La genialità del giglio

di Nao Yoshikawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Infanzia ***
Capitolo 2: *** Adolescenza ***
Capitolo 3: *** Giovinezza ***
Capitolo 4: *** Maturità ***



Capitolo 1
*** Infanzia ***


La genialità del giglio
 
Infanzia
 
 
Questa non è una storia felice o strappalacrime. Mi piacerebbe dire che non si tratta nemmeno di una storia sentimentale, ma sarebbe una bugia. Non so cosa mi stia passando per la testa, non so perché avverto l’impellente bisogno di mettere per iscritto quello che mi passa per la testa. Dopotutto è inutile e una perdita di tempo, ma so che il pensiero mi tormenterà finché non lo farò. Ma ho anche promesso a me stesso che brucerò tutto. Nel raccontare la storia che lega me e Kisuke Urahara – mio rivale e nulla più per il resto del mondo, ma molto altro per me, non userò stupide metafore e giri di parole. Solo la verità oggettiva. Per quanto la mia memoria sia ottima, mi tocca andare indietro di centinaia di anni e cominciare dalla mia infanzia. Anzi, dalla nostra infanzia, sicché è da allora che io e Kisuke Urahara siamo, mio malgrado, legati.
Della mia storia prima di essere ciò che sono adesso, il capitano della Dodicesima Compagnia, nessuno sa niente, eccezion fatta per Urahara e per Yoruichi Shihoin. Dopotutto non vedo l’utilità di far sapere i fatti miei. Se devo essere onesto, l’inizio della mia storia sembra uno stupido cliché. Un bambino venuto dal nulla che è riuscito a diventare qualcuno di importante (malgrado non mirassi propriamente a questo. Già allora il mio desiderio era cercare, capire, sperimentare). Ma non perdiamoci in commenti superflui.
Come ho detto, la mia storia inizia nel Rukongai. Facevo parte di quella feccia bistrattata e maltratta. Non posso dire che fossi infelice, piuttosto avevo già imparato l’indifferenza. Già ai tempi preferivo circondarmi solo di persone che mi interessavano davvero. Per questo, molti bambini della mia età mi evitavano, spaventati dai miei modi bruschi e, soprattutto, dalla mia vena di sadismo e cinismo già presenti allora. Il fatto è che già ai tempi avvertivo in me un profondo desiderio di conoscere. Non sapevo ancora leggere, né scrivere, né tantomeno contare, eppure tutto ciò che c’era al mondo mi incuriosiva e mi portava a chiedermi cosa c’è oltre?
Ero un bravo osservatore. Analizzavo tutto. E col tempo aveva imparato a capire anche come funzionavano i meccanismi delle persone. Come capire quando mentivano, quando provavano rabbia o paura. Forse fu solo istinto di sopravvivenza, perché di fatto riuscii sempre a cavarmela da solo. Anche se soffrivo la fame e il freddo, era assoluto, solitario. Arrabbiato e nervoso perché più crescevo e più mi interrogavo sul mondo, ma la mia fame – non quella del corpo, bensì quella della mente, non si placava mai. Avevo troppi limiti e la cosa mi rendeva parecchio incattivito verso gli altri bambini, a cui mi approcciavo con minacce spaventose e attacchi fisici. Uscendone spesso malconcio, devo ammetterlo.
Le cose cambiarono quando incontrai Kisuke Urahara, che ai tempi era insopportabile e saccente come adesso. Come poi avrei scoperto in seguito, lui non viveva nel Rukongai, era troppo per bene, troppo ben vestito e pulito, ma era solito a venire lì di nascosto. Quando ci incontrammo, avevo il viso pieno di graffi, ora non rammento il perché, ma di sicuro per una rissa. Lui allora si avvicinò a me, porgendomi qualcosa avvolto nella carta: un onigiri.
Insopportabile e inopportuno. Già ai tempi ero orgoglioso e la pietà altrui mi infastidiva. Per questo lo avevo guardato truce, questo però non era servito a farlo desistere.
«Lo vuoi? Io sono pieno, puoi mangiarlo tu.»
Ero diffidente. Verso chiunque in generale, verso di lui in particolare. Essendo sveglio per la mia età, avevo intuito subito che quel bambino mi avrebbe creato problemi. Ma la fame era fame e allora accettai la sua offerta, perché chissà quando mi sarebbe ricapitato di mettere sotto i denti qualcosa di decente. Addentai l’onigiri guardandolo di soppiatto e aspettando che se ne andasse. Ma lui se ne stava lì, fissandomi e sorridendo.
«Come ti chiami?» domandò.
«Mayuri Kurotsuchi» gli risposi subito. Era la prima volta che qualcuno si avvicinava a me di sua spontanea volontà senza essere impaurito. In molti dicevano che avevo lo sguardo cattivo e sadico, e avevano ragione, ma lui sembrava non farci caso.
«Mayuri? Sembra un nome da femmina» fu il suo primo commento nei miei confronti, il primo di molti. Nel sentirlo parlare così ero arrossito e il riso mi era andato di traverso.
«Che cosa vuoi da me? Sei irritante.»
«Oh, scusa. Non volevo darti fastidio. Io comunque mi chiamo Kisuke Urahara. In teoria non dovrei essere qui» e dicendo ciò abbassò la voce. «Anzi, probabilmente passerò dei guai, ma non fa niente. Tu vivi qui tutto solo? Quanti anni hai? Hai delle ferite sul viso, sicuro che non ti serve aiuto?»
Feci una smorfia, odiavo tutte quelle domande.
«Ma vuoi andartene? Sì, va bene, grazie per l’onigiri. Ma ora sparisci, non sono un cucciolo» borbottai, serio e tirando il petto in fuori. Kisuke però non era spaventato da me, né intimidito. Anzi, sembrava divertito e incuriosito.
«Non l’ho mai pensato. Mi dispiace, è che ti ho visto tutto solo e ho pensato che magari volevi fare amicizia. Io sono molto amichevole, però la mia amica Yoruichi dice che parlo troppo. In realtà me lo dicono molti. È che sai, a me piace tanto leggere e quindi ho bisogno di parlare di quello che imparo…»
Mi ero già pentito di avergli dato corda. Kisuke era insopportabile già da bambino, tuttavia una cosa aveva attirato la mia attenzione.
«Tu leggi?» gli chiesi. Lui sembrò contento di quella domanda.
«Certo, io leggo molti libri. In realtà non sono miei, ma vivendo con gli Shihoin è un po’ come se lo fossero. Mi piacciono soprattutto i testi scientifici, sono molto affascinanti. Però Yoruichi dice sempre che non devo tormentarla con questi discorsi noiosi. E tu leggi?»
Ovviamente era stata una domanda stupida, la sua.
«Io non so leggere» gli risposi. In quel momento aveva deciso che Kisuke Urahara non mi piaceva, tuttavia fui interessato dai suoi hobby. Volli saperne di più, vista la brama di conoscenza che mi aveva accompagnato sin da quando riuscissi a ricordare. Poco dopo conobbi la donna che ci avrebbe accompagnato per molti anni a seguire: Yoruichi Shihoin, donna che molto spesso ho odiato, ma anche ammirato.
Yoruichi, quando la vidi per la prima volta, era agghindata come una principessa, cosa che del resto era, ma in disordine.
«Kisuke, ma perché ti sei allontanato? Lo sai che dobbiamo stare sempre insieme!»
«Mi dispiace. Ma ho trovato un nuovo amico. Mayuri, lei è Yoruichi Shihoin, la mia migliore amica. Yoruichi, lui si chiama Mayuri. Ed è un maschio, anche se il suo nome è da femmine.»
«Ora ti prendo a pugni, brutto imbecille» lo minacciai. Yoruichi mi guardò e mi resi conto di quanto stonavano loro accanto a me.
«Tu hai gli occhi che sembrano cattivi, ma lo sguardo intelligente» era stato il suo commento. E mai parole furono più azzeccate. Poi si era voltata di nuovo verso Kisuke.
«Ora comunque ce ne dobbiamo andare. Saremo di nuovo nei guai.»
«Pazienza, ce ne faremo una ragione. Adesso io me ne devo andare, Mayuri. Però ritornerò, se vuoi ci vediamo.»
Non avevo risposto, davo per scontato che non ci saremmo più rivisti. E invece lui mi ritrovò. Venni a sapere da Kisuke stesso della profonda amicizia che lo legava a Yoruichi Shihoin e del fatto che vivessero insieme. Viveva sotto l’ala protettiva di quella famiglia nobile e ciò gli permetteva di condurre una vita agiata. Lui e Yoruichi avevano la tendenza a scappare e a venire nei posti come il Rukongai. Kisuke non smetteva mai di parlare, chiacchierava troppo e per quanto gli rispondessi in malo modo, lui sorrideva. Quest’abitudine non l’avrebbe abbandonata nemmeno in età adulta.
Un giorno mi portò un libro, perché si era messo in testa di insegnarmi a leggere. Quella volta non protestai, perché era sempre stato un mio desiderio. Kisuke era piuttosto bravo a spiegare, ma io ero incredibilmente veloce ad apprendere e quella fu la prima occasione in cui se ne accorse.
«Sei perfino più veloce di me ad imparare» lo aveva lodato.
«Lascialo a me» gli dissi. «Non posso aspettare certo te, per imparare.»
Di fatto, lui mi aveva dato la spinta e il modo, ma per il resto volevo cavarmela da solo. Il primo libro che lessi interamente parlava delle zanpakuto, come venivano create, come funzionavano. Ne rimasi affascinato, ma la mia fame di sapere non si era placata. Tutt’altro. Quindi iniziai ad aspettare trepidante gli incontri con quel bambino sì insopportabile, ma decisamente intelligente, che conosceva così tanto.
«Tu che cosa vuoi fare da grande?» mi chiese un giorno. L’inverno era alle porte e scaldarsi era difficile, ma non avrei mai mostrato la mia debolezza di fronte a lui. Avevo risposto con un’alzatina di spalle.
«Qualcosa che non abbia un limite» era stata la mia risposta. Lui mi aveva guardato e aveva riso.
«Io vorrei tanto diventare uno scienziato. Ci pensi a quante cose si potrebbero imparare e sperimentare? Ecco, questa è di sicuro una cosa senza limiti. Però scommetto che non tutti possono diventarlo, bisogna essere davvero molto bravi.»
«Io sono il più bravo, posso esserlo anche più di te» gli risposi con tutta la stupida arroganza di quell’età. Ovviamente Kisuke era un passo davanti a me, grazie alle sue possibilità. Lui non se la prendeva mai, quando dicevo certe cose. Era l’unico che mi teneva testa senza smettere di essere gentile. A me, comunque, non importava. Volevo solo trovare il modo per sentirmi un suo pari, per non sentirmi un passo indietro.
 
E il modo arrivò quando l’inverno aveva già fatto il suo ingresso da un po’. Lui e Yoruichi vennero da me quel giorno, trovandomi nella casa fatiscente che condividevo con altri dieci bambini miei coetanei. Yoruichi non ci stava spesso attorno, ci lasciava parlare di quegli argomenti per lei noiosi, ma da quel momento noi tre saremmo diventati quasi praticamente inseparabili.
«Un posto delizioso» esordì lei, guardandosi attorno. Le bambine mi piacevano anche meno dei maschi, troppo piagnucolose, troppo fragili, troppo fastidiose. Lei era fastidiosa, ma non piagnucolosa o fragile.
«Che volete, tutti e due?» borbottai. Il libro che Kisuke mi aveva portato lo avevo riletto centinaia di volte e oramai lo avevo addirittura consumato, a furia di tenerlo in mano, sfogliarlo.
«È per una proposta» disse Yoruichi alzando il dito. «Kisuke mi ha detto che tu sei molto intelligente e sveglio, oltre al fatto che gli stai simpatico. Su quest’ultima cosa non mi trovo d’accordo, ma non è questo il punto. Io ti offro la possibilità di avere un tetto sopra la testa e un’istruzione. Tutto pagato dalla mia nobile famiglia, ovviamente.»
Già allora pensai che quella bambina non ci stesse molto con la testa.
«E perché una famiglia nobile dovrebbe fare una cosa del genere? Io sono feccia.»
«Beh, mettiamola così. Kisuke è stato preso sotto l’ala protettiva degli Shihoin. E la mia famiglia lo adora. E visto che ha decantato tanto le tue lodi e li ha tanto pregati, e visto che io ottengo sempre quello che voglio perché sono convincente… eccoci qui.»
Kisuke era arrossito, lo vedevo per la prima volta.
«Non è giusto, avevamo detto che questo era un segreto!»
La sua proposta mi lasciò sorpreso. Da un lato mi eccitava l’idea di avere un’istruzione, da un lato odiavo l’idea che tutto ciò fosse grazie a Kisuke Urahara. Che mi adorava e decantava le mie lodi, che cosa stupida! Il mio viso bruciava di vergogna e rabbia, ma ero anche abbastanza intelligente da capire che un’occasione del genere non mi sarebbe più capitata.
«Potrò avere tutti i libri che voglio?» domandai. Non volevo limiti e l’idea di avere fonti su fonti, di testi su cui studiare e imparare, stava iniziando a mettermi di buon umore.
«Certo, mi sembra ovvio! Però devo comportarti bene e studiare, altrimenti verrai cacciato. Diciamo pure che il primo mese sarà di prova. In fondo tu vieni pur sempre dal Rukongai e la mia famiglia è molto nobile e altruista, però deve stare attante a chi decide di accogliere. Anche perché se fai qualcosa di sbagliato, poi puniranno noi, e io ti ucciderò!»
«Va bene, Yoruichi, penso che abbia a capito!»
Non era nel mio interesse farmi cacciare o comportarmi come un discolo. Mi interessava solo la conoscenza. Quella fu la prima delle tante volte in cui misi da parte il mio orgoglio.
«E va bene, brutta principessina viziata. Facciamo questa cosa.»
Kisuke mi guardò stupito, a quanto sembrava in pochi osavano riferirsi a Yoruichi in quei toni. Lei però mi sorrise, intrigata.
«E va bene, facciamo questa cosa, brutto prepotente.»
 
