AMSTERDAM

di hsxnflower
(/viewuser.php?uid=161584)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** intro ***
Capitolo 2: *** playlist ***
Capitolo 3: *** stuff / info ***
Capitolo 4: *** 1 ***
Capitolo 5: *** 2 ***
Capitolo 6: *** 3 ***
Capitolo 7: *** 4 ***
Capitolo 8: *** 5 ***
Capitolo 9: *** 6 ***
Capitolo 10: *** 7 ***
Capitolo 11: *** 8 ***
Capitolo 12: *** 9 ***
Capitolo 13: *** 10 ***
Capitolo 14: *** 11 ***
Capitolo 15: *** 12 ***
Capitolo 16: *** 13 ***
Capitolo 17: *** 14 ***
Capitolo 18: *** 15 ***
Capitolo 19: *** 16 ***
Capitolo 20: *** 17 ***
Capitolo 21: *** 18 ***
Capitolo 22: *** 19 ***
Capitolo 23: *** 20 ***
Capitolo 24: *** 21 ***
Capitolo 25: *** 22 ***
Capitolo 26: *** 24 ***
Capitolo 27: *** 25 ***
Capitolo 28: *** 26 ***
Capitolo 29: *** 27 ***
Capitolo 30: *** 28 ***
Capitolo 31: *** 29 ***
Capitolo 32: *** 30 ***
Capitolo 33: *** 31 ***
Capitolo 34: *** 32 ***
Capitolo 35: *** 33 ***
Capitolo 36: *** 34 ***
Capitolo 37: *** 35 ***
Capitolo 38: *** 36 ***
Capitolo 39: *** 37 ***
Capitolo 40: *** 38 ***
Capitolo 41: *** 39 ***
Capitolo 42: *** 40 ***
Capitolo 43: *** 41 ***
Capitolo 44: *** 42 ***
Capitolo 45: *** 43 ***
Capitolo 46: *** 44 ***
Capitolo 47: *** 45 ***
Capitolo 48: *** 46 ***
Capitolo 49: *** 47 ***
Capitolo 50: *** epilogo ***
Capitolo 51: *** dedica ***



Capitolo 1
*** intro ***


intro





Nella vita di Cecy ci sono due costanti: suo fratello Dylan e la sua migliore amica Kat fanno parte della prima; la seconda è la costante paura che il suo spazio personale venga minato da qualcuno di non troppo desiderato.

Aphenphosmofobia la chiamano e Cecy la conosce per sentito dire.

Un giorno apparentemente normale Will entra nel suo spazio personale con un semplice caffè e all'università lo sanno tutti: dove c'è Will, c'è di conseguenza Madden.

Madden e Will sono l'uno l'esatto opposto dell'altro: si completano a vicenda nonostante sia Will quello più propenso a mettersi nei guai e tocchi sempre a Madden prendersi cura di lui.

Nella vita di Madden invece, le costanti sono il suo migliore amico e la presenza costante di Bart, suo padre, che come un'ombra è tanto bravo da annebbiare la mente di Madden da fargli perdere la testa.

Nella vita di Will? Beh, le sue costanti sono Madden, le sigarette e il non voler avere a che fare con sua madre.

Un caffè e una lezione di letteratura francese perché le loro vite si scontrino, eppure Madden ha sempre tenuto d'occhio Cecy. Lei semplicemente non se n'è mai resa conto, troppo presa dal non voler guardare al di fuori della sua bolla.

Amsterdam fa solo da sfondo, ma è proprio lì che le loro vite s’intrecciano.













 








N/A
questa storia si trova anche sul mio profilo Wattpad sotto il nome di indigosnostalgia
non è un plagio, l'autrice sono sempre io
ho semplicemente voluto aggiungerla anche qui su EFP

per qualsiasi cosa, mi potete trovare su Instagram
vi basterà cercarmi come indigosnostalgia

ENJOY

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** playlist ***


playlist





 

↠ porcelain by mxmtoon

↠ The Night We Met by Lord Huron

↠ The Scientist by Coldplay

↠ Locked out of Heaven by Bruno Mars

↠ Set Fire to the Rain by Adele 

↠ Freaks by Surf Curse

↠ Can I Call You Tonight? by Dayglow

↠ Stuck by Imagine Dragons

↠ Apocalypse by Cigarettes After Sex

↠ My Kind of Woman by Mac DeMarco

↠ Angel by FINNEAS

↠ Never Be Alone by Shawn Mendes

↠ Two Ghosts by Harry Styles

↠ Last Night on Earth by Green Day

↠ A Soulmate Who Wasn't Meant to Be by Jess Benko

↠ Young And Beautiful by Lana Del Rey 

↠ Cherry by Lana Del Rey

↠ You Get Me So High by The Neighbourhood

↠ Gravity by Coldplay 

↠ Strawberries & Cigarettes by Troye Sivan 

↠ Physical by Goldfrapp

↠ Confidently Lost by Sabrina Claudio

↠ Say Goodbye by Monty Datta, Snøw

↠ Coffee Breath by Sofia Mills

↠ Yellow by Coldplay

↠ Tonight by ZAYN

↠ Good Guy by ZAYN

↠ SHE DON'T LOVE ME by ZAYN

↠ This Town by Niall Horan

↠ Delicate by Taylor Swift

↠ A.M. by One Direction





 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** stuff / info ***


 
 

stuff / info





 

 



 




 




 




 


 



 







la storia che leggerete una volta oltrepassato questo capitolo è interamente frutto della mia fantasia; qualsiasi riferimento a persone e/o fatti realmente accaduti è puramente casuale

quest'opera è protetta da copyright, per tanto: tutti i diritti sono riservati; qualsiasi riproduzione  e/o copia totale o parziale non autorizzata è severamente vietata. Prima di compiere atti che possono portarvi ad essere perseguiti penalmente, ricordate che plagio e violazione del diritto d'autore sono considerati reato

inoltre:

NON AUTORIZZO la traduzione della storia in altre lingue

NON AUTORIZZO la diffusione della storia in pdf e/o la qualsiasi stampa di essa per un uso privato e al di fuori di questa piattaforma

TUTTE le immagini presenti in questa storia non mi appartengono, sono state prese da Pinterest
 

commenti e critiche sono ben accetti purché fatte con rispetto e cognizione di causa; usate sempre l'educazione: state pur sempre giudicando qualcosa che sta molto a cuore all'autore

abbiate sempre cura delle opere che trovate su EFP: leggere gratuitamente un'opera non vi dà diritto a fare di essa quello che volete e ricordate che dietro ad una storia c'è pur sempre un essere umano con dei sentimenti

 

BUONA LETTURA!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 1 ***


 

capitolo
1





 

Quasi cinque anni passati in quest’università e ancora non me lo spiego come io riesca tutt’ora a isolarmi tra questi corridoi sempre e costantemente gremiti di studenti. So bene di essere attorniata da matricole ancora terrorizzate di sbagliare aula o di arrivare in ritardo alle lezioni - io stessa ne sono stata una, ma la paura non mi è ancora del tutto passata - e da ragazzi ormai all’ultimo anno, a un passo dalla laurea. Loro il terrore non lo conoscono più o semplicemente sono in grado di gestirlo meglio. D’altronde, così vicini all’andarsene, di che cosa bisogna ormai avere paura? 

Nonostante la consapevolezza maturata negli anni precedenti cammino a testa bassa, con i libri stretti al petto e la borsa che pesa sulla spalla destra urtandomi costantemente il fianco. Non alzo lo sguardo, una delle tante cose che non mi piacciono è proprio l’osservare o essere osservata da chi non conosco. Semplicemente mi limito a seguire chi mi sta di fronte, stando solo attenta a non cozzare contro qualche schiena, a non ricevere spallate indesiderate o peggio, inciampare nei piedi di qualcuno che non ha nessuna fretta di entrare in aula.

So esattamente che ore sono, il mio stomaco decide di brontolare per la fame sempre alla stessa ora: è l’una meno cinque. Ed è un problema il mio, ché di lezione da seguire, come tutti i giovedì, me ne resta ancora una. Proprio però non ricordo se la barretta è da qualche parte nella borsa o se invece è rimasta nell’appartamento, sul bancone della cucina. 

Svolto a sinistra superando le ampie scale dell’antico edificio che portano ai laboratori. Mi rendo conto di non esserci mai realmente entrata in quelle aule, la mia materia di studi non me lo permette; il mio di laboratorio è la Biblioteca, a differenza di mio fratello Dylan. Ed è lì che vorrei trovarmi al momento, dove il silenzio non manca mai, fa sempre da sfondo a tutto il resto, ma non posso perdermi la lezione della signorina Sophie.

L’aula di letteratura francese è occupata per metà, ma la docente non è ancora arrivata. Questo spiega perché un ragazzo biondo che so bene frequentare il quarto anno sia intento a dare uno scarso spettacolo su uno dei banchi posti nelle prime file; il povero Baudelaire si sta rivoltando nella tomba e lo so io tanto quanto il resto della classe. 

Prendo posto accanto alla finestra, oggi fa più freddo del solito all’interno dell’edificio; a quell’ora i raggi del sole girano nella giusta posizione per regalarmi un po’ di tepore. Devo chiedere permesso a due ragazzi prima che questi si scostino finalmente dal muro per lasciarmi passare. Il commento del ragazzo dai capelli castani lo sento eccome, mi colora persino le guance accentuando il rosa caldo del blush che indosso. Lui stesso se n’è reso conto perché sorride compiaciuto. Non lo sa che in realtà non ha fatto colpo, mi ha solo messo in imbarazzo provocandomi una fitta alla bocca dello stomaco. Dovrei quasi ringraziarlo per avermi fatto passare la fame; la barretta è rimasta sul bancone della cucina.

Poggio la borsa sulla piccola superficie del banco solo per recuperare un block notes e una penna, poi la rimetto a terra. Il libro che ho davanti contiene infinte poesie e sprazzi di opere di autori che però ancora non conosco e non vedo l’ora che la signorina Sophie me li presenti, così da farli entrare a far parte della mia vita. La pagina la apro a caso, isolando il caos che ho intorno. Riconosco l’autore, ma ancora non posso definirlo un amico; meglio un conoscente. Leggo attentamente il testo della poesia: parla di un giovane amore, distrutto pian piano dalla lontananza.

Lo rileggo una seconda volta, solo con più calma. Mi piace, ma non mi colpisce con violenza. Sottolineo tre versi solamente, in modo da essere pronta quando arriverà il momento di ritornarci, perché succederà. Ho imparato con il tempo ad apprezzare il modo di insegnare della signorina Sophie e so perfettamente che questi versi saranno quelli sui quali si soffermerà di più: sono carichi di desiderio, ma al contempo pieni di distruzione. Un’accoppiata perfetta che entrambe adoriamo. Mi accorgo a malapena che una ragazza mi sta domandando se il posto accanto al mio sia libero o se invece lo stia tenendo occupato per qualcuno palesemente in ritardo.

«No, figurati» mormoro, scusandomi poi con lo sguardo per non essermi resa conto della sua presenza. «Siedi pure, non è occupato.»

La ragazza mi sorride quando prende posto e una scia di profumo mi arriva dritta al naso; è così buono da ricordarmi casa. Qualcuno siede nella fila dietro alla nostra qualche momento più tardi, esattamente nel posto collegato al mio. Me ne rendo conto perché senza farlo apposta mi ha sfiorato la spalla con quella che deve essere una borsa e perché il suo piede colpisce appena la gamba della sedia sulla quale sono seduta. 

Non mi volto, non m’importa più di tanto sapere di chi si tratta - conosco ben poco i ragazzi che frequentano questo corso. Mi basta solo che non invada il mio spazio vitale più di quanto non abbia già fatto. La ragazza accanto a me sta canticchiando allegramente un motivetto, tutta intenta a disegnare un volto sul quaderno a quadretti che ha di fronte; distolgo lo sguardo per paura di essere invadente.

Il ragazzo del quarto anno nei primi banchi conclude la sua esibizione con un lamento prima di accasciarsi sul banco in una morte apparente. Seguono risate e applausi non del tutto meritati e la persona seduta dietro di me sembra pensarla nel mio stesso modo perché la sento chiaramente sbuffare e imprecare quando il ragazzo si rialza, esibendosi in un inchino e rifiutando di concedere un bis, scendendo poi definitivamente dal banco per sedersi come una comune persona in attesa che la lezione cominci.

«Sai per caso qual è il termine del primo appello?» È di nuovo la ragazza al mio fianco a rivolgermi la parola e di nuovo sobbalzo appena, tanto presa nello scuotere la testa davanti allo spettacolo finalmente terminato.

«Tra un paio di settimane.» Le rispondo educatamente; lei aggrotta leggermente le sopracciglia, non del tutto convinta forse.

«Tra tre settimane» il ragazzo dietro di me prende parola per correggermi. Non mi volto, so che si tratta della persona seduta esattamente nel banco collegato al mio; la ragazza si gira per prestargli attenzione. «Dopo aver superato il parziale potrai iscriverti all’appello.»

Ha una voce grave, ma pacata nonostante suoni quasi roca. È persino piacevole da ascoltare e la associo al tipico tono di una persona che ascolterei leggere per ore un romanzo, cadenzando ogni dialogo e immedesimandosi nei personaggi.

«Davvero?» Sembra sollevata da quella notizia, tanto da esibirsi in un sorriso; l’anellino che porta all’angolo del labbro cattura la luce artificiale dei neon. Il ragazzo deve averle annuito. «Ti ringrazio.» Aggiunge poi, voltandosi nuovamente per riprendere a canticchiare forse più allegramente e continuando il suo disegno. 

Io invece aggrotto le sopracciglia, recuperando il cellulare dalla giacca e controllando il sito degli appelli. Ha ragione e quasi sbuffo perché come ho potuto pensare a una data diversa.

La signorina Sophie entra in aula una decina di minuti dopo, scusandosi per il ritardo. Quasi nessuno le presta attenzione, ma hanno il buon senso di calmare i toni con i quali stanno chiacchierando. Il ragazzo dietro di me impreca nuovamente, ma non saprei per quale motivo; solo quando la docente abbassa le luci il silenzio arriva lentamente.

«Will, dannazione» volto appena la testa, ma non abbastanza per poterlo guardare in viso. «Muoviti, non terrò il posto occupato per tutta la lezione.»

Capisco che sta parlando al telefono perché non sento risposte chiare dalla persona alla quale si sta rivolgendo, solo un mormorio sommesso dall’altra parte della cornetta.

La signorina Sophie riprende la lezione nell’esatto punto in cui si è interrotta martedì pomeriggio e i miei appunti iniziano ad avere finalmente un senso. È un’idea che non condivido a pieno quella che sta esponendo, ma d’altronde il pensiero dell’autore non può essere certo modificato a mio piacimento. Il commento però lo tengo per me, forse esporrò la controversia il giorno dell’esame, per il momento riporto solo ciò che mi viene spiegato, ponendo un piccolo asterisco in quel punto di paragrafo. 

Passa un buon quarto d’ora prima che la signorina Sophie sia costretta a interrompersi. La porta dell’aula viene aperta velocemente e lei stessa sobbalza quando un ragazzo dai capelli biondi vi fa capolino, stringendo tra le mani un lungo bicchiere di cartone bianco. Dal foro sopra di esso esce ancora una leggera scia di vapore.

«Mi scusi l’interruzione, signorina Sophie.» Ha il fiatone mentre le porge le proprie scuse. 

La docente dal canto suo scuote semplicemente la testa, facendogli cenno di potersi accomodare; lui la ringrazia e per qualche istante il suo sguardo vaga per i banchi. Gli occhi gli s’illuminano all’improvviso quando individua l’obiettivo della sua ricerca. Si muove nella mia direzione e solo quando si ferma accanto alla mia sedia mi rendo conto che si tratta di Will, il ragazzo della telefonata.

«Dove cazzo eri?» L’amico glielo domanda in un sussurro e poi si alza, ma non per lasciarlo passare. Scivola semplicemente nella sedia accanto ed è Will a sedersi nel banco collegato al mio.

«Stavo fumando e mi è venuta voglia di caffè, ma c’era fila in caffetteria. Poi ho incrociato Margot e sai come va a finire quando…» la sua voce s’interrompe all’improvviso, l’ho sentito anche io il colpo sferrato per farlo stare in silenzio.

La lezione si protrae per un’ora e tre quarti, dieci minuti in più del solito. Non ha senso fermarsi nel bel mezzo di un discorso fondamentale e a nessuno sembra importare più di tanto del ritardo, ché l’esame lo dovranno sostenere tutti prima o poi. Qualcuno però l’aula la lascia di corsa ugualmente, non tutti i docenti sono tolleranti come la signorina Sophie a proposito dei ritardi; la maggior parte degli studenti esce poi con calma, alcuni addirittura raggiungono la docente per appianare qualche dubbio in vista dello studio. Non ci saranno lezioni fino alla prossima settimana.

Solo un altro paio di persone ed io siamo ancora ai nostri banchi, intenti a scrivere l’ultimo fiume di parole perché le frasi abbiano finalmente senso. Chiudo il block notes, la ragazza al mio fianco è scappata un paio di minuti prima, la lezione di fisica non aspetta nessuno. Mi ha salutato così velocemente che quasi non ho avuto tempo di ricambiare.

Mi abbasso poi per recuperare la penna che mi scivola dalle mani all’ultimo secondo, nel porta penne proprio non ne vuole sapere di andare; è qui che succedono tre cose in contemporanea. Qualcosa mi bagna completamente la schiena, io strozzo un grido più per lo spavento che per il fatto di essermi sporcata e infine, qualcuno mastica una bestemmia tra i denti.

«Cazzo, il caffè!» Borbotta quello che immagino esserne il possessore: Will.

Mi giro lentamente e per la prima volta da quando sono seduta riesco a dare un volto alla persona che è stata alle mie spalle per oltre un’ora. Indossa una bandana blu con un motivo bianco non del tutto pervenuto e la porta arrotolata scompostamente tra i capelli ricci. I suoi occhi verdi si muovono prima su di me, poi sull’amico che sta recuperando fogli e penne dal proprio banco per scendere al mio livello. Lo sguardo lo abbasso subito, ché fissare occhi sconosciuti mi dà fastidio; e di lui non so niente, il solo fatto di avere il suo sguardo su di me m’intimorisce. 

«Mi dispiace, ho urtato il bicchiere per sbaglio» Will parla velocemente, tanto che quasi faccio fatica a capire cosa realmente stia dicendo. O forse è colpa della voce, che strascica come se si fosse appena svegliato. «Credevo fosse ormai finito.»

«Non importa, tranquillo» replico, staccandomi dalla pelle buona parte di stoffa per evitare che mi macchi ulteriormente. «Lo so che non lo hai fatto apposta.»

Will sta trafficando con qualcosa all’interno dello zaino e non mi ascolta. È l’amico ad accorgersene perché gli mette una mano sulla spalla, a richiamare la sua attenzione.

«Will.» 

Non dà retta nemmeno a lui ed entrambi lo osserviamo estrarre trionfante un pacchetto di fazzoletti dallo zaino. Ne tira fuori un paio e poi mi afferra la spalla. Sono talmente sorpresa da quel suo gesto che non ho nemmeno il tempo di poter dire qualcosa o fare in modo che non mi volti a suo piacimento. Lo sento tamponarmi la schiena e chiudo gli occhi, mordendo il labbro inferiore fino a farmi male, consapevole di non essere vista.

«Non…» 

Non toccarmi, vorrei dirgli; le parole però non mi escono di bocca. Riesco a voltarmi per fare così un passo indietro, tanto che il retro delle ginocchia cozza contro il bordo della sedia. Ho il respiro e il cuore che accelerano a ogni secondo e sono quasi sicura che se Will smettesse di parlare a raffica, entrambi ne sentirebbero il rimbombo.

«Davvero, non importa. È solo caffè.» Mormoro infine e non lo so che cosa lo faccia allontanare quel tanto che mi basta per sentirmi nuovamente al sicuro, nel mio spazio vitale.

Forse la mano dell’amico che gli afferra la spalla sinistra e lo costringe a venire via fino a farlo salire di un gradino per tornare alla sua posizione iniziale. La mia di mano invece, la nascondo nella tasca posteriore dei jeans per evitare che la vedano tremare.

«Mi dispiace.» Aggiunge di nuovo Will e scuoto la testa per quella che conto essere la terza volta; la punta delle mie scarpe è tutto a un tratto interessante. 

L’amico al suo fianco si schiarisce la voce, forse a scusarsi lui stesso, trascinandosi poi Will lungo tutta l’aula, arrivando alla porta. Non alzo lo sguardo, ma sento il suo osservarmi un’ultima volta prima di uscire definitivamente.

Rimasta sola, arriva. Senza troppi ritardi.

Quella sensazione di avere lo stomaco in fiamme, quasi avessi bevuto del materiale simile a lava incandescente. Scende lungo la gola e si deposita sulla bocca dello stomaco, costringendomi persino ad alzare lo sguardo e a fissare il soffitto per una manciata di secondi che sembrano in realtà delle lunghissime ore.

È qualcosa che mi consuma da dentro e persiste fino a che non caccio finalmente giù il boccone che sa di amaro, rabbia e terrore.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 2 ***


 

capitolo
2





 

La fermata dell’autobus non è vicino a casa, sono sempre costretta a percorrere un buon tratto di isolato a piedi prima di poter scorgere il mio appartamento. Quei venti minuti che mi separano dall’università mi pesano ogni mattina, ma in questo momento me la prendo con calma. L’ultima lezione è ormai cominciata e non farò in tempo a tornare indietro per ascoltarne neanche metà.

Grazie, Will

I raggi del sole mi danno persino fastidio addosso, mi hanno ormai asciugato buona parte della maglietta che ora assomiglia più a carta vetrata che cotone. Inutile anche solo tenere addosso la giacca. 

Le case e gli appartamenti del quartiere che si susseguono ai lati del viale si assomigliano bene o male tutti, le fattezze sono molto simili tra di loro. Chi ha dei cancelletti a delimitare il perimetro, chi dei giardini curati, alcuni hanno dondoli e altalene per i più piccoli. L’unico particolare che accomuna le costruzioni sono quattro gradini di legno o pietra che conducono alla veranda e alla porta d’ingresso. 

Esattamente due case prima della mia, dall’altro lato della strada, ce n’è sempre una che attira la mia attenzione. È più vissuta delle altre e senza dubbio avrebbe bisogno di una bella ristrutturazione. Non so però chi vi abiti, ma ha di certo un proprietario. Il giardino è sempre curato, l’erba mai secca a differenza della maggior parte del vicinato. A nessuno importa di eccellere. C’è un senzatetto che vaga tranquillo, si chiama Sean. Non credo mi riconosca, ma mentre mi aggiusto la borsa sulla spalla muove un braccio nella mia direzione, in segno di saluto. Un’auto della polizia sta perlustrando il quartiere, è qualcosa che ultimamente succede spesso. Anzi, credo proprio stiano cercando qualcuno, ma deduco che ancora non l’abbiano trovato. 

L’auto di Dylan non è parcheggiata al solito posto dall’altro lato della strada, eppure non l’ho visto in università per tutta la mattina. Il suo appartamento dista appena un paio di case dopo la mia, sul lato destro della strada. Deve ridipingere il cancello ed io devo ricordarmi di riferirglielo il prima possibile; stona. Il mio di cancelletto avrebbe semplicemente bisogno di un po’ di olio perché cigola in modo sinistro sia quando lo apro che quando lo richiudo. 

Ho già le chiavi in mano mentre salgo i gradini di casa; la posta è ammucchiata sul tappeto d’ingresso - il postino non ne vuole sapere di lasciarla nella buca delle lettere a un paio di passi di distanza - e la raccolgo solo dopo aver appeso la borsa al solito gancio della parete. C’è molta pubblicità, ma sotto di essa sbuca infine una bolletta della luce e persino quella del gas; sbuffo rumorosamente, posando poi il tutto sulla mensola. C’è tempo per controllare.

Ho incrociato Kat uscendo dall’università, cosa ci facesse lì comunque non mi è ancora del tutto chiaro, ma so che mi resta ben poco tempo prima che si presenti a casa mia con il pranzo. Il corridoio lo attraverso alla cieca, sfilandomi la maglietta impregnata di caffè ormai secco; la lavatrice in bagno è ancora aperta e non esito a gettarvela dentro insieme al resto dei panni sporchi. Un paio di maglioncini di Dylan attirano la mia attenzione e come ci siano finiti proprio non me lo spiego. 

L’acqua della doccia impiega fin troppo tempo ad arrivare a temperatura, ma non mi preoccupo che possa essere successo qualcosa alle tubature come lo scorso inverno; profumo interamente di caffè. È una doccia veloce la mia, in neanche dieci minuti sono fuori avvolta in un asciugamano blu. Cammino poi verso la mia stanza, attenta a non scivolare per via dell’acqua che ancora gocciola dal mio corpo, nonostante abbia tamponato la maggior parte di essa dai capelli. Dietro di me c’è comunque una lieve scia d’acqua che si ferma giusto ai piedi del letto. Anche i jeans si sono macchiati di caffè e il paio che cerco è in lavatrice; sbuffo sonoramente, indossando una gonna sopra il ginocchio e una camicetta bianca con un motivo floreale per accompagnarla. La lavatrice deve partire al più presto. 

Torno in bagno solo per asciugare i capelli, che restano comunque umidi perché bussano più e più volte alla porta. Stacco l’asciugacapelli dalla corrente ripercorrendo di corsa il corridoio e rallentando solo per afferrare gli stivaletti lasciati in un angolo la sera prima. Immagino essere Kat, ma sbircio ugualmente dallo spioncino. Una Kat in miniatura mi mostra una busta di carta contenente il pranzo; le apro la porta con il secondo stivaletto ancora a penzolarmi per le stringhe.

«Ma non lo avevano arrestato?» Mi domanda la mia amica, salutando con un cenno della mano il senzatetto Sean dall’altro lato della strada.

Io mi sposto, lasciandola passare e stringendomi nelle spalle per allacciare una volta per tutte gli stivali; è lei a fissare la porta con la catenella di sicurezza.

«Credo lo abbiano rilasciato l’altro giorno.» Replico, muovendomi poi verso la cucina.

Kat posa sia la borsa contenente il cibo che quella della sua facoltà, poi sbadiglia rumorosamente portandosi però la mano alle labbra.

«Cinese» biascica, scrocchiandosi appena il collo. «Il cibo, intendo.» Sottolinea e annuisco recuperando due piatti e allungando i bicchieri di vetro; è Kat a prendere invece le posate e l’acqua dal frigorifero.

Il profumo del take away mi solletica le papille gustative, ma il profumo del caffè sulla pelle non sembra essersene del tutto andato.

«La cosa non mi sorprende.»

«Non ti sei scottata, vero?» Scuoto la testa, rovesciando il contenuto della scatola nel piatto.

«No, era freddo» replico, passando poi il primo a Kat che si sta già leccando i baffi. «Mi ha solo macchiato la maglietta e ormai credo sia persino da buttare.» 

Il discorso Will e caffè non si protrae oltre, è lei a raccontarmi qualcosa. Mi dice che al corso di teatro le hanno assegnato una parte orribile e che per questo sta persino prendendo in considerazione l’idea di lasciare la compagnia e ripresentarsi solo una volta che lo spettacolo sarà ormai fuori dalle scene. Scoppio a ridere e quasi mi strozzo con il cibo. So che scherza, ma a qualsiasi altra persona sono sicura che potrebbe sembrare seria. Kat è l’attrice di punta della compagnia, non potrebbero mai averle dato una parte orribile.

La mia migliore amica abita dalla parte opposta della città, ma dice sempre che non le piace, è troppo perfettina. A lei piace il caos e adora questo quartiere; io se potessi permettermi il suo, mi ci trasferirei di corsa. Più volte però ci siamo ritrovate a discutere di un suo possibile trasferimento qui, ma i suoi genitori non glielo permettono. La casa in cui vive la stanno ancora pagando e di rescindere dal contratto proprio non ne vogliono sentir parlare. Troppe sanzioni per almeno altri tre anni. 

Una volante della polizia sfreccia nuovamente a sirene spiegate, poi qualcuno bussa alla porta di casa. Kat mi guarda come a chiedermi se stessi aspettando realmente qualcuno; mi stringo nelle spalle perché certo che no. È Dylan a comparire da dietro lo spioncino, colto in flagrante nel buttare un mozzicone di sigaretta oltre il cancello. Sussulta quando apro la porta, poi un sorriso sornione si fa spazio sul suo viso, sorpassandomi e togliendosi la giacca.

«Mi dispiace, non lo farò più» mormora, riferendosi a quanto appena accaduto. «Ciao sorellina.» Mi schiocca un bacio sulla guancia, salutando Kat con un cenno della mano; lei è ancora seduta al tavolo, intenta a pranzare.

«Dylan, che ci fai qui?» Domando, allargando le braccia esasperata quando siede al mio posto, giocando con il cibo rimasto nel piatto che avevo tutta l’intenzione di mangiare.

«Ho visto l’auto di Kat parcheggiata qui fuori e sono passato a salutare.» Mormora, strizzando l’occhio a Kat che aggrotta le sopracciglia.

«Che pensiero gentile.» Replica, non nascondendo il sarcasmo impregnato nella voce. Dylan le manda un bacio, finendo infine ciò che si trova nel mio piatto, non senza essersi preso però una gomitata nelle costole.

«Non ho fatto colazione.» Si giustifica, leccandosi la salsa di soia dal labbro superiore; prendo posto dall’altro lato del tavolo, ché il mio non lo riavrò di certo nell’immediato futuro. «Kat, non dovresti lasciare qui la tua auto. È troppo vistosa.» La rimbecca Dylan dopo qualche secondo. Kat alza gli occhi al cielo, ma io sono stranamente d’accordo con lui: una Mini Cooper arancione è troppo appariscente in questo quartiere.

«Non prendo l’autobus e tanto meno un tram per venire fino a qui.» Ribatte, finendo l’acqua nel bicchiere.

Trattengo un sorriso perché in parte la capisco, in parte so che cosa sta pensando Dylan e lo dice prima che possa anche solo provarci io.

«Amore mio: se ti fottono la macchina, per tornare a casa dovrai farlo per forza.» Sogghigna mio fratello e Kat mi guarda con fare quasi implorante; mi stringo nelle spalle perché Dylan ha ragione in fondo. «Cecy, devi lavorare?» Annuisco e guardo poi l’ora: sono in ritardo.

«Kat, mi accompagni alla fermata?» Kat allarga le braccia esasperata e recupera la borsa.

«No, ti accompagno alla Biblioteca» replica e le sorrido perché di riprendere l’autobus non ho nessuna voglia. «Devo comunque andare alle prove.» 

So che la mia borsa è appesa all’ingresso, devo solo ricordare dove abbia messo il badge. È Dylan a indicarmelo con un cenno del capo, in bilico sulla penisola della cucina accanto alla mia solita barretta ai cereali. Gli lascio un bacio sulla guancia mentre raggiungo Kat, con le chiavi dell’auto già in mano.

«Sparecchia e chiudi bene quando esci.»

Non sento cosa risponde, ma con ogni probabilità, nient’altro che un’imprecazione. Riesco ad arrivare in anticipo di qualche minuto, me ne accorgo solo una volta passato il badge nel lettore; lo ritiro in fretta nella borsa quando la lucina verde me lo permette. Jules deve essere qui da questa mattina, il suo zaino è posato a terra accanto all'armadietto del primo soccorso; sicuramente in ritardo per non aver avuto modo di lasciarlo al solito posto. 

La spilla con il mio nome la trovo sempre sul tavolino accanto alla porta e non perdo tempo ad appuntarla sulla camicetta, proprio sopra il cuore; con me porto solamente l'iPhone, nel caso Kat o Dylan dovessero cercarmi. Jules lo vedo girare tra i corridoi con aria indaffarata, ma alza la mano in segno di saluto quando gli passo vicino, diretta al bancone.

L'iMac è in stand-by, il logo dell'università scompare e riappare a distanza di qualche secondo. Jules non ha scaricato la posta, dimentica di farlo costantemente e le e-mail si accumulano di ora in ora. Al momento non c'è nessuno a cercare aiuto, la maggior parte degli studenti presenti sono impegnati a studiare o a chiacchierare e tocca così a me. Le richieste oggi sono più del solito, circa cinquanta di esse sono arrivate solo nell'ultima ora e , Jules si è decisamente dimenticato di controllarle probabilmente da dopo pranzo.

Mi accomodo sulla sedia con un sospiro, cominciando a leggere la prima e mettendo in lista studenti su studenti per i libri più ricercati. Dev’esserci un esame piuttosto vicino perché sono ormai a metà dell’opera e quasi tutti stanno cercando di accaparrarsi lo stesso volume. Le copie in nostro possesso sono però terminate da giorni.

«Ciao Cecy» sobbalzo appena quando Jules mi posa una mano sulla spalla solo per sorpassarmi e recuperare un block notes alla mia sinistra. «Tutto bene?» Me lo chiede con la solita gentilezza che lo contraddistingue.

«Sì, ti ringrazio.» Replico, con la speranza che non invada nuovamente il mio spazio. «C'è molto da fare?»

«Non ne hai idea» sbuffa Jules, girando avanti e indietro alcune pagine con fare esasperato. «La signorina Penny mi ha lasciato una lista infinita e non credo nemmeno riuscirò a terminare prima della fine del mio turno.»

«Fammi dare un’occhiata.» Indico il block notes che tiene tra le mani e Jules me lo allunga, passandosi la mano destra tra i capelli, scompigliandoli appena. Trattengo un sorriso perché sembra distrutto.

«Ha chiamato anche la ditta di spedizioni, stanno per consegnare i nuovi volumi ordinati dall'università» mi informa mentre scorro l'elenco compilato dalla signorina Penny. «Dovrebbero arrivare a…»

Entrambi alziamo gli occhi solo per rivolgere il nostro sguardo verso la porta d'ingresso; il fattorino delle consegne è pronto a raggiungerci. Jules sospira appena, ma esibisce un sorriso degno da padrone di casa.

«Devo consegnare due scatoloni.» Il fattorino allunga verso Jules un modulo da firmare, che legge prima attentamente e poi scarabocchia per avvenuta ricezione.

«Certo, da questa parte.» Jules indica nuovamente la porta d'ingresso, ma è lui a fare strada verso il corriere, fermo a pochi passi dall'entrata; io continuo a leggere la lista della signorina Penny e sono estremamente grata a Jules per aver contrassegnato i compiti già svolti.

«Scusami.» 

Mi accorgo di sussultare solo perché la penna che tengo in bilico tra due dita mi scivola sul bancone, atterrando sulla tastiera; distogliendo lo sguardo dall'enorme monitor, incontro gli occhi del ragazzo dall'altro lato del tavolo. Lo riconosco immediatamente e lui deve fare lo stesso perché una sottile ruga di espressione gli compare tra le sopracciglia leggermente aggrottate.

«Non riesco a trovare questo libro. Ho guardato tra gli scaffali, ma credo lo abbiano già portato via. Puoi controllare anche tu?» Me lo chiede con gentilezza, ma la sua voce continua a essere bassa e pacata; annuisco, spostando la penna dalla tastiera e aprendo la pagina dell'archivio.

«Quale…» mi allunga in fretta un pezzo di carta, senza lasciarmi tempo di completare la domanda.

Il titolo è scritto con una calligrafia ordinata ed elegante; digitandolo nella barra di ricerca passa giusto qualche secondo prima che il nome del possessore compaia davanti ai miei occhi.

«È stato preso la settimana scorsa» il guizzo sulla sua guancia non mi sfugge. «Verrà riportato a breve, vuoi che ti metta in lista?» La mia è una domanda dettata dalla prassi e lui annuisce, aggiustando il MacBook che tiene in bilico sotto il braccio.

«Sì, grazie.» Replica semplicemente, spingendosi poi all'indietro i capelli con la mano destra; gli anelli che porta alle dita scintillano sotto le luci al neon.

«Ho solo bisogno del tuo tesserino.»

Di nuovo il ragazzo annuisce, recuperando il portafoglio dalla tasca dei jeans; il tesserino lo posa sulla superficie del tavolo, spingendolo poi verso di me con due dita. 

«Eccolo.»

Tatuato sulla pelle, tra pollice e indice, spicca un piccolo serpente. I caratteri dorati impressi in rilievo sul tesserino mi informano che il suo nome è Madden Harvey. Automaticamente compaiono il suo numero di matricola, la sua e-mail personale e il relativo numero di telefono che mi permettono di completare la procedura e restituire poi il tesserino.

«Riceverai un'e-mail non appena me lo avranno riportato.» Mormoro, allungandogli poi anche il pezzetto di carta con il titolo del libro.

«Ti ringrazio» Madden abbassa lo sguardo giusto all'altezza del mio seno, ma mi rendo conto che in realtà sta semplicemente leggendo il mio nome appuntato sulla targhetta che spicca sopra la camicetta. «Cecily.» Lo pronuncia in modo particolare e sono piuttosto sicura che le mie guance si siano colorate del solito rosso.

«Figurati.» Mi stringo appena nelle spalle, con un timido sorriso sulle labbra.

Madden mi guarda ancora qualche secondo, senza però dire nulla. Poi si volta diretto all'uscita e solo quando la distanza creatasi tra lui e me comincia a essere quella che voglio, sento il cuore tirare un sospiro di sollievo, tornando a battere a un ritmo quasi accettabile.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 3 ***


 

capitolo
3





 

Il posto in cui siamo mi piace, è così da sempre. La musica è tranquilla mai eccessivamente forte, non c'è bisogno di alzare la voce per essere sentiti dalla persona più vicina. I cocktail che servono sono buoni e anche l'imbottitura dei divanetti è comoda. Mi piace persino il fatto che mio fratello mi tenga gli occhi addosso da lontano, come se non sapesse che in realtà ne sono consapevole; eccome se lo sono. Sta chiacchierando con il solito gruppo di ragazzi che conosce da anni, con l'immancabile sigaretta tra le labbra. Ci sono relativamente poche cose che desidero dalla vita e una di queste è che Dylan si levi quel vizio che porta con sé da ormai troppo tempo; eppure di cambiare idea non ne vuole proprio sapere. 

Kat, seduta al mio fianco, sta muovendo la testa a tempo di musica, ma tiene gli occhi chiusi; non lo vede il sorriso che mi spunta sul viso quando mi rendo conto dell'espressione di eterna beatitudine che si fa spazio sul suo volto. Prendo un sorso dal bicchiere che tengo tra le mani prima che Kat apra gli occhi e mi sorrida, avvicinandosi fino a sfiorarmi la guancia con le labbra dipinte di rosso.

«Grazie per essere qui, significa tanto per me» me lo dice a voce bassa e il suo respiro sa appena di Mojito. «Ti voglio bene.»

«Ti voglio bene anche io.»

Kat tende a diventare sdolcinata quando beve qualcosa di troppo, ma questa sera glielo permetto. Anzi, sono persino contenta che lo sia. Stiamo festeggiano la prima messa in scena dello spettacolo teatrale e il suo ruolo era tutto fuorché una parte orribile. 

Seduti al tavolo con noi ci sono i suoi colleghi di corso e sono tutti attori bravi tanto quanto lei; alcuni parlano tra di loro, altri sorseggiano soddisfatti i loro drink. Kenan, il ragazzo di colore seduto esattamente di fronte a Kat, le sorride e alza la mano che tiene ben salda la bottiglia di birra ormai quasi vuota, attirando l'attenzione dei presenti.

«A Kat» mormora, inumidendosi le labbra. «Senza la quale saremmo ancora in mezzo a una strada, a provare nel seminterrato di Adrien e a fare finta di essere qualcuno.»

Kat ha le guance in fiamme quando tutti si uniscono al brindisi, facendo cozzare gli uni contro gli altri bicchieri e colli di bottiglie.

«Ti vogliamo bene.» Fa eco Judy; i rasta sono acconciati in un nodo scomposto sopra il capo.

Sento Dylan al mio fianco posarmi una mano sulla spalla, ma abbassarsi all'altezza di Kat.

«Anche se non sei tutta questa grande bravura che i tuoi amici millantano tanto.» La prende in giro. Kat non esita a sferrargli una gomitata sulle costole, ma sorride quando mio fratello le bacia la guancia, facendovi schioccare le labbra due, tre volte di seguito.

«Grazie a voi per avermi permesso di unirmi al vostro gruppo» a Kat luccicano gli occhi. «Siete la mia seconda famiglia.»

Le stringo la mano senza pensarci due volte. Non conosco bene queste persone, è la terza volta che li incontro, ma sembrano tenere a Kat tanto quanto Dylan e me e questo mi basta; i bicchieri e le bottiglie cozzano nuovamente in un secondo brindisi. La musica aumenta appena qualche minuto più tardi e due ragazze si alzano dai divanetti per raggiungere Kat e trascinarla poco più in là, dove gente più coraggiosa di altra sta ballando ormai da un po’. Kat di certo non si sottrae, ma io scuoto la testa quando mi tende la mano, quasi a convincermi ad accompagnarla. Non insiste quando rifiuto una seconda volta; la mia risata deve echeggiarle nelle orecchie mentre in equilibrio precario raggiunge il centro del locale, solo per lasciarsi andare a una strana danza.

«Vado a prendere una boccata d'aria.» Dylan si abbassa per mormorarmelo all'orecchio, con il bicchiere ancora stretto in mano.

«Dovresti lasciare qui le sigarette allora.» Borbotto, alzando gli occhi al cielo.

La risata di Dylan non la vedo, la sento e basta quando mi bacia la guancia, lasciandosi dietro il suo immancabile profumo. Finisco il cocktail con calma, giocando poi con la cannuccia nera e facendo sciogliere l'ultimo cubetto di ghiaccio rimasto sul fondo.

Non certo per mancanza di rispetto, ma al tavolo si sono creati gruppi distinti: chi guarda lo schermo del telefono passandolo poi al vicino per mostrare qualcosa; chi è intento a osservare qualcuno in particolare all'interno del locale; chi cerca di attirare l'attenzione delle cameriere e chi, come Kenan e Judy, parla invece tra di loro. 

Non posso fare a meno di origliare la loro conversazione: Kenan si sta lamentando perché è indietro con lo studio e tra un paio di settimane dovrà sostenere un esame per il quale non è minimamente preparato. Aggiunge però che non può permettersi di fallire o si accavallerebbe con quello successivo, mandandolo in rovina. 

Judy annuisce e gli posa una mano sulla spalla, come a volerlo confortare, a dirgli di non preoccuparsi più di tanto, che lo passerà senza dubbio. Anzi, ne è così sicura da azzardargli addirittura una promessa: pagherà il suo ingresso al Rijksmuseum. A Kenan s’illuminano gli occhi e mi ritrovo io stessa a sorridere perché quel gesto è qualcosa di estremamente gentile. Judy però poi sbuffa e la sento lamentarsi di come l'ultima volta che vi ha messo piede, l'operatore che guidava la visita scelta sembrava essere uscito da un'enciclopedia e la sua voce robotica l'abbia costretta a dimezzare il suo soggiorno all'interno del museo.

«Credo di aver capito a chi tu ti stia riferendo.» Avvicino la poltroncina al tavolo, con gli occhi di Judy e Kenan fermi sui miei.

«Era un signore tutto impettito, sembrava stesse recitando a memoria un libro» mormora Judy, scuotendo la testa. «Non guardava nemmeno l'opera che stava illustrando!» Scoppio a ridere alla sua affermazione perché , Judy ha perfettamente ragione.

«È il signor De Witt, si occupa principalmente delle scolaresche» spiego, portandomi i capelli oltre le spalle. «Lo sa che tanto non gli darebbero retta come invece lui vorrebbe.» Kenan aggrotta appena le sopracciglia mentre Judy scivola sulla poltroncina che ci divide.

«Ti chiami Cecily, vero?» Judy me lo chiede senza nessuna cattiveria nella voce, ci siamo presentati solo la prima volta in cui Kat mi ha portato con lei.

«È l’amica di Kat» fa eco Kenan. «Era con lei a uno spettacolo qualche settimana fa.» Annuisco alla sua affermazione, ma Judy continua a osservarmi come se non ne fosse del tutto convinta.

«Perché hai un viso familiare?» Mi stringo nelle spalle a quella domanda, ma non ho tempo di formulare una risposta perché lei stessa schiocca le dita, quasi si fosse ricordata di me in questo preciso momento. «Ma certo, che stupida! Ti ho già vista al Rijksmuseum, non è vero? Mi hai strappato un biglietto non troppo tempo fa.»

«Può essere, certo» mormoro quasi imbarazzata. «Lavoro lì un paio di volte alla settimana.» Il sorriso di Judy si allarga e la sua espressione cambia totalmente.

«Sei così fortunata.» Sospira, posandomi poi una mano sul braccio; sussulto appena, ma spero che non se ne sia resa conto.

«La prossima volta che hai intenzione di venire, fammelo sapere. Ti prometto che farò in modo di farti da guida io stessa» Judy annuisce così in fretta che la crocchia nella quale ha intrecciato i suoi rasta rischia di sciogliersi. «Non recito a memoria un’enciclopedia e presto attenzione a ciò che illustro.» Glielo dico perché conosco il modo di lavorare del signor De Witt e non augurerei a nessuno interessato davvero all’arte di finire nelle sue grinfie.

«Sei la migliore.» Arrossisco alle sue parole, abbassando leggermente persino lo sguardo.

«Ho deciso che almeno una volta al mese comprerò un biglietto per ogni museo qui ad Amsterdam» borbotta Kenan e sembra lo stia promettendo più a sé stesso che per renderci partecipe dei suoi piani. «E quando sarò ricco, girerò quelli di tutto il mondo.»

«Quando sarai ricco pagherai anche gli ingressi miei e di Cecily.» Fa eco Judy, strizzandomi l’occhiolino.

«Oh assolutamente» esclamo, pizzicandomi la punta del naso. «Quando sarete in uno dei tanti musei, fatemelo sapere. Lavoro praticamente in ognuno di essi qui in città.»

«Vuoi essere la mia migliore amica?» Questa volta la mano di Judy afferra direttamente la mia.

«Tesoro mi dispiace, ma quel posto è già occupato.»

Kat si materializza al mio fianco facendo scoppiare a ridere di gusto Judy; deve aver bevuto dell’altro perché il suo equilibrio è peggiorato notevolmente e l’odore di alcool è più persistente rispetto a poco prima. Riesce però a sedersi sulla poltroncina, guardandosi intorno come alla ricerca di qualcosa o di qualcuno; mio fratello non è ancora rientrato. 

La mia migliore amica riesce a sostenere la nostra conversazione fino a quando non si accascia pian piano sul bordo del tavolo, assicurandoci però che sta bene, che vuole solo chiudere gli occhi un paio di secondi; non dobbiamo assolutamente preoccuparci, ci sta prestando attenzione. 

Judy mi sta raccontando che non è mai uscita dal paese ed è una cosa che detesta profondamente perché come può diventare un’attrice teatrale famosa in tutto il mondo? Kenan è d’accordo con lei, nonostante lui di viaggi ne abbia collezionati in abbondanza. Soprattutto in Europa, anche se la sua meta prediletta è New York. Lui sa di appartenere a Broadway

Dylan mi passa accanto, posandomi una mano sulla spalla e borbottando qualcosa quando Kat si muove, lasciando che la sua guancia si fermi sul mio braccio.

«Avresti dovuto tenerla sveglia.» Mormora Dylan, posizionandosi dietro Kat con tutto l’intento di sollevarla.

«E tu evitare che bevesse ancora.» Replico dandogli una leggera gomitata, ma spostandomi per fargli spazio.

«Kat» mormora Dylan al suo orecchio, scrollandola gentilmente. «Bimba, dobbiamo andare. Non puoi dormire qui.» Kat mugugna qualcosa e sposta le mani di mio fratello con il chiaro intento di non prestargli la minima attenzione; trattengo una risata, non sarà facile.

«Kat dico davvero: dobbiamo andarcene.» Ripete Dylan e questa volta Kat sembra dargli ascolto perché si alza, mettendosi seduta. Mio fratello le sorride, pensando di aver già avuto la meglio. 

«No, puoi andare tu a casa. Io resto ancora un po’ con i miei amici.» Ribatte Kat, biascicando un po’ le parole e sventolandogli una mano davanti al viso; Dylan trattiene un’imprecazione tra i denti, alzando gli occhi al cielo.

«E va bene» mormora più a sé stesso che a Kat, poi si passa una mano tra i capelli, abbassandosi nuovamente per sollevarla dalla sedia e caricarsela su una spalla, come se pesasse zero. «Cecy, prendi la sua borsa e la sua giacca.» 

Sbuffo come una bambina capricciosa, ma obbedisco recuperando tutto dalla sedia accanto; Judy e Kenan si alzano di conseguenza, mentre io seguo Dylan fuori dal locale. Kat sta mormorando qualcosa, ma nessuno sembra darle retta; mio fratello si tasta le tasche alla ricerca delle chiavi dell’auto, poi impreca sonoramente perché non siamo qui con la sua macchina. Le chiavi di Kat sono nella sua borsa e gliele allungo in fretta.

«Dobbiamo recuperare la mia auto a casa sua. Vieni con me?»

«Neanche per idea» replico fin troppo in fretta, aggiustandomi la borsa sulla spalla. «L’ultima cosa che voglio è sentirti discutere con lei, per di più ubriaca. Ti aspetto qui.» Aggiungo svelta. Dylan alza gli occhi al cielo, ma allunga un braccio in modo che possa lasciargli la giacca e la pochette di Kat.

«Faccio il prima possibile.» 

Annuisco alle sue parole, osservandolo attraversare la strada per raggiungere la Mini Cooper arancione di Kat. A poca distanza da me, a bordo del marciapiede, un gruppetto di amici di Kat è intento ad ammirare qualcosa e mi rendo conto che si tratta di una motocicletta solo quando raggiungo Judy.

«Questa moto è fantastica!» Esclama un ragazzo il cui nome al momento mi sfugge.

«Vorrei ben dire: è una Yamaha XSR900» fa eco Judy, stringendosi nelle spalle con aria ovvia. I due ragazzi si voltano nella sua direzione, come se avesse appena detto qualcosa di straordinario. «Mio padre ne aveva una uguale.»

«Venderei un rene per potermela permettere.» Borbotta il ragazzo, allungando una mano quasi volesse toccarla.

«Non credo te ne basti uno, proverei a venderli entrambi se fossi in te.» 

Il ragazzo, colto in fallo, fa un passo indietro e tutti noi non esitiamo a voltarci nella direzione della voce; sussulto sul posto nello stesso momento in cui lo riconosco: è Madden. Non credo lui riesca però a fare lo stesso con me, ma d’altronde è passata più di una settimana da quando ci siamo visti in Biblioteca. Attorno al suo viso c’è una leggera nuvola di fumo proveniente dalla sigaretta che tiene in bilico tra le labbra; sta sorridendo e una fossetta infantile gli compare sulla guancia.

«Già, ma a quel punto sarei comunque morto.» Replica il ragazzo. Madden si stringe nelle spalle avvicinandosi alla motocicletta; deduco ne sia il proprietario.

«È un modello fenomenale.» Fa eco Kenan. 

Madden fa un debole cenno con il capo, posando poi i suoi occhi su di me. È appena un secondo perché distolgo lo sguardo nel momento stesso in cui i miei occhi incrociano i suoi. Non sento che cosa risponde, la suoneria di un telefono, il suo, interrompe il discorso e una macchina blu si ferma nelle nostre vicinanze. 

«Cecily, hai bisogno di un passaggio?» La voce di Judy mi fa sussultare, ma scuoto la testa.

«No, ti ringrazio.» 

Judy sorride e annuisce, salutandomi con un cenno della mano; sa che ci rivedremo presto. Osservo l’auto sparire oltre la strada; il marciapiede sembra essersi svuotato, c’è solo un piccolo gruppo di persone poco più giù, intente forse nel decidere sul da farsi.

«Non dovresti restare da sola qui fuori.» La voce di Madden è bassa mentre digita qualcosa sullo schermo del suo iPhone, le gambe toccano la motocicletta; la sigaretta la tiene ancora in bilico tra le labbra.

«Sto aspettando mio fratello.» Mormoro, stringendomi nelle spalle. Madden annuisce, togliendosi dalla bocca la sigaretta ormai quasi del tutto consumata, poi si passa una mano tra i capelli, scompigliandoli più del necessario. Si avvicina di un solo passo, abbassando leggermente il capo.

«Se hai bisogno, sono nel locale qui di fronte.» Me lo dice in un tono che non riesco a comprendere, ma non ho neppure il tempo di poter dire o fare niente perché mi ha già voltato le spalle, lasciandosi dietro la cicca della sigaretta. 

Attraversa la strada in fretta, guardando sia a destra che a sinistra; il locale dall’altro lato della strada non ha niente a che vedere con quello dal quale sono appena uscita io. Lì la musica è forte e la fila di persone in attesa di entrare costeggia tutto il marciapiede lungo l’isolato. Il buttafuori, totalmente vestito di nero, controlla costantemente una cartellina sulla quale immagino esserci scritta una lunga lista di nomi. 

Madden gli posa semplicemente una mano sulla spalla e lui diligentemente lo lascia passare senza quasi guardarlo in viso, sotto visibili proteste delle persone che ancora stanno aspettando di poter entrare. Mi accorgo troppo tardi che il gruppo di ragazzi in fondo al marciapiede si trova ora praticamente alle mie spalle; non li ho sentiti avvicinarsi, troppo intenta a osservare i movimenti di Madden. 

Un ragazzo di colore, con una giacca di pelle nera lasciata aperta su una camicia sbiadita a scacchi blu e verdi, mi si affianca posandomi una mano sulla spalla. Sussulto troppo in fretta, ma spero che non si sia reso conto di quel mio gesto, nonostante il sorriso che si apre sul suo viso mi faccia presagire tutto il contrario. Deglutisco, ignorando il senso di nausea che mi blocca lo stomaco; forse non avrei dovuto bere quel cocktail.

«Non volevo spaventarti; hai una sigaretta?» Me lo chiede avvicinandosi fin troppo, invadendo il piccolo spazio personale e sicuro che mi sono creata.

«No, mi dispiace. Non fumo.» Replico in fretta, abbassando lo sguardo.

Il ragazzo ha un pacchetto di sigarette nella tasca destra dei jeans, ne riconosco la forma. Mormora poi qualcosa che immagino essere semplicemente un verso di disappunto, ma la sua mano di spostarsi dalla mia spalla non ne vuole proprio sapere; il cuore mi batte fin nelle tempie.

«Che peccato, saresti stata dannatamente attraente con una sigaretta tra le labbra.»

Il sorriso appena accennato di poco fa diventa ora lascivo e l’unica cosa che spero è che mio fratello arrivi in fretta o che lui lasci semplicemente la presa, allontanandosi da me.

«La mia vita mi piace fin troppo perché una sigaretta dopo l’altra mi uccida. Però ti ringrazio.» Mi mordo il labbro subito dopo aver pronunciato quella frase, che come diavolo mi sia uscita nessuno lo saprà mai.

Il ragazzo scoppia a ridere, trascinando con sé anche i due ragazzi appena dietro di lui. Dall’altro lato della strada nessuno sembra essere interessato a ciò che succede oltre i loro occhi, sono tutti troppo occupati a lamentarsi contro persone che il buttafuori lascia passare prima di altri. Vorrei che Madden fosse rimasto fuori, io non ho di certo il coraggio di attraversare la strada per cercarlo. E comunque non riuscirei a entrare nel locale, il buttafuori non me lo permetterebbe. 

«Che cosa ci fai qui tutta sola?» Il ragazzo me lo chiede con fare realmente interessato, come se fossimo amici di lunga data.

«Sto aspettando che mio fratello passi a prendermi per tornare a casa.» Mormoro e nemmeno so perché io gli stia dicendo la verità.

Avrei dovuto di sicuro inventare qualcosa di diverso, qualcosa che mi mettesse al sicuro. Il ragazzo controlla l’orologio al polso, poi si stringe nelle spalle.

«Così presto? Perché invece non vieni con noi?» La presa su di me si stringe appena; chiudo gli occhi deglutendo una seconda volta. Nella mia testa sento la mia stessa voce urlare a squarciagola di lasciarmi andare, subito. «In fondo all’isolato c’è un locale migliore di questo, non dovremmo fare nemmeno la fila.» Mi stringe la spalla come se avesse già deciso; non ci sono altri locali qui intorno. 

«No, io…»

Non so se sia lui a lasciare la presa di sua spontanea volontà, facendo altresì un passo indietro, o perché il clacson dell’auto di mio fratello mi fa sussultare quando si ferma esattamente di fronte al marciapiede. Non mi guardo indietro, salgo semplicemente in auto allacciandomi la cintura di sicurezza così in fretta da pizzicarmi persino il dito.

«Tutto a posto, Cecy?» Annuisco veloce alla domanda di Dylan, mentre ingrana nuovamente la marcia solo per recuperare spazio e fare inversione bruscamente.

«Kat?» Chiedo poi, sedendomi meglio; spero che la mia voce non sia realmente come ha suonato alle mie orecchie.

«Crollata come un sasso.» Dylan alza il volume della radio quando costeggiamo l’altro marciapiede.

Mi volto consapevole che un paio di occhi verdi stanno aspettando solo quel mio movimento. Madden è fermo sulla porta del locale, spalla a spalla con il buttafuori. Ha una nuova sigaretta tra le labbra. Dylan rallenta per lasciar attraversare un paio di ragazze.

Lo sguardo di Madden è fermo nel mio, con un’unica espressione dipinta in viso: se non fosse arrivato mio fratello, la prossima mossa sarebbe stata la sua.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 4 ***


 

capitolo
4





 

Dev’essere saltata la corrente a un certo punto della notte; anzi ne sono profondamente convinta perché i numeri che lampeggiano sul display della mia sveglia digitale sono quattro ovali, divisi dai classici due punti. No, non può essere solo mezzanotte. 

Sentendo caldo senza un apparente motivo, mi scosto la coperta dalle gambe; la temperatura nella stanza è tutt’altro che piacevole, forse per via dei pantaloncini che indosso al posto del solito pigiama lungo. Nemmeno l’abat-jour dà segni di vita e mi ritrovo a sbuffare più del necessario, cercando a tentoni il cellulare per creare un minimo di luce. Devo però attraversare mezza camera da letto prima di trovarlo attaccato invano alla corrente sulla scrivania; sono le tre e trenta del mattino.

Scopro che è scattato il salvavita del contatore solo una volta raggiunta la cucina. Non ho però lasciato acceso nulla che possa aver causato tutto ciò, sono stata attenta a spegnere l’asciugatrice prima di andare a dormire. Dal divano recupero una coperta avvolgendomela attorno alle spalle e giro due volte la serratura della porta di casa; il contatore generale si trova sul lato destro dell’appartamento, in cortile accanto all’entrata del ripostiglio. 

Un cane abbaia in lontananza e sussulto quando appena qualche istante più tardi un gatto emette un suono piuttosto sinistro dall’altro lato della strada. I lampioni del viale non funzionano correttamente, alcuni di loro emettono una luce fioca e precaria, come se potessero spegnersi da un momento all’altro, lasciandoci tutti nel buio più totale. 

Scendo gli scalini in fretta, attenta però a non inciampare nella mattonella rotta sull’ultimo gradino; è così da sempre e io rischio d’incapparci almeno una volta al giorno. Le due levette principali del contatore sono rivolte verso il basso, eppure continuo a non capire cosa possa aver causato l’interruzione della corrente. Non appena le riporto nella loro collocazione originale, la luce della veranda prende vita, permettendomi di tirare un sospiro di sollievo. Il che però non ha lunga durata perché appena chiudo lo sportellino, pronta a tornare in casa, qualcuno a poca distanza alza la voce. Sobbalzo sui miei stessi piedi, rischiando di far cadere al suolo il telefono ancora luminoso tra le mie mani.

Non è una persona sola a parlare, sono due. Forse persino tre. Mi avvicino al cancelletto con l’intento di sbirciare, giusto a controllare che nessuno si sia avvicinato troppo; il flash del telefono si affievolisce fino a scomparire. La casa con il proprietario a me sconosciuto sembra aver preso vita: una persona è all’interno del giardino, altre due sono al di fuori di esso e la luce della veranda illumina buona parte dell’abitazione.

La prima voce che ho sentito appartiene a una donna. È piuttosto anziana e sembra essere nella mia stessa condizione: con una coperta intorno alle spalle. Forse è saltata la corrente anche da lei, eppure la presenza di due uomini, appena al di fuori del suo cancello, non mi convince a pieno; ho quasi l’intenzione di chiamare Dylan.

«Bart, te l’ho già detto…»

«Non mi toccare, Clint.» Il braccio dell’uomo, posato sulla spalla dell’altro come a trattenerlo dal muoversi, viene scansato con facilità.

«Non puoi stare qui» la voce della signora anziana è flebile, ma secca e ferma. «Lo sai bene.»

«Questa è casa mia» l’uomo chiamato Bart invece ha un tono strascicato, sembra persino ubriaco. «Ho il diritto di entrare.»

«No Bart, c’è una cazzo di restrizione nei tuoi confronti!» La voce del secondo uomo sovrasta quella di Bart e mi ritrovo a stringere il cancelletto senza che quasi me ne renda conto. «Sei ubriaco fradicio, devi andartene prima che qualcuno ti senta e chiami la polizia. Ti sbatteranno dentro non appena ti vedranno in questo stato. Il solo fatto di esserti avvicinato…»

«Chiudi quella cazzo di bocca!» Urla Bart, interrompendo il discorso dell’uomo chiamato Clint. «Mamma, apri questo maledetto cancello e fammi entrare.» Il suo ordine viene ignorato dalla donna, la quale si rivolge all’altro uomo.

«Non riesco a rintracciare mio nipote, Clint.» Abbassa leggermente la voce, come se non volesse farsi sentire dal figlio intento a forzare la serratura del cancello. Clint scuote appena la testa, prendendo per le spalle l’ubriaco Bart, riuscendo in qualche modo a farlo indietreggiare.

«Sta arrivando, l’ho chiamato non appena ho visto Bart aggirarsi qui intorno.» Replica, masticando un’imprecazione tra i denti quando Bart prova a divincolarsi dalla sua stretta, rischiando persino di prendersi una testata per un movimento fin troppo brusco. La donna sembra sollevata dalla sua affermazione, ma fa comunque un passo indietro, nonostante il cancello piuttosto alto la protegga.

«Per l’amor di Dio, Bart» mormora e sembra trattenersi dal voler urlare qualcosa in più; non c’è nessuno in giro. «Vedi di calmarti, non puoi entrare.»

«Lascia solo che riesca a togliermi questo tizio di dosso e…»

Non so in che modo concluda la sua minaccia, il rombo del motore di una motocicletta sovrasta la sua voce e si avvicina; il fanale illumina buona parte del viale. Perdo di vista la scena principale solo per concentrarmi sull’ultimo arrivato: arresta la moto in mezzo alla strada, calciando il cavalletto con facilità e in tutta fretta per scendere dal veicolo il prima possibile.

Non indossa il casco, ma si passa velocemente la mano tra i capelli quando raggiunge i due uomini; i pugni sono stretti lungo la vita. Afferra l’uomo di nome Bart, allontanandolo da Clint; è più esile rispetto a entrambi, ma compie quel gesto con estrema facilità, come se non gli costasse nessuna fatica.

«Che cazzo ci fai qui?» Domanda il ragazzo, strattonando l’uomo e facendolo barcollare sulle sue stesse gambe. «Sono le tre di notte e sei ubriaco fradicio, pezzo di idiota.» Spintonandolo, l’uomo finisce nuovamente contro Clint, il quale è costretto a trattenerlo quando l’altro sembra voler controbattere la mossa del ragazzo.

«Questa è casa mia!» Afferma nuovamente Bart, provando a districarsi dalla morsa nel quale l’altro uomo lo sta braccando.

«No che non è casa tua» ribatte il ragazzo, chiudendo per bene la serratura del cancello, in modo che l’ubriaco non possa provare ad aprirlo nuovamente. «Non puoi stare qui, qualcuno chiamerà la polizia.» Aggiunge in fretta, passandosi nuovamente la mano tra i capelli, quasi a voler scacciare un ciuffo ribelle dagli occhi.

«Che ci provino» borbotta a mezza voce, sfuggendo quasi dalla presa di Clint. «Mamma, apri questo dannato cancello!» Urla nuovamente e sembra non avere nessuna paura che qualcuno possa allertare la polizia; il ragazzo impreca tra i denti.

«Nonna, torna dentro per favore» mormora poi, allungando una mano verso l’ubriaco che ancora tenta di divincolarsi. «Io arrivo subito.»

«Madden, giuro su Dio che te la farò pagare.» La voce di Bart assume un tono minaccioso; io sobbalzo non tanto a quella minaccia, ma a causa del nome che pronuncia.

Madden.

«Da quanto tempo è qui?» Domanda il ragazzo, assicurandosi che sua nonna resti al sicuro all’interno dell’abitazione. Dà le spalle al cancello, così da evitare che Bart possa aprirlo.

«Da un po’» replica Clint; Madden lo riconosco solo adesso. «Sono uscito a buttare la spazzatura e l’ho visto aggirarsi per il quartiere. Ti ho chiamato non appena ho capito che voleva provare a entrare in casa.» Madden impreca nuovamente e lo vedo serrare i pugni lungo i fianchi, come a trattenersi dal compiere qualsiasi movimento avventato.

«Bart, non lo ripeterò di nuovo» sembra abbassare la voce. «Sparisci da qui e non avvicinarti un’altra volta.» Le sue sono parole al vento perché l’uomo scoppia a ridere, non curandosi dell’eco che quel gesto produce; Madden e Clint si guardano intorno, ma tutto sembra tacere.

«Ho il diritto di entrare in quella casa, appartiene a me tanto quanto a te.» La voce è più strascicata di prima e un brivido mi percorre entrambe le braccia, causandomi la pelle d’oca.

«Quella casa è della nonna e tu non puoi stare qui. Cazzo Bart!» Madden allarga le braccia, non rendendosi conto di aver alzato la voce; lo stesso cane di prima abbaia nuovamente, come se volesse avvisarli di fare silenzio, che nessuno vuole essere disturbato a quest’ora di notte.

«Bart, tuo figlio ha ragione.» Fa eco Clint, continuando a serrare le mani sulle spalle dell’uomo.

«Mio figlio è un grandissimo…» i lampeggianti di una volante della polizia prendono vita, emettendo un paio di volte un rumore grave, quasi a voler professare la propria comparsa. «Figlio di puttana!» 

Non saprei dire se l’appellativo di Bart sia riferito a Madden oppure all’auto che si sta avvicinando, ma sono fermamente convinta che le due cose siano strettamente collegate.

Un agente scende dalla volante, fermando l’auto con il motore acceso appena dietro la moto di Madden; qualcuno ha davvero chiamato la polizia. Bart tenta nuovamente di divincolarsi, come a voler scappare da lì il prima possibile, ma Clint non lo lascia andare e Madden si assicura che non possa muoversi. L’agente si affianca a Madden, sfiorando la pistola che tiene al sicuro nella fondina agganciata ai pantaloni della divisa.

«Bart» lo chiama per nome e sembra lo conosca bene. «Che diavolo stai combinando?» Domanda poi l’ovvio, aggiustandosi il cappello sopra la testa; ha un tono di voce persino annoiato.

«Questa è casa mia!» Replica Bart per quella che deve essere l’ennesima volta, ma a nessuno dei presenti sembra importare più di tanto.

«Oh lo so bene, è proprio per questo che ti trovi con una restrizione secondo la quale non ti puoi avvicinare a essa, non è vero?» L’agente lo prende in giro, sganciando però le manette pronto a farle scattare intorno ai polsi di Bart. Lui impreca nuovamente e vedo Madden fare un passo avanti quando Clint è costretto a lasciarlo andare per consegnarlo al poliziotto.

«Agente Michaels» mormora Madden, come se non volesse attirare troppo l’attenzione. «Per favore…»

«Mi dispiace Madden, ma tuo padre deve venire con me» lo interrompe, senza nessuna prepotenza nel tono di voce. «Lo tratterrò in centrale a smaltire la sbornia. Non dirò a nessuno che si aggirava nei pressi di casa.» Aggiunge poi in fretta, serrando i polsi di Bart con le manette sotto le sue imprecazioni più cattive.

«Grazie.» Borbotta Madden con un cenno del capo.

«Tua nonna sta bene?» Domanda poi l’agente Michaels e Madden annuisce appena, voltando la testa verso l’ingresso di casa.

«Sì, vado a dirle che è tutto a posto» replica, aprendo il cancello di casa. «Buonanotte, mi dispiace per il disturbo.» Lo richiude con un giro di chiave, sparendo all’interno dell’abitazione.

L’agente fa entrare a fatica Bart nell’auto, ma riesce al secondo tentativo grazie all’aiuto di Clint, il quale sta mormorando qualcosa, troppo a voce bassa perché possa cogliere. Il poliziotto sparisce poi all’interno della volante, spegnendo i lampeggianti e salutando con un cenno della mano Clint, prima di sorpassare la moto di Madden. Clint aspetta qualche istante, con le mani nelle tasche dei pantaloni logori; Madden esce di casa un paio di minuti più tardi.

«Grazie Clint.» Mormora Madden, con la voce stanca; vedo Clint annuire e posare una mano sulla sua spalla.

«Sono sempre qui» replica, con un cenno del capo. «Buonanotte Madden.»

Clint si defila camminando con calma, ma svoltando subito a destra, nella casa adiacente a quella della nonna di Madden. Mi ritrovo a tirare un sospiro di sollievo e sono quasi tentata di sparire all’interno del mio appartamento. Madden si assicura che il cancello sia ben chiuso prima di allontanarsi; non raggiunge però la sua motocicletta, attraversa la strada e si dirige verso di me. 

Il cuore prende a battere contro la gabbia toracica a un ritmo più forte del normale e sono indecisa se fare un passo indietro tentando di nascondermi nell’ombra, o se salire i gradini in tutta fretta, così da allontanarmi quanto più possibile da lui. Eppure non sono in grado di compiere un singolo passo, riesco solo a seguire i suoi movimenti, fino a quando non arresta i suoi passi a qualche centimetro dal mio cancelletto, che se volesse si aprirebbe senza alcuno sforzo.

«Non ho chiamato io la polizia.» Glielo dico in fretta, sperando vivamente che mi creda; le labbra si muovono appena in quello che deduco essere un mezzo sorriso.

«Lo so» replica, prendendo poi un lungo respiro. «Sono stato io.» Aggiunge e mi ritrovo a fare un passo in avanti, verso di lui.

«Ma tuo padre…»

«Non dovresti immischiarti in affari che non ti riguardano» questa volta che mi interrompe bruscamente, ma pare pentirsene l’istante dopo perché lo vedo scuotere la testa. «Qualche ora fa mi sembrava di averti detto che se avessi avuto bisogno, sarei stato proprio nel locale di fronte.»

All’improvviso ho la bocca secca: Madden sa perfettamente con chi sta parlando in questo preciso istante e sono del tutto sicura che mi avesse già riconosciuto anche allora.

«Non sarei stata abbastanza veloce da sfuggire a quel ragazzo e il buttafuori non mi avrebbe di certo lasciata passare.» Glielo dico stringendomi nella coperta che ancora porto sulle spalle; Madden sorride di nuovo.

«Stavo uscendo quando è arrivato tuo fratello» mormora, inarcando appena il sopracciglio sinistro. «Ti avevo avvertito di non restare da sola.»

«So badare benissimo a me stessa.» Madden annuisce alle mie parole, inumidendosi poi il labbro inferiore per trattenerlo appena tra i denti.

«Non ho alcun dubbio» replica, posando ora entrambe le mani sul cancello; il piccolo serpente tatuato sulla mano spicca sulla pelle tanto quanto gli anelli che porta alle dita. «Non dovresti comunque restare qui fuori a quest’ora, Cecily.» Aggiunge, indicando con un cenno del capo la porta alle mie spalle.

«Come fai…»

«Ho una buona memoria» m’interrompe per la terza volta, lasciando la presa sul ferro e facendo un passo indietro. «Io sono Madden, comunque.» Mi sposto verso i gradini, con il cuore che sembra voler esplodere e la sensazione di oppressione alla gola che scema pian piano.

«Conosco il tuo nome, ho una buona memoria anche io.»

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 5 ***


 

capitolo
5





 

«Quindi sì, sono stato in Marocco e ho preso accordi con lo Sceicco più importante: mi darà sei cammelli in cambio di mia sorella.»

«Che cosa?» Mi giro di scatto verso Dylan, rischiando che il cucchiaio ricolmo di latte e cereali finisca dritto sul tavolo, imbrattando così non solo lo spazio circostante, ma persino la mia stessa persona. Mio fratello alza gli occhi al cielo sorseggiando il caffè, dalla cui tazza fuoriesce ancora un leggero fumo bianco.

«Non mi stavi ascoltando.» Borbotta, stringendosi nelle spalle e addentando di conseguenza una fetta di pane tostato ricoperto di marmellata alle more. Mi ritrovo quasi a tirare un sospiro di sollievo mentre il cucchiaio torna nella tazza di fronte a me; Dylan sogghigna sotto i baffi, pulendosi le briciole dalle labbra.

«Hai ragione, scusami» mormoro, pizzicandomi la punta del naso e trattenendo a stento uno sbadiglio. «Ho dormito poco questa notte.» Ammetto infine. Dylan aggrotta le sopracciglia e la sua solita ruga di espressione gli compare sulla fronte.

«Brutti sogni?» Domanda e glielo leggo in faccia che non è solo curioso, ma preoccupato come sempre; è lui a tirare un sospiro di sollievo quando scuoto la testa.

«Non proprio» borbotto, giocando con gli ultimi cereali nella tazza. «La corrente è saltata nel bel mezzo della notte per un motivo che ancora non mi è chiaro. Sono uscita per riattivarla e…»

Mi mordo il labbro, non andando oltre nel discorso; Dylan inclina il capo come a spronarmi a continuare, che lui che mi sta ascoltando.

«E cosa?» Domanda curioso, mentre io abbasso appena lo sguardo, spostando le briciole finite nelle mie vicinanze.

«Niente, qualcuno discuteva per strada e non sono più riuscita a dormire bene.» Non glielo dico di certo che in realtà è colpa di Madden. Lui nemmeno lo sa chi sia e neppure io.

«Chi discuteva?»

«Non lo so, non li ho visti» replico mentendo. «Era buio, sono semplicemente tornata in casa.»

«Strano» aggiunge poi Dylan, finendo il contenuto della tazza blu. «Non mi sembra che sia saltata da me.» Stringendomi nelle spalle a quella sua affermazione, mi alzo da tavola portando con me la tazza e il bicchiere ormai vuoti, posandoli nel lavello.

«Sarà stata colpa dell’asciugatrice» recupero anche la sua di tazza assieme al piattino, sotto la smorfia di palese disappunto. «Dylan, faccio tardi al lavoro e tu hai lezione.»

«Ricorda di prenotarmi il libro che ti ho chiesto l’altro giorno, per favore.» Si alza dalla sedia, stirandosi poi le braccia fin sopra la testa.

«Se controllassi le e-mail, sapresti che è già arrivato e che Jules ti aspettava ieri pomeriggio.» Ribatto, chiudendo il rubinetto e asciugandomi le mani sullo strofinaccio. Dylan impreca, estraendo il cellulare dalla tasca dei jeans.

«Hai bisogno di un passaggio?» Domanda poi, uscendo dalla cucina solo per sistemarsi sulla poltroncina in salotto.

«Volentieri» replico, recuperando la borsa dal bancone della cucina. «Aspettami, torno subito.»

«Sbrigati o faremo tardi!» Mi rimbecca, accendendo comunque la televisione mentre io controllo di non aver lasciato nulla che possa servirmi in camera da letto. 

Gli faccio cenno di uscire di casa così da poter chiudere la porta con i soliti due giri di chiave; il cancello scricchiola quando Dylan lo apre e si volta nella mia direzione, pronto a chiedere spiegazioni.

«Sì, sì. Lo so.»

Mi stringo nelle spalle perché tanto sono consapevole del fatto che resterà così per molto tempo ancora; si è dimenticato di nuovo l’olio che gli avevo chiesto di recuperare. Seguo mio fratello lungo il viale, raggiungendo la sua auto parcheggiata dall’altro lato della strada, perpendicolare all’ingresso del suo appartamento; è nuvoloso oggi, l’aria è piuttosto satura di pioggia ed è come se ci fosse qualcosa fuori posto che aleggia tutto intorno.

Dylan mette in moto l’auto, allacciando in fretta la cintura di sicurezza per partire solamente una volta che anche la mia sia assicurata; deve comunque attendere che una seconda macchina compia la stessa manovra che ha intenzione di fare lui per potersi immettere in strada e uscire così dal quartiere. La signora Mulder ci saluta con un cenno della mano quando passiamo davanti al suo ingresso; ha un giornale sotto al braccio e una tazza verde tra le mani.

La musica all’interno dell’abitacolo mi dà i nervi questa mattina, non so come mio fratello riesca a seguire le parole e persino canticchiare a tempo. Kat mi manda un breve messaggio quando arriviamo finalmente nei pressi del campus e quindi della Biblioteca, dicendomi che passerà prima di pranzo; io sono in ritardo. Faccio cenno a mio fratello di farmi scendere, non ho tempo di aspettarlo mentre cerca parcheggio. 

Sono appena le 10:20, ma la Biblioteca questa mattina sembra essere presa d’assalto; l’auto gialla di Jules spicca in mezzo a tutte le altre. Le porte automatiche si aprono non appena mi avvicino e si richiudono dietro le mie spalle quando mi strofino le suole delle scarpe sullo zerbino blu recante lo stemma dell’università; non credo che la signorina Penny sia qui questa mattina.

I tavoli alla mia destra sono tutti occupati: chi è impegnato a leggere, chi a battere sulla tastiera del proprio computer; qualcuno litiga con un evidenziatore scarico. Nonostante la folla, il silenzio che aleggia tutt’intorno mi è familiare, rendendomi subito più tranquilla. Jules è dietro al banco, sta chiacchierando con una ragazza e le gote arrossate gliele vedo già a distanza. Gli faccio un debole cenno del capo prima di svoltare a sinistra, lasciando come al solito la borsa nell’armadietto e appuntandomi la spilla con il mio nome appena sopra il cuore; il cellulare sempre nella tasca posteriore dei jeans.

«Certo, ti chiamerò non appena me lo restituiranno.» La voce di Jules è bassa mentre digita qualcosa sulla tastiera.

La ragazza dall’altro lato del bancone gli sorride, mimandogli un grazie con le labbra, poi ci dà le spalle percorrendo il corridoio e uscendo dalla Biblioteca, augurando soprattutto a Jules una buona giornata. Jules sospira, passandosi una mano sul viso e voltandosi poi verso di me quando non riesco più a trattenere una risata.

«Le chiederai mai di uscire?» Domando, spostando sulla destra una pila di libri da riporre negli scaffali. Jules fa un cenno negativo con il capo, chiudendo persino gli occhi, ma sorridendo al mio quesito.

«Non sono pronto a un rifiuto.» Replica, appuntando qualcosa sul suo immancabile block notes; alzo gli occhi al cielo, controllando un’e-mail appena arrivata e digitando di conseguenza la risposta.

«La signorina Penny ha lasciato detto qualcosa?» Chiedo, sedendomi sullo sgabello e avvicinandomi alla superficie del banco. Jules scuote la testa prima di sollevare una mano in segno di saluto verso qualcuno che si sta avvicinando.

Non ho bisogno di seguire la sua traiettoria per capire a chi si stia rivolgendo, due ragazze pronunciano il nome di mio fratello mentre quest’ultimo attraversa il corridoio con un sorriso dipinto sulle labbra. Non faccio in tempo a nascondere il mio alzare gli occhi al cielo verso questa scenetta, Dylan mi dà una leggera pacca sulla mano.

«Non essere gelosa, sorellina» mi prende in giro, stringendo poi la mano a Jules, con un’espressione divertita dipinta in viso. «Come stai?»

«Alla grande, ho solo un esame impossibile tra un quarto d’ora» replica Jules ironico, posando la penna che tiene in bilico dietro l’orecchio. «Vado a recuperare il tuo libro, arrivo subito.» Mio fratello annuisce, giocando con una matita lì vicino.

«Ho gli allenamenti dopo le lezioni…»

«Sì lo so, tranquillo» replico, digitando velocemente sulla tastiera. «Prenderò l’autobus.» Dylan annuisce, salutando con un cenno del capo un gruppo di ragazzi alla sua destra.

«Dovresti davvero prendere in considerazione l’idea di comprarti una macchina.» Jules sbuca da un corridoio con un libro in bilico sul palmo della mano e il cordless della Biblioteca stretto tra la guancia e la spalla.

«Come se potessi mantenerla.» Replico, stringendomi poi nelle spalle, posando il mento sulla mano.

«Sì, arrivederci.» Jules lascia cadere con ben poca grazia il telefono sulla superficie del tavolo, producendo un leggero eco e allungando poi il libro verso Dylan. 

«Non tenerlo più del necessario.» Mio fratello alza gli occhi al cielo al mio commento, poi mi dà le spalle per raggiungere un ragazzo poco distante; sussulto appena quando la mano di Jules si posa sulla mia spalla, come se volesse attirare per un attimo la mia attenzione.

«Ieri pomeriggio hanno riconsegnato la maggior parte dei libri - li ho sistemati quasi tutti - e ho contattato gli altri studenti in lista» Jules si sistema le maniche della camicia, arrotolandole fino sopra ai gomiti. «Ne mancano alcuni, non ho fatto in tempo a concludere il tutto. Se vuoi continuare tu, sul mio block notes rimangono senza spunta gli ultimi nomi.»

Annuisco alle sue parole, recuperando il quadernetto che ha allungato nella mia direzione qualche secondo prima. Perché si ostini a segnare tutto a penna quando c’è un enorme schermo perfettamente funzionante in grado di fare lo stesso non lo capirò mai.

«In bocca al lupo per l’esame.» Glielo dico con un sorriso, scoprendolo a prendere un lungo respiro, quasi volesse calmarsi e infondersi coraggio allo stesso tempo.

Mi regala un semplice occhiolino, raggiungendo Dylan poco più avanti, il quale gli dà una leggera pacca sulla spalla prima di accompagnarlo all’uscita della Biblioteca. Il cordless squilla con la sua solita melodia insistente: il professor Reymond chiede se sia possibile avere un libro dal titolo quasi per me impronunciabile. Annuisco alle sue parole, preoccupandomi di aggiungere che sarà pronto per essere ritirato non appena avrà terminato la sua lezione. Il professor Reymond mi augura una buona giornata, informandomi però che passerà l’indomani mattina, sul presto. 

Faccio fatica a decifrare la scrittura di Jules, deve aver avuto fretta, o semplice voglia di non prestare troppa attenzione, nel compilare il suo fantomatico elenco di studenti. Ci sono cognomi e nomi scarabocchiati con l’inchiostro blu e rinuncio dopo dieci minuti buoni spesi a capire se l’ultimo cognome contenga una r piuttosto che una v o una y. Devo infine controllare la posta inviata per togliermi ogni dubbio. Nome e cognome dell’ultimo studente contattato da Jules mi lampeggia davanti agli occhi e mi rendo conto di aver sempre saputo di chi si trattasse: Madden Harvey.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 6 ***


 

capitolo
6





 

Piove da un po’ ormai, anche se non saprei dire il momento preciso in cui ha iniziato; dopo pranzo, di questo sono piuttosto sicura. La Biblioteca è stata affollata tutta la mattina, ho trascorso un paio d’ore buone a sistemare metodicamente i volumi da quando Jules è andato via. Ha passato l’esame, mi ha mandato un messaggio trafelato e strano non appena saputo l’esito; sorrido da allora, sono contenta che sia riuscito a togliersi questo peso dallo stomaco. Il mio, quello che mi accompagna da stamattina, è ancora qui e non accenna a voler andare via. C’è qualcosa che non va, ma non riesco ad associarlo a nulla. Dylan sta bene, Kat sta bene ed io anche.

Come promesso, la mia amica dai capelli fiammeggianti è passata poco prima di pranzo con una buona notizia: la sua compagnia di teatro ha ottenuto un altro ingaggio. Questa volta nessuna lamentela riguardo all’aver ricevuto parti orribili. Dovranno inscenare una delle opere teatrali preferite di Kat e credo si sia trattenuta nell’esprimere la sua gioia di aver ottenuto nuovamente la parte della protagonista solo perché il luogo non lo permetteva.

So già che saranno settimane intense per lei, ma non posso che esserne felice; Kat si merita tutto ciò che sta ottenendo, persino di più. Non sa ancora di preciso la data ufficiale, o forse me lo ha detto così di fretta da non aver avuto il tempo di assimilarla. Ha comunque già da parte i biglietti per me e Dylan. Kat è la parte di me che manca da sempre e ogni giorno sono grata che sia entrata a fare parte della mia vita. Mi ha parlato anche di Judy e di come la stia assillando sulla questione musei. Mi sono dimenticata di lasciarle il mio numero di telefono, quella sera non mi aspettavo certo di doverla salutare così in fretta e ho pregato quindi Kat di farglielo avere il prima possibile. Ho bisogno di qualcuno che condivida la mia stessa passione.

Matias arriva dieci minuti prima dell’inizio effettivo del suo turno, il che comporta una pessima battuta da parte mia, che lo fa però sorridere. Ci conosciamo da anni, ma il nostro rapporto è diverso da quello che ho costruito con Jules. Jules è una copia esatta di Dylan, è il fratello maggiore che serve quando l’originale non è presente.

«Spero tu abbia un ombrello nascosto da qualche parte» me lo dice asciugandosi la guancia con il dorso della mano. «Piove che Dio la manda.» Sbuffo così forte che una ciocca di capelli mi svolazza lungo il viso, solleticandomi la pelle; poi sorrido perché il suo accento spagnolo mi fa sempre lo stesso effetto, soprattutto quando in lui vige il cattivo umore.

«Così nascosto da non ricordarne la posizione.» Borbotto in risposta, scendendo dallo sgabello per cedergli il posto.

«Jules?» Me lo chiede accomodandosi e tirandosi su le maniche del maglioncino blu scuro.

«Avrebbe dovuto fare il turno dopo il tuo, di nuovo, ma ha avuto un imprevisto e…»

«Jasmine è malata» conclude Matias con un sorriso. «Tocca a te, vero?»

«Già» replico, recuperando il cellulare dal tavolo solo per ritirarlo nella tasca posteriore dei jeans. «E mio fratello ha gli allenamenti fino a tardi. Non riuscirò mai a prendere l’autobus per tempo.» Aggiungo e nel momento stesso in cui pronuncio quella frase, mi rendo conto che davvero non ce la farò.

«Hai lezione?» Annuisco alla domanda di Matias, recuperando anche la borsa con gli appunti.

«Ho finito di sistemare tutto. Devi solo controllare che tutti siano passati a prendere i volumi richiesti» Matias alza gli occhi al cielo, nessuno più di lui odia questo compito. «Nel caso, chiamali una seconda volta. O una terza se serve.» Faccio il giro del bancone, ben attenta a far finta di non aver compreso le sue imprecazioni in lingua spagnola.

«Buona giornata, mi niña

Questa volta sono io ad alzare gli occhi al cielo, ma lo saluto con un cenno della mano attraversando il corridoio principale, in attesa che le porte automatiche si aprano. Piove davvero che Dio la manda e non ho nulla con cui ripararmi se non la borsa stessa. Arrivo in aula con le punte dei capelli che gocciolano di pioggia, ma noto con piacere di non essere l’unica in questa situazione. Un ragazzo mi passa accanto alla svelta, ha la maglietta completamente fradicia e sta imprecando perché con tutti i giorni in cui il suo coinquilino poteva prendere in prestito il suo ombrello, ha dovuto scegliere proprio oggi.

Non c’è molta gente, i banchi sono occupati solo per metà e prendo così posto tra le prime file; la signorina Sophie arriverà a minuti. Una ragazza che frequenta assiduamente la Biblioteca mi sorride quando varca la porta, ma non mi si siede accanto; sono le 15:18. Riconosco la voce di Will ancor prima che faccia il suo ingresso in aula: sta ridendo a gran voce appena fuori in corridoio, seguito da una mezza imprecazione riguardo al tempo di oggi. Sussulto quando mi rendo conto che Madden potrebbe essere con lui. Il che però non sembra accadere perché entra in aula da solo, con due ragazze al seguito.

Mi passa accanto regalandomi quello che immagino essere un occhiolino, quasi a volermi dire mi ricordo di te. Sono però tanto svelta da abbassare lo sguardo da non esserne poi così sicura; il cuore mi batte un paio di volte contro la gabbia toracica. Di lui mi ricordo bene, so che c’è. Madden non compare per il resto della lezione o forse in realtà c’è, sono io che non mi sono accorta della sua presenza in aula. Spero più nella prima ipotesi, senza un apparente motivo.

La signorina Sophie conclude l’argomento, augurandoci una buona continuazione di giornata e ricordandoci che la settimana prossima scadrà il termine per l’iscrizione all’esame. Will questa volta è seguito da due ragazzi, ma Madden non è tra questi. Non ha tempo di perdersi in sorrisi maliziosi o in occhiolini strani, ho già distolto lo sguardo dal suo per salutare con un cenno della mano Sandra, dalla parte opposta dell’aula.

Devo tornare in Biblioteca per coprire sia il turno di Jasmine che quello di Jules; ha smesso di piovere, ma percorro tutto il campus a passo veloce. Matias mi saluta con un cenno svelto della mano prima di salire nella sua auto, parcheggiata poco distante dall’ingresso del locale.

La Biblioteca si è svuotata, ai tavoli ci sono giusto un paio di persone. Persino il bancone è sgombro, c’è solo un piccolo post-it verde lasciato da Matias, il quale mi assicura che tutti gli studenti in lista sono venuti a prendere i libri prenotati. Manca un solo nome all’appello e non ho bisogno di leggere di chi si tratta per scoprirlo perché mi rendo conto di saperlo già; il secondo bigliettino dice che lo ha già contattato e che dopo diverse volte, è riuscito a rintracciarlo. Passerà prima della chiusura. Il cuore mi batte nuovamente un po’ più forte del solito. Lo so che ci sei.

Sul monitor ci sono ancora delle e-mail non lette, ma non sono urgenti, non c’è nessuna richiesta di aiuto, né tanto meno il classico punto esclamativo vicino al nome del mittente. Dalla borsa tiro fuori il blocco degli appunti insieme al MacBook, finalmente riparato e di nuovo in mio possesso. Il file dedicato alla signorina Sophie si apre sotto al mio tocco; devo continuare la trascrizione degli appunti presi, cercando di dare un senso compiuto al discorso. Il silenzio che aleggia tutt’intorno mi aiuta senza problemi a trovare la concentrazione che mi serve. C’è ancora qualche tuono sordo in lontananza, ma non so se piova o meno. La me ben conscia di dover tornare a piedi dopo la chiusura spera vivamente che non sia così, che abbia smesso.

È l’ingresso di Dylan a disturbare la mia concentrazione. Non so in che modo io mi trattenga dal corrergli incontro per cacciarlo fuori: indossa ancora la divisa da calcio dell’università, con tanto di scarponcini pieni di fango annessi. Al coach Hendriks, che diluvi o ci sia un sole cocente, non deve importare più di tanto.

«Dylan!» In Biblioteca non c’è più nessuno, è quasi ora di chiudere. Mio fratello arresta immediatamente i suoi passi ed io faccio lo stesso, a metà del corridoio.

«Scusa, non ho avuto tempo di cambiarmi» mormora con aria di finte scuse, passandosi una mano tra i capelli umidi di pioggia. «Volevo solo avvisarti che abbiamo finito in anticipo, sta piovendo troppo forte per poter continuare.» Forse al coach qualcosina importa.

«Vuoi dire che puoi riaccompagnarmi a casa?» Domando speranzosa, ma Dylan scuote la testa.

«So che ti avevo promesso che avremmo cenato insieme, ma mi sono dimenticato che…»

«Ti odio.» Borbotto, incrociando le braccia al petto.

«Lo so, me lo merito.» Mormora Dylan e lo so che è sincero, glielo leggo in faccia.

«Non importa, fa niente.» Replico, stringendomi poi nelle spalle.

«Domani sera, te lo giuro.» Si porta una mano sul cuore prima di fare un passo indietro, dopo aver tentato di avvicinarsi per baciarmi la guancia.

«Sparisci e non imbrattare più del dovuto il pavimento!» Gli ho già voltato le spalle, ma lo sento ridere.

L’orologio che porto al polso segna le 18:43; prendo un lungo respiro prima di ritirare sia gli appunti che il portatile. Madden non è passato a recuperare il volume da lui stesso prenotato e la politica della Biblioteca mi impone di contattarlo nuovamente, avvisandolo che potrà farlo fino a domani mattina al massimo.

Cerco in anagrafica il suo numero di telefono, con il cuore che batte veloce contro la gabbia toracica, lo sento persino nelle tempie. Faccio appena in tempo a comporre i numeri, ma la chiamata non parte: Madden è all’ingresso, con le porte automatiche a chiudersi dietro di lui.

Lascio scivolare il cordless lungo la guancia, posandolo poi sul bancone. Ho il labbro stretto tra i denti mentre lo osservo avvicinarsi. Lo faccio solo perché lui non mi sta guardando direttamente, è impegnato a digitare qualcosa sullo schermo del suo iPhone e lo fa fino a fermarsi esattamente di fronte a me, con solo il bancone a dividerci.

Quando alza lo sguardo, ritirando il cellulare nella tasca dei jeans, noto le guance punteggiate di pioggia, così come le stesse sono presenti anche tra i suoi ricci. Mi guarda un istante negli occhi prima di spostare lo sguardo tutto intorno; non c’è proprio più nessuno.

«Credevo di trovare Matias. È stato lui a chiamarmi tutto il pomeriggio.» Si passa una mano tra i capelli pronunciando quella frase; ha la voce bassa.

«È stato qui fino a poco fa.» Replico in fretta, trattenendomi dal fare un passo indietro, giusto a recuperare il mio spazio sicuro; Madden annuisce, aggrottando appena le sopracciglia.

«Lo so che è tardi e che probabilmente avresti già dovuto chiudere…»

«No, non ti preoccupare» borbotto, schiarendomi appena la voce per poi stringermi le braccia al petto. «Arrivo subito.» Lo vedo annuire di nuovo con la coda dell’occhio mentre mi sposto sulla destra.

Matias ha attaccato un piccolo post-it color magenta sul volume che sto cercando. Harvey è scritto con la sua calligrafia elegante, che non ha niente a che vedere con quella frettolosa e disordinata di Jules. Accartoccio il post-it nella mano tornando indietro per porgerlo a Madden, il quale sta digitando nuovamente in modo frenetico sul cellulare.

«Ti ringrazio, Cecily.»

«Non c’è di che.»

Spengo in fretta il computer della biblioteca con gesti ormai automatici, mentre Madden stringe il libro sotto il braccio. Mi dà poi le spalle, percorrendo nuovamente il corridoio con le porte a chiudersi al suo passaggio. Mi ritrovo a buttare fuori tutto il fiato che non mi ero nemmeno accorta di aver trattenuto. Scuoto la testa e recupero la mia borsa, spegnendo l’interruttore principale; una luce fioca cala tutt’intorno mentre percorro il corridoio.

Il profumo che Madden indossa aleggia ancora al mio passaggio. Do solamente un giro di chiave, come al solito ci penserà il signor Diany a chiudere per bene fino all’indomani. So di aver perso la corsa di questo autobus, ma mi metto il cuore in pace ormai; scendo in fretta gli scalini del portico, solo per ricordarmi che oggi c’è una corsa in più. Ho una mezz’ora buona ancora prima che passi davvero l’ultimo autobus ed è alla pensilina che mi dirigo; fortunatamente non piove poi così forte. Mi accorgo di Madden, fermo accanto a una panchina, solo quando alzo lo sguardo dall’orologio da polso. Sussulto quando viene verso di me, con il chiaro intento di rivolgermi la parola.

«Hai bisogno di un passaggio?» Me lo chiede stringendo in mano il libro che gli ho appena consegnato.

«Come?» Non mi rendo conto di aver riposto al suo quesito con una domanda, risultando persino stupida ai suoi occhi; Madden sorride appena a farmi capire che , ho perfettamente ragione a pensarlo.

«Ti ho chiesto se hai bisogno di un passaggio» ripete paziente, indicando l’unica auto nera rimasta nelle vicinanze. «Non vedo altre automobili oltre alla mia e l’autobus è passato un paio di minuti fa.»

Riconosco il modello della sua auto nel momento stesso in cui vi poso gli occhi: è una Buick Riviera del 1967.

«No» mormoro in fretta, trattenendomi dall’allungare il passo. «Grazie, ma prenderò il prossimo.» Madden alza gli occhi al cielo.

«Verrà a piovere di nuovo e devo comunque lasciare una cosa da mia nonna» me lo dice come se servisse a convincermi. «Andiamo entrambi nello stesso posto.» Aggiunge in fretta.

«No, davvero…»

«Cecily, non è rimasto più nessuno qui» m'interrompe velocemente e vorrei che non l’avesse fatto. Perché diamine non è andato via subito dopo? «Sali in macchina, ti accompagno io.»

Annuisco solo dopo qualche secondo, con la speranza che il cuore la smetta di battere così forte. Eppure non lo fa, né quando lascio che mi faccia strada, né tanto meno quando mi apre la portiera per permettermi di salire. Fa in fretta il giro dell’auto, accomodandosi al mio fianco e posando il libro nei sedili posteriori. Allaccia la cintura di sicurezza con gesti meccanici e io faccio lo stesso, imitando perfettamente i suoi. Quando mette in moto la vecchia autoradio si accende di conseguenza e l’abitacolo si riempie di musica.

Madden abbassa notevolmente il volume, ma non abbastanza da permetterci di poter parlare. Non apre bocca comunque e io nemmeno in realtà. Guida concentrato sulla strada, ingranando e scalando continuamente le marce; gli anelli che porta alle dita scintillano alla minima luce e uno di essi ha la forma di un leone, lo porta all’anulare.

Il traffico della città si dirada notevolmente una volta raggiunto il mio quartiere; Madden non è più costretto a giocare con le marce, ma prosegue lungo la strada dritta. In silenzio. Ha cominciato a piovere di nuovo e mi ritrovo a voltare il viso verso il finestrino, con le mani strette in grembo. Qui il profumo di Madden pervade ogni singolo centimetro dell’abitacolo, insieme a un leggero sentore di tabacco.

La sua auto svolta a destra per due incroci, entrando così nel lungo viale che porterà verso casa di sua nonna e di conseguenza, verso la mia. Lo sento mormorare qualcosa, ma ha la voce così bassa che non capisco cosa abbia appena detto. Mi volto prima verso di lui, poi sposto lo sguardo davanti a me. C’è un’ambulanza con le sirene lampeggianti e le quattro frecce accese; il peso che mi porto dentro da questa mattina raggiunge il suo apice in questo preciso momento.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 7 ***


 

capitolo
7





 

Succede tutto velocemente; Madden impreca diverse volte, cercando di spegnere in fretta l’auto e aprire la portiera allo stesso tempo. Non so quando si sia slacciato la cintura di sicurezza per potersi catapultare fuori dall’auto. Le chiavi restano comunque inserite e io ho il cuore che mi rimbomba in tutto il corpo.

Piove e non passa molto tempo prima che la maglietta di Madden si bagni tanto quanto i suoi capelli. Riesco a districarmi dalla cintura di sicurezza solo al secondo tentativo, con la borsa che mi pesa sulla spalla e il cellulare nella tasca dei jeans. Madden è sparito dietro l’ambulanza; qualcuno sta parlando e riconosco la sua voce mentre fa domande a raffica.

«Va tutto bene.» Qualcuno lo tranquillizza, è una donna. Non le credo e Madden sembra fare lo stesso perché lo trovo con un mano ferma tra i capelli, forse perché non gli siano d’impiccio o forse per un semplice gesto di frustrazione.

«Che cos’è successo?» Madden ha la voce che quasi trema. 

C’è anche Clint, il quale sta scuotendo la testa. Poco più in là, riconosco Bart. Non so se Madden se ne sia accorto o se lo stia ignorando volutamente. Si tiene a distanza, quasi nascondendosi dietro Clint, a cercare uno spazio sicuro lontano da Madden. Come se Clint dovesse servire a fare da scudo. La nonna di Madden deve essere all’interno dell’ambulanza perché non la vedo, ma sento la sua voce; le gocce di pioggia mi scorrono lente lungo le guance.

«Non è niente, Madden. È stata lei a chiamarci» è una ragazza giovane quella che sta parlando, intenta a chiudere la cerniera della grande borsa rossa che le pende dalla spalla sinistra. «Si è trattato solo di un piccolo malessere.»

«Alicia…»

«Fidati di me» lo interrompe la ragazza, posandogli una mano sulla spalla; Madden s’irrigidisce appena a quel tocco, ma sembra rilassarsi l’istante dopo perché annuisce, posandogli lui stesso la mano sulla propria. «La portiamo via solo per accertamenti, ma credo proprio che la terranno in osservazione questa notte.»

«Posso venire con…»

«No, al momento non puoi venire con noi» Alicia sembra non farsi problemi nell’interromperlo continuamente e a Madden la cosa pare non dare nemmeno fastidio. «Il mio turno finisce domani mattina, ti mando un messaggio di tanto in tanto, d’accordo?» Madden annuisce nuovamente, come se pendesse dalle sue labbra.

«Grazie.» Mormora, stringendole forte la mano.

Clint mi osserva con la coda dell’occhio e non so se rabbrividisco per la pioggia o se per colpa sua. Alicia gli sorride e la osservo muovere qualche passo verso l’ingresso dell’ambulanza, con Madden subito dietro. La voce di sua nonna sembra farsi più sicura alla vista del nipote; non sento cosa dice, ma sua nonna ride. Deve averle baciato la guancia.

Il portellone dell’ambulanza scorre fino a chiudersi con un colpo secco e un ragazzo sale alla guida, mentre Alicia resta con la nonna di Madden, come da lei stessa promesso. L’ambulanza mi passa davanti con i lampeggianti ancora accesi, dipingendo di blu il viale fino a che, una volta svoltato a destra, non sparisce dalla nostra visuale.

