We want to live

di Darty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47 ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48 ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49 ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50 ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51 ***
Capitolo 52: *** Capitolo 52 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


I bless you madly,
sadly as I tie my shoes
I love you badly,
Just in time, at times, I guess
Because of you I need to rest
Because it’s you
that sets the test
(David Bowie, Cygnet Committee)
https://www.youtube.com/watch?v=OKMSgZo9c8s
 
 
 

Colonnello sveglia, è arrivato il vostro attendente!”
Un uomo incappucciato gettò nella cella André, ferito e malconcio, mentre altri due sgherri lo colpivano alle reni con l’elsa della spada. Sbarrarono la porta, ridendo sguaiatamente.
La cella era stretta ed umida, la volta a crociera alta, nessuna bocca di lupo, nessuna feritoia, nessuna fonte di luce naturale. Un po’ di paglia gettata in terra. Un lume ad olio sulla sommità, a rischiarare appena l’oscurità, per controllare i prigionieri.
Oscar giaceva immobile. In un angolo. Raggomitolata su di sé.
André disperato si avvicinò: “Oscar, sono qui, sono io, sono qui io ... sei ferita?”
André non riusciva a trattenere le lacrime silenziose ma dolenti... mentre l’occhio sinistro, coperto da una benda nera ormai malconcia, bruciava. Ma non era quello a farlo disperare. Oscar non rispondeva.
Una ferita profonda alla tempia destra aveva imbrattato di sangue i capelli biondi. Le scostò i capelli. Un lieve bacio. Strappato un lembo dalla propria camicia, l’aveva bagnato con un poco d’acqua dalla ciotola lì vicina ripulendo la ferita. Passarono interminabili minuti. Oscar gemeva, ma non si destava.
Nel sonno malato che l’aveva colta,  Oscar sognava. Il cavaliere nero si avventava su di lei sguainando la spada, le feriva l’occhio destro con la lama. Mentre si teneva il volto con le mani, prima che il cavaliere nero le desse il colpo di grazia, André accorreva  furioso e li raggiungeva;  proteggendo il corpo di Oscar con il proprio veniva colpito a morte dal cavaliere nero. Ed agonizzando le sussurrava: “sono contento che sia successo a me e non a te Oscar....davvero ... io ti amo, ti amerò sempre e per sempre.”
 “André no ... non puoi morire adesso no ...” Oscar disperata urlava nell’incubo.
“Shhhh sono qui Oscar sono qui, vicino a te ... non ho nessuna intenzione di morire””.  Si era svegliata, gli occhi sbarrati, la dannazione nel cuore. Poi l’aveva visto. L’occhio verde brillante di lacrime, il ciuffo di capelli neri come l’ebano a coprire una benda nera sull’occhio sinistro ... dolorosamente si ricordò della ferita subita da André per colpa sua, solo per colpa sua. Si rammentò di essere stata catturata sì...ma lui era lì, André era lì, il respiro lieve vicino a lei, vivo; le sfuggì un sorriso.
André la strinse fra le braccia, rinfrancato, non poté trattenersi, un bacio, due, una infinità di baci sulla testa bionda. “Cosa ti hanno fatto Oscar, come ti senti?”
André sei tu ... sei tu, mio Dio, André ... nulla, nulla di grave, ora ci sei tu, ora sto bene. Ma tu .... come ti hanno catturato ... l’occhio .... come stai”?
“Mancavi da casa da due giorni, ma io maledizione a me deliravo per la febbre, non lo sapevo... nessuno mi ha avvertito. Solo la nonna stamane. Ma stai tranquilla ...” proseguì sussurrando “siamo venuti a cercarti, Girodelle, io ed anche...Fersen, era disperato anche lui per te, lo sai, ci tiene a te ...ci siamo divisi per cercarti, ma lo sanno, lo sanno che ero venuto a cercarti qui a Palazzo Reale, ci troveranno vedrai ...”
Oscar ascoltava  e pensava: ”Fersen il suo migliore amico (ma davvero era lui il suo migliore amico?) ...disperato ... “ era grata ma, ....  strano...non le importava. Le importava solo che André fosse lì, abbracciandola stretta.
Tu tremi Oscar, hai freddo... maledetti....aspetta...”. Tolta la giacca l’aveva appoggiata sulle spalle di Oscar. Fu allora che si accorse che la camicia era strappata e che si intravedevano le fasce che stringevano il seno. Distolse lo sguardo...”aspetta Oscar indossala, indossa la mia giacca, ecco, così, starai più al caldo”.
Ma lei più al caldo non ci stava, che per togliersi e farle indossare quella giacca -  che anche se era quella del finto cavaliere nero pure profumava di buono, di muschio e sapone, di André -  aveva dovuto sciogliere quell’abbraccio e lei già si sentiva persa.
Ma poi lo guardò. Guardò la tenerezza nel suo sguardo e risoluta pensò che dovevano salvarsi,  che doveva salvarlo.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


And my eye sockets empty
See nothing but pain
I keep having this brainstorm
About twelve times a day
So now, you could spend the morning

walking with me, quite amazed
 
(David Bowie, Unwashed And Somewhat Slightly Dazed)

https://www.youtube.com/watch?v=lgZoADSZFYo&list=PLfIDINzT3xf3SW7V0_hflIIDcjKJ4oeHx&index=2



Ma poi lo guardò. Guardò la tenerezza nel suo sguardo e risoluta pensò che dovevano salvarsi,  che doveva salvarlo

Eppure solo pochi giorni prima...pochi giorni prima aveva dubitato di lui. Aveva sospettato che fosse il cavaliere nero. Lui le aveva raccontato di un popolo che non tollerava più di essere sottomesso e sfruttato, di uguaglianza e libertà,  e lei, lei gli aveva rinfacciato di non essere un nobile.

E lui, lui come aveva reagito? Per aiutarla nell’impresa di catturare quel Robin Hood improvvisato, aveva indossato le vesti del falso cavaliere nero al posto suo.

Avevano corso di festa in festa a rubar gioielli, quasi quasi era stato divertente.

E mentre all’alba tornavano a casa, i cavalli al passo, le spalle curve, stanchi, lui le  declamava le parole di Rousseau.. “Trovare una forma d’associazione che difenda e protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, e per la quale ciascuno, unendosi a tutti, tuttavia non obbedisca che a se stesso, rimanendo così libero come prima. Questo è il problema fondamentale di cui il contratto sociale offre la soluzione”. Che pazzia.

Già che pazzia. André aveva indossato le vesti del falso cavaliere nero al posto suo, ed al posto suo aveva quasi perso un occhio.  E come se non bastasse le aveva pure detto “Sono contento che sia stato ferito io all’occhio e non tu, credimi Oscar”. Era decisamente troppo.

Lei gli aveva dato del ladro, del bugiardo, del plebeo. Lui le aveva dato un occhio. Sì, era decisamente troppo.

E come se non bastasse non aveva neppure aspettato che André si riprendesse, dopo la febbre che lo aveva colto a causa della ferita all’occhio. Era tornata subito alla sua caccia al cavaliere nero e poi si era trovata a conversare quasi amabilmente con il Duca D’Orleans a Palazzo reale.

E poi. Poi avrebbe voluto ridere in faccia a quei pivelli a cui il Duca d’Orleans faceva da mecenate. Che lei conosceva già tutto di Rousseau, grazie ad André.

Tutto questo pensava Oscar.

Invece André non pensava nulla.
Gli bastava averla ritrovata. Anche se la situazione era decisamente complessa e doveva trovare una soluzione per uscire di lì.

Da quanto non mangi Oscar?”

Oh André cosa vuoi che siano un paio di giorni. Ho bevuto questo sì. Ma mi sono rifiutata di mangiare”.

Oscar”,  rispose André grattandosi la testa e sorridendo sornione, “ io se salto un pasto muoio “. Infilò una mano in tasca, ne trasse un involto di stoffa. “Ecco la mia riserva personale, anche come cavaliere nero la nonna non mi fa mancare nulla. Mangia, ecco, un po’ di pane e formaggio”.

Oscar prese a mangiare metà di quello spuntino. Non volle saperne di privarlo del tutto del suo pasto.

Ascolta André, non c’entra niente il cavaliere nero; sono venuta qui a Palazzo Reale pensando che avesse trovato rifugio qui; ho chiesto udienza al Duca d’Orleans; lui...lui ha fatto finta di aiutarmi. Mi ha presentato ai suoi protetti. Poi mi ha fatto nuovamente convocare con la scusa di mostrarmi la sua collezione di vini in cantina....”

Andrè sollevò le sopracciglia e stava per spalancare la bocca.

“Sì sì non dire nulla André, lo so che sono stata una sciocca ingenua...  se ci fossi stato tu con me, non sarei caduta nel tranello” aggiunse, le guance appena imporporate.

“Due suoi sgherri ed un uomo incappucciato mi hanno catturato e portato da lui; poi mi ha detto che eravamo seguiti, che sa dove nascondiamo i gioielli sottratti alle feste. Ha provato a ricattarmi. Gli ho riso in faccia, qualcuno alle mie spalle mi ha tramortito colpendomi in testa con il calcio di una pistola, a tradimento.”

Maledetto la pagherà, giuro che la pagherà, per quello che ti ha fatto, mille volte pagherà per ogni goccia del tuo sangue, per ogni tua lacrima

oh André,........ma tu,  tu perché sei finito qui, vestito da cavaliere nero?”

Perché  sono uno stolto  Oscar, pensavo di intrufolarmi qui dalle scuderie, spacciandomi per lui, sapevo che eri stata  qui per cercarlo,  ma qualcuno mi ha scorto ed ha allertato le guardie di palazzo, avevano ordine di catturarlo il cavaliere nero ... erano in cinque Oscar...ne ho tramortito un paio ma non c’è l’ho fatta, senza di te,  mio Colonnello,  non c’è l’ho fatta. Mi hanno portato dal Duca d’Orleans e quando mi hanno tolto la maschera, quello mi ha riconosciuto, ha capito che ero il tuo attendente Oscar. Gli ho giurato che tu non ne sapevi nulla, che io ti avevo tradita. Si è messo a ridere. Ha detto che aveva già trovato il modo di screditarti o di liberarsi di te, che sapeva già tutto, che tu eri già cosa sua... ha detto così Oscar. Ti ha ricattato Oscar? cosa vuole da te?”

Oscar sollevò la mano destra, accarezzò lieve la guancia sinistra di André.  Pungeva un cenno di barba. Era il tramonto. Anche se la luce non arrivava là sotto, sapeva che era il tramonto. E non solo quello.


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


  
These are the prisons,
these are the crimes
Sound of thunder,

sound of gold
Sound of the devil
breaking parole
Ricochet – It’s not the end of the world

 
(David Bowie, Ricochet)
https://www.youtube.com/watch?v=YOKA-e4MWPo
 
 
Oscar sollevò la mano destra, accarezzò lieve la guancia sinistra di André.  Pungeva un cenno di barba. Era il tramonto. Anche se la luce non arrivava là sotto, sapeva che era il tramonto. E non solo quello.

André io...”

“Oscar dimmelo! Cosa vuole da te il Duca d’Orleans? Mi assumerò ogni colpa. In fondo lo possono vedere tutti no? Basta guardarmi! Sono io il Cavaliere Nero. Io, il  tuo attendente, assente a tutte le feste nelle quali sono avvenuti i furti, anche quando tu eri di guardia. E quando l’hai inseguito  e sei stata ferita,  ti è stata risparmiata la vita, perché mai avrei potuto ucciderti, nessuno ne dubiterebbe.”

André non ti ho detto tutto. Non è solo questo. Ti ricordi di un anno fa, quella sera a  Saverne? Non ti ho mai chiesto perché mi avevi disobbedito. La Motte mi aveva quasi soffocato. Ti ho chiamato André, ma non è possibile che tu mi abbia sentito, eri lontano André”.

Oscar io...”

Non voleva confessarle André che quella sera, in un certo istante, il suo cuore era finito in un vortice. Che aveva percepito un dolore ficcante nel fondo delle viscere e che per un attimo gli era mancato il fiato, che aveva corso come un pazzo a rotta di collo, perché nella testa aveva sentito invocare il suo nome. Perché in fondo non poteva mai esserle lontano, nemmeno a leghe di distanza.

“Il Duca d’Orleans mi ha accusato di essere complice di Jeanne: << Jeanne de Valois  era la sorella della vostra protégée.  Immagino che possiate immaginare la fonte sicura di una tale notizia >> Sogghignava mentre me lo diceva.
 << Suo marito, il capitano Nicolas de La Motte,  era stato un vostro sottoposto tra i ranghi delle Guardie Reali. Per giorni gli avete dato la caccia, senza esito. Poi Saverne. Un comandante con la vostra esperienza che entra da solo nel convento, suvvia. “Se sentirete un colpo d’arma da fuoco attaccate pure...ma per il momento questa faccenda riguarda soltanto me; ricordate che è l’unico motivo per cui siete autorizzati ad attaccare e questo è un ordine”. Incosciente direbbe qualcuno. Da presuntuosi qualcun’altro. Noi la pensiamo diversamente.>>.
La collana è sparita nel nulla, nemmeno uno dei diamanti o delle  perle del valore di  oltre un milione di livres è stato mai ritrovato. Neanche i profitti della vendita. Secondo il Duca  volevo riscuotere la mia parte di bottino, liberarmi di complici scomodi, oppure dargli modo di fuggire, facendoli credere morti. << Dopo l’esplosione dalla quale siete uscita miracolosamente illesa non è rimasto nulla del convento, comodo per Voi>> ha aggiunto.”

Non voleva confessargli Oscar, come il Duca aveva concluso la sua accusa, con un sorriso malefico sulle labbra: << E poi quel vostro attendente che disobbedisce agli ordini (quando mai!). Secondo un mio fidato uomo  - e sì anche fra i vostri  soldati qualcuno non vi ama Colonnello -  il vostro  servo avrebbe sentito una richiesta di aiuto (solo lui, c’erano venti soldati là fuori! tutti sordi? ). Accorre in vostro aiuto e vi porta fuori mentre tutto esplode! La conoscete la teoria di Fra Guglielmo di Occam,  Colonnello: frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora. L’unica cosa probabile è che voi e quel vostro servo abbiate messo su una bella messinscena, degna delle migliori rappresentazioni  dell’Opéra reale di Versailles; ed ora col cavaliere nero avete replicato. I miei complimenti “Madamigella Oscar”>>.

Si limitò invece a dirgli: “Il Duca ha messo su un insieme di menzogne contro di me. Non solo Saverne;  anche il Cavaliere nero sarebbe una mia invenzione. Distribuito qualche monile nei sobborghi di Parigi, per creare un falso mito, avrei accumulato un bottino degno di un bandito della peggior specie”.

“Oscar, non abbiamo avuto il tempo di restituire la refurtiva ai legittimi proprietari. Se ci hanno seguiti la troveranno ”.

“Lo so André”.

Furono interrotti dall’irruzione delle guardie. Dietro di loro il Duca D’Orleans.

Bene bene, Colonnello, vi siete ripreso.  Come vedete non sono insensibile, ho fatto in modo che il vostro immancabile attendente venisse a farvi compagnia”, esordì il Duca, avanzando di un passo verso di loro, mentre d’istinto André si parava davanti ad Oscar, per proteggerla, come sempre avrebbe fatto in tutti i giorni della sua vita.

“Allora Colonnello, avete riflettuto sulla mia proposta? Perché in questo momento il Generale Bouillé sta andando a recuperare un certo bottino e chissà che un certo Charles-Auguste Böhmer non riconosca certe gemme”.

André guardò Oscar. Oscar guardò André. Non gli aveva ancora raccontato tutto. Ma non importava. Erano insieme.  

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


If there was only something between us
Other than our clothes
Something in our skies
Something in our skies
Something in our blood
Something in our skies

(David Bowie, The heart’s filthy lesson)
https://www.youtube.com/watch?v=9nNF9aQ_BhE

 
 
 
André guardo Oscar. Oscar guardò André. Non gli aveva ancora raccontato tutto. Ma non importava. Erano insieme.

Erano insieme anche tre mesi prima. Quando Fersen era ritornato dall’America.
Oscar, al colmo della felicità, quasi era inciampata correndogli incontro. Solo André si era accorto di quanto fragile donna si palesasse in quel momento.

Poi il ballo, lo sfarzoso ballo a Versailles.
Oh l’emozione che aveva provato vedendola in cima a quelle scale, avvolta di seta bianca quasi come una sposa.
Non era vestita così per lui, lo sapeva. Ma era stato lui il primo uomo ad ammirarla vestita da donna. Un grande privilegio, aveva pensato: vedere la sua Oscar indossare un abito da  gran sera e poterle porgere il braccio per farla accomodare in carrozza, che a quelle scarpine scomode non era abituata e nuovamente avrebbe potuto, quasi, inciampare.

E sì che André aveva celiato sulla figura esile e magari un po’ rigida che avrebbe sfigurato in un abito lezioso. Su quello si era proprio sbagliato.

Ma non aveva potuto accompagnarla. Carrozza senza stemma araldico. A cassetta Silvain, l’ultimo scudiero arrivato in  casa Jarjayes. Non doveva essere riconosciuta. Il colonnello Oscar François de Jarjayes è un militare, può indossare solo un'uniforme. Non doveva sapersi che si era fasciata in trine e merletti.

Solo che André sapeva.
André sapeva che quell’amore che Oscar provava per Fersen non era ricambiato.
André sapeva riconoscere negli occhi di un uomo il sentimento di amore e passione per una donna. Oscar no, non ne era capace. Anche questo André sapeva, lo sapeva fin troppo bene.
André sapeva che Hans Axel von Fersen non l’avrebbe mai amata veramente, che sarebbe stata solo un inconsapevole ripiego, dall’amore, troppo infelice per essere cancellato,  tra il Conte svedese e  la Regina di Francia.

Non aveva potuto accompagnarla. Con lui l’avrebbero riconosciuta. Era un ordine.

Ora André stringeva fra le dita un calice di vino, che non aveva bevuto. Il fuoco ardeva vivace nel caminetto, ma quella notte improvvisamente gli si era gelato il sangue nelle vene. Oscar non era ancora tornata. La carrozza condotta da Silvain non era ancora tornata.

Aveva di nuovo disobbedito alle consegne, al galoppo era andato a cercarla.

Oh il terrore che aveva provato scorgendo, ai piedi della fontana di Latona, un lembo di stoffa della stessa seta bianca del suo vestito, fradicio d’acqua e forse appena macchiato, lievemente macchiato, di qualcosa che l’acqua aveva quasi lavato via ...

Sapeva di dover cercare aiuto, alle scuderie aveva visto Silvain che dormiva della grossa avvolto a cassetta in una coperta.

Ma sapeva anche cosa Oscar non avrebbe voluto: un militare non può mostrare al mondo la sua fragilità.

Ed allora l’aveva cercata da solo, correndo a perdifiato, guidato da un lamento nella sua testa.
E poi l’aveva vista, un baluginare bianco nel mezzo del Bosquet de la Girandole, i capelli arruffati e gli occhi umidi  d’acqua e di lacrime, come una bambina sorpresa da un temporale.
Non piangeva così per lui, lo sapeva. Ed anzi mai lo avrebbe voluto André, che Oscar piangesse per lui.
Gli bastava amarla silenziosamente. Cercando di nasconderlo, quando ci riusciva.

Oscar l’aveva visto e cercava di allontanarsi, ma si era inciampata, per quelle scarpine zuppe di fango che l’avevano fatta scivolare. Ed allora era corso da lei, dalla sua Oscar. L’aveva sorretta, porgendole le mani, lei che la  testa china aveva appena sollevato, mentre afferrava le mani di Andrè.

Oh si André aveva celiato sulla sua goffaggine, che Oscar non doveva sentirsi in imbarazzo con lui per avere pianto o per...

Ed ora  poteva riaccompagnarla. In due, in sella al suo cavallo. Di ritorno a casa Jarjayes. A notte fonda. Non sarebbe stata riconosciuta. Ma faceva freddo ed allora si era tolto il suo mantello André e l’aveva posato sulle spalle del colonnello donna, che non indossava una uniforme, ma il mantello di un uomo sì. Su un abito da donna, stracciato.

Silenziosamente l’aveva  ricondotta nelle sue stanze. Aveva ravvivato il fuoco. “Posso fare qualcosa per te Oscar?” Null’altro aveva domandato. Nulla sarebbe stato risposto. Solo un cenno di diniego con la testa, gli occhi bassi. Era uscito ...

All’alba  Silvain aveva cercato invano la sua padrona e non potendo spiegare chi stesse così affannosamente cercando senza disattendere gli ordini, come una furia era tornato a palazzo Jarjayes. Mentre si precipitava in cucina sperando che la governante o suo nipote fossero già svegli per dare l’allarme, aveva visto André che si rigirava tra le dita uno straccio di seta bianca, fradicio d’acqua e forse appena macchiato, lievemente macchiato ...  
E’ tutto a posto Silvain,  Madamigella Oscar l’ho riaccompagnata a casa io, perdonami non ho potuto  avvertirti”.

André prima sapeva ed ora non sapeva più.

Al sorgere del sole era di nuovo al galoppo, diretto a Versailles, a cercare Hans Axel von Fersen.

Il Conte Hans Axel von Fersen.

Che riteneva Oscar il suo migliore amico.

Ora in quel momento, stava pensando agli ultimi eventi. Alla notte del ballo a Versailles di tre mesi prima. Non si erano più visti da allora, lui ed Oscar. Però aveva visto André il giorno dopo. E le parole che si erano detti, il Conte preferiva non ricordarle. Poi quella mattina un André malconcio, con una benda nera all’occhio sinistro, era corso a cercarlo.

Il Conte stava amabilmente conversando con due dame avvolte in abiti dagli ampi panier color malva che parevano gemelle e ridacchiavano fra  loro alle parole del Conte.
Si era sorpreso il Conte di vedere André, apparentemente ferito all’occhio, in disordine come non era suo uso, che a grandi falcate lo stava raggiungendo, di nuovo solo, come quella mattina di tre mesi prima.
Conte vi prego, devo parlarvi in privato”.
Hans Axel von Fersen con un inchino si era congedato  dalle dame,  e condotto Andrè in disparte aveva esordito preoccupato: “Ditemi André, cosa succede e dov’è Madamigella Oscar?”.
Oscar non torna a casa da due giorni Conte. Credo seguisse una traccia per catturare il Cavaliere Nero e si sia recata dal Duca d’Orleans a Palazzo Reale”
Dannazione, e voi André, dov’eravate? ” replicò  il Conte con tono alterato.
Il Cavaliere nero mi ha ferito Conte, sono stato incosciente per due giorni. Accantoniamo la nostra acredine Conte, il Generale Jarjayes non si sa dove sia. Ho bisogno di voi, Oscar ha bisogno di voi”.
Abbassato lo sguardo il Conte aveva risposto: “Voi sapete bene quanto tenga a Madamigella Oscar, André. Ditemi cosa volete che faccia”.

Poi avevano cercato il Capitano Victor Clemente de Girodelle.
Alla notizia della misteriosa scomparsa del suo Comandante, il Capitano aveva sguainato la spada contro un inerme André per avere soddisfazione della sua imperdonabile inettitudine.
Rinfoderate la spada Victor”, lo aveva fermato Fersen, “Madamigella Oscar non ve lo perdonerebbe”.

Ingoiò il suo orgoglio André, strinse i pugni e propose il suo piano.

Il piano frettolosamente congegnato prevedeva che André cercasse di intrufolarsi a Palazzo Reale spacciandosi per il Cavaliere Nero.
Alcuni uomini fidati del Conte avrebbero sorvegliato di nascosto gli ingressi al Palazzo reale.
Se André non fosse tornato entro la compieta, il Conte Hans Axel von Fersen avrebbe chiesto udienza al Duca.
Nel frattempo il Conte avrebbe anche esplorato i quartieri intorno al Palazzo reale, dove disponeva di una rete di conoscenze.
Girodelle con una dozzina di uomini avrebbe perlustrato le strade tra palazzo Jarjayes e Parigi.

Ora le campane dell’Église Saint-Roch stavano suonando la compieta.

Ogni ricerca era stata infruttuosa.

Nonostante l’ora tarda il Conte Hans Axel von Fersen, faceva il suo ingresso a Palazzo reale per farsi annunciare al Duca.
Nelle segrete di quello stesso palazzo, uno sgherro del Duca era corso ad avvertirlo che il Conte Hans Axel von Fersen chiedeva con urgenza di essere ricevuto.
Il Duca non aveva nascosto un moto di disappunto. “E va bene, arrivano rinforzi, ma non illudetevi Madamigella Oscar. Siete cosa mia. Il tempo di liberarmi di quel molesto svedese e tornerò da Voi. E pretenderò una risposta”.

A quelle parole Oscar si scagliò contro il Duca d’Orleans, mentre André a stento la tratteneva per un braccio. Preso alla sprovvista il Duca indietreggiò, cadendo rovinosamente.

“Me la pagherete Colonnello”, sibilò il Duca, mentre si rialzava uscendo dalla cella.

Oscar ed Andrè rimasero soli. Non si dissero nulla. Tra loro le parole non servivano. André l’abbraccio stretta, la testa bionda nell’incavo della sua spalla sinistra. Stettero lì. Immobili. Così. Tutto il mondo fuori.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


It happens today
The damage today
They fall on today
They beat on the outside
And I’ll stand by you

Now. Not tomorrow
 
(David Bowie, Outside)
https://www.youtube.com/watch?v=btodECObTho
 
 
Oscar ed André rimasero soli. Non si dissero nulla. Tra loro le parole non servivano. André l’abbraccio stretta, la testa bionda nell’incavo della sua spalla sinistra. Stettero lì. Immobili. Così. Tutto il mondo fuori.

Il mondo fuori intanto ...

Lo splendente Conte Hans Axel von Fersen stava nervosamente battendo il piede sinistro sul pregiato parquet geometrico della biblioteca del Duca, dove un solerte domestico l’aveva fatto accomodare. Le spalle alla porta, stava attendendo il suo ospite. Si era girato perplesso, non appena quest’ultimo aveva fatto il suo ingresso, apparentemente un po’ accaldato.

Conte Fersen. Orario insolito per chiedermi udienza. A cosa devo questo onore?

Duca, il colonnello Oscar François de Jarjayes è venuta a farvi visita quasi tre giorni fa. Da allora è scomparsa

Vedo che non amate i giri di parole Conte, insinuate forse che sia coinvolto nella sua scomparsa? Nonostante sia una donna, il colonnello è un militare, più che abile a difendersi, e voi sapete bene che gode della protezione della Regina. Chiunque le dovesse nuocere ne subirebbe le conseguenze”.

Essere Gran Maestro del Grand’Oriente di Francia servirà pure a qualcosa Duca, o vi limitate a giocare con squadra e compasso fra di voi?”

Siete insolente Conte. Vi chiedo di andarvene, immediatamente!

Con il dovuto rispetto no, Duca”. Stava impugnando una pistola il Conte, mirando al cuore di Luigi Filippo d'Orléans. “Ora voi mi condurrete da Madamigella Oscar. E dal suo attendente, che oggi si è recato qui a cercarla e non è più tornato”.

Fu in quel momento che dalla boiserie in  legno della biblioteca una porta segreta si aprì. Non fece in tempo Fersen a voltarsi. Vide di sfuggita un volto incappucciato ed il calcio di una pistola che lo tramortiva.

“Amico mio, potevate sparare, il Re vi avrebbe ringraziato”.

Vivo ci servirà di più” replicò l’uomo togliendosi il cappuccio.

Vedo che nascondervi vi giova, questo cappuccio calato sul volto vi rende più astuto ed audace del solito!

Non sapete che piaceri immensi mi abbia procurato, ultimamente, agire nell’anonimato mio caro Duca”.

Un paio d’ore prima il Capitano Girodelle, dopo l’ennesima perlustrazione, stava tornando a palazzo Jarjayes per chiedere se ci fossero novità.

Era sinceramente angustiato. E pure confuso perché ultimamente nel suo comandante non vedeva più un militare, ma una donna,  una bella donna, e questo gli rendeva le notti insonni. Era una vita che prendeva ordini da lei. Talora si sentiva ancora umiliato. Anche perché c’era quel suo attendente ... pure lui avrebbe dovuto prendere ordini da lei, e per di più come servo, ma era come se quelli che riceveva non fossero comandi. Quel suo attendente li eseguiva con solerzia e diligenza, come se ogni azione fosse condivisa e non solo ottemperata. Sempre un passo dietro a lei: per rispetto o per scrutarla di nascosto?

Mentre si avvicinava, aveva incrociato il generale Bouillé ed i suoi uomini che si allontanavano dal vecchio mulino ai margini della tenuta dei Jarjayes. Stupito, confidando in notizie sul suo comandante lo aveva inseguito e raggiunto “Qual buon vento vi porta Victor? siete qui a prendere il posto di Madamigella Oscar, finalmente?”. Girodelle aveva nervosamente stretto la mano destra sull’elsa della spada che gli cingeva il fianco. Poi con voce secca: “Cosa state dicendo Generale?”

Sto dicendo che quella donna è fuggita, Capitano. Abbiamo appena recuperato il bottino del cavaliere nero nella sua tenuta. E forse non solo quello. Il Comando delle Guardie Reali è vostro, nel frattempo.  Se saprete farvi valere non dubito che il Re confermerà l’investitura.  Anzi, ecco il vostro primo incarico: il Generale Augustin Reynier de Jarjayes domani sarà di ritorno dalla missione a Le Havre. Al suo arrivo dovrete arrestarlo e condurlo alla Bastille”.

“Generale voi non potete darmi un ordine del genere”, aveva quasi urlato, il Conte Victor Clément Florian de Girodelle.

“Capitano, ho con me la lettre de cachet firmata dal re, per il Generale e per quella sua figlia degenere. Dovete obbedire. E’ un ordine”.

Girodelle aveva abbassato la testa. Non capiva cosa stesse accadendo, ma era meglio che fosse lui ad arrestare il Generale de Jarjayes. Era meglio fingere. E poi intervenire. Al momento giusto. Doveva avvertire Fersen. Al galoppo ritornò a Parigi.

Intanto il mondo di fuori era di nuovo precipitato nella cella. Ma non li colse più abbracciati.

Oscar si era arrampicata sulle spalle di André, aveva spento il lume ad olio che rischiarava la cella. Ed ora, ritta sulle spalle di André, dietro la porta, aspettava il ritorno del Duca d’Orleans. Sapevano di avere poche speranze di riuscire a scappare. Ma dovevano tentare.

Entrò la prima guardia. Disorientata dal buio cercò di capire con la lanterna a mano dove fossero i prigionieri. Poi bestemmiando era entrato un uomo incappucciato che impugnava una pistola e su quello Oscar era balzata addosso, cercando di soffocarlo col suo stesso cappuccio, mentre André con un pugno stordiva la guardia e, strappata la pistola dalle mani dell’uomo incappucciato, la puntava sul Duca d’Orleans, che in quel momento varcava la soglia, accompagnato da un’altra guardia che reggeva una torcia.

Mi deludete  Colonnello, non avete riflettuto sulla mia proposta, quindi? Non vi servirà a nulla, fuggire. Il Re ha firmato la lettre de cachet e vostro padre sarà arrestato al suo ritorno da Le Havre, dove l’ho fatto spedire io, per inteso, troppi Jarjayes dattorno sono fastidiosi. Il Generale Bouillé a quest’ora ha di certo recuperato il vostro  bottino e presto il gioiellere Charles-Auguste Böhmer riconoscerà qualche gemma che componeva la collana dello scandalo. Ah e quanto allo svedese, è tramortito e incatenato nella cella a fianco”.

“Se vi sparo e vi uccido Duca, saremo salvi”, sibilò André, “nessuno crederà al castello di menzogne che avete costruito”.

“Non ne sarei così sicuro, servo. Cosa ne dite Madamigella?”

Oscar a quel punto aveva lasciato la presa sull’uomo incappucciato. Quello si era portato le mani alla gola, tossendo si era tolto il cappuccio. Con gli occhi sgranati Oscar aveva riconosciuto il Duca di Germain, che sorrideva malefico. Il cuore mancò un battito.

André l’aveva guardata, poi aveva abbassato la pistola.

Bene, bene, ed ora parliamo d’affari. Io posso cancellare tutto questo. Posso fare e disfare. Posso tutto ciò che voglio. Posso dire e far dire, provare e comprovare che è stato tutto un terribile equivoco, che l’incorruttibile Colonello è stato vittima di una trappola ordita ai suoi danni, e così per suo padre, così fedele alla Famiglia Reale e pure...per il suo servo, ed il damerino di là”.

“In cambio voglio due cose”, proseguì il Duca.

“La prima la sapete già.
Quanto alla seconda ... Voi conoscete la storia del Conte di Saint-Germain, Madamigella? Non confondetelo con il qui presente Duca mi raccomando! Se ne sussurra  ancora a Corte, anche se sono più di ventisette anni che ne fu esiliato. Ufficialmente risulta morto tre anni fa ad Eckernförde, sul Baltico. Ma ho ragione di credere che sia ancora vivo, alla corte del sultano Abdül Hamid, a Costantinopoli. Lui ha qualcosa che deve restituire alla Gran Loggia di Francia. Voi la recupererete per me.

Accettate?”

A quel punto Oscar, la sventurata, rispose.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Stay away from the future
Back away from the light
It’s all deranged – no control
Sit tight in your corner
Don’t tell God your plans
It’s all deranged
   
 
 
A quel punto Oscar, la sventurata, rispose.

Voi sapete bene che il Generale mio padre non ha alcuna responsabilità, se non quella di avermi generato ed educato. Ma io non sono, né sono mai stata, complice della Valois o del de La Motte. Il mio attendente non è il Cavaliere nero, semplicemente abbiamo teso una trappola al vero Cavaliere nero. E l’abbiamo quasi catturato”.

Oh sì sì, gentile Madamigella” ghignò il Duca “Io vi credo, ma non è quello che sembra.”

 “Perché voi avete manomesso le prove ed alterato i fatti” urlò André scagliandosi contro il Duca.

Due sgherri lo trattennero a forza. Con la mano destra il Duca spolverò la giacca da immaginari granelli di polvere, e poi gelidamente rivolto ad Oscar sibilò: “Sarà meglio che teniate a bada il vostro rognoso cane da guardia, Colonnello, o sarò costretto ad abbatterlo!”

Duca”, intervenne il Duca di Germain “questo piacere lasciatelo a me”. Si volse poi con odio versò André “Servo maledetto ... quel giorno, a Parigi, ti sei permesso di trattenere la tua padrona che pretendeva di vendicare la morte di quel moccioso. L’hai trattenuta per un braccio, come hai osato! oh come mi sarei divertito a sparare anche a te e poi vedere l’effetto che faceva alla contessa De Jarjayes!”.

Oscar abbassò lo sguardo. “Non mi lasciate scelta Duca. Devo accettare. Ma pretendo garanzie”.

Siete divertente Colonnello. Non siete in condizioni di negoziare alcunché!

Dovete liberare il Conte Fersen, dovete liberare il mio attendente e fare revocare subito la lettre de cachet contro mio padre. Ed allora io esaudirò le vostre richieste. Entrambe le vostre richieste.”

André ascoltava, ma avrebbe voluto gridare e sapere cos’altro volesse il Duca dalla sua Oscar, oltre alla caccia ad un vecchio alchimista. E mettere in chiaro che di certo non voleva essere liberato senza di lei. Ma non poteva. Era solo un servo. Un rognoso cane da guardia.

Non funziona così Colonnello. Vostro padre sarà ospite della Bastille fino al vostro ritorno. Voi procacciate quanto richiesto, obbedite, e vostro padre con tutta la famiglia Jarjayes sarà riabilitato. Quanto al Conte di Fersen, lo lascerò andare, non temete, appena sarete partita. Ma dovrà tacere, altrimenti il soggiorno alla Bastille del Generale vostro padre non sarà gradevole."

Non vi credo Duca."

Cosa non credete Colonnello? Che mantenga le mie promesse? O temete che vi abbia mentito sulle condizioni presenti, sullo stato dei fatti insomma? Suvvia non fate quella faccia, sono pur sempre un nobile gentiluomo, e voglio essere magnanimo. Secondo le mie previsioni domani, entro mezzodì, vostro padre sarà tradotto alla Bastille. Farò in modo che il vostro attendente lo possa incontrare lì ed al suo ritorno potrà confermarvi che non millanto, io faccio sul serio."

Il silenzio calò nella cella. Più assordante di una salva di cannoni. Fu Oscar a parlare. “E sia. Ma domani il mio attendente dovrà essere liberato per incontrare mio padre.

Bene Colonnello, e così sia”.

Il malefico drappello lasciò la cella, lasciando Oscar ed André nel buio più fitto. Fu lui ad avvicinarsi ad Oscar, che l’avrebbe trovata anche nell’oscurità profonda di un abisso. Le strinse le mani fra le sue. Erano gelide. Poi Oscar sussurrò: “Ascoltami bene André. Io non so se domani ti libereranno davvero. Probabilmente sarai scortato o quantomeno seguito e sorvegliato. Ma tu devi scappare. Devi scappare, devi metterti in salvo e non devi più tornare qui. Poi dovrai cercare Girodelle, lui troverà il modo di farti parlare con mio padre e di intercedere presso sua Maestà la Regina.”

Oscar”, rispose André “sai bene che se facessi quello che mi stai chiedendo il Duca si vendicherebbe, anzi forse ci sta già mettendo alla prova. E poi anche il Conte di Fersen è prigioniero. Non credo che ci abbia mentito. Potrebbe vendicarsi pure su di lui, non ci hai pensato, Oscar?”.

André”, mormorò Oscar “Tu hai un occhio ferito e devi curarti. Io, io ... non potrei mai perdonarmi se ti succedesse qualcosa di grave. Il Conte di Fersen non corre un pericolo reale, è troppo vicino alla Corte”.

Si stupì, Oscar, di quelle parole. Erano sgorgate genuine dalle sue labbra, e per quanto sinceramente preoccupata per Fersen, era per André che si angustiava. Anche se in quel preciso istante l’idea che lui si allontanasse da lei, la lasciava smarrita. E non era paura di restare sola. Era una sensazione di vuoto incolmabile.

No, Oscar, non se ne parla nemmeno. No, resterò con te, come sempre. Ormai è una vita che vengo con te in ogni occasione. Non posso certo cambiare adesso, ti pare?

Oscar rispose senza parlare. Liberò le sue mani dalle sue. E lo abbracciò stretto. Come faceva da bambina, quando dopo uno dei suoi incubi lo cercava, brancolando nel buio delle stanze di palazzo Jarjayes. E per quanto cautamente avesse aperto la porta della sua stanzetta e silenziosamente si fosse avvicinata al suo letto, lo trovava sempre sveglio. Ad aspettarla. Lo abbracciava stretto ed ogni brutto sogno si dissolveva così, in un istante.

Solo che adesso non riusciva più ad abbracciarlo tutto.

“Raccontami del Conte di Saint-Germain, André”.

Era sicura che fosse informato, perché André era sempre stato assai curioso e spesso  ingannava il tempo leggendo, mentre aspettava che lei finisse le sue interminabili ronde a Versailles.

André non avrebbe voluto dissertare di quello. Voleva chiedere ad Oscar quale fosse l’altra maledetta pretesa del Duca d’Orleans. 

Ma iniziò a raccontare la storia. “Allora Oscar, tutto iniziò nel 1758, quando il Conte arrivò alla Corte di Luigi XV, grazie all’intercessione della Marchesa di Pompadour ...”

Il nuovo giorno li colse abbracciati. Lui con la schiena appoggiata al muro e lei raggomitolata fra le sue braccia. Come due fanciulli.

* * *
Girodelle, intanto, era tornato a Parigi, mentre le campane di Notre Dame suonavano la mezzanotte. Congedati i suoi soldati, aveva cercato gli uomini del Conte Fersen, che gli riferirono che anche del Conte si erano perse le tracce: entrato a palazzo alla compieta, non ne era più uscito.

Girodelle aveva pensato allora di intercettare il Generale Jarjayes alla Porta  di Saint Denis. Ma non si accorse che le spie del Duca d’Orleans, allertate dal Generale Bouillé, lo stavano seguendo.

Fu così che quando all’alba il Generale Jarjayes, con il suo drappello di soldati, attraversò l’arco di trionfo eretto in onore del Re Sole, il Comandante in seconda del Generale Bouillè, arrivò al galoppo esibendo la lettre di cachet, e consegnandola a Girodelle comandò: “Su ordine del Generale Bouillè eseguite l’arresto, Capitano!

Era la fine di ogni ragionevole speranza.
* * *

Quel mattino portarono ai prigionieri  una scodella d’acqua e due tozzi di pan secco. Poi  tornarono per  prelevare André. Alla fioca luce del lume ad olio che i carcerieri recavano con sé, non sfuggì ad André che Oscar aveva gli occhi lucidi. Sperò che non avesse la febbre. Poi Oscar con un filo di voce gli raccomandò “Riferisci a mio padre che mi dispiace, André!”

In una carrozza chiusa avevano scortato André alla Bastille. Entrando nei locali, invero ampi ed abbastanza luminosi, in cui era imprigionato il Generale, venne accolto da Jerome, il suo attendente. Riconoscendo la voce di André,  il Generale, che dalle sbarre di un’alta finestra, stava scrutando accigliato la piazza sottostante, si voltò immediatamente.

André, dov’è mio figlio Oscar?” tuonò. “E’ forse ferito? Perché non sei con lui? Perché porti una benda sull’occhio André?

Generale,  Oscar è prigioniera a Palais Royal ma sta bene,  mi ha chiesto di riferirvi che le dispiace. E’ stata vittima di un macchinazione ordita dal Duca d’Orleans. Per ottenere la vostra liberazione ha accettato le condizioni imposte dal Duca”.

Quali condizioni André? Tutto questo è ridicolo! La famiglia Jarjayes, fedele alla Corona da secoli, accusata delle gesta del cavaliere nero ed addirittura di avere tramato con quella scellerata della contessa de La Motte! Il Duca d’Orleans si vuole vendicare del mio rifiuto di aderire alla Gran Loggia! Mio figlio deve rifiutare questo ricatto! Io saprò difendere me e l’onore della mia famiglia!

Generale, temo che Oscar abbia già deciso. Al termine di questo colloquio mi scorteranno di nuovo da lei a Palais Royal, e partiremo per Costantinopoli, per rintracciare per conto del Duca il vecchio Conte di Saint-Germain”.

Ho potuto conferire con Girodelle, mi ha raccontato del vostro tentativo di ritrovare Oscar ... Anche il Conte di Fersen è stato fatto prigioniero André? ...  André tu non devi permettere ad Oscar di partire! Maledizione! Mio figlio non è stato più lo stesso da quando ha partecipato a quel ballo vestito da donna!”

Generale .... Voi .... sapete?”  esclamo André.

Te ne stupisci André? Piuttosto perché non mi stai raccontando tutto André? Non credo che il Duca abbia costruito questo castello di menzogne  solo per costringere mio figlio ad una  missione, seppur rischiosa, a Costantinopoli. Cos’altro c’è André?”

Lo ignoro, Generale”, replicò André, abbassando la testa “Per certo esiste un’altra condizione imposta dal Duca, ma Oscar, Oscar non ha voluto confidarsi con me.

Se non ha voluto confidarsi con te, è qualcosa di indicibile André. Giurami che LA proteggerai, che proteggerai mia FIGLIA André!

Generale, io sono disposto a sacrificare la mia stessa vita per Oscar..”

André, voglio che tu sappia ...ah non importa. Torna da lei ora. Dille di non preoccuparsi per me”.

Congedato André, il Generale era tornato a scrutare la piazza ai piedi della fortezza, una straziante angoscia nel cuore.

* * *
Al ritorno a Palais Royal, avevano condotto André negli appartamenti privati del Duca. Un medico era stato chiamato per occuparsi del suo occhio. Seppe poi che era stata Oscar a pretenderlo. Aveva potuto lavarsi ed indossare abiti puliti.

Ma non ebbe tregua la sua ansia, finché non la rivide. Indossava anche lei abiti puliti, maschili e decisamente un po’ troppo grandi. Gli occhi cerchiati, che tuttavia si erano illuminati appena avevano incrociato i suoi.

Oscar, ho incontrato tuo padre, purtroppo è tutto vero, è stato imprigionato alla Bastille; però ha insistito che non devi preoccuparti per lui, che non devi cedere al ricatto.”

“André, non ho scelta”, urlò di rimando Oscar, stringendo i pugni. “Il Duca ha già pianificato la missione. Domani partiremo per Marsiglia, sotto false identità. Ma dimmi, come sta mio padre?”

Stava raccontando del suo colloquio con il Generale, quando nella stanza, un piccolo salottino, fece ingresso il Conte di Fersen, visibilmente provato.

Oscar, sono felice di ritrovarvi sana e salva.

Fersen, sono desolata che siate stato coinvolto in tutto questo.

Oscar io ..., vi devo ancora delle scuse.

“Non importa Fersen, Vi chiedo solo questo: abbiate cura di mio padre e di mia madre, durante la mia assenza.”

Ve lo prometto Oscar”, e poi rivolto ad André:  “So che la proteggerete, André

André, che a quel dialogo aveva volto le spalle al Conte, apparentemente interessato alla trama del prezioso tappeto savonnerie ai suoi piedi, si era rigirato, lo sguardo ferocemente inchiodato negli occhi del nobile: “Conte Hans Axel Von Fersen, il colonnello Oscar François de Jarjayes è perfettamente in grado di difendersi da sola, meglio di qualsiasi uomo d’armi che io conosca. Io sono solo un umile servo, ma sono disposto a dare la vita per lei. Perciò non temete....torneremo presto”.

Il  Duca d’Orleans varcò la porta applaudendo all’indirizzo di André.

Bene, bene, i miei ospiti si sono rinfrancati vedo!

Il Duca aveva pianificato l’intera impresa: documenti di viaggio, visti, denaro, lettere di credito, mappe ed itinerari, abiti e cavalli, perfino gli unguenti per l’occhio dell’attendente, evidentemente utile alla riuscita della missione, anche se ... anche se... quel servo gli dava da pensare ...

Doveva ancora illustrare alle sue vittime come rintracciare il Conte di Saint-Germain e decidere quando e come rivelargli quello che il Conte aveva sottratto alla Gran Loggia. L’avrebbe fatto l’indomani.


Il Duca aveva la missione perfettamente sotto controllo. Ma solo la missione.

L’indomani sarebbe iniziato un lungo viaggio, verso est, seguendo a ritroso il sorgere del sole.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


I’m glad that you’re older than me
Makes me feel important and free
Does that make you smile, isn’t that me?
I’m in your way, and I’ll steal every moment

(David Bowie, Sweet Thing – Candidate)
https://www.youtube.com/watch?v=vrfc8c6VkTA
 
 
L’indomani era iniziato un lungo viaggio, verso est, seguendo a ritroso il sorgere del sole.

Il Duca d’Orleans aveva costruito due nuove identità per Oscar e Andrè. La quantità di documenti e carte, ceralacche e sigilli, solo in minima parte contraffatti ed in gran parte autentici, comprovavano la rete di amici influenti ed i ruoli di potere che rivestivano i massoni della Gran Loggia.

Questo pensiero  preoccupò assai André, che pure cercava, come suo solito, di sdrammatizzare.

Oscar, ora risponderai al nome di Conte Jules de Saint, giovane cadetto di anni diciassette, che sta partendo per il Grand Tour verso il porto di Genova.
Io sono il tuo precettore, Jacques Preux, di anni trentadue, ma ti prego: non dirmi che assomiglio a Monsieur Petit che ancora mi ricordo quando ti burlavi di lui alle lezioni di latino, quando gli facevi credere che conoscevi pure l’aramaico, ti mettevi ad inventare parole e lui rimaneva di sasso.”

Perché tu André invece eri un cherubino, vero? Non ti ricordi di quando hai messo i ricci di castagna nelle tasche del suo giustacuore?”

“Solo perché ti voleva punire Oscar, per avere incollato le pagine della sua Gèometrie di Descartes e dovevo distrarlo.”

Una risata genuina sorse spontaneamente fra loro.

Poi la realtà ripiombò in tutta la sua crudezza.

Si avvide  André che con quelle nuove identità il Duca aveva voluto farsi gioco di lui e dimostrargli  che molto aveva intuito  ...

... e  la carrozza che li avrebbe accompagnati fino a Marsiglia, dove si sarebbero imbarcati sulla Misticque, vascello battente bandiera francese diretto a Genova, era arrivata.

Sulla carrozza, nera e senza stemmi, condotta da un paio di uomini del Duca, erano stati già caricati i bagagli: due piccoli bauli rivestiti in cuoio che contenevano coperte, ricambi d’abito, mappe e bussole, medicamenti ed altri effetti. Il nécessaire de voyage, che custodiva documenti, salvacondotti e valori, era stato invece consegnato direttamente ad André.

Oscar vestita da ragazzino aveva legato la sua bionda chioma con un nastro blu. L’abito di rigido damasco blu scuro era impreziosito da uno jabot di pizzo bianco, e la rendeva ancor più esile.

André, un ciuffo di capelli a nascondere la benda nera che copriva il suo occhio sinistro, era vestito in maniera più dimessa, un semplice abito, anch’esso nero, ma di buona fattura, con un tricorno che gli ombreggiava il volto.

Il Duca d’Orleans non c’era. Le istruzioni le avevano ricevute nei suoi appartamenti privati all’alba, un’ora prima. Salirono in carrozza.

 
* * *
Da un abbaino di Palais Royal,  Bernard Chatelet stava osservando incuriosito la scena. Il colonnello delle Guardie Reali che l’aveva quasi catturato e l’uomo moro, alto e robusto,  che sembrava proprio quello che aveva ferito all’occhio qualche giorno prima, stavano salendo su una carrozza. Spintonati in malo modo in verità. Si mormorava che il generale  padre fosse stato rinchiuso alla Bastille, il giorno prima,  e che una lettre de cachet incombesse anche sulla testa del figlio Oscar François.  Si domandava cosa stesse accadendo.

Ma fu ancora più stupito quando, poco dopo, intravide lo svedese amante della Regione uscire al galoppo.

 
* * *
Oscar si accomodò in carrozza. Le lunghe gambe che nervosamente si muovevano facendo battere il tacco degli stivali su è giù.

Oscar troveremo il modo di affrontare questo viaggio e poi di eludere i ricatti del Duca. Tuo padre non corre un pericolo immediato. E quanto a Fersen ...”

Taci André ! Non hai ancora compreso  che non è di Fersen che mi preoccupo? Non sono sicura che riusciremo a portare a termine la missione o che alla fine il Duca  manterrà la promessa! E poi, maledizione, tu sei stato gravemente ferito all’occhio, anche  se fai finta di niente! ”

E  magari ti spaventa la seconda condizione imposta dal Duca!  Oscar,  perché non ti vuoi confidare con me?”

Abbassò la testa Oscar: “André, come sta il tuo occhio?

Bene Oscar, bene”, risposte André,  deluso dalla solita reticenza di Oscar, ma egoisticamente compiaciuto  che lei non fosse preoccupata  per Fersen ,  “Quando il dottore ha tolto la benda ieri sera,  ho visto la luce della candela, sfocata ma l’ho vista”.

E’ un sollievo André, io ... io, non mi perdonerei mai se ti succedesse qualcosa.”

Ed io ne morirei se succedesse qualcosa a te, Oscar, lo sai”, le disse sollevandole il mento con le dita e  fissandola negli occhi.

Non poteva André confessarle il suo amore.

Proseguirono il viaggio, studiando l’itinerario e le carte sul Conte di Saint-Germain affidate loro dal Duca. Ed esercitandosi a chiamarsi Jules e Monsieur Preux.

A notte fonda erano giunti nei pressi di Fontainebleau dove trovarono alloggio nella locanda annessa alla posta di cambio.

Dopo un pasto frugale, Oscar e André si erano diretti verso le loro stanze, al secondo piano della locanda. André aveva accompagnato Oscar fino alla sua porta, si era assicurato che la stanza fosse pulita e in ordine e che il fuoco fosse acceso. Poi le aveva augurato la buona notte.

Quanto era bella la sua Oscar aveva pensato. Non riusciva a voltarsi per andarsene.

Oscar si stupiva invece di quanto alto fosse diventato il suo André, che la superava di tutta la testa, e mentre lui usciva e lei entrava aveva sfiorato le sue mani con quelle di André. Erano grandi le mani di André, ed erano tiepide.  Socchiuse appena gli occhi, pensando di conservare quel tepore. Poi si riscosse. La guardava André, e l’occhio sano brillava.

Quanto amava la sua Oscar, aveva pensato. Ma doveva nasconderlo.

Perché lui era un plebeo e  lei una contessa, e quello era un amore impossibile.

Quindi si era congedato, pensando che non sarebbe riuscito a prender sonno quella notte.

Ed invece era entrato nella sua stanza, si era lavato con l’acqua fredda del catino, aveva medicato l’occhio con l’unguento, si era tolto gli stivali, il giustacuore e la camicia e si era addormentato subito, tanta era la stanchezza del viaggio.

Nel frattempo, nella taverna al piano terra della locanda, i due sgherri che li scortavano si erano ubriacati.

Bastien, perché non ci divertiamo un po’ con la contessa, la notte è fredda e si sentirà sola”,  biascicò Thierry.

Bah, che dici Thierry ... scommetto che quello stallone del suo servo la starà scaldando a dovere.

Ed allora andiamo a dargli il cambio Bastien.

Thierry hai ragione ....tutto il giorno a cassetta, abbiamo diritto a sfogarci!’

Si alzarono i due uomini, un po’ malfermi sulle gambe, barcollando si diressero al secondo piano.

Si sveglio André, confuso ed agitato, aveva sentito un urlo soffocato.  Si maledisse per quel sonno profondo che lo aveva colto.

Nella stanza di Oscar i due sgherri erano entrati, forzando il chiavistello e richiudendo la porta dietro di sé. Oscar dormiva. Era sola. Si erano arrestati un attimo, abbagliati dal fulgore della pelle diafana e dai capelli biondi sparsi sul cuscino che rilucevano alla luce del fuoco del camino. Poi si erano avventati su di lei. La mano sinistra di Thierry  a chiuderle la bocca. Mentre con la destra le puntava un coltello sotto la gola e Bastien le era saltato addosso bloccandola con il suo peso.

Inizio io Bastien, l’idea è stata mia. Alzati e mettile uno straccio in bocca”. Aveva morso con tutta la forza dei suoi denti, Oscar, la mano di Bastien. Ma non era bastato. Con la sua gola urlava chiamando André, ma nessun suono ne usciva.

Avevano strappato via le coperte e  Bastien ora le teneva bloccate le braccia, in alto sulla testa.

Thierry aveva mollato il coltello e con entrambe la mani le stava sollevando la camicia da notte. Aveva liberato la patta e la stava forzando ad aprire le gambe, quando con una spallata André  aveva spalancato la porta.

Non aveva armi André, ma aveva con sé una furia cieca ed un attizzatoio; e poi aveva intravisto il coltello che luccicava abbandonato a terra.

Tirò via Thierry,  che stava addosso ad Oscar,  e lo colpì  con l’attizzatoio, tramortendolo. Bastien lasciò le braccia di Oscar, barcollò cercando di afferrare il coltello, ma André lo disarmò con un calcio. 

Esci e porta via il tuo compare da questa stanza o Dio mi è testimone che vi ammazzo a mani nude, bastardi!”

Bastien non se lo fece dire due volte. Caricò Thierry ancora svenuto sulle spalle e si precipitò fuori.

Perdonami Oscar, perdonami” si mise a piangere André, mentre la ricopriva con la coperta “Non ti ho protetto Oscar, non valgo niente Oscar”.

André non è colpa tua, non è colpa tua, e non è successo niente André, sei arrivato in tempo André, non è successo niente, non è successo niente.”

Allora l’aveva avvolta meglio nella coperta, l’aveva presa in braccio e mentre la portava nella sua stanza le aveva detto: “Oscar, da questa sera non dormirai più sola. Non mi importa se sia  sconveniente o disonorevole. Non ti lascerò più sola”.

Oscar, come al solito, tacque. Ma le luccicarono gli occhi. Ed André, stranito, se ne avvide.

Giunsero a Marsiglia quindici giorni dopo, fermandosi frequentemente  alle stazioni di posta per cambiare i cavalli ed in una locanda ad ogni tramonto. Ogni volta André scendeva dalla carrozza per primo, assicurandosi che gli sgherri non osassero sfiorare Oscar nemmeno con lo sguardo.

Ma i due sgherri stettero alla larga, Thierry ancora malconcio e Bastien che continuava a rinfacciargli la follia di quella tentata violenza,  perché se avessero pregiudicato la missione, il Duca d’Orleans non avrebbe esitato ad ucciderli.

Dopo cena,  Oscar e André si ritiravano nella loro stanza, accomodata con due giacigli ed una coperta, stesa su una corda, per garantire ad Oscar un po’ di intimità. Ma chi avesse origliato alla porta, avrebbe udito spesso la lieve risata cristallina di una donna e la voce profonda dell’uomo che la faceva ridere.

L’occhio di André era migliorato, forse perché ogni sera era Oscar a pulirlo e medicarlo con l’unguento.

Poi a Marsiglia André aveva consultato un medico, che aveva assicurato a Monsieur Preux che l’occhio stava guarendo. Aveva alzato il sopracciglio quel medico,  vedendo quel ragazzo imberbe accompagnare il suo precettore. Li aveva poi osservati dalla finestra mentre uscivano, scorgendo i due loschi figuri che li aspettavano di sotto. Poi aveva alzato le spalle ed accolto il successivo paziente.

Appena soli, Oscar aveva trascinato André in un angolo e su quell’occhio lo aveva baciato. Un fulmine aveva acceso il cuore di André.

Sembrava quasi una gita di piacere, sembrava quasi che un fanciullo ed il suo precettore si preparassero per il Grand Tour. Sapevano bene che non era così.  

Ma quando videro il  Misticque, vascello a tre alberi che leggero galleggiava nelle acque tranquille del porto di Marsiglia, per un attimo pensarono che le bonheur est parfois caché dans l’inconnu . (*)
(*) La felicità a volte è nascosta nell’ignoto (Victor Hugo)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


In the event that this fantastic voyage
Should turn to erosion and we never get old
Remember it's true, dignity is valuable
But our lives are valuable too
 
(David Bowie, Fantastic Voyage)
https://www.youtube.com/watch?v=C_8Wvh4DH94
 
 
 
Quando videro il Misticque, vascello a tre alberi che leggero galleggiava nelle acque tranquille del porto di Marsiglia, per un attimo pensarono che le bonheur est parfois caché dans l’inconnu (*)

(*) La felicità a volte è nascosta nell’ignoto (Victor Hugo)
 
Il vascello era uno sciabecco dalla prua slanciata, con tre alberi ed un piccolo bompresso, armato nel 1750  e lungo oltre 40 metri. Difeso da diciotto cannoni leggeri, sarebbe partito poche ore dopo, con un carico umano di oltre cento persone, tra equipaggio e passeggeri, tra cui il Conte Jules de Saint e Monsieur Jacques Preux, finalmente liberi dalla loro scorta.

I due compagni di viaggio erano saliti sul vascello ed era stata loro assegnata una piccola cabina, sotto il ponte di poppa.

Il primo giorno fu André, o meglio Monsieur Preux,  a soffrire di un mal di mare atroce.

Oscar, o meglio Jules, al contrario si sentiva benissimo e si godeva il sole sul viso,  osservando incuriosita le manovre dei marinai che si affannavano ad issare le vele e cazzare le scotte.

Non sfuggì ad Oscar, il militare, l’agilità del vascello, che poteva passare dalle vele quadre a quelle latine ed  utilizzare all’occorrenza anche i remi, per manovrare ed approfittare di ogni minimo alito di vento. Oscar, il militare, valutava la potenza di fuoco dei cannoni, con palle del calibro di almeno otto libbre. Più che sufficienti a difendersi in caso di attacco, in un mar mediterraneo infestato da pirati e corsari.

Apprezzò il pescaggio modesto e la chiglia bassa che avrebbero favorito anche la navigazione costiera e consentito alla Misticque di  poter far porto facilmente. Nave da corsari, ma evidentemente impiegata anche nei traffici commerciali, attrezzata per sfuggire ai corsari stessi.

Era esaltato Oscar il militare, o Jules l’imberbe ragazzo, e si spostava con destrezza sul ponte. Respirava a pieni polmoni l’area satura di sale e di vento, interrogandosi sul perché  non avesse mai considerato una carriera militare in marina.

Poi aveva fatto un salto in cambusa, dove aveva domandato  un rimedio per il suo precettore, procacciandosi una scodella ricolma di un tè, che il cuoco aveva chiamato “acqua stregata”.

L’aveva subito fatta bere ad André, il quale, assai sospettoso,  aveva assaggiato l’intruglio, invero abominevole. Ma il suo allievo, inflessibile, l’aveva costretto a trangugiare tutto fino all’ultimo sorso.

Ma dillo Osc ..Jules che vuoi liberarti del tuo precettore” aveva farfugliato André fra un singulto e l’altro “Ma ti prego, devi esser pietoso, finiscimi a fil di spada”. Oscar sorrideva soddisfatta, sorniona come un gatto che avesse appena portato al suo padrone la preda catturata.

La sera dopo avere desinato, qualche galletta ed un po’ di carne salata per André; pane, zuppa abbondante di carne, lenticchie e ceci per Oscar (André non si capacitava della voracità della sua allieva), i due si erano accomodati sulle amache. L’oscurità non consentiva di leggere, ma favoriva il racconto.

Ti ricordi André quando la sera leggevamo le fiabe di Perrault? Di nascosto perché il Generale mio padre le aveva messe all’indice?”

Come potrei dimenticarmene Oscar ... quando leggemmo la Patience de Griselidis, avevi appena scoperto di essere una femmina e giurasti che mai ti saresti umiliata come Griselda con il consorte. Che volevi vivere come un uomo e mai avresti cambiato idea”.

 “E tu André che dopo avere letto Le Maître Chat ti facevi chiamare marchese di Carabas, ne vogliamo parlare?”

E la volta che abbiamo quasi incendiato il mio letto con le candele Oscar??? Io le mestolate della nonna ancora me le ricordo!”

Avevano parlato e ridacchiato ancora un po’.. André, debilitato dal mal di mare si era infine addormentato. Fu allora che Oscar sussurrò: “Io avevo quasi cambiato idea, André...”

Dopo quattro giorni di navigazione, erano arrivati a Gênes, all’alba.

André era rimasto incantato alla vista della città, che sembrava come sospesa ad anfiteatro sul bordo del mare, circondata in alto dalle montagne.

Oscar era rimasta ammaliata  dall’imponenza dell’alto faro che sovrastava il porto, dominandone l’ingresso a ponente, la Lanterna de Žéna, come l’aveva chiamata il timoniere della Misticque, indicandola col dito.

In attesa che il vascello scaricasse  la merce e ne caricasse di nuova,  si erano sistemati in una locanda in cima alla torre dei Morchi, che si affacciava sul porto. Poi la prima tappa era stata in armeria.

Le spade e le pistole di Oscar e André erano rimaste al Palais Royal, ragione per cui Oscar aveva deciso che dovevano assolutamente armarsi, in vista del lungo viaggio per nave.

Orientandosi fra vicoli o, come li chiamavano lì, i “caruggi”, avevano trovato un rinomato azzaliniere ed archibugiaro, Giovanni Battista Possiero, dal quale avevano acquistato una coppia di pistole in ebano ed argento.

Da un altro artigiano avevano poi comprato una coppia di spade identiche, leggere e non troppo sfarzose, con  impugnatura di bronzo e coppa a forma di conchiglia, che molto erano piaciute ad Andrè. Identiche fra loro, come le pistole.

Le avevano indossate.

Poi si erano persi.

I palazzi si ergevano alti e stretti, le pietre ed il selciato erano umidi,  le piazzette ombrose. Il sole alto, in un cielo sgombro da nuvole, talora baluginava, imprevedibilmente, fra un tetto ed una torre.

Artigiani, garzoni, lavandaie, camalli, carretti e venditori ambulanti si affaccendavano avanti  e indietro, senza posa. Nessuno parlava francese, nessuno sembrava comprendere il loro italiano.

E poi intuirono che i francesi non erano neppure benvoluti, giacché poco più di cent’anni prima, nel 1684, Luigi XIV aveva ordinato alla sua flotta di bombardare dal mare la città. Ma la Repubblica aveva conservato la sua libertà. Fu in una piccola libreria che Oscar lesse i versi di Giovanni Battista Pastorini: E contr’ai fieri alta vendetta fai / Col vederti distrutta, e nol sentire: / Anzi girar la Libertà mirai / E baciar lieta ogni ruina, e dire: /  ‘Ruine sì, ma servitù non mai.’

Rifletté Oscar su quelle parole, che la libertà era tanto preziosa che ben poteva valere la rovina.

Si sentivano smarriti, un po’ sospesi nel tempo e nello spazio Oscar ed Andrè, Jules e Jacques, J&J, finché svoltando da un caruggio che sembrava cieco, si erano trovati a man sinistra di un’imponente basilica in stile romanico.

Erano entrati, nella penombra della cattedrale di San Lorenzo.

Appena gli occhi si erano abituati a quell’oscurità, a stento rischiarata dalla luce di decine di candele, avevano visto luccicare, in una teca, un piatto esagonale di uno scintillante verde smeraldo. Per un attimo ad Oscar mancò il fiato, fissò André e le  parve quasi che gli occhi verdi di André fossero più intensi e brillanti di quella sacra reliquia. Si era allora avvicinato un prete,  che facendosi il segno della croce aveva benedetto il “Sacro Catino”, il Santo Graal, piatto del Cristo nell’ultima cena.

Non si sa cosa mosse i due giovani, che all’unisono si avvicinarono all’altare maggiore: prese due candele, lasciata una generosa offerta, le avevano accese,  ciascuno rivolgendo una silenziosa preghiera alla Madonna Regina di Genova:

Non pensare a me, ti prego di salvare Lei, e di salvare suo padre, che possa Lei tornare in Francia ed essere felice e felice di vivere”.

Non pensare a me, ti prego di salvare Lui, e di salvare mio padre, che possa Lui tornare in Francia ed essere libero e libero di vivere”.

Poi erano usciti, il sole tiepido alto nel cielo.

Ritrovato l’orientamento, si erano incamminati verso il Palazzo ducale e poi avevano imboccato Strada Nuova, ammirandone i palazzi, stupiti che quella Repubblica di mare oziasse in certi fasti.

Ad André la terraferma aveva fatto tornare l’appetito, e perciò si erano finalmente, e  con sollievo di André, accomodati in una specie di taverna dove gli avevano servito dei ravioli rigonfi e ripieni di erbette e  due porzioni abbondanti di deliziose acciughe sotto sale.

Armati e satolli erano tornati alla Torre dei Morchi.  Ciascuno nel proprio giaciglio aveva sognato, sperando che la propria preghiera venisse esaudita.

Tuttavia nel cuore della notte André si era svegliato. Cercando di non fare rumore, si era avvicinato alla finestra a bifora, fissando il mare scintillante sotto i raggi della luna. Gli rammentava la torre di Palazzo  Jarjayes, in cui si rifugiava quando voleva stare un po’ solo.

Oscar, il cui sonno era leggero, si era destata e l’aveva osservato a lungo, fingendo di dormire.

I capelli neri come l’ebano che ricadevano mossi sulle spalle ampie, la schiena nuda e muscolosa, i fianchi stretti, le gambe toniche fasciate nei calzoni. Era bello André. Questo lo aveva notato da tempo.

Era intelligente, questo lo aveva sempre saputo. Di indole oltremodo coraggiosa ed altrettanto paziente e buona. Avrebbe potuto rendere felice qualsiasi donna. Ma non si era mai sposato.

Su questo rifletteva Oscar.

E poi... si ricordò di una frase che André aveva pronunciato, poco prima della partenza di Fersen per le Americhe, tanti anni prima, una frase su cui ogni tanto le capitava di rimuginare: “Fersen doveva soffocare l’amore. C’è gente che ama una persona tutta la vita senza che questa persona lo sappia.

Si era voltata verso di lui a quelle parole ed André aveva retto il suo sguardo. Poi lo aveva sfidato a duello “A chi ti riferivi André? A chi ti riferivi quel dannato giorno,  prima che Fersen partisse per le Americhe?”, si domandava silenziosamente Oscar.

E cosa significava quell’incubo, che l’aveva tormentata mentre era reclusa nelle segrete del Palais Royal: André moriva per salvarla e mentre agonizzava le sussurrava: “Sono contento che sia successo a me e non a te Oscar....davvero ... io ti amo, ti amerò sempre e per sempre.”

E lei, lei chi era? Chi voleva essere? Un soldato armato, un marinaio mancato, un figlio devoto, una Griselde pentita, il cittadino di una repubblica bombardata ma libera, un’innamorata respinta?

E lei, lei chi amava?
 
Poco più di un secolo dopo, dall’altra parte del mondo, sarebbe nato un poeta (*) che avrebbe scritto che “Innamorarsi è dar vita ad una religione il cui dio è fallibile.”
 
Oscar e André erano forse devoti fedeli di un dio fallibile?
 
(*) Jorge-Luis-Borges


 
 

1781. Vue de l’Eglise de S. Laurent, et Palais Negroni.
http://www.giuntafilippo.it/wp-content/uploads/2012/02/1781-GUIDOTTI-CHIESA-SAN-LORENZO-1024x702.jpg
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Red sails
Thunder ocean
Red sails
Sailor can’t dance like you

(David Bowie, Red Sails)
https://www.youtube.com/watch?v=K74dShhG2eQ
 
 
Poco più di un secolo dopo, dall’altra parte del mondo, sarebbe nato un poeta (*) che avrebbe scritto che “Innamorarsi è dar vita ad una religione il cui dio è fallibile.”
Oscar e André erano forse devoti fedeli di un dio fallibile?
(*) Jorge-Luis-Borges
 
All’alba del 18 marzo 1787 la Misticque aveva levato l’ancora, in direzione di Naples. Quasi sette giorni di navigazione previsti, senza scali.

André si era abituato al mare ed aveva fatto amicizia con il timoniere, un vecchio ligure che da oltre cinquant’anni solcava gli oceani.

Aveva chiesto di apprendere da lui l’uso dell’astrolabio, dell’ottante e del più moderno sestante. La conoscenza dell’astronomia e la sua abilità in geometria e matematica gli resero semplice il compito.

Poi il Capitano Maule gli aveva consentito di consultare il suo almanacco nautico e le carte che dispiegavano la rotta fino a Costantinopoli.

E così si destreggiava con gli specchi d’orizzonte e disegnava rotte con il compasso, Monsieur Jacques Preux.

Potrebbe tornarci utile saper calcolare una rotta, con qualunque strumento a disposizione”,  aveva confidato ad Oscar.

Oscar invece, ancora più determinata del solito, stava imparando tutto sulle tecniche di navigazione a vela dello sciabecco. Con enorme preoccupazione del suo precettore, Jules si era arrampicato fino all’albero di coffa, spronato dai marinai che l’avevano soprannominato, con suo sommo disappunto, “petit singe” [scimmietta].

E così si destreggiava tra vele e sartiame  ed aveva appreso la tecnica  di caricamento dei cannoni, il Conte Jules de Saint.

Potrebbe tornarci utile saper governare un’imbarcazione, con qualunque equipaggio”,  aveva confidato ad André.

Al sesto giorno di navigazione, quando la conoscenza reciproca si era un po’ affinata,  il timoniere aveva chiesto ad André: “Jacques, non mi hai ancora raccontato come ti sei procurato quella cicatrice sull’occhio sinistro, è ancora fresca ... non pensavo che quello del precettore fosse un mestiere tanto pericoloso!”, aveva celiato il vecchio timoniere, soprannominato Goerso,  perché cieco da un occhio, ferito nel corso di un attacco dei corsari barbareschi, al largo di Algeri, tanti anni prima.

Aveva anche una gamba di legno, ma quella era un’altra storia.

I briganti, poco dopo la partenza da Parigi”.

Uhm e non siete tornati indietro?”

 “Non  potevamo, avremmo perso l’imbarco, ho ricevuto cure adeguate

Uhm tra perdere l’imbarco e  perdere un occhio ...ti è andata bene Jacques, poteva rivelarsi un rischio mal calcolato.  Comunque una benda sull’occhio ti avrebbe donato un certo fascino oscuro che alle femmine piace assai” aveva ridacchiato il timoniere, poi aveva insistito: “E’ per questo che a Gênes vi siete riforniti di pistole e spade, tu e Petit Singe?”

Ma cosa...accidenti come lo sai e guai se Os..se Jules ti sentisse, odia il soprannome che gli ha affibbiato la ciurma”, aveva  risposto André sforzandosi di abbassare il tono della voce e cercando con lo sguardo Oscar, che in quel momento si stava allontanando, procedendo sottovento verso il ponte di prua.

Non lo perdi mai d’occhio il tuo allievo. Quanti anni hai detto che ha?

Incominciava ad innervosirsi André. Si era forse ingannato sull’indole mite e buona del timoniere?

Come fai a sapere cosa abbiamo fatto a Gênes, Goerso?”

“Ho i miei sistemi, Jacques,  e non mi sembra l’abbiate tenuto nascosto. Rispondi... quanti anni?”

“Diciassette a dicembre

Uhm, neanche un velo di barba. Non si toglie mai lo jabot, lo tiene serrato sul collo il fazzoletto, nasconde qualche cicatrice o un pomo d’adamo che gli difetta?”

Era restato in silenzio André. Stringeva i pugni.

Io ti sono amico Jacques, sono vecchio ma sono sveglio ... il tuo allievo è una donna, una bella donna.

Ti sbagli Goerso... mi sa che il tuo occhio buono ti inganna” aveva simulato una risata André.

Non devi preoccuparti di me Jacques, ma di tutti quei marinai davanti ai quali il tuo Jules corre tutto il giorno a destra e a manca da un ponte all’altro. Quanto tempo pensi che ci impiegheranno a capirlo? Certo è così inconsueta la faccenda, che l’intuizione per ora non è balenata nelle loro menti. Ma primo o poi uno di loro,  scrutando  quelle curve morbide sotto la stoffa tesa mentre si arrampica sulle sartie, capirà tutto. E saranno guai”.

Aveva abbassato la testa, André.

Il capitano Maule lo sa?”

Aveva scosso la testa, André.

“Meglio così. Non mi fido troppo del capitano. Domani sbarcheremo a Naples, Jacques. Poi il viaggio proseguirà e sarà lungo. Dovreste essere più prudenti”.

Non sarà facile convincerla a stare sottocoperta

Tu la ami molto. Lei lo sa?

E’ così evidente?” rispose sconsolato Andrè “Io darei la vita per lei. Io la amo, da sempre, ma lei non deve saperlo”, aveva sussurrato André.

L’intuito  mi dice che le avevi quasi dato un occhio

Lei è la mia vita,  Goerso, ma lei non mi ama, e forse non amerà mai  nessun uomo in vita sua””

Uhm ... E perché scappate assieme allora?”

Non stiamo scappando, Goerso. Questa è un’altra storia”.

Sei in un bell’impiccio, mio giovane amico, ma non perdere mai la fede, né la speranza. A me mancano un occhio e una gamba! Tu hai quasi perduto un occhio ... cerca di non perdere anche la testa per amore. Ascolta, l'uomo può vedere due tipi di luce a questo mondo: una è la luce del sole, e questa può essere facilmente vista dagli occhi dell'uomo, l'altra luce è il cuore, la fiamma interiore della speranza ed è questa la luce più importante. Non perderti mai d'animo, mio giovane amico. Forse lei ancora non lo sa, ma già ti ama”.

André l’aveva fissato sbalordito.

Oh accidenti io sarò anche guercio, ma voi due siete proprio ciechi!

Lei non ha compreso che tu la ami, forse questo è vero, mi pare inesperta di faccende amorose, la fanciulla.

Ma di certo lei ti ama. Anche se forse ancora non lo sa. O forse lo sa, ma anche lei non vuole fartelo sapere...
Un bel rompicapo, ma quando tu non la guardi lei ti osserva. E lievemente sorride.
Quando la guardi tu,  lei distoglie lo sguardo, ma non è per sfuggirti Jacques, tu non la vedi, ma lei arrossisce.
E quando tu parli, le scintillano gli occhi.”

“Guerso, io...tu ti sbagli, lei mi vuole bene, ma per lei sono come un fratello.”

“Va da lei ... guarda ... Jules si sta avvicinando, algida come sempre, ma osservale bene gli occhi ... accidenti se non sono gli occhi radiosi di una donna innamorata quelli, e purtroppo non sono rivolti a me!”

***
Quella stessa sera, Oscar e André avevano pianificato la missione di Naples. Secondo le istruzioni ricevute dal Duca d’Orleans, avrebbero dovuto incontrare un tedesco di Lipsia, un certo Johann Philipp Möller.

Per essere pronti ad ogni  evenienza, avevano studiato pressoché a memoria la mappa di  Naples pubblicata dal Duca di Noja.

Ad André era mancato il tempo per riferire ad Oscar quello che il timoniere aveva scoperto di Jules e poi in verità  era troppo impegnato  a sbirciarne di nascosto gli sguardi e doveva ammettere che forse ...

Stava rimettendo le carte a posto André, quando Oscar gli si era avvicinata e sfiorando con la punta delle dita la cicatrice sull’occhio, gli aveva chiesto con un filo di voce “Ti fa ancora male André?”.  E a lui era sfuggito un “Ora non più Oscar”. E lei aveva sorriso, arrossendo un poco.

E quel sorriso era stato un’epifania: André ora si sentiva capace di affrontare qualunque avversità, di sconfiggere qualunque esercito, di scalare la montagna più alta del mondo, di solcare il più periglioso dei mari, perché nel suo cuore era germinato il seme di una speranza.

Solo che assai presto tutto questo suo coraggio sarebbe stato messo alla prova:  al mezzodì  del 24 marzo, quando ormai erano in vista del Golfo di Naples,  un fortunale aveva investito la Misticque.

 
*  *  *
Nello stesso momento, Johann Philipp Moeller  stava rileggendo le lettere ricevute il giorno prima e spedite dai suoi corrispondenti a fine febbraio. Si compiaceva della puntualità con cui riceveva le missive ai recapiti intermedi stabiliti. Ma allo stesso tempo lo preoccupava il contenuto dell’epistola cifrata inviata dal Gran Maestro della Loggia di Francia, alias Luigi Filippo II Duca d'Orléans, che come d’uso si concludeva col Trois fois salut: S.·.S.·.S.·..

Il suo umore si era quindi rabbuiato, nero come il tempo che imperversava quel giorno, come la pioggia violenta che  stava scrosciando fra tuoni e lampi.

Quell’incarico rischiava di guastargli il piacevole soggiorno a Naples. Nell’ultimo mese era salito per ben tre volte in cima al Vesuvio, con non trascurabile rischio in verità, ma grande appagamento, ed aveva visitato le sorprendenti rovine di Pompei ed Ercolano.

Si domandava perché avrebbe dovuto fornire, a due perfetti sconosciuti, un giovane contino ed il suo precettore impegnati anche loro in un grand tour, le notizie sul Conte di Saint-Germain, che nelle sue peregrinazioni europee aveva faticosamente raccolto per conto della massoneria.

Certo, lui non avrebbe potuto spingersi fino a Costantinopoli, là dove le sue ricerche avevano consentito di rintracciarlo, con certezza quasi assoluta ... Forse quei due sì?  E sapeva che le vie del Duca erano molteplici e le sue intenzioni imperscrutabili, ma sempre volte al bene supremo dell’Ordine.

Fu quindi sospirando che si arrese al dovere di contattare quei due, sempre che la Misticque, attesa in porto nel tardo pomeriggio, riuscisse a superare la tempesta.

E così, mentre fuori il temporale infuriava, scaldava le mani sul braciere, scostando con l’anello di una chiave il carbone in superficie per sprigionarne un po’ di calore, ragionando che se la Massoneria avesse recuperato quello che il Conte aveva trafugato, un nuovo mondo forse si sarebbe dischiuso ...

Non poteva però esporsi e non conosceva il porto di Naples, troppo insidioso per uno straniero come lui. Avrebbe quindi chiesto al suo buon  amico  Gaetano di cercare la coppia al porto,  dando loro appuntamento a Palazzo Columbrano.
 
*  *  *
Intanto sulla Misticque i marinai si affannavano sul ponte fra vele e sartie. Il Capitano sbraitava ordini che si perdevano nel fragore dei tuoni. Goerso tentava di governare il vascello orzando e portando la prua contro la direzione del vento, cercando di non scarrocciare e di cavalcare non troppo bruscamente le onde che il forte vento di scirocco alzava in mezzo alla tempesta.

André aveva trascinato una ricalcitrante Oscar sottocoperta.

E poi era andato ad aiutare Goerso.

Ma Oscar, la solita Oscar, indomita, era tornata sul ponte . . .

La tempesta è in furor. Fate ch'io vegga Sin dove giunger può l'animo e l'arte. (*)
(*) William Shakespeare - La tempesta
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


You say we’re growing,
growing heart and soul
In this age of grand illusion
You walked into my life
out of my dreams
(David Bowie, Word on a wing)
https://www.youtube.com/watch?v=5PYvqa7DFNc
 
La tempesta è in furor. Fate ch'io vegga Sin dove giunger può l'animo e l'arte. (*)
(*) William Shakespeare - La tempesta.

La solita Oscar, indomita, era tornata sul ponte . . . e  aveva raggiunto André e Goerso al timone sul castello di poppa.

Jules, devi tornare sottocoperta!”, aveva gridato André, “Tuo padre ti ha affidato alla mia tutela, mi devi obbedienza!”.

Oscar aveva strabuzzato agli occhi a quel comando e gli aveva risposto fiera: “Ti pare possibile che ti lasci rischiare la vita da solo?

Si era poi diretta barcollante ma veloce, ormai fradicia d’acqua, verso il capitano Maule, che sotto l’albero di maestra fissava immoto il pennone di gran velaccio, sul quale la vela, che si cercava di ammainare, si era disgraziatamente impigliata.

Un mozzo si stava arrampicando, con un coltello fra i denti, per tagliare il sartiame che bloccava la vela che, grande e maestosa, gonfiata dallo scirocco, ostacolava i tentativi del timoniere di navigare contro vento,  minacciando di spezzare l’albero.

Si era allungato il mozzo, con le gambe e la mano sinistra si teneva saldo all’albero e con la destra si sporgeva per tagliare le corde. Poi un’onda più violenta aveva fatto impennare la prua ed era rovinato sul ponte.

Si era salvato il marinaio, un ragazzino smilzo di nemmeno quindici anni, la cui caduta era stata attutita dal cordame. I marinai sul ponte l’avevano soccorso, aveva una gamba innaturalmente piegata e gridava dal dolore.

Il capitano aveva notato Oscar ed aveva urlato ad André che l’aveva seguita: “Dannazione, levatevi dai piedi, porti il suo compare sottocoperta”.

Ma Oscar non si era mossa: “Chi si arrampicherà lassù capitano Maule? gli altri marinai sono troppo pesanti, le sartie sono logore, non li reggeranno!”.

Aveva gettato uno sguardo al mozzo sofferente, ma vivo, poi aveva guardato André: “Aiutami a togliere gli stivali Jacques.”

Salirò io”, aveva risposto risoluto André.

Lei gli aveva sorriso, avrebbe voluto accarezzargli il volto, pallido e stravolto, scostare quei capelli d’ebano ed avvolgerne una ciocca intorno al dito... “ma che pensieri assurdi in un momento come questo”, si disse. “No, precipiteresti. Pesi molto più di me. Sono io il più leggero fra tutti voi”.

Il Capitano aveva annuito.

Si era seduta su un sacco di zavorra, aveva allungato la gamba sinistra. André si era inginocchiato davanti a lei, e come aveva fatto già centinaia di volte l’aveva aiutata, la mano sinistra lieve e salda sul ginocchio e quella destra a levare lo stivale dal tallone. Prima il sinistro e poi il destro. E mentre lo faceva, lo sguardo umido, chissà se di pioggia o di lacrime, le aveva sussurrato in mezzo al vento: ”Non fare pazzie, se non ti senti sicura scendi subito” .

Poi, incurante degli sguardi straniti della ciurma, le petit singe aveva accarezzato lieve la guancia sinistra del suo precettore. Ed il suo precettore aveva chiuso gli occhi.

Si era arrampicata Oscar, agile come una scimmia, mentre i marinai l’incoraggiavano ed André apprensivo stingeva i pugni. Era arrivata in cima, le petit singe, un coltello fra i denti, le gambe saldamente intrecciate all’albero, la mano sinistra stretta alle sartie, ed il braccio destro ad afferrare il coltello e poi a sporgersi, per tagliare le corde e ...  e c’è l’aveva fatta ...la vela si era afflosciata, cadendo sul ponte, fra le urla di gioia dei marinai.

Solo André continuava a fissarla, in mezzo all’acqua, ai marosi che si infrangevano sulla nave, al vento, cercando quei capelli biondi e quei piedi piccoli e bianchi che stavano scendendo lungo l’albero di maestra e poi...e poi,  a poco più di tre  metri dal ponte,  il piede destro le si era impigliato in una corda e lei era caduta, a testa in giù, trattenuta solo dal laccio stretto interno alla caviglia sottile.

Ma André  stava già salendo su quell’albero maledetto, l’aveva sorretta, aveva liberato la gamba,  ed insieme erano scesi. Finalmente. “Mai più Oscar, non farlo mai più”, le aveva mormorato all’orecchio, mentre le baciava la testa.

Dopo un’ora la tempesta era cessata. Lo scirocco come era arrivato, era andato. E la nave aveva raggiunto il porto di Naples. Oscar e André, accompagnati da generose manate sulle spalle erano tornati in cabina.

Entrambi erano bagnati fradici ed infreddoliti.

André aveva cercato nel bagaglio un paio di pesanti mantelli di lana, ed il primo lo aveva allungato su di lei. Poi con un paio di canovacci l’aveva aiutata ad asciugarsi i lunghi capelli.

Infine si era inginocchiato di nuovo davanti a lei, ed aveva tratto a sé la caviglia destra. L’aveva appena appena tastata, delicato, con le punta delle dita, per capire se fosse rotta o slogata e poi le aveva chiesto “Ti fa molto male Oscar?”. E quella volta fu a lei che sfuggì  un “Ora non più, André”. E lui aveva sorriso, arrossendo un poco.

Poco prima del tramonto erano sbarcati a Naples.

 
* * *
Gaetano, incaricato dall’amico  Johann Philipp Möller, li aveva subito individuati, in mezzo alla folla che si stava accalcando sulla banchina del porto, dove era attraccata la lancia dei primi passeggeri sbarcati dalla Misticque, miracolosamente scampata al naufragio.

Tutti erano accorsi lì, a vedere con i propri occhi, perché la voce si era sparsa per tutto il porto, che quello sciabecco travolto dalla tempesta lo davano per spacciato. Ed invece il capitano Maule l’aveva condotto in porto ed ora era ancorato all’ultima banchina a nord, in attesa di scaricare il carico e poi di urgenti riparazioni.

La storia,  passando di bocca in bocca,  stava già diventando leggenda, che pareva che un arcangelo biondo, volando sopra la nave, avesse  disarmato una vela che stava strappando l’albero maestro dal suo vascello.

Gaetano li aveva dunque subito individuati, giacché Johann ne aveva riferito la descrizione cifrata nella missiva ricevuta: due francesi, un uomo alto e moro, di una trentina d’anni, con una cicatrice sull’occhio sinistro o forse una benda, ed un ragazzo biondo e snello. Il primo, precettore del secondo, nobile rampollo, impegnato nel Grand Tour.
Strano l’itinerario da Genova a Napoli, saltando Roma e Firenze”, pensò Gaetano.

Più strana ancora quella coppia, in cui l’uomo moro, invero sorprendentemente prestante, procedeva col portamento  di un uomo d’arme, a fianco di un ragazzo, dalla straordinaria chioma, bionda e folta, sovrastandolo di tutta la testa.

Nessuna benda sull’occhio, solo una lieve cicatrice, che risaltava su due iridi verde smeraldo per l’uomo.

Due occhi blu come il mare per il ragazzo, rilucente di una bellezza quasi angelica.

Ma il ragazzo, per quanto esile e leggermente claudicante, aveva un incedere fiero e risoluto che avrebbe messo in soggezione chiunque.

Chiunque tranne  il suo compagno, che appena vide Gaetano che si sbracciava cercando di attirare la loro attenzione in mezzo alla calca, aveva chinato la testa e gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio, inducendolo ad un sorriso.

Oscar, inizia la recita!” aveva sussurrato André.

“Conte Jules de Saint e Monsieur Jacques Preux, suppongo”, aveva esclamato Gaetano, in un perfetto francese.

“Suppone bene, Monsieur Möller”, rispose Oscar, sforzando le corde vocali nel consueto tono basso ed autoritario.

“E voi supponete male, Conte de Saint, sono costernato, io sono solo un umile messaggero: Gaetano Filangieri, al vostro servizio. Vi condurrò da lui, ma prima permettetemi di offrirvi un breve ristoro, so che il viaggio è stato avventuroso”.

Li aveva dunque condotti in carrozza verso via Toledo.

Passando davanti a  Castel dell’Ovo, Oscar aveva notato i cannoni, puntati non verso  potenziali aggressori provenienti dal mare, ma verso la città, come se fossero i suoi abitanti, i nemici dei Borboni.

Ebbe un sussulto al cuore, Oscar, non seppe spiegarsi il perché, ma anche André le aveva stretto di nascosto la mano, nemmeno lui sapeva il perché.

Si erano seduti  in un locale e sorseggiavano  un caffè, più corposo e dolce rispetto a quello cui erano abituati.

Oscar aveva osservato con attenzione l’ospite napoletano, poco più vecchio di loro, con gli occhi grandi e le labbra carnose,  pallido ed apparentemente malaticcio, ma dal carattere fermo e determinato. “Sapete «mes amies», aveva detto “la Francia ed i francesi presto faranno la storia. Il vostro La Fayette ha combattuto fianco a fianco con i nostri amici americani, ed hanno conquistato l’indipendenza. Se la salute me lo permettesse, partirei domani stesso per Filadelfia, la mia agognata «città dei fratelli», ma per ora mi accontento di scrivere di un  po’ di  «filosofia in soccorso de’ governi».”

André l’aveva interrotto: “Perdonate la mia ingiustificabile ignoranza, voi siete forse quel Filangieri, autore della «Scienza della legislazione»?”

Oscar stava fissando ora l’uno, ora l’altro. André aveva racchiuso tutto un mondo dentro di sé, di cui lei non faceva parte.

L’aveva compreso quella sera in cui dopo una lunga cavalcata nella campagna sferzata dal gelo, l’aveva condotta con lui alla chiesa in cui si riunivano i contadini, ma non solo i contadini, “per parlare di una nuova era”.

Ma ora quella constatazione le faceva bruciare il sangue nelle vene.

Monsieur Preux, sono onorato che in Francia mi conosciate. L’uomo non deve aspirare solo alla libertà, ma anche alla felicità, perché senza felicità per tutti, non c’è nemmeno libertà e non c’è eguaglianza. Senza una buona ripartizione le ricchezze, invece di fare la felicità della nazione, ne accelerano la rovina. …la felicità pubblica non è altro che l’aggregato delle felicità private di tutti gli individui che compongono la società”
 
Si confrontavano, quel Gaetano ed André, discutevano ma si trovavano d’accordo.

Oscar taceva.

Solo per un attimo aveva pensato alla guerra d’indipendenza americana, a  Fersen che aveva combattuto a fianco del Generale La Fayette. Poi aveva pensato ad Arras, al piccolo Gilbert che rischiava di morire perché la famiglia non poteva permettersi di pagare il dottore, a Pierre, ammazzato a tradimento dal Duca di Germain. Alle mani di André che la trattenevano per le spalle.

Avevano ragione. Ma poteva avere ragione, l’amico di un amico del Duca d’Orleans?

Siete molto silenzioso Conte de Saint...” aveva osservato Gaetano, e poi ridendo aveva aggiunto “Suvvia sono nobile anch’io, ma questo non ci vieta di pensare alla felicità del popolo, non è vero?”

Aveva annuito, Oscar, e poi erano usciti all’aria aperta, dolce e tiepida di quella città.

Proseguendo a piedi, dopo una breve passeggiata,  erano entrati a Palazzo Columbrano. Dirimpetto  al portone, all’interno di una nicchia sovrastante una fontana, Oscar era rimasta strabiliata, alla vista di una enorme testa equina in bronzo, che sembrava sfiatare dalle froge.

Una leggenda narra che l’abbia fatta forgiare il tuo amato Virgilio,  Jules” , chiosò André, cui non era sfuggita la nostalgia che offuscava gli occhi di Oscar alla vista di quel cavallo in effige “nel medioevo i napoletani pensavano che Virgilio fosse un mago e che la statua avesse il potere di guarire gli animali”.

Sorrise a quelle parole Oscar, che per lei il mago era André, che tra le sue innumerevoli qualità aveva quella di calmare, con un sussurro,  i destrieri  più recalcitranti.

Vedo che siete ben informato sulle leggende locali, Monsieur Jacques. Certo  un buon precettore non può non avere una vasta conoscenza ... vi confiderò che anche Monsieur Möller è stato precettore.”

Di cosa si occupa ora, Monsieur Möller dunque ...?” chiese Oscar.

Oh viaggia, vive e scrive, l’una cosa è conseguenza dell’altra in qualche modo ...ma sarà lui a spiegarvelo ...eccolo là, è arrivato!”.

Il nuovo arrivato era un uomo abbastanza alto, prossimo ai quarant’anni, dall’aria imponente e vagamente estatica.

Aveva salutato con sussiego il Conte Jules e poi il suo precettore, e ringraziato l’amico per l’aiuto.

La conversazione però era urgente e riservata,  una seccatura per lui, che voleva affrancarsi al più presto da quel fastidioso compito. Congedato Gaetano Filangieri, avevano iniziato a scrutarsi.

“Ebbene Conte”, aveva esordito rivolgendosi ad Oscar. “Avete la lettera di raccomandazione del Duca?

André  aveva tratto dall’interno del giustacuore la lettera, e l’aveva mostrata al tedesco.

Bene, bene, apparentemente è tutto in ordine. Non me ne capacito, ma mi piego al volere del Duca.

Come tutti d’altronde”, aveva sibilato con disprezzo Oscar.

Conte, io posso anche andarmene subito. Anzi me ne vado. Non ne subirò le conseguenze. In fondo la lettera d’incarico poteva non giungermi in tempo. Sono in partenza. Ancora un paio di giorni e non ci saremmo incontrati. Qualcosa mi dice però che non sarà lo stesso, per voi”.

Aveva stretto i pugni Oscar, incollerita dall’insolenza di quel tedesco.

Perdonate l’irruenza del giovante Conte de Saint”, era intervenuto André,  calmo e serafico come solo André riusciva ad essere, “ma dovete comprendere che abbiamo affrontato un lungo viaggio e rischiato perfino un naufragio. Le informazioni che dovreste fornirci ci sono indispensabili, in verità, per il bene della Gran Loggia.”

Bene, allora vediamoci domani, alla preghiera di metà mattina, fuori della Pietatella",
aveva risposto arrogante.

E con quello il tedesco volse le spalle, altezzoso, e se andò.

Oscar ed André, si guardarono negli occhi, ed inaspettatamente risero.

Si riconobbero, uno nello sguardo dell’altro.

“Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.” (*)
(*) Italo Calvino, il Barone Rampante

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


What in the world can you do
I’m in the mood for your love
For your love
For your love
I’m just a little bit afraid of you
Cause love won’t make you cry
But, wait
until the crowd goes
Oh, wait
until the crowd goes
 
(David Bowie, What in the world)
https://www.youtube.com/watch?v=gLTFedtVXdY
 
 
Si riconobbero, uno nello sguardo dell’altro.
“Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.” (*)
(*) Italo Calvino, il Barone Rampante
 
Chiamarono una carrozza e si fecero consigliare una locanda. Era un poco claudicante Oscar e dopo la breve passeggiata da via Toledo a palazzo Columbrano, la caviglia ora le doleva. Stava per prenderla in braccio André, scendendo per primo dalla carrozza. Lei aveva bisbigliato: “No, sono un uomo, non ricordi? Qualcuno potrebbe insospettirsi. Ma forse posso appoggiarmi a te André.

Aveva annuito André, che mai in un solo giorno della sua vita l’aveva considerata un maschio. Nemmeno quando da bambina lo credeva lei. “Ma nonna, Oscar è una femmina, perché devo trattarla come un maschio?“  “Perché così ha ordinato il generale suo padre, nipote mio, e tu devi fare finta  che sia un maschietto, anche con lei.  Ma non farle male, mai, sii lieve con lei, André, sempre

E così aveva fatto. Lieve.

Oscar era imbattibile con la spada, agile, elegante, imprevedibile e veloce. Ma quando si esercitavano nella lotta era diverso. Nella lotta si era sempre trattenuto André, picchiando e colpendo l’indispensabile per nascondere l'inganno. Quando avevano smesso di prendersi a pugni aveva ringraziato Iddio, che la natura gridava ed indicibili reazioni provocava quel contatto fisico.

La stanza della locanda, che dava sui tetti, era ampia ed una grande tinozza era stata riempita d’acqua calda.

Ti lascio sola Oscar, scendo di sotto e prendo qualche informazione sulla Pietatella

Farò presto André, così che l’acqua resti almeno tiepida per te. Non andartene, basta che ti volti, come al solito”.

Come al solito”, pensò André. Avrebbe voluto avere l’insolenza e l’arroganza di girarsi e guardare.

Non di nascosto, mai, quello non sarebbe stato degno di lui e dell’amore infinito che provava per lei.

La amava, come un uomo ama una donna, avrebbe voluto baciarla, avrebbe voluto saggiare la morbidezza di quel collo, avrebbe voluto accarezzarle i seni, avrebbe voluto dischiuderle appena quelle gambe tornite e farle provare la felicità che una donna può provare solo unendosi anima e corpo con un uomo che la ama. Lieve.

Avrebbe voluto confessarle tutto il suo amore. Invece “come al solito” rispose: “Non importa Oscar, torno fra poco. Chiudi col chiavistello.”

Era rimasta sola Oscar. Indugiava nell’acqua calda della tinozza. Era un sollievo dopo una settimana di navigazione e la tempesta che le aveva intriso i capelli di sale.

Ma André, accidenti, era uscito e lei si sentiva sola. Maledettamente sola.

Ed i pensieri incominciarono a girare, girare, nella sua testa, tornando indietro nel tempo e ad occidente nello spazio.

Pensò con preoccupazione a suo padre, rinchiuso nella Bastiglia, e a sua madre, sicuramente afflitta.

E poi ancora più indietro al ferimento di André, al dolore straziante che aveva provato, come avesse infierito su di lei, quella spada; alla caccia al cavaliere nero, al dubbio atroce che fosse lui il cavaliere nero, perché si, André aveva racchiuso tutto un mondo dentro di sé e lei temeva di non farne parte.

E poi pensò alla sera del ballo. Avrebbe mai potuto dimenticarla quella sera? Ma conosceva già la risposta.

Si riscosse ad un lieve bussare alla porta. Lieve. Era sicuramente André. Finalmente. Uscì dalla tinozza. Si avvolse per bene nel grande telo di lino bianco. Andò ad aprire
.
Non hai ancora finito ...torno dopo...”, le parole premurose di André.

No, entra pure, l’acqua è ancora tiepida se vuoi.

Entrò André, che un bagno, caldo o freddo che fosse, era quello che gli serviva. Si avvicinò alla tinozza. Seduto sullo sgabello lì vicino, si era levato gli stivali.  Poi incominciò a slacciarsi lo jabot, poi il giustacuore.

Oscar era rimasta lì a guardarlo, chiusa nel suo telo di lino bianco.

Non vorrei essere maleducato, Oscar, ma forse ... dovresti voltarti

Oh su, faccio il militare io, credi che non abbia mai visto nudo uno dei miei soldati?!” Aveva risposto.

Come vuoi, Colonnello.

Si stava sbottonando la camicia André.

Oscar continuava a fissarlo. Era sempre stato bello André. Ma quando era diventato un uomo così ...seducente? I tratti del volto erano maturati, ma erano rimasti simmetrici ed armoniosi, lo sguardo dolce eppure fiero ... Si era trasformato giorno dopo giorno, vivendole accanto, e lei non se ne era accorta. O forse s’era sforzata di non accorgersene?

Vagava così di nuovo fra i suoi ricordi, quando si avvide che André, ormai a torso nudo, aveva appoggiato le mani sulle pelvi per abbassare i calzoni e poi si era fermato...  “Oscar ... per favore ...” aveva detto in un soffio.

Arrossì vistosamente Oscar, e si girò di scatto, mentre André tratteneva un sorriso. E ringraziò Iddio, che infilandosi nella tinozza, l’acqua fosse ormai quasi gelata.

Intanto, fuori della locanda, due scugnizzi, smilzi e veloci, li avevano seguiti. Poi si erano suddivisi i compiti. Uno aveva carpito, da un inserviente loro compare, preziose informazioni sui nuovi arrivati alla locanda. L’altro era salito sul tetto e stava sbirciando ...  
 
* * *
Il giorno successivo, puntuali alle nove, erano alla Pietatella.  Il tedesco li stava già aspettando.

Oh eccovi qui” aveva esordito  secco “Vi faccio strada all’interno della cappella. Saremo soli

Erano entrati. Erano abituati Oscar e André agli sfarzi di Versailles, alle statue, agli affreschi, ma rimasero colpiti dalla ricchezza della chiesa ed in particolare dalla statua di un Cristo Velato, che sembrava respirare sotto un velo dalla consistenza impalpabile, lieve eppure di solido marmo.

State affrontando un lungo viaggio, siete partiti da Parigi immagino.  E cosa mi dite della vostra Regina? Sapete, quando ero un ragazzo ho assistito alla parata nuziale a Strasburgo, ho persino intravisto la principessa imperiale dietro i finestrini della sua carrozza dorata. Ora è la Regina di Francia ...”

Rispose Oscar: “E’ una grande Regina, che merita amore e devozione

Certamente ....”, rispose Möller “Si racconta che ne riceva assai, di amore e devozione, dal suo amante svedese

Come osate!” aveva inveito Oscar.

Conte De Saint, insomma”, aveva replicato  Möller,  “le volete o no queste informazioni? Siamo fra uomini, no? Possiamo prenderci un po’ di libertà, vi pare?

Monsieur Möller, siamo tra uomini, sì...” era intervenuto André sbirciando con la coda dell’occhio Oscar “ma noi siamo sudditi di Luigi XVI e della Regina Maria Antonietta, fedeli sudditi

Va bene, va bene. Ma dovreste essere contenti che la vostra Regina possa godere di un po’ di amore, non credete? Io lo so cosa significa amare qualcuno e dovervi rinunciare. Io lo so cosa significano le convenzioni sociali che impediscono ...oh accidenti lasciamo perdere”, aveva risposto un po’ mestamente il tedesco.

Poi risoluto aveva continuato: “Fedeli sudditi avete detto. Ed il Duca avrebbe incaricato voi di andare a scovare il Conte di Saint-Germain? Tutto questo mi pare improbabile, come voi due del resto, che sembrate due attori che recitano in una commedia shakespeariana ...anzi no, che sto dicendo........ oh no me ne rendo conto solo adesso... a che gioco state giocando?” aveva ridacchiato il tedesco “Alla Nuova Eloisa? il precettore Preux, il fanciullo che sembra una fanciulla e sia chiama Jules invece che Julie, Jacques come Jean Jacques Rousseau, Saint come Saint Preux. Mi correggo, forse ... forse è il Duca che si sta prendendo gioco di tutti noi ...””

Scoppiò in una fragorosa risata il tedesco, mentre Oscar, che non aveva mai letto la Nuova Eloisa, guardava interrogativa André.

Fu dunque lei a voler chiarire. Orgogliosa rispose al tedesco: “Sono il Colonnello Oscar François de Jarjayes, erede della famiglia de Jarjayes. Sono stato ingiustamente accusato dal Duca d’Orleans di crimini mai commessi ed ora il generale mio padre è imprigionato, innocente, alla Bastiglia. Per liberarlo devo portare a termine una missione per conto del Duca: rintracciare il Conte di Saint - Germain a Costantinopoli. Questo è tutto.”

Cosa posso dirvi?” aveva replicato Möller “Colonnello! Siete nel posto giusto! Rivolgetevi laggiù, al dipinto di Santa Maria della Pietà. Una leggenda narra che il dipinto sia l’ex voto di un uomo innocente, ingiustamente calunniato; mentre veniva tradotto in carcere, il poveretto assistette al crollo di un muro che nascondeva il dipinto. Dopo essere stato scagionato dall’ingiusta accusa fece restaurare il dipinto e disposto affinché vi ardesse sempre una lampada in argento...dunque si, sì siete nel posto giusto...”

“Non abbiamo tempo da perdere Monsieur Möller”, aveva insistito contrariata Oscar. “Assolvete al vostro compito e diteci come trovare il Conte di Saint – Germain.”

Io non ho nessun compito d’assolvere, Colonnello. Non ho debiti né doveri nei confronti del Duca. Certo appartengo allo stesso Ordine, e ne auspico il successo.... Dunque non temete, otterrete le informazioni che vi occorrono, ma vedete....voi non siete stato del tutto sincero con me ...io vi ho fatto spiare...”

“Come avete osato!” André si era fatto avanti, afferrando per il bavero il tedesco, e poi strattonandolo lontano.

“Suvvia ....siete noioso ... e poi  avrei detto che voi foste il più ragionevole dei due...già chi sareste poi? Sicuramente non il precettore di un colonnello, forse siete un uomo d’arme, a giudicare dall’aspetto o un uomo di lettere, secondo il mio amico Gaetano. O forse siete l’amante del Colonnello?”

E questa volta era stata Oscar a reagire: sfilandosi un guanto e gettandolo a terra, aveva sibilato “Vi sfido a duello, Monsieur Möller!”

A quel punto il tedesco aveva sorriso: “Bene, bene, il fuoco divampa ... vedete ho intrapreso questo lungo viaggio in Europa non solo per conto della Loggia, ma perché volevo allontanarmi, allontanarmi dalla notorietà, dalle molestie di una certa fama. O almeno così credevo ...

In realtà non riuscivo più a scrivere una sola parola degna del mio nome.

L’emozione, Colonnello, l’emozione è tutto ciò che vale la pena cercare, dopo che l’amore è perduto.

Pensavo che fuggire fosse la soluzione, ma la mia Lotte tormenta le mie notti ed anche i miei sogni ad occhi aperti.

E dunque l’emozione, l’emozione di viaggiare e vivere la vita degli altri, è tutto ciò che mi resta, per lenire il dolore.

Vi ho fatto spiare. Perché non mi fidavo di voi. Ed in realtà nemmeno del Duca. Ma non solo per questo ... ero contrariato da tutta questa faccenda, non lo nascondo, ma poi, ieri, quando vi ho visto... voi due mi avete incuriosito: che voi siete una donna, perdonate la franchezza, è evidente, perciò vi ho fatto seguire.”

“Maledizione, chi siete voi, cosa volete da noi?” aveva urlato André.

“Mio audace amico, ricordatevi che siamo in un luogo sacro! Inizialmente avevo pensato ad una commedia shakespeariana, a Rosalinda ed Orlando, in fuga nella foresta di Arden!”

“Cosa state dicendo Monsieur Möller!” era intervenuta Oscar “Qui non siamo a teatro, non stiamo recitando "Come vi piace", questa è la vita vera!  Raccogliete il guanto ed accettate la sfida, Monsieur!

“Lasciatemi finire, ve ne prego. E’ tutto molto ....emozionante ..... non mi sono stupito quando mi hanno confermato  che voi, Colonnello, siete una donna..., ma credevo che  foste due amanti in fuga... invece  chi vi ha spiato mi ha riferito che questa notte vi siete  comportati come fratelli, sono molto deluso!

André a quel punto non si era trattenuto. Aveva sferrato un pugno che aveva steso il tedesco.

Ma Monsieur Möller si era subito rialzato, sfregandosi il mento dolorante con una mano. Con un sogghigno aveva replicato “Mi pare di capire che chi vi ha spiato non ha saputo vedere ... ma noi due vediamo, vero Monsieur Preux... ? o come vi chiamate ... il Colonnello non ci ha presentato...Ma noi due sappiamo che l'amore fra uomo e donna, se non permesso, deve trasformarsi in amore fraterno. Lo sappiamo ma non l’abbiamo mai accettato, come il mio Werther."

A quel punto Oscar stranita aveva sgranato gli occhi, esclamando “Voi siete Johann Wolfgang von Goethe?”

Ebbene sì, miei valorosi antagonisti. Dichiaro chiuse le ostilità. Venite con me. Qui nella Cappella di San Severo troverete alcune delle risposte che cercate. Il Conte di Saint – Germain ed il principe di Sansevero Raimondo di Sangro si conoscevano...lo sapevate?  Ma dite Colonnello, come si chiama, vostro "fratello"?”

André Grandier” Herr  von Goethe “e non è mio fratello.”

André fissò Oscar: “<<I dolori del giovane Werther >>  ... quando l’hai letto Oscar?”, si domandò e ragionò che Oscar aveva racchiuso tutto un mondo dentro di sé, e lui forse ne faceva già parte.

“L’occasione era bella. Volli sperare anch’io. Puntai in alto. Una stella o l’occhio (il gelo) di Dio?” (*)
(*) Giorgio Caproni, L’Occasione.
 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Paris or maybe hell – I’m waiting
Clutches of sad remains
Waits for Aladdin Sane – you’ll make it
Who’ll love Aladdin Sane
Millions weep a fountain,
just in case of sunrise
 
 
 
“L’occasione era bella. Volli sperare anch’io. Puntai in alto. Una stella o l’occhio (il gelo) di Dio?” (*)
(*) Giorgio Caproni, L’Occasione.
 
“ Bene, avvicinatevi, qui”

Oscar ed André si erano avvicinati all’altare, dove Goethe si era diretto.

“Vi dicevo che il Conte di Saint-Germain ha conosciuto il principe di Sansevero, Raimondo di Sangro. E’ avvenuto intorno al 1761, poco dopo che il Conte fu esiliato dalla Francia, con l’accusa di essere una spia. Dapprima si rifugiò all’Aia e ad Amsterdam e poi venne qui, a Naples, dove soggiornò per qualche mese, sotto falsa identità. Come tutti noi del resto.”

Il tedesco si accertò che fossero ancora soli. Poi continuò:
“Il Principe Raimondo di Sangro, invece, era stato iniziato alla Massoneria nella vostra natia Francia, nella Loggia del duca di Villeroy. Nel 1750, quando aveva quarant’anni divenne gran maestro della Massoneria napoletana. Ma l’anno dopo l’abbandonò. Forse. Di certo abbandonare i fratelli non è mai una scelta felice.”

Alzò lo sguardo Goethe; indicando le statue intorno a sé proseguì:
“Apparentemente tutti questi marmi rappresentano avi e familiari del Principe; in realtà questa cappella descrive un percorso iniziatico. Siete stati accolti dalla statua di un guardiano che esce dalla tomba; la sua spada è sguainata, per impedire ai profani di entrare, ma anche per accogliere simbolicamente il nuovo adepto. Tutte le altre opere ne illustrano il cammino massonico verso la conoscenza.”

Oscar ed André si erano soffermati a guardare le statue ai lati dell’altare.

“Se avessimo più tempo potrei narrarvi di ogni simbolo inciso in questi marmi”, aggiunse. “Per ora vi basti sapere che le statue ai lati di questo altare rappresentano più di quello che mostrano.
La Pudicizia non è solo una donna coperta da un velo: è l’allegoria della sapienza, tangibile ma nascosta; ed è anche la dea Iside. La dea mater.
Il Disinganno rappresenta un uomo che si libera da una rete, ma è posto su una bibbia aperta: è l’uomo che si affranca dal peccato e dalle false verità con l’aiuto della ragione, per raggiungere l’autentica conoscenza, quella esoterica.”

Si era spostato dietro l’altare Goethe, mentre Oscar e André erano rimasti, immoti e vicini, la prima alla sinistra del secondo.

Li guardò e sorrise beffardo Goethe e poi esclamò: “La scenografia è perfetta, il ruolo mi si addice... certo siete entrambe vestiti da uomini... comunque ... potrei quasi congiungervi in matrimonio: vi dichiaro marito e moglie, può baciare la sposa, Monsieur André!”

Spalancò la bocca dalla sorpresa André.

Sgranò gli occhi Oscar e poi abbassò lo sguardo, arrossendo appena. Fu un attimo. Risoluta tornò a fissare il tedesco “Vi ho già detto che qui non siamo a teatro e che non abbiamo tempo da perdere, Herr  von Goethe!”

