stato per Uraraka spalmata contro il suo fianco a biascicare cose tra sé, mezza addormentata. Nonostante questo, Hitoshi rimase composto nel sostenere la propria proposta. 

«Porto in stazione Kirishima, accompagno Uraraka e poi Todoroki, lasciandogli la macchina sotto casa.» 

«E tu come torni?» inquisì Bakugou, poco convinto. 

Shinsou liquidò la cosa facendo spallucce. 

«Come sono arrivato, mezzi e a piedi. Non è un problema.» 

Bakugou non sembrò neanche valutare la cosa. Si chinò su Shouto, schiaffeggiandogli via la mano quando la alzò di istinto, istupidito dall’alcool, e gli frugò in tasca. Un secondo dopo, Shinsou afferrò al volo un mazzo esiguo di chiavi, senza neanche un portachiavi. 

«Non fate tardi. Questo beota» e indicò col mento Kirishima, «domani lavora. Quest’altro» e gli occhi si fissarono su Todoroki, «ha un pranzo in famiglia e dovrà arrivarci quanto meno decente.» Infine, Bakugou fissò Ochako e, Hitoshi ne fu certo, non si accorse di come la sua espressione si fosse smussata. «Mettile i guanti prima di andartene da casa sua» 

È un riccio, tutto aculei e parolacce, ma sotto sotto c’è del morbido. 

«Lo farò.» 

«Baaakuuuchooo dove vaiii?» riattaccò Kaminari, gattonando per circumnavigare il tavolo basso e raggiungerlo. «Rewwwwstah!»

Katsuki stavolta lo considerò uno scarafaggio, scostandosi dal suo tentativo di afferrarlo per una caviglia. Mina e Sero ridacchiarono, cercando anche di inquadrarlo col cellulare. 

«Ho un impegno» si limitò a rispondere Bakugou. 

Denki abbandonò ogni proposito, rovesciandosi sul pavimento a pancia in su per poi fissarlo - per quanto riuscisse a metterlo a fuoco. Sembrò però tornare improvvisamente sobrio.

«E quandoh ce lo fwai conoscere qwesto impegno?» ridacchiò, cercando di fare il gesto delle pistole con le dita, ma con un risultato così ridicolo che fece sospirare persino Shinsou, suo malgrado attratto dalla situazione. 

Momenti del genere, in passato, sarebbero finiti con la faccia di Kaminari che esplodeva molto male. Anche se l’istinto gli disse di alzarsi e aiutarlo, Hitoshi rimase a fissare lo scambio, trovando che ci fosse qualcosa fuori posto nel modo di esprimersi di Bakugou. Non riuscì a capire cosa, ma ne rimase affascinato.

Lo avrebbe capito molto più avanti, ma in quel momento si lasciò sorprendere dalla risposta tanto semplice, quanto carica di fermezza, con cui Katsuki rispose. 

«Un giorno.» 



 

Kamikaze airplanes in the sky
Are we going down or will we fly?
This could be a shipwreck on the shore
Or we could sail away forevermore
This time it's sink or swim
Sink or swim

[Sink or swim - Tyrone Wells]






 

To be continued



 

Se c’è qualche lettore notturno, spero che sia stato un capitolo piacevole! Grazie di aver letto!
È più tardi del solito, sono giornate brutte al lavoro, ma correggere e postare questa storia mi aiuta un sacco. Spero rallegri un po’ anche voi!
Lascio due note prima di eclissarmi: a una certa Todoroki si riferisce a Endeavor come “papà”. Ho pensato che il loro rapporto, nonostante sia ancora lontano dal risultare sanato, si sia almeno un po’ ammorbidito. Sì, complice anche Bakugou, che ha giocato molti dei ruoli che Deku incarna nel canon. Con più parolacce, ovviamente.

La seconda nota è per l’accenno TodoShinsou della seconda parte. È colpa di Shichan, che prima ancora che cominciassi BNHA mi parlava di loro due e io ero convinta che interagissero nella serie UU Non lo fanno, quindi eccoli qui. (La verità è che vedo Shinsou con una predilezione per i Todoroki coff Touya coff

Non ho altro da aggiungere. Deku e Bakugou hanno ancora due capitoli per farsi male. Spero di cominciare presto il seguito, davvero, ho così tanta carne sul fuoco… 

 

Alla prossima!

Nene

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 9




 

And I'll never make it without you
I need a second chance
'Cause I wanna make it about you
I'm making my last stand
It took a moment to say
It wasn't you, it was me
I couldn't let you in

Now I'm ashamed
why I pushed you away from me
Now I'm afraid
it's too late to save again

[Last Stand - Adelitas Way]



 

Dieci minuti alle undici, Bakugou, mani in tasca, mascherina sul viso e un cappello da baseball a mitigare il suo biondo inconfondibile, fissò il palazzo corrispondente all’indirizzo datogli da Deku. 

Nulla di diverso da quello che si era immaginato. Non la struttura più alta di Wasuno, ma forse tra le più fatiscenti. A stringere, non era che un albero come un altro in mezzo a una foresta. 

Non trovò alcuna finestra illuminata - la maggior parte erano o rotte o coperte da fogli di giornale. La vernice si scrostava dal muro e in generale non c’era nulla che indicasse fosse abitato, o almeno agibile. 

Eppure, guardandosi attorno, l’eroe ebbe la sensazione che diverse persone fossero passate di lì. 

Cercò un ingresso e trovò un vecchio atrio devastato e impolverato, qualche cartello sulla pericolosità dell’ambiente e un altro che annunciava l’inizio dei lavori di ristrutturazione, datato quasi due anni prima. Provò a spingere le porte presenti, ma risultarono tutte bloccate e piene di sporcizia come il resto. 

Tornò sui propri passi, girando intorno alla struttura per individuare un altro modo di entrare, anche se la sua mente iniziò a vagliare l’idea che Deku lo avesse mandato in un vicolo cieco di proposito per toglierselo di torno. Ipotesi che scartò con un grugnito; gli sarebbe bastato iniziare a fare casino come le ultime volte per riavere tutti gli Occhi che pattugliavano il quartiere addosso e quindi l’attenzione del loro capo. Lasciò scivolare via il proposito come eventuale piano b.

Camminando, arrivò sul lato opposto dell’ingresso e trovò le scale per uno scantinato. Anche questo aveva un aspetto modesto e abbandonato, ma la maniglia, per quanto consumata, non aveva tracce di sporco. 

Bingo

Misurò il lato del palazzo con lo sguardo, ma anche lì nulla risultò diverso da quello che appariva, dimesso e lasciato a sé. Il suo istinto però si era convinto e fece un passo verso il primo gradino del seminterrato. 

Il gelo fu istantaneo. 

Non sensoriale - molto diverso dal lato destro di Todoroki - quanto dell’inconscio. Qualcosa che premette sull’impulso di sopravvivenza, solleticò la paura, per mettere in allarme il resto del conscio e farlo retrocedere. 

Tuttavia, Bakugou era abituato a fissare i propri timori dall’alto in basso. 

Così fece con quella sensazione, anche quando intorno tutto sembrò distorcersi, diventare non semplicemente più buio, ma tetro. L’aria si appesantì nei polmoni, irrespirabile e asfissiante, mentre le ombre, già troppe, si mossero, lì nella coda dell’occhio, dove non si guardava mai, ma che poteva diventare il nido di tutto ciò che era ansiogeno.

I palmi di Katsuki crepitarono in risposta, provocando scintille di avvertimento, nonostante avvertisse i sensi disorientati. Era indubbio che si trattasse di un quirk, il punto stava nel capire dove si trovasse l’utilizzatore. 

«Vieni fuori che ti ammazzo…» sibilò, caricando l’esplosione. 

Una mano sbucò dall’oscurità, afferrandolo per il polso. 

I muscoli dell’Hero reagirono prima del pensiero. Indirizzò l’attacco, ma si bloccò nel riconoscere due occhi verdi penetranti. 

Deku

Qualche scintilla arrivò alla sua guancia nell’attimo di ritardo in cui l’eroe annullò il proprio potere. Izuku strizzò l’occhio infastidito, ma non successe nulla di più. 

«Lui è con me.»

Deku lo disse distogliendo lo sguardo da Bakugou e mollando la presa. Doveva essere per gli effetti del quirk sconosciuto, ma Katsuki avvertì quel gesto come se ciò che lo stava trattenendo dal cadere in un baratro avesse appena desistito dal salvarlo. Ebbe la sensazione di precipitare, ma tornò semplicemente padrone di sé. Qualsiasi tetraggine sparì e, solo all’ultimo, l’eroe si accorse di un’ombra umanoide, con due punti di luce all’altezza del viso, ritrarsi nel muro del palazzo. 

Bakugou fletté le dita delle mani, le chiuse a pugno e poi le distese di nuovo. La normalità che provò fu fin troppo anormale

«Mi sono dimenticato di specificare che dovevi scrivermi quando fossi arrivato.»

La voce di Izuku fu un ottimo motivo per concentrarsi su altro e archiviare quanto appena successo. Per settare di nuovo uno standard alla realtà e interpretare le ombre per quello che erano.  

«Non ti bastava dire che avevi ospiti!?» ringhiò l’eroe stranito, lanciando un’altra occhiata alla parete scrostata in cui il fantasma era scivolato. «Che cavolo era quella roba?»

«Non è una roba. È una persona. La nostra guardia di sicurezza» tagliò corto Deku, stizzito, per poi accennare con la testa alle scale, senza mai guardarlo direttamente. 

Bakugou si soffermò su quel nostro non riuscendo davvero a immaginare qualcuno a cui riferirlo, non senza un sapore amaro che si infilò tra i denti pressati insieme. 

Lasciò che Izuku lo distanziasse di qualche passo per squadrarlo. Era di nuovo in tenuta sportiva, ma con colori che sposavano la notte; una felpa troppo grande a mascherarne il fisico, arrivandogli a metà coscia, insieme a dei pantaloni morbidi, stretti sopra le caviglie. L’unica traccia di colore erano le scarpe. Non gli scarponcini dalle suole spesse che era solito portare alle medie, ma delle sneakers di un rosso intenso e nostalgico. 

È Deku.

Doverlo ripetere per convincersene acuì quel retrogusto velenoso che dalla bocca gli stava scivolando in gola.

È ancora Deku.

 



 

Le luci ferirono lo sguardo di Katsuki quando superarono l’anticamera scialba dell’ingresso. Insieme a queste, un boato gli esplose nelle orecchie. Dovette concedersi un secondo di sorpresa per rendersi conto del cambio di ambiente.

Il palazzo decrepito era una facciata - avrebbe dovuto intuirlo - per quello che sembrava un club privato. Un fottuto club privato dalle luci psichedeliche e dalla musica spaccatimpani, nuovo come una banconota appena stampata. 

«Ci vuole un po’ per abituarsi» rise Deku dandogli una spallata per superarlo. Anche se l’improvviso contatto fisico lo irrigidì, come se una scossa di corrente lo avesse attraversato, Bakugou non gli abbaiò contro solo perché stava rifasando i sensi, tentando di concentrarli unicamente sulla sua figura per ignorare tutto il resto. 

Non farsi infettare da quel pulsare molesto fu però impossibile; gli sguardi di alcuni dei presenti lo puntarono come dei cani da caccia con una preda. Nonostante la disparità numerica non giocasse a suo favore, Katsuki non provò alcun timore, semmai la malsana eccitazione di voler menare le mani per far abbassare loro la cresta. 

Non ce ne fu bisogno, non quando le stesse occhiate indagatrici si focalizzarono su Deku e l’atmosfera si piegò d’improvviso. Risultò un cambio così netto che Bakugou stesso si trovò a fissare Izuku per capire se in lui fosse mutato qualcosa senza che se ne accorgesse. 

La verità fu più lampante, un rush del sangue nelle vene. 

Rispetto

Puro e semplice rispetto.

L’Hero non vide altro nelle persone presenti mentre Izuku si muoveva tra loro, ricevendo cenni e saluti, ricambiando, dividendo l’assembramento di avventori come- 

Come un capo

Bakugou mandò giù il groppo in gola, l’involontario groviglio di incredulità, e lo seguì.

Si dedicò a osservare e annotare ciò che lo circondava, con l’occhio analitico dell’eroe, ma si trovò sommerso da troppe sensazioni tutte insieme. 

Non era la prima volta che metteva piede in un locale del genere. Non li apprezzava, ma ciò che lo disturbò fu l’idea alla base, la palese constatazione che tutto sembrasse rispondere a un gesto di Deku. Era una prospettiva che metteva ogni cosa fuori posto, scombinando vecchie certezze e mescolandosi invece, fin troppo coerentemente, con le informazioni che aveva raccolto nelle ultime due settimane. 

Deku era a capo di Wasuno

Quel club privato… era suo. 

Quella gente… era la sua gente.

Tentò di concentrarsi. Studiò il bancone del bar, la fila di alcolici sulle pareti, l’invitante scritta al neon - Stop Thinking, Start Drinking, troppo leggera per il tipo di posto - i divanetti, i dettagli. Le persone. Se quelli erano gli abitanti di Wasuno, Bakugou non aveva capito nulla di ciò in cui si era infilato o di che fauna brullicasse in quel luogo dimenticato da eroi e divinità.

Arrivarono all’altro lato della grande sala e uno spazio immenso si aprì di fronte a loro.

Katsuki si trovò a ricredersi una seconda volta. Impalato sul posto, la mascherina arginò solo metà del suo stupore; nascose la bocca aperta, ma non gli occhi. 

Sopra la sua testa non c’era più alcun soffitto. 

O meglio, per diverse decine di metri, era stato ricavato uno spazio conico e i piani salivano tronchi, come sospesi, lasciando una piramide vuota al centro. I livelli più alti, a vederli dabbasso, erano divisi in diverse camere o ambienti dal fondo in vetro, mentre i più vicini, quelli che dovevano andare dal secondo al quarto, erano stati trasformati in tribune, sempre dai pavimenti trasparenti. Tutto per permettere la visuale di quello che era il cuore della struttura.

Alla base del cono, a prendere la porzione più grossa del palazzo, c’erano una serie di ring e gabbie per la lotta libera. Erano di varie dimensioni, recintati da catene tese o vetri, con dedali di corridoi e ballatoi a circondarli per smistare il pubblico. 

Lì la musica erano gli urli, gli schiamazzi, le grida esaltate. Un ritmo per scandire gli scontri. Nulla raggiungeva l’esterno. Ogni singola voce, goccia di sudore, scalpiccio, gemito, spasmo o osso rotto restava confinato in quella sorta di dimensione parallela mascherata da palazzo diroccato. 

