Come si amano i tramonti

di Anonimadelirante
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Due cuori, un cuore (parte prima) ***
Capitolo 2: *** Topografia dei tuoi incontri (parte seconda) ***
Capitolo 3: *** Farfalle (parte terza) ***
Capitolo 4: *** Non un cavallo bianco (quarta parte) ***



Capitolo 1
*** Due cuori, un cuore (parte prima) ***


Come si amano i tramonti

 


When you love the Doctor, it's like loving the stars themselves.
You don't expect a sunset to admire you back.
And if I happen to find myself in danger, let me tell you, the Doctor is not stupid enough, or sentimental enough, and he is certainly not in love enough to find himself standing in it with me!
(Christmas Special 2015: The Husbands of River Song, Steven Moffat)

 

 

 

 

 

 

Due cuori, un cuore

(parte prima)

 

 

 


Nei libri della biblioteca di Leadworth, l’amore è nugoli di insetti nello stomaco, gote che rosolano come mele nelle bocche delle porchette alle fiere, polsi che tremano, cuori che fremono.
Mel non è del tutto sicura: avere roba che si muove nella pancia non è una gran bella sensazione, ad occhio e croce.


Indietro, più indietro – in un luogo da cui è fuggita ed un tempo da cui continuerà a scappare per sempre – Madame Kovarian le parla dell’amore come qualcosa di peggio che una specie di malanno stagionale: nelle sue parole, è un male mortale.
(L’amore, piccola mia, le dice nei suoi ricordi, ma in realtà non è sicura le abbia mai davvero accarezzato la testa in quel modo, rende volubili e sciocchi, inclini a cadere negli inganni.
Uno strattone, il riflesso di Madame con una spazzola in mano, un nodo sciolto – o strappato che importa, il risultato non cambia: i capelli rossicci della bambina rapita che siede davanti a lei sono lisci, ora. Tu non vuoi essere debole, non è vero?)

 


°

 


È l’inverno dei loro dodici anni.
Amy e Rory e Mel: a volte le sembra che saranno loro tre per sempre, che non cambierà mai nulla, che il tempo non potrà toccarli (ma il tempo raggiunge tutto, no? Persino lui, alla fine. Prima o poi, persino loro. Non deve dimenticarselo mai).
I marciapiedi ghiacciano e la zia di Amy avvolge il collo della nipote in lunghe sciarpe rosse. La mamma di Rory lavora a maglia guanti per suo figlio e, una volta che la vede correre in giardino senza giacca, una mantellina per lei. Nelle vetrine dei negozi, il Natale è passato da un pezzo, ma l’aria è sempre più pungente e le mattine sempre più scure ed un giorno Amy cede alle canottiere di lana che sua zia insiste perché si infili nelle collant, ed un pomeriggio Rory porta un cappello calato in testa e due in mano, per loro.
Quella vecchia scorbutica di Miss Farrawather scivola davanti alla panetteria e si rompe un’anca. Nascoste dietro alla Punto rossa della signora Angelo, lei ed Amy ridono fino a non avere più fiato. Rory sembra avere qualche remora in più: «Si sarà fatta molto male?» domanda, apprensivo, mentre camminano piano verso casa sua.
Per un istante, pensa Infermiere, deformazione professionale – Arthur Williams Junior, passato alla Storia come Rory, marito di Amelia Jessica Pond, compagno del Dottore, Infermiere. Ma Mel queste cose non dovrebbe saperle. Ancora non sono successe. (Quindi: non deformazione professionale, ma naturale propensione.) Così, si morde forte il labbro e smette di pensarlo.


Amy lo sta rassicurando: «Ma no!» ride, dandogli un’allegra pacca sulla spalla. «Be’» ritratta dopo un istate. «Certo, s’è presa una bella botta sul sedere, ma--»
Lei non risponde, rimane un po’ indietro, li guardare rincorrersi e sdrucciolare per la via di casa: Amy e Rory non lo sanno riconoscere, il rumore d’un osso che si spacca. Lei sì.
(Lui, anche, ne è sicura.)


