The deal is the deal

di blackjessamine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Viaggio ***
Capitolo 2: *** Un ragno e il Ragno ***
Capitolo 3: *** Il Ballo del Ceppo ***
Capitolo 4: *** Seconda Prova – Parte Prima ***
Capitolo 5: *** Seconda Prova – Parte seconda ***



Capitolo 1
*** Viaggio ***


Viaggio



 

Inej ha gli occhi spalancati sulla notte: c’è solo il nero a circondarli, un nero avvolgente come un abbraccio.

È un nero screziato da lampi fugaci di verde pallido, quando le luci incantate sul ponte inciampano nello sciabordare di un’onda e il mare rimanda bagliori tenui. È una notte senza stelle, fatta solo di vento gelido a sferzare senza alcuna pietà qualsiasi forma umana che abbia l’ardire di lasciare il rifugio sottocoperta.

Inej è a poppa, il bavero di pelliccia del mantello ben stretto attorno alla gola, le mani affondate nelle tasche e il corpo in perfetto, immobile equilibrio sul suo trono di sartiame. Sa di avere ancora poco tempo: presto dovrà attraversare il boccaporto, ritrovare il tepore fumoso dei compagni stipati sottocoperta e attendere che gli innumerevoli incantesimi lanciati sulla nave facciano effetto, facendoli affondare nelle acque poco lontano dal porto di Wick per lasciarli riemergere dalle profondità di un lago da qualche parte sulle montagne scozzesi. 

La delegazione di Durmstrang naviga da ormai più di un giorno, ma a Inej quel giorno è parso solo un battito di ciglia: non aveva mai avuto occasione di salire a bordo della nave incantata della scuola, quel poco tempo le è bastato per scoprire che quella è l’esatta sensazione di libertà che da sempre va cercando. Sentirsi minuscola  in mezzo alle forze smisurate della natura, vedere il cielo immenso aprirsi sopra di sé e avvertire la forza immota dell’oceano sotto di sé non l’ha fatta sentire nemmeno per un istante impotente. Si è sentita al contrario in perfetto equilibrio al centro di una rete di infinite possibilità, attraversata da energie nuove, energie in grado di accenderle i sensi.

Per un giorno intero non ha fatto altro che osservare i pupilli del professor Brum, quel selezionato gruppo di studenti cui è stato concesso di imparare a governare il vascello. Ha osservato, silenziosa e furtiva, ha memorizzato ordini e incantesimi, e al momento opportuno ha aggiunto la forza della sua bacchetta a quella dei compagni, aiutandoli a mantenere la rotta.

 

“Ghafa, adesso devi tornare sottocoperta. Nessuno può restare sul ponte, se vogliamo che gli incantesimi Impermeabili e Sigillanti funzionino assieme alla Materializzazione Estesa”.

Helvar, la punta della bacchetta illuminata, staglia la sua enorme sagoma contro il profilo scuro della notte. Inej lo osserva in silenzio per un po’: a scuola non si sono mai scambiati più di qualche occhiata nei corridoi, abituati come sono a frequentare ambienti completamente diversi. Helvar è sempre stato al centro del gruppetto dei favoriti di del professor Brum, i Purosangue dalla perfetta educazione, i campioni di duello, i figli delle famiglie che hanno contribuito a fondare e accrescere ricchezza e reputazione della scuola. Il gruppetto di studenti convinti di possedere ogni verità, quelli sempre pronti a far rispettare regole scritte e non scritte e trovare punizioni adatte per chiunque non rientri nelle regole stantie del loro codice di comportamento. 

Eppure, quel viaggio in nave sembra aver cambiato qualcosa. Helvar ha concesso a Inej un po’ di spazio sul ponte, e lei è certa di non essersi immaginata lo sguardo di ammirazione sul volto di quel gigante biondo quando lei ha saputo restare salda al suo posto anche in mezzo alla tempesta che ha convinto la maggior parte degli studenti – e anche di qualche insegnante – a nascondersi sottocoperta a soffocare conati di vomito e tremiti di paura. O forse qualcosa è cambiato prima, perché i rapporti di Helvar con il resto dei compagni e con il professor Brum appaiono ogni giorno più freddi e più tesi, come se la reciproca comprensione fosse scomparsa, lasciando posto a un lento e inesorabile allontanarsi. 

Non si scambiano molte parole, solo un rapido cenno di saluto – è comunque molto più di quanto abbiano fatto in tanti anni passati a condividere le stesse lezioni. 

Passandogli accanto per raggiungere il boccaporto, Inej si ritrova a pensare che, tra tutti i ragazzi della cricca di Brum, Helvar è l’unico per cui lei potrebbe tifare, durante il Torneo. 

 

La prima cosa a colpirla, quando raggiunge l’ampia cabina destinata ai viaggiatori, è la confusione. Girda, risate, parole sovrapposte e voci grosse. 

Poi c’è il calore: le fiamme libere sono vietate, sottocoperta, ma l’ambiente dal soffitto basso è punteggiato da globi di luce pallida che emettono un confortante calore – troppo confortante, quasi soffocante, paragonato al vento implacabile di poco prima. 

Liberandosi del mantello di pelliccia con un solo gesto, Inej supera un capannello di chiassosi studenti intenti a un’agguerrita partita di Sparaschiocco, in mezzo a cui spicca la figura allampanata e innegabilmente bruciacchiata di Jesper Fahey. 

Il suo obiettivo si trova nell’angolo estremo della stanza: soffitto bassissimo, luce fioca, e una panca che sembra fatta apposta per accogliere la gamba malconcia di Kaz Brekker.

Inej sente i suoi occhi penetranti seguire la sua avanzata, ma quando arriva davanti a lui, Kaz non la sta più guardando.

“Devo dedurre che tu non abbia deciso di tornare a casa a nuoto”.

La sua voce è sempre il raspare roco di pietre che sfregano l’una contro l’altra.

Inej siede accanto a lui – non troppo accanto, non vuole vederlo scostarsi con il solito modo di disgusto – e Appella silenziosamente una tazza di tè caldo, sfilandola dalle mani di una biondina che è appena sbucata dalla porta che dà sul refettorio. Prima che la ragazza possa avere il tempo di reagire al furto, la bacchetta di Inej le ha già scagliato contro un leggerissimo incantesimo di confusione, convincendola a tornare sui suoi passi come se niente fosse accaduto. 

“Al primo anno non avresti mai rubato a una ragazzina. Frequenti davvero brutte compagnie, Inej”. 

Kaz non sorride, ma la piega all’angolo delle sue labbra è quanto di più vicino a un sorriso Inej si possa aspettare. 

“È tè di Durmstrang, non suo. Lei sta già andando a prendersene un’altra tazza, ho solo… ottimizzato gli spazi e i pesi. Su una nave è importante distribuire equamente i pesi, non vorrei mai ci fosse troppa calca in refettorio”.

Inej sorseggia il suo tè, fissando la folla di studenti davanti a loro.

“Jesper sta ancora cercando di costruire un castello a ventitré piani?”
“Sì, ma credo si sia già beccato ventitré esplosioni in faccia”. 

Kaz stringe le labbra e assottiglia lo sguardo. 

“Idiota. Gli ho detto che mi serve in forma per il Torneo…”

Inej vorrebbe ricordare a Kaz che, se proprio ci tiene a vincere quel Torneo, potrebbe benissimo inserire il proprio nome nel Calice di Fuoco – del resto, i professori sono stati molto chiari: solo gli studenti intenzionati a partecipare al Torneo avrebbero dovuto imbarcarsi. 

Ma Kaz è rimasto fermo nella sua decisione: arrivare a Hogwarts e non partecipare al Torneo. E Inej non crede sia ancora nato il professore in grado di imporre una regola a Kaz Brekker.

Con un movimento fluido, Kaz indirizza il suo bastone verso il gruppo di ragazzi impegnati nella partita  a Sparaschiocco, Appellando a sé il castello di carte e Jesper Fahey. 

Con un altro movimento della bacchetta incastonata nel suo bastone, Kaz fa evanescere il castello di carte e tacita le proteste vivaci di Jesper. 

“Zitto. Tu e Inej dovete riposare. Mi servite freschi e in forma per quando dovrete mettere il vostro nome nel Calice”.

Jesper, ancora irritato, si sporge verso Inej:
“Ma è davvero Kaz? O è un idiota che si è bevuto una dose di Polisucco con un suo artiglio dentro?”
Inej alza gli occhi al cielo. 

“La Polisucco funziona solo se vuoi trasformarti in un essere umano, non se cerchi di diventare un demone”.

“Giusto. Be’, comunque, il Calice mica ti sceglie in base alla tua forma fisica nel momento in cui metti il nome, no?”
Kaz tamburella con le dita guantate sulle ginocchia dei suoi pantaloni scuri – Inej sospetta che sia riuscito a incantare i suoi vestiti in modo che agli occhi degli insegnanti lui appaia sempre in divisa scolastica, perché non sa spiegarsi come possa aver evitato la mole di punizioni che avrebbe dovuto prendersi a causa del suo scarso rispetto per le regole riguardanti l’abbigliamento.

“Non possiamo lasciare niente al caso. Uno di voi deve vincere quei mille galeoni, se vogliamo ristrutturare la Stecca”.

Inej pensa al rudere al limitare del parco di Durmstrang: lei, Kaz e Jesper ci hanno trascorso innumerevoli ore, nel corso degli anni passati a Durmstrang. Lì hanno sperimentato gli incantesimi più pericolosi, lì hanno messo a punto i loro piani più folli. Lì hanno riso, si sono leccati le ferite quando qualcosa non è andato secondo i piani. Lì hanno concepito un sogno infantile che ha poi preso contorni sempre più netti: trasformare quel luogo in un posto caldo, asciutto, sicuro, un pub per gli studenti più grandi durante l’anno e un dormitorio per quei pochi studenti senza un posto dove andare lontano da scuola durante le vacanze estive. 

“Non capisco perché dovremmo essere per forza noi a vincere quei soldi. Tu sei un mago migliore di noi, e…”
“Io sono un mago migliore di voi, ma le mie magie migliori hanno bisogno di tempo. E non credo che tutti i giudici le approverebbero”, aggiunge, stavolta sorridendo davvero. Inej non può fare a meno di pensare alla disinvoltura con cui Kaz attinge alle Arti Oscure, alla sfrontatezza con cui cancella il limite fra il lecito e l’illecito, fra la legalità e l’illegalità, e si trova a pensare che, sì, Silente non sarebbe mai un punteggio alto a un Campione che fa così facilmente affidamento a talenti tanto criticabili. 

“E allora perché sei venuto fin qui?”
“Non certo per la compagnia”, sibila Kaz, osservando un gruppo di pupilli di Brum fare rapporto al professore e denunciare un compagno di scuola per qualche sciocchezza come aver portato con sé una bottiglia di Vino Elfico. Uno studente maggiorenne a cui è vietato scegliere cosa introdurre nel proprio stomaco. 

“Te l’ho già detto, Jesper. Hogwarts è una roccaforte di antica magia, è un luogo pieno di segreti e di tesori. Io ho intenzione di scoprire entrambe le cose e di riportare a casa con me quanto possibile, ma non posso farlo se non posso neanche andare a pisciare senza che qualcuno mi riconosca come uno dei Campioni”.

Inej smette di ascoltare: sa benissimo come continuerà la conversazione. Jesper chiederà che bisogno c’è di vincere mille galeoni quando Kaz ha intenzione di rubare informazioni e artefatti magici dal valore inestimabile, e Kaz risponderà che, come tutti e tre sanno, la Stecca sarà solo l’attività di copertura per il loro piccolo impero. Qualcosa di pulito, di netto, di rispettabile, qualcosa su cui neanche il professor Brum potrebbe avere da ridire. E una simile attività ha bisogno di conti in regola, di finanziamenti tracciabili e provenienti da fonti pulite: il figlio di un contadino che ha perso tutto, una ragazzina strappata da una strada babbana e un demone come Kaz Brekker hanno bisogno di qualcosa come la vittoria del Torneo Tremaghi per dare un fondamento pulito alla loro impresa. 

Per tutto il resto – per gli artefatti magici, per il potere, per la possibilità di corrompere e ricattare le persone giuste per cambiare radicalmente la gerarchia di Durmstrang – c’è sempre il mercato nero.

 

A Inej non importa. 

Forse la bambina che era stata un tempo non avrebbe mai desiderato cambiare il mondo a colpi di furti e ricatti, ma la ragazza che è diventata sa solo che la gentilezza è un lusso che non sempre ci si può permettere.

“Kaz?”
Inej non si volta a guardarlo: continua a fissare Helvar – Helvar che se ne sta in disparte, che discute con uno dei suoi compagni e che scuote la testa, rifiutandosi di sedere accanto al professor Brum – allora davvero oltre ai muscoli c’è anche un po’ di cervello, in quello scimmione – ma sente che lo sguardo e l’attenzione di Kaz sono su di lei.

“La nave. Quando sarai preside di Durmstrang –”

“Non voglio diventare preside di Durmstrang”, la interrompe lui, irritato.

“Io voglio la nave. Dipingici sopra il tuo nome, fai quello che ti pare, ma voglio poterla comandare quando mi pare”.

Non le importa della risata sprezzante di Kaz: lui può anche prenderlo per uno sciocco capriccio, ma lei ha goduto davvero di quel viaggio. Si è appassionata, ha avuto voglia di imparare, ha provato una scintilla di vero interesse che non provava più da tempo. 

“Vuoi la nave? Questo vecchio rottame puzzolente?”
Un vecchio rottame, un rottame come la Stecca, un rottame come le loro esistenze costruite ai margini.

“Voglio la nave, o il mio nome prenderà fuoco ben prima di entrare nel Calice”.

Si guardano per un lungo istante, uno sguardo che è uno scontro di volontà.

Infine, Kaz si lascia andare a un gesto vago.

“La nave è tua. Ma la manutenzione non la pagherai con i miei soldi”.

Inej annuisce. 

“Il patto è il patto?”
Kaz è serissimo.

“Il patto è il patto”.





 

 


 

Note: 

Anche questa storia partecipa al “Torneo Tremaghi – Multifandom Edition” organizzato dal gruppo facebook “L’Angolo di Madama Rosmerta”. Il punto è semplice: scegliere tre personaggi appartenenti a un fandom diverso da Harry Potter e buttarli nella mischia del Torneo Tremaghi. 

Ora, io ho scritto già qualche HarryPotter!AU con i corvi protagonisti, e nella maggior parte di loro ho usato il Torneo come ambientazione. Quelle storie hanno un tono un po’ diverso, leggerissimo, forse anche un po’ troppo leggero per i personaggi. Qui ho cercato un punto di incontro fra quelle storie e il canon: il contesto da cui provengono i personaggi non è così duro come nel canon, ma nemmeno così “safe” come in Harry Potter. 

Infine, perché proprio Durmstrang? Perché una delle gioie della vita è scrivere di Nina che chiama Matthias “Durmstrang”, e non potevo privarmene. Cioè, Matthias può venire solo da Durmstrang, non ci sono alternative. E di conseguenza gli altri hanno dovuto seguirlo. 

Insomma, come sempre le mie note rischiano di superare la lunghezza del capitolo, quindi taccio e ringrazio chiunque sia arrivato fino a qui!
 

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Capitolo 2
*** Un ragno e il Ragno ***


Un ragno e il Ragno




 

La folla è un vociare lontano, l’eco di una risacca che non può raggiungerla: Inej sente il brusio proveniente dagli spalti, ma non riesce ad afferrarlo davvero. Lei si trova altrove: è come se i suoi sensi avessero creato una bolla di percezioni sdoppiate, dove il mondo esterno la sfiora senza poterla investire davvero. Lei si è ritirata in una sacca fatta di respiri lenti e deliberati, di concentrazione, di estrema consapevolezza di ogni fibra del suo essere. La paura c’è, sorda e costante, ma si tratta di una compagna a cui Inej può camminare accanto, perché vicino alla paura c’è anche la certezza di poter mettere in fila un respiro dopo l’altro senza perdere l’equilibrio.

La tenda davanti a lei è una tela grezza, un velo sottile che la separa dal futuro – dalla lotta, forse dal dolore, di certo non dalla sconfitta. Inej la fissa, aspettando di sentire il colpo di cannone che annuncerà la sua discesa nell’arena, come ha già fatto per il campione di Beauxbatons e per quella di Hogwarts. Qualcuno, la voce amplificata dalla magia, ha raccontato l’impresa di chi l’ha preceduta, ma Inej ha deciso di non prestarvi attenzione: lei non è un campione vestito di seta e buone maniere, non è nemmeno una ragazzina di buona famiglia avvolta da lana e raccomandazioni di genitori ansiosi. Lei i mostri ha imparato a combatterli con la bacchetta e con i pugni, ed è così che ha intenzione di sconfiggere l’Acromantula che l’aspetta nell’arena.

Un’Acromantula.

Un ragno.
C’è un che di ironico del fatto che proprio lei, il ragno di Brekker, il suo silenzioso ladro di segreti debba affrontare proprio una bestia del genere. Giustizia poetica, direbbe Inej. Non sa che cosa direbbe Kaz, e in questo momento non lo vuole nemmeno sapere. 