Bakugou serrò la mascella. 

Il suo istinto aveva visto bene nell’accorgersi che quel posto era più animato di quello che appariva esteriormente, ma non si era aspettato di finire nella tana allucinogena del bianconiglio e dritto in un paese delle meraviglie underground. 

«Direi che sei rimasto colpito.»

Deku e il suo tono leggero, tinto sugli orli di orgoglio e divertimento, lo ancorò sul posto, come un aquilone recuperato all’ultimo da una folata di vento inaspettata. La sua voce si era smussata, come la sua espressione. Le lentiggini sulle guance pallide di insonnia spiccarono alle luci violacee che si rincorrevano tra loro. Non aveva urlato nel parlare e forse Bakugou gli aveva letto più le labbra che sentirlo davvero. L'Hero si piantò le unghie nel palmo della mano per tornare padrone di sé in quella baraonda. 

«Abbiamo completato i lavori l’anno scorso e siamo piuttosto soddisfatti, anche se è tutto ancora in rodaggio. Non abbiamo neanche un nome definitivo» scherzò Izuku, con un sorrisetto brillante che riportò Katsuki a diversi anni prima. Il contesto, tuttavia, era totalmente sbagliato. «Per ora,» riprese Deku, ignorando cosa gli passasse per la mente, «con il guadagno netto degli introiti di un mese riusciamo a sostenere quasi tutte le cure della clinica di Wasuno.»

L’eroe non collegò i pezzi tra loro. «Introiti?» 

«Le scommesse.» 

Un’ombra fastidiosa si insinuò nel volto di Izuku quanto nel suo tono, rammentando a Bakugou che erano passati otto anni e tutto era cambiato. Deku lo distrasse indicando una delle arene, dove era in atto un incontro. 

«Pensi che la gente lì combatta per spirito sportivo?»

Katsuki grugnì all’ironia nella sua insinuazione, ma non replicò, preferendo concentrarsi sulla lotta. I due contendenti erano furie a briglia sciolta, sgraziati, animaleschi e pulsanti di vita, come il pubblico incoraggiante intorno a loro. 

«Vi divertite così da queste parti?» commentò, trovando fastidioso permettere che l’interesse trasparisse nella propria voce. Al contrario, Izuku sembrò apprezzarlo. 

«In effetti sì.» 

Deku si dondolò sui talloni, le mani seppellite nel tascone della felpa oversize e di nuovo le labbra stirate in qualcosa che sottolineava il vanto per quelle quattro mura titaniche.

«La voce si sta spargendo. Stanno iniziando ad arrivare persone da un po’ tutto il Giappone per i nostri incontri e-»

«Deku.»

Bakugou si irrigidì al suono del nomignolo pronunciato da qualcuno alle loro spalle.

Voltando la testa, trovò Gin, anche se la riconobbe soltanto per lo sfregio sulle labbra. Era del tutto diversa dal braccio destro che lo aveva giocato nel vicolo o che li aveva raggiunti sul tetto quella mattina. 

Un vestito nero da sera si era sostituito ai vestiti più comodi con cui lavorava di giorno, fasciando le curve minute del suo corpo. Spalline sottili, decolté profondo, due spacchi sulla gonna lunga. Katsuki colse l’occasione per osservarla meglio di quanto avesse fatto la prima volta e fermare dettagli che aveva solo inconsciamente registrato fino a quel momento.

Era più bassa di lui, ma arrivava quasi a Izuku; un’altezza non solo fisica, ma sottolineata anche dalle spalle rigide e dalla schiena dritta che faceva risaltare il seno piccolo. Tuttavia, l’attenzione dell'eroe fu attirata dalle forme nere di inchiostro che ricoprivano la pelle nivea delle spalle, della schiena, del petto e lungo il braccio sul lato sinistro del suo corpo. 

Le luci del club non erano l’ideale per distinguere il disegno, ma l’eroe trovò nell’insieme di linee fini e aggrovigliate del tatuaggio richiami agli esseri che popolavano l’inferno giapponese. Non c’era una singola goccia di colore, solo un nero crudo quanto gli sguardi dei dannati che ricambiarono il suo. Ricopriva quasi metà del suo corpo, come il buio di un vuoto lasciato da un morso brutale.

«Gin…» ma Deku lasciò cadere qualsiasi domanda, osservando la silenziosa interazione tra i due. 

Bakugou avevo gli occhi fissi in quelli della donna e non si stupì di trovarci l’inespressività che aveva caratterizzato tutti i loro incontri. Il trucco sul viso era provocante, curato ma, per i suoi gusti, privo di attrattiva. Le labbra colorate formavano una ciliegia matura e gli zigomi avevano quella sfumatura rosata che in altri avrebbe acceso bassi istinti, con i capelli raccolti in uno chignon volutamente disordinato, a incorniciare l’effetto che avrebbe dovuto avere dopo un incontro dove i centimetri si contavano col meno davanti. 

Metà della fauna radunata quella sera avrebbe visto una donna seducente da approcciare; Katsuki ci trovò un'apparenza studiata e qualcuno che, ancora una volta, era in grado di raccogliere con gli occhi quei dettagli personali che sbadatamente le persone dimenticavano di riporre in posti sicuri. Per quanto l’eroe ci provò a tenere alte le proprie difese, lei sembrò capace di infilarsi in quelle fessure e stringere piccole verità. 

Il loro fu uno scambio lungo che Deku non interruppe, studiandolo a propria volta. Fu la stessa Gin ad abbandonare l’intesa - lasciando dietro di sé uno spiffero proveniente da qualche porta che Bakugou non era riuscito a chiudere in tempo

«Devo parlarti un attimo.»

La donna superò l'Hero e si avvicinò a Izuku. Toccandogli la spalla con tre dita appena, gli sussurrò diverse cose all’orecchio. Lui ascoltò con uno sguardo apparentemente perso in alto, annuendo ogni tanto, e Katsuki strinse i pugni nelle tasche dei pantaloni. La musica e gli strepiti si fecero assordanti, ma non furono sufficienti. 

Non diverso dalle spire di un serpente, e dal sibilo di una lingua biforcuta, l’idea di essere un tassello non essenziale solleticò Bakugou in quella zona interiore che di recente era diventata tanto suscettibile. 

Non perse una frazione di secondo di come Deku sorrise e voltò il viso verso di lei. Se Katsuki avesse avuto una fantasia più maliziosa, e meno attenta, vi avrebbe visto l’intenzione di un bacio sfiorato. Capì invece l’intesa, la fiducia, qualcosa di costruito negli anni in cui lui non c’era stato. 

«Grazie del resoconto. Lascio il resto a te, ti spiace?»

Gin assentì e se ne andò con lo stesso passo privo di peso con cui era arrivata. Nonostante l’oro dei suoi capelli, Bakugou la perse tra la folla in un battito di ciglia. 

La spalla di Deku strusciò ancora una volta contro la sua, un gesto così fuori luogo rapportato alla tensione dei loro ultimi incontri, che riagganciò l’attenzione di Katsuki come se avesse sentito lo schiocco di due dita troppo vicino all’orecchio. 

«Saliamo.» 

L’Hero non trovò una ragione valida per non farlo. 



 

Put to rest
What you thought of me
While I clean this slate
With the hands of uncertainty

[What I’ve done - Linkin Park]



 

Presero due rampe di scale, sorvegliate da dei tizi che dovevano essere della sicurezza, per quanto in vestiti casual. Scambiarono un saluto con Deku, per poi fissare Bakugou con un’occhiata inquisitrice, ma l’eroe li superò senza battere ciglio. 

Quel che rimaneva dell’ex secondo piano dell’edificio correva lungo il perimetro in spazi più o meno ampi. Dopo la ristrutturazione appariva simile alla lounge prima classe di un aeroporto. Tutto gridava che quello era lo spazio personale del Capo.

Bakugou calpestò insieme al pavimento anche quella sensazione disorientante, preferendo osservare quello che succedeva dabbasso, oltre la superficie trasparente del piano. Sotto di lui, alcune delle arene secondarie erano gremite di persone e di gente che si sfidava ruggendo. 

Non distolse mai davvero l’attenzione da Izuku, ma non poté neanche negare la costante attrattiva degli incontri ai suoi piedi.

Il casino generale lì arrivava ovattato; questo gli permise di sentire il vago Ooff che si lasciò sfuggire Deku quando affondò nella poltrona a sacco che costituiva una delle sedute di quello spazio privato. Katsuki si guardò intorno, scegliendo il divano di fianco. Riconobbe l’entità della propria tensione da come mantenne la schiena rigida, anche se tentò di rilassarsi. 

«Bevi qualcosa?» 

Alla domanda di Izuku, il barman uscì da dietro il bancone in fondo e si avvicinò per prendere le ordinazioni. 

«Una birra rossa.»

«Per me il solito, grazie.»

La distrazione fu momentanea. Quando il bicchiere da una pinta fu appoggiato sul tavolino, Bakugou lo registrò solo come un movimento innocuo nel proprio campo visivo. Si tolse la mascherina, ma non accennò a prendere la consumazione. Ciò che continuò a guardare fu la lotta animale, i pugni, i colpi di scena dello spettacolo che stava avvenendo al piano terra. 

«Sei silenzioso» mormorò morbido e consapevole Deku, sporgendosi verso di lui per seguire la linea di interesse dei suoi occhi e della fronte aggrottata. 

«Tu partecipi?»  

«Di solito sì, ma ultimamente sono stato impegnato. Ho fatto solo un round l’altra sera.»

Katsuki gli lanciò un’occhiata obliqua. 

«Il motivo del tuo labbro spaccato» e non fu una domanda. 

Izuku si strinse nelle spalle. 

«Se ti rispondessi con un Dovevi vedere come ne è uscito l’altro mi crederesti?»

Bakugou tornò a fissare gli scontri, avvertendo qualcosa pungolargli lo stomaco.

Aveva ragione. Non riusciva a figurarsi Deku mettere al tappeto qualcuno. Il ragazzino gracile, impacciato e con la testa piena di eroi che non era mai riuscito ad avere la meglio, nemmeno una volta. Ma che sembrava sempre un passo avanti.

Si focalizzò su quanti stessero dando loro stessi nelle arene. 

I partecipanti ruggivano come leoni tenuti in gabbie da circo per troppo tempo. Perfino quelli che apparivano più fragili - che sarebbero potuti essere Izuku - stavano smaltendo una furia in corpo adrenalinica e coinvolgente.

L’eroe strinse le dita delle mani tra loro, avvertendo un formicolio famigliare sottopelle. 

La voglia di mettersi in gioco. 

Il bisogno di dimostrare di essere il più forte

«Vorresti provare?»

Alzando il viso di scatto, Katsuki si trovò Izuku a leggergli l’espressione come un manifesto appeso in pubblica piazza. Irrigidì la mascella, i denti che si pestarono tra loro con forza eccessiva. 

«Sono incontri molto stimolanti» continuò Deku. Aveva le palpebre mezze abbassate, passando lo sguardo dall’ex amico alle lotte che si agitavano sotto di loro. «Alcuni hanno dei quirk incredibili.»

Dall’espressione di Bakugou lo scetticismo fu così palese da essere una domanda sottintesa molto fastidiosa. Deku si risistemò comodo nella sua poltrona informe.

«Sul serio pensi che mi tiri indietro solo perché sono senza quirk?»

In assenza di risposte, Izuku si strinse nelle spalle. 

«La regola base è non uccidere. Gli incidenti capitano, ma c’è un codice di condotta» spiegò, facendo vagare gli occhi oltre il pavimento. «Uccidere l’avversario equivale a dire addio a tutto l’ammontare delle scommesse. Ci perdono gli scommettitori, gli sfidanti e il club. È un incentivo più che legittimo ad arrestare un’eventuale sete di sangue.»

«I soldi sono diventati davvero importanti per te?» 

Bakugou parlò di pancia, senza mitigare l’accusa. Era sopraffatto, non lo avrebbe ammesso. Più si addentrava nell’ombra in cui aveva ritrovato Deku, più questa era profonda e avviluppata a lui, in una misura che superava quanto aveva previsto. O più di quanto avrebbe potuto immaginare. Aveva dato per scontato la profondità del mare in cui Izuku stava annegando - o cosa navigasse davvero in quelle acque. 

Wasuno non era che la punta dell’iceberg, mentre quel club privato rendeva più l’idea dei primi metri di acqua gelida che lo circondavano. Cosa ci fosse in fondo era ancora troppo buio per dirlo. 

Deku non sembrò essere stato scalfito dalle parole dell’Hero. Era a suo agio - nel suo regno - più di quanto era mai stato in cima ai tetti nelle ultime tre mattine. Succhiò un sorso di cocktail dalla cannuccia, prima di abbandonare il bicchiere sul tavolo e replicare con un accenno di sorriso. 

«Vuoi sostituire la domanda di stamattina con questa?» 

Il motivo del perché fosse lì fulminò Katsuki apertamente. 

Mi odi?

«No. Voglio la verità. Mi hai risposto con un pacco di stronzate.»

I ring svanirono. Le grida, gli schiamazzi, la musica divennero un rumore bianco. Gli occhi rossi di Katsuki delinearono soltanto Deku e pretesero una risposta. 

Ottenne prima un sospiro, poi una serie di movimenti con cui Izuku sembrò seppellirsi ulteriormente nella sua seduta informe, premendo le labbra tra loro a occhi chiusi, dando un’idea quasi parodistica di come stesse meditando sulla risposta. 

Se fosse successo otto anni prima, Bakugou lo avrebbe sentito blaterare tra sé ragionamenti e ipotesi, ma anche quel suo modo di fare era stato tumulato in qualche fossa dimenticata

Sentire la mancanza di qualcosa che aveva sempre detestato aggiunse una pennellata a quella corda di malinconia che da giorni, senza sosta, si avvolgeva intorno alla sua gola. Katsuki era conscio che lo strattone non fosse ancora arrivato, ma la minaccia era sufficiente.  

«Se, come sostieni, ti ho raccontato un pacco di stronzate» ripeté Deku, calcando sulle sillabe con enfasi. «Equivale a dire che… in verità ti odio?»

Un gong, potente e scenico, riempì il silenzio tra loro, seguito dagli strilli che concludevano uno degli incontri e la proclamazione del vincitore. 

Deku buttò fuori l’aria dalla bocca, portandosi le dita agli occhi e stropicciandosi le palpebre con stanchezza. 