 
Poco più di una settimana dopo, pulito e in ordine come non ero mai stato, mi ritrovai per la prima volta in una casa nobile. Gli Shihoin erano tra i casati più nobili e più antichi. Ma a me non interessava granché, anche se fui sempre bravo a mostrarmi educato, anche se freddo. Grato, anche se diffidente. E in fondo un po’ tutti lì erano diffidenti con me, perché ero solo il bambino venuto dal Rukongai, che si trovava lì perché i due prediletti della famiglia lo avevano voluto lì. Come se fossi un cane, ma ora non avevo tempo per pensare a cose del genere. Mi misi subito al lavoro. Io, Yoruichi e Kisuke facevamo lezione seguiti da un precettore, anche se spesso Yoruichi si ritrovava ad avere lezioni individuali (in quanto erede del casato aveva bisogno di un’istruzione un po’ diversa). Questo voleva dire che io e Kisuke ci ritrovavamo da soli. Amavamo entrambi le materie scientifiche e, quando mi mostrò per la prima volta l’immensa biblioteca a nostra disposizione, non potei trattenere lo stupore.
«Hai visto quanti libri ci sono? Molti più di quanto potremmo mai leggere!» esclamò sollevando le braccia al cielo.
Scaffali che arrivavano fino al tetto. Infinite possibilità di conoscenza. Senza limiti, per l’appunto.
«Io voglio leggere tutto quello che c’è qui. Voglio sapere tutto.»
«Anche io voglio sapere tutto.»
Mi dava fastidio, perché sembrava volesse imitarmi in tutto. O forse io volevo imitare lui, in realtà questo rimase sempre un mistero anche negli anni a seguire.
La maggior parte del mio tempo – e della mia infanzia in realtà – la passai in quella biblioteca. Apprendevo velocemente, avevo una buona memoria e ottime capacità di deduzione. Ovviamente ero eccellente nelle materie scientifiche e ben presto anche i familiari di Yoruichi dovettero riconoscere che le parole di Kisuke si erano rivelate veritiere. E poi, il fatto di aver accolto un orfano del Rukongai che si stava rivelando geniale, poteva solo portare lustro al loro nome. Ma a me non importava. A me importava imparare e più il tempo passava, più la mia mente si affinava, spesso superando la stessa Yoruichi. E poi c’era Kisuke. Senza rendermene conto, iniziai a gareggiare con lui. Chi leggeva di più, chi capiva di più, chi ricordava meglio. La differenza tra me e lui era che la mia brama di superarlo era evidente. Lui invece viveva tutto come un gioco. Sempre con quei suoi modi di fare gentili e affabili che tanto mi davano sui nervi. Lui e Yoruichi insieme, poi, mi erano fortemente indigesti. Yoruichi non era una mente particolarmente brillante, troppo emotiva. Eppure Kisuke si trovava bene con lei. Sono sicuro che se fosse dipeso da lui avrebbe passato il suo tempo a studiare, con me, ma Yoruichi riusciva sempre a convincerlo a fare quello che voleva. Alle volte trascinava anche me nei loro giochi infantili, non perché mi interessasse. Perché chiariamo, io sono nato già adulto, nella mente. Ma il fastidio che provavo nel saperli insieme mi portava ad andare anche contro i miei principi. Perché Kisuke avrebbe dovuto perdere tempo con lei, a scorrazzare e a giocare senza scopo, quando avrebbe potuto confrontarsi con una mente geniale quanto la sua?
Penso che il cambiamento più grande sia avvenuto quattro mesi dopo il mio arrivo. Mi ero oramai guadagnato la fiducia dei familiari di Yoruichi, grazie al mio impegno e alla mia educazione (che erano in realtà menefreghismo e poca voglia di parlare in generale). Quello era uno di quei giorni in cui Yoruichi scappava di casa (era una cosa che faceva spesso, anche se nobile non amava certe etichette), per giocare. Lei era così manesca, strapazzava sempre Kisuke e lui, come un idiota, non reagiva.
«Va bene, mi arrendo. Ho detto che mi arrendo. Yoruichi!» esclamò, con Yoruichi che, seduto sopra di lui, gli impediva di muoversi. Io mi limitavo a guardarli. Avevo preso l’abitudine di portarmi dietro un blocco note. Lì appuntavo tutto, idee, progetti, esperimenti da provare. Niente di complicato, ma allora mi sembrava chissà cosa.
«Ehi, Mayuri. Non fare il noioso. Certo che tu sei vecchio dentro, vieni a giocare con noi!»
Yoruichi mi si piantò davanti con le mani poggiate sui fianchi. Kisuke sapeva quanto fossi poco propenso al gioco e gli suggerì di lasciarmi stare.
«Io non voglio le tue manacce addosso, sono qui solo perché altrimenti mi daresti il tormento.»
«Buuu, noioso, noiosooo! E poi, cos’hai da scrivere sempre su quel blocco di carta? Su, fammi vedere.»
Mi strappò di mano il blocco note e finalmente reagì.
«Ridammelo. Non leggere!»
«Dai, Yoruichi. Ridaglielo» s’intromise Kisuke.
«Oh, quante storie! Voglio solo leggere e… oh, no! Mayuri, sei cattivo. Vuoi fare esperimenti sugli animali? Amputazioni? Che schifo! Non si fa mica.»
«Ora basta, mi hai stancato!»
Non è da me ricorrere alla forza bruta, di solito uso metodi molto più affinati. Ma ero ancora ingenuo e immaturo, così gli saltai addosso, graffiandole il viso. Cosa ben poco saggia e intelligente visto che alla mia minima azione sbagliata sarei stato cacciato via. Avevo appena attaccato la principessina del casato Shihoin, poi. Peggio di così non potevo fare. Fu Kisuke ad afferrarmi e ad evitarmi di fare peggio. Yoruichi stava bene, era solo molto indispettita.
«Ma si può sapere che fai?» mi urlò contro.
«Sei un’idiota» risposi io, prendendo il mio blocco note impolverato. Ovviamente Kisuke mi andò dietro, farsi gli affari propri non rientrava nella sua natura. In verità, se fosse stato nella sua natura, le nostre strade non si sarebbero mai incrociate.
«Ehi! Dai, Mayuri, non fare così. Yoruichi è un po’ dispettosa, ma non cattiva.»
Io allora mi voltai, sorridendogli storto.
«Io invece lo sono. Quello che ho scritto è vero. Voglio sperimentare su degli esseri viventi. Prima sugli animali. Ma magari un giorno potrei farlo con le persone.»
Mi aspettavo una sua reazione precisa. Shock e sdegno almeno. Dopotutto lui non era così sadico da essere sulla mia stessa scia d’onda.
«Davvero vuoi farlo? Beh, certo è un po’ strano, forse non è nemmeno legale.»
La cosa che non sopportavo – e che non sopporto tutt’ora, di Kisuke Urahara, era che si rendeva totalmente illeggibile. Già allora non si capiva mai cosa gli passasse per la testa. Capivo tutti, ma non lui.
«Ma sei stupido o cosa? Hai capito cosa ho detto? Io voglio diventare uno scienziato, voglio conoscere e esperimentare sempre di più. Non mi importa d’altro, nemmeno della legge. A te va bene così?»
Già ai tempi non capii chi fosse il più pazzo dei due, se io con i miei progetti o lui che non si stupiva. Fece spallucce.
«E anche se fosse? Mica potrei fermarti. E poi noi siamo amici, io devo sostenerti.»
Mi avvicinai a lui, la fronte aggrottata.
«Noi non siamo amici. Tu sei il mio rivale. È vero, sei intelligente, ma il più geniale sarò io. Io diventerò lo scienziato più bravo e capace di tutti.»
Kisuke mi sorrise.
«Lo diventerò anche io.»
Lì, quel giorno, senza che ce ne accorgessimo, la nostra sfida era stata sancita.
Yoruichi non disse niente a nessuno della nostra breve schermaglia, lei stessa si era resa conto di aver esagerato, e anche se non mi chiese mai scusa, da quel momento in poi evitò di provocarmi ancora. Il rapporto tra me e Kisuke oramai era stabile. Lui seguitava a rivolgersi e a trattarmi come un amico, io invece lo trattavo come rivale, di cui riconoscevo la capacità, ma a cui non volevo essere secondo. Kisuke non doveva mai essere davanti a me. 
In estate, Kisuke iniziò a parlare della sua idea di studiare all’Accademia per Shinigami e di entrare nel Gotei 13. Ovviamente sapevo tutto sull’argomento, ma non ero mai stato particolarmente interessato.
«Perché vedi, gli Shihoin, sin dagli albori, sono sempre stati a capo della Seconda compagnia. Io non so se potrei mai diventare tipo un capitano, però mi piacerebbe entrare a far parte delle tredici compagnie.»
Come al solito, Kisuke mi infastidiva con le sue chiacchiere, mentre io cercavo di applicarmi sui libri. Era fastidioso perché, per qualche strano motivo, io avevo bisogno di più concentrazione e tempo. Perché per quanto mi costi tutt’ora ammetterlo, Kisuke era più veloce ad apprendere. Non aveva bisogno di sforzarsi quanto facevo io e la cosa non mi stava bene. A lui non importava, mi bruciava il fatto che non mi vedesse come un rivale, come invece lo vedevo io.
«Se proprio ci tieni…» gli risposi, distratto.
«E a te non piacerebbe?»
«Non sono interessato e io faccio solo ciò che mi interessa.»
«Uh! Sei così freddo, Yuri. Ho avvertito un brivido.»
Da un po’ di tempo Kisuke aveva preso l’abitudine di chiamarmi con quel nomignolo fastidioso e anche poco adatto a me. Ma non c’era verso di farlo smettere.
«Sì, infatti. Ora puoi andartene? Giuro che, quando potrò, ti usare come base per i miei esperimenti.»
«Se può aiutarti, non mi tirerò indietro! Sicuro che non vuoi aiuto?»
«No, ora vattene!» lo cacciai via. Tendevo a farlo spesso, soprattutto quando mi offriva il suo aiuto. Per me era già abbastanza umiliante sapere di essere dov’ero grazie a lui. Era come se mi sentissi costantemente in debito, perennemente obbligato da me stesso a essergli superiore senza mai riuscirci. Perché Kisuke Urahara era precoce e geniale. Come me, ma a differenza mia, lui non affinava quelle sue qualità perché sentiva di non averne bisogno. E poi c’era tutto il lato legato ai sentimenti che, mio malgrado, possiedo anche io. Quando Kisuke non era con me, era con Yoruichi. Avevano un rapporto tutto loro, si conoscevano da anni e più di una volta mi ero sentito escluso. Anzi, era più corretto dire che io mi escludevo, li guardavo dall’alto della mia arroganza, credendomi migliore. Ma io non li capivo. Non capivo il senso che davano alla parola divertimento, e non capivo nemmeno certe sensazioni che provavo. Non le capivo io, che in genere capivo tutto con facilità.
Un’altra volta, fu Yoruichi stessa a venire da me. Avevo una camera tutta mia vicino gli alloggi della servitù e lei, almeno in teoria, non sarebbe dovuta venire fino a lì, ma Yoruichi faceva sempre quello che voleva.
«È ora di dormire, perché sei qui? Perché tu e Kisuke vi alternate per molestarmi?» borbottai. Aveva anche interrotto la mia lettura serale.
«Tanto nemmeno tu stavi dormendo. Me ne vado subito, sono qui solo per dire una cosa» Yoruichi si guardò attorno e poi guardò me negli occhi. Era una cosetta minuscola, anche più di me, eppure s’impuntava con chiunque.
«Lo sai, Kisuke ti vuole bene, ma tu sei sempre cattivo con lui. Lui me l’ha detto, sai? Che questa cosa gli spezza il cuore, ma non te lo dirà mai, perché Kisuke è fatto così. Lui ti considera il suo migliore amico!»
Le sue parole mi avevano sorpreso. Avevo più volte ripetuto a Kisuke che non lo consideravo un amico, ma un rivale. Perché doveva rendere tutto così difficile? Non poteva tenermi distante come io facevo con lui?
«E io che posso farci? Lui è sentimentale, io no.»
«Ma dai! E allora perché credi ti abbia aiutato? Insomma, se non era per lui…»
«Zitta, sta zitta! Non ricordarlo. E poi, che ne so io? Avrà riconosciuto uno simile a lui. Visto che tu sei una bambinetta viziata e anche noiosa. Non capisco cosa ci trovi in te.»
Yoruichi si avvicinò me, fin troppo. Non amavo il contatto fisico.
«Mayuri, ma… non è che sei geloso perché sei innamorato di me?»
Yoruichi ancora non aveva capito tutto di me, era troppo giovane per farlo. Però riuscì comunque a farmi arrossire, la prima ad accorgersi che in effetti della gelosia c’era, ma nei confronti di un’altra persona. E io lo sapevo, ma mai lo avrei ammesso.
«Ma che dici! Io non mi innamoro di quelle come te. Sei brutta, stupida e non mi interessi.»
Pensai di averla offesa. Yoruichi aggrottò la fronte e poi sorrise.
«Nemmeno tu sei il mio tipo. Beh, meno male. Anche perché a me piace Kisuke, quindi non avrebbe funzionato.»
«Bene, allora sposatevi e tanti auguri. Ora vattene!»
L’afferrai per un braccio e la spinsi via. Mi sentivo ancora accalorato. Finché ero io a comprendere lo stato d’animo delle persone era un conto, ma che gli altri lo facessero con me, non mi piaceva affatto. Avrei tanto voluto una protezione, in quei momenti, una sorta di maschera. Certo mi sorprendeva che Yoruichi, con un’intelligenza nella norma, avesse capito cosa sentivo. E Kisuke invece no. O almeno così credevo, ma questa parte della storia arriva molto tempo dopo. Questa parte della mia vita la ritengo poco interessante, malgrado tutto, perché non accade nulla di eclatante. Eccetto il fatto che io e Kisuke ci siamo conosciuti e che quell’incontro ha gettato le basi per quella che sarebbe stata la mia vita.