“Va bene, va bene, come volete ... dunque dov’ero rimasto .. ah sì, dicevo che si conobbero, il Principe ed il Conte.
Entrambe erano esperti alchimisti.
Il  Principe nel proprio palazzo disponeva di un laboratorio e di una fornace con cui  produceva  gemme artificiali. Trovò il metodo di imitare le vere pietre preziose, dalle quali le sue gemme non potevano distinguersi: pietre dure, come il diaspro verde o  sanguigno e l’agata, ma anche  lapislazzuli ed ametiste.
Ed il Conte faceva esperimenti della stessa natura al Castello di Chambord, che il vostro compianto re Luigi XV gli aveva concesso, promettendogli «la più ricca e rara delle scoperte mai compiute».

Si rammentò Oscar che quel re aveva quasi condannato a morte André, il suo André.  Ingiustamente. Iniquamente. Non lo compiangeva affatto quel re.

Gli sovvenne ad André che Oscar aveva rischiato di morire tanti anni prima, davanti a quel re, per due volte, per la ferita al braccio e perché aveva offerto la propria vita in cambio della sua; al posto della vita di un servo... E lui aveva giurato che avrebbe fatto altrettanto, che avrebbe dato la sua vita per lei. E gli sovvenne anche che allora .... già l’amava ...

“Ma quello che, si suppone, insieme sottrassero alla Massoneria, è più prezioso di qualche vetro colorato”, seguitò Goethe. “Avete mai sentito parlare del Lume perpetuo? Potete immaginare  quale progresso potrebbe rappresentare per la scienza e per la vita un tale prodigio?”

Si guardarono interdetti Oscar e André. Un lieve rossore le imporporava ancora le guance, notò André.

“Conoscendo il Duca, immagino che per ora vi abbia lasciato all’oscuro di molte informazioni.  Per indicarvi cosa il Conte abbia sottratto ai fratelli massoni, vi avrà fornito solo istruzioni cifrate. La chiave per decriptarle vi arriverà a tempo debito.”

Annui André, che fra i documenti consegnati dal  Duca, custodiva con cura una serie di lettere sigillate da aprire a tappe prestabilite.

“Dunque dicevo ...  non mi stupirei se l’oggetto del furto fosse quello”, chiosò Goethe “Che poi di furto vero e proprio non si trattò. Il Principe imprudentemente rese nota la sua “invenzione” nel 1765, ma morì nel 1771 senza condividere la natura di quell’artifizio che generava una luce perpetua che bruciava senza estinguersi, per mesi e mesi. Avrebbe voluto esporre il Cristo Velato nella cripta, illuminandolo con quelle luci perpetue.”

“Allora”, intervenne Oscar, “ci state dicendo che il Conte di Saint-Germain avrebbe sottratto alla massoneria il segreto per produrre queste luci perpetue e l’avrebbe ceduto al Principe?”

“Più o meno”, rispose Goethe “Saint-Germain si impossessò di un archetipo, di  un prototipo, che poi Saint-Germain e Raimondo di Sangro perfezionarono assieme. Poi il Conte proseguì nei suoi viaggi, mentre il Principe restò a Naples, ma si espose troppo.”

“Ovvero?”, chiese André.

“Ad alta voce si dice che morì a causa delle esalazioni prodotte dai suoi esperimenti alchemici. Si sussurra invece che fu assassinato, in un maldestro tentativo di carpirne i segreti. E’ successo ormai diciassette anni fa. Da allora i fratelli Massoni cercano di rintracciare il Conte, unico depositario rimasto del segreto del Lume perpetuo”

“E voi, in tutto questo cosa c’entrate Herr von Goethe, credevo foste solo uno scrittore”, precisò sarcastica Oscar.

“Nessuno scrittore è solo uno scrittore” rispose piccato Goethe “Io sono riuscito ad accertare che tre anni orsono il Conte ha simulato la sua morte: la sua tomba, ad Eckenforde, sul Mar Baltico, è vuota.”

Era impensierita e corrucciata Oscar, mentre André scrutava il tedesco domandandosi se fosse sincero o si prendesse gioco di loro. O se fosse completamente pazzo.

“Ho scoperto che ora il Conte di Saint-Germain si trova alla corte del Sultano Abdül Hamid I.”  Proseguì Goethe: “dovrebbe avere almeno settantacinque anni, ma è ancora vivo e pare godere di un’ottima salute e dell’aspetto invidiabile di un quarantenne”.  

André fissò irritato il tedesco: “Suvvia Herr von Goethe, non crederete di impressionarci: questa leggenda dell’eterna giovinezza, del fatto che Saint-Germain si trasferisse di corte in corte perché nessuno si avvedesse che il suo aspetto non invecchiava ...insomma  se ne chiacchera ancora a Versailles. E’ una favoletta per anime semplici, da raccontare nelle fredde notti invernali.”

“Mio giovane amico, pensate pure quello che volete, ma non dovrete cercare un settantenne, alla corte del Sultano. Quanto a me, mi sono molto impressionato invece. Sto persino scrivendo un dramma in versi; chissà se lo finirò mai, ma ho già il titolo: Faust.

Oh.... magari mi sto sbagliando ed il Duca sta bramando l’elisir di eterna giovinezza!”

“ Herr von Goethe”, sibilò Oscar, i pugni stretti e le braccia tese lungo i fianchi, gli occhi azzurri sottili come lame: “Se ci state mentendo pregate Iddio che io non riesca a ritrovarvi, giammai!”

“Ebbene”, rispose Goethe, come se nulla fosse  “Non credo che la destinazione di Costantinopoli sia casuale. Se è il lume eterno, il santo graal di questa recherche, qui nella Cappella c’è l’indizio decisivo: qualcosa che il Principe di San Severo fece aggiungere  nel 1767: ecco. Venite!”

Si erano spostati sulla porta laterale dove tradusse un’iscrizione: << Chiunque tu sia, o viandante ... Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei defunti, e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati >>.

Erano sprofondati nel silenzio al tacer di quelle parole.

Poi Goethe li aveva condotti sotto la statua dello Zelo della Religione, scolpita nello stesso anno, in cui spiccava la figura di un vegliardo che portava in una mano un lume. La luce della Verità che con il piede schiacciava le serpi dell’eresia?  Forse. Con uno strano ghigno il tedesco aveva letto le parole incise: “Et apud Costantinopolim ego”.

“A Costantinopoli la vostra missione è cercare il Conte, che si nasconde sotto mentite spoglie. Come vi ho già detto lo troverete alla corte del Sultano Abdül Hamid I, ed è il più fidato Consigliere della sua amata madre, Rabi'a Semi Sultana. Ora si fa chiamare Leopoldo Giorgio Rákóczi.

Se vi presenterete a nome della defunta moglie del Principe di Sansevero, Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona, non potrà non ricevervi.”

Dopo di che uscirono alla luce.

Il sole brillava alto e sorprendentemente caldo su Naples.

Sotto quel cielo pareva che le alchimie, i misteri esoterici, le dottrine occulte e tutti gli arcani evocati dalle parole di Goethe si squagliassero come neve, sotto i raggi carezzevoli del sole.

Anche il tedesco parve trasformarsi.

Non era più l’ambiguo e scontroso Johann Philipp Möller.

Non era più l’altero e cinico Johann Wolfgang von Goethe.

Sembrava un non più giovane Werther. Malinconico e triste.

Sorrise mesto ai due francesi e disse: “Forse posso fare qualcosa per voi. Ma siate sinceri, raccontatemi la vostra storia. Ricordatevi: sono uno scrittore, mi nutro di emozioni.”
* * *
Davanti al mare di Naples, seduti sugli scogli, Oscar raccontò la sua storia. Che era anche quella di André.

I pescatori tiravano le reti sulla spiaggia, i gabbiani garrivano forte, volavano bassi, in tondo, intorno ai gozzi. Il mare luccicava.

André, che il suo sguardo innamorato non riusciva più a celare, ascoltava la sua Oscar ed ogni tanto interveniva, per precisare,  il più delle volte per schernirsi e per magnificarla.

Della contessa Du Barry. Di quella volta che alla Corte di Versailles un pesante lampadario era precipitato sulle loro teste e lui l’aveva tratta in salvo, avvolgendola come in un bozzolo mentre rotolavano giù dalle scale. “Non feci nulla di straordinario. Te ne eri accorta anche tu Oscar”.

Dello scandalo della collana. Di quella volta che a Saverne lei invocò, con l’ultimo respiro che le restava,  il suo aiuto. I muri erano spessi e lui era lontano. Ma lui accorse in suo aiuto ed anche quella volta l’avvolse in un abbraccio, per proteggerla dall’esplosione.  “Solo un caso, Oscar, un fortunato caso.

Di quella volta che i panni del Cavaliere nero li aveva indossati lui, al posto suo. Ed era stato ferito all’occhio, al posto suo. “Te lo ripeto Oscar, sono contento che sia successo a me e non a te Oscar....davvero, e poi sono guarito, no?”.

Lui, Lei.

Li ascoltava e li guardava un po’ intenerito, il tedesco. Che il racconto era quello di una vita straordinaria per una donna. Allevata come un uomo, come un militare. Orgogliosa ed impavida. Generosa e leale. Ma irrimediabilmente ingenua.

Ed era anche il racconto di un ragazzo, diventato uomo, cresciuto con i nobili, educato come un aristocratico, ma pur sempre nato servo. Ma che come servo non si era mai comportato, non perché non fosse fedele e ligio al dovere, ma perché quella nei confronti della sua nobile padrona non era fedeltà, era devozione.

E l’uomo devoto è pari al suo Dio. Non vi è mai sottomesso.

Eppure quei due si comportavano come fratelli. Non come amanti.

Eppure tutto in loro, nel modo in cui Oscar parlava di André, nel modo in cui André  guardava Oscar,  perfino i silenzi fra di loro, urlavano al mondo che quello era un amore vero, profondo ed irrinunciabile. Ma inconfessato.

Aveva ascoltato con disgusto del ricatto del Duca d’Orleans, il tedesco, anche se qualcosa gli sfuggiva. Non poteva essere che il Duca non avesse previsto un modo per annientare quella donna colonnello al suo rientro dalla missione. E percepiva che anche André si tormentasse per quello.

Poi offrì loro il suo aiuto. Avrebbe fatto recapitare clandestinamente al Generale de Jarjayes ed al Conte Hans Axel von Fersen una lettera da parte loro.

In cuor suo si ripromise di rassicurare il Duca sulla riuscita del suo incarico e cercato di capirne qualche segreto. Per aiutarli. Perché sperava che per una volta un amore che la società ripudiava non dovesse sublimarsi in qualcos’altro, ma fiorire. Rigoglioso.

Era quasi il tramonto quando si alzarono da quegli scogli, un po’ indolenziti. Una lieve brezza si era sollevata, Oscar tremò per il freddo ed André se ne avvide. Le porse il mantello. Lo poggiò lieve sulle sue spalle. Come sempre. E come sempre lei accennò un sorriso, grata di quella premura. Le loro dita si sfiorarono ed Oscar ne percepì il tepore.  Indugiarono quelle dita, strette sul mantello che avvolgeva le spalle di Oscar.

Si salutarono i tre.

L’indomani, il 26 marzo 1787,  la Misticque era salpata. All’alba André aveva consegnato a Goethe due lettere sigillate.

Anche Goethe, diretto a Palermo, sarebbe partito per nave, tre giorni dopo.

Nel cuore serbava una storia, e quella storia gli bruciava nel petto.

Emozioni.

Ne era dipendente ormai.

Socchiuse gli occhi. Distolse lo sguardo dalla Misticque che si allontanava dal golfo di Naples e sul suo taccuino scrisse:

MEFISTOFELE: Ti ho trasportato attraverso spazi sterminati, ti ho mostrato molti regni del mondo… e la loro gloria. Ti ho fatto conoscere l’amore ma nulla ancora ti ha saziato. Davvero, il tuo cuore non è mai contento giù tra gli uomini! Ma allora, insaziato come sei, non ti piace proprio nulla su questa nostra terra?

FAUST: Eppure – sì. Una cosa grande ora mi attira. (*)
 (*) Goethe, Faust
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


The hand that wrote this letter
Sweeps the pillow clean
So rest your head and
read a treasured dream
I care for no one else but you
I tear my soul to cease the pain
I think maybe you feel the same
What can we do?
I’m not quite sure what we’re supposed to do
So I’ve been writing just for you
...
But did you ever call my name
Just by mistake?
I’m not quite sure what I’m supposed to do
So I’ll just write some love to you

(David Bowie, Letter to Hermione)
https://www.youtube.com/watch?v=Xw1mmqMD9j0
 
 
MEFISTOFELE: Ti ho trasportato attraverso spazi sterminati, ti ho mostrato molti regni del mondo… e la loro gloria. Ti ho fatto conoscere l’amore ma nulla ancora ti ha saziato. Davvero, il tuo cuore non è mai contento giù tra gli uomini! Ma allora, insaziato come sei, non ti piace proprio nulla su questa nostra terra?

FAUST: Eppure – sì. Una cosa grande ora mi attira. (*)
 (*) Goethe, Faust

Questo scriveva sul suo taccuino  Goethe,  mentre la Misticque si allontanava dal golfo di Naples.

Sulla Misticque intanto l’attività fremeva. Armate le vele, tracciata la rotta, alla velocità di dieci nodi si stava dirigendo verso il prossimo porto di Messine.

A Naples erano sbarcati tutti i passeggeri. Da quel momento in poi solo André ed Oscar, sotto le mentite spoglie di Jacques e Jules, oltre ad un paio di studiosi che invece a Naples si erano imbarcati, avrebbero accompagnato i marinai della Misticque, diretta ad Istanbul, per commerciare con la città d’oro, che solo i nostalgici del mondo classico chiamavano ancora Costantinopoli o Bisanzio.

André l’aveva avvertita: Goerso aveva intuito che lei non era un ragazzo.

Giacché a lui non c’era più nulla da nascondere spesso si ritrovavano sul castello di poppa, tutti e tre, a  scambiarsi storie di mare, vere anche se un po’ ingigantite quelle di Goerso, mitologiche quelle di Oscar, mentre André li ascoltava divertito.

Quanto al resto della ciurma ed al capitano Maule, se ne stavano a rispettosa distanza, ancora meravigliati e grati a quella coppia ed a quello strano ragazzo che avevano contribuito a salvare la Misticque da un sicuro  naufragio. Ma che ora rifuggivano da ogni compagnia che non fosse quella del vecchio timoniere.
 
Attraversando lo stretto, Oscar aveva recitato a memoria i versi dell’Eneide:

Cariddi .... « È l’ingorda Cariddi. Una vorago / D’un gran baratro è questa, che tre volte / I vasti flutti rigirando assorbe, / E tre volte a vicenda li ributta / Con immenso bollor fino a le stelle

e dell’Odissea:

Scilla ....“Dodici ha piedi, anteriori tutti / Sei lunghissimi colli e su ciascuno / Spaventosa una testa, e nelle bocche / Di spessi denti un triplicato giro / E la morte più amara di ogni dente

Dal canto suo Goerso, lo stretto di Messina l’aveva attraversato più volte. Le correnti rapide ed irregolari ed i venti che vi spiravano violenti generavano imprevedibili gorghi e vent’anni prima vi aveva quasi fatto naufragio. Così raccontava,  quel vecchio lupo di mare.

Quanto ai mostri marini, lo giurava Goerso, che nel mar di Norvegia, un’enorme piovra, che i marinai del posto chiamavano Kraken aveva aggredito il suo veliero, ghermendolo con i suoi tentacoli. E solo una provvidenziale burrasca l’aveva salvato.

André invece i suoi  gorghi e mostri personali, quelli .... non poteva narrarli.

La sua Scilla rifulgeva con i suoi  lunghi capelli biondi, morbidi come seta. Un volto accigliato, risoluto e fiero, eppure dolcissimo, quando voleva. Due occhi color fiordaliso o del mare cupo in burrasca. E sarebbe stato dolce morir fra le sue spire.

Si domandava se ancora pensasse a Fersen. Se quando si addormentava sognasse di lui. Se qualche volta invocasse il suo nome, invece del nome di Fersen, anche solo per sbaglio.

Riassettando al mattino i loro giacigli, trovava bagnato il cuscino di Oscar. Sempre.

“Per chi versi queste lacrime Oscar?”, si domandava. Ma non aveva il diritto di chiederlo.

E perciò ogni volta era lui ad annegare in un gorgo, in un abisso di struggimento che lo soffocava, travolto dal desiderio di confessarle il suo amore, col rischio di perderne per sempre l’amicizia.

Affogare a  Cariddi sarebbe stato un sollievo.

Ma nulla di questo faceva trapelare.

Dopo quattro giorni di navigazione tranquilla, Messine li accolse, assolata e desolata, giusto il tempo di imbarcare acqua e viveri.

Erano scesi Oscar e André. In un mercatino allestito nei pressi del porto  avevano fatto scorta di frutta fresca. Poi si erano diretti a palazzo de Spucches,  dove al  segretario di Antonino de Spucches Amato, duca di Santo Stefano,  avevano consegnato una lettera sigillata tra quelle affidate loro dal Duca d’Orleans, per riceverne in cambio un’altra.
Si erano fermati vicino alla Fontana dell’abbondanza, nei pressi del Monte di Pietà,  per leggerne il contenuto. A Malte avrebbero ricevuto nuove istruzioni. Nel frattempo quella missiva era un lasciapassare indispensabile per affrontare il viaggio verso Malte e Crète.

Il sistema ideato dal Duca era ingegnoso ed imprevedibile. Impossibile non attenersi alle regole. Rompere i sigilli per conoscere anzitempo il contenuto delle missive poteva interrompere la catena degli ordini e compromettere la missione. Ed il Generale rinchiuso alla Bastille ne avrebbe subito le conseguenze.

Come Naples la città era sotto il dominio dei Borbone. Nel 1783  un devastante terremoto aveva raso al suolo la città, che a quattro anni di distanza era ancora in rovina.

Ed i suoi abitanti erano costretti a vivere nelle baracche, tirate su alla meno peggio nella parte settentrionale della città.

Oscar se ne stava più silenziosa del solito. Pensava Oscar. Rifletteva sulla caducità della vita umana.

Meditava sul fato che incombeva sulla vita di ciascuno di noi.

Ragionava sul fatto incontestabile che nonostante l’umiliazione del ricatto, le fatiche di quella missione, i rischi per lei, per suo padre e per ... per André, lei era una privilegiata.

Non doveva dormire in una baracca fatiscente. I suoi cari non erano morti fra le macerie di un terremoto. Aveva di che mangiare la mattina e la sera, disponeva di abiti caldi d’inverno e freschi d’estate.

Pensava che era grata di svegliarsi ogni mattina e di trovare accanto a sé il suo attendente, il suo amico fraterno, il suo André, che dopo la disavventura di Fontainebleau vegliava su di lei, dividendo  in maniera discreta la cabina della nave e la stanza di ogni locanda.

Ecco  a pensarci bene questo la irritava un po’, perché lei come un maschio era stata cresciuta e come uomo doveva comportarsi, perciò si crucciava di avere bisogno della protezione di André.

Anzi questo doveva proprio chiarirlo ad André, una volta per tutte.

Questo rimuginava Oscar e più ci rimuginava, più il suo sguardo si incupiva.

E più guardava gli abitanti di quel posto, benedetto dal mare e dal sole, e tuttavia  maledetto dalle viscere della terra, più si rabbuiava.

Poi aveva osservato André, che invece rideva, circondato da un nugolo di fanciulli ai quali aveva regalato qualche moneta e tutte le mele acquistate al mercato.

André e le sue mele.

Un pensiero le balenò in mente, un attimo fugace nel quale realizzò che per essere felice le sarebbe bastato vivere, con poco o niente, ma solo se accanto a lei ci fosse stato André. Sorridente. Mentre addentava una mela.

Ma poi le sovvenne di un’altra mela, da afferrare al volo, ed al colpo di fucile che l’aveva disintegrata. Ai lunghi capelli sciolti al vento di Fersen di ritorno dalle Americhe.

Si risolse che essere un uomo era davvero la decisione migliore.

Assorta in quel meditare non si avvide dei fanciulli che la scrutavano ed incuriositi le giravano intorno; qualcuno le aveva sfiorato una ciocca di capelli ....

Poi il più piccolo della combriccola, un soldo di cacio di cinque anni o poco più,  aveva chiesto rivolgendosi ad Andrè “Picchì a to zita jè vistuta comu 'n omu?”

André aveva intuito la domanda ed ora la fissava, un po’ divertito.

In un italiano stentato, che quei ragazzini non parlavano, ma comprendevano, all’orecchio di quel bambinetto André aveva susurrato: “Perché una strega cattiva le ha fatto un incantesimo e lei è convinta di essere un uomo. Solo un bacio d’amore potrà destarla.”

E tu picchì nun a baci?”, aveva risposto il monello.

André non aveva risposto, ma continuava a sorridere.

Cosa vi siete detti tu e quel fanciullo André?”

Oh nulla Oscar...” si stava grattando la testa André, l’avambraccio destro piegato dietro la nuca e un sorriso sornione sulle labbra. “Non hanno mai visto capelli così biondi come i tuoi..”, mentì André.

Poi si erano di nuovo imbarcati. All’alba del 31 marzo 1787 la Misticque era salpata. Destinazione Malte.

 
* * *
Nel frattempo,  a Parigi, Bernard Chatelet aveva dismesso i panni del Cavaliere Nero.

Voci insistenti, ufficiose ma attendibili, mormoravano che il cavaliere nero fosse stato smascherato. Che fosse l’attendente del Colonnello delle Guardie Reali, del Conte Oscar François de Jarjayes, che in realtà era una donna allevata come un uomo dal padre, il Generale François Augustin Reynier de Jarjayes. Si sussurrava che quest’ultimo fosse recluso alla Bastille. Colpito da una lettre de cachet come sua figlia. Scomparsa nel nulla. Come il suo attendente.

Cercando conferma a tali voci si era imbattuto in una giovane fanciulla, che aveva conosciuto la famiglia de Jarjayes: Rosalie Lamorlière.

E quella giovane incantevole, apparentemente timida ma assai forte ed orgogliosa, aveva espresso parole di affetto e sincera riconoscenza per la famiglia de Jarjayes, ed in particolare per il colonnello, a cui lei si riferiva sempre chiamandola “Madamigella Oscar”, e per André Grandier, il famigerato attendente, quello che lui aveva ferito all’occhio.

In un primo momento aveva pensato che il miglior modo per riparare all’equivoco fosse perseverare nei furti, ma se il Duca d’Orleans era coinvolto nell’intrigo, non sarebbe servito. L’avrebbe fatto apparire come un misero tentativo di depistaggio.  Perché li davano per scomparsi quei due, ma non si erano dati alla macchia.... lui li aveva visti, da un abbaino di Palais Royal,  spintonati in malo modo su quella carrozza, all’alba di un giorno di fine febbraio.

Accantonata la sua innata ostilità verso i nobili ed i loro servi, aveva preso a cuore le sorti di quei due, per i quali Rosalie, di cui Bernard si stava innamorando, non smetteva di disperarsi.

Perciò aveva deciso di coinvolgere i suoi amici ...
 
* * *
Anche Johann Wolfgang von Goethe, sotto le mentite spoglie di Johann Philipp Möller, stava raggiungendo la Sicilia, diretto a Palermo, su una veloce corvetta. Prima di partire da Naples aveva spedito al suo amico fraterno Stephane Thibaud (1), con cui condivideva i suoi studi di botanica, le lettere che i due francesi gli avevano affidato, perché le recapitasse clandestinamente ai loro destinatari. Ora, mentre respirava il vento di mare, stava meditando su come raggirare il Duca d’Orleans.
 
* * *
Così, mentre alcune persone conosciute, ed altre assolutamente incognite,  inconsapevoli le une delle altre, si stavano adoperando per aiutare Oscar e André, il fato, sempre quello, tramava alle loro spalle.

Al tramonto del secondo giorno di navigazione, mentre una persistente bonaccia rallentava la navigazione, i  pirati barbareschi avevano avvistato la Misticque.

Una dura battaglia li aspettava.

Indossate le spade ed impugnate le pistole acquistate a Gênes, Jacques e Jules, André e Oscar erano pronti a combattere. Per la loro vita. Di nuovo.

 
Atque ea ni mirum quae cumque Acherunte profundo prodita sunt esse, in vita sunt omnia nobis (*)
(*) In realtà quei supplizi che dicono ci siano nel profondo inferno, li abbiamo qui tutti nella vita.
(Lucrezio, De rerum natura)
 
 
 
(1) Stephane Thibaud, (1750 circa – 1800 circa) è stato un medico, botanico e anatomista francese. Fu accademico all'Università di Montpellier e fece pubblicare diversi suoi trattati di Botanica e Anatomia. Ma non risulta che Goethe e Thibaud si conoscessero ...
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


I I wish you could swim
Like the dolphins, like dolphins can swim
Though nothing,
nothing will keep us together
We can beat them, for ever and ever
Oh we can be Heroes,
just for one day

(David Bowie, Heroes)
https://www.youtube.com/watch?v=lXgkuM2NhYI
 
Atque ea ni mirum quae cumque Acherunte profundo prodita sunt esse, in vita sunt omnia nobis (*)
(*) In realtà quei supplizi che dicono ci siano nel profondo inferno, li abbiamo qui tutti nella vita.
(Lucrezio, De rerum natura)

Sulla loro galea, da meridione, i pirati barbareschi si stavano avvicinando rapidamente  alla Misticque.

La galea si stagliava all’orizzonte, con il suo profilo lungo e basso. Le vele latine triangolari, sui due alberi di trinchetto e marabutto, erano immote, a causa della bonaccia che bloccava anche la Misticque, ma gli schiavi posti ai venticinque banchi remieri, a forza di frustate che gli alguazil, i sorveglianti, sferzavano senza pietà, facevano procedere la galea ad una velocità con la quale la Misticque non poteva competere.

Il capitano Maule aveva ordinato ai suoi di mettersi ai remi, non per sfuggire, giacché lo sciabecco per quanto di struttura agile e veloce era troppo pesante, carico di merci com’era, ma per consentire al timoniere di governare la nave che, manovrata la fiancata a tribordo, puntò sei dei suoi diciotto cannoni contro la galea pirata.

Fecero fuoco in sequenza, ma la galea era troppo veloce e la prua che si dirigeva verso la Misticque troppo poco esposta per essere colpita.

Aveva appena ordinato un’altra salva di artiglieria, quando un mozzo, salito sulla coffa più alta dell’albero maestro, aveva gridato, “Galea pirata a poppa”.

La Misticque era accerchiata. La galea avvistata a poppa, una galea bastarda più grande della prima, ma altrettanto veloce, stava armando i cannoni prodieri.

Ed ora la prima galea era troppo vicina per colpirla a cannonate  senza danneggiare la Misticque stessa, mentre la seconda galea, con uno di quei cannoni prodieri, ne aveva appena centrato il timone mettendolo fuori uso.

Dalla castellatura di al-quasar posta a prua, i picchieri della galea bastarda erano pronti ad arpionare lo sciabecco.

Goerso, tramortito dal colpo, era stato soccorso da Oscar. Per fortuna il vecchio timoniere ne era uscito illeso.

Dalla balestriera superiore alla teoria dei remi, gli archibugieri della prima galea, che si era esposta a babordo, fecero partire un nugolo di proiettili che ferirono molti dei marinai sul ponte che disordinatamente stavano correndo ad armarsi.

Oscar e André avevano impugnato le pistole, e l’uno contro la schiena dell’altro, a proteggersi le spalle a vicenda, erano pronti alla battaglia.

Nel frattempo la galea bastarda aveva arpionato la Mistique e quattro dozzine  di pirati, armati di pistola e di bichaq, stavano sciamando sul ponte.

La  galea più piccola, a sua volta, aveva arpionato lo sciabecco a tribordo;  altri trenta pirati, armati fino ai denti,  avevano assaltato l’impavesata della Misticque.

Numericamente le forze umane erano in pari.

I  marinai della Misticque non erano usi a combattere, tuttavia li sosteneva la veemenza della disperazione.

Ma i pirati barbareschi erano addestrati per uccidere.

I due studiosi di scienze, che si erano imbarcati a Naples, erano stati spediti dal capitano Maule sottocoperta.

Non aveva potuto, o voluto, fare lo stesso con i due francesi, che ora con una foga ed una agilità sorprendenti il biondo, una resistenza ed una forza incrollabili il moro, stavano falciando vittime tra gli aggressori.

E non c’era occasione che uno abbandonasse l’altro, lo sguardo sempre teso a scorgere il compagno, per aiutarlo in caso di necessità.

Anzi parve al Capitano Maule, che in quei momenti menava a destra e manca e contemporaneamente osservava, come se la sua mente fosse estranea al suo corpo, che quei due fossero legati da un filo invisibile, tenace e flessibile, che si tendeva, talora allo stremo, ma non si spezzava mai.

Intanto un uomo enorme, quasi un gigante, forse il capitano di una delle due galee, a giudicare dal turbante pregiato che indossava, si era gettato su André.

André, colto alle spalle di sorpresa, era caduto in avanti urtando violentemente la testa contro una botte.  

Il pirata aveva impugnato un coltello ricurvo, un prezioso jambiya, col quale stava per recidere da dietro  la gola di André, ancora tramortito.

Oscar come una furia era accorsa e con un calcio l’aveva disarmato.

André era salvo.

Ora i due stavano duellando, una scimitarra contro una spada.

Fu nel più vivo terrore che André si ridestò.

Il pirata caricò un fendente con tutta la forza immane che aveva. Oscar fu agile a frapporre la spada, ritrovandosi tuttavia a dover reggere tutto il peso di quel pirata gigantesco. Ora sentiva le braccia tremanti, le mani intorpidite, nella colluttazione la camicia si era strappata scoprendo l’incavo dei seni che adesso il pirata stava fissando con incredula cupidigia.

Stava per cedere Oscar, quando André, con un colpo di taglio e di rovescio sul collo, aveva ucciso il gigante. L’impugnatura di bronzo con la coppa a forma di conchiglia, di una spada ... di una coppia di spade gemelle acquistate a Gênes, grondava sangue.

Oscar era salva.

Tuttavia la nave era persa. Gli ultimi marinai sopravvissuti erano ormai circondati.

André aveva schivato l’ennesimo colpo di pistola e si era gettato su Oscar, cingendole la vita e trascinandola sotto coperta.

Oscar  si divincolava e continuava ad urlare ad André di lasciarla, “maledizione!”

Ma lui, approfittando della confusione che ancora regnava sulla nave,  la stava portando via di peso, come fosse un fuscello, con la furia di un pazzo e la disperazione di un condannato a morte.

Goerso gli faceva strada, diretto alla cambusa, fino ad uno compartimento segreto, minuscolo.

L’aveva posata a terra. “Entra lì dentro Oscar!”, le aveva ordinato.

“Perché mai  dovrei obbedirti André? Il mio posto è lassù. A combattere!”

Fate presto”, urlava  Goerso, che spasmodicamente guardava prima uno e poi l’altro, di cui apprendeva finalmente i nomi veri,  e poi si guardava nervosamente alle spalle.

“Perché la battaglia è persa, Oscar”

“Entraci tu, André!”

“In due non ci stiamo. E poi il mio posto è lassù, Oscar”

“Anche il mio posto è lassù,  André”

Appena si accorgeranno che sei una donna, hai idea di cosa ti faranno Oscar?”

Non mi importa André. Non mi nascondo come un codardo e non ti lascio

André l’aveva afferrata per i polsi, furente.

Così mi fai male André!” aveva sussurrato con un filo di voce Oscar, guardando i polsi avvinti e poi alzando i suoi occhi color fiordaliso in quelli verdi di André. Lui la sovrastava di tutta la testa.

Potrei mai farti volontariamente del male io, Oscar? Eppure questa è la forza di un uomo!

Non mi importa André. Lasciami”, stava trattenendo le lacrime, orgogliosa come sempre, Oscar

Fate presto, vi prego”, ripeteva  Goerso sempre più agitato.

A quel punto André l’aveva sollevata di peso e rinchiusa a forza in quella specie di nascondiglio.

Mentre lei continuava a battere i pugni per farsi aprire le aveva detto:
“Goerso veglierà qui su di te, ti aprirà quando l’attacco sarà finito. Se necessario ti passerà la chiave da sotto. Tu non urlare se non vuoi che uccidano anche lui.”

Poi proseguì: “Oggi mi hai salvato la vita Oscar. Non vorresti mai  farmi soffrire, vero?”

Certo che non vorrei mai farti soffrire, André”, rispose Oscar, la voce rotta da lacrime silenziose.

Ed allora non darmi il dolore di essere rapita, violata o uccisa, Oscar. Per venti anni ho vissuto con te. Ho provato dell’affetto per te, solo per te. Ti amo Oscar, credo di averti sempre amato

Era fuggito via, prima di udire qualunque risposta.

Goerso si era accasciato a terra. La nave senza timone non era governabile, quindi non l’avrebbero catturata. L’avrebbero saccheggiata, avrebbero fatto schiavi tutti quanti, ma forse non avrebbero perso tempo per affondarla. E contava che lui, guercio e storpio, non valesse gran che sul mercato degli schiavi.  Sperava di essere risparmiato. Per poter salvare quell’angelo biondo.

Oh l’aveva visto sul ponte, quell’esile angelo biondo che con un calcio aveva disarmato un gigante. Che non appena si era accorta che quello stava per tagliare la gola ad André, si era trasformata in una Erinni.

Ma che ora piangeva, silenziosamente, chiusa nel buio, e con un filo di voce sussurrava dolente il nome di André.

Appena tornato in coperta, mentre la nave era ormai avvolta nel buio, rischiarato appena dalla luce pallida della luna piena, che una fitta foschia oscurava, André era stato catturato.

Il vento si era infine alzato. Troppo tardi.

I marinai sopravvissuti alla carneficina, una dozzina in tutto oltre al capitano Maule, giacevano in catene sul ponte.

Questo è il maledetto che ha ammazzato il nostro capitano”, aveva urlato in arabo uno dei pirati.

Poi un colpo in testa ed anche la luce bianca della luna scomparve dietro agli occhi di André. Due lacrime lievi ne solcarono il volto.

La luna geme sui fondali del mare, o Dio quanta morta paura di queste siepi terrene, o quanti sguardi attoniti che salgono dal buio a ghermirti nell’anima ferita.
La luna grava su tutto il nostro io e anche quando sei prossima alla fine senti odore di luna sempre sui cespugli martoriati dai mantici dalle parodie del destino. (...) (*)

(*) Alda Merini, Canto alla Luna.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


You say we’re growing,
growing heart and soul
In this age of grand illusion
You walked into my life
out of my dreams
Sweet name, you’re born once again for me

 
(David Bowie,   Word on a wing)
https://www.youtube.com/watch?v=5PYvqa7DFNc
 
 
La luna geme sui fondali del mare, o Dio quanta morta paura di queste siepi terrene, o quanti sguardi attoniti che salgono dal buio a ghermirti nell’anima ferita.
La luna grava su tutto il nostro io e anche quando sei prossima alla fine senti odore di luna sempre sui cespugli martoriati dai mantici dalle parodie del destino. (...) (*)
(*) Alda Merini, Canto alla Luna.
 
Il vento si era alzato ed infine aveva disperso la foschia.

Ora i raggi della luna scintillavano increspandosi al ritmo delle onde di un mare nero.

I pirati avevano saccheggiato la Misticque, spogliandola di tutte le merci più preziose che le due galee potessero imbarcare.

Invano avevano perlustrato la nave, alla ricerca di quel marinaio biondo che più di tutti, assieme al suo compare che aveva ammazzato il loro comandante, aveva fatto strage dei loro compagni.

In fondo alla cambusa, ubriaco perso e mezzo svenuto, avevano scovato  uno storpio, che non valeva lo sforzo di catturare e nemmeno di uccidere. E poi nella  stiva due gentiluomini tremanti, elegantemente vestiti, per i quali avrebbero potuto chiedere un riscatto.

Quindici uomini erano stati imbarcati sulla galea più piccola, merce umana da vendere al mercato degli schiavi.

I feriti li avevano abbandonati al loro destino, sulla Misticque alla deriva in mare aperto.

Un pirata, che a giudicare dai capelli rossi e dagli occhi grigi, poteva essere un rinnegato cristiano, ma indubbiamente era uno dei capi, aveva urlato in un francese stentato dove fosse finito quel marinaio biondo, promettendo in cambio la libertà, a chi l’avesse fatto catturare.

Fu il Capitano Maule a rispondere che l’aveva visto ferito a morte precipitare in mare.

Nemmeno le frustate che mulinarono a caso fra i marinai superstiti servirono allo scopo, giacché tutti confermarono la verità del capitano; mai avrebbero tradito petit singe, ammesso che fosse sopravvissuto: quel giorno lui ed il suo precettore avevano salvato la vita a molti di loro.

Poi i pirati decisero che André avrebbe dovuto scontare la punizione anche per il suo compare morto.  

Il pestaggio che seguì non diede loro molta soddisfazione: sembrava che a quello  non gli importasse di vivere. Incassava stoicamente ogni colpo, come  fosse già morto. Un morto che piangeva lacrime silenziose.

E così, sospinte da un forte vento di grecale, le due galee si erano allontanate, dirette a Tripoli.

 
* * *
Sulla Misticque, Goerso alla fine si era deciso a liberare Oscar. Era uscita dal nascondiglio come una furia, correndo sul ponte di coperta.

Aveva urlato al vento il nome di André.

La luna splendeva alta, ma nessuna galea si vedeva più all’orizzonte.

Il freddo la colse. I capelli sciolti mulinavano nel vento.

André le avrebbe gentilmente raccolto i capelli, dietro le orecchie. André le avrebbe appoggiato il mantello sulle spalle, premuroso. Avrebbe indugiato con le dita sulle spalle e lei ne avrebbe percepito il tepore.

Dio, André, perché mi hai abbandonato, André?”

Si accasciò in lacrime sul ponte.

Poi il dubbio la colse. Che non l’avessero solo portato via. Che l’avessero ucciso. Poi si rese conto che su quella nave altri esseri umani avevano bisogno di lei.

Gemevano i feriti ed i moribondi abbandonati a loro stessi.

“Pusillanime. Sono una pusillanime!”

Questo si disse Oscar. E si riscosse.

Goerso, ripulitosi con una secchiata d’acqua di mare, dall’acquavite che si era sparso addosso per fingersi ubriaco, l’aveva raggiunta. Porgendole un giustacuore.

Mettiti questo. E’ di Jac...André

L’aveva indossato. Era troppo grande per lei, ma profumava di buono, di muschio e sapone, di André. Le sovvenne di una cella umida, dove tutto era iniziato, oltre un mese prima.

Diamoci da fare. Aiutiamo i feriti, Goerso

E così fecero. Quattro marinai che fortunatamente avevano ferite più lievi, si affaccendarono con loro a pulire e bendare le ferite dei loro compagni.

Dal suo bagaglio e dalla cabina del medico di bordo, che era fra i dispersi, recuperarono bende, medicamenti e laudano.

Goerso riuscì ad estrarre una pallottola dalla spalla di un giovane mozzo, che aveva urlato di dolore mordendo il cuoio di una cintura. Ma ora dormiva, finalmente stordito dal laudano.

Oscar soccorreva i feriti con la forza della disperazione. Che fosse una donna, quella che alleviava i loro dolori e gentilmente sorrideva, mentre tergeva il sudore dalla loro fronte, ormai era evidente. E non suscitò nessuno stupore.

Ma ogni volta che Oscar coglieva il dolore negli occhi dei feriti, lei vedeva gli occhi di André.

Ogni volta che Oscar scorgeva, in quell’irreale luce lunare, una testa mora, riversa sul ponte, il suo cuore si arrestava, ed ogni volta moriva un po’.

I morti erano stati gettati a mare.  

Pregarono per tutti loro, i superstiti: il mare avrebbe accolto i suoi figli, che a casa facevano ritorno, loro che solcando le onde erano vissuti.

Il mare avrebbe accolto anche le spoglie dei pirati. Che anche quelli erano figli suoi e la morte ed il mare non facevano distinzioni.

André non era tra quei morti. Non era tra i feriti.

All’appello mancavano una trentina di uomini: alcuni di loro erano dispersi in mare. Gli altri erano stati catturati.

E se André fosse precipitato in mare?

Era l’alba quando Oscar esausta, costretta dall’insistenza di Goerso, si decise a riposarsi, accucciata sul ponte di prora, tra cime e sagole, scaldata dal giustacuore  che era appartenuto ad André.

Nel risvolto delle maniche, così troppo lunghe, aveva avvolto le dita. Sotto il colletto ampio aveva raccolto i capelli biondi. Le ginocchia esili, ripiegate sotto il giustacuore.

Poi un sonno inquieto e discontinuo l’aveva colta, un dormiveglia nel quale giaceva, sperando che fosse solo un incubo e che presto André sarebbe ricomparso a consolarla. “ A consolarmi? Hai detto di amarmi André, hai confessato di amarmi da sempre André ... però mi hai abbandonato e nemmeno hai atteso che ti rispondessi! Potrai mai conoscere le parole che non ti ho detto, André?”

Quando più tardi  il giovane mozzo si era risvegliato dal sonno indotto dal laudano, le aveva stretto la mano e le aveva sussurrato con un filo di voce: “Madame, l’uomo moro che era con lei, io l’ho visto, l’hanno tramortito e poi l’hanno portato via, assieme al capitano e a quei due passeggeri imbarcati a Naples.”

E allora Oscar non aveva più trattenuto le lacrime e piangendo gli aveva chiesto “Era ferito, era vivo? Dimmelo ti prego!

Ed il mozzo aveva annuito ed aveva detto “”Era vivo sì, stordito ma vivo, Madame”.

Ecco, fu in quel momento che Oscar lo giurò: che l’avrebbe ritrovato, che l’avrebbe salvato e che, maledizione a lui, gli avrebbe anche ... ecco che l’avrebbe punito per la sua insolente insubordinazione e forse poi ....

André l’amava...l’amava da sempre... E lei non se ne era mai accorta! Troppo impegnata ad essere un figlio devoto al padre, un soldato fedele alla Regina, un’amica infatuata di un Conte straniero, una donna ....  e poi di nuovo un uomo in tutto e per tutto per sé stessa ...

Invece per André, lei non doveva affannarsi ad essere nessuno. Solo Oscar. Questo si ripeteva.

Per André, lei non era mai stata un uomo. Questa certezza la faceva infuriare. Non aveva mai intuito l’amore che il suo amico fraterno celava nel cuore, per lei, solo per lei. Questo si diceva Oscar.

O forse non ho voluto ... intuirlo ...”.

Giacché la devozione di André per lei, la protezione in cui l’aveva sempre avvolta, così connaturata con l’essenza di André che mai aveva urtato il suo orgoglio, non potevano essere fraintese.  Affetto fraterno? Forse. Ma gli occhi dolenti di André al ritorno dal ballo rivelavano altro. Gli occhi smeraldo di André, che incrociavano i suoi, mentre lei raccontava a Goethe la loro storia... rilucevano di commozione.

Ed ora avrebbe voluto farsi piccola fra le sue braccia, appoggiare le mani sul suo petto, per percepire il battito confortante del suo cuore.

Ora lui non c’era, non c’era più.

Erano distanti nello spazio, come mai era accaduto fra loro, da quando lui era entrato nella sua vita, bimbo timido e coraggioso.

Divisi da una massa d’acqua inimmaginabile. Eppure lo sentiva così vicino ...

“E’ questo l’amore?”

Il sole alto nel cielo spronava alla battaglia, il vento di grecale incitava all’inseguimento. Oscar se ne stava ritta sul ponte di prora, i capelli biondi trattenuti a stento dal colletto di un giustacuore troppo grande per lei. Una spina conficcata nel cuore.

Ricoverati i feriti più gravi sottocoperta, Goerso ed una dozzina di marinai, più o meno abili, l’avevano raggiunta. Il più giovane di loro aveva parlato per tutti:
“Non sappiamo chi siate. Goerso dice che il vostro vero nome è Oscar, ma ora sappiamo che siete una donna. Le donne sulle navi portano sfortuna, ma se non fosse stato per voi e per il vostro compagno, molti di noi sarebbero morti. Vi chiediamo di essere il nostro Capitano. Siamo ai vostri ordini, Comandante Oscar!”

“André, il mio compagno si chiama André ....” Aveva replicato in un sussurro Oscar, lo sguardo rivolto all’orizzonte.

Poi, rivolgendosi ai marinai, lo sguardo diretto e fiero, aveva aggiunto,  con voce  alta  e tono deciso “Uomini: dobbiamo riparare il timone e fare vela su Malte. Poi andremo a riprenderci il Capitano Maule e tutti coloro che quei maledetti pirati hanno rapito, ovunque li abbiano condotti, anche a finis terrae! Ma per voi e per il mondo, d’ora in poi sarò Jacques Preux, il Comandante Preux.”
 
* * *
Quella stessa sera il timone era stato riparato. Con un bottazzo avevano rinforzato il fasciame esterno della poppa, ricoprendolo di filacce ritorte imbevute di pece, per ripristinare alla meno peggio lo scafo, lesionato dalla bordata dei pirati.

Alla via”, aveva ordinato Oscar al timoniere Goerso, mentre i marinai,  pochi ed acciaccati ma caparbi e risoluti, bordavano le vele e le cime per prendere meglio il vento.

Quasi due giorni dopo, il 4 aprile, mentre il sole era alto allo zenith,  una malconcia Misticque era attraccata al porto di Marsamuscetto,  il più settentrionale  de La Valette.

Alla vista del Forte di Sant’Elmo i marinai avevano esultato per la salvezza conquistata.

Oscar era scesa in cabina. Per indossare i suoi più anonimi ed impeccabili abiti da uomo di lettere.

Ricoverati i feriti alla Sacra Infermeria,  Oscar aveva convertito  in oro tutte le lettere di cambio del Duca d’Orleans.

Con  un sorriso, tutto racchiuso nella sua testa, aveva ringraziato l’astuzia di André che aveva nascosto i documenti, il denaro e le lettere di cambio in un sacco cencioso, lasciando in bella vista una manciata di monete.

E non smetteva di essere grata a Goerso, la cui conoscenza delle rotte del mediterraneo, aveva consentito di ipotizzare la destinazione più probabile: il mercato degli schiavi di Tripoli, porto barbaresco più vicino all’arrembaggio.

Alla concattedrale di San Giovanni aveva chiesto del segretario del Vescovo, Cappellano dell’Ordine di Malta, il suo contatto a La Valette.

Mentre lo attendeva nell’oratorio, aveva rivolto lo sguardo ai dipinti che lo decoravano.

Poi guardò sopra all’altare.

Un dipinto di San Giovanni decollato la fece fremere d’angoscia. Il Santo era colto nei suoi ultimi spasmi di vita, le mani legate dietro le spalle, mentre il boia con la mano destra si accingeva a staccargli la testa dal busto e con la mano sinistra teneva ferma la testa, tirandola per i capelli.

Potevano essere i capelli di André, quelli.

Quale vendetta potevano infliggere i pirati al suo André per avere ucciso il loro capitano? Per salvare lei!

Fu così, lo sguardo disperato rivolto al dipinto, che la trovò il Cappellano, un uomo piccolo e canuto, apparentemente mite ed innocuo.

Straziante vero? Caravaggio. Lo conoscete? “membro fetido e putrido” per il nostro Ordine, nonostante l’avessimo investito della carica di Cavaliere di grazia; ma la sua opera...Oh,  quella si eleva oltre il più alto dei cieli!”

Oscar, ancora scossa, aveva negato con un cenno della testa; poi aveva  informato il cappellano dell’attacco pirata. Aveva raccontato che il Conte Jules de Saint aveva ucciso il capitano della galea pirata e poi era stato rapito, assieme al capitano, ai marinai sopravvissuti e a due passeggeri.

Si sorprese  Oscar per la sua lucidità. Che d’ora in poi vittima del rapimento non sarebbe stato un povero precettore, per il quale nessuno avrebbe pagato un riscatto, ma il Conte Jules de Saint, emissario del potente Luigi Filippo Duca d'Orléans.

Una missiva del cappellano avrebbe dovuto informare il Duca che il  Conte Jules de Saint era stato rapito dai pirati barbareschi e per garantire il prosieguo della missione il suo precettore era diretto a Tripoli, per pagarne il riscatto. Ma occorrevano nuovi fondi.

Si sorprese Oscar per la sua prontezza. Che quell’uomo, solo apparentemente mite ed innocuo, aveva colto le contraddizioni nel racconto: un ragazzino biondo a far da precettore ad un Conte.

“In realtà sono il suo attendente ... ma comprenderete: non doveva rivelarsi che il Conte in realtà è un militare  al servizio di Sua Maestà il Re di Francia”.

Aveva annuito il Cappellano. Porgendo una lettera sigillata.

“Bene Monsieur Preux, questa dovrete consegnarla a Creta. Quando ci arriverete. E non dubito che il vostro padrone, il Conte Jules de Saint, sarà di nuovo con voi. Nel frattempo informerò il Duca di questo ... contrattempo e della necessità di nuovi fondi. E per organizzare  il vostro viaggio ... diciamo così ... a Tripoli , se avrete la pazienza di aspettare il mio segretario particolare scriverà  una lettera di raccomandazione al Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta.
Nell’attesa, permettetemi di accompagnarvi al cospetto del nostro San Girolamo. Sarà di ispirazione e di buon augurio.  Al vostro ritorno, troverete i fondi che vi occorrono per ripartire e la Misticque sarà di nuovo pronta a prendere il mare in direzione di Crète”.

Si erano così diretti verso un altro dipinto di Caravaggio. Ma Oscar non lo trovò né di ispirazione né di buon auspicio: San Girolamo  le ricordava solo che la vita era effimera e che la morte, sublimata nel teschio davanti al Santo, li attendeva.

Fu con sollievo  quindi che mezz’ora dopo uscì dalla Chiesa.

Con una lettera per il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta.

E con una lettera sigillata da consegnare a Crète.

Cosa ci faccio qui da sola, André?”

Al tramonto era infine giunta al cospetto del Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, Sua Altezza Eminentissima Emmanuel de Rohan-Polduc, un sessantenne imponente, dalla bianca parrucca incipriata e dalle folte sopracciglia scure che incorniciavano gli occhi neri e vivaci, su un viso lungo solcato da rughe profonde ai lati della bocca.

All’udire il nome della famiglia Rohan, Oscar era impallidita. “Dove sei André, tu che ricordavi ogni ramo di ogni blasonato albero genealogico?” si disse.

Il Gran Maestro aveva letto con attenzione la lettera del cappellano ed ora scrutava incuriosito Monsieur Preux.

Il Grand'Oriente di Francia  continua a tessere intricate tele. Ero informato della missione del vostro padrone, Monsieur Preux, anche se qualcosa mi sfugge. Conte de Saint ... mi giunge peculiare il nome di questo casato ...  Ma la Massoneria ha le sue trame che ogni massone deve accettare, senza indagare, semplice filo di seta di un magnifico arazzo. Dunque ...

“...dunque”, proseguì Rohan, “dobbiamo riscattare l’equipaggio della Misticque ed il Conte Jules de Saint. Avete detto che secondo voi sono stati condotti a Tripoli?

Aveva annuito Oscar. E poi aveva precisato: “E’ la destinazione più probabile, considerando la rotta e la direzione dei venti. Più probabile di Tunis. Ma non possiamo esserne certi” e poi aveva aggiunto: “Oltre al Conte ed al Capitano Maule stimo che abbiano rapito una decina di marinai e due studiosi italiani, che si erano imbarcati a Naples.

Due studiosi italiani avete detto? Ricordate i loro nomi?"

“Si sono imbarcati all’ultimo momento ... Lazzaro Spallanzani e se la memoria mi assiste ... un certo Domenico Sestini.”

All’udire quei nomi,  l’attenzione di Rohan si riaccese.

Avrete un nuovo vascello, un nuovo equipaggio che sostituirà i marinai feriti. Tutto l’oro che vi occorre per pagare il riscatto o ricomprare tutti al mercato degli schiavi. Ma dovrete riportare da me anche i due italiani, Monsieur Preux, sani e salvi”.

Ai suoi ordini. Ma dobbiamo fare in fretta, Altezza Eminentissima, ogni giorno perso avvicina alla morte il Conte ed i suoi compagni di sventura!

Domani all’alba una nave corsara, battente la bandiera dell’Ordine di Malta,  salperà per voi. Mi hanno riferito del coraggio con il quale avete assunto il comando e condotto in porto la Misticque, Monsieur Preux. Se vorrete potrete comandarla.”

Altezza Eminentissima, una tale superbia sarebbe incoscienza. Vorrei avere al mio fianco un capitano di esperienza. Dell’equipaggio della Misticque vorrei con me  il timoniere ed i marinai che se la sentono di seguirmi.”

“E così sia Monsieur Preux.”

E così fu.  All’alba del 5 aprile, Giovedì Santo che precedeva la Pasqua, Oscar, sotto le mentite spoglie di Monsieur Preux, Goerso e quattro marinai della Misticque, fra quelli che potevano affrontare il nuovo viaggio, salirono a bordo della nave corsara, un brigantino che fiero  issava la bandiera con la croce bianca su fondo rosso dell’Ordine di Malta.

Chiuse gli occhi Oscar. Immaginò le sue mani che lievi si appoggiavano al petto di André, per percepirne il battito del cuore.

“Resisti André. Sto arrivando”.

Se da protese labbra,  per' acquietarlo, all'ospite dei miei sogni prepari  d'un bacio il nutrimento,  non affrettarlo il gesto  tenero, dolcezza di essere e non essere:

io vissi dell'attesa di te, il mio lento cuore  non era che i tuoi passi. (*)


(*) (Paul Valery, I passi)

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


L’ascolto della canzone è vivamente consigliato. Buon Natale a tutti.
Love me, love me, love me, say you do
Let me fly away with you
For my love is like the wind, and wild is the wind
Wild is the wind

Give me more than one caress, satisfy this hungriness
Let the wind blow through your heart
For wild is the wind, wild is the wind
You touch me,
I hear the sound of mandolins
You kiss me
With your kiss my life begins
You’re spring to me, all things to me
Don’t you know, you’re life itself!
Like the leaf clings to the tree,
Oh, my darling, cling to me
For we’re like creatures of the wind, and wild is the wind
Wild is the wind
Like the leaf clings to the tree,
Oh, my darling, cling to me
For we’re like creatures in the wind, and wild is the wind
Wild is the wind
 
(Wild is the wind
Tiomkin/Washington nella versione di David Bowie )
https://www.youtube.com/watch?v=YsqlXkkEKxI
 
 
FOLLE E’ IL VENTO 
(traduzione: crediti al sito velvetgoldmine
https://www.velvetgoldmine.it/testi-e-traduzioni/wild-is-the-wind-traduzione/

Amami, amami, amami, di’ che mi ami
Lasciami volare via con te
Perché il mio amore è come il vento, e folle è il vento
Folle è il vento
Dammi più d’una carezza, soddisfa questa mia brama
Lascia che il vento ti soffi nel cuore
Perché folle è il vento, folle è il vento
Mi tocchi,
sento il suono dei mandolini
Mi baci
Con il tuo bacio inizia la mia vita
Sei la primavera per me, sei tutto per me
Non lo sai, sei la vita stessa!
Come le foglie si stringono agli alberi
Oh, amore mio, stringiti a me
Perché siamo come creature nel vento, e folle è il vento,
Folle è il vento
Come le foglie si stringono agli alberi
Oh, amore mio, stringiti a me
Perché siamo come creature nel vento, e folle è il vento,
Folle è il vento
 
 
 
Se da protese labbra,  per' acquietarlo, all'ospite dei miei sogni prepari  d'un bacio il nutrimento,  non affrettarlo il gesto  tenero, dolcezza di essere e non essere:
io vissi dell'attesa di te, il mio lento cuore  non era che i tuoi passi. (*)
(*) (Paul Valery, I passi)
 
Era  stato tramortito e quando si era risvegliato sulla galea, nella stiva soffocante e marcia, André era stato selvaggiamente battuto dai pirati, finché quel rinnegato cristiano dai capelli rossi, rais della galea più piccola, non li aveva fermati, per non rovinare la merce.

Nemmeno un lamento era sfuggito dalla sua bocca. Estraniata dal suo corpo, la sua mente formulava un solo angoscioso pensiero: “Non ti hanno trovata. Sono furiosi perché non sono riusciti a catturarti, ma  ... sei sulla Misticque abbandonata alla deriva ... Goerso ha potuto liberarti? Ti prego Oscar perdonami per averti lasciata sola!”

Le aveva confessato il suo amore. L’ultimo desiderio di un condannato a morte, che non poteva e non voleva salutare la vita celando ancora l’amore immenso, incommensurabile, profondo  e puro che provava per lei.

Ma era stato egoista. Chissà quale fardello aveva caricato sulle esili spalle della sua Oscar.

Era stato pavido a non darle il tempo di rispondere o di calare fra loro uno dei suoi consueti silenzi.

Ma così sarebbe morto illudendosi che, forse, lei avrebbe risposto ricambiando il suo amore.

Solo che nulla aveva più importanza, se lei non era in salvo. Non poteva e non voleva più vivere senza di lei.  Ma sarebbe morto sereno, sapendola in salvo.

Una massa d’acqua inimmaginabile li separava e questa constatazione lo atterriva.

Ma più di tutto lo tormentava la consapevolezza che non poteva proteggerla.

Erano questi i pensieri che lacrime dolenti e silenziose avevano suggellato.

Il dolore delle percosse serviva solo a dimostrargli che, nonostante tutto, era ancora vivo.

Poi aveva di nuovo perso conoscenza André. Al risveglio si ritrovò accanto uno di quei  gentiluomini  italiani, un sessantenne canuto e stempiato, che con una pezzuola bagnata cercava di dare sollievo al compagno di sventura.

Bentornato fra i vivi” gli aveva detto in un  francese  dall’accento impreciso.

Non aveva risposto André.

Oh... ora non parlate, ma vi assicuro che nel delirio parlavate eccome. Oserei dire che i vostri sembravano versi d’amore, struggenti in verità. Vero Domenico?”

S’era allora avvicinato il secondo italiano, un quarantenne robusto dai capelli neri, folti e lisci: “Sono felice che vi siate risvegliato. Eravamo preoccupati sapete, ci hanno dato giù pesante con voi.

“<< .... Amami, amami, amami, Oscar, di’ che mi ami. Lasciami volare via con te>> questo continuavate a ripetere, amico mio”, disse l’uomo più anziano “non vorrei essere indiscreto, ma questo Oscar...”

“<<Come le foglie si stringono agli alberi, Oh, amore mio, stringiti a me. Perché siamo come creature nel vento, e folle è il vento >>   ho buona memoria, il mio mestiere di filologo me lo impone in verità “ aggiunse l’uomo più giovane e rivolto al più anziano chiosò, sussurrando: “Lazzaro, ma è talmente evidente: deve trattarsi del suo biondo compagno, quello che i pirati cercavano come impazziti...” e poi ad André “E’ vostra moglie vero?

André aveva sgranato gli occhi. Quell’amore che per vent’anni aveva abilmente celato non sfuggiva più a nessuno, tranne ad Oscar, forse. Aveva negato con un cenno della testa e poi aveva aggiunto “Non è mia moglie, ma è la donna che più amo al mondo, l’unica che ho amato e che amerò finché avrò vita,  la donna per cui darei la mia stessa vita!”

“Beh, ci siete andato vicino, mio caro amico”, aveva replicato Lazzaro, il più anziano fra i due. “Le donne sulle navi portano sfortuna, direi che i fatti l’hanno comprovato, spero che i superstiti non se ne accorgano o saranno guai.”

Suvvia Lazzaro, questo pover’uomo è già sufficientemente angosciato, ti pare? “, aveva ribattuto Domenico, il più giovane fra i due “Non badate a Lazzaro, sono sicuro che la vostra donna saprà farsi rispettare. Non siamo uomini d’arme, non abbiamo preso parte alla battaglia, ma l’abbiamo vista combattere. Siete una strana coppia voi due!”

Aveva abbassato il capo ed un lieve sorriso aveva solcato il volto di André.

Nel suo cuore sapeva che se lei fosse stata veramente in pericolo, il suo cuore l’avrebbe percepito. Come a Saverne.

Perciò, forse, lei era in salvo? 

All’alba del 5 aprile, che sapeva essere il giovedì santo che precedeva la Pasqua, fra i lamenti e l’odore di sangue e rancido, uno strano tepore l’aveva colto. Socchiudendo gli occhi,  aveva percepito un tocco lieve, come battito d’ali, sul suo cuore.

Lei era in salvo. E stava arrivando.

Dammi più d’una carezza, soddisfa questa mia brama. Lascia che il vento ti soffi nel cuore. Perché folle è il vento.”

Il 6 aprile 1787 il sole era tramontato da un paio d’ore quando, le galee pirata calarono le ancore, alla fonda del porto di Tripoli.
I sedici ostaggi incatenati, malconci ed affamati dopo cinque giorni di navigazione, durante i quali l’unico sollievo era stato qualche sorso d’acqua putrida, vennero imprigionati nei bagni penali. Da lì a due giorni, il tempo di rimetterli in sesto per ottenere il massimo del prezzo, li avrebbero condotti al mercato degli schiavi.
 
* * *
Nel frattempo il brigantino maltese, al comando di Vincenzo Zane, veneziano segaligno, con una ciurma di ventidue uomini, oltre a Goerso, Oscar e quattro marinai della Misticque,  veleggiava alla volta di Tripoli.

Era quel  brigantino il “Santo Stefano”, bastimento da guerra assai leggero, simile ad una galea, ma molto più veloce. Portava a prua due piccoli cannoni e l’assenza di carico lo faceva scivolare rapido sulle onde, favorito da un forte vento di grecale, che il buon Dio sembrava avesse scatenato, impetuoso ma domabile, solo per loro.

L’8 aprile 1787, nel tardo pomeriggio della domenica di Pasqua, il Santo Stefano aveva trovato riparo in una baia non distante dal porto di Tripoli. Ammainata la bandiera dell’ordine di Malta, issata la  falsa bandiera del Bey di Tripoli, aveva gettato l’ancora. Una lancia aveva lasciato il brigantino.

Oscar, alias Monsieur Preux, accompagnata da Juan e Pietro, marinai della Misticque che conoscevano il turco e Tripoli, avendovi entrambe conosciuto in gioventù la prigionia, aveva acquistato carri e cavalli da tiro e poi, incurante delle tenebre che li stavano inghiottendo, si era diretta a Tripoli: un mercante ed i suoi servi.

Era notte fonda quando Oscar aveva tempestato di pugni il portone della dimora di Padre Miguel de San Rafael dell’Ordine dei Frati Trinitari Scalzi, interrompendone bruscamente il riposo notturno.

Ma non poteva aspettare, Oscar. I pirati avevano quantomeno due giorni di vantaggio su di loro: André e gli altri potevano essere già stati venduti.

Questo assillo aveva tormentato Oscar soprattutto da quando, imbarcatasi sulla Santo Stefano, aveva dovuto delegare ad altri il compito di giungere più rapidamente possibile a Tripoli.

Non che il Comandante non fosse abile od il brigantino non fosse veloce. Tutt’altro. Ma nulla a lei sembrava abbastanza: le vele non le sembravano abbastanza tese a prendere il vento, la rotta non le sembrava la migliore, i marinai non le sembravano abbastanza agili. Nonostante questo, rassicurata da Goerso, stringeva i pugni e si mordeva le labbra, per non correre lei stessa a cazzare la randa o lascare le cime.

Nella sua mente risuonavano dolenti le ultime parole di André: “Per venti anni ho vissuto con te. Ho provato dell’affetto per te, solo per te. Ti amo Oscar, credo di averti sempre amato.”

Erano dolorose quelle parole, ma le stavano infondendo uno strano coraggio, era come se André fosse lì con lei, nel cuore e nel pensiero, a proteggerla da lontano, nonostante tutto.

Ora Oscar ripercorreva tanti eventi remoti e recenti, riviveva gesti e parole. André aveva dissimulato abilmente il suo amore, ammantandolo di rispetto e devozione, rivestendolo di affetto fraterno. Ma era amore. Da Sempre. Sempre.

Sarebbe bastato leggere il sorriso di André. Il suo sguardo su di lei. Lieve.

L'amore può portare a due cose: alla felicità completa, o a una lenta e triste agonia.” Questo ragionava Oscar. L’avrebbe volentieri urlato a Fersen la sera del ballo, se dopo la sua fuga precipitosa lei lo avesse rivisto. Ma non era successo. Lui non l’aveva rincorsa. Qualcun’altro l’aveva raggiunta, prima di André.

Prima di André.

A quale lenta agonia aveva condannato André in tutti quegli anni?

Quale lenta agonia aveva inflitto a sé stessa, per non avere riconosciuto il suo amore per lei?

A quale prigione aveva condannato entrambe, ora che sapeva di amarlo, André?

Perché la lucida consapevolezza di amarlo, di un amore immenso, incommensurabile, profondo  e puro, da sempre, l’aveva improvvisamente sorpresa, Epifania nel giorno della Resurrezione di Nostro Signore.

“André ... il mio amore è come il vento, e folle è il vento. Folle è il vento.”
* * *
Il portone si era aperto. Padre Miguel de San Rafael  (1) aveva personalmente ricevuto la piccola delegazione cristiana che dell’Ordine dei frati scalzi  della Santissima Trinità della redenzione dei captivi chiedeva la protezione.

Era da anni che Padre Miguel si recava periodicamente in Barberia, con il salvacondotto del Bey, ora con l’aiuto del console del Re di Francia, ora con la protezione di un altro regnante, a seconda delle alleanze e delle trame che i sovrani europei tessevano e disfacevano con l’impero ottomano e con i bey degli stati barbareschi.

La Misticque, legno battente bandiera francese, era stata assaltata dai pirati barbareschi, aveva spiegato Monsieur Preux.

Corsari”, li aveva corretti Padre Miguel, anche se la definizione variava col variare delle alleanze e le regole delle patenti di corsa erano sovente infrante.

Monsieur Preux, scampato al rapimento, voleva riscattare i marinai ed i passeggeri catturati; un brigantino li aspettava per riportare tutti sani e salvi a Malta.
Ma un commerciante cristiano che improvvisamente volesse comprare tutti quegli schiavi o riscattarli, avrebbe dettato sospetto, quantomeno il prezzo sarebbe salito. Poteva l’Ordine dei Trinitari riscattarli per conto di Monsieur Preux,  grazie ai suoi buoni uffici con il Bey, Alì Pascià Caramanli?

Il Frate aveva taciuto, con attenzione scrutando Monsieur Preux, creatura singolare, intabarrata in un mantello verde, che avvolgeva fino al mento il collo esile e nascondeva del tutto una chioma dorata più o meno celata sotto un tricorno ben calato sulla testa.

Ringraziate le tenebre Monsieur Preux. Domani vi fornirò un travestimento migliore, o la prossima vittima di rapimento sarete voi, Mademoiselle, e dall’Harem di Alì Pascià non riuscirei a riscattarvi. Comunque con l’aiuto di Dio e della Santa giornata del lunedì dell'Ottava di Pasqua,  se avete oro a sufficienza per riscattare altri dieci prigionieri cristiani, per i quali stavo già trattando, contate pure sui miei uffici”.

Aveva abbassato il capo Oscar.

Mentre Juan e Pietro si grattavano la testa, giacché quel frate in pochi minuti aveva scoperto quello che loro, nel lungo viaggio da Marsiglia all’arrembaggio, non avevano mai intuito.

Bene, siamo intesi allora. Permettetemi di offrirvi ospitalità per questa notte. Domani all’alba ci recheremo al mercato degli schiavi e se del caso ai bagni penali. Beato l'uomo che confida nel Signore e la cui speranza è il Signore ...”

“... Poiché egli sarà come un albero piantato dalle acque e che allargherà le sue radici sul fiume e non vedrà quando verrà il calore, ma la sua foglia sarà verde; e non staranno attenti nell'anno della siccità, né cesseranno di dare frutti.”  concluse Oscar.

“Geremia, 17:7-8  a domani Signori.”
 
* * *
E l’indomani era arrivato.

Erano mischiati fra la moltitudine che affollava la piazza del mercato. Oscar, Juan, Pietro, Padre Miguel e due confratelli.

Oscar aveva indossato l’abito dei Trinitari, una tunica con uno scapolare di sargia bianca che esponeva una croce rossa e blu ed  una cappa con cappuccio ben stretto sulla testa a nascondere i capelli che aveva raccolto e ricoperto di polvere di carbone.

Padre Miguel aveva imposto che lei e Pietro  restassero defilati e nascosti.

Se qualcuno dei pirati li avesse riconosciuti, oppure uno dei rapiti li avesse involontariamente smascherati, il loro piano sarebbe fallito.

Juan, la cui carnagione scura gli consentiva di mimetizzarsi meglio, avrebbe identificato per Padre Miguel i suoi compagni di sventura.

Sulla piazza del mercato avevano infine condotto, tra gli schiocchi di verghe e fruste, gli schiavi. Erano tutti marinai e passeggeri della Misticque.

Non seppe dirlo Oscar, se provò più dolore o sollievo quando finalmente lo vide, il suo André, trascinato in catene.

Un osservatore esterno, che nulla avesse saputo di quei disgraziati,  avrebbe pensato che l’uomo bruno, che per altezza e prestanza spiccava su tutti gli altri,  fosse sicuramente un uomo d’arme, ma non si sarebbe spiegato perché il suo sguardo fosse il meno combattivo di tutti.

Persino quelli  che a prima vista sembravano due gentiluomini  dalle spalle un po’ curve, parevano più aggressivi e riottosi.

Da giorni ormai si torturava André tra la speranza di rivederla e la speranza che lei fosse in salvo e non pensasse più a lui. Tra la sensazione bruciante che lei fosse vicina, e lo strazio di essere impossibilitato a proteggerla.

Erano iniziate le trattative. Padre Miguel avrebbe avuto buon gioco solo alzando il prezzo. Queste erano le condizioni che il Bey gli aveva imposto. Sugli schiavi che fossero restati ai bagni penali come schiavi pubblici il riscatto ad un prezzo equo. Gli altri doveva aggiudicarseli all’asta.

Era stato abile fino a quel momento, Padre Miguel. Era riuscito a comprarli tutti, i dodici marinai della Misticque ed il loro capitano. Per i due italiani, per i quali ottenere un  riscatto di valore elevato era più probabile, aveva faticato di più.

Oscar non resisteva più all’angoscia. Sotto la cappa stringeva stretto un pugnale e la mano le doleva per lo sforzo trattenuto.

Era rimasto André, che la cattiva sorte voleva conteso da un ricco rais locale per la sua galea.

Era stato denudato André, che quello voleva verificare se fosse circonciso.

A stento Pietro aveva trattenuto Oscar, che si stava lanciando nel bel mezzo della piazza.

Ma quel movimento aveva attirato l’attenzione di André. Gli occhi color fiordaliso di lei, in lacrime, spiccavano sotto capelli neri.

Non seppe dirlo André, se provò più vergogna o sollievo quando capì che lei era lì e lo aveva visto inerme trascinato in catene.

Ma alla fine Padre Miguel l’aveva spuntata.

Gli occhi indagatori del rais sconfitto avevano seguito, ostili, la comitiva di schiavi riscattati da Padre Miguel.

Più indietro Pietro e Juan scortavano  Oscar, confusa ed innamorata, gli occhi lucidi di lacrime di gioia.

Caricati sui carri tutti e sedici gli ostaggi liberati, si erano immediatamente allontanati da Tripoli, accompagnati da Padre Miguel e dai suoi due confratelli.

Solo sguardi avevano potuto scambiarsi Oscar e André.

Una strana coppia davvero. Aveva ribadito Domenico all’amico Lazzaro.

L’uno, malconcio, seminudo, la barba nera lunga di giorni, pieno di tagli e lividi sorrideva all’altro come se quello fosse il primo giorno immensamente felice di una nuova  vita.

L’altro, di sesso indefinito, in abito talare, starnutiva per la polvere di carbone che dai capelli aveva impiastricciato il volto pallido, e cercava di nascondersi, dentro al cappuccio, perché stava piangendo, di gioia, lacrime nere di carbone, mentre sorrideva al primo, come se quello fosse il giorno più felice della sua vita.

Mentre tutti gli altri non facevano che darsi gran manate sulle spalle ringraziando la sorte ed un certo petit singe che li aveva salvati di nuovo.

E due italiani compassati si scambiavano commenti e gomitate.

Oscar aveva ringraziato Padre Miguel. Congedandosi da lui, gli aveva donato tutto l’oro rimasto. “Per altri riscatti”, aveva spiegato, pensando che il Duca d’Orleans se lo meritava quello sgarro, e che anche Rohan non ne avrebbe risentito troppo.

Molti saranno i dolori del malvagio ... ”, aveva risposto  il Frate.

“.... Ma l’amore circonda chi confida nel Signore”, aveva completato Oscar.

Salmi 32:10. Buon viaggio...Monsieur Preux.
 
Saliti sulla nave, accolti dall’ovazione della ciurma, Oscar si era infine avvicinata ad André. Aveva posato le sue mani sul suo torace ancora nudo. Ne aveva percepito il battito accelerato del cuore.

Hai freddo André?

Lui aveva risposto con un cenno di diniego della testa, il capo appena piegato per guardarla negli occhi. Poi aveva preso le mani esili di Oscar e le aveva strette fra le sue più grandi. Con occhi ridenti le aveva chiesto:

Hai fatto a botte con un carbonaio, Oscar?

Aveva sorriso lei. “André io ... ti amo.

L’aveva abbracciata André, racchiudendola fra le sue braccia, come il tesoro più fragile e prezioso.

Questo l’ho saputo da sempre, Oscar davvero. Ed io ti amo Oscar, più della mia vita, da sempre.”

Si erano guardati i due compagni, le labbra si erano avvicinate.

Baciami André. Con il tuo bacio inizia la mia vita.

E così André, lieve, aveva colto quel bacio che da tutta una vita aveva bramato. E quel bacio si era trasformato in passione, in uno scambio di gioia, disperazione e sollievo.

Solo i fischi della ciurma li avevano fatti desistere. Oscar, il volto imporporato, piangeva lacrime di felicità.

 
* * *
A quella scena era rimasto a bocca aperta il  Capitano Zane, e poi Goerso, che col veneziano aveva fatto amicizia gli aveva sussurrato: “Poi ti spiego”.

L’urlo di Pietro aveva squarciato l’aria. A babordo! Ci stanno attaccando!
 
Come le foglie si stringono agli alberi
Oh, amore mio, stringiti a me
Perché siamo come creature nel vento, e folle è il vento,
Folle è il vento

 

 
(1)           In realtà Padre Miguel de San Rafael si recò a Tripoli nel 1730. Partito da Venezia lasciò ai posteri memoria delle sue missioni. Suppongo che nel 1787 fosse già degno ospite del Paradiso. Gli ho tolto qualche anno, diciamo così.
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Stay – that’s what I meant to say or do something
But what I never say is
stay this time
I really meant to so bad this time
‘Cause you can never really tell
When somebody wants something you want too

(David Bowie, Stay)
https://www.youtube.com/watch?v=eGuu7NiALvo
 
 
 
 
Come le foglie si stringono agli alberi
Oh, amore mio, stringiti a me
Perché siamo come creature nel vento, e folle è il vento,
Folle è il vento (*)
 (*) (Wild is the wind : Tiomkin/Washington)

L’urlo di Pietro aveva squarciato l’aria: “A babordo! Ci stanno attaccando!”

Il ricco Rais Henel Alvagi, ancora contrariato per il riscatto di tutti quegli schiavi da parte di Frate Miguel, aveva attivato la sua rete di spie. E la sua rete di spie aveva condotto lo sciabecco del Rais nella rada in cui era ancorata la Santo Stefano.

Ma era stato troppo avventato il Rais.  Il brigantino, issata la bandiera dell’Ordine di Malta aveva puntato i cannoni di prora contro il suo sciabecco, che controvento si stava avvicinando di bolina, costretto quindi a tener chiusa una delle murate e dimezzando così la sua capacità di fuoco.

Il fuoco a mitraglia dei cannoni di prora aveva colpito le vele del legno turco, che ora poteva navigare solo a forza di remi.

Levata l’ancora, gli uomini del brigantino erano accorsi ai remi e ad armare  le vele. Anche questa volta, un vento impetuoso, stavolta di scirocco, aveva favorito il legno maltese, che con il vento in poppa veleggiava veloce verso la salvezza.

Impugnato un cannocchiale, Henel Alvagi aveva scrutato il veliero maltese che si allontanava. Sul castello di prua  la sua attenzione fu attirata da una chioma di capelli biondi sciolti nel vento su una tunica bianca dei frati trinitari. E l’uomo che voleva comprare come schiavo che da dietro ne cingeva la vita.

Fissò le vele distrutte del suo sciabecco e giurò vendetta.

 
* * *
Il brigantino era in salvo in alto mare.  Oscar e André erano scesi nella cabina di Oscar.

Rimasti soli,  André l’aveva di nuovo abbracciata. Oscar premeva il suo volto nell’incavo della spalla sinistra di André, che con il braccio sinistro le cingeva la vita sottile e con la mano destra dolcemente le accarezzava i capelli sciolti.

Dobbiamo fare qualcosa per i tuoi capelli, mio piccolo spazzacamino”, aveva sussurrato teneramente il giovane.

Non voglio più muovermi da qui André.”

Io ti abbraccerò così per tutta la mia vita Oscar.”

Aveva sollevato il capo Oscar, gli occhi fiordaliso in quelli verdi di André, che silenziosamente piangeva.

Io ti amo André, ti amo davvero, ma non conosco parole diverse per dirtelo.”

“Non servono altre parole, mi basta leggerlo nei tuoi occhi, Oscar. Anch’io ti amo Oscar, e non esistono parole abbastanza potenti per esprimere l’intensità del mio amore per te.”

Oscar, con la punta dell’indice, aveva raccolto una lacrima sul volto di André e l’aveva portata alle labbra.

Ed allora André l’aveva baciata di nuovo la sua Oscar, un bacio esigente, che sapeva di lacrime, vento, mare e carbone. E la bocca di Oscar aveva di nuovo risposto con passione, pur incerta ed inesperta com’era.

Un insistente bussare alla porta della cabina li aveva distolti da quel bacio.

Dall’altra parte un mozzo porgeva un mastello ed altri due reggevano un piccolo baule. “Il capitano Zane vi manda questo mastello d’acqua dolce, pregandovi di non sprecarla. Vi manda anche qualche abito. Siete attesi a cena nella sua cabina fra un’ora.”

Gentile il Capitano”, aveva detto sorridendo André. “Ora possiamo rimediare a quell’impiastro che hai sulla testa, Oscar”. E poi aveva aggiunto con il suo sorriso sornione delle migliori occasioni: “Ma mi dici cosa ti è saltato in mente?

Chiedilo a Fra Miguel, André. Mi hai disubbidito e ti sei fatto pure rapire dai pirati! Perciò scusami se ho dovuto travestirmi con quest’abito da frate”, aveva risposto piccata Oscar, mentre con il pollice e l’indice delle mani sollevava appena la tunica.

Oh mio Dio, ho appena baciato appassionatamente un monaco. Però ... mi è piaciuto molto.

E di nuovo aveva cercato la sua bocca.

Con un sospiro si erano staccati dopo un lungo bacio. Percorrendo con le dita la schiena di André, Oscar aveva sfiorato i segni lasciati dalle percosse e dalla frusta.

Lascia che con l’acqua ti pulisca le ferite André. Dopo penseremo ai miei capelli.”

Non se ne parla nemmeno Oscar, non è nulla di grave.”

Lascialo decidere a me. E questo, se non si fosse capito, è un ordine, André!”

Aveva fatto stendere André sulla branda, prono. Dal suo bagaglio aveva cavato bende pulite e qualche unguento.

Aveva immerso le bende nell’acqua pulita e con delicatezza aveva deterso le ferite della schiena di André. I lividi si stavano colorando dal viola al giallo. I segni delle frustate invece erano rossi ed i margini slabbrati. Sarebbe rimasto il segno, pensò con rammarico. Unse le ferite con l’unguento.

“Cosa ti hanno fatto André?”

“Niente, non è  niente, Oscar.”

“Dovrei controllarti le gambe André. Ora  dovresti abbassare le braghe André.”

“Oscar, io, ecco, non ho ferite sulle gambe.”

“Lo so che sei ferito anche lì, André. Come se non ti avessi visto al mercato, accidenti, fai come ti dico!”

Voltati però Oscar, passami un canovaccio per favore.”

Aveva fatto bene ad insistere, Oscar. André si era spogliato, coprendosi i glutei con un canovaccio bianco. Le gambe, quelle gambe forti e  muscolose, rese toniche dalle lunghe cavalcate e dagli  esercizi di scherma, anche quelle recavano i segni delle percosse e dei colpi di verga ed a contatto con la stoffa sporca delle braghe  le ferite si stavano infettando.

Dovevano essere dolorose, ma non un lamento sfuggì dalla bocca di André, mentre Oscar gentilmente lo medicava.

“Ecco fatto, ora voltati André, passiamo al resto.”

Aveva obbedito André.

Si era steso supino, il canovaccio bianco a coprire la sua virilità.

Le ferite bruciavano, ma la situazione stava diventando difficile da gestire, la sua capacità di autocontrollo al limite.

Aveva iniziato a detergergli il volto, Oscar. Nulla di grave constatò con sollievo. Aveva la barba lunga André. “Sei bello anche con la barba lunga André, sei sempre stato bello in realtà, sin da bambino...” rifletté Oscar fra sé e sé,  “ma da quando sei diventato così, così... ti sei trasformato giorno dopo giorno, accanto a me, e non mi sono mai accorta di quanto fossi diventato ecco...”

Le spalle ampie, le braccia muscolose, le gambe toniche, i fianchi stretti, le pelvi ... la peluria più fitta e scura che si intravedeva appena sotto il bordo di quel canovaccio bianco ...

Lo stava fissando, la pezzuola umida d’acqua sospesa a mezz’aria gocciolava sul torace nudo di André, mentre le gocce d’acqua si stavano insinuando sotto quel pezzo di stoffa. Lei era arrossita.

Le aveva afferrato il polso che reggeva quella pezzuola, André. Gentilmente. “Fermati Oscar, io ... finisco io, te lo prometto”, aveva aggiunto, la voce roca di desiderio.

Aveva annuito Oscar. Si era girata di scatto dall’altra parte. Avvampando di vergogna.

Finito di sistemarsi, con il suo solito buon umore André si era avvolto il canovaccio ben bene intorno alla vita. Quindi era andato ad aprire il baule omaggio del capitano, alla ricerca di una camicia e di pantaloni puliti.  Esaminato il contenuto del baule, aveva previsto guai ...

Si era rivestito velocemente, un paio di culottes in damasco nero, una camicia bianca di seta con jabot, gilet e giustacuore della stessa stoffa dei pantaloni, calze di seta bianca e scarpe.

“Ora pensiamo a te. Oscar. Non sei ferita vero?”

“No André, è tutto a posto...”

Oscar, che si era discretamente girata dall’altra parte, ora lo guardava di nuovo negli occhi.

“Che eleganza ... Vorrei baciarti, ma ti sporcherei tutto, André!”

“Cosa vuoi che me ne importi, vieni qui!”

Si erano baciati di nuovo, ridendo come ragazzini, cercando di non sporcare la camicia bianca di André.

Poi lui le aveva delicatamente lavato i capelli, portando via gli ultimi residui della polvere di carbone. Con una spugna le aveva pulito il volto, che ora era tornato candido. Con disappunto aveva notato il rossore intorno alla bocca e sull’esile collo di Oscar.

“Perdonami Oscar, la mia barba ispida ...ti ho fatto male, amore?”

Oscar, che ad essere chiamata “amore” non era proprio avvezza, aveva sgranato gli occhi ed in un soffio aveva risposto “Tu non potresti mai farmi del male, amore mio”.

Infine lui le aveva tamponato i capelli, provando ad asciugare quella lunga chioma dorata e le aveva detto “Come sei bella Oscar”; si era messa a ridere lei  “e nemmeno lo sai” pensò.

L’ora era passata. Il Capitano li stava aspettando.

Piuttosto ... Devo togliermi questa tonaca. Gli altri abiti li ho lasciati a Tripoli. Fammi vedere un po’ cosa c’è nel baule...”

“Aspetta Oscar... non hai portato altro con te, non hai altri indumenti puliti?”

Aveva aggrottato le sopracciglia Oscar. Spalancò il baule e comprese le ragioni della titubanza di André.

Un magnifico abito di taffettà azzurro giaceva nel baule, un abito da donna.

Sbiancò Oscar, sconvolta. Forse troppo, ragionò André.

Ascoltami Oscar, il Capitano non ti conosce, sicuramente pensava di farti cosa gradita. Ora esco e vedo di recuperare un abito diverso. Oppure guarda, ti cedo il mio...ti starà grande, ma ...”

André. Il solito André. Sempre pronto a sacrificarsi per lei. Disposto anche ad andare in giro vestito di stracci per lei. Questa cosa era ingiusta e doveva cambiare, si disse Oscar.

“Non preoccuparti André. Per favore guarda sotto la branda, c’è la tua sacca.”

L’aveva aperta.

Ti avevo portato un cambio pulito e dovevo restituirti il tuo giustacuore. Vorrà dire che me lo presterai ancora!”

Non seppe perché, ma dovette trattenere le lacrime André, al pensiero di quella premura, innegabilmente femminile. Lei lo amava, lo amava davvero!

 
* * *
E fu così che Oscar si presentò a cena del capitano Zane: braghe di fustagno nero, troppo lunghe e rimboccate negli stivali. Una camicia di batista bianca, troppo grande e quindi chiusa con una fibula, ed il giustacuore di André, sotto i cui polsini le piaceva nascondere le mani.

Se rimase sorpreso oppure offeso, non lo diede a vedere il Capitano Vincenzo Zane. Semplicemente precisò che il contenuto del baule era un dono, che Goerso gli aveva spiegato la situazione e per quanto lo riguardava che lei fosse Monsieur Preux, il Conte de Saint o una donna battezzata col nome improbabile di Oscar non aveva importanza, tanto Sua Altezza Eminentissima Emmanuel de Rohan-Polduc l’aveva pagato solo per la missione di recupero e ritornando a Malta avrebbe incassato pure il saldo per la sua felice riuscita.

Però le consigliava di chiarirsi con gli altri compagni di viaggio. Nel frattempo per lui lei sarebbe stata Oscar,  il suo compagno semplicemente André.

Quest’ultimo, al quale i dettagli della missione di recupero erano ancora ignoti, stava riflettendo su come uscire da quell’enorme farsa, quando gli altri commensali di quell’improvvisata cena avevano fatto ingresso: Lazzaro Spallanzani, Domenico Sestini ed il Capitano Maule.

Si scambiarono uno sguardo d’intesa i due giovani. “Vorrete scusarci. Abbiamo necessità di conferire fra di noi in privato. Con permesso, iniziate pure a desinare senza di noi, faremo ritorno al più presto” aveva spiegato André.

Lì fuori sul ponte André aveva preso fra le sue le mani di Oscar: “Credo che la soluzione migliore sia essere sinceri, ma solo in parte. Finora solo Johann Wolfgang conosce tutta la verità, di lui possiamo fidarci. Ma degli altri? Ti devono la vita, un debito sufficiente per un uomo d’onore, ma non noi sappiamo niente di loro, Oscar. E Goerso diffida del Capitano Maule”.

“Sono d’accordo André: ci limiteremo a dire che siamo in missione in incognito per conto della Massoneria, il solo citarla incute timore. Che le false identità di Jules de Saint e Jacques Preux devono essere salvaguardate e tanto deve bastargli, anche se io non sono un uomo.”

Rientrati nella cabina del Capitano era stata quella la loro verità, esposta da André ai commensali. Fu accolta nel più assoluto silenzio.

Poi il rumore delle stoviglie  e del vino versato nei calici prevalse finché la conversazione non si spostò sugli interessi scientifici di Spallanzani e Sestini: gesuita e biologo il primo, che dissertava di sistema circolatorio e riproduzione artificiale della vita;  archeologo e filologo il secondo, che disquisiva di mitiche sepolture romane il cui corredo funebre avrebbe incluso misteriosi lumi inestinguibili e di un tempio dedicato alla dea Hathor a Ta-netheret in Egitto, sulla riva occidentale del Nilo.

Ad André sovvenne del Principe Raimondo di Sangro e delle sue macchine circolatorie, di cui avevano appreso dopo la loro visita alla Pietatella.

Ad Oscar sovvenne del lume perpetuo.

Sotto il tavolo cercò la mano di André. Che era già lì, pronta a stringere la sua.

 
* * *
Era stata una lunga giornata.

Avevano aggiunto una branda nella cabina. Oscar aveva chiesto ad André di accostarli i due giacigli, che da lui non voleva separarsi mai più.

Nel baule dono del capitano avevano trovato un camicione di cotone grezzo per André ed una camiciola più piccola, di organza di seta, per Oscar.

Si erano preparati per la notte ed ora Oscar era accoccolata con la testa sulla spalla sinistra di André, le sue mani appoggiate sul suo petto, a percepirne il battito del cuore.

Il battito del cuore di André, la musica più armoniosa ed ineffabile del mondo.

Lui la cingeva col braccio destro in un abbraccio protettivo. Il suo mento appoggiato sulla testa bionda di Oscar.

“André io ... lo so che tu ....ma io ... non credo che ...”

“Shhh Oscar... tranquilla”, aveva risposto André “Non devi giustificarti con me amore mio. Dormi qui sul mio cuore, non desidero di più questa notte”. Le aveva baciato la testa bionda. “Ti amo Oscar. Oggi mi hai reso l’uomo più felice su questa Terra e forse anche in Paradiso.”
 
* * *
Era la sera del 9 aprile 1787. A Palermo Johann Wolfgang von Goethe aveva appena visitato Villa Palagonia a Bagheria.

Non ne aveva apprezzato le architetture né le sculture, quelle sculture in tufo di mendicanti, gobbi, storpi, nani, musici, soldati, dei, scimmie, draghi, serpenti, cavalli con mani d’uomo, uomini con teste di cavallo e mostri bicefali, financo una testa d’imperatore romano, cinta d’alloro, sul corpo di un nano in groppa ad un delfino.

Una strana inquietudine lo aveva colto al cospetto di quelle aberrazioni.

Purtuttavia aveva chiesto del Principe di Palagonia.

Impegnato nelle sue opere di bene, a raccogliere fondi per gli schiavi cristiani prigionieri in Barberia”, gli aveva spiegato allora il segretario del Principe. “I rapimenti sono un flagello”, aveva continuato: “ lo sapete che anche una nave francese, che è salpata da Napoli, pochi giorni prima del bastimento col quale siete arrivato voi è stata assalita dai pirati barbareschi fra Messina e Malta, e non se ne conoscono le sorti ? La Misticque se non erro, sì... la Misticque”.

Annichilito dalla notizia Johann Wolfgang von Goethe si convinse che se un Dio esisteva, non meritava che quella domenica di Pasqua fosse risorto.

Ma quella volta si sbagliava.

Il turbinio degli eventi, il caos ed buon Dio  avevano condotto in salvo Oscar e André, regalando loro anche qualcosa in più.

Ho pieno il cervello di domande di cui vi assicuro nessuna delle risposte possibili mi ha mai portato una virgola di felicità; a parte una, LA domanda, l'unica della quale avrei voluto la risposta: è la ragazza giusta? E la risposta non è 42, è sì; indubbiamente, inevitabilmente, invariabilmente sì. (...)
(André, alias Arthur Dent, dallo script della trasposizione cinematografica della “Guida galattica per autostoppisti” di Douglas Adams )
 
 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


When you’re a boy
You can wear a uniform
When you’re a boy
Other boys check you out
You get a girl
These are your favourite things
When you’re a boy

(David Bowie, Boys Keep Swinging)
https://www.youtube.com/watch?v=2KcOs70dZAw
 
 
Ho pieno il cervello di domande di cui vi assicuro nessuna delle risposte possibili mi ha mai portato una virgola di felicità; a parte una, LA domanda, l'unica della quale avrei voluto la risposta: è la ragazza giusta? E la risposta non è 42, è sì; indubbiamente, inevitabilmente, invariabilmente sì. (...)
(André, alias Arthur Dent, dallo script della trasposizione cinematografica della “Guida galattica per autostoppisti” di Douglas Adams)
 
Durante la notte Oscar si era lamentata nel sonno. Ora le lacrime non si perdevano sul cuscino, ma si asciugavano sul petto di André.

Non riusciva a capire, ma doveva venirne a capo.

Doveva trovare la ragione dello sguardo atterrito di Oscar alla vista di quel suntuoso vestito da donna.

Non era la semplice ritrosia ad indossare abiti femminili da parte del rigoroso militare che era in lei. Avrebbe reagito con stizza.

La conosceva abbastanza bene da intuire che non era nemmeno la sensazione di sentirsi debole o indifesa. Avrebbe semplicemente nascosto un coltello sotto le gonne.

O così almeno pensava ...

Gli tornò alla memoria quella notte di inizio dicembre. Poco più di quattro mesi prima, anche se pareva fosse trascorsa un’eternità da allora.

Il mattino dopo era andato a cercare il Conte Hans Axel von Fersen. E poi l’aveva quasi aggredito.

La sera prima Oscar aveva partecipato al gran ballo a Versailles, anche allora sotto mentite spoglie, ironia della sorte pensò, vestita da donna, con un magnifico abito di seta bianca. Sapeva che allo stesso ballo avrebbe partecipato il Conte Hans Axel von Fersen.

Gli era stato ordinato di non accompagnarla. Ma non vedendola rientrare, in pena per lei, era andato a cercarla.

Ai piedi della fontana di Latona aveva dapprima trovato un lembo di stoffa della stessa seta bianca del suo vestito, fradicio d’acqua e forse appena macchiato, lievemente macchiato, di qualcosa che l’acqua aveva quasi lavato via.

E poi l’aveva vista, un baluginare bianco nel mezzo del Bosquet de la Girandole, i capelli arruffati e gli occhi umidi d’acqua e di lacrime, come una bambina sorpresa da un temporale. L’abito stracciato. Oscar l’aveva intravisto e cercando di allontanarsi si era inciampata, a causa delle scarpine zuppe di fango che l’avevano fatta scivolare.

L’aveva presa in braccio e l’aveva riportata a casa. Silenziosamente l’aveva ricondotta nelle sue stanze. Aveva ravvivato il fuoco. “Posso fare qualcosa per te Oscar?” Null’altro aveva domandato, perché sapeva  che lei non avrebbe risposto. Solo un cenno di diniego con la testa, gli occhi bassi.
 
“Cosa ti è successo la notte del ballo, amore mio?”, questo si domandava tra sé e sé André mentre, incapace di dormire, si faceva cullare nella quiete della notte dal lento rollio della nave, posando un bacio lieve sulla fronte della sua Oscar.
 
* * *
 
André aveva cercato il Conte, la mattina dopo quel fatidico giorno di dicembre. Aveva preteso spiegazioni.
 
Il Conte, che si era appena svegliato, dopo essersi ritirato all’alba, si era dapprima sorpreso dell’irruenza di André, fedele attendente del suo amico, anzi della sua amica, il Colonnello Oscar François de Jarjayes, giacché André Grandier era noto per la discrezione dei modi, la diplomazia nel dialogo e la gentilezza dei gesti.
 
Discreto, diplomatico e gentile, certo, finché non si trattava di difendere la sua padrona.
 
Cos’è successo ieri sera al ballo, Conte?” piuttosto indiscreto.
 
Nulla André, che ti succede?”
 
Non avete ballato con Oscar ieri sera?” assai poco diplomatico...
 
Cosa te lo fa pensare André”?
 
A quel punto l’aveva afferrato per il bavero dell’elegante veste da camera.
 
Giuro su Dio che se le avete fatto del male, vi ucciderò con le mie stesse mani, Conte!” decisamente poco gentile.
 
Sei forse geloso André?”
 
A quel punto André aveva ceduto. Aveva lasciato la presa.
 
Io voglio solo che Oscar sia felice. Se voi la renderete felice, per me nient’altro avrà importanza.
 
Aveva iniziato a comprendere il Conte.
 
André, io non potrò mai rendere felice Oscar. Oscar merita di essere amata. Il mio cuore, tu lo sai, appartiene ad un’altra donna.
 
Ma a corte si sussurra che non disdegniate le compagnie femminili.
 
Sono un uomo André, fatto di carne e sangue, dovresti comprendermi.
 
Non se si tratta di Oscar, Conte!
 
Già.... no, non se si tratta di Oscar. Ieri sera ho danzato con lei. All’inizio non l’avevo nemmeno riconosciuta, sai  André ... a te non sarebbe mai successo di non riconoscerla, vero André?
 
Io sono cresciuto con lei, Conte”, tagliò corto André, che mai avrebbe potuto non riconoscerla, nemmeno se fosse stato cieco: l’avrebbe riconosciuta dal profumo della sua pelle, dal suono dei suoi passi, dall’armonia della sua voce, persino dalla profondità dei suoi silenzi.
 
Si, giusto...comunque, lei volteggiava leggera fra le mie braccia,  rispondeva a monosillabi, la luce delle candele mi ha ingannato, ad un certo punto ho notato una vaga somiglianza in lei...ma l’idea che fosse proprio lei era così incredibile che non mi aveva nemmeno sfiorato, capisci André?”
 
Cosa è successo Conte?”  alzò la voce André che angosciato incominciava a spazientirsi.
 
Nulla, le ho confidato che mi ricordava un’altra donna, altrettanto bionda e bella, una donna generosa, colta e decisa che nascondeva il suo corpo bellissimo in un’uniforme, facendo di tutto perché gli uomini non si interessassero a lei e che... che questa donna era il mio migliore amico...
 
Aveva spalancato gli occhi André, incredulo che il conte fosse stato tanto inconsapevolmente crudele. “Le avete infranto il cuore, Conte” chiosò dolente.
 
Non potevo immaginarlo André....lei a quel punto ha cercato di allontanarsi, è inciampata, l’ho trattenuta per un polso...solo allora l’ho riconosciuta, ma lei è fuggita via ...”
 
“L’avrete rincorsa spero!”
 
“Perché mai avrei dovuto farlo André , per umiliarla ancora di più?”
 
“Per consolarla Conte, per spiegarle ...”
 
“Sai quanto sia orgogliosa Oscar...”
 
“Per proteggerla Conte...”
 
“Per proteggerla André? Non capisco, parliamo di Oscar...”
 
“Ieri sera non avete danzato con il Colonnello de Jarjayes, Conte ... avete danzato con una donna, una donna innamorata di voi, e avete lasciato che scappasse via, nei giardini di Versailles, di notte, da sola...”
 
“Ma lei ... cosa è successo André? Perché sei qui, da solo, senza Oscar? Dov’è Oscar?”
 
“Finalmente me lo chiedete Conte. Oscar sta bene, l’ho riportata a casa io. Addio Conte!”
 
Non aveva dubitato della sincerità del Conte, André. Non si era nemmeno stupito troppo della sua ottusità.
 
Era tornato, alla luce del giorno, alla Fontana di Latona e nel Bosquet de la Girandole. Non aveva trovato indizi.
 
Poi aveva indagato tra i pettegolezzi della servitù. Aveva appreso della bellissima contessa straniera che aveva danzato con il Conte Fersen ed era scomparsa, misteriosamente com’era apparsa.
 
Ecco, sì, si erano sentiti dei lamenti nei giardini quella notte, ma si sa, nonostante la notte fosse fredda, amanti frettolosi si appartavano sovente, nascosti dalle tenebre e dai giardini rigogliosi.
 
 
* * *
 
Si era risvegliata infine, Oscar. Ed aveva trovato su di lei gli occhi verdi di André, meravigliato ed incredulo di poterla custodire così teneramente racchiusa fra le sue braccia.
 
Oscar aveva deciso che il cuore di André era il suo rifugio preferito, per posare la guancia o abbandonare le mani.
 
“Che ne dici se vado a cercare  in cambusa qualcosa da mangiare, Oscar?”
 
Se fai presto, te lo concedo André” gli aveva risposto, sorridente “ma solo sei fai presto”, aveva ribadito.
 
André si era girato di schiena e si era tolto il camicione. Lesto, aveva indossato le braghe che Oscar aveva smesso il giorno prima, poi era uscito a torso nudo e piedi scalzi, per fare più in fretta.
 
Tornato poco dopo, con una tazza di cioccolato fumante, qualche galletta secca ed una tazza di caffè, l’aveva trovata in piedi, ancora in camicia da notte, con le mani dentro il baule, a rigirare l’abito di taffetà azzurro.
 
“Devo parlarti André.”
 
Aveva annuito André.
 
“Va bene Oscar. Prima però mangia qualcosa.”
 
Erano tornati nel loro giaciglio, a sbocconcellare le gallette e sorseggiare le bevande calde, lo stomaco chiuso: per la preoccupazione, André; per l’ansia di confidarsi, Oscar.
 
André aveva posato i resti di quella colazione. L’aveva abbracciata stretta al suo petto.
 
Sono qui Oscar, amore mio, sono qui per ascoltarti.”
 
Ed Oscar aveva iniziato a raccontare.
 
“Ti ricordi la sera del ballo, quando mi trovasti nel Bosquet de la Girandole”
 
“Come potrei non ricordarlo, Oscar?  Ero in pena per te.”
 
“Mi hai disobbedito anche quella sera, André.”
 
“Stai tremando, amore mio, stringiti di più a me.”
 
“Ero fuori di me, ero disperata, quella notte.”
 
“Tu non lo sai, ma il giorno dopo sono andato a cercare Fersen, so cosa è successo fra di voi al ballo, Oscar.”
 
Aveva sgranato gli occhi Oscar.
 
“Ho danzato con Fersen. Un minuetto, e poi quel nuovo ballo, il valzer. Lì stretta fra le sue braccia non mi ero mai sentita tanto fragile ed insicura in vita mia, André. Mi girava la testa, io sentivo il suo sguardo su di me e poi credo che mi abbia riconosciuta, mi ha fatto capire che per lui potevo essere solo un amico.”

“Lui non ti ama Oscar, ma solo perché il suo cuore è prigioniero del suo amore per la Regina. Se ti avesse incontrata prima, ti avrebbe amata Oscar, sarebbe impossibile non amarti.”

“Mi sono sentita rifiutata. Ero ad un bivio André, come diciotto anni fa. Ti ricordi la zuffa tra di noi?”

“Non ce ne siamo mai date così tante di santa ragione Oscar, come potrei dimenticarmene?”, rispose sorridendo André.

Già, pensava André, come poteva dimenticarsene. La sua mano stretta a quella di Oscar. Quello fu il giorno in cui promise a se stesso che l’avrebbe protetta per sempre, qualunque decisione lei avesse preso: diventare un soldato o diventare una donna.

“Sai, ora lo so, Fersen non l’ho mai amato veramente. Per me desiderarlo era come amare l’Ettore di Omero o l’Enea di Virgilio. E’ stato il mio orgoglio ad essere ferito, non il mio cuore. Ma allora non ho avuto il tempo di rifletterci sopra ... non era per quel rifiuto, che ero disperata quella notte.”

Un’intuizione colpì André come un proiettile dritto al cuore. Qualcosa che in fondo aveva temuto, sin dal primo giorno, quando aveva rigirato fra le mani quel lembo di stoffa.  Macchiato di sangue.

Aveva le mani gelate Oscar.  Lui le racchiuse fra le sue e le baciò.

“Mi ero seduta vicino alla Fontana di Latona. Il freddo mi aveva schiarito le idee. Stavo tornando indietro, per cercare Silvain alle scuderie e tornare a casa, quando ho sentito qualcuno avvicinarsi alle mie spalle, lo scricchiolio degli stivali sulla ghiaia.

Poi qualcuno ha esclamato: ‘L’algido colonnello  delle Guardie Reali! Chi l’avrebbe mai detto! Vestita da donna e senza il suo fido attendente!’

Mi sono girata di scatto e davanti a me ho visto il Duca di Germain. Ha fatto un passo verso di me, poi ha sguainato la spada. Ho cercato d’istinto la spada al mio fianco, ma non c’era, maledetto quell’abito da donna, mentre lui premeva la punta della lama sotto il mio mento!

Inizialmente sono riuscita a sorprenderlo. Mi sono voltata ed abbassata di scatto e rialzandomi con una gomitata l’ho disarmato. La lama ha lacerato di netto la seta di una spalla del mio abito e mi ha ferito di striscio.”

André iniziò a sperare che fosse finito tutto lì. Il sangue, lo strappo: una ferita di striscio. Ma Oscar continuò a raccontare.

“Lui non ha ceduto però. Si è avventato su di me, mi ha coperto la bocca con la  mano guantata e mi ha trascinato nel buio, verso il boschetto.”

Stringeva i pugni Oscar, conficcandosi le unghie nei palmi, mentre André cercava di calmarla.

“Shhh Oscar, sono qui io, va tutto bene, amore mio!”

“Non sono riuscita a difendermi André, tutto quell’allenamento, quelle esercitazioni, a cosa sono servite? Sento ancora il sapore del cuoio mentre lo mordevo, quel guanto, André!”

André la strinse più forte fra le sue braccia, mentre Oscar continuava a parlare, trattenendo le lacrime.

“Mi ha buttato a terra. Tra i cespugli. Con il suo peso addosso non riuscivo a muovermi, ma .... non è giusto che io ti racconti tutto questo André.”

“Non puoi nascondere tutto questo dolore nel tuo cuore, Oscar. Io sono qui, accanto a te, ora e per sempre.”

Ed intanto pensava che lo avrebbe ammazzato il Duca di Germain. Appena tornati a Parigi. Si trattava solo di capire quanto avrebbe dovuto farlo soffrire prima di ammazzarlo.

“Mi ha tramortito con uno schiaffo e si è messo a frugare sotto le mie gonne. Non mi sono mai sentita tanto umiliata André. Poi mi ha soffiato nell’orecchio: ‘Fate finta che io sia il Conte Fersen.’”

André era fuori di sé e la stringeva sempre più forte. La stava ricoprendo di baci lievi, sulla fronte, sulle guance, sulle mani, sulle labbra, sul collo.

Ora piangeva Oscar, lacrime silenziose, senza neanche un singhiozzo.

“Piangi Oscar, ora puoi piangere, è tutto finito, ci sono qui io, con te, amore mio.”

Oscar si rese conto che André stava temendo che ... si affrettò a concludere:

“Poi non so cosa sia successo André. I fuochi d’artificio sono esplosi in cielo e una moltitudine di gente ha iniziato a correre verso la fontana e poi verso i giardini. Si è sollevato da me dicendomi, non mi dimenticherò mai quelle parole:

'Oggi la fortuna vi ha arriso. Ma prima o poi voi sarete mia ed io carpirò la vostra purezza come mio trofeo. E se farete parola di questo nostro amorevole convegno, qualcuno informerà la Regina che il suo fedele Colonnello è innamorata del conte di Fersen.' ”

Poi si è raddrizzato, si è assestato le vesti e se ne è andato. Io non l’ho inseguito André. Non mi sono mai sentita tanto inerme, con quell’abito lungo e quelle scarpe che mi impedivano di correre.

Senza un’arma, senza una spada, senza una pistola. Senza te. Senza di te, quella sera.”

“E’ stata colpa mia Oscar! Che io sia maledetto! Dovevo insistere per accompagnarti e dovevo venire a cercarti prima!”

“Cosa dici André? Io avevo occhi solo per Fersen, ti ho fatto soffrire così tanto, amore mio! E poi ti  avevo espressamente vietato di accompagnarmi, André. Quando ti ho intravisto ed ho capito che mi stavi cercando, io ... io non volevo farmi trovare, volevo solo sparire. Non volevo che nessuno mi vedesse così, disillusa da Fersen, oltraggiata dal Duca di Germain, incapace di difendermi... soprattutto tu.”

André non aveva trovato le parole per rispondere. Semplicemente aveva colto il volto di Oscar fra le sue mani. E l’aveva baciata. Con quanta più delicatezza la sua passione gli consentisse.

“Perché gli uomini si comportano così con le donne André?”, chiese Oscar, scostandosi bruscamente dalle labbra di André.

Ora André la guardava preoccupato ed un po’ stupito. Ma subito le sorrise dolcemente.

“Cosa dici Oscar?”

“Perché la nostra purezza dovrebbe essere un trofeo per voi? Perché è bastato un abito da donna per rendermi impotente, André? Perché le mie sorelle sono andate in sposa a quindici anni senza potersi innamorare? Dimmelo. Devi dirmelo André. E’ importante per me!”

Con i pugni stretti percuoteva il petto nudo di André, che dolcemente prese quei pugni fra le sue mani ed incominciò a baciarli.

“Io questo non lo so Oscar. Posso solo dirti quello che penso io. Quello che il Duca di Germain ti ha fatto è ignobile e crudele e per lunghi dolorosi istanti ho temuto che ... perdonami se capire che non ti ha derubato della tua purezza ha alleviato la mia pena. Non era importante per me. Ma era importante per te. Perché meriti di fare l’amore con un uomo che ti ama Oscar, e che tu ami. Ogni donna lo merita.”

Stava con gli occhi chiusi Oscar. I pugni sempre stretti, racchiusi fra le mani grandi di André.

“Ma l’umiliazione che dici di avere provato”, proseguì André “Non devi confonderla con la vergogna, né con la debolezza. Tu sei una donna forte, coraggiosa e generosa, la creatura più straordinaria che io abbia mai avuto modo di conoscere, o di cui abbia mai letto, e quanti poemi e quanti romanzi abbiamo divorato io e te, Oscar!”

Aveva sciolto i pugni Oscar. Aveva riaperto gli occhi ed ora i palmi delle sue mani accarezzavano le guance ruvide di barba di André.

“Non ti sei ancora fatto la barba André..”

“Chi si è umiliato, cercando di ghermire con brutalità un fiore che va colto solo con l’amore, è stato il Duca di Germain. Il duca, solo lui si è dimostrato debole, nonostante la sua dimostrazione di forza. La vergogna era dall’altra parte Oscar. Non dalla tua.”

“Però è più semplice essere un uomo ....per me sarebbe più facile continuare a comportarmi come un uomo.”

 “Una rosa è una rosa, anche se essa sia bianca o rossa. Una rosa non sarà mai un lillà, Oscar.”

Aveva sgranato gli occhi Oscar, la bocca lievemente schiusa per la sorpresa.

“Ascolta, Oscar: non potrai mai cancellare di essere nata donna. E tu sei l’unica donna che io potrò mai amare, dovessi vivere e rivivere infinite vite.”

Aveva sorriso Oscar, a quelle parole. Aveva stretto le sue mani sul volto di André e l’aveva condotto a lei, sulle sue labbra.

“Io ti amo André, e tu sei l’unico uomo che io potrò mai amare, dovessi vivere e rivivere infinite vite. Iniziamo a vivere André!"

T’amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.


(Pablo Neruda, Cento sonetti d’amore, XVII sonetto)
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


I hear her heart beating
loud as thunder
Saw they stars crashing


(David Bowie, Iggy Pop: China Girl)
https://www.youtube.com/watch?v=iK6gAbZdhDc
 
 
T’amo senza sapere come, né quando, né da dove, t’amo direttamente senza problemi né orgoglio: così ti amo perché non so amare altrimenti che così, in questo modo in cui non sono e non sei, così vicino che la tua mano sul mio petto è mia, così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.*
*(Pablo Neruda, Cento sonetti d’amore, XVII sonetto)
 
All’alba del 15 aprile, dopo una tranquilla navigazione, invero rallentata da frequenti bonacce, la Santo Stefano era  giunta infine a Malta. Le giornate si stavano allungando ed una brezza tiepida accarezzava il volto di Oscar scompigliandone i capelli, mentre con la biscaglina, calata dalla murata di tribordo, scendeva sulla lancia, preceduta da André e seguita da Sestini e Spallanzani.

Una lieve febbre aveva colto André, in conseguenza delle ferite subite. Solo il giorno prima si era completamente ristabilito. Per quanto non si trattasse di nulla di grave, Oscar non si era data pace, e malgrado le proteste di André si era presa cura di lui, come solo la cara Nanny avrebbe saputo fare. “Mestolate a parte”, la prendeva in giro André.

Nonostante le ore passate sottocoperta ad assisterlo, il sole, che nei momenti di calma, quando André dormiva, Oscar si godeva, seduta al timone accanto a Goerso, le aveva regalato un insolito colorito.

Era preoccupata Oscar, in vista dell’incontro con il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, Emmanuel de Rohan-Polduc. Come da sua richiesta, aveva riportato indietro sani e salvi Spallanzani e Sestini, i cui rapporti con il Gran Maestro dei Cavalieri di Malta tuttavia ancora le sfuggivano, nonostante le informazioni raccolte dai loro discorsi.

Il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta li aveva infatti invitati a Palazzo, assieme a Sestini e Spallanzani, e lì si stavano dirigendo rapidi, mentre il Capitano Maule ed il resto dell’equipaggio della Misticque erano rimasti al porto per controllare la buona riuscita dei lavori di riparazione dello sciabecco.