«Avere a che fare con te mi sta facendo impazzire» mormorò arrendevole, privo di ironia, così piano che, di nuovo, Bakugou lo capì dal labiale. Non aggiunse altro, ma si infilò le mani nel tascone della felpa e tirò fuori una caramella incartata. 

Katsuki seguì i suoi gesti senza comprendere. La cartina colorata azzurra cadde in una piega della poltrona a sacco, mentre Izuku osservava la piccola sfera farraginosa che ne era emersa. 

«Kacchan… dire che ti odio significherebbe ammettere che sei stato importante.» 

Ridacchiò. L’amarezza fu traboccante. 

Poi si lasciò cadere in bocca la caramella



 

I know you,
who are you now?
Look into my eyes
if you can't remember.

Do you remember, oh?
I can see, I can still find
You're the only voice
my heart can recognize
But I can't hear you now, yeah.

[Never be the same - Red]



 

Bakugou aveva fatto un errore. 

Aspettare

Aveva creduto di avere la situazione in mano. Che fosse questione di tempo. 

Avrebbe dovuto insistere finché Deku non avesse ammesso ciò che si portava dentro e forzato le cripte dove doveva aver rinchiuso a morire i ricordi. Ciò che erano stati. I sogni. Le promesse infantili. Tutto quello che Bakugou aveva calpestato, spesso strappato, bruciato, ma che doveva esistere ancora. 

Deku era cresciuto, ma non era cambiato

Non ne era più così certo.



 

You led me here,
Then I watched you disappear.
You left this emptiness inside
And I can't turn back time

[Never be the same - Red]




 

«Che cazzo fai!?»

Katsuki gli fu addosso così velocemente che se Izuku fosse stato seduto su una classica poltrona avrebbe ribaltato entrambi.

Gli afferrò la mascella e lo obbligò ad aprire la bocca. La sfera del piercing alla lingua non rifletté alcuna luce. Quella sera era di un nero opaco e fu l’unica cosa che l’eroe trovò. 

La gola di Deku si mosse nel tipico sobbalzo che accompagnava l’azione di deglutire. Gli occhi dell’Hero furono impotenti di fronte al movimento, come una miccia che si esauriva nelle ultime scintille prima dell’inevitabile. 

Izuku iniziò a ridere. Fu un suono tremendo, graffiante, costretto dalle dita che gli premevano contro l’osso della mandibola, affondando nelle guance senza alcuna delicatezza. 

«Una fuga dalla realtà. Si chiama Light Blue Paradise. Dovresti provare.»

Tra le sue dita apparve una seconda caramella. Bakugou la afferrò e la fece esplodere. 

Questo non fermò Izuku dal continuare a riempire l’aria di quel suono orribile. Ah ah ah.

«Eddai!» celiò con la prima nota di un’euforia artificiale. Circondò la vita dell’Hero con le braccia, stringendolo a sé, facendogli affondare le ginocchia nella poltrona a sacco, intorno al proprio busto. «È Sabato sera e ti ho portato nel mio posto preferito! Non vuoi divertirti?» 

Il gesto, il contatto, irrigidirono Katsuki come se si fosse appena lanciato in mezzo alla strada senza guardare e lo avesse realizzato troppo tardi. La presa fu anche troppo forte, eccessiva, e gli tolse il fiato. Di tutto, però, la parte peggiore, quella che gli riempì la bocca di bile, fu l’impressione di avere addosso un estraneo

Si districò con violenza, ma serrando i pugni quando sentì il bisogno di esplodere

«Smettila-»

Deku, ma il nome gli strozzò la gola. Si voltò e inquadrò l’uscita, nonostante ogni fibra del suo essere si rifiutasse di assecondarlo. 

«… me ne vado.»

Lo disse a se stesso. Lo forzò come un comando nei propri muscoli, quando il petto gli si irrigidì sotto la pressione di quei sensi di colpa che erano appena stati alimentati e gonfiati a dismisura dall’ultima cosa che avrebbe voluto vedere. Sopportare. Non era da lui, ma aveva bisogno di aria.

L’importante è capire che fermarsi a volte è necessario tanto quanto andare avanti a tutti i costi. 

La voce di Aizawa suonò con la precisione che aveva sempre avuto, con la fermezza ragionevole di un gesto che diceva Ben fatto anche di fronte a una disfatta. Eppure, Bakugou non riuscì ad afferrare quella consapevolezza se non con l’idea di fuggire. 

«Ho un’idea» esordì Deku, alzandosi a propria volta. «Un’idea che a Kacchan piacerebbe.»

«Stai solo sparando altre stronzate.»

Nessuna verve, nessuna intenzione di dargli corda. La sua mente si ribellò, ruggendo perché lo afferrasse di nuovo, lo scrollasse, gli facesse vomitare lo schifo che aveva dentro. 

Ma sei tu che lo hai spinto in questo buco. 

Si fermò per ascoltarlo. 

«Io e te.»

Deku gli girò intorno. Afferrò i bordi della propria felpa e se ne liberò, facendola cadere in terra. Altre caramelle si sparsero sul pavimento dal tascone. Restò con una canottiera nera e il tatuaggio che aveva incuriosito Bakugou, ma che in quel momento passò in secondo piano quando incrociarono lo sguardo.

«Solo io e te» ripeté Izuku, passandosi la lingua sulle labbra visibilmente secche. «In una delle arene. Come quando eravamo alle medie e ti piaceva picchiarmi.»

Si spostò davanti all’Hero, a un passo di distanza, forse meno, invadendo il suo spazio personale. Quei dieci e più centimetri di differenza di altezza che sembrarono perfetti per incastrarlo sotto i suoi occhi rossi. 

Deku ciondolò, ma in un movimento che seguì un ritmo nella sua testa. Le sue pupille erano due pozzi senza fondo, eppure lui era lì

Si alzò sulle punte e, senza mai sfiorarlo, parlò direttamente all’orecchio di Katsuki. 

«Se vinci… ti dirò quanto ti odio.»



 

And how can I pretend
I've never known you?
Like it was all a dream, no.
I know I'll never forget
The way I always felt
with you beside me

[Never be the same - Red]



 

Bakugou fissò per tutto il tempo la schiena di Deku. 

Aveva imbavagliato l’orgoglio e quelle voci che gridavano quanto tutto fosse sbagliato. Non c’era bisogno che la sua mente lo ribadisse di fronte all’ovvio, come un politico che riempie le necessità dei cittadini di parole. 

Il precipizio sotto di sé, quel bordo su cui Katsuki si era stanziato da quando aveva ritrovato Izuku, non era più un salto nel buio. Era una scogliera a picco su un’oscurità di cui sentiva l'infrangersi contro la roccia consolidata dei suoi sbagli. Erano altre voci che risalivano dal fondo, ma soprattutto erano i sussurri ragionevoli che lo invitavano a lasciar perdere. 

Lui non ti vuole nella sua vita. 

Tu lo consideravi un peso.

Tu avevi timore di lui perché era gentile, nonostante tutto.

Perché non ti lasciava mai andare.

Lo ha fatto. Perché sei qui ancora? 

Quello non è Deku.



 

Una discreta folla si era radunata intorno all’arena scelta da Izuku. 

Il suo soprannome - Deku! Deku! Deku! - stava addensando l’atmosfera, richiamando ancora più spettatori, e Katsuki non si liberò della nauseante sensazione che gli avessero rubato qualcosa. 

Mani in tasca, si chiese perché avesse accettato, mentre osservava Izuku fare cenno a Gin di avvicinarsi. Lei scivolò tra la folla stipata con la leggerezza di uno spettro. Una volta davanti al suo capo, successe qualcosa di simile a prima. 

Anche se il corpo di Deku sembrava indeciso su dove spostare il peso, dandogli una stabilità traballante, appoggiò la tempia contro quella della donna e iniziò a sussurrarle all’orecchio. Se non fosse stato per i capelli disordinati, quel verde che si percepiva anche in mezzo alle luci sfiancanti, le lentiggini rimaste uguali, Katsuki lo avrebbe scambiato per un estraneo. 

L’Hero strinse le dita dentro le tasche dei pantaloni fissando quella complicità, riascoltando nelle orecchie il Deku mormorato dalla donna, disgustato nel rivivere nella propria mente i pochi secondi in cui Izuku lo aveva giocato con quella finta caramella.

Era stata tracciata una linea di confine. O meglio, Deku aveva chiuso una porta che né a spallate né facendola esplodere si sarebbe aperta. 

Bakugou, quella sera, in quel club - nel mio posto preferito, come aveva detto Izuku - scese a patti con la consapevolezza di non sapere cosa fare per raggiungerlo, come farsi ascoltare. 

L’aver accettato il suo invito a scontrarsi era stato soltanto un modo per sfilacciare e tendere all’estremo un tentativo fallimentare. Qualsiasi cosa Deku avesse risposto alla sua domanda - quanto ci voleva a sbattergli in faccia un “Sì, ti odio”? - avrebbe avuto un impatto più amaro dopo quanto successo, molto diverso da ciò che si era figurato se avesse avuto la conferma quella mattina. 

Deku arrabbiato, con quel senso di vertigine per cui non riusciva a controllare la situazione e che gli urlava contro, sarebbe risultato molto più attendibile e gestibile di quell’altra faccia di Deku. Il cervello forzatamente inibito, scollegato, e il sorriso di chi ha perso tutto e balla sulle note di una sinfonia suonata da strumenti senza corde. 

Izuku e Gin rivolsero gli occhi su di lui e Bakugou aggrottò la fronte e raddrizzò involontariamente la schiena, alzando il mento. Ad avvicinarsi fu soltanto la donna.

«Seguimi.»

Katsuki lo fece, in maniera troppo automatica per i suoi standard, ma si fermò e si voltò indietro quasi subito, verso Deku. Aveva avvertito il suo sguardo addosso e lo trovò lì, a fissarlo, anche in quel momento in cui più di un avventore lo circondò per parlargli. Fu solo dopo che l’ultima schiena gli precluse la vista che l’eroe riprese a camminare dietro Gin. 



 

«Se tieni a quei vestiti, lì puoi trovare un cambio della tua misura.»

La donna gli indicò una rella a vista con diverse tute, ma Bakugou lasciò vagare lo sguardo. 

«Sto bene così.»

Si liberò del cappello da baseball e poi fu il turno della giacca e della maglietta scura, restando anche lui con solo una canotta. Erano in una sorta di spogliatoio. Uno di almeno cinque, a giudicare dalle porte che aveva superato. Lo stile era moderno e nuovo come tutto il resto, sottolineando ancora il contrasto con il grigiore e l’abbandono del quartiere. 

Gin si mosse leggera di fianco a lui. Anche con i tacchi non produsse quasi nessun rumore e questo stranì l’eroe, ma il suo sesto senso perseverò nel rifiutarsi di tenere la guardia alta in sua presenza. L’ostilità mancava, ma le occasioni di coglierlo di sorpresa erano una platea densa e silenziosa. 

Osservò i suoi gesti nell’avvicinarsi a un mobile appeso con due sportelli neri, quadrati e molto grandi. Le ante scivolarono sui cardini senza un fiato e rivelarono una rastrelliera che, per l’ennesima volta, strappò a Bakugou un pezzo di sorpresa. 

Allineate in quattro file, più di venti maschere lo fissarono con le loro fessure cieche. 

«Deku chiede che tu ti copra il viso. La mascherina che hai non basta. Non vuole che qualcuno disturbi il vostro incontro riconoscendoti come l’eroe Dynamight.»

Katsuki la percepì a metà. Tra le maschere, di una fattura attenta al dettaglio, cura che le rendeva realistici volti distorti, caricaturali o orrorifici, aveva riconosciuto una copia di quella da coniglio indossata da Deku il giorno della rapina. I pezzi, a modo loro, stavano componendo un puzzle di cui Bakugou non aveva ancora definito i bordi.

Mise da parte quel pensiero. Gli schiamazzi della folla eccitata stavano arrivando fino a lì, o era la sua immaginazione a incalzarlo. Si avvicinò alla collezione e gli bastò solo una seconda occhiata per decidere, allungare la mano e contemplare quello che sarebbe stato il suo volto per quella notte. 

Grigio, striato di nero e con la dentatura accuminata snudata e serrata in un ringhio sospeso nel tempo. 

Gin richiuse le ante, per poi fargli cenno verso l’uscita.

«Ti spiegherò le regole mentre torniamo di là, ma prima mi serve un’ultima cosa» disse, accostando la porta dello spogliatoio. 

«Con che soprannome vuoi essere presentato?»



 

Il solo annuncio dell’incontro aveva catalizzato metà dell’attenzione del club. Tutto per il nome di Deku. 

Mentre gli ultimi preparativi venivano approntati, Katsuki restò quieto nel proprio angolo di ring, con un fastidio arrampicato addosso come un parassita gigante. Sentiva i bisbigli tanto quanto sentiva le voci tonanti. Le scommesse correvano su delle probabilità basate unicamente sulle occhiate che lo raggiungevano come zanzare noiose. 

Bah, pensa di fare a pezzi il Capo con quei muscoli?

Non l’ho mai visto da queste parti, sembra promettente, ma il suo avversario è Deku!

Voglio ripassarmelo contro il muro del bagno quando sarà finita e sarà ridotto un colabrodo, eheh. 

Disgustoso, ma nulla che anni di notorietà come Hero non gli avessero insegnato a sopportare. Il pubblico era molesto a prescindere, incapace di tenere lingua, mani e fantasia a freno. 

Quando l’arbitro e annunciatore si portò al centro del ring, la folla si distrasse, scoppiando in un boato.

«Gentaglia di Wasuno, siete carichi!?» vociò il conduttore, amplificato dal piccolo microfono a lato della guancia. 

Bakugou si sentì trascinare contro la propria volontà in quella bolgia di schiamazzi, avvertendo l’atmosfera calda arrivargli addosso alla stregua di un ferro rovente. 

«Aprite le orecchie! A sfidare Deku, Protettore di Wasuno e Sesto Comandante del Loto Nero, sarà lo sconosciuto Ground Zero! Mai sentito!? Neanche io! Cosa ne pensate!? Sarà all’altezza di raggiungere il nostro Capo!?»

Quelle parole scivolarono in Katsuki in maniera molto diversa da come la gente assiepata al limitare dell’arena le accolse. Cercò la propria rabbia, il proprio orgoglio, un qualsiasi bandolo lo portasse alla reazione che avrebbe dovuto avere. 

