Alcyone

di Alexander33
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Dim Sidus ***
Capitolo 3: *** Harlock ***
Capitolo 4: *** Un’occasione d’oro ***
Capitolo 5: *** La principessa e il pirata ***
Capitolo 6: *** Sentimenti ***
Capitolo 7: *** Di nuovo tu ***
Capitolo 8: *** Ancora una volta ***
Capitolo 9: *** Disastro ***
Capitolo 10: *** A bordo ***
Capitolo 11: *** Libera? ***
Capitolo 12: *** Verso casa ***
Capitolo 13: *** Separazione ***
Capitolo 14: *** L’amore di Tadashi ***
Capitolo 15: *** Bambino Indaco ***
Capitolo 16: *** Mordred ***
Capitolo 17: *** Raflesia ***
Capitolo 18: *** Vieni a prendermi! ***
Capitolo 19: *** Via di fuga ***
Capitolo 20: *** Un rifugio ***
Capitolo 21: *** Papà ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La donna camminava spedita verso la sala delle udienze, nervosa e sulle spine. Era la cugina della Regina, una semplice dama di compagnia in fondo; non era invischiata in politica, quindi proprio non comprendeva questa convocazione formale. L’istinto le suggerì che Raflesia aveva in testa qualcosa d’insolito e, forse, pericoloso.

 

Come prima dama di compagnia aveva il privilegio di entrare quasi ovunque senza l’obbligo di farsi annunciare, e così fu anche per questa volta.

 

«Dimmi cugina, sono ai tuoi ordini…»

 

Raflesia era assorta e il suono della sua voce le fece fare un leggero sussulto. Con la mano destra accarezzó il tessuto vellutato del lungo abito aderente

«bene. Mettiti comoda perché sarà una lunga conversazione…»

 

Alcyone si sedette su una delle poltroncine ai piedi dello scranno regale, in attesa.

 

Raflesia intanto l’osservava attentamente, pensierosa.

Come tutte le donne mazoniane anche sua cugina Alcyone era bellissima, anzi… forse la più bella tra le figlie di mazone. Il suo nome già la descriveva: Alcyone, la più bella e splendente tra le Pleiadi… I capelli di un singolare biondo rosato erano in perfetta sincronia cromatica con l’incarnato del volto. Ricci morbidi le incorniciavano il viso ovale, ma gli occhi erano il fulcro del suo volto: grandi ed espressivi, di un azzurro intenso, orlati da lunghe ciglia nerissime e folte. Le labbra, sottili ma perfettamente disegnate le regalavano una bellezza sofisticata ed elegante. Non come Namino… sfacciata e provocante. Alcyone era di sangue reale e si intuiva da ogni suo gesto o parola. Raffinata, educata per diventare la consorte di un principe; colta ed erudita in arte, musica, letteratura ed aggraziata danzatrice.

Come mai non ci aveva pensato prima? Sorrise.

 

Alcyone era seduta col busto perfettamente eretto, in paziente attesa.

 

«Ho bisogno di te per un compito insolito. Un esperimento… medico, possiamo definirlo così.»

 

Alcyone spalancó gli occhi ma non disse nulla.

 

Raflesia continuó

«Quel pirata continua ad intralciarmi! Sembra impossibile da battere! Ed è per questo che ho intenzione di cambiare totalmente strategia…»

Camminava avanti e indietro davanti alla cugina che era estremamente attenta a non perdere nemmeno una virgola del discorso, ora incuriosita.

 

«Voglio il suo dna. Voglio un’arma talmente potente che non potrà che renderlo inoffensivo per sempre!»

 

Raflesia inchiodó con lo sguardo la cugina

«Tu dovrai essere la prima mazoniana che si unisce con un umano. Dovrai portare in grembo il figlio di Harlock.»

 

«Ma… mia regina come puó essere? Lo sai, ti servirei in ogni modo ma… nemmeno l’agente speciale Shizuka è riuscita a…»

 

Raflesia fece un brusco gesto con la mano, a zittire la ragazza.

«sciocchezze! Namino era salita sull’Arcadia come spia. Poi, da quella sciocca e debole che era, si è lasciata affascinare e si è innamorata come una stupida ragazzina. Tu sei di tutt’altra pasta! Sarai tu a circuire Harlock e farlo cadere nella tua rete! Nessun’uomo ti puó resistere. E visto che si è a sua volta innamorato di quell’inetta, tu gli farai girare la testa come non gli è mai accaduto!»

 

Alcyone non ne era convinta. «cugina, quell’uomo è scaltro: mi scoprirà immediatamente! Io non sono addestrata per missioni così delicate! Mi tradirei…»

 

Di nuovo Raflesia alzó una mano

«tu sei proprio quello di cui avevo bisogno! Non servirá intessere una relazione amorosa. Basterà che te lo porti a letto. Come ti ho già spiegato voglio che tu partorisca suo figlio. Quando l’avrai fatto avremo l’arma per togliercelo finalmente di mezzo ai piedi!»

 

«Raflesia,  forse dimentichi un particolare essenziale…»

 

Raflesia l’osservó alzando un sopracciglio.

«… e quale?»

 

«Io non sono mai stata con un uomo…»

 

«mia cara, questo ti rende solo più appetibile!»

 

«… chi mi vorrà più dopo che avró partorito un bastardo a quello sporco pirata?! Io sono stata cresciuta per sposare uno dei principi del protettorato!»

 

Raflesia fece l’espressione annoiata

 

«dettagli. Questa storia sarà secretata militarmente. Lo sapremo solo in tre, io, te e Harlock a tempo debito… Ora và… e prenditi cura della tua bellezza, a breve ti faró sapere come e quando agire.»

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Capitolo 2
*** Dim Sidus ***


«Abbiamo intercettato comunicazioni dall’Arcadia. A quanto pare faranno porto a breve su Dim Sidus, un pianeta ai confini del sistema locale. Deve incontrare un’altro sporco terrestre: il perché è irrilevante.

Un gruppetto dei nostri staziona lì da tempo sotto copertura: ho già preso accordi. Ti recherai sul pianeta e fingerai di essere la cameriera nell’osteria che fa da ritrovo alla feccia come Harlock. A lui piace bere, sicuramente passerà di lì e dovrai servirlo in tutto.»

 

«Mia regina…» si tormentava una ciocca di capelli biondo rame, attorcigliando un boccolo tra le dita.

 

Raflesia la scrutó, indovinando i suoi pensieri. La conosceva da quando era nata e sapeva fin troppo bene quali erano le debolezze della giovane donna.

 

«Mi ripugna… farmi toccare da quel rozzo bastardo terrestre…»

 

«Non fare la difficile. Quando avrai compiuto la missione potrai partorire tutti i marmocchi che ti pare con chi vorrai. Harlock è un bell’uomo e a quanto raccontava Shizuka, anche abile nel dare piacere tra le lenzuola, quindi non lamentarti! Poteva andarti peggio…» Il tono di Raflesia era gelido, con una punta di disgusto. Disprezzava profondamente la debolezza della cugina.

 

Alcyone ebbe un brivido. Il solo pensiero che le mani sudicie di quel bifolco potessero solo sfiorarla le provocava la nausea. Come avrebbe fatto? Deludere Raflesia era pericoloso: parente o meno, non era consigliabile contraddirla, mai. Deglutì a fatica.

 

«D’accordo. Sono pronta.»

 

«Aspetta…» Raflesia le porse una minuscola scatolina.

 

«Cos’è?» chiese Alcyone. Dentro c’erano tre pillole di colore azzurro.

 

«Un medicinale che ti farà ovulare in trenta minuti dalla sua assunzione. Stai attenta a non sprecarlo, e usalo bene!»

 

Questa storia si stava rivelando molto più seccante di come aveva immaginato. Quanto tempo sarebbe stata via? E come avrebbe fatto a sedurre il pirata? Raflesia la stava sopravvalutando.

 

Chiuse le dita sul piccolo astuccio.

 

«Come vuoi tu.»


Il viaggio per Dim Sidus fu snervante. Passó tutto il volo tentando d’immaginare cosa l’avrebbe aspettata. Si dicevano tante cose di quell’uomo, anche che fosse senza scrupoli: se l’avesse smascherata l’avrebbe uccisa certamente, Shizuka aveva fatto proprio quella fine. Prima sua amante, poi sua vittima. Ce n’era abbastanza per non dormirci la notte. Il cuore le batteva accelerato: se si sentiva nervosa ora, cosa sarebbe successo quando se lo fosse trovato davanti? Mille dubbi, mille paure: era tra l’incudine e il martello. Da un lato Raflesia e dall’altro il pirata. Riuscire nel suo compito e ritornare alla Dorcas senza che Harlock la smascherasse sembrava quasi impossibile.

Guardó il piccolo cronografo da polso che le avrebbe permesso di comunicare con sua cugina e sospiró.

 

«Principessa, tutto bene?»

 

Era talmente agitata che anche i piloti l’avvertivano.

 

«Sì, tutto bene…»

 

Ebbene, ormai era in ballo, e bisognava ballare. Meglio rassegnarsi e cercare di mettercela tutta, sperando anche nella fortuna.

 

Atterrarono nello spazioporto della capitale. Tra navi-cargo, piccoli velivoli e navi passeggeri scorse l’Arcadia. Era già qui. Una morsa al cuore le fece mancare il respiro.

 

I piloti la scortarono subito fuori dall'area arrivi.

 

«Benvenuta principessa. Ci perdoni, d’ora in poi dovrà fare a meno del titolo. La porteremo nel luogo dove nei prossimi giorni dovrà attendere Harlock.»

 

I piloti si accomiatarono con un breve inchino e si tolsero di mezzo. La tentazione di correre loro dietro fu grande.

 

«Bene, cosa aspettiamo? Andiamo…»

 

I due agenti si avviarono con Alcyone in mezzo a loro.

 

Uno sprinter: quel luogo era preistorico! Alcyone si sedette di malavoglia sul mezzo di trasporto a trazione magnetica che galleggiava a 50 centimetri dal suolo. I sedili erano impolverati da un sottile strato di sabbia. Dim Sidus era un maledetto pianeta desertico e la sabbia era ovunque, gialla e infida ti si infilava dappertutto.

 

Il tragitto fu breve. Venne fatta scendere davanti all’ingresso della bettola più scalcinata e volgare che avesse mai visto in vita sua

“come quel pirata” pensó seccata.

Il massimo del degrado che aveva sperimentato era stata la dimora dell’ambasciatore nel sistema di Chorus: una villa di 10 stanze su due livelli, 5 persone di servizio e un giardino abbastanza curato da poterci fare due passi.

 

Gli agenti l’accompagnarono dentro.

 

«Io sono Gaia, lei Phebe. Siamo agenti sotto copertura già da cinque anni su questo pianeta. La regina ci ha detto che deve avvicinare il pirata per carpire alcune informazioni top secret. Noi saremo ai suoi ordini per aiutarla al meglio e fornire tutta l’assistenza possibile alla missione.»

 

Alcyone salutó chinando elegantemente il capo. Fortunatamente Raflesia non aveva rivelato il vero scopo della sua missione, fin qui era stata di parola.

 

Si guardó intorno: un’osteria da ubriaconi e prostitute. E LEI avrebbe dovuto addirittura LAVORARE in un postaccio simile! SERVIRE il bifolco e infine permettergli di toglierle la verginità, magari in un lurido letto di quella bicocca! Si sentì venire meno a quel pensiero.

 

«Bene. Non è affatto ció che si addice alle mie… abitudini. Dove dormiró?» Era una principessa indubbiamente viziata, fredda, a volte cinica ma non sgarbata. Per questo pronunció quelle parole con tono gentile.

 

«Al piano di sopra» spiegó Gaia, che doveva essere il soldato più alto di grado.

«Abbiamo fatto in modo che non manchi nulla… anche se comprenderà che di meglio non si potrebbe…»

 

Venne accompagnata nella sua stanza: se lo squallore avesse assunto l’aspetto di camera, sarebbe stato esattamente così.

 

Un letto a due piazze in ferro battuto, una toilette con un piccolo specchio tondo e appannato, un armadio anonimo ma capiente, un semplice tappeto intrecciato in fibre di paglia. Carta da parati decorata con minuscoli fiori celesti, un bagnetto claustrofobico con lo stretto indispensabile.

Le venne da piangere.

 

Uscite le due donne si sedette sul letto e premette il pulsante del cronografo che l’avrebbe messa in contatto con Raflesia.

 

Una spia verde segnalava il collegamento in corso.

 

«Io non posso stare in questa stamberga! È squallida! Vecchia! E… orribile! Moriró di tristezza qui dentro! Nell’armadio ci sono quattro stracci che anche una contadina rifiuterebbe di indossare!»

 

«Sei sotto copertura! Non pretenderai di stare li in veste ufficiale! Fai finta di recitare… mi pare che il teatro sia una delle tue passioni…»

 

«Raflesia: il rubinetto nel bagno è arrugginito. Il soffitto ha le crepe e la biancheria del letto almeno 50 anni! E non voglio nemmeno provare ad immaginare chi abbia dormito su questa cosa che chiamano letto…»

 

«Mi rincresce, ma Harlock non andrebbe mai a bere in una sala da the per vecchie nobildonne! Ora basta lagnarsi! Manda Phebe in ricognizione, che trovi e segua Harlock! Tu tieniti pronta a riceverlo, servizievole e disponibile.»

 

Raflesia chiuse la comunicazione.

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Capitolo 3
*** Harlock ***


Phebe era tornata e portava notizie.

 

«Harlock non è sceso dalla nave, ma ha  mandato in giro i suoi uomini:  non durerà a lungo. Domani deve vedersi con l’umano, quel contrabbandiere amico suo… sarà costretto ad uscire, non puó delegare nessuno. E quasi certamente finiranno qui a bere, è un ritrovo abituale per lui e la sua ciurma. Il proprietario del locale ce l’ha assicurato quando lo abbiamo affittato…» 

 

«Sei sicura? Altrimenti sarebbe un bel problema!»

 

«Stia tranquilla, i nostri informatori sono sempre attendibili.»

 

Alcyone era sollevata e al contempo ansiosa. Phebe era nuovamente uscita nel pomeriggio per tenere sott’occhio l’Arcadia, chi ne entrava e usciva. 

 

La giornata passó lentamente: il locale apriva al crepuscolo.

Poco prima dell’ora di apertura Phebe rientró trafelata.

 

«Harlock e parte della ciurma stanno venendo qui. Tutto come da copione. Principessa, adesso tocca a te.»




 

Finalmente Alcyone potè vedere da vicino per la prima volta il famoso e odiatissimo capitano Harlock, e scoprì che quel che si diceva in giro non rispondeva a verità. Harlock non era semplicemente un bell’uomo, come le aveva detto Raflesia: era incredibilmente bello. E lo sfregio, che Alcyone immaginava come marchio volgare, da galeotto,  rendeva il volto del pirata ancora più affascinante, conferendogli un’aria da misteriosa canaglia.

 

“Anche se spesso, le brave bambine finiscono sempre per innamorarsi dei cattivi ragazzi” pensó Alcyone, osservandolo.

“Ma sempre un rozzo e volgare bastardo rimani” concluse dentro di sè, gelida.

 

Harlock era anche altissimo, ma per nulla impacciato o goffo nei movimenti: al contrario, le movenze fluide ed eleganti le ricordarono l'incedere armonioso di un felino.

 

L’osservava attentamente, mentre puliva e riordinava i bicchieri dietro il bancone del bar.

Harlock sembrava invece non averla notata, mentre il giovane ufficiale che era con lui non le toglieva gli occhi di dosso.

Se la stava letteralmente mangiando, tant’è che l’istinto l’avrebbe portata a redarguire duramente il ragazzo, ricordandogli le buone maniere.

 

Infatti si avvicinó al bancone con un sorriso da ebete.

 

«Ciao… non ti ho mai vista qui…»

 

«Sono nuova… cosa ti servo?»

 

«Io sono Tadashi… e quelli laggiù» indicó il tavolo accanto alla finestra «sono i miei compagni…»

 

Alcyone vide un tavolo da otto occupato, oltre che da Harlock, anche da un uomo panciuto con gli occhiali, uno di mezza età, tre ragazzi troppo giovani per trovarsi lì, l’unica donna una bella bionda che aveva circa la sua età. Una bella brigata. 

 

Alcyone gli tese la mano, sfoderando un sorriso in grado di infiammare un ghiacciolo.

 

«Io sono Jordan, piacere.»

 

Tadashi le prese la mano mentre si era perso nell’azzurro profondo dei suoi occhi, imbambolato.

 

«Hem… scusa… cosa vi posso portare?»

 

Tadashi si riscosse, conscio di aver fatto la figura dell’imbranato, in imbarazzo

 

«whisky, di quello buono… e una bottiglia di vino rosso… quella è per il nostro capitano…»

 

«È quello li? Quello con la benda sull’occhio?»

 

«Sì, è lui…»

 

«Dimmi… mi sbaglio, o è il famoso capitano Harlock? Il pirata?»

 

«Già, è proprio lui…» l’interesse mostrato da Alcyone per il capitano l’aveva smontato. 

 

Alcyone ebbe un’idea e decise di buttarcisi, perché altro non le veniva proprio in mente.

 

Si morse un labbro e con tono languido, da gatta che fa le fusa ritenne giusto precisare

 

«Accidenti… certo che sarebbe un’esperienza veramente unica… passare la notte col pirata più famoso della galassia..»

 

Intanto aveva preparato il vassoio con le bottiglie da portare al tavolo.

 

«vi porto da bere. Senti… adesso che vado al tavolo… me lo presenteresti?» Lo disse sbattendo le lunghe ciglia.

 

«Come no?» ormai era abituato: a quasi tutte le donne faceva questo effetto.

 

Quando Alcyone si avvicinó al tavolo, Harlock era impegnato in una conversazione con l’uomo panciuto.

Appoggió il vassoio con bottiglie e bicchieri, mentre Tadashi faceva le presentazioni.

 

«Capitano, lei è Jordan… ha sentito tanto parlare di te e vuole conoscerti…»

 

Harlock si voltó per guardare in viso la ragazza, soffermó lo sguardo per meno di un secondo, disse un laconico «piacere» e continuó a rivolgere la sua attenzione a Yattaran.

 

Lo sguardo ambrato di Harlock si posó su di lei ed ebbe un fremito, il carisma dell’uomo era di una forza prorompente, la mise subito a disagio.

Quando si accorse di essere stata quasi totalmente ignorata ne restò sgomenta.

Non disse una parola, lasció sul tavolo le bottiglie e tornó dietro il bancone con la coda tra le gambe.

 

Tadashi rimase sorpreso «perché l’hai trattata così?»

 

«Già! Perché?!» volle sapere Kei «è una bellissima ragazza… non ne sei lusingato?»

 

Harlock fece un mezzo sorriso tirato

«le prede troppo facili non mi interessano…»

 

«ma come hai fatto a…» balbettó Tadashi 

 

«ho i suoi occhi addosso da quando siamo entrati…»

 

«La fama ti precede…» osservó Kei.

 

«Capitano non te la tirare troppo! Quella è una sventola! Ma quando la ritrovi una bellezza simile? Io un giro me lo farei anche subito. Sotto quell’abito deve esserci il paradiso…» Sbottó Yattaran.

 

«Tu ti faresti qualsiasi essere che respiri…» Osservó Kei, e le risate si levarono fragorose.

 

«Ha ragione Yattaran!» intervenne un giovane pirata «Capitano, fai amicizia con la ragazza… poi ci racconti come è andata.»

 

«Ora basta! Siamo qui per bere non per cercare sesso facile»

 

«non te la sai proprio godere la vita. Che ingiustizia! Avessi il tuo fisico la castigherei come si deve a quella bella bambolina…» borbottó Yattaran.

 

Tadashi fece di no con la testa «quella non è una che va con tutti… è merce rara. Non te la mollerebbe nemmeno tra un milione di anni…»

 

«Abbiamo finito di parlare della cameriera? Forza, passami la bottiglia, ha argomenti migliori dei vostri…» Con questa frase Harlock pose fine alla discussione.


Intanto Alcyone osservava, infuriata e con l’orgoglio ferito.

 

Quello zoticone l’aveva ignorata, nemmeno era riuscito a salutarla decentemente! Incredibile! Non le era mai successo prima!



 

Andó a rifugiarsi in camera: Raflesia doveva essere aggiornata.

«Mia regina, quel rozzo corsaro non mi degna di uno sguardo! Mi guarda come fossi il vetro di una finestra… Evidentemente a lui piacciono le donne volgari, le prostitute…» arricció il delicato piccolo naso, come se stesse sentendo un odore disgustoso «e io dovrei fare finta di interessarmi a lui?»

 

«Stai calma! Come si vede che non conosci gli uomini! Ti ha notata eccome!»

 

Raflesia aveva assistito a tutta la scena, tramite la piccola telecamera che Alcyone aveva nascosta sul gioiello appeso alla catenina intorno al collo. E non le era sfuggito il lampo nell’occhio di Harlock quando aveva osservato la cugina.

