We are the brave

di Fuuma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una canzone per il Capitano ***
Capitolo 2: *** Fortuna a fior di labbra ***
Capitolo 3: *** Le ben educate frivolezze di un Ballo ***
Capitolo 4: *** Un Torneo da lunedì ***



Capitolo 1
*** Una canzone per il Capitano ***


pairing: Steve/Bucky { stucky }; Tony/Pepper { pepperony }; Thor/Loki { thorki };

warnings: slash, incest, post-siero Steve, au (hogwartsverse),

 

I personaggi appartengono a chi di diritto.

 


 

We are the Brave 

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I | Una canzone per il Capitano

A riempire la Sala Grande è l’ululato dei grifondoro, a cui per un po’ si sono unite anche le grida d’esultanza delle altre casate, ma si sa che certe goliardie riescono meglio (e più a lungo) a chi veste rosso-oro.

Come uno stormo di falene, i figli di Godric circondano il Calice di Fuoco, inscenando finti balletti ritualistici ogni qualvolta un nuovo studente si approccia per gettare la sua iscrizione tra le fiamme.

La minaccia muta e storpia che il Capo degli Auror Fury ha lanciato loro, con l’unico occhio sano che possedeva, è rimasta sospesa nel soffitto incantato per qualche ora (“Non sono qui per fare da balia a un gruppo di marmocchi che non conoscono i loro limiti, sono qui per riportare il cadavere alle vostre famiglie se qualcosa dovesse andare storto!”) per poi scivolare via, dimenticata dietro ai passi pesanti e al petto gonfio di Thor Odinson.

Alto, grosso e bello come un dio norreno, è stato lui ad aprire le danze, in uno scrosciare di applausi.

O-din-son! O-din-son! O-diiiiii-n…. SON!

La cantilena è durata fino all’ora di pranzo, con tanto di ola – interrotta nel momento in cui è giunta alle braccia incrociate di Tony, per nulla intenzionato ad alzarsi dalla panca.

Thor è stato il primo e a Tony un po’ brucia, ma non poteva pretendere di essere l’unico rappresentante dei grifondoro – è una casata che vomita eroi a ogni ciclo lunare, di strano al massimo c’è che in giro non abbia ancora visto quell’altro gigante biondo tutto muscoli. Era convinto sarebbe stato lui l’apripista di Hogwarts, chi meglio di Capitan Puritano Rogers, che alla presentazione delle scuole di Dursmstrang e Beauxbatons è andato a stringere la mano di tutti e augurar loro buona fortuna?

Al suo posto, invece, si fa avanti il solito duo scapestrato di ragazzini del quinto anno che Stark ha imparato a conoscere fin troppo bene.

«S-sei… sei sicuro che funzionerà se lo metto dentro? Non rischio, che ne so, di esplodere?»

«Fidati, Peter, ho fatto i miei calcoli, c’è una buona probabilità del novantacinque per cento che funzioni.»

«Ok, insomma, novantacinque per cento non è male.»

«Forse ottanta per cento…»

«Ottanta?»

«Facciamo sessantanove virgola nove e non ne parliamo più!»

«Ned!» urlacchia Peter Parker, che stringe tra le mani un piccolo rotolo di pergamena in cui ha scritto il suo nome. Ha dimenticato il mantello altrove, la divisa è stropicciata e la cravatta rosso-oro dal nodo talmente allentato da arrivargli all’ombelico, lo fa sembrare un puledro scalpitante preso al lazzo. E Tony sa che quel puledro non ha l’età adatta per proporsi come Campione – e anche l’avesse, è più probabile rischi di rompersi l’osso del collo o di diventare mangime per Ippogrifi. Conosce le prove degli anni passati, il Torneo Tremaghi non è un gioco, ma è invece quel che di più simile si può trovare a una guerra.

Forse è anche per questo che non si stupisce quando alle spalle di Peter si staglia alta l’ombra verde-argento di ben altro tipo di Odinson.

Loki è il riflesso distorto di Thor, è tutto ciò che il ragazzo non è: pelle d’argento, capelli di petrolio e occhi da serpe verdi come smeraldi nella notte. Il mantello gli fruscia dietro le spalle come ali di un corvo pronto a portare sventura, e dall’alto, pianta uno sguardo gelido sulla nuca di Peter, piegando labbra sottili in un’espressione di disgusto.

«Levati di mezzo, insetto» Perfino la sua voce ha un languore cupo e affascinante, e non sai mai se la voglia che ti mette addosso è quella di gettarti ai suoi piedi o mandarlo a quel paese.

Peter temporeggia troppo a lungo, tanto che Tony è costretto a tenere d’occhio la bacchetta di Loki col timore che la usi per una delle Maledizioni senza perdono – e gira voce tra gli studenti che lo abbia già fatto una volta. Ma di voci sul Prefetto serpeverde ne girano tante, ognuna più oscura dell’altra.

«Devo ripetermi?» Le dita lunghe e bianche di Loki si stringono al manico della bacchetta dalle venature altrettanto candide, in legno di tiglio argentato, lunga, dal manico intagliato di scaglie scure e la punta quasi bianca, così simile alle spine di un Ungaro Spinato.

Tony apre la mano, indosso un guanto di pelle e placche d’acciaio scarlatto incantato personalmente – è tutto quello che gli serve perché la bacchetta, agganciata alla coscia destra, si sganci magicamente e s’infili tra le sue dita.

«Accio biglietto del ragnetto» esclama, in un breve agitare della punta. A essere acciato, non è solo il biglietto con il nome di Parker, ma anche gli sguardi dei presenti, a cui regala un sorriso e un mezzo inchino. «Sono un poeta nato, lo so.»

Peter lo raggiunge, libera il passaggio a Loki, che preferisce non perdere tempo e gettare finalmente il suo nome nel Calice. Lo ha scritto con le rune e un inchiostro dorato che per qualche istante riluce nel fuoco.

I compagni della casata di Salazar scattano in piedi e con un’invidiabile sincronia (che Tony giurerebbe poter appartenere solo ai ballerini coreani o agli atleti del nuoto sincronizzato) stringono una mano al gomito, piegano l’altro braccio verso l’alto e lo allungano in un sibilo che la Sala Grande amplifica, trasformandosi per qualche istante in un nido di serpi velenose.

Una coreografia carina, ma ci vuole altro per spaventare Tony Stark e al massimo, quando Loki si volta e non lo degna nemmeno di uno sguardo, quel che prova è una punta d’irritazione. Tutti conoscono dove pende l’ago della bilancia nelle idee politiche di Loki Odinson, e un mezzosangue come Tony, potrà anche avere una famiglia che sguazza nei galeoni, ma non varrà mai più di mezzo zellino agli occhi di un purosangue.

Scuote il capo, tornando a…

«Ehm, potrei riavere la mia pergamena?»

Peter e amichetto del cuore.

«No, che non puoi. Cosa pensavi di fare, Parker?»

«Ahm… avevamo pensato, che magari… beh…»

«Io e Peter abbiamo trovato questo incanto runico tra i libri nell’ufficio del professor Strange e—»

Tony piega la mano a formare il becco di una papera e lo chiude in un gesto che parla da solo: «Shsss. La mia era una domanda retorica.»

«Oh.» Peter china il capo.

Riuscire ad aggirare le serrature magiche del professore di Antiche Rune non è cosa da poco, ma la Linea dell’età è un incanto di Silente e serve più di una coppia di sbarbatelli furbi per fregare il vecchio – Tony lo sa forse meglio di tutti lì ad Hogwarts.

«Sperate che la vostra bravata non costi punti a griffondoro…» Un’occhiata veloce ai colori della divisa di Ned «…o a corvonero; ma soprattutto al vostro posto pregherei tutti i santi babbani e non che conoscete, affinché non lo venga a sapere Captain Harlock, o si prenderà uno dei vostri occhi, per averne di scorta.»

Pallidi in volto, i due ragazzi si scambiano sguardi e balbettano scuse, ed è in questi momenti che Tony, ridacchiando, un poco ammira Fury, il cui solo nome è sufficiente per instillare un po’ di sana strizza.

Come loro si allontanano, è Virginia Potts ad avvicinarsi. Alta ed elegante, nei colori di tassorosso è la sua Ape Regina, senza la spocchia delle ragazzine snob da teen-movie.

«Se non ricordo male, l’anno scorso, un certo grifondoro è riuscito a far perdere cento punti alla sua casata a causa delle sue bravate.»

Tony scrolla le spalle; è da sempre convinto che la Coppa delle Case sia truccata, Silente abbia i suoi cocchi e per ogni punto che Stark porta via, ce ne saranno altri dieci regalati ai bicipiti gonfi del buon Steve Rogers. Non è per questo che infila la pergamena di Peter in tasca, ma non è nemmeno tipo da dare spiegazioni.

Invece allarga le braccia e ruota lentamente su se stesso.

Il mantello incantato si solleva e si riempie di sfumature rosso sgargianti ogni qual volta la luce delle candele lo colpisce con l’angolatura giusta.

«Odinson vi ha morso la lingua o posso avere un po’ di tifo?»

La Sala Grande si rianima.

«Stark! Stark! Stark!» I ragazzi inneggiano e battono i piedi infervorati: è musica per le sue orecchie.

«Rhodey?» Il nome dell’amico si trasforma in segnale: dalle panche tassorosso, James Rhodes solleva la bacchetta, bisbiglia un incanto e dalla punta schizzano fuochi d’artificio che esplodono in una pioggia di scintille rosso e oro.

Questa è una coreografia coi controcazzi, vorrebbe spiegare ai fratelli barbari arrivati dal nord.

Pepper, al contrario, porta una mano al viso.

Tony sfila dalla tasca opposta a quella in cui ha nascosto il biglietto di Parker un foglio – un post-it colorato –, il suo nome vergato in nero ha l’inconfondibile scrittura “a macchina” delle penne autoinchiostranti Stark. Lo stringe nel pugno e lo avvicina alla bocca di Virginia.

«Portami fortuna, Pepper.»

«Da quando credi nella fortuna?»

«Da quando posso usarla come scusa per chiederti un bacio, se verrò scelto come Campione. E ora, chop-chop, non deludermi.»

Lei non commenta – a farlo al suo posto è il dolce rossore che le tinteggia le guance e fa risaltare le piccole efelidi sul naso –, si tende in avanti e soffia sulle dita di Tony un’alitata calda che gli accarezza la pelle.

Stark sorride, se la fortuna esista o no non è affar suo, perché con Pepper al suo fianco, sarebbe in grado perfino di volare senza scopa.

 

 

A Bucky Barnes piace respirare l’aria di festa che orna il Castello. È fatto per la caciara, per le danze di ogni tipo – meglio se un lento in punta di piedi o un tango sul filo di un bacio – e ogni scusa pur di saltare una lezione o due è sempre la benvenuta.

Il suo interesse per il Torneo Tremaghi è però tutto qua.

Seduto alle panche, è circondato da ragazze di ogni casata che gli pizzicano il braccio e gli chiedono quando infilerà il suo nome nel Calice. Sono sicure ne uscirebbe vincitore – oh, così sicure che se vincerà, gli bisbigliano all’orecchio, sono disposte a infilarsi con lui nei bagni dei prefetti e dargli un premio che farà sfigurare perfino le fate in blu di Beauxbatons.

Bucky sorride e scuote il capo, si solleva in piedi sulla panca, balza a quella accanto e schiocca loro un occhiolino.

«Siete perverse, ragazze.»

Le rifiuta con garbo, senza “no” e senza “sì” – lasciandole danzare sull’orlo di un “forse” che, da quasi un anno a quella parte, lo rende il ragazzo più inarrivabile di Hogwarts. Perfino più di Rogers, l’Apollo dei grifondoro, che in sette anni di scuola e diciotto di vita ha baciato una sola ragazza senza che l’evento ricapitasse.

«Penso che lascerò fama e gloria agli altri. Ma grazie per l’offerta, l’apprezzo davvero.»

Ancora non sa che le sue sono le ultime parole famose.

 

«James! Buchanan! Barnes!»

 

Bucky potrebbe riconoscerlo perfino nel mezzo di una tempesta: è il ruggito di un leone, che un po’ vorrebbe fosse suo, ma che è soprattutto il leone dorato dei grifondoro.

I portoni della Sala sbattono quando Steve Rogers, colletto slacciato, camicia fuori dai pantaloni, cravatta legata a un polso e l’aria selvaggia di un animale a caccia, avanza col fiato pesante. Di colpo, ogni ragazza che prima parlava con Barnes, ora guarda lui e desidera essere una delle gocce di sudore che gli rigano il collo scomparendo sotto agli abiti.

Steve marcia verso Bucky e verso di lui agita il polso. Non servono parole, a malapena basta un’occhiata lì intorno per capire che hanno bisogno di privacy e che dovranno andare altrove se la vogliono.

Poco prima che Bucky venga trascinato via, è la voce di Stark che ancora si fa sentire e li insegue fino al corridoio.

«Se dovete figliare, Barnes, assicurati che esca meno ariano di Rogers e col tuo cervello. Che di troll col bel culo ne abbiamo abbastanza!»

 

 

La stanza dei Trofei sembra la più appropriata. Steve l’ha amata da subito e da subito ha desiderato vedere il suo nome sulle placche dorate, sotto alle coppe di Quidditch o alle teche con le fotografie degli alunni più dotati. Ha sempre avuto fame di competizione, fame di vittoria, perché per quasi dodici anni ha trascorso le sue battaglie nella polvere, a venir deriso, calciato e trattato alla stregua di un Elfo domestico.

Prima di Hogwarts viveva di sconfitte, ora invece scalpita per sapere quanto in alto può volare – ma Bucky vede ancora le sue ali di cera per quello che sono e teme il giorno in cui arriverà troppo vicino al sole. È anche per questo che, al contrario di Rogers, lui detesta quella stanza e vorrebbe un giorno trovare le parole giuste per spiegare a Steve che non ha bisogno di medaglie, trofei o coppe per mostrare il suo valore.

Invece, sotto i riflessi dorati della stanza, si trova incastrato tra il muro e il ragazzo, che chiude il pugno sopra la sua testa.

«È stato uno scherzo cretino!»

Bucky non chiede spiegazioni, la cravatta che ancora penzola dal polso del grifondoro racconta tutto quel che c’è da sapere, senza contare che è stato Barnes a incantarla affinché lo legasse al letto.

«Lo scherzo cretino è quello che vuoi farmi tu infilando il tuo nome in quello stupido Calice.»

«E il tuo piano qual era? Tenermi legato in dormitorio per tutta la settimana?»

Bucky si stringe nelle spalle. Non ha mai creduto di poter tenere Steve lontano dai guai – ma provarci, tentare di proteggerlo (il più dalle volte da se stesso) è l’unica cosa che gli rimane. «Qualche dettaglio era ancora da mettere a punto.»

«A-ah, e poi secondo Stark sarei io quello col cervello da troll.»

Bucky stira le labbra in una linea piatta e preoccupata.

Steve vi passa sopra il pollice, raccoglie sotto il polpastrello il colore rosato della sua bocca e su di lui si china, a un respiro di distanza. Ora che non ci sono compagni (e ragazze) a circondarli, stare vicini viene loro naturale, scivolare tra gli spazio l’uno dell’altro e annullarli un poco alla volta.

«È un torneo scolastico, Buck, non mi succederà niente. Perché continui a preoccuparti tanto?»

Ha ammorbidito la voce, ma Bucky non cede – se la lealtà è tassorosso, la testardaggine è tutta sua.

«Dannata sia la faccia di Morgana!» impreca. «Perché ti conosco Steve! Perché so che tu invece non conosci il significato della parola “basta”! Quando avevamo undici anni facevi a botte con maghi esperti grandi il triplo di te, cosa succederà quando ti troverai davanti un Drago o ti chiederanno di buttarti nel fuoco? Cosa c’è di male a stare in panchina per una volta tanto?»

«Sono stato relegato in panchina per tutta la mia vita, non—»

«Ma ora non sei più quello di un tempo! E anche lo fossi, non devi dimostrare niente a nessuno.»

Ecco, lo ha detto finalmente. Bucky lo butta fuori tutto d’un fiato e quando ha finito, sa di non avere più alcuna freccia al suo arco.

Steve annuisce. Piano spinge il naso contro la punta di quella del ragazzo e lo strofina, lento, come quando erano piccoli e lui era costretto a sollevarsi sulla punta dei piedi per arrivarci o a infilarsi nel letto di Bucky, strofinandoglielo via il perdono. A chiedere scusa per essere se stesso, Steve non è mai stato bravo.

E in fondo va bene così.

Preso un sospiro, Bucky lo guarda negli occhi. «Se credi di essere l’unico a saper scrivere il proprio nome su un pezzo di pergamena, ti sbagli di grosso, Rogers.»

«Credevo tu non fossi interessato.»

«Ho cambiato idea. Se tu salti, salto anch’io.»

«L’hai sentito anche tu Silente, in questo Torneo ognuno è per sé.»

«Lo so, ma magari al calice stai antipatico e preferisce i tassorosso belli come il sottoscritto.»

«A-ah, come le ragazze in Sala Grande? Beato te che hai potuto rincorrere sottane, mentre io ero legato in dormitorio.»

Bucky lascia che dalla gola vibri una risata calda e maliziosa, mentre incurva la schiena come un gatto affamato di coccole e negli occhi brilla una proposta sconcia, anche se Steve, che alle volte forse sembra fatto più per la guerra che per l’amore, non ha ancora imparato a leggerle certe cose.

 

 

La scelta dei Campioni è stata una scarica d’eccitazione e meraviglia. Nessuno si aspettava quel risultato, nessuno tranne Loki Odinson. Lui è stato il primo nome sulla bocca di Silente, l’unico dei campioni di Hogwarts, Dursmstrang e Beauxbatons a non aver battuto ciglio – le rune gli avevano già parlato, e prima ancora, ha sognato se stesso in quell’esatto momento, accanto a Stark e al tassorosso dal sorriso seduttore e gli occhi da lupo.

Il nome di Steve Rogers, invece, non è mai uscito.

E ora Tony sguscia insieme a lui nella sala comune di Tosca Tassorosso, mani in tasca e un grido rivolto a uno dei coperchi di botte che tappezzano il muro e conducono ai dormitori.

«Barnes, esci dalla tua tana e vieni a levarmi Capitan Piangina dalla spalla!»

«Guarda che non sto piangendo e non c’era bisogno mi accompagnassi.»

Prima di Bucky è Clint Barton a farsi avanti. Arriva dall’alto – un’abitudine dura a morire –, da una nicchia nascosta nel soffitto, balzando giù più simile a un grosso volatile che a un tasso.

Poco dopo, Bucky spunta da uno dei tunnel, lo sguardo che danza da Stark a Rogers.

«E voi due come siete entrati?»

Tony gli sventola una mano davanti al volto. «Non guardarmi con quegli occhi da cerbiatto sorpreso dai fari di un’auto babbana. Ho scoperto parole d’ordini e ingressi segreti di ogni dormitorio al primo anno di scuola.»

«Non sarai la faccia-da-snaso che è andato a raccontare ai primini serpeverde che la loro password era cambiata?»

«Ti sembro uno che ha voglie suicide? Con una bravata del genere finisci dritto sulla lista nera della Romanoff. No grazie, quella suona tanto da follia di Rock of Ages

Steve solleva un sopracciglio.

«Odinson» gli chiarisce Clint.

«Già, il fratello stecco di California Ken,» Tony annuisce e punta Bucky. «a cui, detto fuori dai denti, io e te dovremo fare attenzione. E parecchia anche, se vogliamo uscirne con tutti gli arti intatti.»

Di riflesso, Bucky si tocca il braccio sinistro. Si è cambiato la divisa e le braccia sono nude, addosso una maglia senza maniche e un paio di pantaloncini.

Delle delegazioni di Durmstrang e Beauxbatons non ne fanno menzione; potranno essere avversari degni, ma quello che scorre nelle vene di Loki è veleno da Basilisco.

«Comunque, ora che ho fatto la mia buona azione di oggi, posso finalmente liberarmi di Rogers e in cambio:» con uno schiocco di dita indica Clint «Legolas, con me.»

Barton reclina il capo svogliato. «Fammi indovinare, vuoi chiedermi aiuto perché sai che Barnes ha una mira migliore della tua con gli incantesimi di puntamento e l’unico in grado di batterlo sono io.»

Tony storce il naso, non gli piace quando qualcuno fa notare le sue mancanze – ne ha poche e tutte ben nascoste – ma questa volta Clint ha ragione; e se è vero che i tassi sono perlopiù ciechi, non ci si può aspettare altro, invece, da chi ha l’occhio allenato di un falco.

«Visto che la Romanoff non è stata scelta e io sono il suo campione preferito, è tuo dovere aiutarmi» si giustifica, ben conoscendo il rapporto che lega i due ragazzi.