Madden mi sta guardando poi si passa una mano sul viso, fino a tirarsi appena il labbro inferiore. Il suo nome mi esce dalla bocca prima che riesca anche solo a rendermene conto. La borsa che porto sulla spalla mi cade a terra, ma Madden la mia voce non la sente proprio; quella di Clint è chiaramente più alta mentre anche lui chiama il suo nome. Questo però non lo ferma, è diretto verso Bart; certo che lo stava ignorando. Gli si scaglia contro, afferrandolo per il colletto della giacca logora che indossa. Suo padre non è abbastanza svelto da scostarsi e Clint questa volta non ha fatto tempo a ostacolarlo.

Mi porto una mano alle labbra quando Madden lo sbatte contro l’inferriata della casa di sua nonna. Bart chiude gli occhi per via dello scontro, ma allunga le braccia verso Madden, con il chiaro intento di volerselo scrollare di dosso. Clint chiama nuovamente il nome di Madden, ma un’occhiata da parte sua lo costringe addirittura a indietreggiare, con le mani alzate in segno di resa. Madden bestemmia tra i denti, spingendo nuovamente suo padre.

«Che cosa facevi qui?» Madden quasi trema dalla rabbia; quando Bart si stringe nelle spalle, lo vedo irrigidirsi.

«Passeggiavo.» Replica semplicemente suo padre, ma questa volta il suo tono non ha niente a che vedere con la prima volta che l’ho sentito parlare con Madden.

«Passeggiavi? Tu…» Madden lascia la presa su di lui e lo sento persino ridere; la pelle d’oca non accenna a scomparire. «Sei fatto, non è vero?» Non lo so perché Madden continui a fare domande, Bart non sembra certo essere intenzionato a rispondere; Clint si avvicina, ma resta sempre e comunque a distanza di sicurezza.

«No, io…»

«Giuro su Dio, papà» Madden lo interrompe e lo vedo allungare una mano verso il collo del padre; a questo punto Clint se ne frega della distanza di sicurezza. «Se dovesse succedere qualcosa alla nonna…»

«Tutti dobbiamo finire all’altro mondo prima o poi, figliolo.» Bart è divertito dalle sue stesse parole.

Madden impreca e forse nemmeno si rende conto del pugno che sferra contro il viso del padre. La risata di Bart si spegne, lasciando posto a un gemito di dolore. Madden lascia che suo padre si scosti, non so se per avere una mira migliore o se perché in fondo sa che non ne vale la pena.

Bart invece non pensa troppo e Madden nemmeno se lo aspetta perché contraccambia il gesto, con tanto di nocche pressate sulla guancia destra di Madden. Barcolla sui suoi stessi piedi e di nuovo mi ritrovo a chiamare il suo nome, con le gambe che si muovono da sole. La mano di Clint mi si chiude attorno al polso fin troppo velocemente. Sussulto così forte da riuscire a divincolarmi dalla sua stessa presa con tanta forza da farmi persino male, con la pelle a tirare in corrispondenza dell’orologio.

Madden mi guarda un secondo soltanto, tastandosi il labbro inferiore con le dita con la paura che il pugno di suo padre possa aver causato danni anche lì. Poi si volta e lo vedo il braccio pronto a ripeter quel gesto, ma Bart questa volta è veloce perché non si scosta solamente, si abbassa.

La mano di Madden finisce dritta contro l’inferriata dove un momento prima c’era suo padre; Clint impreca al mio fianco, Madden strozza un grido. Bart corre, allontanandosi sempre più in fretta da lì; a nessuno dei due sembra interessare perché Madden si volta, con la mano destra stretta nella sinistra e Clint al suo fianco. Ho il cellulare in mano, con gli occhi che bruciano e non so nemmeno se sto già piangendo.

«Cecily…»

«No, non farlo» Clint interrompe Madden e alzo lo sguardo su di loro. «Non chiamare la polizia. Ci penso io.»

Madden annuisce quando Clint gli posa una mano sulla spalla, quasi a chiedere il suo permesso. Lo vedo correre lungo il viale e solo in un secondo momento capisco che sta inseguendo Bart. Mi passa accanto, abbassandosi per recuperare la mia borsa ormai del tutto bagnata. Si tasta poi le tasche dei jeans imprecando sottovoce per estrarre le chiavi, ancora inserite, dell’auto.

«Ho dimenticato le chiavi di casa.» Non so se lo stia dicendo a me o se sia una semplice constatazione, ma allungo una mano a prendere la borsa che mi sta porgendo; mi tremano le labbra.

«Ti sei…»

«Ho solo bisogno di un po’ di ghiaccio.» Torna a stringersi la mano, voltandosi verso di me con un paio di ciocche di capelli incollate alla fronte.

Annuisco semplicemente, dandogli le spalle e attraversando quasi di corsa la strada; manco un paio di volte la toppa della serratura, mi tremano le mani. Madden è appena dietro di me quando apro la porta di casa, lasciando però che sia lui a entrare per primo.

Sono io a fare strada, Madden di certo non conosce il mio appartamento. Lo supero solo per raggiungere la cucina. Una delle sedie la sento strisciare sul pavimento mentre di spalle apro lo scomparto del freezer dove il blu del ghiaccio sintetico spicca tra tutto il resto.

Madden si sta osservando la mano quando mi volto, con il sacchetto avvolto in uno strofinaccio. Apre e chiude il pugno diverse volte, come a testare che tutto funzioni, che non ci sia niente di rotto. Si morde il labbro, forse a contrastare il dolore che sente; gli allungo il sacchetto che afferra subito. Ha il viso contratto quando prendo posto di fronte a lui; non mi guarda negli occhi, ma scuote la testa diverse volte, con gli occhi socchiusi.

«Madden…»

«Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a questa buffonata» m’interrompe subito, quasi non gli interessasse quanto io abbia invece da dire. «Mio padre è l’essere più osceno ed egoista di questo mondo.» Afferma e sento un vuoto al centro dello stomaco a quelle sue parole.

«Credi sia stato lui a far stare male tua nonna?» Non so con quale coraggio io ponga questa precisa domanda, ma Madden alza il viso, puntando i suoi occhi verdi nei miei.

«Oh, ne sono più che convinto» mormora in risposta, spostando appena il ghiaccio dalle nocche. «Se dovesse anche solo succederle qualcosa…»

«Hai sentito quella ragazza: andrà tutto bene.» Questa volta sono io a interromperlo e la sua guancia scatta appena; le punte dei miei capelli gocciolano di pioggia e Madden sembra seguirne la traiettoria.

«Vai ad asciugarti o ti ammalerai.» Non so con quale tono me lo dica, ma lui non è certo in una situazione migliore della mia.

Spingo all’indietro la sedia solo per potermi alzare e dirigere verso il bagno; gli asciugamani più piccoli sono nel mobiletto più basso e ne recupero due, uno bianco e uno blu. Madden non è più seduto in cucina quando esco dal bagno, ma fermo sullo stipite della porta della mia camera da letto.

Sussulto nel vederlo lì, nel mio appartamento entrano solo due persone: Dylan e Kat. Non ha nemmeno più il ghiaccio tra le mani e mi ritrovo ad allungargli uno dei due asciugamani senza rendermene quasi conto; le sue dita sfiorano le mie quando lo afferra. Mi tampono in fretta le punte dei capelli, frizionandole appena perché l’acqua smetta di gocciolare sia al suolo che sulla maglietta stessa; Madden se lo passa sul viso, le braccia sono ormai asciutte.

«Perché non mi avete permesso di chiamare la polizia?» Madden mi guarda negli occhi prima di stringersi nelle spalle.

«È complicato.» Replica semplicemente, eppure non gli credo.

«Come fa a essere complicato?» Domando di nuovo. Madden muove un passo nella mia direzione e questa volta sono io a essere ferma contro lo stipite della porta.

«È così e basta, Cecily» mormora, allungandomi nuovamente l’asciugamano. «Non a tutto c’è una spiegazione.»

«La tua mano…»

«Passerà, è solo un graffio.» Annuisco quando m’interrompe di nuovo; mi dà poi le spalle, percorrendo a ritroso il corridoio solo per tornare e sedersi sulla stessa sedia in cucina. Prende un lungo respiro prima di lasciarlo andare, passandosi una mano sul viso. 

«Posso fare qualcosa?» Non so perché io glielo chieda, non credo esista nemmeno una risposta a questa domanda al momento. E di fatto Madden scuote la testa, con l’ombra di un sorriso a increspargli le labbra.

«Va bene così, Cecily. Voglio solo aspettare che Alicia mi dica che siano arrivati e che sia tutto sotto controllo.»

Mentre me lo dice scorre qualcosa lungo lo schermo del cellulare, come se tra le varie notifiche fosse comparsa quella che sta cercando. Annuisco alle sue parole, ma Madden non mi vede. Ha i capelli quasi asciutti ormai e si stanno formando nuovamente i ricci. Sospira di nuovo e quando alza lo sguardo sono costretta a distogliere il mio, per non essere colta in fallo. Si schiarisce la voce, bloccando il telefono e posandolo sul tavolo di fronte a lui, con lo schermo rivolto verso l’alto.

«Clint ti ha detto di non chiamare la polizia perché mio padre, in carcere, non ci può andare.» Me lo dice all’improvviso, tanto che sussulto sulla sedia sulla quale sono seduta e i miei occhi finiscono nuovamente nei suoi; sono verde scuro per via della luce all’interno della stanza.

«Perché?» Madden smorza il sorriso mordendosi il labbro inferiore.

«Perché è un alcolizzato e un tossicodipendente del cazzo» mormora stringendosi nelle spalle, come se fosse una cosa del tutto normale. «Ha una restrizione nei confronti di mia nonna e di casa sua. Non può stare qui, non può avvicinarsi troppo.»

«Ma…»

«Chiamare la polizia è inutile, fa dentro e fuori dal carcere un giorno sì e uno no» continua. «Non possono trattenerlo, ci sono troppe persone là, non hanno tempo da perdere con lui. Lo conoscono fin troppo bene ormai, lo arresterebbero solo nel caso in cui venga sorpreso da un agente di polizia esterno a questo distretto e in flagranza di reato. Bart è furbo.»

«Credevo lo stessi proteggendo.» Ammetto infine, avvicinando la sedia al tavolo; Madden scuote la testa.

«No, non m’importa niente. Lo avrebbero semplicemente portato via per fargli passare l’effetto di qualsiasi cosa abbia preso. Sarebbe uscito l’indomani mattina stesso.» Si stringe nelle spalle e ha un tono di voce stanco, come se fosse stufo di ripetere sempre le stesse cose.

«Se non può avvicinarsi qui, dove vive?» Glielo chiedo per pura curiosità.

«Non lo so, dove capita immagino.»

«Pensavo viveste insieme.» Borbotto qualche secondo più tardi; questa volta il divertimento Madden non lo nasconde.

«Che Dio me ne scampi» scherza, passandosi la mano ferita tra i capelli; le nocche sono leggermente scorticate, il rivolo di sangue ormai secco. «È già difficile vivere con Will.»

«Non sapevo che fosse tua nonna, credo di non averti mai visto qui nel quartiere.» Ammetto poi, distogliendo lo sguardo quando gli occhi di Madden si fanno più curiosi.

«Dovresti guardare più spesso al di fuori della tua bolla.» Sussulto alle sue parole, con il cuore che all’improvviso riprende a battere a un ritmo più veloce. «Chi è stato?» Me lo chiede con così tanta naturalezza che ho quasi voglia di scappare.

«A fare cosa?» La voce mi trema appena, con la sensazione di nausea a chiudermi lo stomaco.

«A farti del male.» Risponde secco e il suo tono è serio, come se lui avesse già capito tutto. Come se fosse riuscito a leggere qualcosa sul mio viso, in qualche mio gesto.

«È complicato.» 

E non mi accorgo nemmeno di averlo detto, se non per il sorriso che Madden mi rivolge nello stesso momento in cui l’arrivo di un messaggio interrompe i suoi occhi fermi nei miei.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 8 ***


 

capitolo
8





 

Judy mi ha scritto un messaggio così lungo dopo che Kat le ha finalmente lasciato il mio numero di telefono che devo rileggerlo un paio di volte; è molto confusionaria, ma sto sorridendo nel momento in cui avvio la chiamata. Devo incastrarmi l’iPhone tra la guancia e la spalla perché il forno in cucina mi avvisa che finalmente è pronta la cena. Cena che avanzerà di sicuro perché Dylan mi ha dato buca un’altra volta per uscire con una ragazza del suo corso. La comunicazione è libera, ma squilla per qualche istante prima che la voce di Judy appaia; ha il fiatone, sembra quasi che stia correndo o salendo le scale.

«Lo so, non ho il dono della sintesi.» Scoppia a ridere alle sue stesse parole, in riferimento al messaggio chilometrico; in sottofondo ci sono delle chiavi che tintinnano e una serratura che scatta.

«Ho immaginato» ridacchio, estraendo con qualche difficoltà la teglia incandescente dal forno solo per posarla sul ripiano della cucina. «Come stai?»

«Benissimo, davvero benissimo» e le credo, non c’è menzogna nelle sue parole. «Anche se Kat immagino mi odi ora.»

«Kat odia praticamente tutti, non è una novità» replico, riuscendo a recuperare anche un piatto dalla credenza. «Kenan verrà con te quindi?» 

«No, mi ha appena scritto che ha un provino in un teatro appena fuori città, gliel’hanno fissato all’ultimo» quella che immagino essere la porta di casa sua le si chiude alle spalle con un tonfo, seguito da una piccola imprecazione e un cane che abbia in lontananza. «Sarà per la prossima volta. Noi possiamo vederci lo stesso, non è vero?»

«Ma certo» le rispondo in fretta, sedendomi stancamente sulla sedia. «Mi trovi lì dal primo pomeriggio. Non passare per la biglietteria però, chiamami non appena sei lì. Verrò a prenderti io.»

«Non vedo l’ora» la sua voce si alza di parecchie ottave. «Ci vediamo domani, buona serata Cecily!»

Quasi non mi dà tempo di poterle augurare lo stesso, tanto la conversazione viene chiusa in fretta. Scuoto la testa con un sorriso prima di lasciarmi scivolare in mano il telefono e posarlo poco distante sul tavolo. La teglia scotta e faccio qualche fatica a tagliare una fetta di lasagna; la madre di Kat me l’ha portata un paio di giorni fa, salvando sia la mia vita che quella di Dylan.

Devono aver aggiustato i due lampioni principali in questi giorni perché fuori dalla mia finestra non ci sono più tremolii e sfarfallamenti, tutto è nitido. La solita volante della polizia passa nelle immediate vicinanze di casa, ma sembra essere in ritardo; non ha nemmeno i lampeggianti accesi, solo le sirene a fare un gran baccano.

Senza volerlo mi soffermo sulla casa della nonna di Madden. Non lo vedo dalla sera dell’ambulanza ed è passata quasi una settimana; le luci in casa sono accese, ma non ho mai incrociato sua nonna. Dylan mi ha detto di non averla mai vista, eppure in questo quartiere ci vive da un po’ più tempo di me. Cerco di fare mente locale, ricordo bene le parole di Madden, il suo dovresti guardare più spesso al di fuori della tua bolla, come se stesse a significare che invece lui che mi ha vista qui.

Eppure io non ho nessuna idea su dove possa abitare, so solo che vive con Will. È lui quello che incrocio sempre e ogni volta sembra volermi fermare per un saluto. Sussulto quando una seconda volante passa davanti casa, questa volta i lampeggianti sono accesi e le sirene emettono un rumore così sordo che quasi devo chiudere gli occhi per contrastarlo; magari stanno cercando Bart. Il nome di Kat appare sul display dell’iPhone, in una notifica nella quale c’è scritto che arriverà. È in ritardo, ma arriverà e guarderemo quel maledetto film che lei adora, ma che io non capirò mai.

 

 

 

 

˜˜˜˜˜˜

 

 

 

 

Il Museumkwartier è il mio quartiere preferito in assoluto e non solo per via della Museumplein, la Piazza dei Musei. Non manca poi molto al Natale e la pista da pattinaggio sul ghiaccio è quasi pronta per essere riaperta; i bambini non vedono l’ora e forse anche i più grandi la pensano così. Non pattino da un’infinità di tempo e ogni anno mi ripeto che forse questa è la volta buona, ma Dylan non mi accompagna mai e Kat tanto meno. Ha troppa paura di potersi rompere qualcosa e non poter recitare.

Il sabato la Piazza è più affollata del solito, è difficile riconoscere gli abitanti del posto dai turisti, tutti alzano sempre il naso all’insù, verso la facciata del Rijksmuseum. Il sole di oggi sembra illuminarla più di ogni altro giorno; ha piovuto per una settimana intera e le pozzanghere non si sono ancora del tutto asciugate. I vecchi anfibi che indosso quasi scivolano sul terreno, costringendomi ad asciugare più e più volte le suole sul tappeto posto all’ingresso dell’area dipendenti, l’unica area tranquilla e silenziosa del Museo.

Sarah deve aver acceso la macchinetta del caffè perché ne sento l’odore non appena le porte automatiche mi si chiudono alle spalle. Faccio scorrere il badge nel lettore prima di raggiungerla poco più in là, accanto alla grossa fotocopiatrice grigia e bianca.

«Buon pomeriggio cara, tutto bene?» Me lo chiede aggiustandosi i piccoli occhiali rosa sulla punta del naso, abbassando lo scanner e premendo il pulsante di avvio.

«Sì, la ringrazio» mormoro, togliendomi la giacca per posarla poco lontano, recuperando la spilla del Museo con il mio nome stampatovi sopra. «Resta qui ancora per molto?»

«No, giusto il tempo di chiudere con alcuni documenti» me lo dice sorseggiando il caffè e prendendo man mano i fogli che escono a velocità aumentata dalla fotocopiatrice. «Sei alle sale oggi o all’ingresso?» 

«In sala» replico, recuperando velocemente un bicchiere per riempirlo d’acqua. «Sarah, posso chiederle una cosa?» Quasi tentenno nell’avanzare la richiesta, nonostante sappia che non riceverò mai un no da parte sua.

«Ma certo.» Alza gli occhi al cielo quando il telefono alla sua scrivania prende a squillare, echeggiando nello spazio circostante; un pomeriggio sono stata con lei per aiutarla a sbrigare alcune pratiche e se il telefono ha suonato come quella volta, mi meraviglio di come non lo abbia ancora spento.

«Ho un’amica che arriverà a breve e mi ha chiesto di poterla accompagnare durante la visita. Crede sia possibile…»

«Assolutamente!» M’interrompe, senza quasi lasciarmi terminare; sorrido senza rendermene conto. «Le hai detto di passare da qui?» Annuisco alla sua domanda.

«Sì, la biglietteria è presa d’assalto.» Replico poi, ben consapevole dell’afflusso di persone che riempiranno ogni centimetro di superficie calpestabile oggi.

«D’accordo allora, divertitevi.»

Le sorrido prima di defilarmi, diretta ugualmente all’accettazione; se Tommy o Glen sono soli, saranno ben contenti di vedermi. Tommy lo trovo con un sorriso dipinto in viso, intento a controllare alcuni biglietti di una scolaresca composta per la maggior parte da ragazzini sui dodici, massimo tredici anni; sorride perché non tocca a lui guidarli nella visita. Glen invece, da dietro il monitor, ha il cordless premuto contro l’orecchio e una piccola ruga di espressione tra le sopracciglia, segno che la pazienza è lì lì per esaurirsi.

«No signora, mi dispiace» probabilmente è qualcosa che sta ripetendo da un po’. «Non posso farla parlare con la Direzione in questo momento, gli interni sono tutti occupati e c’è una grande riunione in corso.» Scuote la testa quando lo saluto con un veloce cenno della mano; resto in ascolto per un paio di minuti prima di fargli cenno di passarmi il telefono. 

«Ci penso io.» Glielo dico in un sussurro appena, ben attenta però che mi senta.

«Un attimo solo, vedo che cosa posso fare» deve metterla in attesa perché sospira e sposta il cordless dal viso. «Dovevo uscire di qui venti minuti fa, ti devo un favore.»

Mi passa il telefono alzandosi velocemente dallo sgabello e defilandosi così in fretta che non sente né il mio saluto, né tanto meno quello di Tommy; la signora dall’altra parte è parecchio irritata.

«Sono Cecily, come posso aiutarla?»

L’interlocutrice mi dice che sta provando a contattare il servizio clienti perché la sua prenotazione non risulta nei sistemi e questo non le permette di poter stampare un cartaceo del biglietto per evitare così di fare la coda agli sportelli; Glen non è stato in grado di recuperargliela.

«D’accordo, non ha bisogno di parlare con la Direzione, mi deve semplicemente fornire l’e-mail con la quale ha effettuato la prenotazione oppure il codice che trova in alto a sinistra, nel profilo che ha dovuto creare.» Non so cosa non sia stato chiaro a Glen, ma è un’operazione ordinaria che capita a tutti, più volte al giorno. «Ecco fatto, l’aspettiamo. Buona giornata!»

«Credo che Clarissa lo abbia piantato definitivamente, è di cattivo umore già da questa mattina.»

Tommy continua a sorridere controllando i biglietti, ma so che si sta rivolgendo a me. Mi stringo nelle spalle e sto per chiedergli dove sia finito il ragazzo che deve prendere il posto di Glen, ché Tommy di certo non può rimanere da solo, ma non faccio tempo a formulare la risposta, arriva alle mie spalle trafelato.

«Buona giornata.»

Lo saluto indietreggiando e recuperando l’iPhone che non smette di vibrare fino a quando non lo silenzio; Judy è arrivata. Devo semplicemente sollevare lo sguardo per riconoscerla tra la folla e fortunatamente lei stessa si accorge di me perché alza una mano in segno di saluto. Le faccio cenno di fare il giro dell’edificio e quando me la trovo di fronte, quasi sussulto quando mi stringe in un veloce abbraccio.

«Scusa il ritardo, ho perso all’incirca tre autobus prima di arrivare qui. Dimentico sempre quale sia la fermata giusta per non fare troppa strada a piedi.» Si scosta i capelli da una spalla all’altra, aggiustandosi poi la borsa.

«Sono appena arrivata anche io» la tranquillizzo; non vede l’ora di iniziare la visita glielo leggo negli occhi. «Abbiamo il via libera, quindi… da questa parte.» 

I corridoi li conosco a memoria, non ho più bisogno di controllare i numeri alle pareti, né tanto meno le indicazioni poste in ogni dove. Judy mi cammina accanto, voltando il viso in ogni direzione. Non sono poi così brava nello spiegare ciò che ho intorno, ma li conosco così bene che forse non ho bisogno di una dialettica forbita. Non con lei almeno, sa di cosa parlo e la cosa mi rincuora parecchio, rendendo il giro più piacevole del previsto. Di gente ce n’è molta e non sono poche le volte in cui ho dovuto interrompere la visita per aiutare qualche turista in difficoltà; Judy ha dovuto trattenere le risate più volte, io sono abituata al mi dispiace, ma la Gioconda non la troverà di certo qui.

Siamo controcorrente perché solitamente i turisti lasciano il Padiglione Asiatico e le Collezioni Speciali per ultime, così da dare uno sguardo veloce alla Biblioteca e uscire. Noi invece li abbiamo già fatti e stiamo percorrendo la Gallery of Honour per arrivare finalmente alla punta di diamante del Rijksmuseum: la Night Watch Gallery.

«Sapevi che è stata progettata appositamente per la Ronda di notte di Rembrandt?»

Judy ed io dobbiamo scansare più di qualche visitatore per avvicinarci quanto più possibile. La scolaresca in biglietteria è arrivata qui e la vedo bene la guida in difficoltà. Sono relativamente pochi i ragazzi che gli stanno prestando attenzione.

«Sì» mi risponde, osservando l’enorme tela che ci sta di fronte, i suoi particolari mi sono così familiari che non ho bisogno di soffermarmici troppo. «È vero che è stata vittima di due atti vandalici?» Annuisco.

«Purtroppo sì» mormoro ed è più forte di me, gli occhi vi si posano comunque sopra. «Il primo nel 1975, il colpevole ha lacerato la tela squarciandola in più punti. Il secondo invece nel 1990, qualcuno ha pensato che spruzzarvi sopra dell’acido fosse qualcosa di molto divertente. Fortunatamente ha intaccato solamente lo strato superficiale ed è stata poi restaurata senza troppe difficoltà.»

Judy annuisce alle mie parole e mi chiede mille altre informazioni che do senza alcun problema. Dobbiamo ancora andare nell’Ala Philips, che contiene una mostra permanete di fotografie, ma Judy deve scappare, anche lei ha un provino tra qualche ora e l’ultima cosa che vuole fare è quella di perdere la coincidenza del treno.

Ci rechiamo quindi verso la Biblioteca per uno sguardo veloce, sono pochi i visitatori che vi sostano per lungo tempo. La maggior parte sono studenti di Storia dell’Arte e curiosi; Judy fa parte di quest’ultima categoria e se avesse avuto più tempo a disposizione, le avrei mostrato altro. Tommy sta sistemando qualcosa nelle vicinanze delle casse ed è impegnato in una conversazione telefonica piuttosto movimentata con quella che immagino essere la direttrice dell’area perché la sua espressione non è proprio rilassata mentre controlla un grosso registro.

«Ti ringrazio Cecily» Judy si aggiusta la giacca, allacciandola ben stretta fino alla gola. «È stato pazzesco, non vedo l’ora di venirci con Kenan.»

«Figurati, mi sono divertita» mi abbraccia di nuovo e questa volta non sussulto poi così tanto, ma la lascio andare in fretta. «Fammi sempre sapere quando passerai, se sono di turno facciamo un’altra passeggiata. L’Ala Philips merita tanto quanto la Night Watch Gallery

Mi saluta con un cenno della mano prima di recarsi verso l’uscita; è quasi ora di chiusura e la voce meccanica negli altoparlanti me ne dà la conferma. I Signori visitatori sono pregati di recarsi verso le uscite, il Museo chiuderà tra venti minuti.

Ci sono alcuni volumi fuori posto, ma l’addetto alla sorveglianza è più veloce di me nel chiamare qualcuno per rimettere tutto in ordine; un paio di bambini stanno giocando con gli iPad presenti in sala, di andare via non ne hanno per niente voglia. L’iPhone nella tasca posteriore dei jeans vibra e non ho poi bisogno di controllare per sapere che si tratta di Dylan: il ritardo fa parte del suo DNA e so già che mi toccherà attendere al freddo prima del suo arrivo per andare finalmente a cena insieme. 

Faccio un veloce giro per i corridoi della Biblioteca, giusto per assicurarmi che tutto sia in ordine e che nessuno abbia smarrito la via per l’uscita. Madden sta riponendo un volume piuttosto imponente in uno scaffale alto. Non lo so se mi veda o meno, ma non mi soffermo troppo sul dubbio appena impossessatomi della mia mente perché mi sono già nascosta dietro un muro di libri così vecchi da averne timore anche solo a guardarli. 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 9 ***


 

capitolo
9





 

La sveglia non ha suonato questa mattina; deve esserci stato un temporale improvviso perché tutti i vetri di casa sono punteggiati di pioggia. Ho quasi timore che sia arrivata la neve, ma uno sguardo veloce alla strada mi fa sospirare di sollievo: niente per il momento. Ricordo ancora la nevicata dell’anno scorso, siamo stati costretti a rimanere chiusi in casa quasi due giorni prima che gli spazzaneve si siano ricordati che questa parte di città esiste ancora; alcuni vicini avevano già recuperato pale e badili per liberare almeno l’ingresso principale delle proprie case.

L’orologio in cucina mi avvisa di stare tranquilla, che non è poi così tardi come temevo; il tempo di fare colazione - seppur velocemente - lo ho ancora. Dylan mi ha scritto un messaggio confusionario, il coach Hendriks ha anticipato gli allenamenti alle nove e di darmi un passaggio fino al campus non ne ha il tempo. Ho circa venti minuti prima che l’autobus passi senza di me e forse, di fare colazione a casa non ne ho più voglia. O tempo. Torno in camera da letto solo per recuperare un asciugamano pulito e dirigermi in bagno.

L’acqua della doccia impiega più tempo del solito ad arrivare a temperatura, i tubi sopra la mia testa fremono e si lamentano; il freddo lo sentono anche loro, ma prego chiunque ci sia al di sopra di noi che non si rompano giusto oggi. Con qualche difficoltà riesco a regolare il getto dell’acqua, ma il mio bagnoschiuma preferito è pressoché finito e mi tocca così miscelarne due diversi, con la speranza che la fragranza di lavanda non faccia poi troppo a pugni con il bergamotto. A cosa pensavo quando ho comprato un bagnoschiuma al limone proprio non me lo spiego. Tutto sommato, il mix di profumi non è poi così male, ma persiste anche una volta uscita dalla doccia e vestita per uscire di casa. I capelli li asciugo velocemente, tanto che alcune onde naturali mi cadono sulle spalle; ho bisogno di una spuntatina ai capelli, ma questa volta mi terrò alla larga dai consigli di Kat. 

Mancano cinque minuti a che l’autobus arrivi alla pensilina che non mi sembra più così vicina a casa; recupero in fretta sia la giacca che la borsa dalla scrivania, litigando con un block notes che di stare a posto dentro di essa proprio non ne vuole sapere. Non ho il tempo di cercare il MacBook, ma di prendere troppi appunti oggi non mi serve nemmeno.

Chiudo a chiave la porta, controllando poi la buca delle lettere: il postino non deve essere ancora passato, ché le comunicazioni che sto aspettando non le ho ancora ricevute. La signora Mulder, come tutte le mattine da qualche settimana a questa parte, sta potando qualche pianta del giardino. 

«Di nuovo in ritardo?» Me lo chiede voltandosi verso di me, al mio passaggio piuttosto svelto.

«Non è suonata la sveglia.» Le rispondo, rallentando il passo solo per non sembrare sgarbata; sorride.

«Anche quella di tuo fratello immagino, sembrava una furia questa mattina con quella sua dannata auto» aggiunge, potando quella che sembra essere una siepe di rose bianche. «Ha svegliato tutto il quartiere.»

Aggrotto le sopracciglia a quella sua affermazione, ma mi stringo nelle spalle, aumentando nuovamente il passo e salutandola con un cenno della mano; due minuti alla corsa. Ci sono un altro paio di persone alla pensilina, ma nessuna di loro sembra degnarmi di uno sguardo; si gela e ho le dita delle mani intorpidite. L’autobus fortunatamente compare in fondo alla strada in modo così puntuale che se avessi rallentato il passo di qualche secondo ancora, mi avrebbe lasciata a piedi.

Faccio cenno di accomodarsi a un uomo con un cane al guinzaglio, poi salgo i tre scalini guardando verso il fondo alla ricerca di un posto libero. Non c’è molta gente e riesco a sedermi nella terza fila, dietro a una coppia di ragazze intente a mormorarsi qualcosa a vicenda nelle orecchie. Mi schiarisco appena la voce, recuperando con qualche difficoltà gli auricolari dal fondo della borsa; riesco ad ascoltare un paio di canzoni soltanto, la mia fermata non è poi così distante.

L’ultimo tratto di strada lo percorro a piedi, incrociando persino la signorina Penny all’uscita della biblioteca. Non si ferma, mi urla soltanto di dire a Jules di mettere a posto il casino che ha combinato prima di uscire il giorno prima. Mi stringo nelle spalle, ma sorrido diretta all’ingresso della palazzina; il tepore dell’interno mi fa rabbrividire, permettendo al mio corpo di abituarsi pian piano al cambio di temperatura.

Devo salire tre rampe di scale prima di raggiungere l’aula di Letteratura; Will è seduto a terra contro il muro, insieme a un altro paio di ragazzi. Uno di loro sta sorseggiando quello che immagino essere caffè e si sposta di lato per lasciarmi passare ed entrare così in aula. Prendo un lungo respiro di sollievo prima di adocchiare alcuni posti liberi nelle file centrali; il ritardo mi ha portato via i soliti banchi.

Il messaggio di Kat lo leggo solo una volta toltami la giacca, posandola poi sulle gambe, insieme al block notes e al libro della signorina Sophie. Compongo il numero di Jules in fretta, sperando che non sia a lezione: la curiosità di sapere che cosa ha combinato non mi permette di pensare ad altro.

«Cecily» mi risponde dopo un paio di squilli appena, con voce piuttosto assonnata. «Ti prego, dimmi che non mi sono dimenticato di avere il turno questa mattina.»

«Credo di no» aggrotto le sopracciglia, pizzicandomi la punta del naso. «È martedì, tocca a Jasmine. Piuttosto… ho incrociato la signorina Penny e le sue parole sono state di a Jules di mettere a posto il casino che ha combinato ieri prima di uscire.» Mi accorgo di sorridere, mentre invece Jules impreca tra i denti.

«Speravo non se ne accorgesse.» Borbotta, sollevando quelle che immagino essere delle coperte; una parte di me spera di non averlo svegliato realmente.

«Che hai combinato?» Glielo chiedo sedendomi meglio sulla poltroncina, soffocando poi uno sbadiglio.

«Potrei aver messo fuori uso la fotocopiatrice, anche se in realtà è colpa di Matias.» Mormora; me lo immagino senza problemi alzare gli occhi al cielo.

«Perché hai fatto toccare la fotocopiatrice a Matias?» Glielo chiedo allarmata perché lo sa bene che Matias è un disastro in fatto di apparecchi elettronici, è già tanto che sappia usare il monitor per controllare la posta.

«Lo so, lo so. Mi sono fidato, ha detto che era in grado di fare una copia fronte-retro. O almeno credo, il suo spagnolo lo capisco un giorno sì e uno no.» Si giustifica e non riesco a trattenermi dallo scoppiare a ridere, attirando l’attenzione di un paio di ragazze sedute qualche banco più avanti. 

«Non devi mai, mai, fidarti di Matias su queste cose: te lo dico dal primo giorno.» Jules sbuffa dall’altro capo del telefono, facendomi nuovamente sorridere.

«Avresti dovuto ricordarmelo ieri pomeriggio» replica e lui, lo sbadiglio, non lo nasconde affatto. «Devo comunque venire a lezione più tardi, passerò a vedere se Jasmine è riuscita a risolvere qualcosa

«A dopo Jules e scusami se ti ho svegliato!» Borbotto, chiudendo poi in fretta la comunicazione e posando il telefono al centro del banco, per evitare che qualcuno passando possa rischiare di urtarlo.

«Buongiorno.» La voce di Madden alle mie spalle mi arriva così chiara alle orecchie da rischiare io stessa di far cadere l’iPhone dal tavolo. Mi volto lentamente nella sua direzione, tanto da dare quasi le spalle alla cattedra che invece mi sta di fronte. Ha gli occhi di un verde cristallino, l’aria fredda deve averglieli accesi e resi così luminosi da virare quasi all’azzurro. 

«Ciao.» Il mio è appena un sussurro, ma Madden non fatica certo a coglierlo; il sorriso che gli increspa le labbra mi costringe ad abbassare appena lo sguardo. Sostenere i suoi occhi continua a essere piuttosto difficile.

«Tutto bene?» Me lo chiede con uno strano tono, ma annuisco in fretta consapevole del rossore sulle guance. Il fastidio al centro dello stomaco cerco di soffocarlo.

«Sì, grazie» mormoro, scostandomi una ciocca di capelli dal viso e rabbrividendo; chi diavolo apre i vetri alle nove e trenta del mattino? «Tu stai bene?» 

«Credo di sì» replica, gettando poi un’occhiata di fuoco alle mie spalle; qualcuno impreca sottovoce e le finestre vengono chiuse. «Ho sentito che Matias ha messo fuori uso una fotocopiatrice?» Domanda con un sorriso appena accennato sulle labbra e tanto di fossetta infantile a comparire poco più in là sulla guancia.

«Già» mormoro, stringendomi appena nelle spalle. «Avevo intenzione di fare colazione dopo la lezione, ma mi toccherà fare un salto in Biblioteca.» Madden arriccia le labbra, poi si alza solo per lasciar passare un paio di studentesse; è un vero peccato che le due sedie al suo fianco risultino occupate, o almeno, è quello che una di loro sussurra a mezza voce.

«Io…»

«Madden!» La voce allegra di Will echeggia per l’aula, costringendomi a voltare il viso nella sua direzione. Sale gli scalini in fretta, con la borsa a penzolargli pericolosamente dalla spalla, tanto da rischiare di colpire qualcuno al suo passaggio. «Ma perché ti ostini a sedere così avanti? Là in fondo si sta bene.» Si lamenta, soffocando uno sbadiglio in attesa che Madden si alzi di nuovo per lasciarlo passare e prendere finalmente posto.

«A differenza tua, a me interessa davvero questo corso» replica annoiato Madden, sedendosi nuovamente al suo posto, ignorando Will intento ad alzare gli occhi al cielo prima di accorgersi delle due ragazze a qualche sedia di distanza. «Quindi ti prego, cerca di stare zitto per il resto della lezione, okay?»

«Tu» mormora Will, indicandomi con un dito accusatore e ignorando Madden al suo fianco; quasi sussulto. «Non mi ricordo il tuo nome, ma sei la ragazza del caffè, non è vero?» Annuisco alle sue parole, abbassando gli occhi sul bicchiere lungo e bianco che tiene in bilico sul tavolino.

«Will…»

«Prometto di starti lontano.» Alza le mani in segno di resa, con un sorriso disarmante sul volto.

Le due ragazze al suo fianco non si lamentano di certo e non si fanno alcuno scrupolo sul non farsi sentire. Cosa che Will apprezza perché non mi degna più di uno sguardo per il resto della lezione. Quello di Madden invece, lo sento sulla schiena per l’ora e mezza successiva e concentrarmi sulle parole della signorina Sophie non è mai stato tanto difficile. Persino il cuore non ne può più ed è il primo a sospirare di sollievo quando la docente mette finalmente uno stop alla lezione, preoccupandosi di ricordarci di continuare a leggere i capitoli successivi, così da poter velocizzare le lezioni seguenti. Will esce come un fulmine dall’aula, travolgendo quasi un gruppo di ragazzi intenti ad aspettare che possa uscire per prima la signorina Sophie; o è in ritardo per la prossima lezione o ha semplicemente voglia di uscire dall’aula.

«Hai un’altra lezione?» Di nuovo la voce di Madden mi fa sussultare; non mi ero accorta che fosse ancora qui. Mi aggiusto la giacca sulle spalle prima di voltarmi verso di lui e osservarlo scendere dal gradino per fermarsi al mio fianco.

«No, per ora no» replico, controllando l’ora sul polso. «Voglio passare dalla Biblioteca e poi andare a fare colazione.» Aggiungo, senza sapere bene il perché. Madden annuisce, poi fa cenno verso la porta qualche metro più avanti.

«Ti accompagno» afferma, passandosi una mano tra i capelli e scompigliandoli più del necessario. «Ma prima andiamo in caffetteria; ho bisogno di un caffè.»

Non ho il tempo di poter obiettare, mi ha già sorpassato e si sta dirigendo verso il corridoio; deglutisco in fretta, soppesando l’idea. Voglio però chiedergli di sua nonna e non mi restano molte altre alternative se non quella di seguirlo. Dopotutto, di fare colazione ne ho bisogno anche io. I corridoi si svuotano in fretta, le lezioni sono tutte una dietro l’altra e sono pochi i docenti che ammettono i ritardatari. Seguo Madden lungo le scale, lui però non si volta per vedere se effettivamente io lo stia seguendo o meno, lo sa e basta.

Gira a sinistra, evitando di uscire dalla palazzina per raggiungere la caffetteria; io dimentico sempre quella strada alternativa, sono rare le volte in cui ci vado. Solitamente è Dylan a farci tappa prima di venire da me in Biblioteca. Madden tiene aperta la pesante porta di vetro, lasciandomi passare per prima; ho smesso di litigare con il block notes e lo sto semplicemente stringendo tra le braccia. Indica il bancone con un debole cenno del capo, ma è sempre lui a fare strada; la giacca la tiene nella mano destra e sembra non sentire minimamente freddo, considerato il maglioncino leggero e del tutto fuori stagione che indossa. 

«Possiamo avere due caffè?» Lo chiede con educazione alla ragazza dietro al bancone, intenta ad asciugare quelle che sembrano essere una miriade di bicchieri alti di vetro.

«E un muffin alla mela, per favore.» Aggiungo in fretta, sedendomi sullo sgabello accanto al suo; in caffetteria c’è poca gente, i tavoli sono quasi del tutto sgombri.

Madden si volta nella mia direzione, girando lo sgabello quel tanto che gli basta per appoggiare il gomito alla superficie fredda del bancone, per sostenersi la guancia; come se fosse in attesa di qualcosa. Mi tolgo nuovamente la giacca perché la temperatura all’interno del locale diventa quasi soffocante o forse è solo colpa del vapore che scaturisce dalle grandi macchinette del caffè poco distanti da dove ci troviamo noi.

«Come sta tua nonna?» Chiedo infine, con la netta sensazione che possa aver toccato un nervo scoperto. Madden però annuisce, ringraziando poi con lo sguardo la ragazza che ci porge due alti bicchieri di carta, insieme al mio muffin alla mela.

«Sta bene» replica, svuotando all’interno del caffè una bustina di zucchero bianco, mescolandolo in fretta con un bastoncino di plastica trasparente. «È a casa e credo che Clint la stia sorvegliando giorno e notte.» Un muscolo sulla sua guancia scatta appena mentre pronuncia quelle parole.

«Sono contenta» mormoro e sono del tutto sincera; spezzetto il muffin in un paio di pezzi prima di prenderne un bocconcino. «Avrei voluto chiedertelo prima, ma non ti ho più visto.» Ammetto dopo qualche secondo; sono stata ben attenta a uscire dalla mia bolla.

«Potevi chiedere a Will» scherza, sorseggiando il caffè dal bicchiere. «Sarebbe stato più che contento di risponderti. Se solo si fosse ricordato il tuo nome.» Sorrido, scuotendo poi la testa e aggrottando le sopracciglia quando la mano di Madden si muove verso di me, rubandomi un po’ del muffin per portarselo alle labbra.

«Will è troppo impegnato a correre dietro a ogni ragazza del campus per ricordarsi il mio nome» replico, allontanando appena il muffin dalle grinfie di Madden, senza nemmeno rendermene conto; Madden sorride, schiarendosi teatralmente la voce. «E non mi sarei mai permessa di chiedere qualcosa che riguarda la tua famiglia a uno sconosciuto.» Aggiungo in fretta.

«Se dovesse mai servirti: Will conosce ogni minimo particolare della mia vita.» Mi corregge Madden e per una ragione a me sconosciuta, arrossisco. Tanto da distogliere persino lo sguardo da quello già difficile di Madden. «Ti accompagno in Biblioteca, devo restituire il libro.» Aggiunge, alzandosi dallo sgabello e lasciando una banconota sulla superficie del bancone a pagare la colazione di entrambi.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 10 ***


 

capitolo
10





 

Le gambe di Kat penzolano dal bancone della Biblioteca da un tempo ormai indefinito. È una fortuna che non possa però vederle o mi distrarrebbero troppo; sto cercando di memorizzare gli ultimi concetti per l’esame imminente, ma ho ancora del lavoro da svolgere. Jules non è riuscito a far ripartire la fotocopiatrice e la signorina Penny, in preda alla furia, ha dovuto chiamare il tecnico il quale è arrivato, due giorni dopo, con quaranta minuti di ritardo e sta ora fissando Kat, pensando di non essere notato. Non ho abbastanza sicurezza nel ricordargli che tra venti minuti la Biblioteca chiuderà e che la signorina Penny se la prenderà con me se domani mattina non sarà tornato tutto in funzione.

«Ti ricordi quel ragazzo di cui ti ho parlato qualche giorno fa?» Aggrotto le sopracciglia alla domanda di Kat, ché di ragazzi me ne parla a iosa. «Alan o Adam, non ricordo bene quale sia il suo nome.» Sorrido brevemente, scorrendo l’indice sulla lista infinita di volumi arrivati nel primo pomeriggio e non ancora registrati a sistema.

«Alan» la correggo in fretta, scuotendo poi la testa e ponendo una piccola spunta accanto ad un paio di titoli. «Credo si chiami Alan.»

«Sì, Alan» Kat fa un gesto veloce con la mano, come a dirmi che ho perfettamente ragione. «Mi ha invitato a cena stasera.»

«Ci andrai?» Le chiedo, continuando a disegnare spunte man mano che la lista continua. Odio questo compito, dovrebbe farlo Jules, che invece ha un’ossessione per le liste e le spunte.

«Sto ancora decidendo.» Risponde Kat, al che sposto lo sguardo sull’orologio da polso che indosso: sono le 18:50.

«Ma sono…»

«Lo so che ore sono» mi interrompe, sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi furbi. «Sto ancora decidendo.» Ripete poi, digitando velocemente un messaggio sullo schermo del suo iPhone. Il tecnico della fotocopiatrice fa cadere a terra quello che immagino essere un cacciavite, perché produce un rumore così assordante da far sobbalzare tutti.

«Potresti dirgli che dovrebbe guardare più dentro la fotocopiatrice che da questa parte?» Sbuffo, girando pagina e passandomi poi una mano tra i capelli, a sciogliere un piccolo nodo creatosi tra le onde; Kat sorride di nuovo.

«Saranno le mie scarpe.» Sospira, posando l’iPhone per sostenersi con entrambi i palmi delle mani. «Credo proprio che accetterò.» Mormora dopo qualche secondo, riappropriandosi del cellulare, che continua a ricevere messaggi a non finire.

«Quindi non posso contare sul tuo aiuto nel mettere via questi, vero?» Domando sarcasticamente, indicando la pila di libri alla mia sinistra. Kat si morde le labbra leggermente dipinte di rosso, quasi stesse soppesando davvero l’idea. Si guarda persino le unghie perfettamente laccate di nero, però scuote la testa e un secondo sorriso dall’aria furbetta le increspa il viso, arrivando fino agli occhi. 

«Facciamo la prossima volta?» Domanda, arricciando le labbra.

«Sparisci» borbotto, allungando un braccio con l’intento di spingerla giù dal bancone, ché già di per sé non ci poteva stare. «Se non verrai a cena con me, la porta là in fondo ti aspetta.»

«Ti chiamo più tardi, okay?» Ha già la borsa in spalla e le chiavi dell’auto strette tra le dita; i due portachiavi tintinnano fastidiosamente e non c’è verso di farli stare fermi.

«Non lo so se avrò voglia di risponderti.» Borbotto, prendendo due volumi per fare il giro del bancone e lasciare che mi stampi un sonoro bacio sulla guancia.

Il tecnico della fotocopiatrice rischia di far cadere non solo il cacciavite, ma tutta la cassetta degli attrezzi quando Kat percorre il corridoio. Will è ancora seduto allo stesso tavolo, con il suo MacBook in bella vista. Non ha più una schermata nitida, ci sono solo foto che appaiono e scompaiono a distanza di pochi secondi. Deve aver smesso di usarlo un bel po’ di tempo fa.

La ragazza dai capelli di un rosa ormai piuttosto scolorito sta scrivendo velocemente su un quaderno, guardando di tanto in tanto i due libri che tiene di fronte a sé. Il ragazzo al suo fianco sta invece giocando con una sigaretta, girandosela e rigirandosela tra le dita, osservandola come se ogni risposta fosse contenuta in quel pezzetto di carta misto a tabacco. Will fa segno di allungargliene una, che l’accendino lo ha comunque lui al sicuro nella giacca, poi indica la porta poco distante. La ragazza scuote la testa quando i due escono, lasciandola forse finalmente in pace per potersi concentrare.

Devo fare più volte avanti e indietro dal bancone e quasi fosse fatto di proposito, la maggior parte dei volumi devono essere per forza di cose collocati nelle immediate vicinanze di Will, che sembra non essersi ancora accorto della mia presenza. O forse mi sta semplicemente ignorando perché, d’altronde, non sa chi io sia. Di ritorno, insieme a un sentore di fumo piuttosto leggero, mi accorgo che sullo zigomo destro, appena sotto l’occhio, c’è un’ombra scura. Non può essere colpa della luce, le lampade emettono vibrazioni calde e non possono certo rendere la pelle di quella tonalità: ha un occhio nero.

Il telefono nella tasca dei jeans vibra un paio di volte: il coach Hendriks, visto l’avvicinarsi della partita decisiva del campionato, ha allungato gli allenamenti e di tornare a casa con Dylan, per il momento, non ne parla. Se solo mi avesse avvisata dieci minuti prima, avrei chiesto a Kat di aspettare. Sbuffo, masticando un’imprecazione perché persino Jasmine è già andata a casa; ricaccio l’iPhone al suo posto e torno indietro per recuperare altri volumi che, guarda caso, finiscono di nuovo con l’essere collocati nel corridoio accanto.

La sento distintamente la porta a vetri che si apre, hanno installato giusto l’altro giorno un piccolo sensore che emette un leggero eco quando qualcuno passa sotto la fotocellula. Sporgendomi appena, Madden è già a metà corridoio. Sussulto sui miei piedi, combattendo contro l’istinto di nascondermi dietro gli scaffali, ma sta sicuramente cercando Will. E lo chiama persino per nome, in un sussurro velato per non disturbare le ultime persone che si stanno attardando; vorrei che il tecnico avesse finito, vorrei non essere costretta a rimanere qui da sola. È Will a chiamare il nome dell’amico, ad avvisarlo sulla sua posizione; Madden sbuffa, ma lo raggiunge. La ragazza alza il viso quando Madden le bacia la guancia, schioccandole le labbra su di essa un paio di volte.

«Se avete finito, io starei morendo di fame.» Mormora Madden, lasciandosi però cadere sulla sedia con ben poca grazia, lo zainetto che porta si accascia al suolo, rischiando di finire sotto i piedi di Will.

«Margot…»

«Sì, sì» interrompe Will con un veloce gesto della mano, quasi a dirgli di fare silenzio, che la sta distraendo. «Ho finito. Perché diavolo vengo qui con voi proprio non me lo spiego.» Vedo Will stringersi nelle spalle e Madden sorridere, scompigliando i capelli alla ragazza; l’occhiataccia che gli rivolge è così di fuoco che Madden alza le mani in segno di resa.

«Gli altri sono già là?» Domanda l’ultimo ragazzo al tavolo, chiudendo il volume che Margot ha davanti, come se volesse velocizzarne i tempi; è Madden ad annuire, alzandosi dalla sedia e prendendo il libro tra le mani.

«Dove?»

«Là dietro» Margot indica il corridoio dove sono rimasta ferma io. «Terzo scaffale dall’alto, credo.» Aggiunge, chiudendo tutto e ritirando il quaderno in borsa. Mi mordo il labbro, muovendo un passo indietro e raggiungendo il corridoio accanto; i passi di Madden sono sempre più vicini.

«Mad, ti aspettiamo fuori» è di nuovo Will ad alzare la voce. «Mi sto addormentando dentro questo posto.» Borbotta poi, strisciando appena la sedia sul pavimento. Non sento quello che risponde Madden, forse perché in realtà non lo fa. Mi si ferma semplicemente a pochi passi di distanza, con il libro sospeso tra le mani.

«Devo ammettere che la tua inclinazione all’origliare mi sorprende sempre di più.» Lo sussurra appena, avvicinandosi quel tanto che basta per raggiungere lo scaffale e ritirare il libro; non ha bisogno di sollevarsi sulle punte, lui.

«Sto lavorando.» Replico abbassando appena lo sguardo, ma avvertendo le guance colorarsi di rosso; non lo vedo, ma lo sento il sorriso di Madden.

«Ce ne stiamo andando, tranquilla.» Mormora, fermandosi però contro lo scaffale, lasciando che la spalla vi si appoggi contro; annuisco, sperando che il tecnico abbia finalmente finito.

«Buona serata, allora.» Sono io a spostarmi per prima e devo per forza di cose passargli accanto per raggiungere nuovamente il bancone.

Madden mi segue prima con lo sguardo e solo in un secondo momento me lo ritrovo nelle immediate vicinanze; il tecnico è ancora lì e non lo so se sta imprecando perché non c’è niente da fare o se perché è semplicemente stufo anche lui. Lo guarda qualche secondo poi me lo indica con un cenno del capo.

«Non c’è più nessuno?» Me lo chiede sfogliando un dépliant lasciato da qualcuno sul bancone; scuoto la testa, spegnendo definitivamente il monitor della Biblioteca. «Vuoi che resti?»

Sì, ti prego.

«Non c’è bisogno. Immagino che abbia ormai finito…»

«Mi scusi» Madden si volta rivolgendosi al tecnico, il quale impiega qualche secondo prima di rendersi conto che stia effettivamente parlando con lui. «Ne ha ancora per molto?» Il tecnico controlla l’ora sul polso poi sospira e posa qualcosa all’interno della cassetta degli attrezzi.

«Non riesco a capire quale sia il problema» chiudo gli occhi alle sue parole, sedendomi sullo sgabello, ma combattendo contro la voglia di prendermi la testa tra le mani. «Posso ripassare domani mattina presto.» Madden si volta nuovamente verso di me, in attesa che dica qualcosa. 

«Io…» sbuffo, ma recupero il cordless per comporre il numero della signorina Penny. «Un attimo solo.»

Mi risponde dopo qualche squillo infinito e non è di certo contenta di sentire che il problema non è stato risolto, che se potesse strozzare Jules senza finire in guai seri, lo avrebbe già fatto. È lei a mettere però fine alla chiamata, con una minaccia velata verso l’incompetenza del tecnico che tengo però per me. Se avesse fissato meno Kat e più la fotocopiatrice, ora forse tutto sarebbe nuovamente in funzione.

«Non c’è problema» lo informo, ponendo nuovamente il cordless nella propria sede. «Dalle otto trova sicuramente qualcuno.» Lo vedo annuire velocemente e ritirare definitivamente gli attrezzi inutili nella cassettina verde che tiene vicino ai piedi.

«Arrivederci.»

È Madden a salutarlo, osservandolo attraversare il corridoio, lasciando poi che le porte si chiudano alle proprie spalle. Mi sto massaggiando le tempie quando i suoi occhi tornano a fermarsi su di me; ho il cuore un po’ più leggero nel sapere che sono finalmente da sola. O quasi.

«Tutto okay?» 

«Sì, voglio solo andare a casa, ma devo finire di mettere via questi, non posso lasciarli qui» indico la pila di libri ancora in bella mostra sul tavolino appena dietro il bancone. «E devo cercare dei post-it per lasciare scritto che tornerà domani.» Madden annuisce, poi controlla l’ora sull’orologio di pelle che porta al polso destro.

«Puoi tornare a casa?» Domanda Madden e di nuovo il suo sorriso non lo vedo, lo sento solo. «Lo sai che…»

«Che gli autobus sono già passati?» Ribatto del tutto sarcastica, sedendomi nuovamente sullo sgabellino. «Ma non mi dire.»

«Posso darti un passaggio, se hai bisogno.» Mormora Madden. Si passa una mano tra i capelli e l’unico anello con una pietruzza incastonata al centro cattura la luce delle due lampade sopra le nostre teste.

«No» replico fin troppo in fretta, tornando a sfogliare velocemente la lista. «Mio fratello e la squadra di calcio si stanno ancora allenando. Aspetterò che finiscano qui da qualche parte.» Scuoto la testa alle mie stesse parole, che in realtà su dove andare non ho nessuna idea.

«Cecily…»

«Davvero Madden» lo interrompo di nuovo. «Raggiungi i tuoi amici, ti stanno aspettando.» E come se Will mi avesse sentito, le porte automatiche si aprono non appena il viso di Will si avvicina ad esse.

«Cazzo Mad, ti muovi? Si congela qui.» Non è arrabbiato, il suo tono sembra sempre costantemente annoiato; Madden impreca tra i denti.

«Andate, vi raggiungo là» replica Madden, voltandosi verso l’amico, che invece di ribattere si limita semplicemente ad allargare le braccia esasperato, con il fumo dell’ennesima sigaretta a scaturirgli dalle labbra e dalle narici. «Ho dimenticato la giacca in aula, devo chiedere a qualcuno di farmi entrare.» Will non fa ulteriori domande, si stringe nelle spalle, lasciando che le porte si chiudano nuovamente; la giacca di Madden è posata sul bancone, appena dietro di lui.

«Madden…» Voltandosi nuovamente, la sua mano finisce dritta sulla lista che tengo ferma sulla scrivania, insieme a una matita; mi sfila dalle dita prima i due fogli e in un secondo momento la matita, sfiorandomi la pelle e facendomi sussultare.

«In due faremo prima.» Mormora semplicemente, leggendo in fretta i vari titoli rimasti non spuntati. Mi mordo il labbro, ma annuisco facendo un passo indietro. Qualcosa mi dice che forse, anche Madden avrebbe dovuto fare come il tecnico: andare via.

È comunque lui a leggere i titoli ad alta voce, in modo che io possa controllare nella pila e annuire ogni qualvolta risulta - così da posarlo sul tavolo principale - o scuotere la testa quando invece manca all’appello. A lista conclusa, allunga entrambe le braccia a recuperare una decina circa di volumi, aspettando che sia io questa volta a dare indicazioni su dove debbano essere posizionati.

Facciamo su e giù per i corridoi per un po’, lui a tenere ben saldi i libri ed io a ritirarli nei giusti scaffali. Non mi prende in giro quando non arrivo a quelli più alti - a differenza di Jules, che tanto più alto di me alla fine non è - semplicemente: ci pensa lui. I post-it non ho proprio idea di dove siano, sul tavolo principale sono spariti e non li ho visti nemmeno accanto a dove di solito lasciamo i nostri effetti; spero solo che qualcuno li abbia ordinati. 

«Andiamo, devono pur essere da qualche parte.» Borbotto, aprendo per quella che è la terza volta il secondo cassetto della scrivania. Madden sogghigna e dallo zainetto recupera un foglietto piuttosto accartocciato, ma pulito; me lo porge tenendolo fermo tra due dita, indicando poi la penna isolata accanto alla tastiera.

«Grazie.» Mormoro, scrivendovi sopra velocemente un appunto sul tecnico e sul fatto che in mattinata, passerà nuovamente. 

Persino il nastro adesivo sembra essersi volatilizzato e lascio quindi il bigliettino libero sulla tastiera, sperando che nessuno lo tocchi o che non si perda. Faccio cenno a Madden di aspettare un altro secondo appena, giusto il tempo di recuperare la giacca e la borsa più grande, lasciando anche la spilla sul tavolino nel retro. Percorro nuovamente il corridoio giusto in tempo per vedere le luci di servizio abbassarsi lentamente, fino a lasciare tutto nella penombra. Mi fermo improvvisamente, con troppa roba stretta tra le braccia per poterle portare entrambi avanti in modo da non sbattere contro qualcosa di inaspettato.

«No, no, no» mormoro più a me stessa che a qualcuno in particolare. «Non è possibile.» Madden mi afferra la mano inaspettatamente e sussulto così forte che a terra finisce tutto ciò che stringo al petto.

Io stessa ho voglia di cadere, così da evitare che la solita orrenda sensazione mi faccia bruciare lo stomaco e forse anche un po’ il cuore.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 11 ***


 

capitolo
11





 

Credevo di essere ormai diventata brava nel gestire certe situazioni, invece accade puntualmente sempre la stessa cosa: il cuore mi batte così forte contro la gabbia toracica che sono quasi sicura possa essere percepito distintamente da chi mi sta di fronte. Il che potrebbe essere anche un bene, se solo la persona qui con me non fosse Madden

«Che diavolo è successo?» Non è spaventato o preoccupato, è semplicemente curioso; di lasciare la mia mano sembra non volerne sapere.

«Non…» mi ritrovo a chiudere gli occhi e sono io stessa a compiere un passo indietro, così che la mano di Madden debba per forza di cose sfilarsi dalla mia; mi accorgo a malapena di finire contro lo scaffale. «Siamo rimasti chiusi dentro.»

«Scusami?» Ora, forse, un po’ di preoccupazione c’è; è lui ad abbassarsi per recuperare ciò che mi è caduto a terra. 

«Si sono spente le luci e…»

«Avrai una chiave da qualche parte.» Madden si guarda intorno, indeciso se rimanere lì fermo o se muoversi verso l’ingresso.

«No» si volta verso di me e seppure la penombra non mi permetta di scorgere perfettamente i suoi occhi, lo so che sono puntati su di me. «È una chiusura centralizzata, possono aprirci solo con una chiave dall’esterno e la ha il coach Hendriks.» Mormoro, scuotendo poi la testa; con la mano libera, Madden si tasta le tasche dei jeans.

«Ho lasciato il cellulare in macchina» borbotta, imprecando poi tra i denti. «Dobbiamo recuperare il suo numero, ci serve il cordless.» Lo vedo fare cenno verso il corridoio principale e lo so che mi sta esortando a seguirlo, così da poterci allontanare dal retro. Eppure io resto immobile, ferma sui miei stessi piedi con nessuna intenzione di compiere un singolo passo.

«Non conosco il suo numero di telefono.» Ammetto, stringendomi le braccia al petto; Madden sorride.

Perché Madden sorride?

«Hai detto che la squadra di calcio si sta ancora allenando, vero?» Annuisco alla sua domanda. «Immagino tu abbia memorizzato sul tuo cellulare il numero di tuo fratello. Che dici se torniamo di là e provi a chiamarlo?»

La sua non è in realtà una vera e propria domanda, ma un consiglio che sa di soluzione. Annuisco di nuovo alle sue parole, ma sussulto quando Madden mi posa appena la mano dietro al gomito, esortandomi nuovamente a seguirlo. E questa volta obbedisco, lasciando che sia lui a fare strada lungo il corridoio, con la mia borsa più grande stretta sotto il braccio, assieme alla giacca. Posa tutto sul bancone principale, osservandomi mentre recupero il cellulare dalla scrivania. Mi tremano così tanto le mani che è persino difficile scorrere la rubrica; il telefono di Dylan squilla a vuoto e se io me ne stupisco, Madden invece no. 

«Scrivigli un messaggio» propone e di nuovo non è un consiglio, ma la soluzione. «Lo leggerà non appena finiranno gli allenamenti. Il coach è sempre l’ultimo ad andare via.»

Ho perso il conto delle volte in cui ho annuito alle parole di Madden, ma mi ritrovo a compiere di nuovo lo stesso gesto; se cercare un numero è stato difficile, digitare le lettere a comporre un messaggio che abbia senso, lo è ancora di più.  Devo correggere più volte perché non ci siano errori e tutto sia chiaro.

 

Dylan

 

Sono rimasta chiusa in Biblioteca. 

Il coach Hendriks ha la chiave che permette l’apertura da fuori, per favore avvisalo.

 

«Okay.» Mormoro, posando nuovamente l’iPhone e sperando che Dylan legga il messaggio prima di andare dritto verso casa.

«Okay» ripete Madden; l’atrio è più luminoso dei corridoi stessi ed è qualcosa che mi tranquillizza forse un po’. «Va meglio ora?» Domanda poi, scrutandomi con lo sguardo per quanto la luce fioca gliene dia la possibilità.

«No» replico e il sorriso di Madden lo vedo ancora. «No perché quell’idiota del tecnico, invece che controllare la stampante, ha pensato bene di osservare Kat seduta su questo bancone per tre quarti del tempo. Se avesse svolto il suo lavoro, a quest’ora non saremmo bloccati qui per non so quanto tempo. È tutta colpa di Matias, perché ha dovuto millantare di saper usare una fotocopiatrice, quando lo sanno tutti che in realtà non sa nemmeno lanciare una stampa…»

«Cecily» la voce divertita di Madden sovrasta la mia senza troppa fatica o forse ne deve fare perché il mio nome lo deve ripetere due volte prima che io smetta di parlare, lasciandomi con un leggero affanno. «Va tutto bene, non è successo niente di grave.» Chiudo gli occhi di nuovo, sedendomi sullo sgabellino e posando entrambi i gomiti sulla superficie dura e fredda del bancone, più a cercare del sollievo che a sostenermi il viso.

«Scusa.» Mormoro dopo un tempo apparentemente per me infinito. C’è totale silenzio nell’aria, tanto che la mia voce, seppure bassa, produce un leggero eco. Madden lo sento schiarirsi appena la gola.

«Per cosa?» Domanda lui, forse incuriosito. Assume la mia stessa posizione: gomiti posati sulla superficie del bancone e mento sul dorso delle mani. Spingo lo sgabellino leggermente indietro, nonostante a dividerci ci sia un tavolo bello massiccio.

«Non saresti dovuto rimanere» replico, stringendomi nelle spalle e allontanandomi quanto più possibile dal bancone. «Dovevi semplicemente andare via con Will e non aiutare me.» 

«Facciamo una cosa» a Madden le mie scuse non sembrano interessare. «Andiamo a sederci più in là: stare qui è inutile.» Indica con un cenno del mento il primo gruppo di tavoli accanto agli scaffali alla nostra destra.

Non aspetta che io risponda, semplicemente si muove verso di essi, prendendo posto sulla sedia più esterna. Mi alzo a fatica dallo sgabellino, di starci così vicino non ne ho nessuna intenzione. Qualcuno deve aver spostato il tavolo verso le sedie sul lato opposto e a occhio già lo vedo che non riuscirò a muoverne una per potermici sedere, così come non riuscirei a passarci senza spostarle. Madden tira indietro la sedia al suo fianco, strisciandola appena sul pavimento. Ho il labbro stretto così forte tra i denti da sentire persino male però mi siedo, ben attenta a non urtarlo.

«Will ha un occhio nero, non è vero?» Le braccia di Madden sono entrambe ferme sul tavolo e la mano che si stringe alla mia domanda non mi sfugge.

«Difficile non notarlo.» Replica con uno strano tono di voce, voltandosi però leggermente verso di me; io abbasso lo sguardo.

«Che cos’è successo?» Non so bene perché io continui a parlare, piuttosto che rimanere in silenzio in attesa che gli allenamenti finiscano il prima possibile.

«Bart.» Replica semplicemente Madden; sussulto appena: non lo chiama mai papà.

«Come?»

«Ha trovato Will a casa invece di me» me lo dice con calma nonostante la sua voce sia intrisa di rabbia nei suoi confronti. «Io poi ho trovato lui e l’occhio di Will non è nulla in confronto a quello di Bart.» Sussulto di nuovo, immaginando Madden colpire in viso suo padre.

«Che cosa voleva da te?» 

«Soldi, suppongo» replica Madden, stringendosi nelle spalle e pizzicandosi la punta del naso. «È l’unica cosa che cerca.»

«Ha picchiato Will per soldi?» Cerco conferme, anche se non me ne servono; Madden annuisce.

«Bart non guarda in faccia a nessuno» mormora, voltandosi ora completamente verso di me. «Ci fossi stata tu al posto di Will, non sarebbe cambiato molto.»

«Tua nonna non ha paura di lui?» Domando, perché chiunque dovrebbe averne.

«Nonna è abituata alle scenate di Bart» risponde, passandosi una mano tra i capelli; non c’è abbastanza luce perché gli anelli possano catturarne un po’. «E sa di poter contare su Clint.»

«Chi è Clint?» Sono curiosa, estremamente curiosa. E anche spaventata da tutta questa situazione: Bart è pericoloso e la nonna di Madden vive esattamente di fronte a me.

«Un vecchio amico di mia madre» replica Madden; il guizzo sulla sua guancia indica che c’è altro ancora da scoprire. «Ha sempre vissuto lì, conosce bene mia nonna e meglio ancora Bart. Credo sia l’unico a riuscire a tenergli testa.» Aggiunge, schioccando le labbra.

«Tua madre…»

«Mia madre non esiste più» me lo dice a bassa voce, scandendo lentamente le parole. «Onestamente, non rammento più nemmeno che faccia abbia. Ricordo solo di essere stato io a trovarla morta in un cesso pubblico della stazione.» Sobbalzo così forte alle sue parole da portarmi entrambe le mani alle labbra, non so quando hanno iniziato a tremare.

«Madden, mi…»

«Dispiace?» Madden sorride, mordendosi poi il labbro inferiore. «E perché mai? Nessuno l’ha mai costretta a drogarsi per poi finire ammazzata.» Si stringe persino nelle spalle. Io devo contare fino a dieci per calmare il respiro e il battito del cuore, che di rallentare non ne ha nessuna intenzione.

«Mi dispiace, sì» replico ugualmente, spingendo appena all’indietro la sedia sulla quale sono seduta. «Non lo sapevo.» Madden annuisce.

«Bart sarà il prossimo» mormora, passandosi velocemente una mano sul viso. «Ogni volta che lo vedo è conciato peggio del giorno prima. Lo so che prima o poi mi chiameranno perché lo avranno trovato morto in qualche vicolo con una cazzo di siringa nel braccio.»

Nella voce di Madden c’è rabbia, cattiveria, odio nei confronti di Bart. Rabbrividisco alle sue parole, ma questa volta non gli dico che mi dispiace, anche se si tratta realmente di ciò che penso. Bart è ancora piuttosto giovane e immagino che sua madre lo fosse altrettanto, se non di più quando è morta.

«Sei cresciuto con tua nonna?» Non lo so proprio da dove mi venga tutta questa voglia di fare conversazione, forse il silenzio intorno a noi è peggio delle parole. 

«Sì, certo» replica Madden, voltandosi nella mia direzione e posando entrambi i gomiti sulla superficie del tavolo. «Ho vissuto con lei fino a qualche anno fa, quando Will e io abbiamo iniziato l’università.» 

«Qualche tempo fa mi hai detto che dovrei guardare più spesso al di fuori della mia bolla» il sorriso sghembo di Madden lo vedo appena. «Da quanto tempo sai che vivo lì?» Nella mia voce c’è quasi timore misto ad ansia e spero che non se ne renda conto.

«Almeno metà del primo anno dei corsi» me lo dice schietto, senza troppi giri di parole. «Sarà stato un pomeriggio di giugno, credo. Faceva molto caldo quel giorno, me lo ricordo perché la nonna mi aveva chiesto di metterle in funzione l’aria condizionata. Ti ho visto uscire di casa con un annaffiatoio e bagnare delle piante.» 

«Stai scherzando?» Madden scuote la testa e questa volta sorride per davvero.

«Avrei voluto persino dirti che stavi sbagliando, che con il troppo caldo del pomeriggio le avresti uccise dando loro l’acqua, ma non ho fatto in tempo: sei sparita dentro casa subito dopo. Ti ho rivista qualche giorno dopo a lezione, ma sarebbe stato pericoloso rivolgerti la parola con quella scusa.» Mi pizzico la punta del naso. «Lo vedo come ti comporti con le persone, il giorno in cui Will ti ha rovesciato addosso il caffè sei saltata come una molla, tremavi dalla testa ai piedi.» Lo sguardo torno a rivolgerlo alle mani ferme sul banco, trattenendo l’impulso di chiuderle a pugno. 

«Io…»

«Il mio guardare più spesso al di fuori della tua bolla voleva significare semplicemente che non sei invisibile, le persone ti vedono eccome, anche se ti piace pensare il contrario. Non tutti sono poi così cattivi come credi tu.» Sussulto così forte che la sedia si sposta definitivamente di qualche centimetro dal tavolo, producendo il minimo rumore, ma che nel silenzio opprimente della Biblioteca buia sembra essere così amplificato da echeggiare lungo tutto lo spazio circostante. 

«Forse.» Sussurro appena.

Vorrei credergli, vorrei che Madden avesse ragione, ma non posso. Vorrei persino spiegargli il perché io la veda in questo modo, ma non è il momento e forse non arriverà mai perché d’altronde: chi diavolo è poi Madden?

«I tuoi genitori sono migliori dei miei?» Me lo domanda all’improvviso e scuoto la testa tanto svelta che i due ciondoli della collana che indosso tintinnano appena.

«Non so chi siano» glielo dico piano, in un fil di voce. «Non so che faccia abbiano, conosco solo i loro nomi perché mio fratello se li ricorda meglio di me. Però ci hanno abbandonato entrambi quando avevo appena pochi mesi e Dylan due anni circa, forse non sono stati e non lo sono tutt’ora migliori dei tuoi. Per lo meno sai che Bart è ancora vivo.»

«Potrei dire che mi dispiace…»

«Ma non devi.» Lo interrompo in fretta.

«Lo so, non avevo intenzione di farlo» replica, stringendosi nelle spalle prima di farmi un cenno con il mento. «Dove sei cresciuta?»

«Un po’ ovunque, per lo più nei servizi sociali. Dylan e io siamo sempre stati insieme, l’uno non poteva essere diviso dall’altra e a nessuno piace l’opzione due per uno quando non si tratta di cibo.» Il sarcasmo nella mia voce fa sorridere Madden e sono quasi contenta che la sua reazione sia questa.

«Siamo quasi stati adottati una volta, a circa sei anni, una coppia di novelli sposi ci ha preso in affidamento per un paio di anni e sarebbe andato tutto bene se lei non fosse rimasta incinta. È stato il periodo migliore della mia vita, se sorvoliamo sul fatto che ci hanno rimandati indietro come se fossimo stati merce difettosa.»

«Nessuno è migliore di nessuno allora.» Sentenzia Madden, schiarendosi appena la voce.

«Già e forse tutti sono cattivi come penso io.»

Gli occhi verdi di Madden, alle mie parole, li vedo non perché ormai la penombra è diventata quasi familiare, ma perché le luci più grandi del corridoio prendono vita quando il coach Hendriks sblocca la porta d’ingresso, permettendo così che l’elettricità torni a funzionare.

«Signorina Jansen?»

Chiudo gli occhi, sospirando di sollievo; Madden si alza in fretta dalla sedia, sporgendosi perché il coach possa vederci. Ha i capelli umidi di pioggia e la giacca punteggiata di fango.  Le voci dei compagni di squadra di Dylan le sento appena dietro di lui, ma mio fratello sembra essere il solito ritardatario perché non lo vedo quando, recuperate le mie cose, mi affretto a seguire Madden per poter finalmente uscire.

«Grazie coach.» È Madden a ringraziarlo, permettendomi di uscire prima di lui.

Il coach annuisce senza chiedere spiegazioni o troppi dettagli sul perché io sia rimasta chiusa lì dentro e lo apprezziamo entrambi; ci saluta semplicemente, diretto alla sua auto per poter finalmente tornare a casa. Madden si volta nella mia direzione forse per un semplice saluto, ma la voce di Dylan interrompe ogni sua possibile azione; ha il fiatone e il pesante borsone sulla spalla destra.

«Cecy, sei un disastro.»

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 12 ***


 

capitolo
12





 

Detesto fare la spesa da che ne ho memoria; non mi piace né girare tra i corridoi gremiti di prodotti alimentari e tantomeno sceglierli uno a uno. La ragazza seduta alla cassa, con un paio di codini biondi e le labbra costantemente dipinte di un rosso acceso è però sempre molto gentile. Dubito che le piaccia stare lì, ma il sorriso di cortesia che rivolge a ogni cliente le fa onore. Tengo sotto controllo l’ora sull’orologio che porto al polso, l’ultima cosa che mi serve è perdere la corsa dell’autobus per tornare a casa.

I due signori che ho davanti in coda invece non sembrano avere poi molta fretta perché la calma con cui posano la propria spesa sul rullo trasportatore è glaciale. Sospiro forse fin troppo rumorosamente, tanto che l’anziano che mi sta davanti si volta nella mia direzione accennando un sorriso appena, quasi volesse chiedermi scusa, che non è mica colpa sua. Vorrei rispondere che nemmeno io ho colpa, solo un po’ di fretta perché di dover camminare per tre isolati con due buste di spesa non mi entusiasma come vorrei. La ragazza bionda alla cassa comunica l’importo al primo cliente, contando gli spicci di resto e augurandogli poi una buona serata. Il signore che mi sta davanti deve conoscerla piuttosto bene perché la saluta con calore e con confidenza.

«Buonasera Giselle» sorride, posando la carta fedeltà proprio sul suo palmo teso. «Come sta la mamma?»

«Meglio, grazie» replica, battendo il codice dei prodotti, producendo un sonoro beep. «Sua moglie, invece? L’ho vista qualche giorno fa, mi è sembrata in ottima forma.» 

«Sì, la fisioterapia sta facendo miracoli.» Giselle sorride, continuando a passare la spesa del signore, comunicando poi l’importo, in attesa che finisca di imbustare tutto. Non ci sono spiccioli da contare, estrae una carta di credito che inserisce prontamente nel terminale.

«Buona serata Giselle e grazie mille.» Entrambi si rivolgono un sorriso di arrivederci poi Giselle si accomoda meglio sul suo sgabello e controlla velocemente l’ora sul grande orologio appeso a qualche metro di distanza; sono quasi le otto.

«Ciao» mi saluta, rendendomi la carta fedeltà dopo averla passata sul lettore. «Ti do qualche busta?»

«Sì, due per favore.» Lascio che concluda di battere tutti gli articoli per spostarmi alla fine della cassa e imbustare il tutto. Non mi chiede niente e io, del resto, faccio altrettanto.

«Sono ventisette euro e quindici centesimi.» Io gli spicci li ho sempre, ma li lascio contare a lei; me ne deve dieci di resto.

«Buona serata.»

Mi saluta alzandosi dallo sgabello per spegnere la luce della propria postazione poi sparisce nell’ufficio appena alla fine del corridoio; le borse le devo per forza di cose tenere in entrambe le mani. Dall’altro lato della strada altri due market stanno tirando giù le serrande, ma il circondario è ancora ben illuminato; dal ristorante indiano vicino alla fermata dell’autobus fuoriesce un aroma di spezie non indifferente che mi solletica lo stomaco.

L’autobus dovrebbe arrivare tra circa dieci minuti, così mi siedo sulla panchina, guardandomi intorno; ci sono altre due persone in attesa e la mia mente le recepisce come innocue, sono facce per lo più conosciute. Il bus arriva con qualche minuto di anticipo; sorrido appena ai due ragazzi che mi lasciano salire per prima e prendo posto nei primi sedili disponibili, posando alla mia destra le buste della spesa.

Sospiro di nuovo, voglio arrivare a casa il prima possibile perché ho freddo e sto morendo di fame; sono solo quattro le fermate che devo percorrere per rientrare, ma il conducente arresta la corsa appena dopo due, scandendo all’altoparlante che non posso proseguire oltre. Sgrano gli occhi, ma non sono io a chiedere spiegazioni, bensì un signore sulla cinquantina, con ancora la ventiquattrore stretta nella mano.

«E perché mai?» Domanda, piuttosto scocciato. Il conducente si stringe nelle spalle, poi apre entrambe le porte per permettere ai passeggeri - me compresa - di scendere.

«Ordini dalla centrale, mi dispiace. Ci sono molte coincidenze qui, potete tranquillamente arrivare alla vostra destinazione.» 

Mi alzo in fretta, scendendo i tre gradini; questa volta non sospiro: sbuffo. Non ci sono coincidenze che mi portano a casa, solo le mie gambe. Attraverso la strada per raggiungere il secondo marciapiede, combattendo l’impulso di chiamare Dylan e farmi venire a prendere; fortunatamente non ho preso nessuna bottiglia o cassa d’acqua. Cammino in fretta non tanto per arrivare a casa quanto prima, ma perché non sono poi così sicura che le buste possano reggere per molto tempo. Quasi saltello di gioia entrando nella via principale.

Riconosco l’auto di mio fratello venire nella mia direzione e passarmi accanto, ma lui non deve vedere me perché non accenna a fermarsi. Scuoto la testa e proseguo verso casa; fortunatamente la luce in veranda è ancora accesa. Riesco ad aprire facilmente il cancelletto, è la porta di casa che fa più fatica; non tanto perché la serratura abbia deciso di non collaborare proprio stasera, ma perché delle chiavi non c’è nemmeno l’ombra più remota. 

«Non è possibile.» Mormoro, posando a terra le due borse, con la possibilità che tutta la spesa si sparpagli in veranda.

Mi abbasso sulle ginocchia, così da poter cercare meglio le chiavi all’interno della borsa, ma non ci sono; non saltano fuori nemmeno rovesciandone l’intero contenuto a terra. La chiave di riserva deve averla ancora Kat, l’ultima volta non me l’ha restituita perché al solito posto non c’è. Mi rendo conto di non avere con me nemmeno il cellulare perché ovviamente è rimasto in carica dentro casa.

«Potrebbe andare peggio di così?»

Mi accorgo di averlo detto a voce un po’ troppo alta quando, poco distante, una risata mi arriva chiaramente alle orecchie. Sussulto perché di certo non è Dylan e tanto meno Madden, non la riconosco. Mi volto in fretta, tornando in posizione eretta e chiudendo la borsa, che lascio comunque poi cadere a terra; è Clint.

«Va tutto bene?» Me lo domanda curioso, chiudendo il bidone della spazzatura vicino al suo cancello; attraversa la strada, ma resta comunque a distanza dal mio cancelletto.

«Sì, grazie.» Replico in fretta, forse con un tono più secco di quanto vorrei; ho paura di lui, nonostante sia una persona vicino ad Madden.

«Sicura?» Chiede di nuovo e annuisco, schiarendomi la voce per avvicinarmi appena.

«Ho solo perso le chiavi di casa, aspetto che torni mio fratello.» Mormoro, rendendomi conto di quanto stupida suoni quella frase. Non ho idea di dove sia andato Dylan né di quando avrà intenzione di tornare. Clint sorride, poi indica la porta di casa sua.

«Se ti serve qualcosa, bussa alla porta. Il campanello non funziona.»

Annuisco alle sue parole e torno in veranda, sedendomi sui gradini e osservando Clint chiudersi la porta di casa alle spalle; dall’interno del mio appartamento il cellulare segnala l’arrivo di un paio di messaggi. Dev’essere passato all’incirca un quarto d’ora prima che il rombo familiare di una motocicletta echeggi in tutto l’isolato; stranamente c’è più silenzio del solito e tutto sembra amplificato. Sussulto, ma non per paura. C’è qualcos’altro che prevale e me ne accorgo quando la moto si ferma davanti alla casa della nonna di Madden.

Lui non è solo, Will è seduto dietro e si sta togliendo il casco per passarsi una mano tra i capelli, ravvivandoli; nella mano libera ha una borsa di carta. Madden compie i suoi stessi movimenti, prendendo il casco di Will per ancorare entrambi alla moto. Non suonano nessun campanello, Madden apre il cancello di casa di sua nonna seguito da Will, per aprire poi anche la porta di casa. Li sento salutare la padrona di casa e poi chiudersi alle spalle il tutto, facendo ripiombare nel silenzio il vicinato. Io, seduta ancora sui gradini dell’ingresso, sbuffo per non so bene quale motivo: io ho dimenticato il telefono dentro casa e sempre io ho perso le chiavi. Vorrei persino mettermi a piangere, forse mi aiuterebbe a scaldarmi un po’, ma non ne ho voglia.

La porta della casa di fronte si apre nuovamente qualche minuto più tardi. Forse mi aspetto di veder comparire entrambi per tornare verso casa loro, con la nonna di Madden affacciata alla porta in un saluto per augurare loro una buona serata. Invece, di Will e della nonna, neanche l’ombra; c’è solo Madden che si stringe addosso la giacca, perché il freddo stasera proprio non manca.

Apre il cancelletto con gesti meccanici e questa volta non se lo chiude alle spalle, lo lascia leggermente aperto perché la serratura non scatti. Velocemente guarda sia a destra che a sinistra, sorpassa la sua motocicletta e attraversa la strada. Come Clint poco prima, si avvicina, ma non oltrepassa il perimetro di casa mia.

«Cecily

Mi chiama come se non si aspettasse di trovarmi lì, come se ne fosse addirittura sorpreso. Eppure io qui ci abito, di essere sorpreso non ne ha alcun motivo. Poi mi accorgo che non c’è stupore nella sua voce, ma divertimento. La curiosità è dettata dal fatto che sono seduta a terra, sui gradini gelidi, con le borse della spesa mezze rovesciate.

«È tutto okay?» Deve sforzarsi di non sembrare realmente divertito, me ne accorgo dal tono di voce che usa.

«Certo che sì» mormoro in risposta, arricciando il naso e grattandomi distrattamente il collo, quasi a voler depistare i suoi dubbi. «Stavo solo… prendendo una boccata d’aria.» Poi chiudo gli occhi e scuoto la testa. Madden questa volta ride e lo fa di gusto, tanto che mi è difficile trattenere un sorriso.

«Posso?» Domanda, facendo cenno al cancelletto rimasto semi aperto; annuisco senza timore.

Madden lo apre e come quello di sua nonna, non lo chiude. Poi si avvicina con passo lento, quasi studiato; non mi si siede accanto, resta fermo e in piedi, con una  mano nascosta all’interno della giacca e l’altra ad aprire il pacchetto di sigarette, quasi dovesse contare quante ce ne siano al suo interno.

«C’è qualcosa che vorresti dirmi?»

«No, non credo.» Replico e non me lo spiego questo giochetto che abbiamo in corso.

Madden sorride di nuovo, questa volta una fossetta infantile gli compare sulla guancia. Poi sospira e accanto mi si siede senza preavviso, tanto che il sussulto non me lo leva nessuno.

«Mettiamo il caso che un uccellino mi abbia detto che tu sia rimasta chiusa fuori casa» traffica nuovamente con il pacchetto di sigarette, portandosene una alle labbra per tastarsi poi le tasche dei jeans alla ricerca dell’accendino. «Dovrei credergli oppure vuoi davvero prendere una boccata d’aria?» La voce è distorta perché le labbra tengono in bilico precario la sigaretta.

«Dovresti credergli» rabbrividisco e mi stringo le braccia al petto. «Devo aver perso le chiavi da qualche parte e quella di riserva non mi è stata restituita da Kat. Non posso nemmeno chiamare mio fratello perché ho dimenticato il telefono in casa e Dylan è uscito poco prima che arrivassi.»

Mi rendo conto di avere le guance in fiamme non tanto per la presenza di Madden al mio fianco, ma per la situazione in sé; abbozza un nuovo sorriso prima di schiarirsi la voce.

«In questo caso, se ti va, puoi aspettare con noi che tuo fratello torni» mormora, stringendosi nelle spalle prima di rialzarsi. «Fa sicuramente meno freddo che qui.» Non mi tende la mano, aspetta semplicemente che mi alzi di mia spontanea volontà. 

«Non importa» replico, scuotendo la testa. «Non voglio disturbare.» 

«Okay, mettiamola così allora» Madden sospira di nuovo, lasciando che il fumo della sigaretta gli fuoriesca dalle narici poi siede nuovamente al mio fianco. «Se non vieni con me, costringerai entrambi a prendere freddo in attesa che tuo fratello ritorni. A te la scelta.» Volto il viso nella sua direzione, non mi sta guardando. O forse si sta costringendo a non farlo perché la fossetta non è ancora sparita dal suo viso.

«D’accordo, verrò con te.» Madden annuisce, probabilmente realmente sollevato dalle mie parole e si alza, aspettando che io faccia lo stesso. Indica le borse della spesa ancora a terra.

«C’è qualcosa che deve essere ritirato?» Domanda.

«Oh no, credo proprio che la temperatura di stasera possa conservare meglio del frigorifero.»

Lo sento sorridere mentre recupero almeno la borsa poi lo seguo lungo il vialetto, chiudendomi il cancelletto dietro le spalle. Madden apre nuovamente quello di sua nonna, facendomi cenno di passare per far scattare finalmente la serratura; mi sorpassa di nuovo, lasciando una scia del suo solito profumo a invadere il mio spazio personale. Aprendo la porta, è sempre me che fa passare per prima.

«Madden, sto morendo di fame.» È Will a parlare, nascosto in chissà quale stanza; il cuore mi batte fino nelle tempie.

«Ma non mi dire» replica Madden, togliendosi la giacca per appenderla dietro la porta; mi tende la mano ad aspettare che io faccia altrettanto. «Nonna, ti ho portato una persona.»

Qualcosa da poco distante sembra cadere a terra e percorrendo il corridoio troviamo Will a metà strada, così curioso da non poter attendere un momento in più. Ha le sopracciglia aggrottate e osserva Madden per un paio di secondi poi il suo sguardo si posa su di me, rendendomi difficile sostenere i suoi occhi verdi. Si rilassa nell’istante in cui mi riconosce, io però non posso dire di poter fare lo stesso; si fa da parte, con un sorriso ad aleggiargli sulle labbra, lasciandoci passare.

«Spero vivamente non sia di nuovo Sean o quella nullità di tuo padre.» Questa è per forza di cose la nonna di Madden; lui nel mentre ha aggottato le sopracciglia all’ipotesi che io possa essere in realtà Bart.

«No, tranquilla» in soggiorno Will si è accomodato sul divano, abbassando il volume del televisore. «È Cecily, vive qui di fronte.» La nonna di Madden mi sorride, eppure nel suo sguardo c’è qualcosa che riconduco a diffidenza. 

«Ma non mi dire.» Fa eco Will, ripetendo le parole di Madden, cambiando canale distrattamente per non incappare nel suo sguardo; l’occhiolino che mi rivolge però non mi sfugge.

«Non voglio disturbare, ma ho perso le chiavi di casa e mio fratello non c’è. Madden mi ha…»

«Hai già cenato, Zucchero?» La nonna di Madden m’interrompe, strofinandosi le mani sullo strofinaccio viola che le pende da una tasca del grembiule; scuoto la testa. «Will, aggiungi per favore un piatto e spegni quella televisione: mi sta dando i nervi.» Will obbedisce, lasciandole un sonoro bacio sulla guancia quando le passa accanto per raggiungere la cucina.

«Sean? Il senzatetto Sean?» Domando più a Madden che a sua nonna; lui si stringe appena nelle spalle, scoprendo gli avambracci tatuati dal maglione che indossa. 

«Mio nipote fa solo finta di essere un teppistello, non farebbe del male a una mosca.» Replica divertita sua nonna, prima di seguire Will, che di chiasso ne sta facendo abbastanza.

Madden non dice nulla, si limita ad aggrottare le sopracciglia e a stringere le labbra in una linea sottile, a trattenere un sorriso o semplicemente una risposta. Non le credo perché l’ho visto prendere a pugni suo padre senza  provare il ben che minimo rimorso.

La nonna di Madden arrangia una cena per tutti, la diffidenza deve essere scomparsa nel momento in cui si è resa conto che sia Will che Madden sembrano conoscermi realmente, che non è la prima volta che appaio davanti ai loro occhi. Però non mi chiede nulla, non accenna più a Bart o a Sean o al fatto che io viva esattamente di fronte a lei e non le abbia mai rivolto la parola. È lei a portare avanti la conversazione, Will non assomiglia minimamente al ragazzo che incrocio in aula o per il campus: è divertente e solare, non c’è traccia di noia nelle sua voce. Solo Madden è sempre lo stesso.

Non so nemmeno quanto tempo passi, la nonna di Madden è brava a intrattenere, però la voce di mio fratello che chiama il mio nome, la sento. E c’è persino del panico in essa perché deve aver bussato alla porta più volte, notando le buste della spesa abbandonate in veranda. Madden si alza da tavola in fretta, dirigendosi verso l’ingresso; sono subito dietro di lui, mi sta già porgendo la giacca.

«Grazie» mormoro appena, infilando velocemente entrambe le maniche, scostandomi i capelli incastrati nel colletto. «Ringrazia anche…»

Madden annuisce semplicemente, poi apre la porta; l’aria fredda mi arriva dritta in viso, facendomi rabbrividire visibilmente. Attraverso la strada di corsa, senza nemmeno preoccuparmi di macchine provenienti da destra o da sinistra. Dylan sta bussando di nuovo alla porta di casa, con il cellulare incastrato tra spalla e orecchio, in un probabile tentativo di raggiungere il mio.

«Dylan!» Lo chiamo ad alta voce più per tranquillizzarlo che per altro; si gira in fretta verso di me, lasciando cadere il telefono nella mano prima di passarsela tra i capelli e masticare un’imprecazione tra i denti. «Sono qui.»

«Cecy, ma che cazzo…»

«Ho perso le chiavi di casa» lo interrompo in fretta, voglio solamente rientrare. «E ho lasciato il telefono lì dentro prima di uscire per fare la spesa.»

«Non fare mai più una cosa del genere.» Mormora, trafficando con le chiavi che nasconde nella tasca del giubbotto per poter finalmente aprire la porta di casa. È lui a recuperare le buste della spesa e posarmele sul tavolo. Mi saluta con un bacio sulla guancia poco più tardi, augurandomi buona notte.

Il mio telefono è ancora sotto carica vicino all’ingresso e lo controllo solo dopo aver fatto scattare la serratura. Le chiamate perse di Dylan sono tre e ci sono due messaggi di Kat: il primo mostra la foto della chiave riserva, nel secondo mi chiede scusa per non averla restituita, ma che me la darà domani.

Spengo la luce dell’ingresso solo per doverla riaccendere nuovamente; bussano alla porta per qualche secondo. Sono talmente convinta che sia Dylan da aprirla senza esitazioni. Poi sussulto perché è Madden a comparire sulla soglia.

Ha le sopracciglia appena aggrottate e la giacca chiusa fin sotto al mento, segno che si è appena congedato da casa di sua nonna; Will è fermo accanto alla moto, in attesa. Non dice nulla, indica con un cenno del mento l’iPhone che mi sto stringendo al petto; deglutisco prima di allungarlo verso di lui. Traffica qualche secondo, poi me lo restituisce passandosi una mano tra i capelli, gli anelli sempre pronti a catturare la minima luce.

«Se dovessi averne bisogno.» Abbozza appena un sorriso, poi scende in fretta le scale, nascondendo entrambe le mani nelle tasche dei jeans e raggiungendo Will, che con un cenno della mano mi dà la buonanotte.

Madden ha inserito il suo numero di cellulare nella mia rubrica e non ho bisogno di cercare il suo nome in essa per esserne del tutto sicura.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 13 ***


 

capitolo
13





 

Matias mi passa la tazza di ceramica che la ragazza dietro il bancone gli porge, non senza lasciarsi sfuggire una mezza imprecazione in spagnolo su quanto effettivamente scotti. Mi stringo appena nelle spalle quando la posa sul tavolo, solo per farla scivolare verso di me e soffiarsi sulla punta delle dita.

«Grazie» replico, allungando una mano a recuperare un paio di bustine di zucchero dal dispenser. «Com’è andato l’esame di Filosofia? Non mi hai più detto niente alla fine.» Lo zucchero che rovescio nel tè bollente si dissolve immediatamente a contatto con esso, senza quasi bisogno di essere mescolato.

«Devo ridarlo, queriña» me lo dice frettoloso, bagnandosi le labbra con il caffè macchiato. «Sono cascato come un idiota sull’ultima domanda e mi ha bocciato.» Aggiunge, arricciando il naso.

«Mi dispiace» replico e lo sono davvero; Matias è orgoglioso e anche se non lo ammetterà mai, odia deludere sé stesso. «Se hai bisogno di una mano…»

«Lo so, ti ringrazio.» Sorride, sfiorandomi il braccio e svuotando contemporaneamente la tazzina di caffè; sussulto appena, ma ricambio il suo sorriso. «Jules…»

Lo scacciapensieri posto all’ingresso della caffetteria tintinna un paio di volte, comunicandoci che Jules ha appena fatto il suo ingresso in modo piuttosto trafelato. Sbuffa, passandosi velocemente una mano tra i capelli e guardandosi intorno qualche secondo prima di identificarci seduti direttamente sugli sgabellini al bancone; lo vedo alzare gli occhi al cielo, anche se non ne conosco realmente la motivazione.

«È passata la tua amica dai capelli rossi» Jules traffica all’interno della tasca della giacca mentre io aggrotto appena le sopracciglia, lasciando raffreddare il tè, che di essere bevuto non ne vuole proprio sapere. «Ti cercava, le ho detto che ti avrebbe trovata qui, ma aveva fretta. Mi ha lasciato questa.» La mia chiave di casa di riserva tintinna sul bancone di marmo della caffetteria; Jules mi si siede accanto con un sospiro. 

«Oh, ti ringrazio» la ritiro subito nella tasca dei jeans, sperando che non se ne vada più in giro a suo piacimento. «Ti ha detto come mai tanta fretta?» Avrebbe dovuto portarmela questa mattina, ma ha avuto un imprevisto; Jules scuote la testa, controllando qualcosa sul telefono.

«Non precisamente, qualcosa a che fare con delle prove.» Mormora, sorridendo più al suo dispositivo che a noi in particolare. Matias sogghigna, come se fosse a conoscenza di qualcosa che invece a me sfugge.

«Ti prego, dimmi che le hai finalmente chiesto di uscire e ha accettato.» Matias sta facendo a pezzettini un tovagliolino di carta, ma i suoi occhi sono puntati su Jules, che scuote la testa.

«No, mi ha solo scritto grazie per averle consigliato un libro su cui poter studiare meglio le dispense di Economia.» Replica, posando il telefono e stringendosi nelle spalle.

«Un passo alla volta, chiquito» mormora Matias, regalandogli un occhiolino. «Un passo alla volta.» Jules scoppia a ridere nello stesso momento in cui il tintinnio della campanella echeggia nuovamente nell’ambiente fin troppo silenzioso. 

«Mi sono forse persa…»

«Cecily

Sussulto così velocemente sullo sgabellino che quasi rovescio metà del contenuto della tazza e forse qualcosa mi dice che devo averlo persino fatto perché Matias salta giù dallo stesso con la solita imprecazione in spagnolo. Will, con una sigaretta incastrata sull’orecchio, è fermo appena dietro Jules. Il suo viso è finalmente tornato pulito, non c’è più traccia del livido violaceo appena sotto l’occhio.

«Will.» Mormoro appena, ché di altre parole non mi escono dalle labbra. Gli occhi di Jules corrono su entrambi, Matias è tornato a sedersi e sembra ben intenzionato a non muoversi di lì. 

«Possiamo parlare?» Ha le sopracciglia aggrottate e sento il cuore accelerare il battito senza un’apparente motivazione. Annuisco in fretta, più per curiosità che per paura. «Da soli, se non ti dispiace.»

Guardo prima Jules e in un secondo momento Matias; annuiscono entrambi, come a dire che non c’è nessun problema e nemmeno nessun pericolo. Mi alzo dallo sgabello, seguendo Will fuori dalla caffetteria; le mani le ha nascoste all’interno della giacca di pelle che indossa, lasciata aperta su un maglione ben più che pesante e di un blu molto scuro, quasi nero.

«Ti ascolto.» Mi stringo le braccia al petto, stando ben attenta a non avvicinarmi troppo; Will annuisce.

«Hai per caso visto o sentito Madden oggi?» Me lo domanda con naturalezza, ma il tono di voce lo tradisce perché c’è preoccupazione e quando scuoto la testa, lo scatto sulla guancia non lascia troppo spazio all’immaginazione, così come la bestemmia che mastica appena tra i denti.

«No.»

«Non mi risponde al telefono da dopo pranzo, pensavo…»

«Non l’ho più visto né sentito dall’altra sera» non lo so perché lo interrompo, ma lo faccio con il cuore che adesso che batte più veloce, ché la preoccupazione me l’ha trasmessa senza dubbio nonostante sia una semplice domanda. «Mi dispiace.» Aggiungo poi; Will annuisce.

«Ti è capitato di vedere Bart nelle vicinanze di casa tua in questi giorni?» A questa domanda sussulto perché Will è preoccupato e lo è davvero.

«No, non l’ho visto» replico in fretta, stringendomi ulteriormente le braccia contro il petto. «Will, che cosa…»

«Ho un brutto presentimento. Non volevo disturbarti, grazie comunque.» Parla in fretta, dandomi le spalle ancor prima di concludere la frase, con il chiaro intento di andarsene velocemente dal campus.

«Will!» Non mi limito a chiamare il suo nome, lo raggiungo; si ferma, forse confuso dalla mia reazione. «Che tipo di brutto presentimento?» Domando senza fiato, perché la risposta penso di conoscerla anche io.

«Bart.» Afferma e i brividi che mi percorrono la schiena non hanno niente a che vedere con il freddo. «Il brutto presentimento è sempre Bart.»

«Stai…»

«Andando a cercarlo?» Conclude la domanda che avrei voluto porre io e poi annuisce. «Vieni con me?»

Non lo so con quale tono me lo chieda, ma faccio cenno di sì ancora prima di poter pensare di tirarmi indietro, di decidere che questa storia non mi riguardi. Gli mormoro di aspettare solo un secondo e un movimento del capo a significare assenso mi fa muovere i piedi.

Ritorno in fretta dentro la caffetteria, senza rispondere alle domande che Jules mi porge; non lo so se conosca Will di persona o meno, mi limito semplicemente a recuperare la borsa e a pagare il tè che alla fine non ho nemmeno bevuto. Will è fermo contro lo schienale della panchina, il telefono premuto contro l’orecchio sinistro e il fumo della sigaretta che fuoriesce dalle labbra e dal naso. Impreca violentemente, ricacciandosi il cellulare nella tasca dei jeans; Madden non risponde, ancora.

«Vieni, da questa parte.» Ha il passo veloce, ma ho paura e non fatico nel restargli vicino.

Attraversiamo il parcheggio in fretta, fermandoci di fronte a una Range Rover rossa fiammante. La chiusura centralizzata scatta nel momento stesso in cui poso la mano sulla maniglia per potervi salire. Will mette in moto senza nemmeno aspettare che io possa allacciarmi la cintura di sicurezza: ha fretta, come se non ci fosse abbastanza tempo per perdersi in inutili dettagli; io non ho idea di cosa stia facendo, né tantomeno di dove stiamo andando.

«Torniamo prima a casa, magari è lì. Poi decidiamo da dove cominciare.» Annuisco alle sue parole, anche se non le sta rivolgendo direttamente a me.

L’autoradio la spegne bruscamente, la musica non serve né per compagnia, né come sottofondo per il ritorno. Scopro che l’appartamento in cui vivono non è così distante dal mio quartiere, anzi. A piedi potrei impiegare neanche venti minuti per raggiungerli. So essere frequentato da parecchi studenti, la zona è molto vicina al campus; la cosa mi rilassa un poco e non so nemmeno perché.

Will parcheggia l’auto davanti al cancello di un appartamento costruito su due piani dipinto di blu, con le imposte scure ancora aperte; le luci all’interno però sono tutte spente e di Madden sembra non esserci ombra. Scende per primo dall’auto, trafficando con le chiavi di casa per aprire sia il cancello che la porta; sono un passo dietro di lui e mi sento di troppo. Non è affar mio questa storia, non avrei dovuto seguirlo.

Will mi dice di aspettare qui all’ingresso mentre vola su per le scale, la stanza di Madden deve trovarsi al piano di sopra. Resto immobile obbedendo ai suoi comandi, però il cellulare lo tiro fuori dalla tasca, scorrendo velocemente la rubrica fino ad arrivare alla lettera m.

