Un istinto vecchio di 65 milioni di anni

di fabman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tre secondi ***
Capitolo 2: *** Più denti ***
Capitolo 3: *** Non è qui per noi ***



Capitolo 1
*** Tre secondi ***


1. Tre secondi

Isla Sorna, 2001.

 

Non appena sentì l'ultimo Velociraptor – la matriarca – scomparire nel sottobosco con l'uovo delicatamente fra le fauci, Grant balzò in piedi. Il cuore gli batteva a mille. Era sopravvissuto una seconda volta all'incontro con gli animali che erano stati protagonisti dei suoi incubi per otto anni. Ma non aveva tempo di pensarci. Un rumore diverso, non naturale, riempiva l'aria.

– Lo sente anche lei? – disse Paul Kirby alle sue spalle.

– Lo sento, sì. È un elicottero.

Grant prese a correre. Non si preoccupò se i Kirby stessero al passo. Seguiva un istinto impellente, che era nato al centro del suo stomaco e che lo spingeva violentemente in avanti. Potevano farcela.

Corse come un pazzo per la scarpata, ferendosi gli stinchi contro i rami. Nelle narici penetrò l'odore di salsedine. Erano vicini all'oceano.

Dopo qualche centinaio di metri, però, si congelò in piena corsa. Inciampò malamente.

Un'onda di paura l'aveva bloccato di botto.

I suoi sensi si erano acuiti da quando era sull'isola: lo avevano avvertito prima che ci arrivasse la testa. L'ambiente aveva subito una variazione.

Paul lo raggiunse e gli si accovacciò a fianco. Con la coda dell'occhio vide apparire Amanda ed Eric, che si tenevano per mano.

– Che diavolo succede ora? – disse Paul.

Grant non rispose. Fissava davanti a sé, cercando una spiegazione della vibrazione che avvertiva sotto i piedi.

Passi. Qualcosa di vivo, e di grosso.

Si immobilizzarono. Attoniti, videro l'enorme testa squadrata, di un verde sbiadito, che si faceva strada fra le fronde a un'altezza di cinque metri. Due occhi vitrei li fissarono. Un ringhio grave e sonoro, terribilmente familiare per Grant, gli trafisse i timpani, si diffuse nel petto e gli inoculò un panico cieco in tutto il corpo.

– Non vi muovete, – mormorò. Ma sapeva che era inutile: il Tirannosauro li aveva individuati e fiutati.

In effetti, non era nemmeno più sicuro che quella teoria fosse vera.

Valutò le possibili vie di fuga. Percepì i Kirby fare lo stesso. Ma una fitta barriera di tronchi e radici intrecciate sbarrava loro la strada da entrambi i lati. L'unica era voltarsi e correre, ma il suo corpo non stava rispondendo. Anche gli altri sembravano pietrificati.

C'erano così vicini.

Il Tirannosauro era immenso, e si muoveva col passo cauto ma sicuro di un animale dominante nel proprio territorio. In quel momento stava valutando se valesse la pena attaccarli. Pregò un qualsiasi dio che avesse mangiato da poco, e che non li considerasse una minaccia.

– Ora uno Spinosauro ci farebbe comodo.

Era stato Eric a parlare. Grant non fece in tempo a sorprendersi per la frase. L'aria si riempì di un suono raggelante e inaspettato – l'urlo di decine di creature uscite dai peggiori incubi mescolate insieme.

Ma le fauci del Tirannosauro non si erano aperte.

Grant trovò finalmente un po' di coraggio. Scattò di lato, afferrando Eric per un braccio. Doveva aver preso una storta quando era inciampato, e quando si mosse una fitta di dolore lo trapassò. Arrancò verso una nicchia fra i giganteschi fusti degli alberi e schiacciò sé stesso e il ragazzo contro il muschio. Paul trascinò Amanda accanto a loro e la strinse a sé.

Mentre strisciavano lungo i tronchi, cercando un vano, erano a malapena coscienti dello Spinosauro che irrompeva nella radura, creandosi con facilità disarmante un varco fra i tronchi che per gli umani erano una barriera impenetrabile. Schegge di legno li raggiunsero. Erano a meno di una decina di metri.

Lo sguardo gelido del Tirannosauro si incatenò a quello del nuovo arrivato. L'intruso aveva catalizzato immediatamente la sua attenzione.

La sorpresa non durò nemmeno tre secondi. Nessuno dei due predatori si fermò a studiare l'altro, né a cercare di intimidirlo. Il Tirannosauro inarcò i possenti muscoli del collo e si lanciò dritto contro lo Spinosauro, che a sua volta scattò in avanti. Tutto si congelò per altri tre secondi.

Silenzio. Poi fragore, insopportabile, come una tempesta di neve.

Quando gli umani alzarono gli occhi dal vano più lontano che avevano trovato, la collisione fra i due animali aveva spinto lo Spinosauro di lato, abbattendo la parete di tronchi per tutta la sua lunghezza e facendolo rovinare a terra in un marasma di schegge, frammenti e fogliame strappato. Anche il Tirannosauro sbandò di lato, puntellandosi con una zampa posteriore, ma recuperò la posizione e attaccò alla cieca nel polverone. Le mandibole si chiusero sul muso dell'altro, e strattonarono violentemente. Il collo dello Spinosauro si torse in risposta, e si sarebbe spezzato in due se il punto d'appoggio dell'altro non fosse stato malfermo. Ma le lunghe braccia artigliate scattarono prima che il T-Rex riuscisse a riguadagnare l'equilibrio, lasciando segni sanguinosi sul suo torace. Le fauci affusolate dello Spinosauro trovarono la carne alla base del collo, affondandoci. Il Tirannosauro muggì di dolore, si divincolò con un altro strattone e contrattaccò puntando ancora al muso. Ma l'altro era piegato sulle zampe anteriori, e la bocca del T-Rex trovò solo le spine della vela dorsale, spezzandole con un crack inquietante.