Le regole del Torneo avrebbero voluto che i nove campioni delle tre scuole scoprissero la natura della creatura da affrontare solo mezz’ora prima dell’inizio della prova: siete una squadra, aveva detto Silente la sera in cui il Calice di Fuoco aveva depositato nella sua mano i nomi dei campioni, e come una squadra dovrete imparare a ragionare, scegliendo di comune accordo il campione più adatto ad affrontare ogni sfida. 

Una squadra.
La squadra più zoppicante del Torneo, secondo i compagni di Durmstrang. Del resto, se Inej e Jesper sono tanto diversi quanto capaci di conoscersi e misurare le abilità l’uno dell’altro, Helvar è un elemento del tutto inaspettato. Grande, grosso e pieno di ideali, Kaz ha deciso di non consultarlo quando, una settimana prima, Inej si è nascosta, Disillusa, nella Sala Professori, origliando così la conversazione che ha regalato loro un notevole vantaggio e la totale assenza di sorpresa quando è stato annunciato che la prima prova avrebbe richiesto di mettere fuori combattimento un’Acromantula. 

Le consultazioni sono state rapide: parole scambiate quando nessuno ascoltava, presto si è deciso che sarebbe stata Inej ad affrontare l’Acromantula: le qualità di Jesper sono troppo rumorose per un animale del genere. Helvar è stato informato della decisione solo a cose fatte: nella tenda dei campioni la sua sorpresa è stata genuina e ogni sua congettura sul modo migliore di affrontarla è stata dismessa con un rapido gesto della mano: Inej sa già cosa fare.

 

Un colpo di cannone. 

Inej scosta la tenda con un movimento deciso, mento alto e schiena drittissima: se lo Spettro deve mostrarsi alla luce del sole e agli occhi di tre scuole riunite sugli spalti, tanto vale che lei faccia il possibile perché nessuno si perda lo spettacolo. 

Avanza piano, un passo alla volta, ma la sua è una lentezza carica di determinazione: è lentezza deliberata, fatta di movimenti precisi e perfettamente controllati. 

Il cronista sta continuando a parlare, parole sciocche e vuote a proposito della sua statura minuta e del fatto che forse questo potrebbe rivelarsi un vantaggio, perché l’Acromantula potrebbe essere disinteressata a una preda di così scarso valore proteico.

Inej, però, non presta nemmeno un briciolo di attenzione a quella voce. L’unica voce che vuole sentire è quella dei ricordi, la voce di suo zio sopra il mormorio della folla: ma chi mai potrà essere così coraggioso da sfidare la morte? E poi lei, braccia sui fianchi ed espressione spavalda a reclamare il proprio ruolo in quello spettacolo circense. È quella bambina che ora ha bisogno di essere: la bambina che non teme nulla, quella che si contorce davanti allo specchio per cercare tracce di ali fra le scapole, quella capace di entrare in un mondo tutto suo, dove le leggi fisiche sembrano piegarsi ad ogni suo passo. 

In quell’arena, Inej non deve essere lo Spettro. Non deve essere il Ragno di Kaz, non deve essere una ladra di segreti, non deve essere una strega strappata alla sua famiglia per imparare arti magiche di cui forse avrebbe anche fatto a meno. 

Lei è Inej Ghafa, è la figlia di suo padre, e la bacchetta che stringe tra le mani le serve solo per avere una minuscola spinta in più.

 

L’arena è un ampio spazio circolare: Inej cammina su un terreno irregolare che degrada dolcemente verso uno sparuto gruppo di alberi: troppo radi perché si possano considerare una foresta, abbastanza lontani gli uni dagli altri perché gli spettatori possano almeno intuire che cosa succede al centro della scena, sono comunque una piccola concezione all’Acromantula, alla sua inclinazione per il buio e al suo metodo di caccia preferito. Le lunghe sere di ricerca insieme a Kaz e a Jesper le hanno insegnato che l’Acromantula predilige i luoghi bui, e che, quando si trova nel suo habitat naturale, il suo metodo di caccia è preciso e infallibile: preferisce vivere sulla cima degli alberi più grandi, in paziente attesa di una preda che ingenuamente scelga di passare proprio sotto di lei. I fitti peli che ricoprono le sue zampe trasmettono le vibrazioni prodotte dal muoversi della preda al cervello del ragno, permettendogli così di piombare dall’alto sulla preda inerme. 

Il passo di Inej è leggero, i suoi piedi sembrano quasi non sfiorare il terreno mentre si avvicina al gruppo di alberi: se la prova consistesse solo nell’attraversare indenne un luogo abitato da un’Acromantula, Inej saprebbe di avere la vittoria in tasca. Da tempo sa vestirsi del silenzio più totale, e i suoi movimenti sanno essere così impercettibili da non attirare l’attenzione nemmeno del ragno più suscettibile.

Ma gli organizzatori del Torneo da lei vogliono qualcosa in più: vogliono che lei e la bestia si affrontino, perché quello che Inej deve fare è recuperare un cilindro di piombo legato al collo – ma hanno poi un collo, i ragni? – dell’Acromantula. E così, attirare il ragno lontano dal suo nascondiglio diventa una priorità. Così come una priorità resta fare in modo che il ragno non si getti all’istante su Inej. 

Jesper aveva proposto che Inej, silenziosa e leggera come sa essere, piazzasse degli esplosivi fra le radici di ogni tronco d’albero, per poi farli brillare solo dopo essersi rifugiata all’estremità dell’arena: l’esplosione e l’incendio che sarebbe seguito avrebbero fatto il lavoro sporco per Inej, mettendo fuori combattimento l’Acromantula senza richiedere uno sforzo eccessivo. L’amico sosteneva anche di sapere esattamente da chi procurarsi dei congegni del genere – Inej sospetta che centri qualcosa il ragazzino dai capelli rossi che Jesper si diverte a tormentare durante le lezioni più noiose.

Naturalmente, Kaz ha subito bocciato quel piano: il rischio di danneggiare il cilindro di piombo con il calore delle esplosioni è troppo alto. 

No, Inej dovrà  affrontare la bestia guardandola negli occhi.

 

Inej giunge abbastanza vicina al gruppo di alberi, e si ferma. Scruta le chiome, grata di non trovarsi in una foresta, e nemmeno in una giungla tropicale: individuare l’orrido intrico di zampe e l’enorme corpo peloso sulla cima dell’albero più alto è fin troppo facile. 

La creatura se ne sta annidata al centro di una ragnatela fitta e vischiosa, un’enorme calotta che ricopre le foglie dell’albero, rendendole quasi irriconoscibili. 

A Inej pare di scorgere un bagliore metallico, ma non è sicura se si tratti del prezioso cilindro di piombo o di quelle pericolose tenaglie che contribuiscono a rendere l’Acromantula ancora più  pericolosa. 

Sa di avere poco tempo: è stata silenziosissima, ma ogni istante che passa potrebbe rivelarsi fatale per mostrare alla besta la sua posizione. Non può pensare di affrontare il ragno in una simile posizione di svantaggio: deve convincere l’Acromantula a scendere da quell’albero, e deve farlo senza attirarla verso di sé. 

Inej si guarda attorno, la bacchetta stretta saldamente tra le mani, fino a individuare un masso che fa il caso suo. È una roccia che le arriva alle ginocchia, una roccia grande abbastanza perché faccia molto rumore, se lasciata cadere da una considerevole altezza. Le basta un incantesimo di levitazione non verbale per condurre il masso in alto, sempre più in alto, e lontano, almeno un po’. Non troppo lontano dall’albero dove riposa il ragno gigante, ma abbastanza lontano da darle il tempo di portare a termine il suo piano. 

Inej sente gli occhi di tutta la folla su di sé, quando con un movimento netto interrompe l’incantesimo e lascia precipitare il masso. Lei, invece, gli occhi li tiene fissi sull’Acromantula, che freme e distende le orribili zampe, senza però lasciare il suo nido. 

Maledizione.

Inej sapeva che avrebbe potuto aver bisogno di tempo per convincere il ragno a muoversi, ma questo non rende più piacevole la situazione. Lancia solo uno sguardo rapido al masso, aggiustando la mira, e poi torna a concentrarsi sul ragno. Il masso si solleva in volo, e poi ricade. Ancora.

E ancora. 

E ancora. 

Inej cerca di imitare il suono cadenzato che potrebbe avere il passo di qualche mammifero abbastanza grosso da risultare appetibile, ma non così tanto grosso da intimidire la bestia annidata sull’albero. 

E intanto osserva, in attesa del segnale giusto. Kaz le ha spiegato che chiunque, mago o creatura magica, quando combatte ha un segno distintivo che permette di prevedere almeno in parte il momento dell’attacco. Un’esitazione, un movimento appena più ampio, la contrazione di un muscolo. 

Tu, Spettro, prima di scagliare una maledizione raddrizzi le spalle come se ti stessi esibendo, le aveva detto, e forse c’era una critica, dietro quelle parole. Ma a Inej non importa più. Inej è fatta anche dell’orgoglio con cui suo padre le ha insegnato ad accogliere gli applausi del pubblico, e quando vede le zampe del ragno fremere in un modo tutto nuovo, non ha neanche un secondo di esitazione.
Il ragno precipita dall’albero, pronto a gettarsi all’attacco di una preda di roccia, e Inej, la bacchetta stretta fra i denti, rapidissima scala il tronco più vicino. 

Qualcuno nella folla ride.
Certo, non è dignitoso che una strega faccia affidamento alla forza delle braccia per scappare.

Ma a Inej non importa nemmeno delle risate di chi non ha capito niente. Scalare quel tronco è facile come scoppiare a ridere: un albero è fatto di sporgenze e appigli, rami e biforcazioni, e arrampicarsi le dà la stessa gioia che provava quando da bambina il suolo si faceva lontano e lei entrava in un mondo tutto suo. 

Il ragno, nel frattempo, si è immobilizzato, le tenaglie che scattano rapide con un suono minaccioso. I suoi enormi occhi – troppi occhi per poterli fissare tutti – si rivolgono al tramestio proveniente dall’albero di Inej. La bestia sembra indecisa, quasi non sapesse se continuare a dare la caccia alla creatura che sembra averla ingannata un attimo prima oppure gettarsi all’inseguimento della creatura che proprio in quel momento si sta muovendo, che respira forte, che con soli quattro arti cerca di imitare la scalata di un ragno. 

Alla fine, il richiamo di quella preda sembra prendere il sopravvento: l’Acromantula, con il suo movimento pieno di scatti perturbanti, si avvicina con sorprendente rapidità alla base del tronco su cui si è rifugiata Inej. 

È un istante: questa volta Inej riconosce benissimo lo scintillio metallico del cilindro di piombo legato attorno alla testa della bestia. 

“Diffindo!”
Il suo incantesimo ha la stessa precisione della lama di un pugnale: la fettuccia di pelle che teneva al suo posto il cilindro di piombo si spezza in due, facendo rotolare l’oggetto a qualche metro dal ragno.

L’incantesimo, però, ha anche il potere di far scattare con ritmo ancor più minaccioso le tenaglie della bestia. Inej sa di avere pochissimo tempo prima che il ragno la raggiunga, e sa anche che a quel punto lei si troverebbe in posizione di netto svantaggio, perché per quanto il suo corpo sembri fatto apposta per scalare qualsiasi muro, le otto zampe dell’Acromantula saranno sempre e comunque più rapide dei suoi quattro arti. 

C’è un solo modo per liberarsi dalla trappola che le si è richiusa attorno: Inej si sposta sul punto più estremo del ramo su cui è appollaiata, sentendolo oscillare sotto il suo peso e pregando che regga abbastanza a lungo. Non esiste un modo gentile per fare quello che ha intenzione di fare: non appena il ragno è sufficientemente impegnato nell’arrampicarsi sul tronco dell’albero, Inej si lancia nel vuoto. 

Non è come volare. L’impatto col terreno arriva troppo presto, un impatto duro, violento, che la lascia senza fiato. Poco importa che lei assecondi la caduta, che si protegga la testa con le braccia e si lasci rotolare per non opporre resistenza all’impatto violento, proprio come le ha insegnato suo padre quando lei era solo una bimba scalza che zampettava su una corda tesa a pochi centimetri da terra. 

Un dolore accecante le rende impossibile muovere il braccio destro: qualcosa decisamente non va nella sua spalla, ma non ha il tempo di preoccuparsene. Si rialza in piedi e corre rapida verso il luccichio metallico del cilindro di piombo, sentendosi per un istante come un qualsiasi Cercatore di Quidditch all’inseguimento di un sorprendentemente immobile Boccino d’Oro. 

Un tonfo fa vibrare il terreno dietro di lei. 

L’Acromantula dev’essersi gettata di nuovo all’inseguimento, e questa volta Inej sa di essere in netto svantaggio. La creatura è immensamente più veloce di un essere umano. Inej stringe la bacchetta nella mano sinistra –non la sua mano da bacchetta, ma poco importa la precisione – e prega qualsiasi santo all’ascolto che il cilindro, una volta lontano dalla bestia, non sia protetto da incantesimi che impediscano di Appellarlo. E prega anche che la prova venga considerata superata nel momento esatto in cui le sue dita si stringeranno attorno al metallo: non possono sottrarle dei punti se verrà divorata dall’Acromantula dopo aver raggiunto l’obiettivo della prova, no? È sicura che Kaz saprà convincere tutti che le cose stanno esattamente così. 

L’Accio che lascia la sua bocca è intriso di tutta la sua determinazione e di tutta la sua speranza: e incredibilmente, miracolosamente, il cilindro di piombo, freddo e liscio, schizza davanti ai suoi occhi. Prova a sollevare il braccio destro per afferrarlo senza smettere di correre, ma una fitta di dolore le acceca la vista e la fa vacillare. Il mondo è un luogo fatto di ombre che le danzano davanti agli occhi, mentre stringe di nuovo la bacchetta fra i denti e afferra saldamente il cilindro con la mano sinistra. 

Non ha nemmeno bisogno di vedere un’ombra più grande e minacciosa delle altre stagliarsi sopra di lei per capire che quell’esitazione le è stata fatale: mossa da puro istinto, Inej si lancia di lato. 

 

Il mondo si riduce al dolore lacerante che le squarcia la coscia, una linea di fuoco che parte dall’inguine e arriva al ginocchio. 

 

Restano solo le ombre.

 

***

 

Ombre dietro le sue palpebre. 

Movimenti confusi, vociare, e tutto il corpo percorso da una strana morbidezza. 

Inej non sente dolore, ma ha l’impressione che le sue ossa siano sciroppo di melassa, incapaci di sostenere anche il più piccolo movimento. 

Con un immane sforzo di volontà, apre gli occhi. 

Non sa cosa aspettarsi: forse spera nello sguardo di Kaz.

Forse è più facile pensare di incontrare quello preoccupato di Jesper.
Di certo non si aspetta due grandi occhi verdi troppo vicini a lei

Gli occhi sbattono un paio di volte, sventagliando un paio di lunghe ciglia scure, e poi i contorni di quel viso prendono la forma di una ragazza dalle guance arrossate.

“Oh, Morgana, sei viva! Avevo paura di aver sbagliato pozione, non mi è mai capitato di curare qualcuno che avesse perso così tanto sangue, e Madama Chips ora è scomparsa, e… come ti senti?”
Inej non sa cosa rispondere.
È certa di non avere mai visto questa ragazza a Durmstrang, eppure non sta parlando in inglese. 

“Io sono Nina Zenik, comunque, e in realtà non sono affatto certa di voler fare la Guaritrice, ma sai, quando qualcuno ha talento…”
Lo sguardo verde ammicca in un occhiolino malizioso, poi Nina torna seria.

“Dico davvero, come ti senti?”
“Io… bene?”
Inej si solleva a sedere, accorgendosi di essere sdraiata su una barella dentro quello che sembra un ospedale da campo. Le sue ossa a quanto pare sono ancora abbastanza solide da permetterle di stare seduta sul sottile materasso senza alcun sostegno. Con cautela, muove il braccio destro, facendo piccole rotazioni della spalla. 

Non sente niente. Non dolore, e nemmeno la più piccola resistenza di tendini e muscoli. 

“Oh, la spalla te l’ha sistemata Madama Chips, lei è un asso con queste cose. Potresti darti alla scalata della Torre di Astronomia anche adesso, se volessi. Lo sapresti fare? Scommetto di sì!”
Inej non risponde. Scosta la coperta di lana grezza che le copre le gambe: sulla stoffa dei pantaloni c’è una lunghissima lacerazione, ma la pelle al di sotto è intatta. Arrossata, ma intatta. 

“Anche a quella ha pensato Madama Chips. Io invece ho passato l’ultima ora a darti dieci gocce di antidoto ogni cinque minuti esatti, e visto che ti sei svegliata e non sei morta, direi che non ho sbagliato pozione, giusto?”
Antidoto.

