Non sparare

di EleWar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scintille ***
Capitolo 2: *** Kaori dove sei? ***
Capitolo 3: *** Sopravvivere ***
Capitolo 4: *** Strane amicizie ***
Capitolo 5: *** Minamoto-Kamakura ***
Capitolo 6: *** La festa altrove ***
Capitolo 7: *** Interrogatori ***
Capitolo 8: *** Duello ***
Capitolo 9: *** Io sono City Hunter ***
Capitolo 10: *** Ad ogni costo, anche volare ***
Capitolo 11: *** Ritrovarsi… o quasi ***
Capitolo 12: *** Una lunga notte ***
Capitolo 13: *** Salvarsi ***
Capitolo 14: *** Ho fatto quello che dovevo ***
Capitolo 15: *** Non sparare ***



Capitolo 1
*** Scintille ***


Benvenuti a questa mia nuova long, spero che vi piaccia. E’ un po’ più ‘tosta’ delle mie solite, ma tanto sapete che con me non dovete penare troppo ^_^
Buona lettura
Eleonora

 
 
 
Cap.1 - Scintille
 
“Non guardarmi così, non mi fai paura, e non mi fai nemmeno sentire in colpa!” gli disse Kaori con aria di sfida, un bagliore gelido negli occhi.
 
“Te l’avevo detto che non avresti dovuto farlo!” rispose Ryo accigliato.
 
“Senti, ne abbiamo già parlato. Questo lavoro ce l’ho nel sangue, e non lo lascio per niente al mondo, ma ho bisogno di imparare a cavarmela da sola” continuò la ragazza sullo stesso tono, pronta a non cedere di un millimetro.
 
“Non dovevi andare in quel club per imparare a sparare, non ti permetterò di uccidere nessuno!” sentenziò l’uomo, cercando di ergersi sull’esile figura della socia.
 
“Ma non voglio uccidere nessuno! Come te lo devo dire? Però devo essere in grado di difendermi, e se sono costretta a sparare, devo poterlo fare bene, per non colpire organi vitali” argomentò, con una nota di esasperazione nella voce Kaori.
 
“Non ne hai bisogno perché ci sono io a proteggerti!” Sentenziò Ryo, convinto che con questo avrebbe chiuso il discorso una volta per tutte.
 
“E invece no, tu non ci sei e non ci sarai sempre. E comunque io non ho bisogno di un protettore, ma di un uomo accanto, uno che mi apprezzi per quello che sono, e che mi faccia sentire amata…” Stavolta Kaori non avrebbe lasciato perdere il discorso che, con mille varianti, avevano già affrontato e che li portava sempre allo stesso punto, invariabilmente.
 
“…. ci sei andata di nascosto da me” sibilò l’uomo, con l’orgoglio ferito.
 
“Certo, perché tu non saresti stato d’accordo; so come la pensi e, del resto, non mi hai mai voluto dare lezioni! E in ogni caso sì, l’ho fatto di nascosto, era un mio segreto, uno contro i cento che hai tu!” quasi gli gridò sul muso.
 
“Non è questo il punto. Non era così che doveva andare” Ryo continuava a volersi imporre sulla donna.
 
“E come doveva andare? Cosa avevi deciso per me, cosa avevi deciso per noi? Sei sempre tu che detti le regole per entrambi: io non ho mai voce in capitolo, ciò che voglio io non conta, finisce sempre in secondo piano” gli gettò in faccia la sweeper esasperata.
 
“Non è vero!” disse Ryo con tono tagliente.
 
“Ah, sì? Allora baciami, avanti fallo! So che mi desideri e sai che anche io ti voglio… baciami, adesso, subito!” lo sfidò apertamente la socia, mettendosi le mani sui fianchi, con gli occhi fiammeggianti di desiderio e audacia.
Non si era mai permessa tutta questa sfacciataggine, ma era stanca di quell’eterno balletto che stavano portando avanti già da troppo tempo.
 
Erano arrivati alla resa dei conti.
 
Ma lui non si mosse, non raccolse la provocazione, nonostante avrebbe voluto strapparle quel sorriso beffardo a forza di baci e morsi; nonostante tutto il suo corpo si protendesse verso quello di lei; nonostante baciarla fosse il suo più grande desiderio, tanto da sconvolgergli la mente, notte e giorno.
Eppure non era quello il modo, non era quello il momento, sarebbe stato come cedere, su tutta la linea; cedere alle sue maledettissime voglie, al suo amore, al sentimento che provava per lei; ma soprattutto sarebbe stato come cedere a lei, arretrare, farsi da parte, darle ragione, accontentarla, e lui non poteva farlo.
 
Non le avrebbe mai dato il permesso d’imparare a sparare.
 
“… lo sapevo, non ne hai il coraggio, e non mi dispererò dietro la stupida scusa che è perché non ti eccito abbastanza, perché so che non è così. Sei tu che sei un codardo, un vigliacco e…” non finì la frase e sbuffò, rassegnata e ferita insieme; con Ryo Saeba andava sempre a finire così.
 
Lei non ce la poteva fare, era un testardo bastardo maschilista, uno stronzo egoista ed egocentrico; un manipolatore, un libertino buffone, un cinico uomo di mondo… ma non poté aggiungere altro, che il suono insistente del telefono li strappò dal loro duello verbale.
 
Driinnn driiinnn!
 
Scese un silenzio greve fra i due.
 
Driinnnn driiinn!
 
“Pronto?” si decise a rispondere la sweeper.
 
Kaori? Ciao sono Kyokun Seitaro, ti ricordi di me?” rimbombò la voce nel ricevitore; nell’improvviso silenzio della stanza, quelle parole risuonarono chiare e comprensibili anche senza il vivavoce.
 
“Seitaro? Ma certo! Il ragazzo del poligono! Dimmi!” rispose Kaori, mettendoci molto più entusiasmo del dovuto.
 
Stasera, dopo il torneo, io e i ragazzi del club pensavamo di andare a bere qualcosa e mi chiedevo se ti andasse di unirti a noi” si udì distintamente dall’apparecchio.
 
Ryo non poteva non aver sentito.
Kaori si voltò a guardare Ryo, ritto al centro della stanza proprio dove l’aveva lasciato: la mascella serrata, gli occhi freddi come acciaio, i pugni stretti lungo i fianchi; dopo una brevissima pausa, la ragazza rispose nel ricevitore:
 
“Ma certamente, è una bellissima idea” e nel dirlo sorrise eccitata.
 
Ryo girò sui tacchi e lasciò la stanza.
 
 
Questo era tutto ciò che Kaori riusciva chiaramente a ricordare, dopo di che era quasi il nulla.
Aveva una vaga idea di essersi sentita, in quel momento, come Pirro, e di aver vinto, cioè, una battaglia che però non la faceva felice.
Non aveva ceduto davanti a Ryo, non gliel’aveva data di vinta sul non andare al poligono per imparare a sparare; aveva creduto di poter essere superiore a lui, di farlo ingelosire, perfino… di poter essere padrona del suo destino e delle sue scelte.
L’aveva addirittura sfidato a baciarla, ma lui non l’aveva fatto.
 
Le era sembrato di essere nel giusto, eppure lui se ne era andato lasciandola lì, senza dire una parola.
Ripensandoci, sicuramente dentro di sé aveva imprecato dietro a quel mulo impossibile del socio, ma non aveva perso tempo a fare recriminazioni o a maledirlo; era certa di essersi preparata per la serata, di aver preso la sacca sportiva e dei vestiti di ricambio per la serata nel locale scelto dai ragazzi, ma poi…?
Cosa era successo veramente?
 
Si guardò addosso.
 
Indossava brandelli di vestiti e, a giudicare da ciò che vedeva e riconosceva, quelli erano i jeans aderenti che aveva indossato quella sera, anche se erano tutti macchiati a vario titolo e il colore originale si perdeva fra gli sfilacci, gli strappi e tutto il resto.
Quelle macchie non erano solo fanghiglia e terra, alcune più dure erano sicuramente sangue, e non necessariamente solo il suo.
Si toccò la gamba, lì dove sentiva dolore, lo stesso che l’aveva strappata da un’incoscienza agitata e dolorosa; aveva una ferita profonda, sporca e incrostata di fango; miracolosamente aveva smesso di sanguinare però i bordi erano frastagliati, vermigli tendenti al violaceo, e non prometteva nulla di buono.
Provò a muoversi e una breve fitta le fece mancare il fiato.
Chiuse gli occhi e una miriade di stelle le tempestarono la calotta cranica.
Attese che passasse quel dolore atroce e poi, più lentamente, provò a muoversi.
 
I movimenti, seppur lenti e misurati, misero in moto una fitta ragnatela di dolori vari, e si sentì come se fosse finita sotto un treno, e che per un miracolo non fosse morta; le doleva praticamente di tutto.
Cosa le era successo esattamente?
Chi o cosa l’aveva ridotta in quel modo?
 
Improvvisamente si rese conto di avere freddo, un freddo pungente che le pizzicava le braccia nude, graffiate, doloranti; lentamente portò le mani al busto per scoprire che indossava solo il reggiseno, o ciò che ne restava, perché una bretella penzolava strappata dalla spalla e un seno occhieggiava dalla coppa.
 
Si spaventò.
 
Il pensiero di essere stata aggredita, magari malmenata, non era così terrificante come il dubbio di essere stata… violentata o abusata.
 
Tentò di concentrarsi, di provare a sentire se anche sentisse del dolore, ma era difficile dirlo perché non c’era un solo centimetro di pelle che non le facesse male.
 
Chiuse gli occhi, esausta.
 
Anche ragionare e pensare la faceva soffrire.
 
Dopo un po’ di tempo, e quanto non seppe dirlo neanche lei, riaprì gli occhi e cercò di guardarsi intorno.
Cosa vedeva?
 
Era raggomitolata sotto un albero, un sempreverde a giudicare dagli aghi che ne tappezzavano la base; alzando gli occhi al cielo ne seguì il complicato intrico dei rami, stranamente spogli.
Tutto intorno alberi simili.
Era finita in un parco?
In un giardino?
O peggio ancora in un bosco?
Ma non c’erano boschi a Shinjuku… A Tokyo c’erano parchi rigogliosi, ma perché non c’era traccia di sentieri, viottoli, gente che passeggiava, bambini rumorosi o il solito ronzio della metropoli in sottofondo?
 
Tentò di mettersi in piedi a più riprese, cercando la sequenza giusta dei movimenti per provare meno dolore possibile; infine la trovò.
Si appoggiò sfinita al tronco e, ansando, cercò di mettere a fuoco la sua situazione.
 
Mezza nuda, dolorante come se l’avessero percossa o fosse scampata ad un grave incidente, sola, abbandonata in un posto sconosciuto, apparentemente lontana dal consorzio umano; senza borsa, effetti personali, senza nemmeno un orologio per stabilire l’ora.
Senza la camicetta con i famosi bottoni-ricetrasmittenti con i quali sempre Ryo la ritrovava; senza speranza, senza… Ryo.
 
Ecco, l’ultima immagine che aveva di Ryo era lui che le voltava le spalle e se ne andava accigliato, e non seppe dire se quella visione le procurasse più rabbia o disperazione, perché in quel momento aveva urgentemente bisogno di lui e non sapeva come farlo tornare indietro.
 
Una gelida raffica di vento la riscosse: il cielo già grigio si stava velocemente incupendo e di lì a poco, se non fosse scesa la notte, di sicuro sarebbe arrivata la pioggia e, nelle condizioni in cui si trovava, non era l’ideale restarsene in quel modo all’aria aperta.
 
Era comunque autunno inoltrato, quello se lo ricordava e, a giudicare dalla natura selvaggia che la circondava, non c’era forse troppa speranza di trovare un riparo entro breve.
Non vedeva segni di attività umana, né costruzioni che ne attestassero la presenza; togliersi da lì era la sua priorità e, visto che una direzione valeva un’altra, decise di salire un lieve pendio che le si parava di fronte: almeno, sperava, se l’avesse portata su una vera e propria altura, da lì avrebbe potuto guardarsi meglio intorno e il suo sguardo avrebbe potuto spaziare più lontano.
 
Fatto un bel respiro, si dispose a muoversi, non prima che una sequela di dolori e fitte le strappassero mugugni e lamenti; per fortuna i muscoli si sciolsero e, fatti pochi passi, non fu poi così male riprendere a camminare.
 
Chissà per quanto tempo era rimasta rannicchiata a terra in quella posizione infelice; forse anche star lì scomoda, l’aveva fatta star male.
Mano a mano che saliva il leggero pendio, malgrado i dolori sparsi, le sembrava di tornare alla vita: il corpo ricordava di essere stato allenato, un tempo.
Kaori era un’atleta con un fisico tonico e scattante, si teneva in forma con lunghe sessioni in palestra, e veramente la sua vita di sweeper l’aveva portata a superare qualsiasi ostacolo fisico e mentale.
Quel malessere sparso e generalizzato non poteva nulla sul suo corpo sano e vigoroso, era solo un leggero impedimento, non era fiaccata totalmente e questo pensiero la rinfrancò.
 
Passo dopo passo, con l’ossigeno ad irrorare i polmoni e girare libero in circolo nel sangue, tornavano anche i ricordi: no, stavolta non era vittima della solita amnesia.
Piano piano le stava tornando tutto alla mente.
 

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Capitolo 2
*** Kaori dove sei? ***


Ho cercato di fare prima possibile, ad aggiornare, ma la mia RL ultimamente è quella che è :D
Detto ciò, GRAZIE per aver accolto con tanto entusiasmo questa mia nuova ‘fatica’, spero di potervi ripagare, capitolo dopo capitolo.
Nel frattempo… buona lettura *____*

 
 
Cap. 2 - Kaori dove sei?
 
“Ryo, ti prego smettila!” gridò per l’ennesima volta Saeko, fermandogli il braccio pronto a colpire di nuovo “Non è massacrandolo che riuscirai ad avere altre informazioni!” gli ingiunse perentoria l’ispettrice Nogami.
 
“Questo lurido bastardo sa molto più di quello che dice, ed io so come fargli sputare il rospo!”
 
Kyokun Seitaro sedeva sbracato sulla sedia girevole dell’ufficio privato di Saeko: spettinato, con i vestiti stazzonati, con gli occhi fuori della testa, portava sulle guance i segni evidenti di sberle e schiaffi.
Ansimava, terrorizzato, tenendosi stretto con le mani alla seduta della poltroncina.
Non c’era stato bisogno di ammanettarlo o legarlo, era troppo impaurito per provare anche solo a fuggire; tenersi ancorato alla seggiola era solo un ultimo tentativo per non cedere di fronte a quel ciclone che lo stava investendo, e che era niente meno che il grande Ryo Saeba, in tutta la sua rabbia distruttrice.
 
Ryo, tormentato dall’Angelo della Morte che premeva per resuscitare dai bui recessi del suo animo, gli si avvicinò fin quasi a sfiorargli il naso con il suo e gli sibilò:
 
“Dimmi dov’è Kaori!”
 
“Te-te l’ho già detto! Io. Non. Lo. So.” piagnucolò.
 
“Menti!” gli urlò in faccia lo sweeper; e stava già per colpirlo di nuovo quando, nell’ufficio, irruppe trafelato un sottoposto della Nogami che, tutto concitato, disse:
 
“Abbiamo una traccia!”
 
Ryo si voltò di scatto verso l’agente,  poi di nuovo verso Seitaro e, con un sorriso diabolico che gli fece venire la pelle d’oca, gli disse:
 
“Salvato dalla campanella! Ma non ho ancora finito con te…” e si allontanò di scatto verso i due poliziotti.
 
 
 
oOo
 
 
 
Kaori ricordava… sì, ricordava che quella sera era andata al poligono; aveva indossato la sua solita tuta, quella che aveva portato con sé nel borsone, e preso le cuffie d’ordinanza; aveva scelto la pistola che avrebbe fatto al caso suo, e che l’addetto le aveva dato in consegna, non prima di aver compilato e firmato tutti i moduli del caso.
 
Lei e Seitaro avevano sparato a lungo, in due postazioni affiancate, e avevano fatto a gara a chi facesse più centri sulle sagome in movimento.
Erano presenti anche gli altri del corso, proprio come aveva detto lui al telefono, e c’era pure Kurai, con il suo solito abbigliamento dark e l’aria lugubre; non si addiceva tanto al clima gaio del ritrovo, ma era una ragazza in gamba, di poche parole, e Kaori non aveva motivi particolari per averla in antipatia.
 
Avevano passato almeno due ore a sparare ed era chiaro alla fine chi fossero i primi della classe: Kaori e Seitaro erano i più bravi nel tiro in movimento e a lunga distanza, e la sweeper non stava più nella pelle, era euforica, per i risultati raggiunti.
 
Si era iscritta al corso all’insaputa di Ryo, dal momento che lui non solo non glielo avrebbe permesso, qualora lei gli avesse chiesto consiglio, ma soprattutto perché lui si ostinava a non darle lezioni di sorta.
Era stanca di essere la solita imbranata che mirava in un posto e sparava in un altro, ed apprendere che il socio, volutamente, le aveva manomesso la pistola dell’amato fratello Hideyuki affinché, intenzionalmente, non uccidesse mai nessuno, non l’aveva di certo consolata.
 
Si sentiva tagliata per il mestiere di sweeper, ma se non avesse imparato a sparare, quantomeno per difendersi, non sarebbe mai diventata una professionista in grado di badare a sé stessa e difendere i più deboli che si affidavano a lei.
Le trappole che così magistralmente aveva imparato a fabbricare sotto la supervisione del grande Falcon, non servivano a nulla in uno scontro a fuoco, in un attacco repentino ed improvviso, e non sempre poteva ricorrere ad armi pesanti come bazooka o mitragliatrici, sempre per lo stesso motivo.
I rudimenti che aveva appreso grazie all’aiuto di Mick e Miki, non sarebbero mai stati sufficienti davvero.
 
Ma Ryo non voleva… già, non voleva; aveva deciso così e così doveva essere.
E lei si era ribellata.
Ed ora aveva trovato la sua strada, accanto a persone che come lei si erano impegnate a fondo, erano migliorate giorno dopo giorno e, in quel salutare ambiente cameratesco, erano diventati tutti perfetti tiratori.
Si sentiva a suo agio in quella stretta cerchia di giovani, anche se le uniche donne erano lei e Kurai, perché finalmente c’era chi apprezzava le sue capacità, e la sana competizione la portava sempre a migliorarsi.
 
I ragazzi del corso non potevano sapere che, per Kaori, andare al poligono non era un semplice hobby come per loro, ma un’esigenza di vita, e lei si era guardata bene dallo spiegargli che tipo di vita conducesse e perché.
Apparentemente si riunivano lì al club tutti dopo l’orario di lavoro e, appunto, sparare era solo uno sport come un altro.
 
Lontana dall’orbita di Ryo, inoltre, era riuscita a farsi nuovi amici, e la corte discreta di Seitaro la faceva sentire viva e vitale; era tornata ad essere la Kaori di una volta, molto più sicura di sé e delle sue capacità, e non si sentiva sminuita da nessuno.
Non c’era chi le ripetesse che non era neanche una vera donna, che il suo appeal era pari a zero; non c’era chi frustrasse ogni suo più piccolo slancio affettuoso; semplicemente, poteva essere la Kaori che voleva essere, senza remore, freni o finzioni.
Sotto sotto, però, le dispiaceva non poter condividere i suoi traguardi e le sue soddisfazioni proprio con Ryo; ma, ironia della sorte, era arrivata a tanto proprio perché non c’era lui, proprio perché lui non faceva parte di quell’angolo di vita tutta sua.
Era stato divertente, dopo la sessione di tiro, ritrovarsi tutti nel locale a poche centinaia di metri da lì, ne ricordava perfettamente il nome, l’evocativo One Shot, e manco a dirlo che gli avventori erano gli stessi frequentatori del poligono.
Il divertente clima cameratesco era continuato anche lì, e i drink non si erano fatti desiderare; cibo e bevande non mancavano mai al loro tavolo, e perfino Kurai era rimasta con loro per un bel pezzo, pur non unendosi alle sbicchierate e alle risate.
Silenziosamente sgranocchiava patatine e noccioline, ma era già tanto per una come lei che, solitamente, si dileguava dopo l’ultimo sparo.
 
Ad un certo punto si erano pure trasferiti nella sala karaoke e lì avevano tutti dato il meglio di sé.
Kaori non ricordava di essere stata mai così allegra come quella volta e, finalmente, non pensava a niente.
Ma poi cosa era successo veramente?
 
 
 
oOo
 
 
 
“Torniamo a te, Seitaro” gli rivolse la parola con fare inquisitorio Ryo, dopo essere tornato dal breve incontro con l’agente e l’ispettrice Nogami “Raccontami come è andata…”
 
“Ve l’ho già detto! Eravamo al One Shot già da un po’, avevamo bevuto, e tanto, e poi anche cantato, e ancora bevuto. Ci stavamo divertendo e non facevamo nulla di male…” quasi piagnucolò.
 
“Questo lo sappiamo…” sbuffò innervosito Ryo.
 
Pensare alla sua Kaori che si divertiva con quella massa di idioti lo faceva andare su tutte le furie, ma molto di più essere inchiodato lì, senza sapere dove lei fosse e con chi, temendo il peggio e non riuscendo ad estorcere, a quel mollusco, una dichiarazione o un’informazione utile su dove andarla a cercare. “E poi…?” chiese in tono minaccioso.
 
“Non lo so… non sono sicuro. Credo di essere crollato su di un divanetto, ma poi mi sono risvegliato perché avevo urgentemente bisogno di andare in bagno. Solo allora ho visto che al nostro gruppo si era aggiunta altra gente, persone in giacca e cravatta, e anche loro ridevano, si divertivano… non lo so, non lo so! La testa mi girava, girava tutto il locale e credo di essere svenuto”.
 
“Maledizione!” sbottò Ryo, colpendo violentemente con un pugno la scrivania lì vicino.
 
Da quel cretino non riusciva ad avere nulla di più che pigolii atterriti e lacrime, mentre lui avrebbe tanto voluto prendere un mezzo qualsiasi e correre a salvare Kaori, perché era sicuro che lei fosse in pericolo.
 
Non era mai successo che lei non tornasse a casa di sera, nemmeno quando litigavano come avevano fatto la sera dell’uscita al poligono.
Avevano avuto un acceso diverbio, proprio quando lui aveva scoperto che lei aveva frequentato un corso di tiro al bersaglio a sua insaputa; l’aveva redarguita, si era arrabbiato, piccato, perché lei non doveva farlo a prescindere, e non solo di nascosto da lui.
Makimura gliel’aveva affidata e lui si era votato a lei, alla sua incolumità, alla sua salvezza.
Si sentiva fin troppo in colpa per averla fatta entrare nel suo mondo malato e pericoloso, ci mancava che lei imparasse a sparare e diventasse un’assassina come lui!
No, Kaori doveva rimanere pura e innocente come quando l’aveva conosciuta, e a nulla valevano le proteste di lei, quando affermava che restare al suo fianco era stata una sua libera scelta, e che saper sparare ne andava della sua stessa incolumità, nonché delle clienti per cui lavoravano.
Ryo era stato irremovibile, e lei si era incaponita: lei, la testarda!
Gli aveva disobbedito, lo aveva contrariato, ma più di tutto gli scottava che lei si fosse allontanata da lui, avesse preso a frequentare altre persone che non fossero le solite della banda, si fosse aperta agli altri, si fosse fatta altre amicizie… lontano da lui.
E poi c’era quel Seitaro, così belloccio e delicato: Ryo amava terrorizzarlo, metterlo in difficoltà, perché voleva punirlo di averci provato con la sua Kaori; voleva fargli scontare il fatto di aver osato mettere gli occhi su di lei, e più lo minacciava, più annientava la sua virilità, riducendolo ad una mammoletta piagnucolante.
Nessuno poteva competere con il grande Ryo Saeba, nessuno era più uomo di lui.
 
Ma questa rivalsa tardiva non gli dava soddisfazione alcuna, perché all’atto pratico Kaori era sparita, non era tornata a casa, non aveva dato notizie di sé, e le ricetrasmittenti dei suoi bottoni lo avevano condotto ad un sudicio vicolo dalle parti del porto, dove giaceva,in un angolo, la sua camicetta, aggrovigliata e strappata… e questo non era un buon segno.
La socia non si sarebbe privata di tale indumento per nulla al mondo, sia per ovvia pudicizia, sia perché conosceva l’utilità dei suoi bottoni, quindi tutto ciò dimostrava che era stata costretta a spogliarsi, o peggio ancora, qualcuno aveva provato, riuscendoci, a spogliarla.
Ed ecco che la rabbia gli annebbiava la ragione: immaginare un infido omuncolo, o un gruppo di balordi, aggredire e spogliare la sua Kaori, era un incubo che non gli dava pace.
Gli strappi e la sporcizia dell’indumento poi, testimoniavano che c’era stata una colluttazione; sicuramente la socia si era opposta, c’erano tracce di sangue…
Ryo aveva rischiato, seduta stante, di trasformarsi nell’Angelo della Morte; si era trattenuto a stento perché prima doveva individuare i responsabili di quell’atroce gesto.
Poi, non ci sarebbe stato più scampo per nessuno.
 
E quel coglione di Seitaro, che aspirava alla bella socia, non era stato capace di proteggere colei che avrebbe voluto diventasse la sua donna!
Che razza di uomo era costui?
Si era ubriacato e poi era svenuto, pisciandosi addosso.
Il tanfo che emanava dai suoi pantaloni gli confermavano che quella sera non era riuscito a raggiungere il bagno in tempo.
 
Ryo stava per avventarsi nuovamente su Seitaro, quando Saeko tornò alla carica e riuscì a fermarlo in tempo:
 
“Ryo, lascialo stare, non lo vedi che è un povero cristo? Concentriamoci sugli altri avventori, magari sanno dirci qualcosa di più. Inoltre i miei uomini stanno controllando la soffiata che ci hanno fatto poco fa” poi, allontanandolo da Seitaro che, ripiegato su se stesso, continuava a frignare a bassa voce, gli disse: “Ti prometto che la troveremo” e gli strinse forte il braccio.
 
Ryo la guardò con occhi assenti, cupi e immensamente neri, e Saeko si spaventò per la disperazione che vi lesse dentro.
Il suo amico amava visceralmente la sua socia, e forse proprio perché non si decideva a ricambiare i suoi sentimenti, si condannava a soffrire pene indicibili.
La amava tantissimo, ma non era in grado di aprirsi a lei, di dirglielo, a lei che ne era innamorata da tempo immemorabile, e la faceva soffrire in maniera assurda.
Il pensiero che la compagna potesse essere in pericolo di vita e lui non fosse in grado di trovarla e salvarla, lo stava facendo diventare pazzo, e forse, ipotizzò l’ispettrice, pensare di perderla anche e soprattutto senza averle mai detto che l’amava, era un dolore troppo grande da poter anche solo immaginare.
 
Saeko era molto affezionata a Kaori, e lo sarebbe stata anche se non fosse stata l’adorata sorellina del suo Hideyuki.
Con il suo carattere aperto e solare, con la sua bontà, aveva finito per conquistare anche la bella e algida Saeko Nogami, e quest’ultima avrebbe fatto di tutto per lei.
Ma le premesse non erano buone, la situazione sembrava realmente preoccupante e non voleva cedere alla disperazione.
Kaori, in quanto sweeper, ne aveva vissute di cotte e di crude insieme a Ryo, ma ecco, la parola adatta era insieme, mai da sola, e quando era stata in pericolo Ryo non ci aveva messo tanto a trarla in salvo.
Qui, invece, sembrava sparita nel nulla e, apparentemente, nessun nemico dello sweeper aveva rivendicato il rapimento o lo aveva sfidato apertamente dichiarando di aver preso la socia come ostaggio.
Chi era il nemico stavolta?
Perché Kaori non si trovava più?
Era fuori discussione un suo allontanamento volontario, perché quell’ultimo screzio con Ryo non era stato dei più gravi.
E allora da dove cominciare?
Brancolavano nel buio.
E se la capacità di Ryo di risolvere i casi al limite o oltre la legge, le aveva fatto comodo in più di un’occasione, ora doveva tenere a bada proprio lui, perché non dubitava che, una volta individuato il responsabile della sparizione di Kaori, Ryo si sarebbe fatto giustizia a modo suo.

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Capitolo 3
*** Sopravvivere ***


Visto che domani è la Festa della Donna, ho pensato di fare un regalino a tutte le mie affezionate lettrici… *________* e se mai ci fosse anche qualche maschietto silente, auguri anche a voi! :D
Buona lettura e GRAZIE ancora per la vostra stima e simpatia.
Eleonora

 
 
 
Cap.3 - Sopravvivere
 
In quello stesso momento, a svariate miglia di distanza dalla stazione di polizia di Shinjuku, Kaori era arrivata al culmine di un colle e poteva finalmente guardarsi intorno.
Ma quello che vide non le diede sollievo alcuno, poiché  era circondata da alberi e piccole radure, e non si vedeva anima viva in giro, strade o sentieri di sorta e nemmeno costruzioni che indicassero segni di vita o attività umana.
 
Fu invasa dalla disperazione.
 
Ma che posto era quello?
Dove era finita?
E soprattutto, perché?
 
Si strinse le braccia intorno al corpo e sentì il freddo penetrarle nelle ossa; cosa ne sarebbe stato di lei? Come avrebbe fatto a tornare a casa, a tornare da Ryo?
Come poteva mettersi in contatto con lui, dove avrebbe trovato aiuto?
 
Stava quasi per cedere allo sconforto, quando una raffica di vento fece ondeggiare una verde cortina di arbusti, dall’altro versante della collina, e in quel movimento scomposto le parve di vedere una parte di muro, una porzione di grigio cemento.
 
Si rianimò all’istante e, senza perdere tempo, si mise quasi a correre lungo il pendio, malgrado il dolore alla gamba ferita e tutto il malessere fin lì sofferto.
Una scarica di adrenalina l’aveva temporaneamente anestetizzata e la speranza di trovare un rifugio, un riparo, o meglio ancora qualcuno in grado di poterla aiutare, le facevano dimenticare tutto.
 
Arrivò ai piedi del colle, e per poco non cadde, inciampando su di una radice che non aveva visto: si bilanciò e, per riprendere l’equilibrio, istintivamente frustò l’aria con le mani, finendo per graffiarsi nei bassi rovi.
Lì per lì nemmeno se ne accorse.
 
Avanzò nella vegetazione intricata, scostandola al suo passaggio e stando ben attenta a calpestarla, per acciaccarla e crearsi un varco, e mano a mano che procedeva fra i rami, vide apparire un vecchio muro sbreccato, mancante in un più punti dell’intonaco, ma sufficientemente regolare per farle sperare che fosse un riparo sicuro per la notte.
 
Su quel lato non c’erano finestre e Kaori dovette aggirarlo tutto per trovare finalmente l’apertura; sembrava un deposito di qualcosa, un magazzino, ma quando vi entrò dalla porta che pencolava dai cardini semi divelti, le ci volle un po’ per capire cosa ci fosse all’interno, perché la luce che filtrava dal soffitto e da una specie di apertura sul lato, mezza nascosta dai rami, non le permetteva una nitida visuale.
Solo quando gli occhi si abituarono all’oscurità, poté spingersi fin dentro; cautamente mise un piede avanti l’altro, saggiando il terreno: ci mancava solo che il pavimento marcio cedesse di schianto sotto il suo peso e finisse inghiottita in quel posto dimenticato da Dio.
Per fortuna le tavole fradice di legno poggiavano sulla nuda terra, e a meno che non si fosse aperta una botola da qualche parte, poteva avanzare abbastanza speditamente.
 
Apparentemente la costruzione era vuota, ad eccezione di uno spesso cumulo di foglie ammucchiate dal vento e rari ammassi di sporcizia non identificabile, ma totalmente inutili.
Non c’erano altre pareti che quelle perimetrali, e la costruzione sembrava essere costituita da un unico grande vano.
Il tetto era in legno e paglia intrecciata e il tutto dava l’idea che fosse un rustico ricovero, forse una vecchia stalla, non seppe dirlo.
E si stupì non poco quando, nella parete di fondo, dirimpetto all’entrata, scorse quello che aveva tutta l’aria di essere un camino primitivo, dove i resti di un fuoco di bivacco, potevano ancora scorgersi fra le foglie e i detriti caduti dalla canna fumaria.
 
Era il magazzino più atipico che avesse mai visto, ma forse, si disse Kaori, quello era un ricovero per gente di passaggio, per i boscaioli del luogo, per le antiche genti che frequentavano quei posti che, transitando per quella landa desolata, potevano trovare riparo dalle intemperie, magari solo lo spazio di una notte, per poi riprendere il cammino.
Era estremamente spartano infatti, e non pareva il classico chalet di montagna come ne aveva visti tanti… sui libri o in tv.
Veramente quel luogo dava l’idea che fosse solo un semplicissimo rifugio per avventurieri di passaggio, e che avesse perso la sua utilità originale, qualsiasi essa fosse stata.
 
Sembrava anche disabitato da tempo immemore, e chissà quando era stata l’ultima volta che qualcuno era passato di lì.
Per trascorrervi la notte, comunque, era più che sufficiente, decise la ragazza.
Starsene fuori nelle sue condizioni non era comunque auspicabile, e anche se la porta non si chiudeva – e nemmeno ci volle provare, con la paura che le cadesse addosso e le restasse sulle mani – e non potesse sprangare l’unica finestra che, in ogni caso era quasi schermata dai rami, era sempre meglio che restare direttamente esposta alle intemperie.
 
Si era anche rinforzato il vento, e a quel punto pregò che tutta la struttura reggesse per un’altra notte soltanto, almeno finché ci fosse stata lei dentro, perché quel persistente stato di abbandono non le dava tanta sicurezza di stabilità; purtroppo, però, non era nella condizione di poter scegliere e si adeguò di buon grado.
Il vento sibilava anche dentro il camino, e, si disse, era davvero un peccato non aver i mezzi per accendere un fuoco, o anche solo provarci.
Fra poco inoltre sarebbe stato tutto invaso dal buio, fuori e dentro il rifugio.
 
Sospirando, Kaori si servì dell’ultimo tenue chiarore per ammucchiare un po’ di foglie nell’angolo più riparato della baita e, recuperata una vecchia incerata, si avvoltolò in quella sedendosi sopra il fogliame, con le ginocchia ripiegate contro il petto; chinando la testa, sperò almeno di addormentarsi.
 
Ben presto, tuttavia, scoprì che più la sete, che la fame, le impediva anche di assopirsi, poiché il suo corpo era in sofferenza; e, soprattutto, ripensare alle ultime ore trascorse dopo la serata al One Shot, la mettevano in un tale stato di agitazione, che era pressoché inutile cercare di rilassarsi.
Perché dopo il One Shot era successo che…
 
 
 
oOo
 
 
 
Ryo girava per l’ufficio come un animale in gabbia, rabbiosamente fumava una sigaretta dopo l’altra, e Saeko aveva da tempo smesso di ricordargli che era vietato fumare all’interno della stazione di polizia.
Da che lo conosceva non lo aveva mai visto così agitato, disperato, totalmente fuori controllo.
E non era nemmeno la prima volta che Kaori era stata presa di mira da un balordo qualsiasi, per danneggiarlo indirettamente attraverso la socia, o perché finita accidentalmente nelle mani di un malintenzionato o di una banda di criminali.
E sempre Ryo aveva mantenuto il sangue freddo, non si era fatto prendere dall’emozione, e grazie alla sua esperienza e ai nervi saldi, era riuscito a trarre in salvo la partner, e magari finire per rimproverarla, o fare il porco maniaco con la stessa ispettrice, o con la bella di turno, suscitando le ire della salvata.
Apparentemente nulla lo spaventava e riusciva sempre a sdrammatizzare anche nelle situazioni più complicate o disperate.
Ma stavolta era diverso.
 
Saeko aveva visto il suo amico innamorarsi a poco a poco della giovane Makimura, l’aveva capito molto prima che lui stesso se ne rendesse conto, e il suo sentimento era cresciuto a tal punto che, a forza di negarlo e tenerlo nascosto, era arrivato quasi a schiacciarlo.
E Kaori, che lo amava come e più di quanto lui amasse lei, e che mai era riuscita a confessarglielo perché lui glielo aveva in qualche modo impedito, si era legata a Ryo in maniera indissolubile, si era votata a lui e alla sua vita da sweeper, sia per onorare la memoria dell’amato fratello, sia perché sentiva che quella era la sua vocazione.
 
Erano diventati inseparabili, sempre insieme eppure divisi, perché non permettevano al loro amore di sbocciare e manifestarsi.
Saeko non aveva mai conosciuto due testoni, ottusi, amanti senza speranza come loro, e non sapeva spiegarsi perché stessero sprecando la loro felicità.
 
Forse era anche per questo che Ryo era distrutto, pericolosamente sull’orlo della follia, totalmente incapace di mantenere la calma, di ragionare lucidamente e aspettare di raccogliere più informazioni possibili, come avrebbero fatto in un qualsiasi altro momento di crisi, piuttosto che dare di matto.
Se non glielo avesse impedito anche materialmente, Ryo avrebbe finito per picchiare a sangue quel Seitaro, che aveva commesso il doppio errore di innamorarsi di Kaori, e di non averla protetta abbastanza.
Ma la sweeper al momento della sparizione non era implicata in nessun caso: era stata avvistata per l’ultima volta in un tranquillo locale come tanti; era con tutte altre persone che non erano i soliti della banda; non era nei bassifondi di Shinjuku e, soprattutto, nessuno aveva rivendicato il misfatto.
Saeko sentiva che c’era molto di più, sotto, ma non riusciva a capire cosa e, si disse, se non avesse tenuto i nervi saldi almeno lei, dubitava che Ryo ci sarebbe riuscito.
 
Sospirò pesantemente.
 
Stava per perdere la speranza quando, dopo un breve bussare alla porta, si presentò un altro sottoposto annunciando che una giovane donna voleva conferire con l’ispettrice in persona, e con lei soltanto.
Con gli occhi cerchiati dalla stanchezza e dallo stress, la bellissima Saeko Nogami si voltò verso la porta e sostò per un attimo, indecisa sul da farsi.
Ryo non sembrava essersi accorto dell’agente, né aveva fatto caso a quello che aveva appena detto; Saeko lo guardò preoccupata e, prima di uscire, si avvicinò all’amico.
 
“Ryo…” lo chiamò dolcemente “Vedrai che la troveremo, ma adesso dobbiamo stare calmi, dobbiamo avere pazienza. Perché non esci a prendere una boccata d’aria? Sei esausto anche tu…” e nel dirlo gli toccò un braccio.
 
Solo allora Ryo si riscosse: sigaretta al lato della bocca più ciancicata che fumata, un accenno di barba, guance scavate, si stentava a rivedere in lui il simpaticone, il bell’uomo che era quando voleva fare il seduttore; era letteralmente a pezzi e a Saeko si strinse il cuore.
Per un attimo un pensiero agghiacciante le attraversò la testa: se fosse successo qualcosa di veramente brutto a Kaori, Ryo non sarebbe sopravvissuto.
Scacciò velocemente dalla mente quell’atroce possibilità e, guardandolo significativamente, cercò di convincerlo con i suoi occhi di pervinca.
 