La preoccupazione principale riguardava invero lo scambio di identità fra Jacques Preux ed il Conte Jules de Saint. Di comune accordo con André, aveva deciso di correre il rischio e ribadire ai due italiani che per Rohan il Conte de Saint era André, e lei, Jacques Preux, era il suo giovane attendente.

Spallanzani aveva fatto spallucce. Mentre Sestini battendo vigorosamente una mano sulla spalle di André, aveva esclamato: “Amici cari, questa bionda creatura ha salvato la vita a tutti quanti! Cosa volete che si un po’di commedia davanti a Rohan...”.

Oscar e André lo ignoravano, ma i due italiani avevano preso in simpatia la coppia, che nella noia di quegli interminabili giorni di navigazione era diventata il loro principale argomento di conversazione.

Lazzaro Spallanzani, sacerdote gesuita, in realtà disapprovava l’intimità della coppia, che per quanto aveva appreso, non era sposata, ma riconosceva tra loro un amore sincero e profondo, che il buon Dio avrebbe dovuto benedire.

Domenico Sestini, che la carriera ecclesiastica l’aveva abbandonata da subito, per viaggiare in lungo e largo per il mondo, conosceva troppo le cose della vita per non intuire che quelle erano due anime sfortunate, la cui unione sarebbe stata sempre invisa alla società.

Ora si trovavano tutti e quattro di fronte ad un edificio austero, lungo e basso, che si stagliava netto, intonacato in ocra rossa, contro l’azzurro del cielo. Erano stati invitati ad entrare da un ingresso laterale, che conduceva ad un ampio cortile interno.

Il quartetto era piuttosto malconcio, avevano tutti bisogno di un bagno e di un po’ di riposo e Sua Altezza Eminentissima aveva fatto loro assegnare stanze e inservienti, al loro esclusivo seguito, in attesa di essere ricevuti per la cena.

Oscar aveva congedato in fretta gli inservienti che, riempita la tinozza, erano quindi usciti, lasciando morbidi teli di lino per asciugarsi ed abiti puliti in quantità. Chiuse gli occhi e sospirò, immersa nell’acqua calda, profumata da un’essenza di arance amare. Chissà cosa stava facendo André, si domandò.

Dal canto suo, anche André si stava godendo il bagno caldo. Cosa avrebbe dato però per condividerlo con la sua Oscar. La immaginò nella stanza accanto, il sapone che accarezzava la pelle tenera, le gocce d’acqua che le sfioravano il collo lievemente abbronzato. Gli parve quasi di annusare il meraviglioso profumo dei suoi capelli biondi, resi appena più scuri dall’acqua ed umidi di vapore. Strizzò forte nel pugno destro la spugna. Doveva contenersi.

A cena, davanti ad una tavola imbandita con le pietanze più saporite, le porcellane più preziose e l’argenteria più raffinata, Rohan si era dimostrato un piacevole anfitrione.

Aveva salutato con inusitata gioia Domenico Sestini: dopo dieci anni rivedeva lo studioso italiano che aveva conosciuto nel 1777, quando aveva periziato per l’Ordine certe monete ed altri reperti romani portati alla luce nella vicina isola di Gozo.

Il viaggio di Spallanzani e Sestini a Costantinopoli doveva assolutamente proseguire: le conoscenze scientifiche dell’uno e filologiche dell’altro erano indispensabili per decifrare un codice illustrato appartenuto a Padre Mechitar di Sebaste, prima che fuggisse  precipitosamente da Costantinopoli per rifugiarsi a Modon, sotto la protezione della Repubblica di Venezia,  a causa delle persecuzione degli Ottomani.

Dopo oltre ottant’anni il codice era ricomparso presso un mercante ebreo di Costantinopoli ed i Cavalieri di Malta dovevano venirne, ad ogni costo, in possesso. Obiettivo comune e condiviso con i fratelli Massoni, a cui Rohan apparteneva, senza farne mistero: il lume perpetuo, il cui segreto pareva che quel codice celasse. 

Lo stesso lume perpetuo i cui prototipo il Conte di Saint Germain aveva sottratto alla Gran Loggia di Francia?”, si domandarono silenziosamente Oscar e André. “Lo stesso segreto che aveva condannato a morte il Principe di Sangro?

Stavano rincorrendo lo stesso miraggio,  seguendo indizi diversi, navigando sulla stessa nave sulla stessa rotta. Quanto di tutto questo era casuale? Quanto della loro missione conoscevano i loro compagni di viaggio?

Se fossero turbati, Oscar e André comunque non lo diedero a vedere.

Si discusse amabilmente per il resto della serata, di storia, musica e letteratura, di religione e filosofia. Oscar si limitò ad ascoltare. Di poche parole, come era sempre stata, e perché non le pareva consono al ruolo che stava recitando, che un semplice attendente discorresse di Virgilio e Bach, di Keplero e Socrate, come avrebbe fatto un colto aristocratico, educato dai migliori precettori d’Europa.

Si sorprese di questo pensiero, perché André, il suo André, aveva ricevuto la sua stessa educazione e nessuno avrebbe intuito i suoi umili natali, ed ora teneva accesa la conversazione, con arguzia ed intelligenza.  “Siamo tutti uguali”, si disse Oscar. “E qualcuno è più uguale degli altri (1), dipende solo dal destino o forse no?”. Involontariamente il suo sguardo si incupì.

E’ taciturno, il vostro attendente, Conte De Saint, ed ora appare anche assai pensieroso.”

Jacques è sempre molto silenzioso, Sua Altezza Eminentissima, ma saper ascoltare è un arte, lo diceva anche Plutarco.

Si certo, Conte, eppure mi piacerebbe conoscere anche la sua opinione, l’opinione di un così valoroso giovine, che ha condotto in modo esemplare, una missione di salvataggio fino a Tripoli!”.

 “Dunque, giovane Jacques”, proseguì Rohan rivolgendosi ad Oscar, “cosa ne pensate della polemica tra Blaise Pascal ed i Gesuiti, di cui il nostro Lazzaro parlava poc’anzi?”

“Penso che Pascal avesse ragione, Sua Altezza Eminentissima. Non sono d’accordo con chi pretende di giudicare le azioni malvagie secondo le circostanze. Coloro che così si permettono di giustificare persino l’omicidio, hanno poi davvero una morale?”

Lazzaro Spallanzani fulminò con lo sguardo Oscar. Oscar restituì lo stesso sguardo. Gelido. André osservò impotente. Si erano forse fatti un nemico?

Ma poi fu proprio Spallanzani a rompere il ghiaccio, ridendo divertito: “Il vostro attendente parla poco Conte. Ma quando parla è lapidario. Non vorrei averlo mai come nemico. Sarebbe implacabile!

Perdonatemi Lazzaro”, aveva replicato Oscar “Purtroppo sono spesso troppo severo, non riesco a celare la mia avversione per i soprusi, a dominare il mio desiderio ardente di giustizia.”

“Dobbiamo ringraziare il vostro ‘desiderio ardente di giustizia’, come l’avete definito voi, perché ci ha salvato tutti quanti e .., ” era intervenuto Sestini, ma Spallanzani l’aveva interrotto: “Non fate le vostre vendette ... ma cedete il posto all'ira di Dio; poiché sta scritto: ‘A me la vendetta; io darò la retribuzione’, dice il Signore.”

Sembrava che Spallanzani le avesse letto nella mente, giacché non era ai pirati che Oscar pensava. Avevano rapito e ferito André, le tremava il cuore al ricordo, ma si era combattuta una battaglia, ad armi pari.  La sua vendetta aspettava il Duca di Germain.

A quel punto André ritenne fosse il caso di congedarsi. “Chiediamo il permesso di ritirarci, Sua Altezza Eminentissima. Domani all’alba nuove incombenze ci attendono, in vista della partenza, postdomani.”

Ne avete facoltà. Verrò a salutarvi al porto.”

 
* * *
Era notte fonda quando un incerto bussare aveva destato André dal suo sonno.

Stava sognando. Lui ed Oscar erano distesi su una spiaggia, lunga e solitaria, come quella vicina alla tenuta dei Jarjayes in Normandia. Ma la sabbia era incredibilmente più fine e bianca e l’aria calda, ferma e tersa, tinta di rosa arancio dal sole morente.

Percepiva la pelle, nuda, profumata  e tenera di Oscar sotto di sé. La stava baciando, la bocca avida a carpire le labbra morbide di lei. Il ritmo della risacca segnava il tempo con il quale lui la stava facendo sua. Lo sciabordio delle onde sulla battigia a celare i gemiti di Oscar. Le sue mani a stringere i glutei e le cosce di lei, le braccia di lei a cingere il suo collo e le sue spalle. L’acqua torbida di sabbia che scorreva intorno a loro, i loro corpi uniti ed intrecciati a far da diga ai flutti sempre più impetuosi, come i suoi affondi ... sentiva sotto di sé il cuore di Oscar che pulsava accelerato ... e poi quel lieve bussare che il sogno aveva trasformato nel suono di un bastone alla deriva contro uno scoglio e poi una voce, la sua voce inconfondibile, che sussurrava “Sono io...”.

Si era risvegliato di colpo André. Un po’ confuso, si era trascinato il lenzuolo fuori dal letto, a celare quello che il sogno aveva destato. Aveva aperto la porta.

Oscar si era infilata lesta. Richiudendo il battente alle sue spalle. Un giro di chiave.

Oscar..”

André io... perdonami se ti ho svegliato. Non riuscivo a dormire ...”

Oscar non riusciva più a dormire da sola. Il giorno poteva tollerare di separarsi da André, quando le rispettive occupazioni lo richiedevano. In pubblico poteva fingersi algida e distaccata. Ma la notte no (2). Lo aveva constatato e comprovato. Con logica militare. Ne era certa.

Inizialmente si era addormentata, tanta era la stanchezza e dolce il sollievo di dormire fra lenzuola profumate su di un letto morbido. Ma poco dopo si era risvegliata, ed allungando la mano, verso il lato destro del giaciglio, il freddo delle coltri l’aveva turbata. Lui non era lì. Il silenzio l’aveva sopraffatta. Le mancava il battito rassicurante del cuore, del cuore di André. Le sovvenne di quella notte fredda in cui lui non c’era. Le sovvenne dei giorni in cui era stato rapito dai pirati, separato da lei da una massa incommensurabile d’acqua.

Si era accorta di amarlo, ora si accorgeva di quanto lui le fosse penetrato sotto la pelle, parte imprescindibile di sé. Perciò ora era lì, a sussurrargli che non riusciva a dormire .... ; non dovette aggiungere “da sola”. Quello lo gridavano gli occhi, che brillavano alla luce della candela che lei aveva portato con sé.

André, che gli effetti di quel sogno ancora assillavano, avrebbe voluto stringerla fra le braccia; che lei sembrava anche infreddolita, così a piedi scalzi com’era, seppure intabarrata in un mantello che copriva la veste da notte.

Ma non poteva lasciare il lenzuolo. E temeva di non riuscire a controllarsi. Così la stava fissando, impedito a muoversi, ma incatenato dallo sguardo fulgido di Oscar.

Oscar rimase per un attimo interdetta. Poi comprese che forse André dormiva nudo ed allora si affrettò ad aggirarlo. Raggiunse il letto, spense la candela, si tolse il mantello e si distese, raccogliendo da terra la coperta.

Io stanotte dormo qui, André”.

Poche parole, molte di più di quelle che pronunciò André, che riuscì solo a rispondere “Oscar, io...”

Stava battendo la mano sul lato destro del letto Oscar, gli occhi già un po’ assonnati.

Si era arreso André. Trascinandosi quel lenzuolo a mo’ di sindone a nascondere la sua virilità, tanto più sveglia di quanto Oscar fosse insonnolita, si era coricato anche lui su quel letto.

Lei aveva immediatamente posato il capo sul suo petto, gli aveva sussurrato all’orecchio: “Grazie André” e sospirando soddisfatta aveva chiuso gli occhi e si era subito addormentata.

André no...lui pensò che non avrebbe chiuso occhio per tutta la notte.

Fortunatamente per lui si sbagliava. L’alba lo colse serenamente addormentato. Nella notte i loro corpi si erano avvinghiati. Quando i primi raggi di sole infastidirono gli occhi di André, una splendida visione lo fece sorridere felice. Oscar nascondeva il volto nell’incavo della spalla sinistra di André, ed  il suo braccio sinistro ne cingeva il torace. Le gambe intrecciate. Era suo prigioniero.

Sospirò André “Quanto a lungo potrò resisterti?”

 
* * *
Parigi, 15 aprile 1787

Il Generale Augustin Reynier de Jarjayes, prigioniero alla Bastille, aveva appena ricevuto visite: Monsieur Stephane Thibaud.

Era rimasto perplesso quando era stato annunciato. Non conosceva personalmente Thibaud, per quanto ne avesse letto con curiosità il trattato pubblicato un paio d’anni prima la sua “Disquisitio utrum in plantis existat principium vitale, principio vitali in animalibus anologum”.

Lo studio delle scienze, e della botanica in particolare, era una debolezza che il Generale si concedeva, quando non era impegnato nelle sue campagne militari.

Gli aveva consegnato una lettera sigillata. Quel modo di sigillare le lettere era inconfondibile. Non era un suggello impresso con il castone di un anello o un’altra matrice. Era il modo che utilizzava André a palazzo, quando doveva trasmettergli comunicazioni riservate che riguardavano l’amministrazione delle scuderie, di cui negli ultimi anni l’aveva incaricato. La semplice impronta del pollice destro di André che aveva un difetto, il segno di una cicatrice profonda, ricordo di una ferita involontariamente inferta da Oscar, con la punta della spada nel tentativo di disarmarlo, quando erano poco più che fanciulli.

Sorrise amaro a quel ricordo il Generale, che quel giorno André non versò una lacrima, né emise un lamento. Ma Oscar era scappata via, furiosa con sé stessa per l’errore commesso. E forse preoccupata per l’amico, ma non poteva darlo a vedere. “A quali rischi aveva esposto la sua ultima figlia femmina? Quali privazioni le aveva imposto?”, si chieste mesto.

Tornerò per rispedire la vostra risposta Generale. Naturalmente abbiamo discusso di nuove tecniche di coltivazione che vorrete adottare nei vostri possedimenti, quando tornerete libero... e mi auguro che questo avvenga al più presto!”

Rimasto solo, le mani appena tremanti, aveva rotto il sigillo e aperto il plico. La calligrafia era quella elegante e serrata di Oscar, ma il testo era cifrato. Si compiacque dell’accortezza. Ma un moto di disappunto lo colse per l’impazienza di decriptarla. Si sedette dunque allo scrittoio, aprì la Bibbia, al libro della Genesi: “In principio Dio creò il cielo e la terra .... ” impugnata la penna d’oca intinta nell’inchiostro iniziò a trascrivere.

Naples, 26 marzo a.d. 1787

Illustre Padre,

Spero che questa mia Vi trovi in buona salute, nonostante la Vostra prigionia, di cui sono io l’unico responsabile.

Siamo giunti a Naples senza troppi imprevisti, a parte una tempesta che ci ha sorpreso poco prima di approdarvi.

La nave batte bandiera francese, è uno sciabecco ben armato, il Misticque. Il capitano si chiama Vasquez Maule. Questa mattina salperemo diretti a Messine, poi Malte e Crète. L’arrivo a Costantinopoli è previsto per la fine di  aprile, se la fortuna ed il buon vento ci assisteranno.

A Costantinopoli la nostra missione è cercare il Conte di Saint Germain, che si celerebbe alla corte del Sultano Abdül Hamid I, sotto le mentite spoglie di Leopoldo Giorgio Rákóczi.  Si dice che sia il più fidato Consigliere della sua amata madre, Rabi'a Semi Sultana.
 
Dovremo presentarci a lui facendo il nome della defunta moglie del defunto Raimondo di Sangro, già Principe di Sansevero, Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona.
 
Cos’abbia trafugato il Conte alla Massoneria, non ci è ancora chiaro. Dovrebbe trattarsi di un prodigio, un lume perpetuo la cui luce non si estingue. Pare che il Principe di San Severo sia stato ucciso per carpirne il segreto.
 
E cosa assai più strabiliante è che Conte di Saint Germain non sarebbe invecchiato e dimostrerebbe poco più della metà dei suoi anni. Voi forse l’avete conosciuto quando frequentava la Corte di Versailles, prima di esserne esiliato, ventisette anni orsono. Ora dovrebbe avere almeno quindici lustri e non dubito che esista una spiegazione razionale per questa bizzarra diceria.
 
Nonostante le trame del Duca d’Orleans, abbiamo trovato in un suo corrispondente, massone anch’egli, un alleato fidato, che farà in modo di recapitarvi questa missiva. Non stupitevi, ma si tratta di Johann Wolfgang von Goethe, anche se quando viaggia si fa chiamare Johann Philipp Möller.
 
Qui nessuno è veramente chi appare. Il Duca d’Orleans ci ha fornito false identità: io sono il Conte Jules de Saint. André è il mio precettore, Monsieur Jacques Preux.
 
Spero di tornare presto Padre, di poter riscattare l’onore dei Jarjayes ingiustamente infangato dalle menzogne del Duca d’Orleans.
 
In caso contrario auspico che le informazioni contenute in questa lettera possano esservi d’aiuto.
 
Sappiate a tale proposito che ho indirizzato un’altra missiva al Conte Hans Axel von Fersen, per pregarlo di intercedere con la Regina. E’ imprudente, ma necessario, nel caso in cui non dovessi tornare.
 
Non mi perdonerò mai Padre, perché con la mia superba ed arrogante imprudenza nel dare la caccia al Cavaliere Nero, ho consentito al Duca di mettermi in trappola.
 
So che non mancherete di consolare mia Madre.
 
Vostro figlio Oscar.
 
P.S. André ci tiene a rassicurare Nanny: lui è sicuro che ci rivedremo presto.
 
* * *
Il giorno successivo Oscar e André avrebbero dovuto ultimare i preparativi per la partenza.

Al mattino si era svegliata un po’ di soprassalto Oscar, giacché avevano preso a bussare insistentemente alla porta.

André le stava sorridendo sornione, facendole cenno con un dito sulle labbra di fare silenzio. Si avvide allora Oscar, che André era stranamente immobile. Durante la notte lo aveva fatto prigioniero. Arrossì nel constatare come ...

Grazie, potete andare, non ho necessità dei vostri servigi”, aveva proferito a voce alta André, convinto che dall’altra parte ci fosse solo un inserviente.

Sono Domenico, è urgente, aprimi!

Si erano guardati interdetti Oscar e André.

E adesso che facciamo?” aveva chiesto Oscar.

Potresti nasconderti sotto il letto, o in quell’armadio” aveva sussurrato André nell’orecchio destro di Oscar, approfittandone per posare un bacio lieve sul suo collo morbido.

L’aveva fulminato con lo sguardo. Raccolto il mantello aveva deciso che l’armadio era la soluzione meno umiliante.

Cercando di trattenere le risa, André aveva recuperato un paio di brache. Dopo avere controllato che tutto fosse a posto ed Oscar ben nascosta, era andato ad aprire la porta.

Lì fuori lo attendeva Domenico Sestini, che reggeva Goerso, pesto e malconcio: “Abbiamo un problema: questa notte la Misticque è salpata senza di noi!”.

Che importa se il campo è perduto? Non tutto / è perduto; la volontà indomabile, il disegno / della vendetta, l’odio immortale e il coraggio / di non sottomettersi mai, di non cedere: che altro / significa non essere sconfitti?(*)

(*) J.Milton, “Paradiso Perduto”
 
 
  1. che George Orwell mi perdoni.
  2. oggi va così. Renzo Arbore perdonami anche tu.
 
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Sons of the silent age
Make love only once but dream and dream
They don't walk, they just glide in and out of life
They never die, they just go to sleep one day

(David Bowie, Sons of the silent age)
https://www.youtube.com/watch?v=JiN32EkbqT8
 
 
Che importa se il campo è perduto? Non tutto / è perduto; la volontà indomabile, il disegno / della vendetta, l’odio immortale e il coraggio / di non sottomettersi mai, di non cedere: che altro / significa non essere sconfitti?(*)
(*) J.Milton, “Paradiso Perduto”
 
Il povero Goerso si era rifiutato di farsi soccorrere, fintanto che non avesse potuto parlare con Jacques o Jules. Solo su insistenza di André era stato ricoverato presso l’infermeria del Palazzo, dove il medico gli aveva applicato un qualche cataplasma alla testa.

Il capitano Maule aveva deciso che la Misticque doveva tornare a Marsiglia. Il carico di merci diretto a Costantinopoli era perso e mezzo equipaggio era morto. Aveva quindi approfittato delle risorse del Gran Maestro, che in previsione del viaggio verso Costantinopoli aveva commissionato le riparazioni e fatto rifornire la nave d’acqua, viveri e munizioni. A notte fonda, favorita da una luna quasi completamente calante ed offuscata dalle nuvole in cielo, la Misticque era salpata.

Chi si fosse rifiutato poteva scordarsi di imbarcarsi ancora su una nave francese, aveva minacciato Maule. Ed i marinai, stanchi e provati, taluni ancora convalescenti dalle ferite subite nell’attacco dei pirati, avevano obbedito ai suoi ordini. Tutti tranne Goerso, che era stato malmenato dallo stesso Maule,  legato ed abbandonato sulla banchina, perché non potesse dare l’allarme. E che ringraziasse il cielo, che non l’aveva ammazzato e buttato a mare in pasto ai pesci, dove il suo corpo non sarebbe stato mai ritrovato.

L’ira funesta del pelide Achille sarebbe sembrata il vagito di un neonato a chi avesse assistito alla reazione di Sua Altezza Eminentissima il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, Emmanuel de Rohan-Polduc, alla notizia del tradimento del Capitano Maule.

Le sopracciglia scure si erano aggrottate fino a toccarsi, la fronte spaziosa solcata da rughe orizzontali profonde come crepe, gli occhi neri, in apparenza miti, fiammeggiavano d’odio per l’oltraggio subito. Il sangue che gli affluiva alla testa e gonfiava le vene del collo e delle tempie aveva fatto sparire il bianco incarnato incipriato. La voce tenorile, solitamente piacevole, aveva assunto tonalità basse che sembravano eruttare direttamente dal profondo degli inferi.

E meno male che era uomo di Chiesa, timorato di Dio.

Pensò André che Rohan-Polduc era meglio non averlo, come nemico.

Iniziò a valutare le conseguenze di quell’oltraggio. Rohan avrebbe fatto inseguire la Misticque; Maule per attenuare le sue colpe e la conseguente pena, avrebbe rivelato lo scambio di identità; se Rohan avesse approfondito la questione con il Duca d’Orleans, anche lo scandalo della collana sarebbe riemerso assieme alle gemme di Charles-Auguste Böhmer che il Duca d’Orleans aveva aggiunto al bottino del finto Cavaliere Nero. E Rohan apparteneva alla stessa famiglia del Cardinale Louis-René-Édouard de Rohan-Guéménée, coinvolto, accusato, esiliato e solo alla fine prosciolto nel caso della collana.

Era indispensabile ripartire subito. Prima che gli eventi precipitassero. Fu così che lui ed Oscar corsero al porto sperando che almeno la Santo Stefano del capitano Zane non fosse salpata.

L’avevano trovato il capitano veneziano, in una locanda vicino al porto, impegnato a baciare una prosperosa ragazza dai capelli neri e gli occhi castani. Appena li aveva scorti, il moro e la bionda, aveva previsto guai. Con un bacio ancora più lussurioso all’incavo dei seni e qualche moneta, aveva congedato la ragazza, facendo loro cenno di avvicinarsi. “Portaci tre birre oste, di quelle buone”.

Qualcosa mi dice che perseverate nella commedia amici miei. Prima o poi vi caccerete nei guai, lo sapete vero?”

Capitano Zane, abbiamo bisogno della Santo Stefano per raggiungere Costantinopoli” aveva esordito risoluta Oscar.

La vostra bionda continua a vestirsi da uomo. Non sono affari miei, ma è un vero peccato. Sarebbe stata splendida in quel vestito di taffetà azzurro di cui le avevo fatto dono.”

Oscar, palesemente contrariata dal fatto che il Capitano la stesse deliberatamente ignorando, aveva sibilato “Capitano, sto parlando con voi, vi sto offrendo un ingaggio ... se non vi interessa il porto brulica di navi ...”

Non so se me lo stiate offrendo Voi l’ingaggio o Sua Altezza...ma sarà meglio parlarne in privato” aveva risposto a bassa voce Zane. Poi li aveva trascinati fuori, lontano da orecchie indiscrete.

Il vecchio Maule l’ha proprio fatta grossa stavolta, non si parla d’altro oggi qui al porto, non che non avesse mai giocato tiri del genere eh....ma il Gran Maestro non gliela farà passare liscia..”

Abbiamo bisogno di una nave veloce pronta a partire domani stesso. Di un capitano di cui ci si possa fidare, stavolta”, aveva chiarito André.

E voi vi fidate di me?” aveva chiesto rivolto ad Oscar.

Non dovrei fidarmi di Voi Capitano?”

L’aveva squadrata da capo a piedi, Zane. Aveva indugiato sulle labbra, sul collo, sulle rotondità appena accennate del seno e dei fianchi.

Dovreste fare attenzione a come si veste la vostra donna, amico mio, Jacques, Jules, André o come diavolo vi chiamate, solo un cieco non capirebbe che è una femmina.”

Era arrossita appena Oscar, che nella fretta di rivestirsi per raggiungere Goerso in infermeria e poi la Santo Stefano al porto, non aveva indossato né fasce né jabot.

Ma un attimo prima che André reagisse, ci aveva pensato lei a puntare, veloce come un lampo, il pugnale alla gola del Capitano: “Voi mi dovete rispetto Capitano. Siete stato pagato per la missione a Tripoli; sarete lautamente ricompensato se accetterete di condurci fino a Costantinopoli, ma mi dovete rispetto”.

Poi aveva guardato André negli occhi. Aveva riposto il coltello nello stivale, da dove l’aveva estratto. E l’aveva fissato, il suo André. A lungo. Sorridendogli. Serena. Infine, mentre André ricambiava ancora quell’intenso sorriso, piacevolmente sorpreso ed assai lusingato, aveva esclamato rivolgendosi al Capitano Zane, il mento sollevato a sfidarlo: “Avete ragione sapete: io sono la sua donna; e lui è il mio uomo. E guai a chi oserà ostacolarci!

Avevano raggiunto un’intesa alla fine. Il Gran Maestro avrebbe rifinanziato la spedizione a Costantinopoli di Sestini e Spallanzani, a cui il Conte De Saint ed il suo attendente si sarebbero aggregati. Ritirate nuove lettere di credito e denaro a sufficienza per proseguire il viaggio, riordinate le carte ed i bagagli, acquistate nuove armi perché delle spade e pistole gemelle acquistate a Gênes solo una spada ed una pistola si erano salvate, all’alba del 17 aprile la Santo Stefano era salpata in direzione dell’île de Crète e poi di Rhodes.

Il primo giorno di navigazione un piccolo incidente aveva scombussolato la tranquilla monotonia del viaggio. Spallanzani, che passava il tempo a leggere e scrivere, si era addormentato; una lampada di sicurezza era caduta sulle carte che stava studiando, incendiando la cabina.

Un incendio a bordo era un evento più funesto di una burrasca e poteva, in men che non si dica, condurre a disastrosi naufragi e morte sicura.

Il Capitano Zane sequestrò dunque lampade e candele ai quattro inesperti passeggeri. Oscar, che in verità mal sopportava Spallanzani, seppure senza una ragione precisa, ne aveva finalmente trovata una.

Quella sera dunque, dopo il crepuscolo, non restava che ritirarsi in cabina a riposare, tanto più che la luna era nuova e solo le stelle brillavano in cielo.

Si erano soffermati a fissare quelle stelle, Oscar e André, mano nella mano, a cercare conforto reciproco davanti all’immensità del cielo ed all’immensità del mare, davanti allo sgomento di non essere nulla di fronte all’infinito che li avvolgeva.

Aveva abbracciato la sua Oscar, André, le labbra lievi ad assaggiare le labbra tenere di Oscar. Il bacio, ricambiato con la stessa passione, che si faceva più esigente, il fiato tiepido che si confondeva, l’uno nella bocca dell’altro, e le parole sussurrate di Oscar: “Io ti amo André, ti amo davvero”.

Ed André con una mano aveva sollevato il mento della sua Oscar e baciandole la fronte le aveva risposto “Io ti amerò finché avrò vita, Oscar, ed anche oltre.”
 
* * *
Versailles, appartamenti del Conte Hans Axel von Fersen, 17 aprile 1787.

Si stupì Monsieur Stephane Thibaud: era stato più complicato farsi ricevere dal Conte Fersen che dal Generale Jarjayes, nonostante i controlli severi cui erano sottoposti i prigionieri alla Bastille.

Alla fine era stato costretto a rischiare, accennando all’amicizia con la famiglia Jarjayes, per ottenere udienza dal conte svedese. Era ormai il tramonto.

Conosceva i libelli che circolavano a Parigi, ne aveva sfogliati un paio, oscenamente illustrati. Si era immaginato un nobile altero, dallo sguardo lascivamente voluttuoso.

Ora davanti a sé c’era invece un uomo dal portamento fiero, ma dallo sguardo malinconicamente spento. I capelli castano chiari si stavano ingrigendo alle tempie e le prime rughe solcavano il contorno degli occhi.

Ho una lettera riservata per Voi, Conte. Non posso aggiungere altro, ma se vorrete fra un paio di giorni potrò tornare per ricevere la vostra risposta.”

Aveva preso tra le mani quel plico, il Conte. Gli parve di riconoscere un profumo. Lavanda e rose. Impossibile.  Certamente impossibile. Chissà da quanti giorni stava viaggiando quella lettera. Impossibile che fosse di Oscar... del suo amico Oscar.

Non riconosco il sigillo”, aveva esclamato, ed allora Thibaud gli aveva assicurato che aveva consegnato una lettera, con lo stesso sigillo, ad un componente della famiglia Jarjayes .

Ringraziato e congedato Monsieur Thibaud, con l’intesa di rivedersi di già il giorno successivo, non ebbe il coraggio di aprire subito la lettera. Chiamò un valletto. Chiese del vino. In fretta. Ne bevve un calice, poi un altro. Il vino rosso e corposo rifletteva il suo volto stanco alla luce fioca del fuoco che ardeva nel camino.

Infine si decise e ruppe il sigillo. Davanti a sé comparve un testo apparentemente incomprensibile, evidentemente criptato, a parte la prima riga:

‘Ricordatevi di quanto leggemmo il secondo giorno del vostro ritorno.’

Oscar ... allora siete proprio voi.... Il giorno del mio ritorno. Siete corsa come una fanciulla verso di me. Stavate quasi incespicando, me lo rammento. Siete stato un generoso amico ad accogliermi nella  vostra dimora. Ancora non sapevo cosa avrei fatto della mia vita e del mio amore impossibile, quiescente ma imperituro.”

Stava divagando, cercò di concentrarsi, tornò al punto: “Cosa abbiamo letto dunque il secondo giorno? ... Voi e André: pareva che non faceste altre che leggere, in silenzio o ad alta voce l’uno a beneficio dell’altro, quando non vi allenavate con la spada o la pistola, quando non vi sfidavate a scacchi, quando non ero io ad interrompervi, per condividere la vostra compagnia ... Voi sembravate felice ...
Ecco sì, il vostro autore preferito, Oscar, Publio Virgilio Marone, abbiamo letto l’Eneide,  direttamente dal latino ...il Libro ottavo... voi due recitavate a memoria perché da ragazzi ne usavate il testo ...ma sì, sì, ora ricordo ...  per cifrare i vostri messaggi. ‘Ut belli signum ...”

Corse allo scaffale della piccola biblioteca dei suoi appartamenti, alla disperata ricerca di un’edizione dell’Eneide. Buttò confusamente a terra una ventina di tomi, finché non trovò quello che cercava, afferrò un po’ di carta ed il bastoncino di grafite avvolto in una canna di bambù con cui usava scrivere i suoi pensieri nelle fredde sere solitarie.

Con qualche difficoltà e dopo vari tentativi, infine riuscì a trascrivere:

 
§ § §

Non pronuncerò il vostro nome, non voglio compromettervi più di quanto non vi siate compromesso accorrendo in mio aiuto ormai un mese orsono. Sappiate che ve ne sono grata e vi sarò eternamente riconoscente perché, non dubito, state garantendo a mio padre il conforto della vostra leale amicizia e protezione.

Il nostro viaggio è in corso e per ora procede senza troppe difficoltà. Ma non sono certa che il mio nemico manterrà la parola e che il buon esito della missione sarà ricompensato dalla liberazione di mio padre.

Vi chiedo quindi di intercedere verso la nostra luce, colei che ho protetto, finché mi è stato consentito.

Voi sapete che abbiamo teso una trappola al vero cavaliere nero, che i gioielli trafugati sarebbero stati restituiti e che se tra di essi sono comparse le gemme di quella collana si è trattato solo di un’abile messinscena, giacché nessuna parte ho avuto in quella truffa. Il mio nemico, lui evidentemente sì, ne è stato artefice o quantomeno complice: quelle stesse gemme ne sono la prova.

La nostra luce deve sapere che non sono fuggita per evitare di subire le conseguenze dei misfatti di cui sono stata, meschinamente, calunniata; avrei affrontato a testa alta ogni accusa ed anche un’ingiusta punizione, ma ho dovuto abbandonare la Francia, su incarico del mio stesso nemico, per salvare mio padre e l’onore della mia famiglia.

Alla vita di mio padre e all’onore della mia famiglia, a quelli non potrei mai rinunciare. 

Non vorrei rinunciare nemmeno alla vostra amicizia. Preferisco dimenticare l’ultima sera in cui ci incontrammo a Versailles ed auspico che per voi sia lo stesso.

In nome di quest’amicizia vi chiedo dunque di informare, con discrezione, colei che finora ha illuminato il nostro cammino, affinché sia consapevole di chi nell’ombra trama contro di lei e contro coloro che le sono devoti. Non dubito che la nostra luce saprà quali azioni compiere e quali omettere.


 
§ § §


Quando finì di decifrare e rileggere la missiva, il fuoco si era ormai spento. Tremò il Conte, di fronte all’enormità di quegli eventi. Finì il vino rimasto nella caraffa di cristallo davanti a lui.

“E ... voi sembravate felice... ma allora eravate felice perché  c’ero io,  lì, lì con voi?

 E’ per questo che vi siete vestita da donna, per danzare con me?

André mi ha chiesto conto della sera del ballo: cosa è successo, dopo che siete fuggita?

Mi sono scusato con Voi quando ci siamo congedati a Palais Royal, non mi rendevo nemmeno conto  di cosa mi stessi scusando in verità, ma l’enormità di tutto questo ...

l’enormità ... ecco, io non immaginavo ...

Vi siete innamorata di me Oscar? Davvero? Per questo André mi ha accusato di avervi infranto il cuore?

Io non me ne sono mai accorto Oscar, anzi ho avuto l’ingenuità di domandarmi ad alta voce perché il buon Dio vi avesse fatto nascere donna
... io vi avrei promossa generale, ma forse Voi ....


... Voi .. non immaginavo di avere sconvolto anche la vostra, di vita.

Con un gesto brusco spazzò dal vassoio il servizio di cristallo. La caraffa ed il bicchiere si ruppero fragorosamente  in decine di frammenti rilucenti. Si prese la testa fra le mani, le dita ad afferrare con forza intere ciocche di capelli:

Mi chiedete dunque di parlare con la nostra Regina, Oscar. Lo farò senz’altro; in realtà mi ero già risolto di confidarmi con lei.

Ma ora non riesco a pensare che a questo: mi amavate Oscar?

Mi amate ancora?

Se avessi saputo che donna eravate...

 ... Oscar ... avrei potuto amarvi...”

 
* * *
 
Io ti amerò finché avrò vita, Oscar, ed anche oltre”.

Capì Oscar che la vita è adesso. E non si deve farla attendere.

Sarebbero morti un giorno, avendo vissuto, però.

Prese per mano André e scesero sottocoperta.

La cabina era immersa nel buio, solo da un piccolo oblò scintillavano le stelle riflesse sul mare. Un baluginio intermittente e lieve.

Le loro labbra si incontrarono ancora una volta ad assaggiarsi. Erano in piedi uno di fronte all’altra, abbracciati. Quando le loro bocche si separarono, per prender respiro, si erano guardati negli occhi.

Il bianco dei loro occhi era l’unica luce che fulgeva in quella cabina buia.

Quella labile cecità aveva acuito gli altri sensi.

André era inebriato dal profumo di lavanda e rose, che sulla pelle di Oscar si trasformava in una fragranza fresca che sapeva di pioggia primaverile.

Era stata Oscar a farsi avanti. Con dita tremanti, ma non per questo meno decise, aveva iniziato a sbottonare la camicia di André. Era estasiata dal sapore della pelle di André, sapone e muschio, e la saggiava baciandone il torace nudo, man mano che sbottonava la camicia.

Poi aveva scoperto che quella pelle amata era più sapida se mordeva appena il collo, poco sotto la giugulare.

Pulsava il sangue nelle vene di André. Al ritmo accelerato del suo cuore.

Aveva afferrato d’impulso le mani di Oscar, allontanandola appena da sé.

“Oscar, non posso più resisterti. Fermiamoci. Fermiamoci ora”

Non poté vedere il sorriso di lei, in quel buio. Ma lo percepì. Con un dito percorse i contorni delle labbra di Oscar.

“Oscar, se questa notte non mi fermo, la tua strada sarà senza ritorno.”

“Non mi hai atteso tutti questi anni invano, percorreremo questa strada assieme, ovunque ci conduca, André.”

“Tu non capisci Oscar ... ”

“André, l’hai detto tu: che merito di fare l’amore con un uomo che mi ama, e che io amo. Ogni donna lo merita.”

Poi era stata Oscar ad afferrare le mani di André. Erano più grandi e forti delle sue, ma esitanti. Le adagiò sui bottoni della sua camicia ed attese.

Non attese a lungo. André iniziò a sfilare i bottoni dalle asole, uno dopo l’altro. Ed ogni centimetro di pelle che la stoffa scopriva, era compensato da un bacio. Poi percepì il tessuto teso che comprimeva il seno di Oscar. Cercò la fibula che serrava le fasce, l’aprì e le svolse piano, con delicatezza, finché davanti a sé baluginò il biancore di due seni piccoli, tondi e candidi, che racchiuse nei suoi palmi. Con i pollici sfiorò i capezzoli, turgidi al suo tocco.

Sei sicura Oscar?”

Aveva annuito Oscar, la sua nuca sotto il mento di André, che teneramente l’aveva baciata sui capelli morbidi.

Allora l’aveva presa in braccio, depositandola come il più fragile e prezioso dei fiori sul loro giaciglio.

Le aveva tolto gli stivali. Una mano a tenere fermo il ginocchio. L’altra a fare leva sul tallone. Era caduto un pugnale da quegli stivali.

Sei incorreggibile Oscar”. Avevano riso.

Aveva tolto i suoi.

Le aveva allora sfilato i pantaloni, mentre lei inarcava appena la schiena, per aiutarlo. In un moto involontario di pudore, aveva coperto con le mani il pube.

L’oscurità incombeva su di loro, furono le mani e le labbra di André a disegnare i contorni del corpo di Oscar. Aveva baciato le mani di lei, ancora pudicamente posate sulla sua intimità e le aveva scostate. Ora era la sua bocca ad esplorarla.

Oscar era rapita ed ammaliata dalle sensazioni, nuove ed intense, che il contatto delle mani e delle labbra di André le stavano suscitando.

Le sembrava di precipitare nel vuoto, senza controllo. Le pareva che anche la voce sfuggisse al suo controllo, con sommessi gemiti di piacere. Si spaventò.

Ma ritrovò subito il suo coraggio, che neanche in quel frangente poteva mancarle, e ricominciò ad accarezzare André: il torace, le braccia forti, la schiena possente. Al tatto sembrava che la forza di André si amplificasse ancora di più. Percepì la sua virilità che tendeva la stoffa dei calzoni e capì cosa sarebbe successo, di lì a poco.

Per un attimo si intimorì. E si ritrasse.

“Sei meravigliosa Oscar, mi sto perdendo, ma basta un tuo cenno ed io mi fermerò”.

Si ricordò, in quegli istanti in cui fu invece il tempo che parve fermarsi, di una canzone strana e malinconica, ascoltata nei vicoli di Parigi, dopo una serata passata in taverna. Lei a bere, cercando invano di dimenticare Fersen, lontano nelle Americhe; André a restare più sobrio, per vigilare su di lei.

Quest’ultima constatazione le fece stringere il cuore. Ora se ne rendeva conto: André già l’amava, avrebbe potuto annegare nel vino il suo dolore, ma si sforzava di non farlo, per proteggerla, come sempre.

Ebbene le sovvenne di quella canzone, intonata accompagnandosi con una fisarmonica da un medicante che, ora che ci rifletteva, assomigliava un po’ al loro Goerso.

I figli dell’età silente, fanno l’amore una sola volta, ma sognano e sognano. Non muoiono mai, un giorno si addormenteranno, semplicemente.”(1)

Non voleva fare l’amore una volta sola e poi morire.

Non voleva che lui continuasse solo a sognare.

“No, non fermarti André: io con te voglio vivere.”

 
Ma non è possibile che io sia tanto felice dopo tanto dolore. È un sogno, un sogno come quello che ho fatto spesso, figurandomi di stringerla a me, di toccarla come ora, e sentivo che mi amava e che non mi avrebbe lasciato mai.(*)
(*) Charlotte Brontë, Jane Eyre
 
 
(1)(David Bowie, Sons of the silent age)
 
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


And when the clothes are strewn
don’t be afraid of the room
Touch the fullness of her breast.
Feel the love of her caress
She will be your living end

(David Bowie, Lady Grinning Soul)
https://www.youtube.com/watch?v=6fHoMw8tCzo
 
Ma non è possibile che io sia tanto felice dopo tanto dolore. È un sogno, un sogno come quello che ho fatto spesso, figurandomi di stringerla a me, di toccarla come ora, e sentivo che mi amava e che non mi avrebbe lasciato mai.(*)
(*) Charlotte Brontë, Jane Eyre
 
Quando la luce del primo sole ne solleticò le palpebre, André vagheggiò, in quegli istanti che non sono né sonno, né veglia, che era meglio non destarsi e tenere ben serrati gli occhi. Talmente era bello quello che, non dubitava, era solo il suo ennesimo sogno d’amore.

Oscar giaceva fra le sue braccia placidamente addormentata. Le mani giunte sotto la guancia, il capo posato sul suo cuore. Non era insolito. Ultimamente Oscar si addormentava così, solo così, abbandonandosi al sonno sul suo petto.

Poi si avvide che qualcosa era cambiato. Sentiva che il suo braccio sinistro poteva percepire la pelle serica di lei, appena sopra la vita, e che la mano poteva saggiarne la morbidezza del fianco, senza l’intralcio della stoffa.

Spalancò incredulo gli occhi André. Fisso il volto di Oscar. Le lunga ciglia nere che appena tremavano, forse anche lei stava sognando. Forse entrambe stavano sognando. Ma no ...

Era tutto vero.

In quella notte, quella notte scura, cullati da un pezzo di legno che galleggiava in un punto imprecisato del Mar Mediterraneo, erano diventati una cosa sola.

Ed era stato meraviglioso.

Dopo una notte così, potrei anche morire, contento di aver vissuto”, si disse. Poi ragionò che quello era un pensiero troppo triste per un risveglio tanto felice.

Si mise ad osservarla, senza muoversi, per custodirne il sonno. Sembrava un angelo la sua Oscar. Le gote appena imporporate, la chioma di riccioli biondi, illuminati dai primi raggi di sole come un’aureola intorno al capo. Ma era anche una donna, la sua Oscar, una bellissima donna. L’incavo dei seni teneri appena celati dal lenzuolo.

Oscar stava mormorando qualcosa, nel dormiveglia, e quando capì che stava sussurrando il suo nome, André non poté trattenere silenziose lacrime di gioia.

Anche lei si stava destando. A malincuore in verità. Perché si sentiva avvolta da un tepore piacevole e sconosciuto.

Per vent’anni aveva ascoltato le sue sorelle maritate, scambiarsi confidenze più o meno intime. Nessuna di loro aveva contratto un matrimonio d’amore e congiungersi col proprio consorte serviva a procreare. Dovere coniugale e nulla più, e se il marito era educato e rispettoso, soprattutto la prima notte di nozze, era una gran fortuna. I dettagli? Meglio dimenticarli.

Ma per lei, di quella notte appena trascorsa, di cui ricordava tutto in ogni dettaglio, ogni dettaglio era fonte di gioia.

Fu allora sorridendo, consapevole (chissà come), del suo sguardo su di lei, che aprì gli occhi.

Con un dito asciugò le lacrime che solcavano le gote di André.

Oscar, sei vera, sei qui con me?”

Non rispose Oscar, alzò il capo, avvicinò le sue labbra a quelle di André, reclamando e ricevendo un lungo bacio.

“Oscar io...non ti ho fatto troppo male, vero?”

“Tu non potresti mai farmi del male ... André”

“Mai, Oscar, mai ... preferirei morire, però stanotte ...”

Scosse la testa Oscar... “C’è un mondo là fuori che ci aspetta André, però ora sto troppo bene qui, assieme a te ... tu credi che ...

Aveva risposto, con un sorriso complice, il moro: “Credo che il mondo possa aspettarci ancora un po’, Oscar ...

Ed anche in quel po’, alla luce del sole, ogni dettaglio, di ogni amorevole bacio, di ogni lieve carezza, di ogni intenso affondo, si impresse a fuoco, nell’anima e nella carne.

* * *

Fu tuttavia col solito passo marziale che, più tardi, la solita Oscar salì sul ponte.

Fu solo Goerso, che aveva un occhio solo sì, ma pareva che con quello cieco scrutasse nell’anima, a notare un cambiamento.

Era qualcosa nella postura di Oscar, diritta e severa, ma ora appena ammantata di levità, come se un incantesimo malefico fosse stato sciolto.

Quanto ad André, pareva che l’amore consapevolmente nascosto per anni, e Goerso credeva che fossero decenni, compresso nel profondo del suo cuore, fosse esploso. Insomma André brillava. Di luce propria.

Pregò Goerso, il Dio in cui non credeva, per André e la sua Oscar.

Consumata una frugale colazione, quest’ultimi si erano poi diretti dal Capitano Zane, per discutere i dettagli del viaggio.

Li aspettava una tratta difficile, oltre 450 miglia nautiche, più di dieci giorni senza scali fino all’île de Crète ed altri tre o quattro fino a Rhodes.
Se il vento fosse stato favorevole.

“Passate le bocche di Cataro, aveva precisato Zane, in terraferma il continente è Turco, e seguita ad esserlo fino a Costantinopoli. In mare, Malta era l’ultimo presidio d’Occidente. Alla Repubblica di Venezia appartiene ancora qualche isola, come Corfù, Zante e Cefalonia. Nulla più. Ma sono fuori della nostra rotta, quindi d’ora in poi ...”

A quel punto un gran trambusto li aveva interrotti.

Un marinaio era entrato precipitosamente senza bussare e scusandosi del disturbo, mentre il Capitano Zane lo stava già fulminando con lo sguardo, ne aveva richiesto la presenza sul ponte.

Avevano scovato un clandestino. Nascosto in una delle lance di salvataggio.

Come una furia il Capitano Zane si era scaraventato fuori, mentre Oscar e André lo seguivano accigliati.

Trattenuto a stento da due marinai grossi il doppio di lui, un ragazzino bruno dalla pelle chiara, scalciava urlando in italiano di metterlo giù.

Accontentatelo. Mettetelo giù... e poi buttatelo a mare!” Aveva ordinato il Capitano.

Non fu chiaro chi dei due intervenne per primo: se fu André a gettarsi sul ragazzino, strappandolo alle grinfie dei due energumeni. O se fu Oscar, che estratto il pugnale dallo stivale, con la solita destrezza l’aveva puntato alla gola di Zane. Ci stava prendendo gusto, ultimamente.

Pensiamo noi al ragazzino”, aveva seccamente proclamato al Capitano.

Seguitava a scalciare, quel moccioso, anche fra le braccia di André, che l’aveva afferrato per le spalle e sollevato, ed ora lo teneva stretto, per tenerlo lontano dai guai. Ma quello si agitava e sgomitava, colpendo alle costole André.

Notò Oscar, senza capirne la ragione, che André aveva improvvisamente assunto un’espressione sbalordita. L’interrogò con lo sguardo e poi, rivolgendosi al ragazzo:

Come ti chiami, ragazzo?” aveva chiesto.

Silenzio.

Vogliamo aiutarti”, aveva insistito.

L’aveva ripetuto in italiano, francese e spagnolo.

Silenzio.

Era chiaro che quello non voleva parlare.

Il capitano di questa nave sono io e non tollero interferenze!

Se volete possiamo deciderlo in un duello all’arma bianca”, aveva replicato Oscar, premendo un po’ di più la punta della lama alla gola di Zane.

Se fosse in voi non tirerei troppo la corda, bionda!”

I due grossi marinai si erano gettati su di lei, che agilmente li aveva scartati, mentre André, mollata la presa sul ragazzo, stava ora menando pugni a destra e a manca.

Attirati da quel parapiglia erano accorsi, trafelati, Sestini e Spallanzani. Il ragazzino, scappando via, li aveva travolti, facendo cadere l’abate gesuita.

“Cosa succede qui?” aveva domandato Sestini, mentre aiutava il compagno a rialzarsi.

André, che aveva tramortito i due marinai, si stava massaggiando le nocche della mano destra, mentre Zane, contro il quale Oscar brandiva di nuovo il pugnale, ridacchiava senza far cenno di reagire.

“Va bene, va bene, ci siamo divertiti un po’. Immaginavo che vi sareste opposti al tuffo in mare del moccioso. Ma voi due, Romeo e Giulietta, siete peggio di una coppia di giannizzeri!”

“Cosa diavolo succede qui?” aveva ribadito Spallanzani.

Nulla, illustri gentiluomini. Nulla. Abbiamo un passeggero in più.  Pagante. Paga la bionda.

Ora però dovevano scovarlo il ragazzo. André, dopo essersi accertato che Oscar stesse bene, le aveva sussurrato all’orecchio: “Abbiamo un problema, dobbiamo trovarlo noi, per primi.”

L’aveva guardato con aria perplessa.

Mentre lo trattenevo ecco, Oscar...mi sono accorto che quel ragazzo in realtà è una fanciulla.”

Alla fine era stata Oscar a scovarla, quella fanciulla. Si era nascosta nelle sentine, raggomitolata su di sé, a farsi più piccola e minuta di quanto già non fosse, le ginocchia raccolte e strette fra le braccia, inzaccherata ormai dall’acqua putrida che si raccoglieva laggiù, nella parte più profonda della nave.

Con voce calma e gentile, quella che solo ad André riservava, quando non doveva sforzarsi di essere un austero militare, le aveva detto, in quell’italiano un po’ letterario che i precettori le avevano insegnato: “Non aver tema di me. Non ti angustiare. Nonostante le vesti che indosso sono una donna anch’io e voglio aiutarti. Come ti chiami?”

E quella aveva risposto secca, con due occhi sgranati, a mandorla e di un luminoso castano:  “Mi chiamo Lorenza, fatevelo bastare.”

Quando André informò Zane, che il nuovo passeggero, pagante, e sotto la loro protezione (e l’aveva sottolineata quest’ultima parola, alzando la voce di un tono), era una donna, quello rispose imprecando contro tutti gli dei pagani ed i santi cristiani. Ma si adeguò.

Proseguì il viaggio senza ulteriori sorprese, mentre i compagni di viaggio cercavano di approfondire la reciproca conoscenza.

La ragazza, Lorenza, ammesso che si chiamasse davvero così, trascorreva le sue giornate in solitudine, nel più assoluto silenzio. Su insistenza di Oscar e André, il capitano le aveva assegnato una cabina, minuscola ma vicina alla loro.

Invano avevano tentato di farla parlare. Neanche Domenico Sestini, dei compagni di viaggio il più cordiale, era riuscito a cavarle una parola di bocca. Se ne stava assorta e taciturna, accucciata fra barili, gomene e sartie, a scrutare il mare. Persino per l’occhio cieco di Goerso costituiva un inestricabile mistero. Sedici anni. Poteva avere al massimo sedici anni. Ma pareva, dall’espressione torva e corrucciata, che avesse vissuto un centinaio di vite.

Poi c’era l’Abate Lazzaro Spallanzani. Aveva raccontato, invero un po’ tronfio, che quello era il suo secondo viaggio a Costantinopoli. Il primo l’aveva concluso appena quattro mesi prima, dopo averlo intrapreso nell’agosto del 1785, partendo da Venezia al seguito del nuovo bailo diretto a Costantinopoli, il suo amico Gerolamo Zulian, per gentile concessione dell’Arciduca Ferdinando e su dispensa dell’Università di Pavia presso la quale insegnava.

Aveva seguito una rotta diversa, ed era ben felice di raccogliere dati e campioni marini differenti da quelli del precedente viaggio, per colmare lacune e sciogliere i dubbi che lo studio dei reperti gli aveva lasciato.

Passava le sue giornate a registrare le variazioni dell’ago magnetico, a fare esperienze sull’elettricità naturale dell’aria, maneggiando barometri, termometri, ed uno strano aggeggio chiamato eudiometro, scrivendo incessantemente in una grafia fitta, minutissima ed inintelligibile.

Nonostante l’antipatia che Oscar provava per lui, André lo riteneva solo uno studioso del tutto innocuo.

Poi una sera, involontariamente, l’aveva sentito mentre discuteva con Sestini: “Donne vestite da uomini, non se ne può più. Da quanto due secoli fa anche noi Gesuiti abbiamo ceduto, consentendo a Giovanna d’Austria di formulare i voti in segreto sotto uno pseudonimo maschile, è stata una continua deriva nei costumi”. Sestini aveva pacatamente replicato che una di quelle donne vestite da uomo l’aveva salvato dai pirati barbareschi, e Spallanzani aveva ribattuto che quello confermava la sua tesi: “Meglio buttarle a mare tutte e due, quelle streghe, la bionda e la mocciosa mora”.

Ed allora aveva capito che Oscar aveva ragione.

Qualche volta mi stupisci con queste tue intuizioni tipicamente femminili Oscar”, le aveva detto, mentre la metteva a parte dell’episodio. L’aveva incenerito con un’occhiata, il suo André. Poi di fronte al suo contrito sgomento, aveva riso Oscar, di una risata cristallina che avrebbe rasserenato anche i dannati all’inferno.

Ci ripensò André, ai dannati dell’inferno.

Ripensò ai giorni, alle notti, alle stagioni, agli anni, in cui l’aveva silenziosamente amata. Dannandosi a celare un sentimento che lo devastava. Ammantando di ironia occhiate di divina adorazione; di fraterno affetto i gesti teneri di un innamorato; sublimando nei duelli con la spada, le stoccate, gli affondi e gli affanni di un amante.

Da quanto l’amava? Non avrebbe saputo dirlo in verità. Da quando l’aveva salvato dall’ira di Luigi XV dopo l’incidente a cavallo della Principessa Maria Antonietta? No, l’amava già da prima. Da quando le aveva urlato, prima che decidesse di indossare la divisa di Capitano delle Guardie Reali, di diventare una donna? No, l’amava già, prima di allora. L’amava già, ancor prima di nascere.

Una fitta di rimorso lo colpì, dritto al cuore. L’aveva dannata, la sua Oscar. Ne aveva colto la purezza, l’aveva legata a sé, per sempre, l’aveva incatenata al destino di un umile servo.  Come aveva potuto essere tanto arrogante ed egoista?

E mentre rimuginava tutto questo, Oscar aveva continuato a fissarlo. Assorta. A guatare le ombre che velavano gli occhi di André. Mai come allora si avvide di leggergli nell’animo.

Lei, che non aveva voluto riconoscere in lui, l’amore profondo che bruciava per lei. Lei che aveva negato a sé stessa il suo amore per lui, ora comprendeva tutto con abbacinante chiarezza.

André, so cosa stai pensando ...”

Lui aveva spalancato gli occhi, sorpreso e colpevole.

André, tu mi hai salvato, non mi hai dannato.

“Oscar, io..”

“Shhh ...tu parli troppo André...”

Aveva preso le mani di André e ne aveva accompagnato le dita sul suo cuore, sotto la stoffa nello spazio tra un’asola e l’altra.

Questo mio cuore batterà solo finché batterà il tuo. André. Oscar non esiste, senza André.”

L’isola di Creta li accolse, illuminata dal sole di fine aprile. La guardarono, dal piccolo oblò della loro cabina, i corpi intrecciati ad amarsi, ancora una volta.

Ma dallo spiraglio fra due assi di legno mal accostate, una ragazzina li stava spiando, taciturna e cupa.
 
Lo pianto stesso lì pianger non lascia,
e 'l duol che truova in su li occhi rintoppo,
si volge in entro a far crescer l'ambascia;
 ché le lagrime prime fanno groppo,
e sì come visiere di cristallo,
rïempion sotto 'l ciglio tutto il coppo

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, XXXIII)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


They’re so war-torn and resigned
she can’t talk any more
What are they trying to prove?
What would they like to find?
It’s love back to front and no sides
like I say
These pieces are broken – like I say
These pieces are broken
Hope I’m wrong but I know
(...)
A million dreams
A million scars
A million

(David Bowie,   Because you’re young)    
      

https://www.youtube.com/watch?v=HhB_Kgrtd4k
 
 
 
Lo pianto stesso lì pianger non lascia, /e 'l duol che truova in su li occhi rintoppo, / si volge in entro a far crescer l'ambascia; / ché le lagrime prime fanno groppo, / e sì come visiere di cristallo, / rïempion sotto 'l ciglio tutto il coppo
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, XXXIII)

Lorenza era taciturna e fosca. Un profluvio di parole inespresse si agitavano in tempesta nella sua testa, vocali e consonanti, singhiozzi ed urla. Tradimento. Sopra tutte quelle parole, una strillava più acuta nella sua mente. Tradimento.

Gli occhi avevano da piangere tante di quelle lacrime che non poteva piangerne più.

Nessuna speranza. Solo la volontà di finire. Sperando che un’altra vita, dopo la fine, potesse consentirle di iniziare da capo, emendata dagli errori commessi in questa, di vita. In questa vita nella quale non le era possibile riscatto alcuno.

Priva della volontà di proseguire oltre.  Orientata verso un solo traguardo. Un bersaglio da colpire. Una vendetta. E poi la morte. Liberatoria.

Nel frattempo, osservava Oscar e André. Lo faceva di nascosto, Lorenza, mentre nessuno poteva vederla. L’aura nera, che la circondava, si sbiadiva, mentre li spiava. L’espressione restava cupa, ma il dolore appena appena si acquietava. In fondo, proprio in fondo all’anima, osservarli le ricordava che anche lei aveva amato. Ed era stata amata.

Ogni notte li aveva studiati.

Ogni sera aspettava che si ritirassero nella loro cabina. Al crepuscolo, quando il sole scompariva completamente sotto l’orizzonte, o più tardi al chiaro di luna, sbirciava André che abbracciava Oscar e posava un bacio lieve sulla sua testa bionda.

Non mancava mai Oscar di sollevare il volto verso André, per cercarne le labbra. Luccicavano gli occhi degli amanti, ogni volta che si guardavano, tra un bacio e l’altro.

Ogni volta notava che lui l’aiutava a spogliarsi di quegli abiti maschili e delle fasce che le stringevano il seno. Con delicatezza e devozione.

C’era intimità fra i due. Ma anche pudore. Era come se si conoscessero da sempre, ma si scoprissero ogni volta, sorprendendosi a vicenda.

L’amplesso che ne seguiva era condiviso con passione dai due amanti. Solenne come una celebrazione, spirituale come una preghiera, combattuto come un duello.

Li lasciava esausti e felici.  Una carezza sulla guancia di lei, un bacio sul cuore di lui, precedevano sempre il loro sonno.

Lei si accoccolava con il capo sul torace del suo amante, e lui la abbracciava trattenendola a sé con il braccio sinistro, addormentandosi sempre dopo, per vegliare almeno un po’ sul sonno della sua amata.

Poco dopo Lorenza tornava al suo giaciglio, sforzandosi di ricordare le notti in cui anche lei si addormentava al ritmo fatato del cuore dell’uomo che aveva amato.

E se, destandosi presto, spiava quel rituale d’amore, che all’alba si ripeteva, incoraggiava sé stessa, dicendosi che forse, nella sua prossima vita, forse anche per lei, ci sarebbero stati di nuovo risvegli come quelli.

 
* * *

Dopo undici giorni di navigazione, all’alba del 28 aprile, la Santo Stefano aveva fatto àncora al porto di Candia.

La fortezza eretta dai veneziani incombeva sulle navi ormeggiate.

Il segnavento sbatteva impazzito per i forti venti meridionali provenienti dai deserti egiziani, che riscaldavano l’aria già più che tiepida di metà primavera.

I lasciapassare, procacciati dal Duca d’Orleans, consentivano un breve scalo.

La nave salpa al tramonto. Giusto il tempo di rifornirci”, li aveva ammoniti il Capitano Zane. “Non vi attenderemo oltre.”

Qui i veneziani non sono ben visti. Ed io non amo gli ottomani”, aveva pensato Zane, nelle cui vene scorreva sangue veneziano vecchio di generazioni.

I veneziani avevano perso i loro possedimenti cretesi oltre un secolo prima, dopo che l’assedio di Candia da parte degli ottomani si era protratto per più di vent’anni.  La resa aveva permesso ai coloni veneziani di tornare a Venezia. Tornarono, i profughi, particolarmente provati: Ti xe seco incandìo, si diceva ancora in quel di Venezia.

Temendo che la sua chioma bionda attirasse troppi sguardi, Oscar l’aveva legata e nascosta sotto un tricorno. Un abbondante giustacuore contribuiva a celarne la vera identità.

Varcate le imponenti mura erette dai veneziani a protezione della città, si incamminarono attraverso la Porta del Molo verso la loro prossima destinazione.

A La Vallette, alla concattedrale di San Giovanni, Oscar aveva ritirato dal segretario del Vescovo, Cappellano dell’Ordine di Malta, una lettera sigillata da consegnare al successivo contatto a Creta. Era sola quel giorno. Disperatamente sola. Ed ignorava se l’avrebbe mai più rivisto il suo André, rapito dai pirati barbareschi.

A quel ricordo, un moto di immensa tristezza velò il suo sguardo, trasformandosi in angoscia al pensiero che André potesse morire.

André, che camminava al suo fianco, aveva voltato e chinato il capo per guardarla. Qualcosa la intristiva. Era evidente. Desiderava abbracciarla e stringerla forte, per confortarla. Ma anche sfiorarle una mano sarebbe stato compromettente, circondati com’erano da una folla di turchi ottomani che sciamavano tra le vie della città di Candia, scrutandoli con diffidenza.

A cosa stai pensando, Oscar?”

Quando ho ritirato questa lettera a Malta, tu non eri con me André. Non sapevo se ti avrei più rivisto.”

“Ora sono qui Oscar, accanto a te.”

“Prometti che non mi lascerai mai più sola André, nemmeno per salvarmi, come hai fatto quella notte sulla Misticque.”

Scosse la testa André: “Questo non posso promettertelo Oscar. Il mio posto sarà al tuo fianco sempre, ma per salvarti farei qualunque cosa, anche allontanarti da me, se fosse necessario.”

Si fermò di colpo, abbassando pensierosa il capo: “Quel giorno promisi a me stessa che ti avrei ritrovato e salvato e, maledizione a te, ti avrei punito per la sua insolente insubordinazione e forse poi ...”

Sfuggì un sorriso ad André, che sollevò e piegò il braccio destro portando la mano alla nuca per massaggiarsi appena il collo: “Sono qui Oscar, pronto a ricevere la tua punizione ...”

Ma forse poi .... avrei confessato di amarti André ...”

“Oscar... vorrei tanto baciarti adesso.”

“Ma non puoi ...”

Sospirò André “No, non posso, credo che puniscano la sodomia con la morte e ...”

Si avvide che Oscar stava trattenendo una risata.

Oscar, tu, tu ... ora mi stai punendo vero?” ...  continuò, sorridendo sornione.

Forse André, ma sto punendo anche me ... a non poterti nemmeno stringere la mano. Sai ...” continuò Oscar, mentre entrambe riprendevano a camminare lesti: “una volta Fersen mi chiese se non mi sentivo mai sola. Gli avevo praticamente ordinato di lasciare la Francia e di tornare in Svezia, ti ricordi André?”

Annui André. Non potevano dimenticarlo quel giorno: al ritorno avevano assistito impotenti all’assassinio a sangue freddo di un bambino, del povero Pierre, ad opera di quel depravato del Duca di Germain. Al solo pensiero del crimine nefando di quel giorno e di quanto quel vigliacco aveva osato fare alla sua Oscar la sera del ballo, gli ribollì il sangue. Strinse i pugni e giurò di nuovo a sé stesso che l’avrebbe ucciso, quel maledetto.

“Io non esitai a rispondergli. La risposta era no. Non so se si stupì di quella mia celere risposta. Ma io lo sapevo, di non essermi mai sentita sola, nonostante la mia educazione, nonostante fossi destinata ad una carriera militare, ad una vita senza amore e senza figli ...”

“Lo so Oscar, non c’era giorno che ...”

“E sbagliavi André, se ti angustiavi per me, sai ... perché io non potevo sentirmi sola, c’eri sempre tu, accanto a me. Anche quando non ti vedevo, perché eri un passo indietro. Io lo sapevo che tu eri lì, appena un passo dietro a me ...”

Non fece in tempo a risponderle André, che quel passo indietro per lui era un confine. “Ecco, direi che siamo arrivati, André.”

Davanti a loro, a man sinistra della loggia veneziana dall’eleganti arcate, in una piazza dominata da una fontana sormontata da quattro leoni a fauci spalancate, sorgeva un palazzo di un bianco abbacinante, come il resto della città. Fastosa residenza del destinatario della loro lettera, Monsieur Fabre, ricco mercante francese.

Si erano fatti annunciare ed il loro ospite aveva dato ordine di farli accomodare. Nell’ampio salone, decorato con piastrelle in cotto smaltato a disegnare cerchi e losanghe, in blu, oro, verde e nero, un servitore aveva loro offerto un liquore alla mastika.

Una icona, nonostante le piccole dimensioni, dominava la scena, elemento dissonante rispetto al resto degli arredi: una adorazione dei magi, dai toni scuri malgrado l’utilizzo della foglia d’oro. “"Χείρ Δομήνιχου – Mano di Domenico ...”, sussurrò Oscar decifrandone la firma.

Dopo una breve attesa, un uomo imponente, completamente calvo, vestito alla turca, con un lungo caffettano di cotone, ma indubbiamente europeo, aveva fatto ingresso nella sala. Senza proferire parola, aveva rotto il sigillo della lettera a lui indirizzata. L’aveva letta velocemente, senza tradire alcunché. Solo al termine della lettura, un sorriso ironico ne aveva piegato le labbra.

Il Duca tesse tele intricate. E’ un abile ragno. Bene. Ecco questi sono gli ultimi documenti utili a garantirvi di completare indenni il viaggio fino a Istanbul”, aveva esordito, avvicinandosi ad un secretaire di legno intarsiato dal quale aveva tratto un plico già sigillato.

Conte de Saint, giusto?” aveva chiesto rivolto ad Oscar, porgendo il plico.

“Badate bene.... Istanbul, non più Costantinopoli d’ora in poi. Dovrete farci l’abitudine. Da qui fino a Istanbul, la Sublime Porta domina su tutto.
Da oltre un secolo, dopo la resa di Candia nel 1669, i Cristiani sono stati ridotti al rango di reietti. Il peso dei tributi, imposti ai territori conquistati, del Kharāj, la severità dei turchi nell’amministrare la giustizia, raramente favorevole ai cristiani,  hanno indotto molti cristiani a convertirsi. L’adesione all'Islam, che comporta la recita della confessione e l'assunzione di un nome musulmano ha permesso invece ai convertiti di conservare le loro terre che altrimenti sarebbero state confiscate e assegnate agli Agha. Per non parlare delle donne. I Turchi, arrivati a Creta senza donne, hanno sposato donne cristiane, che necessariamente si sono convertite all’Islam.
La presenza militare ottomana qui è incombente. Si contano cinque battaglioni, ciascuno forte di cinquemila uomini e ventotto caserme di giannizzeri turco cretesi reclutati in gran parte tra la popolazione cretese convertita all’Islam.
Ma non è niente in confronto a quello che vi aspetta nel prosieguo del vostro viaggio.
Da qui a Istanbul gli ottomani comandano. La loro presenza militare, il loro apparato amministrativo, la loro religione, soggiogano questi mari e queste terre.”

Era intervenuto André: “Abbiamo osservato le genti, recandoci qua. Sembrano ostili nei confronti degli stranieri e soprattutto dei cristiani. Le vostre parole, Monsieur Fabre, lo confermano. Non comprendiamo come potremmo introdurci alla Corte del Sultano Abdül Hamid I.”

 “Per nostra fortuna le fondamenta dell’alleanza franco ottomana sottoscritta dal nostro re Francesco I, sono ancora salde. L’unione sacrilega del Giglio e della Mezzaluna ai nostri commerci garantisce sicurezza, se tralasciamo la Barberia.
I passaporti francesi che il Duca vi ha fornito e le mie lettere di raccomandazione vi consentiranno di arrivare indenni fino ad Istanbul. Per introdurvi a Corte userete l’ultima delle lettere di raccomandazione, la troverete nel plico contraddistinta con il sigillo di ceralacca nera. Con quella non dovreste avere difficoltà a farvi ammettere direttamente alla corte di Rabi'a Semi Sultana. La madre del sultano. Colei che nell’ombra tesse la trama delle politiche del figlio. Tesse e disfa. Incessantemente. Non diversamente dal nostro comune amico, direi.”

A quell’affermazione Oscar aveva trattenuto a stento un muto di disappunto: “E’ evidente il rapporto di fiducia che vi lega al Duca. Perché non affidare a Voi, la nostra missione”, domandò perentoria Oscar.

“Già ... avrei dovuto immaginarlo. Siete complici o vittime? Comunque, non ha importanza. Vi risponderò: l’economia qui a Creta è fiorente. La coltivazione principale è il frumento. Ma poi c’è un’abbondante produzione di olio d'oliva che viene esportato a Marsiglia, per la fabbricazione del sapone. E questo commercio ha fatto di me un facoltoso mercante. Non lo metterei a repentaglio per un capriccio dei fratelli massoni.”

“Dunque, non avete altro da dirci? Non esiste un altro contatto, prima di Cost ... prima di Istanbul?

“Monsieur Preux, giusto? .... imparate in fretta, no, nessun altro contatto”, rispose ad André il suo interlocutore. “Io sono l’ultimo volto amico in terra straniera.

Poi rivolgendosi ad Oscar aveva aggiunto: “Conte de Saint, permettetemi di darvi un consiglio.

Gli occhi di Oscar, ora di un gelido azzurro, si erano ridotti a due strette fessure.

“Vestitevi alla turca. Sono abiti comodi, più adatti a questo clima. Sono vesti ampie, che molto possono celare...”

Aveva fatto un passo avanti André, avvicinandosi di più ad Oscar, quasi a nasconderla, dallo sguardo indagatore del mercante, che si era fatto più intenso.

E per Dio, nascondete meglio quei capelli biondi.  Qui le donne bionde sono una merce ambita, non lo sapete?”

“Monsieur Fabre ... voi vi ingannate e comunque non sarebbe affar vostro”, aveva replicato algida Oscar.

Vi sbagliate. La buona riuscita della vostra missione è affar mio, perché il Duca non mi perdonerebbe un fallimento, dovreste saperlo ...”

Si era poi rivolto ad André: “Ascoltatemi, non ho motivo di mentirvi. Il Duca non mi ha rivelato le vostre vere identità, ma basta uno sguardo un poco più attento per svelare l’arcano .... e comunque se anche avessi avuto solo un sospetto, il vostro passo avanti, Monsieur Preux, è stato tanto eloquente da fugare ogni dubbio.”

Senza attendere risposta, aveva battuto le mani e convocato un servitore, impartendogli in turco ordini precisi e secchi.

“Ho dato istruzioni affinché vi siano recapitati al porto vesti ed accessori adeguati”, aveva spiegato Monsieur Fabre, non appena congedato il servitore.

Non affannatevi per noi, siamo perfettamente in grado di provvedere a noi stessi”, aveva replicato risoluta Oscar.

“Conte de Saint, non conosco le ragioni che vi hanno mosso ad affrontare una così ardua impresa. Siete sicuramente una persona coraggiosa, ma siate prudente.”

Aveva distolto lo sguardo Oscar. Sconfitta, si sentiva nuovamente sconfitta ed umiliata. Si era illusa che la sua rigida educazione militare bastasse a fare di lei un uomo. Ma ultimamente i fatti continuavano a smentirla. Per allentare la tensione e placare la rabbia volse le spalle ad ammirare l’icona dell’adorazione dei magi.

Monsieur Fabre si era allontanato: “Vi lascio soli signori, io non ho altro da aggiungere. Che Dio vi assista ...”

Grazie”, aveva risposto quasi atono André, stupito che Oscar non avesse replicato. Poi l’aveva raggiunta ed aveva preso la mano destra di Oscar, stringendola fra le sue.

Guarda André ...”, aveva sussurrato Oscar, senza distogliere lo sguardo dal dipinto. “La Vergine Maria mostra ai Magi suo figlio Gesù. Dietro di lei San Giuseppe veglia su di loro. Si vedono le colline, sullo sfondo, un paesaggio ignoto sotto un cielo cupo, le rovine di un tempio sono il loro unico riparo, ma la sacra famiglia è tutta raccolta qui, sulla sinistra del dipinto, uniti, vicini ...”

“Oscar...se ti succedesse qualcosa io...”

Si era voltata di scatto verso di lui. Gli occhi lucidi di lacrime.

“André, tu promettimi che non mi lascerai mai più, nemmeno per salvarmi!”.
 
* * *
 
Erano tornati in fretta alla nave, arrivando in tempo, un’ora prima del tramonto. Ma la Santo Stefano era in subbuglio.

Domenico Sestini era corso loro incontro appena li aveva visti.

“Eccovi di ritorno, meno male che siete tornati!”

Cosa succede, Monsieur Domenico?”, aveva domandato Oscar.

Il Capitano e l’abate Spallanzani sono spariti, cioè prima è sparita quella fanciulla, Lorenza, poi è tornato Lazzaro, cercando del Capitano Zane, poi sono spariti anche loro, da oltre tre ore ormai...” aveva risposto sempre più agitato Domenico Sestini.

Spiegate tutto dal principio, con calma, Domenico ...” aveva insistito André.

Va bene, va bene ...ecco. Il Capitano aveva ordinato alla ragazza di restare sulla nave, che non s’azzardasse a sbarcare, ma quella ha fatto di testa sua. Lazzaro ed io l’abbiamo vista, mentre si stava allontanando sul molo, correndo a testa china, riparandosi fra barili ed imballi per non farsi scorgere. L’abate ha voluto pedinarla. Dopo un’oretta è tornato trafelato, che era nei guai e si doveva salvarla...insomma ha convinto Zane a seguirlo con un paio di marinai...ma...ma non sono più tornati!”

Nel mentre zoppicando impacciato si era avvicinato Goerso.

Goerso ...cosa potrebbe essere successo?” aveva domandato André.

Non ne ho idea, ma se conosco Zane non tornerà a mani vuote, questo è sicuro. Teniamoci pronti a levar l’ancora e salpare a vele spiegate...”

Ma nel frattempo dobbiamo andare a cercarli .... André, prendi un paio di uomini armati e vieni con me”, era intervenuta determinata Oscar: “Goerso, a te il comando. Domenico, voi tenete tranquillo il resto della ciurma!”

La ricerca affannosa si era conclusa davanti alla moschea Visir Tzami.

Lì avevano trovato Zane che correndo portava in braccio Lorenza, priva di sensi, mentre l’abate Spallanzani procedeva più lento, claudicante e sorretto da un marinaio. Chiudeva la fila l’ultimo marinaio, una pistola in pugno a guardar le spalle.

Due uomini, che brandivano pesanti scimitarre, li stavano incalzando. Aveva sparato il marinaio. Ma la pistola si era inceppata.

Sguainate le spade Oscar e André ingaggiarono battaglia.

Portate tutti in salvo sulla nave”, urlò Oscar. “Qui, ci pensiamo noi!”

Ad André lei rivolse l’ultima occhiata.

Ad Oscar lui rivolse l’ultimo cenno d’assenso.
 
Tenevamo gli occhi fissi nel cielo, e mi pareva che le anime nostre si parlassero attraverso l'epidermide delle nostre mani e si abbracciassero nei nostri sguardi che s'incontravano nelle stelle. (*)

(*) (Giovanni Verga, Storia di una capinera)

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Funny how secrets travel
I’d start to believe
if I were to bleed
Thin skies, the man chains his hands held high
Cruise me blond
Cruise me babe
A blond belief beyond beyond beyond
No return No return


(David Bowie, I’m deranged) 
        
          
https://www.youtube.com/watch?v=IzIXlttNCyo
 
Ad André lei rivolse l’ultima occhiata.
Ad Oscar lui rivolse l’ultimo cenno d’assenso.
Tenevamo gli occhi fissi nel cielo, e mi pareva che le anime nostre si parlassero attraverso l'epidermide delle nostre mani e si abbracciassero nei nostri sguardi che s'incontravano nelle stelle. (*)
(*) (Giovanni Verga, Storia di una capinera)

Come una danza.

Qualche isolano curioso e più intrepido degli altri si era fermato a spiare al margine della piazza davanti alla moschea Visir Tzami, dove infuriava una battaglia degna dei versi di Omero. O di una καρπαία, come una di quelle danze guerresche descritte da Senofonte nell’Anabasi.

Due enormi giannizzeri roteavano le loro scimitarre, pesanti e corte kilij dalla lama d’acciaio ricurva, contro una coppia di cristiani. Un uomo alto e moro, possente quanto i due islamici, ma armato di una più leggera spada. Ed un ragazzo più basso ed esile, ma straordinariamente agile e veloce, che brandiva a sua volta, indomito, una spada.

I due cristiani stavano tenendo testa ai giannizzeri, apparentemente senza troppa fatica, coordinando fra loro ogni gesto, ogni stoccata ed ogni affondo, come a danzare una coreografia studiata ed eseguita con precisione in ogni minimo dettaglio, senza parlarsi se non con cauti sguardi.

Mentre il ragazzo aggrediva di punta con la spada il primo giannizzero, il moro ne parava con la spada la scimitarra che di taglio assaliva il ragazzo e con una spinta vigorosa lo gettava a terra.

Con un balzo il ragazzo era alle spalle del secondo giannizzero e con una stoccata precisa alla mano destra che impugnava la scimitarra lo disarmava.

Quello, ferito ed un poco disorientato, aveva poi cercato con la mano mancina di estrarre dalla sua cintura uno yatagan, ma il moro lo aveva preceduto, infilzandolo con la spada al fianco destro.

Il primo giannizzero, che il moro aveva cacciato a terra, si era rialzato, scagliandosi con la scimitarra contro il ragazzo, che agile si era abbassato schivando il colpo. Ma la scimitarra ne aveva centrato il tricorno, gettandolo a terra e liberando una cascata di capelli biondi, lunghi, folti e rilucenti come oro fuso.

Stava ancora spalancando la bocca per la sorpresa, quando il biondo l’aveva tramortito, colpendone di piatto la nuca con la lama della spada.

Ora i due cristiani stavano correndo a perdifiato verso il porto, lasciando riversi a terra, sulla piazza davanti alla moschea, ormai avvolta dalle ombre del crepuscolo, due giannizzeri feriti, ma ancora vivi, giacché Oscar e André mai avrebbero ucciso, senza una ragione.

E mentre correvano, si tenevano per mano.

 
* * *

Il 28 aprile, appena arrivato a Caltanissetta, Johann Wolfgang von Goethe riceveva, dal suo amico e corrispondente Stephane Thibaud le lettere di risposta del Generale Augustin Reynier de Jarjayes e del Conte Hans Axel von Fersen.

Ora si trattava di farle recapitare ad Oscar e André.

Quasi tre settimane prima aveva maledetto la sorte avversa, alla notizia dell’arrembaggio pirata subito dalla Misticque, appresa il Lunedì dell’Angelo dal segretario del principe di Palagonia, dopo averne visitato l’inquietante villa, a Bagheria.

Ma qualche giorno addietro, al tramonto del 23 aprile, mentre si trovava in cima al monte di San Calogero, presso il Convento dei Carmelitani, aveva saputo, grazie ad un messo inviato dallo stesso segretario del Principe, al quale si era raccomandato che gli facesse avere ulteriori notizie garantendo la disponibilità a pagare eventuali riscatti, che la Misticque aveva fatto miracolosamente ritorno a Palermo, il 20 aprile.

Il fato gli aveva impedito di rivedere con i suoi occhi la Misticque, perché era partito da Palermo due giorni prima, ma il Principe lo aveva informato che il capitano Maule aveva deciso di tornare a Marsiglia. A quanto risultava i due francesi, ed anche due italiani, imbarcati come passeggeri, erano sani e salvi a La Vallette, e sotto la protezione del Gran Maestro dell'Ordine di Malta avrebbero proseguito il loro viaggio verso Costantinopoli.

Il giorno dopo, a Girgenti, al levar del sole, gli parve di non aver mai goduto, in tutta la sua vita, di una così splendida visione di primavera, e non era solo per il paesaggio.

In quelle settimane non aveva fatto trascorrere il tempo invano. Indagando sullo scandalo della collana che aveva coinvolto Oscar, Goethe aveva conosciuto un avvocato palermitano, il Barone Antonio Vivona, incaricato dal governo francese di accertare le origini di un avventuriero italiano accusato e poi scagionato, nello scabroso processo del "Collier de la Reine”: il Conte di Cagliostro, alias Giuseppe Balsamo.

D'accordo con il Barone Vivona, aveva finto di essere un inglese che Cagliostro, liberato dalla Bastille e riparato a Londra, aveva incaricato di rassicurare la famiglia, rimasta senza notizie.

Sotto quelle mentite spoglie, il 14 aprile aveva incontrato la madre di Cagliostro, Giuseppa Capitummino Balsamo, e la sorella, rimasta prematuramente vedova. Il giorno dopo era tornato per ritirare una lettera che i familiari lo pregavano di recapitare al loro congiunto lontano, ma non ne aveva ricavato alcuna informazione. Con dispiacere aveva constatato invece le misere condizioni economiche in cui versavano la madre e la sorella di Cagliostro, che dignitosamente conducevano una vita onesta e timorata di Dio. Decise che una volta tornato in patria avrebbe inviato alla famiglia Balsamo un concreto aiuto in denaro, anche a ristoro dei debiti che il congiunto aveva loro lasciato.

Ma tutto questo non era stato inutile. Il Barone Antonio Vivona, con il quale aveva collaborato, aveva amici influenti in Francia, e tra questi Étienne Charles de Loménie de Brienne, Arcivescovo e futuro Ministro delle Finanze del Re di Francia. 

La tela di ragno tessuta dal Duca d’Orleans era resistente e tenace, ma poteva resistere alla furia del vento di nuovi nemici? E si sa, in primavera anche le leggiadre cinciarelle nutrono i loro piccoli con i ragni, prima di svezzarli ...
 
* * *

 
La nave era salpata appena Oscar e André vi erano precipitosamente saltati sopra, risalendo in fretta i tarozzi delle biscagline gittate sulla murata.

Il ceppo dell’ultima àncora era stato levato, disincagliandone violentemente dal fondale la marra e l’unghia, mentre le vele dell’albero di trinchetto erano già tese a prendere il vento.

“Dov’è Lorenza? Portatemi subito Lorenza!”, aveva urlato Oscar appena si era accertata che tutti fossero sani e salvi a bordo. Era più furiosa dello stesso capitano Zane, che ora stava convulsamente gridando ordini alla ciurma per prendere il largo più rapidamente possibile.

Ora la ragazza era davanti a lei, malconcia ma illesa, inginocchiata con le mani legate dietro la schiena.

Liberatela, non vedete che la corda le ferisce i polsi”, aveva ordinato André.

Oscar non sembrava dello stesso avviso, ma aveva annuito, cercando di dissimulare il disappunto.

Mentre si massaggiava i polsi, ancora inginocchiata, Lorenza l'aveva fissata, dritta negli occhi.

“Perché?”, le aveva chiesto Oscar.

Una sola parola: “Perché?”

Con quell’unica parola Oscar voleva sapere perché avesse messo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi soccorritori. Ma nel porre la domanda si avvide che stava sbagliando. Lorenza era fuggita di nascosto, non voleva farsi aiutare da nessuno.

Per chi?”, aveva allora domandato. E Lorenza aveva distolto lo sguardo, cercando di nascondere gli occhi velati di pianto.

André le si era avvicinato, l’aveva fatta alzare e poi sedere su una bitta.

Aveva piegato le gambe abbassandosi alla sua altezza, e aveva ripetuto la stessa domanda: “Per chi?”.

“Eccoli qui tutti e due davanti a me, questi due amanti fortunati”, aveva pensato la ragazza. “Cosa possono saperne loro, del dolore di un amore impossibile, dell’illusione di una felicità troppo breve, come un battito d’ali, dello strazio della morte?”

 “Vieni con noi”, aveva improvvisamente detto André, cercando con gli occhi l’approvazione di Oscar che era ritta alle spalle di Lorenza.

Erano scesi nella loro cabina, portandosi dietro la ragazza.

Tanto sul ponte la loro presenza non era necessaria. Zane se la cavava egregiamente, Goerso teneva saldo il timone puntando la prua verso levante, in mare aperto, Sestini stava medicando Spallanzani che nonostante tutto taceva, senza lamentarsi.

Avevano chiesto ad un mozzo di portare un poco di latte caldo e mentre Lorenza lo sorbiva, rivelando la giovane età nel modo in cui teneva la scodella stretta fra le mani, gonfiando le guance ancora infantili per soffiare sulla bevanda bollente, entrambi avevano sorriso.

Una coperta ora copriva le spalle della ragazza. Oscar, con un tono di voce gentile, aveva iniziato a parlarle.

Hai provocato un gran parapiglia, laggiù a Candia. Se per ora non vuoi spiegarci cos’è successo, non importa. Credo che l’abate Spallanzani, a cui forse devi la vita, qualcosa abbia capito e presto ce lo dirà”.

Lorenza continuava a tacere, ed Oscar proseguì.

Comprendo la tua diffidenza. Tu non ci conosci, ignori con chi hai a che fare. Ma non devi avere timore di noi”.

Ancora silenzio.

Perciò ho deciso di raccontarti qualcosa di noi” aveva sussurrato Oscar, guardando André.

Io mi chiamo Oscar perché mio padre mi ha allevato come un maschio, come un soldato. André ed io siamo amici fraterni sin dall’infanzia, ma fino a qualche settimana fa non sapevo di amarlo.   O forse lo sapevo, ma ne rifiutavo l’idea. Avevo deciso che l’amore può portare solo ad una lunga e dolorosa agonia e perciò era meglio rinnegarlo, l’amore”.

Ora Lorenza stava ascoltando, con rinnovata attenzione.

Poi i pirati l'hanno rapito, sai. Ho temuto di perderlo. Lui mi ha confessato il suo amore, mentre mi lasciava, per proteggermi, ecco io allora avrei preferito morire piuttosto che perderlo. Ed ho capito che l’amavo davvero, con tutto il mio cuore, e che non potevo più negarmi il suo amore.”

Oscar ....” era intervenuto André, che si era inginocchiato davanti a lei, ed ora stringeva le mani di Oscar fra le sue.

Allora finalmente Lorenza aveva parlato. Con un tono sprezzante di voce aveva sputato il suo giudizio: “Poi i pirati l’hanno liberato, e vissero tutti felici e contenti.”

Purtroppo, no”, aveva precisato mestamente André, “Io sono solo un umile attendente, un servo, anche se Oscar ha omesso di dirlo, lei è una contessa e la nostra unione non sarà mai accettata. Non sappiamo cosa ci attenda al termine della nostra missione.”

Continuava a stringere le mani di Oscar fra le sue André, ed ora Oscar aveva posato un bacio lieve su quelle mani forti che tuttavia tremavano.

Ma nonostante il futuro incerto io sono felice. Io l’ho amata da sempre, in silenzio, senza nemmeno poterlo sperare, che un giorno il mio amore potesse essere ricambiato. Perciò sarei stato felice anche se avessi vissuto un solo giorno dopo il nostro primo bacio d’amore.”

Ma io non avrei potuto vivere un solo giorno di più!” aveva quasi gridato Oscar, liberando furiosa le sue mani dalla stretta di quelle di André.

Ed improvvisamente Lorenza aveva iniziato a piangere.
 
* * *

 
Avevano affidato Lorenza, esausta per il pianto, alle cure di Sestini, che le aveva somministrato una tisana per farla dormire. Poi stanchi ed addolorati per quella strana fanciulla, che si era nuovamente rifugiata nel suo silenzio, si erano trovati finalmente da soli nella loro cabina. Dopo non poche insistenze, André aveva convinto Oscar a mangiare qualcosa. Lei era più taciturna del solito, perciò André aveva deciso di conversare per due.

Stavo pensando a Monsieur Fabre, sai, Oscar. Ci ha fatto recapitare due bauli pieni di abiti alla turca. Potremmo cercare qualcosa che ti si addica e consenta di nascondere fra le vesti delle armi, almeno una pistola ed un pugnale ...”

Aveva annuito, Oscar.

Non dovrai preoccuparti nemmeno per i tuoi capelli. Usano quegli ampi turbanti, li hai visti anche tu Oscar, oggi a Candia. Basterà legarli bene e poi ...”

Oggi mi hanno smascherato, André. Quel giannizzero, mentre lo tramortivo, aveva lo sguardo stupefatto.

E lo credo bene Oscar ... soggiogato da una dea, con i tuoi capelli biondi e luminosi come l’oro...avrà pensato di essere ... come si chiama il Paradiso nell’Islam?”

“Janna”

“Si ecco...Janna”

“Il mio unico Paradiso sei tu, André, cerca di non dimenticartelo mai.”

Poi aveva posato la sua esile mano sul petto di André, infilandola nello spazio fra un’asola e l’altra, a cercare il battito del suo cuore, la sua musica preferita. Aveva avvicinato le labbra alle sue ed aveva iniziato a baciarlo, mentre André la prendeva in braccio per posarla sul loro giaciglio.

Quella notte nessuno spiava i due amanti, mentre Oscar di prepotenza tratteneva André, dentro di sé.

“Incosciente, sei un’incosciente Oscar”, aveva pensato André “Ed io sono più incosciente di te. Ma ne sono immensamente felice.

Il mattino dopo era stato André, stranamente, a destarsi più tardi. Nella fioca luce dell’alba, aveva scorto Oscar che impugnava con la mano sinistra la coda raccolta dei suoi capelli e con la destra il rasoio che André usava per radersi.

Le aveva bloccato appena in tempo la mano, trattenendola per il polso, mentre i capelli ricadevano sulle spalle, illuminati di un tenue rosa dal sole nascente.

“Cosa stai cercando di fare, Oscar?”

“Mi sembra chiaro, André, questi capelli sono una minaccia per me e di conseguenza un pericolo per te!”

“Non dire sciocchezze Oscar, nascosti sotto un turbante li camufferai benissimo.”

“Una volta tu ti sei tagliato i capelli per me, André, non ci hai pensato due volte!”

Si era messo a sorridere a quel ricordo André, che poi erano passati pochi mesi, anche se sembrava accaduto in un’altra vita. E poi aveva deciso di non farlo ricrescere più, quel codino da aristocratico.

Beh la parte del cavaliere nero lo esigeva, Oscar”, aveva risposto, accennando un inchino ed un baciamano galante.

Bene, ora lo esige la mia, di parte”, gli aveva risposto gelida porgendogli il rasoio. “Visto che hai esperienza, fallo tu, altrimenti lo farò io”.

Oscar era determinata. Testarda. Non le avrebbe fatto cambiare idea. Poteva solo limitare i danni.

Con un sospiro aveva acconsentito. Nel baule aveva cercato un paio di forbicine d’argento.

La prima ciocca di capelli che aveva tagliato l’aveva messa da parte e nascosta, mentre Oscar, seduta sul baule, gli dava le spalle.

Con quelle piccole forbici l’operazione aveva richiesto tempo e pazienza. André la pazienza l’aveva infinita, ma ogni ciocca che cadeva era una stilettata per il suo cuore.

Avrebbe amato Oscar anche quando la sua bellezza fosse sfiorita e non amava Oscar né per i suoi capelli biondi, né per i suoi occhi azzurri come fiordalisi. Ma quella capigliatura folta, lucida ed indisciplinata era l’unico vezzo femminile che Oscar, inconsapevolmente, si era sempre concessa.

Alla fine Oscar sfoggiava una nuova acconciatura, che la faceva assomigliare ad un paggetto come in uno dei dipinti a sfondo mitologico di Jean Nocret esposti nei saloni di Versailles.

Si era rimirata impassibile in quel frammento di specchio che André usava per radersi. Il mare grosso stava facendo scarrocciare la nave. André l’aveva abbracciata, sussurrandole nell’orecchio “Voglio fare di nuovo l’amore con te”.

“Sempre portati via dalla corrente -  Pigri indolenti, in quella luce d'oro -  La vita che cos'è, se non un sogno?” (*)

(*) Lewis Carroll, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Get me off the streets
(Get some protection)
Get me on my feet
(Get some direction)
Hot air gets me into a blackout
Oh, get me off the streets
Get some protection
Oh, get me on my feet



(David Bowie, Blackout)

https://www.youtube.com/watch?v=HYkXAguU1es
 
“Sempre portati via dalla corrente -  Pigri indolenti, in quella luce d'oro -  La vita che cos'è, se non un sogno?” (*)

(*) Lewis Carroll, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò.

Lorenza, sfinita dalle lacrime, dormiva ancora, chiusa a chiave nella sua cabina, quando all’alba del giorno dopo Spallanzani provò a spiegare quello che era successo, ai compagni di viaggio, tutti riuniti dal Capitano.

“L’ho vista che abbandonava di nascosto la nave. L’ho seguita, temevo facesse la spia per qualcuno, non lo nascondo. I miei rivali mi vogliono male” aggiunse l’abate “quel sedicente professore di chimica e botanica, Giovanni Antonio Scopoli ed i suoi tre compari, Volta, Fontana e Scarpa. Quando sono tornato a Pavia dal mio precedente viaggio, hanno osato accusarmi di avere sottratto alcuni pezzi importanti dal Museo di storia naturale per arricchire la mia collezione privata! Non dubito che i giudici dell’Imperatore mi scagioneranno, ma proprio per questo temo ritorsioni.”

Ed avrebbero incaricato una fanciulla per spiarvi?” chiese André, accennando appena un sorriso ironico.

Da che pulpito, Monsieur!

André non ritenne di rispondere, mentre Oscar rimase impassibile, ed allora all’Abate non restò che proseguire: “Comunque l’ho seguita, si è infilata dritta dritta in un edificio ad un paio di incroci a meridione della piazza della moschea dove ci avete trovato. Ho capito che era una caserma dei giannizzeri. Ho immaginato che volesse, che so, denunciarci per qualcosa. Non sapevo cosa fare ed allora ho aspettato che uscisse. Per quasi mezz’ora. Poi ho fatto il giro del cortile ed ho iniziato a sbirciare. L’ho intravista dalle sbarre di un seminterrato, priva di sensi, legata e imbavagliata. Sono tornato di corsa qui alla nave a cercare aiuto. Con il capitano siamo riusciti a liberarla, segando di nascosto le sbarre, ma i giannizzeri ci hanno scoperto, accidenti che botta hanno dato alla mia povera schiena con uno di quegli spadoni, ma siamo riusciti a scappare...il resto lo sapete.

Potevano ucciderti, Lazzaro...” intervenne Sestini

Lorenza vi deve la vita, Abate” aggiunse Oscar.

Quello abbassò il capo e con insolita modestia rispose: “E’ solo una fanciulla, una povera anima persa.”

Avete capito cosa cercasse nella caserma dei giannizzeri?” chiese André.

Purtroppo no, ma una cosa mi ha stupito: è andata di filato proprio lì, senza una indecisione, senza alcuna esitazione, conosceva la strada e conosce bene Candia, la nostra Lorenza... se davvero si chiama Lorenza”.

Mi spiace dirlo”, intervenne Domenico Sestini,“ ma Lorenza è un pericolo, per tutti noi.”

E quindi cosa vorreste fare, di grazia, Monsieur Domenico?”, chiese Oscar, lo sguardo affilato come una lama, pronta a dare battaglia.

Sono io il capitano di questa nave! Arrivati all'île de Rhodes, la sbarchiamo e la lasciamo lì!”, sbraitò Zane.

Sapete bene che non vi consentiremo di abbandonarla a sé stessa”, replicò secco André.

Liberissimi di farle compagnia. E ve lo dico già: non mi importa di cosa potrà dire il Gran Maestro di Malta!”

Dopo quello scambio di battute avevano infine raggiunto un compromesso. L’abilità militare dei due francesi era indiscutibile e preziosa, e Zane sapeva bene che il Gran Maestro dei Cavalieri di Malta non sarebbe stato clemente se avesse fallito nella sua missione di condurre Sestini e Spallanzani sani e salvi fino a Istanbul. Lorenza sarebbe rimasta sottochiave, confinata nella sua cabina. Una volta giunti a Istanbul, sarebbe stata consegnata al bailo veneziano, Girolamo Zulian, che l’abate Spallanzani ben conosceva e che, non si dubitava, avrebbe provveduto a garantirle protezione, assicurandone il ritorno a casa, qualunque fosse la sua casa ...

 
* * *

Seguirono tre giorni di tranquilla navigazione, durante i quali Lorenza perseverò nel suo ostinato silenzio.

Era notte fonda, quando la Santo Stefano gettò l’ancora a Mandraki, il porto della città di Rodi, punta nordorientale dell’isola. Ogni giorno li avvicinava un po’ di più alla loro meta finale.

Non erano preparati al sole abbagliante che li destò il giorno dopo, il primo giorno di maggio.  

La città si stagliava brillante, dominata da una collina verdeggiante, tra querce, platani, cedri, pini silvestri e boschi di cipressi, mentre nell’abitato di fronte al mare spiccavano bianche cupole a forma di mezzaluna incorniciate da rigogliose palme da dattero e svettanti minareti.

Il porto, grande e quasi quadrato, era chiuso da terra da alte mura e lungo i moli intere batterie di cannoni proteggevano la città dagli attacchi via mare.

All’ingresso del porto, sulle colonne che ora ospitavano le statue di due cervi, immaginarono un colosso di bronzo, tra le cui gambe possenti sfilavano le navi in un tempo remoto.

Nessuna ragione li portava a visitare la città, se non la loro innata curiosità e l’intenzione di provare le nuove vesti con le quali avrebbero dovuto affrontare la corte del sultano Abdül Hamid I ed abituarsi agli usi e costumi degli ottomani.

Avevano una vaga idea dell’impressione finale, grazie ai dipinti delle turcherie che decoravano qualche appartamento di Versailles.

“Mi sembra di essere un personaggio fuggito da uno di quei dipinti esotici di Jean Baptiste Vanmour,  osservò André, mentre con un certo impaccio si sistemava le pieghe delle vesti, cercando di nascondervi una corta spada ed una pistola.

Te lo ricordi André, quando sfogliammo il Recueil de cent estampes représentant différentes nations du Levant? Ci stupimmo che mio padre conservasse nella sua biblioteca un libro con delle illustrazioni tanto strane!

André le sorrise: “Certo che lo rammento, Oscar. Ed ora come allora mi domando come sia possibile tirar di spada e menar fendenti con queste stoffe ingombranti.

Entrambe sfoggiavano ampi sarawil, pantaloni alla turca che si restringevano appena alla caviglia, di raso leggero color cremisi sotto una lunga tunica bianca, stretta da una kamar, una cinta di pelle, nella quale celarono qualche moneta. Ai piedi un paio di kandura, morbide calzature di pelle con la suola di cuoio, che coprivano solo la parte anteriore del piede.

Oscar però non riusciva ad allacciare stretta la cinta di pelle, troppo grande per la sua via sottile. Con la punta del coltello André aggiunse un foro ed aiutò Oscar ad indossarla. Poi l’abbracciò da dietro ed allacciando la cintura ne approfittò per baciarle i capelli, corti, ma morbidi e profumati di fior di lavanda e rose, indugiando poi con le labbra sul collo nudo.

Oscar posò le sue mani su quelle di André, che la cingevano, e poi si volse a reclamare un bacio.

Dato che la loro origine occidentale restava evidente, ed ormai Oscar aveva tagliato corti i suoi capelli, avevano scelto di calzare sul capo un tricorno nero, come era d’uso fra i mercanti europei.

Oscar aggiustò il tricorno sul capo di André, sfiorandone la cicatrice che solcava, ormai quasi bianca, la palpebra dell’occhio sinistro.

Hai rischiato di perdere un occhio, per colpa mia.”

Non sarebbe stato nulla, Oscar, la mia vita è tua”, rispose André, mentre con noncuranza afferrava il mantello, ceruleo e foderato di raso grigio, che completava l’abbigliamento, facendolo volteggiare sulla schiena.

Si accigliò a quella risposta Oscar. Tacque. Prese anche lei il suo mantello, un gasiya leggero, cremisi e bianco, chiudendolo stretto sulle spalle per celarsi meglio.

Attraverso le torri merlate di porta Marina, Oscar e André entrarono in città, accompagnati da Domenico Sestini.

Quest’ultimo li aveva accuratamente istruiti su luoghi ed usanze, insegnando loro qualche parola di turco, che Oscar e André si erano diligentemente annotati, poi si erano separati sotto il Palazzo del Gran Maestro, eretto secoli prima dal Cavalieri Ospitalieri, dandosi appuntamento di nuovo lì, al mezzodì, mentre lui avrebbe cercato un vecchio amico ebreo, che abitava a Rodi.

L’isola era un concerto di fiori di ibisco, gelsomino, rosa canina, erica e ginestra, che facevano capolino da muri, cortili e giardini.

Dopo un lungo girovagare, si confusero in mezzo ad un mercato fra i colori ed i profumi delle spezie più esotiche e odorose e si avviarono verso i banchetti che vendevano ogni genere di frutta.

Una donna, dall’età indefinibile ed avvolta in uno ḥijāb azzurro, incuriosì Oscar, perché mentre esaminavano la frutta per scegliere cosa acquistare, si era messa a fissare insistentemente André. 

“André, hai una ammiratrice”, mormorò Oscar, mentre con le mani saggiava la consistenza dei semi rossi di melograno essiccati.

Sei gelosa?” rispose André.

Era un’esperienza nuova per lui, che a stento trattenne un sorriso, ignorando ancora quell’aspetto del carattere di Oscar. Certo, ragionò, applicando al caso le caratteristiche del temperamento di Oscar, e quello lo conosceva bene, c’era da temere che sfidasse la poveretta quantomeno a duello. Abbassò il capo, sfregandosi la nuca con la mano destra, cercando di allontanare quel pensiero, perché rischiava che quel sorriso che già a stento tratteneva si tramutasse in risa, ed allora sì che sarebbero stati guai seri ...

Oscar però se ne avvide e piccata un poco nell’orgoglio stava per rispondergli per le rime, quando la donna dallo ḥijāb azzurro si mise a cantilenare sottovoce una specie di nenia, ripetendo le stesse strane sillabe, lo sguardo sempre fisso verso André.

L’aria era calda e immota. Ma un brivido percorse la schiena di Oscar.

André percepì che era successo qualcosa.

Oscar, cosa ...”

La donna fissava André, Oscar fissava la donna, André spostava lo sguardo dall’una all’altra, confuso.

Vieni via! Oscar, vieni via!”

Ma Oscar non si muoveva.

I rumori del mercato, le grida dei venditori, i versi degli animali, gli schiamazzi della folla, sovrastavano la nenia. Ma Oscar sentiva solo quella.

Mu'  aqq  ib.

Oscar non vide più i banchetti ricolmi di frutta, i fiori bianchi di gelsomino che si arrampicavano sui muri di pietra.

Vide solo i vicoli stretti di Parigi, il fumo dei cannoni. 

Svanirono gli aromi della cannella e dei chiodi di garofano e la fragranza dei fiori di ibisco.

Le punsero le narici l’odore acre della polvere da sparo e l’afrore umido della Senna.

Mu'  aqqib.

I semi rossi di melograno, sfuggendole di mano, si trasformarono ai suoi occhi in gocce di sangue.

André afferrò Oscar per un braccio e la trascinò via.

Mu'aqqib

continuò a sussurrare la donna dallo ḥijāb azzurro, indicando con l’indice, sul braccio teso, André, mentre trascinava via Oscar.

Mu'aqqib? ripeté interrogandosi André.

Pochi minuti dopo si ritrovarono sotto il Palazzo del Gran Maestro. Domenico li aspettava già.

Cos’è successo, André?” aveva chiesto Domenico, a quella vista insolita di una Oscar confusa e turbata.

Oscar taceva. Gli occhi sgranati.

Non poteva confortarla in pubblico, André, e si disperava per quello e perché non capiva.

Venite con me”, aveva detto Domenico “Il mio amico abita qui vicino.”

Li aveva condotti dal suo amico Meir, ebreo sefardita di una ricca comunità ebraica che da generazioni viveva pacificamente sotto il governo ottomano.

Nella quiete ombrosa di quella casa, Oscar si sedette. Lo sguardo basso e smarrito. André si inginocchiò davanti a lei e prese le mani di Oscar fra le sue. Erano gelate.

La moglie di Meir, Lea, portò una tazza di the bollente, che profumava di miele.

Cosa è successo, Oscar?” le chiese dolcemente André, mentre con una mano lieve le sollevava il mento e con l’altra le porgeva il the, convincendola a berne qualche sorso.

Con gli occhi lucidi infine Oscar parlò.

Ho visto Parigi, André.

Non capisco ... quando?”

Mentre eravamo al mercato. Io invece ero a Parigi, si combatteva...”

Cosa ti ha fatto quella donna?”

Meir, Lea e Domenico, assistevano silenziosi, incapaci di comprendere.

Non lo so, André...”

Mu'aqqib ... disse André “quella donna continuava a ripetere questa parola, mi pare.”

Meir e Domenico si scambiarono un’occhiata fugace.

Sei sicuro André?” chiese Domenico.

Sì, abbastanza, cosa significa? Continuo a non capire...”

Ero sola a Parigi, André. Ho percepito la morte. Volevo solo morire, André.”

No, no, Oscar, siamo insieme, io e te, nulla potrà mai dividerci, lo sai.”

“Mu'aqqib vuole dire angelo protettore” tradusse Meir.

Nella tradizione islamica un angelo custode o illuminato. L'angelo protegge ogni essere nella vita, nel sonno, nella morte o nella risurrezione”, aggiunse Domenico.

Quella donna ti fissava André, e mentre ti fissava e cantilenava quella parola, tu non c’eri più e io mi sentivo persa ...”

Persa? Quale donna?” chiese Lea.

Una donna che indossava uno ḥijāb azzurro, al mercato”, spiegò André.

Ilhaam” intervenne Lea. “Una donna non più giovane, non ancora anziana?”

Oscar annuì.

Era di sicuro lei. Ilhaam. Dicono che abbia delle visioni ...”

Non essere blasfema, Lea!” l’aveva interrotta severo Meir.

Si era alzata di scatto Oscar. Aveva afferrato le mani di André, ancora inginocchiato davanti a lei, trascinandolo in piedi.

Io non lo permetterò mai, André!”

 
* * *
 
Versailles, appartamenti del Conte Hans Axel von Fersen, 18 aprile 1787. Il Conte aveva incontrato la Regina e poi aveva trascorso il resto della giornata a scrivere e criptare il testo, segnando e sottolineando i versi del libro VIII dell’Eneide.

Ora la sua lettera, diligentemente sigillata con l’impronta di un riksdaler svedese d’argento, consegnata a Monsieur Thibaud e  da Monsieur Thibaud  recapita a Goethe, assieme a quella del Generale Jarjayes, stava per affrontare le onde del Mar Mediterraneo, a bordo di una nave che aveva lasciato il porto di Catania, il primo giorno di maggio.

Le parole, vergate con scrittura elegante ma a tratti resa incerta dell’emozione, riecheggiavano ancora nella testa del Conte.

 
§ § §

Mia carissima Amica,

ho avuto modo di riferire alla Nostra Luce le vostre parole, che hanno alleviato le sue pene e dissolto i suoi tormentosi dubbi, alimentati dalle voci maligne dei cortigiani. Ora sa come procedere, per accogliervi al vostro ritorno.

Tuttavia, da questo rigo in poi, vi chiedo di leggere questa mia lettera in segreto. Non ignoro la fiducia che vi lega al vostro attendente ed il fatto che, nella conduzione di questa missione condividete, probabilmente, lo sforzo di questa corrispondenza cifrata, ma ve ne prego.

Sono rammaricato. Per non avere reso onore alla vostra natura di donna. Ora non riesco a pensare che a Voi, al dolore che vi ho arrecato, per non avere compreso, per non avere capito, quale Donna foste, quale Donna siate.

Non riesco a pensare che a questo: mi amavate?

Io amo la mia Luce, di un amore immenso, tanto immenso da essere incolmabile. E come potrebbe essere diversamente?

Ma voi mi amate ancora?

Ecco, perché forse esistono anche amori colmabili, semplici, appaganti.

Vorrei aver trattenuto con più forza il vostro polso sottile, la sera del ballo.

Mi maledico perché non vi ho inseguito e sono angustiato perché ignoro cosa potrebbe esservi accaduto. E cosa sarebbe potuto accadere, se vi avessi rincorso.

Sono tormentato perché il fato avrebbe potuto volgere le nostre vite in una più lieta direzione e soprattutto volgere la vostra, verso la felicità, anziché verso perigliosi mari.

Amatemi ancora. Ve ne prego. Immaginate che abbia inseguito la vostra pallida figura, incantevole in quelle vesti virginali di candida seta.

Tornate presto, Amica mia, io sono qui, ad aspettarvi, le braccia tese ad accogliervi, le labbra impazienti di baciarvi.

Vostro sempre devoto, H.

 
§ § §

Il sole rovente li avvolse, mentre uscivano dalla casa di Lea e Meir, ringraziandoli per averli accolti. Procedettero veloci, evitando il mercato, costeggiando le antiche mura, risalendo rapidi sulla nave.

Oscar, più determinata del solito, aveva rimproverato il Capitano: che si sbrigasse ad imbarcare i viveri, che si doveva salpare subito.

Si lasciarono alle spalle l’île de Rhodes, l’isola delle rose, o forse l’isola della ninfa Rodo e di una veggente di nome Ilhaam.

Quella sera Oscar non aspettò che le tenebre avvolgessero la cabina, per cercare le labbra di André. Fece l’amore con André con disperazione, come mai era accaduto, trattenendo lacrime che non erano di gioia. E mentre infine giaceva sul suo petto, la guancia morbida sul collo ispido di barba, gli aveva ripetuto sussurrando che non l’avrebbe permesso mai ...

André continuava a non capire. “Un colpo di sole, forse è stato solo un colpo di sole”, si disse cercando di rassicurarsi, mentre accarezzava dolcemente Oscar, percorrendo con le dita la cicatrice che sul braccio ricordava l’incidente per il quale lei aveva offerto al Re la sua vita, in cambio di quella di lui, un misero servo.

L’immagine di Fersen gli sovvenne d’improvviso, molesta. Assieme allo strazio di una notte in cui aveva temuto di perderla.

Felice chi parole di lode avvolgono: ora l'uno ora l'altro protegge la Grazia feconda, spesso, con cetra soave e flauto di mille voci. Ed ecco al suono d'entrambi io con Diagóras venni, a cantare la figlia marina d'Aphrodíte, Rhódos sposa del Sole ...

(Pindaro, Olimpiche)
 

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


“You know who I am,” he said
The speaker was an angel
He coughed and shook his crumpled wings
Closed his eyes and moved his lips
“It’s time we should be going”


(David Bowie, Look back in anger)
 

https://www.youtube.com/watch?v=eszZfu_1JM0
 
 
Felice chi parole di lode avvolgono: ora l'uno ora l'altro protegge la Grazia feconda, spesso, con cetra soave e flauto di mille voci. Ed ecco al suono d'entrambi io con Diagóras venni, a cantare la figlia marina d'Aphrodíte, Rhódos sposa del Sole ...

(Pindaro, Olimpiche)

L’indomani, mentre il veliero procedeva a favore di vento, diretto verso l’isola di Chios, Oscar, più pensierosa del solito, si era seduta a poppa, su di un alto barile, accanto a Goerso, che per distrarla le stava illustrando le qualità nautiche della Santo Stefano.

La Santo Stefano è un brigantino velacciere. Vedi Oscar...”, spiegò Goerso levando la mano destra dal timone per indicarlo, “se all’albero maestro ed all’albero di trinchetto, armati con vele quadre, se ne fosse aggiunto un terzo, qui a poppa, armato con vele auriche, navigheremmo su un brigantino a palo...”