 

«Crea il presupposto per metterti nella situazione in cui tu debba avere bisogno del suo aiuto! Ad Harlock piace soccorrere fanciulle in pericolo… »

 

«Parli bene! Non ci sei tu qui! Come faccio…»

 

«Con tutti gli ubriaconi bavosi che entrano lì dentro, non farai fatica a farti mettere le mani addosso… e vedrai Harlock accorrere in tuo aiuto. Alcyone, non sbagliare! Se non porti a termine questo compito ti posso assicurare che rimpiangerai di essere venuta al mondo!»

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Capitolo 4
*** Un’occasione d’oro ***


Dopo essersi confrontata con Raflesia, ritornó in sala.

I pirati erano ancora lì a bere. Gaia e Phebe pensavano agli altri clienti.

 

Quando la videro ritornare si levó un fischio acuto

 

«Hei! Qui servono altre bottiglie!»

 

Si avvicinó al loro tavolo per portare da bere quando uno schiaffo su una natica le fece fare un gridolino.

Arrossì violentemente e le spuntarono due lacrimucce d’umiliazione. Nessuno mai si era permesso un gesto così cafone nei suoi confronti, nessuno avrebbe osato tanto…

Quando ebbe il coraggio di voltarsi, sorprese Harlock che stritolava l’orecchio del ragazzo che si era permesso quel gesto volgare, e guaiva come un cane.

 

«Adesso chiedi scusa. Spieghiamo a questa signorina che siamo pirati, non molestatori di ragazze.»

 

Quello continuava a gemere per il dolore con le lacrime agli occhi «Scusa scusa scusa!!!! Mi dispiace!»

 

Finalmente Harlock lasció la presa e per la prima volta guardó veramente Alcyone in viso, e fu come se scattasse una scintilla.

 

Alcyone avvampó ulteriormente e per togliersi dall’imbarazzo scelse di fuggire con una scusa, mentre Harlock la seguiva con lo sguardo.

 

«Perché sono scappata? Accidenti! Era un’occasione d’oro!» si rimproverava guardandosi allo specchio del bagno del bar.

Quando lui l’aveva guardata aveva sentito una vampata di calore salirle al viso e le erano morte le parole. 

“Quando Raflesia lo scoprirà mi farà una scenata terribile!”


«Sei proprio un cretino!» Kei stava rimproverando il molestatore.

 

«Già… l’avevo detto io… era meglio non portarceli i mocciosi con gli ormoni a duemila! Che figuracce… ci siamo giocati ogni possibilità con quella bella ragazza…» Tadashi ancora sperava di poter concludere qualcosa con Jordan/Alcyone.

 

«coraggio, andiamo… per colpa di questo idiota ci siamo fatti riconoscere anche stavolta…» Yattaran si alzó facendo cenno agli altri di seguirlo. Harlock intanto era andato a pagare.

 

Gaia era dietro al bancone a fare cassa. 

 

«Si chiama Jordan la ragazza che ci ha serviti?» Chiese Harlock mentre maneggiava un rotolo di banconote.

 

«Sì, è lei…»

 

«Dille che ritorneró domani…»

 

«Non mancheró. Buonanotte!»


Quando uscì dal bagno i pirati se ne erano già andati e Alcyone si diede della stupida: aveva sprecato un'occasione unica. Se fossero partiti quella sera stessa o l’indomani la missione poteva dirsi fallita. E sarebbero iniziati i guai seri: Raflesia l’avrebbe spellata viva… sarebbe venuta a prenderla lei stessa e poi… 

 

Si mise a liberare il tavolo, pensierosa e intristita. Quando portó i bicchieri sporchi a Phebe perché li mettesse a lavare si avvicinó Gaia con aria trionfante.

 

«Ho un messaggio. Il pirata dice che tornerà domani. Hai fatto colpo mia principessa!»

 

Il cuore le balzó in gola e un sorriso le illuminó il volto: improvvisamente si scoprì inspiegabilmente euforica.



 

L’indomani Alcyone attendeva Harlock con ansia: continuava a guardare verso la porta, ma era ormai passata più di un’ora dall’apertura e del pirata nemmeno l’ombra. Magari aveva cambiato idea… magari se ne era dimenticato ed erano salpati.

 

Andó in cucina a fare un piccolo spuntino e quando ne uscì lui era lì, seduto da solo al tavolo dove era stato la sera precedente.

 

«Ti stavo cercando» le disse, quando Alcyone si avvicinó per prendere l’ordinazione.

 

«Davvero?» Si portó la penna alle labbra arrossendo leggermente.

 

Aveva un fazzoletto candido legato in testa e i ricci le incorniciavano il viso.

 

«Siedi qui, vicino a me.»

 

Ubbidiente fece come le era stato detto, in fondo non aspettava altro. Le ire funeste di Raflesia parvero allontanarsi.

 

«Mi hanno detto che vorresti passare la notte con me.» Mentre diceva quelle parole la stava fissando negli occhi.

 

«Sì, è vero»

“Speriamo di riuscire a concludere questa missione il prima possibile!”

 

«Non sembri una che va col primo venuto»

 

«no, infatti.»

 

«Peró vorresti concederti ad uno sconosciuto…»

 

«Non lo sei. Sconosciuto intendo… Tu sei una leggenda vivente, non c’è anima nella galassia che non conosca il tuo nome.»

 

Harlock sorrise, Jordan parlava più come un’adolescente, non dimostrava la sua età. 

 

«Una specie di rockstar?»

 

«No. Molto meglio. Le rockstar non hanno la fama di tener testa a un’intero popolo alieno…»

 

«Già… le mazoniane.»

Non era il tipo da sesso occasionale, ma aveva ragione Yattaran: questa era veramente una ragazza speciale, dall’incredibile insolita bellezza. Aveva visitato parecchi mondi ma nessuna l’aveva mai colpito così, per il solo aspetto fisico. Nessuna, tranne Namino Shizuka.

Qualcosa nella sua testa scattó, forse un sesto senso.

Quella ragazza poteva essere una mazoniana? Anche Namino era irriconoscibile, e per un periodo l’aveva ingannato, ma Namino era esperta seduttrice, questa ragazza, al contrario, sembrava estremamente ingenua. Una spia di Mazone sarebbe stata molto più audace e sicura di sé.

 

«Allora desideri così tanto fare sesso con me?»

 

Alcyone annuì energicamente «ne va della mia vita… letteralmente!»

 

«Addirittura?» rise, ignorando che quella di Alcyone non era una battuta ma la pura verità.

 

«Allora, forse, dovró fare questo sacrificio…»


“Ci siamo!!! Non commettere idiozie proprio ora!”


«Ti fidi a salire sulla mia nave? Staremo più comodi…»

 

La nave! A bordo c’era la yuretana! Raflesia era stata molto chiara su questo punto!

 

«Non devi assolutamente salire a bordo dell’Arcadia! E ancora di più avvicinarti alla yuretana! Ti smaschererebbe subito e sarebbe la fine! Tienitene alla larga!»



 

Alcyone si mosse nervosamente

«no, non posso… le mie sorelle non mi permetterebbero di passare la notte fuori…» fu la prima scusa che riuscì a trovare.

 

«Mi sembri abbastanza cresciuta per dover dar conto a qualcuno»

 

Alcyone sbuffó

«uff… e va bene! Mi fa paura, mi mette soggezione. Faccio già fatica a parlare con te… non ce la farei proprio a salire sulla tua nave, mi sentirei insopportabilmente a disagio.»

 

«Capisco… allora dimmi tu: dove vogliamo andare?»

 

“Dovrei essere nella reggia di un principe! Con un abito da sposa esclusivo, perdere la verginità con mio marito tra lenzuola di seta… non come una puttana qualsiasi! Invece mi sto per concedere a un essere che è poco più di un animale, rozzo, plebeo e per giunta un fuorilegge!”

 

Le venne quasi da piangere.

 

“Io in quel letto pulcioso non voglio… piuttosto mi faccio torturare da Raflesia.”

 

Venendo dallo spazioporto aveva visto di sfuggita un albergo non proprio di lusso, ma almeno non era una topaia come quella.

 

«Sai guidare uno di quei cosi che galleggiano a mezz’aria?»

 

Harlock sorrise: quella ragazza era viziata ma la sua ingenuità quasi lo inteneriva.

 

«certo… lo so guidare “quel coso”…»

 

Salirono sullo sprinter di Gaia, e Alcyone lo fece fermare dinanzi all’albergo che veniva usato dai turisti che arrivavano senza mezzi propri.

 

«Un albergo? Ma fai sul serio?»

 

«Perché? Ti sembra tanto strano?»

 

Questa scopata stava diventando troppo problematica e ad Harlock venne la tentazione di desistere.

 

Alcyone lo intuì e mise in campo l’artiglieria pesante. Mentre scendeva dal veicolo fece in modo che la gonna salisse a rivelare le autoreggenti in pizzo nero. Se il pirata la mollava adesso Raflesia l’avrebbe squartata.


 

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Capitolo 5
*** La principessa e il pirata ***


Appena messo piede nella stanza d’albergo, Alcyone si fiondó con una scusa nel bagno.

 

«Devo fare pipì!»

 

In realtà doveva prendere una delle capsule che le aveva dato Raflesia. Senza quelle il piano sarebbe fallito. L’inghiottì con lo stesso stato d’animo con il quale avrebbe inghiottito una compressa di cianuro.

 

Non c’era tempo da perdere. Per il timore che Harlock si scocciasse e la piantasse lì senza concludere, decise che mostrarsi disponibile era il modo più veloce e sicuro per arrivare al dunque.

Alcyone sciolse il fazzoletto che teneva sui capelli e una cascata di boccoli d’oro dai riflessi rosati scese leggera fino alla vita. Continuó togliendosi il vestitino bianco e la camicetta che portava sotto. 

Rimasta in biancheria intima si fece ammirare, orgogliosa della sua bellezza.

 

Harlock era rimasto senza parole, ad osservare quella sorta di streap che piacevolmente si svolgeva dinnanzi a lui. Jordan gli ricordava antichi dipinti raffiguranti dee pagane dell’amore.

 

Ma perché quella piccola snob lavorava in quel tugurio? E perché subito si era resa così disponibile?

 

Era importante? In quel momento era più importante soddisfare la brama del suo amico che stava nascosto, per poco, nei pantaloni. Già lo sentiva premere, ansioso di darsi da fare.


Harlock le fece il gesto di sedersi sulle sua ginocchia. Alcyone ubbidì, conquistata dal suo modo di fare sicuro.

 

«non così…»

La fece sedere a cavalcioni con le cosce che gli cingevano i fianchi. D’istinto Alcyone le strinse e doveva aver fatto la cosa giusta perché lui la prese per i fianchi e l’attiró più vicina.

 

Arrossì violentemente e balbettó «puoi stare tranquillo…»

 

«come dici?»

 

«sì, insomma… puoi andare tranquillo… prendo precauzioni…»

 

«bene… magnifico!»

 

Erano a tiro di bacio, il suo occhio la fissava intensamente. Quel contatto stranamente la eccitava, e sentiva le labbra formicolare: desiderava toccare le sue.

 

“Non posso provare attrazione per questo zotico!”

 

Ma per la riuscita del piano forse era meglio così.

 

Lentamente Harlock avvicinò il viso ulteriormente unendo le loro labbra e dando il via al primo vero bacio di Alcyone, mentre con le mani tracciava invisibili percorsi sui fianchi e le cosce della ragazza che gemette piano.

 

«sei un pezzo di legno… sei sicura di volerlo?»

 

Maledetta Raflesia! Glie l’avevo detto che mi avrebbe scoperta subito!

 

La vergogna la fece balbettare 

«certo che sì! Sono solo tanto emozionata…»

 

«vediamo di scioglierti…» così dicendo le infiló una mano tra le cosce, accarezzando il tessuto di pizzo delle mutandine.  

 

Alcyone squittì sorpresa e represse a stento l’istinto di tirargli uno schiaffo, ma poi scoprì di volerne ancora e mosse i fianchi verso di lui.

 

«brava… adesso va bene…»

Continuó per un po’ finché i gemiti della ragazza divennero concitati.

“Cavolo! Raflesia aveva ragione…” adesso comprendeva perché Shizuka avesse perso la testa per questo plebeo… con un trattamento simile anche lei faceva fatica a resistere.

Allora Harlock spostó la mano dall’inguine di Alcyone al suo, aprendo la patta dei pantaloni.

 

“Oddio! Ci siamo! E adesso?”

 

Prese la mano di Alcyone e la portó a stringere quel che c’era sotto. Lei singhiozzó in un sentimento di forte repulsione ma che allo stesso tempo era anche grande desiderio.  

 

Vedendo che la ragazza si era immobilizzata pensó bene di aiutarla mettendo una mano sopra la sua guidandola nel movimento.

 

“Un buon insegnante” pensó affascinata dalle due mani che si muovevano insieme in questo gioco proibito.

 

Harlock aveva capito che non era esperta e dopo qualche attimo la fece scendere dalle sue ginocchia e la mise a sedere sul comó della stanza accompagnando le sue gambe a stringergli i fianchi.

 

Nuovamente cercó le sue labbra mentre con mani esperte sganciava il reggiseno che finì a terra.  

Seno perfetto: ne troppo grande ne troppo piccolo, quella ragazza era un gioiello da letto. Nessuno l’avrebbe rifiutata.

Mentre continuava a baciarla con ingordigia, soffermandosi a lungo intrecciando la lingua con la sua, abilmente le sfiló il microscopico slippino che finì a fare compagnia al reggiseno.

Con un tocco leggero la sfioró proprio lì, mormorandole all’orecchio

 

«adesso sei pronta»

 

Nel momento clou sentì un dolore bruciante ma duró poco. La danza in cui la stava accompagnando portava in paradiso.


Finirono a letto per un secondo round. Come battesimo del sesso era stato niente male.

 

«perché non me l’hai detto?» le chiese Harlock dopo l’ultimo amplesso, accendendosi una sigaretta,  guardandola mentre lei, come una gatta assonnata, si stiracchiava languida al suo fianco.

 

«cosa?» chiese Alcyone sgranando gli occhi azzurri.

 

«che non eri mai stata con un uomo.»

 

«Già… adesso mi posso vantare di essere stata a letto con una leggenda…» esitó «come prima volta è stata una splendida esperienza sotto ogni aspetto…»

 

“Accidenti… non sospetterà qualcosa?”

Il tentativo di un complimento lusinghiero non era stato raccolto, lui la guardava ancora sospettoso.

 

Alcyone dopo un po’ arricció il naso «potresti spegnerla? Non sopporto l’odore del fumo…»

 

Harlock la guardó stupito, poi spense di malavoglia la sigaretta.

 

«Dimmi… cosa ci fa una bambina viziata come te in un postaccio come questo?» disse Harlock «E perché? Perché una bellissima ragazza, ricca e di buona famiglia, si ritrova qui, e fa di tutto per venire a letto con me?» incalzó.

 

Alcyone sbarró gli occhi, il panico le serró la gola, era spaventata, ma non poteva tradirsi

 

«Pe… perché dici così? Te l’ho già detto… ho sentito parlare di te e ne sono rimasta affascinata… sei una leggenda. E volevo che la mia prima volta fosse indimenticabile in tutti i sensi… Poi sei capitato al locale e ho pensato di sfruttare l’occasione… perché dici che sono viziata e di buona famiglia?»

 

«Facile. Le mani.» e le indicó.

 

«hai le mani perfettamente curate. Non sei una abituata a lavorare.»

 

Alcyone era sì viziata, ingenua e a volte immatura, ma sveglia e intelligente. Allungó una mano e prese la sua, osservandola.

 

«Anche le tue sono mani curate… eppure sei un guerriero. O sbaglio?»

 

«No, non sbagli. Sei voluta venire a letto con me proprio per questo, non è vero? E comunque io porto i guanti, quasi sempre.»

 

“Infido e pericoloso… se mi scoprisse farei la fine di Shizuka” Pensó Alcyone rabbrividendo, e intanto immaginava gli spermatozoi che nuotavano dentro di lei, nella folle corsa verso la vita.

“Speriamo che almeno uno giunga alla meta, o dovró riprovarci e non so se sarà ancora possibile. Sto già rischiando tanto adesso.”

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Capitolo 6
*** Sentimenti ***


I sospetti di Harlock si andavano stemperando. Alcyone imparava in fretta, e ci aveva preso gusto. Si sdraió sopra di lui e pensó bene di esercitarsi ancora un po’ nell’arte del bacio… a lui non dispiaceva e lo dimostró ampiamente. Poi lo stuzzicó sotto le lenzuola e lo fece ridere.

 

“Sei proprio bello quando ridi. Peccato tu sia uno zotico senza un goccio di sangue nobile nelle vene… e detesti quelle della mia razza…”

 

«È tardi, ora devo andare» si era alzato dal letto e cercava i vestiti, sparsi in giro per la stanza.

 

Alcyone gli saltelló dietro «facciamo la doccia insieme?»

 

Harlock la guardó compiaciuto «mi dispiace, non ho tempo… è stato piacevole passare la nottata insieme.»

 

Le diede un bacio sulle labbra «tu fai pure con calma, io vado a pagare la camera, ti aspetto di sotto.»

 

«Aspetta!»

Harlock si voltó sulla porta 

«Quando partirai? Possiamo rivederci?»

Se si fosse dimostrata desiderosa di rivederlo, pensava Alcyone, forse gli avrebbe tolto definitivamente ogni dubbio su di lei.

 

«Non lo so… ma posso passare a salutarti prima di partire.»

 

Uscito Harlock, Alcyone si chiuse in bagno. Si era tolta il ciondolo con la telecamera e l’aveva dimenticato di proposito appoggiato sul lavandino. Non voleva che Raflesia spiasse anche i momenti intimi, ma era giunta l’ora di fare rapporto.

 

Accostó l’orologio alle labbra e spinse il pulsante per la chiamata.

La voce di Raflesia arrivó quasi immediatamente 

 

«Allora?! Sei sparita da ore! Si puó sapere cosa hai combinato?»

 

«Si, si, hai ragione. Ho buone notizie. Missione compiuta.»

 

«Bene! Hai preso la compressa? Domani mattina manda Gaia allo spazioporto. Ti invieró un kit medico per verificare se la fecondazione è avvenuta.»

 

«credo ci siano molte possibilità che lo sia…» Alcyone ripensava alla notte passata e a tutte le cose che il pirata le aveva insegnato.

 

«Perché ne sei così convinta? Beh, non importa. L’unica cosa importante è la riuscita del piano. Brava cugina! Appena ricevi il kit fa l’esame e comunicami subito l’esito.» chiuse la comunicazione.

 

Alcyone si sentì come una giumenta da riproduzione. Sospiró e si concesse una doccia, e passó lungo tempo sotto l’acqua calda pensando con piacere alle ultime sei ore.

 

Harlock l’aspettava appoggiato allo sprinter, con le mani in tasca e la brezza che gli scompigliava i capelli. Si guardarono vicendevolmente per un lungo attimo, prima di salire sul mezzo e tornare all’osteria.



 

«È giunta l’ora di separarsi.» Esitó impercettibilmente prima di continuare

«sei molto bella… la donna più bella che abbia mai avuto. Ti ho promesso che verró a salutarti prima di partire.» con il pollice le carezzó una guancia

«a presto, principessa!»

 

Ad Alcyone si geló il sangue, e ci vollero parecchi secondi prima che si rendesse conto che quello di Harlock era un vezzeggiativo, e non la prova che era stata scoperta.

 

Gaia e Phebe l’aspettavano: un po’ in ansia per la sua lunga assenza, un po’ curiose di conoscere l’esito della missione.

 

Subito comunicó a Gaia le istruzioni della regina: il mattino dopo sarebbe dovuta andare a ritirare il pacchetto allo spazioporto. Gaia annuì ma non fece ulteriori domande, fortunatamente.

 

L’animo di Alcyone era più leggero, aveva portato a termine la missione e l’ira di Raflesia era stata scongiurata. Sperava solo di poter tornare a bordo della Dorcas al più presto, anche se questo voleva dire che non avrebbe più rivisto Harlock.

 

“Ma che t’importa? Lui è solo una missione da portare a termine. Partorito il suo bastardo potró riprendere la mia vita di prima…” ma non ne era convinta fino in fondo.



 

Gaia era tornata con il pacchetto, lo consegnó ad Alcyone come da istruzioni, poi tornó ai suoi compiti.

 

Corse in camera sua e si chiuse dentro.

Il pacchetto conteneva un’ago e un dispositivo di analisi. 

Con l’ago si punse un dito finché una stilla di sangue verde smeraldo brilló alla luce fioca della stanza.

Con quella sporcó il vetrino del dispositivo e premette il pulsante che avviava l’analisi.

Dopo pochi secondi sul display apparve una luce verde: positivo!



 

«Raflesia, è positivo!»

 

«ottimo! Domani tornerai alla Dorcas.»

 

Alcyone esitó.

 

«Raflesia… è importante che Harlock non sospetti nulla, vero?»

