Gli eredi di horus (/viewuser.php?uid=41811)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** incontro ***
Capitolo 2: *** scontro ***
Capitolo 3: *** gelosia ***
Capitolo 1 *** incontro ***
Gli
Eredi
L’uomo
entrò tranquillamente nelle stanze della regina. Sembrava
stanco, ma, nonostante tutto, soddisfatto. I suoi occhi cobalto
vagarono per la camera, alla ricerca di una capigliatura rosso fuoco a
lui familiare.
Una figura femminile
uscì dalla porta che si trovava dall’altro lato
dell’entrata. I capelli bagnati gocciolavano sul pavimento,
il corpo avvolto da un accappatoio dalla tinta più chiara
della chioma sanguigna. Gli occhi, iridi infuocate come l’elemento
che comandava, si posarono immediatamente sull’uomo che la
stava aspettando.
Capelli argentati,
legati in una coda bassa, con qualche ciocca che, birichina, gli
incorniciava la fronte. Gli abiti, neri come al solito, ne fasciavano
il corpo, mettendo in risalto il fisico muscoloso e scattante.
-Hai fatto?- chiese la
donna.
-Sì,
è tutto a posto-
-Perfetto, allora
inizierò anche io-
La regina si
sdraiò sul letto, aspettando che l’uomo la
raggiungesse. Una volta che furono entrambi comodi lei lo
abbracciò, non riuscendo più a trattenere la
domanda che le rodeva dentro da quando era entrato.
-Com’era?-
Non ci fu bisogno di
ulteriori spiegazioni, lui capì immediatamente a chi si
riferiva.
-Era la ragazza
più bella e più potente su cui oggi abbia posato
lo sguardo. Penso di aver fatto la scelta giusta, ma mi sarebbe
piaciuto che avessi potuto farlo tu-
Lei tirò un
sospiro, non era ammissibile e lo sapevano entrambi.
-Sai benissimo che io
devo dare alla luce il mio erede, se dessi alla luce anche il tuo non
sarebbe come volevamo. Devono avere i nostri poteri più
puri, se l’avessi fatto per il tuo sarebbero risultati
mischiati. Non li avrebbero mai accettati- lo guardò un
attimo negli occhi, quel blu così brillante le ricordava
sempre la libertà del cielo e l’elemento che lui
governava incontrastato. –E poi sarebbero cresciuti come
fratelli, sarebbe risultato un po’ difficile, non credi?-
-Sì, hai
ragione come al solito. Le tue motivazioni sono inattaccabili e io le
condivido pienamente, lo sai. Però mi sarebbe piaciuto non
doverlo affidare a qualcuno che nemmeno conosco. E se poi non si
incontrassero, cosa succederebbe?-
-Non è
possibile- scosse la testa, liberando ancora piccole gocce che si
infransero sul petto dell’uomo, -Sono destinati ad
incontrarsi, qualunque sia il loro cammino si vedranno. Sono
l’uno parte dell’altro, questa realtà li
spingerà a cercare la metà mancante-
-Ahh, Kyuubi-
sospirò, fingendo un tono affranto. –Come fai ad
essere così saggia e così affascinante allo
stesso tempo?-
-Dote innata mio caro.
Non per niente sono la regina dei demoni- spiegò lei
convinta. Gli piaceva quando Arashi le faceva i complimenti. Solo lui
glieli faceva così, come se fossero detti per caso, non per
cercare i suoi favori, come invece facevano quasi tutti gli altri.
-Allora sono
felicissimo di averti sposata mia cara. Sarei stato un pazzo a lasciar
andare una creatura perfetta come te-
-Siamo in vena di
complimenti stasera?-
-Beh, sai
com’è…Sono stato via tutto il giorno,
ho visto milioni di femmine che nemmeno possono pensare di paragonarsi
alla tua bellezza e quando torno tu mi accogli
così…Io inizio a sperare in un piacevole
evolversi della serata- rispose lui, un sorrisino malizioso in volto.
Cosa stava dicendo
prima? Che lui non cercava i suoi favori? Beh, quelli forse no, ma
piaceri di un altro tipo quelli si però. Dannato lupo
pervertito.
Ogni possibile replica
di Kyuubi venne fermata dalle labbra di Arashi che si chiusero dolci e
fameliche sulle sue. Gliel’avrebbe data vinta per oggi, tanto
anche lei ne aveva voglia, la mancanza del suo mate si era fatta
sentire per tutta la giornata.
§§§§§§§§§§§§§§§
Diciassette anni
dopo…
Un giovane ragazzo
biondo si guardava intorno distrattamente. Non sapeva cosa fare.
Non gli era mai
piaciuta quel genere di riunione, solo sua madre e Arashi potevano
partecipare. Lui doveva aspettare fuori, ma insomma era il modo di
trattare una persona del suo rango? Non che gliene fregasse molto di
essere il principe dei demoni, ma potevano mostrargli un
po’ più di rispetto.
Se non avesse dovuto
scappare da Sakura non sarebbe venuto. Oggi la ragazza era nervosa, e
probabilmente la colpa era di nuovo di Sai, quello non sapeva stare
zitto. Se restava nei dintorni avrebbe potuto prendersela anche con
lui, e la cosa non gli piaceva affatto. Quando si arrabbiava la demone
aveva una forza tremenda, faceva più paura di sua madre.
Umm, no, quello era
impossibile. Sua madre incazzata non la batteva nessuno.
L’ultima volta che qualcuno l’aveva offesa aveva
raso al suolo un’intera foresta. Completamente carbonizzata,
come quello stupido che aveva avuto l’ardire di farla
arrabbiare.
No decisamente, la
più paurosa era la madre. Fortuna che Arashi la sapeva
tenere a bada. Sembrava solo un lupo pervertito, ma nascondeva tante
qualità. La più importante era quella di riuscire
a calmarla.
La grande Kyuubi no
Youko, regina dei demoni. Senza suo marito probabilmente sarebbe stata
la regina di niente, avrebbe ammazzato tutti i suoi sudditi prima.
Dalle labbra gli
sfuggì un sospiro annoiato, non sapeva cosa fare. In quel
dannato luogo non c’era niente con cui distrarsi, se non
guardare il fiume che divideva i due regni.
Due volte
all’anno i sovrani degli angeli e dei demoni si ritrovavano
in una zona neutrale, il Ponte di Miko appunto. La costruzione
comprendeva due arcate di pietra millenario che collegavano, al regno
demoniaco e a quello angelico, un’isoletta che si trovava
sospesa sopra il fiume Miko.
Il corso
d’acqua, largo come minimo due chilometri, scorreva
tranquillo e placido ad almeno quattrocento metri sotto di lui. Mentre
la zona di terra circolare che si trovava in mezzo ai due paesi era
zona neutra, vi si potevano incontrare persone di tutti i tipi. Al
centro vi era un palazzo in cui avvenivano le riunioni.