Grant e i Kirby continuavano ad annaspare sull'intreccio di radici, muovendosi di lato come gamberi per cercare di trovarsi sempre nel punto opposto allo scontro. Lampi nero-rossastri e verde scuro precedevano gli impatti tremendi fra i dinosauri, le zanne non trovavano mai la giugulare e la lotta finiva per puntare a stressare sempre più violentemente ossa, tendini e muscoli del nemico, fino al momento in cui un colpo meglio assestato avrebbe frantumato, lacerato o spezzato qualcosa di vitale. I due titani si muovevano con una rapidità impressionante per animali tanto pesanti, occupando gran parte del suolo e trovandosi sempre a bloccare le possibili vie d'uscita da quel cerchio della morte.

Dannazione!

Grant non voleva morire lì. Non dopo tutti quegli sforzi. E non sarebbe successo. Dovevano solo aspettare il momento giusto. Bastava solo un attimo.

Come un orso impossibilmente grande, lo Spinosauro sferrò due potenti zampate, lasciando sei strisce di sangue sul muso del T-Rex. Ma gli costò un momento di troppo. Le fauci del Tirannosauro si fecero strada verso la sua gola, indifesa per un secondo. Quando lo Spinosauro reagì, era già stretto in una morsa implacabile che gli perforava il collo. Mandò un verso acuto e strozzato, che tagliò la cappa di calore della giungla. Poi uno schiocco, chiaro e terrificante. Il grido cessò.

Il Tirannosauro mollò la presa, lasciando che la gravità facesse il resto. Il corpo del gigantesco rivale si accasciò al suolo, producendo un piccolo terremoto. Rimase solo l'ansimare del vincitore, in un silenzio di morte.

Ci vollero altri tre secondi. Grant si accorse che stava trattenendo il fiato. Guardò il sentiero che portava alla spiaggia. Era libero.

Il T-Rex posò una delle enormi zampe posteriori sul fianco dello Spinosauro, e finalmente ruggì di vittoria. Dentro quel suono di un altro mondo c'erano trionfo e frustrazione liberata. Gli equilibri del suo regno, messi in crisi dall'intruso, erano stati ristabiliti. L'isola era di nuovo tutta sua. Era questo che stava annunciando. Strida di uccelli gli risposero, facendo eco sulle frequenze acute al messaggio del sovrano restaurato di Sorna.

Grant decise che era il momento. Afferrò il polso di Eric, che era il Kirby più vicino. Ma lui sembrava ipnotizzato. Fissava il Tirannosauro, che torreggiava sul corpo disarticolato dello Spinosauro e continuava a lanciare ruggiti assordanti in tutte le direzioni, come se sentisse il bisogno di chiarificare qualcos'altro ancora.

– Io me lo ricordo.

Grant ci mise un attimo a registrare quello che aveva detto Eric. – Cosa?

– L'ho già visto.

Amanda si avvicinò stranita. Il ragazzo sembrava sotto shock. Eppure doveva averne viste di scene del genere, e non pareva particolarmente impressionabile.

– Cosa vuoi dire, Eric? – mormorò Paul, tirandolo. – Su, andiamo.

– Sbrighiamoci, – disse Grant. Eric sembrò svegliarsi dalla trance.

Scattarono verso la spiaggia, con Alan che arrancava tenendosi il polpaccio. Il T-Rex li notò appena. Probabilmente, decise che non meritavano la sua attenzione in quel momento.

– Dico che l'ho visto in televisione, – disse Eric, la voce più acuta per il respiro affannoso. Il rumore di motori si intensificava, e sembrava mescolato a una voce umana che urlava attraverso un megafono. – Quattro anni fa. Incidente di San Diego.

– Eric, possiamo parlarne dopo? – gridò Amanda.

– Stesse cicatrici. Stesso disegno sul dorso. Non è mai passato dove stavo io. Era in questa parte dell'isola.

Eric si zittì, come se avesse detto quello che doveva dire, e scattò in avanti.

Mentre caracollava più rapidamente che poteva, la mente di Grant si era avviata, senza che potesse fermarla. Gli venne in mente Malcolm, il suo ruolo nel far venire alla luce l'incidente del Jurassic Park e l'esistenza del Sito B. Per quanto lo detestasse, pensò che era venuto il momento di chiedergli scusa per non averlo mai appoggiato in otto anni.

E pensò al suo scavo nel Montana, il motivo per cui aveva accettato i soldi della InGen per non creare problemi. Lì lo aspettavano dinosauri innocui, più reali, più appassionanti, fatti solo di ossa fossili – quelli che nessun esperimento genetico e nessuna morte violenta erano mai riusciti a rovinargli.

La luce del sole si faceva strada tra le fronde. Ora c'era anche il rumore del mare. L'ultimo, sbiadito ruggito li raggiunse da quella che pareva ormai una lunga distanza.

Eppure, voltandosi un istante, a Grant era sembrato di vedere ancora una scena. La figura maestosa del Tirannosauro, tornato calmo dopo aver eliminato l'unica creatura che potesse minacciarlo, veniva raggiunta da un suo simile, che gli si sfregava contro come se fosse un familiare...

Ma erano troppo lontani: era di sicuro un'illusione ottica. Ormai erano usciti dal fitto della giungla, e pochi arbusti iniziavano a lasciare spazio alla sabbia. Si concentrò di nuovo sulla corsa, ignorando il dolore alla gamba e sperando ardentemente che fossero davvero alla fine di quell'avventura.

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Capitolo 2
*** Più denti ***


2. Più denti

Isla Nublar, 2015.