«Sono quasi sicuro che Nat preferisca me» s’inserisce Bucky.

«E lo dici davanti al tuo fidanzatino?»

Tony colpisce dritto nel segno e affonda, mentre Rogers e Barnes fanno a gara a chi arrossisce di più.

Non rimane a godere dei frutti delle sue frecciatine, ma con Clint si allontana, sventolando una mano in saluto.

«Non fare niente che non farei io, Capitano.»

 

 

Bucky non è abituato ad avere Steve in camera sua; è lui quello che la sera sgattaiola per i corridoi del Castello sfidando la buona sorte, il coprifuoco e gli schiantesimi del professor Phillips.

Clint e Scott Lang sono i suoi compagni di stanza; se il primo ha seguito Stark, il secondo finge di dormire, ma quando prendono posto seduti tra le lenzuola del letto a baldacchino, Bucky estrae la bacchetta e si rinchiude con Steve in una bolla di mondo tutta per loro.

Non sa da dove cominciare, forse dovrebbe scusarsi o assicurare al ragazzo che non è portato per la Divinazione lui e che quel che ha detto nella Sala dei Trofei era un modo come un altro per riempirsi la bocca di sciocchezze. Forse un po’ ci ha sperato, ma ora che ha privato Steve delle luci della ribalta che tanto agognava vorrebbe non averci mai provato.

«Sei ancora arrabbiato con me per aver preso il tuo posto?» chiede, guarda in basso, tra le proprie gambe incrociate e, nervoso, si picchietta la coscia con la bacchetta.

Steve lo ferma, raccoglie la mano nella sua e gli sfila il legnetto in quercia rossa, per posarlo sul comodino.

«Non era il mio posto e non sono arrabbiato. Sono solo, non lo so, invidioso, immagino. Ma a questo sono abituato, sono sempre stato invidioso di te.»

Bucky lo guarda come se il ragazzo che ha di fronte non fosse lo stesso Steve Rogers che conosce da una vita, il piccolo magonò che ha preso a calci il destino e ha riscritto perfino il suo DNA. «Mi prendi in giro? Sei il prefetto di Grifondoro, il capitano della vostra squadra di Quidditch, hai la media di eccezionale in ogni materia e la tua faccia è finita perfino sulla Gazzetta del Profeta. Non hai nulla da invidiarmi.»

«Eccetto il fatto che la mia magia è nata in provetta. Se non fosse stato per Erskine—»

Steve vorrebbe parlare e spiegarsi, ma Bucky non glielo permette, non questa volta.

«E con questo? Quello che ti ha dato lui sono stati i mezzi per essere come tutti gli altri, il resto è tutta farina del tuo sacco.» Gli tira una schicchera alla fronte che gli solleva morbide ciocche bionde e le sue dita si fermano lì, fanno il nido tra i suoi capelli e li vezzeggiano in carezze delicate, sfiorandogli di quando in quando la punta di orecchie che hanno iniziato a prendere un colore più rosato.

«Lo sai che alcune ragazze della mia casata hanno creato una canzone su di te? Nemmeno Stark può vantare tanto.»

Steve arriccia il naso, è quel genere di cose che lo mette seriamente in imbarazzo ed è per questo che Bucky ne approfitta e la mano che gli accarezzava i capelli, ora si apre al suo petto e ne saggia la consistenza di marmo.

«Il Calice avrà avuto le sue ragioni, ma sono certo di non essere stato scelto perché sono più degno di te o sciocchezze del genere. Voglio dire, è stato scelto anche Odinson ed è più probabile che ci uccida tutti nel sonno pur di avere la vittoria assicurata.»

Steve spalanca la bocca e s’abbandona a un sospiro lento, lo afferra per i fianchi e stringe, incollandogli addosso mani grandi e calde, che un tempo si sarebbero spezzate come niente e che ora invece potrebbero prendere a pugni il muso di un troll. «Allora forse dovrei rimanere e assicurarmi che non ti accada niente.»

Bucky ammicca. «Stai proponendo di farmi da guardia del corpo?»

«Potrei.»

«Potresti. Il mio cavaliere senza macchia e senza paura. È così grifondoro.»

Steve ride, mozzicando uno di quei mezzi insulti babbani che sarebbe meglio non ripetere.

«Comunque farò il tifo per te» aggiunge infine, chiudendo Bucky in un abbraccio che li trascina entrambi sdraiati, in un incrocio di gambe e con la testa ad occupare l’unico cuscino.

«Sarà meglio per te, pal. Sono un Campione del Torneo Tremaghi ora, ho bisogno di tutto il sostegno possibile.» Ma se anche il suo fosse un sussurro tra la folla, Barnes sa che gli arriverà dritto al cuore, ovunque si trovi, che sia in una scuola piena di studenti o sul fondo del Lago Nero.

«Quindi… c’è una canzone su di me, eh? E hai intenzione di cantarmela o devo chiederlo alle tue ragazze.»

«Punk

Nonostante l’insulto, Bucky si arrampica al suo orecchio e a occhi chiusi, sottovoce canta per lui.

 

[ 3.996w ]



 

Dopo "Wipe him..." era d'obbligo dedicarmi a una fic cazzara, per depurarmi di tutta la depressione che quella storia mi ha messo addosso. Questa è la scusa ufficiale per aver scritto 'sta roba. XD

Non ho idea di come proseguirà; è una mini long scritta per una challenge che prevede la scelta di tre protagonisti che parteciperanno come campioni al torneo, e a ognuno di loro deve essere dedicata una delle prove – nel mio caso, come si sarà capito, i prescelti sono Loki, Tony e Bucky. Mi ci è voluta un'eternità per decidere i personaggi, sono stata in dubbio fino alla fine soprattutto a causa di Loki, perché è un personaggio complesso che proprio per questo tendo a non inserire mai nelle mie fic (e perché quando scrivo ho bisogno della ship e con lui ho gusti difficili, ma per ora penso punterò alla thorki).

Per ora però mi accontento di essere almeno riuscita a finire il primo capitolo in tempo; capitolo che in realtà non avevo per niente programmato in questo modo, che pensavo sarebbe uscito molto più corto e che invece è andato per i fatti suoi. Ma io cosa plotto a fare, che tanto non seguo mai la scaletta?!

Comunque, tenete d'occhio i warning perché è possibile che da qualche parte nei prossimi capitoli ne verrà aggiunto almeno un altro (age difference, coffcoff) quindi se non è il vostro cup of tea ora lo sapete.

Per tutti gli altri, grazie di cuore a chiunque sia arrivato fino a qui e avrà voglia di seguire questa storia. You da best.

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Scritta per Torneo Tremaghi - Multifandom edition @L'angolo di Madama Rosmerta

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Capitolo 2
*** Fortuna a fior di labbra ***


pairing: Steve/Bucky { stucky }; Tony/Pepper { pepperony }; Thor/Loki { thorki }; Peter/MJ { spideychelle}

warnings: slash, incest, post-siero Steve, au (hogwartsverse),

 

I personaggi appartengono a chi di diritto.

 


 

We are the Brave 

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II | Fortuna a fior di labbra

Un tassofesso, un grifondiota e un serpeverde vengono scelti come campioni del Torneo Tremaghi. È la barzelletta con cui Loki si è svegliato nelle settimane che hanno seguito l’annuncio; non faceva ridere la prima volta e, ora che è storia vecchia, s’è fatta fastidiosa come il ronzio di una mosca.

Eccetto che quel ronzio si trasforma nella voce familiare di una vecchia conoscenza, che lo pugnala alla schiena mentre avanza sulla sponda del Lago Nero, occhieggiando le vele sfilacciate di un veliero fantasma. Una parte di sé sa che quello sarebbe dovuto essere il suo posto, l’altra invece ha il muso butterato e la risata scartavetrata di Helblindi Laufeyson, il Campione dei giganti venuti da Durmstrang, che calcia sgraziato una zolla di terra e gli parla alle spalle.

«Hai visto la vostra miserabile sconfitta e sei venuto a implorare l’aiuto di Durmstrang, vǫlva[1]?» domanda in norreno, una lingua antica che soltanto nelle scuole del Nord insegnano ancora. Ma Loki legge le rune da quando aveva cinque anni e sedeva con le gambe a penzoloni in braccio a sua madre, conosce quella lingua come fosse la sua.

Si volta con calma, per nulla intaccato dal modo in cui l’altro lo ha appellato – allenato fin dall’infanzia alle prese in giro di Thor e dei suoi amici idioti. Sotto al mantello scuro chiuso al collo con la spilla di un serpente che si mangia la coda, la divisa è stirata, la cravatta verde-argento annodata alla perfezione e alla cintura si allaccia la bacchetta.

Helblindi è una montagna di muscoli che in altezza supera perfino Thor, ma anche se è costretto a guardarlo dal basso, il sorriso di Loki è una tagliola che gronda boria.

Avanza verso di lui, un passo e poi un altro.

«Perché dovrei chiedere aiuto a un perdente?» Fino a sbattergli il volto sotto al naso, piantandogli occhi languidi e crudeli nel cranio, quasi potesse aprirlo in due per tirarne fuori i pensieri. Legilimens, direbbe qualcuno, e anche per questo a Hogwarts lo temono e lo evitano, ma la verità è ben altra – a cosa serve leggere un pensiero, quando sei già in grado di leggere le persone?

«Lo sai qual è il problema di quelli come voi? Che muovete la bocca, ma tutto quello che ne esce è il latrato disperato di un cane.»

«Sporco…» Helblindi serra il pugno – gli basterebbe un colpo solo per farlo crollare a terra. Ma il sorriso di Loki lo sfida a provarci, la mano già corsa alla bacchetta e la punta a premere contro la giugulare del ragazzo, come la lama di un pugnale bianco.

«Dicevi?»

Helblindi deglutisce, nella mascella serrata s’incastra tutta la sua irritazione. Non indietreggia, però, gonfia il petto come un toro pronto alla carica, anche se alla fine c’è poco che possa fare davanti alla minaccia sibillina di Loki Odinson. Una Cruciatus o un Imperius e sarebbe umiliato per sempre – a Hogwarts hanno un cuore molle, troppo per insegnare certi incanti, ma d’istinto sa che non vale lo stesso per il serpeverde.

«Come se non sapessi già che sei un codardo» ringhia, digrignando i denti.

Loki affila lo sguardo, accarezza mentalmente gli incanti più pericolosi – e da quella distanza perfino un Expelliarmus potrebbe strappargli la carne. «L’intelligenza non è la tua più grande dote, suppongo.»

«Non glielo hai ancora chiesto, vero?»

Si blocca.

Forse lo ha giudicato male, dopotutto non è così stupido come pensava.

Helblindi ne approfitta per calare in avanti con la testa, sfidando la bacchetta.

«Sarà presente anche lui durante il Torneo. Chiediglielo. Ti confermerà che non sei altro se non una reliquia presa in prestito, un baratto che è servito all’Allfǫðr[2] per mantenere una facciata umana. Ma non sarà sempre così, Loki Odinson.» Sputa il suo nome come fosse acido. «Un giorno quell’orbo cadrà, e sarà mio padre a prenderne il posto.»

Loki ne ingoia ogni parola, le sente bruciargli nella gola e nelle vene, ma è un ragazzo cresciuto a pane, invidia e umiliazioni, ha imparato da anni a modellare ogni stilla d’odio e risentimento per trasformarla in veleno. È una serpe, e delle più pericolose.

«Continua a vivere nella tua illusione, Helblindi, ma se anche quel giorno dovesse arrivare, non sarai presente per godertelo.»

«È una minaccia, Odinson?»

«Perché sporcarmi le mani con qualcuno di inferiore, quando basterà lasciarti partecipare a un Torneo mortale?»

«Tu menti.»

Loki ammicca. La menzogna è sua compagna da sempre, ma non serve leggere le rune per sapere di aver appena piantato il seme del dubbio nel petto del ragazzo – non è un caso se l’altro lo ha chiamato vǫlva, conosce bene le sue capacità divinatorie.

«Porta le mie condoglianze a tuo padre.»

E con una risata sottile, che si raccoglie ai timpani del campione di Durmstrang come un sibilo pericoloso, il serpeverde si allontana.

 

 

Una volta sua zia gli ha detto che è portato per Cura delle Creature Magiche perché ha un cuore buono e gli animali lo percepiscono. Peter dubita sia quello il motivo, ma nell’aula di Cura si sente a suo agio, anche ora che la guarda da una prospettiva tutta nuova.

Dondola silenzioso appeso al soffitto, nelle vene sangue freddo e tutto intorno un caleidoscopio di immagini che si raccolgono in troppi occhi.

Sapeva di aver riconosciuto l’uomo che si accompagna al professore di Cura; li ha seguiti fin da quando sono entrati, ascoltandoli confabulare. E quando i due escono dall’aula, chiudendosi la porta alle spalle, Peter non ha più dubbio alcuno.

Agile e veloce, s’infila tra le fessure degli infissi, percorre il muro fin dove il corridoio svolta e, dove sa, Ned si è appostato per aspettarlo. Accanto ai piedi del ragazzo, un mantello gonfio raccoglie al suo interno un’ammucchiata disordinata di vestiti maschili.

Non appena lo adocchia, Peter prende slancio e con una capriola si lascia cadere sulla sua spalla.

Grosso errore.

Non ha notato che il ragazzo non è più solo da un pezzo. Con il capo reclinato e riccioli castani sfuggiti alla coda che le scivolano sulla fronte, Michelle Jones-Watson si dondola annoiata sul posto.

I due indossano gli stessi colori, Corvonero fino al midollo, ma le maniche della camicia di lei sono risvoltate, dal colletto sbottonato spunta un ciondolo in oro con le sue iniziali e al collo non compare alcuna cravatta – ogni tentativo, da parte di professori e prefetti, di fargliene indossare una è caduto nel vuoto fin dal primo anno.

MJ fissa la macchiolina nera sul golf di Ned; all’inizio non capisce cosa possa essere, ma quando la vede zampettare inorridisce.

«Un ragno!»

«Cos…»

«Dammi la bacchetta!»

«No, aspetta, quello è—»

Non perde tempo in chiacchiere e non aspetta che Ned obbedisca, gliela sfila dalla tasca – di certo non userà la sua per spazzare via quel coso – e con la precisione millimetrica che si confà alla miglior battitrice della sua Casa, le basta un colpo per lanciare via il ragno.

Ned si allarma, grida il nome di Peter e questo potrebbe far drizzare le antenne di MJ, se solo quel maledetto ragno, atterrato sul pavimento lucido del corridoio, non si fosse messo a zig-zagare stordito verso di lei. C’è una nota poetica da qualche parte, la certezza che esista una forza invisibile che condurrà sempre Peter Parker da MJ e viceversa, ma quando la ragazza di cui sei cotto da anni tenta di ucciderti spiaccicandoti a terra, il romanticismo si perde via.

E a questo punto è rimasta solo una cosa da fare: Peter si concentra, le otto lunghe zampette si riuniscono in due gambe e due braccia, il suo corpo si fa più grande e riconquista lentamente sembianze umane.

Davanti a quello spettacolo grottesco, però, MJ risponde d’istinto, prima ancora di capire che quell’ammasso di pelle, chele, occhi e peli irti, sia una persona. Lo calcia via, una scarpata dritta in faccia che lo spedisce con un biglietto di sola andata verso il Paradiso.

O così vorrebbe.

Quando la trasformazione termina, ci sarebbe tanto di cui parlare, a partire dal fatto che Peter non indossa nulla se non l’impronta di una suola di All Star babbane stampata in faccia, ma per un attimo, tutto quello a cui i due corvonero riescono a pensare è il fatto che si trovi ancora lassù.

«Wo! Come ci riesci?» chiede Ned.

«Come riesco a fare cosa?» Peter guarda verso l’alto, l’intonaco bianco del soffitto a cui le sue dita hanno aderito «Oh.» e da cui ora stanno perdendo la presa. «Oh merd-Aaaaahaaa!»

Ricade di schiena, in un tonfo sordo che gli svuota i polmoni d’ossigeno.

Il pavimento è freddo contro la sua pelle e lui è nudo, dolorante e imbarazzato, il suo volto una maschera rosso fuoco in cui le guance si scioglieranno per quanto bruciano. Non era così che pensava sarebbe finita la sua missione di spionaggio.

Allunga un braccio tra le cosce e uno a recuperare mantello e abiti che usa per coprirsi, mentre rivolge a MJ un sorriso stiracchiato che rischia di cadergli dalla faccia e unirsi alla dignità precipitata da qualche parte lì per terra.

«E-ehy, MJ…» balbetta in saluto.

La ragazza sussulta e gli dà di colpo le spalle, sulla pelle ambrata si fa strada un tenue rossore. Sotto la divisa grifondoro sempre trasandata, si sarebbe aspettata di vedere linee acerbe e sottili di un ragazzo allampanato, invece Peter ha muscoli tonici, addominali sviluppati e la figura elegante di un ballerino.

Nervosa si tortura le unghie, cercando qualsiasi altra cosa a cui pensare, come ad esempio: «Tu… tu eri un ragno

Meglio.

Peter ridacchia, si gratta la guancia con la punta dell’indice. «Già, ehm, è una storia lunga…»

«Sei un animagus.»

«…ok, forse non così lunga.»

«E cosa stavate combinando? Ho visto Ned che teneva d’occhio il professore di Cura.»

Chiamato in causa, il corvonero tiene le dita dritte e solleva le mani incrociate davanti al volto, in una posa che ha del ridicolo. «Silenzioso come un Auror e letale come un Dissennatore!»

«Questo non l’ho detto.» MJ gli porta una mano sulla spalla in un gesto di compatimento. «E non dovresti dirlo nemmeno tu.»

Ned affloscia l’ego appena gonfiato; ma quando Peter finisce di vestirsi – la camicia abbottonata storta crea un bozzo deforme sotto il golf, di cui si preoccuperà più tardi – batte una mano alla fronte e scatta di corsa verso le scale.

«Me ne stavo quasi dimenticando, dobbiamo avvertire Tony! So quale sarà la Prima Prova!»

 

 

Tony detesta la noia, per questo ha sempre qualcosa con cui tenersi occupato, che siano gli allenamenti di Quidditch, i tentativi di entrare nella Sezione Proibita della biblioteca (per ora rivelatisi vani), i duelli contro Steve che un giorno riuscirà a cogliere di sorpresa e mettere al tappeto, o, come in questo momento, le sue creazioni magiche.

Si trova nell’aula di Babbanologia, che i professori gli lasciano come spazio sicuro, per evitare che faccia esplodere un intero dormitorio o affumichi i suoi compagni di Casa. Non che sia mai accaduto, ma data la sua predisposizione a fare quello che gli pare perfino durante le ore di Pozioni e Alchimia – perché le nozioni dei libri di testo non gli bastano e ha bisogno di più – hanno pensato fosse meglio così.

Sulla cattedra, si apre un ventaglio di strumenti dalle forme più strane – magici e babbani, per lui non fa differenza. Un bicchiere autorigenerante di caffè è poggiato in un angolo insieme a un sacchetto di Gelatine Tuttigusti+1; accanto ad essi, rimbalza una puffola pigmea dal pelo rosso e il musetto nascosto da un maschera da saldatore in miniatura.

Tony è seduto alla poltrona girevole della cattedra. Sta dando le spalle alla porta, quando viene aperta da un Peter trafelato, che sembra essersi vestito al buio, e dai due ragazzini del quinto anno che gli fanno da ombra.

«Dunque, dunque, dunque…» Con lentezza, quasi li avesse attesi per tutto questo tempo, Tony ruota la sedia. Acciambellato sulle sue gambe, c’è un gattino dal pelo bianco e morbido che il grifondoro accarezza come il villain di un film di spionaggio. «Finalmente ci incontriamo, Mister Parker.»

«Oh. Uhm, mi stavi aspettando?»

Tony scuote il capo. «Essere mezzobabbani è uno spreco per voi.»

Ma i ragazzi non sono gli unici ad averlo cercato. Con uno spintone che scansa Peter di lato, Loki fa il suo ingresso nell’aula, seguito quasi subito da Bucky e dall’occhiata seccata che indirizza alle cosce di Tony.

«Quante volte dovrò dirti di smettere di rapire il mio gatto, Stark?» Borbotta il tassorosso, avanzando fino alla pedana che ospita la cattedra.

«Lo dici come se a lui dispiacesse. Guardalo: dietro a quell’adorabile musetto peloso si nasconde un anima da Mangiamorte. Non è vero, Alpine[3]? Chi è il gattino più malvagio del mondo, che distruggerà tutte le cravatte di Rogers, eh? Ma certo che sei tu! Rendi fiero il tuo papino~»

«Stark, non sei suo padre.»