Oscar annuì, continuando a fissare il mare, scintillante di sole.

“... L’alberatura così alta consente di catturare anche le brezze più leggere...”

Era una giornata meravigliosa, non ci sarebbe stato un aggettivo migliore per definirla. Il brigantino scivolava lieve sulle onde, sospinto da un libeccio tiepido che profumava di sale e di fiori.

“Avrai già apprezzato, Oscar, i pezzi di artiglieria che sporgono dai sabordi, cinque a babordo e cinque a tribordo e sul castello prodiero i due grossi pezzi che a Tripoli con il loro fuoco a mitraglia ci hanno consentito di sfuggire a quello sciabecco ...”

Oscar distolse lo sguardo dal mare, rivolgendolo a Goerso. Ma non le importava affatto degli armamenti della nave.

Ho già rischiato di perderlo una volta, Goerso. Non potrei sopportarlo di nuovo ...”

“E’ per questo che te ne stai qui, abbarbicata sul cassero di poppa accanto ad un malconcio lupo di mare, anziché fargli compagnia?”

“André vuole sapere cosa mi è successo al mercato di Rodi.”

“E tu non vuoi confidarti con lui?”

“No, non è questo ... è che non lo so ...”

“Allora dovresti proprio parlarne con lui ...”

Si mise di nuovo ad osservare il mare, Oscar.  All’orizzonte, nell’aria tersa, si stagliava netto il profilo dell‘isola di Astypalea, come una farfalla con le ali spiegate sul blu del mare.

Si decise e con un balzò salto giù.

Farò come dici tu, ma sappi che se non amassi André, è la tua compagnia che cercherei, Goerso.

Lasciò così il lupo di mare, il quali arrossì fino alla punta delle sue vecchie orecchie, e non gli capitava da almeno cinquant’anni!

Nel frattempo, André, consapevole del desiderio di Oscar di stare un po’ da sola, aveva cercato Domenico Sestini. Voleva capire. Capire cosa fosse successo ad Oscar.

Nonostante fossero compagni di viaggio, non erano state molte le occasioni di parlare a lungo con lui. Era un uomo ancora giovane, di quattro o cinque anni più vecchio di André. Sapeva che aveva abbandonato, praticamente subito, la carriera ecclesiastica, che aveva già viaggiato in oriente, che conosceva il turco ed inventato un sistema per traslitterare il turco dai caratteri arabi all’alfabeto latino.

Lo trovò semisdraiato in un angolo del ponte, la schiena appoggiata ad un mucchio di gomene, mentre sfogliava un libro. André lo raggiunse, si sdraiò accanto a lui. Gli chiese cosa conoscesse delle usanze islamiche.

Sono stato di testimone di molti eventi. Nel mio precedente viaggio in Oriente ho incontrato pure la peste che quasi dieci anni fa ha devastato Costantinopoli”, raccontò.  “Ma non sono un esperto di Islam, mio caro André. Posso darti la mia interpretazione dei fatti, nulla più”, precisò.

“Mu'aqqib. Quella donna continuava a ripetere quella parola, Domenico, ma non riesco a spiegarmi cosa sia successo ad Oscar. Il fatto è che quella donna, Ilhaam, non ha detto nient’altro, a parte ripetere quella parola, non può avere raccontato nulla ad Oscar e non l’ha nemmeno sfiorata. Ma nonostante questo, credo che, a causa sua, Oscar abbia “visto” qualcosa, Domenico.”

“Le parole sono importanti, André. Mu'aqqib è l’angelo custode. Quindi lei ti avrebbe visto come un angelo custode. E Ilhaam, ebbene il nome significa “Ispirazione”, “Rivelazione”. Certo questo è curioso visto che le attribuiscono poteri da veggente, se Lea, la moglie del mio amico Meir, ha ragione ... tuttavia”, proseguì, “potrebbe essere anche il soprannome attribuito ad una donna strana, ritenuta vittima di un ǧinn o di un altro demone.”

“Ginn e demoni” ripeté André, gli occhi un po’ sgranati per la sorpresa. “Visioni e veggenti. Cosa ha a che fare tutto questo con noi?”

Non lo so, André, ma vorrei capirlo con te!” Oscar era arrivata di soppiatto ed ora la sua ombra avvolgeva il moro, che sorrise vedendola, mentre lei gli tendeva la mano. I due si allontanarono verso la loro cabina, salutando Domenico che li seguiva con gli occhi, indugiando un po’ intenerito sulle loro mani intrecciate.

Nella cabina si erano seduti uno di fronte all’altro, i gomiti appoggiati al piccolo tavolo sul quale erano soliti consumare i loro pasti. Oscar allungo le sue mani verso quelle di lui, che le racchiuse fra le sue. Salde e ferme. Calde e asciutte. Un po’ callose per i lavori manuali al quale André si era sempre dedicato, e per il cuoio delle briglie, che André afferrava a mani nude, mentre Oscar usava i guanti, quando indossava l’uniforme. Le sue dita lunghe e forti strinsero lievi le mani di Oscar, incoraggiandola a parlare.

Con voce ferma, Oscar iniziò a confidarsi.

Mi sono ritrovata in un vortice. Quella donna vestita d’azzurro fissava te, ma era come se parlasse a me. Improvvisamente ero a Parigi, nei vicoli vicino alla Bastille. Non indossavo l’uniforme rossa delle Guardie Reali, ma quella blu dei Soldati della Guardia Francese. Intorno a me i soldati del Royal Allemande sparavano sulla folla per disperderla. Ma io non stavo combattendo per il Re. Mi stavo dirigendo alla Bastille e un attimo dopo stavo armando i cannoni ordinando ai miei soldati di fare fuoco per distruggerla.”

“È stata solo una suggestione, Oscar, in fondo il generale tuo padre è imprigionato lì ...”

“Non è solo questo André, ecco ... è difficile spiegarlo, ma io so che stavo cercando la morte sotto i colpi dei fucili della guarnigione della Bastille.”

André strinse più forti le mani della sua Oscar. Lasciò che proseguisse.

“Avevo del sangue, ormai secco, che impregnava quella mia divisa blu.”

“Ti eri forse ferita, amore mio?”

Scosse la testa in senso di diniego, abbassando il capo per nascondere il dolore.

“No, André, quello era il tuo, di sangue, perché tu ... tu ... non eri più accanto a me, perché tu eri .... eri morto, André!”

Si alzò di scatto, André, per inginocchiarsi davanti a lei, ancora seduta, ed abbracciarla stretta.

“No, Oscar, è stato solo un colpo di sole, o forse la stanchezza di questo lungo viaggio per mare. Io sono qui e non ho proprio nessuna intenzione di morire, sai, né adesso, né al nostro ritorno in Francia.”

“Io ho visto il sangue, André, il tuo sangue sulla mia divisa.”

“No Oscar ... tu stavi solo tastando quei semi rossi di melograno e l’aria calda e afosa ha fatto il resto.”

Tu stai mentendo André, sapendo di mentire, solo per tranquillizzarmi”, rispose Oscar, quasi furiosa, scattando in piedi per sfuggire al suo abbraccio, stringendo i pugni e serrando i denti, per trattenere le lacrime.

E se anche così fosse”, le rispose dolcemente André, sollevandosi in piedi a sua volta e trascinandola delicatamente fra le sue braccia “Cosa potremmo mai fare noi, oltre a vivere?”

Farò di tutto André, perché quanto ho visto non accada! E non voglio che tu sia il mio angelo custode!”

La scrutò interrogativo André, dopo averla scostata da sé appena un po’, per guardarla meglio negli occhi.

“Mu'aqqib è l’angelo custode, giusto?” continuò Oscar “Ma io non voglio un angelo custode, voglio che l’uomo che amo cammini in questo mondo, accanto a me.”

“Te lo prometto Oscar: camminerò in questo mondo, al tuo fianco, finché saremo tanto vecchi che tu non mi sopporterai più.”

Accompagnò quelle parole con un bacio sui capelli di Oscar, strappandole finalmente un sorriso. “Sei insopportabile già da adesso, André Grandier.

Una voce acuta ed un batter di pugni, li avevano distolti dal loro abbraccio. In un francese imperfetto, ma chiaro, Lorenza li stava pregando. “Fatemi uscire, non riesco più a stare qui chiusa, da sola.

Oscar e André avevano recuperato allora la chiave da un contrariato Zane e dopo averlo rassicurato circa le loro intenzioni, avevano fatto uscire Lorenza dalla sua cabina.

Oscar e André l’accompagnarono in un angolo del cassero di poppa.  Ad occhi chiusi, il volto rivolto al sole, respirando a pieni polmoni l’aria salmastra, Lorenza iniziò a raccontare.

“La mia storia è una storia banale, come il male è banale.

Sono la figlia di un mercante. Ero, l’unica figlia di un mercante. Un ricco mercante genovese che da anni si era stabilito a Costantinopoli, a Pera, a nord del Corno d’Oro.

Praticamente non lo conoscevo. Alla morte di mia madre, solo allora ha ritenuto in suo dovere tornare a casa, quasi sei mesi dopo, e solo il nostro vecchio cane l’ha riconosciuto. Come Argo ed Ulisse. Solo che mio padre non era Ulisse e comunque Penelope era morta. E non l’aveva atteso paziente, conservandosi casta e fedele. Beh ... per fortuna, almeno il nostro cane non è morto.

Certo non ha fatto mai mancare nulla alla nostra famiglia. Case in città, case in campagna, domestici, istitutori, abiti e gioielli. Ma quando lui tornò, vestito alla turca, senza nemmeno darsi pensiero di togliersi il turbante prima di entrare in chiesa a San Pietro in Banchi alla messa in suffragio per la sua defunta consorte, suscitò non poco scandalo. E la qual cosa lo lasciò indifferente.

Per lui la cosa più preziosa era il tempo. Il suo, di tempo. Che non poteva sprecare per me.

Avevo quattordici anni e poteva decidere di condurmi a Pera con lui, affidarmi ad un tutore, darmi in moglie o rinchiudermi in convento.

Me lo disse chiaro, senza giri di parole, e di questo ancora gli sono grata. A Pera lo aspettava la sua concubina turca, giovane ed incinta di suo figlio (o di sua figlia, ma forse era una disgrazia che non aveva considerato). Quindi la prima possibilità era da scartare.

Affidarmi ad un tutore significava solo rinviare la soluzione del problema. Lasciava a me la scelta: sposarmi o prendere il velo.

Se avessi deciso di sposarmi, avrebbe disposto già del candidato ideale, l’institore che da anni amministrava a Genova il patrimonio della nostra famiglia per conto suo. Solo che aveva quasi quarant’anni e mio padre ignorava che era stato l’amante di sua moglie.

Avrei potuto metterlo a parte di questa infedeltà? Forse, ma ne avrei ricavato solo un diverso pretendente, magari peggiore. Si trattava pur sempre della memoria di mia madre. Per quanto non mi sia mai stata, madre. E poi non mi sono mai piaciute, le spie.

Non ho dovuto rifletterci a lungo, quindi: ho scelto il velo. L’ho scelto sapendo che alla prima occasione sarei fuggita.

Sono entrata nell’ordine delle Suore della Santissima Annunziata, un ordine di suore che il popolino chiamava Monache Turchine. Conducevano un monastero a Castelletto e portavano una tunica bianca sotto uno scapolare ed un mantello di un bel celeste.

Soprattutto, buon per me, il quarto voto era di stretta clausura: a fatica sopporto le persone.

Per un anno ho cucito e ricamato paramenti sacri, sottomessa alla regola di Sant’Agostino, poi ho chiesto ed ottenuto di essere accolta dal monastero dell’ordine a Sanremo. Distante da Genova, distante dal controllo dell’amministratore di mio padre.

Mi ero rovinata le mani e gli occhi, ad imbastire, impunturare e trapuntare,  ma ne avevo ricavato perle e fili e monili d’oro e d’argento, sottratti, assieme a qualche gemma,  con parsimonia, pazienza ed astuzia, da dalmatiche, pianete e piviali.

Dopo tre mesi, approfittando di una notte nuvolosa e senza luna, sono fuggita dal convento, indossando un abito da uomo che avevo cucito di nascosto. I capelli, quelli, me li avevano già tagliati le monache.”

“Non proprio come i vostri...” aggiunse Lorenza rivolta ad Oscar. “Li avevano tagliati con cattiveria ed invidia, non con amore”.

Si sfiorò i capelli, lunghi fino alle spalle, trattenendo pensosa una ciocca fra le dita.

“Mi sono comprata un imbarco sulla prima nave che dal porto di Sanremo salpava per la Corsica, e da lì a Napoli.

A Napoli ho convertito in carlini d’argento il mio bottino ed ho capito che non mi sarei potuta mantenere a lungo. Non conoscevo nessuno a Napoli, né altrove al di fuori di Genova.

Cosa può fare una donna, sola? Può cercarsi un lavoro per procacciarsi un pezzo di pane, alla peggio dedicarsi al meretricio, ma non avevo trovato il coraggio di sfuggire all’infelicità di un matrimonio imposto ed alla segregazione di un convento, per trascinarmi in una vita miserrima.

Decisi che mi sarei vendicata di mio padre, l’avrei raggiunto a Pera ed avrei preteso ed ottenuto quello che, come sua legittima figlia, mi spettava di diritto.

Ma non ci sono mai arrivata. Giunta a Candia ho incontrato l’amore della mia vita. Altan, un giannizzero dai miti occhi grigi ed i capelli neri come l’ebano ...”

Indugiò un attimo, fissando André “come quelli di André”, continuò.

“Non possono sposarsi, i giannizzeri, sono obbligati al celibato. Sono lautamente pagati in guerra ed anche in pace, ma vivono in comunità, devoti all’ordine sufi della Bektashiyya e restano schiavi al servizio del sultano, tutta la vita.

Anche Altan voleva vivere libero, come me.”

Chiuse gli occhi, la mano a coprirsi la bocca, per un istante, per trattenere l’emozione suscitata dai ricordi.

“Ci incontrammo, o meglio ci scontrammo, mentre a Candia cercavo un imbarco per Costantinopoli. Per la prima volta il mio aspetto aveva insospettito qualcuno, il capitano di una galea che ritenne di potermi oltraggiare.

Ma io avevo imparato a difendermi. Selvatica come ero cresciuta, nelle estati trascorse in campagna nei possedimenti della mia famiglia in Val D’Aveto, a cavalcare a pelo e fare a pugni coi figli dei contadini.

L’ho ammazzato, quell’uomo, con una pugnalata dritta al cuore.”

“E se vi state domandando se me ne pento”, urlò quasi Lorenza “La risposta è no. E quando rivedo il suo ghigno trasformarsi in sorpresa e poi in orrore, provo un piacere enorme!”

(“So bene cosa stai rimuginando Oscar”, pensò fra sé e sé André. “Che la vita è sacra, ma anche tu avresti ucciso il Duca di Germain per vendicare il piccolo Pierre, mentre io lo ucciderò, per averti aggredito, lo sai ...”).

Intanto Lorenza continuava la sua storia.

“I marinai di quell’infame mi hanno inseguito, e così i giannizzeri accorsi alle loro grida. Nella mia corsa folle tra le case ed i vicoli di Candia, alla fine lui, Altan, mi ha raggiunto e buttato a terra. Mi stava tagliando la gola quando si è accorto che ero una fanciulla, poco più giovane di lui.

Si è fermato e mi ha trascinato via, fino a nascondermi in una stalla abbandonata. Lui parlava una lingua sconosciuta ed io rispondevo in una lingua a lui ignota. Ma ci siamo compresi. Da subito.”

Rimase per un attimo in silenzio, stringendosi forte i capelli con le mani, alle tempie.

“Me ne sono stata lì, raggomitolata e nascosta, mentre lui tornava dai suoi compagni, lamentandosi che l’assassino gli fosse sfuggito. E la notte tornò da me.

È impossibile da spiegare. Ci siamo semplicemente guardati e subito amati.”

Interrogò con lo sguardo Oscar e poi André: “Credo che voi due possiate capire ...”

André annuì, volgendo poi il suo sguardo ad Oscar, e Lorenza riprese il suo racconto.

“Ero ancora sporca del sangue di quell’infame e lui con delicatezza mi ha lavato, mi ha rifocillato e con rispetto mi ha fatto indossare vesti pulite.

Sono diventata donna, quella notte con lui, e per la prima volta in vita mia, nel dolore di quell’unione tra i nostri corpi ho percepito che la mia anima poteva aspirare ad una gioia infinita.”

Pronunciando quelle parole abbassò il capo e scosse appena le testa, sussurrando “Però adesso non ce la faccio più a continuare ... perdonatemi.”
 
* * *
 
Avevano compreso e perdonato André ed Oscar.

Conoscevano bene quel senso di appartenenza che riempie il cuore ed il tormento dell'angoscia al solo pensiero di perdersi.

Pregavano, l’uno all’insaputa dell’altro, di morire prima che la terza Moira, Atropo, recidesse il filo della vita della persona amata.

Intanto Cloto reggeva il filo che intesseva le loro esistenze e Làchesi dispensava la loro sorte.

Era già tutto scritto?
 
L'amore ci si parò dinanzi come un assassino sbuca fuori in un vicolo, quasi uscisse dalla terra, e ci colpí subito entrambi. Cosí colpisce il fulmine, cosí colpisce un coltello a serramanico! Del resto, lei affermava in seguito che non era cosí, che ci amavamo da molto tempo pur senza esserci mai visti (...)

(Mikhail Bulgakov, Il Maestro e Margherita)

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Nothing much could happen
Nothing we can’t shake
Oh we’re absolute beginners
With nothing much at stake
As long as you’re still smiling
There’s nothing more I need
I absolutely love you
But we’re absolute beginners
But if my love is your love
We’re certain to succeed

 
(David Bowie, Absolute Beginners) 

https://www.youtube.com/watch?v=iCJLOXqnT2I
       
 
 
 
 
L'amore ci si parò dinanzi come un assassino sbuca fuori in un vicolo, quasi uscisse dalla terra, e ci colpí subito entrambi. Cosí colpisce il fulmine, cosí colpisce un coltello a serramanico! Del resto, lei affermava in seguito che non era cosí, che ci amavamo da molto tempo pur senza esserci mai visti (...)
(Mikhail Bulgakov, Il Maestro e Margherita)

Mar Egeo, 4 maggio 1787

Una burrasca li aveva travolti mentre navigavano verso Chios.

Un forte meltemi, secco e tiepido, che spirava da nord est, dalle coste dell’anatolia, insolito perché non erano ancora in estate, li aveva sorpresi mentre veleggiavano fra Naxos e IKaria.

Il vento aveva danneggiato le vele della Santo Stefano. Invano i marinai avevano cercato di regolare le scotte in modo da adeguare la tensione delle vele alla direzione ed all’intensità del vento. Il fiocco ed il gran fiocco si erano strappati.

Ora il brigantino era costretto alla fonda davanti alla piccola isola di Donousa, circondata da gruppi di isolotti e scogli a pelo d’acqua che rendevano pericolosa la navigazione.

Mentre il capitano Zane urlava a destra e manca gli ordini per la riparazione della nave, Oscar, André ed un paio di marinai, a bordo di due scialuppe a remi, avevano raggiunto un piccolo villaggio di pescatori, presso il quale avevano fatto provvista di acqua dolce e frutta fresca.

Dopo un frugale pranzo, i due marinai erano tornati sulla nave con una parte delle provviste, mentre Oscar e André avevano deciso di trattenersi un paio d’ore, incantati dalla vista di una lunga spiaggia dalla sabbia fine e bianca.

Avevano passeggiato a lungo, completamente soli, come da un po’ non gli capitava durante il giorno.

Era così diversa quella spiaggia, dalle spiagge della loro Normandia, tormentate dal vento e plasmate dal ciclo delle maree.

Il meltemi aveva spazzato via le nuvole e poi era calato fino a svanire; il sole alto nel cielo scaldava i loro volti.

Vaga e remota sembrò ad Oscar l’angoscia provata per la visione che l’aveva travolta al mercato di Rodi, mentre osservava André che si era spogliato della camicia e degli stivali ed ora se ne stava placidamente sdraiato sulla battigia, a torso nudo, le mani intrecciate dietro la testa, le onde a bagnargli i piedi.

Le sembrava spensierato come un tempo, i tempi dei giochi fanciulleschi, delle corse a cavallo tra querce e faggi, dei duelli con una spada di legno.

André le era sempre stato accanto, per tutta la vita. Aveva compreso, Oscar, di avere confuso l’amore con l’amicizia. Ma lui era stato altrettanto abile a nascondere il suo amore dietro una sollecitudine fraterna.  E poi l’amicizia fra loro, la cura l’uno dell’altro, erano parte del loro amore, come la passione che agitava i loro cuori.

Mi stai fissando Oscar?” chiese André “Perché non ti fai aiutare a toglierti quegli stivali pesanti e non ti sdrai un po’ sulla sabbia vicino a me, l’acqua non è troppo fredda, Oscar...”

Uhm ...” aveva risposto lei un po’ indecisa.

Non c’è nessuno, siamo completamente soli”, disse levandosi in piedi. Le aveva catturato una mano e l’aveva baciata, con un elegante inchino si era inginocchiato davanti a lei e poi di scatto si era rialzato, sollevandola di peso.

Mentre si dimenava cercando invano di liberarsi, aveva incrociato gli occhi verdi di André e le era sfuggito un “Ti amo, André”.  

Ogni volta che udiva quelle parole che sinceramente uscivano dalle labbra di Oscar, André pareva illuminarsi.

Tutta una vita, anzi no (perché ora tutta una vita li aspettava assieme, ragionò), tutta la sua giovinezza l’aveva trascorsa amandola e celandole il suo amore. Sublimato come era, quell’amore era diventato nettare profumato e denso come il liquore più pregiato. Cristalli di carbonio che la pressione aveva trasformato in prezioso diamante. Avrebbe fatto qualunque cosa per proteggerla e renderla felice. Se non contemplava più l’idea di dare la vita per lei era solo perché sapeva che la sua morte l’avrebbe straziata.

Perciò solo, André era ben deciso a vivere.

L’aveva fatta sedere sulla sabbia fine e con delicatezza le aveva tolto gli stivali e le calze. Aveva accarezzato la pelle dei polpacci snelli e con un pizzico di compiacimento aveva osservato che Oscar aveva socchiuso gli occhi.

L’aveva baciata, facendola sdraiare sulla rena tiepida di sole.

Forse era un po’ impudente quello che stava per fare.

Ma doveva farle sapere che erano vivi, che lui era ben deciso a vivere.

Lentamente le aveva sciolto lo jabot e sbottonato la camicia. I corti capelli esponevano alla luce il collo morbido di Oscar, lievemente arrossato dal sole. La sentì fremere mentre il contatto delle sue labbra le donava sollievo e piacere ed allora continuò ...

Le onde del mare lambivano leggere i due amanti. I corpi intrecciati, vestiti solo dei raggi del sole calante.

Poi il meltemi era tornato improvviso, sollevando e trascinando via le vesti abbandonate sulla spiaggia.

E mentre André rincorreva gli abiti, che mulinavano nel vento, Oscar, ridendo di una risata cristallina, si compiaceva di quanto fosse bello il suo André, nudo alla luce del tramonto.

Lo sarebbe stato sempre, si disse convinta, fra sé e sé: “Anche da vecchio sarà altrettanto bello”. Arrossì a quel pensiero e poi subito aggrottò la fronte: fra pochi mesi lui avrebbe compiuto trentatré anni. “Dove saremo allora?”, si domandò. “Ma io ti proteggerò, André”, si rispose.

Era il crepuscolo ormai, quando dopo essersi aiutati l’un l’altro a ripulirsi della sabbia fine e a rivestirsi, convennero che purtroppo era ora di tornare.

 
* * *
 
Le vele erano state rattoppate alla meglio, un paio di falle calafatate con perizia. Poteva bastare, per arrivare fino a Istanbul, si disse convinto il Capitano Zane.

Anche Lorenza aveva contribuito ai lavori, taciturna e d’umor cupo come al solito.

Abbi fede nel Signore e tutto si risolverà”, le aveva ripetuto più di una volta Spallanzani, che al contrario non partecipava alle riparazioni, troppo impegnato a misurare il vento, la temperatura e la salinità dell’acqua con i suoi congegni arcani.

Lorenza e Sestini, assieme ad altri marinai, avevano invece rammendato le vele. Armati di grossi aghi da velaio, avevano cucito il tessuto pesante indossando sulla mano un mezzo guanto munito di un guardapalma metallico che consentiva di imprimere forza per fare penetrare l’ago nella stoffa.

Dopo averla di fatto salvata (merito in verità della sua diffidenza), Spallanzani aveva maturato un sentimento di sincero affetto per la giovane. Per conquistarne la fiducia le stava raccontando aneddoti ed avventure del suo precedente viaggio in Oriente, mentre Sestini, l’unico oltre a Lorenza di quel gruppo di velai per caso che per sfortuna sua capiva l’italiano, e che quelle storie le aveva già ascoltate innumerevoli volte, tratteneva a stento annoiati sbadigli.

Quindi ho capito che quello che fa molto onore ai Turchi è la loro onestà naturale, e sono anche più fedeli alla loro divinità di molte altre genti, recitano quel loro rosario, composto di novantanove grani, che per loro sono gli attributi di Dio, parte positivi, parte negativi...”

Ogni tentativo di farla parlare era stato tuttavia inutile. Sapeva, Spallanzani, che ai due francesi qualcosa, invece, aveva raccontato, ma quelli non condividevano le loro informazioni ... e poi se ne erano andati sull’isoletta e lì erano rimasti, a fare chissà cosa poi, invece di aiutare ... ed al tramonto non erano ancora tornati.

Tutto questo stava rimuginando l’abate. Ma quando al chiaro di luna scorse André, che remava con vigore per accostare alla nave una scialuppa carica di frutta, fu il primo ad accorrere. E si sorprese inaspettatamente sollevato.

 
* * *

Reggia di Versailles, 4 maggio 1787.

La giornata era splendida, una brezza primaverile sollevava appena l’orlo delle vesti di raso delle dame e gli jabot dei loro cavalieri, che percorrevano lenti i viali fioriti della reggia.

La Regina stava graziosamente passeggiando vicino alla fontana di Latona, in compagnia del solo Conte Von Fersen, educatamente sorvegliata a vista dalla contessa de Noailles, ma lontano da orecchie indiscrete.

“Ho molto riflettuto sul nostro comune assillo ... ” disse la Regina, volgendo il capo deliziosamente ombreggiato da una parasole di seta rosa, verso il conte svedese.

“ ... e non mi capacito della destinazione cui sarebbe stata costretta Madamigella Oscar. La Sublime Porta non ci è nemica e sua Maestà quattro anni fa ha addirittura inviato trecento uomini fra ufficiali di artiglieria ed ingegneri militari per addestrare i turchi alla guerra navale e alla costruzione di fortificazioni militari.”

Il conte, distratto da una ciocca di capelli biondi, sfuggiti dalla complicata acconciatura della sua amata Regina, esitò un istante. Poi rispose.

“Ho conferito con il Generale de Jarjayes: il duca d’Orleans ha imposto a Madamigella Oscar di recuperare un oggetto prodigioso che il conte di Saint Germain, avrebbe sottratto alla Massoneria e che ora nasconderebbe alla corte del Sultano Abdül Hamid.”

“Il conte di Saint Germain è morto tre anni fa, Fersen, e non è mai stato in Oriente. Mi sono informata. Inoltre il cugino del Re dispone di ben altri contatti a Costantinopoli.  Monsieur André-Joseph Lafitte-Clavéè, per esempio, che lì sta dirigendo i lavori di costruzione della scuola di ingegneria voluta dal Gran Visir, è un suo fido accolito”.

“Dunque ... cosa sta tramando il duca?” replicò Fersen, che avrebbe voluto saggiare tra le dita la consistenza setosa di quella ciocca ribelle, per ricondurla dietro l’orecchio della sua Regina, accarezzandone lieve il collo.

“Lo ignoro ancora”, rispose a Fersen la Regina, mentre ne osservava l’incedere, con quella sua andatura che al ritorno dalle Americhe si era fatta meno composta, restando tuttavia altrettanto elegante.

Lo sarebbe stato sempre, elegante, si disse convinta, fra sé e sé: “Anche da vecchio sarà altrettanto elegante”. Arrossì a quel pensiero e poi subito aggrottò la fronte: “Sono e resterò sempre la Regina di Francia, ma anche quando i nostri  capelli diventeranno bianchi, io penserò a te, Fersen, nonostante tutto”, si rispose e poi proseguì: “ma perché avrebbe dovuto incaricare Madamigella Oscar, che non gli ha mai nascosto la sua ostilità, di una missione che poteva affidare ad un suo fedele seguace?”

“Cosa possiamo fare, Maria? Ormai Madamigella sarà giunta a Costantinopoli ...”

“Strani eventi si stanno verificando. Giusto ieri l’Arcivescovo Étienne Charles de Loménie de Brienne, nuovo Ministro delle Finanze, mi ha chiesto una udienza privata ed ha fatto cenno al Generale de Jarjayes...”

“Non capisco ...”

“Nemmeno io in verità ... ma devo trovare il modo di agire ...”

“Si potrebbe convincere sua Maestà a liberare subito il Generale de Jarjayes!”

“Temo che questo potrebbe insospettire il Duca ... tuttavia ... ditemi come sta il padre di Madamigella?”

“Bene, la tempra è forte, ma la prigionia gli è di peso perché non può aiutare suo figlio ...”

“Sua figlia ... Oscar... Madamigella Oscar è stata una amica sincera, la nostra più sincera amica, eppure ...”

La brezza si mutò in vento teso. Petali di fiore e foglie avvizzite mulinarono in aria. Con difficoltà la Regina continuava a reggere il suo parasole.

“Cosa vi cruccia, Maria?”

“Mi hanno riferito che abbiate danzato con una misteriosa contessa straniera, alcuni mesi orsono Fersen, a quel ballo cui non volli presenziare...e che quella contessa abbia danzato un solo ballo, con voi, e poi sia fuggita...nessuno l’ha più rivista...”

“Maria, io...”

“Quella misteriosa contessa, quella bellissima contessa, bionda come Madamigella...”

“Maria, io ...”

“Era Madamigella Oscar, vero Fersen? E’ forse innamorata di voi?”

“Io amo solo voi, Maria!”

“Non era questa la mia domanda ...”

“Io lo ignoro Maria...”

“Era dunque Madamigella Oscar. Non lo avete negato, eppure avrei pensato...”

“Maria...”

“Non importa, Fersen. Credo che esista un solo modo per proteggere Oscar ... Ma ditemi, il suo attendente, André Grandier, è con lei?”

 
* * *
La maggior parte degli uomini (...) sono come una foglia secca, che si libra e si rigira nell'aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c'è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino.

(Herman Hesse, Siddartha)­
 
 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


His nebulous body swayed above
His tongue swollen with devil’s love
The snake and I, a venom high
I said “Do it again, do it again”
(Turn around, go back!)
Breathe, breathe, breathe deeply
And I was seething, breathing deeply
Spitting sentry, horned and tailed
Waiting for you
 
(David Bowie, The width of a circle)

https://www.youtube.com/watch?v=s2L4hL2IvUk
 
 
La maggior parte degli uomini (...) sono come una foglia secca, che si libra e si rigira nell'aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c'è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino.
(Herman Hesse, Siddartha)­

Versailles, appartamenti della Regina, 5 maggio 1787.

La Regina era assorta nei suoi pensieri, mentre cercava di trovare sollievo da un caldo insolito agitando con foga un ventaglio in ebano e seta dipinta.

Da oltre due mesi, il colonnello delle Guardie reali era scomparso improvvisamente. La lettre di cachet, contro il colonnello ed il Generale suo padre, aveva sorpreso e colto alla sprovvista la Regina.

Per quanto le motivazioni della lettre de cachet e della prigionia alla Bastille non fossero pubbliche, la Regina ben sapeva che si trattava dell’ennesimo affronto alla sua regale persona.

Si mormorava che il colonnello Oscar François de Jarjayes fosse complice del suo capitano, il conte Nicolas de La Motte e della sua consorte, Jeanne de La Motte, contessa de La Motte-Valois, nella truffa della collana che aveva trascinato la sovrana in uno scandalo senza precedenti.

Qualcuno, forse ostile alla Polignac o forse no, l’aveva anche informata che Rosalie, la sua primogenita, misteriosamente ritrovata e poi nuovamente scomparsa, era cresciuta assieme a Jeanne, prima di diventare la pupilla di Madamigella Oscar.

Da Fersen aveva appreso che il duca d’Orleans disponeva di prove che avrebbero dimostrato che Oscar fosse non solo complice della truffa, ma anche  mandante dei furti del Cavaliere Nero che nei mesi precedenti aveva razziato denaro e preziosi, facendo incursione nelle dimore nobili alle feste più sfarzose. E che il Cavaliere Nero fosse André Grandier, il fido attendente di Oscar.

Prove abilmente contraffatte, aveva insistito Fersen.

Un tentativo di isolarla, privandola della protezione della Famiglia de Jarjayes e soprattutto del Colonnello Oscar, aveva ragionato lei.

Poi la contessa di Polignac l’aveva informata della misteriosa contessa straniera che aveva danzato con il conte di Fersen e che quella contessa altri non era che Oscar François de Jarjayes.

Era dunque Madamigella Oscar. Fersen non lo ha negato e Yolande, dunque, non mi ha mentito. Eppure, avrei pensato ...”

Madamigella Oscar, che anni prima, ora ne era certa, aveva convinto Fersen a lasciare Parigi. Oscar che anni dopo non aveva distolto Fersen dalla decisione di partire al seguito di La Fayette per le Americhe. A combattere una guerra lontana da lei.

Di chi poteva veramente fidarsi? Si domandò amaramente.

Il cardinale Rohan era stato scagionato da ogni accusa, anche da quella di oltraggio alla Famiglia Reale. Lei, l’unica innocente, era stata alla gogna per mesi, finché la produzione dei libelli oltraggiosi contro di lei era cessata, con la morte di Jeanne de La Motte. La presunta morte.

Eppure ho visto Madamigella di ritorno da Saverne”, si disse. “Contro ogni etichetta ho preteso ed ottenuto di vederla subito e ... ”

Frugò fra i suoi ricordi la Regina, ritrovandovi l’immagine della giubba di Oscar impolverata ed appena slacciata, il suo attendente che chino su di lei, sul letto dell’infermeria, le stava applicando un unguento sul collo bianco.

Non era ben messo nemmeno l’attendente. L’esplosione aveva scagliato in aria come proiettili le schegge dei vetri istoriati del convento, che ne avevano ferito il capo e le mani. Ma lui pareva non curarsene.

Aveva appreso da Girodelle che André aveva fatto scudo ad Oscar al momento dell’esplosione, dopo averla portata via di peso, ancora semisvenuta, dal convento nel quale si era improvvisamente precipitato, contravvenendo alle stesse consegne di Oscar, che era entrata lì da sola, ordinando perentoriamente alla guarnigione di fare irruzione solo se avessero sentito sparare. E nessuno sparo si era udito.

Strano”, aveva pensato la Regina.

Li aveva osservati alcuni istanti, in silenzio. Poi con un colpo di tosse aveva palesato la sua presenza.

Voltandosi, André Grandier aveva sgranato gli occhi e ripresosi dalla sorpresa si era subito inchinato al suo cospetto.

Lei le aveva dato licenza di alzarsi e si era avvicinata ad Oscar, che giaceva stordita dal laudano.

Come sta Madamigella?” aveva domandato.

Nicolas de La Motte ha cercato di ucciderla” aveva risposto André, chinando il capo e stringendo i pugni. “Ma si riprenderà.

Poi aveva ripreso ad applicare con delicatezza l’unguento con cui il dottor Lasonne aveva raccomandato di ungere i lividi.

Li aveva visti bene quei lividi, le dita grandi di La Motte impresse sul collo esile di Oscar.

Chi accusava la famiglia Jarjayes di avere tramato assieme ai La Motte non li aveva visti, quei lividi.

Aveva indugiato ancora un po’ la Regina.

Oscar nell’incoscienza mormorava un nome. Il nome di André. Udendolo, l’attendente le si era avvicinato un po’ di più. Le aveva stretto una mano fra le sue e sorridendo con gli occhi aveva semplicemente risposto “Sono qui, Oscar.

Si rammentò la Regina che a quelle parole le labbra di Oscar, seppur incosciente, si erano piegate in un sorriso. E che negli occhi verdi, straordinariamente verdi, dell’attendente, sembrava si fosse accesa una stella.

Da allora aveva pensato che i pettegolezzi che da anni giravano a corte fossero veri: Madamigella ed il suo attendente erano amanti.

Eppure.

Eppure, Madamigella si era acconciata da gran dama e si era fatta cingere la vita da Fersen, dal suo Fersen.  La mano del suo Fersen aveva stretto quella di Oscar, conducendone la danza. Forse le aveva soffiato parole irripetibili all’orecchio, sfiorando quel collo, dove i lividi erano ormai scomparsi.

Strinse con forza il ventaglio, fino a spezzarlo.

Era riconoscente alla famiglia Jarjayes. Non poteva essere ingiusta. Doveva essere  riconoscente ad Oscar, per i suoi anni di servizio fedele, per la sua amicizia,  per i suoi consigli ... i suoi consigli .... la sua amicizia ..... ma solo una cosa avrebbe potuto proteggerla al suo rientro in Francia.

Un matrimonio.
 
* * *
 
Infine, il sesto giorno di un luminoso maggio, erano giunti a Chios.

Una costa colorata di terra rossa e sabbie nere, coronata da verdi cespugli di lentisco, li aveva accolti.

Numerose torri piantate salde come rocce lungo il profilo dell’isola, sui promontori e sulla punta delle insenature, vegliavano sul mare.

La terra natia di Omero” aveva esclamato André, posando un bacio sulla nuca di Oscar, mentre le cingeva la vita.

Lorenza, alla quale Spallanzani aveva proposto di sbarcare, sotto la sua custodia, se non altro per camminare un po’ sulla terraferma, si era rifiutata. Così era rimasta a bordo ed il gesuita aveva deciso di farle compagnia.

Il giorno prima André aveva scoperto, non senza preoccupazione, una fessura tra le assi che dividevano la loro cabina da quella di Lorenza. Ci si poteva vedere attraverso. L’aveva riparata, domandandosi se Lorenza li avesse mai spiati.

E la sera Lorenza aveva finito di raccontare, solo ad Oscar, la sua storia.

“E’ come se lo avessi sempre conosciuto. L’altra metà della mia anima divisa. Mi ha nascosto presso una sua anziana parente, in una casetta con un minuscolo cortile interno, a ridosso del bastione triangolare del Martinengo. Di giorno la aiutavo, ho imparato a tessere e filare, a cucinare e anche a parlare qualche parola di turco.

Di notte lui mi veniva a trovare, di nascosto da tutti.

Passai così due mesi, i più insoliti della mia vita: vivevo in un limbo nel quale non sapevo cosa sarebbe stato di me e di lui, ma ero straordinariamente felice.

Ero prigioniera di quella casa, ma avevo un mondo intero dentro di me che sentivo pulsare vivido al solo pensiero che la notte avrei rivisto il mio Altan.

Altan significa “Alba rossa”, lo sapevate Oscar?”

Oscar aveva scosso la testa.

“Lui è stato un’alba per me, una rinascita!”

Oscar aveva sorriso pensando che non era stato diverso per lei.

“Però, quando finalmente si conosce la felicità, è allora che si diventa più deboli.  La felicità si può desiderarla disperatamente, bramarla in maniera bruciante. Tuttavia, si può morire in pace se dopo una vita di disilluse speranze si conquista almeno la serenità.

Tutto questo non può succedere se la felicità si è assaporata, anche solo per un breve istante.  È un nettare dolce che diventa amaro come il fiele, quando la felicità svanisce.”

Gli occhi di Oscar luccicarono per un istante.

Lorenza se ne avvide, iniziò a torcere una ciocca di capelli fra le dita. Poi sospirando proseguì:

Una notte lui non tornò. E neppure la seguente. La sua anziana parente non riuscì ad avere notizie ed allora io il terzo giorno mi tagliai i capelli, che erano ricresciuti un po’ troppo, mi avvolsi in vesti turche da uomo e lo cercai alla caserma dei giannizzeri alla quale Altan era assegnato. Non potevo chiedere di lui, conoscendo di turco solo poche parole, perciò mi nascosi ed aspettai.

Potete immaginare quale sia stato lo strazio in quell’attesa, per quell’improvvisa separazione, dopo avere compreso quale sia la potenza di un sentimento d’amore.”

Oscar annuì, scacciando il pensiero che la tormentava.

Un giorno intero aspettai. Poco prima del tramonto lo vidi, ferito e condotto seminudo in catene da un drappello di cinque giannizzeri. Iniziai a seguirli, un coltello ben serrato in pugno. Avrei fatto qualunque cosa per salvarlo. Pensavo di potere organizzare un diversivo. Più avanti avevo visto una catasta di legna e paglia. Sarebbe bastato poco per innescare un incendio.  Ma non ebbi il tempo di fare alcunché”.

Lorenza distolse lo sguardo, volgendolo al piccolo oblò dal quale baluginava il mare.

“Lui mi vide ed appena mi riconobbe si mise ad indicarmi, a gridare. Parole sconosciute. L’unica parola di cui compresi il significato era ‘jinn’: continuava a ripeterla mentre mi indicava. Ignoro ancora adesso cos’altro abbia gridato. Sono fuggita mentre tre giannizzeri mi inseguivano.”

Oscar allungò la mano posandola sulla spalla di Lorenza, per confortarla ed incoraggiarla a continuare.

Non so come, sono riuscita a raggiungere il porto, mi sono nascosta fra sacchi e barili. Con il favore delle tenebre mi sono intrufolata su una nave che stava mollando gli ormeggi. Era un vascello inglese, il Tanager. Dopo un paio di giorni mi sono consegnata al capitano e mi hanno sbarcata al primo porto, a Malta. Il resto della storia lo conoscete.”

Dunque cosa avevi in mente quando sei tornata a Candia?”  chiese Oscar.

Non è forse evidente? Volevo sapere se Altan fosse ancora vivo, cosa gli fosse accaduto, perché mi avesse ... tradito. E forse l’avrei ucciso se l’avessi trovato. Ma mi hanno scoperto... accidenti a voi che mi avete portato via da lì, se fossi restata, avrei saputo...ed avrei mostrato a quegli uomini di ferro cosa sia una volontà di ferro!”

Dopo avere ascoltato, dalla voce di Oscar, il tragico epilogo della storia della giovane, André era rimasto pensieroso.

Avevano dunque deciso di cercare notizie a Chios, che ospitava ancora numerose famiglie di origine genovese che erano rimaste sull’isola anche dopo la sanguinosa conquista da parte degli ottomani oltre due secoli prima.

Abbigliati alla turca, Oscar e André si erano addentrati nella città, attraverso strette viuzze e palazzi in pietra bianca e nera che gli ricordarono i carruggi di Gênes tra i quali qualche settimana prima si erano persi.

Li accompagnava Goerso, che a Chios conosceva molti marinai. Lorenza si ostinava a non rivelare il nome della sua famiglia, ma potevano tentare.

Comunque una cosa è certa: nonostante sia una donna, quella fanciulla non sa cucire!” aveva detto Goerso, sforzandosi di smorzare un po’ la tensione che dopo la disavventura di Rodi aleggiava nell’aria.

Cosa dici, Goerso? Lorenza mi ha raccontato di avere cucito e ricamato paramenti sacri, per più di un anno!”, aveva osservato Oscar.

Beh, mentre voi eravate sull’isoletta di Donousa, noi abbiamo rammendato le vele. Lorenza si è sforzata di aiutarci, ma vi assicuro che ho dovuto insegnarle io a tenere un ago in mano!” aveva ridacchiato Goerso.

André aveva guardato interdetto Oscar. Lei gli aveva restituito uno sguardo preoccupato.

“Ecco, siamo arrivati, il mio amico Paragorio, Gorio, per gli amici, abita qui.”

Mercanti genovesi a Pera? Ce ne sono un paio piuttosto ricchi”, aveva spiegato il vecchio lupo di mare, mentre versava ai suoi ospiti un’altra generosa dose di liquore alla masticha, dopo avere ascoltato il racconto delle avventure di Lorenza.

Un mercante rimasto vedovo e tornato a Genova un paio di anni fa e poi di nuovo sul Corno d’Oro, avete detto?"

Si”, aveva risposto André, “ed ora vivrebbe con una donna turca, che forse gli ha dato un figlio ... o una figlia...che ora potrebbe avere un anno e mezzo, più o meno.”

“Come se fosse una cosa insolita”, ghignò il marinaio. “Comunque, avrei in mente una persona ... solo che non sarebbe mai capace di una tale crudeltà ... al contrario.

Cosa intendete dire?” aveva domandato Oscar.

Nulla, nulla, solo dicerie”, aveva frettolosamente risposto il marinaio.

Abbiamo bisogno di sapere!”, l’aveva incalzato Oscar.

Sono amici miei, puoi fidarti”, aveva aggiunto il buon Goerso.

Ecco, io non dovrei ... si tratta del vecchio Girolamo Rebuffo, appartenente alla maona dei Giustiniani e di sua figlia Alba. In verità nessuno crede che esista davvero, questa Alba. Nessuno l'ha mai conosciuta. Circa un anno e mezzo fa disse di essere tornato con lei da Genova, dove aveva seppellito la moglie. A Pera aveva un’altra moglie, è contrario alla morale e ai precetti cristiani, ecco, non vorrei fargli torto ...”

Proseguite ...per favore”, aveva mormorato impaziente André.

Ebbene, fu un fatto terribile. La sua seconda moglie morì in un tremendo incendio che distrusse la loro casa. La notte successiva al suo ritorno. Fra le fiamme perì anche tutta la servitù. Lei, che Iddio l’abbia in grazia, era incinta di nove mesi”.

Le mani di Oscar tremavano impercettibilmente. André se ne avvide e le strinse fra le sue.

“Girolamo sembrava impazzito. Raccontò di avere visto il diavolo. E che il diavolo era sua figlia Alba.” continuò Gorio. “Ma nessuno l’aveva vista...”

 “Semplicemente perché anche lei era perita nell’incendio, assieme a chi l’aveva conosciuta, non credete? lo interruppe André.

Scosse mestamente la testa, Gorio. Poi proseguì.

“La Sublime Porta, nella persona di Hasan Pascià, condusse un’inchiesta accurata. Trovarono un testimone, che disse di avere visto un ‘jinn’ dai lunghi capelli castani appiccare il fuoco dopo avere versato barili di pece ed olio intorno alla casa. Ma quel testimone era “sukara” un impuro che si era ubricato di vino, indegno di ogni fiducia.”

“E Girolamo come fece a salvarsi?” chiese Oscar.

Era al porto, la sua nave stava salpando per tornare a Genova. Con quella nave se ne andarono anche i marinai che avrebbero potuto testimoniare di avere conosciuto Alba. Comunque, l’inchiesta escluse ogni responsabilità per Girolamo. Lui non poteva avere appiccato il fuoco. Qualcosa di vero però quell’ubriacone l’aveva detta. I giannizzeri confermarono che l’incendio era doloso ed era stato appiccato con pece ed olio. Ed anche che tutte le porte erano state bloccate dall’esterno.”

Un silenzio attonito era sceso nella stanza. Fu Oscar ad interromperlo.

E dunque perché Girolamo accusò sua figlia?”

"Il pover uomo accorse appena gli giunse notizia dell’incendio. Provò a farsi strada in mezzo alle fiamme cercando disperatamente di ... e la vide, la figlia, che fuggiva ... Raccontò che si era fermata, scorgendolo, e l’aveva fissato ridendo, prima di fuggire via.

Oscar si alzò di scatto, corse alla finestra, le sembrava troppo piccola e soffocante quella stanza. Le mani strette al davanzale, cercava di respirare a pieni polmoni. André l’aveva seguita. Abbracciandola da dietro le aveva sussurrato “Oscar ... non può trattarsi di Lorenza ...”

Lei si era voltata. Aveva sollevato lo sguardo e cercato le mani del suo André.

Questa volta ti sbagli, André. Altan significa “Alba rossa”, lo sapevi André?”

Erano tornati in tutta fretta alla nave, mentre Goerso si tratteneva da Gorio per avere ulteriori informazioni.

La biscaglina ondeggiava ancora per la foga con la quale l’avevano scalata, quando Sestini, allarmato, era corso loro incontro.

E’ successo qualcosa? Dov’è Goerso?”

Ci raggiungerà dopo”, aveva risposto André. “Dov’è Lorenza?”

Nella sua cabina, Lazzaro le sta facendo compagnia, non ci crederete ma stanno leggendo assieme la Bibbia...”

Ma quando spalancarono la porta, fu solo Lazzaro Spallanzani che trovarono. Riverso a terra, il volto ridotto ad una maschera di sangue, ma ancora vivo e cosciente, con un filo di voce ripeteva: “Il diavolo, ho conosciuto il diavolo”.

“La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste… e come niente… puf…sparisce.”

(Roger "Verbal" Kint – I soliti sospetti)
 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Shadow falls in shrinking smiles
See me poised at the happy games
Standing in the mouth of all that’s pure
Come straggling in your tattered remnants
You’ll come to me in tears and rain
I’m your future,
I’m tomorrow, I’m the end


(David Bowie, Telling Lies)

https://www.youtube.com/watch?v=dL23xQK_4Ks
 
 
“La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste… e come niente… puf…sparisce.”

(Roger "Verbal" Kint – I soliti sospetti)

Sestini stava passando una pezza umida sulla fronte dell’abate, cercando di pulire il sangue incrostato. Il cuoio capelluto, aveva spiegato il medico chiamato a bordo, è irrorato da fittissimi vasi sanguigni.

Le ferite non erano mortali, ma slabbrate e dolorose, e solcavano, partendo dall’alto dell’osso frontale, tutto il lato sinistro del collo.

Non so chi vi abbia aggredito”, aveva concluso il medico mentre si congedava “ma con quel pezzo di vetro ha fatto uno scempio. E potete ritenervi fortunato. Un pollice più in là e vi avrebbe squarciato la carotide.”

“Fortunato!”, bofonchiò Spallanzani mentre il laudano lo faceva assopire, “dovrei ritenermi fortunato...”

Il Capitano Zane aveva fatto cercare Lorenza per tutta la nave e financo in tutto il porto e nei quartieri vicini. Invano. E nemmeno Oscar e André avevano avuto maggior fortuna, nonostante l’avessero cercata fino a notte fonda.

Vi avevo avvertito!” aveva urlato ad André. “Vi avevo avvertito, che quella portava guai! Le donne a bordo portano guai!”

A quelle parole, fu André che perse la forza calma che in genere accompagnava ogni suo gesto.

Afferrò il Capitano per il bavero della giacca “Non una parola di più, Capitano!” Lo strattonò alzandolo quasi di peso e spingendolo lontano da sé “Non una parola di più”, ribadì, mentre Zane dopo essere inciampato su un sacco di zavorra cercava di rialzarsi, “ora siamo tutti esausti e non ragioniamo con lucidità. Dia l’ordine di salpare Capitano, qui a Chios non abbiamo ragione di restare!

Detto questo, André volse le spalle al Capitano e scese in cabina, dove aveva lasciato Oscar intenta a scrivere.

Era stanca Oscar, le spalle curve, le occhiaie scure a cerchiarle gli occhi arrossati. “Dovresti riposare un po’”, le disse André avvicinandosi.

Si era inginocchiato davanti a lei ed aveva preso le sue mani fra le sue. Lo sguardo un po’ smarrito, Oscar aveva risposto “Sai André, mi ricordava un po’ Rosalie, ed anche un po’ Jeanne.

Tu non cambierai mai, amore mio. Tu sei giusta e generosa e non volterai mai le spalle a chi è debole e indifeso. Solo che non tutti sono così, come appaiono ...”

“Sai André ... ho cercato di ricordare e riportare su carta tutto quello che Lorenza ci ha raccontato ... ed ho trovato delle strane coincidenze, non le hai notate anche tu?”

Annuì André e poi le rispose, stringendo un po’ più forte le mani della sua Oscar: “Hai ragione, qualcosa ho notato anch’io, può averci spiato, sai, da quella fessura che ho trovato ...”

Le monache turchine e lo hijab azzurro di quella donna al mercato di Rhodes”, lo interruppe Oscar.

Altan condotto in catene come te al mercato degli schiavi di Tripoli”, proseguì, abbassando il capo e trattenendo a stento un lamento per il dolore che quel ricordo ancora le procurava.

André se ne avvide e le pose un bacio lieve sui capelli corti e morbidi, poi disse: “di quella donna al mercato di Rhodes ne abbiamo parlato a lungo fra di noi; Lorenza era già a bordo quando ti ho tagliato i capelli, come le suore avrebbero fatto con lei; e l’avventura di Tripoli l’abbiamo raccontata noi, a lei ...”

Esatto, André. E siccome anche i più abili bugiardi non possono fare a meno di nascondere qualche verità fra le loro menzogne”, continuò “il fuoco con cui avrebbe creato un diversivo per liberare Altan, se mai è esistito, è lo stesso strumento del crimine di Alba.

Se è stata lei, se Lorenza in realtà è Alba e se Alba è responsabile del misfatto orrendo di cui è stata accusata, non possiamo darlo per certo, Oscar.”

Giusto, ma guarda ancora questo, André”, gli disse, sfilando le sue mani da quelle di André per afferrare e porgergli una tazza di peltro. “Questa è una delle tazze per attingere l’acqua che costituiscono la fornitura delle lance di salvataggio.”

André la guardò interrogativo.

Capovolgila e guarda il marchio della manifattura sul fondo.”

Sant Laurenç de Var” lesse, allibito, André. “Laurenç!”

 
* * *

A mezzodì, mentre la nave solcava veloce il mare in direzione dell’isola di Limnos, Oscar e André si recarono a fare visita a Spallanzani, che si era ripreso ed era pronto a raccontare cosa fosse successo.

Seduto in un angolo, il capo chino e le braccia incrociate, anche Domenico Sestini era ansioso di sapere.

Aveva accettato la mia compagnia. Anzi mi disse che era contenta di parlare con un conterraneo. Le ho detto che sono originario di Scandiano, vicino a Reggio di Lombardia, e lei mi ha parlato di Genova. Le ho proposto di leggere assieme qualche brano delle Sacre Scritture.  Ho iniziato a leggere i libri sapienziali”, sono tra i miei testi preferiti, lo sai Domenico ...”

Aveva alzato la testa, Domenico, intuendo il peggio.

“Sono arrivato a leggere il libro di Qoèlet , 1: 17,18 : 'Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho capito che anche questo è un correre dietro al vento. Infatti: molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere aumenta il dolore.'”

Ora le braccia di Domenico non erano più incrociate, ma tese lungo le gambe della panca sulla quale era seduto, il corpo proteso in avanti.

“Allora lei ha cominciato a chiedermi quale sapienza stessi rincorrendo io... ecco non so, non so come siamo finiti a parlare del ...”

Si era alzato in piedi di scatto Domenico, mentre Oscar e André si scambiavano sguardi interrogativi.

“Giuro che non volevo ... “, si giustificò, volgendo lo sguardo a Domenico, che lo guardava accigliato.

“Quella mi ha ...mi ha .... stregato!” urlò, cercando comprensione negli occhi di Oscar e André, che tuttavia rimasero impassibili, in silenzio.

“Io all’inizio non ho risposto, ho vagheggiato, ma quella si è messa a recitare a memoria, giuro a memoria, i versetti successivi:

'Vieni, dunque, voglio metterti alla prova con la gioia. Gusta il piacere!". Ma ecco, anche questo è vanità. Del riso ho detto: "Follia!" e della gioia: "A che giova?". Ho voluto fare un'esperienza: allietare il mio corpo con il vino e così afferrare la follia, pur dedicandomi con la mente alla sapienza.'

Quella mi fissava negli occhi. Ho chiamato un marinaio e ho fatto portare un po’ di vino, un rosso leggero, ma in verità non so se l’idea sia stata mia...”

Domenico, ritto in tutta la sua statura, le mani strette a pugno, sibilò: “Non divagare, Lazzaro ...”

“Sorseggiando il vino, ecco, non so come, siamo finiti a parlare del ... del codice illustrato di Padre Mechitar.”

“Lazzaro ...dove sono i nostri appunti sul codice?” domandò Sestini, rivolgendogli uno sguardo furente.

“Rubati ... quella me li ha rubati!”

“Come hai potuto?” gli urlò contro Domenico, mentre si scagliava contro di lui e André lo tratteneva a stento, costringendolo a sedersi di nuovo.

“Quella mi ha stregato, lo volete capire?” aveva gridato Lazzaro.

Cercate di spiegarvi meglio!” intervenne risoluta Oscar. Tutti si zittirono.

Si tratta della missione del nostro viaggio. Ve ne abbiamo fatto cenno, mi pare”, rispose mesto Domenico.

Cosa è successo poi, Abate?”, chiese Oscar.

Io ... non so, mi ha chiesto di mostrarglieli. Io li porto sempre con me, sai ... non li lascio mai incustoditi, Domenico.”

“Come hai potuto Lazzaro, come hai potuto ...” ripeté sconsolato Domenico, le cui forze parvero abbandonarlo.

Mentre le spiegavo, ecco ... quella ha ricominciato a citar versetti della bibbia, girava il vino rosso nel calice e recitava a memoria: 'Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me. Li ho pigiati nella mia ira, li ho calpestati nella mia collera. Il loro sangue è sprizzato sulle mie vesti e mi sono macchiato tutti gli abiti, perché il giorno della vendetta era nel mio cuore ed è giunto l'anno del mio riscatto.'”

“Isaia, 63:4” mormorò Domenico.

“Improvvisamente ha afferrato la bottiglia e l’ha infranta con forza contro l’oblò. Il resto lo potete immaginare”, concluse l’abate, abbassando avvilito il capo, “mi ha ferito ed è fuggita con i nostri appunti”, aggiunse guardando di sfuggita Domenico.

“E tu non hai fatto niente, Lazzaro, non ti sei difeso ... tutto il nostro lavoro...Lazzaro, te lo sei fatto rubare da una fanciulla, grande e grosso come sei!”, replicò Domenico, le mani a cingersi strette le tempie.

“Era il diavolo in persona! Come si fa a colpire il Diavolo... e se sbagli? “ sussurrò Spallanzani, mendicando pietà negli sguardi di Oscar e André.

Ricordò tra sé e sé gli occhi indemoniati di Lorenza, quelle iridi nocciola affogate in pupille enormi e più nere delle penne di un corvo.

“Mentre mi colpiva, una, due, tre volte.... ha sibilato: “Dimentica di avere visto il Diavolo e penso che non sentirai più parlare di me ...”.

Domenico, venite con noi. Dobbiamo parlare. Subito!”. Ordinò Oscar, mentre con André al seguito abbandonava la cabina, a passo marziale.

 
 
* * *
 
Nel frattempo, a Parigi, Bernard Chatelet, aveva chiesto a Rosalie Lamorlière di diventare sua moglie.

Si erano imbattuto in lei qualche settimana prima, mentre cercava informazioni sul Colonnello delle Guardie Reali, il Conte Oscar François de Jarjayes, che lo aveva quasi catturato, se lui non avesse ferito in duello il suo attendente, mascherato come lui, come il Cavaliere nero.

In realtà Bernard si era ricordato di averla già incontrata, al mesto funerale della madre (la sua madre putativa, gli aveva rivelato poi Rosalie), ma lei questo non lo rammentava.

Fra le lacrime, gli aveva risposto di sì, che diventare sua moglie era la cosa che più desiderasse al mondo, seconda sola alla salvezza di Madamigella Oscar e André Grandier.

Era stato per accontentarla, per accontentare quella fanciulla, che della sua apparente, solo apparente, fragilità faceva un’arma potente di seduzione e convinzione, che aveva coinvolto certi suoi amici.

Ora Bernard si domandava quale fosse la potenza dell’amore.

Per amore lui stava sfruttando i suoi compari, in spregio alla causa, per aiutare un nobile, un colonnello, il nobile colonnello al comando delle Guardie Reali di Sua Maestà.

Non era avvezzo a disquisire d’amore, Bernard.

Tuttavia, l’aveva riconosciuto, negli occhi di Rosalie, quando lei gli aveva risposto, senza esitazioni, di sì.

E l’aveva riconosciuto nella voce di un colonnello, una voce straziata ed acuta, né marziale né virile, quando quello colonnello l’aveva lasciato fuggire, per soccorre il suo compare ferito all’occhio. “Che cosa ti ha fatto? .... André, André, André!” aveva urlato quel militare, accorrendo a soccorrere l’uomo mascherato come lui.

Una mano stretta a stringerne un’altra, per alleviare almeno un poco il dolore. E che il ladro scappasse, poco importava.

Era stata la sua fortuna, rifletté. Di quel diversivo, aveva approfittato per fuggire. “Achille e Patroclo”, aveva sogghignato Bernard, mentre fuggiva.

E si ricordò anche di una sera lontana in una taverna alla periferia di Parigi, in compagnia di Robespierre, di una rissa scoppiata fra gli avventori, un ufficiale biondo straordinariamente bello ed il suo attendente. Robespierre lo conosceva, quell’ufficiale.

Ora che sapeva che quell’ufficiale biondo era una donna, tutto si faceva più chiaro.  E quel “metti giù quelle mani!” non era l’attenzione di un servo per il padrone, ma l’istinto di protezione di un uomo per la donna amata.

Niente è come sembra. Chissà se lei l’avesse compreso.

Ripensò a Rosalie, Bernard, mentre faceva recapitare a Robespierre un messaggio urgente.

Per amore si può tutto.

Per amore si può anche tradire?

Il Duca d’Orleans ospitava i suoi amici. Influente e potente mecenate ne finanziava iniziative ed attività.
Senza il suo aiuto il giornale per il quale Bernard scriveva non sarebbe sopravvissuto, ma non tutte le attività che il Palais-Royal custodiva erano note al suo custode.

Quella del Cavaliere Nero, ad esempio: Bernard era sicuro che fosse rimasta celata anche agli occhi ed alle orecchie ben informate del Duca.

Eppure, aveva saputo trarne vantaggio, accusando il colonnello ed il suo attendente. Doveva sapere, il Duca, che quei due erano innocenti.

Dopo averli visti, spintonati in malo modo in una carrozza senza stemmi che usciva dalle rimesse private del duca a Palais Royal, Bernard aveva interrotto le sue razzie.

La posta si era alzata troppo, per rischiare ancora. Ma così aveva rafforzato l’accusa.

Invano cercava d’assolversi, convincendosi che se i suoi furti fossero proseguiti sarebbero apparsi come un maldestro tentativo di scagionare il colonnello ed il suo attendente. E che quei due erano indegni della sua pietà: una contessa, che, come tutti i nobili, affamava il popolo. Ed il suo fedele servo.

Era stata la paura a farlo desistere, doveva ammetterlo.

E non aveva avuto il coraggio di confessare nulla, alla sua Rosalie.

Per amore si può tutto.

Per troppo amore si può anche mentire?

Non era avvezzo a ragionar d’amore, Bernard.

Ma sapeva che l’avrebbe persa, la sua Rosalie, se le avesse confessato chi fosse veramente. Chi fosse stato veramente. Un ladro che rubava ai poveri per donare ai ricchi, sì, ma anche l’artefice delle disgrazie dei suoi amati Oscar e André.

Ma quali erano le reali mire del Duca?

Da Robespierre aveva appreso che il Duca d’Orleans non era più così ricco come si sforzava di apparire e che per questo aveva cercato l’aiuto concreto di un pari suo, il Duca di Germain. Ora si trattava di indagare anche sul Duca di Germain.

Tutti celiamo segreti.

Nessuno è come sembra.

Nemmeno lui: giornalista di giorno, bandito di notte.

Nemmeno la sua Rosalie: fiore fragile fatto d’acciaio, poco resistente alla frattura a freddo, ma temprato a caldo, dalle avversità.

Forse nemmeno il Duca ...

La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c'è più né sole né luna, c'è la verità.

(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta)
 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


I’ve borrowed your time
and I’m sorry I called
But the thought just occurred
that we’re nobody’s children at all
After all

Live till your rebirth
and do what you will
(Oh by jingo)
Forget all I’ve said
please bear me no ill
(Oh by jingo)

After all, after all

(David Bowie, After All)

https://www.youtube.com/watch?v=OXewmtDGQFQ
 
 

"La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c'è più né sole né luna, c'è la verità."
(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta)

Domenico si sedette mestamente in un angolo della cabina che era stata di Lorenza. La luce del sole penetrava dall’oblò illuminandogli i capelli. Era poco più vecchio di loro, ma i folti capelli castani erano già brizzolati dai primi fili bianchi.

Cosa volete sapere?” chiese rivolto ad Oscar, che era seduta su una panca, mentre André se ne stava a braccia conserte, in piedi appoggiato alla porta.

Cosa avrebbe rubato Lorenza?”  domandò immediatamente Oscar.

La ragione della nostra missione. Il motivo per cui ci siamo imbarcati in tutta fretta sulla Misticque, la prima nave diretta a Costantinopoli in partenza da Napoli”, rispose sospirando afflitto.

Ve ne abbiamo già fatto cenno”, proseguì, “a cena con Rohan, non ricordate?”

Scosse la testa in senso di diniego, Oscar, lanciando una fugace occhiata ad André. Entrambe ricordavano benissimo, in verità.

A Costantinopoli un mercante ebreo di libri antichi ha messo in vendita un codice illustrato. Potrebbe essere un antico manoscritto appartenuto a Padre Mechitar di Sebaste...”

Ora rammento Domenico, avete ragione, è stato al nostro ritorno da Tripoli, è vero...”, intervenne con noncuranza Oscar. “Quel manoscritto parlerebbe di un lume perpetuo, mi pare ... anzi direi che pure una volta che fummo ospiti a cena dal capitano Zane, voi accennaste ad antiche sepolture romane corredate da una misteriosa luce perpetua ...”

“Non solo! Sto parlando di un fuoco inestinguibile ...”, proseguì accalorato Domenico, “lo so, lo so, mi prenderete per matto, ma sono anni che ne sto seguendo le tracce, da quando me ne parlò un vecchio monaco del Monastero dell’isola di San Lazzaro degli Armeni, a Venezia.

Raccontateci tutto, Domenico, dobbiamo sapere”, lo incoraggiò André.

E sia. Quel monaco aveva conosciuto padre Mechitar al secolo Petros Manuk originario di Sebaste in Anatolia, che trascorse i suoi ultimi anni a Venezia, dove fondò un monastero sull’Isola di San Lazzaro, per poi morirvi nel 1749. Padre Mechitar io lo conoscevo già di fama; come filologo ho apprezzato il suo lavoro inestimabile, la compilazione di un dizionario di armeno che per gli studiosi come me è uno strumento fondamentale, vi assicuro, un vero .... ma sto divagando, scusatemi.”

Si asciugò la fronte con un fazzoletto. E proseguì.

“Ebbene nel 1703 padre Mechitar fu costretto a fuggire da Costantinopoli, dove le autorità ottomane perseguitavano gli armeni. Prima riparò a Modon ed infine a Venezia e non poté portare con sé tutta la sua ricca biblioteca, che andò in gran parte dispersa.”

Una nuvola plumbea e carica di pioggia oscurò il sole. Per un attimo il viso di Domenico fu avvolto dalle tenebre.

André si sposto dalla porta e si avvicinò ad Oscar. Domenico bevve un sorso d’acqua e poi continuò.

“Da quel monaco appresi che negli ultimi anni della sua vita Padre Mechitar si sforzò di compilare una summa dei suoi studi, in parte di suo pugno, in parte, quando ormai era quasi cieco, dettando il testo direttamente in aramaico...  ed in questi studi faceva anche cenno ad un manoscritto antico in cui si descriveva un fuoco inestinguibile ... e freddo!”

Il fragore di un tuono risuonò in lontananza. Un temporale si stava avvicinando.

Naturalmente per i monaci quel fuoco inestinguibile era solo una manifestazione di Dio. Come il roveto ardente, come il roveto che nel Libro dell’Esodo ardeva nel fuoco, senza consumarsi ... quando sul Monte Oreb Dio aveva ordinato a Mosè di condurre il popolo eletto via dall’Egitto verso la terra promessa ...”

Un tuono squassò l’aria. Per un istante anche la voce di Domenico tremò.

Ma io ho avuto accesso ai suoi scritti e li ho tradotti dall’aramaico ... non era di una manifestazione di Dio che si dissertava, ma del procedimento per generare quel fuoco freddo, quella luce perenne.”

La temperatura si era abbassata di colpo. Oscar rabbrividì per il freddo. André si tolse la giacca. La posò sulle spalle di Oscar.

“Nei miei precedenti viaggi in oriente, ho cercato invano le fonti da lui citate. Pensavo di rinunciare ormai ... quando pochi mesi fa mi scrisse Emmanuel de Rohan-Polduc, il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, informandomi che presso un mercante ebreo a Costantinopoli era in vendita un codice illustrato appartenuto a Padre Mechitar ... Io conoscevo da tempo Rohan, da quando dieci anni fa periziai per l’ordine certe monete ed altri reperti romani portati alla luce nell’isola di Gozo.”

Un lampo illuminò gli occhi di Domenico.

“Lui sapeva della mia ossessione ... mi propose di finanziare il mio viaggio se ne avessi condiviso con lui e con i fratelli Massoni i risultati. Se quel codice fosse stato autentico, se quel codice avesse rivelato quello che io speravo!”

La mano destra di Oscar trattenne la mano sinistra di André, che indugiava sulle sue spalle. Aveva bisogno del calore di quelle dita su di sé.

“E come avete conosciuto Lazzaro Spallanzani?”, chiese Oscar.

Un sorriso amaro piegò le labbra di Domenico.

“Ho conosciuto Lazzaro Spallanzani a Pavia. Era appena tornato da Costantinopoli, dove aveva accompagnato il nuovo Bailo della Repubblica di Venezia, Girolamo Zulian. Mi aveva parlato dei suoi studi di fisica e biologia, così diversi dai miei, e ne rimasi affascinato.”

La mano di André strinse più forte la mano di Oscar.

“Sapevo che cercava il modo di tornarci, non aveva più risorse proprie per farlo e l’università non l’avrebbe finanziato, era appena stato coinvolto in uno scandalo. Avevo bisogno di un compagno di viaggi che si intendesse di fisica e di chimica, che potesse aiutarmi ad interpretare i principi che presiedono alla generazione del ... ”

Fuoco inestinguibile, o del lume perpetuo”, concluse André.

Mentre un fulmine squarciava il cielo.

Annuì, nascondendo il viso fra le mani, Domenico.

“E cosa avrebbe rubato Lorenza?”, domandò Oscar, lo sguardo severo, accigliato.

Le mie trascrizioni dei testi di padre Mechitar, le traduzioni, le ricerche fatte da me ed analizzate da Lazzaro, su prodigi analoghi, i suoi esperimenti sul flogisto, sul fuoco fissato nei corpi ...”

Non capisco, cosa può farsene Lorenza dei vostri studi?”, chiese Oscar.

Non ottenne risposta. Il Capitano Zane irruppe nella cabina.

Quando arriveremo a Costantinopoli?” gli domandò Domenico, alzando la testa.

Fra due giorni faremo scalo a Limnos. Poi ci aspetta la traversata dello stretto dei Dardanelli.  Se non ci saranno ulteriori contrattempi, se eviterete di dare asilo a qualunque folle, dovremmo arrivare a Istanbul il 12 o 13 maggio. E se la Santo Stefano reggerà ...  il mare si sta ingrossando, prevedo burrasca!”.

E burrasca fu. Anziché fuggire il vento, tecnica troppo pericolosa sotto costa, dove gli affioramenti di scogli semisommersi avrebbero potuto danneggiare la chiglia, il brigantino era stato messo alla cappa, per smorzare la potenza delle onde. La combinazione delle vele, sapientemente armate, con un’angolazione di circa cinquanta gradi al vento, consentiva al brigantino di scarrocciare nel letto del vento, protetto dalla sua remora.

Zane aveva costretto i suoi quattro passeggeri nelle loro cabine, e che non si azzardassero ad uscire da lì.

Oscar, lì confinata, senza poter percorrere a lunghe falcate il ponte, come faceva quando era inquieta, guardava le onde infrangersi violente contro l’oblò e batteva nervosamente il tacco degli stivali contro l’impiantito. Non era stata la tempesta ad innervosirla, a parte i tuoni che la facevano ancora sobbalzare, come quando era bambina. Era stato il racconto di Domenico.

“Come temevamo, ma ora è evidente, André! Stanno cercando la stessa cosa!”

“Io la vedo diversamente, Oscar.”

Lo guardò incuriosita, mentre André si avvicinava di un passo.

La straordinaria capacità. La straordinaria capacità di André di acquietare le tempeste. Di trasformare in mare placido il più burrascoso degli oceani. Si domandò come facesse, André, a sedare ogni sua rabbia, a placare ogni suo turbamento, a dirle sempre la cosa giusta, a suggerirle la soluzione più saggia.

E tutto questo senza farsene accorgere. Da sempre.

Per un attimo pensò che se si fosse messo a prua a guatare i marosi, il cielo si sarebbe aperto ed il vento si sarebbe dissolto in una lieve brezza.

Perciò spalancò gli occhi ed attese che lui continuasse.

“Lazzaro e Domenico inseguono un mito, forse un procedimento alchemico. La pietra filosofale che, invece di trasformare il piombo in oro, accende di fuoco l’aria. Noi sappiamo di cercare qualcosa di assai più concreto: una persona, in possesso di un prototipo. L’applicazione pratica di qualunque esoterica illazione. “

“Ma i fratelli massoni cosa starebbero cercando?”

“E’ questo il vero arcano, Oscar. Apparentemente la Massoneria ha finanziato la missione di Domenico e di Lazzaro. Ed ha finanziato pure la nostra, attraverso il Duca d’Orleans, Gran Maestro del Grand Orient de France ...”

Ma forse non era previsto che i nostri cammini si incrociassero ...” concluse Oscar “e comunque non credo che Domenico, e tantomeno Lazzaro, abbiano mai sospettato che la loro missione fosse affine alla nostra, non ne avrebbero parlato così liberamente ...”

La pioggia scrosciava incessante. La nave scricchiolava, lamentandosi come un animale ferito. André fece ancora un passo in avanti. L’abbracciò stretta.

La tempesta parve tacere. In quell’abbraccio confortante, tiepido e fresco allo stesso tempo, Oscar chiuse gli occhi stanchi, troppo stanchi. Quando lui la prese in braccio e la accomodò sul loro giaciglio, le parve di addormentarsi sotto la loro quercia preferita ad Arras, al tepore di un pomeriggio di tarda primavera.

 
* * *
 
A Chios le tenebre avevano protetto Lorenza, mentre entrava nella caserma dei giannizzeri. Cercando del segretario di Cezayirli Gazi  Hasan Pascià.

Hasan Pascià era appena tornato dall’Egitto, dove comandava le truppe del Sultano nella guerra per scacciare gli emiri mamelucchi. Non poteva riceverla, ma le consegne erano state chiare. Ed altrettanto gli ordini.

Un anno e mezzo prima, a Pera, aveva salvato Alba, da una condanna a morte. Certa. Aveva appiccato il fuoco al palazzo di suo padre, il mercante Girolamo Rebuffo, ed erano morti tutti. Questo dicevano le prove. E per lui era stato facile catturarla.

Voleva sparire ed aver salva la vita? Poteva arruolarsi fra le spie al suo servizio. Una fanciulla non desta sospetti, non incute timore. Anche se è pericolosa.

E che quella fanciulla fosse pericolosa, non era in dubbio.  L’aveva letto nei suoi occhi.  Così simili ai suoi.

Acquistato come schiavo, quando era ancora un bambino, aveva scalato tutte le gerarchie militari. Ora era ad un passo dal diventare governatore ottomano d'Egitto.

Il suo compagno d’arme, dai tempi in cui militava fra i corsari barbareschi ad Algeri, il Rais Henel Alvagi, gli aveva raccontato del salvataggio dell’equipaggio di una nave francese, venduto al mercato degli schiavi di Tripoli. Quella nave, la Misticque, imbarcava passeggeri importanti. Li avevano riscattati a peso d’oro.

Per uno strano caso del destino erano stati ad un passo dal perderne le tracce. A Malta dovevano imbarcarsi di nuovo sulla Misticque, ma quella nave era salpata senza di loro. Alba era riuscita a sbarcare all’ultimo, di soppiatto come era salita a bordo, appena si era accorta che il capitano della Misticque voleva solo tornare in Occidente. Per fortuna non ci aveva impiegato troppo tempo a capire che i suoi obiettivi avrebbero preso il largo con il brigantino Santo Stefano.

Rifletteva, Hasan Pascià.

Nel tempio di Hathor, sulla riva occidentale del Nilo, misteriosi bassorilievi raffiguravano fiori di loto, trasparenti come vetri di Murano. I vecchi tramandavano una leggenda: che il serpente racchiuso in quei fiori diventasse incandescente ed illuminasse il buio.

I Massoni cercavano la luce perpetua. Il Gran Maestro dei Cavalieri di Malta, suo acerrimo nemico, aveva ingaggiato due studiosi italiani.  A corte si mormorava che un ungherese, il più fido consigliere di Rabi'a Semi Sultana, la madre del Sultano, fosse in possesso di informazioni importanti.

Lui doveva arrivare per primo.

Grazie ad Alba ora aveva tra le mani l’intero lavoro dei due studiosi. E tutte le informazioni per seguirne le mosse a Istanbul.

Quando apprese, dal rapporto di Alba, che altri due passeggeri parevano altrettanto interessanti, un sorriso di cupida soddisfazione piegò le sue labbra in un ghigno.

Certo la sua spia pretendeva una adeguata ricompensa. Voleva affrancarsi da lui ed aver licenza di compiere la sua vendetta.

Uno dei due, una donna bionda straordinariamente bella, addestrata alle armi come un militare, era il colonnello Oscar François de Jarjayes. Che quella giacesse ogni notte col suo compagno non ne avrebbe diminuito di molto il valore.

Ragionò a lungo, Hasan Pascià.

Il Rais Henel Alvagi gli sarebbe stato riconoscente se ne avesse fatto omaggio per il suo Harem, ed avrebbe tratto soddisfazione, se ben lo conosceva, ad ucciderne l’amante davanti a suoi occhi, nel più cruento dei modi.

Ma anche in Francia qualcun altro poteva offrire molto, in cambio.

Era ora che Alba tornasse in Europa. Là sarebbe stata assai più utile e poi, forse, anche lei avrebbe potuto ricevere la sua ultima ricompensa.

 
* * *
 
Quando giunsero a Limnos, due giorni dopo, due novità erano lì ad attenderli.

Nonostante i visti e nonostante l’alleanza tra la Francia e l’Impero Ottomano, la Santo Stefano avrebbe potuto proseguire solo fino all’isola di Tenedo, dove sarebbe rimasta all’ancora con tutto il suo equipaggio.

A Tenedo, il Conte Jules de Saint, Monsieur Jacques Preux, Monsieur Domenico Sestini e l’Abate Lazzaro Spallanzani avrebbero concluso il loro viaggio su una galera turca, attraverso lo stretto dei Dardanelli, verso il Mar di Marmara. Verso Istanbul.

La seconda novità era che a Limnos, assieme ai lasciapassare per entrare a Istanbul, giaceva una missiva spedita a Monsieur Preux da Monsieur Johann Philipp Möller, tramite il servizo postale del Regno di Sicilia.

Oscar e André si erano dunque precipitati sulla nave, in cerca di un angolo appartato, per leggere quell’inattesa corrispondenza.

Ad Oscar le mani tremarono un poco, quando, dopo avere aperto il plico sigillato ed avervi trovato all’interno altri due plichi, anch’essi sigillati con ceralacca, riconobbe sull’esterno di uno dei due, la calligrafia del padre.

A mio figlio”. 

Man mano che le lettere, pazientemente trascritte con l’aiuto di André e del primo Libro della Genesi, diventavano parole e frasi di senso compiuto, gli occhi di Oscar luccicavano di commozione.

Perché erano più di due mesi che non aveva notizie di suo padre. Prigioniero alla Bastille. Per colpa sua.

Ma non voleva farsi vedere mentre piangeva, Oscar. Un militare non piange. Perciò mentre rileggeva la lettera, a voce bassa, ma udibile, perché anche André potesse sentire, deglutiva e di tanto in tanto chiudeva gli occhi.

Mentre André, che aveva capito tutto, faceva finta di non essersi accorto di niente.
 
§ § §

 
Mai scrivere una lettera cifrata iniziando direttamente dal luogo e dalla data. Come invece hai fatto tu, scrivendomi la tua missiva. Dovresti saperlo. Te l’ho insegnato. Ma credo di poter essere indulgente, per questa volta.

E’ il sedicesimo giorno del quarto mese dell’anno.

Ricordo di avere conosciuto il conte di cui mi hai fatto cenno nella tua lettera. Un avventuriero, indegno di qualunque fiducia.

Quando lo conobbi, prima che fosse esiliato, tu dovevi ancora compiere cinque anni e lui dimostrava qualche anno più di me.

Ricordo che solo il duca di Choiseul riusciva a tenergli testa, era quasi riuscito nell’intento di smascherarlo. Ma purtroppo è morto due anni fa.

Se è veramente lui, colui che devi cercare al termine del tuo viaggio, il mio consiglio è: diffidare.

All’epoca si mormorava fosse un alchimista, ma non mi farei suggestionare da certe idee. Se cercando non troverai un vecchio segnato dagli anni, avrai trovato solo un impostore.

Non mi spiego tuttavia la ragione ultima di questa tua missione. Un lume perpetuo? Suvvia!

Colui che ti ha costretto a questo viaggio non aveva bisogno di te. So per certo che è stato mecenate di quel Lafitte che laggiù sta dirigendo i lavori di costruzione della scuola di ingegneria. E non dubito che fra i trecento uomini inviati dalla corona per aggiornare le milizie turche, ci siano anche suoi fedeli seguaci.

Ma soprattutto, figlio mio, non angustiarti.

È vero: sei stato imprudente ed avventato; anche se la trappola per catturare il cavaliere nero era ingegnosa, non nei hai soppesato i rischi.  Tuttavia, colui che ha ricattato così vilmente la nostra famiglia avrebbe trovato comunque un’altra strada per nuocerci, per punire me del rifiuto di aderire alla Gran Loggia, per alienarci la fiducia dei sovrani. Per privarli della nostra protezione.

Ed infine, figlia mia, sappi che sono in buona salute.

Nonostante la mia prigionia, non manco di nulla. Tua madre ha abbandonato il suo impegno a corte, ma resta salda come una roccia, così come la cara nutrice che nonostante il dolore per la lontananza tua e del suo adorato nipote provvede sempre per il nostro meglio.

Ancora una cosa, figlia mia, sono sicuro che ti è stata imposta una seconda condizione, che hai tenuto nascosta non solo a me, ma anche al tuo attendente.

Sono addolorato, figlia mia, con me avresti dovuto confidarti.

Quantomeno ricordati che ti puoi fidare di chi, in questo momento, non dubito che stia leggendo queste righe assieme a te.

Perché sono stato io a sceglierlo perché fosse la tua ombra.

E spero di trovarvi entrambe in buona salute, quando riceverai questa lettera.

 
§ § §

 
Mancava la firma. Il Generale non rinunciava ad essere prudente.

La strinse stretta a sé, André. E Oscar ne fu grata, che quelle lacrime non riusciva più a trattenerle ed ora potevano scendere silenziose. Facendo finta che lui non se ne accorgesse.

E lui la strinse ancor più forte, quando, gettando uno sguardo sulla seconda lettera, si avvide che era sigillata con l’impronta di un riksdaler svedese.

“La strada sarebbe stata lunga. Tutte le strade che portano dove desidera il cuore sono lunghe. Ma questa strada, che l'occhio della mia mente vedeva su una carta, in modo professionale, con tutte le sue complicazioni e difficoltà, era però in un certo senso abbastanza semplice. Si è uomini di mare o non lo si è. E io non avevo dubbi di esserlo”

(Joseph Conrad, La linea d’ombra)
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Cause love’s such an old fashioned word
And love dares you to care
for the people
on the edge of the night
And love dares to change
our way of caring about ourselves


(David Bowie & Queen, Under Pressure)

Nella versione con Annie Lennox, 20 aprile 1992, Freddie Mercury Tribute Concert
https://www.youtube.com/watch?v=fCP2-Bfhy04
 
 
“La strada sarebbe stata lunga. Tutte le strade che portano dove desidera il cuore sono lunghe. Ma questa strada, che l'occhio della mia mente vedeva su una carta, in modo professionale, con tutte le sue complicazioni e difficoltà, era però in un certo senso abbastanza semplice. Si è uomini di mare o non lo si è. E io non avevo dubbi di esserlo”
(Joseph Conrad, La linea d’ombra)
 
La seconda condizione. André era in ambasce da settimane, sin dalla partenza in verità. Oscar aveva rivelato l’ignobile aggressione subita dal Duca di Germain la sera del ballo, ma ostinatamente taceva sul contenuto del vile ricatto del duca d’Orleans.

E quando Oscar si chiudeva in sé stessa non c’era tattica migliore che quella di lasciarla stare. Nel suo silenzio avrebbe riflettuto e fatto chiarezza dentro di sé. Ed allora lui avrebbe trovato il momento giusto perché lei potesse confidarsi.

Ma ora aprire la lettera di Fersen era più urgente.

Mia carissima Amica”, così iniziava la lettera di Fersen. “Ho avuto modo di riferire alla Nostra Luce le vostre parole, che hanno alleviato le sue pene e dissolto i suoi tormentosi dubbi, alimentati dalle voci maligne dei cortigiani. Ora sa come procedere, per accogliervi al vostro ritorno.”

Le parole di colui che, non dubitavano, fosse un amico sincero, comparivano, lettera per lettera dall’attenta trascrizione dal testo criptato che Oscar e André stavano compitando.

Un sospiro di sollievo. La Regina era stata informata e sarebbe stata solidale, al ritorno dalla missione.

Proseguirono impazienti a tradurre il testo codificato con il  libro VIII dell’Eneide: Ut belli signum Laurenti Turnus ab arce extulit et rauco strepuerunt cornua cantu utque acris concussit...[1]

Non si aspettavano invero che quelle parole annunciassero davvero battaglia, ma lo fecero, quando la supplica di Fersen emerse dalle lettere scomposte e ricomposte: “Tuttavia, da questo rigo in poi, vi chiedo di leggere questa mia lettera in segreto.”

“Proseguiamo”, aveva esclamato risoluta Oscar, rispondendo allo sguardo interrogativo di André.

La frase successiva li colse alla sprovvista, come il più inatteso degli agguati:
Non ignoro la fiducia che vi lega al vostro attendente ed il fatto che, nella conduzione di questa missione condividete, probabilmente, lo sforzo di questa corrispondenza cifrata, ma ve ne prego.”

Mentre Oscar ripeteva a bassa voce “ve ne prego”, André si stava già allontanando. “Mi stavo dimenticando che devo pulire le pistole, Oscar.

Cosa pensi di sapere, Fersen?”, si domandò con amarezza Oscar. Mentre a stento tratteneva il disappunto.

Fersen la considerava il suo miglior amico. Lo aveva affermato chiaramente, mentre le sue dita indugiavano sulla sua schiena nuda. Non era avvezza a scoprire la sua pelle, non era avvezza a volteggiare fra le braccia di un uomo. Non era avvezza. Non era lei, quella disgraziata sera. Chiuse gli occhi, sforzandosi di dimenticare.

Fersen per lei era un amico, un amico sincero di cui si era innamorata. Ma non era mai stato il suo miglior amico. Perché quel posto, anche quel posto, lo aveva sempre occupato André.

“Cosa pensi di saperne, Fersen, del legame che mi unisce ad André, del legame che ci ha sempre unito”, si disse.

“Lo faremo dopo, insieme. Ora proseguiamo André!”

Nessuna titubanza, nessun tremito nella sua voce.

André, che le aveva già voltato le spalle, si girò e ritornò sui suoi passi, fissandola negli occhi.

Nessuna indecisione, nessun rimpianto in quegli occhi, solo la tenerezza infinita del sorriso che incurvò le sue labbra.

La trascrizione riprese.

“Sono rammaricato. Per non avere reso onore alla vostra natura di donna. Ora non riesco a pensare che a Voi, al dolore che vi ho arrecato, per non avere compreso, per non avere capito, quale Donna foste, quale Donna siate.”

André rilesse la frase tradotta. Sollevò il mento di un Oscar accigliata e disse: “Vedi, Fersen è stato incauto, ma non ha mai voluto ferirti ...”

Oscar lo guardò. Ancora pensierosa rispose.  “Continuo a non capire, André. Queste parole mi sembrano così fuori luogo, adesso...”

Ripresero in fretta la trascrizione, ansiosi e inquieti di conoscere il seguito.

“Non riesco a pensare che a questo: mi amavate?  Io amo la mia Luce, di un amore immenso, tanto immenso da essere incolmabile. E come potrebbe essere diversamente? Ma voi mi amate ancora?

Si incrinò appena la voce di André, mentre rileggeva: “Ma voi mi amate ancora?”. Abbassò la testa.

“Tu l’hai sempre saputo, vero André”, gli chiese sottovoce Oscar. “Tu l’hai sempre saputo che mi ero innamorata di Fersen?”

Ho sempre temuto che avresti sofferto, Oscar. Avrei dato la mia vita per evitarti ogni dolore ...”

Non mi hai risposto, André ...”

“Fersen ama la Regina. Non potrà amare nessun’altra, senza condannare all’infelicità la donna che ama e la donna che si sforzerebbe di amare ...anche se quest’ultima fosse la più degna di essere riamata, come te ...”

“Continui ad eludere la mia domanda, André ...” sussurrò Oscar, mentre afferrava le mani, insolitamente fredde, di André.

“Vuoi davvero continuare a leggere questa lettera, Oscar?”

Lei annuì.

“Forse vuoi farlo da sola?”

“Non potrei farlo, André.”

L’inchiostrò vergò nuove parole. Che ingaggiarono battaglia. “... utque impulit arma, extemplo turbati animi[2], recitò a memoria nella sua testa, André.

“Ecco, perché forse esistono anche amori colmabili, semplici, appaganti. Vorrei aver trattenuto con più forza il vostro polso sottile, la sera del ballo.

“Un ripiego, sarei stata solo un ripiego...”

Scosse la testa André. Ricacciando indietro la rabbia sottile che gli aveva procurato l’immagine di Fersen, che tratteneva a forza il polso delicato della sua Oscar. E perché sapeva di averlo già avvertito il Conte ... di non infrangerle il cuore.

No Oscar, perché in cuor tuo avevi già deciso...”, le rispose quindi André, mentre con i pollici sfiorava dolcemente le sottili vene azzurre che solcavano la pelle bianca di Oscar, fra l’orlo delle maniche della camicia ed il palmo delle mani.

Lo scrutò con un po’ di soggezione, pareva che lui anticipasse i suoi pensieri. “Come ho fatto a non accorgermi di te, André?”

“Vuoi che risponda alla tua domanda di prima Oscar? Lo farò, se prometti che non mi prenderai per un folle insolente ...”

Sorrise Oscar.

“Ho pregato Iddio che tu lo dimenticassi Oscar. Perché in cuor mio sapevo che non era vero amore, quello che provavi per lui, perché noi due eravamo legati e perché il mio amore per te, ecco...io l’ho sempre saputo Oscar, che il mio amore inespresso, tu lo ricambiavi, dal profondo della tua anima.”

Ed era proprio così. In un gioco di specchi può capitare, si disse Oscar. Per specchiarsi, disporre di uno specchio non è sufficiente.

Lei si era specchiata in Fersen: nel suo orgoglioso coraggio, genuflesso a Luigi XV tanti anni prima; nella sua aristocratica devozione, asservita ad un amore impossibile; nello splendore di una rinuncia, sancita dalla partenza per una guerra lontana.

Aveva trascurato che, senza la luce, nessuno specchio rende indietro immagine alcuna.

L’umile luce di una candela era tanto più preziosa del più sfarzoso degli specchi.

Ed André era un fulgido sole.

Perciò decise che siccome era vero, lui doveva saperlo. Alzò il capo verso di lui, appoggio le mani sul suo cuore, “Io ti ho amato da sempre, André”, mormorò, prima di baciarlo.

Le parole di Fersen che ancora seguirono, scivolarono via. Sconfitte.

“Mi maledico perché non vi ho inseguito e sono angustiato perché ignoro cosa potrebbe esservi accaduto. E cosa sarebbe potuto accadere, se vi avessi rincorso.”

Forse fate bene a maledirvi, Fersen, forse avreste potuto evitarle un’aggressione”, ricordò con rabbia André, mentre la stringeva a sé.

Sono tormentato perché il fato avrebbe potuto volgere le nostre vite in una più lieta direzione e soprattutto volgere la vostra, verso la felicità, anziché verso perigliosi mari.

“No Fersen, non angustiatevi, questi perigliosi mari mi hanno regalato l’amore. E questo amore mi ha reso felice”, si disse Oscar. Mentre sentiva il cuore di André battere più veloce.

“Amatemi ancora. Ve ne prego. Immaginate che abbia inseguito la vostra pallida figura, incantevole in quelle vesti virginali di candida seta.”

“Fersen, lasciatevelo dire, non avete mai compreso nulla di Oscar”, chiosò fra sé e sé, André, mentre le baciava la nuca.

Tornate presto, Amica mia, io sono qui, ad aspettarvi, le braccia tese ad accogliervi, le labbra impazienti di baciarvi.”

“Spero di tornare presto Fersen, ma se Dio lo vorrà sarò la moglie di André Grandier. Ed anche se Dio non lo vorrà”, pensò Oscar. E pensò ancora, pur continuando a tacere, che era giunta l’ora di confidarsi. Quasi.

Nel frattempo, se ne stette lì, racchiusa nell’abbraccio di André. La lettera di Fersen, intanto, scivolava a terra, volteggiando lentamente.

“Ti amo André Grandier, non potrò mai amare nessun uomo oltre a te!” gli disse alzando un poco la testa.

“Tristi turbatus pectora bello, procubuit seramque dedit per membra quietem”[3], mormorò più tardi, addormentandosi fra le braccia accoglienti del suo André.

 
* * *
 
Attraccati, il decimo giorno del mese di maggio, al porto dell’isola di Tenedo, Oscar e André si erano congedati da Goerso. Avevano trovato nel vecchio timoniere un amico sincero. Che li avrebbe aspettati, anche se la Santo Stefano fosse ripartita.

Sono stanco di navigare. A Chios, il mio amico Paragorio mi ha promesso ospitalità ed un lavoro sicuro. Ma voi non fatevi aspettare troppo a lungo.”

Non abbiamo intenzione di trattenerci a Costantinopoli, solo lo stretto indispensabile per completare la missione”, aveva risposto Oscar.

Qualunque sia la vostra missione, amici miei, pensate a vivere”. Aveva preso le mani di Oscar, strette fra le sue mani callose. “Non ho mai stretto le mani di una contessa. Non avrei mai pensato di poterlo fare. Ma la vera nobiltà è nel profondo del cuore, Oscar. Perciò Voi siete due volte contessa!”

Era arrossita un poco Oscar, mentre scuoteva la testa.

Goerso, io ti sono infinitamente grata, per tutto quello che hai fatto per André, e per me.”

“Al tuo fianco hai una gran donna, André, con qualche anno in meno ed una gamba in più, avresti trovato in me un degno rivale” sogghignò Goerso.

Si era messo a ridere André, l’avambraccio destro piegato dietro la testa.

Allora Oscar si era avvicinata a Goerso e gli aveva stampato un bacio sulla guancia.

Visto André, faccio conquiste! Però ...però”, proseguì Goerso un po’ esitante, prendendo da parte Oscar, abbassando la voce fino a parlarle piano piano nell’orecchio “Anche voi Oscar”, le sussurrò, lanciando uno sguardo ad André che li fissava un po’ stranito “avete al vostro fianco un compagno degno di voi ... che se ora non la smetto di starvi così vicino, mi passa a fil di spada...”

Al nostro ritorno, Goerso...ecco, André ed io vorremmo che tu venissi con noi, a Parigi”.

Era rimasto a bocca aperta Goerso: “Veramente io, ecco ... sì, sarei felice di accettare ..., ma non c’è il mare a Parigi ...”

“Ma c’è la Senna, Goerso!” aveva risposto André. “E’ altrettanto umida...”

“Goerso, ma dimmi ... qual è il tuo vero nome?” aveva chiesto Oscar.

“Prometto di rivelarvelo, al vostro ritorno, amici!”

E così si erano lasciati.  A mezzodì si erano imbarcati su una galera ottomana che faceva spola tra l’isola di Tenedo ed Istanbul, attraverso lo stretto dei Dardanelli fino al Mar di Marmara.

Solo loro quattro: il Conte Jules de Saint, Monsieur Jacques Preux, Monsieur Domenico Sestini e l’Abate Lazzaro Spallanzani.

Accompagnati dal loro incommensurabile amore, i primi due. E dalla volontà ferrea di riuscire e tornare indietro, per liberare il Generale.

Assillato dall’ansia di conoscere e sapere, il buon Domenico. E disposto pure a perdersi, in Oriente.

Ossessionato dal desiderio di riscattarsi, Lazzaro. E pronto a tutto, per tornare a casa, coperto di onori e gloria.

Il Capitano Zane li osservò salire sulla tozza galera ottomana, tanto diversa dal suo agile brigantino.

Oscar gli sembrava proprio un ragazzo, soffocato in vesti turche troppo ampie per la sua esile figura, con il volto di un angelo come quelli dipinti da Fra’ Angelico che una volta aveva ammirato in qualche chiesa, non si ricordava più né dove né quando. Ma con lo sguardo fiero di un generale.

André non aveva il portamento di un precettore, piuttosto quello di un soldato, con il suo incedere saldo e sicuro.  Ma con gli occhi gentili di un poeta.

Avrebbero fatto meglio a guardarsi poco, quei due.

In cuor suo augurò loro ogni bene. Decise che era meglio farsi una bevuta e si rinchiuse in cabina a sbronzarsi.

* * *
 
Dopo due giorni di navigazione lenta, afflitti da un’aria calda e afosa, Istanbul li sorprese, in tutta la sua esotica magnificenza.

Distesa sulle acque del Bosforo, la città splendeva ammantata dalla luce dorata del sole al tramonto, emergendo dalle montagne dell’Asia minore che le facevano da quinta. Minareti, mura, torri e cupole. E fra tutte lo sguardo era catturato da una gigantesca cupola sorvegliata da quattro svettanti minareti, come sentinelle.

La moschea di Aya Sofya”, spiegò Domenico.

La prima volta che arrivai qui”, aggiunse Lazzaro, “questa vista mi ha commosso e lo spettacolo superava di molto la mia attesa. Penso che sia così anche per voi”.

Li osservò di sottecchi. Gli sfuggì un sorriso. Oscar e André tacevano, assorti a rimirare quello straordinario paesaggio. Le dita delle loro mani che si cercavano, per sfiorarsi appena, non potendo esporsi di più.

Peccato però che quando scenderete a terra, anche voi resterete delusi”, concluse. E poi si tacque. Afferrò il rosario ed iniziò a sgranarlo.

Un corvo, scorto il luccichio dell’argento e delle pietre di ametista, virò in picchiata.

Sorpreso ed impaurito, Lazzaro lo scartò.  Il corvo, dalle penne lucenti e nere, beccò le dita bianche della mano destra di Oscar e gracchiando riprese il suo volo.

Piccole gocce di sangue stillarono a terra.

“Be that word our sign of parting, bird or fiend!” I shrieked, upstarting / “Get thee back into the tempest and the Night’s Plutonian shore! /Leave no black plume as a token of that lie thy soul hath spoken! / Leave my loneliness unbroken!—quit the bust above my door! /Take thy beak from out my heart, and take thy form from off my door!”
Quoth the Raven “Nevermore.”[4]

(Edgar Allan Poe, The Raven)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

[1] Come Turno innalzò dalla rocca il segnale di guerra ed i corni con rauco canto rimbombarono (il libro convenuto per criptare il testo è il libro VIII dell’Eneide, che inizia così).
[2] e come agitò le armi, subito gli animi si scossero
[3] turbato in cuore per la triste guerra, si sdraiò e concesse un tardo riposo alle membra
[4] - “Sia questa parola il nostro saluto d'addio, uccello o demone!” - io urlai, balzando in piedi. /” Ritorna nella tempesta e sulla riva infernale della notte! / Non lasciare nessuna piuma nera come una traccia della menzogna che la tua anima ha pronunciato! / Lascia inviolata la mia solitudine! /Togli il tuo becco dal mio cuore e leva il tuo busto dalla mia porta!”
Rispose il corvo: “Mai più”.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


You promised me
the ending would be clear
You’d let me know
when the time was now
Don’t let me know
when you’re opening the door
Stab me in the dark,
let me disappear

(David Bowie, Bring me the Disco King)

https://www.youtube.com/watch?v=h3PHnLR_LWk

 

 

“Be that word our sign of parting, bird or fiend!” I shrieked, upstarting / “Get thee back into the tempest and the Night’s Plutonian shore! /Leave no black plume as a token of that lie thy soul hath spoken! / Leave my loneliness unbroken!—quit the bust above my door! /Take thy beak from out my heart, and take thy form from off my door!”

Quoth the Raven “Nevermore.”

(Edgar Allan Poe, The Raven)


 

Non è nulla André” disse Oscar, mentre lui sollecito tamponava con un fazzoletto i graffi degli artigli. “Perderò qualcosa di importante?”, si interrogò in silenzio, il cuore trafitto da un doloroso presentimento.

Salutarono Lazzaro e Domenico, diretti a Pera, ospiti del bailo veneziano a Costantinopoli. I due studiosi avrebbero alloggiato nel Palazzo della Repubblica di Venezia, sul fianco orientale della collina di Pera, l'antico quartiere un tempo fondato dai genovesi, dove gli occidentali in gran parte risiedevano.

Lì avrebbero potuto sempre trovarli, si raccomandò Lazzaro. Che non esitassero a rivolgersi a loro in caso di necessità, qualunque fossero gli affari che li portavano a Costantinopoli.

Non avete voluto rivelarceli, ma posso capire il vostro riserbo” aveva continuato Lazzaro, mentre salutava André, con una pacca sulla spalla. “Ordini segretissimi della famiglia reale di Francia, scommetto...”, gli aveva sussurrato nell'orecchio, palesando un'insolita complicità.

Non era poi tanto lontano dalla verità, pensò amaramente André.

Non credo che avranno bisogno di noi, Lazzaro”, intervenne Domenico. “I nostri amici sono francesi, non dimenticarlo. E qui i francesi comandano”. “Tuttavia ...”, aggiunse fissando intensamente Oscar “Se questo per voi non valesse, cercateci. Sono buon amico dell'ambasciatore britannico Sir Robert Ainslie. Voi ci avete salvato la vita, Mademoiselle”, disse accennando un inchino: “io questo non lo dimenticherò. Mai!

Quando Lazzaro e Domenico sbarcarono, restarono soli.

La loro destinazione in città era diversa. Stamboul, la città antica, dall'altro lato del Corno d'Oro. In mano André stringeva una lettera consegnata da Monsieur Fabre a Candia, che indicava il loro asilo in quella terra straniera.

Una seconda lettera di raccomandazione avrebbe loro consentito di accedere al Palazzo del Sultano. L'ultima lettera, ancora chiusa e sigillata con una ceralacca nera, li avrebbe fatti ammettere alla corte di Rabi'a Semi Sultana. La Valide Sultan, la madre del sultano.

Monsieur Fabre li indirizzava in un quartiere sorto dentro le mura erette dall'Imperatore Costantino ed affacciato sul mare, il quartiere greco di Phanári, dove avrebbero trovato asilo presso Gerasimos Zervas, un mercante originario dell'isola di Citéra, con il quale era in affari da anni.

La casa era signorile, un palazzotto in pietra che all'interno custodiva un ampio giardino quadrato, ma era circondato da strette viuzze e case in legno, molte delle quali mostravano ancora traccia di incendi recenti.

Poco distante, lungo la salita che dal Corno d'oro portava alla loro destinazione, avevano scorto una chiesa bizantina, Santa Maria dei Mongoli, ancora dedicata al culto cristiano ortodosso, gli avrebbe spiegato il giorno dopo il padrone di casa. I turchi la chiamavano Kanlı Kilise "Chiesa sanguinante”.

Era ormai notte fonda quando arrivarono. Il loro ospite, Gerasimos Zervas, parlava correntemente francese. Avrebbe fornito loro vitto ed alloggio; non avrebbe dovuto chiedere o dire nulla di più. Questi erano gli accordi.

I servitori del mercante li avevano accompagnati nelle loro stanze. Avevano preparato per loro la sala da bagno, apparecchiato un frugale pasto, lasciato vesti pulite e poi si erano congedati. Altri servitori sarebbero andati a ritirare i loro bagagli, che avevano lasciato in deposito nei pressi della Porta Phari.

Finalmente sulla terra ferma, in una casa vera, dopo settimane di navigazione, di sale e di mare, così vicini alla loro insidiosa meta, ma ancora apparentemente al sicuro, Oscar e André, si abbandonarono a loro stessi.

Parve loro di essere tornati a Palazzo Jarjayes. Non per gli arredi e l'architettura, troppo diversi. Ma per la calma quiete che nella notte li aveva avvolti, nella luce tremolante delle candele.

In silenzio e con religioso rispetto André aveva spogliato la sua Oscar, sollevando vesti e sciogliendo fasce. Porgendole la mano l'aveva condotta alla vasca, colma d'acqua tiepida.

Con un pezzo di sapone, dal profumo sconosciuto, l'aveva ricoperta di morbida schiuma e le aveva lavato con delicatezza i corti capelli biondi.

Allora Oscar aveva proteso le sue braccia verso di lui. Altre vesti erano cadute sulle piastrelle di ceramica bianca e blu di İznik.

E così era entrato anche André, in quel giaciglio d'acqua, mentre Oscar arrossiva e distoglieva lo sguardo.

Seduto davanti a lei, le aveva accarezzato e sollevato il mento ed aveva iniziato a baciarla, lentamente, senza urgenza, senza foga.

Oscar stringeva le sue gambe snelle, cingendo i fianchi muscolosi di André, socchiudendo gli occhi, reclinando la testa indietro, abbandonata al piacere lento che André le donava, affondando sempre di più nella sua carne.

Di certo quello a palazzo Jarjayes non era mai accaduto, e forse mai sarebbe potuto accadere.

Ma poi, proprio come usavano fare a palazzo Jarjayes si erano seduti vicini, l'uno di fronte all'altro, a sorseggiare una bevanda calda.

Solo che non erano vestiti, ma sommariamente avvolti in teli di lino grezzo.

Lui come sempre la guardava, un po' di sottecchi.

Quante volte mi hai guardato di nascosto, André, cercando di celare l'amore che provavi per me?” si domandò Oscar.

A cosa stai pensando Oscar?

Cosa avresti fatto, André, se … ecco ...”, non ebbe il coraggio di concludere la frase.

Sorrise André. Che la domanda inespressa l'aveva intuita benissimo. “Quello che ho sempre fatto. Avrei continuato a stare al tuo fianco Oscar, appena un passo indietro … anche se tu non mi avessi amato.”

Si soffre molto ad amare senza essere riamati.”

Sì, si soffre immensamente Oscar. E anche tu lo sai... Ma ogni cicatrice rende più forte.”

Le afferrò piano il polso esile e con due dita percorse lieve la cicatrice bianca che sfregiava appena il suo braccio sinistro.

E l'amore vero resiste, lo sai, anche quando tace”, le aveva sussurrato all'orecchio, cingendola fra le sue braccia.

I teli di lino erano caduti. Una nuova danza era iniziata. Ed ogni volta era come la prima volta.

Tra loro ogni volta era una nuova scoperta.

* * *

Il giorno successivo, di buon'ora, si erano diretti al Palazzo del Sultano. Erano ripassati nei pressi della chiesa ortodossa, ma ora ne conoscevano la storia.

Il padrone di casa, a colazione, gli aveva raccontato che il 29 maggio 1453, il giorno della caduta di Costantinopoli, nei dintorni di quella chiesa si era combattuta l'ultima disperata resistenza dei Greci contro gli ottomani invasori. Quel ricordo le dava quel triste soprannome di Kanlı Kilise "Chiesa sanguinante”.

E la strada che conduceva da lì al mare era ancora chiamata dai turchi la Salita dell'Alfiere, in memoria dei soldati ottomani che, anche loro, vi avevano trovato la morte combattendo.

In lei bruciava il fuoco della battaglia, ed il coraggio non le sarebbe mai mancato, questo l'aveva sempre saputo, André.

Ma sapeva anche che quella storia di guerra e di sangue l'aveva resa inquieta.

E che Oscar non aveva nessuna voglia di perseguitare un ignaro e sconosciuto conte, solo perché inviso al Duca d'Orleans.

Perciò, mentre lo sguardo di Oscar indugiava su quella chiesa e sulla piccola cupola centrale racchiusa da una torre, che svettava verso il cielo, aveva mormorato piano: “Ti ricordi Oscar, Giulio Cesare, quando varcò il Rubicone?

Vuoi forse dirmi che il dado è tratto, André? Lo so …

Scosse la testa André: “Già, ma non abbiamo cercato noi tutto questo. 'Andiamo dove ci chiamano i segnali degli dei e l'iniquità dei nostri nemici.'1

Annuì, Oscar. Ma pensando a Giulio Cesare, in cuor suo, temeva piuttosto le Idi di marzo. Temeva il ritorno in patria. Temeva il Senato ed i suoi senatori. La seconda condizione.

Gli aveva ripetuto che lo amava. Ma lo aveva dimostrato abbastanza? Lo amava con tutto il cuore, davvero, il suo André. Se fosse morta, lui almeno l'avrebbe saputo, di essere stato amato così tanto?

Se fosse morto lui invece..., ed il solo pensiero la straziava, lei lo avrebbe seguito dall'altra parte.

Dissimulò il suo dolore, anche lei era brava a celare i suoi sentimenti. E rispose risoluta. “Affrettiamoci André!”

Ma gli occhi non mentivano ed André se ne avvide. Immancabilmente.

Il sole era alto quando dopo un lungo percorso attraverso la città, varcarono i cancelli del Palazzo del Saray-ı Cedîd-i Âmire. Il Serraglio del Sultano, a nord est della moschea di Aya Sofya.

Non sapevano esattamente cosa aspettarsi, ma non furono delusi.

Non era una reggia splendente di palazzi, marmi lucenti e viali fioriti, come Versailles.

Era un insieme disarmonico di padiglioni, cortili, passaggi, fontane, chioschi, alberi e colonnati, affascinante come certe creature dei bestiari medioevali.

Varcata la prima soglia, attraverso la Saltanat Kapısı, il Cancello dell'Imperatore, la lettera di raccomandazione consegnata da Monsieur Fabre aveva consentito loro di accedere al Primo cortile, il Cortile delle parate, cinto da alte mura, con un parco digradante verso il mare, dove i giannizzeri marciavano compatti in alta uniforme.

Erano stati accompagnati da due baltacılar, alabardieri della guardia di palazzo, attraverso l'Orta Kapı, il Cancello di Mezzo, una tozza struttura fortificata, racchiusa da due torrioni ottagonali, accedendo al Secondo cortile, la Divan Meydanı, la Piazza del Consiglio, che ospitava il cuore dell'apparato burocratico della Sublime Porta.

Solo allora, alla presenza di un dragomanno, con un secco colpo di lama, era stata aperta la lettera sigillata con la ceralacca nera. Il testo era vergato in turco. Il dragomanno non aveva avuto cura di tradurla per i latori che presumeva dovessero conoscerne il contenuto.

Ma Oscar e André ne erano all'oscuro.

Un messo era stato inviato.

Il cuore batteva accelerato, lo sentiva in gola, Oscar.

Mentre André nervosamente osservava le espressioni del dragomanno e delle guardie intorno a loro, cercando di intuirne pensieri ed intenzioni.

Dopo una interminabile mezz'ora, due eunuchi neri erano arrivati. Il dragomanno aveva tradotto in francese: il Kızlar Ağası, il "Maestro delle Fanciulle", l'Eunuco a capo dell'Harem, agli ordini diretti della Sultana, li avrebbe ricevuti immediatamente.

Fu così che, scortati dai due eunuchi, dalla pelle straordinariamente lucida e nera, enormi ed alti poco meno di André, furono condotti lungo una galleria, fino ad una specie di chiostro coperto, rinfrescato da una fontana zampillante.

Il Kızlar Ağası li attendeva, mollemente seduto, sorretto da morbidi cuscini, su un lungo divano, basso e rettangolare, foderato di seta del colore dei fiori di senape. Con un gesto aveva congedato gli eunuchi.