È l’inverno dei loro dodici anni ed Amy parla del suo Dottore Stropicciato solo dietro la porta chiusa della camera, e solo quando la zia non è in casa: «Un altro strizzacervelli» le ha spiegato in un moto d’insofferenza nel cortile della scuola. «Proprio non posso sopportarlo in questo momento.»
Rory si sta facendo un ragazzino slanciato, dinoccolato e sgraziato, sotto gli strati di vestiti che sua madre gli infila a forza – Amy sembra trovarlo stranamente accattivante.
Lei è Mel da quasi metà della sua vita: a sollevarsi il maglione, sul ventre, neanche l’ombra del proiettile che ha ucciso la figlia di Madame Kovarian.
La supplente che viene chiamata a sostituire quell’acida della Farrawather è una donnina magra, troppo giovane e troppo nervosa, con gli occhi così sgranati da sembrare piattini da tè. Li avvisa che la professoressa si è rotta un’anca e che lei la sostituirà fino alla fine dell’anno, cincischia per una decina di minuti e poi, siccome è febbraio, fornisce loro cartoncini rossi e matite colorate e batte le mani, un’allegria forzata che a Mel increspa brividi d’irritazione lungo le braccia: «Facciamo dei biglietti di San Valentino, d’accordo?»


È l’inverno dei loro dodici anni, e passano la mattina a fare biglietti di San Valentino.
Amy è quella che s’impegna di più, perché è Amy e qualunque cosa faccia la fa spendendosi al massimo: piega due cartoncini e li scurisce di cieli stellati coi pastelli a cera – a fine giornata, ne consegna uno a lei ed uno a Rory. Fa loro una smorfia affettuosa e, gettando un braccio oltre le spalle di entrambi, miagola: «I miei ragazzi» comicamente stucchevole.
Rory rifiuta di farsi cavare di bocca il destinatario – ridicolmente evidente – del suo e alla prima occasione lo getta nel cassonetto appena fuori da scuola.
«E tu?» sibila esasperato, ad un certo punto del pomeriggio, nel tentativo di far smettere Mel di ridere di lui.
E allora, lentamente, Mel tira fuori dalla tasca il suo: un organo cardiaco un po’ troppo accurato per una bambina di dodici anni, con stelle e supernove a scorrere lungo le arterie al posto del sangue. Sul retro del suo cuore asimmetrico, Melody ha scritto: Al Dottore Stropicciato dei sogni di Amy. Vieni a prendermi.

 

 

 

«Uno che è innamorato ha come un fuoco dentro!»
«E brucia?»
«Come un lampo!»
«Insomma, è un temporale.»
«Allora poi piove?»
(Rèbecca Dautremer, L’innamorato)

 

 


(Quella notte, sul pavimento della camera di Amy, non riesce a dormire.
La voce di Madame Kovarian le scava nelle orecchie: «Per un uomo – un uomo qualsiasi, Giulio Cesare, JF Kennedy, Abraham Lincoln – basta puntare al petto ed avere una buona mira. Con lui sarà ancora più facile, perché avrai due possibilità. E tu hai un’ottima mira, non è vero? Non è mai successo che dovessi sparare una seconda volta.»)

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Capitolo 2
*** Topografia dei tuoi incontri (parte seconda) ***


Come si amano i tramonti

 

 

When you love the Doctor, it's like loving the stars themselves.
You don't expect a sunset to admire you back.
And if I happen to find myself in danger, let me tell you, the Doctor is not stupid enough, or sentimental enough, and he is certainly not in love enough to find himself standing in it with me!
(Christmas Special 2015: The Husbands of River Song, Steven Moffat)

 

 

 

 

 

 

Topografia dei tuoi incontri

(parte seconda)

 

 

 

 

 

È Melody senza madre né padre da quasi vent’anni, quando il Dottore torna, ma non torna per lei (lei non lo ha aspettato, d’altra parte – e lui neanche sa della sua esistenza): torna per Amy e dove va Amy va anche Rory (le stelle e l’universo e tutto il tempo che non scorre come crede la maggior parte della gente, ma vortica come sabbia nel vento senza logica alcuna). Lei no. Lei resta.
No, non è vero: Melody senza cognome non resta. Non sa ancora chi è, ma di certo non è una che resta – lei è già andata via. Un giorno ha fatto lo zaino, ha baciato Rory sulla guancia, stretto Amy in un abbraccio spacca-ossa: «Vado a vedere cosa c’è oltre ai laghetti vuoti di Leadworth» ha detto loro, anche se forse quello che davvero intendeva era Vado a vedere se c’è qualcosa per me, nel mondo, oltre a voi e a Madame. Oltre a lui.