«No, ma mi preferisce a Rogers e questo è tutto quello che conta.»

Bucky si preme il setto nasale; questo è il karma che lo punisce per aver preso un posto che spettava a Steve, per averlo voluto mettere da parte invece di fidarsi fino in fondo di quel caprone grifondoro.

«Se solo la smettessi di traviarlo» sospira, inginocchiandosi con una mano tesa in avanti. «La volta scorsa ho impiegato una settimana a convincerlo che Steve non fosse un tiragraffi ad altezza umana.»

Con un fischio richiama l’attenzione del piccolo micio.

Orecchie tese e musetto sollevato, Alpine si libera dalle carezze del grifondoro per balzare tra le braccia del suo padrone.

Tony lo guarda offeso, ma ora che la solitudine dell’aula nel dopo-lezione ha lasciato il posto a una folla da circo, ha ben altro a cui pensare che non sia il tradimento del famiglio di Barnes.

«Mamma gatto cercava il suo cucciolo, wannabbe Lord Oscuro… non voglio saperlo…» Lo sguardo passa da Bucky, a Loki, per poi fermarsi sul trio più giovane. «Voi tre piccoli porcellini, invece, che ci fate qui?»

Peter e i due corvonero si rianimano di colpo.

«Abbiamo visto Artemio Stavridis!» esclamano in coro, facendo a gara a chi urla di più.

Tony li guarda senza capire cosa ci sia di così entusiasmante e cosa c’entri lui in tutto questo.

«Congratulazioni?»

Peter scuote il capo con vigore. «No, no, non capisci! Ho letto tutto su di lui su “ADS”!»

«ADS?»

«“Affari da Snaso”. È una rivista che tratta di personalità di spicco nel mondo dell’Erbologia, delle Creature Magiche e dell’Alchimia. Tempo fa è comparso un articolo perfino su Olivander e sulla teoria di una bacchetta senza nucleo e le sue infinite potenzialità.»

Bucky si irrigidisce, stira le labbra e per un attimo le sue dita vengono attraversate da un guizzo nervoso.

MJ tira una gomitata al grifondoro, come farebbe con un qualsiasi motore ingolfato. «Arriva al punto, Peter.»

«Ah sì! Quello che volevo dire è che si tratta di un esperto Magizoologo greco! Lui e il professore di Cura delle Creature Magiche stavano parlando di condizioni in cattività, prede, cibo… sono sicuro che la sua presenza qui ad Hogwarts non sia un caso, ma c’entri con la Prima Prova. Si tratta di una Creatura magica! Deve essere così!»

Tony butta fuori uno sbuffo. «Nella perfetta tradizione del Torneo.»

Bucky si risolleva in piedi. Al sicuro tra le sue braccia, Alpine ha iniziato a fargli le fusa e struscia il musetto sulla sua divisa. «Se hanno scomodato qualcuno addirittura dalla Grecia…»

«Uh! Uh! Questa la so:» dice Ned, saltellando sul posto con un braccio sollevato. «vuol dire che la Creatura Magica viene da lì.»

«Manticora.»

Quattro paia di occhi si muovono a fissare MJ e la sua ovvia conclusione. «Che c’è? Ho anche io l’abbonamento ad “Affari da Snaso”.»

Mentre i suoi due amici la guardano con le bocche ancora spalancate, come avesse appena sconfitto un Dissennatore, Bucky le sorride e Tony le concede un’espressione ammirata. Ora capisce perché quel ragnetto esagitato, che ha troppa fretta di diventare grande, si sia preso una sbandata per la corvonero mezzosangue – ha buon gusto in fatto di donne, questo deve concederglielo.

L’unico rimasto indifferente è Loki. «Se è tutto qui, uno di voi due basterà per ucciderla.»

«Tutto qui?»

«Ucciderla?»

«Uno di noi due?»

Uno dopo l’altro, Ned, MJ e Bucky fanno notare cosa non vada nella sua frase.

Peter, invece, tende il braccio e indica la scrivania. «Ehm… è normale che quella puffola abbia una bacchetta

Tony si volta a seguirne la traiettoria, appena in tempo per vedere la piccola creaturina tenere in equilibrio sulla testolina un cilindro di ferro che termina con una punta rovente.

«Quello è un saldatore e no, Ironpuff[4], metti giù quell’affare!»

La puffola pigmea squittisce, ma alla fine rotola lontana dal saldatore che cade sul tavolo.

Pericolo cessato, vorrebbe poter dire Tony, ma uno ben più insidioso lo accende di brividi quando si volta a cercare Loki, trovandolo già sulla porta, con una smorfia irritata a spiegazzargli le labbra. Se non sapesse che Rock of Ages non ha spazio per gli altri in quel suo cuore di ghiaccio, direbbe quasi che fosse preoccupato per loro e per il Torneo, ma il serpeverde li ignora.

Tony lo intercetta prima che esca.

«Non eri venuto qui per aiutarci a pensare a una strategia?»

Loki neppure si ferma. «Non esaltarti troppo Stark, ho già respirato abbastanza della vostra aria. E se non siete in grado nemmeno di sconfiggere una sola bestia, meritate di venire divorati.»

Tony ormai nemmeno si stupisce delle sue frecciatine minacciose, ma non riesce a togliersi dalla testa l’impressione che il serpeverde abbia in mente qualcosa. Per un po’ lo segue con lo sguardo, esce sul corridoio e lo osserva sparire verso il basso, in direzione dei sotterranei e della Sala Comune serpeverde.

Che si sia sbagliato?

Quello a cui però non ha pensato, è che nei sotterranei si trova anche l’aula di Pozioni.

 

 

Tony e Bucky si sono giocati a gobbiglie la Prima Prova.

Ha vinto Tony.

O ha perso, immagina dipenda dai punti di vista, ma perché fare i pignoli quando puoi cominciare la settimana affrontando un Ammazzadraghi?

Non ha voluto nessuno insieme a lui nella tenda allestita per i campioni del Torneo. Non appena ha adocchiato Rogers cercare di nascosto di intrecciare le dita alla mano della sua mogliettina tassorosso, ha rischiato un attacco di orticaria e li ha cacciati fuori dai piedi, insieme a Rhodey e a Pepper venuti per augurargli buona fortuna.

È meglio così. Non vuole che lo vedano nervoso, o sappiano che anche Tony Stark conosce la paura, anche se la sua, più che di venire sventrato e divorato da una bestia che sembra un patchwork dell’Arca di Noe, è paura di fallire.

Seduto a uno sgabello, apre e chiude a pugno le dita della mano destra per assicurarsi che il suo guanto non gli sia d’impiccio. Ha passato la sera a migliorarlo e ora la pelle e le sottili placche d’acciaio che gli danno forma arrivano a coprirlo fino al gomito.

I suoi professori sono così abituati a vederlo con quell’affare sempre addosso, che ormai lo considerano parte di lui; così quando è stato il momento di controllare le divise, nessuno ha battuto ciglio.

Seduti in cerchio, i ragazzi di Beauxbatons e la sua preside uniscono le mani intonando l’inno francese della loro scuola.

Nell’altro angolo della tenda, il Campione di Durmstrang è solo – una montagna tutta muscoli, che sembra aver scuoiato un leone per indossarne la pelliccia. Non gli concederebbe più di un’occhiata fugace, se non fosse per una seconda ragazza di Durmstrang che lo raggiunge e gli sorride con un languore attraente quasi familiare.

La vede sollevare il palmo e soffiare un bacio alla montagna. In controluce, gli sembra di notare qualcosa sollevarsi nell’aria, una polvere semitrasparente che si deposita sul volto del campione, ma questi non fa una piega e invece si batte il petto come un vichingo appena uscito dall’800, borbottando qualcosa in una lingua che non capisce.

Curioso, Tony insegue la scia della ragazza che sparisce fuori dalla tenda. C’è qualcosa di lei, nel suo passo elegante, nelle mani lunghe e aggraziate, nei colori verde e oro del suo abito e nei capelli di seta corvina, che gli ricordano…

«Oh cazzo!»

Convinta di essere sola, le curve della ragazza si rimodellano, diventano linee più forti ma altrettanto eleganti, il seno si appiattisce e i tratti duri di un volto tipico della gente del Nord si ammorbidiscono in un profilo nobile e affascinante.

È come vedere la nascita di un elfo oscuro.

Un dannatissimo elfo oscuro che porta il nome di Loki Odinson.

«Ma che…» Per la prima volta nella sua vita Tony rimane senza parole. Ha sentito parlare di metamorfomaghi, ma non credeva ne avrebbe incontrato uno proprio ad Hogwarts, e ora non sa se lo ripugna di più scoprire che tra si tratti di Loki o il fatto che lo abbia trovato sexy fino a un attimo fa.

Forse la Manticora lo ha già ucciso e questo è il suo inferno personale.

«Che diavolo gli hai fatto?» si costringe a chiedergli.

Loki sorride affilato e Tony non è più sicuro di voler conoscere la risposta. Dovrebbe parlarne con i professori, ma nemmeno quel figlio d’un Basilisco può essere così pazzo da uccidere apertamente un ragazzo, solo per vincere uno stupido Torneo.

«Preoccupati di quello che farò a te se non riuscirai a recuperare il mio cilindro.»

…o magari sì.

«Il tuo spirito di squadra mi scalda il cuore, Odinson.»

 

 

Il campione di Durmstrang non è morto. Qualcosa è andato storto, ma è sopravvissuto, e quando il colpo di cannone spacca il cielo come il ruggito di un Drago, Tony non ha tempo di preoccuparsi di lui.

È il suo turno.

Estrae la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni. Un pezzo di legno di noce non più lungo di venti centimetri, che da una parte si mostra cavo, scavato fino al nucleo, dove corde di cuore di drago si intrecciano scoperte. È come se quella cavità fosse fatta per contenere qualcosa – nello specifico J.A.R.V.I.S., il pennino grafico che il grifondoro usa per registrare i dati dei suoi duelli, ma che quest’oggi ha dovuto lasciare in dormitorio.

Con un sospiro profondo, ruota la bacchetta tra le dita come un batterista pronto per il suo concerto.

«E andiamo.»

Un passo e l’Arena si apre davanti a lui: uno spazio ovale di più di mezzo chilometro di circonferenza, circondato da enormi rune di contenimento e, al di sopra, dagli spalti a cui siedono gli spettatori.

Il terreno è perlopiù roccioso. Al centro un’arrampicata verticale conduce alla zona sopraelevata, una ricostruzione in scala di un’Acropoli su cui torreggia lo scheletro del Partenone: colonne crollate e macerie senza quasi più forma. È lì che la Manticora lo aspetta, un bestione che perfino da lontano sembra imponente.

Il suo compito è quello di recuperare il cilindro di piombo legato al collare della Bestia. Né più, né meno.

Tony schiocca la lingua contro il palato.

E…

«Nope

com’è avanzato, fa dietro-front.

Dagli spalti si levano rimbrotti, risate e gridolini di sorpresa. C’è chi si chiede se stia già fuggendo con la coda tra le gambe, ma quando lo vedono agitare la bacchetta, si stringono tutti d’istinto alle loro poltrone.

Una dopo l’altra si creano piccole piattaforme circolari che mano a mano salgono verso gli spalti, una scala magica su cui Tony balza, sino ad arrivare alla balconata che ospita la scuola di Hogwarts, là dove si raccolgono i tassorosso.

Si aggrappa alla balaustra di ferro e strizza un occhiolino alle ragazze che ridacchiano e lo salutano sventolando una bandiera che cambia colore ad ogni movimento, mostrando i volti dei tre campioni della loro scuola. Ma è una in particolare la ragazza che cerca: capelli d’oro rosso, una manciata di lentiggini sul naso e lo sguardo di chi lo capisce anche nei silenzi. È Virginia Potts, che ne incrocia gli occhi e vorrebbe farsi ingoiare dalle panche.

Quando raccoglie abbastanza coraggio da alzarsi in piedi, sotto gli urletti concitati dei compagni di Casa, e lo raggiunge, Tony ha un sorriso da canaglia.

«Pensavi davvero non ti avrei trovata, qui in mezzo?»

Pepper sospira e con una pacca leggera stira le maniche corte della divisa da combattimento del grifondoro, in un gesto dato più dall’abitudine che dalla necessità. «Non stai guardando dalla parte sbagliata dell’Arena? Dovresti pensare alla tua prova, invece di distrarti, Tony.»

«Quella distratta sei tu, Miss Potts.»

Lei sbatte ciglia lunghe e folte in un’adorabile espressione confusa.

«Mi è stato promesso un bacio e non l’ho ricevuto. Di’ un po’, patteggi per la scopa in culo dalla lingua biforcuta e cerchi di uccidermi? Almeno scegliti un partito migliore.»

«Se patteggiassi per lui, non saresti qui a chiedermelo. Una delle mie migliori qualità è l’efficienza.»

Tony annuisce – e non perché la prenda in giro, ma perché sa che è vero. Pepper è efficiente, bella, intelligente e spiritosa, e lui alle volte sente di non meritarla, ma è troppo egoista per lasciarla andare, troppo giovane per non credere che senza di lei sarebbe perso per sempre.

«In questo caso…» Affonda una mano tra i capelli lunghi della ragazza e la avvicina a sé. Il resto è pura e semplice magia, di quelle per cui non serve una bacchetta, ma un cuore che batte e la bocca soffice di Pepper contro la sua.

Davanti a quel bacio, qualcuno fischia dalla zona dei serpeverde e da quella di Durmstrang, qualcuno applaude tra i grifondoro, da Beuxbatons urlano “Ah, l’amour”, mentre dalla terrazza occupata dal Ministro della magia inglese e ospiti illustri, Fury desidera strapparsi anche l’occhio buono.

Quando il bacio si scioglie, Tony è finalmente pronto ad affrontare la Manticora; diamine!, per come si sente potrebbe affrontare un’intera nidiata di Draghi!

Così com’è salito, l’incanto Circularis lo riporta nell’Arena, direttamente all’ingresso dell’Acropoli, dove la Manticora si muove avanti e indietro come una bestia guardiana di un tempio.

«Scusa l’attesa, buddy. Ti sono mancato?»

La creatura cala una delle grosse zampe leonine nel terreno, schiaccia roccia e terra sotto la sua enorme impronta. Dietro il massiccio corpo di leone, si agita la grossa coda di scorpione, mentre il muso in parte uomo e in parte bestia si deforma in uno spalancare di fauci.

Lo schiocco della mascella è un suono tetro che rimbomba per l’intera Arena.

I fischi, gli applausi e i commenti si sono ormai spenti; non c’è nessuno ora che possa aiutare Tony – è solo con una bacchetta, il suo cervello e un bacio portafortuna.

«Allora, come vogliamo giocarcela?»

Quando le fauci della Manticora si riaprono, l’ultima cosa che il grifondoro si aspetta è una risposta; invece, nel ruggito feroce si mescolano quelle che crede siano parole: «Fagitó. Tróo.»

Reclinando il capo all’indietro, si gratta la tempia con la punta della bacchetta.

«Il mio greco è un po’ arrugginito, ma è troppo sperare che abbia appena dichiarato la tua resa, vero?»

«Cibo. Io divora.»

Come poco prima, la traduzione giunge inaspettata e Tony schiocca le dita e termina il gesto con l’indice puntato verso la Manticora.

«La sai una cosa? Ti preferivo quando non parlavi.»

Non è una battaglia che può vincere a colpi di sarcasmo, ma non può farne a meno, e ancor prima di riuscire a terminare la sua frase, un’ombra si abbatte su di lui. La coda di scorpione ha frustato l’aria, uno schiocco così forte che gli riverbera nel petto e se non fosse per i riflessi allenati e l’agilità da Cercatore, non sarebbe riuscito a evitare il colpo per un soffio, tuffandosi di lato, sotto una pioggia di detriti.

Scuote il capo, levandosi dai capelli la patina di polvere e terra che lo ha ricoperto e che per un attimo lo rende cieco. È un attimo di troppo: la coda della Manticora si muove in una spazzata, prendendolo in pieno – è come venire investiti da una squadra di Quidditch al completo, in accelerata contro il suo stomaco, che lo scaraventa lontano, a schiantarsi addosso a una delle colonne rimaste ancora in piedi.

Lo scontro è così forte che la sente tremare pericolosamente dietro di sé, sul punto di crollare.

Si porta una mano allo stomaco. Il dolore esplode tra i nervi tingendo il mondo di bianco, e sa per certo di essersi incrinato qualche costola. 

«Il prossimo che mi dice che non è vero che Silente programma da anni l’omicidio perfetto dei suoi studenti, si becca un Mangialumache.» Eppure c’è una strana eccitazione che gli attraversa il corpo, una scarica di adrenalina che gli fa pompare il cuore a mille anche quando quel maledetto pungiglione, grosso quanto una noce di cocco, danza nell’aria. Ama le sfide, ama il pericolo e ama riuscire a uscirne sempre vincitore.

Un’altra frustata. Troppo veloce questa volta perché possa evitarla e allora Tony non ci prova neppure, ma punta la bacchetta e grida «Bombarda!»

L’onda d’urto dell’esplosione che investe la coda della Manticora sbatte Tony lontano dalla traiettoria, ma non abbastanza da sfuggire alla zampata che all’ultimo secondo lo artiglia rigettandolo a terra.

Tra le rocce, a qualche metro di distanza, cade e rotola via un pezzo di legno.

Quando il fumo si dirada, non c’è nemmeno una scalfittura sul carapace della coda e quel che è peggio è che la mano destra del ragazzo è vuota: ha perso la bacchetta.

Tendendo le braccia indietro, fa forza sulla colonna traballante alle sue spalle per tirarsi in piedi. Ha la maglia stracciata all’altezza del petto, strisce di sangue che gli attraversano la pelle e gli ricordano perché non è mai un bene fare incazzare le bestie in possesso di artigli. Dovrà ricordarsene la prossima volta che rapirà Alpine dalle braccia di Barnes.

Ma per ora, mentre tasta il marmo dietro di sé e si abbassa leggermente sulle ginocchia, c’è ancora un bestione extra large di cui deve occuparsi.

Il cilindro di piombo non è mai stato così vicino, stretto al collare anti-accio chiuso al collo della Creatura a un passo dal grifondoro.

Sorride e spalanca le braccia, «Facciamo che te la faccio più facile, mhm?» offrendosi come facile bersaglio.

E la coda cala di nuovo.

Non appena sente il rumore di frusta, però, Tony scatta, scivola con i piedi in avanti e si lascia cadere di spalle, incrociando le braccia davanti al volto per coprirlo.

Il pungiglione sbatte contro la colonna e il colpo questa volta è troppo forte, portandola inevitabilmente al crollo – enormi pezzi di marmo bianco rovinano sulla coda della Manticora, imprigionandola sotto al loro peso.

Sotto la creatura, Tony ruota il capo, osserva compiaciuto la tomba momentanea del pungiglione, mentre sopra di sé l’uomo e il leone ruggiscono di dolore e frustrazione, senza riuscire a liberarsi.

«Hai mai giocato d’azzardo?» chiede d’un tratto il grifondoro. È il gran finale e vuole che conti. «No, certo che no. Allora preparati perché stai per perdere la verginità con me: il tuo corpo sarà anche a prova di incanti, ma scommetto che ne conosco almeno uno che non puoi annullare.»

Nel muso della bestia, si forma un’espressione umana. La Manticora sorride: un sorriso selvaggio che mette in mostra fila di denti affilati come rasoi, mentre occhi ferali lo inchiodano a terra e grondano fame e voglia di sangue.

«Tu. E quale. Bacchetta?» Il ruggito fa colare filami di saliva sul volto di Tony, ma il grifondoro gli è grato per la domanda e con un mezzo ghigno, allunga il braccio di lato.

«Quella bacchetta.»

Abbandonato tra le rocce, il legnetto di noce vibra, risponde al richiamo e in un guizzo magico, la bacchetta si solleva e torna tra le mani del suo mago.

Dal palco si leva un tuono: «Gliel’ho insegnato io!»

Nonostante la distanza, Tony sa già che si tratta di Thor e vorrebbe rispondere che no, quel surfista shakespeariano non gli ha insegnato un accidenti – che al massimo, e a essere molto generosi, gli ha dato l’idea, lui e la sua stupida mazza da battitore, Mjolnir, come se un nome inciso nel legno servisse per trasformarla nel martello di un dio norreno. Ma la magia istillata nel guanto di Stark è sua, tutta sua.

E quando finalmente torna a stringerla tra le dita, svelto allunga la punta verso il muso della Manticora.

«Scacco matto.»

O così ha creduto.

Crack

È bastato un secondo.

Le fauci della bestia si spalancano, l’azzannata gli ingoia mano e bacchetta e tra i denti perlati colano gocce di sangue che si infrangono sul volto di Tony.

