La storia di Athenodora

di Sappho
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


✨ Buonasera, sono tornata! Lo so, non è la solita storia di Harry Potter (e in realtà prima o poi sistemerò quelle che ho già pubblicato e da qualche parte ho una bozza iniziata che cercherò di portare a termine, anche se ancora non so quando riuscirò)... questa volta si tratta di un esperimento perchè la storia ancora non è completa ma sto seguendo l'ispirazione del momento, anche se a grandi linee ho delle idee di quello che voglio scrivere, per questo motivo vi chiedo di portare pazienza se gli aggiornamenti non saranno regolari. 
Twilight? Sul serio? Ebbene sì e no, per quanto la saga mi fosse piaciuta a suo tempo non ho intenzione di ripercorrerne la storia, si tratta piuttosto di uno spin-off sui Volturi, anche perchè non essendo i personaggi principali della saga questo mi permetterà di avere più margine di manovra nella storia (chi ha letto Lilith Riddle credo si sia fatto un'idea di quanto io possa essere super maniaca del mantenere i personaggi e la trama il più fedele possibile all'originale).
Ringrazio già chi avrà la pazienza di leggere e lasciare una recensione - un'opinione, anche negativa, è sempre apprezzata. 
Buona lettura 
 ✨





Allineò i fermagli sulla superficie della toeletta prima di avvolgerli nella stuoia di lino, permettendosi di osservarli per un’ultima volta, soltanto un paio avevano punte tanto affilate da essersi rivelati un’utile arma nelle congiure di palazzo in cui si era trovata coinvolta. E, mentre se li lasciava alle spalle assieme alle stanza in cui aveva sempre vissuto, non poté fare a meno di chiedersi se la sua schiava li avrebbe nascosti per sé stessa prima di annunciare che la domina era sparita o se Alphius li avrebbe presi per sé e donati alla sua prossima moglie, come se fossero sempre appartenuti alla sua famiglia e non fossero stati una dote che era venuta con lei direttamente dal tesoro reale.

Sospirò, mentre attraversava i giardini interni, non sarebbe dovuto importarle ciò che lasciava dietro di sé. Non quando il suo destino, se fosse rimasta lì, era già segnato. Avrebbe maledetto suo cugino per averle trovato un marito troppo ambizioso e che non era in grado di darle dei figli ma Tarquinio era già stato punito dagli Dei: era certo che quello che suo figlio aveva fatto a Lucrezia gli avrebbe garantito l’esilio dalla città, oltre che alla perdita del titolo che aveva strappato con la forza dalle dita ancora calde di Servio.

La monarchia sarebbe caduta da un giorno all’altro e lei sarebbe stata rinnegata da Alphius più in fretta del tempo che avrebbe impiegato a percorrere la strada fino alla casa delle cortigiane dove avrebbe dovuto mendicare un impiego. Una giovane nobildonna decaduta non avrebbe avuto alcun diritto nella Repubblica nascente e, se doveva fare affidamento sul trattamento che le avevano da sempre riservato gli schiavi, non godeva di molto rispetto, non dopo che le era stata tolta la possibilità di sposare il Re.

Troppo fragile, glielo ricordavano le gocce di sangue che uscivano con la sua saliva quando tossiva e il volto di suo marito, che non era quello che le era stato promesso da bambina. 

Se l’avessero lasciata a Tarquinio la monarchia sarebbe rimasta salda, ma avevano deciso di aspettare e gli Dei non lo avevano gradito, lei si era ammalata e la monarchia sarebbe caduta.

Entrò nelle stalle, il custode se ne era andato assieme ad una bottiglia di vino come tutte le sere, e superò senza guardare la sua cavalla. Non l’avrebbe portata con sé verso una morte certa. 

Athenodora montò in groppa ad un vecchio stallone grigio che ormai veniva utilizzato solo dalla servitù e se ne andò con lui dalla casa, senza voltarsi a rendere omaggio alle divinità che la proteggevano e che avevano decretato la sua dannazione.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Aveva lasciato Roma mentre la città si tingeva dei colori caldi del tramonto. Tra le strade illuminate dai raggi dorati del sole nessuno si era voltato a lanciarle una seconda occhiata. Così era scivolata fuori dalle mura, abbandonando quello che aveva per raggiungere un luogo, e una persona, di cui conosceva soltanto il nome. 