Inej si sente lo stomaco rivoltare al pensiero di quello che avrebbe potuto succedere: il veleno di Acromantula è rapidissimo. Qualcuno dev’essere intervenuto rapidamente per recuperarla da quell’arena, evidentemente.

“Mi hai salvato la vita, Nina Zenik. Ti ringrazio”.

Nina arrossisce e scuote le spalle.

“Non è niente, non è niente. Sai, dovrei tifare per i campioni di Hogwarts e tutto quanto, ma credo che tu sia stata davvero fantastica. Non ho mai visto nessuno muoversi in modo così silenzioso, io…”
“Inej! Stai bene?”
Jesper attraversa a lunghi passi la tenda, raggiungendo in un istante il fianco di Inej.

“Sto bene, credo. E il merito è di Nina”.

Jesper annuisce, scambiando una rapida occhiata con Nina, che nel frattempo, soddisfatta della salute della sua paziente, è sprofondata su una sedia e sta divorando con entusiasmo un biscotto che ha estratto da una tasca della veste.

“Dov’è Kaz?”
Il sorriso di Jesper si incrina appena. 

“Oh, è… fuori. Hanno appena dato i punteggi, sai”. 

Inej alza la testa di scatto. 

“Hanno dato i punteggi, e…?”
“E siamo secondi. La tizia di Hogwarts è finita in ospedale dopo dieci secondi che è entrata nell’arena, e il cilindro non l’ha nemmeno recuperato. Tu sei stata molto più rapida del francese, invece, ma avresti dovuto mettere fuori combattimento l’Acromantula, e invece secondo i Giudici non l’hai propriamente affrontata, quindi hai preso quaranta punti contro i settanta di Beauxbatons”.

Jesper non  lo dice, ma sul suo viso Inej riesce a leggere la delusione di Kaz. Del resto, niente la convincerà mai che cercare direttamente uno scontro quando c’è la possibilità di evitarlo sia una scelta intelligente e meritevole di maggiori lodi. E poi, le pozioni che Nina Zenik è stata costretta a rifilarle sono pronte a testimoniare che uno scontro diretto fra Inej e il ragno c'è stato.

"Sei stata bravissima, comunque. Ti ha applaudita anche Helvar!", aggiunge Jesper, come se l'ammirazione di Helvar sistemasse ogni cosa.

"A proposito", mugugna Nina con la bocca ancora piena "me lo sono sempre chiesta: ma è normale che il vostro amico Helvar non sorrida mai, o è solo che è troppo grosso per essere anche bello e simpatico?"

Solo allora Jesper concede una lunga occhiata a Nina, quasi studiandola. Alla fine sembra decidere che quella strana studentessa di Hogwarts che per qualche strana ragione parla fjerdano con tanta scioltezza gli è simpatica, perché le regala uno dei suoi sorrisi enormi.

"Helvar non è nostro amico, e credo che abbia un cubo di ghiaccio al dove dovrebbe esserci la simpatia. Ma non ti preoccupare, ci sono già io di bello e simpatico, non serve che lo sia anche lui".

Nina sorride a sua volta, spazzolando via le briciole dalla divisa  e lasciandosi andare a un sospiro teatrale.

"Oh, be', non mi dispiacerebbe scaldarlo, quel pezzo di ghiaccio. Però davvero deve imparare a sorridere un po' di più, quando è venuto a trovarti mi ha quasi spaventata. Be', insomma, non che io mi faccia spaventare solo da una fronte corrucciata, ma…"

"È stato l'unico a venirmi a trovare?"

Inej non vorrebbe chiederlo. 

Quella domanda è una concezione sciocca a una vana speranza, una debolezza che porterà solo sofferenze. Eppure, non può trattenersi dal domandare, ignorando lo sguardo al tempo stesso ammonitore e pieno di compassione di Jesper. 

"Inej, sono sicuro che…"

"No, non è venuto solo il vostro megafusto biondo", interviene allegra Nina. 

"È venuto anche  un tizio che per davvero mi ha dato i brividi. Un tizio con un bastone e la delicatezza di un Troll. Ha minacciato di sfondarmi il cranio col suo bastone e di dare il mio cervello in pasto alla Piovra Gigante, se non avessi fatto attenzione alle tue pozioni. E credo dicesse sul serio".

Il viso di Nina è rosso d'indignazione mentre promette di azzoppare anche l'altra gamba di quel maleducato, se ne avrà l'occasione. 

Ma Inej nemmeno l'ascolta più.

E, quando incontra le sopracciglia sollevate con fare eloquente di Jesper, non può fare a meno di sorridere.






 

 


Note:

Premessa un po’ paraculo, ma necessaria: io non so scrivere scene d’azione. E per me una scena d’azione è anche una scena in cui i personaggi semplicemente parlano, visto che di solito mi limito a introspezioni prive di trama. Quindi, ecco, questo torneo per me è un incubo, oltre che una grande sfida. So che la prova vera e propria lascia moltissimo a desiderare, le descrizioni della scena in sé sono così infantili che rileggendomi mi sono messa a disagio da sola, ma insomma, forse dopo così tanti anni è anche arrivato il momento di provare davvero a mettermi alla prova. 

Ora, le varie wiki mi informano che potrebbe essere vero che le acromantule prediligono i luoghi alti, ma ammetto che non sono certa sia verissimo. Per quanto riguarda invece il loro metodo di caccia, mi sono basata su un articolo (di Focus, quindi chissà quanto attendibile, ma i ragni mi fanno schifo e mi sono fermata dal fare ricerche ed essere invasa da immagini poco piacevoli appena ho trovato qualche informazione utilizzabile) che descrive il comportamento del ragno “faccia d’orco” (e, fun fact, per giorni sono rimasta convinta che il suo nome fosse “faccia d’oro”, e mi è stato decisamente più simpatico) che a quanto pare davvero se ne sta sugli alberi e “sente” tramite i peli sulle zampe il rumore di potenziali prede. Ora, a me tutto ciò fa pensare solo a una zecca, però ok, c’è la magia, possiamo fare finta che tutto funzioni anche così?

 

Infine, Nina: non so quanto senso abbia che lei faccia da aiutante per Madama Chips, ma volevo cominciare a chiamarla in causa, e spero di essermela giocata in modo passabile facendole dire che di fatto non vuole diventare una Guaritrice. Ho parlato di lingua fjerdana perché non sapevo decidermi su quale lingua europea far parlare agli studenti di Durmstrang, e allora ho tagliato la testa all’acromantula così (viva la pigrizia). 

Bene, direi che ho scritto note anche fin troppo lunghe, quindi taccio e ringrazio chiunque abbia avuto la forza di arrivare fino a qui. 


 

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Capitolo 3
*** Il Ballo del Ceppo ***


Il Ballo del Ceppo





 

Kaz osserva il ricco brulicare di sete e stoffe eleganti che si affollano all'ingresso della Sala Grande. 

Gli studenti continuano ad affiorare da ogni pertugio: sembra che il castello non faccia altro che produrre ragazze agghindate come lampadari pacchiani e ragazzi strizzati in abiti formali che li rendono rigidi come stoccafissi. Ovunque odore di acque di Colonia dozzinali mescolate all'olezzo dei fiori che fin troppe sciocche ragazzine si sono infilate nei capelli: forse il loro scopo era quello di sembrare le principesse di una fiaba, ma l'unico risultato ottenuto è un insieme maleodorante di petali vizzi e tristi.

Kaz stringe la testa di corvo del suo bastone, ben attento a restare nascosto nell'ombra della sua nicchia: sa di avere un compito importante da portare a termine, sa che quella è l'occasione perfetta per studiare con tutta calma il corridoio dove un preside sconsiderato ha appeso dodici DeKappel originali senza destare sospetti. Tutti saranno così presi dal ballo da non notare l'assenza di quello studente di Durmstrang che non ha mai fatto niente per risultare simpatico a nessuno, e il corridoio dei DeKappel è abbastanza lontano dalla Sala Grande perché nessuna coppia in cerca di un luogo appartato possa decidere di affrontare quattro piani di scale per nascondersi proprio lì. La sua gamba lancia fitte di dolorosa protesta al solo pensiero di dover affrontare tutte quelle scale. Dovrebbe proprio cominciare ad avviarsi, così da essere sicuro di poter fare tutte le pause necessarie per riposare la gamba dolorante prima di dedicarsi allo studio dei quadri e agli incantesimi che li proteggono. 

Eppure, Kaz non si muove. 

Resta immobile, ignora gli studenti che affiorano dalle scale interne del castello e fissa solamente il rettangolo aperto sulla notte che è il portone d'ingresso della scuola. Gli studenti, da soli o in piccoli gruppetti, gironzolano nell’atrio, aspettando i compagni di danze o ammirando l’abbigliamento degli amici. Kaz quasi non ci fa caso: non c’è nulla di interessante in un branco di ragazzini abbigliati in modo ridicolo per fingersi più adulti di quanto siano. Non c’è niente di divertente in quella serata che è un contentino al bisogno di libertà degli studenti, dove i ragazzi possono fingere di ribellarsi e lasciarsi andare, restando però rigidamente incastrati nelle logiche della scuola.

Ma non è importante. 

Una delle campionesse di Beauxbatons, eterea nella seta argentata che la avvolge come una nuvola, crea scompiglio all’ingresso della sala: cinguettii di ragazze sospese fra l’ammirazione e l’invidia coprono a stento il suono degli occhi schizzati fuori dalle orbite dei ragazzi.

Ma non è importante nemmeno quello, perché mentre quella figurina che sembra incorporea e inconsistente quanto lo zucchero filato raggiunge il suo accompagnatore, altre due figure lasciano il freddo della notte scozzese per attirare le attenzioni dei pochi disposti a distogliere gli occhi dalla francese. 

Kaz stringe ancora di più la presa sul suo bastone: è stato lui a suggerire che la cosa migliore per risparmiare le energie necessarie a una stupida caccia all’accompagnatore e per distogliere al meglio l’attenzione dai propri movimenti sarebbe stata far partecipare i Campioni di Durmstrang insieme.

Jesper, che di energie ne avrebbe dovute spendere ben poche per trovare una dama, aveva borbottato che lui con Helvar ci avrebbe ballato solo se lo scimmione biondo avesse indossato una crinolina, per poi lanciare uno dei suoi occhiolini divertiti a Inej e prometterle che sarebbe stato un cavaliere impeccabile, almeno per un paio di balli. 

A Kaz non è mai importato niente di Helvar: per quanto lo riguarda, il cocco di Brum avrebbe anche potuto presentarsi al Ballo con la piovra che qualcuno racconta viva nel Lago Nero, fintatoché se ne fosse rimasto in mezzo alla sala e ad attirare l’attenzione su di sé. In ogni caso, la studentessa di Hogwarts che si è presa cura di Inej dopo la Prima Prova èriuscita nella straordinaria impresa di invitare Helvar al ballo e di non farlo soccombere d’imbarazzo davanti all’onta di essere stato invitato da una ragazza. 

Inej non ha fatto obiezioni, e Kaz sospetta che l’idea di poter andare al ballo con un amico, senza doversi fingere interessata a qualche ragazzo, la faccia sentire sollevata.

Non ha importanza. Non ho concepito questo piano per farla sentire a suo agio, ma per poter avere libero accesso a quei quadri tanto poco famosi in Inghilterra quanto redditizi se venduti al giusto mercante d’arte a Ketterdam.

 

Quando Inej e Jesper attraversano la sala, Kaz serra i palmi, serra la mascella, irrigidisce le spalle e prova a soffocare qualsiasi tipo di emozione.

Si concentra solo sull’abito da cerimonia di un acceso giallo limone di Jesper, pensando alle raccomandazioni di eleganza e sobrietà di Brum e a come il professore probabilmente vorrebbe strangolare con le sue stesse mani Fahey. 

Kaz ci prova a notare solo l’incedere compiaciuto di Jesper – è risaputo che dove c’è una festa, seppur una noiosa come un ballo scolastico, Jesper è a casa – ma il suo sguardo non può fare a meno di spostarsi sulla figura che gli scivola silenziosamente al fianco.

Inej si è ripresa perfettamente dalle ferite riportate dal suo incontro non abbastanza ravvicinato con l’Acromantula, e a modo suo sembra voler spedire un chiaro messaggio a Brum. Lì dove Jesper è eccessivo, colorato, quasi cacofonico nel suo abito tradizionale, Inej vuole ribadire il suo essere uno Spettro, un Ragno capace di scivolare nell’ombra e rubare ogni segreto. Ha ascoltato alla lettera i consigli del professor Brum: eleganza e sobrietà sono intessute nel raso nero del suo completo. Un completo elegante, di taglio maschile. Un completo smaccatamente babbano. 

Niente potrebbe assomigliare di più a uno schiaffo in piena faccia alle convinzioni intrise di razzismo del professore.
Kaz non può fare a meno di sorridere osservando i suoi amici avanzare in mezzo allo stupore dei compagni di scuola – e anche di qualche studente ingelese e francese. E quando Jesper, scherzosamente, passa un braccio attorno alle spalle di Inej, il suo sorriso non può fare a meno di scomparire. 

Non ha paura che il ballo possa unire Inej e Jesper in un modo che non possa più chiamarsi amicizia, ma una parte di lui – quella parte che non è stato in grado di soffocare neanche dopo tutti i tentativi possibili – non può fare a meno di domandarsi se quella sua idea di assentarsi dal ballo per studiare un piano per il furto dei DeKappel non sia stata solo una scusa. Una scusa per non fare i conti con il desiderio di essere lui a circondare le spalle di Inej con un braccio, e con la repulsione che prova alla sola idea di un contatto così ravvicinato con chicchessia. 

Non fare l’idiota, Brekker. Gli storpi non ballano.

Deve fare in modo che questa spiegazione sia sufficiente.

 

***


 

Nina non è mai stata una sognatrice, ma di certo non è mai stata nemmeno una ragazza di poche pretese. Sa fare di necessità virtù e trarre il meglio da quello che ha, ma ciò non le impedisce di volere sempre qualcosa di più e di lamentarsi di tutto ciò che non è abbastanza bello, abbastanza dolce, abbastanza lussuoso, di tutto quello che non è semplicemente abbastanza.

Quella sera, però, è incapace di trovare una sola cosa di cui lamentarsi.

La cena – deliziosa, opulenta, piena di piatti mai visti prima a Hogwarts, che Nina ha avuto cura di assaggiare con grandissima soddisfazione – è scivolata tra una risata e un ammiccamento. Matthias Helvar è tanto bello quanto santo, e farlo arrossire è così facile che ha quasi smesso di essere divertente. Quasi, perché Nina è convinta che il modo in cui Matthias l'ha guardata quando lo ha raggiunto all'ingresso della Sala Grande lei lo ricorderà anche sul letto di morte, ripagando ampiamente gli sforzi collettivi di Genya e Zoya per strizzarla in quel corpetto mozzafiato – mozzafiato in ogni senso. Sforzi che non sono neanche lontanamente paragonabili alle difficoltà con cui Matthias è riuscito a non far mai scivolare lo sguardo più in basso delle labbra di Nina, nonostante ogni piega concentrata della sua fronte gridasse il desiderio di fare il contrario.

Nina è quasi commossa da questo sfoggio di genuina galanteria, ma non può negare la soddisfazione e il divertimento di vedere un Campione tutto d'un pezzo sforzarsi di non esplodere.

 

"Campioni, qui, offrite la mano alle vostre dame e mettetevi in fila. Tra pochi minuti l'orchestra suonerà il valzer d'apertura del Ballo".

La McGranitt, irriconoscibile nella frivolezza della sua veste da cerimonia dello stesso tristissimo tartan di tutti i suoi vestiti si muove rapida ed efficiente nella lunga fila di Campioni e accompagnatori aggiustando distanze, eliminando macchie di sugo dalle vesti dei più maldestri, raddrizzando colletti con un colpo di bacchetta e lanciando occhiate disgustate alle acconciature più leziose.

"Non mi sono rimaste briciole di tarte tatin sul colletto, vero?"

Nina non riesce a trattenersi: gli occhi di Matthias, quei bellissimi occhi che si portano dietro la magnificenza di ghiacciai illuminati dal sole quasi si incrociano nel tentativo di guardare ovunque tranne che dove Nina sta indicando. 

"Siete tutte così volgari, voi ragazze di Hogwarts?"

Quella sera Matthias ha pronunciato la medesima frase almeno una decina di volte, e a ogni suo ripetersi la soddisfazione di Nina è cresciuta.

"Siamo anche peggio di così, ma non vorrei traumatizzarti troppo. Si sa che voi omoni di Durmstrang siete così fragili e delicati…"

"Sfacciata."

"Bigotto."

"Esagerata!"

"Stoccafisso!"

"Zenik, se hai finito di maltrattare il nostro ospite, l’intera Hogwarts ti sarebbe grata se tu ti sforzassi di farle fare una figura quantomeno passabile concentrandoti sul ballo".

Gli occhi della McGranitt lampeggiano furiosi dietro le lenti degli occhiali, e Nina, che non ha intenzione di sprecare neanche un secondo del suo prezioso tempo in punizione, si affretta a sistemarsi alle spalle della Corvonero che accompagna il campione di Hogwarts.