È silenzio tra i palchi, un silenzio innaturale, che sospende nell’aria lo stupore, la paura, il dolore. E in quel silenzio si fa strada una melodia dolce, un mugugno di gola – la Manticora sta cantando per lui.

«To-TONY!» grida Pepper.

Oh Pepper, la sua Pepper, di cui porta ancora il sapore sulle labbra.

«Non…» Intrappolato in una morsa feroce, Tony tasta le parole.

La manticora canta e mastica. Mastica. Mastica.

Il braccio ha un tremito involontario. «Non te l’ho detto?»

Crack Crack Crack.

Tony strizza gli occhi, ma quando li riapre, le labbra si arricciano in un sorrisetto sardonico.

«Un piccolo ragnetto mi ha prestato una rivista interessante; in un articolo si parla tanto della tua pelle impenetrabile agli incanti, ma nemmeno una parola sulle tue budella.»

Cra—

La melodia s’interrompe di colpo.

Tony scorge la confusione che attraversa la Manticora quando si rende conto che quello che ha incastrato tra i denti non sono schegge d’osso, ma placche di metallo rafforzato che lo schiocco della mandibola è riuscita a penetrare, ma non a rompere.

Con la mano ancora nella bocca del mostro, il grifondoro rinsalda la presa e concentra l’incanto.

«Incen—»

Allarmata, la Creatura sbarra occhi di bestia e uomo, agita inutilmente il pungiglione incastrato tra le macerie.

Tony ridacchia «Scherzavo, dopotutto siamo ancora in fascia protetta.» ma non le dà comunque il tempo di fuggire «Pietrificus Totalus!»

E quel carosello di adrenalina e paura può finalmente interrompersi sul fermo immagine di una Manticora ruggente, nei cui occhi si specchia il sorrisetto vittorioso di Stark, mentre fa forza sugli addominali e si solleva quel che basta per poter finalmente appropriarsi del cilindro.

«Questo lo prendo io~»

Con un sospiro, infine, si lascia cadere di schiena sul terreno, il braccio rimasto incastrato tra fauci pietrificate.

«Ehy! La prova è finita! Qualcuno può venire a recuperarmi o devo portarmi dietro il bestione?!»

 

 

Fuori dall’Arena è un’esplosione di urla e ovazioni.

Con il braccio destro bendato da un Ferula di primo soccorso, Tony si fa strada tra i ragazzi che lo acclamano.

Riesce a sentire il campione di Durmstrang sputare lamentele, gridare al sabotaggio, ma un uomo dagli occhi gelidi e il sorriso affilato lo fredda sul posto sibilando qualcosa a proposito della sua stupidità nell’essersi fatto spruzzare polvere di testosterone di Manticora. A quelle parole ha smesso di ascoltare, l’ultima cosa che desidera è sapere che quell’armadio a quattro ante sia stato molestato da una Creatura magica.

Mentre Rodhey gli grida, oltre la folla di compagni, che è arrivato al primo posto a pari merito con Beauxbatons, lui fa segno a Pepper di pazientare. Prima di raggiungere lei, il suo passo si ferma di fronte a uno stupito Peter Parker che lo guarda con un’occhiata da cucciolo scodinzolante e quasi lo chiama Signor Stark, quando Tony gli sbatte la mano sana sul braccio.

Non gli dirà che se non fosse stato per lui e la sua rivista, non avrebbe passato la sera a rafforzare il suo guanto, ma quando lo vede illuminarsi come un marmocchio a Natale, qualcosa gli suggerisce che Peter lo ha già capito.

Poco prima di allontanarsi da lui, gli lancia qualcosa tra le mani.

«Un souvenir.»

Quando Peter apre la mano, nel palmo stringe un dente di Manticora.

 

[ 5.924w ]



[1] nella mitologia norrena è una maga esperta nella divinazione e negli oracoli (e sì, il femminile è voluto)

[2] letteralmente: padre di tutto (allfather), è uno dei nomi con cui viene chiamato Odino nella mitologia, ma visto che non ho idea di come funzioni il governo del Nord, ho deciso che a capeggiare quella zona invece di un Ministro o un presidente o quel che l'è, c'è una figura chiamata Allfǫðr e più che altro la loro è una monarchia. Perché? Perché sì e perché significa che Thor e Loki sono effettivamente principi, easy! (e perché tanto ai fini della storia non è davvero importante XD)

[3] nei fumetti Marvel, Bucky possiede un gatto dal pelo bianco di nome Alpine

[4] in inglese la puffola pigmea si chiama pygmy puff, da qui il gioco di parole


 

A questo punto potremmo intitolare il capitolo: "gente che cambia i connotati everywhere"! Ops. XD

All'inizio, per Loki pensavo di dargli la Legilimanzia, ma dato che è già portato per la Divinazione - e che già questa è una seccatura per me - ho optato per farlo diventare un metamorfomagus, che tanto è abbastanza nel personaggio.

Per quanto invece riguarda gli animagus: non mi ricordo se la loro trasformazione comprendesse anche i vestiti; sono abituata alle land potteriane dove solitamente quelli vengono tolti e a logica mi sembra strano che si trasformino insieme al mago; comunque, visto che ero troppo pigra per controllare, ho deciso io per tutti e pace!

Un po' piange il cuore che in questo capitolo non sia riuscita ad inserire nessun accenno concreto alla stucky, ma sono comparsi così tanti personaggi che aggiungerci anche Steve avrebbe significato allungare di più il brodo e portarmi a un passo da una crisi di nervi, senza contare che la prova era dedicata a Tony e che quindi il focus principale volevo fosse lui. Mi rifarò con il prossimo capitolo che, tempo e ispirazione permettendo, sarà sul Ballo del Ceppo, per ora è un miracolo che almeno con questa fic io sia ancora in gara. Auguratemi buona fortuna XD

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Scritta per Torneo Tremaghi - Multifandom edition @L'angolo di Madama Rosmerta – Prima Prova

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Capitolo 3
*** Le ben educate frivolezze di un Ballo ***


pairing

pairing: Steve/Bucky { stucky }; Tony/Pepper { pepperony }; Thor/Loki { thorki }; Peter/MJ { spideychelle}; Zemo/Bucky { winterbaron - accenni oneside }; Clint/Natasha { clintasha }

warnings: slash, incest, post-siero Steve, au (hogwartsverse), age difference

 

I personaggi appartengono a chi di diritto.

 


 

We are the Brave 

______________________________

 

 

III | Le ben educate frivolezze di un Ballo

Popolare, Tony Stark, lo è stato fin dal primo giorno di scuola. Di inchiostro per gli articoli su di lui, sul The Merlin’s Voice scolastico[1], se ne è sprecato a litri, senza contare le foto in movimento rubate dalla polaroid più veloce di Hogwarts – a chi appartenga davvero è ancora un mistero, la firma è un allegro “Il vostro amichevole stregone di quartiere”, che ha dato adito a tante speculazioni.

Dopo la vittoria alla Prima Prova del Torneo, la sua popolarità ha avuto un upgrade e ha fatto di Stark un vero e proprio eroe. Dalle finestre ad arco della Torre Grifondoro sventolano stendardi rossi con la sua immagine e una manticora svenuta ai suoi piedi; a pranzo c’è chi fa a gara per potersi sedere accanto a lui sulla panca o sviene quando per puro caso gli sfiora il mantello; non c’è fan del Fantaquidditch[2] che non lo abbia acquistato per la propria squadra fittizia; e perfino tra le fila della Casa di Salazar c’è chi lo guarda con ammirazione.

Non da meno, i suoi compagni di squadra vivono di fama riflessa.

Nemmeno Loki può sfuggire ai pigolii innamorati delle ragazze serpeverde. In Sala Comune, su una lavagnetta a diffindo nascosta dietro le braci del camino, i più piccoli tengono conta di ogni volta che il Prefetto rivolge loro la parola – di solito minacce velate. L’ultima tacca l’ha aggiunta Darcy Lewis, forse l’unica corvonero di tutto il Castello sempre informata sulle trame delle serpi.

Per Bucky, però, le cose si fanno un po’ diverse.

A seguirlo per i corridoi, a fissarlo con occhi a cuore durante le lezioni o a cercare di rubargli le piume dalla tracolla per avere un pezzo di lui a tutti i costi, non c’è soltanto la scolaresca di Hogwarts.

Da un po’ di tempo ha iniziato a sospettare di essere entrato nel mirino di uno dei professori che hanno accompagnato la delegazione di Durmstrang e del loro preside. Se quest’ultimo lo ricorda per aver rimesso in riga il loro Campione alla fine della Prima Prova, diversa storia è per il professore, che i ragazzi di Durmstrang chiamano con il soprannome di Baron Zemo.

Ogni scusa sembra buona a Baron Zemo per rivolgergli la parola e metterlo in imbarazzo davanti a tutti. E ora che il professore ha avuto il permesso di tenere una lezione speciale, Bucky cerca di farsi ingoiare dalla massa di studenti raccolti in cerchio intorno all’aula.

«Mi è stato riferito che i ragazzi di Hogwarts non conoscono l’importanza di un’arte antica quanto la danza. E dato che non vogliamo che facciano brutta figura al Ballo del Ceppo, vi insegnerò come si fa. Per quanto sia possibile insegnare qualcosa a delle scope babbane» afferma il professore, l’accento spigoloso delle Terre del Nord e gli occhi scuri che attraversano la scolaresca, rimbalzando sulle loro teste.

Dai ragazzi di Durmstrang e da quelli di Beauxbatons si levano ridolini di scherno.

«Per questa dimostrazione ho bisogno di un volontario.»

«Non me, non me, non me…» Bucky prega sottovoce, scivola dietro le spalle ampie di Thor Odinson, protetto dal borbottio annoiato che il ragazzo ha condiviso con la vicina Sif per tutto il tempo, e si convincere di essere al sicuro.

Sciocco illuso, ha dimenticato che il Grifondoro ha lo spirito dei guerrieri, di chi sa vedere dietro la schiena e a occhi chiusi potrebbe attraversare un nido di Acromantule, ma manca di tutto il resto.

«Signor Barnes?» chiama Zemo, fingendo di leggere il nome dall’elenco che Silente ha consegnato alle scuole ospiti.

L’aula tace, i ragazzi si guardano intorno; anche Steve alza la testa a cercarlo, perché fino a un attimo fa giura di averlo avuto al proprio fianco.

È Thor a mettere fine alla ricerca: alza la mano, richiama l’attenzione del professore e si fa di un passo di lato.

«È qui. Non lo vedeva perché coprivo il suo corpo gracile.»

Bucky lo guarda a braccia spalancate. «Gracile?»

Il grifondoro ride orgoglioso e sbatte una manata sulla schiena del ragazzo, che lo butta in avanti, oltre i compagni, verso il centro dell’aula.

«Grazie, Thor…»

«Non c’è di che, Beorn[3] dei tassorosso.» Con un sorriso largo, Thor annuisce – Bucky non si capacita di come condividere gli stessi geni di Loki non gli abbia affilato l’intuito, e dopo diciassette anni ancora non abbia naso per il sarcasmo.

Lascia perdere invece la strana pronuncia del proprio cognome; dopo anni che si conoscono, ha rinunciato ad ogni sorta di correzione (o alla preghiera di chiamarlo Bucky, non James, non Barnes, definitivamente non Beorn, ma solo Bucky). E quando il professore di Durmstrang lo invita a prendere posto letteralmente tra le sue braccia, l’aula si riempie di risate e il corpo di Bucky di brividi gelati.

Se solo avesse lasciato perdere le gobbiglie di Stark e avesse partecipato lui alla Prima Prova! A quest’ora almeno sarebbe già stato digerito da una Manticora, invece di ritrovarsi a muoversi a passo di danza insieme a un professore sconosciuto di una scuola rivale.

«Si rilassi, non sia timido» gli dice l’uomo, una manciata di centimetri più basso di lui, ma con mani grandi e dita lunghe da pianista che ne impostano il passo e quasi con prepotenza lo conducono dove vogliono.

Se non sapesse che si tratta di una lezione, giurerebbe che si stia divertendo a fare di lui un bambolotto da muovere a suo piacimento, e la cosa non gli piace affatto.

Di inviti ai Balli, Bucky ne ha avuti da tutta la vita; ci sono conti e duchi da qualche parte nell’albero genealogico dei purosangue Barnes e se anche il titolo non è giunto sino a lui, non esiste famiglia purosangue in tutta la Londra Magica che non gli abbia messo gli occhi addosso e non lo consideri un buon partito per le figlie.

È già stato il cavaliere di metà popolazione femminile londinese, ma assumere il ruolo della dama è un’esperienza nuova, che avrebbe preferito condividere con qualcun altro – ad esempio un certo grifondoro biondo, alto, con gli occhi azzurri e possibilmente non imparentato con gli Odinson.

Muove i piedi meccanicamente, senza prestare ascolto a quello che il professore ha da dire alla classe (Non guardate i vostri piedi, tenete le spalle dritte, scandite nella vostra testa il ritmo, un-due-tre, un-due-tre) finché questi non gli si rivolge direttamente.

«È portato per la danza, Signor Barnes.»

«È un dono di natura.» Solleva gli angoli della bocca nella brutta imitazione di un sorriso. «Abbiamo finito?»

È l’impazienza a fregarlo.

Un passo falso all’indietro e inciampa sui propri piedi, cadendo di schiena.

La presa del professore si stringe, l’uomo stende una gamba di lato, cambia il baricentro e ferma la caduta in un perfetto casquè[4] da mozzare il fiato, che fa scrosciare applausi dall’intera classe.

Rovesciato all’indietro, il cuore in gola e le mani aggrappate alle spalle del professore, Bucky mantiene i muscoli tesi. Avrebbe preferito ritrovarsi sdraiato a terra, una botta alla schiena e via, così invece gli tocca sopportare anche lo sguardo di Zemo che, a un respiro di distanza, gli serpeggia addosso, quasi a volergli entrare dentro. Riesce a sentire la forza delle sue dita che gli stringono un fianco, una presa dura che per un attimo gli sembra si muova in una carezza lenta, quasi inesistente, ma che Bucky percepisce dirigersi verso la cintura dei calzoni.

Di colpo fa leva sulle reni, sollevandosi a forza e obbligando il professore a fare lo stesso.

«Ora può lasciarmi.»

Lo sguardo stupito di Zemo è una piccola vittoria che si segna mentalmente.

 

 

Helmut Zemo sorride, il volto disteso, le emozioni di nuovo perfettamente sotto controllo.

Da giovane, Durmstrang è stata la sua casa, il rigore e la disciplina delle arti oscure il suo credo, ma di quel posto e delle terre che la ospitano non condivide null’altro. Tra i giganti di quella scuola sembra un nano, gli manca la minaccia dell’imponenza, l’intimidazione del fisico; ma dietro al sorriso quieto, allo sguardo ambiguo e all’eleganza figlia di nobili natali, c’è il volto di uno stregone calcolatore e pericoloso.

Non si aspettava che il ragazzo fosse in grado di rialzarsi da solo da quella posizione, ma deve ammettere che Barnes ha l’agilità di un felino e una muscolatura asciutta ed elastica che si rifiuta di essere modellata dalle sue dita.

È una sfida, quel James Buchanan Barnes, forse perfino più interessante del ragazzo nato magonò che ha tanto attirato l’attenzione del loro rektor[5].

Con calcolata lentezza, muove un passo indietro e allontana le mani dal tassorosso.

«Certamente.» Spera di non essere stato troppo precipitoso, l’ultima cosa che vuole è che qualcuno scopra il vero motivo per cui, tra tutti i professori di Durmstrang, il rektor abbia deciso di scomodare proprio lui, trascinandolo fin nelle Highlands.

«Può tornare al suo posto. Spero non si sia fatto male.» gli sorride, nella tinta nocciola dell’iride si accende una sottile traccia di divertimento appena visibile, messa in mostra perché l’altro lo noti.

E il ragazzo per un momento non fa nulla se non fissarlo – se ne è accorto, lo sa che se ne è accorto, ha l’occhio lungo quel Barnes, e un cervello che sembra lavorare più velocemente della media dei suoi compagni.

Sarebbe stato un ottimo studente di Durmstrang.

Zemo lo guarda riprendersi, tirarsi un paio di pacche sui pantaloni, distendendone le pieghe, e sorridergli con una sfacciataggine da dito medio alzato, che non c’è, ma si sente.

«Sono un Campione del Torneo, ci vuole più di un passo di danza per spezzarmi, professore.»

Davvero un ottimo studente.

 

 

Nei cieli delle Highlands si ammassano nuvole cariche di neve. Clint lo sente nell’aria, nell’odore pungente che si respira dagli Anelli del campo di Quidditch, dove se ne sta semi-sdraiato, in equilibrio con la schiena e le gambe all’interno dell’Anello più basso e la sua scopa incastrata sotto l’ascella.

Si gode la quiete dell’altezza e la vittoria di una partita d’allenamento, che da quando il Torneo è iniziato, sono diventate più uniche che rare. Il loro Cercatore di riserva è un disastro su tutta la linea e giocare con la squadra al completo è stato un miracolo di Natale anticipato.

Devono ringraziare il cielo che oggi Bucky li abbia degnati della sua presenza.

A cavalcioni sulla sua scopa, un paio di metri più in basso di Barton, Barnes se ne sta con il mento poggiato sulle braccia incrociate in cima al manico, attardandosi a lasciare il campo e puntando invece lo sguardo sulla porta che conduce agli spogliatoi rosso-oro.

Sulla bacheca, subito dopo i tassorosso, era segnata la prenotazione del campo da parte dei grifondoro, e poter guardare il loro Capitano che vola sudato e concentrato su una sgargiante Mark-2000 – made in Stark –, sarebbe la distrazione perfetta da quanto accaduto quella mattina.

Clint, però, non sembra della stessa idea.

«Pensi che quel Barone di Durmstrang ti chiederà di andare al Ballo del Ceppo con lui?» gli chiede, inquadrandolo con la coda dell’occhio.

Bucky scioglie l’incrocio delle braccia, si tiene aggrappato con una mano sola, si dà slancio con una gamba, e appoggia la caviglia davanti a sé, sul manico. Quando solleva il pantalone della tuta, lì agganciata si trova la bacchetta che quando non gioca tiene invece agganciata alla cintura.

«Devo ricordarti che ho una bacchetta e so come usarla?»

Clint scrolla le spalle, la sua l’ha lasciata negli spogliatoi. A parte Bucky e Rogers, non conosce nessuno che se la porti dietro quando giocano, senza timore che voli via o si rompa per una botta da bolide.

«Era tanto per dire. Nonostante tutte le richieste che hai avuto in questi giorni sei ancora senza partner.»

«Magari chiederò a Nat di accompagnarmi.»

Clint ruota il capo, inquadra il sorrisetto malizioso di Bucky con entrambi gli occhi.

«O magari ti ucciderò durante il sonno, facendolo sembrare un incidente.»

Bucky ride, ma se c’è qualcuno che potrebbe riuscirci quello è sicuramente Clint. Ha sentito che perfino l’Agente Coulson, del dipartimento segreto degli Auror, ha messo gli occhi su di lui offrendogli un posto come tirocinante una volta conclusi i suoi M.A.G.O.

«Ma seriamente, quando pensi di chiederglielo?» Clint si fa scivolare di lato in caduta libera. Non che rischi di schiantarsi, ha la scopa con sé, l’agilità di un falco a caccia e la stessa vista acuta – gli serve mezzo secondo per mettercisi a cavalcioni e fermarsi di fronte al compagno.

Non precisa di chi si parli, ma sanno entrambi che Natasha non c’entra niente – e con tutte le ragazze che ci sono al Castello, l’ultima cosa che desidera è che lo chieda proprio alla sua!

«Avrei voluto chiederglielo oggi, ma dopo quello che è successo preferirei nascondermi in dormitorio fino a capodanno. All’idea di cosa potrebbe aver pensato Steve, vorrei potermi auto-schiantare

«Guarda che ormai lo sa tutto il Castello che non hai occhi che per Rogers; solo lui non l’ha ancora capito, ma non brilla esattamente per furbizia.»

Bucky storce il naso infastidito e con una virata stretta incrocia il manico contro la scopa del compagno, facendolo traballare appena. «Hai iniziato a passare il tuo tempo con Stark?»

Clint serra la presa, reclina il busto e mantiene l’equilibrio senza sforzo – e Bucky sa benissimo che non basta un colpetto a disarcionarlo, Barton non è una preda, ma un Cacciatore nato. Natasha è l’unica che potrebbe eguagliarne la bravura in quel ruolo, ma per fortuna non ha mai avuto interesse per il Quidditch.

«No, ma per una volta devo dargli ragione» gli risponde.

«Steve non è stupido.»

«Allora chiamiamolo miope. Meglio?»