N. D. A
Questo è un what if a cui ho pensato per mesi prima di scriverlo. Mi è venuta l'idea quando ho letto L'amica geniale di Elena Ferrante, saga che ho amato. Mi rendo conto che ho trovato ispirazione da una fonte improbabile visti i personaggi su cui ho deciso di scrivere, sta di fatto che volevo provare a dare la mia versione alternativa di questa parte della storia. Saranno quattro capitoli in totale, per i primi due mi sono basata su headcanon miei/fatti e cose inventate da me gli altri due invece seguono di più il canone per ovvi motivi. Adoro Kisuke e Mayuri sia come ship, che come BROTP, che come rivali e tutto. E tra l'altro io non sono una che usa spesso la prima persona, l'ho usata raramente, ma la trovo particolarmente immersiva e in questo caso ci sta in modo particolare. Spero che questo capitolo risulti interessante, anche se fra i quattro non è il mio preferito.
Nao

 

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Capitolo 2
*** Adolescenza ***


Adolescenza
 
 
Infine, le strade mie e di Kisuke erano proseguite dritte, in modo parallelo. Entrambi all’Accademia, entrambi studenti brillanti. Avevo deciso di approfondire i miei studi ed era stato lì che ero mutato. Non solo perché da bambino ero diventato un ragazzo, ma anche perché man mano che crescevo, cresceva anche il mio intelletto e la mia voglia di sperimentare. Molte cose continuavano a incuriosirmi, anche se adesso non mi limitavo più a studiare sui libri. Ma prima occorre fare un passo indietro. Come ho detto, io e Kisuke iniziammo l’Accademia insieme e finimmo anche nella stessa classe. Fu subito evidente il fatto che fossimo brillanti e anche in competizione. Ed eravamo anche molto diversi. Kisuke era popolare, stava simpatico alla maggior parte dei nostri compagni di corso e insegnanti. Quella sua aura apparentemente distratta e il suo modo di parlare lo rendevano affascinante per la maggior parte delle persone. Per me era tutta un’altra storia. La gente più che altro mi evitava e chi mi evitava mi parlava alle spalle. C’è sempre uno strano in contesti del genere e quello strano ero io. Non parlavo quasi mai con nessuno, non ero venuto lì per fare amicizia. Molti erano anche spaventati dal mio aspetto: avevo preso l’abitudine di truccare il mio viso in modo vistoso, al punto che quasi non sembravo più io. Questo perché mi piaceva sentirmi protetto, in qualche modo. Come fosse uno scudo, tra me e quegli altri, che almeno non avrebbero captato nulla di me. Oramai vivevo lì, avevo deciso di trasferirmi negli appartamenti dell’Accademia al primo anno. E anche Kisuke, con la differenza che spesso tornava dagli Shihoin, per le vacanze. Lui e Yoruichi erano rimasti amici. Lei era sbocciata e in molti erano sicuri che tra i due ci fosse qualcosa. La gente crede sempre a ciò che è più ovvio. Mi ricordo quella come un’età terribile. I miei coetanei erano fuori di testa, pensavano soprattutto al sesso, cosa di cui conoscevo ogni meccanismo, ma a cui non mi ero mai interessato. Stessa cosa per l’amore, non era utile in nessun modo ed era anche una perdita di tempo. Io ero più quello che sperimentava. Come ho detto poco prima, ero passato anche al lato pratico della cosa, quindi mi capitava di fare esperimenti su animali per testare le mie invenzioni.
Invenzioni ancora acerbe e che spesso fallivano. Ma più fallivano e più mi esaltavo, perché potevo provare e riprovare all’infinito. Speravo sempre di non arrivare mai a qualcosa di perfetto e infallibile, altrimenti non ci sarebbe stato più niente da fare. A parte ciò, la vena sadica e crudele che da bambino avevo per lo più tenuto a bada, in quei momenti veniva del tutto fuori. Ma non ero comunque soddisfatto. Avrei dovuto sperimentare su delle persone, shinigami, qualcuno. Ma nessuno sapeva dei miei esperimenti e non sapevo come muovermi. Ero già guardato con una certa diffidenza. Perché a differenza di Kisuke, non mi facevo scrupoli in nome della conoscenza.
 
«Yuri! Lo sapevo che eri qui. Ma perché è così buio? Accendi la luce.»
Kisuke non era mai cambiato in quegli anni, di sicuro continuava a disturbarmi. Avevo ricreato una sorta di laboratorio nella mia camera, certo che lì nessuno mi avrebbe disturbato o scoperto. Ma Kisuke riusciva sempre ad immischiarsi.
«Che diamine vuoi, si può sapere? E poi, perché non rispetti la mia privacy?»
«S-scusa, mi dispiace! Ma cosa stai facendo? Ah, tu non mi lasci mai curiosare. Dai, fammi un po’ vedere i tuoi esperimenti, lo sai che sono curioso. Vengo in pace, eh! Non voglio rubarti nulla!»
Anzi, una cosa era cambiata: era diventato molto più bravo a urtare i miei nervi. Mi dava fastidio la sua presenza e mi dava fastidio il suo aspetto. Era diventato più alto di me e i suoi lineamenti erano più da uomo e meno da bambino. Mi dava sui nervi, davvero.
«Se pensi che io ti tema, stai sbagliando. Io ho dedizione, al contrario tuo.»
In realtà, lui non aveva bisogno di sforzarsi quanto me, proprio come quando eravamo bambini. Lui apprendeva in maniera più naturale, io dovevo applicarmi.
«E va bene» disse avvicinandosi. «Ma è una lepre quella sulla tua scrivania!»
«È morta. In realtà l’ho fatta esplodere. Non era quella l’intenzione, è successo prima del previsto» risposi tranquillamente facendo spallucce. «Anche se in realtà preferirei sperimentare su qualcuno… di diverso.»
In quei momenti cercavo sia di spaventarlo che stuzzicare la sua curiosità. Sì, mi comportavo sempre come se la sua presenza mi desse fastidio, ma una parte di me si sentiva soddisfatta quando Kisuke si interessava a quello che facevo, quando poneva domande, quando addirittura mostrava ammirazione. Ovviamente, lui non aveva paura. Per qualche strano motivo, la mia vena crudele non lo spaventava.
«Yuri… non per essere noioso…»
«Troppo tardi.»
«… Ma se ti scoprissero… non so se sarebbe buono… per te, intendo.»
«Allora, se qualcuno verrà a saperlo, saprò che la colpa è tua, visto che sei l’unico a sapere qualcosa! Vuoi essere ucciso? Oppure vuoi essere usato come cavia per i miei esperimenti? Mi farebbe comodo.»
Mi ero avvicinato a lui e avevo percepito il suo odore. Mi chiedevo perché dovessi conoscere così bene l’odore o il suono del suo respiro. Forse perché eravamo cresciuti insieme, forse perché osservavo tutto.
«Ehi, dai. Non ti arrabbiare, è solo che mi preoccupo per te.»
«Tsk, me la cavo da solo.»
Mi ero voltato. Ultimamente non capivo cosa mi accadesse. Certo, non potevo volontariamente fuggire ai cambiamenti dell’adolescenza, ma la maggior parte del tempo non ci facevo caso. Quando Kisuke mi girava attorno, invece, sembravo un altro.
«Amh… comunque, se vuoi, se non è troppo doloroso…. Posso davvero farti da cavia.»
Improvvisamente la mia attenzione fu tutta su di lui. Pensai che fosse impazzito.
«Parli come se non mi conoscessi.»
«Sì, lo so. Però sono curioso. Se mi usi come cavia, posso capire cosa combini qui dentro.»
Maledetto Kisuke. Sapeva sempre come convincermi. Avere un vero corpo, una persona in carne ed ossa su cui testare ciò che avevo inventato… era perfetto. E mi dava una sensazione molto simile – come avrei scoperto dopo – a quella dell’eccitazione sessuale.  Lui si sedette, guardandomi negli occhi come a sfidarmi, come per dirmi non ho paura di te. La cosa in parte mi lusingava e in parte mi faceva così arrabbiare.
Sulla scrivania avevo messo in fila una serie di boccine colorate, tutte etichettate. Ne presi una, poi mi avvicinai a lui all’improvviso.
«Bevila.»
«E-ehi, un momento, non so nemmeno che cos’è!»
«Serve ad aumentare la propria percezione dei sensi. Con questo, la vista, l’udito, il tatto e via dicendo, dovrebbero avere un miglioramento del centodieci per cento. Ma credo sia troppo potente, c’è qualcosa che non va nella sua composizione, perché le cavie su cui ho provato fin ora sono morte o esplose. Quindi bevila!»
Kisuke cercò di pararsi con le mani. Adesso capiva che non stavo scherzando.
«Forse così è un po’ troppo. E poi che utilità può avere una cosa del genere?»
«Molteplici utilità, mi sembra evidente. Mi sorprende anzi che nessuno ci abbia mai pensato prima. Allora, hai già cambiato idea circa il tuo essere una cavia?»
Kisuke deglutì e poi mi sorrise.
«Non che io non mi fidi di te, ma ci tengo alla sopravvivenza. Sul serio, Yuri. Quello che tu fai mi piace, ma c’è chi non la penserebbe così. C’è chi è stato ritenuto pericoloso e imprigionato. Se accadesse a te, non potremmo più essere amici.»
Con gli anni non aveva mai abbandonato quella convinzione. Per lui ero un amico, avevo rinunciato oramai a ricordargli che noi amici non eravamo mai stati, che era stato lui piuttosto a insistere per avermi nella sua vita.
«Ci tieni così tanto a me, Kisuke?» domandai, senza sarcasmo, serio. Non mi ero accorto del fatto che fossimo così vicini. Lui seduto, io leggermente piegato su di lui per guardarlo negli occhi. Certo non era più come quando eravamo bambini.
«Ovvio che tengo a te. Tu sei il mio migliore amico, sei così simile a me!»
Credo che Kisuke sapesse che, in fondo, non eravamo affatto simili.
«Simili, noi? Ma non dire assurdità. Saremo entrambi geniali, ma tu sei fin troppo buono, tanto da essere insopportabile. Non io, io sono molto cattivo» gli dissi, anche se sembrava più che stessi cercando di convincere me stesso. Lui mi sorrise.
«Anche io a volte so essere cattivo e anche tu a volte sai essere buono. Come tutti.»
Ebbi la sensazione che volesse avvicinarsi a me, ma che qualcosa lo trattenesse. Ed io, che non ero mai stato interessato ai rapporti fisici, in quel momento avvertivo il desiderio di azzerare le distanze. Era eccitazione quella che sentivo. E non mi piaceva.
«Ma smettila, dici sempre un sacco di cose inutili. Adesso esci di qui, mi sta facendo perdere tempo» lo scacciai, per salvaguardare me. Non avevo tempo per lasciarmi andare a certe cose. E poi, proprio Kisuke Urahara no. Doveva essere una questione ormonale, prima o poi sarebbe passata.
«E va bene. Comunque, prima o poi dovrai tornare a casa. Chiedono anche di te.»
«Questa è casa mia, adesso. E poi ci sono strane voci su te e Yoruichi, non vorrei essere messo in mezzo» dichiarai. Kisuke arrossì e rise.
«Già, dicono che stiamo insieme. Ma non è vero.»
«E io non capisco perché mi stai dando spiegazioni.»
Cercai di ignorare quella sensazione di sollievo data dalle sue parole.
 