"Allora c'è qualcuno capace di tenerti testa", mormora Matthias, ergendosi in tutta la sua considerevole statura e gonfiando il petto e l'abito da cerimonia formale, tentando di interpretare al meglio il ruolo pieno di contegno del perfetto campione.

"Minerva McGranitt sarebbe capace di tenere testa a tutti gli studenti di Hogwarts e Durmstrang contemporaneamente, e senza neanche sforzarsi".

"Questo", precisa Matthias, porgendole la mano, "è solo perché gli studenti di Durmstrang sono fin troppo disciplinati per contrastare un'insegnante".

Improvvisamente, un'ombra cala in mezzo a loro. Un'ombra avvolta in una veste così gialla da fare quasi male agli occhi, ma sormontata da un sorriso smagliante.

"Parla per te e per i tuoi amici soldatini-burattini, Helvar. A Durmstrang ci sono anche persone perfettamente in grado di intendere, volere e mandare a quel paese qualsiasi professore".

Jesper Fahey, campione di Durmstrang e di abbigliamento eccessivo, concede a Nina una strizzatina d'occhio complice.

"A proposito, dolcezza, sei favolosa".

"Anche tu non sei male. Un filo troppo sobrio, ma non male".

Nina fa a malapena in tempo a regalare un ampio sorriso alla piccola Inej, serissima ma a modo suo molto bella nel suo completo babbano, che la nota prolungata di un violino annuncia l'inizio del ballo.

Matthias esita, e alla fine è Nina a stringergli la mano e ad accompagnarlo nel punto prestabilito della pista da ballo fin troppo affollata — è una follia far aprire le danze a otto coppie.

"Matthias, ti prego di essere forte e di non svenire, ma ora dovresti proprio mettermi una mano sul fianco. Capisco che l'emozione potrebbe essere troppa, ma…"

Alcune coppie attorno a loro hanno già cominciato a volteggiare con non troppa grazia, quando gli occhi di Matthias sono attraversati da un lampo gelido.

O forse è un lampo caldissimo, perché la sua mano si posa davvero sul fianco di Nina, ed è una sensazione a cui lei non è preparata, ma che apprezza immensamente. 

Matthias non è un bravo ballerino. Sembra marciare, più che danzare, ma a Nina non importa granché – i balli da sala non le sono mai interessati, preferisce dimenarsi sulle note delle Sorelle Stravagarie. Non le importerebbe comunque, perché Matthias, nella sua rigidità marziale, più che guidare le danze la sta trascinando di peso da una parte all'altra della pista da ballo. E a Nina non dispiace affatto: non sono molti i ragazzi capaci di sollevarla fra le braccia, e ben presto lei smette di cercare di seguire i passi del valzer per far scivolare le braccia attorno al collo di quel gigante pieno di borbottii doveri morali.

Le mani di Matthias, entrambe, sono posate sui suoi fianchi, ma anche lui sembra essersi dimenticato completamente del valzer, del suo ruolo di Campione, del pubblico che li osserva e anche delle coppie che si stanno unendo a loro. Ondeggiano sul posto, occhi negli occhi – a nessuno, pensa Nina, dovrebbe essere concesso avere occhi tanto belli – e Nina quasi non trova le parole per stuzzicarlo.

"Sei già stanco, Durmstrang? Non dirmi che questi muscoli sono solo scena".

Nina fa scivolare una mano sull'ampio petto di Matthias, sulla stoffa del suo abito da cerimonia che ricorda l'alta uniforme di un soldato. La ferma lì, dove c'è  il suo cuore. E forse è il proprio sangue quello che sente pulsare nel palmo, ma Nina ha l'impressione di avvertire il battito cardiaco di Matthias accelerare.

"Nina…"

Un ringhio d'avvertimento.

Una preghiera.

"Ti sei già pentito di aver accettato il mio invito? Non dirmi che avresti preferito una brava bambina che non concede più di un ballo di seguito".

Nina si avvicina  un po' di più, così tanto che la sua mano si ritrova schiacciata fra il proprio petto e quello di Matthias.

"Nina".

"Scegli la lingua che preferisci, se devi parlare, tanto io le capisco tutte".

La verità è che Nina adora il modo brutale con cui Matthias mutila l'inglese, spremendosi dalle labbra ogni parola come se si trattasse  di una pietra da estrarre da una miniera.

"Per Djel, lasciami prendere fiato", impreca lui in fjerdano, salvo poi correggersi e tornare a sforzarsi con l'inglese.

"Nina. Sei eccessiva, rumorosa, sei sfacciata…"

"Ma  ho anche dei difetti, sii obiettivo".

Di nuovo quel lampo ghiacciato negli occhi di Matthias.

Ormai sono immobili in mezzo alle coppie danzanti, ancora vicinissimi, troppo vicini.

"Sì. Sei tutte queste cose e molto altro. Sei esasperante, sei… sei l'unica persona con cui avrei mai voluto venire a questo ballo. Grazie per avermi invitato".

Nina si concede un'ultima frecciatina, una battuta sibilata con un sorriso – sulle dichiarazioni romantiche hai ancora qualcosa da imparare – prima di sollevarsi in punta di piedi e cercare le labbra di Matthias.

Matthias che, sorprendendola, non esita neanche un istante a ricambiare il bacio con impeto tale da sollevarla da terra.

Qualcuno fischia, qualcuno applaude, e Nina, prima di perdersi definitivamente in quel bacio, ha appena la lucidità di pensare che sì, gli altri studenti hanno tutti i motivi di applaudire, perché un bacio così merita applausi, standing ovation, cori da stadio e molto, molto di più.

 

***

 

Valzer, quadriglia, minuetto – chi lo balla più, il minuetto? – ancora valzer.

Il flauto, fidato compagno di una vita, amico sincero, rifugio nei giorni più difficili e distrazione gioiosa in quelli migliori sembra essersi trasformato in un oggetto semisconosciuto fra le mani di Wylan.

O forse sono le mani di Wylan ad essergli diventate estranee: dita rigide e legnose, movimenti bruschi, totale assenza di naturalezza anche nell'eseguire brani che solitamente non rappresentano per lui alcun grado di difficoltà.

Wylan non è abituato a suonare in un'orchestra, ha sempre preferito suonare da solo – almeno da quando sua madre ha smesso di accompagnarlo al pianoforte – eppure durante le prove delle sere precedenti era stato perfettamente all'altezza della situazione.

Quella sera, però, il ritmo gli sfugge dalle dita, le note scivolano via dalla sua mente e gli è del tutto impossibile sentirsi in armonia con quello che sta suonando. Persino Alys, che è stata presa nell'orchestra solo per pietà e sfinimento, gli ha lanciato addirittura tre occhiatacce, sentendolo stonare.

La verità è che Wylan non riesce in alcun modo a concentrarsi.

La Sala Grande è troppo piena, gli alberi di Natale addobbati con insolita cura sono troppo grandi, le sculture di ghiaccio riflettono fasci di luce che lo accecano.

E quell'idiota vestito di giallo come un enorme limone sembra sempre essere in mezzo al suo campo visivo ogni volta che lui alza lo sguardo dallo spartito.

Neanche a dirlo, Wylan si azzarda a lanciare una rapida occhiata alla pista da ballo, che dalla sua posizione privilegiata sui gradini dell’orchestra riesce a vedere perfettamente, e Jesper Fahey è lì, tutto impegnato ad ammazzare il valzer con passi che sembrano non avere nulla a che fare con la musica. Forse è per questo che Wylan non riesce a tenere il tempo: perché Jesper non lo fa, balla passi tutti suoi, ride  e cambia partner con una facilità e una rapidità sconcertante, e a Wylan non resta da fare altro che inciampare sulle sue stesse note, incapace di conciliare nello stesso pensiero la precisione della musica e il caos portato sulla pista da Jesper. 

Soprattutto perché Jesper sembra essersi fatto un punto d’onore – o di testardaggine – quello di fare in modo di incrociare sempre lo sguardo di Wylan, facendo smorfie e mimando parole che Wylan non riesce a distinguere, ma che sicuramente sono prese in giro. 

Nessuno sarebbe in grado di restare concentrato in una situazione del genere, proprio nessuno

 

È con immenso sollievo che Wylan accoglie gli applausi e i complimenti di Silente all’orchestra della scuola: ben presto i gradini dell’orchestra si trasformeranno in un palco per accogliere le Sorelle Stravagarie, un gruppo decisamente più apprezzato dalla maggior parte degli studenti già stanchi di giocare ai balli d’altri tempi.

Il piano di Wylan per quella sera è facile e lineare: offrirsi di suonare con l’orchestra così da avere una scusa per l’assenza di accompagnatrici al suo fianco per poi confondersi tra la folla e tornare a rintanarsi in Sala Comune non appena finito di suonare. 

Non è che detesti i balli, ma quell’atmosfera formale ed elegante gli ricorda troppo casa e le sobrie feste da ballo a cui gli è stato concesso partecipare prima che suo padre decidesse che di un figlio così incapace poteva anche fare a meno.

Un piano perfetto, un piano semplice, che nessuno potrebbe mai voler sabotare. 

Se solo Wylan avesse preso in considerazione l'imprevedibilità delle azioni di Jesper Fahey, che a quanto pare si è fatto un punto di testardaggine anche trovarsi sempre e comunque in mezzo ai piedi di Wylan. A lezione il Campione di Durmstrang ha occupato il banco accanto al suo, approfittando di ogni momento di distrazione dei professori per disegnare oscenità sulle pergamene di Wylan. Durante i pasti, spesso Jesper lascia il tavolo di Serpeverde dove mangiano la maggior parte degli studenti di Durmstrang per portare scompiglio fra i Tassorosso. Dopo le lezioni Wylan lo incontra decisamente troppo spesso perché sia un caso, e ogni volta Jesper non perde l'occasione per prendere in giro le sue buone maniere, per scherzare sul fatto che deve aver falsificato i documenti, perché Wylan non può avere più di tredici anni, non con quel faccino, o per provare a convincerlo a mettere in pratica incantesimi pericolosi e spettacolari.

E al Ballo del Ceppo non può essere da meno, ovviamente.

Perché mentre Wylan cerca di scivolare silenzioso e non visto lungo le pareti della Sala Grande per guadagnare l'uscita, Jesper sembra sbucare dal nulla, sborrandogli la strada. 

Wylan è certo di averlo visto ballare con una biondina carina di Beauxbatons solo un istante prima, ma ora quella pertica ricoperta di stoffa gialla è davanti a lui, con in viso un sorriso soddisfatto – e Wylan un po' si maledice, ma come sempre si ritrova a notare quanto sia bella la curva delle sue labbra.

"Wylan VanSunshine! Allora è vero quello che si diceva di te!"

"Che cosa si dice di me?", non può fare a meno di chiedere Wylan, sospettoso.

 "Solo pessime cose, tranquillo. Ed è per questo che mi piaci". 

Wylan vorrebbe sprofondare mentre sente un calore disturbante salire alle guance.

È arrossito.

È arrossito come un perfetto idiota, e Jesper se n'è accorto, a giudicare dal modo in cui il suo sorriso si allarga.

"Non c'è quasi gusto con te, farti arrossire è troppo facile. Ma è comunque divertente".

"È divertente per te", borbotta Wylan, sentendosi ancora di più un idiota.

"Comunque, è vero che suoni il piffero".

"Flauto traverso".

"C'è differenza?"

"Ti interessa davvero?"

Wylan è scettico, e quando Jesper si ritrova a scrollare le spalle, la risposta gli sembra palese.

"Mi interessa se interessa a te".

Wylan stringe la custodia del flauto al petto, e poco gli importa di sembrare ancor di più un ragazzino. Jesper lo mette in difficoltà: non riesce a capire da dove nasca la sua voglia di tormentarlo, né riesce a capire perché ora stia lasciando da sole tutte le ragazze con cui ha ballato per dire sciocchezze a lui.

"Si può sapere perché dovrebbe interessarti quello che interessa a me?"

Jesper si stringe di nuovo nelle spalle.

"Me lo chiedo anche io. Credo che sia colpa della tua faccia".

"La mia faccia? Cos'ha la mia faccia?"

Ma l'attenzione di Jesper è già sfumata. Dal palco arriva il suono di una chitarra, gli studenti urlano, l'aria solenne ed elegante di una festa da ballo svanisce nel fervore di un concerto decisamente più adatto a un gruppo di ragazzini.

Jesper si china in avanti, anche se non ce ne sarebbe davvero bisogno: c'è confusione, sì, ma loro due sono abbastanza lontani dal palco per riuscire a parlare senza bisogno di urlarsi addosso o avvicinarsi così tanto.

"Non te ne starai andando, vero? Santi, neanche i bambini del terzo anno vanno a dormire così presto".

"I ragazzi del terzo anno non sono ammessi al ballo", protesta debolmente Wylan, dando prova di essere davvero un bambino, nonostante i sei anni di educazione magica che gli pesano sulle spalle tenderebbero a confermare il contrario.

"Non cambiare discorso. Possibile che tu voglia perderti tutto il divertimento? I balli, il punch corretto, la musica, le ragazze contro cui strusciari…"

"Solo le ragazze?"

Wylan non si trattiene. Quella domanda gli scivola fuori di bocca prima che possa fermarsi a riflettere, e sente di star arrossendo di nuovo. Però non abbassa lo sguardo, gli occhi fissi in quelli grigi di Jesper. Se deve soffrire, almeno lo farà sapendo di aver messo sul piatto della bilancia qualsiasi cosa.

Sul viso di Jesper nasce un sorriso tutto nuovo: grande, luminoso, forse anche un po' soddisfatto.

"No, non solo le ragazze. E adesso smettila di startene qui nell'ombra e divertiti un po' anche tu!"

Jesper gli afferra la mano libera e lo trascina con passo deciso verso gli studenti che cantano e si dimenano. E Wylan si ritrova a seguirlo.

Del resto, le Sorelle Stravagarie non sono poi così male.

 

***

 

"Allora? Quanti dipinti ci riportiamo a Durmstrang?"

La voce di Inej è appena un sussurro, ma nel corridoio deserto risuona limpida e chiara.

Kaz non si volta nemmeno, limitandosi a osservare il riflesso di lei nel vetro nero che ha di fronte. La luce fioca delle torce scivola sui suoi capelli scuri, legati in un nodo basso alla base del collo. Niente acconciature complesse, niente orpelli: la stessa acconciatura che la accompagna ogni volta che si allena. 

"A Durmstrang, nessuno. Troppo rischioso. A Ketterdam, tutta la collezione. Conosco anche la persona giusta a cui venderla".

Inej fa un passo avanti e si ferma davanti al quadro che rappresenta una scena notturna, una stanza ricca di velluti tagliati da lame di luce precise. China il capo di lato, studiando il DeKappel.

Kaz non ha bisogno di chiederle perché abbia lasciato il Ballo. Senza bisogno di consultare l'orologio, sa che la cena dev'essere finita  e che lei e Jesper devono avere già avuto il tempo di aprire le danze insieme agli altri campioni, e poi di restare in Sala abbastanza a lungo da non suscitare domande.

Kaz ha sempre saputo che Inej avrebbe lasciato la festa non appena fosse stato prudente farlo, ed è con una certa fatica che trattiene un sorriso.

"Incanti di Adesione Permanente?"

Kaz scuote la testa.

"Allarmi?"

"Se ce ne sono, io non so rilevare questi incantesimi". 

Un altro lungo silenzio mentre Inej scruta il corridoio.

"Imprudenti, questi inglesi".

"Gli studenti di Hogwarts puzzano di decenza quasi come Helvar. Sono un branco di bambini, nessuno di loro penserebbe mai di fare qualche galeone vendendo una vecchia crosta".

Sorride anche Inej, ora.

"Queste non sono croste…"

"No che non lo sono, ma gli inglesi se lo sono dimenticato. E non sono certo io a volerlo ricordare loro".

Inej osserva il corridoio, poi torna a guardare i quadri. Scene di interni vuote, tavole imbandite senza commensali, picnic abbandonati in mezzo a paesaggi bucolici.

"Suppongo che gli abitanti dei quadri siano tutti al piano terreno per godersi il ballo".

Kaz annuisce lentamente, seguendo il filo di pensieri di Inej. O meglio, sono i pensieri di Inej a ripercorrere lentamente quelli di Kaz: non è solo per non avere intorno studenti ficcanaso che ha scelto quella sera per esaminare il corridoio e i quadri. Non è facile pianificare il furto di dodici tele di grande formato se i protagonisti di suddette tele cominciano a strillare e chiamare aiuto.

"Dobbiamo trovare un modo per confinarli nei loro dipinti, quando li preleviamo".

Kaz annuisce di nuovo.

Stringe il bastone nella mano destra, ma la presenza tranquilla e familiare di Inej alla sua sinistra è come un secondo bastone. Un bastone solido, un muro a cui può poggiare anche la schiena. 

Manisporche sa di non potersi permettere nessuna debolezza: appoggiarsi a qualcuno significa precipitare quando questa presenza scompare, e Manisporche si è ripromesso anni prima di non precipitare mai più.