Ryo annuì lentamente e si decise ad uscire; solo allora, quando l’ispettrice Nogami fu sicura che l’amico non avrebbe continuato a sfogare la sua frustrazione sull’incolpevole Seitaro, si risolse a raggiungere la donna che la stava aspettando, in un altro ufficio appartato.
 
E mentre Saeko si apprestava ad incontrare Minamoto Kurai, Ryo salì sul tetto della stazione di polizia e si accese l’ennesima sigaretta.
 
Da sotto la giacca, Ryo, estrasse la camicetta sporca e strappata di Kaori e se la portò al viso ad aspirarne l’odore, ma l’essere stata per così tanto tempo appallottolata ai bordi della strada, fra l’immondizia e l’umidità, ne aveva alterato il profumo.
Ryo sentiva solo l’odore acre della terra umida, un vago sentore di salsedine, pesce marcio, nafta e nemmeno una traccia dell’amato profumo della socia; il destino lo aveva privato anche di questa magra consolazione e gli salì un singhiozzo strozzato dalla gola.
Era in bilico sul ciglio del burrone, precariamente in equilibrio fra la disperazione e la speranza, e faceva di tutto per non pensare che, stavolta, avrebbe potuto perderla veramente; e si dannava ricordando le ultime parole che si erano detti, il malo modo in cui si erano lasciati, lui che le aveva voltato le spalle, adirato e contrariato.
No, non poteva finire così.
 
Giurò a sé stesso, e invocò tutte le potenze sovrannaturali, a cui non si rivolgeva mai, come testimoni e garanti del suo giuramento, che se fosse riuscito a riaverla indietro, le avrebbe detto finalmente che l’amava, che era pazzo di lei, che voleva vivere per sempre insieme a lei e non l’avrebbe più lasciata andar via.
 
Appoggiato con la schiena ad un alto comignolo, si lasciò scivolare fino a sedere a terra e, piegando la testa in avanti, pianse lacrime cocenti e amare.
 
 
 
 
 
oOo
 
 
 
 
 
“Signorina Minamoto Kurai, a cosa devo la sua visita?” domandò l’ispettrice alla giovane, cercando di mantenere il solito distacco, sfoderando una freddezza che era ben lungi dal provare: stava ribollendo di impazienza e frustrazione, avrebbe voluto occuparsi solo ed esclusivamente della sparizione di Kaori, e non aveva voglia di prendere in carico un altro caso, ma era altresì intrigata da quella strana richiesta.
Quel cognome poi non le suonava nuovo e la ragazza che aveva davanti era decisamente strana.
 
Minamoto Kurai era arrivata alla stazione di polizia bianca come un cencio, e il suo colorito spento era messo in risalto dall’abbigliamento monocromatico che la contraddistingueva.
I capelli nerissimi, lisci, lasciati spiovere sulla fronte fin quasi a coprire gli occhi solo apparentemente spenti; corto giacchino nero di pelle con borchie e catene, sopra un top anch’esso nero; minigonna di velluto nero con calze a rete nere; anfibi neri con una suola spessa e massiccia, che evidenziavano la magrezza delle gambe dritte ma decisamente troppo esili.
Le dita che non smetteva di torcersi, una mano con l’altra, sbucavano da corti guanti di pizzo nero, tagliati, e i numerosi anelli d’argento sembravano più orpelli funerei che i gioielli costosi quali invece erano.
 
Saeko non era sicura della tipologia della tipa, se fosse più una punk, o una dark, o un’emo-qualcosa; era aliena a queste mode che imbruttivano le persone più che valorizzarne la bellezza.
Lei, naturalmente dotata di avvenenza e fascino, non concepiva nulla di diverso dalla piacevolezza del bel vedere e del bel guardare; era un’esteta e chi, come lei, era stato baciato dalla fortuna e poteva vantare un bel corpo e un bel viso, aveva l’obbligo morale di aver cura di tali doti e metterle in risalto, se occorreva. Magari servirsene per impressionare e condizionare gli altri, per ingraziarseli, e quindi rigirarseli come meglio poteva, ma di certo non era concepibile combinarsi come la giovane donna che aveva davanti, che sembrava una stampa in bianco e nero di un film horror!
Santo cielo, ma come faceva ad uscire di casa conciata in quel modo?
L’ispettrice non riusciva nemmeno a capire che forma avesse il suo viso, se i tratti somatici fossero piacevoli, armoniosi, aggraziati, sotto quella cortina nera di capelli lisci e smorti.
E le forme?
Ne aveva?
Tutto quel nero appiattiva anche le eventuali rotondità del seno, per non parlare della magrezza che di certo pregiudicava tutto.
Si nutriva a sufficienza quella ragazza sciagurata?
Anche il colore della pelle non era sintomo di salute e le labbra esangui, rimarcate da un rossetto nero, la mettevano a disagio.
Le bocche dovevano essere belle piene e rosse, vermiglie, dovevano far desiderare di essere baciate, dovevano atteggiarsi a sorrisi maliziosi, dovevano essere umettate ad arte con un sensuale colpo di lingua, e non ispirare tetro ribrezzo!
E quegli scarponi da sposa di Frankenstein!
Inutile indossare calze a rete, se poi i piedi li si imprigionava in calzature che nemmeno Umibozu avrebbe messo.
No, non ci siamo, pensò Saeko.
 
“Se fosse mia figlia, o anche solo mia nipote, saprei io come far sbocciare la sua bellezza di giovane donna”
 
Si ritrovò a pensare la sensualissima Saeko, ma poi si redarguì per la sua impietosa disanima mentale.
Chi era lei, per giudicare il modo di vestire, e soprattutto di vivere, degli altri?
Ognuno era libero anche di volersi sentire brutto, o di conciarsi male per un insano, personalissimo gusto.
 
Del resto, nel suo mestiere aveva incontrato le persone più disparate ed eccentriche, e questa sarebbe stata una delle tante, anche se, al momento, non aveva nessun interesse ad imbarcarsi nelle vicissitudini di una povera ragazza sfigata, che, ne era sicura, le avrebbe sottoposto una richiesta strana al par suo.
Ma quando Kurai si decise a rispondere, Saeko Nogami per poco non cadde dalla sedia, perdendo all’istante il suo solito aplomb di donna in carriera.
 
“Kaori Makimura. Sono qui per lei” fu infatti la laconica risposta di Kurai.
 

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Capitolo 4
*** Strane amicizie ***


Altro capitoletto volante. Cerco di aggiornare presto, perché penso che la storia sia meglio leggerla quasi tutta di seguito, per non vanificare l’effetto ‘tensione’ che ho cercato di imprimere al racconto.
Spero che vi piaccia anche questo capitolo.
Grazie per tutto.
Eleonora

 
 
Cap. 4 - Strane amicizie
 
Seitaro, rimasto finalmente solo, raddrizzò la schiena e si sgranchì le spalle.
L’agente che gli avevano messo alle calcagna, prudentemente, stazionava di fuori dall’ufficio e quella bestia famelica era stato allontanato.
L’ispettrice lo chiamava Ryo, ma chi fosse non era riuscito a capirlo; non che gli importasse quando era più impegnato ad incassare i suoi schiaffi e le sue minacce.
Non c’era stato tempo e modo per le presentazioni ufficiali, e pensandoci gli venne da ridere, ma subito il dolore al labbro spaccato lo fece desistere con un lamento.
Picchiava duro quel Ryo, e se quelle erano solo le sberle, non voleva sapere come fossero i calci e i pugni; le sue mani erano enormi e sapeva come dosare la potenza; sospettava che, quando lo aveva strapazzato, ci fosse andato giù piano volutamente: probabilmente non voleva pestarlo a morte, ma solo spaventarlo e dargli un assaggio della sua forza.
In fondo stava cercando di sapere come e quando Kaori fosse scomparsa, e gli serviva vivo, o meglio, in buono stato.
Ridurlo un ammasso di carne tremula non era vantaggioso per lui.
Lui, Seitaro, alla fine, era stato realmente fortunato?
Ryo la bestia lo aveva risparmiato, ma fino a quando?
Come avrebbe reagito quando avrebbe scoperto tutto?
 
Sospirò.
 
Era stato un vigliacco a non raccontare ogni cosa, ma in quel momento aveva deciso che sarebbe stato più onorevole tacere, anche se era arrivato ad un passo dal rivelare tutta la verità.
 
Si passò stancamente una mano fra i capelli sporchi e spettinati.
Non avrebbe mai immaginato che una serata come quella finisse in quel modo; stava andando tutto così bene, finalmente era riuscito a convincere Kaori ad uscire con lui, o meglio, con lui e con gli altri.
Be’, era stato già un inizio, perché lui contava di poter, un giorno, strapparle un vero e proprio appuntamento, loro due da soli.
Era così dolce, così bella!
Aveva subito perso la testa per quella ragazza.
Facile ai rossori, ma sincera e generosa come poche, non si atteggiava eppure era così affascinante, e davvero non se ne rendeva conto.
E poi la sua dedizione, il suo impegno!
Fin dalle prime lezioni si era dimostrata seria e decisa ad imparare a sparare al meglio, sembrava ne andasse della sua stessa vita, eppure non era che un hobby come un altro, per tutti lì al club.
Già, al club.
Di ragazze non se ne vedevano troppe e quelle poche che venivano erano tutte esaltate, donne Rambo o con la dichiarata intenzione di essere migliori degli uomini, se non addirittura essere come loro, che, per inciso, non era un male, peccato che poi gli assomigliassero in tutto e per tutto!
Erano decisamente poco femminili, per usare un eufemismo, ed erano sempre accigliate, sgarbate o minacciose.
Invece Kaori era così delicata, così dolce – l’aveva già detto? – ma allo stesso tempo non era una pappamolla, o una svenevole donnicciola che urlava di spavento al primo sparo.
E poi c’era Kurai, ma quella era… era… una specie di ritratto gotico; era innocua e, soprattutto, non gli ispirava nessun sentimento amoroso.
Non avrebbe saputo dire nemmeno se fosse carina oppure no.
Ma non aveva importanza, perché lui si era innamorato di Kaori e gli interessava solo lei.
 
Kaori era gentile con lui, forse si era già accorta della sua corte discreta, e lo lasciava fare perché, sotto sotto, era interessata anche lei, ma troppo timida per dimostrarglielo.
Non l’aveva mai incoraggiato, quello era vero, però nemmeno lui si era spinto troppo oltre, di conseguenza Seitaro non era stato mai nemmeno respinto.
Non gli risultava che lei fosse legata sentimentalmente a qualcuno, non parlava mai del suo lavoro, né di cosa facesse tutto il giorno fino all’ora di andare a lezione; eppure era sempre così solare e allegra che davvero sembrava vivere in un mondo privo di problemi o preoccupazioni.
Per tutti loro, sparare era uno sfogo, un modo come un altro per scaricare la tensione di una giornata di lavoro; lei invece non sembrava mai stressata o nervosa per qualcosa.
In ogni caso, non c’era mai stato il tempo e il modo per approfondire certi argomenti e, dal momento che lei non parlava della sua vita amorosa, lui non le faceva domande di sorta; non erano ancora così intimi, anche se, contava di diventarlo molto presto.
 
Però adesso era sparita.
Cosa ne era stato di lei?
 
Si mosse a disagio sulla seggiola.
 
Si augurò che non le fosse successo nulla di male.
 
E poi c’era quel Ryo, che sembrava conoscerla molto bene, così come la stessa ispettrice Nogami.
Ma lui faceva paura da quanto era preoccupato: era andato fuori di testa.
In che rapporti erano lui e Kaori?
La sua sparizione l’aveva presa veramente sul personale, per essere un semplice agente… o forse non lo era?
I suoi metodi per interrogare i testimoni non gli erano parsi così conformi alle regole, erano stati piuttosto brutali, e lui era stato trattato più come un sospettato che un testimone.
Anche se…
Almeno un paio di schiaffi se li era meritati lo stesso, per non essere riuscito ad impedire che Kaori…
 
Scosse violentemente la testa, e questo gli accentuò l’intontimento datogli dalla strapazzata di Ryo.
 
Qualcosa gli diceva che se anche Kaori fosse tornata sana e salva, lui e lei non si sarebbero rivisti mai più; che il loro rapporto non sarebbe più stato lo stesso; che qualcosa si fosse rovinato per sempre; che, se anche fosse riuscito a parlarle, lei non gli avrebbe creduto.
Ma più di tutto, sentiva che quel pazzo scatenato di Ryo si sarebbe messo in mezzo, avrebbe fatto o detto qualcosa per cui, loro due, non sarebbero più riusciti ad essere nemmeno amici.
 
Quel Ryo… chi era?
E soprattutto chi era per Kaori?
E Kaori… chi era per Ryo?
 
 
 
Nel frattempo Kaori, in quel rifugio sperduto nel bosco, rimuginava sui suoi ricordi che, piano piano, riemergevano chiari e limpidi nella sua mente.
Sentiva la stanchezza attanagliarle il corpo, e un senso costante di intorpidimento l’asserragliava da quando aveva deciso di sedersi lì, fra le foglie, ma era troppo agitata per pensare anche solo di chiudere gli occhi.
E forse era un bene che non si assopisse, altrimenti il freddo della notte che stava avanzando avrebbe avuto la meglio su di lei: non voleva morire per ipotermia.
Dannazione, se solo avesse avuto un fuoco!
C’erano abbastanza detriti e pezzi di legno da poter bruciare… se solo avesse avuto un accendino, ma lei nemmeno fumava!
Ryo.
Ryo… se ci fosse stato lui, lì, avrebbe saputo come fare: avrebbe acceso un fuoco di fortuna, e poi… l’avrebbe scaldata?
Ne dubitava, però almeno avrebbe avuto quel fottuto accendino.
 
Ripensando alla serata al One Shot, si disse che era stata una stupida a non aver capito che c’erano guai in vista; avrebbe potuto opporsi con più decisione, avrebbe dovuto dire no grazie e tornarsene a casa.
Sì, tornarsene a casa dove, se fosse andata bene, non avrebbe trovato Ryo; se fosse andata male, magari avrebbero continuato a litigare e avrebbero ripreso lì da dove avevano interrotto.
 
Sospirò, sconfitta.
 
Per come erano andate le cose, le sarebbe andata bene, in quel momento, anche strepitare e litigare con Ryo, piuttosto che starsene lì, coperta di una sudicia cerata, seduta su di un mucchio di foglie secche, mezza nuda, in un rifugio abbandonato, in una landa deserta, in mezzo al nulla.
Anche polemizzare con Ryo, e magari azzuffarsi, sarebbe stato infinitamente meglio di essere lì, da sola, perché non solo sarebbe stata in sua compagnia, ma almeno avrebbe potuto guardarlo negli occhi, percepire la sua presenza, la sua aura, e, se fossero venuti alle mani, avrebbe avuto la consolazione di sentire il suo corpo sul suo, avrebbe saputo che era lì, reale, e non un pensiero distante, lontano, triste e struggente.
 
Le sfuggì un singhiozzo.
 
Ma cosa aveva fatto di male per meritarsi tutto questo?
Subito le venne in mente la risposta: non avrebbe dovuto accettare quell’invito; lo sapeva allora come lo sapeva adesso, e se ciò che stava vivendo era la conseguenza tragica di un suo colpo di testa, era perché aveva toppato, e alla grande!
Stavolta non erano i soliti nemici di Ryo che se l’erano presa con lei per far danno a lui!
No, era tutta colpa sua!
Irrazionalmente, per un attimo pensò che Ryo avrebbe fatto bene a non venirla a cercare: in fondo non era stata portata lì da un balordo che voleva sfidarlo, e quindi non era affar suo.
Ma poi scacciò quel pensiero malefico e si disse che no, Ryo doveva venire a cercarla, a salvarla; perché lo aveva promesso a Hide di prendersi cura di lei; perché era la sua socia, la sua partner… perché lei lo amava come nessun altro al mondo e non poteva vivere senza di lui, malgrado tutto…
 
Kaori cedette alla disperazione e scoppiò in un pianto silenzioso e doloroso, si ripiegò su sé stessa e pianse sulla sua sventura; era altresì un pianto antico, che aveva radici molto lontane nel tempo ed era la somma di tanti dolori tenuti troppo a lungo nascosti.
 
“Maledetta me, non dovevo seguirlo…” mormorò nel buio.
 
 
 
 
oOo
 
 
 
 
“Signorina Minamoto Kurai, cosa intende esattamente?” chiese Saeko, sforzandosi di nascondere la curiosità che quell’uscita della ragazza le aveva provocato.
 
Stavano cercando Kaori da ore e questa specie di punk-dark se ne era uscita nominandola, anzi, dicendo che era lì per lei.
Doveva scoprire cosa sapesse in merito la giovane, senza tradire eccessiva aspettativa, senza scoprire le sue carte; era un po’ come avvicinarsi ad un animale selvatico, con cautela, cercando di guadagnarsi la sua fiducia.
Non voleva far fuggire quella ragazza, tanto più che non sembrava una molto loquace.
E se fosse stata la solita mitomane?
Eppure ancora la stampa non era stata informata della sparizione di Kaori Makimura, sia perché era troppo presto, sia per rispetto della segretezza del suo lavoro con Ryo.
Tecnicamente, la polizia non avrebbe dovuto occuparsi subito della sua scomparsa, non erano quelli i tempi richiesti per un’azione conforme alla legge; ma Kaori era Kaori, e c’erano tutti i presupposti per credere che sotto ci fosse qualcosa di pericoloso a prescindere.
 
E poi Saeko lo faceva per Ryo, principalmente, ma anche per la sua amica Kaori e per sé stessa.
Saeko aveva uno strano legame con la giovane sweeper, si sentiva responsabile per lei in maniera contorta e inspiegabile, nemmeno il defunto Hideyuki avesse chiesto anche a lei di vegliare sulla sua sorellina.
Non sapeva spiegarsi perché si fosse affezionata a quella giovane spiritosa e casinista, così lontana dalle bellone che frequentava il suo amico Ryo, e dall’ideale di donna fatale che usa il suo fascino per abbindolare gli uomini, come era lei, del resto.
Eppure ritrovava in Kaori la caparbietà di suo fratello, quel senso di giustizia ad oltranza, quella purezza d’animo che tanto le invidiava.
 
Kaori era Kaori: era colei che aveva riunito tutti quelli della banda in una strana famiglia.
Kaori aveva il potere di attirare tutti nella sua orbita: se apparentemente era solo una bella ragazza che non ci teneva, e non ti saresti voltato a guardala al suo passaggio, un secondo dopo eri così tanto preso, che non saresti riuscito a smettere di pensare a lei, al suo carisma, alla sua spiccata personalità.
 
Ryo avrebbe dato la vita per Kaori, e così pure Saeko, perché… perché sì.
 
Si stavano dibattendo da ore nell’assenza di indizi, e questa tizia bislacca si era presentata alla stazione di polizia dicendo che era lì per la sweeper.
Voleva denunciarne la scomparsa?
Sapeva qualcosa sul suo conto?
Era stata testimone del suo rapimento?
O peggio, ne era in qualche modo invischiata?
Anche se l’ispettrice scartò subito questa ipotesi: erano rari i criminali che, pentiti, si costituivano spontaneamente; e poi la tipa appariva così calma che si stentava a credere che nascondesse qualcosa di losco o che fosse in piena tempesta da pentimento.
 
Saeko piantò i suoi occhi pervinca in quelli della Kurai, anche se non poteva vederli chiaramente attraverso la cortina della frangetta.
 
“Si sieda prego, e mi racconti tutto” le disse, dando fondo a tutta la sua gentilezza e sforzandosi di essere meno gelida del solito.
 
“Dicevo che sono qui per Kaori Makimura, perché credo che sia in pericolo e voi dovete trovarla”.
 
Per poco Saeko non perse l’equilibrio dall’alto dei suoi tacchi a spillo, ma l’abitudine a mantenere il sangue freddo, la sorresse anche in quel frangente.
E subito pensò che fosse un bene che Ryo non fosse presente, altrimenti sarebbe stato capace di saltare addosso alla giovane dark pur di saperne di più; non le avrebbe fatto di certo del male, ma magari l’avrebbe strapazzata, a parole, costringendola a parlare prima del tempo e terrorizzandola a morte, proprio come aveva fatto con Seitaro.
 
Kurai raccolse le idee e, facendo un profondo sospiro, si decise a raccontare la sua storia, ma prima così si espresse:
 
“Ispettrice Nogami, avrei però una richiesta da farle…”
 
Saeko annuì impercettibilmente, quel tanto che bastò per dare fiducia a Kurai, la quale riprese:
 
“Questo nostro colloquio dovrà restare confidenziale. La mia famiglia non sa che sono venuta qui e… preferirei che non lo sapesse nemmeno in futuro”.
 
Nella mente della Nogami suonò un campanellino d’allarme: la tizia gotica stava parlando di famiglia che non doveva sapere… sapere che era andata alla polizia o sapere cosa si apprestava a dire?
Forse entrambe le cose.
Però famiglia non stava forse per clan?
Il suo cognome, Minamoto, le aveva detto subito qualcosa.
Preferì tacere, per il momento, e, contrariamente a ciò che le rispose, senza farsi vedere sfiorò un tasto posto appena sotto il piano della scrivania, mettendo in funzione un registratore ben camuffato:
 
“Ciò che dirà da adesso in poi, resterà fra me e lei, e se mai dovrò usare la sua testimonianza, farò in modo che il suo nome non salti mai fuori”.
 
“Benissimo…” esalò la ragazza ormai più tranquilla e rassicurata “Perché Kaori la considero un’amica e mi dispiacerebbe se… se… per colpa mia fosse in pericolo” si decise a dire.
 
Saeko s’irrigidì impercettibilmente.
Cosa intendeva la dark per colpa mia?
Si costrinse a non saltare subito alle conclusioni.
 
“La prego, mi racconti ciò che sa” preferì invece dire, e si guardò bene dal chiederle come facesse a sapere che Kaori era sparita.
 
Kurai fece un profondo respiro, e poi attaccò.
 

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Capitolo 5
*** Minamoto-Kamakura ***


5 il mio numero preferito… e in questo quinto capitolo, ci sarà qualcosa che potrà interessarvi?
Io invece non posso che ringraziarvi, per la vostra simpatia e per la stima… anche per l’affetto, perché no? Quindi GRAZIE a piene mani.
Buona lettura
Eleonora

 
 
Cap 5 - Minamoto-Kamakura
 
 
Kurai iniziò dicendo:
 
“Il fatto è che… io e Kaori ci siamo conosciute ad uno dei corsi che periodicamente organizza il club del poligono. Io, a dire la verità, so già sparare benissimo, ma di tanto in tanto mi iscrivo al corso, fingendo di essere una novellina, perché…” si interruppe sul più bello, poi riprese “…perché devo reclutare i migliori tiratori sul mercato.”
 
Fece un’altra pausa, ma poi si decise a vuotare il sacco, e diede la stura alle parole:
 
“Faccio parte del clan Minamoto-Kamakura, e il mio compito è infiltrarmi fra le file degli aspiranti tiratori per trovare quelli più dotati e promettenti e, quindi, presentarli a mio padre, il quale, dietro una congrua offerta, li arruola nella banda e se ne serve per… per i suoi affari. Gli promette soldi, donne, droga, bella vita, in cambio dei loro servigi, che vanno da essere semplici guardie del corpo, a uomini tuttofare e pronti a tutto. Inoltre, se il prescelto ha ottime potenzialità, può far carriera all’interno del clan e diventare anche un tiratore scelto, se non un sicario, disposto a compiere il lavoro sporco”.
 
La mente di Saeko stava lavorando a pieno regime, cercando il più possibile di immagazzinare tutte quelle informazioni, sia per trovare il modo di mettere le mani sull’ennesima famiglia mafiosa che ammorbava la città, sia per farsi un’idea della situazione in cui potesse trovarsi la cara Kaori.
Ovviamente ora capiva la richiesta della ragazza, dell’assoluta segretezza di quella confessione: se si fosse scoperto che aveva spifferato i loschi piani della sua famiglia niente meno che alla polizia, avrebbe dovuto subire la vendetta del suo stesso clan, nonché messo in pericolo tutti i membri dello stesso, i quali sarebbero stati perseguiti dalla legge, stanati e puniti.
La Nogami scelse il silenzio, e non replicò né commentò nulla.
 
Kurai, vedendo che la sua interlocutrice l’ascoltava senza giudicare e senza emettere sentenze di sorta, saltando subito alle conclusioni, proseguì:
 
“Ai corsi del poligono molto raramente si presentano delle donne, per la maggior parte sono tutti maschi smaniosi di voler dimostrare qualcosa… il loro testosterone spesso li acceca, ma il più delle volte sono delle vere e proprie schiappe. Anche le donne sono delle caricature di sé stesse, e sembrano più interessate a prevaricare sugli uomini che ad altro. Quindi, in generale, è molto raro che trovi qualcuno adatto… Ma a questo corso c’era Kaori… e c’era Seitaro. Kaori era diversa da tutte le donne incontrare fin lì: era sempre allegra, solare, spensierata; pur essendo notevolmente bella, non faceva la svenevole né si atteggiava a super donna. Non voleva dimostrare nulla e s’impegnava veramente. Era altresì portata e, nonostante fosse una donna, appunto, avrebbe fatto lo stesso al caso nostro… o meglio loro. Io… io non mi sono mai interessata della questione più di tanto, cerco solo i candidati migliori, ma poi non mi preoccupo del resto… nella mia posizione non posso permettermi scrupoli di coscienza…” e, per la prima volta, il suo viso si contrasse in un sorriso amaro.
“Dicevo… al corso c’era Kaori, ma lei aveva sempre una parola gentile per me, mi trattava con rispetto e simpatia, nonostante il mio aspetto, il mio atteggiamento scostante, freddo. Non posso dire che siamo diventate amiche, ma io la consideravo tale: la sua presenza mi scaldava il cuore e mi dava speranza. Sì, speranza in un mondo diverso da quello in cui ero cresciuta e in cui sono costretta a vivere. Al corso spiccava anche Seitaro, per bravura e perizia, ed è inutile dire che i due erano decisamente i migliori di tutta la classe… oltre ad essere i candidati perfetti. Quando mio padre mi ha chiesto se avevo conosciuto qualcuno di veramente valido io… io semplicemente ho fatto i loro nomi”.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
One Shot, due sere prima. Interno notte.
 
 
Wild boys, wild boys, never lose it, wild boys, wild boys, never chose this way …. Ehi, Seitaro? Perché non canti anche tu?” urlò Kaori, sopra le note martellanti del successo dei Duran Duran.
 
“Io… io… credo di non sentirmi affatto bene” biascicò il ragazzo, ondeggiando paurosamente fra i divanetti.
 
“Ehi, Kyokun, ma che schiappa sei? Ti è bastata una birra per metterti k.o.?” gli berciò dietro, sghignazzando, un altro ragazzo del gruppo.
 
“Zitto tu, che ti ubriachi con la Coca-cola!” gli rispose Seitaro, cercando di rimanere in piedi.
 
La classe dell’ultimo corso del poligono era riunita nella saletta karaoke del locale One Shot, e si stava divertendo già da un po’.
Avevano mangiato e, soprattutto, bevuto abbondantemente ed ora stavano perdendo la voce, intonando le canzoni più disparate.
Kaori era addirittura montata in piedi sul basso tavolino e, brandendo un colorato microfono, era quella che più di tutti ci dava dentro, cantando a squarciagola e ridendo come una matta.
Nonostante le abbondanti libagioni, la sweeper era la più sobria e Kurai, che l’osservava dal divanetto all’angolo, sgranocchiando noccioline, si chiese come facesse a reggere così bene l’alcol.
 
The Wild Boys finì e, prima che apparisse sullo schermo il testo della nuova canzone, qualcuno mise in pausa il karaoke e tutti si lasciarono andare esausti sui divanetti.
 
“Ragazzi non mi divertivo così da… da un secolo!” sentenziò Kaori, abbandonandosi sullo schienale e sospirando beata; poi, rivolgendosi a Kurai, le chiese: “E tu? Cosa vorresti cantare? Magari una canzone dei The Cure?” ovviamente era un modo per coinvolgere la taciturna ragazza dark, ma Kaori non si aspettava che rispondesse affermativamente.
Però era troppo allegra per preoccuparsi del mosciume della sua compagna: in fondo, per tutta la durata del corso, aveva già capito che era una tipa di poche, pensate, parole, e vederla esibirsi davanti a tutti, magari anche solo cantando una canzone di una delle band più dark che lei conoscesse, sarebbe stata una cosa forse decisamente eccezionale.
 
“Scusate se vi disturbo” si sentì una voce gentile con una nota divertita nel tono.
 
Tutti si voltarono verso il nuovo venuto: quella era una sorta di saletta privata, prenotata dalla compagnia per cantare in pace e, normalmente, non vi avevano libero accesso altre persone, non prima che il tempo a loro disposizione fosse scaduto.
Istintivamente Kaori guardò l’orologio: era ancora presto.
Il tizio finse di non accorgersi del gesto della giovane e, senza essere invitato, entrò ugualmente.
 
Era un bell’uomo sulla quarantina, dall’aspetto curato e piacevole: indossava una giacca di lino dal taglio sartoriale, di colore scuro, sopra jeans scoloriti.
Ai piedi calzava dei mocassini sportivi e, nel complesso, sembrava uscito da un episodio di Miami Vice.
La versione nipponica di Don Johnson, solo più basso e con meno appeal.
Quello che però saltò subito agli occhi, fu che con una mano reggeva una bottiglia di sakè e, con l’altra, una pila di piccole ciotoline per sorbire il liquore.
Evidentemente, anche se non era stato invitato, non veniva a mani vuote.
Gli occhi di quasi tutti i presenti scintillarono: avevano subito capito che il tizio aveva portato da bere e sembrava volerlo offrire ai presenti per fare amicizia.
Altro alcool e per giunta gratis!
Solo Kaori non si rallegrò della cosa: aveva già bevuto a sufficienza e non aveva nessuna intenzione di sbronzarsi, e soprattutto non con loro.
 
Il nuovo arrivato, vedendo che la sua intromissione era stata più che accettata, si sedette sul primo divanetto libero, accanto a Seitaro.
 
“Ragazzi ho portato i rifornimenti” annunciò nel caso non avessero capito l’offerta che gli stava facendo; e mentre i più si facevano avanti vogliosi, lui disse: “Mi chiamo Kamakura, ma potete chiamarmi semplicemente Kama!” e sorridendo si dispose a versare il prezioso liquido.
 
Quando guardò interrogativamente Kaori, facendo l’atto di porgerle la ciotolina, lei fece un gesto di diniego con la testa e gli sorrise.
Mano a mano che i presenti si servivano, si presentarono, e quando anche Kaori disse il suo nome, Kama commentò:
 
“Kaori, che bel nome! Conoscevo una ragazza, tanti anni fa…” la sweeper non fece caso a quelle parole, che erano il classico commento da convenevole.
 
Kurai invece si lasciò sfuggire un ghigno da satiro, che nessuno notò.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
“Dannazione, Kama sembrava una così brava persona! Avrei dovuto capire subito che nascondeva dei secondi fini! Sono la solita sprovveduta. Chissà cosa direbbe Ryo di me…Ryo…” si udì nel buio del rifugio abbandonato, dove Kaori lottava con il freddo e con i sensi di colpa, in quella lunga notte, in cui sembrava non esserci luce ad illuminare l’anima e l’oscurità.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Ancora One Shot, due sere prima. Interno notte
 
Kama, dopo poco, era già perfettamente integrato e, fra giri offerti di sakè e canzoni sempre più stonate, sembrava che quella fosse una compagnia perfettamente rodata, anziché una riunione di allievi a fine corso, con delle personalità delle più eterogenee, e un tizio brillante autoinvitatosi.
Ben presto, il tempo a disposizione per il karaoke, finì, ma le tre, quattro ragazze del turno successivo, non si persero d’animo trovando la saletta ancora occupata, e felici si unirono a quella che sembrava una festa.
 
Kaori aveva però perso lo slancio iniziale e, a causa del troppo cantare, la gola aveva iniziato a bruciarle, e quando doveva parlare con qualcuno doveva urlare, peggiorando la situazione, inoltre, alcuni di loro si erano perfino messi a fumare.
Cominciava ad essere stanca e sempre più pensava che presto avrebbe lasciato la compagnia per tornarsene finalmente a casa; un po’ le dispiaceva però, perché quella era la serata per festeggiare la fine del corso, e dubitava che avrebbe rivisto qualcuno di loro, dopo quell’unica uscita.
Di sicuro lei non avrebbe fatto anche il corso di livello avanzato; le bastava quello e poi, a casa, aveva un poligono tutto per sé per esercitarsi e non avrebbe perso tempo e denaro dietro altre lezioni.
E poi, anche se non l’avrebbe mai ammesso, le dispiaceva che Ryo si fosse opposto in quel modo alla sua voglia di imparare finalmente a sparare, e, seppure si fosse imposta contro di lui, non aveva nessuna voglia di contrariarlo ancora, di mettersi contro di lui e ricominciare a litigare per questo.
Avrebbe continuato ad allenarsi da sola, al massimo avrebbe chiesto aiuto a Miki, o Saeko, perfino a Reika se ce ne fosse stato bisogno; del resto lei usava il loro poligono e perché no?
Se avesse chiesto a Mick avrebbe anche provocato un po’ la gelosia di Ryo, e insomma avrebbe raggiunto un doppio risultato.
 
Kama le offrì l’ennesimo bicchierino, che gentilmente Kaori rifiutò; sì, si stava facendo tardi e le girava un po’ la testa; si augurò che l’aria fresca della sera spazzasse via quel leggero torpore alcolico, quel tanto che bastasse per guidare fino a casa.
 
Stava quasi per iniziare a salutare i suoi amici, quando Kama, approfittando di una pausa fra una canzone e l’altra, saltò su dicendo, a voce alta:
 
“Ragazzi? Che ne dite di proseguire la festa a casa mia?”
 
Chi non era ancora mezzo collassato per il troppo bere, euforico proruppe con grida entusiastiche di assenso, e le ragazze che si erano unite a loro per ultime squittirono di felicità, guardandosi l’un l’altra con malizia, come chi si trovi all’improvviso a vivere un’esperienza fantastica che proprio non si aspettava.
 
Kaori invece ne fu intimamente contrariata: sperava che la serata si sarebbe conclusa lì, almeno per la maggior parte della compagnia, e invece così avrebbe fatto la figura della guastafeste, perché lei non avrebbe accettato ed apparentemente era l’unica.
 
Infatti Kama si accorse della reticenza di Kaori, e avvicinandosi a lei, le disse, quasi a portata di orecchio:
 
“Kaori, sarai dei nostri vero?”
 
“Mmmm, veramente no, non posso, Kama” rispose leggermente in imbarazzo.
 
“Ma come non puoi? Ci stiamo divertendo tutti così tanto!”
 
“Kama, ti ringrazio, ma davvero non posso. Si è fatto tardi e domani mattina mi devo alzare presto” e cercando di guadagnare l’uscita, lo guardò ancora e gli disse: “Sei gentilissimo, ma davvero devo andare…”
 
“Dai, Kaori, non puoi andartene proprio ora!” insistette ancora Kama “La mia casa non è lontana da qui, e non faremo tardi, promesso…”
 
Kaori non riusciva a togliersi d’impaccio; le dispiaceva deluderlo, era stato così prodigo con loro, ma davvero non poteva restare e meno che meno andare a casa sua.
 
“Kaori?” si sentì chiamare: era Seitaro.
“Ma, non te ne vorrai andare davvero! Proprio ora che inizia il bello?” le disse il suo amico, e provando ad avvicinarsi per poco non perse l’equilibrio, rovinando fra i divanetti.
 
“Sì, Seitaro, devo andare, è tardi” provò a ribattere lei, con poca decisione.
 
Lui, vedendola così titubante e fattosi audace dall’alcol, approfittò di quel piccolo momento di defaillance:
 
“Non mi dire che ti aspetta a casa un marito o un fidanzato?”
 
Seitaro non sapeva nulla della vita privata e sentimentale della ragazza e, dal momento che aveva un interesse verso di lei, quello era il momento buono per chiedere e sapere.
Kaori in ogni caso trasalì e, d’improvviso, si rese conto che veramente a casa non l’aspettava nessuno e che, nonostante vivesse sotto lo stesso tetto con Ryo, lui non era né suo marito né il suo fidanzato, e nemmeno era sua intenzione diventarlo, anzi!
Era sempre così freddo con lei, avevano litigato anche quella stessa sera; in quel preciso momento sicuramente era in qualcuno dei suoi locali a folleggiare, incurante della socia, di cosa stesse facendo e con chi.
Di certo non l’avrebbe aspettata alzato, anzi, probabilmente per quanto avrebbe potuto fare tardi Kaori, lui per ripicca sarebbe ritornato ancora più tardi di lei, che non pensasse che era in pensiero!
Ryo, il menefreghista, che non ha nessun interesse per la sua socia, che pur conoscendo i sentimenti che costei prova per lui, se ne sbatte allegramente e si guarda bene non solo dal ricambiarli ma anche dall’incoraggiarli.
 
Kaori, che in un certo senso, per tutta la sera, aveva tenuto Ryo lontano dai suoi pensieri e si era finalmente divertita, dovette tornare improvvisamente con i piedi per terra.
E fu travolta da una forte andata di malessere, data da un miscuglio altamente doloroso di rabbia – perché appunto era cosciente che a Ryo non interessava nulla di lei – e scoramento… per lo stesso identico motivo.
 
Ebbe un moto di ribellione e rivalsa: si guardò intorno e vide persone normalissime, che sapevano divertirsi, con cui aveva condiviso le tre ore più divertenti degli ultimi tempi, che non pretendevano nulla da lei, né la criticavano, anzi la stimavano per la sua bravura, nonché l’apprezzavano per la sua simpatia.
Seitaro, e sospettava anche un paio di altri ragazzi, nutrivano per lei un discreto interesse, e la corte velata di lui era stata un toccasana per la sua autostima.
 
Perché avrebbe dovuto rinunciare a tutto questo per… per Ryo?
Nel momento in cui avrebbe varcato la soglia di casa, si sarebbe sentita ancora più sola di tutte le altre volte, perché consapevole che aveva volutamente lasciato la compagnia di persone che fortemente la volevano, in cambio di una fredda solitudine, fisica e sentimentale.
 
Era sul punto di cedere.
Seitaro non perse tempo e, nonostante fosse notevolmente alticcio, o forse proprio per questo, rincarò la dose:
 
“Ti prego, Kaori, vieni con noi. Se vieni tu, vengo anch’io!” e la guardò con occhi imploranti.
 