Era sontuosamente abbigliato con una lunga tunica rossa, un mantello nero foderato di bianco ed un turbante rosso, cinto di un serico bianco che spiccava sulla carnagione più nera della notte.

Li aveva scrutati a lungo. Talora abbassava lo sguardo, per rileggere la lettera e poi alzava nuovamente gli occhi, osservandoli obliquamente, come un gatto con la sua preda. E la sua preda preferita sembrava Oscar.

Oscar pensava e ripensava al suo aspetto. Un lungo caffettano di damasco blu, accollato fino al mento, che celava qualunque forma. Un tricorno, per non nascondere le sue origini europee, i capelli biondi, ma corti.

Il suo inganno era stato forse smascherato?

Infine, in un incerto francese, guardandoli da sotto in su, senza consentir loro di sedersi, il Kızlar Ağası, rivolse loro la parola.

Conte de Saint e Monsieur Preux. Questa lettera vi introduce a Corte. Ma ovviamente non potrete accedere al Serraglio. Dunque, per conto della mia Sultana devo chiedervi: cosa vi porta qui?

Era stato André a rispondere, battendo sul tempo Oscar, preoccupato che il timbro della voce di Oscar non potesse beffare l'eunuco.

Dobbiamo conferire con Leopoldo Giorgio Rákóczi.

Non sfuggì ad Oscar l'espressione di puro odio, che quel nome aveva suscitato.

Per conto di Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona”, aggiunse ancora André.

* * *

Domani.” Così aveva sentenziato l'Eunuco a capo dell'Harem. L'indomani, se la Valide Sultan avesse acconsentito, avrebbero potuto incontrare in quello stesso chiostro Leopoldo Rákóczi.

Ma, come d'uso, avrebbero dovuto dismettere le loro vesti. Indossarne di nuove. Che non si poteva portare armi o arrecare nocumento ai consiglieri della Sublime Porta.

E così Oscar e André erano tornati in fretta a Phanári, trattenendosi a stento dal litigare in pubblico.

Perché quello che, con noncuranza, aveva detto l'eunuco, cambiava tutto. Oscar non poteva entrare a palazzo e spogliarsi delle sue vesti, senza tradirsi. Ma per Oscar era inaccettabile separarsi da André.

Perché André doveva tornare da solo per incontrare Rákóczi.

E su questo contava il Kızlar Ağası.

Lascivamente adagiato sui cuscini di seta, ripensava agli occhi azzurri come il mare del francese che, per non farsi scoprire, non aveva proferito verbo. Ma che presto avrebbe arricchito la collezione di fanciulle dell'harem del sultano.

Sciocchi, come pensavano di ingannarmi? Di ingannare me!”, si disse, sogghignando. Poi battendo le mani convocò uno schiavo.

Avverti il Capo dei baltacılar: che i suoi uomini seguano e sorveglino di nascosto i due francesi che stanno lasciando il Palazzo. Ed attendano nuovi ordini!

 

E ora, che ne sarà / del mio viaggio? / Troppo accuratamente l'ho studiato / senza saperne nulla. Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / che è una stoltezza dirselo

(Eugenio Montale, Prima del viaggio)

 

1Svetonio, Vita dei Cesari

 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


I searched for form and land
For years and years I roamed
I gazed a gazely stare
At all the millions here
We must have died alone
A long long time ago

(David Bowie, The man who sold the world)

https://www.youtube.com/watch?v=g33-W9t2q2Q

 

E ora, che ne sarà / del mio viaggio? / Troppo accuratamente l'ho studiato / senza saperne nulla. Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / che è una stoltezza dirselo

(Eugenio Montale, Prima del viaggio)

Stavano tornando in fretta a Phanári, quasi correndo, per impedirsi di discutere, quando Oscar, svoltato l'angolo si arrestò di scatto, trascinando André per un braccio, nell'androne di una casa, appena dietro la Moschea di Nuruosmaniye.

Il dito sulla bocca, per fargli cenno di tacere.

Due baltacılar, dalle vesti rosse e dal cappello conico, avevano fatto capolino nella via e stavano cercando qualcuno tra la gente, intimidendo con la loro lancia gli ignari passanti, che scrollavano la testa e fuggivano via.

Ci stanno seguendo André!

André annuì ed in silenzio dispiegò fuori dalla tasca un pezzo di carta minuziosamente ripiegato. Nelle lunghe giornate di navigazione aveva studiato Istanbul sulle ingombranti carte fornite dal Duca ed ora con il dito mostrava ad Oscar una rudimentale mappa della città, vergata con sapienti tratti di penna. Lì vicino si poteva entrare nel Kapalıçarşı, il grande mercato coperto dove sarebbe stato più facile nascondersi fra la folla.

Ma prima attesero ancora un poco. Nell'ombra confortante di quell'androne, Oscar aveva appoggiato il capo sul torace di André e ne stringeva le mani sotto il mantello.

Tu lo sai che non dobbiamo dividerci, in cuor tuo lo sai, qualunque cosa ci suggerisca la ragione.

Sgranò gli occhi un po' sorpreso André, che fra i due il severo militare era lei, e quello che talora si abbandonava all'intuito era lui. Le sollevò il tricorno e posò un bacio sui suoi capelli morbidi.

Va bene Oscar, troveremo il modo”, le rispose sorridendo.

Avevano ragionato che non era così insolito quello che il Kızlar Ağası pretendeva.

Lazzaro aveva loro raccontato del suo precedente viaggio, quando il nuovo bailo veneziano ad Istanbul era stato ricevuto dal Sultano. Aveva dovuto disfarsi dei suoi preziosi abiti per indossare nuove vesti ed una pelliccia di zibellino che a detto del dragomanno che lo accompagnava l’avrebbe reso degno della visita al sultano, mentre agli uomini del suo seguito avevano fatto infilare dei caffettani di tela. L’ambasciatore, spogliato della sua dignità, era costretto a vestirne un'altra, magnanimamente concessa dal Sultano, anche se lo scopo ultimo di quel rito umiliante era assicurarsi che i visitatori non portassero armi.

Non li avrebbero fatti spogliare del tutto, ma non sapevano se fosse il caso di correre quel rischio.

Stavano ancora ragionando su quali alternative avessero, quando scorsero le guardie tornare indietro. Fu allora che scivolarono fuori dal loro nascondiglio e cautamente andarono a confondersi tra la gente che affollava il Bazar.

Furono assaliti da un'entropia di profumi, colori e luci che mai avrebbero potuto dimenticare.

Lungo entrambi i lati delle strade interne, i mercanti sedevano placidi su divani di legno davanti ai loro scaffali con le merci esposte, i vasi ed i piatti dipinti in ogni sfumatura, le stoffe e gli abiti variopinti appesi alle loro spalle, le spezie odorose e colorate sui banchi.

L'aroma dolciastro di miele, zucchero di latte ed acqua di rose annebbiò per un attimo i loro sensi.

Il sentore metallico di monili, gioielli ed armi riempì le loro narici ed il loro luccichio li abbagliò.

L'odore polveroso di esotici tappeti li illuse di potere spiccare davvero il volo.

André aveva soppesato abiti e palpato stoffe delicate.

Immaginò che una leggera tunica scura, non troppo corta, avrebbe potuto nascondere le forme di Oscar, anche una volta che il caffettano fosse stato levato. Abbastanza aderente per non fare dubitare che non potesse celare offese. Abbastanza ampia da occultare la vera natura di Oscar.

L'avrebbe aiutata a stringere più strette le fasce intorno al seno. Se ne crucciò, pensando alla morbida consistenza che le sue mani avevano imparato a plasmare.

Ne avevano acquistato una a testa, di quelle tuniche, le avrebbero indossate entrambi, come fosse una usanza delle loro latitudini, sotto i caffettani.

Ma non osava pensare, André, a cosa sarebbe potuto accadere se il loro artificio non fosse riuscito.

Per di più non lo abbandonava il sottile disagio che lo aveva colto nel ricordare il modo vagamente lascivo con il quale il Kızlar Ağası aveva fissato Oscar. Che si fosse accorto che era una donna?

E come era possibile non accorgersene? Se ne era sempre stupito André, nelle loro uscite nelle taverne parigine, che gli avventori non se ne avvedessero. La pelle liscia e bianca, i lineamenti delicati, le curve morbide sul corpo snello ma tornito. Il collo esile e le mani piccole e diafane. Semplicemente non se lo aspettavano. Questa era la risposta che si dava ogni volta. Che la lettera in turco consegnata da Monsieur Fabre li avesse traditi?

Oscar, secondo me il capo degli eunuchi ...”

“ … potrebbe avere capito che sono una donna. Sì. Ma se anche così fosse André, cosa potrebbe accadere?”

Potrebbero considerarlo un peccato grave, da punire severamente. Nella sura della Luce, il Corano prescrive 'che le donne abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne'” recitò a memoria André, ricordando le nozioni imparate da Domenico.

Rimase in silenzio Oscar.

Credi che la lettera di raccomandazione consegnataci da Monsieur Fabre fosse un tranello?” proseguì André.

Non credo André, non doveva essere che un mezzo per essere introdotti a Corte. Perché farci arrivare fin qui per poi tradirci?”

Perché il Duca vuole liberarsi di te? E più lontano succede, meglio sarà per lui?”

Strinse i pugni Oscar. Scosse la testa. Perché sapeva che il Duca voleva che lei tornasse.

Ecco, vedi André ...”, iniziò lei, dandogli le spalle, le mani appoggiate al bordo umido della fontana che avevano raggiunto. Aveva caldo ed aveva bisogno di rinfrescarsi. Fu allora, mentre lei fissava gli zampilli d'acqua, per trovare il coraggio di parlare, che qualcuno strattonò André.

Qualcuno che discretamente li aveva seguiti e non li aveva persi.

In un francese limpido aveva detto: “Nel nome di Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona, seguitemi: il mio padrone vuole vedervi!”

* * *

Stupidi. Inetti. Incapaci!”, stava urlando il Kızlar Ağası contro il capo delle guardie di palazzo, mentre con furia scaraventava a terra il prezioso vassoio in argento e ottone in cui gli era stato servito il caffè.

I tuoi uomini sono degli incapaci! Si sono fatti sfuggire quei due francesi, due stranieri che nemmeno sapevano dove mettere i piedi!”

Ed intanto stava pensando che la sua sfida silenziosa contro Leopoldo Giorgio Rákóczi era appena iniziata.

Nulla era perduto.

Lui delle femmine sentiva l'odore, lui che delle femmine non aveva mai potuto godere. E quel Conte de Saint doveva essere una femmina assai speciale.

Mentre con disgusto guardava i fondi di caffè che macchiavano il tappeto dai disegni a preghiera, viola, verdi e bianchi, ai suoi piedi, si disse che avrebbe fatto suggere le carni tenere del Conte de Saint, al suo Sultano.

Ad ogni costo. Ed il Sultano, sempre bramoso di nuove esperienze, gli sarebbe stato riconoscente.

Si sarebbero dovuti ripresentare a Corte, i due francesi. E se l'indomani l'uomo si fosse presentato da solo, sarebbe stato l'esca per catturare l'ambita preda.

Bisognava solo attendere. E capire cosa volessero quei due da Rákóczi …

 

* * *

Oscar e André seguirono quel servitore, salendo in una carrozza coperta e senza stemmi. Non furono costretti. Non seppero perché, ma lo fecero.

Poco dopo, la pioggia iniziò a cadere abbondante, accompagnata dal lamento di un temporale incombente. Era ormai il tramonto, quando dopo un breve percorso al passo, si ritrovarono di fronte ad un elegante palazzo rivestito di marmo, non distante dalla Moschea di Mihrimah.

Un paio di domestici li accolsero ed offrirono loro caffè caldo ed un pasto freddo.

Attesero a lungo, in una biblioteca straripante di libri. Avevano fatto scorrere le dita sul dorso dei tomi, alcuni antichi e di pregiata fattura, rilegati in cuoio, pelle o pergamena.

Le goffrature raccontavano di letture insolite ed eclettiche, filosofia e teologia, anatomia, botanica ed alchimia.

Abbandonato aperto su una poltroncina accanto alla finestra, “The Castle of Otranto, A Story. Translated by William Marshal”, London, 1765.

Il silenzio era cadenzato dallo stillare dell'acqua contro i vetri della finestra. Il temporale si era appena acquietato ed il rombo dei tuoni era ormai un borbottio indistinto lontano nel cielo.

Infine, il servitore che li aveva condotti in quella casa era tornato, ed aveva fatto cenno di seguirlo, rischiarando a malapena il cammino alla luce di un doppiere, mentre il suono di un violino sulle note della Danza degli Spiriti Beati di Gluck si faceva via via più forte, celando l'eco dei loro passi lungo i corridoi bui.

Il servitore aveva infine aperto una porta.

Ed il suono del violino era cessato.

Il Conte Jules de Saint e Monsieur Jacques Preux” annunciò il servitore, congedandosi subito dopo con un inchino.

Un uomo alto e sottile, dai capelli biondi, dava loro le spalle, lo sguardo rivolto al cielo scuro oltre la finestra, in una lunga veste da camera di seta cruda del colore della notte.

Quando si volse, fissandoli in silenzio, l'archetto nella mano sinistra ed il violino nell'altra, furono l'incarnato pallido quasi trasparente e privo di rughe e gli occhi più azzurri di un'acquamarina che li stregarono.

Vi scorsero l'abisso.

Il Conte di Saint Germain, suppongo”. Esordì Oscar, cercando di sfuggire a quel baratro.

Una voce baritonale rispose, ed a loro parve che le labbra non si fossero mosse.

Potrei mentirvi? Voi che siete i messaggeri di una donna morta? Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona, la Principessa di San Severo ha reso l'anima a Dio otto anni or sono. Era stata molto amata, sapete, Raimondo l'amo più della sua stessa vita. E' cosa rara ...”.

Annuì involontariamente André. Ma tacque, come Oscar tacque, abbassando lo sguardo.

Annuite ...”.

Annuite, dunque sapete di cosa parlo” continuò, sorridendo lieve, chinando il capo verso destra, lo sguardo da sotto in su, come per scrutare Oscar da una prospettiva diversa.

L'acquamarina incastonata in quegli occhi si fece più abbagliante.

Bruciò le parole che Oscar e André avrebbero voluto dire e non dissero.

Fece loro cenno di sedersi, sul lungo canapè alle loro spalle mentre lui restò ancora in piedi, di fronte a loro.

Perché mi avete cercato? Cosa volete da me?”

Posò il violino e l'archetto e si voltò avvicinandosi di nuovo alla finestra. Dando loro le spalle sospirò e proseguì.

Potrei assassinarvi. O potrei liberarmi di voi con un cenno. Una mia parola e voi sareste morti. Ma sono stanco. Troppo stanco”.

Non è nostra intenzione nuocervi”, replicò André. “Restituite a noi quello che avete sottratto al Grande Oriente di Francia e ce ne andremo.”

Strabuzzò quegli occhi straordinari, voltandosi di scatto.

Dunque, è proprio così. Alla fine, i Fratelli Massoni mi hanno trovato. Del resto, il Duca d'Orleans lo aveva giurato. Eppure, le vostre parole palesano più di quello che esprimono ...

Le nostre parole palesano solo quello che dicono, Conte”, replicò severa Oscar, alzandosi in piedi , i pugni serrati Non abbiamo tempo da perdere con un ladro.”

Un ladro? Io un ladro?”, mormorò sommesso. “Ma certo, voi dovete convincervi di questo, siete un'anima giovane... come potreste giustificare a voi stessa l'ingiustizia che state perpetrando ...”

Si era alzato André, trattenendola appena per le spalle.

Ecco, invece il vostro compare è un'anima antica, basta guardarlo.

Voi state delirando, Conte”, esclamò Oscar, mentre André la convinceva a tornare a sedersi sul canapè.

Forse, o forse ho capito di voi più di quanto voi possiate immaginare, ma suppongo che per voi abbia poca importanza quello che penso. O quello che credo.”

Un lampo nel cielo. Pochi secondi. Un tuono. Il temporale stava tornando.

Avete detto che non volete nuocermi. Credetemi, io non intendo nuocere a voi. Ma ditemi, cosa avrei rubato e quando?”

Il lume perpetuo, il prototipo di una luce inestinguibile. Mentre eravate al castello di Chambord, che il nostro re Luigi XV vi aveva generosamente concesso ...” rispose secca Oscar.

E quando sarebbe successo tutto questo, di grazia?

Nel 1760” replicò André.

Ventisette anni fa, dunque” puntualizzò il Conte. “E quanti anni avrei avuto allora?

Dieci lustri...all'incirca” rispose piccata Oscar, consapevole dell'assurdità di quel ragionamento.

Dunque, ora avrei settantasette anni … all'incirca si intende. Giusto ..Vostra Signoria, Conte De Saint ?”

Un tuono squarciò l'aria. Oscar e André restarono in silenzio.

Bene, credo che su questo fatto dovremmo rifletterci tutti. La notte porta consiglio. E credo anche che questa sarà una notte speciale. Per tutti noi.

Non possiamo attendere oltre, Conte” rispose André levandosi in tutta la sua statura, ad un passo da lui.

L'acqua scrosciava intensa, picchiando sui vetri.

Si sfidarono a lungo, con gli occhi, i due uomini, smeraldo contro acquamarina. Mentre Oscar stringeva l'impugnatura di una pistola, celata dal mantello.

Sì...”, rispose imperturbabile il Conte “... sono ammirato. Siete decisamente un'anima antica, Monsieur Preux. … Preux. … Nell'Alto medioevo quando si armava un cavaliere lo si ammoniva con la formula 'soyez preux', siate leale, valoroso. Ma sto divagando. Ditemi: perché dovrei assecondarvi?

Questa è una motivazione sufficiente?”, rispose Oscar, puntando la pistola contro il Conte.

Ma non si mosse il Conte, non indietreggiò. “Per Voi non deve essere facile … Luigi Filippo d'Orléans ordina e voi dovete eseguire .., eppure non è nella vostra natura...”

Suvvia”, continuò: “Come pensate di trovarlo, questo lume perpetuo, dopo avermi ucciso... O pensate di torturarmi?” sogghignò. “No, non lo fareste mai...”.

André indietreggiò di un passo ed abbassò il braccio con cui Oscar reggeva la pistola.

Fuori infuria un temporale e le strade di Costantinopoli non sono sicure. Inoltre, qualcuno vi sta insidiando. Questa notte sarete miei ospiti e domani, sì domani, arriveranno le risposte che cercate.”

Chiamò il servitore.

Fai accomodare i nostri ospiti nella camera blu e nella camera verde. Che non gli manchi nulla”, ordinò.

Prometto che non vi farò pugnalare nel sonno, ma ora lasciatemi, lasciatemi solo.”

Afferrò il violino, strinse l'archetto nella mano sinistra, volse le spalle, di nuovo rivolto alla finestra.

Le note del Trillo del Diavolo di Tartini accompagnarono Oscar e André verso le loro stanze.

Dopo un attento sopralluogo, avevano scelto di restare insieme nella camera verde, la cui finestra a nord avrebbe offerto una facile via di fuga, attraverso il tetto piano che un salto di un paio di metri separava dalla finestra.

La stanza era arredata con gusto, all'occidentale, con un ampio letto a baldacchino protetto da leggere tende di garza verde salvia.

Faccio io il primo turno, André”, disse avvicinandosi al compagno, accarezzandogli con la mano destra la guancia un pò ispida di barba.

La tua mano è gelata, Oscar. Hai bisogno di riposare.”

Non riuscirei a dormire ...”

Il nostro conte sembra uscito da un racconto di Horace Walpole, davvero!”, cercò di scherzare André, mentre le afferrava le mani, per scaldarle fra le sue.

Non può avere più di quarant'anni.”

Deve esserci di sicuro una spiegazione Oscar ...”

Chi vorrebbe vivere per sempre?”

Io, Oscar, con le tue mani nelle mie”

 

Tyger! Tyger! Burning bright / In the forests of the night: / What immortal hand or eye /Could frame thy fearful symmetry?

(William Blake , The Tyger)

 

 

 

 

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


In the villa of Ormen, in the villa of Ormen
Stands a solitary candle
At the centre of it all, at the centre of it all
Your eyes

(David Bowie, Blackstar)
https://www.youtube.com/watch?v=kszLwBaC4Sw
 
 
 
Tyger! Tyger! Burning bright / In the forests of the night: / What immortal hand or eye /Could frame thy fearful symmetry?
(William Blake, The Tyger)
 
Il rumore della pioggia ed il borbottio del temporale gli avevano fatto compagnia tutta la notte.

Dopo molte insistenze André aveva convinto Oscar (il “Comandante” Oscar!) a cedergli il primo turno di guardia.

Un antico orologio in bronzo e oro aveva appena scandito le tre.

Si alzò dalla poltroncina sulla quale rischiava di cedere al sonno, cercando un'occupazione che lo aiutasse a restare sveglio.

Si avvicinò all'orologio e lesse “N. Vallin, 1598”. Il Generale lo avrebbe apprezzato assai.

Avrebbe dovuto svegliare Oscar un'ora prima, ma era così bella la sua Oscar, abbandonata al sonno, che infrangere quell'incanto gli sembrava un sacrilegio.

Se ne stava distesa sul letto, coperta dal suo mantello. E dal mantello di André, che lo aveva posato su di lei, appena si era addormentata, perché la stanza era umida e fredda. Aveva mormorato un “grazie”, nel dormiveglia. Le aveva rimboccando per bene il mantello sulle spalle, posandole un bacio lieve sulla fronte.

Cercava, André, di fare combaciare i pezzi scomposti di quello strano mosaico.

Richiamò alla mente le informazioni sul conte di Saint Germain ricevute da Goethe, che aveva assicurato che la tomba del Conte di Saint Germain, ad Eckenforde, sul Mar Baltico, dove ufficialmente era stato seppellito nel 1784, era vuota.

“Io sono riuscito ad accertare che tre anni orsono il Conte ha simulato la sua morte: la sua tomba, ad Eckenforde, sul Mar Baltico, è vuota”, aveva affermato Goethe.

Secondo Goethe, il Conte di Saint Germain si celava alla corte del Sultano Abdül Hamid I, sotto le mentite spoglie di Leopoldo Giorgio Rákóczi.  “Si dice che sia il più fidato Consigliere della sua amata madre, Rabi'a Semi Sultana”, aveva aggiunto.
 
E poi la rilevazione più incredibile: “dovrebbe avere almeno settantacinque anni, ma è ancora vivo e pare godere di un’ottima salute e dell’aspetto invidiabile di un quarantenne”. 
 
Infine, ancora più sorprendente, la possibilità che la destinazione finale di Costantinopoli, come nascondiglio del lume perpetuo, fosse nota almeno vent’anni prima: aveva ancora davanti agli occhi la Cappella del Principe di San Severo, e tra tutti i marmi incredibili, la statua dello Zelo della Religione, scolpita nel 1767, in cui spiccava la figura di un vegliardo che portava in una mano un lume. La luce della Verità che con il piede schiacciava le serpi dell’eresia. Apparentemente.
 
Apparentemente, perché l'iscrizione diceva: Et apud Constantin­opolim ego”. Come se il Principe di Sangro avesse saputo nel 1767 che il conte si era già rifugiato a Costantinopoli, portando con se il prototipo del lume perpetuo.  
 
Ma allora chi si era spacciato per il Conte, in giro per l’Europa, dal 1767 al 1784 e perché la sua tomba era vuota?
 
Tuttavia … potevano esserci altre spiegazioni: l’iscrizione poteva essere successiva, perché il Principe era morto nel 1771. Ma quattro anni non facevano la differenza, concluse André. Oppure il Conte poteva essere andato e tornato da Istanbul…
 
Poi pensò a Domenico Sestini, al manoscritto di Padre Mechitar di Sebaste che narrava di un fuoco inestinguibile e freddo. Che a Costantinopoli, porta fra Oriente ed Occidente, fosse custodito da secoli il segreto di quel fuoco? E che l’iscrizione si riferisse a quello e non al rifugio del conte di Saint Germain?
 
Rammentò le informazioni contenute nella lettera del Generale padre, che ricordava di avere conosciuto il conte nel 1760, poco prima che fosse esiliato; un avventuriero, che il duca di Choiseul aveva quasi smascherato. Poco più anziano di lui, secondo il Generale aveva fama di essere un alchimista.
 
Ed infine c’erano le informazioni contenute nella missiva cifrata del Duca che avevano potuto tradurre solo al loro arrivo ad Istanbul, la sera prima, grazie alla chiave alfanumerica contenuta in una lettera sigillata consegnata loro da un inconsapevole Gerasimos.
 
Il Duca rivelava che il Conte di Saint Germain, Denis conte di Saint Germain[1], pareva che non fosse affatto un conte. E che il suo fosse un nome preso a prestito per viaggiare in incognito. “Sanctus Germanus”, “Santo fratello”, cadetto di una famiglia nobiliare importante, secondo alcuni. Il figlio illegittimo della Regina vedova di Carlo II di Spagna, secondo altri. Una spia, secondo il duca di Choiseul.
 
Musicista ed in particolare abile violinista, poliglotta, studioso di chimica e di storia, secondo Madame de Hausset che lo aveva conosciuto, amava stupire i suoi interlocutori:Ho molta memoria, e ho letto molto la storia della Francia. Talora mi diverto non a far credere, ma a lasciare credere, di avere vissuto nei tempi più remoti”.
 
Giunto a Parigi nel febbraio del 1758, aveva ottenuto da Abel Francois Poisson, Marchese de Marigny, direttore dei Bâtiments du Roi e fratello minore di Madame de Pompadour, il castello di Chambord per installarvi un laboratorio alchemico, promettendo a Luigi XV, la più ricca e rara delle scoperte mai compiute”.
 
Aveva aderito alla Massoneria, ed in quel castello i fratelli massoni gli avevano affidato un prezioso manufatto che generava una luce brillante che non bruciava, affinché lo perfezionasse. Il Conte invece l’aveva rubato.
 
Il Duca ne descriveva le sembianze, così come testimoniate da chi allora lo aveva conosciuto (strano che il Generale non avesse ritenuto utile fare altrettanto, si disse André): capelli neri e colorito bruno, tratti regolari.


Una descrizione non molto dettagliata. Ma poco somigliante al loro ospite: biondo, con gli occhi chiari e la pelle diafana.
 
Che quello che avevano incontrato fosse il Conte di Saint Germain, piuttosto che un Leopoldo Giorgio Rákóczi qualunque lo testimoniava solo la frase che era diventata una specie di parola d’ordine: Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona, la Principessa consorte del Principe di San Severo con il quale il Conte di Saint Germain aveva condiviso durante il soggiorno a Naples le sue informazioni sulla luce perpetua.
 
Ricordò che secondo Goethe il Principe di Sangro aveva scritto nel 1765 la Dissertation sur une lampe antique. "Peccato non averlo a disposizione", si dolse André.
 
Poi pensò alla biblioteca immensa in cui avevano atteso Rákóczi.
 
Si volse a guardare Oscar, che dormiva profondamente. Non voleva lasciarla sola, ma doveva cercare informazioni; la biblioteca poteva essere il luogo giusto e l’occasione era irripetibile, in quella notte quieta e strana.
 
Per un attimo pensò di svegliarla. Poi si lasciò intenerire dalle ombre scure sotto gli occhi stanchi di Oscar. Senza alcuna ragione, si era persuaso che quella dimora ed il loro ospite non fossero loro ostili. Scrisse un biglietto per Oscar, nel caso si fosse svegliata e non lo avesse trovato e si risolse ad uscire.
 
Con passo cauto ripercorse al buio i corridoi sconosciuti della dimora del conte, procedendo a tentoni, le spalle curve, tastando con le mani i muri freddi, per trovare e poi ritrovare la strada.  Un brivido percorse le sue ossa. Il buio lo soffocava. Eppure, mai ne era stato angosciato, prima di scoprire cosa fosse la cecità, una cecità parziale e passeggera, al suo occhio sinistro. Era tutto passato, eppure … Vacillò, cadendo a terra. Si riscosse e si rialzò.
 
Infine, riuscì a ritrovarla, la biblioteca. Mentre dischiudeva e poi richiudeva l’uscio alle sue spalle, le nuvole si aprirono sull’ultimo quarto di luna e poi si serrarono di nuovo, lasciando ad André appena il tempo di accendere una candela.
 
Iniziò a cercare fra i libri l’opera del Principe.
 
Poi un secretaire attirò la sua attenzione.
 
Il padre ebanista aveva insegnato ad André bambino i primi rudimenti di quell’arte. Con facilità fece scattare una serratura nascosta e vi trovò un fascio di epistole.
 
Iniziò a leggere la prima:
6 giugno 1761. Vi rispondo alla lettera del mese di aprile … La vostra lunga strada nel tempo sarà rischiarata dalla mia amicizia per voi anche nel momento in cui mi confidate i più terribili dei vostri segreti, rivelazioni sulla metà del XX secolo. Le immagini parlanti non avranno potuto conservarsi nel ricordo a causa del tempo. Possano le vostre meravigliose macchine volanti ricondurvi a me. Addio, amico mio. Voltaire, gentiluomo del re”.
 
Non capiva André. Ma era troppo assorto in quella lettura e non si accorse che la porta si apriva. Fu quando un refolo d’aria fece tremolare la fiamma della candela che di colpo si girò.
 
Il Conte lo aveva scoperto.
 
“Sedetevi, prego, Monsieur Preux.”
 
Restò in piedi e stava per parlare André, ma con un cenno della mano il Conte lo fermò.
 
Vedo che avete trovato la corrispondenza con Voltaire. O meglio con François-Marie Arouet. Usava uno pseudonimo, curioso vero?
 
Restò come in attesa di una reazione. Che non ci fu. Quindi continuò.
 
“Siete stati fortunati. Se le spie al mio servizio alla Corte della Sultana non mi avessero avvertito, domani sareste finiti nelle grinfie del Capo degli Eunuchi. Vittime innocenti ed ignare della nostra guerra clandestina per ottenere i favori della Sultana. O di suo figlio. Sarebbe bastato poco, in verità. Vi stavano seguendo ed il mio servitore avrebbe potuto fare poco se non ve ne foste accorti.”
 
Tacque ancora André, il Conte ritenne di proseguire.
 
“Voi non siete degli sprovveduti, e forse non siete neppure innocenti. Eppure, il destino sa essere crudele ed altrettanto generoso, talvolta. Voi credete al destino, Monsieur Preux?”
 
André, che in quel momento si angosciava di avere lasciato da sola Oscar, scosse la testa e fece per andarsene.
 
Ma il Conte lo prevenne. Girò la chiave nella serratura e l’infilò in tasca.
 
“So bene che potreste sopraffarmi, Monsieur, io non sono un uomo d’arme, ma noi due non siamo così diversi, sapete ...”
 
André si fece più vicino. Datemi quella chiave!”, ordinò.
 
“Il vostro contino sta bene, i miei servi e le mie guardie vegliano su questa casa.”
 
André esitò. Infine, desistette.
 
Avete mai pensato alle infinite possibilità che ci offre la vita? E non parlo delle possibilità come di opportunità. E nemmeno delle scelte, che ogni giorno consapevolmente compiamo. O almeno non solo di quelle. Decidere di attraversare la strada, mentre una carrozza impazzita sta svoltando l’angolo. Recarsi alla Messa domenicale in una chiesa sconosciuta ed incontravi l’amore della propria vita. Rinunciare all’ultima birra e tornare a casa un po’ prima e spegnervi in tempo un incendio. Oppure accettare un’ultima pinta e tornare a casa quando è troppo tardi.”
 
“Si chiama destino…”, rispose André.
 
Bene, allora … vedete … anche voi ci credete!
 
“Conte, io sono stato indiscreto e vi porgo le mie scuse. Ma ora vorrei tornare nelle stanze che ci avete generosamente assegnato. E vi ringrazio per averci offerto la vostra ospitalità. Ma non possiamo tornare in Francia a mani vuote, perciò …”
 
Sospirò il Conte. Si avvicinò al tavolino dove aveva posato il violino e ne sfiorò con le dita la tavola armonica. Poi disse:
 
Perché talora le scelte non sono nemmeno le nostre. E non possiamo farci niente.”
 
“Conte, consegnateci il lume perpetuo e tutto sarà finito. Vi dimenticherete di noi ed i fratelli massoni si dimenticheranno di voi!”
 
“E voi questo lo credete veramente?”
 
“Sì Conte, sarà così!” rispose André. Deciso di nuovo ad andarsene, per tornare da Oscar, a costo di sfondare a spallate quella porta. “E se fallissimo noi, arriverebbero altri, dopo di noi, per cercarvi.”
 
Ora il Conte stava accarezzando con le dita l’incavatura del violino. Come se fossero le curve sinuose di un corpo di donna.
 
André fremette, pensando ad Oscar.
 
“Qualche volta si vorrebbe tornare indietro. Per cambiare quello che è accaduto. Trattenere per le spalle chi sta per attraversare quella strada. Rovesciare quel boccale di birra…” sussurrò il conte, mentre una lacrima ne solcava la pelle pallida.
 
“Oppure non andare mai a Messa in quella chiesa sconosciuta, Conte, perché l’amore della nostra vita soffrirà per colpa nostra”, aggiunse André, abbassando mestamente il capo.
 
“Lo dicevo che noi due non siamo così diversi, Monsieur Preux. Quella cicatrice che avete sulla palpebra sinistra … ditemi, cosa vi è accaduto?”
 
Sfiorandola con le punta delle dita, André trattenne una smorfia. Ricordando che tutto era precipitato a partire da quella storia del Cavaliere nero e che ora Oscar rischiava la sua vita, perché lui non era stato in grado di proteggerla. Perché non l’aveva dissuasa da quel piano geniale ma rischioso di attirare il Cavaliere nero in una trappola spacciandosi per lui. Perché in fondo sapeva che quella caccia era iniziata perché lei temeva che il Cavaliere Nero fosse proprio lui. E voleva proteggerlo.
 
“Uno spiacevole incidente, nel corso di un allenamento.”
 
Siete un pessimo bugiardo, Monsieur”. Lo fissò per un istante.
 
Poi proseguì: “dobbiamo imparare dalle parole di Voltaire: non esiste male da cui non nasca un bene. Gli uomini giudicano ogni cosa senza conoscere nulla, ma non esiste il caso, tutto è prova, o punizione, o ricompensa, o previdenza [2].”
 
“Dunque, Conte, ci consegnerete quello che avete sottratto alla Massoneria?”
 
“Lo farò, ma non per codardia. Seguitemi.”
 
Un orologio a pendolo stava battendo le quattro.
 
* * *
 
 
Si era svegliata poco prima delle quattro e non l’aveva trovato. In bella vista aveva trovato l’appunto di André.Sono andato a cercare indizi in biblioteca. Sono le tre. Torno presto.”
 
André aveva indugiato scrivendo quelle poche parole. Avrebbe voluto aggiungereTi amo”.  Lei si sarebbe risentita, lo sapeva, se destandosi non l’avesse trovato lì; ed anche per il fatto che non l’avesse svegliata per il suo turno di guardia.
 
Percepì, Oscar, la mancanza di quel “Ti amo”. André aveva scritto al Colonnello, non alla donna amata. Pensò a quanto fosse difficile condividere la vita con lei. Sospirò e si ripromise di porvi rimedio.
 
Quindi accese una candela ed uscì, decisa a raggiungerlo.
 
Quella casa era un labirinto. Dopo aver percorso sicura un paio di corridoi, esitò, indecisa se svoltare a dritta o a manca. Aveva già stabilito che doveva dirigersi a destra, quando un lampo più intenso degli altri illuminò più in là, a sinistra, un’ala meno elegante della casa, dove le pietre grezze non erano state intonacate.
 
Incuriosita, decise di indagare. In fondo, un passaggio con una volta a crociera conduceva ad una rampa di scale a chiocciola, che scendevano giù, in direzione, forse, delle cantine.
 
Scese, finché una pesante porta ricoperta di piombo le sbarrò il passo. Rovistò nelle tasche alla ricerca di qualcosa per forzare la serratura. Tra le dita si ritrovò uno stiletto e sorrise compiaciuta. Armeggiò un po’, finché la serratura non cedette.
 
Quando cauta sospinse la porta, non credette ai propri occhi.
 
La porta si richiuse di scatto alle sue spalle.
 
* * *
 
 
Lentamente si avviarono fuori della biblioteca, e poi giù lungo una scala a chiocciola, verso le cantine.
 
Di fronte alla porta di metallo, il Conte si fermò interdetto, aggrottando la fronte.
 
Ad André parve di riconoscere un profumo. Ed un odore acido che lo sovrastava. Il suo cuore perse un battito.
 
Fu in quel mentre che la maniglia si abbassò, prima piano e poi sempre più bruscamente. Qualcuno stava cercando di uscire. Ma la serratura era bloccata.
 
Il Conte non fece in tempo ad estrarre dalla tasca la chiave, che André gliela strappò dalle dita. Girò la chiave nella serratura e spalancò la porta.
 
Oscar cadde esanime fra le sue braccia.
 
* * *
 
Non avrebbe dovuto avvicinarsi agli effluvi del marchingegno!”, sbottò il Conte, solcando con lunghe falcate, più preoccupato che adirato, il perimetro della stanza.
 
André, seduto accanto a lei che giaceva nel letto svenuta, le teneva la mano. Gli occhi di André non avevano più lacrime, mentre stringeva tra le sue mani la mano destra di Oscar, sempre più gelida. Il graffio del becco del corvo era divenuto vivido e rosso, come non era mai stato.
 
Non avrei dovuto lasciarti” le sussurrava. “Perdonami, ma ora sono qui, torna da me, Oscar”.
 
Oscar, da parte sua, non sapeva dove si trovasse. Aveva freddo, tanto freddo, intorno a sé un mare immenso e gelido, sferzato dal vento. Guardava al di sotto della chiglia di una nave, sporgendosi dalla murata. Cercava André, disperso fra i marosi, ma non riusciva a trovarlo. Stava per gettarsi a mare, per cercarlo, ma una mano calda la tratteneva. Si era voltata, ma non c’era nessuno.
 
Intanto il Conte li osservava, sforzandosi di capire. Un’anima giovane quella del contino. Solo un’anima giovane si sarebbe addentrata nel laboratorio, incurante dei pericoli nascosti. Un’anima giovane, che dunque si chiamava Oscar e non Jules.

Che usassero identità false lo aveva già intuito e non lo sorprese. Lo sorprese assai di più che quei due uomini si amassero, giacché il moro, angosciato, non faceva che mormorare parole d’amore.
 
Non si era mai abituato all’usanza, che lui riteneva abominevole, degli uomini turchi, che non potendo con libertà servirsi di donne pubbliche, si servivano di ragazzi, giacché quello non era punito. Ma la scena cui stava assistendo lo mosse a commozione. Quello era un amore puro.
 
Pensò a lei. Quanti anni erano trascorsi?
 
Si sentiva in colpa, il Conte, e fu con sollievo che accolse la notizia che il medico era arrivato. Un medico ebreo un po’ in là con gli anni. Fra i più abili, aveva spiegato presentandolo, mentre André, stravolto dal dolore, sollevava la testa.
 
“Oh sì, quest'uomo non si vergogna di piangere. Ha pianto tanto, seppure in silenzio. Ed è avvezzo a soffrire”, si disse il Conte.
 
“Aiutatemi a spogliarlo” ordinò il medico, “Ha respirato acidi, mi avete detto, devo auscultare i suoi polmoni”.
 
Si mise all’opera André, senza riflettere, e poi all’improvviso si arrestò, con uno sguardo gelido rivolto al Conte, che si stava avvicinando “Ci penserò io, uscite Conte!”
 
“Sciocchezze, siamo fra uomini!" rispose noncurante quello.
 
Era già successo. Tanti anni prima.
 
“Uscite Conte, per favore, Oscar è mia moglie.”
 
Sbigottito spalancò la bocca, come per domandare, ma desistette, uscendo in fretta, a testa bassa.Tutto. Questo spiega tutto ed anche di più”, considerò.
 
L’alba stavano ammantando di un velo rosato i minareti di Hagía Sofía, quando il vecchio dottore fece capolino dalla stanza.

“La contessa si  riprenderà”.
 
Era stata davvero una notte speciale.
 
Le hai guardate, le stelle, stanotte? / Per servirla, signoria. / E cosa t'hanno raccontato? / Gloriam Dei, signoria, gloriam Dei. / Tutto lí? / Come, signoria? (…) sua signoria non troverà mica che sia poco, la gloria di Dio?
 
(Raymond Queneau, I fiori blu)
 

[1] Crediti a Paul Charconac “Il Conte di Saint Germain”, 2007.
[2] Voltaire, Chaine des événements, La catena degli eventi.

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


The return of the Thin White Duke
throwing darts in lovers’ eyes
Here are we one magical moment
Such is the stuff from
where dreams are woven

 
(David Bowie, Station to Station)
https://www.youtube.com/watch?v=QymJI00mlSs
 
 
Le hai guardate, le stelle, stanotte? / Per servirla, signoria. / E cosa t'hanno raccontato? / Gloriam Dei, signoria, gloriam Dei. / Tutto lí? / Come, signoria? (…) sua signoria non troverà mica che sia poco, la gloria di Dio?
 
(Raymond Queneau, I fiori blu)
 
 “Vostra moglie si riprenderà”.
 
Questo il giudizio proferito dal vecchio medico, mentre riponeva i suoi strumenti in una logora borsa di cuoio.
 
“Bagnatele sovente le labbra con l’infuso di erbe che vi lascerò. E quando si risveglierà, fatele bere molta acqua”.
 
André le stava accarezzando i capelli. Sperando che finalmente si risvegliasse.
 
Il medico lo fissò “Non temete, si risveglierà, in questo sonno profondo il suo corpo sta trovando le risorse per curarsi. Avevo avvertito il Conte Leopoldo di fare più attenzione a cosa combina con quei suoi intrugli nel suo laboratorio. Non è la prima volta che succede, lui è rimasto intossicato, più di una volta. Talora si è anche ustionato. Ma tant’è ...tuttavia …”
 
Aveva esitato il medico, guardandolo severamente negli occhi.
 
“Tuttavia, un buon marito avrebbe più cura della sua consorte. Vostra moglie è esausta. Non so quali affari vi abbiano condotto fin qui, Conte. Ma vostra moglie è debole ed avrebbe bisogno di riposo”.
 
Aveva sgranato gli occhi André, rivolgendo poi il suo sguardo preoccupato ad Oscar che continuava a dormire. Stringendo più forte la mano sinistra di Oscar fra le sue si rese dolorosamente conto della sua menzogna. Lei non aveva la sua fede al dito. E lui non era un conte, ma solo un misero servo incapace di proteggerla.
 
Il medico allora aveva smesso il suo sguardo accigliato. Gli aveva poggiato una mano sulla spalla.
 
“Non dubito che provvederete a lei.”
 
“Darei la mia vita per lei.”
 
Poi André era rimasto solo, a vegliare su Oscar. Le aveva umettato le labbra con una spugna intrisa dell’infuso di erbe, tergendo poi il mento dalle gocce che sfuggivano scivolando giù verso l’incavo del collo.
 
“Svegliati, Oscar, torna da me” le aveva sussurrato accarezzandole la guancia con il pollice e l’indice.
 
Fu allora che Oscar aprì gli occhi. Pian piano. Come pian piano il mare si era calmato. L’acqua immota non tratteneva André nelle sue profondità. Nel sogno una mano gentile le sfiorò la guancia e lei si voltò e finalmente le vide, quelle iridi verde smeraldo che amava più della sua stessa vita.
 
“Bentornata, amore mio”.
 
Provò a parlare Oscar, ma la voce non veniva fuori, poi iniziò a tossire.
 
Shh, non ti sforzare”, le disse André sorridendo, mentre le porgeva un po’ d’acqua. “Hai respirato qualcosa di tossico nel laboratorio del Conte, ma ti riprenderai.”
 
Oscar socchiuse gli occhi cercando il fiato per parlare.
 
Mi sono svegliata, sono venuta a cercarti e poi ho deciso di scendere giù …”
 
“Ed hai trovato il lume.
 
Oscar annuì.
 
Sei riuscita nella tua missione, Oscar.”
 
“Ci siamo riusciti, André. Insieme.”
 
“Ora possiamo tornare a casa, Oscar.
 
Due lacrime iniziarono a scendere lente. Come cristalli brillarono sulle guance di Oscar.
 
Due lacrime gemelle furono trattenute dagli occhi di André.
 
Un medico ti ha visitato, mentre eri incosciente, ecco io …”, disse abbassando il capo,ho raccontato che eri mia moglie.”
 
Alzò lo sguardo e con i pollici asciugò quei cristalli salati sulla pelle della sua Oscar.
 
Oscar tacque per un istante. Poi allargò le labbra in un sorriso che arrivò fino agli occhi. Si tirò un po’ più sui cuscini e mentre André l’aiutava ne catturò le mani, stringendole fra le sue.
 
Non avrebbe mai potuto fare a meno di quelle mani. Tanto più grandi e salde e forti delle sue. Ma in quel momento tremavano.
 
Io sono, tua moglie, André.
 
Lui sgranò gli occhi incredulo.
 
Lo so cosa stai pensando…” Si fermò un attimo, per prendere fiato “sono diventata brava anch’io, sai, a leggere i tuoi pensieri.
 
Strinse più forti quelle mani. Che sapevano dispensare conforto. Da sempre. Senza la stretta di quelle mani, Oscar giovinetta non avrebbe trovato il coraggio di diventare un uomo. Senza il tocco di quelle mani non avrebbe trovato la forza di diventare donna.
 
So che stai pensando che la nostra è una unione impossibile. Ma troveremo il modo.”
 
Oscar, cosa ti ha chiesto il Duca d’Orleans”?
 
Oscar lasciò le mani di André. Strinse le dita sul lenzuolo, chinò il capo. Era giusto tenerlo ancora all’oscuro? Quella era la loro vita, non una semplice missione. Avevano trovato il lume, l’obiettivo era stato quasi raggiunto. Un tempo, la seconda condizione imposta dal Duca sarebbe stata solo affar suo. Fino a due mesi prima. Ora non più.
 
André le sollevò il mento, posò un bacio lieve sulle sue labbra.
Insieme possiamo affrontare qualsiasi cosa, lo sai. E poi tu sei il miglior spadaccino di Francia e direi che anche da queste parti non hai rivali. Il mio stile lascia un po’ a desiderare, come mi ha detto una volta Fersen, ma mi arrangio.”
 
Un sorriso spuntò sul volto di Oscar.
 
Inoltre se si tratta di fare a pugni mi difendo”. Portandosi la mano a massaggiare la nuca, proseguì:A parte le mestolate di nonna, non ho paura di niente!”
 
Ed allora risero. E pensò, Oscar, che quando rideva con André si sentiva felice.
 
Fu allora che lo baciò. Poi gli raccontò ogni cosa.
                                                                                       
 
* * *
 
Un’ora dopo, Oscar si era rimessa in piedi. Invitati a pranzo dal Conte, lo avevano trovato di buon umore.
 
“Leopoldo. Chiamatemi Leopoldo” insistette, mentre scostava una sedia per fare accomodare Oscar.
 
Alla luce del sole di maggio, offuscato appena da qualche nuvola passeggera, i capelli chiari del Conte parevano bianchi.
 
Un lungo tavolo di lucida quercia era riccamente imbandito, con pane lievitato, formaggi freschi, vassoi ripieni di verdure profumate di odorose spezie e scodelle piene di frutta succosa minutamente tagliata.
 
Ma io come dovrei chiamarvi?” chiese, mentre invitava i suoi ospiti a servirsi, “Visto che la contessa di sicuro non si chiama Jules!”
 
Oscar …”. Rispose lei. E Leopoldo si girò verso André. “Oscar non sono io … io sono André”.
 
Siete stupito, Conte Leopoldo? Mio padre mi ha cresciuto come un soldato e battezzato con un nome maschile.”
 
Oh, non mi stupisco più di nulla ormai. E prevedo che fra un paio di secoli sarà normale, che una donna si vesta come un uomo, per fare mestieri da uomo. Solo che non me l’aspettavo, anche se avrei dovuto capirlo ...”
 
Sospirò.
 
“… Sto invecchiando. Spero che il pranzo sia di vostro gradimento. Non troverete carne, io non mangio animali morti.
  
Non abbiano molto tempo. Dobbiamo tornare in Francia al più presto, conte Leopoldo”, disse André. Che nel cuore celava un’angoscia straziante.
 
“Volete il lume? E lo avrete. Pareva un mito, eppure funziona. Ne ha parlato Ovidio ...” disse, spezzando il pane.
 
Convincete vostra moglie a mangiare, André.”
 
André la guardò con infinita tenerezza e lei iniziò ad assaggiare un po’ di frutta.
 
“Secondo Ovidio, nella cupola del tempio da lui costruito, Numa Pompilio faceva ardere un fuoco eterno: Deae Vestae aedem consecravit, virginibus Vestalibus aeternus ignis erat[1]
 
Non ho visto fuochi ardere, nel suo laboratorio”, osservò cautamente Oscar.
 
“Se è per questo, il mio lume non è nemmeno eterno, né perpetuo. E non raggiunge nemmeno lontanamente l’efficienza mirabolante descritta dal greco Luciano, nel 150 dell’era di nostro signore. Mentre visitava Hierapolis, nella Siria settentrionale, i sacerdoti gli mostrarono un gioiello incastonato in una testa d'oro di Hera il quale emanava una grande luce, tanto che il tempio risplendeva come se fosse stato illuminato da una miriade di ceri. Luciano raccontò che gli occhi della divinità lo seguivano ovunque si spostasse. Luciano non ha fornito la spiegazione di quel prodigio: i sacerdoti si rifiutarono di rivelargliene il segreto.”
 
“Ho visto un’enorme ampolla di vetro e delle giare piene di una sostanza acida.”
 
“E vi siete avvicinata tanto da respirarne le esalazioni … Purtroppo non abbiamo ancora raggiunto la perizia e la sapienza degli antichi.  Plutarco scriveva di aver visto una 'lampada perpetua' nel tempio di Jupiter- Amon. I sacerdoti gli avevano assicurato che essa ardesse in continuazione da parecchi anni: né il vento né l'acqua avrebbero potuto spegnerla.”
 
“Quell’ampolla illuminava la stanza, come venti candele e più.”
 
Leopoldo sembrava perso in mondi lontani. Gli occhi, quegli strani occhi color acquamarina, per un attimo fissarono intensamente Oscar, e poi si mossero verso il cielo nuvoloso.
 
“Nel 1401 a Roma, sul colle Palatino, si scoprì la pietra tombale di Pallante, figlio di Evandro; sul capo del defunto era posta una lampada a fuoco perpetuo. Sant'Agostino descrive una lampada analoga da lui vista in un tempio di Venere, e lo storico bizantino Cedrinus afferma d'averne ammirata un'altra che da cinque secoli ardeva a Edessa.”
 
“Ho avvicinato una mano all’ampolla. Nessun fuoco bruciava, ma sfiorandola con le dita mi sono quasi scottata.”
 
André la scrutò preoccupato. Leopoldo proseguì.
 
Il mio non è un fuoco freddo. Nel 1601, descrivendo la città di Gran Moxo, nel Mato Grosso, Barco Centenera raccontò di una misteriosa isola al centro di un lago e di un tempio con una straordinaria torre, sulla sommità della quale una grossa luna illuminava tutto il lago con fulgore, disperdendo oscurità ed ombre di giorno e di notte. Quella luna, quella sì era una luce fredda, che non emanava calore, di nessun genere.”
 
“State parlando di miti e leggende, Leopoldo. Cosa c’è di vero, nel vostro marchingegno?” domandò seccamente André, che non aveva più voglia di stare ad ascoltare discorsi inutili.
 
Il Conte non fece caso al cambiamento di tono del suo ospite. “Il lume perpetuo presuppone che arda di un combustibile inestinguibile e nessun combustibile che noi conosciamo è inestinguibile. Il mio lume assomiglia di più a quello che vide Pausania, nel tempio di Minerva, nel 170: una lampada d'oro che dava luce per un anno senza che la si riempisse.”
 
“Dunque…?” intervenne Oscar.
 
“Dunque, ci abbiamo provato ad eguagliare gli antichi. Ma quello che abbiamo trovato, e che anche il Principe di Sangro sperimentò, migliorando il prototipo dei fratelli massoni, è un misero artificio, assai lontano dal prodigio che cercavamo … La cosa più difficile è stata mettere a punto la nuova fonte di energia, per renderla stabile e sicura.”
 
“Non mi sembra che sia molto sicura” ironizzò André.
 
“Già, vostra moglie se ne è accorta …”
 
“Ed i fratelli massoni lo sanno, che senza questo combustibile, il lume è inservibile?” chiese Oscar.
 
“Non vorrete portargli un lume spento, suppongo … non si accontenterebbero!”
 
Oscar lo fulminò con lo sguardo.
 
“Suvvia, l’ho capito benissimo. Il Duca d’Orleans non ha il coraggio di esporsi in prima persona. Non manda nemmeno uno dei suoi uomini di fiducia a stanarmi. Manda voi, che con tutto il rispetto, non sembrate all’altezza della sua malvagità. Perché?”
 
Leopoldo continuò.
 
“Invia voi due, sotto false identità. Forse vi ricatta?”.
 
Oscar e André tacquero. André avrebbe voluto urlare e tirare giù l’intero Olimpo.
 
“Bene, seguitemi allora! Vi cederò il marchingegno. Funzionante e completo dei disegni per replicarlo. Ma voi dovrete fare qualcosa per me.”
 
Cosa dovremmo fare?domandò André, che ora condivideva con Oscar il peso di un altro ricatto.
 
Lo saprete a tempo debito.”
 
* * *
 
Di lì a poco, scesero di nuovo nel laboratorio. Erano sottoterra, ma una luce ferma e brillante li accolse.
 
“Ecco vedete, la cosa più difficile è stato replicare e poi migliorare il prototipo ricevuto dai massoni. Che avevano come modello un manufatto antico, proveniente dalle sabbie del deserto egiziano.”
 
“Potrei restituirvi quelli”, aggiunse il Conte “ma non funzionano più.”
 
Davanti a loro videro una ampolla affusolata, della capacità di circa due litri. Non era possibile fissarla direttamente, perché la luce irradiata accecava. Come un sole.
 
Il Conte girò una leva e la luce si spense.
 
All’interno dell’ampolla, di vetro trasparente, era possibile vedere due fili sottili, come gli stoppini di una candela, ma assai più netti, e collegati fra loro da un filo ritorto, come un serpente.
 
I migliori maestri vetrai di Murano lo hanno realizzato per me. Per il Principe di Sangro avevano realizzato manufatti più piccoli, difficili da manipolare.”
 
André allungò le mani verso il vetro. “Attento, André, scotta!”, gridò Oscar, allontanandolo.
 
“Cosa vuoi che mi importi, Oscar…”, pensò André, “… mi butterei nel fuoco per te, se servisse.”
 
Dentro a questa ampolla ho dovuto creare il vuoto pneumatico. Con una pompa da vuoto come quella” spiegò il Conte indicando un angolo del suo laboratorio. “La lettura degli Acta Eruditorum è stata d’aiuto.”
 
Ma André non lo stava più ascoltando. Un paio d’ore erano passate dalla rilevazione di Oscar. Oscar sembrava la stessa di prima. Per quasi tre mesi si era sforzata di non pensarci. Forse si era abituata.
 
Per lui era stato così del resto. La ferita per quel suo amore impossibile aveva ulcerato le sue ossa, le sue vene, i suoi muscoli. Ma le cicatrici lo avevano reso più forte di prima.
 
La mia luce non si nutre di aria, non si nutre di quell’ossigeno di cui ha scritto una decina d’anni fa quel vostro connazionale, Lavoisier.”
 
“E non c’entra nulla il flogisto”, aggiunse Oscar.
 
André la guardò e sorrise. Forse essersi confidata con lui aveva alleviato la sua pena. Sperava fosse così. Lo sperava davvero, mentre il Conte continuava ad illustrare il suo marchingegno.
 
Ma lui avrebbe voluto spaccare tutto. Avrebbe voluto perdere la sua consueta pacatezza. Che ne sapevano gli altri, di quanto gli costasse essere tanto moderato e discreto, ragionevole e saggio?
 
Poi il Conte fece cenno ai suoi ospiti di avvicinarsi ad una vasca, dove giacevano dieci giare di terracotta, alte poco più di un metro. Le giare erano collegate con cavi di rame alla parte più sottile dell’ampolla, là dove iniziava la tana di quel serpente ritorto.
 
In una di quelle giare Oscar aveva guardato dentro, la notte prima.
 
Questa è la parte più delicata ed instabile del mio marchingegno. In verità un italiano, Alessandro Volta, ha inventato un apparecchio che servirebbe a ricevere ed accumulare in maniera più efficiente l’energia generata dalle giare.”
 
Oscar era sempre più confusa. In quelle giare c’era una sostanza acida. Non era olio, non era pece. Non bruciava ma … e poi per quanto fosse incuriosita non riusciva a smettere di preoccuparsi per André.  Lo guardava di sottecchi. Era stata egoista a rivelargli il secondo ricatto imposta dal Duca d’Orleans per la liberazione di suo padre?
 
Ho cercato di mettermi in contatto con lui, invano. Suppongo che ci penseranno i fratelli massoni
 
Con chi?” domandò André.
 
Siete insolitamente distratto, André. Parlavo di uno scienziato italiano, Alessandro Volta. Il suo condensatore di elettricità sarebbe utilissimo.”
 
Elettricità?” chiesero all’unisono i due.
 
Si, elettricità. La stessa forza che incendia i campanili delle chiese, che scuote la terra durante una tempesta, che disarciona i re tra i fulmini di un temporale.”
 
Oscar si avvicinò ad André. “Perdonami, André”, gli sussurrò all’orecchio “Perdonami per essere stata egoista.
 
In quelle giare sono racchiusi un cilindro di rame ed una barra di ferro, isolati fra loro. Sono immersi in una soluzione acida, e questa combinazione …”
 
Ma i due non lo ascoltavano più. André l’aveva abbracciata stretta. “Ma cosa vai pensando, amore mio, io non ti devo perdonare nulla, Oscar, ogni dolore, ogni ostacolo lo affronteremo assieme.”
 
genera una corrente elettrica …”
 
Oscar si alzò sulle punte ed iniziò a baciarlo.
 
che alimenta la luce nell’ampolla.
 
Il Conte spostò la leva, chiuse il circuito, e luce fu.
 
 
E’ un amore impossibile” – mi dici. / “E’ un amore impossibile” – ti dico. / Ma scopri che sorridi se mi guardi, e scopro che sorrido se ti vedo (*)
 
(*) Versi attribuiti al poeta Sesto Properzio, che avrebbe potuto dedicarli alla sua Cinzia, in una delle sue Elegie. Ma pare che non sia così.
 
 
 
 
Post scriptum: se qualcuno/a che si diletta di elettrotecnica, fisica, chimica, ingegneria, ha avuto la sfortuna di imbattersi in questo maldestro tentativo di spiegare come funziona una lampadina elettrica e come funziona una batteria è pregato di segnalare ogni sciocchezza che sono riuscita a scrivere.
 
 

[1] Consacrò un tempio alla divinità Vesta, le vergini vestali avevano l'eterno fuoco

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Do you remember a guy that’s been
In such an early song
I’ve heard a rumour from Ground Control
Oh no, don’t say it’s true


(David Bowie, Ashes to ashes)

https://www.youtube.com/watch?v=HyMm4rJemtI
 
 
E’ un amore impossibile” – mi dici. / “E’ un amore impossibile” – ti dico. / Ma scopri che sorridi se mi guardi, e scopro che sorrido se ti vedo (*)
 
(*) Versi attribuiti al poeta Sesto Properzio, che avrebbe potuto dedicarli alla sua Cinzia, in una delle sue Elegie. Ma pare che non sia così.
 
Quella luce nitida e ferma aveva di nuovo illuminato il laboratorio.
 
Era senza dubbio un’invenzione prodigiosa. E funzionava.Un po’ ingombrante", aveva considerato Oscar, che stava già ragionando su come potessero trasportarla, senza danneggiarla.
 
Ma cosa voleva in cambio il Conte Leopoldo?
 
Li aveva guardati, mentre si baciavano. Ora Oscar se ne vergognava un po’.
 
Leopoldo dal canto suo li aveva guardati sì, ma senza vederli.
 
Apparentemente troppo impegnato a mostrare il funzionamento del marchingegno, il suo volto era rimasto impassibile.
 
Ma in cuor suo pensava a lei. Dieci anni erano trascorsi dal loro ultimo bacio.
 
Del marchingegno non gli importava più nulla. Da lì a qualche anno, altri inventori sarebbero riusciti a perfezionare quel lume. Sapeva che Volta aveva già indicato la strada da percorrere e che l’energia elettrica avrebbe presto cambiato il mondo. Ma era altrettanto convinto che i Massoni non avrebbero potuto o voluto sfruttare la sua invenzione. L’avrebbero chiusa a chiave in qualche umido nascondiglio, dove sarebbe stata dimenticata.
 
Nonostante tutta la sua sapienza, non era riuscito a riportarla indietro, la sua Euridice.
 
Era quello l’unico pensiero che occupava i suoi giorni e tormentava le sue notti.
 
Le dita seguivano inquiete una melodia che risuonava solo nella sua testa. “Dove ho lasciato il violino?” si crucciò.
 
Domani le casse saranno pronte e voi potrete accontentare il Duca”, disse con quella sua voce baritonale e le labbra fatate, mentre risalivano le scale. “Come tornerete in Francia?”
 
* * *
 
In Francia, a Palais Royal, il Duca cercava di acquietare, riuscendoci a stento, la sensazione di profondo fastidio che il colloquio con quel giornalista, Bernard Chatelet, gli aveva procurato.
 
Il pregiato bordeaux che stava sorseggiando scese giù acido in gola.
 
In realtà quello Chatelet non aveva detto quasi nulla e non aveva chiesto niente di impossibile. Si era fatto portavoce del gruppo di giovani intellettuali che frequentavano il suo salotto e che volevano invitare a Parigi John Hancock. Un contrabbandiere più che uno statista. Anche se, a pensarci bene (e per un attimo un sorriso ironico piegò le sue labbra), una cosa non escludeva l’altra.
 
Ma non era per quello, che era stizzito.
 
Era stato il modo in cui Bernard Chatelet lo aveva guardato per tutto il tempo, dritto negli occhi, quasi volesse leggergli nella mente. Con un’insolenza che avrebbe punito volentieri passandolo a fil di spada.
 
E poi c’era che Oscar Francois de Jarjayes era in viaggio da quasi tre mesi ormai. Le ultime notizie la davano in partenza da Crètes a fine aprile. La lentezza con cui arrivava la posta dei suoi corrispondenti, che pure percorreva le rotte più veloci ed affidabili, per mare e per terra, lo esasperava.
 
Ma non era solo quello.
 
La notte prima, qualcuno aveva forzato i cassetti del suo secretaire ed aveva cercato di fare altrettanto con lo scrittoio. Nel secondo caso la lama si era spezzata senza che l’intruso riuscisse a recuperala. Nel primo caso i graffi che avevano inciso il legno erano la prova di un tentativo concluso con successo.
 
Ma lui non era tanto stolto da conservare lì i documenti importanti. Il suo contratto con il Duca di Germain era custodito altrove, nel più inviolabile dei forzieri.
 
Trecentomila livres: quello era  il prezzo che il Duca di Germain aveva pagato per la loro alleanza e per la carica esclusiva di Trésorier de France quando il Duca fosse assurto al trono. E, nel frattempo, per la mano di Madamigella Oscar. Per quanto questa clausola dell’accordo lo impensierisse non poco.
 
Non era una donna, quella, che si potesse sottomettere. Sarebbe stato auspicabile che il Duca di Germain rimanesse presto vedovo.
 
Perché Oscar Francois de Jarjayes sarebbe sempre stata una donna pericolosa, anche se confinata nella tenuta del Duca di Germain, svestita della sua carica e della sua uniforme (e si domandò, non senza trarne un fremito di piacere, se fosse tenera e serica, come si poteva intuire).
 
Rimpiangeva che fosse tanto fedele a suo cugino ed all’austrica. Una mente tanto arguta, che già in passato aveva intralciato i suoi piani, sarebbe stata utile nella sua ascesa al trono.
 
Già, ma oltre ad essere arguta, aveva fama di essere integerrima ed incorruttibile. Non faceva al caso suo.
 
Sarebbe stato più prudente farla uccidere da uno dei suoi sicari in quel di Costantinopoli, ma il Duca di Germain la voleva in moglie. 
 
Si era domandato perché il Duca di Germain ci tenesse così tanto ad impalmarla. Ed alla fine, un mese prima, spinto più dal disappunto che qualcosa gli sfuggisse che dalla curiosità, lo aveva chiesto proprio a lui, sfacciatamente.
 
Perché”, aveva risposto il Duca di Germain, rimirandosi la mano destra sfregiata dal colpo di pistola sparato in duello da Madamigella Oscar tanti anni prima, “qualcuno deve insegnarle qual è il posto delle femmine, in questo mondo”.
 
Quando era prigioniera nelle mie segrete, non avevate che da chiedere, amico mio. Eravate già lì”. Sorrise mostrando i denti e proseguì: “Sarebbe stata vostra. Completamente.
 
“Non mi sarebbe bastato”, replicò gelido il Duca di Germain, che sentiva ancora nelle narici il suo profumo, la sera del ballo.  “Voglio che sia mia di diritto, davanti al Re e davanti a Dio!“
 
Poi si avvicinò al compare, sussurrandogli all’orecchio: “Perché da lei pretenderò ubbidienza. E dovrà sottomettersi e tacere, quando la conoscerò.”
 
“Beh dovrete fare attenzione”, aveva ribattuto d’Orleans, sottraendosi a quella sgradevole vicinanza. “Anche quando sarà vostra moglie, non sarà facile domarla. Tuttavia ...
 
Tuttavia?”
 
Ha sempre intorno quel suo servo invadente
 
Quello consideratelo già morto”, sogghignò il Duca di Germain, agitando la mano come a scacciare un insetto molesto.
 
E qui sbagliate, amico mio”.
 
Un lampo di diabolica comprensione aveva acceso lo sguardo del Duca di Germain.  A quel ricordo il disappunto del Duca d’Orleans svanì, come neve al sole.
 
Non doveva preoccuparsi. Era solo questione di tempo.
 
* * *
 
Ora dobbiamo tornare a Phanári, Conte Leopoldo.”
 
André aveva dovuto ripeterlo una seconda volta, prima che Leopoldo levasse il volto per rispondergli. Si era seduto e fissava il suo violino. Sembrava perso.
 
Permettete?” chiese Oscar avvicinandosi allo strumento, per osservarlo meglio. Era un Guarneri di pregevole fattura, con le effe asimmetriche a donare una strana eleganza a quello strumento insolitamente solido e spesso.
 
Oscar afferrò con grazia il violino. Esitò un attimo, prima di posare l’archetto sul ponticello. Guardò il Conte, per cercarne l’assenso. Il Conte socchiuse gli occhi ed Oscar iniziò a suonare. J.S. Bach. Il concerto per violino in re minore.
 
Il Conte si abbandonò sullo schienale della bergère. Chiuse gli occhi e sorrise.
 
André la rimirò ammirato. Non importava che non ci fosse un secondo violino. Non voleva accompagnarla. Voleva solo ascoltarla.
 
Quando l’ultima nota si spense nella stanza ed Oscar ripose il Guarneri, fu il lieve rumore del legno che toccava il legno che li riportò alla realtà.
 
Il Conte Denis di Saint Germain, o forse Leopoldo Giorgio Rákóczi, o forse nessuno dei due infine parlò.
 
Avrebbe fatto imbarcare il carico su una galea fino a Tenedo, dove sarebbe rimasto in deposito in attesa che anche loro potessero ripartire. Potevano fidarsi. Avrebbe mantenuto la sua parola.
 
Cosa volete in cambio?domandò Oscar, il cuore che accelerava, temendo il peggio.
 
Tuttavia, André pareva calmo. Più calmo del solito. Più di quanto le circostanze non giustificassero.
  
“Nulla.”
 
Oscar interrogò con gli occhi André.
 
“Fate che il mondo si dimentichi di me.”
 
André lo scrutò serio.
 
“Ma vorrei che invece voi mi ricordaste.”
 
Oscar e André annuirono. Fecero un passo in direzione del Conte. André accennò un inchino.
 
“E  Voi ...proruppe a voce alta. “Non permettete che ve la portino via”.
 
* * *
 
Era ormai notte fonda, quando giunsero a Phanári. Il palazzotto era avvolto nel buio e stranamente silenzioso.
 
Un fruscio li fece voltare di scatto.
 
L’ultimo spicchio di luna calante fece luccicare il metallo di una lama.
 
E voi, segrete colpe, lacerate / I ricettacoli in cui siete rinchiuse / Ed implorate a gran voce il perdono /   Di questi spaventosi messaggeri. /  Io, più che un peccatore, sono un uomo /  Contro cui si è peccato.
 
 (William Shakespeare, Lear, atto III, scena II)
 

 

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


I dream of Amlapura
Never saw in all my life
a more shining jewel
I dream of Amlapura
Of an ocean or dream of a princess
in stone


(David Bowie – Tin Machine, Amlapura)
https://www.youtube.com/watch?v=2qCXUldOf1s
 
 
E voi, segrete colpe, lacerate / I ricettacoli in cui siete rinchiuse / Ed implorate a gran voce il perdono /   Di questi spaventosi messaggeri. /  Io, più che un peccatore, sono un uomo /  Contro cui si è peccato.
 
 (William Shakespeare, Lear, atto III, scena II)
 
Veloci e silenziosi si erano riparati dietro la recinzione diruta della casetta in legno che confinava con la residenza di Gerasimos Zervas.
 
Impugnate una pistola ed una corta sciabola, avevano atteso una mossa di chi, nascosto nell’ombra, sembrava lì in agguato ad attenderli.
 
Bisbigli indistinti, dalla cadenza stranamente familiare, provenivano dall’albero di albizia, dalla folta chioma ad ombrello, dietro il quale avevano visto baluginare l’inconfondibile luccichio di una lama.
 
Gli attentatori sembravano essere in due.
 
Con un balzo li avevano sorpresi.  E mentre André afferrava il primo alla gola, minacciandolo con la lama, Oscar aveva puntato la pistola alla tempia del secondo.
 
No no, …  bontà divina, siamo noi!”
 
Lazzaro e Domenico spiegarono che erano lì per avvertirli.
 
Il mattino dopo si erano risvegliati nella residenza dell'ambasciatore britannico Sir Robert Ainslie.
 
Buon dio, ci siamo salutati meno di tre giorni fa e qui a Pera non si fa che parlare di voi”.
 
Domenico e Lazzaro li avevano salutati così, presentandosi a colazione nei lussuosi appartamenti assegnati ad Oscar e André dall’ambasciatore britannico.
 
La notte prima si erano semplicemente precipitati lì, allontanandosi in fretta da Phanári a bordo di una piccola imbarcazione.
 
Oscar indossava un lungo caffettano azzurro che, di sicuro senza che lei lo volesse, faceva risaltare il blu dei suoi occhi, mentre André era tornato a vestire all’occidentale.
 
Ora era il tempo delle spiegazioni.
 
Perché mai vi siete recati al Palazzo del Saray-ı Cedîd-i Âmire ed avete incontrato il Capo degli eunuchi,  Kızlar Ağası?”, chiese severo Domenico.
 
Perché mai dovremmo dirlo a voi?”, obiettò piccata Oscar, fulminandolo con gli occhi.
 
Voi sapete perché noi siamo qui a Istanbul. Di voi non avete mai voluto rivelarci niente. Siete solo degli impostori, degli amanti clandestini, che si celano sotto false identità, e noi siamo stati tanto sciocchi da salvarvi!” sibilò Lazzaro, rosso in faccia, mentre la cicatrice ricordo dell’aggressione di Lorenza, ancora ben evidente sul lato sinistro del collo, sembrava pulsare con la carotide che si ingrossava.
 
Ve ne siamo riconoscenti, ma perché ieri notte ci aspettavate davanti alla casa di Gerasimos Zervas?”, replicò André.
 
Domenico sospirò prima di rispondere. Poi spiegò:Ieri sera c’è stato un ricevimento all’ambasciata veneziana. Qui a Pera è l’unica occasione per ricordarci che siamo europei. Tra gli invitati era presente André-Joseph Lafitte-Clavé.”
 
Oscar e André riconobbero quel nome.  Secondo le informazioni ricevuta dal Generale era un fedelissimo del duca d’Orleans.
 
“E’ un alto ufficiale del genio militare francese. Sta dirigendo i lavori di costruzione della nuova scuola di ingegneria turca istituita dal Gran visir Halil Hamid Pascià, parte del prezzo pagato dal vostro Re all’alleanza turco ottomana. Lo conoscete?”
 
Oscar ed André tacquero.
 
“Ebbene tra un bicchiere e l’altro ha raccontato che Kızlar Ağası, il Capo degli eunuchi neri e primo Guardiano del Serraglio, era furioso contro due gentiluomini francesi che aveva ricevuto al Serraglio e dovevano ripresentarsi a palazzo, ma poi erano spariti. Era alticcio ed ha parlato un po’ troppo. Farfugliava del fatto che pareva che uno dei due fosse una donna e si lamentava perché Kizlar l’aveva convocato pretendendo di sapere dove risiedessero. Ma se davvero erano francesi lui non ne sapeva niente e niente avrebbe voluto saperne, perché di certo l’alleanza franco ottomano non poteva infrangersi per l’imprudente insolenza di due folli”.
 
André ne dedusse con sollievo che probabilmente il Duca d’Orleans non l’aveva informato della loro missione.
 
“Abbiamo pensato subito a voi, ma poi è accaduto qualcosa che ci ha messo ulteriormente in allarme.”
 
Continuate”, gli intimò Oscar.
 
“Appena lo ha sentito parlare di voi, un danese, che secondo Sir Robert è una delle numerose spie al servizio di  Cezayirli Gazi Hasan Pascià, lo ha preso da parte. Forse voleva saperne di più.”
 
Hasan Pascià? Avete proprio detto Hasan Pascià?” chiese André.
 
Si André. Hasan Pascià”, confermò Lazzaro, aggrottando la fronte.
 
E’ lo stesso Hasan Pascià che avrebbe condotto l’inchiesta che ha incriminato Lorenza per l’incendio della casa paterna qui a Pera?” sussurrò Oscar, pensierosa.
 
“Una strana coincidenza, non credete?”, osservò André.
 
Non saprei … in fondo Hasan Pascià è il Grande Ammiraglio e non fa misteri di ambire al ruolo di Gran Visir. Perciò ogni intrigo del palazzo del sultano risveglia il suo interesse”, intervenne Domenico.
 
Si guardarono Oscar e André. Potevano rischiare e confidare loro che avevano conosciuto Leopoldo Rákóczi, il più fidato consigliere della sultana ed era stato per cercare lui che erano incappati nel Capo degli eunuchi neri? Oscar scosse impercettibilmente la testa e André stinse gli occhi. No.
 
Comunque”, proseguì Lazzaro, “A quel punto ci siamo preoccupati per voi. Anche gli inglesi hanno una estesa rete di spie e non è stato difficile rintracciarvi. Quando questa notte siamo arrivati a Phanári per mettervi in guardia, quel greco che vi ha ospitato stava lasciando in fretta e furia la sua residenza con tutti i servi al seguito. Voi siete arrivati poco dopo”.
 
“Just in time.”
 
Quattro paia di occhi si erano girati in direzione del nuovo arrivato.
 
Sir Robert Ainslie”, si affrettò Lazzaro,vi presento…”
 
“ Lady Oscar François de Jarjayes, Colonnello delle Guardie Reali di Sua Maestà il Re di Francia”, lo interruppe l’inglese, mentre con un inchino elegante catturava la mano destra di Oscar sfiorandone la punta delle dita con le labbra.
 
Accigliata, senza riuscire a celare il suo disappunto, Oscar aveva sottratto bruscamente la mano a quell’inatteso baciamano.
 
Lazzaro e Domenico, le bocche spalancate, si girarono verso André.
 
Suvvia, non dovete stupirvi, il mio Re non mi ha nominato ambasciatore per caso, vi pare? E quanto a voi Contessa”, proseguì il baronetto, apparentemente incurante dello sguardo gelido che Oscar gli rivolgeva,pensavo che foste una chimera, nel senso mitologico del termine, invece siete una splendida fanciulla, ed assai valorosa, mi dicono”.
 
Appena in tempo, avete detto, Sir?”, intervenne André, per evitare che quel discorso imboccasse sentieri impervi.
 
Già. Mi hanno appena informato che all’alba un drappello di guardie del Grande Ammiraglio ha accerchiato la residenza del povero Gerasimos Zervas, ma lui se ne era già andato, e voi pure … ma, perdonatemi, Voi sareste … ”
 
Lui è …” stava rispondendo Oscar, ma André la precedette. Con un inchino André rispose al posto suoAndré Grandier, l’attendente del Colonnello de Jarjayes”.
 
* * *
 
Più tardi, a pranzo, Oscar aveva dovuto tollerare la corte discreta, ma sgradita, di Sir Robert.
 
André era stato relegato a consumare il suo pasto giù nelle cucine assieme al resto della servitù.
 
Aveva spento con uno sguardo, stringendole furtivamente la mano, le proteste di Oscar.
 
Era preoccupato perché non capiva cosa volesse da loro il Grande ammiraglio. E cosa avesse spaventato il loro ospite Gerasimos, che pure doveva godere della protezione del Duca d’Orleans, a tal punto da indurlo a fuggire in piena notte. Come se non bastasse, i lasciapassare per tornare in Francia erano spariti assieme a lui.
 
Sir Robert Ainslie aveva fornito ai due italiani le informazioni ed i mezzi necessari a trarli in salvo ed ora anche un asilo sicuro. Cosa avrebbe preteso in cambio?
 
Come se ciò non bastasse, era in ambasce pensando alla situazione penosa in cui Oscar sicuramente si ritrovava, al cospetto di Sir Robert.
 
Sapeva che Oscar era abituata ai commenti indiscreti delle dame ed agli sguardi importuni dei cavalieri che frequentavano Versailles. Ne era immune, troppo orgogliosa per dare a vedere che ne era infastidita, troppo innocente per pensare di essere oggetto di pensieri indecenti.
 
Ma non era avvezza ad essere corteggiata e quel damerino inglese non nascondeva la sua ammirazione per una creatura così straordinaria come la sua Oscar.
 
La sua Oscar.
 
Che non era mai stata corteggiata in vita sua, nemmeno da lui.
 
Si scoprì geloso André, non perché dubitasse di lei, che mai quello sarebbe potuto accadere.
 
Riflettendoci con calma, ora che terminato il suo frugale pasto doveva solo attendere che lei finisse il suo, nemmeno nei confronti di Fersen aveva provato gelosia. Solo un profondo dolore per il tormento che lei si infliggeva per un amore non corrisposto ed un profondo disprezzo per l’ottusità dello svedese.
 
Si scoprì geloso del baronetto che poteva permettersi di corteggiarla, mentre lui era solo un servo.
 
Rivolse gli occhi in alto, due piani sopra, dove sapeva che Oscar, senza di lui, cercava di trattenersi dallo sfidare a duello il baronetto.
 
Si ritrovò a sorridere, concludendo che in fondo si preoccupava per nulla e che sarebbe stato Sir Robert ad avere la peggio.
 
Oscar, due piani sopra, stava sopportando con stoicismo le chiacchere di Sir Robert. “André saresti fiera di me”, pensò.
 
Non comprendeva cosa avesse indotto il baronetto ad essere tanto galante con lei. Nulla nel suo aspetto poteva attirare attenzione né tantomeno ammirazione, ne era convinta.
 
Vestiva quell’ampio caffettano, fresco e confortevole, ma per nulla femminile. Ed i suoi capelli erano ancora corti ed indisciplinati, con due ciocche ribelli che le incorniciavano il volto e le davano noia.
 
Trattenne un sorriso ricordando le dita di André che delicatamente accomodavano quei capelli ribelli dietro le orecchie, mentre i pollici indugiavano ad accarezzarle le guance. Lo aveva fatto anche quella mattina, prima di baciarle la fronte.
 
Se ne avvide Sir Robert, di quel sorriso nascosto, e fraintese. Le aveva appena detto che alla corte di re Giorgio III si favoleggiava di un colonnello donna che a Versailles proteggeva la Regina. Ma tutti l’immaginavano come una specie di amazzone, muscolosa e possente, e non come la creatura leggiadra che aveva davanti a sé.
 
Lady Oscar, vedo che sorridete alle mie parole. Me ne compiaccio”.
 
Tornò al presente Oscar. Rispose stirando le labbra e socchiudendo gli occhi. Due lame di gelido acciaio.
 
Siete in errore, Sir Robert. Non sono affatto leggiadra.  E potrei battervi in battaglia.”
 
Non si avvide, Oscar, che l’inglese trovava irresistibile la sua selvatica ritrosia.
 
Poi l’inglese aveva invitato Lazzaro e Domenico a precederli in biblioteca, per sorseggiare un buon digestivo alla mastiqua.
 
L’essenza preferita dalle schiave dell’harem”, aveva aggiunto, guatando di traverso Oscar, mordendosi le labbra.
 
Si era alzato e le aveva offerto il braccio. Ma Oscar aveva fatto finta di nulla, ignorandolo.
 
Non sono stata mai corteggiata”, si disse Oscar,nemmeno da André.”
 
Fu allora che il baronetto la trattenne per un braccio e sibilò: “Voi Francesi vi credete superiori. Avete armato i nostri coloni contro di noi. Ma il nostro Re è saldo sul trono. Per quanto tempo potrete dire lo stesso del vostro?”
 
Oscar non fece in tempo a reagire. In quegli istanti pensò che avrebbe voluto sfidarlo a duello, ma che André non avrebbe approvato.
 
“Sir Robert ho dimenticato quelle monete romane che volevo mostrarvi …”
 
Domenico, che sbirciava attraverso la porta, era tornato, provvidenzialmente, indietro.
 
Oscar capì che non potevano fidarsi e che da lì dovevano andarsene, in fretta.
 
 
* * *
 
A centinaia di miglia di distanza, dopo dieci giorni di navigazione sulle navi più veloci che il suo nuovo status di nobile contessa del Regno di Sicilia ed i mezzi del Grande Ammiraglio Cezayirli Gazi Hasan Pascià potessero procacciare, Alba era sbarcata a Palermo.
 
A Napoli le avrebbero confezionato abiti lussuosi, degni della Corte di Versailles. Avrebbe rispolverato le sue buone maniere, apprese a forza di schiaffi da sua madre.
 
Quello era il suo ultimo incarico, Hasan Pascià lo aveva promesso. Se la missione fosse riuscita avrebbe potuto vendicarsi di suo padre e poi avrebbe cercato lui. Ripensò a quel giorno sulla Santo Stefano.
 
A quella tazza ricolma di latte caldo che le mani gentili di André le avevano offerto.
 
Ripensò ad un’altra tazza. Ad una tazza di peltro per attingere l’acqua che aveva trovato sulla lancia di salvataggio dove si era nascosta. L’aveva capovolta e dopo aver letto il marchio della manifattura impresso sul fondo, si era convinta che quello fosse un segno del destino.  “Sant Laurenç de Var”. Laurenç. Lorenzo.
 
 
* * *
 
Erano arrivati ad Istanbul il sabato precedente. Ora era venerdì. Ma sembrava fosse trascorso un secolo.
 
Tre giorni prima avevano salutato gli amici italiani e ringraziato Sir Robert, che aveva dissimulato a stento la sua contrarietà.
 
Si erano lasciati alle spalle la Torre di Galata, allontanandosi da Pera via mare, su di un caìcchio a vela, diretti verso la riva asiatica. Avevano trovato una sistemazione a Kadi-Kioi, sulle rovine dell’antica Calcedonia, dove un turco dai mondi gentili aveva loro affittato una piccola casa di pietra.
 
Soli, in quel guscio grezzo, si erano di nuovo promessi amore eterno.  Non avevano fatto l’amore quella notte. Sapevano di non aspettare un figlio, ed era stato al tempo stesso un sollievo ed un sottile dispiacere. André l’aveva tenuta stretta a sé fino all’alba, respirandone il profumo fra i capelli scompigliati. Le sue mani avevano accarezzato a lungo i fianchi di Oscar, indugiando sulle curve tenere del suo corpo snello.
 
Si sentiva quasi felice André, se per un attimo riusciva a dimenticare che il ritorno in Francia era vicino.
 
Né lui né Oscar avrebbero sacrificato la vita o la libertà del Generale sull’altare del loro amore, ma non avrebbero ceduto al ricatto. Nessuno l’avrebbe portata via da lui. Dovevano solo escogitare un piano. Ci sarebbero riusciti.
 
Quando lei, destandosi, aveva aperto gli occhi, aveva scoperto che lui era già sveglio e le stava sorridendo.
 
Nei giorni successivi Istanbul li aveva travolti. Ed accolti.
 
Fortunatamente, con la fuga di Gerasimos non erano andate perse tutte le lettere di credito. Dopo essersi procurati a caro prezzo un paio di documenti contraffatti, avevano comprato un imbarco per Tenedo. Ma dovevano aspettare ancora qualche giorno prima che la loro galea salpasse.
 
Quel giorno il falsario avrebbe consegnato loro gli ultimi due lasciapassare, nei pressi della Moschea di Bajazet, dove avrebbero approfittato della confusione del selamlik, la parata del venerdì, quando il sultano si recava nella moschea a pregare.
 
Nelle folli corse dei giorni precedenti avevano guardato solo dritti davanti a loro. Ora mentre camminavano cauti, lenti e guardinghi, orientandosi fra strade e viuzze, per recarsi all’appuntamento, potevano ammirare la straordinaria potenza di quella città. Un organismo vivente che nasceva, cresceva e moriva, tra cortili e giardini, chioschi variopinti, minareti svettanti, moschee gigantesche, serragli e palazzi signorili, baracche fatiscenti, case in rovina, boschi di cipressi, burroni e tombe. [1]
 
La folla variegata di uomini e donne, di ogni religione e di ogni etnia, li aveva confusi. Abiti e turbanti sgargianti sciamavano per le strade. Il verde era tipico delle donne turche mussulmane, così come era verde il turbante dei nobili discendenti di Maometto. Le schiave negre portavano il volto coperto con una fascia che lo nascondeva fino agli occhi, ed un’altra fascia sotto il mento.
 
Tortore e colombe, storni e passeri, richiusi in gabbia, tubavano e gorgheggiavano nei mercati ed era un gesto di carità comune comprarli per poi liberarli. [2] Lo fecero anche loro, seppure consapevoli che quel gesto di carità fosse la causa e non il rimedio.
 
Il sultano passò a cavallo con il suo numeroso seguito. Oltre cinquecento persone, fra guardie, ciambellani, eunuchi bianchi e neri, a piedi, in carrozza o a cavallo. Il turbante del sovrano, tempestato di gemme, brillava al sole, così come le briglie, le staffe, i finimenti dei cavalli, d’oro e d’argento.
 
Oscar si ricordò di un’altra parata, di una giovane Delfina impaziente di visitare Parigi. Di un attentato sventato con l’aiuto di André. Loro due. Sempre loro due. Insieme. Erano passati quasi quattordici anni da quel giorno, l’8 giugno del 1773. André già la amava. E Lei?
 
Non lo sapeva, ma sapeva che non ci sarebbero mai stati altri uomini oltre ad André. Nessun altro avrebbe mai potuto permettersi di accarezzarle le labbra con i pollici, di accomodarle le ciocche ribelli dietro le orecchie.
 
Nessun altro l’avrebbe mai potuta stringere in un abbraccio che sapeva di buono, fresco e tiepido, lieve e forte.
 
Davanti alla Moschea di Bajazet, mentre il sultano stava entrando a pregare, Oscar strinse forte la mano di André.
 
Poi un colpo di pistola. Un lamento. Le tenebre.
 
Sono tutto ciò che è stato, tutto ciò che è, tutto ciò che sarà, e nessun mortale (finora) ha sollevato il mio velo (*)
 
(*) Jorge Luis Borges - Adolfo Bioy Casares  - Racconti brevi e straordinari – La Statua
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

[1] “È un disordine, una confusione d’aspetti disparati, un succedersi continuo di vedute imprevedibili e strane, che dà il capogiro. Andate in fondo a una strada signorile, è chiusa da un burrone; uscite dal teatro, uscite dal teatro, vi trovate in mezzo alle tombe; giungete sulla sommità d’una collina, vi vedete un bosco sotto i piedi, e un’altra città sulla collina in faccia; il borgo che avete attraversato poc’anzi, lo vedete, voltandovi improvvisamente, in fondo a una valle profonda,
mezzo nascosto dagli alberi; svoltate intorno a una casa, ecco un porto; scendete per una strada, addio città! siete in una gola deserta, da cui non si vede altro che cielo” – Edmondo De Amicis, Costantinopoli, 1877.
[2] Lazzaro Spallanzani, Viaggio in Oriente.

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Breve riassunto, ma non troppo, dei capitoli precedenti (1-36). E di seguito il nuovo capitolo
 
Siamo alla fine di febbraio del 1787. Mentre André giace incosciente in preda alla febbre dopo essere stato ferito all’occhio sinistro dal Cavaliere Nero, Oscar cade prigioniera del Duca d’Orleans. Messa insieme frettolosamente una missione di salvataggio con l’aiuto di Girodelle e di Fersen, purtroppo anche André viene catturato. I due sono falsamente accusati di avere tramato con i De la Motte nella truffa della collana e di averne provocato o simulato la morte a Saverne.  André è accusato anche di essere l’autore dei crimini del Cavaliere nero, su commissione di Oscar. Le guardie del Generale Bouillé, in combutta con il Duca d’Orleans ed il Duca di Germain, scoprono il nascondiglio della refurtiva del falso Cavaliere Nero (non ancora restituita!) e tra i preziosi trovano “casualmente” alcune gemme della collana dello scandalo. A causa di queste false prove, una lettre de cachet colpisce Oscar ed il Generale suo padre e quest’ultimo viene imprigionato alla Bastiglia. Per restituire la libertà a suo padre e l’onore alla famiglia, Oscar dovrà accettare di compiere una missione per il Duca d’Orleans, rintracciando a Costantinopoli il misterioso Conte di Saint Germain, reo di avere sottratto alla Massoneria, di cui il Duca d’Orleans è il Gran Maestro, un bene preziosissimo e misterioso assai.

Oscar e André viaggeranno sotto false identità: il giovane Conte Jules de Saint in viaggio per il Grand Tour, assieme al suo precettore, Monsieur Jacques Preux. Il duca vuol farsi beffe di loro ed evidentemente ha letto Rousseau e la Nuova Eloisa. Fortunatamente André, che ha protetto l’occhio ferito con una benda nera, non perderà la vista.

Raggiungono quindi il porto di Marsiglia e salpano con la Misticque, uno sciabecco al comando del Capitano Maule, che fa il suo primo scalo a Genova. Sul vascello fanno amicizia con un vecchio timoniere, il ligure Goerso, e si guadagneranno la riconoscenza dell’intera ciurma quando durante una burrasca, l’agilità di Oscar (le petit singe) salverà la nave dal naufragio.

A Napoli fanno conoscenza con Gaetano Filangieri ed incontrano il contatto indicato dal Duca d’Orleans, Johann Philipp Möller alias Johann Wolfgang von Goethe, impegnato in incognito nel suo viaggio in Italia.  Appartiene anche lui alla Massoneria ed è stato incaricato di fornire loro le informazioni che si è procurato per rintracciare il Conte di Saint Germain. Ma dopo avere scoperto l’identità di Oscar e la loro storia decide di aiutarli. Farà in modo di recapitare la loro corrispondenza al Generale Padre e a Fersen (sic!) e racconta loro del Conte di Saint Germain, del Principe di Sansevero Raimondo di Sangro e della loro prodigiosa invenzione, un lume perpetuo. Il Conte si nasconde alla corte del Sultano Abdül Hamid I, sotto le mentite spoglie dell’ungherese Leopoldo Giorgio Rákóczi. 

Lentamente, Oscar prende coscienza dei suoi sentimenti verso André. Ma come sempre li ignora e tace, anche perché è tormentata dal ricordo di quanto successo la notte dopo il ballo con Fersen (sic!) e da un secondo ricatto imposto dal Duca d’Orleans.

E’ il 26 marzo 1787. Oscar e André riprendono il loro viaggio verso Costantinopoli e fanno conoscenza di due nuovi compagni di viaggio, Lazzaro Spallanzani e Domenico Sestini, due studiosi impegnati, si scoprirà poi, per conto dei Cavalieri di Malta, a scovare le tracce di un manoscritto antico che dovrebbe rivelare i segreti di una misteriosa luce inestinguibile (pure loro!).

Nel frattempo, a Parigi, il vero Cavaliere Nero, Bernard Chatelet, conosce Rosalie Lamorlière e se ne innamora. Per amor suo, inizia ad indagare sulla sorte di Oscar e André.

Ma dopo essere salpata da Messina, mentre è diretta a Malta, la Mistique viene assalita dai pirati barbareschi. Nonostante la coraggiosa difesa della ciurma e di Oscar e André (che uccide il loro capo), i pirati hanno la meglio. Con l’aiuto di Goerso, André nasconde Oscar per salvarla dai pirati; mentre, contro la sua volontà, la chiude sottochiave, le confessa il suo amore.

I pirati saccheggiano la nave e rapiscono André, Spallanzani, Sestini, il Capitano e tutta la ciurma per venderli come schiavi.
Rimasta sola sulla nave, con Goerso ed i feriti, Oscar si prodiga per aiutare tutti, decisa a salvare André. Arriva quindi a Malta, dove spacciandosi per il precettore che deve salvare il suo contino, ottiene l’aiuto del Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, Sua Altezza Eminentissima Emmanuel de Rohan-Polduc, che a sua volta vuole assicurarsi che anche Sestini e Spallanzani possano proseguire la loro missione.

Armato un veloce brigantino, il Santo Stefano, sotto il comando del burbero Capitano Zane, giungono al mercato degli schiavi di Tripoli, dove grazie all’intercessione di Padre Miguel de San Rafael dell’Ordine dei Frati Trinitari, riescono a liberare André e tutti gli altri pagando un lauto riscatto.

Una volta in salvo sulla nave, Oscar confessa ad André di amarlo (ed era ora: siamo al 16° capitolo!). E bacio (pubblico) fu.
Il Rais Henel Alvagi contrariato per il riscatto di tutti quegli schiavi da parte di Frate Miguel, attacca la Santo Stefano che usando i cannoni a mitraglia mette fuori gioco lo sciabecco del Rais. Quest’ultimo vede Oscar e André sul ponte mentre la Santo Stefano veleggia verso la salvezza e giura vendetta (e ti pare ..)

Sulla nave, mentre sono di ritorno verso Malta, Oscar confida ad André cosa l’avesse sconvolta, dopo il ballo con Fersen: un’ignobile aggressione da parte del Duca di Germain, che solo la confusione generata dalla folla accorsa ad assistere ad uno spettacolo di fuochi d’artificio aveva interrotto. André ripromette a se stesso di vendicarsi uccidendo il Duca di Germain.

Nel frattempo, il Generale Padre e Fersen (sic!) ricevono le lettere spedite tramite Goethe.

Tornati a Malta non fanno in tempo a rilassarsi, perché la Mistique, al comando di Maule, nottetempo leva l’ancora senza di loro. Fortunatamente (e dietro lauto compenso) il capitano Zane accetta di condurli a Costantinopoli con la nave sua.

La combriccola (Zane, Sestini, Spallanzani, Goerso, Oscar e André) prosegue il suo viaggio nel Mediterraneo in direzione di Costantinopoli.

Cullata dal rollio della nave, in mezzo al mare, finalmente, al 20° capitolo, Oscar capitola.

Ma non possono stare tranquilli. Il Capitano Zane scova un clandestino. Il Capitano vorrebbe buttarlo a mare (o quanto meno sbarcarlo alla prima occasione) ma Oscar e André (naturalmente) si oppongono. Scoprono che in realtà è una fanciulla e decidono di proteggerla. Lei se ne sta zitta, taciturna e fosca, rivela solo il suo nome (Lorenza ?) e li ripaga spiandoli la notte (!).

A Creta, possedimento ottomano, fanno conoscenza del successivo contatto, il mercante francese Monsieur Fabre che consegna loro i documenti per proseguire il viaggio ed arrivare alla corte di Rabi'a Semi Sultana, la madre del sultano (presso la quale presterebbe i suoi uffici Leopoldo Giorgio Rákóczi, alias conte di Saint Germain).

Nel frattempo, Lorenza sbarca di nascosto dalla nave e si caccia nei guai, finendo prigioniera nella caserma dei giannizzeri dove si era diretta per ragioni (per ora) sconosciute. Ma Lazzaro Spallanzani l’ha seguita e con il capitano Zane la porta in salvo sulla nave, mentre Oscar e André ingaggiano un duello con gli inseguitori. Levano le ancore ed in tutta fretta abbandonano Creta in direzione di Rodi.

I due raccontano la loro storia d’amore a Lorenza, incoraggiandola a confidarsi. Inutilmente. Il giorno dopo Oscar decide di tagliarsi i capelli, temendo, dopo il duello con i giannizzeri, che la sua lunga chioma possa tradirli. Lorenza finisce chiusa a chiave.

A Rodi una donna misteriosa si mette a fissare André sussurrando la parola Mu'  aqq  ib (angelo protettore) ed incanta Oscar che ha una visione di solitudine e  morte, a Parigi, fra il fumo dei cannoni. Ne esce sconvolta e promette a se stessa che non l’avrebbe permesso mai (la morte di Andrè …).

Intanto a Versailles, Fersen fraintende tutto (sic!) e scrive ad Oscar che forse potrebbe amarla (bontà sua).

Lorenza decide di raccontare la sua triste storia ed Oscar e André le credono: figlia trascurata di un ricco mercante genovese che per sfuggire ad un matrimonio imposto ed al convento aveva deciso di raggiungerlo a Pera (Costantinopoli), dove quello si era definitivamente stabilito. Ma sbarcata a Creta, per difendersi da un’aggressione, aveva accoltellato un uomo e cercando di sfuggire alle guardie, aveva incontrato un giovane giannizzero, Altan, divenendone l’amante.

A Versailles, Maria Antonietta, informata da Fersen della missione di Oscar, medita come aiutarla senza insospettire il Duca d’Orleans. Sa bene che è Oscar la misteriosa contessa straniera con la quale Fersen ha danzato qualche mese prima e decide che solo un matrimonio può salvare Oscar (ma quale matrimonio? Fra chi?).

Giunti a Chios, Lorenza aggredisce Lazzaro Spallanzani e gli ruba i documenti e gli studi sul prodigio della luce inestinguibile e sul manoscritto di Padre Mechitar di Sebaste che lui e Domenico avevano faticosamente collazionato. Dopo di che, puf, sparisce.

Il giorno prima, aveva raccontato ad Oscar il resto della sua storia, l’inspiegabile tradimento di Altan, che tradotto in catene prigioniero dei suoi stessi compagni, l’aveva accusata di essere un ‘jinn’, un demone, mentre lei cercava di liberarlo.
Ma a Chios scoprono che Lorenza in realtà potrebbe chiamarsi Alba (ed Altan vuole dire Alba rossa) e che potrebbe essere una feroce assassina che ha appiccato il fuoco alla dimora paterna, uccidendo tutta la nuova famiglia turca di suo padre, Gerolamo Rebuffo, ricco mercante genovese stabilitosi a Pera. Che l’inchiesta condotta dal Grande Ammiraglio Cezayirli Gazi Hasan Pascià ne ha decretato la condanna, ma che lei è svanita nel nulla.

In realtà Hasan Pascià l’ha salvata, facendone una spia al suo servizio. E come tale stava spiando Spallanzani e Sestini, incaricati dal Gran Maestro dell’Ordine di Malta (suo acerrimissimissimo nemico) di cercare notizie sulla famosa luce inestinguibile, a cui anche i Massoni stanno dando la caccia (!!!); tanto più che alla corte del Sultano si mormora che un ungherese, il più fido consigliere di Rabi'a Semi Sultana, la madre del Sultano, sia in possesso di informazioni importanti riguardanti lo stesso prodigio ... Ora Hasan Pascià sa pure che a bordo di quella nave viaggia anche Oscar François de Jarjayes, colonnello donna agli ordini del Re di  Francia. Mentre medita su come sfruttare tutte queste informazioni, spedisce Lorenza/Alba a fare danni a Versailles.

Il viaggio prosegue, i nostri arrivano a Limnos dove c’è posta per loro: dal Generale Padre (bene) e da Fersen (sic!). Arrivati a Tenedo, devono abbandonare la Santo Stefano ed il suo equipaggio (compreso Goerso che starà li ad aspettarli, si intende) per proseguire il viaggio su una galea turca fino ad Istanbul.

In compagnia di Sestini e Spallanzani il 12 maggio arrivano ad Istanbul. Ma mentre ammirano la città che si staglia all’orizzonte con i suoi minareti e le sue moschee, un corvaccio becca la mano di Oscar (uffa).

Ad Istanbul alloggiano nel quartiere greco di Phanári, presso il mercante Gerasimos  Zervas, l’ultimo della rete di contatti messa in piedi dal Duca d’Orleans. Oscar e André si organizzano per cercare al Gran Serraglio il conte di Saint Germain, alias Leopoldo Giorgio Rákóczi , sanno (da Goethe) che la “parola d’ordine” per farsi ricevere è presentarsi a nome della (defunta) moglie del Principe di San Severo (Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona).

Ma per accedere a Corte devono passare dal “Kızlar Ağası”, il "Maestro delle Fanciulle", l'Eunuco a capo dell'Harem, un tipetto abbastanza permaloso, come vedremo, che intuisce che Oscar è una donna, prende tempo e li fa seguire.

In loro aiuto accorre però proprio il misteriosissimo Leopoldo Giorgio Rákóczi, che li fa condurre nella sua dimora dove, dopo una straordinaria notte nella quale non riescono a capire chi sia veramente il quarantenne (che dovrebbe essere un settantenne) che li sta ricevendo (ma di certo è un sublime violinista!), e nella quale l’imprudente Oscar rischia pure di morire intossicata dagli effluvi della mitica luce perpetua…ebbene dove ero rimasta ecco infine Leopoldo (chiunque lui sia mi affascina assai, dato che André è un po’ impegnato…), cede loro l’invenzione (un prototipo della  lampadina, anzi una lampadona tipo Dendera con una batteria tipo pila di Baghdad) e promette pure di imballargliela con tanto di manuale di istruzioni e di spedirla a Tenedo (A**z*n levati proprio…).

Nel frattempo, merito forse degli effluvi del marchingegno (o forse ha ripensato con raccapriccio alla proposta di Fersen?), Oscar rileva finalmente ad André che la seconda condizione imposta per la liberazione del Generale Padre è un matrimonio con il Duca di Germain: non tra André ed il Duca, e nemmeno tra il Duca e Fersen (anche se riflettendoci sopra….), ma tra Oscar e il Duca di Germain (ahia).

Salutano Leopoldo e se ne vanno.

Tutto finito? No. Qualcuno è ancora sulle loro tracce. Domenico e Lazzaro intuiscono in occasione di un ricevimento all’ambasciata veneziana che qualcuno li sta cercando (Kızlar Ağası, il capo degli eunuchi) e li portano in salvo presso la dimora dell’ambasciatore inglese, Sir Robert Robert Ainslie, un tipo che vorrebbe essere affascinante come Leopoldo ma non ci riesce, corteggia Oscar, non si fa gli affari suoi e rivela a Lazzaro e Sestini la sua vera identità: Lady Oscar…. e riceve immancabilmente un due di picche (nessuna sfida a duello: gli é andata bene!).

I nostri eroi apprendono che anche il Grande ammiraglio Hasan Pascià (vi dice qualcosa?) si sta interessando a loro e decidono che è meglio levare le ancore al più presto, ma l’asilo presso Gerasimos  Zervas è bruciato, lui stesso ha deciso di prendere il largo per un po’con tutto il suo seguito e con i documenti e lasciapassare di Oscar e André. Devono procurarsene clandestinamente di nuovi.

Ah….nel frattempo Alba è sbarcata a Palermo … qualcuno ha forzato il secretaire del Duca d’Orleans ed abbiamo appreso a quanto ammonta il prezzo che pagherà il Duca di Germain per la sua scellerata alleanza con il duca d'Orleans.

Siamo arrivati al 18 maggio 1787. Ora Oscar e  André si trovano nella piazza davanti alla Moschea di Bajazet.

La folla sta aspettando il Sultano che con tutto il suo corteo sta arrivando per il selamlik, la parata del venerdì.

Loro stanno aspettando  il falsario che dovrà consegnargli gli ultimi lasciapassare

Ma poi uno sparo squarcia l’aria.

* * * * * * *
 
 
 
 
One thing kind of touched me today
I looked at you
And counted all the times we had laid
Pressing our love through the night
Knowing it’s right, knowing it’s right


(David Bowie, We are the dead)

https://www.youtube.com/watch?v=CUflIrTSwK8
 
 
 
 
Sono tutto ciò che è stato, tutto ciò che è, tutto ciò che sarà, e nessun mortale (finora) ha sollevato il mio velo (*)
 
(*) Jorge Luis Borges - Adolfo Bioy Casares  - Racconti brevi e straordinari – La Statua
 
La testa doleva. Il cuore palpitava impazzito. Gli occhi si aprirono lentamente, feriti dalla luce che filtrava tra le inferriate di una finestra. “Una finestra? Perché una finestra?”, si interrogò con sgomento.
 
Erano all’aperto, davanti alla Moschea di Bajazet, fra la folla che aspettava il Sultano. Quello ricordava.
 
Stava sognando forse? Fra le dita della mano percepì l’assenza di un’altra mano.
 
Si sollevò di scatto. Cercò di alzarsi in piedi. Ma una catena serrava la caviglia sinistra.
 
Si tastò la testa dove bruciava una ferita.
 
Ricordò lo sparo, ricordò il dolore. Urlò quel nome che riempiva il suo cuore.
 
Impossibile farsi forza se non si conosce il destino dell’altro. Che altro non era più. Che altro non era mai stato.
 
“Sei tu, tutto quello di cui ho bisogno. L’unica ragione di essere.”
 
Il cuore mancò i battiti.
 
“Dove sei?”
 
***
 
Le mani si erano scorticate a furia di battere i pugni contro la porta della cella. La gola doleva da quanto aveva gridato il suo nome.
 
Qualcuno li aveva seguiti ed aveva sparato contro di loro. Un colpo solo. Perché poi la folla spaventata aveva incominciato a correre impazzita da tutte le parti.
 
Ricordò la calca. La carica delle guardie a cavallo che temevano un attentato al sultano.
 
Ricordò le mani intrise del suo sangue mentre incosciente giaceva a terra fra le sue braccia.
 
Ricordò che le aveva portate alla bocca, quelle mani lorde di sangue, per soffocare un grido di disperazione.
 
Si malediceva. Non aveva fatto niente, dannazione. Niente! Incapace di reagire a tanto strazio, immobile sul selciato della piazza davanti alla Moschea di Bajazet, in ginocchio.
 
Incapace di accorgersi che il loro sicario li aveva raggiunti. E non era solo.
 
Impossibile sopravvivere al dolore. Gli occhi bruciano, è impossibile persino piangere.
 
“Sei tu al centro del dipinto della mia vita. In piena luce. O splendente nella penombra, onnipresente.”
 
Il respiro si spezzò.
 
“Dove sei?”
 
***
 
“Se va avanti così non ci sarà più merce da barattare”.
 
Cezayirli Gazi  Hasan Pascià  non sembrava curarsi delle preoccupazioni dello Kızlar Ağası, il Capo degli eunuchi neri. Alla fine, aveva stretto con lui un accordo assai vantaggioso.
 
Gli aveva servito uno dei due francesi, malconcio ma vivo, su un piatto d’argento.
 
Il Capo degli eunuchi non aveva creduto ai suoi occhi quando attraverso la grata della cella aveva riconosciuto il francese più piccolo, quello biondo. Era una donna, non c’era da dubitarne, ora che lo strappo sul caffettano che indossava lasciava intravedere una clavicola esile ed una spalla morbida e rotonda imbrattata di sangue.
 
E’ ferita?” domandò, mentre in cuor suo malediceva la mutilazione che non aveva cancellato il desiderio, ma solo il potere.
 
Cezayirli lo aveva invitato nelle sue segrete presso la torre ovest della Fortezza di Yedikule, sede del suo ammiragliato, per mostrargli la merce. Un’esotica preda di cui omaggiare il Sultano, in cambio del suo aiuto contro Koca Yusuf Pascià, il Gran Visir che voleva spodestare.
 
L’Ağası lo aveva fissato a lungo. Cezayirli aveva più di settant’anni, era già Kapudan Pascià, Grande Ammiraglio, ma la sua smisurata ambizione pareva non soddisfarsi mai.
 
Aveva omesso, Cezayirli, di informarlo che quella donna bionda era anche un colonnello dell’esercito di Sua Maestà il Re di Francia.
 
Dal canto suo, l'Ağası sapeva bene che in Georgia o Circassia avrebbe potuto trovare, per l’harem del suo Sultano, femmine dai capelli biondi o fulvi, altrettanto belle ed assai più giovani. Ma quella donna aveva nello sguardo una risolutezza fiera che avrebbe acceso la fantasia del Sultano. E poi aveva osato ingannarlo.
 
Naturalmente”, aggiunse Cezayirli, nessuno dovrà essere a conoscenza del mio piccolo favore”.
 
Per un attimo l'Ağası dubitò della bontà di quell’accordo.
 
Per un lungo istante Cezayirli temette di essere stato troppo audace.
 
Ma poi l'Ağası rammentò con rabbia che quella donna aveva cercato di farsi beffe di lui. Doveva essere punita. Quindi annuì e replicò:I corsari barbareschi commerciano in schiavi ed è notorio che io compro da loro le schiave più belle. Così sia”.
 
Cezayirli sorrise sornione. Quando a Versailles si fosse saputo che un nobile Colonnello dell’esercito di sua Maestà era stato ridotto in schiavitù nel Gran Serraglio, solo il suo intervento avrebbe potuto salvaguardare l’alleanza del Giglio e della Mezzaluna. Ed allora sarebbe stato ricompensato.
 
Ma se continuava ad urlare e battere i pugni in quel modo la merce si sarebbe rovinata. Forse su quello il Capo degli eunuchi aveva ragione.
 
“No, quel sangue non è il suo”.
 
Porse le chiavi della cella all’eunuco e si dileguò.
 
 
* * *
 
Cezayirli Gazi Hasan Pascià era oltremodo soddisfatto.  Ai suoi piedi il leone che aveva addomesticato si leccava una zampa. Cezayirli socchiuse gli occhi.
 
Era abile ad ammansire le belve ed altrettanto abile a scatenarne la ferocia. Pensò ad Alba. Doveva essere quasi a Napoli, ormai.
 
Quel giorno aveva ottenuto molto di più di quello che si era prefissato.
 
I suoi uomini avevano catturato i due francesi, ma per il Sultano quello sparo era destinato a lui. I giorni del Gran Visir, che non aveva saputo vegliare sulla sua incolumità, erano contati.
 
Doveva capire come sfruttare il secondo prigioniero. Che nonostante il piano prevedesse che fosse ucciso per rapire la donna, non era morto.  L’attendente, l’amante, in base alle informazioni ricevute da Alba. Forse molto di più.
 
L’aveva vista, mentre da poco distante assisteva all’agguato, abbracciarlo disperata quando la pallottola aveva colpito il suo compagno alla testa. Di striscio, ma il colpo l’aveva fatto stramazzare a terra, privo di sensi. L’aveva vista accarezzargli i capelli, cercarne il respiro con la bocca ed il battito del cuore con le mani, imbrattarsi di sangue la veste azzurra ed il volto.
 
Inginocchiata in mezzo alla piazza, mentre la folla sciamava impazzita, cercava di proteggerlo con il suo corpo, tanto più esile di quello dell’uomo, perché la gente non lo calpestasse.
 
Era stato facile catturarla. Più difficile separarla dal compagno che giaceva esanime. Quello ne aveva scatenato la ferocia. C’erano voluti tre uomini per portarla via.
 
Non è sempre innata, la ferocia. La disperazione e l’ingiustizia possono scatenare una ferocia incontenibile. Si accarezzò la barba pensieroso e si diresse verso la torre est.
 
 
 * * *
 
L'Ağası entrò nella cella, accompagnato da due robusti eunuchi. Oscar strinse i pugni e drizzò le spalle, sollevò il mento e serrò le labbra.
 
“Siete piuttosto sciupata”, esordì l’Ağası.
 
Il caffettano azzurro era strappato sulla spalla, inzaccherato di terra e sangue. La folla l’aveva calpestata ed un livido blu sullo zigomo destro testimoniava la forza usata per avere la meglio su di lei. I capelli biondi, lunghi fino al collo, erano incrostati di sangue, così come le guance e le labbra.
 
La pelle delle mani, tesa sui pugni stretti, era lacerata sulle nocche.
 