Il nome di Madden è in cima alla lista e cliccando sul suo nome, la chiamata parte in automatico. Non so con quale diritto lo faccio, non ha risposto a Will per tutto il giorno, perché dovrebbe rispondere proprio a me? E infatti non squilla nemmeno, parte immediatamente la segreteria telefonica. Mi agito perché non è un buon segno, non lo è mai.

Will scende di corsa le scale, scuotendo la testa e sparendo in una parte di casa che immagino comprenda cucina, salotto e la sua stessa stanza: Madden non è nemmeno lì. Sento Will imprecare poi sbattere la porta di qualcosa prima di tornare nell’ingresso, prendendomi per il gomito e facendomi uscire di casa. Mi mordo il labbro così forte a quel suo gesto inaspettato che quasi corro verso la sua auto pur di sfuggirgli.

«Dove cazzo sei finito Harvey.» Borbotta, mettendo nuovamente in moto; non rispetta i limiti di velocità questa volta.

«Hai provato a chiamare sua nonna?» Lo domando scioccamente e Will scuote la testa. «Clint?» Azzardo poi.

«Non mi è di alcun aiuto.» Risponde secco e non capisco perché, mi è sempre sembrato pronto nel dare una mano. Non dico altro, né propongo posti su dove poterlo cercare perché non ho idea di che cosa fare per aiutarlo.

«La moto è in garage e l’auto vicino casa. È a piedi, per forza di cose. Dove può andare a piedi? Se fossi Bart, dove cazzo sarei?»

Will parla ad alta voce, non so se per includermi nella conversazione o semplicemente perché così la mente lavora meglio. Finiamo a girare per la periferia della città, zone che non conosco e di cui sono grata: ci sono vicoli sporchi, case fatiscenti e senzatetto che girano indisturbati, qualcuno alla ricerca di chissà che cosa all’interno dei cassonetti della spazzatura. Madden non è qui e Bart nemmeno; si sta facendo persino buio, Will è agitato e stringe il volante dell’auto con così tanta forza che le nocche sono praticamente sbiancate. Ci avviciniamo alla stazione senza un apparente motivo, però Will la macchina la parcheggia ugualmente, invitandomi a seguirlo.

«Stammi vicino.» 

Obbedisco senza provare a obiettare o a farmelo ripetere una seconda volta; passato l’orario di lavoro, questa stazione non differisce poi troppo dalle zone di periferia appena lasciate. Non afferro il braccio di Will solo perché me lo impongo. Giriamo prima vicino ai binari sotterranei, ma non so se stia cercando Madden o Bart; io cerco entrambi perché se Madden è qui, Bart è con lui. Ho solo paura a immaginare lo stato dell’uno piuttosto che dell’altro.

Risaliamo in superficie poco dopo che la folla appena scesa da un treno si è ormai dispersa; Madden è seduto su una panchina in fondo al binario numero 5, quasi si stesse nascondendo da qualcuno. È da solo, Bart non è con lui, o almeno, così sembra. Will accelera il passo fin quasi a corrergli incontro e io gli sono dietro, con il cuore a metà sollevato nell’averlo trovato e impaurito perché non sembra nelle migliori condizioni di sempre.

«Madden, giuro su Dio…»

S’interrompe quando, mettendogli una mano sulla spalla, si accorge del suo viso: ha un rivolo di sangue ormai secco lungo il mento e un piccolo graffio sullo zigomo destro, come se una mano con un anello al dito lo avesse colpito dritto in quel punto. Anche le nocche sono sporche di sangue, ma né io né Will riusciamo a capire se sia il suo o quello di qualcun altro.

«È tutto il giorno che provo a chiamarti, che cazzo è successo? Dov’è Bart? È stato lui, non è vero? Giuro su…»

«Will.»

Madden lo interrompe con voce ferma ma stanca, lo sguardo ancora fisso a terra; non sono sicura che si sia accorto di me o forse è così e basta perché quando alza gli occhi, incrocia i miei a poca distanza da Will. La schiena torna dritta e la mano ferita la nasconde nella tasca della giacca.

«Perché sei con lui?» Questo lo domanda a me direttamente, ma è Will a rispondere.

«Perché non mi rispondi a quel cazzo di telefono da cinque ore» sbotta, passandosi una mano tra i capelli biondi, scompigliandoli più del necessario. «Cecily era ancora al campus e le ho chiesto se per caso ti avesse visto o sentito.» Madden ha ancora gli occhi verdi fissi nei miei.

«Tu piuttosto, perché diavolo sei qui in stazione?» 

«Perché non posso andarmene in giro conciato così, tu che dici?»

Quando Will gli si siede accanto, Madden gira il viso verso di lui e non è solo lo zigomo ad essere stato sfregiato, perché perde sangue anche dal sopracciglio; qui non è ancora secco come sul mento e Will impreca.

«Tranquillo, Bart è messo peggio però, spero lo abbiano già fermato e sbattuto in una qualche cella libera.» Sorride e forse ne è persino soddisfatto.

«Dobbiamo portarti a casa, hai bisogno di essere medicato.»

Will si alza nuovamente, sospirando così forte che trattengo un sorriso: il peso che si portava dentro è svanito; Madden sta bene. Mi ritrovo a camminare tra Will e Madden: Will mi sfiora il braccio con il proprio passo dopo passo senza farlo di proposito, senza nemmeno rendersene conto. Madden si tiene a debita distanza e non lo so se sia arrabbiato o meno nel trovarmi lì, dopotutto: io non c’entro in tutta questa storia. Madden sale accanto a Will in auto mentre io mi accomodo nei sedili posteriori. Mettendo in moto, Will si gira appena verso di me.

«Ti accompagno…»

«No, ci penso io più tardi» lo interrompe bruscamente Madden, imprecando contro il proprio telefono, che di accendersi non ne vuole sapere. «Devo parlare con Clint, l’accompagno io.»

Will si stringe nelle spalle, di obiettare non ci pensa proprio e io nemmeno perché in questo preciso momento, non mi fido di Madden. Ha una luce diversa negli occhi e lo so che è dovuto a suo padre, lo so bene. Eppure non mi fido, ho come il timore che possa scontrarsi anche con Will stesso se pronunciasse una parola di troppo.

I limiti di velocità tornano a essere rispettati, così come la musica non viene spenta bruscamente. Will non chiede più nulla a Madden riguardo al pomeriggio appena trascorso, né tantomeno nomina di nuovo Bart. Non so se a causa mia o semplicemente perché in macchina non potrebbe guardarlo negli occhi come invece vorrebbe.

Madden traffica con la giacca, tirando fuori un pacchetto malconcio di sigarette solo per estrarne una e incastrarsela tra le labbra mentre con la mano sinistra cerca l’accendino nella tasca dei jeans; mormora qualcosa che sembra più un gemito di dolore, ché il sangue sulle nocche è il suo, non di Bart. Apre appena il finestrino, lasciando che l’aria fredda s’insinui tra di noi a portare via l’odore acre di fumo ed esso stesso, poi si rilassa contro il sedile, posandovi la testa e lasciandosi sfuggire un sospiro.

Gli occhi di Will incrociano i miei attraverso lo specchietto retrovisore interno, in uno sguardo che vuole semplicemente dire che va bene così, che si aspettava di peggio, che siamo stati fortunati. Non so se credergli o meno, però annuisco. Il respiro io non lo caccio fuori in segno di tranquillità, lo trattengo. Contro il sedile mi ci rilasso anche io; per il momento va bene così.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 14 ***


 

capitolo
14





 

Will parcheggia la Range Rover poco distante dall’ingresso di casa, un’altra auto sembra aver occupato il suo posto e lui stesso non perde tempo a maledirne il proprietario che ancora non ha capito che questo è il mio. Madden lo sento sorridere, poi sganciarsi la cintura di sicurezza che ancora lo tiene ancorato al sedile del passeggero. Will apre la portiera dell’auto, continuando a borbottare frasi sconnesse; Madden imita i suoi movimenti, voltando il viso nella mia direzione, quasi ad aspettare che scenda finalmente dall’auto. E lo faccio, non prima di aver deglutito un paio di volte in più del necessario.

«Posso?» Domanda Will, facendo strada; lo seguo perché Madden non mi dà altra possibilità, è lui a chiudere la fila. «Solo un graffietto, non lo saprà nessuno.» Continua Will, trafficando con le chiavi di casa, che di entrare correttamente nella serratura non ne vogliono sapere, a quanto pare. Madden sbuffa appena, ma non perché sia scocciato, è semplicemente divertito dalla situazione.

«No Will, quell’auto ha un antifurto» borbotta, schiarendosi appena la voce. «E con ogni probabilità, il proprietario abita qui di fronte e ha una telecamera puntata nella nostra direzione attiva ventiquattr’ore su ventiquattro.»

Will sbuffa rumorosamente, riuscendo finalmente ad aprire la porta di casa, spalancandola perché sia io che Madden possiamo entrare senza problemi. L’esitazione nei miei passi non l’ho immaginata perché Madden mi sospinge leggermente, in un tocco tanto veloce e repentino che forse ho immaginato quello. Mi supera poi in fretta, lasciando che la porta dietro di noi si chiuda con un leggero tonfo.

«Coraggio Cecily, non mordiamo.»

È la voce di Will a chiamare il mio nome e mi ritrovo a scuotere la testa perché… in che razza di situazione mi sono dovuta andare a cacciare?

Annuisco più a me stessa che alle parole di Will e attraverso l’ingresso, osservando meglio la stanza in cui mi ritrovo. È un salotto piccolo, la dimensione non deve differire troppo rispetto a quello di casa mia. Will si sta togliendo la giacca, lasciandola penzoloni dallo schienale del divano, Madden vi è seduto direttamente sopra.

«Immagino che sia arrivato il momento dell’interrogatorio, dico bene?» Lo borbotta sarcastico, osservandomi con la coda dell’occhio lasciare la borsa e la giacca sulla poltrona appena accanto. Mi stringo nelle spalle perché non è rivolta a me quella sorta di domanda e infatti Will di conseguenza sbuffa.

«Certo che sì, ma dovrai prima medicarti» replica velocemente Will, controllando qualcosa sul suo cellulare. «Nel caso in cui non te ne fossi accorto, hai la faccia piena di sangue.» Il sarcasmo nella sua voce non differisce poi molto da quello di Madden; alza gli occhi al cielo, stringendosi persino nelle spalle.

«Io…»

«Muoviti» ordina Will; un accenno di sorriso mi spunta sul viso. «Devo rispondere, Cecily ti dispiace?» Non termina la richiesta, mi sorpassa in fretta, uscendo di casa e chiudendosi la porta alle spalle.

«Dovrei forse controllare che tu obbedisca?» Madden si alza dal divano svogliatamente, lasciandosi sfuggire un sospiro e poi indica con un cenno del capo il corridoio in fondo alla stanza. 

«A quanto pare» borbotta, arrotolandosi entrambe le maniche del maglione che porta. «Torno subito.»

Annuisco alle parole di Madden, sedendomi semplicemente sul divano e osservandolo sparire lungo il corridoio, chiudendosi una porta dietro di sé. Non sta via molto, ritorna semplicemente qualche minuto più tardi, tra le mani tiene uno scatolino bianco: è il kit di primo soccorso.

«Madden…»

«Potresti svitare il disinfettante?» Mormora velocemente, aprendo la scatola e porgendomi la boccetta rossa. «La mano mi fa male davvero.» Borbotta poi.

Annuisco e faccio come dice, attenta a non far cadere nulla sul tessuto del divano. Gliela porgo velocemente, così da trasferirla su un dischetto di ovatta. La mano ferita gli trema appena al primo tocco con il disinfettante e il labbro inferiore lo tiene stretto tra di denti, insieme ad un’imprecazione.

«Se vuoi faccio io» Madden alza gli occhi così in fretta che quasi sussulto, però la mano gliela tendo ugualmente, sperando che non si accorga del battito fin troppo accelerato del mio cuore. «Fa meno male se è qualcun altro a medicarti.»

Ci pensa su qualche secondo, poi posa il dischetto di ovatta sui jeans e si toglie gli anelli uno a uno, lasciando che cadano e tintinnino sul divano. La mano me la porge lentamente, posandola sul palmo della mia di mano e passandomi il dischetto imbevuto di disinfettante. Non sono tagli profondi quelli che si è procurato, ma sicuramente non è stato solo il viso di suo padre a provocarglieli. 

«I muri sono sempre nei posti meno opportuni» borbotta, quasi mi avesse letto nel pensiero, poi sussulta e la sua mano ne segue il movimento, quasi sfuggendo alla mia. «Avevi detto che avrebbe fatto meno male.» Aggiunge, mordendosi nuovamente il labbro.

«Scusa» replico, applicando meno pressione sulle ferite e concentrandomi più a pulire la zona dal sangue ormai secco che lascia appena il posto a quello più fresco. «Perché mai hai colpito un muro?»

«Perché Bart è veloce.» Replica. Deve essersi avvicinato negli ultimi secondi perché sento il suo respiro solleticarmi la fronte; le nocche sono medicate.

«Non credo di esserne capace, ma dovresti almeno fasciarla o continuerà a farti male.»

Madden annuisce, sfilandomi dalle dita il cotone ormai sporco per darmene un altro pulito; si avvicina ulteriormente sollevandosi appena i capelli dalla fronte, girando poi il viso per esporre il sopracciglio ferito. Chiude gli occhi, scattando appena quando il freddo del disinfettante entra in contatto con la pelle.

«Scusa.» 

«Non mi piaci come crocerossina» sogghigna Madden, chiudendo nuovamente gli occhi. «E sei una bugiarda.» Aggiunge, grattandosi la punta punta del naso, sfiorandomi il polso. 

«E tu evita di farti prendere a pugni di nuovo.» Replico, seguendo la linea che il sangue ormai secco ha tracciato lungo lo zigomo e la guancia, finendo vicino al mento; Madden sorride.

«Ora mi dici che cazzo è successo?»

La voce di Will fa sussultare entrambi, tanto che il cotone mi scappa dalle dita, finendomi sulle gambe. Madden è svelto e lo recupera alzandosi persino dal divano per ritirare la cassetta del primo soccorso, non senza sbuffare e preoccupandosi che il diretto interessato se ne accorga. Will si siede sulla poltrona, passandosi una mano tra i capelli e alzando gli occhi al cielo quando il cellulare squilla nuovamente; questa volta lo ignora e osserva Madden sparire lungo il corridoio per tornare nuovamente in salotto e sedersi sul divano, recuperando gli anelli.

«Bart è successo, Will» replica stringendosi nelle spalle. «Cos’altro pensi sia potuto accadere?» Domanda retorico e Will scuote la testa, a dargli però ragione.

«Perché eri ridotto così? Perché stavi in stazione e non al campus dove ti avevo lasciato senza graffi?» Will è infuriato, il tono di voce è cambiato. Forse persino Madden lo è perché ha le sopracciglia appena aggrottare e una piccola ruga di espressione si è insinuata tra di esse; nemmeno lo scatto della guancia mi sfugge.

«Perché sono andato a recuperare della posta per la nonna e guarda caso, ho trovato Bart insieme a Greg seduti a un cazzo di bar dall’altro lato della strada.» Ribatte velocemente, tirandosi su ulteriormente le maniche del maglioncino.

«Greg? Ma stava…»

«Esatto» lo interrompe Madden. «Stava.» Sottolinea il tempo verbale.

«Perché Bart ti ha picchiato?» 

«Oh non lo so, non ho avuto molto tempo per chiedergli che cazzo gli sia passato nel cervello mentre si è alzato ed è venuto verso di me come una furia» il sarcasmo nella voce di Madden è spaventoso. «Così come non ho fatto in tempo a schivare il pugno che mi ha tirato dritto in faccia perché, notizia speciale, non me ne sono nemmeno reso conto!»

«Madden…»

«E il suo amico Greg ha pensato che fosse una buona idea non levarmelo di dosso, così di pugni me ne sono beccati due e ora, insieme alla mano, mi fa male anche la testa perché Bart gli anelli non se li leva mai e guarda caso, li ha sempre nella mano con cui colpisce.»

«Tale padre, tale figlio.» Borbotta Will, alzando poi le mani in segno di resa, che forse non è stata una buona idea pronunciare quelle parole. Madden sbuffa e scuote la testa, cambiando idea sul passarsi la mano ferita tra i capelli. «La mano…»

«La mano l’ho sbattuta contro il muro.» Mormora semplicemente Madden, interrompendo la domanda di Will, che non è tanto diversa da quella che volevo porre io.

«Ma perché non possiamo chiamare la polizia come la gente normale?» Will la domanda non la pone a Madden in particolare, tantomeno a me.

«Perché noi non siamo gente normale» replica però Madden, sospirando nuovamente. «La gente normale non ha un padre alcolizzato e tossicodipendente con una restrizione nei confronti di casa di sua madre così come la gente normale non si nasconde in stazione perché su un autobus conciato così non ci può salire.» 

«Madden…»

«La gente normale un padre lo ha in casa, non in carcere da quando è nato. Qualcuno ha pure una madre, magari non un vago ricordo di un cadavere trovato in un bagno pubblico.» Madden si sgonfia lentamente, portandosi la mano alle tempie; Will lo vedo scuotere la testa e immagino sia lui quello il cui padre è in carcere da tutta la sua vita.

«Già, direi che normali non lo siamo proprio.» Borbotta poi Will e persino lui si è dato una calmata, che di discutere tanto non ne vale la pena. «Cecily…»

«Forse è meglio se ti accompagno a casa.»

Madden si alza dal divano con un sospiro, tastandosi le tasche alla ricerca delle chiavi della sua auto solo per individuarle appese poco distanti. Annuisco in fretta, alzandomi io stessa dal divano per recuperare la giaccia e la borsa accanto a Will. Indossa nuovamente la giacca, storcendo il naso quando la stoffa gli graffia la pelle della mano, ancora libera dalla fasciatura; fa cenno verso la porta e non faccio tempo a seguirlo perché sento la porta aprirsi.

«Ciao Will.» 

«Ci vediamo, Cecily.» Replica appena, rispondendo in fretta all’ennesima chiamata.

Madden è fermo all’ingresso, con una sigaretta ancora spenta in bilico tra le labbra. La sua auto la riconosco a qualche metro di distanza, ma lascio che faccia strada verso essa, attendendo che la chiusura centralizzata scatti per poter salire al suo fianco. Mette in moto in modo frettoloso, tanto che il motore sembra quasi ribellarsi poi si accende la sigaretta e apre appena il finestrino dal suo lato, così da non lasciare il fumo stantio libero nell’abitacolo. Gli anelli sono tornati al loro posto, sono talmente belli da creare un netto contrasto con la pelle lacerata delle nocche. Ha una guida nervosa, ingrana e scala le marce anche più del necessario e il motore sembra davvero volersi ribellare; ha le spalle tese così come le labbra con le quali tortura quella sigaretta che si consuma in fretta, ma che non assapora come vorrebbe.

«Madden…» sospira rumorosamente quando lo chiamo per nome e per un paio di secondi mi ritrovo i suoi occhi addosso. «Va tutto bene?» Mi rendo conto di aver aperto bocca solo adesso, mi sono solamente limitata ad ascoltare la loro discussione, ché di intervenire non ne avevo nessun diritto. Madden sorride appena, ma non è di certo divertito.

«Sì, alla grande.» Replica e forse nemmeno si accorge del tono brusco che utilizza.

«Non c’è proprio niente che si possa fare con tuo…»

«No, Cecily» m’interrompe. «Non c’è proprio niente che si possa fare.» Poi inspira rumorosamente solo per espirare con altrettanta enfasi, ché il discorso finisce qui.

Annuisco più a me stessa che per dimostrargli che ho capito, che non sono cose che mi riguardano, che non c’è bisogno di chiedere per non avere risposte in cambio. Il viso lo volto appena dall’altro lato, contando i lampioni del mio quartiere: sono quindici quelli che arrivano fino a casa. Madden parcheggia poco più avanti rispetto al mio ingresso poi scende dall’auto aggiustandosi la giacca sulle spalle.

«Grazie del passaggio.» Glielo dico che ho già mosso qualche passo in direzione di casa, con nessuna intenzione di voltarmi o aspettare una risposta da parte sua.

Cosa che comunque non accade perché il cancellino d’ingresso di sua nonna scatta e lui sparisce lungo il vialetto solo per aprire e chiudere la porta di casa. La mia di porta la apro in fretta, chiudendola con altrettanta enfasi da far tremare appena la mensola lì accanto. L’orologio in cucina segna le 20:15, ma di appetito non ne ho nemmeno l’ombra.

Appeso al frigorifero c’è un bigliettino stropicciato e la calligrafia di mio fratello dice di aver esagerato con il cibo da asporto per lui e un paio di amici e che trovo tutto nel secondo ripiano. Sorrido accartocciando il foglio nel palmo della mano solo per recuperare dal ripiano il bollitore per il tè. I contenitori sono ancora tiepidi, non deve essere passato troppo tempo prima che tornassi. Raggiungo la mia camera da letto solo per recuperare un maglione più pesante dell’indumento che ancora indosso, i caloriferi non sono abbastanza caldi, ma non ho molta voglia di inveire contro la caldaia che pensa di fare come più piace a lei.

Il bollitore fischia e se non fosse per un secondo bussare insistentemente alla porta, avrei pensato di essermelo solo immaginato; corro in cucina per sollevare il bollitore e mi aggiusto le maniche del maglione aprendo la porta, soprappensiero da non controllare nemmeno lo spioncino. Madden è fermo sotto il portico di casa mia, con le braccia incrociate e una sigaretta spenta dietro l’orecchio. Persino con la poca luce della lanterna sopra di noi i suoi occhi risultano di un verde spaventoso; prende un respiro prima di parlare.

«Mi dispiace» mormora appena; mi sto ancora mettendo a posto la manica destra del maglione e i capelli sciolti si sono incastrati sotto la spalla, rendendomi difficoltoso quel movimento. «Non volevo trattarti male.»

Muove veloce un passo verso di me e allunga contemporaneamente la mano ferita, a liberarmi la ciocca di capelli. Sussulto perché involontariamente mi ha sfiorato la guancia e il passo indietro nemmeno mi accorgo di averlo compiuto.

«Sì, invece» replico, deglutendo perché la vicinanza è troppa e in un contesto al momento non sicuro. «Non sono fatti miei, non lo sono mai. Non ho diritto di chiedere nulla riguardo a Bart perché non so niente.»

«Cecily»

«Va bene così Madden, accetto le scuse.» Lo interrompo io bruscamente questa volta, ché non può averla vinta lui ogni volta.

Madden abbassa lo sguardo per una frazione di secondo, quasi a dire che va bene, ho ragione io però poi lo rialza e la mia schiena finisce contro lo stipite della porta perché ho fatto un altro passo indietro, mentre lui si è palesemente avvicinato. È così vicino da sfiorarmi la guancia con la punta del naso prima di lasciarvi un bacio impercettibile; il profumo che indossa lo sento anche se sto trattenendo il fiato, con il cuore che pompa violentemente fino nelle tempie, martellando un ritmo che non so più se sia dovuto alla paura o se ad altro. 

«Grazie per essere venuta a cercarmi.» Me lo dice in un sussurro al quale non posso replicare perché mi ha già voltato le spalle, diretto verso l’auto. La manica del maglione ancora non è andata a posto. 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 15 ***


 

capitolo
15





 

«Aspetta, fammi capire bene» Dylan è intento a mescolare qualcosa all'interno di una padella; il profumo che arriva non è poi così male come l'aspetto che invece ha. «Dovrei venire per la terza volta a teatro, a vedere lo stesso spettacolo di Kat?»

«Esatto, sì» sgranocchio un grissino perché non ho idea di quando riusciremo a pranzare. «Hai capito proprio bene.»

«Perché?»

«Perché è la tua migliore amica» replico, stringendomi nelle spalle. «Ecco perché.»

«No, Cecy» il cucchiaio di legno me lo punta contro, rischiando di macchiare di sugo tutto ciò che indossa. «È la tua migliore amica.» Mi corregge e alzo persino gli occhi al cielo perché lo sa che lo odio quando lo dice.

«Dylan, non fare i capricci» borbotto e manca tanto così a che metta addirittura il broncio. «Kat e io veniamo sempre alle tue stupide partite di calcio.»

«Ma lo spettacolo è sempre lo stesso!» Sussulta perché deve essersi schizzato con il sugo bollente.

«Anche le tue partite sono sempre le stesse.» Ribatto, alzandomi da tavola per recuperare i piatti, che magari serve a farlo spicciare.

«Non dire mai più una cosa simile» alzo gli occhi nuovamente al cielo, ma gli do le spalle e non mi vede. «A proposito: verrete oggi pomeriggio, vero?»

«Abbiamo alternative?» Domando retorica, sedendomi a tavola di nuovo, mostrandogli l'orologio che porto al polso; Dylan scuote la testa. «Ecco, appunto.»

Il mio telefono prende a squillare nello stesso momento in cui una telefonata arriva sul cellulare di Dylan. Lui però esce dalla cucina, che sono più le volte in cui pronuncia aspetta, non ti sento rispetto alla reale conversazione che deve sostenere. Sono così concentrata a rispondere ai messaggi di Kat che non mi accorgo del ritardo di Dylan e di conseguenza, il sugo in padella brucia. Ritorna giusto in tempo per sgridarmi, che dovevo stare attenta a che non succedesse.

Mi alzo da tavola con l'intento di andarmene e arrangiare qualcosa a casa mia, ma poi ricordo di essere qui perché in realtà, c'è poco e niente da poter mangiare là. Dylan e io sospiriamo nello stesso momento, sedendoci entrambi al tavolo con le mani a sostenerci il mento, quasi a sperare che il pranzo si manifesti all'improvviso.

«Indiano?» Mormora Dylan, indicando il solito volantino appeso al frigo con una calamita orribile e mezza rotta; mi stringo nelle spalle.

«Indiano.» Replico, componendo il numero che ho ormai imparato a memoria.

Finiamo di pranzare così tardi che raggiungendo il campus, Dylan deve aver infranto almeno una decina di norme stradali. Mi lascia direttamente davanti alla Biblioteca, il parcheggio lo deve cercare poco più in là del solito. Jules è impegnato in un'animata conversazione telefonica quando sorpasso le porte automatiche e mi fulmina persino con lo sguardo per essere arrivata tardi. Mi stringo nelle spalle passandogli accanto perché lo sa che non è mai colpa mia. Sul retro lascio solo la borsa, portando con me sempre il cellulare; quasi mi pungo con la spilla che appunto appena sopra il cuore.

«Sei in ritardo.» Borbotta Jules dopo aver chiuso la chiamata, ma non mi guarda direttamente negli occhi, tanto è intento a scrivere velocemente qualcosa su un post-it, che attacca vicino alla tastiera del computer.

«Dylan ha bruciato il pranzo» mi difendo, controllando la solita lista lasciata dalla signorina Penny. «È già tanto che io sia qui.» Aggiungo e lo sento sogghignare mentre si arrotola le maniche della camicia fin sopra i gomiti; devono aver alzato il riscaldamento nelle ultime ore. 

«Io devo scappare o il coach Hendriks non mi farà nemmeno avvicinare al campo» il badge lui lo toglie direttamente, lasciandolo cadere sul bancone. «Ci vediamo dopo, vero?» 

«Non mancherò.» Lo saluto con un veloce cenno della mano, rispondendo poi al cordless che prende a suonare poco dopo che Jules lo ha posato.

Fuori sta piovigginando e nonostante la partita di calcio sia imminente, in Biblioteca ci sono ancora persone che come me non hanno voglia di aspettare sotto la pioggia. Sto sfogliando distrattamente un volume di chimica quando l’iPhone alla mia destra vibra appena e il nome di Kat compare sullo schermo. 

 

Kat

 

Sono arrivata; ti aspetto sugli spalti.

 

Sbuffo appena, ma chiudo il volume e mi alzo dallo sgabellino, recuperando poi la borsa e salutando Matias dall’altro lato del corridoio con un veloce cenno della mano; mi mima qualcosa con le labbra, ma non recepisco a pieno il messaggio: lo spagnolo lo capisco poco già di per sé. Raggiungo il campo da calcio passandomi continuamente le mani sulle guance punteggiate appena di pioggia, seguendo i ragazzi che sono diretti tutti nello stesso posto. Non ho idea di chi siano gli avversari, ma la gente sembra essere parecchia e impaziente; qualcuno addirittura corre, forse per avere dei posti migliori.

Kat la riconosco subito sia perché è seduta sempre negli spalti più alti - che è troppo piccola e non vede bene se ci sediamo più in basso - sia perché il suo cappotto giallo canarino è visibile dall’entrata. Devo chiedere permesso a un paio di persone di troppo prima di riuscire a sedermi al suo fianco; non so come, ma siamo riparate dalla pioggerella insistente che ha deciso di cadere proprio adesso.

«Due volte in una sola settimana mi sembra troppo.» Borbotta, bloccando l’iPhone che tiene tra le mani, ma sorridendo poi verso di me.

«È il tuo migliore amico.» Ribatto, replicando le esatte parole dette a mio fratello quella stessa mattina; Kat si stringe nelle spalle, rabbrividendo poi dentro al cappotto.

«Sì, lo so» mormora, guardandosi intorno. Faccio la stessa cosa perché di gente ce n’è davvero tanta, gli spalti sono quasi completamente pieni e altre persone stanno ancora arrivando, cercando uno spazio vuoto su cui poter sedere. Kat ha preso i posti nell’angolo, così da non essere troppo vicini ad altri.

«Stasera vieni con Dylan, vero? Ho promesso agli altri che avremmo cenato insieme prima dello spettacolo.» Kat mi riporta alla realtà e mi ritrovo a girare il viso nella sua direzione, annuendo con enfasi.

«Sì, certamente.»

Kat sorride di nuovo, rivolgendo poi i suoi occhi a bordo campo; il plotone delle cheerleader ha appena fatto il proprio ingresso e me ne accorgo più dalle urla che seguono che da altro. La squadra della nostra università è subito dietro di loro mentre quella avversaria sta entrando dalla parte opposta; Dylan e Jules spiccano tra gli altri e sorrido quasi involontariamente.

«Prima o poi dovrai presentarmelo questo Jules.» Sento Kat mormorare, mentre si unisce all’applauso quando l’arbitro presenta le due squadre.

«Kat» la ammonisco subito, sperando che questo discorso si chiuda all’istante. «Non ricominciare.»

Quando scuoto la testa alle sue risate, il mio sguardo si posa su una bandana blu elettrica qualche fila più in basso; sussulto perché non ho bisogno di guardare più attentamente o tanto meno che il proprietario si giri: è Madden. Seduto accanto a lui ci sono Will e un altro paio di amici, insieme alla solita ragazza che sembra fare parte del loro gruppo. Tiene sotto braccio Will, ma sono quasi certa che non ci sia niente tra i due. Aggrotto persino le sopracciglia alla loro vista, che mi sembravano tutto fuorché tifosi di una squadra di calcio. 

L’arbitro fischia il calcio d’inizio e mi porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio giusto per notare Madden voltare appena il capo nella mia direzione, quasi fosse consapevole della mia esatta posizione alle sue spalle; sorride di sbieco, in un saluto fugace. È troppo distante perché possa controllare lo stato del suo sopracciglio, così come quello della sua mano perché le tiene entrambe nascoste all’interno della giacca. Will lo chiama con una gomitata nel fianco ed è costretto a voltarsi nella sua direzione, ad ascoltare cosa abbia da dirgli di così importante.

Lo vedo indicare qualcosa poco più giù e poi ridacchiare verso qualcosa o qualcuno; Madden scuote la testa alle sue parole e non si volta più verso di me. O forse lo fa e io non me ne accorgo perché mi impongo di tenere gli occhi fissi sui giocatori che fanno su e giù per il campo per oltre novanta minuti. Vinciamo per un soffio, ma vinciamo. 

Kat mi saluta schioccandomi un bacio sulla guancia, ricordandoci poi di non fare tardi, che i nostri posti sono sempre gli stessi e di fare il suo nome all’ingresso. Le dico che va bene, che ormai ho imparato come si fa e le sue risate le sento fino a che non ha sceso l’ultimo scalino degli spalti, seguendo la folla diradarsi pian piano.

Sulle gradinate non è rimasto quasi più nessuno, persino Madden e Will sembrano spariti e mi ritrovo quasi a sospirare di sollievo; mi alzo solo quando con me sono rimaste un paio di ragazze, in attesa di qualcosa che mi sfugge. Gli scalini delle gradinate li scendo velocemente, attenta a non scivolare per la leggera pioggerella che continua a cadere; mi avvicino agli spogliatoi perché di tornare indietro in Biblioteca non se ne parla e immagino non sia rimasto comunque più nessuno, anche Matias è venuto alla partita per un po’.

Le voci all’interno degli spogliatoi sono allegre e alte, stanno festeggiando sotto le continue minacce del coach Hendriks, che abbiamo vinto, ma di strada ne abbiamo ancora da fare. Mio fratello risponde qualcosa, ma vengo distratta da un paio di ragazzi che, oltre le mie spalle, ridacchiano appena: uno di loro ha il cappuccio della giacca sulla testa a ripararsi, l’altro si asciuga la guancia con il dorso della mano. Nascondo in fretta la mano nella tasca della giacca, a stringere l’iPhone tra le dita poi abbasso appena lo sguardo.

«Bella partita, vero?» È uno dei due a domandarmelo e quando alzo di nuovo lo sguardo per annuire brevemente alle sue parole, lo vedo sorridere. «Il coach avrebbe dato di matto se avessimo perso.» Aggiunge ed è qui che capisco che frequentano la mia stessa università e che forse stanno solo aspettando qualcuno.

«Già.» Borbotto in risposta, stringendo di nuovo l’iPhone e sperando che Dylan si muovi a uscire o che anche solo uno dei suoi compagni faccia la sua comparsa. 

«Ci siamo già visti io e te, vero?» Deglutisco prima di stringermi nelle spalle; il ragazzo si pizzica il mento, osservandomi in un modo che mi dà così fastidio che devo trattenermi dal fare un paio di passi indietro: forse sta solo cercando di ricordare o forse non ha idea di chi io realmente sia.

«In Biblioteca, probabilmente.» Replico, guardando con la coda dell’occhio la porta degli spogliatoi, più sbarrata che mai.

«Sì, forse.» Ripete, portandosi le mani nelle tasche.

«È la sorellina di Dylan.» È l’altro ragazzo a parlare questa volta ed entrambi ci voltiamo verso di lui; il biondo senza cappuccio sembra quasi sorpreso, come se non se lo aspettasse. La cosa comunque non mi tranquillizza perché il primo ragazzo torna a guardarmi con un sorrisetto sulle labbra.

«Ti chiami…»

«Cecy

Mi giro così in fretta verso quella voce, che una ciocca di capelli umidi mi sbatte sulla guancia; poi sussulto perché non appartiene a Dylan, ma a Madden. Si avvicina a passo lento, con entrambe le mani nascoste nelle tasche della giacca e una sigaretta ormai mezza consumata a pendergli dalle labbra. Il cuore lo sento accelerare appena, ma di sollievo questa volta e non mi importa nemmeno che si sia avvicinato tanto da toccarmi con il gomito. Il ragazzo biondo lo sento sbuffare lievemente e Madden se ne deve essere accorto perché muove un altro paio di passi e forse volontariamente o forse no, me lo ritrovo appena più vicino, ma mi ha sorpassato quasi volesse interrompere la traiettoria del biondo. 

«Harvey» mormora infatti e dal tono di voce risulta scocciato. «Non pensavo fossi un tifoso della nostra squadra.» Borbotta poi sarcastico.

«Quante cose che si imparano vendendo a scuola, eh Brad?» Ribatte Madden, schiacciando la cicca della sigaretta sotto la suola delle scarpe. «Che cosa fai qui? Aspetti qualcuno?»

«No, volevo solo congratularmi con la nostra squadra per aver vinto, ma ho incontrato la sorellina del capitano e…»

«Brad» la voce di Madden è roca mentre pronuncia il suo nome. Non riesco più a vederlo chiaramente in viso, ché il suo corpo me ne impedisce appena la vista. «Gira al largo da qui.» 

«Come desideri, Harvey» lo prende in giro Brad, poi si sporge leggermente a intercettare il mio sguardo e non lo so se sono io ad aver fatto un passo avanti avvicinandomi a Madden o se è stato lui a tornare indietro. «Ci vediamo, Cecy.» Aggiunge, regalandomi un occhiolino che non ho mai chiesto di ricevere.

Madden borbotta qualcosa, osservandolo andare via con l’altro ragazzo e solo una volta sparito dalla sua vista torna a guardare nella mia direzione. 

«Merda.» Lo sussurro a mezza voce, asciugandomi di nuovo la guancia; la mano di Madden si tende appena verso di me, quasi a volermi sfiorare un braccio, ma cambia idea all’ultimo, portandosela invece tra i capelli.

«Tutto okay?» Me lo chiede con curiosità, osservando qualcosa oltre la mia figura, solo per riportare i suoi occhi verdi nei miei; annuisco velocemente, scuotendo poi la testa l’istante dopo, contraddicendo i miei stessi gesti. 

«Non sono abituata a sentire quel nome pronunciato da altri che non siano mio fratello o Kat.» Borbotto a mezza voce e Madden si schiarisce appena la sua, come se volesse chiedere scusa per averlo fatto lui stesso. Che non è lui ad avermi terrorizzato, ma salvato, non glielo dico. 

«Ignoralo, è un idiota che non sa stare al proprio posto» annuisco alle sue vane rassicurazioni. «Credevo fossi andata via con la tua amica giallo canarino.» Sorrido a quel suo appellativo.

«No, aspetto mio fratello.» Replico, stringendomi nelle spalle e alzando gli occhi al cielo perché la pioggia sembra essere finalmente cessata.

«Potevi dirmelo, sarei rimasto» deve essersi avvicinato di nuovo e deve avere anche inclinato appena il viso perché riesco a vedere l’ultima traccia del livido sul sopracciglio, anche se i capelli ne coprono buona parte; la mano porta ancora i segni delle ferite. «Ti avrei evitato Brad.»

«Non sapevo nemmeno che ti piacesse il calcio, in realtà.» Madden si stringe nelle spalle, nascondendo le mani nelle tasche della giacca.

«Non mi piace, infatti» replica. «È Margot che ci obbliga ad accompagnarla: il suo ragazzo è in squadra.» Me lo dice dopo essersi aggiustato la bandana tra i capelli; lei e Will di certo non stanno insieme. È proprio lui ad arrivare quasi di corsa alle spalle di Madden, con il cappuccio della felpa ancora sulla testa e punteggiato di pioggia. 

«Brad mi ha appena detto di andare a farmi fottere.» Lo dice come se niente fosse, regalandomi poi un occhiolino; Madden si gratta distrattamente il collo. «E credo abbia detto qualcosa anche su di te, ma ero già troppo lontano per capire.» 

«L’ho trovato a parlare con Cecily.» Replica semplicemente e le guance le sento scaldarsi, ma spero non siano poi così visibili. Will mi guarda per qualche secondo, indeciso se portarsi alle labbra la sigaretta che tiene dietro l’orecchio o se invece lasciarla lì. 

«Non credere a niente di quello che dice, è solo un idiota che non sa stare al proprio posto» sorrido appena perché sono le stesse parole di Madden. «Il che mi ricorda che stasera ho un motivo in più per ripulirlo ben bene.» Will si strofina i palmi delle mani, come se non vedesse l’ora di fare qualcosa.

«Will…»

«Oh sì, gli porterò via anche le mutande.» Sogghigna, ignorando volutamente Madden.

«Stasera?» Domando invece io, incuriosita da quel suo modo di fare; Will quasi si illumina. «Che cosa succede stasera?» Will muove un passo nella mia direzione fin troppo velocemente, ma Madden lo intercetta appena in tempo da fermarlo con una mano dritta sul suo stomaco.

«Stasera, mio caro Zucchero, si corre» Will ha un sorriso birichino sul viso. «Perché è il 15 del mese.» Aggiunge, strofinandosi nuovamente i palmi delle mani gli uni contro gli altri.

«Will…»

«E stasera tocca a Brad.» Aggiunge, come se io fossi già a conoscenza di tutti i suoi piani, come se vi partecipassi da sempre. 

«Qualunque cosa sia, spero che tu possa vincere.» Glielo dico con sincerità, nonostante non abbia realmente idea di cosa possa intendere con si corre

«Non c’è mica da sperare» si stringe nelle spalle. «Io vinco sempre.» 

«Will, adesso basta» il tono di voce di Madden è leggermente più alto, perché lo sa che deve attirare l’attenzione del suo amico per farlo tacere e forse, per non rivelare troppo. «A Cecily non interessa niente di quello che fate tu e Brad.»

«Beh, ma è proprio per questo che dovresti venire anche tu.» Ci metto qualche secondo a capire che Will si sta rivolgendo a me e non a Madden, perché il suo viso è rivolto verso il mio e di ascoltare Madden non ne vuole sapere. 

«Non pensarci nemme…»

«Dai, che avrai mai di meglio da fare?» Di nuovo, è a me che si sta rivolgendo.

«No, io ho un impegno con un’amica e poi…»

«E poi avrai già finito per quell’ora» m’interrompe Will, sorridendo e mordendosi poi il labbro inferiore tra i denti. «Madden è il solito guastafeste, ma per stasera lo posso anche sopportare. Sarà divertente, passiamo a prenderti non appena ti sarai liberata, okay?»

«Will…»

«Dai Zucchero, sarai il mio portafortuna.» Madden la mano la sta stringendo nella giacca.

«Will, dico sul serio.»

«Non puoi dirmi di no.» E infatti non glielo dico, ma solo perché non me lo permette. E questa volta nemmeno Madden può fare niente a riguardo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 16 ***


 

capitolo
16





 

Will deve aver estorto in qualche modo il mio numero di telefono dall’iPhone di Madden perché mi tempesta di messaggi per buona parte dello spettacolo teatrale di Kat. Si tratta per forza di cose di lui perché Dylan è seduto al mio fianco e tra uno sbadiglio e l’altro, sorride comunque alla recitazione della sua migliore amica. Non ricordo di aver mai dato personalmente il mio numero a Will, deve davvero averlo rubato da Madden. I primi messaggi non so che cosa dicano perché non li guardo per quasi un’ora, la vista di Kat è più che perfetta e le sue occhiatacce, almeno per una sera, vorrei evitarle. Così come le domande scomode, ché di spiegare chi siano Madden e il suo amico Will, non saprei proprio come fare.

Quando lo spettacolo è finalmente concluso e le nostre mani quasi bruciano per via degli applausi, Dylan scappa fuori dal teatro come un fulmine - o come il fan numero uno che in realtà è - mentre Judy mi saluta brevemente con la mano prima di scendere definitivamente dal palco. Lo seguo in fretta, il riscaldamento all’interno del teatro è fin troppo alto. Mi stringo per bene la giacca contro il petto, infilando le mani in tasca e sentendo nuovamente la breve vibrazione dell’iPhone.

Dylan lo trovo con la sigaretta tra le labbra, mentre velocemente digita qualcosa sullo schermo del suo telefono, cercando di trattenere uno sbadiglio. Accanto a lui c’è una piccola folla, in attesa che gli attori facciano la propria comparsa.

«È stata brava.» Mormora Dylan, ritirando il cellulare nella tasca dei jeans e salutando con un cenno del mento un paio di ragazzi a poca distanza; annuisco, fiera della mia migliore amica.

«È stata più che brava» lo correggo con un sorriso. «Tu vai a casa o hai altri impegni?» Domando poi. Lui sembra pensarci un po’ su, poi estrae nuovamente l’iPhone a controllare qualcosa.

«Non sono sicuro, ma potrei avere un impegno: la squadra vuole festeggiare la vittoria.» Replica, con un mezzo sorriso scorrendo una notifica.

«Puoi accompagnarmi?» Dylan annuisce in fretta, salutando l’ennesimo gruppo di persone che ci passa vicino; io non riconosco mezzo volto.

«Sì, tanto devo passare da casa per cambiarmi» aggiunge poi, spegnendo il rimasuglio di sigaretta sotto la suola della scarpa. «Aspettiamo Kat?» Domanda scioccamente e lo vedo stringersi nelle spalle quando gli lancio un’occhiataccia. Nell’attesa, leggo finalmente i messaggi che, per forza di cose, arrivano da Will: sono fin troppi per essere io il suo destinatario.

 

Will

 

Zucchero, Madden e io passeremo a prenderti per le 23:00, va bene come orario?

Sarai a casa per quell’ora, vero?

Se non ci sei, fammelo sapere.

Non avrai mica cambiato idea??

Potresti davvero farmi da portafortuna.

Zucchero, chi tace acconsente. Saremo da te alle 23:00 spaccate.

 

Sorrido a quella sfilza di notifiche e digito una risposta secca e concisa, con le dita che tremano appena perché, nonostante tutto, ho timore di quello che potrebbe accadere. Non lo so che cosa mi spinge infine ad accettare.

 

Will

 

Ci sarò.

 

Kat esce dal retro del teatro quasi un quarto d’ora dopo la fine dello spettacolo e la piccola folla ancora radunata applaude brevemente; la vedo arrossire, ma ha un sorriso dipinto in viso che contagia anche me. Ringrazia tutti con un cenno della mano, seguita da Judy e un altro paio di persone che riconosco, ma dei quali non ricordo il nome. Kenan non c’è. Dylan le scocca un bacio sonoro sulla guancia mentre Judy mi sfiora la spalla in un saluto silenzioso.

«Sublimi, come al solito.» Li prende in giro Dylan, ma nel suo tono di voce c’è sempre e solo sincerità. Kat alza leggermente gli occhi al cielo, stringendosi la giacca contro il corpo.

«Li ho visti li sbadigli, sai?» Lo rimbecca e Dylan si stringe nelle spalle, prima di baciarle una seconda volta la guancia. «Vorrei chiedervi di unirvi a noi, ma so che non accettereste. Però ci vediamo domani a pranzo, va bene?» Kat si rivolge a me in particolare, perché lo sa che non andrei mai in un qualche strano club, senza nemmeno Dylan. Perciò le annuisco e allungo le braccia a chiederle di avvicinarsi.

«Sei stata bravissima.» Le mormoro all’orecchio e il suo corpo trema appena contro il mio, in una piccola risata.

«Lo so» replica, con il suo solito modo pomposo. «Grazie per essere venuta, ci vediamo domani.»

È lei a lasciarmi andare per salutare poi Dylan e un altro paio di ragazze che si sono avvicinate per farle i complimenti. Mio fratello mi fa finalmente cenno di seguirlo, che la macchina è parcheggiata dall’altro lato del teatro. Tornando verso casa, con una strana musica alla radio, ascolto la sua conversazione telefonica con Loris. Non sanno bene dove vogliono andare, ma sanno con certezza di voler bere fino a dimenticare i loro nomi. Dylan a quelle parole si stringe nelle spalle, ché non è poi così d’accordo, ma non mi preoccupo perché lo conosco e non è così irresponsabile da andare dietro a tutti loro; me lo ricorda con un occhiolino al quale scuoto la testa con un sorriso.

Parcheggia come al solito dall’altro lato della strada rispetto all’ingresso di casa sua; mi saluta tra uno sbadiglio e l’altro, cercando le chiavi di casa e augurandomi una buona notte. Io le chiavi di casa le ho già strette in mano e mi guardo intorno, attraversando la strada: della macchina di Will non c’è ombra, così come quella che so appartenere a Madden.

Entro in casa in fretta, controllando poi l’ora sull’orologio appeso in corridoio: se Will e Madden sono persone puntuali, arriveranno tra dieci minuti esatti. Mi tolgo la giacca solo per cambiare il maglioncino leggero che indosso per fare spazio a uno decisamente più pesante poi mi siedo sul divano, in attesa, con il cuore che secondo dopo secondo batte sempre un po’ più forte. Bussano alla porta con un paio di minuti di ritardo e sussulto così visibilmente che il cellulare quasi mi scivola dalle mani; indosso nuovamente la giacca, con la mano già pronta sulla maniglia: quello che compare è Madden. 

«Tu sei proprio sicura di voler venire?» Me lo chiede con uno strano sorriso sulle labbra e una sigaretta semi consumata tra di esse; la mano con i soliti anelli alle dita è ferma sullo stipite della porta e suoi occhi verdi sono sempre più verdi, persino alla luce flebile della sera.

«Più o meno.» Mi stringo nelle spalle alle sue parole, ché del tutto sicura non lo sono mai.

«D’accordo. Andiamo allora.» Lo mormora divertito, spostandosi appena di lato per lasciarmi uscire e fare poi strada verso l’auto di Will, ferma e con il motore acceso dall’altro lato della strada. Will ha un sorriso a trentadue denti stampato in viso e sta muovendo la testa e le dita sul volante, seguendo il ritmo della canzone che stanno passando in radio; canticchia persino, sembra allegro ed eccitato. 

«Siamo in ritardo.» Borbotta poi, facendoci cenno di muoverci, che non abbiamo altro tempo da perdere in chiacchiere o in attese inutili.

Osservo Madden salire poi apro la portiera posteriore e prendo posto, cercando di non emettere rumorosamente il lungo respiro che prendo, accompagnando il mio movimento. 

«Non siamo in ritardo» replica Madden, allacciandosi la cintura di sicurezza e schiarendosi la voce. «Ricorda di girare a sinistra più avanti o saremo davvero in ritardo.» Aggiunge, passandosi una mano tra i capelli.

Will si volta nella mia direzione guardandomi per qualche secondo, poi accelera e segue l’indicazione di Madden. Non ho idea di dove siamo diretti, né tantomeno che cosa io possa o debba aspettarmi; proseguiamo dritto lungo la strada per una buona mezz’ora, svoltando poi a sinistra e a destra ed è in questo modo che perdo l’orientamento. Siamo in una zona che non conosco e se non ci fosse Madden seduto al fianco di Will, avrei già il cuore in mano che ancora batte per la paura.

Will parcheggia finalmente la sua Range Rover dietro a tre macchine simili alla sua, solo un po’ più datate. È lui il primo a scendere, seguito da Madden e poi da me. È sempre Will a fare strada e potrebbe persino saltellare da quanto non vede l’ora di cominciare qualcosa che ancora non riesco a capire. Madden mi cammina accanto lentamente, distanziando Will di qualche passo, ma tenendolo costantemente d’occhio. 

«Non è niente di troppo illegale, non preoccuparti.» Il suo tono continua a essere divertito e non lo so se mi stia prendendo in giro o stia semplicemente cercando di tranquillizzarmi. 

«Troppo?» Replico poi, stringendomi le braccia al petto, ché stasera fa più freddo del solito.

Madden annuisce e allunga una mano, a dirmi di seguirlo nello svoltare a sinistra. Se la strada principale era fino a un momento prima quasi del tutto deserta, ma illuminata dai lampioni, la via laterale che prendiamo è piccola, altrettanto deserta, ma molto più buia, tanto che le mie scarpe quasi non le vedo. Madden è leggermente più avanti ed io devo allungare il passo per non distanziarlo troppo. Will è già sparito. Sbuchiamo in una piazza circolare dalla quale si diramano altre quattro vie, qualcuna più illuminata e appena un po’ più grande di quella che abbiamo appena lasciato.

Riconosco la voce di Will in mezzo a un capannello di persone ed è proprio lì che Madden mi sta conducendo; mi guardo le spalle e noto che non siamo i soli ad andare in quella direzione. Il ragazzo accanto a Will è Brad e nel momento in cui mi affianco a Madden, ben attenta a non perderlo di vista, smette di parlare con Will per sorridere nella mia direzione e lanciarmi un occhiolino che, come quello stesso pomeriggio, non ho mai chiesto di ricevere. 

«Ora ci siamo proprio tutti.» Lo sento mormorare e non sono ben sicura lo stia dicendo a qualcuno in particolare. Madden traffica con il pacchetto di sigarette per portarsene una alle labbra, ma non l’accende subito.

«Dobbiamo ripetere le regole per i nuovi arrivati?» Domanda poi Brad, guardandosi intorno brevemente; Will sbuffa, aspirando l’ultima boccata dalla sua sigaretta, per gettarla a poca distanza.

Mi accorgo solo in quel momento che, dietro di loro, ci sono due motociclette molto simili a quella posseduta da Madden. Deglutisco e nel momento in cui mi volto verso Madden, forse a chiedere una conferma di quello che ho appena visto e pensato, trovo già i suoi occhi verdi fermi su di me: ho ragione e non ho bisogno di porre la domanda.

«Non dobbiamo ripetere un bel niente: tutti conoscono le regole.» Will ammicca verso due ragazze alla sua destra e al mio fianco, Madden sogghigna silenziosamente. «Scegli solo la cifra: è il tuo turno. Poi decidi quale delle due usare.» Brad tira su leggermente con il naso, poi si pizzica il mento e indica la motocicletta bordeaux, lasciando quella verde scuro a Will. Si volta per un paio di secondi nella mia direzione e sorride.

«Potremmo mettere in palio altro stasera, ti va?» Mormora Brad e mentre io rabbrividisco, Will aggrotta le sopracciglia, confuso e curioso da quella sua affermazione. «Per esempio: se vinco io, voglio lei.» Brad incrocia nuovamente il mio sguardo, poi mi indica con un cenno del mento.

Will segue la sua traiettoria in fretta, sgranando gli occhi quando recepisce il messaggio. Anche gli occhi di Will incrociano i miei, ma per una misera frazione di secondo perché il corpo di Madden mi si para davanti, dandomi una perfetta visione delle sue spalle, del suo giubbotto di pelle nero troppo leggero per la stagione e dei suoi ricci; non vedo nient’altro.

«Brad.»

Madden impreca tra i denti e nemmeno mi sono accorta di avergli posato la mano sulla schiena, più per la mia stessa sicurezza che per la sua; gli stringo appena il tessuto morbido della giacca e delle sue dita, a sfiorarmi la pelle del polso, me ne accorgo solo in un secondo momento.

«Ma che cazzo stai blaterando?» È Will a prendere parola e lo sento il respiro che sia io che Madden ci lasciamo sfuggire. Brad scoppia in una risata che non contiene divertimento, poi alza le mani in segno di resa, quasi a dire che stava scherzando, che li stava prendendo in giro.

Nessuno di loro gli crede, nemmeno il mio cuore, che sbatte forte contro lo sterno; sono sicura che Madden possa quasi sentirlo attraverso la mia mano. 

«350, come al solito. Ci stai?» Brad tende la mano a Will, che l’afferra e la stringe senza pensarci troppo, annuendo alla sua proposta.

Madden lascia scivolare via la mano, nascondendola all’interno della tasca dei jeans, tornando nuovamente al mio fianco. Ha le spalle tese e le sopracciglia leggermente aggrottate: segue ogni minimo movimento compiuto da Will.

Un ragazzo con un giubbotto pesante rosso fuoco sbuca da destra, facendosi largo tra la piccola folla. È lui a porgere a Brad e a Will le chiavi delle motociclette e a ritirare i soldi che entrambi gli allungano. Nessuno dei due dà segno di voler indossare un casco e la cosa mi preoccupa perché non ho idea di che cosa debbano fare.

«Al mio via prendete la seconda a sinistra e tornate dalla via centrale» il ragazzo dal giubbotto rosso parla a voce alta, per farsi sentire non solo da Will e Brad, ma da tutti i presenti. «La prima apparizione è la vittoria. Quello che succede là dietro non è affare nostro.»

Sussulto alle sue parole perché sembra voler dire una cosa sola: di regole non ce ne sono. Brad e Will annuiscono ed entrambi salgono sulla propria motocicletta, testandola e assicurandosi che tutto funzioni alla perfezione; è Brad il primo a far rombare il motore e Will non è da meno. Madden mi sfiora appena il gomito, a suggerirmi di fare un passo indietro e non lasciare il suo fianco; non ho intenzione di farlo.

Anche il resto delle persone presenti imita i nostri movimenti, lasciando spazio ai due partecipanti di potersi prendere il loro tempo prima del via. Will volta appena il viso nella nostra direzione, sorridendo sornione; Madden sembra preoccupato, ma annuisce in un in bocca al lupo silenzioso. Il ragazzo con il giubbotto rosso si posiziona al centro della piazza, guardando prima a destra - Brad - e poi a sinistra - Will.

Entrambi fanno cenno di essere pronti, che aspettano solo lui per far rombare nuovamente i cavalli della motocicletta e così accade: il ragazzo alza la mano e con le dita inizia a contare, partendo dal cinque e arrivando al quattro, dove Brad accelera. Il tre, due, uno viene sovrastato da entrambi i motori e dalle urla dei ragazzi appena dietro i due partecipanti. 

Trattengo il fiato quando i loro piedi si staccano dal suolo per posizionarsi sui pedali della motocicletta. Will è il primo a imboccare la strada indicata e i suoi capelli biondi li perdo di vista in pochi secondi, ché il percorso che intraprendono è buio. Non credo ci sia poi tanta luce all’interno delle vie. Nessuno è in grado di vedere niente, nessuno sa che cosa succede in quel frangente: si sentono solo i motori delle due motociclette accelerare a dismisura e rimbombare costantemente tra i muri.

Madden batte il piede a terra freneticamente, torturandosi il labbro inferiore con due dita: è preoccupato e ora che Will non può vederlo, è libero di lasciare andare l’ansia in quel modo. Lo osservo per un paio di secondi ed è talmente concentrato sulla strada principale dalla quale uno dei due dovrebbe uscire a breve da non accorgersi della mia presenza. O forse è solo una finta la sua, ché è perfettamente consapevole del mio corpo accanto al suo.

Il rombo di una delle due motociclette sembra rallentare e un frastuono segue quel secondo di quasi silenzio; sussulto prima io e poi Madden, che sembra quasi volersi slanciare in avanti per capire che cosa stia succedendo. È la moto bordeaux a fare la sua apparizione: è Brad a vincere. Brad arriva sgommando, con un pugno vittorioso al cielo e quasi scende dalla moto in corsa, pur di battere il cinque al suo compagno. Madden si muove in fretta, raggiungendo Brad e scansando la folla intorno, dimenticandosi di me; il vento mi fa sollevare i capelli. 

«Dov’è Will?» La sua è una richiesta urgente, c’è ansia e timore nella sua voce, lo sento perfino sulla mia pelle. Brad scoppia a ridere e si stringe nelle spalle mentre allunga una mano a recuperare la sua vincita. «Brad!» Questa volta Madden lo strattona per la giacca, ma Brad con un movimento veloce se lo scrolla di dosso; mi sono avvicinata perché gli occhi di Brad sono molto più grandi ora.

«Deve essere caduto alla seconda curva, credo sia svenuto» mormora semplicemente, come se non fosse un suo problema o addirittura niente di grave. «Non avevo tempo di controllare.»

Madden gli dà uno spintone che quasi lo fa cadere a terra, ma l’amico al suo fianco è tanto svelto da prenderlo e impedirgli di finire al suolo. Madden si volta in fretta e mi cerca con lo sguardo. Annuisco appena in tempo, poi scatta in direzione della via principale. Vorrei essere veloce come lui, ma lo perdo subito: la via è buia, sento i suoi passi echeggiare e la sua voce chiamare Will forte, molto forte. Lui però non risponde e il panico mi fa tremare le gambe mentre cerco di stare al passo di Madden, che invece corre a perdifiato. Will non indossava il casco, lo so io quanto Madden ed è proprio per quello che è così preoccupato.

«Will» grida di nuovo Madden. «Will dove cazzo sei?»

Lo vedo svoltare a sinistra e il rumore attutito del motore della motocicletta lo sento anche io; il veicolo è fermo su di un fianco a bordo strada, dove c’è un po’ più di luce. Will è a pochi passi, sdraiato a terra con un braccio sotto la testa. Madden ci arriva per primo e s’inginocchia al fianco dell’amico, non curandosi dell’impatto con la terra dura.

«Will.» Mormoro anche io, con il fiatone a mangiarsi le parole che invece vorrei gridare a gran voce.

Madden gli solleva il capo con delicatezza e quando lo raggiungo, non c’è traccia di sangue sul suo viso. Solo il gomito è sfregiato e immagino che anche il ginocchio destro non sia messo meglio; il polso sinistro ha una strana piega.

«Will. Will rispondimi.» Madden lo scuote piano, togliendogli i capelli scompigliati dal viso. Mi abbasso anche io, posando prima una mano sulla spalla di Madden e poi sotto al mento di Will, a guardargli il volto: ha gli occhi chiusi. «Will cazzo, apri gli occhi.» La voce di Madden s’incrina appena, io trattengo il respiro.

Trovo a fatica il cellulare nella borsa e accendo velocemente la torcia, puntandogli contro la luce: respira. Piano, ma respira.

«Madden…» Will tossisce forte, facendoci sussultare entrambi.

Madden mastica una bestemmia tra i denti e io mi lascio cadere a terra, sedendomi scompostamente sul suolo freddo e sporco della strada. Will geme di dolore quando Madden lo aiuta a mettersi seduto, tenendolo contro il suo corpo per evitare che perda l’equilibrio. 

«Will, parlarmi: di’ qualcosa.» Nella voce di Madden c’è l’urgenza di assicurarsi che il suo migliore amico stia bene, che sia in grado di muoversi da solo.

E Will, a fatica, ce la fa: riesce a mettersi seduto, si guarda intorno qualche secondo, incrocia i miei occhi e sorride appena. Poi alza il viso e guarda Madden per lamentarsi, rendendosi conto che qualcosa nel suo polso non va.

«Abbiamo vinto, vero?» Gracchia appena e io scoppio a ridere senza nemmeno rendermene conto, soffocando l’imprecazione che invece fuoriesce dalle labbra di Madden.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 17 ***


 

capitolo
17





 

«Vuoi dirmi che cos’è successo?» Domanda Madden a Will, il quale si massaggia distrattamente il collo con la mano sana, facendomi preoccupare più del necessario.

«Quando?» Replica il biondo, cercando di alzarsi in piedi o volendosi solo sedere più comodamente. Le mani di Madden sono però ben salde sulle sue spalle e di movimenti Will non è in grado di compierne molti.

«Adesso, Will» sbraita esasperato Madden. «Con Brad: che cazzo è successo?»

Will si muove ancora e Madden, dopo avermi lanciato un breve sguardo, aiuta Will a rimettersi in piedi. Mi sono alzata anche io e senza essermene resa conto ho allungato una mano verso Will, che non riesce comunque ad afferrarla perché è Madden stesso ad alzarlo da terra, come se non pesasse assolutamente niente. Will lascia perdere il collo per afferrarsi il polso ferito e geme di dolore: è sicuramente rotto.

«Non lo so» mormora semplicemente e la guancia di Madden scatta velocemente, come se si stesse trattenendo nel dire qualcosa. «Credo di aver perso il controllo alla seconda curva e ho sbandato.» 

«Non è stato Brad?» Mi ritrovo a chiedere io stessa, che poi è la domanda che vorrebbe fare Madden, ma non so perché la stia evitando. Will sembra pensarci su un paio di secondi, tornando a torturarsi il collo con la mano.

«No, non credo» borbotta, stringendosi nelle spalle che Madden lascia finalmente libere; gli è così vicino che il suo petto continua a toccare la schiena di Will. «Non avrebbe comunque potuto fare niente per farmi cadere, non senza finire lui stesso a terra.» 

«Lo ammazzo.» Madden lo mormora a bassa voce, passandosi velocemente una mano tra i capelli, a scostare un ciuffo che gli ricade sulla fronte; entrambi lo sentiamo, ma Will è più veloce di me ad aprire bocca e ribattere.

«Mad, non è stato Brad» rimarca il concetto, ma Madden sembra comunque non volerne sapere niente. «Ho perso io il controllo della moto.» Gli occhi di Will e di Madden sono incatenati gli uni negli altri, sembrano persino stare lottando tra di essi e nessuno dei due pare volersi arrendere all’altro.

«Dobbiamo portarti in ospedale.» Decreta infine Madden, scostandosi nuovamente quel ciuffo di capelli che continua a cadergli tra gli occhi.

«Che cosa?» Esclama Will, barcollando brevemente sulle gambe, volendosi allontanare di qualche passo da Madden. «No, sto bene. Non andremo in ospedale.» Madden mastica un’imprecazione tra i denti prima di afferrargli un braccio.

«Hai un polso rotto e non so se hai sbattuto quella testa di cazzo che ti ritrovi» è quasi un sussurro il suo, ma Will sbuffa comunque. «Andiamo in ospedale e non voglio sentire un’altra parola. Sono stato chiaro?»

Will abbassa gli occhi verso la strada buia poi annuisce, ammutolendosi sul serio. Cammina tra di noi in silenzio mentre ripercorriamo la strada fatta di corsa qualche momento prima. Nessuno di loro sembra volersi curare della moto rimasta immobile sul ciglio della strada. Nella piazzetta non è rimasto più nessuno ormai, solo un paio di persone che non ricordo se facessero parte del gruppo o meno. Ci guardano però curiosi, tenendo gli occhi fissi su Will, che di alzare lo sguardo su altri non ne vuole sapere.

Lo sento comunque borbottare e non capisco se stia semplicemente insultando Madden a bassa voce o se si stia invece lamentando per qualche dolore; spero comunque sia la prima opzione, l’ospedale non è poi così vicino. La macchina di Will la raggiungiamo in fretta e Madden è già pronto a far scattare la chiusura centralizzata, indicando poi i sedili posteriori a Will con un semplice cenno del mento. Will obbedisce di nuovo e si accomoda al centro di essi prima di spostarsi sulla destra, finendo dietro di me. Madden prende velocemente posto alla guida e mette in moto ancor prima che io abbia chiuso la portiera. 

«Will» questa volta Madden lo chiama con una voce diversa, come se in quell’unica parola siano contenute le scuse per averlo trattato male qualche minuto prima. Will alza lo sguardo su Madden, sbattendo le ciglia velocemente. «Non addormentarti, okay?»

Will annuisce, non del tutto convinto delle parole dell’amico, ma bel volenteroso di accontentarlo. Nessuno di noi apre bocca durante l’intero tragitto, Will continua a lamentarsi sotto voce e sia io che Madden, al minimo segnale, lo teniamo d’occhio dallo specchietto retrovisore posto in alto tra di noi.

Madden guida veloce, rispettando solo ogni tanto i limiti di velocità concessi e bruciando i semafori che da verdi lampeggiano gialli con il chiaro intento di fermare la sua corsa. A lui non interessa minimamente: niente sembra interessargli quando c’è di mezzo Will.

L’orologio digitale della Range Rover segna le 00:48 quando raggiungiamo il parcheggio del pronto soccorso: ci sono un paio di ambulanze con i lampeggianti ancora accesi, ma silenziosi. Madden ferma la macchina in un posteggio poco lontano dall’ingresso per scendere in fretta dall’auto e aiutare Will, che ha già aperto la portiera e sta cercando di scendere senza sforzare il polso che gli fa più male ogni secondo che passa.

«Ce la fai a camminare?» Domanda Madden e questa volta è preoccupato perché l’espressione di Will si è rabbuiata.

Il biondo annuisce un paio di volte e cammina incerto verso l’ingresso del pronto soccorso. La fotocellula si attiva al mio avvicinarsi e le porte automatiche si spalancano in fretta, dandoci accesso a una sala semi deserta. L’odore di disinfettante presente nell’aria fa storcere il naso a tutti.

Madden sorpassa sia me che Will, dirigendosi in fretta verso l’accettazione, dove un’infermiera è intenta a parlare al telefono e a digitare velocemente sulla tastiera di un computer. Deve fare cenno a Madden di aspettare ancora un momento e lui sbuffa, passandosi per l’ennesima volta una mano tra i capelli.

Will tira su con il naso, ma quando mi volto nella sua direzione lo vedo sorridermi appena, come a dirmi che tanto va tutto bene, che non è successo poi niente di grave. Madden spiega velocemente all’infermiera che cosa sia successo, indicando Will fermo accanto a me; lei annuisce e fa poi il giro per raggiungerci ed esaminare Will più da vicino.

«Dovete aspettare qui ancora per un po’, vi faccio accomodare sulle poltroncine» l’infermiera ce le indica con un cenno della mano. «È appena arrivata un’urgenza, ma se la situazione resta così, sarete i prossimi, okay?» Will annuisce, tirando su nuovamente con il naso.

«Ho bisogno che questi documenti siano compilati.» Li porge però a Madden, che li afferra insieme alla penna nera. 

Madden sospinge appena Will, dandogli un colpetto alla spalla ed esortandolo a sedersi sulle poltroncine bordeaux ormai sbiadite. Will siede tra di noi e cerca di togliersi la giacca con una mano sola, ché la temperatura qui è molto più alta del normale; lo aiuto a sfilarsela di dosso, tenendomela poi sulle gambe insieme alla borsa. Will si stringe il polso con la mano e vorrei che facessero in fretta nel visitarlo.

Madden i documenti li compila velocemente, senza esitare e senza chiedere nessuna conferma a Will: lo conosce così bene che non ha bisogno di fare domande. Si alza poi qualche secondo dopo, con l’intento di riconsegnare la cartellina all’infermiera, ancora impegnata a parlare al telefono.

«Vado a prendere dell’acqua.» Mormora Madden, incamminandosi verso l’accettazione e svoltando poi a destra lungo il corridoio, sparendo dalla nostra visuale. Will sospira rumorosamente, così mi volto verso di lui posandogli appena una mano sul braccio.

«Come ti senti?» Domando preoccupata; è impallidito negli ultimi minuti. 

«Un po’ indolenzito» replica Will, cercando comunque di sorridermi. «E il polso mi fa un male cane.» Annuisco in fretta alle sue parole, sedendomi meglio sulla poltroncina. «Mi dispiace averti coinvolto.»

«Non è colpa tua» mormoro in risposta, scuotendo persino la testa. «L’importante è che tu stia bene; Madden è preoccupato.» Will sogghigna debolmente prima di sbadigliare.

«Oh, Madden mi ucciderà non appena ti avremo riaccompagnato a casa.» Sottolinea e mi ritrovo a sorridere, scuotendo nuovamente la testa.

«Resta sveglio, okay?» Will annuisce di nuovo. «Non mi va di passare la notte su queste poltroncine.» 

Madden ritorna qualche momento più tardi con tre bottigliette d’acqua strette al petto, intento a leggere qualcosa sullo schermo del suo cellulare. Lo sentiamo chiedere all’infermiera se Will possa bere e la risposta che ottiene non piace poi troppo al diretto interessato: non essendo sicuri che abbia o meno sbattuto la testa, è bene che beva molto poco.

Arrivano altre due urgenze che richiedono più tempo del previsto e siamo costretti ad aspettare senza poter fare niente per altre due ore. Non sono solo i miei occhi a essere pesanti, anche Will rimane sveglio a fatica, nonostante Madden stia facendo di tutto pur di tenerlo attivo. Quando l’infermiera chiama il nome di Will, Madden scatta in piedi, aiutando poi l’amico ad alzarsi per accompagnarlo dal medico che, stretto nel suo camice, sta leggendo la cartellina compilata da Madden. Lui però non può proseguire oltre e non appena Will sparisce dietro due porte automatiche, Madden torna verso di me con le mani nascoste nelle tasche, lasciandosi poi cadere al mio fianco nel posto lasciato vuoto da Will. 

«Cecy, mi dispiace che tu sia finita in questa situazione.» Mormora e la sua voce risulta più roca del solito, forse per via della stanchezza o semplicemente per la tensione accumulata nel corso delle ultime ore. Come con Will, mi ritrovo a scuotere la testa, voltandomi nella sua direzione. 

«Non importa» replico, schiarendomi appena la voce. «Basta solo che Will stia bene.» Madden sospira alle mie parole, annuendo poi per qualche secondo, forse a convincersi lui stesso di quello che è appena successo.

«È stato sciocco» borbotta poi, grattandosi distrattamente il sopracciglio e catturando le luci al neon sopra di noi, lasciando che gli anelli alle dita scintillino appena. «Non avrebbe dovuto coinvolgerti.»

Mi stringo nelle spalle cercando di sorridergli, ma quando avvicino i palmi delle mani per stringermele in grembo, sussulto per l’improvviso bruciore che sento tra di essi. Abbasso in fretta gli occhi e Madden deve fare lo stesso perché lo sento avvicinarsi e il suo profumo entra nel mio spazio.

«Ma…»

La mano di Madden solleva la mia in un gesto così repentino che sussulto, volendo allontanarla; Madden però la stringe in fretta, impedendomi di muoverla. Gli anelli sono freddi sul dorso della mia mano mentre il suo pollice è fermo al centro del mio palmo; vi chiudo sopra le dita, quasi a voler nascondere qualcosa alla sua vista, ma la ferita che non mi sono accorta di aver riportato è più verso l’interno del polso. 

«Quando ti sei ferita?» È così vicino che il suo respiro mi solletica la guancia, ma i suoi occhi sono fermi verso il basso, a osservare la mia mano o forse le dita che ancora stringono le sue. 

«Non lo so» mormoro e deglutisco in fretta quando lo sguardo di Madden finisce nel mio. «Aiutando Will, probabilmente.» Aggiungo e probabilmente ho ragione, devo aver sbattuto la mano a terra. 

«Aspetta.»

Madden lascia la mia mano con una delicatezza disarmante solo per alzarsi e raggiungere nuovamente l’accettazione. Lo vedo parlare con l’infermiera e indicarmi con un cenno della mano, ma non sento che cosa gli stia dicendo. Lei annuisce e sparisce qualche secondo solo per ricomparire e porgere qualcosa a Madden, che in fretta torna poi verso di me: tra le mani ha una boccetta di disinfettante e un cerotto.

«Vediamo se sono più bravo di te?» Allunga la sua mano verso di me, con il chiaro intento di dirmi di posarvi sopra la mia, così da poterla medicare.

Esito qualche secondo, ma alla fine cedo sotto il suo sguardo e di nuovo, gli anelli freddi mi regalano un brivido quando toccano il dorso della mia mano. Il cuore ha deciso di impazzire, ma spero che Madden non se ne accorga o sia bravo a fingere. Medica la mia ferita con un’attenzione certosina, attento a eliminare qualsiasi impurità prima di far aderire il cerotto.

«Va bene, sei stato più bravo di me.» Ammetto, non appena Madden chiude la boccetta di disinfettante, sorridendomi sornione e passandosi ancora una volta la mano tra i capelli; quel ciuffo ribelle continua a cadergli sulla fronte.

«Bakker

Madden scatta in piedi sentendo il cognome di Will; si avvicina al medico che ha visitato l’amico e io lo seguo, lasciando tutto sulla poltroncina.

«Va tutto bene, non è niente di grave. Non ha riportato nessun trauma cranico. Ha una lieve escoriazione sul ginocchio e sul gomito che abbiamo medicato. Il polso però è rotto e ci vorrà ancora un po’ prima che possano ingessarlo, quindi vi chiedo di accomodarvi nuovamente mentre Will resterà qui con noi.» Madden annuisce e porge in fretta la mano al medico, il quale non esita a stringerla.

«Grazie.» Mormora Madden e il medico stringe le labbra in un breve sorriso, sparendo poi nuovamente oltre le porte dietro di sé. Sollevata, poso una mano sulla spalla di Madden, che si volta poi verso di me annuendo ancora.

«Vieni, sediamoci.»

Madden sposta le giacche sulla poltroncina vuota accanto a lui, lasciandosi andare ad un lungo sospiro di sollievo, sprofondando poi nella pelle della sedia; i miei movimenti non sono poi tanto diversi dai suoi. Restiamo in silenzio per un po’, osservando un paio di persone che entrano ed escono dal pronto soccorso. Nell’attesa ci appisoliamo entrambi, Madden prima di me perché lo vedo con la coda dell’occhio mentre anche le mie palpebre calano pian piano.

La testa deve scivolarmi fino a entrare in collisione con la spalla di Madden e da lì non mi muovo più, almeno non fino a quando una nuova infermiera mi tocca appena il braccio che mi stringo al petto. Quando sussulto, lo fa di conseguenza anche Madden, che impiega però qualche secondo in più a capire dove ci troviamo e cosa deve fare per rimettere in moto il cervello e ritrovare l’uso della parola. Mi guarda stropicciandosi l’occhio sinistro con le dita, rimettendo a fuoco l’ambiente e tirandosi su a sedere; si accorge dell’infermiera china verso di noi e annuisce, dandogli la sua completa attenzione.

«Will sta arrivando.»

Madden non può replicare perché le porte del pronto soccorso si aprono e una nuova urgenza costringe l’infermiera ad allontanarsi. Allaccio la mia giacca giusto in tempo per vedere Will comparire oltre le porte. Sembra più sveglio di qualche ora fa e decisamente più rilassato nonostante le ombre scure sotto gli occhi, dettaglio che probabilmente accomuna tutti noi. Si sta aggiustando la manica del maglione e nella mano del polso ormai ingessato stringe un sacchetto di carta con le medicine prescritte. Sorride quando si accorge di noi in piedi ad aspettarlo e il solito dottore lo segue fino a che non ci ha raggiunto. 

«Ci rivediamo tra un paio di settimane» gli posa una mano sulla spalla. «Se dovessi avere nausea o vomito, torna immediatamente qui.» Will annuisce e la stessa cosa fa Madden, che sono sicura non lo perderà d’occhio nei prossimi giorni. 

«Grazie Doc.» Mormora Will, stringendo poi la mano al dottore e osservandolo sparire nuovamente oltre le porte automatiche. Il biondo si volta verso di noi e stropicciandosi gli occhi afferra la giacca che Madden gli porge, aiutandolo con il braccio ingessato.

«Possiamo andare a casa adesso?» Madden annuisce svelto e fa cenno verso l’uscita. 

L’aria fredda risveglia i miei sensi assopiti nello stesso momento in cui Madden ne respira il primo soffio; a Will non sembra interessare perché cammina svelto verso la macchina, volendo solo prendere posto e probabilmente dormire. Ed è ciò che accade non appena le nostre portiere vengono chiuse e l’auto messa in moto: si addormenta all’istante, con il braccio stretto contro il petto e le sopracciglia appena aggrottate, come se il dolore non fosse ancora del tutto sparito, ma la stanchezza abbia prevalso su tutto.

Sono quasi le quattro del mattino quando Madden ferma l’auto di Will di fronte al mio cancello, spegnendo il motore e controllando Will sul sedile posteriore. La sua posizione è sempre la stessa, solo il viso sembra più rilassato e russa appena. Slaccio la cintura di sicurezza, osservando Madden fare il giro dell’auto prima di scendere io stessa, cercando poi le chiavi all’interno della borsa.

«Grazie del passaggio.» Sbadiglio lievemente, salendo i gradini e sentendo Madden alle spalle compiere i miei stessi movimenti.

«Ma figurati» replica, nascondendo le mani nelle tasche del giubbotto di pelle. «Mi dispiace sia andata così.» Si scusa poi.

«Lo terrai d’occhio, non è vero?» Domando in fretta, facendo cenno a Will, profondamente addormentato nei sedili posteriori. 

«Sarò la sua ombra» replica Madden con un mezzo sorriso ad increspargli le labbra. «Buonanotte Cecy.» Madden mi dà le spalle, pronto a tornare da Will per poter finalmente raggiungere casa, però si ferma sul secondo scalino al suono del suo nome da me pronunciato.

«Posso farti una domanda?» Madden annuisce, ma non sale di nuovo gli scalini, resta fermo in attesa che io parli, curioso su cosa possa mai voler chiedere a quell’ora della notte. «Pensi che Brad fosse serio quando ha proposto di volere me se avesse vinto?» Madden aggrotta velocemente le sopracciglia e gli scalini che ci dividono li fa in fretta, tanto che me lo ritrovo di fronte in un baleno.

«Cecy…»

«Non lo avresti permesso, vero?» Domando ancora, interrompendolo. «Né tu, né Will.» Madden rilassa l’espressione e la ruga tra le sopracciglia si distende fino a scomparire.

Si stropiccia nuovamente l’occhio sinistro con le dita, poi scuote la testa e la inclina appena verso destra, allungando una mano a rubare la chiave di casa che sto torturando con le dita, non volendola quasi infilare nella toppa della serratura. Lo fa lui al posto mio, abbassando la maniglia e aprendo la porta per permettermi di entrare.

«No, non lo avremmo permesso» mormora ad un soffio dal mio viso, rimettendomi la chiave in mano e alzando nuovamente gli occhi su di me; l’aria fredda li ha accesi e sono così verdi da sembrare finti. «Brad sarebbe prima dovuto passare sul mio cadavere, ma anche lì non sono sicuro che gli avrei permesso di averti.»

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 18 ***


 

capitolo
18





 

A Will tolgono il gesso dopo tre settimane esatte; lo so non tanto perché lui e io siamo diventati amici per la pelle, solo per via di Will, che di giorno in giorno, arriva preciso con un nuovo count down. L’ultimo risale al pomeriggio scorso quando, uscendo dalla Biblioteca insieme a Margot, mi mormora che domani è il grande giorno.

Sto spegnendo il monitor del PC e sono pronta per tornare a casa, pranzare velocemente e arrivare in perfetto orario al museo per l’ultimo turno del sabato pomeriggio. Will varca la soglia della Biblioteca tutto trafelato, incastrandosi dietro l’orecchio la solita sigaretta bianca e allentandosi appena la sciarpa che porta ben stretta attorno al collo. Deve essersi alzato un po’ il vento perché ha i capelli biondi più spettinati del solito e le guance appena velate di rosso, con gli occhi leggermente lucidi. Il corridoio lo percorre in fretta, battendo entrambe le mani sul bancone che ci divide, regalandomi un’occhiolino e alzando poi il polso ormai guarito.

«Finalmente.» Mormoro, riponendo la penna all’interno di un barattolino. 

«Ha smesso di prudere» borbotta, con un sorriso che gli va da un orecchio all’altro. «Ho quasi pianto di gioia.» Ammette poi, stringendosi nelle spalle e sfilandosi completamente la sciarpa per lasciarla cadere sul bancone. 

«Sono contenta» replico e lo sono davvero; l’ho beccato più volte a cercare di infilarsi qualsiasi cosa appuntita all’interno del polso per alleviare il prurito. «Hai bisogno di qualcosa? Sto per chiudere tutto.» Will scuote in fretta la testa, ma un sorriso furbo si fa spazio sul suo viso e ho imparato a capire che non porta mai niente di buono.

«In realtà » borbotta, sporgendosi quasi verso di me; lo osservo curiosa. «Sono venuto a chiederti una cosa.» 

«Dimmi.» Replico e la curiosità lascia quasi spazio al timore. L’ultima volta è stato l’assistere a una corsa clandestina in moto e non è andata poi così bene. 

«Oggi è il compleanno di Madden» s’interrompe, lasciandomi assimilare l’informazione; non ne avevo idea. «Stasera festeggiamo a casa nostra e volevo chiederti se ti andava di unirti a noi. Credo che a Madden farebbe piacere.» Arrossisco e non comprendo a pieno il perché, poi mi schiarisco appena la voce.

«Non sapevo che fosse il suo compleanno.» Ammetto, anche se non ne ho bisogno; mi serve solo del tempo in più. 

«Per questo te lo sto dicendo.» Sorride divertito Will.

«Non lo so Will, devo lavorare e…»

«I musei alle sette chiudono» m’interrompe in fretta, puntandomi contro un dito accusatore. «Ti prego.» Aggiunge poi, quasi fosse una supplica.

«Ci sarà tanta gente?» Il battito del cuore aumenta pian piano, in attesa della risposta di Will, che immagino essere più che positiva. Lui però scoppia a ridere e scuote in fretta la testa.

«Che tu ci creda o no, le persone che sopportano Madden le posso contare sulle dita di questa mano» due dita sono già sollevate mentre me lo dice. «Tu ed io siamo già qui. Ci saranno Margot e altri due amici. Puoi anche saltare la cena se non vuoi, ma ho comprato una torta decisamente troppo grossa per sei persone.»

Will aspetta mentre prendo una decisione e sembra non importargli se impiego più tempo del necessario; alla fine annuisco e il suo gesto di vittoria mi fa sorridere.

«Dopo cena, d’accordo» mormoro infine, scostandomi una ciocca di capelli dal viso. «Non ho un regalo pronto però e…»

«A Madden non servono regali» m’interrompe bruscamente Will. «Vieni e basta. Ricordi dove abitiamo, vero?»

Will già non ha più intenzione di ascoltarmi o aspettare una mia risposta alla sua domanda, ha già deciso per me. Avvolge nuovamente la sciarpa intorno al collo e cammina lungo il corridoio diretto all’uscita, dandomi le spalle.

«Ti mando la posizione più tardi!» Aggiunge, poco prima che le porte si aprano al suo passaggio.

«Sì, va bene…»

«Ah Zucchero, un favore» le parole gli escono ovattate dalla bocca perché la sigaretta che portava al sicuro dietro l’orecchio sinistro si trova ora stretta tra le labbra, in attesa di essere consumata. «Non dire a Madden che ti ho invitato io, okay?»

Scuoto la testa mentre lo osservo lasciare la Biblioteca, fischiettando un motivetto allegro e tutto suo. Lungo tutto il tragitto che mi riporta a casa penso e ripenso ad una cosa sola: se sia giusto mandare a Madden degli auguri di compleanno. La stessa domanda mi tormenta per tutto il pomeriggio, persino mentre percorro i corridoi dello Stedelijk Museum, cercando di ricordare le informazioni che mi sono state date all’ultimo dal nuovo direttore del museo stesso.

Sono le venti e trenta quando scendo dalla metropolitana per raggiungere l’ultimo autobus della giornata che mi riporti finalmente a casa. Seduta nei posti centrali mi rigiro il cellulare tra le mani e il messaggio di auguri per Madden lo compongo persino, solo per cancellarlo un paio di volte per poi riscriverlo altrettante. Non lo invio, però.

Dylan mi ha lasciato nuovamente la cena in cucina, ne sento il profumo non appena varco la soglia di casa, insieme a un post it accartocciato sui cui ha scarabocchiato che di nuovo ha esagerato con le porzioni - non regge più come scusa da troppo tempo ormai - e che se avessi bisogno di lui, farei meglio a cavarmela da sola perché stasera danno una partita importantissima e non può lasciarla. La cena la consumo in fretta, ascoltando il notiziario e battendo il tempo con la suola della scarpa sul pavimento, producendo un suono che a lungo andare, m’infastidisce così tanto che spengo la TV e mi alzo dalla sedia, lavando a mano le poche stoviglie utilizzate.

Will non mi ha dato un orario e di conseguenza non ho idea di che ora possa andare bene per il loro dopo cena. Perdo così tempo facendo una doccia, rimanendo sotto il getto dell’acqua tanto a lungo da diventare quasi tiepida; non solo io profumo di lavanda, ma tutto il bagno e il corridoio ne sono impregnati. Mi vesto e asciugo i capelli con altrettanta calma, così tanta che una volta tornata in salotto per controllare l’ora, trovo due messaggi da parte di Will.

 

Will 

 

posizione

Ti sei persa?

 

L’imprecazione mi esce dalle labbra senza che nemmeno me ne renda conto mentre digito una risposta veloce e afferro la giacca dallo schienale dal divano. Davanti alla loro porta di casa arrivo con il fiatone e il battito del cuore così accelerato che devo fermarmi un paio di secondi a prendere dei lunghi respiri prima di poter suonare il campanello sulla destra. Il cuore non rallenta, ma non è più colpa della corsa fatta. Faccio un passo indietro mentre qualcuno si avvicina alla porta; spero sia Will.

Il viso di Madden muta in diverse espressioni quando si rende conto di chi effettivamente io sia: nel momento in cui apre la porta e guarda a terra, un sorriso divertito gli increspa le labbra e una mano scosta qualche ciuffo di capelli dal viso. I suoi occhi si alzano con studiata lentezza, percorrono le mie gambe velate dai collant e quando si fermano sul mio volto le sopracciglia si aggrottano appena, tanto che la solita ruga di espressione fa capolino tra di esse, così come le labbra le stringe appena, non sicuro di quello che sta guardando. Infine si rilassa, ma la ruga tra le sopracciglia non scompare.

«Will.» Non è un saluto il suo e nemmeno una domanda nei miei confronti: è una constatazione con i fiocchi e non ha nemmeno bisogno che io annuisca, però lo faccio ugualmente. 

«Non ho potuto dirgli di no, mi dispiace.» Mormoro, stringendomi nelle spalle e di conseguenza le braccia al petto; dall’interno proviene un calore confortante. 

«No, nessuno può» ribatte Madden, spalancando del tutto la porta e spostandosi appena di lato per lasciarmi entrare. «Vieni. Si muore di freddo stasera.» La bottiglia di birra che stringe nella mano destra la posa sulla mensola accanto alla porta, poi allunga una mano verso di me a chiedermi di dargli la giacca che indosso. 

«Buon compleanno, Madden.»

Il sorriso che mi fa lascia intravedere una fossetta infantile sulla guancia; fa cenno verso il corridoio, recuperando la birra dalla mensola. In salotto, seduti sul divano - Will nella poltrona - ci sono davvero solo tre persone: Margot la riconosco subito.

«Giusto in tempo per la torta.» Cantilena Will, abbassando il collo della bottiglia nella mia direzione in un saluto. 

«Davvero Will? Anche la torta?» Madden lo domanda divertito, allungando una seconda poltrona perché io possa sedermi, mentre lui si accomoda invece al fianco di Margot, che gli stringe poi il ginocchio, quasi più eccitata di Will. 

«Io ho le candeline.» Schiocca le dita e Madden scuote la testa, ingollando un po’ di birra direttamente dalla bottiglia. 

«Cecily: loro sono Margot, Gavin - il suo ragazzo - e Jin» me li indica con un cenno del mento. «Lei è Cecily…»

«Lo sappiamo» è Jin ad interrompere Madden, sorridendo nella mia direzione e facendomi arrossire non volutamente. «Lavori in Biblioteca, ti conosciamo tutti.» Annuisco alla sua constatazione e mi scosto una ciocca di capelli dal viso. 

«Sì, ma non allargatevi troppo.»

Will spunta fuori dalla cucina con un’enorme torta al cioccolato, posata in bilico su di un piatto veramente troppo piccolo per contenerla. La lascia scivolare sul tavolino che divide il divano e la poltrona su cui era seduto, stando bene attento a posizionarla di fronte a Madden.

«Lei è amica mia.» Asserisce Will, regalandomi persino un occhiolino. 

«Non preoccuparti Will, nessuno te la porterà via.»

Sedendomi meglio sulla poltrona, osservo di sfuggita la risata che Madden vorrebbe far uscire, se non fosse che Margot si alza in piedi in fretta, strattonando la gonna che si è incastrata sotto le gambe lunghe di Madden. Le candeline le infilza al centro della torta e Gavin è pronto ad accenderle.

«Spero che il tuo desiderio sia già pronto» mormora Gavin, illuminando gli stoppini e accendendole. «Stasera non mi va cioccolato e cera sciolta.»

Madden alza gli occhi al cielo alle parole di Gavin, poi scuote la testa, ma sorride per un istante intercettando il mio sguardo. Il fiato lo risucchia solo per lasciarlo uscire il secondo seguente: le candeline si spengono tra gli applausi dei presenti e del fischio di Will. 

«Buon compleanno, Madden!»

Margot gli afferra il viso con entrambe le mani, scoccandogli due baci sulle guance e Madden sorride, strizzando gli occhi; è in imbarazzo. Da qualche parte Will estrae anche una bottiglia di spumante. Sobbalziamo tutti quando la stappa perché a quanto pare, nessuno si era accorto della sua presenza.

Margot taglia le fette di torta - una torta decisamente troppo grande per sei persone - e Will riempie i bicchieri che non sono per nulla adatti a contenere quel tipo di bevanda. Propone lui il brindisi e Madden è più imbarazzato di prima, ché gli occhi addosso ce li ha di nuovo tutti; lo spumante è buono e fresco, nonostante stasera faccia veramente freddo. I primi bicchieri seguono in fretta gli altri e la bottiglia giace ormai vuota sul pavimento.

«Allora, Cecily» Margot si volta nella mia direzione, finendo lo spumante dal bicchiere; Madden posa la schiena contro il divano. «Vuoi raccontarci come tu abbia conosciuto questi due? Non mi sembri proprio il tipo di persona che vada a cercare tipi del genere.» Sogghigna poi e Madden trattiene una risata che camuffa sotto una finta tosse. Will si taglia una seconda fetta di torta.

«In realtà è colpa di Will» il diretto interessato aggrotta le sopracciglia nella mia direzione, fermando la forchetta a mezz’aria. «Mi ha rovesciato addosso del caffè durante una lezione.»

«Tipico di Will» fa eco Jin, arricciando le labbra quando si accorge che nel bicchiere non ha più nulla. «A me ha rovesciato addosso un cartone di latte perché non guardava dove metteva i piedi nella sua stessa cucina.» 

«Siete voi a essere sempre nella mia traiettoria» borbotta Will, leccandosi le labbra sporche di cioccolato. «Io sono innocente fino a prova contraria.» 

«Non vorrei essere amica di qualcuno che mi ha rovesciato del caffè addosso.» Replica Margot, sorridendo alle sue stesse parole. Mi stringo nelle spalle, sporgendomi in avanti per posare il bicchiere vuoto.

«È simpatico» borbotto in risposta. «Ormai è tardi per interrompere l’amicizia.» Will sogghigna, ma mi indica con la forchetta in segno di ammonizione. 

«Anche Madden ti ha rovesciato addosso qualcosa?» A questa domanda arrossisco e spero che nessuno dei presenti se ne accorga, il diretto interessato soprattutto, che in questo momento è però concentrato su Will, che cerca di inghiottire un pezzo di torta troppo grosso per la sua bocca.

«No, a Madden ho solo dato un libro che gli spettava.»  Madden non mi guarda, ma annuisce; non so che cosa gli altri amici sappiano di lui, se come Will siano a conoscenza di ogni cosa o se invece siano semplici amici e basta.

A Madden squilla il telefono nello stesso momento in cui anche il mio prende a suonare: il nome di Matias compare sul display. Con la coda dell’occhio vedo Madden alzarsi e dirigersi verso la stanza di Will per rispondere; lo sento ridere prima di ringraziare chi c’è dall’altra parte. Mi alzo anche io dalla poltrona, chiedendo scusa ai presenti e spostandomi verso la cucina.

«Matias? Pronto?»

«Mi amor, scusa per l’ora, ma ho bisogno di chied… potrest… non…» la voce di Matias va e viene, come se ci fosse un’interferenza.

«Matias, non capisco.»

«Domani potrest… macchin…» 

«Aspetta, Matias la voce va e viene» Will mi sta facendo segno verso il piano superiore, come a volermi dire di spostarmi di lì e cercare un punto dove possa esserci più copertura. «Aspetta, provo a spostarmi. Resta in linea.»

Salgo le scale velocemente, ritrovandomi in un corridoio più piccolo rispetto al piano inferiore, solo due porte sono presenti. La voce di Matias arriva ancora ovattata e non capisco più di due parole; in fondo al corridoio c’è una piccola porta finestra che dà su un balconcino. Uscendo fuori rabbrividisco perché ho lasciato la giacca giù in salotto.

«Okay, Matias dimmi.»

«Cecily, domani potrest-»

La voce di Matias questa volta scompare, seguita dal suono della comunicazione ormai interrotta; sbuffo e il fiato condensa immediatamente in una nuvoletta bianca mentre compongo nuovamente il numero di telefono. La linea resta comunque interrotta e la segreteria parte in automatico. Sbuffo di nuovo e compongo un messaggio, che invio subito dopo per poter rientrare al caldo. Alzando lo sguardo, Madden compare al di là dei vetri. Finisce di infilarsi la giacca solo una volta sul balcone. 

«Scusa, non riuscivo a sentire…»

«Tranquilla» m’interrompe in fretta Madden, guardandomi dalla testa ai piedi prima di aggrottare le sopracciglia e togliersi la giacca per allungarla nella mia direzione. «Tieni o prenderai freddo.» 

«Pensavo di tornare giù subito, in realtà.» Rabbrividisco alle mie stesse parole e Madden scuote appena la giacca per far sì che la prenda.

«No, aspetta un attimo» mormora, passandosi una mano nei capelli quando finalmente afferro il giubbotto di pelle che è solito indossare tutti i giorni. «Ho bisogno di prendere una boccata d’aria e poi Will giù di sotto si è messo a cantare. Fammi compagnia.»

Annuisco velocemente e lo osservo avvicinarsi alla ringhiera, dove posa entrambi i palmi respirando a fondo. La sua giacca la indosso in fretta e il profumo di Madden ne pervade ogni centimetro; mi fermo al suo fianco, imitando i suoi gesti. Il metallo della ringhiera è freddo e di conseguenza mi fa rabbrividire. 

«Davvero Will ti ha chiesto di venire?» Le mani Madden le tiene ben salde sulla ringhiera, ma il viso lo volta nella mia direzione.

«Stamattina, sì» replico, schiarendomi appena la voce. «Mi ha anche fatto promettere di non dirti niente, però.» Madden sorride e scuote la testa perché lo sa meglio di me che Will è impossibile. 

«Che sfacciato» mormora tra sé e sé. «Non eri tenuta a venire.» Aggiunge poi e questa volta sono io ad aggrottare le sopracciglia. 

«È il tuo compleanno.» Rispondo solamente e Madden annuisce, mordendosi appena il labbro.

Muove un passo nella mia direzione, fermandosi comunque a distanza, ma avvicinandosi tanto da permettermi di guardarlo dritto negli occhi. Il freddo e l’alcool li hanno resi vispi e appena un po’ più lucidi del solito, di un verde così chiaro da sembrare quasi finto. Degli occhi non possono essere così verdi.

«Già.» Mormora, stropicciandosi appena l’occhio per afferrare nuovamente la ringhiera. 

«Non ho nemmeno avuto tempo di prenderti un regalo.» Borbotto e ne sono quasi persino arrabbiata perché non ci si dovrebbe mai presentare a mani vuote.

«Un regalo?» Sorride Madden, voltando nuovamente il viso nella mia direzione. «E che regalo avresti voluto prendermi, sentiamo.» È curioso e divertito, mentre io mi ritrovo nuovamente in imbarazzo. 

«Non lo so, non ho avuto modo di pensarci.» Ammetto, abbassando lo sguardo sulla strada sotto di noi. Si è alzata una leggera nebbiolina e vorrei quasi rientrare perché Madden trema appena di freddo. 

«Cecy, non mi serve un regalo» questa volta addirittura ride e gli occhi li chiude persino. «Non mi serve per niente.» Annuisco e contagiata dalla sua risata, sorrido. 

«Spero almeno che il tuo desiderio si possa realizzare in fretta.» A quelle parole Madden smette di ridere e mi guarda negli occhi un paio di lunghi secondi senza dire niente, senza muovere un muscolo. Mi guarda e basta e io tremo appena perché non l’ho mai visto fissarmi così

«Te lo farò sapere a tempo debito.» Lo mormora in un soffio e non so se si sia avvicinato ulteriormente o se le nostre braccia si siano sempre sfiorate o tantomeno se la sua mano finisca sulla mia per una ragione che non conosco o se addirittura sia sempre stata lì.

Non ho nemmeno il tempo di processare o quello di poter dire a Madden che se vuole, possiamo tornare dagli altri. E quel tempo non ce l’ho perché lui abbassa il viso nella mia direzione, piegandolo quel tanto che basta perché le sue labbra si fermino sulle mie piano, lente, calde.

La mano che sovrastava la mia si ferma sul braccio, ma non arriva alla spalla perché mi sposto come se mi avesse dato la scossa. La distanza che impongo tra di noi non è tanta quanto vorrei che fosse, ma mi basta. La mano ancora calda me la porto alle labbra ed è come se avessi corso in fretta, eppure non mi sono mossa negli ultimi minuti. Madden impreca tra i denti e si passa velocemente una mano tra i capelli, muovendo appena un passo nella mia direzione, ma cambiando idea all’ultimo.

«Cecy, cazzo. Mi dispiace.» Anche lui sembra aver corso, persino più in fretta di me.

«Madden…»

«Mi dispiace, non avrei dovuto» quasi si mangia le parole. «Cazzo, non lo so perché l’ho fatt… Cecy, aspetta!»

Ma non lo faccio, non voglio aspettare. La giacca me la tolgo in fretta, lasciandola cadere su una sedia che nemmeno avevo notato prima di ora; gli scalini li scendo velocemente e non so nemmeno se Madden mi stia correndo dietro o se stia litigando con i vetri del balcone. 

«Will, devo andare.»

Glielo dico in fretta, ma non so nemmeno se mi abbia sentito perché sta cantando qualcosa e sembra non voler prestare attenzione a quello che sta accadendo intorno. Si riscuote quando Madden chiama il mio nome dalle scale e poi Will fa la stessa cosa, riuscendo ad alzarsi dalla poltrona con fatica.

Infilo la giacca una volta in strada, chiudendomi la porta alle spalle e sentendo gli ultimi strascichi di conversazione tra Will e Madden, dove il primo sta chiedendo che diavolo sia successo e perché io sia uscita in quel modo. La risposta di Madden non la sento e nemmeno voglio farlo; non so se mi stia già correndo dietro o stia cercando le chiavi della moto o dell’auto. Spero che nessuno di loro lo faccia perché non sono poi sicura che siano in grado di guidare.

Il cellulare mi vibra nelle mani ed è il nome di Madden quello che appare sul display, ma non rispondo. Non lo faccio nemmeno una volta arrivata a casa, con il cuore che batte sia per la corsa fatta, che per le labbra di Madden che in qualche modo, sono riuscite a entrare in collisione con le mie.

Qualcuno pronuncia il mio nome nel momento stesso in cui mi chiudo con forza la porta di casa alle spalle. Non so di chi si tratti, ma di certo è una voce che non appartiene a nessuno a cui io sia in grado di dare un volto familiare.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 19 ***


 

capitolo
19





 

Riesco a evitare Madden tutta settimana solo perché non ho turni in Biblioteca e nemmeno lezioni obbligatorie in università e questo mi dà la perfetta scusa per non andare e rischiare così di trovarmelo davanti all’improvviso. Will mi manda messaggi in continuazione e nonostante tutto, riesce a non essere invadente. È solo curioso o forse furioso perché non sa che cosa sia successo: a quanto pare, né io né Madden ne abbiamo fatto parola con lui. Lo ignoro tanto quanto le chiamate di Madden.

Non riesco a dormire, eppure sono esausta da giorni; il pensiero di Madden mi tormenta e non so decidere in quale maniera. Perché ho lasciato che si avvicinasse tanto? Perché ha anche solo pensato di poterlo fare?