Kaori cedette, non tanto per Seitaro, per cui non provava nient’altro che una sincera simpatia, e nemmeno per Kama che dimostrava di avere soldi a sufficienza per permettersi di essere generoso e liberale; cedette per sé stessa, perché voleva continuare ad avere una vita, anche a dispetto di Ryo.
Inconsciamente voleva ferirlo, se mai si fosse potuto risentire di questo suo atto di ribellione; voleva farlo arrabbiare, perché aveva osato divertirsi lontano da lui, perché si era stancata di essere la socia passiva, che fa solo quello che le viene ordinato, e che si strugge in silenzio per un uomo che non la vuole e non la desidera.
Voleva essere sé stessa fino in fondo, voleva essere Kaori Makimura, anche senza Ryo.
 
“E va bene, vengo anch’io” si sentì dire, quasi sovrappensiero, quando ancora stava cercando di dare un senso ai suoi pensieri, ancora dilaniata dal dolore per il rifiuto a cui la sottoponeva Ryo, la ribellione che tutto ciò le provocava, l’emancipazione dal potere soggiogante del socio, la paura di commettere un’imprudenza, continuando a frequentare persone che erano poco più che conoscenti e, peggio ancora, accettando di andare a casa di un tizio che era veramente uno sconosciuto.
Ma lei era una donna, e non più una ragazzetta sprovveduta.
Se Ryo si poteva permettere di andarsene in giro impunemente con chissà chi, anche lei poteva fare lo stesso, erano due adulti, giusto?
Due adulti che non avevano doveri reciproci: non erano una coppia, se non sul lavoro, non stavano insieme e nessuno dei due doveva giustificazioni all’altro.
 
E poi non era ubriaca, era ancora presente a sé stessa e di sicuro non avrebbe continuato a bere; cosa mai sarebbe successo, a casa di Kama, di diverso da quello che stavano facendo lì?
Cantare, ballare, fumare, bere: tutte attività che lei poteva anche scegliere di non fare, o che poteva smettere di fare in ogni momento.
E poi magari il tipo possedeva una grande e bella casa, con la piscina, un giardino; a giudicare dai suoi vestiti firmati, poteva ben permettersi questo ed altro.
Al diavolo la troppa prudenza.
 
E poi, a dirla tutta, e questo nessuno lo sapeva, lei era una sweeper professionista: nel fondo della sua borsetta giaceva la pistola di Hide finalmente perfettamente funzionante e, soprattutto, adesso era diventata bravissima a sparare.
In ogni caso avrebbe ben saputo come fare a difendersi.
 
Questa nuova consapevolezza le diede una sferzata di inattesa sicurezza: sì, era padrona del suo destino, e accettò di seguire Kama a cuor leggero.
E se aveva ancora qualche dubbio residuo, vedere Kurai infilarsi la giacca e acconsentire a seguire Kama, le tolse ogni perplessità: la dark non era un esempio di socialità, ma se andava la ragazza chiusa e asociale, perché non doveva andarci lei, Kaori Makimura?
 

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Capitolo 6
*** La festa altrove ***


Bene, la storia sta entrando sempre più nel vivo, e piano piano si scoprono tante cosucce ucce ucce XD
Io non posso che ringraziarvi per la carta fedeltà che avete sottoscritto con la sottoscritta e vi dico… Buona lettura *_____*
Eleonora

 
 
 
Cap. 6 - La festa altrove
 
Nell’ufficio privato dell’ispettrice Nogami, non volava una mosca: Kurai tutta assorta nel suo racconto, Saeko decisa a non perdersi nemmeno una parola.
 
Stavolta sembrava che Kaori fosse caduta casualmente nelle mani di una potente famiglia della mala, e questo non aveva nulla a che vedere con Ryo o con City Hunter.
 
Per tutto il tempo in cui Kurai aveva snocciolato i fatti, Saeko non l’aveva mai interrotta, né fatto commenti o domande; la ragazza dark si era appena fermata, ma l’ispettrice vedeva che non aveva ancora finito, pertanto l’esortò dicendo:
 
“Vai avanti…” non era propriamente un ordine, ma il tono deciso della Nogami, riscosse Kurai.
 
“…E così uscimmo dal locale. Ci dividemmo, sia perché non saremmo riusciti ad entrare tutti nella Bmw di Kama, sia perché… con noi dovevano venire solo Seitaro e Kaori” per la prima volta la dark guardò negli occhi Saeko, la quale non tradì emozione alcuna; allora Kurai proseguì dicendo: “Kaori non voleva venire via con noi, all’inizio era un po’ titubante, ma quando ha visto che anche io ero ben disposta all’invito di mio padre, si convinse. Salii in auto con loro, io davanti con Kama e loro due dietro. Tutti gli altri si divisero, salendo in macchina con le ragazze del clan, quelle che si erano aggiunte dopo e che, appunto, non erano semplici clienti del locale. Di solito la prassi vuole che, in casi simili, loro li scarrozzino un po’ per la città senza portarli alla villa o… altrove. Li scaricano per strada, da qualche parte, o davanti ad un locale qualsiasi, con la scusa di aver perso di vista Kama. Le schiappe che non vengono scelte, non devono nemmeno immaginare cosa ne sia stato degli altri, per non destare sospetti, o rivelargli cose che è bene non sappiano. Semplicemente ci si libera di loro nel modo più indolore possibile: ai loro occhi resterà solo una serata finita male, per colpa di qualcuno che ha sbagliato strada, o che si è perso; l’alcool farà il resto. La mattina dopo, ritrovandosi chissà dove, avranno un vago ricordo della sera precedente, e di certo non immagineranno mai di essere stati alla presenza di un capo della mala che stava cercando accoliti. Le persone comuni meno sanno e meglio è: così facendo hanno salva la vita e non sapranno mai cosa hanno rischiato. I ficcanaso fanno sempre una brutta fine, invece così possono tornarsene sani e salvi alle proprie case”.
 
Saeko, abituata a trattare con gente di infimo livello, non si stupì più di tanto della freddezza con cui Kurai Kamakura stava sciorinando le leggi della malavita; apprezzò però quel tocco inusuale di umanità che stabiliva di risparmiare la vita a chi non era stato prescelto, poiché totalmente ignaro dei maneggi di personaggi più potenti e pericolosi.
Si guardò bene dal dirglielo, però; anche se i vari clan avevano i loro codici d’onore, a volte mutuati dalle antiche pratiche samurai, erano pur sempre dei criminali, delle associazioni di stampo mafioso, e riconoscere un po’ di bontà in loro non li giustificava, né azzerava tutto il resto.
Ciò che per loro era un’eccezione, per il resto del mondo doveva essere la normalità.
Si limitò a domandare:
 
“Quindi, dove siete andati?”
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Kaori non riusciva a darsi pace.
L’unica cosa che si ripeteva era: “Chi è causa del suo mal pianga sé stesso”, e che forse era stata una sciocca a non capire che c’era sotto qualcosa.
Quella sera, all’uscita del One Shot, era salita sulla fiammante Bmw di Kama, si era accomodata dietro con Seitaro, e davanti, al lato del guidatore, si era seduta Kurai.
Kama aveva acceso la radio e dal potente impianto stereo erano partiti gli Spandau Ballet a tutto volume.
La partenza era stata così immediata che gli occupanti della macchina avevano avuto un rinculo notevole e Seitaro, ridendo, si era ritrovato quasi spalmato sul sedile, vista la sua mollezza alcolica.
Ritirandosi su a fatica, si era avvinghiato a Kaori, sia per sorreggersi, sia per allungare un po’ le mani; le aveva fatto un sorriso languido e le aveva a detto:
 
“Sono contento che tu sia qui”.
 
Mentre lei si era già pentita di aver preso quella decisione.
Si era ripromessa di restare a casa di Kama solo lo stretto necessario, il problema era che avrebbe dovuto farsi riaccompagnare al parcheggio dallo stesso Kama perché né lei, né Seitaro, avevano preso la loro macchina, e non aveva la più pallida idea del posto in cui si stavano dirigendo.
Kama aveva detto che casa sua era vicina, forse con un po’ di fortuna sarebbe potuta ritornare a piedi fino al One Shot, ma mentre formulava quell’ipotesi, sapeva già che era un’eresia.
 
La macchina sfilava veloce, e al buio Kaori non riusciva a trovare punti di riferimento per orientarsi, si guardava spesso indietro, per controllare se le altre macchine li seguissero, ma quando le altre due svoltarono a destra, anziché proseguire dietro di loro, si lasciò scappare un:
 
“Ma… dove vanno?”
 
Nessuno all’interno della macchina le prestò attenzione; Seitaro sembrava essersi appisolato, Kama era tutto preso alla guida e Kurai non emetteva parola come al suo solito.
Kaori si lasciò andare sullo schienale del sedile, subodorando puzza di guai.
In un attimo evaporarono tutti i residui alcolici e si mise in allerta: la sua natura di sweeper subentrò a quella della ragazza spensierata uscita con gli amici.
 
Se prima guardava fuori dal finestrino quasi per curiosità, adesso scrutava l’esterno con ben altri intenti; non le sembrava, quella, la strada che li avrebbe portati in un quartiere residenziale, dove avrebbe dovuto trovarsi la casa di Kama, che tutti credevano essere una villa.
Il percorso che Kama aveva scelto si snodava fra vie e viuzze anonime, intervallate da fiochi lampioni, che illuminavano a sprazzi gli angoli di case e muretti tutti uguali; e comunque la velocità sostenuta e la guida sportiva le impedivano di identificare alcunché.
Ciò che era certo era che Kama conoscesse a menadito le strade che stava percorrendo, e che appunto sapesse molto bene dove andare.
 
D’improvviso il paesaggio cambiò, e dal buio stretto fra i muretti dei vicoli, si trovarono nella zona costiera della città, dalle parti del porto.
I lunghi moli, la lunga teoria dei magazzini, le navi cargo ormeggiate alle bitte, le fecero capire che comunque non si trattava del porto turistico.
Per un attimo sperò che la casa di Kama, fosse galleggiante, magari un ricco yacth, e che lui passasse di lì solo per abbreviare il tragitto, ma quelli erano i fondachi del porto commerciale che, spettrali, si ergevano al limitare del mare che sciabordava calmo sui frangiflutti.
A quell’ora della notte era tutto deserto, non c’era un’anima viva, né traccia di attività alcuna: i marittimi probabilmente stavano già dormendo a bordo dei carghi o erano in giro per locali, mentre i portuali erano al caldo nei loro letti a casa.
Nemmeno la polizia notturna si vedeva a fare il solito giro di ronda e, comunque, cosa avrebbe mai potuto dirgli Kaori, ammesso che fosse riuscita a trovarsi a tu per tu con gli agenti?
Che stava per andare ad una festa privata, con il tizio che era alla guida dei una lussuosa Bmw, e che lei aveva il presentimento che tutto ciò non avrebbe portato a nulla di buono?
 
Per un attimo si sentì persa, e terribilmente sola; istintivamente si toccò i bottoni della camicetta e si ricordò che, lì incastonate, c’erano delle microscopiche ricetrasmittenti che Ryo si incaponiva a farle portare addosso, perché così facendo l’avrebbe ritrovata più facilmente.
Ed era già successo.
Ma stavolta lei, tecnicamente, non era in pericolo e Ryo non aveva motivo di correre a cercarla; non si era nemmeno preoccupato che fosse uscita con altre persone, figurarsi se pensava minimamente che avesse veramente bisogno del suo aiuto.
Strinse i denti e fece scivolare discretamente la mano all’interno della borsa, a sentire il freddo metallo della sua pistola.
 
Stavano sfrecciando lungo il molo esterno, sulla destra una striscia di scuro mare oleoso, sulla sinistra grigi magazzini dall’aria dimessa; Kama sembrava non volersi fermare mai quando, improvvisamente, sterzò bruscamente, entrando direttamente nella porta del fondaco e inchiodando.
Tutto quello sballottamento fece svegliare Seitaro, che emerse dal suo sonno alcolico e, cercando di rimettersi a sedere compostamente, chiese:
 
“Siamo già arrivati?”
 
Per tutta risposta, Kama si voltò verso i due seduti dietro, e con un grande sorriso disse:
 
“Eccoci qui”.

Kurai si spostò pigramente un ciuffo di capelli da sopra l’occhio sinistro e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, aprì lo sportello e scese dalla macchina.
 
Kaori si guardò intorno e non si capacitava di essere nientemeno che all’interno di un grande magazzino, apparentemente vuoto.
 
“Forza ragazzi, scendete!” li esortò benevolmente Kama, smontando a sua volta dalla Bmw dopo aver spento il motore.
 
Titubante, Kaori discese, seguita da Seitaro che continuava a sbattere le palpebre, non ancora completamente sveglio.
 
“Ma… ma… cosa vuol dire questo?” chiese infine la sweeper con un ampio gesto del braccio.
 
“Come, cosa vuol dire questo! Vi avevo detto che vi avrei portato a casa mia, alla mia festa, ed eccoci qua!”
 
“Non vorrai dirmi che tu abiti qui?” insistette ancora Kaori.
 
Le sembrava tutto assurdo, anche che fosse solo lei quella più stufetta fra i tre ospiti e, tolto Seitaro che doveva ancora smaltire la sbornia, Kurai non diceva proprio nulla.
 
“Hai ragione, non abito qui, però questa è un po’ casa mia” ridacchiò Kama, passandosi la mano fra i capelli, in un gesto di mascolina vanità; poi aggiunse: “Però vi avevo detto che vi avrei portato alla mia festa, o no?” e le sorrise maliziosamente.
 
Kaori non fece in tempo ad aggiungere altro che Kama batté le mani e subito l’intero locale si accese; dapprima le luci al centro, una lunga fila di neon che, mano a mano che si scaldavano, cambiavano colore; poi altri fari e faretti spot, che finirono per illuminare a giorno tutto lo spazio circostante.
 
Seitaro, ripresosi quasi completamente, si lasciò andare ad un “Wow” ammirato e, naso in su, guardava le fredde luci artificiali inondare il soffitto fatto di travi e tralicci.
Kaori, al pari di Seitaro, non smetteva di guardarsi intorno: era già stata in posti simili e non si era mai trattata di una gita di piacere; di mezzo c’erano sempre state sparatorie, trafficanti di droga, di armi, perfino di donne e, anche se non avesse avuto dimestichezza con tali ambienti, per considerare quel vecchio magazzino dismesso e spoglio, asetticamente illuminato, come il luogo di una festa, ci sarebbe voluto un notevole sforzo di fantasia.
 
“Kama, vuoi spiegarmi cos’è tutta questa farsa?” chiese senza mezzi termini Kaori.
 
L’uomo rise di gusto e poi, guardandola intensamente, rispose:
 
“Mi piaci Kaori. Sei sempre così diretta?” quindi, prendendole il mento con le dita, aggiunse: “Tu non sei come le altre donne”.
 
In altre circostanze la ragazza sarebbe arrossita di vergogna e di piacere, e avrebbe gradito il complimento, forse; ma in quel momento era tutta tesa a capire cosa stesse succedendo, a cosa volesse realmente colui che, prima di capitare nella saletta del karaoke, era un emerito sconosciuto, quali fossero le sue intenzioni.
Se Kamakura li avessi portati tutti in un night club o in un love hotel, sarebbe stato più che chiaro cosa volesse da loro, e da lei in particolare, ma lì, in un magazzino abbandonato, spoglio e apparentemente senza altri all’interno se non loro quattro, le sembrava tutto assurdo.
 
Lasciando andare la mano dal mento di Kaori, con un sospiro Kama disse:
 
“E va bene. Vi ho portato qui, perché vi voglio vedere sparare”.
 
“Cosa???” proruppero quasi in coro Kaori e Seitaro che, nel frattempo, si era ripreso del tutto.
 
“Sì, ho saputo dalla mia carissima Kurai…” e nel dirlo mise un braccio intorno alle spalle della ragazza; lei fece il gesto si sfuggire al suo abbraccio, e lui, senza minimante scomporsi riprese: “Dicevo, la mia piccola Kurai, mia figlia…”
 
Kaori trasalì a quella rivelazione.
 
Kama sorrise della sua reazione, anche se non era estraneo a tali situazioni: tutti si stupivano quando diceva che lui e Kurai erano padre e figlia.
Del resto lui l’aveva avuta da giovanissimo e non dimostrava affatto i suoi cinquant’anni, anzi gliene davano almeno dieci di meno.
Continuò dicendo:
 
“Kurai mi ha detto che voi due siete gli allievi più promettenti del corso, che siete decisamente i migliori e, semplicemente, vorrei vedervi all’opera”.
 
Batté nuovamente le mani e, nella parete di fondo del magazzino, apparvero delle sagome da esercitazione, come se si trovassero in un vero e proprio poligono.
Allo stesso tempo, materializzatisi come dal nulla, comparirono due uomini dall’età indefinibile; indossavano completi scuri dal discreto taglio sartoriale, che non valorizzavano però la persona: sembravano due tizi qualunque e, probabilmente, quello era anche lo scopo del loro vestiario, cioè non dare nell’occhio e, all’occasione, perdersi nella folla.
Si avvicinarono rispettivamente uno a Seitaro e uno a Kaori, porgendogli una pistola ciascuno, tenendola per la canna.
 
Kaori riconobbe che non erano le solite pistole da esercitazione, ma due vere e proprie Beretta, armi italiane famose per la precisione e la maneggevolezza.
La sweeper inghiottì a vuoto.
Cosa si era messo in testa Kama?
Che razza di richiesta era la sua?
Perché quel finto invito sapeva di sequestro?
Come aveva detto che si chiamava, Kama?
Qual era il suo nome completo?
Non riusciva a ricordarlo, perché quando si era presentato non vi aveva prestato sufficientemente attenzione, eppure per una frazione di secondo quando erano lì al One Shot, aveva avuto un sentore di… cosa aveva pensato esattamente sentendo il suo nome?
Era importante ricordarlo ora?
 
Kaori si rivolse infine a guardare Kurai, la quale, come aveva appena scoperto, era la figlia del fascinoso Kama; piantò i suoi grandi occhi sgranati sulla ragazza, che ora, sempre più, si trincerava dietro la sua nera frangetta, e senza rispondere al suo sguardo interrogativo le mormorò:
 
“Kaori, mi dispiace” poi, senza aggiungere altro, girò sui tacchi piantandoli tutti lì, così, e se ne andò.
 
La sweeper non riusciva a capacitarsi di tutta quella storia che stava vivendo.
Fu richiamata dai suoi pensieri dalla voce di Seitaro che, tornato finalmente e perfettamente in sé, chiese:
 
“Kama, ma cosa sta succedendo?”
 
“Te l’ho detto, vorrei vedervi sparare. Sono un appassionato, mi piacciono le armi, le pistole, e sentirle sparare è musica per le mie orecchie. Ognuna ha la sua particolare voce, ed emette un canto diverso. Queste italiane che state maneggiando hanno il potere di farmi vibrare… ma solo se usate da mani esperte come le vostre. Per questo vi ho portato qui. Vi prego, sparate per me” finì quasi pregandoli.
 
Kaori, che di persone strane ne aveva sempre incontrare tantissime, si disse che avrebbero dovuto assecondarlo, e accontentarlo, altrimenti non sarebbero più usciti di lì; la prospettiva di tornarsene a casa si allontanava sempre più.
Prese in mano la situazione e, con piglio deciso, gli disse:
 
“Se noi spareremo per te, poi tu ci riporterai indietro?”
 
“Ma certo mia cara! Mica voglio trattenervi contro la vostra volontà!” rispose in tono mellifluo Kama, con un’espressione tale che contraddiceva totalmente il senso delle sue parole; sembrava una specie di maniaco, un esaltato, e Kaori iniziò a sudare freddo: gli psicopatici erano le persone più pericolose al mondo perché le più imprevedibili.
Inoltre era ormai chiaro che Kama fosse un boss di una qualche banda, o clan, e poteva permettersi tutto quell’apparato, probabilmente l’intero magazzino era circondato da uomini armati alle sue dipendenze, aveva sufficienti soldi per esercitare potere e, magari, tiranneggiare e taglieggiare l’intero porto.
Non c’era da scherzare con uno come lui, né fare passi falsi.
 
Kaori decise di stare al suo gioco, tanto al momento era l’unica strategia possibile.
Con un po’ di fortuna, Kama era solo il solito capo clan annoiato in cerca di stranezze e fenomeni da baraccone, un amante delle bizzarrie, un collezionista di pistole, e questo era l’aspetto più innocuo di tutta la sua torbida vita da malavitoso.
 
Aveva indubbiamente previsto tutto, dall’introduzione della figlia al corso del poligono, alla sua comparsata al One Shot, probabilmente le ragazze del turno dopo il loro al karaoke erano sue dipendenti che avevano avuto il compito di dividerli; si augurò che gli altri della compagnia non avessero fatto una brutta fine.
Sorprendentemente Kama, nemmeno avesse letto veramente nei suoi pensieri, le disse, di punto in bianco:
 
“Se ti stai chiedendo dove sono stati portati i vostri amici, sappi che probabilmente ora stanno smaltendo la sbornia in qualche altro locale, o in qualche vicolo puzzolente, ma sicuro. Non erano invitati alla nostra personalissima festa, e non dovevano sapere del nostro incontro. Sono sani e salvi e presto torneranno alle loro case”.
 
Kaori tirò mentalmente un sospiro di sollievo e si augurò che Kama avesse detto la verità.
Per il momento non c’era modo di sapere altro e decise di soprassedere.
 
“Avanti allora: dicci cosa dobbiamo fare!” gli chiese a quel punto la sweeper.
 
Kama, ringalluzzito dal cipiglio fiero della donna, drizzò le spalle e orgogliosamente le rispose:
 
“Semplice: tra poco sfileranno le sagome, a diverse velocità e a diverse altezze; voi dovrete colpirle al volo, tutte. Vediamo chi di voi due è il migliore”.
 
“D’accordo…” acconsentì Seitaro, leggermente intimorito da Kama e da tutto quell’apparato scenico, ma senza darlo troppo a vedere; non aveva più dubbi sulla natura del loro nuovo amico: erano al cospetto di un signore della mala e contrariarlo non avrebbe portato alcun beneficio per loro.
Probabilmente se lo avessero compiaciuto avrebbero avuto salva la vita.
Gli aveva solo chiesto di sparare a delle sagome in movimento, e che male c’era in questo? Nulla.
Certo, tutta quella messa in scena non lo faceva stare tranquillo, ma doveva rimanere calmo e non perdere la testa.
Finché si trattava di sparare ad un bersaglio andava sempre bene, l’importante era che non gli avesse chiesto altro.
Si dispose quindi a sparare: divaricò leggermente le gambe per bilanciarsi ed attutire il rinculo, e prese la mira.
 
Kaori, che aveva fatto altrettanto, sparò per prima e, da lì in poi, fu una pioggia di proiettili.
 
Kama nemmeno guardava la direzione degli spari; con gli occhi socchiusi sembrava veramente in estasi, ma i due tiratori questo non potevano vederlo, troppo presi a sparare e a non perdere un colpo.

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Capitolo 7
*** Interrogatori ***


Altro numero che mi piace un sacco, il 7…. e a voi piacerà cosa contiene questo settimo capitolo? Lo spero tanto, diciamo che è uno dei miei preferiti.
E allora bando alle ciance, e ciancio alle bande, e leggete! ^_____^
Vi lovvo
Eleonora

 
 
 
 
Cap.7- Interrogatori
 
“Maledetta!!!”
 
Ryo piombò nell’ufficio privato di Saeko come una furia.
 
“Ma… cos…?” balbettò sorpresa l’ispettrice Nogami, vedendo irrompere lo sweeper nella stanza e dirigendosi verso Kurai con intenzioni bellicose.
Il suo smarrimento, però, fu solo momentaneo, perché subito si buttò in mezzo ai due, bloccandolo.
Lo respinse con entrambe le mani, premendogliele sul petto, prima che potesse fare del male alla sua testimone.
 
“Ryo, calmati!” gli ingiunse la donna “Allontanati da lei!”
 
“Questa cretina ha consegnato Kaori nelle mani di un fanatico criminale!” urlò Ryo “Gliel’ha servita su un piatto d’argento ed ora se ne sta qui, a fare la santarellina e a raccontarti la sua storia per alleggerirsi la coscienza. Ma a me non la dà a bere!”
 
Ryo, di ritorno dalla terrazza sul tetto, si era trovato a passare davanti alla porta chiusa di Saeko; sperava di torturare un altro po’ Seitaro, convinto che gli stesse mentendo, ma poi aveva sentito una voce femminile e, incuriosito, si era disposto ad ascoltare.
Aveva così sentito tutto il lungo racconto della ragazza, di come lei avesse adescato i migliori tiratori al poligono, e avesse fatto in modo di portarli da suo padre, il boss Kamakura.
Non aveva resistito oltre, e si era precipitato all’interno.
Non aveva mai ferito, né tanto meno ucciso una donna, il suo codice d’onore glielo impediva, ma in quel momento avrebbe tanto voluto fare un’eccezione.
Sapere Kaori in pericolo lo mandava fuori di testa.
 
Kurai, dal canto suo, terrorizzata a morte, si era appiattita sullo schienale della seggiola girevole e, se possibile, era sbiancata ancora di più.
Non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua come in quel momento, eppure conosceva le ire improvvise ed immotivate di suo padre, e non era estranea ad una certa violenza, che, unita ad una sottile crudeltà, popolava la sua vita.
Ma quel tizio, che era entrato come una bestia ruggente, l’aveva raggelata; per una frazione di secondo aveva realmente temuto che per lei fosse la fine, che sarebbe morta seduta stante uccisa da quell’uomo imponente che, animato da furia cieca, sembrava ancora più enorme.
Se non fosse stato per l’ispettrice Nogami, che letteralmente le aveva salvato la vita, ora non sarebbe stata che una poltiglia di carne ed ossa.
 
Ryo ancora scalpitava, deciso a raggiungere la dark, ma Saeko stava usando tutta la sua forza per impedirglielo; temeva di cedere sotto la pressione incontrollabile del suo amico, che sembrava aver perso definitivamente la ragione.
Se normalmente, sapere Kaori in pericolo lo metteva in agitazione, facendogli perdere il suo proverbiale sangue freddo, essere di fronte alla causa di tale pericolo, lo rendeva folle di rabbia.
 
“Come hai potuto! Come hai potuto fare una cosa simile” l’accusava, mentre la dark non osava nemmeno fiatare “Tu lo sapevi!! Tu lo sapevi come sarebbe andata a finire!” e finalmente riuscì ad avvicinarsi a lei e a sbatterle sul muso la camicetta macchiata di Kaori.
 
Kurai Kamakura sobbalzò così tanto che quasi cadde dalla seggiola.
 
Saeko non aveva fatto in tempo a vedere cosa avesse combinato Ryo alle sue spalle e, per un secondo, temette il peggio: le era sfuggito, e credeva che l’uomo avrebbe potuto colpire la sua testimone.
Si voltò di scatto, ma l’unica cosa che vide, come al rallentatore, fu uno straccio che finiva sul viso di Kurai,  e che poi scivolava e cadeva sulle sue mani conserte.
Poi tutto riprese a scorrere velocemente.
Nuovamente si schierò a proteggere la dark che stavolta, afferrato ciò che restava della camicetta, si decise a parlare:
 
“Io… io… cosa significa?” domandò balbettando.
 
“Dimmelo tu!” la sfidò Ryo con occhi fiammeggianti di odio.
 
“Io non so niente! Io sono andata con Kaori e Seitaro al poligono del vecchio magazzino. Loro dovevano dare prova di saper sparare e poi si sarebbero dovuti sfidare a duello. Tutto qui!”
 
“Tutto qui, dici???” ruggì Ryo avvicinandosi minaccioso, ma, anziché colpirla, le strappò di mano la camicetta e, abbassandosi all’altezza dei suoi occhi, a pochissimi centimetri dal suo volto, le disse, con un tono di voce pericolosamente basso: “Questa, se l’hai riconosciuta, è la camicetta di Kaori, e io l’ho trovata in un vicolo del porto, sporca di sangue e tutta strappata. Dovevano solo sparare, vero?” concluse con una strana ironia per poi allontanarsi di colpo.
 
Kurai iniziò a preoccuparsi sul serio.
Quando era giunta alla stazione di polizia, aveva detto che Kaori era in pericolo, ma ciò che lei intendeva, era solo che purtroppo era finita nelle grinfie del suo clan e lei voleva salvarla in qualche modo.
Avrebbe voluto che qualcuno, magari la polizia, trovasse la maniera per farla uscire, per sottrarla alla diretta tirannia del padre, non immaginava altri penosi risvolti.
 
Si prese la testa fra le mani e iniziò a scuoterla, ripetendo:
 
“Cosa ho fatto, cosa ho fatto! Era una mia amica…”
 
Saeko, trovatasi in mezzo a quella tempesta inattesa, recuperò un po’ di lucidità e saltò su, dicendo:
 
“Kurai, ci hai appena detto che Seitaro era venuto al porto con voi, ma a noi ha giurato più e più volte che era svenuto per il troppo bere ed era rimasto al One Shot, e quindi non sapeva dove fosse andata Kaori…”
 
“Lo dicevo che stava mentendo, ora vado di là e gli faccio fare amicizia con i miei pugni…” intervenne Ryo, che già stava per prendere la porta.
 
“Fermati, Ryo!” lo gelò sul posto la Nogami “Dobbiamo fare chiarezza, non saltare subito alle conclusioni. Dobbiamo scoprire la verità: uno dei due sta mentendo e potrebbero metterci sulla pista sbagliata!”
 
Inaspettatamente Ryo cedette e si lasciò cadere sulla prima seggiola a portata di mano:
 
“Hai ragione… come sempre” e si passò rudemente una mano sul viso, come a distendere i bei lineamenti distorti dall’angoscia.
 
Kurai allora capì che quell’uomo non era un mostro, ma semplicemente qualcuno che teneva molto a Kaori, forse l’amava, perfino, e ora era disperato.
Ebbe pena per lui.
 
Si rianimò e, come a ricordarsi di una cosa importante, chiese:
 
“Avete detto che Seitaro è qui?”
 
Saeko si voltò lentamente nella sua direzione, indecisa su cosa risponderle.
Perché si preoccupava tanto della presenza di Seitaro alla stazione di polizia?
Cos’altro c’era sotto?
Decise di accennare solo un segno affermativo con la testa.
Ma poi ci ripensò e le chiese:
 
“Perché la cosa ti stupisce?”
 
“Perché mio padre non l’avrebbe mai lasciato andare” fu la sua riposta.
 
“Bene, direi che è giunto il momento di tornare al nostro bel Seitaro, e chiedergli di raccontarci anche l’altra parte della storia” e Saeko si lasciò sfuggire un sorriso malizioso.
 
 
 
 
oOo
 
 
 
 
Poco dopo Saeko e Ryo erano davanti alla porta della stanza degli interrogatori.
Lo sweeper stava per entrare insieme alla Nogami, quando questa lo fermò, frapponendosi fra lui e l’entrata:
 
“No, Ryo, è meglio che tu resti qui fuori. Lascia fare a me!” e gli fece l’occhiolino.
 
L’uomo sbuffò pesantemente:
 
“Senti, Saeko, non vorrai che me ne resti qui senza far niente, mentre Kaori è la fuori, chissà dove, in pericolo, ferita o anche peggio!”
 
“Non ho detto questo, e, se te lo fossi dimenticato, anch’io tengo molto a Kaori, ma non è entrando lì dentro…” ed indicò la stanza con un cenno della testa “…e spaccando la testa a quel povero diavolo, che la troveremo!”
 
“Magari no, però almeno mi scarico un po’ e gli do una bella lezione. Ci ha mentito fin dall’inizio e ha lasciato che Kaori… che Kaori… non lo so nemmeno io di cosa è colpevole. Ma ho bisogno di farla pagare a qualcuno!”
 
“So che finirò per pentirmi di averlo detto, ma verrà il tuo momento. Ora lasciami fare, ti prego!” e nel dirlo perse un po’ della sua rigidità, in favore di una leggera dolcezza.
Non era più un ordine o un consiglio, ma un favore che gli chiedeva.
 
Ryo acconsentì a malincuore, ma le fece capire che non si sarebbe mosso di lì per nulla al mondo.
Gli era anche stato proibito di avvicinarsi a Kurai, la quale era stata messa sotto stretta sorveglianza di un agente.
Preoccupata, aveva chiesto se doveva considerarsi in stato di arresto, ma l’ispettrice le aveva risposto un laconico: “Non ancora”.
 
 
 
Saeko Nogami, quindi, entrò nella stanza degli interrogatori, dove un Seitaro sconfitto e irriconoscibile, ripiegato su sé stesso, sedeva a testa bassa.
Si sentiva un tremendo codardo, sia per aver lasciato Kaori al suo destino senza aver provato a difenderla, o perlomeno fatto qualcosa per lei, sia per aver spudoratamente mentito alla polizia; e se era sopravvissuto all’assalto di quel Saeba, era solo perché, evidentemente, lui non voleva infierire fino in fondo.
Aveva già capito che, nonostante tutto, l’uomo si era trattenuto e che i colpi che aveva ricevuto erano solo dei buffetti, in confronto alla vera forza che era in grado di esercitare, ne era certo.
Immaginava anche che quando avessero scoperto che non aveva detto completamente la verità, quella furia d’uomo non si sarebbe più trattenuto.
Sperò di non restare mai più solo con quel tipo.
Anche se, visto che aveva disonorato la sua famiglia e sé stesso, se Saeba l’avesse ucciso a pugni e calci, se lo sarebbe meritato.
 
Quando sentì aprirsi la porta, sobbalzò.
Temeva che Ryo Saeba fosse tornato, e se con lui non ci fosse stata anche l’ispettrice, dubitava di poter sopravvivere.
Quell’esile e taciturno agente che gli avevano messo di guardia non sarebbe stato capace di fermarlo, né a parole né, tanto meno, con la forza.
 
La fronte gli si imperlò di sudore freddo.
Alzò gli occhi terrorizzati sul nuovo venuto e, non appena vide l’ispettrice, pregò che dietro di lei non si manifestasse Saeba.
 
“Agente Ina Mari, può andare!” disse la Nogami avanzando verso l’interno, e, quando il suo sottoposto parve stupito e sul punto di dire alcunché, la donna lo precedette aggiungendo: “Voglio restare da sola con il sospettato. Aspetti fuori” e si sforzò di rivolgergli un sorriso tiratissimo di circostanza.
 
L’uomo le fece il saluto militare e, dopo un breve inchino, prese congedo.
 
Accertatasi di essere veramente sola con Seitaro, Saeko andò alla finestra e con un movimento secco e deciso del polso, sganciò e fece scorrere le veneziane, fin quasi ad oscurare la stanza; la luce del giorno era stata confinata fuori.
Seitaro non la perdeva di vista un istante e seguiva con apprensione tutti i movimenti della donna.
Anche Saeko non smetteva di guardarlo, una strana luce negli occhi; si diresse ad una lampada da tavolo e l’accese, per poi spegnere la luce fredda del neon appeso al soffitto.
A Seitaro sembrò veramente di essere finito in uno di quei film polizieschi degli anni ’50, con la classica scena dell’interrogatorio, e gli salì alla gola una risata isterica, che soffocò sul nascere.
 
La Nogami però non sembrava minacciosa, anzi: si diresse verso di lui, quasi ancheggiando, i suoi occhi brillavano… di cosa esattamente?
Seitaro non era sicuro di ciò che stava vivendo: era sovraeccitato, stressato, stanco e sfinito, e tutte le percezioni erano alterate per cui anche i pensieri non seguivano un filo logico.
Poteva credere e pensare tutto e il contrario di tutto.
 
Saeko, al contrario, appariva molto sicura di sé, e il suo atteggiamento non aveva nulla a che vedere con la fredda accondiscendenza delle ore precedenti.
L’uomo si chiese cosa dovesse aspettarsi dall’ispettrice, la quale si fermò ad un passo da lui e, calamitata la sua attenzione, con un movimento deliberatamente lento, si infilò due dita nella scollatura della camicetta.
Seitaro sgranò gli occhi allibito.
Le dita di Saeko riemersero sorreggendo un paio di manette.
Anche l’altra mano finì dentro il suo reggiseno, e anch’essa ne riuscì con un altro paio di manette.
 
L’uomo credette di perdere il senno.
Nonostante la confusione che permaneva nel suo cervello, capì che quello non era il posto abituale dove un agente di polizia, per giunta ispettrice, tenesse le manette per bloccare i criminali.
Anche questa sembrava una scena surreale da film, ma non di certo un hard boiled in bianco e nero.
 
Quando Saeko fece roteare le manette intorno al dito indice, giocherellandoci, Seitaro non seppe più cosa pensare.
Non che ci fosse troppo da ragionare, perché in un attimo la Nogami era già su di lui, chinata ad armeggiare con le sue braccia che, spinte dietro lo schienale, venivano prontamente bloccate, una per parte, lungo i tubi metallici della sedia.
Ma la pericolosa vicinanza della donna, con quel suo seno superbo ed invitante, lo aveva a tal punto inebriato e distratto, che non si era nemmeno accorto che, per la prima volta, veniva ammanettato e, di fatto, ora era a tutti gli effetti un prigioniero della polizia.
Solo quando istintivamente si protese verso di lei, per fare cosa non lo sapeva nemmeno lui, forse desideroso di affondare il viso nel seno della bella ispettrice, o di allungare le mani, se mai non si fosse trattenuto in tempo, si accorse di essere ammanettato, e un pensiero fugace gli attraversò la mente: meglio così, meglio essere ammanettato almeno non sarebbe caduto in tentazione, visto che era veramente arrivato al punto di commettere l’irreparabile.
 
Si lasciò andare pesantemente sullo schienale, sospirando e allentando la pressione delle manette sui polsi: il metallo gli stava pizzicando la pelle, segnandola, e più si fosse mantenuto calmo e rilassato e meno avrebbe provato dolore.
 
Si dispose ad affrontare quell’inevitabile fuoco di fila di domande della fascinosa ispettrice, quando questa lo stupì ancora.
Con una naturalezza tale che faceva passare in secondo piano tutto il resto, la donna appoggiò il ginocchio destro sulla seduta della seggiola, nello stretto spazio fra le gambe leggermente divaricate di Seitaro, tanto che questi, istintivamente, le aprì ancora di più.
 
Saeko gli sorrise, un sorriso da predatrice che fece correre un lungo brivido lungo la schiena del prigioniero.
Seitaro si sentiva vulnerabile, terrorizzato ed eccitato insieme.
Cosa stava succedendo?
Cosa voleva da lui quella donna?
Dovette concentrarsi parecchio per capire le parole che lei gli stava rivolgendo:
 
“Allora, caro signor Kyokun… o preferisci che ti chiami solo Seitaro?” gli domandò Saeko con voce flautata.
 
“Seitaro, Seitaro va bene” l’uomo si prese pure la briga di risponderle, dimenticando che, per tutto l’interrogatorio precedente, l’ispettrice aveva usato solo il nome.
Dettagli.
 
“Meglio così. Per una volta lasciamo da parte i formalismi” gli disse, spingendo il ginocchio verso l’inguine dell’uomo, di un altro centimetro ancora.
 
Seitaro si irrigidì, ma sentì un calore invadergli il basso ventre e, turbato, si chiese che piega avrebbe preso la situazione.
 