Dal modo in cui teneva il piede destro, anche quello doveva essere ferito o slogato.
 
Eppure, nonostante fosse più bassa degli uomini che erano entrati, sembrò sovrastarli.
 
Nonostante fosse malconcia e ricoperta di stracci, quando infine aprì bocca, sembrò che fosse un generale a parlare.
 
Ditemi dov’è André”.
 
L'Ağası la scrutò interdetto.
 
“Fatemi vedere André.”
 
“Non so di chi stiate parlando, Mademoiselle”
 
Oscar ripensò a Gênes. Rivide il sacro catino, verde smeraldo come gli occhi di André. Si appellò al voto fatto alla Madonna Regina di Genova davanti all’altare maggiore della Cattedrale di San Lorenzo: “Non pensare a me, ti prego di salvare Lui, e di salvare mio padre, che possa Lui tornare in Francia ed essere libero e libero di vivere”.
 
Abbassò lo sguardo e trattenendo le lacrime, con un filo di voce, continuò.
 
“Liberate l’uomo che era con me, e farò tutto quello che vorrete.”
 
“Oh mia cara, voi farete tutto quello che vi sarà ordinato. Comunque”.
 
Le gettarono addosso una rete, come fosse una fiera da catturare, e la caricarono in spalla.
 
 
* * *
 
Il leone aveva fiutato l’odore del sangue.  Mentre entrava nella cella in cui era imprigionato André, incatenato con una caviglia ai ceppi, Cezayirli fece fatica a trattenerlo.
 
Il leone si avvicinò, ma il prigioniero non reagì. Alzò gli occhi verso Cezayirli.Lei dov’è?”
 
Non volete nemmeno sapere chi sono?” domandò divertito il turco.
 
“Per me potreste anche essere Lucifero o l’Arcangelo Michele. La domanda non cambierebbe. Lei dov’è?”
 
Il leone si avvicinò ancora ed iniziò ad annusare il sangue che ne lordava i capelli.
 
“Non c’era nessuna donna con voi quando vi ho fatto rapire …”
 
“Non prendetevi gioco di me. Sapete bene che non ero solo. Ditemi solo se sta bene.”
 
“Intendete forse il ragazzino biondo che stava con voi? Me ne dolgo … l’ho ceduto come schiavo per il piacere del Capo degli eunuchi!”
 
Fu allora che André si scagliò contro di lui.  Tendendo al massimo la catena che lo tratteneva, fino a lacerarsi la pelle, ne afferrò con le mani la gola. Ed iniziò a stringere, sempre più forte.
 
Il leone ruggì, si alzò sulle zampe e lo gettò a terra.
 
André percepì il profumo di incenso e cera della Cattedrale di San Lorenzo. Si ritrovò lì, di fronte alla Madonna Regina di Genova; mantieni la promessa le disse: “Non pensare a me, ti prego di salvare Lei, e di salvare suo padre, che possa Lei tornare in Francia ed essere felice e felice di vivere”.
 
“Ditemi cosa volete da me. Ditemi cosa volete da noi. Liberatela e farò tutto quello che vorrete!”
 
Il Grande Ammiraglio tossì e si massaggiò il collo. Strabuzzò gli occhi quando vide che il suo leone si faceva accarezzare la criniera dal prigioniero.
 
“E così sia, rispose”.
 
“Se con quel suo sacrificio aveva sperato di proteggermi, aveva dovuto credersi amato ben poco per non sentire che perderlo sarebbe stato per me il peggiore dei mali”- Marguerite Yourcenar – Memorie di Adriano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


 
But what ever lies behind the door
There is nothing much to do
Angel or devil, I don’t care
For in front of that door, there is you

 
(My Death: Jacques Brel / Mort Schuman
nell’interpretazione di David Bowie)
https://www.youtube.com/watch?v=nKmBg-jOYUQ
 
 
 
 
 
“Se con quel suo sacrificio aveva sperato di proteggermi, aveva dovuto credersi amato ben poco per non sentire che perderlo sarebbe stato per me il peggiore dei mali”- Marguerite Yourcenar – Memorie di Adriano.
 
 
La notizia dell’arrivo di una nuova concubina aveva messo l’harem in subbuglio.
 
Si mormorava che fosse una prigioniera straniera, proveniente dal nord del mondo, da un paese lontano dove si fantasticava che nella stagione invernale il sole si spegnesse in un crepuscolo di luce rarefatta, e che nella stagione estiva rubasse il senno, non tramontando mai.
 
Intimidite ma curiose, alcune fra le concubine più giovani, poco più che bambine, si erano messe a sbirciare tra le pesanti tende di broccato che celavano il padiglione in cui la nuova arrivata era stata relegata.
 
La videro di spalle. Capelli biondi come l’oro, troppo corti però. Non poteva di certo piacere al Sultano, valutarono.
 
Due ancelle l’avevano spogliata, lacerandone con un coltello dalla lama acuminata le vesti, perché la prigioniera aveva i polsi legati davanti a sé. Sembrava facessero male quei lacci. E le mani parevano scorticate.
 
Doveva essere selvatica. Non poteva di certo giacere con il Sultano, bisbigliarono.
 
Una delle favorite richiamò l’attenzione di una delle fanciulle, che accorse a riferire. Non che la favorita si sentisse minacciata da quella novità, ma naturalmente doveva sapere. La fanciulla annuì e tornò al suo posto di osservazione.
 
La nuova arrivata continuava a dare loro la schiena, mentre le ancelle la costringevano ad immergersi nell’acqua calda di una vasca.
 
Il vapore fece luccicare una cicatrice sottile e bianca sulla scapola sinistra. Certo la figura era slanciata e snella, ma no, no, non era degna del Sultano, con il segno di quell’offesa.
 
Un’ancella cercò di tergerle il volto  da quello che sembrava fosse fango, ma forse non lo era.
 
Rabbrividirono le fanciulle al pensiero che quello potesse essere sangue. Ma la prigioniera si ribellò e cercando di impedire che le nettassero quello che sì, era proprio sangue, si levò agile dalla vasca e si girò.
 
Rimasero a bocca aperta le fanciulle. Due occhi grandi di un blu profondo come il mare, come le acque del Mar di Marmara prima di gettarsi nel Mar Nero, iniziarono a fissarle. Un livido bluastro deturpava lo zigomo destro, senza scalfire la bellezza di un volto fiero.
 
Un’altra cicatrice bianca e frastagliata sfregiava il braccio sinistro. Ma i seni bianchi e teneri e sodi sembravano quelli di una dea, con il capo incoronato da una chioma rilucente più del sole.
 
Una dea, ma guerriera. Alla madre del sultano no, non sarebbe piaciuta. Corsero a riferirlo alle altre concubine, mollemente adagiate sui cuscini.
 
Oscar alzò di scatto le mani serrate dai lacci.
 
Tutte accorsero a vedere la fiera, quando sentirono un’ancella urlare.
 
***
 
Era finita in un gineceo, lei che per tutta la vita aveva vissuto come un uomo. Quasi per tutta la vita, giacché le ultime settimane, le più tribolate, erano state della sua intera esistenza anche le più felici.
 
E le aveva vissute come una donna, la donna del suo André.
 
L’amore l’aveva sorpresa, l’aveva turbata, l’aveva tormentata quando lui le era stato strappato via e l’aveva riportata in cielo quando l’aveva ritrovato ed amato. Ora l’aveva precipitata agli inferi.
 
Dove sei André?”. Aveva chiuso gli occhi mentre le toglievano di dosso le vesti, ma solo per cercare nel buio il volto caro di André.
 
L’amore rende deboli.
 
C’era ben poco valore nell’affrontare a viso aperto la battaglia, nell’esporre il petto al fuoco nemico, quando nulla si ha da perdere.
 
Ci vuole molto più coraggio, quando si ama.
 
Tuttavia, in tutti quegli anni in cui l’aveva silenziosamente amata, André non era stato debole, mai. André era stato tanto più coraggioso di lei. Cacciò indietro una lacrima: non sarebbe stata da meno.
 
Cosa faresti ora, André?”, si interrogò Oscar, mentre, una mano delicata le stava sfiorando il volto, per toglierle di dosso il sangue di André.
 
Tutto avrebbe sopportato, potevano strapparle di dosso anche la pelle, ma non quello.
 
Non voleva aggredire le ancelle. Ma lo fece.
 
Il ricordo delle note dell’’Orfeo ed Euridice le esplose nella testa.
 
Non l’avrebbe cercato negli Inferi. E nemmeno avrebbe voluto che lui la cercasse lì. Correndo il rischio di voltarsi troppo presto per l’impazienza di ritrovarsi … e perdersi per sempre. Perché lei questo lo sapeva. Né lui, né lei, avrebbero saputo attendere.
 
Con le mani serrate colpì un’ancella alla gola, tramortendola. L’altra strillò. Afferrò da terra il coltello con il quale le avevano tagliato le vesti, zoppicando indietreggiò, fino a ripararsi con le spalle al muro, lacerò con i denti e la lama del coltello i lacci, afferrò un telo per coprirsi, curvò appena le labbra lanciando la sua sfida, ed attese.
 
 
* * *
 
Leopoldo Giorgio Rákóczi aveva chiesto ed ottenuto udienza dalla Rabi'a Semi Sultana, la madre del Sultano.
 
Era riconoscente per la protezione che la Valid Sultana aveva garantito a lui ed a suo padre in tutti quegli anni di esilio, ma era ora di partire.
 
Il lume perpetuo era stato imballato e spedito via mare in direzione di Tenedo. I suoi amati libri stavano partendo via terra, in direzione dell’Oriente più profondo, dove sperava di trovare una nuova ragione di vita, ben sapendo che si stava solo illudendo, una volta ancora.
 
La Sultana era ormai anziana e malata[1]. Aveva atteso per un’intera esistenza che suo figlio ascendesse al trono, rinchiusa a palazzo vecchio mentre lui era rimasto confinato nel kafes, fino alla morte di Mustafà III, tredici anni prima. Non era estranea alla morte improvvisa di Mustafà (il cuore l’aveva tradito? Davvero?)  ma il sultanato del suo amato figlio l’aveva delusa, così come la nomina l’anno prima a Gran Visir di quel georgiano incapace, Koca Yusuf Pascià..
 
La morte l’aspettava.
 
Un’aura nera la cingeva, allontanando amici e nemici.
 
E come se non bastasse, anche suo figlio aveva corso il rischio di morire. Avevano sparato, nella piazza, davanti alla Moschea di Bajazet, durante il corte del venerdì, due giorni prima. E quell’incapace del Gran visir non aveva ancora trovato i colpevoli.
 
Infine, quell’impudente del Kızlar Ağasi pensava di dettare legge nell’harem, approfittando dei suoi malanni, sempre più lunghi e frequenti.
 
Tutto questo, o poco meno, confidò a Leopoldo, lieta di incontrare un volto amico.
 
Si stava lisciando la seta del suo caftano, verde come lo smeraldo che faceva bella mostra di sé al centro del diadema che indossava, sopra un sottile velo bianco, candido come i suoi capelli acconciati in una lunga treccia, quando infine chiese le ragioni di quell’udienza, tanto gradita, ma postulata con un’urgenza insolita per il suo flemmatico consigliere.
 
Sollevò il velo, scrutandolo con occhi furenti, alla notizia della sua imminente partenza.
 
Era vero allora. Che la morte la cingeva d’assedio. Allontanando anche gli amici.
 
Fu allora che videro accorrere alcuni eunuchi, diretti verso la parte più intima e proibita dell’harem. Ordini concitati, urlati con furia.
 
Leopoldo la guardò, per cercare una risposta. Tanta agitazione era inconsueta.
 
Cosa vi dicevo Leopoldo? Il Kızlar Ağasi …
 
 
* * *
 
E così sia.”
 
Non aveva aggiunto altro Hasan Pascià. Aveva richiamato il leone ed era uscito dalla cella. Con un paio di comandi secchi impartiti in fretta, aveva fatto in modo che il francese fosse curato e rifocillato.
 
All’alba era tornato, trovandolo sveglio, furente e malconcio. Le guardie lo avevano malmenato, perché non la smetteva di gridare pretendendo di parlare con lui.
 
Non c’era voluto molto perché fosse pronto, considerò l’Ammiraglio.
 
Siete dunque disposto a fare qualunque cosa?” chiese ad André.
 
Liberate e conducete in salvo la donna che era con me e farò qualunque cosa voi mi ordinerete.”
 
Bene, bene …” sibilò Hasan, accarezzandosi la barba.
 
Attenterete alla vita del Sultano..”
 
André lo fissò negli occhi. Annuì. “Proseguite …”
 
La donna che era con voi è stata ceduta come schiava per l’harem del Sultano.
 
Il cuore di André mancò un battito. Ma significava che Oscar era viva. Perciò si sforzò di tacere.
 
Voi la amate, vero? Quindi cercherete di salvarla, la prima notte in cui dovrà giacere con il sultano.”
 
Chiuse gli occhi André. Represse l’impulso violento di aggredire Hasan. Piegò il capo, digrignò i denti e strinse i pugni.
 
La prima notte o una delle successive; in realtà, questa informazione ancora mi manca …” aggiunse, per suscitare una reazione.
 
E la reazione non tardò ad arrivare. Si era alzato in tutta la sua altezza André, tendendo la catena. Ma quello non si era fatto trovare impreparato, stavolta. Aveva fatto un passo indietro e sguainato una sciabola.
 
Oh Oh…non siete un santo allora…” esclamò, puntando l’arma alla gola di André. “Si riesce ancora a provocarvi … stavo giusto dicendo che vorrete salvare la vostra donna; perciò, farò in modo che possiate introdurvi di nascosto nelle stanze dell’harem riservate al sultano.”
 
“Lo ucciderò!”
 
“No …lo ferirete appena … le mie guardie sventeranno l’attentato.”
 
“Che garanzie avrò che lei abbia salva la vita?”
 
Non potrà che essere così. Non mi interessa che Abdül Hamid I muoia. Mi interessa che lui e la Valid sultana mi siano eternamente riconoscenti, e non solo per avergli salvato la vita, ma per avere evitato uno scandalo.”
 
André strinse gli occhi. Incominciava a capire.
 
“Vedete, io so bene che la donna che era con voi è una nobile francese, una contessa, un colonnello delle Guardie reali di sua Maestà il Re di Francia, addirittura! Immaginate quali ripercussioni potrebbe avere, sull’alleanza tra il vostro re ed il mio sultano, la notizia che è stata rapita e venduta come schiava!”
 
“Quindi Lei sarà salva …”
 
Non ne era sicuro André. Non poteva esserlo. Per eliminare ogni rischio sarebbe stato sufficiente ucciderla. Ma Hasan non ne avrebbe ricavato nulla a lungo termine. La prova vivente di quell’affronto alla sovranità francese poteva garantirgli molto di più.
 
Sì, sarà imbarcata sulla prima nave diretta in occidente. Con l’impegno a tacere, se non vorrà avere sulla coscienza una guerra fra la Francia e l’Impero Ottomano.”
 
Non ne era convinto André. Sull’altare della ragion di stato si sacrifica ben più dell’onore di una contessa o della vita di un colonnello. Ma non aveva scelta.
 
Naturalmente ...”
 
Proseguite!“, gli intimò André, che già aveva intuito.
 
“Naturalmente per voi non ci sarà scampo, le mie guardie vi uccideranno.”
 
Mantenne il suo sguardo fisso negli occhi dell’ammiraglio, André. Impassibile, rimase in silenzio qualche istante e poi parlò.
 
A due condizioni”.
 
Non avete alcun potere negoziale” sogghignò Hasan, “Ma sono curioso…”
 
Nessuno dovrà mai anche solo insinuare che io sia stato il suo amante. Io sono e sarò sempre e solo il suo attendente. Ed era mio dovere salvare la mia padrona.”
 
“Continuate … “
 
“E dovrà succedere tutto entro oggi, prima del tramonto.”
 
“Avete fretta di morire, mio buon amico? E così sia”.
 
Girò i tacchi e lo lasciò di nuovo solo.
 
 
* * *
Non aveva paura della morte, André. 
 
O meglio: non aveva paura della propria, di morte. “Nessuno vive la propria morte” si diceva.
 
Ma se invece si fosse parlato della morte altrui, quello sarebbe stato tutto un altro discorso. Con quella, di morte, aveva dovuto convivere tutta la sua vita, da quando, in tenera età, era rimasto orfano dei suoi genitori.
 
Alla morte di Oscar, a quella poi, non poteva proprio pensare.
 
E saperla viva. E sapere che poteva salvarla, era la sola speranza che riuscisse un poco a confortarlo.
 
Ma era disperato. Come mai era stato, nemmeno quando l’aveva rinchiusa ed abbandonata per salvarla dai pirati. Nemmeno quando aveva temuto di non rivederla mai più.
 
L’immaginava sola, nelle mani di aguzzini che avrebbero potuto farle del male.
 
Gli sovvenne con quanta fiducia si era fatta amare da lui. Quanto coraggio aveva dovuto trovare la sua Oscar, per accettare di donarsi ad un uomo. Scacciò un’immagine molesta. Doveva arrivare in tempo. Sarebbe arrivato in tempo.
 
Si mise a battere i pugni contro la porta della cella, di nuovo.
 
La morte l’aspettava dietro quella porta.
 
Ma che si sbrigassero, che non c’era più tempo.
 
Quando si fosse aperta, avrebbe trovato la via per ritrovare la sua Oscar.
 
Dietro quella porta, alla fine ci sarebbe stata lei.
 
Pregò Iddio di arrivare in tempo.
 
Pregò Iddio di poterla vedere sorridere con gli occhi, come faceva lei, un’ultima volta prima che gli sparassero.
 
Perché gli avrebbero sparato. O forse lo avrebbero trafitto con la spada.
 
Sperò che in quell’istante Oscar avrebbe chiuso gli occhi.
 
 
“…amare significa  soffrire, che l'unico modo per non soffrire è non amare, che nei casi in cui non   puoi fare a meno di amare sei destinato a soccombere.” Oriana Fallaci, Un Uomo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

[1] Rabi'a Semi Sultana in realtà era già passata a miglior vita da anni, quando il figlio ascese al trono

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


 
Since I started to feel
If there’s nothing to hide me
Then you’ve never seen me hanging naked and wired
Somebody lied, I say it’s hip
To be alive


Now your smile is spreading thin
Seems you’re trying not to lose
Since I’m not supposed to grin
All you’ve got to do is win


(David Bowie, Win)
 
https://www.youtube.com/watch?v=3_GvJoEI93I
 
 
 
“…amare significa  soffrire, che l'unico modo per non soffrire è non amare, che nei casi in cui non  puoi fare a meno di amare sei destinato a soccombere.” Oriana Fallaci, Un Uomo.
 
***
Volete dunque partire, Leopoldo?”
 
“Nulla mi trattiene qui, a parte la vostra generosa amicizia, da cui chiedo umilmente congedo”, rispose il Conte Leopoldo Giorgio Rákóczi, la bella voce baritonale ridotta suo malgrado ad un sussurro.
 
L’abito di seta pesante, nera e cangiante, esaltava il pallore dell’ospite.
 
E lei, Conte?”
 
Lei non c’è più” rispose in un soffio Leopoldo. Le iridi color acqua marina perse nel nero delle pupille che pian piano le avevano ingoiate.
 
Solo questo avete da dirmi? Lei non c’è più?”
 
Piegò le dita, lunghe e agili da violinista, tirando il merletto bianco dei polsini.
 
La Valide Sultana conosceva il significato celato di quel gesto inconsapevole: vergogna, rimorso. Decise di insistere.
 
Mio figlio ha tredici consorti. Ne ha già sepolta una. Oltre a qualche favorita ed innumerevoli concubine”. Si fermò ansante, il petto scosso da un attacco di tosse secca.
 
Il Conte allungò una mano, per darle conforto. Un gesto contrario al protocollo, ma erano soli.
 
Ciò nonostante, ne ha amato, e sempre amerà, una sola. Per lei e per la figlia che portava in grembo ha rischiato la sua vita”, proseguì la Sultana, il sospiro affannoso.
 
Il Conte conosceva la storia. La seconda consorte del Sultano era stata la sua concubina quando ancora viveva confinato nella gabbia durata, sotto il regno del fratellastro Mustafà. Una grave violazione delle regole dell’Harem, per il quale poteva essere giustiziato, assieme alla donna amata. Ma non aveva esitato ad organizzarne la fuga perché fosse condotta in salvo, quando lei era rimasta incinta e dopo la sua ascesa al trono l’aveva sposata ed aveva fatto in modo di adottare la sua stessa figlia, la più adorata fra le sue figlie. Ma tutto questo nulla aveva a che vedere con lui, si disse.
 
“Non comprendete? Ma capisco anche questo: ora io posso vedere le cose più chiaramente, come mai le ho viste prima, in piena luce, anche le più nascoste. E’ il dono che accompagna la consapevolezza di una morte incombente.”
 
Scrutò per un attimo il Conte, che sembrava perso in pensieri lontani. Era bello, nonostante l’incarnato pallido.
 
Ma quello si riscosse, all’udire la parola “morte”.
 
“Cosa dite, mia Sultana? Allah è giusto! Avete davanti a Voi una vita ancora lunga e prospera!”
 
“Non so cosa mi stupisca di più. Se la parola Allah pronunciata da un ateo, qual voi siete, o il vostro vaticinio sulla durata della mia vita”, rispose quasi divertita la vecchia Sultana, le labbra esangui piegate in un sorriso lieve, che ringiovaniva il volto, nonostante esaltasse le rughe sottili intorno alla bocca.
 
Intendo dire che mio figlio aveva un dovere, garantire una discendenza”, proseguì la Sultana, con il fiato corto, “rinvigorire il sangue, perpetuare la stirpe. Ha amato una sola donna, ma ha saputo mettere da parte i suoi sentimenti per la ragion di stato. Voi avete lo stesso dovere.”
 
Il Conte la fulminò con lo sguardo. Cosa credeva di sapere la Sultana? Poi pensò al suo respiro affannoso, cacciò indietro il suo disappunto e le rispose.
 
“Quale malanno vi affligge, Mia Signora?”
 
La vecchiaia”, mentì lei.
 
Leopoldo la guardò dubbioso, ma pensò che non fosse il caso di insistere, non ancora. Decise di essere sincero, almeno lui.
 
Sono trascorsi dieci anni”, continuò Leopoldo, chinando il capo, “Ma per me non è passato nemmeno un giorno.
 
Fuggire non è mai una soluzione, Conte. Credete di trovare un nuovo amore in lidi lontani? Di poterla dimenticare perché non scruterete lo stesso cielo nelle notti solitarie? Non ci riuscirete mai, non la dimenticherete mai, ma potreste amare un’altra donna, non allo stesso modo o con la stessa intensità … ma se questa donna vi amasse, potrebbe donarvi un figlio ed un poco di quiete. E per questo non è necessario fuggire.”
 
“Oh, io lo so che non la dimenticherò mai. Ma so anche che non potrò amare nessun’altra mai e che nessuna donna merita di essere condannata ad amarmi senza essere riamata, riamata almeno un poco …”.
 
Decise di cambiare strategia, la Sultana. “Voi non volete davvero partire. Il suo corpo non è stato mai ritrovato”. Insistette la Sultana, facendo leva su quel senso di impotente rimorso che, sapeva, tormentava il Conte. “Potrebbe essere viva, priva di memoria o prigioniera, e potreste ancora ritrovarla. Ma se partite, che ne sarà di lei?”
 
“Non c’è villaggio o eremo che non abbia visitato, tribù o gente che non abbia interrogato”, sospirò il Conte. “Non c’è dirupo che non abbia perlustrato o corso d’acqua che non abbia guadato, accontentandomi del sollievo per non averla trovata …
 
“Ma voi avete dei doveri Leopoldo!”, replicò la Sultana, trattenendo un colpo di tosse, cercando di far leva sulla vergogna e sull’orgoglio. “Dovete perpetrare la stirpe dei Saint Germain. Dovete essere degno di vostro padre!”.
 
Lo fissò assorta. Indugiò con lo sguardo su di lui, mentre attendeva una risposta: gli occhi, le sopracciglia, la fronte, nuovamente gli occhi. La linea perfetta del naso. Raramente aveva visto un uomo così bello. Anzi mai. Ne ammirò la bocca ed il pomo d’Adamo, mentre lui deglutiva, prima di riprendere a parlare.
 
“Degno di mio padre? Che per avere una discendenza disonorò una donna che non gli apparteneva?” chiosò il Conte, aggrottando la fronte. “La stirpe finisce con me, mia Signora”, mormorò alzando le spalle rassegnato.” Non avrei cuore di condannare quel figlio che comunque non avrò mai. I Massoni mi hanno trovato, vorranno vendicarsi.”
 
“Cosa state dicendo … cosa mi avete nascosto?” rispose la Sultana adirata, infrangendo l’incantesimo che l’aveva ammaliata.
 
Ed il Conte gli confidò gli avvenimenti degli ultimi giorni.
 
Terminato il racconto, lo sguardo della Sultana si illuminò. “Seguitemi!”, gli ordinò.
 
* * *
 
Il Kızlar Ağasi stava fissando Oscar, che a sua volta con lo sguardo lo sfidava, con la schiena ben protetta dal muro alle sue spalle. Il suo collo bianco e gli occhi blu si intonavano con il blu ed il bianco delle ceramiche di Kütahya che rivestivano la parete, la lama del coltello luccicava, mentre con entrambe le mani lo impugnava saldamente davanti a sé.
 
Il telo di lino che la copriva, malamente arrangiato con un nodo sul davanti, le avrebbe impedito i movimenti, Oscar ne era consapevole. Forse non avrebbe avuto scelta.
 
Con la coda dell’occhio intravide, con sollievo, che l’ancella che aveva colpito si era ripresa.
 
Tre eunuchi neri l’accerchiarono. Scartò il primo, che cercò di aggredirla da destra. Con un balzo lo evitò e con un fendente lo ferì alla spalla. Gli altri due si fecero più vicini. Oscar si abbassò di scatto sfuggendogli agilmente e rubò la sciabola al primo, che ancora riverso a terra si lamentava per il dolore. Il coltello, serrato fra i denti, le fece sanguinare le labbra.
 
Indietreggiò. Ora alle spalle aveva una fontana rotonda. Si era fatto silenzio nella sala delle concubine, che intimorite si stringevano fra loro nell’angolo più lontano.
 
Si percepivano solo il gorgóglio argentino dell’acqua ed il respiro ansante degli assalitori. Alzò lo sguardo in alto.
 
Brandiva la sciabola Oscar, ora puntando l’uno, ora l’altro. Mentre altri eunuchi stavano accorrendo trafelati.
 
Il Kızlar Ağasi li fermò con un cenno e quelli si arrestarono di scatto.
 
Oscar indietreggiò ancora, salendo sul bordo della fontana.
 
Il Kızlar Ağasi parlò.
 
Arrendetevi. Non avete scampo. Avete ferito uno dei miei uomini. Ma intercederò per voi perché non siate giustiziata.”
 
Oscar piegò appena il capo, fissando lo sguardo sui propri piedi scalzi e sulle gambe nude fino al ginocchio, mentre scuoteva la testa.
 
Mostrare appena una caviglia era un gesto molto audace a Versailles, rifletté. “Ti amo André”, mormorò, “con tutto il mio cuore”.
 
Gettò a terra la sciabola. Il fragore dell’acciaio sul marmo risuonò nella sala.
 
Il Kızlar Ağasi sorrise sadicamente soddisfatto.
 
Sciolse il nodo, Oscar.
 
Il Kizlar Agasì sgranò gli occhi.
 
Con uno slancio, Oscar balzò in alto, afferrando il cerchio del pesante lampadario che sovrastava la fontana e facendolo ondeggiare atterrò con forza su di lui, trascinandolo prono a terra, il coltello alla sua gola.
 
“Siete sicuro che sia io, a non avere scampo?”
 
Ma aveva osato troppo. Aveva sottovalutato qualcuno. L’ancella che aveva tramortito si era avvicinata di soppiatto alle sue spalle.
 
Fece appena in tempo a domandarsi perché percepiva così forte il profumo dell’incenso che quella la colpì violentemente alla testa, con un bruciatore d’argento.
 
Mentre perdeva i sensi, sentì la sua risata. Stridula.
 
Si rialzò rassettandosi le vesti, il Kizlar Agasì, furioso, gli occhi iniettati di sangue.
 
Indugiò sul corpo esanime, bianco ed indifeso di Oscar.
 
Si passò la lingua sulle labbra. Vide il sangue su quelle della prigioniera. Sentì i morsi della fame, dopotutto il muezzin aveva già invitato i fedeli alla preghiera del ṣalāt al-ẓuhr.
 
 “Legatela. Quando riprenderà i sensi, preparatela per stanotte.”
 
“La affido a te” comandò poi all’ancella, consegnandole un sacchetto di tela nera che aveva tratto da sotto le pieghe del suo mantello. “Quando si sveglierà, costringila a bere l’infuso di queste erbe. Abbonda. Che non possa nuocere al Sultano, stanotte. Assicurati che i miei ordini siano eseguiti e sarai ricompensata.”
 
* * *
 
 
Per tutto il tempo André non aveva smesso di tormentarsi per Oscar. Nemmeno per un momento.
 
All’alba, mentre stringeva il suo patto suicida con l’ammiraglio Cezayirli Gazi Hasan Pascià, aveva sentito il muezzin salmodiare con voce possente il suo invito alla preghiera.
 
Qualche ora dopo, l’aveva sentito una seconda volta e poi una guardia gli aveva portato una scodella con un po’ d’acqua e del pane raffermo.
 
Fu mentre era seduto sforzandosi di mangiare qualcosa, giusto per mantenersi in forze, che sentì in bocca il sapore ferroso del sangue. Ma non ne trovò traccia.
 
Gli parve che lei lo chiamasse. Percepì quanto il suo amore fosse corrisposto ed il cuore ebbe un sussulto di gioia. La sua Oscar era viva.
 
Si alzò in piedi, di scatto.
 
Poi gli parve di precipitare in un baratro e per un attimo i suoi occhi non videro più luce. Cadde in ginocchio. Dovette appoggiare le mani al muro freddo ed umido della cella per riuscire barcollante a rialzarsi.
 
“Cosa ti è successo, amore mio?”.
 
Il rumore dello sferragliare delle chiavi nella serratura e la voce possente di Hasan lo fecero tornare in sé.
 
Hasan Pascià stringeva nel pugno un rotolo di carta ingiallita: la planimetria del Gran Serraglio.
 
“La vostra…padrona sarà visitata dal Sultano. Dovrebbe accadere stanotte.”
 
André deglutì e si portò la mano alla fronte, ricacciando indietro l’angoscia.
 
Il corteo che la scorterà nella Camera privata che attualmente il Sultano predilige, appartenuta ad Ahmet III, dovrà attraversare la corte delle concubine e le stanze dei corpi di guardia fino all’anticamera delle maioliche. Voi invece vi sarete introdotto nascosto in una cassa di forniture, in una stanza di servizio, adiacente alla sala da pranzo. La sala da pranzo …”, continuò Hasan, indicandone con il dito l’ubicazione sulla planimetria che aveva dispiegato sul muro, davanti a sé “… comunica con la Camera privata, ma voi troverete la porta comunicante saldamente chiusa; sarà inutile che tentiate di forzarla. Inoltre, la vostra padrona vi sarà condotta solo dopo che il Sultano sarà già entrato.”
 
André si sforzò di memorizzare ogni dettaglio della planimetria. Il palazzo del Gran Serraglio era un labirinto, erano necessario potersi orientare, nel caso in cui fossero riusciti a fuggire … perché non poteva fidarsi della parola di Hasan Pascià. Non poteva concedersi di morire, se Oscar non fosse stata in salvo, al sicuro.
 
Il Sultano arriverà dopo, attraverso la Sala Imperiale. Come sua abitudine si attarderà in biblioteca e poi si farà scortare da un drappello di eunuchi bianchi. Tra gli eunuchi bianchi ho degli uomini fidati e due di loro faranno in modo di fare parte della scorta. Ma il Sultano preferisce restare da solo con le sue amanti, perciò li congederà. Ma prima di andarsene, uno di loro farà in modo di togliere di nascosto il blocco alla porta comunicante con la sala da pranzo. Finora è tutto chiaro?”
 
André annuì, cercando di nascondere l’attenzione con la quale cercava di mandare a mente percorsi e vie d’uscita, domandandosi perché l’Ammiraglio avesse voluto esporgli il suo piano con tale dovizia di informazioni.
 
Si diede una risposta: arroganza, presunzione.
 
“Voi resterete dietro la porta della sala comunicante.  Non dovrete muovere un muscolo finché non faranno entrare nella Camera privata anche il corteo con la vostra padrona. Quando il corteo uscirà ed il Sultano resterà solo con lei, allora potrete prepararvi ad agire. Ma prima dovrete attendere il mio segnale.”
 
“Come potete pensate che possa attendere?” sibilò André.
 
“Suvvia, consorti e concubine sono liete di giacere con il Sultano. Se ne contendono i favori, sperando di generare un figlio che più degli altri possa incontrare i suoi favori e succedergli. E’ un grande onore, anche per una nobile francese!”
 
“Non era questo il nostro patto!”
 
“Uhm, siete davvero un uomo innamorato, o molto geloso…”
 
“Non osate ...”
 
“Tranquillizzatevi…il mio segnale arriverà presto, prima che avvenga l’irreparabile, giusto il tempo che possa raggiungervi con le mie guardie, senza ingenerare troppi sospetti … avvertito dalla mia rete di spie, giungerò in armi, salvatore della vita del Sultano e dell’alleanza!
 
“Quale sarà il segnale?”
 
“Il bubolare di un gufo. Lo sentirete ripetuto, forte e chiaro. Allora farete irruzione e potrete salvare la vostra gentil pulzella”, proseguì ridendo Hasan “strappandola dalle braccia del mio Sultano. Siete un uomo forte, non avrete difficoltà a sopraffarlo, nemmeno a mani nude, ma avrete con voi una pistola, con un solo colpo in canna e lo ferirete di striscio. Diciamo …”, esitò Hasan picchiettando il suo indice destro sulla bocca “…. “Diciamo al braccio destro”.
 
“E poi? domandò André, sbirciando un’ultima volta la mappa, mentre Hasan l’arrotolava con cura.
 
“E poi farò irruzione anch’io, seguito dalle mie guardie …. confido che due di loro basteranno per uccidervi”.
 
André restò in silenzio, intuendo che l’ammiraglio non aveva finito. Si mise a fissare la catena che avvinceva la sua caviglia destra ai ceppi, poi si allontanò da Hasan Pascià, indietreggiando verso l’inferriata per cercare uno spicchio di sole, alto nel cielo. “Quanto mancherà al tramonto?”, si domandò.
 
“Ditemi: come preferireste morire? Sgozzato da una sciabola o con il cuore trafitto da un colpo di pistola?”
 
Non aveva senso rispondere a quella domanda. Quella domanda non esigeva risposta.
 
“Voi manterrete la vostra parola? La condurrete in salvo?”
 
“Si, se voi vi atterrete ai miei ordini. Contravvenite ad una sola delle mie istruzioni, entrate un attimo prima in quella stanza o ferite più gravemente il Sultano, e lei morirà con voi!
 
André si allontanò dal sole.
 
Si avvicinò all’ammiraglio.
 
Quello istintivamente fece un passo indietro, e mentre André lo sovrastava, eretto in tutta la sua statura, e lo fissava, dritto negli occhi, dall’alto in basso, udì la sua risposta.
 
Un colpo di pistola. Dritto al cuore”.
* * *
 
Quando si era risvegliata, dolorante e con i polsi di nuovo avvinti dai lacci, lo sconforto l’aveva sopraffatta. Anche le caviglie erano legate.
 
Non era servito a nulla quel tentativo stolto di liberarsi. “Cosa pensavo di fare?”, si disse; se anche fosse riuscita ad uscire da quella corte, fuggire poi dall’harem, un labirinto sorvegliato da stuoli di eunuchi, sarebbe stato impossibile, anche prendendone in ostaggio il capo, a tacere del corpo di guardia esterno, ben addestrato e numeroso, che nella loro precedente visita avevano osservato.
 
La loro precedente visita.
 
André, cosa ne era stato di André? Quel pensiero la tormentava assai più della prigionia e se giacere col Sultano fosse servito a salvarlo, non avrebbe esitato a farlo.  
 
Che dovesse sfruttare le sue arti femminili? “Quali?” si ritrovò a pensare.
 
Con André ci avrebbero scherzato sopra, lui che non smetteva mai di ripeterle che era bella, qualunque abito avesse indossato, senza cipria e belletti, solo con lo scintillio delle sue iridi. Anche con i capelli corti. Chiuse gli occhi pensando ai baci lievi di André sul suo collo libero dai ricci, quando aveva finito di tagliarle i capelli.
 
L’ancella che aveva ferito e che sul mento portava il livido del colpo che aveva ricevuto l’aveva costretta a bere un intruglio tiepido ed amaro. Aveva cercato di non ingoiarlo, finché non l’avevano quasi soffocata.
 
Tossiva ancora, mentre cadeva in uno strano stato di incoscienza; non poteva muoversi, non poteva parlare, la sua vista era offuscata, ma percepiva tutto: suoni, odori, e soprattutto le mani delle ancelle su di lei.
 
Avevano sciolto i lacci e le avevano unto le ferite con un unguento. L’avevano lavata, profumata ed agghindata. Come un burattino l’avevano manipolata, senza che lei potesse reagire.
 
Un corsetto azzurro ricamato e bordato di broccato dorato le tratteneva appena il seno, lasciando scoperto l’ombelico. Due drappi di seta le cingevano i fianchi. Il primo di seta bianca, leggera e morbida e sopra un telo di seta più pesante a righe azzurre, bianche e dorate. Alla caviglia sinistra un monile d’oro, che aveva percepito gelido sulla sua pelle. Sul capo sentì la consistenza di un piccolo turbante, che i bordi decorati da monili di metallo tenevano saldo sulla testa.
 
Odore di bergamotto e resina nelle sue narici.
 
Non era riuscita a mordere le dita che le avevano pitturato le labbra. Non riusciva a muovere un muscolo.
 
Lacrime di frustrazione percorsero le sue guance.
 
Udì il muezzin che invitava di nuovo i fedeli alla preghiera (era notte ormai?) mentre la adagiavano di peso su una portantina.
 
* * *
 
Era nascosto in quella sala da almeno mezz’ora ormai. La cassa che lo nascondeva era stata portata in una stanza di servizio della sala da pranzo adiacente alla Camera privata del Sultano, così come aveva detto Hasan Pascià. Ora se ne stava con l’orecchio appoggiato alla porta comunicante, cercando di percepire ogni minimo rumore, massaggiandosi la spalla dolorante a causa dei sobbalzi del carro nel tragitto tra la prigione ed il Gran Serraglio.
 
Poco prima aveva dischiuso un piccolo fazzoletto di lino.
 
Aveva annusato il lieve profumo di rose e lavanda dei capelli di Oscar, mentre baciava la ciocca che le aveva rubato quel giorno in cui lei aveva deciso di tagliarsi i capelli, l’unico vezzo della sua Oscar.
 
Aveva un piano. Non avrebbe permesso che il Sultano posasse le sue luride mani su di lei, avrebbe agito in fretta; appena il Sultano fosse rimasto solo con lei, avrebbe fatto irruzione subito, senza aspettare il segnale. Lo avrebbe immobilizzato in qualche modo, senza ferirlo e senza usare la pistola, poi avrebbe nascosto Oscar nella sala da pranzo e quando Hasan fosse entrato con le guardie gli avrebbe sparato.
 
Dritto al cuore.
 
Aveva un solo colpo in canna, ma non l’avrebbe mancato.
 
Sapeva di non potersi fidare di Hasan. Lo aveva capito guardandolo dritto negli occhi. Non avrebbe condotto in salvo la sua Oscar, era una testimone troppo scomoda.
 
Confidava che le guardie non lo uccidessero subito e che il Sultano avrebbe ascoltato la sua verità.
 
Se anche lo avessero ucciso, il Gran visir avrebbe aperto un’inchiesta e forse Oscar avrebbe avuto una possibilità. Forse Leopoldo Giorgio Rákóczi l’avrebbe aiutata.
 
Certo, se fossero stati fortunati avrebbero potuto tentare di scappare … e fu mentre cercava di scaldarsi il cuore con quella flebile speranza che udì il Sultano entrare nella sua Camera privata.
 
Lo sentì parlare in una lingua sconosciuta. Sentì il rumore dell’acqua con il quale lo stavano lavando. Sentì scattare la serratura della porta comunicante ed istintivamente fece un passo indietro. Poi riaccostò l’orecchio alla porta e udì un paio di ordini secchi, il rumore di tacchi che si allontanavano, di una porta che si richiudeva e poco dopo quello di una porta che si apriva.
 
Lo scalpicciò di passi lievi e poi di passi più pesanti. Qualcosa che veniva poggiato a terra. Lo scricchiolio del legno. Sussurrati bisbigli.
 
C’era Oscar, la sua Oscar, al di là di quella porta?
 
Il Sultano parlò di nuovo. Nessuno rispose.
 
Perché Oscar restava in silenzio? Era forse imbavagliata o drogata?
 
Sentì di nuovo lo scricchiolio del legno, passi pesanti seguiti da passi lievi che lasciavano la stanza. Una porta che si richiudeva. Attese che si allontanassero un poco, mentre nella Camera del Sultano calava il silenzio.
 
Appoggiò la mano sulla maniglia della porta, pronto all’azione. Troppo concentrato su quello che accadeva dall’altra parte non si accorse di qualcuno che entrava di soppiatto nella sala, sorprendendolo alle spalle.
 
 
* * *
 
Distesa supina sulla portantina, con la schiena appena sollevata da morbidi cuscini, Oscar non riusciva a capacitarsi della sua immobilità. Gli occhi sgranati a cercare di mettere a fuoco i dettagli quando la vista a tratti si offuscava, tutti i sensi tesi a cogliere una qualsiasi occasione, nonostante la luce fioca dei doppieri che accompagnavano il corteo.
 
Le avevano fatto bere di nuovo quell’intruglio ed ora anche respirare le costava uno sforzo di volontà.
 
Per ordine della Valide Sultana. Fermatevi!”
 
Un vecchio eunuco nero, accompagnato da due guardiani più giovani, aveva intercettato il corteo che stava conducendo la nuova concubina nelle stanze private del Sultano.
 
Il Kızlar Ağası, aveva protestato, poi il vecchio eunuco si era spostato, rivelando alla vista la Valide Sultana.
 
E’ questa la nuova schiava che avete comprato per mio figlio?”, domandò la Sultana, avvicinandosi alla portantina, mentre l’anziano eunuco le faceva più luce avvicinando un candeliere.
 
Le accarezzò la guancia con la mano, pallida e sottile, le sottili vene azzurre in rilievo. La guancia era fredda, troppo. Se ne crucciò. Vide il petto ansante, che si sollevava con respiri troppo rapidi e corti, le pupille dilatate.
 
Come vi chiamate?” le chiese in turco e poi in francese, ma non ottenne risposta. Solo un rapido movimento degli occhi.
 
Questa donna è stata forse drogata?” domandò al Capo degli eunuchi.
 
Sarebbe stato un pericolo per il Sultano”, balbettò l’interpellato.
 
E voi fareste giacere con mio figlio una donna pericolosa?
 
Il Kızlar Ağasi, colto in fallo, incominciò vistosamente a sudare.
 
Che questa donna sia condotta nei miei appartamenti. Che sia una delle favorite a fare compagnia a mio figlio stanotte”, comandò all’eunuco che l’aveva scortata.
 
E poi, rivolta al drappello delle guardie rimaste: “il Kızlar Agasi è in arresto. Conducetelo nelle segrete!
 
* * *
 
  … André appoggiò la mano sulla maniglia della porta. Poi qualcuno entrò di soppiatto nella stanza, sorprendendolo alle spalle.
 
Leopoldo Rákóczi gli aveva messo una mano sulla bocca per impedirgli di protestare.
 
Una risata argentina risuonò dall’altra parte.
 
Non era Oscar.
 
La vostra donna non è lì, è in salvo”, lo rassicurò Leopoldo.  
 
André, incapace di proferir parola, annuì, mentre due lacrime silenziose ne solcavano le guance per il sollievo.
 
Ma ora dobbiamo andare via di qui. Nemmeno io sono autorizzato a frequentare queste stanze e fra poco credo che Hasan Pascià cercherà vendetta”.
 
Il bubolare ripetuto di un gufo risuonò nel silenzio della notte.
 
Avevano già imboccato un passaggio segreto che conduceva direttamente agli appartamenti della Valide, quando sentirono il fragore di un’irruzione, le grida di disappunto del Sultano Abdül Hamid e quella che sembra un’infinita serie di scuse da parte di Hasan Pascià.
 
Attraverso una grata nascosta, la Valide vide l’ombra di Leopoldo, seguita da quella di un altro uomo, che attraverso il passaggio segreto stava tornando da lei.
 
Quasi si mise a ridere la Valide, pensando a quante regole stava infrangendo. Ben due uomini, occidentali e sicuramenti integri, che frequentavano l’harem ed i suoi appartamenti, a notte fonda per di più. La sicurezza di una morte imminente ha i suoi vantaggi, ragionò.
 
Si spostò di qualche passo e scostando la tenda del grande baldacchino sul quale era stata adagiata, si mise ad osservare preoccupata la donna che aveva salvato.
 
In quel momento i suoi eunuchi più fidati stavano torturando il Kızlar Ağasi, per conoscere i retroscena dell’intrigo e quale droga fosse stata somministrata alla donna.
 
Era ancora paralizzata. Cercava invano di parlare e piangeva lacrime silenziose. Avrebbero dovuto essere di sollievo, invece erano di disperazione.
 
Confidò che l’ombra che seguiva Leopoldo avrebbe rimediato almeno a quello. Poi restava da cercare un antidoto.
 
Quando l’ombra si palesò di fronte a lei, alla luce tremula delle candele, pensò che la poca vita rimasta le stesse regalando inattese meraviglie.
 
Quella mattina aveva ammirato Leopoldo, pensando di non avere mai visto un uomo più bello.
 
Dovette ricredersi.
 
Il suo nuovo ospite era malconcio e ferito, ma ogni fibra del suo corpo emanava forza.
 
I capelli folti e neri, per quanto arruffati, parevano morbidi come seta; avrebbe voluto affondarci le dita.
 
Il volto dalle proporzioni perfette, la barba fitta lunga di un paio di giorni, il naso diritto, le labbra carnose e due sorprendenti occhi, grandi e più verdi dello smeraldo che sfoggiava al centro del suo diadema, avrebbero potuto incantare una strega, ammaliare una sovrana.
 
Si fissarono negli occhi per un istante, che fu solo un istante, ma alla vecchia Sultana parve infinito.
 
“Vi prego, lei dov’è?” chiese in un soffio.
 
La voce bassa e profonda, ma gentile, le risuonò nelle viscere.
 
Indicò il baldacchino dietro di lei.
 
Mentre lui si precipitava al capezzale della donna, si ritrovò ad ammirarne i muscoli della schiena, attraverso la camicia strappata, nel punto preciso in cui …
 
Arrossì’, rimpiangendo di non essere più giovane, da troppi lustri ormai.
 
André si inginocchiò e prese la mano sinistra di Oscar fra le sue. Il polso recava ancora le tracce dei lacci che l’avevano avvinta. La pelle era gelida e si accorse che non riusciva a muovere un muscolo, nemmeno le labbra, e che respirava a fatica. Solo le palpebre si abbassarono per un istante e gli occhi si bagnarono di lacrime.
 
Oscar, amore mio, cosa ti hanno fatto?”
 
Leopoldo si avvicinò, appoggiando una mano sulla sua spalla.
 
E’ stata drogata, è paralizzata. Probabilmente fra poco ore l’effetto svanirà, ma stiamo cercando di scoprire quale sostanza le sia stata somministrata”.
 
Le strinse più forte la mano fra le sue. Poi si alzò, le tolse il turbante e le accomodò i capelli dietro le orecchie, baciandole la fronte.
 
Era angosciato. Ma si sforzò di non darlo a vedere.
 
Si accomodò sul bordo del letto, racchiuse di nuovo la sua mano sinistra fra le sue, cercando di scaldarla, e le parlò.
 
Ti ricordi, Oscar, quel gioco che facevamo da piccoli? Un battito di ciglia per dire sì e due per dire no? Tre per dire non so.”
 
Un battito di ciglia.
 
Puoi vedermi?” Un battito di ciglia.
 
Riesci a respirare?” Un battito di ciglia.
 
Hai dolore?” Due battiti di ciglia.
 
Ti hanno fatto del male?” Due battiti di ciglia.
 
Ti hanno somministrato una droga che ti ha paralizzato”. Lo disse con tranquillità, senza celare il sollievo per le risposte già ricevute ma dissimulando la preoccupazione per le risposte alle domande che ancora doveva formulare.
 
Ti hanno fatto bere qualcosa?” Un battito di ciglia.
 
Sai cosa fosse?” Due battiti di ciglia.
 
Era amaro?” Un battito di ciglia.
 
Era un liquido chiaro?” Tre battiti di ciglia, non lo sapeva.
 
Quanto tempo è passato? Meno di un’ora?
 
Nessuna risposta. Le pupille di Oscar parvero ingrandirsi ancora di più.
 
La domanda era sbagliata? André ci riflette un poco su.
 
Si voltò cercando il conforto di Leopoldo e della Valide.
 
Le sorrise, cercando di rassicurarla, e riformulò la domanda.
 
Ti hanno fatto bere la droga più di una volta?” Un battito di ciglia.
 
Il terrore esplose negli occhi di André.
 
La Valide uscì furiosa dalla stanza.
 
Lo sguardo di Oscar si velò. Aveva sonno, tanto sonno. Ma si sentiva felice. Le sue mani erano gelide, così avevano detto. Ma il suo cuore le teneva caldo. Un dolce tepore la pervadeva, ora che André era lì con lei. Lui stava bene, quello solo contava. Chiuse gli occhi e si mise a sognare.
 
“Non addormentarti Oscar…ti prego resta qui con me ...”
 
“Amico mio, non vi crucciate. Si risveglierà. Come l’altra volta.”
 
L’altra volta sapevate di cosa si trattasse, Conte”, rispose sconsolato André. “Non sono stato in grado di proteggerla, né allora, né ora.”
 
Beh, direi che attirate guai e nemici come mosche. Mi fate concorrenza”, celiò il Conte, cercando di distrarre il francese.
 
“Dunque, lei non è né Jules, né Julie, ma Oscar… nientedimeno che il Conte Oscar François de Jarjayes, Colonnello delle Guardie Reali di Sua Maestà il Re di Francia!”
 
Andre annuì distrattamente, senza levare lo sguardo da Oscar, che dormiva profondamente. Sembrava serena.
 
“Non credo che il colonnello vorrebbe risvegliarsi vestita ancora da odalisca e comunque sarebbe saggio andarcene prima che sorga il sole. La Valide è potente, ma non so per quanto ancora potrà proteggerci. E fuori di qui, se necessario, potremmo farla visitare dal mio medico, non ho molta fiducia dei medici di corte…”
 
André non voleva lasciarla. Allungò una mano sulla coperta che l'avvolgeva e la rimboccò meglio sulle spalle.
 
Leopoldo fece un cenno a due ancelle che accorsero sollecite.
 
“Rivestitela con un lungo caffettano, pesante, che le tenga ben caldo.”
 
Poi, rivolto ad André: “Venite con me, amico mio, lasciamo fare alle donne. Voi dovete mangiare qualcosa. Se conosco la Sultana fra poco sapremo quale droga hanno fatto bere alla vostra Oscar.
 
Davanti ad un the caldo e speziato, Leopoldo raccontò ad André come avesse scoperto dell’intrigo dell’ammiraglio e del suo patto con il capo degli eunuchi neri.
 
“Quando ha appreso da me della vostra visita alla ricerca del lume perpetuo, la Valide si è domandata se la misteriosa donna bionda che il Capo degli eunuchi aveva portato in dono all’harem non fosse la stessa persona. La Valide ha una rete di spie, all’interno ed all’esterno dell’harem e non ci ha messo molto a sapere che era stato l’ammiraglio Cezayirli Gazi Hasan Pascià a cederla al Kızlar Ağası.”
 
André udì un lamento, si alzò di scatto e tornò da Oscar.  Le ancelle l’avevano spogliata e rivestita, ma una di loro si sforzava, invano, di toglierle la cavigliera che le cingeva stretta la caviglia sinistra, perché il fermaglio si era rotto.
 
André le prese delicatamente il piede fra le mani. Pensò a quando erano bambini, a quanto lei soffrisse il solletico ai piedi. Quanto era bella quando rideva, chiedendogli di smetterla. Da quanto tempo non ridevano più come allora?
 
Giurò a se stesso che non solo l’avrebbe sempre amata, che non solo l’avrebbe resa felice, ma che l’avrebbe fatta ridere.
 
Accarezzò il piede, poi afferrò il fermaglio con le dita e lo spezzò, liberandole la caviglia.
 
Leopoldo, che aveva osservato ogni gesto, si ricordò di un giorno di primavera.
 
André le prese di nuovo una mano fra le sue, e gli sembrò che un po’ di calore le scorresse di nuovo sottopelle. Le pose un tenero bacio sulle labbra, ancora dipinte di rosso. Percepì un taglio su quelle labbra e si accigliò. Intrise nell’acqua una pezzuola e le terse la bocca, poi le pulì il volto dal trucco rimasto. Come lei avrebbe voluto che lui facesse.
 
Leopoldo deglutì, ricaccio indietro la nostalgia, afferrò una panca bassa, l'avvicinò al letto, fece cenno ad André di sedersi accanto a lui, e continuò.
 
“Cezayirli Gazi Hasan Pascià si vanta della sua rete di spie, ma qualcuna fa il doppio gioco a favore della Valide. Non è stato difficile scoprire che il compagno moro della misteriosa bionda era stato inviato in una missione suicida qui al Gran Serraglio. Il resto lo conoscete.”
 
Che ne sarà del Capo degli eunuchi e dell’Ammiraglio?” chiese André.
 
La punizione per avere messo a repentaglio la vita del Sultano è la morte. Ma se conosco la Sultana, ammesso che sia ancora vivo, il Kızlar Ağası semplicemente sparirà. Quanto all’ammiraglio, lui è troppo potente anche per la Sultana. Se fosse lei a governare, questo impero non avrebbe rivali, ma ha avuto la sventura di nascere donna…”, si interruppe esitante , “come la vostra Oscar.”
 
Quando la Valide tornò, parve loro che minuscole gocce di sangue avessero macchiato l’orlo della veste. Nelle mani stringeva un’ampolla.
 
Ho l’antidoto”, esclamò ansante.
 
Oscar si sarebbe ricordata, come in un sogno, del Conte Leopoldo che abbracciava con affetto un’anziana donna con una lunga treccia di capelli bianchi, sui quali brillava uno smeraldo, verde quasi quanto gli occhi di André.
 
Si sarebbe ricordata di André, del suo profumo di buono e del suo pomo d’Adamo che sfiorava con le labbra, ora che finalmente riusciva di nuovo a muoverle. La stringeva avvolta in una coperta, mentre camminava veloce tenendola in braccio.
 
Si sarebbe ricordata della sua barba che le pizzicava la pelle mentre si stringeva con le braccia al suo collo.
 
Si sarebbe ricordata del Conte Leopoldo che per fare luce lungo un interminabile corridoio reggeva una lanterna ad olio (una semplice lanterna ad olio!).
 
E si sarebbe ricordata dell’alba luminosa di quel giorno nuovo, quando salirono sopra alle nuvole, in direzione di Tenedo.
 
“Finalmente il cielo,  con le sue ventate e le sue burrasche,  appoggiava il suo impegno.  …  il suo spirito si rallegrava con una soddisfazione immensa”(1)
 
(1) opera ed autore al prossimo capitolo. Tanto googlando si trova…
 
 

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


Somewhere, someone's calling me
And when the chips are down
I'm just a travelling man
Maybe it's just a trick of the mind, but
Somewhere there's a morning sky
Bluer than her eyes
Somewhere there's an ocean
Innocent and wild

 
(David Bowie, Move on)
 
https://www.youtube.com/watch?v=2Xd-u77rNho
 
 
 
 
 
 
“Finalmente il cielo, con le sue ventate e le sue burrasche, appoggiava il suo impegno.  …  il suo spirito si rallegrava con una soddisfazione immensa”[1]
 
 
Fu il vento lieve che le sfiorava i capelli a destarla, infine.
 
André che non aveva smesso di tenerla stretta fra le sue braccia, le sorrideva, mentre lei apriva gli occhi, debole ma ormai completamente sveglia. Erano entrambe seduti e davanti a lei riconobbe il Conte Leopoldo, in piedi, affaccendato a regolar qualcosa con una funicella.
 
Come ti senti?”, le chiese André, che dietro il sorriso nascondeva l’angoscia per la salute di Oscar.
Dal canto suo, lei temeva che si trattasse solo di un sogno, di un bel sogno nel quale André era sano e salvo accanto a lei.
 
Le sembrava di galleggiare, ma non sentiva il rumore dell’acqua.
 
Percepì un soffio d’aria calda, avrebbe voluto alzare il capo, ma la testa le girava.
 
André le bagnò le labbra con una spugna intrisa d’acqua fresca.
 
Oh André, sei proprio tu? Stai bene?” sussurrò con un filo di voce, stringendosi di più a lui.
 
“Sì, e siamo in salvo Oscar, stiamo in rotta verso Tenedo!”, rispose André alzandole appena il mento per accarezzarle le labbra con un bacio.
 
Un raggio di sole le aveva fatto richiudere subito gli occhi, appena li aveva riaperti, con il mento ancora sollevato, al termine di quel lieve bacio.
 
Aveva intravisto qualcosa sopra le loro teste.
 
Non erano vele.
 
“Se oggi il vento ci assiste ci arriveremo domani, Colonnello”, li interruppe Leopoldo.
 
Ma cosa …?” chiese Oscar.
 
Però prima del tramonto dovremo prendere terra e domani percorrere a piedi l’ultimo tratto”.
 
Un ricordo le sovvenne. Quattro anni prima. Aerostate Révelliom. Giardini di Versailles. La Regina ed il Re ed una folla di cortigiani avevano applaudito estasiati Joseph-Michel e Jacques-Étienne Montgolfier, che avevano fatto volare in cielo, con una cesta appesa ad un pallone, tre povere creature, un gallo, un’oca ed una pecora, facendole fortunatamente tornare a terra sane e salve.
 
Quel giorno, al comando dei soldati della Guardia Reale, aveva faticato a mantenere l’ordine.
 
Una cesta. Un pallone. Il cielo.
 
Si sforzò di nuovo di alzare la testa.
 
Le nuvole. Un pallone.
 
Enorme, di un celeste cinerino.
 
Si alzò appena, cercando di sporgere la testa fuori, fuori dalla … cesta.
 
Nuvole sopra e sotto, e fra le nuvole al di sotto, a precipizio, il mare.
 
Si rimise seduta, guardò un po’ stranita André.
 
André piegò il braccio destro portando la mano a massaggiarsi la nuca, trattenendo una risata.
 
“Se ora ci fosse qui mia nonna, le mestolate sarebbero tutte per me”.
 
E finalmente rise anche lei.
 
E Leopoldo pensò che quella risata argentina, tanto inconsueta per un colonnello, fosse proprio la risata di una donna innamorata.
 
Una lacrima solcò una guancia. Una sola. Colpa del vento e del sole si disse. Ma Leopoldo sapeva che non era così.
 
* * *
 
Poco prima del tramonto presero lentamente terra, approfittando di una radura, nascosta dal mare da una bassa collina.
 
Senza la fornace ed il mantice che alla partenza da Istanbul lo aveva riempito d’aria calda, il pallone, ormai sgonfio, era divenuto inservibile.
 
Leopoldo e André avevano tagliato le funi che lo legavano alla grande cesta di vimini e ne avevano ripiegato la mussola leggerissima.
 
André, con pochi abili gesti, aveva acceso un focherello sul quale Leopoldo aveva abbrustolito qualche fetta sottile di formaggio.
 
Mangiate, Colonnello”, le disse, porgendole una fetta di pane sul quale si stava sciogliendo il formaggio. “Domani ci aspetta una lunga marcia a piedi, per raggiungere Tenedo”.
 
Chiamatemi Oscar, Conte. Vi dobbiamo la salvezza”, rispose lei, allungando la mano.
 
Sul polso, il livido violaceo dei lacci era ancora evidente.
 
“Da quello che ho saputo, vi sareste salvati da soli voi due, ho solo accelerato gli eventi”, rispose quello, distogliendo lo sguardo dal polso della donna e poi: “Chiamatemi Leopoldo”.
 
Vi sarò per sempre debitore, Leopoldo”, mormorò André, mentre dopo avere ravvivato il fuoco, si sedeva accanto ad Oscar, intrecciando la sua mano destra con quella sinistra di Oscar.
 
Suvvia! Raccontatemi di Versailles, raccontatemi della Regina Maria Antonietta”, esclamò Leopoldo, frugando nella sua bisaccia, e versando ai commensali un po’ di vino da una fiaschetta.
 
Dopo una notte tranquilla, i primi raggi di sole svegliarono Oscar. Nonostante il fuoco si fosse spento, il tepore del corpo di André, che l’aveva avvolta nel suo stesso mantello e dormiva ancora profondamente, accanto a lei, l’aveva tenuta al caldo.
 
Si alzò, divincolandosi con un po’ di dispiacere da quell’abbraccio, cercando di non svegliarlo.
 
Quando fu in piedi, si mise ad osservarlo. Sembrava sereno, mentre dormiva. Il volto disteso, nonostante le tribolazioni degli ultimi giorni. I capelli neri, che alle prime luci dell’alba sembravano tingersi di un caldo castano, gli ricadevano sulla fronte e sulle spalle. Non si era potuto ancora radere. Prima di allora, solo quando l’aveva riscattato dai pirati, l’aveva visto con la barba lunga di giorni. Quel giorno l’aveva baciato per la prima volta. Aveva baciato un uomo per la prima volta. “Ti amo!”, bisbigliò.
 
Un fruscio la distolse dai suoi pensieri.
 
Il Conte Leopoldo stava tornando dalla boscaglia ai margini della radura, reggendo fra le braccia un po’ di legna secca per riaccendere il fuoco.
 
Oscar gli si fece incontro.
 
Già in piedi, Colonnello Oscar?”
 
Lei annuì. “Non mi è mai piaciuto dormire molto, a differenza sua”, rispose, piegando le labbra in un sorriso e volgendo il capo in direzione di André.
 
Lo amate molto, si vede.
 
Oscar arrossì un poco “Lo amo più della mia stessa vita.
 
Anche lui darebbe la sua vita per voi. Lo ha quasi fatto …”
 
Oscar abbassò gli occhi.
 
Sedetevi un po’ con me”, le disse Leopoldo, indicandole più in là una pietra larga e piatta, mentre lui si inginocchiava a terra per accendere il fuoco, distante da André, per non disturbarlo.
 
“Siete sposati da molto, Oscar?”
 
“Non vi ha raccontato nulla, André?”
 
“Ieri non aveva occhi e pensieri che per voi, ma la notte che vi intossicaste nel mio laboratorio, mi confessò che voi siete sua moglie.”
 
Non rispose subito, Oscar. Scrutò il Conte, che le dava le spalle, intento a sfregare fra loro due schegge di quarzite. I suoi capelli erano più chiari di quelli di Fersen, constatò.
 
“Da quasi vent’anni.”
 
Una scintilla e poi a seguire altre scintille attecchirono sulla corteccia e sulle foglie secche. Il Conte ammonticchiò qualche rametto. Il fuoco iniziò a crepitare.
 
Non l’avrei detto …”, esclamò Leopoldo, facendo leva con le mani sulle ginocchia mentre si rimetteva in piedi. Girandosi verso Oscar la fissò intensamente, l’acquamarina nel blu “… ma ci sono riuscito ad accendere il fuoco”. Si pulì le mani sfregandole sui pantaloni “Si capisce che vi amate da sempre”, aggiunse sorridendole.
 
E voi, Leopoldo, avete una moglie che vi aspetta?”
 
Scosse la testa, Leopoldo. Con le dita iniziò a tirarsi i polsini di pizzo, che un tempo erano stati bianchi.
 
No, ma una volta sono stato innamorato. Tanti anni fa.”
 
Non domandò altro Oscar. Non era nella sua natura essere indiscreta. Non avrebbe insistito oltre.
 
Leopoldo si avvicinò al fuoco per scaldarsi le mani.
 
“Vado a prendere un po’ d’acqua. Ho trovato una sorgente qui vicino nel bosco.”
 
Quando tornò, pochi minuti dopo, la trovò ancora lì, intenta a rigirare le braci con un rametto.
 
Versò l’acqua in una gavetta e la mise sul fuoco.
 
Lei non c’è più”, disse inaspettatamente. “Mi sono addormentato stringendola fra le mie braccia e quando mi sono svegliato, il mattino dopo, lei non c’era più.
 
Oscar si girò di scatto, per cercare André, che dormiva ancora profondamente.
 
L’ho cercata ovunque, ho chiesto a chiunque, ho frugato fra le sue cose per cercare un indizio, non ho risparmiato denari, risorse, alleanze ed amicizie, ma non è servito a nulla.”
 
Deve esserci una spiegazione Leopoldo, forse …”
 
Credete che non ci abbia pensato, Oscar? Che non abbia pensato che la colpa fosse mia, dei nemici che da una vita mi inseguono?”
 
“Vorrei potervi aiutare Leopoldo, come voi avete aiutato noi…”
 
L’acqua traboccò dalla gavetta ed un fumo denso si alzò.
 
Con uno straccio, Leopoldo levò l’acqua dal fuoco. Rovistò nella bisaccia fino a trovare un sacchetto di tela grezza e versò una generosa dose di minute foglie di tè nell’acqua bollente.
 
“Sono passati dieci anni, Oscar, dieci lunghi anni, ma ogni giorno mentre all’alba mi sveglio, io la cerco accanto a me.”
 
Oscar allungò una mano per cercare quella del Conte. Non l’avrebbe mai fatto prima: un militare, un uomo, non si lascia sopraffare dalla commozione.
 
“Rinuncerei a tutto, al mio passato ed al mio futuro, se potessi rivederla, solo un istante, per sapere che è viva ed è felice.”
 
“Lei, lei come si chiamava, come si chiama …?”
 
Poi una voce, calda, bassa ed allegra li fece girare.
 
Che magnifica giornata!” li salutò Andrè, stirandosi le braccia, mentre le veniva incontro per baciarla sulla fronte.
 
“Giusto in tempo per il tè, amico mio!”
 
Dopo una colazione frugale si misero in marcia. Più volte i due uomini avevano insistito per fermarsi, perché lei, ancora debole, potesse fare una sosta. Ma Oscar era stata irremovibile. “Avremo tempo di riposarci a bordo della nave” aveva insistito.
 
In realtà marciare le serviva per scacciare i cattivi pensieri.
 
I cattivi pensieri avevano fatto la loro tana nella reggia e nei giardini di Versailles, a Palais Royal e alla Bastille, avevano indossato le vesti e le parrucche incipriate del Duca d’Orleans e del Duca di Germain e danzavano il minuetto tra una folla di cortigiani.
 
I cattivi pensieri la riportavano alla visione che l’aveva atterrita al mercato di Rodi, la trascinavano nei vicoli stretti di Parigi, soffocandola con il fumo dei cannoni, l’odore acre della polvere da sparo e l’afrore umido della Senna.
 
Agitavano al vento uno ḥijāb azzurro ed una divisa blu. Sporca di sangue.
 
Finalmente, mentre il sole a picco scaldava i viaggiatori ed annullava le ombre, raggiunsero Geyikli. Mischiandosi fra la folla di mercanti e viaggiatori comprarono un passaggio in galea fino all’isola di Tenedo.
 
Presto ne avvistarono la fortezza e velocemente sbarcarono.
 
La Santo Stefano se ne stava lì, imponente e quieta.
 
Qui, da Tenedo, gli achei fecero rotta su Troia” ricordò improvvisamente André.
 
E Achille uccise Tenete che voleva impedirlo … eppure sua madre Teti l’aveva avvertito, di non ucciderlo …”, rispose Leopoldo.
 
Bene amici miei, è ora che io vi lasci”, proseguì quasi sospirando.
 
Rovistò ancora nella sua sacca. Che sembrava una cornucopia. Ne trasse con cautela un involto di tela spessa che ne conteneva un altro di velluto morbido e rosso e scuro.
 
Questo è per voi”, disse, porgendole il fagotto.
 
Oscar, sorpresa, lo aprì. Il Guarneri se ne stava lì, lucido ed antico.
 
Non posso accettare, Conte.
 
Si che potete, vi servirà, per scacciare i cattivi pensieri.”
 
Oscar sgranò gli occhi, meravigliata.
 
Io non posso suonarlo più. Da me non si fa suonare più …”
 
Non so come potremo mai sdebitarci, per tutto quello che avete fatto per noi, Conte … e senza una ragione”, intervenne André.
 
Però dovrete suonarlo, suonarlo spesso, solo questo vi chiedo. E questo è per voi”, continuò Leopoldo, ignorando la domanda di André, “Che preferite la lettura alla musica. Vi chiedo solo di non separarvene mai e no…non apritelo adesso, apritelo quando sarete tornati a Parigi” e detto questo porse ad André un pacchetto avvolto in una carta ruvida e blu come la notte.
 
Chiuse gli occhi, accennò un inchino, e di scatto girò le spalle, allontanandosi.
 
Ci rivedremo un giorno. Io ne sono sicuro”, lo salutò André.
 
Leopoldo si fermò. Non si girò. Ma gli rispose.
 
“C’è sempre una ragione, André.”
 
“E lei, Oscar, si chiamava Hermione.”
 
Restarono così a guardare la figura alta e sottile del Conte Denis di Saint Germain o forse di Leopoldo Giorgio Rákóczi che si faceva via via più piccola. L’Oriente, l’Oriente più profondo era la sua meta, aveva loro confidato.
 
“Hermione?” domandò André, mentre la stringeva a sè.
 
“Hermione è la donna di cui il Conte era innamorato…”
 
Ma dalla Santo Stefano qualcuno già li aveva scorti. Arrancando sul molo, Goerso gli veniva incontro.
 
 
“La scienza, come la poesia, si sa che sta ad un passo dalla follia
 
Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana.
 
 

[1] Naturalmente…:”Il giro del mondo in ottanta giorni”, Jules Verne.

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Capitolo 41
*** Capitolo 41 ***


As long as there's sun
(…) As long as there's rain
(…) As long as there's fire
(...) As long as there's me
As long as there's you


(David Bowie, Where are we now)
 
 
 
 
“La scienza, come la poesia, si sa che sta ad un passo dalla follia
 (Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana.)
 
Tante erano le cose che Goerso doveva raccontare loro.
 
In quei giorni di lontananza, che a Goerso erano parsi millenni e ad Oscar e André ancora di più, era arrivata corrispondenza per il Conte Jules de Saint, direttamente da Candia e da Malta, mentre da Istanbul erano arrivate quattro enormi casse imballate con cura, all’indirizzo dei Conti de Saint.
 
“Spallanzani e Sestini hanno fatto sapere che non torneranno con noi, ma raggiungeranno il Cairo e risaliranno il Nilo fino alla Nubia.”
 
Il tempio di Dendera…”, rifletté André.
 
“Ho faticato a tenere il Capitano lontano dalle vostre casse. E dice che non le imbarcherà nella stiva se non potrà accertare che il contenuto non è un pericolo per la sua nave. Perciò ora sono ancora sulla banchina.”
 
Oscar si girò apprensiva per cercarle con lo sguardo. Vide un paio di ragazzini seduti vicino ad un grosso imballo.
 
Sì, sono quelle, Oscar. Le ho fatte coprire e sorvegliare a vista giorno e notte, ho immaginato fossero preziose per voi”.
 
Ti siamo grati”, gli rispose Oscar con un sorriso.
 
Fu allora che Goerso, se ne avvide. Felice di rivederli, dopo essersi angustiato per giorni, non si era accorto che Oscar e André erano esausti e malconci.
 
Venite su, salite a bordo, farò in modo che vi portino acqua calda ed abiti puliti, Oscar.”
 
Di nuovo un sorriso.
 
Goerso calcò meglio il cappello sulla testa, a coprirsi le orecchie, giacché lei con un sorriso l’aveva fatto arrossire.
 
Anche per te, André”, aggiunseed anche un pasto caldo…ma non vi ho ancora raccontato tutto…”.
 
Oscar e André si scambiarono uno sguardo preoccupato.
 
“E’ arrivato un francese giusto oggi, è ancora a colloquio con il capitano.”
 
Si è presentato?” domandò accigliato André.
 
Goerso scosse la testa.Ha chiesto udienza direttamente a Zane, non sono riuscito a saperne di più. Solo il cambusiere mi ha confidato che Zane ha fatto portare in cabina cibo e vino a volontà, il migliore della sua riserva personale.
 
Tutto questo non mi piace, André”, sussurrò Oscar.
 
André annuì.
 
Ascolta Goerso, forse è meglio se …”, s'interruppe André guardandosi intorno. Nella luce del tramonto non riconobbe facce conosciute intorno a loro. Forse è meglio che tu non ci abbia visti. Trascorreremo la notte in una locanda e domani decideremo il da farsi.”
 
“Nel frattempo, puoi farci avere la corrispondenza e scoprire qualcosa in più dell’identità del francese? Ma senza correre rischi, si intende …” aggiunse Oscar.
 
“Certo che sì” bisbigliò Goerso.Andate a mio nome nella locanda del ‘Sole nascente’, giusto ad est appena fuori dal porto. Il padrone è amico mio. Io vi raggiungerò lì a mezzanotte. Ora andate…non potete sbagliarvi, sulla porta riconoscerete l’insegna.”
 
Serrandosi meglio il cappuccio sulla testa, si affrettarono fuori dal porto. Le indicazioni di Goerso non potevano essere più chiare e riconobbero subito il bassorilievo intagliato nel legno di un mezzo sole che sorgeva (o tramontava?) dalle onde del mare.
 
Menzionato il nome del loro amico, il locandiere, un genovese segaligno di poche parole, con la pelle bruciata dal sole, i capelli più neri della notte e gli occhi grigi come un cielo nuvoloso, li condusse alla migliore delle sue stanze, fece riempire una tinozza di acqua bollente e portare altra acqua, teli puliti, pane, minestra e tè.
 
Rimasti finalmente soli, André abbracciò stretta la sua Oscar.
 
Ho temuto di perderti”, mormorò lei.
 
Non l’avrei mai permesso”, mormorò lui.
 
Era la risposta ad un’altra domanda, ma poco importava.
 
Vieni, finché l’acqua è ancora calda”. L’acqua nella tinozza emanava un lieve vapore. André si rimboccò la manica della camicia sul gomito ed immerse la mano per controllarne la temperatura. Aggiunse un secchio di acqua fredda e controllò di nuovo.
 
Poi le tirò giù il cappuccio e le tolse il mantello dalle spalle.
 
Iniziò a scioglierle i lacci che tenevano chiuso il pesante caffettano.
 
Con gli occhi le chiese un muto consenso. Lei alzò le braccia in alto e la tunica scivolò via.
 
Oscar arrossì un poco ed abbassò il capo. Ma lui continuò a fissarla negli occhi. Le prese la mano con delicatezza e l’aiutò ad immergersi nella tinozza.
 
Rimasero un po’ così, occhi negli occhi, la mano destra di Oscar e la mano destra di André, incatenate. Lei strinse più forte la mano di lui. Poi si concesse di piangere.
 
L’aveva sempre amata, immensamente. E sempre l’avrebbe amata, immensamente.
 
Ma allora come era possibile, amarla ancora di più, ogni nuovo giorno che Dio concedeva loro? Eppure, si disse, era proprio così.
 
Si chinò su di lei, cercandone le labbra, salate di lacrime, per donarle conforto.
 
Poi anche i vestiti di André caddero a terra. Sporchi ed infangati. Tanto quanto il suo amore era puro.
 
“Finché ci sarà il sole, finché ci sarà la pioggia, finché ci sarà il fuoco, finché ci sarai tu, io ci sarò” [1]
 
Accadde, nella locanda del sole nascente.
 
***
 
A Napoli, una giovane e ricca contessa del Regno di Sardegna, si era fatta confezionare gli abiti più sforzosi, con le sete ed i pizzi e le perle più preziose che il Regno di Sicilia importasse e le abili mani delle sarte partenopee cucissero.
 
Dalla Reale Manifattura napoletana aveva acquistato tre pregiati arazzi, Aria, Acqua e Terra, il suo omaggio per la Corte di Versailles. Il quarto, il Fuoco, aveva deciso di tenerlo per sé.
 
Scortata da due cameriere ed altrettanti servi, stava camminando per le vie di Napoli, esibendo il potere e la superbia che le risorse illimitate concessale da Cezayirli Gazi Hasan Pascià le avevano assicurato.
 
Ma in verità avrebbe preferito indossare i suoi vecchi stracci.
 
Un’altra donna sarebbe fuggita con quei tesori. Lei però non l’avrebbe fatto mai, e questo Hasan Pascià, manipolatore di animi indomiti e domatore di belve feroci, lo sapeva bene.
 
Con il suo seguito era salita lungo Via del Serbatoio fino al “Ritiro alla Purità”, perché voleva godere della vista del Vesuvio dai Colli Aminei.
 
Se fosse stato lì con lei, lui le avrebbe spiegato di nuovo cosa succedeva dentro a quel vulcano. Di nuovo, perché lo aveva già fatto.
 
Non riusciva più a dormire in una stanza che avesse una finestra, perché quando accadeva non chiudeva occhio, immaginandosi che lui potesse sbucare da lì, come faceva a Genova, quando dopo essersi arrampicato sull’albero di pesco che cresceva sul retro della casa, la raggiungeva di nascosto per leggere con lei i libri più insoliti che lui di volta in volta rubacchiava, ora dalla canonica, ora dalla biblioteca del vecchio Leon oppure dal retrobottega di una farmacia o dalla borsa di un medico.
 
Quei libri, Lorenzo (quel nome le rimbombava nel cuore), li restituiva sempre, dopo averli letti ed imparati a memoria.
 
Dove finisse la sua scienza e dove iniziasse la sua follia, non l’aveva capito mai.
 
Ma una notte di primavera lui era entrato scrollandosi di dosso i petali rosa del pesco in fiore e lei aveva capito dove iniziava lei e dove finiva lui.
 
Historia et meteorologia incendii aetnaei, Giovanni Alfonso Borelli, Reggio Calabria, 1670”, lo ricordava a memoria. Il magma incandescente è imprigionato sotto la crosta terrestre. Quando la pressione cresce, il fuoco erutta.
 
In un giorno di fine maggio, celando sotto le pieghe delle ampie gonne, orecchini e collane di celeste zaffiro per il suo debutto a Versailles, nelle viscere un magma infuocato ed in fondo al cuore il germoglio di una speranza, Alba si imbarcò per Marsiglia.
 
 
***
Oscar dormiva profondamente.
 
Si erano asciugati al fuoco del camino e rifocillati mangiando qualcosa. Poi Oscar si era accoccolata fra le braccia di André e si era addormentata. Non aveva avuto cuore di svegliarla, per ricordarle che di lì a poco sarebbe arrivato Goerso; perciò, l’aveva adagiata sul letto e le aveva rimboccato le coperte.
 
A mezzanotte in punto, Goerso aveva bussato alla porta ed André lo aveva fatto entrare, un dito sulle labbra per chiedergli di parlare sottovoce per non destarla.
 
Da una scarsella Goerso aveva tratto due plichi, il primo, più consistente, proveniva da Candia e recava il sigillo di Monsieur Fabre. Il secondo, più sottile, arrivava dall’isola di Malta, ma il sigillo era sconosciuto.
 
André volse lo sguardo verso Oscar, il cui volto era illuminato dal bagliore del fuoco nel camino.
 
Hai scoperto chi ha fatto visita al capitano?”
 
In questo momento qualcuno lo sta scoprendo per me.
 
André aggrottò la fronte.
 
Goerso allargò la bocca in un sorriso
 
La tua Oscar forse non approverebbe l’uso di certi mezzi… ho inviato una amica a fargli compagnia!
 
André trattenne a stento una risata.Ma Goerso, quanti amici hai?”
 
“Ho navigato in largo e vissuto a lungo …”
 
Nel sonno Oscar si lamentò e i due uomini si girarono verso di lei, preoccupati.
 
André le si fece vicino, le accarezzò i capelli e la baciò sulla fronte.
 
Cosa è successo a Istanbul?” domandò Goerso.
 
Ho rischiato di perderlama ora siamo qui.”
 
Afferrò la prima missiva. Alla luce di una candela ne ruppe il sigillo ed iniziò a leggerla.
 
Monsieur Fabre accludeva nuove lettere di cambio e nuovi visti per il viaggio di ritorno. Gerasimos Zervas, lo aveva informato di essere stato costretto dagli eventi a partire in tutta fretta abbandonando a loro stessi i due francesi.
 
Inoltre, su incarico del “Duca”, Monsieur Fabre ne inviava una lettera sigillata.
 
Le mani di André, solitamente salde e forti, tremarono impercettibilmente.
 
Cattive notizie?” domandò ansioso Goerso.
 
“Non so se sia giusto leggerla senza di lei”.
 
La mise da parte. Prese la seconda lettera. La soppesò studiandone il sigillo. Tre semplici lettere: JPM. Improvvisamente gli parve di avere intuito chi ne fosse il mittente e rinfrancato l’aprì.
 
§ - § - §
Conte Jules, Monsieur Jacques,
 
spero di trovarvi in buona salute. Ero in Sicilia quando ho appreso delle vostre disavventure in mare, ma sono riuscito ad avere notizia anche del vostro felice approdo a Malta e della vostra ripartenza in direzione di Costantinopoli.
 
Il generale padre stoicamente affronta la sua prigionia, ma gode di buona salute, così come la sua nobile consorte e la nonna di Monsieur Jacques.
 
Manterrò fede alla mia promessa. Lo sto già facendo. Al vostro ritorno non seguite le rotte consuete e non recatevi subito a Parigi. Non posso aggiungere altro adesso. Non è sicuro.
 
Ho scritto nuovi versi dopo il nostro incontro: rara felicità conquistare l'amore a dispetto del fato![2]
 
Abbiate cura di voi.
 
JPM ”
 
§ - § - §
 
JPM. Johann Philipp Möller. Johann Wolfgang von Goethe. Un Amico. Ma come seguire il suo consiglio?
 
André ripiegò la lettera e sospirò. Doveva svegliarla per leggere la lettera del Duca d’Orleans?
 
Oppure era giusto farla riposare ancora un poco, aprire la missiva e risparmiarle l’orrore che sicuramente celava, proteggendola dalla sua conoscenza?
 
Si crucciò che il pensiero di una tale azione l’avesse anche solo sfiorato.
 
Lei era Oscar François de Jarjayes, il colonnello de Jarjayes, fragile fra le sue braccia e tenera ai suoi baci. Ma salda e forte e caparbia ed orgogliosa con il resto del mondo.
 
Con un bacio la destò, mentre un tuono annunciava l’arrivo di un temporale.
 
 
E piove su le tue ciglia, Ermione. Piove su le tue ciglia nere sì che par tu pianga
Gabriele D'Annunzio - La pioggia nel pineto
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

[1] Immenso Bowie. As long as there's sun (…) As long as there's rain (…) As long as there's fire (…)As long as there's me,  As long as there's you.  Finché ci sarò io, finché ci sarai tu.
[2] Wolfgang Goethe, Faust.

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Capitolo 42
*** Capitolo 42 ***


The screw
Is a tightening Atrocity
I shake
For the reeking flesh
Is as romantic as hell
The need
To have seen it all
The Voyeur of Utter Destruction
As beauty
I shake
 
(David Bowie, The Voyeur of Utter Destruction -As Beauty)

https://www.youtube.com/watch?v=eC9Sfy6qjmc
 
 
E piove su le tue ciglia, Ermione. Piove su le tue ciglia nere sì che par tu pianga
Gabriele D'Annunzio - La pioggia nel pineto
 
La pioggia batteva forte sui vetri della loro stanza alla locanda.
 
Davanti a loro lettere eleganti componevano parole maligne.
 
Goerso, che non voleva essere di troppo, cercò di non farsi sopraffare dall’apprensione e con la scusa di dover incontrare la sua amica per scoprire finalmente chi fosse il misterioso francese, si congedò con la promessa di ritornare all’alba.
 
André si mise a leggere la missiva a bassa voce, mentre Oscar, seduta davanti al fuoco accanto a lui, seguiva con lo sguardo l’inchiostro nero che strisciava sulla carta pregiata.
 
* § *
 
Conte De Saint,
 
ho appreso dell’assalto dei pirati alla Misticque e del vostro rapimento. So che il vostro attendente vi ha riscattato e siete tornato in buona salute. Ma, a differenza del Vostro augusto genitore, non ho dimenticato che siete una donna, e mi auguro, per la buona riuscita del nostro accordo, che voi siate ancora integra per convolare a nozze con colui al quale, ricordatevi, siete stata promessa.”
 
André abbassò il foglio e si fermò, sopraffatto dall’angoscia. Guardò Oscar, che non sembrava turbata. “Il mio piccolo imbroglio ha funzionato. Il Gran Maestro dei Cavalieri di Malta non ha capito che ad essere rapito eri stato tu.”
 
Oscar, io …
 
Vai avanti a leggere, André!
 
“Non credo che lui apprezzi la merce avariata. Vi impalmerebbe lo stesso, non illudetevi, ma ci sarebbero conseguenze assai spiacevoli.”
 
Oscar, io …” si interruppe nuovamente André.
 
“Perché ti sei fermato?”, intervenne secca Oscar. Poi comprese. Esitò un attimo e proseguì, il tono di voce più caldo e dolce, quello che riservava solo a lui Non ti sentirai in colpa vero André?”
 
André chiuse gli occhi ed annuì.
 
Quello che è accaduto fra noi è stato meraviglioso, è meraviglioso. Non meritavo forse di essere amata dall’uomo che amo e che amerò sempre, André?
 
“Certo, Oscar, ma …”
 
“Non ho nessun rimorso André, se non quello di non avere compreso prima quanto ti ammassi, davvero.”
 
“Potevo rispettarti, Oscar, avrei dovuto farlo.”
 
“Tu mi hai sempre rispettato André. Io sono tua moglie ed il ricatto del Duca non cambierà le cose” sussurrò Oscar. Poi posò la mano destra sul petto di André, là dove batteva il cuore, chiuse gli occhi, sospirò e si fece racchiudere in un abbraccio. A malincuore riemerse da quel tepore. Continua a leggere e non fermarti più.”
 
“Certo, non sarebbe stata colpa vostra se fatta schiava dai pirati qualcuno si fosse preso licenza di rammentarvi quale sia il posto di una femmina, ma così è la vita. Ingiusta talvolta.”
 
Il Duca si sbaglia”, pensò Oscar. L’uomo che era lì, abbracciato a lei, aveva infranto un incantesimo, amandola con il suo corpo e con la sua anima. Non c’era stato nessun posto da assegnare, nessun ruolo da ricoprire. L’angoscia la colse pensando alle mani del Duca di Germain su di lei, al suo fiato sul collo, ma non lo diede a vedere.
 
“Tornando ai nostri affari, se leggete questa mia, probabilmente siete di ritorno da Costantinopoli. Auspico che abbiate con voi quello che quel traditore del Conte di Saint Germain trafugò al Grande Oriente, e se manterrete fede agli impegni, il Generale padre sarà libero e la lettre de cachet revocata.
 
Ma vi consiglio di affrettarvi. Mala tempora currunt. Sua Maestà ha dimissionato Calonne. Avreste dovuto esserci, quando Calonne ha fatto distribuire gratuitamente a Parigi migliaia di esemplari della sua lettera di «Avertissement» all’Assemblea dei Notabili. Le leggevano financo i parroci in chiesa. Lafayette ha scritto che persino a Boston un simile appello sarebbe stato considerato come un atto di sedizione. Mentre vi scrivo Sua Maestà ha appena nominato Brienne (il Cardinale Brienne!) al posto suo.
 
Perciò, non so chi potreste trovare sul trono se vi attardaste troppo.
 
Al vostro ritorno presentatevi immediatamente da me, là dove partiste. Se vi conosco cercherete una soluzione. Ebbene, sappiate che non esistono soluzioni diverse dall’obbedienza.
 
LPJ”
 
* § *
 
 
Conclusa quella terribile lettura, non rimasero che il silenzio ed il rumore della pioggia.
 
Mentre il temporale si accendeva di lampi, Oscar si fece abbracciare più stretta dal suo André. Le dita avvinghiate alla stoffa della camicia di André tesa sulla schiena, il volto nascosto contro il suo torace. Non avrebbe rinunciato a lui, ma doveva salvare suo padre.
 
Una soluzione, la soluzione, la soluzione diversa dall’obbedienza, l’avrebbero trovata.
 
Un bussare lieve li distolse dalle loro ambasce e quando André dischiuse la porta, la donna più bella che Oscar avesse mai visto, comparve sull’uscio.
 
* * *
 
Il nuovo ministro delle Finanze, il Cardinale Étienne Charles de Loménie de Brienne, stava disperatamente cercando di ottenere nuovi prestiti per permettere al governo di mantenersi a galla, ma dopo avere constatato che era stato più facile opporsi a Calonne, che ora assumerne il ruolo, stava già rimuginando di congedare l’Assemblea dei Notabili.
 
Come se non bastasse, lo disturbava quella strana storia del Generale Augustin Reynier de Jarjayes, nobiltà di spada fedele alla corona da secoli, dai tempi delle crociate, imprigionato alla Bastille dopo essere stato accusato, dal Duca d’Orleans, di avere tramato con i Conti de La Motte nella truffa della collana.
 
O meglio, colpevole sarebbe stato il figlio, anzi la figlia, colonnello delle Guardie Reali (una donna!), che per lustri si era distinta per onore e coraggio nella difesa delle loro Maestà. E poi c’era stato quel suo amico di vecchia data, il Barone Antonio Vivona, che per conto di quello scrittore tedesco, Goethe, aveva chiesto di intercedere a favore dei Conti de Jarjayes.
 
Non che al Cardinale interessasse particolarmente compiacere quel tedesco infedele che non aveva mai nascosto il suo disprezzo per la Chiesa Cattolica. Aveva paragonato la Chiesa al teatro e al carnevale: cerimonie come opere teatrali, processioni come balletti, la benedizione delle candele come un abracadabra (e gli veniva da farsi il segno della croce ogni volta che ci pensava) e se ne faceva pure vanto!
 
Ma il cugino del Re, il Duca d’Orleans, stava acquisendo troppo potere all’interno dell’Assemblea dei Notabili e non faceva segreto della sua ostilità nei suoi confronti; dunque, qualunque mezzo utile a ricondurlo dalla parte dei Ministri di Sua Maestà sarebbe stato lecito e benedetto dal Signore.
 
Aveva dunque chiesto udienza a Sua Maestà la Regina, e l’aveva ottenuta. Non si era troppo stupito delle informazioni di cui la Regina già disponeva ed avevano convenuto che indagare in maniera discreta sulle prove raccolte contro la famiglia de Jarjayes, al fine di revocare la lettre de cachet e magari screditare il Duca d’Orleans, fosse la giusta soluzione per spuntare le armi del Duca, qualunque intrigo avesse in mente.
 
Quello che veramente lo stupì fu il fatto che Sua Maestà aveva già deciso, irrevocabilmente, che per la figlia del Generale l’unica soluzione fosse un matrimonio e che il promesso sposo ne fosse già informato, all’insaputa della sposa.
 
* * *
La sconosciuta non era accompagnata da Goerso. Del resto, non era nemmeno l’una di notte.
 
Un lampo più brillante degli altri ne rischiarò a giorno l’ovale perfetto del viso. Se ne stava lì, sulla soglia, con il mantello scuro e fradicio di pioggia, e sotto il cappuccio lunghi capelli neri incorniciavano un volto pallido dalla pelle candida.
 
Un naso piccolo e sottile invitava a spostare l’attenzione sulle labbra morbide, piene e carnose.
 
Era trafelata ed il respiro affannoso accentuava le forme generose del seno, stretto in un corsetto dalla vita affilata, in un semplice abito verde, di cotone grezzo.
 
Gli zigomi alti non indurivano lo sguardo, due occhi a mandorla di un nocciola caldo ed ambrato, che tradivano la sorpresa di avere loro due, davanti a sé. Rapidi avevano frugato nella stanza, alla ricerca di qualcun altro. Poi le lunga ciglia nere avevano ombreggiato gli occhi, mentre quella donna li socchiudeva, cercando di nascondere una delusione bruciante e di trattenere un’emozione.
 
Ecco come era una donna vera, si stupì a rimuginare Oscar, mentre André sorpreso, ma senza mostrare alcuna preoccupazione, le rivolgeva la parola, invitandola ad entrare.
 
Cercate qualcuno Madame?”, le chiese in francese.
 
Quella avanzò di un passo, e con grazia scosse la testa.
 
Vi prego di perdonarmi, mi sono sbagliata Monsieur.”
 
Ecco anche il timbro della voce avrebbe ammaliato qualunque uomo. Acuto. Mezzosoprano, forse, ma non come quello della Polignac, che pure aveva incantato Maria Antonietta. Più morbido e dolce. Un perfetto francese dall'accento  appena un poco esotico.
 
Arretrò di due passi, volgendosi verso la porta.
 
Fu allora che Oscar parlò, col suo timbro più scuro da contralto.
 
Siete fradicia di pioggia ed è pericoloso per una donna vagare la notte, da sola.”
 
Quella sospirò ed alzò le spalle.
 
Sarebbe stato prudente congedare quella donna sconosciuta subito. E subito dopo cercare un altro rifugio per la notte. Poteva essere un pericolo. Ma scrutandola più attentamente, Oscar capì che quella donna costituiva un pericolo solo per se stessa.
 
André le fece cenno di sedersi accanto al fuoco.
 
La donna si arrese a tanta gentilezza. Si accomodò vicino al camino. Abbassò il cappuccio e fece scivolare il mantello lungo la schiena. Una massa di folti capelli neri, lucidi e setosi, le ricadde sulle spalle nude.
 
Mentre allungava le mani, pallide e sottili, per scaldarle al fuoco del camino, Oscar notò le piccole rughe, che, come lievi ricami, erano appena accennate intorno agli occhi.
 
Non era così giovane come sembrava, constatò, probabilmente era più vecchia di loro.
 
Ecco, io … mi avevano detto che uno straniero biondo era arrivato al porto. Vi hanno scambiato per lui, ma ora vedo”, le disse con voce malinconica squadrandola dall’alto in basso, senza presunzione ma con sicurezza,vedo …che siete una donna.”
 
Smascherata. Quella donna l’aveva smascherata con un’occhiata, nonostante i capelli corti e la foggia maschile degli abiti. La ricambiò con uno sguardo infuocato.
 
André trattenne un sorriso. Che solo lui si accorgesse che era una donna, una bella donna, gli era sempre sembrato inspiegabile.
 
Eppure”, proseguì la donna titubante, impermeabile alle reazioni di OscarEppure mi avevano assicurato di aver riconosciuto lui, proprio lui.”
 
Fu mentre André stava per domandarle “lui chi”, che lo sguardo della donna si posò su un oggetto alle sue spalle. Si alzò di scatto in direzione della mensola che reggeva il Guarneri.
 
Questo, da chi lo avete avuto?”, gridò, tanto era la foga con cui urlava, tanta era la delicatezza con cui sfiorava il violino, percorrendone con le dita le esse asimmetriche.
 
Il dono di un amicomormorò André, afferrandola per le spalle per calmarla e farla nuovamente sedere.
 
La pelle nuda delle spalle doveva essere liscia e morbida.Più della mia?si scoprì a chiedersi Oscar, mentre un fremito di gelosia le attanagliava lo stomaco. Per un istante, solo un istante. Perché poi una consapevolezza bruciante le attraversò il cervello.
 
E voi come vi chiamate?”, domandarono all’unisono, attoniti e sconvolti, Oscar e André.
 
 
* * *
 
Era soddisfatto. Come un uomo può dirsi soddisfatto.
 
Con la bocca aveva indugiato a lungo sulla pelle ambrata della donna che gli si era offerta quando a sera era sbarcato dalla Santo Stefano. Lei lo aveva portato nella sua stanza, in una locanda frequentata dagli stranieri di passaggio, pulita e discreta.
 
Sapeva che era una meretrice, né più né meno di quelle che abitualmente frequentava a Parigi, ma quella pelle sapeva di sole e di mare e di fiori di ibisco, impossibile confonderla con altri ricordi.
 
Impossibile soprattutto che le ricordasse lei, di cui ignorava il sapore della pelle, anche se immaginava che profumasse di rose e lavanda, eppure mentre raggiungeva il culmine del piacere era stato il suo nome che aveva gridato. Oscar.
 
La donna che era supina sotto di lui fece finta di nulla, sebbene stupita da quel nome maschile.
 
Presto sarebbe stata sua. La sua legittima sposa davanti a Dio e davanti al Re. E davanti alla Regina che aveva benedetto quell’unione.
 
Non avrebbe più indossato l'uniforme. Non avrebbe più impartito ordini.
 
Ripensò all’uniforme rossa, rossa come il sangue, rossa più del vino.
 
Immaginò di strapparne i bottoni, iniziando dai bottoncini che correvano sul fianco. Poi sarebbe stato il turno della giubba. Chissà se si fasciava il seno, si domandò.
 
Voltò prona la donna sotto di lui. L’avrebbe posseduta di nuovo, l’avrebbe dominata, pensando a lei.
 
Poi desistette. Maledisse il vino rosso del Capitano Zane che l’aveva un po’ infiacchito. O forse era la sua coscienza che dal profondo insinuava un dubbio, che sposarla sarebbe stato come tradirla, che lei non avrebbe voluto sposarsi. O peggio, sposare lui.
 
Ripensò alla disperazione del suo attendente, quando lei era sparita.
 
Si alzò, mettendosi a sedere.
 
Victor, che vi succede? Non vi piaccio più?”
 
Ripensò al fatto che non era riuscito ad aiutarla, ma ne aveva preso il posto.
 
Oh, no, mon bijou, no!
 
Non è a me che pensate, mentre fate l’amore. Ma sapete, ci siamo abituate. C’è sempre qualcun’altra a letto con noi”.
 
Victor non rispose. Si limitò ad afferrarle i polsi. La fece distendere sul letto, le accarezzò i capelli, chiuse gli occhi e si perse di nuovo.
 
* * *
 
Non vide Napoli allontanarsi da lei.
 
Quando il brigantino aveva lasciato il porto si era subito chiusa in cabina.
 
Non voleva galleggiare.
 
Lorenzo le avrebbe spiegato come funziona il principio di Archimede e perché le navi riescono a stare a galla. Un corpo immerso in un fluido è soggetto ad una forza, diretta verso l’alto, pari al peso del volume di liquido spostato dal corpo immerso. Ricordò la spinta del corpo di lui sul suo, il dolore, poi il calore ed il piacere. Ricordò che a suo modo anche lei aveva galleggiato mentre lui spingeva più forte.
 
Non lo voleva più nella sua testa. Lo voleva nella sua vita.
 
Alba si mise a contare.
 
Numero uno: arrivare a Versailles e concludere la missione assegnata da Hasan Pascià.
 
Numero due: tornare a Pera. Per cercare suo padre. Costringere suo padre a dirle quello che lei voleva sapere.
 
Numero tre: tornare a Creta e ripercorrere le tracce.
 
Numero quattro: tornare a galleggiare.
 
Oppure affogare.
 
 
 
Chi ci separa dovrà portarsi un tizzone dal cielo e col fuoco scacciarci da qui come volpi. Asciuga i tuoi occhi; li divoreranno i malanni, carne e tutto, prima che ci facciano piangere. Li vedremo morire di fame, prima.
 
(William Shakespeare, Re Lear, Atto V, Scena III)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 43
*** Capitolo 43 ***


It’s really Me
Really You
And really Me
It’s so hard for us to really be
Really You
And really Me
You’ll lose me though I’m always really free

 
(David Bowie, Wild Eyed Boy from Freecloud)
 
 
https://www.youtube.com/watch?v=kSDm7jcsZlM
 
 
Chi ci separa dovrà portarsi un tizzone dal cielo e col fuoco scacciarci da qui come volpi. Asciuga i tuoi occhi; li divoreranno i malanni, carne e tutto, prima che ci facciano piangere. Li vedremo morire di fame, prima.
 
(William Shakespeare, Re Lear, Atto V, Scena III)
 
 
“E voi come vi chiamate?” , domandarono all’unisono, attoniti e sconvolti, Oscar e André.
 
Quella non rispose. Si alzò di nuovo, afferrò con grazia il violino e lo porse, incerta, ora guardando una, ora l’altro.
 
“Uno di voi lo sa suonare?”
 
André sorrise rivolto ad Oscar e la sconosciuta, con amore ed apprensione, come se porgesse un infante, le allungò il Guarneri.
 
“Vi prego, suonatelo per me, io non ho mai imparato.”
 
“E’ molto tardi Madame, non vorremmo svegliare gli altri ospiti”, rispose, con dolcezza, Oscar.
 
“Solo poche note, vi prego, solo poche note.”
 
E mentre gli occhi della donna si colmavano di lacrime, che se ne stavano lì, immote, senza scivolare sulle guance, Oscar suonò le prime note della Danza degli spiriti beati.
 
La donna sembrò acquietarsi, tornò a sedere e le fece cenno che poteva fermarsi.
 
“Vi devo delle spiegazioni, ma prima devo domandarvi di descrivermi colui che vi ha donato questo violino.”
 
Oscar la scrutò con attenzione. Non era mai stata curiosa delle altre donne, ma quello sguardo così perso ed intenso, afflitto ed allo stesso tempo infervorato d’amore, lo aveva scorto solo un’altra volta, negli occhi di una donna. In quelli di Maria Antonietta. Quel giorno in cui aveva scoperto che la sua Regina era fragile e mortale, quando avrebbe voluto solo ammirarne l’ineffabile maestà. Lo stesso giorno in cui il suo cuore l’aveva ingannata e si era scoperta innamorata di Fersen.
 
Quel giorno in cui all’imbrunire la pioggia si era messa a cadere tanto fitta, che pareva che il cielo piangesse con loro, come stava accadendo adesso in quella notte piena di sorprese, fintanto che un’anima gentile era accorsa a darle conforto. E non si trattava solo del tepore di un mantello.
 
“Questo solo perché non mi sono specchiata, André, le volte in cui ho temuto di averti perso”, pensò, volgendo gli occhi a lui.
 
André per una volta fraintese e convinto che Oscar gli cedesse la parola, rispose:
“Un uomo al quale siamo eterni debitori, Madame, un uomo biondo, di circa quarant’anni, alto e magro, solo un poco più basso di me…”
 
“E gli occhi?”, chiese la donna “Come erano gli occhi?”
 
“Più azzurri di un’acquamarina”, rispose Oscar. “E suonava divinamente questo violino.”
 
“Leopoldo” mormorò lei.
 
“Leopoldo”, confermò Oscar.
 
“E ditemi, come stava, stava bene?”
 
Oscar annuì e poi aggiunse: “Siete scomparsa. Vi ha creduto morta. Siete stata crudele.” Si sorprese del tono severo delle sue parole, mentre continuava ad osservare ogni minimo dettaglio della donna che aveva innanzi.
 
Sottili cicatrici ancora rosse solcavano verticalmente i polsi diafani.
 
La donna se ne avvide e tirò giù le maniche per proteggersi da quello sguardo indiscreto. Lo stesso gesto abituale di Leopoldo, le sovvenne.
 
“Devo raggiungerlo, ditemi dov’è!”
 
“Ci ha accompagnati qui oggi, nel pomeriggio ci ha lasciato.” Le rispose André, “non conosciamo la sua destinazione, ma solo la sua decisione di lasciare Costantinopoli per sempre, per dirigersi in Oriente”.
 
“Non ho più tempo, non c’è più tempo!” rispose la donna alzandosi in preda all’agitazione per fuggire via.
 
Fu Oscar, questa volta, a trattenerla per le spalle per farla sedere di nuovo. Si inginocchiò davanti a lei, le prese le mani. Accarezzò con i pollici le cicatrici.
 
“Non ci avete ancora rivelato il vostro nome.”
 
“Hermione” rispose quella abbassando la testa stupita dal gesto di Oscar. Le era sembrata una donna altera.
 
“Lo immaginavo. Leopoldo vi ama ancora, vi ama immensamente e non ha mai smesso di cercarvi” sussurrò Oscar, la voce un poco commossa.
 
Intanto André guardava la sua Oscar. La conosceva bene. Ma ogni giorno la conosceva un po’ di più ed ogni giorno la amava sempre di più. Come fosse possibile, giacché da sempre l’amava immensamente, era un mistero insondabile. La sua Oscar che sotto l’aspetto austero nascondeva la dolcezza di una madre e l’innocenza di una bambina.
 
“Perché?”
 
La domanda, insolitamente secca, proveniva da André.
 
“Perché l’ho lasciato?”
 
“Perché ora volete trovarlo.”
 
“Non dovete diffidare di me, tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per lui”.
 
“Allora dobbiamo affrettarci! Venite con noi!”.
 
* * *
 
Quando Goerso vide André, temette il peggio.
 
André senza Oscar. Le era forse capitato qualcosa? Approfittando delle tenebre e della pioggia copiosa, André era salito di soppiatto sulla Santo Stefano e l’aveva destato, mentre sognava disteso nella sua cuccetta. Sognava del suo borgo natio,  davanti alle acque verdi e scintillanti di un golfo, in cui era incastonata una piccola isola, poco più di uno scoglio lanciato in mare da un Dio invidioso del Regno di Nettuno.
 
“E’ successo qualcosa?” domandò preoccupato, mentre il sogno svaniva.
 
André lo rassicurò. “Sai se ci siano navi in partenza per l’Oriente?”
 
Goerso fece mente locale. “Due, ce ne sono due. La prima è francese, è quella con cui è arrivato l’ospite del Capitano, a proposito fra poco la mia amica dovrebbe essere qui…”
 
“Non ripartirà subito…”
 
“No, quella no, ma l’altra, un brigantino della Compagnia delle Indie Orientali, il Pelican, salpa all’alba, con destinazione Calcutta.
 
“Da quale molo?”
 
“Il molo nord … dall’altra parte, ma cosa sta succedendo?”
 
“Ti racconterò tutto, te lo prometto, ci vediamo all’alba alla locanda! Se dovessimo tardare, aspettaci!”
 
Sul molo, nascoste fra barili e sartie, Oscar ed Hermione l’attendevano ansiose. Poi si misero a correre tutti e tre a perdifiato sotto la pioggia, per raggiungere in tempo il Pelican. Le vesti lunghe di Hermione la rallentavano, era caduta e si era rialzata, sostenuta da André, ma la caviglia le doleva ed il sole impaziente iniziava a sorgere ad est.
 
Il tramestio dal molo nord, il rumore delle cime che si srotolavano dalle bitte, le voci concitate dei marinai che si preparavano a salpare, sembravano così vicine; eppure, erano ancora tanto lontane.
 
“Resta qui con lei!”
 
“Oscar…”
 
“Sono io la più veloce … vi precedo!”, si sfilò il mantello e corse via.
 
Appoggiato con i gomiti alla murata di poppa del Pelican, Leopoldo fissava la pioggia che i primi raggi di sole tingevano di viola.
 
Pensò ad un’allucinazione quando vide una figura familiare, esile e snella, che si avvicinava veloce alla nave. Fradicia di pioggia urlava ai marinai che doveva parlare subito con il capitano.
 
Quelli non capivano la sua lingua, ma l’acqua aveva reso trasparente la camicia e si erano messi a fissarla con desiderio.
 
Oscar stava già brandendo il pugnale, quando Leopoldo saltò giù, disperdendo i marinai con un gesto.
 
“Perché siete qui? E’ successo qualcosa ad André?”, le chiese preoccupato, mentre si toglieva la giacca per coprirla.
 
Gli occhi di Oscar brillavano felici, mentre negava con la testa.
 
“Ma allora, cosa…”
 
Fu allora che la vide.
 
Una donna sorretta dal buon André, che arrancava con fatica. Alzò la testa nel momento esatto in cui lui si inginocchiava a terra. Gli occhi serrati, il collo teso in alto verso il cielo, la bocca spalancata a ricevere la pioggia, giù in fondo alla gola.
 
Hermione si divincolò dalle braccia di André e zoppicando lo raggiunse. Lo abbracciò disperata, baciandogli i capelli, la fronte, il collo.
 
Lui era lì, era vero, e l’amava ancora, lei lo sentiva che lui l’amava ancora.
 
Leopoldo non parlava. Gli occhi ancora serrati.
 
“Perdonami, perdonami amore mio!”
 
Aprì gli occhi ed era tutto vero. La prese fra le braccia e la baciò.
 
Più in là, André aveva racchiuso sotto il mantello la sua Oscar.
 
Lei starnutì e lui abbassò la testa per guardarla meglio. Aveva gli occhi umidi.
 
“Stai piangendo, Oscar...”, le disse, stringendola più forte.
 
“No, no, è solo un raffreddore.”
 
Ma stava mentendo, e lui lo sapeva.
 
“Vuoi partire con me? Sto lasciando questo mondo” le mormorò Leopoldo.
 
“Sarà un’avventura?” gli chiese lei.
 
“Prometto che non ti annoierai.”
 
La nave stava levando le ancore e non ci fu tempo che per poche parole.
 
“Troveremo il modo di scrivervi”, disse Leopoldo congedandosi. “E di spiegarvi”, aggiunse Hermione. “Ve lo devo, ma prima dovrò spiegare a lui ...”
 
“Se vorrai”, le sussurrò, baciandole il polso con tenerezza. Le sue labbra avevano già intuito un dolore immenso.
 
“Abbiamo un amico che sarebbe felice di scrivere un romanzo, su di voi” disse André stringendogli la mano.
 
“Il vostro amico dovrebbe iniziare da voi”, gli rispose serio Leopoldo. Poi, da perfetto gentiluomo, accennò un inchino e posò un bacio lieve sulla mano di Oscar.
 
“Mi avete portato fortuna … lo sapevo che mi avreste portato fortuna, quel giorno che il violino si fece suonare da voi.”
 
“Il Guarneri, conte, il violino, devo restituirvelo, ora si farà suonare di nuovo!”
 
“Si, ma non ne ho più bisogno, adesso.”
 
Si fermarono ad osservare il Pelican che si allontanava all’orizzonte. Il brigantino bordava le vele, alando le scotte così da catturare il massimo vento.
 
Oscar e André si sentirono felici.
 
“Sai Oscar, quella notte in cui il conte mi scoprì mentre frugavo tra le sue carte in biblioteca, mentre tu eri scesa di nascosto nel suo laboratorio … non te l’ho mai detto, ma Leopoldo mi fece uno strano discorso …”
 
“Cosa ti disse?”
 
“Mi chiese se credessi nel destino …”
 
“E tu cosa gli hai risposto?”
 
“Ha risposto lui per me, ha detto che ci credevo.”
 
“Ed è così?”
 
“Sì, perché ... forse mi è venuta un’idea, ma te lo spiego dopo.  Ora corriamo alla locanda o a Goerso piglierà un infarto e a te un malanno con quelle vesti bagnate!”
 
Lei si era messa a ridere, si era alzata sulle punte ed aveva schioccato un bacio sul naso di André.
 
“Prendimi se ci riesci!”
 
Poi erano corsi via.
 
 
* * *
Non credette ai propri occhi, Girodelle.
 
La fanciulla con cui aveva trascorso la notte aveva lasciato la stanza mentre lui ancora dormiva e nemmeno l’aveva pagata. Una strana inquietudine l’aveva colto al risveglio. Si era rivestito sommariamente ed era sceso in strada mentre il sole stava appena spuntando.
 
La pioggia scendeva ancora abbondante  ed a lui parve che tutta quell’acqua potesse mondarlo da ogni peccato.
 
Sposare Oscar, il colonnello Oscar! Quando la Regina gli aveva annunciato la sua irremovibile decisione, non si aspettava obiezioni. Ed infatti nessuna obiezione era stata eccepita, ma sarebbe stato indecoroso manifestare la gioia immensa che quella decisione aveva suscitato in lui, perciò era rimasto zitto, limitandosi ad annuire ad ogni successivo ordine impartito dalla Sovrana, e porgendo un riverente inchino si era fatto congedare.
 
Quando ne aveva informato il Generale Padre, questi dapprima era parso sollevato, ma poi si era messo a fissare la piazza sotto la Bastiglia. Cosa pensasse non era dato sapere, quegli occhi azzurri erano severi ed imperscrutabili, tali e quali quelli di sua figlia.
 
Girodelle l’amava. L’amava sinceramente, ma ne aveva timore. Uno strano timore. L’orgoglio gli faceva desiderare di possederla per dimostrare il suo valore, gareggiando con il terrore delle conseguenze di un amore imposto.
 