Così lui torna ed il tempismo davvero non è il suo forte, perché lei è partita da appena mezza giornata e quando lei ed Amy e Rory si rincontrano Leadworth è stata luogo di un'invasione aliena dopo vent’anni di noia mortale ed assoluta.
Due anni dopo, Amy e Rory si sposano e-- è solo complicato, immagina.


Dopo. (Dopo il Terzo Reich, Amy e Rory piccoli come flora intestinale ed il gusto della saliva del Dottore, in bocca, assieme al veleno con cui lo uccide--) Dopo non è più Mel per nessuno, tranne che per sé stessa.


(Torna a Leadworth, allora. Non è del tutto certa del perché. Ovviamente, nessuno la riconosce.
Non è una che resta, ma in effetti è una che torna.)

 

 

 

but in our story,
who is the monster at the end of the book?
oh my love, the monster is time.
(We are fates and worlds away,
a.j)

 

 


Sa che non dovrebbe, che non è sano, non è salutare – non è neanche particolarmente costruttivo: di tanto in tanto, però, cerca ancora storie, leggende, favole su di lui.
È, immagina, tutta colpa dell’educazione di Madame.
(A volte, però, si sente solo una ragazzina con una cotta per un divo.)

 

 

°

 


Non è questo il caso: questa, ironicamente, è una coincidenza.
Il locale è apparso dal nulla. È così che accadono la maggior parte delle tragedie: locali apparsi dal nulla e ragazzine sprovvedute che ci entrano senza un piano di emergenza.
Lei, però, ha un piano di emergenza – è piccolo e compatto: una stunt derringer infilata in un reggicalze come fosse una femme fatale degli anni venti.
L’uomo che le è seduto accanto, al bancone, ha l’aspetto di uno che ha viaggiato parecchio, il sorriso di uno che sa farci – ha intenzione di chiarire al più presto in che ambito – e gli occhi molto più vecchi del suo viso senza rughe. Mel si lascia offrire uno, due, tre drink. Ballano bocca contro bocca, bacino contro bacino, fronte contro fronte sulle note di una canzone che viene da un pianeta che lei non ha mai visto, ma di cui lui sembra conoscere ogni anfratto. Alla fine, di nuovo al bancone, di nuovo seduti vicino, mentre la musica si fa via via meno languida, ma in qualche modo più molle, un sottofondo jazz un po’ malinconico, glielo chiede: «Così» si schiarisce la voce. «Quest’uomo, quello che ti ha salvato la vita--»
Lui le sorride un sorriso storto, quasi galante: «Non mi hai ascoltato» la riprende, serioso per finta. «È stata una ragazza.»
Lei sbatte le palpebre ed arriccia le labbra (stringe forte la mano che tiene abbandonata in grembo, le unghie che le incidono il palmo): «Non è cortese parlare di un’altra, mentre bevi con una donna, però» civetta, sta al gioco. Rispetta il ruolo. «Ti stavo dando una via d’uscita» cincischia, anche se tutto quello che vorrebbe fare è scuoterlo, urlare, parlami di lui, parlami di lui, so che hai capito, voglio sapere

tutto.

«E la via d’uscita sarebbe farmi parlare di un altro?» ride lui, senza smettere di sorridere bonario, ma neanche di guardarla – studiarla. «Non credo che tu abbia ben capito--»
«Ho capito» ribatte fra i denti lei, il bordo del bicchiere macchiato di rossetto. «Il compagno della ragazza» definisce, un po’ più secca di quello che dovrebbe (la voce di Amy, sedici anni ed un’inflessione da madre, nel tono, del tutto casuale – o forse no, forse genetica: Si prendono più mosche con il miele, Mel.) «Parlami di lui.»
L’uomo sembra più divertito che arrabbiato, dopotutto: «Cosa vuoi sapere?» l’asseconda, finendo in un sorso il suo cocktail ed ordinandone un altro con un gesto della mano.
«Era innamorato?»
«Non credo esista un essere vivente più innamorato dell’universo di lui.»
«Di lei intendo.»
«Oh» le labbra dell’uomo s’arricciano nel primo sorriso sincero della serata. Reticente, affettuoso. Lei lo guarda, un dolore quasi fisico che le sboccia nel petto.
(Rory direbbe: Empatia, Mel, si chiama empatia, ma lei sa che non è così – è qualcosa di diverso, è qualcosa di più. Lo odia: finisce il drink a sua volta in un sorso soltanto.)
Lui dice: «Saresti innamorata di lei anche tu, se l’avessi conosciuta.»
E lei: «Fammi capire bene» assottiglia lo sguardo. «Chi è dei due che ti ha spezzato il cuore?»
Ride, di nuovo, dentro il bicchiere ormai vuoto anche del ghiaccio sciolto: «Spezzato il cuore» ripete. «Sono sicuro di non essere stato così drammatico, mentre ballavamo.»
«Permettimi di dissentire.»
«Rubato, al massimo» la ignora, senza ombre nello sguardo. «C’è una certa differenza.»
«Semantica.»
«Permettimi di dissentire» le fa il verso lui, allegro, sfacciato.
Poi la cameriera arriva e lascia loro direttamente la bottiglia.