“Credo che prima abbiamo sbagliato tutto con te” continuò la Nogami, passando direttamente al tu e accorciando così le distanze “Ti abbiamo tempestato di domande… ti abbiamo forse spaventato?” e gli rivolse uno sguardo che gli fece attorcigliare lo stomaco e salire la pressione sanguigna.
 
L’uomo annuì appena.
La donna si protese ancora verso di lui:
 
“Lo so, a volte Ryo sa essere… come dire…?” e si portò mollemente alle labbra tumide il dito indice, fingendo di pensare alla parola giusta.
 
Kyokun finì per lei:
 
“Rude?”
 
Saeko lo guardò intensamente e, dopo una breve pausa, continuò:
 
“Sì, rude. Hai detto bene. A volte vuoi uomini siete così, non è vero?” era una domanda retorica a cui Seitaro non rispose, troppo ammaliato da quella donna fatale che gli stava mandando in pappa il cervello.
Come a rimarcare le sue parole, Saeko spinse ancora di più la gamba tra le sue, fino a sfiorare l’inguine dell’uomo; ora poteva sentire, attraverso la finissima trama dei collant, il tessuto dei pantaloni dell’uomo.
Si mosse impercettibilmente.
Il suo prigioniero fu sul punto di perdere definitivamente la testa.
 
“Però tu sarai gentile con me… mi racconterai tutto dall’inizio… anzi no, riprendiamo da quando Kaori, insieme a te, ha lasciato il One Shot, a bordo della Bmw di Kama” e nel dirlo gli accarezzò la guancia, dove stava già spuntando la barba di un giorno.
 
Kyokun trasalì, ma non seppe dire se per la rivelazione dell’ispettrice o per la sua carezza.
Ma a quel punto non aveva molta importanza: era completamente in sua balia e, per uno strano scherzo del destino, era l’uomo più felice del mondo, perché voleva esserlo.
Quella donna lo aveva stregato, eccitato, lo aveva sedotto e lui non chiedeva di più; era disposto a concederle tutto, anche e soprattutto sé stesso, anima e corpo.
Che usasse di lui, che si prendesse ciò che voleva, a lui era bastato quel leggero sfiorarsi di gambe per aver perso ogni più piccolo residuo di lucidità.
E lei, che aveva saputo fin dall’inizio come sarebbe andata a finire, non poteva non essersi accorta che qualcosa era successo, che qualcosa di lui si era mosso, senza che lui lo avesse deciso scientemente.
Lui la desiderava, e bramava averla, e sarebbe stato disposto a fare e dire qualsiasi cosa.
 
Saeko si chinò appena verso di lui, che la guardava da sotto in su, e così facendo gli offrì la visione ravvicinata del suo decolleté; il suo profumo gli invase le narici e per un attimo chiuse gli occhi.
Li riaprì subito per non doversi perdere quella magnifica visione: la donna più bella del mondo lo stava seducendo, era ad un passo da lui, quasi addosso, e poteva sentire il suo calore mischiarsi al suo.
Era quasi al punto di non ritorno e, quando lei gli sussurrò all’orecchio: “Sei stato un po’ cattivo con me… non mi hai detto tutta la verità!”, credette di morire e non si curò del significato delle sue parole.
Quando però Saeko spinse all’improvviso e con decisione il suo ginocchio verso l’inguine di Seitaro, facendogli male, lui si lasciò sfuggire un “Ahi!” che lo riportò con i piedi per terra.
La fissò allora negli occhi e ciò che vide lo spaventò a morte.
 
L’ispettrice Saeko Nogami non era più la maliarda che lo aveva mandato in orbita, ma una spietata erinni, che lo guardava con bramosia, certo, ma con una sinistra luce negli occhi.
Kyokun iniziò a sudare abbondantemente e stavolta si preoccupò di essere in quello stato, ammanettato e senza speranza di poter fuggire da quella che, improvvisamente, era diventata la sua nemesi.
Percepiva tutta la sua potenza, la sua forza, la sua volontà e si sentì schiacciare: quella donna avrebbe fatto di tutto in nome della verità e della giustizia, anche se al momento sembrava più una dea vendicatrice.
Magari era solo una pazza, una squilibrata, una donna che voleva saggiare fino a che punto poteva arrivare il suo potere di seduzione… forse si era solo voluta divertire con lui.
 
Con un altro scatto improvviso, Saeko tolse il ginocchio e appoggiò al bordo della sedia il piede, graziosamente calzato in una scarpa col tacco alto, e spinse con forza, facendo scivolare all’indietro la sedia con Seitaro sopra.
Non si capovolse, ma oscillò pericolosamente a fine corsa, e l’uomo legato cercò suo malgrado di reggere il contraccolpo e tenersi in equilibrio.
Fuggevolmente intravide l’interno coscia della Nogami, a cui era fissato un intero kit di stiletti, e quella visione lo turbò: una donna bellissima e pericolosa, e, malgrado tutto, desiderò ancora essere suo.
 
“Bene!” esclamò Saeko, mentre si risistemava il ciuffo di capelli che le era scivolato davanti agli occhi, nello sforzo della spinta “Ora facciamo sul serio! Raccontami tutto, perché ho perso fin troppo tempo con te… o preferisci che chiami Ryo?” e fece un cenno con la testa in direzione della porta.
 
“No, no, no, ti prego!” si ritrovò a balbettare Kyokun Seitaro.
 
E si dispose a raccontare tutto ciò che aveva, fin lì, taciuto ad entrambi.
 

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Capitolo 8
*** Duello ***


Altro capitoletto, cortino, è vero, ma che aggiunge un altro tassello a questa mia storiellina un po’ misteriosa.
Sono contenta che la state apprezzando, e mi fate davvero tanto felice *___*
Buona lettura,
vi abbraccio forte e…

Buon Compleanno Kaori!!!!! *.*
Eleonora

 
Ps: che per me Kaori è una donna eccezionale, non è un mistero, e in questo capitolo, in questa storia, è quasi la protagonista assoluta. Felice nascita, quindi!
 
 
Cap. 8- Duello
 
Al porto, due sere prima. Interno notte.
 
Sparo dopo sparo, in breve tempo sia Kaori che Seitaro svuotarono i loro caricatori sulle sagome in movimento e quando l’eco dell’ultimo sparo si perse nel rimbombo del magazzino, Kama batté le mani.
Dapprima un unico colpo secco, a cui, dopo una breve pausa, ne seguirono altri, in sequenza, in una vera e propria ovazione.
 
“Benissimo!” esclamò estasiato “Mi avete offerto un vero concerto all’italiana, grazie” e si produsse in un inchino appena accennato.
 
Poi seguì con lo sguardo i suoi due scagnozzi, che erano andati a controllare i fori dei proiettili nelle sagome, e quando uno di loro si voltò verso il boss facendogli un cenno di assenso, Kama rispose con un sorriso soddisfatto.
Il faccendiere gli aveva appena comunicato che fra i due era stata Kaori la migliore, colei che aveva fatto più volte centro e che non aveva sbagliato un colpo.
Dentro di sé, Kama gongolò.
 
Se per caso Kaori e Seitaro si accorsero di questo dialogare muto fra il boss e gli scagnozzi, non è dato sapere, ma fra loro due si scambiarono un breve sguardo d’intesa; avevano fatto ciò che Kama gli aveva richiesto, ora sarebbero potuti tornare a casa?
A frustrare le loro aspettative giunsero le parole dello stesso Kama, che annunciò:
 
“Allora amici, c’è ancora un’altra cosuccia che potreste fare per me…” e gli sorrise con l’espressione di un gatto sornione.
 
Quel sorriso aveva un che di inquietante, che fece passare un lungo brivido gelido sulla schiena dei due amici.
Cosa ancora avrebbero dovuto fare, prima di poter tornare sani e salvi alle loro abitazioni?
Cosa ancora voleva, da loro, quell’eccentrico di Kama Kamakura?
 
“Hai promesso che se avessimo sparato per te, poi ci avresti lasciato andare!” gli ricordò Kaori, cercando di nascondere il tremore nella sua voce.
 
“Hai ragione, mia piccola amica” gli rispose bonariamente Kama “Ma vedervi sparare, constatare quanto siete bravi e quasi infallibili, mi ha fatto venire voglia di…”
 
“Su, avanti, diccelo!” proruppe Seitaro con la forza della disperazione “Non tenerci sulle spine!”
 
“Seitaro, mi piace il tuo ardire” esclamò per tutta risposta Kama, e lo guardò ammirato: forse quel ragazzo poteva essergli veramente utile all’interno del clan.
Certo, Kaori aveva più mira, era stata più precisa, ma c’era sempre bisogno di tiratori scelti e Seitaro avrebbe potuto migliorare.
Quindi, spostando lo sguardo dall’uno all’altra, infine parlò:
 
“Vorrei… vorrei che vi sfidaste a duello!”
 
Entrambi i giovani trasalirono.
 
E se per Seitaro, all’inizio, si trattò solo di stupore, per Kaori fu subito un sentore di pericolo.
Pericolo allo stato puro.
Qui non si trattava più di assecondare le voglie bizzarre di un capo banda annoiato, di mettersi in mostra in un esercizio di tiro al bersaglio… qui ne andava della sua stessa vita e di quella di Seitaro.
Sarebbe stato uno spararsi addosso con l’intenzione di colpirsi, di ferirsi, e un duello, nel vero senso della parola, prevedeva solo un vincitore… il perdente, il più delle volte, non perdeva solo il duello ma anche la vita.
 
D’improvviso, nella mente di Kaori risuonarono le parole perentorie di Ryo, quando le proibiva di imparare a sparare così che non sarebbe mai dovuta diventare un’assassina, e la sua invariabile risposta, ostinata, con cui gli assicurava che se, al contrario, avesse imparato bene, avrebbe saputo come fare per non uccidere nessuno.
Non avrebbe mai mirato alla testa e avrebbe evitato gli organi vitali.
Quello era uno dei peggiori argomenti su cui litigare furiosamente, come troppo spesso accadeva, e di certo lo scontro che avevano avuto quella sera stessa, quando lui aveva scoperto del corso al poligono, era stato il massimo.
Kaori, dentro di sé, sapeva che Ryo aveva ragione, e col tempo aveva finito per accettare il suo punto di vista, che non era solo negare la sua bravura, ma un forte senso di protezione nei suoi confronti, che andava al di là della sua stessa incolumità fisica.
Ryo non voleva che lei macchiasse la sua anima candida, voleva preservarla nella sua purezza.
E se non era rude gentilezza la sua, cos’altro era?
Amore?
Un qualche tipo di amore, certamente, ma non era sicura se fosse quello che lei da sempre bramava.
Indubbiamente Ryo aveva ragione, ma nemmeno Kaori era in errore quando desiderava saper padroneggiare un’arma da fuoco come una pistola; difendere e difendersi, era il suo scopo e nient’altro.
 
Ma adesso, di fronte alla possibilità di sfidare a duello un’altra persona, un amico per giunta, tra l’altro costretta da un boss malavitoso che avrebbe trovato comunque il modo di obbligarla, si sentì un’inetta.
Non era ancora in grado di poter affrontare una sfida di quel genere; non era sufficientemente brava per sostenere il doppio onere di difendersi e non offendere.
Certo, al poligono faceva la sua bella figura, anche pochi minuti prima aveva dato sfoggio delle sue capacità, ma un duello era tutta un’altra cosa.
 
“No, non posso farlo!” si sentì dire ad alta voce, prima ancora di aver fatto chiarezza dei suoi pensieri.
 
Seitaro, che aveva perso la parola e, paralizzato dal terrore, continuava a ripetersi: “Non posso colpire Kaori, non posso ferirla, non posso ucciderla”, in quel momento si sentì colare un liquido caldo lungo le gambe: molto poco dignitosamente se l’era fatta addosso.
 
“Cos’hai detto, mia cara?” si rivolse Kama a Kaori, mantenendo sempre il suo fare bonario.
 
Kaori si riscosse definitivamente e, raddrizzando le spalle per dare più enfasi alle sue parole, reiterò:
 
“Non posso farlo. Ho detto che non posso farlo” e con ancora la pistola in mano ormai scarica, si mise le mani sui fianchi.
 
Kama allora scoppiò in una risata di pancia, divertito; la sweeper si guardò furtivamente intorno, i due scagnozzi erano rimasti a debita distanza da loro e non tradivano emozione alcuna.
Non c’era bisogno che Kaori controllasse lo stato di Seitaro, ne percepiva il terrore e, con la coda dell’occhio, aveva già visto la macchia scura che si era andata allargando dal cavallo dei pantaloni e che terminava alle caviglie.
Se a lei non era successo altrettanto, era solo perché aveva imparato a trattenere la vescica da quando lavorava con Ryo: il pericolo era il loro mestiere del resto, no?
 
Non appena Mr. Kamakura terminò di ridere e si ricompose, aggiustandosi il ciuffo dei capelli nerissimi, la fissò e, sempre senza smettere di sorridere, le disse:
 
“E invece lo farai. Oh, sì, che lo farai…!” e prima ancora che Kaori potesse protestare, gli scagnozzi, come animati da un comando silenzioso, sfoderarono le loro armi e si mossero verso Kaori e Seitaro, tenendoli sotto tiro; si fermarono ad un passo da loro, mirando alla testa.
 
Kaori trattenne il fiato mentre Seitaro boccheggiava, in cerca di aria.
Fu quasi con un senso di disdetta che la ragazza si rese conto che l’inevitabile stava già succedendo: gli ennesimi balordi volevano aver ragione su di lei; normalmente però, a quel punto arrivava Ryo, che li sbaragliava, con il suo aiuto, imbastendo insieme una di quelle loro proverbiali azioni alla City Hunter.
Ma Ryo non sapeva dove lei fosse, né sospettava che potesse correre un qualsiasi pericolo; non l’avrebbe cercata, né sarebbe ricorso alle ricetrasmittenti dei bottoni per trovarla.
 
Istintivamente si portò una mano alla camicetta e se la aprì: non sapeva bene nemmeno lei cosa stava per fare, voleva ricevere un po’ di forza al pensiero che Ryo potesse correre in suo soccorso, o voleva giocare la carta della donna fatale e seducente come le aveva insegnato Saeko?
In un misto di entrambe le soluzioni, si sbottonò due bottoni, e percepì chiaramente il turbamento nelle aure degli scagnozzi.
Saeko aveva ragione, e il suo socio ne era l’esempio vivente: dai ai maschi la possibilità di vedere anche solo un accenno di seno, due belle gambe e un sedere sodo, e loro perdono la testa e li puoi rigirare come dei calzini.
Anche Kama smise di sorridere di fronte ai maneggi di Kaori: cosa aveva in mente, quella giovane donna affascinante?
 
Il tirapiedi che la stava tenendo sotto tiro si fece più avanti, per sbirciare meglio il decolleté della ragazza, mentre l’altro, che avrebbe dovuto occuparsi di Seitaro, sentendosi escluso e soffrendo l’ingiustizia di non riuscire a vedere bene, si distrasse a tal punto che quasi abbassò l’arma.
 
Kaori, rinfrancata da questo inaspettato risultato, allargò ancora di più la camicetta aprendo un altro bottone e, sospirando, esclamò:
 
“Che caldo qui. Si sta facendo caldo…”
 
Sentiva di averli in pugno, e quando fu totalmente sicura che il testosterone di tutti gli uomini, compreso quello di un redivivo Seitaro, era in subbuglio offuscando le loro menti, con scatto felino si girò verso il suo aguzzino e, con un unico gesto, gli rubò la pistola, rivolgendogliela contro.
Ora le parti si era invertite, e prima ancora che il tipo capisse cosa fosse successo, troppo preso dalla visione della biancheria intima della giovane donna che, nel movimento, si era maggiormente mostrata, Kaori era lì, a puntargli la pistola alternativamente alla tempia e al cavallo dei pantaloni.
Quando l’uomo finalmente capì la gravità della situazione proruppe con un grido isterico:
 
Non sparare! Non sparare!”
 
A quel punto tutti si focalizzarono su Kaori e sulla pistola carica che stava impugnando.
 
“Fermi tutti, o sparo!” minacciò, e lo scagnozzo, più preoccupato dei suoi gioielli di famiglia che della sua testa, si portò le mani a coppa a difendere ciò che gli avrebbe assicurato una futura progenie.
 
“Non lo farai” disse deciso Kama “Non ne avresti il coraggio!” la sfidò a parole; in fondo poco prima si era rifiutata di cimentarsi in duello con il suo compagno di corso, figurarsi se era capace di sparare a sangue freddo e a distanza ravvicinata ad un uomo, alla testa o ai genitali.
 
“Tu non mi conosci, e non sai di cosa ho, o meno, il coraggio di fare” rispose Kaori.
 
Adesso girava la pistola a mirare, alternativamente, i due bravacci.
 
Quello alle spalle di Seitaro non sapeva più se continuare a tenerlo sotto tiro, o occuparsi di quella strana ragazza coraggiosa.
Dal suo padrone non giungevano messaggi in tal senso e, non appena si distrasse un attimo, Kaori, con un potente calcio laterale, fece volare la pistola dalla mano del tirapiedi, mandandola lontano chissà dove.
Stupito di essere stato disarmato con così tanta facilità, arretrò di un passo, incapace di fare altro.
Per un attimo pensò che se avesse provato ad aggredirla fisicamente, probabilmente avrebbe avuto ragione di lei e della sua esile corporatura, ma era armata e lui aveva visto quanto magnificamente sapesse sparare: evidentemente non era una sprovveduta.
Normalmente, inoltre, lui non faceva del male alle donne e ai bambini, e non voleva cominciare proprio adesso; alzò le braccia in segno di resa: che il capo pensasse ciò che voleva.
 
Kama, da parte sua, non si preoccupò più di tanto, tutto preso ad ammirare la prontezza della ragazza e il suo saper fare; non sembrava più la semplice allieva di un corso di tiro al bersaglio, ma una donna sicura del fatto suo, e non nuova a certe situazioni.
 
Kaori, il viso tirato dall’enorme tensione che stava vivendo, si rivolse a Seitaro quasi ordinandogli:
 
“Prendi la mia borsa, dentro c’è un’altra pistola!”
 
Ammirato, Kama Kamakura le chiese:
 
“Ma tu… tu chi sei?”
 
“Io sono Kaori Makimura…” ripose la sweeper, quasi stupita di quella sciocca domanda.
 
“Questo lo so” e le sorrise, incurante di essere disarmato e del fatto che lei avrebbe potuto rivolgere la sua arma anche contro di lui “Voglio dire… chi sei veramente?”
 
Quella ragazza sarebbe stata perfetta come suo braccio destro, altro che semplice tirapiedi come ne aveva tanti; di impiegarla in un altro contesto, come dire, più godereccio, poi, non se ne parlava.
Non aveva bisogno di altre belle donne da mettere nei night o nei suoi localini, e nemmeno di tenutarie od escort prezzolate e d’alto bordo.
Kaori era sì bellissima, ma molto abile con la pistola, e sapeva destreggiarsi alla grande in mezzo al pericolo; non si era scomposta eccessivamente, aveva disarmato quei due mammalucchi dei suoi bravi, e possedeva una sua pistola personale.
Era praticamente perfetta.
 
Kama aspettava ancora una risposta da Kaori, la quale, dopo una breve pausa in cui valutò se fosse o meno il caso di rivelare la sua vera identità, alla fine si decise ed annunciò, con quanto più orgoglio aveva:
 
“Io sono… io sono City Hunter!”
 

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Capitolo 9
*** Io sono City Hunter ***


Altro capitolo cortino… chissà se sarà di vostro gradimento? Stasera malgrado la stanchezza, avevo voglia di postarlo e, semplicemente, eccolo qua.
Buona lettura
Eleonora

 
 
 
Cap.9 - Io sono City Hunter
 
 
“Io sono… io sono City Hunter!”
 
“Stai scherzando?” proruppe Kama, combattuto fra l’incredulità, sembrandogli una cosa totalmente assurda, e quel sentore di verosimiglianza che l’affermazione di Kaori gli aveva ispirato; del resto solo una sweeper professionista poteva fare ciò che lei aveva appena fatto.
 
“No, affatto”  gli rispose Kaori “Io e Ryo, Ryo Saeba, siamo City Hunter. Avrai sentito parlare di noi…”
 
Non appena Kamakura la sentì pronunciare il nome del più grande sweeper del Giappone, Ryo Saeba, ebbe un fremito; un brivido freddo gli attraversò le membra e gli gelò le ossa.
 
Se era vero ciò che diceva quella ragazza, lei era nientemeno che la socia dell’implacabile Ryo Saeba.
Non c’era malavitoso o criminale che non conoscesse le sue prodezze, il suo senso di giustizia che sfociava a volte in vendetta; i più anziani lo avevano visto pure all’opera quando aveva vestito i panni dell’Angelo della Morte, e i pochi che gli erano sopravvissuti erano stati lasciati in vita al solo scopo di raccontare a cosa si andava incontro, mettendosi contro di lui o contro i più deboli.
 
Kama inghiottì a vuoto.
 
In che guaio si era andato a cacciare?
Con la sua stupida voglia di circondarsi di tiratori scelti, non aveva verificato la vera identità della ragazza, si era accontentato dei nomi che gli aveva fornito sua figlia…
In fondo chi poteva sospettare che la socia di Saeba avrebbe scelto un semplice corso di tiro al bersaglio per perfezionarsi, quando era nientemeno che la partner di colui che con la pistola, poteva fare veramente di tutto?
Dannazione!
Ed ora come poteva uscire indenne da quella penosa empasse?
E, soprattutto, come potersi assicurare che la vendetta di Saeba non si sarebbe abbattuta su di lui e sul suo intero clan?
Non poteva semplicemente riportare a casa la ragazza e dire: “Ci scusiamo per l’equivoco, arrivederci e grazie”. No, doveva trovare una soluzione, una qualsiasi.
 
Kama si mise a pensare febbrilmente, e mentre Seitaro ancora rovistava goffamente all’interno della borsa di Kaori, giunse alla soluzione più logica: la ragazza era stata brava a disarmare due scagnozzi, ma di fronte ad uno stuolo di altri uomini armati, non avrebbe avuto altrettanta fortuna.
Magari ne avrebbe ferito o ucciso qualcuno, ma poi la pistola avrebbe finito le munizioni e, prima o poi, qualcuno avrebbe avuto ragione di lei.
Intanto la si doveva disarmare, poi avrebbe pensato al resto.
 
Senza perdere tempo, Kamakura si produsse in un lungo fischio monocorde e, in breve, all’interno del magazzino, comparvero decine e decine di uomini armati che, pur tenendosi a distanza, circondarono i quattro, impedendo una qualsiasi via di fuga.
 
Kaori si sentì persa.
Stava accadendo ciò che aveva temuto fin dall’inizio; sarebbe stato troppo bello sperare che in quel grande magazzino ci fossero solo quei due tirapiedi a guardare le spalle del boss Kamakura.
Strinse forte l’impugnatura della pistola.
Aveva promesso a Ryo che non avrebbe ucciso nessuno, ma forse stavolta avrebbe dovuto tradire quella promessa: avrebbe venduta cara la pelle.
 
Seitaro aveva finalmente afferrato la pistola di Kaori dal fondo della sua borsa, ma era ancora troppo frastornato per poterla usare lucidamente, e l’avanzare di tutta quella marmaglia armata non gli diede coraggio sufficiente.
Quando si scatenò l’inferno, nessuno più pensò a lui e, in qualche modo, riuscì a mettersi in salvo.
Scappò a gambe levate dal magazzino, senza mai voltarsi indietro, senza pensare nemmeno per un istante di aiutare Kaori, di portarla in salvo con lui.
L’aveva abbandonata codardamente al suo destino.
 
Al termine di una breve sparatoria, nonostante Kaori si fosse battuta come una leonessa, finite le munizioni fu bloccata e atterrata faccia a terra; adesso Kamakura, ristabilito il potere, torreggiava su di lei e, incolume, senza aver mosso un muscolo in quel parapiglia infernale, la guardava con aria sorniona.
Era tornato ad essere il boss eccentrico, appena uscito da Miami Vice.
 
“Cara, cara la mia Kaori… avremmo potuto essere amici, ma tu hai rovinato tutto” si rivolse a lei in tono fintamente deluso; la ragazza, con la guancia premuta sul freddo pavimento di cemento, emise un mugugno di protesta, gli occhi ancora fiammeggianti d’ira, per niente domata.
 
“Avresti potuto essere la mia partner, la mia socia in affari; le tue innate abilità mi sarebbero state infinitamente utili, e insieme ci saremmo divertiti un mondo. Ma tu sei già, come dire, impegnata, e hai scelto di vivere dall’altra parte della barricata, e non credo che io abbia argomenti sufficienti per farti cambiare idea, vero?” le chiese, ben sapendo che difficilmente Kaori avrebbe voltato bandiera, votandosi fondamentalmente al male e al crimine; lei era una sweeper, una giustiziera.
 
“Vai al diavolo!” riuscì a dire la ragazza, nonostante la costrizione a cui era sottoposta.
 
Una breve risata secca accolse la sua maledizione e risuonò nello spazio circostante, poi Kama,ironicamente, aggiunse:
 
“Hai ragione, prima o poi ci andrò veramente, ma non adesso, e quando sarà, spero possibilmente a bordo della più lussuosa macchina che posseggo” poi, fattosi improvvisamente serio, aggiunse: “Ora mi hai messo in una posizione difficile… non posso tenerti con me, ma nemmeno rispedirti dal tuo socio vendicativo come se niente fosse. Ed ora? Cosa posso mai fare con te?”
 
Kaori smise di agitarsi e le si gelò il sangue nelle vene: era proprio giunto il suo momento?
Stavolta sarebbe morta veramente, senza che Ryo avesse provato a salvarla, senza che lei avesse potuto dirgli addio, senza averlo visto un’ultima volta?
Le ultime parole che si erano scambiati erano colme di astio e risentimento…
Chiuse gli occhi, ed un’unica lacrima le solcò il viso, ma finì subito sul cemento.
Ovviamente Kaori non rispose alle domande di Kama, tanto lui non si aspettava che lei gli suggerisse realmente una soluzione, e la ragazza conosceva molto bene come andavano le cose, quando si incappava nei clan malavitosi.
Non c’erano accordi, scambi, e meno che meno scuse o richieste di perdono, comunque non nella sua posizione.
Il solo fatto di essere City Hunter la condannava a morte e, da sola, era pressoché vulnerabile, più di una semplice ragazza qualunque.
Ma non le importava, non avrebbe rinnegato la sua vocazione alla giustizia, non avrebbe infangato la memoria del suo adorato fratello, morto anch’esso per la libertà e l’onestà, e anzi non le dispiaceva fare la sua stessa fine.
L’unico rimpianto era…Ryo.
 
Tutti gli astanti aspettavano la decisione di Kamakura, ognuno pronto a fare il suo dovere di burattino leale al boss, il quale sentiva su di sé gli occhi dei suoi sottoposti; avrebbe dovuto mostrarsi crudele, più di quello che non era in realtà; avrebbe dovuto dare sfoggio di potere e implacabilità, ma era combattuto perché non voleva fare veramente del male a Kaori, e non solo per le possibili ripercussioni da parte di Saeba.
 
Si chinò fino ad avvicinare il viso a Kaori e le sussurrò, così piano cosicché solo lei potesse sentire:
 
“Stai tranquilla non ti farò uccidere, hai la mia parola” poi, depositandole un bacio sui capelli spettinati e sudati, disse forte, a beneficio dei suoi uomini più vicini “Che tale spreco!” e poi molto più forte “Shiro? Prendila e falla sparire!”
 
E dandole le spalle, senza mai voltarsi indietro, uscì dal magazzino nell’aria fredda della notte.
 
Seitaro che, nonostante la vigliaccheria, non era riuscito ad allontanarsi troppo dal magazzino, ed anzi, in preda ai rimorsi, era tornato indietro, prima di scappare di nuovo, aveva sentito tutto,.
E questo fu ciò che infine riferì all’ispettrice Saeko nel suo secondo interrogatorio.
Ma non seppe mai che fine fece realmente Kaori.
 
 
 
***
 
 
 
Alle prime luci dell’alba, Kaori si riscosse da quello strano dormiveglia.
La prima cosa che notò fu che, stranamente, la temperatura all’interno del rifugio era aumentata, e che intorno a lei c’era un terribile silenzio ovattato.
La luce che riverberava dalla porta principale e da quelle che dovevano essere le finestre, era abbacinante, troppo forte per essere anche la semplice luce a picco di mezzogiorno, e di un giorno di autunno inoltrato per giunta.
Era fredda, pura: era una luce bianca.
Il suo terrore più grande, durante quella lunga notte buia, era che potesse addormentarsi seriamente e non svegliarsi più, vittima dell’ipotermia, ma ora, se possibile, quel risveglio fu anche peggio.
Aveva la gola e le labbra secche, era riarsa e non mangiava né beveva da ore… giorni… non seppe dirlo.
Le girava la testa e tutto il corpo urlava il suo malessere, costellato da tante piccole ammaccature o lesioni, e la ferita della gamba si era fatta gonfia e tumefatta.
Prima di cedere alla disperazione più totale, provò a rimettersi in piedi, sgranchendosi lentamente le membra, poi, a passi strascicati, raggiunse la porta principale e grande fu il suo stupore, scoprendo di essere immersa in un paesaggio ricoperto di candida neve.
Evidentemente quando il vento era cessato, si era messo a nevicare, e per quello strano fenomeno che sempre accade quando nevica, la stessa gelida neve aveva preservato il calore residuo all’interno del rifugio, coprendone tutte le fessure e le aperture, e lei non era morta assiderata.
Contrariamente, se ci fosse stata una notte di luna e le temperature fossero precipitate sotto lo zero, lei avrebbe sofferto tremendamente il freddo, e questo avrebbe potuto esserle fatale.
 
Con ancora addosso quella lurida cerata, a mo’ di mantello, che l’aveva però protetta dalle rigide temperature, si fermò, completamente attonita, sulla soglia della porta, con le scarpe affondate nella neve che la leggera brezza aveva ammonticchiato fino a lì.
Si riscosse solo quando il freddo oltrepassò la tomaia e le penetrò fino all’interno delle scarpe; si guardò i piedi bagnati, lì dove la neve si era sciolta col calore corporeo.
A quel punto ebbe un’intuizione: la neve, sciogliendosi, diventava acqua e lei aveva tremendamente bisogno di bere.
Si gettò sul primo cumulo lì vicino e, raccoltane una generosa manciata con entrambe le mani disposte a conca, avidamente se la portò alle labbra e iniziò a succhiare.
Nemmeno il più variegato dei gelati o dei ghiaccioli aveva un così buon sapore come quella bianca granita!
Ringraziò il cielo e Madre Natura, che almeno le avevano dato di che dissetarsi.
 
Il fresco della neve e l’acqua che la stava finalmente dissetando, la trassero dal torpore che ancora l’assediava.
Anche le idee si schiarirono e ripensò, più lucidamente, a ciò che le era successo la sera prima…o doveva dire due sere fa?
Era così provata che aveva perso il senso del tempo.
Però ora si ricordava bene come fossero andate le cose dopo la sparatoria nel magazzino del porto, e soprattutto dopo che si era rivelata come City Hunter; forse quella era stata una sfortuna, ma non se ne dava peso, non aveva da rimproverarsi nulla; senza rimorsi e senza rimpianti, era diventato il suo motto ultimamente.
Anche essere stata abbandonata in quella landa dimenticata forse era stata una sfortuna, ma, al contrario essere uccisa e gettata chissà dove, senza che Ryo potesse trovare il suo corpo, avrebbe potuto dirsi una fortuna?
Era viva, ancora, si disse, e avrebbe lottato come solo lei era capace di fare; del resto, non era quello che faceva da tutta la vita?
Non appena si fosse sentita sufficientemente in forze, avrebbe tentato una sortita: non poteva rimanere lì in eterno, senza acqua né cibo, soprattutto senza fuoco e abiti adatti.
Intorno il paesaggio sembrava tutto uguale, uniforme, non c’erano punti di riferimento e adesso, che una spessa coltre di neve aveva ricoperto tutto, non era più così tanto sicura nemmeno della direzione da cui era venuta.
A quel punto un senso valevo l’altro, e se proprio doveva morire, che avvenisse mentre cercava di tornare a casa, tanto Ryo non sarebbe venuta a prenderla.
 
Stringendosi addosso la cerata e sfiorandosi il reggiseno rotto, per l’ennesima volta rimpianse di non indossare più la sua camicetta, quella con i bottoni con le trasmittenti.
Aveva un vago ricordo che qualcuno gliel’avesse strappata quando… quando era uscita dal magazzino, scortata da Shiro che, nonostante l’ordine appena ricevuto, non l’aveva stretta troppo forte sul braccio, né l’aveva minacciata con la pistola.
Le aveva abbozzato un timido sorriso; che sapesse che Kama non voleva ucciderla, ma solo farla sparire?
Forse.
Kaori non aveva nemmeno fatto troppo caso a che tipo fosse: era molto giovane, quello sì, e una parte di lei si dispiacque che un ragazzo di quell’età fosse già impegolato con un clan mafioso.
 
Le aveva detto, quasi trascinandola con sé:
 
“Seguimi senza fare storie e non ti succederà nulla”.
 
Ma lei non gli aveva dato per niente retta e, con uno strattone, aveva provato a liberarsi: aveva ancora l’adrenalina al massimo in circolo nelle vene, dopo aver sparato ed essersi difesa come una furia, contro quella massa di bravacci, e non era ancora disposta a cedere.
 
Era riuscita a sfuggire alla presa di Shiro quando era stata riacciuffata da due loschi figuri che li avevano seguiti, uscendo dal magazzino.
 
“Bene, bene, bene, la nostra puledrina fa le bizze, direi che vuole essere domata” disse uno dei due e il viso gli si contrasse in un ghigno da satiro malefico; anche il suo compare si unì alla sghignazzata.
Solo Shiro non si aggregò.
 
A Kaori passò un lungo brivido di ribrezzo e paura: forse essere uccisa, semplicemente uccisa, sarebbe stato infinitamente meglio che finire nelle mani di quei vogliosi assassini.
 
“Lasciatela andare!” intimò Shiro
 
“Ma su, dai, Shiro-chan, lasciaci divertire un po’” disse uno dei due balordi all’indirizzo del giovane.
 
“Ti ho detto mille volte di non chiamarmi così!” Si riferiva all’appellativo chan e a quell’eccesiva familiarità con cui lo aveva chiamato, in modo ironico. “Inoltre Kama l’ha affidata a me!” cercò di imporsi.
 
“Certo, mio giovin signore” gli rifece l’eco l’altro “Kamakura l’ha affidata a te, e ti ha ordinato di farla sparire, l’ho sentito molto bene, ma nulla vieta che prima… come dire, si faccia amicizia, noi e lei… eh eh eh eh”.
 
Kaori taceva, stretta nella presa di quei bruti, con il cuore a mille, e la paura sottopelle; inaspettatamente aveva trovato un alleato nel giovane Shiro, ma forse questi non era abbastanza autorevole per imporsi sulle malefiche intenzioni dei due; cercò di regolarizzare il respiro e di ragionare lucidamente.
Poco prima l’escamotage della camicetta aveva funzionato, e quei due balordi non erano meno uomini degli altri due che, molto prima, avevano messo sotto tiro lei e Seitaro; anzi, questi due avevano una sola cosa in testa e sarebbe stato molto più facile.
 
Si rilassò e prese un gran respiro, poi, voltando la testa verso il brutto ceffo che, più dell’altro, la teneva attaccata a sé e che sembrava quello più arrapato, gli disse:
 
“Se mi promettete di lasciarmi libera, farò tutto quello che vorrete” e atteggiò le labbra a cuore, con una finta espressione supplicante, così falsa che lo avrebbe capito anche un bambino, ma che fece scattare subito l’ormone dei due.
 
“Dici sul serio, carina?” replicò l’altro, quello poco più lontano da lei.
 
“Sì, vi prego. Sono disposta a tutto!” e impresse nella voce un tono quasi querulo.
I suoi occhi dolci fecero il resto.
 
“Quando è così…” cominciò a dire il primo, e già aveva allentato la stretta sulla ragazza e aveva spostato le mani sul collo della camicetta che, afferratala da dietro, sperava di sfilargliela.
 
Anche l’altro le si fece appresso, con un accenno di bava alla bocca, tutti concentrati sul niveo seno di Kaori che da lì si sarebbe svelato, ma lei, con una rapida torsione del busto, si voltò di scatto, permettendo ai due di strapparle la camicia e, fulmineamente, sferrò un bel calcio ciascuno fra le gambe.
 
Subito i due balordi si portarono le mani ai testicoli spappolati, piegati in due dal dolore, maledicendo Kaori e minacciandola che, non appena l’avessero presa, gliel’avrebbero fatta vedere loro.
Uno stringeva ancora la sua camicetta mezza strappata e l’agitava minacciosamente all’indirizzo della sweeper, la quale, forte della vittoria ottenuta, rideva soddisfatta.
Ma la sua esultanza durò lo spazio di un secondo, perché fu raggiunta da Shiro che, conficcandole una siringa nella carotide, le sussurrò:
 
“Mi dispiace…” e la raccolse fra le sue braccia prima che toccasse terra svenuta.
 

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Capitolo 10
*** Ad ogni costo, anche volare ***


… Intanto stasera aggiorno, mi sono detta, poi con calma rispondo a tutte le rec.
Eravate impazienti di leggere il seguito?
Spero di sì e spero anche che vi piaccia.
Colgo l’occasione per farvi
TANTI AUGURI per una Pasqua serena, accanto a chi amate, e nel posto e nel luogo, dove desiderate stare.
Vi abbraccio
Eleonora

 
  
 
 
 
Cap.10 - Ad ogni costo, anche volare
 
 
“Voglio sapere chi è questo Shiro! Lo scoverò e gliela farò pagare!” urlò Ryo, non appena Saeko gli comunicò gli esiti del suo particolarissimo interrogatorio.
 
“Potremmo chiederlo a Kurai che fa parte del clan, ma devi promettermi che quando andremo da lei non le salterai alla gola” lo avvertì Saeko.
 
 
 
 
Poco dopo, erano nuovamente nella stanza in cui stazionava Kurai, completamente sfatta, più pallida di un morto anche senza bisogno del suo solito cerone, i capelli spettinati; tremava dalla testa ai piedi e, quando vide torreggiare Ryo davanti a sé, credette di svenire.
 
Senza troppi giri di parole, Ryo le chiese:
 
“Chi è Shiro?”
 
Lì per lì la ragazza aprì la bocca per parlare, ma nessun suono ne uscì; sbatté più volte le palpebre ed inghiottì a vuoto.
Non ci fu bisogno che Ryo ripetesse la domanda, perché i suoi occhi d’acciaio l’inchiodarono sul posto, terrorizzandola; doveva assolutamente rispondergli, doveva assolutamente trovare il modo di collegare il cervello alla bocca, doveva dirgli quello che lui voleva sapere.
 
“Shi-Shiro…” iniziò balbettando “Shiro è… è mio fratello” finì per dire.
 