La Regina era riuscita a scoprire i dettagli del viaggio di Oscar e l’ultimo ordine impartito era stato quello di raggiungerla per riportarla a Parigi.
 
Dunque, se Dio aveva vegliato su di lei, l’avrebbe presto rivista. Ma quando? E con quali parole l’avrebbe messa a parte del loro imminente matrimonio?
 
Perciò, non credette ai propri occhi Girodelle.
 
In verità dapprima riconobbe Lui. L’attendente. Quella figura inconfondibile. Alto, le spalle larghe, la falcata lunga e sicura di chi è avvezzo a marciare ma non è un soldato, perché potrebbe voltare il capo e per un capriccio cambiare la sua direzione.
 
Ed in effetti seguendo la direzione di quel volto, vide che lo sguardo era rivolto alla figura più piccola accanto a lui, che con la mano stretta a quella del compagno, teneva il passo con grazia giocosa.
 
Una risata argentina lo convinse con sollievo d’essersi ingannato. Non era Oscar. Non poteva essere il colonnello Oscar che si allungava sulle punte e poneva un bacio malizioso sul  naso di André.
 
Ma poi quella si mise a correre. E nonostante i capelli fossero corti e fradici di pioggia, la riconobbe, quando i suoi occhi severi si posarono su di lui.
 
* * *
 
Era stato imprudente. Di questo si malediceva André, mentre tutti e tre, silenziosi ed infreddoliti, entravano nella locanda. Oscar salì di corsa le scale per indossare abiti asciutti e più adatti ad una lunga conversazione con il suo sottoposto.
 
Quando entrò nella stanza, Goerso, che li stava aspettando, le si fece appresso e lei sussultò.
 
“Perdonatemi per avervi spaventata … ho il nome del francese che ha fatto visita al Capitano.”
 
“Oh Goerso, lo abbiamo appena incontrato, E’ il Conte Victor Clément Florian de Girodelle, esatto?”
 
“Ma come…”
 
“E’ giù di sotto con André e voglio raggiungerli al più presto.”
 
“Volete che li tenga d’occhio, nel frattempo?”
 
“Non credo che Victor costituisca un pericolo, ma sì, te ne sarei grata, Goerso!”
 
Rimasta sola, si era asciugata rapidamente al calore del fuoco.
 
Il militare che era in lei stava valutando se Girodelle potesse essere una risorsa oppure un ostacolo. Riflettendoci meglio, aver congedato Goerso così in fretta era stato un errore: poteva avere altre notizie su di lui e sulle ragioni della sua venuta.
 
Girodelle aveva spalancato la bocca, quando al porto l’aveva riconosciuta e poi aveva accennato il saluto militare, finché André non l’aveva raggiunta; allora Girodelle aveva abbassato il braccio e piegato le labbra in un sorriso amaro.
 
Li aveva visti e di sicuro aveva inteso come fosse mutato il rapporto fra loro. In verità non le importava, non le importava affatto. Ma qualcosa, che tanti anni prima, André, schernendola, aveva definito “intuito femminile”, le diceva che invece a Girodelle importava, e molto.
 
Di sotto, intanto, André e Girodelle si erano accomodati ad un tavolo accanto al camino.
 
La locanda era quasi deserta. André era stanco. Aveva chiesto all’oste di portar loro qualcosa di caldo da mangiare. Si accorse di Goerso che si stava sedendo ad un tavolo non molto distante.
 
“Alla fine siete riuscito a giacerci, con la vostra padrona!”
 
Non si aspettava, André, che quello potesse essere l’esordio della loro conversazione.
 
Mesi prima aveva chiesto ed ottenuto il suo aiuto per ritrovare Oscar e pensava che Girodelle fosse lieto di rivederla viva ed in buona salute.
 
Quello non era l’insulto di un nobile che volesse oltraggiare un plebeo, era la villania di un uomo geloso.
 
In un'altra vita André avrebbe dissimulato il disprezzo. In un’altra vita si sarebbe limitato, forse, a rovesciare qualcosa che insozzasse le belle vesti del Conte.
 
Ma quello proferito era un insulto a Lei.
 
Aveva rischiato così tante volte di perderla in quegli ultimi mesi, che la misura era colma e la pazienza finita.
 
Non c’era alcuna nobile dignità da lordare, che Girodelle era stropicciato e malconcio più di lui, con i lunghi capelli bagnati ed appiccicati alla testa.
 
Si alzò di scatto, rovesciando il tavolo, ed assestò un montante sul naso del Conte.
 
“Maledetto da Dio chi osa offenderla!”
 
E mentre Girodelle barcollante si rialzava, tentando una reazione, e prima che Goerso riuscisse a dividerli, aveva liberato un gancio sinistro al mento.
 
“E maledetto chi oserà dividerci!”.
 
Oscar stava scendendo il primo gradino della scala. Le parve di precipitare in un dipinto di Rubens. La lotta tra Ettore ed Achille. E mentre si precipitava giù, lei chi era?
 

 
Quando eravamo stanchi dormivamo, e, se si svegliava l'uno, si svegliava anche l'altro e non eravamo mai soli. Molte volte un uomo desidera d'esser solo, anche una donna può desiderarlo e se si amano sono gelosi di questo; ma io posso dire che non avveniva, a noi. Noi ci sentivamo soli mentre eravamo insieme, “soli” nei riguardi degli altri.”
 
Ernest Hemingway, Addio alle armi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 44
*** Capitolo 44 ***


Don’t believe
for just one second
I’m forgetting you
I’m trying to
I’m dying to

 
(David Bowie, Dollar Days)
 
https://www.youtube.com/watch?v=lXhCKubJCAg
 
 
“Quando eravamo stanchi dormivamo, e, se si svegliava l'uno, si svegliava anche l'altro e non eravamo mai soli. Molte volte un uomo desidera d'esser solo, anche una donna può desiderarlo e se si amano sono gelosi di questo; ma io posso dire che non avveniva, a noi. Noi ci sentivamo soli mentre eravamo insieme, “soli” nei riguardi degli altri.”
Ernest Hemingway, Addio alle armi.
 
 
André stava porgendo al Conte Girodelle l’ennesima pezza bagnata, con la quale il Conte tentava di fermare il sangue che scendeva copioso dal naso.
 
Con il collo teso all’indietro, Girodelle cercava comunque gli occhi di Oscar, che accigliata lo scrutava, sperando di interpretare i silenzi del suo biondo colonnello.
 
André si era rifiutato di rivelare ad Oscar le ragioni di quella zuffa, non in pubblico quantomeno. E Girodelle se ne vergognava.
 
Non era stato necessario dividerli, perché appena lei era comparsa in cima alle scale, entrambe gli uomini si erano immediatamente calmati e ricomposti.
 
Era stata lei la ragione del litigio. Di questo non dubitava. André l’aveva di sicuro difesa, ma da cosa … precisamente … ancora lo ignorava.
 
Girodelle alzò la testa, cercando di riacquistare un poco di dignità.
 
“Vorrei parlarvi in privato, Madamigella.”
 
Oscar si guardò ostentatamente in giro. La locanda era pressoché deserta. Anche Goerso si era discretamente defilato e stava aiutando l’oste ad asciugare i bicchieri.
 
“Noi due soli, senza il vostro attendente.”
 
Oscar lo fissò per un lungo istante, imperturbabile. Poi gli rispose:
 
“C’è una cosa che dovete sapere, Conte: ora io sono la compagna di André Grandier. E come tale non parlerò con voi, senza di lui.”
 
“Oscar ...”, André disse solo quello.
 
“Sono successe molte cose in questi mesi, Madamigella, è comprensibile, ma …”
 
“Avete notizie di mio Padre e di palazzo  Jarjayes?”
 
“Certo Madamigella … il Generale vostro padre è ancora rinchiuso alla Bastille, ma gode di buona salute, così come la Contessa anche se ha abbandonato la corte, ma voi Madamigella…”
 
“Colonnello, ve ne prego, per quanto tema di aver perso i miei gradi.
 
“Ebbene, Colonnello, voi non potete pensare veramente
 
“Voi non capite, Capitano, sono successe molte cose che mi hanno fatto comprendere quello che avrei dovuto comprendere da sempre, di cui tuttavia non ritengo di dover conversare con voi. Dunque, cosa vi ha condotto alle soglie della Sublime Porta?”
 
Forse fu per orgoglio, o forse fu per calcolo.
 
Girodelle per un attimo restò in silenzio.
 
Poi decise che omettere qualcosa non significava mentire. Si assolse da solo da ogni peccato e parlò.
 
“La Regina era in pena per voi. Sono qui per riportarvi a Versailles”.
 
“Bene, allora potrete rassicurarla, al vostro ritorno a corte.”
 
“Assieme a voi!”
 
“No, temo che questo non sarà possibile. Almeno non subito. Confido comunque nella vostra lealtà.”
 
Sono abituato ad obbedirvi, Colonnello”, piegò il capo e nascose un sorriso.
 
Aveva obbedito. Tacendo che gli era stata promessa in sposa.
 
Lasciarono la locanda del ‘Sole nascente’ e si incamminarono verso il porto.
 
Goerso e Girodelle li precedevano.
 
A malincuore, André cedette all’insistente richiesta di Oscar, rivelandole la ragione del diverbio.
 
Non capisco …”, era stata la reazione di Oscar, che aveva sgranato gli occhi, incapace di trovare la ragione di tanta insolenza, è sempre stato il mio fedele secondo, non ho mai dubitato della sua correttezza.”
 
E’ innamorato di te, Oscar”, aveva replicato, un po’ scoraggiato. Sicuramente intenerito da lei, da quanto, talvolta, fosse candidamente ingenua la sua Oscar.


Gettarono un ultimo sguardo all’insegna della locanda, a quel bassorilievo intagliato nel legno: quel mezzo sole che, Oscar e André ne erano certi, sorgeva dalle onde del mare e non sarebbe tramontato mai.
 
A mezzodì la Santo Stefano salpò. Il Capitano Zane aveva appreso con sollievo la decisione di fare ritorno in Occidente e dopo essere stato rassicurato sulla natura innocua delle casse spedite da Costantinopoli le fece imbarcare. Poi festeggiò la partenza brindando con il suo miglior Marzemino, in compagnia di un incupito Girodelle.
 
Senza imprevisti e riducendo gli scali a quelli minimi indispensabili per rifornirsi di viveri freschi ed acqua, avrebbero potuto raggiungere Marsiglia entro un mese o poco più. 
 
La via d’acqua restava la più veloce e la rotta tracciata verso Marsiglia la più rapida.
 
Oscar e André avevano deciso di ignorare il consiglio di Goethe di ritornare a Parigi seguendo una via diversa. Almeno per il momento. Perché ogni rotta alternativa, per terra o per mare, avrebbe ritardato oltremodo il loro ritorno in Francia, ed il Generale rinchiuso alla Bastille poteva essere in pericolo.
 
Inoltre, il loro piano, nato da una geniale intuizione di André, affinato grazie alle doti di abile stratega di Oscar, doveva essere attuato al più presto.
 
Nei giorni che seguirono il tempo fu clemente, il vento a favore e la navigazione veloce e piacevole.
 
André approfondì i suoi studi di navigazione astronomica. Ormai era capace di carteggiare e tracciare la rotta meglio di un capitano di lungo corso. E nel tempo che gli restava si dedicava alla lettura di oscuri e polverosi tomi che si era procurato nel rapido scalo a La Valette.
 
Girodelle trascorreva il tempo giocando a scacchi con il capitano, con il quale aveva sviluppato una strana affinità, ed aveva accantonato, almeno così pareva, il suo disappunto.
 
Però di sottecchi spiava Oscar, che non aveva perso l’abitudine di arrampicarsi sulla coffa.
 
Così, mentre André ne seguiva i movimenti, con malcelata apprensione, dato che Oscar scalava l’albero dall’esterno, evitando, con un po’ di innocente superbia, il “buco del gatto", ovvero l’accesso più sicuro dalle sartie, il Capitano Zane vinceva tutte le partite.
 
Se continuate a distrarvi, mi verrà a noia giocare con voi. La vostra Regina bianca è stata già catturata, Victor.
 
Per il resto quei due si comportavano come sempre si erano comportati fra loro. Una coppia che si divideva compiti e ruoli con consumata naturalezza.
 
Che, riflettendoci bene, ordini André non ne aveva ricevuti mai: “gli avete sempre concesso troppa confidenza”, ragionava fra sé e sé Girodelle, mentre ammirava Oscar che, con un agile salto, scendeva dall’albero di trinchetto, mentre André le tendeva una mano.
 
Scacco al Re, Victor. Scacco. Matto.
 
André sapeva che Girodelle li osservava, anche un casto bacio sulla fronte sarebbe stato troppo.
 
Ma la forzosa astinenza di giorno si scioglieva ogni notte, sublimandosi poi nella stupefacente, ma impalpabile sensazione che l’unione che consumavano fra loro li elevasse talmente in alto che precipitare sarebbe stato impossibile.
 
Noi siamo usciti fore del maggior corpo al ciel ch'è pura luce”.
 
* * *
 
Goerso si ritrovò a rimuginare che sognare il suo borgo natio fosse presagio di guai.
 
A Tenedo si era poi ritrovato fra i piedi quel damerino francese che non riusciva a stare in equilibrio nemmeno nei giorni di bonaccia e che storceva la bocca con disgusto ogni volta che incappava in André.
 
Stava per l’appunto sognando di pescare al largo della sua isola, davanti alla quale la Santo Stefano avrebbe veleggiato da lì ad una decina di giorni. Un pesce aveva abboccato, un pesce che doveva essere enorme, a giudicare da quanto tendeva la lenza. Uno strattone ed il gozzo si era rovesciato e lui era finito in acqua, trascinato da una creatura fantastica e serpeggiante. In alto la luce del sole brillava sempre più lontana, dispersa e frantumata in una miriade di prismi, mentre lui precipitava negli abissi.
 
Si era svegliato sudato, affamato d’aria, mentre il marinaio di vedetta dava l’allarme.
 
Oscar si era appena addormentata e giaceva quieta, coperta solo dall’abbraccio di André, che ancora sveglio la teneva stretta a sé, incredulo come sempre dell’amore con il quale lei si donava ogni notte.
 
Alle grida del marinaio, si erano rivestiti in fretta e si erano armati.
 
Girodelle aveva approfittato della riserva di vino del capitano, debolezza che cercava di nascondere di giorno, ma cui indulgeva al calar delle tenebre, non appena tutti si ritiravano, quando il pensiero ossessivo che lui l’avrebbe avuta, anche quella notte, lo tormentava.
 
Era ancora vestito e barcollando aveva afferrato una pistola e si era precipitato pure lui sul ponte.
 
Il Capitano Zane, ancora seminudo, scrutava l’orizzonte.
 
Uno sciabecco battente bandiera pirata si stava avvicinando velocemente alla Santo Stefano.
 
Dal canto suo, il Rais Henel Alvagi ringraziò il Profeta della sua buona sorte, giacché la sua rotta aveva incrociato quella del brigantino che al largo di Tripoli aveva quasi affondato il suo sciabecco, quando ormai aveva perso ogni speranza di riuscire a vendicarsi.
 
E poi c’era il fatto che Hasan Pascià non l’aveva ricompensato delle preziose informazioni che gli aveva fornito, quando, ricordando i bei tempi in cui militavano entrambe fra i corsari barbareschi, gli aveva raccontato del salvataggio dell’equipaggio di una nave francese, venduto al mercato degli schiavi di Tripoli. Per fortuna, Hasan si era fatto sfuggire l’identità della donna, dai lunghi capelli biondi, che lui aveva intravisto sul castello di prua della Santo Stefano, abbracciata all’uomo che aveva riscattato.

Da allora quel nome evocava in lui il sentore acre del fumo che si era levato dalle vele del suo sciabecco, in fiamme dopo essere state distrutte dal fuoco a mitraglia dei cannoni di prora della Santo Stefano.

Il colonnello Oscar François de Jarjayes.
 
Certo, era assai improbabile che quella donna infedele fosse ancora imbarcata sulla stessa nave, ma con forza e devozione aveva elevato le sue preghiere rivolto alla Mecca …. Inoltre, il brigantino maltese era comunque una preda ambita, anche se al comando del suo sciabecco il Rais Henel Alvagi stava navigando in acque perigliose.
 
Acque assai vicine alla costa siciliana, pattugliata dalla flotta del Viceré del Regno di Sicilia, il capitan generale Francesco d'Aquino, principe di Caramanico.
 
Oscar François de Jarjayes. Il ricordo di quei biondi capelli che ondeggiavano nel vento.
 
Un guizzo, e l’odore del piacere si confuse con l’odore pungente dell’ansia che precede una battaglia imminente.
 
 
* * *
 
La reggia di Versailles era magnifica.
 
Ma, curiosamente, la prima cosa che da lontano aveva colpito la sua fantasia erano stati i camini. Decine e decine di camini, dalle forme armoniose, che sui tetti della reggia si stagliavano nel cielo.
 
Ed avvicinandosi si era stupita del flebile lezzo di palude che le era parso di percepire.
 
Si ritrovò a pensare a tutto quello che giace nascosto alla vista, che striscia sottoterra, che galleggia o fluttua in profondità, o che brucia e si dissolve in alto nell’aria, disperdendo ceneri ed umori.
 
Considerò che tutto quello che serve a celare fosse altrettanto immondo.
 
Immondo come quelle vesti sfarzose, quelle parrucche incipriate, quei nei posticci di velluto, che le parevano setosi come zampe di ragno.
 
Come quei ragni raffigurati nelle silografie di Ulisse Aldrovandi, che meravigliata aveva guardato con Lorenzo.
 
Intorno a lei passeggiavano gaudenti.
 
Superato il sontuoso cancello dorato, la sua carrozza, che sfoggiava lo stemma araldico dei Pironti, due leoni controrampanti d’oro che sostenevano un albero di pero, era stata accolta dai paggi di corte.
 
Aveva appoggiato il piedino, calzato in una scarpina di raso azzurro sulla scaletta appoggiata alla carrozza per aiutarla a scendere. Un piedino e poi l’altro.
 
Nei giorni precedenti aveva trovato alloggio in un piccolo padiglione di rue de Noailles.
 
La perfetta cortigiana deve conoscere l’etichetta. Alba l’aveva imparata a memoria.
 
Metterla in pratica era altra cosa. Ma se fosse stata colta in fallo avrebbe fatto sue le parole di Vardes: non so più niente, (per l’emozione) ho dimenticato tutto.
 
Stringendo fra le mani un ventaglio di piume, si fece annunciare.
 
Perdonami, Lorenzo. Lo faccio perché non ti ho dimenticato”.
 

Voi che ora avete propizio il vento / E sapete adulare la corte / Badate bene che in un momento/  Non abbia a mutare la vostra sorte
Jean Dupuis

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Capitolo 45
*** Capitolo 45 ***


Under the gods
Crazy eyed man
with a shot gun
Hot headed creep with a knife
Love and peace and harmony
Love you could cut with a knife

 
(David Bowie – Tin Machine,Under the God)
 

 
https://www.youtube.com/watch?v=gJpi5EN8-1Y
  •  
 
 
Voi che ora avete propizio il vento / E sapete adulare la corte / Badate bene che in un momento/  Non abbia a mutare la vostra sorte
Jean Dupuis
 
 
L’alba del sette giugno non era ancora sorta, ma la luna, decrescente a metà del suo percorso nel cielo terso, illuminava lo sciabecco pirata che con le vele spiegate ed il vento a favore puntava la sua prua verso quella del brigantino.
 
Il Capitano Zane aveva masticato fra i denti più di una maledizione. In quella posizione lo sciabecco era fuori dal campo di tiro dei cannoni della Santo Stefano.
 
Diede l’ordine di poggiare per allontanarsi il più velocemente possibile.
 
“Fuggiamo come pusillanimi?”, biascicò Girodelle. “Io sono pronto a combattere”, gridò, stringendo più forte la pistola che impugnava con la mano destra un po’ tremante.
 
“E’ quello che voglio fargli credere”, sibilò Zane, dandogli la schiena, ancora nuda. Lunghe e sottili cicatrici, bianche e frastagliate, ne solcavano i muscoli, tra le spalle e le reni.
 
“Sette giugno. Corpus domini”, pensò André. Transiturus de hoc mundo.
 
Serviva un miracolo.
 
Fissò Oscar che, determinata e silenziosa, stava ritta al suo fianco, scrutando il mare nero e lo sciabecco che li incalzava. Gocce salate brillavano sui suoi capelli.
 
Sopraffatto dall’infinito amore che provava per lei, l’accarezzò con lo sguardo. Stava per pregarla di andare a nascondersi. Ma Oscar, che tutto gli aveva letto nel pensiero, gli sorrise e scosse la testa.
 
Al timone, Goerso, che aveva intuito la manovra di Zane, eseguì gli ordini prima ancora che il Capitano li urlasse alla ciurma. La Santo Stefano improvvisamente orzò e virò a tribordo; i cannoni di dritta fecero fuoco sullo sciabecco.
 
Fecero fuoco due volte, ma mancarono, seppur di poco, il bersaglio.
 
Ora un miracolo serviva davvero.
 
“Alle armi”, urlò il Capitano.
 
Girodelle, tornato improvvisamente sobrio, si avvicinò con passo fermo ad Oscar e André. I due gli davano le spalle.
 
André serrava stretta la mano di Oscar, minuscola in quella forte del compagno.
 
Girodelle fissò quelle mani per un lungo istante, poi sorrise mestamente e chinò il capo. “In fondo era già scritto”, si disse. “In fondo al mio cuore, l’ho sempre saputo”.
 
Si schiarì la voce per palesare la sua presenza. Quando i due si voltarono batté i tacchi e si portò la mano di taglio alla fronte.
 
“Ai suoi ordini, Colonnello!”
 
Fu allora che all’orizzonte, alle spalle dello sciabecco pirata, comparve un altro veliero. Sul pennone più alto due aquile sembravano spiccare il volo. Due aquile sveve sulle barre rosse e gialle d’Aragona. La bandiera del Regno di Sicilia.
 
Con tre scariche di cannoni, tromboni e schioppi il veliero colpì lo sciabecco. Quando il veliero cessò il fuoco, perché il legno pirata si stava allontanando, il Capitano Zane osservò con il cannocchiale e vide che non aveva più l’albero di maestra.[1]
 
Il giorno successivo il Rais Henel Alvagi riparò fortunosamente al porto di Tripoli.
 
Prima il suo sciabecco in fiamme. Ora il suo sciabecco irreparabilmente spezzato.
 
Non aveva potuto scorgerla, ma era sicuro che quella donna malefica fosse a bordo e l’avesse maledetto. Ma quella maledizione discendeva comunque da Allah, considerò, come scende la pioggia sulla terra arida. L’accolse con tutto il fervore di un’anima feroce.
 
Oscar, André, Girodelle e Zane diventarono invece graditi ospiti sulla nave che era accorsa in loro aiuto, invitati dal capitan generale Francesco d'Aquino, Principe di Caramanico, Viceré di Sicilia. E dato che nulla accade per caso, Ambasciatore del Regno di Napoli a Parigi, fino all’anno precedente …
 
* * *
 
Chi avesse letto le cronache di Philippe de Courcillon, Marchese di Dangeau, o le memorie di Louis de Rouvroy, Duca di Saint-Simon, come pure aveva fatto Alba, ed avesse azzardato l’idea di trarne spunto, avrebbe ritenuto la sua missione impossibile.
 
Luigi XVI pareva coltivare due sole passioni, la caccia e la meccanica. E a differenza della Regina, alla quale si attribuiva almeno un amante, le beau Fersen, di Luigi XVI si ignorava se indulgesse in altri piaceri.
 
Ma il giorno in cui fu presentata a Corte, Alba venne per l’appunto invitata ad una caccia reale.
 
I tamburi rullarono il segnale di partenza. Il re uscì sulla sua carrozza, seguito dalle carrozze dei cortigiani ammessi all’evento.
 
Giunti sul posto nel pieno di un assolato pomeriggio, Alba, che la caccia aveva sempre avuto in odio, si fece forza per non fuggire. Chiuse gli occhi per allontanare dalla vista le mute di cani, trattenute a stento dai bracchieri.
 
Ma quelli latravano eccitati e non poteva certo coprirsi le orecchie con le mani, senza attirare l’attenzione su di sé.
 
Perciò non fu per attirare l’attenzione su di sé che improvvisamente svenne. E non simulò il mancamento. Semplicemente il cuore perse un battito, quando il suono dei corni da caccia riempì l’aria.
 
Quando rinvenne, due occhi azzurri la fissavano preoccupati, e decine di occhi incuriositi e stupiti indugiavano su di loro.
 
 
* * *
 
«Il Colonnello Oscar François de Jarjayes !», la salutò il Viceré, con un garbato baciamano. “E non posso trattenermi dall’esprimere tutta la mia ammirazione: siete splendida, ancora più bella di quando vi conobbi a Versailles, tre anni orsono”.
 
Oscar non sapeva cosa rispondere. Davanti a lei il Viceré, Principe di Caramanico, un cinquantenne alto e segaligno, con un naso aquilino ed una parrucca candida che spiccava sulla fronte spaziosa e l’incarnato olivastro, sfoggiava un abito d’impeccabile eleganza, di seta nera e lucente, mentre lei indossava calzoni, camicia e stivali che avevano visto tempi migliori.
 
Ma no, comprese infine. In cuor suo sospirò. Non era quello che vedeva il Viceré.
 
Principe”, disse allora Oscar, ignorando l’osservazione galante, “vi siamo eternamente riconoscenti per avere salvato dall’abbordaggio la nostra nave.
 
Suvvia, Colonnello, sono certo che vi sareste salvati da soli. Vedete … sono settimane che stiamo dando la caccia a quello sciabecco corsaro, senza successo. Ieri ho deciso di imbarcarmi anch’io per dirigere le operazioni ed ecco che la provvidenza ha voluto che le nostre rotte si incrociassero.
 
Però vi è sfuggito”, intervenne, trattenendo un sogghigno, il Capitano Zane.
 
Se il Principe si offese, non lo diede a vedere. Scrutò con circospezione il Capitano e rispose.
 
Già, purtroppo ci è sfuggito e quello sciabecco appartiene ad uno dei corsari più pericolosi, il Rais Henel Alvagi. Lo sapevate?
 
Il capitano Zane si rabbuiò.
 
Ma ditemi”, proseguì il Principe, “quali avventurose vicende conducono il Colonnello della Guardie Reali di Sua Maestà il Re di Francia a navigare nel Mare Nostrum a bordo di un legno battente la bandiera dei Cavalieri di Malta e …”.
 
Esitò un istante. Osservò con attenzione prima André e poi Girodelle, frugando fra i suoi ricordi. “… assieme al suo secondo”, aggiunse rivolto a quest’ultimo, “ed al suo fedele attendente...”
 
Oscar, che non ignorava che colui con il quale amabilmente conversava era stato maestro venerabile della loggia massonica napoletana della Vittoria e fondatore della Loggia Nazionale, replicò: “Credo che possiate comprendermi, se trascuro di rispondervi, n'est-ce pas?
 
 “Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare” si disse André, che seppure silenziosamente in disparte non si era perso una battuta.
 
Era ad Oscar che piaceva Alighieri. Lui preferiva Boccaccio.
 
Improvvisamente si ricordò di uno dei pettegolezzi che aveva ascoltato a Corte al tempo dell’insediamento come ambasciatore del Principe di Caramanico: si mormorava che fosse uno dei favoriti di Maria Carolina, Regina consorte di Ferdinando IV, Re di Napoli e di Sicilia, e sorella di Maria Antonietta.
 
Poi, con una punta di gelosia, vide che il Principe porgeva il braccio ad Oscar per accompagnarla a tavola. E gli si strinse il cuore quando vide che lei esitante accettava, mentre con lo sguardo lo cercava.
 
Ma se Oscar e André avevano nutrito dei pregiudizi, durante la conversazione che si svolse durante quel pranzo, dovettero ricredersi.
 
Il Principe di Caramanico, che era stato promosso Viceré in Sicilia per allontanarlo da Napoli, sembrava avesse a cuore la sorte dei più deboli.
 
Nel mio soggiorno a Parigi, Colonnello”, disse con tono grave, “ho visto la povertà più nera, più degradante, ma sembra che la famiglia reale non se ne avveda!
 
Oscar chinò il capo. Il Principe proseguì: “spero di non offendervi se vi dico che se la politica del Vostro amato Re non muterà, qualcuno potrebbe approfittare di quella miseria per incoraggiare rivolte e sedizioni…contro le loro Maestà e contro i nobili…”
 
André, che aveva giurato di proteggerla, sempre, a costo della sua stessa vita, e che ben conosceva i rischi e le miserie cui si riferiva il Principe, appoggiò coltello e forchetta ed annuì pensieroso.
 
Si era sentito un eroe, mentre fingeva di essere il Cavaliere Nero. A lei questo non l’aveva mai confessato.
 
Il vostro attendente è un uomo del popolo, sa di cosa sto parlando.
 
E voi cosa avete fatto per i sudditi del Regno di Sicilia?” replicò Oscar, che sapeva che il Principe di Caramanico aveva ragione e non poteva fare a meno di provare rimorso per la sua appartenenza ad una classe privilegiata, ma non sopportava l’ipocrisia.
 
Troppo poco, ancora, ve lo confesso e me ne dolgo”, disse il Principe con tono mesto,  “ma conto di riuscire ad abolire le angherie che i braccianti devono prestare ai feudatari ed abbiamo già riformato il catasto per una più equa distribuzione delle imposte. I baroni non sono stati contenti …”
 
Oscar lo ascoltava con crescente interesse.
 
E voi cosa ne pensate, Conte de Girodelle?”, l’interrogò il Principe.
 
Girodelle si sentiva sull’orlo di un precipizio. Il suo mondo si stava inesorabilmente sgretolando e con le sue macerie si sarebbe costruito qualcosa di diverso, inadatto a lui. Un mondo nel quale un uomo del popolo avrebbe potuto amare alla luce del sole una contessa. Che poi, riflettendoci bene, tutto stava precipitando da quel lontano giorno in cui una fanciulla l’aveva battuto in duello, preoccupandosi tuttavia di non umiliarlo…
 
Io non penso”, rispose nettandosi le labbra con il candido tovagliolo di lino. “Io obbedisco al mio Re”.
 
Capisco. Ci sono soldati che non darebbero la stessa risposta. Quelli che si arruolano solo per non morire di fame e della cui lealtà alla corona non sarei così sicuro”.
 
Girodelle non replicò. Ma poi un pugnò colpì violentemente la tavola.
 
Al diavolo voi e le vostre chiacchere. Ditemi come posso trovare Alvagi”, proruppe il Capitano Zane. “Mi devo vendicare!”
 
 
* * *
 
L’aveva condotta alle sue officine, piene zeppe di strumenti e carte. Orologeria, fisica, geografia, meccanica, tutte materie di cui, grazie alle letture condivise con Lorenzo, conosceva almeno i rudimenti, con l’eccezione forse dell’orologeria.
 
Stava giusto cercando di comprendere il funzionamento, invero complesso, di un orologio astronomico che mostrava il sorgere e calare del sole, le fasi della luna ed in quali segni zodiacali tali astri si trovassero. Con la punta delle dita stava sfiorando ruote ed ingranaggi, che lui aveva esposto per lei, aprendo l’orologio e rivelando il meccanismo interno.
 
Lui provò una strana sensazione di piacere, nel guardare quelle dita delicate che accarezzavano il metallo. Desiderò trasformarsi in quel bariletto che conteneva la molla motrice. Anzi bramò di essere quella molla motrice che a sua volta anelava di sfuggire al movimento controllato in cui era costretta.
 
Con le labbra schiuse per la curiosità, lei si avvicinò al bilanciere, le cui oscillazioni suddividevano il tempo in frazioni uguali. Lente e costanti, sempre uguali. A loro modo implacabili.
 
Quando il suo fiato appannò appena la boccola, l’anello in cui ruotano gli ingranaggi per diminuire l’attrito, non resistette oltre.
 
Erano soli. E lui era dietro di lei. Le baciò il collo tenero e bianco. Lei si volse. Chiuse gli occhi e pensò a Lorenzo. Lui la baciò e subito si mutò. Un meccanismo solido e perfetto come uno dei suoi orologi.
 
Le sollevò le gonne e l’amò. Donando tutto l’amore che da una vita chi davvero amava non aveva saputo accettare.
 
E se alla fine lei pianse, fu perché aveva consumato un tradimento. Di un amore tanto reale che si poteva tagliare con un coltello.
 
 
E il suo sguardo riconoscente si alzava verso il cielo, dove una misteriosa provvidenza dispone tutto in anticipo, a seconda degli avvenimenti che devono accadere, e di un difetto, e talvolta anche di un vizio, ne fa una virtù.
 
Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

[1] Aprile 1826: combattimento vittorioso del brigantino genovese La Fortuna del capitano Giuseppe Dodero contro i pirati greci dell’Arcipelago. Il capitano Dodero descrisse l’episodio in una dichiarazione ufficiale resa al console sardo ad Odessa. https://www.ocean4future.org/savetheocean/archives/70880
 

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Capitolo 46
*** Capitolo 46 ***


Tell me when you’re sad
I wanna make it cool again
I know you’re feeling bad
Tell me when you’re cool again


(David Bowie - Boss of me)

https://www.youtube.com/watch?v=G_ql5IoVcro
 
 
 
E il suo sguardo riconoscente si alzava verso il cielo, dove una misteriosa provvidenza dispone tutto in anticipo, a seconda degli avvenimenti che devono accadere, e di un difetto, e talvolta anche di un vizio, ne fa una virtù.
 
(Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo)
 
Alla fine, un’intesa era stata trovata. Non che il Capitano Zane potesse recedere dal contratto senza conseguenze, ma la nave era la sua e non sarebbe stata la prima volta che non teneva fede ad un accordo. Ma il Principe di Caramanico l’avrebbe arruolato da lì ad un mese, al ritorno della Santo Stefano da Marsiglia e dunque il brigantino aveva levato le ancore ed armato le vele.
 
Due settimane. Poco meno o poco più ed avrebbero calpestato di nuovo il suolo francese.
 
A quel pensiero André s’incupiva e non potendo tormentarsi alla luce del sole, trascorreva le sue notti insonni, vegliando il sonno di Oscar, che di giorno era diventata sempre più taciturna.
 
Pareva tornata ai primi giorni successivi alla partenza di Fersen per le Americhe, quando nei momenti di riposo passava ore intere assorta a scrutare il cielo, dietro alle enormi vetrate di palazzo Jarjayes.
 
Allora André si sarebbe inventato una scusa, per consentirle di restare sola. Ignorava se lei avesse mai pianto, se la consapevolezza che lei e Fersen non stavano nemmeno osservando lo stesso cielo l’avesse infine travolta e trafitta.
 
Allora. Adesso André si avvicinava per sedersi accanto a lei. L’abbracciava stretta. E lei, grata del tepore di quell’abbraccio reclinava la testa sulla spalla di André e tornava a scrutare l’orizzonte, in silenzio, assieme a lui.
 
Il breve incontro con il Principe di Caramanico aveva risvegliato in loro il ricordo di Versailles.
 
I loro riflessi in movimento, mentre con lunghe falcate a passo marziale Oscar percorreva la Galleria degli Specchi per recarsi dalla Regina.
 
I ventagli variopinti delle dame, che nascondevano sorrisi ingrigiti, e si agitavano più in fretta al loro passaggio.
 
I soldati della Guardia Reale, schierati a cavallo con le loro divise impeccabili e le finiture lucenti, mentre Oscar impartiva severa i suoi ordini.
 
Nulla sarebbe stato più come prima.
 
Né avrebbe potuto essere diversamente, nemmeno se non si fossero amati.
 
Nemmeno se… giacché il vento, il sole ed il mare avevano abbronzato i loro volti e le loro labbra sapevano di sale. E respiravano. Come non avevano respirato mai.
 
“Ti senti bene, André?”, domandò Oscar sfiorando con la punta delle dita le occhiaie profonde che ne ombreggiavano lo sguardo.
 
Forse soffri di nuovo il mare?”
 
André ripensò all’intruglio che gli aveva fatto ingurgitare poco dopo la partenza della Misticque dal porto di Marsiglia. L’acqua stregata.
 
Si era presa cura di lui, con tenerezza. Lo amava già, era proprio così.
 
Non ci pensare nemmeno a rifilarmi uno dei tuoi intrugli”, rise lui portandosi la mano dietro la nuca.
 
Ecco, quando ride fa sempre così”, pensò Oscar. “Si mette la mano dietro la nuca e sorride”.
 
Sorrise a sua volta, chinando appena la testa.
 
“Ecco, quando ride fa sempre così”, pensò André. “China appena la testa e poi sorride
 
Non potrò mai fare a meno di te.”
 
“Non potrò mai fare a meno di te.”
 
 
***
A metà giugno la Santo Stefano stava già solcando le verdi onde del Mar ligure. Goerso, insolitamente malinconico, aveva chiesto di avvicinarsi un po’ di più alla costa.
 
“Guardate Oscar, guardate là, quel castello in cima alla collina. Di qui passò il Dante Alighieri che tanto amate … “
 
“Questa montagna è tale, che sempre al cominciar di sotto è grave; e quant'om più va sù, e men fa male”, recitò Oscar, assorta, rimirando il piccolo castello le cui mura scendevano ripide verso il mare, come il manto di un re scende ai suoi piedi.
 
“Spero che sarà così anche per voi e per André. Che le pene del purgatorio che vi hanno inflitto in vita, finalmente stiano per finire.”
 
Il garrito stridente dei gabbiani, che in cerchio volavano intorno all’isolotto incastonato nel golfo davanti al castello, le fece distogliere lo sguardo.
 
“E l’isola? E’ abitata?”
 
“No, Oscar, è disabitata, anche gli eremiti l’hanno abbandonata.”
 
“Accadrà questo André? Alla mia famiglia? A noi? Saremo abbandonati da tutti?” si chiese Oscar, senza proferir parola.  Ma André l’aveva raggiunta ed ora le cingeva le spalle.
 
Questo posto è meraviglioso”, esordì con gioia André. “Guarda Oscar, guarda in cima all’isolotto, quella torre quadrata, sembrano i ruderi di un faro.”
 
Ed allora Oscar capì, mentre rimirava quelle pietre dirute che scintillavano al sole di giugno, che si può essere il centro del mondo anche al di fuori del mondo.
 
“Io, se Dio lo vorrà”, intervenne Goerso con voce rauca, “fra non molto farò ritorno qui, dopo cinquant’anni. Chissà se qualcuno mi riconoscerà.”
 
“Sei nato qui?” gli chiese André?
 
Goerso annuì, indicando con il dito la costa un poco più a occidente, una costa lunga e stretta fra il mare e le colline, il cui verde cangiava nell’argento degli ulivi, e poi un paesino minuscolo, che le mura del castello sfioravano, ed in cui svettavano, sorprendenti, alte torri.
 
Sulla spiaggia, gozzi colorati. Figure minuscole rammendavano le reti da pesca. Alzarono gli occhi ed indugiarono sul brigantino, finché questo non sparì dietro il promontorio.
 
 
* * *
 
La prima settimana di luglio. Poco prima o poco dopo. Avrebbe issato la bandiera del Regno di Sicilia sulla sua Santo Stefano. Avrebbe dato la caccia ad Henel Alvagi. L’avrebbe catturato. Non l’avrebbe ucciso. Ma gli avrebbe inflitto la stessa umiliazione che aveva inflitto a lui. Le cicatrici sulla sua pelle bruciarono al ricordo, anche se le ferite erano rimarginate da tempo.
 
Era impaziente. Se lo avesse saputo, se solo lo avesse saputo prima … avrebbe ingaggiato battaglia? Rischiando la vita dei suoi passeggeri? Anche di quella strana donna bionda?
 
Chinò appena il capo e così l’ombra del tricorno da capitano che sfoggiava sui suoi capelli rossi celò le sue labbra che si piegavano all’insù.
 
Scosse la testa. Forse no, tutto sommato, no.
 
* * *
 
A Versailles non si parlava d’altro: il Re aveva un amante.
 
Che, in verità, se non si fosse trattato proprio di Lui, non sarebbe stato nemmeno uno scandalo, giacché amanti e favorite avevano allietato e tormentato da sempre i sovrani di Francia.
 
Ma si trattava del timido nipote di Luigi XV, della cui fedeltà alla caccia, alla meccanica ed alla Regina nessuno aveva mai dubitato.
 
Il fatto era che nessuno aveva compreso cosa nascondesse lo sguardo triste e serio di Sua Maestà il Re.
 
Non era un malcelato senso di inadeguatezza, che pure tutti gli attribuivano.
 
Era invece la limpida constatazione che un re fosse solo un essere umano e niente più. Nessuna divinità, nessuna immortalità, nessuna volontà inviolabile. Le pustole repellenti del vaiolo avevano sfigurato il volto del nonno e alla sua morte la sua amante era stata esiliata.
 
E poi c’era la Regina. Che lo amava per dovere, teneramente, ma senza passione. Quella la riservava al Conte di Fersen. Eppure, avrebbe voluto che almeno una volta, una volta sola, lei morisse di piacere fra le sue braccia. Non era mai successo, eppure lui l’amava. L’amava davvero, nonostante tutto. E se fosse stato ricambiato, forse si sarebbe sentito meno umano ed appena un poco divino.
 
Intanto era Alba, Contessina di Pironti, a scaldare le sue notti.
 
Che una donna potesse giacere con un uomo senza amarlo, l’aveva sempre meravigliata. Tanto forte e coraggiosa doveva essere una donna, per farsi baciare, accarezzare in ogni intima piega ed infine farsi colmare dal vigore di un uomo che non si amava o peggio si disprezzava. Non era debolezza quella che faceva cedere ed aprire le carni. Era l’esatto contrario. Richiedeva una forza d’animo, di cuore e d’intelletto degna degli eroi più valorosi in un campo di battaglia.
 
Ma il Re, dopo quella prima volta nelle officine reali, era stato più premuroso e le conversazioni prima e dopo erano state piacevoli.
 
Non aveva sbagliato le sue valutazioni Hasan Pascià: il Re avrebbe apprezzato una donna in grado di dissertare con lui delle nuove scienze e delle sue invenzioni.
 
Solo che, ed Alba lo sapeva, quell’intimità stava diventando pericolosa. La sua missione non si limitava a sedurre, blandire, plagiare o manipolare il Re.
 
Ed ora rischiava. Rischiava di innamorarsi di quelle mani che l’accarezzavano lievi, chiedendole il permesso. Di quelle parole d’amore bisbigliate all’orecchio. Dell’oblio in cui, nonostante il suo tentativo di non cedere, precipitava durante l’amplesso; della premura con cui, dopo, lui le chiedeva se stesse bene.
 
Aveva paura dell’amore. Aveva paura dell’amore che aveva vissuto con il suo Lorenzo, perso assieme a lui e pure tanto reale da farle pulsare le tempie.
 
Aveva paura dell’amore, forte eppure lieve, che aveva intravisto attraverso il pertugio fra due assi sconnesse. Delle parole e dei gemiti uditi nonostante lo sciabordio del mare. “Ti amo. Ti amo da sempre”. “Ti amo, con te sento di vivere, sento di vivere”.
 
Forse era stato un errore, rifletteva, cedere alla tentazione di conservare il suo nome di battesimo. Perché quando entrava in lei, lui lo sussurrava con voce rauca il suo nome, Alba, e a lei pareva, pareva, nel buio e tra le coltri, che quella fosse la voce del suo Lorenzo.
 
Aveva paura di addormentarsi fra le braccia dell’amato.
 
Lo rammentava ancora lo sguardo di André, brillante di verde alle prime luci dell’alba, mentre con la punta delle dita accarezzava la schiena nuda di Oscar, placidamente addormentata. E ricordava lei, che si girava, ancora tiepida di sonno e mormorando il suo nome si stringeva a lui, sotto di lui, per colmare un vuoto che vuoto più non era.
 
Aveva paura di risvegliarsi così fra le braccia dell’amato e fra i gemiti mormorare il nome di Louis.
 
Aveva paura. Per tradire la forza d’animo non sarebbe stata sufficiente. Doveva essere spietata.
 
 
* * *
 
La sera del 21 giugno 1787, giorno del solstizio d’estate, giunsero in fine in vista di Marsiglia che il sole non era ancora tramontato.
 
Dapprima, in mezzo al golfo videro la roccia arida e scoscesa sulla quale sorgeva il Castello d’If.  
 
Essere imprigionati là dentro, senza potere vedere la luce che per poche ore, quando i raggi del sole incrociavano una stretta finestrella, doveva essere penoso. I più sfortunati, nelle segrete più in basso, non avrebbero avuto nemmeno quello. D’inverno quelle mura, sferzate dal vento e dalle onde, dovevano essere gelide. D’estate dovevano essere forni roventi. C’era da diventare pazzi.
 
A Corte tutti sapevano che per un certo tempo vi era stato rinchiuso, per volontà del suo stesso padre, il conte Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeau. Il pensiero di Oscar e André corse al Generale padre, recluso alla Bastille, da quasi quattro mesi.
 
Scesero a terra. L’aria era calda, umida e pesante.
 
Poco fuori dal porto, trovarono alloggio in una locanda. Quella sera avrebbero cenato con Goerso e Girodelle assieme al capitano Zane; poi le loro strade si sarebbero divise.
 
Non dubitavano che gli sgherri del Conte d’Orleans fossero già informati del loro ritorno.
 
Ebbene, il nostro viaggio è giunto a conclusione”, esordì Zane, alzando un boccale traboccante di birra scura.  “Brindiamo al nostro ritorno alla cristianità, che Dio mi fulmini se non è vero che non ne posso più degli infedeli!”
 
Eppure tornerete indietro per vendicarvi”, rispose Girodelle, levando il suo boccale alla salute del capitano.
 
E’ così, Victor. Con quella vendetta troverò finalmente la pace.”
 
André si rabbuiò.
 
Ed anche voi André, seppure sembri che nelle vostre vene non scorra sangue, ma acqua santa… io lo so … che la pensate come me.”
 
Zane guardò prima André e poi Oscar.
 
Ma una cosa ci distingue: la vendetta che cerco è per me. Solo per me. Quella che cercate voi, André, è per lei, solo per lei”.
 
Oscar trasalì.
 
André sgranò gli occhi.
 
Goerso chiamò l’oste per un altro giro di birra.
 
Girodelle tracannò d’un fiato la sua.
 
A Versailles, Alba aspettava un figlio.
 
 
“Che le persone di cui avere più paura sono quelle che hanno più paura. Che ci vuole un grande coraggio per mostrarsi deboli”.
 (David Foster Wallace, Infinite Jest)
 


 

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Capitolo 47
*** Capitolo 47 ***


The stars look so special
And the snow looks so old
The frail form is drifting
Beyond the ochre-zone

 
(David Bowie – Seven years in Tibet)
 
https://www.youtube.com/watch?v=SV5lMHU4Bbo
 
 
“Che le persone di cui avere più paura sono quelle che hanno più paura. Che ci vuole un grande coraggio per mostrarsi deboli”.
(David Foster Wallace, Infinite Jest)
 
Avevano pagato i cavalli più veloci, con i cambi più frequenti alle stazioni di posta, riducendo le soste allo stretto necessario per rifocillarsi e dormire un poco, e volesse Iddio che gli sgherri del Duca d’Orleans non riuscissero ad intercettarli.
 
Girodelle e Goerso, una strana coppia invero, li avrebbero seguiti, affrettandosi lentamente, scortando le casse che contenevano il marchingegno del Conte di Saint Germain giacché le casse erano pesanti ed il carro che li trasportava era trainato da cavalli da tiro robusti ma lenti.
 
Nella testa di Oscar era nata un’idea spaventosa: che il Duca, per una qualche perversa intuizione e per privarla d’ogni forza, che così sarebbe stato, potesse imprigionare o uccidere André.
 
Quella preoccupazione, molesta e terribile, si era insinuata fra i suoi pensieri, mentre ascoltava il Capitano Zane che della sua sete di vendetta raccontava la ragione, la sua lunga schiavitù in Algeri, dicendo molto senza rivelare tutto.
 
Era quello un grumo doloroso fatto di penosi dettagli, omessi dal capitano per orgoglio, che la fece riflettere sui giorni della prigionia di André al mercato degli schiavi di Tripoli, a tutto quello che lui, che alla sua dignità mai avrebbe rinunciato, aveva taciuto, a quelle cicatrici di frusta sulla sua schiena, che quando si stringeva a lui nell’amplesso i palmi delle sue mani sentivano ruvide sulla pelle.
 
E poi c’era il castello d’If. Da quella prigione l’unica fuga era uscirne cadaveri. Anche da quello.
 
Mentre loro volevano vivere. Vivere.
 
André di nuovo imprigionato. Il sangue di André che impregnava una divisa blu.
 
Un altro giro di birra non era bastato.
 
Quel groviglio dolente di ansia e tensione se ne stava lì, poco sopra il cuore, in fondo alla gola.
 
Oscar si era alzata di scatto, tanto da rovesciare la sedia sulla quale era seduta.
 
Via, da Marsiglia. Via. Subito.
 
“Noi partiamo adesso, André. Selliamo due cavalli e partiamo adesso, questa notte stessa.”
 
Quando sei giorni dopo, esausti ed impolverati, giunsero a Melun, a poche miglia a sud di Parigi, capirono che erano quasi arrivati.
 
“Abbiamo cavalcato come se ci inseguisse il diavolo. Ma il diavolo ci sta aspettando là dove stiamo correndo.”
 
André se ne era uscito così, con quella frase inutile.
 
Lei per risposta aveva cercato le sue labbra.
 
Distesi sulla paglia della stalla abbandonata nella quale avevano trovato riparo, lo aveva baciato con intensità e con una insolita urgenza lo aveva spogliato del giustacuore. Un bottone e poi l’altro, una manica e poi l’altra.
 
Poi si era improvvisamente fermata. Dal giustacuore di André era scivolato il pacchetto avvolto nella carta ruvida e blu che era stato il dono del Conte di Saint Germain per André.
 
“Non te ne separi mai, come ti aveva raccomandato Leopoldo...” disse, quasi incantata. La carta, stingendo, aveva macchiato di un pallido azzurro la fodera interna del giustacuore.
 
André si era allora alzato un poco, reggendosi sul gomito e sfiorando le labbra tiepide di Oscar con un pollice.
 
Oscar aveva socchiuso gli occhi.
 
“Non ho motivo di fare diversamente.”
 
“Ha detto di aprirlo al nostro ritorno in Francia”, mormorò Oscar.
 
“Sei curiosa?” la canzonò André.
 
“Un poco, chissà di quale libro si tratta…”
 
“In verità, ha detto di aprire il pacchetto al nostro ritorno a Parigi e manca ancora un giorno”.
 
André si mise seduto, la prese delicatamente per le spalle e la fece distendere sulla schiena.
 
“E non ha detto che si trattava proprio di un libro, ma che lo donava a me perché tu preferisci suonare ed io preferisco leggere. Tuttavia …”
 
“Tuttavia?”
 
“Tuttavia …” proseguì André, la voce arrocchita dal desiderio, mentre le apriva i lacci della camicia
 
“Possiamo trovare un’intesa per non annoiarci quando io non leggo …”
 
“… ed io non suono”.
 
 
***
 
“Come sarebbe a dire che non sapete dove sia?”
 
“Ecco, abbiamo visto la nave attraccare in porto a Marsiglia, abbiamo seguito la Contessa quando sono sbarcati ed hanno trovato alloggio per la notte, ma il giorno dopo non c’era più, né lei né il suo attendente”
 
“Degli incapaci! Siete degli idioti incapaci”, sibilò il Duca d’Orleans.
 
“Comunque il vostro carico è al sicuro, mio Signore, Bastien lo sta tenendo d’occhio a debita distanza.”
 
“E pensi che questo sia sufficiente, maledetto di un Thierry?”
 
Thierry chinò ancora di più la testa ed incurvò la schiena.
 
“I miei ordini erano chiari: seguirla ed ammazzare l’attendente, non mi pareva una cosa tanto difficile da fare!”
 
Thierry non sapeva più come difendersi. Ad ogni sillaba pronunciata dal duca si ingobbiva un po’ di più.
 
“Abbiamo pensato anche di aggredire il convoglio, per estorcere qualche informazione, ma ... ecco ..., lo conduce il Conte Victor Clément Florian de Girodelle …”
 
“Il Conte de Girodelle? Ne sei sicuro?”
 
In effetti il Conte era sparito da tempo. In missione per la Regina. Ma che si trattasse di una missione che aveva a che fare con la sua non l’aveva sospettato e non aveva indagato.
 
Si diede dello stolto.
 
Probabilmente, si disse, quella donna pensava di farla franca, che lui si accontentasse di riappropriarsi di quello che il Conte di Saint Germain aveva sottratto ai fratelli massoni.
 
E probabilmente non aveva alcun onore da difendere né pietà per suo padre.
 
E forse il Conte di Fersen aveva cercato ed ottenuto l’aiuto della Regina.
 
Pazza, quella donna era pazza. Il generale non sarebbe uscito vivo dalla Bastiglia se lei non avesse mantenuto fede al suo accordo. Per Oscar François de Jarjayes, il matrimonio con il Duca di Germain era il prezzo da pagare per evitare un funerale. Per lui valeva un acconto di centomila livres sul prezzo di trecentomila livres che il Duca di Germain gli avrebbe pagato per la carica esclusiva di Trésorier de France quando lui fosse asceso al trono.
 
E lui di quell’acconto aveva una necessità impellente.
 
“Dunque dove siete, sciagurata?”
 
Due colpi discreti alla porta distolsero il Duca dalle sue disgrazie.
 
Il valletto annunciava una visita.
 
"Chiedono di Voi, Monsieur. Il Conte Oscar François de Jarjayes."
 
* * *
 
“Venite con me!”.
 
Una mano sulla bocca. Una lama a pungergli le costole. Troppo assorto a sorvegliare da lontano Oscar che, vestita con un’uniforme rossa delle Guardie reali, acquistata al mercato nero, entrava a Palais Royal, non si era accorto della figura alta ed incappucciata che si era avvicinata di soppiatto alle sue spalle.
 
Quel giorno, la decisione di dividersi era stata straziante.
 
Giunti a Parigi che il sole era alto in cielo, si erano subito recati a Saint Antoine per cercare armi e vestiti al mercato nero. Alla Bastille, André aveva corrotto una guardia per avere notizie del Generale. Era lì rinchiuso, ma il prigioniero stava bene. Rinfrancati da quella notizia e trovato un modesto alloggio in una locanda, si erano lavati ed avevano sbocconcellato in silenzio un po’ di pane intinto nella minestra.
 
Ma la loro separazione era imminente e faceva tremare la mano di Oscar mentre si sforzava di portare un boccone alle labbra. Poi si era arresa. Lo sguardo basso. Le dita avevano fatto cadere quel poco di pane nella scodella.
 
André si era alzato ed inginocchiato davanti a lei, aveva preso le mani di Oscar fra le sue. Poi le aveva sorriso.
 
“Possiamo trovare un’altra soluzione e restare insieme”.
 
Lei aveva scosso mestamente la testa.
 
“Non esiste un’altra soluzione, André”.
 
“E’ una vita che vengo con te in ogni occasione. Perché dovremmo cambiare adesso?”
 
“Perché questa volta solo divisi potremo realizzare il nostro piano, lo sai ...”
 
“Per un attimo mi sono illuso che il dono di Leopoldo avrebbe potuto evitare tutto questo…” mormorò André, volgendo lo sguardo al pacchetto blu, disfatto sul letto.
 
“Forse siamo noi che non comprendiamo…”
 
“Forse, ma tu promettimi che baderai a te stessa, che cercherai di mangiare e di dormire a sufficienza”, le disse. Quindi si alzò, afferrò una mela, la strofinò per pulirla per bene e la porse, rossa, lucida e fragrante, ad Oscar.
 
Quel giorno, la decisione di dividersi era stata davvero straziante.
 
“Venite con me e non vi verrà fatto alcun male”, ma la lama aveva già reciso la stoffa del giustacuore.
 
Quel giorno, l’idea di dividersi, era stata insopportabile.
 
Si erano amati senza pensare. Sforzandosi di non trattenerne alcun ricordo.
 
Perché non potevano vivere in quel ricordo, né amarsi temendo che sarebbe rimasto solo quello.
 
Ma, quando lei, infine, si lasciò andare e subito dopo sentì che lui stava precipitando separandosi da lei, infranse quel disperato artificio. Lo trattenne sull’orlo del baratro.
 
Gli sussurrò all’orecchio: “Voglio portare in grembo tuo figlio”.
 
Impossibile per André non trattenere quel ricordo ed il fremito, incisi per sempre nelle loro carni.
 
Quel giorno, l’idea di dividersi, era stata davvero insopportabile.
 
L’uomo incappucciato lo stava trascinando a forza in un vicolo.
 
Quel giorno, pensare al dopo, era stato penoso.
 
Mentre guardava Oscar che si abbottonava quella divisa rossa e bianca, André pensò con tenerezza che fosse troppo grande per lei e troppo rossa per i suoi meravigliosi capelli biondi.
 
Rimestando tra gli stracci venduti da un rigattiere in Rue de Birague a Saint Antoine avevano trovato gli indumenti che servivano al loro scopo. Si era stupita, Oscar, di trovare anche le divise delle sue Guardie reali, ma quando vide che André stava stringendo una divisa blu delle Guardie francesi era impallidita.
 
André, preoccupato, l’aveva portata via, facendola sedere sui gradini di una chiesetta poco distante. Poi era andato a concludere l’affare. Quando era tornato, le aveva mostrato orgoglioso i suoi acquisti: nascosti in una coperta, due fucili con baionetta, il numero di matricola abraso. E due divise, delle Guardie reali.
 
Lei gli aveva accarezzato il volto, indugiando con le dita sulla barba nera e fitta che André si era fatto crescere per non farsi riconoscere.
 
Quel giorno, pensare al dopo, era stato davvero penoso.
 
Quel giorno, vederle varcare la soglia di Palais Royal, era stato atroce.
 
Ma non poteva accadere che lui ora la lasciasse sola. Con una gomitata aveva disarmato il suo assalitore ed ora lo sovrastava, puntandogli il suo stesso pugnale alla gola.
 
Con uno strattone gli aveva tirato giù il cappuccio e si era visto allo specchio.
 
* * *
 
Le spalle dritte, lo sguardo fiero. Indossando una divisa rossa delle Guardie reali che di sicuro non era la sua, ma che il suo portamento rendeva regale, lo guardava fisso negli occhi.
 
“Voglio avere indietro l’onore della mia famiglia, la mia divisa e la mia spada.”
 
Il Duca d’Orleans che si era alzato per riceverla si risedette comodamente sulla bergere rivestita di raso ocra che faceva bella mostra di sé accanto al caminetto di marmo nero.
 
Accavallò le gambe e con la flemma che apparentemente accompagnava ogni suo gesto, rispose: “Jarjayes … che garanzia potete fornirmi della buona riuscita della missione?”
 
Oscar porse i documenti di carico della nave. “Quattro casse, contenenti il lume perpetuo del Conte di Saint Germain, sono in viaggio ed arriveranno entro una settimana”.
 
Il Duca li scorse distrattamente, poi domandò: “Avete dunque conosciuto il Conte di Saint Germain?”
 
Oscar fissò il Duca. Senza distogliere lo sguardo, sforzandosi di non battere ciglio, annuì e precisò: “Non so chi fosse in realtà, ma la sua invenzione è in quelle casse!”
 
“La sua invenzione! Che presunzione!” rispose piccato il Duca. “Un furfante, un impostore, che ha solo restituito quello che ha rubato al Grande Oriente!”
 
Poi riacquistò la sua apparente calma e continuò il suo interrogatorio.
 
“E di lui cosa ne è stato?”
 
Oscar non dubitava che gli uomini del Duca a Istanbul fossero informati della sua scomparsa. Perciò ripose: “E’ sparito. Il marchingegno è stato il prezzo pagato per la sua libertà.”
 
“Povero illuso” rispose a bassa voce il Duca, guardando di sottecchi Oscar, per cercare di intuirne le emozioni.
 
Ma Oscar rimase impassibile.
 
Il Duca chiuse per un attimo gli occhi e congiunse le mani sulla sua bocca. Dietro le palpebre si immaginò che quella dannata donna avesse qualche trappola in serbo per lui. E dove diavolo era quel cane fedele del suo attendente?
 
“Ed il marchingegno funziona?”
 
“Potrete verificarlo con i vostri occhi. Questi …” rispose Oscar traendo un rotolo di documenti dalla bisaccia “… sono i progetti e le istruzioni per il suo funzionamento.”
 
Il Duca si alzò e li afferrò strappandoli dalle mani di Oscar.
 
Mani guantate. Mani piccole. Non si era mai accorto il Duca, nonostante le innumerevoli occasioni in cui aveva incontrato il colonnello nei corridoi di Versailles, e nemmeno quando l’aveva tenuta imprigionata, di quanto fossero sottili quelle mani che pure appartenevano ad uno dei più letali spadaccini di Francia.
 
 Spiegò le carte sulla sua scrivania e si mise ad esaminarle.
 
Le aveva bloccato le mani, il suo amico Duca di Germain? Erano guantate quelle mani, quella notte in cui l’aveva aggredita? Era morbida o callosa la destra con la quale stringeva la spada?
 
Poi si avvide di una cosa.
 
Con i palmi aperti colpì il legno. La scrivania traballò.
 
“I disegni non sono completi” urlò il Duca.
 
La sua calma era evaporata.
 
“Una piccola precauzione”, spiegò Oscar. “Permettete?”, aggiunse avvicinandosi.
 
I capelli biondi erano tagliati più corti, osservò il Duca. Lasciavano scoperta una porzione del collo. Si immaginò le labbra e la saliva del Duca di Germain su quella pelle.
 
“Come avete notato i disegni non sono in sequenza. Mancano le tavole contrassegnate con i fogli pari, che tuttavia sono nella mia disponibilità.”
 
Il Duca la fissò con furia. Notò allora che il colorito era insolitamente abbronzato e sebbene il volto paresse scavato dalla mancanza di sonno e dalla fatica, lo sguardo brillava di una luce nascosta.
 
 “Voi giocate con il fuoco Jarjayes!”
 
“Niente affatto” replicò con calma Oscar. “Che sarebbe successo se mi avessero derubato? Comunque, non appena saranno ritirate le accuse ed il Generale mio padre sarà liberato, tutte le carte saranno vostre”.
 
“Badate bene a quello che dite. Non tollero ricatti e conosco il modo per farvi parlare!”
 
“Ma io non so dove si trovi ora colui … che le custodisce per me.”
 
“Colui che le custodisce per voi, dite? Quel cane del vostro servo? Accorrerà se vi saprà in pericolo!”
 
“Suvvia, Duca”, rispose, senza scomporsi, Oscar. “Permettete che mi sieda e forse è meglio che vi accomodiate anche Voi.”
 
In realtà il cuore le martellava nel petto. Sperò che il Duca non se ne fosse accorto. Che il pensiero di André, là fuori, lontano da lei era insopportabile e perché sapeva che sì, sarebbe accorso da lei, sapendola in pericolo. Si concentrò sull’abbigliamento del Duca. Di seta color pervinca profilato di un candido merletto orlato a meandro.
 
“Voi vi fidate dei vostri … servi, Duca?” continuò Oscar, mentre si sedeva sulla poltroncina di fronte a quella che prima aveva occupato il Duca.
 
Quest’ultimo si sedette e rimase in silenzio. Si ingannava oppure la voce della donna si era un poco incrinata pronunciando la parola “servi”? Certo, quella parola era stata pronunciata palesando disprezzo, ma quanto era adusa a mentire l’inflessibile colonnello delle Guardie Reali?
 
“Voi tacete, ma credo che la risposta sia no. Ebbene, nemmeno io mi fido dei miei servi, ma ho avuto tempo, stamane, per prepararmi a questo incontro e munirmi delle necessarie garanzie.”
 
Il Duca abbassò lo sguardo ed indugiò sulle gambe snelle del Colonnello, seduta con grazia sulla bergere davanti a lui. Le culotte bianche della divisa erano troppo grandi per lei e quell’uniforme un po’ lisa di sicuro non era la sua. Indugiò a lungo, ostentatamente. Cosa voleva dimostrare presentandosi da lui abbigliata come se non fosse successo niente?
 
Oscar aspettò. Sapeva quale sarebbe stata la successiva pretesa del Duca. Percepì il suo sguardo su di lei.  Si fece scudo con il ricordo, richiamando alla mente gli occhi sgranati di André quando gli aveva sussurrato: “voglio portare in grembo tuo figlio”.
 
Non si fece intimorire. Aspettò.
 
“Il Duca di Germain vorrà incontrare la sua futura sposa.”
 
Oscar sospirò, poi continuò: “Immagino che il Duca di Germain non vorrebbe avere per suocero un nobile decaduto e per consorte una reietta infamata da una lettre de cachet. Suppongo dunque che possiate fare in modo che le accuse contro la mia famiglia vengano archiviate come un deplorevole errore, domani stesso”.
 
“Domani stesso?” sogghignò il Duca.
 
“Non sottovalutatevi, avete il potere di farlo. Allora farò dono della mia uniforme e della mia spada, che di sicuro avete custodito per me, a Notre-Dame, e le famiglie de Jarjayes e Germain firmeranno il contratto di matrimonio.”
 
Il Duca si accigliò.  Non si fidava. Oscar proseguì.
 
“Ho avuto modo di riflettere a lungo sul destino che mi aspetta. Le interminabili settimane di navigazione, le tribolazioni per concludere questa missione, mi hanno fatto comprendere che convolare a nozze non è una condanna peggiore del disonore, dell’infamia e della morte. Quindi …”
 
“Quindi?” l’incalzò il Duca, scrutandola con attenzione.
 
“Quindi manterrò fede alla mia promessa, se voi manterrete fede alla vostra, liberando mio padre”.
 
“Non prendetevi gioco di me Colonnello. Voi tramate qualcosa, è chiaro, ma confido che ci penserà il vostro futuro sposo … a voi.”
 
Suonò un campanello ed un valletto accorse.
 
“Accompagnate la Contessa de Jarjayes nella camera blu. Poi tornate qui. Ho altri ordini per voi.”
 
* * *
“Sono un amico. Vengo da parte di Rosalie.”
 
“La piccola Rosalie?” domandò incredulo André, senza lasciare la presa.
 
L’uomo davanti a lui gli somigliava in maniera sorprendente, tranne che per gli occhi, più piccoli e celesti. La cicatrice sull’occhio sinistro bruciò ed allora ricordò.
 
“Vi riconosco, voi siete il Cavaliere Nero!”
 
L’altro fece finta di non avere sentito: “Venite con me, vi porterò da Rosalie”
 
“Non posso, devo restare qui!”
 
“E pensate di sorvegliare tutto il Palais Royal da solo? E’ enorme. Non credo che questo fosse nei vostri piani!”
 
“Cosa ne sapete voi, dei nostri piani, e voi chi siete?”
 
“Un amico, ve l’ho già detto. Da lassù, i miei compari”, disse indicando un abbaino sul tetto “hanno visto entrare il colonnello de Jarjayes … Iddio solo sa cosa abbiate in mente, ma posso aiutarvi”.
 
André esitò, strinse i pugni.
 
“Rosalie mi aveva avvertito che Madamigella Oscar è testarda, ma di voi ha detto che siete saggio ed assennato.”
 
André scosse la testa.
 
“Tra il personale di servizio ed i frequentatori del salotto del Duca abbiamo compari e spie. Posso farvi entrare senza difficoltà”.
 
“Va bene, vi seguo, ma questo”, disse André pungolandolo con la punta del pugnale “ci farà compagnia!”
 
Giunti nei pressi di una casetta a più piani in Rue Des Bons Enfans, giusto di fronte al muro perimetrale nord di Palais Royal, l’uomo si arrestò di colpo, si girò e sussurrando disse: “Siamo arrivati, il mio nome è Bernard Chatelet, Rosalie è mia moglie e lei non sa che ero il Cavaliere Nero”.
 
André abbassò la lama.
 
“E mi dispiace di avervi ferito”.
 
Tre colpi brevi. La porta si aprì.
 
Quando lo riconobbe, Rosalie scoppiò in lacrime.
 
 
* * *
 
A Versailles, Alba aspettava un figlio.
 
Ma non era il figlio del re.
 
Ed ora che era scesa l’oscurità, si aggirava inquieta tra le stanze dell’appartamento che era stato di Madame Du Berry. Il Re aveva fatto rimuovere il cancello interno che bloccava l'accesso diretto al suo appartamento privato.
 
Alba si sentiva imprigionata, aveva caldo ed agitava nervosamente un ventaglio.
 
Il Re si sentiva invincibile. Avrebbe autorizzato Brienne a proporre nuovamente l’introduzione delle tasse sulla proprietà terriera.
 
Volse lo sguardo alla scala che conduceva al giaciglio della sua amante, prese in mano una rosa e sorrise.
 
Prigioniera a Palais Royal, Oscar rigirava fra le dita una camicia da notte, sgualcendone i pizzi.
 
Seduto fuori, davanti alla porta della camera blu, Thierry le faceva la guardia con una pistola in mano.
 
Uno degli stallieri delle scuderie di Palais Royal si era improvvisamente ammalato ed ora il suo sostituto accarezzava il muso di un bel morello.
 
Mentre una carrozza nera con un tiro a quattro correva nella notte ed il cocchiere percuoteva l’aria calda, schioccando, indemoniato, la frusta.
 
(…) né per la notte nera spunti alcuna costellazione benigna, dalla parte ove tramonta il nemboso Orione (…), Orazio, Epodon Liber, X.

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Capitolo 48
*** Capitolo 48 ***


Every time I thought I’d got it made
It seemed the taste was not so sweet
So I turned myself to face me
But I’ve never caught a glimpse
Of how the others must see the faker
I’m much too fast to take that test

 
(David Bowie, Changes)
 
https://www.youtube.com/watch?v=4BgF7Y3q-as
 
 
 
(…) né per la notte nera spunti alcuna costellazione benigna, dalla parte ove tramonta il nemboso Orione (…), Orazio, Epodon Liber, X.
 
 
Dove sei stata?”
 
L’aveva chiesto di nuovo, una volta ancora, mentre dopo l’amplesso la teneva stretta baciandole i capelli lucidi e morbidi come seta.
 
La domanda era stata sussurrata senza rancore. Ma le note basse della voce di lui la fecero tremare un poco, come tremava ogni volta che lui la baciava.
 
Aveva dovuto conoscere altre labbra e serrare ogni volta gli occhi, per illudersi che si trattasse solo di un brutto sogno.
 
Ma quando, in quell’alba in cui si erano ritrovati, lui l’aveva fatta di nuovo sua, con tutta la passione e la tenerezza e l’amore che aveva custodito per dieci lunghi anni, quegli occhi li aveva tenuti spalancati.
 
Che poi lui tutto aveva capito ed ogni cosa intuito, semplicemente accarezzando con la punta delle dita la pelle tiepida e bianca che al suo tocco fremeva in maniera diversa dal ricordo che lui serbava.
 
Lei era stata all’Inferno e non era stata lui a ricondurla indietro.
 
Non mi avresti lasciata andare. Non mi hai mai lasciato andare.”
 
Era vero. Che, come Orfeo, si sarebbe voltato indietro, e l’avrebbe dannata per sempre.
 
Sono stato la tua disgrazia.”
 
Lei scosse la testa. Lui trattenne una ciocca di capelli per farli scivolare via piano.
 
Io lo so, lo so, che tu l’hai fatto per salvarmi.
 
Lei, che non era più capace di mentire, non ebbe la forza di negare, ma con un filo di voce lo implorò: “Promettimi che dimenticherai.”
 
Lui tacque.
 
Promettimi che non cercherai la vendetta e che semplicemente vivremo.”
 
Lui sapeva che lei non si sarebbe accontentata di vane parole.
 
Perciò scese dal loro giaciglio e si alzò in piedi e con delicatezza fece alzare anche lei. Le sciolse con dolcezza le dita che trattenevano il lenzuolo con il quale lei cercava di coprirsi.
 
Era nudi, uno di fronte all’altro.
 
La guardò a lungo, alla luce del lume a olio che scacciava le tenebre dalla loro alcova.
 
Lei chinò il capo arrossendo.
 
Non sono più la donna di cui ti sei innamorato”, sussurrò con un filo di voce.
 
Lui sorrise.
 
Sei in errore. Mi sembra evidente.”
 
Lei alzò lo sguardo. Si rammentò della prima volta che erano diventati una cosa sola. Quanto tempo era trascorso?
 
Anche allora lui l’aveva contemplata a lungo e poi l’aveva presa per mano.
 
Il piantò arrivò piano, prima doloroso e soffocante. Infine, liberatorio.
 
E’ tutto finito. E’ tutto finito”, la rassicurò lui, accogliendola fra le sue braccia. “La nostra nuova vita è già iniziata.  Rinuncio alla vendetta, ma giuro la peggiore delle morti a chi cercherà di separarci ancora”.
 
Non sono riusciti a separarci davvero. Ero lontana da te, eppure quando posavo una mano sul cuore, non erano i miei battiti che sentivo.”
 
L’indomani, sarebbero giunti a Surat.
 
 
* * *
 
“Sono lontana da te, eppure ora, mentre poso una mano sul cuore, non sono i miei battiti che sento.”
 
Cercando invano di prendere sonno, volgendo il suo pensiero ad André, Oscar si trovò a rimuginare sulle loro scelte.
 
Era stata la miracolosa ricomparsa di Hermione che aveva illuminato la via. “Niente è come sembra”, le aveva detto André, “e tutto deve sembrare come non è.
 
E’ siccome le idee più geniali nascono per caso e poi crescono giorno per giorno, nutrite da nuove intuizioni, esperienze di vita e sapienti letture, il risultato era stato un piano quasi perfetto, levigato in ogni dettaglio, imperfetto solo perché sarebbero stati costretti a separarsi e difficile perché lei doveva fingere.
 
Si alzò dal letto e cercò, a tentoni nel buio, la sua divisa, adagiata sulla poltrona davanti alla finestra. La divisa era troppo grande per lei. Ma nemmeno quello era dovuto al caso. L’interno della manica sinistra celava fra le cuciture un morbido sacchetto di velluto. Lo tastò e si rassicurò.
 
Siete scomparsa. Vi ha creduto morta. Siete stata crudele.” Di questo aveva accusato, iniquamente, Hermione.
 
Fingersi morta. Alla vigilia del giorno infausto del suo matrimonio. Risvegliarsi nelle tenebre di una cripta, inalando l’odore umido e terroso del decadimento. Lo sgomento sarebbe durato solo un istante, il tempo necessario alle labbra tiepide di André di cogliere le sue. Una cavalcata notturna, forse un breve viaggio in battello, poi un lungo viaggio in mare, respirando di nuovo l’aria salmastra verso il misterioso Oriente.
 
Nessuno avrebbe sospettato nulla e suo padre e l’onore della sua famiglia sarebbero stati salvi.
 
Ma quello non era il loro piano. Non era degno di lei, non era degno di loro, nascondersi come vigliacchi e abbandonare tutto.
 
Rimise il sacchetto al suo posto. Esitò un istante, lo sguardo rivolto alla finestra. La luce della luna, che fra due giorni avrebbe raggiunto il suo massimo splendore, era offuscata da nubi livide e dense.
 
Due giorni ancora ed il loro destino si sarebbe compiuto.
 
La camera blu, all’interno degli appartamenti privati del Duca d’Orleans, era all’ultimo piano.
 
La notte era profonda e silenziosa. Finalmente stava per cedere al sonno. Chiuse gli occhi un istante. Li riaprì, con l’intenzione di mettersi a letto, ma il rumore di una carrozza che infrangeva la quiete attirò il suo sguardo, là fuori.
 
* * *
 
“Sono lontano da te, eppure ora, mentre poso una mano sul cuore, non sono i miei battiti che sento”.
 
Il primo istinto di André sarebbe stato quello di uccidere il Duca di Germain.
 
Uccidere non era naturale per André. Aveva ucciso il rais che aveva comandato l’assalto pirata alla Misticque, ma solo per salvare lei, perché per lei avrebbe dannato l’anima.
 
Voleva vendicarla.
 
Avrebbe potuto sfidare il Duca di Germain a duello, con l’arma che quello avesse scelto. Ma da quando la sua Oscar l’aveva battuto sparandogli alla mano destra, lesionando irreparabilmente i tendini flessori del pollice, quello non aveva più potuto impugnare una pistola. Tantomeno una spada.
 
Restava la nobile arte. Che poi, in verità, l’idea di prenderlo a pugni, togliergli il fiato colpendolo al plesso solare ed al diaframma, frantumargli la mascella con un gancio ed il naso con un diretto e figurarselo sanguinante ai suoi piedi, mentre implorava pietà, lo faceva sentire meglio.
 
Sulla Santo Stefano aveva imparato, da un paio di marinai, la savate, una lotta a mani nude che univa alle tecniche del pugilato anche l’uso delle gambe. Si immaginava allora di arretrare la gamba sinistra, di caricarla e di colpire col taglio del piede la tibia del Duca di Germain. Al momento dell’impatto avrebbe raccolto il ginocchio, l’avrebbe portato verso l'alto, sferrando un calcio allo stomaco di Germain.
 
Infilzargli il cuore con la lama di una spada o centrarne la testa con una pallottola non lo faceva sentire altrettanto soddisfatto.
 
Ma quello non era il loro piano. André sospirò, accarezzando il muso di Cesar che con somma gioia aveva ritrovato, assieme ad Alexander, nelle scuderie di Palais Royal. Lo stallone bianco, con piccoli movimenti della testa, cercava la mano di André, mentre Alexander rosicchiava, tutto contento, un torsolo di mela.
 
Era grato a quel Bernard per averlo fatto entrare come stalliere a Palais Royal, dove avrebbe potuto vegliare da vicino su Oscar. L’obbligo di separarsi, anche se per poco, era l’unico punto debole del loro piano, ma ora poteva fare affidamento su una rete di spie, fra i servitori del Duca d’Orleans, che rendevano conto a Bernard e l’avrebbero tenuto informato. E la cara Rosalie garantiva l’assoluta lealtà di Bernard, anche se ignorava molto del suo passato.
 
Sapeva quindi che Oscar era stata confinata nell’ala del palazzo che ospitava gli appartamenti privati del Duca d’Orleans, sorvegliata da uno dei suoi sgherri, ma incolume.
 
Il fragore inconfondibile di legno, ferraglia e zoccoli che annunciava l’arrivo a palazzo di una carrozza lo distolse dalle sue speculazioni. Abbandonò l’oscurità accogliente delle stalle e strisciò lungo il muro del cortile.
 
Da una carrozza nera, condotta da un tiro a quattro, stava scendendo di fretta un uomo.
 
Strinse i pugni fino a farsi male, mentre ne riconosceva il profilo. Nascosto nell’ombra lo seguì.
 
 
* * *
 
Il Duca d’Orleans dovette nascondere il suo disappunto. Come osava, quello, irrompere così, a mezzanotte passata? Ma non era stata l’arroganza del suo compare a renderlo furioso, quanto piuttosto il suo orgoglio ferito dalla necessità di assecondarlo, giacché del denaro del Duca di Germain poteva solo fingere di non avere bisogno.
 
Immobili. Palazzi. Investimenti che non potevano rendere quanto erano costati, perché il Duca d’Orleans doveva mostrarsi migliore del sovrano, munifico e generoso con intellettuali e artisti e financo con il popolino.
 
Per ironia della sorte, i forzieri della sua tenuta vicino a Versailles nascondevano gran parte delle gemme della collana dello scandalo, tesoro tanto inestimabile quanto incommerciabile.
 
Intanto il duca di Germain se ne stava lì, comodamente seduto nel suo studio privato, su quella che era la sua bergere preferita, lisciandosi in baffi. Trovava oltremodo sgradevole il modo in cui per vezzo cercava di arricciare le punte di quello sinistro, dopo avere inumidito l’indice con la saliva.
 
Voglio vedere la mia futura sposa”.
 
Questa non è un ora adatta a ricevere”, rispose con calma, mentre si riprometteva di sostituire la poltrona, l’indomani stesso.
 
Avreste dovuto avvisarmi subito del suo ritorno. Come posso continuare a fidarmi di voi?”
 
Non devo rendere conto a voi delle mie azioni. La contessa stanotte è mia ospite e domani l’accompagnerò a Corte. Ottenuta la revoca della lettre de cachet sarà lei stessa a chiedere a Sua Maestà il Re il permesso di sposarvi.”
 
“Suo padre acconsentirà?”
 
“Il Generale non ha scelta e lei saprà essere convincente.”
 
“Non mi fido. La voglio avere, prima. Adesso.”
 
“Suvvia, amico mio ...”, tentò di blandirlo il Duca d’Orleans, che non poteva rischiare che Oscar non consegnasse la parte mancante dei progetti del lume perpetuo.  “Se solo quell’invenzione mi rendesse abbastanza bene da affrancarmi dal denaro di questo verme”, fantasticò.
 
il piacere va coltivato ed anelato… immaginate il timore della contessa ingigantirsi ogni giorno di più, mentre la data fatidica delle nozze si avvicina.”
 
Germain abbozzò un ghigno obliquo e beffardo.
 
Il Duca d’Orleans, che se ne stava in piedi, appoggiato al caminetto di marmo nero, fece un passo verso Germain. Era profumo di garofano bianco quello che a mala pena copriva il lezzo di sudore del suo sgradito ospite?
 
Due colpi lievi alla porta annunciarono l’arrivo di un vecchio servitore.
 
Il vostro thè, Monsieur.”
 
“Non ho ordinato nessun thè, per Dio!”
 
“Chiedo umilmente perdono, Monsieur…forse mi hanno riferito male”
 
“Non importa, lasciatelo e andatevene!”
 
Il servitore arretrò, camminando all’indietro, la testa bassa.
 
La rialzò fiero, appena ebbe richiuso la porta. “I nobili”, pensò con disprezzo, “tanto adusi a farsi servire per ogni più banale necessità, che non conoscono nemmeno le loro dimore.”
 
Poi sussurrò all’uomo che lo aspettava nascosto in una nicchia: “ho sbloccato il meccanismo nascosto nella boiserie dietro il tavolino da the: appoggiate la fronte in questo punto e potrete ascoltare e vedere. Fate attenzione e che Dio sia con voi”.
 
Dall’altra parte la conversazione si era interrotta.
 
Attraverso gli occhi del ritratto di Filippo II di Borbone-Orleans, André vide il Duca d’Orleans che in veste da camera e senza parrucca, serviva una tazza di thè per sé e poi ne porgeva una a Germain.
 
Sono impaziente, dovete comprendermi, di cogliere la rosa.”
 
Ne avete già annusato il profumo.”
 
Germain avvicinò alle labbra la tazza di fine porcellana di Sèvres.
 
Ed accarezzato i petali, ma mentre cercavo di sfogliarla, ahimè, sono stato interrotto.
 
Dall’altra parte del ritratto, André lo maledisse in silenzio.
 
Ed allora pensate al giorno delle nozze, immaginatevi ogni gesto, ogni azione cui lei non potrà sottrarsi … nessuno potrà interrompervi, mentre voi ...”
 
…. mentre io la sottometterò alla potenza di un uomo” sibilò, sorbendo rumorosamente il suo thè.
 
Un colpo secco li fece trasalire. André non aveva saputo trattenere un pugno.
 
Topi” spiegò il Duca d’Orleans. “Questo palazzo ne è infestato, come tutta Parigi, del resto!
 
Parigi è infestata da quei miserabili che la abitano e sono più disgustosi dei topi”, aggiunse Germain. “Bene, ho capito che il mio piacere dovrà attendere. Dunque, mi congedo”, disse alzandosi ed afferrando con la mano sinistra il suo bastone da passeggio.
 
Nessun miglioramento alla vostra mano destra? Credevo che il Dottor Desault vi avesse esaminato e  somministrato un rimedio.”
 
Non esiste cura per me. Ma questa mano sarà capace lo stesso di infliggere dolori indicibili a colei che l’ha ferita!
 
Un altro rumore, simile a un grido, insolito e grave, li interruppe.
 
Sono strani i vostri topi, sembra che apprezzino le mie parole.”.
 
Detto questo, si avviò verso la porta.
 
Domani vi attendo dunque a corte. Buonanotte Monsieur.
 
André si acquattò nell’ombra.
 
Il Duca di Germain abbandonava il palazzo.
 
Il pericolo era passato.
 
Gli occhi verdi di Filippo II si appannarono in un opaco blu cobalto, ma fecero in tempo a cogliere con stupore la stizza del Duca d’Orleans che con un calcio rovesciava a terra la poltrona sulla quale si era seduto Germain e nel focolare spento infrangeva la delicata porcellana in cui Germain aveva sorbito il suo thè.
 
Lei non doveva essere molto lontano. Avrebbe voluto vederla solo un istante. Accarezzarle le guance con i pollici e baciarla sulla fronte.
 
Ma il piano procedeva come previsto. Sarebbe stato folle dannarsi per uno sguardo. Lui non era Orfeo. Lei non era Euridice. Oscar era viva, diamine!
 
Con circospezione, sgusciò via e tornò alle scuderie.
 
***
 
Rivestitasi di tutto punto, tormentata dall’ansia, Oscar si era sforzata di attendere fino a che non fosse trascorsa un’ora.
 
Dall’alto della sua finestra aveva riconosciuto André che tenendosi all’ombra degli aggetti di muri e grondaie, seguiva di soppiatto l’uomo che con impeto era sceso dalla carrozza.
 
Un colpo al cuore. “André, accidenti, cosa ci fai qui?”
 
Se, nell’ora successiva, non l’avesse visto tornare, sarebbe uscita da lì con la forza per andare a cercarlo.
 
Ma prima del tempo, mentre scoccava l’una, lo rivide.
 
André, che ignorava dove si affacciasse la camera di Oscar, guardò in su, incantato da una strana sensazione. Le nubi che nascondevano la luna si erano diradate e lei era là, nella sua divisa rossa, alzava la mano e gli sorrideva.
 
 
* * *
 
All’alba la sontuosa carrozza del Duca d’Orleans, riconoscibile dal suo blasone con tre cuori di giglio, usciva da Parigi diretta a Versailles.
 
Il Ministro Loménie de Brienne aveva esaminato con sollievo le prove che scagionavano la famiglia dei Conti de Jarjayes. Il Colonnello aveva cercato ingenuamente di tendere una trappola al Cavaliere nero. Certo era curioso che da allora le gesta criminali del bandito si fossero interrotte, ma quelle gemme che assomigliavano proprio a quelle della collana dello scandalo erano solo un’abile imitazione.
 
Chi voleva dunque la rovina dei Jarjayes, a tal punto da fabbricare prove false?”
 
Il Duca d’Orleans scacciò una mosca, agitando con un gesto elegante il suo fazzoletto di seta.
 
Il Colonnello è molto vicina a sua Maestà la Regina e non è parca di consigli anche quando non sono richiesti. Potrebbe avere infastidito chi vive nella sua ombra, il Conte di Fersen o la Polignac.”
 
Brienne sapeva che quella era una menzogna, ma Monsieur era intoccabile, anche per le loro Maestà.
 
Bene, informerò il Re e convocherò subito de Bâville, custode dei sigilli. Il Generale sarà libero oggi stesso, come mi avete chiesto. Il Colonnello dov’è?”
 
Il Colonnello mi ha chiesto di intercedere per lei. Per amor di giustizia, come potevo rifiutarmi?”
 
Non era quello che aveva domandato. Ma non potendo agire diversamente, si limitò a reggere il gioco ipocrita del Duca e disse solo: “Dunque?
 
Attende in carrozza. Aspetta un mio cenno, per essere ricevuta dai Sovrani e porger loro una supplica”.
 
Ed infatti Oscar se ne stava lì, sorvegliata a vista dagli sgherri del Duca.  La carrozza aveva varcato la grille d'honneur,  attraversato la piazza d’armi e raggiunto la cour d'honneur. Mancava solo da quattro mesi, eppure tutto le appariva diverso.
 
L’aria di Versailles era soffocante ed insalubre.
 
Con le dita cercò di allentare il colletto della divisa.
 
Celata dietro la cortina di pizzo, si mise ad osservare la varia umanità che si affaccendava intorno.
 
Grottesca. Falsa.
 
La bellezza artificiale della reggia e dei giardini le sembrò tanto innaturale quanto infernale.
 
Davvero era stata quella … la sua vita?
 
Poi all’improvviso vide lei: scendeva da una carrozza, circondata dai paggi d’onore. Leggiadra, altera ed elegante, nonostante sfoggiasse una parrucca color grigio topo.
 
Oscar impallidì.  Che la stanchezza ed il caldo le giocassero un brutto tiro? Come poteva essere Lorenza?
 
Le parole di André suonarono profetiche: “niente è come sembra e tutto deve sembrare come non è.”
 
Rasato di fresco, ma con una parrucca bianca ed incipriata, nessuno avrebbe riconosciuto André Grandier nel soldato delle Guardie reali che, indossando una divisa azzurra invero un po’ stretta sulle spalle, fingeva di pattugliare la cour d'honneur.
 
Nessuno tranne Oscar, alla cui carrozza cercava di andare incontro, evitando con agilità valletti, cavalli, nobildonne e cicisbei.
 
Nessuno tranne Oscar.
 
Nessuno tranne sua nonna.
 
E nessuno tranne lei.
 
Che si ricordò di una tazza di latte tiepido, abbassò il parasole e gli sorrise.
 
La loro bellezza più che terrena, la loro bontà assolutamente innaturale, tutto ciò non è che un gioco (…) un’ostentazione, un inganno!” – Henry James, Il Giro Di Vite.

 

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Capitolo 49
*** Capitolo 49 ***


I’ll be your light
When the shadows fall down the walls
Then life will be done
And it just won’t matter at all



(David Bowie – Tin Machine – Betty Wrong)
 
https://www.youtube.com/watch?v=u90vEGvSaE8
 
 
 
 
“La loro bellezza più che terrena, la loro bontà assolutamente innaturale, tutto ciò non è che un gioco (…) un’ostentazione, un inganno!” – Henry James, Il Giro Di Vite.
 
L’indomani, erano giunti a Surat.
 
Lì non avrebbero potuto costruire niente, che potesse durare due secoli o poco più. Lo sapevano entrambe, ed era quella la loro disgrazia. Conoscere tutto delle tremende sorti e progressive e nulla di sé stessi.
 
Ma in quel momento l’antica città di Suryapur era a suo modo magnifica, odorosa di spezie, umida di sudore ed acida d’umanità. Il Forte merlato si stagliava ancora solido accanto al ponte sul fiume Tapti.
 
Avvolta in un sari verde, perché verde sarebbe stato sempre il suo colore preferito, lei non gli era mai apparsa tanto bella, più bella dell’Annunciata di Antonello da Messina che da anni custodiva gelosamente fra i suoi beni più preziosi perché le assomigliava, nonostante i sottili fili bianchi che iniziavano a comparire tra i lucidi capelli neri.
 
Lei aveva atteso di ritrovarlo, per iniziare ad invecchiare, e quella rivelazione improvvisa gli strinse il cuore, che anche quella era una prova dell’immenso amore che li legava.
 
Leopoldo le cedette il passo ed Hermione gli sorrise.
 
* * *
 
Era a pochi passi da lei. Poteva accertarsi che stesse bene.
 
Ma qualcuno gli si era fatto incontro, intralciandolo.
 
Dite a quella guardia che ho bisogno dei suo servigi”. Alba aveva ordinato, risoluta e leggiadra, i valletti eseguito.
 
André non poteva rifiutarsi senza tradirsi. Due valletti l’avevano condotto alla carrozza nella quale una dama era risalita lesta, guardandosi intorno. Un attimo prima la dama aveva abbassato il parasole e gli aveva sorriso ma lui, troppo concentrato nel suo compito di vegliare su Oscar, non le aveva prestato attenzione.
 
La carrozza sfoggiava lo stemma di due leoni controrampanti d’oro che sostenevano un albero di pero e André non ricordava di averlo mai visto prima.
 
La prima cosa che riconobbe di lei fu la voce. Allo stesso tempo argentina come quella di una fanciulla e grave come quella di una vecchia.  E poi aveva parlato in italiano.
 
Salite, Andrea.”

Pochi istanti prima stava ricordando.
 
Si è ritenuto a lungo che la luce avesse una velocità infinita”. Così aveva incominciato uno dei suoi discorsi Lorenzo.
 
Quella notte d’estate, calda ma buia, si erano rifugiati sulla spiaggia di bocca d'âze.
 
 “Non appena accendiamo una lampada come questa”, aveva detto, avvicinando l’acciarino ad un piccolo lume ad olio che aveva portato con sé, “la luce scaccia subito le tenebre intorno a noi, ma un centinaio d’anni fa, un astronomo danese, un certo Ole Rømer che lavorava all’Osservatorio reale di Parigi, che a quel tempo era diretto da un ligure, Giovanni Domenico Cassini …”
 
Un giorno visiterò Parigi” l’aveva interrotto lei.
 
Ci andremo insieme, Alba”, le aveva risposto Lorenzo, appoggiando il lume su di uno scoglio piatto.
 
Ebbene …si pensava che la luce si spostasse istantaneamente da un posto all’altro, invece …”, aveva continuato, facendola coricare lentamente sulla sabbia tiepida.
 
Il giorno prima Alba aveva convinto il Re ad accompagnarla all’Osservatorio Reale di Parigi.
 
Quella notte, mentre Sua Maestà l’amava, lei aveva amato Lorenzo.
 
Lorenzo le aveva sollevato le gonne, le aveva accarezzato a lungo, in silenzio, le cosce morbide e poi sua Maestà il Re era scivolato dentro di lei.
 
Rømer stimò che la luce impiegasse circa ventidue minuti per percorrere un diametro medio dell’orbita della Terra intorno al Sole” le aveva mormorato Lorenzo, mentre il Re si agitava veloce per rincorrere il piacere e Lorenzo si muoveva lento.
 
Lento come, sulla nave agitata dai marosi, si muoveva André su quella donna bionda ed algida che Alba aveva ammirato ed invidiato.
 
André che ora era lì, incredulo, davanti a lei.
 
Lorenza!” aveva esclamato in un sussurro.
 
Lei scosse la testa, abbassando gli occhi, apparentemente mesta.  Poi lì rialzò, orgogliosa.
 
Il mio nome è Alba Rebuffo. Ma probabilmente questo lo sai già ...
 
Cosa vuoi da me?” il tono era secco. Pareva infuriato.
 
Se aveva intuito qualcosa di loro, la ragione poteva essere una sola. Alba fece finta di ignorare l’ira che accedeva il volto di André e proseguì: “… quello che probabilmente non sai è che ora, come Contessa Alba di Pironti, sono molto vicina al Re.”
 
* * *

La paura aveva sostituito lo sconcerto, mentre scorgeva una dama che assomigliava a Lorenza e poi riconosceva André che si appartava con lei in una carrozza dallo stemma sconosciuto.
 
Non aveva avuto il tempo di ragionarci sopra, né tantomeno di reagire, perché lo sportello della carrozza si era aperto e due giovani guardie, che non aveva mai visto prima tra i suoi soldati, l’avevano condotta, quasi di forza, al cospetto delle loro Maestà.
 
Ora Oscar se ne stava lì, circondata dagli specchi, dagli affreschi e dai marmi lucenti del Salon de Diane, piegata su un ginocchio in un deferente inchino, lo sguardo rivolto a terra. Il cuore le martellava nel petto e le parole del discorso che aveva provato con André le parvero inutili e vane.
 
Era convinta, e per quello lo aveva accettato, che quel piano presentasse rischi solo per lei. Non aveva considerato, eppure avrebbe dovuto, che lui si ostinasse a proteggerla. André le aveva abilmente celato le sue intenzioni. E l’ira e la rabbia, per quel comportamento che giudicava irresponsabile, erano secondi solo all’ansia per la sorte di André.
 
Alzatevi, Madamigella Oscar”. A parlare era stato il Re. E nella voce sembrò risuonare una forza che l’aveva sorpresa.
 
Oscar ubbidì, senza tuttavia alzare lo sguardo.
 
Sono lieto di informarvi che le accuse conto la famiglia de Jarjayes sono cadute e fra poco il Generale vostro padre sarà liberato”.
 
Oscar sospirò per il sollievo, ma mantenne gli occhi bassi.
 
Il Duca d’Orleans, che mi dicono si sia molto adoperato per scagionare vostro padre … ha informato le Nostre Maestà della vostra intenzione di abbandonare il servizio e prendere marito”.
 
Oscar annuì.
 
Avete licenza di parlare.”
 
E di alzare lo sguardo”. Questa volta a parlare era stata la Regina. E nella voce sembrò risuonare un disprezzo che in verità non l’aveva sorpresa affatto.
 
Quanto vi è stato riferito corrisponde al vero”.
 
Lo disse, con il tono di voce grave e basso che aveva esercitato per lunghi anni, mentre finalmente sollevava il capo, fissando un punto che si perdeva alle spalle delle loro Maestà, dentro all’affresco del Sacrificio di Ifigenia.
 
Il Salone di Diana. La Dea della Luna. Coincidenza o presagio?
 
Senza manifestare alcuna emozione, proseguì.
 
Senza manifestare alcuna emozione, vincendo la tentazione di rivelare tutto, di appellarsi alla clemenza del Re, di denunciare le trame del Duca d’Orleans, ora che suo padre era libero. Ma il Duca d’Orleans non avrebbe dato loro scampo. Non ci sarebbe stato alcun futuro per loro.
 
Perciò, proseguì.
 
Prego le loro Maestà di accogliere la mia supplica e concedermi il congedo. Il mio più grande desiderio è condurre una vita consona alla mia natura di donna e …
 
La voce le tremò. Deglutì, ma continuò a guardare davanti a sé. Ifigenia dai lunghi capelli biondi. Per un attimo le sembianze di Diana e Lorenza si confusero. Gli stessi capelli neri. “Dove sei André?”, pensò con apprensione.
 
Il Duca di Germain, Madamigella Oscar?”, intervenne la Regina.
 
Il tono non tradiva più alcun disprezzo. Peggio, sembrava pietà.
 
Eppure, mi sembrava che tra voi non corresse buon sangue”, aggiunse il Re.
 
Oscar guardò fissamente il Re. Quasi con insolenza. Ma il Re non se ne dispiacque. Né si intimidì.
 
Si, il Duca di Germain mi ha chiesto in moglie e se le Vostre Maestà ne daranno licenza, io vi acconsentirò”.
 
In verità, Madamigella, Noi avremmo scelto un partito più adatto a voi…” disse la Regina.
 
Oscar trasalì.
 
Voi forse lo ignorate?”, domandò stupita Maria Antonietta. “Eppure credo che sia stato artefice del vostro ritorno, vi ha raggiunto su mio preciso ordine!”
 
Oscar abbassò nuovamente lo sguardo, scuotendo il capo. Iniziava a capire. A comprendere l’atteggiamento, più ostile del solito, manifestato da Girodelle nei confronti di André.
 
Il Conte Victor Clément Florian de Girodelle non è giunto con voi a Parigi?”, continuò la Regina.
 
E’ rimasto indietro. Arriverà fra qualche giorno, tuttavia…”
 
Tuttavia?” la sollecitò la Regina.
 
Oscar rifletté: come rispondere senza offendere le loro Maestà, mostrando fermezza nel suo proposito e soprattutto senza tradire le sue vere intenzioni?
 
Il Conte de Girodelle è un nobile gentiluomo di cui sarei onorata di essere consorte, se lui non avesse obbedito per tutta la sua vita a miei ordini, come suo Capitano prima e Colonnello poi.”
 
Il Re annuì.
 
Vorrei inoltre che le nozze con Henri Salvator Duca di Germain potessero celebrarsi al più presto, domani stesso”.
 
Maria Antonietta si alzò in piedi dal piccolo trono su cui era assisa. Era stata gelosa di Oscar, in cuor suo doveva ammetterlo. Aveva osservato le iridi grigie di Fersen smarrire la loro luce pallida e le pupille tangerne le aureole, quando le aveva raccontato di lei, lodandone la fierezza ed il coraggio. Si sentì meschina. Oscar le era sempre stata amica fidata. E sincera.
 
Oscar, Voi…”
 
Calmatevi Mia Regina, all’amore non si comanda, non è vero?”, disse secco Re Luigi, allungando il braccio verso la moglie per indurla a sedersi di nuovo.
 
Ecco”, pensò amareggiata Maria Antonietta. “Non ho più influenza alcuna. Sono solo la consorte di un re innamorato della sua amante”.
 
Oscar volse gli occhi sul soffitto affrescato. Una luna piena, densa e luminosa. Diana che presiede alla navigazione. Ed alla caccia.
 
Maria Antonietta la scrutò più attentamente. “Coraggio. Orgoglio. Dignità”, si disse la Regina. “Questa non è una donna che si può piegare. Non so cosa abbiate in mente amica mia, ma al posto del Duca di Germain non dormirei sonni tranquilli condividendo il talamo nuziale con una moglie come voi.”
 
Ma il Re, che aveva fretta di raggiungere Alba nelle officine reali, stava già pronunciando la sua decisione.
 
Le vostre suppliche sono accolte, Contessa de Jarjayes.”
 
Oscar si inchinò mentre Luigi XVI la congedava.  Le due donne si fissarono a lungo, senza pronunziare parola.
 
E poi …”, si accorse d’un tratto la Regina, e le parve che la sua muta domanda fosse stata compresa, “dov’è il vostro André?”
 
* * *
 
André si trovava nell’alloggio che Alba manteneva in affitto in un piccolo padiglione di rue de Noailles.
 
La minaccia di smascherarlo e denunciarlo al Capitano delle Guardie reali, che in assenza di Girodelle era lo spocchioso figlio del generale Bouillé, l’avevano indotto a seguirla.
 
Erano soli, giacché Alba aveva preferito discorrere senza persone indiscrete ed aveva congedato la servitù.
 
Si era tolta le scarpine di raso ed ora, comodamente distesa su un divanetto, faceva ruotare in tondo ora il piedino destro ora quello sinistro, avvolti in candide calze di seta bianca.
 
André non pensò neppure per un attimo che lei volesse sedurlo, era certo che le intenzioni di Alba fossero diverse. Ma il dubbio lo colse quando lei alzandosi di scatto gli volse la schiena chiedendogli di allentarle il corsetto.
 
Non abbiamo molto tempo”, esclamò Alba, togliendosi la parrucca. “Il Re mi attende fra un paio d’ore alle Officine Reali.”
 
André avrebbe potuto facilmente sopraffarla e liberarsi di lei, ma il suo istinto gli suggeriva di attendere.
 
Su, presto, allenta i lacci ed aiutami a levare il vestito!”
 
André stentò a riconoscere in quella dama elegante la ragazzina macilenta ed impaurita che assieme ad Oscar aveva salvato dall’ira del Capitano Zane, che voleva gettarla a mare. Non si mosse.
 
Suvvia, sbrigati, dobbiamo parlare e non sono ben disposta quando sono scomoda”.
 
André si arrese. Iniziò a sfilare i lacci del corsetto, attento a non sfiorarle la pelle con le dita.
 
Ma la stoffa era tesa, i nodi stretti e nonostante l’accortezza, Alba le percepì. Chiuse gli occhi, quando avvertì lievi i pollici leggermente callosi di André. Trattenne un sospiro quando il profumo di cuoio e sapone di Marsiglia raggiunse le sue narici.
 
Quando il corsetto fu sciolto, Alba tirò giù anche le gonne di seta e rimase con una sottoveste di bianca organza. Si girò accarezzandosi il ventre, un poco accennato. Gli sorrise.
 
André fece un passo indietro, ma lei avanzò, mentre con le dita si accomodava i capelli neri che erano cresciuti fino alle spalle. Il seno piccolo ma florido si intravedeva fra i pizzi.
 
La tua Oscar è davvero molto fortunata”, gli disse, alzandosi sulle punte ed allungando una mano per togliergli dal capo il tricorno.
 
Lo spolverò con cura, con la mano piccola e bianca, gli soffiò sopra e lo appoggiò sulla mensola del camino.
 
Sei un uomo bellissimo e nemmeno te ne accorgi.”
 
Dimmi quello che devi e finiamola!”
 
Le spalle larghe, i fianchi stretti, gli addominali scolpiti”, insistette Alba.
 
André era confuso. Quella fanciulla era pericolosa, aveva quasi ucciso Lazzaro Spallanzani e probabilmente era una piromane assassina, eppure non riusciva a credere che fosse davvero malvagia.
 
E poi i tuoi capelli… devo confessarti che non ho ancora capito di quale tonalità di nero siano, e sembrano cangianti, come i tuoi occhi verdi.
 
Alba, io non ho tempo per celiare!”
 
Oh, ma io non ti sto prendendo in giro”, mormorò Alba allontanandosi da lui per tornare a sedersi sul divanetto.
 
Siediti qui vicino a me, e ti racconterò tutto”.
 
André si avviò verso il camino ed afferrò il tricorno.
 
Dove credi di andare?” sibilò Alba.
 
Fuori di qui, mi sembra evidente!”
 
Tu e Oscar siete forse nei guai? E lei dov’è?”
 
Non lo so, diamine! E per colpa tua!”
 
Alba rifletté un istante. Sapeva quasi tutto degli affari del Re. Che quel giorno aveva rimandato il loro appuntamento mattutino alle Officine Reali perché il Duca d’Orleans aveva chiesto un’udienza urgente per conto di una contessa appena rientrata a Versailles…ma il Re non le aveva confidato il nome e lei, maledizione, non aveva chiesto. André era alla reggia quella mattina ... Dunque, decise di rischiare ed improvvisò.
 
Se conosco sua Maestà, l’udienza con la contessa Oscar finirà presto, perché in genere vuole copulare con me nelle Officine reali, prima di andare a caccia nel primo pomeriggio.
 
André piegò le labbra in un sorriso amaro. Alba sapeva di avere indovinato.
 
Tu come lo fai l’amore André? Scommetto che sei vigoroso ma attento, cerchi il piacere ma solo a condizione di donarne almeno altrettanto.”
 
André restò in silenzio.
 
Il Re invece è come un fanciullo ingordo che si abbuffa senza assaporare quello che mangia, ma mi ama, tuttavia ...
 
… tuttavia” proseguì in un sussurro “a me piacerebbe provare quello che fai provare alla tua Oscar.
 
Alba fece scivolare la sottoveste fino a terra. Rimase vestita delle sole calze.
 
Non so cosa vogliate da me, Madame”, rispose impassibile André, passando al voi.
 
Mi sembra evidente…”
 
Ora me ne vado.
 
Ed io mi metterò a gridare che hai cercato di usarmi violenza. Morirai squartato!
 
No, se vi uccido prima che accorrano in vostro soccorso”.
 
Non ne saresti mai capace André”, mormorò Alba, che improvvisamente pareva mossa a commozione.
 
Prese un telo e si coprì.
 
Perdonami, Andrea”, sussurrò in italiano, fra le lacrime.
 
Poco dopo, mentre tirava su con il naso, Alba era tornata ad essere la mocciosa clandestina della Santo Stefano.
 
Sono nei guai anch’io, Andrea”, si confidò. “Sono incinta”, spiegò, accarezzandosi con dolcezza il ventre.
 
André, che quel gesto, privo di ogni malizia, aveva già notato, si intenerì.
 
Non può essere un guaio. E’ meraviglioso: porti in grembo la vita”.
 
Ma tu non capisci, non può essere figlio del Re e quando nascerà se ne accorgeranno tutti.”
 
Puoi andartene da Versailles …”
 
Non posso, non ancora.
 
Perché sei qui, Alba? Cosa ci fai tu a Versailles? Chi è il padre di tuo figlio? Cosa c’entrano i Pironti? E perché il Re?”
 
Dimmi di Oscar. Cos’è successo? Perché non siete insieme?”
 
Non posso fidarmi di te, Alba, ed ora devo andare.
 
Ma tu mi aiuterai?”
 
Noi ti aiuteremo, se tu sarai sincera con noi”.
 
Alba aggrottò la fronte. “Si è fatto tardi”, disse. “Il Re mi aspetta. Dobbiamo preparare i vetri per l’eclissi di domani.
 
L' eclissi. André si rabbuiò, mentre in cielo si scatenava un temporale.
 
* * *
 
Due mesi ragionava André, forse due mesi e mezzo. Concepito a Malta, prima di imbarcarsi come clandestina o a Creta, quando era fuggita la prima volta? Oppure, durante la navigazione sulla Santo Stefano? Intanto galoppava fradicio di pioggia verso Palais Royal dove era stata ricondotta Oscar, in attesa delle nozze.
 
Era stato il Generale stesso a confermarglielo, distrutto dalla decisione di sua figlia “mia figlia” aveva ribadito quasi commosso, di sposare il Duca di Germain per salvare l’onore della famiglia.
 
Madame Marguerite, temendo che il marito, provato dallo sconforto e dai postumi della prigionia, si sentisse male aveva fatto chiamare il dottor Lassone. Nanny, trovando sciupato il suo caro nipote, non aveva avuto cuore di rimproverarlo per non avere protetto la sua bambina.
 
André pur non potendo rivelare nulla, aveva giurato al Generale che avrebbe dato la sua vita pur di salvare Oscar. Poi, di nascosto come era arrivato, nel giro di un’ora era ripartito. Infine, all’ora dei vespri, grazie agli amici di Bernard, era riuscito ad entrare negli appartamenti del Duca.
 
Intanto Oscar, inquieta, sorvegliava la finestra dalla quale aveva salutato André la notte avanti. La pioggia batteva malinconia sui vetri. In un angolo, un magnifico abito da sposa, dono del Duca di Germain, faceva bella mostra di sé, ma Oscar non riusciva a guardarlo senza provare la tentazione di ridurlo a brandelli.
 
Non riusciva a non pensare ad André. Era in salvo André? 
 
Non ho fame, portate via tutto”, aveva intimato alla vecchia governante un po’ curva e leggermente claudicante che a testa bassa era entrata per portarle la cena. L’aveva guardata di sfuggita e poi era tornata a fissare l’acqua che riempiva le pozzanghere nel cortile sottostante.
 
Ma quella, ostinata, o forse un po’ sorda, considerò Oscar, aveva appoggiato il vassoio sul tavolino, facendo tintinnare le stoviglie.
 
Contrariata Oscar si girò. E fu allora che capì.
 
Sotto le vesti grigie, sotto la parrucca stopposa, brillava il sorriso bianco di André.
 
 
Se comprassi una maga tessala e se di notte facessi scendere la Luna e la chiudessi in un astuccio rotondo, come uno specchio, e la tenessi ben guardata?" Aristofane (Le nuvole, V, 748-752)
 

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Capitolo 50
*** Capitolo 50 ***


 
It’s a god-awful small affair
To the girl with the mousy hair (…)
But her mummy is yelling “No”
And her daddy has told her to go
But her friend is nowhere to be seen
Now she walks through her sunken dream
(David Bowie, Life on Mars)
 
https://www.youtube.com/watch?v=AZKcl4-tcuo
 
 
Se comprassi una maga tessala e se di notte facessi scendere la Luna e la chiudessi in un astuccio rotondo, come uno specchio, e la tenessi ben guardata?" Aristofane (Le nuvole, V, 748-752)
 
Chi fosse veramente la misteriosa contessina napoletana che aveva stregato il Re, la corte di Versailles non era riuscito a scoprirlo, il che era un fatto estremamente insolito.
 
Era giusto successo per quella duchessa, probabilmente svedese, che con la sua stupefacente ed inusuale bellezza aveva ammaliato il Conte di Fersen qualche mese prima. Comunque, e dopo un solo ballo, l’enigmatica dama era svanita nel nulla, dopo un’uscita di scena piuttosto teatrale.
 
I cortigiani più ostili alla Regina insinuavano che fosse stata avvelenata o rinchiusa in qualche convento per suo ordine.
 
Quale sarebbe stata dunque la sorte di quella piccola Circe?
 
Quello si raccontava a corte. André l’aveva appreso da Madame Marguerite. Ad Oscar, in quei pochi minuti, si era limitato a riferire che Lorenza era diventata l’amante del Re.
 
Cosa voleva da te, André”, aveva chiesto Oscar, mentre lui la teneva stretta.
 
Cerca aiuto. Dice di aspettare un figlio e che non è il figlio del re”.
 
La vuoi aiutare?”
 
Invece di rispondere subito, André le aveva accarezzato il mento con i pollici e poi l’aveva baciata.
 
Oscar si fece più piccola fra le braccia di André. Solo un istante, si disse, un istante di pace ancora, poi dovrò lasciarlo andare.
 
Tu che ne pensi?”
 
La sua prima reazione, dopo la sorpresa di trovarselo lì, era stata di rimproverarlo, che stava correndo rischi troppo grandi per starle vicino. Poi l’aveva osservato meglio: Achille vestito da donna alla corte di Licomede era stato senz’altro più credibile. Un sorriso fanciullesco era fiorito sulle labbra di André mentre si toglieva la parrucca e lei era riuscita solo a fingere di essere arrabbiata, mentre lui le baciava la mano che stretta a pugno aveva accennato il gesto di colpirlo.
 