Strinse solo echi indistinti nella propria testa. Gesti e frasi di un Bakugou apertamente sfidato che rimarcava la propria presenza e la promessa di una vittoria perfetta in meno di cinque minuti. Non esternò nulla, se non un Tzé attutito dalla maschera. 

«Iniziate a scaldarvi!» continuò l’annunciatore. «Sarà un incontro esplosivo! Un match quirk versus quirkless! Avete tre minuti per chiudere le scommesse!» 

L’Hero si riebbe come se gli avessero gettato addosso un secchio di acqua fredda. 

«Ohi!» ma la sua voce fu sovrastata dalla burrasca di quelle circostanti. Marciò verso l’arbitro. «Che cazzo hai detto!?» 

Qualsiasi calore e fomento avesse appena usato l’uomo con la folla svanì nell’attimo in cui si rivolse all’eroe, liquidandolo come seccatura con una sola occhiata. 

«Non ti è piaciuto qualcosa?» sbuffò, coprendo il microfono con il palmo. «Fatti un nome da queste parti e diventerò il tuo migliore amico. Vedi di restare al tuo-» 

«Cos’è questa storia del quirk!?» 

L’espressione dell’arbitro prese una sfumatura stupita, per quanto rimase apertamente menefreghista. 

«Guarda che sei tu quello in vantaggio, di cosa ti stai lamentando?»

«Non combatterò col quirk!»

Riconoscersi nella propria voce fu disorientante, ma Bakugou avanzò di ancora un passo, intimando un Ritira quanto hai annunciato con la sola presenza. L’arbitro non sembrò impressionato e fece spallucce. 

«Cazzi tuoi, lupetto. Libero di farti pestare come ti pare. Il Capo ha riferito che non ti saresti risparmiato, ma a questo punto immagino sarà il contrario.»

«Ci sono problemi?» 

Katsuki si voltò verso Izuku e qualcosa lo attraversò, irrigidendolo. Avrebbe voluto ammettere fosse la propria collera, ma la morsa allo sterno parlava di altro. 

«Che diavolo hai in mente!?» 

Deku non smise di sciogliere i muscoli del collo a occhi chiusi, l’espressione lontana dalle preoccupazioni che stavano assorbendo l’Hero. Lo guardò socchiudendo appena una palpebra.

«Mi piace la maschera. Hai intenzione di sbranarmi?» e si leccò le labbra come se la prospettiva fosse invertita. «Ti avevo promesso un incontro come alle medie, no?» continuò in un sussurro che fosse udibile solo a loro. «Ti risparmiavi quando mi facevi esplodere al tempo? Io lo ricordo diversamente.»

«Ti ammazzo!» ruggì Bakugou d’istinto, sragionando e afferrandolo per la canotta. Deku si lasciò trascinare come una bambola, un’espressione che sarebbe potuta essere quasi stupita se non ci fosse stata l’ombra della droga a rosicchiarne l’autenticità. L’arbitro si mise in mezzo con un gesto deciso, dividendoli. 

«Si inizia al gong, testa calda. E se non ti è stato spiegato, qui non si ammazza nessuno.» 

Gli puntò un dito al petto, premendo con decisione, ma Bakugou stava ancora fissando Deku oltre la sua spalla. Persino la minaccia che seguì non fu sufficiente a distrarlo. 

«Prova solo a uccidere il Capo e tua madre non avrà un cadavere su cui piangere.» 

Bakugou schiaffeggiò via la mano dell’arbitro senza rispondere.

Era saturo e teso. Odiò ogni istante, ogni respiro, ogni sibilo. 

Izuku si era voltato, tornando al suo posto, dando attenzione soltanto a quanti si erano appesi alle catene e invocavano l’inizio dell’incontro, ignorando Katsuki.

Era di nuovo scivolato via. 



 

Tutto, ogni cosa, era stata una pessima idea.

Ed era colpa di Bakugou.



 

I'm caught inside the memories,
the promises are yesterdays
and I belong to you.
I just can't walk away

[Never be the same - Red]



 

I riflessi di Katsuki lo videro arrivare prima che la mente lo cogliesse. 

Le mani scattarono - formicolarono, come entità a sé, desiderose di esplodere - ma tutto quello che fece l’Hero fu arrestare l’impatto della ginocchiata diretta alla propria faccia. 

Il gong smise di vibrare in quell’istante, come l’ultimo rintocco della mezzanotte, segnando il definitivo inizio dello scontro. La bolgia indistinta che li circondava si sgolò nella scia di quell’esordio repentino. 

Bakugou fissò Izuku sovrastarlo attraverso i fori della maschera. Era in controluce, una sagoma fatta di ombre in cui si distinguevano gli occhi verdi - penetranti, famelici, in caccia dell’obiettivo

Un fremito attraversò l’eroe. 

Quello non poteva essere Deku

Katsuki tese i muscoli delle braccia, le dita si irrigidirono fino a fare male, e lo respinse indietro. Il suo urlo di frustrazione si perse in mezzo a tutti gli altri, mozzato dalla maschera. 

L’agilità con cui Izuku atterrò sul pavimento del ring gli rammentò i movimenti con cui lo aveva visto saltare da un tetto all’altro. Le suole impattarono dolcemente, mentre i muscoli erano già al lavoro per veicolare la forza dell’atterraggio in un nuovo slancio. 

Deku era veloce e Bakugou se lo ritrovò addosso in un quarto di secondo. 

Fu l’Hero in lui a leggerne le mosse - a prendere il controllo - e a parare. La sua mente stava glitchando nel tentativo di collegare i ricordi a quello che stava succedendo. Non c’era un singolo filo che portasse dal fragile ragazzino con le lentiggini a quel giovane di ventitre anni che si muoveva come un professionista. 

Era un misto di forza ibrida e arti marziali che sfruttavano ogni parte del corpo, come una chimera. Le mani alla stregua di serpenti scattanti e che rischiavano di morderlo, di tranciare la pelle, non solo di colpirlo. Le gambe erano le zampe di un leone, rapide nello stare dietro la preda e dolorose se ne raggiungevano un fianco scoperto. In tutto, quegli occhi verdi, spalancati e fissi su di lui, erano come canini snudati sulla sua nuca, pronti a incidergli la pelle. 

Parò un altro colpo al volto, ma invece di rispondere lo allontanò da sé. 

«Forse hai scelto la maschera sbagliata, Kacchan…» commentò Izuku, il disappunto inciso nelle sue parole come nel suo sguardo. «Il lupo è un predatore, ma mi sembra che tu stia solo scappando. Hai dimenticato come si fa?»

L’insinuazione si infilò sottopelle come uno spillo fastidioso, una spina invisibile, e alimentò quella voce iraconda dentro l’eroe che lo stava spronando a fare sul serio. A buttare per terra l’avversario. A sovrastarlo e rimetterlo al suo posto, dietro di sé, a vivere delle sue briciole - un perdente

«Crepa!» 

Attaccò, cadendo preda di se stesso, della confusione e di una rabbia che non trovava sbocchi.

Avvertì nitidamente il colpo andare a segno e le mani bruciare. La folla ribaltò la propria eccitazione molesta con un coro deluso, ma Bakugou li lasciò inascoltati, sentendo invece l’errore braccarlo. 

Non si trattava più solo dei propri sensi di colpa, dell’aver ritrovato Izuku in una situazione impensabile, di non avere più presa sulla propria mente e sulle emozioni che lo attraversavano. 

Era tutto sbagliato.

Suonò come una frase riduttiva e limitante. Non mise un punto, non diede alcuna prospettiva. 

Era sbagliato aver perso di vista ciò che desiderava

L’orizzonte verso cui rivolgersi, verso cui tendere - essere il numero uno

Deku era una foschia scura e si era parato di fronte a ciò che Katsuki voleva raggiungere. In quei dieci giorni, l’eroe non aveva che perseverato nell’attraversarlo, stringendo fumo, spargendolo e ottenebrando la propria realtà. 

Ma non voleva arrendersi.

Perché anche Deku era ciò che desiderava, o non sarebbe stato lì a tentare di cambiare le cose. 

«Che colpo, gente! Ground Zero è esplosivo nel vero senso della parola! Chi ha scommesso contro di lui - sottoscritto compreso - ha tremato! Deku! In piedi! Salva i nostri risparmi!»

Izuku rise. 

Schiena a terra dove era caduto, tra un respiro e l’altro riempì il ring di una risata cupa e ricca di un divertimento sintetico, innaturale. Con una delle mani, annerite dall’aver cercato di attutire la deflagrazione, si frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un piccolo involucro. 

«Sei troppo teso, Kacchan! Ho qui un’altra caramella! La vuoi?»

Bakugou ci vide rosso. 

Gli fu addosso in un battito di ciglia, lasciando ammutolita la platea, ma non trovò sorpresa nel viso di Deku.

Come se si stesse muovendo a una velocità diversa, Izuku sgusciò via prima che l’eroe riuscisse ad afferrargli la mano. Svicolò al suo fianco, sfiorandolo appena - facendogli provare un calore rovente che solo in parte era temperatura corporea, il resto era quella soglia di otto anni di non detti pronti a ustionare - e gli assestò una ginocchiata nel fianco, togliendogli il fiato e invertendo la dinamica. 

Katsuki finì a terra e Izuku lo guardò dall’alto in basso.

«Ricordi cosa ti ho detto la prima volta che ci siamo visti sul tetto?» 

Deku non mosse gli occhi dai suoi. Due specchi vuoti dietro cui vagavano figure spettrali. Le dita tirarono i lembi della cartina azzurra, provocando un suono di plastica fuori luogo. 

«Tieni gli occhi fissi sul passo successivo, non su cosa vuoi raggiungere. Vale anche qui. Perché non ti stai impegnando?»

La seconda sfera di droga sparì oltre le sue labbra, lasciando dietro di sé un sorriso guasto. 



 

They say you never know
what you have until it's gone
These memories
keep me wide awake
I know it's been too long

[Won’t let go - Fivefold]



 

C’erano momenti del proprio lavoro che Bakugou non ricordava nitidamente. 

Il sangue correva sempre veloce. Spesso fluiva fuori dal corpo invece che nelle vene. Il dolore di una ferita diventava il rumore di fondo di un locale affollato - quando non lo sentivi più dovevi preoccuparti che la vita non ti chiudesse la porta in faccia. Erano frangenti in cui la testa si faceva leggera e l’esperienza lasciava il timone in mano all’istinto. 

Vinci

E salva

Erano i due imperativi alla base dei comandamenti personali di Katsuki.

Il secondo gli era stato scolpito dentro con pazienza dalla Yuuei, dalle battaglie sul campo, dalle grida di quanti non potevano tenere la testa alta e guardare in faccia il nemico. 

Vincere rimaneva però il Verbo che muoveva i suoi muscoli, le sue ossa. Un ordine innato che la sua volontà imponeva alla mente nell’elaborare una strategia, al suo corpo perché la eseguisse. 

Quella notte, nel cuore nascosto di Wasuno, Bakugou non trovò il conforto corroborante dell’istinto urlargli di vincere

Colpì una volta e incassò tre, quattro volte tanto. Parò, si difese, e intanto lasciò che la corrente lo trascinasse. Permise a Deku di trovare i punti scoperti delle proprie difese. Non perché lo volesse, ma perché non sentiva quel brivido che gli avrebbe dato vincere

Salva

Salva

Salva

Ma cosa c’era rimasto da salvare di Izuku?



 

«Ecco il Deku che tutti conosciamo, gente! Che siano le battute finali per Ground Zero!?» 

Katsuki attutì l’impatto col suolo aiutandosi con i palmi, ma ebbe bisogno di un attimo per quietare la scossa nervosa che lo colse. Quando rialzò la testa, vide l’arrivo di un calcio e tutto si fece nero per qualche istante. 

Nulla che già non conoscesse, fece solo dannatamente più male dentro

Si contorse in terra per rialzarsi, ma un peso sullo stomaco gli svuotò il fiato dai polmoni e lo inchiodò dov’era. 

Fissò Deku seduto su di lui. Il respiro gli rimbombò nella maschera, mischiandosi al tramestio che aveva nelle orecchie. 

Il pubblico e l’arbitro stavano contando. Alla rovescia. 

Ma lui sentì altro. 

Sentì cinque dita stringersi sul collo in una morsa. 

Otto

Poi avvertì dolore e la testa sbattere contro il pavimento, nonostante fosse già steso. 

Era stato un pugno, dritto in faccia, attutito malamente dalla fattura solida della maschera. 

Sette

Ne arrivò un altro e le prime schegge partirono. 

Il calore e l’odore del sangue invasero i sensi di Katsuki. 

Sei.

Gli occhi cercarono di focalizzarsi. Videro le nocche di Izuku insanguinate. Videro la sua maschera. Quel volto trasfigurato da otto anni di abbandono. Le incrinature. I bordi limati dal tempo, spezzati, taglienti. Ciò che si era perso. 

Cinque.

«Izu-»

Un altro pungo. E un altro.

Quattro

Pugni. Sangue. Pugni. 

Tre.

«Deku non si sta risparmiando…!» 

Due. 

La stretta si fece meno serrata, ma i colpi no. 

Uno.

Il gong



 

Katsuki non perse conoscenza. Non subito.

Voci, cori, urla, dolore, dita, calore, altro dolore, qualcosa di salato, tanfo di sangue e sudore, Izuku. 

Il respiro di Deku contro la faccia. Seguì i suoi tentativi di incanalare l’aria e al tempo stesso ricordarsi di deglutire. Era rumoroso, ma Bakugou non lo trovò fastidioso. 

Faceva tutto così male che la soglia dell’insofferenza non aveva più una traccia definita. Non riusciva a muoversi. Neanche voleva. Più in basso di così non era mai caduto. 

Eppure, il baratro si stava solo approssimando. 



 

I have burned my tomorrows
And I stand inside today
At the edge of the future
And my dreams all fade away

[Burn my shadow - UNKLE]



 

«Ho vinto io…» 

Un mormorio raschiato, perché Deku non sembrava in grado di trattenere aria a sufficienza. 

«Ma voglio risponderti lo stesso, Kacchan… rispondere alla tua domanda…»

Katsuki ebbe un fremito alle palpebre peste, ferite dai frammenti della maschera. C’era del rosso agli angoli della sua visuale. In mezzo, Izuku era di nuovo l’ombra più scura di se stesso. 

Mi odi?

«Io non ti odio.»

Lo sappiamo entrambi che è una cazzata.

Un altro respiro.

L’ultimo che Bakugou ricordò. 

«Io… vorrei che tu non esistessi.»