“Perfetto!” esclamò Ryo “Quindi ora mi dirai anche dove posso trovarlo!” e i suoi occhi brillarono di spietata determinazione.
 
Kurai ebbe, se possibile, ancora più paura, e temette per il suo fratellino; ma quello, si disse, era lo scotto da pagare del dover appartenere ad una famiglia mafiosa: prima o poi arriva sempre qualcuno più forte di te, intenzionato a nuocerti.
Nonostante le sue remore, Kurai diede a Ryo le informazioni che le aveva richiesto e, finalmente, lo sweeper poté lasciare le mura soffocanti della stazione di polizia, ed entrare in azione.
 
Avrebbe trovato Kaori ad ogni costo, e se non l’avesse ritrovata viva e in buona salute, avrebbe scatenato l’inferno in terra, e tutti quelli che si fossero trovati sul suo cammino avrebbero desiderato di non essere mai nati.
L’Angelo della Morte stava sbattendo le ali, desideroso di librarsi in volo, ma forse… non era ancora il momento.
 
Saeko, affacciata alla vetrata del suo ufficio, guardò Ryo raggiungere correndo la Mini e partire sgommando.
Finalmente avevano una pista, e sperò che non fosse troppo tardi.
 
“Ryo, riportala a casa e… non commettere sciocchezze” gli sussurrò la donna, appannando il vetro con il fiato caldo; la sua immagine riflessa le rimandava una donna stanca, sfinita ed amareggiata, e quando una lacrima furtiva scivolò lungo la guancia, la lasciò andare.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Il bimotore di Shoko Amano era in volo già da qualche ora e la ragazza, ad ogni miglio percorso, si faceva sempre più dubbiosa.
 
“Ryo, sei sicuro che sia questa la direzione giusta?” chiese la bella pilota ad un Ryo con la testa sprofondata in una cartina geografica.
 
“Te l’ho già detto: questo è sicuramente il posto giusto. Quel cretino di Shiro ha guidato ininterrottamente per più di dieci ore, cercando di allontanarsi il più possibile dal porto, e ha preso la strada per l’entroterra. Facendo i debiti calcoli dovremmo esserci”.
 
“Ma come farai a trovare una traccia di Kaori da quassù? Abbiamo già perso di vista la strada principale e con questa nevicata, inopportuna direi, non ci sono più punti di riferimento in questo bosco di abetaie!” incalzò la ragazza che, più ancora di sapere Ryo su di un aereo – lui che aveva un terrore paralizzante di volare – era scettica sul fatto che lui potesse ritrovare Kaori con così poche informazioni.
 
Le indicazioni che uno spaventatissimo ragazzino gli aveva dato, quando Ryo lo aveva raggiunto nel covo della banda, erano così confuse e approssimative che la ragazza dubitava perfino che fossero veritiere.
Fra poco avrebbero finito il carburante e, davvero, non c’era modo di sapere in che posto si trovasse Kaori.
 
 
Quella mattina presto, Shoko era stata buttata giù dal letto dalla telefonata di Ryo che, perentorio e senza troppi giri di parole, le aveva detto:
 
“Ho bisogno di te e del tuo aereo”.
 
Shoko, che ancora in preda agli ultimi rimasugli di sonno non ne aveva nemmeno riconosciuto la voce, credette di sognare quando realizzò che Ryo Saeba, intenzionalmente, le chiedeva di poter volare.
Quando, anni prima, aveva avuto a che fare con quei due pazzoidi dei City Hunter, si era subito infatuata del fascinoso sweeper, maniaco per quanto freddo professionista che, a colpi di pistola, era riuscito a salvarle la vita durante un volo sabotato.
Lei, che viveva solo per gli aerei e per poterli pilotare, a quel tempo aveva creduto di aver trovato finalmente l’uomo che avrebbe fatto al caso suo: coraggioso, sprezzante del pericolo e, per giunta, davvero attraente.
E grande era stata la sua delusione quando aveva invece scoperto che, non appena saliva su di un velivolo qualsiasi, diventava una gelatina tremolante ed urlante: si trasformava a tal punto che, di colpo, perdeva tutto il suo proverbiale sangue freddo e, piagnucolando, pregava di essere riportato a terra.
 
Lei e la sua socia Kaori le avevano provate tutte per fargli superare la fobia, perché era inaudito che lo sweeper numero uno del Giappone soffrisse di un tale disturbo, per usare un eufemismo: se uno solo dei suoi nemici avesse saputo del suo punto debole, non avrebbe perso tempo ad approfittarne.
 
Anche la stessa Kaori non ne era a conoscenza e lo aveva scoperto per caso, quando il Cessna della bella pilota, ormai senza controllo, si era schiantato all’interno del loro appartamento.
Non le era accorso molto per ricollegare l’atavica paura di volare e dei velivoli del socio, all’incidente aereo in cui aveva perso i suoi genitori, e da cui si era salvato per miracolo.
Precipitato nella giungla dell’America Latina, era stato raccolto da una banda di mercenari e cresciuto come tale, con tutto quello che ne conseguiva.
Niente di strano che lui fosse terrorizzato da tutto ciò che significasse volare, lui che non ricordava nulla di prima dell’incidente, ma che era stato irrimediabilmente segnato da quel trauma, interiorizzandolo.
 
Sembrava che non ci fosse cura per potergli far superare la fobia, e Kaori e Shoko si erano davvero scoraggiate, fino a quando Kaori non era stata rapita dal solito balordo e fatta salire con la forza su di un Piper; allora Ryo si era slanciato al suo inseguimento, ed era riuscito ad aggrapparsi ad uno dei sostegni inferiori delle ali, prima che prendesse quota, e con la mano sinistra aveva sparato ai piloti, fermandone di fatto la corsa e salvando l’adorata partner.
Shoko Amano, allora, era rimasta basita dalla reazione di Ryo che, nel momento di massimo pericolo per la socia, aveva dimenticato la paura di volare e, senza pensarci su due volte, aveva sfidato le sue stesse remore per poterla salvare.
 
Ryo si dimostrava sempre irriverente verso Kaori, la sfotteva, prendeva in giro e Shoko non lo aveva mai visto in atteggiamento affettuoso o rispettoso con lei, non era gentile né carino, nemmeno a parole; la bistrattava e di certo non la trattava come una donna.
Però, all’atto pratico, aveva messo a repentaglio la sua stessa vita per lei, e Shoko si era chiesta se sotto non ci fosse stato molto di più di quello che lui voleva mostrare.
 
L’aveva messo alla prova quindi, e l’aveva fatto salire di nuovo sul suo aeroplano, perché lei si era invaghita di lui, ma voleva essere certa che il cuore dell’altro fosse libero e non appartenesse a nessun’altra.
L’aveva strapazzato per bene, con manovre azzardate e acrobazie, perché voleva sentire dalla sua viva voce la verità; voleva che lui confessasse di essere innamorato di Kaori, così come lei aveva capito, e l’aveva ricattato e minacciato che, se non avesse ammesso di amarla, non l’avrebbe riportato a terra.
Lui, del resto, che già schiumava dalla bocca, stravolto e sconvolto, che già la implorava di smettere fra urla e strepiti, aveva ammesso che…
Sì, aveva ammesso che amava Kaori, e questo per Shoko era stato più che sufficiente, non solo a spiegare il suo cambiamento, il suo atteggiamento sprezzante che lo faceva ridiventare lo sweeper dal sangue freddo e di cui si era infatuata, ma anche per decidere di lasciarlo perdere.
Non voleva di certo mettersi in mezzo a quei due scemi, che si amavano e che se lo negavano a vicenda, e comunque per lei non ci sarebbe stata speranza.
Meglio sorvolare, era proprio il caso di dirlo.
Quando finalmente aveva riportato giù quel budino tremolante di Ryo, e Kaori lo aveva accolto fra le sue braccia cercando di farlo riprendere, lei, Shoko, le aveva detto:
 
“… se fosse per il bene di una certa persona, credo che la sua fobia scomparirebbe di nuovo, quindi non c’è di che preoccuparsi!”
 
Kaori, apparentemente, non aveva capito il senso di quella frase, e Shoko aveva proseguito dicendo:
 
“Ho trasportato un bel carico col mio primo volo” riferendosi al fatto che adesso pilotava un aereo per le spedizioni, per una nuova ditta commerciale, anche se il carico in questione stavolta era stato Ryo, infatti poi aveva aggiunto “… anche se un po’ mi dispiace. Comunque sia, è qualcosa di molto importante per te, cara Kaori!”
 
La sweeper era rimasta sorpresa dalle sue parole, e non aveva dato segno di aver compreso fino in fondo cosa volesse intendere la pilota, la quale fra sé e sé si era detta:
 
Però adesso non intendo fare la parte di cupido, e poi non voglio più trasportare l’amore degli altri. La prossima volta trasporterò il mio!
 
E così, Shoko Amano era uscita di scena, e aveva continuato la sua carriera di pilota con successo; d'altronde a lei bastava poco per sentirsi realizzata, e cioè poter sfrecciare nel cielo terso, a sfiorare le nuvole e volare sempre più in alto.
 
Era sicura che non avrebbe avuto più bisogno dei City Hunter, né che si sarebbero più incontrati, fino a quella mattina all’alba, quando Ryo le aveva telefonato.
 
Ci aveva messo un po’ a collegare quella voce roca all’immagine di Ryo Saeba, e non si abbinava a nessuno dei ricordi che aveva di lui; il maniaco, l’affascinante uomo di mondo, la frignante mammoletta; eppure era lui e, nelle brevi battute che si erano scambiati, le aveva detto che doveva ritrovare Kaori ed aveva bisogno del suo aereo e di lei.
 
Incontratisi all’hangar, la ragazza aveva preteso di saperne di più; aveva necessità di sapere quanta benzina avio immettere nel serbatoio, che rotta avrebbero dovuto seguire, se nelle vicinanze del punto stabilito ci fosse una pista di atterraggio, insomma cose di questo genere; ma lui era stato evasivo e, quando le parlava, sembrava addirittura distratto.
Era tutto preso nei suoi calcoli mentali, sprofondato nelle sue mappe e cartine, cercando di ripercorrere il tragitto che aveva fatto quel ragazzino, quello Shiro che, a quanto pareva, aveva rapito Kaori e l’aveva portata lontano, nel bel mezzo del nulla.
 
Stavano sorvolando un bosco di abetaie, che s’infittiva sempre più dirigendosi verso le montagne; Shoko controllava nervosamente l’indicatore del carburante: presto non ne avrebbero avuto a sufficienza nemmeno per tornare indietro.
Diede voce alle sue preoccupazioni:
 
“Ryo, senti, fra poco dovremmo tornare indietro, perché dubito che lassù sulle montagne ci sia una pista di atterraggio con tanto di pompe di carburante…”
 
“Ah, sì…certo…” le rispose distrattamente.
 
Shoko si stizzì e ribatté:
 
“Ryo! Hai capito quello che ho detto? Non possiamo più proseguire, o non ci basterà la benzina per il viaggio di ritorno!”
 
“Tornare indietro senza Kaori non se ne parla!” rispose accigliato e perentorio.
 
“Ho capito, ma come speri di trovarla qui in mezzo al nulla senza… senza… niente?”
 
“Ecco, ci siamo!” le rispose lui, senza badare alle sue proteste e dirigendosi in fondo all’aereo, dove era riposto la zaino contenente il paracadute e un altro piccolo zainetto con il necessario per la sopravvivenza.
Iniziò subito ad infilarsi gli spallacci.
 
“Come sarebbe a dire che ci siamo? Qui non è cambiato niente, non c’è un segno, a parte alberi e neve!”
 
Se le sembrava stranissimo che Ryo fosse salito a bordo con lei, e avesse volato tutto quel tempo in sua compagnia senza morire di paura, né insidiarla come ricordava che facesse, le sembrava assurdo che, nel bel mezzo di una landa desolata e innevata, lui trovasse un segno, anzi fosse convinto che quello fosse il posto giusto.
 
Lui, agganciato l’ultimo moschettone e saggiato la tenuta di tutte le chiusure, finalmente si degnò di guardarla e risponderle:
 
“Kaori è qui, me lo sento!” come a dire che la questione era chiusa.
 
Shoko aveva già sentito parlare dell’incredibile connessione mentale dei due, ma le era sembrata sempre un’esagerazione; del resto parevano così male assortiti, due personaggi quasi agli antipodi; certo erano affiatati sul lavoro, ma questo passava in secondo piano quando c’era di mezzo la loro vita privata.
Ma non fece domande.
 
Ryo era già davanti al portellone d’uscita e lei si preparava all’inevitabile risucchio che si sarebbe verificato non appena Ryo l’avesse aperto.
Avrebbe dovuto inserire il pilota automatico, subito dopo, e lasciare i comandi, prima di correre a richiuderlo.
 
Lo guardò interrogativamente, un velo di preoccupazione negli occhi; si stava per lanciare letteralmente nel vuoto, lui, che odiava volare, e lo faceva unicamente per andare in cerca della sua socia, senza una traccia evidente della sua presenza, senza un segnale che lei stessa fosse stata in grado di lasciargli.
Era animato esclusivamente dalla speranza e dalla sicurezza in sé stesso, e… da molto altro ancora.
Se non era amore questo!
 
“Ryo, stai attento” gli sussurrò, anche se la raccomandazione sarebbe stata comunque superflua, e poi: “E stavolta diglielo, che la ami” e gli sorrise.
 
Lui, per tutta risposta, annuì lentamente con la testa, quindi, improvvisamente rianimato dalla smania, le disse:
 
“Quando farai ritorno, di’ a Umibozu di venirci a prendere qui con un elicottero: dagli le coordinate esatte. Avremo bisogno di essere recuperati dal cielo perché, come vedi, non esistono strade. Ma ora va…” e dopo un breve sorriso si buttò.
 
Shoko compì subito la manovra di inversione di volo perché, veramente, era al limite con il carburante.
Dall’oblò seguì la sagoma di Ryo, che aveva già aperto un coloratissimo paracadute che spiccava nel nitore della neve.
Volteggiava sugli alberi e sperò che la sua discesa andasse a buon fine; non le risultava che lo sweeper fosse un provetto paracadutista, soprattutto perché odiava volare, ma forse era capace di fare anche quello, oppure la forza del suo sentimento compensava l’inesperienza.
 
Shoko sospirò, scomparendo lentamente verso est; invidiava un po’ l’intensità del loro amore e si augurò di poter trovare presto un uomo che l’amasse come Ryo amava Kaori; poi però si disse che, al contrario di loro due, avrebbe voluto che il sentimento fosse chiaro e manifesto fin dall’inizio, e non tortuoso e inespresso come quello che stavano vivendo i due sweeper.
 
Quando Ryo non fu più nemmeno un puntolino alle sue spalle, guardò l’orologio e valutò che ci sarebbe stata sì e no un’altra ora di sole e che, se anche questo Umibozu avesse trovato un potente elicottero, non sarebbe riuscito a tornare lì in tempo.
Era autunno inoltrato, le giornate si andavano accorciando sempre più e lì, ai piedi delle montagne, al riparo della catena montuosa, si faceva notte prima.
Si lasciò sfuggire una nota di stizza.
Nel migliore dei casi, il loro amico Umibozu sarebbe ritornato lì solo il giorno dopo all’alba.
 
“Speriamo che Ryo trovi Kaori sana e salva, e che entrambi possano tornare presto a casa. Chissà se troveranno un riparo per questa notte?” si disse la giovane pilota.
Dopo diverse miglia ripercorse a ritroso, accese la radio e lanciò nell’etere la sua richiesta alla prima torre di controllo: aveva bisogno di fare rifornimento per stare più tranquilla, poiché non era sicura che il carburante le bastasse; e, soprattutto doveva trovare il modo di contattare l’ispettrice Saeko Nogami, così come le aveva chiesto Ryo prima di partire.

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Capitolo 11
*** Ritrovarsi… o quasi ***


Eccomi qua!
Morivo dalla voglia di aggiornare, già da ieri, ma anche di rispondere alle vostre rec deliziose, però tutto mi è andato storto O_o
Quindi ho dovuto fare una scelta, stasera: rispondere alle recensioni o aggiornare… e se state leggendo questa intro, la risposta la sapete già :D
Allora buona lettura!
Con affetto
Eleonora
 
Ps: questo capitolo, ma idealmente tutta la fic, la dedico a quelle lettrici che ‘hanno bisogno’ di leggere storie leggere per alleggerirsi l’anima, che si rifugiano in questo pazzo mondo fatto di eroi e eroine di carta, per affrontare meglio la vita reale; eppure sono loro le vere eroine, e a queste va tutto il mio rispetto. ^____^
Ele

 
 
Cap.11 - Ritrovarsi… o quasi
 
Dopo essersi dissetata con la neve sciolta nei palmi delle mani, ed essersene passata un po’ sul viso per ripulirsi dalla sporcizia che sentiva di avere, il freddo riprese il sopravvento e Kaori si ritirò nuovamente all’interno del rifugio, nella parte più lontana dalla porta d’entrata.
Il suo stomaco brontolava già da un po’e se, in qualche modo, aveva placato la sete, la fame non dava segni di volerla abbandonare, anzi.
Non appena si era ridestata da quel penoso dormiveglia della notte, si era detta che avrebbe lasciato il riparo e si sarebbe messa in cammino, in cerca di salvezza, ma un’ondata di spossatezza aveva costretta a raggomitolarsi in un cantuccio, coperta dalla lurida cerata, alla ricerca di un po’ di calore.
Se giusto il giorno prima sarebbe stato difficile camminare ed orientarsi, in quella landa desolata costellata di soli abeti, adesso, con un fitto manto nevoso, sarebbe stato anche peggio e molto più stancante.
 
Non voleva iniziare a cedere, non voleva lasciarsi andare, però, e, istintivamente, iniziò a pensare intensamente a Ryo: il suo pensiero le avrebbe dato la forza.
Ripensò a tutti i giorni felici e spensierati passati insieme: ai pericoli scampati, alle loro avventure rocambolesche, ai piccoli grandi riavvicinamenti che avevano avuto, ai pochi momenti romantici e significativi vissuti, ai dietrofront di Ryo che invariabilmente ne erano seguiti.
Ripensò a tutte le loro litigate: a quelle epiche che si concludevano con le solite fughe e martellate, a quelle più piccole e a volte più dolorose, alla gelosia che l’aveva infiammata, alla rabbia, alle lacrime rimangiate insieme ai magoni.
Ripensò a tutta la vita che aveva passato con Ryo, che, per intensità, aveva offuscato tutti gli anni vissuti prima di averlo incontrato; certo, prima c’era stato l’adorato fratello, ma l’amore che provava per Ryo era diverso, più intenso e totalizzante.
Ryo: la sua croce e la sua delizia, colui che aveva il potere di innalzarla nel cielo della felicità, e subito dopo sprofondarla nell’inferno buio del dolore.
 
Ryo, Ryo, Ryo!
 
L’uomo che l’aveva cambiata per sempre, che aveva invaso ogni cellula del suo corpo e della sua anima; l’uomo che più desiderava al mondo, e che continuava ad amare malgrado tutto.
Non sarebbe riuscita mai e poi mai a dimenticarlo, a fare a meno di lui, anche a costo di consumarsi come una candela, aspettandolo.
 
Ryo, Ryo, Ryo, mormorava quasi come una litania…
E perfino il rumore ovattato di un aereo, che passava sopra di lei, la fece pensare a lui; e che stranezza abbinare le due cose, quando appunto Ryo odiava volare, aveva il terrore dei velivoli… eppure… ogni cosa le ricordava il suo amato Ryo, colui che forse non avrebbe rivisto mai più.
 
 
In quello stesso momento, mentre lo sweeper stava planando con il paracadute, non aveva che un pensiero in testa: Kaori.
Non sentiva nemmeno il vento freddo che lo investiva, avvicinandosi sempre più a terra; gli scalfiva il viso come lame affilate, eppure non ne era minimamente cosciente.
Cercava di rimanere in assetto, così come gli aveva spiegato una volta un istruttore di lanci, ma poi non aveva mai fatto pratica ed ora doveva fare ricorso alla sua proverbiale memoria; il paracadute si era comunque aperto senza problemi e, tirando le debite cordicelle, riusciva a frenare la caduta e a non allontanarsi troppo dal punto che aveva scelto per l’atterraggio.
Perché da quando aveva annunciato a Shoko di volersi lanciare, era sicuro che Kaori fosse lì: lo sentiva, lo sapeva, non poteva sbagliarsi.
Era attirato come una calamita verso il suolo, e non lo preoccupava che, apparentemente, non ci fossero in vista dei manufatti di origine umana, costruzioni di sorta, case, rifugi o ammassi rocciosi tali da giustificare una rientranza, se non una grotta, come riparo.
Kaori doveva essere lì, anche contro il buon senso.
E la sua fiducia cieca lo guidava in quella discesa per lui pericolosa, la prima della sua vita; si rallegrò che ad aspettarlo ci fosse una discreta coltre di neve ad attutire il rimbalzo, perché non era sicuro di riuscire a raggiungere il suolo senza spaccarsi le gambe; l’atterraggio era il momento più difficile.
 
A pochi metri dal suolo, una folata di vento più forte lo fece sbandare e lo risospinse in aria, ritardando il momento di toccare terra, ma quell’improvvisa frustata fece cadere un po’ di neve da un intrico di rami e alti cespugli, che si trovavano lì vicino, scoprendo quello che aveva tutta l’aria di essere un tetto.
 
Con non poca difficoltà, Ryo riuscì finalmente a posare i piedi per terra e subito affondò nella neve; il paracadute ormai sgonfio gli si attorcigliò intorno e le corde quasi lo strozzarono, avvoltolandolo.
Imprecando, tagliò tutti i lacci e si liberò dell’impiccio; il suo innato senso di sopravvivenza gli suggerì di recuperarlo perché sicuramente gli sarebbe tornato comodo, ma la smania di trovare Kaori non gli permetteva di perdere tempo a ripiegare la stoffa del paracadute e arrotolare le corde.
 
Aveva lasciato in sospeso perfino la sua tremenda vendetta contro il clan Minamoto-Kamakura, perché la sua priorità era ritrovare Kaori, possibilmente viva; figurarsi se si sarebbe messo a sistemare uno stupido, per quanto provvidenziale, paracadute.
Quando sarebbe tornato a Shinjuku, quei balordi avrebbero desiderato morire e non per mano sua, anziché subire la sua fredda ira, ma ognuno di loro sapeva che la sua vendetta pendeva sulle loro teste come una spada di Damocle: che si disperassero nell’attesa, che sparissero dalla faccia della terra, tanto lui li avrebbe ritrovati e gli avrebbe dato la giusta lezione.
Per quanto riguardava il paracadute, beh… più prosaicamente sarebbe potuto restare lì, magari legato al tronco di un albero, affinché il vento non lo portasse via.
 
Comunque sia, non appena si fu districato, si guardò intorno e iniziò a gridare con quanto fiato aveva in gola:
 
“Kaori, Kaori dove sei?” e, affondando nella neve ad ogni passo, gravato dal peso del suo zaino, cercava di dirigersi verso quelle quattro mura sbreccate che facevano capolino sotto la vegetazione spinosa, poco distante.
 
“Kaori, Kaoriiiiii. Sei qui?” continuava ad urlare, con le mani a cono, attaccate alla bocca, sperando di ampliare il suono.
 
La ragazza, che dentro il rifugio si era ormai ripiegata su sé stessa e, come una nenia, non faceva che ripetere il nome del socio, per un attimo si zittì e si disse:
 
“È così forte il mio desiderio di rivedere Ryo, che mi sembra quasi di sentirlo chiamare il mio nome” e un sorriso amaro le distorse la bocca screpolata dal freddo.
 
Ma quando quel richiamo iniziò ad udirlo sempre più vicino e distintamente, si riscosse: non è che per via della fame e della spossatezza, iniziasse ad avere anche delle allucinazioni uditive??
Possibile che fosse veramente Ryo quello che la stava chiamando, e non piuttosto il vento che sibilava fra le assi del tetto e del pavimento, e che si insinuava nelle numerose aperture del magazzino abbandonato?
 
Allucinazioni o meno, irrazionalmente decise di rispondere, e rizzandosi in piedi gridò:
 
“Ryo! Ryo, sono qui!” rivolgendosi all’apertura più grande, quella che fungeva da entrata, lo sguardo puntato verso il bianco abbacinante dell’esterno.
 
E un attimo dopo vide un’ombra, una sagoma stagliarsi sull’uscio del rifugio, ad oscurare la luce bianca del giorno; un uomo, che indossava una pesante giacca a vento e un berretto di lana calato sui folti capelli neri, fece il suo ingresso nel suo campo visivo, e Kaori seppe che quello era Ryo Saeba in carne ed ossa.
 
Per un lungo istante si guardarono, mormorando ciascuno il nome dell’altro, incapaci di dire o fare di più, poi Kaori fece un passo e le cadde la cerata dalle spalle, rivelando al partner la sua parziale nudità; a quel punto Ryo posò lo zaino a terra, e avanzando verso di lei, si slacciò la giacca a vento, poi, quasi rabbiosamente gliela lanciò, dicendole:
 
“Copriti!”
 
Kaori, colpita dal livore del socio – e riaccesasi in lei la rabbia, la stessa che li aveva animati nella loro ultima disputa – fu percorsa da una scarica di adrenalina che la riscosse fin nel profondo.
Raddrizzò le spalle e, incurante di tutto, della stanchezza, della fame e del freddo, avanzò con passo marziale verso il nuovo venuto, con gli occhi fiammeggianti, dicendogli:
 
“È tutto qui quello che sai dirmi?” e gli piombò addosso, sferrandogli uno schiaffo; ma un secondo dopo, esaurite le forze, gli si accasciò addosso svenuta.
Lui fu rapido a raccoglierla fra le sue braccia, sulle labbra di lei un “Idiota” appena mormorato.
 
 
 
 
Quando Kaori rinvenne, la primissima sensazione che provò fu di caldo, un tepore che l’avvolgeva tutta, e riaprendo gli occhi fu colpita da una strana luce calda che contrastava con il nitore della neve all’esterno e con la penombra del rifugio.
Il primo pensiero che formulò fu: “Ryo” e non si accorse quando lo disse ad alta voce; si stupì di sentire l’amata voce risponderle:
 
“Sono qui…”
 
La ragazza provò a muoversi, a tirarsi su col busto, e si avvide di essere distesa accanto ad un fuoco da bivacco, che provvidenzialmente Ryo aveva acceso durante il suo stato d’incoscienza, ma soprattutto di aver giaciuto con il capo appoggiato alle sue gambe.
Non appena capì in che posizione si trovasse, arrossì violentemente e si strinse le braccia sul seno, a coprire ciò che restava della sua biancheria; fu allora che, invece della pelle nuda, sentì sotto le dita la consistenza quasi scivolosa della tela impermeabile della giacca di Ryo, quella che lui le aveva gettato con malagrazia quando era arrivato.
 
L’uomo invece, apparentemente più a suo agio, non si scompose: continuava a buttare sul fuoco crepitante, piccoli legnetti e rametti, raccolti chissà dove, e ad alimentare le fiamme.
 
Quando si erano rivisti, nonostante il sollievo provato, e che tacitava la disperazione e la frustrazione che avevano rischiato di sopraffarli, in un certo senso avevano ripreso a litigare, lì da dove si erano interrotti quella famosa sera prima della festicciola al One Shot.
In fondo litigare gli veniva sempre bene, e faceva parte integrante di quel loro strampalato ménage.
Ma ora, che comportamento tenere?
Kaori, che, un minuto prima di vederselo davanti, lo aveva pensato così intensamente fin quasi ad evocarlo, disperando di rivederlo ancora, e struggendosi aveva passato in rassegna mentalmente tutta la vita passata insieme a lui, ora non sapeva cosa dirgli.
E Ryo, che non si era dato pace finché non l’aveva ritrovata, che aveva pure sfidato la sua atavica paura di volare e si era perfino lanciato col paracadute in un deserto innevato, con la sola forza della disperazione a fargli da guida, animato dalla sensazione forte e precisa di saperla lì, ora riusciva solo a badare al fuoco.
 
La sweeper avrebbe tanto voluto rimanere lì, accoccolata accanto al socio e vicino al fuoco, senza dover aggiungere null’altro, né riprendere un discorso lasciato a metà, ma si costrinse a tirarsi su a sedere e, nello sforzo, si lasciò scappare un lamento.
 
“Ti fa molto male?” le chiese subito Ryo, aiutandola a sistemarsi meglio, alludendo alla ferita che stava diventando violacea.
 
“Un po’” rispose a denti stretti Kaori.
 
Non sapeva ancora se lasciarsi andare e dirgli la verità, e che cioè la lesione le causava un discreto dolore, oppure minimizzare.
Ryo era capace di darle della sciocca e della sprovveduta, e addossarle l’intera colpa per essersi trovata in quella situazione, come se essere capitata in un covo di malavitosi, con tanto di boss eccentrico e maniaco delle pistole, aver dovuto lottare contro una banda di balordi, e poi con due maniaci che volevano approfittarsi di lei, e poi ancora essere scampata al freddo e al gelo, vagando mezza nuda in una landa dimenticata da dio, se lo fosse andata a cercare!
 
In ogni caso, sedendosi davanti al fuoco, finì per dare le spalle a Ryo; allungò le mani sulle fiammelle danzanti e pensò che un bel fuoco è sempre una benedizione.
Per il momento voleva solo concentrarsi su quello, sulle fiamme e sul calore, e il non dover necessariamente guardare in faccia il socio, la sollevava dal disagio di quella strana situazione di stallo.
 
Quasi sobbalzò quando lui le disse, ad un passo dall’orecchio:
 
“Tieni, prendi questo: ti riscalderà”.
 
Kaori girò appena il busto e vide la forte mano di Ryo stringere una borraccia termica; aveva veramente pensato a tutto, andandola a cercare.
Il thermos conteneva il caffè più buono che avesse mai assaggiato, era per giunta zuccherato come piaceva a lei, e le spuntarono due lacrime: Sugar Boy.
Ruotando su sé stessa, si ritrovò di fronte a lui e, finalmente, si guardarono negli occhi:
 
“Grazie” gli disse soltanto.
 
Ryo continuava a guardarla in silenzio, mentre lei sorbiva quel nettare che sapeva di casa, di amore, di consolazione e nostalgia, ma non abbassava lo sguardo; lo fissava al di sopra della piccola ciotola che fungeva da tappo, volendogli trasmettere tutta la sua gratitudine.
Kaori si disse che il bisogno di cibo patito, unito alla mancanza di forze, avevano alterato le sue percezioni, l’avevano resa più sentimentale e più fragile; ma poi pensò che, a quel punto, non aveva più senso sminuire i suoi sentimenti: era felice che Ryo fosse lì con lei, che l’avesse trovata e salvata dal freddo e dalla fame, e anche un caffè zuccherato faceva inevitabilmente la differenza.
Che si fosse commossa, era normale.
Voleva fare e dire molto di più di un semplice grazie, ma era come paralizzata.
Improvvisamente era diventato tutto difficile fra loro due; possibile che la questione del corso al poligono li tenesse ancora così penosamente prigionieri in quel limbo di incomprensione?
Era come se tutto il disastro successo in mezzo non avesse avuto luogo affatto.
 
Ryo, che, al pari della sua compagna, non riusciva a parlare, lui che dell’incomunicabilità era maestro, non sapeva come portare un po’ di normalità in quel frangente.
Era certo che prima o poi Kaori gli avrebbe chiesto come fosse riuscito a ritrovarla, era solo questione di tempo, eppure, realizzò all’improvviso, non si sentiva più così tanto pronto a raccontarle tutte le peripezie che aveva dovuto affrontare per arrivare fino a lei.
Non sarebbe riuscito a spiegarle come aveva trascorso quelle ore interminabili nella stazione di polizia, con Saeko ad interrogare quei due cretini, e con la frustrazione di non riuscire a scoprire una pista, e soprattutto un motivo per la sua sparizione, dal momento che nessuno dei suoi numerosi nemici aveva rivendicato il rapimento.
Era stato sul punto di perdere la testa, voleva spaccare il mondo, voleva fare… cosa?
Si era rivolto a tutte le divinità conosciute affinché gli dessero un aiuto qualsiasi e, pur di non perdere tempo prezioso, non aveva neanche sfogato la sua rabbia sui responsabili di quello che era occorso a Kaori.
Aveva fatto così tanto, per lei, che ora si sentiva come svuotato da un lato, e dall’altro schiacciato da un enorme macigno; sperò che Kaori in qualche modo gli spianasse la via.
 
A Kaori, dopo aver preso un’altra abbondante sorsata dal termos, venne spontaneo offrirlo anche a Ryo, ma lui, sorridendole timidamente, scosse appena la testa.
 
“Ah, è vero, dimenticavo che tu lo bevi amaro” e gli sorrise di rimando.
 
Questo permise loro di sciogliere la tensione, almeno un po’.
 
Quindi Ryo, come a ricordarsi di una cosa, si allungò verso lo zaino posato lì vicino e, mentre armeggiava con le zip e le tasche, Kaori alzò gli occhi sopra di lui, di loro, e si stupì di ritrovarsi all’interno di una specie di tenda improvvisata, colorata, ed assicurata alle assi delle pareti e a dei ganci che non aveva ancora notato.
Guardò interrogativamente il suo socio che, quasi distrattamente, le rispose:
 
“Quello è il mio paracadute. Ho pensato di utilizzarlo come una tenda da campeggio” e nel dirlo le sorrise, per poi ritornare a rimestare nel suo zaino; evidentemente non riusciva a trovare ciò che stava cercando, nonostante ciò proseguì nella spiegazione: “Messo così ci riparerà ancora di più dal freddo e il calore del fuoco non si disperderà. Questa specie di magazzino è così grande. Eccolo!” finì la frase con esultanza e, afferrato l’oggetto che stava così disperatamente cercando, glielo porse.
 
Kaori lo prese: aveva tutta l’aria di essere uno snack, una merendina, ma non ricordava di averne mai viste di simili, né di averle mai mangiate.
Vedendo la sua espressione perplessa, Ryo chiarì:
 
“Questa è una di quelle barrette multivitaminiche che di solito si portano in giro gli escursionisti, o chi va per monti e boschi. Le usano quando si trovano improvvisamente senza forze o con un importante calo di zuccheri: possono ricorrere a queste che in un attimo li rimettono in forma. Sono delle vere e proprie bombe, delle iniezioni di energia, e sono sufficienti per riprendere la strada del ritorno. Non riempiono lo stomaco, questo no, o comunque il senso di sazietà è relativo, ma ho pensato che sarebbe stato utile portartene un po’… da quanto tempo non fai un pasto completo?”
 
“Oh Ryo, ma hai davvero pensato a tutto!” esclamò Kaori profondamente commossa.
 
L’uomo, per tutta risposta, iniziò a ridacchiare a disagio, grattandosi la testa; non era abituato a ricevere complimenti dalla sua Kaori, e lei era vistosamente felice e grata delle sue premure.
Amava quella donna e avrebbe voluto vederla sempre felice e contenta, anche se stroppo spesso il motivo della sua infelicità era proprio lui.
Non ne combinava mai una giusta, ma alla sua maniera voleva farle capire che per lei ci sarebbe stato sempre, che sarebbe andato a cercarla anche in capo al mondo, e l’avrebbe riportata a casa… da lui.
 
Kaori scartò in silenzio la barretta e l’addentò con cautela, era proprio curiosa di sapere che sapore avesse e la trovò deliziosa, tanto che emise un mugugno di soddisfazione, socchiudendo gli occhi quasi in estasi; solo allora si accorse di essere affamata.
Ryo le aveva chiesto quale fosse stata l’ultima volta che aveva mangiato, ma lei davvero, fra tutto, non riusciva a ricordarselo.
Dentro di sé benedisse Ryo e le sue innegabili premure: avrebbe dovuto ringraziarlo per questo?
Ma poi lui come l’avrebbe presa?
 
Lo stava giusto osservando, mentre ravvivava le braci con un rametto, il viso illuminato dalla luce del fuoco, il profilo perfetto, il naso affilato, un principio di barba, gli occhi scavati… Ryo si era preoccupato per lei oltre ogni dire.
 
D’improvviso Kaori esclamò:
 
“Ma aspetta, ho capito bene? Questo è il TUO paracadute?”
 
“Sì, perché?” le rispose lui voltandosi a guardarla.
 
“Vorresti dirmi che ti sei lanciato da… da cosa? Un aereo? Magari quello che ho sentito sorvolare il mio rifugio?”
 
“Credo… credo di sì…” e tornò a stuzzicare le braci.
 
“Ma chi ti ha portato fin qui? E come facevi a sapere che ero qui?” chiese tutto d’un fiato Kaori.
 
Ecco che la socia si era sbloccata, e le domande iniziarono a piovere a raffica; poco male, pensò Ryo, d'altronde sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il tempo delle spiegazioni; e ancora una volta, proprio come aveva sperato, era stata l’amata compagna a dare il via a tutto.
Si dispose a raccontare ogni cosa, o meglio, a rispondere alle tante domande della compagna.
Le raccontò, quindi, la storia fin dall’inizio, di quando, cioè, tornando a casa quella notte non l’aveva trovata e subito si era allarmato, della ricerca vana che aveva fatto per tutta Shinjuku, dell’aiuto che aveva richiesto a Saeko e degli interrogatori a Kurai e a Seitaro, tralasciando i modi usati, i suoi scoppi d’ira, la disperazione e frustrazione provate tutto il tempo.
Lo sweeper si concentrava solo sui fatti e sulle notizie nude e crude, come se fosse un semplice cronista, come se non fosse stato lui il protagonista di quella storia.
Ogni tanto le buttava un’occhiata in tralice, per spiare le sue reazioni, per vedere se lei riusciva a leggere fra le righe di quella lunga narrazione, tutta la sua angoscia; se si era allarmata o preoccupata per quello scemo di Seitaro, se era rimasta delusa di Kurai; ma Kaori taceva e interiorizzava tutto senza dire una parola.
Ryo le raccontò di come, alla fine, avesse rintracciato prima Kama e quindi Shiro, ma non le disse come li aveva trattati; Kaori temeva che lui li avesse eliminati o puniti severamente, nella foga della vendetta, perché sapeva che Ryo Saeba non lasciava nessuno impunito, del resto era un giustiziere, ma stavolta fu lui a precisare:
 
“Se te lo stai chiedendo, no, non li ho uccisi né torturati… non ancora. Mi premeva di più ritrovarti sana e salva. Al nostro ritorno in città vedremo di regolare i conti…” e il suo sguardo si accese di uno strano brillio.
 
Kaori, allora, istintivamente allungò una mano a prendergli il braccio, una stretta decisa che attirò la sua attenzione; l’uomo trasalì.
 
“Ti prego, Ryo…” gli disse, che stava a significare di non trasformarsi ancora nell’Angelo della Morte, che avrebbe dovuto essere magnanimo e clemente.
Lo supplicava di non farlo, per lei, e tutto questo il suo socio lo capì perfettamente e ne rimase colpito.
Kaori era fantastica: nonostante tutto il male che aveva ricevuto da quei bastardi, era ancora pronta al perdono, alla misericordia; la sua bontà lo scosse nel profondo.
 