Inutile dire che lui
non ci poteva entrare. Prese a camminare per l’isoletta e,
una volta completato il giro, iniziò ad incamminarsi dalla
parte opposta a quella da cui era arrivato. Si dirigeva verso il regno
angelico per cercare qualche anima da corrompere o con cui giocare.
Anche se non poteva
entrare nel paese avversario ciò non voleva dire che non
poteva divertirsi. Era immerso nei propri pensieri quando lo vide.
Un ragazzo, dai
capelli neri come l’ebano e le vesti bianco candido. Non
riusciva a scorgergli il volto perché un ciuffo laterale ne
copriva buona parte.
Se stava
là, fermo immobile, in piedi sopra al parapetto del ponte.
Pantaloncini bianchi lunghi fino al ginocchio e maglietta a maniche
corte dello stesso colore. Le mani infilate nelle tasche e lo sguardo
rivolto all’orizzonte.
Rimase a guardarlo,
scordandosi di tutto. L’ora,la riunione, sua
madre…La sua mente era riempita dall’immagine di
quel ragazzo moro.
All’improvviso
l’angelo sbilanciò il corpo, si lasciò
cadere nel vuoto. Naruto si avvicinò di corsa al parapetto
per guardarlo volare via.
Quello che lo
lasciò senza fiato furono le ali dell’altro, erano
argentate. Di un colore stupendo che riluceva alla luce del tramonto.
Erano perfette.
L’unico suo
pensiero coerente in quel momento fu: starebbe meglio vestito di scuro.
Allora, eccomi alla ribalta
con una nuova fic. Questa non dovrebbe durare più di tre o
quattro capitoli. Erano un paio di giorni che mi ronzava in testa e se
non l'avessi messa per iscritto non sarei riuscita a continuare
l'altra. Questa volta è un'AU e devo dire che come
ambientazione è già usata e strausata, ma mi era
venuta la voglia.
Cercerò di riprodurre il più fedelmente possibile
i caratteri degli originali, anche se non prometto niente.
Ah, non stupitevi dell'ultimo pensiero di Naruto, quando dice vestito
di scuro lo intende come demone. Le tonalità chiare e scure
distinguono le due razze: bianco per gli angeli e nero per i demoni.
Detto questo, spero che la descrizione del luogo sia abbastanza chiara
perchè la storia sarà ambientata prevalentemente
nei dintorni del ponte.
Il rating è arancione perchè non so ancora se
scrivere o no una lemon, però qualcosa di spinto di sicuro
ci sarà.
Spero che vi piaccia e sarò lieta di accogliere i vostri
pareri. Grazie a tutti quelli che leggeranno e commenteranno.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** scontro ***
Gli eredi
Capitolo 2: scontro
Era tornato sul ponte
altre volte dopo quel giorno. Aveva capito una cosa, quel ragazzo gli
interessava come nessun altro.
Lo vedeva sempre.
Arrivava poco dopo mezzogiorno, si metteva là, sempre allo
stesso posto e nella stessa posizione, e restava per delle ore a
fissare il vuoto, perdendosi nei suoi pensieri. Quando gli sembrava di
essere rimasto lì abbastanza, si lasciava cadere nel vuoto.
Ed era questo momento
quello che Naruto attendeva per tutto il giorno. Veniva sul ponte dopo
il moro e rimaneva a guardarlo fino a quando non se ne andava. Studiava
minuziosamente la figura di quel ragazzo. Le spalle larghe e muscolose,
i corti capelli neri, le gambe toniche e, doveva ammetterlo, aveva un
sedere fantastico.
Ecco, lo sapeva che
passare troppo tempo con Arashi lo avrebbe contagiato. Però
non poteva non notarlo, non aveva mai visto un culo più
bello di quello dell’angelo.
Poi, quando
l’altro si lasciava cadere nel vuoto, si avvicinava di corsa
al parapetto. Godendosi lo spettacolo dei suoi capelli scuri
scompigliati dal vento, e l’apparizione delle sue ali. Ali
così belle e dalle piume perfette. Quell’argento
lo invitava in una danza vogliosa e suadente. Catturava i suoi occhi
azzurri fino a quando era ormai troppo lontano per vederlo.
Ne era ogni giorno
più sicuro, lo voleva. Voleva quell’angelo
pensieroso ed assurdamente provocante. Ormai non sognava altro, le sue
notti erano scandite da battiti d’ali e bagliori argentei.
Probabilmente sua
madre ed i suoi amici si chiedevano dov’era che sparisse per
pomeriggi interi, ma a lui non interessava. L’unica cosa
importante era vederlo, non aspettava altro per tutto il giorno.
E si ritrovava di
nuovo lì, anche oggi come le giornate precedenti. Buffo a
dirsi, nelle ultime due settimane la sua vita girava intorno ad una
persona di cui non conosceva niente. Né il volto,
né la voce, né il nome, eppure non ne poteva fare
a meno.
E lo guardava, e lo
rimirava, come sempre. E veniva ignorato, come sempre.
Non pensava di essere
una persona così paziente, e nemmeno così
silenziosa. Se i suoi amici dovessero definirlo lo chiamerebbero
caotico. Era un demone strano. Parlava tanto, era confusionario e
disordinato.
Ma aveva imparato ad
indossare una maschera. Era il principe, l’erede di Kyuubi no
Youko, davanti agli altri doveva mostrarsi spietato, ombroso e ambiguo.
E lo faceva,
malvolentieri, ma lo faceva. Solo a poche persone selezionate si
mostrava per quello che era realmente. Non era stupido, lui sceglieva
accuratamente e dopo molte valutazioni se aprirsi o no.
Non faceva mai la
prima mossa, la faceva fare agli altri. Non si esponeva mai per primo.
Però con il moro le cose erano cambiate. Era lui ad
osservarlo, era lui a fargli sentire la sua presenza. Lo stava
scombussolando e cambiando. Era tutta colpa di quell’angelo e
una volta preso gliel’avrebbe fatta pagare, oh sì,
e con gli interessi anche.
Si riscosse dai suoi
pensieri ad un movimento dell’altro. Strano, oggi era in
anticipo. Si portò, come al solito, al parapetto per vederlo
volare via quando, prima di estrarre le ali, lo vide fare un movimento
insolito.
L’aveva
guardato. Era stato per una frazione di secondo, ma ne era sicuro.
Aveva voltato il viso e l’aveva osservato. Poi aveva aperto
le ali e se ne era andato.
Era troppo lontano per
scorgergli bene in volto, non aveva nemmeno distinto il colore dei suoi
occhi, ma era un passo avanti. Domani sarebbe riuscito a vederlo, era
una promessa.
§§§§§§§§§§§§§§§
Quel giorno era in
ritardo. Sua madre aveva voluto che partecipasse ad una riunione
importante che si era protratta fino ad una decina di minuti prima.