 

Quella creatura molesta che aveva preteso la sua attenzione, sviandola dalle piccole cose rosa che stava braccando, aveva resistito più di tutti gli altri. Era grossa quanto lei, aggressiva quanto lei, e le aveva fatto male con quei morsi, passando con facilità la sua pelle dura. Non se l'era aspettato. Ma adesso boccheggiava ai suoi piedi. Era vecchia, si vedeva, e il suo era stato un tentativo disperato. Una volta dato il colpo finale, lei sarebbe stata la padrona del campo. Non le sarebbe bastato, certo. Ma ora voleva ucciderla.

L'odore della morte e del sangue la eccitava. Ma con quella preda non avrebbe giocato. Era pericolosa, anche se non quanto lei. Nessuno era pericoloso quanto lei, era l'unica cosa che sapeva. Là fuori era pieno di altre prede che l'aspettavano, tutto quello che vedeva era preda, doveva solo liberarsi di questa.

Preda. Finisci preda, poi cerca altre prede.

Avrebbe voluto farlo fare a quelle altre piccole creature. Erano intelligenti, le sembravano un po' più simili a lei. Poteva comandarle, avere altri occhi, altri denti e altri artigli. Ma le si erano rivoltate contro, e l'avevano tradita per quella piccola cosa rosa che la pungeva con quegli insetti rumorosi che la ferivano. Anche se non quanto i denti di questa preda.

Comunque una delle cose rosa – quella che le scatenava contro gli insetti – e le altre piccole simili creature avevano un legame. Sembravano avere un legame. Ma probabilmente era un'illusione: se avessero vinto, poi si sarebbero uccisi fra loro.

Non importa. Prede anche loro. Trova quella rimasta, quella più forte, e uccidi anche lei. Ma dopo questa.

Si protese verso il collo della grande preda, allargando le fauci per strangolarla. C'era qualcosa in comune anche con lei. Denti. Zampe.

Finirla l'avrebbe soddisfatta più delle altre prede.

Ma qualcosa non andava. Preda si muove. Occhio si apre. Preda si agita e ti fissa.

Tu sei anche preda.

Tu sei preda ora.

 

– Correte!

Il grido di Claire raggelò il sangue nelle vene a Owen. Tutto stava andando maledettamente storto, ancora una volta. Quell'idea folle sembrava aver funzionato, e il Tirannosauro si era scagliato contro l'Indominus, ma dopo qualche minuto era stato atterrato. Dannate creature geneticamente modificate. Non gli aveva nemmeno procurato abbastanza tempo. Tolto di mezzo il T-Rex – l'unico animale abbastanza grande e aggressivo da opporsi – l'Indominus li avrebbe braccati e uccisi uno a uno. Non potevano scappare né sperare che si stancasse. Quell'animale fuori dalla grazia divina era più incazzato di un adolescente in crisi ormonale, più aggressivo di un ex militare affetto da stress post-traumatico, e pericoloso quanto le due cose insieme. Ma che diavolo gli era saltato in mente, a quel fottuto pazzo di Simon e all'altro figlio di puttana di Wu?

Owen prese i ragazzi di peso e cercò di spiccare il volo. Avrebbe voluto fortissimo le ali di uno pterosauro, o almeno l'agilità di Blue. Si chiese vagamente se Claire, dietro di lui, si fosse tolta quei ridicoli tacchi – doveva ammettere che sapeva correrci con stile, anche se la vecchia Rexy probabilmente era troppo anziana e non realmente interessata a lei. Almeno non quanto lo era lui.

Dobbiamo sopravvivere.

Un pensiero stranamente confortante gli irradiò calore nel petto. Sembrava finita, ma da qualche parte nella sua testa galleggiava ancora il pensiero che, in qualche modo bizzarro, ce l'avrebbero fatta. Lo sapeva, nelle situazioni disperate il corpo reagiva così, e alla fine era questo che gli aveva salvato la vita più volte.

Se fossimo in un film di Hollywood, adesso tutto finirebbe bene.

 

Gray era confuso e per niente lucido mentre veniva sballottato con poca grazia da Owen. Non capiva più cosa stava succedendo, e non riusciva nemmeno più ad avere paura. Forse aveva preso una botta in testa.

In quello stato scioccato, qualcosa – uno stimolo sonoro non identificato in mezzo ai rumori della lotta – lo fece voltare indietro tanto di botto da farsi male. Una parte di lui afferrava l'idea che avrebbe visto il mostruoso predatore albino far fuori il T-Rex, ma voleva guardare. Quello che vide lo confuse ancora di più.

Il Tirannosauro, che pochi secondi prima sembrava spacciato, era balzato in piedi e aveva travolto l'Indominus con la potenza di una locomotiva lanciata a tutta velocità. Le mascelle si erano serrate sull'attaccatura di quelle della creatura ibrida, col risultato che questa si era bloccata in una specie di terribile sorriso, incapace di emettere suoni. Per quasi qualsiasi altro animale, questo avrebbe significato la morte sul momento. Ma la struttura dell'Indominus era mostruosamente rinforzata – un regalo del codice genetico di chissà cosa, forse un Anchilosauro o un Deinosuchus.

Gray sentì che anche Owen si era bloccato e aveva rilassato la presa. Non lo stava più trascinando in cerca di un rifugio. Si era voltato, respirando pesantemente, e osservava.

Fallito il blitz diretto, il T-Rex aveva deciso di giocare di sponda, e aveva praticamente lanciato l'Indominus contro un lato della Main Street. Cavi elettrici spezzati rilasciarono scintille abbaglianti, ustionando la pelle bianca dell'ibrido. Il morso successivo le strappò di netto una zampa anteriore, lasciandola a urlare in agonia.

Il Tirannosauro aveva capito dove colpire.

Morsicò l'altro braccio, aprendo una ferita da cui sgorgò sangue a fiotti. Subito dopo puntò di nuovo alla gola, chiaramente deciso a non scoprire se le mandibole della sua figlioccia fossero potenti quanto le sue. Sballottò l'Indominus da un lato all'altro della Main Street, senza dargli respiro. Incurante della stazza del nemico, lo trattava come se fosse solo una pulce arrogante. La lotta si spostò lungo la strada, fra i bagliori delle scariche elettriche.