Ho rifiutato il passaggio di Kat fino al Rijksmuseum perché è già in ritardo di suo per le prove, nemmeno il suo telefono ha smesso di squillare durante tutto il pranzo che abbiamo condiviso. Quando Kat si chiude la porta di casa alle sue spalle, recupero velocemente dalla camera da letto un plico di documenti che devo riportare al Museo e la sento di nuovo la chiamata che arriva sul mio cellulare: è ancora Madden. Mi allaccio le scarpe, saltellando poi fino in salotto per indossare la giacca; sono in ritardo e spero lo sia anche l’autobus. Esco di casa in fretta, rabbrividendo per l’aria frizzantina che mi soffia dritta in viso.

Dall’altra parte della strada Clint è impegnato in una conversazione telefonica sotto al suo portico e fa avanti e indietro gesticolando animatamente. Sorride quando gli passo accanto, salutandomi velocemente con un cenno della mano. La casa della nonna di Madden è silenziosa e tranquilla: nessuna Range Rover, nessuna Buick Riviera, nessuna Yamaha XSR900; niente che mi faccia pensare che Madden possa trovarsi nei paraggi. La pensilina dell’autobus è vuota e la cosa mi destabilizza perché potrebbe già essere passato, invece qualcuno arriva trafelato, più in ritardo di me.

«È già andato?» Il ragazzo me lo chiede in fretta, con il fiatone a scuotergli le spalle; faccio cenno di no, poi mi siedo sulla panchina.

«Spero di no.» Replico e lui sbuffa, passandosi una mano sul viso e accomodandosi poi al mio fianco, estraendo il cellulare dalla tasca per comporre un numero e avviare una chiamata.

Il mio lo sento vibrare nella borsa in quello che deve essere un semplice messaggio. L’ora la controllo al polso e quando alzo lo sguardo a scrutare i dintorni, l’autobus fa la sua comparsa in fondo alla via; sospiro di sollievo perché non avevo nessuna voglia di chiamare Dylan per farmi accompagnare a destinazione. La piazza è gremita di persone quando finalmente la raggiungo a piedi e fuori dal Museo c’è una piccola folla di turisti che parla tra di loro in una lingua che purtroppo non comprendo.

Entro dal retro per fare prima, passando il badge e aprendo così i tornelli che mi permettono di raggiungere gli uffici; non c’è quasi mai nessuno qui la domenica e il plico di documenti che ho con me lo lascio in reception, sperando che la segretaria li veda e si ricordi di recapitarli al proprietario. Non vedo Tommy in giro ed è Glen a salutarmi con un sorriso a trentadue denti quando raggiungo l’ingresso, aggiustandomi la spilla sulla camicetta che indosso; qui fa sempre troppo caldo. 

«Stavo quasi venendo a cercarti.» Glen mi allunga una scheda in cui ci sono scritte le indicazioni riguardo ogni turno.

Un gruppo composto da quindici persone mi sta aspettando al secondo ingresso e mi ci dirigo in fretta; spero parlino la mia lingua o quantomeno che la capiscono. Saluto Glen con un veloce cenno della mano, augurandogli poi una buona continuazione di giornata: ho visto il suo gruppo, ne avrà bisogno. Due signore vestite di tutto punto mi regalano un sorriso cordiale quando le raggiungo e il resto del gruppo smette di chiacchierare tra di loro.

«Cecily, non è vero?» È la signora dai capelli biondo platino arricciati perfettamente a chiedere conferma su chi io sia.

«Sono io» replico, annuendo velocemente. «Benvenuti al Rijksmuseum, sarò la vostra guida per tutto il resto del pomeriggio. Abbiamo quattro bellissimi piani da visitare, ma faremo una pausa tra un piano e l’altro, non preoccupatevi.» Lo aggiungo in fretta perché una ragazzina che immagino non raggiunga i quindici anni alza immediatamente gli occhi al cielo.

«È sempre così affollato qui?» 

«Sì, sempre» sorrido alla domanda della stessa signora di prima. «Dobbiamo salire al secondo piano, cominceremo la visita da lì. Potete prendere le scale, le trovate in fondo a quel corridoio sulla sinistra, oppure gli ascensori, dalla parte opposta.» Li osservo seguire le mie indicazioni mentre io percorro il corridoio parallelo dove ci sono invece gli ascensori dello STAFF. «Ci siamo tutti, vero? Allora cominciamo, se avete qualsiasi domanda, fatemelo sapere: proverò a rispondere nel migliore dei modi.»

«Ho letto che il museo non è sempre stato qui.» È un signore con un paio di occhiali da vista piuttosto eccentrici a porre la domanda, mentre mi cammina al fianco.

«No, esatto» replico, alzando la voce perché mi sentano anche gli altri. «Originariamente fu fondato a L’Aia per esporre la collezione degli stadtholders olandesi, quelle che erano le massime cariche militari e politiche delle allora Sette Province Unite dei Paesi Bassi. Il suo nome originale addirittura era Nationale Kunst-Gallerij, Galleria d’Arte Nazionale. Solo nel 1808 venne trasferito ad Amsterdam per volere di Luigi Bonaparte e…»

«Il fratello di Napoleone?» Questa volta è la ragazzina a fare la domanda.

«Proprio lui» replico, annuendo nella sua direzione. «È solo nel 1885 che trova la sua dimora nella sede attuale.»

Non sono molti i gruppi che sono davvero interessati a quello che diciamo per tutto il tempo, ma questo di oggi pomeriggio è uno dei migliori che io abbia avuto negli ultimi tempi. Mi fanno domande su qualsiasi cosa, sono smaniosi di conoscere i dettagli delle opere più famose.

Qualcuno lo sento persino sospirare per lo stupore quando attraversiamo la Gallery of Honour e il mormorio di eccitazione per la Night Watch Gallery è sempre la mia parte preferita. Passiamo più tempo qui che nel resto delle sale a nostra disposizione, ma non mi lamento. Anche qui, vogliono sapere tutto e sono quasi delusi quando dico loro che possiamo prenderci una mezz’ora di pausa, giusto per riposare un po’ la voce.

Mi accorgo di lui solo dopo aver indicato la via della caffetteria e aver detto loro che ci saremmo ritrovati qui. Sussulto sulle mie stesse gambe, guardandomi intorno alla ricerca di Will. C’è solo Madden, nel suo giubbotto di pelle nera che sembra essergli stato cucito addosso e le mani nascoste nelle tasche. Vedo solo il suo profilo per qualche secondo, è perso a guardare un dipinto di fronte a lui, ma come se si fosse accorto dei miei occhi, si volta nella mia direzione.

La mano dalla tasca la estrae solo per farmi un debole cenno di saluto, anche se lo vedo più come un gesto per tranquillizzarmi, che non si avvicinerà se non sarò io a volerlo. Eppure lo voglio e non è lui a compiere il primo passo, ma io; Madden deglutisce, guardandomi negli occhi fino a che non sono ferma al suo fianco. 

«Che cosa ci fai qui?» La mia domanda suona quasi stupida perché lo so bene il motivo per il quale si trova qua, è solo il come a mancarmi; Madden sorride, scuotendo la testa e tornando a nascondere la mano nella tasca della giacca. 

«Osservo Rembrandt, mi domando come una persona possa essere in grado di dipingere un tale capolavoro» non mi guarda, rivolge nuovamente il viso verso la tela. «E mi chiedo perché tu mi stia ignorando.»

«Io…»

«Voglio dire, lo so perché lo stai facendo» si corregge poi e un veloce sorriso gli attraversa il viso. «Volevo solo parlarti, ecco.» 

«Sto lavorando.»

«Lo so» mormora in fretta, grattandosi la punta del naso; non c’è luce che i suoi anelli non catturino. «Ho chiesto a tuo fratello dove fossi.» Mi ritrovo a sgranare gli occhi.

«Tu hai chiesto a Dylan dove trovarmi?» Madden annuisce velocemente.

«L’ho incrociato stamattina fuori casa di mia nonna e…»

«Tu conosci mio fratello?» Lo interrompo perché Dylan deve essersi bevuto il cervello per dire a qualcuno che non conosce dove io sia.

«Tutti conoscono tuo fratello, Cecy» replica con calma Madden, mentre io vorrei solo uscire di qui e correre da Dylan per dirgli che la prossima volta, potrebbe anche non sbandierare tutto alla prima persona che glielo chiede. «Gli ho semplicemente detto che non rispondevi al telefono e dovevo parlarti con urgenza, così mi ha detto dove trovarti.» Madden sorride e non so se sia divertito dalla situazione in sé o perché io stia borbottando qualcosa che però non riesce a capire.

«Devo lavorare, io non posso dare retta a te adesso…»

«Lo so, Cecy» m’interrompe e la mano la allunga quasi a volermi sfiorare il braccio, ma non lo fa. «Aspetterò tutto il giorno se devo, ma ho davvero bisogno di parlarti. Non voglio questo tra di noi e se devo aspettare per chiederti scusa come si deve, lo farò.» 

«Okay» mormoro in un soffio, guardando velocemente il quadrante dell’orologio che porto al polso; il gruppo sarà di ritorno tra poco. «Ci vorranno ancora un paio d’ore…»

«Okay.» Sorride Madden, annuendo alle sue stesse parole.

«Puoi venire con noi, se ti va» propongo e lo so che non dovrei perché va contro le regole. «O puoi girare liberamente. C’è una bellissima mostra fotografica al piano di sopra.»

«Ti seguo» decreta infine, facendomi cenno verso la signora con i boccoli biondo platino perfetti. «Ho già visto la mostra fotografica.»

«Cecily, sono in ritardo?» La signora me lo domanda quasi preoccupata, controllando l’ora sull’orologio che anche lei porta al polso. 

«No, certo che no» replico, tranquillizzandola. «Non è arrivato ancora nessuno.» Madden le sorride cordiale quando volta il viso nella sua direzione. 

«È il tuo fidanzato? È venuto a trovarti al lavoro?» Impiego qualche secondo a rendermi conto che le parole sono dirette a Madden, ma è lui a rispondere per primo.

«Solo un amico in visita.» Replica educatamente e sul volto della signora sembra passare un’ombra di delusione, che maschera poi con un sorriso che nasconde qualcosa in più. 

«Allora unisciti a noi» propone lei stessa e Madden annuisce appena, come se la stessa proposta non fosse arrivata da me giusto qualche secondo prima. «Questa ragazza è la guida più brava e più bella che io abbia mai avuto in tutta la mia vita da turista.» Non so se mi faccia arrossire più il suo complimento o se gli occhi di Madden che a seguito delle sue parole si posano su di me. 

«Oh, le credo.» Mormora, facendomi scuotere la testa e abbassare lo sguardo.

La signora lo prende sottobraccio e per tutto il resto della giornata, Madden resta con lei senza dire una parola o commentando semplicemente quello che lei stessa gli dice. È più difficile prestare attenzione e le domande che mi pongono sembrano essere le più complicate mai ricevute fino a oggi. Eppure io conosco a memoria ogni dettaglio, ogni piastrella di questo posto. Mi salutano tutti a fatica, promettendomi però che se dovessero tornare nuovamente ad Amsterdam, chiederanno di me per un secondo giro; tutti ritornano sempre prima o poi. 

«Non ho mai parlato tanto come oggi.» Mormoro, sciogliendo i capelli dalla coda in cui sono legati, sentendo un paio di brividi di sollievo lungo il collo.

«Sai che cosa mi piace de musei?» Madden me lo domanda con una semplicità che mi disarma; scuoto la testa, curiosa per quella che potrebbe essere la sua risposta. «Il silenzio.»

«Il silenzio?» Ripeto, ché di silenzio non c’e n’è quasi mai e Madden annuisce, guardandosi intorno mentre alcune persone passano tra i tornelli per recarsi all’uscita. 

«Sì» risponde calmo. «Una mattina sono venuto qui all’apertura e non c’era ancora nessuno. Ho fatto in tempo a visitare solo due sale prima che la gente cominciasse a riempire tutto, ma quel silenzio non me lo sono mai dimenticato.»

«Una delle prime volte ho concluso il giro all’ultimo piano e di solito prendo l’ascensore per uscire; Dylan mi aveva già detto che sarebbe arrivato tardi e allora ho fatto con calma: era la prima volta che sentivo il silenzio e solo lì mi sono resa conto di che cosa avessi davanti agli occhi, ovunque mi girassi.» Madden sorride, ma non aggiunge altro. «Una volta ti ho visto, giù in Biblioteca. Ero con un’amica.»

«Vengo spesso qui» mormora e la cosa mi sorprende un po’. «Soprattutto quando voglio liberarmi di Will.» 

«È un buon posto per rifugiarsi.» Asserisco e Madden nasconde nuovamente le mani nelle tasche. 

«Lo so» sospira poi. «Ti porto a casa, ti va?» 

«Sì, per favore.» Mormoro, passando il badge elettronico per aprire il passaggio, di modo che anche Madden possa uscire. 

È lui a fare strada lungo il corridoio, fino alle porte principali. L’aria fredda della sera mi fa rabbrividire talmente tanto è il caldo accumulato all’interno. L’auto di Madden è parcheggiata in una via laterale ed entra in macchina solo dopo aver gettato lontano la cicca della sigaretta ormai consumata. L’autoradio prende vita nel momento in cui il motore si avvia, ma Madden è svelto a renderla un semplice sottofondo. C’è il solito traffico nel quale districarsi, ma rimane comunque un viaggio silenzioso. Lo so che sta aspettando di raggiungere il quartiere prima di poter aprire bocca e lo fa per il semplice fatto di non potermi guardare negli occhi. È solo la musica a farci compagnia.

La luce del portico di casa di sua nonna è illuminato quando raggiungiamo il mio appartamento, che rimane invece buio perché non mi sono ricordata di accendere la lanterna. Mi schiarisco la voce e mi slaccio la cintura; non voglio scendere - nemmeno lui ha quell’intenzione - ma solo essere più libera nei movimenti. Per quanto i suoi occhi verdi siano sempre difficili da sostenere, ho bisogno di guardarlo e capire. 

«Cecy…»

«Mi dispiace averti ignorato e mi dispiace di essere scappata via in quel modo.» Madden scuote in fretta la testa, voltandosi completamente nella mia direzione; nell’abitacolo aleggia solo il suo profumo. 

«No, aspetta» sorride appena. «Sono io a dover fare le scuse qui.»

«Oh, okay» mormoro, accomodandomi meglio nel sedile. «Ti ascolto.»

«Ho bevuto un po’ troppo quella sera ed ero davvero in cerca di aria fresca» Madden parla con calma, come se ne avesse bisogno per poter inscenare un discorso che abbia senso. «Tu però eri lì e faceva un freddo assurdo ed eri così bella e così vicina mentre parlavi di quello stupido desiderio che non ho capito più nulla e mi sono accorto troppo tardi di aver osato tanto.»

«Madden…»

«Non volevo farlo» m’interrompe. «No, in realtà volevo farlo, ma non così. Hai avuto tutte le ragioni per andartene ed evitarmi come se fossi uno psicopatico.» Mi sto mordendo il labbro così forte da sentire quasi il sapore ramato del sangue. 

«Mi sono spaventata.» Ammetto infine e non lo sto dicendo solo a lui, ma anche a me stessa. Madden aggrotta le sopracciglia, confuso dalla mia affermazione. 

«Hai avuto paura di me?» Annuisco piano e Madden respira lento, fino a posare poi la mano sul sedile sul quale sono seduta. «Cecy…»

«Ti ho lasciato avvicinare e lo hai fatto» mormoro, abbassando lo sguardo sulle mani che stringo sulle ginocchia. «Tu e Will vi siete presi un piccolo spazio di quello che è sempre stato tutto mio e va bene così. Ti ho lasciato entrare, ma mi hai spaventata.» Con la coda dell’occhio vedo Madden passarsi una mano tra i capelli e poi schiarirsi la voce brevemente.

«Guardami» è un sussurro quello di Madden. «Solo per un secondo.» E obbedisco, ritrovandomi davanti quegli occhi che, non importa quanta luce ci sia, sono sempre di un verde da togliere il fiato. 

«Madden, non è…»

«Ti va di promettermi una cosa?» Annuisco appena, in attesa. «Non avere paura di me. Abbine di chiunque altro: di Bart, di Clint, di Brad, di qualsiasi altra persona che possa incrociare il tuo sguardo; ma non averne di me. Okay?»

La mano Madden la posa sulle mie con una delicatezza tale che me ne rendo conto solo una volta che abbasso lo sguardo e la trovo lì, a sovrastare le mie che in confronto alle sue sono minuscole. La osservo per qualche secondo, perdendomi nei dettagli perfetti dei suoi anelli, nel piccolo tatuaggio impresso sulla pelle tra il pollice e l’indice. Alzo gli occhi solo quando ho passato in rassegna tutto e quando sono sicura di potergli dare una risposta. 

«Ci provo.» Sussurro appena e Madden sorride, pronto a sfilare la mano dalle mie e a replicare.

Una risata sguaiata per strada lo interrompe ed entrambi quasi sobbalziamo, guardando poi fuori alla ricerca del proprietario. Madden bestemmia tra i denti perché lo ha già riconosciuto e non è da solo.

«Resta in macchina.»

È un ordine ben preciso il suo e non si volta per accertarsi che io abbia capito o che obbedisca, ha già aperto la portiera per chiudersela con forza alle spalle. Lo so che si tratta di Bart, ho riconosciuto la voce, ma non riesco a vedere chi sia la persona con lui. Non posso restare in auto e la mia portiera si apre qualche istante più tardi. Madden si volta nella mia direzione con uno sguardo di fuoco. La persona insieme a Bart mi osserva qualche istante, quasi non curandosi delle imprecazioni che padre e figlio si stanno urlando contro.

Deglutisco e non so perché, ma mi sembra di averlo già visto nei dintorni. Bart sputa a terra poco prima che lo sconosciuto con lui pronunci il mio nome. Sussulto così forte da aggrapparmi alla portiera dell’auto ancora aperta. Madden si volta nella sua direzione perché ha sentito anche lui, ma Bart usa quella sua distrazione per muovere qualche passo, con la sola intenzione di allontanarsi da Madden. 

«Andiamo Jansen, o il mio caro figlioletto chiamerà il suo fidato poliziotto.» Borbotta Bart, esortando l’amico a seguirlo, prima che Madden componga davvero il numero della centrale.

Lui obbedisce, allontanando finalmente l’attenzione dalla mia figura. Madden li guarda sparire nell’ombra prima di fare il giro dell’auto e fermarsi al mio fianco, nel punto esatto in cui sto tremando come una foglia.

«Cecy…»

«Madden: com’è che l’ha chiamato?»

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 20 ***


 

capitolo
20





 

«Cecily…»

«Devo trovare mio fratello.»

Non mi preoccupo nemmeno di chiudere la portiera dell’auto di Madden dietro di me. Sono già nei pressi del marciapiede quando la sento sbattere alle mie spalle e dopo qualche secondo appena, la mano di Madden si serra attorno al mio polso, a voler fermare la mia corsa o semplicemente a cercare di trattenermi perché sto praticamente correndo senza quasi guardare dove vado.

«Cecy, aspetta un attimo.» Madden non stringe la presa, ma i piedi si fermano in mezzo alla strada; non so nemmeno se sono io a voltarmi verso di lui o se invece è lui stesso a farlo, perché vuole guardarmi negli occhi.

«Hai sentito come lo ha chiamato tuo padre, non è vero?» Glielo domando in fretta e Madden aggrotta appena le sopracciglia, confuso.

«Sì…»

«Tu lo sai qual è il mio cognome.» Lo interrompo, cercando di sfuggire alla sua presa, che viene allentata da lui stesso quando realizza che non mi metterò a correre. «Madden…»

«Cecy, Jansen è un cognome molto comune qui.» La voce di Madden è calma a differenza della mia, ma i suoi occhi lo tradiscono. 

«Mi ha chiamato Cecily, Madden» alzo il tono senza rendermene conto. «Era qui, con Bart e mi ha chiamato per nome guardandomi negli occhi.»

«Non capisco dove tu voglia arrivare…»

«Non lo so!» Lo interrompo nuovamente e questa volta la voce si alza ulteriormente, tanto che mi passo una mano sul viso, scuotendo poi la testa. «Quell’uomo mi ha chiamato per nome, porta il mio stesso cognome. Devo andare da mio fratello.» Aggiungo in fretta, voltandogli le spalle, pronta a raggiungere il cancello di Dylan. La mano di Madden si ferma nuovamente sul mio braccio.

«Vuoi che venga con te?» Me lo chiede costringendomi a fermare i miei passi per la seconda volta; mi stringo nelle spalle alla sua domanda, deglutendo il groppo formatosi in gola, sperando che le lacrime che sento pungere agli angoli degli occhi non mi tradiscano proprio in questo momento. 

«Non lo so…»

«Aspetta.» Madden mi lascia sul marciapiede per qualche istante. Lo osservo tornare verso la sua auto, recuperare la giacca che giace nei sedili posteriori solo per indossarla e far scattare poi la chiusura centralizzata. Mi raggiunge indicando la porta di casa con un cenno del mento. «Fai strada.» 

Annuisco velocemente e mi volto, sperando che le gambe seguano i miei ordini. Busso alla porta di casa un paio di volte, nascondendo poi le mani nelle tasche della giacca: non so che ore siano, non so se Dylan sia in casa o se stia dormendo; Madden è appena dietro di me, in attesa.

La luce nell’atrio si accende e si riflette giallognola sui vetri della finestra alla mia sinistra; la serratura della porta scatta tre volte e il viso assonnato di Dylan appare qualche istante più tardi. Impiega qualche secondo in più a mettere a fuoco e nel momento stesso in cui si rende conto che non sono da sola sulla soglia di casa sua, ma in compagnia di qualcuno che forse persino conosce, sgrana gli occhi, osserva prima me e poi Madden. Le sopracciglia le aggrotta in un moto di confusione, stropicciandosi poi il collo come se si fosse addormentato sul divano in una posizione scomoda.

«Cosa sta succ…»

«Posso entrare?» Glielo domando scioccamente e a Dylan non resta che gettare un’altra occhiata a Madden alle mie spalle prima di annuire due volte, spalancando del tutto la porta. Il calore all’interno dell’atrio mi fa rabbrividire e quando sento la porta alle nostre spalle chiudersi con lo stesso numero di giri di chiave, mi volto solo per notare Dylan fissare confuso Madden.

«Tu cercavi mia sorella stamattina.» Mormora Dylan, soffocando uno sbadiglio; Madden annuisce, passandosi velocemente una mano tra i capelli. «Beh, vedo che l’hai trovata. Grazie per averla accompagnata a casa, ma lei abita dall’altro lato della strada…»

«Dylan, ti prego vieni a sederti.» Mi tolgo la giacca, lasciandola cadere sullo schienale del divano appena poco distante.

«Okay.» Lo sento borbottare qualcosa in più, ma sono già seduta in cucina, sulla sedia a capotavola. Madden segue Dylan in silenzio, ma non prende posto, resta semplicemente fermo vicino alla porta, incrociando le braccia al petto.

«Devo dirti una cosa.» Mio fratello striscia pesantemente la sedia sul pavimento, producendo uno stridio che mi fa sussultare e poi ci si siede scompostamente. 

«Devo preoccuparmi? È successo qualcosa?» Sembra più sveglio e reattivo di qualche minuto prima: non mi sono mai presentata alla sua porta con qualcuno che non fosse Kat. Prendo un lungo respiro e scuoto la testa, anche se dovrei invece annuire alle sue domande. 

«Non proprio.» Replico, forse mentendo, forse dicendo la verità; Madden si schiarisce appena la voce.

«Volete raccontarmelo?» Domanda Dylan, guardando prima me e poi persino Madden. 

«Dylan, tu te li ricordi i nostri genitori?» Il silenzio che segue la mia domanda dura qualche secondo; Madden abbassa appena lo sguardo mentre mio fratello ispira bruscamente, aggrottando appena le sopracciglia. «Di viso, intendo.» Aggiungo in fretta.

«No, non proprio» Dylan si stringe nelle spalle, inumidendosi le labbra come se ci stesse realmente pensando. «Vagamente.»

«Non saresti quindi in grado di descriverli.» Questa volta non è una domanda la mia.

«No, certo che no» risponde con più calma e sono quasi sicura abbia capito dove voglia arrivare. «Eravamo entrambi troppo piccoli e non credo di aver mai visto una loro fotografia per tutto il tempo in cui siamo stati in orfanotrofio.» Aggiunge e questa volta annuisco. «Cecy…»

«Eravamo in macchina prima e il padre di Madden è passato di qui con una persona» Dylan guarda Madden qualche secondo, è ancora fermo sulla soglia della porta. «Porta il nostro stesso cognome e mi ha chiamato per nome.» La guancia di Dylan scatta velocemente e lo sguardo si assottiglia.

«Cosa…»

«Io non l’ho mai visto, ma conosceva il mio nome» ripeto. «Non è la prima volta che succede.» Madden impreca tra i denti e si avvicina tanto da potersi quasi sedere insieme a noi.

«Cecy…»

«La sera del tuo compleanno, quando sono tornata a casa, lui era qui e ha pronunciato il mio nome.»

«Perché non me l’hai detto?» È Madden a porre quella domanda, ma io sto guardando mio fratello.

«Tu sei il figlio di quel pazzo che ogni tanto crea scompiglio nel quartiere, vero?» Sussulto sulla sedia perché il tono di Dylan, quando si rivolge a Madden, è cambiato. Lui schiocca le labbra e annuisce.

«Già, Bart è mio padre.» Mormora, quasi fosse una giustificazione la sua; Dylan annuisce.

«Quindi mi state dicendo che un tipo sconosciuto, amico di un pazzo che poi sarebbe tuo padre, porta il nostro stesso cognome e conosce il tuo?» Dylan conta sulle proprie dita man mano che pronuncia le parole, fino ad indicarmi. «Un tipo che non hai mai visto prima?» Annuisco, a conferma di quello che vuole sapere. «Tu lo conosci?» Questa volta è a Madden che lo chiede.

«No, non so chi sia» risponde tranquillo e glielo leggo negli occhi che è sincero. «Non ho rapporti civili con Bart, non conosco la gente con cui va in giro.»

«Quell’altro tizio, che abita accanto a tua nonna - è tua nonna, vero? - lo conosci?» 

«Clint?» Domanda Madden e Dylan scuote le spalle, che il nome probabilmente non lo sa neppure. «Sì, lo conosco. Lui è innocuo, non può uscire nemmeno di casa.» 

«Perché?» Mio fratello non si fa problemi a porre domande. 

«È agli arresti domiciliari.» Replica Madden e nemmeno lui sembra farsene a riguardo.

«Quindi abbiamo un pazzo, un criminale e un tipo sconosciuto che potrebbe essere nostro padre? Cecy, è questo il fulcro di tutto questo discorso?» È arrabbiato, ma non con me.

«No, Dylan» replico in fretta, lasciandomi andare a un sospiro. «Certo che no. Ho solo avuto paura che…»

«Tu pensi che i nostri genitori siano qui?» M’interrompe e sussulto a quella sua domanda, nonostante me l’aspettassi. 

«No, non credo» ammetto, sedendomi meglio sulla sedia. «Se non ricordi che faccia abbiano, potrebbero essere comunque ovunque e noi non lo sapremmo.» La risata che mi esce è amara e Dylan scuote la testa, drizzando poi la schiena. 

«Avevo appena tre anni e l’unica cosa che ho impressa nella testa, come se fosse marchiata a fuoco, siamo io e te che veniamo lasciati su un cazzo di marciapiede buio, davanti a quell’edificio che abbiamo dovuto chiamare casa per quasi quindici anni e ricordo anche che abbiamo dovuto aspettare al buio e al freddo prima che qualcuno uscisse e si accorgesse di noi perché i nostri cari e dolci genitori avevano così tanta fretta di sparire, che non hanno nemmeno aspettato che qualcuno si preoccupasse di tirarci dentro dopo aver bussato. Siamo stati trattati come spazzatura da loro due.»

Dylan ha il fiatone e chiude gli occhi quando gli poso entrambe le mani sulla propria, stretta a pugno sulla superficie fredda del tavolo.

«Se anche ricordassi il loro volto o sapessi che fossero qui, non vorrei comunque avere a che fare con loro. Se tu hai intenzione di cercarli…»

«Come faccio a cercare qualcuno che non ricordo di aver mai visto?» Glielo dico a bassa voce, non perché non voglio che Madden senta, ma perché Dylan è agitato. «Non voglio cercarli, Dylan. Non voglio cercare qualcuno che mi ha buttato via perché non servivo più. Non voglio cercare chi non si è mai preoccupato se potessi stare bene o se avessi bisogno di qualcosa. Ci sei già tu, non mi serve nessuno.» Questa volta è Dylan a stringere le mie mani e sono grata che lo faccia, altrimenti tremerebbero. 

«Non ricordo nemmeno il loro nome.» Mi stringo nelle spalle alle parole di mio fratello.

«Non m’interessa.»

«Forse qualcuno all’orfanotrofio potrebbe saperlo, magari avevamo addosso qualcosa di loro.» Mormora Dylan, come se stesse cercando di ricordare qualcosa. Qualcosa che è comunque impossibile da poter fare.

«Ti arrabbieresti se andassi da loro a chiedere?» Glielo domando mordendomi il labbro e Dylan sorride appena.

«Ma no Cecy, certo che no» mormora, scuotendo la testa. «Voglio solo che tu non ne soffra. Ne abbiamo passate troppe per ricadere di nuovo in quei ricordi. Non ci serve nessuno, non ci è mai servito nessuno.»

«Lo so» replico e ha ragione. «È solo che quell’uomo conosce il mio nome e io non so chi sia.» E la cosa mi spaventa da morire. 

«Posso provare a chiedere a Bart.» Madden s’intromette in punta di piedi, quasi sussurrando; Dylan si volta velocemente verso di lui. «Non otterrei niente perché mio padre non dà mai niente per niente, ma posso tentare.» 

«Io non so cosa ci sia tra voi due» Dylan indica prima me e poi Madden, facendomi arrossire. «Non sono nemmeno affari miei in realtà, ma fa’ in modo che tuo padre o i suoi amici o chi per loro, non si avvicinino a mia sorella. Non ti sto minacciando, te lo sto ordinando Madden, perché non so chi tu sia, ma sei in casa mia e per qualche strana ragione Cecily sembra fidarsi e io mi fido di Cecily.» Madden annuisce, nascondendo le mani nelle tasche dei jeans. 

«Non permetterei comunque che Bart si avvicini a qualcuno.» 

«Adesso: o mangiamo perché sto morendo di fame, oppure ve ne andate.» 

«Dylan…» scuoto la testa prima che Madden parli, allontanandosi dalla cucina.

«Devo andare da mia nonna.» Mormora semplicemente e lo so che lo sta dicendo a me.

Dylan annuisce prima che il suo telefono lasciato in qualche parte della casa prenda a squillare a gran volume. Seguo Madden lungo il corridoio e mi lascia passare solo perché io possa aprire la porta di casa.

«Vado a chiedere a Clint se…»

«Aspettami, vengo con te.»

Glielo dico senza attendere il suo permesso, infilandomi velocemente la giacca e seguendo poi Madden fuori di casa, attraversando la strada, diretto alla porta di Clint. Il suo cancelletto è sempre aperto e Madden non esita a salire i gradini del portico per bussare quasi violentemente alla porta. Come con Dylan poco fa, la luce all’interno dell’atrio si accende, ma ha un colore più vivo di quella di mio fratello, è quasi bianca. Clint apre la porta con una sigaretta quasi del tutto consumata a pendergli dalle labbra e aggrotta appena le sopracciglia quando nota entrambi, spalla a spalla, davanti alla porta di casa sua. 

«Sì?» Domanda appena, sorreggendosi allo stipite della porta. 

«Devo chiederti una cosa» comincia Madden e Clint annuisce, in attesa che ponga la sua domanda. «Prima è passato Bart con un tizio che non conosco.»

«Cristo santo.» Impreca Clint, per una ragione che al momento non comprendo. 

«Lo ha chiamato Jansen» continua Madden, senza fornire ulteriori dettagli. «Lo hai mai sentito? Lo conosci?» Clint si toglie il mozzicone di sigaretta dalle labbra solo per osservarlo e gettarlo oltre le nostre spalle poco più tardi.

«Jansen?» Replica, quasi a voler essere sicuro di aver capito bene. «È un nome piuttosto comune qui, ho conosciuto qualche Jansen, ma non so se possa essere lo stesso con cui era Bart. Non abbiamo amici in comune che portano quel nome, comunque.» Aggiunge in fretta Clint, stringendosi nelle spalle.

«Sì, grazie lo stesso Clint.» Madden annuisce ed è già pronto a voltargli le spalle.

«È successo qualcosa con Bart?» Domanda velocemente Clint a Madden, che scuote la testa.

«Sempre il solito Bart.» Devo sbrigarmi per stare dietro a Madden. Clint mi saluta con un cenno del capo prima di chiudere la porta e spegnere la luce dell’atrio.

«Madden…»

«Chiederò a Bart non appena avrò l’occasione di vederlo.» Me lo dice voltandosi appena nella mia direzione mentre si accosta al cancello di casa di sua nonna. 

«Non c’è bisogno» mormoro, stringendomi le braccia al petto. «Non devi avere a che fare con lui a causa mia.»

«È inevitabile, non preoccuparti» sorride appena, ma sembra addirittura esausto. «Spero di avere abbastanza soldi in tasca per ricevere un no come risposta.» Si stringe nelle spalle, ma spero proprio non sia serio nelle parole appena pronunciate. 

«Se dovesse capitare di nuovo…»

«Me lo verrai a dire, Cecy» Madden allunga una mano a volermi forse sfiorare, ma non arriva a destinazione perché ci ripensa, posando la mano sul cancello freddo. «Se dovessi vederlo di nuovo, vieni da me. Subito.» Abbasso lo sguardo, ma annuisco.

«Mi accompagneresti?» Glielo chiedo all’improvviso, senza specificare dove o quando; non ne ho bisogno. «Non voglio andare da sola e…»

«Sì» Madden me lo dice con altrettanta fretta. «Quando sarai pronta, verrò con te.»

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 21 ***


 

capitolo
21





 

Madden viene a prendermi domenica alle 16:00 in punto, esattamente come mi ha scritto nel suo messaggio. Finisco di allacciare la giacca all’ingresso, volgendo un’ultima occhiata al salotto per controllare che tutte le luci siano spente. Tremo appena quando infilo le chiavi nella toppa della porta, a dare due giri alla serratura: c’è un vento leggero, ma freddo e un primo accenno di nebbiolina si è già formata attorno ai lampioni che a breve prenderanno vita.

L’auto di Madden è parcheggiata appena distante dal mio cancello, con il motore in folle e il finestrino del passeggero aperto a lasciar uscire il fumo della sigaretta che stringe tra le labbra, ma che sembra non stare nemmeno assaporando. Mi schiarisco lentamente la voce posando la mano sulla maniglia fredda pronta a salire, solo per accorgermi di Will seduto nei sedili posteriori con un berretto di lana blu a nascondergli i capelli biondi. Osservo per un secondo gli occhi di Madden, che si spostano in contemporanea ai miei per fermarsi su Will; quando mi siedo accanto a Madden, lo vedo stringersi nelle spalle.

«Non ha voluto saperne di scendere dall’auto, mi disp…»

«Gliel’hai detto?» Domando e non mi rendo conto di usare un tono di voce a metà tra l’offeso e il risentito. 

«No, io…»

«Non so niente» interviene Will, sporgendosi appena verso di noi, tanto da posare entrambe le mani sui nostri sedili. «Non so dove dobbiate andare o cosa dobbiate fare, ma mi sembra che ti serva un supporto.» Will si morde il labbro inferiore in un sorriso che la sa lunga.

«Will…»

«Se non mi vuoi, scendo qui.» Continua ignorando la voce di Madden, che ha sempre una sfumatura esasperata nei confronti dell’amico. Questa volta sono io a mordermi il labbro, ma non sorrido. 

«No, va bene. Non c’è problema» replico, aggiustandomi la borsa sulle gambe e allacciandomi la cintura di sicurezza. «Se avrò voglia di scappare, in due sarà più facile prendermi.»

Il volto confuso di Will non lo vedo, ma quello di Madden sì. Esita qualche istante prima di inserire la marcia, come se volesse darmi gli ultimi secondi a decidere se intraprendere questa cosa o se invece fare finta di niente. Non mi va più di fare finta di niente. Volto il viso verso Madden annuendo appena e a lui non serve altro perché imita il mio gesto, chiude il finestrino e getta la cicca della sigaretta dall’altro lato della strada.

«Posso sapere almeno dove stiamo andando?» Domanda Will a mezza voce e questa volta è seduto con la schiena ben appoggiata alla pelle dei sedili neri. Madden mi guarda con la coda dell’occhio perché non tocca a lui parlare, non dirà una parola. 

«All’orfanotrofio, in Tweede Oosterparkstraat.» Rispondo, con un po’ di incertezza nella voce.

Will non replica, probabilmente annuisce, ma non me ne accorgo; vedo Madden digitare l’indirizzo sul navigatore del suo iPhone e poi finalmente l’auto si muove. Non c’è nessuna musica, nessuna melodia, nessuna voce a tenerci compagnia durante il tragitto. Non so nemmeno quanto effettivamente sia lontano, sono passati troppi anni perché io ricordi la posizione esatta rispetto a dove vivo oggi.

Per strada c’è poca gente e Will fischietta, sembra lui quello agitato; Madden guida con calma, rispettando tutti i limiti di velocità e non bruciando nemmeno un semaforo. Lo so che lo sta facendo per me, ma sussulto ugualmente quando la voce robotica del navigatore rompe il silenzio, avvisandoci che la nostra destinazione si trova a cento metri di distanza, sulla destra.

Volto il viso con il cuore che sbatte contro lo sterno e quando riconosco l’edificio, esattamente uguale alla prima volta in cui ho varcato quella soglia, mi stringo le mani sulle ginocchia. Madden parcheggia esattamente di fronte all’ingresso; la zona non è ben illuminata e fatico persino a vedere i suoi occhi che, sono sicura, stanno aspettando solo un mio cenno per poter scendere dall’auto.

È però Will a compiere il primo passo, costringendomi a seguire i suoi movimenti; Madden fa il giro dell’auto, fermandosi al mio fianco nel momento stesso in cui il telefono di Will esplode in uno squillo che annuncia l’arrivo di una chiamata. Sussurra uno scusate solo per muovere qualche passo più in là e poter rispondere. La mano di Madden si posa gentile all’altezza del gomito, così alzo il viso nella sua direzione. Non l’ho notato prima, ma sotto l’occhio destro c’è un’ombra violacea grande quanto una moneta da 1 euro.

«Madden, che cosa…» allungo una mano quasi a volerlo sfiorare, solo per rendermi conto che non posso farlo; Madden stringe appena le labbra.

«Bart» mormora semplicemente, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte. «Non ho ottenuto la risposta che volevo, ma un pugno sì.» 

«Oh Madden, mi dispiace.» 

«Per cosa?» Domanda curioso, stringendosi poi nelle spalle. «Non è mica colpa tua.» 

«Invece sì» mi scaldo, perché è colpa mia eccome. «Hai parlato con tuo padre a causa mia.» 

«Era inevitabile» me lo dice forse a volermi tranquillizzare, ma non funziona. «Non è niente, passerà.» Non ho più modo di ribattere perché Will torna verso di noi, nascondendo il cellulare all’interno della giacca poi si aggiusta il berretto sui capelli, soffiando un po’ di aria calda tra le mani. 

«Andiamo?» È una domanda elementare la sua, dalla risposta così facile che dovrebbe uscire dalle mie labbra in modo del tutto naturale. Eppure, non è così. I loro occhi sono entrambi posati su di me: il verde delle iridi di Will non può competere con quelle di Madden.

«Andiamo.»

Muovo un solo passo in direzione dell’ingresso e le figure di Madden e Will mi camminano accanto come due angeli custodi, a voler proteggere ogni minimo movimento che compio, ad assicurarsi che io non cada o che non incespichi nei miei stessi passi. È Madden a suonare il citofono alla sua sinistra e sono piuttosto sicura che il fiato non lo sto trattenendo solamente io.

È la figura di una donna stretta in uno scialle verde petrolio ad accoglierci quando la porta finalmente si spalanca con una lentezza quasi teatrale. I suoi occhi si posano su ognuno di noi, forse a cercare di capire o semplicemente in attesa; Will si schiarisce appena la voce, quasi a volermi dire che adesso tocca a me.

«Buonasera» la voce mi esce bassa, ma spero che almeno non sia incrinata. «Io volevo solo chiedere se sia possibile parlare con il direttore del…»

«Cecily» la donna pronuncia il mio nome con una facilità che mi destabilizza e sussulto sulle mie stesse gambe quando la mano di Madden si posa sulla mia schiena; ho compiuto un passo indietro senza nemmeno rendermene conto. «Sei tu, non è vero?» Annuisco alle sue parole e il sorriso che le increspa le labbra è piccolo.

«Lei si ricorda di me?» Glielo chiedo sorpresa perché gli anni trascorsi sono tanti e non credo che la gente si ricordi con così tanta facilità delle persone.

«Come potrei dimenticarmi di te, eri uno scricciolo quando sei arrivata» allunga entrambe le mani verso di me, con il chiaro intento di voler stringere le mie. Vedo sia Madden che Will annuire, così obbedisco e allungo i palmi fino a toccare i suoi. «Nessuno di questi due giovanotti è però Dylan, dico bene?» Quando scuoto la testa, lei sorride di nuovo.

«No, loro…»

«Vuoi entrare per un po’?» M’interrompe senza cattiveria nel farlo. «Fa molto freddo stasera.»

Annuisco di nuovo alle sue parole, guardando poi Madden e Will, quasi a voler chiedere ulteriore conferma; Will mi regala un occhiolino, Madden annuisce una volta sola. La donna lascia le mie mani solo per lasciarci spazio e poter entrare, chiudendosi la porta alle nostre spalle; ci indica un salotto a poca distanza dall’ingresso, con un camino acceso che crepita nel silenzio, facendomi formicolare la nuca. C’è una luce soffusa tutto intorno e due divani ormai consumati sono posti al centro della sala, una poltrona nera invece è posizionata proprio accanto al camino stesso. Ci fa accomodare: lei prende posto nella poltrona, Will mi si siede accanto e Madden finisce sul secondo divano; non lo so se lo faccia di proposito o meno.

«Che cosa ti porta di nuovo qui? Sono passati anni dall’ultima volta che ci siamo viste.» La sua voce è curiosa almeno tanto quanto lo è Will di sapere perché ci troviamo qui.

«Ho chiesto a mio fratello se ricordasse il volto dei nostri genitori, ma mi ha detto di no e di non aver mai visto una fotografia per tutto il tempo che siamo stati qui.» Parlo in fretta, ma la donna annuisce. «Mi ha detto di ricordare solo la notte in cui siamo arrivati e…»

«Me la ricordo bene quella notte» di nuovo, interrompe le mie parole. «Sono stata io a trovarvi, stavo per chiudere la serratura quando ti ho sentita piangere. Dylan non diceva una parola, ti stringeva così forte che quando gli ho chiesto di entrare, che qui sareste stati al sicuro, ha fatto un passo indietro rischiando di cadere dagli scalini. Non ti ha lasciata andare neanche un istante, ha gridato quando ho provato a portarti via dalle sue braccia per controllare che steste bene e che non foste feriti. Tu eri illesa, ma lui aveva un brutto taglio sulla guancia e per la sua caparbietà, quella cicatrice non è più andata via.»

La lacrima che sento scivolare sulla pelle è calda e la mano di Will si ferma sul dorso della mia, stretta in un pugno sulle ginocchia.

«Ci ha messo un po’ a fidarsi di me, ma alla fine ha lasciato andare la tua mano dopo… sì, direi che dopo circa un anno ha capito che non ero io il nemico. Non muoveva un passo senza di te, le parole che gli ho sentito più spesso pronunciare sono sempre state dove va lei, vado anche io oppure Cecy non va dove non ci sono anche io. A dodici anni le cose non sono cambiate, nemmeno a sedici.»

«Ma…»

«Non ha mai chiesto dei vostri genitori» risponde alla domanda che bramo di porre. «Neanche una volta. Lui lo sapeva; sapeva che non sarebbero più tornati e quindi non ha voluto perdere tempo.»

«Ho incontrato una persona qualche giorno fa, porta il mio stesso cognome.» La donna sorride ancora.

«Purtroppo o per fortuna, hai un cognome molto comune» replica e sono stanca di sentire quella frase. «Vorresti sapere come si chiamano i tuoi genitori?»

Vedo Madden raddrizzare la schiena e sento Will farsi più vicino quando annuisco così piano che sono quasi sicura non se ne siano nemmeno accorti. La donna però si alza dalla poltrona, facendoci cenno di aspettare giusto un attimo. Ritorna poco più tardi con un vecchio registro ormai rovinato e quasi logoro; lo sfoglia lentamente, indossando gli occhiali che tiene appesi al collo. Tamburella con le dita accanto ai nostri nomi, solo per seguire sulla pagina quello che immagino essere uno schema semplice.

«Ci sono i loro nomi?» Chiedo, a un tratto impaziente; la donna serra appena le labbra prima di tornare a guardarmi negli occhi.

«Dennis e Linda Jansen» mormora, chiudendo accuratamente il registro per posarselo sulle ginocchia. «Hanno lasciato i loro nomi su un pezzo di carta, insieme ai vostri.»

«Si sono preoccupati di lasciare i loro nomi, ma non di tornare a prenderci?» Lo domando confusa, a nessuno in particolare. 

«Cecily, lavoro in quest’orfanotrofio da quasi quarant’anni e mai una volta ho visto un genitore tornare a riprendere qualcuno» me lo dice dolcemente, sporgendosi persino verso di me. «Ho visto bambini disperarsi, li ho visti piangere fino ad addormentarsi, ma li ho visti anche sorridere quando ci hanno salutato per cominciare una nuova vita. Non sempre quello che ci lasciamo alle spalle è un male. Ti sei mai chiesta perché vi abbiano abbandonato qui, su questo marciapiede?»

«No.» Rispondo in fretta e non c’è menzogna nelle mie parole.

«Pensi che sia stata una cattiveria?» Non so dove voglia arrivare con tutte queste domande, ma io vorrei solo alzarmi e tornare a casa.

«Sì.» Rispondo sempre velocemente.

«Non hai mai pensato che possano averlo fatto per il vostro bene? Per darvi una possibilità?» 

«Io non ho mai pensato ai miei genitori, mai un solo giorno della mia vita.» Ammetto e sento Will sussultare appena al mio fianco quando la donna sorride, sincera.

«Allora Dylan ha fatto un buon lavoro.»

Mi mordo il labbro e sento una stretta al centro del petto ogni volta che il nome di mio fratello fa capolino nel discorso. Alla fine le mie stesse labbra si stirano in un debole sorriso e mi ritrovo a seguire con gli occhi la donna che si alza dalla poltrona, tendendo una mano verso di me. Madden si solleva nel momento stesso in cui anche Will compie quel movimento.

«Sono contenta di averti rivisto.» 

«Grazie per quello che avete fatto per me e Dylan.» Di nuovo non c’è menzogna nelle mie parole perché non voglio pensare a cosa sarebbe potuto succedere se non ci avessero trovato.

«Salutamelo tanto» ci ritroviamo davanti alla porta senza che nemmeno me ne sia resa conto; Madden la tiene aperta. «E buona fortuna, Cecy.»

L’aria fuori dal complesso è così fredda che mi lacrimano gli occhi, ma gli scalini li scendo lentamente, con Will a qualche passo di distanza.

«Come troviamo qualcuno che non abbiamo idea di che faccia possa avere?» È proprio Will a domandarlo e sussulto quando mi rendo conto di come abbia incluso tutti nella frase.

«Andiamo a chiedere all’agente Michaels» replica Madden, nascondendo le mani nella tasca della giacca prima di voltarsi nella mia direzione. «Cecy»

«Andiamo.» Replico in fretta, avvicinandomi all’auto in attesa che Madden faccia scattare la chiusura centralizzata per permetterci di salire di nuovo.

Finiamo alla centrale di polizia una buona mezz’ora più tardi e quello che sembra essere l’agente Michaels, accoglie Madden e Will con uno strano sorriso dipinto sul viso e la sua espressione non fa che esprimere confusione man mano che Madden stesso spiega il perché ci troviamo tutti lì. E dire che lui pensava che Bart avesse causato qualche altro problema. 

«Non potrei, però sono quasi tutti fuori di pattuglia» mormora quasi sotto voce, rivolgendomi uno sguardo che interpreto come compassione. «Usate quel computer, vi concedo dieci minuti. Non dovrebbe servirvi molto tempo.» Aggiunge, prima di sedersi ad una scrivania poco distante e rispondere al telefono che squilla incessantemente da quando siamo entrati. Madden prende posto sulla sedia girevole perché io non riesco a farlo.

«Che cosa dovremmo cercare?» Domando poi, con un filo di voce; Madden volta appena il viso, inumidendosi le labbra.

«Inseriamo i loro nomi nel database» risponde semplicemente, giocando distrattamente con gli anelli che porta alle dita. «Se hanno commesso qualche reato - anche il più piccolo - li troveremo.»

«E come facciamo a essere sicuri che si tratta dei miei genitori?» 

«Andremo a tentativi» interviene Will. «Quanti Dennis e Linda Jansen potranno mai esserci che hanno fatto qualcosa di male in questo posto?» 

La domanda di Will trova presto risposta e con grande sorpresa, ha ragione. I nomi che spuntano sono circa una decina: alcuni di loro non hanno nessuna attinenza perché le date di nascita non combaciano, chi è troppo giovane e chi invece, al contrario, è troppo vecchio. Una Linda porta il doppio cognome e sussulto quando noto la parola deceduta poco più sotto. Mi dico che non posso essere sicura che si tratti in realtà di mia madre, ma immagazzino l’informazione. Di Dennis ce ne sono rimasti quattro, tutti molto vicini di età. Non conosco gli indirizzi riportati, né tantomeno se siano corretti, ma vedo Madden appuntarseli su un pezzo di carta che nasconde poi nella tasca della giacca. Annuisco quando per una frazione di secondo incrocia i miei occhi.

L’agente Michaels ci dice che non abbiamo più tempo, che una pattuglia sta rientrando e che non possiamo farci trovare seduti a una scrivania a consultare un database della polizia. Will è il primo a uscire dalla porta perché il suo telefono riprende a suonare e con le solite scuse si allontana.

«Madden…»

«Chiederò di nuovo a Bart» m’interrompe, schiarendosi la voce una volta fuori dalla centrale. «Oppure a Clint, magari con degli indirizzi saprà dirmi qualcosa in più.» Annuisco solo perché mi fido di lui. Will è fermo accanto all’auto di Madden, con il telefono premuto contro l’orecchio e la mano destra che muove in tutte le direzioni: è agitato.

«Maman, ce n’est pas possible!» È francese la lingua nella quale sta parlando. «Qu’est-ce que cela signifie que papa sort de prison dans deux jours?» *














 

*«Mamma, non è possibile!»

*«Che cosa significa che papà esce di prigione tra due giorni?»

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 22 ***


 

capitolo
22





 

Non faccio in tempo a voltarmi verso Madden, anche solo per assicurarmi che io abbia capito correttamente e nemmeno riesco a formulare il pensiero riguardo Will e perché stia parlando francese. Mi ha già superato e quando capisco che anche io devo muovere le mie gambe nella sua stessa direzione, gli è già accanto, una mano posata sulla spalla in qualcosa che significa semplicemente sono qui.

Will forse nemmeno se ne accorge da tanto che gesticola e aumenta il tono di voce man mano che le parole gli escono dalle labbra. Sono più che sicura sia francese il suo e riesco a capire persino qualche stralcio di conversazione. So che sta parlando con sua madre, ho capito che riguarda suo padre e la sua uscita di prigione. Mi tremano le mani quando raggiungo Madden, i suoi occhi osservano Will come se avesse paura di perderlo, che possa scomparirgli da sotto le dita e forse è più per questo che lo sta trattenendo per la spalla. 

«No mamma, che cazzo significa?» Domanda di nuovo e questa volta non usa il francese. «Tu devi tornare, io non posso affrontare questa cosa. Maman, je t’en supplie: écoute-moi!» *

Gli occhi di Madden trovano i miei ad appena qualche passo di distanza e lo vedo annuire prima di inumidirsi le labbra. In auto ci salgo così in fretta che è lui stesso a chiudermi la portiera mentre sento la sua voce mormorare a Will di fare altrettanto, che non può urlare in mezzo alla strada senza creare scompiglio e glielo deve ripetere un paio di volte più del necessario perché Will di ascoltare non sembra averne l’intenzione.

Madden è quasi costretto a farlo salire in auto e fa il giro solo dopo essersi assicurato che Will non si muova; mette in moto in fretta e non ho bisogno di chiedergli dove siamo diretti perché lo so che stiamo tornando a casa: la loro.

La conversazione con la madre di Will continua in francese e ne comprendo solo una piccola parte, qualche parola di tanto intanto. La voce di Will alle volte trema, quasi non riuscisse a sopportare la situazione e io vorrei che chiudesse la chiamata per riprendere a respirare in modo normale. Madden lo tiene d’occhio dallo specchietto retrovisore posto al centro tra di noi, guidando veloce per raggiungere l’appartamento il prima possibile e ci arriviamo con ancora uno Will intento a supplicare sua madre, perché è questo che sta facendo da quasi venti minuti: la supplica.

Madden traffica con le chiavi di casa prima di riuscire a girarle nella serratura: mi fa cenno di entrare mentre con la coda dell’occhio aspetta che Will scenda dalla macchina; obbedisco e mi ritrovo ferma in mezzo al corridoio, al caldo, in attesa che mi seguano. Will finalmente chiude la chiamata con un’imprecazione rivolta a sua madre, solo per lasciare uscire la bestemmia che stava trattenendo tra i denti e lo fa non una, non due, ma per ben tre volte, sorpassandomi così in fretta da urtarmi la spalla senza nemmeno rendersene conto.

Lo seguo con lo sguardo solo per sussultare quando Madden si chiude finalmente la porta alle spalle, dando due giri alla serratura. Lo sento mormorare qualcosa e voltandomi nella sua direzione lo trovo con la fronte posata sulla porta, il pugno chiuso e fermo sul muro appena lì accanto. Sta respirando pesantemente e lo so non solo perché lo sento, ma lo vedo. Le spalle che ancora mi sta dando le vedo alzarsi e abbassarsi così velocemente che sembra abbia appena affrontato la corsa più lunga e veloce della sua vita e se i suoi battiti scoppiano tanto quanto i miei in questo preciso momento, nessuno può stare tranquillo. La mano gliela poso tra le scapole senza quasi rendermene conto e sussulto quando Madden fa lo stesso, voltandosi finalmente verso di me, con gli occhi tanto scuri da sembrare neri.

«Madden…»

«Ho bisogno di te» e mentre me lo dice in un sussurro che solo io sono in grado di sentire, mi afferra la mano, ma non per trascinarmi con sé. «Vieni con me, okay?»

Annuisco senza pensare, tanto che i miei piedi si muovono in automatico seguendo i suoi, come se non avessero bisogno di conoscere la destinazione finale, sanno già dove andare. Will è seduto sul divano, con ancora la giacca indosso e le mani a nascondersi il viso; sta ancora mormorando qualcosa che non capisco, poi impreca e si passa una mano tra i capelli in un gesto carico di rabbia e frustrazione. Con gli occhi cerca Madden, cerca sempre Madden e di conseguenza lui lascia la mia mano che ancora sta trattenendo nella propria.

«Will…»

«No» Will lo interrompe immediatamente alzandosi in piedi, ma non muovendo ulteriori passi. «No, non voglio sentire niente.»

«Will, devi ascoltarmi.»

«Ascoltarti?» Questa volta grida e un piccolo movimento lo compie verso Madden. «Io non voglio ascoltarti. Non voglio sentire mia madre, non voglio sentire la tua voce del cazzo, non voglio sentire la sua voce, non voglio sentire la voce di nessuno.» Allarga le braccia prima di portarsele alla giacca e al girocollo del maglione, che in questo preciso momento non gli permette di respirare correttamente. 

«No, invece dovrai ascoltarmi.» Madden non alza la voce, tiene un tono calmo e rassicura persino me che non sono la diretta interessata della vicenda.

«No, no» continua ancora Will, scuotendo la testa e cercando i tutti i modi di sfilarsi la giacca, un gesto che dovrebbe essere semplice e automatico, ma che invece gli costa fatica. «Tu n-non capisci. Tu non sai che cosa…»

«Non lo so?» Questa volta è Madden a interrompere Will e la sua guancia la vedo scattare, quasi non si aspettasse quella sua mossa. «No, non lo so. Mi devi dire che cos’è successo.» Ordina Madden, continuando a tenere un tono regolare.

«Non ti devo dire un cazzo di niente» impreca Will, riuscendo a sfilarsi la giacca dalle braccia per lanciarla finalmente sul divano dov’era seduto fino a qualche secondo prima. «E poi, che cosa mai dovrei dirti? Hai sentito anche tu: mio padre esce di prigione e quella stronza di mia madre n-non…»

Will boccheggia, interrompendo le sue parole come se non avesse più ossigeno o più forza di poter continuare e la mano se la porta di nuovo a quel dannato colletto del maglione. Respira veloce, troppo veloce, ma butta fuori aria ancora prima di immagazzinare quella che gli serve. Madden mi guarda appena un paio di secondi e ho capito perché ha bisogno di me: Will non lo ascolterà, non adesso. Non come al solito.

«Io…» boccheggia ancora Will, facendo un passo indietro e allungando un braccio alle sue spalle, alla ricerca dello schienale del divano che trova per potercisi accasciare contro.

«Will» la mia voce non è pacata come quella di Madden, forse persino trema, ma gli occhi di Will si posano su di me in fretta, come se non stesse aspettando altro. Respira con la bocca aperta e lo sterno che si alza e si abbassa inutilmente. «Will, devi respirare.» Sorpasso appena Madden, fermandomi esattamente davanti a lui, dandogli le spalle e attendendo un attimo prima di avvicinarmi ancora a Will; la mano di Madden la sento fermarsi alla base della mia schiena.

«Sto respir-respirando.» Borbotta Will, guardandomi come se mi fossi bevuta il cervello. Accorcio di nuovo le distanze, fino a trovarmi esattamente di fronte a lui.

«Più piano» glielo dico abbassando la voce. «Inspira con il naso ed espira dalla bocca. Piano, con calma. Non ti corre dietro nessuno.»

«Che cosa cazzo…» inclino appena la testa di lato e Will finalmente smette di parlare e obbedisce. Lo fa per un paio di volte, torturandosi continuamente il collo del maglione. Il respiro però ancora gli trema e gli occhi li chiude per un momento.

«Sai dirmi che cosa c’è di azzurro in questa stanza?» Quando Will apre gli occhi osserva prima me e poi Madden, che non dice però niente. 

«D-di azzurro?» Ripete Will, confuso e persino disorientato dalla mia domanda. 

«Sì» annuisco, guardandomi intorno. «Che cosa c’è di azzurro qui?» Will imita i miei gesti continuando a respirare, però gli occhi vagano davvero alla ricerca di qualcosa che possa soddisfare la mia domanda.

«Di azzurro c’è lo strofinaccio che Madden ha lasciato sul tavolo perché aveva fretta di uscire» mormora, grattandosi la tempia. «C’è quel vaso vicino alla televisione che credo sia diventato un posacenere. La cornice di quel quadro è azzurro e il cuscino sul divano. Perché abbiamo un cuscino azzurro?» Si volta verso Madden, chiedendoglielo direttamente.

«Non lo so perché abbiamo un cuscino azzurro.» Risponde Madden, con un sorriso a increspargli le labbra.

«C’è qualcos’altro?» Chiedo, cercando di riportare la sua attenzione su di me.

Lo vedo guardarsi intorno per qualche secondo ancora e senza che lui se ne sia accorto, il respiro si è calmato e se potessi ascoltargli i battiti del cuore, sono sicura che anche loro siano tornati a un ritmo quasi normale. Come i miei e quelli di Madden stesso.

«No, non credo» mormora, tornando a guardare i miei occhi prima di alzare una mano e dirmi di aspettare, che forse c’è dell’altro. «I miei calzini sono azzurri e Madden ha una pietra azzurra incastonata in qualche anello e i tuoi occhi. I tuoi occhi sono azzurri.» Annuisco prima di distoglierli un momento dai suoi. 

«Will.»

Madden lo chiama quasi in un sussurro e l’amico si volta nella sua direzione, abbandonando definitivamente la voglia di tirare il collo del maglione. Lo vedo deglutire e poi annuire guardandolo, come a dirgli che è tutto passato. Che è pronto.

«Sì?»

«Vuoi dirmi che cos’è successo?»

È una domanda semplice quella che pone Madden, ma Will aggrotta appena le sopracciglia prima di annuire di nuovo e fare il giro del divano per potersi sedere. Madden non gli si siede accanto, lo faccio io; lui resta dietro lo schienale del divano, tanto che Will è comunque costretto a voltare il viso per poterlo guardare negli occhi.

«Mi ha chiamato la prigione, poco prima che uscissimo dalla centrale» incomincia Will, passandosi velocemente una mano tra i capelli: non trema più. «Hanno detto di aver parlato con mia madre, ma quella stronza ha detto loro di chiamare me, che me ne sarei occupato io. Io, capisci? Io. Esce tra due giorni perché ha finito di scontare la pena. Mia madre non vuole tornare, Madden. Non vuole.»

«Dov’è tua madre?» Glielo chiedo io e mi rendo conto che gli occhi di Madden sono fermi su di me.

«È nella vecchia casa dei miei nonni, in Francia» Will non mi guarda in faccia mentre risponde alla mia domanda. «Non vuole tornare perché il suo nuovo compagno è un pezzo di merda e lei non è diversa. Non ha niente qui, non ha motivo di tornare.» 

«Ci sei tu.» Mormoro e Will lo sento sorride.

«Sì beh, non è abbastanza» replica, schioccando la lingua. «È tornata in Francia non appena ho compiuto diciotto anni, così nessuno le avrebbe potuto dire niente. Si è risposata e non ha più messo piede qua e tantomeno nella mia vita. Dovresti ritenerti fortunata, Cecy. Almeno i tuoi genitori sono stati più furbi.»

«Will…»

«Ci avete fatto caso?» Will non dà retta più a nessuno. «Noi tre siamo uguali e volete sapere perché? Perché a nessuno frega un cazzo né di noi, né della nostra vita. A nessuno.» Will chiude gli occhi e posa la testa sullo schienale del divano, portandosi una mano sul viso a sfregarsi gli occhi.

«A me importa» mormoro e lo dico così piano che ho quasi timore che non mi abbia sentito. Will però apre gli occhi e volta il viso dalla mia parte, persino Madden mi sta guardando. «Non è vero che a nessuno frega un cazzo di noi. A me di te importa e magari non è abbastanza, ma a me interessa sia di te che della tua vita.»

A Madden trema appena il respiro, lo sento anche se non lo sto guardando. Will invece sorride e la mano che prima si torturava gli occhi la porta sulla mia, a stringerla appena. Questa volta non sussulto perché io stessa sto stringendo la sua. 

«Sì beh, non ti ci abituare troppo, Zucchero.» Annuisco alle sue parole e cerco di credergli; la mano non me la lascia nemmeno quando gira il viso verso Madden, che ora è seduto sul bracciolo del divano.

«Mad, che cosa devo fare?» Will glielo chiede schietto, ma dentro quelle parole c’è tutto.

C’è la consapevolezza che la risposta che darà Madden sarà quella corretta, ché per forza di cose deve essere così o non gliel’avrebbe mai chiesto. C’è la necessità di ricevere una risposta, che può arrivare solo e da lui soltanto, non gli serve che altra gente risponda. È solo Madden ad avere l’ultima parola nella vita di Will.

«Devi - dobbiamo… che cosa ti hanno detto esattamente?»

«Che martedì, alle 15:30, lo faranno uscire e che ci deve essere qualcuno che dovrà firmare dei maledetti fogli perché immagino che loro vogliano lavarsene le mani» replica Will, scuotendo la testa. «Mad, non lo vedo da quando ho tredici anni. Come può mia madre pensare che…»

«Ascoltami Will: martedì alle 15:30 andremo a prendere tuo padre, okay?» Madden si passa la mano tra i capelli, ma è convinto di quello che dice. «Siamo sopravvissuti a Bart, questo sarà una passeggiata.» 

«Ma che cosa succederà?» Continua Will, perché ha bisogno di saperlo e ne ha bisogno adesso. «La casa di mia madre è stata venduta, non c’è più niente qui per lui. Non credo ci sia mai stato niente, io non so nemmeno chi sia questa persona.» 

«Lo so» replica Madden, mordendosi il labbro. «Ci penseremo, va bene? Lasciami… ci penseremo a che cosa fare.» Will annuisce e lascia andare la mia mano che ancora stringeva nella sua, sospirando e alzandosi dal divano, guardando poi il soffitto sopra di noi.

«Ho bisogno di fare una doccia, magari un’ustione di terzo grado mi schiarirà i pensieri.» Si allontana non prima di avermi regalato un occhiolino furbo; scivolo sul divano verso Madden solo quando l’acqua inizia a circolare nelle tubature e Madden rilascia uscire il fiato che deve aver trattenuto nell’ultimo periodo.

«Madden…»

«Io non lo so che cosa dobbiamo fare» ammette in un sussurro che mi graffia la pelle, voltandosi nella mia direzione; le iridi hanno di nuovo assunto il colore degli smeraldi. «Non lo so davvero.» Quando si passa una mano sul viso, la pietra azzurra di cui parlava Will la vedo anche io. 

«Dobbiamo aspettare che arrivi martedì.»

«Dobbiamo?» Ripete Madden e sento di arrossire fino alle punte dei capelli.

«Non è solo di Will che m’importa» non so con quale coraggio io lo stia guardando negli occhi, però lui non li muove dai miei. «Sei venuto con me all’orfanotrofio. Hai cercato i nomi dei miei genitori nel database della polizia senza niente in cambio. Ti sei preso un pugno da tuo padre per saperne di più, senza cavarne comunque niente.»

«E lo rifarei di nuovo» Madden inclina appena il capo, così da potermi guardare meglio negli occhi, ma non si avvicina. Resta immobile tanto quanto io non muovo più un muscolo. «Altre cento volte, se servisse a qualcosa o anche a tempo perso.»

Lo so che vorrebbe allungare una mano a prendere la mia, ma non lo fa, se la porta invece sul ginocchio dove la luce artificiale dei lampadari si riflette negli anelli che porta alle dita e che fanno parte di lui, catturando tutto. Così sono io a posargliela sulla propria, con l’argento freddo a farmi sussultare.

«Allora dobbiamo aspettare martedì.»














 

* «Mamma, ti supplico: ascoltami!»

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 24 ***


 

capitolo
24





 

Il viaggio di ritorno lo abbiamo passato in silenzio; Madden è nervoso, glielo leggo sulla pelle, nei gesti che compie durante la guida, dal modo in cui scala e ingrana le marce. Persino il suo tamburellare le dita sul volante mi danno conferma di quello che sto solo azzardando. Non gli chiedo nulla però, non so in che modo porre la domanda; lui non sembra comunque avere nessuna voglia di aprire bocca a riguardo e va bene così.

Mi ritrovo quasi a sospirare di sollievo quando l’ingresso del mio quartiere è vicino, segnato dai soliti cartelli. Madden parcheggia poco distante dal cancello di sua nonna e slaccio la cintura di sicurezza solo quando lui gira le chiavi dell’auto, spegnendo il motore definitivamente. 

«Grazie di avermi accompagnato.» Glielo dico quasi sottovoce, ma lo vedo annuire e fare il giro dell’auto, anche se potrebbe semplicemente entrare in casa.

«Figurati, Cecy» replica lui con un mezzo sorriso. «Ci vediamo domani?» Sono io a fare cenno affermativo questa volta, aggiustando la borsa sulla spalla dopo aver estratto le chiavi di casa.

«Buona serata, Madden.»

Gli volto le spalle attraversando la strada e mordendomi il labbro per non girarmi di nuovo e chiedergli se vada tutto bene. Non va tutto bene, ma non ho né tempo né modo per assicurarmene perché sento il cancelletto sbattere nel momento in cui infilo le chiavi nella toppa della porta. Lascio uscire un respiro che nemmeno mi ero accorta di trattenere solo quando la luce dell’atrio illumina a giorno il corridoio. L’orologio segna proprio in questo momento le 20:35 e sussulto quando la suoneria del mio telefono echeggia nel silenzio circostante, ma mi rilasso quando il nome di Kat compare sul display.

È un messaggio semplice il suo, che recita solo uno sto arrivando e lo so che sta arrivando davvero con la cena e gliene sono quasi grata perché non ho nessuna voglia di cucinare, così come so che Dylan non mi ha lasciato niente questa volta; la sua auto non è parcheggiata nelle vicinanze.

Mi lascio cadere sul divano e chiudo gli occhi, posando poi la testa all’indietro; forse mi appisolo persino perché il campanello mi fa ridestare di colpo e mi ritrovo seduta con il cuore che batte all’impazzata. Il viso di Kat mi fa sorridere, sembra passata un’eternità dall’ultima volta in cui abbiamo cenato insieme proprio qui. La stagione teatrale è al suo picco massimo e tra le prove e gli spettacoli sempre più frequenti in giro per la città, il tempo per stare da sole non è mai abbastanza. Mi riporta però a quella normalità che sembra essere sparita da quando Will e Madden sono entrati nella mia quotidianità.

Mi rendo conto che Kat non sa nemmeno della loro esistenza e decido che è giunto il momento di metterla al corrente di tutto. Parlo così tanto durante la cena che alla fine la consumo quasi fredda, sotto gli occhi e il sorriso di Kat, che non smette di stringere la mia mano quando le dico di come sono finita all’orfanotrofio per provare a capire se i miei genitori siano ancora nei paraggi o meno. Le dico anche che Madden ha preso nota degli indirizzi, ma al suo perché mi stringo nelle spalle, ché ancora adesso non ho idea di che intenzioni abbia e spero vivamente non siano quelle di presentarsi alle loro porte.

«Sono contenta, sai?» Me lo dice solo dopo aver bevuto l’ultimo sorso di tè dalla sua tazza.

«Riguardo a cosa?» Lei sorride ancora e vorrei chiederle se per caso non provi fastidio al viso perché lo fa da quando è entrata in casa.

«Questa situazione» replica, constatando che il tè sia davvero finito, così le allungo la mia tazza. «Non conosco queste persone e sicuramente non hanno un passato e un presente facile, però mi fido del tuo giudizio e se sei disposta a lasciarle entrare nella tua vita, voglio credere che sia un destino già scritto.» Mi ritrovo ad arrossire alle sue parole e non so nemmeno perché, ma il primo pensiero finisce a Madden.

Finisce sempre a Madden.

«Pensi che il destino abbia un piano per me?» Glielo chiedo curiosa, ma divertita e Kat annuisce più convinta che mai.

«Assolutamente. Il destino ha un piano per tutti e se Will e Madden ne fanno parte, c’è una ragione» mormora, finendo anche il mio tè. «Vi state aiutando a vicenda, no?»

«Non sei arrabbiata con me?» 

«Arrabbiata? Perché mai dovrei essere arrabbiata con te?» È lei a chiedermelo curiosa questa volta. 

«Perché non ho chiesto a te di accompagnarmi.» Kat inclina il capo e allunga entrambe le mani a stringere le mie, dall’altro lato del tavolo. 

«Tu sei la mia migliore amica, Cecy» sorrido e abbasso appena lo sguardo. «Ma non hai firmato un accordo: non siamo tenute a fare tutto insieme. Io ti sono vicina sempre, come tu lo sei con me, ma ci sono cose che vanno fatte da soli o con qualcuno che in quel preciso momento significa qualcosa. Non sono arrabbiata, sono contenta che tu stia facendo questo passo. Se hai bisogno di me, devi solo dirmelo. Non potrei mai, mai, mai arrabbiarmi. Hai capito?»

«Grazie.» Mormoro semplicemente, stringendo le sue mani tanto quanto lei sta facendo con me.

«E adesso dimmi: per quale dei due il tuo cuoricino sta facendo le capriole?» Sgrano gli occhi a quella domanda e Kat scoppia in una risata così contagiosa che alla fine devo pizzicarmi il naso per smettere. «È quello biondo, vero? È sempre quello biondo.» Asserisce e scuoto la testa perché non ho intenzione di rispondere a questa sua domanda.

«Il mio cuoricino non fa nessuna capriola» la indico con un indice accusatore, consapevole della menzogna che mi sto imponendo di non dire. «Ed è arrivato il momento che tu vada a casa.» Kat sbuffa violentemente, tanto che una ciocca di capelli le vola davanti alle labbra, solleticandole poi la guancia. 

«Non sei divertente» replica, alzandosi però da tavola e dirigendosi in salotto per recuperare la sua giacca. «Grazie della compagnia, mi sei mancata immensamente.» Mi stringe in un abbraccio che sa solo di casa e vorrei che gli angoli degli occhi non pungessero così tanto. 

«Vieni a farmi compagnia in Biblioteca allora.» Sono io a sciogliere l’abbraccio, girando le chiavi nella serratura.

«Oh beh, fammi avere i turni di Julian e…»

«Buonanotte, Kat» la interrompo, spingendola dolcemente fuori di casa. «Ti voglio bene, ma devi andartene e non parlare di Jules in quel modo!» Esclamo, mentre lei ride a gran voce salendo sulla sua Mini Cooper arancione che stonerà sempre in questo quartiere.

La osservo percorrere la strada e quando riporto lo sguardo di fronte a me, Madden è poggiato di spalle contro il muro della casa di sua nonna: ha una sigaretta accesa tra le labbra, ma non mi vede, è troppo impegnato a digitare qualcosa sullo schermo del suo telefono per accorgersi di me. Chiudo la porta con un sospiro e due giri di chiave, sparecchiando la tavola solo per nascondermi in bagno per un tempo che appare indefinito, scandito solo dal getto dell’acqua della doccia che da bollente diventa sempre più tiepido, costringendomi a chiuderlo di scatto.

Mi riaccomodo sul divano solo dopo aver asciugato per bene i capelli e indossato un maglione pesante sopra la maglia del pigiama; mi accoccolo con il telecomando stretto tra le mani, alzando gli occhi al cielo quando il sacco della spazzatura mi ricorda che deve essere portato fuori, ma decido di farlo in seguito, prima di andare a dormire. Cambio canale ogni cinque minuti, constatando che in TV non facciano mai niente di interessante e nemmeno mi accorgo che gli occhi mi si chiudono quando un logorroico presentatore non fa altro che parlare di qualcosa che non riesco a seguire.

Un’auto della polizia passa a sirene spiegate ed è quella che mi fa svegliare di soprassalto, facendomi cadere il telecomando dalle mani; l’ora sullo schermo della televisione ormai spenta segna le 02:12. Mi stropiccio gli occhi rendendomi conto di come tutte le luci di casa siano ancora accese, dalla cucina, al salotto e persino quella dell’atrio. Mi alzo controvoglia dal divano solo per ricordarmi di nuovo del sacco della spazzatura. Mi faccio coraggio e lo raccolgo da terra, recuperando poi le chiavi per aprire la porta di casa e fare qualche passo in più per raggiungere il bidone fuori dal cancello.

Abbasso la maniglia della porta trattenendo uno sbadiglio piuttosto rumoroso solo per lasciarmi andare a un grido di spavento, tanto che il sacco della spazzatura finisce a terra con un leggero tintinnio di bottiglie rotte. Madden è davanti alla mia porta di casa, con una mano protesa verso di me nel chiaro gesto di bussare alla porta; persino lui sussulta sul posto, imprecando tra i denti.

«Oddio.» Mormoro portandomi una mano sul petto. Il cuore batte così forte che lo sento rimbombare anche nelle tempie. Madden compie un piccolo passo indietro per raccogliere la mia spazzatura.

«Cazzo, non volevo spaventarti.» Replica, passandosi una mano tra i capelli.

«Che cosa…» mi dà le spalle giusto un istante, solo il tempo di buttare la spazzatura e tornare di nuovo verso di me. «Grazie. Che cosa fai qui a quest’ora?» Domando poi, rendendomi effettivamente conto di che ore siano e di come alle 02:15 stesse per bussare alla porta di casa mia.

«Non riesco a dormire, così sono uscito per fumare una sigaretta e ho visto tutte le luci accese» parla in fretta, quasi mangiandosi le parole. «Pensavo…»

«Entra in casa, per favore.» Lo interrompo, facendomi appena da parte per lasciarlo passare; Madden annuisce e non se lo fa ripetere due volte. Mi passa tanto vicino che il suo profumo invade tutto lo spazio circostante. 

«Perché butti la spazzatura alle due di notte?» Me lo chiede stropicciandosi appena l’occhio sinistro e tirandosi su le maniche del maglione lilla che indossa e che sembra essere una qualche taglia in più del solito.

«Mi sono addormentata sul divano» replico, facendogli cenno di potervisi sedere; si accomoda giusto al centro di esso e io prendo posto all’angolo sinistro, incrociando le gambe fino a portarmele al petto. «Madden…»

«Mi sono reso conto di non aver aperto bocca mentre ti ho accompagnato a casa» si schiarisce la voce, guardandomi dritto negli occhi. «E non riesco a capire cosa non mi faccia dormire.» 

«No, è tutto a posto» replico e sono sincera solo per metà. «Non è stata una giornata semplice per nessuno.» Ammetto poi e Madden inarca appena il sopracciglio sinistro, stringendo le labbra in una linea sottile. 

«Cecy»

«Volevo chiederti se andasse tutto bene, ma non mi sembravi molto dell’idea di parlarne.»

«No, infatti» replica Madden, scuotendo poi la testa con un piccolo sorriso a increspargli le labbra. «Avresti potuto farlo comunque.»

«Beh, allora lo faccio adesso: va tutto bene?» Glielo chiedo quasi trattenendo il respiro, ma non mi serve una reale risposta; Madden scuote comunque la testa, sedendosi meglio sul divano e voltandosi verso di me. Assume la mia stessa posizione, rimanendo però al centro del divano.

«No, credo che non vada tutto bene.» Ammette infine, stropicciandosi di nuovo l’occhio. 

«Sei preoccupato per Will?»

«No, sono terrorizzato» sussulto alle sue parole, aggrottando le sopracciglia e staccando la schiena dal bracciolo, quasi a volermi avvicinare. «E anche preoccupato, sì.»

«Ti ha detto qualcosa?»

«No, non mi ha chiamato e non si è nemmeno presentato qui all’improvviso, quindi deduco che vada tutto bene.» Mormora, stringendosi nelle spalle. 

«E allora cosa c’è che non va?» Madden guarda qualcosa oltre le mie spalle per un secondo appena prima di riportare i suoi occhi nei miei. 

«Ho una brutta sensazione» ammette infine e la cosa mi incuriosisce e spaventa allo stesso tempo. «E spero che passi presto.»

«Tu sai perché suo padre è stato in prigione tutto questo tempo?» Madden annuisce e si schiarisce di nuovo la voce prima di rispondere.

«Ha preso parte a una rapina finita male» mormora, inspirando a fondo. «Hanno perso la vita tre persone, ma non credo che sia stato lui ad ammazzare qualcuno. Erano in quattro, ma nessuno di loro ha avuto abbastanza soldi da permettersi un avvocato e le vittime erano persone piuttosto facoltose, così li hanno semplicemente condannati senza un processo troppo approfondito.» 

«Will ha detto di non averlo più visto da…»

«Da quando ha tredici anni, sì» conclude la frase al posto mio. «Lui e sua madre sono andati a trovarlo ogni settimana, fino a che la madre di Will non si è stufata e un ragazzino di tredici anni non può che fare ciò che gli viene imposto. Will non ha idea di chi sia quella persona e continuo a pensare di aver fatto uno sbaglio a lasciarlo solo con lui.»

«Madden» mi sono avvicinata così tanto che le nostre ginocchia ora si sfiorano. «Io penso invece che tu abbia fatto la scelta migliore.»

«Davvero?»

«Sì, davvero» ripeto, annuendo; Madden abbassa gli occhi sulle proprie mani, ruotando l’anello che porta al dito indice. «Lo so che vorresti proteggerlo, ma lo hai detto anche tu. Suo padre non è Bart e non merita che la porta gli venga chiusa in faccia. Will ha bisogno di tempo per realizzare che suo padre è finalmente libero di far parte della sua vita.»

«E allora perché non riesco a togliermi questa sensazione di dosso?» Madden me lo chiede con qualcosa simile alla disperazione nel proprio tono di voce, come se aspettasse una risposta che solo io sono in grado di dargli.

«Perché gli vuoi bene» sussurro e le dita di Madden sfiorano le mie, ferme sul divano. «Ed è il tuo migliore amico, è giusto avere paura per lui.» Madden sorride arricciando il naso, ma scuote la testa.

«Dovrei lasciarti andare a dormire» mormora e questa volta le nostre dita non si sfiorano più: Madden le sta intrecciando delicatamente alle proprie, con una lentezza da togliermi qualsiasi fiato. «Non stare sul tuo divano e sperare che…»

«Puoi rimanere» mormoro, guardando la sua mano sovrastare la mia in un turbinio di anelli che cozzano contro la mia pelle. «Se vuoi.» Madden annuisce una sola volta e senza lasciare la mia mano torna a poggiare la schiena al divano, lasciando andare la testa all’indietro. La vena del collo scandisce un ritmo così regolare da tranquillizzarmi mentre resto ferma nella mia posizione. 

«Grazie.» Sussurra appena, chiudendo gli occhi per qualche istante.

«Ho raccontato a Kat di come siamo finiti all’orfanotrofio e di come hai cercato nel database della polizia i nomi dei miei genitori» Madden sorride, ma tiene ancora gli occhi chiusi. «Però non ho avuto il coraggio di farle una domanda.» 

«E quale sarebbe questa domanda?»

«Tu pensi che i miei genitori siano ancora vivi?» Madden si tira su di scatto, con la mia mano ancora stretta nella sua e sembra che non abbia nessuna intenzione di lasciarla andare. «O che quell’uomo possa essere mio padre? Perché io non faccio altro che pensarci e lo so di aver detto che non mi è mai importato di trovarli o di sapere qualcosa di loro, ma non faccio che domandarmi sempre le stesse cose e…»

«Vuoi sapere cosa penso?» Madden interrompe il flusso delle mie parole, con le sopracciglia così aggrottate che una ruga di espressione si fa spazio proprio al centro di esse. 

«Sì.»

«Penso che quell’uomo sappia qualcosa, ma non ho idea di come trovarlo perché mio padre è un maledetto bastardo e se i tuoi genitori sono della sua stessa specie, dovresti essere grata di non aver più niente a che fare con loro perché la tua vita è chiaramente migliore della mia, che un padre lo ho e non lo vorrei nemmeno avere.»

«Quella donna aveva la parola deceduta accanto al suo nome.»

«Lo so, l’ho visto» replica Madden, prendendo un lungo respiro. «Sai che altro mi passa per la testa?»

«Che cosa?»

«Che non è solo per Will che ho paura: ho paura per me e ho paura anche per te perché se dovessimo scoprire qualcosa che non è quello che vuoi io non credo lo sopporterei» la stretta di Madden si fa più importante e l’altra mano la porta sullo schienale del divano, voltandosi così nuovamente verso di me. «E c’è un’altra cosa alla quale non faccio che pensare sempre e costantemente, e sto facendo appello a tutta la mia buona volontà per non oltrepassare il limite.» Madden stringe i denti così forte che la linea della sua mascella scatta in continuazione.

«Che cos’è?» Glielo domando in un sussurro, con il cuore che non batte più solo nelle tempie, ma ovunque in ogni parte del corpo. Madden deglutisce e mi guarda negli occhi come se mi stesse vedendo per la prima volta.

«Che vorrei baciarti, Cecy» ammette infine e la sua voce non è altro che un misero soffio di fiato. «Voglio farlo così tanto che non so nemmeno come in questo momento io riesca a stare seduto qui senza muovere un muscolo, perché lo so di non poterlo fare, lo so che mi serve il tuo permesso perché guarda come cazzo è andata a finire quella volta e non voglio…»

«Puoi farlo» Madden smette di parlare e sgrana gli occhi un istante per abbassarli solo una frazione di secondo. «Puoi farlo

Glielo ripeto una seconda volta e lo farei di nuovo se servisse a farlo smuovere dalla posizione in cui si è costretto e vorrei persino che il mio cuore smettesse di battere così forte da oscurare i miei stessi pensieri. Madden si muove con una lentezza tale da permettermi di osservare e quasi prevedere ogni sua mossa e lo so che lo sta facendo per essere davvero sicuro che io non mi tiri indietro, che mi rimangi il permesso appena accordatogli.

La mano che stringeva lo schienale del divano la porta verso il mio viso, insinuandola alla base del collo, tra i miei capelli che mi solleticano ogni parte nuda. Con il pollice mi accarezza la linea dello zigomo, fino a tracciare una scia lungo tutta la guancia e raggiungere il mento solo per riportarla alla sua posizione iniziale, sfiorandomi persino il lobo dell’orecchio. I suoi anelli sono congelati sulla mia pelle bollente.

Ho perso il conto delle volte che i suoi occhi hanno lasciato i miei per posarsi sulle mie labbra e viceversa e mi accorgo di trattenere il fiato quando la punta del suo naso sfiora la mia una, due, tre volte in un gioco che vorrei smettesse di fare perché non riesco più a pensare con lucidità e razionalità.

La mia mano va a stringere il tessuto del collo del suo maglione che è così morbido sotto le dita da farmi rabbrividire. O forse sono semplicemente le labbra di Madden che sono tanto vicine alle mie da sfiorarsi e se solo mi avvicinassi ancora, non resterebbe più alcuno spazio tra di noi. È però lui a colmare quel misero vuoto, inclinando appena il viso così da incastrarsi perfettamente con il mio per far collidere le nostre labbra. Madden mi bacia piano, lasciandomi il tempo di adattarmi al gioco al quale ha deciso di giocare, senza osare troppo ché lui forse ha più paura di me in questo momento. Il tessuto del maglione lo stringo così forte che le dita mi fanno male e Madden lascia la mia mano solo per portare anch’essa sul mio viso, intrappolandomi in una morsa delicata che però non mi lascia più scampo.

Lo so di aver fatto un passo in avanti verso qualcosa dalla quale sarà difficile allontanarmi e lo sa anche lui, che in questo momento sta chiedendo di più, qualcosa in più e lo accontento perché il cuore mi sta dicendo di farlo e nel momento in cui mi sporgo in avanti per avvicinarmi ulteriormente, lui compie il mio stesso gesto facendomi finire di conseguenza contro lo schienale del divano, con il suo corpo tanto vicino da sovrastarmi quasi completamente e le sue mani a stringermi il viso, come a non volermi più lasciare andare.

Non lo so se sia il bisogno di respirare o meno, ma le nostre labbra si separano con uno schiocco delicato che mi fa sorridere; Madden mi guarda da sotto le ciglia e i suoi occhi sono così verdi da farmi mancare il fiato.

«Vuoi sapere un’altra cosa alla quale sto pensando?» Me lo chiede in un sussurro e quando annuisco mordendomi il labbro, il mio naso sfiora il suo. «Che il primo bacio avrebbe dovuto essere così. Non al freddo sul mio balcone, con te a scappare l’istante dopo. Doveva essere così.»

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** 25 ***


 

capitolo
25





 

Sono le 08:45 quando apro gli occhi e lo so perché la sveglia impostata sul mio telefono emette un suono così rumoroso da farmi sussultare. Sbatto le palpebre qualche volta in più del necessario, fino a mettere a fuoco l’interno familiare del mio salotto. Le braccia sono pesanti perché una coperta è posata sopra di esse e mi arriva fin quasi al mento. Mi muovo con qualche difficoltà, mi rendo conto di essere raggomitolata su di un fianco e di trovarmi sul divano; non ho mai raggiunto il letto.

Mi siedo sul posto, lasciando che la coperta scivoli via solo per spegnere la sveglia: sono da sola in casa, non c’è più traccia di Madden e non ho idea di quando possa essere uscito. C’è però un suo messaggio sul display e lo noto qualche secondo prima di posare il telefono dove l’ho trovato qualche istate prima. 

 

Madden

 

Non volevo svegliarti. 

Sono da mia nonna, ho usato le chiavi di riserva per chiudere la porta.

Ci vediamo più tardi, se ti va.

 

All’improvviso, come se il tutto venisse proiettato davanti ai miei occhi, rivedo quanto accaduto ieri notte e sorrido giusto un paio di secondi, scuotendo la testa. È già cambiato tutto e non lo so se sono pronta alle conseguenze. Non ho nemmeno troppo tempo a disposizione per pensarci perché il viso di Dylan compare sul display, segnalando una chiamata in arrivo.

«Dylan?» 

«Sorellina, ti va di fare colazione insieme?» La sua voce è appena ovattata, come se stesse trattenendo qualcosa tra le labbra mentre pronuncia quelle parole.

«Sei a casa?» Glielo chiedo soffocando uno sbadiglio e un verso strano mi fa presumere che sia una risposta affermativa la sua. «Faccio una doccia e arrivo.» 

La coperta finisce dall’altro capo del divano mentre mi avvio verso il bagno, cercando di stirare quanto più possibile i muscoli che sembrano essersi atrofizzati per colpa della posizione scomoda in cui ho dormito. Nemmeno la doccia è in grado di aiutarmi e mi sto ancora massaggiando il collo mentre aspetto che mio fratello apra finalmente la porta di casa. Ha ancora lo spazzolino incastrato in bocca quando mi fa cenno di entrare per sparire nel piccolo bagno in fondo al corridoio.

«Gira i french toast prima che si brucino!» Me lo urla dal bagno e obbedisco perché il profumo che arriva dalla cucina è così invitante che sarebbe un vero peccato dover buttare via tutto; faccio finta di non vedere il disordine che ha combinato per prepararli. 

«French toast?» Dylan mi raggiunge allacciandosi l’ultimo bottone della camicia. «Cosa dobbiamo festeggiare?»

«Niente» replica stringendosi nelle spalle prima di darmi il cambio e adagiare la colazione in due piatti; il caffè è già pronto. «Cecy, hai una faccia… hai dormito?»

«Mi sono addormentata sul divano e sono a pezzi» prendo il piatto sedendomi a tavola, affondando immediatamente coltello e forchetta nel pane caldo. «Com’è andata la partita?»

«Abbiamo perso» borbotta, tagliando il suo pane con più cattiveria del previsto. «Ci rifaremo tra due giorni. Volevo chiederti se avessi scoperto qualcosa sui nostri amorevoli genitori, ma ci siamo visti poco e non mi andava di farlo per telefono.»

Ecco il perché dei french toast.

«La signora dell’orfanotrofio mi ha detto i loro nomi e Madden mi ha dato una mano a cercarli in un database della polizia» Dylan solleva un sopracciglio, ma non dice niente. «Ce ne sono un po’ di Dennis e Linda Jansen qui ad Amsterdam, ma non ho idea di chi possano essere e l’unica Linda presente, aveva un bel deceduta accanto al nome.» Mi stringo nelle spalle e mi rendo conto che pronunciando quelle parole non provo niente; né rabbia, né delusione, né dolore. È una pura questione di principio, ormai. Mio fratello annuisce, ma non fa altre domande per il semplice fatto che di domande, non ce ne sono.

«Stai solo attenta, okay?» Me lo dice con il suo tipico sguardo da fratello preoccupato e annuisco, finendo la colazione. «Devi andare in università?»

«Dopo pranzo» replico, svuotando anche la tazza del caffè. «Vado a fare la spesa nel frattempo. Ti serve qualcosa?»

«No e sono troppo in ritardo per pensarci» si alza da tavola così in fretta che il piatto che regge in mano rischia di finire a terra. «Ci vediamo più tardi.» Mi bacia frettolosamente la guancia, con il chiaro intento di cacciarmi; intento che colgo al volo perché ho davvero bisogno di fare la spesa prima delle lezioni.

L’autobus è stranamente in anticipo quanto lo sono io e la cosa ancora più strana è non aver sentito né Madden né tantomeno Will durante tutta la giornata. Non li ho visti alla lezione della signorina Sophie e nemmeno in giro per i corridoi o per il campus. Sono persino in procinto di mandare un messaggio a Will quando mi accomodo sulla pensilina in attesa che l’autobus del ritorno mi porti a casa, ma è proprio la sua auto a fermarsi a pochi passi da me; non è con Madden. 

«Cecy» abbassa il finestrino elettrico, muovendo una mano nella mia direzione. «Stai andando a casa? Sali, ti accompagno.» Non me lo faccio ripetere due volte e attraverso la strada in fretta, facendo il giro per accomodarmi al suo fianco.

«Stavo per mandarti un messaggio…»

«Madden non risponde al telefono e non lo sento da dopo pranzo» mi interrompe in fretta, aggiustandosi gli occhiali da sole sul naso. «Ti ricordi che cos’è successo l’ultima volta vero? Ho di nuovo un brutto presentimento.» Inserisce la prima e accelera non appena ho fatto scattare la cintura di sicurezza.

«Bart?» Domando e non mi serve una risposta da parte sua. «Dove stiamo andando?»

«Dalla nonna» replica in fretta, svoltando a destra in direzione del nostro quartiere. «Non è a casa perché la moto non è lì.»

 

Madden

 

Ti prego, dimmi che stai bene.

 

Arriviamo nei pressi di casa con me che non smetto di guardare il display, ma nessuna risposta da parte sua sembra voler arrivare. L’imprecazione di Will mi fa alzare lo sguardo e mi accorgo che siamo arrivati e che la moto di Madden è parcheggiata esattamente di fronte al cancello di sua nonna, ma lui non c’è: è davanti al mio di cancello, con una mano tra i capelli e una sigaretta accesa tra le labbra, che getta a terra non appena Will spegne il motore; è più veloce lui a raggiungerlo.

«Tu meriti che io ti investa più e più volte con l’auto» Will alza la voce perché è così che fa quando la preoccupazione lascia finalmente spazio al sollievo. «Sei veramente un pezzo di idiota, dove sei stato?»

«Se non rispondo alla prima chiamata, è probabile che faccia la stessa cosa anche alle altre quindici che arrivano di seguito.» Quando gli sono di fronte, mi accorgo che c’è del sangue secco sul suo labbro inferiore. Madden allunga una mano che incastra nei miei capelli con delicatezza, avvicinandomi tanto a sé da potermi sussurrare all’orecchio. «Sto bene, non è niente.»

Non gli credo, ma gli stringo il maglione con una sola domanda negli occhi, alla quale lui però non risponde perché Will sta ancora sbraitando e ha tutta l’aria di volersene andare.

«Beh, vaffanculo Madden. Ho altro a cui pensare adesso» fa il giro della macchina in fretta, indicando la mia persona prima di salirci direttamente. «È tutto tuo, buona fortuna Zucchero

Lo guardiamo allontanarsi e imprecare ad alta voce fino a che il rombo del motore non la sovrasta e in tempo zero è alla fine della strada. Mi volto verso Madden, lasciandogli finalmente il maglione, così come lui allontana la mano dal mio viso.

«Ti serve del ghiaccio.»

Madden annuisce nonostante la mia non sia una domanda e mi segue fino dentro casa, andando a sedersi sulla prima sedia disponibile della cucina, passandosi una mano tra i capelli fino a massaggiarsi le tempie, quasi avesse bisogno di alleviare un qualche assurdo fastidio che grida il nome di suo padre da ogni poro. La mattonella blu del ghiaccio sintetico la avvolgo in uno strofinaccio beige pulito, ma esito prima di porgergliela.

«Madden…»

«Cecy» la sua mano si allunga fino a toccare la mia, stringendola e tirandola verso di sé perché io mi avvicini fino a che le nostre ginocchia non si toccano. «Ti giuro che sto bene, non è successo niente.» 

«E allora perché hai del sangue sul labbro gonfio?» 

«Perché…» ma non conclude la frase, abbassa lo sguardo sulle nostre mani.

«Perché sei andato a cercare Bart?» Ipotizzo io e un sospiro da parte sua è la risposta che aspettavo, ma che non volevo sentire. 

«Perché sono andato a cercare Bart» non lascia la mia mano, ma con quella libera afferra il ghiaccio, che si porta poi alle labbra con un gemito di dolore. «E l’ho trovato.»

Solleva le spalle; mi sposto di lato per potermi avvicinare al tavolo e stare così più comoda, ma Madden scuote la testa e mi ritrovo seduta sulle sue gambe. Ogni suo movimento, ogni suo gesto nei miei confronti è tanto delicato che quasi non me ne rendo nemmeno conto; il suo viso tanto vicino al mio mi ricorda che tutto è cambiato. La mia schiena tocca il bordo del tavolo e il braccio destro di Madden è posato lungo disteso su di esso.

«Che cos’è successo?» Glielo chiedo quasi sottovoce, scostandomi una ciocca di capelli dal viso, gesto che però compie Madden stesso, incastrandomela dietro l’orecchio e sfiorandomi la pelle della guancia con la punta delle dita, solleticandomi tutti i punti in cui passa.

«Era quasi una conversazione pacifica, prima che perdesse la pazienza - e la sua non è molta.» Replica, stringendosi nelle spalle e spostando appena il ghiaccio dalle labbra. Il sangue secco si è depositato sulla stoffa dello strofinaccio, rivelando un misero taglietto sulla superficie del labbro inferiore.

«Che cosa sei andato a chiedergli?» Anche di questo conosco la risposta e come prima, non vorrei sentirla. 

«Il perché non vuole dirmi quello che sa.» 

Madden arriccia le labbra, posando definitivamente sul tavolo la mattonella del ghiaccio e drizzando la schiena fino a sfiorare la punta del mio naso con il proprio. La mano sinistra la chiude sulla mia guancia e la sua bocca è ghiacciata quando la posa sulla mia, che invece è bollente per via di quel contrasto che si è venuto a creare.

«Gliel’ho chiesto troppe volte e alla fine mi ha colpito. Me lo sono meritato.» Sorride persino, prima di baciarmi delicatamente, ché il labbro deve fargli male per davvero. 

«Devi smetterla» mi rendo conto di averlo sussurrato e di aver chiuso persino gli occhi. «Non voglio che tu ti faccia male a causa mia. È un problema mio, non tuo.»

«Smetterla?» Madden scosta il viso, allontanandosi tanto da potermi guardare negli occhi, ma la mano destra la tiene ben salda sulla mia schiena. «Cecy, se Bart sa qualcosa perché dovrei smetterla?» 

«Perché poi succede questo, non ottieni niente e ti fai del male» replico e sono persino stizzita perché è palese che stia solo perdendo tempo. «E non voglio essere io il motivo per il quale Bart può fare questo ogni singola volta.»

«Se non sei tu, allora chi dovrebbe essere?» Madden mi accarezza di nuovo il viso, costringendomi quasi a guardarlo negli occhi. «Se mio padre sa qualcosa e il prezzo da pagare per farmelo dire è un labbro rotto o un occhio nero, che lo faccia. Se posso aiutarti…»

«E se Bart non sapesse niente?» È un’opzione che nessuno di noi ha considerato. «Lui non sa chi sono, perché dovrebbe sapere qualcosa su di me o sulla mia vita?» Madden sospira e scuote la testa.

«Fidati di me: lui sa» asserisce, passandosi la mano sinistra tra i capelli. «O non si comporterebbe così.»

«E se provassi io?» Mi rendo conto di aver pronunciato un’assurdità solo a fatto compiuto. «A te non dirà mai niente, ma se ci parlassi io, magari…»

«No» Madden m’interrompe così in fretta che sussulto. «No, no, no.» Parla in fretta, scuotendo persino la testa.

«Madden…»

«No, Cecy» è a un passo dal voler alzare la voce. «No, non ti permetterò di avvicinarti a Bart, così come non permetterò mai che lui possa trovarsi a una distanza minima da te. Non deve rivolgerti nemmeno una parola, non deve neanche pensare alla remota possibilità che possa avere a che fare con te.» Madden parla così velocemente da avere il fiatone quando gli poso una mano sulla spalla e la guancia scatta così tante volte che ho timore anche solo a proferire parola.

«Ascoltami.»

«No» è tale e quale a Will e non ci sono dubbi sul perché siano così tanto legati. «Cecy, mio padre è un bastardo senza nessuno scrupolo. Se capisse che la mia più grande paura e la mia più grande debolezza sei tu, è finita.»  

«Io credo che l’abbia già capito.» Madden mi racchiude il viso tra le mani e gli anelli freddi sulla pelle bollente mi fanno rabbrividire; il respiro quasi gli trema quando posa la fronte sulla mia.

«Ti prego, promettimi che non proverai a cercarlo o che non ti avvicinerai mai a lui» la sua è una supplica e mi ritrovo a mordermi il labbro mentre ascolto parola per parola. «Will ce la fa o fa finta di non avere paura di lui, ma io non ci riesco. Se penso che possa arrivare a te per vendicarsi di qualsiasi cosa io abbia mai potuto fare…»

«Te lo prometto.»

Madden chiude gli occhi e trattiene il respiro. È lì che capisco di come abbia realmente paura di suo padre, che la sua è tutta apparenza e finta consapevolezza di essere più forte di lui. Non sono io la sua paura più grande, ma lui: il pensiero che Bart possa fargli del male toccando le persone alle quali tiene di più; sua nonna, Will e in qualche modo io. 

E la promessa vorrei davvero mantenerla e vorrei sapere in che modo io mi ritrovi sulla stessa strada di Bart, appena due giorni più tardi. Potrei dare la colpa a Dylan e alla sua fretta per essere perennemente in ritardo, ché chiaramente non sarei dovuta tornare al supermercato tanto presto per recuperare qualcosa che nemmeno mi serve, però è solo con lui che posso prendermela per avermi permesso di non mantenere la parola data.

Bart non si accorge subito della mia presenza e forse nemmeno mi riconosce; quando mi passa accanto, con le mani nascoste nella giacca pesante che indossa, trattengo il respiro e aspetto che vada oltre. Lo vedo però arrestare i propri passi all’improvviso, voltarsi nella mia direzione e osservarmi appena un paio di secondi; si guarda attorno un istante, ad accertarsi che non ci siano né Madden o Will nei paraggi, poi sorride e torna indietro, diretto verso di me.

«Tu ed io ci conosciamo, non è vero Cecy?»