 

 

°

 


«Jack» si presenta l’uomo, la mattina dopo, tendendole la mano, ridicolmente formale per uno che ha lanciato il suo reggiseno sul lampadario meno di sei ore prima.
Lei tentenna per uno due tre secondi: «Carino» mormora poi, una piega ironica sulla bocca. «La gente mi chiama Melody, da queste parti» si risolve poi a dire, ed anche  se non è vero non è una bugia.
Lui le sorride contro il dorso della mano, ironicamente all’antica: «Adorabile» mormora, quasi a sé stesso. «Una donna piena di mistero. Capitano Jack Harkness, al tuo servizio.»
Mel alza gli occhi al cielo, ma inizia ad apprezzarlo, deve ammettere. Il fascino della divisa, suppone. «Andiamo a fare colazione» taglia corto.
L’uomo chiamato Jack le tiene aperta la porta della suite: «Torniamo al diner» propone. «Se non sono ancora partite, Clara e la signorina Io potranno raccontarti altre storie sul nostro amico in comune, e se sarai fortunata potrai anche assaggiare il loro magnifico soufflé.»

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Capitolo 3
*** Farfalle (parte terza) ***


Come si amano i tramonti

 

 

When you love the Doctor, it's like loving the stars themselves.
You don't expect a sunset to admire you back.
And if I happen to find myself in danger, let me tell you, the Doctor is not stupid enough, or sentimental enough, and he is certainly not in love enough to find himself standing in it with me!
(Christmas Special 2015: The Husbands of River Song, Steven Moffat)

 

 

 

 

 

 

Farfalle
(parte terza)

 

 

 

Una parte di lei ci crede davvero: che è scappata e non tornerà, che non ucciderà il Dottore. Sarà Melody per sempre, Mel senza madre né padre, la migliore amica di Amelia Pond e Rory Williams, senza destino, ma con un futuro tutto da costruire.
Sul pavimento di casa Pond, stretta fra Amy e Rory su un materasso senza rete, Mel strizza gli occhi finche le stelle sul soffitto che hanno disegnato coi pennarelli fluorescenti sembrano vere: puntini lontani e indefiniti e pulsanti, nell’oscurità della notte. Pensa: Vieni a prendermi. Pensa: Non ti aspetterò.
Pensa: Fai in fretta.


La parte di lei che parla più piano, ma non tace mai, però, non sa mentire a sé stessa. Un giorno Amy e Rory saranno solo un ricordo: un giorno Amy e Rory saranno madre e padre d’una figlia rapita. Un giorno, Amy le sparerà. Un giorno, lei cercherà di uccidere il Dottore Stropicciato della sua migliore amica. Forse, persino, un giorno tornerà da Madame Kovarian.


(Non sei mai scappata davvero, le sussurra una voce – ma è solo un incubo, è solo un incubo. Lasciamo che gli uccellini si lancino giù dal nido, se sono inclini a farlo: qualcuno impara a volare, ed allora torna sempre.
Gli uccellini smarriti tornano sempre, bambina. È per questo che non serve cercarli. Se non muoiono nel tentativo, sono più forti di prima. E se muoiono… se muoiono erano deboli già in partenza e non ci serve la debolezza, nel Silenzio. Non è così, Figlia del Vortice?)

 


Pensa: Prima che sia troppo tardi.
Oh, per favore. Prima che sia troppo tardi.

 


°

 


Un po’ ironico come troppo tardi e troppo presto siano concetti così simili, quando si è nati respirando a pieni polmoni nel cuore di una TARDIS.