Alla fine era uscito
dal palazzo in tutta fretta. Era arrivato fino al ponte in una manciata
di minuti, non per niente era il più veloce tra i demoni, e
da lì aveva proseguito a piedi.
Aveva corso fino a
quel luogo sperando che lui non se ne fosse già andato.
Dovette reprimere un sorriso di felicità quando, arrivato al
solito punto, lo vide nella stessa posizione di tutti gli altri giorni.
Nonostante fosse
felice che si trovasse ancora lì, si ritrovò a
provare un sentimento di dispiacere. Perché significava che
la sua presenza non gli interessava. Sarebbe andato avanti a fare
quello che faceva anche se non ci fosse stato lui a guardarlo. Questo
pensiero lo rattristò, ma gli fece nascere una nuova
determinazione.
“Io voglio
fare la differenza” ecco quello che pensava. Voleva che gli
atteggiamenti e le abitudini del ragazzo cambiassero. Voleva essere il
centro dei suoi pensieri come, ormai, il moro lo era per lui.
Si distolse dai suoi
pensieri quando lo vide lasciarsi cadere. Si avvicinò al
parapetto e, di nuovo, lo vide voltarsi indietro. Questa volta
agì d’istinto.
Scavalcò la
balaustra e si lasciò scivolare nel vuoto.
L’avrebbe seguito, non voleva farselo scappare.
Rilasciò le
ali e si mise a volargli dietro, voleva raggiungerlo. Sentiva le piume
fendere l’aria e spostarsi, con baluginii rossi, per
permettergli di virare. Era l’unico a possedere quel tipo di
piumaggio. Le sue ali sembravano nere, come quelle di tutti i demoni,
ma erano rosse. Un rosso talmente scuro ed intenso da confondersi con
il colore delle ombre. Alla luce del tramonto rilucevano della loro
tonalità naturale.
Si era messo ad
inseguirlo, ma non riusciva a prenderlo. Era impossibile. Il moro
avrà avuto sì e no un minuto di vantaggio
rispetto a lui, non era ammissibile che il demone più veloce
di tutti non riuscisse a raggiungere un angelo con così poco
distacco.
Eh no, lo doveva
prendere. Ne andava del suo orgoglio. Si mise d’impegno e,
sfruttando le forti correnti d’aria presenti,
guadagnò qualche metro. Ma ancora non bastava.
Stava avanzando, a
poco a poco la distanza diminuiva. Era vicino, dannatamente vicino.
All’improvviso il ragazzo virò, entrando nella
foresta del regno angelico. Non poteva più seguirlo.
“Merda!!
Proprio adesso doveva decidere di tornare a casa?”
guardò il sole morente, fermo a mezz’aria,
lasciandosi cullare dai tocchi del vento.
Decise di tornare a
casa, per quel giorno non aveva più niente da fare.
§§§§§§§§§§§§§
Erano passati altri
giorni, e tutti si erano svolti nel medesimo modo.
Usciva dal castello,
arrivava sul ponte, guardava il ragazzo fino a quando non decideva di
andarsene ed allora lo seguiva. Ogni volta si faceva più
veloce, più vicino, ma l’altro gli sfuggiva sempre.
Sembrava uno stupido
gioco, il gatto che deve inseguire il topo, solo che in questo caso il
topo voleva fare la parte del predatore. Non riusciva mai a
raggiungerlo, nemmeno a sfiorarlo. La distanza minima che era riuscito
a raggiungere era di un paio di metri, non oltre.
Quando tentava di
avvicinarsi l’altro aumentava la velocità,
lasciandolo indietro. La diminuiva, invece, quando era troppo distante.
Sembrava che volesse dirgli: prova a prendermi, io sono qui. Ma ogni
volta si allontanava.
Si stava stufando di
quel gioco, ma, allo stesso tempo, era da molto che non aveva
l’occasione di sgranchirsi ed avere qualcuno con cui poter
fare sul serio.
Anche oggi, la stessa
scena ripetuta una decina di volte. L’unica cosa diversa era
che ora volavano vicino al pelo dell’acqua. Se allungava le
mani poteva immergervi le dita.
Condivideva quella
scelta, quel giorno faceva molto caldo, a quella distanza la frescura
creata dal fiume li accompagnava nella loro gara.
Era talmente immerso
nelle sensazioni di refrigerio che le varie onde gli donavano che non
se ne accorse. Non notò l’avvicinarsi di una
piccola isoletta nel mezzo delle correnti, né
l’approssimarsi degli alberi che vi crescevano, e che si
trovavano proprio sulla sua traiettoria.
Vi sbattè
contro malamente, cercando, all’ultimo secondo, di attutire
il più possibile il danno. Prima di svenire, per la botta
alla testa, gli sembrò di sentire una voce pronunciare
seccata un “dobe”.
Quando si riprese la
prima cosa che sentì fu qualcosa di fresco sugli occhi. La
seconda fu il forte dolore al viso che, nonostante i suoi poteri di
guarigione, gli provocava ancora forti fitte. La terza fu che non era a
casa, sembrava sdraiato sull’erba, ne sentiva il profumo.
Alzò il
braccio e, lentamente, si toccò la fronte. Tolse il panno
bagnato che vi era adagiato sopra e tentò di aprire gli
occhi. Sollevò le palpebre senza fatica e le sue pupille si
abituarono facilmente alla poca luce che passava dalle fronte degli
alberi. Sentiva l’acqua frusciare poco distante.
“Probabilmente
sono sull’isoletta che ho visto prima” fu il suo
unico pensiero coerente, prima che un’ombra gli
coprì il viso.
-Era ora che ti
svegliassi, idiota- pronunciò una voce, sembrava abbastanza
infastidita.
-Che…?
Chi…? Cosa…?- tentò di formulare una
frase di senso compiuto, ma la botta lo scombussolava ancora.
-Sei così
stupido da non riuscire a formulare una frase per intero?- chiese di
nuovo l’altro, ora il tono era sia infastidito che
canzonatorio.
-Teme!! Modera il
linguaggio, sono pur sempre un ferito- sbraitò,
improvvisamente ritornato proprietario di tutte le sue
facoltà dialettiche.
-Un ferito idiota che
si va a sfracellare contro un albero- rispose l’altro, -Sei
stato fortunato a non esserti cavato un occhio. Dobe-
-Piantala di chiamarmi
dobe, è stato un incidente. Può succedere a tutti-
-Se l’avessi
smessa di seguirmi ogni dannata volta non ti sarebbe successo niente-
Solo in quel momento
il cervello collegò del tutto. Lui stava inseguendo
l’angelo quando era successo l’irreparabile, quindi
quello che l’aveva soccorso era…
Si tirò su
di scatto, mettendosi seduto e girandosi per poter, finalmente,
guardare in faccia il ragazzo. E, per un attimo si ritrovò
pietrificato, era stupendo. Non aveva mai visto qualcuno di
così bello.