La creatura albina fu spinta contro un edificio, facendone crollare una buona metà. Frastornata e col moncherino che sanguinava, ma ancora in piedi, riuscì ad abbozzare un contrattacco. Ma la T-Rex fu più veloce, e chiuse le fauci sulla nuca dell'Indominus. Zanne ricurve affondarono per tutta la loro lunghezza, centimetro dopo centimetro, perforando ostinate la pelle corazzata, frantumando le squame e arrivando alla carne.

 

Sentiva le forze prosciugarsi. La rabbia aveva lasciato il posto alla paura, per la prima volta da che era viva.

Uccidi. O preda uccide te. Uccidi.

Ma era stata presa in una tempesta. La preda – ormai non lo era più – sembrava ricaricare le forze a ogni movimento, galvanizzata dalla sua paura. Si sentiva impotente.

Quando quelle possenti mandibole affondarono nel suo collo per l'ultima volta, sentì che stava per finire. Niente poteva proteggerla. Il sangue le invase la gola, soffocandola, e non riuscì più a emettere suoni. La vista si annebbiava. Ma il collo non si spezzò. Fu scaraventata contro qualcosa, che cedette. Dolore acuto in tutto il corpo. Lampi di luce, tutt'intorno.

Preda uccide te. Tu sei preda.

Provò a lasciar uscire un lamento di dolore, ma riuscì solo a gorgogliare un fiotto di sangue. Da sotto le palpebre che provava a tenere aperte, vide la sagoma confusa di quella che aveva pensato fosse solo un altro gioco. La fissava con curiosità, e aspettava. Non voleva finirla. L'avrebbe lasciata morire.

Poi, da dietro, inaspettato, qualcos'altro venne, la prese e la trascinò via.

Sentì freddo e dolore. Non controllava più i movimenti. Gli occhi le si chiusero.

Buio.

 

Stringendo a sé i due ragazzi, Owen fissò incredulo il punto in cui il Mosasauro era scomparso, trascinando l'Indominus con sé e lasciando solo una serie di cerchi concentrici sulla superficie del grande bacino. Sentì la presenza di Claire da qualche parte alle sue spalle. Non sapeva se fosse il momento di venire allo scoperto, non riusciva a pensare lucidamente. Il Tirannosauro – che da quando l'Indominus era sparito tra i flutti non aveva emesso suoni, ma aveva semplicemente rilassato il corpo – sembrava stanco e provato, e sanguinava da più squarci aperti sui fianchi. Anche da dov'era poteva vederne e sentirne il respiro, lento e profondo. Era come vedere e sentire il respiro di tutta l'isola.

Il T-Rex si voltò verso di loro, e Owen trattenne il fiato. Contemporaneamente, alle sue spalle sentì un richiamo familiare, che la sua testa confusa non riuscì a ricollegare subito.

Vicinissima a loro, era apparsa Blue. Claire trasalì. Owen provò subito a ottenere l'attenzione di Blue per evitare che li attaccasse.

Ma il Velociraptor guardava oltre di loro, verso il Tirannosauro. Si mise in posa da attacco, gonfiando il petto, protendendo gli artigli delle zampe anteriori e scoprendo i denti. Sembrava intenzionata a proteggere Owen con la vita, così come avevano fatto gli altri Raptor contro l'Indominus.

La T-Rex, però, non attaccò. Li squadrò con nient'altro che stanchezza e vago interesse, poi indugiò un momento in più sul Raptor che soffiava verso di lei. Infine rilasciò un lungo sospiro e si girò lentamente, incamminandosi a passi pesanti verso il centro di Nublar, finché sparì dietro un edificio. Gli ultimi tonfi si persero nella notte, sempre più attutiti e distanti. Il cuore dell'isola continuava a pompare battiti.

Blue rivolse nuovamente l'attenzione a loro, e Owen immediatamente prese il controllo del gioco di sguardi, mettendosi davanti a Claire, Zach e Gray. Il Raptor inclinò appena la testa, come se si aspettasse qualcosa.

– Beh, grazie, – mormorò Owen con un mezzo sorriso.

Blue sibilò piano, in atteggiamento rilassato e giocoso. Poi si girò fulmineamente e fuggì via, in direzione opposta a quella che aveva preso il Tirannosauro.

Scintille di elettricità vagavano nell'aria come tetri fuochi d'artificio. Cadde qualche goccia di pioggia. L'isola respirava di nuovo.

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Capitolo 3
*** Non è qui per noi ***


3. Non è qui per noi

Biosyn Sanctuary, Dolomiti italiane, 2022.

 

– Non ho scelta, non è sicuro atterrare fuori dall'area di contenimento!

– Ma tutti gli animali sono qua!

Kayla rifletté velocemente. La foresta intera stava andando a fuoco. Meglio l'incendio o essere costretti in uno spazio minuscolo in mezzo a un finimondo di dinosauri che si massacrano fra loro? Ma poi, che diavolo gli era saltato in mente? Possibile che non avessero almeno uno spazio separato per i carnivori?

Non lontano dall'ingresso della struttura, c'era uno spiazzo libero dalla vegetazione che sembrava essere stato risparmiato dalle fiamme. Era delle dimensioni giuste per far atterrare un velivolo. Se c'era una cosa che Kayla aveva imparato a fare grazie al suo lavoro, era prendere decisioni in fretta. Una di quelle decisioni d'impulso l'aveva portata qui, adesso non c'era tempo per chiedersi se sarebbe stata anche la sua fine: doveva prenderne un'altra per provare a evitarlo.