Bucky raddrizza il busto e scuote il capo per nulla convinto. «In confronto a te chiunque sembra cieco, Occhio di Falco

«Non faccio io le regole, Barnes.» Si gratta il mento, trattenendo un sorrisetto divertito. «O devo iniziare a chiamarti anch’io Beorn dei tassorosso

«Fallo ed è la volta buona che convinco Sam a buttarti fuori dalla squadra.»

«Lo sai che sei l’unico che vorrebbe buttare fuori, vero?»

«Maledizione. Avrei dovuto accettare il posto di Capitano, invece di proporre lui.»

«Eh già. Un errore da pivello, bucko[6]

Ma la verità è che quelle di Clint non sono chiacchiere a vuoto. Questo potrebbe essere un giorno buono come un altro per confessare a Steve quello che prova per lui, perché un conto è addormentarsi nello stesso letto, come facevano da bambini, un altro invece è tirare fuori le palle e dirgli una volta per tutte che non è la sua amicizia che vuole, ma il suo amore.

Può farcela.

Si tratta di Steve, in fondo, il suo prezioso Stevie; cosa potrebbe mai andare storto?

 

 

La risposta è tutto.

Tutto può andare storto e tutto è andato storto.

Le scale davanti a Bucky continuano a cambiare, si muovono collegando e scollegando corridoi, mentre il ragazzo guarda in alto, un pianerottolo che non porta da nessuna parte, al cui muro è appoggiata la schiena di Steve. Inginocchiato di fronte a lui, con il volto esattamente all’altezza del cavallo dei suoi pantaloni, c’è un ragazzo dal riconoscibilissimo guanto di pelle e placche in metallo rosso: Tony Stark.

Bucky è tentato di mangialumacarlo all’istante, se non fosse che non vuole che quel bastardo playboy e traditore vomiti lumache nei pantaloni di Steve, o sul suo…

«…cazzo…»

Indietreggia di un passo, si volta, e si allontana dalle scala con l’impellente voglia di sciacquarsi gli occhi con l’acido.

 

 

Steve ha l’impressione che Bucky lo eviti dal giorno della lezione speciale sul Ballo del Ceppo.

È fin da quando era uno scheletro di bambino, un Asticello d’altezza e trenta chili scarsi, che sogna di poter chiedere un ballo a Bucky Barnes – non conosce strega che non abbia volteggiato con lui sulle note di un valzer, ma non pensava che perfino un professore di Durmstrang sarebbe riuscito a fregarlo sul tempo.

L’ha invidiato – anche se forse invidiato non è la parola giusta – e quando ha visto il casqué con cui hanno chiuso la danza, Steve non ha desiderato altro se non di strappare l’amico dalle braccia di quell’uomo. Non gli piace il modo in cui lo guarda, è un professore per amor di Merlino!, dovrebbe tenere i suoi occhi rivolti da ben altra parte che non sugli studenti.

«Sei sicuro di non essertelo solo immaginato? Lo sai che James ti adora.» Natasha Romanoff sfarfalla le lunghe ciglia scure e ruota gli occhi al soffitto.

Ha preso in giro Clint per essersi accollato le pare del compagno tassorosso, e il destino beffardo la punisce facendole subire la stessa pena con Steve – e pensare che tutto quello che gli aveva chiesto era di farle compagnia fino alla porta della sala comune Serpeverde.

È proprio davanti alle scale che portano ai sotterranei che trovano Bucky e il ragazzo di Durmstrang con cui sta discutendo.

«Parli del diavolo.» Natasha si sofferma a studiare il ragazzo sconosciuto: poco più basso di Barnes, ma con un fisico ben piazzato che lo rende più muscoloso, e nel modo in cui tira fuori il petto e si atteggia a gallo del pollaio, deve esserne perfettamente conscio anche lui.

Se non ricorda male è uno dei Campioni del Torneo, Brock Qualcosa – un nome che sembra creato apposta per un bulletto da young adult, di quelli che non stanno mai simpatici a nessuno.

Steve alza la mano in saluto e si posiziona al fianco destro di Barnes; Natasha invece sceglie il sinistro, gli tira una pacca leggera sul braccio e sospira in una recita delusa. «Ero convinta che quelli di Durmstrang avrebbero fatto la corte a Loki, e invece li trovo sempre in tua compagnia.»

«Non fraintendere, dolcezza, stavo spiegando a questo sfigato che è meglio che rinunci al Torneo. Con quei piedini da tip-tap potrebbe giusto fare carriera come spogliarellista in un nightclub babbano.» Brock – Brock Rumlow – si mette in mezzo, spintona indietro Bucky e prende il suo posto al fianco di Natasha.

Il tassorosso non oppone resistenza. Il primo istinto è quello di tirargli un calcio là dove non batte il sole, per punirlo della troppa confidenza che si sta prendendo, ma se c’è una cosa che ha imparato dell’amica è che sa badare perfettamente a se stessa.

Loki sarà anche l’immagine da copertina del perfetto serpeverde: ambizioso, infame, bugiardo e velenoso; lo guardi e pensi che è così che dovrebbe essere un mago da lato oscuro, bello e maledetto. Quelli di Natasha invece non sono lati, ma curve voluttuose, lei dei serpeverde è la nota sexy, la femme fatale con la bellezza da Veela ma il cuore di ragno. Lunghi capelli rossi come il sangue, occhi verdi incorniciati da un pizzo di ciglia lunghe, una bocca piena e carnosa e un corpo che è un peccato di lussuria.

«Ne hai di cose da dire in relazione ai babbani, per uno che frequenta una scuola di purosangue» scherza lei con voce di velluto.

Brock la guarda ed è già perso.

«Questo è perché noi di Durmstrang sappiamo bene che il sapere è potere.»

Natasha si lecca le labbra e finge ammirazione. «Sei così intelligente~»

«E vuoi sapere cos’altro sono?»

«Qualcosa mi dice che me lo mostrerai tu.»

«Ci puoi scommettere, tesoro.» Le circonda la vita con un braccio, la tira a sé, e quando i due ragazzi di Hogwarts si limitano a starsene imbambolati come le armature vuote del corridoio al terzo piano, sa di averli in pugno. «Andiamocene altrove e molliamo qui questi idioti, che guardare le loro facce da perdenti mi dà il voltastomaco.»

Con la punta di due dita Natasha picchietta la linea dei pettorali di Brock, una lenta camminata che si ferma alla base del collo e con le unghie lunghe ne solletica la pelle esposta. È una carezza elettrizzante, in un cui mescola pericolo e seduzione e che fa aumentare la salivazione di Rumlow e ne appesantisce il respiro.

«Non così in fretta, tesoro» gli fa il verso.

Dietro di lei, Bucky si volta dalla parte opposta cercando di mantenere il cipiglio serio, nonostante il tremore delle spalle che tradiscono la beffa, mentre Steve solleva gli occhi al soffitto alto del corridoio e fissa l’intonaco con le guance gonfie di risa.

«Prima devi avere l’approvazione di Rasputin, diventa geloso con gli estranei.»

«E chi sarebbe?»

«Il suo famiglio» risponde Bucky, le labbra incurvate in un’espressione che Brock fallisce a decifrare.

«Non vedo dove sia il problema. Portami al tuo dormitorio, così prima faccio amicizia col tuo famiglio e poi mi faccio la sua padrona.»

La risata di Natasha è una colata di miele fuso, che Brock sarebbe disposto a bere direttamente dalla sua bocca, ma quando si spegne, al fascino da sirena si sostituisce quello dell’aracnide.

«Non preoccuparti, non dovrai andare da nessuna parte, lui è già qui.» La serpeverde si sistema una ciocca rossa dietro l’orecchio, affila lo sguardo e lo studente di Durmstrang ha un tremito. «Saluta, Rasputin.»

Da sotto la chioma sanguigna si muovono le zampe di un famiglio grosso quanto il palmo di due mani – otto arti pelosi che scivolano fuori dal loro nascondiglio, mostrando un terribile muso altrettanto ricoperto di peli irti, tra i cheliceri spalancati scivolano fili di bava e il volto di Brock si riflette su più occhi di quanti lo studente sia disposto a sopportare.

Spaventato, balza lontano.

«Che cos’è quell’affare?!»

Natasha reclina il capo, strofinando la guancia sul carapace del famiglio come fosse un docile gattino. «Rasputin è una Vedova Nera. Avevo capito fossi quello intelligente della tua scuola.»

«Voi di Hogwarts siete tutti fuori di testa!» urla Rumlow, spostando lo sguardo tra lei, l’enorme ragno e gli altri due ragazzi. «Tenetevale, sai che me ne faccio di una ibrida puttana!»

Steve inarca un sopracciglio, ma prima che possa fare qualcosa, è la vedova nera di Natasha a muovere le zampe nervosamente davanti ai cheliceri, sputando un bolo di seta che manca Brock di poco, ma lo costringe alla fuga.

«Bravo, scappa, in quello sembri bravissimo.» Natasha accarezza la testa del ragno. «È troppo facile con voi ragazzi, quasi non c’è gusto.»

Né lei, né Steve, però, si sono accorti del silenzio improvviso di Bucky.

Rigido e fermo a un paio di passi di distanza, il tassorosso cerca di non guardare la spalla di Natasha.

È allora che Steve si ricorda della sua paura dei ragni. Con un sorriso, si sposta di fronte a lui e lo rinchiude in un abbraccio protettivo che lo nasconde alla vista del ragno e viceversa.

«Ti proteggo io, Buck» dice scherzosamente, ma non ha dimenticato di essersi proclamato sua guardia del corpo personale.

Eppure Bucky prima si scioglie e poi si ricompone, tiene le mani contro il petto di Steve e lo allontana delicatamente con un sorriso stropicciato.

«Scusate, ma devo andare, ho promesso al nostro cercatore di riserva che gli avrei insegnato qualche trucco.»

Si defila sotto lo sguardo stupito degli altri due.

«Avevi ragione,» conclude Natasha «ti sta definitivamente evitando.»

 

 

Peter ha gambe molli e palpitazioni così veloci che non gli sembrerebbe strano, se ora, Fury spuntasse dal nulla e lo multasse per eccesso di velocità e sudorazione.

Strofina le mani sudate contro i calzoni, inspira ed espira un paio di volte.

«Ehi, MJ! Se partecipi al Ballo del Ceppo… cioè, lo so che ci vai, perché tutti ci vanno, beh, non tutti-tutti, ma tutti quelli che dovrebbero andarci ci vanno e, ehm, volevo chiederti, se ti va, se non hai già accettato l’invito di nessun altro, magari, ecco…» Strizza gli occhi e deglutisce rumorosamente, per buttar fuori tutto d’un fiato:

«Quellochestocercandodidirtièchemipiacidaimpazzire!»

A occhi chiusi rimane immobile.

Intorno a lui, solo silenzio, rotto dallo scandire di passi in avvicinamento.

«Signor Parker, quale che sia il motivo che l’ha spinta a dichiararsi alla porta della mia aula, desista. Posso già dirle da ora che non verrà con lei al Ballo del Ceppo, né da nessuna altra parte.» Avvolto nel mantello della levitazione, il professor Stephen Strange aggrotta le sopracciglia alla vista del ragazzo fermo di fronte alla porta che conduce all’aula di Antiche Rune.

Peter quasi si disintegra. «Ha ragione…»

«Raramente non ce l’ho.»

«Insomma, perché dovrebbe venirci con uno come me?»

Il professore si sfiora la fronte con la punta delle dita, scongiurando il mal di testa che è sempre dietro l’angolo quando ha a che fare con gli adolescenti – e considerato che insegna in una scuola di ragazzi, sarebbe più facile cambiare mestiere.

«Perché è una porta, Signor Parker.»

Non può credere di averglielo dovuto specificare.

Di colpo Peter si rianima e arrossisce. «Oh, intendeva quello!»

«Sì, quello

«Quindi crede abbia delle possibilità con MJ? Insomma, lei è un professore di rune, quindi magari, se ne lancia qualcuna adesso…»

«Non interpellerò le mie rune per predire il suo futuro in amore.»

«Giusto, giusto, lo capisco. È solo che—»

«Buon pomeriggio, Parker.» Strange calca la voce sul saluto e spera che basti a chiudere il discorso.

«Messaggio ricevuto. Buon pomeriggio anche a lei.»

Eppure, nessuno dei due sembra muoversi.

Imbarazzato, Peter si stropiccia la manica del maglione e risolleva lo sguardo sul professore.

«Uhm, aveva bisogno di me?»

Ma quando lo vede indicare spazientito la porta dell’aula davanti a cui si è piazzato, si rende conto di stargli bloccando il passaggio e scatta di lato con un balzello.

«Mi scusi, non mi ero accorto di—»

Il resto viene mozzato da una porta chiusa in faccia.

 

 

L’arrivo imminente del Ballo del Ceppo ha portato ad Hogwarts una ventata romantica che fa ingarbugliare lo stomaco di Loki.

 

«MJ! Ti stavo cercando. Ho incontrato il professor Strange e mi ha convinto a lasciar perdere la porta della sua aula e a venire a parlare direttamente con te.»

«Parlami di cosa? Alle volte sei proprio strano, Peter.»

«Ed è una buona cosa?»

«Dipende. Vuoi venire al Ballo del Ceppo con me?»

«Eh?»

«È un no? Se non vuoi non fa niente.»

«Stai... Stai scherzando?! Certo che voglio! È da giorni che cerco di trovare il coraggio di chiedertelo!»

«In questo caso sì, vengo.»

«Ahaaa! Grazie! Grazie! Grazie!»

«Pre— Waaa! Pe-Peter… ora puoi mettermi giù!»

 

Seduto tra le radici del Platano Picchiatore, assiste a ogni tipo di ridicola dichiarazione, allocchi su gambe convinti che un bacio di vero amore sia la soluzione a tutti i mali e che la loro storia finirà con un e vissero per sempre felici e contenti.

Esiste cosa più ridicola?

«Loki!»

La voce tonante di Thor lo raggiunge ancor prima che il grifondoro si palesi in giardino.

Loki inarca un sopracciglio, curioso sfrega la punta dei denti sulla mandorla dell’unghia del pollice.

Si chiede se…

Solleva il braccio, fa cenno al fratello perché lo noti all’ombra del grosso albero, e quando Thor lo vede non esita nemmeno per un secondo a corrergli in contro gridando soddisfatto: «Eccoti, finalmente!»

Se solo fosse un po’ più portato per erbologia o un po’ più informato sui luoghi pericolosi di Hogwarts, non sarebbe così veloce a dimenticare la vera natura di Loki e a fidarsi di un suo gesto gentile. Invece non riesce a compiere nemmeno un paio di metri, che uno dei pesanti rami nodosi dell’albero si abbatte con violenza contro di lui, scagliandolo lontano.

«Ops.» Loki riabbassa la mano con cui l’ha attirato. «Quello deve aver fatto male» commenta sottovoce per non indispettire il Platano.

Deve ricredersi, esiste eccome qualcosa di più ridicolo!

Sorride, si rialza in piedi portando sottobraccio il libro di Pozioni che gli ha fatto compagnia fino a quel momento, e lascia Thor al suo destino.

Non va molto lontano.

Pochi minuti dopo, Thor è di nuovo alle sue calcagna, con il mantello stropicciato, la divisa sporca di terra, ma la solita maledetta testardaggine da asino che non capisce mai quando è l’ora di darsi per vinto. È forse l’unica cosa in cui si somigliano, un difetto che il biondo direbbe essere di famiglia; ma Loki conosce la verità e “famiglia” per lui è una parola ormai vuota.

Prima che possa sfuggirgli, il polso gli viene intrappolato da una presa ferrea, che lo obbliga a voltarsi, ritrovandosi faccia a faccia con lui.

«Si può sapere perché è fin dall’inizio del Torneo che mi eviti?» gli domanda il grifondoro.

Loki sorride ma non lo guarda, l’occhiata svia di lato, lontano dal volto serio del fratello.

«Perché non abbiamo niente da dirci e perché non ho voglia di sentirti frignare per non essere stato scelto dal Calice. Per quanto divertente, dopo un po’ diventa patetico» dice, colpendo l’orgoglio con una stoccata di lingua e veleno.

Thor però non vacilla, conosce Loki da una vita ed è immune a quella sua lingua biforcuta. Sa come afferrare la biscia per la testa ed impedire che lo morda.

«Sicuro non sia invece perché temi che ti accusi di aver barato come tuo solito?»

«Giusto, invece del mio nome ci sarebbe dovuto essere il tuo, non è così? Perché il figlio di Odino è così degno.»

«Guarda che anche tu—»

«Grazie per la chiacchierata» taglia corto il serpeverde, liberandosi con uno strattone. «Ci vediamo in giro, ma se sono fortunato no.»

«Aspetta, non ti ho cercato per litigare.» Per quanto Loki lo desideri, Thor non demorde. «Non guardarmi con quegli occhi, Fratello, sono sincero. Ero venuto a complimentarmi visto che non me ne hai mai dato occasione.»

«Molto bene. Allora complimentati.»

Forse sarebbe stato meglio continuare a non dargliene modo: Thor spalanca le braccia e cala su di lui, sollevandolo di peso in un abbraccio che lo stritola e gli toglie il respiro.

«Cosa. Stai. Facendo.» Il tono interrogativo perso nel sibilo.

«Ti sto esprimendo la mia gioia.»

«Mi stai spaccando le ossa, inetto!»

Il grifondoro ride di gusto e stringe più forte, e perfino quando Loki lo colpisce con una ginocchiata infantile che a poco serve contro i suoi muscoli, lo abbraccia e non lo lascia.

Non ha la minima idea.

«Questo è per ringraziarti dello scherzetto con il Platano, adesso siamo pari.»

Quando lo mette giù e se ne va, Loki ha un motivo nuovo per odiarlo – Thor lo ha obbligato a indossare il suo profumo sulla pelle e il suo calore intorno al cuore.

E non ha la minima idea dell’effetto che gli fa.

 

 

Le mattine in Sala Grande sono caotiche, piene di chiacchiere, tintinnii di posate e battiti d’ali. Il giorno del Ballo del Ceppo non è da meno – con l’inizio delle vacanze natalizie il Castello si è svuotato degli studenti del primo e secondo anno, ma per tutti gli altri è un giorno speciale e il soffitto incantato è pieno di gufi che lanciano pacchi pieni di accessori dell’ultimo momento. Insieme a loro, un traffico aereo di aeroplanini di pergamena incantata continua a volare (e a precipitare) sulla testa di Bucky, qualcuno si affloscia tra le sue mani una volta che la magia si estingue, altri invece finiscono inesorabilmente nel suo bicchiere di succo di zucca o nella sua colazione, ma in tutti è scritta la stessa cosa: “Ti prego, sii il mio cavaliere stasera” con tanto di cuoricini finali o l’impronta a rossetto di un bacio stampato su carta.

A meno di una manciata di ore dall’inizio dei festeggiamenti, non ha ancora deciso chi portare a quel maledetto Ballo. E in quanto Campione del Torneo è costretto a partecipare e aprire le danze con gli altri otto.

Abbattuto, sospira accarezzando il piccolo Alpine accoccolato sulle sue gambe.

«Era ora!» Dalla tavolata rosso-oro, la voce di Stark si fa raggiante quando dalle finestre entrano due grosse civette che trasportano un pacco su cui il suo cognome risplende in eleganti lettere dorate.

«Finalmente i miei domestici si sono dati una svegliata!» commenta afferrandolo.

Virginia Potts, che ha scambiato il posto con Steve, per poter sedere alla tavolata dei Grifondoro, lo guarda perplessa.

«Intendi dire elfi domestici.»

«No, intendo dire domestici-domestici.» Risposta che solleva sguardi confusi anche dalle tavolate vicino. «Ancora non vi è ancora arrivato il memo in cui si diceva che la Torre Stark si trova a Babbanoland

Tra i suoi genitori, è sua madre infatti la strega che gli ha trasmesso la magia, e suo padre il babbano che ha saputo trarne vantaggio.

Senza perdere altro tempo, si alza e si dirige dai tassorosso. Punta spedito Steve, che ha preso posto accanto a Bucky, e sbatte il pacco davanti al compagno di Casa, obbligandolo a liberare in fretta il passaggio.

«Cap, mi sei debitore e dopo questo mi aspetto uno di quei biglietti raffinati di ringraziamento scritti a mano o a punto croce, così come vuole il galateo!»

«Pure…» bisbiglia Bucky e questa volta che Merlino lo assista, perché non è disposto a sopportare ancora la vista di quei due insieme. Con un colpetto sul sedere del gattino ordina: «Alpine attacca.»

«Cos’hai detto?» chiede allarmato Steve.