Il viso aveva dei
lineamenti perfetti, delicati ma non femminei, ma quello che lo
attraeva di più erano gli occhi. Pozzi neri a cui si
specchiava il cielo notturno. Le iridi erano scure screziate di
cobalto, formavano un abbinamento perfetto ai capelli corvini dai
riflessi blu scuro.
Ciò che lo
distolse dalla contemplazione del moro fu proprio la sua voce.
-Senti, so di essere
bellissimo, quindi piantala di fissarmi-
-Ma tu sei davvero un
angelo? No, perché di così odiosi e narcisisti
non ne ho mai incontrato- rispose subito.
Avrebbe voluto
ribattere stizzito qualcosa come ‘E chi sarebbe
bellissimo?’, ma sarebbe risultata poco credibile, per due
motivi essenzialmente. Primo perché era rimasto a bocca
spalancata dopo averlo visto, c’era mancato poco che non si
mettesse anche a sbavare, ma aveva ancora un minimo di
dignità e non si sarebbe mai permesso di farlo. Secondo
perché oggettivamente era bello, non lo si poteva definire
in altro modo. Forse stronzo antipatico, ma non di certo brutto.
Quindi, per evitare
ulteriori attacchi alla sua immagine, già irrimediabilmente
distrutta, aveva deciso di ribattere in un altro modo. Era meno
deleterio.
-Il mio carattere non
è affare che ti riguarda, dobe-
-Grrr. Teme! Piantala
di chiamarmi in quel modo. Ho un nome, io!-
-Non mi interessa, ti
chiamo come mi pare visto che continui a disturbarmi-
-Io non ti disturbo,
sei tu che non vuoi farti prendere-
-Se tu non avessi
iniziato con questo stupido gioco ora non dovrei sopportarti, quindi
stai zitto-
-Io faccio quel che mi
pare teme, non prendo ordini da te-
Il moro
iniziò a guardarsi intorno, come alla ricerca di qualcosa.
Prima che potesse, in qualche modo, chiedergli cosa stava facendo si
ritrovò bagnato da capo a piedi. Il Teme aveva deciso di
fargli fare una doccia per farlo stare zitto.
-Ma io ti ammazzo!-
urlò furioso.
Riuscì ad
agguantare l’altro per la vita e lo trascinò nel
fiume, che scorreva lì vicino. Ciò che,
però, non aveva tenuto in considerazione era la resistenza
dell’angelo che, sentendosi trascinare, aveva fatto in modo
di non cadere in acqua da solo.
Ora si trovavano
entrambi in piedi, sulla riva, bagnati fradici mentre si scambiavano
occhiate gelide.
Il primo a rompere il
silenzio fu proprio il moro che, dopo uno tsk seccato,
spiegò le ali e si sollevò da terra. Prima che
l’altro potesse andarsene, però, lo
afferrò per la caviglia, trattenendolo.
-Mollami-
sibilò l’angelo, infastidito.
-Solo se mi prometti
che ci rivedremo-
A questa frase
seguì un assottigliamento degli occhi neri e cobalto.
-Promettimelo-
ripeté, rafforzando la presa.
-Tsk! E va bene-
accettò, dopo aver dato una veloce occhiata al sole ormai
quasi scomparso all’orizzonte.
A quelle parole
sorrise felice e allentò la presa. Il moro ritirò
il piede con un forte strattone e si lanciò di fretta verso
la foresta del regno angelico.
Dopo averlo visto
sparire si diresse tranquillo verso casa, non preoccupandosi di
asciugarsi i vestiti. Prima di arrivare gli venne in mente una cosa.
“Non gli ho
chiesto come si chiama”, lo rimosse momentaneamente. Avrebbe
avuto altre occasioni per farlo.
Scusate l'enorme ritardo, ma
sono stati giorni impegnativi.
Anche oggi, aggiorno solo perchè sono riuscita a trovare un
po' di tempo prima della partenza. Per tutta la settimana non ci
sarò, causa vacanza, e non so quando potrà
arrivare il prossimo aggiornamento dato che non ho ancora scritto il
prossimo capitolo. Madama ispirazione mi ha abbandonato, spero che la
situazione si sblocchi.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno recensito e mi scuso se non
riesco a rispondere, ma il tempo stringe.
Grazie anche a coloro che leggono, hanno messo la storia tra preferiti
e seguiti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** gelosia ***
Gli eredi
Capitolo 3: gelosia
E si erano rivisti, il
giorno dopo e quelli dopo ancora.
Arrivava sul ponte di
corsa, il moro era sempre lì, nello stesso punto e nella
stessa posizione delle altre volte. Questo non era cambiato dopo
l’incontro e, anche se non sembrava, lui c’era
rimasto un po’ male.
Quello che era
cambiato era lui. Non si metteva più dall’altra
parte del ponte, ad osservarlo da lontano. Si sedeva a un paio di metri
di distanza dall’angelo. Si accomodava tranquillo e restava
lì, a cavalcioni sul parapetto, a guardarlo.
Il ragazzo non gli
aveva mai detto o fatto capire che gli desse fastidio averlo di fianco,
quindi lui non aveva intenzione di smettere.
Un’altra
cosa che era cambiata era il finale delle loro giornate. Il moro se ne
andava e lui lo seguiva, però lasciava il posto molto prima
del tramonto. Volavano per un po’, gareggiando e si
dirigevano verso l’isoletta dove avevano parlato per la prima
volta.
Rimanevano
lì fino a quando il sole era quasi scomparso
dall’orizzonte e la notte iniziava ad avanzare. E in quel
lasso di tempo loro dialogavano, o meglio, lui parlava e
l’altro lo ascoltava, a volte annuendo o emettendo dei
monosillabi quasi incomprensibili.
Ma a lui andava bene
così. Sasuke, era riuscito a chiedergli come si chiamava,
era una persona paziente, che ti sapeva ascoltare e dare giudizi in
modo imparziale. Si trovava bene con lui, per la prima volta non aveva
sentito quella solita sensazione di fastidio.
Ogni volta che
permetteva a qualcuno di vedere al di là della sua solita
maschera fredda ed arrogante sentiva uno strano sentimento spiacevole.
La cosa andava avanti molto, a volte anche per anni, per questo non era
mai riuscito a fidarsi e ad aprirsi totalmente anche con i suoi amici
più cari.
Era una cosa
più forte di lui, manteneva sempre un certo distacco. Ma con
l’angelo era diverso, aveva stravolto tutto. Non si era mai
trovato così a proprio agio con qualcuno, forse solo con sua
madre ed Arashi, ma anche in questo caso la situazione era diversa.