Un po’ di tempo dopo, Yoruichi ci fece la sgradita (almeno per me), sorpresa di venire all’Accademia a trovarci. In altezza non era cresciuta più di tanto, ma oramai non era più una bambina e in tanti la guardavano, desiderandola. Se avessero conosciuto il suo carattere insopportabile, avrebbero cambiato idea.
«Mayuri, da quanto tempo! Se non fosse per Kisuke, non saprei mai come stai. Hai cambiato look? Molto originale, devo dire.»
«Yoruichi. Tu invece sei rimasta la solita oca insopportabile.»
Yoruichi era manesca con Kisuke, con me non si azzardava. Non credo avesse paura, sapeva semplicemente che con me sarebbe stato inutile. Ora che eravamo tutti e tre insieme, attiravamo l’attenzione più del solito. In molti conoscevano la nostra storia, la mia, e non si capacitavano di come fosse possibile che una come lei frequentasse uno come me. Anche se era contro la mia volontà.
«Allora, come vanno le cose? Ho sentito che siete i più brillanti del vostro corso, non che avessi dubbi.»
Yoruichi si sedette, accavallando le gambe.
«Sì, siamo piuttosto bravi, è vero. Yuri non mi dà tregua, sembra sempre che stia gareggiando con me.»
«Come se volessi perdere tempo a fare una cosa del genere» arrossii. Come al solito, Kisuke aveva capito, infastidendomi.
«Ah sì? Allora, sapete già cosa vorrete fare una volta diplomati? Io ovviamente diventerò il nuovo capitano della seconda compagnia del Gotei 13. E delle unità mobili segrete. Perché non entrate nella mia compagnia? Due come voi mi farebbero comodo.»
Oh, certo. L’ultima cosa che volevo era mettere la mia capacità al servizio di Yoruichi Shihoin. E poi il Gotei 13 esistvae per proteggere la Soul Society. E io non ero interessato a proteggere alcunché, se non i miei interessi.
«Sarebbe magnifico!» esclamò Kisuke. «Un trio di amici cresciuto insieme che continua la loro avventura.»
«Certo che ne fai di sogni ad occhi aperti, eh?» domandai. «Non so cosa farò dopo. Mi piacerebbe avere il mio laboratorio personale.»
«Oh, sì. Mayuri è bravo, mi ha pure quasi usato come cavia»
Io allora lo fulminai con lo sguardo. Ma certo, perché non le spiattellava tutto, a che c’era?
«Volevi usare Kisuke come cavia?»
«Si è offerto lui come volontario, e comunque non sono fatti tuoi» la zittii. Un conto era parlarne con Kisuke, ma lei… lei non avrebbe capito. D’altronde nessuno poteva capire. E non pretendevo che lo facessero.
 
Un’altra cosa che devo ammettere e di cui non vado fiero, è che per quanto mi sia sempre vantato di non essere sentimentale, è per colpa dei miei sentimenti che in seguito mi cacciai nei guai.
Le emozioni sanno essere assai pericolose, specie la gelosia. Yoruichi in quei giorni era venuta a trovarci all’accademia, e niente catalizzava più le attenzioni della nobile principessina in visita. In molti si chiedevano come potesse una come lei essere amica di Kisuke, ma soprattutto mia. Ignorando il fatto che ero costretto a frequentarla la maggior parte delle volte. E così, come al solito, si erano sparse le solite voci riguardo al fatto che Yoruichi Shihoin e Kisuke Urahara stessero insieme. Avrei voluto tenermi alla larga dai loro stupidi giochi da ragazzini. Ero un ragazzino anche io, ma ero diverso da loro.
«Nobile Yoruichi, allora è vero quello che si dice in giro? Voi e Kisuke Urahara state insieme? Vi siete già baciati?»
Non ero solito a origliare e non lo feci neppure quella volta. In aula stavo cercando di studiare, di concentrarmi, ma mi risultava difficile viste le futili chiacchiere delle mie compagne di corso.
«Io e Kisuke siamo cresciuti insieme, lo vedo più come un fratello.»
Ma le altre ragazze insistevano, volevano a tutti i costi trovare una conferma che sì, quei due erano una coppia.
«Ma se avete vissuto perfino nella stessa casa, deve essere successo qualcosa. E poi state bene insieme.»
Mi venne un conato di vomito nel sentire quelle parole. Chiaramente tutti si aspettavano che loro sarebbero finiti insieme. Tutti lo davano per scontato. Non capivo perché doveva importarmi tanto. Che facessero quello che volevano, no?
«Vi ringrazio, ma non so se potrei essere la donna giusta per lui. Kisuke è molto particolare, un po’ ambiguo, sempre con la testa china tra i libri. A volte mi sento io la terza incomoda, vero Mayuri?»
Avevo sperato che non mi tirasse in mezzo. Alzai la testa, arrossendo. Lei e Kisuke erano gli unici a chiamarmi per nome, gli altri si limitavano a chiamarmi per cognome o a non chiamarmi affatto.
«Non so di che parli, non ho mai nutrito particolari simpatie per nessuno dei due. Se volete fare le vostre cose da innamorati fare pure, a me non interessa» dissi piccato, senza riuscire a nasconderlo.
Una delle ragazze fece una smorfia.
«Ma perché frequentate lui? Fa paura e poi è cattivo. Tratta male tutti ed è strano. Cioè, strano in senso negativo.»
«Ah, detto da un’insulsa ragazzina come te, devo dire che fa un certo effetto» risposi senza scompormi. Yoruichi batté le mani.
«Su, avanti, non c’è bisogno di litigare. Si, so che Mayuri può avere un carattere difficile, ma Kisuke lo adora.»
Sarei voluto sparire quando sentii dire che Kisuke adorava me. Me!
Ma non fu quello a farmi impazzire di gelosia, quello era solo stato il seme della discordia. Il vero evento avvenne qualche settimana dopo, si stava avvicinando la primavera del nuovo anno e Yoruichi era tornata ancora una volta per una delle sue visite. Non la vedevamo da mesi, ed era cambiata, adesso sembrava una donna a tutti gli effetti, con quegli occhi taglienti e dorati, lo sguardo sicuro di sé, le labbra piene. Ed era cambiato Kisuke ed ero cambiato io, perché alle spalle ci lasciavamo i noi stessi bambini e iniziavamo a diventare i noi stessi adulti. Ricordo che i ciliegi stavano fiorendo e io ero poggiato ad un albero. Yoruichi e Kisuke stavano parlando vicini, io non mi ero avvicinato di proposito. E poi li avevo visti: lei si era avvicinata a lui e dal nulla lo aveva baciato. Quello fu l’stante in cui sentì l’acido risalirmi lungo l’esofago, come se stessi per vomitare. Non capivo perché il mio corpo stesse reagendo in quel modo. E meno capivo, più mi innervosivo. Lei stava baciando lui e lui era rimasto immobile. Era chiaro, era ovvio, quasi scontato che un giorno sarebbero finiti insieme. Allora perché mi dava così fastidio? Perché mi sentivo minacciato all’idea che qualcuno potesse allontanare Kisuke da me? Lui, che non avevo mai considerato un amico, ma solo il mio rivale, con cui misurami?
Me ne andai. Avevo bisogno di stare da solo e mi allontanai, desideroso di allontanare tutto, tutto e quel melenso odore di fiori. Ero abbastanza sveglio da capire che quella che stavo provando era gelosia, ma non volevo ammetterlo. Non potevo. Mi ero ripromesso molte volte che non mi sarei mai innamorato, perché l’amore non mi avrebbe portato a niente di utile e che sarebbe stato solo un ostacolo. Anzi, ero abbastanza sicuro di essere incapace di amare. E poi perché proprio Kisuke?
 
Lui la sera venne a trovarmi nella mia camera, sempre con quello stupido sorriso stampato in viso. Ovviamente non gli dissi ciò che stavo provando, mi ero detto che non lo avrei mai fatto.
«Ehi. Yuri, ma perché fai quella faccia? Sembra quasi che tu voglia uccidermi.»
«Non ci sei andato lontano. Comunque, che cosa vuoi?»
«Come cosa voglio? Noi ci vediamo ogni sera. Dai, fammi vedere cos’hai sperimentato oggi.»
«Quello che ho fatto non ti interessa. Torna da Yoruichi, piuttosto.»
Temetti di essermi tradito. Che la mia gelosia fosse palese a quel punto, ma lui era troppo inetto, per fortuna.
«Oh. Senti Yuri, non te la devi prendere per quello che la gente dice.»
«E cosa direbbe?» sbottai.
«Che sei innamorato di Yoruichi, ma che lei sta con me. Ovviamente lo so che non sono vere nessuna delle due cose.»
Avrei voluto chiedergli perché si fossero baciati, allora. Ma mi morsi la lingua e lasciai che la rabbia parlasse al posto del dolore.
«Chi se ne frega. Non mi importa di voi due e io non amo nessuno. Non ne sono capace.»
«Non dire così.»
Ricordo che provò a sfiorarmi, ma che io mi scostai.
«In tutti questi anni ti sei ostinato a considerarmi un amico. Sei così sciocco che di sicuro ti sei anche affezionato a me. Ma la cosa, Urahara, non è ricambiata. Sei fastidioso, mi stai sempre attorno. L’unica cosa che mi interessa è superarti, perché tra noi due solo uno può essere il migliore. È l’unica cosa di cui m’importa.»
Non gli avevo mai rivolto parole così forti da quando ci conoscevamo. Lui se la prese, lo capii dal suo sguardo, nonostante stesse sorridendo. E lo odiai, perché per la prima volta sentii qualcosa che si poteva definire senso di colpa.
«Va bene, capisco. Ce l’hai con me e non voglio infastidirti ulteriormente. Quindi… me ne vado.»
Una parte di me mi imponeva di fare cose che non avevo mai fatto. Tipo abbracciarlo, corrergli dietro, urlargli che era un idiota perché non reagiva e rimaneva lì a farsi maltrattare. Capii che quella volta dovevo aver spezzato qualcosa in lui e che più niente sarebbe stato come prima. Ancora non sapevo quanto avevo avuto ragione.
Da quel momento in poi, Kisuke iniziò ad evitarmi. Percepii il nostro allontanamento in modo fin troppo intenso, e come avrebbe potuto essere diversamente? Eravamo stati insieme sin da bambini. Adesso non mi chiamava più, non mi girava più attorno, quando mi vedeva quasi distoglieva lo sguardo. Questo non fece altro che aumentare le dicerie sul mio conto. Secondo i miei compagni di corso, io e Kisuke avevamo litigato perché entrambi ci contendevamo Yoruichi. Nulla più di lontano dalla realtà. E mentre la sua popolarità cresceva, io mi chiusi in me stesso, sperimentando una solitudine in cui mi ero autorecluso per orgoglio. Iniziai a sperimentare sul mio stesso corpo, spesso ferendomi, quasi mutilandomi. Ma non mi importava del dolore, volevo vedere fin dove potevo spingermi. Kisuke non si sarebbe mai spinto a tanto. Perché lui era quello buono e io invece no. Perché lui era quello sano di mente, io invece lentamente mi lasciavo andare alla follia, alla brama di sapere. Al dolce piacere e sapore che provocava il dolore. Ma era per una buona causa. Avevo scritto e conservato appunti di tutti i tipi. Dalle cose più semplici e conosciute, come le Anime Artificiali e le Zanpakuto, ad argomenti che di certo non ci insegnavano a scuola. Come modificare il proprio corpo per essere più forte in battaglia, nuove tecniche, nuovi strumenti da realizzare. E nella mia immaginazione non c’era un limite. Tutto era concesso e mi venne sempre più voglia di osare.
Capii ben presto che quel mondo era troppo scomodo per me e che io ero troppo scomodo per quel mondo. Non ero interessato ad usare le mie capacità e il mio genio per il bene superiore ed altre idiozie simili, a me interessava fare ciò che mi piaceva e divertiva, anche se ciò andava a discapito di altri. Questo ben presto iniziarono ad intuirlo tutti, compagni e insegnanti. Non me ne importava più della maggior parte delle cose attorno a me, ma tutto ciò che riguardava il mondo scientifico e tecnologico, con le sue infinite possibilità mi accendeva. Nel mio tono era percepibile un leggero sadismo. Lo stesso che mi aveva causato cicatrici sul mio corpo a furia di sperimentare. Forse una sorta di autolesionismo, chi può dirlo?
In molti iniziarono a evitarmi. Se prima mi guardavano e mi prendevano in giro, adesso si zittivano e mi passavano accanto veloci. E se per caso il loro sguardo incrociava il mio, allora sorridevo e li minacciavo di farli a pezzi. Non che ne avessi davvero l’intenzione: erano soggetti troppo deboli, sarebbero morti al primo tentativo di esperimento.
E poi, un giorno, anzi una sera, la mia vita cambiò di nuovo. Non sapevo chi fosse stato a denunciarmi, oramai non piacevo più a nessuno e il mio intelletto, il modo di parlare e di pensare erano visti più come qualcosa di sgradevole che un dono. Erano riusciti ad entrare nella mia camera, che avevo trasformato nel mio laboratorio personale (non ero stato abbastanza accorto, ma ero giovane). Il fatto è che allora non mi importava. Non mi importò quando le guardie mi dissero che sarei stato arrestato in quanto ritenuto un soggetto potenzialmente pericoloso, che già da tempo mi avevano messo gli occhi addosso, e che le testimonianze dei miei compagni e insegnanti andavano a mio sfavore. Solo una persona aveva parlato bene di me, difendendomi. Quando mi dissero ciò, feci una smorfia e poi sorrisi dicendo.
«Il vero pazzo è Kisuke Urahara, dovreste arrestare anche lui. Io almeno non mi nascondo, lui è così ambiguo che non si capisce mai cosa pensa.»
Fu la mia unica protesta. Quando mi dissero che sarei stato imprigionato nella Maggot’s Nest, prigione di massima sicurezza per soggetti potenzialmente pericolosi, non fiatai. Anzi, mi venne da sorridere. Avevano paura di me. Ciò che potevo creare, diventare, ciò che c’era nella mia testa, spaventava tutti loro, così normali, banali e senza un minimo di immaginazione. Posso assicurare che l’immaginazione è importante per uno scienziato. E allora fui portato via. E non mi importò. Non mi importò nemmeno di cosa ne sarebbe stato di me, della vita che avrei condotto. Ebbi solo un momento di cedimento, quando incrociai gli occhi di Kisuke mentre mi portavano via. Quei suoi maledetti occhi, quello sguardo impossibile per me da decifrare. Come se volesse dirmi perché lo hai fatto? Perché mi lasci?
Allora io avrei potuto rispondergli perché è l’unica cosa che so fare, perché starti accanto è doloroso e nessuno può provocarmi questo dolore, se non io stesso.
Ma non dissi niente. Ci guardammo e mi sembrò volesse comunicarmi un mondo. Io però non ascoltai quelle parole mute. Sarebbero passati anni prima di ricontrarci ancora.