 


°

 


Finisce per conoscerlo in un campo di grano, e non è come se lo è immaginato ed allo stesso tempo è precisamente come Amy glielo ha raccontato.
Solo, ridicolmente meglio.


E tragicamente innamorato di un’altra.

 

°



Madame le ha insegnato (a sparare, a mentire, ad essere sempre un passo avanti rispetto a tutto il resto della stanza) moltissime di cose utili, nella vita, suppone. Sopra ogni altra cosa, però, le ha insegnato l’odio.
Il modo in cui il Dottore supplica River Song nel delirio febbricitante della febbre indotta dal veleno è-- Mel detesta questa River, chiunque lei sia. La detesta come Rory ha detestato Jeff Angelo, alle superiori. La detesta come Amy non ha mai avuto motivo di preoccuparsi di nessuno, in realtà. Tranne che. Mel è più intelligente di così. Non è un’ingenua. Sua madre – sua madre, Amelia Pond, le ha sparato quand’era solo una bambina, nient’altro che una bambina che si divincolava singhiozzando in una tuta spaziale. E lei... lei l’ha aggiustato. Si è strappata dai sorrisi color sangue di Madame Kovarian e si è guarita da un foro di proiettile e ha fatto in modo che i suoi genitori la crescessero, nonostante tutto. Nonostante il Dottore stesso (che non era venuto a prenderla nessuna delle notti in cui, rintana in una camera zeppa di stelle sbilenche, aveva strizzato forte le palpebre ed aveva sperato). Quindi, sì: è più intelligente di così e sa che Amy non è mai stata in competizione con nessuno, non per le attenzioni di Rory e forse neanche per quelle del suo Dottore Stropicciato – non esattamente, perché lui è sempre tornato a prenderla, in fondo, anche se a volte si è un po’ distratto lungo la strada – ma non è comunque da Madame che Melody Pond che ha imparato l’odio. È da sua madre.
Glielo ha visto brillare negli occhi, feroce ed assoluto, un attimo prima che le sparasse.


No, Madame non le ha insegnato l’odio. Le ha insegnato la paura.
La paura, la bambina senza nome, né padre, né madre, a cui Madame racontava storie dell’orrore lo sa: la paura ti fa fare cose assurde e terribili ed incredibilmente sciocche. Cose come scalare i vertici di potere di una setta, allearsi con dei mostri. Diventarlo tu stessa.

 

 


La cosa più dolosamente ridicola dell’intera questione, però, pensa Melody accarezzando la fronte sudata del Dottore di sua madre, mentre lui lentamente respira attraverso gli ultimi istanti della sua lunghissima vita, è che non sa perché l’ha fatto. Non sa perché.


(Non è stato per paura – è passato del tempo, dall’ultima volta che pensare al Silenzio le ha colmato il petto di terrore: ora, ogni volta che chiude gli occhi e pensa ad Amy Pond che la odia e le spara e a Madame che la veste di una tuta troppo grande, tutto ciò che riesce a mettere a fuoco è una rabbia senza scampo. Allora, respira molto lentamente, come le ha insegnato il suo migliore amico quando ancora faceva il volontario per il piccolo ospedale di Leadworth.)

 


Non è stato per paura e non è stato per odio.
Non odia il Dottore. Non potrebbe mai.
Non dopo essersi addormentata per gran parte della vita con la voce di sua madre nelle orecchie ed in testa mirabolanti avventure fra le stelle.


(Ma forse – solo forse. Odia il Dottore. Lo odia davvero. È colpa sua, in fondo. Madame ed Amy con in mano una pistola e Rory così... giovane e spaventato dall’idea di perdere il suo migliore amico per mano di una minaccia senza volto. Davvero.
Tutta colpa del Dottore.
Che non è venuto a prenderla neanche una sola di tutte quelle notti in cui lei ha supplicato l’eroe dei sogni di sua madre di--)

 


°

 


Qualunque sia la reale motivazione, scopre che tutto assomiglia all’amore dei libri della biblioteca di Leadworth: che baciarlo e avvelenarlo e poi salvarlo e derubare dei ricchi nazisti e volare sulla meravigliosa cabina blu della favole di sua mamma le fa formicolare la punta delle dita e bruciare la gola e strizzare lo stomaco come se uno stormo di tarme ci stesse banchettando.