Si fidava di Sasuke,
totalmente e ciecamente. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma con lui non
aveva sentito il bisogno di fingere o quella sensazione di distacco e
fastidio. Anzi, lui voleva avvicinarsi sempre di più al
moro, voleva essere il centro dei suoi pensieri e delle sue attenzioni.
Tutti i giorni,
aspettava trepidante solo il momento in cui avrebbe potuto averlo di
nuovo vicino. Era continuamente distratto e con la mente altrove. Non
partecipava più alle riunioni di sua madre né
andava ad allenarsi insieme ai suoi amici.
Le mattine le passava
in giardino, ammirando il piccolo laghetto delimitato da sassi neri. A
volte si allenava un po’ con la madre o con Arashi,
altrimenti pensava al suo prossimo incontro con il moro. Pensava a cosa
dirgli, a come coinvolgerlo nei suoi discorsi e a come litigare.
Quando
l’angelo si alterava iniziavano a battibeccare, anche la
più piccola cosa poteva essere la causa scatenante. Ed in
quei momenti lui si sentiva felice, perché sapeva che
durante quelle piccole lotte Sasuke pensava solo a lui. A volte si
trattavano solo di battute acide e atte a provocare l’altro,
altre volte la cosa sfociava in piccole liti a suon di pugni e calci.
Non si facevano mai
troppo male e, alla fine, le uniche prove tangibili del fatto avvenuto
erano i vestiti ed i capelli in disordine e qualche segno che sarebbe
comunque sparito in poche ore. E lui stava bene, si sentiva contento e,
in qualche modo, a casa.
§§§§§§§§§§§§
Quel giorno aveva
accompagnato la madre alla riunione, erano dovuti venire di primo
pomeriggio ed il sole rendeva l’aria asfissiante. Faceva
tremendamente caldo, e l’unica cosa che sperava era di
andarsene al più presto dal quel luogo fatto di pietra
rovente per altre mete decisamente più fresche. Magari una
bella isoletta in mezzo al fiume, coperta di alberi e con la compagnia
di un bel moretto di sua conoscenza.
Si congedò
da Kyuubi e si incamminò verso la sua meta.
Arrivò là con calma studiata, non voleva farsi
vedere ansioso d’incontrarlo. Gli avrebbe dato troppa
soddisfazione, e lui non voleva dargliene ancora.
Lo vide ancora
lì, la stessa posizione, lo stesso posto, lo stesso sguardo.
Si chiese, per l’ennesima volta, se non si stancasse mai di
restare così tutti i giorni. Lui si sarebbe stufato presto,
non era uno che amava stare fermo e in silenzio per molto.
Il fatto che lo
facesse per buona parte del pomeriggio da quando aveva incontrato
Sasuke era irrilevante. Lui non fissava il vuoto, lui fissava il moro.
Ed era una vista talmente piacevole da far passare il resto in secondo
piano. In più il tempo scorreva molto velocemente quando era
lì. O, più probabilmente, lui era talmente perso
da non rendersi conto del tempo che passava.
Sì,
decisamente la seconda era l’ipotesi corretta. Anche se
faticava ancora ad ammetterlo perfino a sé stesso. E non
l’avrebbe mai detto ad alta voce, ne andava della sua
dignità.
Lo osservava da un
po’, non sapeva dire da quanto. Come sempre perdeva la
cognizione del tempo quando si trattava del moro.
Una voce urlante lo
costrinse a distogliere lo sguardo e l’attenzione dalla bella
figura dell’angelo.
-Saaasuke-kuuuuun!!!!-
urlò una voce femminile.
Spostò le
iridi azzurre verso l’angelo che correva nella loro
direzione, agitandosi e urlando. Era una ragazza che indossava un
vestito bianco con gli orli che sfumavano in una tinta lilla. I lunghi
capelli biondi erano legati in una coda di cavallo, una ciocca copriva
un occhio e lasciava vedere l’altro di un bel celeste.
Nel complesso aveva un
aspetto delicato e fragile, ma anche estremamente vivace. Si vedeva da
come correva come una forsennata.
Improvvisamente
provò un inspiegabile senso di irritazione e di rabbia verso
quella figura. Non la conosceva, ma già gli stava
estremamente antipatica.
Le tenne gli occhi
incollati addosso, seguì con lo sguardo tutta la strada che
fece fino a quando non si ritrovò parzialmente nascosta
dalla figura dell’angelo. Sasuke, incurante di lei, era
ancora nella stessa identica posizione. Non aveva battuto ciglio
né quando lei aveva urlato né quando gli si era
aggrappata alla gamba.
La osservò
parlare a raffica verso l’angelo, la vide stringere le mani
sul tessuto leggero che ricopriva la pelle pallida del moro. Vide tutto
questo e, inspiegabilmente, sentì una enorme irritazione
crescergli dentro.
Lo avvolgeva con le
sue dolorose spiri nere, lo accarezzava e tentava. Nel giro di un
minuto e mezzo da quando la ragazza si era aggrappata a Sasuke si
ritrovò a soffocare un ringhio.
Dopo altri dieci
secondi dovette respingere la suadente proposta che il suo cervello gli
aveva fatto. Ci mise davvero molte energie per zittire la vocina che
continuava a sussurrargli ‘Bruciala, non vedi come lo tocca?
Non è degna di farlo, bruciala’.
Non contenta del suo
sforzo, la sua mente si dedicò ad elaborare immagini molto
esplicite su quello che le avrebbe volentieri fatto.
Tutti i suoi buoni
propositi per ricacciare quelle fantasie nel fondo della sua mente, e
senza far capire quello che veramente provava, furono mandati in fumo
da quello che vide.
La bionda aveva preso
a strusciare la guancia sulla gamba del moro e qui, nonostante tutta la
buona volontà del mondo, non potè trattenere una
smorfia di fastidio e semi-disgusto.
Fu enormemente grato
all’angelo quando, irritato da tutta quella eccessiva
vicinanza, allontanò di scatto la gamba dalle braccia
dell’altra. Sembrava che stesse pensando di darle anche un
calcio, ma non lo fece, con suo enorme dispiacere. Si limitò
a rivoltarsi verso l’orizzonte, dopo essersi avvicinato un
po’ a lui.
Osservò
come la ragazza, dopo esserci evidentemente rimasta male al suo
allontanamento, tentò di riavere un contatto con il corpo di
Sasuke.
Questa volta non
l’avrebbe sopportato. Se avesse anche solo sfiorato il moro
l’avrebbe incenerita seduta stante. E tante salute alla legge
di non aggressione. Era lei che toccava una Sua proprietà,
non sapevano che i demoni erano tremendamente possessivi?
Senza nemmeno
riflettere si alzò dal parapetto e si avvicinò
alla bionda. La guardò per qualche secondo prima di
afferrarle il polso e allontanarla bruscamente dall’angelo.
-Che diavolo fai? E
chi sei?- sbottò la ragazza, strappando velocemente il
braccio dalla sua presa.