La risposta è un cucciolo agguerrito che si getta in avanti e balza ad artiglietti spianati e fauci spalancate sul volto di Stark, contro cui scatena tutta la sua minuscola ira pelosa. E Tony avrà pur sconfitto da solo una Creatura Magica di livello XXXXX, ma questa è tutt’altra bestia!

«Ma che cazz… Barnes! Richiama il Kraken! Richiama il Kraken!» urla il ragazzo.

A notare come Bucky non sembri avere alcuna intenzione di fare qualcosa, è Steve a mettersi in mezzo: allunga una mano e acciuffa il felino per la collottola, allontanandolo dal compagno di Casa.

Lo sguardo che rifila a Bucky sa di rimprovero; quello di Tony si gonfia d’irritazione: «Si può sapere che diavolo ti è preso?! Odinson ha affatturato i tassorosso e ha fatto di te il suo assassino personale?»

«Io non ho fatto niente» si lamenta Thor.

«L’altro Thor!» ribatte Tony.

Dai tavoli serpeverde Loki finge di non sentire, anche se gode del caos appena nato.

Bucky invece risponde senza enfasi. «Scusa, mi è scivolato il gatto.»

«Sì, certo. E ora vuoi vedere come il mio pugno scivola sulla tua faccia, Barnes?»

«Nello stesso modo in cui la tua bocca è scivolata sul pacco di Steve?»

Quello è il momento in cui tutti i nodi vengono al pettine. Un momento di stasi in cui Steve si guarda stupidamente intorno, alla ricerca di pacchi e regali che invece di quello di Stark dovrebbero avere il suo nome, ma che ovviamente non trova.

Tony impallidisce, apre e chiude la bocca, in preda a un reflusso gastrico.

Pepper lo guarda incredula, con una mano sulle labbra.

E quando anche Steve realizza cosa voglia dire la frase dell’amico, arrossisce di botto, scuote il capo e getta le mani in avanti a negare ogni cosa.

«Stai parlando di quando eravamo sulle scale? Ci hai visti? Hai frainteso! Non stavo… non mi stava… non stavamo…»

Al suo imbarazzo gli viene in soccorso Tony: «Ho la faccia di uno che succhia uccelli sulle scale, Barnes?»

«Dimmelo tu, Stark. Che diavolo ci facevi lì in basso? Avevi perso uno degli orecchini che non indossi?»

«Ah-ah, sei un comico nato.» Stende il braccio, sbattendo più volte la mano sul pacco rimasto tra vassoi di cibo, bicchieri e piatti stracolmi. «Stavo prendendo le misure di Rogers! Quel Rocco Siffredi dei poveri non ha fatto altro che lamentarsi per settimane di non avere l’abito adatto per il Ballo e si vergognava ad andarci vestito come uno straccione CON TE!»

A quella rivelazione, l’intera Sala Grande si volta a fissare Steve.

Un paio di ragazze tassorosso piangono e fuggono via in corridoio.

All’improvviso tutto sembra più chiaro, più logico, e se Bucky ripercorre con la mente quel momento, riesce a ricordare di aver notato di sfuggita un metro da sarta tra le mani di Stark.

Che stupido è stato.

«N-non lo sapevo…»

«Già, è per questo che non dovresti lanciare gatti volanti in faccia alla gente! E, senza tralasciare il particolare che la mia bocca appartiene solo a Pepper, – non può vederla, ma dietro le dita Virginia nasconde un sorriso dolciastro –  lo hai visto il suo “pacco”?» Mima le virgolette con le dita. «Un affare del genere potrebbe soffocarmi, come minimo l’hanno messo come Seconda Prova al Torneo, e ti ricordo che io ho già dato!»

All’apice dell’imbarazzo, Steve sposta una mano tra le gambe e si chiude nell’abbraccio del mantello.

«Avete finito di parlare di cose di cui non sapete niente?» sibila piccato, rosso come i colori dello stemma di grifondoro.

Tony nemmeno lo guarda. «Seah, come se fosse roba nuova per il tuo amichetto del cuore.»

«Perché non dovrebbe?»

Lentamente, Tony si volta a fissarlo – ha il volto pieno di piccoli taglietti, se quello di Barnes fosse stato un gatto adulto gli avrebbe fatto davvero male, ma nonostante l’istinto del serial killer in miniatura il danno è stato contenuto.

«Cioè, tu e gatto pazzo non…»

Lo sguardo confuso di Rogers gli blocca la domanda in bocca.

«Per la miseria, Rogers! Per forza il suo cervello perverso gli suggerisce male, con te uno fa tempo a farsi venire le ragnatele!»

Dopo questa scoperta non ha la forza di prendersela con il tassorosso, che al momento compatisce e non invidia. Senza contare che in fondo ha raccolto ciò che ha seminato: ha sempre dipinto il famiglio dell’amico come un Mangiamorte in incognito aizzandolo contro Steve per puro divertimento, e oggi ne ha pagato le conseguenze.

«Mi siete debitori a vita. Tutti e due.»

Almeno tutto è bene quel che finisce bene.

O quasi.

«Si può sapere chi è Rocco Siffredi?»

«Oh, Peter…»

 

 

«Ti fa ancora male?»

Pepper è bellissima nel suo abito blu navy; tinteggiato di cristalli diamantini, è come se indossasse l’intero firmamento questa sera. Con un sorriso morbido pizzica la guancia liscia di Tony, completamente guarita dopo un giro in infermeria.

Sotto un cielo magico da cui cadono fiocchi di neve incantata, che a ogni contatto esplodono in polvere d’argento, la conduce con sé in un lento, insieme agli altri otto Campioni che come lui stanno aprendo le danze.

«Se ti dico di sì, mi dai un bacio sulla bua

Stark scherza, ma la tassorosso gli sorride e reclina il capo, baciandolo sulla guancia e poi sulle labbra, con una morbidezza dolce che coglie di sorpresa perfino Tony.

«È il tuo premio per essere stato così romantico oggi.»

Non è sicuro di capire a cosa si riferisca, ma chi è furbo, davanti ai baci di Pepper, non si fa domande, chiude gli occhi e in quella bocca dipinta di rosso ci si perde all’infinito.

 

 

Fili d’argento, nastri di seta e campanelle di cristallo riempiono le pareti della Sala Grande, mentre il pavimento si piastrella di lastre di vetro incantate, a ricreare l’immagine di uno specchio d’acqua. A ogni passo si allargano cerchi concentrici e di quando in quando intorno alle gambe dei ragazzi si levano spruzzate di bolle azzurrine o piccoli pesciolini d’acqua che circondano le coppie e scoppiano in una colata di petali bianchi e blu.

Bucky non crede di essere mai stato così felice come in questo momento, ballando tra le braccia di Steve di fronte a tutto il Castello.

L’abito che Stark ha fatto cucire su misura per lui è semplicemente perfetto, e anche se il grifondoro si muove rigidamente, con la paura di rovinarlo, quando le sue mani gli stringono la vita e si incrociano a quelle di Barnes, è come se tutto fosse tornato al posto a cui appartiene.

«Mi dispiace che Tony ti abbia obbligato ad accettare il mio invito davanti a tutti in Sala Grande» gli bisbiglia Steve, all’orecchio.

Sapeva che le scuse non sarebbero bastate con il grifondoro, ma Bucky sorride e pensa che dopotutto Stark potrà anche essere un pessimo compagno, ma a modo suo sa sempre come dimostrarsi un buon amico.

«È proprio vero, lo sai? Sei una talpa, Stevie.»

Prima che il ragazzo apra la bocca, Bucky gliela tappa e con un bacio conquista le sue labbra.

Di Steve conosce l’ostinazione, il coraggio, il cuore grande e generoso. Conosce la sua luce e le sue ombre, i suoi difetti e i suoi pregi, la sua magia e il suo sangue.

Di Steve, ora, conosce anche il sapore.

 

[ 6.638w ]



[1] Forse mi sbaglio, ma non credo che esista un giornale scolastico ad Hogwarts, quindi l'ho inventato io perché un certo amichevole ragnetto di quartiere aveva bisogno di "lavorare" per il giornale nei suoi anni da teenager! A presto con il resto della sua origin story! (#no)

[2] Premetto che non mi piace il calcio e ancor meno ho una vaga idea di come si giochi a Fantacalcio, ma ho pensato che sarebbe stato divertente avere una versione di quel gioco anche ad Hogwarts. Per chi proprio non sa di cosa si tratta, l'internet mi suggerisce che: Il fantacalcio è un gioco sociale del tipo fantasport basato sul calcio, consistente nell'organizzare e gestire per svago squadre virtuali formate da calciatori reali, scelti fra quelli che giocano il torneo cui il gioco si riferisce. In questo caso Tony non è un giocatore di Quidditch professionista ma visto che la fic è mia, le regole le decido io!

[3] C'è più di una teoria sull'origine del cognome "Barnes". Il più delle volte viene suggerito sia di origine anglosassone, norrena o irlandese. Secondo una teoria il nome deriverebbe dall'inglese antico beorn – che significa guerriero – e che a sua volta è di origine norrena. (Per chi è interessato, secondo un'altra teoria, era la parola usata per indicare chi di professione lavorava, viveva o possedeva un granaio (barn).)

[4] Figura di danza, caratteristica del tango: la dama si piega sulle reni rovesciandosi all’indietro fin quasi a toccare terra, sostenuta dietro la schiena dal braccio sinistro del cavaliere.

[5] Preside

[6] Non sta storpiando il nome di Bucky, ma è un termine inglese slang che significa "amico" (alle volte inteso in senso perculatorio, altre amichevole, altre offensivo, a seconda di chi lo dice e come)


 

Cosa? Doveva essere un capitolo dedicato al Ballo del Ceppo e il Ballo del Ceppo dura a malapena venti righi? Ops. *__*"

La verità è che feste, party e balli li ho sempre trovati di una noia mortale, senza contare che avevo tante di quelle cose da inserire prima, che arrivati alla fine, il capitolo si era già fatto troppo lungo.

Comunque è arrivato il momento in cui Fuuma aggiunge la tw age difference! All'inizio come figure adulte di Durmstrang doveva comparire soltanto il preside ed era con lui, in realtà, che puntavo alla ship oneside con Bucky; ma considerato i personaggi (il nome del preside non è ancora uscito, ma chi mi conosce può ben intuire chi possa essere) c'era il rischio che i toni si facessero troppo seri e angoscianti, e questa non è la fic adatta. C'è già Loki che mi uccide il mood! E quindi ho optato per infilarci Zemo ... perché la soluzione al problema "infilarci un uomo adulto che si interessa a Bucky è troppo complicato" è "infilarci DUE uomini adulti che si interessano a lui"! Logico! Comunque a parte il fatto che in realtà la ZemoxBucky c'è solo per chi la vuole vedere (perché lo stesso Zemo ammette di avere un secondo fine) non aspettatevi molto altro sulla ship – che già in questo capitolo il suo personaggio mi è sfuggito di mano e mi ha allargato una sottotrama che non prevedevo così importante e non ho idea di come risolverò, ma quello è un problema di future me, e ci penserò quando sarà il momento.

Veniamo invece alle cose importanti: i famigli! Sì, Nat ha una vedova nera e non me ne pento, il pensiero mi disgusta e quando ho descritto la scena volevo piangere, ma così è e così rimarrà! Non credo ci sia bisogno di spiegare perché l'ho chiamato Rasputin, insomma, Natasha si chiama Romanoff non ci vuole molto a capire da dove arriva quel cognome, senza contare che il suo vero cognome effettivamente è Romanova. Quindi, yeha, Rasputin è stata un po' una scelta obbligata XD

Un'ultima nota riguarda il titolo: stavo disperando perché non avevo idea di come intitolare il capitolo, poi alla ricerca di una certa informazione mi è capitata la scena in italiano in cui la McGranit introduce il Ballo del Ceppo per la prima volta e le "ben educate frivolezze" sono una sua citazione che non potevo non utilizzare. Come al solito, quella donna, è sempre la più utile tra tutti i personaggi!

 

Non c'entra nulla, ma per chi sta seguendo la long "Bucky through the looking glass", mi spiace ma questo mese salterà l'aggiornamento, se ne riparlerà il 15 di aprile. Spero.

---

Scritta per Torneo Tremaghi - Multifandom edition @L'angolo di Madama Rosmerta

( pss, pss, la volete vedere una cosa carina? BlueBell ha creato un banner per la storia e potete trovarlo here )

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Capitolo 4
*** Un Torneo da lunedì ***


pairing

pairing: Steve/Bucky { stucky }; Tony/Pepper { pepperony }; Thor/Loki { thorki }; Peter/MJ { spideychelle}; Zemo/Bucky { winterbaron - accenni oneside }; Clint/Natasha { clintasha }

warnings: slash, incest, post-siero Steve, au (hogwartsverse), age difference

 

I personaggi appartengono a chi di diritto.

 


 

We are the Brave 

______________________________

 

 

IV | Un Torneo da lunedì

«La sua non è una storia d’amore, ma il primo atto di una tragedia, signor Barnes.»

Bucky scatta seduto nel letto a baldacchino del dormitorio; tra le coperte la mano vaga d’istinto, alla ricerca di una bacchetta che sa non esserci. Si volta nervoso a cercarla sul comodino, ma qualcosa al suo fianco lo ferma prima: una mano grande e calda che gli sfiora l’addome sotto il pigiama, pizzicandogli i muscoli, solleticandogli la pelle.

Steve lo ha cercato nel sonno e ora lo abbraccia, rendendogli difficile anche solo pensare di abbandonare quel caldo giaciglio che condivide con lui.

«È già ora?» gli biascica il grifondoro.

Bucky sorride, cerca oltre l’orizzonte della finestra un’alba che per fortuna è ancora lontana e si lascia ricadere sdraiato nel letto.

«No, fuori è ancora buio» risponde in un bisbiglio. E poi che se ne fa dell’alba di fuori, quando il sole ce l’ha nel letto, che sbadiglia e strofina la guancia sull’unico cuscino in comune.

Steve ha un occhio aperto e uno chiuso e lunghe ciglia bionde ad adombrarli, mentre ogni traccia di sonno sparisce tra le lenzuola. È sempre stato un tipo mattiniero – jogging, doccia, colazione e studio degli incanti è la sua routine preferita prima dell’inizio delle lezioni, ma non oggi.

«Allora perché sei già sveglio? Sei preoccupato per la Prova?»

Oggi è il giorno della Seconda Prova. Oggi è il giorno di Bucky.

O così doveva essere.

Il tassorosso scuote il capo con un’occhiata ironica. «Vuoi dire se sono preoccupato perché Odinson ha deciso di prendere il mio posto all’ultimo minuto, senza alcuna spiegazione, in una prova che prevede di andare nelle fogne? No, cosa te lo fa pensare?»

Allunga le gambe sotto alle lenzuola, le incrocia intorno ad una di Steve e la tiene per sé.

L’altro ride, insinua il braccio sotto il collo, gli raccoglie la nuca tra le dita e lo tira a sé, per averlo contro il petto, incollato al proprio corpo, con un’intimità nuova che hanno ritrovato dal giorno del Ballo del Ceppo.

«Forse ha scoperto che la Terza Prova sarà perfino peggio e preferisce affrontare il minore dei mali.»

«Già…»

«Ma non era quello il motivo per cui sei sveglio.» A Steve basta uno sguardo per capirlo, per leggere tra le interlinee del suo sospiro e nel morso con cui tortura il labbro inferiore. «Qual è il problema, Buck?»

Bucky si stringe nelle spalle.

«Ho solo fatto un brutto sogno, uno di quelli che non facevo da quando avevo undici anni.»

«Non sarà di nuovo quello in cui mia madre ci rincorre per tutta Hogsmade con un mattarello engorgiato perché abbiamo lasciato la mia stanza in disordine?»

La risata di Bucky è un suono soffuso, che copre con la mano per evitare di svegliare i suoi compagni di stanza. «Me ne ero dimenticato, è vero. Anche se a ben pensarci era un mortaio, non un mattarello, ma posso capire la confusione visto le tue scarse doti culinarie e pozionistiche.»

«Ne parli come se anche tu non facessi pena in Pozioni.»

«Touché. Comunque no, era un altro sogno stupido, non vale nemmeno la pena di raccontartelo.»

«Sicuro?»

Bucky annuisce e sorride.

Ha sognato di Diagon Alley, della prima volta che l’ha visitata insieme a Steve, entrambi eccitati dall’idea di frequentare Hogwarts, di poter stare ancora insieme, nonostante la condizione di Rogers. Ha sognato il negozio di Olivander e le parole che il vecchio mago gli ha detto il giorno in cui lui e Steve hanno acquistato la loro prima bacchetta – un futuro confezionato, una profezia che sembrava appena uscita da un biscotto della fortuna andato a male. Una storiella per spaventare i bambini.

«Sicurissimo» afferma accoccolandosi meglio contro il grifondoro.

«D’accordo.»

La mano di Steve si chiude più forte alla sua vita e a quella stretta, bussa alla sua porta il ricordo delle dita del professore di Durmstrang, la loro stretta, la loro carezza.

Ruota il capo a inquadrare con lo sguardo il comodino, là dove il piccolo Alpine dorme tranquillo su un cuscino colorato, stringendo tra le zampette una bacchetta in legno di quercia rossa, come un piccolo guardiano peloso.

«Non c’è davvero nulla di cui preoccuparsi.»

 

 

A Tony non piace, non piace per niente tutta quella situazione.

Chi è il genio che ha pensato che un lunedì mattina fosse adatto per una prova del Torneo Tremaghi? Se è vero che il settimo giorno perfino Dio si riposò, è anche vero che il lunedì era riuscito a malapena ad accendere una luce – e loro dovrebbero uscire sani, salvi e vincitori da una prova del torneo più importante della storia delle Scuole di magie e stregoneria?!

«E siamo pure bloccati qui dentro» borbotta, senza avere la più pallida idea di dove precisamente sia “qui dentro”.

È un’aula dismessa del Castello e qui finiscono le informazioni in suo possesso.

Le finestre sono chiuse da un Colloportus, coperte da un incantesimo oscurante che rende l’ambiente ancora più cupo di quanto sia necessario. Una parte di sé si aspetta che, dall’armadietto traballante pieno di tarli nell’angolo, faccia il suo ingresso un Molliccio, o che le travi di legno del pavimento si aprano in una voragine, che li farà finire tra le spire di un Basilisco – perché è sicuro che ce ne sia uno nascosto da qualche parte lì dentro, alla faccia del “non c’è luogo più sicuro al mondo di Hogwarts”.

La porta è chiusa a chiave, sul legno è incisa una delle rune di Strange: Manaz, la runa della prudenza e dell’umiltà – a Stark viene già da ridere –, in combinazione con un simbolo che non ricorda di aver mai studiato, ma che non promette niente di buono.

Quando hanno decifrato l’indizio che ha recuperato nella Prima Prova, non si aspettava un’arena tutta per loro, ma almeno un palchetto. Una pedana. Un pubblico!

Invece, dopo il fischio d’inizio, tutti i nove Campioni sono stati invitati a toccare una Passaporta e lui e Barnes si sono ritrovati bloccati in una stanza che puzza d’ascella, senza nessuno a fare il tifo e nessuno a cui chiedere spiegazioni.

L’unica cosa presente, che non faccia parte del menù dei tarli, è una lavagna con uno scarabocchio di linee a gesso colorato e una scheggia di vetro abbandonata su una cattedra.

Se già questo basterebbe ad accendergli una spia d’allarme, c’è anche la questione della bacchetta.

Si tasta le tasche, assicurandosi di avere ancora la propria, per quanto dubita potrà essergli d’aiuto. Sotto le dita, percepisce la rotondità del legnetto di noce. C’è, è ancora in mano sua, lo stesso però non può dire di Odinson – prima che il suo corpo venisse risucchiato dalla Passaporta, è certo di aver visto un bagliore illuminarsi intorno alla tasca del serpeverde e la sua bacchetta rimanere a terra.

Che se lo sia immaginato?

«Qualcosa non torna, questa prova non ha senso, come dovremmo superarla secondo loro?» continua a lamentarsi, e visto che non è stato dato loro nemmeno il numero del servizio reclami, è a Barnes che rivolge ogni lagnanza, come se il ragazzo non si trovasse nella sua stessa situazione.

Bucky non lo guarda nemmeno, stanco di sentirlo, afferra il frammento di vetro che ruota e osserva, alla ricerca di un indizio sulla sua utilità. «Questo dev’essere per me. Sanno che sono bloccato qui con te e mi hanno concesso un modo per farla finita.»

Tony schiocca la lingua contro il palato.

«In questo caso non lasciare che ti distragga, Barnes, procedi pure.» Ma sulla lavagna, tra gli scarabocchi di linee colorate, si aggiunge un nuovo colore. «Ehi, quel puntino giallo c’era anche prima?»