Con voce roca le rispose:
 
“Vedremo…”
 
Ma era più per placare la sua coscienza, come a darsi una possibilità, come a non voler cedere; in fondo lui era lo sweeper e il giustiziere, e non s’era mai sentito che il grande Ryo Saeba lasciasse impunito un qualsiasi criminale; stavolta poi c’era di mezzo Kaori, l’altra metà di City Hunter, e l’affronto era stato enorme.
Non voleva scontentare Kaori, ma nemmeno perdere di credibilità nello spietato mondo del crimine; non reagire, sarebbe stato interpretato come un segno di debolezza da parte sua, e questo lo sapeva molto bene anche lei.
Però la socia lo aveva profondamente cambiato, lo aveva migliorato e di questo gliene era profondamente grato: cedere agli antichi istinti, sarebbe stato come regredire.
Per il momento accantonò qualsiasi decisione e, dopo averla guardata intensamente, a suggellare quel suo “Vedremo”, riprese a spiegarle come fossero andate le cose:
 
“E infine, stamattina sul presto, ho telefonato a Shoko Amano…”
 
“La pilota?” lo interruppe lei, provando all’improvviso come una stilettata di gelosia: si ricordava molto bene dell’affascinante donna pilota, dell’appeal che aveva avuto su Ryo anche se, si disse, questo lo avevano tutte le belle donne su di lui.
Le sovvenne anche che la stessa ragazza si era invaghita del socio, e sperava di aver trovato l’uomo adatto a lei, forte e coraggioso, e che era rimasta assai delusa della sua paura di volare.
Per Shoko era inconcepibile una cosa del genere, lei che avrebbe voluto volare anche dormendo.
Nell’ultimo volo fatto con Ryo, al termine del quale era sceso stravolto, Shoko le aveva fatto uno strano discorso, che non aveva capito fino in fondo, perché era troppo presa a soccorrerlo.
In seguito a quell’avventura, Kaori non aveva più sentito parlare di lei, ma ecco che ora rispuntava fuori; forse, nonostante tutto, Ryo aveva continuato a frequentarla… forse si sentivano di tanto in tanto… forse…
 
Come avesse letto nei suoi pensieri, Ryo si affrettò a dire:
 
“Per fortuna avevo ancora il suo telefono scritto da qualche parte… ci ho pure messo un po’ a ritrovarlo, eh eh eh eh” e di nuovo si grattò la testa in imbarazzo; gli scocciava dover ammettere che non era il super efficiente sweeper numero uno del Giappone, ma poi aggiunse una cosa inaspettata: “Se ci fossi stata tu, l’avresti ritrovato subito” e le rivolse un sorriso disarmante.
 
Kaori fu assalita da uno strano guazzabuglio di sentimenti: la gelosia che trascolorava in sollievo, e in consolazione, amore per quel testone a volte buffo e gigione, tenerezza per quell’uomo buono che sapeva ispirare affetto, e che la spingeva alle coccole.
Anche in quel momento avrebbe voluto volargli fra le braccia, ma lui, lui non voleva, non la voleva.
Si trattenne e provò quasi un dolore fisico; concentrò nello sguardo tutto quello che avrebbe voluto fargli e dirgli, e rimase così in sospeso, come sempre del resto.
Inghiottì a vuoto, e annuì incapace di dire nulla.
 
Ryo, vedendo che la socia non aveva protestato, non si era risentita riuscendo a trattenere la sua gelosia, ammesso che ne provasse ancora per la bella pilota, proseguì:
 
“Ad essere sincero non so bene perché mi sono rivolto a lei; forse perché ho pensato che un aereo sarebbe stato più veloce di un elicottero, e dato che la distanza da percorrere era notevole… Comunque sia, le ho detto di contattare Saeko e soprattutto Falcon al rientro alla base, di dargli le nostre coordinate e di tornare a prenderci, stavolta con un elicottero, perché sarà più facile recuperarci. Con questa nevicata le strade sono tutte bloccate, e solo dal cielo possono tirarci su” e finì per ridere, sinceramente.
 
Era incredibile come Ryo parlasse di volare e di velivoli con disinvoltura, come non fosse lui terrorizzato dalle altezze e dai mezzi che non toccavano terra per muoversi.
Kaori lo guardava stupita e affascinata insieme, perché nonostante Ryo non glielo avesse detto, in pratica lui aveva fatto tutto questo per lei, solo per lei; lui le aveva raccontato tante cose, certo, ma si era premurato di nascondere le più importanti, e in particolar modo la motivazione per cui le aveva compiute.
Aveva vinto le sue paure, affrontato i suoi demoni personali, aveva smosso mari e monti per trovarla ed era inutile che facesse finta di nulla: lui si era comportato così perché l’amava, perché tenerlo segreto?
Ma Kaori non poteva costringerlo a dirglielo, non poteva obbligarlo a dirle la verità, non ci sarebbe mai riuscita, e se mai lui si fosse sbilanciato, e un secondo dopo avesse sconfessato i suoi sentimenti come era solito fare, lei ne avrebbe sofferto tantissimo e non voleva ricaderci ancora.
Si accontentò di ciò che lui, volutamente, le aveva detto e taciuto, tanto le azioni che aveva compiuto parlavano per lui, erano davanti a lei, e farglielo notare l’avrebbe fatto chiudere in sé stesso.
 
Però era bello riaverlo lì, accanto a lei, rilassato, sorridente, a suo modo premuroso; mentre lei era incosciente aveva approntato una specie di campo base, con tanto di fuoco e riparo, l’aveva dissetata e riscaldata, l’aveva anche rifocillata ed effettivamente ora si sentiva meglio, le erano tornate le forze e il buon umore.
Se non avesse avuto quella brutta ferita alla coscia, sarebbe potuta essere una piacevole avventura, un campeggio sui generis.
E nemmeno a farlo apposta, spostando la gamba, le scappò un lamento che subito attirò l’attenzione del socio:
 
“Che stupido sono stato” esclamò allora “Ho parlato, ho parlato, e mi sono dimenticato della tua ferita alla gamba”.
 
“No, non-non fa niente, figurati” si affrettò a minimizzare la donna.
 
“Avanti, fa vedere” e già allungava le braccia costringendola a distendere la gamba nella sua direzione.
 
Kaori si sentiva un po’ in imbarazzo sentendo le sue mani sulla coscia, era un misto di disagio e desiderio; d'altronde lei non era di legno, era una donna fatta e finita e amava quell’uomo, lo desiderava perfino, e bramava il contatto fisico.
Anche se non era quello il momento per lasciarsi andare a simili pensieri.
 
“Uhhhmm, questa ferita si sta infettando. Prima di tutto dovrò lavarla e poi vedremo il da farsi. Il tuo Ryuccio ha portato anche il kit del pronto soccorso, lo sai?” le disse per sdrammatizzare, perché in realtà la lesione aveva assunto un colorito ed una consistenza preoccupante, e non voleva far agitare la socia.
 
“Torno subito” disse alzandosi e dirigendosi verso l’esterno.
 
Kaori rimase lì pensierosa, a chiedersi cosa ci fosse di normale in tutto quello che stavano vivendo, perché di tante avventure passate insieme, questa era la più strana e la più assurda.
Però almeno non stavano litigando, avevano definitivamente accantonato il livore derivante dai contrasti sull’imparare a sparare o meno; Ryo non le aveva rinfacciato nulla, né l’aveva redarguita, sgridata o presa in giro; si stava occupando di lei, e se anche lo avesse fatto solo ed esclusivamente perché sentiva ancora l’obbligo verso Hideyuki, beh che facesse pure: lei, Kaori, ne beneficiava comunque.
Aveva sognato tutta la vita che Ryo fosse gentile con lei, che la trattasse come una donna, una donna di cui prendersi cura, indifesa e fragile, come tutte le clienti che avevano avuto.
Per orgoglio, e per farsi accettare da lui, aveva rinunciato anche a questo aspetto della sua personalità, si era sempre mostrata forte ed autosufficiente, pur di non risultare una pappamolla, pur di essere all’altezza del grande Ryo Saeba, ma adesso… adesso era arrivato il suo turno.
 
Sospirò.
 
Poco dopo ritornò il socio, reggendo nelle mani poste a coppa un bel mucchietto di neve:
 
“In mancanza di altro, dovrò usare questa, e sarà anche meglio perché il ghiaccio sfiammerà l’irritazione” e nel dirlo si inginocchiò davanti alla socia “Sarebbe bene… sarebbe bene che tu… ti togliessi i pantaloni” le disse un po’ a disagio “Non vorrei bagnarli…”
 
Kaori annuì arrossendo, ma seguì il consiglio del partner: con non poca fatica si sfilò i jeans sudici e laceri e mostrò così le gambe all’uomo, il quale non mancò di notare altre ecchimosi e graffi: valutò che l’aggressione subita era stata notevole, ma se la socia era lì davanti a lui, tutta intera, e senza nemmeno un osso rotto, voleva dire che si era difesa come una leonessa.
Probabilmente i suoi stessi assalitori ora non stavano certo meglio di lei.
 
Non appena Ryo passò la neve sulla ferita, Kaori rabbrividì di freddo e di dolore, ma strinse i denti; lui, sentendola mugolare, alzò gli occhi a guardarla, ma lei gli fece segno di proseguire; ben presto il freddo della neve agì come anestetico e la ragazza si rilassò.
Una volta ripulita, la ferita si rivelò meno preoccupante del previsto e Ryo si lasciò sfuggire un:
 
“Credevo peggio”.
 
“Eh?” chiese di rimando la socia.
 
“È che di primo acchito mi sembrava più profonda ed estesa, e invece tolto il sangue rappreso è risultata più contenuta. Adesso la medicherò con un disinfettante generico e te la fascerò, ma non appena saremo a casa, vorrei che ti vedesse il Doc”.
 
“A proposito… quando pensi che arriverà Umibozu?” domandò allora la ragazza, mentre Ryo aveva già preso a fasciare la sua gamba, facendo passare il lungo rotolo di garza intorno alla coscia.
Aveva una manualità così spiccata che davvero dimostrava di averlo fatto milioni di volte; Kaori ebbe un brivido.
 
Ryo si fermò un attimo e guardò in direzione dell’entrata principale, attraverso il tessuto teso del paracadute; stava rapidamente scendendo la notte, e volare al buio, per Umi, non sarebbe stato facile.
Anche se avesse avuto la vista acuta come un tempo, non li avrebbe ritrovati comunque in quella landa desolata, e loro due non avevano modo di portare il fuoco all’esterno, lì in mezzo alla neve, per segnalare la loro presenza.
Si decise a parlare, tanto era inutile tergiversare:
 
“Credo che Polipone verrà a prenderci domattina, alle prime luci dell’alba. Adesso sarebbe un suicidio”.
 
Kaori accolse la notizia senza batter ciglio, d’altra parte, a quel punto, non era poi così urgente andare via di lì; c’era Ryo ora con lei, non rischiava di morire assiderata perché avevano un fuoco e un riparo dentro il riparo, il suo stomaco era stato messo a tacere e per qualche ora poteva ancora resistere, la neve la dissetava e nel thermos c’era ancora quello squisito caffè: poteva chiedere di più?
Buttò lì un: “Immagino…”, giusto per dire qualcosa.

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Capitolo 12
*** Una lunga notte ***


… E anche se pochi capitoli ci separano dalla fine, in realtà è adesso che entriamo pienamente nella storia, e prima di lasciarvi alla (gradevole, spero) lettura, voglio RINGRAZIARVI infinitamente per le bellissime parole che mi scrivete nei commenti.
Vogliono dire tanto per me.
Vi lovvo
Eleonora

 
 
 
 
 
 
Cap. 12 - Una lunga notte
 
Kaori rimase a guardare affascinata Ryo, che le stava avvolgendo tutta la gamba con la garza; secondo lei ne aveva messa molta di più del dovuto e le venne da ridere:
 
“Così conciata sembro una mezza mummia!”
 
Era la prima vera risata da quando Ryo l’aveva ritrovata, e si lasciò andare all’ilarità, spazzando via tutto il suo disagio.
 
“Hai ragione socia, ma almeno così potrai fare a meno di rimettere i pantaloni e starai al caldo” rincarò la dose lui, unendosi a lei nella risata.
 
Finalmente si era dissipata la cappa che li aveva sovrastati da quando si erano ritrovati, e potevano essere quelli di sempre, solo che ad un tratto Kaori fece qualcosa di inaspettato.
Tornando seria di colpo, gli si avvicinò e gli schioccò un bacio sulla guancia, sussurrandogli al contempo:
 
“Grazie!”
 
A quel punto anche Ryo si arrestò dal ridere e la guardò stupito.
Kaori lo aveva baciato, un bacio leggero, affettuoso… da amica?
D’improvviso realizzò che ne voleva un altro, molti altri… Ma la solita vocina malefica gli gridò che no, non si doveva fare, non era possibile fra loro due, lui non doveva desiderare nulla da lei, non doveva desiderare lei!
E c’era solo un modo per disinnescare la sua attrazione, quella voglia prepotente che lo spingeva verso di lei, e cioè fare la solita battutaccia, offenderla, deriderla, tanto da schifarla e farla allontanare.
Aveva giusto aperto la bocca per dare fiato alla sua vigliaccheria, ancora indeciso sul dire o tacere, quando lei lo guardò con ardore, con amore perfino, e quei suoi occhi nocciola e luminosi, rischiarati dalla calda luce del fuoco, gli bruciarono l’anima e gli prosciugarono la gola.
Richiuse la bocca e dimenticò l’insulto.
Disse invece:
 
“Non… non c’è di che” e il sorriso che ricevette in cambio gli fece passare un brivido di piacere.
 
Sorrise anche lui.
Poi le si avvicinò, e le depose un bacio sulla fronte, fra i capelli, chiudendo gli occhi.
Per farlo, però, si era sbilanciato troppo, e, visto che non si reggeva da nessuna parte, meno che meno su Kaori, perso l’equilibrio e le finì addosso.
 
“Eh-ehi?!” protestò la ragazza quando lui le cadde sopra.
 
“Scu-scusa” balbettò Ryo cercando di ritirarsi su, ma più si muoveva e più non trovava il modo di rialzarsi.
 
Kaori scoppiò nuovamente a ridere e, abbracciatolo, lo immobilizzò, per poi costringerlo a rotolare su sé stesso; capita l’antifona, lui si lasciò guidare, ma poi oppose resistenza e, a sua volta, si girò nuovamente portandosi dietro la socia.
Entrambi ridevano, giocando a rotolarsi sul pavimento, come bambini; non era certamente la prima volta che succedeva perché, insieme al solletico e alla finta lotta, era uno dei loro passatempi preferiti quando avevano voglia di stare insieme, toccarsi, strusciarsi un po’… e usavano questi giochini infantili per aggirare l’ostacolo che si erano imposti, e cioè di non avere altri contatti fisici se non quelli che possono avere due amici, maschi per giunta.
Non si sarebbero mai e poi mai confessati l’un l’altra che, invece, quello era puro desiderio dissimulato, e anche malamente poi, ma era tutto ciò che potevano permettersi, e quando erano in vena, quindi, ne approfittavano alla grande.
 
Si fermarono quando non ne poterono più dal gran ridere e, ansanti, ripresero fiato; Ryo, inoltre, temeva di schiacciare col suo peso la socia e di farle male sulla ferita appena medicata.
 
“Sei il solito idiota” gli disse Kaori, ancora ridacchiando, col fiato corto; era così bella, scarmigliata e con il viso arrossato dal ridere e dal gioco: aveva anche ripreso colorito, da che l’aveva ritrovata, e sembrava rinata.
 
“E tu sei la solita… la solita…” ma non gli veniva il nome; non voleva insultarla, ma nemmeno dirle chissà che, semplicemente non trovava le parole.
 
“Sono…? Avanti dillo!” lo sfidò lei.
 
“Sei la solita… la solita… amica!” buttò lì, e questo raffreddò all’istante l’ardore della ragazza che subito s’incupì.
 
Fu come tornare alla realtà di botto.
Eh, certo, lei per lui era e sarebbe sempre stata un’amica, cosa si era messa in testa?
Cosa mai era si era aspettata di diverso?
Anche se quella era stata solo una parola buttata lì, senza senso e senza convinzione, aveva avuto il potere di riscuoterla e, in qualche modo, farla soffrire.
 
Ryo, vedendo il cambiamento repentino nella socia, ne rimase basito, incapace di capire cosa fosse successo a lei, a loro due; un minuto prima erano lì che si rotolavano in terra come cuccioli rissosi, e adesso Kaori si era fatta improvvisamente fredda, la sentiva lontanissima.
 
Kaori fece per rimettersi a sedere, e lui le diede una mano per ritirarsi su.
 
Ryo, ancora perplesso, la guardava di sottecchi e, impossibilitato a spiegarsi il suo comportamento, capiva solo che quel magnifico momento che c’era stato fra loro due si era infranto, qualsiasi ne fosse stato il motivo.
Provava come un senso di perdita, di vuoto, ma poco avvezzo a capire l’universo femminile in generale, e le sfumature dei sentimenti della socia in particolare, non trovò di meglio che stuzzicare il fuoco per riavviarlo; fu allora che si accorse che la legna a loro disposizione stava finendo.
 
“Dovremmo dormire un po’, finché c’è ancora un po’ di legna sul fuoco” disse infatti “Non ne ho trovata molta, solo i rami che spuntavano dalle finestre e dal tetto…” spiegò con un largo gesto del braccio ad indicare il magazzino “…e delle vecchie tavole ormai marce. Di andare fuori a cercarne altra non se ne parla, tanto più che è tutto coperto dalla neve”.
 
Ecco che Ryo era tornato il solito uomo pragmatico, a cui piace avere tutto sotto controllo e che si trova più a suo agio con il mondo materiale e con l’azione, piuttosto che con i sentimenti e con le donne, almeno quando non vuole portarsele a letto.
 
“Hai ragione… come sempre” gli rispose la compagna, e il tono con cui lo disse colpì lo sweeper: intuiva che l’aveva fatta soffrire nuovamente, ma visto che non l’aveva fatto intenzionalmente, non si capacitava di cosa avesse sbagliato, stavolta.
 
Ma Kaori lo confuse ancora di più, non permettendogli di stare a rimuginare troppo sulle sue parole, perché aggiunse:
 
“Comunque domattina Umi sarà qui, e non vedo l’ora!” e lo disse con un’enfasi che suonava strana anche a lei stessa; poi, quasi sovrappensiero, aggiunse: “Se almeno stanotte non nevicasse ancora, domani mattina la neve potrebbe sciogliersi … con un po’ di fortuna, magari, domani potrebbe esserci pure il sole…”
 
Anche lei aveva trovato il modo per confondere le acque, e non far capire a Ryo quanto lui l’avesse ferita, quanto stesse soffrendo.
In fondo andava così da sempre e non gli avrebbe dato la soddisfazione di fargli capire che ci era rimasta male.
 
Ryo tornò a guardarla e Kaori vide qualcosa di strano nei suoi occhi, qualcosa a cui non seppe dare un nome, forse più rammarico, e un pizzico di gelosia, come se aver nominato Falcon come possibile salvatore, gli avesse tolto tutto il merito del salvataggio, di tutto ciò che aveva fatto per lei fin lì, come se lui non contasse niente.
 
Il socio sembrava perso, turbato, e Kaori si turbò a sua volta: era raro veder Ryo in quella situazione, o meglio, se voleva era bravissimo a non far trasparire i suoi pensieri o sentimenti, ma quando, come in quel momento, lasciava aperta la porta del suo cuore, ciò che ne usciva era sempre inedito e spiazzante.
 
Kaori, e non per la prima volta, si ritrovò a sbuffare mentalmente: “Cazzo, Ryo, cosa vuoi da me?” e si trattenne a stento per non sbottare ad alta voce.
Mascherò il suo nervosismo, stringendosi addosso la giacca a vento di Ryo, e solo allora si accorse che lui, effettivamente, non aveva indosso altro che un maglione, perché l’indumento più pesante l’aveva ceduto a lei, seppur in quel modo becero.
Si sentì in colpa.
In quello stesso momento Ryo le disse:
 
“Stenditi lì vicino al fuoco, così starai più al caldo, non c’è posto per entrambi… Io starò seduto qui” e con il mento indicò il bivacco improvvisato.
 
“Ma, no, dai” incominciò la socia “Se ci stringiamo, vedrai che ci stiamo” e nel dirlo si tirò leggermente indietro, per fargli posto “… e poi… sei vestito così leggero!” ed ecco che il senso materno di Kaori ritornava prepotente a vincere su tutto.
 
Ryo la guardò per un attimo in silenzio, poi annuì e si avvicinò carponi ma, quando fu ad un passo da lei, dovette confermare la sua prima supposizione: no, non c’era posto per entrambi, a meno che…
Si strinse nelle spalle e attese il suo permesso e, quando la compagna tacitamente glielo accordò, lui si stese sopra di lei.
Si sentiva abbastanza a disagio e non voleva gravarle addosso, però effettivamente sapevano entrambi che quello era l’unico modo per stare al caldo e ottimizzare il loro calore corporeo, alimentato da quello del fuoco.
 
“A-aspetta…” gli disse Kaori, e subito Ryo si staccò da lei, allarmandosi, ma la ragazza ne approfittò per slacciarsi l’enorme giacca del socio, invitandolo ad entrarci dentro anche lui, allargando i due lembi davanti per permettergli di accoglierlo e coprirlo con quel poco di stoffa che avanzava.
Anche se questo avrebbe comportato di scoprirsi davanti a lui, e cioè mostrandogli il seno semi-coperto da ciò che era rimasto del reggiseno, ma Kaori voleva condividere con lui la sua stessa giacca a vento, e in quel momento non pensava alla sua atavica timidezza.
 
Ryo, cercando di ignorare tutte le possibili implicazioni erotiche di un tale contatto derivante da quella particolare posizione, si riadagiò sul corpo della partner, lasciandosi abbracciare dalla stessa, e facendo passare le sue braccia sotto la sua schiena, per sistemarsi al meglio.
 
Anche se così facendo erano vicinissimi, viso a viso.
Eppure era così caldo, effettivamente la temperatura era salita e si sentiva la differenza da prima, quando erano distanti, ad adesso.
Malgrado tutto, non ne avrebbero fatto a meno, ora non più.
 
Però entrambi dovevano fare i conti con il reciproco turbamento, con la particolarità della loro posizione, col fatto che probabilmente così appiccicati e fondamentalmente immobili, non lo erano stati mai; ma soprattutto dovevano, con tutte le loro forze, cercare di neutralizzare l’attrazione fisica che provavano uno per l’altra, che in quel frangente era solo d’impaccio… o no?
 
Se prima erano alla disperata ricerca di calore, adesso la temperatura si era fatta talmente elevata che stavano già iniziando a sudare: sudori freddi, principalmente, e più si sforzavano di fare i vaghi, più peggioravano la situazione.
Fino a quando qualcosa sfuggì totalmente al controllo dell’uomo e, in men che non si dica, il suo particolare apprezzamento per il contatto con la socia, si fece notare.
La sua eccitazione era cresciuta di pari passi con l’imbarazzo, e se restare lì, appiccicato a lei, era diventato un maledetto paradiso, scostarsi ora sarebbe stato decisamente peggio; sia perché lei avrebbe visto ciò che probabilmente ora stava solo sentendo, sia perché anche stavolta l’avrebbe preso come un rifiuto, e Ryo, più confuso che mai, non sapeva quale fosse la cosa migliore o peggiore da fare.
Avrebbe tanto voluto lasciarsi andare, piuttosto, che la tensione erotica e nervosa lo stavano logorando fino allo sfinimento, ma temeva di commettere l’ennesimo errore irreparabile, in qualsiasi modo avesse deciso di agire.
 
La socia, per contro, iniziò a muoversi, apparentemente a disagio, ma lo sfregamento a cui sottoponeva il corpo di entrambi non faceva che peggiorare la situazione, perché se rimanere immobile, per Ryo, rappresentava una soluzione, sentire il bacino della donna che più desiderava al mondo premere e strofinarsi al suo, lo stava mandando fuori di testa.
 
Non si accorse nemmeno quando esclamò:
 
“Kaori, cosa stai facendo?” con una vena di disperazione nella voce.
 
“Niente, perché?” rispose lei innocentemente “Sto solo cercando la posizione migliore” e dicendolo gli piantò gli occhi nei suoi.
 
Per tutto il tempo avevano evitato di guardarsi e Ryo a quel punto, fissandola, lesse nei suoi occhi un non so che di sfida, di provocazione: quella streghetta cosa stava cercando di fare?
Ovviamente lei aveva sentito che qualcosa era cambiato in Ryo, era inevitabile, e stavolta lui non avrebbe potuto inventarsi nessun tipo di scusa a riguardo; ma se lei non gli avesse detto nulla, lui avrebbe fatto finta di niente.
Del resto Kaori era troppo timida per… cosa? Provocarlo?
Eppure non si era mai tirata indietro nel prenderlo in giro, quando si era accorta che lui si era eccitato guardandola.
Avrebbe potuto canzonarlo, se non provocarlo in quel senso…o avrebbe potuto fare entrambe le cose?
Ryo desiderò non aver mai avuto quell’idea strampalata di giacere insieme e avvinghiati, pur di star al caldo, perché non solo adesso stava andando in fiamme e avrebbe potuto alimentare il fuoco morente, ma ora era così tanto eccitato, e sull’orlo di un burrone così invitante da togliergli il senno, che non riusciva più a dominarsi.
E Kaori?
Kaori l’aveva capito, e infatti si muoveva in quel modo sotto di lui, pur non dicendo nulla.
Lo stava portando al punto di non ritorno.
 
Eppure Ryo non poteva rimproverarle alcunché, perché non aveva colpa, non lo stava seducendo, giusto?
Lui era andato a cercarla perché lei era in pericolo, scaricata in mezzo al nulla dal rampollo di uno strampalato boss della mala, l’aveva trovata ferita, con gli abiti strappati, affamata e debilitata.
Si era preso cura di lei, l’aveva rifocillata, aveva acceso il fuoco, l’aveva scaldata… sì, la stava semplicemente scaldando, e seppure quella situazione fosse al limite, sarebbe bastato passare la notte, poi al mattino sarebbe arrivato, provvidenzialmente, Falcon a trarli da lì.
Se lei si stava muovendo era solo perché stava scomoda, del resto lui era un bestione pesante che rischiava di schiacciarla, no?
Ma era davvero così?
Kaori stava veramente cercando di accomodarsi, o piaceva anche a lei quel continuo sfregamento?
 
Di nuovo Ryo sbottò:
 
“Kaori? Cosa stai facendo?”
 
“Te l’ho detto! Niente! Sto cercando la posizione giusta…”
 
“Giusta per cosa?” domandò senza un vero e proprio perché, una domanda senza senso.
 
Ma lei, per tutta risposta, lo strinse più forte a sé, e Ryo fu invaso dal suo profumo personale, sprigionante dal suo corpo seminudo; improvvisamente provò il desiderio inarrestabile di togliersi il maglione, e poter sentire, sulla nuda pelle, quella della socia.
Si dominò a stento.
Kaori però non si fermò; continuava a muoversi, lentamente, e se all’inizio sembravano movimenti innocenti e casuali, ora Ryo capiva perfettamente cosa stesse cercando di fare, quale fosse il linguaggio segreto di quella danza.
Ryo stava perdendo anche l’ultimo briciolo di lucidità e quasi rabbiosamente le intimò:
 
“La vuoi smettere?”
 
Questa volta Kaori non si premurò di dargli una spiegazione qualsiasi, fingendo di non aver capito la domanda, ribatté piuttosto con un secco:
 
“Perché?” e nuovamente lo sfidò con lo sguardo, lasciandolo momentaneamente senza parole; soddisfatta del colpo infertogli, proseguì con una nota di trionfo nella voce: “Perché dovrei smetterla? Perché così ti sto eccitando, non è vero?”
 
Ryo ruggì un: “Maledizione!” prima di fiondarsi sulle sue labbra e baciarla con foga e passione.
La sentì sorridere e la baciò, e la baciò ripetutamente, finché fu sicuro di averle strappato quel sorriso beffardo, e non contava che lei rispondesse al suo assalto con la stessa intensità; si ribellava a Kaori, al potere immenso che aveva su di lui.
 
Quando, ansanti, si separarono, però, il sorriso irrisorio rispuntò sulla bocca tumida della ragazza, e guardandolo con divertimento gli domandò:
 
“Ed ora che farai? Darai ancora la colpa all’istinto di sopravvivenza? Anche se in questo caso sarei io la sopravvissuta, non credi?” e ridacchiò acidamente.
 
“Non ricominciare!” le rispose l’uomo accigliato, come se non ci fosse stato amore nei baci che si erano appena scambiati, ed erano entrambi divorati dal desiderio.
 
Ma Kaori non era per cedere, e con un potente colpo di reni, riuscì a rigirarsi e a portarlo dietro con sé: ora era lei sopra di lui, in posizione dominante, e sovrastandolo gli disse:
 
“Ricomincio eccome! Perché stavolta non accetterò un tuo ripensamento come l’altra volta. Anche quella sera avevamo iniziato così, e poi al mattino dopo eri già pentito e ti sei affrettato a dire che era stato solo un tremendo sbaglio, e che entrambi avevamo bevuto troppo e bla bla bla” e la voce di Kaori divenne dura, quasi minacciosa “Cosa è cambiato da allora? Tu mi desideri e non provare a dire di no! Anche io ti desidero e non lo terrò di certo nascosto per farti piacere – che controsenso! – Ma se domani, quando torneremo a casa, proverai ancora una volta a rimangiarti tutto, non me ne starò lì a sentire i tuoi piagnistei. Infilerò la porta e non mi vedrai mai più!”
 
Ryo deglutì a secco.
Stavolta Kaori faceva sul serio, e non gli sarebbe convenuto fare l’idiota; la donna gli chiedeva serietà, di prendersi finalmente le sue responsabilità, perché, se prima era da stupidi girarci intorno, ora che avevano già assaggiato le gioie di fare l’amore insieme – per poi privarsene per un suo ripensamento, per un atto di vigliaccheria – era da malati di mente ricusare la cosa.
Che poi il malato di mente era ed era sempre stato lui, che non si decideva mai, perché Kaori lo sapeva fin dall’inizio cosa volesse.
 
L’uomo provò a dire:
 
“Kaori, io prometto…”
 
“Fermo!” lo bloccò lei “Non fare promesse che non puoi mantenere! Se vuoi stare con me non deve essere per una promessa fatta a Hide, o a me adesso, visto che la situazione lo richiede, e non puoi fare diversamente pur di avermi, perché se proprio non riesci a trattenerti, ti suggerisco un bel tête-à-tête con la neve gelata, e vedrai come ti passano tutti i bollori!” e poi, facendosi improvvisamente più triste e cupa, aggiunse: “Non devi promettermi niente, non devi comprarmi con una promessa che sa più di obbligo, di un laccio stretto intorno al collo. Devi essere libero di scegliere, ma che la tua scelta sia definitiva, Ryo, senza ripensamenti di sorta. Che non ti debba pentire domani, per poi ritornare all’attacco la prossima volta che ci troviamo… così” e fece un gesto con le braccia ad indicare loro due mezzi avvinghiati, e in procinto di fare cose.
 
“Kaori…” sussurrò l’uomo.
 
In un attimo gli passò davanti tutta la sua vita, ogni cosa compiuta, ogni omissione, tutte le donne avute o sognate; rivide lui e Kaori sempre insieme, nel bene e nel male, fra i pericoli, in cucina a bisticciare, sul divano ad oziare aspettando un xyz, le risate, le litigate, e poi… tutta la catena di eventi che lo avevano portato fino a lì.
Dapprima la stizza, quando non l’aveva trovata a casa, rientrando nella notte, e che era il naturale stato d’animo dopo la discussione che avevano avuto prima che lei uscisse per andare a sparare al poligono, e con quella massa di ignobili tiratori della domenica, compreso quel vigliacco di Seitaro, poi.
Quindi la disperazione e l’angoscia, la frustrazione di non riuscire a capire dove fosse e perché; l’interrogatorio a Seitaro, la confessione della dark Kurai, Saeko che lo teneva a bada, e poi quando era andato a caccia della banda Minamoto-Kamakura, fino a quello sbarbato di Shiro che aveva finalmente rivelato dove fosse l’amata socia.
Ma, più di tutto, ricordò la promessa fatta a tutte le divinità della terra e del cielo quella sera, sulla terrazza della stazione di polizia, quando aveva giurato che se gliel’avessero fatta ritrovare, lui le avrebbe detto finalmente che l’amava, che era pazzo di lei, che voleva solo lei.
Anche Shoko glielo aveva rimesso in mente, se mai si fosse dimenticato, che glielo doveva dire, doveva farsi capire, doveva… glielo doveva!
E adesso, benché la prospettiva di tirarsi indietro ancora una volta fosse sempre lì, a tentarlo, si sentì più vigliacco di Seitaro; più vigliacco di quei balordi a cui aveva dato la caccia e che avevano osato fare del male a Kaori; più vigliacco di Shiro che, anche se non l’aveva uccisa, l’aveva comunque abbandonata a sé stessa in quella landa desolata fra i monti.
Quando interrogava Seitaro si era divertito a terrorizzarlo, imponendosi su di lui, il grande Ryo Saeba che non ha eguali, che non ha rivali; anche quando aveva rintracciato Kama e tutta la banda, li aveva atterriti con la promessa di una futura vendetta, ma la verità era che, davanti a Kaori, era il più bastardo di tutti, il più codardo e ignobile essere umano sulla faccia della terra.
Lei stessa era di gran lunga migliore di lui, e glielo dimostrava in continuazione, anche in quel preciso momento.
 
Kaori era ancora su di lui, cavalcioni, ed era bellissima con quella sua aria da Erinni, bella e temibile, animata da una determinazione che le invidiava; eppure… perché era così difficile per lui ammettere l’ovvio?
L’amava più della sua stessa vita, la desiderava, e in quell’unica volta che avevano fatto l’amore gli era parso di toccare il cielo con un dito.
Che senso aveva negarlo?
 
Tutto questo gli passò per la testa, velocissimamente, nello spazio di un secondo, e finalmente seppe cosa dire e cosa fare; quindi Ryo la guardò intensamente e le disse:
 
“Kaori, io voglio te, te soltanto. Voglio stare con te, per tutta la vita!” e le regalò un sorriso timido, per essere riuscito a dire quelle poche ma essenziali parole, senza impappinarsi.
Non gli sembrava nemmeno di essere lui, eppure ogni singola parola era vera più del vero, era ciò che desiderava veramente, e a pensarci bene, non era stato poi così difficile dirlo.
 
La ragazza accolse quella confessione in silenzio, non disse nulla, né cambiò espressione; era imperscrutabile in viso e Ryo si preoccupò.
Non si aspettava quella reazione da parte della partner, e temette di non aver detto giusto, di non essersi spiegato, che fosse troppo tardi.
 
“Kaori? Kaori, ti prego, di’ qualcosa!” si puntellò sui gomiti e fece per tirarsi su lentamente, perché gli dispiaceva far scivolare via la donna, la guardò intensamente negli occhi e le disse: “Kaori, ma hai capito che ti amo? Che sono innamorato di te?”
Gli sembrava impossibile che lei non avesse afferrato il senso delle sue frasi.
 
“Oh, Ryo!” esclamò all’improvviso Kaori, rompendo il suo mutismo e scoppiando a piangere.
Poi si buttò su di lui, atterrandolo nuovamente e nascondendo il viso nel suo collo.
 
Era un pianto liberatorio, era un pianto antico e Ryo, incapace di fare altro, l’accolse fra le sue braccia e le accarezzò teneramente i capelli, sussurrandole paroline dolci, cercando di consolarla.
 
“Dai, non piangere, Sugar!” ripeteva “Ti prego, non fare così”
 
Si sentiva estremamente a disagio, perché raramente la socia si era lasciata andare al pianto, e meno che meno in sua presenza, e sapere che, in ogni caso, era lui la fonte delle sue lacrime, lo turbava enormemente.
Era un pianto di gioia, sperava, ma sapeva che dentro c’era anche tutta la sofferenza che da sempre le aveva fatto passare.
 
Iniziò a scusarsi:
 
“Perdonami, Kaori, perdonami…”
Se fosse andata avanti così ancora un po’, avrebbe finito per piangere lui stesso, e sì che lo aveva già fatto il giorno precedente, sempre lì sulla terrazza della centrale.
 
“Kaori…?” la chiamò con voce dolce “Kaori…dai… adesso basta…” quasi la supplicò, preoccupato.
 
La ragazza si staccò da lui e lo guardò, il viso inondato di lacrime, sulle guance striature di sporco: era così bella, e gli ispirava così tanta tenerezza e amore che l’attirò a sé e la baciò profondamente, come non aveva fatto mai, un lungo bacio dolce e struggente.
Kaori si sciolse sulle sue labbra e le sembrò che finalmente tutti i pezzi andassero a posto, che tutto avesse un senso, e che ne fosse valsa la pena arrivare fino a lì e sopportare tutto ciò che aveva passato, recentemente, ma anche prima ancora.
Sì, Ryo l’amava, e questa volta glielo aveva detto chiaramente, non sarebbe ritornato indietro.
Non aveva promesso, aveva solamente scelto di appartenerle, e lei era finalmente, e totalmente, infinitamente felice.
Ci mise tanto di suo nel bacio che si scambiarono, e continuarono a baciarsi per un tempo che parve eterno; il desiderio che sempre covava sotto la cenere, per un attimo cedette il posto alla dolcezza e alla tenerezza, perché quello era il momento di coccolarsi, di consolarsi a vicenda, di ritrovarsi dopo essersi a lungo cercati.
Ma ben presto la passione riprese il sopravvento, e la smania di appartenersi fino in fondo accelerò i battiti del cuore, modificò i gesti, le movenze, le parole.
 
L’aria si fece più rarefatta, i respiri più rapidi e languidi, i mugolii di entrambi sostituirono le frasi lasciate in sospeso e le bocche smisero di parlare per dedicarsi solo ai baci e all’esplorazione del corpo dell’altro.
D’improvviso tornarono a bruciare come torce umane e i vestiti diventarono totalmente superflui; fu allora che Kaori si tirò su e si sfilò la giacca a vento di Ryo, il quale rimase in contemplazione del suo corpo, come davanti ad una dea che si fosse degnata di mostrarsi al suo più umile adoratore.
 
Ryo allungò le braccia e accolse il suo seno fra le mani messe a coppa, e con occhi adoranti, accarezzò i brandelli di tessuto e ciò che a stento contenevano.
Dentro di sé pensò che fosse stato davvero un enorme peccato rovinare un pezzo di biancheria intima di quel pregio, che non si tratta così un tesoro come quello.
Conosceva molto bene quel completino della socia ed era uno dei suoi preferiti; si disse che, quando sarebbero tornati, gliene avrebbe regalato uno molto più bello e sexy, ma ora era troppo turbato per renderla partecipe dei suoi pensieri sconnessi, si limitò ad accarezzarla con dita tremanti.
 