Ma Inej è lì, è sempre lì.

Una presenza da cogliere solo con la coda dell'occhio, pronta a scivolare nelle sue ombre silenziose.

E a tornare. 

A tornare sempre. 

Perché hanno un lavoro da portare a termine.

Perché non vuole andarsene.

“Io un modo credo di averlo trovato”.

Il viso di Inej si accende, improvvisamente attento, e Kaz sente di non voler essere in nessun altro posto che non sia un ritaglio d’ombra in compagnia del suo Ragno.





 

 


 

Note:

Ebbene, ero ormai convinta che non avrei scritto niente sul Ballo del Ceppo, ma sorprendentemente è stato proprio Kaz a convincermi a cambiare idea.

Aggiungo solo una riflessione veloce: il rapporto tra Nina e Matthias qui è molto più leggero, e mi sembra quasi un delitto togliere loro tutta la profondità e la complessità che hanno. Però in questo particolare contesto non avrei proprio avuto il tempo (o le capacità) di costruire un retaggio credibile per il loro trovarsi a combattere su fronti opposti, quindi facciamo finta che almeno qui possano essere solo due adolescenti con caratteri diversi, e non due soldati cresciuti troppo presto. È un peccato? Sì, ma ehi, le AU a volte servono anche per avere un po’ di leggerezza in più.

Grazie a chiunque sia arrivato fino a qui!

 

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Capitolo 4
*** Seconda Prova – Parte Prima ***


 

Seconda Prova

Parte Prima



 

Matthias stringe le braccia al petto, guardandosi attorno con circospezione: vorrebbe tanto Schiantare la maggior parte delle persone presenti in nell’aula, ma qualcosa lo trattiene. Qualcosa che, in maniera molto disturbante, non si avvicina neanche lontanamente al senso di giustizia che dovrebbe ricordargli che lasciare privi di sensi tre compagni e due studenti della scuola che lo sta ospitando è scorretto sotto tutti i punti di vista, quanto piuttosto una vaga sensazione di pericolo. Non ha propriamente paura di Kaz Brekker, ma qualcosa gli dice che sia più saggio evitare di farlo. Fahey si muove talmente tanto che con tutta probabilità finirebbe per mancarlo e colpire per sbaglio Inej, e Matthias non vuole davvero farle del male. Quanto al ragazzino di Hogwarts, be’, è praticamente un bambino, e Matthias ha smesso di fare la lotta con i bambini quando aveva all’incirca otto anni.
Nina è un’altra cosa.

Nina, che lo fissa come se fosse in grado di leggergli nella mente tutti i suoi propositi bellicosi – e magari lo sa anche fare, Matthias non se ne stupirebbe – solleva un sopracciglio in un chiaro gesto di avvertimento.

“Matthias, tesoro, vuoi provare a parlare dei tuoi sentimenti? Ti vedo sull’orlo di una crisi di nervi. Qualcosa ti turba?”
Matthias stringe le braccia al petto, cercando di mettere insieme le parole giuste per esprimere come qualsiasi cosa in quella stanza lo stia turbando, a cominciare dalla gamba di Brekker allungata sulla sedia come se l’aula e il castello e l’intera Inghilterra gli appartenessero, per finire con il modo in cui il ragazzino con i capelli rossi sta tormentando la piuma che stringe fra le mani. Ci sono troppe parole che gli volteggiano in testa e nessuna è quella giusta, quindi finisce col partire dal fondo, un dito puntato eloquentemente contro il ragazzino.

“Lui. Lui mi turba”.

Il ragazzino sobbalza proprio come se Matthias gli avesse puntato al petto la bacchetta.
“Io? Che ho fatto, io?”
Prima che Matthias possa spiegargli che unirsi al gruppo di Brekker e buttarsi in quell’impresa folle è un errore sotto tutti i punti di vista, Jesper Fahey scoppia a ridere. Più che una risata, è un ululato, accompagnato da palmi sbattuti con forza sulle ginocchia e occhi pieni di lacrime puntate sul minuscolo inglese. 

“Oh, Santi, fallo di nuovo, Helvar! È stata la cosa più divertente del mondo!”

“Non è stato divertente per niente”, borbotta il ragazzino, le guance rosse quasi quanto i suoi capelli.

“Perché lui è qui? Perché tu sei qui?”
Matthias si rivolge di nuovo a Nina, sperando che lei abbia pietà e lo porti via da quella stanza piena di persone niente affatto raccomandabili. Nina, tuttavia, sembra divertirsi tanto quanto Fahey, e si limita a lanciarsi in bocca una manciata di Gelatine Tuttigusti +1.

“Helvar”, comincia Brekker, la voce affilata come una lama, quasi volesse chiarire che il momento degli scherzi è finito e che è necessario tornare a parlare di cose serie.

“Wylan è qui perché possiede delle conoscenze di cui abbiamo bisogno. Nina è qui perché… perché a quanto pare non le piace l’idea che tu muoia durante la Seconda Prova”.

Nina annuisce con fare distratto, come se Brekker stesse parlando di prendere un voto appena sotto la media in un’interrogazione di metà semestre. 

“E non ti è passato per la mente che io non voglia l’aiuto di questo bambino né di qualcuno di voi?”
Kaz lo fissa a lungo, senza rispondere. Matthias non ha mai avuto paura di sostenere lo sguardo di nessuno, ma gli occhi di Brekker sono due pozzi così privi di luce che per un attimo la sua decisione vacilla. Matthias ha accettato il fatto che dovrà collaborare con Inej e con Jesper per superare la Seconda Prova, ma questo non significa che voglia accettare l’aiuto di qualcuno come Kaz Brekker. O di Nina, che resta pur sempre una studentessa di Hogwarts. Per non parlare del ragazzino con i capelli rossi. Non è così che dovrebbe funzionare la prova, e non è così che lui vuole superarla: non gli importa di vincere, non davvero. Gli importa solo di misurare le proprie capacità e di fare il meglio possibile rispettando le regole imposte dagli organizzatori, non vuole barare associandosi a un ragazzo che in vita sua non ha mai rispettato nessuna regola – e probabilmente ha già infranto più leggi di quante un semplice studente non ancora diplomato dovrebbe anche solo conoscere. 

“Ascolta bene, Helvar. So che puzzi così tanto di decenza che il tuo odore potrebbe raggiungere Durmstrang da qui, ma, sorpresa sorpresa, gli altri Campioni non sono come te”.

Il bastone sollevato di Brekker soffoca sul nascere ogni protesta di Matthis.

“Non solo i nostri Campioni, anche tutti gli altri. Credi davvero che Madame Maxime non stia dando tutti gli aiuti possibili ai suoi Campioni? E credi che a Hogwarts si stiano comportando diversamente?”
Matthias non risponde. Sa bene che i Campioni delle altre scuole stanno ricevendo aiuti al di fuori del regolamento, e anche il professor Brum ha offerto il suo aiuto a Matthias – per tenere alto l’onore di Durmstrang. Aiuto che Matthias ha rifiutato, trascorrendo il resto del tempo cercando di evitare la delusione rabbiosa del professore. 

L’aiuto di Brekker, però, è un’altra cosa. Perché Matthias sa che non si tratterebbe solo di accettare qualche consiglio, di farsi insegnare degli incantesimi che lui non conosce o di rubare qualche suggerimento dagli insegnanti. Accettare l'aiuto di Brekker significa infrangere regole e leggi, significa voltare le spalle a qualsiasi tipo di morale, significa approvare il fatto che, con ogni probabilità, il piccolo Wylan sia stato costretto a collaborare solo a fronte di un pericoloso ricatto.

"Matthias, tu in quelle fogne ci finirai senza bacchetta. È chiaro? Non puoi permetterti di non accettare l'aiuto di un gruppo di amici".

Matthias sostiene a lungo lo sguardo di Nina, per poi scuotere comunque la testa.

"No?"

"No. Io…"

Sì, il Torneo Tremaghi è nato per misurare le capacità magiche dei Campioni, privarli quindi della possibilità di eseguire magie è qualcosa di subdolo e anche vagamente incomprensibile. Ma quei ragazzi non sono amici di Matthias. E Matthias non si fida di loro, né capisce perché a farlo sia proprio Nina. 

Uno sguardo d'intesa vola tra Inej e Brekker, ma è la ragazza a prendere la parola questa volta.

"Quando sarai in quel condotto, dovrai fidarti di me e Jesper. E io e Jesper, ti piaccia o no, non abbiamo intenzione di arrivarci impreparati, perché abbiamo ottimi motivi per vincere questo Torneo. Tu ora puoi uscire da questa porta, ma noi continueremo a studiare la mappa delle tubature con Wylan e continueremo a lavorare con Nina per raccogliere quante più informazioni possibili".

Matthias non ha mai sentito la piccola Suli pronunciare così tante parole tutte insieme, ma la sua voce ha la definitività di un coltello piantato nel petto. 

Matthias sa che Inej ha ragione.

La Seconda Prova non è stata pensata perché lui possa superarla da solo. Non è strutturata perché questo sia possibile: può solo ritirarsi – e perdere l'onore assieme ai soldi di cui ha bisogno, se vuole costruirsi un futuro lontano dal professor Brum – o decidere di collaborare con chi non ha alcuna intenzione di rispettare le regole. 

Oppure può tentare di strappare a Brekker e alla propria coscienza una via di mezzo: può decidere di fidarsi di lui e della sua banda ma non di aiutarli attivamente a infrangere alcuna regola.

“Va bene. Voi fate quello che volete, infrangete le regole che volete, ma io me ne chiamo fuori. Mi allenerò da solo, e il giorno della prova mi fiderò di voi, ma non voglio sapere niente dei vostri traffichi”.

Brekker sorride. 

E quando Brekker sorride, significa che qualcosa di orribile sta per succedere. 

“Oh, ma tu ci sei già dentro con tutte le tue enormi scarpe, Helvar”.

Per quanto Brekker si sforzi di impegnarsi a rendere la sua voce il suono dolce di un flauto, ogni cosa suona come una minaccia. 

“Ci sei talmente dentro che ti sei reso complice del furto della planimetria delle tubature della scuola”.

“Certo che non l’ho fatto”.

Il sorriso di Brekker si allarga ancora di più.

“Oh, materialmente no, quello no. Ma di sicuro ti sei reso complice nascondendo la refurtiva… che è proprio lì, all’inizio del capitolo dodici del tuo libro di Incantesimi”.

Matthias si affretta a trovare il libro giusto nella sua borsa, ripetendosi che è impossibile che qualcuno di loro si sia avvicinato alle sue proprietà. Ha incantato lui stesso la borsa dei libri perché nessuno possa metterci le mani.

Eppure, quando apre il libro al capitolo dodici un ampio foglio di pergamena percorso da linee sottili di inchiostro sbiadito gli scivola in grembo. 

La planimetria del sistema idraulico della scuola di Hogwarts. 

Non la planimetria incantata che Brekker sostiene potranno utilizzare il giorno della prova, no. Una planimetria che ha tutta l’aria di essere stata trafugata dagli archivi di un Ufficio di Manutenzione Magica, sempre che quegli scriteriati degli inglesi si affidino a qualcosa di simile, invece di sperare semplicemente che la loro scuola resti in piedi per grazia del talento di qualche mago morto centinaia di anni prima. 

“Brekker”.

Matthias fa un respiro profondo, cercando di ricordarsi quanti buoni motivi ci siano per non strangolare Kaz e tutti i suoi complici. 

Un movimento di bacchetta, e la planimetria sfugge dalle mani di Matthias per atterrare con grazia in mezzo alle dita guantate di Kaz Brekker.

“Helvar”, lo scimmiotta lui, un sorriso affilato sulle labbra.

“Abbiamo un lavoro da svolgere”.

 

***


 

Matthias sta annegando nel buio. 

Perdere i sensi è come precipitare, ma in quel luogo dimenticato da Djel ogni cosa è al posto sbagliato: sta riprendendo coscienza, ma i suoi sensi sono ancora addormentati, e la sensazione di scivolare in una corsa inarrestabile verso il buio va a creare uno straniamento che, per un istante, rischia di ricacciare Matthias nell’incoscienza.

Poi i sensi tornano ad acuirsi, e Matthias è dolorosamente consapevole dell’acqua fredda che inzuppa il mantello, delle braccia strette al corpo e dei sobbalzi che lo scuotono ogni volta che la tubatura in cui sta precipitando presenta una giuntura poco liscia.

E poi la sensazione di precipitare si trasforma in un pigro scivolare, le braccia trovano spazio per allargarsi e Matthias sospetta che, se volesse, potrebbe provare ad alzarsi a sedere, ma l’idea di picchiare la testa e perdere di nuovo i sensi non è per niente allettante. 

Il movimento nel buio, unito al sapore acre che gli impasta la bocca e gli appesantisce lo stomaco, gli provoca una leggera nausea. È quindi con sollievo che accoglie la graduale diminuzione della pendenza di quella tubatura. Con meno sollievo accoglie invece la pozza di acqua fredda e vischiosa – deve essere solo acqua, non vuole pensare a tutte le battute disgustose che Jesper Fahey ha continuato a sussurrargli all’orecchio nell’ultima settimana, battute a base di gabinetti e contenuti delle tubature – che gli inzuppa il fondoschiena.

Matthias tasta con circospezione l’aria attorno a sé, gli occhi spalancati sul buio, felice di rendersi conto di trovarsi in un condotto ampio abbastanza perché possa smettere di stare seduto nell’acqua. Si solleva in piedi, combattendo contro una nuova ondata di nausea, e resta immobile. L’unico suono che riesce a sentire è un vago sciabordio che riecheggia in lontananza. Non c’è traccia delle battute di Jesper, né del pacato mormorìo di Inej.

Forse ha capito male le istruzioni: l’inglese della professoressa McGrannitt ha un’inflessione a dir poco incomprensibile per lui – Matthias avrebbe di gran lunga preferito che fosse il preside Silente a riunire i Campioni per dare loro le ultime istruzioni per la Seconda Prova, con il suo inglese a volte un po’ arcaico ma dalla pronuncia pulita, quasi scolastica. Matthias, pigiato su una sedia troppo piccola nell’ufficio sovraffollato della vicepreside, ha ascoltato la donna spiegare che loro avrebbero dovuto bere una pozione disgustosa che li avrebbe fatti cadere in un sonno profondo, sarebbero poi stati trasferiti in un condotto dell’impianto idraulico della scuola per essere infine risvegliati al momento dell’inizio della prova dalla voce dei compagni di scuola che, armati di una mappa magica, avrebbero guidato il Campione fino a raggiungere la meta prestabilita. Il tutto senza bacchetta, naturalmente, perché per qualche arcano mistero quegli inglesi pazzi vogliono dimostrare al mondo che un torneo di magia potrebbe essere vinto anche dai babbani. Una cosa completamente priva di alcun senso logico, ma del resto in quella scuola di logico non c’è proprio niente – partendo dai professori non diplomati, passando per fantasmi molesti che si appostano nei bagni per spiare le persone senza vestiti e arrivando ai custodi totalmente incapaci di fronteggiare degli studenti armati di bacchetta.
E ora Matthias si è risvegliato, ma non c’è traccia della voce di Jesper o Inej. Forse i suoi compagni hanno deciso di abbandonarlo a marcire nelle fogne di quello stupido castello – da Jesper se lo aspetterebbe anche. O forse tutte le regole che hanno infranto si sono trasformate in un’espulsione che lo condannerà a marcire in quelle fogne: Inej gli è sempre sembrata impossibile da cogliere in flagranza di reato, ma chissà, forse anche gli Spettri hanno dei punti deboli in grado di condannarli. 

Quello che è certo, però, è che Matthias non ha alcuna intenzione di marcire nelle fogne di un castello di pazzi nel cuore della Scozia. 

 

Matthias allunga il braccio destro – un braccio così nudo senza bacchetta da farlo sentire vulnerabile come un bambino del primo anno finito per errore in mezzo alle lezioni avanzate del professor Brum – e presto le sue dita si trovano a sfiorare la superficie fredda, liscia e umida del condotto. Stende il braccio destro in avanti e, sentendosi goffo come non è mai stato, comincia a procedere lentamente in avanti. 

Non è sicuro che la direzione che sta percorrendo sia quella corretta, ma del resto non ci sono svolte e ritiene piuttosto improbabile che debba risalire lo scivolo che l0 hanno appena costretto a percorrere. 

Non ha idea di quello che farà quando arriverà a un bivio, ma spera che per allora qualcuno dei suoi compagni di scuola riesca a sfuggire a qualsiasi cosa li stia trattenendo lontano dalla mappa incantata e si degni di dargli qualche indicazione sulla direzione da seguire. 

Un fruscio.

Matthias lo avverte, un fruscio così vicino che sembra quasi risuonare solo nella sua testa. Non riesce a capire quale sia la direzione da cui proviene il suono: probabilmente la conformazione delle tubature fa viaggiare i rumori in un modo che lui fatica a comprendere, e la cosa non fa altro che disorientarlo.
Come se avesse davvero bisogno di essere ulteriormente disorientato.