 

And I, I'm starting to see
Maybe we're not meant to be
There's still time to turn this around
Should we be building this up
instead of tearing it down?
But I keep thinking
maybe it's too late

It's like one step forward
and two steps back
No matter what I do
you're always mad,
and I, I can't change your mind
It's like trying to turn around
on a one-way street
I can't give you what you want
and it's killing me

[Not meant to be - Theory of a deadman]




 

To be continued

 

Vi adoro. Grazie per i commenti, mi hanno tirata tanto su di morale *love* 

Ci siamo. Oddio, ci siamo davvero, il prossimo è la fine di questa parte. È corso tutto troppo velocemente? Vorrei avere Right Hell già pronta, ho così voglia di scrivere che odio come di recente le mie settimane scivolino via male per il lavoro e altro, sigh. 

In questo capitolo c’è uno dei trope che finisco sempre col riproporre, quello delle Arene di lotta libera. L’ho usato in One Piece, in Voltron… alla fine torno sempre qui! E mi sono accorta a posteriori che la scena del match inizia davvero come quella di Shang Chi, manco me la ricordavo, il mio subconscio lavora davvero in silenzio! XD 

Che dire, qui Deku mostra uno spaccato della sua vita, uno dei più importanti… ma non il più importante, eeeh. Però intanto qualche micro info l’ho mollata in giro. Che dite? 

A martedì/mercoledì prossimo…! 

Nene

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 10




 

Do you feel already dead
Like you have no reasons left?
Standing on the edge
And finally looking down
Like a candle in the night
Fighting just to stay alive
I know you still can't see
But hold onto me
You will be found

[Found - Citizen Soldier]



 

Il mondo era sospeso in quei lunghi minuti precedenti l’alba. 

Non era notte, non era giorno, non c’erano emozioni, non c’erano rumori, non c’era vita. Era il perfetto momento di tregua dalla realtà dove niente sembrava potesse accadere, o dove ci fosse un tacito permesso a chiudere gli occhi senza rimpianti. 

Izuku stava fissando i propri piedi e il vuoto sotto di sé seduto sul cornicione del tetto dove di solito si allenava . 

Wasuno, con le sue ombre blu e dimesse, restituì l’idea di essere in pausa dalla parte che recitava ogni giorno. La solita quiete con cui si descriveva il quartiere era più morbida, immersa nel sonno, col sapore di quei luoghi dove un tempo c’erano state speranze quanto gioie, ma che non vedeva un cuore umano da diversi anni. Il mondo stava ancora dormendo e i pensieri non erano che sfumature oniriche che di lì a breve avrebbero ripreso consistenza, peso e direzione. 

La mente di Deku, però, non vedeva sogni da molto tempo. 

Quella mattina non fu diversa. 

Era Lunedì. I minuti, le ore, i giorni continuavano la loro marcia, impietosi di chi rimaneva indietro, e Izuku non si sentiva che un passeggero legato a uno dei vagoni. Non avvertiva quella sensazione da tanto. Era conscio delle scuciture, degli strappi e dei buchi dentro di sé, riempiti negli anni con tutto quello che il tempo stesso gli aveva messo sulla strada, prendendo qualsiasi cosa arrivasse purché facesse smettere l’eco dell’abbandono. 

Aveva funzionato, fino a due settimane prima. 

E sarebbe tornato a funzionare. 

Kacchan era una parentesi. Era come un brutto incidente in macchina. Il volante che sfugge di mano, i freni che non funzionano, l’impatto contro un muro. Il dolore, le voci che si affollano, i sensi che si interrompono, si ripristinano, si interrompono di nuovo. 

Deku conosceva il dolore in molte delle proprie sfaccettature. Lo temeva come ci si allontana da qualcosa che non si vuole che accada mai, ma questo non lo aveva privato della capacità di affrontarlo e sopravvivere. 

Doveva solo farlo un’altra volta. 

L’ennesima volta. 

E poi lasciarsi trascinare dal tempo ancora, di nuovo. Ricominciare a raccogliere ciò che trovava lungo i bordi della strada. Vivere come aveva imparato a fare, anestetizzando il passato fino a riportarlo sotto una botola su cui avrebbe ripreso ad accatastare il presente. 

Avrebbe accolto l’inizio di quella settimana come un ritorno alla routine. Respirare, riprendere in mano l’agenda, buttarsi nel lavoro, allenarsi, mettere tutto se stesso nella ragione per cui non poteva fermarsi solo perché Kacchan era riapparso nella sua vita. 

Aveva delle priorità. C’era chi lo aspettava, chi contava su di lui, chi aveva bisogno di lui. 

E c’era Wasuno.

Kacchan era un capriccio e non poteva dargli niente di più dei rimpianti. Era una cicatrice che non smetteva di pulsare nei giorni malinconici. L’avrebbe coperta con una maglietta, con delle bende, nascondendola alla vista e pretendendo che non ci fosse. Avrebbe continuato a pizzicare perché c’era e così sarebbe sempre stato, Deku però sarebbe andato avanti. 

Io vorrei che tu non esistessi.

Anche se faceva male, Izuku si sarebbe rialzato. Anche se quella ferita si fosse riaperta, continuando a gocciolare e macchiando tutto il suo essere, lui avrebbe perseverato nel camminare. 

Aveva detto a Kacchan quel che voleva sentirsi dire e quel gioco era finito. 

La parentesi era stata chiusa. 

Era sopravvissuto di nuovo. 

«Deku.»

E quel soprannome ormai aveva un sapore diverso. 

«Ciao Gin.» 

Apparteneva ad altri. 

«Mi sono distratto e mi sono dimenticato di allenarmi. Ti va di fare un paio di salti? Fino al forno della signora Chikema? Così facciamo colazione.»

Lo disse con leggerezza, ricordando come dovesse suonare, senza bisogno di infonderci qualcosa di vero. Andava bene così per ricominciare. Il tempo stesso lo avrebbe portato di nuovo lontano, marciando e marciando, e la distanza avrebbe fatto il resto, avrebbe reso tutto meno tangibile, meno reale, meno doloroso. 

Kacchan non sarebbe apparso sul tetto quella mattina. 

E Izuku avrebbe ricominciato a respirare un’aria di nuovo spoglia del suo odore.  



 

Who am I?
Who am I, I'll tell you
Just a silhouette of who I was, the rest is dead
I'm not one to hold back blessings
But I gave too much now I'm hurting
I felt that I couldn't move on
I was stuck in place but the world kept turning

[Fake Smile - Munn]



 

* * *



 

«… ‘kugou! Bakugou!»

Riprendere coscienza fu più rumoroso che doloroso. 

«… te le tolgo quelle chiavi, cazzo…» 

«Bakugou! Cos’è successo!? Cosa-»

Nel toccarlo, le dita di Todoroki tastarono un punto doloroso e Katsuki si svegliò definitivamente, piegandosi su se stesso con un ugh involontario. Gli schiaffeggiò via la mano, aprendo gli occhi, per quanto riuscisse con le palpebre ancora gonfie. 

«… Cristo, datti una calmata» latrò, ma senza tutta la verve necessaria a imporsi. «Sto bene.»

Sono ancora fottutamente vivo

L’espressione sconvolta di Shouto gli disse il contrario, ma Bakugou non gli diede peso. Puntellò una mano sul letto e si tirò su, stringendo i denti per impedire ad altri gemiti di scappare. Dovette respirare di bocca per riuscire a mandare giù abbastanza aria e mettere a fuoco l’altro eroe. 

«Allora? Che ti serve? Perché sei venuto?» sbottò, cercando al contempo di pescare qualche pensiero coerente in mezzo a tutti i nervi che urlavano. Non c’era un centimetro di lui che non ruggisse dal dolore. 

«… sei serio?» 

Shouto fu lungi dall’assecondarlo, come dal credere che la situazione potesse essere normale nonostante Katsuki perseverasse nel farla apparire tale. 

Le sue spalle tese si afflosciarono e si lasciò cadere seduto sul bordo del letto, guardandosi intorno per constatare che ciò che aveva visto poco prima fosse ancora lì. Tracce di sangue. Un cassetto del comò per terra con il contenuto sparso. La luce del bagno lasciata accesa, un bicchiere spaccato sul pavimento e l’acqua che ancora fluiva dal rubinetto aperto. Era stato quel rumore ad attirarlo nella camera, ma era passato in secondo piano quando aveva trovato Bakugou riverso sul letto. 

«Cos’è successo?»

Bakugou sbuffò. 

«Non lo vedi? Ho fatto a botte.»

Sostenne il suo sguardo incredulo per qualche secondo, prima di indicare il bagno col mento. 

«Sto bene. Va a chiudere l’acqua.» 

Todoroki non si mosse. Era serio, ma nel fondo dei suoi occhi spaiati c’era qualcosa di tremulo che chiedeva delle rassicurazioni. 

«Chi ti ha curato?» 

«Che diavolo stai blaterando?»

Shouto fu rapido, o fu Bakugou ad avere i riflessi rallentati, e le sue dita raggiunsero la guancia dell’altro eroe prima che potesse fermarlo. Dal gesto, dai polpastrelli che premettero su un cerotto, Katsuki capì cosa intendesse. Per la prima volta, i suoi occhi abbandonarono l’ostilità per un’emozione più semplice. Era spaesato e non trovò un ricordo tangibile con cui riempire quel senso di disorientamento. 

«Chi c’era con te Bakugou? Dove sei stato?»

Ma Katsuki, tra un gemito e l’incertezza nel riuscire a stare in piedi da solo, raggiunse il bagno e lo specchio. 

«Cazzo» esalò in un sibilo. 

Aveva mezza faccia viola e gonfia. Il naso era messo male, ma, anche tastandolo, non lo sentì rotto. Non sentiva più nulla di specifico. Il dolore era una sottotrama, una specie di secondo respiro, come se fosse sempre stato parte di lui ma lo avesse scoperto soltanto in quel momento. 

Si concentrò, lasciando fuori i pensieri circostanziali, per quanto l’unico, bruciato all’interno della sua mente come un marchio a fuoco, rimanesse fisso. 

Io vorrei che tu non esistessi. 

«Bakugou…» 

«Non lo so, ok? Sarà stato qualche buon samaritano» replicò alla muta, quanto ripetitiva domanda. Tornò a guardare lo stato orrendo in cui versava. Aveva cerotti sparsi, addirittura dei punti, e bende, bende ovunque, a tastare anche sotto la maglietta. Ma ancora nessun frammento di memoria, né un flash, anche minimo, che gli accendesse il buio. 

Ricordava il club, l’arena, le urla, lo scontro, il proprio arrendersi. 

E poi Deku e la sua espressione rotta. 

Io vorrei che tu non esistessi

Seguiva solo un’oscurità spigolosa. Uno sprazzo vago di sé, quasi estraneo, che barcollava verso il bagno, assetato, col bisogno di pisciare, il rumore di qualcosa di rotto - guardò in basso ai resti del bicchiere, e anche dello spazzolino e delle tre cose insulse che teneva sul lavabo - e poi di nuovo solo il letto e il rumore confortante dell’acqua che scorreva, che portava via i pensieri e lo riconduceva all’oblio.

Non ricordava cosa fosse successo col comò e il cassetto in terra, ma il dettaglio di una figurina olografica, tra i vestiti, gli fece ingoiare un groppo amaro. Tornò a concentrarsi, ma l’ultimo ricordo era quello che stava vivendo. Shouto a scrollarlo, a farlo riemergere ancora una volta. 

Realizzò di non sapere neanche come fosse tornato indietro, a casa. 

Nello scostare Todoroki si fece male, ma raggiunse l’ingresso a mascella serrata, appoggiandosi a qualsiasi cosa quando avvertì l'equilibrio venire meno. Bestemmiò, tentando di convincere il proprio corpo che fossero due graffi, che fosse stato ridotto peggio, che non facesse davvero male

Io vorrei che tu non esistessi. 

Quasi crollò contro la meta, il muro di fianco all’ingresso, riprendendo fiato, ma senza mai smettere di muoversi. Accese il monitor del citofono e la telecamera esterna, riavvolgendo la parte registrata. Fu fissando i minuti andare a ritroso, insieme alla data, che finalmente si accorse che fosse Lunedì. 

Era stato fuori dai giochi per l’intera Domenica.

«Merda…» 

Alle sue spalle, Todoroki lo osservò in silenzio, per poi spostare gli occhi al display quando comparve quello che Katsuki stava cercando. 

«Chi è?» 

Bakugou si prese un momento per esaminare la figura incappucciata e vestita con una larga felpa nera, sneakers rosse, che teneva il se stesso di due notti prima, privo di sensi, mentre usava le sue chiavi di casa per entrare. Guardò l’orario sul display. Le quattro abbandonati di mattina. Digrignò i denti, reprimendo un ringhio, e si passò una mano tra i capelli sentendoli uno schifo, come tutto il resto. 

Non ricordava nulla, ma non avrebbe fatto differenza.

Io vorrei che tu non esistessi

Premette il tasto cancella sul display. 

«Non è nessuno» rispose senza tono, voltandosi e tornando sui propri passi. «Qualcuno a cui devo aver fatto pietà» aggiunse con il sapore di bile sulla lingua, la bocca dello stomaco a bruciargli. 

Non c’era più urgenza. La registrazione non gli aveva detto niente di più di quello che già poteva sapere o immaginare. Non cambiava nulla. 

Io vorrei che tu non esistessi

«Dannazione…» sibilò, prima di perdere l’equilibrio e accasciarsi contro il bancone della cucina.

Le mani di Todoroki corsero a sostenerlo. Per una volta, la prima forse, al di fuori del lavoro, delle missioni in cui erano tornati a pezzi, Bakugou non lo scacciò per quel gesto. Prese invece un respiro, tremulo, che lo fece di nuovo imprecare, per poi tirarne su un altro, altrettanto sgretolato. 

Katsuki era svuotato. Quel buco dentro di lui non era più niente di diverso da quello che sarebbe potuto apparire. Una rovina senza più echi, senza più liquami di sentimenti compressi, dimenticati e lasciati ad agonizzare per anni. Niente da raccogliere, niente in cui annegare. Una notte senza stelle, senza profondità, infinita. Sabato aveva dato fondo a qualsiasi cosa fosse rimasta, come un carburante dal fumo nocivo, ma ultima risorsa per arrivare all’alba. 

Tuttavia, quell’alba non era riuscito a intravederla. Non c’era più alcuna linea dell’orizzonte a cui tendere.  