Molto di più, però, si addolorò vedendo i graffi, seppur superficiali, sulla pelle delicata della ragazza; quei bruti avevano usato della forza eccessiva per costringerla a fare cosa? Tanto che erano riusciti a strapparle il reggiseno, o forse il tutto era la conseguenza dell’energica opposizione che aveva fatto la sua fantastica partner?
Il risultato però era lì, davanti ai suoi occhi, e non resistette a posare le labbra sui graffi, sull’ecchimosi, depositandovi leggeri baci aerei, come a voler guarire tutte le sue ferite.
 
Kaori, piacevolmente stupita della dolcezza struggente dell’uomo, lo lasciava fare estasiata.
 
Quando, quella notte, erano finiti a letto insieme, era successo tutto in maniera così caotica, anche se non per questo meno piacevole o appagante; solo che erano entrambi su di giri per via del troppo alcool ingerito, ed era bastato poco per prendere fuoco: uno scherzo, una spinta, un buffetto; come era veramente iniziato tutto ciò?
Kaori non lo ricordava, e nemmeno era poi così importante saperlo; avevano riso quasi tutto il tempo, era stato divertente e anche liberatorio, e di sicuro quel loro stato alterato, quell’ebbrezza, avevano rappresentato una notevole spinta, un aiuto per far cadere tutte le loro inibizioni.
Si erano lasciati completamente andare, confusamente ma anche piacevolmente.
 
Adesso invece erano entrambi consapevoli di ciò che stavano facendo, e la resa incondizionata di Ryo dava più sapore a tutte le effusioni; Kaori era sicura che non lo stavano facendo come l’altra volta, quando l’alcol li aveva spinti uno nelle braccia dell’altro, ma, al contrario, perché lo volevano; profondamente e gioiosamente andavano incontro a tutte le conseguenze del caso.
D’ora in poi le cose non sarebbero più state le stesse, era finalmente arrivato il momento del cambiamento.
 
Vedere Ryo così perso di lei, così tenero e attento, le faceva nascere un potente sentimento, una voglia di appartenergli in tutto e per tutto.
Stava ricoprendo di baci tutte le sue ferite, percorreva il suo corpo con una tale dedizione che, veramente, non c’era traccia del mandrillo in calore che non aspettava altro che di saltare addosso alla malcapitata di turno.
Ryo alternava baci sparsi sulle spalle, sul collo, e sul seno di Kaori, ad altrettanti baci dolcissimi sulle sue labbra che lasciavano entrambi senza fiato.
Sempre senza smettere di baciarsi, lui l’aveva fatta stendere sulla sua giacca, ed ora sorrideva mentre l’ammirava.
 
Poi, con un movimento deciso, si tolse il maglione, rivelando alla ragazza innamorata il possente pettorale, gli addominali e le braccia muscolose; per Kaori quello era sempre uno spettacolo magnifico, un concentrato di mascolinità che le ispirava forza, protezione, e che la rendeva languida e vogliosa allo stesso tempo.
Era come un richiamo ancestrale, un qualcosa che sapeva di istinto animale e che nulla aveva a che vedere con la razionalità e finanche i sentimenti.
 
Kaori si mosse e, allungando le braccia, posò le mani delicate sul torso di Ryo, il quale rabbrividì di piacere.
Inconsapevolmente rifece gli stessi gesti che il suo amante aveva fatto poco prima, accarezzando il suo seno.
E la ragazza si stupì del piacere che riusciva a fargli provare, alla delizia che gli provocavano quelle semplici carezze esplorative, a lui, Ryo Saeba, lo stallone di Shinjuku, che forse era abituato ad altri più complessi e spinti amplessi.
E invece lui era lì, occhi socchiusi, che si lasciava toccare, accarezzare, e sembrava volersi godere ogni più piccolo gesto.
Quando riaprì gli occhi, però, la guardò con così tanta intensità che Kaori ne venne quasi abbagliata, trattenne il respiro e il cuore perse un colpo.
Lui, quasi a chiedere il suo permesso, si dedicò nuovamente al suo seno e stavolta lo liberò dall’esiguo paludamento; rimase per un secondo in muta adorazione poi riprese a baciarlo, strappando a Kaori sospiri e mugugni di piacere e soddisfazione.
Ma poi tornò sulle labbra e, fra un bacio e l’altro, nuovamente le sussurrò “Ti amo” decine di migliaia di volte, facendo eco ai “Ti amo” di Kaori, e quando lei introdusse le mani all’interno dei suoi pantaloni, lui credette di morire.
 
Vagò a lungo indecisa, mentre stringeva le natiche vigorose e le spingeva contro di lei, o mentre, eccitata dalla sua stessa, spudorata audacia, saggiava quanto l’uomo la stesse desiderando.
Poi fece l’atto di sfilarglieli e lui l’aiutò fino a ritrovarsi con i soli boxer addosso.
 
Poco dopo rimasero completamente nudi, i corpi perfetti, amati e ormai accarezzati centinaia di volte.
 
Anche Ryo ricordava la foga che ci avevano messo la volta precedente, quando avevano fatto quel salto nel buio e si erano buttati uno nelle braccia dell’altra; aveva gradito quell’esperienza quasi spensierata, salvo poi essersi pentito la mattina dopo.
E qui Kaori aveva ragione ad esserne addolorata, ma stavolta voleva godersi tutto di quell’incontro.
E più faceva le cose lentamente, più sentiva che non sarebbe più potuto tornare indietro anche se avesse voluto, che si stava veramente lasciando andare, e quello era un magnifico viaggio senza ritorno.
 
Per la prima volta nella sua vita, stava perdendo totalmente il controllo su di sé, si donava totalmente ad un’altra persona, si rimetteva nelle sue mani.
Ma era felice che quella persona fosse Kaori, perché di lei si fidava ciecamente e sapeva che non gli avrebbe mai fatto del male.
Ogni volta che era stato con una donna aveva sempre mantenuto il controllo della situazione, era stato lui l’amante dominante, aveva cercato accanitamente il proprio godimento, il proprio piacere, e anche se non aveva lesinato nel darlo all’altra, il piacere della donna doveva sempre essere subordinato al suo.
Si era più interessato ad essere un amante focoso e appassionato, un uomo virile e infaticabile, qualcuno di cui poter raccontare le prodezze sperimentate a letto, che altro.
Da sempre allergico ai legami, non si curava di costruire una relazione, anche passando dall’intimità di un rapporto sessuale; doveva tutto esperirsi in un breve lasso di tempo, in un magnifico exploit fine a sé stesso.
Pur usando riguardo per la donna che giaceva con lui, era un po’ come se non si desse mai completamente a lei, come se tenesse sempre qualcosa per sé, come se annullarsi in un amplesso focoso, per quanto intenso, gli togliesse piuttosto che arricchire.
 
Ma con Kaori sentiva che era tutto diverso.
Anche nella loro prima volta, nonostante l’incoscienza con cui avevano fatto sesso, lui si era trattenuto, perché sapeva che Kaori non era stata con nessuno altro, temeva di farle male, si era preoccupato di essere all’altezza della situazione, e nonostante l’alcol avesse azzerato gran parte dei freni inibitori di entrambi, aveva cercato di non apparire rude o volgare, e spesso si era ripetuto che, alla fine, Kaori era una donna come tutte le altre, e che fatto il suo dovere di uomo, poteva ritenersi soddisfatto.
 
Eppure stavolta era diverso.
Si stava letteralmente annullando in lei, non pensava ad altro, mentre la baciava e accarezzava, se non a stare lì con lei; non sentiva di dover dimostrare niente a nessuno, nemmeno a lei; poteva essere finalmente sé stesso e si sentiva libero.
E voleva di più, di ciò che aveva fin lì sperimentato con altre donne: voleva appartenerle totalmente.
Infatti, poco prima che Kaori lo accogliesse dentro di sé, lui le sussurrò:
 
“Mi sto perdendo…”
 
E quell’ammissione di totale resa, di dedizione totale, fu come un potente afrodisiaco che incendiò il cuore e il corpo della donna, che lo abbracciò forte e, agganciandogli i fianchi con le lunghe gambe, lo spinse ancora di più in profondità.
Voleva possederlo, oltre ad essere posseduta, e bramava una fusione totale e totalizzante.
 
L’uomo, che stava provando le sue stesse sensazioni, si abbandonò a lei, e credette di impazzire quando i fluidi corporei si mescolarono, e quando muoversi divenne inevitabile.
 
Rincorrendo il piacere, dato e ricevuto, giunsero presto al culmine e fu come un’esplosione per entrambi.
 
Tremanti, ansanti, si lasciarono andare, dopo la magnifica tensione degli attimi precedenti, e sfiniti si accasciarono uno sull’altra.
Sudati, si sorrisero, consapevoli che quell’incredibile esperienza avrebbero potuto sperimentarla ancora, e ancora, e che quello era solo l’inizio.
 

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Capitolo 13
*** Salvarsi ***


Bene, il tanto agognato momento dell’incontro fra i nostri amori, c’è stato, nel capitolo precedente, con tanto di notte d’amore. Quasi quasi la storia avrebbe potuto concludersi qui, che ne dite? E invece mancano ancora alcune cosine da raccontare, prima di mettere la parola fine a questa fic. Non manca tanto.
Nel frattempo, gustatevi (?) questo tredicesimo capitolo.
GRAZIE di tutto a tutti
Eleonora

 
 
 
Cap. 13 - Salvarsi
 
Tlic, tlic, tlic.
Un persistente, disarmonico, ritmico gocciolare li ridestò.
Kaori fu svegliata da un’unica goccia gelida, che a tratti le cadeva sul viso giungendo chissà da dove, e riuscendo ad attraversare la barriera del paracadute di Ryo che faceva loro da riparo.
Si mosse a disagio e aprì gli occhi.
Erano ancora avvinghiati, coperti alla meglio con i vestiti di Ryo e con quella cerata di fortuna che aveva preservato il calore corporeo dei due.
Il fuoco era ridotto a poche ceneri fumanti e, senza altra legna da aggiungere, le fiamme non avrebbero ripreso a danzare, scaldandoli.
Muovendosi finì per svegliare anche Ryo che, sbattendo più volte le palpebre, infine le sorrise.
 
“Direi che la neve si sta sciogliendo!” esclamò l’uomo.
 
“Bene, almeno potremmo uscire di qui e avere più libertà di movimento. Magari con un po’ di fortuna Falcon riuscirà anche ad atterrare!” rispose Kaori entusiasta.
 
Anche se quella strana avventura aveva preso una piega davvero piacevole, era stanca di restarsene accampata ancora lì in quel tugurio, con pochi vestiti sporchi e laceri, senza fuoco, senza cibo, senza potersi lavare; si sentiva sudicia e bramava un bagno caldo, anzi bollente.
 
“Sugar, mi dispiace deluderti, ma qui non c’è abbastanza spazio per un elicottero, credo che dovrà issarci con una scaletta di corda volante, o con un verricello…”
 
“Wow, non ci facciamo mancare niente, eh?” gli disse lei ridacchiando.
 
“Non saremmo i City Hunter, sennò!” le rispose di rimando, tirandosi su a sedere, e stirandosi pigramente “Dovremmo provare a rivestirci” suggerì.
 
“Ad averli, dei vestiti!” ribatté Kaori sospirando.
 
Lui si limitò a sorriderle, infilandosi il maglione e i calzoni, mentre lei recuperava ciò che restava dei suoi pantaloni e provava ad infilarseli, ma la gamba fasciata faceva resistenza sul tessuto stracciato, e Ryo l’aiutò.
Quando indossò la sua giacca a vento, sul petto nudo, lui si offrì di chiuderle la zip, e lo fece con sguardo malizioso; sembrava volerle dire: “Per il momento lascio perdere, altrimenti…”; Kaori, che se ne accorse, ridacchiò arrossendo.
 
Si guardarono intensamente.
 
Avevano passato una nottata stupenda, che aveva superato perfino la loro prima volta insieme, forse perché ora erano più consapevoli e più innamorati ancora; Ryo si era finalmente deciso, in tutto e per tutto, e non sarebbe tornato sui suoi passi, Kaori ne era certa e il compagno appariva sereno e felice, quasi leggero, come non l’aveva mai visto.
Sì, quella era l’alba di un nuovo giorno, di una nuova vita insieme.
 
Tutto stava a riuscire ad andarsene via da lì.
 
Ryo si diresse all’entrata del rifugio per controllarne l’esterno; il sole baluginava ad est e inondava di luce rosa quel mare scintillante di neve e ghiaccio, e per un attimo rimase senza fiato: quello era uno spettacolo insolito per chi era abituato a una metropoli come Tokyo e lo sweeper pensò che lì, immersi nella natura, anche l’anima si alleggeriva dalle brutture del mondo.
 
Si voltò, quasi commosso, a guardare la compagna e le fece segno di raggiungerlo.
Kaori gli andò incontro e, non appena gli si avvicinò, lui le disse, mostrandole il crepuscolo:
 
“Guarda: non è magnifico?”
 
Kaori emise uno wow di stupore e, prendendolo a braccetto, si strinse a lui; gli appoggiò la testa sulla spalla e, sospirando, si disse che era la donna più felice del mondo.
 
Quando la luce calda del giorno si stemperò nei colori freddi del panorama, rabbrividendo tornarono verso il bivacco.
 
“Che peccato non aver più legna…” mormorò Ryo, smuovendo le braci e la cenere.
 
“Potremmo bruciare questo!” esordì Kaori, porgendogli il suo reggiseno ormai inservibile e facendogli l’occhietto; non si capiva se fosse seria oppure no.
 
“Di-dici sul serio?” chiese Ryo al colmo dello stupore.
 
“Be’, tanto è diventato un cencio!” rispose con un sorriso divertito.
 
Lei glielo lanciò e lui, presolo al volo, se lo portò al viso, affondandoci il naso.
 
“Dai, Ryo, non fare il melodrammatico! Quello ormai non vale più niente!” lo canzonò la compagna.
 
“Hai ragione, eppure voleva dire molto per me…” continuò lui con un velo di amarezza nella voce, però poi, a malincuore, lo gettò sulle braci e tutto sommato prese fuoco, sprigionando delle timide fiamme che ebbero solo il pregio di illuminare il bivacco, e non certo quello di riscaldarli.
 
Fissarono entrambi le fiamme in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, che a dispetto dell’atto apparentemente drammatico, almeno per Ryo, erano piacevoli e dolci; poi il socio si riscosse e disse:
 
“Dovrei avere ancora un’altra barretta energetica, da qualche parte” e si dispose a frugare nello zaino, mentre borbottava fra sé: “Considerata l’attività fisica di questa notte, me ne servirebbe un quintale, ma non immaginavo di certo che sarebbe andata a finire così…. Però non mi lamento, anzi!”
 
“Di cosa stai parlando?” gli domandò la donna avvicinandosi.
 
“Niente, niente, eh eh eh eh eh” finì per ridacchiare Ryo, estraendo trionfante la famosa barretta “Temo che dovremo fare a metà con questa” le disse porgendogliela “Forse c’è rimasto anche un goccio di caffè nel termos, anche se ormai sarà freddo” concluse, stringendosi nelle spalle con aria dispiaciuta.
 
“La più bella e buona colazione di sempre!” esclamò allegra la ragazza, sorridendogli.
 
Consumarono la loro parca colazione senza parlare, assaporando fino in fondo le poche cibarie, grati comunque di essere lì e insieme.
Poi, nel silenzio della landa innevata, sentirono in lontananza l’inconfondibile rumore di un velivolo in avvicinamento.
Drizzarono le orecchie e si misero in ascolto; sì, era il rumore di un elicottero.
Stava arrivando Falcon!
 
Si precipitarono di fuori e iniziarono a sbracciare e a gridare:
 
“Siamo qui! Siamo qui!”
 
“Falcon! Falcon, qui, qui!”
 
Il gigantesco mercenario li avvistò subito, nonostante i problemi alla vista; c’era da chiedersi come facesse a pilotare un elicottero o a guidare un qualsiasi altro mezzo di trasporto, ma perdendo la vista aveva sviluppato al massimo tutti gli altri sensi e, comunque, le aure dei due amici erano così potenti che le avrebbe riconosciute a chilometri di distanza.
 
Umibozu prese a girare in tondo sopra il rifugio ma, come aveva predetto Ryo, non c’era abbastanza spazio per atterrare; si decise ad aprire il portellone e i due sweeper videro chiaramente Miki gettare fuori bordo un lungo cavo metallico, a cui era assicurato, in fondo, un enorme gancio a moschettone ed un’imbracatura.
 
Ryo si preoccupò di afferrare il cavo oscillante e, facendo segno a Kaori di raggiungerlo, iniziò a sbrogliare le fasce dell’imbracatura.
Erano entrambi tutti presi a districare le protezioni e ad infilarcisi dentro, quando un boato li fece voltare di scatto.
Era il rifugio alle loro spalle che, con uno schianto improvviso, era collassato su sé stesso; non aveva retto al peso della neve che si stava sciogliendo e agli spostamenti d’aria dei rotori dell’elicottero.
 
I due sweeper si guardarono, sorpresi e preoccupati, e pensarono entrambi che avevano fatto giusto in tempo ad uscire e che probabilmente, anche senza le sollecitazioni delle correnti d’aria, quella baracca avrebbe ceduto ugualmente.
Mentalmente tirarono un sospiro di sollievo, ma il tutto durò lo spazio di un secondo perché Falcon stava sospeso a mezz’aria sopra di loro, aspettando di poterli issare a bordo, e non c’era tempo da perdere; non dovevano sprecare carburante e prima ripartivano da lì, meglio era.
 
Quando Kaori fu perfettamente imbracata, Ryo l’abbracciò stretta, ancorandosi perfettamente agli spallacci e alle bretelle: a quel punto diede il segnale a Miki di procedere con il ritiro del verricello, e lentamente vennero tirati su, verso l’alto.
 
Kaori stava rabbrividendo, lei che era la meno vestita dei due, perché più si staccavano dal suolo più l’aria era fredda, e in quel turbinio di vento che le scompigliava i capelli e le gonfiava un po’ la giacca di Ryo che le andava decisamente troppo larga, gli spifferi che le si infilavano dappertutto, le ghiacciavano la pelle nuda sotto la stoffa impermeabile.
Non si lamentava, per non fare la figura della donnicciola, Ryo però, che la sentiva rabbrividire sotto le sue braccia, le si fece più vicino e le gridò quasi nelle orecchie, per sovrastare i motori dell’elicottero:
 
“Tranquilla, ci sono io qui con te!”
 
E Kaori fu sul punto di sciogliersi, perché mai Ryo le si era rivolto così, lui che la considerava un uomo che doveva essere forte e coraggioso, che mai avrebbe dovuto lamentarsi o piagnucolare; lui che apparentemente non ammetteva debolezze nella sua partner di lavoro, finalmente la stava trattando da donna, con tutte le fragilità del caso.
Come un essere di cui prendersi cura, da proteggere, proprio come faceva con tutte le clienti che si affidavano a loro due.
Si commosse e una lacrima le colò sulla gota.
Nonostante tutto, però, Kaori sperò che il socio la scambiasse per una semplice lacrimazione dovuta al freddo e all’aria diretta negli occhi.
 
Un secondo dopo erano a bordo e Miki e Saeko li stavano già aiutando a liberarsi dell’imbracatura.
Chiuso il portellone, Umi virò a dritta e riprese la via del ritorno.
 
Finalmente si tornava a casa!
 
 
 
 
 
 
Il viaggio di ritorno sembrò a tutti molto più breve dell’andata, forse perché mentre il silente Falcon pilotava l’elicottero alla volta di Shinjuku, Miki, Saeko, Ryo e Kaori erano tutti presi ad aggiornarsi sulla situazione, a chiedere notizie e chiarimenti, a raccontare agli altri la parte avuta nella faccenda.
 
Saeko spiegava come avessero condotto le indagini, gli interrogatori a Seitaro e a Kurai; Ryo come avesse fatto a trovare Kaori, chiedendo un passaggio Shoko Amano, passando prima a dare una strapazzata ai componenti della banda Minamoto-Kamakura; Kaori come avesse vissuto la sua avventura, lì ai margini del bosco, ancora stordita dalla droga, mezza svestita e dolorante, e di come avesse trovato quel rifugio di fortuna, fino all’arrivo di Ryo.
Entrambi gli sweeper, però, non fecero parola del loro riavvicinamento, ancora troppo emozionati per esporsi agli amici che, da parte loro, erano fin troppo felici di averli recuperati sani e salvi.
Miki invece non faceva che subissare di domande la sua amica Kaori, ad abbracciarla e coccolarla, ripetendole quanto lei e Falcon fossero stati in pensiero per lei.
Anche loro frustrati nell’attesa e impazienti di entrare in azione, quando Shoko li aveva contattati, riportandogli il messaggio di Ryo con tanto di coordinate, Miki era saltata su piena di grinta, pronta a correre in soccorso di Ryo e Kaori; ma Umi l’aveva frenata, facendole presente che avrebbero dovuto viaggiare di notte e che nella zona interessata si era verificata una discreta nevicata.
Ma ora erano tutti finalmente insieme: adesso la priorità era portare Kaori dal professore per farla visitare, e poi tornare ad un minimo di normalità.
 
 
 
 
Poco prima che si salutassero tutti, nella pista di atterraggio della clinica, Saeko si avvicinò a Kaori e, abbracciandola come non aveva fatto mai, le sussurrò all’orecchio:
 
“Sono molto contenta che tu sia tornata a casa sana e salva… stavolta ho temuto veramente il peggio…per fortuna ora sei qui” poi, ritraendosi quel tanto che bastava per guardarla negli occhi, aggiunse: “Ryo stava andando fuori di testa, non so cosa sarebbe successo se tu… Ti ama molto, Kaori, non dimenticarlo” e le rivolse uno sguardo carico di significato; un misto di gelosia forse, come se le invidiasse quell’amore, contentezza e soddisfazione, ma anche una solitudine che veniva da lontano.
 
Kaori non riuscì a proferire parola, troppo stupita da tutto, dal comportamento così affettuoso e sincero dell’ispettrice Nogami che, finalmente, si dimostrava un’amica affezionata; dalle parole della stessa che, però, trovavano riscontro con il comportamento di Ryo di quelle ultime ore.
Era anche destabilizzata dal significato profondo di quelle rivelazioni, che dicevano finalmente molto dei sentimenti di Saeko e di Ryo nei suoi confronti.
Prima di allontanarsi definitivamente, Saeko le lasciò un unico bacio leggero sulla guancia, ma Kaori non ebbe nemmeno il tempo di dirle alcunché, che l’ispettrice era già risalita a bordo dell’elicottero, pronto a rialzarsi in volo.
 
Ryo aspettava la socia sulla porta della clinica; si era tenuto discretamente a distanza dalle due donne, poiché aveva intuito che Saeko volesse parlarle in privato.
Non si era stupito, considerando quanto la sua amica ispettrice si fosse spesa per ritrovare Kaori e permettere a Ryo di andarla a riprendere.
 
Falcon, ma soprattutto Miki, le avevano già espresso la loro gioia per averla nuovamente fra loro, già durante il viaggio di ritorno, quindi non c’era bisogno di aggiungere altro.
 
Poco prima di accomiatarsi, Miki le aveva lasciato una maglietta delle sue, affinché non si presentasse da quel vecchio mandrillo del Doc vestita solo di una giacca a vento senza nulla sotto e di un paio di pantaloni tutti stracciati.
Anche se in teoria Kaori, per farsi visitare, si sarebbe dovuta spogliare comunque, con quel porcello non c’era mai da stare tranquilli.
 
Quando Ryo e Kaori furono al cospetto del dottore, questi, esaminando la gamba fasciata della ragazza per verificare la ferita sulla coscia, disse, rivolto allo sweeper:
 
“Ehi, Baby face, quanto zelo!” intendendo l’eccessivo uso di garza.
 
“Professore, quante volte le devo dire di non chiamarmi così? Soprattutto davanti a Kaori?”
 
“Ah, sì? Che non dovevo chiamartici davanti a Kaori, questa è nuova!” e si atteggiò come se dovesse sforzarsi di richiamare alla mente il momento preciso della raccomandazione, o meglio della minaccia, che gli aveva fatto Ryo.
Poi aggiunse: “No, non mi ricordo che tu me lo abbia mai detto, ma che importanza ha? Tanto questa santa donna ti conosce, ormai, caro il mio Baby Face!” e ridacchiò sotto i baffi.
Quindi, tastando leggermente la ferita che si era ormai disvelata, sentenziò: “Però hai fatto un bel lavoro. La lesione si sta già rimarginando e a me non resta che lavarla e disinfettarla. Con un unguento specifico vedrai che guarirà in fretta, e tu, mia cara, potrai nuovamente sfoggiare il tuo metro di gamba come prima” e già un filo di bava pendeva dalla sua bocca.
 
“Professore!” lo redarguirono quasi in coro i due City Hunter.
 
“Eh eh eh eh, scusate, mi ero fatto prendere dall’entusiasmo” rispose, grattandosi la chierica.
Fattosi nuovamente serio, proseguì dicendo: “Per quanto mi riguarda, io sono a posto. Tutto sommato Kaori sta bene, la ferita più grande è questa qui, ma sta già guarendo; gli altri sono, per fortuna, solo piccole ferite ed ecchimosi senza importanza. Direi che un bel bagno caldo e una buona dormita , saranno la miglior medicina per tutto” e sorrise bonariamente dietro le spesse lenti “Se vuoi, Kaori, puoi rimanere qui anche stanotte, ma immagino che vorrai tornartene a casa il prima possibile”.
 
“Dice bene, professore: ho bisogno del mio letto, della mia vasca da bagno, di mangiare come si deve e di vestiti” finì di dire arrossendo, sicura che il macaco si fosse già accorto dello stato in cui era, anche se riuscire ad arraparsi davanti a quel pessimo spettacolo che gli stava offrendo, era da maniaci pervertiti.
Ma con il Doc – e con Ryo, a volte – tutto era possibile.
 
La ragazza si voltò, istintivamente, a guardare il socio che, se da un lato sembrava più sollevato constatando la buona saluta della partner, dall’altro pareva sulle spine, come impaziente di andarsene da lì.
Lo guardò interrogativamente, ma lui si limitò a sorriderle.
Lei, sempre senza staccare gli occhi da Ryo, reiterò, all’indirizzo del professore:
 
“No, grazie, ho proprio bisogno di tornare a casa, a casa mia”.
 
Del resto, al bisogno che aveva di lavarsi, di cibo e relax, si aggiungeva una voglia matta di restare finalmente da sola con Ryo, a casa loro.
E qualcosa le diceva che anche per lui fosse lo stesso.
Sorrise deliziata.
 
Il professore li richiamò alla realtà dicendo:
 
“Ah, Baby face, puoi prendere la mia macchina per tornare a casa, basta che non ci vai in giro a fare porcate… e se proprio devi, basta che poi me le racconti eh eh eh eh eh” ridacchiò sguaiatamente.
 
I due soci si portarono la mano alla fronte e uno stuolo di corvetti gracchianti passarono sopra di loro.
 
 
 
 
Nemmeno un’ora dopo i due sweeper erano finalmente nel loro appartamento.
 
Kaori, per prima, era corsa a farsi una doccia bollente ed aveva indugiato parecchio sotto il getto di acqua calda: aveva bisogno di ritemprarsi in tutto e per tutto, di scacciare quel latente senso di gelo che quasi se lo sentiva fin dentro le ossa, ma anche di schiarirsi le idee e poter pensare con tranquillità a tutti gli eventi che si erano succeduti in quegli ultimi giorni.
Un pensiero fra tutti l’assillava particolarmente, e cioè che Ryo, come giustiziere di Shinjuku, per farsi ulteriormente rispettare, avrebbe dovuto impartire una lezione a chi aveva osato trattarla in quel modo.
Avrebbe dovuto lanciare un messaggio forte a tutti i criminali di Tokyo e dintorni, ora più che mai, ora che era diventata la sua donna a tutti gli effetti.
Se prima, quando era ancora e solo la sua socia in affari, era comunque da pazzi rivalersi su di lei per danneggiarlo e spingerlo ad agire, ora che erano una coppia, avrebbe significato la morte.
 
Quando lei e Ryo si erano conosciuti, Kaori non immaginava ancora tutto il passato dell’uomo, nemmeno quello più recente, quando all’occorrenza si trasformava nell’Angelo della morte, nel vendicatore senza pietà, ma poi, frequentando i bassifondi, aveva sentito raccontare storie su di lui, alcune solo accennate, e solamente i più chiacchieroni si erano lasciati andare a tali racconti, perché tutti avevano un timore reverenziale di Ryo: tutti, sotto sotto, lo temevano, temevano la sua ira, la sua vendetta.
E Kaori non dubitava che, stavolta, Ryo avrebbe fatto qualcosa di importante, di tragico, e non invidiava chi se lo sarebbe trovato sulla propria strada.
Capiva la posizione del socio, ma le rincresceva enormemente essere lei la causa di tanta infelicità; non voleva che Ryo si macchiasse di altro sangue, neppure se questo era sangue criminale.
Kaori non voleva che lui uccidesse per vendicarla, ma non sapeva come dirglielo.
Troppe cose si erano succedute velocemente nella sua vita, nella vita di entrambi, sconvolgendo il loro ménage.
Restava inoltre in sospeso la questione della sua decisione di imparare a sparare, di diventare brava e valente come lui, motivo che l’aveva spinta a frequentare quel fatidico corso al poligono che li aveva portati fino a lì.
Anche se… non poteva accollarsi la colpa di tutto quello che era successo, perché Kama usava quel sistema collaudato per arruolare i suoi accoliti, e sarebbe finita nelle sue mani anche se fosse stata una semplice ragazza, predisposta e dotata, che si era avvicinata al mondo delle pistole, del tiro a segno, della polvere da sparo ecc., e non una sweeper.
Pure di quello avrebbero dovuto parlare e chiarirsi.
 
Scacciò dalla testa tutti quei pensieri pesanti, che le rovinavano il tanto agognato ritorno a casa; ormai erano lì e, prima o poi, avrebbero risolto tutto, stavolta insieme.
 
 
 
Uscita dalla stanza da bagno si diresse in camera sua, per indossare biancheria pulita e un comodo pigiama dei suoi; non sapeva ancora se per quella notte avrebbero dormito insieme oppure no… anche quello lo avrebbero deciso strada facendo, lei aveva solo bisogno di indossare abiti confortevoli e caldi.
Fatto ciò, raggiunse la cucina dove l’attendeva Ryo.
 
L’uomo, aspettando che si liberasse la doccia, si era appisolato sul divano, con ancora il telecomando in mano, la testa buttata all’indietro, la bocca appena dischiusa.
Kaori provò un istintivo moto di tenerezza verso Ryo, e subito pensò che ancora non le pareva vero che la notte prima si fossero amati, veramente, e che stavolta lui non avesse ritrattato nulla di quello che avevano fatto.
Quella forse era la volta buona che la loro storia spiccasse il volo, e si evolvesse come era giusto che fosse.
Guardandolo così, rilassato e arrendevole, di nuovo Kaori si rammaricò per lui che, di lì a poco, si sarebbe dovuto trasformare in vendicatore; non le sembrava nemmeno possibile e le si strinse il cuore.
 
Sospirando, si diresse in cucina e, aprendo il frigorifero, si disse che aveva bisogno di cibo sostanzioso per poter ragionare meglio, per rimettersi in forze, per ritrovare un po’ di normalità
Si mise a spadellare e l’acciottolio dei piatti e delle stoviglie ridestò Ryo che, per un attimo, si crogiolò in quella calda atmosfera familiare: Kaori in cucina che preparava cibi deliziosi per lui, per lei; la loro casa, quel comodo divano dove schiacciare un pisolino, loro due finalmente e ancora insieme, loro due finalmente amanti…
Sorrise beato.
 
Kaori, che si era accorta di lui, alzando la voce per farsi sentire anche da lì, gli chiese:
 
“Scusa, ti ho svegliato?”
 
“Oh, no, non preoccuparti” e le lanciò un sorriso ancora assonnato, poi aggiunse sbadigliando: “Mi devo essere appisolato un attimo, mentre ti aspettavo…”
 
“Eh eh eh eh”ridacchiò la ragazza “Ci ho messo un pochino più del dovuto, scusami”.
 
“Ah, ma hai fatto bene!” le rispose lui, sorprendendola “Con tutto quello che hai passato, era davvero il minimo farsi una doccia di quella portata” e le sorrise comprensivo, poi improvvisamente i suoi occhi si accesero di malizia e disse: “Sarebbe stato però decisamente meglio farla insieme… e invece… dovrò accontentarmi di farla da solo” e nel dirlo si alzò in piedi e, ammiccandole, si diresse alla stanza da bagno.
 
“R-Ryo, ma cosa dici?” balbettò lei, colta alla sprovvista da una tale ammissione e arrossendo fino alle orecchie; non l’aveva mai sentito parlare così, non le aveva mai fatto capire che la desiderasse, quindi non ci era ancora abituata a certe sue uscite, soprattutto a certe sue uscite indirizzate a lei!
Si riprese in tempo, però, per gridargli, prima che scomparisse dietro la porta:
“Fai presto, però, che è pronta la cena!”
 
“Agli ordini, capo!” le rispose lui, facendole il saluto militare e, ciabattando, scomparve alla sua vista.
 
Kaori sospirò.
Una piacevole normalità, un piacevole cambiamento a cui, lo sentiva, presto si sarebbe abituata.
 
 
 
A cena, come per tacito accordo, non parlarono di regolamento di conti, vendette varie, del famigerato corso al poligono, lasciando, di fatto, le questioni spinose per un altro momento, ed entrambi furono grati all’altro per questa sorta di premura.
Nessuno dei due voleva affrontare quei problemi subito dopo il ritorno a casa; volevano godersi semplicemente la compagnia dell’altro, in pace e serenità; in fondo le ultime ore, giornate, erano state sufficientemente adrenaliniche anche per loro: si erano appena trovati e non volevano rovinare tutto.
Pertanto i discorsi furono più o meno quelli del prima, con l’aggiunta, però, di accenni di tenerezza, di carinerie, e parole pronunciate con tutt’altro tono di voce che, di fatto, facevano la differenza.
 
Erano sempre loro, ma erano anche diversi.
 
Ryo, dopo cena, si offrì di medicarle la ferita e Kaori lo lasciò fare, perché era bello che lui si prendesse cura di lei, e quei momenti se li voleva godere tutti.
 
Non molto tempo dopo, però, entrambi accusarono i primi segni di stanchezza; in fondo non avevano dormito molto, fra tutto, chi da una parte chi dall’altra, come pure l’ultima notte passata insieme, e di certo non comodamente; solo che non trovavano il modo di decidersi.
Non avevano nemmeno stabilito se dormire insieme o ancora separati.
 
Ryo, inoltre, aveva preso a guardare l’orologio e sembrava turbato, ansioso; quello era il momento in cui usciva per locali o per una ricognizione, e pareva combattuto.
Kaori fu sul punto di rattristarsi, cadendo nell’equivoco di crederlo smanioso di andare a folleggiare come faceva un tempo piuttosto che restare a casa con lei, proprio adesso per giunta!
Però poi si ricordò che lui, ancora, non aveva regolato i conti con i balordi che l’avevano strapazzata, con Kama, con Kurai e Shiro…
Era inevitabile.
 
“Ryo, non ti preoccupare… se devi andare, vai!” gli disse in un sussurro la socia.
 
Lui la guardò stupito: possibile che lei riuscisse sempre a leggergli nella mente?
Oppure era diventato improvvisamente così prevedibile?
 
Si erano ritrovati in piedi, al centro del salotto, stanza di passaggio fra la cucina e il resto della casa; Kaori gli andò incontro e, posandogli una mano sulla guancia, lo guardò con amore:
 
“Tu sei uno sweeper, un giustiziere… fai quello che ritieni giusto”.
 
“Kaori, io…” ma poi le parole gli morirono sulle labbra.
 
Ryo in quel momento non avrebbe voluto essere uno sweeper, e meno che meno un giustiziere, ma soltanto un fidanzato, un compagno affettuoso, che si ritira per la notte con la sua donna, la sua amante.
E invece gli impegni, gli oneri di cui si era caricato anni prima, ora lo stavano schiacciando, gli imponevano di lasciare il caldo abbraccio della sua ragazza, della sua casa, per compiere un compito ingrato e fastidiosissimo.
Si odiò per questo, ma un senso di ineluttabilità, di responsabilità, lo pungolava e lo costringeva a fare il suo dovere.
 
Abbracciò Kaori e, affondando il viso nei suoi capelli, le sussurrò:
 
“Come vorrei non essere io” e non ci fu bisogno che lui specificasse “ma devo andare. Ciò che ti hanno fatto non può restare impunito. Tu mi capisci, vero?”
 
“Sì, amore mio. Ti capisco” gli mormorò amaramente la ragazza; conosceva fin troppo bene le regole del loro mondo a tinte forti, e i suoi timori vennero confermati: Ryo avrebbe vestito nuovamente gli abiti dell’Angelo della morte.
Ingoiò un singhiozzo per non rendere più dolorosa la loro situazione.
Desiderò che tutto finisse in fretta.
 
“Vai ora, Ryo… e torna da me sano e salvo” la ragazza sapeva, inoltre, che la tempestività era importante, e che più Ryo avesse tardato a farsi sentire dai criminali, più loro avrebbero sminuito la sua reazione, qualunque essa fosse stata.
Kaori, però, vedeva anche che l’animo dell’uomo che amava non era più lo stesso: prima avrebbe pianificato fin dall’inizio e cinicamente la sua azione, oppure sarebbe calato sulla preda come un falco e non avrebbe lasciato scampo al malcapitato, animato dal sacro fuoco della vendetta; l’impeto dello sdegno avrebbe giustificato ogni più piccolo gesto.
Adesso invece, lo vedeva così titubante, così indeciso.
Eppure, ritardare i tempi di reazione significava perdita di credibilità, di potere, di mordente; l’avrebbero visto come uno che si era rammollito, Ryo Saeba non sarebbe stato più il temibile giustiziere che riusciva a terrorizzare chiunque con la sua solita presenza.
In questo caso la vendetta non poteva esser servita su di un piatto freddo, ma doveva abbattersi sull’incudine della criminalità come un maglio infuocato.
Kaori avrebbe voluto dirgli “Non uccidere” ma sapeva che, ultimamente, ricorreva sempre meno a questo rimedio definitivo e che, pregandolo di essere misericordioso, l’avrebbe fatto soffrire ancora di più; si limitò a ripetergli:
 
“Torna da me” e lo baciò con passione e struggimento.
 
Per un attimo si persero uno nelle labbra dell’altro, poi, a malincuore, si separarono.
 
Ryo voleva prometterle tante cose, che non avrebbe ucciso nessuno, né usato la violenza se non costretto dalle circostanze; che dopo quell’incresciosa vendetta, avrebbero voltato pagina e avrebbero ripreso la loro vita di coppia come se nulla fosse successo, ma non poté prometterle nulla di tutto ciò, perché non era sicuro nemmeno lui.
Solo di una cosa era certo, e cioè che non voleva deluderla in un nessuno modo.
 