 
Era successo dieci anni prima, quando era ancora la bambina da poco introdotta a corte dopo essere cresciuta nel tempio dedicato alla Dea Madre.
All’epoca conosceva tutto quello che c’era da sapere sulle piante che crescevano nei boschi, sui veleni che poteva ricavarne e su come sopravvivere nella notte più scura e ritrovare la strada del tempio dopo l’iniziazione, quando i lupi la rincorrevano tra gli alberi attirati dal sangue di cui era stata cosparsa, ma non sapeva nulla su come vivere nel palazzo, circondata da nobili, consiglieri e soldati.
Era arrivata a Roma quando la città stava ormai stretta tra le mura di Romolo, spaventata all’idea di appassire soffocata dalla pietra priva di vita, per ricredersi alla vista delle piante che si facevano ostinatamente spazio tra vie e case, dei colli che abbracciavano la città e del fiume che la attraversava e che le riportavano alla mente il tempio. Era sopravvissuta alla corte, inizialmente protetta dal divertimento di Tarquinio di fronte alla sua goffaggine, fino a diventare una giovane nobile tra le altre, indistinguibili ragazze tutte uguali: istruite per non dare troppo nell’occhio e abili nelle arti perché potessero essere messe in mostra quando necessario.
Una sera era stata mandata a cantare per l’ospite d’onore. Era un uomo basso che si distingueva per la sua pelle bianca come la neve e la straordinaria bellezza dei suoi lineamenti e a corte la sua presenza aveva provocato uno scompiglio mai visto.
Si era fatta largo tra gli schiavi che si affrettavano tra i corridoi discutendo a mezza voce tra loro e poté soltanto cogliere che il motivo era che qualsiasi cibo fosse stato offerto all’ospite questo lo aveva rifiutato senza neppure assaggiarlo. Tita scuoteva la testa.
«Se non sarete in grado di dare qualcosa che voglia mangiare a quell’uomo sarete voi ad essere il suo pasto.»
«Lascia stare le storie, vecchia» sbottò Iulo, spingendo da parte la madre ed interrompendo con la sua sola presenza l’andirivieni degli schiavi «se non vuole carne o pesce, che gli siano portati dolci di Cuma e frutta e se non sa apprezzare neppure quelli può bere il nostro vino e vedrete che lui e gli Dei non avranno nulla da dire sulla nostra ospitalità.»
Athenodora li superò chinandosi per passare sotto il braccio sollevato di Lide e attraversò il corridoio in penombra che portava alle stanze dove gli ospiti di riguardo venivano intrattenuti. Spinse da parte la tenda ed entrò nella sala circolare cercando di non attirare l’attenzione su di sé, camminò di fretta lungo il muro fino ad arrivare al suo posto mentre due schiave si spostavano per farle spazio.
In quel momento l’ospite sollevò lo sguardo su di lei.
Rimasero a fissarsi a lungo prima che Athenodora si riscuotesse e abbassasse gli occhi.
Prese un lungo respiro ed iniziò a cantare.
Aveva appena la consapevolezza di quello che le accadeva attorno mentre lo faceva, dondolava piano la testa mentre cantava, i lunghi capelli intrecciati con foglie d’oro che ne seguivano il movimento, e, quando non teneva gli occhi chiusi, il suo sguardo si concentrava sui mosaici ai suoi piedi.
Conosceva abbastanza bene quello che avveniva in quelle serate da interrompersi esattamente nel momento in cui entravano i ballerini accompagnati dalla lira. Si risollevò accettando il vino speziato che le veniva offerto, attorno a lei gli schiavi continuavano a portare vassoi carichi di cibo da cui i consiglieri reali si servivano afferrando con le mani datteri e pezzi di carne fino a che i piatti non erano svuotati, allora venivano rapidamente sostituiti da altri colmi fino all’orlo dando l’impressione che nel palazzo il cibo non potesse mai avere fine. E sembrava allo stesso tempo che nessuno attorno al tavolo potesse mai cessare di avere fame.
Ad eccezione dell’ospite, lo strano uomo, infatti, non sembrava attratto dalle pietanze che gli erano presentate e si limitava a rispondere brevemente alle chiacchiere attorno al tavolo mentre seguiva, con pigro interesse, lo spettacolo preparato per lui.
Athenodora riprese a cantare poco dopo, avrebbe proseguito finché non fosse finita la serata, diverse ore più tardi.
All’improvviso uno schizzo di sangue arrivò davanti ai suoi piedi. Scattò in piedi con gli occhi sgranati accorgendosi solo in quel momento del silenzio che la circondava, subito dopo cominciò a rendersi conto del massacro attorno a lei. Schiavi e consiglieri erano tutti morti, i corpi abbandonati sul pavimento. Accanto a lei le due schiave tra cui era seduta erano accasciate contro il muso i lunghi colli di cigno piegati dove erano chiari i segni di un morso.
Erano rimasti solo lei e l’ospite, l’uomo lasciò andare il corpo di Iulo che si afflosciò sul pavimento, il gladio, inutile, ancora stretto tra le dita. Incapace di muoversi potè solo guardare il mostro di fronte a lei che le si avvicinava, camminando lento con la grazia di un predatore da cui non sarebbe riuscita a sfuggire.
«Non interromperti, continua a cantare ti prego.»
Fece come le era stato detto e poco dopo lui unì la sua voce alla sua, un baritono basso che la fece inciampare nel canto. Immediatamente si accigliò e Athenodora riprese a cantare con la voce che le tremava appena.
«Sono estremamente sazio ora» le aveva sollevato il mento con la punta delle dita e le aveva osservato la gola, sospirò di disappunto «ma conosco chi ti apprezzerebbe e non posso negare un dono come te ad un vecchio amico, ascoltami bene adesso.»
Aspettò che lei lo guardasse dritto negli occhi. Athenodora si accorse in quel momento che avevano lo stesso colore del sangue e dovette imporsi in fretta di non reagire a quell’orrore.
«Andrai da Aro dei Volturi e gli dirai che sei un dono da parte di Photios» per un momento le parole le parvero affondare come uncini nella sua mente ma poi la loro presa scivolò lentamente ma l’uomo non parve accorgersene, anzi sembrò che in quel momento qualcosa come la compassione lo attraversasse e aggiunse, la voce più morbida «e non avrai paura. Mi hai capito ragazza?»
Lei annuì lentamente e lui parve soddisfatto, la lasciò andare e si voltò uscendo dalla stanza.
Athenodora rimase ferma in piedi, sola nella stanza con i cadaveri disposti attorno a lei come una macabra offerta.