Bucky alza la testa a controllare e no, è sicuro che non ci fosse alcun puntino tra quelle linee.

«Cosa credi che sia?»

Tony tende la mano al tassorosso e si fa consegnare il frammento di vetro; non appena è tra le sue dita, un puntino rosso brillante si aggiunge a quello giallo.

«Siamo noi» afferma.

Lo scarabocchio ora prende senso, le linee che si intersecano, gli spazi vuoti, l’area del disegno.

«Silente, vecchio pazzo…» mormora tra sé. «È la mappatura dell’impianto fognario di Hogwarts. Guarda, se ne tracci il perimetro, questo diventa l’ingresso del castello, quelle zone in cui le linee aumentano sono le Serre e il Lago Nero e i due puntini siamo noi. Mentre Odinson… a-ah, eccolo qui!» Batte l’indice sulla lavagna, nel punto preciso in cui un puntino verde smeraldo ha iniziato a brillare, proprio al centro della mappa, tra linee che si intersecano in labirinti di gallerie che conducono chissà dove.

Sceglie un gessetto rosso, tra quelli colorati sparpagliati sul ripiano della lavagna, e fuori dai bordi dell’impianto, e con una scrittura elegante che non ti aspetti da chi preferisce battere a computer o delegare il piacere a una piuma auto-inchiostrante, mette per iscritto i quattro punti cardinali.

«Se diamo retta a questa mappa, noi ci troviamo a sud rispetto a Odinson, mentre l’uscita più vicina dovrebbe essere questa, quella che sbocca a nord-ovest, sul Ponte del Viadotto.»

Bucky lo osserva pensieroso, si poggia con il sedere contro il bordo della cattedra e incrocia le braccia al petto.

«Ti ricordi ancora le parole dell’indizio che hai trovato nel cilindro?» chiede.

Stark la prende come un’offesa – sul suo curriculum c’è scritto genio, playboy e filantropo, nessun accenno alla sua ottima memoria, ma non ha preso dodici Eccezionali ai G.U.F.O. per mera grazia divina.

«Iniziamo con le domande stupide, davvero Barnes? È il tuo modo di gestire le emozioni nelle situazioni stressanti?»

«Sì o no, Stark.»

«Ovvio che sì, per chi mi hai preso, per uno dei tuoi amichetti tassorosso? O per Rogers?»

«Non mettere in mezzo Steve, ha una memoria di ferro. Ok?»

«Quindi ammetti che per i tassorosso invece non c’è speranza?»

Bucky non risponde, inala pesantemente dal naso e rimane a guardarlo, in attesa che smetta con i vanti e le perculate e gli conceda la grazia di un commento utile.

Il sorrisetto di Tony sembra suggerire che ne abbia ancora da dire, ma lo sguardo di Barnes è una fiocina puntata alla tempia che inizia a pesare e renderlo nervoso, non c’è da stupirsi che Rogers sia pronto a scattare sull’attenti ogni volta che Begli Occhi gli si rivolge.

«“Tic-tac – inizia a recitare – tre ore batte il tempo; tac-tic, scopri l’uscita nel frattempo. Il labirinto è infradiciato; nessun incanto avrai come alleato. I tuoi compagni ascoltare dovrai, o da solo lontano non andrai. Loro saranno il tuo unico aiuto.”»

«E non ti sembra sia strana?»

«Mi prendi in giro? Da dove partire: dal sadismo di Silente? Dalla costruzione mediocre delle frasi? Dall’uso di suoni onomatopeici che compaiono a caso senza che venga creata una struttura coesa? Dalla superficialità con cui non si sono nemmeno degnati di finire l’ultimo verso con la rima baciata? Dal divieto di usare la magia in un torneo di Magia? È la fiera delle assurdità assurdità, Barnes!»

«Eppure Silente non è uno sprovveduto.»

«Meh, questo è tutto da dimostrare.»

«Sono serio, Stark.»

«Ok, ok, cos’hai in mente? E voglio sperare non c’entri con pacchi, salsicce o piselli, perché porto ancora i segni dell’ultima volta.»

«La tua faccia sta benissimo.»

«Non tutti i traumi sono visibili, Barnes. Non tutti i traumi.»

Bucky si chiede se sia troppo tardi cambiare squadra e chiedere asilo a quelli di Beauxbatons. Conosce poco e male il francese, ma impara in fretta ed è sempre stato portato per le lingue.

«Quello che voglio dire è che non sembra un indovinello ideato da Silente.»

Tony deve dargli ragione, il loro preside è una volpe travestita d’agnello, ma tutto ciò che fa è per il bene dei suoi studenti – o perché ciò che non ti uccide ti fortifica, se però ti uccide non c’è alcun insegnamento.

«Credi che qualcuno abbia modificato la filastrocca, per cancellare un indizio utile al superamento della Prova?»

Bucky annuisce. «È possibile, no? Lo hai detto tu stesso, un Torneo di Magia senza la magia è quanto di più improbabile esista. Ci dev’essere una rosa di incanti che non rientra nel divieto di utilizzo, qualcosa a cui di solito non penseresti mai.»

«Giusto, qualcosa che testi l’intelligenza dei Campioni.» concorda Tony. Lascia cadere sulla scrivania il gesso che ha torturato finora tra le dita, e che gli ha lasciato una macchia rossa sui polpastrelli, e prendendo slancio balza seduto sulla cattedra, sfidando la sorte e le quattro gambe sgangherate che non si rompono per puro miracolo. «L’unico problema è che non solo non sappiamo di cosa si tratta, ma Odinson non avrebbe comunque modo di eseguirli perché non ha la sua bacchetta. Di bene in meglio.»

E non c’è bisogno di tirare a indovinare chi possa essere il colpevole di quello scherzetto per nulla divertente.

«Hai avuto problemi con Durmstrang?» chiede a Barnes.

«Sì, Brock Rumlow, uno dei loro Campioni, mi ha preso in antipatia senza motivo. Perché?»

«CVD.» Come volevasi dimostrare. «Perché anche Loki ha fatto colpo. O è più giusto dire che il colpo l’ha messo a segno lui sul Monte Everest ambulante della Prima Prova, ma qualcosa mi dice che nemmeno prima le cose tra loro non fossero tutte rose e fiori.»

Tipico di Odinson, riuscire a seminare nemici e odio ovunque punti lo sguardo.

«Ora che ci penso, prima che Nat ci interrompesse, Rumlow ha fatto un commento strano. A lei ha detto che voleva mi ritirassi dal torneo, ma in realtà la sua era stata una battuta sulla Seconda Prova, come se fosse sicuro che l’avrei affrontata io. In quel momento non ci ho pensato, perché abbiamo sempre dato tutti per scontato che sarei stato io ad affrontarla, ma non ha senso che lui lo sapesse.»

«A quanto pare ci tenevano d’occhio. Devono averlo scoperto quando ne abbiamo parlato. Anche se non vedo il motivo di darsi la pena di scoprirlo, un mago senza bacchetta è fregato comunque, a prescindere da chi sia.»

Per Bucky invece il motivo inizia a prendere forma: il Torneo, Durmstrang, Rumlow, la Prova e Baron Zemo.

Scivola con la mano sinistra alla vita, ricalcando le impronte che erano state del professore di Durmstrang, scivolando verso la cintura così come è successo durante la lezione, in una carezza che intima non è mai stata, ma che ha sempre e solo puntato a—

«Maledizione!» Tony scatta in piedi di colpo.

Bucky allontana la mano da sé, come se si fosse scottato.

«Non dovremo avvertire il preside?» domanda, ma la sua mente corre altrove, a Steve – avrebbe dovuto raccontargli il suo sogno quella mattina e metterlo in guardia.

Tony però solleva le spalle in una scrollata nervosa. «Siamo bloccati qui e dall’aspetto di quelle Rune, scommetto che se dovessimo uscire da quella porta prima del tempo, perderemmo la prova. Che lo vogliamo o no, la nostra unica speranza risiede nelle mani squamose di un serpente traditore con daddy issues e un odio per l’umanità.»

Ah, non c’è più dubbio, è proprio un maledetto lunedì!

 

 

Loki apre gli occhi e affonda in un’oscurità umida, che puzza di scarico e gocciola sulla sua testa. Lo sguardo si abitua lentamente al buio, distingue il poco che lo circonda: pareti melmose che curvano verso il soffitto e quattro sbocchi che danno accesso a quattro direzioni diverse.

Si trova seduto in una pozza d’acqua sporca dell’impianto fognario di Hogwarts, una delle possibilità che aveva valutato insieme agli altri due cosiddetti compagni di squadra – e se respirare, ora, non gli creasse tanti problemi, riderebbe all’assurdità di essere costretto a fare gioco di squadra con gente di cui a malapena riconosce l’esistenza.

È immerso in un lezzo da cui non può sfuggire, che gli accartoccia lo stomaco con la voglia di vomitare. Se c’è mai stato un momento adatto per rivalutare le proprie scelte di vita, questo è quel momento; al diavolo il Torneo, al diavolo Silente, Fury, il resto degli organizzatori e, soprattutto, al diavolo Durmstrang – se non fosse per loro non si troverebbe sommerso dagli scarichi di un intero Castello.

È anche vero, che se non fosse per quegli inetti grossi come un Thor e stupidi altrettanto, non avrebbe mai nemmeno scoperto che uno degli oggetti più potenti mai creati al mondo si trova proprio ad Hogwarts.

La divinazione runica è un’arte complessa, che non accetta compromessi; è un rituale sacro in cui ogni dettaglio influisce e ogni minuzia può modificarne l’esito, c’è un tempo e un luogo per ogni lettura. La notte di luna piena di pochi giorni addietro è stato il momento perfetto per Loki per interrogare le sue Rune.

Le sua fidate Rune gli hanno raccontato della vittoria di Hogwarts nel Torneo Tremaghi, ma del dominio di Durmstrang sul mondo; gli hanno detto che una reliquia potente sarebbe caduta nelle mani sbagliate e che sarebbe stata la causa di una guerra oscura.

Tutto perché Durmstrang ha scoperto il segreto di Rogers e Barnes e vuole sfruttarlo per i suoi scopi.

Ma ora, quel segreto, lo conosce anche lui.

Loki si solleva in piedi ed è finalmente pronto ad affrontare la prova. Non è uno sprovveduto, non è venuto impreparato: spalanca la bocca, infila due dita sino alla gola e afferra sotto le unghie la sottile membrana umida che gli ricopre la lingua di un blu traslucido.

Sono ali di Billywig intinte di polvere di pietra del sole. È un artificio per bambini quello, un trucco che ogni pozionista con un minimo di conoscenza ha provato almeno una volta; e se Thor da piccolo si divertiva a guardare i suoi pupazzi esplodere sotto il bombarda di suo padre, Loki preferiva passatempi più stimolanti, come leggere i tomi di alchimia e pozioni nella biblioteca di loro madre e scoprire le proprietà magiche delle ali di Billywig. Se essicate e messe a contatto con la polvere di pietra del sole, le ali riacquistano il loro moto originario – è una semplice reazioni magica, le ali volano perché cercano la luce del sole, ovunque si trovino, e, nel caso di Loki, la luce del sole corrisponde anche all’uscita di quel labirinto fognario.

Sul palmo della mano, però, le ali rimangono immobili, morte come la creatura magica a cui sono state strappate.

Loki sospira e sa che non sarebbe stato così semplice.

Osserva le pareti che lo circondano, notando i segni asciutti sulla pietra, intoccati dall’umidità e dall’ambiente – simboli runici che formano un potente incanto che blocca ogni utilizzo della magia.

Con la mano libera sfiora una delle rune. Una scintilla rossa si accende nel punto in cui l’ha toccata e una stilla di dolore lo costringe a ritirare la mano.

Sono opera del professor Strange, nemmeno uno studente dotato come Loki può pensare di romperle, ed è in fondo ciò di cui Silente gli ha avvertiti, quando ha annunciato l’inizio della seconda prova:

«Finché il blocco degli incanti è attivo, la magia sarà vietata. Avete tempo tre ore, per trovare l’uscita, buona fortuna!»

«Questo lo vedremo…» mormora Loki, e anche se per ora le ali di Billywig sono inutili, non ha fretta, la Prova è appena cominciata e ciò che gli serve è solo l’occasione giusta.

«Torre di controllo a Maggiore Tom!»

Qualcuno parla, la voce viene dal basso, ovattata, sommersa.

Loki guarda in basso e si accorge che c’è qualcosa immerso nella poltiglia liquida in cui era seduto: un pezzo di vetro che si è appena attivato e in cui compare la metà superiore del volto di un ragazzo.

«Torre di controllo a Maggiore Tom, mi ricevi[1]?» ripetono dal frammento.

Loki è quasi tentato di far finta di niente e lasciarlo lì dov’è.

«Guarda che ti vedo che mi stai ignorando, Odinson!»

«E puoi biasimarmi, Stark?»

Di malavoglia, si china ad afferrare quello che più avanti scoprirà essere un Frammento di Specchio Gemello, su cui si riflette il volto di Tony che si tira indietro, quel che basta per inquadrare lo sfondo di quella che sembra un’aula abbandonata.

«Perché ti trovi in una cassa da morto?» domanda.

Tony storce il naso. «Parla quello che si trova nella valle incantata degli scarichi.»

E Loki torna a considerare l’idea di gettare il frammento di specchio a terra e romperlo sotto al tacco della scarpa, se non fosse che ha bisogno di quel grifondoro del suo aiuto per poter uscire di lì il prima possibile.

Barnes, però, strappa di mano il frammento a Tony ed è suo, questa volta, il riflesso che Loki vede nello specchio. 

«Qualcuno sta sabotando le nostre prove. Pensiamo che tu sia l’unico dei campioni a cui non è stata lasciata la bacchetta.»

«“Qualcuno”. Tanto vale fare nomi e cognomi: “idioti” di nome e “di Durmstrang” di cognome!» si inserisce di nuovo Tony.

Il serpeverde inarca un sopracciglio. «E ci siete arrivati soltanto adesso?»

«Tu lo sapevi e non hai detto niente?»

«Perché dovrei dire qualcosa su una prova che tanto incerò?»

Tony torna ad avvicinarsi allo specchio, premendo la guancia contro quella del compagno tassorosso finché a fissare Loki non rimangono che occhi nocciola incorniciati da lunghe ciglia: «Che cos’hai fatto, Odinson?»

«Voi preoccupatevi di darmi le indicazioni corrette, il resto è cosa mia.»

«Wo, wo, wo, non ti sarai portato dietro qualcuna delle tue pozioni, vero? Come? Sei stato controllato all’inizio della prova!»

Loki sorride, finalmente qualcuno che riconosca la sua astuzia.

«Eww, non dirmi che l’hai nascosta come si fa in prigione!»

Loki non sorride più.

E ora di che diavolo sta parlando?

«Insomma, su per il…» non contento Stark gesticola con l’indice in un’esposizione visiva di cui non c’era assolutamente bisogno.

«Appena riavrò la mia bacchetta, sarà il primo posto in cui ti lancerò i miei incanti.»

«Non se ti lascio lì ad affogare nella merda. Letteralmente.»

E questo è uno dei motivi per cui Loki non ama il gioco di squadra; preferisce la sudditanza all’amicizia, i servi ai compagni di squadra, sono più utili, meno rumorosi e a differenza di Stark non riconoscono il vantaggio quando ce l’hanno.

«L’uscita, Stark. Non è a questo che servite?» sibila in un tono che arriva forte e chiaro anche dall’altra parte del vetro.

Bucky spintona via Tony, riprendendo pieno possesso del frammento di Specchio gemello e della propria guancia, su cui passa il dorso della mano, infastidito dalla troppa vicinanza col ragazzo – quasi fosse un tradimento a Steve.

«C’è una mappa qui nell’aula, ti abbiamo localizzato e dovresti essere da qualche parte al centro dell’impianto fognario. Se è tutto corretto dovrebbe esserci uno sbocco a nord, lo vedi?»

Loki osserva la grata aperta di fronte a lui. Dal fondo arriva un gorgogliare poco invitante e suoni che lo tormenteranno a lungo nei suoi peggiori incubi, ma all’idea di vincere la prova si è aggiunta la delizia di poter strappare la lingua a Tony Stark e quella è una motivazione più che sufficiente per convincerlo.

«Lo vedo.»

«Perfetto. Il condotto, si dirama in due direzioni, ma tu prosegui finché non—»

Bucky tace all’improvviso e quando Loki riabbassa lo sguardo sul vetro che ha tra le mani, il riflesso allo specchio è il suo e il serpeverde scopre che la loro connessione ha un tempo massimo.

 

 

Il tempo scorre in maniera diversa quando a circondarti è un tanfo così pesante che senti fino in bocca, un gusto oleoso che impasta la lingua di Loki e gli arrossa gli occhi.

Sta camminando da parecchio ormai, abbastanza da trovarsi davanti alla diramazione di cui i due compagni gli hanno parlato.

Continua dritto, prosegue, con le scarpe che non vede l’ora di bruciare e che lasciano dietro di lui rumori di passi umidi, una colonna sonora di “plotch – plotch” che fa schifo al solo pensarci.

A quel rumore se ne aggiunge un altro e Loki ferma il passo.

Guarda il frammento di Specchio Gemello; occhi di smeraldo lo fissano di rimando con aria seccata e, nascosto nell’angolo, dove lo sguardo non arriva, riconosce la paura.

Qualcosa si muove tra le fogne e lui è disarmato.

Se vestisse i panni di Thor non avrebbe il minimo timore – un pugno basterebbe a schiacciare ogni minaccia, ma le mani di suo fratello sono grosse e dure, quelle di Loki invece sono dita sottili ed eleganti che a fare a pugni hanno sempre perso.

Si guarda intorno, cercando qualcosa che possa usare come l’arma, finché non scorge l’ombra di una creatura e poi i suoi tentacoli. È un Avvincino, dalla statura leggermente più grossa della media, la pelle color melma, rotondi occhi gialli tranciati a metà dall’ovale orizzontale della pupilla e piccoli denti aguzzi che mette in mostra non appena adocchia il serpeverde.

È un verso graffiante e acuto quello della creatura, come unghie che grattano sulla lavagna. Striscia lungo la pavimentazione di pietra e cemento, prendendo velocità dove lo strato di acqua putrida è più alto.

Dita puntute, unite da una membrana di pelle si tendono con cattiveria verso gli occhi di Loki e l’Avvincino attacca – si aggrappa a un polso, lo stritola in una presa di ferro che non ci si aspetta da una creatura così piccola, e con l’altra mano spazza verso il suo volto, graffiandolo a una guancia, appena sotto l’occhio.

«Piccolo miserabile…»

Gocce cremisi rotolano lungo gli zigomi di Loki, sente la consistenza densa del sangue macchiargli la pelle. È stato fortunato, ha tirato indietro la testa appena in tempo e con uno scatto della mano ha afferrato le tre lunghe dita della creatura. Sono viscide, dalle ossa così sottili che a Loki basta stringere un po’ di più la presa, per spezzarle in un colpo solo.

L’Avvincino urla e si dimena e quando la sua presa viene meno, striscia via, immergendosi nella melma ai loro piedi e scomparendo sul fondo del condotto da cui il serpeverde è arrivato.

«E se tu e i tuoi compagni volete vendicarvi, venitemi pure a cercare nella Torre Grifondoro, il letto è quello di Thor Odinson!»

Ridacchia sottovoce, maligno e vittorioso.

«Dimmi che non erano ratti, Odinson. No, dimmi che non hai mandato un branco di ratti alla Torre Grifondoro!»

Lo specchio gemello ha ripreso vita e Tony ha sentito le sue ultime parole rivolte all’Avvincino.

«Non erano ratti.» Dovrebbe suonare come una rassicurazione, ma la bocca di Loki non conosce conforto e quel che ne esce ha l’intonazione fredda di una minaccia.

Tony rabbrividisce e vorrebbe non averlo mai chiesto.

«E allora cos’erano?»

«Dammi quello specchio!» Bucky interviene a gamba tesa, col tono seccato di un fratello maggiore alle prese con le due pesti più piccole.  «Possiamo collegarci con Odinson per un tempo limitato, smettete di farvi la guerra e perdere minuti preziosi.»

«Ha cominciato lui.»

«Vuoi vedere come ti finisco io, Stark?»

«Scusa tanto mamma~»

Lo ignora, si concentra su Loki e ne scorge la ferita alla guancia.

«Tutto bene, Odinson?»

«Starò bene quando tornerò a respirare aria pulita.»

«In questo caso, al prossimo bivio prendi il canale alla tua sinistra, dovrebbe portarti a nord-est, appena sotto l’aula di pozioni. Lì però le cose si fanno complicate, c’è un simbolo sulla mappa che non riusciamo a decifrare; pochi minuti fa ne è comparso uno simile proprio prima che riuscissimo a contattarti.»