N.DA
Anche questo secondo capitolo è andato. Molto più complicato del precedente per me, perché qui si tratta di personaggi adolescenti, che già di per sé sono complicati. Anche qui sono andata nell'invenzione più totale, mi piace l'idea di Mayuri e Kisuke che hanno frequentato l'Accademia per Shinigami insieme. Il prossimo capitolo sarà ambientato durante la saga del pendolo/passato, ed è anche il mio capitolo preferito.
Alla prossima.

Nao

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Capitolo 3
*** Giovinezza ***


Giovinezza
 
Quando pensavo che la vita non potesse riservarmi più alcuna sorpresa, ecco che le cose cambiarono di nuovo. Avevo trascorso molti anni in isolamento in una cella della Maggot’s nest. Ero considerato pericoloso perfino per avere a che fare con gli altri detenuti. Mi tenevano in trappola perché sapevano che una mente e una personalità come la mia, se usati nel modo sbagliato (sbagliato secondo il loro punto di vista), potevano essere pericolosi. A me andava bene così, non sentivo la mancanza del mondo esterno. Soprattutto non sentivo la sua di mancanza. Kisuke Urahara doveva avermi dimenticato. O almeno, se fosse stato intelligente, lo avrebbe fatto, ma ciò non avvenne. E forse avevo immaginato che un giorno sarebbe tornato a cercarmi. Una parte di me, quella irrazionale a cui cercavo di non dare retta, lo aveva sempre sperato. Così lui un giorno arrivò, con addosso un haori da capitano del Gotei 13, accompagnato dalla sua luogotenente, una ragazzina fastidiosa.
Quando lo vidi, ebbi come primo istinto quello di dargli un pugno, ma non potei farlo e non solo per le sbarre che ci dividevano. La sua presenza lì mi bloccò. Non pensai nemmeno per un istante che fosse venuto per salvarmi, era passato troppo tempo e non era da lui. Piuttosto pensai che fosse venuto perché gli servivo e in effetti non ebbi torto.
«Vorrei offrirti un posto nel Dipartimento di Ricerca e Sviluppo, come mio secondo» mi disse. Kisuke era gentile, ma freddo. Mi guardava, ma era distante. Doveva aver preso molto sul serio le mie parole di molti anni prima. Meglio così, la distanza migliorava le cose. Tuttavia mi sentii infastidito. Dunque era davvero un opportunista. Quindi in fondo, non mi aveva mai considerato un amico.
«No grazie, rifiuto. Sono piuttosto soddisfatto della vita che conduco qui» fu la mia risposta. Perché avrei dovuto dargli la soddisfazione di vedermi lavorare per lui, di essere suo secondo? Mi ero sentito il secondo per troppo tempo. Il mondo, la Soul Society, aveva deciso di riporre in lui tutta la fiducia. Perché mai lui adesso si rivolgeva a me? Era sincero o voleva solo mettermi a disagio? Kisuke era un uomo oramai come lo ero io, ma in lui una cosa non era mai cambiata: non si capiva cosa avesse in testa. Oh, era un uomo così fastidioso.
Allora aveva sorriso.
«Oh, non riesco a credere che questo tipo di vista ti basti. Sarai immediatamente dopo di me, avrai il comando su quasi tutto. E poi, in caso io dovessi morire, subentreresti tu come capo. Allora?» mi domandò. Il suo sguardo cambiò e anche quella frase mi sembrò volesse nascondere molto altro.
So che vuoi di più. Prova a sfidarmi, se ci riesci. Prova a farmi fuori, per essere il primo, se ci riesci. Cammina ancora una volta sulla mia stessa strada e poi prova a superarmi.
Forse era tutto frutto della mia immaginazione. Lo odiai terribilmente, Kisuke era sempre stato bravo a mettermi in un angolo. Allo stesso tempo fui divertito e ammaliato all’idea di lavorare a fianco a lui. Divertito all’idea che lui mi considerasse suo secondo, ma allo stesso tempo capace di superarlo. E provai sollievo, sensazione che ricacciai. Sorrisi anche io.
«Sì, sei sempre un uomo sgradevole» commentai.
E accettai. Forse avrei dovuto pensarci un po’ di più, ma l’idea di essere il vicecapo del Dipartimento di Ricerca e Sviluppo, poter fare quasi tutto quello che volevo senza limiti, questo mi eccitava. Non la presenza di Kisuke, ovviamente. I vari turbamenti che avevo provato durante l’adolescenza erano spariti, senza contare che tra me e lui c’era un normale rapporto di capo a vice. Lui era il mio capitano adesso, che onta terribile pensai in un primo momento. Ma poi pensai che aveva poca importanza, che non sarebbe stato un titolo a definire chi era più capace di chi e che glielo avrei dimostrato.
Dimostrato, a lui. Era la prima volta che ammettevo quella mia debolezza, il mio desiderio di dimostrare più a lui che a me stesso che anche io ero geniale, capace, abile. Alla sua altezza. Entrambi volevamo far finta di non aver condiviso una vita insieme, ma io non avevo dubbi che lui per primo avrebbe ceduto, venendomi a parlare pochi giorni dopo il mio arrivo alla dodicesima compagnia. Mi ero ambientato subito, in effetti fu più facile del previsto, fintanto che Kisuke mi lasciava in pace. Quella sera ero in laboratorio, il mio luogo sicuro e felice e lui arrivò per turbarmi. Era sempre lui, però era diverso. Ero diverso anche io.
«Sono molto contento di vedere che ti sei ambientato, Kurotsuchi.»
Da quando c’eravamo ritrovati, mi chiamava per cognome. Era quello che facevano tutti, ma da parte sua mi risultava strano, quasi innaturale. Per lui era sempre stato Yuri. Soprannome che odiavo, in comune con un giglio non avevo mai avuto niente, in fondo.
«Già, beh, non ti aspettare ringraziamenti da parte mia, perché non ci saranno.»
Ci hai impiegato troppo tempo per venire da me. Ti sei ricordato di me solo quando ti servivo.
Lui mi si avvicinò. Aveva la faccia di uno che cercava di essere professionale e distaccato, ma che veniva tradito dal suo stesso sguardo. Mi aveva sempre guardato in quel modo per me impossibile da decifrare.
«Non mi aspetto un ringraziamento. È passato tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti. Sei cambiato.»
«Certo che sono cambiato. Sono cresciuto. E sono più sveglio.»
Mi venne da domandargli perché, quella sera in cui mi avevano portato via, non mi avesse detto niente.. Forse se lo aspettava, forse era deluso? No, non sarebbe stato da lui. Mi chiedo se una sua parola avrebbe cambiato l’odio che provavo nei suoi confronti. Sì, perché di me non aveva avuto bisogno. Il suo migliore amico, così mi chiamava. Non riuscivo a credere di essere arrabbiato con lui per un motivo così sentimentale. Mi voltai e gli diedi le spalle per non guardarlo. Sperai che se ne andasse.
«Mi dispiace» disse all’improvviso, portandomi a spalancare gli occhi. Adesso perché gli era venuto in mente di scusarsi? Era passato tanto di quel tempo. E poi di cosa si stava scusando esattamente?
Continuai a non guardarlo e a non parlare e prese ciò come un invito a continuare.
«Se non ti ho cercato per tutto questo tempo. In effetti è vero, tu mi servi. Ma non è questo l’unico motivo per cui ti ho voluto qui. Attendevo il momento giusto. So che probabilmente sei arrabbiato con me, Yuri. Ma non c’è stato un attimo in cui non ti abbia pensato in questi anni.»
Quelle parole mi fecero ribollire di rabbia. Non avrebbe dovuto importamene niente, eppure perché stavo avendo quella reazione così forte? Era patetico.
«Non chiamarmi in quel modo, per te sono Kurotsuchi e basta oramai. E poi è inutile stare qui a parlare del passato, eravamo piccoli e ingenui.»
Poi, chissà perché, avevo spostato l’argomento su un’altra parte.
«Ho saputo che in questi anni hai servito Yoruichi nella sua compagnia, e che lei ti ha raccomandato come nuovo capitano della dodicesima divisione. Davvero tipico.»
Io stesso percepii il disprezzo e l’amarezza nel mio tono di voce. E capii presto perché: perché lei aveva potuto godere della sua compagnia in quegli anni, perché erano potuti crescere insieme. Io invece no. Ma era meglio così, era quello a cui avevo sempre mirato.
«Già! Fare il capitano non è per niente facile. Io non sono risoluto e non mi faccio rispettare come fai tu. Per te è sempre stato tutto più facile.»
Con quella frase attirò il mio sguardo su di te. In un secondo gli fui quasi addosso, furioso. Non doveva osare dire che tutto per me era sempre stato più facile, era una bugia. Ma lui e parlava, senza sapere.
«Non avere la presunzione di sapere cosa vuol dire essere me. Tutto più facile, dici? Voglio ricordarti da dove vengo e com’è andata la mia vita. E bada bene, Urahara, non intendo giustificarmi. Ma non puoi dire così quando…»
Quando tutta la mia vita era stata un cercare di superarlo, di cercare di camminare parallelamente sulla sua stessa strada. Cercare di togliermi di dosso quel debito perché era lui che mi aveva risparmiato una vita miserabile. E io non gli avevo mai detto grazie. Perché in fondo non glielo avevo chiesto.
«Finalmente mi guardi» aveva sorriso lui. «Scusa, non intendevo offenderti. Intendevo solo dire che tu sei deciso, sei professionale. Non lasci che le emozioni ti influenzino. Io invece sono un po’ troppo debole in questo, anche se sono bravo a nasconderlo. Ma tu lo sai, mi conosci. E io conosco te.»
Ebbi l’impressione che volesse toccarmi. Per abbracciarmi, accarezzarmi, non lo sapevo. La sua mano si mosse, ma rimase sospesa a mezz’aria, come se ci avesse ripensato.
«Io sono diverso dalla persona con cui sei cresciuto. Non ho deciso di lavorare con te per ricostruire quella che tu chiami amicizia. Questo pensavo fosse evidente, no?»
Lui allora mi sorrise, con la malinconia nello sguardo.
«Ovviamente.»
 