La fissò
con occhi gelidi, il brillante azzurro era diventato un unico blocco di
ghiaccio. La sua stessa voce, quando parlò, era dura e
tagliente.
-Gli dai fastidio-
-Cosa? E a chi?-
ribattè la femmina, dopo qualche attimo.
Quelle parole le
avevano trasmesso una strana sensazione, più per il tono con
cui erano state pronunciate che per il loro significato.
Alzò la
mano ed indicò Sasuke. Non si scomodò a
rivolgerle di nuovo la parola.
-Non è
vero! Non darei mai fastidio al mio Sasuke-kun. E comunque non sono
fatti che ti riguardano!- urlò furiosa.
A sentire
‘mio’ e ‘Sasuke’ nella stessa
frase tutto il suo autocontrollo scivolò via. Puff,
scomparso come se non fosse mai esistito.
Prese la ragazza per
la gola e si avvicinò al suo viso. Gli occhi si indurirono
di più e la voce si ridusse ad un sibilo. Una sensazione di
gelida rabbia iniziò a scivolare sulla pelle
dell’angelo e iniziò ad intorpidirla.
-Quello che mi
riguarda lo decido io- e, stringendo la presa sul collo, si
avvicinò all’orecchio della bionda. -Avvicinati
ancora a lui e ti ritroverai a desiderare la morte come mai in vita tua-
La mollò
all’improvviso, e lei ricominciò a respirare.
Troppo spaventata perfino per alzare lo sguardo, si limitò
ad andarsene di corsa, tremante.
Dopo aver visto la
femmina sparire si girò verso Sasuke. L’angelo lo
guardava. O meglio, lo osservava. Sembrava che stesse cercando di
capire qualcosa.
Incatenò
gli occhi ai suoi, sentiva ancora la rabbia pulsargli nelle vene. Piano
piano, però, una sensazione di calma iniziò ad
avvolgerlo. Si perse in quel mare nero e si lasciò
trasportare dagli screzi cobalto. Si sentiva tranquillo e protetto, non
sapeva perché, ma era così.
Mantennero il contatto
visivo anche mentre l’aria li avvolgeva e scarmigliava le
piume delle ali appena estratte.
Quando sentirono le
prime gocce d’acqua bagnargli la pelle distolsero gli
sguardi. Ritornarono a volare come al solito, il moro davanti e lui
dietro che cercava di raggiungerlo. Però quella sensazione
di completezza rimaneva. Era come se fosse nato proprio per guardare,
ed essere guardato, da quegli occhi.
Quando giunsero
all’isoletta si misero seduti, l’uno accanto
all’altro e con le schiene appoggiate al tronco degli alberi.
Silenzio. Anche dopo
svariati minuti era quella l’unica cosa che aleggiava sopra
di loro. Un silenzio che non era rotto nemmeno dalle chiacchiere di
Naruto.
Subito dopo che il
moro aveva staccato gli occhi dai suoi aveva iniziato a pensare.
Perché si era comportato così con
quell’angelo? Aveva agito seguendo un impulso irrefrenabile,
ma non ne capiva il motivo.
Anche in quel momento
stava riflettendo, cercava di trovare la causa scatenante alla sua
scenata. Perchè sì, era stata una scenata in
piena regola. Pacata, ma feroce. Voleva davvero farle del male. Solo
non ne capiva la ragione.
-Dobe- incredibilmente
il silenzio venne interrotto proprio da Sasuke. -Non serviva che
intervenissi, l’avrei mandata via io se continuava a darmi
fastidio-
-Mmmh- un lieve suono
fece intendere all’angelo che aveva capito.
Nessuno dei due
parlò per il resto della giornata e, al momento di
salutarsi, si limitarono a brevi occhiate, per poi volare via veloci
ognuno per la propria strada.
§§§§§§§§§§§§
Erano passati un paio
di giorni da quel pomeriggio. E, per tutto quel tempo, non si era fatto
vedere. Era rimasto a palazzo, ad allenarsi e a pensare. Non se la
sentiva di tornare là, non finchè non avesse
capito il motivo del suo comportamento.
Nonostante questi suoi
propositi la mattina del terzo giorno cedette. Non riusciva a stare
senza vedere il moro. In questo lasso di tempo gli era mancato
terribilmente e ogni pretesto era buono per farglielo tornare in mente.
Aveva passato quei due
giorni come un animale in gabbia. Voleva andare a vederlo, ma avrebbe
finito per fare di nuovo la figura dell’idiota come
l’ultima volta e, quindi, il suo orgoglio lo frenava.
Dopo aver deciso, e
tutto grazie ad un commento inopportuno di Sakura, di essere in
astinenza da angeli ed in particolare uno alto, moro e con due occhi
mozzafiato, c’era solo una soluzione.
Quel pomeriggio
sarebbe tornato sul ponte. Infondo qualcosa avrebbe pur fatto, tanto
Sasuke già lo considerava un dobe quindi, peggio di
così.
§§§§§§§§§§§§§§
Arrivò
presto sul ponte, dell’angelo non c’era ancora
traccia. Si sedette al solito posto, le gambe a penzoloni e il volto
rivolto verso il mondo angelico. Voleva vederlo arrivare.
-Allora è
qui che venivi a rintanarti tutti i giorni. E noi che pensavamo
chissà cosa!- una voce femminile lo fece voltare di scatto.
Davanti a lui vi erano
un ragazzo ed una ragazza. Lui aveva la pelle diafana, capelli corti
neri e occhi dello stesso colore. Lei aveva i capelli rosa confetto,
gli erano diventati così a causa di un incantesimo mal
riuscito e non le dispiacevano, e occhi verde foglia.
-Sai, Sakura. Cosa ci
fate qui?- chiese sorpreso. Non si era accorto di essere seguito, aveva
la mente altrove.
-Siamo venuti a vedere
dove andavi così di fretta. Non pensavamo venissi qui. Che
diavolo fai tutto il pomeriggio?- indagò Sakura, gli
dispiaceva passare così poco tempo con l’amico.
Da quando aveva
iniziato a sparire non era stato più lo stesso, passavano a
malapena un’ora insieme e molto spesso il ragazzo inventava
delle scuse per andare via prima. Si stava preoccupando.
-Niente- osservo.
-Cosa? Tu non sei
capace di stare fermo. Non puoi non fare niente per tutto il tempo-
-Quello che faccio o
non faccio non ti deve importare. Se ti dico niente è
niente- non ho
intenzione di dirti nulla, quello che succede tra me e lui è
solo nostro.
-Tsk, testardo!-
sbottò esasperata.
Quando Naruto se ne
usciva con quelle frasi evasive e sgarbate era meglio lasciar perdere
l’argomento. Difficilmente avrebbe dato una risposta. E lei
sapeva che il biondo odiava essere forzato a parlare. A volte
litigavano proprio per il suo carattere troppo impiccione e apprensivo.