 

«Certamente! Finché non sarai qui, al sicuro, non deve sospettare nulla!»

 

«Bene, perché mi vuole rivedere prima di salpare… se sparissi all’improvviso…»

 

Raflesia non la lasció finire «non ti sarai innamorata come quella stupida di Namino! Stai attenta Alcyone… tu sei diventata importante! La tua salute è prioritaria non fare sciocchezze! Ti do tre giorni…» Chiuse la comunicazione.

 

Era proprio così ligia al dovere? Se fosse partita immediatamente sarebbe stato ininfluente che Harlock avesse nutrito nuovi dubbi. La verità era che voleva rivederlo, un’ultima volta. In fondo, seppur in modo contorto e “sporco” lei portava in grembo suo figlio, o quello che tra poche settimane sarebbe stato l’embrione di suo figlio. Un fardello prezioso: unico, a pensarci bene. L’unione di una mazoniana e un umano era totalmente nuova e sarebbe stata la prima occasione per seguirne lo sviluppo.

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Capitolo 7
*** Di nuovo tu ***


Jordan. Indubbiamente una ragazza deliziosa, sotto tanti aspetti, e curiosa. Avrebbe dovuto ringraziare Yattaran, ma senza dire il perché: vantarsi delle proprie conquiste non rientrava tra le sue abitudini. E poi c’era Tadashi, che si era innamorato con il classico colpo di fulmine: ci sarebbe rimasto male.

Le aveva promesso di salutarla prima di partire… l’avrebbe fatto sicuramente, terminati i rifornimenti non avrebbe più avuto alcun motivo per rimanere.

 

Gli occhi di quella ragazza… unici. Ad una prima occhiata avrebbe giurato che portasse lenti a contatto, invece no: l’azzurro elettrico delle sue iridi era naturale… ipnotico, non potevi fare a meno di cascarci dentro. E il resto? Come l’aveva definita, mentre gli si concedeva come nel più appagante sogno erotico maschile? Un gioiellino da letto, proprio così! E aveva scelto lui per la sua prima volta… Questo punto non l’aveva convinto del tutto. Aveva sempre avuto molto successo con le donne, ma che addirittura lo pregassero… beh, questa era la prima! Il suo comportamento strideva con l’aspetto fine ed elegante, perché Jordan era un’autentica bellezza. Niente seni strabordanti, labbra carnose o zigomi pronunciati: era armonia ogni suo tratto, eleganza ogni suo gesto, misurato mai volgare. Anche mentre facevano sesso, e si era lasciata andare, era così… aristocratica. Veramente singolare.


Era passato appena un giorno e Alcyone non riusciva a fare altro che pensare a lui. Ruppe 4 bicchieri e scordó le ordinazioni. Tant’è che Gaia le consiglió di andare a fare una passeggiata o riposarsi in camera sua. Fuori faceva troppo caldo, quindi si sdraió sul copriletto triste nella sua stanza e rimase a sognare ad occhi aperti, rievocando ogni momento della nottata precedente.

Era decisamente un gentiluomo: altro che pirata rozzo e volgare…

 

Sospiró rumorosamente “e chi l’avrebbe detto? Ti ha proprio rimbambita non è vero?” Si portó le mani ad accarezzare il ventre, che custodiva quel miracolo unico e incredibile: il primo essere che univa due razze così diverse.

“Speriamo vada tutto bene…”

Raflesia scalpitava: non vedeva l’ora di metterla nelle mani del suo staff medico, e Alcyone non ne aveva nessuna voglia.

Invece, per un secondo, ammise che sarebbe stato bello passare i prossimi mesi, solo lei e Harlock, senza nessuno intorno… assistere insieme alla nascita del bambino… ma era solo uno stupido sogno. Li avrebbe passati sulla Dorcas, con Raflesia addosso come un cane da guardia: era un esperimento da portare a termine, ne più ne meno.

“Raflesia puó dire quello che vuole: prima di tornare a casa ti rivedró…”

 

Si stupì dei suoi stessi pensieri

“Lo sai cosa vuol dire, vero? Che ci sei cascata come la più stupida tra le sempliciotte. Alla fine questa “missione” mi si è ritorta contro. E forse è giusto così, mi sono comportata proprio come una prostituta.” Sentì un grande rimorso.

“Se ti avessi conosciuto prima non avrei mai acconsentito a questo vile inganno. Perdonami Harlock…”


Raflesia tamburellava con le dita sul bracciolo del trono, il ticchettio delle unghie a stiletto stava continuando da tempo e faceva da sfondo al teatro dei suoi pensieri.

 

“Se quella stupida si è innamorata, dovró stare in guardia, potrebbe anche rivelare tutto a quel dannato! Devo assolutamente avere quel bambino!” Un ghigno freddo le fece stirare le labbra. Immaginava, in una folle fantasia, di tagliare la tenera gola del neonato davanti agli occhi del pirata e si nutriva dell’orrore e della disperazione di quell’umano che odiava con tutto il suo essere… poteva quasi sentire l’odore del sangue e il calore del corpicino tra le sue mani, e il ruggito di dolore di Harlock… si stava eccitando. Una fantasia appagante più del sesso.

Sarebbe stato allettante farla finire così, ma il bambino rappresentava molto, molto di più… in primis la vendetta più diabolica, e poi le potenzialità. Quella creatura ne aveva di innumerevoli, stava tutto alla genetica e al calcolo delle probabilità. Che attitudini avrebbe sviluppato una creatura con un simile patrimonio genetico? Quello della stirpe di Raflesia era selezionato da generazioni… la combinazione con quello del pirata poteva essere un successo completo o il fallimento più totale.

 

Strinse lo sguardo e la linea delle labbra si fece dura.

«Alcyone, non mi deludere o pagherai con la vita un eventuale tradimento…» la voce rimbombó nella grande sala deserta.


Le ginocchia sotto il mento, mentre osservava dalla finestra della squallida cameretta il via vai sulla strada sottostante: mezzi che sollevavano grandi nuvole di polvere, venditori d’acqua, piloti che si recavano allo spazioporto. Di fronte all’osteria c’era la bottega del meccanico, che in quel momento era alle prese con un motore che faceva i capricci. Ma la testa di Alcyone era altrove. Lasció improvvisamente il filo dei suoi pensieri quando vide la figurina di Tadashi venire a piedi verso il locale. Saltó su e si precipitó giù dalle scale, col cuore che batteva forte.

 

Tadashi stava parlando con Phebe.

«Ciao!» lo salutò dai piedi delle scale.

 

«ciao.» rispose Tadashi e il suo sguardo si illuminó.

 

«come mai da queste parti? Non siamo ancora aperti.»

 

«dovevo consegnare un messaggio. Ora vado, ma è stato bello rivederti…»

 

Quando il giovane fu uscito Phebe le porse una busta sigillata 

«non c’è scritto il nome del destinatario, ma suppongo sia per te principessa»

 

Phebe le allungó la busta che Alcyone si affrettò a raccogliere per poi correre nuovamente in camera sua.

Le tremavano le mani quando spiegó il foglio che, con una elegante grafia, recava scritto una coordinata e un orario. Ancor prima di verificare era già sicura di sapere quale fosse il posto, e infatti non sbagliava.

 

Alcyone era sicura che Phebe e Gaia avessero ricevuto l’ordine di tenerla d’occhio e decise che fosse meglio andare a quel singolare appuntamento senza che le due donne lo sapessero.

Dopo cena si chiuse a chiave in camera e si caló dalla finestra, poi scavalcó il balconcino della stanza a fianco. Se Raflesia l’avesse vista le sarebbe preso un colpo: finché dentro di lei cresceva l’embrione di Harlock la sua vita valeva di più di quella della regina stessa.

 

Harlock l’aspettava davanti all’albergo dove si erano visti l’ultima volta e mentre si avvicinava pensó che era ancora più bello di come lo ricordava.

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Capitolo 8
*** Ancora una volta ***


«Buonasera principessa…» 

La stava aspettando appoggiato al muro vicino all’entrata dell’albergo, con la gamba destra piegata e il piede appoggiato contro muro, fumando una sigaretta.

Il giacchetto di pelle nera era aperto fino allo stomaco, il foulard bianco di seta sfuggiva per un lembo e si muoveva piano all’aria calda della sera.

Alcyone notó che non indossava i soliti pantaloni di pelle, ma un paio di calzoni aderenti in tessuto stile militare, con varie tasche e fibbie. I cinturoni con le armi, onnipresenti.

Alcyone si avvicinó con gli occhi brillanti di gioia e le farfalle nello stomaco: quando c’era di mezzo Harlock erano una costante.


La medesima stanza della volta precedente.

«volevi fare la doccia con me l’ultima volta…» disse Harlock chiudendo la porta.

 

Si sciolse il foulard attorno al collo e aprì il giacchetto di pelle gettandolo sul letto. Alcyone seguiva ogni suo gesto con attenzione, conscia che quella sarebbe stata l’ultima occasione per farlo.

 

«allora? La facciamo questa doccia?» Era rimasto a torso nudo e l’osservava, in attesa.

 

Alcyone inizió a spogliarsi senza aspettare, rivelando biancheria intima raffinata dalle eleganti trasparenze sexy. Dopo pochissimo erano abbracciati sotto il getto d’acqua calda.

Occhi negli occhi, Harlock le spostó le ciocche di capelli che l’acqua le aveva appiccicato su viso, lentamente, quasi accarezzandola, Alcyone si alzó sulle punte dei piedi per baciarlo, come aveva sognato spesso nelle ore precedenti, con le braccia strette attorno al suo collo, cercando di dominare quel fuoco che le ardeva dentro, spingendola a fare cose innominabili e molto poco eleganti, come portare le labbra a baciare la sua virilità.

 

«Cosa vuoi fare con quello sguardo da monella?»

 

Alcyone afferró una morbida spugna, l’inzuppó di sapone e pigramente se la passó sul collo per poi scendere sul seno. Afferró la mano di Harlock per posarla poi sulla spugna

 

«Aiutami a lavarmi… toccami tutta…»

 

Lui la fece girare, l’attiró a se e gettó la spugna a terra. Le afferró i seni, notando nuovamente come si adattassero alle sue mani, riempiendole perfettamente, e li strinse, mentre le mordicchiava piano il collo.

Alcyone rovesció il capo all’indietro, impaziente gli afferró una mano e se la portó tra le cosce.

 

«…sei affamata…» e mentre affondava le dita tra i ricci biondi del pube, Alcyone mormoró ansimando «…tanto…».

 

Era quasi sul punto di cedere al piacere quando Harlock la fece girare bruscamente, portó una gamba di lei al suo fianco e la prese senza troppe cerimonie.

L’irruenza provocó in Alcyone un’eccitazione mai conosciuta prima, si morse il labbro inferiore per non gridare il suo nome e si aggrappó con tutte le sue forze alle spalle di Harlock per sorreggersi, mentre il ritmo si era fatto frenetico.

 

Si ritrovarono a guardarsi negli occhi, ansimanti, mentre le gocce d’acqua scorrevano sui visi ancora provati dalla passione. Alcyone aveva lasciato segni ben visibili sulle spalle di Harlock e mormorò sottovoce

«ti amo…»

 

Lui l’osservó, le due parole pronunciate da Alcyone, appena comprensibili, tra i sospiri e il crepitare dell’acqua.

Allora lei, con un fremito, sempre più consapevole che il tempo a sua disposizione scorreva fin troppo in fretta, nuovamente si avventó sulla sua bocca mentre con le mani, fatte più sicure dopo gli insegnamenti del pirata, percorreva ogni centimetro del suo corpo, cercando d’imprimersi nella memoria quanti più particolari possibili.

 

«sei proprio insaziabile, principessina…»

A queste parole, Alcyone si giró, appoggió le mani alla parete piastrellata, mentre l’acqua calda incessante cadeva scrosciando suoi suoi capelli e la sua schiena, si piegó offrendo i fianchi ad Harlock, premendosi contro il suo inguine, in un invito che non poteva essere frainteso.

Non la fece attendere.

 

Più tardi si lasciarono cadere sul materasso, ancora zuppi d’acqua. Ben presto lenzuola e cuscini recarono impresse le sagome dei loro corpi. Alcyone era piacevolmente esausta e appagata come non lo era stata mai, ma coi piedi ben piantati a terra, consapevole del momento presente. Indubbiamente era stata l’esperienza più piacevole della sua vita fino a quel momento.


«sei venuto a salutarmi, vero?» chiese Alcyone con un filo di voce, mentre cercava di intrecciare le dita con quelle di Harlock.

 

Annuì

«domattina salpiamo. Non posso più rimandare, devo tornare sulla terra. Ho un impegno che non posso e non voglio posticipare…»

 

«una donna?» chiese incuriosita.

 

«sì…»

 

Spalancó la bocca sorpresa. «Ah! E me lo dici così?»

 

«come dovrei dirtelo? Non abbiamo nessun impegno noi due. Sono state due piacevoli occasioni per stare bene, ma finisce qui, lo sai…»

 

«certo che lo so! Cosa ti credi! Peró non è gentile!» incroció le braccia, arrabbiata.

 

«Ecco la mia ragazza…» Harlock aveva tirato fuori una foto dalla tasca della giacca di pelle e la stava porgendo ad Alcyone, che gliela prese di malo modo dalla mano e l’osservó, risentita.

 

«ma questa è un bambina!» esclamò stupita, arricciando il naso.

 

«è la mia figlioccia, non la vedo da troppo tempo.»

 

Giusto! Raflesia le aveva parlato anche della bambina, ma lei se ne era dimenticata: la figlia del suo grande amico, quello morto.

 

“Il mio bambino non lo avrà il tuo amore…” pensó intristita, e quasi le venne da piangere. “Povero piccolo… se riuscirai a nascere non ti aspetta una vita facile.” Semplice risultato di un esperimento, queste parole le riecheggiavano nella testa, pronunciate dalla voce dura di Raflesia.

 

«qualcosa non va?»

 

«no, niente. Pensavo che è fortunata ad avere te.» Impulsivamente senza pensare, aggiunse «un po’ la invidio…»

 

«Hei! Non voglio sentire queste storie: mi sembrava chiaro che qualunque cosa succeda finisca tutto quando ci separeremo. Non farmi menate sentimentali, non servono a nessuno. Piuttosto… quel che hai detto sotto la doccia… era dettato solo dalla passione del momento, vero?»

 

Alcyone ci rimase male e lui se ne accorse. Le prese la mano e la fissó negli occhi

«Se ti puó consolare, è la prima volta che faccio l’amore con una donna appena conosciuta e per la quale non ho sentimenti importanti…»

 

«dovrei sentirmi lusingata?» lo disse poco convinta.

 

«direi proprio di sì!»

 

“Presuntuoso!” Pensó Alcyone, e gli fece una boccaccia dietro le spalle, quando si voltó per riporre la foto.






 

Mi chiamano folle

Perché ho imparato a mangiare la vita

Mi nutro dell’amore che basta a se stesso

Aprendo gli occhi su un’altra dimensione

universo sconosciuto 

Fatto non solo di me

Significato differente

Ci sei tu ora

Per un po’ 

Per gioco





 

Harlock dormiva accanto a lei, che proprio non aveva nessuna voglia di prendere sonno, sommersa da una valanga di pensieri.

 

Quanto ci divide? Le mie menzogne ti hanno scavato un fosso tutt’intorno, un fosso talmente profondo da risultare invalicabile.

Vorrei dirti tutto, confessare le mie miserie, ma ho paura!

Paura della tua ira, perché non capiresti. Come potresti credere che il tuo nemico abbia rivolto contro se stesso l’arma della tua distruzione? Nulla sarà più come prima per me.

Che stupida! Mi ero illusa di poter cancellare tutto, una volta compiuto il mio sporco dovere, ma ora mi rendo conto che è impossibile! Mi sono bastate poche ore in tua compagnia per perdere completamente la testa, per perdermi come non credevo fosse possibile.

Fingo di essere la tua donna, per questi brevi istanti. Fingo tu possa provare per me gli stessi sentimenti che sento per te…

Di Raflesia non m’importa nulla, io vivo solo per far nascere tuo figlio e prendermene cura, il resto non conta più. Mi accorgo che tutto ciò che ha avuto importanza fino a ieri, oggi mi sembra vuoto e inutile: il lusso, un matrimonio regale, gli abiti, le cerimonie danzanti alle corti dei regnanti della galassia… tutto vuoto, sterile, grigio.

 

Raflesia: ora ho capito che mostro si agita dentro di te. Mi ci è voluto conoscere un fuorilegge, un pirata dall’animo nobile per aprirmi gli occhi.

 

Le voci che aveva sentito, archiviandole come pettegolezzi di dissidenti, erano invece realtà, ora lo vedeva chiaramente: Raflesia era posseduta da una qualche entità sanguinaria, forse un demone. Rabbrividì.

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Capitolo 9
*** Disastro ***


Infine Alcyone si era assopita con le labbra appoggiate alla spalla di Harlock, in una sorta di bacio perpetuo,  e una mano poggiata sul petto. Così la sorprese quando aprì l’occhio, alla debole luce dell’alba che filtrava dalle persiane socchiuse.

 

Un vociare concitato  proveniva dalla strada.

Harlock scostó il braccio di Alcyone per alzarsi, si accostó alla finestra e vide uomini armati con l'uniforme grigia bordata di rosso.

 

Si affrettó a svegliare la ragazza.

 

«Gli uomini di Drask. Mi hanno trovato. Dobbiamo andarcene e in fretta, sono troppi per me.»

 

Alcyone si stropicció gli occhi, cercando di tornare alla realtà. Il tono di Harlock era allarmato e lei si era spaventata. Nonostante il torpore delle membra si era imposta di muoversi, e stava raccattando gli abiti da terra per rivestirsi il prima possibile.



 

Una storia vecchia ma che ogni tanto lo perseguitava ancora.

Drask era un ex mercenario che era riuscito a fare carriera in fretta leccando sederi illustri. Infine aveva stretto legami con la mafia galattica, era stato abile a far quattrini finché, raggiunto un capitale incalcolabile si era tirato fuori, cambiando sistema stellare per continuare gli affari da solo. Agli inizi della sua carriera da pirata, Harlock aveva depredato una nave merci di Drask, che aveva iniziato a farsi chiamare “il duca Drask”; una nave carica di armi e droga, che Harlock aveva provveduto a disperdere nello spazio, causandogli un danno economico incalcolabile. 

Da allora stava cercando di fargliela pagare, ogni tanto le loro strade si incrociavano, come questa volta, anche se Harlock desiderava da tempo staccare la testa a quel bastardo assassino, ma il duca si guardava bene dall’affrontarlo faccia a faccia, ben protetto dal suo esercito privato.



 

Come l’avesse trovato era un mistero; forse fortuna, forse una soffiata, vallo a sapere…

 

«Jordan! Sbrigati, sono entrati nello stabile. Perquisiranno ogni stanza, dobbiamo andarcene!»

 

«Ecco, sono pronta!»

La prese per mano e si lanciarono lungo i corridoi, in cerca della scala di emergenza.

 

Dovevano uscire allo scoperto per arrivare allo sprinter, ma c’erano troppi uomini armati di guardia davanti all’entrata principale. Harlock gettó uno sguardo sul retro: solo due soldati a guardia dell’uscita posteriore: quelli poteva metterli fuori combattimento senza problemi.

Scesero per la scala esterna senza fare rumore. Lasció Alcyone alla rampa del secondo piano.

Quando arrivò direttamente sopra i due uomini, scavalcó la ringhiera e si gettò sui due malcapitati, che presi di sorpresa non ebbero nemmeno il tempo di reagire.

Alcyone lo raggiunse subito dopo e continuarono a scappare seguendo l’unica via che si snodava dal retro. 

Qualcuno doveva aver trovato i due messi fuori combattimento, perché presto udirono alle loro spalle il rumore di passi di corsa e colpi di pistola laser.

 

Si ripararono dietro una catasta di scatoloni e bidoni delle immondizie.

Alcyone si lamentava mentre Harlock rispondeva al fuoco: in poco tempo se ne liberó. Per ora erano al sicuro, ma ne sarebbero presto arrivati altri.

 

Si giró verso Alcyone che si stava premendo la mano su un braccio.

«Ti hanno ferita? Fammi vedere…»

 

Si ritrasse, spaventata. Le poteva leggere il terrore negli occhi sgranati.

 

Aggrottó la fronte «Jordan, che ti prende? Se sei ferita devo saperlo!»

Le tolse la mano dalla ferita e quel che vide sotto trasformó istantaneamente l’espressione del suo volto che divenne fredda come ghiaccio.

 

Oltre i bordi della bruciatura c’era del verde. Il sangue di Jordan era verde: una sporca mazoniana… l’aveva ingannato, e si maledì per essere caduto in un tranello tanto stupido.

 

«Mi hai mentito! Cosa volevi fare facendoti sbattere come una poco di buono! Informazioni? Puttana… dovevo immaginarlo. L’ennesima sgualdrina mandata da Raflesia…»

 

L’insulto e la paura le fecero perdere la testa, Alcyone allora lo afferró per il bavero con violenza e gli sputò in faccia.