Da quel giorno mi misi in testa una cosa. Avevo accettato di essere ancora una volta suo secondo solo per potermi dare una possibilità. Kisuke non sarebbe stato capitano per sempre, non poteva durare. A me non era mai interessato diventare capitano del Gotei 13, ma se si parlava della dodicesima compagnia e del Dipartimento di Ricerca e Sviluppo, allora, le cose cambiavano. Kisuke era… era rimasto tale e quale a come lo ricordavo. Indolente, rumoroso, disordinato e non si faceva nemmeno rispettare da quella piccoletta noiosa della sua luogotenente. Almeno mi divertivo a farla impazzire, non di certo per vendicare Kisuke. Io e lui nello stesso laboratorio lavoravamo bene insieme perché lui mi parlava solo lo stretto indispensabile e io facevo lo stesso. In realtà lo vedevo meno di quanto avessi immaginato e di solito relegava a me le faccende più importanti. Ciò mi faceva piacere, tuttavia non mi lasciava del tutto soddisfatto. Kisuke Urahara stava lavorando a qualcosa di cui ancora non potevo capire tutto. Questo perché lui come al solito era ambiguo, fastidioso e vago. Kisuke aveva una fama importante alla Soul Society, non c’era niente che non sapesse costruire. Ciò mi infastidiva, ma mi provocava anche qualcosa. Ammirazione? Orgoglio Non avrei saputo come spiegarlo. Ma non ero un idiota, dovevo riconoscere quando qualcuno era capace. E lui lo era. Da sempre avevo desiderato superarlo. E adesso lui stava cercando di superare sé stesso, dando vita a qualcosa che in futuro ci avrebbe creato non pochi problemi, ma nemmeno io potevo saperlo ed ero piuttosto preso da altro. Non mi lasciavo influenzare dai sentimenti? Idiozie. Ancora una volta aveva avuto la presunzione di pensare di sapere ciò che stava accadendo nella mia testa.
Diverso tempo dopo – mi ero ambientato molto bene nel mio ruolo di terzo seggio della compagnia – io e Kisuke ci ritrovammo a lavorare da soli in laboratorio, lui in silenzio. Aveva un aspetto orribile, perché quando lavorava a qualcosa, sacrificava innanzitutto il sonno. Io non facevo domande, cercavo di osservare, captare e capire. Poi, all’improvviso, mentre mi facevo i fatti miei o quanto meno fingevo, sentii un rumore basso e sordo: quell’imbecille si era addormentato sul tavolo. Alza gli occhi al cielo e mi avvicinai. Aveva un’espressione rilassata mentre dormiva, quasi come quella di un bambino. Ma non potevo stare lì a guardarlo, guardare una persona dormire portava ad un grado di intimità importante.
«Ehi. Urahara, sveglia. Mi stai infastidendo.»
Gli diedi un colpetto sulla schiena e lui si lamentò, per poi tirarsi su.
«Eh? Oh, che figura. Mi sono proprio addormentato.»
«Sei un cretino. Ho creato un preparato che può tenerti sveglio quanto vuoi aumentando la tua concentrazione, ma fossi in te non ne userei troppo» gli dissi, ma il mio non voleva essere un consiglio, né volevo dimostrargli che volevo aiutarlo.
«Oh, grazie. Mi farebbe comodo.»
Allora cercai di sbirciare i suoi appunti.
«Che cos’è?»
«E-eh? Niente. Cioè, ancora non è niente. È una cosa un po’ difficile, non so nemmeno se riuscirò a portarla a termine.»
Mi guardò come se desiderasse dire altro, ma si stesse trattenendo.
«Ehi, a te viene mai voglia di superare i limiti?» mi domandò ad un tratto, sorprendendomi.
«Mi sembra evidente. Supero sempre i miei limiti. Ma se lo faccio io, risulta solo strano. Se lo fai tu, invece, è puro genio. Ingiusto, non è vero?»
Non mi accorsi che Kisuke si era fatto vicino a me. Era una vita che non ci ritrovavamo così vicini e la cosa mi mise in difficoltà. Certe cose andavano represse e basta.
«Scusa se ci ho messo tanto» mi sussurrò. Mi fece arrossire e fu forte la voglia di colpirlo per farlo smettere. Non doveva guardarmi così, non ne aveva il diritto.
«Onestamente non mi importa. Lo sai che non ti ho mai considerato un amico. Per me sei sempre stato un rivale. Un valido rivale, devo ammetterlo, ma niente di più.»
Mi sorrise. Perché si ostinava a mettermi in difficoltà? Perché mi sentivo preso in giro?
«Io invece ti ho sempre considerato più di questo e non sai quanto sono pentito di non aver agito prima. Penso che forse avessi solo paura. Dopotutto, quelli come noi vivono i sentimenti in modo diverso dagli altri.»
Avrei voluto chiedergli cosa intendesse con quelli come noi e sentimenti. Invece mi ero bloccato con lo sguardo incatenato al suo.
«Tu non mi piaci, non mi piace come parli e…quello che mi fai sentire. Non sono mai riuscito a sopportarti. Accanto a te mi sono sempre sentito messo in ombra, la tua luce oscurava me. Maledizione» avevo poggiato una mano sul suo petto. «Non me n’è mai importato niente di essere riconosciuto dagli altri. Ora che ci penso, non mi importava nemmeno di essere riconosciuto migliore di te dagli altri. Importava a me. Io volevo… essere alla tua altezza. Merda. Questo è sentimentale e stupido, assolutamente non da me. Capisci quanto mi influenzi? È tutta colpa tua, Kisuke Urahara. Sento un peso dentro e lo odio. È così da quando eravamo bambini.»
Avevo detto tutto quello che pensavo, ma me ne pentii subito dopo. Perché mi ero esposto, perché esporsi rendeva fragili e io non volevo essere fragile davanti a lui. Kisuke mi osservò, era sparito il sorriso e adesso era serio.
«Sai, Yuri. Yoruichi me l’ha detto.»
«Di che parli, adesso?»
«Che io ti sono sempre piaciuto. Che, anche se non l’hai mai detto ad alta voce, è così, e lo è sempre stato sin da quando eravamo bambini.»
Rimasi impietrito. Yoruichi aveva capito qualcosa che io stesso mi rifiutavo di accettare e aveva avuto anche la faccia tosta di dirglielo.
«Mi hai stancato. Non so cosa si sia inventata quella lì, ma tu sei stato tanto stupido da crederci. Che tu mi piaccia… sciocchezze!»
Ma non ero più sicuro di me mentre parlavo, né riuscivo a guardarlo negli occhi. Avevo solo l’istinto di scappare. Ma io non sono mai stato codardo. Timoroso dei sentimenti, quello sì. Kisuke mi si avvicinò di nuovo.
«Quando mi ha detto questa cosa, mi sono sentito sollevato. Perché sai, io facevo parte di quelli che pensava che tu fossi innamorato di lei.»
Se non fossi stato così teso, avrei riso. Come aveva potuto pensare una cosa così assurda? La conversazione era diventata surreale.
«Sei impazzito? Io davo per scontato che tu amassi lei. Che vi amaste a vicenda.»
Lui scosse la testa. E mi sentii strano. Sollevato, ma comunque nervoso, perché la maschera che mi ero costruito per una vita intera, ora stava crollando.
«Avrei voluto dirtelo prima.»
«Che cosa?» domandai.
«Che ti amo, che ti ho sempre amato anche quando ancora non me ne rendevo conto. Che non avrei dovuto avere paura del tuo giudizio, perché uno come te – che è tanto simile a me – non mi avrebbe giudicato. Ti ho sempre considerato sulla mia stessa lunghezza d’onda.»
Avevo smesso di respirare. Kisuke era impazzito. E per la prima volta mi lasciò senza parole. Questo non lo avevo previsto, non rientrata nelle possibilità. Che lui potesse amare me, no. E invece era lì, la sua mano si avvicinava per sfiorare la mia e stringerla.
«Kisuke» lo chiamai. «Questo è… ridicolo! Non ha senso. Tu. Io…noi due? Sei il mio rivale.»
«Uno non esclude l’altro, Yuri. Adesso io non resisterò alla voglia di baciarti e, se vorrai rifiutarmi, fai pure. Se non lo farai, capirò che mi ami anche tu.»
Prese il mio viso tra le mani. Quello stesso viso che bruciava di vergogna. Era crollato tutto, il mio muro, le mie difese. Davanti a lui, di difese non ne avevo più e poco contava che fossi geniale, capace, abile o creativo. Non riuscii a reagire mentre mi stringeva con passione e posava le labbra sulle mie. Il mio primo bacio se lo prese lui, come tutto il resto. Fu un bacio profondo, intimo, lungo. Una sensazione strana. Prima che me rendessi conto, eccomi a ricambiare il bacio, eccomi stretto a lui, eccomi a riscoprirmi passionale anche da quel punto di vista. Ci staccammo dopo interi minuti.
«Bastardo, era la prima volta che qualcuno mi baciava.»
«Oh, Yuri. Non sai quanto sono felice. Allora mi ami anche tu!» esclamò.
«Non me lo sentirai dire. Questo non sta accadendo a me… Alla pazzia mi ci porterai tu» dissi, in un tono fin troppo dolce per i miei standard. Oramai era chiaro anche a me stesso: mi ero innamorato di lui senza rendermene conto. Forse quando mi aveva portato un libro per insegnarmi a leggere, forse durante la nostra prima convivenza da bambini, forse durante gli anni dell’Accademia. Non lo sapevo, ma capii che non aveva importanza. Kisuke mi abbracciò di nuovo e mi baciò. Lasciai da parte tutto, il finto disprezzo, il senso di rivalità, ogni cosa. Non lottai, ero debole e ben felice di esserlo. Era come se fossi nel posto giusto, al momento giusto, con la persona giusta.
 
Quella sera, io e Kisuke avemmo la nostra prima volta. La prima di diverse volte, in realtà. Per la prima volta decisi volutamente di mettere da parte la razionalità e le mie fissazioni, perché non ne avevo bisogno. Io e Kisuke ci prendevamo senza riuscire a darci un contegno, come a voler recuperare tutto il tempo perso. Una cosa per me non era cambiata: desideravo sempre superarlo, lo vedevo sempre come un rivale. Ma come lui stesso aveva detto, questo non escludeva altro, non per me. Quella era la nostra relazione vissuta in segreto, dove iniziammo a prestare attenzione davanti agli altri, perché uno sguardo di troppo avrebbe fatto capire tutto. Ero consapevole di essermi esposto e la sensazione che sarebbe finita male non mi abbandonava. Scelsi di ignorarla, feci un sacco di scelte sbagliate, solo che ancora non lo sapevo. Mi ero innamorato. Come un perfetto idiota, come una persona comune, io che mi vantavo di non aver bisogno di questo, mi resi conto di averne bisogno più di tutti. Io amavo lui, lui amava me, e non aveva alcun pudore quando eravamo da soli. Sempre a ripetermi che mi amava, che mi ammirava e desiderava. E io, che facevo finta di disprezzare quei suoi sentimentalismi, in realtà li amavo. Ma io, a esprimere i miei sentimenti, non sono mai stato bravo. Kisuke lo sapeva e mi accettava così com’ero. Anche se non avrei dovuto, iniziai a pensare al futuro, a quello che saremmo potuti diventare. Perché di certo, ora che ci eravamo ritrovati, non avevamo motivo di lasciarci. Mi rassicuravo così e fu un errore. Il più grande errore della mia vita.
«Dove stai andando, Kisuke?»
Lo trovai una sera, dopo essermi svegliato all’improvviso, che si rivestiva di fretta. Sembrava avere qualcosa di importante da fare.
«Oh, niente di che, stai tranquillo. Scusa, non volevo svegliarti» mi disse con un sorriso. Io lo fissai, serio, quasi scontroso. C’era una cosa che continuava a infastidirmi, il suo essere vago. Mi dava l’impressione di non essere mai del tutto sincero. Nonostante io fossi il suo terzo seggio, stava lavorando a qualcosa che gli occupava molto tempo e di cui non voleva parlarmi. Non ancora, mi diceva. Non voglio mostrarti qualcosa di incompleto. Io tuttavia non riuscivo a fidarmi del tutto, ero diffidente.
«Come vuoi. Ma se ti caccerai nei guai, tienimi fuori.»
Lui sorrise e si avvicinò per abbracciarmi. Ancora mi sorprendevano questi suoi gesti, ma mi stavo abituando. Ricambiai l’abbraccio.
«Certo, Yuri. È una fortuna che ci sia tu a tenermi con i piedi per terra. Lo sai che ci tengo a te?»
Lo guardavo negli occhi. Sapevo che non stava mentendo. Ma sapevo anche che c’era qualcosa di non detto.
«Lo so. E tu lo sai che se dovessi prendermi in giro, non ti perdonerei mai, vero? Non farmi pentire di essermi esposto.»
Portai la mano sulla sua testa. Gli avevo dato fiducia, andando contro i miei stessi principi. Adesso toccava a lui non rovinare tutto. Kisuke poggiò la fronte sulla mia.
«Lo so. Torno presto. Torna pure a dormire.»
Lasciai andare le sue mani. Se ora potessi tornare indietro, avrei scelto di non dargli tutta quella fiducia. Avrei scelto di non credere al fatto che ci sarebbe stato futuro. Avrei evitato di essere così sentimentale, cosa di cui mi sarei pentito per molti anni a venire. Ma indietro non si può tornare, questo supera anche le mie abilità. Tornai a letto, ma non mi addormentai subito. Mi misi a pensare cosa ne sarebbe stato di noi. Non ci eravamo mai definiti una coppia. Di sicuro, non saremmo stati una coppia normale a priori. A me non era mai importato di quello che pensavano gli altri, la stessa cosa valeva per lui. Forse attendevamo solo di capire se quel fuoco si sarebbe estinto in fretta, oppure no. Pensando a ciò mi addormentai. Potevo anche non farmi paranoie, potevo anche non pensare al peggio. Che stupido che fui.
 