Quando Shouto si ritrovò le dita di Katsuki a stringergli la camicia, e la sua fronte bollente nell’incavo del collo, il respiro come un refolo caldo contro la gola, rimase immobile a registrare che stesse succedendo davvero. Attese qualche istante, prima di chiudergli le braccia intorno e restare così. 

«Cristo…» esalò Bakugou, mordendosi il labbro, assaporando un sapore salato che da anni non sentiva più. Odiò tirare su col naso. «Se lo dici a qualcuno ti ammazzo, hai capito?» 

Todoroki assentì, strusciando la guancia contro la sua tempia, restando in silenzio. Una domanda, o una parola, e sarebbe finita. 

Per quanto fossero stati intimi nei mesi passati, quell’abbraccio toccò corde ben diverse da quelle che avevano esplorato con il corpo. Vibrò della malinconia, piccola, dei delicati petali blu a ricordargli che, qualsiasi cosa ci fosse stata tra di loro, si era chiusa. 

Quell’abbraccio, però, apriva uno spiraglio su una soglia altrettanto importante, forse più di ciò che era cominciato con lo sfogare l’attrazione e la tensione.

In Katsuki c’era qualcosa di spezzato. Shouto lo sentì anche senza bisogno di spiegazioni, come se glielo stesse premendo contro il petto, rendendolo consapevole del bordo tagliente. Rendendolo partecipe di quel dolore. 

Il momento non sarebbe durato in eterno, lo sapeva, per questo, quando Bakugou prese un altro respiro profondo, più stabile, Todoroki si rilassò. Bisognava rimetterlo in piedi. 

«Ti preparo un caffè.»  

Katsuki si allontanò di un passo, guardando altrove, e poi un altro, appoggiandosi alla cucina, le spalle basse, ma Shouto non riuscì a interpretarle davvero come un segno di resa. 

«Fai una tisana… devo imbottirmi di antidolorifico» e nel dirlo si trascinò di nuovo in camera e in bagno, dai rumore che Todoroki sentì. 

Nonostante il silenzio, la tensione aveva già cominciato a depositarsi come uno strato di polvere, smettendo di essere un miasma tossico. L’atmosfera acquisì una dimensione più distesa, famigliare.

L’odore dell’infuso nell’aria, la tv accesa su un canale informativo random per dare spessore al vuoto di parole, i lamenti simili a ringhi di Katsuki nel sistemarsi sul divano e nel rimestare i blister dei farmaci che teneva nella propria cassetta del pronto soccorso. 

Del tutto casuale, fu una notizia alla televisione a dare il la a Bakugou, a riportarlo a intravedere dei binari da seguire. 

… secondo le ultime informazioni in mano alla polizia, gli incendi che hanno devastato i capannoni lungo il fiume potrebbero essere riconducibili a un regolamento di conti tra due gruppi yakuza, noti con i nomi di Shie Hassaikai e Loto Nero. Le attività recenti hanno visto un'impennata di traffici illegali nella zona, dal commercio di stupefacenti a… 

«Ohi, Scemo a metà. Cosa ne sai di questa merda?» 

Todoroki fu preso alla sprovvista, voltandosi a guardare la tv e cogliendo solo l’ultimo stralcio di informazioni del servizio. 

«Non molto.» Aggrottò la fronte, poggiando due tazze bollenti sul tavolino del salone. «Non sono crimini di cui ci occupiamo, non direttamente. Deve essere la polizia a richiedere una collaborazione… Le loro attività non sono come quelle dei Villain.»

«Grazie della spiegazione ovvia» sbuffò Bakugou, cacciandosi in bocca due pasticche, ma senza distogliere l’attenzione dal telegiornale. 

Gin aveva nominato rogne con l’Hassaikai, la mattina di Sabato.

Protettore di Wasuno e Sesto Comandante del Loto Nero erano stati invece i titoli con cui Deku era stato apostrofato dall’arbitro sul ring.

Quei dettagli emersero dalla cenere nella sua mente. Un altro tassello di un puzzle completamente annerito, ma che tenne in mano, cercando di valutarne il peso. 

Era un indizio. 

Era la possibilità di un’altra strada da percorrere per raggiungere Izuku. 

Io vorrei che tu non esistessi

Katsuki si passò le dita sul petto, massaggiandolo, mentre la sua testa usciva dal torpore della sofferenza fisica grazie all’azione degli antidolorifici.

Rivide il volto di Deku sovrastarlo e percepì nitido il ricordo del sangue, nelle sfaccettature sensoriali di olfatto, vista e gusto, delle grida che componevano l’audio di quel momento, tutto un aggrovigliarsi nel formare una tela, una trappola per solleticare i sensi di colpa. Ma Bakugou dissezionò quel garbuglio in maniera decisa, lasciando solo il fotogramma di Izuku. 

Della sua espressione alla fine del loro match. Di uno sguardo che si fissò dentro di lui e che divenne il suo nuovo obiettivo. 

Un cellulare squillò, ma si mescolò al rumore di fondo che era diventato l’ambiente intorno a Katsuki.   

«Devo scendere un attimo» disse Todoroki, alzandosi. «Torno subito.» 

Bakugou lo ignorò. Non lo sentì neanche. 

Fece scivolare la testa indietro, sulla spalliera del divano, e chiuse gli occhi. 

Deku era una figura spettrale al centro di quel buco nero che si portava dentro. Non importava non avere più una prospettiva verso cui muoversi, non se Izuku gli aveva dato un motivo in più per raggiungerlo. 

Doveva riorganizzare le proprie mosse. 



 

Say what you say, push me away
Fuck my head up, beg me to stay
How could I be better off without you?
When I'm not better off without you
Lie that you're done, like you gon' run
Like you don't love, I'm calling your bluff
Say the water's too rough
But I won't leave you when you're sinking

[What's Left of You - Chord Overstreet]



 

* * * 

 


Si stava approssimando un’altra alba. 

Sfumata di rosa e lilla, il velo ultimo della notte, con del giallo ad aprire la strada al sole imminente. 

«Sei in ritardo.»

Deku non poté ammirare il cielo. Il suo mondo si ridusse a un’unica porzione di spazio, come un capogiro improvviso, rovesciando tutto il resto e lasciandolo rigido e immobile. 

«… perché sei tornato?»

Fissò quel ritaglio di realtà, come la fotografia di un ricordo sovrapposta a quello che sarebbe dovuto essere un tetto vuoto. Non lo era. Kacchan era seduto lì, con l’aria di qualcuno in attesa da un tempo indecifrabile, spoglio di emozioni se non di uno sguardo che aveva già deciso come la storia sarebbe andata avanti. 

L’Hero si alzò, sicuro sulle proprie gambe, infilandosi le mani in tasca. Sul suo viso c’erano i segni del loro ultimo incontro qualche giorno prima, ma portati con la stessa disinvoltura con cui Bakugo indossava il proprio costume da eroe. 

Anche se si avvicinò di alcuni passi, non sembrò intenzionato a cercare un contatto se non quello degli occhi. E Izuku faticò a non abbassare il proprio. 

«Non posso smettere di esistere.» 

Fu come se il cielo stesso lo avesse ascoltato. Il primo raggio di sole superò la barriera dell’orizzonte e li illuminò in una linea diagonale. Accese i colori. Il biondo dei capelli di Katsuki e i suoi occhi rossi. Deku se ne sentì quasi bruciato.

Bakugou ghignò, diventando ancora più reale, più lui, più di quanto già non fosse, annullando qualsiasi illusione potesse ancora tentare di irretire e alimentare le grigie speranze di Deku. 

«Apri le orecchie, idiota. Non posso smettere di esistere perché diventerò l’eroe numero uno.» 

Fece un passo in avanti e Izuku sentì una morsa allo stomaco. 

«Diventerò così famoso che troverai la mia faccia e il mio nome ovunque ti girerai.»

La distanza tra loro era sempre meno. 

«Hai capito, merDeku? Perfino i muri parleranno di me. Anche in questo buco dimenticato che è Wasuno.»

Erano uno di fronte all’altro. Centimetri, respiri, palmi di mano, ma non era una misura fisica quella che contava. 

«Perché sei tornato?»

Izuku lasciò che la voce fluisse, non gli importò che tono avesse. Suonò patetica nella sua testa, un’ultima catena a tenere quel che restava di qualcosa che non sarebbe più dovuto essere. 

Io vorrei che tu non esistessi

«Credi che il solletico che mi hai fatto mi abbia spaventato, mezzasega?» 

Bakugou sbuffò esasperato, inclinando la testa per guardarlo come avrebbe fissato qualcosa di piccolo e petulante - ma che riempiva ogni angolo della sua mente. 

«Ti sei accorto di avermi riportato a casa dopo avermi fracassato di botte o eri ancora fatto? C’è un limite all’incoerenza, ma tu sei proprio un cazzo di caso uma-»

«Sono stato chiaro nel rispondere alla tua ultima domanda!» replicò Deku, parlandogli sopra e riuscendo a indurire i lineamenti del viso, nonostante il tremore nelle braccia rigide e nei pugni serrati. «Io non ti voglio nella mia vita!»

Bakugou raddrizzò le spalle e la testa. In ultimo alzò anche il mento, imponendosi su quell’occhiata astiosa, senza smettere di fissarlo. Sulle sue labbra si aprì un sorrisetto. 

«Che parole avevi usato tu? Ah, sì.»

Si avvicinò di un ulteriore passo, invadendo il suo spazio vitale.

«Flash news, Deku: io sì. Voglio farne parte.» 

Finché non riuscirò a chiederti scusa come si deve. 

A rimediare.

A salvarti da te stesso.

Non era ancora il momento, o quei pensieri avrebbero avuto una loro dimensione sonora. 

Gli strati da grattare erano tanti e c’era una questione più urgente in cima alla lista. Bakugou tornò serio e lo guardò apertamente, riuscendo anche a sovrapporre a lui quell’Izuku fuori di sé che aveva incontrato nell’arena. Un fantasma che si nascondeva nelle ombre del suo volto, sopito ma presente. 

«Non puoi farlo, Kacch-» iniziò Deku, arrestandosi sull’ultima sillaba. Si tirò indietro, rischiando di incespicare nei propri passi, mentre perdeva la fermezza sulla propria agitazione. 

Guardò ovunque, misurò il pavimento con gli occhi, il cornicione, i tetti limitrofi, e non trovò un appiglio su cui posare lo sguardo che non fosse di nuovo Katsuki. 

«Vuoi sentirmi dire che ti odio!?» sbottò, gesticolando con l’insano bisogno di avere qualcosa tra le mani da spaccare. «Non ti è bastato quello che ti ho detto!? Non ti è bastato abbandonarmi!?»

Lo schiocco del palmo sulla bocca non fu abbastanza rapido da fermare le parole. Izuku abbassò lo sguardo, spalancato, scioccato da ciò che si era lasciato sfuggire. 

Bakugou, al contrario, respirò ogni sillaba, riempendocisi i polmoni e depositandole nel posto a cui appartenevano. Al centro dei suoi sensi di colpa, come la prima candela accesa a rischiarare l’oscurità. 

«Odiami, Deku. Non ti biasimo. Però non sono qui per quello» cominciò piano, spoglio di qualsiasi orgoglio o arroganza. Un tono che cinque, otto anni prima non si sarebbe potuto permettere, che non avrebbe saputo usare. Riuscì a fare breccia nella tensione di Izuku e a riportare la sua attenzione su di sé. 

«Non te ne sei accorto, ma Sabato notte, mentre mi picchiavi, avevi quella faccia…»

«Di cosa stai parlando!? Quale faccia!?»

«Quella di uno che chiede aiuto, Izuku.»



 

And I know you're searching
For a little bit of light

[Hero - Tommee Profitt ft. Mike Maine]



 

Se il tempo si fosse potuto fermare, e schernirli per come stessero riducendo otto anni di allontanamenti e silenzi in un insieme di ore sparse in due settimane, lo avrebbe fatto in quel momento. 

Deku era spiazzato. 

Katsuki gli lasciò qualche istante per metabolizzare, preparandosi alla negazione che sarebbe seguita. 

«No

Disperato. Un suono che l’Hero aveva ascoltato tante volte, ma che risuonò ugualmente con lo schiocco di una frusta. 

«Non è vero! Smettila di fare come ti pare! Smettila!»

«Se avessi voluto cancellarmi dalla tua vita, non avresti più usato quel cazzo di nomignolo, Deku. Te l’ho dato io, cos’è, te lo sei dimenticato!?»

C’erano delle incrinature sui muri eretti da Izuku, poteva vederle. Poteva sentirle. 

«È l’unica cosa che sei riuscito a lasciarmi!»

«E tu non l’hai buttato via, come invece ho fatto io con te. Sei stato migliore di me, mentre io ti ho riposto da una parte e sono andato avanti. Ti ho ignorato. Sono quasi arrivato a dimenticarti.» 

Izuku sembrò incerto sulle ginocchia per un secondo. Non si era aspettato un’altra verità così trasparente, un’ammissione tanto limpida. Strinse le dita sulla stoffa della maglietta, all’altezza del petto, cercando un punto fermo, come se il cemento sotto i suoi piedi fosse diventato di colpo troppo morbido. Dischiuse le labbra, ma senza suono. 

Bakugou perseverò nell’avanzare in quella breccia. 

«Non ho intenzione di andarmene questa volta. Non ti lascerò indietro.»

«… tu non vuoi capire… questo… non si può cancellare…» 

Deku levò lo sguardo ma non parve in grado di dare alla vista un punto nitido su cui focalizzarsi. Di mettere a fuoco Katsuki.

«Non sai niente di quello che è successo…»

La sua voce viaggiò sulle schegge che l’eroe aveva appena prodotto con una manciata di parole, uscendo spezzata. 

«Non sai chi sono diventato… cosa ho fatto… chi sta soffrendo per colpa mia…»

«Non me ne frega un cazzo. Io resto.»

Fu l’ultimo colpo. 

Fu l’ultimo colpo perché un rumore, purtroppo familiare, li interruppe. Si irrigidirono entrambi, per poi voltare lo sguardo nella stessa direzione. 

Nel momento più sbagliato, Gin arrivò sul tetto col fiatone e il viso madido di sudore. Guardò appena l’eroe, come se sapesse già di trovarlo lì, e si focalizzò completamente sul suo capo.

«Deku… abbiamo un problema.»

Tre parole, ma si rivelarono la doccia di realtà che servì a Izuku per ristabilire una parvenza di equilibrio e scivolare via dalla presa invisibile di Katsuki.