 

«Io sono Alcyone! Terza principessa del regno di Mazone, cugina della grande Raflesia. E ti odio e ti disprezzo! Sei uno sporco bastardo! Non basterà tutta l’acqua dell’universo per lavare il sudiciume che mi hai lasciato addosso!»

 

Harlock si pulì il viso, scuro in volto

 

«E allora perché sei venuta a letto con me?»

 

Alcyone rise, sprezzante. Il panico le aveva completamente offuscato la ragione «non lo indovini? Ora abbiamo un’arma che ti distruggerá! Raflesia ti schiaccerà come un verme!» Aveva iniziato a piangere istericamente.

 

«Mi fai schifo!» balbettó tra i singhiozzi. 

 

«Adesso finiscila, stupida smorfiosa!» le prese il polso, dando enfasi alle sue parole.

 

«Toglimi le mani di dosso! Verme! Bifolco! Viscido sporco bast…»

 

Lo schiaffo le giró il viso da un lato e inizió a comparire lo stampo delle cinque dita.

 

«Perdonami… non avrei dovuto.»

 

Alcyone piangeva.

 

«Ho fatto ciò che mi è stato comandato!» strilló «E ti odio dal più profondo del mio essere! Lo sai perché?» lo guardó con quegli incredibili occhi azzurri, che pareva dovessero lanciare fiamme da un momento all’altro.

 

«Perché io, la principessa, cugina della regina, mi sono innamorata di un rozzo e volgare pirata!»

 

Lesta gli sfiló la pistola dalla fondina puntandogliela al petto.

 

«Adesso mi lascerai andare, o giuro che ti sparo…»

 

«Ridammi la pistola. Ci stanno inseguendo sciocca, e poi non ne avresti mai il coraggio» porse la mano verso di lei.

 

«La trappola che Raflesia ti ha teso è diabolica… e non ti lascerá scampo…» parlava tra i singhiozzi, la pistola sempre puntata verso di lui.

 

«Di cosa stai parlando? Quale trappola?»

 

«Sono io… è dentro di me. Ed è parte di te… dammi la tua parola che mi lascerai andare… e ti prometto che faró tutto quello che mi è possibile perché il suo piano fallisca…»

 

Harlock non capiva. Alcyone era agitata, sembrava delirare, le sue parole non avevano senso.

Ma bisognava togliersi di lì al più presto.

 

«Non posso lasciarti andare. Verrai con me sull’Arcadia. Adesso abbassati!»

 

Un colpo di laser le sfioró la testa, facendole volare una ciocca di capelli.

Alcyone squittì spaventata, restituì l’arma ad Harlock e si nascose dietro di lui.

 

Chi diavolo aveva mandato Raflesia? Stava perdendo colpi anche la temibile regina di mazone.

 

Harlock rispose al fuoco: erano troppi, si erano ficcati in un viicolo cieco.

 

«Yattaran! Rispondi maledizione!»

 

Dopo minuti che sembrarono eternità la voce del comandante in seconda si fece udire

 

«ho bisogno di rinforzi! Abbiamo addosso l’intero esercito di Drask!»

 

«D’accordo capitano! …ecco fatto! Localizzato! Stiamo arrivando!»

 

E mentre si preparavano a soccorrere il capitano, Yattaran si chiedeva a chi fosse riferito quell’”abbiamo”, visto che Harlock era uscito da solo la sera precedente…

 

Il mezzo blindato guidato da Tadashi disperse il manipolo di soldati permettendo ad Harlock e Alcyone di salire a bordo, diretti a tutta velocità dov’era ormeggiata l’Arcadia che già manovrava per il decollo.

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Capitolo 10
*** A bordo ***


Alcyone si ergeva fiera davanti alla scrivania nelle stanze di Harlock, dietro di lui Meeme l’osservava, in silenzio.

 

«Cosa vuoi farmi? Uccidermi?» Una nota incrinata svelava la paura mal dissimulata, il ricordo dell’agente Shizuka ben piantato nella mente, come sinistro monito. I polsi stretti in un paio di manette, il cronografo che aveva usato per contattare Raflesia, sequestrato.

 

Harlock l’osservava, lo sguardo torvo, l’espressione tirata.

 

«Dipende da te. Voglio essere chiaro: esserti fatta scopare non ti procurerà nessun vantaggio. Ti conviene dirmi quello che sai, e tutta questa storia finirá col minor danno possibile per entrambi.»

 

Gli occhi di Alcyone correvano rapidi da Meeme ad Harlock e viceversa, senza fermarsi. Era spaventata, ma cercava disperatamente di darsi un contegno.

 

«Ti ho detto la verità! Ho solo obbedito ad un ordine! Dovevo sedurti… e tornare subito sulla Dorcas…»

 

«Un regalo di Raflesia? Mi ha mandato una puttana ad intrattenermi? Mi credi veramente così stupido?»

 

L’insulto la fece sussultare, strinse le labbra e le lacrime le salirono agli occhi, ma cercó disperatamente di non farle scorrere lungo le guance.

 

Meeme appoggió una mano sulla spalla di Harlock, come per trattenerlo dall’esprimere ulteriormente la rabbia, ma lui l’ignoró.

 

«Mi hai parlato di una trappola. Quale sarebbe? Non mi hai mai fatto domande, non hai mai cercato di carpire informazioni… ma uno scopo lo avevi. Dimmi qual’è!»

 

In trappola! Se avesse confessato, se gli avesse rivelato del bambino cosa sarebbe accaduto? L’avrebbe costretta a interrompere la gravidanza? O l’avrebbe uccisa, così da finire il lavoro in maniera pulita? In qualsiasi caso, era in un guaio tremendo e lei non era minimamente preparata ad affrontare una situazione simile.

 

Harlock si stava spazientendo.

 

«Hai detto di essere una cugina di Raflesia, quindi sei di sangue reale. Cosa puó portare la regina a sacrificare un membro della sua famiglia?»

 

«Tu non la conosci. Per lei non fa nessuna differenza che io abbia il suo stesso sangue. Siamo tutti pedine nelle sue mani. Ha deciso che io le sarei stata utile e questo è quanto.»

 

Battè una mano sul tavolo e si alzó: la pazienza era finita.

 

«Dimmi qual'è il piano della tua regina! Qual’è la trappola che hai contribuito a creare? In cosa consiste?»

 

Non c’era scampo. Che lei avesse parlato o meno il risultato non sarebbe cambiato, ma voleva assolutamente evitare che a farne le spese fosse la creatura che aveva iniziato a germogliare dentro di lei. Abbassó lo sguardo e due lacrime bagnarono il pavimento.

 

«Harlock aspetta…» Meeme attiró la sua attenzione «devo parlarti… è importante.»




 

Mentre Alcyone veniva riportata in cella, Meeme comunicava al capitano ciò che aveva appreso.

 

«Quella ragazza non ha cattive intenzioni, è pulita… anzi! Molto di più…»

Ma Harlock la interruppe.

 

«È una fottuta spia! Ci sono troppe cose che non vanno in questa storia, non farti ingannare dal suo visetto angelico!»

 

«Non mi faccio ingannare! Ascolta: quella ragazza è sola e spaventata e… credo sia innamorata di te… ma non è solo questo.»

 

Harlock rise «Ci conosciamo da tre giorni! Gli amori facili non esistono! Che altro c’è?»

 

«Io… credo stia aspettando un bambino.»

 

Harlock trasalì, poi ribattè deciso «non puó essere!»

 

«Perché dici così? Come fai ad esserne sicuro?»

 

«Perché quando me la sono fatta, lei era vergine. E questo bambino non puó essere mio! Sono passati solo 3 giorni da quando abbiamo dormito insieme. È impossibile!»

 

«… Impossibile per una donna terrestre…»

 

Harlock si voltó, incredulo

«cosa vorresti dire? che…»

 

«Io dico che dovresti farla visitare. Se è come dico, la situazione cambia radicalmente.»






 

Acyone era sdraiata sul lettino dell’infermeria. Le erano state tolte le manette, medicata la ferita sul braccio.  Ora Zero l’osservava con dolcezza. Il viso di Alcyone faceva questo effetto: era talmente bella nei tratti, e dolce, che chiunque reagiva trattandola con gentilezza.

 

«Scopri la pancia cara, per favore…»

 

Harlock era alle spalle di Zero e osservava il monitor dell’ecografo, mentre il dottore muoveva la sonda sul ventre della ragazza. Quasi subito si fermó, e Harlock vide sullo schermo uno sfarfallío veloce.

 

«Non sono un ginecologo, ma posso affermare senza ombra di dubbio che qui abbiamo un bell’embrione di circa 8 settimane… Paragonato a una gravidanza terrestre, intendo. Come funziona nelle donne mazoniane non lo so… e se quel che dite è effettivamente quel che è accaduto, tutto puó essere…»

 

«Cosa intendi dottore?» Chiese Harlock allarmato.

 

«Che non esiste letteratura su una gravidanza generata da un umano e una mazoniana. I tempi potrebbero essere totalmente diversi. Alla luce di ció che sappiamo, questo bambino potrebbe essere tranquillamente tuo capitano. Altro, per ora, non posso dire.»

 

Alcyone cominció a singhiozzare

«non fategli del male! Vi prego! Lui non c’entra niente, non ha colpe!»

 

Meeme si avvicinó premurosa

 

«non preoccuparti, nessuno vuole farvi del male. Vedrai che risolveremo questa situazione…»

 

«…Ecco qual’era lo scopo, non è vero? Dovevi farti mettere incinta. Ma perché?» Harlock guardava furibondo Alcyone che singhiozzava tenendo il viso tra le mani, poi esplose:

 

«Un’arma!» Lo guardó con disperazione, il viso bagnato di lacrime «Raflesia voleva un’arma per ricattarti e al tempo stesso vendicarsi! Per lei siamo solo un esperimento e nulla più, ma io… »

 

Si tiró a sedere sul lettino

«se mi avessi ascoltata, se mi avessi lasciata andare, avrei cercato di risolvere la cosa! Invece adesso… è tutto perduto!»


________________




 

Trangugió l’ennesimo bicchiere di vino.

 

«Non esagerare… poi dormirai poco e male…»

 

«Aaaah Meeme! L’unica scopata senza sentimenti che mi sono fatto, e guarda che disastro…»

 

«Era  una trappola…»

 

«Si… e se avessi ragionato con la testa, invece che col cazzo, tutto questo non sarebbe successo… un figlio! Come posso crescere un bambino? Questa storia è surreale…»

 

«Non vorrai lasciare quel povero bambino nelle mani di Raflesia! E se dovesse fargli del male?»

 

«Certo che no! Ma poi? Dovrei tenere Alcyone con noi, non posso privare il bambino di sua madre…»

 

«Troveremo una soluzione! Per adesso bisogna pensare a come togliere il bambino alla strega.»

 

«Suppongo tu abbia ragione…»

 

«E Tadashi? I suoi sentimenti per la ragazza sono molto forti…»

 

Harlock alzó le spalle

«se ci riesce, puó prendersela. Non sono certo geloso. Magari togliersi lo sfizio gli calmerà i bollenti spiriti…»

 

«Sei cinico! Anche loro sono vittime di questo intrigo! E poi… tu e Tadashi non potete proprio fare a meno di misurarvi, ogni volta che c’è l’occasione…»

 

Harlock si voltó a guardarla «non sono io a cercare la competizione!»

 

«No, è vero. Ma questa volta la vanità ti ha presentato il conto. Se avessi rispettato i sentimenti del ragazzo…»

 

«Vuoi farmi sentire in colpa? Vuoi che vada da lei a convincerla di darsi a Tadashi? Potremmo farne un intrattenimento per la ciurma…»

 

«Stai diventando sgradevole, e questo mi fa pensare… sicuro non ti importi proprio nulla di lei?»





 

———————-





 

«… E così abbiamo a bordo la bionda bambolina… E bravo il capitano! Deve aver ascoltato il mio consiglio. Sarebbe stato uno stupido a non farlo. Chissà che numeri hanno fatto quei due…»

 

«Piantala Yattaran! Non sono fatti tuoi…»

 

«Stai calmo Tadashi! Riflettevo ad alta voce… beh, lo sapevo: nemmeno il capitano è fatto di legno, anche lui ha qualcosa di vivo dentro le mutande…»

 

«Sei disgustoso!»

 

«Non fare il moralista! Anche tu te la saresti ripassata, se ti avesse dimostrato un po’ di attenzioni… ipocrita! Non le toglievi gli occhi di dosso! D’altra parte, non è proprio possibile rimanere indifferenti davanti a un gran pezzo di sventola come quella…»

 

«Smetti di parlare così di lei!»

 

«Tadashi datti una calmata! Adesso che è qui puoi provarci anche tu… magari sei il suo tipo!»

 

Si intromise Kei

«Yattaran lo lasci in pace? Non lo vedi che è cotto? Chiudi il becco e non immischiarti in fatti che non ti riguardano!»

 

«Va bene, ok!» Rispose, alzando le mani in segno di resa «che noia! Tutti permalosi qui! Mai che si possano fare due chiacchiere tra uomini…»

 

Tadashi si era chiuso in un mutismo risentito. Sentir parlare di Alcyone come di una facile, gli faceva ribollire il sangue.







 

La notizia della gravidanza di Alcyone aveva fatto il giro della nave ed era arrivata alle orecchie di Tadashi.

 

E così Harlock aveva profanato quella creatura angelica… e nemmeno l’odio che nutriva per le mazoniane aveva spento la venerazione di Tadashi per Alcyone, che era semplicemente una vittima di quella pazza di Raflesia, e si era dovuta concedere ad Harlock per seguire il piano folle della sua regina.


Con un vassoio di dolci si stava dirigendo alla cella dov’era tenuta prigioniera. Non sapeva se la torta al cioccolato, i biscotti e il the nero incontrassero i gusti della ragazza, ma era sicuro che un gesto gentile le avrebbe fatto capire che non tutti la disprezzavano, su quella nave.

 

Tadashi si annunció, prima di aprire la porta della cella.

Alcyone aveva il viso arrossato: sicuramente si era consumata in lacrime, e questo non fece altro che aumentare i sentimenti di tenerezza del ragazzo.

 

«Ti ho portato qualcosa da mangiare» le rivolse un sorriso.

 

«Ti ringrazio, ma non ho molta fame…»

 

«Prova ad assaggiare qualcosa. Quando si è tristi i dolci aiutano a ritrovare il sorriso…» le posó in grembo il vassoio facendo attenzione a non versare il the.

 

Alcyone prese con la forchettina un’angolo di dolce

«…è buono. Grazie…» nuove lacrime le spuntarono.

 

«Hei! Non devi avere paura… nessuno ha intenzione di farti del male.»

 

«Non ho paura per me, ma per il mio bambino…» disse dopo aver assaggiato anche un sorso di the.

 

«Nessuno farà del male nemmeno a lui…»

 

«Sei sicuro? Io ho i miei dubbi…» soffió sul the che era ancora molto caldo.

 

«Certo che ne sono sicuro. Credi che Harlock voglia farti abortire suo figlio? Contro la tua volontà? Non è un mostro…»

 

«Forse non lo è… ma questo bambino per lui è una minaccia, un inganno… e poi, io sono una mazoniana…»

 

«Beh, ovviamente prenderà le sue precauzioni, ma non vi farà del male.» Si sedette accanto a lei.

 

«Grazie… Tadashi… ti chiami Tadashi, vero?»

 

Lui annuì «non ti ho tranquillizzata, non è vero?…»

 

«Sono in un guaio tremendo! Raflesia mi starà cercando, e sarà pazza di rabbia! Quando capirà dove sono, saprá anche che Harlock è venuto a conoscenza del piano ed io saró spacciata!» Alcyone lo guardava con gli occhi allagati di lacrime.

 

A Tadashi venne naturale farle una carezza e il contatto col viso accaldato di lei lo emozionó.

 

«Non devi stare qui dentro principessa… »

 

«Io non devo proprio stare qui! Mi devi aiutare Tadashi… ti prego!» Lo guardava implorante.

 

«Cosa vorresti da me?»

 

«Devi aiutarmi a scappare! Posso ancora rimediare… posso convincere Raflesia di non avere rivelato nulla, ma più tempo passo a bordo di questa nave meno credibile sarà la mia versione…»

 

Tadashi sospiró: avrebbe fatto qualunque cosa per quella ragazza «Potrei anche farlo, ma tu capisci che non posso esporre il mio capitano e i miei compagni, e dare un’arma contro di noi a quella strega?»

 

Alcyone si inginocchió tra le sue gambe, gli prese le mani e gliele bació

«ti giuro su questo bambino che faró qualsiasi cosa per evitare che diventi lo strumento di vendetta di quella pazza! Credimi!!!»

 

Tadashi non disse nulla.

 

«Io ti piaccio, non è vero?» chiese Alcyone.

 

«Si è vero, mi piaci moltissimo…» esitó prima di continuare «ma ho già esperienza con donne della tua razza… e non sono state piacevoli.»

 

Alcyone si sporse e lo bació con dolcezza, premendo la bocca sulla sua indugiando, con un sospiro. Fu come offrirsi su un piatto d’argento, e Tadashi ne approfittó solo un po’, insinuando la lingua nella bocca di lei, assaggiandola con voluttà, concedendosi la realizzazione di un piccolo desiderio, alla faccia di Harlock.

 

«…non siamo tutte uguali Tadashi. Io non sono una spia, ero semplicemente la dama di compagnia di mia cugina. Non volevo ingannare Harlock… ma non ho avuto scelta, non l’avrei mai fatto altrimenti. Credimi!»

 

Gli occhi di Alcyone erano del tutto privi di malizia

«io ti credo. Ma stai chiedendo molto… tradirei il mio capitano. Non me lo perdonerebbe…»

 

«… Mi vuoi? Se mi concedo a te, mi aiuterai?»

 

Sarebbe stato da vigliacchi approfittarsi di lei in quelle circostanze: Alcyone gli piaceva veramente, e più la conosceva più il sentimento si intensificava.

 

«No. Non sei un oggetto, non voglio approfittare della tua situazione per soddisfare capricci sessuali. Ti aiuteró senza condizioni.» Prese la decisione proprio in quell'attimo, d’impulso, senza pensare alle conseguenze.

 

«Sei un ragazzo speciale Tadashi… grazie. Lo meriteresti più di Harlock il mio amore…»

 

Il sorriso di lei lo ripagó di tutto: le fossette che le si formavano sulle guance, i denti perfetti, bianchi come neve, e gli occhi azzurro intenso che lo guardavano con infinita gratitudine… vederla sorridere era una visione che scaldó il cuore di Tadashi.





 

Tadashi era scuro in volto, e guardava Harlock con espressione cupa.  

Non riusciva a perdonargli di essersi preso la ragazza, lui non la meritava. Non apprezzava ciò che era, non capiva minimamente che prezioso animo si nascondesse sotto l’aspetto dolce ma sensuale di Alcyone.

È vero: non l’aveva costretta, era stata lei a buttarsi tra le sue braccia, quasi pregandolo di prenderla, ma ugualmente non riusciva a farne una colpa ad Alcyone, ma addossava a lui ogni responsabilità. E adesso esisteva un legame tra i due, un legame eterno rappresentato dalla minuscola vita contenuta nel grembo della ragazza. Una fitta di gelosia gli trapassó il cuore, dolorosa e nostalgica. 

 

«Perchè? Non l’hai mai fatto, dovevi cominciare proprio con lei? Proprio con Alcyone dovevi iniziare a scopare per puro divertimento?»

 

Lo guardó infastidito. Sapeva che Tadashi provava dei sentimenti per la ragazza, ma era stato proprio lui a confessargli che Alcyone aveva espresso il desiderio di farsi portare a letto.

 

«Comprendo il tuo disappunto, ma ormai mi sembra tardi per le rimostranze. Non mi importa nulla di lei, puoi prendertela, se proprio ci tieni.»

 

«Se non fossi il mio capitano, ti farei ingoiare i denti, sappilo! Non merita di essere trattata così! Tra non molto ti darà anche un figlio…»

 

«…un figlio che non ho cercato! È stato estorto con l’inganno! Spero che te ne renda ben conto prima di sputare accuse… E non l’ho certo costretta.»

 

Tadashi prese la porta, prima di commettere gesti di cui poi si sarebbe potuto pentire.



 

Gaia e Phebe si erano insospettite, quando, la mattina dopo l’avevano chiamata ripetutamente non ricevendo risposta. La porta della sua stanza era chiusa, e avevano deciso di aprire comunque usando il passepartout.

Il letto perfettamente rifatto, la porta finestra lasciata aperta: o era scappata o era stata rapita.

La prima opzione sembrava la più logica.

Ovviamente erano state duramente riprese da Raflesia, furibonda per questo colpo di testa della cugina. Ormai era palese: si era innamorata di Harlock! Cosa diavolo avesse quell’esemplare di maschio terrestre per rimbambire così tutte quelle chi ci passavano insieme più di qualche ora, rimaneva un mistero!