Era sempre stata tipo
mamma chioccia con lui, era il fratellino che non aveva mai avuto. E
come tale lo trattava, da molti anni lo aveva preso sotto la sua ala
protettrice, giurandosi di difenderlo da tutto. Ma con lui tutto
ciò non serviva, era forte abbastanza per cavarsela
egregiamente da solo. E lei lo sapeva, solo era duro rassegnarsi a
tutto ciò.
-Eh, qualcosa da mia
madre dovevo pur prenderlo, visto che non le somiglio per niente-
rispose lui con un sorriso.
La faccia sconsolata
della demone li fece ridere entrambi. Risata subito smorzata dal
commento di Sai.
-Beh, qualcosa
l’hai preso. Il tuo pene è così piccolo
che non sembra nemmeno esserci-
-SAI!!- si
girò subito verso il demone, fulminandolo con
un’occhiata al vetriolo. Ormai era talmente abituato ai suoi
commenti da non scomodarsi neppure per picchiarlo, tanto non sarebbe
servito.
Infatti. Appena dopo
che il moro ebbe finito di parlare un potente pugno calò
sulla sua testa. Sakura odiava quel genere di battutine, ed ogni volta
picchiava il ragazzo finchè non chiedeva pietà o
riusciva a scappare.
C’era da
dire che, se dopo cinque anni di pestaggi non aveva imparato a tenere a
freno la lingua allora era un idiota, o un masochista, dipendeva dai
casi. Lui propendeva di più verso la seconda ipotesi
però, quel demone non era del tutto sano di mente.
-Quante volte devo
dirti di non aprire la bocca solo per dare aria al cervello?? Sempre
che tu ce l’abbia ovviamente- concluse serafica la demone.
Quando si trattava di
Sai era capace di irritarsi in un momento, e non che l’altro
si trattenesse, anzi.
Quindi, per come
andava di solito la cosa, tra pochi secondi avrebbero iniziato a
litigare e lui non aveva voglia di stare ad ascoltarli.
Stava per intervenire
ed evitare la possibile discussione quando accadde qualcosa che non si
sarebbe mai aspettato. Sakura lo abbracciò.
Le sue spalle vennero
avvolte da braccia esili, nonostante la forza spaventosa era pur sempre
una ragazza, e l’orecchio sinistro gli venne solleticato dal
respiro della rosa.
-Ricorda Naruto, se
hai bisogno io ci sono. Sempre- gli sussurrò.
-Grazie Sakura- le
rispose con un sorriso. La stretta si strinse leggermente, per
ricordargli che lei sarebbe sempre stata al suo fianco. Pronta a
sostenerlo e a rimproverarlo.
Le voleva bene come ad
una sorella, ed era la figura più vicino ad esserlo. Da
quando si erano conosciuti non era cambiata affatto. Le sorrise grato,
mentre lei lo ricambiava con uno affettuoso.
-Tsk- un suono seccato
lo convinse a voltare il viso.
Era là.
Sasuke lo guardava con occhi gelidi, le labbra piegate in una smorfia
insofferente e le sopracciglia aggrottate. Lo guardò
sorpreso, venendo ricambiato da uno sguardo pietrificante.
L’angelo
fece comparire le ali e, in un attimo, si sollevò dal suolo.
Si allontanò velocemente, lasciando il ponte. Il tutto senza
staccare gli occhi da lui.
Era confuso,
perché faceva così? Cos’aveva fatto per
meritare uno sguardo simile?
Incurante di tutto e
tutti aveva iniziato a seguirlo, urlando il suo nome.
Quando lo aveva visto
estrarre le ali si era subito liberato dell’abbraccio di
Sakura e gli era andato dietro. Ora doveva solo raggiungerlo e farsi
spiegare il motivo del suo comportamento.
Era più
facile a dirsi che a farsi.
§§§§§§§§§§§§§§§
(alcuni minuti prima)
Finalmente poteva
andarsene. Diventavano ogni giorno più irritanti e
fastidiosi. Non li sopportava più, la loro ipocrisia non
aveva limiti.
Come potevano dire che
quello che facevano fosse per il suo bene? Odiosi angeli troppo
attaccati al potere e alla loro posizione sociale.
In questi giorni era
di pessimo umore, da quando la piattola bionda gli si era appiccicata
sentiva una sorta di fastidio percorrergli il corpo. E come se non
bastasse il dobe non si faceva vedere da due giorni, questo era strano.
Da quando si erano incontrati non aveva saltato nemmeno una giornata.
Quel dannato demone lo
fissava con una tale intensità che era impossibile non
notarlo. E se ci si aggiungeva il suo aspetto allora non passava
assolutamente inosservato.
Non riusciva ancora a
spiegarsene il motivo, ma quel biondino gli piaceva. Nonostante fosse
un inesauribile fonte di rumore e confusione era piacevole. Stargli
vicino non gli procurava il solito fastidio o l’insofferenza
che sentiva con gli altri.
In più era
dannatamente veloce, se non stava attento un giorno o l’altro
l’avrebbe raggiunto. Migliorava a vista d’occhio.
Questo però non voleva dire che si sarebbe fatto battere da
un dobe del suo calibro.
Tra le gare di volo e
le chiacchiere estenuanti del biondo le giornate passavano molto
più velocemente e, soprattutto, molto più
leggere. Il demone era un’inesauribile fonte di divertimento,
a volte lo provocava apposta per vederne la reazione.
Ovviamente tutto
questo sarebbe rimasto solo un pensiero, nessuno l’avrebbe
mai saputo, nemmeno sotto tortura.
Senza accorgersene era
arrivato sul ponte. Distolse la mente dai suoi pensieri e fece scorrere
gli occhi su tutti i presenti. Lo cercava anche oggi, nonostante
sapesse che la maggior parte delle volte arrivava dopo di lui non
poteva fare a meno di cercarlo.
Il suo sguardo si
posò su una zazzera bionda e disordinata. Una sensazione
calda si fece largo nel suo corpo e, per poco, non si fece sfuggire un
sospiro di sollievo. Oggi sarebbe stata una giornata migliore delle
precedenti.
Si diresse verso il
solito posto, arrivato più vicino al demone lo vide parlare
con altri due ragazzi, un maschio e una femmina.
Quel tipo moro non gli
piaceva, aveva un viso che incitava a prenderlo a schiaffi.
L’altra, a parte lo strano colore di capelli, sembrava
innocua. O almeno così pensava.
Al commento del demone
verso il dobe dovette reprimere l’impulso di prendere il moro
a pugni. Fortuna che la ragazza non lo represse.
Avrebbe meditato
vendetta più avanti, ora l’importante era tenere a
freno la rabbia che gli riempiva il corpo.