Si immobilizza, le braccia sollevate per difendersi da qualsiasi cosa possa annidarsi nelle tubature e il suono gli esplode di nuovo nella testa, accompagnato da quello che, inconfondibilmente, è un colpo di tosse. 

Un colpo di tosse, una parolaccia, e la voce di Jesper che esplode come un tuono nel condotto.

“Il puntino si sta già muovendo! Possibile che sia già stato attaccato da qualcosa? Stiamo guardando il suo cadavere trascinato dal figlio illegittimo del Basilisco che viveva da quelle parti?”
“Jesper?”
“Helvar! è la tua voce che sento o sei già un fantasma?”
“Perché non mi hai svegliato?”
Trambusto, un suono amplificato simile al tamburellare di dita sulla superficie di un tavolo, un altro fruscio di pergamena, e poi la voce di Jesper torna a risuonargli nella testa.

“Perché non sei la bella addormentata e io non voglio prendere il posto della Zenik”.

Suo malgrado, Matthias si ritrova a fare una smorfia che è a metà strada tra un digrignare di denti esasperato e un sorriso. La medesima espressione che fa ogni volta che si trova vicino a Nina. Il fatto che lei abbia cominciato a fargli quell’effetto anche quando non è presente è un chiaro segno di quanto la sua sia decisamente una cattiva compagnia e di quanto pessima sia la sua influenza su di lui, ma  Matthias è del tutto incapace di rinunciare a quell’influenza.

“Ti abbiamo perso, Helvar? 

“No, ma dovrebbe essere il tuo lavoro fare in modo che io non mi perda qui, giusto?”
Un altro lungo silenzio in cui Matthias, esasperato, resta immobile. Immobile a contemplare il tempo che scivola via, tempo che dovrebbe impiegare per uscire da quel labirinto di tubature. 

“Non sono sicuro di poterlo fare. La prova inizia tra cinque minuti, e tu non dovresti essere ancora sveglio… perché sei già sveglio? Hai fatto i capricci e hai sputato mezza pozione?”
Matthias ripensa alla fialetta minuscola che è stato costretto ad assumere nell’ufficio della vicepreside di Hogwarts, una fiala delle stesse dimensioni ridicole di quella rifilata a quel ranocchietto rachitico che è il Campione di Hogwarts. Forse a Hogwarts non insegnano che prima di somministrare una pozione bisognerebbe prendere in considerazione la stazza del paziente.

“Quindi ci risentiamo fra cinque minuti?”
Una risata, improvvisa e inaspettata come un’esplosione, risuona nella testa di Matthias. 

No, Helvar, ti pare che sprechiamo cinque minuti di anticipo piovuti dal cielo? Vai avanti. Direzione Nord-Est”.

Matthias vorrebbe protestare e far notare che è scorretto cominciare la prova in anticipo, ma, del resto, se riesce a sentire la voce di Jesper e Jesper riesce a vedere la sua posizione sulla mappa incantata in dotazione ai Campioni, deve significare che in qualche modo per loro la prova è già cominciata.

“Mi vuoi spiegare come dovrei fare per sapere qual è la direzione Nord-Est?”
Un sospiro, e Matthias è quasi certo di poter immaginare l’espressione esasperata sul viso del suo compagno di scuola.

“Mi vuoi dire che durante tutti i suoi campi estivi Brum si è ricordato di insegnare ai suoi cocchi come si usa una Maledizione Senza Perdono ma si è dimenticato di insegnarvi a usare una bussola?”
Matthias stringe i pugni, gli occhi chiusi ad allontanare ondate di ricordi con cui da mesi non riesce più a fare i conti. Vorrebbe dire che non è vero, vorrebbe smentire qualsiasi cosa. Vorrebbe ricostruire l’immagine mentale che il sé ragazzino ha cullato per tanti anni, imponendosi giorno dopo giorno una disciplina sempre più dura per dimostrarsi all’altezza di prendere parte ai seminari del professor Brum.

Per migliorare.

Per essere un bravo mago, un bravo cittadino, un soldato pronto a mettere la propria bacchetta al servizio di Fjerda.
Non per essere il mostro nascosto nel buio per combattere una guerra impari con armi prive di qualsiasi giustizia.

La voce di Nina, tremante di indignazione, torna a frustargli i ricordi. Nina che sogna di diventare Auror, di combattere l’oscurità nascosta nei metodi del professor Brum, Nina che è incapace di scendere a compromessi e di accettare il silenzio confuso che cala fra di loro ogni volta che Matthias si rifiuta di affrontare di petto le incertezze che lo hanno portato a prendere le distanze dai compagni di scuola con cui ha trascorso innumerevoli estati.

Non ci può pensare ora. Non può pensare a Nina, né può pensare al professor Brum e a quei valori che cominciano a stringergli il petto come catene.

Ha una prova da superare, una fogna da lasciarsi alle spalle, e per farlo deve trovare il modo di far ragionare Jesper Fahey. 

“Mi spieghi dove dovrei trovare una bussola, qui?”
Un altro sospiro.

“Santi, Helvar, è proprio vero che chiunque può diventare  Campione, di questi tempi. Non vedi che ce l’hai al polso?”
La mano di Matthias corre automaticamente a sfiorare l’orologio che porta al polso. Passa un dito sul quadrante, stupendosi nel sentirlo leggermente più largo e piatto di quanto lo ricordi. Anche il cinturino, ora che ci presta attenzione, sembra un po’ più largo. 

Deve trattarsi di suggestione. L’essere completamente al buio lo sta disorientando più del previsto, perché si sarebbe sicuramente accorto se qualcuno gli avesse sostituito l’orologio che porta abitualmente con un altro strumento. 

A meno che… 

Brekker. Io lo ammazzo, quel demone”.

“Ti ricordo che per ammazzarlo devi prima uscire da lì, quindi ora ringrazia per il regalo e inizia a muovere quei piedoni che ti ritrovi in direzione Nord-Est”.

Matthias si concede giusto un istante per respirare a fondo e scacciare quell’impellente bisogno di prendere a schiaffi nel medesimo istante Kaz Brekker e Jesper Fahey, poi si costringe a sibilare:

“Mi spieghi come dovrei vedere l’ago di questa bussola? Non ho una bacchetta, e…”
“Con una bonelight, ovviamente”.

Questa volta Matthias non trattiene un verso disgustato: quegli orribili globi di vetro riempiti di polvere di ossa di pesci bioluminescenti non sono solo vietati durante la prova, sono proprio banditi da Durmstrang. Sono strumenti da ladro, oggetti subdoli utilizzati da criminali e fuorilegge: non oggetti pericolosi in sé, ma è più che altro ciò che rappresentano, il problema. Tanto varrebbe andarsene in giro con una Mano della Gloria, visto il modo del tutto sleale con cui quella prova viene condotta.

Ovviamente”.

Matthias lascia scivolare una mano nella tasca della divisa, sfiorando la superficie liscia e fresca di una sfera di vetro che, potrebbe giurarlo, non era lì quando quella mattina si è vestito nella sua cabina.

È una bonelight minuscola, che può sparire nel suo palmo con facilità: il suo tenue bagliore verde è a malapena sufficiente a spandere un alone di luce malata attorno a sé, illuminando pozze di acqua maleodorante sulla superficie liscia del condotto e poco altro.
Matthias avvicina il globo di luce alla superficie della bussola, rendendosi conto che sta già proseguendo in direzione Nord-Est, e la voglia di uscire da quel labirinto di fognature per poter stringere le mani attorno al collo di Brekker e a quello di Fahey si fa sempre più forte.

Prosegue con passo deciso, in silenzio, ascoltando solo il cupo rimbombo dei suoi passi sul metallo della tubatura. Jesper tace, e per un attimo Matthias si chiede se siano già scaduti i dieci minuti che hanno a disposizione insieme – se ha capito bene le istruzioni della vicepreside, i suoi compagni potranno comunicare con lui solamente per dieci minuti a testa, una volta all’ora: lui spera di dover sentire la loro voce il meno possibile, perché non ci tiene a trascorrere tutte e tre le ore a disposizione in quel labirinto, ma sperava comunque che prima di lasciarlo al silenzio Fahey gli desse qualche indicazione in più.

 “Fahey? Mi senti?”
Matthias si sente un idiota: non ha idea se la comunicazione sia o meno a doppio senso, se quando lui smette di udire la voce degli altri Campioni, anche loro smettono di udire la sua. Probabilmente no, perché in superficie devono comunque continuare ad avere qualche vaga idea di quel che sta accadendo nelle viscere del castello.

Forse tutta la scuola può sentire quello che dice Matthias: avrebbe senso, non fosse altro che per provare a mostrare agli studenti qualcosa della prova. Dopo lo spettacolo adrenalinico offerto dagli scontri con le Acromantule, dev’essere a dir poco privo di senso assistere a una prova che non si può vedere né sentire, ma che in quella dannata scuola non ci sia niente di sensato è una verità già appurata.

Nella sua testa, la voce di Fahey continua a tacere, e così Matthias spera che la strada per raggiungere l’uscita sia semplice: proseguire in direzione Nord-Est, niente di più difficile.

Niente di più difficile, se solo le pareti della tubatura che sta percorrendo non si piegassero all’improvviso, costringendolo a compiere un angolo retto. Maledizione. Una fogna non è un oceano, in una fogna non è sufficiente sapere qual è la direzione da tenere per continuare a percorrerla, deve esserci una strada in grado di percorrere quella direzione. A meno che Matthias voglia decidere di abbattere a calci e pugni tutti i condotti che si troverà davanti, il che potrebbe essere poco utile al fine di superare la prova, ma decisamente molto utile per aiutarlo a sfogare in qualche modo la tensione e la rabbia che prova. 

Jesper avrebbe dovuto perdere meno tempo a prenderlo in giro e impiegare qualche energia in più nello studiare un percorso utile a farlo restare sulla giusta strada, avrebbe dovuto calcolare il percorso delle tubature, avvisarlo di eventuali svolte, istruirlo su cosa fare una volta persa la rotta da seguire, ma ovviamente non lo ha fatto. 

Matthias prosegue per un centinaio di metri, la bonelight stretta in mano a illuminare metro dopo metro di metallo freddo e pozze maleodoranti. Pozze che si stanno sempre più rapidamente trasformando in un vero e proprio rigagnolo di acqua che sciaguatta fastidiosamente ad ogni passo e che gli fa ringraziare Djel di aver deciso di indossare gli stivali che è solito utilizzare durante le escursioni sulla neve: suola spessa e pelle di drago, ottima tenuta contro l’umidità. Pesanti da trascinarsi dietro, ma Matthias preferisce far lavorare un po’ di più i muscoli che preoccuparsi di calze impregnate di qualsiasi cosa scorra in quelle fogne. 

 

Matthias improvvisamente si ferma: il rigagnolo d’acqua che gli scorre sui piedi si sta facendo sempre più alto, e la luce della bonelight si riflette sull’ambiente circostante in maniera diversa. C’è qualcosa, in fondo al buio. Qualcosa di diverso da un lungo tubo di metallo dentro cui camminare, un’oscurità più ampia, come… come una radura di tenebra.

Cercando di essere il più silenzioso possibile – cosa tutt’altro che facile quando, come gli ha ripetuto Nina con un sussurro nient’affatto sgradevole, si ha la stessa stazza di un orso, Matthias avanza piano, circospetto, la mano sinistra stretta attorno alla bonelight  e la destra dolorosamente consapevole dell’assenza della sua bacchetta.

Presto, però, la tensione si allenta, fino a sciogliersi in qualcosa di simile alla soddisfazione: quel grumo di ombre scure altro non è che il punto d’incontro di cinque diverse tubature, tutte molto più piccole del grosso condotto da cui Matthias è arrivato. Matthias solleva la bonelight, studia con attenzione la bussola che ha al polso e, con un moto di irritazione, si rende conto che il condotto che lo riporterà a percorrere la direzione indicata da Jesper è anche il più stretto. Così stretto che per entrarci è costretto a inginocchiarsi e avanzare carponi, la bonelight stretta fra i denti e un’espressione a dir poco disgustata all’idea di dover affondare mani e ginocchia in quella melma maleodorante.

Spera almeno che Fahey abbia imparato a leggere le mappe e sapesse che cosa stava facendo, intimandogli di proseguire verso Nord-Est.






 

 


 

Note

La divisione in due capitoli è stata fatta con l’accetta, semplicemente perché pubblicare 10.000 parole di questo mappazzone in una botta sola mi sembrava decisamente troppo (non che siano tante o troppe in generale, erano troppe per come temo di aver gestito il capitolo).
La seconda parte è già pronta, quindi arriverà entro pochissimi giorni, assieme a tutti i credits per il formato della prova. 

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Capitolo 5
*** Seconda Prova – Parte seconda ***


Seconda Prova

Parte seconda





 

Matthias prosegue per quelle che gli sembrano ore, ma evidentemente devono essere solo poche manciate di minuti, perché Inej e Jesper continuano a tacere. 

Matthias prosegue, e a ogni passo strascicato ha l’impressione che il livello dell’acqua diventi un po’ più alto, che la temperatura diventi un po’ più bassa e che le pareti della tubatura diventino un po’ più strette. 

Ben presto Matthias si ritrova a maledire la sua stazza da orso e a invidiare quel ranocchietto rachitico del Campione di Hogwarts, che forse avrà anche impiegato più tempo di lui a liberarsi dagli effetti della pozione che li ha addormentati, ma sicuramente non rischierà di incastrarsi come uno sciocco nelle fogne della scuola.

Matthias però non è stato addestrato per lamentarsi: la bonelight sempre stretta fra i denti a illuminare quello che sembra un tunnel infinito, continua ad avanzare. È quasi costretto a strisciare,  ma riesce a tenere la testa alta – preferisce portarsi a casa qualche problema di cervicale che correre il rischio di immergere la faccia e le labbra nell’acqua putrida – e continua ad avanzare in una camminata sfiancante e vagamente umiliante.

Avanza, un ginocchio dopo l’altro, e l’unica cosa a cui riesce a pensare è il camino scoppiettante davanti a cui spera di riscaldarsi una volta indossati dei vestiti puliti e asciutti. 

Avanza fino a quando, sbigottito, si rende conto che l’alone di luce verde emanato dalla bonelight si scontra con la superficie liscia e invalicabile di una parete di metallo. Il condotto è un vicolo cieco. Un maledetto vicolo cieco, con un pertugio largo poco più della sua mano che fa gocciolare un rivolo costante di acqua gelata proprio sulla sua testa. 

Matthias soffoca un gemito di frustrazione.

"Jesper, Inej, se voleste riprendere a parlarmi, questo sarebbe  un ottimo momento", mormora, consapevole di essere solo uno sciocco illuso. Uno sciocco illuso che ha appena perso fin troppo tempo a strisciare in un condotto che ora dovrà percorrere all'indietro, con un'andatura ancora più goffa. 

Tremando, comincia lentamente a ripercorrere i propri passi: vorrebbe quantomeno voltarsi, ma il cunicolo è troppo stretto, e così è costretto a procedere a tentoni all'indietro. 

A procedere all'indietro con il passo più veloce che riesce a tenere, perché ha la sensazione che il rivolo d'acqua che poco prima gli ha infradiciato i capelli si stia rapidamente trasformando in un'allegra e fin troppo abbondante cascata. Appoggiando i palmi a terra, Matthias si rende conto che l'acqua ormai gli copre abbondantemente  i polsi.

Ci mancava giusto che mezza scuola decidesse di tirare lo sciacquone proprio in questo momento, pensa Matthias, domandandosi se ascoltare per troppo tempo le farneticazioni di Fahey non sia servito solo a far farneticare anche lui.

Concentrato, deve restare concentrato.

E muoversi il più velocemente possibile.

Perché, con un tonfo sordo, qualcosa è caduto in acqua dall'apertura nel soffitto. Qualcosa che, nella fioca luce della bonelight, Matthias non riesce a vedere bene come vorrebbe, ma che comunque si sta muovendo verso di lui con una rapidità sorprendente.

È una creatura grande all'incirca come il suo braccio, il corpo coperto di scaglie color fango. Una creatura che si fa sempre più vicina: istintivamente, Matthias porta le braccia davanti al viso per proteggersi, ma la creatura gli si scaglia contro con una determinazione e una violenza che lo fanno sobbalzare. Sente il dolore smorzato di piccoli denti che gli affondano nella carne, e  poi quello acuto e penetrante di dieci artigli che gli incidono la pelle. 

Le dita della creatura sono taglienti come lame di coltello: un Avvincino. Il demone acquatico che infesta laghi e paludi inglesi. Matthias ricorda Nina intenta a sgranocchiare una bacchetta di liquirizia ad un tavolo appartato della biblioteca di Hogwarts, la sua schiena inarcata da uno sbadiglio durante una delle sere della scorsa settimana, impegnata a snocciolare informazioni sulle creature che lei, Wylan e Inej credevano avrebbe potuto incontrare durante la sua passeggiata nelle tubature.