Alcyone era fuggita con lui? Oppure si era presa del tempo per farsi ripassare per bene? 

 

Aveva più volte provato a contattarla, ma il cronografo che aveva dato alla ragazza risultava spento. La catenina con la piccola telecamera era rimasta appoggiata sul comodino accanto al letto della ragazza.

 

Livida di rabbia aveva ordinato a Gaia di cercarla e subito le due donne erano corse allo spaziporto: se la principessa era col pirata, prima o dopo uno dei due sarebbe stato visto entrare sull’Arcadia, ma con sgomento avevano scoperto che la nave pirata era salpata poche ore prima.

 

Rapita o fuggita di sua volontà?

 

Dalle voci raccolte in giro, il pirata era stato costretto ad una fuga improvvisa.

 

Alcyone incinta era il bene più prezioso e andava recuperata ad ogni costo! Sempre che quella stupida, innamorata e succube del pirata, non rivelasse del suo stato e del piano. E c’era da scommetterci che se passava troppo tempo a contatto con Harlock avrebbe certamente parlato.



 

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Capitolo 11
*** Libera? ***


Non voglio andare

Come fumo, che scappa dalla finestra aperta

Vorrei restarti attaccata

Aderente come seconda pelle

Respiro

Mio padrone

Che ormai regni sul mio cuore

C’eri, anche quando non eri

Ora

Domani

Sempre





 

Rannicchiata sulla branda della cella, le ginocchia raccolte al petto e lo sguardo basso. Alcyone si trovava così quando Harlock entró per parlare con lei.

 

«Puoi trasferirti in una cabina per l’equipaggio, se lo desideri.»

Meeme era stata martellante su questo punto, l’aveva tormentato sino a farlo capitolare.

 

Non sollevó il capo ne pronunció parola.

 

Harlock le si sedette vicino.

 

«Più tardi Zero vorrebbe visitarti. È preoccupato per la tua salute. Devi mangiare… non solo per te.»

 

Lei continuava a non alzare il viso.

 

«Alcyone… guardami.»

 

Allora alzó gli occhi, che erano carichi di diffidenza e paura.

 

«Sei prigioniera, per ora. Ma non voglio farvi del male… hai capito?»

 

«Che intenzioni hai? Dimmelo…»

 

«Partorirai qui. Dopo potrai tornare da Raflesia… se vorrai.»

 

«Mi ucciderà, lo sai vero? A quest’ora immaginerà già che io abbia rivelato il suo piano…»

 

«E cosa vorresti fare?»

 

«Lasciami andare! Ti prego!»

 

A Tadashi aveva mentito: non era vero che non gli importasse niente di lei; amore o meno, portava in grembo suo figlio, bastava questo a fare di lei una donna importante, suo malgrado.

Era stato proprio il candore della ragazza a fargli abbassare la guardia, a convincerlo della sua buonafede, questa sua estrema fragilità e la paura che adesso nutriva di lui, avevano contribuito a conoscerla un po’ meglio; e poi Meeme non sbagliava mai quando guardava nell’animo delle persone.


«Se le circostanze fossero diverse lo farei. Ma sei stata tu a dire che Raflesia aspetta questo bambino per farne un’arma contro di me. Non lo posso permettere, lo capisci?»

 

«No! Sei tu a non capire!»

 

Stava ricominciando a piangere.

«Basta con queste lacrime! Ti stai torturando e tutto questo non fa bene al tuo bambino! Devi pensare a lui…»

 

«Lo puoi dire sai? “Nostro” bambino… perché è quello che è. E certo che ci penso! A questo punto è l’unico motivo che mi fa apprezzare la vita.»

 

Lo guardó talmente intensamente che non potè fraintendere: quella ragazza era veramente innamorata di lui, e uno dei motivi del suo dolore era la granitica certezza che non si sarebbe fatto scrupoli a toglierle la vita.

 

«Ascoltami: io non voglio farti del male, mi credi?»

 

Con un filo di voce replicó

«Tu hai ucciso Shizuka… io la conoscevo, sai? E mi aveva parlato di te… di come tu l’avevi amata… e per un periodo resa felice. Ma non ti sei fatto scrupoli poi a toglierle la vita… e se sei stato capace di farlo a una donna che amavi, cosa puó trattenerti dal farlo a me? Che non sono niente, se non il mezzo della regina che vuole distruggerti?»

 

«Namino è un’altra cosa. È stata lei a voler morire… ed è una storia a cui non voglio più pensare.»

 

Alzó una mano per farle una carezza, ma lei si ritrasse, spaventata, allora la prese per le spalle, con quanto più garbo gli consentissero i suoi modi, e la bació sulla bocca.

 

«Sei più tranquilla adesso?»

 

Ora le leggeva confusione negli occhi

 

«Ti stai prendendo gioco di me?»

 

Harlock scosse il capo. Come era possibile? Avevano avuto un’intesa invidiabile tra le lenzuola, mentre a parole non riusciva a farsi capire.

 

«No Alcyone… principessa…» sorrise «cerco solo di farti capire che qui non corri alcun pericolo. Ne tu, ne… nostro figlio.» Sottolineó “nostro”.

 

Ora sembró comprendere, e le vide il viso più rilassato.

 

«Allora, puoi ascoltarmi ora?» Chiese speranzosa.

 

«Certo… cosa vuoi dirmi?»

 

«Voglio essere onesta con te. Ho cercato di corrompere il tuo ufficiale scientifico…»

 

Harlock corrugó la fronte e Alcyone continuó

 

«mi sono offerta a lui se mi avesse fatta scappare. Ma non ha accettato… anche se mi avrebbe comunque aiutata…»

 

Harlock ascoltava, serio e attento.

 

«Ma non voglio accettare il suo aiuto. Preferisco parlare con te.»

 

«Vai avanti» la esortó.

 

«Fammi tornare alla Dorcas. Li saró seguita dai nostri medici, sono più preparati del tuo dottore a seguire questa gravidanza “particolare”. Partoriró lì, per Raflesia, finché sono incinta, sono più preziosa di se stessa… saró al sicuro. Quando il bambino nascerá lo porteró a te. Io desidero questo per lui…»

 

Era sincera, di questo non dubitó nemmeno per un secondo.

 

«Ti separerai da tuo figlio per darlo a me? Alcyone, il legame che sentirai con lui non te lo permetterà… »

 

«No! Io voglio che stia bene, è l’unica cosa di cui m’importa. Che vita avrebbe nelle mani di Raflesia? Lo devi crescere tu! Ci terremo in contatto costantemente… fino al parto…»

 

«Troppe cose possono andare storte…»

 

«Faró in modo che vada tutto bene. Credimi!»

 

In pochi giorni Alcyone era maturata in maniera incredibile.

 

«C’è qualcos’altro che devi sapere…» Sospiró, non sarebbe stato semplice spiegarsi.

 

«Riguarda Raflesia. Lei non è ciò che sembra.»

 

«Che vuoi dire?»

 

«Non è la stessa persona che hai affrontato in duello tempo fa. È cambiata… qualcosa l’ha cambiata»

 

«Qualcosa?»

 

«Voci che girano da tempo, parlano di lei come di una sorta di demone. All’inizio non vi ho dato peso, ma adesso… credo siano vere. Lei non è più la stessa. Se ti nominassi tutte le cose orribili che ha fatto ultimamente…»

 

«Non è mai stata uno stinco di santo. »

 

«Lo so anch’io! Ma ora… nessuna vita per lei ha valore. A volte ho pensato che non le importi nemmeno della sua… ha un’unica ossessione: ti vuole annientare ad ogni costo, nessun prezzo è troppo alto per raggiungere il suo scopo. Tieni a mente queste cose…»

 

«Va bene, lo terró a mente. E ti prometto che penserò alla tua richiesta…»

 

«Harlock…»

 

«Dimmi…»

 

«Io ti amo. E non sono sciocchezze… ti amo sul serio.»

 

La lasció sola, coi suoi pensieri.






 

«Dobbiamo cercare la Dorcas?» Yattaran ripetè l’ordine appena rivevuto, incredulo.

 

«Sì vice comandante, hai capito bene.»

 

«Ha a che fare con la bambolina bionda, non è vero?»

 

«Sì, è per lei…»

 

«Beh, ci vorrà un po’… sono giorni che navighiamo in direzione opposta…» Yattaran non aveva peli sulla lingua  «vogliamo chiedere un riscatto?»

 

«No, nessun riscatto. La principessa Alcyone torna a casa…»

 

«Cosa?!?! Ma sei impazzito, capitano? Non è un’arma della regina? E vorresti ridargliela? Armare la sua mano contro di noi?!»

 

Harlock lo guardó, ma non aggiunse più nulla, mentre Yattaran continuava a borbottare, incredulo, e non era il solo. Solo Tadashi sembrava accettare di buon grado la sua decisione.







 

«Quella ragazza ci sta solo portando un sacco di guai!» sbottó Yattaran, gettando sul tavolo un’asso di picche.

 

«Il capitano si sollazza e noi paghiamo… questa cosa non mi va giù…» rispose il capo ingegnere, raccogliendo le carte della mano che aveva appena vinto. «Andare in bocca a Raflesia per ridarle l’arma che ha innescato contro di noi… e non è lo scontro diretto con l’ammiraglia della regina che mi preoccupa…» borbottó «ma quel che accadrà con quel bambino… cosa ne vorrà fare la strega?»

 

Yattaran sbottó «ci ho rinunciato! Sono grane del capitano, non ho intenzione di passarci un secondo di più a pensare…» intanto stava rimescolando le carte «eseguiró gli ordini come sempre… l’importante è che non si faccia troppo rimbambire da quella femmina…» intanto distribuiva le carte.

 

Tadashi raccolse le tre carte e ne controlló il seme. Una buona mano.

 

«Metti in dubbio la serietà del capitano?» chiese, riflettendo su quale delle tre carte mettere sul piatto insieme alla prima puntata.

 

«non metto in dubbio la sua serietá, ma il potere di quella femmina di circuirlo…»

 

Tadashi alzó lo sguardo dalle carte «la principessa Alcyone non è quel genere di donna, stanne sicuro.»

 

Il capo ingegnere ridacchió sarcastico «perché? la conosci così bene? Ha rimbambito anche te quella biondina dai modi aristocratici? E non avertene a male, ma è solo buona per una scopata. Le mazoniane sono infide e vanno trattate come meritano…»

 

«Modera il linguaggio! La conosco certamente più di te! Ci ha rivelato informazioni importanti, sta tradendo la sua gente, nonostante tutto… è una creatura dolce e gentile. E non dimenticare: darà un figlio ad Harlock. Non parlare più così di lei!» Il tono di Tadashi era calmo, ma il suo sguardo prometteva la rissa.

 

«Pensiamo a giocare! Avanti Yattaran, sto aspettando la tua puntata!»







 

«Harlock cosa farai quando avremo ritrovato l’ammiraglia di Raflesia?»

 

Alcyone era stata invitata nella cabina di Harlock per consumare i pasti, e si stava pulendo le labbra dopo aver bevuto un sorso d’acqua.

 

Guardarla mangiare era un delizioso intrattenimento, e Harlock non aveva toccato cibo, incantato dalle mani della ragazza e dai suoi modi delicati e raffinati..

 

“Domani inviteró anche Tadashi… apprezzerá questo spettacolo…”

 

«Lascia fare a me… le faró credere di averti catturata e interrogata senza estorcerti nulla, tranne il tuo rango. La convinceró di averti trovata inutile, al punto da restituirti come un pacco respinto… Nemmeno a letto sei stata soddisfacente, e poi ti ho scaricata come la peggiore delle puttane.»

 

Alcyone lo guardó sgomenta, occhi e bocca spalancati.

 

Harlock scoppió a ridere e Alcyone non la prese bene. «Non mi sbagliavo! Sei un cafone rozzo e volgare!»

 

«Stavo scherzando! Sei troppo permalosa principessa. Adesso finisci di mangiare, Zero ti aspetta per visitarti.»

 

«Ancora? Ogni tre giorni un’ecografia… mi sento una cavia da laboratorio!»

 

«È per il vostro bene, non fare la bambina.»

 

«E tu? Non hai mangiato nulla…» rispose Alcyone portandosi in bocca, con estrema grazia, un pezzetto di mela.

 

«Ero troppo occupato a guardare te. Sei un vero spettacolo…»

 

«Mi prendi in giro?»

 

«Affatto. Si vede che sei una principessa. Non ho mai apprezzato le donne volgari, tu sei squisitamente elegante e raffinata. Guardarti mangiare è un piacere per gli occhi…»

 

A quel complimento Alcyone arrossì.

 

«D’altra parte la tua eleganza sei riuscita a dimostrarla anche in momenti più intimi…»

 

«Non mettermi in imbarazzo, te ne prego…»

 

«Se tutto andrà per il verso giusto, tra qualche tempo mi renderai padre, e ancora pensi all’imbarazzo?»

 

Aveva certamente ragione, ma si sentì ugualmente sprofondare dalla vergogna. Quando l’aveva sedotto stava eseguendo un ordine, non c’era stato tempo per riflettere su quanto stava succedendo, ma adesso, che tutto si era rivelato, che poteva essere sincera e finalmente se stessa, quel che c’era stato aveva assunto un nuovo significato: non era certo nei piani che lei rivelasse della gravidanza, e meno che mai che passasse del tempo accanto a lui.

Soprattutto il bambino: prova concreta di ciò che avevano fatto, era lì a ricordarlo in ogni momento, a lei e a tutti coloro che l’avessero guardata. Già il ventre aveva assunto una dolce rotondità, i seni si erano fatti più pieni, la pelle più rosea e gli occhi più brillanti… insomma, se possibile era diventata ancora più bella.

Se non fosse per lo spettro di Raflesia che incombeva come uccello del malaugurio, si sarebbe potuto tranquillamente affermare che la principessa Alcyone fosse pienamente felice e in salute. E con lei il suo germoglio, che cresceva quasi a vista d’occhio.




 

«C’è qualcosa di strano…» borbottó Zero, con la provetta del sangue di Alcyone messa in controluce per osservarla meglio.

 

«C’è qualche problema?»

 

«Guarda tu stesso, capitano…» avvicinó la provetta, che a prima vista sembrava come sempre, fluido verde smeraldo. Ma ad un esame più attento si potevano scorgere sottili fili scarlatti.

 

«… sembra che il bambino stia cambiando il plasma materno… ma la madre pare godere ottima salute.»

 

Zero osservó seriamente Harlock prima di aggiungere

«… devo essere onesto capitano: è un miracolo che il corpo della ragazza abbia accettato un dna così diverso dal suo. Quella strega di Raflesia sa qualcosa che noi ignoriamo. Questa gravidanza sarebbe dovuta finire spontaneamente subito dopo il concepimento.»

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Capitolo 12
*** Verso casa ***


«Sta bene, il mio bambino?» chiese Alcyone.


«Potrebbe anche essere una bambina…» rispose Zero, sorridendo.

 

«È un maschio» affermò sicura Alcyone.

 

«E come lo sai? Intuito di madre?» Zero sorrideva, intenerito dal discorso della giovane.

 

«No. Me lo ha detto lui.» rispose in modo assolutamente tranquillo.

 

Zero e Harlock dapprima si guardarono, poi la fissarono in silenzio. Alcyone li osservava, di rimando, con aria interrogativa, stupita da quella reazione.

 

«A volte mi parla… ma non proprio a parole… le intuisco tramite sensazioni, immagini che mi suggerisce… non succede così, alle vostre madri in attesa?»

 

«Sei sicura di sentirti bene? Per voi mazoniane è normale succeda questo?» cercó d’indagare Zero.

 

Alcyone alzó le spalle, era la prima volta che viveva una simile esperienza.

 

Zero cercava di comprendere se la ragazza soffrisse di allucinazioni, ma sembrava perfettamente presente a se stessa.


«il bambino sta bene, cresce a un ritmo accelerato, ma gode ottima salute…» concluse Zero, rimettendo a posto l’ecografo.

«Anche tu sembri stare bene…»

 

«Oh, io sto magnificamente!» Rispose Alcyone, ricomponendosi.

 

«ottimo! Meglio così… è molto interessante notare come il bambino sia una perfetta sintesi di entrambi. È come se cercasse di rendere la natura mazoniana della principessa più simile a quella del padre… una perfetta mescolanza di entrambi, senza far prevalere nessuna delle due. Lo definirei un processo altamente democratico…» concluse allegro.

 

Harlock che era sempre presente, osservava l’immagine che ancora rimandava il monitor dell’ecografo: il visetto del bambino si poteva scorgere con facilità.

 

Alcyone era di ottimo umore, con fiducia attendeva il momento in cui avrebbero intercettato la Dorcas. Non le andava per niente di tornare a casa, ma lo faceva per la salute del suo bambino che era divenuta in pochissimo tempo l’unica priorità.



 

Nel pomeriggio la Dorcas spuntó sull’orizzonte cosmico, un puntino sul radar a lunga portata.

 

«La Dorcas è direttamente avanti a noi, ad appena 2 parsec.» Annunció Yattaran.

 

Harlock annuì, soddisfatto: «Avviciniamoci a portata di comunicazione.»



 

Quando Alcyone venne avvisata, un’improvvisa inquietudine s’impadronì di lei, ansia e nervosismo, che attribuì all’avvicinarsi del suo incontro con Raflesia. In realtà questa sgradevole sensazione aveva origini molto diverse, ma ancora lei non ne era a conoscenza.

 

Harlock non voleva che il loro avvicinamento fosse troppo repentino: non doveva trapelare l’urgenza, non doveva destare troppo l’attenzione di Raflesia.

 

L’avvicinamento a velocità sostenuta duró un paio di giorni.




 

«sappi che lo faccio malvolentieri. Lasciarti andare con mio figlio mi costa tanto… ma voglio fidarmi di te.»


Si voltó a guardare Alcyone negli occhi, prima di dare l’ordine di aprire il collegamento con la Dorcas.

 

«Non useró parole gentili.»

 

Alcyone annuì.

 

«Apri la comunicazione Kei.»

 

Il viso di Raflesia riempì lo schermo.

 

«Salute regina»

 

«lascia perdere i convenevoli. Hai qualcosa che mi appartiene e la rivoglio!»

 

Harlock sorrise beffardo

«una bella ragazza, non c’è che dire. Ma mediocre sgualdrina e totalmente inutile come informatrice. Non serve a nulla: non vale nemmeno la spesa in vitto e alloggio. La qualità è calata di molto, dopo Shizuka. Adesso mi mandi anche gli scarti della tua famiglia?»

 

«Quella stupida si è solo ribellata ad un matrimonio combinato. Non gradiva lo sposo e ha preferito scappare. Adesso che si è data a te, il matrimonio, ovviamente, va in fumo. La puniró duramente e poi passerá la vita in un monastero di clausura.»

 

Raflesia, invece di infuriarsi, giustificava la cugina. Ottimo: si era bevuta la versione di Harlock, Alcyone aveva una speranza.

 

«per una volta ci troviamo d’accordo. Vieni a ritirarla tu, o devo mandarla io?»

 

«non t’incomodare! Invierò una navetta a prenderla. Hai la mia parola che non ci saranno azioni offensive… è pur sempre un membro della famiglia reale.»

 

Raflesia chiuse la comunicazione senza commiato.

Harlock era soddisfatto.

 

«Pare che tutto stia filando come previsto» era rivolto ad Alcyone «non sospetta nulla. Puoi tornare a casa tranquilla.»



 

Raflesia chiuse la comunicazione più rilassata. Sembrava che quella sciocca non avesse rivelato nulla del piano, nonostante la permanenza a bordo dell’Arcadia. Se Harlock avesse saputo che Alcyone era in attesa di un figlio suo, non l’avrebbe certo lasciata andare così facilmente. Sembrava anche godere di ottima salute.

 

«Mimas!» chiamó «avvisa lo staff medico: appena la principessa sarà ritornata dovranno provvedere a un check up completo…»

 

«agli ordini, mia regina!»





 

“Accudiró questo piccolo bastardo meglio della madre… dovrá divenire il mio capolavoro… » 

 

Un burattino plasmato come creta tra le sue mani, il risultato di un esperimento senza precedenti, e lo strumento della vendetta perfetta. Che colpo magistrale! Quale sublime dolore avrebbe inferto a quel maledetto pirata? Avrebbe prima giocato coi suoi sentimenti, e poi tolto di mezzo per mano del suo stesso figlio! 

 

Rise sguaiatamente, nella solitudine della sala del trono. Poi, quasi sovrappensiero, con un’unghia affilata della mano destra, incise un solco sul polso sinistro.

Quando il sangue apparve, famelica si avventó con le labbra avide, a succhiare con voracità il suo stesso sangue.

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Capitolo 13
*** Separazione ***


Erano solo pochi giorni che era tornata sulla Dorcas, e già sentiva che qualcosa non andava.

Stanca, depressa, l’appetito che fino a pochi giorni prima non le mancava era scomparso.