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Si muoveva verso nord rimpiangendo il momento in cui non aveva scelto un cavallo più giovane e sano che le avrebbe permesso di raggiungere più in fretta le terre fuori dal controllo di Roma. Si era sempre sentita al sicuro dopo essere sopravvissuta al massacro a corte, come se fosse stata messa una sorta di protezione su di lei; poteva curiosare nei bassifondi della città alla ricerca di informazioni ed essere certa che, pur osservata, nessun vampiro le si sarebbe mai avvicinata. Ora, però, si sentiva vulnerabile ed esposta come non le era mai capitato prima. Doveva trovare Aro e doveva farlo in fretta.

Se si è soli, e non si vuole coinvolgere sconosciuti nella faccenda, per trovare un predatore che si nasconde si possono fare due cose: andare nel suo terreno di caccia e aspettare il suo arrivo o trovare la sua tana. E Athenodora, che non aveva altro tempo, si stava precipitando in quest’ultima. 

Nascosta tra i boschi passava le notti nel buio più completo, il suo respiro che si univa a quello dello stallone mentre aspettava con ansia il sorgere del sole. Si concedeva brevi momenti di sonno da cui emergeva con il cuore in gola mentre con le mani tastava con urgenza il corpo del cavallo per assicurarsi che fosse ancora con lei e che fosse vivo. 

Durante il giorno si avvolgeva nelle vesti che aveva trovato ai piedi di un altare dedicato alla Dea Madre. Chiunque la incontrasse non poteva fare a meno di scambiarla per una giovane sacerdotessa. Così nessuno osava avvicinarsi a lei, il timore per la vecchia Dea ancora forte negli uomini che vivevano fuori dalla città e se l’una e trina avesse voluto questo le avrebbe risparmiato di dover rispondere domande sul perché si trovasse in terra straniera. 

Il suo fisico stava iniziando a cedere, la tosse che si faceva sempre più frequente e che le impediva di respirare spingendola alle lacrime. Si era abituata alle comodità della corte, alle stanze nobili che non venivano mai lasciate fredde neppure nel più rigido degli inverni, e ne pagava il prezzo.

Quando arrivò in vista di Volterra era sorta da qualche ora la sesta alba dalla sua partenza. Lasciò lo stallone ad una giovane ragazza che lavava i panni in riva al fiume convincendola a scambiarlo con una tunica ancora sporca di fango. Era troppo magra per passare per una contadina ma le guardie non la degnarono di più di uno sguardo mentre superava l’ingresso dell’acropoli. Evitò il palazzo del Lucumone, non avrebbe trovato lì la tana dei vampiri. 

Forzò invece il passo insicuro verso la parte opposta della città, e prima di raggiungere nuovamente le mura di cinta si infilò in una stradina. Scese delle scale strette fino a raggiungere una porta.

Fece un respiro profondo e la aprì.