Gli Avvincini hanno lunghe dita che usano per cavare gli occhi alle loro vittime. Mi piacciono i tuoi occhi, Helvar, quindi vedi di spezzare quelle dita prima che ti accechino.

Con un movimento brusco, Matthias riesce a stringere la mano attorno al corpo viscido dell'Avvincino, strattonandolo lontano dal proprio viso. L'Avvincino si divincola: ha la struttura nervosa di un polpo e una forza che Matthias non si sarebbe aspettato, ma Matthias non ha passato ore e ore nella palestra di Durmstrang solo per farsi sopraffare da un demone grande quanto un gatto. Rafforza la presa sull’Avvincino e, imponendosi di non fermarsi a riflettere sulla violenza gratuita del gesto – l'intruso in quelle fogne è lui, non certo l'Avvincino – sbatte con forza la creatura contro la parete del cubicolo. Una parte di lui spera di non aver utilizzato troppa forza: se avesse con sé la propria bacchetta, si limiterebbe a Schiantare l'Avvincino, ma una bacchetta non ce l'ha, e così si ritrova a combattere contro la paura di aver ucciso a mani nude un essere vivente, per quanto nemico della sua vista potesse essere.

 

"Matthias? Riesci a sentirmi?"

La schiena di Matthias, con una sonora protesta, ha appena riguadagnato la propria posizione eretta al centro dell'incrocio di tubature quando la voce di Inej, bassa e tranquilla, riempie la sua testa.

"Forte e chiaro".

"Va tutto bene?"

Non c'è traccia della facile ironia di Jesper.

"Andrebbe meglio se non avessi appena rischiato di incastrarmi in una strada senza fondo", borbotta Matthias, ancora irritato con Jesper e con le sue indicazioni contraddittorie.

"Lo so. Mi dispiace, la mappa non è così facile da interpretare, ma ora crediamo di aver capito come funziona".

"Credete?"

Un piccolo silenzio, poi la voce di Inej gli assicura che sì, questa volta hanno davvero capito come leggere la mappa.

"Devi prendere il terzo tunnel alla tua sinistra".

"Ma porta a Sud-Ovest. Jesper aveva detto…"

"Lo so che cosa ha detto", lo interrompe  svelta Inej, "ma questa è la via più comoda. Fidati, Helvar".

Fidati di studenti con cui a scuola non hai mai parlato, fidati di chi ha dimostrato di saper infrangere tutte le regole esistenti, fidati di chi cammina sempre al fianco di Brekker.

Più facile a dirsi che a farsi.

Ma Matthias non ha alcuna scelta, e quantomeno sceglie di fidarsi della luce avida che ha visto brillare in fondo agli occhi di Kaz Brekker quando ha parlato del premio in palio. Se non altro, Matthias è certo che Brekker vuole vedere i suoi amici stringere la Coppa, ma non possono farlo se lui rimane intrappolato nelle fogne.


Percorre in fretta un dedalo di tubature, la voce di Inej una guida costante e sicura. La ragazza non perde tempo a fare battute o a cercare a tutti i costi qualche tipo di scontro, si limita a dargli indicazioni precise e, soprattutto, si premura di spiegargli quale sarà la strada che dovrà prendere successivamente, in previsione del momento in cui i dieci minuti a sua disposizione finiranno.

Matthias vorrebbe che fosse solo lei a occuparsi di guidarlo, ma a quanto pare neanche Kaz Brekker è in grado di infrangere la regola che vuole un’alternanza fra i Campioni alla guida dello sfortunato rinchiuso nelle fogne.

Matthias si trova in un cunicolo alto ma particolarmente stretto, così stretto che le sue spalle riescono ad attraversarlo solamente se lui si mette di traverso, l’acqua gelata che gli arriva alla vita. Per fortuna – o forse in previsione di un Campione da ficcare in quel posto orribile – sul soffitto corre una barra di metallo piuttosto salda, a cui Matthias riesce a reggersi per essere sicuro di non scivolare e di finire completamente sommerso. Procede col passo più svelto che può, ascoltando la voce di Inej che gli sussurra ancora una cinquantina di metri, poi una svolta: troverai sulla tua destra tre aperture, tu prendi la terza, lasciati scivolare in basso, e poi segui la tubatura che porta a nord quando uno strano formicolio gli investe la mano aggrappata alla barra di metallo.

Rallenta, apre e chiude un paio di volte il pugno, sperando di scacciare il formicolio, ma la sensazione, se possibile, non fa che aumentare. 

Quando avvicina la mano informicolata alla scarsa luce della bonelight, scopre con un moto di disgusto che il formicolio è dato da una grande quantità di minuscoli puntini scuri che si muovono con scatti ansiosi sulla sua pelle. Sembrano…

“Inej? Mi senti ancora?”
“Sono qui”.

Matthias tiene d’occhio quegli insettini, osserva la loro danza sulla pelle, avverte un leggero mordicchiare – non è doloroso, ma non ha idea di che cosa siano quelle creature, e il timore che si tratti di qualcosa di velenoso è molto.

“Hai mai sentito parlare di formiche attratte dalle bussole?”
Segue un lungo silenzio in cui Matthias rimane immobile a fissare quegli insettini percorrergli la pelle per allinearsi lungo il bordo del cinturino della bussola.

“Inej?”
“Un secondo”.

Un secondo che si dipana per quelli che a Matthias sembrano lunghissimi minuti, prima che Inej torni a parlare:
“Chizpurfle”.

“Cosa? Non ti sento bene”.

“Secondo David potrebbero essere Chizpurfle”, mormora Inej, e Matthias si chiede quante siano davvero le persone riunite attorno alla mappa incantata. Non dovrebbero essere più dei due Campioni di Durmstrang, ma Matthias comincia a credere che Brekker sarebbe in grado di prendere per il naso anche il preside Silente in persona. 

“Innocui. Di solito rosicchiano le bacchette, quindi è una fortuna che tu non abbia la tua con te. Sono infestanti, quindi quando uscirai di lì fatti dare qualche goccia di pozione dall’infermiera da mettere nello shampoo, ma non…”
Silenzio improvviso. Matthias è convinto che il tempo concesso a Inej sia finito, e si limita a scuotere con forza la mano, cercando di scrollarsi di dosso quanti più chiz-cosi possibile, ma presto la voce della ragazza torna a risuonare nella sua testa:
“Rosicchiano qualsiasi fonte di magia, quindi ti consiglio di tenerli lontani dalla tua bussola. È la bussola portafortuna di Nikolai, e sarebbe sgradevole dovergli spiegare per quale motivo non…”
Questa volta la voce di Inej sparisce veramente, ma per un istante Matthias non ci presta nemmeno attenzione. La bussola portafortuna di Nikolai. Nikolai Lantsov. Quel damerino che si è diplomato l’anno precedente con la promessa di tornare entro pochi anni per conquistare la presidenza di Durmstrang, per secoli appannaggio della sua famiglia.

Come ha fatto Brekker a convincere l’erede dei Lantsov a farsi prestare la sua bussola portafortuna? Ogni volta che Matthias crede di essersi fatto un’idea di quanta influenza possa avere  Kaz Brekker, Manisporche è pronto a dimostrargli di poter fare molto, molto di più.

 

Matthias ha seguito le mute istruzioni di Inej e ora si trova a camminare in una tubatura che lo costringe ad avanzare con il capo chino, ma quantomeno è quasi asciutta.

Matthias ha i vestiti completamente zuppi, trema di freddo e non sopporta più il bagliore verde della bonelight, né riesce più a sopportare l’odore stantio e penetrante che ormai sembra essere penetrato in ogni poro della sua pelle.

Nel condotto che sta attraversando in questo momento il freddo è ancora peggiore, e ha l’impressione di sentire uno sciabordare continuo e assordante, come se si trovasse pericolosamente vicino a qualcosa di più simile a una cascata rispetto a una tubatura. 

Una cascata che sembra avere una voce.

Matthias si irrigidisce: non osa credere davvero a quello che sente, perché la sua fede negli ultimi mesi è stata così fragile, così sfilacciata, costantemente messa in discussione dalle sue certezze piene di crepe. Per quanti anni, quando era solo un ragazzino pieno di rabbia e di dolore, ha cercato irrigidire le proprie convinzioni, di essere un bravo fjerdano, fedele e attento a onorare Djel in ogni modo? Per quanti anni ha pregato, con parole e con azioni, per udire nelle acque il mormorio di Djel, per avere la certezza di essere sulla strada giusta, per ricevere una conferma?
E ora quegli scriteriati inglesi vogliono fargli credere che Djel dimori nelle fogne di una scuola di pazzi? È un trucco. Deve essere un trucco, niente di più che un trucco di pessimo, pessimo gusto. 

Quella non può essere la voce di Djel.

Ma è sicuramente una voce.

Un canto, una melodia che Matthias ha imparato a conoscere, a imprimersi nella mente e nel cuore.

“Jer molle pe oonet. Enel mörd je nej afva trohem verret”. 

I have been made to protect you. Only in death will I be kept from this oath. 

Il giuramento di fedeltà a Fjerda.

Quel giuramento che Matthias ha mormorato con convinzione davanti al professor Brum, al quinto anno. 

Un giuramento cantato con una voce lieve e cristallina, la voce di una bambina di circa dieci anni che rotola nella neve e ride e…

No.

Non può essere.

Matthias conosce quella voce: la conosce nell’intimo, nel profondo, la conosce e la riconosce anche se quella bambina non ha mai imparato a pronunciare il fjerdano con tanta precisione. Non ne ha mai avuto il tempo.
La voce di Vilde, se Vilde fosse vissuta.

“Matthias”.

La sente di nuovo, la voce della sorellina che non ha mai imparato a pronunciare più di qualche sillaba.

No.

Non può essere. Non può essere la voce di Vilde, perché Vilde è cenere –  non è rimasto neanche un corpo da restituire a Djel – eppure Matthias sente in ogni cellula del proprio corpo che quella è proprio la sua voce. Che canta, canta e canta, sempre più fredda e rancorosa, e non è più sola. C’è anche la voce di sua madre, in quel canto, la voce rotta dalle grida disperate che Matthias non ha udito, ma ha immaginato ogni volta che i suoi occhi si sono posati su una fiamma. E c’è la voce di suo padre, vibrante d’accusa.

“Non ci hai protetti, Matthias. Non ci hai protetti e non sei neanche morto con noi”.

Matthias ha trascorso gli ultimi otto anni della sua vita a rimproverarsi per non essere stato capace di proteggere la sua famiglia. 

Per avere avuto l’insolenza di sopravviverle.

“Wanden olstrum end kendesorum. Isen ne bejstrum”.

The water hears and understands. The ice does not forgive.

Il canto aumenta d’intensità, e Matthias cade in ginocchio. 

Vorrebbe chiedere perdono. 

Vorrebbe allungare una mano, vedere un’ultima volta la curva del sorriso di sua madre, la luce negli occhi di suo padre, ma tutto ciò che gli resta è un sordo dolore nel petto e la consapevolezza che quel dolore, assieme al senso di colpa, non se ne andranno mai.
Niente potrà riportare indietro la sua famiglia, e Matthias ha fatto a pezzi anche il loro ricordo. Ha fatto a pezzi il tentativo di onorarli: ha provato, per anni, a restare accanto a Brum, a combattere, a cullarsi nel petto quel dolore avvelenato, ma le sue certezze sono crollate. Ha smesso di credere nel suo professore, ha smesso di vedere nella sua guerra una guerra capace di portare pace nel suo cuore.

Ha voltato le spalle al ricordo della sua famiglia, di nuovo.

La voce dell’acqua prende un tono sempre più cupo, sempre più minaccioso: è una sentenza. 

“No…”
Matthias resta a terra, la testa piena delle voci della sua famiglia scomparsa, l’ululato di Trassel mescolato con il pianto e lo strazio di sua sorella, di sua madre, di suo padre, del villaggio in cui è cresciuto e che lui non ha fatto in tempo a veder scomparire. 

Per anni ha cercato di chiudere fuori di sé il ricordo della sua famiglia, nonostante abbia continuato a dirsi che le sue azioni, le sue posizioni, l’impegno che lo porta a sfiancarsi ad ogni lezione di Brum nasca solo dal bisogno di creare un futuro migliore per loro. Eppure è solo ora, mentre è immerso nelle viscere di una scuola straniera, che il dolore di quella perdita torna a mostrarsi, puro e intenso come quando lui era solo un bambino.

Perché Matthias non ha mai smesso di essere quel bambino solo e spaventato, quel bambino soffocato dai sensi di colpa e dal bisogno di aggrapparsi a qualcosa – qualsiasi cosa – per mettere un respiro davanti all’altro, nonostante la sofferenza e la perdita.

 

“Matthias”.

Matthias vorrebbe tapparsi le orecchie.

Non vuole più sentire niente, non vuole sentire la voce di Djel parlare attraverso il ricordo della sua famiglia, non vuole accuse, non vuole nemmeno false speranze o finti perdoni.

“Matthias!”
“No! Io non… non sapevo che cosa fare, non avrei potuto fare niente!”
“Matthias! Devi andartene da lì, ok? Tappati le orecchie  e vattene”.

Quella voce. Non quella della sua famiglia, e neanche quella di Djel. 

“Jesper?”
“Oh, Santi, finalmente! Sì, Jesper, ovvio che sono Jesper! Ascolta, sei fermo nello stesso punto da mezz’ora. Non sei ferito, vero?”
Matthias si prende un istante per respirare a fondo: la diga di dolore che si è riaperta nel suo petto non smette un istante di fare male, ma no, non è ferito. Non nel senso inteso da Jesper.

“Sto bene”.

“No che non stai bene, ma starai bene. Sei in una tubatura che sfocia nel Lago Nero”.

Matthias, che dopo aver ritrovato la posizione eretta e stava cominciando a camminare, si arresta di botto.

“Nel… lago? Mi state mandando ad annegare nel lago?”
“No, Helvar, ovviamente no”.
La voce di Jesper ha ripreso il suo tono sarcastico.

“Svolterai molto prima di arrivare al lago, ma credo che tu abbia sentito i Maridi cantare… be’, non so cosa abbiano cantato per te, ma insomma, non c’è niente di vero in quello che hai appena sentito. È solo un tentativo di distrarti”.

Matthias sa che è una bugia. Le voci che ha sentito possono anche non appartenere alla sua famiglia morta, ma la verità che gli hanno sbattuto in faccia è vera.

Vera e dolorosa come uno sparo in pieno petto, ma neanche questo può dirlo.

“Tu non capisci…”
“Capisco”, taglia corto Jesper, per poi sbuffare, spazientito.

“Senti, Helvar, posso capire che non sia facile. Lo capisco, davvero” – c’è una serietà così poco abituale nel tono di Jesper che Matthias si ritrova a credere che davvero Jesper possa capire quanto sia difficile ascoltare la voce di chi abbiamo pianto da tempo – “ma il punto è che credevamo avessimo più tempo, ma a quanto pare la tizia di beauxbatons ha trovato un passaggio fortunato ed è a tanto così dall’uscire dalle fogne”.

Matthias stringe i pugni, ma aumenta il passo. Forse non potrà battere la campionessa francese, ma farà il possibile per continuare a marciare e fare il meglio che può.

“Quindi”, riprende Jesper, una nota pericolosamente eccitata nella voce, “è arrivato il momento di ricorrere alle soluzioni estreme. Ti fidi?”
“No”, ringhia Matthias, perché qualsiasi cosa possa accendere la voce di Jesper Fahey di eccitazione non può essere una cosa buona per lui.

“Lo supponevo. Infatti speravo toccasse a Inej convincerti, ma devi accontentarti di me. Per quanto tempo credi di riuscire a trattenere il fiato?”
“Cosa?”
“Il fiato, Helvar, il fiato! Quando te lo dico io, e solo quando te lo dico io, fai un respiro profondo, asseconda la corrente e non ti agitare troppo. Wylan  giura di aver fatto bene i calcoli, quindi…”
Trattenere il fiato? Assecondare la corrente? Quei discorsi non gli piacciono. Non gli piacciono per niente.

Cerca di protestare, ma Jesper lo zittisce.

“Fai silenzio, o rischio di non sentire gli altri, e fidati, non vuoi che io perda la concentrazione e non ti avvisi per tempo”.

Quali altri, vorrebbe domandare Matthias, ma tace. Perché potrà anche non fidarsi di Jesper, ma non ha alternative, e preferisce che il compagno resti concentrato su qualsiasi follia abbia architettato. 

Boom.

Un boato sordo riempie la tubatura, un suono assordante che riverbera nel metallo del pavimento e fa vacillare Matthias.

“Ma cosa…”
“Ora, Helvar!”
Matthias ha appena il tempo di rendersi conto che la tubatura sta tremando, presa d’assalto da una forza che non riesce a identificare.

Fa un respiro profondo, e capisce: la tubatura è allagata da un torrente in piena, e Jesper vuole che lui si lasci trasportare.