 

Possibile? La nostalgia per Harlock l’aveva trasformata in una tredicenne alla prima delusione amorosa? Era sciocco negarlo: allontanarsi dal padre del suo bambino era stato doloroso, ma sapeva che non sarebbe stato per sempre; quindi questa reazione psicofisica era smodatamente esagerata.

No. Dipendeva da qualcos’altro.

 

Ogni settimana si sottoponeva ad un controllo accurato: il bambino cresceva sempre vigoroso, ma lei ne risentiva, seppure le analisi e i parametri biomedici fossero perfetti, Alcyone languiva.

 

Il bambino aveva perso il brio che lo caratterizzava sull’Arcadia: comunicava spesso, si muoveva molto e reagiva alle voci di Alcyone e di Harlock. Ora sembrava addormentato. Da cosa poteva dipendere?

 

Spesso Alcyone, nella solitudine della sua lussuosa stanza, passava il tempo accarezzando il ventre che si faceva più tondo e parlava con dolcezza al suo bambino: quel bambino così speciale perché figlio dell’unico uomo che avesse mai amato nella sua vita fino a quel momento. Prezioso e amato perché era un legame forte, indistruttibile con l’uomo più straordinario che avesse mai conosciuto e non ultimo perché creatura unica nel suo genere.

 

Ma il bambino non rispondeva più come prima e questo la preoccupava tanto.




 

«Harlock, sei molto taciturno da quando Alcyone è tornata dalla sua gente… sei preoccupato per il bambino?»

 

Il bicchiere nella sua mano, contenente il rum, era rimasto imbevuto da quando l’aveva riempito. Il ghiaccio si era disciolto senza che ne portasse alle labbra una sola goccia.

 

«Non posso farne a meno. Temo per loro… non avrei dovuto lasciarli andare…» disse sospirando.

 

Meeme amava molto Harlock, e vederlo in quello stato, percepirne i tormenti, l’addolorava.

Avrebbe voluto aiutarlo, fare qualcosa di concreto per lenire le pene del suo cuore, ma sembrava impossibile in questa circostanza.


«Alcyone aveva promesso di farsi viva… sono passate diverse settimane, eppure…»

 

«lo so… per questo sono in pena. Non si è più fatta sentire… spero non sia successo loro qualcosa di brutto.»

 

«Raflesia non metterebbe a rischio la sua arma. È improbabile che faccia loro del male…» riflettè l’aliena, nel tentativo di incoraggiarlo.

 

Harlock si alzó, inquieto e nervoso, abbandonando il bicchiere col liquore oramai caldo, sul tavolo.

 

«Come posso fare affidamento su Raflesia? Hai scordato gli avvertimenti di Alcyone?»

 

Meeme non rispose, turbata.

 

Una chiamata dalla plancia interruppe il loro colloquio

 

«Capitano, la principessa Alcyone chiede di parlare con te…»

 

«Passami immediatamente la comunicazione Kei!»

 

Alcyone comparve sullo schermo del terminale.

 

Era pallida e smunta. Occhiaie profonde le cerchiavano lo sguardo.

 

«Harlock!» un debole sorriso le illuminó il viso pallido e smagrito.

 

Trovare la principessa così diversa dall’ultima volta che l’aveva vista, lo turbó profondamente.

 

«come stai Alcyone? State bene?»

 

«non lo so… è cambiato tutto. Ci manchi… credo sia principalmente questo. Ma non sta andando per nulla bene. Sono preoccupata per il bambino.» fece una lunga pausa, poi proseguì «abbiamo bisogno di vederti…»

 

«dimmi solo dove e quando! Raflesia vi ha fatto del male?»

 

«no… anzi. Non ci fa mancare nulla, sono nelle mani dei suoi medici: i migliori. Ci fa preparare pasti di ottima qualità, ma non ho più appetito. Non riesco a mangiare quasi nulla…»

 

Cosa stava accadendo? Perché la salute di Alcyone era così peggiorata da quando si erano lasciati?

 

«Harlock, cercheró di organizzarmi perché ci possiamo incontrare. Aspetta una mia chiamata nei prossimi giorni. Ora devo andare.»




 

Zero incroció le braccia e rifletteva.

 

«Allora? Cosa sta succedendo ad Alcyone? Dottore, che ne pensi?»

 

«Difficile formulare ipotesi: questa gravidanza è eccezionale sotto tutti gli aspetti. Il vostro bambino è molto speciale… sensibile oltre misura. L’unica ipotesi che posso azzardare è che la vostra separazione abbia influito negativamente. Sembra che abbia bisogno della presenza contemporanea di entrambi i suoi genitori. Ma è solo un’opinione azzardata…»

 

«no, non è affatto azzardata come ipotesi…» Meeme aveva avuto un’intuizione, chiara e limpida: Zero non si stava sbagliando.

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Capitolo 14
*** L’amore di Tadashi ***


Ecco a cosa aveva portato tutto questo.

La sua Alcyone… sì, sua! Non del capitano.

Gli avrebbe dato un figlio, ma lei no: non sarebbe mai appartenuta a lui, perché non sarebbe mai riuscito ad amarla con l’intensità della quale, invece, Tadashi era capace.

Avrebbe dato la vita per lei, coperta d’attenzioni e di baci, trattata come meritava: da vera principessa qual’era.

 

A volte si era pentito di averla rifiutata, quella volta che si era offerta a lui, umiliandosi.

A volte aveva sognato come sarebbe stato appagante fare l’amore con lei: invece, per rispetto, si era accontentato di un bacio, quell’unico bacio che era riuscito a rubare a quell’angelo biondo.

 

Ricordava perfettamente il sapore dolce della sua bocca, la delicatezza delle labbra, il suo sospiro intriso di suppliche… dolce, bellissima principessa Alcyone…


Quando aveva saputo delle precarie condizioni di salute della sua principessa, una furia improvvisa gli aveva scatenato un tornado di pensieri negativi.

 

Harlock: tutta colpa sua! Questa gravidanza la stava uccidendo! Il prodotto di quell’unione sbagliata, le trame infide di quella pazza di Raflesia, stavano uccidendo quel prezioso, candido fiore. Ma non sarebbe finita così, non poteva finire così!

 

A questo punto, nemmeno mettere le mani addosso ad Harlock l’avrebbe soddisfatto; anche se la voglia di sfogare la rabbia e la frustrazione era tanta, troppa: menare le mani e procurarsi un provvedimento disciplinare non avrebbe certo risolto la situazione.

 

«Amore mio… » lo sguardo perso oltre l’obló della sua cabina, cercare affannosamente la prigione della sua Alcyone.

 

Aveva senso struggersi per lei? Lei che amava solo Harlock? No, eppure non poteva farne a meno.

A volte fantasticava su come sarebbe stato bello se lei si accorgesse di lui: venire preso in considerazione come compagno… ma era una sciocca utopia. 




 

Harlock sgomitava tra la folla del mercato, cercando con lo sguardo la donna. 

Gli indumenti anonimi dovevano celare la sua identità e non attirare l’attenzione.

Si fermó nei pressi della stazione di rifornimento, accanto alla birreria, e lì la vide.

La figura alta e sottile avvolta nel lungo manto di lino chiaro, con un largo cappuccio di pizzo traforato a nascondere il volto e ripararlo dal sole.

Una ciocca bionda era sfuggita dalle ombre che proiettava sul viso il copricapo e brillava di quell’inconfondibile riflesso rosato, a rivelare l’identità della sua proprietaria.

 

Harlock si diresse verso di lei, che sussultó d’emozione appena lo riconobbe.

«Alcyone… »

 

Lei si trattenne dall’abbracciarlo col trasporto che avrebbe desiderato.

Si limitó ad abbassare il capo in segno di saluto

«Allontaniamoci di qui…»

 

Senza dare nell’occhio si immersero nel fiume di folla che animava i mercati, in breve tempo si confusero perfettamente tra le migliaia di individui.

 

Camminarono sinché Alcyone si fermó, fuori cittá, nei pressi di una fattoria isolata.

 

«Ecco, possiamo fermarci qui.»

 

Si diresse senza esitare alla porta e diede due colpi decisi.

Aprì una giovane mazoniana che appena lo vide avvampó e abbassó lo sguardo, per poi sparire al piano superiore.

 

«Ayura, la mia ancella. Qui possiamo stare tranquilli.»

 

Alcyone si tolse in fretta la veste di lino, osservó Harlock e poi gli gettó le braccia al collo, con un singhiozzo.

 

«Grazie! Mi sento già meglio… sei come aria pura e fresca!» E appoggió il capo sulla sua spalla.

 

Harlock notó che il ventre aveva assunto una bella rotondità, ora evidente senza il largo manto.

 

Si sedettero l’uno di fronte all’altra. Ayura aveva preparato una caraffa con una bibita fresca, della frutta e pane appena sfornato.

 

L’emozione aveva tinto di un leggero rosa le gote della principessa. Harlock notó che nei pochi minuti trascorsi l’aspetto di lei era migliorato, seppur di poco.

Alcyone con naturalezza si sporse per baciarlo sulla bocca.

 

«Scusami… ne avevo… avevamo bisogno. Non hai idea di quanto mi senta meglio. Anche il nostro piccolo sembra più vivace! Sta scalciando! E mi è tornsto l’appetito!»

 

Afferró un grappolo d’uva e inizió a piluccare, col suo modo elegante e aggraziato.

 

«Che succede? Perché questi problemi di salute?» chiese Harlock. 

 

«Non ne ho idea. E non ne hanno idea nemmeno quelle dell’equipe medica. Brancolano nel buio, attribuiscono questo all’unicità del bambino.» Alzó le spalle, sconsolata.

«L’unica cosa di cui sono sicura è che stiamo bene solo accanto a te. È un dato di fatto.»

 

Harlock rimase in silenzio, guardando fuori dalla finestra.

 

«Hei, stai bene vestito così» osservó Alcyone, ora serena e felice di averlo accanto. Si riferiva ai jeans stinti e alla camicia bianca con le maniche arrotolate sino ai gomiti.

 

Si giró ad osservarla.

«Vieni via con me. Se è vero che starmi lontano vi fa del male, stare insieme sull’Arcadia eliminerà il problema…»

 

Ad Alcyone brillarono gli occhi di gioia.

«Oh mi piacerebbe tanto! Sarebbe così… bello! Peró…»

 

«Peró cosa?»

 

Alcyone non riusciva a mascherare il suo tormento

«Ho paura! E non per me… E se dovesse succedere qualcosa durante il parto, e il tuo medico non fosse in grado di intervenire? Il bambino potrebbe morire!»

 

«E se non ci arrivate al parto? Quando ti ho vista sembravi gravemente malata! Se dovesse succedervi qualcosa di brutto prima? Non voglio correre questo rischio!»

 

Poi cambió argomento

«Come hai fatto a convincere Raflesia a lasciarti andare?»

 

«Non è stato difficile: le ho semplicemente detto che sentivo di aver bisogno di cambiare aria, e i medici mi hanno appoggiata. Ancora non immaginano che il mio benessere dipende da te. Quando torneró ristabilita mi daranno ragione e non sospetteranno di nulla. Sono riuscita a scucire un permesso di una settimana. Ti prego: resta qui con noi!»

 

«Sono qui per questo… devo solo lasciare un paio di direttive al mio vice.»

 

«Dormirai accanto a me? Ti prometto che non faró assolutamente nulla per sedurti.»

 

Prese la sua mano e la accompagnó ad poggiarsi sulla rotondità della pancia. Immediatamente il cuore sussultó all’unisono con quello del bambino e una gioia indescrivibile investì entrambi.

 

Alcyone ebbe un capogiro e si appoggió ad Harlock.

 

«Ti senti poco bene?»

 

«No… al contrario!» Aveva ripreso colore, il viso era più pieno e le occhiaie sparite. La principessa rifulgeva nuovamente della sua incredibile bellezza.

 

D’un tratto sussultó spalancando gli occhi

«Harlock! È lui! Lui vuole che noi stiamo insieme… perché…» spalancó ulteriormente gli occhi e la bocca

«…perché tu… ci vuoi bene!» si portó entrambe le mani alla bocca «Lui lo sa! E vuole che stiamo insieme!»

 

Harlock aggrottó la fronte «chi sarebbe “lui”?»

 

«Il nostro bambino! È per questo che la mia salute ne risente: lui soffre se siamo lontani e questo si riflette su di me!»




 

Sdraiato accanto ad Alcyone che dormiva beata e serena, Harlock fissava il soffitto ripensando alle parole della ragazza.

 

Ancora doveva venire a patti con la realtà: a breve sarebbe diventato padre di un figlio che già si rendeva presente ancor prima di nascere.

Non era semplice da mandare giù: volente o nolente questo fatto avrebbe inevitabilmente portato ripercussioni sulla sua vita, e su quella del suo equipaggio.

Decidere di portar via Alcyone era un obbligo a cui sentiva di dover adempiere ed era sicuro di aver preso la decisione più giusta.

 

Si giró ad osservare la ragazza stesa al suo fianco.

Il fuoco del desiderio che li aveva portati a stare insieme quelle poche volte si era spento. Era naturale: nessun sentimento profondo lo univa a lei, quel che provava per Alcyone era affetto unito alla tenerezza del suo stato.

Era impossibile non affezionarsi a lei: il cinismo aveva lasciato il posto alla dolcezza nel comportamento della principessa.

Poteva comprendere il motivo che aveva portato Tadashi a perdere la testa per la giovane.

 

Il lenzuolo era scivolato lasciandola scoperta fino alla vita, Harlock la ricoprì, e nel farlo ne sfiorò il grembo.

Avvertì un fremito: evidentemente il bambino si stava muovendo; d’istinto accarezzó la pancia, e come era successo ad Alcyone, venne investito da un sentimento di profonda serenità, tanto da lasciarlo incredulo, ora comprendeva quel che doveva provare lei. Non interruppe il contatto, si stese nuovamente più vicino alla ragazza, con la mano sempre posata sul suo ventre e chiuse gli occhi, lasciandosi andare a quella sensazione di profondo rilassamento e si addormentó con la sensazione di pace più profonda che avesse mai sperimentato.

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Capitolo 15
*** Bambino Indaco ***


«Il piccolo dev’essere un bimbo indaco…» spiegó Meeme ad uno scettico Zero.

 

«Cos’è questa storia?» 

 

«I bambini indaco sono bambini che nascono con speciali doti spirituali. In genere quando la madre, durante la gravidanza, ha esperienze mistiche, o conduce una vita profondamente meditativa. Perlomeno era quello che succedeva tra la mia gente.»

 

«Ma in questo caso non vedo il nesso.» Zero era incredulo

«né il capitano né la principessa hanno questo tipo di condotta spirituale. Eppure il bambino sembra avere una coscienza superiore.»

 

«È proprio questo il punto: non loro, ma la loro unione è un’atto profondamente spirituale…»

 

Intervenne Harlock

«Non voglio deludere le tue nobili considerazioni, ma ti assicuro che questo bambino è stato concepito in modo tutt’altro che spirituale. Io ero presente…»

 

«Non mi sono spiegata bene: non è l’atto in se, ma il profondo significato della vostra unione. Due specie separate da miliardi di anni di evoluzione: cosí profondamente diverse, ma comunque capaci, nonostante tutto, di compiere un gesto d’amore. Questo è il catalizzatore che ha permesso a vostro figlio di essere così speciale.»

 

«Amore…» mormoró Harlock «non c’era amore nei nostri amplessi, solo attrazione fisica. Sei troppo ingenua Meeme.»

 

«Ti sbagli. Stai ragionando secondo il metro umano, che è molto limitato. Rifletti: in natura non c’è atto più generoso, e quindi d’amore, di quello di donare la vita. Non stiamo parlando di poesie romantiche, mazzi di fiori o dichiarazioni, ma della grandezza della creazione. Ed è altamente probabile che Raflesia sia stata a conoscenza di queste potenzialità.»

 

Meeme era stata estremamente illuminante e Harlock non obiettó.

 

Adesso aveva una specie di spiegazione, ma ciò non contribuiva a tranquillizzarlo.

 

Alcyone, testarda, aveva rifiutato di seguirlo: eppure farlo, avrebbe rappresentato la sicurezza del suo benessere e di quello del bambino.

Il parto si stava avvicinando, e questo portava numerose incognite: la principessa sarebbe riuscita nel suo intento? Sottrarre il figlioletto a Raflesia per portarlo a lui, suo padre? 




 

Come la volta precedente, allontanarsi da Harlock dopo aver passato del tempo insieme, stava causando conseguenze al suo stato di salute.

 

I medici di Raflesia erano giunti alla conclusione che ci fosse qualcosa, sulla Dorcas, di tossico per madre e figlio. Forse l’aria… ma trovare la vera causa sembrava impossibile. Potevano solo prepararsi al meglio assistendola nel parto che si approssimava di lì a un mese.

 

Alcyone si stava concedendo un bagno caldo, una delle poche cose in grado di darle piccoli giovamenti, quando una fitta la lasció senza fiato. Poi una seconda, e l’acqua della vasca inizió a tingersi di rosa.

Chiamó spaventata Ayura, e in pochi minuti medici e infermieri si precipitarono nelle sue stanze.


Raflesia era impaziente.

«La principessa non è in grado di partorire autonomamente. Dobbiamo ricorrere a un cesareo, o rischiamo di perderla.»

 

«Bene! Procedete allora! La salute di entrambi è prioritaria!»

 

Venne portata immediatamente in sala operatoria.

 

«È un problema con il plasma…» le due chirurghe di fiducia della regina bisbigliarono a bassa voce, mentre ad Alcyone veniva praticata l’anestesia.

 

«Dobbiamo fare in modo che non debba avere bisogno di una trasfusione, o saranno guai seri! Per madre e figlio…»

 

«Già… e se dovesse andare male qualcosa… La regina diventerebbe furibonda!»


L’incisione sul ventre di Alcyone produsse già il primo problema: collassó subito dopo che il bisturi incise le carni. Il medico rianimatore, con la fronte madida di sudore, fece il tutto per tutto e riuscì a scongiurare il peggio.

 

«Dobbiamo fare in fretta e ricucire!»

 

L’equipe medica reale era al massimo delle sue forze. Sapevano dell’importanza di madre e figlio, ma a questa emergenza medica nessuna di loro era preparata: la gravidanza per metà umana aveva generato variabili impreviste, e sapevano bene che avrebbero pagato con la vita se il bambino fosse morto.

 

In fretta il bambino fu estratto dal corpo materno mentre Alcyone era ancora sedata.

 

«Il bambino sta bene! Respira ed è vigile!»

 

Alcyone era priva di sensi e l’emorragia copiosa.

 

«Non smette di sanguinare! Che cosa sta succedendo? Presto! Richiudiamo!»




 

Nel limbo tra la vita e la morte Alcyone “vide” suo figlio.

 

La vita mi scivola tra le dita, mentre il mio bambino, il frutto di quell’unico mio amore non corrisposto, quell’amore a senso unico, si stacca da me. Un amore che ho sempre definito “amore di latta” perché era vero solo a metà.

Vedo i suoi occhi, tanto simili ai miei, guardarmi come se volesse trattenermi, ma non puó… sento il suo amore! È possibile? È possibile che un bambino appena nato abbia una simile consapevolezza? Che provi un sentimento così complesso? Chiudo gli occhi e allungo una mano verso di lui.

«Lukas!» lo chiamo… è questo il nome che ho scelto per te… non voglio lasciarti!

 

Non voglio abbandonarti… lei non ti ama, per lei sei solo uno strumento… ti userà, non capisce chi realmente sei… non posso andarmene adesso… non prima di portarti da tuo padre!

 

Gli occhi del bambino si riempiono di lacrime e inizia ad urlare, disperato, mentre Alcyone scivola nel sonno eterno.





 

E così Alcyone era morta. 

Raflesia si voltó verso l’ostetrica.

Strinse lo sguardo, mentre faceva scivolare il pugnale dalla manica.

La donna arretró, con gli occhi sbarrati, finché si ritrovó con le spalle al muro.

Raflesia, con un sorriso, estrasse il lungo pugnale e con un movimento fluido le taglió la gola, guardandola scivolare a terra lentamente in un lago di sangue color verde brillante, con l’espressione totalmente indifferente e priva di ogni emozione.

 

S’inginocchió accanto al corpo ancora caldo e intinse indice e medio nel sangue e si sfioró le labbra, come macabro rossetto, poi, con la punta della lingua le ripulì, assaporandone il sapore che la rese più famelica.

 

«Alcyone è morta, ma il bambino vive, ed è mio!» gridó trionfante, nella bianca sala operatoria.

 

Poi affondó il viso sul collo della donna, lunghi denti affilati squarciarono la gola grondante sangue color smeraldo.

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Capitolo 16
*** Mordred ***


Raflesia osservava il neonato che era stato adagiato in un’incubatrice e sentiva gli occhi, azzurro elettrico come quelli della madre, fissarla, scrutarla come se potesse vederle nell’anima. Non lo voleva ammettere nemmeno a se stessa, ma la metteva a disagio. Scrolló le spalle infastidita, come a volersi liberare da quella sensazione sgradevole, concentrandosi più sulla sua vittoria che sui dubbi che la molestavano come noiosi moscerini.