Qualcosa ruggì dentro quest’ultimo - Non ignorarmi! - e si esternò in un guizzo agli angoli degli occhi e nel serrare la mascella, snudando i canini. Ma non si intromise, nonostante la tensione che sentì sfociare come un torrente per aver sfiorato l’obiettivo. Fu fastidioso notare i movimenti incorporei con cui Deku spostò l’attenzione da lui alla donna, lasciando riemergere in superficie una sfumatura di autocontrollo. L’Hero restò in silenzio, valutando la gravità della questione. 

«… cos’è successo?» il tono di Deku su incerto, slavato dalle emozioni.

«Confine est. Uno scontro con l’Hassaikai. Ci sono dei feriti.» 

Izuku sembrò svegliarsi. Imprecò, per poi farfugliare qualcosa tra sé, frugando con lo sguardo la confusione che si portava dentro. Guardò Bakugou stanziato dietro di sé e diede l’idea di essere incastrato nella decisione da prendere. Ma non ce ne fu motivo. 

Katsuki aveva già scelto.

Voglio fare parte della tua vita.

La sua promessa di restare l’aveva esternata. Quello sarebbe stato il primo passo per metterla in pratica.

«Andiamo.» 

L’Hero gli sfiorò la spalla, portandosi al suo fianco. Deku trovò i suoi occhi e le sue intenzioni, prima ancora che le mettesse a parole. 

«Non starò qui ad aspettare, ma non ho intenzione di immischiarmi» chiarì, per poi aggiustare il tiro, alzando il mento. 

«Non muoverò un dito finché non sarà necessario l’intervento di un eroe.» 



 

  Now the vultures are flying
The sun's coming up
But the steel around your heart
is starting to rust

Let me be your hero
(I'll carry you through)
Let me be your hero
(I'll lay it all down for you)

[Hero - Tommee Profitt ft. Mike Maine]



 

* * *



 

La sera stessa. 


«… Bakugou?»

«Evita di congelarmi, cretino.»

Todoroki abbassò la mano destra. I cristalli di ghiaccio si bloccarono a qualche decina di centimetri dai piedi di Katsuki, creando subito una lieve condensa nell’aria tiepida della stanza. 

«Che cosa stai facendo…? Qui?» formulò Shouto, incerto su cosa volesse sapere prima. 

Bakugou tornò a dargli le spalle e a fare quello che stava facendo: frugare nei cassetti del suo soggiorno. 

«Mi avevi dato le chiavi di casa tua perché potessi venire quando mi pareva» replicò Katsuki ironico - quasi allegro, constatò sgomento Shouto - senza degnarlo di un’occhiata. Chiuse un cassetto e passò a ispezionare due ante, aprendole insieme. «Non mi sembra che tu di solito ti faccia problemi a entrare e uscire dal mio appartamento. E io non ti ho invitato a farlo.» 

«Cosa stai cercando?» Todoroki cambiò argomento, ricordandosi di avere ancora in mano la sacca della palestra, che poggiò a terra, ma senza abbandonare l’aria circospetta. Erano passati a malapena tre giorni da quando aveva trovato l’altro eroe pesto di botte e con una crisi il cui motivo gli era ancora oscuro. Quel Bakugou che gli stava rovistando in casa sembrava inaspettatamente rinato. 

Katsuki bofonchiò qualcosa di incomprensibile, chiudendo al contempo uno degli sportelli con irruenza per troncare la propria voce. Vedere Bakugou così leggero negli atteggiamenti lo rincuorò, ma Shouto non poteva ignorare il campanello d’allarme che lo stava mettendo in guardia. 

«Se mi dici cosa ti serve ti dico dove trovarla. Senza che metti tutto a soqquadro.»

«Hai ampliato il tuo dizionario.»

Todoroki lo guardò meno collaborativo. 

Bakugou richiuse l’ennesimo cassetto con uno sbuffo, voltandosi verso di lui, le mani sui fianchi. 

«Mi servono le chiavi dell’ufficio di Endeavor. Mi ricordavo fossero qui» e col pollice indicò il mobile che aveva appena cercato di sventrare. 

Dopo un iniziale sbattere di palpebre perplesso, Shouto corrugò la fronte, cercando un indizio nell’espressione blanda e troppo ricca di menefreghismo di Katsuki. 

«Le ho spostate.»

«Fantastico» ribatté l’altro, alzando il palmo. «Cacciale fuori così tolgo il disturbo.»

«No.»

Non ci fu bisogno di mettere a parole quello che Todoroki voleva in cambio. Bakugou sbuffò con forza dalle narici, valutando i pro e i contro. Non molti a suo favore, ma non perse altro tempo a discutere o con preamboli inutili.  

«Primo, non mi farai domande.» 

Dettare le condizioni fu il suo modo per capitolare. Che avesse iniziato a contare dal dito medio fu un’altra questione. 

«Secondo, non ti far saltare in mente di immischiarti. Per nessun motivo e in nessun caso.»

«Non mi stai invogliando a darti le chiavi.» 

«Terzo» sottolineò Katsuki a voce ferma per ignorare l’interruzione, levando l’ultimo dito. «Mi coprirai qualsiasi cosa succeda. Sarai il mio contatto di emergenza.» 

Shouto fu preso in contropiede e seppe di dover pensare alla svelta.

Il suo intuito aveva compreso cosa quelle affermazioni comportassero, ma la sua mente perseverò nel tendersi per voler raggiungere il quadro nascosto da Bakugou. 

«Prendere o lasciare. Un altro modo per entrare nell’ufficio di Endeavor lo trovo.» 

«Va bene» accettò Todoroki con una vena di astio e frustrazione, ma anche qualcosa che gli fece correre il sangue per quell’ultima richiesta. «Accetto, ma ho due condizioni anche io.»

«Non è negoziabile.»

Todoroki si strinse nelle spalle, prima di fare un gesto plateale e indicargli la porta. 

«Allora mentre tu vai in Agenzia, io chiamo mio padre per avvertirlo che qualcosa nel suo ufficio ti interessa particolarmente.» 

«Che stronzo!»

«Hai iniziato tu.»

Sulle labbra di Bakugou si aprì un ghigno nel mormorare un’imprecazione. 

«Falla breve, che vuoi?»

«Mi manderai un messaggio ogni giorno. Scegli tu il contenuto, non mi importa. In più, mi risponderai quando sarò io a contattarti. Se mi ignorerai o non avrò tue notizie entro sei ore, verrò a cercarti.»

Tornarono a scrutarsi come due lupi che non avevano gradito l’invasione del territorio l’uno dell’altro. Sorprendentemente, il primo a rinunciare fu Katsuki, infilandosi la mano in tasca e tirandone fuori il cellulare. Due secondi e quello di Shouto squillò per una notifica. 

 

Oggi | 23:02
God Dynamight
🖕🖕🖕

 

«Preparati a riceverli tutti i giorni e fatteli andare bene.» 

Shouto roteò gli occhi, mettendo via il telefono. Si voltò e andò in cucina, per tornare con un portachiavi tra due dita, da cui pendevano alcune chiavi, una pennetta USB e una tessera magnetica. 

«Andiamo?» 

Bakugou neanche ci provò a dirgli che non era stato invitato. 



 

* * *



 

La notte intorno all’Agenzia di Endeavor era pacifica come la presenza rassicurante del palazzo prometteva. Ad accogliere i due fu un lungo fischio e una Hero che non poteva mascherare del tutto i propri capelli fiammeggianti.

«Wow, addirittura il figlio del Capo! Era lui il tuo passepartout!?»

«Non era previsto» replicò a denti stretti Bakugou, abbassandosi la mascherina quando fu davanti all’ingresso. 

«Burnin’... cosa fai qui?» Todoroki fu l’unico davvero sorpreso. 

«Qualcuno» e la donna assestò una gomitata nel fianco di Bakugou, facendolo imprecare, «mi ha pregata per un favore eeeenooormeeee. Si è presentato da me con due casse di birra ultra pregiata, ma, se spera che basteranno per quello che mi ha chiesto, sta fresco!»

«Ce la fate a fare meno casino e a muovere il culo!? Voglio andare a dormire. E non ho pregato nessuno

«Perché sei venuto a cercare le chiavi da me se hai contattato la senpai? Anche lei può entrare nell’ufficio di mio padre.»

Nel mentre, avevano varcato la soglia, si erano fatti riconoscere dalla sicurezza robotica e si erano avviati verso gli ascensori. 

«Oh, non ti ha detto quello che ha in mente!» ridacchiò l’eroina, fissando con un sorriso da stregatto Dynamight, messosi in un angolo a imprecare per conto proprio intanto che risalivano i piani, mai troppo velocemente. «Lo vedrai a breve. Poteva chiedermi solo un favore e già non sarà in grado di ripagarlo.»

«Taci. Non lascio debiti in giro.» 

Il ding di arrivo, con tanto di voce pre-registrata, riecheggiò per l’ambiente semivuoto. Burnin’ fu così gentile da aggiungere un extra al proprio favore inventandosi una scusa con quelli del turno di notte per giustificare la loro presenza, mentre Bakugou e Todoroki si avviavano alla porta dell’ufficio di Endeavor. 

Una volta che furono tutti e tre dentro, Katsuki non perse tempo a buttare via definitivamente mascherina e cappello da baseball per avviare subito il computer. 

«Vedete di non toccare nulla che non serva. Se il Capo noterà qualcosa e farà domande, io risponderò» li mise in guardia l’eroina, senza perdere il proprio entusiasmo, quasi auspicasse un’eventualità del genere. 

«Seh, seh. Facciamo una cosa veloce» latrò Bakugou, scostando la poltrona girevole gigante e invitando Burnin’ a sedersi con un gesto secco. 

«Che signore che diventi quando ti serve qualcosa» celiò lei, sprizzando quel suo buon umore ricattatorio insieme a qualche scintilla dei propri capelli fiammeggianti. Una volta che iniziò a digitare sulla tastiera, accompagnandosi da sola con un motivetto a labbra unite, immettendo password, aprendo determinati programmi e pagine di browser, finalmente Todoroki mise insieme i pezzi. 

«Ti serve un alias per andare sotto copertura?» 

«No, sono qui per vedere le foto di te che Endeavor conserva nel pc» ringhiò Bakugou, lanciandogli un’occhiataccia dall’altro lato della poltrona. «Quando fai così non capisco come faccio a tollerarti.»

«Che sagome che siete!» berciò Burnin’, ridendo sgraziata, ma senza mai smettere di digitare. «Avete mai pensato di fare coppia anche fuori dal lavoro?»

Entrambi si tapparono la bocca e lei stirò un sorrisetto mefistofelico. 

«Scherzavo» ma non lasciò margine per rilassarsi. «Lo so già quello che combinate, siete così ovvi. Solo il Capo non se ne è accorto. Che tenero.»

Todoroki arrossì appena, anche mantenendo la propria maschera di serietà. 

«Basta con le chiacchiere inutili.» 

«Certo, certo, come desidera God Dynamight» scherzò Burnin’, ma terminò di digitare e si aprì davanti a loro uno schedario con file di finte carte di identità prive di foto. Cliccò sulla ricerca e si scrocchiò le dita. 

«Allora, chi ti serve di diventare? Un avvocato? Un manager? Un impiegato delle pulizie? Di recente ho aggiunto qualcosa di più hot come gigolò o poledancer. Non si sa mai!»

«Basso profilo. Qualcuno che passi inosservato.»

Burnin’ increspò le labbra con un mmmh meditabondo, aprendo la lista dei filtri e iniziando a includere o escludere varie opzioni. 

«Lo sai che la tua presenza grida tutto meno che non guardatemi da un chilometro di distanza?» 

«Fai troppo casino per passare per una persona qualunque» si aggiunse Shouto, parafrasando involontariamente la senpai e lanciando al collega un’occhiata che voleva sottolineare una constatazione, ma che Katsuki prese in pieno come una provocazione.

«Ha parlato il bastoncino di zucchero! Fate silenzio o vi ammazzo!»

«Come volevasi dimostrare» ridacchiò la donna, avviando una nuova ricerca. I risultati si dimostrarono ancora parecchi, ma tutte le professioni altisonanti erano sparite dall’elenco. 

«Vediamo… abbiamo nettezza urbana, classico disoccupato, custode, tuttofare per i forni notturni, guardia di sicurezza per depositi esplosivi… ah ah, questo lo avevo inserito pensando proprio a te!»

«Leva qualsiasi riferimento alla sicurezza.»

«Vaaa bene… quindi. Stagista per un giornale o blogger? Ti potrebbe servire per infilarti in qualche party o società losca. No? Poi, tolettatore per animali dello zoo… no, direi di no. Uh, questo invece era stato pensato per te, Shouto: modello alle prime armi! Se mai volessi provare altro nella vita!» 

Todoroki replicò con un Grazie di circostanza. 

«Guarda questo, Bakugou: barman! Che ne dici? Tutti parlano sempre con l’oste! È una miniera di informazioni e posso insegnarti a miscelare due o tre cocktail! E in livrea staresti uno schianto!»

«Non ho tempo di imparare» tagliò corto l’Hero, levandole il mouse e scorrendo la lista da sé. Burnin’ si mise comoda, dondolando appena nella poltrona dove sembrava una bambina rispetto alla stazza che la occupava di solito. 

«Immagino tu sappia dove ti vuoi infiltrare, sì? Questi avranno un target lavorativo… O hai deciso di impiegare le tue ferie per qualche esperimento sociale?»

«Niente domande.»

«Shouto, di preciso, cosa ci trovi in lui? È solo bravo a letto o delle qualità ce le ha?» chiese Burnin’ senza neanche cambiare tono, ma fissando Todoroki sinceramente incuriosita. Quest’ultimo si strinse nelle spalle. 

«Eccolo. Potete finirla di fare salotto. L’ho trovato.» 

«Vediamo, vediamo…»

L’eroina si riavvicinò alla scrivania, consultando la scheda. 

«Autista, eh? In effetti è un lavoro che passa abbastanza in sordina…» commentò, facendosi seria, mentre anche Shouto si chinava per leggere i dettagli. «Bisogna aggiungere tutti i documenti relativi alla guida e ai mezzi guidabili. Questo alias è un po’ vecchiotto, era stato pensato per una missione di Endeavor - tipo dieci anni fa? - e il cv è pieno di esperienze che un ragazzino di ventitré anni non potrebbe aver fatto.»

«Togli il superfluo. Mi basta la certificazione base. Scrivi che ho lavorato per privati e aggiungi un brutto incidente e una degenza in ospedale di qualche mese, con annessa perdita di lavoro.»