È un po’ assurdo quanto è meraviglioso e divertente, nell’insieme, visto quanto in effetti spaventoso sia in realtà.

 


°

 


Dirà, più avanti – molto più avanti o molto più indietro a seconda di come la si guardi, ma insomma: da qualche parte lungo il volteggiare frenetico del tempo, così ironicamente simile all’ondeggiare delle eliche del DNA – che è stato per dispetto. Sarà una bugia, ovviamente, o comunque una mezza verità, ma se è vero che il Dottore mente, e lo è, ovviamente lo è, perché non dovrebbe farlo anche lei?
Dirà che voleva davvero baciarlo e che lui continuava a farneticare di un’altra e lei era solo... solo così giovane e così spaventata e così arrabbiata per tutte quelle cose in cui il Dottore c’entrava senza c’entraci affatto – il Silenzio e Madame e sua madre e suo padre, ed Amy e Rory e i suoi migliori amici (tutti le stesse persone senza esserlo per niente) – che aveva solo agito d’impulso. Un capriccio, nulla più.
Lui sospirerà esasperato, come se quasi uccidere una persona ripicca non fosse altro che un buffo aspetto del carattere di sua moglie con cui deve fare i conti ogni giorno. È così, per lo più. (Solo che si tratta di una lunga notte e non esattamente di giornate.)


Sulla sua faccia, su questa sua faccia, l’esasperazione affettuosa ha un aspetto del tutto diverso, rispetto a quello che aveva sulla faccia del Dottore Stropicciato di sua madre quando sbuffava: «Amy» con quel tono lamentoso ed un po’ bambinesco che aveva sempre, un attimo prima di voltarsi verso suo padre – «Rory, dì qualcosa a tua moglie.»
Sulla faccia di questo Dottore, del suo Dottore, del Dottore che ridicolmente, del tutto inaspettatamente, la ricambia, l’affetto e l’esasperazione si mescolano in qualcosa che ha i tratti dell’adorazione.
Dirà: «Ovviamente eri gelosa di te stessa, River Song. È così da te» tirandole piano una cioccia di capelli  arricciati. «Di chi, altrimenti?»

 

 


Più avanti, più indietro, a metà – ad un certo punto, anche Amy e Rory le chiederanno perché («Oh, Mel, perché?» come se fosse semplicemente seduta a fare il broncio in presidenza e non avesse invece attentato alla vita del loro più caro amico), ed anche a loro risponderà con qualcosa che non assomiglia del tutto alla realtà, ma che forse non è neanche esattamente una menzogna. Dirà: «Per gelosia, ovviamente. Non si parla di un’altra in presenza di una donna. Papà, per il bene di tutti noi, ricordatelo, per favore.»
Al che Rory risponderà un po’ bruscamente: «Eri tu, Mel. Non stava parlando di un’altra. Eri gelosa di te stessa.»
Lei si stringerà nelle spalle, farà roteare lo champagne nel bicchiere, lancerà un’occhiata di sguincio a sua madre: «Sì, be’. Alla fine non l’ho ucciso no?» Bofonchierà, un po’ soffocata.
Ed Amy Pond – dalla quale forse più che l’odio ha imparato la rabbia (travolgente ed impotente, che ti fa fare cose stupide quanto la paura, cose come sparare ad una bambina. Cose come avvelenare l’uomo per cui forse potresti avere una cotta) – respirerà forte, dal naso, un’esalazione di puro sollievo, di pura comprensione e: «No, tesoro» ammetterà, con quel tono dolce ed assertivo che aveva anche a sedici anni con la sua migliore amica – una rassicurazione. «Non l’hai fatto.»


(In un’altra vita, che in questa linea temporale hanno sfiorato appena, ma che in un’altra li ha travolti come un camion dai freni tagliati, Amelia Pond ha schiacciato una benda elettrificata contro l’occhio della donna che ha rapito sua figlia e l’ha guardata morire.
Ma ora – in questo giardino curato in cui Amy non è un’assassina, Mel non è più Mel da molto tempo e Rory è sempre sé stesso – brindano alle bugie di un uomo con due grandi cuori e molto fiato per scappare da ogni ridicola situazione mortale verso la quale è in precedenza corso senza alcun pensiero in testa.
Oh, pensa River. Oh, sì che ha imparato l’odio da sua madre. L’odio e l’amore – feroce e senza scampo, senza alcuna domanda.)