Anche se volesse, non sarebbe in grado di opporre alcuna resistenza a quella forza travolgente. La bonelight gli scivola via dalle mani, persa nella corrente. Lui sbatte la testa contro la parete della tubatura – o forse è il soffitto, o il pavimento, non lo sa più – e poi sono le sue spalle, le ginocchia, la schiena ad andare a sbattere. Spera che Jesper avesse davvero qualche idea di cosa avrebbe messo in moto, perché l’ultima cosa che vorrebbe è incastrarsi in una tubatura troppo stretta e morire annegato lì, come il più grosso stronzo che Hogwarts abbia mai visto.

Oh, Djel, se la sua mente comincia a fare del becero umorismo alla Fahey significa che l’apporto di ossigeno al suo cervello non è neanche lontanamente sufficiente alla sopravvivenza.

Matthias non vuole morire in una fogna.

Matthias non vuole morire.

Jesper gli ha detto di assecondare la corrente, ma Matthias teme che assecondarla e basta non sia sufficiente: comincia a scalciare freneticamente, nel patetico tentativo di nuotare in quell’acqua gelata alla disperata ricerca di ossigeno, di luce, di calore, di un professore disposto a tirarlo fuori da lì.

E proprio quando pensa che sia ormai troppo tardi, che i calcoli di Jesper e di Wylan e di chiunque sia dietro a questa follia siano sbagliati, la forza della corrente viene meno. 

Matthias si ritrova a galleggiare placidamente, il viso finalmente sopra la superficie dell’acqua, i polmoni inondati da ampi, gloriosi respiri pieni di ossigeno. 

Si passa una mano sugli occhi, e si sorprende di scorgere, nel buio di quella specie di caverna dal soffitto a volta in cui è sbucato, un’apertura tonda sul soffitto che lascia scivolare un raggio di luce dorata su di lui.

Un’apertura che si sta facendo sempre più vicina, perché l’acqua sotto di lui continua ad aumentare, per quanto priva dell’impeto dell’indondazione. Imprecando mentalmente contro il peso degli stivali che rischia di trascinarlo verso il basso, Matthias nuota in corrispondenza dell’apertura nel soffitto, e con un moto di sorpresa si rende conto che si tratta di un condotto che sale in verticale per una cinquantina di metri. E, con un gioioso tuffo al cuore, nota che le pareti del condotto sono puntellate da gradini di metallo. È una scala. Una meravigliosa scala che lo condurrà verso quella che è chiaramente una luce calda, la luce di un fuoco nel camino.

A scuola.

Fuori dalle fogne, fuori dalla prova.

Resta fermo, galleggiando sotto l’apertura fino a quando il livello dell’acqua sale così tanto che gli è concesso allungare una mano e stringere le dita attorno al freddo metallo del primo gradino. Uno sforzo, e finalmente il suo corpo lascia l’acqua mentre lui comincia la sua lenta ascesa verso la luce.

Un passo dopo l’altro, la luce aumenta sempre di più, e con lei il calore.

E il vociare, perché decisamente c’è qualcuno ad aspettarlo, lì sopra.

Il viso del preside Silente si affaccia nel cerchio luminoso, un sorriso entusiasta sul viso.

“A quanto pare il campione di Durmstrang è il primo a riuscire a emergere dal nostro labirinto di tubature! Complimenti, complimenti, signor Helvar!”

Con un ultimo sforzo, Matthias si trascina fuori dal cunicolo: si trova in una piccola stanza da bagno ricoperta di piastrelle di un tenue color lilla, ed è appena emerso in quello che un tempo doveva essere il vano di una doccia, ora sostituito da un’apertura nel pavimento circondata dagli sguardi curiosi dei presidi delle tre scuole in gara, di alcuni professori e del funzionario del Ministero inglese che Matthias ha conosciuto la sera in cui è stato proclamato Campione.

C’è anche lo sguardo del professor Brum: attento, penetrante, Matthias se lo sente bruciare addosso come un tizzone ardente, ma decide di ignorarlo completamente.

Il preside Silente getta un’occhiata al vistoso orologio che porta al polso, poi si rivolge a una donna vestita di nero:
“A quanto pare, un Campione si sta avvicinando all’uscita nascosta dietro i lavandini della cucina. Poppy, ti puoi occupare tu di riscaldare Helvar?”
In un turbinio di chiacchiere eccitate, i professori escono, lasciando Matthias in balia dei borbottii arrabbiati della donna, che con un colpo di bacchetta evoca una coperta da drappeggiare sulle sue spalle, dirigendolo a passo marziale verso una stanza al terzo piano.

Non una stanza, ma l’Infermeria, dove la donna, senza lasciargli il tempo di dire o fare nulla, lo obbliga a sedere su un letto su cui ha steso una cerata, tenendogli il calice di una pozione fumante.

“Che cos’è?”
La donna sbuffa, ma davanti all’espressione diffidente di Matthias, si decide a rispondere:
“Una pozione disinfettante che dovrebbe agire ad ampio spettro contro tutti i parassiti con cui sei venuto in contatto nelle tubature. Ah! Studenti nelle fogne! Si è mai visto qualcosa di meno igienico?”
I borbottii dell’infermiera si interrompono quando la porta d’ingresso dell’Infermeria si spalanca con un colpo secco, rivelando il sorriso raggiante di Jesper e gli occhi luminosi di soddisfazione di Inej, seguiti poco dopo dallo zoppicare incerto di un Kaz Brekker pericolosamente vicino a sorridere.

“L’avevo detto io che in mezzo a tutti quei muscoli doveva esserci anche un po’ di cervello, Helvar”, ghigna Jesper, chiaramente soddisfatto.

“Questa è tua, puoi riprenderla”, aggiunge Inej, estraendo dalla manica della veste la bacchetta di Matthias e porgendogliela con un gesto elegante. Brekker non dice niente, ma continua ad avere in faccia quel sospetto di sorriso.

“Non dovreste stare qui”, protesta l’infermiera, un cipiglio arrabbiato.

“Helvar ha bisogno di scaldarsi e di riposare, se non volete che si prenda un raffreddore!”
Matthias sospetta che, una volta terminata la prova, ai suoi compagni importi ben poco del suo raffreddore, ma non dice nulla.

Sorprendentemente, è Brekker a parlaer:
“Gli abbiamo portato un cambio pulito”, mormora con una voce stranamente deferente ed educata, mostrando un fagotto di vestiti che Helvar sospetta siano stati prelevati senza il suo permesso direttamente dalla sua cabina.

“Lasciateli lì”, l’infermiera indica un paravento, poi si rivolge a Matthias: 

“Ce la fai a cambiarti da solo o hai bisogno di aiuto?”
“Io le mutande pulite non te le metto”, chiarisce Jesper, ma Matthias è già scomparso dietro il paravento, brontolando che è perfettamente in grado di badare a sé stesso.

Vagamente, sente Kaz negoziare con l’infermiera per poter restare cinque minuti in compagnia del loro amico, per non lasciarlo solo dopo una prova difficile. 

E, sorprendentemente, la donna accetta. O forse lo fa perché in quel momento la professoressa McGrannitt infila la testa dentro l’infermeria, esclmando qualcosa sulla campionessa di Beauxbatons che ha cercato di trasfigurarsi senza bacchetta in un pesce e ora è immersa col muso nel lavandino dell’aula di pozioni, le gambe umane coperte di squame a penzoloni in aria.

Matthias finisce di vestirsi, sollevato di poter indossare qualcosa di caldo e di asciutto. Sta per emergere da dietro il paravento quando la voce di Kaz lo raggiunge, decisa:

“Porta anche i tuoi vestiti sporchi, Helvar!”
“Perché?”
“Per una volta, vuoi fare quello ti chiediamo senza discutere?”
Matthias vorrebbe continuare a discutere, ma la stanchezza della giornata è troppa perché abbia anche la forza di opporsi a Kaz Brekker, così lancia al ragazzo la palla dei suoi abiti fradici.

Con movimenti rapidi, i guanti di Brekker frugano nelle tasche dei pantaloni di Matthias, fino a estrarre un lungo frammento di uno specchio. Tende l’altra mano, e Inej si affretta a porgergli un frammento altrettanto lungo i cui bordi collimano perfettamente col primo. 

“Reparo!”

Matthias osserva i frammenti tornare ad essere una superficie perfettamente liscia, mentre Jesper estrae dalla propria tasca uno specchio identico.

“Tieni. Credo che prima o poi te li richiederanno indietro. Inutile dire che nessuno deve sapere che la coppia di specchi gemelli si è trasformata in un parto trigemellare, dico bene?”
Matthias è confuso, ma Brekker non sembra intenzionato a spiegarsi meglio. È Inej a farlo, con leggerezza, lo sguardo puntato sul rettangolo di cielo grigio fuori dalla finestra:
“Io e Jesper avremmo dovuto comunicare con te attraverso una coppia di specchi gemelli, ma abbiamo pensato di dividere il tuo frammento in due, così da lasciarci aperto un canale di comunicazione con Wylan e gli altri”.

“Abbiamo parlato… attraverso uno specchio gemello?”
Jesper alza gli occhi al cielo.

“Certo, Helvar. Non siamo telepatici, non potevamo certo sentire il tuo soave vocione nella nostra testa”.

Con un moto di vergogna, Matthias ripensa a quando ha davvero pensato che la voce di Jesper e Inej fosse solo nella sua testa, non nella tasca dei suoi pantaloni.

“E Wylan  e gli altri…”
“Ti hanno consegnato una vittoria coi fiocchi, a costo di mettere a rischio i loro bellissimi capelli”, arriva una voce dalla porta. 

La voce di Nina, gli occhi accesi di entusiasmo nonostante il viso coperto di fuliggine e il colletto della divisa bruciacchiato.

Matthias non fa in tempo a registrare questa bizzarra immagine che la ragazza gli vola fra le braccia, stringendolo in un abbraccio che lo lascia ben poco lucido. 

“Sapevo che saresti stato bello anche appena uscito dalle fogne”, gli mormora in un orecchio.

Con la poca lucidità che gli resta, Matthias nota a malapena Wylan, il ragazzino coinvolto chissà come in quella follia, che compare sulla soglia in uno stato ancora peggiore di quello di Nina.

“Che cosa avete combinato?”
Nina si accomoda sul letto che l’infermiera aveva predisposto per Matthias, arricciandosi una ciocca di capelli crespi attorno alla bacchetta e osservandola tornare lucente.

“Oh, Wylan ha fatto esplodere un paio delle tubature più grosse per creare quel piccolo allagamento che ti ha dato un passaggio”.

Hanno…

“Avete tentato di annegarmi!”
“No, ho calcolato la portata dell’acqua, ero sicuro al novantanove per cento che non saresti annegato”, mormora Wylan, la testa piegata di lato e un’espressione concentrata in viso. 

“Lo sapevo che dovevi avere altre doti oltre  quelle per il flauto”, mormora Jesper con un occhiolino che fa diventare le guance di Wylan rosse quasi quanto i suoi riccioli.

“È stata una follia, lo sapete?”
Nina scrolla le spalle con noncuranza.

“Un rischio calcolato. Non potevo permettere che rimanessi incastrato nelle fogne”.

Quell’ultima frase è mormorata con voce così roca che Matthias sente le sue guance diventare dello stesso colore di quelle di Wylan.

“Perché tu e Wylan avete agevolato noi studenti di Durmstrang?”
“Perché”, esclama Nina, quasi irritata, “si dà il caso che Hogwarts non giochi a carte pulite, e che a me non piaccia il loro gioco. Oltre al fatto che ci tengo particolarmente al fatto che tu arrivi vivo e vegeto e con tutti i tuoi bellissimi arti alla fine di questo Torneo”.

“E si dà il caso”, aggiunge Jesper, fissando intensamente Wylan, “che far vincere Hogwarts renderebbe molto felice il papà di Wylan, e Wylan non vuole che suo padre sia felice, giusto?”
Wylan non risponde, ma le sue labbra si stringono in una sottile linea determinata. 

E Matthias si scopre a pensare che non gli importa.

Che dovrebbe essere arrabbiato, perché la sua prova non avrebbe voluto vincerla in quel modo, non con sotterfugi e stratagemmi al di fuori delle regole. Ma sa anche che tutte le altre scuole si sono mosse nello stesso modo. Ed è stato bello, per una volta, avere qualcuno al suo fianco. Delle voci amiche nelle orecchie, degli aiuti, qualcuno pronto a rischiare di farsi male per tirarlo fuori dai guai.

E ora, dopo aver rischiato di annegare, dopo essersi congelato, dopo aver affrontato voci che  aveva il terrore di udire, Nina resta seduta al suo fianco. Inej è appollaiata alla finestra, decisa a restare. Brekker gli ha regalato un quasi sorriso. Jesper e Wylan stanno discutendo di come recuperare qualche dolce per improvvisare un festino nella cabina di Helvar, appena l’infermiera gli permetterà di lasciare l’infermeria. 

E, a dispetto di qualsiasi cosa dovrebbe provare razionalmente, è quasi felice.




 

Note:

Eccomi finalmente a lasciarvi le indicazioni di quanto previsto dalla prova, sperando che comunque dalla narrazione si sia comunque capito qualche cosa.

“Questa volta la Prova si svolgerà all’interno dell’impianto idraulico di Hogwarts, diverse decine di metri sottoterra.

I vostri Campioni si sveglieranno al centro di un condotto. Saranno sprovvisti di bacchetta, avranno con sé solo la pergamena contenente l’indizio e il frammento di specchio.

L’obiettivo è quello di riuscire a trovare l’uscita senza utilizzare la magia. Non è consentito utilizzare abilità magiche, si dovranno comportare come semplici Babbani”.

Ora, io non ho dato peso al frammento di pergamena, ma a meno che non fosse dotato di poteri magici, credo (spero) sia trascurabile, dato che i miei personaggi avevano capito in anticipo in che cosa consiste la prova. Quanto al frammento di specchio, vi sembra usato a caso? Lo è! Perché mi ero completamente dimenticata della sua esistenza e ho scritto tutto il capitolo fingendo che fosse la pozione a permettere a Matthias di comunicare con Jesper e Inej. Ho provato a recuperare con una spiegazione un po’ raffazzonata perché non avrei mai avuto le energie per riscrivere tutto.

Che cosa incontreranno nel tentativo di trovare l’uscita?

Nelle tre ore i vostri Campioni dovranno affrontare necessariamente questi ostacoli:

strada senza via d’uscita;

allagamento improvviso di un condotto;

incontro con un Avvincino. Sarà uno solo e si scontrerà con il vostro Campione; 

incontro con un centinaio di Chizpurfle (saranno privi di sostanze magiche). Attaccheranno il vostro Campione, che dovrà difendersi;

canto dei Maridi che distrarrà il vostro Campione, impedendogli di concentrarsi sul trovare l’uscita. Sta a voi decidere come, l’importante è che venga mostrato quanto il Campione sia scosso.

 

Ora, i Chizpurfle qui non sono stati minimamente un ostacolo, ma posto che prima di questa prova non avevo mai neanche per sbaglio incrociato il loro nome, secondo tutte le wiki si tratta di esserini minuscoli e nient’affatto pericolosi. Sono infestanti, sì, ma si raccolgono attorno a fonti di magia (quindi rosicchiano bacchette, che però qui non abbiamo, o fondi di calderoni), e insomma, onestamente non avevo idea di come avrebbero potuto rappresentare davvero un ostacolo.

Quanto al canto dei Maridi, basandoci solo su quanto sappiamo dal canon non c’è motivo per cui possa essere una distrazione. Quindi ci ho messo un po’ del mio, e ho immaginato che per un motivo non meglio definito qui i Maridi possano fare quello che fanno, quindi prendere in prestito la voce della famiglia di Matthias. Ora, nei libri sono abbastanza certa che non ci sia nessun nome per la sua sorellina, quindi è tutto frutto della mia immaginazione. Ha senso? Non lo so, ma questa prova per le mie capacità era già fin troppo macchinosa per poter avere anche senso.

 

A cosa serve il frammento dello Specchio Gemello?

Privato del senso dell’orientamento, il Campione che affronta la Seconda Prova dovrà farsi guidare dai suoi compagni.

Questi due si troveranno in un’aula in disuso all’interno di Hogwarts, dove troveranno una mappa dell’impianto idraulico del Castello e avranno la possibilità di localizzare il proprio compagno ma… attenzione! Potranno parlare con il Campione designato solo due volte all’ora, per dieci minuti ciascuna.

Sei volte in totale, quindi.

I Campioni presenti all’interno dell’aula non avranno a disposizione libri scolastici, oggetti o altri materiale. Non possono inviare al loro compagno nessun tipo di aiuto, solo parlarci.

Ora, io qui mi rendo conto che i Corvi hanno barato. Ma ho cercato di farlo non per agevolarmi la stesura della prova, ma per rispettare i personaggi, perché non ha senso scrivere di loro e pretendere che rispettino le regole. Quello che ho cercato di fare (e spero di esserci riuscita) è stato di rispettare le regole della scrittura, giocando invece con quelle inserite nella narrazione. Non so se la cosa abbia senso, ma insomma, credo che queste note siano già diventate fin troppo lunghe, quindi forse mi conviene tacere e ringraziare chiunque sia riuscito a leggere fino a qui.

A presto!

 

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