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** 26 ***


 

capitolo
26





 

È la prima volta che mi capita di essere vicino a Bart e di poterlo osservare bene per più di qualche minuto, in un’espressione che non ha niente a che vedere con quella che riserva a Madden ogni qualvolta che succede qualcosa. La somiglianza con Madden è tale per cui non ci sono dubbi che siano padre e figlio: Madden è la sua versione più giovane e Bart è lo spettro di ciò che diventerà un domani. La bellezza di Bart è palese, anche sotto lo strato di cattiveria che si porta addosso; mi sta soppesando con lo sguardo, perfettamente consapevole di chi si trova di fronte e dell’effetto che in questo momento ha su di me. 

«Il gatto ti ha mangiato la lingua?» Me lo domanda allungando un ultimo passo, fermandosi esattamente davanti alla mia persona. 

«No, non ci conosciamo.» Mi accorgo di aver sussurrato solo quando le sopracciglia di Bart si aggrottano, rivelando un’espressione persino divertita. Io sono indecisa se rimanere ferma immobile, con la vana speranza che Bart se ne vada o se invece, sfruttare l’occasione pur consapevole di rompere la promessa fatta a Madden.

«Non ufficialmente» mi corregge Bart, allungando una mano verso di me, con il chiaro intento di voler stringere la mia in una presentazione cortese. Abbasso solamente gli occhi, osservandola e contando gli anelli che porta alle dita. Anche loro sono identici a quelli che indossa sempre Madden e sono quasi sicura che uno di essi lo abbia anche lui.

«Sono Bart.» 

«Io…»

«Mio figlio è nascosto qui da qualche parte?» Si guarda intorno di nuovo e forse teme davvero che sia così perché lo cerca con lo sguardo più e più volte. «Devo aspettarmi di vederlo comparire come una furia?» 

«No, Madden non c’è.» Parlo piano, ché la paura, la mia, c’è per davvero.

Bart sembra sollevato perché sorride e si gratta l’occhio in un gesto che anche Madden compie spesso. Sotto al sopracciglio ha una brutta cicatrice e mi rendo conto di come anche Madden ne abbia una esattamente nello stesso punto, solo non così grave.

«Ma certo, lui fa il fenomeno solo quando non lo può vedere nessuno» sogghigna alle sue stesse parole, sollevando l’angolo destro della bocca. «Hai bisogno di una mano con la spesa?» La sua domanda è tanto banale che rabbrividisco senza quasi rendermene conto, però scuoto la testa compiendo un passo indietro con la speranza che lui non ne faccia un altro in avanti. 

«No, grazie» mormoro in risposta, indicando la pensilina dell’autobus poco più avanti. «Dovrebbe arrivare a momenti.» E spero davvero che sia così.

«Allora, dimmi un po’ Cecy» deglutisco quando mi chiama di nuovo così. «Devo iniziare a considerarti parte della famiglia? Potrei preferirti a Will, quel piccolo bastardo ha un destro così buono da avermi lasciato un paio di cicatrici durante questi ultimi anni.» 

«Famiglia

«Che parola strana, vero?» Bart traffica con un pacchetto di sigarette, arricciando le labbra quando si rende conto di come in realtà sia ormai vuoto. «Tu fumi?» 

«No.»

«Peccato» borbotta, accartocciandosi il pacchetto tra le mani e gettandolo nel bidone a pochi passi. «Anche se mio figlio mi prende a pugni, siamo pur sempre una famiglia, no?»

«Dipende dai punti di vista.» Bart sorride, indicandomi poi con l’indice come se avessi appena detto qualcosa di così divertente da essere degno di nota.

«Che cosa ti ha raccontato mio figlio di me?» Me lo domanda schietto, quasi fosse una conversazione normale tra due conoscenti che si rivedono dopo tempo.

«Niente.» Mi stringo nelle spalle guardando oltre le sue, cercando di scorgere un autobus che non ha nessuna intenzione di arrivare. 

«Non le sai dire le bugie» mormora, inclinando la testa di lato. «Il mio adorabile bambino mi avrà dipinto come un alcolizzato senza speranza, un drogato del cazzo e scommetto i soldi che non ho che ti ha persino detto di come mi ritiene responsabile della morte di sua madre.» Sussulto a quelle ultime parole perché no, non me l’ha mai detto. Non espressamente, almeno. 

«Madden non parla mai di te.» Mento sapendo di mentire, consapevole che Bart non crede a una singola parola che esce dalla mia bocca. Eppure sorride, come se fosse divertente vedermi arrancare così.

«Lui invece mi parla un sacco di te, sai Cecy?» Le mani ora le nasconde nelle tasche della giacca e vorrei fare la stessa cosa perché si sta abbassando la temperatura. «Mi chiede sempre la stessa cosa e non ha ancora capito che non funziona così. Non può avere senza dare niente in cambio.» L’espressione sul suo volto muta in fretta e non riesco a decifrarla a pieno.

«Che cosa ti chiede?» Sogghigna ancora per un paio di secondi e non so più a che gioco stiamo giocando. 

«Vuole sapere di quell’uomo, un certo Jansen che era con me una sera.»

«Che cosa sai di lui?» Ci provo nonostante so di aver già fallito.

«Nemmeno tu puoi avere qualcosa in cambio di niente, Principessa» replica Bart, stringendosi nelle spalle. «Per stuzzicarti potrei persino dirti che qualcosina la so.» 

«Tu non mi conosci neppure.» 

«No, certo che no» sussurra Bart, scuotendo la testa. «Però so per certo che anche il tuo cognome è Jansen e che hai un fratello di nome Dylan che vive qualche casa dopo la tua. E so che stai cercando qualcuno e che quel qualcuno è sicuramente la stessa persona che sta cercando anche Madden. Se la matematica non m’inganna, uno più uno fa due e guarda un po’: quella persona è quel Jansen. Non è vero?»

«Tu sai qualcosa?»

«Non puoi avere qualcosa in cambio di niente.» Ripete Bart e rabbrividisco a quelle parole perché non ho idea di che cosa possa volere da me. 

«Io non ho niente da darti.»

«No, ma potresti aiutarmi» replica, sollevando un sopracciglio con un sorriso sornione. «Scommetto che Madden si getterebbe nel fuoco, per te.»

Lui lo sa

«In che cosa dovrei aiutarti?» 

«A farmi levare quella maledetta restrizione che non mi permette di poter entrare in casa mia.» Bart quelle parole le sputa con rabbia.

«Non è qualcosa che posso fare io…»

«Oh, certo che no Principessa» m’interrompe scuotendo persino la testa. «Tu devi solo convincere Madden che io merito di poter esercitare il mio diritto su quella proprietà. Lui poi farà il resto.» 

«No.»

«Cecy…» mormora Bart con un sospiro. «Tu proprio non le sai cogliere al volo le occasioni, non è vero?»

«Non mi daresti comunque le risposte che cerco.» Il padre di Madden scoppia in una risata così fragorosa da attirare l’attenzione su di noi anche dal resto delle persone presenti sul marciapiede in attesa dell’autobus. 

«Assolutamente no» asserisce Bart arricciando il naso. «Però è la tua giornata fortunata e ti preferisco decisamente a Will, quindi ti dirò quello che vuoi chiedermi, ma che non hai il coraggio di fare.»

«Bart…»

«Io so» me lo dice a bassa voce e sembra quasi che si sia avvicinato per poterlo dire a me solamente, ché nessun altro lo deve sentire. «Si dà però il caso che lui non sia la persona che cerchi.»

Il clacson dell’autobus fermo a pochi passi da noi echeggia così forte da farmi sussultare e mi distraggo tanto che nel momento in cui sposto lo sguardo su di esso per accertarmi che sia il mio, Bart sparisce dalla mia vista come se non fosse mai nemmeno stato lì, lasciandomi semplicemente con il cuore che batte così forte contro lo sterno da rendermi quasi impossibile pensare lucidamente.

Le sue parole me le porto dietro per giorni interi, giorni durante i quali penso e ripenso costantemente al fatto che mi abbia detto chiaramente che quell’uomo non è la persona che penso che sia. Io però non lo so chi sto realmente cercando. Mi rendo conto di volere che appaia all’improvviso di nuovo, che magari è più facile parlare con lui piuttosto che con Bart, anche se non so con quale coraggio io possa pronunciare sei mio padre? a un perfetto sconosciuto.

Non lo dico nemmeno a Dylan, non ancora almeno. Lo so che anche la sua è solo apparenza e in fondo vorrebbe sapere qualcosa anche lui. Mi sono però convinta nel volerlo dire a Madden, che è giusto che sappia che io non ho infranto nessuna promessa: non ho cercato io Bart, lui ha trovato me. Non sono stata nemmeno io a porre domande, lui mi ha dato la risposta che forse non ha mai voluto dare a suo figlio. Ho già composto il suo numero, ma non avvio la chiamata per un soffio perché qualcuno bussa alla porta ed è Madden in persona a comparire al di là di essa.

Ha il viso così teso da farmi rabbrividire e compiere un passo indietro per allungare la distanza che ci separa. Tra i capelli porta una bandana scolorita, ma alcuni ciuffi gli ricadono comunque sulla fronte; ha un braccio teso in avanti e la mano destra è ferma al lato della porta.

«Me lo avevi promesso» le prime parole le sussurra così piano da farmi persino chiudere gli occhi, come se le avesse urlate tanto forte da farmi male e l’unica difesa che ho è quella di non guardarlo. «Cazzo, me lo avevi promesso!»

Queste invece le grida, ma gli occhi li riapro in fretta sussultando sui miei stessi piedi. La mano libera la stringo sulla sua giacca di pelle, tirandolo verso di me con il chiaro intento di farlo entrare in casa, ché la voce la ha alzata così tanto che se Dylan fosse in casa lo sentirebbe esattamente come tutto il resto del quartiere, compresa sua nonna e Clint dall’altro lato della strada.

«Madden…» Si lascia trascinare, ma una volta chiusa la porta alle sue spalle, strattona la giacca per farmi mollare la presa su di essa.

«Me lo avevi promesso.» Ripete in un soffio, ma la sua voce è così roca da graffiarmi la pelle; lo ha già saputo e non ho bisogno che me lo dica. 

«Non ho cercato io tuo padre» lui scuote la testa alle mie parole e mi ferisce senza nemmeno rendersene conto. «Lui ha trovato me. Anzi, non credo nemmeno che mi stesse cercando, è semplicemente capitato.»

«No» Madden chiude gli occhi e continua a scuotere la testa, poggiando la schiena alla porta dietro di lui. «Cecy, hai fatto una promessa. Ti ho detto che se avesse capito che…»

«Madden, Bart l’ha già capito e ti giuro, te lo giuro, non l’ho cercato io.» La voce mi trema e vorrei allungare una mano a stringere la sua se solo non fossi terrorizzata dalla sua presenza. «Perché avrei dovuto?»

«È stato lui a dirmelo» sbotta, cercando di ricacciare le ciocche di capelli che gli solleticano la fronte. «L’ho incontrato stamattina e non ha perso tempo a dirmi di come hai voluto sapere…»

«Voluto sapere?» Interrompo le sue parole compiendo un ulteriore passo indietro. «Non hai mai creduto a una parola di quello che dice tuo padre e hai deciso di cominciare proprio oggi, venendo qui a casa mia ad accusarmi di non aver mantenuto una promessa?» Glielo chiedo stringendo i pugni nella speranza che non veda le mani tremare.

«No, non ho mai creduto a niente che riguardi Bart o che sia uscito dalla sua bocca, però…»

«Però cosa?» Lo interrompo di nuovo e nemmeno mi importa di sembrare scortese. «Hai pensato che per una volta stesse dicendo la verità?» 

«No» Madden scuote la testa e allunga una mano nella mia direzione, ché nonostante tutto siamo ancora tanto vicini che potrebbe afferrare il mio braccio senza problemi. «Certo che no, ma…» 

«Non mi toccare» l’ombra che passa sul suo viso quando compio un altro passo indietro fa così male che mi pento subito di averlo pronunciato e guardo la sua mano ricadere lungo il fianco, con la delusione che attanaglia entrambi. «Non meriti nemmeno di sapere come siano andate le cose, se hai pensato anche per un secondo soltanto che sia stata io a cercarlo. Perché non mi conosci affatto se pensi…»

«Lo vedi che cosa fa?» Madden lo sussurra appena, chiudendo gli occhi e tornando a poggiare la schiena contro la superficie dura della mia porta di casa. «Quell’uomo gioca con la mia testa.»

«Io mi sono fidata di te» Madden trattiene il respiro e il suo sguardo finisce nel mio. «Tu non ti fidi di me.» 

«Sì che mi fido di te» lo dice così velocemente, senza nessun timore, da farmi persino rabbrividire. «Ti prego, dimmi che cos’è successo. Ti prego.» 

«Sono andata a fare la spesa per Dylan; stavo aspettando l’autobus quando l’ho visto passare» Madden serra i denti e inspira. «Pensavo non mi avesse riconosciuta, ma è tornato indietro e non ho potuto fare nulla. Mi ha detto che non possiamo avere niente se non gli diamo in cambio qualcosa; mi ha chiesto di convincerti a fargli togliere la restrizione che ha verso la casa di tua nonna e poi mi ha detto che lui sa.» 

«Sa che cosa?» Lo domanda in un altro sussurro e scuoto la testa, cacciando giù il groppo che minaccia di farmi tremare la voce. Madden se ne accorge perché allunga nuovamente la mano, lentamente, ad afferrare il lembo del maglione che mi cade sui fianchi; mi ritrovo così vicino alla sua persona da posare entrambe le mani sul suo petto, all’altezza del cuore che gli batte forte. «Cecy, che cosa ti ha detto Bart?» 

«Che non è lui» Madden mi sfiora il profilo della guancia con la punta delle dita, incastrandole poi tra i miei capelli. «Mi ha detto che non è la persona che sto cercando. Tu pensi che abbia ragione?» Madden si stringe nelle spalle, premendo poi le sue labbra sulla mia fronte, indugiandovi per un paio di lunghi secondi.

«Non lo so» sussurra, prendendomi il viso tra le mani così da potermi guardare negli occhi nei quali mi perdo per un istante. «Però quell’uomo è venuto da te e sapeva dove trovarti.» Sussulto alle sue parole perché la cosa continua a terrorizzarmi.

«Credi che tornerà?» 

«Si è presentato qui due volte, no?» Annuisco svelta, posando le mani sui polsi di Madden che ancora mi incorniciano il viso. «Tornerà una terza; deve farlo. Ha qualcosa da dirti e non credo che Bart questo lo sappia.»

«Come faccio a chiedere ad una persona se sia mio padre? Madden, come…» Le labbra le preme sulle mie con il chiaro intento di interrompermi e di non lasciarmi continuare oltre perché non serve a niente cercare una risposta in questo modo.

«Sarà lui a dirtelo» me lo dice ad un soffio dal mio viso prima di lasciarmi andare per cingermi le spalle con un braccio, stringendomi semplicemente a sé e rilassandosi contro la porta. «E io sarò lì con te.»

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** 27 ***


 

capitolo
27





 

Il messaggio di Will lo leggo con le sopracciglia aggrottate, posando la matita che mi sto rigirando tra le mani da ormai un paio d’ore; non riesco a concentrami per rivedere gli appunti del giorno prima e il mio telefono, tra Dylan e Kat, ha deciso di trasformarsi in un centralino senza sosta.

 

Will

 

Spero tu non sia impegnata perché Madden sta venendo a casa tua; devi accompagnarlo a fare la spesa. Non abbiamo niente in casa e io voglio cucinare stasera. 

Ah, non è di buon umore.

 

Will mi costringe definitivamente a chiudere tutto perché ho come l’impressione che io abbia appena il tempo di indossare le scarpe e cercare la giacca prima che Madden compaia sulla porta di casa. Passano dieci minuti di orologio e il rombo del motore di un’auto echeggia nel quartiere, spegnendosi proprio a pochi passi dal mio cancello e non ho nemmeno bisogno di controllare per sapere che si tratta di Madden in persona.

Nessuno però bussa alla porta e anche il campanello resta in silenzio, quindi sono io stessa ad uscire fuori: la macchina è quella di Madden, ma lui è momentaneamente assente. Sbuca fuori di casa di sua nonna qualche minuto più tardi, aggiustandosi la giacca di pelle addosso.

«Scremato, ho capito» sta dicendo, scuotendo persino la testa. «Me lo ricordo, non c’è bisogno che tu mi faccia un bigliettino, nonna!» 

«Te lo dimentichi sempre.» Lo rimprovera sua nonna e io scendo gli scalini del portico per uscire in strada, aspettandolo a braccia conserte sul posto. 

«È successo solo una volta» quando si accorge della mia presenza sorride, regalandomi un occhiolino fugace. «Cecy verrà con me, sarà lei a ricordarselo.» La nonna di Madden mi saluta con un cenno della mano, che ricambio nell’immediato prima di sentire le labbra di Madden scontrarsi con la mia guancia, indugiandovi più di qualche secondo. 

«Scremato» Madden arriccia il naso e indica l’auto con un cenno del mento. «Me lo ricorderò.»

«Io odio fare la spesa» borbotta Madden, inserendo le chiavi e accendendo nuovamente il motore. «Will è da questa mattina che mi sta addosso perché ha deciso che in casa non c’è niente di quello che gli serve.»

«Non sapevo che Will si sarebbe improvvisato chef quando mi ha invitata.» Allaccio la cintura voltandomi nuovamente verso di lui intento a fare retromarcia e i miei occhi li incrocia qualche secondo appena, riportandoli poi sulla strada davanti a noi; una fossetta infantile gli compare sulla guancia.

«Sì beh, Will non sa cucinare» ammette infine Madden, cercando persino di soffocare una risata. «Quindi probabilmente ci toccherà ordinare una pizza una volta che ti avrò riaccompagnato a casa.» Sono indecisa se ridere o essere preoccupata.

«Oh» mormoro semplicemente, stringendomi poi nelle spalle. «Okay. Suo padre…»

«Credo ci sarà anche lui» mi risponde in fretta, svoltando a sinistra. «Ma mi sono dimenticato di avvisarlo che probabilmente mangeremo poco e niente.» Madden aggrotta le sopracciglia alle sue stesse parole, come se fosse stata una mancanza grave la sua e poi borbotta qualcosa che non comprendo perché il suo telefono squilla e il nome di Will appare sul display, ma Madden non risponde. 

 

Will

 

No, non è di buon umore.

 

Madden mi dice che non hanno un alimentari di fiducia, così gli indico la strada da percorrere per quello dove vado di solito io, così da non perdere troppo tempo nel cercarne uno. Parcheggia dopo qualche tentativo vista l’ora e sbuffa trafficando con un foglietto stropicciato che estrae dalla tasca della giacca, dove poi ritira le chiavi dell’auto. 

«Possiamo fare in fretta?» Lo domanda leggendo velocemente la lista che ha stilato Will e annuisco, rubandogliela poi dalle mani per controllare che cosa vi sia scritto sopra: cosa voglia cucinare non è dato sapere. Non sono ingredienti che si sposano troppo bene insieme e sono quasi nostalgica degli esperimenti culinari di mio fratello. 

«Prendi un cestello, per favore.» Faccio cenno a Madden verso la postazione rossa all’ingresso e muovo i primi passi mentre mi affianca nuovamente, tenendolo distrattamente con la mano sinistra.

I corridoi sono familiari ormai e mentre Madden legge ad alta voce gli articoli, io faccio strada; sono sempre qualche passo più avanti di lui fino a che non aggancia il suo indice al mignolo della mia mano. In cassa c’è sempre Giselle, che da bionda ha deciso di portare ora un colore molto simile ai capelli di Kat e che si abbina al rossetto che indossa. Impiega qualche secondo nel riconoscermi perché la signora davanti a noi sta ancora riponendo la spesa, ma è troppo intenta a parlare con Giselle per compiere due movimenti insieme; Madden sogghigna e digita qualcosa sullo schermo, solleticandomi il fianco con la mano libera. 

«Cecily» mi saluta finalmente Giselle, iniziando a battere gli articoli e producendo un beep fastidioso. «Passi più tempo tu dentro questo posto di me e io ci lavoro da cinque anni.» 

«Di solito è sempre colpa di mio fratello.» Replico, ricontrollando che tutto quello che Will ha richiesto sia presente sul rullo; non dice niente sulla presenza di Madden e gliene sono grata. 

«Lui non lo vedo mai.» Sogghigna e potrebbe persino essere arrossita, ma non ne sono sicura.

«No, certo» Madden mi supera per riporre la spesa nelle buste. «Perché manda me. Stai bene con questo nuovo colore, sai Giselle? Ti dona più del biondo.»

«Me lo dicono tutti» sorride raggiante e sono contenta di averglielo detto. «Però mi fido solo di te.» Mi fa un occhiolino prima di battere l’ultimo articolo e comunicarci il conto; Madden le allunga una banconota da 50 euro e Giselle prontamente gli consegna il resto. 

«Grazie» mormora Madden educatamente, recuperando le due buste. «Buon lavoro Giselle.» Questa volta Giselle arrossisce davvero e quando Madden si volta per raggiungere l’uscita, mi sussurra qualcosa che faccio finta di non aver capito e scuoto la testa nella sua direzione, salutandola con la mano e augurandole buona serata.

«Spero che Will non ci avveleni con queste cose.» Madden si passa una mano tra i capelli dopo aver riposto le buste nel bagagliaio e prende poi posto in auto.

«Io non sono più tanto sicura di voler venire.» Madden mi fulmina con lo sguardo, voltandosi nella mia direzione dopo aver messo in moto. 

«Will si offenderebbe a morte» borbotta, alzando appena il volume dell’autoradio. «E io non vorrei morire da solo con lui.» Aggiunge, inserendo poi la retromarcia.

Le dita le incastra alle mie in una stretta delicata e la mano non la muove fino a che non abbiamo raggiunto nuovamente il mio appartamento: lui scende per lasciare il latte che ha comprato per sua nonna e io torno in casa solo per recuperare una bottiglia di vino che ho promesso di portare. Dylan però mi chiama al cellulare e passa qualche minuto in più perché mi ritrovo Madden in cucina, poggiato contro lo stipite della porta in attesa che esca, con le chiavi dell’auto a dondolargli tra le dita. È già tardi e non ho bisogno che me lo dica perché io capisca.

«Sì, va bene» mormoro, cercando di chiudere la chiamata. «Della partita mi racconterai domani al tuo ritorno, okay? Cucino io.»

Dylan mi chiede perché io abbia tanta fretta, ma ho chiuso la chiamata prima che possa avere una risposta; Madden fa strada verso l’uscita, scendendo in fretta i tre scalini del portico. Lo seguo con lo sguardo basso, cercando di allacciare la giacca in modo corretto. Il mio nome lo sento chiaramente e non è Madden a pronunciarlo. Sbatto però contro la sua schiena e non perché Madden si sia fermato all’improvviso, ma perché mi sta evitando di muovere anche solo un passo in più in direzione dell’uomo che era con Bart e che porta il mio stesso cognome. Lui è immobile di fronte a Madden, proprio vicino alla sua auto; Madden invece ha allungato un braccio dietro di sé, afferrandomi il polso in una stretta che non so che cosa voglia dire.

«Sei di nuovo qui.» Lo sussurro spostandomi leggermente di lato, a guardare oltre la spalla di Madden.

«Ti manda mio padre?» Madden lo chiede a bassa voce e sono quasi sicura lo stia cercando con lo sguardo.

«Tuo padre?» L’uomo è confuso perché aggrotta le sopracciglia, ma poi scuote la testa quando realizza che sta parlando di Bart. «No, non mi manda nessuno. Cecily, possiamo parlare?» Sussulto quando i suoi occhi trovano i miei.

«Come fai a conoscere il mio nome?» L’uomo sorride appena, ma è semplicemente tristezza la sua; muove un passo avanti e alza le mani in segno di resa quando Madden si sposta ulteriormente, continuando a farmi da scudo.

«Dammi la possibilità di spiegartelo.» I suoi occhi si spostano da me a Madden e anche lui si volta appena nella mia direzione, domandandomelo senza pronunciare parola; annuisco perché in questo momento non può succedere niente. 

«Perché sai chi sono?» Questa volta sono spalla contro spalla con Madden; l’uomo di fronte a noi si schiarisce la voce, quasi volesse prepararsi a un discorso piuttosto lungo, che però non sono convinta di voler ascoltare. 

«Ti chiedo…»

«Sei mio padre?» Mi rendo conto di averlo pronunciato ad alta voce solo quando sento Madden trattenere il respiro e imprecare tra i denti. «È per questo che porti il mio stesso cognome?» L’uomo di nuovo sorride e non è per niente sorpreso di quella mia domanda; quando scuote la testa, il battito del mio cuore accelera di colpo, come se non fossi rimasta ferma sul posto, ma avessi percorso chilometri e chilometri di strada, correndo a perdifiato.

«Tuo padre?» Ripete e di nuovo fa cenno negativo con il capo. «No Cecily, non sono tuo padre.» Ammette infine, con una calma devastante. 

«Ma allora…»

«Sono tuo zio, Abram» Madden si volta nella mia direzione quando lo sorpasso di un paio di passi. «Il fratello di tuo padre.» Anche questo me lo dice con calma, quasi a darmi tempo di recepire le informazioni appena sganciate.

«Lui dov’è?» Io invece glielo chiedo in fretta.

«Non lo so» risponde con una semplice scrollata di spalle. «Sono passati più di vent’anni dall’ultima volta che l’ho visto.»

«Perché mi stai cercando?» 

«No, non ti stavo cercando» nella sua voce pare non esserci nessuna menzogna. «È successo tutto per caso: ti ho visto uscire da un museo un giorno e per un solo momento, uno solo, ho pensato di aver rivisto tua madre. Mi sono dato dello stupido perché non poteva essere possibile, tu non potevi essere Linda, ma solo sua figlia. Sei uguale a lei, nell’aspetto e nelle movenze.»

«Lei è…»

«Morta» me lo dice in un soffio e mi ritrovo ad annuire, senza sentire niente; nemmeno mi aspettavo di poter sentire qualcosa in proposito. «Tanto tempo fa. Credo appena più tardi dopo che hanno lasciato te e Dylan all’orfanotrofio.» 

«Tu sapevi che eravamo lì?» Abram annuisce e lo sguardo lo abbassa per qualche secondo. «Lo sapevi e non sei mai venuto a tirarci fuori?»

«Non potevo, Cecily» si muove di un altro passo e siamo praticamente di fronte. «Non potevo darvi nulla. Ho pensato così tante volte di portarvi via da quel luogo, poi mi guardavo intorno e realizzavo che l’unico posto in cui sareste stati bene, era tra quelle mura.»

«Potevi darci una famiglia.» La voce mi trema così forte che la mano di Madden la sento sulla schiena; non so quando si sia avvicinato. 

«Non si sopravvive solo con la famiglia» mormora, scuotendo la testa. «Per quanto io abbia odiato mio fratello e tua madre per la scelta di abbandonarvi, con il tempo ho capito che hanno invece fatto la cosa giusta: vi hanno permesso di sopravvivere. Io non sarei stato in grado di fare lo stesso.» 

«Com’è morta?»

«Era una vita discutibile, la loro» mormora semplicemente. «Non credo Dylan se lo ricordi, era molto piccolo. Tuo padre è sparito da allora e io mi sono allontanato da Amsterdam. Sono tornato dopo qualche anno e all’orfanotrofio mi hanno detto che eravate stati affidati a un’altra famiglia.»

«Abbiamo cambiato molte famiglie, poi Dylan ha finalmente compiuto diciotto anni e siamo usciti» replico velocemente. «Nessuno ci ha mai tenuti per più di tre mesi.»

«Mi dispiace non aver potuto fare niente per voi.» Di nuovo, non c’è menzogna nella sua voce.

«È troppo tardi perché tu possa entrare a far parte delle nostre vite» mi ritrovo a parlare con astio e sento Madden pronunciare il mio nome in un sussurro. «Non c’è posto per te qui.» Abram sorride.

«No Cecily, non ho la pretesa di voler far parte della vostra vita perché non lo merito» guarda Madden appena dietro di me per un solo istante. «Mi dispiace solo averti lasciata sola.»

«Io non sono mai stata sola.» Abram annuisce, schiarendosi poi la voce.

«Come conosci Bart?» La voce di Madden è roca, come quella di qualcuno rimasto in silenzio troppo a lungo. 

«Non lo conosco» lo dice schietto, nascondendo le mani nelle tasche della giacca. «L’ho incontrato solo quella sera. La prima volta che ti ho visto qui non ero sicuro che fossi tu, poi ho incrociato tuo padre per caso e ho chiesto a lui se conosceva una certa Cecily perché ero abbastanza certo che abitasse qui, ma non sapevo dove.»

«Dovresti stare lontano da Bart» mormora Madden, passandosi una mano tra i capelli. Il suo è un avvertimento. «Non è una brava persona, è meglio non avere a che fare con lui.» Abram fa un cenno affermativo con il capo e torna a rivolgere il suo sguardo su di me.

«Non ho mai voluto spaventarti, Cecily» annuisco anche io nella sua direzione, ma mi sono avvicinata tanto a Madden da essere ormai pressata contro il suo braccio; la sua mano mi cinge il fianco. «Non mi farò più vedere, a meno che tu non venga a cercarmi.»

«Addio, Abram.» Lo sussurro appena e sono sicura che mi abbia sentito solo perché lo vedo stringere le labbra in una linea sottile, poi abbassa il capo in un muto saluto.

Guarda un’ultima volta me e poi dedica un’occhiata anche a Madden; in silenzio ci volta le spalle ed entrambi lo osserviamo camminare lento lungo il viale, fino a che l’oscurità lo inghiottisce. Mi lascio scappare un respiro spezzato e faccio appena in tempo a pronunciare il nome di Madden in un soffio e ad avere una fugace visione dei suoi occhi verdi preoccupati, poi le sue braccia mi cingono il corpo, portandomi così vicino al suo che la mia guancia affonda nel tessuto morbido del maglione che indossa al di sotto della giacca.

«Va tutto bene, Cecy.» Me lo mormora tra i capelli e se potessi scuotere la testa e dirgli che no, non va tutto bene, lo farei.

«Non voglio che faccia parte della mia vita e tanto meno di quella di Dylan.» 

«Non lo farà» le sue mani si posano su entrambe le mie spalle, così da scostarmi appena per potermi guardare negli occhi. «Credo abbia capito che non c’è spazio per lui.»

«Mia madre è morta e mio padre sembra essere introvabile» sussurro quelle parole fissando un ricamo sulla stoffa del maglione di Madden. «È già qualcosa.»

«Cecy…»

«Possiamo andare da Will?» Madden si morde il labbro per qualche secondo appena e annuisce solo dopo avermi baciato la tempia. Non ho fame, ma non voglio rimanere da sola. Né con i miei pensieri, né con le parole appena recepite.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** 28 ***


 

capitolo
28





 

Quando arrivo nei pressi di casa sento la voce di Kat ancor prima di trovarmela di fronte; lei però non mi vede, è impegnata in una conversazione telefonica così animata che anche quando sono praticamente pronta per spingere il cancelletto e raggiungerla sotto al portico, tentenno sui miei passi, non volendo interrompere il flusso delle sue parole. O forse, per il bene del suo interlocutore, è proprio quello che dovrei fare per preservare il suo udito. Il braccio destro gesticola così forte che il tintinnio dei ciondoli dei bracciali che porta arriva ormai ben distinto anche a me.

«Sì, ma ti ho detto che non posso e non ho intenzione di giustificarmi» mi rendo conto che sulla piccola panchina che si trova accanto alla porta d’ingresso vi sono posate due grandi buste di un ristorante che so per certo trovarsi nel suo quartiere e non nel mio. «La settimana prossima dovrà sostituirmi Beth, è questo che fa: la sostituta. Non è un mio problema se non conosce le battute.» Alza gli occhi al cielo quando si accorge finalmente della mia presenza e chiude la chiamata senza più proferire parola.

«Hai per caso svaligiato Levant?» Kat volta il viso al mio cenno verso le due borse di carta poi si stringe nelle spalle e sorride, nel suo solito ghigno furbo.

«Passavo di lì per caso» vaneggia, ignorando l’iPhone che le suona tra le mani. «Dylan?»

«Sta arrivando» replico, inserendo le chiavi nella toppa della serratura. «Sbaglio o avrei dovuto cucinare io?»

Kat sorride di nuovo e mi posa entrambe le mani sulle spalle prima di recuperare le due borse dalle quali fuoriesce un profumo così invitante da farmi brontolare lo stomaco.

«Non puoi competere con Levant.» Replica semplicemente e non posso darle torto. L’auto di Dylan ci sfreccia accanto proprio mentre giro il pomello e realizzo cosa ci urla dal finestrino solo perché è Dylan: doccia, cinque minuti. Forse dieci. 

Faccio passare Kat per prima, permettendole di appendere la giacca all’appendiabiti dell’atrio, seguendo io stessa i suoi movimenti e copiando i suoi gesti, prendendo un lungo respiro prima di superarla e leggere svelta un messaggio che Will mi ha mandato qualche ora fa. Ci accomodiamo entrambe sul divano dopo aver posato la cena sul tavolo in cucina; sospiriamo nello stesso momento, ma è lei ad appropriarsi del telecomando, sintonizzando la TV su un canale che sta passando un documentario sulla fauna dell’Africa Centrale. Nessuna delle due lo segue con attenzione, ma è lei a sbuffare per prima, controllando l’ora sul quadrante nero che porta al polso. 

«Forse vado a mettere la cena nel forno.» Glielo dico sollevando il capo dalla sua spalla, dirigendomi nuovamente in cucina subito seguita da Kat, i cui tacchi echeggiano sul pavimento.

«Ma perché deve impiegarci sempre così tanto tempo?» Si lamenta, passandomi il primo vassoio da tenere al caldo.

«Perché è Dylan» replico, incastrando anche gli altri due. «E perché probabilmente il coach Hendriks li ha fatti allenare così tanto che nessuno aveva intenzione di fermarsi un secondo in più del necessario.»

Chiudo lo sportello del forno con il fianco destro, aprendo poi la credenza per estrarre stoviglie e bicchieri che Kat mette in ordine sul tavolo; mio fratello irrompe nel salotto dopo altri dieci minuti passati ad aspettare solo e soltanto lui, con il fiatone a scuotergli il petto e le spalle.

«Il coach Hendriks» deglutisce un respiro, crollando sulla sedia a capotavola. «Allenamento sfiancante.»

«Sto morendo di fame.» Borbotta semplicemente Kat, prendendo posto dall’altro lato del tavolo. Dylan si stringe nelle spalle, come a dirle che non è colpa sua. Io finisco nel mezzo.

«Toccava a Cecy cucinare» Dylan affonda la forchetta nella sua cena, rivolgendo a Kat un’occhiata accusatoria. «E questo non l’ha di certo preparato lei.»

«Oh beh, grazie tante Dylan» replico, imitando i suoi gesti. «Però sai: Kat passava per caso dalle parti di Levant.» Ammicco e Dylan solleva le sopracciglia in modo allusivo nella sua direzione. 

«Vi hanno mai detto che non siete divertenti, sì?» Dylan sta per replicare con qualcosa di sarcastico, ma lo batto sul tempo.

«Con chi litigavi al telefono poco prima che arrivassi?»

«Barbara» Kat alza gli occhi al cielo, soffiando appena sulla forchetta che si porta alle labbra. «Beth è disperata perché non ha imparato le mie battute, ma non è chiaramente un mio problema. L’ho detto due settimane fa che non ci sarei stata. Una sostituta è questo che fa: sostituisce quando la protagonista non c’è.» La drammaticità di Kat fa scoppiare a ridere Dylan.

«Che cosa devi fare?» Domando ancora, certa di essermi persa qualcosa di importante.

«Rotterdam?» La sua risposta nasconde velatamente qualcosa e persino Dylan si volta nella mia direzione.

«Rotterdam?» 

«La finale, Cecy» interviene mio fratello e non so se in mio aiuto o solo per accusarmi. «Tra una settimana; hai detto che ci saresti stata.»

«Ma certo, Rotterdam!» Esclamo, mettendo finalmente insieme i pezzi e vedo Kat annuire; Dylan continua ad osservarmi con un sopracciglio sollevato.

«Ti eri dimenticata?»

«No Dylan, ho solo confuso i giorni» l’espressione di Dylan continua ad essere saccente. «Dylan, non mi sono dimenticata e ci sarò. Ho spostato tutti i turni per poter venire.»

«Sarà meglio per te» borbotta, infilandosi un boccone troppo grosso tra le labbra. «Credo proprio che tutto il campus sarà presente. Il coach Hendriks ha tampinato chiunque gli capitasse sotto tiro, probabilmente si è offerto di pagare da bere ai tifosi che si presenteranno.»

«Come se aveste bisogno di convincere le persone a venire, soprattutto a Rotterdam» replico e lo vedo stringersi nelle spalle con finta modestia. «Una volta il coach ha dovuto cacciare chi voleva assistere persino ai vostri allenamenti; nel campus risuonano ancora le sue urla.»

«Hanno comunque affittato quattro piani all’Inntel Hotels Rotterdam Centre» ci informa Dylan. «Sia per la squadra che per gli studenti e non.» Ammicca verso Kat, che scuote la testa.

«Quattro piani e nessuno ci dormirà.» Sbadiglia Kat, finendo l’acqua nel suo bicchiere.

«Solo l’esito della partita ce lo dirà, amore mio.» Dylan si alza per recuperare i piatti ormai vuoti e posarli nel lavello, aprendo l’acqua corrente a togliere il primo strato di sporco.

«Vincerete sicuramente.» Dylan mi guarda con un espressione ovvia dipinta sul viso stanco.

«Certo che vinceremo» ne è tanto sicuro che mi viene da sorridere. «Il coach Hendriks non ha previsto la sconfitta. Nessuno vuole avere a che fare con lui quando non prevede le cose.»

«Basta parlare di calcio, sono stufa» interviene Kat, silenziando per la terza volta il suo iPhone che non smette di squillare. «Cambiamo discorso o non ci verrò più alla finale.»

«Cecy, hai detto che dovevi dirmi…»

«Sì» mi schiarisco la voce, sedendomi meglio sulla sedia. «Sì, ora ti racconto.»

«Che cos’è successo?» L’espressione di Kat si fa piuttosto tesa.

«Ricordi quell’uomo che porta il nostro stesso cognome e che si è presentato due volte alla mia porta?» Kat annuisce e per un momento si volta preoccupata verso Dylan, che mi osserva con attenzione.

«Sì che me lo ricordo.»

«È tornato qualche giorno fa.»

«Cecy»

«Madden era con me» non so se glielo dica per tranquillizzarlo o per semplice informazione da recepire per poi essere dimenticata. «Ha detto di essere nostro zio, Abram. È il fratello di nostro padre, per questo porta il nostro stesso cognome.»

«Che cosa ti ha detto, Cecy?» Dylan è tornato a sedersi a capotavola, avvicinando però la sua sedia alla mia; Kat mi guarda invece con le sopracciglia aggrottate. 

«Mi ha detto che nostra madre è morta e che nostro padre è sparito subito dopo che ci hanno lasciato in orfanotrofio» Kat trattiene il respiro, mentre Dylan invece lo lascia uscire in fretta. «Lui sapeva dov’eravamo, ma non ha mai potuto tirarci fuori perché non sarebbe stato in grado di darci comunque nulla; sostiene che la scelta dei nostri genitori sia stata giusta: ci ha permesso di sopravvivere.» Vedo Kat passarsi un dito sulla guancia e vorrei dirle che non c’è bisogno di piangere, che in realtà non fa male. 

«Credi che si farà vivo di nuovo?» Scuoto la testa alla domanda di mio fratello.

«Gli ho detto che non c’è posto per lui nelle nostre vite.»

«È un po’ tardi per venire a reclamarlo.» Nella voce di Dylan non c’è dispiacere, solo astio.

«Dylan, non essere crudele.» Kat lo sussurra appena e l’espressione di Dylan sembra addolcirsi appena.

«No Kat, sono solo realista» replica. «Se avesse voluto fare davvero qualcosa, si sarebbe presentato alle nostre porte molto tempo prima.»

La suoneria del mio telefono echeggia qualche secondo prima che venga superata dal suono insistente del campanello; qualcuno bussa persino alla porta. Guardo prima Dylan e poi Kat, quasi a chiedere loro se stessero aspettando qualcuno, ma le occhiate che ricevo vogliono semplicemente dire che siamo a casa mia, perché mai loro dovrebbero aspettare qualcuno qui. Mi alzo dalla sedia velocemente, controllando l’ora sul quadrante dell’orologio; la porta la apro di fretta, senza neanche guardare dallo spioncino chi possa esserci dall’altra parte. È Will, con il telefono incastrato tra la spalla e l’orecchio che, con ogni probabilità, sta cercando di contattare me, ché il telefono lo sento ancora suonare. 

«Cecy» me lo dice con il fiatone, le spalle si alzano e si abbassano quasi avesse corso per raggiungere casa mia. La Range Rover è però parcheggiata in mezzo alla strada, con il motore ancora acceso. «Madden, Bart. Devi venire con me subito.» Si volta per un attimo, quasi alla ricerca di qualcuno, poi riporta i suoi occhi su di me, intimandomi a muovermi da lì.

«Will, che cosa stai dicendo?» Nella voce è apparsa una nota di paura, ché Madden e Bart nella stessa frase non sono mai associabili a cose piacevoli; Will sbuffa e fa partire un’altra chiamata: non sta chiamando me, ma Madden.

«Non ho tempo di spiegarti tutto, devi solo venire con me.» Alle mie spalle sento arrivare sia Dylan che Kat; Dylan mi sorpassa, trovandosi ora di fronte a Will.

«Che sta succedendo?» Lo domanda lui stesso e per quanto vorrei seguire immediatamente Will, Dylan non me lo permette. Will deglutisce passandosi una mano tra i capelli, poi indica con un cenno del mento la casa di Clint; la luce del portico è accesa e lui è fuori in veranda, facendo segno a Will.

«Mi ha chiamato Clint, mi ha detto che qualcuno ha visto Madden e Bart non molto lontano da qui» la voce di Will è tesa e veloce, si mangia quasi le parole. «Madden è impazzito, dobbiamo andare subito prima che faccia un casino. Cecy…»

«Vi seguiamo.»

Dylan scosta il braccio, lasciandomi così libera di passare e correre dietro Will, che ha già aperto la mia portiera e fatto il giro per salire al posto di guida. Sento Clint urlare di muoverci, prima che la polizia ci preceda e Will di certo non se lo fa ripetere due volte; aspetta giusto che Kat e Dylan siano saliti in macchina e siano pronti per seguirci. Will brucia tutti i semafori, ma spero sappia dove stia andando, perché io di certo non lo so; impreca sottovoce così tanto da non proferire assoluta parola, ma controlla costantemente lo specchietto in cerca di Dylan.

«Pensavo fossi con Madden, mi aveva detto che…»

«No, sono andato via prima» mi interrompe senza sgarbo, come se non ci fosse tempo da perdere, che le risposte può darmele anche senza che io ponga la domanda completa. «L’ho lasciato insieme a Paul - non lo conosci -, ma anche lui deve essersene andato perché l’ho sentito poco fa e non era più con Madden.» 

«Ma Bart…»

«Non lo so» mi interrompe di nuovo e questa volta sono io a sbuffare. «Qualcuno ha chiamato Clint, che ha chiamato me: so solo dove devo andare, ma non so cosa stia succedendo.» 

Will svolta bruscamente a destra, facendomi oscillare brevemente sul sedile per scusarsi poi con lo sguardo: non so esattamente dove siamo, ma l’auto la ferma nel bel mezzo di uno spiazzale, su una strada illuminata solo dalle insegne al neon di un paio di market e bar mezzi vuoti.

Madden e Bart devono essere le uniche due persone ferme in mezzo alla strada, troppo occupati a gridarsi l’uno contro l’altro per rendersi conto che anche noi ci troviamo qui. Riesco a capire che cosa si stiano dicendo solo quando Will lascia il mio polso, ma non si avvicina troppo; non ci hanno ancora visto. Madden ci dà le spalle e la figura di Bart è coperta da Madden stesso.

«Come hai potuto!» È lui a gridare contro Bart. «Ti avevo detto che non avresti mai, mai, dovuto avvicinarti a lei.»

Will mi punta gli occhi addosso e io faccio lo stesso con lui; stanno parlando di me. 

«Tu pensi di essere il re del mondo, non è vero?» Grida di rimando Bart, allargando le braccia in preda a quella che potrebbe essere solo frustrazione, o rabbia. «Io faccio quello che voglio.» Madden muove un passo verso di lui con il chiaro intento di volerlo colpire, ma sembra cambiare idea all’ultimo perché arresta i propri passi per calciare invece un sassolino solitario a terra.

«Tu sei un folle» la voce di Madden arriva alle mie orecchie diversa, è appena strascicata, come se fosse rovinata dall’alcool. «Non avevi nessun diritto di dire a Cecy che sapevi qualcosa.»

«Volevi essere tu a farlo?» Ribatte Bart, avanzando verso di lui e spintonandolo; Madden barcolla appena e Will impreca. «Non ti avrei mai detto niente, non senza…»

«Non senza minacce?» Irrompe, spintonandolo a sua volta; Bart resta immobile. «Come hai osato chiederle di convincermi a farti togliere quella restrizione? Papà, nessuno te la toglierà mai!»

«Lo farebbero se solo tu non fossi un figlio di puttana!» Nonostante Madden sia brillo, riesce a schivare il colpo che Bart gli sferra.

«Tu mi stai rovinando la vita.»

Dylan e Kat appaiono qualche momento più tardi; Will fa loro segno di non muoversi e vedo Kat portarsi le mani alla bocca quando Madden colpisce Bart dritto in viso. Lui non è stato abbastanza svelto.

«Tu…»

«Rovinando? Sei tu ad aver rovinato la mia, Madden» Bart sputa quello che deve essere persino sangue. «Mi hai tolto la casa, io non ho più un posto dove stare, non ho più soldi.»

«E di chi è la colpa? Pensi che sia mia?» Le domande di Madden sembrano quasi ridicole. «Tu sei un cazzo di alcolizzato, dovresti essere rinchiuso in una clinica e non lasciato libero di rovinare la mia esistenza e quella di tutti quelli che hanno a che fare con te! Sai una cosa papà? Io la mamma non me la ricordo nemmeno, ma con il senno di poi avrei voluto trovare te dentro quel bagno e non lei.» 

Per un solo istante, il silenzio che si crea fa più rumore delle urla; Madden ha il fiatone e i pugni stretti lungo i fianchi, forse a volersi trattenere o semplicemente per cercare di rimanere calmo. Il respiro di Bart condensa quando lo lascia uscire tutto in una volta. È un solo momento, poi Bart si scaglia contro suo figlio e Madden non muove un passo, non fa niente per evitare la collisione. Lo sento gemere di dolore e poco dopo anche Bart emette lo stesso suono gutturale.

Will e Dylan scattano nello stesso istante, come se si fossero messi d’accordo: Will afferra Madden per le spalle, che colto di sorpresa quasi non lo colpisce a sua volta. Dylan invece afferra Bart, che grida le peggiori imprecazioni possibili. Due voltanti della polizia si materializzano nello spiazzo con le sirene spiegate: dalle auto scendono quattro agenti che sorpassano me e Kat senza degnarci di uno sguardo.

Will lascia andare Madden, che sembra quasi sgonfiarsi; scoppia a ridere fragorosamente e voltandosi, si rende conto che ci sono anche io. Lo sento mormorare il mio nome prima che un agente faccia segno a Will di allontanarsi. Dylan ha già fatto un passo indietro e non perché gli sia stato intimato, ma perché Bart deve avergli sferrato una gomitata nello stomaco: corre a perdifiato, con uno degli agenti subito dietro di lui; il terzo torna verso l’auto solo per rimetterla in moto e lanciarsi all’inseguimento di Bart, che si è infilato in una stradina buia. 

Will sta dicendo qualcosa all’agente, che non vuole sentire mezza parola da lui pronunciata, così come Dylan cerca di farsi ascoltare. Uno dei due agenti estrae le manette dalla cintura e afferra la spalla di Madden costringendolo a voltarsi, poi gli incrocia i polsi dietro la schiena. Corro con la voce di Kat a urlare il mio nome, ma il secondo agente ferma i miei passi prima che possa raggiungere Madden. Lo chiamo a gran voce e la sua testa scatta nella mia direzione; sgrana gli occhi mentre osserva la mano dell’agente ferma sulla mia spalla: tremo da capo a piedi.

«No, no» urla Madden, cercando di sfuggire al poliziotto che lo tiene invece ben saldo. «Non la tocchi, per favore!» Madden viene trascinato verso l’auto dietro di me tra imprecazioni che escono sia dalla sua bocca che da quella dell’agente stesso.

«Non fare resistenza, ragazzo.» Madden scuote la spalla, come se potesse liberarsi così dalla sua presa. 

«Lasciatela andare» la sua è una supplica e la mano sulla mia spalla scotta come un attizzatoio rovente. «Cecy!»

Madden viene spinto dentro la volante e nel momento in cui l’agente mi lascia andare, Dylan è subito dietro di me; mi sorregge con un braccio mentre con l’altro stringe la mano a Kat. Will urla ancora qualcosa contro i due agenti e vorrei che la smettesse prima che decidano di portare via anche lui. L’auto parte in fretta, sgommando persino sull’asfalto; Will bestemmia a gran voce mentre io ho il fiatone come se avessi corso una maratona.

«Ci serve un avvocato.» La frase di Dylan sembra quasi una domanda perché Will sembra pensarci su qualche istante, poi annuisce e si passa una mano tra i capelli.

«Io non ho un avvocato.» Risponde però estraendo il cellulare dalla tasca dei jeans.

«Ma io sì.» Kat avvia immediatamente una chiamata mentre io mi lascio andare contro il petto di Dylan, osservando il blu delle sirene che ancora echeggiano nell’isolato. 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** 29 ***


 

capitolo
29





 

A casa di Will e Madden ci torniamo così in fretta che nemmeno mi rendo conto della strada che abbiamo percorso. Will impreca durante tutto il tragitto, maledicendo il suo migliore amico e quel gran figlio di puttana di Bart. Poi maledice persino sé stesso per aver lasciato Madden da solo ed essere andato via prima. Io non ho nessuna idea di che cosa stia dicendo e tantomeno a che cosa si stia riferendo, ma non ho nemmeno il coraggio di aprire bocca per chiedere spiegazioni. Il cuore lo sento battere così forte contro lo sterno che se i battiti non rallentano nei prossimi minuti, è probabile che scoppi senza preavviso. 

«Lo sapevo» borbotta Will scendendo dall’auto e sbattendo così forte la portiera che i finestrini tremano all’interno dell’abitacolo. «Lo sapevo. Lo sapevo che l’avrebbe fatto, lo sapevo!»

«Will…»

Riesco solo a pronunciare un misero sussurro prima che l’auto di mio fratello inchiodi dietro alla Range Rover di Will; lui e Kat scendono in fretta e Will è così intento a cercare di infilare la chiave nella serratura da duplicare le imprecazioni quando non ne vuole sapere di collaborare.

«Mia madre sta arrivando» Kat mi cinge le spalle con un braccio e io la ringrazio con una sola occhiata colma di gratitudine. «Will, ci devi dire tutto ciò che sai e che può esserci utile.»

«Io non so niente!» Sussulto al grido di Will perché ho timore che possa andare nel panico più di quanto già non sia; Dylan lo raggiunge solo per aprire finalmente la porta e permetterci di entrare. Non voglio stare qui senza Madden. 

La madre di Kat arriva nell’immediato, producendo una brusca frenata a echeggiare per tutto il circondario; entra in casa come se già conoscesse la strada ed io mi sento terribilmente in colpa per averla scomodata a quest’ora. È vestita di tutto punto però, quasi fosse già pronta per risolvere la situazione. Stringe la spalla di Dylan in quello che è un saluto rapido, poi mi guarda negli occhi.

«Andrà tutto bene» ha una ventiquattrore con sé, che appoggia al divano prima di voltarsi verso Will. «Ho bisogno di sapere esattamente che cos’è successo.» 

«Io…» Will stringe i denti ed espira così forte che una ciocca di capelli gli si solleva sulla fronte; si lascia cadere sulla poltrona, chiudendo gli occhi come se avesse bisogno di un paio di secondi per trovare le parole giuste. E per calmarsi. «Io non lo so. Siamo stati a bere con degli amici e io sono venuto via prima; Madden deve aver esagerato e credo sia andato a cercare suo padre. Non so che cosa sia successo prima che arrivassimo noi.»

«Suo padre dov’è?» 

«È scappato, non credo siano riusciti a prenderlo» Will impreca nuovamente tra i denti e si tasta le tasche alla ricerca del cellulare che continua a squillare, ma che non riporta mai il nome di Madden. «Lei può aiutarci?» La supplica nella voce di Will mi fa tremare le gambe. 

«Sì, certo» è una risposta secca la sua, senza ombra di bugia al suo interno. «C’è qualcuno che dobbiamo avvisare? Immagino non abbia un avvocato.» Will scuote velocemente la testa.

«Non voglio far preoccupare sua nonna.»

«Madden Harvey hai detto?» Questa volta è a Kat che lo sta chiedendo e lei annuisce semplicemente, cercando invano di farmi sedere sul divano; non voglio stare qui senza Madden. «Torno subito.» La madre di Kat sparisce in cucina con il telefono incollato all’orecchio sinistro.

«Io lo sapevo che non sarei dovuto andare via.»

La voce di Will è carica di rabbia e non so decidere verso chi ne cova di più, se sé stesso o se verso Bart.

«Will, non è colpa tua» è Dylan ad aprire bocca ed è una situazione così surreale che quasi vorrei scoppiare a ridere nel vederlo qui, nel salotto di casa di Madden. «La madre di Kat è uno dei migliori avvocati del Paese.»

«No, tu non capisci.»

«Lo hanno portato alla Nieuw-West Noord» Adele digita qualcosa sullo schermo del suo telefono tornando in salotto; Will si alza in piedi così in fretta da urtare il tavolino tra il divano e la poltrona. «È ubriaco e lo stanno trattenendo perché smaltisca. In questo momento non posso andare da Madden, ma domani mattina mi faranno entrare in quanto suo avvocato. Devo capire se seguirà un processo.»

«Un processo?» Will alza così tanto la voce che tutti noi sussultiamo sui nostri stessi piedi.

«È una procedura normale, Will» Adele cerca di tranquillizzarlo. «Non ha commesso alcun tipo di reato, è probabile che lo faranno uscire su cauzione, ma devo parlare di persona con il giudice. È questo il procedimento; non verrà trattenuto e non sporcherà nemmeno la sua fedina penale. Potrebbe passare come una normale rissa, a meno che suo padre non confermi una versione diversa secondo la quale si sia trattato di aggressione.» 

«No, Bart non lo farebbe mai» Will è così sicuro di quello che dice che io stessa mi ritrovo a sospirare di sollievo. «È lui il problema, non Madden.»

«È ricercato?»

«No, è solo un padre alcolizzato» replica Will, scuotendo la testa. «Posso venire con lei domani mattina?»

«Non ti farebbero entrare, Will» la voce di Adele, a differenza di quella di Will che corre come se fosse in ritardo, è pacata, ma mai melensa. «Andrà tutto bene, d’accordo? Dovete solo aspettare e cercare di riposare.» Adele mi guarda così intensamente negli occhi che annuisco, sentendo persino una lacrima solcare la guancia e perdersi tra i capelli sciolti sulle spalle.

Non dormo per due giorni, né nel mio letto con Kat accanto e nemmeno sul divano di Will e Madden, con Will a macinare chilometri su chilometri pur stando fermo nello stesso posto, facendo semplicemente su e giù per il salotto con il telefono costantemente incollato all’orecchio. Adele lo chiama ogni qualvolta ha qualcosa da dire: Madden sta bene, il giudice sta decidendo a quanto fissare la cauzione; al processo non potrà partecipare nessuno tranne Adele. Will però non ha 2.500 euro da versare per il rilascio di Madden.

«Dovrei lasciarlo lì e poi andare a cercare Bart e fare arrestare lui.» Le occhiaie sul viso di Will non sono poi tanto diverse da quelle presenti sul mio, sono solo un po’ più accentuate e sulla pelle chiara risaltano quanto i suoi occhi verdi. «Dove li trovo tutti quei soldi?»

«Io posso vedere se…»

«No Cecy, tu non farai assolutamente niente» Will mi punta un dito accusatore contro, tenendo comunque lo sguardo fisso sul display del suo iPhone. «Non è un tuo problema. Se solo avessi una copia del suo bancomat!» Will impreca per l’ennesima volta, lasciando cadere l’iPhone tra le gambe e passandosi poi entrambe le mani tra i capelli, scostandoseli dalla fronte in un gesto veloce.

«Quando va versata?»

«Entro le quattro» l’orologio che porto al polso destro segna le 15:10; vorrei chiamare Dylan, ma Will me lo impedisce. «Cecy, non sborserai un centesimo per Madden, hai capito? Mi serve solo un attimo di tempo per racimolare le idee.» Il telefono mi vibra tra le mani.

«Will?»

«Okay, allora in casa ci dovrebbe essere del contante» Will parla tra sé, alzandosi dal divano per controllare qualcosa su una mensola poco distante. «Posso prelevare una parte dal mio conto e poi chiedere…»

«Will!» Si gira di scatto, sgranando gli occhi come a dirmi di non interrompere il suo flusso di coscienza o gli toccherà ricominciare da capo. «Kat ha pagato la cauzione.» Gli allungo il mio iPhone aperto sul messaggio che la mia migliore amica mi ha appena scritto; Will si morde il pollice facendo scorrere lo sguardo sulle parole presenti sul mio schermo e un debole sorriso gli increspa le labbra. 

«Perché?» Non lo so se lo stia domandando a me o se invece abbia posto la domanda a sé stesso, però mi stringo nelle spalle, recuperando il telefono.

«Perché è Kat» replico semplicemente, abbassando lo sguardo su un nuovo messaggio ricevuto. «Lo rilasciano tra un’ora, dice che sarebbe bene se andassimo…»

«Muoviti.» Ordina semplicemente Will, facendo il giro del divano per recuperare le chiavi della Range Rover sul mobiletto della televisione.

Mi alzo così in fretta da sentire un capogiro dovuto alla stanchezza e alla necessità di mangiare qualcosa di più sostanzioso che della semplice insalata. Will ha così fretta che dimentica di dare un giro di chiave alla porta e deve scendere dall’auto per chiudere tutto; i limiti di velocità restano normali nonostante so bene quanto abbia voglia di premere sull’acceleratore per raggiungere Madden il più in fretta possibile.

Ci vogliono quasi quaranta minuti per arrivare alla stazione di polizia e un bel po’ di tempo prima che Will trovi parcheggio. Tentativo comunque invano perché si limita a lasciare l’auto in seconda fila, con le quattro frecce accese e la speranza che nessuno gliela porti via per il tempo che rimaniamo in attesa che Madden possa uscire. Kat mi manda un altro messaggio nel quale mi chiede di avvisarla non appena Madden sarà fuori e di mandarle nuovamente l’indirizzo di casa loro, perché sarà lì quando torneremo.

Non ci fanno entrare, Will ha provato a dissuadere le due guardie all’ingresso in tutti i modi possibili e a un certo punto ho avuto quasi paura che potesse corromperli con i pochi euro che ha in tasca. Passano altri venti minuti prima che la porta si apra e ci siamo dovuti allontanare dall’entrata perché Will non ha smesso un attimo di parlare; la figura di Madden compare quasi fosse una visione.

Nella mano destra tiene ben salda la giacca di pelle, che gli batte sui jeans a ogni passo compiuto; indossa un maglioncino leggero e quando alza il viso nella nostra direzione la mano sinistra se la porta tra i capelli, a scostarseli dalla fronte. È lui ad attraversare la strada e a venirci incontro; Will impreca tra i denti e muove un passo nella sua direzione, avvicinandosi in fretta.

Madden lo osserva per un secondo appena prima di portare lo sguardo su di me: non so se io stia sorridendo o se stia facendo l’esatto opposto, ma imito gli stessi gesti di Will e gli corro incontro, fermandomi solo quando entrambe le braccia gliele ho strette intorno al collo, scontrandomi violentemente contro il suo petto. Lascia cadere a terra la giacca; sono così piccola in confronto a lui che gli basta un braccio solo per avvolgermi completamente il corpo, stringendomi a sé fino a sollevarmi da terra. La mano destra l’ha allungata a stringere la spalla di Will; quella di Will invece la sento ferma sulla parte bassa della schiena. Il senso di sollievo che provo in questo momento mi porta a chiudere gli occhi e a respirare così profondamente che il profumo della pelle di Madden mi si imprime addosso. Le parole di Will le sento a malapena, ma le spalle di Madden si scuotono in quella che deve per forza di cose essere una risata.

«Mi farai morire.» Non so quanto possa essere serio Will, ma credo abbia abbandonato il sarcasmo. 

«Non hai dormito.» Decreta Madden senza lasciami andare del tutto, ma allontanando il viso per guardare anche me.

«No, non ho dormito» abbaia Will, dandogli una spinta che però non lo scalfisce. «Non ho neanche mangiato; mi farai morire.»

«Mi dispiace» la prima scusa è per Will. «Scusami.» La seconda invece è per me, anche se non capisco perché lo stia dicendo; non ho tempo di dire niente, le labbra me le preme all’altezza della tempia prima di abbassarsi a recuperare la giacca al suolo. 

Quando torniamo a casa, la Mini Cooper arancio di Kat è parcheggiata parallelamente al loro ingresso di casa e la mia migliore amica è impegnata in una conversazione telefonica piuttosto animata, che però interrompe nel momento in cui scendiamo tutti e tre dall’auto. Ci viene incontro velocemente, attraversando di corsa la strada; Madden sospira e gli tende la mano che Kat afferra con qualche esitazione e un po’ di confusione sul viso.

«Grazie, per tutto quello che tu e tua madre avete fatto» Madden scandisce le parole, tenendo stretta la mano di Kat nella sua. «Ti restituirò i soldi della cauzione immediatamente.»

«È una cauzione di buona condotta» Kat si stringe nelle spalle. «Comportati bene e non ce ne sarà bisogno.» 

«Vuoi fermarti a cena?» Will glielo chiede per educazione e spero che non debba replicare qualcosa cucinato da lui. Kat però scuote la testa.

«No, ti ringrazio» risponde Kat con altrettanta gentilezza. «Ho delle prove da fare e poi devo confermare per la centesima volta Rotterdam a tuo fratello. Ci sentiamo più tardi, okay?» Mi scocca un veloce bacio sulla guancia e non ho neanche il tempo di poter replicare che una seconda chiamata arriva sul suo iPhone ed è costretta a rispondere, salendo in auto e sparendo poco più tardi. 

«Ho bisogno di una doccia.» Mormora Madden, schiarendosi la voce in attesa che Will apra nuovamente la porta di casa.

Ci sediamo entrambi in salotto, io sul divano e Will sulla sua poltrona, con un panino al prosciutto appena preparato. La televisione ci fa da sottofondo fino a quando Madden non compare nuovamente in sala, con una maglietta a maniche corte e i ricci vaporosi ancora leggermente umidi alle radici. Mi si siede accanto, intrecciando le sue dita ingioiellate alle mie, senza dire una parola. Lo guardo voltando il viso nella sua direzione, in attesa che apra bocca e Will deve fare lo stesso.

«Madden…»

«Mi dispiace» ripete Madden, stropicciandosi l’occhio; c’è un leggero ematoma sul suo zigomo destro e un piccolo taglio all’altezza del mento. «Non lo so perché l’ho fatto.» Nella sua voce c’è così tanta stanchezza che vorrei smettesse di parlare per poter riposare. Tutti abbiamo bisogno di riposare.

«Sei andato a cercarlo?»

Non c’è rabbia nel tono di Will, solo pura curiosità e voglia di capire; Madden annuisce e un’ombra gli passa sul viso. 

«Sapevo dov’era, non l’ho cercato» ammette Madden, schiarendosi appena la voce perché non risulti roca. «Dovevo dirglielo, l’alcool ha solo reso le cose un po’ più difficili. Se non fosse arrivata la polizia…»

«Ma è arrivata» interviene Will e non so se immagino il sospiro di sollievo o se lo abbia realmente emesso, perché so dove la conversazione ci sta portando. «Non so chi l’abbia chiamata, ma è arrivata.»

«Come mi hai trovato?»

«Clint» replica Will, stringendosi nelle spalle. «Mi ha detto che qualcuno lo aveva avvisato di avervi visto in quel parcheggio e che tu eri fuori di testa. Madden non puoi cercare Bart in quelle condizioni, non sarà mai lui ad andarci di mezzo e se solo dovesse capitare di nuovo una situazione così, con te che finisci arrestato…»

«Mi dispiace» la stretta sulla mia mano si fa più insistente e lo so che non lo sta dicendo solo a Will. «Però tu cerca di non lasciarmi più solo quando esagero con la Tequila.»

«Oh puoi giurarci» ora il sospiro di sollievo lo sento eccome, persino un sorriso da parte di Madden è ben visibile sul suo viso. «Ti starò attaccato al culo come un’ombra. Ora, miei due piccioncini, me ne vado a dormire. Non voglio sentire nemmeno una mosca volare per almeno un paio d’ore.»

Will si alza dal divano in un gesto teatrale, sollevando il dito medio in direzione di Madden prima di chiudersi la porta della sua stanza alle spalle. Lascio cadere la testa all’indietro, posandola sul morbido schienale del divano; le dita di Madden mi sfiorano la guancia, costringendomi a voltarmi verso di lui. La mano la ferma alla base del collo e il metallo fresco dei suoi anelli a contatto con la mia pelle calda mi fa rabbrividire.

«Va tutto bene?» Me lo chiede aggrottando appena le sopracciglia e arricciando le labbra. 

«Sì.» Rispondo in un sussurro, socchiudendo gli occhi. 

«?» Ripete Madden, inumidendosi le labbra e assumendo la mia stessa posizione.

«Ti prego, non fare mai più una cosa del genere» la mano gliela porto al petto, stringendogli il cotone della maglietta. «Ti hanno portato via con i polsi ammanettati, Madden. Non…» Le labbra le posa sulle mie con il chiaro intento di non farmi proseguire oltre nel mio discorso, che ha capito; suona quasi come una promessa.

«Mi dispiace» me lo sussurra contro la bocca, prima di sfiorarmi di nuovo le labbra in un bacio che va oltre le scuse. «Mi dispiace.»

Il respiro mi trema appena mentre annuisco e gli poso la testa nell’incavo del collo, a sfiorarglielo con la punta del naso. Madden sospira per un lungo secondo, poi la guancia la sento adagiarsi sulla mia fronte. Profuma di buono. 

«Lo detesto.» Sussurro, chiudendo gli occhi, ma senza aver bisogno di specificare altro. 

«È solo Bart. Non puoi fare altrimenti» mi ritrovo persino a sorridere e Madden deve accorgersene perché sospira di nuovo. «La Rotterdam di cui parlava Kat è per la partita di calcio, vero?»

«Sì, ma non sono più tanto sicura di voler andare.» 

«Oh no, invece ci andremo eccome» muovo il viso così da tornare a guardarlo negli occhi e Madden deve cogliere la mia tacita domanda. «Margot ci obbliga tutti gli anni a seguirla per Gavin e non vedo l’ora di poter respirare aria nuova.»

«Non pensavo fossi un tifoso così sfegatato della squadra di mio fratello.»

«Non me ne frega un cazzo del calcio» Madden si stringe nelle spalle e con le dita segue la linea del mio viso, fino a racchiuderlo poi nella sua mano. «Ma è l’unico posto in cui sono sicuro che non troverò Bart per un paio di giorni. E questa volta ci sarai anche tu con me.»

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** 30 ***


 

capitolo
30





 

Deve essere successo qualcosa tra Will e suo padre perché quando Kat parcheggia la sua Mini Cooper dietro la Range Rover rossa di Will, lo troviamo di pessimo umore. Sta sbraitando parole contro Madden, che lo ascolta con una sigaretta ormai consumata tra le labbra, annuendo o scuotendo la testa a seconda di ciò che sta dicendo Will. Non colgo l’intero discorso, ma non c’è dubbio che possano aver discusso e sembra anche piuttosto pesantemente. 

«Ti avevo detto che non doveva rimanere.» Madden fa segno a Will di interrompere il discorso perché non sono più soli e a meno che non voglia condividere la cosa, farebbe meglio a tacere. Will sbuffa e il sorriso che si dipinge in volto è piuttosto forzato.

«Faremo tardi.» Borbotta poi, aprendo il bagagliaio quando Kat gli porge un piccolo trolley; Madden mi sta lasciando un bacio tra i capelli.

«Hai insistito tu perché venissimo con voi» replica Kat, scostandosi una ciocca dal viso per portarsela dietro l’orecchio sinistro, dal quale pende un lungo orecchino. «Siamo sempre andate da sole a Rotterdam.» Will sogghigna e recupera anche il mio piccolo bagaglio, incastrandolo accanto agli altri.

«Si arriva prima in compagnia, sai?»

Will ha insistito così tanto affinché Kat e io facessimo il viaggio con loro che gli altri amici sono stati costretti a prendere un’altra auto; non so a che punto siano, ma sicuramente noi non siamo in ritardo. Ho quasi timore che Will si stia interessando un po’ troppo a Kat e spero solo che non si scotti.

«Si arriva prima solo se sali su quella macchina e inizi a guidare.»

Madden mi lascia le spalle per aprire la portiera posteriore e permettermi di salire per poi prendere posto accanto a Will, che sta ancora borbottando qualcosa che però nessuno è in grado di cogliere. A Rotterdam ci arriviamo dopo varie discussioni su che musica sia più adatta a un viaggio, musica che riusciamo ad ascoltare per talmente poco tempo che l’autoradio avrebbe potuto semplicemente rimanere spenta.

Mio fratello e la sua squadra sono arrivati da un paio d’ore, hanno già lasciato i bagagli all’Inntel Hotels Rotterdam Centre e sono al campo pronti per il riscaldamento, in attesa che la partita possa cominciare. Mi rendo conto di come il budget sia aumentato solo quando Will parcheggia finalmente nei pressi dell’hotel; dobbiamo semplicemente fare il nostro nome e mostrare il badge universitario - questa volta gli occhi dolci di Kat non bastano a non farle pagare una piccola quota in più.

Ci lasciano le chiavi delle stanze velocemente, comunicandoci che i piani che vanno dal sesto al decimo sono riservati ai partecipanti alla partita; nessuno passerà la notte in quelle stanze, Kat ha ragione. Non so quale sia la camera di Dylan o con chi la divida, ma la chiave che stringe tra le mani Kat porta il numero 634 mentre quella che tiene tra le dita Madden indica il numero 612. Loro due vanno a sinistra, noi a destra solo per incontrarci nuovamente agli ascensori un quarto d’ora più tardi. 

Will deve riprendere la Range Rover per raggiungere lo stadio dove giocheranno la partita; siamo in ritardo perché Dylan mi ha già mandato due messaggi e Will riesce a trovare parcheggio solo dopo tre tentativi. Margot e Jin ci stanno aspettando all’ingresso e Margot sta fumando di rabbia perché Will è sempre e costantemente in ritardo.

Qualcuno che non conosco ci ha tenuto dei posti e solo quando ci sediamo mi rendo conto di quanta gente ci sia effettivamente intorno e di fronte a noi; sul campo si aggirano già arbitri e altre figure che non riconosco, ma nessuno di noi ne capisce qualcosa perché i dubbi possano essere risolti. Il fischio che segna l’inizio del gioco è così acuto che nemmeno le urla della folla riescono a coprirlo; Margot salta subito in piedi, facendo un tifo così sfegatato per la squadra che se anche noi non fossimo stati presenti, lei avrebbe fatto numero benissimo anche da sola.

Il primo goal della partita lo segnano gli avversari; tutti noi, in perfetta simultaneità, giriamo il viso verso il coach Hendriks: non riusciamo a capire che cosa stia urlando, ma Will sembra divertirsi un mondo a cercare di indovinare. Le imprecazioni più colorite fuoriescono dalle sue labbra e non ci serve poi fin troppa immaginazione per renderci conto che potrebbe persino avere ragione.

Anche il secondo goal viene segnato dalla squadra avversaria e questa volta il coach lancia la cartellina che tiene stretta tra le mani dritta a terra; uno dei compagni di squadra di Dylan si stringe nelle spalle quando il coach lo addita con i più disparati insulti per essersi fatto scappare l’occasione di poter fermare l’attacco avversario.

Dylan stesso chiede il time out qualche secondo più tardi, così da permettere alla sua squadra di poter riprendere fiato e forse anche per confortare il coach Hendriks, che si è passato così tante volte le mani tra i capelli da averli spettinati del tutto. Non riusciamo a sentire il discorso di incitamento che mio fratello fa a i suoi compagni di gioco, ma deve aver detto loro qualcosa di piuttosto intenso e motivante perché passano appena pochi minuti prima che il primo goal a nostro favore venga segnato.

L’artefice del secondo e del terzo che ci porta in vantaggio è Dylan stesso; Margot urla così forte che mio fratello le lancia un bacio, prima di prendere Gavin per le spalle e farlo persino cadere a terra per il troppo entusiasmo. L’arbitro fischia la fine della partita venti minuti più tardi, dove i nostri difensori non hanno più fatto avvicinare gli attaccanti nemici alla nostra porta.

Tutta la squadra corre all’unisono verso il coach Hendriks, il quale cerca di coprirsi il viso quando finalmente realizza che tutti i suoi giocatori lo travolgeranno nel giro di qualche secondo. Lo vediamo essere caricato in spalla da Dylan e da Gavin e Margot si affretta a scendere le scalinate per raggiungere gli spogliatoi.

Imitiamo i suoi passi, andandole dietro fino a trovarci nel retro dello stadio, dove altre persone hanno avuto la sua stessa idea. Dobbiamo aspettare una buona mezz’ora prima che i ragazzi escano dagli spogliatoi e Kat ha già perso la pazienza almeno tre volte perché vuole andare a mangiare prima che si faccia troppo tardi.

Madden ha la schiena poggiata al muro e mi fa da cuscino, cingendomi la vita con le braccia, mentre osservo Will fare su e giù davanti a noi, con le sigarette che si accendono e si spengono alla velocità della luce. È intento a controllare costantemente qualcosa sul suo cellulare, ma non riesco mai a scorgere che cosa sia.

Dylan esce per primo dagli spogliatoi e si scusa in particolare con Kat per averci messo un’eternità; Kat però sembra non volerle accettare le sue scuse, anche dopo varie moine da parte di mio fratello. Riusciamo a liberarci di tutti gli ammiratori solo quando il coach Hendriks chiude a chiave la porta d’uscita, intimando a tutti che non si può più stare qui anche se abbiamo vinto e le parole gli escono dalle labbra in un sorriso che va da un orecchio all’altro.

I vari compagni di squadra si disperdono insieme ad amici e conoscenti e Dylan ci permette finalmente di cenare, dicendo agli altri che li raggiungerà più tardi al Huiskantine. Rimaniamo in quattro fuori dal ristorante, a cena ultimata; Dylan mi ha raccomandato di fare attenzione e di non fare troppo tardi, ma non sono poi così sicura che lo stesse dicendo a me in particolare, piuttosto un monito per sé stesso. 

«C’è una mostra temporanea di teatro a qualche isolato di distanza» Kat si aggiusta il rossetto sulle labbra e mi guarda con il chiaro intento di trascinarmi con lei. «Chi viene con me?»

A mia volta osservo Will e Madden: il primo si stringe nelle spalle, Madden invece scuote impercettibilmente la testa, prima di fare un cenno verso qualcosa che non colgo. Ripete il gesto una seconda volta, mimando con le labbra il nome del nostro hotel.

«Io…» azzardo, ma Will è più veloce di me e non mi lascia poi molto tempo per poter concludere la frase; sono quasi sicura che abbia captato le intenzioni di Madden.

«Ti accompagno io.» Kat lo osserva per un paio di secondi, sollevando il sopracciglio sinistro con fare curioso per poi stringersi nelle spalle e aggiustarsi la borsa. «Adoro il teatro.»

Madden camuffa una risata con un paio di colpi di tosse e Kat sembra pensarci su ancora qualche istante prima di allungare leggermente il braccio e indicare la strada a Will. Li osservo per qualche secondo, guardandoli sparire poi a destra. Madden mi prende la mano, camminando nella direzione opposta rispetto a quella presa da Will e Kat.

«Adoro il teatro?» Mormoro, seguendo i passi di Madden; questa volta la risata non la trattiene. 

«Vuoi dirmi che Will si è preso una cotta per la tua amica?» L’insegna del nostro hotel è già visibile dall’altro lato della strada; un leggero vento mi alza appena la gonna del vestito che indosso, provocandomi dei brividi lungo le gambe. 

«Spero proprio di no.» 

«Lei è tuo fratello stanno insieme?» Madden me lo domanda a bruciapelo e mi metto a ridere così forte che lui stesso arresta i propri passi in mezzo alla strada.

«Dylan e Kat insieme?» Domando retorica, scuotendo la testa nell’esatto momento in cui pronuncio quelle parole. «No, Dylan è tanto mio fratello quanto il suo. A Kat piace divertirsi, si annoia molto facilmente. Perché stiamo tornando in hotel?»

Madden sorride e una fossetta infantile gli compare sulla guancia, ma non risponde. Fischietta fino all’entrata, aspettando che le porte automatiche si aprano al nostro passaggio; in reception una ragazza dai capelli biondi ci rivolge un sorriso di cortesia quando le passiamo accanto, diretti agli ascensori. Madden però non preme il tasto recante il numero del piano in cui ci sono le nostre camere da letto, ma quello che ci porta due piani sotto lo zero.

«Che cosa…» Madden preme le proprie labbra sulle mie con il solo intento di zittirmi perché lo sento sorridere e ancorare la mano al mio fianco destro.

«Ho voglia di fare un bagno.» Mormora semplicemente.

Giusto quando il ding che decreta il nostro arrivo echeggia nell’abitacolo e le porte dell’ascensore si spalancano su un piano deserto e scarsamente illuminato. C’è solo un rumore in sottofondo e man mano che Madden percorre il corridoio, realizzo che si tratta di acqua che scorre, come se ci fosse una cascata a pochi passi da noi. 

«Madden, non credo che possiamo stare qui.»

Le mie parole sono appena un sussurro e la risata di Madden è bassa mentre continua a fare strada, con la mia mano nella sua e la destra che stringe il suo braccio. Altre due porte automatiche si aprono quando le fotocellule intercettano le nostre figure; il rumore dell’acqua è meno intenso rispetto al riverbero del corridoio perché la cascata sul fondo della parete non è del tutto funzionante, così come le due vasche idromassaggio non sono completamente in funzione. Persino l’illuminazione è scarsa, ci sono un paio di luci di cortesia accese a rendere l’ambiente meno buio, colorando l’acqua azzurra di un arancio molto caldo.

Madden aspetta che le porte si chiudano del tutto poi, soddisfatto di essere arrivato a destinazione senza intralci, sorride e dà la schiena alla piscina, camminando all’indietro e tirandomi con sé. 

«Vedi qualche cartello di divieto?» Fa finta di guardarsi intorno mentre scuoto la testa.

«No, ma gli idromassaggio spenti e la luce soffusa…» 

Madden ha già smesso di ascoltarmi e ha persino lasciato le mie mani solo per darmi le spalle e dirigersi verso il bordo della piscina. La mano destra se la porta dietro il collo, a sfilarsi il maglioncino che indossa, lasciandolo cadere poi al suolo. Leva le scarpe, slaccia la cintura ai jeans e si libera anche di quelli, fino a che tutti gli indumenti sono un mucchietto indistinto di vestiti. Mi guarda da oltre la spalla, sorride e si tuffa in piscina, producendo un eco tanto forte che mi volto verso le porte dietro di me, con la paura che qualcuno possa sentirci.

Riemerge a metà vasca, passandosi prima una mano sul viso e poi tra i capelli, a scostarseli dalla fronte. Mi avvicino quasi in punta di piedi, temendo di fare rumore; Madden mi fa cenno di seguirlo, ma incrocio in fretta le braccia al corpo, scuotendo la testa. Tiro comunque via le scarpe e lascio la borsa a terra, abbassandomi sui talloni a sfiorare l’acqua con la punta dei polpastrelli; è così tiepida da sembrare quasi calda.

«Dovresti proprio entrare.» Intima Madden, sparendo per qualche secondo prima di riaffiorare di nuovo, appena poco distante da me.

Immergo entrambe le gambe nell’acqua fino alle ginocchia, sollevando appena il vestito sulle cosce perché non si bagni, sporgendomi verso Madden con le mani ben salde sul bordo della piscina. 

«Se dovessero scoprirci, almeno uno di noi si salverebbe» Madden si stringe nelle spalle, passandosi più volte le mani tra i capelli a eliminare l’acqua in eccesso. «Sai di non avere neanche un asciugamano, vero? Dovremmo aspettare che tu sia completamente asciutto prima che quei jeans possano essere di nuovo indossati.»

Mi rendo conto che il punto in cui sono seduta deve essere uno di quelli in cui l’acqua è più bassa perché la superficie della piscina si increspa sui fianchi di Madden, che sta camminando verso di me. Alcune gocce d’acqua gli sfuggono dai ricci, finendomi sulla pelle nuda delle gambe e facendomi di conseguenza sussultare. Si abbassa leggermente, posando le mani accanto alle mie e inclinando il viso tanto da sfiorare la punta del mio naso con il suo.

«Sei una guastafeste, Zucchero.»

La sua bocca umida cattura la mia, mordendomi appena il labbro inferiore; quando si immerge nuovamente, i palmi delle mani li adagia sulle cosce, tirandomi così verso l’acqua, ma lasciandomi ancora in equilibrio sul bordo della piscina. Madden non si allontana, mi tiene stretta solleticandomi la pelle con la punta delle dita, lasciando rivoli d’acqua ovunque.

«Hai mai pensato di andare via da Amsterdam?»

La domanda mi sfugge dalle labbra senza che quasi me ne accorga, ma mi frulla in testa da quando siamo arrivati; Madden sembra diverso, più rilassato. Il pomo d’Adamo fa su e giù un paio di volte, poi annuisce e si avvicina, intrappolandomi i polpacci tra le braccia, quasi gli servisse per rimanere a galla.

«Tutti i giorni» mormora, aggrottando appena le sopracciglia. «Ogni mattina mi sveglio e penso a quanto vorrei andare via di qui, lasciarmi Bart alle spalle per sempre.»

«Perché non lo hai mai fatto?» Glielo chiedo con una punta di timore nella voce e Madden sorride appena.

«Mia nonna non può rimanere da sola con mio padre» è una risposta così palese che mi sento quasi stupida ad aver posto la domanda. «E non posso lasciare Will; dove c’è lui, ci sono io.» Allungo una mano a scostargli una ciocca di capelli dalla fronte e le labbra si distendono appena, poi le posa all’altezza delle ginocchia, lasciandovi un bacio umido prima sul destro e poi sul sinistro.

«È successo qualcosa tra Will e suo padre, non è vero?» Madden espira bruscamente, poi annuisce e si schiarisce la voce.

«Will non è abituato a condividere gli spazi con qualcuno che non sia io e suo padre è un estraneo» Madden parla piano, dondolandosi leggermente nell’acqua. «Credevo che averlo lì avrebbe in qualche modo fatto bene a entrambi, ma Will non la pensa così: non lo vuole intorno e io non posso costringerlo a costruire un rapporto che non vuole avere. Gli ha detto di andarsene e così ha fatto, poco prima che arrivaste.»

«Lo ha cacciato?»

«Già» sospira di nuovo Madden. «Dicendogli molto chiaramente di rifarsi una vita, che nella sua non c’è posto. Credo sia comunque successo dell’altro, li ho sentiti discutere su un paio di persone che si sono presentate alla nostra porta e che chiaramente non dovevano stare lì.»

«Lui sta bene?»

«È sempre Will» Madden volta appena il viso e un leggero ghigno gli affiora sulle labbra; fa leva in fretta sulle braccia, issandosi fino ad uscire dalla piscina. «E ora muoviti, sta arrivando qualcuno.» Me lo sussurra all’orecchio, solleticandomi il viso con il respiro.

Mi alzo così in fretta che se Madden non avesse avuto i riflessi più che pronti, riuscendo ad afferrarmi il braccio mentre con una mano tiene ben stretti i propri vestiti, sarei finita in acqua; recupera anche le mie scarpe e la mia borsa e mi trascina verso il fondo della sala. Una luce si accende, ma svoltiamo l’angolo giusto in tempo.

Le porte dell’ascensore si aprono dopo qualche secondo in cui sento il cuore martellarmi nelle tempie e Madden ridacchiare al mio fianco, tentando di infilarsi il maglioncino nelle braccia ancora troppo bagnate perché la stoffa scivoli correttamente. I jeans riesce ad abbottonarli solo una volta che l’ascensore ferma al sesto piano. Svoltiamo a sinistra camminando svelti e Madden passa la chiave elettronica della serratura della porta, producendo un rumore sordo che echeggia nel silenzio del piano dell’hotel. 

«Te l’avevo detto che non potevamo stare lì.» Prendo al volo l’asciugamano che Madden mi lancia dal bagno per potermi asciugare le gambe.

«Probabilmente era qualcuno che ha avuto la mia stessa idea» si stringe nelle spalle, sfilandosi nuovamente il maglioncino e lasciandolo cadere a terra, recuperando un paio di pantaloni asciutti. «Torno subito.» 

Mi siedo sul letto che immagino appartenere a Madden, tamponando l’acqua dalle gambe e ascoltando il rumore della doccia prendere vita dal bagno. Il mio telefono emette il suono di un messaggio appena ricevuto e mi alzo per raggiungere la scrivania accanto alla vetrata sulla quale Madden ha posato la mia borsa.

È una foto di Dylan quello che vedo ed è così ubriaco che sono quasi tentata di chiamarlo per assicurarmi che stia bene; mi arrivano altre due foto e un messaggio in cui mi dice che non si è mai divertito tanto e gli dispiacerà non ricordarsi niente domani mattina. Sorrido mentre digito una risposta, poi sussulto perché le braccia di Madden mi avvolgono la vita e il suo torace si scontra con la mia schiena.

«Scusa.» Sussurra tra i miei capelli, rendendosi conto di avermi colto alla sprovvista. Poso il telefono sulla scrivania e gli allaccio le mani sugli avambracci. È a torso nudo e le braccia, libere da qualsiasi stoffa, mostrano tutti i tatuaggi impressi sulla sua pelle; profuma di qualcosa di molto simile alla lavanda.

«Mio fratello è ubriaco e non ho idea di come tutta la squadra rientrerà in hotel senza distruggere qualcosa.» 

«Oh nessuno tornerà in hotel stanotte» replica Madden, posandomi un bacio sulla spalla. «Sono piuttosto sicuro che tu e io saremo gli unici a passare la notte qui.» Un secondo bacio me lo lascia sul collo.

«A nessun altro è venuto in mente di intrufolarsi in piscina.» Madden mi volta tra le sue braccia e i nostri nasi quasi si sfiorano.

«Se solo avessimo avuto il permesso di stare in quella piscina.»

Mi tira contro di sé, annullando del tutto la distanza che ancora ci separa; chiudo gli occhi quando mi bacia le labbra e spero che il cuore se ne stia fermo e non impazzisca tanto da costringermi ad allontanarmi. Madden muove un passo all’indietro e poi un altro ancora, fino a quando non lo sento abbassarsi e trascinarmi giù con lui. È seduto sul bordo del letto e in qualche modo è riuscito a farmi salire sulle proprie gambe, tanto da incrociarle dietro di lui.

Mi tiene contro di sé con una mano sola, ferma alla base della mia schiena; l’altra corre lungo la gamba, salendo dal polpaccio fino alla coscia, insinuandosi appena sotto il vestito. Le dita premute sulla carne mi fanno inarcare la schiena e trattenere il fiato; mi bacia il collo tracciando una linea immaginaria dall’orecchio alla clavicola, mordendo appena la pelle sensibile della spalla.

«Madden.»

Lo sento mormorare qualcosa quando chiamo il suo nome, ma non posso dirgli che non può fare altro, non qui, non con Will che potrebbe rientrare da un momento all’altro insieme a Kat. Non posso perché la sua bocca è di nuovo sulla mia e non mi lascia scampo, mi toglie qualsiasi respiro e il cuore è come impazzito, tanto che devo convincermi che siamo solo io e lui. Che siamo sempre solo io e lui. Ed è sempre e solo Madden.

«Aspetta» Madden scosta il viso ed entrambe le mani me le porta sulle guance, posando la fronte sulla mia; il suo respiro mi solletica ancora le labbra. «Non qui.»

«Scusa» il suo torace si alza e si abbassa veloce, scontrandosi con il mio petto ad ogni respiro. «È solo che…»

«Lo so.»

Non mi lascia andare per minuti interi, mi tiene stretta senza darmi la possibilità di spostarmi; le sue mani sulle guance e le mie tra i suoi capelli, ancora umidi di doccia. C’è un rumore sordo in corridoio, di qualcosa che cade al suolo, ma né io né Madden ce ne preoccupiamo; un’imprecazione sottovoce mi fa però aggrottare le sopracciglia e le spalle di Madden si irrigidiscono.

«Non è quella la tua stanza.»

«Sono piuttosto sicuro che invece sia proprio quella, tesoro» le nocche premute contro il legno echeggiano nel corridoio, poi una risata. «Oh, ma tu non sei Mad.» Madden chiude gli occhi e impreca sottovoce: Will.

Ci alziamo dal letto e sono io ad aprire la porta, mentre Madden recupera una maglietta dal suo bagaglio. Kat sta cercando di tenere Will per un braccio, così che non caschi a terra e quando si volta nella nostra direzione, un sospiro di sollievo le sfugge dalle labbra.

«Tu sei Mad!» Will riesce a liberarsi solo per incespicare verso di noi e Madden lo afferra appena in tempo prima che cada rovinosamente a terra.

«Mi dispiace, non sapevo ci fosse l’open bar alla mostra.»

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** 31 ***


 

capitolo
31





 

Per una settimana intera il campus pare tramutarsi in un palcoscenico dove le star continuano a essere Dylan e i suoi compagni di squadra. In ogni dove ci sono gruppi di ragazzi che ancora lodano l’esito della partita e il nome di mio fratello è costantemente sulla bocca di tutti, più del solito. La squadra continua ad allenarsi perché il coach Hendriks non è mai soddisfatto e non c’è mai un momento in cui si può abbassare la guardia. Persino in Biblioteca c’è più chiacchiericcio del solito.

«Pensavo di essere salva almeno qui» digito velocemente sulla tastiera mentre Jules ridacchia nella sedia accanto alla mia. «Stamattina a lezione due ragazze mi hanno chiesto quali fossero gli orari di Dylan.»

«Mi stupisco di come non sia stato lui stesso ad affiggerli per i corridoi.»

Jules fa un veloce cenno con il capo oltre il bancone e seguendo la sua traiettoria, noto mio fratello fare il suo ingresso trionfale in Biblioteca, con uno zaino a pendergli dalla spalla e il borsone da calcio sull’altra. Saluta un paio di persone e alla loro richiesta di sedersi al tavolo per un attimo, Dylan accetta senza battere ciglio, ben felice di poter parlare ancora e ancora della partita giocata.

«Come va la tua spalla?» Vedo Jules alzare gli occhi al cielo e sbuffare così forte che una ciocca di capelli gli svolazza sulla fronte.

«Il medico dice che devo tenere il tutore per altre due settimane» mormora e non so se sia più arrabbiato dalla situazione in cui si è cacciato o se abbia ormai perso le speranze e si sia costretto ad accettare la realtà. «Penso che il coach mi detesti; persino l’allenatore di nuoto mi ha tolto il saluto.»

«Non è stata colpa tua.»

«No, ma avrei potuto evitare di andare in skate due giorni prima della partita.»

«Sì, avresti potuto» lo prendo in giro; la risata di Dylan echeggia in Biblioteca. «Non è possibile…»

«Hey, Dylan» la voce di Jules sovrasta la mia ancor prima che io stessa possa chiamare il suo nome. Mio fratello si volta verso di lui e alza una mano in segno di saluto. «Vieni qui.» Sussurra Jules e le sopracciglia di mio fratello si aggrottano confuse. Si scusa con le persone sedute al tavolo e ci raggiunge portandosi dietro lo zaino e la sacca da calcio.

«Come stai, Jules?» 

«Dylan, non puoi venire a fare comizi in Biblioteca» glielo dico in un sussurro perché li vedo gli occhi puntati su di noi. «Ti prego, vai in caffetteria piuttosto.»

«Non sono venuto qui a fare comizi» borbotta trafficando nello zaino, posando poi sul bancone Le metamorfosi di Apuleio e spingendolo verso di me. «Ti ho riportato questo prima di andare agli allenamenti.»

«Sempre e costantemente in ritardo» replico scuotendo la testa. «Dovresti essere sulla lista nera della signorina Penny.»

«La signorina Penny mi adora.» Sorride sornione Dylan.

«Oh non potrebbe essere altrimenti» mio fratello si stringe nelle spalle, più che consapevole dell’effetto che esercita sulle persone. «Ora porta i tuoi comizi fuori di qui, dobbiamo chiudere.»

«Ai tuoi ordini» abbassa il capo prima di fare un occhiolino a Jules. «Vieni con me agli allenamenti?»

Jules annuisce in fretta recuperando lo zaino da sotto il bancone; Dylan e Jules mi salutano con un gesto della mano prima di sparire oltre le porte scorrevoli. Poco dopo anche gli ultimi studenti lasciano la Biblioteca; il libro che mi ha riportato Dylan lo registro a mio nome e lo ritiro nella mia borsa. Jasmine mi aspetta nel parcheggio, all’ora di pranzo mi ha offerto un passaggio perché oggi deve andare da quella parte; mi lascia poco distante da casa e l’ultimo tratto lo percorro a piedi.

Will mi ha raccomandato di essere a casa sua per le 20:30, così entro nel mio appartamento giusto in tempo per una doccia e per cambiarmi prima di percorrere nuovamente a ritroso la strada: sono persino in anticipo. Will mi apre la porta con uno strofinaccio posato sulla spalla e i capelli più in disordine del solito.

«Stai cucinando?» Glielo chiedo con una punta di timore nella voce, posando la borsa e la giacca sul divano.

«No, tranquilla» mi prende in giro Will, sparendo in cucina. «Sto solo lavando i piatti. Lo so che non volete che cucini io.»

«Dov’è il tuo coinquilino?» L’appartamento è troppo silenzioso perché anche Madden sia in casa.

«A prendere la cena» replica Will, riponendo gli ultimi bicchieri nella credenza sopra il lavello. «Dovremmo pur sopravvivere in qualche modo. Faccio una doccia mentre lo aspettiamo; come se fossi a casa tua Zucchero

Mi accomodo sul divano, ascoltando l’acqua scorrere nelle tubature e Will canticchiare sotto la doccia; sfoglio distrattamente il libro che ha restituito Dylan e lascio una piccola piega nell’angolo della pagina per non perdere il segno. L’auto di Madden si ferma proprio davanti al cancello perché la vedo dalla finestra. Sono io ad aprirgli la porta e lo vedo sussultare sorpreso, ma rilassare immediatamente l’espressione.

«Sei in anticipo» afferma, sporgendosi per lasciar cadere le chiavi sul tavolino. «Sarei venuto a prenderti tra poco.» Mi supera per dirigersi in cucina, così chiudo la porta e seguo i suoi stessi passi, osservandolo posare tutto sul tavolo e togliersi la giacca di pelle.

«Per un momento ho pensato che Will stesse cucinando di nuovo.» Madden scoppia a ridere e mi prende il viso con entrambe le mani, posando le sue labbra sulle mie in un semplice bacio di saluto.

«Non ti farei più uno sgarbo del genere.» 

«Io non cucino così male.» Will entra in cucina sbattendo i piedi e controllando che cosa Madden abbia portato a casa.

«Oh Will…»

«No, ma è meglio per tutti se ti limitassi solo a mangiare» Will sbuffa e si affretta a prendere piatti e stoviglie dove poter rovesciare il cibo contenuto nei cartoncini. «Ti ho preso anche il dolce.»

«Che non dividerò.» Ci tiene a sottolineare Will, guardando prima Madden e poi me.

«Lo so.» Replica Madden, sedendosi a tavola e porgendomi il piatto che Will tiene tra le mani.

«Volete sapere che cos’è successo oggi?» Will mi siede di fronte e infilza la sua cena con fin troppa enfasi; non aspetta una nostra risposta, ce lo dice e basta. «Quella stronza di mia madre ha avuto il coraggio di chiamarmi e di chiedermi come stesse andando con mio padre.»

«Tua madre ha chiamato?» Madden lo guarda quasi preoccupato.

«Ogni tanto si ricorda che esisto» replica Will. «E cosa mi chiede? Di mio padre! Lei mi ha messo nei casini e ha persino il coraggio di chiamarmi e chiedermi come stia andando!»

«Non hai più parlato con lui?»

«Non da quando l’ho cacciato» Will gioca con gli avanzi, spostandoli a destra e a sinistra nel piatto. «Non avrebbe senso, no?»

«Non sai dove possa essere?» Glielo chiedo io e con la coda dell’occhio vedo Madden scuotere appena la testa nella mia direzione, quasi a volermi dire di non entrare nel discorso.

«Non è un problema mio» replica Will palesemente seccato, poi sbuffa e sposta in avanti il piatto facendo tintinnare le posate su di esso. «Non ho nessuna necessità di pormi questa domanda alla quale chiaramente non ho interesse nel conoscere la risposta.»

«Will…»

«Potrebbe essere ovunque» Will non dà segno di aver sentito Madden chiamare il suo nome. «Sono sopravvissuto senza di lui per anni e non me la sono cavata poi così male.» Fulmina Madden con lo sguardo quando capisce che è lì lì per aprire bocca, forse a dissentire, e sembra rilassarsi a quella sua espressione. 

«Tua madre non ha rapporti con lui?» Azzardo di nuovo, ma Will sembra essersi ormai sgonfiato e si allunga oltre il tavolo a recuperare il dolce che Madden ha preso per lui.

«Non che io sappia» alza il coperchio di plastica e osserva il tortino al cioccolato al suo interno per qualche secondo. «Ma anche questo è qualcosa che non ho interesse nel conoscere. Sapete cosa farò, invece?» Il tortino lo richiude scrupolosamente all’interno della confezione, alzandosi poi in piedi.

«Che cosa farai?» Madden si passa una mano tra i capelli ponendogli quella domanda.

«È venerdì sera e ho voglia di andare a ubriacarmi.»

«Will…»

«Non ho intenzione di passare la serata con voi due piccioncini qui a casa e fare il terzo incomodo. Cecy si è persino portata i compiti!» Gonfio le guance a voler rispondere, ma Will non ha ancora concluso il suo discorso. «Ora chiamo Jin e me ne vado al solito pub. Tornerò a casa strisciando per tutto l’alcool che avrò ingurgitato o forse non tornerò affatto e dovrete venire a prendermi.» Will esce dalla cucina a passo svelto, strisciando persino la sedia sul pavimento; Madden impreca sottovoce e lo segue prima che possa uscire di casa come una furia.

«I compiti! Il venerdì sera!» 

«È solamente un libro, Will» replico divertita, rubandoglielo dalle mani per evitare che lo sgualcisca. «Nessuno fa più i compiti dalle elementari.»

«Will, sei proprio sicuro di voler uscire?» Domanda infine Madden, con le braccia incrociate al petto e la spalla destra contro lo stipite della porta della cucina.

«Vuoi venire?» Ribatte Will, aggiustandosi il bavero della giacca sul collo.

«Non verrò con te in questo stato, sei ridicolo» Will alza gli occhi al cielo e borbotta qualcosa che non capiamo. «Dove vai di preciso? Sei sicuro che Jin verrà con te?»

«Vado all’Arendsnest» replica Will, senza pensarci troppo su. «E Jin verrà di certo, immagino che nemmeno lui voglia fare il terzo incomodo tra Margot e Gavin.»

«Non fare cazzate, ti prego» mormora Madden, ormai arrivato al limite della sopportazione. «Non ho voglia di passare la notte a cercarti.»

«Tu pensa solo a non mangiare il mio tortino al cioccolato.» Will inforca la porta di casa, sbattendosela poco elegantemente alle spalle.

Madden prende un lungo respiro e scuotendo la testa rassegnato, torna in cucina per mettere in lavastoviglie tutti i piatti e le posate utilizzate per la cena. Lo sento fischiettare fino a raggiungermi di nuovo e sedersi scompostamente sul divano, al mio fianco.

«Ti sei davvero portata i compiti?» Madden mi ruba dalle mani il libro, leggendo il fronte e il retro della copertina prima di ridarmelo e portare un braccio oltre lo schienale del divano, a cingermi così le spalle.

«È solo un libro.» Ripeto sedendomi comoda, con le dita di Madden a solleticarmi la spalla.

«La bellezza della più giovane era così straordinaria, così fuori dal comune che il linguaggio umano appariva insufficiente e povero non solo a descriverla ma anche solo a lodarla

«Cerchi di impressionarmi citando Apuleio?» Madden sorride e si morde appena il labbro inferiore, inclinando il viso nella mia direzione per lasciami un bacio sulla guancia.

«Forse» indugia sulla mia pelle qualche secondo prima di scostarmi una ciocca di capelli dal viso. «Dimentichi che frequento anche io il corso di letteratura.»

«Conosci la storia di Amore e Psiche?» Madden si stringe nelle spalle. «Non vale dire di sì e sapere che forma ha la statua di Canova non significa conoscerne la storia.»

«Raccontamela allora.»

Madden mi lascia un bacio a fior di labbra poi mi afferra per le spalle, spingendomi giù delicatamente verso le sue ginocchia; con la testa poggiata sulle sue gambe lo guardo dal basso e lo vedo sorridere mentre con la mano sinistra mi accarezza delicatamente i capelli, attorcigliandoseli alle dita.

«Va bene.»

«Vediamo se è la stessa storia che conosco io.»

«La leggenda narra che Psiche fosse una bellissima fanciulla, così bella da essere addirittura chiamata Venere.»

«Mi ricorda qualcuno» Madden si porta un dito alle labbra, come se stesse realmente pensando a qualcosa e non fosse semplicemente atto a prendermi in giro. «Mi verrà in mente. Continua pure, ti ascolto.»

«Ovviamente, la vera Venere si adirò e decise di affidare a suo figlio Amore un compito ben preciso per attuare la sua vendetta: far innamorare Psiche dell’uomo più brutto e avaro del mondo.»

«Crudele.»