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Capitolo 4
*** Non un cavallo bianco (quarta parte) ***


Come si amano i tramonti

 

 

When you love the Doctor, it's like loving the stars themselves.
You don't expect a sunset to admire you back
And if I happen to find myself in danger, let me tell you, the Doctor is not stupid enough, or sentimental enough, and he is certainly not in love enough to find himself standing in it with me!
(Christmas Special 2015: The Husbands of River Song, Steven Moffat)

 

 


 


Non un cavallo bianco
(epilogo)

 

 


Seduta nelle fondamenta della Biblioteca, River chiude gli occhi, prende fiato e – per un attimo, un solo istante – si concede di dargli un’occhiata.
Lui è svenuto. Ammanettato abbastanza lontano dai cacciavite e dal diario perché non possa arrivarci neanche scalciando. Forse, se si rompesse il polso – ma sarebbe una sciocca ripetizione della loro storia e l’universo raramente è così pigro, mai quando si tratta di loro due.
Il Dottore non riuscirà a fermarla, questa volta. Quest’unica volta, l’unica che davvero conta.
Si permette di studiarlo, quindi, questo Dottore così giovane, così lontano, sconosciuto.
Non lo conoscerà mai, pensa, un dolore sordo che le deflagra nel petto.
Respira a fondo, una, due volte – come Rory diceva fosse importate fare per concentrarsi, Insomma Mel, sto frequentando un corso preparatorio all’università, fidati.
Lui, però, conoscerà lei.
L’ha amato riamata, ma sempre fuori sincrono: non sono mai stati adulti assieme, non sono mai stati adolescenti nello stesso momento – si sono alternati come su di un’altalena ed hanno urlato e riso e fatto a chi volava più in alto, a chi cadeva più rovinosamente.
Lo hanno fatto.
Lo faranno.


(E non è così che funzionano tutte le storie d’amore, in fondo?
La loro è speciale perché ha il privilegio di essere come tutte le altre.)

 


°

 


L’ultima volta che l’ha visto, aveva un taglio nuovo – i capelli non se li era tinti, però – ed un completo elegante, stirato. (Lei aveva lanciato un’occhiata di affettuosa gratitudine alla TARDIS, perché quella era stata chiaramente una scelta pilotata.)

 

 


Sulla terrazza del Ristorante al Termine dell’Universo (il proprietario si divertiva a chiamarlo così, quando si fermavano a fare colazione assieme allo staff, sentendosi ormai a casa, ed a casa per la prima volta da anni, forse da sempre), lei guarda lui guardare le Torri. È invecchiato. Dal loro primo appuntamento. Dall’inizio della notte: «Quanto, ancora?» gli chiede, bevendo un’infuso di stravonis curagis (d’importazione diretta dalle piantagioni di Beatleguese).
«Non lo sai?» replica lui, la voce stretta. «Non stai tendo il conto?»
«No» mente lei. «E non dovresti neanche tu. Non è come se finita questa notte, finirà tutto l’universo.»
«Sì, invece» la contraddice il Dottore, guardandola negli occhi per la prima volta da ore. «Sì, invece» ripete, ma più piano, più dolcemente. Le prende la tazza dalle mani, ne beve un sorso. «Non importa» mormora dopo un istante, rianimandosi con quella repentinità ai limiti della schizofrenia che gli è propria qualunque faccia indossi. «Non pensarci» decreta. Poi aggiunge, più piano, tranquillo, domestico: «Andiamo a letto?»
«Certo» sorride lei, avvicinandolo per la vita. Lo bacia. Francamente, pensava che si sarebbe stufato prima – che finito di mangiare, un giorno-notte qualunque in questi ventiquattro anni di tregua l’avrebbe presa per mano e le avrebbe proposto: «Andiamo?»
(Lei avrebbe detto: «Sì, certo, ovviamente. Fammi solo cambiare acconciatura.»)
Non è successo, però, ed è quasi l’alba. Un paio di giorni terrestri, al massimo.
Va bene, pensa. Il Dottore è sempre singolarmente drammatico e in realtà lei sa la data in cui questo universo collasserà su sé stesso – è un’archeologa ed è una Figlia del Vortice (deformazione professionale o naturale attitudine, quindi?) – e sa che non è così vicina come dice lui. Si tratterà di un’altra apocalisse, però, certo. È tutto qua, in fondo, la vita: nient’altro che una processione infinita di piccole apocalissi, finché tutto non finisce per davvero. Non con un botto, ma con un sussurro.
Qualunque apocalisse il Dottore tema, arriverà. Anticiparla non serve a nulla. Lo bacia più forte, perciò, e sorride: «Vai» dice. «Aspettami.»