«Wow! Hai le idee chiare o stai improvvisando?» 

Bakugou fece schioccare le dita, provocando un paio di scintille. 

«Poche chiacchiere. Mi serve questa roba al più presto.» 

«Allora vammi a prendere una birra mentre ti aggiusto il tuo nuovo curriculum!»



 

Venti minuti più tardi - e una bottiglia in mano a testa - stavano rileggendo da capo, per l’ultima volta, vita morte e miracoli del neonato Inoshiro Kaji

«Ricapitolando» Burnin’ si stiracchiò nel dirlo. «Hai avuto il sangue caldo fin dalle medie, finendo in più di una rissa, e sei stato arrestato due volte al liceo per aver mandato in ospedale dei compagni. Sei stato poi reintegrato nella società tramite servizi per la comunità, facendo principalmente consegne. A diciotto anni hai preso la patente per continuare con questo lavoro, finché non sei stato assunto come autista da una piccola azienda. Un giorno hai avuto un colpo di testa e hai tentato di derubare un manager. Nella fuga sei finito falciato da un camion. Quattro mesi di ospedale, quattro di riabilitazione e ora elemosini lavoretti qui e lì, sempre come autista… sei stato pizzicato un paio di volte in fight club clandestini, ma sei sempre riuscito a dartela a gambe nella confusione generale. Hai un comune quirk esplosivo di piccola gittata - questa poi, vorrei vedere come ti limiterai!»

C’era più una curiosità deliziata che vero scetticismo nella sua voce, quando concluse di leggere il background dell’alias.

«Sicuro che questo ti suoni come basso profilo? Perché mi sembra ci siano tutte le basi per una vita da criminale.» 

Katsuki si scolò le ultime due dita di birra rimaste, ghignando. 

«È perfetto.»

Burnin’ fece spallucce. Todoroki si fece venire più di una ruga in mezzo alla fronte, ma non aggiunse nulla. 

«Allora andiamo avanti. Step due: Shouto scattagli quattro foto contro quella parete lì. Davanti, dietro e due per ambo i profili. A mezzobusto.»

Una volta caricate le immagini sul pc, la donna lanciò un secondo programma che iniziò ad analizzarle e marcare di punti la figura di Bakugou, soprattutto il viso, realizzando un modello 3D molto fedele. 

«Non che si possa fare granché per rendere la tua faccia da schiaffi meno riconoscibile… per cominciare, potresti tagliarti i capelli o aggiungere delle extension… tipo così.» 

Qualche click alle opzioni e nelle fotografie il taglio cambiò più di una volta, mostrando diverse possibilità. Todoroki tossì un paio di volte, nascondendo un sorrisetto divertito su alcuni tagli particolarmente audaci. Katsuki non ci trovò nulla per cui ridere. 

«Falli neri e basta.»

«Uuhh… emo style? Attento alla ricrescita!» 

Pochi secondi e il Bakugou scocciato delle fotografie li fissò con una zazzera appena intinta nell’inchiostro di china. 

«… Contento tu. Vuoi cambiare anche gli occhi? Ho delle lenti a contatto programmabili per il colore e che possono registrare fino a un’ora con un comando vocale predefinito. Tu dici Surprise, motherfucker e parte il rec. È ottimo per-» 

«Lascia perdere, non mi serve. Rendimi meno riconoscibile. Deturpa la faccia come se il camion lo avessi preso frontalmente.»

Burnin’ lo fissò scettica, inclinando la testa. 

«E come pensi di spiegare quella faccia liscia come una pesca? Stai per infiltrarti in una di quelle sette di guarigione miracolosa?»

Katsuki si premette le dita sugli occhi, rovesciando la testa all’indietro. 

«Puoi farlo e basta senza fare domande?» 

«Se lo chiedi per favore… Intanto dammi il cellulare, devo installarti i programmi di criptazione. Le credenziali si genereranno sullo schermo una volta sola per un minuto al primo riavvio, vedi di ricordartele perché se no finirai a usarlo come fermaporta. Dimenticati i backup. Se venisse inserita una password errata tutti i dati verranno cancellati. Quindi se hai delle foto compromettenti di Shouto salvale ora.»

«Senpai-!» 

«Seh, capito. Installa e via.»

Burnin’ collegò il cellulare al computer e fece partire un nuovo programma.

«Avrai installata la vpn dell’Agenzia. Se farai gli accessi ai nostri database o a quelli della Polizia, oltre alle tue credenziali base, il sistema ti chiederà anche un codice extra che ti darà un ingresso fantasma per circa un’ora. Vedi di fare ricerche mirate, perché non potrai riaccedere se non dopo tre ore. Niente screenshot o copia e incolla delle informazioni.» 

«Chiaro» replicò Katsuki, rispondendo con un’occhiata annoiata a quella contrariata con cui Todoroki continuava a fissarlo. «Niente perdita di dati sensibili nel caso qualcosa vada storto.»

«Non ti dico che il cellulare potrebbe autodistruggersi… ma quasi!» rise Burnin’ senza smettere un attimo di digitare e sistemando più cose insieme. «A proposito, per il resto del mondo, Bakugou Katsuki dove sarà?»

«Santa Monica, California.» 

«Quindi finalmente le tue ferie avranno un senso! Era il posto dove sei stato per quel tirocinio?» 

«Hai finito?» sbuffò Dynamight. «Quanto manca?»

«Stai calmo, surfista. Dovrai pazientare comunque fino a domani a pranzo per avere i documenti completi. Ma in quanto a Picasso dovrei esserci, che dici? Forse è più un Goya

Dallo schermo, il volto digitalizzato di Bakugou era attraversato da più di una brutta cicatrice e ustione. Chiunque lo conoscesse, con un leggero sforzo, avrebbe potuto ancora dire chi fosse. Tuttavia, a un occhio esterno… 

L’eroina alzò il palmo e Katsuki le diede il cinque.

«È perfetto» ribadì, guardando il suo gemello dai capelli mori passato in un tritacarne. Inoshiro Kaji, un nome di merda, ma si sarebbe abituato presto. «Girami il modello 3D per mail.»

«Che ci devi fare? Va bene, va bene, niente domande» sbuffò Kamiji, alzando gli occhi al soffitto. «Allora questo è quanto: entro domani mattina l’alias diventerà a tutti gli effetti una persona reale. Ti ho creato una casella di posta sul cellulare dove riceverai le comunicazioni burocratiche e un botto di finte email giusto per riempirla se qualcuno dovesse riuscire a ficcanasare - ma in quel caso, abort mission, chiaro? Se bucano il sistema di sicurezza di questa Agenzia siamo fottuti e - Shoto, copriti le orecchie - Endeavor ci inculerà tutti.»

«Sarà fottuto chi ci proverà tramite il mio cellulare. Altro?»

«Oh, , una montagna di altre cose e protocolli che ti manderò a breve per email. Leggiteli stanotte come favole della buonanotte mentre io finisco qui. Devo renderti credibile al mille per mille!» 

«Grazie.»

Burnin’ si bloccò dal digitare e si voltò a fissarlo a bocca larga, per poi cercare Shouto con lo sguardo. 

«È davvero qualcosa di importante! Oddio, ma devo preoccuparmi?»

«Benvenuta nel club» replicò Todoroki, con del livore a rosicchiarne il tono piano.

Bakugou roteò gli occhi. 

«E questa chi te l’ha insegnata, Scemo a metà? Smettila di tenere il muso e andiamo, devo passare in un konbini

Nel dirlo, riprese tutte le proprie cose, bottiglie di birra incluse per buttarle nel primo cestino fuori dall’ufficio di Endeavor.

«Ehi, ehi, ehi! Aspetta un attimo!» 

Burnin’ saltò in piedi, avvicinandosi con irruenza. La differenza di altezza tra loro era variata molto dalla prima volta che Katsuki aveva messo piede in quell’Agenzia per un tirocinio all’epoca della Yuuei, ma questo non aveva mai impedito alla donna di guardarlo dall’alto in basso, fosse anche usando il proprio quirk. 

«Se ti fai ammazzare vengo a bruciarti il culo, intesi?»

Bakugou ghignò. 



 

* * *



 

«Se mia madre dovesse passare a mollarti della verdura o qualche diavoleria, dille di smetterla di preoccuparsi.»

«E quali parole dovrò usare di preciso?» 

Bakugou arrestò di colpo la camminata, facendo in modo che Todoroki lo urtasse, non fermandosi in tempo. 

«Vedi di farti passare l’incazzatura verso di me.»

«No.»

«Non era una richiesta» ringhiò Katsuki, voltandosi a guardarlo. Constatò come Shouto mostrasse ancora la stessa espressione ostile da quando la storia dell’alias si era concretizzata. Era come un fottuto cane che gli stava mordendo l’orlo dei pantaloni. 

«Hai intenzione di non dire niente ai tuoi?» cambiò discorso Todoroki, o meglio, lo peggiorò. «Se dovesse succederti qualcosa, dovrò riferirgli che mi hai impedito di sapere cosa stessi combinando?»

«Quanto sei melodrammatico, Cristo.»

Bakugou riprese a camminare, arrivando davanti al market ventiquattr’ore che stava cercando. Entrò senza guardarsi intorno, prese un cestino e puntò direttamente al reparto che gli serviva. 

«Allora?»

Todoroki gli era di nuovo alle calcagna. Katsuki finse indifferenza, quasi di non conoscerlo, almeno dai gesti con cui frugò tra i prodotti da bagno, buttando tutto il necessario nel cestello. Inclusa la tinta nera.

«Allora cosa, Ghiacciolo Caldo?»

«Cosa dovrò dire ai tuoi?»

«Gli parlerò io domani mattina, quindi stai a cuccia.» 

La risposta provocò l’effetto contrario. Shouto si indispettì maggiormente, sembrando nell’espressione sempre più simile a un bambino. Un bambino corrucciato che si stava preparando a salutare qualcuno senza sapere quando lo avrebbe rivisto. 

Raramente i palmi delle mani sudavano a Todoroki, ma quella notte si ritrovò a strusciarseli nervosamente sui pantaloni. 

«Katsuki.»

Bakugou si fermò, ma senza voltarsi. Escluso il sonnacchioso commesso in cassa, erano solo loro e qualche telecamera. L’ultimo momento in cui il mondo avrebbe potuto ricercare l’Hero Dynamight per molto tempo sarebbe stato in quelle registrazioni di sorveglianza e nello sguardo dell’altro eroe al suo fianco. Ciò che si dissero, tuttavia, rimase impresso solo a Shouto. 

«Chi hai incontrato in quei vicoli a Wasuno?» 

Bakugou si lasciò sfuggire l’inizio di una risata che finì ad avere la consistenza di uno sbuffo ironico, di autocommiserazione. 

«Anche se te lo dicessi non farebbe differenza. Non sapresti nulla di più di quello che sai ora.» 

Nonostante l’insensibilità che componeva la frase, Todoroki trovò qualcosa di molto diverso nel tono. C’era della stanchezza - dell’arrendevolezza - che gli rubò un battito in più nel petto. Percepì anche del tepore in mezzo alle sillabe, un calore lieve, lo stesso che aveva provato il giorno in cui aveva riallacciato i rapporti con sua madre. 

Speranza?

«Te lo dico in breve, una volta per tutte.» 

L’Hero guardò di fronte a sé, ma Shouto capì subito che non stesse rivolgendo l’attenzione a niente di presente. 

«Ho perso qualcosa molto tempo fa. Sto andando a recuperarlo.» 

«Bakugou, io posso-»

Non finì la frase perché la vista gli venne oscurata. Il cappellino da baseball di Katsuki gli era appena stato infilato a forza in testa con una risatina. 

«Mi sono stufato di portamelo appresso. Tienimelo finché non ritorno e vedi di non perderlo, è un ricordo della California. E dagli una lavata, non voglio ritrovarmi i tuoi capelli male assortiti tra i miei.»



 

I found a ghost of the past, a memory that last
Seems like yesterday that we had it made
But this is not the way that we had planned
And start to understand what happened

To all the times and all the places
I guess it's time, I need to face this
You're not here
But you've never been so close so that's why I say

That I won't let go, oh no, oh no
All the memories we hold, oh no, oh no
Teach me how to go on without you
And I swear I won't let go, oh no, oh no

[Won’t let go - Fivefold]





 

FINE
Prima Parte



 

Grazie della compagnia, lettori e commentatori ❤️

Sono a malapena sei mesi che sono finita dentro My Hero Academia e già chiudere una mini-long è tanto, tanto soddisfacente. 

Col senno di poi, si potrebbe dire che Wrong Heaven sia la macro introduzione a quella che sarà la “ciccia” in Right Hell. 

Avrei un po’ di note di cui mi piacerebbe parlare… tipo il ribaltamento di una battuta così importante in BNHA (quella di Izuku a Katsuki nella vicenda del primo cap contro il villain di fango), o il rapporto TodoBaku, o ancora di come io ami Burnin’ e mi sia divertita da matti a scrivere la parte con lei (ps: nel tempo libero lei si inventa tonnellate di alias, poi magari ne useranno 3 tutto l’anno…). 

Starei qui tre ore a riempirvi dei miei processi mentali e fangirlici. 

Vi lascio invece con i ringraziamenti e con una preview! 

 

Primo e secondo grazie vanno ad Aredhel e a OdeToJoy.
Ad Aredhel per tante ragioni che sa lei, ma soprattutto perché negli anni mi ha incoraggiato a iniziare sta serie… e mi chiedo se immaginasse che mi sarei infognata in questa maniera poco dignitosa. Ormai ci sono dentro UU/ 

A Ode, la Socia, perché a due ore dall’uscita degli spoiler di questa settimana riusciamo a far combaciare i nostri neuroni nello stesso istante. TVB. E ovviamente perché amiamo quel che facciamo UU plottare forte. 

Ai commentatori di questa storia: Claude1988, Evelyn Hope, Bunnysenzay, notheartbroken, aleinad93, soniacrivellaro, (in pvt) Europa91 e Fairy =)
Lo ripeterò fino a sgolarmi o a farmi dolere le dita: siete stati uno sprint immenso. Leggere i vostri commenti ha salvato più di una giornata (suono melodrammatica? chissene). 

Grazie anche a tutti i lettori silenziosi e a chi ha lasciato un kudos *love* Se vi va di battere un colpo in privato mi trovate su Twitter e IG come @/enerimess ;) 

 

E quindi… arrivederci con il seguito: On the right side of Hell

 

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