«Fammi vedere.»

Bucky ruota il frammento verso la lavagna, riflette la mappa, le linee colorate, il punto verde di Loki così vicino ai puntini luminosi che simboleggiano i due compagni di squadra, eppure così lontano. E poi troppo piccolo perché possa riuscire a decifrarlo, un simbolo scuro si muove avanti e indietro lungo il condotto che dovrebbe trovarsi sotto l’aula di pozioni.

«Potrebbe essere un altro Avvincino, è la creatura che mi ha attaccato prima» commenta pensieroso, iniziando ad avviarsi verso la direzione che gli è stata suggerita.

A quel punto non c’è molto altro da dirsi, il loro non è un gruppo di amici con cui confidarsi e quella non è una scampagnata tra i boschi. A tenergli compagnia, oltre lo sguardo di Barnes che vaga dallo specchio alla mappa, ci sono gli sbuffi annoiati e rumorosi di Stark che provengono da qualche parte dell’aula dismessa.

«Quindi, se dovessimo vincere la coppa, posso tenere il trofeo?» lo sente domandare.

Sullo specchio si riflette la nuca del tassorosso, quando si gira a puntare lo sguardo sul fondo dell’aula.

«No che non puoi.»

«Quel trofeo ha già il mio nome» annuncia Loki, non ha alcuna intenzione di dividere la gloria con quei due inetti.

«Vi ricordo che esiste un’intera stanza dei trofei nel Castello, cosa vi fa credere che lo lasceranno proprio a voi?»

Tony torna a sbuffare. «Era tanto per chiedere, in cambio ero disposto a rinunciare al premio in denaro.»

«Com’è generoso da parte tua. E ricordami, a quanto ammonta il patrimonio degli Stark?»

«Non per vantarmi ma…» c’è una lunga pausa prima che pronunci «…due.» e la vanità di Tony si chiude su uno sguardo confuso in direzione della lavagna.

C’è un altro momento di silenzio.

Loki guarda lo specchio, dove il riflesso di Barnes sobbalza, come se il tassorosso stesse camminando.

«Che diavolo… Si sono sdoppiati» gli sente dire e non capisce cosa stia succedendo, sa solo che se ha fatto bene i calcoli, dovrebbe essere arrivato in prossimità del condotto che passa sotto l’aula di pozioni.

«I simboli si sovrappongono…» riprende il tassorosso.

E poi.

«Merda! Odinson, torna indietro!» l’urlo di Tony è improvviso, il tono spaventato mentre realizza finalmente l’orrore della situazione.

«Come sarebbe a dire indietro?»

«Togliti immediatamente da lì!»

Ma è troppo tardi e prima che il ragazzo possa spiegargli che non è un solo simbolo quello che hanno visto, che non sono due, ma almeno un centinaio, tutti ammassati nello stesso punto che si muovono come uno sciame nero, il collegamento con lo Specchio Gemello si perde.

Loki è di nuovo solo, solo con centinaia di zampette e cheliceri e occhi a palla che gli stanno puntando addosso: un centinaio di Chizpurfle che per qualche oscuro motivo sono grossi quanto granchi e formano un’orrenda macchia nera e semovente lungo tutte le pareti.  

Dietro di sé corre una linea ritta e nessun posto in cui nascondersi, il bivio che ha intrapreso troppo lontano, non lo raggiungerebbe mai in tempo, ma le gambe si rifiutano di muoversi e nelle orecchie rimbomba l’orrido suono di cento bocche che masticano e centinaia di zampe che battono sulla pietra umida.

La prima reazione istintiva è un calcio contro le creature, li lancia lontani, a fracassare il carapace contro le pareti umide di un condotto che puzza di merda e di trappola.

«Non osate avvicinarvi!»

Ma Loki possiede solo due gambe e i Chizpurfle continuano ad avanzare, si aggrappano ai suoi calzoni, si arrampicano pinzandogli le cosce tra le chele. Ad un Chizpurfle se ne somma un secondo e poi un terzo e un quarto e quando infine decine di quegli affari gli pesano addosso, viene trascinato in ginocchio.

Avete una qualche idea di chi sono io? Vorrebbe gridare loro, perché nessuno ha il diritto il metterlo in ginocchio! Eppure ricade su se stesso, con le braccia incrociate a proteggere la testa, mentre la macchia nera lo inghiotte e centinaia di quelle creature gli camminano addosso, ruminandogli tra i capelli, sui vestiti, affamati di magia. Lontano, in un altro condotto, sente l’eco di un grido disperato – qualcuno che ha probabilmente subito la sua stessa sorte, ma che a differenza di Loki possiede qualcosa che i Chizpurfle vogliono: una bacchetta.

Loki strizza gli occhi, agita un braccio intorno a sé per liberarsi di quelle creature, ma non finiscono mai, come riesce a scacciarne uno altri dieci prendono il suo posto, finché non ne è completamente sommerso.

Si chiude a bozzo, la fronte quasi immersa nella melma ai suoi piedi e una verità che pesa ora più che mai. È solo, di quella solitudine che da bambino gli riempiva gli occhi d’invidia mentre guardava alla schiena di Thor e non osava tendere la mano, di quella solitudine in cui suo padre lo ha costretto, quando ha scoperto di non essere suo figlio, ma solo la mossa arguta di un politico. E se prima aveva almeno la magia, le sue conoscenze, il suo potere, in quelle fogne rimane solo l’umiliazione di un pantano di melma.

Loki serra i denti e come quando era piccolo, chiama l’unica persona che lo abbia mai amato senza chiedere nulla in cambio.

«Ma… madre…»

Al di là dei cheliceri che masticano l’aria, il gocciolio dell’acqua muta, dapprima è un suono lieve, una nota che sale e rimbalza tra le pareti, che scivola sotto il pelo dell’acqua sporca e si allarga, si moltiplica e la nota diventa musica e allora tutto si ferma.

I Chizpurfle, come ratti sotto il giogo in un pifferaio, si allontanano in una scia ondeggiante, che si muove da un lato all’altro del condotto e ne lascia libero il mezzo.

Il corpo di Loki torna alla luce – o al semibuio di una fogna, ma quel che conta è che le creature che prima lo attaccavano ora non ci sono più. E lui si tira sulle ginocchia, i capelli gocciolanti e una nenia di tanti anni addietro che gli entra nelle orecchie e si deposita nel cuore, insieme alla voce di sua madre e al sue gentili braccia quando lo cullavano contro il petto.

Sulla guancia cola una lacrime sporca, che forse è acqua o forse è sua, ma che di certo sa di una calda nostalgia, che lo riporta alle giornate di sole con sua madre in giardino o a quelle di pioggia in biblioteca. Con lei. Che c'era sempre. Con lei. Che non può più chiamare madre.

Quando il canto smette, Loki si risveglia dalla trance in cui è caduto e si guarda intorno.

«C’è… c’è qualcuno?» domanda al nulla.

«Finalmente!» E il nulla gli risponde con la voce di Tony Stark.

Con una smorfia cerca il frammento di Specchio Gemello caduto lì vicino. Si aspettava qualcosa di diverso, un Maride probabilmente o forse è stata solo la sua immaginazione, ma quando fa per alzarsi le gambe formicolano addormentate.

Quanto è rimasto fermo in quel condotto?

«Sei ancora intero, Odinson?» gli chiede il grifondoro.

Loki massaggia le cosce con una smorfia. «Non certo per merito vostro. Quanto manca allo scadere del tempo?»

«Circa quarantacinque minuti, ma se corri dovresti farcela, rimangono soltanto tre condotti da percorrere. Il primo dovresti incontrarlo a breve, è a pochi metri davanti a te. Assicurati di prendere quello che va in direzione nord ovest.»

Guarda davanti a sé ed è vero, a una decina di metri di sé si dirama un nuovo bivio.

Si rialza a fatica, con la voglia di porre fine a quella maledetta prova che lo sta testando molto più di quanto è disposto ad ammettere. Sta per imboccare il condotto alla sua sinistra, quello che si dirige a nord ovest, ma si ferma, guarda alle proprie spalle e rimane in ascolto.

Il canto del Maride ormai tace, ma non molto distante l’acqua gorgoglia e sotto ai suoi piedi il livello si è alzato, fin quasi ad arrivargli alle ginocchia.

«Dove conduce l’altro condotto?»

Dopo un paio di secondi di silenzio in cui Stark sta ricontrollando la mappa, il ragazzo gli risponde: «Da nessuna parte.»

«Siete sicuri?»

«È una mappa fatta di stanghette colorate, quanto credi sia difficile da leggere? Sì, siamo sicuri! E ora imbocca la maledetta strada di sinis… Odinson?» Tony lo chiama, ma Loki non risponde e riprende la sua strada.

È ora di farla finita.

«Perché la mappa mi indica che stai andando a destra? Odinson? Odinson!»

Lo specchio cade a terra.

 

 

Sbarre di ferro grosse come un braccio gli bloccano il passaggio.

Loki le stringe tra le mani, respira a bocca aperta, gonfiando i polmoni, col fiato ancora pesante per aver corso.

Si guarda intorno, circondato da rune che riesce a notare a malapena sulla nuda pietra, tra le crepe da cui l’acqua spilla senza fine. Ha gambe lunghe Loki, è un corpo alto e slanciato, ma l’acqua sale fino a raggiungergli le ginocchia. Non è un condotto, ma una trappola mortale e quando le crepe si aprono sotto la pressione di un lago che si trova dall’altra parte del muro, l’acqua si riversa nel condotto a secchiate.

Il primo getto lo travolge in una doccia gelata, che gli lava via la stanchezza e gli pompa adrenalina in tutto il corpo. Cade, stare in piedi è impossibile, ma invece di finire a terra, finisce sbattuto da un’ondata contro la parete opposta del condotto, tra rune che si accendono di barbagli rossi e gli pizzicano la pelle.

Pochi istanti, un condotto allagato e Loki si ritrova sommerso, con la mano premuta alla bocca e al naso per combattere contro l’istinto di sopravvivenza che gli urla di respirare – una boccata, solo quella, non deve fare altro...

Il corpo si dimena alla disperata ricerca d’aria, di bolle d’ossigeno da rincorrere o di una via di fuga. Intorno a lui, le rune si accendono di un colore rosato, illuminano l’intero condotto come luci al neon in un acquario, con l’unica differenza che lui non è un pesce e che non possiede branchie.

Poi, le rune si spengono.

Le rune svaniscono.

E Loki stringe le dita intorno ad ali che frullano nella tasca.

 

 

Il Ponte del Viadotto dove i Campioni hanno ancora una lunga mezz’ora prima di riuscire a trovare l’uscita

«Fatemi passare!»

Thor Odinson è voce tonante e un corpo gettato in avanti a testa bassa, un toro che carica, pronto a buttar la schiera di presidi e professori come birilli in carne e ossa.

«Non pensarci nemmeno!» A Fury mancherà un occhio, ma con quello che gli rimane ci vede lungo e bene ed è il primo ad afferrare il braccio del grifondoro, per trascinarlo lontano dal professor Strange occupato nel controllo delle sue rune. «Fatti da parte e lascia fare agli adulti! I professori stanno già intervenendo e disattivando le rune di quel condotto.»

Il ragazzo è un bestione, ha capelli d’oro e sorriso d’estate, ma muscoli forti quanto un maledetto orango e ci vuole tutta la forza dell’Auror e quella di due compagni per riuscire a tenerlo lontano all’imboccatura del condotto.

«È troppo lento e mio fratello è ancora lì dentro! Non lascerò che anneghi!» bercia Thor e con uno spintone ben assestato al petto di Fury si libera, costringendolo a mettere mano alla bacchetta.

L’Auror sta prendendo la mira quando, poco prima che pronunci l’incanto, il rumore di un cielo che si spezza interrompe i pensieri di tutti.

Nell’aria si apre una crepa e dalla crepa viene rigurgitato il corpo di un ragazzo.

«Lo… Loki?»

 

 

Piegato in due e con le mani sulle ginocchia, Loki tossisce e sputa acqua. Intorno a lui professori, ragazzi e auror lo guardano come se avessero assistito all’arrivo di un gigante di ghiaccio e quando finalmente i polmoni tornano riempiti d’aria, si solleva e curva le labbra in un sorriso sottile, bello e vittorioso. Giusto un po’ zuppo, ma per quello conosce l’incantesimo adatto.

«Ora sarebbe il momento adatto di ridarmi la mia bacchetta e riconoscere il mio primo posto» afferma nel tono arrogante di un principe che dà ordini alla servitù. E benché il palmo della mano sia rivolto a Silente, lo sguardo s’affila sul preside di Durmstrang e Baron Zemo che nascondono dietro una maschera di silenzio ogni loro pensiero.

Avevano un piano ed è fallito.

Al contrario di quello di Loki, che s’affretta a nascondere l’altra mano in tasca e spezzare nel pugno le ali di Billywig e l’incanto che lo hanno condotto alla luce del giorno, permettendogli di smaterializzarsi fino al Ponte del Viadotto senza quasi doversi nemmeno concentrare. È bastato cercare la luce.

«Tu!» Thor gli piomba addosso con grazia elefantiaca e la stessa pesantezza nei grossi palmi che gli batte sulle spalle «Credevo saresti morto!»

Loki si lecca le labbra, ma quando sulla lingua rimane il sapore di lago – e di qualcos’altro a cui non vuole pensare – smorfieggia disgustato.

«E io credevo avessi un cervello sotto a quella chioma dorata, ma non facciamone un dramma.»

«Maledetta serpe bugiarda!» Thor lo afferra per le spalle, in scossoni che basterebbero a finire il lavoro lasciato a metà con Nick Senzatesta, staccandogliela di netto, e che per miracolo non la staccano anche a Loki.

«Ora basta!» urla il Campione.

Puzza di fogna, ha passato due ore e mezzo nella melma e si è quasi lasciato affogare; quel maledetto fratello acquisito e imbecille potrebbe avere più riguardo!

Ma tanto è bravo a leggere la gente, quanto poco lo è a vederne l’affetto, è così abituato a ingannare che cerca sempre un significato dietro ogni gesto, quando invece quelli di Thor sono sinceri, limpidi come il suo animo. E il grifondoro lo stringe in un abbraccio, lasciando che la sua risata coli nell’orecchio del serpeverde.

«Perfino la morte riesci ad ingannare, fratello!» esclama, con una fierezza rara che ha il potere di mettere a tacere perfino Loki.

 

 

Non passerà molto perché anche il resto dei campioni raggiunga l’uscita del viadotto, contenti di poter respirare finalmente aria pulita.

Un incanto disinfestante, uno rinfrescante e un “Gratta&netta” dopo, a raggiungere il serpeverde è anche Stark, che si avvicina con l’aria di chi è invecchiato dieci anni in un solo colpo.

Lo trova ancora accanto a Thor, il grifondoro a intrappolargli le spalle con un braccio, con nessuna intenzione di volerlo lasciare andare tanto presto – ha avuto paura di perderlo, ma non basterà una Cruciatus a farglielo ammettere.

«Il tuo piano era barare, Odinson?» chiede Tony a bassa voce, anche se i professori sono troppo occupati a discutere tra loro sul calcolo dei punteggi per dar bado alle chiacchiere dei ragazzi.

Loki solleva il mento.

La menzogna è il suo credo, barare è quello che fa, perché una vita onesta è noiosa e banale e perché la sua è troppo preziosa per essere sprecata dietro a regole decise dagli altri.

«Le regole prevedevano che non avrei potuto utilizzare la magia finché le rune anti-mago fossero attive, non è mia la colpa se le hanno disattivate prima che il tempo della prova terminasse» afferma mellifluo, passando una mano su lunghi capelli corvini finalmente liberi dal pantano melmoso delle fogne.

Tony non può negare una certa ammirazione, a quanto pare tentare il suicidio durante la Prova è la via per la vittoria.

Poco distante da loro, invece, il Terzo Campione si trova accanto a Rogers.

Alla cintura del tassorosso, penzola la fondina di pelle che ospita la sua bacchetta, un legnetto di quercia rossa, dalle venature rosso sangue che ora acquistano tutto un nuovo significato.

Loki lo ha visto nelle Rune, una notte di luna piena: la magia di quei due è nata dal sangue e nel sangue, un giorno a l’altro, cesserà d’esistere.

 

[ 7.075w ]



[1] fa parte del testo della canzone Space oddity – David Bowie


 

Lo confesso, sono colpevole, Vostro Onore, colpevole di aver piegato la consegna della Seconda Prova ai miei porci comodi; ma ho pensato che, tecnicamente (un tecnicamente preso con le pinze), le istruzioni le ho seguite; insomma, gli ostacoli che dovevano comparire sono comparsi... poi io li ho interpretati nel modo che più mi conveniva, sue me! y_y

Senza contare che ho anche fatto in modo che Loki barasse, ma è Loki, non poteva fare una prova senza barare, sarebbe stato offensivo nei suoi confronti!

A parte gli scherzi, la verità è che non sono per niente brava con questo genere di prompt, purtroppo si vede e la narrazione ne ha risentito parecchio. Forse, quando il Torneo sarà finito, rivedrò completamente questo capitolo e modificherò tutte le parti che non mi piacciono, ma considerando la mia pigrizia per ora rimane un bel sogno per il futuro.

Ma passiamo alle cose importanti che in questo capitolo sono principalmente due:

1. Il formato della prova non appartiene a me, ma è stato deciso da chi si è occupato della challenge e sotto trovate tutte le indicazioni che dovevano essere seguite.

2. mi sono presa la libertà di modificare in parte la filastrocca (che comunque mantiene il medesimo significato di quella originale), è stato solo perché mi sembrava brutto avere Tony che diceva peste e corna di qualcosa creato da altri, in questo modo quindi spero nessuno si offenda.

 

[..] Questa volta la Prova si svolgerà all’interno dell’impianto idraulico di Hogwarts, diverse decine di metri sottoterra.

I vostri Campioni si sveglieranno al centro di un condotto. Saranno sprovvisti di bacchetta, avranno con sé solo la pergamena contenente l’indizio e il frammento di specchio.

L’obiettivo è quello di riuscire a trovare l’uscita senza utilizzare la magia. Non è consentito utilizzare abilità magiche, si dovranno comportare come semplici Babbani.

Che cosa incontreranno nel tentativo di trovare l’uscita?

Nelle tre ore i vostri Campioni dovranno affrontare necessariamente questi ostacoli:

strada senza via d’uscita;

allagamento improvviso di un condotto*;

incontro con un Avvincino*. Sarà uno solo e si scontrerà con il vostro Campione;

incontro con un centinaio di Chizpurfle (saranno privi di sostanze magiche). Attaccheranno il vostro Campione, che dovrà difendersi;

canto dei Maridi che distrarrà il vostro Campione, impedendogli di concentrarsi sul trovare l’uscita. Sta a voi decidere come, l’importante è che venga mostrato quanto il Campione sia scosso.

* Solo in questi casi è consentito l’utilizzo di Magia Accidentale come Smaterializzazione o incantesimi difensivi.

Ricordatevi che avete a disposizione un solo colpo. Se, ad esempio, decidete di utilizzare la magia contro l’Avvincino, non vi sarà possibile usarla durante l’allagamento del condotto e viceversa.

Se decidete di utilizzare la Smaterializzazione, i vostri Campioni non potranno spostarsi all’esterno dell’impianto idraulico. Potranno solo tornare indietro, decidendo di imboccare un’altra tubatura invece che quella che aveva precedentemente scelto.

A cosa serve il frammento dello Specchio Gemello?

Privato del senso dell’orientamento, il Campione che affronta la Seconda Prova dovrà farsi guidare dai suoi compagni.

Questi due si troveranno in un’aula in disuso all’interno di Hogwarts, dove troveranno una mappa dell’impianto idraulico del Castello e avranno la possibilità di localizzare il proprio compagno ma… attenzione! Potranno parlare con il Campione designato solo due volte all’ora, per dieci minuti ciascuna.

Sei volte in totale, quindi.

Inoltre, mentre il Campione affronterà le avversità segnate con *, la comunicazione sarà assente o interrotta.

I Campioni presenti all’interno dell’aula non avranno a disposizione libri scolastici, oggetti o altri materiale. Non possono inviare al loro compagno nessun tipo di aiuto, solo parlarci.

Allo scoccare delle tre ore, se il vostro Campione avrà trovato l’uscita, si troverà l’indizio per la prova successiva nella tasca della divisa. Si tratta di un foglio di pergamena piegato in quattro.

 

Come al solito, grazie a chi ancora sta seguendo questa minilong e un grazie speciale a chi si è ritagliato un po' di tempo anche per commentarla, you da best!

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Scritta per Torneo Tremaghi - Multifandom edition @L'angolo di Madama Rosmerta – Seconda Prova

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