Sola sulla terrazza, davanti alle Torri, sospira e guarda l’alba colorarsi lenta, ora dopo ora.
Dopotutto, non le sono mai piaciuti gli addii.

 

 

 

“Per sempre felici e contenti” è ellittico di: “fino a quel punto.”
(Chiara Valerio,
Buon vicinato)

 

 


È sola, vicino ad un Dottore che non è il suo Dottore, che la implora Non farlo non farlo ti prego non puoi non capisci cosa significa se lo sai vuol dire che noi siamo-- strattonandosi dolorosamente il polso ammanettato.
River lo guarda – il suo tramonto, la sua vita, il suo più grande amore – e sorride: «Shhh, adesso» mormora, morbida. «Spoiler

 


°

 


Nelle storie della Biblioteca, tutti vivono: c’è una donna vestita di bianco, ed amici con cui rievocare la loro ultima avventura. Ci sono tre bambini – un maschio e due femmine: una è vissuta per davvero, gli altri due sono nati dai sogni di una donna dai capelli rossi, che un giorno, per un breve, brillante momento, sarà la più importante dell’intero universo, ma che qui non è altro che un ricordo sbiadito, una storia anche lei.
Nelle fiabe che racconta loro la donna in bianco, rimboccando coperte colorate, accarezzando visi e baciando fronti, l’amore non rovescia lo stomaco per colpa del solletico dato dal turbinio impazzito di tarme da credenza di campagna, non brucia le guance di febbre, non strozza il respiro in gola.
Nelle storie della Biblioteca, l’amore ha l’odore del vento, fa il rumore del respiro del Vortice del Tempo. I principi e le principesse che vengono a salvarti arrivano quando meno te lo aspetti, e non arrivano mai in groppa a bianchi destrieri, ma sempre alla guida di astronavi leggermente bizzose, che possono viaggiare nel tempo e nello spazio, certo, ma soprattutto – sopra ogni cosa – che ti portano sempre dove dovresti essere. Al centro dell’azione, cioè.

 

 

 

 

 


(Joshua ed Ella la chiamano mamma.
La ragazzina che è vissuta, invece, la guarda con quegli occhi liquidi, profondissimi, tutte le storie dell’universo in un solo sguardo: «Come ti chiami?» le domanda.
Lei ci pensa per uno, due, tre istanti. Pensa alla figlia rapita che è stata. All’arma che Madame ha sperato diventasse, alla ladra, all’archeologa, alla studiosa, all’assassina.
Pensa alla moglie che ha voluto essere per così tanto tempo, alla moglie che è stata, agli amori, piccoli e grandi, che ha corrisposto. Pensa alla donna riflessa negli occhi del Dottore. Pensa al suo Dottore, al Dottore Stropicciato dei sogni di sua madre, a tutti i Dottori che è stato prima di lei, a quelli che sarà.
Ci pensa e le sorride, le accarezza il capo – nei suoi ricordi, un’immagine speculare: è lei la bambina seduta, e la donna che la spazzola ha un sorriso che sembra sporco di sangue, vestiti neri color carbone, una benda sull’occhio.
«Sono River Song. Puoi chiamarmi Mel, se vuoi» le dice, spiega.
La bambina nello specchio annuisce.)

 

 

 

«Don't the great tales never end?»
(JRR Tolkien, The two towers)

 

 





N/A: ringrazio BellaLuna per l'iniziativa, dolcissima, e mi scuso con Duchessa, che di certo avrebbe guadagnato se avesse ricevuto un altro Babbo Natale Segreto. Spero ti sia piaciuta, questa piccola fic su River, anche se in corso d'opera è diventata più una fic sulla dicotomia River-Mel che una storia piena d'ammmoreh col Doc. C'è anche quello, ovviamente, perché è River, ma. Ma soprattutto ci sono Amy e Rory e i diversi ruoli che assumono nel corso della vita di loro figlia è tutta colpa di Teresa Ciabatti, quindi.
Tanti auguri di Buon Natale e di un sereno anno nuovo, a te, a Bella Luna e a tutt* quelli che leggeranno :D

 

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