Avvertì Ramsay, virò e si diresse verso la piccola radura. Sperabilmente, gli altri sarebbero riusciti a uscire e a raggiungerla prima di venire divorati da un Allosauro di passaggio.

 

Da ragazzo, Owen non immaginava che l'addestramento in marina gli sarebbe mai servito a schivare le oscillazioni della coda spinata di uno Stegosauro nervoso, ma a quanto pare le circostanze della vita sono buffe e imprevedibili, ed era proprio quello che stava facendo in quel momento. Ellie, Grant, Malcolm, Claire e Maisie lo seguivano a breve distanza, cercando di stare nella sua scia. Le "leggende viventi" erano tutte fra i cinquanta e i settant'anni, e si supponeva che fossero stanchi di tutto questo... Claire era indubbiamente agile e andava in piscina due volte a settimana, ma Owen aveva buone ragioni per pensare che essere stata quasi uccisa da un Dilofosauro in tempi recenti potesse ripercuotersi molto sulle sue prestazioni fisiche. Tenere in piedi le scene d'azione spettava a lui, come sempre. Del resto, c'era un motivo se era arrivato solo (e con fatica) a tre quarti dell'audiolibro di Grant e non aveva mai neanche pensato di scaricare quello di Malcolm. Ognuno ha le sue inclinazioni e priorità. Lui, per esempio, contava sulla prospettiva di avere ancora tutte le sue diottrie a settant'anni.

In un lampo di ironia demenziale, gli venne da pensare che almeno, da quando era attivista per il DPG, Claire non usciva praticamente mai dalle sue scarpe da ginnastica.

– Owen! Attento!

Il suo momento di idiozia gli era quasi costato l'impatto con un Iguanodonte. Fortunatamente, anche l'animale stava correndo alla cieca, e lo mancò di un soffio. Owen incespicò e si graffiò un braccio; l'Iguanodonte urtò di striscio contro un pilone e scosse la testa confuso, per poi riprendere la sua marcia ignorando gli umani.

– Tutto ok! Tutto ok! Andiamo!

Passarono il cancello, andando contro la corrente di dinosauri che si riversava nell'area di contenimento. Per fortuna, nessun Dreadnoughtus stava transitando in quel preciso momento, altrimenti le possibilità di venire schiacciati contro qualcosa o maciullati da un enorme arto sarebbero aumentate esponenzialmente.

Ma quale pazzo furioso avrà mai pensato che sarebbe stata una grande idea metterli tutti insieme?

 

Il pazzo furioso, che si chiamava Lewis Dodgson, in quel momento era parecchio impegnato – ma, sorprendentemente, ancora vivo, e il 100% dei suoi sforzi erano tesi nella direzione di rimanerci. Fra le circostanze buffe e imprevedibili della vita – quelle su cui quel noiosissimo bastardo di Malcolm avrebbe sicuramente commentato con qualcuno dei suoi vaneggiamenti astrusi – c'era anche il fatto che i Dilofosauri tendevano a mostrare un'aggressività intraspecifica ancora maggiore di quella dei Raptor del Jurassic Park originale – o forse era solo la versione che avevano ricreato loro ad avere quel disordine comportamentale. Fatto sta che, appena prima che quello che aveva attaccato Dodgson potesse ledere un qualsiasi suo organo vitale con un colpo d'artiglio, un suo simile un po' più grosso lo aveva atterrato dal lato per contendergli la preda, e avevano iniziato a lottare fra loro come due gatti in calore troppo cresciuti. Questo aveva giocato a favore di Dodgson, che adesso arrancava fuori dal condotto, lesionato, pieno di graffi, macchiato della saliva acida del Dilofosauro che gli irritava tremendamente la pelle del collo, ma ancora in possesso della vista e senza ferite mortali, o così sperava.

Il suo quadro psichico, invece, era abbastanza peggiore di quello fisico. Qualche fusibile era saltato nella sua testa, gli sembrava di avere gli occhi più aperti del solito, e agiva più per impulsi ciechi che per ragionamenti lucidi. Come un cane. Forse avrebbe dovuto chiamarsi Dogson. Rise da solo, istericamente.

Poteva ancora ricominciare. Poteva rimettere in piedi tutta la baracca. E non si sarebbe fidato di nessuno, stavolta.

Prima di tutto doveva mettersi in salvo. E immediatamente dopo, chi l'aveva tradito doveva pagare.

Strinse più forte il manico della valigetta, concentrando l'occhio della mente sulla lattina di schiuma da barba che ci aveva gettato dentro. Subito dopo, pensò alla pistola che teneva nel cassetto dell'ufficio.

 

Per tutta la vita Malcolm aveva studiato il Caos e cercato di trovarci dentro qualche tipo di logica, ma più andava avanti e più si accorgeva che il suo atteggiamento generale verso l'esistenza somigliava più che altro a un atto di fede, o comunque a un'accettazione passiva del fatto che quasi niente è controllabile. Se nella maggioranza delle circostanze questo gli aveva dato un qualche tipo di conforto e anche un fastidioso (per chi gli stava intorno) senso di superiorità sulle vicende umane, in quel momento avrebbe desiderato un pizzico dell'ingenuo decisionismo di quel ragazzone, Grady, almeno per potersi creare l'illusione che quella non fosse l'ultima catastrofe in mezzo a cui veniva a trovarsi. Le uniche due cose che riusciva a pensare, invece, comprendevano il fatto che morire fianco a fianco ad Alan – e, soprattutto, a Ellie – in un luogo isolato popolato da tanti animali preistorici quanti non ne aveva mai visti tutti insieme, era al tempo stesso ironico e confortante. L'altra era che, fatalismo a parte, non aveva per niente fretta di scoprire come, e per mano di chi o di cosa, questo sarebbe successo.