«Qualcosa però non andò come previsto perché nello scagliare la freccia, Amore sbagliò il colpo e colpì sé stesso, innamorandosi così perdutamente di Psiche.»

«Stupido.» 

«O magari ha solo sbagliato perché rimasto folgorato dalla bellezza di Psiche.» 

«Può essere, sì» Madden la mano destra la intreccia alla mia, portandosela alle labbra. «E poi che cosa succede?»

«Succede che i genitori di Psiche, che stavano cercando un marito per lei, la abbandonarono su una rupe su consiglio di un oracolo secondo il quale arriverà a portarla via un essere mostruoso molto simile a un drago che si diceva essere temuto persino dagli dei stessi.»

Sorrido quando le labbra di Madden mi solleticano la pelle.

«Alla rupe comunque non arrivò di certo un drago, ma Amore, che con l’aiuto di Zefiro, riuscì a portarla al suo palazzo. Quella notte, senza rivelare mai il proprio volto a Psiche e di nascosto dalla madre, si unì a lei in una passione che nessun mortale conosce né conoscerà mai.»

«Cupido innamorato?»

«Già» replico, sistemandomi meglio sul divano. «Il loro amore proseguì senza che l’identità di Amore venisse mai rivelata, tanto che il dio si fece promettere da Psiche che non avrebbe mai e poi mai cercato di vedere il proprio volto, pena la fine della loro relazione.»

«Ed è riuscito nella sua impresa?»

«Ovviamente no» Madden aggrotta le sopracciglia. «Psiche, mossa da curiosità e spinta addirittura dalle sue sorelle, una notte decise di scoprire chi fosse il suo sposo, venendo così meno alla sua promessa. Di nascosto Psiche si avvicinò al volto di Amore con una lampada: folgorata dalla sua bellezza, Psiche si distrasse e una goccia d’olio cadde dalla lampada, svegliando Amore.»

«Oh, Psiche…»

«Amore, vedendo la sua fiducia essere tradita, fuggì e lasciò sola Psiche nel castello. Lei, disperata, fece la stessa cosa alla ricerca di Amore, finendo poi per consegnarsi a Venere stessa per implorare perdono e sperare di poter placare la sua ira. Venere la sottopose a diverse prove, tutte impossibili da superare; Psiche però, con l’aiuto di altre creature, ebbe comunque la meglio.»

«E Venere non si è arresa?»

«No, le chiese un’ultima prova, quella più difficile: scendere negli Inferi per chiedere a Prosperina un po’ della sua bellezza. Psiche riuscì ovviamente nell’impresa, portando addirittura con sé un’ampolla da non aprire.»

«E invece non ha resistito.»

«Sai che cosa conteneva quell’ampolla?» Madden scuote la testa e ora la mano me la posa sullo stomaco, senza lasciare la mia. «Conteneva un sonno profondissimo e Psiche, aprendola, fece sprigionare una nuvola e cadde così addormentata. Amore riuscì poi a svegliare Psiche e chiese aiuto a suo padre Giove per poterla portare con sé sull’Olimpo, dove Psiche berrà dell’ambrosia diventando così immortale. Solo in questo modo il loro amore venne accettato dagli dei: Psiche divenne protettrice delle fanciulle ed ebbe una figlia da Amore: Voluttà.»

«Hanno avuto il loro lieto fine.» Asserisce Madden, schiarendosi la voce.

«Sì, alla fine sì.» Chiudo gli occhi quando mi passa un dito sul viso, a tracciare il contorno dello zigomo e della guancia, soffermandosi sul mento.

«Perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi la passione.» Cita di nuovo Madden, facendomi sorride e scuotere poi la testa.

«La signorina Sophie sarà così fiera di te quando ti sentirà citare a memoria queste cose.»

Madden apre bocca per rispondere, ma il suo telefono, posato sul tavolino di fronte a noi, squilla così forte da farci sussultare entrambi. Allungo un braccio per recuperarlo e quando vedo sullo schermo il nome di Will, accetto la chiamata mettendo in vivace. 

«Will, hai già cambiato idea e stai tornando a casa?» Madden afferra il cellulare e se lo porta vicino alle labbra, con un sorriso divertito dipinto in volto.

«Madden Harvey?» La voce che proviene dall’altro capo del telefono non appartiene a Will; Madden deglutisce e il sorriso lascia posto a un’espressione così tesa da mettermi i brividi. Torno a sedermi e mi volto completamente verso di lui.

«Chi parla?» Madden lo domanda in un soffio, addrizzando la schiena, pronto a qualsiasi cosa.

«La chiamo dall’Amsterdam UMC» conto i battiti che il mio cuore decide di mancare proprio in questo istante: sono due. «È l’unico contatto di emergenza tra quelli del signor Will Bakker. Si trova qui da noi; la prego di raggiungerci il prima possibile

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** 32 ***


 

capitolo
32





 

Al telefono non ci danno ulteriori notizie e lo osservo pian piano scivolare dalle mani di Madden, rimbalzargli sul ginocchio e finire a terra con un tonfo talmente sordo da farmi sussultare. Il suo respiro si riduce a un tremolio mentre sul viso gli passano diverse emozioni tutte insieme: stupore, confusione, rabbia, panico e disperazione.

Lo osservo per minuti interi che pesano come se fossero ore infinite in cui me ne sto seduta al suo fianco, con le mani a tremarmi in grembo, incapace di muovermi. Quando riesco a metabolizzare quello che è appena accaduto sbatto le palpebre, lasciando persino uscire il respiro che non mi ero accorta di trattenere.

Mi rendo conto che Madden è completamente disconnesso dalla realtà in cui ci troviamo perché lo chiamo per nome tre volte e per tre volte, lui non dà nessun segno di avermi sentito. Mi sollevo dal divano con le gambe tremanti solo per posizionarmi esattamente di fronte a lui; mi abbasso sui talloni, posando entrambi i palmi delle mie mani sulle sue ginocchia.

«Madden» lo chiamo di nuovo in appena un sussurro, ché la voce non ne vuole sapere di collaborare. Questa volta però gli occhi li abbassa su di me e il respiro che gli esce dalle labbra è spezzato e irregolare; mi fa male ovunque. «Madden, dobbiamo andare. Devi- ti devi alzare dal divano, ti prego.»

Madden mi studia il viso per alcuni istanti, con le sopracciglia appena aggrottate. Lo sento respirare e annuisco nella sua direzione, in un misero volerlo far ragionare. Deglutisce e posa solo una mano sulla mia, ma non a stringerla: a scostarla.

Non è un movimento brusco il suo, non sono nemmeno sicura che si stia rendendo conto dei gesti che sta compiendo perché si alza dal divano e mi supera, diretto all’appendiabiti accanto alla porta. Indossa la giacca e recupera le chiavi con movimenti quasi meccanici. Mi affretto a seguire i suoi stessi passi e a spegnere la luce quando si dirige lungo l’ingresso per uscire nel vialetto; gli afferro la mano poco prima che raggiunga il cancello.

«Madden, guardami.»

Riesco a fare in modo che si volti nella mia direzione, mi alzo sulle punte dei piedi e afferro con entrambe le mani il suo viso, portandomi tanto vicino da sfiorargli il naso con la punta del mio. Madden sgrana gli occhi e posa le sue mani sui miei polsi; questa volta non mi allontana, li stringe tanto forte da farmi quasi male.

«Respira.» Annuisce e obbedisce chiudendo gli occhi e avvicinando la sua fronte alla mia.

«Will…»

«Sono sicura che stia bene» lo anticipo, lasciandogli il viso per stringergli entrambe le braccia al collo; siamo corpo contro corpo e le dita di Madden mi arpionano i fianchi. «Vuoi che guidi io?»

«No.» Me lo sussurra contro la pelle del collo, lasciandovi un bacio tanto delicato da farmi rabbrividire; annuisco, ma non sono io a sciogliere l’abbraccio. Lascio che lo faccia lui.

Una volta acceso il motore dell’auto, Madden posa entrambe le mani sul volante e stringe così forte da far defluire il sangue dalle nocche; respira a fondo tre volte e io lo osservo con così tanta attenzione da ripetere i suoi movimenti. Nel silenzio assoluto dell’abitacolo sento il mio cuore rimbombare nelle tempie.

Madden ingrana la prima marcia e si muove sull’asfalto, seguendo le indicazioni che il navigatore ci fornisce ogni volta che una nuova direzione viene da lui intrapresa. Non c’è musica tra di noi, solo i respiri pesanti di chi vorrebbe arrivare in fretta e scoprire che non è successo niente di grave. Non può essere successo niente di grave. Mi ritrovo a stringere i pugni sulle ginocchia e quando Madden imbocca l’autostrada, finalmente libero dal dover cambiare le marce, mi posa la mano destra sulle mie riuscendo a sciogliere il groviglio delle mie stesse dita per intrecciarle alle sue.

Sospiro rumorosamente, ma non serve a calmare il cuore che batte per conto suo ad un ritmo nuovo. Non so chi dei due stia cercando di dare forza all’altro, ma quando finalmente riusciamo a scorgere le luci dell’ospedale, una nuova ondata di panico s’impossessa sia del corpo che della mente.

Madden parcheggia velocemente e con altrettanta fretta scende dall’auto, aspettandomi dall’altro lato per potermi afferrare nuovamente la mano e condurmi all’ingresso. Sorprendentemente ci accoglie il silenzio che però è più rumoroso del caos stesso. All’accettazione ci sono due infermiere intente a dare indicazioni telefoniche e una invece è libera da qualsiasi mansione, sta semplicemente sfogliando distrattamente una cartellina con le sopracciglia aggrottate. La posa alla scrivania quando Madden le si ferma di fronte.

«Posso aiutarvi?» Ci domanda con un sorriso; deve aver capito l’agitazione nei gesti di Madden perché fa subito il giro della scrivania. Poso una mano tra le scapole di Madden e sento il suo battito cardiaco rimbalzarmi sul palmo della mano.

«Will Bakker» pronuncia appena, deglutendo alle sue stesse parole. «Mi hanno chiamato dicendo che si trova qui da voi. Dov’è? Cos’è successo? Come sta? Lui…»

«Faccia un respiro profondo e cerchi di calmarsi» la targhetta che porta appuntata alla divisa recita il nome Joceline; Madden obbedisce o quanto meno ci prova. «Will Bakker hai detto?»

«Sì.» Madden risponde breve e la presa sulla mia mano aumenta quando l’infermiera fa segno di aspettare un paio di secondi; controlla dei documenti dietro di sé e compone un numero dal cordless che estrae da una tasca.

«Dottor Stone, Bakker» parla con calma e non lo so se la cosa mi agiti o se mi renda semplicemente nervosa. «È arrivato.» La conversazione si chiude così, senza un’ulteriore aggiunta.

Il cordless le squilla tra le mani qualche secondo più tardi e ci fa cenno di attendere, che purtroppo deve rispondere, ma di aspettare perché il dottore sta arrivando. Da delle porte automatiche entra un medico con un lungo camice bianco e uno stetoscopio a cingergli il collo; perlustra la sala qualche istante prima di rendersi conto che le persone che sta cercando siamo proprio noi, in piedi in mezzo al corridoio, con i respiri a farci tremare da capo a piedi. 

«Madden Harvey?» Madden annuisce immediatamente.

«Will?»

«Venga con me» ci fa segno di spostarci dal corridoio perché una barella deve passare proprio di lì e un altro paio di persone hanno fatto il loro ingresso. «Ci mettiamo qua.»

«Che cos’è successo?» Domanda nuovamente Madden, impaziente ed impaurito. Il medico aggrotta le sopracciglia, come se stesse cercando le parole giuste da dire. Il cuore mi batte così forte che sento le gambe tremare e minacciare di collassare.

«Lo hanno trovato incosciente su un marciapiede vicino alla stazione» la voce del dottore è calma, ma Madden sussulta sul posto. «Un’ambulanza l’ha trasportato qui. È in sala operatoria in questo momento, ma è molto debole e l’operazione sembra richiedere più tempo di quanto ci aspettassimo. Faremo il possibile per salvargli la vita.» Madden a quelle parole barcolla così forte che perdo la stretta della sua mano ed è costretto ad aggrapparsi al muro per non cadere a terra.

«Incosciente? Su un marciapiede? Salvargli la vita?» Le sue domande sono solo sussurri.

«Siamo abbastanza certi che sia stato malmenato: non riporta segni di colluttazione con alcun veicolo, ma quelli di percosse.» Mi porto entrambe le mani alla bocca e una lacrima mi solca la guancia. «È stato una donna a trovarlo, in questo momento è nella stanza qui accanto con la polizia. Non appena avrà finito potrai chiedergli di più, io in questo momento non posso darti ulteriori informazioni mediche: dobbiamo finire di operare. Puoi aspettare qui, ma non so quanto tempo occorrerà.»

Madden annuisce alle parole del medico, ma sussulta quando quest’ultimo gli posa una mano sulla spalla e sorride brevemente nella mia direzione. Si passa una mano sul viso e poi tra i capelli, mordendosi le labbra così forte da farmi sospettare che il sapore del suo stesso sangue gli abbia appena pervaso la bocca. Si lascia andare contro il muro, posandovi tutta la schiena e allungando un braccio nella mia direzione.

Gli afferro la mano senza pensarci e quando mi tira verso di sé, mi scontro con il suo stesso petto. Non dice una parola, ha lo sguardo fisso sulla porta di fronte a noi. La vediamo aprirsi dopo alcuni minuti e due agenti escono da essa dirigendosi verso l’accettazione: lasciano alcuni documenti alle infermiere ed escono dalla sala. Una signora con un lungo cappotto a fasciarle il corpo è subito dietro di loro; ci sorpassa senza quasi accorgersi della nostra presenza, ma Madden le va incontro.

«Mi scusi» ha la voce talmente roca da graffiarmi la pelle. «Mi hanno detto che è stata lei a trovare Will.»

«Oh tesoro» la signora allunga una mano verso Madden con il chiaro intento di volerla stringere e Madden non si tira indietro. «Sì, sono stata io. Povero ragazzo, per un secondo ho pensato che fosse morto.» Un singhiozzo mi sfugge dalle labbra.

«Will…»

«Sono rimasta con lui fino a che non sono arrivati i soccorsi e per un momento ha ripreso i sensi» la donna sembra volerlo rassicurare. «Non appena lo hanno caricato sull’ambulanza però è svenuto di nuovo. Dicono che qualcuno deve avergli fatto del male, ma non c’era nessuno nei paraggi quando sono passata di lì. Spero che si possa rimettere presto.» La signora posa una mano sul viso di Madden e lui chiude gli occhi prima di allungare un braccio per stringersela addosso; ho le guance bagnate di lacrime che fanno male.

«Grazie per averlo salvato.» La voce di Madden si rompe proprio in quel frangente e devo allontanarmi di un passo per toccare il muro alle mie spalle, solo a evitare che io rischi di perdere l’equilibrio per aver incespicato nei miei stessi piedi.

Non sento più che cosa si dicono perché i miei singhiozzi mi riempiono le orecchie, ma vedo la signora allontanarsi e Madden passarsi il dorso delle mani sulle guance. Mi raggiunge con due falcate e mi avvolge le braccia intorno alla vita, senza lasciarmi scampo, senza potermi più muovere; il suo corpo mi spinge contro il muro alle mie spalle e chiudo gli occhi lasciando che mi posi il mento sulla testa.

Rimaniamo in quella posizione per quelle che mi sembrano ore e il reparto ha cominciato a riempirsi, tanto che un chiacchiericcio mi giunge alle orecchie. Una delle infermiere presenti all’accettazione ci viene incontro e Madden è costretto così a lasciarmi andare. 

«So che c’è da aspettare per avere notizie e qui si sta creando trambusto» l’infermiera guarda prima Madden e poi me. «C’è un’altra sala in fondo al corridoio, ma è riservata ai familiari. Sei un parente di Will?» Sento le mani tremare a quella sua domanda.

«No. . No» Madden parla talmente in fretta da chiudere gli occhi. «No, è il mio migliore amico, viviamo insieme.» 

«Va bene, faremo uno strappo alla regola» Madden sospira e mi stringe la mano. «La signorina…»

«La signorina viene con me» irrompe Madden e alzo il viso nella sua direzione, quasi a volergli dire che non importa, che posso aspettare qui. «Dove vado io, viene anche lei. Non la lascio qui. La prego

«In fondo al corridoio, sulla destra» mormora l’infermiera, guardandomi negli occhi e annuendo. «Dirò io al medico che siete lì. C’è un distributore poco più avanti e se doveste avere bisogno di qualcosa, venite a cercarmi: sono Amanda.»

Dopo aver fatto entrambi segno di aver capito, seguo Madden lungo il corridoio in religioso silenzio; la sala è piccolina e ci sono due file di poltrone le une accanto alle altre, unite tutte dallo stesso bracciolo. I led al soffitto sono meno luminosi di quelli lasciati in corridoio e la vista sembra apprezzare enormemente perché di colpo il dolore agli occhi sparisce.

Madden prende posto su una di esse mentre io rimango in attesa di qualcosa che nemmeno io conosco; lo osservo inspirare ed espirare con una lentezza disarmante, poi nascondersi il viso dietro le mani fino a passarsele entrambe tra i ricci.

«Cecy, ti prego vieni qui» mormora a occhi chiusi. «Per favore.» Muovo gli ultimi passi che ci dividono contando le mattonelle a terra e poi mi lascio cadere sulla poltrona accanto alla sua. Mi prende la mano sinistra e la stringe tra le sue, portandosela alle labbra e strizzando le palpebre; anche lui ha le guance umide. 

«Madden.» Sussurro appena, cercando di voltarmi nella sua direzione così da poterlo guardare negli occhi.

«Se dovesse accadere qualcosa a Will…»

«È di Will che stiamo parlando» lo interrompo subito perché non ho nessuna intenzione di affrontare un discorso come quello appena pronunciato da Madden. «Starà bene, qualsiasi cosa sia successa. Hai capito?» La mia stessa voce trema quando pronuncio quelle parole, ma Madden annuisce.

Mi lascia la mano solo per portarmela al viso e avvicinarmi al proprio quel tanto che basta a sfiorare le mie labbra con le sue. Indugia qualche istante e poi ve le posa allungando il busto nelle mia direzione. Percepisco il sentore del sale e non so più distinguere se le lacrime che sento sulla pelle siano le mie o se invece di Madden; chiudo gli occhi, posandogli la mano sul polso che ancora mi sfiora il viso, lasciandomi cullare dal respiro di Madden che si infrange irregolare sul mio volto. 

Nessuno dei due emette un altro suono per un tempo infinito; rimaniamo vicini, ma in silenzio in attesa che qualcuno venga a cercarci. La prima volta che osservo l’orologio sulla parete di fronte le lancette segnano le 01:15; alle 01:35 Madden si rende conto di non avere con sé il cellulare perché è rimasto sul pavimento del salotto e non può chiamare nessuno: né Gavin, né Margot, né Jin a chiedere se Will lo abbia mai contattato prima di arrivare al locale.

Alle 02:10 lo sento masticare una bestemmia tra i denti perché il tempo passa e nessuno si palesa. Devo chiudere definitivamente gli occhi intorno alle 02:30, lasciando che la guancia entri in contatto con la spalla di Madden, che aggiusta la propria posizione per permettermi di riposare nel modo più comodo possibile.

Nel dormiveglia mi rendo conto che anche Madden si è assopito perché il corpo è scivolato appena in avanti sulla poltroncina e la testa la tiene reclinata all’indietro. Chiudo di nuovo gli occhi solo per sussultare intorno alle 03:40, quando un dottore mi tocca la spalla; sobbalzo e Madden si desta di conseguenza. Il medico non ci dà tempo di poterci alzare, è lui ad abbassarsi sui propri talloni, esattamente di fronte a noi.

«È andata bene» tre parole che mi fanno singhiozzare così forte da portami entrambe le mani sulla bocca; Madden si copre il viso piegandosi in avanti e poggiando entrambi i gomiti sulle sue stesse ginocchia. «Lo stiamo portando in terapia intensiva.»

«Può dirmi che cos’è successo?» La voce di Madden è un sussurro quando si asciuga le guance; il medico annuisce e prende un respiro.

«Will ha un trauma cranico piuttosto importante, ma non grave come temevo all’inizio.» Sulla targhetta brilla il suo cognome: Robinson. «Ci sono volute così tante ore perché ha quattro costole fratturate in punti critici e c’è stata una brutta emorragia. Per un attimo abbiamo temuto per la salute dei reni, ma non hanno riportato danni. Ha una lieve frattura al naso e allo zigomo, ma guariranno da sole senza bisogno di ulteriori interventi. Nelle prossime ore cercheremo di capire la dinamica dello scontro. Lo terremo sotto sedativi perché il dolore è ancora troppo forte e per i prossimi giorni sarà incosciente. Passato questo lasso di tempo lo sveglieremo così da capire come sta reagendo e valuteremo se farlo riposare ancora o se aiutarlo solo con degli antidolorifici.»

«Will è…»

«Will è fuori pericolo, ma la convalescenza sarà piuttosto lunga» il dottor Robinson tranquillizza Madden posandogli una mano sul ginocchio. «C’è qualche familiare che possiamo contattare?» Madden scuote la testa e mi prende per mano.

«Siamo noi la sua famiglia.» Il dottor Robinson annuisce e si alza distendendo le labbra in un sorriso. «Possiamo vederlo?» Quella di Madden è una supplica.

«Sì, venite con me.»

Il dottor Robinson fa strada fino agli ascensori e saliamo di circa dieci piani prima che le stesse porte si riaprano su un corridoio completamente deserto e illuminato fiocamente. Le stanze dei pazienti sono singole, tutte le une accanto alle altre; le infermiere di turno salutano il dottor Robinson con un cenno del capo e lui stesso si ferma poi davanti alla stanza recante il numero 1907. All’interno c’è Will e mi trema il cuore.

«Per questa notte farò un’eccezione, ma da domai solamente una persona alla volta potrà fargli visita. Avviso le infermiere del turno successivo che siete autorizzati a stare qui, d’accordo?»

«Dottor Robinson, grazie» Madden allunga una mano nella sua direzione. «Le sarò debitore per il resto della mia vita.»

Quando ci lascia soli nel corridoio silenzioso, Madden prende un lungo respiro e apre la porta della camera con una delicatezza che mi fa scorrere una lacrima muta lungo la guancia. Will è sdraiato nel letto con gli occhi chiusi, il petto si alza e si abbassa in modo regolare, come se stesse dormendo così beatamente da non accorgersi di tutto il resto.

Sullo zigomo è comparso un lieve ematoma, così come sul naso; sembra apparentemente illeso. Dalle narici una cannula trasportante l’ossigeno segue tutto il suo busto, nascondendosi poi dietro la spalla per congiungersi ad un macchinario poco più in alto. Ci sono altri tubicini sulla sua persona: alcuni monitorano il suo battito cardiaco, calmo e regolare, altri apportano nutrimento e medicinali. Il respiro di Madden spezza il silenzio immacolato della stanza, io lo trattengo perché ho paura che faccia troppo rumore. Si avvicina lento misurando i propri passi; una poltroncina è nelle immediate vicinanze e non perde tempo a posarla accanto al letto, prendendovi posto. Allunga una mano a stringere quella ancora inerme di Will, io gli sfioro l’altra dalla parte opposta del letto.

«Will, sono qui.» Le parole di Madden escono in un sussurro dalle sue labbra mentre con lo sguardo cerca il suo viso. «Lo so che puoi sentirmi; sono qui, non me ne vado.»

Lascio la mano di Will solo per raggiungere Madden e circondargli le spalle con entrambe le braccia, posandogli la guancia sulla testa e chiudendo gli occhi, lasciandomi andare ad un pianto silenzioso. Madden mi afferra il braccio e lo stringe forte senza più dire una parola. Lo lascio andare solo quando la posizione in cui sono diventa così scomoda da non sopportare più il dolore alla schiena; c’è una seconda poltroncina vicino al muro e vi prendo posto raggomitolando le gambe, così da portarmi le ginocchia al petto. Chiudo gli occhi per appena un secondo prima di sprofondare in un sonno strano, scandito dal beep che il cuore di Will emette a farci sapere che sta bene.

Madden non muove un muscolo, tiene tra le sue mani quella di Will e non la lascia mai andare, nemmeno quando mi desto perché un’infermiera entra a controllare se vada tutto bene. Alle 10:25 della mattina non ho più sonno e non riesco più a stare seduta sulla poltrona. Madden si è assopito e la sua testa è posata sul materasso sotto di lui, la mano di Will ancora stretta nelle sue. Raggiungo il bagno al di là del corridoio solo per sciacquarmi il viso con un po’ di acqua fresca e sgranchire le gambe; il silenzio tutto intorno è snervante. Rientrando nella stanza trovo Madden vigile perché un’altra infermiera è entrata: il nostro tempo a disposizione è terminato e non possiamo più rimanere tutti e due.

«Sì, ho capito.» Lo sento mormorare, ma entro solo quando l’infermiera esce dalla camera. «Dobbiamo…»

«Madden, non hai chiuso occhio per tutta la notte» Madden scuote la testa per passarsi una mano sul viso. «Vai a casa e cerca di riposare un po’. Resto io qui con Will.»

«No» mormora Madden. «Ho chiesto loro di far arrivare un taxi. Rimango io: Will è casa mia.»

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** 33 ***


 

capitolo
33





 

Perdo il conto dei giorni nei quali Will rimane incosciente; i medici dicono solo che sta bene, che la sua vita non è in pericolo e che a breve potrebbe risvegliarsi da sé. Le occhiaie sul viso di Madden sono così profonde che nemmeno una settimana di sonno continuo potrebbe farle sparire definitivamente. Non ha mai voluto sentir ragione: non si sarebbe mosso da quella stanza per niente e per nessuno.

Se Will dovesse svegliarsi, devo essere qui.

Non è più in terapia intensiva, lo hanno spostato in una stanza singola a cui hanno fatto aggiungere un letto in più, solo per permettere a Madden di poter almeno riposare correttamente; la poltrona accanto a Will sembra però essere diventata la sua migliore amica.

Dylan e Kat sono passati un paio di volte, così come anche gli amici di Will e Madden: Margot ha sempre gli occhi rossi e gonfi per il pianto e io vorrei che Will si svegliasse il prima possibile; ci sono troppe persone che soffrono per lui. Una sera Clint mi ha fermata per strada con una sola domanda da volermi porre e al mio scuotere la testa ha imprecato così forte da avermi fatto sussultare sui miei stessi piedi. Dopo essersi calmato mi ha assicurato che la verità sarebbe venuta fuori in un modo o nell’altro e che il colpevole del male procurato a Will sarebbe stato punito. Alle sue parole ci ho creduto e mi hanno tenuta sveglia tutta notte; le mie occhiaie non sono poi tanto diverse da quelle di Madden.

Sabato pomeriggio, dopo il turno al Museo, sono da sola: Kat è momentaneamente fuori città per un compleanno e Dylan agli allenamenti con la sua squadra. Il taxi che chiamo non appena uscita dall’edificio impiega fin troppo tempo nel venirmi a prendere, rendendomi nervosa e impaziente. All’autista l’indirizzo lo dico frettolosamente, avvisando Madden con un messaggio circa il mio arrivo. Mi risponde subito e un piccolo dolore al centro del petto mi fa sospirare rumorosamente.

Chiudo gli occhi per qualche istante e devo persino appisolarmi perché è la voce dell’autista stesso a dirmi che siamo arrivati a destinazione. Pago in fretta la corsa, dirigendomi alle porte automatiche dell’ingresso; devo ricontrollare il numero del piano a cui salire prima di prendere l’ascensore: l’immagine che lo specchio riflette non mi piace per niente. Sono due giorni che non vedo Madden e sono preoccupata persino per lui.

Il corridoio sul quale esco è silenzioso nonostante ci siano un paio di pazienti che camminano con tranquillità, accompagnati da parenti o medici stessi; in una delle sale ci sono persino alcuni di loro che fanno passare il tempo giocando a carte o guardando qualche televendita in televisione. Incrocio la nonna di Madden a metà corridoio e quasi le corro incontro; è accompagnata da una signora che però non conosco e seppure sorrida quando mi riconosce, la vedo scuotere la testa e posarmi una mano sulla spalla. 

«Nessuna novità, Zucchero» il cuore mi cade nello stomaco con il peso di un macigno, però annuisco. «Madden si è appisolato da poco; convincilo a mangiare qualcosa.»

«Ci provo.» La mia voce esce in un flebile sussurro, ma la nonna di Madden sorride comunque prima di accarezzarmi una guancia e dirigersi verso gli ascensori per tornare a casa.

La stanza di Will è in fondo al secondo corridoio, in un’ala più silenziosa rispetto alle altre; la porta è socchiusa e mi rendo conto di stare trattenendo il respiro quando poso una mano sulla maniglia per aprirla leggermente e poter entrare. Will è sempre disteso supino, con la testa ben posizionata sui cuscini e un respiro così regolare e profondo da farmi mancare il fiato. L’espressione è serena, non c’è traccia di ironia, nessun ghigno divertito a sfiorargli le labbra, nessuna sopracciglia aggrottata a soppesare una situazione. Il braccio sinistro è lungo disteso al suo fianco, quello destro giace inerme dall’altro lato.

Madden è proprio lì, il busto proteso sul letto con il viso a nascondere la mano che, al di sotto della guancia, sta stringendo quella di Will. La maglietta bianca che indossa è ormai accartocciata sulla schiena, così come i ricci sono arruffati. Poso la borsa sul tavolino e faccio il giro stringendomi le mani al petto; scosto una ciocca di capelli dalla fronte di Will, trattenendo quasi il respiro per la paura di poterlo disturbare.

Madden mormora qualcosa e nel momento in cui poso gli occhi sulla sua figura, lo vedo sollevare appena il capo e strizzare gli occhi tanto forte da inspirare ed espirare pesantemente. Sorride quando si accorge della mia presenza; si siede comodamente sulla poltrona, portando prima in alto le braccia per stirare i muscoli e poi tende la mano verso di me. Faccio nuovamente il giro del letto, afferrandogliela e ritrovandomi seduta sulle sue gambe l’istante seguente.

«Non volevo svegliarti.» Madden scuote la testa e una ciocca di capelli gli cade sulla fronte; avvolge le braccia ai miei fianchi, inarcando la schiena fino a nascondere il viso nell’incavo del mio collo, solleticandomi la pelle con il respiro.

«Sei qui.» Ha la voce roca di chi è stato in silenzio troppo a lungo. Annuisco alle sue parole, stringendogli le spalle con le mani. 

«Certo che sono qui.» Lo sento mormorare qualcosa, ma la voce gli esce così ovattata per la vicinanza da non riuscire a capire cosa abbia detto. Niente di importante comunque perché rimane in silenzio per un po’, stringendomi a sé tanto a lungo da farmi temere che possa essersi addormentato definitivamente. Ogni dubbio scompare quando è lui stesso a sciogliere l’abbraccio dopo un tempo indefinito, scandito solo dal rumore del cuore di Will che batte lento e regolare di chi sta riposando correttamente. «Ho incontrato tua nonna prima di arrivare.» 

«Sì, è rimasta qui per un po’.» Madden reclina il capo all’indietro, fino a farlo scontrare con la spalliera della poltrona sulla quale siamo seduti. «Ti ha detto di convincermi a farmi mangiare?» 

«Sì» Madden allunga una mano ad afferrare la mia, dopo il tentativo invano di scostargli dalla fronte la solita ciocca di capelli che, di stare a posto, non ne vuole sapere. «Devo preoccuparmi?»

«No Cecy, sto bene.» La voce di Madden non è per niente veritiera, ma mi ritrovo a sospirare ugualmente. «Sei riuscita a dormire?» Questa volta è lui a sfiorarmi una ciocca di capelli.

«Forse giusto un paio di minuti in più di te.» Madden sorride e mi scruta in viso prima di prendere un lungo respiro e indicare Will con un cenno del mento.

«Quando si sveglierà staremo a letto non meno di una settimana» sento le guance scaldarsi a quelle parole. «Stamattina borbottava; ho chiamato il medico e mi ha detto che è normale. Potrebbe davvero svegliarsi.»

«Lo spero» mi avvicino al corpo di Madden, posando la guancia sulla sua spalla e lasciando che mi stringa ulteriormente. «Voglio che torniate a casa entrambi.»

«Mi dispiace averti lasciato sola, ma Will…»

«Lo so» scuoto la testa, respirando così a fondo da sentire il profumo di Madden ovunque. «Lo so

Le labbra di Madden si posano leggere sulla mia fronte e restano lì per un tempo indefinito in cui entrambi cadiamo in un dormiveglia agitato e scomodo. Cerco di muovermi il meno possibile perché Madden ha bisogno di riposare e vorrei quasi che cadesse in un sonno tanto profondo da non risvegliarsi per un paio di giorni; persino Will lo vorrebbe. Deve comunque dormire abbastanza pesantemente da non destarsi nemmeno quando l’infermiera del turno viene a controllare i parametri vitali di Will. Non dice niente, si limita a sorridere e a uscire silenziosamente dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle con un leggero tonfo. Passano appena un paio di minuti prima che il silenzio venga definitivamente rotto; Madden apre gli occhi e guarda prima me e poi la porta.

«Signore…»

«Dov’è mio figlio?»

Madden mi fa alzare dalle sue gambe in modo frettoloso; non è la voce di Bart, ma un moto di preoccupazione mi fa aggrovigliare lo stomaco su sé stesso. 

«Signore, la prego siamo in un ospedale.»

«Mi dica dov’è Will!»

Madden apre la porta velocemente solo per chiudersela alle spalle quando mi precipito al suo fianco: il padre di Will è fermo in mezzo al corridoio, con le braccia spalancate a cercare disperatamente di oltrepassare due infermieri che non ne vogliono sapere di lasciarlo andare oltre. Non gridando in quel modo. Nel sentire però il nome di Will, uno dei due si volta nella nostra direzione e il padre di Will deve fare la stessa cosa perché sentiamo prima la sua imprecazione e poi quella di Madden che echeggia nell’ormai silenzio rotto. Eric riesce a sorpassare l’infermiere di sinistra per raggiungere a grandi falcate il punto in cui Madden è fermo.

«Madden.»

«Non muova un altro passo» la voce di Madden è bassa abbastanza da farmi tremare le ossa e persino Eric è sorpreso di sentirlo così perché obbedisce, ma l’istante seguente la sua espressione cambia. «Giuro su Dio, non si permetta di avvicinarsi ulteriormente.» 

«Come scusa?» 

«Ha capito perfettamente» Madden muove un passo non per avvicinarsi, ma per posizionarsi esattamente di fronte a me. «Non entrerà da questa porta, a costo di metterle le mani addosso e farmi cacciare dall’ospedale.»

«Lì dentro c’è mio figlio» le parole di Eric rimbombano nella calma del corridoio, infrangendosi sulle pareti azzurre. «Chi ti credi di essere?»

«Suo figlio?» Ripete Madden, scuotendo appena la testa. «Suo figlio è in questo letto, incosciente, da dieci maledettissimi giorni. Dieci, ha sentito bene? E lei arriva solo adesso?»

«Io…»

«Stia zitto e vada via» le minacce di Madden sono pacate tanto quanto la sua voce. «Non la farò entrare.»

«Ho tutto il diritto di varcare quella soglia, sono suo padre: faccio parte della famiglia.»

«No, io sono la famiglia di Will» Eric scuote la testa, imprecando tra i denti. «Io ho il diritto di stare qui, non lei.»

«Dico davvero ragazzo, allontanati da quella porta e fammi entrare.»

«No» uno dei due infermieri si porta il cordless all’orecchio e lo sento chiaramente mentre chiede che della sicurezza salga al nostro piano per calmare la situazione. «Crede che io sia stupido?»

«Madden…»

«Non so che cosa sia successo, ma sono stato cresciuto da un criminale» Madden non vuole sentire ragione e so che è solo la rabbia che parla al posto suo. «E quello di Will non è stato un incidente. Ho visto quelle persone fuori casa nostra e so che stavano cercando lei, anche se Will non ha voluto dirmi niente. Qualcuno ha fatto del male al mio migliore amico e giuro sulla mia stessa vita che lei non entrerà da quella porta.»

«Non so chi è stato a fare del male a Will.»

«Io invece credo proprio di sì» ribatte Madden, passandosi una mano tra i capelli. «Avrebbe dovuto presentarsi qui subito, forse ci sarei cascato.»

«Non hai nessun diritto…»

«Le ho permesso di stare in casa mia quando non aveva niente» la pazienza di Madden sta raggiungendo il limite. «Sono venuto a prenderla in prigione. Sono passati dieci giorni e non ha avuto la decenza di presentarsi prima.»

«Non lo sapevo.» Madden scoppia a ridere. 

«Non m’interessa» la sua voce è a malapena un sussurro. «Will è la mia famiglia e lei non ne fa parte.»

«Te ne pentirai.» Una guardia vestita di nero appare dal fondo del corridoio.

«Mio padre è Bart Harvey» rabbrividisco e poso entrambe le spalle alla porta dietro di me. «Le minacce non mi scalfiscono.»

«Signore?» Eric volta il viso così velocemente da incespicare sui suoi stessi piedi. «Le devo chiedere di lasciare la struttura; la prego, mi segua.»

«Mio figlio è in quella stanza…»

«L’orario delle visite è finito» la voce della guardia sovrasta quella di Eric. «Solo le persone autorizzate possono stare qui oltre il tempo concesso: a differenza del signor Harvey e della signorina qui con lui, il suo nome non è sulla lista. Per favore, mi segua senza alzare la voce: siamo in un ospedale.»

Eric non ha altra scelta che obbedire e dopo aver lanciato a Madden un’occhiata intimidatoria che mi fa rabbrividire da capo a piedi, segue la guardia senza dire una parola in più. Ho afferrato la mano di Madden e quando si volta per spingere la porta dietro di me, fermo ogni sua intenzione puntandogli la mano al petto.

«No» mormoro semplicemente. «Devi calmarti; scendiamo giù.»

«Will…»

«Will sta bene» abbasso la maniglia della porta, sollevando le dita di Madden perché lasci la presa. «Non faranno entrare nessuno e a te serve respirare un po’ d’aria.»

Madden borbotta qualcosa sottovoce, ma segue i miei passi fino agli ascensori senza obiettare, continuando a tenere la mia mano nella propria. Il piano della caffetteria è tranquillo come il resto della struttura e una leggera aria fresca s’intrufola dalle finestre lasciate aperte perché la corrente circoli correttamente. Ordino due caffè alla signora dietro il bancone e una ciambella al cioccolato; non so nemmeno che ore siano. Madden ha preso posto a un tavolo vicino alla vetrata ed è intento a controllare freneticamente il cellulare; alza lo sguardo solo quando l’aroma pungente del caffè deve pervadergli le narici. 

«Cecy»

«Non importa se non lo vuoi» mi siedo di fronte a lui, lasciando la ciambella in mezzo a noi. «Fai almeno finta di berlo o di mangiare qualcosa.»

Madden schiocca la lingua e afferra il bicchiere di carta portandoselo cautamente alle labbra; io spezzo a metà la ciambella e contro ogni aspettativa, Madden prende la sua parte e la mangia senza dire una parola. Nessuno dei due apre in realtà bocca, rimaniamo semplicemente seduti al tavolo osservando ognuno un punto diverso della sala. Ci sono persone che vanno e vengono a una velocità tale per cui tutti i tavoli sono costantemente occupati, ma sempre da gente diversa. Il tempo di permanenza è effimero, giusto quello di bere un caffè o recuperare qualcosa da mangiare e poi sono già tutti pronti a tornare dai loro familiari o dai loro amici. Madden sospira rumorosamente posando il bicchiere di caffè ormai vuoto e leggermente accartocciato. 

«Per un momento ho creduto che fosse Bart.» La voce di Madden è tornata ad essere bassa e roca.

«Pensi che sia stato l’ospedale a chiamarlo?» Madden scuote la testa, stropicciandosi poi l’occhio sinistro.

«No, deve essere stato qualcuno che sa cos’è successo» mormora e i suoi occhi verdi si fanno più scuri, come se stessero riflettendo la rabbia che prova. «Quello di Will non è stato un incidente, non può essere.»

«Chi può avergli fatto del male?»

«Chi vuole vendicarsi» replica atono, fissando un punto indefinito oltre le mie spalle prima di incrociare nuovamente i miei occhi. «E qualcuno, a quanto pare, ha un motivo per farlo. Devo solo capire se il bersaglio sia io o suo padre.»

«Madden…»

«Stanotte non tornare a casa» allunga una mano oltre il tavolo per stringere la mia. «Rimani con me, c’è un letto in più. Non riesco a pensare…»

«Tranquillo» gli stringo la mano perché non posso fare altro. «Non vado da nessun’altra parte.» 

Madden annuisce e stringe le labbra in una linea sottile; rimaniamo seduti fino a quando Madden proprio non ce la fa più. È come se Will e Madden avessero entrambi una calamita nascosta in una qualche parte del corpo: fanno così forza l’una verso l’altra da rendere la lontananza quasi impossibile. 

L’ascensore ci riporta al piano dove si trova la stanza di Will; nel tempo in cui siamo rimasti in caffetteria, il turno degli infermieri deve essere cambiato perché all’ingresso incrociamo una ragazza dai capelli rossi e altre due che non avevo ancora visto, insieme a un paio di medici. La porta della camera di Will non è come l’abbiamo lasciata, è per buona parte aperta e man mano che ci avviciniamo, più nitida si fa la voce che riconosco appartenere al dottor Robinson. 

Il cuore mi balza nel petto e la mano di Madden lascia la mia solo per compiere l’ultimo passo e aprire del tutto la porta: il dottor Robinson è seduto sul bordo del letto e ci dà le spalle. Tra le mani tiene una cartellina bianca e un’infermiera sta controllando la flebo degli antidolorifici che stanno somministrando a Will. Madden trattiene il respiro bruscamente prima di imprecare sottovoce e voltarsi nella mia direzione; io però nemmeno me ne accorgo. Will non è più sdraiato inerme sul letto candido, ma in posizione quasi seduta.

Non so quale dei nostri due sguardi incroci per primo, ma un sorriso si fa lentamente spazio sul viso: sta guardando Madden e le sopracciglia gli si aggrottano nella sua solita espressione guardinga e ricca di sarcasmo. 

«Will…»

«Dico io, ma che avevi da gridare tanto?»

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** 34 ***


 

capitolo
34





 

Madden resta immobile al mio fianco per diversi istanti e non capisco se stia cercando di metabolizzare il fatto che Will sia finalmente sveglio o se abbia semplicemente timore di muovere un solo muscolo, quasi avesse paura che tutto svanisca. Il dottor Robinson si alza dal letto rendendosi conto della nostra presenza all’interno della stanza e ci rivolge un sorriso così solare che si riflette persino nei miei movimenti. 

«Ti sei svegliato.»

Nemmeno io mi azzardo comunque ad avvicinarmi, però sorrido quando Will apre le braccia, quasi a voler mostrare che , è sveglio e lucido, nonostante la voce sia roca per tutto il tempo in cui è rimasto in silenzio.

«Will sembra stare bene, ma dobbiamo portarlo via per un paio d’ore» la voce del dottor Robinson fa emergere Madden dalla bolla nella quale si era rifugiato; si volta in fretta verso di lui, aggrottando le sopracciglia. «Dobbiamo ripetere alcuni esami e tenerlo in osservazione.»

«Possiamo…»

«Vi invito ad andare a casa e riposare correttamente; Madden, ti farà bene» Madden abbassa lo sguardo quando Will punta il proprio contro di lui. «Potrete tornare domani mattina appena l’orario di visite ve lo permette. Will ha bisogno di pace, nonostante la sua lunga dormita.» 

Vedo Madden mordersi le labbra per evitare di replicare e dissentire con quanto appena consigliatoci, però alla fine annuisce ed emette un sospiro di sollievo che contiene mille sfumature diverse di felicità. Riesce finalmente a muovere qualche passo, fermandosi al fianco di Will e abbassandosi leggermente per stringergli la spalla; non vedo gli occhi di Madden, ma quelli di Will sono lucidi. 

«Torno domani mattina. Sei in buone mani.» La voce di Madden trema appena e mi porto una mano alle labbra perché un singhiozzo non mi sfugga.

«Ti aspetto.» Replica Will, allungando una mano a stringere il polso di Madden fermo sulla propria spalla. Il dottor Robinson ci fa segno di seguirlo fuori dalla stanza, lasciando che l’infermiera si prenda cura di Will.

«Che tipo di esami dovete ripetere?» Madden è curioso e c’è ancora un velo di preoccupazione nella sua voce, che il dottor Robinson coglie all’istante.

«Madden, ascoltami bene» questa volta è lui a mettere una mano sulla spalla di Madden, stringendosi al petto la cartellina bianca. «Ti garantisco che Will è fuori pericolo e il fatto che si sia svegliato da solo ce lo ha confermato. Ripeteremo alcune lastre per capire lo stato reale delle sue costole e alcune TAC; faremo degli esami di routine e di conseguenza decideremo che cosa fare: se tenerlo con noi ancora un po’ o se invece in tempi brevi potrà essere rimandato a casa. Tu hai bisogno di riposare e mangiare qualcosa; non voglio trovarti su qualche barella perché ti sei sentito male. Sono stato chiaro?»

«Sì, signore.» Madden annuisce e il dottor Robinson di conseguenza si volta nella mia direzione inarcando un sopracciglio.

«Signorina, confido nel suo aiuto.»

«Ci penso io» stringo la mano di Madden nella mia tanto forte che gli anelli che porta sembrano quasi voler scavare a fondo nella mia pelle. «Torneremo domani.»

Con un veloce cenno del capo il dottor Robinson torna all’interno della stanza di Will, lasciando che la porta si chiuda alle proprie spalle con un tonfo delicato. In corridoio rimaniamo Madden e io, in attesa di qualcosa che ancora non sappiamo definire. Madden però abbassa lo sguardo su di me e annuisce, a dirmi che è finalmente pronto per tornare a casa e io lo seguo in silenzio, lungo il corridoio ormai deserto e silenzioso. L’ascensore si prende il suo tempo prima che le porte si aprano davanti a noi e la corsa al piano terra sembra più lenta del solito. 

L’auto di Madden è parcheggiata nello stesso posto da dieci giorni; mi si stringe il cuore al solo pensiero, ma lo tengo per me. La mano me la lascia solo per darmi la possibilità di fare il giro della macchina e prendere posto al suo fianco; le sue dita cercano le mie una volta usciti dal parcheggio e non le lasciano più andare fino a che non raggiungiamo il quartiere e l’auto la ferma davanti al cancello della villetta di sua nonna. Madden non bussa, apre semplicemente il cancello e si precipita in casa; sua nonna deve in qualche modo spaventarsi perché la sento imprecare sottovoce quando do un giro alla serratura della porta.

«Will si è svegliato!» La voce di Madden ha ritrovato tono nel pronunciare quelle parole; lo trovo seduto sul divano quando attraverso l’ingresso. La nonna di Madden si sta invece asciugando le mani su uno strofinaccio.

«Cosa…»

«Devono fargli degli esami, ma è sveglio e sembra stare bene. Il dottor Robinson mi ha assicurato che è ormai fuori pericolo.» 

«Una buona notizia, finalmente» replica la nonna, stringendo il mento di Madden. «Si sa qualcosa? Hanno capito chi è stato a fargli del male?»

«Non credo» mormora Madden, aggrottando poi le sopracciglia. «Immagino glielo chiederanno in queste ore e domani mattina proverò a parlare con lui. Nonna, non può essere un caso: suo padre si è presentato lì poco prima che si svegliasse e sono sicuro che abbia a che fare con lui. O con me.»

«Con te?» La nonna di Madden prende posto al suo fianco, posandogli una mano sul ginocchio.

«E se Bart avesse trovato il modo di farmela pagare? Non sarebbe la prima volta…»

«Madden, no» la nonna di Madden interrompe il suo discorso sul nascere, scuotendo la testa. «Voglio credere che Bart non sia così meschino. Sappiamo tutti che Eric non è un santo e sono sicura che non sia tu il bersaglio del male fatto a Will.»

«Lui sa qualcosa» mormora Madden, abbassando il viso sulle mani che tiene strette sulle sue ginocchia. Mi sembra di rivivere un déjà-vu. «Sono sicuro che sappia qualcosa e non ha voluto dirmelo.»

«Lo scopriranno» lo rincuora la nonna ed io voglio crederle. «Avete cenato? Preparo qualcosa?» Si volta nella mia direzione, ma è sempre Madden a rispondere.

«Vorrei solo andare a casa a riposare, ma se domani mattina vuoi venire con noi, passo a prenderti.»

La nonna di Madden annuisce e poi si alza, facendo cenno al nipote di fare altrettanto per poterlo stringere in un abbraccio; ci accompagna alla porta raccomandandosi di dormire a sufficienza, che il peggio è passato.

Madden non mi chiede se voglia andare con lui, dopotutto è stato lui stesso a chiedermi di non tornare a casa. Non avrebbe comunque avuto bisogno di farlo perché lo avrei seguito in qualsiasi caso. Prima di raggiungere nuovamente la sua auto Madden bussa alla porta di Clint, il quale esce sul portico con la solita sigaretta accesa e incastrata tra le labbra. Impreca quando Madden gli comunica che Will è finalmente sveglio, poi sorride e gli stringe la spalla. Anche lui gli assicura che troveranno i colpevoli ed è pronto a mettere la mano sul fuoco riguardo Bart: non è stata opera sua.

Il ritorno verso casa sua è silenzioso, ma non carico di tensione: persino i gesti di Madden ne sono liberi. Sospiro di sollievo quando la porta si chiude finalmente alle nostre spalle con due mandanti alla serratura e Madden deve fare lo stesso perché, schiena contro il muro, si passa più volte le mani prima sul viso e poi tra i capelli. Senza Will la casa è silenziosa e il mio libro giace ancora sul pavimento: nella fretta di recuperare il cellulare di Madden per farglielo avere, non mi sono resa conto di come fosse ancora lì.

«Ho ordinato la cena» me lo dice lasciandomi un bacio tra i capelli. «Chiamo Margot e gli altri per dire loro di Will.»

Annuisco alle sue parole e prendo posto sul divano, sollevando finalmente da terra il libro, sfogliandolo distrattamente tra le mani. Sento Madden ridere al telefono, ma non so con chi stia parlando esattamente; qualcuno però piange dall’altra parte e immagino essere Margot perché sento la voce di Madden che cerca di tranquillizzarla.

Il ragazzo con la cena suona alla porta circa venti minuti più tardi, lasciandomi una busta contenente un paio di contenitori di cibo thailandese. Non mi preoccupo di portare la cena in cucina, la lascio semplicemente sul tavolino nel soggiorno.  Madden ed io ceniamo in silenzio e lo osservo finire tutto il contenuto del cartoncino; trattiene gli sbadigli fino a che non mi fa perdere la pazienza e lo costringo ad alzarsi. Quando sorride, stropicciandosi l’occhio sinistro con le dita, lo seguo al piano superiore dove ci sono semplicemente la sua stanza e un secondo bagno. Le lenzuola del suo letto sono sfatte.

«Ho bisogno di una doccia.» Sbadiglia di nuovo e incrocio le braccia al petto.

«Ti aspetto.» Madden annuisce e dall’armadio recupera della biancheria pulita e un cambio solo per sparire oltre il corridoio e chiudersi la porta del bagno alle spalle; l’acqua calda la sento scorrere nelle tubature sopra la mia testa.

Apro i vetri perché l’aria viziata circoli il più possibile, poi rabbrividisco rovistando in un paio di cassetti alla ricerca di lenzuola pulite. Tiro via tutto solo per rifare completamente il letto, ammucchiando in un angolo della stanza quelle rimaste inutilizzate. Sulla sedia accanto alla sua scrivania Madden ha lasciato il suo maglioncino lilla; odora di bucato fresco, ma in fondo vi è ancora impresso il profumo che porta solitamente e che mi avvolge completamente il corpo quando lo indosso, arrotolando appena le maniche perché mi stia giusto sui polsi. Mi siedo sul letto dopo aver chiuso le imposte e i vetri stessi, lasciando accese solamente le due appliques sulla testiera del letto.

Madden mi raggiunge qualche istante più tardi, con i capelli umidi e le occhiaie ancora più marcate. Osserva la pila di lenzuola a terra con un cipiglio confuso sul viso, solo per rendersi conto di cosa sia effettivamente successo quando posa lo sguardo su di me; fa il giro del letto, posizionandosi di fronte a me ed insinuandosi tra le mie gambe, facendomi passare le mani tra i capelli per abbassarsi poi a sfiorarmi la punta del naso.

«Il lilla ti dona.» Scuoto la testa, intrecciandogli le braccia intorno al collo.

Mi ritrovo al centro del letto, con il corpo di Madden a sovrastare il mio. Mi bacia l’angolo della bocca, la guancia e il collo solo per risalire lungo lo zigomo e tornare sulle mie labbra.

«Hai bisogno di riposare.» Mormoro, tra un bacio e l’altro che mi posa ovunque riesca ad arrivare; lo sento mormorare qualcosa, ma le parole s’infrangono sulla mia pelle in un borbottio confuso. «Madden.»

«Cecy?» Replica in tono capriccioso, mordendomi appena la pelle del collo e facendomi sussultare, tanto che il mio petto si scontra con il suo.

Gli pizzico il mento con le dita e suoi occhi verdi li chiude in fretta, lasciandosi scappare una mezza imprecazione e uno sbuffo, nascondendo poi il viso tra i miei capelli prima di sollevarsi e cadermi accanto. Mi avvicina a sé tanto velocemente che una mia gamba finisce sulle sue e non mi dà più alcun modo di potermi muovere o aggiustare la mia posizione. Si addormenta in una manciata di secondi e il respiro regolare che scandisce il tempo me ne dà la conferma; la presa sul mio polso si fa più flebile, tanto da riuscire così a sollevare il viso per posarglielo all’altezza della spalla.

Mi sveglio solo quando un clacson echeggia più volte fuori casa: non ricordo di essermi voltata durante la notte, ma sono stesa sul fianco destro e il corpo di Madden deve aver seguito di conseguenza i miei movimenti perché il suo braccio sinistro mi avvolge il fianco e le nostre gambe si sono incrociate in un groviglio di lenzuola. Ha la fronte posata sulla mia spalla, ma con la coda dell’occhio lo scorgo ancora immerso nel sonno. Mi muovo piano, non volendo destarlo prima del previsto: l’orologio segna le 10:22 ed io non so se abbia impostato una sveglia o meno.

Riesco a sollevargli il braccio delicatamente così da potermi alzare e fare il giro del letto; mi chiudo appena la porta alle spalle stando attenta a non fare rumore. Ho paura che l’acqua della doccia possa disturbarlo, ma una volta fuori dal bagno lo trovo ancora addormentato. Le scale le scendo nel modo più silenzioso possibile, con solo i calzini ai piedi. La cucina è immersa nel buio e capisco che il cielo è nuvoloso quando mi rendo conto di come la situazione migliori comunque poco quando accendo le luci. Deve essere la macchinetta del caffè a svegliare Madden, perché me lo ritrovo alle spalle qualche momento più tardi, intento a nascondere uno sbadiglio dietro la mano.

«Mi sono spaventato, sei sparita.»

«E dove sarei mai potuta andare?» Lascio che l’ultima goccia di caffè finisca nella tazza prima di farne una seconda.

«Ovunque» replica Madden, stringendosi nelle spalle e accettando la tazzina. «Ma che ore sono?»

«Quasi le undici» controllo sul polso. «Vuoi andare da Will?»

Madden annuisce velocemente e in altrettanta fretta ingurgita il caffè prima di farmi cenno che sparirà al piano di sopra per cambiarsi. Uso quel tempo per scrivere a Dylan e a Kat informandoli di Will, ma non faccio in tempo a rispondere alla chiamata di mio fratello perché Madden è di ritorno e ha già le chiavi dell’auto tra le mani. La nonna di Madden ci dice che arriverà nel pomeriggio con uno degli amici di Will e Madden, però gli chiedo comunque di passare da casa per potermi cambiare prima di raggiungere l’ospedale; il maglione lilla di Madden rimane da solo sulla mia poltrona.

Le infermiere ci lasciano passare senza nessun problema, rassicurandoci di come sia andato tutto bene. Madden chiede loro se qualcun altro si sia presentato prima di noi, ma entrambe scuotono la testa, specificando che suo padre non si è fatto vedere e che sono convinte non farà ritorno per un po’.

Will lo troviamo seduto al centro del letto, con due cuscini a sostenergli la schiena mentre è intento a digitare qualcosa sullo schermo del suo iPhone. Sorride sornione quando si accorge del nostro ingresso e lo lascia scivolare sulle gambe nascoste dalle lenzuola bianche. Alle braccia ci sono ancora un paio di tubicini che lo collegano a due sacche di antidolorifici, ma l’ossigeno giace inerme al suo fianco. Madden non gli lascia scampo e Will sembra non stesse aspettando altro perché gli stringe le braccia alle spalle così forte da non sembrare nemmeno lontanamente abbastanza; le dita arpionano la stoffa del maglione che indossa, accartocciandoselo tra le mani. 

«Non fare mai più una cosa simile, sono stato chiaro?»

La voce di Madden esce ovattata dalle sue labbra tanto quanto quella di Will; entrambi hanno i visi nascosti l’uno nelle spalle dell’altro. Will annuisce e una lacrima s’infrange contro la stoffa del maglione di Madden, portandosela via. 

«Cazzo, sono morto di paura» Madden si scosta per stringergli il viso tra le mani, ma gli occhi di Will si posano su di me. «Zucchero avvicinati, fatti dare un bacio.» Faccio il giro del letto sedendomi alla sua sinistra e gli stringo la mano, lasciandogli due baci sulle guance. 

«Will…»

«Avete un aspetto orribile, tutti e due» Will osserva prima me e poi Madden, seduto sull’altro lato del letto. «Da quanto tempo non dormi?» Madden si stringe nelle spalle.

«Credo di aver dormito in un letto solo stanotte per la prima volta.» 

«Le altre notti che hai fatto?» Domanda Will e non so se lo stia stuzzicando o se lo stia chiedendo sul serio.

«Sono stato seduto su quella cazzo di poltrona per dieci giorni, controllando che respirassi e non decidessi di lasciarmi per andartene in qualche mondo dove io non sono ancora ammesso.»

«Sei rimasto lì?» Gli occhi di Will diventano lucidi e la presa sulla mia mano si fa appena più forte. «Sei rimasto per me?» Madden sospira pesantemente e scuote la testa per trattenere quella che immagino essere un’imprecazione nei confronti del suo migliore amico. 

«E per chi altro, se non per te?»

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** 35 ***


 

capitolo
35





 

Will sta ancora metabolizzando le parole di Madden, tanto che un sorriso imbarazzato gli affiora sulle labbra e un lieve rossore si fa spazio sulle sue guance. Lascia la mia mano per passarsela tra i capelli, arruffandoseli appena; deve aver fatto una doccia di recente perché l’odore di uno shampoo che non è il suo mi arriva dritto al naso. Non so perché si stia sentendo in imbarazzo: Madden e Will sono così uniti da essere quasi la stessa persona; si proteggono a vicenda ogni giorno.

«Hai pianto al mio capezzale?» Will cerca di stemperare l’atmosfera con la solita aria sarcastica che lo contraddistingue. Madden però scuote la testa e Will si volta nella mia direzione. «Nemmeno tu?»

«Hanno pianto tutti al tuo capezzale» l’infermiera che so chiamarsi Harper entra nella stanza tanto silenziosamente che tutti e tre quasi sussultiamo sul letto di Will. Il sottoscritto si illumina e aggiusta le spalle, volendo quasi urlare un lo sapevo!

«Come va la testa stamattina?» Will arriccia le labbra sfiorandosi la tempia sinistra. 

«Meglio di ieri sera» il sopracciglio riporta ancora un piccolo sfregio e un paio di punti vi sono stati apposti appena al di sotto. «Mi sono alzato e non girava più. Ho solo un leggero fastidio se muovo il collo troppo in fretta.» Madden, quasi a captare il suo segnale, fa il giro del letto per posizionarsi alle mie spalle, sedendosi esattamente dietro di me, lasciando che l’infermiera si sposti invece dall’altra parte. 

«La schiena, invece?»

«In questa posizione non sento dolore» l’espressione di Will cambia appena e aggrotta le sopracciglia. «Se mi siedo dritto mi fa male.»

«Riesci a farmi qualche respiro profondo?» Will annuisce e si impegna: il primo fiato lo emette senza alcun problema, il secondo gli trema sulle labbra ed è costretto a scuotere la testa e a chiudere gli occhi. Gli stringo la mano senza nemmeno rendermene conto.

«Okay, tranquillo. Respira brevemente; è ancora presto. Ci vorrà un po’ prima che le costole si rimettano a posto.»

«Quindi non posso andare a casa?» L’infermiera sorride e posa una mano sulla spalla mezza scoperta di Will.

«No tesoro, non ancora» mormora semplicemente, stringendo le labbra comprensiva. «Il dottor Robinson passerà più tardi. Hai fame? Vuoi fare colazione? Mi hanno detto che dormivi quando sono passati e non hanno voluto svegliarti.»

«Sa di che cosa ho voglia, signorina Harper?» Il sorriso di Will è tornato quello di sempre e lo vedo stringere l’occhio in direzione di Madden, che mormora qualcosa a voce così bassa da non permettermi di comprendere. «Di un tortino al cioccolato. Prima di questo piacevolissimo soggiorno lo avevo tenuto da parte a casa.»

«Will.»

«Signorino Bakker: qualche biscotto e un tè caldo andrà più bene, non trova?»

L’infermiera aspetta che Will annuisca prima di congedarsi con un cenno educato del capo e uscire dalla stanza, lasciandosi dietro di sé la porta aperta. Poco più tardi, una seconda infermiera fa il suo ingresso reggendo tra le mani un vassoio con una tazza fumante e qualche pacchetto di biscotti. Madden lo tiene in bilico sulle ginocchia.

«Prima dell’interrogatorio posso fare colazione?» È a Madden che lo domanda, ma mi lascio comunque sfuggire una risata; Madden impreca.

«Sì, certo» replica, aprendo velocemente la bustina contenente i biscotti. «Hai bisogno di qualcosa?» 

«Vorrei disperatamente una sigaretta.» Borbotta, inzuppando un po’ troppo in profondità il biscotto, che a mezz’aria si spezza e ricade nel tè bollente; Will sbuffa, ma non lo tira su, lo guarda sciogliersi lentamente.

«Will, dico davvero: piantala.» Will borbotta qualcosa prima di mettere su un broncio, ma continuando comunque a consumare la sua misera colazione. 

«Non ho bisogno di nulla, voglio solo andare a casa.» Il suo tono di voce cambia di momento in momento, ma questo è sincero. 

«I dottori non ti hanno detto quando puoi lasciare l’ospedale?» Will scuote la testa alla mia domanda, ma è il dottor Robinson a rispondere al posto suo, facendo il suo ingresso nella stanza e schiarendosi brevemente la voce. Madden si alza per andargli incontro e lo vedo allungare poi una mano per stringergliela. 

«È ancora presto perché Will torni a casa» afferma il dottor Robinson e sento Will sbuffare appena, mordendo l’ultimo pezzo di biscotto. «Come ti senti?» 

«Se dico bene mi farà uscire?» Will sorride sornione e Madden impreca tra i denti.

«Dottor Robinson, la prego lo ignori: mi dica come sta.» Il dottor Robinson sorride verso Will, ma poi torna serio una volta sfogliata attentamente la solita cartellina bianca che tiene stretta tra le mani. 

«Vediamo un po’» scorre con gli occhi i dati stampati sui fogli, le labbra strette in una linea sottile e le sopracciglia leggermente aggrottate; mi ritrovo a trattenere il fiato, in attesa che ci comunichi il suo verdetto finale. «Naso e zigomo stanno guarendo bene, mi sembra che non ti diano problemi, non è vero?» Will scuote la testa, prendendo un sorso di tè. «Tra un paio di giorni i punti del sopracciglio potranno essere tolti. Ti rimarrà una piccola cicatrice, ma sarà appena visibile.»

«Peccato, avrei potuto usarla per rimorchiare.»

«Il trauma cranico si sta riassorbendo bene, ma dovremmo fare ulteriori accertamenti tra qualche settimana per essere sicuri che non ci siano sorprese. Come va la testa?»

«Al momento bene» replica Will. «Da ieri sera non mi fa più male.» Il dottor Robinson annuisce e continua a consultare i dati.

«Le costole ci metteranno più tempo: per questo non possiamo mandarti a casa, Will. Hai bisogno di assoluto riposo e dubito che tu possa trovarlo lì.»

«Ma…»

«Ci vorranno dalle tre alle sei settimane prima che tu possa tornare in forma al 100%.»

«Dovrò stare qui tutto questo tempo?» Will non si rende conto di essersi sporto in avanti ed emette un gemito di dolore così forte da farmi sussultare. Madden si avvicina allungando una mano nella sua direzione, quasi volesse fare qualcosa per aiutarlo. Cerca di respirare il più delicatamente possibile, poi lentamente torna a posare il busto contro i cuscini; le labbra sono tese e colme di dolore.

«No, ma non potrò mandarti a casa tanto presto» continua il dottor Robinson, una volta sicuro che Will stia meglio. «Dovrai cominciare a fare riabilitazione qui con noi e poi continuare a casa per tutta la convalescenza. C’è una cosa che non ti piacerà, in tutto questo.»

«Solo una?» Il tono di Will è saturo di sarcasmo.

«Niente fumo durante tutta la convalescenza» Will apre bocca per replicare, o per urlare, ma il dottor Robinson alza un sopracciglio che impedisce a Will di poter emettere un singolo suono. «E questo non è un suggerimento.» Madden annuisce alle parole del dottore e Will impreca sotto voce talmente tante volte da risultare quasi una litania. 

«Questa è una tortura.» 

«Un giorno mi ringrazierai» Will fa schioccare la lingua sul palato e incrocia le braccia al petto. «Madden, possiamo scambiare due parole?» Il dottor Robinson fa cenno verso la porta alle sue spalle e Madden annuisce svelto, seguendolo fuori in corridoio per accostare la porta dietro di sé. Will sbuffa tanto forte che una ciocca di capelli gli svolazza sulla fronte. 

«Magari è la volta buona che smetti di fumare.» Borbotto, posando la tazza di tè ormai vuota sul comodino; Will mi fulmina con lo sguardo, continuando a tenere le braccia incrociate al petto. «Sei comodo? Vuoi che ti sistemi i cuscini?» Scuote la testa e poi rilassa le spalle, così che la ruga tra le sopracciglia scompaia definitivamente.

«Madden è davvero rimasto qui tutto il tempo?» Me lo chiede quasi in un sussurro, con gli occhi verdi timidi a cercare una conferma nei miei. 

«Giorno e notte.» Replico, annuendo appena e sedendomi meglio sul bordo del letto.

«Mi dispiace.» Questo è davvero un sussurro che mi fa trattenere il fiato.

«Per cosa?» 

«Per questo» mormora, allargando le braccia e indicando poi anche sé stesso. «Per avervi fatto passare dei giorni con la paura che potessi non risvegliarmi.»

«Will non è colpa tua» gli sfioro la spalla con la mano, ma Will scuote la testa grattandosi la tempia. «Non dire così.»

«Se non avessi fatto l’idiota quella sera, tutto questo non sarebbe successo.»

«Will…»

La porta si apre e si chiude alle spalle di Madden, che torna a prendere posto dietro di me; con il braccio sinistro mi cinge il fianco, mentre la mano destra la posa sul ginocchio di Will, nascosto dal lenzuolo candido.

«Non voglio ascoltarti mentre ti dai colpe che non hai.» Madden ha la voce tesa e bassa.

«Mad…»

«No» lo interrompe senza sentire ragione. «Niente di tutto quello che ti è successo è colpa tua, sono stato chiaro?» Will scuote la testa e allunga una mano a cercare quella di Madden. «Qualcuno ti ha fatto del male e giuro su Dio, se non trovano chi, andrò a cercarlo io stesso.»

«Ti ricordi qualcosa?» Will guarda negli occhi Madden, ma si stringe nelle spalle alla mia domanda. 

«Forse, non sono nemmeno sicuro che sia reale.»

«Ti va di raccontarcelo? Magari insieme riusciamo a capirne qualcosa in più.» Will annuisce e sento la mano di Madden stringermi sul fianco.

«Non sono mai arrivato all’Arendsnest, vero?» Vedo Madden scuotere la testa con la coda dell’occhio.

«No, Jin mi ha detto che ti stava aspettando e non vedendoti arrivare ha provato a chiamarti» Will aggrotta le sopracciglia, poi annuisce. «Non hai mai risposto e ha chiamato me nello stesso frangente in cui abbiamo ricevuto la telefonata dall’ospedale. Il mio cellulare è rimasto a casa e non ho visto la chiamata fino a che Cecy non me l’ha portato qui.»

«Ricordo di aver fatto un giro diverso, ero infuriato con quella stronza di mia madre e volevo camminare» Will deglutisce e sforza le sopracciglia come se gli servisse a tornare indietro nel tempo per ripercorrere i propri passi. «Devo essere finito nella zona della stazione, qualcuno mi si è avvicinato e credo mi abbia chiesto qualcosa riguardo mio padre. Probabilmente gli ho risposto male perché ricordo il primo pugno in faccia e la caduta a terra sul marciapiede, dove credo mi si sia fratturato lo zigomo. Deve avermi conciato per le feste perché da lì in poi è tutto buio; so solo di essermi svegliato con il rumore assordante di un’ambulanza e di aver perso nuovamente conoscenza. Quando ho riaperto gli occhi ero da solo in una stanza non mia, con mille tubi attaccati alle braccia e l’ossigeno al naso. Credo di aver avuto un attacco di panico prima che il dottor Robinson entrasse nella mia stanza. Tu non c’eri, gridavi fuori dalla porta, poi non ti ho più sentito.»

«È stata una signora a soccorrerti e a chiamare l’ambulanza.» Conferma Madden e Will annuisce.

«Me l’ha detto il dottor Robinson.»

«Dice che eri privo di sensi e pensava che fossi morto.» La guancia di Will scatta un paio di volte mentre stringe i denti e abbassa persino lo sguardo prima di riportarlo negli occhi di Madden. 

«Per un momento l’ho pensato anche io» mormora e scuote la testa, dipingendosi un sorriso sbarazzino sul viso che dura appena qualche secondo. «Mad…»

«Chi erano quei due uomini che si sono presentati a casa nostra, Will?» Madden è curioso e deve essersi sporto in avanti perché il suo mento mi sfiora la spalla. 

«Non lo so, cercavano mio padre» Will aggrotta nuovamente le sopracciglia e si morde appena l’angolo del labbro inferiore. «Quando gli ho detto che non lo avrebbero di certo trovato lì, se ne sono andati.»

«Perché lo cercavano?»

«Non lo so, non li conosco» ammette Will e Madden sbuffa esasperato. «Ricordi perché mio padre è stato arrestato, vero?»

«Sì, me lo ricordo.» Mormora Madden, annuendo alla domanda di Will.

«Mi ha raccontato che avrebbe dovuto trattarsi di una semplice rapina: dentro e fuori con i soldi. Lui doveva fare solo da palo; le cose si sono messe male quando gli addetti agli sportelli hanno minacciato di chiamare la polizia. Lui non ha ucciso nessuno, è riuscito ad allontanarsi non appena sono arrivate le forze dell’ordine. Non è comunque andato lontano prima che prendessero anche lui. Sappiamo per certo che chi ha sparato e ucciso si trova ancora in carcere; e se gli altri due stessero cercando mio padre per vendicarsi?»

«Non l’hanno trovato.»

«Hanno trovato me» replica in fretta Will. «È contro mio padre che gridavi il giorno in cui mi sono svegliato, vero?»

«Sì.»

«Che cosa voleva?» 

«Vederti» mormora Madden sincero. «Non l’ho lasciato entrare, non ne aveva il diritto. So che ha mentito e lo dimostra il fatto che si sia presentato dieci giorni dopo.»

«E se invece non fossi io il bersaglio? Ci hai pensato?»

«Bart?» Will annuisce, ma Madden nega scuotendo la testa. «No, questo è troppo anche per lui. E poi sarebbe venuto a riscuotere o a farsi vanto del danno combinato. Hai raccontato qualcosa alla polizia?»

«Ho detto loro che non ricordavo che cosa fosse successo e ho lasciato che il dottor Robinson mi confermasse la versione che avevo in testa. Dovevo parlarne prima con te.» 

«Di’ loro di tuo padre» mormora Madden, stringendo la mano di Will nella propria. «Quelle persone appaiono comunque nei sistemi della polizia: li troveranno e li interrogheranno.»

«E se venissero a cercarmi di nuovo?» 

«Qua non entra nessuno, Will» Madden cerca di tranquillizzarlo e i loro occhi verdi si osservano con così tanta intensità da farmi tremare le mani. «Né tuo padre, né il mio, né persone che non ho autorizzato personalmente.»

«Hai parlato con mia madre?»

«Sì, l’ho chiamata per dirle dell’accaduto» sulle labbra di Will si forma uno strano sorriso. «Mi ha detto di avvisarla quando ti saresti svegliato e così ho fatto.» 

Will annuisce lentamente e si sporge appena per recuperare il proprio iPhone con un gemito di dolore a increspargli il viso. Sblocca lo schermo in fretta, scorre con l’indice e solleva il sopracciglio quando trova l’oggetto della sua ricerca. Il display è frantumato in più punti e mi rendo conto che ci sta mostrando una conversazione tra lui e sua madre. Non sono molti i messaggi che si sono scambiati prima di quello che ci interessa: è un semplice cuore rosso quello che vediamo battere sullo schermo.

«Will…» La voce di Madden è appena un sussurro quando realizza, ma Will ha già smesso di ascoltare perché scuote la testa, blocca lo schermo con un click e lo lascia scivolare via dalla mano. Rimbalza sull’angolo del materasso prima di schiantarsi al suolo con violenza, dall’altro lato del letto.

«Sono quasi morto e invece di chiamarmi, che cosa fa?» La sua voce si alza di qualche ottava, ma lo sforzo gli deve provocare del dolore perché impreca tra i denti, passandosi lentamente una mano tra i capelli biondi. «Mi manda un cazzo di cuoricino. Un cuoricino! Non si è degnata di chiamarmi. Ha il coraggio di chiedermi come sta andando con mio padre, ma non solleva la cornetta per sentire la mia voce quando ha saputo che sono quasi morto.»

«Will…»

«Avrei potuto non risvegliarmi mai più e lei mi manda un cuoricino» continua per la sua strada, con tanto di fiatone a sconquassargli il petto. «Non pretendevo di trovarla al mio capezzale, ma almeno di sentire la sua voce e il sollievo di non sapermi morto. Potevo essere morto.»

«Ma non lo sei» la voce di Madden riesce a sovrastare quella rotta di Will, che si passa in fretta una mano sulla guancia a scacciare una lacrima sfuggita al suo controllo. «E ti prego, non dirlo più.»

«Neanche una chiamata.» Continua Will, abbassando drasticamente il tono di voce e tirando appena su con il naso.

«Lo so» mormora Madden e so che sta cercando disperatamente un contatto con i suoi occhi, che Will tiene bassi sulle proprie mani. «Vorrei che fosse diverso.»

«Chissà… magari se fossi morto su quel marciapiede si sarebbe degnata di venire al mio funerale.»

«Will, dico davvero» Will alza gli occhi al cielo e poi sospira, ricadendo tra i cuscini che non vuole aggiustare perché gli diano meno fastidio possibile. «Non sei morto e non succederà per molto tempo ancora. Smettila di dirlo.»

«Vorrei disperatamente una sigaretta. O della tequila» borbotta, ma né io né Madden abbiamo il tempo di rispondere alla sua provocazione perché la porta della stanza si apre di nuovo e la nonna di Madden fa il proprio ingresso seguita da Margot. Will si illumina all’istante. «Oh nonna, per fortuna sei arrivata! Mad mi tratta male da quando è entrato.»

«Non è una novità, Zucchero.» 

Madden ed io ci alziamo dal bordo del letto per lasciare il posto a Margot, mentre sua nonna si accomoda dall’altro lato, sfiorando la guancia e i capelli di Will in un gesto affettuoso. Siamo consapevoli di non poter rimanere in troppi e una delle infermiere di turno non tarda ad arrivare per farcelo notare; siamo io e Madden ad annuire e uscire quindi dalla stanza.

Madden si sta per chiudere la porta alle spalle, dopo aver baciato Margot sulle guance, ma Will chiama il suo nome mentre la nonna lo sta osservando in modo dettagliato ovunque i suoi occhi riescano ad arrivare. Madden arresta i propri passi e si volta nella sua direzione, in attesa di sentire che cosa abbia da dire.

«Ti voglio bene.» Nonostante nel sorriso di Will ci sia scherno e sia colmo di prese in giro nei confronti del suo migliore amico, è sincero e nessuno di noi lo mette in dubbio. Madden intreccia la sua mano alla mia e scuote appena il capo.

«Ma che fortuna.»

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** 36 ***


 

capitolo
36





 

Non ho mai restituito a Madden il suo maglione lilla; è rimasto per un po’ sulla poltrona di casa mia impregnato del suo profumo familiare fino a che non ho pensato di lavarlo e renderglielo. Un pensiero durato giusto il tempo in cui la lavatrice ha fatto il suo corso, restituendomelo morbido e con un odore di ammorbidente; sotto sotto, il profumo di Madden non si è smosso. Lui non ha mai accennato al fatto che lo avessi io ed io ho dedotto che sicuramente non ne ha poi così bisogno.

Non ne ha fatto parola né la prima volta che me l’ha visto addosso, né la seconda e nemmeno poco fa, quando ho bussato alla sua porta con solamente quello a coprirmi le spalle, ché la mia giacca è rimasta nell’appartamento di Dylan e le mie chiavi di riserva sembrano essere sparite in un limbo segreto. So però che l’ha riconosciuto perché mi ha squadrato da capo a piedi prima di chiedermi perché io abbia indossato dei collant tanto leggeri se poi ho un maglione pesante a coprirmi quasi del tutto il busto. Mi sono stretta nelle spalle, lasciando che la porta si chiudesse dietro di me con un tonfo per niente delicato.

L’appartamento è silenzioso, di una quiete quasi irreale: mi rendo conto che la vivacità di Will mi manca quando mi ritrovo tra queste mura, con solo Madden e me a riempire il silenzio che fa da padrone quando le chiacchiere si spengono. So per certo che la mancanza di Will è sofferta da Madden stesso, nonostante non lo dica ad alta voce; non troppo spesso, almeno.  Madden deve aver appena iniziato a pranzare perché nell’aria c’è un vago sentore di abbrustolito e mi scappa un sorriso quando mi lascia la mano per spostare verso di me la sedia accanto alla sua, sedendovisi appena qualche istante più tardi. Due toast sono adagiati all’interno di un piatto blu e le fette di pane del secondo panino virano a un marroncino molto scuro, che non hanno niente a che vedere con quelle che invece Madden ha morso poco prima che arrivassi io.

«È un pranzo o uno spuntino?» Domando, spingendo la sedia verso il tavolo per poter posare entrambi i gomiti sulla superficie dura. Madden consulta l’orologio che porta al polso con le sopracciglia appena aggrottate e le labbra leggermente arricciate, quasi dovesse pensarci su.

«Uno spuntino abbondante» replica poi, afferrando il toast con una mano per portarselo alle labbra, lasciando che un paio di briciole di troppo gli aleggino agli angoli della bocca. «Sono stato al telefono con Will tutta la mattina, poi è passata mia nonna, poi ho deciso di studiare - o di provarci, almeno - mi è venuta fame e sei arrivata tu.» 

«Posso rimanere o…»

«Devi» m’interrompe subito, allungando una mano a sfiorarmi le dita. «Non mi piace stare a casa senza Will.» 

«Che cosa stavi provando a studiare?» Madden si stringe nelle spalle, finendo in un boccone il suo spuntino; sul tavolo ci sono fogli sparpagliati qua e là, ma niente mi fa capire che cosa stesse realmente facendo.

«Shakespeare» mormora, scuotendo poi la testa e lasciandomi intendere che qualcosa non gli torna. «Ti avrei chiesto in ogni caso di passare o mi sarei presentato disperato davanti alla porta di casa tua.»

«Cosa può esserci di così terribile in Shakespeare?» Domando poi curiosa, scuotendo la testa quando Madden mi porge metà toast bruciacchiato.

«Tutto; soprattutto quando non ho seguito mezza lezione nelle ultime settimane e tra due giorni c’è un parziale che vale l’ottanta per cento dell’esame finale. Sono a tanto così da spegnere il telefono perché Will la smetta di tormentarmi.»

«Povero Will.»

«Povero Will

Madden sblocca il telefono per mostrarmi un paio di foto che ritraggono Will in quella che sembra essere una palestra all’interno dell’ospedale stesso: sta facendo le ultime sedute di fisioterapia prima che gli permettano di tornare finalmente a casa, ma non sembra molto entusiasta; almeno, non dall’espressione con cui si è voluto fotografare.

«Mi manda qualcosa come dieci foto al giorno, tutte uguali. Poi mi chiama e si lamenta, dice che le infermiere lo trattano male.»

«E tu gli credi?»

«No» replica Madden in fretta, bloccando nuovamente il telefono e alzandosi per posare il piatto ormai vuoto all’interno del lavello. «Will è coccolato come un gattino lì dentro.»

«Vuoi andare da lui più tardi?» Glielo chiedo con un sorriso e quando Madden si volta nuovamente nella mia direzione, incrociando le braccia al petto con la schiena posata al lavabo e i suoi occhi a contemplare qualche dettaglio della mia persona dal basso verso l’alto, un ghigno gli dipinge le labbra e una leggera fossetta compare sulla sua guancia; scuote la testa schioccando le labbra.

«Neanche per sogno» mormora, avvicinandosi quel tanto che basta per intrappolarmi tra il suo corpo e il tavolo. Sono ancora seduta e mi costringe ad alzare il viso nella sua direzione per poterlo guardare negli occhi. Mi sfiora appena la punta del naso con il suo, abbassandosi leggermente fino ad allungare poi una mano oltre la mia spalla. «Oggi ho proprio voglia di studiare.»

Me lo dice all’orecchio prima di lasciarmi un bacio a fior di labbra e recuperare poi i fogli sparsi sulla superficie del tavolo, accartocciandoseli quasi tra le dita quando le mie gli stringono il collo della maglia che indossa.

«Ah sì? Proprio oggi?» Madden annuisce, facendo scorrere i polpastrelli sul mio braccio fino ad afferrarmi la mano per stringerla nella sua e fare leva perché mi alzi dalla sedia. 

«Sai che cosa dicono aiuti nello studiare Shakespeare?» Quando scuoto la testa, Madden sospira e si stringe nelle spalle. «Stare sdraiati in un letto comodo. Senza coinquilini a disturbare.»

«E chi lo avrebbe detto?» Glielo chiedo seguendo i suoi passi, sorridendo ai fogli che tiene ormai del tutto accartocciati nella mano sinistra.

«Non me lo ricordo.» Madden le scale le sale con calma, come se ogni gradino gli costasse una fatica immensa; la porta della sua camera è del tutto spalancata e le coperte sfatte sono disseminate di altri fogli che immagino essere dei semplici appunti. «Vuoi sapere un’altra cosa che dicono aiutare con lo studio? Un bagno, ma credo vada bene anche una doccia nel caso in cui non ci sia una vasca.» 

«Certo, vai pure. Io aspetto qui e controllo che il letto sia abbastanza comodo» Madden mi osserva mentre mi siedo sul bordo del letto, accavallando le gambe e sostenendo il peso del mio stesso corpo con le braccia distese all’indietro. «Sei tu a dover studiare, dico bene?»

«Tu sei davvero una…»

«Guastafeste?» Madden annuisce, incrociando le braccia al petto. «Sì, lo so. E tu stai solo perdendo tempo perché questo letto è davvero comodo.»

Madden si morde il labbro, quasi si stesse trattenendo dal voler rispondere; rimane fermo per ancora qualche secondo, poi mi dà le spalle per attraversare il piccolo corridoio e sparire all’interno del bagno. È una doccia quasi fulminea la sua perché faccio appena in tempo a curiosare i titoli all’interno della sua libreria prima che la porta del bagno si chiuda e Madden compaia di nuovo nella sua stanza, portandosi dietro un profumo speziato che mi solletica il naso quando mi avvolge entrambe le braccia sulla vita, riuscendo a voltarmi nella sua direzione. Mi spinge all’indietro fino a che le mie gambe non toccano qualcosa che ricordo essere un mobile basso vicino alla sua scrivania. Mi intrappola le labbra tra le sue con una foga tale che il respiro mi si spezza e non c’è modo di riprendere l’aria che mi sta rubando e che mi serve perché il cervello non perda completamente il controllo.

A Madden non sembra importare molto del suo, ma sussulto quando la sua mano sinistra mi lascia il fianco solo per sentirla leggera sulla coscia coperta dai collant velati che rischiano di sciogliersi sotto il suo tocco. I suoi ricci sono ancora tiepidi dall’aria calda del phon e il profumo che impregna la sua pelle sovrasta senza nessuna difficoltà il bagnoschiuma speziato che ha utilizzato.

«Cecy» Madden pronuncia il mio nome direttamente sulle mie labbra. «Se non mi fermi, non studierò mai Shakespeare e non passerò l’esame.» I suoi polpastrelli s’insinuano a fondo nella carne e mi ritrovo a puntellarmi sui piedi per avvicinarmi quando nasconde la propria bocca appena sotto il lobo del mio orecchio. «La colpa ricadrà su di te e la signorina Sophie sarà molto, molto delusa.»

«Allora dovresti proprio allontanarti.» Glielo sussurro con un tono di voce che quasi non mi appartiene e lo sento sorridere a diretto contatto con la mia pelle, lasciandomi qualche brivido in superficie.

Scosta appena il viso sfiorandomi la punta del naso, poi le mani mi lasciano i fianchi e mi sbilancio appena in avanti. Le sue iridi hanno virato a un verde così scuro da sembrare un fondo di bottiglia; mi porto la mano destra alle labbra, mordendomi appena l’unghia del pollice solo per rendermi conto che la gonna che porto è fin troppo sollevata lungo le cosce. Madden scuote la testa e si passa entrambe le mani sul viso prima di emettere un sospiro e lasciarsi cadere sul bordo del letto appena distante.

«Shakespeare…» mormora prima di imprecare sottovoce, lasciandomi un sorriso a fior di labbra. «Puoi recuperarlo? È proprio lì, dietro di te.» Obbedisco solo per scovare Sogno di una notte di mezza estate sotto qualche foglio bianco; sul dorso è impresso il logo del campus e la dicitura che contraddistingue tutti i libri della nostra Biblioteca.

«Che cosa c’è di difficile in questo?»

Quando mi volto, Madden è disteso sul letto con le braccia incrociate dietro la testa, la testiera del letto a sostenergli la schiena e le gambe lunghe davanti a sé. Indossa un semplice paio di pantaloni neri di una tuta smessa e una maglietta a maniche corte del medesimo colore; le braccia sono un susseguirsi di linee nere e colorate a formare una tela unica nel suo genere. 

«Non ha il testo a fronte perché era l’ultima copia rimasta in Biblioteca» mormora, arricciando le labbra. «Ho detto a Matias di avvisarmi quando qualcuno avrebbe riportato qualcosa, ma sono passati più di dieci giorni e ho il vago sospetto che si sia dimenticato.»

«Non hai pensato di guardare su Internet?» Lo prendo in giro perché so bene che a Madden non piace studiare in quel modo, devono esserci carta e penne ovunque e infatti mi fulmina con lo sguardo, inumidendosi il labbro inferiore quando mi siedo al centro del letto, incrociando le caviglie e posandomi il libricino sulle ginocchia. 

«Certo che ci ho pensato, ma preferisco sentire la tua voce.» Abbasso gli occhi per qualche secondo, arrossendo alle sue parole e rabbrividendo appena; fuori è ormai tramontato il sole e la temperatura deve essersi già abbassata.

«Come fai a stare in maniche corte?» Glielo chiedo senza nemmeno rendermene conto, tirandomi le maniche fin quasi a nascondermi le mani. 

«Una volta avevo un maglione lilla e teneva davvero caldo; poi non so cosa sia successo, ma è sparito e credo che qualcuno se ne sia appropriato» lo indica con un cenno del mento. «Molto simile a quello che porti tu adesso, pressoché identico.» 

«Non so se voglio ridartelo.» 

«Ed io non te l’ho chiesto» i suoi occhi finiscono sul libro che tengo in bilico tra le gambe. «Per favore Cecy, raccontami di questo Sogno di una notte di mezza estate perché questo letto è davvero comodo e non credo mi aiuterà a studiare meglio. Vieni qui.» Scuoto la testa e rimango ferma nella mia posizione, lanciandogli però il libro che afferra appena in tempo prima che gli finisca sullo stomaco. 

«Questo serve a te comunque» replico, facendo peso sulle braccia lunghe dietro la mia schiena. «Raccontami tu di questo Sogno: che cosa trovo lì dentro?»

«Un duca, credo» borbotta Madden, sfogliando velocemente le pagine. «Fate, folletti, demoni, persone comuni.»

«Più o meno» replico, trattenendo un sorriso. «Ma sono artigiani, non persone comuni: vuoi davvero deludere la signorina Sophie.»

«Non ha il testo a fronte» ripete Madden, sventolando il libro davanti al suo viso. «E Shakespeare non è che scrivesse in modo tanto semplice.»

«Allora dobbiamo andare per gradi: quante sono le vicende raccontate?»

«Tre, forse quattro.» 

«Sono tre: Teseo e Ippolita, gli amanti Elena e Demetrio e Oberon insieme a Titania.»

Le conto sulla punta delle dita e vedo Madden annuire. Aspetta solo che continui a parlare e non sono del tutto sicura che abbia realmente difficoltà con Shakespeare. Però lo accontento e prendo un lungo respiro. Mi perdo nel racconto, spiegandogli di come Teseo annunci il suo matrimonio con Ippolita e di come Elena, per poter attirare l’attenzione del suo amato Demetrio, faccia la spia quando Lisandro ed Ermia le confidano che fuggiranno da Atene per sposarsi. Oberon e Titania arrivano subito dopo con la loro lite riguardo un garzone che Titania non vuole condividere con Oberon perché lo faccia suo servitore.

Madden conosce di come Oberon abbia incaricato il folletto Puck di raccogliere la viola del pensiero per spremerne il succo sugli occhi di Titania mentre sta dormendo, così che s’innamori della prima persona sulla quale poserà lo sguardo appena sveglia. Gli sfugge però che Titania s’innamorerà di Bottom, un tessitore che stregato da un incantesimo, si ritroverà con una testa d’asino ed è proprio di questo strano essere che Titania finirà con l’innamorarsi. Puck ha un altro compito, ma è tanto distratto da invertire alcuni personaggi e causare così malintesi: gli amori vengono distrutti e poi risanati da Puck stesso; i matrimoni che verranno celebrati saranno tre e non più due. 

«Ma gli artigiani che ruolo hanno?» 

«Gli artigiani stanno preparando lo spettacolo per Teseo, ma il cerimoniere cerca di dissuaderlo poiché non crede che sia degno degli spettatori.»

«Teseo però insiste, vero?» Annuisco alla sua domanda. «Niente fatto con buona volontà può essere davvero brutto e tantomeno rifiutato.»

«Puck però alla fine porge le proprie scuse: chiede al pubblico di far finta di aver dormito se lo spettacolo non sia stato di loro gradimento.»

«Io avrei dormito.» Madden si stringe nelle spalle e chiude finalmente il libro, lasciando che cada distrattamente al suo fianco.

«Non osare parlare male del Sogno

«È senza senso.» Ribatte Madden, incrociando le braccia al petto e sfidandomi palesemente con lo sguardo.

«Senza senso?» Domando, sperando di aver capito male le sue parole, però Madden annuisce e stringe le labbra in una linea sottile. «Dentro al Sogno s’intrecciano mito, fiaba e quotidianità; ci sono Ovidio, Apuleio e tu mi dici che è senza senso?»

«Titania s’innamora di un uomo con la testa d’asino: non ha senso.»

«L’unica cosa che non ha senso si rifà alla vita reale: gli uomini che si rincorrono e si affannano per amarsi; s'innamorano e si desiderano senza spiegazioni. Ci incontriamo per una serie assurda di casualità e non ne siamo nemmeno padroni. Shakespeare è l’essenza del teatro nel teatro. Tutto ha un senso

«Noi non ci siamo incontrati per un’assurda casualità.» Ribatte Madden.

«Invece sì.»

«Tu sei troppo di parte,Cecy.» 

«Forse.» Mormoro, posandomi il gomito sulla gamba per potermi sostenere il viso con la mano; Madden scuote la testa trattenendo un sorriso, poi allunga un braccio nella mia direzione.

«Vieni qui.» Questa volta obbedisco andandomi a sedere accanto a lui, cosa che però non gli aggrada perché schiocca le labbra e mi afferra il braccio con delicatezza, guidandomi fino a farmi finire cavalcioni sulle proprie gambe. Si solleva quel tanto che basta perché la schiena tocchi completamente la testiera del letto e le mani siano aperte sulle mie cosce.

«Racconterò alla signorina Sophie di come Will mi ricordi il folletto Puck: caffè al posto del succo di viola del pensiero.» Scoppio a ridere così forte da portarmi poi una mano alla bocca.

«E chi dovrei essere io, Titania? Mentre tu Bottom? Ricorda che è un amore finto il suo

Madden si morde il labbro inferiore quasi a nascondere un sorriso; la mano destra la avvicina al mio viso e con due dita mi scosta dalla guancia una ciocca di capelli solo per riportarmela dietro all’orecchio, sfiorandomi il lobo e poi lo zigomo, solleticandomi la pelle. 

«Io non ho la testa d’asino.» 

«Non credo serva del succo di viola del pensiero affinché qualcuno s’innamori di te.» Madden sorride e dove prima sfiorava la mia guancia, vi posa ora le labbra.

«Tu ci credi all’amore?» Me lo domanda in un sussurro che s’infrange sulla pelle del viso.

«Io ho sempre e solo letto dell’amore; non so se crederci davvero» Madden perlustra il mio volto con lo sguardo per dei secondi infiniti senza dire assolutamente nulla. «Tu ci credi?» Si stringe semplicemente nelle spalle, ma sorride e si passa le dita ingioiellate tra i capelli.

«Voglio portarti in un posto.»

«Adesso?»

«No, non oggi» replica, prendendo un lungo respiro e tornando a posare la nuca sulla testiera dura del letto. «Ho bisogno che prima Will torni a casa.»

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** 37 ***


 

capitolo
37





 

Will si rende conto di aver smarrito le chiavi di casa il giorno prima che lo dimettano finalmente dall’ospedale. Manda lo stesso messaggio sia a me che a Madden ed è una fortuna la sua, ché almeno in due riusciamo a decifrare che cosa ci abbia appena scritto. Aggiunge però di non preoccuparci, sarà comunque Margot ad accompagnarlo a casa.

Madden ha deciso di organizzare una cena in suo onore, ma sta litigando da un po’ con Jin a proposito del menù: cinese o messicano. Li sento discutere al telefono mentre leggo distrattamente alcuni appunti che ho preso quella stessa mattina a lezione; Madden ha già alzato gli occhi al cielo un paio di volte perché è ormai giovedì sera e nessuno studia più in vista del week end. Vorrei ricordargli che c’è prima venerdì, ma preso com’è dalla conversazione con Jin, non mi ascolterebbe nemmeno.

Un messaggio da parte di Kat mi fa sussultare, ma sorrido quando dall’anteprima leggo che verrà volentieri a cena insieme a noi e mi appunto mentalmente di farle sapere più tardi l’orario. La telefonata con Jin si protrae così a lungo che Dylan bussa alla porta di casa con due cartoni della pizza tra le mani e il cellulare incastrato tra la spalla e l’orecchio. Non so con chi stia parlando, ma è arrivato ai saluti e con un cenno del mento mi fa segno di prendere le pizze così che possa chiudere la chiamata.

Madden non si ferma a cena con noi perché ha promesso di passare da sua nonna, così mi lascia un veloce bacio sulle labbra prima di attraversare di corsa la strada e sparire all’interno della casa di fronte. Dylan mi dice che non potrà essere presente alla cena in onore di Will, ma ci aspetta tutti alla partita che giocheranno subito dopo; siamo già d’accordo con il fidanzato di Margot, ma gli dico che saremo lì senz’altro per fare il tifo. 

Il venerdì seguo solamente le prime tre lezioni della giornata perché ho il turno in Biblioteca; Madden mi aspetta nel parcheggio con una sigaretta ormai consumata tra le labbra quando è ora di tornare a casa. Le chiavi dell’auto gli tintinnano tra le dita quando indica la sua macchina a poca distanza da noi; Margot ci avvisa che Will è stato finalmente dimesso e stanno salendo in auto, diretti verso il loro appartamento. Arriviamo a poca distanza gli uni dagli altri perché Madden ha voluto fare tappa al supermercato per comprare le ultime cose; sentiamo Will ancora prima che possa varcare la soglia di casa.

«Tu sai che tanto riprenderò a fumare nell’esatto momento in cui mi chiuderò la porta di casa alle spalle, vero Margot?»

Vedo Madden aggrottare le sopracciglia mentre io mi alzo dal divano, diretta verso la porta; Madden mi sorpassa in un paio di falcate.

«Io ne dubito, invece

Madden apre la porta e Will quasi sussulta; qualsiasi cosa avesse intenzione di replicare gli muore sulle labbra, lasciando posto a un’imprecazione a metà tra lo spavento e il sollievo di incrociare gli occhi di Madden.

«Non ho capito bene che cos’hai intenzione di fare.» Will si stringe nelle spalle e fa un piccolo passo indietro quando Madden ne compie uno in avanti solo per allungare il braccio e rubargli il borsone che gli pende dalla spalla.

«Una doccia come si deve» mente Will, scansando la figura di Madden per avvicinarsi quasi di soppiatto e baciarmi la guancia, producendo uno schiocco rumoroso. «Un bella doccia nel bagno di casa mia.»

«Immaginavo» borbotta di rimando Madden, lasciando passare Margot prima che la porta d’ingresso si chiuda alle proprie spalle con un tonfo tutt’altro che delicato. «Com’è andata?»

Prima di rispondere Will si guarda attorno come se fosse la prima volta nella sua stessa casa: misura con gli occhi ogni centimetro del salotto, controllando che tutto sia ancora in ordine. Sorride quando individua la sua amata poltrona, lasciandosi poi cadere al di sopra con ben poca grazia, così che un gemito di dolore gli sfugga dalle labbra. Si porta la mano sullo sterno aggrottando le sopracciglia in attesa che la fitta passi veloce. 

«Ha fatto il bravo» replica Margot, sfiorando il braccio di Madden per posargli poi una mano sulla spalla e stringerla appena. «Vorrei rimanere, ma ho delle cose da sbrigare. Will: comportati bene.»

Will le regala un occhiolino e mima un bacio nella sua direzione, osservandola uscire di casa. Gli occhi di Madden attendono una reale risposta da parte sua, ma si accomoda sul divano accanto a me, che sono invece rannicchiata sul bracciolo.

«Nell’ordine mi hanno detto: niente sigarette, niente movimenti bruschi e improvvisi, niente sollevamento oggetti pesanti, niente motocicletta e senti qua niente attività sportiva» Madden scoppia a ridere mentre Will declama il tutto contando i singoli punti sulle proprie dita. «Attività sportiva. Io

«Niente sigarette?»

«Non nell’immediato, almeno» borbotta Will, stringendosi però nelle spalle e facendomi sorridere. «Non è proprio un addio.»

«Ti farebbe solo bene.»

«Zucchero, non infierire» Will mi fulmina con lo sguardo prima di distendere nuovamente i propri lineamenti. «Ogni due settimane vogliono che torni da loro per una controllatina; sia mai che mi possa rompere le costole starnutendo.» Sembra piuttosto scocciato, ma cerca di non darlo a vedere anche se si passa continuamente le dita tra i capelli biondi.

«Sono sicuro che sopravviverai.» Mormora Madden, schiarendosi la voce; Will annuisce e poi sospira in modo così profondo da tossire lievemente. 

«Vado a fare davvero una doccia e poi vi prego: datemi da mangiare qualcosa che sia degno di essere ingurgitato.»

Madden annuisce e si alza nello stesso momento in cui Will si chiude la porta della sua stanza alle spalle. Will impiega più del solito nel fare la doccia e ho quasi timore che possa aver bisogno di aiuto nei movimenti; è Madden a bussare alla porta del bagno per porgli quell’esatta domanda, ma Will dice che va tutto bene, ha usato solo troppo shampoo. Quando finalmente esce dal bagno, sembra essere di nuovo il solito Will dal sorriso sbarazzino sempre pronto a giocare con il suo sarcasmo; anche le occhiaie si sono attenuate.

Indossa solamente un paio di pantaloni grigi appartenenti a qualche pigiama, ma si scusa quando si rende conto di avere effettivamente freddo senza null’altro addosso. Torna quindi tra di noi con un maglioncino che vira al celeste e si accomoda nuovamente nella sua poltrona, lamentandosi di quanta fame realmente abbia. Decide di voler mangiare giapponese e Madden è costretto a inscenare una telefonata con Jin perché Will creda che stia davvero ordinando la cena; sono quasi sicura che Madden abbia in realtà scelto il messicano.

Alla porta suonano una buona mezz’ora più tardi, facendoci sussultare tutti sul posto; il documentario che Will ha voluto a tutti i costi vedere ci ha fatto assopire. Si propone lui stesso di aprire la porta e lo sentiamo imprecare a gran voce quando Jin, Margot e Kat compaiono sulla soglia. Will ha gli occhi lucidi quando torna in salotto con le buste della cena tra le mani; Kat mi fa un occhiolino prima di stringermi in un abbraccio. Ceniamo tutti in salotto con Will che si lamenta su come avrebbe provveduto a vestirsi adeguatamente se solo avesse saputo della sorpresa.

Al campus, per la partita di calcio, ci arriviamo con tre auto diverse: Kat ed io, Madden e Will, Jin e Margot; tutti gli studenti si sono riversati al campo e con qualche difficoltà riusciamo a scovare dei posti abbastanza vicini perché Margot abbia una buona visuale di Gavin. Fa così freddo che i nostri respiri condensano e alla fine mi ritrovo seduta sulle ginocchia di Madden perché possa scaldarmi almeno un po’. Kat ha il braccio di Will sulle spalle e Jin si sfrega le mani osservando rassegnato Margot, che di stare seduta non ne vuole sapere e probabilmente è l’unica a non sentire freddo.