“Devo… devo andare…” le disse infine, facendo un passo indietro, poi in un attimo fu già fuori; aveva recuperato la sua pistola, la giacca e aveva infilato la porta.
 
Kaori sospirò, sconsolata.
Si guardò intorno e quella casa mai le sembrò così immensa e fredda come in quel momento; istintivamente si strinse le braccia intorno al petto.
A passi lenti si diresse verso la sua camera; per quella notte il problema di dove dormire era stato risolto: da sola e nel suo letto, come sempre.
Dubitava di poter prendere sonno, però, sapendo Ryo in giro a farsi rispettare; eppure, nonostante le sue perplessità, non appena toccato il letto cedette di schianto, e cadde in un sonno pesante e senza sogni.
 

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Capitolo 14
*** Ho fatto quello che dovevo ***


Surprise!! Ecco il penultimo capitolo. Rileggendolo mi è sembrato, a tratti, un po’ sdolcinato, spero che mi perdonerete eh eh eh eh eh ^_^ del resto dopo tanta ‘angoscia’ e serietà, un po’ di ruvida dolcezza ci sta sempre bene  :D
A presto e GRAZIE ancora per esserci!
Eleonora

 
 
 
 
Cap. 14 - Ho fatto quello che dovevo
 
Kaori si svegliò diverse ore più tardi, sentendosi osservata; nella penombra della stanza trovò Ryo sulla porta della camera, sembrava indeciso se entrare o meno.
La ragazza si stropicciò gli occhi e poi, con la voce impastata dal sonno, gli chiese:
 
“Che ore sono?”
 
Ma lui non rispose subito, piuttosto si decise ad avanzare, mentre Kaori si tirava su a sedere sul letto ed accendeva la piccola lampada sul comodino.
Ryo indossava una maschera imperscrutabile ma, non appena fu ad un passo da lei, piano piano il viso cambiò espressione: appariva esausto e Kaori temette il peggio.
Non aveva il coraggio di chiedere.
Gli fece segno di sedersi, lì sul bordo del letto, accanto a lei.
Kaori percepiva tutta la sua tristezza, la sua stanchezza, che andava al di là di quella provata dopo una notte nei bassifondi della città.
In silenzio aprì le braccia, invitandolo a rifugiarsi nel suo abbraccio; lui esitò solo un attimo, poi cedette e l’abbracciò, lasciandosi circondare dal suo corpo amorevole.
Rimasero così per un tempo che parve eterno: una incapace di fare domande, ma in attesa; l’altro incapace di parlare, ma grato dell’amore e della comprensione della ragazza.
 
Infine Ryo si staccò lentamente da lei e le disse:
 
“Ho fatto quello che dovevo, ma… non ho ucciso nessuno, anche se… qualcuno è morto”.
 
Le parole di Ryo le parvero criptiche, molto più di altre volte, e Kaori si limitò a fissarlo in silenzio, senza giudicarlo, come faceva sempre, da una vita ormai.
 
“Kaori, l’ho fatto per te…” aggiunse.
 
“Lo so, Ryo, e immagino che dovrei essertene grata ma… hai detto che qualcuno è morto… e che tu non hai ucciso nessuno, allora… spiegami…”
 
Ryo si accomodò meglio e si decise a parlare:
 
“Ero partito convinto di vendicarti, di farmi sentire e vedere, che quella massa strisciante di vermi sapessero che non devono nemmeno pensare di farti del male!” disse con orgoglio e un accenno di rabbia.
 
Poi dopo un breve pausa, riprese, spiegando:
 
“Quando passai da Falcon a chiedergli man forte, lì mi raggiunse una telefonata di Saeko, che mi informava che sia Kurai che Shiro, si erano dichiarati pronti a testimoniare al processo contro il proprio padre, e che avevano chiesto di essere messi sotto scorta, per paura di ritorsioni da parte della famiglia. Per la polizia quella era stata una doppia fortuna, e subito avevano disposto di metterli all’interno del Programma Protezione Testimoni, così i due fratelli avrebbero cambiato nome, città e sarebbe stato come se fossero morti. Ad entrambi non dispiaceva, perché erano stanchi di far parte di quella famiglia malavitosa, ed erano sicuri che non sarebbero mai riusciti ad uscirne senza tragiche conseguenze. Invece, così, gli si presentava un’occasione insperata. Il padre avrebbe scontato i suoi debiti con la giustizia e, nel migliore dei casi, non sarebbe morto per mano di un altro criminale, e loro due avrebbero finalmente intrapreso una vita nuova, diversa. Certo, così facendo, mi toglievano la possibilità di rifarmi su di loro, su tutti loro, ma almeno avrei potuto spargere la voce che ero stato io a giustiziarli. A quel punto nessuno avrebbe pensato di andare a ricercarli e il mio onore sarebbe stato salvo. Lo so, non è molto edificante tutto ciò, ma… io DOVEVO fare qualcosa di grosso, e non VOLEVO uccidere nessuno… per te. L’ho fatto per te” finì di dire in un soffio.
 
“Oh Ryo, ma è…. è magnifico!” esclamò la ragazza tornando ad abbracciarlo stretto, commossa.
 
In quell’assurda situazione, ciò che era successo era veramente l’ideale per tutti!
Nessuno spargimento di sangue, Kurai e Shiro, che per certi versi non avevano colpe, erano stati risparmiati e redenti; Kama sarebbe finito in prigione, e Ryo non era stato costretto ad uccidere nessuno per farsi rispettare.
 
“Però non ti ho ancora detto tutto…” le mormorò fra i capelli.
Si scostarono un poco per potersi guardare: “Se i fratelli Minamoto-Kamakura e il loro degno padre sono stati sistemati, mancavano ancora all’appello quegli scagnozzi che… che volevano approfittarsi di te”.
 
E subito Kaori ripensò a quei brutti ceffi che l’avevano strattonata, strappandole la camicia, e da cui s’era difesa con un bel calcio fra le gambe, che non era stato comunque sufficiente perché poi… cosa era successo veramente?
Ah, sì: Shiro l’aveva drogata.
 
“Che-che ne hai fatto?” balbettò la ragazza.
 
“Diciamo che per i prossimi anni sarà già tanto se riusciranno anche solo a guardare una donna” e sul viso dell’uomo comparve un ghigno malefico “Ah, e naturalmente mi sono anche occupato di quelli che ti hanno dato addosso nel magazzino, ma anche lì è stato un gioco da ragazzi. Tutti comunque si ricorderanno la lezione molto bene, e il tuo nome, inscindibilmente legato al mio, sarà temuto per sempre!” sentenziò.
 
Kaori non chiese ulteriori chiarimenti, del resto Ryo le aveva detto che non aveva ucciso nessuno, e i principali artefici delle sue sventure erano stati, in un certo senso, sistemati.
Quella pletora fetida di burattini aveva avuto la giusta lezione, soprattutto per aver anche solo pensato di approfittarsi di una donna indifesa; che poi la donna in questione non fosse totalmente indifesa, e per giunta la socia del grande Ryo Saeba, quello era un altro conto.
 
Kaori, convinta che le spiegazioni fossero ormai finite, lo attirò a sé e lo baciò dolcemente, facendolo sospirare e sciogliere, poi però Ryo si riscosse e, quasi come a ricordarsi qualcosa, le disse:
 
“Ah, dimenticavo: ho anche sistemato quel tuo amico, quel Seitaro!” e nuovamente un ghigno deformò il suo bel viso, un po’ meno malefico dell’altro, ma sempre abbastanza inquietante; aveva anche calcato su quell’amico e Kaori provò un certo senso di disagio.
 
“Cosa vuoi dire esattamente?” domandò la donna preoccupata.
 
“Oh, niente di eclatante” rispose Ryo “Diciamo che gli ho dato il giusto consiglio per smettere di essere il codardo che è, e soprattutto gli ho proibito anche solo di telefonarti per cercare di rivederti, perché sei la mia donna e deve girarti alla larga. E comunque, quando è stata ora, ti ha abbandonata a te stessa! Che razza di uomo è, uno come quello lì? Forse meritava una lezione diversa…”
 
Kaori non osò chiedere cosa gli avesse fatto, e Ryo non le disse che era piombato a casa sua a notte fonda, che lo aveva buttato giù dal letto, costretto a spogliarsi tutto nudo e a vagare per la città in quello stato, minacciato con la pistola e tenuto sotto tiro a debita distanza.
Che lo aveva fatto arrivare fino a Kubukicho, dove l’aveva costretto ad entrare in un locale per sole donne, in cui l’aveva lasciato in pasto ad una massa di casalinghe arrapate e frustrate.
Seitaro aveva implorato il suo aiuto, ma Ryo, già stanco di tutta quella faccenda e desideroso di tornare fra le braccia di Kaori, l’aveva bellamente ignorato e se ne era andato senza una parola.
 
Ed ora Ryo era finalmente lì, doveva desiderava essere da diverse ore.
Era esausto e non voleva più pensare a niente, solo dormire accanto alla sua compagna; ma, d’improvviso, ebbe timore a chiederle di poter restare lì con lei, nel suo letto.
La guardò con espressione persa e, al solito, Kaori capì: gli fece cenno di accomodarsi accanto a lei, e lui, spogliatosi, si coricò vicino alla compagna.
Il letto di Kaori era più piccolo di quello di Ryo, ma poco importava, perché subito si strinsero in un abbraccio amoroso e consolatorio, e l’uomo si addormentò cullato dalle carezze e dai piccoli baci della sua fantastica ragazza.
Era così faticoso essere Ryo Saeba, ma solo Kaori Makimura sapeva come prendersi cura di lui.
 
 
 
oOo
 
 
 
Era ormai giorno fatto quando Ryo si svegliò in un letto ormai vuoto.
Poteva ancora sentire attorno e su di sé il dolce profumo di Kaori, ed era bello esserne pervasi.
Subito dopo aver riaperto gli occhi, la prima cosa che pensò fu che era davvero un peccato risvegliarsi senza averla accanto, ma poi, voltando lo sguardo verso le tende ancora tirate, dall’intensità della luce del sole che vi filtrava capì che era veramente tardi, e che la sua socia non avrebbe mai indugiato fra le lenzuola per tutto quel tempo.
Probabilmente la sera prima era andata a letto presto, anch’essa bisognosa di riposo dopo quell’avventura stancante al limite della sopravvivenza e, come al solito, si era svegliata di prima mattina; era lui che era rientrato all’alba e aveva bisogno di recuperare le forze, lei, evidentemente, era già ritornata perfettamente in forma.
 
A quell’ora magari Kaori era già in cucina a spadellare, e quell’idea lo consolò della delusione di non averla trovata accanto a lui.
Sedendosi sul letto, però, pensò anche che, effettivamente, loro due, pur vivendo sotto lo stesso tetto, non condividevano gli stessi orari, soprattutto per quanto riguardava il dormire.
Quando, e se, Ryo usciva per locali, rincasava tardissimo, a notte fonda, e poi dormiva tutta la mattina seguente; lei invece, se non era impegnata in qualche missione con lui, di sera restava a casa e il socio immaginava che, nonostante la maratona di film sdolcinati visti in tv, poi ad una certa ora andasse a letto, e non sarebbe potuto essere altrimenti, visto che si svegliava prestissimo il giorno dopo!
A Kaori, non è che non le piacesse dormire, ma insomma preferiva essere attiva e operativa già di mattina presto, e infatti gli rimproverava sempre che lui fosse un pelandrone scansafatiche, e che il lavoro non lo sarebbe andato a cercare a casa.
Al solo pensiero si grattò la testa, ridacchiando piano.
Kaori non aveva tutti i torti, eppure almeno una volta era successo che il lavoro lo era andato a cercare a casa, letteralmente!
Era stata Shoko Amano, che si era schiantata nel loro appartamento!
Già, Shoko, doveva ancora ringraziarla e, soprattutto, ricompensarla; ne avrebbe parlato con Kaori.
 
In ogni caso, se lui, Ryo, voleva risvegliarsi con Kaori nel letto, e soprattutto trascorrere più tempo possibile con lei, doveva per forza cambiare qualche abitudine, qualche orario.
Magari avrebbe potuto portare Kaori con sé in giro, non tanto per i soliti localacci equivoci, ma per la città, cosicché tutti avrebbero capito che ora erano una coppia a tutti gli effetti, e che chi danneggiava lei, poi avrebbe dovuto vedersela con lui.
Era sicuro che ben presto gli effetti della sua vendetta, di cui ne aveva fatto le spese il clan Minamoto-Kamakura, si sarebbero fatti sentire, e tutto quel sottobosco di criminali e gentaglia, avrebbe di colpo ricordato, se mai se ne fossero dimenticati, che con Ryo Saeba e, ora, anche con Kaori Makimura, non si scherzava.
Chissà Kaori come l’avrebbe presa, di andare in perlustrazione con lui?
Sarebbe stato come esporla a nuovi pericoli, o era un rischio inevitabile da correre?
Però, così, avrebbe raggiunto il duplice scopo di farla sentire ancora più parte di City Hunter, e di dimostrare al mondo che lei era intoccabile, la sua donna.
Per il resto, non appena fosse stato sicuro di aver ristabilito e consolidato il suo potere su Shinjuku, avrebbe diradato le sue uscite, per godersi a pieno la compagnia di quella ragazza fantastica.
Sarebbe bastata la sua aura minacciosa ed incombente sui criminali, a tenerli a bada, mentre lui a casa si sarebbe finalmente dedicato all’amore della sua vita.
Glielo doveva.
 
E così ci sarebbero state tante serate perfette, semplici e tenere, da trascorrere insieme fino all’ora di coricarsi; e a quel punto avrebbero continuato ad amoreggiare, a coccolarsi, a fare sul serio, e la notte sarebbe stata lunga, lunghissima, e il risveglio sarebbe stato insieme.
Sorrise a questa allettante prospettiva.
Sì, lo doveva anche a sé stesso, un cambio di rotta di quel genere.
 
Si stirò pigramente e si passò una mano sul mento: aveva urgentemente bisogno di una doccia e di farsi la barba.
Stavolta, coscientemente, voleva farsi bello per lei; che lo vedesse rasato, pulito, in ordine, prima di scendere al piano di sotto.
Voleva inoltre passare l’intera giornata con Kaori, magari le avrebbe proposto di uscire, di fare un giro, un pic nic, qualsiasi cosa pur di stare con lei e farla felice.
Aveva bisogno di un po’ di normalità, di leggerezza; ora che si erano ritrovati anche come amanti e che le aveva aperto il suo cuore, avrebbero potuto comportarsi come due fidanzati qualsiasi, e quest’idea lo elettrizzò: due innamorati, due semplici innamorati come tanti, senza le zavorre che si erano portati dietro per anni, liberi di dimostrarsi il loro amore, liberi di passeggiare mano nella mano, e non solo di darsi il braccio come una coppia di vecchi amici.
Voleva di più.
Ricordava ancora quella meravigliosa e fatale sera, quando lei si era finta Cenerentola e lui il cavalier servente, impeccabile e rispettoso: quando avevano giocato ad essere i perfetti fidanzati.
Tutti e due, però, non avevano propriamente finto, e lui lo sapeva benissimo: era così che entrambi sognavano di comportarsi, uno con l’altro, insieme, e adesso era arrivato il momento per farlo, era arrivato il loro momento.
 
Si fece la doccia fischiettando e, mentre si lasciava irrorare dal getto bollente dell’acqua, pensò che avrebbero dovuto fare anche quella che si prospettava una piacevolissima esperienza, e cioè fare la doccia insieme, insaponarsi a vicenda, lavarsi e… tutto il resto.
Sarebbe stato inevitabile!
Anche questa sarebbe stata una bellissima novità; ragionò che ce n’erano, di cose nuove da fare insieme!
Era come se tutte le esperienze che lui avrebbe voluto condividere con lei, e di cui aveva solo sognato e vagheggiato, perché impensabili e impossibili da realizzare, ora che aveva fatto il grande salto, prepotentemente dovessero essere vissute.
Tutte!
 
Sorrise al suo riflesso inondato di schiuma da barba.
 
Sì, era felice di aver fatto un bel cambiamento, di essersi deciso.
E poi… chissà quante e quali cose aveva in programma di fare la sua testolina rossa, per lui e per loro!
Sperò solo che non fossero troppo lontane dalle sue corde, perché troppo sdolcinate o svenevoli; Kaori era così romantica, così sognatrice, che lui faticava a starle dietro.
Però forse, alla fine, poteva venirne fuori qualcosa di buono lo stesso.
Voleva lasciarsi andare anche in questo; gli piaceva quando era lei a prendere l’iniziativa, e all’atto pratico non si era comportata come un’educanda, e comunque a parte quello, moriva dalla voglia di essere l’oggetto delle sue carezze, delle sue tenerezze, voleva essere suo… voleva essere il suo ragazzo.
Voleva essere amato da lei.
 
Sentì improvvisamente la nostalgia di Kaori, e provò come una fitta in fondo allo stomaco: aveva bisogno di vederla, di parlarci, voleva stare con lei.
Si affrettò a sbarbarsi e a rivestirsi e si precipitò di sotto in cucina ma, pur chiamandola con entusiasmo, non la trovò.
 
Notò subito che sul tavolo della cucina, dove lui l’aveva lasciata, non c’era più la pistola di Hideyuki, quella che aveva ereditato Kaori e che Ryo aveva ritrovato a casa di Seitaro la sera prima, quando era andato da lui per una visita di cortesia, come la definiva ironicamente lo sweeper.
Bene, si disse, la socia l’aveva ripresa e di certo messa al sicuro.
Però, al suo posto, aveva lasciato un laconico bigliettino con la scritta:“Se mi cerchi, sai dove sono. K.” senza nessuno di quei simpaticissimi disegnini che sempre ci faceva.
Il testo quindi era forse più serio di quello che appariva, e Ryo non tardò a capirne il perché.
S’incupì.
 
C’era ancora una questione che era rimasta in sospeso fra loro e, ovviamente, anche quella andava risolta.
Sospirò frustrato, passandosi una mano sui capelli ancora umidi.
 
Si decise a scendere di sotto al poligono.

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Capitolo 15
*** Non sparare ***


Eccoci alla fine di questa storiella, che avete seguito con piacere, riempiendomi di gioia *_____*
Vorrei dire GRAZIE a chi ha letto la mia fic, e potrei fare l’elenco di tutte le lettrici che hanno via via recensito, ma ho troppa fretta di aggiornare e temo che me ne dimenticherei qualcuna, e invece VOGLIO RINGRAZIARE TUTTI, anche chi ha letto in silenzioso, o che ha preferito farmi sapere il suo parere in privato.
Vi ringrazio dal profondo del mio cuore, SEMPRE, per la stima e la simpatia che mettete nei vostri commenti.
Ma ora bando alla ciance e ‘godetevi’ il ‘gran finale’ :D
Alla prossima
Eleonora

 
 
 
Cap. 15 - Non sparare
 
Kaori era lì, con le cuffie in testa, gambe leggermente divaricate, concentratissima: stava sparando alle sagome in rapida successione.
Aveva percepito la presenza di Ryo, ma non si era fatta distrarre: anche in questo voleva dimostrargli di essere diventata brava, di essere riuscita ad escludere l’emotività durante un’attività intensa e pericolosa come sparare.
Sparare…
Anche lei non ignorava che, da lì a poco, avrebbero dovuto chiarire la questione.
Del resto, molto prima della brutta avventura che aveva vissuto, e nonostante il conseguente avvicinamento che li aveva fatti diventare amanti consapevoli e felici, avevano a lungo dibattuto e soprattutto litigato per quello.
Ma anche se Ryo aveva ceduto sul lato amoroso della loro relazione, facendola diventare di fatto la donna più felice dell’universo, non voleva rinunciare a questa sua ritrovata autonomia.
Non voleva mettere da parte le sue aspirazioni e sacrificare la sua bravura con le armi da fuoco, solo perché… solo perché ora Ryo le stava dimostrando di amarla.
Questa era tutta un’altra cosa.
E, in ogni caso, si disse, una non escludeva l’altra.
 
Finì il caricatore con tutta calma, mentre Ryo continuava ad osservarla, senza intervenire; la sua aura non emanava vibrazioni negative e, se anche fosse stato, Kaori era decisa ad ignorarle.
 
Lo sweeper si prese del tempo per valutarla.
A parte la postura naturalmente sexy, che gliela faceva apparire irresistibile, rischiando di fargli annebbiare il giudizio, ben presto dovette ammettere che alla solita grinta, che non le difettava di certo, ora aveva unito una correttezza ed una linearità nei movimenti tale, che le facevano onore.
Era indubbiamente migliorata tantissimo, riusciva ad incassare i rinculi degli spari senza perdere la mira per il colpo successivo; la sua concentrazione era alle stelle, ed era sicurissimo che anche la sua mira fosse ormai eccellente.
Non aveva bisogno di controllare i buchi nelle sagome per saperlo, lo immaginava; di più: lo sentiva!
E comunque non sarebbe stata certamente una schiappa, se un boss della mala s’era incapricciato di averla in scuderia, insieme a quell’ameba di uomo come Seitaro.
Non c’era che dire, Kaori era cresciuta, ora era davvero eccellente.
Avrebbe dovuto dirglielo?
 
Sparato l’ultimo colpo, la detonazione ancora a riecheggiare fra le pareti insonorizzate del sotterraneo, Kaori restò immobile, nell’atto di sparare.
Era più un prendere tempo, il suo, perché adesso si sarebbe dovuta voltare verso Ryo, avrebbe dovuto affrontare le sue recriminazioni, i suoi giudizi trancianti; magari si sarebbero trovati nuovamente in disaccordo e avrebbero vanificato tutta l’armonia e la felicità ritrovata dopo… dopo che lui aveva smosso mari e monti per salvarla.
Neanche per un attimo dimenticò che era perfino salito su di un aereo, e che si era gettato col paracadute, pur di venire da lei.
 
Se ci ripensava, inoltre, sentiva ancora il suo calore aleggiarle sul corpo, dopo la notte appena trascorsa, insieme nel suo letto; avevano dormito abbracciati quasi tutto il tempo, anzi, ad un certo punto Ryo si era raggomitolato contro il suo fianco, fino ad appoggiare la testa sul suo seno, e a lei era sembrato di toccare il cielo con un dito.
Lui sembrava così indifeso, così bisognoso di coccole che, ricordò Kaori, benché fossero entrambi preda del dormiveglia, lei aveva preso ad accarezzargli i capelli, e lo aveva sentito sospirare.
Era così preso da lei, che le si era donato totalmente, e questo glielo aveva detto anche la notte precedente, in quel riparo di fortuna; e cos’altro poteva desiderare lei, Kaori Makimura, da sempre innamorata di quell’imprendibile Ryo Saeba?
Nonostante il sonno profondo, si erano sentiti anche attraverso le cortine del sopore; impossibile non percepire il corpo dell’altro, il suo calore, le braccia e le gambe avvinte, le mani che stringevano o vagavano libere di posarsi dove più gli aggradava.
E Kaori sapeva che anche dormendo la stava desiderando, perché l’aveva visto, l’aveva avvertito molto chiaramente, e intimamente ne aveva gioito.
Anzi si era pure detta, divertita, che gli uomini sono strani, con quella parte del corpo che non riescono quasi mai a controllare, e che veramente vive di vita propria.
Le piaceva quella nuova, deliziosa, intimità che avevano scoperto, e non si era mai sentita così vicina a Ryo come in quel momento.
Non avevano, però, fatto l’amore come la notte prima, anche se avrebbero potuto ugualmente: il suo letto non era spazioso come quello di Ryo, ma di sicuro più comodo di un giaciglio fatto di foglie secche, sporcizia, e pochi vestiti buttati sul pavimento sudicio, come quello del rifugio.
Ma tacitamente avevano deciso così.
 
D'altronde Ryo era tornato sfinito, emotivamente e fisicamente stanco, e non chiedeva altro che di dormire, sì, ma con lei, fra le sue braccia, e questo valeva molto di più di mille altre acrobazie sotto le lenzuola.
Non era solo da quello che si misurava la portata del legame di due persone; in fondo, dopo la loro prima volta in quel senso, poi si erano irrimediabilmente allontanati e, anziché unirli, il sesso li aveva divisi.
 
Quando Kaori si era svegliata, ed era già giorno fatto, era rimasta lì ancora un po’, abbracciata a lui, a godersi la sua vicinanza, ma poi una strana inquietudine l’aveva spinta ad alzarsi.
Doveva fare… doveva fare qualcosa.
Ma non le solite cose.
Doveva sparare!
 
Ed ora Kaori era lì, al poligono, con la pistola ancora fumante stretta in pugno.
Non si era ancora voltata verso Ryo, quando lo sentì dire, chiaramente:
 
Non sparare
 
Quelle parole le trafissero le orecchie, e molto di più il cuore.
Ecco che erano arrivate, come pallottole infuocate.
Lei e Ryo avrebbero ripreso a litigare, era inevitabile.
Era già pronta a fronteggiarlo, quando Ryo le disse:
 
“Kaori…Non sparare mai… per uccidere. Ti prego”.
 
La ragazza si voltò di scatto, abbassando la guardia, in un unico fluido movimento, e lo fissò incredula.
Non era ciò che si aspettava di sentire da lui.
Istintivamente fece un passo avanti, verso Ryo, poi si fermò; non era nemmeno troppo sicura di ciò che l’altro le aveva appena detto.
Ma poi lo guardò bene negli occhi: aveva un’espressione che non gli aveva mai visto, nemmeno quando amoreggiava con le clienti o con qualche bella donna; sembrava dolce, supplichevole, ma anche bonaria.
Cosa voleva dire esattamente?
 
Di fronte allo smarrimento della partner, Ryo pensò bene di spiegarsi, cosa che non faceva mai, non era da lui; ma non avrebbe lasciato che altre frasi criptiche, o detti non detti, si sommassero alimentando l’incomprensione fra di loro.
In certi momenti della loro relazione lui era stato chiaro e deciso, e voleva esserlo anche ora; come, all’epoca, quei chiarimenti avevano rappresentato un punto fermo nella loro partnership, pure adesso avrebbero dovuto fare il distinguo.
 
“Kaori… Sei diventata veramente molto brava, i miei complimenti” le disse, per iniziare.
In fondo era anche giusto elogiarla, se lo meritava.
“Seguire quel corso ti ha fatto molto bene, ti ha fornito tutti gli insegnamenti che io non ho mai voluto darti…”
 
“Ryo!” l’interruppe lei “Aspetta… non dire così…” iniziò a farfugliare Kaori, con la paura che chissà cosa le avrebbe potuto dire, ma il socio le fece segno con la mano di aspettare e, sorridendole, le si avvicinò.
Era ormai ad un passo da lei: allungando la mano, le sfilò la pistola di Hideyuki e l’appoggiò nel ripiano lì accanto.
 
“Sugar, ti prego fammi finire…” le disse quindi.
 
La ragazza annuì senza aggiungere altro.
 
“Hai dimostrato di essere caparbia e ambiziosa; volevi migliorarti e ci sei riuscita, ora sei un’eccellente tiratrice, e questo è un fatto. Mi hai chiesto di insegnarti a sparare ed io mi sono sempre fermamente opposto e rifiutato… il motivo lo sai, ma devo ammettere che hai ragione”.
 
Kaori fece tanto di occhi; per la prima volta Ryo ammetteva che lei avesse ragione, soprattutto per una questione spinosa di quel genere!
Era anche vero che il socio era di fronte al fatto compiuto e non avrebbe potuto fare altrimenti che ammettere l’ovvio; in ogni caso lei non avrebbe di certo potuto disimparare per fargli piacere, non poteva dimenticare le lezioni apprese e tornare ad essere la schiappa innocua che era.
 
Ryo, dopo una breve pausa, riprese:
 
“Sì, saper sparare come si deve ci permette di mirare dove vogliamo, e quindi scegliere se fare del male oppure no, se uccidere o lasciar vivere…” tacque per un attimo, poi aggiunse: “Ecco perché prima ti ho chiesto di promettermi che non sparerai mai per uccidere”.
 
“Oh, Ryo!” e nel dirlo Kaori gli saltò al collo, affondando il viso nel suo petto.
 
Era così turbata, così emotivamente sconvolta che non era sicura nemmeno lei di cosa stesse succedendo.
L’unica cosa che la calmava era poter restare abbracciata a lui, in silenzio.
Quando sentì le braccia di Ryo cingerle la schiena si rilassò.
 
“Ryo…” mormorò infine “Sapessi che paura ho avuto quando Kama ci ha chiesto di sfidarci in duello! Sapevo di essere brava, ma non così tanto da poter evitare di colpire a morte Seitaro” poi si scostò da lui e lo guardò “Hai ragione… sparare è pericoloso, si rischia di uccidere qualcuno, ma io devo migliorare, devo diventare come te, devo acquisire la completa padronanza dell’arma per… fare la differenza fra la vita e la morte. Ma devi essere tu ad insegnarmi…” e guardandolo intensamente negli occhi aggiunse con un filo di voce potentissimo: “Ti prego.”
 
Ryo si sentì attraversato da un lungo brivido sconvolgente.
Non era erotismo, e meno che meno paura, era qualcosa di più forte e destabilizzante.
Era un sentimento che non aveva mai provato fino in fondo: era forse quello l’amore?
 
Come poteva dire di no a quella donna fantastica che aveva scelto di amarlo?
Come poteva dire di no a quella donna testarda e generosa che era votata al bene altrui e alla giustizia?
Come poteva dire di no… a Kaori?
 
Perso nei suoi occhi luminosi, annuì lentamente, ormai sicuro della decisone presa.
Per tutta risposta, Kaori tornò a stringerlo forte e a seppellire il viso nel collo del suo compagno.
 
Kaori finalmente aveva ottenuto ciò che più desiderava, e si lasciò andare alle lacrime.
Pianse commossa, fino a quando, dolcemente, Ryo la staccò da sé e le disse:
 
“E poi… sei così sexy, quando impugni la pistola!” sorridendole maliziosamente.
 
“I-idiota!” gli rispose, allontanandolo di scatto; ma lui, respingendo la sua spinta, l’imprigionò fra le sue braccia poderose e, falsamente accigliato, l’ammonì:
 
“Ehi, è così che tratti il tuo sensei? Porta maggior rispetto, cara la mia allieva!” e ridendo la baciò.
 
E Ryo la sentì ridere a sua volta sotto le sue labbra calde e, ben presto, non ci fu spazio per altre parole.
Si baciarono a lungo, con gioia e anche con un certo senso di leggerezza: avevano chiarito ogni questione rimasta in sospeso, si erano detti tutto ed ora non gli restava che voltare pagina, per sempre, e andare avanti.
Ci avevano messo anni per arrivare a quella sorta di accordo, sia per quanto riguardava la loro vita amorosa che professionale, e sembrava come se si fossero tolti un enorme peso dal cuore.
Quando si separarono, senza fiato, Ryo, guardandola maliziosamente le disse:
 
“Non vedo l’ora di toglierti questi jeans…” e lasciò la frase in sospeso, ammiccando.
 
“Ryo, ma pensi sempre a quello?” esclamò Kaori, fintamente scandalizzata.
 
“Ma certo che no! Cosa hai capito? Devo controllare la tua ferita sulla coscia, lo sai che va curata al meglio, no?” le rispose lui usando quel pretesto; in fondo non aveva tutti i torti.
 
“Sì, sì, immagino. Che stupida io, ad essere così maliziosa, vero?” gli rispose, reggendogli il gioco.
 
Ma non ebbe tempo di dire altro che lui, con un unico movimento, deciso e gentile insieme, la prese in braccio felice di poterla stringere nuovamente, stavolta senza la scusa di doverla trarre in salvo o preservarla dal pericolo.
Kaori, deliziata, si mise ad emettere gridolini divertiti ed eccitati, mentre il socio già correva al piano di sopra, facendo gli scalini a due a due.
 
“Uuuuuhhhh, i tuoi gridolini sono così eccitanti!” le ripeteva, come già faceva all’inizio, quando si erano conosciuti, molto prima che lui decidesse che, ai suoi occhi, non sarebbe più stata una donna, perché per combattere l’Union Teope e fare la sweeper non potevano esserci complicazioni sentimentali fra loro.
Ma ora era libero anche di provare tutte le sensazioni che si era proibito di esperire, con o senza lei presente.
 
“Sm-smettila, scemooooo!” gli urlava lei, fra una risata e l’altra, felice e piena della stessa aspettativa del compagno; sapeva molto bene come sarebbe andata a finire, infatti, non appena raggiunsero il loro appartamento, lui le chiese:
 
“Da te, da me, qui sul divano… dove, dove???” era talmente eccitato, e smanioso, che era anche buffo a vedersi, e Kaori era felice di vederlo in quello stato a causa sua.
 
A stento riuscì a dirgli:
 
“Basta che sia un posto comodo, che ne ho abbastanza di giacigli di fortuna… sono ancora tutta dolorante dopo l’altra volta” e scoppiò a ridere di cuore.
 
“Allora… allora da me, che ho il letto più grande!” rispose di getto Ryo già pronto ad imboccare le scale, ma lo squillo del telefono lo bloccò di colpo.
 
Si fermò all’istante, ai piedi della rampa, con ancora Kaori fra le braccia, entrambi voltati verso l’apparecchio che non smetteva di suonare, assordandoli; mai suoneria fu più odiosa e antipatica.
Si guardarono perplessi.
Cosa fare?
Rispondere o lasciare perdere?
Chi poteva scocciarli in quel modo?
Perché per loro quella era solo un’inutile scocciatura; si erano trovati, finalmente: Kaori era reduce da un salvataggio al limite, i loro amici sapevano, o avevano capito, che qualcosa era successo fra di loro, e che ora volevano restare da soli per un po’.
 
La curiosità, ma soprattutto quel senso di responsabilità che da sempre li contraddistingueva, gli fece decidere per il rispondere.
Ryo si avvicinò all’apparecchio, Kaori sempre abbracciata a lui.
 
“Pronto?” cercò di non far trasparire il suo fastidio, in fondo poteva essere chiunque o quasi.
 
Ryo? Sono io!” rispose invece Saeko Nogami, colei che più di tutti avrebbe dovuto lasciarli in pace; lo sweeper si lasciò sfuggire uno sbuffo, poi avvicinò la cornetta cosicché anche Kaori potesse sentire tutta la telefonata.
 
“Cara amica, quale valido motivo ti spinge a chiamarci?” le domandò ironicamente, cercando di farle capire fra le righe, ma manco tanto, che la sua telefonata era stata quantomeno inopportuna.
 
Shiro e Kurai sono scappati. Non si sono presentati al luogo scelto per la protezione dei testimoni: non sono stati ai patti. Non riusciamo a trovarli ed ora, rinunciando al nostro aiuto, volutamente si espongono al pericolo di essere uccisi dai propri nemici o all’interno della faida familiare che si è innescata con l’arresto di Kamakura senior. Volevo dirtelo, Ryo, anche perché così salta la storia della tua vendetta e della loro morte per mano tua…
 
“Maledizione! Quei due idioti patentati! Avrei dovuto ucciderli sul serio, per quanto sono scemi!” sbottò lo sweeper, facendo scivolare delicatamente Kaori dalle sue braccia.
 
Se il solo squillo del telefono aveva messo in pausa la voglia di fare l’amore con la sua ragazza, quelle rivelazioni l’annullavano peggio di una doccia gelata.
 
Anche Kaori si raffreddò all’istante e s’impensierì.
Ryo aveva fatto tanto per non spargere sangue, per non attuare la sua sanguinosa vendetta, e l’escamotage del cambio di identità e del loro allontanamento, era stata la soluzione perfetta.
Invece adesso tutto si sarebbe complicato, peggio di prima, e bastava che un criminale soltanto li avesse incontrati, che la credibilità del grande Ryo Saeba sarebbe stata spazzata via per sempre.
 
Kaori, ripresasi dallo shock, sfilò dalle mani di Ryo la cornetta e s’inserì nella telefonata:
 
“Saeko… non potevi darci notizia peggiore” disse con un filo di voce, ma con la serietà di chi ne ha affrontate di tutti i colori ed ora si prepara al peggio.
 
Kaori… ciao. Sì, mi dispiace tantissimo, ma dovevo dirvelo…” quasi si giustificò la Nogami.
 
Driiinnn!
Driiiiin!
Driinnnn!
 
Il campanello della porta richiamò l’attenzione dei tre, anche di Saeko dall’altra parte della cornetta.
 
“E adesso chi cazzo è che suona alla porta?!” esplose rabbioso Ryo, ancora sconvolto per quella terribile notizia che, davvero, rimetteva tutto in gioco.
 
Andò ad aprire senza nemmeno chiedere chi fosse, e spalancò la porta con così tanta foga che poco ci mancò gli restasse sulle mani.
 
Prima ancora che Ryo riuscisse a mettere a fuoco chi fosse il nuovo venuto, sentì Kaori esclamare alle sue spalle:
 
“Shiro? Kurai?”
 
Saeko, che sentiva tutto chiaramente, trasalì, da sola nel suo ufficio.
 
Anche se erano quasi irriconoscibili, poiché Shiro aveva smesso i panni eleganti del giovin signore e sembrava più un adolescente qualsiasi, con tanto di berretto da baseball e felpa, e Kurai non era più la dark lady di un tempo, ma una ragazza vestita da perfetta liceale con i capelli legati in una coda di cavallo, per Kaori, che li aveva in qualche modo frequentati entrambi, erano riconoscibilissimi.
 
Kaori raggiunse Ryo sulla soglia della porta, dove torreggiava su di loro terrorizzandoli a morte; sapevano già di averla fatta grossa e avevano avuto modo di sperimentare che tipo d’uomo fosse Ryo.
Stavano tremando di paura, ma non arretrarono di un passo.
Ryo, dominandosi appena, gli chiese freddamente:
 
“Cosa ci fate qui?”
 
Il suo tono di voce basso e minaccioso, unito allo sguardo d’acciaio, aggiunse paura alla paura; i due fratelli sembravano sul punto di liquefarsi o di scappare a gambe levate, nemmeno avessero visto il diavolo in persona.
Perché effettivamente Ryo, in quel momento, appariva come un antico demone, risvegliato dall’oltretomba, e profondamente adirato per essere stato disturbato; pareva non aspettasse altro che di punire quei due malcapitati, che avevano osato tanto.
La sua aura era nera e minacciosa e li sovrastava.
Malgrado ciò i due Minamoto-Kamakura restarono fermi, lì, sulla porta di casa, poiché erano troppo decisi per tornare indietro.
 
Un silenzio greve scese sui presenti, e Saeko, che poteva sentire tutto ciò che si diceva in casa Saeba-Makimura, trattenne il respiro.
Erano tutti in attesa di sentire la risposta di quei due sciagurati, e soprattutto le donne, erano preoccupate per come avrebbe reagito Ryo.
 
Shiro finalmente si decise a parlare, dopo aver scambiato un breve cenno d’assenso con la sorella; si schiarì la voce e, raddrizzando le spalle, orgogliosamente rispose:
 
“Vogliamo diventare degli sweeper! Ti prego prendici con te!”
 

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