 

Incredibile! Il suo piano era andato oltre le sue più rosee aspettative: il bambino possedeva poteri straordinari, e lei lo avrebbe plagiato al punto da farglieli usare contro il suo stesso genitore! Ora bisognava solo fare una cosa, comunicare al pirata che era divenuto padre di un bastardo.

Sorrise compiaciuta, da dietro il vetro della nursery.

 

Dopo la morte di Alcyone il piccolo era stato inconsolabile per ore, finché si era addormentato, stremato; ma ora era di nuovo sveglio e più tranquillo.

Una balia era già stata trovata e avrebbe provveduto al bambino fino a quando ne avesse avuto bisogno.




 

La voce squillante di Kei annunció «capitano! La Dorcas chiede di poter comunicare.»

 

«Permesso accordato.»

 

Si aspettava di vedere Alcyone, magari non troppo emaciata rispetto alla volta scorsa.

Rimase invece di ghiaccio quando il monitor olografico si aprì sulla figura di Raflesia, che stringeva al petto un fagotto e sorrideva. Sembrava di ottimo umore.

 

«Harlock! Devo darti una splendida notizia…»

 

Il sesto senso gli diceva, invece, che qualcosa di terribile stava per accadere.

 

Raflesia continuó «devo presentarti qualcuno che è molto ansioso di conoscerti…» detto questo, spostó un lembo della copertina che teneva celato il viso del neonato «devo presentarti Mordred, tuo figlio! Il tuo bastardo: siamo divenuti parenti» rise apertamente «tuo figlio, e mio nipote!»

 

Ormai fingere era inutile: Harlock era ipnotizzato ad osservare il visetto del neonato, e si trovó a pronunciare «Alcyone? Dov’è Alcyone?» mentre la sua mente cercava di elaborare che quello tra le braccia della regina era figlio suo e della principessa.

 

Raflesia parve non udirlo «non darti pena: sarà cresciuto ed educato come un principe della mia casata. Non gli faró mancare nulla a cominciare dall’istruzione. La prima cosa che apprenderà sarà che suo padre è un nemico giurato del suo popolo. Che ha abusato di sua madre sino a ridurla in fin di vita…»

 

«Cagna…» mormorò Harlock tra i denti. Cominciava a capire a quale sorta di piano contorto si riferisse Alcyone, e perché desiderasse mandarlo a monte.

 

Come ricordandosi di un particolare di poco conto aggiunse «Ah! Alcyone è morta di parto.»

Dopodichè chiuse la comunicazione lasciando tutti i presenti sconvolti.


Il gelo era calato su tutti coloro che avevano assistito a quella breve conversazione.

Tadashi, pallido e con gli occhi sbarrati, enormi, che sembravano voler schizzare dalle orbite, più di tutti sembrava aver accusato il colpo.

Kei singhiozzava sommessamente, Meeme si era avvicinata ad Harlock e gli aveva messo una mano sulla spalla.

Si sentivano solo i sospiri angosciati di Kei e i bip della strumentazione di bordo.

 

Ad un tratto Tadashi diede sfogo alla sua rabbia, repressa da mesi, scagliandosi contro Harlock con cieca furia

«L’hai ammazzata! È colpa tua! Tua e di quella pazza mazoniana!»

 

Si azzuffarono finendo a terra. Harlock non si stava impegnando troppo a difendersi, ma subito Yattaran e i presenti si attivarono per dividere i due uomini.

 

«Stai calmo Tadashi! Siamo tutti addolorati per questa notizia, ma non puoi prendertela col capitano! Cerca di ragionare!» il vice comandante cercava di placarlo. 

Tadashi era scivolato a terra, in ginocchio, col capo abbassato piangeva come un bambino.

Meeme s’avvicinó dolcemente, stringendoselo al petto, mormorando parole dal tono tranquillo e rassicurante.


Harlock si era rifugiato nelle sue stanze, con la mente sottosopra e l’umore in tempesta.

Lo raggiunse Meeme poco dopo

 

«Tadashi sta dormendo. Zero ha ritenuto opportuno somministrargli un sedativo, ha bisogno di riposare. Ha ricevuto un gran brutto colpo, povero ragazzo…»

 

Harlock la guardó, cupo «lui, povero ragazzo… certamente non sta passando un bel momento… ma c’è un bambino indifeso tra le mani di una squilibrata assassina. Prima di lasciarci andare al cordoglio per la scomparsa di Alcyone, dovremmo pensare a questo…»

 

Meeme comprese: non voleva darlo a vedere, ma anche lui era sconvolto dalla notizia. La giovane si era ricavata un posto nel suo cuore, seppur non di prima rilevanza. Ma l’esperienza condivisa, l’attesa e le preoccupazioni per il bambino, li aveva uniti più di quel che voleva ammettere.

 

Il volto della bella principessa gli riempiva la mente: Alcyone viziata e orgogliosa, dolce e appassionata, imbarazzata e impacciata, elegante e mai volgare, affettuosa e premurosa madre in attesa… il pensiero del suo bambino, privato della madre, gli riempì il cuore di pena e compassione.

Cosa fare? Come rendere giustizia alla sua memoria, se non liberando il figlio dagli artigli della crudele Raflesia?

Questo sarebbe stato l’unico scopo, finché non l’avesse raggiunto. 



 

Meeme dormiva poco, una caratteristica della sua razza. Il più delle volte passava le notti vegliando su Harlock, osservando le stelle, o vagando per i corridoi assicurandosi che tutti dormissero sonni sereni.

Harlock aveva preso sonno tardi: un sonno leggero e turbato da cupi pensieri, sicuramente si sarebbe risvegliato stanco e agitato: la morte di Alcyone avrebbe lasciato un segno indelebile nei suoi ricordi. Sospirando la dolce Meeme si alzó dal suo fianco, dove si era stesa per farlo riposare meglio.

L’amava di un sentimento speciale e unico: più materno che passionale, e questo amore per il suo capitano la portava naturalmente ad amare e preoccuparsi anche per il frutto della sua unione con la principessa mazoniana.

Dopo aver visto il piccolo figlio di Harlock tra le braccia di Raflesia, il suo cuore era stato letteralmente rapito dalla minuscola creatura. Nemmeno lei riusciva a spiegarsi appieno ciò che le era successo in quei brevi istanti, solo che il tenero viso del bimbo, così innocente e puro, l’aveva conquistata a prima vista.

Mordred… la regina non a caso aveva scelto quel nome. Un figlio nel cui destino c’era la rovina del proprio padre, un figlio generato con l’inganno, proprio per il seme di distruzione che recava dentro di se.

Ma “questo” Mordred, non portava rovina, questo Meeme l’aveva compreso immediatamente. La regina aveva preso una colossale cantonata.

 

Meeme aveva lasciato Harlock riposare e si era avvicinata alla vetrata a cercare ispirazione per le proprie riflessioni. Stava pensando al piccolo, quando una voce nella sua testa parve chiamarla

“Vieni a prendermi!”

 

Non era nuova alla telepatia, quindi non si turbó eccessivamente. Possibile che il neonato fosse già in grado di comunicare a così grande distanza?

Forse si era sbagliata… forse la preoccupazione per il bimbo l’aveva resa più sensibile, più influenzabile… e poi la giornata appena trascorsa aveva provato anche lei. Sospiró, chiudendo gli occhi, immergendosi in se stessa, ascoltando la sua mente, cercando di captare l’altra presenza.

Silenzio.

Solo il brusio appena percepibile del sonno dei membri dell’equipaggio, e il sospiro sommesso delle stelle. Regnava la serenità.

 

“Dì a mio padre di venirmi a prendere!”

Spalancó gli occhi: questa volta il messaggio era chiaro ed inequivocabile. Mordred chiedeva aiuto a suo padre.

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Capitolo 17
*** Raflesia ***


Dopo essersi assicurata che il neonato fosse accudito a dovere dalle ancelle e dalla balia, e aver liquidato la servitù dai suoi appartamenti, si mise davanti all’imponente specchiera che decorava buona parte delle pareti della sua stanza da letto.

Serviva ad ammirare la sua rara e leggendaria bellezza, a provare abiti su abiti e a godere della vista degli amplessi coi suoi numerosi amanti.

 

La regina Raflesia era una donna sempre alla ricerca di piaceri, non ultimi quelli della carne. Spesso si concedeva a due o più amanti contemporaneamente, e ammirarsi mentre veniva posseduta da più uomini accresceva la sua eccitazione.

 

Ma la specchiera nascondeva altro.

 

Un tocco in un punto preciso alla parete aprì una sezione degli specchi rivelando un corridoio che si apriva sulle tenebre. Un impercettibile attimo di esitazione prima di imboccare il passaggio.

Il corridoio completamente buio si perdeva nelle viscere della Dorcas, aprendosi finalmente, in una stanza completamente priva di finestre.

L’arredamento era minimo, l’illuminazione tenue concessa da grossi ceri, alti quasi quanto la regina stessa, perennemente accesi.

Un antico specchio alla parete frontale, una spoglia tavola sulla quale era poggiato un kriss lordo di sangue ormai rappreso, una ciotola d’argento.

 

Si fermó davanti allo specchio ovale, la cornice in ferro battuto intrecciata come le spire di mille serpenti rimandava l’immagine della regina nell’illusione di un quadro perfettamente dipinto.

 

Bruscamente avvicinó il viso a pochi millimetri dall’immagine riflessa. Con rabbia, afferró la cornice con le mani, stringendo talmente forte, che le volute di metallo si impressero a fondo nella pelle.

Gli occhi ridotti a due fessure, una smorfia, si sarebbe detta quasi di dolore, apparve sulle labbra.

 

Raflesia era folle nel suo odio verso Harlock. Un veleno sottile che piano piano le aveva intossicato il cuore e la mente, togliendole la ragione e facendo dell’oggetto del suo odio il centro della sua esistenza. Quell’odio aveva spalancato le porte al male, e quel male le era entrato dentro trovando un nido caldo e accogliente, dove crescere e prosperare, alimentato dalla brama di vittoria e vendetta, una fame e un’ambizione sfrenate, senza ritegno, senza limiti.

Questo aveva permesso al demone d’infilarsi indisturbato dentro di lei, non trovando resistenza alcuna, né altro impedimento.

 

Le iridi di Raflesia, di un ipnotico blu violetto, divennero completamente nero inchiostro, mentre lo specchio si fece quasi liquido, un grigio piombo che pigramente si muoveva in onde lente. Quando divenne una superficie completamente immobile ci tuffó il viso.

 

Prigioniera nel mio corpo, in balìa di uno spirito oscuro. Mi terrorizza ma al contempo m’inebria: quanto potere! Sento che si nutre di una parte di me, un simbionte in uno scambio perfetto…

Ti odio Harlock! Useró ogni briciola di questo potere per schiacciarti come un insetto! 

Mi sento soffocare… in questo limbo tra i due mondi, passa attraverso la gola, nelle narici, mi riempie la bocca… si rigenera per poi rientrare in me, col suo sapore metallico, freddo, sento i polmoni gridare, non posso resistere ancora a lungo!


Le dita di Raflesia si aggrappano spasmodiche alla cornice dello specchio, la schiena sussulta in spasmi dolorosi, ma ancora non riemerge dalle profondità, non le è concesso, non ancora.

 

La lotta per la sopravvivenza continua, fino all’ultimo secondo.

E quando la regina sta per capitolare, quando sta per arrendersi e lasciarsi andare, ecco che il demone ritorna dentro di lei, rigenerato, più forte, pronto a donarle nuovo, terribile potere.


Riemerse dallo specchio, il volto impassibile, freddo, inespressivo.

 

Ma ora, doveva nutrirsi.


Mordred, nella sua culla riscaldata, vestito con abitini degni di un principe, si stava allenando a tenersi dritto sulle gambette.

 

«Incredibile! A pochi giorni dalla nascita, sembra già un bimbo di 6 mesi!» La balia lo prese in braccio, osservando bene in viso il bimbo che si stava succhiando il pugnetto.

 

«Sei veramente un tesoro di bambino! E chi l’avrebbe mai detto che la progenie del pirata sarebbe stata così tenera? Certo, somigli tanto anche alla tua povera mamma…» concluse tristemente Limüe, stringendolo al petto, mentre si sollevava un lembo della veste per scoprire il seno.

 

Mordred ci si attaccó avidamente, ma Limüe notó che aveva gli occhi pieni di lacrime.

 

Quando si fu saziato, la balia lo staccó e gli pulì le labbra con un tovagliolo di seta.

 

«pa-pa…» balbettó il piccolo.

 

«cerchi già di comunicare, eh?» sorrise la donna.

«hai ancora fame?»

 

Vicino al mobile dove erano conservati i pannolini vi era anche una scatola di biscotti per bambini terrestri. I medici avevano consigliato di nutrire il bambino con alimentazione sia umana che mazoniana.

Fece per allungare una mano per estrarre un biscotto dalla confezione quando Mordred fece un deciso “no” scuotendo la testolina.

 

“Incredibile!” Pensó Limüe. “Sa già elaborare frasi complesse, e cerca di comunicare! Deve essere estremamente intelligente. Ecco perché la regina ha insistito tanto per avere un meticcio del pirata! Sapeva di questa possibilità.”

 

Mordred le afferró saldamente una manica della tunica e tiró deciso, attirando la sua attenzione.

 

«Io… pa-pa…»

 

Cercava certamente di dirle qualcosa.

 

«non hai fame… pa pa… stai cercando tuo padre?» Chiese Limüe, rivolgendosi a Mordred ma sentendosi un po’ stupida.

E con sua sorpresa vide gli occhi del bimbo accendersi d’attenzione e la testolina muoversi concitata a significare senza ombra di dubbio un “sì”.

 

Il piccolo lasció la presa sulla manica della balia e cercó la sua mano.

 

“Devi aiutarmi a raggiungere mio padre.”

 

Limüe fece un balzo.

“Telepatia! Incredibile!”

 

«Perché? Perché vuoi andare da lui? Qui c’è la tua famiglia, i parenti di tua madre…»

 

“È troppo complicato. Non c’è tempo: prima che lei capisca chi sono, devo raggiungerlo.”

 

Gli occhi blu la fissavano, mentre i pensieri di Mordred le arrivavano chiari e diretti senza che il neonato aprisse le labbra..

 

Limüe tentennó.

 

«Lei? Intendi la regina?»

 

“Si”.

 

Limüe non mise mai in dubbio quel che le si chiedeva.

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Capitolo 18
*** Vieni a prendermi! ***


Limüe camminava vicino al lettino di Mordred, pensierosa, mentre lui l’osservava con le ditine in bocca, sbavando copiosamente.

Stava già mettendo i dentini.

 

Si fermó, piantó i pugni sui fianchi e si rivolse al neonato

«Mi spieghi come posso contattare tuo padre? Non ho la più pallida idea di come fare! Senza considerare che se lo venisse a scoprire la regina, mi farebbe fare una pessima fine!»

 

Mordred la guardó gorgogliando e tendendo verso di lei la manina bagnata di saliva che Limüe s’affrettó a pulire.

 

“Mi verrà a prendere lui. Tu dovrai solo rendergli il compito facile.”

 

«Sei proprio un diavoletto! Come sai che verrà a prenderti?» chiese, sorpresa.

 

“Comunico con la Yuretana, esattamente come sto facendo con te…”

 

La donna rimase a bocca aperta per lo stupore

«Riesci a comunicare telepaticamente anche a diversi parsec di distanza? Perché scommetto che la nave del pirata non è proprio dietro l’angolo, o i nostri radar l’avrebbero certamente rilevata, mi sbaglio?»

 

“Non ti sbagli balia. È proprio così.”

 

Si sporse di più, sorreggendosi alle sbarre del lettino

 

“Adesso vorrei essere preso in braccio… mi piace stare con te: sei buona. Mi ricordi mamma…”

 

Limüe si affrettò ad esaudire il suo desiderio, e il piccolo appoggió la testa alla sua spalla mentre la balia lo teneva dolcemente in braccio.

 

«Ti ricordo la principessa Alcyone?» chiese stupita.

 

“Hai il suo profumo, e sei dolce quanto lei… “

 

«È morta mentre tu venivi alla luce… come hai fatto a conoscerla?»

 

“Io so molte cose balia, come so che la mia mamma mi amava dal momento in cui ho iniziato ad esistere dentro di lei.”

 

«Chi sei, principe Mordred?» Limüe non riuscì a trattenersi dal porre quella domanda, era evidente che il piccolo non era semplicemente un bambino più dotato di altri.

 

“Nessuno di cui tu ti debba preoccupare… non tu, per lo meno.”

 

Giró il visetto verso il collo di Limüe e chiuse gli occhi. Dopo poco dormiva cullato dalla donna.




 

Mordred, suo figlio, comunicava con Meeme.

Ancora stava cercando di accettare di avere un figlio, e lei se ne era uscita così…

Giró pigramente il liquido ambrato nel bicchiere prima di bere l’ultimo sorso.

 

Meeme gli si avvicinò, inginocchiandosi davanti a lui.

 

«Harlock, caro… lo percepisco… non riesci ad accettare la situazione e lo capisco. Ma non c’è tempo… dobbiamo andare a salvare il bambino…»

 

Alzó lo sguardo per cercare il suo e infilarsi in quegli occhi sempre colmi d’amore e infinita comprensione.

 

«Lo so.»

Cercó di pronunciare le parole col tono più gentile che potè. Non era facile: quello non era un bambino ma un essere che sentiva estraneo. Quando l'aveva visto in braccio a Raflesia l’istinto l’aveva portato a sentire che l’avrebbe protetto e salvato ad ogni costo, ma queste peculiarità, questi “poteri”… avevano instillato in lui i dubbi più subdoli. 

Era veramente il suo bambino quello? O un crudele esperimento di Raflesia? Cosa avrebbe potuto fare la regina ad Alcyone e al suo bambino mentre erano sulla Dorcas? Quali manipolazioni avrebbe potuto attuare sulla loro pelle? Fintanto trasformare un bambino innocente in un mostro?

 

«Li sento, sai? I tuoi pensieri?» gli occhi di Meeme si riempirono di lacrime. «Lui è innocente, indifeso e… tuo!»

 

Harlock sorrise amaramente «E tu lo ami solo per questo, vero? Dolce Meeme… non hai detto nemmeno una parola mentre io mi portavo a letto Alcyone. Non mi hai rimproverato nulla nemmeno quando hai saputo della gravidanza…»

 

Lei abbassó lo sguardo e s’illuminó appena di una luce dorata, posandogli poi una mano sulla sua.

«Ti amo da sempre. Il mio compito è occuparmi del tuo benessere, non farti scenate di gelosia.»

 

Harlock la bació teneramente sulle labbra.

«Perdonami. Non riesco a darti sempre ció che meriteresti…»

 

Meeme alzó la testa di scatto

«L’unica cosa che puoi fare per me, se veramente mi vuoi bene, è andare a prendere il piccolo!»

 

Harlock strinse gli occhi «la tua non è semplice apprensione per lui, vero?»

 

«Non ti sbagli. Ho subìto una sorta di imprinting. Succede, a volte. È molto raro, ma puó capitare. Ho un legame con lui, che va oltre il nostro legame psichico…»

 

«Lo vedi che ho ragione di preoccuparmi? Non è un semplice bambino…»

 

«No infatti! Non lo è! Lui è unico e speciale, un’anima eletta…»

 

«Non un mostro? Ne sei sicura?»

 

«Non lo chiamare “mostro”… lui è tuo» le lacrime scesero silenziose lungo le guance dell’aliena.

Era la prima volta che la faceva piangere.

 

«Perdonami Meeme…» con un gesto molto tenero e inusuale per la sua indole, le asciugó una lacrima.

«andiamo a prendere questo piccolo fenomeno.»



 

Raflesia aveva allontanato Limüe con una scusa ed ora fissava Mordred con insistenza.

Percepiva qualcosa sotto la superficie e sapeva che in quel medesimo istante si stavano fronteggiando.

Doveva temerlo?

Sorrise.

“É un lattante incapace di reggersi sulle gambe. Come potrebbe mai minacciarmi?”

 

Mordred sapeva di doversi nascondere.

Aveva addormentato la sua parte spirituale: quella che gli avrebbe permesso di neutralizzare la cosa che si nascondeva dentro la regina. Se l’avesse scoperto ora, non avrebbe avuto scampo. 

La sua salvezza dipendeva dalla convinzione di Raflesia che Mordred fosse il suo strumento, l’arma per la futura vendetta e finché l’avesse creduto, Mordred era al sicuro.

 

Lo spirito di Mordred dormiva profondamente, mentre lui sosteneva lo sguardo di Raflesia, con occhi placidi e innocenti come lo sono quelli dei neonati.

 

“Un semplice lattante, per ora, pur se estremamente promettente e futuro carnefice dell’odiato Harlock.”

 

Accarezzó il viso del piccolo.

“… Ma serve comunque una prova…”

 

Fece ricomparire lo stiletto celato nella lunga manica del vestito e graffió la pianta del piedino destro del bimbo, che immediatamente si mise a strillare dal dolore.