La partita la vinciamo, ma non ci fermiamo poi molto con Dylan e gli altri. È pur sempre venerdì sera e tutti sembrano aver voglia di festeggiare. Kat mi accompagna a casa dopo aver discusso con Madden, che di lasciarmi andare con lei non ne ha voluto sapere per un po’, cedendo solamente quando Will ha proposto di andare al solito pub e festeggiare per bene. All’orecchio, prima di consegnarmi a Kat, mi ha sussurrato che si sarebbe materializzato davanti casa mia l’indomani, verso le sette. 

Madden mantiene la promessa e dopo avermi mandato un semplice messaggio per avvisarmi del suo arrivo, mi ritrovo a sorridere e ad alzarmi dal divano sul quale mi sono raggomitolata per recuperare una giacca e una borsa abbastanza piccola da poterla portare a tracolla. Mi aspetta fuori dal mio cancello, fermo in bilico sulla sua motocicletta: un casco è in equilibrio sul suo ginocchio, l’altro gli pende dalla mano sinistra.

Resto a guardarlo per un paio di secondi; è stata una bella giornata e nonostante faccia ormai freddo, il sole è ancora tiepido sulla pelle e i raggi si riflettono tra i ricci di Madden e persino sui suoi anelli, che ne catturano ogni sfaccettatura. Mi porge il casco con un sorriso compiaciuto, aggrottando poi appena le sopracciglia quando arriccio le labbra e scuoto la testa.

«Voglio portarti in un posto.» Le parole sono le stesse che ha pronunciato appena qualche giorno fa.

«In moto?» 

«Sì» replica, inarcando il sopracciglio e facendomi cenno di afferrarlo perché possa mettere il cavalletto e scendere così dalla sella per raggiungermi. «Sei mai salita su una di queste?» 

«No.» Replico, stringendomi il casco al petto senza nemmeno sapere cosa farne; Madden ride silenziosamente prima di prendere un lungo respiro.

«Ti va di provare?»

«Non lo so.»

«Non andremo molto lontano» continua Madden. «È una bella giornata e in moto faremo prima. Fidati di me, okay? Non è così spaventoso come sembra.»

Aspetta un mio cenno affermativo prima di rubarmi il casco dalle mani, lasciarmi un bacio a fior di labbra e posizionarmelo poi sul capo, allacciando per bene il gancio al di sotto del mento. Mi prende per mano, aiutandomi a salire sulla motocicletta che sembra essere più grande di quanto in realtà ricordassi. Madden allaccia per bene anche il suo di casco, poi prende posto alla guida tenendo ben saldi i piedi per terra e voltando il viso nella mia direzione, osservandomi da sopra la spalla con la coda dell’occhio. 

«Dove andiamo?» Glielo domando quasi timidamente, con la voce un po’ ovattata per via del casco che mi stringe le guance. Madden afferra entrambe le mie mani portandosele sullo stomaco, in un muto cenno di stringerlo proprio .

«Tieniti forte.»

Madden non aggiunge altro, volta il viso e mi lascia andare portando le proprie mani sul manubrio, dando gas e producendo un rombo tanto forte da farmi sussultare e aggrappare più saldamente di quanto in realtà dovrei. Lo sento ridere, poi la moto si muove in avanti e vengo sospinta leggermente all’indietro. Chiudo gli occhi, stringendo forte le palpebre per evitare di guardare il mondo scorrere troppo veloce intorno a noi. Madden sembra rendersene conto perché mi tocca appena la gamba, quasi volesse rassicurarmi che va tutto bene, che non stiamo andando così forte. Riconosco la zona in cui siamo solo quando rallenta perché un semaforo sta per diventare rosso.

«Tutto bene?» Di nuovo si volta giusto per riuscire a intercettare il mio sguardo da sopra la spalla.

Ho solo il tempo di annuire prima che debba stringermi di nuovo a lui, con il verde a illuminare i cartelli introno a noi. La motocicletta di Madden percorrere l’ultimo tratto di strada con calma, come se non avesse più fretta di arrivare a destinazione, fermandosi solo nelle vicinanze del NEMO.

Madden posa a terra prima un piede per fare presa e poi l’altro, lasciando che il motore si spenga sotto di noi; slaccia il suo casco per scendere definitivamente e lasciarlo appeso al manubrio. Si passa una mano tra i capelli prima di allungare le dita e slacciarmi agilmente il gancio, aiutandomi poi a scendere senza perdere l’equilibrio. Litigo per un po’ con i miei stessi capelli fino a che Madden non scoppia a ridere ed è lui stesso a scostarmeli dal viso con le sopracciglia aggrottate.

«Vuoi entrare ?» Glielo chiedo facendo cenno con il mento al museo alle sue spalle. Madden scuote la testa e sfiorandomi per l’ultima volta una ciocca di capelli, mi afferra la mano intrecciando le proprie dita alle mie.

«Non credo ci facciano entrare ormai» mormora, cominciando a camminare lungo la strada, chiaramente controcorrente rispetto alla gente che invece torna indietro. «Andiamo sul ponte; il sole tramonterà tra poco.»

Lo seguo senza porre ulteriori domande, alle quali lui non ha nessuna intenzione di rispondere; camminiamo senza fretta, raggiungendo il ponte sospeso tra il museo e l’altra parte di città. Madden non è il solo ad aver avuto la stessa idea perché c’è parecchia gente che passeggia come stiamo facendo noi; qualche turista si sta dilettando con delle foto artistiche mentre un gruppo di ragazzi posa per lui, con la città alle spalle.

«Che cos’è che vuoi farmi vedere?» Cedo infine, ponendogli la domanda.

«Aspetta.»

Madden sorride e con un cenno del capo indica poi qualcosa a poca distanza da noi: siamo quasi alla fine del ponte e mi rendo conto che sulla ringhiera di sinistra c’è una parte interamente ricoperta da quelli che riconosco essere dei lucchetti, tutti intrecciati gli uni agli altri. Mi volto verso di lui con un cipiglio curioso sul viso.

«Mi hai portata qui per vedere dei lucchetti?»

«Sì e no; vieni» mi trascina per qualche passo, allontanandoci appena verso un gruppo molto ridotto degli stessi. Abbassa leggermente il busto, indicando un lucchetto blu scuro così rovinato che la vernice è quasi del tutto scomparsa. «Volevo farti vedere questo

Mi chino in avanti per essere alla sua stessa altezza e osservare meglio ciò che ho davanti: è un lucchetto classico, non molto grande. C’è persino della ruggine su di esso, ma spiccano ancora due nomi scritti con un indelebile che deve essere sopravvissuto a qualsiasi agente atmosferico. Esther e Paul.

«Madden, ma Esther è…»

«Nonna Esther, sì» mormora, abbassandosi ancora di più fino a rimanere in equilibrio sui talloni. «Paul era il nome di mio nonno.»

«Da quanto tempo è qui questo lucchetto?» Imito i suoi stessi gesti, trovandomi così alla sua stessa altezza per riuscire a guardarlo negli occhi quando volta il viso nella mia direzione. 

«Non lo so con esattezza perché nemmeno la nonna se lo ricorda» me lo dice pizzicandosi la punta del naso. «Ma qualche anno fa stavo passeggiando qui con lei e me l’ha mostrato. È stato il nonno a volerlo fare, non di certo la nonna.» Sorride al ricordo, poi si solleva nuovamente ed io seguo ancora i suoi movimenti; posa entrambe le mani alla ringhiera, stringendo così forte che le nocche gli diventano bianche. 

«Romantico.» Madden allunga una mano verso il mio viso, sfiorandomi la guancia. 

«Mi hai detto che non sai se credere davvero all’amore perché ne hai sempre e solo letto» annuisco alle sue parole, ricordando le mie. «Vuoi sapere l’unico amore nel quale ho creduto io? Il loro.» Questa volta sono io a stringere la mano di Madden nella mia, avvicinandomi tanto da sfiorargli la spalla con il mento. Madden mi avvolge il fianco senza lasciare la presa.

«Raccontamelo.»

«Non mi ricordo granché in realtà» ammette Madden e lo fa quasi sottovoce, in un sussurro che solo io posso sentire. «È stata la nonna a crescermi e per un po’ il nonno è rimasto con noi; è morto quando ero ancora molto piccolo e ho immagini confuse di lui. Nonna però ne parla ancora bene e le brillano gli occhi quando mi racconta qualche aneddoto. È stata lei a insegnarmi che in realtà l’amore esiste e che non è sempre o per forza come quello tra Bart e mia madre.» 

«Pensi che loro due non si amassero?» 

«Credo che Bart abbia amato mia madre in un modo tutto suo; distruttivo però, guarda com’è finita.»

«Quindi all’amore ci credi.» La mia non è una domanda, eppure Madden annuisce come se lo fosse, come se volesse darmi una risposta.

«Credo nell’amore strano che provo per Will, in quello che vedo tra Gavin e Margot» mi sfiora la punta del naso con il proprio. «Credo a quello che c’è tra me e te.» 

Mi sollevo sulle punte per riuscire ad arrivare alle labbra di Madden, che le racchiude tra le proprie in un bacio silenzioso che però dice tutto. Mi stringe a sé per qualche istante prima di lasciare che prenda il suo posto, con il suo corpo a sovrastare il mio mentre le mie mani stringono dapprima la ringhiera che ho di fronte e poi gli avambracci che Madden mi ha stretto sulla vita.

Davanti a noi il sole sta tramontando e il cielo si è tinto di sfumature così diverse tra loro da creare un gioco che sembra quasi finto; lo guardiamo sparire in silenzio fino a che il buio non ci avvolge e Amsterdam si anima di luci gialle e aranciate così vive da sfarfallare ovunque, persino riflesse nell’acqua sotto di noi. Madden trema appena, ma non si muove; posa il mento sulla mia testa, poi indica la Pagoda che ci sta di fronte, tanto illuminata da sembrare viva. 

«Quello è uno dei posti preferiti di Will.» 

«Chissà come mai i posti preferiti di Will hanno sempre a che fare con il cibo.» Madden sogghigna e stringe la presa; abbiamo entrambi freddo, ma nessuno dei due lo ammetterà mai ad alta voce perché né io né lui abbiamo intenzione di muoverci di lì. «Sai a che cosa pensavo l’altro giorno?» 

«A Will?» Scherza Madden, eppure la mia risposta è affermativa. «Perché pensavi a Will?»

«Pensavo al giorno in cui Will ha deciso di rovesciarmi addosso il caffè; ti ho sentito parlare con la ragazza che sedeva al mio fianco e ho pensato che avessi una voce molto bella, una di quelle che ascolterei per ore senza stancarmi mai.»

«Non ti sei mai girata.»

«Non lo avrei mai fatto» ammetto e immagino Madden aggrottare consapevolmente le sopracciglia. «Non in questa vita, almeno.»

«Mi dirai mai che cos’è successo?» Il mento di Madden mi si posa delicato sulla spalla.

«Non lo so» mormoro, stringendo la presa sulle sue braccia. «L’unico amore che ho conosciuto e del quale mi sono fidata ciecamente è quello di Dylan. Non ho permesso a nessuno di toccarmi così perché nessuno mi ha mai insegnato che in realtà il bello esiste, basta solo trovarlo.»

«E ci sei riuscita?» Sorrido, ben consapevole che Madden non possa vedermi.

«Forse.»

«Io ti ho trovato» mormora, sfiorandomi la guancia con le labbra. «E non ti stavo nemmeno cercando; sei sempre stata

«E se Will non si fosse mai intromesso? Che cosa avresti fatto?»

«Non lo so, mi sarei inventato qualcosa» lo sento stringersi nelle spalle. «Ricordi la sera del mio compleanno? Quando mi hai detto che speravi che il mio desiderio si potesse realizzare in fretta?»

«La sera in cui hai pensato che fosse una buona idea baciarmi e spaventarmi a morte?» Madden scoppia a ridere, così annuisco. «Me lo ricordo bene.»

«Sono quasi certo che si sia avverato.» Non lo so se sia il freddo a farmi rabbrividire fin nelle ossa, ma lascio che Madden mi stringa a sé ancora di più.

«Mi fa piacere.» Mormoro, posandogli la testa sulla spalla.

Il ponte si anima di ulteriori luci, come se fossero state pre impostate per accendersi tutte insieme in un preciso momento. C’è della musica in sottofondo, ma non capisco da dove provenga.

«Cecy?» La voce di Madden rianima i miei pensieri.

«Sì?»

«Mi sa che mi sono innamorato di te.» Madden il mio sorriso lo sente perché le sue labbra sono ancora ferme sulla mia guancia.

«Mi sa che mi è successa la stessa cosa.» Mormoro.

È solo un istante quello che passa prima di ritrovarmi premuta contro di lui, la schiena a cozzare sulla ringhiera, le mani tra i capelli di Madden e le sue labbra ferme e decise sulle mie. Questa volta non è cauto nei movimenti, non esita, non aspetta: si prende semplicemente ciò che gli appartiene.

«Andiamo a casa» mi solletica la pelle del collo con il suo stesso respiro. «Stai congelando.»

A casa però non ci arriviamo perché Madden ferma la motocicletta nei pressi di un benzinaio per fare rifornimento e sta litigando con il gancetto del mio casco, che sembra essersi incastrato e di allacciarsi di nuovo non ne vuole sapere. Lo ha tra le mani quando la voce di Bart echeggia nel silenzio della sera. Quando entrambi ci rendiamo conto da che parte provenga e quanto sia vicino a noi, afferro il braccio di Madden d’istinto, sgranando gli occhi e soffocando un grido. Lì, proprio davanti a sé, ha una pistola e la sta puntando dritta verso Madden.

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** 38 ***


 

capitolo
38





 

Il casco scivola dalle mani di Madden a una lentezza quasi teatrale, producendo uno schianto non indifferente nel momento in cui entra in collisione con l’asfalto duro della strada. Rotola per qualche metro e la visiera si spacca in mille pezzi che luccicano a terra come gocce di rugiada al sole. Si ferma esattamente ai piedi di Bart, che solleva il capo nella nostra direzione, riposizionando l’arma che tiene tra le mani; gli trema appena, ma un sorriso glaciale si fa spazio sul suo viso.

Le dita della mia mano premono a fondo sul braccio di Madden, che addirittura sussulta e mi dà definitivamente le spalle per concentrare il suo sguardo solo e unicamente su suo padre. Trema e lo sento deglutire per poi bestemmiare tra i denti; fa un leggero passo avanti nel momento stesso in cui Bart compie l’esatto suo movimento. Io invece resto immobile, dritta e ferma dietro il corpo di Madden a contare ogni battito che il mio cuore impazzito scandisce. Perdo il conto e vado in confusione perché è troppo anche per me riuscire a stargli dietro.

«Bart?» Quello che emette Madden è un semplice sussurro, uscito quasi per caso dalle sue labbra. Non sento il suo cuore, ma lo immagino galoppare alla stessa velocità del mio, se non a un ritmo del tutto impazzito. Non ci sono solo loro due, ci sono anche io. 

«Guarda un po’ chi c’è qui» la voce di Bart è grave e quasi roca mentre aggrotta le sopracciglia e inclina la testa di lato, quasi stesse soppesando le nostre figure. «L’unico e il solo Madden Harvey, il mio figlio prediletto.» 

«Bart, la pistola…»

«Ti piace?» Lo interrompe Bart, arrestando i suoi passi per abbassare appena l’arma e rimirarla tra le sue stesse mani. «Te la regalo se vuoi, l’ho rubata a… non mi ricordo a chi, in realtà.» La rialza per puntarla di nuovo contro Madden. 

«Papà, che cosa vuoi?» Nella voce di Madden c’è paura e nel momento in cui suo padre avanza un ulteriore passo nella nostra direzione, lui compie un passo indietro scontrandosi inevitabilmente con il mio corpo. 

«Parlare.» La sua è una risposta secca e sincera; Madden annuisce in fretta e il braccio che tiene lungo disteso davanti a sé, quasi volesse fermare le ignobili intenzioni di suo padre, lo porta dietro la sua schiena afferrandomi la mano.

«Permettimi di portarla a casa e ti giuro che parleremo.» La supplica che esce dalla sua bocca mi fa tremare le ossa; Bart aggrotta di nuovo le sopracciglia e sembra soppesare l’idea fino a che non arriccia le labbra e scuote la testa.

«No, io non credo» mormora, pizzicandosi la punta del naso e facendo sussultare Madden sui suoi stessi piedi. «Non andrai da nessuna parte. La piccola Cecy resterà qui con noi.»

«Abbassa la pistola.» Bart sorride di sbieco, ma anche lui sobbalza quando un tuono in lontananza ci avverte del suo arrivo imminente; il cielo si è coperto di nubi scure all’improvviso e l’odore di umidità m’impregna ora le narici. 

«Ti fa paura?» Il padre di Madden avanza un terzo passo nella nostra direzione, mentre noi non abbiamo ulteriore via di fuga: dietro di me la moto non ne vuole sapere di spostarsi. 

«Sì.» Sussurra Madden, accompagnando la risposta con un cenno del capo. 

«Hai paura di me?»

«In questo momento?» Bart annuisce compiaciuto. «, ho paura di te.» Ammette Madden in un sussurro e il volto di Bart si distende in un sorriso. 

«Bene.» 

«Ti prego, abbassa la pistola.»

«Zitto» ordina Bart e Madden sobbalza appena, ma obbedisce; le prime gocce di pioggia bagnano leggere l’asfalto. «Ho sentito che Will è uscito dall’ospedale. Hanno trovato chi è stato a ridurlo in quello stato?» La voce di Bart assume una strana connotazione e Madden se ne accorge.

«No, non ancora.»

«Peccato» mormora e sembra quasi dirlo a sé stesso. «Dovrebbero cominciare da suo padre; la compagnia che frequenta non mi è mai sembrata così affidabile.»

«Come conosci il padre di Will?»

«Oh Mad, io conosco tutti.» Ed è compiaciuto mentre lo pronuncia a voce più alta del normale, poi barcolla appena sui suoi piedi, incespicando sull’asfalto. Madden sobbalza ed io faccio lo stesso perché il braccio con cui tiene ben salda la pistola si muove fin troppo velocemente. 

«Tu sai che cos’è successo a Will?» 

«No» Bart scuote la testa e si stringe appena nelle spalle. «E so che non mi credi, ma è pur sempre Will.»

«Non mi sembra ti sia mai importato granché di Will» ribatte rabbioso Madden e vorrei che non l’avesse fatto perché la guancia di Bart si stringe in una morsa. «O almeno, non mentre gli riempivi la faccia di pugni perché non ti ha mai fatto entrare in casa nostra per chiedermi dei soldi.»

«Dovreste cercare suo padre» ripete a denti stretti. «E lo sai anche tu. Puoi fidarti o meno di me.»

«Fidarmi di te?» Abbaia Madden e la sua mano scivola dalla mia per poter compiere un paio di passi verso suo padre. «Sei maledettamente ubriaco e mi stai puntando addosso una pistola. Come potrei mai fidarmi di te?»

«Non sono ubriaco» Bart incespica nuovamente nei suoi piedi, avvicinandosi a Madden ma lasciando comunque una distanza abbastanza ampia. «Non ho più soldi: gli ultimi li ho spesi per comprare della coca o qualcosa che mi hanno venduto come tale.» 

«Ti prego papà, lasciami portare a casa Cecily…»

«No» lo interrompe senza riguardo per sorridere poi nella mia direzione. «Dimmi un po’ Principessa: sei riuscita a trovare tuo padre?» Madden volta il viso nella mia direzione per un solo secondo, trattenendo il fiato. Mi guarda da capo a piedi e c’è solo paura nei suoi occhi; vorrebbe chiedermi scusa, ma non può.

«No.» Il mio è un semplice sussurro e non sono nemmeno sicura che sia giunto alle orecchie di Bart, nonostante abbia arricciato le labbra come se fosse deluso dalla mia risposta.

«Hai detto che volevi parlare» interviene Madden, spostandosi di lato per interrompere quel contatto visivo che Bart non ha nessuna apparente ragione per farlo. «Parla con me, non con lei.» Il suo è un ordine ben preciso e lo vedo Bart alzare gli occhi, lo vedo eccome. Vedo anche la pistola tremare e sento i battiti del cuore rimbombarmi nelle tempie senza sosta. Sto respirando troppo velocemente e le vertigini mi attanagliano la bocca dello stomaco.

«Tu ed io parliamo, ma tu non ascolti» mormora infastidito Bart, passandosi una mano tra i capelli umidi per scostarseli dalla fronte. «Tu non ascolti mai.»

«Ti ascolto» ribatte, avanzando un secondo passo nella direzione di suo padre e persino lui ne sembra stupito. «Ti ascolto adesso

«No, mi ascolti solo perché hai paura.»

«Certo che ho paura!» Le urla di Madden mi graffiano persino la pelle. «Se non sei ubriaco, hai in corpo non so quale droga e ho una cazzo di pistola puntata in faccia. Come faccio a non aver paura, me lo dici? Ho paura che tu possa sparare accidentalmente e colpire Cecy, che tra me e te non ha niente a che fare. Ho paura di te eccome, Bart: ho paura di te dal giorno in cui sono nato.» 

Le spalle di Madden si alzano e si abbassano velocemente, come se avesse il fiatone e stesse cercando di recuperare quanto più fiato possibile perché il respiro si calmi. Si porta entrambe le mani tra i capelli perché ora la pioggia ha iniziato a scendere copiosamente e a lei non importa che siamo fermi in mezzo alla strada, senza un riparo se non la misera pensilina della stazione di servizio sotto cui mi trovo solamente io.

«Io voglio solamente una cosa.»

«Non puoi averla» il sussurro di Madden lo sento anche se distante. «Non potrai mai averla.»

«Io non ho più dove andare, lo sai questo non è vero?» Bart non vuole una risposta e Madden non gliene dà una. «Non ho più una casa perché tu non mi permetti di averla.»

«Non è casa tua.» Le risposte di Madden sono sempre le stesse e suo padre lo sa. 

«Lo sarebbe, se solo tu mi facessi rimuovere quella restrizione.»

«Come pensi…»

«L’agente Michaels è nelle tue grazie e non dire che non è così perché lo sai meglio di me» Bart muove un ulteriore passo verso Madden e la vicinanza tra i due mi fa gelare il sangue. «Quante volte ho rischiato di finire dietro le sbarre, ma hai chiesto a lui di non farlo? Quante volte?»

«Troppe volte» replica a denti stretti Madden. «E non te ne sei meritato neanche una.»

«Eppure lo hai fatto e lui ti ha sempre dato retta.»

«Solo perché non potresti mai stare in prigione.»

«Sì, perché sono un cazzo di drogato e un alcolizzato senza nessuna vergogna» la voce di Bart trema dalla rabbia. «Non possono fare niente con me se non rinchiudermi da qualche parte, ma tu non lo hai mai chiesto.»

«Ti ricordi perché ti hanno messo questa cazzo di restrizione? Dimmi papà: te lo ricordi?»

«Io…»

«Hai quasi ammazzato zio Rupert in quella casa per un motivo che ancora oggi mi è del tutto sconosciuto o probabilmente lo hai fatto in preda a qualche sostanza che vagava liberamente nel tuo corpo e magari non te lo ricordi nemmeno tu adesso.»

«Me lo ricordo invece.» Replica Bart, con la mano davanti a sé tremante.

«Poi un giorno hai quasi ammazzato Clint, sempre dentro quella casa» continua Madden e la sua voce pare quasi irriconoscibile. Ogni parola, ogni sillaba è carica di rabbia e odio nei confronti di Bart e sembra volergli uscire dal corpo una volta per tutte. «Ho dimenticato quelle in cui hai quasi ammazzato me e quelle, caro papà, sono sicuro che nemmeno te le ricordi.» 

«No, non me le ricordo» sbraita Bart e con un altro passo è faccia a faccia con Madden; sono quasi sicura che i loro piedi si sfiorino. «Ma sicuramente avrò avuto dei buoni motivi.»

«Per ammazzarmi?»

«Chi può dirlo.»

«Sei un bastardo.» La voce di Madden trema tanto quanto le mani che tiene ben salde lungo i fianchi, strette a pugno per evitare di colpire suo padre.

«Tu pensi sempre di sapere tutto, vero?»

«No, io…»

«Pensi che l’incidente con Clint sia stato casuale? Che l’ho fatto perché non ero in me?» Madden annuisce alle domande di Bart. «Sì?»

«Sì.» Asserisce ancora Madden e una mano se la porta al viso, probabilmente per scacciare qualche goccia di pioggia troppo insistente. 

«Non è così perché tu, figlio mio, non sai niente.» 

«Allora dimmelo tu» mormora Madden. «Per una volta nella tua vita, sii sincero con me.»

Ho quasi timore che Madden possa compiere un ulteriore passo in avanti e allora la sua fronte finirebbe per toccare il carrello freddo della pistola che Bart non ha nessuna intenzione di abbassare, nonostante la sua mano tremi e forse persino il suo braccio sta chiedendo pietà. 

«Ho passato quindici anni a piangere la morte di tua madre, quindici Madden» Bart deglutisce e per un istante, i suoi occhi li posa su di me prima di riportarli in quelli di Madden, che sono così simili ai suoi da spaventarmi. «Ho vissuto nel senso di colpa e tuo zio Rupert non ha fatto altro che alimentarlo. Clint, quel bastardo, ha pensato bene di distruggere completamente la mia persona.»

«Perché?»

«Perché è quello che fa un traditore: lui ed io siamo cresciuti insieme in questa cazzo di città e tua madre era bellissima già dall’età di dieci anni. È sempre stata al mio fianco e poi l’ho spostata. Quindici anni dopo la sua morte, quando mi ha trovato più vulnerabile che mai, mi ha detto non me la sono mai meritata, che è stata tutta colpa mia se sei stato tu a trovare il suo corpo.» Le spalle di Madden vengono scosse da un singulto.

«Che cosa…»

«Ha detto che non sarebbe mai accaduto se avessi lasciato che tua madre si fosse innamorata di lui. Dopo quindici anni passati a piangere tua madre, mi ha confessato di essere sempre stato innamorato di lei.»

«Questo non giustifica il tuo averlo quasi ucciso.»

«Ah no?» Domanda sarcastico Bart e di nuovo i suoi occhi trovano i miei. Non lo so se io abbia cominciato a lasciar scorrere le lacrime o se si tratti solo di pioggia, ma tutto intorno a me risulta quasi sfocato. «Vuoi un esempio pratico? Prendiamo Cecy.»

Sussulto nello stesso momento in cui sento pronunciare il mio nome e osservo Madden allungare un braccio nella direzione del viso di Bart. Un grido lascia le mie labbra quando il pugno destro di Madden s’infrange sullo zigomo di suo padre, facendolo gemere di dolore. Mi copro il viso con entrambe le mani, quasi servisse a proteggermi da quello che accadrà nell’immediato. Il braccio con cui Bart tiene la pistola si muove in fretta e la traiettoria del suo bersaglio cambia: ora punta al suolo mentre con l’altra mano cerca di schivare il secondo pugno che Madden vuole assestargli probabilmente di nuovo sul viso o all’altezza della bocca. Bart deve in qualche modo riuscire a colpire Madden perché lo sento imprecare tra i denti e portarsi le dita alle labbra. 

In uno strano susseguirsi di movimenti, Bart afferra Madden per la spalla in modo da voltarlo e fare sì che la sua schiena aderisca perfettamente al proprio petto, libero di potergli stringere il braccio da spalla a spalla, immobilizzandolo. Le mie gambe si sono mosse da sole perché ora sono completamente esposta alla pioggia, che ha deciso di cambiare d’intensità e scendere così copiosamente da creare una leggera nebbiolina tutto intorno.

Sono talmente vicina a Madden e suo padre da riuscire a scorgere gli anelli che Bart porta alle dita della mano con cui tiene in trappola Madden; catturano le luci dei lampioni, riflettendosi gli uni con gli altri e quelli di Madden fanno esattamente la stessa cosa. Rimane immobile, con la mano destra stretta al polso di suo padre e il volto appena verso di lui; non credo nemmeno si sia accorto di me, tanto vicino che posso sentirlo arrancare in cerca di fiato.

«Non agitarti troppo, non vuoi scoprire quanti proiettili contiene questa pistola.» Bart ha il fiatone mentre lo pronuncia in un misero sussurro alle orecchie di Madden. 

«Sei un bastardo.»

«Dicevo: prendiamo come esempio Cecy» Madden porta lo sguardo davanti a sé salvo accorgersi finalmente della mia presenza; gli tremano le labbra e i capelli sono fradici sulla sua fronte. «Immagina di perderla, di non poterla vedere mai più e passare ogni anno della tua vita con questo pensiero fisso nella testa. Immagina Will confessarti di essere sempre stato innamorato di lei e colpevolizzarti di qualsiasi cosa. Immaginalo!» Le urla di Bart mi fanno scuotere le ossa e vedo Madden chiudere gli occhi così forte da farsi male.

«Zitto! Zitto, devi stare zitto!»

«Immaginalo e dimmi che non avresti reagito come me.»

«No.»

«No?» Continua Bart, sollevando il braccio in cui tiene la pistola così lentamente da farmi ingoiare l’ultimo briciolo di fiato che mi resta. «Sei mio figlio, Madden. Sei esattamente come me.» Il metallo freddo del carrello della pistola è ormai a pochi millimetri dalla guancia di Madden e so che Bart arresterà la sua risalita solo in prossimità della tempia, proprio lì dove i capelli di Madden hanno cominciato ad arricciarsi. 

«Io non sono come te» la voce di Madden si perde nel silenzio. «E non potrò mai darti quello che vuoi, non potrò mai farti togliere quella restrizione, neanche dopo che la nonna non ci sarà più.»

«Sì che puoi; quella casa è mia di diritto.»

«No, non lo è più: è mia» Madden continua a rimanere immobile nella presa di Bart, eppure è lui stesso che ora vacilla appena, portando Madden con sé, ma ritrovando l’equilibrio. «Il nonno, quella casa, l’ha lasciata a me. C’è il mio nome su quei documenti e non ti darò mai quello che vuoi.»

«Allora forse mi toccherà premere questo grilletto una volta per tutte.» Madden chiude gli occhi, mordendosi il labbro inferiore quando Bart colpisce la sua tempia con la pistola.

«Ti prego Bart, non lo fare» la mia voce esce così distorta che per un momento nemmeno la riconosco. «Ti supplico.» Gli occhi di Madden si fermano nei miei e scuote la testa così debolmente che penso addirittura di immaginarlo.

«Oh sì, io lo premerei.» L’indice si muove verso il grilletto e qualcosa sembra fare un misero scatto che mi fa accapponare la pelle; Madden deglutisce e preme a fondo le proprie dita nel polso di Bart.

«Assicurati di prendere bene la mira perché non avrai un’altra occasione, papà.» Madden parla tra i denti e Bart scoppia a ridere.

E ride così di gusto che nel silenzio assordante, l’unica voce presente, l’unico rumore udibile, è lui. Mi fischiano le orecchie così forte che vorrei mettermi a urlare perché questa sensazione finisca e mi permetta di pensare lucidamente. Guardo gli occhi verdi di Madden tra le lacrime, con il cuore che ormai batte così forte contro la gabbia toracica che se solo potesse uscirmi dal petto, lo farebbe in questo istante.

Mi accorgo che Bart ha ripreso a parlare, ma il mio udito non vuole collaborare e il mio sguardo cerca solo e soltanto quello di Madden. Anche lui sta dicendo qualcosa e mi rendo conto che non lo sta però facendo ad alta voce, ma è un sussurro solo e soltanto per me. Il suo mi dispiace lo sento appena; il ti amo mimato a fior di labbra glielo leggo proprio

Deve succedere qualcosa in quel frangente, poco prima che la vista mi si appanni del tutto per le vertigini e la paura. Bart tossisce e proprio quando alzo gli occhi nella sua direzione, ormai completamente fradicia, vedo il braccio con il quale punta la pistola alla tempia di Madden perdere forza e la stessa cosa succede al suo corpo. La mano che tiene fermo Madden scivola fino ad aggrapparsi alla sua giacca. Madden si volta in tutta fretta e riesce a sostenerlo per il gomito; la pistola cade a terra rumorosamente e con un calcio, Madden riesce a mandarla lontano. 

«Papà!» Nella sua voce c’è urgenza e non più terrore, sembra quasi che lo stia chiamando. Il corpo di Bart scivola verso il terreno e Madden con lui fino a che non è completamente sdraiato a terra, Madden inginocchiato al suo fianco. Bart annaspa in cerca di fiato.

«Papà, che cosa succede?»

«Non…» Bart incespica nelle sue stesse parole e afferra la spalla di Madden.

«Papà, che cosa hai preso?» Le domande di Madden restano senza risposta. Traffica con qualcosa all’interno della giacca e lo sento poi parlare velocemente con l’ambulanza, chiedendo di poter arrivare più in fretta possibile, che suo padre non respira.

Piove tanto forte da fare un rumore infernale. 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** 39 ***


 

capitolo
39





 

Devo essermi accasciata a terra nel momento in cui Madden ha chiuso la chiamata con l’ambulanza; l’unica cosa che mi permette di rimanere lucida e di tenere gli occhi bene aperti è il dolore sordo che mi attanaglia il ginocchio. Quando abbasso lo sguardo, in quella misera frazione di secondo che mi concedo per farlo, un brutto graffio mi ricopre la pelle e le collant velate sono ormai strappate in più punti. L’impatto con l’asfalto deve avermelo provocato, ma non me lo ricordo. 

Non ho bisogno di avvicinarmi a Madden, mi basta allungare una mano per potergli sfiorare la gamba che tiene lunga distesa sul cemento, le spalle di Bart a posarsi proprio lì e la testa giusto in grembo. Mi fischiano ancora le orecchie, ma vedo le labbra di Madden muoversi senza però guardarmi. Strizzo gli occhi più e più volte, costringendomi a concentrarmi su quello che sta accadendo. 

«Stanno arrivando, Bart» gli trema la voce mentre scosta una ciocca di capelli dal viso di suo padre, il cui petto si alza e si abbassa sommessamente, in cerca di quell’aria che proprio non ne vuole sapere di entrare in circolo. «Arrivano.»

Bart gli afferra la mano e stringe così forte che Madden chiude persino gli occhi per una frazione di secondo. Quando si volta nella mia direzione, le gocce di pioggia che gli corrono lungo gli zigomi e le guance gli si infrangono sulle labbra ed è costretto a portarsele via con un movimento veloce della lingua.

«Cecy»

«Sto bene» mormoro in fretta e lo so che ha visto il sangue sulla mia gamba. «È solo un graffio.»

«Will» me lo dice meccanicamente e non c’è bisogno che aggiunga altro perché io annuisca, salvo rendermi conto di non avere con me il telefono, rimasto sommerso nella borsa rimasta sulla motocicletta. «Ho bisogno di Will.» 

Capisco le sue intenzioni quando solleva la mano con la quale sta ancora stringendo quella di Bart; mi avvicino fino ad accasciarmi esattamente di fronte a lui. Sono io ad afferrare la mano di suo padre, che volta in fretta il viso nella mia direzione e annuisce in quello che voglio credere sia un tacito ringraziamento. La stringe forte, segno che ancora non ha intenzione di cedere ed io rincaro la dose perché non può finire così.

Nonostante tutto non deve finire così. 

Madden ha impostato il vivavoce per essere libero nei movimenti e scandagliare le strade intorno a noi alla ricerca dell’ambulanza; gli squilli echeggiano a vuoto per un paio di secondi prima che la voce di Will arrivi ovattata dagli altoparlanti. Il cellulare di Madden deve aver immagazzinato così tanta pioggia che mi stupisco di come funzioni ancora; quando la voce di Will trema tra una parola e l’altra ho quasi timore che non reggerà ancora a lungo.

«Mad, sto cercando di chiamarti da mezz’ora; dove cazzo sei finito?»

«Will, devi…» Madden fa una pausa e prende fiato per una ragione che non conosco, ma Will deve captare che qualcosa non va perché lo sento agitarsi su quella che immagino essere la sua poltrona e qualcosa tintinna nelle sue immediate vicinanze. «Devi venire qui.»

«Dove? Dove sei?» Madden si guarda nuovamente intorno alla ricerca di un punto da poter comunicare al suo migliore amico. «Che cos’è successo? Cecy…»

«All’incrocio con la Vince» parla in fretta Madden, puntandomi lo sguardo contro. «Al benzinaio. Bart, sta male.»

«Arrivo

Will chiude la chiamata così in fretta da non lasciare a Madden nemmeno il tempo di chiedergli se abbia capito, se gli servissero dei dettagli in più, se abbia bisogno della posizione esatta. A Will però tutto questo non serve e non avrebbe avuto nemmeno la decenza di ascoltare correttamente.

Non riesco a contare quanto tempo passi esattamente, ma Bart ha chiuso gli occhi e il respiro è meno affannato; non credo sia un buon segno e mi ritrovo a compiere gli stessi movimenti di Madden, che controlla smanioso in ogni dove, imprecando sommessamente. Ho così freddo da sbattere i denti e le gocce di pioggia sul viso sembrano cristalli di ghiaccio.

Le prime luci blu e rosse fanno la propria comparsa dal fondo della via e il suono assordante riempie finalmente lo spazio circostante. La guardia medica ferma la propria corsa in corrispondenza della pompa di benzina e il medico alla guida si precipita verso di noi senza preoccuparsi di spegnere il motore o di chiudere la portiera. Da una ricetrasmittente parla con l’ambulanza, fornendo loro l’esatta posizione in cui ci troviamo. Voglio alzarmi, ma il medico non me lo permette e mi indica di non muovermi prima di aver compreso che cosa sia potuto succedere con esattezza; obbedisco e quasi trattengo il fiato.

«Il paziente respira ed è cosciente. Ho bisogno di ossigeno subito» con gli occhi cerca lo sguardo di Madden, che ha il capo sollevato nella sua direzione e il labbro inferiore stretto tra i denti. «Riesci ad alzarti?» Per un momento ho il sospetto che lo stia chiedendo a Bart, ma quando vedo Madden annuire e sfilare lentamente la gamba da sotto le spalle di suo padre, capisco che in realtà è a lui che stava ponendo la domanda.

«Io non…»

«L’ambulanza è dietro l’angolo» il medico si abbassa per poter essere al mio stesso livello e rubare la posizione in cui è stato Madden fino a qualche secondo fa. «Signorina, lei sta bene?» Annuisco velocemente, sussultando quando le sirene assordanti dell’ambulanza echeggiano nel silenzio della sera. 

L’autovettura si ferma esattamente di fronte a noi nello stesso momento in cui, dalla parte opposta della strada, l’auto di Will inchioda così velocemente da produrre un suono talmente sordo da far voltare tutti i presenti nella sua direzione. Lo vedo scendere dall’auto di corsa riparandosi la testa con il braccio invano, la pioggia riesce a insinuarsi in ogni dove e quando attraversa la strada i capelli sono già grondanti di acqua. Un medico scende in fretta dall’ambulanza, seguito da altri due paramedici; Madden impreca sottovoce distogliendo lo sguardo da Will, che alle mie spalle bestemmia tra i denti senza nemmeno curarsene. Quando alzo gli occhi dalla figura di Bart riconosco la stessa ragazza che tempo fa ha soccorso la nonna di Madden.

«Alicia.» La sua voce trema di nuovo e vedo la ragazza annuire seriamente prima di lasciar cadere a terra il borsone che gli pende dalla spalla.

Avanza un ultimo passo verso Madden, stringendoselo addosso con così tanto trasporto da rischiare di fargli perdere persino l’equilibrio. Madden si aggrappa alle sue spalle come se la sua stessa vita dipendesse da questo; non sento che cosa Alicia gli sussurri all’orecchio, però Madden annuisce e la lascia andare, passandosi una mano tra i propri capelli fradici che non gli si addicono per nulla. La mano di Will mi si posa sulla spalla e mi rendo conto che il medico mi sta dicendo di fare posto, che posso finalmente sollevarmi da terra e lasciare Bart nelle loro mani. Will mi aiuta e mi tira contro il suo fianco, avvolgendomi un braccio intorno alle spalle con il chiaro intento di portarmi via un po’ di gelo da dosso. Sono zuppa dalla testa ai piedi.

«Che cos’è successo con esattezza?» È sempre il medico arrivato per primo a porre la domanda, mentre Alicia fa passare la mascherina dell’ossigeno sul volto di Bart, posizionandola correttamente su naso e bocca. Bart le stringe il polso con la mano e apre appena gli occhi. Cerca Madden con lo sguardo, ma lui in questo momento non se ne accorge.

«Credo abbia preso qualcosa, ma non so di che cosa possa trattarsi» Madden parla in fretta, con la mano destra stretta tra le ciocche dei capelli, ad allontanarseli dalla fronte. «È mio padre, è un tossicodipendente. Mi è quasi svenuto tra le braccia, ha smesso di respirare…»

«Lo porteremo via immediatamente.» Il medico interrompe il flusso di parole di Madden, che però annuisce mordendosi l’interno della guancia.

Lo sappiamo tutti che la pistola abbandonata al suolo è ben visibile, ma nessuno ne fa parola. Alicia conosce Bart tanto quanto conosce Madden e qualcosa mi dice che le parole sussurrate al suo orecchio abbiano proprio a che fare con quello. 

«Posso venire con voi?» La domanda di Madden è una supplica, ma il medico annuisce senza difficoltà.

«Non possiamo farti salire sull’ambulanza, tuo padre ha bisogno di aiuto immediato.» Parla severo, ma Madden fa comunque cenno di aver capito e che non ci sono problemi a riguardo.

«Ho la moto» mormora, indicandola con un cenno del capo. «Dove lo portate?»

«All’UMC» è Alicia a rispondere. «Chiedi di me all’accettazione.» Fa un passo indietro quando due suoi colleghi sollevano Bart per adagiarlo sulla barella.

Madden annuisce e di nuovo si stringe Alicia tra le braccia, in un ringraziamento che va oltre qualsiasi cosa. Li osserviamo fino a che i lampeggianti blu e rossi si dissolvono nella notte. Will mi lascia andare nel momento in cui Madden barcolla sui suoi stessi piedi e se Will non fosse stato pronto, Madden sarebbe finito a terra.

«Hey.»

«Devo andare, tu devi portare…» appoggia una mano sulla spalla di Will e le sue nocche sbiancano dall’intensità con cui lo sta stringendo. «Will, ti prego.»

«Mad sei bagnato fradicio, non puoi raggiungere l’ospedale in moto, ti ammalerai» Will parla in fretta, scostandosi lui stesso i capelli bagnati dal viso. «Andiamo prima a casa, poi ti accompagno in macchina.»

«No» Madden scuote forte la testa e fa un passo indietro, in modo che Will lasci la presa. «No, devi portare a casa Cecily.»

«Madden, ascoltami.»

«Ti prego Will, per una volta fa come ti dico.» Gli occhi di Madden intercettano i miei, che sto tremando dalla testa ai piedi. Lo vedo muovere un passo in avanti e con le mani mi afferra il viso; cerco subito il colletto del maglione che porta sotto la giacca e lo stringo tanto forte da farmi male. Chiudo gli occhi quando sento le sue labbra fredde premermi sulla fronte.

«Mi dispiace.» Me lo sussurra sulla pelle.

«Va da lui.»

Madden inspira forte, poi mi bacia e fa un passo indietro lasciandomi così velocemente che quasi barcollo sulle mie stesse gambe per l’improvvisa mancanza di contatto. Corre verso la moto e prima di infilarsi il casco si volta nuovamente nella nostra direzione, quasi volesse dirci un’ultima cosa. Will non ha bisogno che Madden lo pronunci perché annuisce e mi passa di nuovo un braccio intorno alle spalle.

«Ci penso io» la voce di Will è tanto ferma da farmi tremare le ossa. «Chiamami appena arrivi.» 

Il rombo della moto di Madden echeggia nel silenzio e in una frazione di secondo ci sfreccia accanto, immettendosi in strada; Will mi accompagna alla macchina con ancora il motore acceso. Mi aiuta ad allacciare la cintura e si sporge oltre la mia persona per aumentare il riscaldamento; mormora che arriverà subito e così lo seguo con lo sguardo solo per vederlo abbassarsi sull’asfalto e afferrare la pistola che giace inerme al suolo, nascondendosela poi sotto la giacca. Torna di corsa, salendo in auto e allacciandosi velocemente la cintura di sicurezza. Imposta la retromarcia e sgomma verso quella che immagino essere casa mia.

Non tremo più perché l’aria calda è tanta da togliermi il fiato, ma non glielo dico che dovrebbe abbassarla un po’ perché mi rendo conto di non avere abbastanza voce per farlo. Le orecchie hanno smesso di fischiare e adesso sentono solo le imprecazioni che lasciano le labbra ancora umide di pioggia di Will. Non si cura dei limiti di velocità, infrange persino qualche semaforo rosso fino a parcheggiare parallelo alla mia porta di casa. Fa il giro dell’auto per aprirmi la portiera e resta dietro di me fino a che non sono davanti all’ingresso.

Madden si è portato via la mia borsa nella fretta, ma le chiavi di casa sono rimaste nella mia giacca. Le dita non ne vogliono sapere di collaborare ed è Will stesso a girarle nella serratura perché ceda e finalmente si apra.

«Devi toglierti questi vestiti fradici e fare una doccia bollente Zucchero» me lo dice piano, esortandomi a muovermi dall’ingresso per entrare in salotto. «Coraggio.» È lui a sfilarmi la giacca dalle spalle prima di fare la stessa cosa con la propria e afferrare una sedia per poterle appendere entrambe. Lo vedo smanettare con il termostato e la caldaia prende vita all’istante, alzando immediatamente la temperatura all’interno di casa.

«Will…»

«Dopo» m’interrompe, facendomi cenno verso il bagno in fondo al corridoio. «Per favore, vai sotto la doccia e restaci fino a che non hai esaurito l’acqua calda.»

Mi fanno sorridere le sue parole e obbedisco senza proferire ulteriori affermazioni. Il vestito che indosso è così complicato da sfilare che sono quasi tentata di chiamare Will o di romperlo in qualche modo; è talmente incollato al mio corpo da sembrare una seconda pelle. Il vapore della doccia ha impregnato persino lo specchio e mi ritrovo a gemere di dolore quando levo anche le collant. Si sono incollate alla ferita e impreco quando riesco finalmente a gettarle nel bidone accanto al lavandino. 

La doccia porta finalmente via l’odore di pioggia, lasciando posto alla lavanda e alla rosa, impregnandomi così tanto la pelle da calmare persino i battiti del mio cuore. Esco in una nuvola di vapore acqueo, tamponandomi i capelli e azionando il phon l’istante successivo. I vestiti nuovamente caldi e asciutti sono una benedizione; recupero del disinfettante dall’armadietto solo per passarlo sulla ferita al ginocchio, coprendolo poi con un cerotto prima di tornare da Will e aver fatto partire la lavatrice. È seduto sul divano, con i capelli ormai umidi e una mano tra di essi a smuoverli perché si asciughino più in fretta. Sta parlando al telefono e non mi serve fare domande per sapere che si tratta di Madden.

«Sì, ti aspettiamo. Non correre.» Mormora, schiarendosi appena la voce. Si accorge della mia presenza e sorride, scostandosi appena per farmi posto al suo fianco e lasciare il cellulare sul tavolino di fronte a noi. «Va meglio?»

«Sì» mi raggomitolo al suo fianco e sento il braccio passare intorno alle mie spalle. «Se vuoi approfittare anche tu, non c’è problema.»

«Posso?» Domanda quasi timidamente Will e annuisco indicandogli la porta in fondo al corridoio.

«Sì, certo» replico, scostandomi una ciocca di capelli ancora impregnati di aria calda dal viso. «Gli asciugamani sono nell’armadietto. Ti prendo una felpa di Dylan così il tuo maglione si asciugherà prima.» Will annuisce e si alza lentamente dal divano.

Lo osservo chiudersi la porta del bagno alle spalle prima di compiere i suoi stessi movimenti e alzarmi dal divano per entrare in camera mia a cercare qualcosa che appartenga a Dylan. La sua doccia non dura tanto quanto la mia e ritorna in salotto con solamente i jeans addosso, afferrando poi il maglione che giace sul bracciolo del divano. Mi si siede accanto, tirando su le maniche fino a lasciare scoperti gli avambracci.

«Madden sta tornando» mormora, passandomi di nuovo un braccio dietro le spalle per stringermi brevemente a sé. «Hanno ricoverato Bart, ma sembra che stia meglio.»

Annuisco alle sue parole e lo osservo recuperare il telecomando per sintonizzarsi su un canale causale, facendo poi zapping fino a trovare qualcosa di suo gusto. Mi faccio più vicina, scivolando appena perché la mia tempia si fermi proprio all’altezza della sua spalla, in un miscuglio di profumi che virano da Dylan a Will stesso.

Il volume con cui guarda la TV è quasi al minimo e la luce soffusa del soggiorno mi porta a chiudere per qualche secondo gli occhi. Mi appisolo senza che nemmeno me ne renda conto, cullata dal respiro di Will al mio fianco e la melodia del programma. Solo quando il rombo della moto di Madden echeggia fuori casa mi desto, sbattendo le palpebre e sussultando persino. A Will cade il telecomando dalle mani e un’imprecazione mormorata tra le labbra mi fa capire che anche lui deve essersi addormentato. 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** 40 ***


 

capitolo
40





 

Scavalco le gambe che Will ha allungato di fronte a sé con un breve saltello, senza preoccuparmi di incontrare sul mio cammino il piccolo pouf a lato del divano, che mi fa barcollare e riprendere l’equilibrio l’istante successivo. Will sta ancora borbottando qualcosa, ma io ho già spalancato la porta di casa e non presto attenzione; non sono nemmeno sicura che abbia compreso che Madden è finalmente tornato.

Una ventata di aria fredda mi colpisce il viso facendomi stringere prima le labbra e poi le braccia al petto. Madden scende dalla motocicletta e con le mani che tremano come foglie al vento gelido dell’inverno, si leva il casco dal capo per agganciarlo alla moto. Nella mano sinistra stringe la mia borsa e muove lentamente i passi nella mia direzione, con il labbro inferiore stretto tra i denti. 

Gli lascio appena il tempo di salire i gradini dell’ingresso prima di allungare entrambe le braccia nella sua direzione per stringergliele al collo, aderendo così tanto al suo corpo da farlo persino barcollare sulle sue stesse gambe. Il braccio destro mi avvolge la schiena e mi mormora qualcosa all’orecchio, nascondendo poi il viso nell’incavo del mio collo. Trema. Lo lascio andare solo dopo interminabili secondi, quando il mio cuore decide che va bene, che è qui con me. Me lo trascino dietro afferrandogli la mano e lasciando che la porta di casa si chiuda con un tonfo sordo alle nostre spalle. Will dal salotto si è spostato nell’ingresso e tiene una mano ben ferma tra le ciocche bionde e spettinate dei suoi capelli. 

«È…»

«Dopo» Will ripete la stessa cosa anche a Madden, che probabilmente vuole solo buttare fuori tutto per togliersi un peso dalle spalle. «Stai tremando, se ti ammali giuro su Dio che…»

«Grazie.» Madden solleva appena gli angoli delle labbra in un sorriso che non capisco, ma che fa sgonfiare all’istante Will, che chiude gli occhi e butta fuori tutto il fiato che invece sembra voler usare per urlare addosso al suo migliore amico che in questo preciso momento deve reputare come uno scellerato

«Va’ a farti una doccia, per favore.»

Madden annuisce e lascia che Will prenda la borsa che ancora gli pende dalla mano, poi lascia la mia per togliersi la giacca e appenderla vicino alla porta, sperando che si asciughi in fretta. È umida, non più fradicia e il terrore che possa ammalarsi per tutta l’acqua, l’aria fredda della sera e della moto mi attanaglia lo stomaco. Will torna a sedersi sul divano, alzando questa volta il volume del televisore per sentire chiaramente e seguire il film che hanno appena iniziato a trasmettere; non so nemmeno che ore siano.

«Vieni» mi rendo conto di sussurrarlo all’orecchio di Madden solo quando volta il viso nella mia direzione e con la punta del suo naso sfiora il mio. «Spero che Will non abbia consumato tutta l’acqua calda.» 

Madden sorride e annuisce, lasciandomi controvoglia la mano per levarsi il maglione di dosso e farlo cadere fino a impattare con il suolo del bagno; il calore ancora satura l’aria e posso vederlo quasi rilassare le spalle nonostante le mani continuino a tremargli. Se le passa tra i capelli due volte dandomi le spalle per osservare il proprio riflesso un po’ sfocato nello specchio che gli sta di fronte. Io invece mi perdo nel contemplargli la schiena e le braccia che ha posato al lavandino, dove inchiostro nero e colorato gli dipinge la pelle pallida. 

I brividi lo scuotono per un paio di secondi ancora e sto per dirgli che vado a cercare anche per lui qualcosa che Dylan ha lasciato qui o magari persino il suo maglione lilla, ma non faccio in tempo nemmeno a processare il discorso che vorrei iniziare perché lo vedo voltarsi nuovamente nella mia direzione, con il labbro inferiore stretto tra i denti.

In un paio di falcate raggiunge la mia persona, afferrandomi il viso con entrambe le mani per sollevarlo nella sua direzione. Infrange le proprie labbra sulle mie con un’irruenza tale da farmi sussultare sotto i suoi polpastrelli. Madden deve rendersi conto di quello che ha fatto perché nel momento stesso in cui le mie mani vanno a serrarsi sui suoi polsi allontana appena le labbra dalle mie, solo per mormorare delle scuse che nemmeno arrivano a destinazione. Scuoto la testa impercettibilmente e la presa sul mio viso si fa più delicata; mi fa scorrere i pollici sugli zigomi e al secondo tentativo il suo bacio si calma. Sa ancora di pioggia.

«Stai bene?» Dovrei essere io a chiederlo a lui, invece mi brucia sul tempo e non si scosta; il suo respiro mi solletica le labbra.

«Sto bene.»

Non gli serve altro per lasciarsi andare a un sospiro di sollievo e annuire contro il mio viso. Si allontana di un passo appena, mentre la mia schiena è ancora appoggiata contro lo stipite della porta. Si porta una mano dietro il collo, ad afferrare la maglietta a maniche corte nera che porta sotto al maglione per sfilarsela con un veloce gesto ormai meccanico. Anche lei finisce al suolo e la sottile collana che gli adorna il collo cattura la luce bianca del bagno.

«Ti aspetto di là. Fa’ con comodo.» 

Madden annuisce una volta sola e sembra pensarci qualche secondo in più prima di raggiungermi nuovamente. Questa volta la mano che mi porta al viso è una sola, mi accarezza la guancia e mi scosta i capelli dalla spalla. Non aggiunge altro, mi guarda semplicemente con quei suoi occhi verdi e basta così. Sono io a chiudere la porta del bagno quando sgancia il bottone dei jeans; Will sta facendo su e giù in salotto per un motivo momentaneamente sconosciuto, ma sorride nella mia direzione quando si accorge del mio ritorno.

«Will, va tutto bene?» Si stringe nelle spalle prima di annuire e tornare a sedersi sul divano giusto in bilico, rischiando di cadere sul tappeto.

«Sì, il solito male alle costole» borbotta, massaggiandosi appena un punto ben preciso. «Fammi fumare una sigaretta. Una sola, ti prego.»

«No» gli volto le spalle per raggiungere la cucina e riempire il bollitore con dell’acqua dal rubinetto. I filtri del tè li posiziono in due tazze e attendo che le bollicine vengano a galla prima di versare l’acqua bollente. «Puoi bere questo.» Will arriccia le labbra quando la ceramica calda gli scotta le dita e mormora qualcosa molto simile a un’imprecazione, che però non colgo.

«Non è la stessa cosa.»

«Sì, invece.»

«Non…»

«Will, bevi il tuo tè e falla finita.» Mi lascio cadere dalla parte opposta del divano, soffiando sulla mia tazza e osservandolo da sopra di essa, ben attenta che compia i miei stessi movimenti. Non ne è entusiasta, ma obbedisce; a lui il tè comunque non piace.

«A Mad verrà la febbre.» Borbotta, lasciando che la sua schiena aderisca finalmente allo schienale del divano. 

«Lo so» replico e ne sono davvero consapevole. «Ce ne preoccuperemo quando e se si ammalerà.» 

«Non mi ammalerò» la voce di Madden alle nostre spalle mi fa sussultare e un goccio di tè caldo mi finisce sul polso. «E sicuramente non mi verrà la febbre.» 

Allungo il busto ad adagiare la tazza sul tavolino che ci sta di fronte, osservando poi Madden fare il giro del divano per accomodarsi al centro, giusto tra Will e me. Si lascia andare a un lungo respiro, passandosi una mano tra i capelli ora asciutti e soffici grazie all’aria calda del phon; le mani non gli tremano più o almeno, non così tanto. 

«Ti ammalerai eccome perché sei un pazzo» ribatte Will; lui la tazza non la posa con così tanta delicatezza perché rimbomba appena nell’ambiente circostante. «Che motivo avevi di raggiungere l’ospedale bagnato fradicio su una cazzo di moto con questo freddo?»

«Che motivo avevo?»

«Sì, potevi aspettare e…»

«Will, chiudi la bocca» la voce di Madden è un semplice sussurro quando posa la mano sul mio ginocchio, a stringerlo delicatamente. «Sta’ zitto, non sono in vena di tollerare le tue cazzate in questo momento.» Come poco fa Will si sgonfia, ma continua a borbottare tra i denti; Madden reclina il capo all’indietro e io guardo prima lui, poi Will e di nuovo Madden. Ha la guancia tesa e gli occhi chiusi. 

«Come sta Bart?» Azzarda alla fine Will, dopo attimi infiniti di silenzio dove il battito del mio cuore ha scandito i secondi. «Che cos’è successo? Perché era lì con voi?»

«Will…»

«No, non dirmi di stare zitto» alza la voce senza nemmeno rendersene conto e questa volta sono io a posare una mano su quella che Madden tiene su di me. «Ho una cazzo di pistola in auto e non è nemmeno mia. Ho il diritto di sapere che cosa avete combinato.»

«Niente» replica Madden in un altro sussurro. «Non abbiamo combinato niente. È Bart a essere spuntato fuori all’improvviso.»

«Per favore, raccontamelo.»

«Ho portato Cecy al NEMO, mi sono fermato a fare benzina prima di tornare a casa ed è arrivato lui.» Madden parla meccanicamente, ma Will resta in silenzio e lo ascolta con molta attenzione. «Ci ha puntato quella cazzo di pistola addosso, abbiamo discusso perché gli ho detto che la casa della nonna è mia per diritto; si è infuriato, mi ha dato un pugno e mi ha quasi rotto un sopracciglio» quando se lo indica mi rendo conto di come sopra di esso spicchi un sottile cerotto bianco, quasi trasparente. «Poi non so che cosa sia successo, mi è quasi svenuto tra le braccia e faceva fatica a respirare.»

«Che cosa ti hanno detto?»

«Shock respiratorio» sussurra Madden, chiudendo nuovamente gli occhi e passandosi una seconda volta le dita tra i capelli prima di sfilare la mano da sotto la mia per far combaciare le nostre dita. «Ha preso della droga tagliata male e prima di quello deve aver persino bevuto perché il suo tasso alcolemico era superiore alla decenza umana. Gli hanno fatto una lavanda gastrica e ora credo sia intubato.»

«Se la caverà?» Will è cauto nel porre quella domanda e per un secondo, uno soltanto, trattengo il fiato in attesa del suo verdetto. Madden annuisce brevemente.

«L’erba cattiva non muore mai.» 

«Vuoi avvisare la nonna?» Scuote la testa con insistenza, grattandosi l’occhio con la punta delle dita.

«No, non ho il coraggio di andare di là in questo momento e raccontarle l’accaduto.» 

«Vuoi che lo faccia io?»

«No, domani» decreta, schiarendosi poi la voce. «Quando mi daranno notizie più sicure.» Will annuisce e non fa altre domande a riguardo. So che vorrebbe farne a migliaia, così come lo vorrei anche io, ma Madden è stremato.

«Tu stai bene?» Madden si prende il suo tempo prima di scuotere la testa e mordersi il labbro inferiore con forza, la stessa con cui stringe la mia mano.

«Ho fatto una cosa.» Will aggrotta immediatamente le sopracciglia ed io trattengo per la seconda volta il fiato, sollevandomi però appena dallo schienale per raggomitolarmi al fianco di Madden, posandogli il mento sulla spalla. Il maglione lilla che ora indossa non porta più solo il suo profumo, ma è impregnato anche del mio. 

«Che cos’hai fatto?» Sono io a sussurrarglielo all’orecchio. La sua guancia scatta nuovamente, poi si volta appena per posarmi lievemente le labbra sulla fronte.

«Ho chiesto che venga ricoverato in un centro di cura» la sua voce trema appena e sento Will imprecare tra i denti. «Non può più fare quello che vuole e nonostante io lo odi con tutto me stesso, non credo di essere forte abbastanza da sopportare una possibile notizia in cui mi dicono che lo hanno trovato morto in qualche vicolo.»

«Mad…»

«Non avevo scelta Will» volta il viso bruscamente nella sua direzione e vedo Will sussultare appena, ma addolcire lo sguardo. «Tu non l’hai visto accasciato a terra a cercare aria per respirare.» Chiudo gli occhi e lascio che la mia fronte si scontri con la sua spalla; Will scivola sul divano e vedo la sua mano posarsi saldamente sul ginocchio impazzito di Madden, a fermare la sua corsa folle.

«Hai fatto la cosa giusta» il tono con il quale Will pronuncia quelle semplici parole mi fa sfuggire una lacrima dall’occhio e mi affretto a portarla via perché Madden non se ne renda conto. Lo sento però trattenere il fiato per qualche istante, perso a fissare gli occhi di Will. «Bart non se lo merita, ma è la cosa giusta da fare.» 

«Will, io non posso nemmeno permettermi di pagarla quella casa di cura.»

«E allora?»

«E allora?» Fa eco Madden. «Allora lo sbatteranno nuovamente fuori e ricominceremo il circolo vizioso che non finirà mai perché in prigione quell’uomo non ci può stare. Lo ammazzerebbero in una notte.»

«Posso provare a chiedere dei soldi a mia madre, mi inventerò una scusa…»

«No, non se ne parla» Madden lo interrompe senza troppe cerimonie. «Non chiederai niente a nessuno. Non per Bart.»

«Non lo faccio mica per Bart.»

«Non lo farai neanche per me, se è per questo.»

«Vorrà dire che troveremo un lavoro.» La mano Will non ne vuole sapere di spostarla perché il ginocchio di Madden ricomincerebbe a galoppare a un ritmo tutto suo. Lo sento sorridere e poi scuotere la testa.

«Non hai mai lavorato in vita tua.» 

«Cosa può esserci di così complicato» Will si stringe nelle spalle, provocando in Madden in una risata sincera; posa la guancia sulla mia testa, poi sospira rumorosamente per qualche secondo. «Mad, guardami.» E lui obbedisce, riportando nuovamente l’attenzione sul suo migliore amico.

«Che c’è?»

«Ce la faremo, okay?» Madden deglutisce, ma annuisce e copre la mano di Will con la propria. «Ce l’abbiamo sempre fatta. Ora, per favore: possiamo andare a casa? Voglio sdraiarmi, le mie costole appena guarite stanno chiedendo pietà.»

«No, io resto qui» Madden si volta appena nella mia direzione, quasi volesse chiedere il permesso per rimanere. «Tu va’ pure.» Will sospira di sollievo e si alza dal divano con un lieve gemito di dolore.

«Oh menomale» sbuffa poi, recuperando la giacca dalla sedia poco distante. «Sei insopportabile con la febbre.»

Mi sono già alzata, seguendo Will lungo il corridoio che porta all’ingresso e sorrido quando sentiamo Madden bisbigliare che sicuramente non gli verrà nemmeno una linea di febbre.

«Stai bene? Ce la fai a guidare?» Will annuisce alla mia domanda e apre la porta di casa, lasciando che uno sbuffo di aria fredda ci faccia rabbrividire.

«Sì» replica semplicemente, voltandosi per posarmi un lieve bacio sulla guancia. «Prenditi cura di lui, okay?»

«Buonanotte Will.» 

Lo osservo scendere i gradini con un paio di saltelli, chiudersi il piccolo cancelletto alle spalle e illuminare gli interni della sua auto. Sparisce lungo la strada in appena qualche secondo e la chiave che gira tre volte nella toppa della porta echeggia nel silenzio che ormai ci circonda.

Madden, seduto ancora immobile sul divano, si sta portando una mano al viso prima a scostarsi i capelli dalla fronte e poi a lasciarvela inerme per qualche istante. Apre gli occhi e mi segue con lo sguardo quando mi fermo esattamente di fronte a lui, con solo il tavolino di vetro a dividerci e le braccia strette al petto. 

«Mi sa che ho la febbre.»

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** 41 ***


 

capitolo
41





 

Osservo Madden lasciar scivolare la propria mano lungo il corpo e aprire gli occhi per puntarli nei miei. Anche le mie braccia sciolgono la presa sul petto e mi ritrovo a prendere un lungo respiro prima di oltrepassare il tavolino e ritrovarmi così di fronte a Madden, con nient’altro a dividerci adesso. Mi osserva da sotto le ciglia e un’espressione quasi colpevole gli aleggia sul viso. 

«Non ho dubbi che tu abbia la febbre.» Un sorriso mi dipinge le labbra e sembra riflettersi su quelle di Madden, che allunga poi un braccio nella mia direzione.

Siamo tanto vicini che riesce ad agganciare le proprie dita al mio maglione, stringendo brevemente e tirandomi allo stesso tempo verso di sé. Le mie ginocchia cozzano contro le sue, ma raggiunge il suo scopo: farmi sedere sulle proprie gambe, così vicino da sentire i nostri respiri infrangersi sul viso l’uno dell’altra. La mano che mi porta sulla guancia trema appena prima di posarsi sulla mia spalla e arrotolarsi tra le dita qualche ciocca di capelli. Gli sfioro il sopracciglio ormai medicato e lo vedo prima chiudere gli occhi e sussultare appena per poi inclinare lievemente il capo e posare la propria guancia sul palmo della mia mano. 

«Cecy…» 

«Sei sicuro di stare bene?» Madden annuisce sulla mia pelle, poi apre gli occhi e si sporge verso di me, a sfiorarmi il naso con il proprio.

La mano sinistra è ben salda sulla mia schiena e la sta muovendo su e giù; al momento dell’ennesima risalita verso le mie spalle, la insinua sotto il tessuto del maglione e il contatto con i suoi anelli freddi mi fa tremare appena nonostante la sua mano sia bollente. Mi sfiora le labbra una volta e poi una volta ancora prima di farle realmente incontrare con le proprie. 

«Non lo so, forse» mi morde appena il labbro inferiore fino a sollevarsi e lasciare che la sua schiena non collida più con il divano sotto di lui, costringendo me stessa a inarcarla appena per non perdere l’equilibrio. «Non è un problema se mi fermo qui, vero?» Con la mano è arrivato tra le scapole. «Posso dormire sul divano.» 

«Dormiresti davvero sul divano?» Glielo chiedo allontanando appena il viso dal suo, giusto per vederlo abbassare gli occhi e scuotere la testa non troppo impercettibilmente. 

«No, verrei a cercarti a un certo punto della notte.» 

«Giusto» replico, intrecciandogli le braccia dietro il collo. «Altrimenti saresti tornato a casa con Will.» 

«Will mi odia quando mi viene la febbre.» 

«Sì, per questo era ben felice di lasciarti qui» questa volta scuoto io la testa. «Mi ha detto di prendermi cura di te.» 

«Lo stai già facendo.»

Madden inclina il viso solo per nasconderlo tra i capelli che mi solleticano il collo; la sua mano sotto al maglione scende nuovamente lungo la schiena mentre le sue labbra tracciano un percorso tortuoso che va dal lobo dell’orecchio a sfiorare poi la mia clavicola. Gli stringo le dita sulle spalle, trattenendo il respiro. 

«Madden, sei bollente» mormoro e lo sento gemere qualcosa sottovoce. «Devi misurare la febbre, prendere una medicina e sdraiarti al caldo.»

Di nuovo sussurra parole che non capisco direttamente sulla mia pelle e come gli anelli freddi, il suo fiato caldo mi fa rabbrividire tra le sue braccia. La mia non credo sia febbre.  Mi scosto quel tanto che basta per tornare a guardarlo negli occhi e un cipiglio offeso gli passa sul viso, ma sollevo semplicemente un sopracciglio in segno di ammonizione e questo gli basta per prendere un respiro e annuire, lasciandomi libera di sollevarmi e allungare una mano verso di lui, che afferra controvoglia e con altrettanti lamenti mi segue fino in cucina dove recupero un antipiretico e un termometro dallo stesso scaffale dei medicinali.

In bagno i suoi vestiti sono ancora stesi al suolo e lo sappiamo entrambi che vi resteranno fino all’indomani mattina, dove saranno ormai asciutti e pronti per essere lavati. La mia stanza è ordinata e la luce fioca delle appliques dipinge di un colore aranciato molto tenue sia le pareti che le lenzuola chiare. Madden siede sul bordo del letto con un sospiro, arrotolandosi le maniche del maglione fino a lasciare entrambi gli avambracci del tutto scoperti. Si sgancia l’orologio e me lo porge perché lo possa appoggiare al comodino mentre infila il termometro sotto al braccio.

Passa circa un minuto interminabile durante il quale gli occhi di Madden non perdono di vista i miei, fino a che il lieve beep emesso dal termometro stesso rompe il silenzio; Madden se lo sfila da sotto il braccio e me lo porge tenendolo tra due dita. Osservo il display e arriccio le labbra prima di voltarlo verso di lui perché lo legga: un minuscolo 38,5 lampeggia a intermittenza. Madden sbuffa prima di passarsi una mano sul viso e lasciarsi cadere di schiena sul materasso sotto di lui.

«Ho dimenticato l’acqua» mormoro, posando il termometro sul comodino, vicino al suo orologio. «Torno subito.»

Madden annuisce e nasconde la faccia nella piega del suo braccio, sospirando rumorosamente. Non dorme quando mi siedo sul bordo del letto, con un bicchiere d’acqua fresca in una mano e la piccola compressa stretta nell’altra. Scosta il braccio e con uno sforzo che sembra immane, torna a sedersi avvicinandosi più di quanto sia necessario. Mi guarda negli occhi ingollando l’acqua e la pastiglia, con un piccolo cipiglio a disturbargli le sopracciglia; manca tanto così che apra la bocca per convincermi che l’abbia presa davvero.

«Quindi ora dovrei dormire?»

«Dovresti, sì.»

«Dormi con me?» La sua non è propriamente una domanda e non aspetta nemmeno una risposta; sta più che altro cercando una conferma che mi fa scaldare le guance quando annuisco.

Madden sorride soddisfatto prima di afferrarmi il polso e trascinarmi giù con lui. Il mio petto aderisce completamente al suo e sono costretta a posare entrambe le mani sotto al mento per riuscire a guardarlo negli occhi. Un braccio me lo avvolge contro il fianco, mentre la mano destra - quella che conta cinque anelli, uno per ogni dito - s’insinua nuovamente sotto la stoffa del mio maglione. 

«Posso farti una domanda?» 

«Tutto quello che vuoi.» Mormora, lasciandomi un istante per arrivare all’interruttore dietro la sua testa a spegnere così le luci della stanza. Il buio totale non ci avvolge solo perché ho dimenticato di chiudere le imposte e i lampioni lungo il viale emanano una luce tanto fioca da permettermi di riuscire a decifrare ancora i contorni di ciò che mi sta intorno, Madden compreso. 

«Bart lo sa?» Scuote impercettibilmente la testa e quando mi sollevo per farmi più vicino, la mia guancia sfiora il suo mento. Il braccio torna ad avvolgermi il fianco in una presa più salda, a non darmi nessuna possibilità di potermi muovere anche solo di un misero centimetro.

«Non me l’hanno fatto vedere» sussurra e il suo respiro mi s’infrange tra i capelli, con le sue labbra a mimare le parole sul mio capo. «Sono rimasto seduto in mezzo al corridoio, bagnato fradicio per tutto il tempo prima che decidessero di medicarmi il sopracciglio. Non mi hanno permesso di vederlo.» 

«Sei rimasto lì da solo?» Annuisce di nuovo e mi s’incrina il cuore. «Avresti dovuto dar retta a Will: ti avremmo accompagnato più tardi.»

«No, l’unica cosa che volevo era che ti portasse al sicuro a casa, al caldo.» 

«Madden…»

«Cecy, se ti fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato.» Le dita della sua mano premono a fondo nella carne. 

«Credi davvero che Bart avrebbe premuto quel grilletto?»

«Contro di te? Difficile» deglutisce rumorosamente, scostandomi poi una ciocca di capelli dalla guancia che gli impedisce di accarezzarla con la punta delle dita. «Probabilmente lo avrebbe fatto contro di me.»

«Non dire così.»

«Pensi che abbia fatto la cosa giusta?» Solleva appena il viso e lo faccio anche io, sostenendomi con le braccia sul suo petto. «A volerlo aiutare, dico.» Annuisco chiudendo per un secondo gli occhi, non prima di avergli visto un accenno di sorriso sulle labbra.

«Sì, sono sicura che tu abbia fatto la cosa giusta.»

«Anche se non lo merita?» Continua, scendendo lungo lo zigomo fino a sfiorarmi il labbro superiore tanto da farmi rabbrividire.

«Anche se non lo merita» asserisco. «E sono certa che tua nonna la penserà come me e come Will.»

«E se non volesse stare lì? Non posso costringerlo.»

«Sono abbastanza sicura che quando starà meglio e sarà in grado di capire che cosa gli è successo, non opporrà troppa resistenza. Credo che Bart, almeno un pochino, tenga alla sua vita» Madden chiude gli occhi e scuote appena il capo. «Ho visto come ti cercava.»

«Non me l’hanno fatto vedere» ripete; gli bacio la guancia e un leggero quanto impercettibile strato di barba mi solletica le labbra. «Alicia mi ha solo detto che starà bene.»

«Ti fidi di lei?» Annuisce, chiudendomi la mano a coppa sulla guancia. «Allora va bene così.»

«Mi fido più di te.» 

Vorrei riuscire a sorridere, ma Madden preme le labbra sulle mie, impedendomi di compiere quel movimento. Si tira su a sedere quel tanto che basta per invertire le nostre posizioni. La mia schiena sprofonda nel materasso sotto di me e il gomito di Madden pungola il punto morbido alla sinistra del mio viso, con la mano destra a cingere ancora la mia guancia. Gli passo le dita tra i capelli prima di congiungerle dietro al suo collo, portandomelo più vicino.

Madden insinua il ginocchio tra mie gambe, riuscendo ad avvicinarmi al suo corpo in modo che nemmeno un misero centimetro di aria possa passare tra di noi; la mano destra scorre sulla mia spalla, percorrendo tutto il braccio ad ancorarsi poi al mio fianco.

«Sotto la pioggia, mentre Bart ti puntava la pistola alla tempia» le labbra di Madden mi lasciano libera di sussurrare quelle parole solo perché sono scese lungo il collo, giusto all’altezza del lobo dell’orecchio, dove il sangue sta pompando a una velocità tale che sono quasi consapevole sia in grado di sentirlo su di sé. «Hai detto di amarmi, vero?» Solleva il viso, puntellandosi di nuovo sul materasso, con la fronte a sfiorare la mia e i capelli a solleticarmi appena la pelle. 

«Credo di averlo solo sussurrato.»

«L’ho sentito.» 

Madden sorride e non dice altro, riprende la sua lenta tortura lasciata a metà e non mi dà tregua per ore. È una notte fatta di sospiri e sussurri che arrivano dritti sulla pelle, con le sue mani ovunque a tracciare linee e a infrangere confini. È una notte di labbra gonfie e doloranti di baci che cessano solo quando il sonno prende il sopravvento e Madden non può fare più niente per combatterlo se non arrendersi e crollare al mio fianco. 

È il suono improvviso di due volanti della polizia a svegliarmi quasi di soprassalto, devono essere passate a velocità folle appena fuori dalla mia finestra. Riesco a mettere a fuoco i dettagli della mia stanza solo dopo qualche secondo passato a sbattere le palpebre. I capelli di Madden mi solleticano la guancia e abbassando appena il viso, mi rendo conto di come durante la notte si sia rannicchiato al mio fianco, con la gamba ancora incastrata tra le mie e la fronte all’altezza del mio cuore. La mano mi sta ancora cingendo il fianco con la stessa intensità con la quale è rimasta lì tutta notte. 

La sua febbre dura due giorni interi; Will non si fa vedere, ma mi tempesta di messaggi e chiamate in cui chiede costantemente come stia Madden. Dylan gli fa compagnia un pomeriggio durante il quale sono occupata in Biblioteca, ché anche Matias ha l’influenza e nessuno può sostituirlo. Quando torno nuovamente all’appartamento mi rendo conto che anche Kat deve essere passata perché c’è il solito sacchetto del suo ristorante preferito in salotto e Madden, in cucina, è impegnato a sciacquare i piatti che devono aver utilizzato. 

«Stai meglio.» Madden annuisce a quella che non è una domanda e si asciuga le mani sullo strofinaccio.

«Kat mi ha fatto mangiare qualcosa a pranzo, credo sia stato merito suo.» Si stringe nelle spalle prima di baciarmi la guancia. 

«Oh certo» borbotto, incrociando le braccia al petto dopo averlo spinto invano per allontanarlo. «Sicuramente è stato merito di Kat. Aveva ragione Will: sei insopportabile quando hai la febbre.» 

«Sì, lo so.» Mi riacchiappa di nuovo, cingendomi i fianchi con entrambe le braccia.

«A proposito, mi ha chiamato circa trenta volte nell’ultima mezz’ora» borbotto poi, inarcando appena un sopracciglio quando Madden sorride sornione. «Perché non rispondi mai?»

«Non mi andava» replica, spingendomi all’indietro fino a che la mia schiena non tocca il frigorifero alle mie spalle. «E poi credo di essermi addormentato e svegliato poco prima che arrivassi.»

«Devi tornare a casa tua.» Inclino il viso perché le labbra di Madden smettano di torturarmi la guancia per passare al collo. «Dico davvero; devi andartene, non sei più malato.»

Madden mi ride sulla pelle e le sue spalle tremano. Mormora qualcosa che assomiglia vagamente a un non voglio andarmene, ma non lo ripete una seconda volta perché io possa comprendere; nemmeno gli chiedo di farlo, ché in realtà non sono poi così convinta di volerlo cacciare.

«Sono un coinquilino perfetto» continua, senza accennare a lasciarmi andare e nonostante provi ad allontanarlo, i suoi piedi rimangono ben piantati a terra. «Guarda, ho anche lavato i piatti.» Non posso fare a meno di ridere alle sue parole e mi arrendo, riuscendo a liberare le braccia per stringergliele dietro al collo. 

«Sei il coinquilino di Will, non il mio.» Asserisco e un verso di frustrazione che lascia le sue labbra è tutto quello che ricevo in risposta. 

La tasca dei suoi jeans prende a vibrare insistentemente e questa volta è costretto ad allontanarsi per controllare che cosa sia successo. L’espressione sul suo viso si rilassa quando ha finito di leggere le parole scritte sul display e sono quasi sicura che non si tratti di Will. È lui stesso a dirmi che in realtà è Alicia ad avergli mandato un messaggio: Bart si è svegliato e non ha più bisogno di essere assistito dall’ossigeno, ma dovrà rimanere in osservazione ancora per un paio di giorni.

«Vuole sapere se la decisione che ho preso è definitiva o meno» Madden deglutisce e le dita della sua mano corrono tra i suoi capelli. «Devono avvisare la casa di cura.»

«Sei convinto di quello che vuoi fare?» Glielo domando timorosa e impiega qualche istante a portare il suo sguardo nel mio, troppo intento a fissare insistentemente lo schermo che si è addirittura ormai spento e deve mostrargli semplicemente il suo riflesso.

«Devo parlare con la nonna.» Decreta infine, raddrizzando la schiena e riponendo l’iPhone nella tasca posteriore dei jeans.

«Vuoi che venga con te?» 

Annuisce semplicemente e non aggiunge altro; apre la porta di casa mia, trattenendola con la mano perché possa uscire subito dietro di lui. Armeggia per qualche secondo con il cancello automatico di sua nonna e sono quasi convinta che stia prendendo tempo per costruire un discorso che stia in piedi e che non gli mangi la voce. Lei non sa ancora nulla.

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** 42 ***


 

capitolo
42





 

«Nonna?» La porta me la chiudo alle spalle dopo che Madden, quasi titubante, si fa strada lungo il corridoio dell’ingresso. Deve aver acceso la TV perché un lieve brusio proviene dalla cucina e non appena mettiamo piede in salotto la scopriamo vuota. «Nonna, sono io.» 

Resto ferma qualche istante accanto al divano e aggrotto appena le sopracciglia quando Madden torna verso di me, stringendosi nelle spalle. La nonna di Madden appare da quella che so essere la stanza dove ha fatto installare la lavatrice e l’asciugatrice; un secondo più tardi, il rumore del cestello che parte ed entra in funzione echeggia lieve da dietro la porta che si è chiusa alle sue spalle. 

«Mi stavo giusto chiedendo quando saresti passato» mormora la nonna, osservandolo con un cipiglio strano sul viso. Madden deglutisce e compie un passo indietro, come se avvicinandosi a me potesse quasi salvarsi. Ho come la vaga impressione che sua nonna non sia proprio all’oscuro di tutto. «Cecy, Zucchero, stai bene?» 

«Sì, grazie.» Madden volta appena il viso nella mia direzione, le sopracciglia ben aggrottate a formare la solita ruga di espressione tra di esse. 

«Nonna…» 

«Siediti.» Glielo dice con un sorriso a incresparle le labbra sottili, ma il suo è un ordine fatto e finito. Madden obbedisce e prende posto sul divano, incrociando le caviglie e seguendola con lo sguardo quando sparisce in cucina per qualche secondo durante il quale Madden mi supplica con gli occhi di sedermi accanto a lui. «La febbre ti è passata?» Torna con una tazza tra le mani e sorprendentemente, me la porge con un sorriso che non ha molto a che fare con quello che ha riservato al nipote.  

«Sì» la voce di Madden è un soffio sottile e cerco di trattenere quanto più possibile un sorriso, solo che sua nonna lo coglie e scuote la testa esasperata. «Sì, mi è passata. Come fai a saperlo?» 

«Will.» Basta solo sentire il nome del suo migliore amico per farlo imprecare tra i denti, più di una volta; se solo non ci fosse sua nonna, sarebbe già uscito di casa per andare da lui.

«Ah.»

«Vuoi raccontarmi la tua versione dei fatti o preferisci che ti racconti io la mia?» 

«Che cosa ti ha detto?» Domanda timoroso. 

«Non ha importanza» la nonna di Madden gli si siede accanto perché io ho scelto di prendere posto sulla poltrona alla loro sinistra. «Perché non sei venuto subito da me?» 

«Non lo so.» 

«Sì che lo sai» Madden abbassa lo sguardo sulla mano che sua nonna gli ha posato sulla gamba. «Guardami negli occhi: che cos’è successo? Perché tuo padre è in ospedale? E soprattutto: perché Will ha una pistola?» Sussulto io stessa alle sue parole e vedo Madden stringere le labbra prima di obbedire e sollevare lo sguardo per incontrare gli occhi azzurri di sua nonna. 

«Ho detto a Bart che questa casa mi appartiene di diritto e non c’è niente che si possa fare perché torni a essere sua» Madden deglutisce e la luce artificiale della lampada si riflette sui suoi anelli quando va a coprire con la propria mano quella di sua nonna, che però prontamente la sfila dalla sua per stringergliela come se fosse ancora un bambino. «Non lo so di chi sia quella pistola, Will l’ha portata via per proteggerci.» 

«Dev’essere consegnata alla polizia» Madden annuisce e ispira bruscamente. «A Will non succederà nulla, devi solo parlare con l’agente Michaels. Ti dirà lui che cosa fare.» 

«Mi è svenuto tra le braccia; mi stava puntando la pistola alla tempia e credo abbia smesso di respirare. Io non so nemmeno come ci abbia trovati, stavo semplicemente facendo benzina per riportare a casa Cecy; siamo stati al ponte del NEMO, volevo farle vedere il lucchetto tuo e del nonno.» Madden parla tanto veloce da mangiarsi le parole, ma sua nonna sorride e un lieve scintillio le compare negli occhi.  

«Bart ha provato a farti del male?» Non lo chiede a Madden, è a me che rivolge la domanda. 

«No Esther, non si è nemmeno avvicinato.» La nonna di Madden annuisce nella mia direzione e torna a guardare suo nipote con apprensione, prendendo un respiro più lungo degli altri.  

«Tesoro, perché gli hai detto della casa?» 

«Per farlo incazzare, suppongo» mormora Madden, ma nemmeno lui sembra credere alle proprie parole. «Non lo so, dovevo dirglielo.» 

«No, io penso che tu gliel’abbia detto per fargliela pagare. Di che cosa avete parlato?» 

«Volevo solo che mi lasciasse portare a casa Cecy, ma non me l’ha permesso» replica ed io abbasso lo sguardo perché sento quello di Esther su di me. «Gli ho detto che poi avremmo parlato, che l’avrei ascoltato. Non ne ha voluto sapere, ha detto che io non ascolto mai e che da me vuole solo una cosa. Gli ho chiesto se si ricordasse come mai gli avessero imposto la restrizione. Non ricorda nemmeno le volte in cui poco mancava che facesse fuori persino me.» 

«Madden…» 

«Poi ha parlato di Clint.» 

«E che cosa ti ha detto?» Domanda sua nonna. «Di lui se lo ricorda?» Madden annuisce e si schiarisce la gola, più per controllare il tono di voce che perché ne abbia bisogno.  

«Lo ha chiamato traditore.» Fa una pausa in cui lo osservo contemplare qualcosa davanti a sé che realmente non esiste, quasi stesse cercando di ricordare le parole esatte usate da suo padre.  

«Ti ha detto come mai?» 

«Perché lo ha colpevolizzato per la morte della mamma» Esther annuisce, dando credito alle parole pronunciate da Bart. «Ha detto che non sarebbe mai morta se avesse lasciato che si innamorasse di lui. Nonna, tu sapevi dell’amore di Clint verso la mamma?» Esther sorride di nuovo, ma è un semplice sorriso di circostanza, non atto a ricordare bei momenti. 

«Ma certo che lo sapevo, lo sapevano tutti» Madden ed io aggrottiamo all’unisono le sopracciglia, incuriositi da quella sua affermazione. «Non c’era una singola persona che non fosse innamorata di tua madre, Mad.» 

«Ma…» 

«Clint è stato per Bart quello che per te è oggi Will: voi due siete semplicemente la parte buona del marcio che si sono portati dietro quei due per tutti questi anni. Erano inseparabili ed era inevitabile che diventassero così amici» Madden deglutisce e ogni minimo frammento che ha in corpo è rivolto al racconto di Esther. «Così come che Clint si innamorasse di tua madre; Bart ha sempre avuto un fascino fuori dal normale. Se tutti erano innamorati di tua madre, beh puoi scommetterci che tutte le ragazzine del quartiere stravedevano per lui. Ti suona familiare?» 

«Nessuno stravede per me, nonna.» Non volendo, le guance di Madden si colorano appena di rosa. 

«Solo perché hai smesso di guardare; a Will cadono ai piedi e lui lo sa bene.» Esther cerca la mia approvazione e mi rendo conto di aver annuito, a darle totale conferma.  

«Io non sono come Bart.» 

«No, certo che non lo sei» la mano libera di Esther va a stringere la spalla di Madden, che infine sorride persino. «Tu gli somigli solo nell’aspetto e nell’essere così testardo da farmi imprecare.» 

«Gli ho detto che quello che ha fatto a Clint non è una scusante per il suo avergli rinfacciato la morte della mamma» Madden non ha ancora finito di raccontare e so che quest’ultimo frammento deve fargli parecchio male. «Ha risposto di provare a mettermi nei suoi panni, di immaginare Will innamorato di Cecy da tutta la vita e venirlo a sapere solo dopo la sua morte, della quale perfino ti colpevolizza.» 

«Madden, Will si getterebbe nelle fiamme dell’inferno pur di non farti un torto» mi mordo il labbro perché per niente al mondo vorrei pensare a qualcosa del genere. «Tu non sei Bart. Perché non sei venuto da me?» 

«Non volevo farti preoccupare» ammette, scuotendo poi la testa. «Mi è venuta la febbre perché sono andato in ospedale in moto, bagnato fradicio.» 

«Lo so» il tono di voce di Esther è così dolce da farmi tremare le labbra. «Non avresti dovuto farlo. Avresti dovuto dar retta a Will per una volta, portare a casa Cecily, bussare alla mia porta e dirmi tutto. Saremmo andati tutti insieme e tu non avresti rischiato così una polmonite.» 

«Non volevo che ti preoccupassi.» Ripete Madden e questa volta sua nonna sbuffa, sollevandogli il mento per poterlo guardare dritto negli occhi. 

«Ascoltami bene tesoro: tuo padre è un problema mio, non tuo.» 

«Ma…» 

«Non ci sono ma, Madden» Esther è irremovibile e la mano libera di Madden si stringe tanto forte che le nocche sbiancano dalla prima all’ultima. «Io risolvo i problemi che tuo padre va causando da anni, non tu. Bart è un mio problema, non il tuo. Siamo intesi?» Madden deglutisce un paio di volte a vuoto prima di annuire e scostarsi una ciocca di capelli fastidiosa cadutagli sulla tempia, proprio dove il cerotto bianco ancora campeggia ben visibile.  

«Mi dispiace.» Glielo mormora in un soffio, posandogli la fronte sulla spalla. 

«Lo so che ti dispiace» Esther gli accarezza gentilmente la testa. «C’è altro che vuoi dirmi? O devo supporre che quanto mi abbiano detto i medici sia tutto?» 

«Alicia?» 

«Proprio lei» replica, stringendo nuovamente le labbra sottili. «Mi ha telefonato qualche ora fa, sono stata io a dirle di mandarti un messaggio. Hai preso la tua decisione?» Madden trattiene il fiato nello stesso momento in cui il suo corpo emette un lieve sussulto sul divano, appena percettibile. 

«Non lo so» sussurra appena; vorrei alzarmi per sedermi al suo fianco e stringergli la mano. «Tu che cosa…» Esther scuote piano la testa. 

«No Madden, è una decisione tua» glielo dice con calma, come se stesse parlando con un bambino e gli stesse spiegando qualcosa di fondamentale importanza. «Voglio che tu ti senta tranquillo e lo so che non lo sei. Non lo sei mai, sei sempre sul chi va là; non è questa la vita che voglio per te. Se ritieni che tuo padre meriti una seconda occasione, finirà dentro quella casa di cura. Sta a te scegliere.» Madden volta il viso nella mia direzione per una frazione di secondo, ma non posso fare altro che rimanere del tutto immobile. 

«Non ho i soldi per pagarla.» 

«Vuoi o non vuoi aiutare Bart?» Nel tono di voce di Esther non c’è nulla che lasci spazio alla titubanza.  

«Voglio.» 

«Allora chiama Alicia e dille che stiamo arrivando.» La nonna di Madden si china per lasciare un bacio sulla guancia ormai ispida di Madden e qualcosa mi dice che una lacrima deve aver momentaneamente lasciato il suo sito. 

«Ho bisogno di Will.» Esther annuisce una sola volta prima di ridacchiare sommessamente. 

«Credo che sia già fuori dalla porta, in attesa di entrare.»  

Ed è realmente così perché la figura di Will si palesa nel salotto come se facesse parte dell’ambiente da sempre, ché lui della famiglia ne è ormai membro onorario. Madden si alza dal divano, lasciando la presa sulla mano di sua nonna solo per fare il giro del tavolo e afferrare con forza la spalla di Will, che chiude un occhio a contrastare il dolore che la presa di Madden deve causargli. 

«Mi dispiace aver fatto la spia.» Will si morde il labbro pronunciando quelle parole, portandosi addirittura le mani al viso per paura che Madden possa colpirlo da qualche parte.  

«No, non è vero che ti dispiace» Madden glielo dice tra i denti e Will sembra farsi piccolo piccolo, nonostante sia della stessa stazza dell’amico. «Sei un bugiardo, oltre che spione.» 

«Mi odi?» Will glielo chiede sporgendo appena il labbro inferiore, come un bambino capriccioso consapevole che comunque nulla gli verrà mai negato.

«No» ammette Madden, scuotendo persino la testa. «Ma se le tue costole non fossero appena guarite, ti avrei colpito proprio

«Voi due: basta con le minacce» Esther si è alzata dal divano ed è ferma in mezzo al salotto, con le mani sui fianchi a guardare prima Madden e poi Will. «Madden, per favore chiama Alicia. Will, va’ a prendere la mia giacca in camera da letto, ti va?» 

Will obbedisce come un soldatino e a spalle basse sparisce lungo il corridoio, solo per riapparire qualche secondo più tardi con una giacca pesante tra le braccia. Aiuta Esther a indossarla, lasciandole persino un bacio veloce sulla guancia e scostandosi in fretta perché la nonna di Madden non lo colpisca da qualche parte con una mano non proprio amorevole.

Madden al telefono parla in fretta, chiedendo conferma sul fatto di poter raggiungere l’ospedale tutti insieme. Alicia non deve aver accordato il permesso subito perché sentiamo Madden pregarla diverse volte e poi cambiare sia espressione che tono di voce, segno che sta ormai parlando con qualcuno di diverso. Emette un sospiro di sollievo quando raggiunge il suo obiettivo e afferma che tra meno di un’ora riusciremo a essere lì.

Will ha già rimesso in moto la sua Range Rover e ci aspetta con una sigaretta spenta tra le labbra; non so dove abbia l’accendino, ma non faccio in tempo a dirgli di ritirarla, che non può fumare. Nemmeno Esther riesce a dire la sua perché Madden gli passa accanto per prendere posto al suo fianco e in un gesto tanto veloce che Will non ha nemmeno il tempo di processarlo, le sue dita afferrano la sigaretta per spezzarla esattamente a metà. Cade sulle punte dei piedi di Will, che impreca tra i denti e la osserva qualche secondo.

«Niente sigarette.» La voce di Madden non accetta repliche e Will si chiude la portiera dietro di sé con un verso di frustrazione che gli si incastra tra i denti.

Il viaggio verso l’UMC è silenzioso, nessuno di noi ha voglia di chiacchierare; la nonna di Madden è impegnata a osservare ciò che scorre al di fuori del finestrino, Madden armeggia con l’iPhone silenziosamente e Will batte le dita sul volante leggere, al ritmo di ogni canzone che la radio passa.

Dylan mi manda un semplice messaggio in cui mi dice che è passato da casa, ma non ha trovato nessuno e che quindi ha dedotto che a Madden sia passata la febbre. Gli do conferma e rispondo che lo stiamo accompagnando in ospedale da suo padre, ma che una volta tornati a casa gli racconterò per bene tutto quanto successo; a costo di farlo preoccupare enormemente.

Raggiungiamo i parcheggi che ormai ho imparato a conoscere e riconoscere; Will prende sottobraccio Esther e la scorta fino all’ingresso, dove le porte scorrevoli trasparenti si aprono al nostro passaggio, permettendoci di entrare e di trattenere il fiato. Alicia si palesa poco più tardi, con il suo solito camice da infermiera addosso e un paio di guanti azzurrini, che si sfila per gettarli nel bidone poco distante dal desk dell’accettazione. Abbraccia velocemente Madden per fare poi la stessa cosa anche con sua nonna, chiedendo invece a Will se stia bene. 

Ci dice che Bart è stato spostato in una stanza singola e nonostante siamo tutti qui, solamente due persone per volta possono entrare nello stesso momento. Né Will né io abbiamo intenzione di immischiarci. Alicia sale con noi in ascensore ed è sempre lei a premere il tasto recante il numero 12 dalla pulsantiera; saliamo lentamente, facendoci leggermente gli uni contro gli altri quando un paio di persone ci raggiungono al decimo piano.

I corridoi sono sempre silenziosi e un piccolo attimo di paura mi attanaglia lo stomaco; la mano di Madden si serra sulla mia con urgenza prima di lasciare che le sue dita s’incastrino perfettamente con le mie. C’è un dottore fuori dalla porta di Bart e allunga una mano a presentarsi, stringendo prima quella di Esther e poi quella di Madden.

«Tuo padre sta bene» esordisce e Madden annuisce brevemente; con la mano libera gli afferro il polso con il quale mi sta stringendo le dita. «Non ricorda molto dell’accaduto; gli abbiamo fatto una seconda lavanda gastrica per essere del tutto certi che il suo corpo abbia espulso qualsiasi sostanza ancora in circolo, ma non ho bisogno di dirti quanto questo non sia comunque la soluzione ai suoi problemi.»

«Dottore, posso vedere mio figlio?» Esther quasi non aspetta la risposta affermativa del medico, ha già la mano sinistra sulla maniglia, pronta ad entrare.

L’ultima cosa che sento prima di vedere il viso di Bart è l’imprecazione che lascia le labbra di Madden. 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** 43 ***


 

capitolo
43





 

Will ed io rimaniamo seduti sulle poltroncine dall’altro lato del corridoio per circa quaranta minuti; non una sola parola passa tra di noi, non un singolo mormorio, non un misero sussurro. Restiamo sull’attenti, pronti ad alzarci qualora dentro la stanza possa succedere quello che più ci spaventa: le urla di Bart. Urla che però non arrivano.

La porta Madden è stato ben attento a chiudersela alle spalle dopo che sua nonna e il medico sono entrati. I primi minuti sono stati carichi di un silenzio assordante prima di lasciar spazio a un mormorio che a noi non è dato atto di comprendere. La voce di Bart riesce a sovrastare quella di Esther per un po’, ma tutto si quieta; il medico esce dalla stanza con le mani nascoste nelle tasche del camice bianco che gli svolazza vicino alle ginocchia. Serra le labbra in un sorriso e di conseguenza in un muto saluto.

Lo osservo camminare lentamente lungo il corridoio fino a sparire all’interno dell’ascensore poco più lontano. Mi volto verso Will quando impreca tra i denti e gli occhi fissi sullo schermo del suo iPhone ormai da buttare. 

«Che succede?» Alza lo sguardo con le sopracciglia aggrottate e il labbro inferiore stretto tra i denti. Si stringe nelle spalle e nasconde nuovamente il telefono nella tasca interna della giacca, scivolando appena sulla sedia. 

«Niente.» Mormora. Per un paio di secondi chiude gli occhi e so che è concentrato sul cercare di carpire informazioni, ma nonostante le pareti siano sottili e la porta sia un semplice pannello, le voci all’interno arrivano soffocate. L’iPhone di Will riprende a vibrare contro la stoffa, producendo un eco costante e regolare; lo controlla ancora e stringe i denti prima di alzarsi dalla poltroncina. «Torno subito.» 

Annuisco osservandolo camminare in fretta: svolta a sinistra dove la tromba della scale lo porterà qualche piano più sotto, a una porta che permette di uscire su un terrazzino. Lo so perché Madden ed io ci siamo stati quando Will era ricoverato proprio qui. Tra le voci che si rincorrono al di là della porta riesco a sentire solamente Madden mormorare un semplice ti prego e mi si gela il sangue nelle vene per il semplice fatto che io non abbia alcuna idea di che cosa si stiano dicendo, perché Madden debba pregarlo. Rimango immobile in una posizione scomoda, con le spalle tese e le dita della mano sinistra che torturano i due anelli che porto alla destra. Will torna appena qualche minuto più tardi e ha un’espressione così strana in viso da non permettermi di decifrarla. 

«Will, va…» 

«Dopo» sembra essere diventata la sua espressione preferita, ma stringo le labbra perché qualsiasi cosa sia, non mi sembra passeggera. «Non è niente.» Mente guardandomi dritto negli occhi, ma annuisco lasciando momentaneamente perdere.

La porta della stanza di Bart si apre dopo un periodo indefinito nel quale Will si appisola per un po’; sembra che su questo piano ci siamo solo noi perché non ho visto né sentito una singola persona all’infuori del nostro gruppetto. Esther esce per prima e sta scuotendo la testa. Deve essersi dimenticata della nostra presenza perché la vedo sussultare appena quando Will si alza in piedi, facendo per sbaglio cadere il telefono che teneva momentaneamente tra le mani e producendo un eco così forte nel silenzio assordante del piano che mi domando come non abbiano sentito i nostri respiri e i nostri cuori battere per tutto questo tempo.

La nonna di Madden sembra riprendersi perché le spunta sulle labbra un sorriso poco sincero e si volta in attesa che suo nipote faccia finalmente la sua comparsa. Esther ha le guance appena umide e anche Will se n’è reso conto perché l’affianca e le porta un braccio intorno alle spalle, facendola scontrare contro il suo fianco per baciarle poi teneramente la tempia. Esther lo guarda negli occhi prima di stringere le labbra e sfiorargli la guancia con la mano. Madden impiega qualche istante ancora, ma non ho il coraggio di aprire bocca e fare domande; stranamente Will deve pensarla allo stesso modo perché non ha ancora proferito parola. 

La maniglia della porta finalmente si abbassa in un lieve stridio e la figura di Madden appare nuovamente in mezzo al corridoio; è una macchia nera tra le pareti bianche immacolate. Stona, non dovrebbe stare lì; nessuno di noi dovrebbe. Non tanto spesso. Madden deglutisce tenendo gli occhi fermi sulle punte delle sue scarpe fino a che lo scatto della porta non lascia intendere di come sia ben chiusa; le sue guance non sono solo umide, sono fradice di lacrime.

Mi porto una mano alle labbra, indecisa se muovere un passo nella sua direzione o se invece rimanere immobile, incapace anche solo di respirare correttamente. Mi cerca con gli occhi e non mi serve altro: in due falcate mi avvicino perché possa cingermi la vita con entrambe le braccia e nascondere il viso tra la mia spalla e il mio collo, lasciando che i capelli gli solletichino la guancia. 

«Va tutto bene.» Mi rendo conto di averlo sussurrato al suo orecchio quando lo sento muoversi e scuotere la testa senza proferire parola. Di nuovo non faccio domande, mi limito a lasciare che Madden mi stringa, ma Will questa volta cede, sorprendendomi comunque.  