Le aveva detto che suo padre era tornato a palazzo e stava bene, così come sua madre e nanny. Le aveva raccontato dell’aiuto di Bernard e della piccola Rosalie che era diventata sua moglie.
 
La piccola Rosalie. Oscar si era quasi commossa. Quante persone li stavano aiutando! Perché non aiutare Lorenza? Ma chi era davvero Lorenza?
 
Credo che dovremmo aiutarla, ma prima dovremmo capire …”
 
André annuì. Doveva andare, ma non aveva animo di lasciarla. Solo un istante, si disse, un istante di pace ancora, mentre l’abbracciava più forte.
 
La notte era livida e densa ma loro dovevano separarsi.
 
Domani a quest’ora saremo di nuovo insieme”, sussurrò mentre lentamente scioglieva l’abbraccio.
 
Ti amo André. Non correre rischi. Non potrei vivere senza di te.”
 
La notte era troppo silenziosa adesso, di un silenzio tagliente e cristallino.
 
André la baciò un’ultima volta, gettò uno sguardo corrucciato all’abito da sposa i cui ricami argentati luccicavano alla luce della luna, indossò di nuovo la parrucca, sollevò il vassoio e se ne uscì.
 
Oscar si accasciò su una sedia. Prese la testa fra le mani e si concesse di piangere un poco.
 
* * *
 
Non era un segreto che il Duca di Germain fosse un uomo malvagio e dissoluto.  Quando il giorno prima una lettera anonima di un anonimo servo devoto gli aveva confidato dell’irragionevole paura del coraggioso colonnello de Jarjayes per il buio, i boschi ombrosi e la folla, non si era stupito ed aveva colto con indicibile delizia il suggerimento di celebrare le nozze al tramonto.
 
L’anonimo accolito confessava di essere stupefatto di una tale paura, mai mostrata dal Colonnello Oscar in tutti i suoi anni di impeccabile servizio, ma aggiungeva che si mormorava che la cagione risalisse ad uno spiacevole evento occorso tre mesi prima che il Generale padre fosse imprigionato.
 
La consapevolezza di esserne la causa fu ragione di morboso compiacimento.
 
La missiva, sigillata con il simbolo di un caduceo impresso nella ceralacca, era accompagnata da una stampa di una tenebrosa acquaforte di Claude Gillot: Le Mariage. Un matrimonio in una foresta, tra satiri e demoni.
 
Il Duca l’osservò attentamente. Alla stampa originale era stata aggiunta, proprio al centro, con un sottile tratto a carboncino, la sagoma di una fontana zampillante. Aggrottò la fronte ed infine comprese.
 
Sarebbe rimasto vedovo presto, ma prima Madame Oscar duchessa di Germain avrebbe dovuto generargli un erede. Sarebbe stato accorto nell’infliggere le sue punizioni: sua moglie non sarebbe morta prima che potesse renderlo padre.
 
Avvicinò la lettera anonima alla fiamma della candela e l’osservò mentre lentamente bruciava.
 
Ci sono molti modi per procurare dolore senza uccidere, pensò.
 
Henri Salvator Duca di Germain si arricciò il baffo sinistro con le dita della mano sana, mentre all’alba del 30 giugno scendeva sudaticcio dal suo letto, pregustando i piaceri della prossima notte che l’attendeva, la prima notte di nozze. Ma voleva incontrare la sua promessa sposa. Prima.
 
Ripiegò in quattro la stampa e sorrise.
 
* * *
 
La data delle nozze era stata confermata. Quella sera stessa, al tramonto. Al Bosquet de la Girandole. Oscar sospirò per il sollievo: il piano stava procedendo come previsto.
 
Le cameriere al servizio del Duca d’Orleans l’avevano lavata, profumata ed agghindata. Oscar aveva sopportato tutto stoicamente, trattenendo il fastidio di quelle mani estranee che la frugavano e di quegli occhi che celavano a stento il loro imbarazzo per le cicatrici che Oscar portava sul corpo.
 
Le stesse cicatrici che André, che di ognuna conosceva la storia, aveva baciato scusandosi, senza motivo alcuno in verità, per non averla protetta abbastanza.
 
Finalmente le cameriere si erano ritirate, lasciandola sola, avvolta in trine e pizze e in una lunga veste da camera di raso bianco, i capelli raccolti in una crocchia ancora umida e disordinata. Sarebbero tornate più tardi, quando fosse stata l’ora di indossare l’abito nuziale.
 
Così vestita si sentiva inerme. Come quella sera maledetta, dopo il ballo con Fersen.
 
Indurre il Duca a celebrare le nozze nel luogo esatto in cui l’aveva aggredita era stata una idea di Oscar, alla quale André aveva cercato di opporsi. Ma un nemico che si sente al sicuro è più facile da sconfiggere.
 
Ricordati le parole del Generale Sun Tzu, André: fondamentale in tutte le guerre è lo stratagemma.  Simula inferiorità e incoraggia l’arroganza del nemico.”
 
André, uomo di pace che a quelle letture si era dedicato con un certo distacco, a parte l’aforisma per cui sul nemico bisogna lanciarsi con ardore, alla fine aveva dovuto cedere, seppure a malincuore.
 
Aveva designato esitante la fontana di Latona al centro della raccapricciante stampa di Gillot. Avrebbe voluto tracciarla con la sanguigna, immaginando che l’ocra rossa fosse sangue, quello di Germain, ma avrebbe potuto insospettirlo, o peggio eccitarlo.
 
“Chi desidera apparire debole per rendere il nemico audace e imprudente, deve essere in realtà fortissimo; soltanto così può simulare debolezza. Se si vuol fingere vigliaccheria, per indurre il nemico ad avanzare con vana baldanza, si deve essere molto coraggiosi: soltanto così si può simulare timore."
 
Quella chiosa dell’Arte della guerra in realtà Oscar non l’aveva condivisa mai, giacché l’inganno o la vigliaccheria, anche solo simulata, erano argomenti che disprezzava. Ma non potevano percorrere strade diverse. La perfidia del Duca di Germain aveva infettato anche lei.
 
Si assicurò che le erbe fossero ancora lì dove le teneva nascoste.
 
Un insistente bussare la fece sussultare.
 
Il Duca di Germain era in visita e voleva incontrare la sua promessa sposa.
 
* * *
 
Il Duca d’Orleans incominciava a convincersi di avere fatto un pessimo affare nello stringere alleanza con il Duca di Germain.
 
Mentre si assicurava che il piccolo forziere che conteneva le centomila livres che il Duca gli aveva appena pagato fossero ben chiuse nell’armoire de fer che aveva fatto recentemente murare nel suo studio privato, ponderò che forse il prezzo non valesse il rischio.
 
Invece di farsi guidare dalla ragione e dall’interesse, quel suo gregario si faceva trascinare dall’istinto e dal desiderio di vendetta.
 
Che il colonnello Jarjayes convolasse a nozze e fosse ridotta all’obbedienza sarebbe stato un innegabile vantaggio per le sue trame, ma le illazioni che sarebbero seguite alla sua prematura morte non avrebbero giovato a nessuno, se il duca di Germain non si fosse sforzato di salvare almeno le apparenze.
 
Perché la volontà di infliggere dolore, sofferenza ed infine morte che leggeva nei suoi occhi iniettati di sangue, mentre con risolutezza pretendeva di vedere la sua futura moglie, non conosceva né riserbo, né prudenza.
 
Calmatevi, suvvia”, l’aveva blandito. “La contessa è qui e non può di certo scappare. Le cameriere al mio servizio la stanno preparando ed è di cattivo auspicio che la promessa sposa si mostri al suo futuro marito il giorno delle nozze.
 
Di cattivo auspicio per lei di sicuro”, sogghignò Germain, mostrando i canini gialli ed aguzzi. “E ditemi, l’avete fatta visitare per verificare che sia ancora illibata?
 
Non c’è stato il tempo, ma lo saprete per certo stanotte”, rispose ridacchiando il Duca d’Orleans.
 
Cosa vi fa supporre che mi accontenterei di una moglie impura?”, sibilò piccato l’altro.
 
Credo che avere una ragione in più per sottometterla al vostro giogo, minacciandola di disonore, non vi dispiaccia, Henri”, ribatté il Duca d’Orleans facendoglisi più vicino, fino a percepirne il fiato pesante.
 
Ha viaggiato per terra e per mare, è stata catturata dai pirati mi avete detto.”
 
Potrebbe avere appreso qualche bel gioco, Henri!
 
Magari qualche bel gioco, come dite voi, potrebbe averlo imparato da quel suo attendente. A proposito, che fine ha fatto?”
 
“Già che fine ha fatto?” si domandò impensierito il Duca d’Orleans, che ancora aspettava la seconda parte dei disegni del lume prodigioso dei massoni. Ma fingendo disinteresse, con noncuranza replicò: “Potrete domandarlo alla Contessa voi stesso.  Insistete per vederla quindi?
 
Certamente! La voglio qui e adesso, non posso più aspettare”.
 
Il Duca d’Orleans riconobbe di essersi sbagliato. Il desiderio di morte faceva a gara con la lussuria.
 
Gli bastarono pochi istanti per comprendere l’enormità di quei sentimenti: appena Oscar entrò nella stanza, con il suo incedere fiero ed aggraziato ed il volto severo ed armonioso, trattennero il respiro, tanto era splendida.
 
Oscar era stata costretta ad indossare frettolosamente un abito ceruleo da gran dama, stretto in vita ed aperto generosamente sul seno candido, ancor più candido in contrasto con il collo e le braccia abbronzate. Avrebbe dovuto eccedere con biacca e cipria per la cerimonia.
 
Poi il Duca di Germain spezzò l’incantesimo, si protese in avanti per afferrarle la mano destra e baciarla con lascivia, mentre i suoi occhi indugiavano indecentemente su quel seno.
 
Potreste concederci un momento, Monsieur?
 
La richiesta, sorprendentemente, proveniva da Oscar.
 
Il Duca d’Orleans esitò un istante e poi uscì, lasciandoli soli nel suo studio.
 
Siete ansiosa di diventare la mia consorte, Madamigella?”
 
Oscar abbassò gli occhi, arrossì.
 
“Mi sembrate confusa, Madamigella. Non vi riconosco più.”
 
“Ciò che sembra confusione, in realtà è ordine; ciò che sembra viltà è coraggio; la debolezza è forza” pensò, richiamando alla memoria la massima di Sun Tzu.
 
“Troppe cose sono accadute. Avete vinto.”
 
“Non ancora. Avrò vinto quando sarò vostro marito!” gridò avanzando di un passo verso di lei.
 
Alzate la testa e guardatemi!” ordinò.
 
Oscar sollevò il capo. Una ciocca di capelli sfuggì dalla crocchia.
 
Sono lacrime quelle che scendono sulle vostre guance?”
 
Oscar annuì. “Fondamentale in tutte le guerre è lo stratagemma. Quindi, se sei capace, fingi incapacità; se sei attivo, fingi inattività." ricordò. “ E le lacrime di rabbia sono pur sempre lacrime”, si disse.
 
Questa notte avrete ragione di piangere davvero, Madamigella, ve lo prometto.”
 
Oscar lo fissò intensamente.
 
Non temo nulla, perché tutto ho perso, Duca.
 
Suvvia, non cercate di ingannarmi. Che mi dite di quel vostro servo, che vi seguiva ovunque, avete perso anche lui?”
 
Con le dita si asciugò le lacrime. Chiuse gli occhi.  “Sarò capace di mentire anche su questo, senza essere smascherata”, si domandò.
 
E’ annegato in mare, Duca. Non potrò nemmeno piangere sulla sua tomba.”
 
Era il vostro amante? Avete copulato con lui, meretrice di Babilonia?”
 
Oscar riaprì gli occhi. “Non mi avrebbe mai disonorato” mormorò.
 
Voglio credervi. Lo scoprirò stanotte. Ma dato che potrei non avere il vostro sangue nel talamo nuziale …” ghignò afferrandole la mano destra e torcendole il polso per capovolgere la mano ed esporne il palmo, bloccandola con il proprio peso contro la parete “ora inizio a prendermi questo!”
 
Dal bastone da passeggio spuntò una lama affilata e senza pietà le trafisse il palmo.
 
Oscar strinse i denti e non urlò. Non gli diede quella soddisfazione. Ma appena il Duca lasciò la stanza, invocò il nome di André, si accasciò e svenne.
 
L’ultima immagine che i suoi occhi colsero fu quella di un fazzoletto di pizzo bianco: il Duca strofinava la lama per tergerla dal suo sangue, poi lo annusava, lo porgeva alle labbra e lo riponeva con cura nella tasca del giustacuore.
 
Bernard, che attraverso gli occhi del ritratto di Federico II aveva visto tutto, non fece in tempo ad intervenire.
 
André non glielo avrebbe perdonato mai.
 
Quando poco dopo il Duca d’Orleans rientrò nella stanza, ignaro di quanto accaduto, due domestici la stavano già soccorrendo. Ma come avevano fatto ad accorrere tanto presto, se nessuno aveva invocato aiuto?
 
Si guardò intorno, con sospetto. Maledisse Germain e si ripromise di pretendere la seconda parte dei suoi disegni del lume perpetuo, prima che fosse troppo tardi.
 
* * *
 
Nel frattempo, André, in divisa e confuso tra gli uomini della Guardia Reale, osservava da vicino l’allestimento per il matrimonio.
 
Quando apprese dalla servitù del Duca di Germain che si affaccendava per la cerimonia, che il Duca era andato a fare visita alla sua promessa sposa, si raggelò.
 
Certo, era un rischio che avevano messo in conto, Bernard avrebbe vegliato su di lei e la sua presenza al Bosquet de la Girandole era indispensabile, ma avrebbe dovuto pianificare un modo più sicuro di proteggerla. Dunque, si affrettò a collocare di nascosto il necessario e corse via, più veloce del vento, per tornare a Palais Royal.
 
Fu mentre spronava il cavallo che una fitta gli trafisse la mano destra. Di riflesso, tirò bruscamente le briglie e per poco non fu disarcionato. “Oscar!
 
 
 
La strada per Parigi non gli era mai sembrata tanto lunga. Rosalie lo fermò appena in tempo, mentre senza alcuna precauzione si stava precipitando all’interno di Palais Royal.
 
Calmati André, lei sta bene”, bisbigliò, mentre lo trascinava di forza verso la sua abitazione in Rue Des Bons Enfans.
 
Non mentirmi, Rosalie!” le intimò disperato, mentre si chiudevano la porta alle spalle.
 
Sai quanto anch’io le voglia bene”, si accigliò lei. “Il dottore l’ha visitata, per fortuna la lama non ha leso i tendini. Il duca di Germain …”
 
“La mano, quel bastardo le ha trafitto la mano destra!” urlò, strofinandosi il palmo.
 
Rosalie sgranò gli occhi: “Ma tu come lo sai…?”
 
“Non importa”, rispose scuotendo sconsolato la testa. “Lei dov’è?”
 
“Nelle sue stanze, il dottore le ha somministrato del laudano ed ora sta riposando.”
 
“Voglio vederla!”
 
“Lo sai che non puoi. Vuoi mandare tutto a monte? Indossi ancora la divisa delle Guardie Reali! Sei pazzo?”
 
“Lei ha bisogno di me!”
 
“Lei ha bisogno che tu resti vivo e lucido, André!”
 
A parlare era stato Bernard. Fermo sulla soglia, a capo chino, aggiunse “Mi spiace, non ho potuto impedire che quel bastardo l’aggredisse. Ma nulla è compromesso. Per quello che conta, il Duca d’Orleans era furioso e questo …”
 
“Cosa vuoi che me ne importi del Duca d’Orleans! Lei è ferita ed io, io, non sono stato capace di proteggerla ed ora me ne sto qui a parlare con voi, invece che vegliare al suo capezzale e …”
 
Si mise la testa fra le mani, il capo chino. Le tempie gli pulsavano.
 
Rosalie gli porse una tazza di latte ed un poco di pane.
 
Mangia qualcosa André. E torna a Versailles, il tuo posto è lì … a proposito”, aggiunse Rosalie, “volevo lavarti i vestiti ed ho trovato questo pacchetto. Ti aveva macchiato di azzurro il giustacuore.
 
André riconobbe il dono di Leopoldo. “Non sono stato nemmeno capace di tenere fede alla promessa di portarlo sempre con me”, mormorò amaramente. L’afferrò ed il libricino che vi era avvolto cadde a terra, aprendosi a metà.
 
Bernard sgranò gli occhi.
 
Come l’hai avuto?”
 
Il dono di un amico
 
E l’hai decifrato?”
 
Non ne abbiamo avuto il tempo, Bernard, ti pare?” replicò André, contrariato.
 
Bernard lo raccolse ed iniziò a sfogliarlo. Trentasei pagine di tavole ingiallite, e più le voltava, più si rabbuiava. In ogni pagina trentasei righe di lettere in trentasei colonne, incasellate in una griglia.
 
Sai cos’è questo?”
 
No, Bernard, non lo so!” rispose André spazientito.
 
Sembrerebbe il libro perduto appartenuto a John Dee.
 
E chi sarebbe John Dee e tu cosa ne sai?”
 
Beh, faccio il giornalista, ma ho studiato in seminario, era all’indice dei libri proibiti e ...
 
Insomma …
 
John Dee era un alchimista alla corte dei Elisabetta I e leggenda vuole che praticasse la magia nera. Questo pare proprio l’Aldaraia sive Soyga vocor e si dice …”
 
Si interruppe un istante. Fissò Rosalie che si faceva il segno della croce.
 
Si dice che nemmeno lui fosse riuscito a decifrarlo, ma chi lo avesse posseduto sarebbe vissuto cent’anni e più.”
 
“E quando sarebbe morto questo John Dee?”
 
Bernard si grattò la testa. “In effetti …”, balbettò.
 
Bene. E’ tempo che io vada” disse alzandosi e riponendo il libro nella carta e poi nel risvolto interno della giubba. Quindi si avvicinò a Rosalie, prese le mani della fanciulla fra le sue e le strinse con affetto.
 
Abbia cura di te Rosalie. Ed anche di Oscar, nel caso in cui … dille che l’amo, che l’ho sempre amata.
 
Andrà tutto bene André”, rispose Rosalie sforzandosi di non piangere. Si sollevò sulle punte e gli baciò la fronte.
 
Balzò a cavallo diretto alla sua prossima destinazione. Gli appartamenti del Duca di Germain a Versailles.
 
Qualche ora più tardi, dopo essersi indotto il vomito bevendo uno sciroppo emetico, André era tornato a piedi verso le scuderie reali. La testa gli girava ed aveva sete. Un poco di giusquiamo nero era entrato in circolo e la luce del sole lo infastidiva, ma strinse i denti. Nascosto fra i cavalli, si disfò della lunga marsina nera, della parrucca grigia, della barba finta e si lavò via il cerone ed il trucco pesante del suo ultimo travestimento, indossò di nuovo la divisa azzurra delle guardie reali e corse al luogo della cerimonia.
 
* * *
 
Goerso, Victor ed il loro carico prezioso erano ormai giunti a due giorni di viaggio da Parigi.
 
Coppia più strana non si era più vista dai tempi di Don Chisciotte e Sancho Panza.
 
Come Don Chisciotte, anche Victor era forte di corporatura, asciutto di corpo e di viso, e pure lui si alzava di buon mattino.
 
A differenza di Sancho Panza, Goerso non montava un asino, ma conduceva un carro, però lo faceva anche lui come si addice ad un patriarca; non desiderava diventare governatore di nessuna isola, ma di un’isola sognava ogni notte. L’unico suo desiderio era vedere Oscar e André finalmente felici, per poi veleggiare verso il golfo in cui si specchiava quell’isola, per trascorrere la vecchiaia sulle sue spiagge sassose.
 
Con arguzia, Goerso aveva affibbiato al suo compagno di viaggio il titolo di “Cavaliere dalla Trista Figura”. Aveva intuito che l’amore per Oscar e la gelosia verso André lo straziavano e che solo il tempo ed una nuova passione, per una Dulcinea che non fosse Oscar o per un’impresa che non fosse demolire quell’indistruttibile mulino a vento che animava l’amore tra Oscar e André, l’avrebbero potuto guarire.
 
Sapete Goerso”, gli aveva confessato davanti al fuoco, mentre bivaccavano nei pressi della città di Orleans, “inizialmente l’avevo a noia. Credevo che fosse una fanciulla viziata che non conosceva nulla della durezza della vita militare, infervorata solo dalla lettura di poemi cavallereschi. Ero convinto che avrebbe ceduto alla distanza, invece …”
 
“Invece?”
 
“Invece la sua resistenza ed il suo valore crebbero con la sua bellezza e a poco a poco, senza nemmeno accorgermene, me ne innamorai.”
 
“Possedevate il titolo ed il rango per chiederla in moglie. Perché non avete osato?”
 
“Avete usato il verbo giusto, osare, perché di quello si è trattato. Non ho avuto il coraggio di ricevere un rifiuto in cambio. Non tanto da lei, quanto da suo padre. E dopo non avrei potuto più servire con lei nella Guardia Reale.”
 
“Il rifiuto di suo padre?”, chiese Goerso che iniziava a capire, “Suo padre sarebbe stato contrario al vostro matrimonio?”
 
“Suo padre, il Generale”, sbuffò Victor, “non sarebbe stato contrario al nostro matrimonio, ma al suo matrimonio: l’ha allevata come un uomo, o meglio come un cavaliere templare, votato alla castità!”
 
Ora dovrà cambiare idea.
 
Credete? Forse se lo ordinassero il Re, o la Regina.”
 
Ma la Regina ve lo ha promesso, nevvero?”
 
Victor scrutò con attenzione e financo ammirazione il suo compagno di viaggio. Annuì.
 
Credo però”, proseguì Goerso, “che questa volta sarebbe lei a negarsi. E del suo consenso adesso vi importa.”
 
Victor trangugiò dalla borraccia un sorso di birra rancida. Ecco come si era ridotto, per colpa sua, si disse.
 
Non riesco a giacere con una donna se non è a lei che penso. E’ difficile vivere così, siete un uomo anche voi, potete comprendermi!
 
Tracannò un altro sorso. Ubriacarsi poteva essere una soluzione, almeno per quella notte.
 
Per anni ho fantasticato di liberare dagli occhielli i bottoni di quella sua dannata divisa, di levarle quei dannati stivali e di accarezzarla e dominarla, come un amante. E qualche volta, non lo nego, godevo immaginando che quel Grandier ci scoprisse.”
 
Questo non è amore, Conte, è desiderio di possesso.
 
E cosa ci sarebbe di male? Maledizione, ma cosa volete da me, impiccione di un marinaio!”
 
Voglio solo che vi arrendiate, Conte.
 
E detto quello Goerso afferrò la sua stampella e si alzò, lasciandolo solo con i suoi tormenti, a fissare la luna piena che stava sorgendo.
 
* * *
 
La mano, che ancora stillava sangue, era stata fasciata e ricoperta da un lungo guanto. Guanti di raso lucido e bianco, recuperati all’ultimo momento, che stonavano un po’ con l’abito da sposa.
 
Il Duca di Germain si era arrogato il diritto di sceglierlo, un abito alla robe à l’anglaise con un corpetto attillato ed una gonna, con un corto strascico, montata a piccole pieghe, abbondante sui fianchi ed aperta sul davanti a mostrare la sottana di raso. Era confezionato in seta, in una tonalità calda di bianco, ed arricchito da applicazioni floreali a frisé ricamate con fili d’argento. Un abito incantevole, ma si poteva indossare solo cucendolo addosso e svestire solo lacerandolo.
 
I biondi capelli di Oscar erano nascosti sotto una parrucca color avorio, abbondantemente incipriata.
 
Le braccia, il collo, il viso abbronzati, resi bianchi da uno strato di biacca, la facevano somigliare ad una bambola di porcellana. La bocca, disegnata con il fattibello di un rosso acceso, sembrava una ferita aperta.
 
Si era guardata allo specchio e non si era riconosciuta. Meglio così, si disse.
 
Le scarpine di raso le ricordarono invece un ballo sfortunato.
 
Salì in carrozza, sollevando appena le gonne. L’avrebbe accompagnata all’altare il Duca d’Orleans.
 
A suo padre quel dolore aveva voluto risparmiarlo. Tra le mani stringeva ancora il messaggio che lui le aveva inviato. “Non sposarti figlia mia. Non farlo. Non per salvare il tuo vecchio padre che la sua vita l’ha già vissuta. Hai reso onore al nostro casato come il più valoroso ed il più impavido dei nostri avi. Ma ora vivi, Oscar, vivi. Sei ancora in tempo.
 
Figlia mia”. Padre mio. Oscar conservò nel cuore le parole e stracciò il messaggio.
 
Non poteva fare un passo indietro. Per vivere doveva andare avanti.
 
 
* * *

Questa sera mi perderò le nozze tra il Duca di Germain e Madamigella Oscar François de Jarjayes”, esordì con noncuranza il Re, salutandola con un gioioso baciamano.
 
Alba, che a stento lo stava ascoltando, lo guardò con rinnovato interesse.
 
Noi saremo all’Osservatorio ad osservare l’eclissi di luna, mia cara.
 
No!
 
No, mia cara? E perché no?
 
A che ora è prevista la cerimonia?”
 
Al tramonto, al Bosquet de la Girandole. L’altare avrà alle spalle la Fontana di Latona, uno scenario splendido, ma da quando ti interessi di queste cose e poi ...”
 
Dunque?
 
E poi, e poi… ci sarà anche sua Maestà la Regina!” replicò impallidendo il Re.
 
“Secondo i calcoli dei tuoi astronomi, l’eclissi sarà visibile per più di un’ora. E potremo vederla anche dai giardini di Versailles”.
 
“Ma Alba, mia cara, la Regina!”
 
“La Regina se ne farà una ragione. E dovrà starsene lontana da quel conte svedese, per una volta!”
 
Non è possibile, Mon Amour, cerca di capire, le circostanze, la convenienza …” cercò di spiegare il Re, sempre più intimorito.
 
Alba batté i tacchi e serrò il ventaglio con un colpo secco.
 
Chi è il Re di Francia?”
 
Sono io, sono io il Re…”
 
Ed il Re vuole di nuovo trascorrere le sue lunghe notti in solitudine?
 
No, certo che no!”, rispose il Re sconfortato.
 
Allora è deciso e stanotte sarai premiato!” l’adulò Alba, aggiungendo qualche parola bisbigliata all’orecchio, che lo fece arrossire di piacere.
 
Solo mi domando, perché celebrare un matrimonio proprio durante una eclissi?
 
“Oh ma non penso che qualcuno ci abbia pensato: la Contessa Jarjayes  ha scelto il giorno, il Duca di Germain il luogo e l’ora.”
 
E detto quello ritenne concluso il discorso, le tolse il ventaglio dalle mani e la baciò.
 
 
* * *
 
“Questo matrimonio non s'ha da fare!”
 
Maria Antonietta, seduta all’ombra di aranci e limoni, all’esterno dell’Orangerie, fece cenno alle dame di compagnia di allontanarsi.
 
“Né ora, né mai!”
 
Non ti inquietare Fersen: l’ha chiesto lei ed il Re ha approvato.”
 
Ma il Duca di Germain la odia e sai bene che Madamigella Oscar è stata ricattata.”
 
Già, ma secondo Brienne non ne abbiamo le prove.”
 
Quindi questa sera assisterai impassibile alla condanna a morte del Colonnello Oscar, di Madamigella Oscar, di colei che è stata sempre amica leale e fidata, di entrambe!”
 
Non ti sembra di esagerare?
 
A quale affermazione precisamente ti riferisci?”
 
La Regina non colse la provocazione.
 
Ascoltami Maria …”, la pregò Fersen, inginocchiandosi davanti a lei e prendendole le mani fra le sue.
 
Sua Maestà il Re non mi ha voluto ascoltare, da quando quella sgualdrina …” sibilò lei, trattenendosi dal piangere.
 
Cosa stai dicendo?
 
La contessa Alba Pironti, che poi, non è nemmeno contessa: mia sorella Marìa Carolina mi ha informato che la dinastia dei Pironti si è estinta da secoli e che a corte a Napoli ed in tutto il Regno nessuno sa chi sia!”
 
“Sei gelosa di Luigi?”
 
“Non dovrei?”
 
“Ma allora, noi?”
 
“Noi, noi, dov’è questo noi?”
 
“Perché dici così, amor mio?”
 
“Avevo pianificato un matrimonio di convenienza con Girodelle, ma …”
 
“Oscar non ama Girodelle.”
 
“Oscar non ama Girodelle, Oscar non ama il Duca di Germain, dovrà farsene una ragione, dovrà pure imparare ad amare qualcuno!”
 
Fersen rimase in silenzio.  La Regina lo guardò impietrita.
 
No, no, no!” squittì, sottraendosi con stizza alla stretta delle mani di Fersen. “Aveva ragione Yolande dunque: voi due ve la intendete!
 
Ma no! Cosa stai dicendo Maria, tu non ragioni!
 
Oh, ragiono fin troppo bene. La misteriosa contessa nordica. Quella sparita nel nulla che avrei fatto avvelenare o segregare in convento. Non è un caso che si dicesse che fosse svedese, proprio come te, ed io sciocca che lo sapevo e ne ridevo!”
 
Tu lo sapevi? Sapevi che Oscar aveva danzato con me?”
 
Sono pur sempre la Regina di Francia”, replicò sprezzante.
 
“Non è come pensi.
 
Fersen si alzò, le spalle curve.
 
Non te ne sei mai accorta?”
 
Di cosa? Del vostro ignobile tradimento?”
 
Di André.
 
La Regina parve calmarsi. “André Grandier, il suo attendente? Che André l’ami è chiaro come la luce del sole.
 
Del fatto che anche lei lo ami”, continuò in un soffio Fersen, improvvisamente prostrato di fronte a quella certezza.
 
Certo che lei lo ama. Era incosciente, eppure era il suo nome che mormorava quella notte dopo l’esplosione a Saverne, l’ho udito con le mie orecchie. Sicuramente sono amanti. Da anni. Ma questo non conta.”
 
Fersen non capiva. “Non conta?”, le chiese.
 
Maria Antonietta sbuffò: “dovrà pure imparare ad amare qualcuno del suo rango e Dio la maledica se quel qualcuno sei tu!”
 
Ma dov’è André. Cosa gli è successo?”
 
Me lo sono domandato anch’io, sai” rispose la Regina, improvvisamente intenerita.
 
Se lui fosse morto, questo spiegherebbe la sua resa” aggiunse cupo Fersen.
 
Fu allora che la Regina si mise a piangere.
 
O perdonami Fersen, perdonami amor mio! Io lo so che tu ami solo me e vorrei aiutarla Madamigella Oscar, davvero, ma non so proprio come fare!

 
* * *
 
Ti sei procurato i luigi falsi, Louis Antoine?”, bisbigliò Bernard.
 
Si, per centomila livres. E tu hai visto bene dove ha nascosto la chiave della cassaforte?”. A chiederlo era un giovane dal volto imberbe e delicato.
 
Bernard annuì. “Il Cavaliere Nero è tornato”, esclamò. Poi, accortosi di avare alzato la voce, si guardò intorno. Ma tutto taceva. Il Duca era a Versailles per il matrimonio.
 
 “Il Duca d’Orleans questa notte farà una donazione ai poveri di Parigi, anonima e a sua insaputa”, ridacchiò il giovane compare.
 
E domani accuserà il Duca di Germain di averlo truffato!”
 
Bernard maledisse il destino ingrato che non gli aveva consentito di ideare ed organizzare il furto e lo scambio prima di allora, ma l’occasione si era presentata solo quel giorno, spiando la conversazione tra Germain e d’Orleans.
 
 “Speriamo che nel frattempo Oscar non lo sposi”, si augurò Bernard fra sé e sé, mentre si calava sul viso una maschera nera.
 
Poi gli sovvenne che se avesse informato André, avrebbe potuto fare in modo di ritardare la cerimonia: in fondo Oscar era ferita e se Monsieur si fosse scoperto ingannato da Germain avrebbe potuto mandare a monte il matrimonio.  Ma si era consultato con Louis Antoine e Louis Antoine Léon de Saint-Just sapeva cosa fosse meglio, per il popolo francese.
 
* * *
 
Incedeva lungo una navata, circondata non da colonne di marmo, bensì da verdi siepi di agrifoglio.
 
Il sole era tramontato e l’aria era fresca e profumata.
 
Il rumore dell’acqua della fontana di Latona riempiva, costante e piacevole, le pause fra una sonata e l’altra del quartetto d’archi.
 
Oscar era arrivata alla fine del suo percorso ed il Duca d’Orleans aveva già fatto un passo indietro.
 
Incantati dalla leggiadria della sposa, la Regina accanto alla Re e Fersen accanto ad Alba, si domandarono se davvero fosse troppo tardi, per evitare che Persefone sposasse Ade.
 
In piedi dietro all’altare, con le spalle alla fontana, solo il Monsignore officiante si accorse che il Duca di Germain, che indossava un sontuoso abito di raso grigio orlato di pizzi color pervinca, sudava copiosamente.
 
Il fenomeno, quasi da tutti inatteso, fu annunciato da un brusio, dapprima sommesso e poi via via più intenso e molesto.
 
La luna piena, appena sorta sopra l’orizzonte, si stava lentamente oscurando, tingendosi di rosso.
 
Il Duca di Germain rivolse lo sguardo al cielo, là dove tutti miravano stupiti.
 
Oscar si inginocchiò di fianco al Duca di Germain e si fece il segno della croce.
 
Vuoi tu Henri Salvator, Duca di Germain …”
 
Il sacerdote si interruppe. Lo sposo si era alzato di scatto, le pupille dilatate, le mani alla gola, la bocca schiusa a cercare aria.
 
Un senso di vertigine lo colse, mentre roteava su se stesso, con il collo proteso in alto.
 
Un mostro, un mostro, sta accoltellando la luna”, urlò.
 
E’ solo un'eclissi, Duca.”
 
A parlare, con un tono imperioso ma perplesso, era stato il Re.
 
No, stolti, siete degli stolti”, gridò, mentre si lanciava verso il palco dove era assisa la coppia reale.
 
Due guardie lo bloccarono a terra, ma lui non smise di agitarsi e con la forza della disperazione riuscì a divincolarsi.
 
Era in preda alle allucinazioni. Gli alberi, le siepi, financo la croce, i ceri, i candelabri e i parametri sacri ondeggiavano davanti a lui, mentre barcollando protendeva le mani per aggrapparsi a qualcosa, cercando di non precipitare, giacché anche la terra sembrava fendersi in voragini senza fondo ad ogni suo passo.
 
Si tastò i polsi e due mostruosi uccelli dal becco adunco e dalla lunga coda color pervinca presero vita, lacerando i pizzi.
 
Ed i volti, i volti! Non erano di persone ma di creature demoniache ed oscene. Spalancavano le loro fauci, ma ne uscivano solo versi inarticolati, inumani e le loro parrucche si animavano, squittivano, pigolavano, zigavano.
 
Un cervo imponente, con un enorme palco di corna al posto della mitra, bramiva nelle vesti dorate del Monsignore, agitando una croce.
 
Vattene bestia immonda!”, gli urlò, scosso dall’orrore, fino a perdere la voce.
 
Solo la sua promessa sposa era ancora lì, tale e quale, impassibile, diritta in piedi, l’unica creatura che restasse immobile. Si limitava a fissarlo, con quei suoi occhi azzurri e severi, mentre il cielo si squarciava e girava intorno a lui e la luna pareva avvolta in un sudario di morte tinto d’ocra rossa.
 
Intorno a loro i cortigiani, terrorizzati ma allo stesso tempo troppo affascinati per correre via, assistevano alla scena.
 
Poi d’improvviso scoppiarono i fuochi d’artificio. André li aveva nascosti, lontano, oltre la fontana. Aveva dato fuoco alle polveri e quelli erano schizzati in cielo.
 
Al Duca di Germain, ormai in pieno delirio, parvero frecce destinate a lui, mentre piroettavano in aria. Cercò rifugio gettandosi nella fontana. L’acqua fredda lo riscosse per un momento.
 
In un guizzo di lucidità comprese che la radice per rinvigorire la sua virilità, di cui quel pomeriggio un vecchio cerusico, lo stesso devoto servo che gli aveva inviato la missiva anonima, gli aveva fatto omaggio come dono di nozze, era un veleno.
 
Assumetene una presa disciolta in un bicchier d’acqua o in una tazza di the poco prima della cerimonia e due ore dopo raggiungerete l’apice.”
 
Come faccio a sapere che non volete avvelenarmi?”
 
Vedete, la assumo anch’io, fra un paio d’ore mi attende un convegno amoroso”, aveva sussurrato con fare cospiratorio. “Permettete?” aveva chiesto, versandosi un po’ d’acqua dalla caraffa di cristallo davanti a lui, “ma attenzione, non abusatene, non più di una volta al giorno…”
 
Rivide con gli occhi della mente entrambe le mani che roteavano il bicchiere dopo avere polverizzato fra le dita una presa di foglie essiccate prelevate da un sacchetto di tela nera, piombato con il sigillo a forma di caduceo. Quelle non erano le mani di un vecchio.
 
Ed allora comprese. Ma poi le rane di marmo presero vita. Gracidarono bestemmie contro di lui.
 
Graffiò le guardie che l’avevano tirato fuori dall’acqua.
 
Anche André stava ripensando, con raccapriccio, a quel pomeriggio, negli appartamenti di Germain a Versailles.
 
Cosa vi fa pensare che ne abbia bisogno?”, gli aveva chiesto.
 
Oh, ma io questo non lo penso affatto. Ma, vedete, è una questione di resistenza, di mantenersi solidi e vigorosi, se afferrate ciò che intendo, fino all’alba.”
 
André provava ancora disgusto di sé stesso, per le parole pronunciate.
 
Poi il Duca di Germain si era alzato di scatto, volgendogli le spalle.
 
Perché fate questo? Gli aveva domandato. In risposta, invece di conficcargli tra le scapole il pugnale che nascondeva sotto la lunga marsina nera, l’aveva adulato: “Il Re ha bisogno di consiglieri fedeli e saggi come voi, il popolo di Francia deve essere riportato all’obbedienza, con la verga e con la polvere da sparo, con pugno fermo e volontà inflessibile.”
 
Anche nell’animo della mia sposa arde il fuoco della disobbedienza!
 
André ripensò al sorriso di Oscar, abbandonata all’estasi fra le sue braccia la loro prima notte. Allo sciabordio del mare che li cullava.
 
Ora lo scrosciare era solo quello dannatamente rumoroso della fontana. Tutti i razzi erano stati sparati. André si riscosse e si mise a correre verso l’altare.
 
Devo piegarla all’obbedienza, una spada d’acciaio temprata dal miglior fabbro per un duello che alle prime luci del giorno mi vedrà più volte vincitore.
 
Poteva ucciderlo allora. Impedirgli per sempre anche solo di guardarla da lontano. Ma Oscar era stata inamovibile. “Non importa cosa dirà o cosa farà. Tu non dovrai cedere alla rabbia. Ricordati le regole di Sun Tzu: abbiamo analizzato la situazione per rilevarne i vantaggi, dobbiamo creare le circostanze che contribuiscano a realizzare i nostri obiettivi, schierando le nostre truppe nel modo più opportuno.”
 
E perciò eccolo lì, in preda ad una furiosa pazzia, ma ancora vivo.
 
Si era appena liberato dalle guardie e si era avventato di nuovo, contro Oscar questa volta. Le aveva strappato con violenza il guanto destro e le bende; la lesione alla mano si era riaperta.
 
Prima che qualcuno potesse fermarlo, stava mostrando a tutti la ferita sul palmo della sua futura sposa, serrandone il polso ed agitandone in alto il braccio.
 
Ecco, è lei, è lei la strega che ha ucciso la luna. Vedete: le sue mani grondano sangue!
 
Il pugno violento di una guardia lo tramortì. Gli parve di riconoscerlo quel mostro dagli occhi verdi, traboccanti d’odio. Cercò di artigliargli il petto con le unghie, ma al posto della carne ghermì un involucro rovente, quindi cadde in un oblio profondo.
 
Oscar si inginocchiò, esausta. Rivolta all’altare, nonostante la ferita bruciasse, si fece il segno della croce e rese grazie a Dio. André era lì con lei e l’interrogava in silenzio.
 
Scosse la testa, dissuadendolo dall’accorrere ancora in suo aiuto, mentre altre guardie trascinavano via il Duca fradicio d’acqua e privo di sensi.
 
Ora niente li avrebbe più divisi. Ma non poteva correre il rischio che André fosse smascherato.
 
Si alzò, raddrizzò le spalle. Gli sguardi degli astanti erano tutti per lei. Il sacerdote si avvicinò, negli occhi pietà e compassione.
 
Oscar si apprestava finalmente a parlare, e ne stava chiedendo licenza alle loro Maestà, quando Alba si levò.
 
Vorrei dire una parola.”
 
André fece un passo verso di lei.
 
 
Qualsiasi cosa dicano di me i mortali - non ignoro, infatti, quanto la Follia sia portata per bocca anche dai più folli - tuttavia, ecco qui la prova decisiva che io, io sola, dico, ho il dono di rallegrare gli Dèi e gli uomini. Non appena mi sono presentata per parlare a questa affollatissima assemblea, di colpo tutti i volti si sono illuminati …
 
Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia
 
 
 

 

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Capitolo 51
*** Capitolo 51 ***


 
All of the things that are my life
My desire
My beliefs
My moods
Here is my place without a plan

 
(David Bowie, No plan)
 
https://www.youtube.com/watch?v=xIgdid8dsC8
 
 
 
Qualsiasi cosa dicano di me i mortali - non ignoro, infatti, quanto la Follia sia portata per bocca anche dai più folli - tuttavia, ecco qui la prova decisiva che io, io sola, dico, ho il dono di rallegrare gli Dèi e gli uomini. Non appena mi sono presentata per parlare a questa affollatissima assemblea, di colpo tutti i volti si sono illuminati …
Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia
 
 
Oscar si apprestava finalmente a parlare, e ne stava chiedendo licenza alle loro Maestà, quando Alba si alzò.
 
Vorrei dire una parola.”
 
André fece un passo verso di lei.
 
Maestà, quest’uomo è chiaramente pazzo”, esclamò Alba.
 
 “Credo che secondo il diritto canonico, non possa contrarre matrimonio”, aggiunse il Conte di Fersen.
 
Il Monsignore lo confermò: “Neque furiosus neque furiosa matrimonium contrahere possunt”.
 
Una dama urlò. Nascosta fra le siepi aveva trovato la maschera di un satiro. Impigliato fra i nodi del laccio che la chiudeva, un anello, che sul castone recava impresso lo stemma araldico della famiglia Germain.
 
Gentile omaggio del Cavaliere Nero, conservato con grande preveggenza per la giusta occasione. Il tocco finale dell’artista.
 
Ed è un adoratore del diavolo”, sancì la Regina.
 
Il Duca d’Orleans applaudì. Prima alla luna e poi a Oscar. Quindi, con inchino rivolto alle Loro Maestà, si era congedato
 
La Regina, incurante dell’etichetta, si alzò dal suo scranno ed accorse a confortare l’amica.
 
Improvvisamente si ricordò della guardia che aveva reso innocuo il Duca, e pensò di ringraziarla, ma quando si volse era già sparita. Ma pensandoci bene …
 
Come state, amica mia?” le domandò.
 
E voi, presto, chiamate un dottore, non vedete che Madamigella è ferita?”, ordinò,
 
Non occorre, ora sto bene, Mia Regina
 
Ed il vostro André?” chiese lei sottovoce, in un soffio.
 
Anche lui”.
 
Questa parrucca non vi dona, sembra che abbiate in testa un gigantesco topo!” la schernì.
 
La sua risata argentina ed acuta infastidì Alba, che stava conversando con Fersen.
 
E ora, evocata dai miei incantesimi, vieni, o astro delle notti, con il tuo aspetto più sinistro e la minaccia della tua triplice fronte” pispigliò Alba, il bel viso ovale rivolto alla luna.
 
Scusatemi, non ho compreso”, le chiese Fersen.
 
“Medea. E credo che adesso dovremmo fare un gran rumore, battere oggetti di metallo e alzare verso il cielo tizzoni e torce in grande quantità.”
 
Fersen la fissò perplesso. “Dobbiamo spaventare il mostro che sta assassinando Artemide” spiegò Alba con voce cupa, “se vogliamo che la luna ritorni a splendere.
 
Oscar rivolse il suo sguardo lontano, oltre al brusio delle esclamazioni eccitate delle dame ed alle occhiate dei cavalieri che indugiavano moleste su di lei.
 
Oltre il filare di tigli che delimitava i giardini. Sapeva che André era diretto laggiù. Più tardi si sarebbero ritrovati.
 
Con il dorso della mano sana si sfregò via il rossetto scarlatto.
 
André la vide da laggiù.
 
Quell’abito da sposa non fa per te, Oscar” mormorò; sorrise e scappò via, quasi felice, mentre la luna vittoriosa tornava lentamente a risplendere, serica e pallida, nel cielo notturno.
 
 
* * *
 
Oscar aveva inviato un messo a Palazzo Jarjayes per informare degli eventi occorsi. Poi aveva chiesto un cavallo ed una spada. Dopo avere tranciato di netto con un colpo di lama il corto strascico della sua veste nuziale e praticato un taglio verticale sulle gonne, salì in groppa e galoppò via dalla reggia, verso uno dei casotti da caccia della tenuta della famiglia Jarjayes.
 
Dall’ultima falce di luna, cadeva il velo mortale che l’aveva avvinta.
 
Giunta nelle vicinanze, ricoverò il cavallo nella piccola stalla adiacente e poi si avvicinò con circospezione, in punta di piedi. Dubitava che qualcuno avesse seguito lei, oppure André, ma abbassare la guardia proprio adesso sarebbe stato un errore imperdonabile.
 
Con quelle scarpine di raso cavalcare era stata un’impresa, ma camminare tra rami e rovi era un tormento. Spezzò un fuscello con un piede. Si fermò in ascolto.
 
Dal casotto provenivano le voci concitate di due uomini. Una era quella di André. L’altra non la riconosceva.
 
“Quando il Duca d’Orleans aprirà il forziere si convincerà che il Duca di Germain lo ha ingannato!”
 
E me lo dici solo adesso? Dannazione, il nostro piano per ora è riuscito, ma tu sapevi bene quanto fosse azzardato e potevi evitare tutto questo, potevi risparmiare ad Oscar di inginocchiarsi all’altare accanto a quel degenerato!”
 
Un uomo, di cui intravedeva solo la schiena avvolta in un lungo mantello nero, protendeva in avanti le braccia, cercando di divincolarsi dalla stretta di André che lo scuoteva per le spalle.
 
Poteva essere troppo tardi! Tu non hai idea di cosa significhi sapere che la donna che ami più della tua stessa vita rischia di essere abusata ed ascoltare quell’uomo che se ne compiace!”
 
La porta si era spalancata.
 
Non importa André.
 
Lui era corso ad abbracciarla.
 
Piano, piano, a malincuore, consapevole della presenza dell’altro, Oscar si era sciolta da quell’abbraccio, ma con la sinistra aveva afferrato la mano destra di André. Non poteva separarsi da lui. Mai più.
 
Monsieur Bernard Chatelet, suppongo.  Alias il Cavaliere nero.”
 
Al vostro servizio!
 
Dunque cosa è accaduto?”
 
Il Duca di Germain vi ha comprato per … no insomma … Il Duca di Germain ha versato centomila livres al Duca d’Orleans per il vostro matrimonio.”
 
Così poco? Ero convinta di valere molto di più!”
 
Bernard sgranò gli occhi.
 
Oscar sta scherzando, Bernard.
 
Abbiamo aperto la cassaforte e scambiato i luigi d’oro con monete false.
 
E siete stati attenti, voi e …”
 
Louis.
 
Louis e poi?”
 
Non credo che saperlo …”
 
Lei deve saperlo!”, gli intimò André.
 
Antoine Léon de Saint-Just, un giovane che …”
 
Temo di sapere chi sia Saint-Just. Dunque, siete stati attenti?”  si informò Oscar.
 
Nessuno si accorgerà di nulla e stanotte pioveranno luigi d’oro nelle case dei parigini più poveri!”
 
Oscar annuì. “Ne sono felice!
 
Ora, ora vi lascio!”
 
“Grazie di tutto Bernard. Abbi cura della piccola Rosalie, o dovrai vedertela con la mia spada, non solo con l’ira di André”.
 
Appena Bernard si chiuse la porta alle spalle, André sospirò di sollievo. Le afferrò piano anche l’altra mano. Lei sollevò la testa. Lui l’abbassò. La baciò teneramente, come fosse il loro primo bacio. Poi la guardò di nuovo.
 
Questa parrucca non ti dona per niente”, le disse mentre le sfilava le forcine e la toglieva.
 
La pensa così anche la Regina”.
 
“Abbiamo entrambe buon gusto, mi ha sempre apprezzato, sin dai tempi della moda degli abiti color pulce” le rispose strappandole un sorriso.
 
Le accarezzò le guance, sistemandole i capelli dietro le orecchie.
 
“Come ti senti?”
 
“Sono qui con te, sto bene.”
 
“Fammi vedere la mano”, le ordinò.
 
Sciolse piano, con cautela, quello che rimaneva delle bende, lacere e sporche.
 
“Credo che per un po’ non potrai tirare di scherma con la mano destra, magari è la volta che riesco a batterti”, esclamò con disinvoltura, cercando di distrarla, mentre le puliva la ferita ed applicava un unguento.
 
“Sai benissimo che sarei in grado di batterti anche con la mano sinistra, gli occhi bendati ed una gamba sola!”
 
“Quanta arrogante superbia, Colonnello. Adesso sì che vi riconosco”. Avvolse la mano in bende pulite.
 
Ecco ho finito.”
 
“Grazie”
 
Quel grazie lo disse con le lacrime agli occhi. 
 
Ti ho fatto male?” le chiese preoccupato.
 
Oscar scosse la testa.
 
Grazie per essere qui con me. Grazie perché hai saputo aspettare.
 
André le porse un fazzoletto. Lei lo rifiutò. Iniziò a baciarlo. Prima piano e poi con crescente passione.
 
André frugò con le dita fra i pizzi del corpetto, cercando di tirarne i lacci.
 
Mi è stato cucito addosso.”
 
Ma come …? Subito André non comprese.
 
L’unico modo è tagliarlo.
 
André si staccò da lei. Andò alla finestra.
 
Se trovi un paio di forbici posso farlo io” disse lei.
 
Germain deve morire. Dovevo ammazzarlo quando ne ho avuto l’occasione.”
 
Anch’io ne ho avuto l’occasione, tanti anni fa, ricordi? Ma non l’ho fatto.
 
Oscar …
 
Il Re ha ordinato di rinchiuderlo alla Bastille.
 
E quando uscirà?”
 
Se uscirà! Ha cercato di aggredire le loro Maestà, è stato accusato perfino di adorare il diavolo.”
 
Dirà che è stato drogato.
 
Nessuno trarrà vantaggio dall’accordargli credito, neppure il Duca d’Orleans, se Bernard non si farà scoprire.
 
Di questo non sarei tanto sicuro” si crucciò André, frugando in un cassetto fino a trovare un paio di piccole forbici d’argento.
 
Dammi quelle forbici, André!
 
Ci penso io, tu rischieresti di farti male”.
 
La fece sedere di schiena su una panca, ed iniziò a tagliare la seta, a partire dallo scollo in mezzo alle scapole, facendo attenzione a non ferirla.
 
Quando arrivò alla cintura all’altezza della vita la fece alzare e lei sfilò l’abito dai piedi.
 
La fece voltare. Lei si nascondeva i seni con le mani. Delicatamente lui le scostò.
 
Sei bellissima”.
 
Lei arrossì un poco.
 
Caddero anche le sottogonne.
 
Tra le pieghe era ancora nascosto un sacchetto di velluto. 
 
André lo raccolse.
 
Lo avresti usato?”
 
Se il matrimonio fosse stato celebrato, secondo il loro piano Oscar avrebbe fatto in modo di avvelenare il Duca con l’aconito.
 
Oscar annuì. Non gli rivelò che non era stato il pensiero di giacere con il Duca a tormentarla davvero, piuttosto l’angoscia di perderlo. Se qualcosa fosse andato storto ed André fosse morto lo avrebbe usato per darsi la morte.
 
Giuro su Dio che non permetterò mai più a nessuno di farti del male”.
 
Giuro su Dio che darei la mia vita per te, André”.
 
E con quelle parole lo condusse alla loro alcova, pensando che non avrebbe mai potuto vivere un solo giorno in più di lui.
 
* * *
 
Erano raccolti l’una nel tepore delle braccia dell’altro ed il sole era ancora basso all’orizzonte, quando qualcuno che bussava sommessamente alla porta del capanno li destò.
 
Pensarono nell’ordine a Bernard, a Rosalie, al Generale e a Nanny, gli unici a conoscere l’ubicazione del loro rifugio.
 
Ed il Generale e Nanny dovevano essere messi a parte di molte cose ancora.
 
Vi devo parlare”, disse piano la persona dall’altra parte.
 
André riconobbe la voce. Si alzò avvicinando l’orecchio alla porta, facendo cenno a Oscar di fare silenzio e di nascondersi. Lei scosse la testa. Anche lei aveva riconosciuto la voce.
 
Vi prego, ho bisogno di voi”.
 
Oscar indossò la camicia di André e lo raggiunse.
 
Credo che dovremmo farla entrare. E’ più pericoloso lasciarla là fuori” bisbigliò all’orecchio di André, mentre gli porgeva i pantaloni.
 
André parve accorgersi solo in quel momento della sua nudità. Si infilò in fretta i calzoni, imbarazzato.
 
Ma come ha fatto a trovarci?”, mormorò André.
 
Trattandosi di lei, non c’è da stupirsi di nulla, ma ieri sera le sue parole hanno contribuito alla decisione del Re”.
 
André annuì. Cercò nel piccolo bagaglio preparato con cura da Nanny un paio di pantaloni per Oscar ed una giacca per sé. Finirono di vestirsi. Poi nascose un pugnale nella manica, fece scorrere il chiavistello e la fece entrare.
 
La luce dell’alba entrò con lei, che nonostante il nome sembrava più cupa della notte.
 
Profonde occhiaie scure e gonfie segnavano il volto pallido. La sontuosa veste di broccato dorato indossata per il matrimonio era umida e strappata in più punti, come se avesse trascorso la notte all’addiaccio fra i rovi. Fili di paglia erano impigliati tra le ciocche della parrucca.
 
Come ci hai trovati?”, chiese André.
 
Ho preso un cavallo e l’ho seguita”, rispose guardando Oscar.
 
Oscar sollevò un sopracciglio, stupita. Pensava di essere stata attenta.
 
Cavalcavo a pelo meglio di voi, quando passavo le mie estati in Val d’Aveto”, rispose piccata, “anche se con queste gonne è un’impresa”.
 
André notò che Alba, come Oscar, aveva praticato nelle gonne due lunghi spacchi. Alba aveva strappato via anche il panier. Stava per ridere, poi pensò al giorno in cui le aveva slacciato il corsetto. E che aspettava un figlio. Si raggelò.
 
Credo di dovervi la verità”, sussurrò, accarezzandosi il ventre.
 
Oscar la fece sedere, mentre André accedeva il fuoco per preparare una frugale colazione.
 
Spero che Lazzaro stia bene. Non volevo ucciderlo, ma colui per il quale lavoro voleva accedere ai risultati delle sue ricerche”.
 
Per chi lavori?”, domandò André.
 
Alba esitò. Per qualche istante tacque e poi si decise.
 
Il Grande Ammiraglio dell’Impero Ottomano, Cezayirli Gazi Hasan Pascià”.
 
Udendo quel nome, André trasalì.
 
Il Grande Ammiraglio li aveva catturati ed aveva ceduto Oscar all’Harem del Sultano, pianificando un falso attentato alla sua vita. Ma probabilmente Alba non ne sapeva nulla.
 
Il mio nome non è Lorenza e non è Alba Pironti. Io sono Alba Rebuffo, figlia di Girolamo Rebuffo, mercante genovese della maona dei Giustiniani, che ha fatto fortuna a Pera. Altan, il giannizzero che avrei cercato a Candia, non è mai esistito e non sono fuggita da nessun convento di monache turchine.”
 
Alba si fermò, soppesando l’effetto delle sue parole. Nessuno. Loro questo lo sapevano già, dunque.
 
Dopo la morte di mia madre, mio padre, che a Istanbul aveva un’altra famiglia, tornò a Genova e mi costrinse a seguirlo. Non mi sarebbe importato se non fossi stata … innamorata.”
 
Alba si alzò. Si avvicinò alla finestra. Le tende erano chiuse. Le scostò un poco per guardare fuori.
 
E’ pericoloso Alba. Potrebbero vederti”. Il tono di André era severo. Alba ripensò alle sue mani calde che le slacciavano il corsetto.
 
Richiuse le tende, ma non si voltò.
 
Perdutamente innamorata … del mio Lorenzo.
 
Si girò improvvisamente. Tornò a sedersi.
 
Ora accetterei volentieri un po’ di quel caffè che hai preparato, André.
 
Strinse le mani intorno alla tazza.
 
La notte del primo giorno di navigazione uscii sul ponte per cercare un po’ di sollievo dalle lacrime, avevo pianto tutto il giorno nella mia cabina. Non ero mai stata così infelice.”
 
Il caffè era troppo amaro per i suoi gusti. Piegò le labbra in una smorfia.
 
Allora pensai che non sarei stata mai più infelice di quanto lo fossi allora. Ora so che mi sbagliavo.”
 
Una fitta alla mano fece sbiancare Oscar.  André le si fece vicino.
 
Dobbiamo cambiare le bende”, le disse. Poi prese una bacinella d’acqua, unguento e garze pulite.
 
Alba seguì i gesti esperti e delicati con i quali lui la medicava.
 
Con nostalgia ricordò che, dopo avere esplorato mille interessi, Lorenzo alla fine aveva deciso che avrebbe studiato medicina.
 
Quella notte sul ponte scorsi qualcuno che si avvicinava. Il suo incedere, su quel ponte traballante, era incerto, inizialmente neppure lo riconobbi. Poi sussurrò il mio nome”.
 
André ed Oscar la guardarono accigliati. Stava davvero raccontando la verità?
 
Lorenzo si era fatto imbarcare come mozzo, senza dirmi nulla. Aveva rinunciato a tutto, pur di seguirmi.”
 
Oscar trasalì. Senza sapere perché.
 
Di giorno puliva il ponte e sgottava acqua dalle sentine. Ma nostre erano tutte le notti.
 
Finì di bere il suo caffè. La tazza era vuota. La girò per cercare sul fondo il marchio della manifattura.
 
Non è di Sant Laurenç de Var, questa” osservò André, un po’ allarmato.
 
Finché durante una notte di burrasca … mio padre non ci scoprì”.
 
Lo raccontava con calma, senza tradire alcuna emozione. Posò la tazza. Abbassò gli occhi.
 
Mi rinchiuse sottocoperta. Non vidi più la luce del sole, finché non sbarcammo a Pera, dieci giorni dopo.”
 
Di Lorenzo cosa ne è stato?”, chiese Oscar.
 
Picchiato a sangue, da tre marinai, mentre mio padre mi teneva ferma e mi costringeva a guardare. E’ poi è stato venduto come schiavo a Candia. Questo mi ha rivelato mio padre quando l’ho implorato …”, rispose con voce piatta.
 
Basta”!
 
Ad inveire, con veemenza, era stato André. “Perché questa volta dovremmo crederti? Hai quasi ucciso Lazzaro, eppure è stato per merito suo se ti abbiamo liberato dalla caserma dei giannizzeri a Candia!
 
Accidenti a voi, vi piacerebbe essere di nuovo rinchiusi, dopo quello che aveva fatto mio padre? Non ce la facevo più!” strillò con voce acuta Alba.
 
Una reazione. Aveva ottenuto una reazione, era già qualcosa, pensò Oscar.
 
Cercavi lui tra i giannizzeri, quando sei sbarcata di nascosto a Creta?”, le chiese severa.
 
Alba annuì.
 
Perché?
 
Dopo l’incendio, Hasan Pascià mi ha permesso di scappare, a patto di essere reclutata fra le sue spie. Grazie a quello ho scoperto che Lorenzo era stato arruolato fra i giannizzeri di Candia”.
 
L’incendio?
 
“L’incendio, a Pera! Non fate finta di non saperlo!” sbuffò Alba. “Comunque non è vero niente!”
 
Potevi essere sincera con noi, ti avremmo aiutato”, mormorò Oscar.
 
Belli, buoni ed intelligenti voi due! Ma innamorati persi l’uno dell’altra, chi ero io per voi?”
 
Oscar scosse la testa.
 
Quando a Candia sono scesa dalla Santo Stefano per cercarlo era già la seconda volta. La prima volta non l’avevo trovato, ma risultava nei ruoli, lui doveva essere lì”.
 
Potevi farti aiutare da Hasan Pascià”, osservò ironico André.
 
E’ quello che ho fatto: in cambio ho dovuto spiare i vostri compagni di viaggio, Lazzaro Spallanzani e Domenico Sestini, alla ricerca di quel dannato fuoco inestinguibile e freddo raccontato da padre Padre Mechitar di Sebaste”
 
E quel giorno l’hai trovato?”
 
“Purtroppo no.”
 
“E come si spiega che i giannizzeri ti hanno imprigionato, visto che militi tra le fila degli accoliti di Hasan Pascià? l’interrogò scettico André, che non credeva ad una sola parola.
 
Non si spiega …
 
Si spiega benissimo invece”, replicò Oscar avvicinandosi alla finestra. Mentre fingeva di guardare fuori, per non mostrare le emozioni che le attraversavano il volto, e nubi nere si addensavano in cielo.
 
Nel momento in cui hai chiesto ad Hasan di aiutarti per ritrovare Lorenzo, gli hai concesso un’arma invincibile contro di te. Ti avrebbe ricattato o blandito finché gli fossi servita, non ti avrebbe mai permesso di ritrovarlo.”
 
Alba chinò il capo.
 
E’ quello che amiamo che ci rende vulnerabili”, concluse con voce fioca Oscar.
 
André si avvicinò. Le cinse le spalle. Lei appoggiò il capo sulla sua spalla.
 
Cos’altro avrei potuto fare?”
 
Qualche volta si deve nascondere l’amore, per amore”, rispose Oscar volgendo la testa verso di lei.
 
Era forse quello che aveva fatto inconsciamente per anni anche lei, si domandò Oscar? Di sicuro era quello che aveva fatto André per tutta una vita.
 
André sussultò. La strinse più stretta. I loro sguardi si incrociarono.
 
Alba ripose la sua maschera di imperturbabilità.
 
Forse Lorenzo si è dimenticato di me … perché non mi ha mai cercato?”
 
“Lo credi davvero possibile? Ti amava molto, ha rischiato la vita per seguirti”
 
“Sono l’unico in grado di proteggerti …” così mi ripeteva sempre.
 
“Ma tu sei una fanciulla che sa badare a se stessa …”
 
“Infatti, mi arrabbiavo ogni volta, ma poi finiva che …” si guardò il ventre “forse non mi ha mai cercato perché è morto”.
 
André, che aveva ascoltato in silenzio Oscar ed Alba, si intenerì. Orgoglio e fierezza celavano bene dolcezza e fragilità.
 
La rabbia e la diffidenza erano svanite.
 
Se fosse morto lo sapresti, il tuo cuore lo saprebbe…” la consolò.
 
E’ vivo, lo so, ed il mio cuore si domanda se potrà mai amare un figlio non suo.
 
Di questo non devi dubitare e noi vogliamo aiutarti …” ribadì André, cingendo ancora le spalle di Oscar. Lui di sicuro avrebbe amato i figli di Oscar anche se il destino gli avesse imposto un altro padre. “Ma tu non ci hai ancora raccontato tutto … cosa è successo davvero a Pera, cosa sei venuta a fare qui a Corte e chi è il padre di tuo figlio?”
 
 
* * *
 
Mentre cavalcava verso la sua meta aveva recitato nella sua testa, per imprimerli nella memoria, i versi che l’area umida della Senna gli aveva stranamente ispirato “A te offro ogni palpito di forza, l'essenza stessa della passione, a te affetto, amore, devozione, follia”.
 
Il cavaliere balzò giù dalla sella, cercò malamente di tergere il sudore dalla fronte con il fazzoletto da collo, ma riuscì solo a sporcarsi di terra.
 
Pazienza, pensò. Porse le briglie allo stalliere e con passo deciso si avviò.
 
* * *
 
Quando una settimana dopo, a notte fonda, il convoglio varcò i cancelli di Palazzo Girodelle, tutto quello che doveva accadere era già accaduto.
 
L’attendente di Girodelle, Boniface, un normanno azzimato ed elegante[1], che ne curava personalmente l’abbigliamento, con sconcerto prima e disappunto poi, aveva accolto il suo padrone con le vesti stazzonate ed impolverate e la capigliatura arruffata.
 
Assieme a lui quello che a giudicare dalla pelle cotta dal sole e dal sale sembrava un marinaio, guercio e senza una gamba ed un gran numero di casse. Nessuna promessa sposa al seguito, ma questo Boniface lo sapeva già.
 
Davanti ad un thè caldo, nell’accogliente salotto verde, aveva aggiornato il suo padrone ed il suo strano compare.
 
Da giorni, tutta Versailles non faceva che parlare di quello che era successo.
 
Della notte di eclissi di luna durante la quale si era quasi celebrato il matrimonio tra la Contessa Oscar François de Jarjayes ed il Duca di Germain. Un sabba infernale.
 
Con apprensione, Goerso aveva ascoltato il racconto di Boniface: si diceva che il Duca di Germain fosse posseduto dal demonio, che il Monsignore gli avesse mostrato la croce e che quello si fosse messo a ringhiare e sbavare come una belva rabbiosa roteando gli occhi nelle orbite.
 
E la Contessa?” chiese Goerso, giacché Girodelle pareva troppo orgoglioso o troppo preoccupato per osare domandarlo.
 
La Contessa è tornata a Palazzo Jarjayes, dal Generale suo padre, che è stato scagionato da ogni accusa. Ho incarico di avvertirla che il mio padrone è tornato”, rispose Boniface, osservando con malcelata preoccupazione il volto pallido e tirato del Conte, con gli occhi bassi a fissare la punta degli stivali infangati.
 
Quindi, continuò.
 
Il Duca di Germain era stato imprigionato alla Bastille. Una lettre de cachet ve lo rinchiudeva a vita, per avere attentato alla vita delle loro Maestà e per insania.
 
Si diceva che rifiutasse il cibo, che urlasse dalla mattina alla sera di essere stato avvelenato e che volevano ancora assassinarlo. Le guardie lo alimentavano a forza e solo il suo compagno di prigionia, un certo Marchese Donatien de Sade[2], gli credeva.
 
E del suo attendente, di André Grandier, avete notizie?”
 
Boniface fissò interdetto il macilento marinaio che il suo padrone aveva fatto sedere sui pregiati damaschi che tappezzavano le poltrone del suo salotto.
 
Girodelle parve riscuotersi dalla sua apatia. Alzò lo sguardo. Dalla risposta poteva dipendere la sua felicità futura.
 
Boniface conosceva bene André Grandier, ma nonostante si fossero trovati spesso a condividere lunghi turni di servizio, non aveva trovato con lui nulla in comune che potesse trasformare quella colleganza in amicizia.
 
A Boniface piacevano i bei vestiti, i vini corposi e le belle donne.
 
Ad André Grandier non interessavano gli abiti. Indossava sempre quella sua marsina marrone, immacolata ed impeccabile, ma irrimediabilmente anonima, che solo lui riusciva a rendere, involontariamente, elegante.
 
André Grandier qualche volta cedeva ad un bicchiere di vino, quando era di umore malinconico, tanto da non poterne apprezzarne nemmeno l’aroma.
 
Ed André Grandier era di umore malinconico quando la donna che lui serviva si mostrava più donna di quanto non fosse consapevole di essere, persa a cercare il significato di una nuvola in cielo ed a pensare a chissà chi.  Ma non a lui.
 
Qualche volta lo aveva invidiato: quando erano di servizio insieme, le donne che li incontravano nobili o plebee, riservavano ad André le loro occhiate seducenti.
 
Il più delle volte lo aveva compatito, che di quelle occhiate nemmeno si accorgeva.
 
Solo della sua padrona si accorgeva sempre, di ogni piccola variazione nel suo umore, nel suo passo o nel suo sguardo, anticipandone ogni richiesta.
 
Innamorato perso. Di un amore impossibile che teneva ben celato nel suo cuore.
 
Non troppo diversamente dal Conte Victor Clément Florian de Girodelle, che aveva l’onore di servire da anni: anche lui quell’amore lo nascondeva. Ma solo in attesa dell’occasione giusta. Nel frattempo, sull’altare di quell’amore, possibile davanti a Dio e davanti al Re, lui non si era immolato affatto.
 
Cosa ci trovassero poi quei due, in quella bionda algida e magra, troppo alta per essere una donna, con quei capelli scarmigliati spettinati dal vento, non lo aveva mica capito. Lui preferiva le donne accoglienti e formose, che si arricciavano i boccoli intorno alle dita, non ti passavano in rassegna e soprattutto non ti sfidavano a duello.
 
Il suo attendente è stato promosso Capitano della Guardia Francese”, rispose.
 
Girodelle sussultò.
 
Ma non ha nemmeno un quarto di nobilità, quel villico”, esclamò.
 
Ecco ... non vi ho ancora raccontato tutto … ma nel frattempo non credete che si debba mandare a chiamare il Colonnello?
 
* * *
 
Ed in attesa del Colonnello Oscar, Boniface aveva narrato il resto.
 
Così come era misteriosamente apparsa a Corte, l’amante del Re ("come l'amante del Re?" aveva esclamato Girodelle), l’enigmatica Contessina Alba di Pironti era sparita, la notte stessa dell’eclissi di luna durante la quale il Duca di Germain era impazzito.
 
Il Re non se ne dava pace ...
 
Oh amore mio, mi manchi, mi fai male nella pelle, nella gola, ogni volta che respiro è come se il vuoto mi entrasse nel petto dove tu non ci sei più.
Julio Cortàzar, Il gioco del mondo (Rayuela)
 
 

[1] Boniface alias Mousqueton, servo di Porthos, non ho resistito.
[2] Poteva mancare? Direi di no, vero Sacrogral?

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Capitolo 52
*** Capitolo 52 ***


This way or no way
You know, I'll be free
Just like that bluebird
Now, ain't that just like me?
Oh, I'll be free
Just like that bluebird
Oh, I'll be free
 
(David Bowie, Lazarus)
https://www.youtube.com/watch?v=y-JqH1M4Ya8
 
 
 
 
Oh amore mio, mi manchi, mi fai male nella pelle, nella gola, ogni volta che respiro è come se il vuoto mi entrasse nel petto dove tu non ci sei più.
 
Julio Cortàzar, Il gioco del mondo (Rayuela)
 
Alba. Alba aveva infranto il cuore del Re. Ma ne aveva salvato l’onore.
 
L’obiettivo del Grande Ammiraglio dell’Impero Ottomano, Cezayirli Gazi Hasan Pascià era ambizioso. Carpire i segreti del Re, sollevare uno scandalo che minasse l’alleanza fra la Francia e l’Austria. Poi invadere l’Austria, assediare Vienna, tornare ai fasti del 1529, ai tempi di Solimano il Magnifico.
 
Alba aveva copiato corrispondenza, dispacci e rapporti, anche quelli più riservati. Sottrarre la chiave della sua cassaforte personale, mentre il Re russava beato dopo l’amplesso, notte dopo notte, era stato perfino troppo facile. Ma nonostante la fatica sopportata per appropriarsene, farne copia e rimettere tutto a posto senza destare alcun sospetto, nemmeno uno di quei documenti era ancora finito in mani estranee.
 
Dopo Lorenzo, Luigi era stato l’unico uomo a dimostrarle amore. L’aveva reso un marito infedele, come tutti i suoi avi, del resto, ma non voleva che fosse ricordato come un Re inetto che aveva portato la corona alla disfatta.
 
Quelle copie dovevano essere distrutte e ormai solo Oscar e André potevano farlo. Lei voleva sparire. Scomparire. Voleva essere libera, libera da ricatti, false promesse e costrizioni, libera di fare nascere suo figlio e di cercare il suo Lorenzo con le sue sole forze.
 
* * *
 
Le copie delle carte del Re, nella scrittura sorprendentemente chiara ed ordinata di Alba, bruciavano tra le fiamme voraci del caminetto nel casotto di caccia.
 
Alba le aveva nascoste nel suo appartamento nel villaggio di Versailles. André le aveva recuperate quel mattino stesso.
 
Ora un sottile fumo bianco usciva dal camino. Bilanci, rendiconti, regalie, mercimonio di nozze ed incarichi, lettre de cachet, tratte per l’acquisto di armi e preziosi si accartocciavano riducendosi in brace e poi in cenere, mentre la corona rischiava ormai la bancarotta, incapace di porre freno agli sperperi e troppo debole per imporsi e tassare la nobilità ed il clero.
 
Quando anche l’ultimo documento fu consumato dal fuoco, Oscar comprese che non poteva più restare a Versailles, al servizio di una corte corrotta che ormai disprezzava.
 
Era disgustata da se stessa, per non essersi ribellata prima ai soprusi della classe sociale alla quale lei stessa apparteneva. Accogliere Rosalie a palazzo, sfidare Germain a duello per l’assassinio del piccolo Pierre, cavalcare come una furia nella notte per portare all’ospedale il febbricitante Gilbert, ora lo percepiva solo come un tentativo ipocrita di tacitare la sua coscienza. Si ricordò della foga con cui André aveva condiviso le idee di Gaetano Filangieri nel loro breve soggiorno a Napoli.  André, da sempre al suo fianco, seppure un passo indietro, aveva visto più lontano di lei.
 
Si inginocchiò vicino al focolare. Sentiva freddo, nonostante la giornata estiva. Si voltò un attimo. André stava rimboccando le coperte ad Alba che dormiva sul loro giaciglio.
 
Non portava rancore André. Era capace di perdonare tutti. Di perdonare Alba, nonostante le sue bugie, di perdonare Girodelle che sapeva essere geloso di lui, di perdonare Fersen che un tempo le aveva rubato il cuore. Ma era altrettanto capace di odiare, fino a perdere se stesso, chi le avesse fatto del male.
 
Era davvero degna di un uomo tanto generoso?
 
André si avvicinò.
 
Sei preoccupata Oscar?”
 
“Oggi consegnerò al Duca D’Orleans la seconda parte del progetto di Leopoldo e mi sembra un tradimento.”
 
“Non è così. Leopoldo ormai è in salvo, lontano dalla vendetta dei fratelli massoni e credo che il Duca non saprà cosa farsene della sua invenzione.”
 
Oscar accarezzò André sulla guancia. Gli sorrise.
 
Poi andremo a comunicare a mio padre la nostra intenzione di sposarci.
 
Oscar, io …”
 
Credi forse che la differenza di rango possa impedircelo, André?
 
André, incapace di parlare, scosse la testa e prese le mani di Oscar, fra le sue. Temette di averle strette troppo forte, che la mano destra di Oscar era ferita, e stava per lasciarle andare quando lei lo trattenne.
 
E poi ho intenzione di lasciare la Guardia Reale …”
 
“Non è necessario, lo sai …”
 
“Non me la sento di difendere ancora la Corte, dopo tutto quello che ho visto ed ora dopo tutto quello che ho letto!”
 
“… ma io sarò al tuo fianco, qualunque sia la tua decisione.”
 
Un fruscio di coltri stropicciate li distolse. Alba si era svegliata ed ora stava sbadigliando ostentatamente.
 
Devo partire. Prima che Sua Maestà mi trovi. A quest’ora avrà già sguinzagliato l’intera guardia reale per cercarmi e scommetto che sua Vezzosità Maria Antonietta non se la stia passando troppo bene …. Come minimo Luigi l’avrà accusata di avermi fatta sparire”, ridacchiò.
 
Oscar si accigliò. “Avrai bisogno di denaro, visti e lettere di transito. Come pensi di fare?”
 
A questo ci penserete voi, naturalmente. O denuncerò il vostro André di avere rubato carte importanti nel mio appartamento. Sono sicura che qualcuno lo ha visto.
 
Ricattarci non è necessario, Alba”, intervenne André, fermando con un cenno Oscar, che aveva allungato un braccio a cercare la spada.
 
Abbiamo già deciso di aiutarti, se ci convincerai che non sei una assassina spietata che ha fatto perire fra le fiamme dei poveri innocenti.”
 
“L’incommensurabilmente magnanimo André! Sarò al tuo fianco qualunque cosa tu decida”, lo canzonò.
 
Stavi solo fingendo di dormire?” sibilò Oscar.
 
Naturalmente. Fare la buona mi annoia. Essere buoni è noioso. Voi siete noiosi.
 
* * *
 
Madame Marguerite era in ambasce. Troppe emozioni in così pochi mesi. Troppi eventi dolorosi l’avevano afflitta: la prigionia del marito; la scomparsa della figlia e poi l’annuncio di quel matrimonio imposto. E troppe gioie: la liberazione del marito; la ricomparsa di André che comunicava che la figlia era salva e prometteva che da quel matrimonio scellerato lui l’avrebbe salvata; il messaggio della figlia, giunto la notte appena trascorsa: le nozze non erano state celebrate e presto sarebbe tornata a casa.
 
Ora era in attesa di riabbracciare Oscar. Ed anche André, in verità. Ma mezzogiorno era passato ed ancora non si erano visti.
 
Nanny non faceva che camminare avanti e indietro, ordinando a garzoni, stallieri e cameriere di andare a controllare, da ogni torretta e presso ogni cancello, se arrivasse qualcuno.
 
E tanto controllò, che qualcuno arrivò.
 
Il cavaliere aveva il viso sporco di terra.
 
Chi devo annunciare?” chiese Nanny, ma non fece in tempo che Madame Marguerite, pallida in volto, temendo cattive notizie, l’aveva già raggiunta.
 
Johann Wolfgang von Goethe, al vostro servizio”, ed inchinandosi elegantemente sollevò il tricorno.
 
Madame Marguerite sussultò sorpresa, mentre il Generale scendeva dallo scalone.
 
Dopo essersi accomodati in biblioteca, Goethe iniziò a parlare.
 
Ho avuto l’onore di conoscere vostra figlia e André Grandier a Napoli”, esordì lo scrittore, mentre Nanny, sospettosa di fronte a quell’omone dai capelli folti e dalla fronte alta, gli versava il tè. “E mi pregio di avervi fatto recapitare una loro missiva e la vostra risposta tramite il mio buon amico Monsieur Stephane Thibaud”.
 
Il Generale annuì. Nella sua lettera Oscar aveva accennato all’aiuto di Johann Philipp Möller, alias Johann Wolfgang von Goethe, a Napoli, ma sapeva anche che Goethe era un massone e lui diffidava dei massoni. Perciò non commentò. “Ebbene?”, gli chiese freddamente.
 
 “Ebbene?” rispose piccato lo scrittore. “Sono uno stolto. Mi sono illuso che vi interessasse la sorte di vostra figlia. Ma cosa mi aspettavo da un padre che costringe una figlia a condurre una vita da militare, esponendola a rischi inimmaginabili!”
 
“Voi siete in errore”, intervenne Madame Marguerite, con dolcezza, il bel volto segnato dalla stanchezza e dall’ansia, ma risoluto ed allo stesso tempo quieto, come quello di una Madonna assisa in trono.
 
Goethe cercò in lei i tratti della figlia. Ma trovò i tratti di Oscar solo nello sguardo del Generale.
 
Goethe pensò che Margarete avrebbe potuto essere il nome della sua prossima musa.
 
Che una donna così avrebbe potuto ammansire anche il Diavolo. Mentre una donna come Oscar l’avrebbe sfidato a duello, concedendogli con noncuranza il vantaggio di scegliere l’arma.
 
Nostra figlia è tornata a Versailles sana e salva” proseguì Madame Marguerite. “Ed anche il suo attendente è tornato con lei”, aggiunse, sorridendo affettuosamente a Nanny, che con diffidenza continuava a fissare l’ospite, incerta se rovesciargli addosso il tè bollente od offrirgli i pasticcini.
 
Andrè Grandier è il nipote della nostra Nanny”, spiegò il Generale.
 
Ich bin riesig glücklich” tuonò in tedesco. “Sono immensamente felice. Ma i nemici di vostra figlia sono numerosi e potenti ed io penso di potere fare qualcosa per lei”.
 
“Dunque il Grande Oriente di Francia …”  pispigliò il Generale, stringendo gli occhi e sporgendosi verso l’ospite.
 
“Non posso accusare il Duca D’Orleans, ma posso fare in modo che vostra figlia nulla abbia più da temere, ed inoltre ...”
 
Perché?” l’interruppe improvvisamente Marguerite.
 
Perché cosa?” sgranò gli occhi Goethe.
 
Perché volete aiutarla, rischiando la vostra affiliazione alla massoneria?” lo sfidò il Generale.
 
Perché un amore come quello deve vivere al di fuori dei versi di un poeta …”
 
Il Generale temette che il tedesco si fosse innamorato di Oscar.
 
Marguerite invece comprese tutto.
 
“Perché un amore coraggioso, sincero ed immenso come quello per vostra figlia, e ne sono sicuro anche da parte di vostra figlia per …”
 
Il vassoio ricolmo di pasticcini al burro cadde rumorosamente a terra. Nanny si teneva le mani a pugno sulla bocca.
 
“… André deve essere coronato dalla felicità”.
 
* * *
 
Così va meglio?” Le chiese André. “Forse adesso risultiamo meno noiosi e più interessanti?”
 
La furia di André.
 
André che non portava rancore per nessuno. Ma guai a minacciare Oscar. Perché Alba aveva osato afferrare uno stiletto, che teneva celato fra le vesti, e l’aveva lanciato in direzione di Oscar.
 
Oscar l’aveva schivato senza difficoltà. Ma la misura era colma e adesso era André che puntava il filo della spada alla gola della fanciulla.
 
Ed ora prova a convincermi che non sei una folle assassina!”
 
Alba capitolò. Abbassò la spada con un gesto della mano. Si sedette a terra.
 
“Dove eravamo rimasti? Alla notte dell’incendio? La prima notte a Pera. Mio padre mi portò a casa dalla sua moglie turca e tornò giù al porto, per sorvegliare le operazioni di scarico e carico della nave che doveva tornare a Genova. Nessuno badava a me e così scappai. Ma non avendo cibo, né denaro, mi nascosi nelle cantine, per recuperare almeno qualcosa da mangiare. Ero sfinita e mi addormentai. Fui svegliata dal fumo e dalla puzza di pece. La porta esterna della cantina era bloccata. Scappai attraverso la botola per la legna. La casa era in fiamme e le porte erano sprangate dall’esterno. Provai ad aprire una porta di servizio, ma mi ustionai le mani. Però vi giuro che quella notte non urlò nessuno. Nessuno invocò aiuto. Erano già tutti morti oppure lì dentro in realtà non c’era più nessuno? Io mi sarei buttata anche dalla più alta delle finestre, pur di non morire bruciata!
 
Un testimone ti ha visto appiccare il fuoco” la contraddisse Oscar.
 
Un ubriacone, pagato per mentire …
 
Anche tuo padre dichiarò di averti vista” l’incalzò André. “di averti vista ridere, mentre fuggivi!
 
Perché non era forse divertente la situazione?”, ghignò la ragazza “fargli credere che io, Io, avevo sterminato tutta la sua famiglia!”
 
Volevamo aiutarti Alba, davvero. Volevamo crederti, davvero”, mormorò sconsolata Oscar.
 
Alba affondò una mano nell’incavo fra i seni.
 
Bada bene a quello che fai”, la minacciò André, tornando a puntare la spada alla gola di Alba, ma questa trasse solo un foglio ripiegato e malconcio.
 
“Questa è una testimonianza che è stata resa sei mesi fa. Oltre un anno dopo l’incendio.”
 
Oscar prese fra le mani il foglio. Lo spiegò e lo lesse velocemente, aggrottò la fronte e lo porse ad André.
 
Potrebbe essere un falso” suggerì André.
 
I sigilli del dragomanno al servizio dello Shaykh al-Balad del Cairo e del Grand’ammiragliato Cezayirli Gazi Hasan Pascià sembrano autentici” osservò Oscar.
 
Potrebbe essere un falso di Hasan” replicò André, fissando con insistenza Alba.
 
In quelle poche righe, vergate in turco e tradotte in francese e spagnolo dal dragomanno, la matrigna di Alba confessava il suo inganno. Con l’aiuto del suo amante e quella adeguatamente ricompensata della servitù, aveva simulato la tragedia, per poi trovare rifugio in Egitto, con tutto il denaro ricavato dall’ultima commessa del marito.
 
Tuo padre ne è al corrente?” domandò Oscar.
 
“No, non che io sappia. Mio padre ha creduto di avermi generato a sua immagine e somiglianza, se mi ha ritenuto capace di una tale atrocità … non mi interessa essere riabilitata da lui, preferisco che soffra credendo che sua moglie e suo figlio siano bruciati vivi. Per mano mia!”
 
“Se quello che è scritto qui è vero, tuo padre è stato vittima di un piano crudele”, l’incalzò Oscar.
 
“Ha avuto quello che si meritava, anche se la punizione non è ancora sufficiente … tuttavia ripensandoci bene … se adesso gli fosse rivelato che la sua giovane moglie l’ha tradito, ingannato e derubato…quale oltraggio a cotanto orgoglioso mercante!”
 
“E della tua matrigna e del tuo fratellastro, cosa ne è stato?”.
 
Alba scrollò le spalle alla domanda di André. “Non credo che fosse davvero figlio di mio padre, buon per lui. Non mi interessa e non ho voluto saperlo, di sicuro il Grande Ammiraglio ha fatto quello che era meglio …”
 
“Avevi fiducia nel Grande Ammiraglio, eppure ora lo hai appena tradito …” replicò André.
 
“Lui ha tradito me. Ha carpito la mia fiducia. Io gli ho creduto quando mi ha consegnato quel foglio. Era il mio lasciapassare per la libertà, la giusta ricompensa per le ignominie compiute da Alba rossa, Altan, per suo conto. Sei libera, mi aveva detto, ma sapeva che non era così, fintanto che non avessi ritrovato Lorenzo.”
 
“Dobbiamo andare!”
 
Oscar l’aveva quasi urlato. Alzandosi di scatto.
 
“E’ tardi e dobbiamo andare!”
 
“Non volete conoscere il resto della storia?”, chiese sorpresa Alba.
 
“Abbiamo ascoltato abbastanza. Puoi restare qui se vuoi. Se stasera non ti troveremo più, non ti cercheremo.” rispose algida Oscar.
 
Non volete sapere chi è il padre del figlio che porto in grembo?”
 
Noi non vogliamo niente da te, Alba”. Questa volta era stato André a parlare. Scosse la testa, con un ampio gesto accomodò un mantello sulle spalle di Oscar ed insieme lasciarono il casotto.
 
Non si avvidero che il sacchetto di velluto contenente la polvere di radici di aconito cadeva incustodito a terra.
 
* * *
 
Era ormai pomeriggio inoltrato, quando Oscar e André giunsero sul viale che conduceva a Palazzo Jarjayes. Rallentarono l’andatura, conducendo i cavalli al passo.
 
Uno strano silenzio avvolgeva il palazzo, immerso nella luce calda ed abbagliante del sole di luglio.
 
Oscar ricordò un altro giorno.  Un giorno d’inverno, un inverno freddo, umido e spoglio di fine febbraio.
 
Oscar rabbrividì, ricordando quel giorno.
 
André era stato ferito dal cavaliere nero, per colpa sua. Una ferita grave all’occhio sinistro, solo per colpa sua, del suo arrogante orgoglio.
 
Non aveva saputo leggere nei gesti e nei silenzi di André che lui non sarebbe mai stato capace di battersi infierendo su un uomo di cui in cuor suo condivideva gli ideali.
 
Per Oscar era solo un ladro. Per André era un eroe che rubava ai ricchi cortigiani di Versailles per donare ai poveri di Parigi.
 
Quel giorno, sempre a causa del suo egoistico orgoglio, aveva lasciato André ferito e febbricitante e si era lanciata nella sua caccia al Cavaliere Nero, fino a Palais Royal, senza avvisare nessuno.
 
Oscar ricordò i giorni che seguirono. Le cornacchie che volavano basse in cielo. Il loro gracchiare arrivava fino alla sua misera cella.
 
Erano passati poco più di quattro mesi, eppure le sembrava che fosse trascorsa una vita intera.
 
André aveva trovato la sua prigione e l’aveva vegliata ed accudita, mentre delirava. Poi il ricatto ignobile del Duca d’Orleans e la partenza per mare, verso Oriente.
 
Le sembrò di percepirlo, il profumo salmastro del mare, mentre André si sporgeva dalla sella verso di lei. “Siamo tornati a casa”, le disse confondendo sillabe e baci sulle sue labbra.
 
Un colpo di tacchi ed i cavalli al trotto varcarono il cancello.
 
* * *
 
Una settimana dopo, allo scoccare della mezzanotte, il Colonnello Oscar François de Jarjayes varcava la soglia di un altro palazzo: Palazzo Girodelle.
 
Apparve fasciata in una divisa dal taglio impeccabile, blu reale e con bianchi stivali immacolati, la figura slanciata, i riccioli biondi all’altezza delle spalle.
 
Apparve. Perché quello fu per Victor Clément Florian de Girodelle. Un’apparizione.
 
Al suo fianco, solo un passo indietro, camminava André Grandier, con i gradi di capitano in una divisa dello stesso blu, gli stivali neri ed un fucile in spalla.
 
Goerso per un attimo si crucciò. Poi colse lo sguardo affettuoso di André. Il luccichio negli occhi di Oscar.
 
Oscar aveva abbandonato il suo incarico alla Guardia Reale. Ma non poteva abbandonare il suo incarico a servizio della Francia.
 
Dopo avere ceduto al Duca d’Orleans la seconda parte dei progetti del lume perpetuo del Conte di Saint Germain, non poteva cedergli altro campo, non poteva cedere anche le armi.
 
Tutto questo stava spiegando a Girodelle e Goerso, mentre li ringraziava dal profondo del cuore del loro prezioso aiuto.
 
Poi Oscar sfilò con noncuranza i guanti bianchi. Il palmo della mano destra era fasciato, mentre una sottile fede d’oro le ornava l’anulare sinistro.
 
Girodelle non nascose un moto di sorpresa. “Ma voi …” balbettò.
 
Non è nulla, Victor, solo un graffio
 
Goerso sorrise, trattenendo un moto di felicità e pensando che Oscar era davvero priva di qualunque malizia.
 
Lo sguardo di Girodelle corse allora alla mano sinistra di André, ma era nascosta perché reggeva la tracolla del fucile.
 
Proprio oggi”, li informò Oscar “abbiamo preso servizio a Parigi”.
 
Oscar avrebbe preferito un incarico in marina, ma solo il comando di una compagnia della Guardia Francese era vacante”, spiegò André.
 
Vi ringraziamo per avere scortato le casse fino a qui. Domani le dovremo consegnare al Duca d’Orleans.” aggiunse Oscar.
 
“Abbiamo preso servizio. Vi Ringraziamo. Dovremo consegnare”. Oscar parlava di sé al plurale oppure …? notò con disappunto Girodelle.
 
Mi hanno raccontato del vostro quasi matrimonio. Un altro ricatto del Duca, immagino. Volete davvero consegnargli il lume perpetuo?”
 
Consegniamo il lume, perché solo così chi lo ha ceduto a noi potrà riscattare la sua libertà. E non c’è stato nessun matrimonio contro la volontà di Oscar. Non l’avrei mai permesso”, rispose freddamente André.
 
Lei non è Oscar, Lei è la Contessa De Jarjayes!” esclamò indignato Girodelle. “E poi che arrogante modo di parlare, da parte di un servo …‘Consegniamo ... Noi ... Non l’avrei mai permesso’ Addirittura! Quale merito accampi? Chi pensi di essere, André, solo perché qualcuno è stato tanto scellerato da assegnarti i gradi di capitano?”
 
André tacque. Conosceva e comprendeva le ragioni della gelosia di Girodelle, anche se non provava compassione per lui. “Amare è meraviglioso, anche se il proprio amore resta celato e non è ricambiato. Vivere senza amare, quella è una condanna per cui provare compassione”, pensò.
 
Fu Oscar a rispondere. “Lo stesso che vi ha confermato al comando della Guardia reale al posto mio.”
 
Girodelle chinò la testa.
 
“Io vi sono riconoscente, Victor”, continuò Oscar. “Ma non fate finta di ignorare le ragioni per le quali Sua Maestà il Re lo ha promosso al grado di capitano. Sono sicura”, proseguì rivolgendo uno sguardo a Boniface, “che il vostro fido attendente abbia avuto tempo e modo di mettervene a parte”.
 
Oscar non si sbagliava. André era stato arruolato con il grado di capitano perché a rischio della sua stessa vita aveva protetto il colonnello e la famiglia Jarjayes, ingiustamente calunniata, ed un illustre letterato, Johann Wolfgang von Goethe, aveva prodotto le prove della condotta eroica e coraggiosa di entrambi.
 
Ma quello che neppure Boniface poteva sapere, era che quel giorno all’alba, prima di prendere servizio ma già vestiti delle loro nuove uniformi, in una piccola chiesa sulla strada per Parigi, erano stati uniti in matrimonio.
 
Piuttosto”, proseguì Oscar “Devo annunciarvi che André ed io siamo marito e moglie.
 
Immagino che le loro Maestà abbiano benedetto questo matrimonio”, commentò sconfitto Girodelle.
 
 “Il Re ci ha concesso di contrarre matrimonio morganatico” rispose André, mentre calmo e risoluto appoggiava il fucile ed allungava un braccio per cercare la mano di Oscar.
 
Un anno dopo, all’alba del 13 luglio, Oscar e André, ignari di avere concepito, in una notte d’amore fra le lucciole, il figlio tanto desiderato, cavalcavano alla volta di Parigi.
 
 
* * *
 
Edo, anno secondo dell’Imperatore Kansei, kayōbi, jūsan-nichi del mese di Uzuki [martedì, 13 aprile 1790].
 
Shunrō si stava dannando per rendere vivida e vera la straordinaria sfumatura di biondo di quei capelli. Anche se non era la prima volta, non era abituato a dipingere gli occidentali, dai colori e dai lineamenti tanto diversi da quelli della sua gente.
 
Era stato più semplice rendere giustizia alla folta chioma scura dell’altra figura, i cui occhi dolenti e malinconici gli avevano tuttavia straziato il cuore.
 
Dipingere significava compenetrarsi nell’anima del proprio modello. Talvolta significava soffrire altrettanto, ascoltando silenziose confidenze.
 
La coppia dei suoi committenti era felice, ma non quanto avrebbero voluto, giacché ciascuno celava dentro di sé cicatrici invisibili anche agli occhi innamorati dell’altro.
 
Gli occhi. Il bianco degli occhi. Il bianco.
 
Mancava il bianco.
 
Intinse la punta del pennello nel bianco. Ora quel biondo algido era perfetto.
 
Shunrō ripensò ad una diversa sfumatura, più calda. Ad una chioma diversa, più folta. Alla prima volta che aveva dipinto una capigliatura color del sole, un mese prima.
 
Negli ultimi giorni di posa aveva osato chiedere di raccontargli la vita prima di allora. “Giacché per dipingere è necessario comprendere”, così si era giustificato.
 
Shunrō non aveva solo ascoltato. Era stato molto di più. Era come se fosse stato là anche lui, il 13 ed il 14 luglio 1789, fra il clangore delle picche, l’odore intenso della polvere da sparo ed il fumo acre degli incendi.
 
All’alba del 13 luglio avevano deciso di disertare, disobbedendo all’ordine di reprimere la rivolta, per unirsi al popolo. Mentre assieme a buona parte dei soldati della compagnia cercavano di raggiungere Bernard ed i suoi uomini, un cecchino alemanno, nascosto dalle spalle di un ponte, aveva centrato André in pieno petto.
 
Era mancato il fiato, nel momento in cui la pallottola lo aveva colpito.
 
Oscar si era dannata. Riversa sul corpo esanime dell’uomo amato, la divisa blu imbrattata di sangue, come nella sua visione.
 
Voi non mi crederete, Shunro, ma l’avevo sempre saputo, eppure mi ero convinta che non sarebbe mai potuto accadere.”
 
Un soffio di bianco, diluito nell’acqua distillata.
 
Il pittore aveva dipinto il colore degli occhi di lei, macerando bacche di ligustro e pistilli di fiordaliso. E quel soffio di lacrima, che al solo ricordo di quel momento tragico, pareva offuscarne lo sguardo cristallino.
 
Nessuno sa come fu possibile, ma la pallottola mancò il cuore, mancò l’aorta, mancò qualsiasi organo vitale, trapassò la spalla ed uscì in un fiotto di sangue. Il dottore che gli ricucì la ferita si fece il segno della croce e gridò al miracolo.
 
Shunrō il quale se poteva evitava di usare il color carminio, perché gli rammentava il sangue, chiuse gli occhi.
 
Doveva succedere. Doveva accadere”. La voce calma ma profonda di André fece sussultare Shunrō che si fece sfuggire dalle dita il pennello.
 
André lo raccolse e, porgendolo all’artista, proseguì.
 
Il giorno dopo sei cannoni dei disertori della Guardia francese, agli ordini di Oscar, e con il fuoco di copertura di Alain, Lasalle e tutti gli altri, bombardarono la Bastille fino alla capitolazione.”
 
Nonostante fosse costretto a letto dalla febbre ed intontito dal laudano, sfuggì alla sorveglianza di Rosalie” aggiunse Oscar, senza nascondere un certo piglio severo.
 
André le sorrise.
 
Il verde degli occhi di lui, Shunrō lo aveva reso con la polvere di malachite. Decise di mischiarla con una punta di orpimento, per rendere onore al calore di quello sguardo.
 
Mentre raggiungevo la Bastille vidi la testa del governatore de Launay infilzato su una picca. La stessa sorte era capitata ad alcune delle sue guardie. Ma un orrore più grande mi attendeva.”
 
Shunrō abbassò il pennello, in attesa del seguito.
 
“Giunsi alla Bastille attraversando Place de Grève, dalla parte opposta a quella in cui si trovavano Oscar ed i nostri compagni. L’avevo appena intravista e cercavo di farmi strada fra la folla per raggiungerla, quando scorsi il piccolo gruppo di prigionieri che erano stati liberati e che si guardavano intorno confusi. Tutti tranne uno”.
 
Il Duca di Germain. Un anno di prigionia non era bastato a piegarlo. Il compare che aveva vicino strillava e si dimenava, eccitato da tutta quella confusione, un altro fissava smarrito i rivoltosi che volevano portarli in trionfo, mentre altri quattro cercavano un modo per eclissarsi.
 
“Anche lui aveva visto Oscar. Aveva sottratto una picca e si stava lanciando contro di lei, per colpirla a tradimento alla schiena”.
 
André sospirò ed esitò un istante. Poi riprese.
 
“Fu allora che l’ho ucciso.”
 
L’aveva ucciso con un colpo di pistola al cuore. Fissandolo dritto negli occhi, un istante prima di fare fuoco, per assicurarsi che lo riconoscesse e che udisse la sua condanna a morte: “Per Oscar. E per il piccolo Pierre”.
 
“Ed hai rischiato di morire, di nuovo. Per colpa mia”.
 
Oscar si era alzata dallo scranno sul quale stava posando accanto ad André. Ogni tanto il ricordo del dolore di quei giorni la coglieva all’improvviso, togliendole ancora il fiato. Si avvicinò alla finestra, ed inspirò l’aria fresca che proveniva dal giardino del pittore. La primavera era arrivata presto, i ciliegi erano quasi in fiore.
 
Fiori bianchi con una sfumatura di rosa.
 
La ferita si riaprì e si infettò. Rimase fra la vita e la morte per tre giorni.
 
Fiori rosa annegati in bianche lacrime.
 
Ma poi sono tornato da te. E’ tutta una vita che siamo insieme, non potevo certo lasciarti sola, proprio allora.”
 
Lo disse con un filo di voce ed improvvisamente dimentico della presenza del pittore, si alzò, la fece voltare e l’abbracciò stretta al suo petto.
 
“Doveva succedere. Doveva accadere. Se non fossi stato ferito dal cecchino, quel giorno non mi sarei trovato dalla parte opposta rispetto a quella in cui mi sarei trovato se avessi armato i cannoni accanto a te o ai miei compagni. Non avrei notato il duca di Germain e forse…”
 
Shunrō, il quale non credeva al destino, corrugò la fronte.
 
Però credeva alla magia e avrebbe creduto ad André se gli avesse rivelato quello che André aveva confidato a Leopoldo, quando a Edo si erano ritrovati.
 
Durante gli strani risvegli che talora interrompevano il sonno profondo in cui era piombato in quei tre giorni, aveva scorto il libricino di John Dee che Leopoldo gli aveva donato brillare nel buio, accanto al cuscino su cui Oscar posava il capo mentre lo vegliava. Solo che non avrebbe dovuto trovarsi lì.
 
Lo aveva cucito di nascosto nella fodera della giacca dell’uniforme di Oscar, che inconsapevole si era lamentata di quanto fosse diventata insolitamente pesante.
 
Non credeva alla leggenda raccontatagli da Bernard, ma se avesse garantito davvero di vivere cent’anni, André non poteva di certo tenerlo per sé.
 
Non lo aveva con sé quando il cecchino lo aveva ferito, eppure aveva funzionato lo stesso.
 
Lo aveva indosso Oscar, il giorno della presa della Bastille ed in qualche modo l’aveva protetta.
 
Perché se brillava nel buio era perché una pallottola si era conficcata nella carta.
 
Leopoldo aveva annuito, soddisfatto. Non aveva sprecato il suo dono.
 
Proprio a quella conversazione stava ripensando Leopoldo, mentre accanto alla sua Hermione posava per il loro ritratto commissionato a Shunrō, che pensava ai biondi capelli di Oscar.
 
E mentre Leopoldo era perso in quel ricordo ed Hermione ai ricordi cercava di sfuggire, ecco che era arrivato un fanciullo.
 
Un messaggio per Leopoldo -san”, annunciò.
 
Leopoldo aprì il rotolo di carta di riso, sorrise, guardò Hermione e poi Shunrō.
 
Credo che presto vi sarà commissionato un altro ritratto. Oggi è nato il figlio di Oscar e André. Un maschio.”
 
Ecco… quell’altra coppia di europei, amici di Leopoldo ed Hermione, ecco, quella coppia non era semplicemente felice.
 
Vivevano pienamente ogni respiro, solo perché l’altro gli era vicino.
 
L’aveva visto, l’ultimo giorno di posa, lui abbracciare stretta lei e poi sussultare e ridere assieme perché il bimbo nel grembo di Oscar aveva scalciato.
 
Shunrō si mise a vagheggiare sui colori del bimbo.
 
Si immaginò una creatura allo stesso tempo pallida e radiosa, come la luna piena. Bianco d’argento. Giallo oro nel biondo dei capelli. E senza sapere perché, vide le lucciole brillare nel verde degli occhi.
 
 
FIN
 
* * *
 
 
Larga la foglia, stretta la via, dite la vostra che ho detto la mia. Però ... devo aggiungere qualcosa
 
  • Di Fersen, Maria Antonietta e di Luigi XVI, di Robespierre e di Saint Just, e pure di Abdül Hamid I, i libri di storia hanno raccontato il resto.
 
  • Nei libri di storia però non si racconta che prima di salire sul patibolo Luigi Capeto aveva baciato il cameo che racchiudeva il ritratto di Maria Antonietta e dei suoi figli. E riletto con le lacrime agli occhi l’ultima lettera di Alba.
 
Mio caro Amore,
 
mi perdonerete se a Voi non mi rivolgo come ci si rivolge ad un Re. Mi rivolgo a voi come mi rivolgerei all’unico uomo che ho amato, oltre a voi.
 
Perché sì, vi ho amato, ma avrei tradito il re e per non tradire il re ho dovuto farvi il torto di fuggire.
 
L’ultima volta che mi avete amata, con la tenerezza e la passione che solo in un’altra vita ho conosciuto, non ho pensato più al passato ed ho amato voi, solo voi, sinceramente.
 
Ma per me è troppo tardi. Aspetto un figlio e non è il vostro. Il mio grembo era già gravido quando vi conobbi ed a Corte vi avrebbero dileggiato, anche se non dubito che avreste amato quel figlio come se fosse vostro.
 
Perché è nella vostra natura.
 
Perché è nella vostra natura essere clemente, e temo che questo vi perderà.
 
Nella mia natura, invece, brucia un desiderio di libertà e di vendetta che nonostante i miei sforzi non riesco a spegnere.
 
Non so se sia l’alba o il crepuscolo. Ma devo andare. E spero che presto sarò libera come quell’uccellino blu, che sta cantando qua fuori dal mio nascondiglio.
 
Affido queste righe al mio confessore, perché costretto dal sacro vincolo della confessione troverà modo di farvele recapitare senza recarvi nocumento.
 
Ora sapete chi sono. E dato che sapete chi sono, non cercatemi.
 
Addio.  
 
Per sempre vostra, A.
 
 
  • Nell’autunno del 1789, il Generale e famiglia trovarono rifugio in Inghilterra.
 
  • Nanny preferì seguire i suoi bambini in Giappone, dove divennero celebri i suoi anpan farciti con crema pasticcera alle mele.
 
  • Anche Cesar ed Alexander si imbarcarono con loro, ma si mangiarono l’intera scorta di mele di Nanny.
 
  • Goerso se ne tornò nel suo paesino di pescatori, stretto fra il mare e la collina, tra un’isola ed un promontorio in un placido golfo.
 
Appagato a sufficienza ed invero annoiato da cotanta tranquillità, cinque anni dopo, raggiunto da una lettera partita un anno prima, abbandonò tutto e s’imbarcò su una nave in rotta per l’oceano Pacifico.
 
Dopo qualche traversia raggiunse anche lui il Giappone ed Edo, dove insegnò a Nanny la ricetta della focaccia al formaggio, al primogenito di Oscar e André a tracciare una rotta ed alla secondogenita (!) a nuotare.
 
  • Leopoldo Giorgio Rákóczi ed Hermione, dopo essersi fatti ritrarre da Shunrō, partirono di nuovo e proseguirono il loro viaggio in Oriente. 
 
Giunti infine sul Monte Wutai, sull’ultima terrazza del tempio Nanshan, Hermione raccontò dei suoi anni perduti lontano da lui. Decisero di tornare indietro.
 
Indietro dove?
 
Questa è un’altra storia.
 
 
  • Il Capitano Zane conquistò la sua vendetta. Agli ordini dalla flotta del Viceré del Regno di Sicilia, il capitan generale Francesco d'Aquino, principe di Caramanico, il suo brigantino scovò ed affondò il Rais Henel Alvagi.
 
Quando se lo trovò davanti, stracciato e ferito, gli sputò in faccia, girò sui tacchi e se ne andò.
 
  • Il Grande Ammiraglio dell’Impero Ottomano, Cezayirli Gazi Hasan Pascià, combattette nella guerra russo turca. Sopravvisse alla battaglia navale dell’Isola dei serpenti ed alla prigionia dopo la caduta di Özi, ma finì per morire lontano da un campo di battaglia, nel marzo del 1790, alla venerabile età di settantasette anni.
 
Quel mattino, una fanciulla pallida, con i capelli neri e gli occhi a mandorla di un dorato castano aveva insistito di vederlo, pare per fargli conoscere suo figlio, un bimbo di poco più di un anno.
 
Forse il cuore cedette per lo stupore di riconoscere i suoi stessi occhi in lui, che di gioia, pentimento, emozione od amore non poteva trattarsi.
 
Forse il cuore cedette perché la fanciulla l’ingannò e mentre era distratto dai gorgheggi di quel bimbetto florido, sciolse scaltra la polvere di radici di aconito nel tè con il quale stavano negoziando una tregua.
 
Poi la fanciulla … puff! svanì nel nulla, assieme a quel figlio, appena reso orfano di padre, che aveva chiamato Lorenzo.
 
La fanciulla svanita nel nulla ricomparve di nuovo a Candia. Da lì ripartì per cercare il suo vero amore, ma se l’abbia ritrovato o no, se esistesse davvero oppure no, è un’altra storia.
 
  • Victor Clément Florian de Girodelle rischiò di essere rinchiuso alla Bastille, dopo essersi sottomesso il 23 giugno 1789 alla volontà del suo ex comandante.
 
Complice il suo fido Boniface, fuggì a Marsiglia dove si imbarcò anche lui per l’Oriente, ma si fermò a Tenedo, dove rintracciò e sposò quella certa amica di Goerso… Vissero felici e contenti, se si eccettua il giorno in cui l’idea di chiamare Oscar la loro prima figlia femmina, trovò la moglie in composto ma assai deciso disaccordo.
 
  • Anche del Duca d’Orleans i libri di storia hanno raccontato il resto. Comunque, il lume perpetuo non l’ha mai acceso. Chissà se le casse ed i progetti giacciono da qualche parte dimenticati nei sotterranei di Palais Royal …
 
  • Johann Wolfgang von Goethe tornò a Weimar. Si narra che sul suo letto di morte, quarantaquattro anni dopo, abbia sussurrato Mehr Licht (più luce).
 
Ma davvero?
 
  • Ed a proposito di luci e lumi più o meno perpetui, Lazzaro Spallanzani e Domenico Sestini avevano quasi raggiunto Dendera, la loro destinazione sulla riva occidentale del Nilo in Alto Egitto, quando una tempesta di sabbia, fuori stagione e cocente e rossa più del sangue avvolse il tempio di Hathor. La loro guida gridò alla maledizione ed i portatori si rifiutarono di proseguire. I fondi erano finiti e furono costretti a tornare indietro.
 
Spallanzani a Pavia, a compiacersi della propria assoluzione e della condanna del calunniatore, poi a peregrinare in cerca di nuove scoperte, ma senza un vero entusiasmo e senza spingersi oltre le coste italiane.
 
Sestini si spinse invece oltre i confini, in Valacchia, Ungheria e Mesopotamia.
 
Non si incontrarono mai più. Non si scrissero mai più. Non si sopportavano più. Ma quando scoppiò la rivoluzione pensarono entrambi ad Oscar e André ed all’insaputa l’uno dell’altro pregarono per loro.
 
  • Tuttavia, quando nel 1810 visitò Parigi, Sestini cercò notizie di Oscar e André e trovò un tenente dell’esercito napoleonico, un tale Gerard Lasalle, che con orgoglio ricordò di averli conosciuti.
 
Il giorno precedente a quelli in cui il popolo prese la Bastille, lei mi salvò la vita, ferendo un cecchino che mi stava per sparare. Non fummo così fortunati al ponte successivo, quando un altro maledetto cecchino colpì André. Quel giorno desiderai con tutto il cuore di essere io al posto di André, affinché lei smettesse di disperarsi.”
 
Qualcuno li aveva raggiunti. Lasalle si era messo sull’attenti.
 
“La nostra comandante urlava ordini e sussurrava parole d’amore. Allo stesso tempo.”
 
A parlare era stato un uomo moro, alto ed imponente, con un fazzoletto rosso al collo, che stonava sulla divisa con i gradi di capitano.
 
“Ma André quel giorno non aveva nessuna intenzione di morire, davvero nessuna, e forse anche lassù nessuno voleva vederlo morire. Nemmeno l’Essere supremo che Robespierre ci ha fatto adorare cinque anni dopo. Perché la pallottola non l’ha ucciso, ma …” aveva ripreso il racconto Lasalle.
 
“ma … vedete a quella distanza il cecchino non poteva sbagliarsi. Se volete posso mostrarvi il luogo dove tutto è successo.”
 
E fu così che Sestini seguì Alain Soissons lungo la Senna.
 
Ma pure questa è un’altra storia.
 
  • Bernard si mise a scrivere feuilleton d'amore, che  Rosalie puntualmente correggeva e di solito riscriveva, aggiungendo giusto un po’ di pathos (con discreto successo).
 
  • Shunrō (più tardi conosciuto anche come Katsushika Hokusai) lasciò in legato ad Ōi, la sua figlia più giovane, la copia del dipinto che il padre considerava il suo capolavoro, il ritratto di una coppia di giovani europei (un gentiluomo moro dagli occhi verdi e la sua incantevole moglie, in dolce attesa), ed una storia.
 
Katsushika Ōi lasciò il legato al figlio, ed il figlio a sua figlia, fino a colui che reduce dalla seconda guerra mondiale lo lasciò a sua figlia, che …
 
 
FIN sul serio FIN

 
PS: Bisogna riporre sempre la pazienza nel proprio cuore. Anche in presenza di un destino avverso, se c'è la pazienza, in qualsiasi situazione, la sfortuna cambia in fortuna   (Li Ruzhen)

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