 

“Bene! Proprio come immaginavo. Per ora è un innocuo bimbetto…”

 

Le strilla avevano richiamato Limüe, che irruppe nella stanza e si fermó, allarmata, appena vide Raflesia ancora con la lama in mano.

 

«Stai tranquilla. Non ho atteso così a lungo solo per ucciderlo…» fece scomparire l’arma così velocemente che Limüe quasi giuró di non averla mai vista.

 

Raflesia posó un bacio sulla testa del lattante rimettendolo nella sua culla.

 

«Cresci e prospera, tesoro mio…» poi si rivolse a Limüe «fai che non abbia mai a mancare di nulla. Questo bambino è un tesoro inestimabile, unico figlio della mia sfortunata cugina…» detto questo si allontanó incurante dei lamenti di Mordred.


Nel frattempo l’Arcadia divorava anni luce per trovare suo figlio.

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Capitolo 19
*** Via di fuga ***


Jarkha Strahl uscì ancor prima che l’alba salutasse il mondo.

I sogni l’avevano tormentato sino a fargli lasciare il letto non senza un moto di rimpianto.

 

I campi dissodati si perdevano sotto il suo sguardo, orgoglioso ne ammiró le perfette geometrie dei solchi scavati con la divoratrice: così chiamava il vecchio trattore a cingoli che lo aiutava nel duro lavoro di campagna.

L’aria fresca e pulita lo ritempró, levandogli dalle spalle appena curve un’ombra della stanchezza che il poco sonno non era riuscito a cancellare.

 

Viveva solo. Sua moglie se ne era andata dopo due anni di matrimonio: stanca della vita di campagna, stanca nel dover andare al pozzo a prelevare l’acqua, stanca di dover lavare panni e preparare i pasti tre volte al giorno. Mareth amava troppo la vita di città per trovarsi a suo agio lì con lui: avrebbe dovuto capirlo prima di sposarla, ma a vent’anni certe cose hanno poca importanza.

 

Si sedette sulla panca di legno nella veranda, sorseggiando il forte caffè di spezie, cercando di ricordare il sogno, ma nulla… per quanto si sforzasse nessuna immagine gli affiorava alla mente. Solo il senso d’angoscia che l’aveva destato di soprassalto nel cuore della notte. Alzó le spalle: pazienza, in fondo un sogno rimane sempre un sogno.

 

Prese la zappa dal ripostiglio dietro casa dove teneva gli attrezzi e si diresse nell’orto quando il sole timidamente gettava i primi raggi sull’orizzonte.

Andava ripulito dalle erbacce, o avrebbero soffocato le rigogliose piante di pomodori sultano, dalla buccia lucida color dell’oro e dalla polpa profumata dal dolce fresco sapore.

 

Mentre zappava con cura il piccolo orto si avvide delle macchie che deturpavano le foglie dell’ortaggio.

Un’altro parassita… ormai il clima eccessivamente secco di quell’anno aveva promosso il prosperare di parassiti e batteri nocivi alle colture.

Borbottando decise che il mattino successivo si sarebbe recato in città, a fare rifornimento di fitofarmaci. Non amava usare quella roba, ma era l’unico modo per evitare la distruzione dell’intera coltura.





 

“Balia, devi trovare il modo di scendere da questa nave.”

 

Limüe strabuzzó gli occhi.

«Principe, mi stai sopravvalutando! Prima vuoi che contatti tuo padre, ora pretendi di poter scendere dall’ammiraglia della regina… dovrei rapirti e portarti via con una navetta, e poi avrei tutto l’esercito mazoniano a darmi la caccia.»

 

“Ebbene, se così dev’essere, che sia!”

 

«Ma…» protestó debolmente la donna «Tuo padre? Non doveva venirti a prendere?»

 

«Verrà. Ma ora la Dorcas sta viaggiando nell’iperspazio. Niente coordinate spazio-temporali. Siamo fuori dalle 4 dimensioni conosciute. Dobbiamo sbarcare e li ci raggiungerá mio padre.”

 

«Principe, con tutto il rispetto… mi faranno fuori appena metteró piede su una navetta con te. Moriró talmente in fretta da non accorgermene nemmeno.»

 

“Non se farai esattamente ciò che ti diró. Fidati di me balia: sopravvivremo entrambi. Ti lascerei qui a tremare come un coniglio tra gli artigli di Raflesia, ma non posso ancora badare a me stesso. Ho necessità di te, e solo di te mi fido.”

 

Limüe sospiró, conscia ormai che la sua vita e il suo fato dipendevano da quel minuscolo essere.

 

“In che rapporti sei rimasta con Sephiroth?” Chiese Morderd.

 

Limüe sussultó.

Sephiroth… non pensava a lei da molto tempo.

La sorella di Jago.

Da ragazze erano state legatissime, quasi come sorelle, e il rapporto era continuato finché lei e Jago erano stati fidanzati. Poi si erano perse di vista quando si erano lasciati… anzi, a dirla tutta Sephiroth se l’era proprio avuta a male. L’aveva presa come un’offesa personale, togliendole addirittura il saluto.

All’epoca Sephiroth era appena entrata a far parte delle truppe scelte di Raflesia: pilota da combattimento, reparto d’assalto.

 

«Non ci siamo più viste… ormai sono più di dieci anni…»

 

“Dovresti riallacciare i rapporti.” Insistè Mordred.

 

«Ho capito dove vuoi arrivare, ma devo deluderti. Non accetterà mai di aiutarmi.»

 

“Sei troppo fatalista e arrendevole. Le persone possono sorprenderti…”


Rintracciare Sephiroth non sarebbe stato affatto semplice. Ormai viveva negli alloggi destinati alle truppe: la sua vita era quella di un militare tra esercitazioni, combattimenti e ordini da eseguire. Per i civili accedere alle caserme era difficile, ma soprattutto, lo avrebbe dovuto fare nel modo più discreto.



 

Farsi passare per la sorella di Sephiroth era stato più semplice di quanto avesse sperato. 

E mentre era nel salottino d’attesa, nella reception degli alloggi dei piloti, col grosso pacco in grembo, cercava d’immaginare la reazione della sua ex vecchia amica. Se avesse rifiutato di parlarle, ogni speranza di fuggire col neonato sarebbe naufragata.

 

Limüe sussultó quando la porta in fondo alla sala si aprì silenziosa, mentre gli stivali scandivano il tempo dei passi del pilota.

L’uniforme nera faceva risaltare i gradi in metallo e le medaglie.

 

Sephiroth si fermó davanti a lei

«Mi hanno detto che mia sorella deve consegnarmi l’uniforme pulita…».

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Capitolo 20
*** Un rifugio ***


Jarka Strahl stava rincasando a bordo del camioncino scassato color ruggine, dopo aver passato la mattinata in città.

Si era intrattenuto più del dovuto col proprietario del magazzino agricolo dal quale si riforniva, per discutere del più e del meno. Entrambi si erano lagnati del clima arido che aveva messo a dura prova le colture e i raccolti della stagione: l’uno attribuiva la responsabilità alle emissioni inquinanti delle fabbriche che lavoravano l’uranio beta, l’altro agli esperimenti del governo. 

Ma chiunque ne fosse l’artefice, il risultato non cambiava: siccità e raccolti scarsi e di pessima qualità.

 

Mentre guidava assorto sulla via del ritorno, ripensando alla conversazione di poco prima e alle grane che tutta quella situazione gli aveva procurato, fu distolto da un bagliore luminoso nel cielo innanzi a lui.

Duró solo un istante.

 

Pensó che la vista gli stesse giocando qualche scherzo: Euterpe era un pianeta minuscolo. Nessun meteorite era catturato dalla sua debole gravità, sovrastata di gran lunga dalla presenta di Cerbero, il buco nero al centro del sistema. E non poteva essere nemmeno un velivolo: su Euterpe si levavano solo le gigantesche navi del Consorzio Galattico, le quali stazionavano fuori orbita e inviavano passeggeri e merci a terra per mezzo del teletrasporto.

Dopo le ultime guerre per il controllo del commercio nella galassia, i governi planetari, di comune accordo, avevano nominato un Consorzio rappresentato da un membro per ogni mondo.

Solo alle sue navi era concesso il monopolio di viaggi e scambi commerciali.

 

Accostó il furgoncino a lato strada, frugó nel cruscotto e tiró fuori un piccolo binocolo.

Prese a scrutare la porzione di cielo nella quale gli era parso di vedere il bagliore ma non notò nulla di strano.

 

“Ti stai proprio invecchiando…” pensó.


Vide la donna quando si trovò a pochi passi dalla porta di casa. Intento com’era a cercare nelle tasche la chiave, non aveva fatto caso alla figura rannicchiata, celata da un grande foulard che le ricopriva il capo e le spalle, raggomitolata a ridosso della porta d’entrata. Stringeva al petto un fagotto.

Si fermó, sopreso, mentre i grandi occhi verdi della donna lo guardavano spaventati.

 

«Ti prego… abbiamo bisogno d’aiuto…»


Non sembrava pericolosa, lei e il bambino, poco più di un neonato.

Quindi Jarka li fece entrare in casa e offrì dell’acqua. La donna afferró il grosso bicchiere bevendo a grandi sorsi.

«Grazie signore… grazie infinite…»

 

La donna era molto bella. Lunghi capelli biondo cenere, un viso pallido e allungato, adombrato da lunghe ciglia dal color del grano maturo. Longilinea, altissima e aggraziata. Gli occhi avevano un che di malinconico.

Il bambino era il lattante più bello che avesse mai visto.

 

«Dimmi donna, perché sei qui? E cosa posso fare per te?»

 

Intanto si era scoperta un seno generoso e lo stava offrendo al bambino, evidentemente molto affamato. Senza nessuna vergogna, quasi non avesse avuto davanti un uomo sconosciuto con quasi il doppio della sua età.

 

«Io sono Limüe, e vengo dalla Dorcas: l’ammiraglia della regina Raflesia…» Mordred le aveva consigliato di essere estremamente sincera con lo sconosciuto.

 

Jarka grugnì «mazoniana… avrei dovuto immaginarlo. Bella e invitante… chiaro!»

 

«Fammi spiegare, te ne prego! Sto cercando di salvare la vita a questo bambino. E tu mi devi aiutare!»

 

«Devo? Non ti devo nulla donna…»

 

A Limüe non rimase altro che iniziare a raccontare la sua storia. A partire dall’incarico affidatole da Raflesia: fare da balia al piccolo principe orfano di madre, figlio della principessa e del pirata fuorilegge; fino alla scoperta dei poteri del piccolo. Di come lui desiderasse tornare da suo padre, di come l’avesse convinta ad avvicinare la sua ex amica Sephiroth, a convincerla, con l’inganno, a portarla su Euterpe.

 

“…avrá già scoperto che il bambino non è mio? Che ha contribuito al rapimento del nipote della regina? Che l’ho tradita una seconda volta?” Rabbrividì al pensiero.



 

Jarka l’osservó, dopo aver ascoltato tutta la storia.

Gli occhi della donna sembravano sinceri. 

 

Lo sguardo si sofferma ancora sul seno scoperto. È turgido, gonfio di latte.

Abbassa lo sguardo, pensieroso.

 

Limüe, per nulla imbarazzata, si ricompone, tirando su il lembo della veste.

 

«Va bene donna… ti credo. Ora dimmi: cosa vuoi… cosa volete da me? È lui che ti ha detto di venire a cercarmi? Come crede possa aiutarvi?»

 

Jarka è stupito dalle sue stesse parole. Questa femmina sembra aver intessuto una qualche sorta d’incantesimo. Ha smesso da un pezzo di provare interesse per le donne, soprattutto quelle tanto più giovani di lui. Troppi rischi, troppe incognite…

 

«Te lo dirà lui stesso».

Limüe avvicina Mordred all’uomo, il piccolo allunga una manina e sfiora la grande e ruvida mano dell’agricoltore.

 

“Salute a te Jarka Strahl!” lo saluta, col suo linguaggio a metà tra le parole e le immagini, direttamente nella sua testa. L’uomo ha un piccolo sussulto, sorpreso, ma non spaventato.

 

“Sei un brav’uomo, onesto, e riservato. Non devi fare nulla, solo ospitarci finché mio padre mi raggiunga. Deve venirmi a prendere…. E…. La donna, la mia balia… non potrà più tornare dalla sua gente. Tienila con te, quando me ne saró andato, sarà per te una buona compagna…”

 

Gli occhi di Jarka ritornano brevemente su Limüe, che non sta partecipando a questa muta conversazione, ne ignora ogni dettaglio.

 

Jarka fa un mezzo sorriso e pronuncia a voce alta «e tu, piccoletto, sei sicuro che lei lo voglia?»

 

“Lo vorrá, Jarka Strahl. Hai la mia parola.”

 

Gli occhi incredibilmente blu acceso del piccolo emanano una forza interiore e un fascino misterioso irresistibile ma al contempo fragile e indifeso e il rude solitario uomo non puó far altro che arrendersi.




 

«Euterpe…» Meeme pronuncia il nome quasi sovrappensiero, una parola sospesa, apparentemente senza significato.

Si alza dal letto, nuda, con solo i lunghissimi capelli d’opale a coprirle i minuscoli seni e si avvicina alla parete vetrata, cercando con gli occhi da quale direzione le giunge il richiamo. Poi si gira verso Harlock che si sta infilando i pantaloni.

 

«Tuo figlio ci sta aspettando. Dobbiamo arrivare prima di Raflesia!»

 

Harlock finisce di rivestirsi con un misto di urgenza e timore, mentre il torpore che l’ha pervaso, dopo una notte passata ad amare teneramente Meeme, lascia il posto all’affanno.

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Capitolo 21
*** Papà ***


«Come sarebbe a dire “sparita”?» tuonó Raflesia in un grido stridulo, vibrante di rabbia che non tentò nemmeno minimamente di celare.

 

L’ancella abbassó il capo, tremante: sapeva fin troppo bene cosa succedeva ai messaggeri che recavano cattive notizie.


La Dorcas fu scandagliata da cima a fondo, ma di Limüe e Mordred non vi fu trovata traccia.

Raflesia diede ordine di controllare ogni volo in uscita: la Dorcas era uscita dall’iperspazio da non molto, i voli di ricognizione dei caccia in avanscoperta erano sempre numerosi; ma Limüe o era fuggita, o era stata rapita col bambino.

Un traditore tra la sua gente? Chi poteva avere interesse ad appropriarsi del bambino? Chiunque fosse, aveva i giorni contati… se poi Limüe stessa avesse deciso di rapire lei Mordred, non avrebbe avuto lunga vita.



 

«Regina: un caccia schermato ha lasciato l’ammiraglia due giorni fa. Non è stato possibile tracciarne la rotta. Ma… è singolare che la navetta del capitano Sephiroth sia stata registrata in entrata ma non in uscita…»

 

Raflesia avvampó di rabbia. Nessuno, tranne poche persone, erano a conoscenza dei poteri del bambino. Come poteva un comandante delle sue truppe avere interesse a… no!

Il fatto che fosse poi ritornata, era un chiaro indizio. Probabilmente era stata Limüe a farsi portare via, altrimenti Sephiroth non sarebbe mai tornata con un’accusa d’alto tradimento che pendeva sulla sua testa.

 

«Portaremi immediatamente il capitano Sephiroth!» tuonó Raflesia.






 

«Euterpe?» Yattaran ripeté l’ordine appena ricevuto. «È come cercare un ago in un pagliaio capitano! Vai a sapere in quale punto dell’universo la Dorcas è uscita dall’iperspazio!»

 

«Abbiamo un database e una mappatura dell’universo conosciuto ben più particolareggiata e completa di chiunque… fai lavorare il computer! Non c’è tempo da perdere!» Harlock ribatté severo. 

 

Yuki si offrì di mettersi al lavoro insieme a Yattaran, mentre Tadashi osservava senza commentare. Dopo la morte di Alcyone aveva perso interesse per molte cose, tra cui la sorte del figlio di Harlock.


«Qui risulta un Euterpe…» fece Yuki, dopo aver consultato varie mappe digitali «sembra essere un minuscolo mondo nelle vicinanze del centro galattico di Ncg 7506. Un sistema complesso: è in equilibrio gravitazionale con una stella nei pressi di un buco nero» si rivolse a Yattaran «calcolare orbita e rotta non sarà semplice…»

 

«Mi offendi bambina!» le rispose piccato l’ufficiale «scommettiamo che ci riusciró meglio e prima del computer?»

 

«Non mi interessano le competizioni! Voglio una rotta entro 15 minuti, il tempo farà la differenza in questa corsa! Raflesia è molto più vicina di noi all’obiettivo!» Harlock aveva perso calma e pazienza tutto insieme.

 

Yattaran si rivolse ad Harlock «rispetto a Ncg 7506 ci troviamo dal lato opposto di Laniakea… dobbiamo muoverci adesso!»

 

«E cosa stiamo aspettando? » grugnì Harlock.


Lo spazio attorno all’Arcadia iniziò a contrarsi, dando inizio alla creazione di un wormhole.





 

«Balia, ascolta…» Mordred si sveglió di scatto dal fianco di Limüe. Era notte fonda su Euterpe, i due giacevano su un divano letto, nella cameretta che era appartenuta a Mareth, dove soleva ritirarsi per cucire, ricamare o leggere una rivista.

 

«Che c’è ora principino?» Limüe aprì gli occhi, assonnata «non stai bene?»

 

«Mio padre si sta avvicinando ma…»

 

«Ma…?» Lo spronó Limüe, ora allarmata.

 

«Raflesia ha un vantaggio. Sephiroth è stata fermata e ha raccontato dove ci ha portati…»

 

«È morta?!» Limüe rabbrividì, un senso di colpa le gravó sul petto.

 

«Non ancora… ma Raflesia non le perdonerà la sua ingenuità.» Fece una breve pausa.

 

«Non le sarà difficile trovarti dopo che me ne sarò andato. Ma se rimarrai con Jarka, sarai al sicuro, te lo prometto.»

 

Limüe non rispose. Abbassó lo sguardo e annuì: aveva imparato da subito che il piccolo Mordred vedeva molto più lontano di qualsiasi altro essere dell’universo a quattro dimensioni. Aveva pensato a tutto quel minuscolo essere prodigioso: anche alla sua salvezza.





 

«Capitano: Euterpe dritto avanti a noi» annunciò Yuki.

 

L’Arcadia era uscita dall’iperspazio a pochi parsec dal pianeta, che appariva come una capocchia di spillo, a stento riconoscibile nel nero sfondo dello spazio. Dietro di lui, a immensa distanza, tanto da vederne solo un minuscolo anello luminoso, brillava l’orizzonte degli eventi di Cerbero.

 

Un mondo singolare Euterpe, le cui notti erano rischiarate dalla costante presenza della singolarità, mentre di giorno era riscaldata dalla sua piccola stella, in un gioco di equilibrio tra le gravità.

 

«Trovate un buon posto per l’atterraggio. Dobbiamo muoverci.» Poi si rivolse a Meeme «Fatti guidare dal bambino… abbiamo bisogno di localizzarlo il più accuratamente possibile.»




 

Sephiroth, impassibile, sull’attenti, era al cospetto di Raflesia.

Quella bastarda di Limüe l’aveva usata, nel modo peggiore che potesse fare. L’aveva portata a tradire la regina, a cui aveva giurato obbedienza e fedeltà.

Ma non era nella sua indole piagnucolare: sapeva prendersi le sue responsabilità, e accettarne le conseguenze.

 

Era stata interrogata in presenza di Raflesia e dei generali dell’esercito. Era stata convocata la Corte Maziale in fretta e furia nella sala del trono. Sarebbe stata processata e giudicata proprio lì. Il caso insolito ed urgente non dava spazio ai tempi burocratici usuali.


«Sei stata una sciocca capitano!» Raflesia era furibonda. «Ti sei fatta ingannare come una stupida inetta!»

 

Si rivolse ai generali «Tenete conto dell’alto tradimento… ma anche della totale collaborazione del capitano. È un’ottima combattente e un eccellente pilota da combattimento.»


La Corte fu d’accordo per un periodo di detenzione e la retrocessione di grado.

Sephirot non lasció trapelare nulla della sua disperazione: aveva dedicato la vita alla carriera militare e ora doveva ricominciare da capo.

Sempre se fosse sopravvissuta alle prigioni.




 

Meeme indicava ad Harlock un punto nella carta olografica sospesa a mezz’aria.

 

«È qui: nella casa di un agricoltore della zona. Astuto il piccolino! Raflesia ci metterà parecchio a scovarlo, è una fattoria tra le tante nelle campagne intorno alla capitale.»

 

Harlock annuì «Kei, Yattaran e Tadashi: scorterete Meeme. Un piccolo gruppo non desterà l’attenzione. Prudenza, e siate più rapidi possibile!»

 

L’Arcadia era ormeggiata sulla faccia oscura del piccolo satellite di Euterpe. Il caccia che avrebbe condotto la piccola squadra sul pianeta era pronto a partire.


 

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