«Possiamo tornare a casa?» Si tiene ancora ben stretto la nonna di Madden tra le braccia e non sembra voler accennare a compiere il gesto opposto; è lei a rispondere alla sua domanda. 

«Possiamo tornare a casa.» 

Questa volta Madden non siede accanto a Will, lascia che sia Esther a prendere il suo posto; nei sedili posteriori si fa piccolo piccolo, quasi volesse scomparire accanto al finestrino, ma mi lascia comunque posare la guancia sulla propria spalla. Sorrido quando mi afferra la mano quasi timidamente, portandosela prima alla bocca e lasciandola poi cadere sulla sua gamba, dove le sue dita trovano presto le mie per appropriarsene come se non potessero e non dovessero stare in nessun altro posto.  

Will non tiene il ritmo della musica perché la radio è spenta e non sembra avere per niente voglia di fare qualcosa per alleggerire la tensione palpabile che permea ogni centimetro dell’abitacolo. Nessuno però si lamenta e forse gliene sono persino grati perché possono rimanere tra i loro pensieri. 

«Lo porteranno via tra due giorni» la voce di Madden arriva all’improvviso e vedo gli occhi di Will alzarsi per un istante e incontrare i miei nello specchietto retrovisore posto in alto, tra lui ed Esther. «Non appena sarà stabile; lo trasferiranno appena dopo pranzo.» Will annuisce a labbra strette e le dita della mia mano si chiudono con più forza su quelle di Madden, che prende a torturarsi il labbro con il polpastrelli.

Gli appoggio il mento sulla spalla, ma lui comunque non si volta, anche se gli basterebbe poco per riuscire a incrociare i miei occhi. Non lo fa fino a che non siamo nuovamente davanti casa e Will parcheggia finalmente l’auto dietro una jeep che appartiene a qualcuno che apparentemente non conosciamo. L’auto di mio fratello è ferma giusto davanti al cancello di casa sua e sono quasi certa che stia aspettando un mio messaggio. 

«Nonna, ti accompagno.» Will scende in fretta dall’auto e Madden non obietta così come Esther, che annuisce e lo segue dentro casa.

Madden scende senza fretta, facendo comunque il giro per aspettare che anche io compia lo stesso gesto; muovo qualche passo verso casa di Esther, ma Madden mi afferra il polso costringendomi ad arrestare i miei movimenti. Sale invece gli scalini del mio portico per sedervisi e posare i gomiti sulle sue ginocchia, nascondendosi poi il viso tra le mani. Lascia uscire un lungo respiro dalle proprie labbra e quasi ne avesse tratto coraggio, si passa le dita tra i capelli e torna a guardare dritto davanti a sé, incrociando la mia figura, ferma con le chiavi di casa a penzolarmi dalle dita. 

«Vuoi entrare?»

Madden scuote piano la testa, arrivando a tastare le tasche della giacca per recuperare un pacchetto di sigarette un po’ malconcio; se ne porta una alle labbra stringendola forte, ma lasciandola traballare qualche secondo mentre mormora qualcosa che non capisco. Chiude gli occhi quando l’accendino che cerca sembra essere scomparso e ci rinuncia, sfilandosi la sigaretta con due dita per fissarla e riporla di nuovo all’interno del pacchetto. 

«No, io…» 

«Madden.»

Ci voltiamo entrambi solo per renderci conto di come Clint, dall’altro lato della strada, si sia appena chiuso il proprio cancelletto alle spalle e si stia avvicinando invece al mio. Sto quasi per allungare una mano verso di lui a dirgli di non muoversi o il suo sensore scatterà, ma Madden mi precede e si alza in fretta, sorpassandomi per raggiungerlo e posargli le mani sulle spalle. 

«Clint, ma che fai?» La voce di Madden è roca mentre pronuncia quelle parole, abbassando poi lo sguardo verso i piedi di Clint; lo scopro sorridere e sgusciare via dalla sua presa. 

«Tranquillo» sogghigna, ribaltando le posizioni e afferrare lui Madden per le spalle. «Me lo hanno tolto. È finita.» 

«Quando?» Mi sono avvicinata anche io e Clint mi saluta con un piccolo cenno del capo; Madden si volta per una frazione di secondo prima di tornare a rivolgere la sua attenzione a Clint. 

«Due giorni fa» replica, nascondendosi poi le mani nelle tasche dei pantaloni logori che indossa. «Volevo dirtelo, ma tua nonna mi ha detto che avevi la febbre e che non era il caso di disturbarvi.» 

«Sei libero.» La sua non è una domanda, eppure Clint annuisce e sembra persino soddisfatto. 

«Sono libero» asserisce e vedo la sua espressione mutare in appena qualche secondo. «Lui come sta?» Madden si rabbuia di nuovo, ma annuisce; alcune ciocche di capelli vanno a posarsi biricchine sulla sua fronte e lui prontamente le scaccia con un gesto carico di frustrazione.  

«Meglio» replica poi in fretta Madden. «Lo portano via tra due giorni. Puoi passare in ospedale prima di allora, poi non gli saranno concesse visite per il primo mese, almeno.» Fisso il profilo di Madden perché di nuovo non azzarda a voltarsi.  

«Bart ed io non abbiamo altro da dirci» la voce di Clint è pacata e Madden annuisce ancora, respirando a fondo. «Hai fatto la cosa giusta, Madden. È nobile da parte tua dargli un’altra occasione nonostante tutto quello che ha fatto.» 

«Davvero?» Madden cerca continuamente un’approvazione che non sentirà mai sua. 

«Sì» Clint è convinto della sua risposta e posa una mano sulla spalla di Madden, stringendola appena. «Sei un bravo ragazzo e Bart non ti merita.» Madden abbassa lo sguardo e stringe le labbra. 

«Eri davvero innamorato di mia madre?» La domanda sembra coglierlo alla sprovvista perché la sua mano ha un sussulto prima che gli ricada lungo il fianco. 

«Lo ero» mormora colpevole Clint, ma Madden non ribatte a quella sua affermazione. «Lo sono tutt’ora: tua madre è difficile da dimenticare, ma non posso spiegartelo. Ti è stata portata via troppo presto e non puoi saperlo. Lei avrebbe fatto la tua stessa scelta, se può esserti d’aiuto con i tuoi sensi di colpa.» 

«Io non ho sensi di…» 

«Li hai» lo interrompe Clint con delicatezza. «Ma va bene, è la cosa giusta e Bart un giorno capirà e forse ti sarà persino riconoscente.» 

«Mi dispiace che abbia provato a farti del male quando lo ha saputo.» Clint sorride a labbra strette. 

«Me lo sono meritato» afferma poi, respirando a fondo. «Avrei reagito come lui, comunque.» 

«La cosa non mi rincuora, Clint.» 

«Lo so» si stringe nelle spalle prima di sorridere e fare un cenno con il capo oltre le nostre spalle. «Ho delle cose da fare, ma ci vediamo presto. Non colpevolizzarti Madden, hai fatto la cosa giusta per entrambi.» Clint torna verso casa sua prima di sparirvi all’interno.

Will esce da casa di Esther con le mani nascoste nelle tasche della giacca e sorride appena nella nostra direzione, rimettendo l’auto in moto e aggrappandosi alla portiera per sporgere il capo fuori. 

«Mad, ci vediamo dopo a casa?» Will quasi non aspetta una sua risposta, è già pronto ad andare via; Madden però scuote la testa e lo ferma con un cenno della mano. 

«Vengo con te» replica ed io alzo lo sguardo su di lui con un sussulto che spero non abbia colto. «Dammi due minuti.»

Will annuisce con le sopracciglia aggrottate l’una contro l’altra e sparisce all’interno dell’abitacolo, le mani ferme sul volante in attesa. Madden inspira a lungo e si volta completamente verso di me prendendomi per mano e conducendomi di nuovo lungo gli scalini del mio portico, armeggiando con le mie chiavi per aprire la porta e spingermi dentro, seguito subito dopo da lui stesso e lasciando che si chiuda da sola alle sue spalle. 

«Madden…» 

«Mi dispiace.» Mormora semplicemente, passandosi le dita tra i capelli, a scompigliarli aggraziatamente.  

«Per cosa?» 

«Per andarmene via con Will» mi scosto una ciocca di capelli dal viso. «Ma voglio restare solo e non pensare di aver fatto il più grande errore della mia vita.»

«Va bene» mormoro, sperando che non colga davvero la minima esitazione da parte mia, che non veda quanto in realtà mi faccia male. «Torna a casa.»

L’espressione di Madden è velata di tristezza e nemmeno un sorriso da parte mia sembra scalfirlo. Non ci crede nessuno di noi due. Annuisce silenzioso un paio di volte e allunga una mano verso di me, a sfiorarmi leggero la guancia con la punta delle dita. Deglutisce prima di darmi le spalle e aprire nuovamente la porta; l’aria fredda mi fa venire la pelle d’oca. 

Chiudo gli occhi quando sento l’auto di Will sfrecciare lungo la strada, seguito dal rombo del motore della moto di Madden e poggio persino la fronte sul legno freddo della porta davanti a me. Rimango in quella posizione più a lungo di quanto mi aspettassi e sussulto quando il bussare al di là di essa rimbomba nell’ambiente. È Dylan e ha una busta di carta marrone che gli pende dalla mano, a sfiorargli la gamba.

«Ho pensato che avessi fame.» Ho le labbra talmente premute l’una contro l’altra da farmi male, ma annuisco. Il viso di Dylan si aggrotta un po’ e mi sorpassa, lasciando che chiuda di nuovo la porta, questa volta con un paio di giri di chiave.

«Dylan…»

«Ti va di raccontarmi che cos’è successo in questi ultimi giorni?»

Me lo chiede a voce alta perché ha già raggiunto la cucina e apparecchiato alla buona la tavola, aspettando però solo me per sedersi. Mi rendo conto di aver trattenuto il respiro per un po’ perché sorpasso il divano e lo rilascio tutto, tanto che una ciocca di capelli mi svolazza vicino alla guancia.

Osservo quello che c’è sul tavolo prima di accomodarmi esattamente di fronte a lui, così che possa guardarmi in faccia e non abbia scampo. I cartoni del solito take-away profumano così tanto da solleticarmi lo stomaco, ricordandomi di quanta fame in realtà abbia. Gli faccio cenno di recuperare due forchette dal cassetto ed è l’unico momento in cui Dylan non mi guarda più dritto negli occhi. Me ne passa una e sorrido in un muto ringraziamento prima di svuotare il cartone nel piatto; due tortini al cioccolato fondente rimangono invece al sicuro nella loro confezione alla nostra destra.

«Il padre di Madden ha cercato di fargli del male.» Mormoro, giocando con gli spaghetti di riso davanti a me prima di portarmeli alle labbra. A Dylan quasi vanno di traverso.

«Puoi essere più specifica?» Domanda, bevendo un piccolo sorso d’acqua. «Devo decidere in che misura essere preoccupato e spaventato.»

Non so perché io parta dall’inizio, raccontandogli l’intero pomeriggio che abbiamo passato insieme sul ponte, eppure lo faccio e lo guardo prima sorridermi dolcemente e poi aggrottare le sopracciglia quando Bart compare dal nulla, con una pistola puntata dritta contro di noi.

«Non so se ci stesse seguendo o se sia stato semplicemente un caso fortuito.»

«Ha provato a farti del male?» Scuoto la testa e le spalle di Dylan si rilassano per una frazione di secondo. 

«Si è sentito male, ha smesso di respirare e quando Madden ha chiamato i soccorsi, lo hanno portato dritto in ospedale.»

«Per questo Madden aveva la febbre?» Annuisco e sposto in avanti il piatto ormai vuoto.

«Era fradicio di pioggia, ma ha comunque voluto seguire l’ambulanza in moto» spiego, chiedendogli il permesso con gli occhi di poter aprire i tortini al cioccolato. «È rimasto qui perché lui e Will litigano in continuazione quando Madden ha la febbre.»

«Suo padre come sta?»

«Meglio, credo» Dylan sospira e allunga una mano a sfiorare la mia dall’altra parte del tavolo. «Madden ha deciso che lo farà trasferire in una casa di cura. Spera che possano aiutarlo con la sua tossicodipendenza e il suo alcolismo.»

«Cecy»

«Se n’è andato a casa» mormoro, interrompendo qualsiasi flusso di parole avesse intenzione di pronunciare. «Pensavo rimanesse con me o mi chiedesse di stare con lui, invece se n’è andato a casa.» Dylan mi osserva per minuti interi in completo silenzio, guardandomi mentre mi passo il dorso della mano sulla guancia in preda alla frustrazione di cacciare una lacrima che non so nemmeno quando sia comparsa. 

«Ci sei rimasta male?»

«No» borbotto, non credendo a una sola parola di quelle che mi escono dalle labbra. «Non lo so, forse sì.»

«Ti sei innamorata, non è vero sorellina?» Me lo chiede inclinando il capo appena di lato, sostenendosi il mento con la mano e trattenendo a stento un sorriso. Quando chiudo gli occhi, una seconda lacrima mi scivola sulla pelle. 

«Sì.» Dylan scoppia a ridere e lascia la mia mano per battere un pugno sul tavolo, facendomi sussultare. «Sei forse impazzito?»

«No, solo più povero di 50 euro» replica, alzando poi gli occhi al cielo. «Ho scommesso con Kat che non sarebbe mai successo.»

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** 44 ***


 

capitolo
44





 

Jules fa scivolare un bicchiere di carta bianco lungo tutto il bancone della Biblioteca, fermandosi solo quando ha raggiunto le mie dita intente a digitare frenetiche sulla tastiera del computer, alla ricerca di un paio di libri che ci hanno richiesto alcuni studenti. Lo sento imprecare sottovoce e con la coda dell’occhio lo vedo soffiare debolmente sulle punte dei suoi stessi polpastrelli. 

«Sembra che tu non abbia dormito da giorni» prende posto al mio fianco sul secondo sgabello e ruota fino a guardarmi negli occhi; io osservo prima il bicchiere dal quale del fumo bianco fuoriesce in una spirale e poi Jules, che mi fa cenno verso la bevanda affinché la prenda senza fare storie. «È caffè, ti farà bene.»

Respiro rumorosamente, lasciandomi poi cadere all’indietro sulla sedia fino a posarvi completamente la schiena. Il calore del bicchiere mi fa rabbrividire, ma ne assaggio comunque un sorso; è così dolce da farmi arricciare le labbra.

«Non è che sembri, non ho dormito granché nell’ultimo periodo.»

«Sei preoccupata?» Domanda Jules, a metà tra il curioso e il timoroso. «È successo qualcosa?» Mi ritrovo a prendere più fiato del necessario posando il bicchiere di cartone di fronte a me.

«Ho dovuto recuperare alcune lezioni e poi Madden non è stato bene ed è rimasto a casa mia per un po’.»

«Margot alla fine di un allenamento mi ha accennato qualcosa: suo padre, vero?» 

«Sì» annuisco, controllando l’ora sul quadrante dell’orologio che porto al polso. «Credo che il mix di tutti gli avvenimenti insieme abbia giocato un brutto tiro al mio riposo.»

«Sono sicuro che si risolverà presto.» Jules sorride a labbra strette e posa delicato una mano sulla mia spalla; sussulto così piano che non credo se ne sia accorto.

«Sì, sarà così.» Ricambio il sorriso giusto il tempo di nasconderlo nuovamente dietro al bicchiere, sorseggiando ancora per un po’ il caffè.

Sono le cinque quando Jules mi saluta per uscire dalla Biblioteca e raggiungere i suoi compagni di squadra per il solito allenamento del giovedì. Il mio turno finisce tra venti minuti e non riesco più a stare seduta. Recupero la pila di libri lasciata vicino all’ingresso e li catalogo nei giusti scaffali. Il cellulare mi vibra nella tasca posteriore dei jeans e quasi sussulto sulla scaletta, rischiando che il libro mi scivoli di mano. Scendo tre gradini prima di leggere velocemente il messaggio sul display: è Will, mi aspetta fuori, ma dice di fare con calma. Mi restano cinque minuti prima che possa passare il badge e concludere il turno.

Uno studente mi tiene impegnata più del dovuto quando entra per prenotare un libro, ma il suo tesserino sembra essere scomparso all’interno del suo zaino e non c’è niente e nessuno che possa farlo saltare fuori al momento. Gli sorrido a labbra strette quando si accorge di averlo riposto nella tasca interna della giacca e glielo rendo con la stessa espressione prima di spegnere definitivamente il monitor del computer e recuperare le mie cose. 

Will è seduto sulla panchina poco distante dall’ingresso, con la sua Range Rover parcheggiata alle spalle. Un paio di ragazze poco lontano stanno facendo apprezzamenti su di lui, ma Will sembra non notarle nemmeno; si sta rigirando una sigaretta tra le dita, rigorosamente ancora spenta e so che sta pensando intensamente se accenderla o meno. Sussulta quando mi fermo di fronte a lui e con aria colpevole la fa sparire tra i capelli, fermandola proprio dietro l’orecchio.

«Non volevo accenderla.» Mormora, schiarendosi la voce e sedendosi più compostamente sulla panchina. Mi fa posto e batte la mano al suo fianco, facendomi così cenno di sedermi proprio accanto a lui.

«Sì che volevi» borbotto, prendendolo in giro e lasciandogli una leggera gomitata sul fianco. «Come stai?» Non ci vediamo da quando Madden è tornato a casa senza di me.

«Sto bene Zucchero» risponde, girandosi verso di me e posando il ginocchio sul legno duro della panchina per sostenersi meglio; il braccio sinistro ricade dietro lo schienale. «Tu come stai? Hai un faccino…»

«Sto bene» mento, ma Will non ci casca perché tira le labbra in una linea dura e scuote piano la testa. «Sono solo stanca.»

«Madden ti ha scritto?» Non ho bisogno di controllare per rispondergli negativamente; borbotta qualcosa che non comprendo e poi sospira. «Arriverà a momenti.» 

Non faccio in tempo ad annuire nella sua direzione; l’auto di Madden sfreccia nel parcheggio ormai semi vuoto del campus per frenare la propria corsa a poca distanza dalla Range Rover di Will. La musica all’interno dell’abitacolo si zittisce nel momento stesso in cui apre la portiera per scendere. Will alza una mano in segno di saluto, ma non credo Madden nemmeno lo abbia notato perché i suoi occhi sono fissi su di me. Non osserva nient’altro, non fa nemmeno attenzione a dove mette i piedi.

Mi rendo conto di essermi alzata in piedi solo quando sento la borsa scivolare e impattare la ghiaia. Madden si passa una mano tra i capelli prima di avvolgermi il braccio intorno alla vita e stringermi tanto forte a sé da farmi mancare temporaneamente il fiato quando mi scontro con il suo corpo. La barba di qualche giorno mi graffia la guancia quando la sfrega contro la mia prima di posarvi le labbra e indugiare in quel preciso punto per parecchi secondi. C’è un lieve sentore di tabacco impregnato tra i suoi vestiti, ma il profumo che indossa sempre fa capolino subito dopo, arrivandomi dritto al cuore.

Il telefono di Will squilla a gran voce e Madden mi lascia andare, senza però allontanarmi dal suo fianco; Will ignora la chiamata con una smorfia e si alza dalla panchina, avvicinandosi quel tanto che gli basta per poter posare una mano sulla spalla del suo migliore amico e stringerla in segno di conforto.

«È andata?» Domanda appena. Madden tende la guancia e il muscolo si contrae un paio di volte prima che annuisca.

«È andata.»

«Stai bene?» Annuisce nuovamente e poi sospira, stringendomi lievemente le dita sulla pelle. «Ci vediamo a casa allora; cucino io?» Will guarda prima me e poi di nuovo Madden, che arriccia le labbra e scuote la testa.

«Meglio di no» mormora, sorridendo al gestaccio che Will gli regala. «Ci pensiamo noi alla cena.» 

Will alza gli occhi al cielo e sventola la mano in segno di saluto prima di salire sulla sua auto e mettere in moto. Madden invece ridacchia osservandolo sparire lungo il parcheggio; le sue dita le sento solleticare le mie prima di lasciare che s’intreccino in un gesto ormai automatico. 

«Stai bene davvero?» Madden riempie i polmoni di una quantità d’aria immensa e volta il viso nella mia direzione; mi sfiora la guancia e inclina il capo per far combaciare le nostre labbra.

«Ora sì» me lo sussurra sul viso e un sorriso mi compare in volto mentre gli stringo il bavero della giacca. «Mi dispiace di essermi allontanato.» Posa la fronte sulla mia e i capelli mi solleticano la pelle quando scuoto la testa.

«Ti va di venire con me in un posto?» Lo vedo aggrottare appena le sopracciglia e allontana di qualche centimetro il viso dal mio.

«Ora?»

«Sì.» Si schiarisce appena la voce, ma annuisce e non saprei dire se sia più confuso o più curioso. 

«Andiamo allora» indica con un cenno l’auto alle nostre spalle e mi fa salire per prima, accomodandosi poi al posto di guida; mette in moto prima di voltarsi nella mia direzione. «Vuoi dirmi dove?»

«Museumplein 6

«Al Van Gogh Museum?» Annuisco alla sua domanda con un piccolo sorriso. «Okay.»

Madden non ha bisogno di impostare il navigatore per raggiungerlo; esce in retromarcia dal parcheggio e abbassa appena il volume dell’autoradio. Le strade sono molto trafficate a quest’ora, ma Madden riesce a immettersi per qualche scorciatoia e non impieghiamo molto tempo a raggiungere la nostra destinazione. Trova persino parcheggio poco distante, stupendosene lui stesso. Fa il giro dell’auto per porgermi la mano e lasciare che l’afferri: è lui a fare strada lungo il viale.

Camminiamo controcorrente perché la maggior parte dei visitatori si sta avviando invece verso l’uscita e Madden mi domanda se sia sicura di voler entrare proprio a quest’ora, a chiusura ormai vicina. 

«Sì, voglio entrare proprio adesso.» Non obietta, cammina al mio fianco e mi tiene la porta aperta quando gli faccio cenno di svoltare a destra e di non proseguire invece dritto. Il badge che ho nella borsa ci permette di poter usare un altro ingresso. 

«Cecily, che ci fai qui?» La voce di Lucas quasi mi fa sussultare quando lo vedo venirci in contro, osservandosi il polso con aria curiosa.

«Un giro.» Mormoro, colta in fallo. 

«Adesso?» Ribatte, incrociando poi le braccia al petto. «Chiudiamo tra venti minuti.»

«Lo so.» Gli faccio un cenno di saluto con la mano, dirigendomi verso le scale principali con Madden al mio fianco. 

«Perché proprio a quest’ora?» Lo sento domandare, avvicinandosi per lasciar passare un gruppo di ragazze che scende invece di corsa.

«È adesso che puoi ammirare le opere.» Replico, spalancando una porta per immetterci finalmente in una delle sale.

Il silenzio fa da padrone perché questa è vuota e nell’aria si sentono solo i nostri passi echeggiare lievemente sul pavimento. C’è persino una leggera melodia tra le pareti e so che verrà spenta però a breve.

«Hai una meta ben precisa?» Madden torna a camminarmi accanto e aggancia le mie dita alle sue.

«Certo che sì.»

«Vuoi portarmi davanti al tuo quadro preferito?» Me lo domanda con un sorriso a increspargli le labbra, nato per prendermi in giro.

«Non proprio» replico, spingendolo lievemente con la mano intrappolata nella sua. «E anche se fosse, non si trova qui.»

«Oh giusto, non siamo al MoMA.» Sogghigna Madden, trascinandomi nuovamente al suo fianco e baciandomi la tempia. 

«La Notte stellata non è il mio quadro preferito» replico quasi stizzita. «E preferisco di gran lunga Notte stellata sul Rodano, ma non siamo nemmeno a Parigi.»

«Stiamo andando dai Girasoli

«Più tardi forse.»

«Sono sopravvalutati, lo sai?»

Faccio finta di non aver sentito, ma sorrido e lo guido lungo il corridoio entrando in altre due sale. Non ci fermiamo, ma camminiamo con calma perché voglio comunque lasciargli il tempo di poter osservare; rispondo persino alle sue domande quando è curioso di qualcosa. La sala dove siamo diretti contiene opere meno famose, ma una delle mie preferite si trova proprio qui. La indico a Madden con un cenno della mano e lo vedo socchiudere appena gli occhi.

«Siamo arrivati.»

«È questa la tua opera preferita di Van Gogh?» Domanda, avvicinandosi di qualche passo, stando però ben attento a non far scattare l’allarme di sicurezza.

«No, la mia opera preferita si trova a Otterlo ed è Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles» replico, incrociando poi le braccia al petto e portando la mia attenzione sul quadro che ci sta di fronte. «Questa è la mia seconda preferita; nessuno ci si ferma mai troppo ad ammirarla.»

L’opera incorniciata è un semplice campo di tulipani dai mille colori, con due mulini a vento sullo sfondo e un cielo più bianco che azzurro per le nuvole che lo impregnano. Eppure i colori sono vividi, il rosso e il giallo la fanno da padrone insieme a una punta di blu e mi ritrovo a sorridere senza nemmeno rendermene conto. Sento le braccia di Madden avvolgermi la vita e il suo mento posarsi sulla mia spalla.

«È molto bella.» Mormora, respirando piano. 

«Quando eravamo piccoli, una delle famiglie che ci ha tenuto in affidamento per un po’, una volta ci ha portato in un posto come questo.»

«In un campo di tulipani?»

«Sì» replico, annuendo alla mia stessa risposta. «Ricordo di essere rimasta accecata dai colori e assuefatta dai profumi che sprigionavano. Credo sia uno dei ricordi più belli che abbia legati all’infanzia; Dylan ed io ci siamo tornati altre volte quando siamo cresciuti, ma da quando abbiamo scoperto che lui è allergico ai tulipani, non ci sono più andata.» Sogghigno e Madden lo fa con me prima di stringermi di più contro il suo petto e baciarmi tra i capelli.

«Un giorno di questi ti ci porto io.»

«È ancora presto per i tulipani.»

Mi libero delicatamente dalla sua presa per riprendergli la mano e voltarmi nella sua direzione per guardarlo negli occhi; in mezzo alla sala una fila di panchine serpeggia da un lato all’altro. Madden segue i miei passi e mi si siede accanto.

«Perché mi hai portato qui?» Me lo domanda con un filo di voce.

«Volevo che stessi in un posto tranquillo e silenzioso per un po’.» Le labbra di Madden s’increspano in un sorriso e sospira prima di guardare davanti a sé, verso il dipinto.

«La nonna non è voluta venire con me» mormora dopo qualche secondo perso tra i suoi pensieri. «Ho chiesto a Will di rimanere con lei perché non volevo che restasse da sola, a costo di dover andare io con Bart; io e lui.»

«È adesso?»

«Sì» replica, annuendo alle sue parole. «Lo hanno sistemato e gli hanno spiegato che cosa succederà d’ora in poi. Non so se abbia realmente capito. Prima che me ne andassi ha detto di odiarmi ed io ho risposto che il sentimento è ancora reciproco. Poi deve aver cambiato idea perché ha sussurrato che gli dispiace e che forse un giorno riuscirà a dirmi grazie. Quando ho chiuso la porta mi sono accorto di stare piangendo e un’infermiera mi ha chiesto se stessi bene e se avessi bisogno di qualcosa. Le ho detto che volevo solo venire da te.» Mi passo velocemente un dito sull’angolo dell’occhio, portando via una lacrima intenta a inumidirmi la guancia.

«Oh Mad…»

«Sei arrabbiata con me?»

«No» rispondo talmente in fretta che la voce trema e Madden se ne accorge perché increspa le sopracciglia e avvicina il viso al mio. «No, certo che no. Avrei solo voluto essere lì con te.»

«Sei qui adesso.» Sorrido a Madden un momento prima di guardare l’orologio al polso e alzarmi dalla panchina, senza lasciare la mano che Madden continua a stringermi.

«Abbiamo ancora un po’ di tempo: i Girasoli ti aspettano.» Madden sbuffa appena, ma scoppia a ridere e allunga lui stesso il passo perché sa dove si trovano e non ho bisogno di dargli indicazioni o di fare strada.

«Sono cinque, vero?» Me lo domanda quando il quadro appare davanti ai nostri occhi.

«Esatto» replico, indicando poi i girasoli. «Dipinti con solo tre tonalità di giallo e nient’altro, a dimostrare che si poteva creare un’immagine con numerose varianti di un singolo colore, senza che perdesse eloquenza. Sapeva che i suoi Girasoli erano speciali e così il resto del mondo. Quando si pensa a loro, si pensa inevitabilmente a Van Gogh ed è proprio ciò che lui sperava.»

«Sopravvalutati.» Ripete Madden e scuoto la testa, nascondendo un sorriso mordendomi l’unghia del pollice.

«Sai che cosa simboleggia un girasole?» Madden ci pensa su realmente per qualche secondo prima di stringersi nelle spalle, a dimostrazione che no, non lo sa. «Gratitudine. Regalare dei girasoli a qualcuno, oltre a dire loro quanto sono intenzionati a trascorrere un certo periodo di tempo insieme - se non tutta la vita - esprimono gratitudine. Se vuoi dire grazie a qualcuno, regala dei girasoli.»

Madden mi osserva in silenzio per qualche secondo, poi il suo viso si apre in un sorriso e annuisce. Fa cenno verso la porta in fondo alla sala e non mi resta che seguire i suoi passi: il museo sta chiudendo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** 45 ***


 

capitolo
45





 

«Sono successe due cose strane oggi.» Will fa a pezzi il cartone della pizza prima di gettarlo nella spazzatura, recuperando anche il mio e quello di Madden. Lo guardiamo entrambi confusi e Will sembra realizzarlo solo in seguito perché poi sorride e si pulisce le mani sul tovagliolo prima di continuare con il suo monologo. Madden però lo interrompe.

«Più dell’aver fatto chiudere tuo padre in una casa di cura?» La voce di Madden è sarcastica e Will aggrotta le sopracciglia per qualche secondo.

«No okay» borbotta, sedendosi nuovamente di fronte a me e dondolandosi piano con la sedia. «Ne sono successe tre allora. Anzi no, quattro

«Quattro?»

«Quattro» conferma Will, annuendo e contando sulle dita le ipotetiche vicende. «Vuoi saperle?»

«Tu che dici?» Ribatte Madden, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto, strisciando indietro le gambe della sedia.

«Da dove vuoi che parta?»

«Will!» A Madden manca poco che si alzi e lo strattoni per farlo parlare; Will sogghigna, ma si fa serio l’istante seguente. A me sta mangiando viva la curiosità e forse persino il terrore.

«Bart che viene finalmente chiuso dove merita la mettiamo in cima alla lista» Madden annuisce e sospira. «La seconda cosa strana successa oggi è questa: quando sono andato dalla nonna nel pomeriggio, dopo l’università, l’ho trovata che faceva le valigie.» La voce di Will si è abbassata di qualche tono, quasi avesse timore di rivelare qualcosa di troppo o di farsi udire dal diretto interessato persino. Madden sbatte le palpebre e posa i gomiti sul tavolo.

«La nonna stava facendo cosa

«Le valigie.»

«E le hai chiesto perché mai lo stesse facendo?» Will annuisce, ma non risponde: si fissa l’anello che porta all’indice e che tutto d’un tratto sembra la cosa più interessante del mondo. «Will?»

«Ha detto che deve andare in vacanza.»

«Mia nonna? Mia nonna ha detto che deve andare in vacanza?» Mi porto una mano alle labbra perché non vorrei scoppiare a ridere proprio ora e mi tocca camuffarlo con un piccolo colpo di tosse quando Will alza finalmente lo sguardo e annuisce in direzione di Madden.

«Sì.»

«Will, se è un cazzo di scherzo questo, giuro su Dio che…»

«Ma perché dovrei scherzare?»

«Forse perché mia nonna ti ha detto che vuole andare in vacanza? In vacanza dove, poi? E con chi?» Domanda esasperato.

«Non lo so» mormora Will e sembra quasi farsi piccolo piccola sulla sua stessa sedia. «Mi ha cacciato in realtà e non ho potuto chiederle altro. Tua nonna mi odia.» Madden sospira e si passa le dita sulle sopracciglia, arrivando fino alle tempie dove si ferma e le massaggia per qualche istante.

«Quali sono le altre due cose strane, Will?»

«Mi hanno chiamato nell’ordine mia madre e l’agente Michaels.» Madden aspetta qualche secondo poi inclina il capo, a fare cenno a Will di continuare il discorso. Cosa che però non avviene e la guancia di Madden scatta un paio di volte.

«E che cosa volevano?»

«Non lo so» sussurra Will, volendo quasi alzarsi dalla sedia per sfuggire all’interrogatorio che lui stesso ha messo su. «Non ho risposto.»

«Tu non hai…» Madden si alza di scatto dalla sedia e Will fa lo stesso, raggiungendo il salotto prima che Madden riesca ad afferrarlo per il lembo del maglione troppo largo che indossa. «Will, che cazzo significa che non hai risposto?» Li raggiungo tenendomi a debita distanza e osservandoli dallo stipite della porta; Will ha messo tra sé e Madden il grosso divano al centro della sala.

«Mad…»

«Will!» Madden spalanca le braccia frustrato e posa poi le mani sullo schienale del divano, a stringere la pelle tra le dita. «L’agente Michaels ti ha chiamato e tu non hai risposto!»

«Ho avuto paura.» Ammette Will, alzando una mano nella sua direzione, intimandogli di non muoversi perché un altro scatto del genere gli farebbe del male sul serio alle costole. Madden obbedisce e resta immobile.

«Hai consegnato la pistola, vero?» Will annuisce e il respiro sembra regolarizzarsi. 

«Sì» risponde infine, avvicinandosi di un passo. «Hanno anche arrestato il possessore; non l’aveva dichiarata e ne era entrato in possesso illegalmente.»

«E di cosa hai avuto paura allora?» La voce di Madden si addolcisce e anche lui compie un passo avanti; Will resta fermo e si fissa per un po’ la punta delle scarpe. 

«Che chiamasse per via di mio padre.»

«Will…»

«Ho pensato che fosse successo qualcosa e mi sono spaventato; così non ho risposto.» 

«A quest’ora lo sapremmo» borbotta Madden, facendo cenno a Will di sedersi sul divano e giurando con le mani di non colpirlo in nessun modo. Will obbedisce un po’ titubante, ma si siede comunque nell’angolino. «A che ora ti ha chiamato?»

«Stamattina e poi oggi pomeriggio» mormora, controllando il registro chiamate sul suo telefono. «Ho pensato che avesse chiamato te alla fine, ma per tutto il giorno non mi hai detto niente.»

«No, non mi ha chiamato» asserisce Madden prima di lasciarsi andare a un lungo sospiro. «In che modo hai pensato potesse avere a che fare con tuo padre?» Will si stringe nelle spalle e infine si fa più vicino a Madden, del tutto convinto che non alzerà un dito.

«Che magari abbiano scoperto qualcosa su chi mi ha fatto del male e che lui fosse finito in mezzo.»

«Will…»

«Ho avuto paura, okay?» Ammette di nuovo Will e sento lo stomaco stringersi appena. «Mi sono spaventato a morte e non ho risposto. Mi dispiace.» Si scusa, nonostante non debba farlo con Madden.

«Ecco che cosa faremo domani mattina e non ammetto obiezioni o ti trascinerò io stesso fuori casa» Will mette il broncio, ma rimane in ascolto. «Andremo da mia nonna per capire in quale assurdo modo vuole andare in vacanza e poi immediatamente dall’agente Michaels a sentire che cos’ha da dire. Okay?»

«Okay.»

«Non importa che tu voglia fare colazione dall’altra parte della città, sono stato chiaro Will?»

«Sì, ho capito» borbotta. «Ho capito. Non devi per forza trattarmi come un cazzo di bambino ogni volta.»

«Ah no?» Borbotta Madden, afferrandogli la spalla e avvicinandosi. «E tu non comportarti come tale. A tua madre perché non hai risposto?»

«Non mi andava di sentirla, chiaramente» replica e muove il braccio perché Madden si scansi. «Mi ha chiamato almeno venti volte e mi ha lasciato due messaggi vocali, che non ho ascoltato.»

«Dammi il telefono» ordina Madden, allungando la mano verso il suo migliore amico che lo guarda titubante e scuote la testa. «Dai, li ascoltiamo insieme. E probabilmente dovrai persino tradurre perché lo sai che il francese io non lo capisco troppo bene.» Will sogghigna e alla fine cede; traffica nuovamente con il cellulare fino ad aprire l’app dei messaggi istantanei e scorre appena fino a trovare la chat che usa con sua madre. Non ci mette molto a recuperare i due messaggi vocali; il primo è in francese.

«Chérie, peux-tu répondre au téléphone s'il te plaît ? Je t'appelle depuis ce matin, mais il y a toujours le répondeur. S'il te plaît…» Madden alza gli occhi verso Will che sbuffa e poi traduce dicendo che ha semplicemente chiesto di rispondere al telefono, che prova a chiamare da stamattina, ma parte sempre la segreteria.

«Perché non ho voglia di parlare con te, cazzo.» Impreca Will, passandosi una mano tra i capelli.

«Fai partire l’altro.» 

«Un minuto e mezzo di audio, sei sicuro?» Madden annuisce e Will sfiora appena il secondo vocale. 

La voce di sua madre è pacata e sembra quasi tremare. Riesco a capire qualche parola appena e Madden non deve poi acciuffarne qualcuna in più di me. Sembrano delle scuse, menziona l’incidente e poi la sua voce si fa più bassa, ma più veloce. Will a un certo punto impreca e quando sua madre gli sussurra quello che so per certo significare ti voglio bene, il cellulare scivola dalle sue mani e impatta il pavimento senza che Madden riesca ad afferrarlo in tempo. Un’altra piccola crepa si aggiunge a quella già presente che corre lungo tutto lo schermo.

Will si alza con uno scatto che gli costa una seconda smorfia di dolore quando si passa entrambe le mani tra i capelli; scuoto la testa quando Madden mi domanda con gli occhi se abbia capito che cosa sia successo. Madden lo segue con lo sguardo mentre fa il giro del divano prima di piegarsi su sé stesso e posare le mani sulle ginocchia; scoppia a ridere talmente forte da farmi sussultare e allontanare appena. Madden si alza dal divano e lo raggiunge, posandogli una mano tra le scapole; Will emette un verso carico di rabbia e si scosta perché Madden non lo tocchi.

«Quella donna è pazza» sussurra e non sono nemmeno sicura che abbia pronunciato quelle esatte parole; poi però le ripete. «Mia madre è pazza!»

«Will, che cosa diceva il messaggio?» Le mani di Madden tremano dall’ansia e il sorriso che Will si è dipinto in viso non fa che sembrare il tutto terribile.

Will torna in posizione eretta e si passa nuovamente le dita tra i capelli, scompigliandoseli e rendendoli più sbarazzini del solito fino a che le punte bionde non sfiorano come di consueto la fronte, senza riuscire a nascondere la ruga di espressione che gli si è formata tra le sopracciglia aggrottate. Armeggia con la sigaretta che ancora porta nascosta dietro l’orecchio, la osserva in adorazione per qualche secondo e poi la stringe nel palmo della mano, riducendola ad un mucchietto di carta e tabacco. Cade a terra leggera, seguita dall’imprecazione che Will mastica tra i denti; si volta verso il suo migliore amico e stringe la guancia in una morsa dura prima di scuotere la testa.

«Ha detto» si schiarisce la voce quasi teatralmente prima di continuare. «Ha detto che le dispiace di non essere venuta in ospedale dopo l’incidente, ma c’è un motivo e le costa fatica dirmelo così. Non capisce perché io non risponda al telefono.»

«Qual è questo motivo?»

«È incinta» si porta una mano al viso, stringendosi appena il ponte del naso tra le dita. «Mia madre è incinta e potrebbe partorire tra una settimana appena.» Il silenzio che cala nella stanza dopo la confessione di Will è strano e pesante: dovrebbe essere una bella notizia, eppure sembra la catastrofe più grande che la Terra abbia mai dovuto affrontare. 

«Will…»

«E questa non è nemmeno la parte peggiore» lo interrompe, scostandosi nuovamente di dosso la mano che Madden prova a posargli sulla spalla. «La vuoi sentire?»

«Sì, certo che sì.» Risponde cauto Madden, quasi avesse a che fare con un leone chiuso in gabbia con cui bisogna prestare estrema attenzione al minimo movimento che si vuole compiere.

«Mi ha chiesto di raggiungerla» mormora atono Will, fissando un punto causale oltre le spalle di Madden; lo sento trattenere appena il fiato, ma lo lascia continuare senza dire niente. «Di stare da lei per un po’, così da conoscere la mia sorellina

«Will…»

«Mia madre ha deciso di andarsene e di lasciarmi qui da solo anni e anni fa solamente perché questo posto non era più di suo gradimento e adesso mi chiede di raggiungerla.»

«Will, devi calmarti.» Will sogghigna e scuote la testa; questa volta non si scosta e Madden è libero di stringergli la spalla. 

«Io sono stanco, voglio andare a dormire.»

«Aspetta solo un secondo.»

«No» Will non ne vuole più sapere e l’espressione sul suo viso non accetta repliche né compromessi. «Vieni a svegliarmi domani mattina.»

E Madden obbedisce, ché non ha più modo di ribattere: Will gli ha dato bruscamente le spalle, sparendo nella sua camera. Non si presenta davanti alla porta della sua stanza tanto presto, ma Will deve comunque dormire profondamente. Il suo telefono è rimasto sul pavimento del salotto dalla sera prima e Madden esce dalla cucina solo per spegnere la sveglia che dolcemente echeggia per tutta la sala. Vado io a svegliare Will mentre lui è sotto la doccia. 

Nella penombra della stanza lo scorgo raggomitolato tra le coperte, con un cuscino sotto la guancia e uno stretto tra le braccia. Ha ancora il respiro pesante quando mi siedo sul bordo del letto Sussulta appena quando sente il materasso abbassarsi lievemente e lascia andare il cuscino per portarsi le mani al viso, a riparasi gli occhi dalla luce tenue dell’applique

«Buongiorno.» 

«Stavo per colpirti pensando fossi Madden.» Brontola, con la voce impastata dal sonno.

«Va tutto bene?» Will inspira a fondo e allunga una mano a cercare la mia, finendo per sfiorarmi il polso e stringerlo appena tra le dita.

«Ieri sera abbiamo davvero ascoltato mia madre che diceva di essere incinta?»

«Sì.»

«E adesso devo alzarmi per andare dall’agente Michaels?»

«Proprio così.»

«Allora non va tutto bene.» Lascia andare il mio polso per voltarsi e darmi le spalle, portando con sé il cuscino e stringendoselo contro il viso. 

«Se non ti alzi adesso toccherà a Madden e non mi sembra di buon umore stamattina.» Lo sento imprecare tra i denti quando mi sollevo dal materasso; si tira su a sedere all’istante, scostandosi di dosso le coperte. La maglietta a maniche corte bianca che indossa gli si è arrotolata sull’addome, lasciandogli la pelle esposta.

«Mi alzo, mi alzo» sbadiglia, soffocando il suono con la mano. «Per l’amor di Dio, mi sto alzando.» 

E lo fa davvero, mi segue per il corridoio imbronciato e con la mano sinistra a stropicciarsi gli occhi. Si lascia cadere sulla sedia che occupava Madden e posa entrambi i gomiti sul tavolo osservando che cosa poter mangiare per colazione. Madden ritorna con i capelli ancora un po’ umidi e sorride quando nota Will pulirsi la bocca con un tovagliolo e finire il caffè nella propria tazzina. 

«Non voglio andare dall’agente Michaels.» Si lamenta, alzandosi e riposizionando la sedia sotto al tavolo.

«Lo so» replica Madden, arrotolandosi le maniche del maglione fin sopra i gomiti. «Andremo prima dalla nonna; va’ a vestirti per favore.»

Will obbedisce silenzioso, trascinando i piedi nuovamente nella sua stanza per uscirne qualche momento più tardi vestito di tutto punto, ma con i capelli ancora scompigliati dal sonno. È Madden a guidare questa volta, nonostante in tre stiamo più stretti nella sua auto. Parcheggia dietro la macchina di mio fratello, a poca distanza da casa mia e scende in fretta, aspettando che Will chiuda la portiera posteriore prima di far scattare la sicura. 

Sono indecisa se salutarli ed entrare in casa mia o se godermi la scena prima di lasciare che raggiungano la centrale di polizia. Scelgo la prima opzione non tanto perché io abbia deciso, ma perché sia Madden che Will aspettano solo me per attraversare la strada e aprire il cancello di casa di Esther. 

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** 46 ***


 

capitolo
46





 

La nonna di Madden è seduta sul divano del salotto con una tazza di tè tra le mani e la TV sintonizzata su un noto programma di cucina. È così interessata e attenta a ciò che viene proposto da accorgersi solo in un secondo momento di Madden, Will e me fermi nella sua stessa stanza. Abbassa il volume dopo aver posato la tazza di ceramica blu sul tavolino al suo fianco e fa passare lo sguardo su ciascuno di noi, partendo da me per arrivare al nipote e inarcare le sopracciglia chiare in una domanda che non è poi così silenziosa.

«È successo qualcosa?» Lo chiede senza dare segno di volersi scomodare dal divano; Will deglutisce rumorosamente al mio fianco e Madden lo fulmina sul posto con solo la coda dell’occhio.

«Cos’è questa storia che devi andare in vacanza?» La voce di Madden esce più sgarbata di quanto vorrebbe, ma se ne accorge immediatamente perché scuote il capo e si passa una mano sul viso. «Will ha detto…»

«Will parla sempre troppo ultimamente» sorride Esther in direzione di Will, che sbuffa e incrocia le braccia al petto. «Non gli si può nascondere nulla.»

«Ma se mi hai persino cacciato di casa!» Will lo ribatte andando a sedersi al suo fianco e posandole un braccio intorno alle spalle, aspettando quasi che la nonna di Madden gli baci la guancia. Cosa che avviene l’istante seguente e Madden borbotta qualcosa sottovoce che sembra assomigliare vagamente a leccaculo.

«Nonna?»

«Avete fatto colazione?» Lo domanda principalmente a Will e me ed entrambi annuiamo senza menzogne. «C’è della torta di là.» A Will non serve altro per alzarsi e sparire in cucina per qualche istante, tornando con una fetta di torta al cioccolato in bilico su un tovagliolino. 

«Nonna, per favore.» Madden sospira, sedendosi poi sulla poltrona al suo fianco, con il corpo rivolto completamente verso Esther. Will mi fa segno di accomodarmi accanto a lui, che la situazione non si risolverà troppo in fretta per poter rimanere in piedi. 

«Madden, Zucchero mio, che cosa potrà mai voler dire che devo andare in vacanza?» La domanda di sua nonna esce con un tono quasi esasperato.

«Ma dove? Con chi?» Chiede in fretta Madden, sporgendo il busto per riuscire a posare i gomiti sulle proprie ginocchia. «Quando?» Esther spegne definitivamente la televisione con un leggero sospiro. 

«Ricordi la mia vecchia amica Eleonora?» Madden ci pensa su qualche secondo, ma vedo Will annuire prima di lui.

«È la signora che abita in fondo alla strada» replica. «In quella casa azzurra.» Esther annuisce, rimproverando con lo sguardo Will quando fa cadere le briciole sulla stoffa chiara del divano.

«Sua figlia ha aperto un centro benessere ad Amburgo e mi ha chiesto se volessi andare con lei e passare là qualche settimana.»

«Ma…»

«Aveva proposto una crociera, ma lo sai che non mi fido.» Will fa segno con il capo di essere totalmente d’accordo con le sue parole mentre si pulisce la bocca dalla glassa al cioccolato. «Qualche settimana ad Amburgo mi sembra ragionevole, non trovi?»

«Qualche settimana?» Ripete Madden, aggrottando piano le sopracciglia.

«Qualche settimana» Esther inclina il capo verso sui nipote. «Volete venire?» Will sussulta sul posto nello stesso istante in cui Madden replica gli esatti movimenti dell’amico.

«No» Madden è il più svelto nel dare la risposta, guardandomi poi per appena un istante. «Che cosa dovremmo mai venire a fare ad Amburgo?»

«Rilassarvi» replica Esther con un sorriso sbarazzino sul viso. «Vi farebbe bene.»

«Abbiamo l’università.» La nonna di Madden fa un gesto veloce in direzione di Will.

«Vi consiglio un altro posto dove poter provare a rilassarvi: Amiens.» A Will si spezza il respiro, il viso di Madden scatta nella sua direzione e la morsa della sua guancia fa capolino sulla pelle.

«Ti ha…»

«Chiamato?» Conclude Esther voltandosi verso Will e inclinando appena il capo. «Certo che sì. Era disperata perché non hai mai risposto.» È lì che capisco che Amiens è il luogo in cui abita la madre di Will.

«Disperata» sussurra Will, scuotendo la testa e lasciandosi andare a un breve sorriso. «Lo sai che non è vero.»

«Perché ti ostini a trattarla così?»

«Non ha mosso un dito quando ha saputo dell’incidente» ribatte Will, alzando la voce più di quanto in realtà voglia fare. «Ha fatto il mio nome quando mio padre è uscito di prigione, ma non si è mai presentata qui.»

«Ti ha spiegato perché.»

«Non m’interessa, nonna» continua Will per la sua strada. «Non mi interessano le sue ragioni o i suoi motivi del cazzo. Non puoi chiamare e pretendere che io risponda, così come non puoi aspettarti che mi presenti davanti casa tua per sentirsi dire hey mamma, hai visto? Sono venuto a trovarti. Sei contenta? Non è così che deve funzionare.»

«Lo so» mormora Esther, posandogli una mano sulla guancia. «Ma è un inizio.»

«Non m’importa» ripete Will, abbassando lo sguardo sulle proprie mani intrecciate sulle gambe. «Non andrò comunque ad Amiens.» Esther prende un respiro e poi annuisce.

«Promettimi che ci penserai, Will.» Will fa nuovamente cenno negativo con il capo, poi sorride sornione.

«No.» Replica, tornando serio e incrociando le braccia al petto; Esther mormora qualcosa sottovoce e si volta nuovamente in direzione di Madden.

«Partirò per Amburgo domani sera» Madden stringe le labbra in una linea dura, ma annuisce. «Pensate di cavarvela per un po’ da soli?»

«Nonna…»

«Bart è in buone mani, puoi tirare un sospiro di sollievo, okay?» Madden si sporge ulteriormente ad afferrare la mano che sua nonna ha allungato verso di lui. «Per un po’ andrà tutto bene.» Annuiscono entrambi, ma negli occhi di Esther c’è solo una raccomandazione: convinci Will a cambiare idea.

«Dobbiamo andare dall’agente Michaels» mormora Madden, passandosi una mano tra i capelli; Will abbassa lo sguardo e si fa piccolo piccolo accanto a Esther. «Will non ha risposto alle sue chiamate; vediamo se per un po’ andrà tutto bene.» Aggiunge sarcastico. Esther si volta in fretta verso Will, ma non fa in tempo a porre anche la più semplice delle domande perché il diretto interessato sbotta.

«Voi non avete mai paura, vero?» La nonna di Madden sospira e nella sua espressione sparisce ogni traccia di volerlo sgridare. «Certo che no, voi siete tutti perfetti.»

«Will…»

«Ho avuto paura di sentire che cosa avesse da dire» mormora Will, alzandosi poi dal divano per fare il giro dello stesso. «Se ti fa stare meglio, possiamo andare.» Decreta infine. 

Madden e sua nonna si alzano nello stesso momento, raggiungendo Will ormai prossimo all’uscita. Ha già quasi una mano sulla maniglia per poter uscire di casa e togliersi finalmente il peso che porta sullo stomaco. Mi afferra la mano quando i miei piedi si fermano accanto ai suoi, in attesa che Will compia finalmente la sua mossa.

«Poi mi racconti, va bene?» Esther bacia Will su entrambe le guance quando lui annuisce e mormora qualcosa che sembra sentire solo lei, perché sorride appena e fa un piccolo cenno affermativo con il capo. 

«Ci vediamo più tardi, nonna.» Seguiamo i passi di Will lungo il vialetto fino a chiuderci il cancello alle spalle con un piccolo tonfo. Will ha già raggiunto l’auto di Madden ed è pronto a salire; si volta solo perché Madden lo richiama.

«Cecy non viene, Will.»

«Sì, lo avevo capito.» Borbotta aprendo la portiera dell’auto e accomodandosi al suo interno. Madden sospira e attraversa con me la strada; questa volta il cancello non se lo trascina dietro, ma lo lascia aperto e rimane sulla soglia.

«Vorrei davvero venire con voi, ma Kat sarà qui tra poco.»

«Ci vediamo tra un paio di giorni, okay?» Madden mi tira a sé in un abbraccio caldo, baciandomi lievemente il capo. «Ti scrivo se c’è qualcosa che non va.»

Non lo fa, però.

Madden non mi manda nessun messaggio ed io ho quasi consumato tutta la batteria del mio cellulare per le volte che ho illuminato lo schermo o mi sono accertata che ci fosse abbastanza segnale per l’arrivo di un messaggio. Capisco che per forza di cose ci deve essere qualcosa che proprio non va perché nemmeno Will risponde ai miei messaggi, lasciandomi semplicemente in una conversazione con me stessa fatta di spunte di lettura a cui non so dare una reale spiegazione. 

Neanche Kat riesce a comprenderlo e ci prova davvero, tanto che chiama Will un paio di volte prima di imprecare sonoramente e rimettere in moto l’auto il pomeriggio dopo il suo spettacolo. Mio fratello è partito la mattina stessa per tornare ad Amsterdam; ha incrociato Madden per un breve istante, ma non ha avuto modo di poter chiedere niente: stava accompagnando sua nonna in aeroporto. 

Questa volta il messaggio lo mando a Madden, scrivendogli che Kat mi accompagnerà all’appartamento. Passa una buona mezz’ora prima che ottenga una risposta così semplice da lasciarmi quasi intontita.

 

Madden

 

Ti aspetto.

 

Non chiedo nemmeno a Kat se voglia entrare, è lei stessa a dirmi che non ce n’è bisogno, che se è successo qualcosa lei non fa parte del gioco e non capirebbe. Evito di dirle che invece mi sarebbe d’aiuto qualora qualcosa fosse realmente accaduta. Tutto mi dice che sì, deve essere per forza di cose successo. E non ha niente a che fare con una bella sensazione. 

Busso alla porta un paio di volte, compiendo un piccolo passo indietro in attesa che uno dei due venga ad aprirmi; mi accorgo solo in un secondo momento che l’auto di Will non è nei paraggi e la preoccupazione inizia a pesare sempre un po’ di più. I passi di Madden echeggiano leggeri dietro la porta, fanno un rumore infernale nel silenzio del momento. La maniglia si abbassa e il viso di Madden compare davanti al mio; sorride e tiene la porta aperta perché io possa entrare a cercare un po’ di calore in più che la mia giacca non riesce a darmi.

Faccio appena in tempo a voltarmi nella sua direzione che le sue mani si posano leggere sulle mie guance e le labbra cercano veloci le mie, trovandole senza alcuna difficoltà. Gli afferro d’istinto il collo del maglione, sentendolo poi sorridere appena e respirare sul mio viso quando si scosta leggermente, solleticandomi la fronte con i capelli.

Lo noto con la coda dell’occhio perché prima mi deve essere sfuggito o Madden è stato tanto svelto da nasconderlo: la mano destra è fasciata, solo le dita rimangono libere dove i soliti anelli catturano anche la più piccola luce, artificiale e non. La prendo tra le mie, aggrottando appena le sopracciglia e alzando poi gli occhi verso di lui. Un piccolo broncio gli attraversa il sorriso, che sparisce poi definitivamente lasciando spazio a due labbra strette in una linea piuttosto dura.

«Vieni.» 

Mi tremano le gambe; non glielo dico, ma lascio che la sua mano afferri la mia e mi trascini lungo il corridoio che sbuca nel solito salotto. Sussulto alla vista di quello che mi trovo di fronte e sento Madden imprecare. Cammino silenziosa dietro di lui e sotto le scarpe qualcosa scricchiola rumorosamente; quella che sembra innocua rugiada è invece cristallo. Il tavolino vicino al divano è distrutto e il vetro che lo sovrasta è crepato in così tante parti che sembra abbia nevicato e il ghiaccio della mattina scintilli al sole. La televisione è fuori posto e persino una lampada giace al suolo inerme, anch’essa rotta in più punti. 

«Che diavolo è successo qui?» Glielo domando in un sussurro quando il vetro s’infrange ulteriormente sotto le mie scarpe.

«Will» risponde lieve Madden, lasciandomi andare per voltarsi e guardarmi negli occhi. «È successo Will

«Dov’è?» L’urgenza nella mia voce gli fa aggrottare appena le sopracciglia e poi stringersi nelle spalle.

«Da Margot» replica, passandosi la mano fasciata sul viso. «Ha distrutto mezzo salotto.»

«Lo vedo» replico, continuando a guardandomi intorno. «Perché lo avrebbe fatto?»

«Suo padre.»

«Per favore, sii più loquace.» Madden sospira e annuisce sedendosi sul bracciolo del divano; tende la mano verso di me, cercando la mia. 

«L’agente Michaels ha chiamato perché hanno trovato i colpevoli del male fatto a Will» trattengo il respiro così bruscamente che un piccolo singulto mi sfugge dalle labbra senza che possa effettivamente fare qualcosa per trattenerlo. «Delle telecamere che pensavano fossero rotte erano in realtà più che funzionanti e dall’altra parte della strada hanno ripreso tutto.»

«È stato lui?» Madden scuote la testa, confondendomi così tanto che mi avvicino per avere un supporto maggiore ed evitare di sbilanciarmi con il mio stesso peso.

«Nel video si vede Will camminare da solo ed è impegnato nello scrivere qualcosa sul cellulare» continua Madden, schiarendosi appena la voce. «Una macchina accosta pian piano e un paio di uomini scendono per seguirlo a debita distanza, accertandosi che sia realmente solo. Will non ha nemmeno tempo di reagire perché uno di loro lo si vede afferrarlo per la spalla e voltarlo nella propria direzione; lo colpisce al viso due volte e Will cade a terra per essere stato colto alla sprovvista. È il secondo uomo a prenderlo a calci e pensano sia stato lui a rompergli le costole.» Madden tira su appena con il naso, passandosi la mano fasciata sulla guancia a scacciare una lacrima che contiene solo rabbia.

«Madden…»

«Quel cazzo di video dura otto minuti, Cecy. Otto» la voce di Madden mi fa chiudere gli occhi. «Otto minuti in cui il mio migliore amico è a terra privo di sensi e due uomini lo prendono a calci come se avesse fatto loro il torto peggiore che possa mai essere stato compiuto. Li hanno identificati e Bart aveva ragione: avrebbero dovuto interrogare il suo di padre, tempo fa.»

«Li conosceva?»

«Sono gli stessi uomini arrestati con lui anni prima; sono usciti di prigione e alla notizia del padre di Will ormai libero hanno voluto vendicarsi» Madden scuote la testa e mi guarda negli occhi. «Erano loro fuori dalla porta di casa, ma Will non li ha riconosciuti subito. Io sì.»

«Will ha visto suo padre?» Madden annuisce e nuovamente schiarisce la voce.

«Sì, prima che lo portassero via di nuovo» risponde. «Credo abbia commesso qualcos’altro nel tempo in cui è stato prima da noi e dopo che Will l’ha cacciato: è nuovamente in carcere.»

«Per questo ha distrutto il salotto?»

«Sì» mormora, annuendo alle sue parole. «Siamo tornati a casa e sembrava come impazzito. Ha scaraventato il tavolino contro il divano, colpendo la televisione e frantumandolo. Mi sono tagliato la mano cercando di portarglielo via prima che lo lanciasse da un’altra parte. Non l’ho mai visto così, non sapevo che fare. Credo di aver fatto un’altra cazzata, Cecy.»

«Che cosa hai fatto?» Glielo domando in un sussurro, passandogli leggermente le dita tra i capelli soffici, sorridendo appena quando alza gli occhi verdi nella mia direzione.

«Gli ho detto di chiamare sua madre. Gli ho detto che andremo ad Amiens.»

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** 47 ***


 

capitolo
47





 

Mi rendo conto di essermi seduta sulle gambe di Madden solo quando la sua mano non stringe più la mia, ma si è posata sulla coscia e il braccio mi avvolge i fianchi per sostenermi. 

«Andrete?» Glielo chiedo in un filo di voce, ma è così vicino da sentirlo forte e chiaro; annuisce e mi accarezza la guancia. «Tu e Will?» Aggiungo poi scioccamente.

«Sì.» Distolgo lo sguardo dal suo solo per posarlo qualche secondo oltre le sue spalle, sulla lampada frantumata a poca distanza dal corridoio che porta alla camera da letto di Will. 

«E lui è d’accordo?» 

«Ha chiamato sua madre l’istante dopo; credo stesse persino piangendo nel sentire la voce di Will dire quelle parole.» Deglutisco un paio di volte a vuoto, a cercare di respirare più tranquillamente possibile. Madden avvicina il viso alla mia guancia, lasciandovi un lieve bacio delicato. «Cecy…»

«Quando?» 

«Non lo so, Will ci sta ancora pensando» mormora Madden, così vicino da solleticarmi la pelle con il suo stesso respiro. «Credo a breve, comunque. Questione di qualche giorno.» Mi alzo in fretta, scivolando dalle gambe di Madden talmente veloce da perdere quasi l’equilibrio e Madden si sbilancia persino in avanti perché il modo in cui siede sul bracciolo è precario. Faccio un passo indietro, incrociando le braccia al petto.

«È per questo che non mi hai scritto in questi giorni?» Domando a bruciapelo. «Così come Will?»

«Cecy…»

«È perché avete deciso di andarvene.» Madden si alza finalmente dal bracciolo del divano, ma quando ferma i suoi piedi di fronte ai miei, compio un ulteriore passo indietro. 

«Che cosa stai dicendo?» Me lo chiede confuso e mi ritrovo a sorridere appena. 

«Sono venuta qui per sentirmi dire addio?» 

«Addio?» Madden ripete le mie parole in un sussurro e azzera la distanza che cerco di mettere invano tra di noi, afferrandomi il polso che ho ancora stretto al petto per raggiungere la mia mano. «Addio? Pensi davvero che io ti stia dicendo addio?»

«Mi stai dicendo che te ne vai ad Amiens, con Will.»

«Ma non per sempre, Cecy!» Lascio scivolare la mia mano dalla sua, ma Madden è tanto svelto da recuperarla prima che me la riporti al petto. «Cazzo, come… come ti viene in mente una cosa del genere? Come potrei andare via per sempre e dirtelo così?»

«Che avresti da perdere?»

«Te, Cecy» un altro passo e la sua figura sovrasta la mia; la mia schiena cozza contro la parete della cucina e sussulto. «Avrei da perdere te e non ho nessuna intenzione di farlo.»

«Allora perché vuoi andare via?» Glielo chiedo senza voce e Madden chiude gli occhi abbassando il capo, sospirando prima di imprecare tra i denti. 

«Per Will» mormora in un sussurro. «Solo per lui. Non ha più nessuno qui; con la nonna che ha deciso di andare ad Amburgo per un po’, ci sono solo io. Non è abbastanza, Will ha bisogno di rivedere sua madre, anche se dice di odiarla. Non è così.»

«Mad…»

«Will non può stare senza di me ed io non posso stare senza di lui» decreta e mi si stringe il cuore tanto forte da farmi persino chiudere gli occhi. «Il problema è che non posso stare nemmeno senza di te, Cecy.»

«Sì che puoi.»

«No» ribatte in fretta, incrociando nuovamente i miei occhi e lasciandomi completamente senza fiato. «No, non posso.»

«Non verrò ad Amiens, Madden.»

«Lo so; ci ho pensato. Cazzo, per circa due secondi ho pensato di chiederti di venire con noi, di venire con me» mi porta la mano alla guancia, sfiorandomi lo zigomo con il pollice e contornami le labbra. «In un posto dove mio padre non è un tossico, dove quello di Will non ha quasi fatto uccidere suo figlio, dove i tuoi genitori non ti hanno abbandonato. In un posto dove nessuno sa queste cose e magari riusciamo a dimenticarcele anche noi per un po’. Ci ho pensato e ho capito che non potevo farlo: non potevo chiedertelo. Sarebbe ingiusto. Lì non c’è Dylan, non c’è Kat, non c’è la tua vita.»

«Non c’è nemmeno la tua.»

«Ma c’è Will» replica, afferrandomi delicatamente il mento tra le dita per sollevarmi il viso verso il suo. «Ed è più o meno la stessa cosa.»

«Non mi stai dicendo addio?» Madden sorride, ma è un sorriso stanco.

«No» mi bacia le labbra sfiorandomi il viso con le dita. «No, ti sto dicendo che ti amo e che mi dispiace se ti ho trascinato dentro questo casino perché non lo meriti. Però sei qui e il mio cuore è diviso esattamente a metà dove da una parte ci sei tu e dall’altra c’è Will ed io non posso lasciarlo da solo in questo momento. A costo di dovermi allontanare da te.»

«Hai detto che non sarà per sempre» Madden chiude gli occhi e poi scuote la testa. «Tornerai da me?»

«Tornerò sempre da te.»

«Allora forse ti lascio andare via.» Questa volta il sorriso di Madden gli coinvolge persino gli occhi, accendendoli di una scintilla luminosa; mi prende il viso con entrambe le mani e mi sfiora il naso con il suo.

«Forse?» 

«Devi solo promettermi che tornerai ad Amsterdam» mormoro, alzandomi brevemente sulle punte dei piedi per allacciargli le braccia dietro il collo. «E che porterai Will con te.»

«Te lo prometto.» E alla sua promessa ci credo perché non c’è esitazione nella sua voce, non c’è tentennamento. Mi lascia il viso solo per avvolgermi le braccia alla schiena, sollevandomi persino da terra mentre mi abbraccia così forte da farmi mancare il fiato.

Quando la mia guancia si appoggia alla sua spalla, il tessuto del maglione raccoglie qualche lacrima che non mi ero nemmeno accorta di stare versando; Madden però sì perché stringe maggiormente la presa, lasciandomi tornare con i piedi per terra. Sono quasi sicura che voglia persino dirmi di non piangere, che non c’è n’è bisogno, ma qualcuno inserisce un mazzo di chiavi nella serratura, facendola scattare un paio di volte. Will compare all’ingresso con un brutto cipiglio sul viso e impiega qualche secondo prima che lo faccia andare via. Passa lo sguardo su Madden e me contro la parete, sul tavolino distrutto del salotto fino a guadarsi colpevole le punte dei piedi.

Scivolo via dalla presa di Madden solo per passarmi il dorso della mano sulla guancia e raggiungere Will, fermo al centro dell’ingresso con le chiavi dell’auto che ancora gli tintinnano tra le dita della mano destra. Mi avvicino cauta e attendo che alzi lo sguardo su di me così che possa finalmente dirgli qualcosa o che lui la dica a me. I suoi occhi verdi - così diversi da quelli di Madden - incontrano l’azzurro dei miei e la ruga che è ferma immobile tra le sue sopracciglia si distende, lasciando spazio a un sospiro che gli sfugge dalle labbra.

«Ho fatto un casino» mormora, allungando una mano nella mia direzione, con il chiaro intento di voler stringere la mia. Lo assecondo e le sue dita si stringono piano sulle mie, riuscendo ad avvicinarmi a sé. «Ho distrutto tutto.»

«Sì, ho visto» la voce mi s’incrina quando riesco a guardarlo davvero negli occhi. Ha il viso stanco e un leggerissimo accenno di barba a contornagli le guance. «Lo aggiusteremo. Si aggiusta tutto.»

«Mi hanno fatto vedere un video dove vengo preso a calci per otto minuti» annuisco con le labbra che tremano e non so se sono io ad avvolgere le braccia intorno al collo di Will per stringermelo contro o se è lui a farlo ed io adatto semplicemente i miei gesti di conseguenza. Gli trema il petto mentre con la mano mi stringe la spalla.

«Lo so.»

«Otto minuti in cui sono quasi morto se non fosse passato qualcuno e loro siano stati costretti a scappare.»

«Mi dispiace tanto, Will.» Sento Madden imprecare quando Will annuisce contro la mia guancia. «Davvero tanto.»

«Non si può aggiustare niente» mormora con voce grave, prima di allontanarmi; c’è un piccolo sorriso sulle sue labbra, ma come quello di Madden è solo stanco. «Piangi a causa mia?»

«Sì e no.»

«Madden ti ha detto di Amiens?» Domanda, scostandomi una ciocca di capelli dal viso quando annuisco. «Vieni con noi, Zucchero

«Will.» Lo rimbecca immediatamente Madden, avvicinandosi appena. 

«Perché no?» Lo domanda rivolto a me e mi ritrovo a sorridere, ma a scuotere comunque il capo.

«Non posso venire con voi, Will» replico facendo un piccolo passo indietro, ma lasciando comunque che Will mi stringa la mano. «Non posso.»

«Hai preso una decisione?» Madden mi posa una mano sulla spalla; Will annuisce e guarda negli occhi prima me e poi il suo migliore amico. 

«Domani» decreta infine e nel mio petto il cuore manca più di un singolo battito. «Voglio andare via domani.» Madden lascia uscire il respiro lentamente e con la coda dell’occhio lo vedo annuire.

«D’accordo» mormora, stringendo la presa sulla mia spalla perché sto tremando. «Va’ a preparare le valigie. Io porto a casa Cecy.»

Piango ininterrottamente, ma silenziosamente per tutto il tragitto verso casa, con la mano di Madden stretta nella mia. Lo guardo negli occhi solo quando scende dall’auto per accompagnarmi dentro casa, dove non gli lascio comunque scampo perché non riesco a farlo andare via. Rimane con me sul divano per un tempo indefinito, resto stretta tra le sue braccia fino a che entrambi con cediamo a un sonno scomodo e distratto. Sono le quattro del mattino quando il braccio di Madden scivola via e mi desto allungando subito la mano a cercare la sua.

«Devi lasciarmi tornare a casa» mormora tra i miei capelli quando si abbassa nuovamente verso di me. «Sarò qui di nuovo domani mattina.»

«No.» Scuoto la testa e sento nuovamente gli occhi inumidirsi e bruciare per il volere delle lacrime.

Madden sorride e mi bacia la guancia prima di sfilare con delicatezza la mano dalla mia. Il suo ti amo lo sento la prima volta quando recupera la giacca e la seconda, a voce più alta, quando si chiude la porta alle spalle lasciandomi nel silenzio solitario della notte. 

È il cellulare a svegliarmi ed è Dylan che mi avvisa che dopo gli allenamenti passerà a prendermi per andare da Kat, a cena con i suoi. Non rispondo al suo messaggio perché trovo quello di Madden in cui mi scrive che lui e Will passeranno subito dopo pranzo, quando saranno pronti per partire. Ho lo stomaco pesante, il cuore in subbuglio e la mente che non ne vuole sapere di tranquillizzarsi, che non sarà per sempre. 

È l’auto di Madden quella che si ferma per strada e mi precipito fuori con così tanta velocità da non lasciare loro nemmeno il tempo di spegnere il motore. Ho già le guance umide e sento Will imprecare tra i denti prima di travolgermi in un abbraccio così irruente da spezzarmi il respiro in gola. Gli stringo le spalle così forte da sentire male ai polpastrelli.

«Stai di nuovo piangendo per me?» Me lo domanda con il viso nascosto tra i miei capelli.

«Sì.» Questa volta non esito e lo sento tremare per la risata silenziosa che gli scuote il petto.

«Zucchero, tu sei la cosa più pura che potesse incrociare il mio cammino e la cosa più bella successa a Mad negli ultimi anni» Will me lo sussurra all’orecchio e non sono del tutto convinta che Madden abbia sentito le sue parole perché resta in silenzio e immobile accanto a noi. «E ti voglio così bene che se resto qui ancora due secondi, non me ne andrò più.» Lo stringo talmente forte da farlo ridere di nuovo, ma è lui a sciogliere l’abbraccio per baciarmi la guancia e consegnarmi nelle mani di Madden. Ho gli occhi così annebbiati dalle lacrime da non riuscire nemmeno a guardarlo in viso.

«Ti prego, smettila di piangere Cecy» le labbra di Madden sono a qualche millimetro dalle mie mentre sussurra quelle parole e quando scuoto la testa riesco persino a sfiorargliele. «Ti prego.»

«Ti prenderai cura di lui?» 

«Sì.»

«E poi tornerai da me?» Mi si spezza la voce e Madden annuisce, azzerando la distanza che ancora ci separa. Mi bacia a lungo, quasi volesse incidersi sulla pelle ogni secondo che ancora resta prima di salire in auto e partire per Amiens. 

«Non vedo l’ora di tornare da te» mormora, asciugandomi con le dita le lacrime che continuano a depositarsi sulle mie guance. «Ti chiamo appena arriviamo, okay?»

E lo fa, mi chiama quella sera stessa e tutte le sere che seguono, tutti i pomeriggi che passiamo lontani, con quasi 500 chilometri a dividerci. Will mi tempesta di messaggi, di fotografie; mi dice persino che sua madre non è poi così male e che forse ha fatto bene ad andare a trovarla. Vorrebbe che fossi lì con loro; io vorrei semplicemente che tornassero qui.

È il 18 maggio quando Madden mi manda un messaggio; sto sistemando alcuni libri in Biblioteca prima della chiusura, con Jules a indicarmi costantemente in quale scaffale vadano messi perché Matias ha fatto un casino con gli ordini e gli studenti non riescono più a trovare nulla senza dover chiedere ai vari addetti. Riesco a leggerlo solo una volta tornata a casa, con Kat ad attendermi comodamente seduta nel mio salotto con un pacco di biscotti al cioccolato mangiati per metà. Mi siedo al suo fianco, rubandogliene uno dalla confezione e sorridendo nella sua direzione quando si alza sbuffando per ritirarli in cucina. 

È una semplice foto quella che compare sullo schermo: Will tra le braccia tiene la sua sorellina appena nata. Non guarda in camera, tutta la sua attenzione è rivolta verso di lei, che a occhi chiusi dorme beata stretta a Will. Con la sua manina tiene però il dito indice di Madden e riconosco che si tratta di lui per l’anello che gli adorna la pelle e il serpente tatuato sull’angolo interno del dorso della mano; mi ritrovo a piangere senza che me ne renda nemmeno conto. Kat mi ruba il telefono dalle mani per guardare la fotografia e la sento sospirare; dice che se continua così potrebbe seriamente innamorarsi di Will. 

Due mesi dopo la nascita della piccola Florence, Madden mi chiama poco prima che inizi il mio turno al Rijksmuseum; sono ferma in mezzo alla piazza, ma è l’indicazione di una videochiamata quella che mi ritrovo sotto gli occhi. È però Will a comparire sul mio schermo, con il viso inondato dal sole e gli occhiali scuri calati sul ponte del naso. Il cielo azzurro di Amiens è uguale a quello di Amsterdam in questo preciso istante. Madden gli cammina accanto con una sigaretta accesa tra le labbra e una bandana arrotolata tra i ricci; lui gli occhiali da sole li ha incastrati nel collo della t-shirt bianca che indossa e gli occhi verdi scintillano alla luce del sole. Mi dicono che stanno andando a fare la spesa e Madden non ne è molto entusiasta; a Will serve una spalla perché sembra aver perso la sua perfetta dose di charme e la ragazza che lavora al mini market non sembra voler cedere al suo fascino.

Gli ricordo che forse è meglio così, che non dovrebbe prendere in giro le ragazze francesi - che continuano comunque a cadere ai suoi piedi - sapendo che tornerà poi ad Amsterdam. Will replica che non devo preoccuparmi, che vuole solo divertirsi durante la sua permanenza. Aggiunge che Madden sta facendo strage di cuori pur stando in silenzio, che la maggior parte delle volte le ragazze non capiscono che cosa dice e lui non comprende il francese strano in cui loro parlano. È sempre Will a dover intervenire e dire che il suo migliore amico non è disponibile, che ha una ragazza e che non fa per loro perché Madden ha occhi solo per lei. Madden dice che non è vero, che nessuna ragazza ci ha mai provato, ma Will ribatte nuovamente che è solo perché non parla la lingua, ma che dovrebbe comunque impegnarsi di più nell’impararla.

A Will dico che un giorno Kat mi ha detto che potrebbe finire con l’innamorarsi di lui e allora non gli converrebbe avere più ragazze in giro per il paese. Il telefono di Madden quasi gli sfugge via dalle mani e li sento imprecare quando l’inquadratura finisce sul prato verde su cui stanno camminando. Non se lo aspettava, ma io l’ho fatto di proposito.

Sono poi io a chiudere la conversazione perché il mio turno comincia in cinque minuti scarsi e sono in ritardo. Madden e Will non mi dicono che ci vedremo presto ed io non ho bisogno che lo ripetano perché me l’hanno promesso.

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** epilogo ***


 

epilogo





 

Nemmeno l’aria condizionata che soffia ininterrottamente dalle ventole del Rijksmuseum riesce ad alleviare la calura che questo 14 agosto ci riserva dalle otto di mattina. Sono uscita giusto per un paio di minuti poco prima delle 18:00 e l’aria calda tutt’intorno mi ha regalato un mal di testa che mi porto dietro da allora. Sembra allentarsi non appena si avvicina la fine del mio turno, ma la telefonata con Kat subito dopo aver strisciato il badge e salutato gli ultimi colleghi rimasti mi ha fatto ricordare che in realtà è ancora lì e non sparirà tanto presto.

«Ricordi che ti ho detto di comprare anche i popcorn al cioccolato?» 

Le porte mi si chiudono alle spalle e annuisco alle parole di Kat alzando il viso verso il cielo, di un azzurro ancora così intenso da farmi socchiudere gli occhi. Il vento caldo sta ancora soffiando e mi si deposita sulla pelle lasciandomi con un brivido lungo le braccia scoperte e libere dalla leggera giacca indossata fino a qualche minuto prima all’interno del museo.

Ci sono solo un paio di nuvole velate all’orizzonte, ma spariscono non appena raggiungo la fermata del pullman più vicina che mi porterà finalmente a casa, ché Dylan non ha avuto tempo di venire a prendermi per un imprevisto con la squadra. Nessuno si sta allenando in questo periodo, ma al coach non interessa: non è necessario fermarsi. Noi non andiamo mai in vacanza. Non fino a metà agosto, comunque.

«Me lo ricordo, ma non capisco se vuoi che ci vada adesso o se invece possiamo andarci domani mattina insieme.» Dall’altra parte della cornetta Kat sbuffa appena e non so se ce l’abbia con me oppure no.

«Se puoi andare ora avremo una cosa in meno da fare domani» in sottofondo si susseguono altre voci più basse e qualcosa mi dice che non è ancora uscita dal teatro nel quale stanno facendo le prove per gli spettacoli che andranno in scena a settembre. «Puoi farmi questo favore?»

«Hai ritirato il regalo di Dylan?» L’imprecazione che segue la mia domanda proviene da Kat stessa.

«Che ore sono?» C’è panico nella voce e non fatico a immaginarla nel cercare disperatamente un orologio sul quale posare gli occhi.

«Le 19:45» replico senza nemmeno controllare; l’autobus in fondo alla via ci pensa per me. «Kat, ti sei dimenticata?»

«No, non mi sono dimenticata» replica piccata, non lasciandomi quasi terminare di porle la domanda. «Come avrei potuto…»

«Ti sei dimenticata.» Decreto infine salendo sull’autobus e prendendo posto nella terza fila di sedili piuttosto rovinati.

«Ho perso la cognizione del tempo» annuisco spostando il telefono contro l’orecchio sinistro. «Puoi controllare se domani mattina sono aperti?»

«Lo sono e lo sono anche adesso, ma stasera Dylan ed io ceniamo insieme. Non posso tenerlo a casa, quel ficcanaso lo scoprirebbe subito.»

«Allora ci andremo domani, prima di raggiungere Jules» mormora quasi tra sé e sé. «Matias sarà in grado di appendere qualche festone, no?»

«Ne dubito» replico quasi automaticamente. «E Jules sarà con Dylan quasi tutto il giorno prima che ci raggiungano per cena. Perché non sei andata prima a ritirarlo?»

«Te l’ho detto: ho perso la cognizione del tempo.»

A recuperare il regalo di Dylan ci vado da sola, dopo pranzo. Senza Kat, che con una scusa poco credibile mi ha detto che passerà a prendermi verso le cinque per decorare il salotto di Jules. Matias lo troviamo seduto scompostamente sul divano di Jules, talmente impegnato con una serie TV da non accorgersi nemmeno del nostro ingresso, tutt’altro che silenzioso.

«Era così difficile gonfiare almeno i palloncini?» Kat lascia cadere le due borse ricolme di festoni sul pavimento, posandosi poi le mani sui fianchi e ispezionando lo spazio vuoto che ci circonda. Matias abbassa il volume della televisione e rivolge un sorriso di finte scuse.

«Oh no mi amor, ne ho gonfiato uno» replica, facendo il giro per posare una mano sulla spalla di Kat a mostrarle quello che resta del palloncino. «Poi è esploso facendo un rumore terribile e ci ho rinunciato. Sono laggiù se vuoi provarci.» Li indica con un cenno del mento e sul tavolino poco distante intravedo due buste trasparenti contenenti una miriade di palloncini colorati.

«Se l’avessi saputo prima, forse non avrei indossato il rossetto.» Borbotta Kat, indicandosi le labbra con l’indice.

«Okay, li gonfierò io» intervengo in fretta, recuperando i palloncini. «Kat, tu per favore appendi i festoni. Sei la più alta qui. Matias, dai una seconda possibilità a questi; sta’ solo attento a non gonfiarli troppo. Ti prometto che non esploderanno.»

Matias borbotta qualcosa in spagnolo che come al solito non capisco, ma mi raggiunge e mi ruba il palloncino blu dalle mani, gonfiandolo pian piano fino a che non raggiunge una grandezza tale da poter essere chiuso senza esplosioni improvvise. Un’ora dopo il salotto di Jules assomiglia a un arcobaleno gigante dai mille colori; ci sono così tanti palloncini da dover stare attenti a dove mettiamo i piedi per non rischiare di scoppiarli. I tacchi a spillo di Kat però mietono un paio di vittime e Matias è un lamento continuo, che avremmo dovuto usare l’elio.

Mi accorgo in un secondo momento di un mazzo di fiori sul tavolo della cucina: sono tulipani e so per certo essere stato Matias a portarli. Quando gli faccio notare che Dylan è allergico, il panico nei suoi occhi mi fa scoppiare a ridere. Si difende dicendo che è stata Kat a consigliargli proprio quella tipologia e non fatico nel credergli. Kat a sua volta mormora semplicemente che sarà divertente vederlo indietreggiare quando Matias glieli passerà augurandogli buon compleanno.

I festoni reggono fino all’arrivo di Jules; ci dice che Dylan è voluto passare da casa per una doccia e cambiarsi per la grigliata sulla quale Jules ha mentito. Abbiamo un’altra ora buona prima del suo arrivo; non abbiamo invitato nessun altro, i compagni di squadra e gli amici di Dylan lo festeggeranno più avanti. La griglia però Jules la prepara ugualmente e Kat tenta in tutti i modi di aiutarlo prima di rinunciarci e prendere posto in giardino sui divanetti bianchi, osservandolo mettere in funzione tutto. 

L’auto di mio fratello compare nel vialetto poco dopo le nove, quando il sole ha iniziato finalmente la sua discesa, lasciandoci liberi di respirare forse un po’ d’aria più fresca. Kat si alza in fretta dalla poltroncina sulla quale sta conversando con Matias, lasciando il bicchiere di limonata sul tavolo accanto alla griglia ormai accesa e pronta per essere utilizzata. Jules, da dentro casa, ci fa cenno di raggiungerlo in fretta, che Dylan suonerà il campanello a breve.

Matias chiude la porta a vetri proprio quando le dita di mio fratello pigiano il bottoncino fuori dalla porta, producendo un piccolo eco per tutto il salotto. Jules gli mormora un arrivo, chiedendoci con gli occhi se sia tutto in ordine e pronto. Kat annuisce una volta sola con un sorriso stampato in viso e non so se sia contenta di quello che sta per succedere o se invece ce l’abbia con Matias, che tiene tra le mani i tulipani.

Jules fa scattare la serratura e con una mano abbassa la maniglia della porta; Dylan ha lo sguardo fisso sul display del suo iPhone e impiega qualche secondo a realizzare quello che gli sta davanti. Non appena compie un passo nell’ingresso, i suoi piedi colpiscono involontariamente un paio di palloncini che, esplodendo nello stesso momento, coprono il nostro buon compleanno Dylan!

Mio fratello sgrana così tanto gli occhi che il suo telefono colpisce il pavimento in un tonfo sordo, ma non si preoccupa minimamente di raccoglierlo. O forse non ha nemmeno il tempo materiale per farlo perché Kat gli ha già stretto le braccia al collo e lui deve aggrapparsi al suo stesso corpo per non perdere l’equilibrio e inciampare tra i suoi tacchi. Quando lo lascia finalmente andare, dopo avergli baciato le guance un’infinità di volte, è il mio turno di ricevere un abbraccio. Mi mormora un voi siete pazzi all’orecchio che mi fa scoppiare a ridere.

Matias gli porge i fiori e come previsto da Kat, Dylan fa un balzo all’indietro, allontanando la mano tanto in fretta da colpire quasi il muro dietro di lui. Sa che è stata Kat perché assottiglia gli occhi e le mostra il terzo dito prima di aggirare Matias e lasciare che Jules ripeta nuovamente i suoi auguri. Il padrone di casa si scusa per aver mentito, che non ci sarà nessuna serata a base di alcool con i compagni di squadra con il solo scopo di dimenticare i pesanti allenamenti del giorno prima; a Dylan però non importa perché scuote la testa e sorride, assicurandosi di chiedere se la grigliata si farà o meno.

Si sfrega le mani l’una contro l’altra quando Jules gli mostra il giardino ormai buio, illuminato dalla brace quasi pronta. Ceniamo con la compagnia di musica e lucine che si accendono a intermittenza, producendo riflessi colorati sui visi di ognuno di noi. Dylan è al terzo bicchiere di vino rosso e il viso accaldato ci fa capire che sia a tanto così dall’essere decisamente brillo e non solo più molto allegro; Matias abbozza un concerto stonato, a lui il vino colpisce subito.

Il regalo da parte mia e di Kat quasi lo fa commuovere: tra le mani stringe trionfante una fotocamera professionale. L’ha scelta Kat, in vista delle vacanze che tra poco Dylan farà con alcuni amici, Jules compreso. La mette in funzione in un lampo e il giardino si anima di flash quasi fosse un tappeto rosso. Jules è quasi pronto a tirare fuori la torta dal frigorifero, ma interrompe la sua marcia poco prima di rientrare in casa perché un fischio proveniente dalla porta sul retro, giusto alle nostre spalle dove il cancello secondario è illuminato fiocamente da un paio di lampioni, fa voltare tutti.

Dylan è il primo ad alzarsi dalla poltroncina, lasciando giù la macchina fotografica; Matias assottiglia appena gli occhi, quasi gli servisse per osservare meglio a riconoscere le due figure appena al di fuori di esso. Jules sorride velatamente e Kat si è già alzata in fretta e furia. Ha calciato via le scarpe per essere libera di raggiungere il cancello senza impedimenti: Will ha una mano posata sulla staccionata e una sigaretta accesa tra le labbra. Madden, al suo fianco, si sta passando le dita tra i capelli e lo scintillio degli anelli mi si riflette negli occhi.

Kat lo sapeva; lo sapeva perché mentre resto immobile sulle mie stesse gambe, osservo Jules aprire il cancello e Kat schiaffeggiare Will sulla spalla un paio di volte prima che Will sbuffi e le afferri il polso per stringersela addosso in un abbraccio tale da sollevarla persino da terra. Sussulto quando Dylan mi posa una mano sulla schiena; non l’ho sentito avvicinarsi, ma la lieve pressione che esercita proprio mi sospinge leggermente in avanti.

Kat si divincola dalla stretta di Will solo per spingerlo giocosamente il più lontano possibile, chiaramente in uno sforzo invano perché Will la riacchiappa e le bacia la guancia. Chiede il permesso a Jules di poter entrare con un solo cenno del capo e me lo ritrovo di fronte prima che me ne renda addirittura conto. Dylan è sparito e non è più nel mio campo visivo.

«Zucchero» la voce di Will mi accarezza la pelle e non riesco nemmeno a guardarlo completamente negli occhi perché i miei si sono velati di lacrime. «Contenta di vedermi?»

Annuisco alle sue parole senza riuscire a emettere un semplice ; non ho neanche il tempo di formularla una risposta perché le sue braccia mi avvolgono le spalle e la mia guancia si scontra contro il tessuto fresco e profumato della t-shirt nera che indossa.

«Siete tornati.» Mi rendo conto di averlo detto a me stessa e non a Will direttamente, anche se lui annuisce e con i capelli biondi mi solletica il viso.

«Siamo tornati» ripete, stringendomi con maggiore forza, tanto da sollevarmi appena da terra, come con Kat. «Certo che siamo tornati.»

Mi lascia andare solo per posarmi entrambe le mani sulle guance, arrivando a toccarmi il retro del collo con le dita. Io gli stringo il tessuto della maglietta tra i polpastrelli, riuscendo finalmente a guardarlo negli occhi. Jules deve aver acceso le luci del giardino perché ora sembra quasi giorno.

Will ha i capelli più folti e leggermente tirati all’insù, come se si fosse passato le mani tra di essi così tante volte da avergli dato quella precisa forma. La carnagione ha assunto una tonalità più sana e il sole che deve aver accumulato in questi mesi non solo si riflette sulla sua stessa pelle, ma persino nelle lievi lentiggini che gli adornano il naso e gli zigomi. È bello come sempre, ma ha qualcosa in più nell’espressione e nella luminosità degli occhi.

Sta bene; Will è tornato e sta bene.

«Vorrei salutare la mia ragazza, se non ti dispiace.» Will alza gli occhi al cielo e mi lascia andare con un lieve ghigno a dipingergli le labbra. Lo perdo di vista in un secondo, ma lo sento alle mie spalle augurare buon compleanno a Dylan. 

Madden ha un paio di occhiali da sole incastrati nel collo della maglietta e riesce a levarli da quel sito giusto qualche secondo prima che io mi protenda in avanti e gli avvolga le braccia al collo, stringendomelo addosso tanto forte da sentire male io stessa. Lo sento ridere e mormorare qualcosa che non capisco perché le sue labbra devono essere sepolte da qualche parte a non permettergli di articolare bene le parole. Le dita le sento insinuarsi sotto la canotta leggera che porto sopra un paio di shorts e il freddo dei soliti anelli è talmente familiare da farmi mancare il fiato.

«Sei qui.» Madden annuisce contro la mia guancia, allontanando il viso dal mio giusto quanto basta a guardarmi dritta negli occhi. Come Will, mi afferra il volto con entrambe la mani, posandomi prima i pollici sulle labbra e poi accarezzandomi le guance.

«Sono qui.»

 

 

 

 

˜˜˜˜˜˜

 

 

 

 

È alle due passate che Kat cede finalmente al sonno e ai Mojito che Jules è tanto bravo a preparare; ha la guancia posata sulla spalla di Will, seduto al suo fianco sul divanetto e intento a parlare con Matias di qualcosa che ha scoperto ad Amiens. Non si rende conto che con una mano sta tenendo le gambe di Kat affinché non scivolino via, al contrario di mio fratello, che non lo perde d’occhio neanche per un istante.

«Vieni con me?» Madden me lo sussurra all’orecchio, baciandomi delicatamente la guancia e accarezzandomi la schiena.

Sono seduta sulle sue gambe, a un divanetto di distanza da Will e Kat, ma abbastanza vicino a Dylan da sentire che cosa gli passa per la testa. Voltandomi appena verso Madden, il suo naso sfiora il mio quando annuisco e lo vedo sorridere. Mi fa cenno di alzarmi muovendo appena le gambe ed io sono pronta a dire a mio fratello che torno subito. Lui però anticipa le mie mosse perché annuisce in fretta e indica Kat con un cenno del mento.

«Ci penso io.» Me lo mima a fior di labbra.

Faccio il giro del tavolo per salutare Jules e ringraziarlo ancora per la cena e l’ospitalità; Matias mormora qualcosa in uno spagnolo che davvero non capisco, ma sorrido quando Madden gli stringe la spalla. Will mi regala un occhiolino e annuisce in direzione del suo migliore amico, che sta già stringendo la mia mano nella propria. Non lo so che cosa voglia fare, ma lo assecondo seguendo i suoi passi fin verso la sua auto parcheggiata a poca distanza dal retro. Gli interni s’illuminano quando preme la chiusura centralizzata per permettermi di salire. Il profumo dell’abitacolo è sempre lo stesso e mi si deposita sulla pelle.

«Hai sonno?» Quando scuoto la testa, allacciandomi per bene la cintura di sicurezza e voltandomi nuovamente verso di lui, un sorriso birichino gli fascia le labbra. «Bene.»

Mette quindi in moto in fretta, uscendo dal vialetto e immettendosi sulla strada principale; allunga la mano nella mia direzione, con il chiaro intento di voler afferrare la mia ed io lo assecondo nuovamente, lasciando che se la porti alle labbra per poi posarsela sulla gamba. 

«Dove stiamo andando?»

«Non lo so» ammette in fretta, svoltando a destra e prendendo una strada che ho smesso di conoscere tempo fa. «Ma ci siamo quasi.» 

Madden è così allegro che il sorriso non gli lascia il viso fino a che davvero non arriviamo a destinazione. Parcheggia l’auto poco distante l’ingresso di un parco, ma non è certo lì che siamo diretti perché i cancelli sono ormai chiusi. Costeggia la strada per un po’, tenendomi sempre per mano, senza mai accennare il volerla lasciare andare. I vicoli sono ancora affollati nonostante l’ora tarda e quando mi sembra di aver capito dove voglia in realtà andare, cambia idea all’ultimo secondo. Non ci sono auto perché qui non possono circolare, così Madden attraversa la strada fino a raggiungere la ringhiera che dà sul canale. Le luci aranciate danzano sulla superficie in costante movimento, i battelli sono ormai ormeggiati nonostante anche loro sembrino vivi; i proprietari devono aver lasciato tutto acceso per creare atmosfera per i passanti, Madden e me compresi.

«Kat lo sapeva, vero?» Madden sogghigna e mi tira verso di sé lasciandomi la mano solo per intrappolarmi tra le sue braccia. Mi cinge la vita e mi costringe a dargli le spalle, così che io possa poggiare le mani sulla ringhiera e lui posarmi il mento sulla spalla.

«Lo sapevano tutti» ammette infine, muovendo un passo in avanti così che tra i nostri corpi non possa passare più nulla, neanche un filo d’aria. «Saremmo dovuti arrivare ieri sera, ma Will si è innamorato di sua sorella e non voleva più venire via. Ho quasi pensato di lasciarlo lì, ma alla fine ha ceduto ed è salito in macchina. Ha pianto per quasi mezzo viaggio.»

«Com’è la madre di Will?»

«Impegnativa» replica Madden, avvicinando le labbra alla mia guancia; la leggera barba che gli adorna il viso mi solletica la pelle. «Ma è stata gentile. Credo si siano chiariti e Will deve averla perdonata perché le ha detto che per Natale tornerà a trovarli.»

«Davvero?» Madden annuisce semplicemente, lasciandosi andare a un breve sospiro. «Lui sta bene?»

«Sta bene» gli stringo i polsi e Madden, in un gesto automatico, mi afferra la mano. «Ci è voluto un po’, ma sta bene. Credo che il peggio sia passato.»

«Tu stai bene?» Madden non risponde subito, si prende il suo tempo.

Lo sento respirarmi contro la schiena a un ritmo regolare, per niente agitato. Annuisce e mi lascia andare per voltarmi tra le sue braccia, così da guardarmi negli occhi. Mi ritrovo ad appoggiare i gomiti sulla ringhiera fresca e a sollevare il viso nella sua direzione. Anche a lui il sole ha colorato la pelle e i suoi occhi verdi risplendono come smeraldi, anche alla luce artificiale dei lampioni. 

«Sto bene» mi sfiora una ciocca di capelli che svolazza piano sulla guancia e poi sorride. «Ho visto Bart stamattina. Sono stato con lui quasi tutto il giorno, alla clinica.»

«Davvero?»

«Sì.»

«Com’è stato?» 

«Strano» replica ed è sincero perché aggrotta le sopracciglia mentre me lo dice. «Strano, ma bello. È migliorato, è più collaborativo. Mi ha raccontato che cosa fanno durante il giorno e lo odia; Clint è andato a trovarlo spesso: le prime volte lo ha mandato via, alla fine ha ceduto. Credo abbiano fatto pace.»

«E tu?» Madden stringe le labbra e per un solo istante sposta il suo sguardo dal mio. «Hai fatto pace con tuo padre?»

«Non ancora» ammette infine e sono quasi contenta di sentirglielo dire. «Ma ci proverò. Non mi ha detto che mi odia ed io non l’ho detto a lui. Per oggi. Forse è un passo avanti. Ha chiesto di te, sai?»

«Ah sì?» Madden annuisce e mi sfiora uno zigomo con due dita. 

«A te vorrebbe chiedere scusa, credo.» Mormora Madden, stringendosi persino nelle spalle. 

«Ho pensato di andare a trovarlo, in realtà» Madden annuisce e si schiarisce piano la gola. «Tua nonna me l’ha persino chiesto, ma ho sempre rifiutato pensando di farti un torto; così non ci sono mai andata.»

«Ci andremo insieme.» Non sono più solo i miei gomiti a toccare la ringhiera, Madden ha mosso altri passi in avanti e ora la mia schiena vi è totalmente contro; una mano di Madden è ferma sul mio fianco, l’altra sta risalendo il braccio per fermarsi proprio sulla mia guancia.

«Com’era Amiens?»

«Carina» me lo mormora a fior di labbra contro la pelle del collo. «Amsterdam lo è di più. Non credevo mi sarebbe mancata così tanto.» Trattengo il fiato quando Madden mi bacia un punto preciso dove il sangue scorre più forte e il ritmo del cuore ne segue uno tutto suo. 

«Sei qui per restare, vero?» Lo sento trattenere il fiato per un secondo circa, poi le sue labbra risalgono lungo la guancia, sfiorandomi lo zigomo e la linea della mandibola per fermarsi ad appena qualche millimetro dalle mie di labbra.

«Non vado da nessuna parte, Cecy.» 

Mi sollevo sulle punte dei piedi solo per riuscire ad avvolgergli meglio le braccia intorno al collo, facilitandogli così l’abbraccio nel quale mi stringe per un tempo indefinito, dove sento solamente il battito del suo cuore contro il petto e chiudo gli occhi.

«Mi sei mancato.» Glielo dico così piano che ho il timore che non abbia sentito, invece lo ha fatto eccome perché una risata gli fa tremare le spalle e mi lascia andare aggiustandomi i capelli rimasti impigliati nel cotone della sua maglietta. 

«Che programmi hai per l’estate?»

«L’estate è praticamente finita, Madden.» 

«No che non è finita» borbotta, aggrottando persino le sopracciglia. «E poi noi siamo appena tornati. Che programmi hai?»

«Nessuno» replico, stringendomi nelle spalle. «Dylan tra poco parte e tornerà a metà settembre. Kat non ho capito in realtà, ma io credo proprio che rimarrò qui.» Madden scuote la testa e arriccia le labbra divertito.

«No.»

«No

«Non rimarrai qui» inarco appena il sopracciglio e Madden sorride. «Verrai con me.»

«E dove?»

«Ci ho pensato: voglio portati ovunque tu voglia andare» mi mordo il labbro per evitare che tremi troppo. «A vedere le distese di tulipani, a Otterlo per vederti ammirare la Terrazza del caffè la sera, al Musée d’Orsay per la Notte stellata sul Rodano

«Madden…»

«Non posso permettermi di portati a New York, ma posso sempre recuperare un poster della Notte stellata che in realtà piace a me, così me la puoi spiegare in ogni sfaccettatura.»

«Perché?» Credo che una lacrima sia ormai sfuggita al mio controllo, ma Madden è tanto svelto da cacciarla via.

«Perché?» Annuisco perché voglio saperlo.

«Perché ho scelto Will sempre; ho messo lui prima di me stesso perché volevo e avevo bisogno che stesse bene per tornare a respirare. Siamo di nuovo qui e tu sei rimasta; mi sono reso conto che Will non mi basta più. Ad Amiens non respiravo nonostante lui avesse iniziato a farlo. Io respiro solo qui perché tu sei qui. Ho odiato questa città con tutto me stesso per anni, ho smesso di respirare e sono tornato a farlo perché Amsterdam sei anche tu. E allora ho ripreso ad amarla perché c’è Will e perché ci sei tu. Ci sei sempre tu.»

«Smettila.»

«E non mi basterebbero distese intere di girasoli per dirti grazie» Madden mi guarda negli occhi tanto intensamente che un lieve capogiro mi costringe a chiuderli per un istante. «Andrei ovunque con Will, scenderei all’inferno pur di proteggerlo. Eppure tornerei sempre qui; verrei a cercarti sempre.»

«Hai finito?» Madden deglutisce, ma annuisce aggrottando appena le sopracciglia. «Bene, perché vorrei dirti una cosa, ma tu continui a parlare.»

«Che cosa?»

Gli do le spalle di nuovo, tornando a posare le mani sulla ringhiera a bordo della strada, dove la brezza della notte è ormai fresca ed è un toccasana sulla mie guance che vanno a fuoco. Le mani di Madden mi si posano nuovamente sui fianchi e mi cingono la vita fino a racchiudermi in un abbraccio. Di nuovo mi posa il mento sulla spalla, in attesa che io apra bocca e parli.

«Che ti amo, Madden Harvey.»

Lo sento respirare dapprima bruscamente, salvo rallentare fino a diventare lento e regolare. Mi sorride sulla guancia, ma non dice niente. Né un mormorio, né un sussurro o una risposta. C’è solo la solita vecchia Amsterdam che fa da sfondo e che non mi è mai sembrata tanto bella come in questa notte del 15 di agosto.

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** dedica ***


 

dedica





 

 

 

al mio papà,

mi volterò sempre a cercarti.

 

 

✷        ·   ˚ * .      *   * ⋆   .
·    ⋆     ˚ ˚    ✦   ⋆ ·   *      ⋆ ✧    ·   ✧ ✵   · ✵

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4046516