Si trovò in un cortile dove le piante selvatiche avevano preso il sopravvento circondato dai muri alti dei palazzi privi di porte o finestre. Passò palmo a palmo tutto il suo perimetro prima di esplodere in un urlo frustrato. 

Non era possibile che si fosse sbagliata così. Che tutte le informazioni che aveva raccolto la portassero a quel giardino abbandonato. 

«Questo è inaspettato»

La voce alle sue spalle la fece sussultare. Si voltò lentamente, sulla soglia del cortile quello che inequivocabilmente era un vampiro la osservava, la testa inclinata da un lato.

«Non avrebbe dovuto esserci nessuno qui fino a stasera» continuò la creatura, sorrideva ma se voleva sembrare rassicurante l’effetto era completamente cancellato dai denti appuntiti che mostrava e dagli occhi cremisi «perché non ti avvicini?»

Tendeva le mani verso di lei. Athenodora si raddrizzò, avrebbe approfittato della sua curiosità se questo le avesse garantito che non l’avrebbe uccisa subito.

«Sei Aro?»

Sembrò sorpreso. Quindi abbassò le braccia e fu lui ad avvicinarsi a lei per primo, sembrava scivolare attraverso l’erba e le sterpaglie. 

«E chi lo chiede?» 

«Athenodora»

«E tu, Athenodora» accarezzò lentamente il suo nome, la ragazza doveva sollevare la testa per incontrare il suo sguardo mentre la sovrastava «saresti disposta anche a dirmi perché vieni a cercare Aro?»

Senza aspettare che gli rispondesse le appoggiò le mani sulle braccia. Il tocco delle sue dita era gelido.

«Sono stata mandata»

«Vedo» si lasciò sfuggire una risatina «ma arrivi un po’ tardi per quello, vero?»

Non seppe cosa rispondere e il vampiro sembrò godersi il suo disagio per un momento.

«Sei piuttosto disperata per venire qui, non è così?»

«Coraggiosa forse, so cosa voglio»

«No, no… » scosse la testa con disappunto «le menzogne non ti si addicono. Tu non hai altra scelta, moriresti comunque»

«Come- »

«Come lo so?» le si avvicinò come se volesse dirle un segreto all’orecchio invece appoggiò il naso alla pelle della sua guancia e inspirò «posso sentire la malattia che ti consuma nell’odore del tuo sangue e so tutto quello che ho bisogno di sapere su di te dal momento in cui le mie mani ti hanno toccata»

Athenodora si allontanò da lui e Aro le girò attorno valutandola.

«Avresti potuto già divorarmi»

«Vero, voi umani siete così fragili che probabilmente non ti saresti neppure accorta del mio arrivo»

«Da quanto sei un vampiro?»

«Quasi un secolo ormai»

Ora era lei a studiarlo, come per valutare un offerta che non le era ancora stata fatta. Si avvicinò e tentennò solo un momento prima di toccargli il viso con le dita, la pelle era fredda e dura come la pietra al tatto, la creatura davanti a lei la osservava con pazienza mentre prendeva una decisione.

«E non morirai mai?»

«Mai, solo un altro vampiro potrebbe provare a distruggermi ma sarebbe incredibilmente difficile, ho guadagnato forza e potere e non soffrirò dolore e malattia. Sarà una rinascita per te»

Athenodora annuì solennemente il suo accordo ma, proprio lui mentre sembrò fare un passo verso di lei una voce affannata li interruppe.

«Aro?»

Un secondo vampiro si stagliava sulla soglia del cortile. Sembrava l’altra faccia della medaglia di quello di fronte ad Athenodora, con i capelli quasi bianchi che gli sfioravano le spalle e il volto spigoloso. Senza che lei potesse accorgersene Aro si era mosso ed era di fronte al compagno, questo allungò una mano con impazienza e gli afferrò il polso.

«Oh. Beh, questo è inaspettato e cambia le cose mia giovane amica» Aro si voltò a guardarla, un’espressione di scuse sul volto «la decisione sulla tua vita non è più nelle nostre mani, Caius ti ha rivendicata e non posso che lasciarti a lui. Mi dispiace, ma temo che tu sia la tua cantante»

Non fece a tempo a chiedere cosa significasse che si trovò sbalzata contro il muro, l’impatto talmente forte da toglierle il respiro e quando provò a riprendere fiato si ritrovò la gola piena di sangue. Terrorizzata si afferrò alla tunica del vampiro.

«Veloce… non riesco a respirare» forzò le parole perché le uscissero dalle labbra. 

Caius sollevò lo sguardo sul suo viso e un momento dopo si lanciò sul suo collo, Athenodora fece in tempo a vedere la schiena di Aro che se ne andava prima di spegnersi in un ultimo sospiro.

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