Fui svegliato diverse ore dopo, avevo dormito profondamente. Ma nel momento in cui aprii gli occhi, avvertii una sensazione di disagio e panico. Come se fossimo in pericolo. Mi ricomposi, mi passai una mano sul viso pulito (quando ero con Kisuke, non mettevo trucco, era come se non ne sentissi la necessità). Mi affacciai alla finestra. Cosa stava accadendo lì fuori? Poi vidi qualcosa muoversi e Kisuke comparve all’improvviso, facendomi sussultare.
«Sei forse idiota?»
Lui mi portò un dito sulle labbra. Se ne stava tutto coperto e incappucciato, quasi dovesse nascondersi. Sorrideva, ma il suo sguardo era triste.
«Parla a bassa voce, Yuri. Non ho molto tempo. Devo andare.»
Battei le palpebre, confuso.
«Andare dove?»
Prese il mio viso tra le mani.
«Ascoltami, bene. Non ho tempo di spiegarti. Ma vogliono imprigionarmi. È successo un disastro. Ciò che ho tentato di creare… sono stato uno stupido, nemmeno io riesco a controllarlo. L’Hogyoku. Non posso più stare qui.»
Non capii molto di ciò che mi stava dicendo, intuii però che c’entrava la sua invenzione, quella di cui mi aveva tenuto all’oscuro.
«Kisuke, non capisco niente. Cos’hai fatto?»
Lui scosse la testa. Sembrava sul punto di dirmi qualcosa, ma poi cambiò idea.
«Li ho trasformati. Hirako e gli altri capitani… in hollow. È troppo complicato da spiegare, ma sono ancora in tempo a fuggire.»
«Bene, allora avrai tempo di spiegarmi dopo, io vengo con te.»
Lui però mi tenne stretto il polso e mi guardò negli anni. Solo molti anni dopo avrei scoperto che mi aveva mentito, che in realtà la sua unica colpa era quella di essere stato un po’ troppo avventato, che ciò che era successo ai nostri simili non era colpa sua, ma che anzi aveva fatto il possibile per evitarlo. Ma questo ai tempi non me lo disse. Kisuke aveva sempre avuto l’abitudine di pensare al posto mio, lo avevo sempre odiato. E aveva sempre avuto l’abitudine di volermi proteggere in tutti i modi, anche facendosi del male. Questo l’amavo.
«Ascolta, Yuri. La Soul Society oramai mi considera un nemico. Me ne andrò nel mondo degli umani. Ma tu non puoi venire con me, non puoi farti questo. Non meriti di fare la vita da esiliato.»
Scossi la testa. Aveva ragione, fare l’esiliato nel mondo degli umani non era quello a cui miravo, non ora che avevo trovato la mia dimensione. Ma se l’avevo trovata, era stata anche grazie a lui.
«Quindi cosa dovrei fare? Dirti addio per la seconda volta?»
Non avrei mai e poi mai pianto davanti a lui, non mi sarei esposto fino a questo punto. Lui prese il mio viso tra le mani e poggiò la fronte sulla mia.
«Yuri, tu devi rimanere qui. Vivere la vita che hai sempre voluto. Ricordi cosa ti avevo detto? Che se mi fosse accaduto qualcosa, allora tu saresti stato il mio successore. Tu sei sempre stato il mio migliore amico geniale, e devi diventarlo ancora di più. Il più brillante e abile di tutta la Soul Society, anche più di me. Tornerò da te, prima o poi. E un giorno capirai il perché di tante cose.»
Avrei voluto staccarmi dalla sua presa, sfogare la mia rabbia e la mia disperazione in qualche modo. Avrei potuto seguirlo, trovarlo. Ma lui non mi voleva fino a quel punto. Da quel punto di vista eravamo uguali, c’era sempre qualcosa di più importante. La volta prima lo avevo abbandonato io, adesso lui abbandonava me. E capii quanto facesse male. Perché questa volta era per volontà sua e della sua stupidaggine.
«Kisuke, maledetto. Ti odio» sibilai. Lui mi baciò con gli occhi chiusi.
«Io invece ti amo troppo per condannarti. Io tornerò.»
Mi lasciò andare, quasi mi spinse via. Vidi un luccichio nei suoi occhi, ma non me ne importò, in quel momento mi sentii solo un perfetto idiota. Avrei dovuto sapere che l’amore portava solo guai, come mi era saltato in mente di innamorarmi? Odiai Kisuke per essersene andato così, dandomi vaghe informazioni, senza dirmi se e quando sarebbe tornato. Aveva preferito quella strada a me. A me, che mi ero lasciato andare, dandogli quello che non avrei dato mai a nessuno. Sentii la bile risalirmi lungo l’esofago e fui acciecato dalla rabbia più nera e dal dolore più straziante che avessi mai provato.  Ma questo non mi avrebbe certo fermato. Io ero Mayuri Kurotsuchi, non avevo dimenticato le mie ambizioni e i miei interessi. L’odio sicuramente sarebbe mutato in indifferenza, prima o poi. Anche perché fui certo che non l’avrei più rivisto. E forse era meglio così. La speranza è per gli sciocchi.

Nota dell'autrice
Come avevo accennato, queso è il mio capitolo preferito, nonché quello più struggente. Dubito che Kisuke avrebbe persmesso a Mayuri di fare la vita dell'esiliato, ha sempre saputo che era destinato a diventare qualcosa di più grande. Come al solito, anche se in modo indiretto, la colpa è tutta di Aizen (ma visto che è lui, lo si perdona. Ci vediamo la prossima settimana con l'ultimo capitolo.
Nao