Al momento erano fuori dalla struttura di contenimento, in uno scenario apocalittico abbastanza coerente col tentativo di realizzare la fine del mondo che era tutto quel posto. Qualche locusta in fiamme ancora svolazzava come una parodia macabra di una lucciola, o cadeva come un piccolo meteorite alimentando l'incendio della foresta, che però sembrava essersi allontanato. Per il resto, là fuori era abbastanza deserto. Almeno, fatta eccezione per il giovane Nasutoceratops che vagava fra i tronchi anneriti in cerca di qualche arbusto commestibile, apparentemente incurante del chip impiantato nel suo cervello che doveva in teoria richiamarlo verso la struttura di contenimento. Più in là, anche un Allosauro sembrava molto concentrato sulla ricerca di qualche carcassa bruciacchiata di cervo, e per niente intenzionato a obbedire agli ordini. Non avete mai avuto il controllo. Nessuno ha il controllo. Alla prova dei fatti, c'è sempre qualcosa che non funziona.

Owen, che guidava il gruppo, si fermò al centro della radura, tentando di orientarsi. Ma l'attenzione di tutti fu attirata da un fruscio proveniente dal punto in cui riprendeva la cortina della vegetazione, da quel lato quasi intatta.

– Ramsay!

Il ragazzo li raggiunse a grandi falcate. – Ce l'avete fatta tutti. Lo sapevo. Ne venite sempre fuori.

– Non ce l'abbiamo ancora fatta, – disse Alan, con un po' di affanno. Probabilmente essere rincorso da carnivori giganti era qualcosa meno alla portata del suo fisico rispetto a ventinove anni prima. – E se non troviamo quel dannato aereo, sarà difficile. Va tutto bene?

– Dov'è Dodgson? – chiese Ellie.

Prima che Ramsay potesse rispondere, Malcolm intervenne. – Cosa ci frega di Dodgson? Per quanto mi riguarda, spero sia stato dilaniato da uno dei suoi mostri.

– È morto, – disse Ramsay. – Dilaniato dai suoi mostri. Ho potuto vederlo nella telecamera di sicurezza, prima di lasciare il centro di controllo.

– Bene, possiamo andarcene da qui sereni. – Ellie gli lanciò un'occhiata torva.

Un rumore secco gli perforò i timpani. Si voltarono tutti. Ramsay sputò un fiotto di sangue, poi cadde faccia in avanti. Dietro di lui c'era Dodgson, con la pistola in mano e una valigetta nell'altra.

– Dovevi restare a guardare altri trenta secondi, Ramsay. È sempre stato il tuo problema, avere fretta di risolvere tutto.

 

– Figlio di puttana! – gridò Malcolm. Ellie non l'aveva mai visto così fuori di sé. Ma Dodgson lo bloccò puntandogli contro la pistola, e Ian sembrò afflosciarsi.

– Potrei dire la stessa cosa di te. Sei un traditore. Meriteresti che ti ammazzassi come questo piccolo cane bastardo. L'avrei già fatto se non ti ammirassi così tanto. Ma non è detto che non lo faccia ora. In ogni caso, credo proprio che i tuoi favori presso la Biosyn siano finiti, professor Malcolm.

– No, dai, sono certo che le nostre divergenze possano ancora essere appianate, è stato un rapporto così sereno e gratificante. Dovremmo proprio parlarne di fronte a una tazza di tè. Certo, ignorando il dettaglio che probabilmente è finita anche la Biosyn, e che qualsiasi potenziale sala da tè nei dintorni ora sarebbe difficilmente accessibile, – disse Ian. Ellie non poté fare a meno di sorridere, ma fu raggelata subito dopo.

Dodgson sparò alla gamba di Ian, che cadde in ginocchio con un grugnito. Grady si precipitò a sorreggerlo.

– Cosa vuoi da noi, Dodgson? – gridò Ellie. – Ti avremmo cercato!

– No, non l'avremmo fatto, – esalò Ian. Alan gli tappò la bocca con una mano.

– Vuole ucciderci, – disse Maisie. – Gli abbiamo rovinato il giocattolo, e sa che se ci lasciasse in vita diremmo tutto. Ma ovviamente vuole che lo portiamo all'aereo prima.

– Sei intelligente come tua madre, Maisie, – disse Dodgson. – Ma basterà che mi indichiate la direzione, poi faccio da solo. Avete la possibilità di salvarvi. Certo, è una su un milione, ma meglio di niente, o no?

– Non vale molto come accordo, – disse Grady, che nel frattempo cercava di attirare l'attenzione degli altri. Ellie rifletté. Erano in cinque, potevano accerchiarlo e portargli via la pistola. Ma probabilmente qualcuno sarebbe morto prima che ci riuscissero.

Con la camicia macchiata di sangue e le chiazze scure del veleno del Dilofosauro su tutto il corpo, Dodgson assomigliava a un animale ferito. Ellie sapeva bene che dagli animali feriti – e pericolosi – ci si può aspettare qualsiasi cosa.

– Datemi quel satellitare, – ringhiò il cane rabbioso, puntando l'arma da uno all'altro. Owen esitò un secondo, poi fece per avvicinarsi a Dodgson col telefono in mano e le braccia alzate.

– Dallo a lei! – abbaiò l'uomo con la pistola. Owen obbedì, e fu Ellie a consegnare il satellitare. Dodgson lo afferrò rapidamente e subito fece tre passi indietro.

– Ossequi, dottoressa Sattler, – scandì. Poi guardò dritto Malcolm, che era ancora ansimante al suolo.

– Non ho problemi con voi, a parte la vostra intromissione. Vi stimo, tutti quanti, e mi piange il cuore a condannare Maisie con voi. È una ragazza speciale, è preziosa, e avrebbe meritato una vita migliore. Ma ogni grande avanzamento umano ha un costo.

– Piantala, Steve Jobs, – rantolò Ian. – Preferisco morire adesso piuttosto che ascoltare il tuo monologo del cazzo! Fra parentesi, come pazzo furioso vali ancora meno che come filantropo.