Continuò a
squadrare il trio per altri interminabili minuti, fino a quando la
scena che vide gli fece rivoltare lo stomaco dalla furia e dalla
gelosia. Sì, quel sentimento tanto bruciante non poteva
essere altro che gelosia.
La rosa lo stava
abbracciando, e il dobe ricambiava. Strinse i pugni, cercando di
controllare la rabbia. Gli occhi si strinsero in due fessure quando li
vide sorridere.
Come osava quella
mettergli le mani addosso? E lui come osava farsi toccare da lei? Li
avrebbe ammazzati, lentamente e dolorosamente. Il dobe per primo, non
doveva farsi sfiorare da nessuno, solo lui poteva toccarlo,
abbracciarlo, prenderlo in giro. Gli altri non potevano avere tutta
questa libertà.
Naruto era…
All’improvviso
la consapevolezza dei pensieri che stava facendo lo colse. Stava
davvero pensando quello che stava pensando? Dopo un attimo di
valutazione affermò che sì, tutto quello che gli
era passato per la mente era qualcosa che nessun altro avrebbe dovuto
sapere.
Riacquistò
subito la sua compostezza, rinchiuse i suoi sentimenti dietro il muro
di freddezza e superiorità che aveva imparato a costruire
fin troppo presto.
Piegò le
labbra in una smorfia insofferente e pronunciò un secco
–Tsk!- per attirare l’attenzione del biondo.
Gli occhi azzurri lo
guardarono sorpresi e, cos’era quella scintilla che li
illuminava? Felicità?
Lasciò
perdere tutti i possibili significati e indurì ulteriormente
lo sguardo. Avrebbe voluto saltargli addosso, se per ammazzarlo o
baciarlo ancora non lo aveva deciso.
Contrariamente a
quanto gli gridava il cuore estrasse le ali e se ne andò.
Aveva sempre dato retta all’orgoglio e, nonostante sapesse
che molte volte erano decisioni sbagliate, avrebbe sempre continuato
così.
Volava cercando di non
pensare a niente, ma non ci riusciva. La rabbia e la gelosia bruciavano
furiose e continuavano a rimandargli le immagini di Naruto e
quell’altra abbracciati.
Era talmente perso nei
propri pensieri da non accorgersi né della voce del demone,
che lo chiamava a squarciagola, né di stare volando a una
velocità a dir poco ridicola. Volava molto più
piano del solito.
Talmente che poco dopo
una mano si strinse intorno al suo polso, riportandolo alla
realtà.
Si ritrovò
davanti il ragazzo rosso ed ansimante per il volo e per il vento, che
soffiava agitato e rabbioso.
-Teme! Si
può sapere che ti è preso?- gli chiese, non
accennando a mollare la presa.
Lo guardò
negli occhi. In quelle iridi celesti che racchiudevano confusione e
qualcos’altro, sempre quel qualcosa a cui non voleva dare un
nome.
Poi si
spostò dalla mano, che ancora gli teneva il polso, fino a
terminare sulle labbra del demone. Labbra rosee e piene, lievemente
screpolate per via dell’aria, ma che sembravano
così morbide e invitanti.
Un flash con il biondo
che sorrideva alla ragazza si riaffacciò alla sua mente. La
rabbia crebbe impetuosa. Lui era solo suo!
Si chinò
leggermente in avanti e congiunse le labbra con quelle di Naruto, in un
bacio aggressivo e possessivo.
L’altro
rimase immobile, troppo stupito da quel gesto e dai sentimenti che
sentiva trapelare. Il demone si ritrovò, nonostante tutto, a
riconoscerli simili ai propri. Possesso e gelosia.
-Sei mio. Solo mio-
gli sussurrò, dopo essersi allontanato leggermente dalle
labbra piene del dobe.
-Solo tuo- rispose
Naruto con un sussurro, come se fosse un segreto solo loro.
Si ribaciarono, con
passione e desiderio, assaporando l’uno le labbra
dell’altro. Si stupirono entrambi di quanto il sapore del
ragazzo di fronte fosse il più buono che avessero mai
assaggiato.
Chiedo venia per l'immenso
ritardo, ma non è colpa mia. Ok, solo in parte.
La maggior parte della colpa va a Sua signoria Ispirazione che ha
deciso, arbitrariamente, di prendersi le ferie fino a data da
destinarsi. Poi è colpa anche del caldo che mi faceva
scappare la, già poca, voglia di fare qualcosa. Poi
è colpa anche della mia pigrizia, lo ammetto.
Per farmi perdonare vi porto un capitolo lungo, contente?
Temo di stare deviando velocemente nell'OOC, cosa che non voleva
assolutamente. Voi che dite, Naruto è troppo OOC? Io temo di
sì.
Per coloro che leggono anche l'altra fic, non disperate, prima o poi il
capitolo arriva. Purtroppo, per i motivi elencati sopra, non sono
ancora riuscita a scrivere qualcosa di decente, ma non temete, prima o
poi...
Passiamo ai ringraziamenti:
Yoko-kage13:
in effetti ho preso spunto da quel manga per l'ambientazione, ma non
per il carattere dei personaggi. Gli angeli qui non sono per niente
buonisti e pronti a fare sempre del bene. Se poi partiamo con il
presupposto che non ci sono nè dio nè il diavolo,
ma solo il re degli angeli e la regina dei demoni, non avremo nessun
essere superiore che li guarda dall'alto. Spero che questo
capitolo ti sia piaciuto.
Kellyvideomaniacatv:
eh, qui scatta la gelosia, da entrambe le parti. Sarà che
non mi piace vedere solo Sasuke fare il geloso possessivo, ma ci vedo
bene anche Naruto in quel ruolo, certo, sarà sempre meno
geloso del moro, ma comunque anche lui fa la sua parte. Spero che il
capitolo ti piaccia.
Quistis18:
qui Naru fa una figura stupenda, tu che dici? Non è da tutti
fare certe minacce senza capirne nemmeno il motivo. Però si
sa, Naruto è sempre Naruto e se non fa qualche figura del
cavolo non è da lui. Spero che in questo capitolo ti siano
piaciuti. Vedrai cosa ho in serbo, la possessività del moro
deve ancora fare il suo pieno ingresso. Alla prossima.
Capitatapercaso:
Beh, per il gioco a rimpiattino non è quello che fanno per
tutto il manga? Naruto che lo rincorre e Sasuke che scappa. Per quanto
riguarda i loro ruoli mi ero stufata di vedere sempre Naruto angelo,
buono puccioso e ingenuo, e Sasuke demone, possessivo vendicativo e
perverso. Cioè, non che adesso il moro non sia tutte queste
cose, solo che da angelo è più divertente. Per il
colore delle ali c'è un motivo, che spiegherò
più avanti. Al prossimo capitolo.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto, commentato e inserito la storia
tra preferiti e seguite.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=379193
|