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Capitolo 4
*** Maturità ***


Capitolo quattro

Maturità
 
 
Cent’anni nella vita di uno Shinigami non sono che un battito di ciglia. Nel mio caso, però, si è trattato di un periodo lento e lungo in cui tutto è mutato, in cui sono mutato io stesso. In quegli anni ero diventato il capitano della Dodicesima compagnia e capo del Dipartimento di ricerca e sviluppo. Ero diventato ciò che da bambino avevo tanto detto di non voler diventare, ma crescendo cambiano le idee e gli obiettivi. E nessuno meglio di me poteva essere adatto a quel ruolo, poiché il più geniale della Soul Society ero diventato io. Ma al contrario di Kisuke non ero affatto amato, come sempre del resto. Anzi, ero temuto e la gente aveva paura di me. Mi guadagnai la nomina di folle, scienziato pazzo e via dicendo, e non nascondo che la cosa mi piaceva. Non avevo alcun limite, ed ero tornato a essere il sadico e malvagio di un tempo. Anzi, da ragazzino avevo solo giocato. Adesso ero davvero al limite tra buono e cattivo, tra amico e nemico. Alla Soul Society però sapevano che era più saggio tenermi come alleato piuttosto che come rivale. Posso dire che probabilmente, almeno in parte, ero impazzito davvero, ma di quella follia lucida che ti porta ad agire con coscienza. Per quanto riguarda Kisuke, non lo vidi più da quel giorno. Per cento anni in realtà non sentii nemmeno più pronunciare il suo nome. Avrei potuto cercarlo, lo avrei trovato con facilità. Ma ero troppo orgoglioso per farlo. Perché, per l’unica volta in cui mi ero esposto, aprendo il mio cuore all’amore e ai sentimenti, ecco che lui quel cuore lo aveva spezzato, pur sapendo quanto mi fossi sforzato per aprirmi a lui. Chi è dunque più malvagio tra me e lui? Punti di vista, immagino. Forse fu proprio il suo allontanamento ad incattivirmi. Trovavo gioia nella mia occupazione, nelle invenzioni e negli esperimenti, tuttavia il senso di insoddisfazione non mi abbandonava. Adesso era davvero il migliore, il più geniale di tutti – come lui mi aveva detto che sarei diventato. Ma lo ero davvero, o lo ero diventato solo perché Kisuke se n’era andato, lasciandomi il suo posto? Visto che dopo cent’anni il dolore era ancora vivo in me, mi ero rassegnato al fatto che non se ne sarebbe mai andato. Mi era anche venuto in mente di inventare qualcosa che mi facesse dimenticare lui e il dolore, ma poi pensai che quel dolore mi sarebbe servito a non ricaderci più. E poi, nessuno aveva mai saputo di noi. Se nessuno sapeva, non era reale. Potevo cullarmi in questa beata illusione. E poi aveva molto a cui pensare. Oramai aveva una compagnia mia da gestire. Avevo una luogotenente che avevo creato io stesso, efficiente e ubbidiente. Non avevo chissà quali rapporti con gli altri capitani, i quali non sapevano poi molto di me. E mi andava bene così. Ero convinto che avrei continuato così per sempre e mi sarebbe andata bene. Io e Kisuke non eravamo destinati a stare insieme in quel modo. Ma le cose cambiarono in modo drastico quando degli estranei, dei ryoka, invasero la Soul Society. Oh, maledetto Ichigo Kurosaki, maledico lui perché è colpa sua se in seguito, io e Kisuke, ci saremmo ritrovati. Era il suo prezioso allievo, dopotutto… tsk. Questa è la storia che conoscono tutti, quella del tradimento di Aizen, storia di cui effettivamente non mi importò molto ai tempi, ma con cui anche io stesso avrei dovuto fare i conti, per forza di cose. Sarebbe stato tutto quasi perfetto se solo nel mio cammino non avessi rincontrato lei, Yoruichi. In realtà è più corretto dire che fu lei a venire da me, quasi volesse tormentarmi ancora. Erano anni che non la vedevo, non era cambiata poi così tanto, aveva solo i capelli più lunghi.
«Tu. Sei tu» dissi soltanto, stupito e infastidito. Certi rancori e certe gelosie che mi accompagnavano sin da bambino non mi avrebbero mai abbandonato.
«Già. E tu sei tu. Interessante look, Mayuri. Un po’ spaventoso, devo dire» mi parlò. Capii subito che cosa fosse venuta a fare, ma non ero interessato, non le avrei permesso di tirare fuori argomenti di cui non volevo parlare.
«Sì, beh. Che cosa vuoi? Quei ryoka hanno portato piuttosto scompiglio alla Soul Society. Ovviamente di mezzo non potevi che esserci tu.»
«Io e Kisuke in realtà.»
Doveva per forza nominarlo, quella maledetta. Feci finta che il suo nome mi fosse indifferente.
«Ovviamente» poi abbassai la voce, mostrandole forse fin troppo interesse. «Perché sei venuta a parlare con me?»
La risposta la conoscevo già, ma volevo sentirgliela dire. Yoruichi mi fissava con quei suoi occhi da gatta.
«Mayuri, posso assicurarti che niente è come sembra. Sono passati tanti anni, ma Kisuke non ha mai smesso di pensarti.»
Sollevai una mano, facendole segno di zittirsi. Non volevo ascoltarla, non volevo ascoltare niente che riguardasse Kisuke Urahara.
«Oh, ti prego. Risparmiati queste inutili chiacchiere. Immagino che lui ti abbia detto qualcosa riguardo a noi, vero?»
«Non qualcosa, lui mi ha detto tutto. Mi ha detto che per un breve periodo siete stati insieme e che lui ha sofferto molto quando è dovuto andare via.»
Sentivo la rabbia arrivare a ondate. Lui aveva sofferto? Era stata sua la scelta di andarsene e lasciarmi lì. Però era anche stata mia la scelta di fare finta che non fosse mai esistito.
«Ebbene? Perché pensi che mi interessi? Sono passata più di cento anni. Sono cresciuto, nel frattempo. L’esperienza mi ha aiutato a capire che quello che condividevamo – qualsiasi cosa fosse – non poteva avere futuro.»
Yoruichi sbuffò come una bambina e si avvicinò. Lei non aveva paura, non ne aveva mai avuto.
«Lo sai? Tu sei veramente testardo, come Kisuke del resto. Perché non dici che lo ami? Questo non rovinerà la tua reputazione da scienziato spaventoso, credimi»
«Oh, tu non sai un bel niente, maledetta» sibilai, furioso.
Lei assottigliò lo sguardo.
«Ah, davvero? Ci conosciamo da quando siamo bambini, posso vantare di sapere qualcosa di te, che dici? Io vi ho osservati mentre crescevate e diventavate grandi. Tu e Kisuke vi siete sempre voluti, anche quado eravate bambini. E tu eri geloso di me, anche se tutti pensavano che il tuo interesse fosse nei miei confronti. Oh, sarebbe stata la spiegazione più facile, certo. Ma voglio dire, siete stati tutta la vita a perdervi e ritrovarvi, quando la smetterete? Siete un po’ troppo cresciuti per giocare ancora. E per la cronaca, ho fatto lo stesso identico discorso a quell’imbecille. Per essere due geni, siete davvero lenti in certe cose!»
Cercai di dire qualcosa, ma non riuscii a dire niente. Quella donna aveva avuto il potere di lasciarmi senza parole, robe da matti. Probabilmente aveva ragione su tutto. Anzi, di sicuro era così. Ma, prima cosa, non lo avrei ammesso. Seconda cosa, anche ammettendolo, che sarebbe cambiato? Era passato troppo tempo, il mio dolore si era trasformato in rabbia e rancore. Mi piacerebbe dire che con il tempo anche i ricordi erano sfumati, ma quelli purtroppo erano ben stampati nella mia testa,
«Kisuke è andato via. Non ha voluto che lo seguissi» dissi soltanto.
«Lui lo ha fatto per proteggerti.»
«Non ho mai chiesto la sua protezione.»
«Allora perché non lo hai cercato? In questi cent’anni. Avresti avuto il modo, eppure cosa ti ha fermato? La verità è che quest’amore ti ha fatto sempre paura. Hai sempre avuto paura di ciò che non potevi controllare, di ciò che sfuggiva alla tua comprensione.»
Era nella mia testa e non mi piaceva. Nessuno poteva leggermi dentro, tanto meno Yoruichi.
«Basta, mi hai stancato. Non voglio perdere tempo ad ascoltarti» conclusi. Yoruichi sospirò e poi chiuse gli occhi.
«Verrà poi il momento di rincontrarvi. E succederà molto presto.»
Quella mi suono come un’inquietante premonizione. Mi voltai a guardarla, ma lei non c’era più. Non volevo incontrare Kisuke, ma sapevo che sarebbe successo e che, anche se non lo volevo, i nostri destini si erano incrociati nuovamente.
Il resto della storia la conoscono tutti, ma nessuno conosce i retroscena che riguardano me e lui. Durante la nostra battaglia nell’Hueco Mundo non ebbi certo modo di pensare a lui, avevo ben altro per la testa. Ma Kisuke ci fu fondamentale per imprigionare Aizen, e questo mio malgrado mi rese fiero quanto indispettito. Ecco Kisuke Urahara, che era stato considerato un traditore, quando in realtà era stato solo una vittima delle circostanze. Quando avevo appreso ciò, mi ero sentito in parte sollevato, anche se non sorpreso. Ovviamente Kisuke non avrebbe mai fatto niente di così terribile, era solo stato incastrato da Aizen. Da un lato però mi sentii solo più frustrato: allora per quale motivo si era separato da me? Perché non mi aveva detto tutto quanto sin dall’inizio? Kisuke era sempre stato così, ambiguo e vago. Quanto odiavo questa parte di lui e quanto invece amavo tutto il resto.
Non potevo sfuggire a lui, perché fu lui a venirmi a cercare dopo la guerra contro Aizen. Adesso che non era più considerato un traditore, poteva anche muoversi liberamente dal mondo degli umani alla Soul Society. E aveva quindi più possibilità di disturbare il sottoscritto. Ero stato chiaro sia con la mia luogotenente che con gli altri membri della compagnia: se Kisuke Urahara dovesse presentarsi, non fatelo entrare, sono troppo impegnato per vederlo. In verità stavo scappando, me ne rendo conto, ma non avevo nulla da dirgli. Anzi, avevo troppo da dirgli, ma vederlo avrebbe significato espormi di nuovo e l’ultima che l’aveva fatto ne ero uscito distrutto.
Sottovalutai Kisuke, però. Lui trovò comunque il modo di entrare e violare la privacy e la sicurezza che mi ero tanto duramente costruito. E per farlo distrusse anche una parte del mio laboratorio, il mio luogo felice…
«Ops. Mi sa che ho un po’ esagerato a questo giro. Il livello di sicurezza è altissimo, non potevo aspettarmi niente di diverso da te!»
Mi disse questo, mentre sorrideva con il cappello chinato davanti agli occhi, ma con un’espressione diversa. L’espressione di chi nella vita aveva vissuto tanto ed era maturato. La vita di chi aveva sofferto. Ma avevo sofferto anche io.
«T-tu…» ero così furioso che mi tremavano le mani. Kisuke era sempre il solito, arrivava e distruggeva tutto. «SEI UN MALEDETTO IDIOTA. COS’HAI FATTO?»
Kisuke si guardò attorno, con quell’aria da finto svampito.
«Sono davvero mortificato! Giuro che te lo aggiusto.»
«No. No, tu non aggiusti un bel niente. Ora te ne devi andare. E subito, anche!»
Mi avvicinai e feci per spingerlo, ma non volli toccarlo. Io a quel corpo mi ci ero stretto, quelle mani avevano stretto me. Il ripensarci mi provocò una fitta di dolore. Kisuke smise di sorridere. Ora mi guardava con malinconia.
«Non sei cambiato molto. Dietro tutto quel trucco e i tuoi vestiti strani, c’è anche Yuri.»
«Non hai alcun diritto di chiamarmi in questo modo. Lo hai perso nel momento in cui te ne sei andato» allora lo guardai negli occhi. Non volevo chiedere il perché. Però volevo conoscere le risposte.
E alla fine domandai comunque.
«Perché te ne sei andato senza dirmi la verità? Pensavi forse che non ti avrei creduto.»
«Yuri, io non ho mai dubitato di te. Era di me che dubitavo. Non meritavi una vita da reietto.»
«Smettila di pensare al posto mio. Io decido cosa merito o meno. La verità è che io semboe un bastardo senza cuore, ma quello veramente senza cuore sei tu. Sei andato via e non ti sei mai guardato indietro. Tu sapevi quanto mi è costato aprirmi a te, ma non te n’è importato nulla.»
Mi ero fatto più vicino, sarei tanto voluto apparire minaccioso, ma probabilmente apparivo solo patetico. Poi vidi altro nello sguardo di Kisuke. Una scintilla di rabbia.
«Forse è vero quando dici che ho sempre pensato al posto tuo. Ma dall’altro lato, perché tu non sei mai venuto a cercarmi? Davvero l’hai fatto per ripicca o non volevi per paura? Perché tu hai sempre avuto paura di tuoi sentimenti per me.»
Ero stufo. Stufo della gente che voleva entrare nella mia testa, di Kisuke che riusciva ad entrare nella mia testa. Senza il mio permesso. Ma mi aveva mai chiesto il permesso per fare qualcosa, dopotutto? Non mi era passato nemmeno per il cervello che Kisuke potesse essere arrabbiato o ferito per non averlo cercato, in quegli anni. Per me esistevano solo le mie reazioni. Forse ero egoista, ma non me ne importava.
«L’amore è una cosa troppo complicata, diventa insana per due come noi» dissi allora. Avevamo troppo cervello per lasciarci andare all’amore come tutti facevano. Kisuke sospirò e la rabbia di poco prima nei suoi occhi sparì.
«Io invece credo che non fosse il nostro tempo. Erano i momenti sbagliati.»
«E cosa ti fa credere che questo sia quello giusto, invece?»
«Siamo cresciuti, adesso. Siamo maturati, abbiamo l’esperienza dalla nostra parte.»
Sarebbe stato bello se Kisuke fosse stato capace di arrendersi. Ma no, lui non si arrendeva mai. Mi guardai attorno. Non avrei abbassato del tutto la guardia, ma lo feci un pochino.
«Sei stato con qualcun altro?» domandai. Il mio lato geloso era segreto perfino a lui. Anche se doveva averlo intuito.
«Con nessuno.»
«Ti aspetti che ci creda?»
«Tu mi hai posto una domanda e io ti ho risposto.»
«Allora cosa vorresti dire? Che hai amato solo me per tutto questo tempo?»
«Per tutto questo tempo» mi ripeté.
L’amore era come una malattia, un virus a cui non riuscivo a trovare una cura. O forse non volevo. L’amore non era neanche necessario a due come noi, che non erano nemmeno umani. Ma forse noi eravamo troppo umani per non avere questo.
«E quindi, cosa ti aspetti che io faccia, adesso? Che ti accolga a braccia aperte?» domandai, un po’ provato. Avevo concesso a lui quello che non avrei mai più concesso a nessuno. Tanto da sentirmi svuotato.
E allora dissi di no.
 
 
Metto la parola fine a questa autobiografia, che ho buttato giù senza neanche fermarmi a riflettere o a pensare o a rileggere. Non voglio farlo. Sentivo solo il bisogno di tirare fuori tutto, ma molto probabilmente questi scritti verranno bruciati.
Sono passati alcuni mesi dalla fine del conflitto tra Shinigami e Quincy e devo ancora abituarmi a questo periodo di pace. Ovviamente Kisuke è stato un aiuto durante questa guerra, ma io e lui non abbiamo più parlato di questo. Io ho deciso di porre una fine a noi, ma è davvero così? Continuo a provare insoddisfazione. E non mi riferisco all’insoddisfazione che si prova quando un tuo esperimento fallisce e allora sei costretto a riprovare (il che mi ha sempre dato un certo piacere). Per tutta la vita ho desiderato superare Kisuke Urahara. L’ho fatto, ma mi sento comunque sconfitto. Perché chi può stabilire, alla fine dei fatti, chi sia il più geniale tra me e lui? E se fossimo stati due shinigami nella norma, ci saremmo trovati comunque per vivere felicemente?
Lascio da parte carta e penna. Mi sento stanco, stanco dentro. La cosa che più mi fa arrabbiare di tutta questa situazione, è che se Kisuke me lo chiedesse adesso, di sicuro non saprei dirgli di no. Se sono pentito di averlo fatto? Certo che sì. In un modo o nell’altro dovevo comunque soffrire. In un modo o nell’altro, le nostre strade sono sempre state destinate e incrociarsi. Quando gli ho detto no, oramai quasi due anni fa, lui non ha insistito. Avrei voluto che mi pregasse, ma non è da lui, non è da me, da noi. Così ora eccomi qui. Con tutto quello che ho sempre voluto o quasi. Forse è vero che due come noi non potranno mai vivere l’amore in modo normale, qualsiasi diavolo di cosa voglia dire.
Il tempo giusto…
Avverto uno strano rumore al di fuori del mio laboratorio. Come qualcuno che raschia alla porta, poi dei colpetti sempre più forti. Non esiste in tutta la Soul Society uno shinigami tanto idiota da venirmi a disturbare. Quindi vado a vedere cosa succede.
«Chi è tanto stupido da venire qui a creare confusione?» chiedo scorbutico.
Davanti a me, c’è l’ultima persona che pensavo di vedere. Il che è strano, perché oramai dovrei sapere che Kisuke salta fuori sempre quando meno te lo aspetti. Lui è lì, il suo solito cappello verde e bianco chino sugli occhi. Lo sguardo colpevole, un po’ in imbarazzo ma anche luminoso. Un po’ come se fosse felice di vedermi. Ci fissiamo per alcuni lunghi istanti senza riuscire a dire nulla. Ma due come noi sono capaci di comunicare anche così. Io sento tutto quello che lui vorrebbe dirmi e lui sente tutto ciò che vorrei dirgli io.
Anche se mi hai detto di no, credo sia questo il nostro momento giusto. Cosa abbiamo da perdere oramai? Ti chiedo perdono per il male che ho fatto e per le volte in cui sbaglierò ancora.
Avevi ragione tu, Kisuke. Avevo paura. Ho ancora paura di questa cosa chiamata amore. Ma se mi facessi bloccare da questo, ancora, dopo tutto questo tempo, non riuscirei a perdonarmelo.
Ti ho sempre amato.
Ti ho sempre amato anche io.
Tutto questo ce lo diciamo senza parlare. Mi accorgo solo in quel momento che tiene qualcosa in mano, uno strumento da laboratorio, o almeno ciò che ne rimane.
«Emh… ciao, Yuri. Scusa se vengo a disturbarti, ma… stavo sperimentando una cosa e mi si è rotto. Non è che puoi prestarmi la tua attrezzatura?»
Spalanco gli occhi. Lui sa quanto mi dà fastidio quando tocca la mia roba. E inoltre non si sforza nemmeno di nascondere quella che è una bugia banale. Lo fisso. E sorrido. Non mi ha mai ascoltato, sono felice che non l’abbia fatto neanche adesso. Così mi sposto per farlo passare, e poi richiudo la porta. Il resto della mia vita, il più grande esperimento su me stesso, è cominciato. Esito: sicuramente positivo.
Come lo so? Non lo so, infatti. Ma alle volte anche uno scienziato deve sperare nelle possibilità più impossibili.
 
FINE

 
Nota dell'autrice
Ed eccocì arrivati alla fine di questa breve, ma intensa storia. Sono davvero molto felice di averla scritta e pubblicata, dopo averci pensato per mesi. Spero abbiate apprezzato, alla prossima!
Nao

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