Dodgson scattò e fece per premere il grilletto contro Malcolm. Ellie e Alan gridarono e si frapposero sulla traiettoria. Facendo rientrare il labbro, Dodgson abbassò la pistola.

– Sai, professor Malcolm, invece mi lascerai finire. – Indietreggiò con l'arma puntata. – Non ho problemi con voi, a parte te. Ti ho accolto, ma tu mi hai tradito. Mi fanno schifo quelli come te, che si sentono superiori per il solo fatto che non si espongono mai, non provano mai a fare qualcosa.

– Vi prego, lasciate che mi spari, – mormorò Ian.

– Tranquillo, morirai qui, – disse Dodgson, che ora era vicino alla barriera di fogliame. – Ma sarà un animale a farlo per me. O la fame. Dovresti apprezzarlo. Tutto è Caos, no? La forza cieca della natura... Sai, sono stanco di quelli come te, pieni di valori morali... che hanno paura di agire. Siete in via d'estinzione, Malcolm!

Dodgson si voltò e si gettò fra la vegetazione. Contemporaneamente, Ellie vide la volta degli alberi piegarsi in una strana ondulazione. Non poteva essere il vento.

– Alan, guarda.

– Lo vedo.

Era come se qualcosa tagliasse la foresta in due passandoci attraverso, senza preoccuparsi di cosa incontrava sulla sua strada. Qualcosa di molto grosso.

Poi, un urlo.

Non videro cosa succedeva – era buio e le fronde erano troppo fitte – ma Ellie ebbe l'impressione che Dodgson venisse preso e sollevato all'altezza del fogliame. Subito dopo, li raggiunse il raccapricciante rumore di ossa frantumate. Ora non urlava più.

 

Prima di potersi preoccupare di qualsiasi cosa avesse preso Dodgson e gli avesse fatto fare una fine orrenda, Grant avvertì un'altra sgradevole e fin troppo familiare sensazione nello stomaco, e si voltò istintivamente. Passati i sessanta, sperava che quella particolare e necessaria capacità di accorgersi un po' prima degli altri del fatto che una bestia enorme e famelica gli incombesse alle spalle non gli sarebbe mai più servita. In un lampo, si chiese se avrebbe avuto modo di sentire l'irritante commento di Malcolm a riguardo più tardi.

Purtroppo per lui, quella sensazione non sbagliava mai. Nemmeno una volta.

La gigantesca sagoma di un Tirannosauro era ritagliata in controluce, resa ancora più terrificante dal riflesso lontano delle fiamme, che trasformava gli occhi in fuochi fatui. Il cuore di Alan perse un battito.

Anche Malcolm si era voltato. Probabilmente quell'istinto acquisito era una delle tante cose che condividevano.

– Non ti sembra che abbia una... faccia familare?

– Non direi.

– Mi sorprende, Alan. Ma io e la ragazzona siamo stati più intimi, in effetti. Anche allora ebbi un problema alla gamba.

Ignorando la rivelazione che Malcolm non aveva smesso di infilare riferimenti alla seduzione ovunque, Grant realizzò che il T-Rex si stava sì avvicinando a loro, ma con un passo stranamente cauto e leggero, e sembrava più che altro fissare un punto oltre gli umani. Voltandosi di nuovo, perse un altro battito.

Il Giganotosauro era emerso dalla vegetazione all'altro capo della radura, con la stessa andatura solenne, forse con un pizzico di autorità in più.

– Non è qui per noi.

Scambiò un cenno con Ellie, mentre Grady sorreggeva Malcolm e l'altra donna, Dearing, prendeva Maisie per mano. Facendo attenzione a non fare movimenti bruschi, si defilarono dalla linea retta che univa gli sguardi dei due carnivori. L'elettricità era quasi palpabile – Grant aveva la sensazione che se avesse allungato una mano al centro del loro campo visivo si sarebbe ustionato.

Una ragazza vestita da pilota apparve da un terzo lato dello spiazzo. – Dove diavolo eravate? Ho il motore acceso! Oh. – Si bloccò, fissando i due carnivori. – Capisco.

– Usciamo da questo posto, – mormorò Grady. Ellie annuì, e guardò di nuovo Alan.

Il Tirannosauro si erse in tutta la sua altezza, fissando ancora più intensamente il rivale. Entrambi si bloccarono sul posto.

Poi il T-Rex attaccò.

Erano ancora in mezzo.

 

I pochi minuti successivi furono immersi in un fragore assordante. Da un momento all'altro, Claire si aspettava che la danza cruenta dei due grandi predatori, che rimodellava la radura pezzo per pezzo triturando qualsiasi cosa, li scaraventasse via o li schiacciasse come insetti.

Appiattendosi contro la schiena di Owen che era accovacciato a terra, vide il Giganotosauro torcersi per evitare un morso, e la sua coda possente assestare una frustata violentissima sul fianco del Tirannosauro, sbilanciandolo. Ma per quanti colpi prendesse, il T-Rex ogni volta si lanciava con tutto il corpo contro quello dell'altro predatore, con la determinazione di chi sta combattendo per qualcosa che va oltre la pura sopravvivenza. Fra una contorsione e l'altra, una parte bizzarra del cervello di Claire si chiese vagamente se un animale potesse avere un conto in sospeso con un altro. La zampa posteriore che si abbatté pericolosamente vicino a lei l'istante successivo le cancellò quel pensiero e la proiettò verso il gruppo, qualche metro più avanti, come se avesse subito una scossa da 10.000 volt.

Prima che si gettassero nel folto delle felci, Claire vide il Tirannosauro venire sovrastato e atterrato dalla mole del Giganotosauro. Ebbe un inaspettato, brevissimo moto di dispiacere. Dopotutto, aveva visto dieci, quindici anni di vita di quell'animale. Owen le afferrò un braccio, e la trascinò verso il punto da cui sentivano Kayla continuare a gridare.

 

Il sangue che le scorreva nelle vene in quel momento non era il suo. Qualcosa che risaliva a un tempo di cui non aveva ricordo le scorreva dentro come linfa, infiammando i suoi assalti, spingendola oltre le capacità del suo corpo non più così forte. Il nemico era enorme e sembrava impossibile da abbattere, e a ogni impatto violento dei due corpi sentiva di uscirne con un trauma. Ma la rabbia continuava a fluirle dentro, fin nelle radici dei denti.

Avrebbe trovato il punto giusto.

Il suo nemico le ringhiò contro, avvertendola per l'ennesima volta. Era sempre lei a cercare lo scontro diretto: l'altro tentava di scoraggiarla. Non aveva mai dovuto cedere il terreno a nessuno, e non avrebbe iniziato nemmeno ora che veniva respinta e scaraventata da una parte all'altra del campo di battaglia.

Ce n'erano stati di invasori nel suo territorio, che avevano provato a portarglielo via. Nessuno era mai sopravvissuto. Poi, a un certo punto, qualcuno l'aveva portata in quel posto alieno, pieno di forme aliene. E lì il trono era già occupato. Nessuno le aveva insegnato ad avere timore di qualcuno più grosso, aveva dovuto impararlo nel modo più sgradevole e doloroso.

Ma c'era qualcosa di più. Un passato lontano, non suo, urlava attraverso di lei e continuava a farlo anche mentre sentiva le membra cedere sotto la forza immane del suo nemico. Quello era il suo ultimo. Non sarebbe sopravvissuta a un'altra battaglia. Forse nemmeno a questa. Ma un istinto ancora più potente del bisogno di sopravvivere le imponeva di vincerla.

Fu schiacciata contro il terreno, pressata dal corpo dell'altro. Tutto si oscurò. Forse era morta.

Luci liquide si avvicendavano contro le palpebre, là dove doveva esserci il mondo. Non ricordava più perché stava combattendo. Nella sua mente c'era un temporale muto, e suoni che non combaciavano con lo spettacolo di lampi e fulmini che vedeva. Una scena le si dipinse davanti agli occhi. Il suo corpo riviveva qualcosa di doloroso, di lontano, che non sapeva di conoscere già...

Un altro lampo, più forte degli altri. Le palpebre scattarono, gli occhi furono invasi violentemente dalla luce. La scena si era persa negli strati della sua lunga memoria. La vista e il respiro le erano tornati ancora una volta, come il flusso di una cascata.

Il nemico era a qualche passo, e sembrava confuso. L'aveva abbandonata lì senza il coraggio di finirla. Era esausto, lo sentiva, e la sua forza vitale era quasi esaurita. Poteva percepirne lo stupore, e poi la paura, mentre la vedeva rimettersi in piedi. Entrambi sanguinavano e ansimavano, ma lei non lo sentiva più.

La danza della morte ebbe inizio una seconda volta. Ma l'equilibrio si era spostato a suo favore. La resistenza del suo nemico era sempre più debole, i suoi attacchi sempre più lenti, e iniziava a indietreggiare. Implacabile, lei colpiva ogni volta che vedeva un punto vitale scoperto, lanciandosi in poderose testate, e quando poteva, cercando di raggiungere un fianco, un arto, o la gola, con le fauci.

Sbalzati via in direzioni opposte dall'ennesima collisione, i due riguadagnarono la postura eretta, scuotendosi via la polvere e spandendo gocce di sangue nell'atmosfera. Si scambiarono un ultimo sguardo.

Poi lei attaccò, mettendoci tutta la forza disperata che riusciva a tirare fuori, sapendo che non le sarebbe bastata per un'altra mossa. Ma stavolta i suoi denti trovarono il collo, la carne morbida, il sapore del sangue, e infine le vertebre. Quando le sentì spezzarsi, tranciate dalla potenza del suo morso, seppe che ce l'aveva fatta.

La luce e il soffio vitale scivolarono via dagli occhi del suo rivale, che si abbatté sul suolo devastato.

La vincitrice si lasciò andare a un respiro. Uno in più. Non si lanciò in dimostrazioni di forza per il nemico abbattuto, per il conto finalmente regolato, o per il territorio conquistato. Rimase salda sugli arti posteriori, lasciando che una brezza leggera le accarezzasse le ferite.

Nel tempo sarebbero state altre cicatrici. Le ultime. Quella era stata l'ultima volta. Era anziana, e gli anni recenti, in cui aveva dovuto riabituarsi a cavarsela da sola e a lottare contro avversari mai visti prima, le avevano lasciato parecchi segni.

Una figura bizzarra e imponente si mostrò fra gli alberi, il collo sottile proteso con aggressività e le lunghissime braccia artigliate davanti a sé, estese al massimo mentre gonfiava il petto e lanciava grida. La regina lo degnò appena di un'occhiata, disinteressata ad attaccarlo. Non voleva lottare, non voleva nemmeno ruggire in difesa dello spazio che era suo di diritto.

L'intruso cercò di provocarla ancora un po', ma non ottenne nessuna reazione, se non il suo sguardo fermo e calmo. Alla fine l'altro smise la posa di combattimento e indietreggiò, intimorito. Si allontanò nella direzione da cui era venuto, lasciandola nuovamente sola.

Lei sbuffò, scrollandosi via un po' di fatica. Abbandonò il campo di battaglia e il corpo senza vita del suo nemico, in cerca di un posto dove quelle luci fastidiose fossero abbastanza lontane da lasciarla riposare tranquilla. Il sonno e la calma avrebbero guarito tutte le ferite.

Non c'era più niente da temere o da dimostrare. Aveva vinto. Nessuno avrebbe più messo in discussione il suo dominio.

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